Jess Ichigo Shadow

di marine the racoon
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** La prima lettera ***
Capitolo 2: *** La seconda lettera ***
Capitolo 3: *** la terza lettera ***
Capitolo 4: *** Nel carcere... ***



Capitolo 1
*** La prima lettera ***


Quel giorno faceva caldo. Lo ricordo ancora. Il sole splendeva su di me, illuminando i miei lunghi capelli color rosso fuoco, muovendosi nella brezza in dolci boccoli, facendo brillare i miei occhi di un intenso azzurro cielo.
Il sole riscaldava la mia pelle diafana, bianca latte, colorando le guancie di rosso per il caldo.
Ero una bambina di 10 anni, non conoscevo ancora bene la malvagità che permea il mondo, e, quel giorno, decisi di giocare in giardino. Giocai con una bellissima palla gonfiabile e multicolore.
La mia casa era piccola ma confortevole. A volte, di nascosto, ci torno ancora. Rivedo quei muri color crema, e ricordo quando ci disegnai. I miei genitori si arrabbiarono molto. E la cosa che fu la mia disgrazia, invece, era il bosco. I miei genitori mi dicevano di non andarci mai senza di loro, e io obbedivo sempre, fino a quel giorno. La palla rotolò lì dentro, e io la seguii. Quando riuscì a riprendere la palla, notai che mi ero allontanata molto da casa, così tornai indietro. Ma dopo un’ora che, sperduta, giravo tra gli alberi, mi resi conto che non sarei riuscita a tornare a casa così facilmente, non senza un aiuto. Mi venne da piangere per la paura. Il bosco di per se non faceva paura, era ancora giorno, e alcuni raggi filtravano tra gli alberi raggiungendo il suolo, rendendo il tutto di una tonalità oro, era il fatto che mi ero persa e forse non sarei mai riuscita a tornare a casa che mi spaventava. Mi appoggiai ad un albero, stanca.
D’improvviso i rami si mossero, insieme alle loro ombre. C’era qualcuno lì con me, ma prima non me ne ero accorta. Vidi solo ombre e rami che si muovevano, e la cosa mi spaventò molto. Da dietro degli alberi spuntò un essere in giacca e cravatta. Essere è il termine più adatto, perché era alto, molto alto, e aveva delle lunghe braccia, inermi, che gli arrivano poco oltre la vita. Il volto era vuoto, senza occhi, né naso, né bocca, l’unica cosa che rimaneva di questi tre era la cavità degli occhi, la linea del naso e una fessura al posto della bocca. Giacca, pantaloni e scarpe erano neri, la cravatta rosso sangue. Era molto magro, sembrava anoressico, con le guance incavate. L’essere si avvicinò, ma io rimasi ferma, stringendo saldamente la palla in mano, per cercare protezione. –Ciao piccola, ti sei persa?- chiese molto gentilmente l’uomo alto. Non apriva nessun tipo di bocca, eppure riusciva a comunicare con me. Non capivo come ci riusciva. Intanto, l’uomo stava aspettando una risposta, così mi affrettai a rispondere:-Si, signore-. L’uomo annuì, si guardò intorno, come se non riconoscesse il luogo dove erano, poi si riconcentrò su di me. –Qui intorno non ci sono case, da dove vieni?- -Da casa mia, signore- -E quale?- Una casa color crema-. L’uomo sembrò riflettere per un attimo, poi chiese:-È piccola?- Si - -Ha due piani collegati dall'esterno?- -No- -Allora ho capito a quale casa ti riferisci, seguimi- e, senza aspettarmi, si inoltrò nel bosco. Scattai in piedi e lo rincorsi, urlandogli di fermarsi. Quando lo raggiunsi, gli presi una di quelle manone che teneva lungo i fianchi, e lui diminuì la sua falcata. Dopo un’ora arrivammo al limitare del bosco, davanti casa mia. Ringraziai l’uomo che mi aveva riportato lì, e corsi in giardino. La casa, essendo lontana dalla città più vicina, non ha cancelli o palizzate, solo le inferiate di ferro alle finestre. Prima di rientrare in casa, guardai verso il bosco, e lo vidi ancora lì. Sembrava fissarmi sorridendo. Rientrai in casa, e venni sgridata dai miei genitori, perché mi ero allontanata da sola. Allora, non capì che quel “sorriso” era un sorriso malvagio. Anzi, trovai quell'uomo simpatico, così il giorno dopo, quando i miei erano a lavoro, tornai nel bosco.
Come il giorno prima, ci furono movimenti d’ombre e di rami, e poi spuntò dal nulla. Gli chiesi di giocare con me. Lui accettò. Giocammo a nascondino. Lui era molto bravo, mi trovava sempre. Tutt'ora mi chiedo come faccia. A forza di giocare, arrivò l’ora di tornare a casa. Stavolta seppi trovare la via, anche se, tornando, lui mi seguì. Si fermò, come l’ultima volta, ai margini del bosco, e continuò a “fissarmi”. Lo salutai con la mano ed andai a fare i compiti delle vacanze estive. I miei tornarono mezz'ora dopo, inconsci di quanto accaduto.
 
