Moments

di Juuri
(/viewuser.php?uid=324793)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Ci sto provando, James. ***
Capitolo 2: *** Il problema è che lei non è Evans. ***
Capitolo 3: *** Sporca mezzosangue. ***
Capitolo 4: *** Bucaneve. ***
Capitolo 5: *** "La vita non è giusta, Lily." ***
Capitolo 6: *** Sempre e solo Potter. ***
Capitolo 7: *** Opportunità. ***
Capitolo 8: *** Nevicava. ***
Capitolo 9: *** Legami di sangue. ***



Capitolo 1
*** Ci sto provando, James. ***



Ci sto provando, James

2 ottobre, 1977.

Ehi, James.
Guardo le foglie cadere dagli alberi, mentre il vento d'autunno le porta via. Si perdono in giri imperfetti, rincorrendosi, in balia di qualcosa che non possono controllare, da cui sono controllate.
Ti sei mai chiesto dove vadano?
No, certo che no.
Non é il genere di pensieri che tu fai. O forse lo è.
Forse non é il genere di pensieri che faccio io, invece. Ma tu mi ci fai pensare.
È la prima volta che me ne rendo conto.
Mi fai pensare a cose che non avrei mai pensato, mai supposto, perché ritenute inutili.
Non sono superflua - me l'hai detto tu. Ma mi attacco alla realtà, no, James?
"Prova a vivere, Evans. Non é poi cosí male".
L'hai detto quella mattina d'inverno, con il tuo tono scocciato, distaccato, annoiato. Eri annoiato da me.
Ha fatto male.
Ha fatto male sentire quel tono rivolto a me, da te.
Rimbombano nella testa tutt'ora, quelle parole; continue, implacabili, ricordandomi i miei comportamenti, le mie frasi, le cose che ti ho detto, che mi hai detto, che ci siamo detti.
Le ignoravo, ci provavo. Credevo fosse perché non era vero; perché eri tu quello stupido, quello infantile, quello che non cresceva mai. Perché io, tra i miei libri e il mio carattere e i miei pensieri, esistevo.
Ma mi sbagliavo, e tu avevi ragione.
Come faccio ad esistere se nessuno mi ascolta?
Ci sto provando, James. Sto vivendo.
Ma mentre io comincio a vivere, tu fai le tue esperienze. Tu baci lei, tu esci con lei, tu saluti lei.
Ed é colpa mia, lo so. Ma adesso che sto vivendo, vorrei che tu tornassi a guardare me.
Come facevi prima, e sorridevi.
Vorrei che il tuo sguardo si fermasse come un tempo, quando ti camminavo davanti. Lo sentivo perforarmi, trapassarmi da parte a parte. Credevo di essere trasparente – ai tuoi occhi, forse, lo ero.
Mi manca, quello sguardo.
Vorrei ritornare a guardare, di sfuggita, l'angolo delle tue labbra innalzarsi, l'attenzione attraversare i tuoi occhi, la schiena raddrizzarsi, le tante arie che ti davi ritornare dal suo possessore.
Hai un bel sorriso, ma non te lo dirò mai. Tanto lo sai già. Tanto la tua arroganza lo sa già.
Mi manca, quel sorriso.
Mi manchi tu, James.
Non credevo di poterlo dire mai, ma mi manchi.
E i pianti di pioggia portano la malinconia dei giorni ad Hogwarts. Dei giorni con te.
Perché quando catturavi l'attenzione in classe, nei corridoi o in Sala Comune, io ti guardavo.
E anche quando te ne stavi seduto su quel divanetto rosso, il Boccino tra le mani e la testa da tutt'altra parte, io ti guardavo.
Ma tu non te ne accorgevi mai.
Mi sento come una di quelle foglie, James. Dove sei?


Angolo.
Non è molto, lo so. Non è la long che molti di voi mi avevano chiesto, né una fan fiction decente, dove poterne trarre una storia ben costruita.
Sono solo pensieri, frasi, parole. Ora di lei, ora di lui - o almeno, James disegnerà la pergamena nel prossimo capitolo.
Lettere random, probabilmente. In contesti, anni, situazioni differenti. Che ricordano aneddoti e ne immaginano altri.
È relativamente leggera come long, ma, ehi, ci provo. Magari non ha né capo né coda, ma pazienza. 
Una sola parola a tutti i miei lettori: grazie.
Juuri.
 

Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** Il problema è che lei non è Evans. ***


Il problema è che lei non è Evans

16 novembre, 1977.

Felpato,
hai presente quando, svegliandoti la mattina, ti accorgi che il tuo mondo sta cadendo a pezzi?
Non c'è niente a premeditarlo, nessun avvertimento, nessun enorme cartello con su scritto “Ehi, spostati”.
Semplicemente, arriva il Bolide e ti colpisce. Non senti nemmeno il fischio da cui è solitamente tradito. Ti ritrovi lì, disteso a terra e con un braccio rotto, prima ancora che tu capisca come ci sei finito.
Ed è una sensazione orrenda.
Più o meno è così che mi sono svegliato, quando ho realizzato che sto buttando i miei anni ad Hogwarts e la possibilità di stare con lei. Quando l'ho vista con quel tipo, o con qualsiasi tipo che non sia io. Quando le ho detto di cominciare a vivere, e lei ha vissuto. Mi ha ascoltato.
Perché ha ragione: sono un idiota.
Hai presente quando Mocciosus le ha dato della sporca mezzosangue?
È stato lì che ho deciso che non sarebbe più accaduto. Che nessuno, Serpeverde o meno, l'avrebbe più chiamata in quel modo.
Perché Evans non lo merita. Perché Evans è l'unica, tra queste idee di purosangue, di pregiudizi e di false credenze, che è riuscita a ricostruire la sua vita tra le mura che ci hanno cresciuti.
Questa è la sua casa, è la mia casa. È la casa dei Malandrini.
Ha più diritto lei di star qui che tutta quella massa di Serpeverde.
E sai che c'è?
Ho mollato McMillan.
E sta zitto, fratello. Levati quell'espressione dalla faccia e quel ghigno annoiato.
McMillan è carina, simpatica, divertente. Ci sono stato bene, davvero. Ma quando il Bolide mi ha colpito (metaforicamente parlando: un Bolide che colpisce James Potter?) mi sono accorto di quale presa in giro fosse tutta questa storia.
Il problema, Felpato, è che lei non è Evans.
Il problema è che i miei pensieri fissi ritornano al solito punto, alla solita persona, irrefrenabili.
Il problema è che quando mi supera tra un angolo e l'altro, senza degnarmi di uno sguardo, mi sembra di impazzire.
Il problema è che non risponde più alle mie provocazioni. Si alza, semplicemente, e va via.
Niente più quel tono sprezzante con cui pronunciava “Potter”, niente più quegli occhi chiari che si alzavano in un esasperato sospiro, niente più battibecchi continui.
Compare nei sogni e prende vita quando mi risveglio, con la consapevolezza che sarà un'altra giornata invisibile.
Odio sentirmi invisibile davanti a lei.
La conosco meglio di quanto lei stessa si conosca. So quel che sta facendo senza neanche guardarla. 
Me ne accorgo di quando è arrabbiata, e i suoi capelli acquistano le sfumature del sangue, e il colore dei suoi occhi si indurisce.
E non passerà un altro giorno senza che lei sappia che io sono qui.
Domani schianto il tip... - ah, no, poi dice che sono infantile.

