A Strange Meeting

di ILoveRainbows
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Persa a Londra ***
Capitolo 2: *** Hill Hotel ***
Capitolo 3: *** British Museum ***
Capitolo 4: *** Colored foulards ***
Capitolo 5: *** Dancing and falling for the foulard ***
Capitolo 6: *** No lights on ***
Capitolo 7: *** New Home ***
Capitolo 8: *** Red Roses ***
Capitolo 9: *** Bryan ***
Capitolo 10: *** Mr. And Mrs. B... ***
Capitolo 11: *** New York City ***
Capitolo 12: *** A Special Dinner ***
Capitolo 13: *** Back to Italy ***
Capitolo 14: *** Coming-Out ***
Capitolo 15: *** Adieu, mon Mika ***
Capitolo 16: *** Tears For A Friend ***
Capitolo 17: *** Vegetables In The Fridge ***
Capitolo 18: *** Two hours and twenty-six minutes ***
Capitolo 19: *** The End ***



Capitolo 1
*** Persa a Londra ***


CAPITOLO 1
Sapevo di aver sbagliato fermata. Era più di una sensazione. Non c'era più nessuno. Cazzo! Mi ero persa da ascoltare musica. Come sempre Mika... La mia playlist delle preferite era composta solo da sue canzoni. E quando le ascoltavo perdevo la percezione di... TUTTO!! Tempo e spazio. Scendendo dalla metropolitana non avvertii molta differenza di temperatura, ma l'aria nella stazione era sicuramente meno stantia di quella nella metro e finalmente potei respirare a pieni polmoni. Un cartello segnava "Piccadilly Circus". Bene, almeno mi trovavo in un posto che conoscevo. Non dovevo farmi prendere dal panico; dopotutto la situazione non era delle peggiori: mi trovavo semplicemente in una città che non era la mia, di sera, senza sapere dove si trovava il mio albergo perché ero arrivata solo da due giorni... Bene! Sarebbe bastato chiamare la profe. Avrebbe urlato un po', mi sarei beccata un po' di umiliazione pubblica... Routine, insomma. Mentre il mio cervello analizzava la situazione in cui mi trovavo le mie gambe mi avevano portato in superficie e l'aria frizzante di inizio marzo mi scompigliò i capelli e mi avvolse in un gelido abbraccio facendomi gonfiare il cappotto. Rabbrividii leggermente, ma tutto sommato, amavo quella città e tutto ciò che rappresentava. Mi sentivo a casa... Anni prima ci ero stata con i miei zii che avevano detto che sembravo nata per vivere a Londra.
Girai alcune volte su me stessa assaporando la vita che quella città emanava fin dalle fondamenta dei palazzi più vecchi. I cartelloni luminosi mostravano le pubblicità più svariate, ma le persone non sembravano farci caso e camminavano in gruppetti chiacchierando e ridendo, come se non avessero nessun problema al mondo. Durante il giorno erano tutti di fretta, ma appena calavano le tenebre i londinesi perdevano la percezione del tempo e pensavano solo a divertirsi. Erano per lo più persone simpatiche, i londinesi: ti accoglievano con un sorriso sulla faccia e ti aiutavano a capire quello che dicevamo se eri straniero. Non avevo di questi problemi per fortuna. Mi fermai un attimo ad immaginare come sarebbe stato vivere in quella città e mi dimenticai del casino in cui mi trovavo. Presi subito in mano il cellulare e andai nella rubrica a cercare il numero della profe quando un messaggio allarmante comparve al centro dello schermo "batteria scarica". Lì per lì non mi preoccupai più di tanto. Di solito ci metteva un po' prima di spegnersi, ma proprio quella volta, dopo appena tre secondi dal messaggio comparve una manina che salutava e si spense. La voglia che avevo di imprecare era tanta, ma mi ricordai che gli inglesi sono "very polite people" e mi trattenni. Quindi: oltre a non sapere dove si trovava l'albergo ero anche senza cellulare. Il mio spirito di avventura mi diceva che non era male come situazione, mi trovavo pur sempre nella mia città preferita. Feci un altro respiro profondo e decisi di avviarmi verso Leicester Square. Quella sera avremmo dovuto andare a teatro quindi potevo aspettarli lì. Camminai verso la piazza con Mika che mi urlava nelle orecchie guardando la strada con occhi vitrei e persi nel vuoto. Arrivata lì le mie gambe si diressero da sole verso una panchina vuota e mi sedetti guardando la gente che passava davanti a me. Al cinema lì accanto davano "Casablanca" restaurato. Una parte di me avrebbe voluto alzarsi ed andare a vederlo, ma mi trattenni. Stetti per almeno un quarto d'ora seduta a osservare la gente che entrava a vedere uno spettacolo nel teatro di fronte a me e poi chiusi gli occhi aspettando l'illuminazione divina. Quando li riaprii pensai che stavo ancora sognando. Sbattei un paio di volte gli occhi e mi detti un pizzicotto, ma l'impressione di avere un'allucinazione non svanì. Non era possibile! Chiunque lo avrebbe pensato... O almeno chiunque considerasse l'uomo seduto accanto a me il proprio idolo. Per me però era un eroe vero e proprio.

Angolo scrittrice: questa è la prima volta che scrivo una fanfiction quindi sono ben accetti commenti, critiche e consigli. Credo che questo capitolo sia stato un po' noioso perché Mika è comparso solo alla fine, come avrete capito, però nei prossimi capitoli sarà parte integrante del racconto ovviamente. Fatemi sapere cosa ne pensate.

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Capitolo 2
*** Hill Hotel ***