 
Anche nei giorni seguenti ritornai là, a giocare con l’uomo in nero. Una volta, mentre facevamo una pausa per il troppo correre, gli chiesi:-Come ti chiami?- -Ho dimenticato il mio nome. Tutti mi chiamano SlenderMan-. Annuì. –Perché sei così magro?- -Non lo so- -Come fai a parlare se non hai una bocca?- -La mia bocca è questa- disse, indicando la fessura nera –e per parlarti, beh, è un mio potere- -Perché sei così bianco?- -Perché sei così curiosa?-. Scrollai le spalle. –Non lo so. Mi incuriosisci. Non mi fai più paura- -All'inizio te ne facevo?- -Si, ma ora ti voglio bene- dissi, abbracciandolo. Lui non rispose al mio abbraccio, ma disse:-Vuoi venire domani con me? Ho trovato, nel mezzo del bosco, un luogo molto bello- -Nel mezzo del bosco? Ma poi non farò tardi?- -Abbiamo già giocato da quelle parti, ma non hai fatto tardi- -….- -E poi, se tu facessi tardi, ti prenderei in braccio e, correndo, arriveremo in un attimo a casa tua-. Allora annuì, sorridendo, e tornammo a giocare.
 
 
Era sabato quando SlenderMan, fece quella proposta, e il giorno dopo fu domenica, così non potei andare da lui. Ma il giorno dopo, appena i miei uscirono, corsi più veloce che potevo nel bosco, felice. Non dovetti fare tanta strada, che lui arrivò. Sembrava felice di vedermi. Mi fece cenno di seguirlo, e io obbedì.
Per un po' stemmo in silenzio, lui guardava dove andava, io concentrata a tenere il passo. Poi, lui mi chiese:-Perché ieri non sei venuta?- -Perché era domenica, e i miei stavano tutto il tempo con me, così non sono potuta venire- -Ma, altrimenti, saresti venuta?- -Si-. Continuammo a procedere, in silenzio.
Dopo due ore, si fermò. Lo raggiunsi e mi guardai intorno. C’era una piccola radura, circondata dagli alberi. Al centro, un grande alto albero sovrastava gli altri, come se fosse il re. Tutto intorno all’albero stava dell’erbetta, bassa. Ma la cosa che mi disgustò di più furono i cadaveri di bambini, impalati sui rami. A molti mancavano degli arti, come le gambe, braccia o la testa, altri invece erano interi, ma con la pancia aperta e le interiora, ormai secche da quanto stavano all’aperto, che penzolavano di fuori.
Arretrai, sconvolta, e sbattei contro SlenderMan, che si era messo dietro di me. Con un groppo in gola, gli dissi:-Ora devo andare…-, ma lui, per risposta, fece uscire dei tentacoli e disse: -Di già? Che fretta c’è? È ancora presto-. I tentacoli erano neri, lunghi, sinuosi e flessibili, ma sembravano allo stesso tempo rami d’albero. Capì che, quando vedevo i rami muoversi, in realtà erano i suoi tentacoli che tornavano nella schiena. In totale erano 6, tre per lato. Cercai di scappare. Che sciocca che ero, con le mie illusioni. Neanche il tempo di fare il quinto passo che mi afferrò alla vita con uno dei suoi tentacoli e portata davanti a lui. Mi dibattei, cercai di fuggire, ma stringeva troppo forte.
Rise, silenziosamente. Poi, senza tante cerimonie, mi impalò ad un grosso ramo, senza neanche squarciarmi la pancia o strapparmi un arto. Osservò come il mio sangue scorreva giù per il ramo, per poi attraversare il tronco e, infine, depositarsi nell’erba. Stette anche ad ammirare come mi dibattevo, piano, sul ramo, per poi, infine, smettere completamente di muovermi. Dopo, l'uomo senza volto se ne andò.
Voi non potete neanche immaginare il dolore che sentì. Come un fuoco, mi bruciava tutta, mi consumava da capo a piedi. Poi, sopraggiunse il sonno, il torpore, che riuscì a spegnere quell'incendio, piano. Poi, più nulla.
Ti starai chiedendo se sono un fantasma. No, sono molto peggio. Presto, capirai.
Quando mi risvegliai, era completamente buio intorno a me. Notai che c’era un forte odore di terra. Provai a mettermi seduta, con il desiderio di tornare in superficie, e con qualche sforzo ci riuscì. Mi alzai in piedi, e mi guardai attorno. Era sera, saranno state le 22.00, ma anche nel buio più fitto riuscivo a vederci, come se fosse stato giorno. C’era una bellissima luna in cielo, e le stelle brillavano vivide, lontano dalla luce dei lampioni che stanno in città.
Per prima cosa, decisi di tornare a casa. Mentre camminavo, mi chiesi:”Come mai non sono morta? Eppure sono stata trapassata da parte a parte. Se non sono morta per gli organi interni distrutti dal ramo, dovrei essere morta di dissanguamento”.
Prima di arrivare a casa, incrociai un fiumiciattolo, che finiva in una pozza stagnante poco più là. Volli specchiarmi per osservare le mie ferite…e vidi qualcos'altro.
Quella non ero io. La mia “pelle” era nera come la notte fonda, fumosa, i miei capelli erano diventati bianco latte, la frangia mi nascondeva completamente gli occhi andando a sfiorare la bocca, unica cosa rimasta del mio vecchio corpo. E avevo una bocca larghissima, con denti molto affilati, tesa in un ghigno orribile, scontento e sconcertato, senza labbra, come un taglio sul volto fanciullesco. Non avevo vestiti, ma questo non era un problema perché il mio corpo non presenta forme che distinguono i maschi dalle femmine. Vidi che non avevo i piedi, sono le caviglie che toccano per terra e , anche se li avessi, sono nascosti sotto la superficie su cui sono.
In pratica, ero diventata un mostro, fatto completamente d’ombra.
Capii che non avrei potuto mai più tornare a casa, e mi misi a correre nel bosco.
Adesso tu, lettore, conosci la mia storia. Io ci ho messo tutta la notte prima per scrivertelo, quindi impiegherai tutto il pomeriggio per leggerlo, perché so che la mattina sei al lavoro, come i miei vecchi genitori, e non hai tempo, ma il pomeriggio passi sempre un po’ di tempo ad ammirarmi. Adesso, è scesa la sera. Non senti il freddo? Non senti i miei passi? La senti la porta? Si sta aprendo. Ciao, mi chiamo Jess, Jess Ichigo Shadow, e voglio il tuo cuore.
 