Perché le ragazze devono essere sempre così complicate? 

Angolo.
Mi scuso per l'estremo ritardo, ma non riuscivo ascrivere questo capitolo e mi ha preso una vita.
Non so nemmeno come mi sia uscito, a dire il vero, e mi terrorizza l'idea di finire nell'OOC.
E la cosa assurda è che ho già scritto l'ultimo e... uhm, spero di uscirne viva.
Juuri.

Ritorna all'indice


Capitolo 3
*** Sporca mezzosangue. ***


Sporca mezzosangue

5 marzo, 1977.

Diluviava.
C'era quella tempesta che tante volte ho detto di apprezzare, e che in quel momento sembrava solo lo specchio dei miei pensieri, dei miei affanni, di ciò che mi opprimeva. I rami contro la finestra, il vento che urlava, avevo quasi l'impressione di sentire il Platano Picchiatore lamentarsi.
È così facile avvertire il rumore degli spettri quando dentro hai freddo.
Non riuscivo ad allontanare i pensieri. Non riuscivo a dormire, a stare sveglia, a chiudere gli occhi, a godermi il calore del fuoco nel camino.
Non riuscivo a far altro che pensare a quella frase.

“Non mi serve l'aiuto di una piccola schifosa mezzosangue.”

Schifosa mezzosangue.
Urlato dall'unica persona di cui mi fidassi. Cacciato come il peggiore insulto nel mondo dei maghi.
Come uno Stupeficium, una Maledizione senza Perdono, qualsiasi cosa che possa farti a pezzi.
No, quelle avrebbero fatto meno male.
Quando ti ho perso, Severus? Quando hai cominciato ad allontanarti e a trattarmi come tutti gli altri tuoi amici? Quando hai cominciato a mettere le Arti Oscure davanti a tutto il resto?

Schifosa mezzosangue.
Se me l'avesse detto qualcun altro sarebbe stato diverso.
Se me l'avesse detto qualcun altro avrei trattenuto le lacrime, stretto i denti e andata avanti.
Se non me l'avessi detto tu sarebbe stato sopportabile.
E invece non è andata così. Invece era la tua voce che, prepotente, invadeva la mia testa. Erano le tue parole, il tuo tono, il tuo viso.
E non c'era niente ad impedirgli di farmi affondare.
Sono stata stupida.
Avrei dovuto insistere, allontanarti dalle tue compagnie, ricordarti del perché sono qui, ricordarti che è grazie a te se ci sono, ricordarti che sei stato tu a farmi accettare.
È cominciato tutto il primo giorno, vero? Quando il Capello Parlante mi ha smistata in Grifondoro, ti ha smistato in Serpeverde. Quando hai deciso che ciò ci avrebbe divisi, quando hai voluto che accadesse.
Non avrei mai pensato che sarebbe bastato quello a farti cambiare idea, che sarei passata ad essere una schifosa mezzosangue per te, che sei il mio migliore amico.
Non avrei mai pensato di rendere quel “sei” un imperfetto, ed ho avuto paura di ciò in cui il tempo avrebbe potuto trasformarlo.
Non ho mai capito dove ho trovato la forza di risponderti, ma è arrivata la sua voce.
 

"Chiedi scusa a Evans"

Era arrabbiato.
Non avevo mai visto Potter così.
È stata la prima volta: la prima volta che ho visto qualcuno cacciare la bacchetta per proteggermi.
Eppure io l'ho allontanato. Quando mi ha difeso, quando mi ha chiamata, quando ho sentito il tono della sua voce così poco da Potter.
Quando gli ho urlato contro quelle parole, definendovi uguali, ritenendolo un ragazzino arrogante. Ed era vero, lo ritenevo così. Ma lui mi ha stupita.
Quando quella sera mi ha trovata nel corridoio dell'Ala Nord, accovacciata su me stessa, stretta alle mie ginocchia, coperta dal mantello per nascondere le lacrime.
E quella volta non è stato “quell'arrogante di Potter”; è stato... James.
James, che non trovava le parole, che sembrava impacciato come la prima volta, come il suo primo appuntamento, come se non fosse il capitano dei Grifondoro.
Con il suo braccio che circondava le mie spalle, la sua voce calda, bassa, la sua stretta rassicurante quando gli ho urlato di andarsene, di allontanarsi, di lasciarmi in pace; con il suo “Sono qui, Evans” sussurrato a malapena, beffardo delle mie parole.
Più rincuorante di tutto ciò che gli altri mi abbiano mai detto.
James che è stato casa, sicurezza, ancora. James che è stato solo James, sorprendendomi. James che mi sorprende sempre, tutt'ora, tutt'oggi.

Quello è stato il periodo delle prime volte.
La prima volta che ci siamo allontanati, la prima volta che ho conosciuto James e non Potter, la prima volta che qualcuno mi ha rassicurata, che mi è stato accanto.
La prima volta che ho trovato conforto nel suo abbraccio, mai pensando che sarebbe stato il primo di tanti altri.
E la prima volta che l'ho guardato negli occhi, trovando quel che poi avrei classificato amore.