CAPITOLO 2
Era molto alto ma magro come uno stuzzicadenti. Pensavo che se lo si fosse avesse abbracciato troppo forte si sarebbe spezzato. I capelli castani stavano sulla sua testa in modo indisciplinato, anche se evidentemente qualcuno aveva cercato di domarli, con pochi risultati, ed erano morbidi e soffici come si vedeva nelle foto. Gli occhi marroni con venature verdi vagavano per la piazza in modo allegro come quelli di un bambino che si stupisce e meraviglia di tutto finendo però spesso a posarsi sulle porte del palazzo di fronte, il teatro; come se aspettasse qualcuno. Attorno alle labbra che invitavano al bacio si formavano due adorabili fossette. A coronare la figura già perfetta di un dio c'era il sorriso. Non ne avevo mai visto uno così genuino. Avevo l'impressione di averlo osservato troppo a lungo e mi finsi interessata allo schermo dell'iPod che avevo davanti. Anche perché a furia di osservarlo mi era venuto da sorridere anche a me... Avevo quasi voglia di scoppiare a ridere senza motivo, ma mi trattenni. Dopo un po', o almeno così sembrava a me visto che secondo il mio iPod non era passato nemmeno mezzo minuto, non resistetti alla tentazione di guardare come era vestito. Dei pantaloni verdi attillati tipo raso gli avvolgevano le gambe magre e una giacca viola lasciava scorgere solo a malapena il collo di una camicia dal colore o fantasia indefiniti. Nel taschino della giacca c'era una pochette rosa shocking e attorno al collo un farfallino a Paisley azzurro. Curioso abbinamento... Ma su di lui era assolutamente perfetto. Dopo quell'altra osservazione mi imposi di osservare di nuovo l'iPod e aspettare che i compagni arrivassero per il teatro. Probabilmente non si era nemmeno accorto della mia presenza, ma io provai comunque ad immaginarmi come sarebbe stato rivolgergli la parola. Le sue stesse parole mi vennero in soccorso: I could be brown, I could be blue, I could be violet sky, I could be hurtful, I could be purple, I could be anything you like. Senza accorgermene mi ero messa a canticchiare e solo dopo un po' mi accorsi che non ero l'unica a dire quelle parole, e non erano le cuffiette. Mi girai verso sinistra e vidi il riccio che muoveva le labbra quindi abbassai la musica fino a sentire quello che diceva. Si girò a guardarmi e mi sentii avvampare. Mugugnai una parola che somigliava molto a "sorry"
- Oh, non ti preoccupare. Hahahaha - Dio quant'era bello. - Mi sapresti dire che ore sono? Ho lasciato l'orologio a casa. - Per qualche istante rimasi a fissarlo negli occhi castani perdendomi in essi, ma poi ritrovai la strada e un po' imbarazzata guardai l'ora. Il suo sorriso si allargo, ma senza cattiveria e io mi sentii un po' meno tesa: non era possibile sentirsi tesi in sua presenza.
 - 7.30 - e dicendolo approfittai del momento per togliermi le cuffiette nel caso in cui avesse voluto fare conversazione.
- Grazie - sorrisi e arrossii allo stesso tempo. - Aspetti qualcuno? -
Fosse stata una persona qualunque gli avrei già imprecato contro andandomene, ma quello era Mika... E mi chiedevo ancora come riuscivo a mantenere una calma almeno relativa in sua presenza. Finii per rispondergli - No, in realtà non aspetto nessuno. -
- Strano, veramente strano - aveva un'aria a metà fra l'assorto e il divertito mentre mi guardava e iniziai a chiedermi cosa ci fosse di strano. - Una signorina come te dovrebbe sempre qualcuno che aspetta per lei o aspettare qualcuno, anche se sarebbe un po' scortese farti aspettare. -
- Wow... Non ci avevo mai pensato. Tu invece, aspetti qualcuno? -
- Oh sì, mia madre. È andata a vedere quello spettacolo. Lo adora. Non so quante volte ci è andata. - Rise e la sua risata mi contagiò e finimmo quasi piegati in due senza molta ragione in realtà. Quando ci fummo ricomposti ci guardammo rischiando di scoppiare a ridere di nuovo.
- Sei londinese? -
Lo guardai strabiliata. - Mi spiace deluderla Signor Penniman, ma no, sono italiana, in gita scolastica a Londra. -
- Amo l'Italia, ma probabilmente lo saprai, - mi fece l'occhiolino. - E, Signor Penniman? Hahahahaha chiamami Mika come gli amici, Michael se proprio devi, ma non Signor Penniman. -
- Okay Michael - mi sentivo più sfacciata man mano che lo conoscevo.
Sorrise scuotendo la testa. - Gita scolastica? E i tuoi compagni di classe? -
- Ho sbagliato fermata della metropolitana. E non ricordo dov'è l'albergo, ma stasera dovrebbero venire a teatro. Quindi, visto che oltretutto il mio cellulare è morto li aspetto qui. -
- Tu sei pazza. Hahahaha -
Ci rimasi un po' male e gli scoccai un'occhiata indispettita. - In senso buono però - non era una giustificazione, lo pensava veramente - la pazzia è una cosa positiva. Non ricordi proprio dov'è il tuo albergo? -
- A est di Londra, Stratford se non erro. Si chiama "Hill Hotel"... -
- Ah, ma potevi dirlo subito! I proprietari sono miei vecchi amici. Ti ci riaccompagno io! -
Si alzò dalla panchina un po' goffamente e dopo aver fatto una mezza giravolta ed essersi stabilizzato sulle lunghe gambe mi porse la mano per aiutarmi ad alzarmi. La accettai. Che stavo facendo?! Dopotutto era uno sconosciuto... Beh, forse non proprio. E ogni briciolo di buon senso, anche se non sono sicura che si possa chiamare così, che mi era rimasto venne buttato fuori dai miei pensieri. - Allora grazie del passaggio Michael Halbrook Penniman Jr., per gli amici Mika. -
Stava per partire alla volta dell'albergo quando si fermo e io, che anche se avevo ancora la sua mano in mano, ero un paio di passi più in dietro, rischiai di andare a sbattergli contro. - Non so nemmeno il tuo nome! -
- Ah già. Gauthier, Clara Gauthier. -
- Piacere di conoscerti Gauthier, Clara Gauthier -
- Dai scemo. - scoppiammo a ridere di nuovo. Iniziò a correre attraverso la piazza tenendomi la mano e facevo fatica a stargli dietro. Era lui che decideva dove andare, ma mi andava bene. Arrivammo alla sua auto e diede istruzioni su dove andare al conducente. Ci avremmo messo un po' mi disse Mika, ma era meglio che prendere la metropolitana. Fece tutto sorridendo, come sempre. Il viaggio passò velocemente però in compagnia di Mika. Ascoltammo alcune sue canzoni e le cantammo quasi a squarciagola, ma il conducente non sembrava disturbato, probabilmente ci era abituato. Gli dissi che abitavo a Milano e lui rispose che aveva una casa a lì e che adorava quella città, ma da come lo diceva si capiva che sapeva perfettamente che io sapevo già. Quando arrivammo quasi non me ne accorsi, ma non feci in tempo ad aprire la portiera che Mika era già sceso e me la aveva aperta. Uscii, ma mi fermai ad osservare attraverso i vetri dell'hotel la sala da pranzo dove i miei compagni stavano mangiando e i professori facevano mille telefonate. Anche Mika si girò a guardare. - Mi uccideranno -
- Su su, scommetto che hai affrontato situazioni peggiori. -
- Hai ragione. - Smisi di guardare all'interno e feci due altri passi senza accorgermi che il suo torace mi bloccava la strada e così mi trovai a pochi centimetri da lui. Si girò anche lui verso di me acccorgendosi di dove mi trovavo. Non avevo fatto in tempo a spostarmi. - Non l'ho fatto apposta. Lo giuro! - Misi le mani in alto e lui sorrise dandomi un buffetto sul naso. Tuttavia nessuno dei due si spostò e i nostri occhi si incontrarono. Quello fu l'inizio della fine. Mi avvolse i fianchi con le braccia avvicinandomi a lui e chinandosi un po' mi baciò. Io inizialmente rimasi con le labbra quasi serrate, ma poi le dischiusi lasciando via libera alle lingue che si attorcigliarono fra di loro. Gli passai le mani fra i capelli stringendoli. Avrei voluto che quel momento durasse per sempre, ma come tutte le cose belle finì. Ci lasciammo ma senza imbarazzo. Ci sorridemmo. - Ci si vede Clara Gauthier. - Feci un cenno con la testa e lui risalii in auto che partì sparendo nella notte.

Nota scrittrice: ecco qui il secondo capitolo. Scritto e pubblicato nello stesso giorno dell'altro visto che non riesco a dormire. Spero che vi piaccia e ditemi che ne pensate.

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Capitolo 3
*** British Museum ***