 
 
Questa lettera è stata trovata il 6 giugno 2013, in America, il giorno dopo l’omicidio. Oltre alla lettera sono stati trovati il cadavere di un uomo di 25 anni e un quadro macchiato di sangue. L’uomo aveva diverse macchie viola su tutto il corpo, e dei segni blu al collo, come se l’assassino l’avesse picchiato e poi strangolato. Infine, nel petto, ha uno squarcio all'altezza del cuore, l’assassino deve averglielo strappato via, ma non l’hanno trovato da nessuna parte. Il quadro era macchiato di sangue della vittima, e raffigura una ragazza completamente nera, tranne per i capelli candidi, che sorride mostrando i denti in un sorriso deforme e grottesco. Lo sfondo è completamente rosso.
La polizia ha portato via tutti e tre gli elementi. Secondo loro, l’assassino è un maniaco psicopatico, che ha usato quel quadro per nascondere la sua vera identità. Probabilmente è già stato in casa della vittima. Una cosa che, invece, non riescono a spiegare, è il contenuto della lettera, che non ha senso.
Ora, passiamo alla prossima notizia…

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Capitolo 2
*** La seconda lettera ***


Iniziai a girovagare di notte, nel bosco, senza una meta. Avevo solo un pensiero per la testa: vendetta, e sangue. Non provo emozioni, solo rabbia e odio.
Presto, scoprì che se ero immersa nell’oscurità, di quelle dove non c’è neppure un filo di luce, il mio corpo scompariva e diventavo parte del buio. Non riesco a resistere alla luce del giorno, mi disintegro quando essa mi colpisce. Così, di giorno mi nascondo nella terra o fra le fronde degli alberi, a dormire, mentre la notte giro per il bosco.
Una notte, arrivò una bambina. Era piccola, avrà avuto la mia età. Aveva i capelli biondi, lunghi, raccolti in due treccine fermate con due fiocchi rossi. Era bianca come un cencio, gli occhi verdi, magra e secca. Indossava una maglietta bianca a righe verdi e una gonnellina verde. Ai piedi, dei calzini bianchi che le arrivavano poco sopra le caviglie, e ballerine verdi. Non sono certo le scarpe più adatte per avventurarsi in una foresta. Aveva una torcia in mano, e nell’altra un orsacchiotto di pelush. Piangeva, spaventata.
Mi nascosi nella sua ombra, e la seguì. Incontrammo lo SlenderMan. La piccola urlò, e scappò via. Lui fece fuoriuscire i suoi tentacoli, e la inseguì. Vidi che lui si stava avvicinando sempre di più, senza sforzo. Stava per afferrarla con uno dei suoi tentacoli. La bambina cercava di correre ancora più velocemente, ma era al limite.
Fu allora che decisi di salvarla, spinta da non so quale impulso.
Uscì fuori dalla sua ombra e la spinsi di lato, mentre i tentacoli mi afferrarono per riportarmi dal loro padrone.
Buffo, non è vero? Sono fatta di ombra, ma lui riuscì lo stesso ad afferrarmi. Forse i suoi tentacoli sono fatti di qualche strano materiale…
Lui, non appena vide che non aveva preso la sua preda ma me, si infuriò, e con voce bassa, chiese:-Chi sei tu?- -Tua figlia- risposi, ridendo. Fece un passo indietro, involontariamente, e la presa rallentò, ma solo per un istante, dopo si ricompose come prima. –È impossibile, mio figlio era un maschio- -Ma come? Sei te che mi hai creata, quindi sono anche io tua figlia! Non te lo ricordi più? Che padre cattivo…- -Ma…cosa sei?- -Ombra- risposi, e mi smaterializzai per riapparire dietro di lui.
Se ne accorse, e si girò, pronto per sferrare un attacco, ma ero già scomparsa, andata dalla piccina che ci osservava senza fiatare, tremando. La feci rialzare da terra.
E vidi che SlenderMan aveva approfittato della mia distrazione per lanciarsi contro di me. Non riuscì ad evitarlo, e finì a terra. Lui mi afferrò i polsi e cerò di bloccarmi le braccia al terreno, mentre montava cavalcioni su di me per cercare di bloccarmi.