È una lettera senza destinatario, che non ero mai riuscita a scrivere, prima d'ora, senza essere sopraffatta dal rancore.
Ma finirà insieme alle altre, nascosta nel mio libro preferito, con una lei troppo vigliacca per dire a lui che l'aveva sempre amato.
Mi ci è voluto un po' per capire chi fosse, quel lui. Mi ci è voluto un po' per capire di amare James.
E mi chiedo quanto tempo ancora ci avrei messo, se le cose fossero andate diversamente.

Ritorna all'indice


Capitolo 4
*** Bucaneve. ***


Bucaneve.

12 marzo, 1977.

Ehi, Evans.
Fuori si sente la guerra, come mai è stata prima.
Si sentono le urla, sui giornali pullulano i visi di conoscenti, sconosciuti, caduti. Come le foglie autunnali, i fiocchi di neve, la pioggia.
La gente muore tutti i giorni, sotto la bacchetta di un folle che ha perso la cognizione di se stesso, di seguaci che non sono più uomini.
La gente cade, resta immobile, e in un momento ti accorgi di come la vita sia presente negli occhi degli altri. Perché quando cadono, quegli occhi sono spenti, con una durezza tale da diventare indimenticabili nella mente di chi li ha visti.
Nei miei incubi ci sei tu, che cadi, che diventi una di quelle foglie, di quei fiocchi, di quelle gocce. E mi sveglio nel peggiore dei modi, in una stanza che, in un primo momento, fatico a riconoscere come mia.
Ma il russare di Sirius mi riporta alla realtà, tranquillizzandomi, ricordandomi che qui c'è ancora chi dorme sogni tranquilli.
Ho paura della tua paura, Evans. Ho paura di ciò che potrebbe spaventarti, di non essere lì quando accadrà.
Ma mi ripeto che ci sarò, e rimarrò al tuo fianco. In questa guerra, in quelle a venire, in tutte quelle in cui tu vorrai combattere.

Quindi ricorda.
​Ricorda qual è il mondo da cui sei voluta scappare, quello che non ti faceva sentire capita, quando le giornate diventano troppo scure per il tuo sorriso troppo chiaro.
Sai che me ne sono accorto.
Ti ho vista mentre scrivevi le lettere ai tuoi genitori, trovando parole che facessero felici loro; ti ho vista guardare i tuoi libri babbani con la nostalgia dell'infanzia, e con la tenerezza che ti caratterizza, perdendoti in ricordi che non saranno mai miei.
E va bene così. Conservali, i tuoi ricordi.
Ti ho vista tutte quelle volte che hai messo la felicità degli altri prima della tua, che hai vissuto per loro prima di vivere per te stessa.
Ti ho vista piangere, Lily. Nelle serate di un cielo troppo buio per una luna troppo spenta.
Eri nel corridoio dell'Ala Nord - ricordi, vero? Credevi che non ci sarebbe passato nessuno?
La tua figura era indistinta, resa piccola dalle gambe strette al petto con forza, come se volessi sparire su te stessa.
Ma il rosso te lo impediva, ti rendeva impossibile nasconderti.
Era il colore con cui ti definivo – con cui ti definisco tutt'ora.
Perché tu sei rossa, Lily. E il rosso è un colore forte.
É il colore dei Grifondoro, il colore delle fiamme, il tuo.
Perché tu sei forte, Lily.
E saremo forti insieme, quando la guerra penetrerà nelle mura di Hogwarts.

Non perderti nell'illusione che questo non è più il luogo dove vorresti essere, quando il buio trasforma i paesaggi in quelli dei tuoi ricordi, con un soffitto della Sala Grande dipinto delle stelle che i temporali, fin troppo familiari, hanno ormai sostituito.
Guarda la neve, Lily.
È la stessa di sempre, lì dove il sangue e la morte non l'hanno contaminata. È bianca, candida, pura.
È intaccata dai Bucaneve, i "fiori latte", le "Stelle del mattino". Ti sono sempre piaciuti, quei fiori.
"Sono la speranza di vita dove vita non c'è", mi avevi detto, in una di quelle giornate invernali, quando ero riuscito - chissà come - a convincerti nel passeggiare con me, nei pressi della Foresta Proibita. 
Ti ricordo alla perfezione, sai? 
Con il tuo mantello scuro, la sciarpa dei Grifondoro, le guance arrossate dal freddo e le labbra che si incurvavano all'insù senza che tu te ne rendessi conto, causando quegli invisibili accenni di fossette, agli angoli delle tue labbra.
"Chi ti dice che non c'è vita?", ti avevo chiesto, più per sentirti parlare che per vero interesse. Ma mi sbagliavo, perché ho scoperto che mi piaceva conversare con te, immaginare ciò che pensavi, perdermi in ciò che dicevi.
"La neve non porta vita, Potter. È fredda." avevi ribattuto, con quel tuo essere saccente, alzando il mento in quell'aria altezzosa che usi ancora, quando sei convinta delle tue idee.
Avevo sorriso, e usato quel tono che tu ancora insisti nel dire di odiare. "Ma tu sei qui, Evans. Sei viva, eppure eri fredda."
Ricordo il rossore delle tue guance, e il tuo "Taci" proferito in quel tono indispettito, mentre regalavi il tuo sguardo al paesaggio.



Angolo.
"La gente muore tutti i giorni", Neville Longbottom, J.K. Rowling. (lo so, è inutile, ma seguiamo la procedura e bla, bla, bla.)
L'altra volta ho, ovviamente, dimenticato di dirvelo: se avete nelle vostre belle testoline qualche avvenimento che vorreste leggere nelle lettere, io son qua, più che felice di accontentarvi.
Juuri.

Ritorna all'indice


Capitolo 5
*** "La vita non è giusta, Lily." ***


"La vita non è giusta, Lily."
 

10 aprile, 1977.