CAPITOLO 3
Osservai la macchina finché non la vidi più e poi mi girai verso la porta dell'albergo. Mi sembrava di camminare a dieci metri da terra e non due sotto terra come avrebbe dovuto essere visto quello a cui andavo incontro. Mi ero completamente dimenticata della profe e non erano ancora sopraggiunti i pensieri più oscuri su quel bacio, anche se sentivo che sarebbero arrivati di lì a poco.
- Signorina Gauthier! - Sobbalzai spaventata. Appena la profe mi vide il suo viso fu trasfigurato dalla rabbia e percorse la sala a grandi falcate venendo verso di me. - Dove è stata?! Le sembra il modo?! - in realtà ero maggiorenne e avrei potuto fare quello che volevo, ma evitai di farglielo notare. Sfuriò per almeno cinque minuti davanti a tutti gli alunni, ma io avevo un sorriso trasognato stampato in faccia e qualsiasi cosa dicesse mi scivolava addosso come olio sull'acqua. La mia mente era ancora fuori in strada, dove il Riccio mi aveva baciata ed abbracciata come mai nessuno prima aveva fatto. Vidi la scena a rallentatore rivivendo ogni istante finché una voce esterna non si intromise nei miei pensieri in modo brusco riportandomi sul pianeta Terra. - Gauthier?! Gauthier?! Mi sta ascoltando?! - Involontariamente scattai sull'attenti come facevo con mio padre quando ero bambina ed era ancora vivo - Signor sì Signora! -
Sembrò se possibile ancora più scocciata e a denti stretti disse - Bene, allora vada immediatamente a mangiare e stasera non si aspetti di poter uscire. -
- Subito signora! - L'umiliazione pubblica in quel momento non mi pesava, ci avrei pensato in seguito. Però si erano iniziati a insinuare pensieri sul bacio non proprio belli. Andai di filato a mangiare sotto lo sguardo greve di tutti e mi sedetti vicino alla mia amica Laura. Iniziò a farmi alcune domande su dove fossi stata ma non risposi a nessuna di quelle. Le volevo un mondo di bene, ma sapeva essere molto pesante. Dopo un po' tacque e i più svariati pensieri ricominciarono a percorrermi la mente. Mentre mescolavo senza appetito il cibo nel piatto nel mio cervello c'era una vera e propria guerra fra buon senso e... Come potevo chiamarla? Pazzia? Forse sì, ma mi piaceva la pazzia.
Da una parte c'era pensavo che quella fosse stata il momento più bello della mia vita e che l'avrei ricordato per sempre. Mi passai le dita sulle labbra senza accorgermene, lì, dove lui aveva posato le sue facendomi sentire viva.
Dall'altra quello che avevo, o meglio, avevamo fatto, era completamente folle. Insomma, era dichiaratamente gay (anche se una parte di me aveva sempre continuato a sperare che fosse almeno bisex); aveva un fidanzato (che nessuno conosceva)... Ed era un cantante famoso. Io dall'altra parte non ero nessuno. Perché avrebbe dovuto scegliere me fra le tante che lo volevano?! Ma tanto, anche fosse, non ci sarebbero stati altri momenti. Era stato un istante, un impulso irrefrenabile che arrivava da luoghi della mente o forse corpo umano sconosciuti. Niente di più che un insieme delle esatte sostanze chimiche nel momento esatto. Eppure nonostante questo i miei pensieri non si distoglievano più dal Riccio, che aveva decisamente monopolizzato la mia mente. Decisi di ritirarmi, pur senza aver toccato cibo e senza dire niente a nessuno mi alzai e andai in camera fra i sussurri degli altri. Avevo bisogno di stare sola con i miei pensieri. Tanto gli altri andavano direttamente a teatro e non sarebbero tornati prima di qualche ora.
Una volta in camera mi tolsi i vestiti, li misi in modo ordinato, stranamente, sul letto e mi feci una doccia gelata. Uscita dalla doccia mi avvolsi in un asciugamano candido e morbido e mi buttai sul letto accendendo il televisore. Iniziai a fare zapping senza realmente cercare qualcosa da guardare e fare attenzione a quello che passava. Mi fermai solo un attimo quando la figura del Riccio in una pubblicità mi passò davanti, e mi misi ad osservarlo; come sempre a dire il vero. Alla fine spensi la TV e andai a prendere il cellulare e l'iPod nella tasca della giacca: uno andava in carica e l'altro serviva per la musica. Infilando la mano in tasca però sentii anche un pezzetto di carta e lo tirai fuori per vedere cos'era. Era piccolino, ruvido, bianco e di cartoncino. Da un lato era completamente bianco e dall'altra c'era un numero di telefono e un nome: Michael.
Quasi svenni. Sbattei le palpebre più volte e mi dovetti sedere sul letto per non cadere prima di convincermi che quello che avevo in mano era reale e non solo frutto della mia immaginazione. Poi mi buttai all'indietro sul letto e fissai il soffitto per qualche istante. Decisi che lo avrei chiamato, così, per fargli sapere che avevo ricevuto il suo biglietto. Misi subito in carica il cellulare pensando a che cosa avrei detto una volta composto il suo numero, ma non avevo idee. Decisi che ci avrei pensato sul momento. Appena il cellulare si accese perché era abbastanza carico salvai il suo numero in rubrica e lo copiai anche in altri venti posti per paura di perderlo. Stavo però per chiamarlo quando un attimo di panico mi prese. Insomma, era gay, come avevo detto e magari sul momento quello che avevamo condiviso gli era sembrato fantastico. Ma poi?! Chi mi diceva che non si era pentito, che non voleva più sentirmi?! Rimasi a fissare il cellulare per l'istante che mi sembrò il più lungo della mia vita. Infine decisi una via di mezzo fra il chiamarlo e il non fare niente. Gli avrei scritto un messaggio. Sarebbe stato libero di fare quello che voleva e una parte di me sperava che non rispondesse mai, così me lo sarei tolta dalla testa una volta per tutte!
"Hi, sono Clara Gauthier. Ho trovato il tuo biglietto. Questo è il mio numero"
- Send! - appena fu partito mi sdraiai di nuovo sul letto, ma pochi istanti dopo, ed erano veramente pochi, il cellulare vibrò e scattai su un po' troppo velocemente: infatti per qualche secondo mi girò la testa e vidi tutto sfuocato. " Hi Clara."
Okay... Allora... Cercai di riordinare le idee. La cosa positiva era che mi aveva risposto. Quella negativa era che ora ero io che non sapevo cosa rispondergli. Per fortuna la mia anima non si penò per molto, come avrebbe detto un qualche scrittore italiano studiato durante la mia carriera scolastica. Infatti poco dopo mi arrivò un altro messaggio che mi portò all'euforia totale. Non potevo crederci... Era assolutamente strabiliante. Rilessi il messaggio un paio di volte e poi lo copiai su note. Come ricordo. Diceva esattamente queste parole "Ti va se ci incontriamo domani?" Avrei potuto ballare sui letti, ma evitai, cercando di pensare a una risposta. Infine digitai con sicurezza una serie di parole che insieme formavano delle frasi che speravo avessero senso compiuto non solo per me, ma per tutti "Domani andiamo al British Museum. In particolare visitiamo una mostra di quadri da tutta Europa. Ci vediamo in quel punto del museo intorno alle 10. Tanto ci fanno girare da soli. Ciao ciao Michael." La risposta arrivò dopo poco anche questa volta. "A domani piccola Clara."
Passai la serata ad ascoltare musica con aria trasognata e quando arrivo Laura, che era in camera con me, feci finta di dormire perché non avevo voglia di dover rispondere ad un interrogatorio.


La mattina dopo mi svegliai prestissimo. Alle sei e un quarto circa. Laura si girò dall'altra parte dicendo che era stanca e che voleva dormire. Mi feci un'altra doccia e poi domai i miei lunghi capelli ribelli color oro.
Alle sei e mezza si svegliò anche Laura e aprendo la porta del bagno una nuvola di vapore caldo la avvolse, tanto che tossì. - Ma che fai?! -
- Hai un ombretto chiaro? Qualcosa che stia in tinta con i miei occhi. - Avevo gli occhi verde smeraldo con grosse venature azzurre, sembrava quasi che avessi le lenti a contatto colorate.
- A cosa ti serve? -
- Beh, non vorrei sottolineare l'ovvio. A truccarmi. -
Mi guardò scettica - ma perché? -
- Ce l'hai sì o no? Perché posso andare benissimo da Maria. -
- Nono. Tieni. - Si mise a rovistare nel beauty e ne uscì con un ombretto rosa chiaro brillantinato. Me lo porse e poi scosse la testa.
Avrei puntato su un trucco semplice: mascara, l'ombretto, un correttore per occhiaie (quello serviva) e un leggero strato di fondotinta. Quando fui soddisfatta erano le sette. In mezz'ora dovevamo essere a colazione. Dovevo trovare dei vestiti. Già, i vestiti. Essendo io una persona molto particolare avevo anche vestiti molto particolari, beh, forse non particolari, ma non il tipo di vestiti che per lo più indossavano le ragazze della mia età. Trovai una camicia bianca e lasciai aperto un bottone più del solito. Sopra misi una giacca dello stesso verde dei miei occhi, molto forte. Indossai una gonna corta, nera, e sotto misi dei leggins sempre neri a fantasia broccato grigia. Infine indossai le stringate nere e sopra di esse misi degli scalda-muscoli per farle sembrare degli stivali. Nel complesso non ero vestita molto colorata, ma era ciò che di meglio riuscivo a fare con i pochi vestiti che avevo lì. Preparai il cappotto, purtroppo era l'unico che avevo e anch'esso era nero... Umpf... Avevo voglia di vestirmi dei colori dell'arcobaleno, ma per troppo tempo mi ero vestita di colori base e non avevo cose colorate, sicuramente non avevo dietro cose colorate. Chiamai Laura per chiederle cosa ne pensava facendo una giravolta su me stessa. - Allora? -
- Bello, ma non capisco cosa t'interessi. -