Intanto, la piccola lasciò cadere l’orsacchiotto e fece qualche passo indietro, completamente terrorizzata. –Adesso mi dirai cosa vuoi da me- -Vendetta- -Perché sei un ombra?- -Perché questa è la mia anima, il mio corpo non è più utilizzabile- -Aspetta…Sei una delle mie vittime?- -Finalmente ci arrivi, testa vuota!-.
SlenderMan iniziò a riflettere, e rallentò di nuovo la presa. Non aspettai un attimo di più, anche perché stava per sorgere il sole, e sarei stata nei guai, come ho già detto, così mi smaterializzai via, di nuovo.
Ricomparvi accanto alla piccola, la presi per un braccio e corremmo via, mentre SlenderMan si rialzò per rincorrerci. “Non ha ancora rinunciato alla sua preda”, pensai. Ed era maledettamente veloce. Ci raggiunse in poco tempo. Ma non cercò di prendere la bambina, come mi sarei aspettata, ma me. Voleva capire, avere più informazioni.
E se pensava che mi sarei fatta di nuovo prendere come una scema si sbagliava di grosso. Appena vidi un movimento di un tentacolo che stava per afferrarmi, mi teletrasportai un poco più in la, con la piccola. Il tentacolo colpì a vuoto e si ritrasse, con uno schiocco di legno.
Poi, scorgemmo la fine del bosco. Io e la piccola ci concentrammo su quell’apertura tra gli alberi, senza badare al resto. Fu quello il mio errore.
Senza che me ne accorsi, lui attaccò di nuovo, e un tentacolo era riuscito ad afferrarmi per la caviglia, mettendomi sottosopra. Anche allora, non riuscì a vedere la forma dei miei piedi. La piccola si fermò, e si sarebbe messa ad urlare se non l’avessi fulminata con lo sguardo, i miei occhi visibili perché la frangia non li copriva più. La piccola, così, rimase a bocca aperta ma in silenzio, mentre io venivo lanciata via, contro un albero.
Il colpo fece male, e caddi a terra. Ma quando lui si avvicinò a me, scomparvi, per ricomparire dietro il suo collo, con un mio braccio che lo cingeva. –Adesso la smetti di rompere e mi lasci in pace?-. Lui iniziò ad agitare la testa convulsamente, senza rispondere, e io cercai di rimanergli in “groppa”, quando un tentacolo mi afferrò da dietro, mi strappò via e mi lanciò contro un altro albero.
Chiusi gli occhi all’impatto per la botta, e quando li riaprì, vidi il sole che faceva capolino. Era l’ora di andarsene, e alla svelta!
Mi rialzai, dolorante, e dissi:-Vorrei tanto rimanere a giocare con te, ma devo andarmene, si è fatto tardi-, e cercai di scappare il più velocemente possibile, lasciando lì la bambina. Mi sentì stanca, e non era solo per i colpi ricevuti. Non potevo teletrasportarmi, perché le ombre si stavano diradando, e ho bisogno di buio per potermi spostare.
In pratica, mi sposto sfruttando il mio essere buio, riunendomi ad essa e fuoriuscendone quando voglio.
Come al solito, lo SlenderMan mi seguì. Cercai di seminarlo, ma lui non stava neppure correndo! Feci un percorso a zigzag, e mi nascosi dentro un albero cavo, completamente buio all’interno, e così il mio corpo scompari. Lui continuò a girare nei dintorni, mentre il sole si alzava nella sua fierezza e luminosità in cielo.
Dopo mezz’ora se ne andò, infuriato. Per quella volta vinsi io, anche se per poco. Mi addormentai nell’incavo dell’albero. Quando scese la sera, percorsi la stessa strada che avevo fatto per arrivare lì. Trovai per terra l’orsacchiotto della piccola. Ripensai a lei. Credo che, l’unico motivo per cui non le feci del male, era perché era una bambina, era come me, prima che morissi e rinascessi. Presi l’orsacchiotto, e andai a controllare all’albero dei bambini trafitti, per controllare che non fosse stata presa. Non ce la vidi, così decisi che sarei andata a riportarglielo.
Ma questo è il continuo, e per te è una storia che non conoscerai mai.
Si, lo so che te hai visto il telegiornale.
Ti ho visto farlo.
Quando mangi, perché tieni la porta aperta? Sei stato stupido, e adesso morirai.
Shhhh, so che si sta aprendo la porta, ma non urlare, sveglieresti i vicini.
 