Cara Petunia,

tu sei lì con le tue idee, le tue scelte, il tuo odio nei miei confronti. Sei lì, nella nostra casa a Londra, governata dal cielo nuvoloso che la caratterizza, nella vacua convinzione che sarai protetta da ciò che sta succedendo nel mondo dei maghi.
Sei lì con mamma e papà, che mi mancano, mi mancano da morire.
Come stai, Petunia?
Come stanno mamma e papà?
E la mia camera, la tua camera, la nostra camera? È sempre la stessa? Hai tolto quei peluches che non ti piacevano, e che sopportavi solo perché ti avevo costretto? Hai cambiato quel cuscino che tanto odiavi, perché ti faceva svegliare indolenzita? Hai usato il mio lato dell'armadio, ora che è vuoto?
E le foto?
Ci sono ancora le nostre foto sulla credenza, con quelle cornici colorate, disegnate da fiori irreali?
È importante, Petunia. Ho paura di non ricordarlo più. In realtà, ho paura di non svegliarmi, quando i tuoni si confonderanno con il rumore degli incantesimi e Hogwarts tremerà.
Lo so che non sopporti di sentirne parlare, ma io devo farlo. In modo egoistico, ne sono conscia, ma devo farlo. Potrei non scriverti più nulla, Petunia. Potrei scomparire come tutti gli altri, come la gente lì fuori che muore, e non torna, e il suo ultimo pensiero va a coloro che hanno amato in vita e perderanno nella morte. Non voglio che accada. Non voglio che tutto questo finisca prima che tu sappia che io ti voglio bene, e te ne vorrò sempre.

Ci hai mai pensato, alla morte? Qui è il filo conduttore di tutti.
Provo a farmi forza costantemente; non piango, perché piangere sarebbe essere deboli, e io gli ho promesso di essere forte.
La sera, quando ci ritiriamo nel dormitorio, si è raggiunti da quell'utopia che lì il terrore non entrerà mai. Ma quando ti raggiungono i sogni sai che hai sbagliato. I miei ultimi pensieri prima di addormentarmi sono sempre gli stessi, lì dove le immagini di coloro che ho amato, dei miei amici, s'impongono prepotenti.
Dei miei amici caduti. Dei miei amici amati.
Non hai idea di cosa sia il dolore, Petunia. Spero che tu non ne abbia mai; spero che la guerra stia lontana da te, dai nostri genitori – nostri, Petunia. Perché sono tua sorella, e lo sarò per sempre.

Qui il clima diventa pesante, giorno dopo giorno. Ma c'è ancora chi porta con sé la luce delle risate. Come i Malandrni, come James.
Loro non se ne preoccupano – o se lo fanno, non lo mostrano.
Sirius arriva a lezione in ritardo come sempre, e sfodera con i professori quel suo sorriso che fa impazzire tutte le ragazze; James ha le sue battute sempre pronte, la sua mano sempre tra i capelli, i suoi occhiali posti più giù e la cravatta allentata; Remus è ancora il mio compagno di pozioni, il mio confidente, ama i libri ed è gentile, il più gentile; Peter li segue ovunque, complice nelle loro ragazzate, ridendo in modo contagioso.
Ma James, James è sempre con me.
Ti ho mai parlato di lui, Petunia?
Di quando mi stringeva la vita con un braccio, sorridendomi per tutte quelle volte che avevo declinato la sua spalla come appoggio? Sorrideva con il sorriso dei ragazzi e la luce negli occhi scuri, che sembravano brillare anche al buio. Che sembrano farlo tutt'ora.
James ha gli occhi di chi non crede nella sconfitta, nella perdita, nel bisogno di qualcuno. James ha gli occhi dei Malandrini, quando rivedo nel suo sguardo il loro, e nel loro il suo. Di tutti quelli che sono disposti ad aiutare gli altri, sempre, anche quando il mondo sembra pesargli sulle spalle.
Ti ho mai parlato di James, che odia il giovedì? È buffo sentirlo la mattina, durante l'ora di Trasfigurazione, che si sporge in avanti, verso il banco di Remus, e gli chiede “Che giorno è, oggi?”
Remus si dipinge un sorriso sul viso, probabilmente divertito dal fatto che quello sia diventato un rituale.
“È giovedì, James.”
E lui sbuffa, tornando a sedersi e dondolandosi all'indietro, perché James odia il giovedì.
Ti parlo di James che adora i muffin a colazione ed evita qualsiasi dolce che sia fatto con le mele, e arriccia il naso in quella smorfia annoiata, borbottando qualcosa che comprende solo Sirius, perché io sono troppo lontana dal capirlo e perché spesso ho l'impressione che riesca a leggergli nei pensieri.
Ti parlo di James che, ne sono certa, si sveglia prima solo per rendere quei suoi capelli ancora più ribelli. Ma quando è impegnato in qualcosa, come le strategie di Quidditch, i suoi ciuffi gli ricadono sugli occhiali, e lui è tanto attento nella formazione della sua squadra che nemmeno se ne accorge.
Di James e le sue battute, James e il suo sorriso, James e il suo “Esci con me, Evans” detto talmente tante volte che, ora, compare nei sogni. E nei miei sogni, Petunia, gli dico di sì.
E in effetti, gli ho detto di sì.
Voglio parlarti di James, e delle sue frasi. Perché James dice belle frasi, frasi sensate, centrando sempre il fulcro dei miei dubbi.

Era il 6 aprile, ed io guardavo fuori dalla finestra, pensando a ciò che narravano i giornali, al dolore dei miei amici, aumentato dalla consapevolezza che non avrebbero più rivisto il padre, la madre, un fratello. Pensavo a tutti coloro che erano morti, fatti a pezzi dai Mangiamorte, uccisi da Voldemort, il cui nome è diventato un tabù. Il cui nome incute timore e fa desiderare la morte per qualsiasi altro mezzo che non sia la sua bacchetta.
Ed io – io – credevo di star per crollare.
E lui – lui – lo sapeva, e non me l'avrebbe mai permesso.
Non mi accorsi del suo arrivo, e a tradirlo furono le sue mani sui miei fianchi, il suo viso accanto al mio, i suoi capelli scuri che spiccavano tra i miei.
Sentivo i suoi occhiali sulla mia guancia, e la sua voce rassicurante, calda, mi giunse subito dopo.
“A cosa pensi, Lily?”
Lui mi domandava a cosa pensavo, mi chiedeva implicitamente come stavo.
Fuori il mondo cade, si rompe pezzo dopo pezzo, e a lui importa come sto.
Anche James ha dei genitori, lì fuori. Anche James è divorato dal dolore – lo so, perché lo conosco. Anche James ha paura, ma tiene la sua paura per sé, e fa il forte, e mi infonde coraggio, e mi ricorda di combattere ogni giorno.
“Non è giusto”, mi ritrovo a mormorare, perché è vero.
Ma lui – lui – lo sa, quando mi risponde.
“La vita non è giusta, Lily.”
James mi dice che devo essere forte, e sopportare il dolore, perché lui mi sarà accanto.