Alle otto stavamo uscendo dall'albergo e mezz'ora dopo ci stavano dando via libera per girare. Mi avventurai da sola per le sale di quel posto immenso munita di cartina e iniziai a pensare solo alle dieci. Le farfalle avevano iniziato ad ad agitarsi nel mio stomaco quando mi accorsi che erano le dieci meno dieci. Cercai in modo frenetico la sezione del museo che ospitava la mostra per accorgermi che era dalla parte opposta dell'edificio. Mi diressi camminando a passo sostenuto verso quella zona incontrando un paio di compagni lungo il tragitto. Arrivata lì mi accorsi che la maggior parte della mostra era disposta su un lungo corridoio. I quadri erano appesi sia a destra che a sinistra. Al centro c'erano delle panche. Le persone vagavano guardando ora l'uno, ora l'altro quadro. Ma fra tutte quelle figure tristi, se così si può dire: prive di vita e felicità; non trovavo una figura che avrebbe dovuto spiccare fra le altre per altezza e gioia che emanava.
Percorsi buona parte del corridoio con il cuore in gola e la paura che non fosse venuto, quando improvvisamente lo vidi. Era seduto davanti a un quadro famosissimo, da solo. Sembrava che quel quadro non piaceva a ai turisti, che erano per lo più cinesi e si concentravano di più su altre opere. Lo vidi da dietro inizialmente. Indossava la stessa giacca viola del giorno prima, ma i pantaloni erano cambiati, diventando azzurri. In testa portava un basco messo di traverso, verde erba. Solo avvicinandomi notai un farfallino, color porpora, diverso da quello della sera precedente. Sembrava li amasse. E nella tasca una pochette bianca a pois rossi. Per lo più l'abbigliamento era lo stesso, ma aveva stravolto tutto in quanto colori. Sulle gambe aveva un blocco di fogli e in mano teneva una matita con la quale cercava di disegnare il quadro che aveva davanti, "Viandante Sul Mare Di Nebbia". Era un quadro che amavo e lui lo stava riportando sul foglio candido molto fedelmente. Era una scelta curiosa. Già "viandante" rendeva l'idea di un animo tormentato e romantico alla ricerca di qualcosa, forse l'amore o forse l'infinito, rappresentato dall'orizzonte davanti a lui. Un animo che si perde davanti alla maestosità della natura. Come ho detto, scelta curiosa. Non mi aveva ancora visto e con assoluta nonchalance mi sedetti accanto a lui. Si girò verso di me e mi rivolse un sorriso e uno sguardo, che non volevo fraintendere, ma sembrava lo sguardo di qualcuno follemente innamorato. - Ciao - disse semplicemente. - Ciao - Ritornò alla sua opera, ma dopo un po' si avvicinò a me appoggiando il blocco alla sua sinistra. Mi abbracciò stringendomi a sé, senza apparente ragione. Dopo un po' ci alzammo simultaneamente e ci dirigemmo verso il giardino. Ci sedemmo un po' appartati ed ordinammo da bere. Eravamo seduti uno accanto all'altro, con il suo braccio destro che avvolgeva le mie spalle.
- Per ieri sera... - cominciai.
- Sì? -
- È stato fantastico. -
- Anche per me. - Ci fissavamo negli occhi senza quasi battere le palpebre. - Vorrei che ci fossero tanti altri momenti come quello. - Sorrise e fece degli occhi da cucciolo. Non gli si poteva dire di no, e a dire il vero neanche volevo. Al posto di rispondergli le mie labbra cercarono le sue e le trovarono che mi venivano incontro. Mi persi completamente fra le sue labbra e braccia. Non ero il genere di ragazza che pomiciava in giro, ma in quel momento non m'interessava. Quando ci lasciammo continuammo a guardarci, poi gli appoggiai la testa sul torace, rimanendo nel suo abbraccio e lo ascoltai respirare. Ero realizzata. Ed ero felice come mai ero stata.
Erano le dodici quando guardai l'ora per la prima volta e in comune accordo decidemmo di andare. Insistette per pagare e lo ringraziai con un lungo bacio. - Ciao Michael. - Continuavo a prenderlo in giro... Me ne stavo andando quando mi afferrò per un braccio obbligandomi a girarmi.
- Quando parti? - Chiese con aria un po' impaziente e con il viso leggermente crucciato.
- Dopodomani verso ora di pranzo. - Vidi il suo viso sempre felice oscurarsi. - Domani non possiamo vederci. Devo essere assolutamente in studio di registrazione a registrare una nuova canzone. - Una nuvola scura oscurò la mia faccia. - Okay... - Ero tentennante. Quella notizia mi aveva in parte distrutto. Non avevo pensato fino ad allora alla mia partenza, ma ora tutto sembrava crollarmi addosso.
Mi strinse a sé e rimanemmo in piedi così. Ad un certo punto ci lasciammo e avevo gli occhi lucidi. - Allora... -
- Allora Clara, dovremo lasciarci per un po'. Spero che non ti sarai dimenticata di me quando verrò a Milano, in un paio di settimane. -
Lo guardai spaventata quasi. - Due settimane... -
- Sì, anche a me sembra un tempo eterno, ma non sei obbligata ad aspettarmi. - Gli era costato molto dirlo e si capiva benissimo. Gli accarezzai dolcemente il volto e cercando di sdrammatizzare gli dissi - credi davvero che non ti aspetterei? Ti aspetterò sempre scemo. - Risi, anche se non era forse il momento giusto, ma la mia risata lo contagiò e ci lasciammo così, ridendo.

NOTA SCRITTRICE: hei ciao! Ci ho messo poco a scriverlo perché non avevo molto per scuola, ma nei prossimi giorni rallenterò un po'. È più lungo degli altri e forse un po' melenso, ma i personaggi rispecchiano come mi sento... E in questo momento mi sento così. Spero vi piaccia comunque. Alla prossima XD

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Capitolo 4
*** Colored foulards ***