 
 
 
È stato ritrovato, in centrale, un agente morto, a terra. Anche lui è stato strangolato, ed ha gli stessi lividi violacei sul corpo. Questa volta, il quadro è intatto e al suo posto, ma verrà trasferito in un museo, che ha pagato la somma di 500 euro per avere quel quadro e non farlo rivendere all’asta della polizia. Chissà se, con questa mossa, l’assassino colpirà di nuovo. Inoltre, il poliziotto è stato trovato con la pistola in mano, e all’interno mancano 3 proiettili, ma non ci sono tracce di sangue e le pallottole sono state trovate nei muri.
Ora, passiamo alla prossima notizia…

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Capitolo 3
*** la terza lettera ***


Gli riportai l’orsacchiotto quella stessa notte. Fu facile trovarla, abitava nella casa dove abitavo io con i miei genitori. Entrai di nascosto in camera sua, teletrasportandomi nell’ombra con il giocattolo. Lei, a vedermi così all’improvviso, si spaventò. Io gli porsi l’orsacchiotto. Lei, dopo un attimo di esitazione, lo afferrò di scatto e lo strinse a se. Dopo, mi guardò, e mi ringraziò. –Perché non mi hai ucciso ieri notte?- -Perché avevo deciso così, che non ti avrebbe avuta…- ribattei, all’inizio acida, ma addolcendo piano piano le parole. –Ma allora sei buona!- esclamò lei con gli occhi spalancati dalla sorpresa e gioia. Ribattei:-Al contrario, sono malvagia, mi nascondo nelle tenebre, e lo sai anche tu che tenebre significa male- -Ma…- -So che non riesci a capire. Sai, per caso, chi era quell’uomo alto, brutto e malvagio che ci ha inseguito?- -No-. Feci un sospiro, e le raccontai la mia storia.
La piccola, mano a mano che le mie parole fluivano dalla fessura sempre tesa in un ghigno, per la mancanza di labbra, sgranava gli occhi, e mi guardava con un misto di orrore misto a dispiacere sempre più crescente.
Quando finì, rimase in silenzio, l’unico rumore era il suo respiro, flebile. –Mi raccomando, non andare più in quei boschi da sola, e non di notte. Io non ti salverò più, non sono la tua babysitter, capito?-.
Lei annuì, trascinò l’orsacchiotto con se e si mise sotto le coperte, io mi girai per andarmene, e lei sussurrò:- Buona notte, Jess- e si addormentò. Quando fui fuori dalla casa, iniziai a ripensare ai momenti di quando ero viva.
Camminai, di nuovo senza meta, nel bosco, come se qualcosa mi spingesse a continuare ad andare avanti.
All’improvviso, davanti a me comparve un ragazzo. Non avrà avuto più di 30 anni, a giudicare dalla grossezza e altezza. Portava una maschera di carnevale da domino bianca, con delle ciglia esageratamente arcuate, grosse occhiaie nere e le labbra colorate del medesimo colore. I suoi occhi, sotto tutto quel nero a contorno, erano visibili, castano chiaro. Aveva una classica capigliatura maschile, capelli molto corti ma scompigliati, di colore nero. Indossava una giacca beige e jeans scoloriti, e per finire scarponi marroni chiaro. Portava i guanti, anch’essi neri, imbottiti, e aveva un coltellino nella mano destra.
Mi fermai a studiarlo. Lui non perse tempo, e si lanciò contro di me. Evitai facilmente l’attacco, e il coltello tagliò l’aria, con un suono simile ad un fruscio.
Si girò di scatto e continuò ad attaccarmi, incessantemente, ma era tutto inutile, io mi teletrasportavo poco più in la ad ogni colpo.
Andammo avanti così per mezz’ora, dopo il tizio aveva completamente perso le sue forze, e stava piegato sulle ginocchia ansimando.
Mi avvicinai a lui, cercando di prendergli il coltello, ma ogni volta che mi avvicinavo agitava il coltello per scacciarmi. Desiderai ardentemente di avere delle mani allungabili e ritraibili, come i tentacoli di SlenderMan. Come per scherzo del destino, venni accontentata: la schiena iniziò a farmi un male cane, tanto che caddi a terra, e dalla mia schiena fuoriuscirono più di mille braccia con mani di colore trasparente. Riuscì subito a controllarli, erano come braccia normali, solo trasparenti e di consistenza fantasma. Anche il tizio si era accorto di cosa era successo, perché aveva gli occhi spalancati. Non aspettai un momento di più, e gli lanciai le mie nuove braccia.