Aveva ragione, sai? La vita non è giusta.
È cattiva; beffarda a chi la vive da spettatore, crudele a chi ne è protagonista. Non è mai giusta. Mai.
Come fa?
Come fa a prenderla tra le mani, e dirigerla? Come fa ad essere così certo delle sue convinzioni, dei suoi gesti, delle sue parole? Come fa a non avere mai dubbi, lì dove i dubbi mi divorano?
Come fa ad essere semplicemente James, e nascondere tutto il resto, e amplificarlo, e ricordarmi di come sia difficile vivere una vita facile, e di come la vita facile sia assolutamente sopravvalutata.
La vita non è giusta, Petunia, quando hai l'impressione di essere presa a pugni, all'improvviso. Non è giusta quando, allo scoccare della mezzanotte, ti accorgi di aver cominciato un nuovo giorno... senza aver concluso niente.
Non è giusta quando ti perdi in un colpo, senza percepire davvero le conseguenze, senza capire, senza riuscire a riprendere il filo del discorso, dell'esistenza, della tua esistenza.
Mi ritrovo ad aggrapparmi a James, giorno dopo giorno. Perché la sua vicinanza annulla i miei timori. Quando ho paura, lui c'è.
C'è per abbracciarmi, per consolarmi, per ricordarmi che abbiamo qualcosa per cui vale la pena lottare.

Ti voglio bene, Petunia. Voglio bene ai nostri genitori.
Mi manchi, e in tutti questi anni ho sperato di ricevere una tua risposta, un tuo perdono per qualcosa che non ho fatto.
Voglio rivederti, e ritornare a vivere come prima, senza abbandonare la magia.
Ma ho diciassette anni, Petunia, e vivo la guerra.




Angolo.
Mi scuso per il ritardo nell'aggiornare, ma sono stata - sono tutt'ora - sommersa dallo studio.
Sperando che il capitolo vi sia piaciuto, buona domenica! 
... Io gli angoli non li devo fare. Non li so fare.
Vi voglio taaanto bene, comunque. <3
Juuri.
 

Ritorna all'indice


Capitolo 6
*** Sempre e solo Potter. ***


Sempre e solo "Potter"

Novembre, gennaio, marzo. 
Ho perso il conto.
1977.

 

Evans,
prima o poi riuscirò a farti cambiare idea. A dimostrarti che Potter non è così male come credi.
Sacco di pulc... cioè, Sirius dice che è impossibile, che sei troppo orgogliosa anche solo per pensarci, che non riuscirò mai a catturare la tua attenzione, che sei come tutte le altre: una rossa inavvicinabile, vanitosa, saccente.
Ma Sirius dice un mucchio di cazzate.
Perché tu non sei così,
perché la tua attenzione, Evans, ce l'ho già. È che tu ancora non lo sai, non te ne accorgi.
Non vedi come ti aspetto fuori dall'aula di Trasfigurazione, anche quando tardi per parlare con Mary MacDonald. E tu passi, senza guardarmi, con quei libri tra le braccia che, a volte, credo ti conoscano più delle tue amiche – più di me.
Non vedi nemmeno quanto sono esibizionista, durante gli allenamenti di Quidditch. Non ti giri mai, nemmeno quando sento gli spalti dei Grifondoro urlare il mio nome, neanche quando la pluffa segna i nostri punti.
Tu non urli mai, non lo pronunci mai. Per te sono sempre e solo Potter. Sei sempre e solo Evans.
Cammini diritta quando m'incontri per i corridoi, ma lì, lì caschi sempre. Mi accorgo di come, con la coda dell'occhio, ti giri verso di me. È solo un istante, un movimento talmente piccolo e veloce che, spesso, credo di essermelo immaginato. Corrompi anche la mia immaginazione, adesso.
L'anno scorso, nell'estate del sesto, ci avevo quasi rinunciato. Mi ero detto e ripetuto e ricreduto, fino a insidiarmelo nei meandri della mente, che eri una gran stronza, e che non ne valeva la pena.
Poi, a settembre, ti ho visto passeggiare con quel Corvonero – mano nella mano, con l'attenzione che a me non hai mai rivolto, con i sorrisi che non ti ho mai strappato, con le risate che mi hai sempre nascosto.
E ho sentito i morsi allo stomaco, quella che avevo sempre sentito nominare gelosia. Non mi era mai capitato prima, e detesto il modo in cui riesci a provocarmela.
Non puoi decidere di cambiare tutto così all'improvviso, Evans, e non lasciarmi più spazio.
E non lasciarmi la volontà di volerlo, il mio spazio.

 

Ho la nostra foto sul comodino e non sono l'unico motivo per cui è bella, stavolta.
È la foto di quando ti ho convinta a ballare, in quel festino organizzato dai Corvonero, e qualcuno ce l'ha scattata di nascosto – e io continuo a giurarti che non c'entro niente, anche se tu ancora non mi credi.
Fatto sta che avevi il vestito bianco e i capelli raccolti e il trucco che delineava il colore dei tuoi occhi, accendendolo, facendomi credere che, bella com'eri, non mi avresti mai guardato.
Fatto sta, Evans, che mi hai fatto credere di essere invisibile al verde dei tuoi occhi, fin quando non sono stato certo di vederli soffermarsi su di me.
Ricordo che volevi quella fotografia, che non ti fidavi di lasciarla a "quell'imprudente di Potter". Avevo sorriso, sicuro che la tua mancanza di fiducia nei miei confronti sarebbe stata la prima cosa a cui aggrapparmi. Nessun altro ha mai visto quella foto, Evans. Nessun altro tranne i Malandrini.
Remus dice che stiamo bene, bene insieme. Peter anche è d'accordo. Perfino Sirius ha dovuto rimangiarsi l'antipatia che nutriva per te.
Quel che non sai, però, è che in quella foto stai sorridendo, con uno di quei tuoi sorrisi che si estendono fino agli occhi.
L'idea di avertelo procurato io e convincerti a ballare sono state le miglior vittorie, più importanti di quelle partite che tu credi siano il mio unico pensiero.