CAPITOLO 4
I giorni successivi, sia quello Londra che quelli dopo a Milano, furono i più lunghi della mia vita. A Londra, ovunque andassi, mi sembrava di vederlo comparire dal nulla. Sapevo che era in studio di registrazione, ma non potevo fare a meno di sperare che sarebbe sbucato da una stradina laterale da un momento all'altro urlando "Hi piccola Clara" e mi avrebbe portato con lui alla scoperta della città. L'appuntamento al British Museum era stato strano, quasi surreale. Ora che ci ripensavo sembrava tanto la scena di un film... Tranne per quando poi eravamo scoppiati a ridere. Quel punto poteva essere inserito fra gli errori del film. Eravamo stati entrambi abbastanza silenziosi. Ognuno immerso nei propri pensieri mentre ci godevamo la vicinanza fisica, le farfalle allo stomaco. Era come un addio fra due persone fidanzate da tanto tempo che per scelte non loro devono lasciarsi. Eppure noi non eravamo fidanzati da tanto tempo, non sapevo nemmeno che cosa eravamo esattamente. Ci eravamo incontrati da pochissimo: il giorno prima, rendiamoci conto... Il giorno prima... Non succedeva quasi nemmeno in serie Tv come Grey's Anatomy. Eppure era scoccato qualcosa, come una scintilla, un faro nella nebbia: e tutto era cambiato in un attimo, in un battito di ciglia. Anche se continuavo a non sapere se eravamo fidanzati o cosa. Ci eravamo baciati una volta. Poi avevamo avuto una specie di appuntamento e ci eravamo baciati di nuovo. Ora avremmo dovuto aspettare circa due settimane prima di poteri vedere di nuovo... Era un po' un casino. Continuai ad arrovellarmi su questi problemi per parecchi giorni, anche una volta tornati a Milano. Il mio cambiamento credo che fosse stato molto radicale, perché tutti si accorsero che ero diversa. Potevo cambiare umore ogni cinque secondi e arrabbiarmi appena qualcuno diceva qualcosa che mi urtava anche solo in minima parte. Non ci eravamo sentiti molto da quel giorno. Qualche messaggio, un paio di foto. Era molto occupato perché stava finendo di registrare il suo nuovo album.
Ritornammo a scuola. Lì però niente era cambiato, a parte il fatto che giravano strane voci su quello che mi fosse successo realmente a Londra. Tutti, e dico tutti, avevano una versione diversa. Persino i primini ne parlavano. C'era chi diceva che mi avevano violentata, chi che avevo visto un omicidio e avevo avuto uno shock. C'era persino chi diceva che mi avevano rapito gli alieni. Non smentii né confermai mai nessuna di queste storie.
Un giorno, mancavano otto giorni alle due settimane, stavo tornando a casa da scuola per i fatti miei, quando, anche attraverso le cuffiette, mi accorsi che qualcuno mi chiamava, ma girandomi non c'era nessuno. Avevo decisamente le allucinazioni. Continuai a camminare, ma quella voce mi chiamò di nuovo e girandomi questa volta vidi un uomo appoggiato a un muro con la schiena che aveva un cappello calato sugli occhi e una sigaretta in bocca dalla quale uscivano bolle di fumo grigio. I capelli bianchi e color cenere indicavano che non era un giovane e i vestiti stravaganti suggerivano che fosse un artista. Avessi potuto vedere la faccia probabilmente l'avrei riconosciuto. Oltretutto aveva un'aria familiare, anche se non sapevo dove collocarlo. - Ciao piccola Clara -
Okay, questo, era inquietante e non poco. Si spostò dal muro e iniziò a venirmi incontro spaventandomi un po'. Solo quando si tolse il cappello e lo riconobbi mi sentii più sollevata. Molti vedendo una faccia simile sarebbero scappati urlando come Johnny Depp in "Pirati Dei Caraibi", ma io rimasi lì dov'ero. Conoscevo quell'uomo, anche se non di persona. Avevamo un amico in comune. Quando mi fu vicino fece un inchino quasi esagerato e disse - Finalmente ho il piacere di conoscere la famosa Clara. -
- Morgan... -
- Che perspicace la ragazza - disse allegro. - Ma bando alle ciance, vieni con me. - Detto questo si girò allontanandosi.
- Aspetta! - Urlai un po' forte, ma per fortuna non c'era nessuno. - Dove andiamo? -
Si fermò un attimo girandosi verso di me. - Fidati che vuoi venirci Gauthier, Clara Gauthier. - E si riavviò.
Non mi fidavo molto a conti fatti. Amico o no di Mika era comunque Morgan... E non aveva proprio una bella fama. Sembrava che Mika gli avesse raccontato tutto. C'erano due opzioni. 
Opzione uno: erano talmente tanto amici da raccontarsi tutto.
Opzione due: Mika non sapeva da che parte prendere la situazione ed era andato da uno che di casini ne aveva visti molti.
Speravo ci fosse andato per la prima ragione, ma ero sicura che almeno in parte ci fosse andato per la seconda. Anch'io se avessi avuto qualcuno con cui parlarne lo avrei fatto.
Sapevo dove stavamo andando. Ci avvicinavamo al centro... Okay, forse non lo sapevo. In centro c'era un sacco di roba.
Ad un certo punto si fermò davanti a un maestoso palazzo vittoriano e gli andai a sbattere contro perché stavo ridendo come una pazza per una barzelletta che mi avevano inviato e non mi ero accorta che si era fermato.
- Capisco perché andiate d'accordo. - Rise. - Ultimo piano. Ti servirà questa. - E mi diede una chiave che non capii subito a cosa serviva. Fece l'occhiolino e se ne andò. Tipo strano...
Trovai il campanello con scritto Penniman e lo suonai. Non rispose nessuno, ma la porta si aprì. Tutta questa faccenda era molto strana.
Erano sette piani e quindi decisi di prendere l'ascensore. Solo allora mi accorsi dell'utilità della chiave. Per accedere al settimo piano serviva.
Fu veloce e appena fu su mi trovai due porte davanti. Una era già aperta e mi diressi verso di quella. Già da lontano arrivava un odore molto forte.
Appena vidi che sul campanello c'era scritto Penniman entrai.
Un ritmo allegro mi accolse da un punto indefinito della casa. Ed è difficile descrivere cosa vidi... Era assolutamente fantastico. La porta d'entrata dava sul soggiorno che era completamente pieno di foulard di colori allegri. Erano appesi al soffitto e lasciati cadere dolcemente. Oppure erano appoggiati sulle superfici... Erano ovunque! Tutto era un foulard... Non vedevo altro! Ed era tutto coloratissimo: rosa, rosso, arancione, verde, violetto... 
Solo poi mi accorsi che l'odore che avevo sentito era di incenso misto a tè. Mille odori si mischiavano. Era come stare in Arabia, o in India. Sembrava di essere finiti in "Aladdin". La melodia continuava allegramente e fu solo seguendone il suono in quella giungla che finalmente vidi chi volevo vedere, con otto giorni d'anticipo. Stava seduto davanti al pianoforte nero sorridendo a trentadue denti e ridendo mentre le sue mani correvano veloci sui tasti. Si girò e con un cenno della testa mi invitò a suonare con lui.

NOTA SCRITTRICE: bene, alla fine la scrittura ha avuto la meglio sul greco antico ed eccomi qua. Non è troppo lungo come capitolo e non è successo molto, ma mi sono divertita molto di più scrivendolo. Spero vi sia piaciuto e fatemi sapere che ne pensate.

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Capitolo 5
*** Dancing and falling for the foulard ***


CAPITOLO 5
Ebbi l'impressione di suonare per ore. Stare in sua compagnia era assolutamente meraviglioso. Rideva come un matto e ora aveva lasciato me a suonare quello che volevo purché fosse allegro e si mise ad improvvisare un balletto che mi fece piegare in due dalle risate.
Alla fine Mika era esausto e pure io. Crollò a terra ridendo e rimase sdraiato su i foulard colorati per un po'. Allungò il braccio e io mi sdraiai accanto a lui guardando il soffitto. Ridavamo silenziosamente e i nostri toraci si alzavano e abbassavano velocemente. Chiusi gli occhi per un po' regolarizzando il respiro. Quando li riaprii lo trovai sdraiato sul lato che mi guardava mentre mi accarezzava i capelli. Non avevo mai visto nessuno guardarmi così, ma mi piaceva. Gli sorrisi e lo fece anche lui. Si avvicinò e mi diede un lungo bacio appassionato, tant'è che dopo dovemmo prendere di nuovo fiato. Ridemmo. Era come essere due ragazzini. Nessuno a parte Morgan sapeva del nostro amore segreto, e così doveva rimanere. Era meglio finché non avremmo chiarito la situazione. Da un certo punto di vista temevo quel momento.
- Vuoi bere qualcosa? Un tè? -
- Volentieri. Non ho più liquidi in corpo. -
Si alzò velocemente e mi aiutò a fare altrettanto.
Eravamo in calzini e quando camminavamo sui foulard rischiavamo di scivolare così decise che avremmo fatto finta di camminare su un campo minato. Era come un bambino troppo cresciuto, ma era fantastico.
Una volta arrivati in cucina dopo mille peripezie, fra le quali era compresa Mel: che a un certo punto ci tagliò la strada per inseguire un moscerino che volava davanti a lei, mise su un bollitore per il tè e io mi sedetti sul piano cucina.
Lo osservai preparare le tazze, il latte... Da vero inglese, pensai.
Poi mi raggiunse e lo abbracciai sulla vita con le gambe. Si avvicinò a me stringendomi a lui e ci baciammo di nuovo. Ormai c'eravamo solo io e lui, nessun altro... 
Squillò il campanello. Aprimmo gli occhi e ci guardammo un attimo per poi riprendere quello che stavamo facendo, ma il visitatore indesiderato non voleva mollare e continuava a suonare il campanello. Sembrava quasi che cercasse di fare un qualche motivetto. Mika si staccò di malavoglia per andare ad aprire. Al portone sotto non c'era nessuno così provò ad aprire la porta dell'appartamento e una forza della natura fece irruzione in modo violento scivolando sui foulard e finendo disteso per terra con un gemito. - Ma che cazzo?! -
Mika incombeva sul soggetto chiamato Morgan. - Ciao... - Disse con un sorriso dal quale traspariva una risata repressa.
- Zitto Mika! E aiuta ad alzarsi un povero vecchio. -
- Vecchio?! Hahahaha - Lo aiutò ad alzarsi.
Una volta in equilibro guardò dalla mia parte e mi vide. Indossavo un paio di leggins fucsia e una maglietta bianca molto larga che lasciava quasi scoperta una spalla e che era un po' (tanto) trasparente. Avevo i capelli un sotto sopra credo perché rivolse un sorriso malizioso ad entrambi prima di farmi un inchino (per la seconda volta in un giorno). - Missis Gauthier. -
- Morgan piantala! -
- Hahahaha... Hai ragione! Da quando in qua Morgan, Marco Castoldi è così galante?!?! A stare con sto qua - indicò Mika alle sue spalle in modo furtivo - mi sto rammollendo. - Ridemmo entrambi.
- Ehi! Che c'è di tanto divertente?! -
- Niente niente - risposi. Ero quasi tentata da aggiungere la parola "amore", ma non lo feci. Lo volevo con tutta me stessa. Ma la prima volta che lo avrei detto sarebbe dovuta essere speciale, un momento in cui... Eravamo soli.
- Cos'è questo odore? -
Io e Mika annusammo l'aria. - Il tè - esclamò e saltellando/correndo verso la cucina andò a spegnere il fuoco. - Okay... Tranquilli. Nessun problema. -
- Sicuro? -
- Sicuro. -
- Morgan, ti fermi per un tè? - chiesi
- Volentieri. -
 Passammo un paio di orette circa a cantare e bere tè, che poi si trasformò in Whisky (per fortuna poco). Eravamo comunque abbastanza brilli e fu il turno di Morgan di cantare e suonare.
Intorno alle sette Morgan se ne andò cantando. Speravo tanto non dovesse guidare anche se era ancora abbastanza sobrio.
Io rimasi ancora un po' in compagnia di Mika. Era marzo e quindi il sole era già calato e decise di portarmi sul tetto a vedere una cosa. Si procurò un paio di coperte e salimmo una piccola scaletta. Una volta sopra rimasi allibita. Nonostante fossimo in una città piena di smog il cielo si vedeva benissimo. Le costellazioni risplendevano nella notte anche grazie all'assenza della Luna. C'era un materasso per terra e ci sdraiammo, abbracciati e avvolti nelle coperte a osservare la maestosità della natura... Okay, forse l'idea era quella, ma il risultato fu che l'alcol aveva reso Mika logorroico... E ora parlava a vanvera su qualsiasi cosa gli venisse in mente: da quanto faceva schifo il risotto alla milanese a perché i fenicotteri erano rosa. Stargli dietro fu un vero esercizio mentale.