Era magnifico: si allungavano di quanto volevo, anche molto lontano. Lui si irrigidì, spaventato, credendo che volessi catturarlo, invece riuscì a prendergli il coltello e impugnarlo con un braccio fantasma, mentre alcune delle mani che avevo proteso insieme a quella che aveva afferrato il coltello aveva immobilizzato il braccio.
Lui rimase fermo, “forse ha capito che è arrivata la sua fine” pensai, quando sentì dei passi che si stavano rapidamente avvicinando. Sorrisi, e pensai:”È inutile, ti sento, e non riuscirai più a fermarmi”.
Aspettai che il tizio fosse alle mie spalle, poi mi teletrasportai dietro il tizio mascherato di bianco e nero, e lo sgozzai. Dopo, alzai lo sguardo, e guardai chi era quello che stava venendo alle mie spalle. Anche lui era un uomo (dall’assenza di tette, si direbbe), ma aveva un passamontagna infilato in testa, nero, e al posto degli occhi e bocca c’erano pezze rosse, a forma di quello che coprivano, ma la bocca era tesa in un sorriso triste rispetto al mio, sempre teso un poco a formare un sadico sorriso nero. Sopra, una felpa beige, jeans e scarponcini marroni. Era immobile, guardava il suo compagno morto a terra, il sangue che si spargeva in una pozza cremisi intorno al corpo, macchiando anche i vestiti.
Il tizio ancora vivo lanciò un urlo di disperazione, un grido acuto che avrebbe trapanato qualsiasi orecchio umano.
Dopo, tirò fuori anche lui un coltello, e corse verso di me.
Per risposta, lanciai contro le mie nuova braccia, e lo sollevai da terra mandandolo in alto, su, su, sempre più in alto, come un palloncino leggiadro, fino a che non lo lasciai cadere, e allora cadde come un macigno, davanti a me, con un sonoro schiocco di ossa, e anche a lui si formò una pozza scarlatta intorno a lui.
Poi, sentì quel magnifico suono.
Era il suo cuore che tentava di battere ancora, ma che stava perdendo sempre più potenza.
Quel dolce suono era per me come la melodia più celestiale al mondo, più dei canti degli angeli.
Così, mi chinai su di lui e glielo strappai via, per divorarlo. Quella carne, misto al sangue, riuscirono, dopo così tanto tempo passato al freddo, a riscaldarmi. Era una bellissima sensazione. E fu così che capì che, per riuscire a sopravvivere, avrei dovuto uccidervi.
Forse potresti pensare che, ad un certo punto, ci abbia pensato sopra. Oh, no, per niente, anzi, è un “lavoro” che adoro, e faccio con piacere!
Comunque, mentre facevo tutte queste considerazioni, mi accorsi della presenza di qualcun altro. Alzai lo sguardo e scrutai il bosco, e lo vidi. SlenderMan era lì, e stava osservando tutto. I suoi tentacoli si muovevano più frenetici del normale, segno che doveva essere molto arrabbiato. Ma quella notte stava giungendo alla fine, così mi teletrasportai via.
Anche questa notte sta finendo, soprattutto per te. Oh, povero guardiano notturno, non potrai mai più rivedere i tuoi cari. Lo senti il tuo cuore battere sempre più velocemente? Io si, e la cosa mi fa impazzire.
 
L’assassino ha colpito di nuovo. Stavolta un guardiano notturno di nome James *****. Le stesse, identiche ferite. Però, stavolta, il quadro non era nella stessa stanza del guardiano, e non abbiamo trovato porte o finestre aperte, e neppure serrature scassinate, quindi la polizia presuppone che l’assassino era già dentro quando il museo ha chiuso. Questa volta, il quadro sarà spostato nel carcere, in una cella imbottita, e verificheranno se ci saranno altre morti. Ora passiamo alla prossima notizia…

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Capitolo 4
*** Nel carcere... ***