Avresti dovuto sapere che il mio unico pensiero eri tu. Che sarai sempre tu.


James non spedì mai la lettera, silenziosa testimone di quel lato di lui che non voleva mai mostrare – che credeva non avrebbe mai mostrato. Che forse nemmeno lui capiva fino in fondo; lui che nell'amore non credeva.
La ripose, invece, nel baule. Tra le divise di Quidditch e quelle di Hogwarts, tra libri aperti solo per sfogliarli, distratto, mentre lasciava la mente volgersi altrove, a pensieri che sfuggivano al suo controllo. 
Per ricordarsi sempre come lei era riuscita a cambiarlo, nella piega che gli eventi, spesso, prendono inaspettatamente.




***
Angolo.
Mi scuso tanto, tantissimo per l'immenso ritardo. Ma ho il blocco, e non riuscivo a scrivere su niente, di niente. Non so neanche come mi sia uscito il capitolo, perché continua a non convincermi. Ma bando alle ciance e ciancio alle bande, sono in ritardo per l'allenamento. Quindi, mi dileguo.

Ps. Sappiate che, distratta come sono, stavo per concludere il capitolo aggiungendo al posto sbagliato la frase scritta sopra. E, di conseguenza, stavo per postare qualcosa del tipo "Per ricordarsi sempre come lei era riuscita a cambiarlo, nella piega che gli eventi, spesso, prendono inaspettatamente. Ma bando alle ciance e ciancio alle bande, era in ritardo per l'allenamento. Quindi, si dileguò."
 
Con taaaanto affetto,
Juuri.

Ritorna all'indice


Capitolo 7
*** Opportunità. ***


Opportunità


Ho i sogni nel cassetto, i mostri sotto il letto e gli scheletri nell'armadio. Ho incubi sulla guerra e fantasie su un'Hogwarts bella come i primi anni.
Ho ricordi che mi travolgono sulle mura dorate di una scuola d'oro, diari che, ogni anno, mi hanno accompagnata.
Custoditi nel cassetto dei ricordi, accanto ai sogni.
Non importa la data o il giorno o l'anno. Voglio che questa lettera sia eterna, anche dopo di me, dopo di te, dopo tutto questo.
Mi piace immaginare il mio futuro per scappare al presente, caro lettore.
Ma non mi piace scappare, e allora sono combattuta.
Mi sento troppo grande per avere ancora un diario e troppo piccola per lasciarlo andare. Ed ecco perché non c'è un titolo, non c'è il bel “Caro diario”, seguito da quella virgola che sembra sempre segnare l'inizio di una confessione.
Mi alzo come ogni mattina e torno a dormire come ogni sera. Studio ancora, perché voglio essere brava, perché mi piace e perché voglio dimostrare di meritare l'opportunità che mi è stata data.
Un'opportunità di sopravvivenza.
Studio perché voglio assicurarmi un futuro, anche se questo vuol dire sopravvivere e nascondersi. Lui non vuole, ma lo fa per il mio bene.
Per il nostro.
Ma vale davvero la pena?
Quando sei nel pieno di una guerra, sono domande che si susseguono senza alcuna risposta. E quando sei verso la fine, ti chiedi quanta forza ancora ci voglia per rialzarsi, dopo tutto quello che hai visto cadere. Dopo che sei caduto a tua volta.
Ma non è di questo che voglio parlare. Non è di questo che James vorrebbe che parlassi.
Piuttosto, ho imparato ad apprezzare gli istanti quando segnano l'eternità, così come James ha imparato ad apprezzare le mie tante contraddizioni – non che lui stia messo meglio, e non perdo occasione di farglielo notare.
Il sole sorge sulle macerie di quel che è rimasto, o forse perduto. I resti, in fondo, non sono altro che ricordi ancora in piedi o miraggi di quelli andati distrutti.
Molti sono morti – li ho visti cadere ai miei piedi come le foglie d'autunno, che prima ammiravo e che adesso riportano alla mente i peggiori ricordi.
Molti altri sono sopravvissuti – fedeli alla loro causa e spronati da un futuro che sembrava impossibile da raggiungere, infondendo una speranza che si andava elemosinando dai passanti e dagli amici.
Ma non è neanche di questo che voglio parlare.
Così come ho visto il sangue e la guerra, ho visto le cose belle. Cose che vale la pena ricordare.
Ho visto gli occhi di Sirius lacrimare quando James si è rialzato, malridotto, sì, ma cosciente. L'ho visto abbracciare suo fratello e ringraziare un Dio nel quale non credeva.
Ho sentito l'abbraccio di Remus intorno alle mie spalle, mentre mi sosteneva.
E Peter ci regalava un sorriso tirato, stanco come tutti noi.
Ricordo Marlene che correva ad abbracciarmi e Alice alle sue spalle, sanguinante e sorridente.
Non rivedrò più Dorcas, invece.
Poteva andarci peggio, ma sono qui a scriverti, a dirti che ho lasciato Hogwarts, superato i M.A.G.O. e sposato James.
Vorrei raccontarti di come ha chiesto la mia mano, ma avremo altre occasioni, perché, se lo facessi adesso, mi perderei in parole che forse conosciamo entrambi – o forse rimarranno all'interno della mia memoria, nel cassetto dei ricordi.
Viviamo a Godric's Hollow e lui ne è fiero, perché continua a ripetere che “siamo nello stesso luogo che ha visto crescere il grande Godric Grifondoro.”
Anche se abbiamo lasciato Hogwarts, è sempre rimasto legato alle sue tradizioni. Lo siamo rimasti tutti.
Sono vicina ai vent'anni, adesso, e le magliette mi vanno strette, a causa di un'inaspettata rotondità della pancia.
Non potrei essere in grado di descrivere la gioia sul volto di James, quindi lascio che sia tu ad immaginarla.
Continua a dire che suo figlio – come se lo stesse portando lui in grembo! - avrà i miei occhi. Io, invece, spero che sia tutto suo padre.