NOTA SCRITTRICE: salve fan di Mika! Che dire, questo capitolo è un po' corto e ci ho messo anche un po' a scriverlo. Comunque spero vi piaccia perché mentre lo scrivevo stavo morendo dalle risate. Quindi commentate! Datemi consigli e dite cosa ne pensate (sia che siano pensieri belli o brutti).
A presto ILoveRainbows

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Capitolo 6
*** No lights on ***


CAPITOLO 6
Tornai a casa tardi quella sera. Mia madre era rimasta alzata ad aspettarmi. L'avevo vista fare così spesso, almeno da quando mio padre era morto. Se ne stava sempre seduta sulla sua poltrona con le braccia sui braccioli e le mani strette a pugno cercando di trattenere la rabbia.
Tutto quello che aveva saputo di me in quel giorno si riduceva a un misero messaggio che avevo spedito poco dopo aver incontrato Morgan "Non vengo a pranzo". Ma non ero arrivata nemmeno a cena, non secondo i suoi orari per lo meno. Quando entrai era già appoggiata allo stipite del soggiorno, la cui porta era accanto a quella d'entrata. - Salve signorina - parlava a denti stretti e non era un buon segno. - Si può sapere dove sei stata? -
Buttai la borsa all'entrata e tolsi le scarpe. - Da Laura -
- Ho già chiamato Laura e mi ha detto che non ti ha più visto da quando vi siete salutate fuori da scuola e tu te ne sei andata via svogliatamente e ovviamente con le cuffie nelle orecchie - 
- Vedi, sono qui, sono viva, non sono ferita. Facciamola finita con sta storia. Tutte le volte ti comporti così. Come se avessi 15 anni e tu non avessi niente di meglio da fare la sera. Fatti una vita! Da quando papà è morto sei diventata una palla. -
- Bada a come parli con me, chiaro?! -
- Sisi, fai come vuoi! - Mi ero spinta troppo oltre. Prese la mia borsa e la buttò fuori di casa insieme alle mie scarpe.
- Visto che pensi di potertela cavare da sola... Fuori di qui! - Tenne la porta aperta e l'unica cosa che potei fare fu uscire. Molti lo avrebbero fatto a testa bassa, ma non mi avrebbe mai visto così. Le lanciai persino uno sguardo di disprezzo prima di uscire. Okay, forse ero una ragazza un po' problematica.
Una volta fuori mi misi le scarpe, sistemai la giacca, cercai le chiavi del motorino in borsa e iniziai a scendere le scale. Mandai un messaggio a Mika "Posso venire da te fra 10 minuti? Mia madre mi ha appena buttata fuori di casa"
La risposta arrivò poco dopo "Ti aspetto"
Uscii dal portone, presi il motorino e imboccai la stradina che portava al mio condominio.