-Direttore, abbiamo spostato il quadro in una cella isolata, controllata 24 ore su 24 da 4 telecamere messe su ogni muro. Cosa facciamo, ci mettiamo il condannato che domani dovrà essere giustiziato per omicidio multiplo?- -Affermativo, procedete- rispose il direttore, senza neanche alzare lo sguardo dalle sue carte, completamente impassibile. Lui non credeva che fosse il quadro ma un abile assassino che si nascondeva dentro l’edificio dove era il quadro, per poi colpire. Ma lui l’avrebbe dimostrato a tutti.
Arrivarono presto  le 21.00, l’ora in cui tutti i carcerati dovevano andare a letto.
Il direttore rimase ad osservare il monitor che mostrava la cella 101, la cella con il quadro. Passò un ora, e non accadde niente. La luce era ancora accesa. Il prigioniero era sdraiato, tranquillo, sul lettino, mentre fissava intensamente il quadro. Dopo mezz’ora, la luce si spense anche in quella cella, ma questo non era un problema, le telecamere erano a raggi infrarossi, e anche se non era visibile ad occhio nudo, emettevano un debole raggio rosso. Ogni angolo era visibile. Il carcerato si mise a dormire.
Poi, la bambina nel quadro si mosse.
Il preside credette di avere le allucinazioni.
Vide che la bambina USCÌ dal quadro.
Il direttore scattò una foto, incredulo, per poter avere una testimonianza, e far vedere che non era pazzo, ne aveva le allucinazioni.
La ragazzina fece tre passi verso il carcerato, che continuava a dormire beatamente, senza sapere quale destino lo stava aspettando, e delle mani lo afferrarono, avvolgendolo come un bozzolo, e lo alzarono fino a che non toccò il tetto. A quel punto, si svegliò, vide dov’era, si spaventò ed iniziò ad urlare ed agitarsi. Sembrava un piccolo verme che si dibatteva in cerca di una via di fuga quando viene catturato.
La bambina rise, un suono sicuramente non umano, troppo acuto e infantile, terribilmente spaventoso, e iniziò a sbatterlo ovunque, soprattutto contro le pareti, e poi contro le sbarre di ferro, in modo sadico. Quando la piccola vide che il corpo non gridava e non si dimenava più, lo gettò a terra, come se fosse stato un rifiuto.
Poi si avvicinò, intinse le dita nel sangue che stava fuoriuscendo dal corpo e scrisse sul muro davanti a se: RIPORTATEMI NEL BOSCO. Aveva una calligrafia molto piccola, da prima elementare.
Poi si avvicinò di nuovo al prigioniero, lo girò a petto in su, trapassò il suo petto come se non ci fosse niente, e gli strappò via il cuore.
Il direttore scattò all’indietro a quella scena, quasi cadendo dalla sedia, con un conato di vomito.
Era orripilato: come poteva un essere che era stato umano fare una cosa del genere, oltretutto una bambina? La bambina allargò il suo orripilante ghigno onnipresente, e lo divorò con visibile gusto.
Poi andò vicino ad una telecamera, e fece un gesto di invito.
Quindi, le telecamere si spensero.
Il direttore, ora, aveva davvero paura.
Corse con due guardie armate fino ai denti nella stanza 101 e accesero l’interruttore. La bambina non c’era più, ma non era neppure nel quadro. Era rimasto solo il cadavere, la scritta con il sangue, e il quadro dalla cornice dorata righettata di nero con uno sfondo completamente rosso.
Improvvisamente, la porta dietro di loro si chiuse, e loro rimasero bloccati dentro.
Al direttore sembrò un tempo infinito quello trascorso in quella cella, ma probabilmente passarono solo 10 minuti, e dopo la porta si riaprì, con un leggero cigolio.
Il direttore e le due guardie corsero fuori, ma non videro nessuno. Corse nel suo ufficio, senza le sue guardie, rimaste a controllare il perimetro, sempre più spaventato. Sulla sua scrivania trovò un foglio con una frase: Lei, direttore, è proprio stupido.
Improvvisamente si udirono delle urla.
Ritornò, sempre di corsa, nella cella 101, e vide le sue due guardie, a terra, morte, con un buco nel petto dove doveva esserci stato il cuore.
Poi, sentì una presenza dietro di se.
Si girò piano, molto lentamente.
Questa volta, non era la bambina.
Ma era altrettanto spaventoso l’essere che lo sovrastava.
Era un uomo molto alto, vestito elegantemente, ma non aveva una faccia, e dalla schiena spuntavano dei tentacoli.
L’uomo si chinò verso il direttore e, anche se aveva una fessura al posto della bocca, chiese:- Come mai questi due uomini hanno un buco al posto del cuore?- -La…l_la bambina nera…-. L’uomo rise silenziosamente. –È diventata così malvagia…e dire che una volta era così dolce…è proprio la mia figliastra!-. L’uomo fece una pausa, mentre il direttore stava per farsela addosso, poi continuò:-Dove posso trovare il quadro?- -Q_q_qui dentro…-, e il direttore fece entrare l’uomo nella stanza, che dovette chinarsi notevolmente per riuscirci. Ma il quadro era sparito nel nulla. Al suo posto, un foglio, tenuto fermo da un fucile di uno dei due soldati morti. Il direttore lo prese e lesse:- Non è ancora giunto il momento di incontrarci, sarà per un'altra volta, ma non preoccuparti, prima o poi tornerò, sia per te, direttore, che per te, FacciaBianca!-. L’uomo senza volta rise di nuovo, silenziosamente, poi disse:Beh, io devo andare- -Aspetti- -Hm?- -Come faccio a sentirla parlare se non muove quella “bocca”?- -Semplice, telepatia-, e riprese a camminare, con le mani in tasca e i tentacoli che si muovevano lentamente, fluidi e tranquilli, come piccole onde di un oceano. Il direttore, asciugatosi il sudore con un fazzoletto di stoffa, prese a camminare nuovamente verso il suo amato ufficio, dalla parte opposta dove stava andando l’uomo.
Fece due o tre passi, che gli venne un idea: chiedere a quello strano uomo informazioni su quella bambina.
Quindi si girò e fece per dire:-Signor…-, ma non c’era più.
Era sparito nel nulla, in un secondo.
Il direttore si chiese dove potesse essere il quadro quando entrò nel suo ufficio, e lo vide. Fortunatamente, la bambina era già dentro. Il direttore guardò l’orologio: erano le 6.00, e secondo le lettere lasciate sempre da lei, il giorno non poteva fare nulla, soprattutto alla luce del sole. Così il direttore aprì le veneziane, e vide il sole che sorgeva. Era uno spettacolo magnifico. Si soffermò un attimo a pensare che quella sera aveva rischiato seriamente di non poterlo più vedere. Poi, si chiese cosa fare con il quadro. Decise che lo avrebbe riportato nel bosco, lui stesso. E magari avrebbe chiamato un artista per farne una copia e far credere alla gente che quello sia l’originale.
 