Con affetto,
Lily.



Non linciatemi.
Sì, sono viva e ho ancora entrambe le mani per scrivere e, no, non sono passata a miglior vita. Mi spiace di essere scomparsa ma, come avrete ormai capito dalla roba che ho scritto qui sopra, a lunghi periodi di blocco seguono lunghi periodi di mancata ispirazione. Non è colpa mia, davvero. Ci stavo provando da mesi a scrivere il capitolo successivo.
Con la speranza di non avervi deluso più di tanto (e in caso contrario, fatemelo notare che proverò a farmi perdonare), spero di non scomparire di nuovo.
Anche se, teoricamente, non dovrei.
Bacioni,
Juuri.
 

Ritorna all'indice


Capitolo 8
*** Nevicava. ***


Nevicava
 

25 dicembre, 1977.
Ore 23:59.

James.

Le campanelle del Natale passato risuonavano nell'aria e vestivano nuovamente quello presente. L'albero vantava una neve magica e dal cielo della Sala Grande, quel giorno, nevicava.
Nevicava sulla tua divisa di Quidditch abbandonata sul tavolo dei Grifondoro, mentre eri intento nel spiegare il grandioso passaggio - parole tue - che vi aveva permesso di stracciare i Corvonero nell'ultima partita. Nevicava sui regali che pian piano facevano volume sui tavoli maestosi, e quella stessa neve andava poi sciogliendosi quando toccava il pavimento, si dissolveva sul viso e sulle mani - sul tuo viso e sulle mie mani.
Avevi un bel sorriso quel giorno, James. Di quelli che ti colorano il volto nel più bello dei modi.
L'ho notato, soprattutto, quando ti sei girato verso di me. Quando mi hai sorriso.
E ho voltato il viso, ho pensato di dover essere rossa quanto i miei capelli. Ero certa me l'avresti rinfacciato, prima o poi. L'hai fatto.
Ho sorriso anch'io, quando credevo che non potessi scorgere il mio volto. Invece l'hai fatto.
 

C'era profumo di canditi nella sala. Aleggiava e impregnava l'aria natalizia, addolcendola ancor più.
L'attenzione di molti scattava verso i gufi in arrivo e si sollevava nella contemplazione del cielo: aspettavano un regalo, o forse un miracolo. Mi chiedevo se sarebbe mai arrivato, mi sono chiesta se tu ne avessi mai aspettato uno.
Le persone si aspettano miracoli tutti i giorni, e ancora disegnano un broncio sulle loro labbra quando li vedono venire meno. Sono anni, e ancora non sanno che i miracoli non arrivano, finché non li si compie da soli.

Nevicava e ridevi e sentivo la tua voce giungere fino a me, in un modo talmente dolce che ho pensato che sì, il Natale rende tutti più buoni. Te, me. Mi sono sorpresa nel desiderare una tua parola, io che le tue parole le avevo evitate e ignorate per talmente tanto di quel tempo da essersi accumulato, ritorcendomisi contro.
È arrivata la consapevolezza che i nostri battibecchi erano un rituale a cui non potevo rinunciare.
Eri qualcosa a cui non potevo rinunciare.

Poi ti sei girato verso di me, all'improvviso. Mi hai guardata, e il tuo sorriso si è aperto come quello di un bambino.
"Ehi Evans!" hai gridato. Nella mia testa, hai gridato a pieni polmoni. Credevo che stessi per dire un'altra delle tue sciocchezze, consone e marchiate col tuo nome e con quello dei Malandrini. Invece avevi una strana serietà negli occhi, non smorzava l'allegria. "Buon Natale", hai detto.
E non hai mai aspettato una mia risposta, forse perché sono rimasta a guardarti intontita, chiedendomi se avessi seguito i miei pensieri, o se questi fossero lo specchio dei tuoi. Ma è stato il mio sorriso a diventare lo specchio del tuo.
E quindi, buon Natale a te, James.
Buon Natale ai tuoi Malandrini, perché avere degli amici è facile, renderli i migliori e i più leali è un dono.
Buon Natale perché oggi mi hai sorriso, con quel sorriso vero e sincero che riservi a poche persone, e mi hai incluso tra quelle.
Buon Natale con la speranza che il domani sia migliore e che tu possa trascorrerlo al meglio ogni volta.
Buon Natale a te, James, semplicemente perché sei tu.

Ti ricordo in quel giorno come in pochi altri. Ricordo ogni tuo gesto, so alla perfezione ogni cambiamento della tua espressione.
Mi piaceva guardarti. Hai in te un carisma che ho sempre invidiato, e gli atteggiamenti di un capitano - e capitano è il tuo ruolo, fuori e dentro la tua squadra.
Sai come farti voler bene, James. E le persone imparano ad amarti.
Io imparo ad amarti.

Ricordo la tua mano che sollevava gli occhiali e subito volava tra i capelli, il sorriso sornione che aveva ceduto il posto al puro entusiasmo dipinto sul tuo viso. Sembravi un bambino: lo sembri sempre, quando commenti il tuo adorato Quidditch. C'è tanto di te in ogni tuo gesto. Non sei mai stato il ragazzo superficiale che pensavo fossi.
E per tutto ciò che hai fatto per me anche quando non te l'ho chiesto, per essermi rimasto accanto durante la notte e non avermi mai lasciata, nemmeno quando il sole mi avrebbe protetta dalla solitudine.
Per tutto questo e per tutto il resto: James, buon Natale.

***

Lily rilesse la lettera con l'attenzione e l'imbarazzo di chi non crede a ciò che ha appena pensato, non riconosce in se stesso il corso che la propria vita ha deciso di seguire, in balìa di sentimenti che accettava, e comprendeva. Rilesse la lettera e sollevò lo sguardo, perché la mezzanotte scoccò all'istante, e il Natale era ormai passato.
Passati, invece, non erano gli occhi di James, né il modo in cui l'aveva osservata per tutto il tempo: in silenzio, con una tacita richiesta di permesso. Passato non poteva essere lo sguardo sul suo volto e il sorriso sulle sue labbra, quando sembrava urlarle tante cose e accarezzarla con un semplice movimento: lo vedeva sollevare un angolo e sentiva già nella sua testa le battute che aveva sulla punta della lingua.
Di certo, non pensava che quelle battute si trasofrmassero in un bacio.
E Lily pensò che le labbra di James fossero fatte per essere baciate, e il suo viso toccato, e la sua voce ascoltata.