MIKA
- Cosa le è successo?! -
- Un auto andava a luci spente ed è passata con il rosso. Lei non l'aveva sentita. La presa in pieno. -
- Oh my God. Oh my God. -  Iniziai a camminare avanti e indietro per il corridoio bianco e verdino. 
- Ha subito un trauma cerebrale alla zona parietale sinistra del cervello. - Non capivo cosa diceva. Non l'avrei capito se lo avesse detto in inglese, figuriamoci in italiano. - Ora è in sala operatoria. Con lei c'è il nostro migliore neurochirurgo Signor Penniman. Deve avere fiducia. -
- Quanto grave è? - 
Si morse il labbro inferiore e controllò la cartelletta che aveva davanti. Mi guardò dritto negli occhi e disse - Pensavamo peggio. - L'ospedale era smorto. Era come se chi ci entrava non aveva possibilità di uscire, se non in un sacco da morto. Era un'aria che aleggiava lì intorno, sembrava che la morte si aggirasse fra quei corridoi.
- Posso chiederle chi è lei per la vittima? -
- Si chiama Clara! - Mi ricomposi, ma l'infermiere non sembrava scandalizzato. - Sorry. Certo, sono, ehm... Un amico. -
- Okay. Conosce qualcuno della famiglia che potremmo contattare? -
Mi passai una mano fra i capelli. Mi accorsi che tremava. Tremavo tutto. Mi sedetti piegandomi su me stesso e mettendo la testa fra le braccia. Sapevo che mi aveva detto il nome di sua madre, ma non lo ricordavo!! Allora: suo padre si chiamava Jean, ma sua madre?! Pensa Mika, pensa. Scattai di nuovo in piedi come una molla.
Clara era in una sala operatoria che combatteva fra la vita e la morte e io ero qui e non potevo fare niente se non ricordarmi il nome di sua madre; eppure il mio cervello bacato non se lo ricordava. - Shit shit shit! Arianna! - Mi girai di scatto verso l'infermiere che si spaventò. - Il nome di sua madre è Arianna. Cercatelo nella rubrica del suo cellulare. -
L'infermiere lo tirò fuori dalla tasca e me lo porse. - Preferisce fare lei? -
Rifiutai gentilmente. - Faccia lei, la prego. - 
Annuì. Cercò un attimo il numero e poi si portò il cellulare all'orecchio. Sentivo il mio cuore battere molto velocemente e pompare sangue con molta forza. Biiip... Biiip... Anche da dove ero riuscivo a sentire gli squilli. Ma più passavano, più la speranza che la madre di Clara rispondesse svaniva. Avevamo quasi rinunciato quando una voce flebile e mezza addormentata rispose - Si? Chi è? Ma lo sa che ore sono?! -
- Signora Gauthier, si tratta di sua figlia -
- Ah. Hahaha... Cosa le è successo? L'avete arrestata per disturbo della quiete pubblica?! Nel caso ditele che verrò a prenderla domattina. -
Speravo fosse il sonno a parlare. Non poteva parlare così di sua figlia, di Clara... In quel momento fui tentato da prenderle il telefono e urlarle una serie di insulti.
- No signora, veramente è stata investita. -
- Ah, bene. -
Cosa?!?! Era sua figlia! Non riuscii a trattenermi e presi il telefono dalle mani dell'infermiere di forza - Senta. Sua figlia è stata investita dopo che LEI l'ha cacciata di casa perché è tornata tardi. Era triste, dispiaciuta ed arrabbiata e la stanno operando d'emergenza perché l'hanno colpita al cranio. E ora sta combattendo fra la vita e la morte. Quindi ora lei viene qui e sta accanto a sua figlia. -
- Come vuole lei signore dalla voce sconosciuta. Hahahaha. - Poi buttò giù il telefono.
Non sapevo se era ubriaca o una stronza. Tutti nella sala mi guardarono male. Avevo urlato un poco. - Sorry - bisbigliai, prima di accasciarmi su una delle sedie lì accanto.
Quando sua madre arrivò quasi non me ne accorsi. Stavo canticchiando "I See You" nella mia testa. Non so perché mi fosse venuta quella, ma il ritmo era piacevole. Solo quando si sedette di fronte a me guardandosi intorno mi accorsi di lei.
Era una donna di circa quarantacinque anni. Capelli castani e occhi quasi neri. Il naso non era per niente quello della figlia, infatti era lungo e adunco. Aveva un'aria molto stizzita, non voleva essere lì. Era come se fosse stata qui per andare a trovare la cugina della vicina di casa alle tre di notte invece che per sua figlia.
Presi il mio coraggio in mano e mi alzai andando verso di lei. - Salve signora Gauthier. -
- Mi chiami con il mio cognome. Rossella. - Mi guardò di sbieco.
- Scusi. Signora Rossella. Sono stato chiamato qui per sua figlia. - Se prima mi guardava male ora aveva stampato in faccia uno sguardo assolutamente arcigno e io non sapevo cosa dire. - Mi hanno chiamato qua prima di lei perché l'ultimo trasferimento dati dal suo cellulare era stato verso il mio.
- E tu saresti? -
Bel rispetto. Io mi sforzavo di darle del lei e lei non mi riteneva mi riteneva talmente indegno di rispetto da darmi del tu. Pazienza. - Io sono un amico di sua figlia. -
Strinse gli occhi, come per vederci meglio. - Così è da te che è stata questo pomeriggio e questa sera? -
Ouch! - Sì, abbiamo suonato un po'. Sono un musicista e ci siamo conosciuti per caso. La aiuto con alcuni passaggi con il pianoforte. - Okay, scusa pessima. Perché non avevo pensato a una scusa prima di quel momento?!
- Conosciuti per caso dici? E non mi hai ancora detto il tuo nome. -
- Michael...
- Nome inglese?! Odio i genitori di un paese che danno ai loro figli un nome in un'altra lingua! -
Non si era minimamente accorta del mio accento inglese e del mio italiano claudicante?! Era messa molto male. - Stava dicendo? -
- Ci siamo conosciuti un giorno fuori da scuola. Sono cugino di terzo grado di una sua compagna. - Okay, se quella di prima come scusa era pessima questa era veramente una cazzata!
- Ah... Beh, io non ti conosco. Quindi puoi tornartene a casa. Io qui non ti voglio. Basto io per mia figlia. - Non mi mossi di mezzo centimetro. Ero livido di rabbia e la voglia di tirare un pugno in faccia a quella tipa era tanto. - Su! Sciò! Aria! Vada a casa! -
Mi girai e per un attimo con la coda dell'occhio la vidi sorridere al pensiero che me ne stavo andando. Invece io mi sedetti sulla sedia di prima. Non me ne sarei andato! Non con Clara là dentro con solo quella pazza e qualche medico.
Il tempo passava e di Clara quasi nessuna notizia. Ogni tanto usciva l'infermiere di prima per dire che stavano ancora operando, ma che per ora era stabile. Il fatto che ci mettessero così tanto mi preoccupava un poco, anche se poteva significare che stavano cercando di fare un buon lavoro. Dall'altra parte invece Arianna se ne stava stravaccata su due sedie a leggere un giornale di gossip come se fosse la cosa più interessante del mondo. Quando arrivava l'infermiere annuiva appena alle notizie e poi gli sbadigliava in faccia. Così che veniva da me a parlare.
A un certo punto arrivò per l'ennesima volta. Questa volta però sorrideva. Mi alzai in piedi appena lo vidi. Leggevo nei suoi occhi che c'erano buone notizia. - È uscita dalla sala operatoria. Il Dottor Pastore dice che la situazione è stabile e che si rimetterà presto anche perché non sono stati danneggiati lobi della memoria, movimento o altre cose. Le servirà solo riposo. Comunque si saprà di più non appena si sveglia. Se volete seguirmi, la potete vedere. -
La mare di lei si alzò, si stiracchiò e poi andò verso l'infermiere. Appena vide che stavo andando anch'io con loro si girò - No, tu rimani qui. - disse rivolgendosi a me e poi girandosi verso l'infermiere - Non lo voglio vicino a mia figlia. - Detto questo si avviò impettita verso le stanze. L'infermiere, guardandomi, scosse la testa sconsolato e s'apprestò a seguirla.

CLARA
Aprii gli occhi, ma li dovetti richiudere perché la luce mi faceva male. - Allora?! Che cosa hai fatto?! Ti rendi conto che stavo dormendo o no?! -
- Silenzio per favore - La testa mi esplodeva e ci mancava solo qualcuno che urlasse.
I medici, non so come, riuscirono a farla stare zitta. Aprendo gli occhi vidi solo lei. - Dov'è Michael? -  Chiesi flebilmente. Sapevo che c'era, me lo sentivo.
- Non lo puoi rivedere mai più. Non mi piace. È strano! Non lo puoi frequentare. -
- Dov'è Michael? - Ero moribonda eppure tutto quello a cui potevo pensare era lui. - Dov'è Michael? -
- Piantala. Non lo vedrai. -
- Dov'è Michael? -
A quel punto mi tirò uno schiaffo in faccia e i medici dovettero portarla via di peso. - Dov'è Michael? -
- Sono qui amore. Sono qui. - Aprii gli occhi per un attimo e lo vidi accanto a me. - Non me ne vado da nessuna parte. - il suo volto angelico mi sorrideva.
- Ti amo. - Gli dissi, prima di cadere addormentata.

NOTA SCRITTRICE: hei! Ciao a tutti. Colpo di scena. Clara ha un incidente. E compare la madre. Che ne pensate di lei? Spero si sia capito che ho messo il racconto dal punto di vista di Mika ad un certo punto perché non sapevo come fare. Spero non stacchi troppo. Fatemi sapere che ne pensate recensendo.
Baci, ILoveRainbows
P.S. Perdonatemi eventuali (saranno mooolti) errori di grammatica o battitura o altro. È tardi e non ho voglia di correggere :\ lo farò in seguito.

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Capitolo 7
*** New Home ***


CAPITOLO 8
- Hai preso tutto? -
- Quanta roba vuoi che avessi dietro? Un borsone basta e avanza. - Indicai quello che avevo in spalla.
Glielo diedi e lo mise nel retro della sua auto. - Bene. Allora, prossima meta, casa di Gauthier, Clara Gauthier. -

Quando arrivammo a casa mia mi accorsi che mia madre era in casa. Non buono. Avevo comunque le chiavi. L'autista parcheggiò davanti al palazzo e noi due entrammo. Quando ci vide tutto quello che fece fu lanciare un'occhiata a me e allo strano figuro accanto a me. Non disse niente.
In camera presi un paio di valigie e iniziai a metterci dentro un po' di tutto. Una era per i vestiti e il beauty. L'altra conteneva alcune cianfrusaglie, una foto di me e mio padre, altri vestiti e il computer. Ah, non dimentichiamoci i CD. Non so come riuscimmo a farceli stare.
Il resto l'avrei preso in seguito. Una cosa era certa, non potevo più vivere lì dentro. Non avevo vissuto. Mia madre era la persona più oppressiva del mondo eppure se ne fregava di me. Ero giunta alla conclusione, una certezza, che mi odiava, per quello che avrei fatto a mio padre,  e quindi se poteva mi rendeva la vita un inferno, ma se la disturbavo in qualunque modo sarebbe stato menefreghismo totale.
Poi ce ne andammo. Dissi "ciao", ma di rimando ottenni solo un grugnito. Non m'importava. Sentivo il cuore leggero ad andarmene.