 
 
Nessuno sa più niente. Ancora tutti credono che il quadro esposto in carcere sia l’originale, e non una copia. Nessuno sa che quello vero è stato abbandonato nel bosco. Inoltre, il direttore riuscì a recuperare tutte le lettere scritte dalla bambina, e ritornò nel bosco. Riuscì a trovare l’albero. Vide anche quello che doveva essere il corpo della bambina, stranamente integro dopo tutto quel tempo. Fece il segno della croce e pregò per lei, e per tutti i mal capitati. Si girò, e l’uomo senza volto. Il direttore ascoltò il suo istinto: corse via. L’uomo lo rincorse, senza neanche mettersi di impegno. Lui provò a salire sull’albero più vicino a lui. E trovò la bambina che dormiva profondamente. “Dalla padella alla brace” pensò. Intanto, SlenderMan si stava avvicinando all’albero. Quando il direttore guardò di nuovo la bambina, vide che stavolta era sveglia, ma si teneva nell’ombra delle foglie. La piccola fece il gesto di restare in silenzio, sempre ghignando, e fece anche il gesto di avvicinarsi a lei. Lui pensò:”Tanto, o muoio per colpa sua o per lo SlenderMan”, così mi avvicinai a lei. La mia ombra la sovrastò, così prese velocemente la mia mano destra e, senza sapere come, mi ritrovai nella mia camera da letto, al buio. –Come hai fatto?- -Cosa?- -A farmi portare qui- -Posso viaggiare nell’ombra, e posso portare le cose con me- -Come?- -Le inglobo, per questo la gente non se ne rende conto di quando viene trasportata, muoiono per un frammento di secondo- -Ma…perché non mi hai lasciato morire?- -Lo SlenderMan avrebbe scoperto il mio nascondiglio, e inoltre, hai avuto pietà di me, hai fatto una preghiera per me e gli altri bambini…grazie-.
La bambina fece per andarsene, ma il direttore la fermò:- Aspetta! Qual è il tuo nome?- -Jess Ichigo Shadow-.
Da allora, tutto tornò tranquillo, anche per il direttore, anche se qualche omicidio ci fu ancora. Anche nella sua vecchiaia, si era chiesto se la piccola era stata in grado di avere la vendetta che cercava, ma non lo seppe mai. I bambini che si avventurano lì, alcuni non tornano, altri sono troppo sconvolti, e quello che essi dicono vengono prese per fandonie, fantasie o allucinazioni, e quindi non gli danno troppo preso. Ma io vi avverto: se qualcuno vi viene a dire di aver visto e incontrato una bambina dai capelli bianchi, la pelle nera e aeriforme combattere con un uomo alto alto e senza faccia quando eravate bambini, allora dovete credergli, non sta mentendo e non ha avuto alcuna allucinazione.

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