Angolo.
Ne approfitto per augurare un buon anno a tutti quelli che seguono la mia storia, che passano tempo a recensirla, che l'hanno aggiunta tra le preferite e le seguite. So fin troppo bene che Natale è ormai passato, ma questo capitolo l'avevo sciritto da un po'. Non ha coerenza, è vero: è solo un ammasso dei suoi pensieri, ma i diari sono fatti di ammassi di pensieri, e dato che posso permettermi una non coerenza, oltre ad immaginare fin troppo ciò che esplode nella mente di Lily, credo che per stavolta vada bene così. Mi sembra un po' minore rispetto ai precedenti, ma... beh, l'alternativa era non aggiornare, e allora avreste potuto rincorrermi e uccidermi, con tutta la mia approvazione!
Ancora, tanti auguri. <3
Juuri.

Ritorna all'indice


Capitolo 9
*** Legami di sangue. ***


Legami di sangue
 

 

21 ottobre 1981

 

Buonasera, Tunia.
O forse, se ti arriverà con i raggi di un nuovo dì, buongiorno.

La tua lettera è arrivata con le intemperie del freddo inverno, ed è parsa lo spiraglio di una primavera che appare restia nel mostrarsi. Ne sono stata contenta.

Ma mi dispiace dirti che non posso tornare. Ho riletto le righe di quel foglio talmente tante volte da ricordarle una per una, e so qual è la richiesta dietro quei caratteri stampati.
Non ti è mai piaciuto scrivere le lettere.
Non so come tu sia riuscita a farla arrivare fin qui, ma Sirius, quando è venuto a trovarci, l'aveva tra le mani. Non so come tu sia diventata consapevole dei problemi che affliggono il mondo magico, ma ciò dimostra che non mi hai dimenticata, che non mi odi e che sei preoccupata.
Ma ne ho colto i riferimenti indiretti, e posso solo declinare l'offerta.

Quando ha visto la mia espressione, James ha sorriso del mio sorriso.

Tu non accetteresti mai James, e io non posso lasciarlo qui. Perché lo amo. Perché mi mancherebbe.
Mi mancherebbe il modo in cui, al mattino, mi rivolge un sorriso colorato dai rimasugli di sonno sul suo viso. Mi mancherebbe vederlo allacciarsi sempre la camicia con i bottoni spaiati, e a volte nemmeno accorgersene – mi preoccupo di aggiustargliela prima di uscire, perché so che lui sarebbe in grado di lasciarlo inadatta per l'intera giornata.
Mi mancherebbero i suoi occhiali che gli scivolano giù dal naso quando si addormenta sul divano, e quando provo a svegliarlo mi trascina giù con lui chiedendomi di restargli accanto.
E io resto.

Amare qualcuno va oltre la possibilità di salvare se stessi. Recide quell'egoismo che si radica negli uomini e li rende incapaci di provare sentimenti che si ancorino a qualcun altro al di fuori della concezione antropocentrica che, indissolubilmente, l'uomo ha di sé.
Amare qualcuno è essere pronti a sacrificare la tua vita per lui, o perderla insieme a lui.
Non lo lascerò da solo in tutto questo, così come lui non lascerebbe me.

Io sono felice, Tunia.
Inoltre, adesso siamo in tre.
Il piccolo Harry è tutto suo padre, ma ha il colore dei miei occhi e James è fiero di questo. Vorrei presentarti il piccolo Harry, vorrei che tu potessi amarlo come se fosse tuo figlio.
Hai un nipote, ed hai una sorella.

Ma sono anche consapevole di quale ferita al tuo orgoglio sia costato inviarmi questa lettera, e non voglio regalarti una risposta che possa urtarti. Perdonami per l'aggiunta di queste righe, ma non posso non pensare.

Ricordo un'altalena che ci dondolava, quando sembrava che fosse il vento a spingerla. Ricordo che ridevamo e ci divertivamo, prima che cambiasse tutto. Quando era ancora tutto normale – ma è sempre stato normale: lo è tutt'ora.
Volevi giocare spesso ed amavi il tè. Ti lamentavi dei peluche sul mio letto, anche se sapevi che ne ero tremendamente innamorata.
Ho ripensato spesso a quei giorni, Petunia. Ho ripensato a come le cose siano cambiate da un giorno all'altro, quando il sole, all'improvviso, è parso splendere di un'altra luce.
Mi sono chiesta più volte quale fosse la luce migliore per me, per te, per noi, e non ho mai avuto risposte. Poi ho capito: è il modo di apprezzare il mondo che caratterizza le differenze.
Non spenderò altre parole, ma voglio che tu sappia che io sono felice.
Spero che lo sia anche tu.

Non dubitare mai dell'affetto che provo nei tuoi riguardi, Petunia.
Con amore,
Lily.


Petunia si ritrovò a pensare a quanto, quella vita, l'avesse motteggiata nel peggiore dei modi, resa bersaglio facile per quell'invidia che l'aveva divorata e per quel dolore che la stava divorando.
La lettera arrivò con un ritardo che qualcun altro, al suo posto, avrebbe perdonato.
Nove giorni sono poco o niente per chi ha un lavoro che l'aspetta e una famiglia di cui occuparsi, scivolano via come la pioggia dai vetri e dopo resta solo una reminescenza dei giorni appena passati, e una vaga e piacevole sorpresa quando scorgi l'arrivo di una risposta dimenticata.
Ma Petunia conobbe come ultimo quell'arrivo, quando, insieme ad una lettera piegata alla perfezione, vi trovò delle condoglianze di persone che non aveva mai conosciuto, né avrebbe mai voluto conoscere.
Si sentì infinitamente stupida, eternamente sola.


Non solo tu hai perso una madre, quella notte a Godric's Hollow, sai? Io ho perso una sorella.

Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=2408576