- Questa è la tua camera. Puoi farci quel che ti pare nei limiti della decenza... Beh, diciamo che puoi farci quello che vuoi. Basta che non tiri giù la casa. - Stava per andarsene quando lo chiamai debolmente e si fermò accanto allo stipite della porta, dandomi le spalle. - Grazie, per tutto quello che stai facendo. Significa molto per me. Sei... -
- Sisi, va bene. - Non doveva essere stata una buona giornata. Quello era Morgan, non Marco. Era la faccia pubblica. Il giorno prima era stato lui a propormi questa situazione con entusiasmo. Ora invece era triste. Chissà perché.
Mi sistemai cercando di ricreare un posto che dicesse: casa. Non era difficile, ma mancava del colore. Decisi che avrei comprato della vernice. Mi sdraiai sul letto e mandai un messaggio a Mika: Sto bene qui. Ci vediamo domani. Fai un salto pasticcino - risi - Non vedo l'ora di vederti di nuovo. Ti amo.
Send

Morgan passò il pomeriggio a suonare musica al pianoforte. Ne aveva uno molto grande in soggiorno. Nero, a coda. Sembrava essere tutta la sua vita. Stava cercando di comporre qualcosa, ma non si capiva. Passai almeno un'oretta in soggiorno, seduta per terra, con la schiena al muro e gli occhi chiusi ascoltandolo. Era ancora un lavoro molto grezzo, ma mi piaceva.
Intorno alle sette e mezza preparai un piatto di pasta per la cena. Niente di particolare. Cenammo in silenzio. Ognuno nei suoi pensieri. Nel circolo vizioso della propria mente.
Alle nove e mezza ero già a letto. In realtà fissavo il soffitto senza riuscire a dormire, ma ero a letto. Ascoltavo musica. Playlist delle preferite. Amavo quelle canzoni, ma ora che conoscevo, possiamo dire, abbastanza bene, chi le cantava, non avevo bisogno di ascoltarle sempre e altre canzoni si erano intrufolate fra loro: And I Love Her (Beatles); Sunday Bloody Sunday (U2); Somebody To Love (Queen); Starman (David Bowie) e Aria, dell'uomo che stava a distanza di un paio di muri da dove mi trovavo in quel momento. Dopo un po' caddi addormentata e il mio ultimo pensiero andò a Mika.

3.47 umpf! Mi ero svegliata di soprassalto, ero sicura di aver fatto un incubo, ma non lo ricordavo. Andai verso in cucina e vidi Morgan in soggiorno. Era ancora seduto al pianoforte, ma non suonava. Aveva aperto le tende dell'immensa finestra che dominava quella stanza e dei raggi di luna illuminavano Marco e la sua vita, perché sì, quello seduto a quel pianoforte era Marco, non Morgan. Fissava i tasti bianchi e in mano teneva elegantemente un bicchiere di vino e la bottiglia corrispondente stava appoggiata sul pianoforte creando un'altra ombra. Mi avvicinai silenziosamente, pur sapendo che sapeva che ero lì. Mi sedetti davanti al pianoforte e non dissi una parola, aveva gli occhi lucidi, ma non sapevo se era per l'alcol o per qualche sentimento sempre represso quando era in pubblico. Aveva cambiato vestiti. Ora indossava una camicia nera con una giacca in pelle dello stesso colore, dei pantaloni sempre neri e un cappello calato in parte sugli occhi. Solo a quel punto notai che una lacrima aveva lasciato una scia bagnata su una guancia. Allungai una mano e sobbalzò, ma non si mosse e gliela asciugai con un dito. Accennò un sorriso in mia direzione - Grazie. -
Appoggiai la testa sulla sua spalla e rimanemmo lì per non so quanto tempo.

Mi risvegliai alle dieci di mattina. Doveva avermi rimesso a letto dopo che mi ero addormentata.
Mi stiracchiai, buttai sulle spalle la vestaglia rosa shocking, regalo di Mika e andai a prepararmi in bagno. Avrei fatto un giro. Avevo ancora tre o quattro giorni di convalescenza. Avrei dovuto riprendere il programma scolastico, ma avrei comunque avuto tempo per fare altro. Intendevo godermi quei giorni di libertà. Era come iniziare una nuova vita senza mia madre. Per la giornata avevo alcuni programmi. Prima avrei preparato una colazione per Morgan, sapevo che non si era ancora svegliato perché in quei giorni aveva il naso un po' chiuso e lo sentivo russare dalla sua stanza. Poi volevo andare a fare un giro in centro, cercavo un regalo per Mika. I soldi non erano un problema. Da quando ero nata mio padre aveva messo via soldi per me. Avevo iniziato a riceverli quando avevo compiuto la maggiore età e ora, ogni mese, mi arrivava un bonifico di 100€ sulla carta di credito. Morgan e Mika avrebbero pensato a molte cose, me lo avevano detto e io ero ancora sconvolta da questo, ma mi aiutava un sacco. Poi volevo andare al cimitero, dovevo andare a trovare mio padre. Non ero religiosa, quasi mai stata, ma sentivo di doverlo andare a trovare.
Infine avrei fatto una sorpresa a Michael.

Scrissi velocemente un post-it. "Faccio un giro in centro. Dopo pranzo vado al cimitero a trovare mio padre. Poi faccio un salto da Michael. Ho dietro il cellulare. Questa è per te. Clara."
Lo misi vicino alla colazione che gli avevo preparato e uscii. L'aria era frizzante, ma si avvertiva l'arrivo della primavera. Sugli alberi comparivano le prime foglioline; gli uccelli cantavano felici l'arrivo della bella stagione.
Camminai con le mani in tasca e le cuffiette nelle orecchie fino a Corso Vittorio Emanuele. Ero intenzionata a trovare qualcosa per Mika. Non avevo ancora avuto l'occasione di regalargli nulla fra ospedale e tutto. Volevo ringraziarlo per tutto. Per essermi stato vicino e poi, beh, ora era il mio fidanzato. In realtà non avevo bisogno di una ragione specifica per fargli un regalo, bastava averne voglia. Sapevo esattamente cosa regalargli. Percorsi buona parte della via finché trovai la strada laterale giusta. Mi ci infilai e dopo aver svoltato un altro paio di volte trovai il negozio che cercavo. Aveva un'aria un po' scassata, ma era quello giusto. Sembrava di essere finiti in un universo parallelo. Il negozio era quasi vuoto e solo alcuni vecchi signori cercavano dischi tranquillamente. Di sottofondo suonava una leggera canzone di musica jazz mai sentita.
Il negoziante mi salutò. Ero un'assidua frequentatrice di quel negozio e ormai mi conoscevano bene.
Andai sotto la "Q" di Queen. Era quello che ci voleva. Sfogliavo delicatamente gli LP fra le dita alla ricerca di quello giusto. Amavo la sensazione che mi dava toccarli. Finalmente lo trovai. In Sheer Heart Attack. Lo tirai fuori e lo ammirai un momento. - Ottima scelta Clara. - Mi girai e trovai alle mie spalle Daniele. Dava una mano al propietario del negozio e mi veniva dietro da un sacco di tempo. Purtroppo non aveva possibilità, ma non volevo infrangere i suoi sogni.
- Come sempre - scherzai. - A parte gli scherzi. Prendo questo. - 
Sistemata tutta la burocrazia salutai ed uscii.
Feci un giro per negozi lì intorno finendo per comprare una bottiglia di vino rosso parecchio costosa a Morgan e poi il mio stomaco iniziò a brontolare. Quindi mi fermai a mangiare delle lasagne.

Amavo questo posto e lo conoscevo come le mie tasche. Magari alcuni lo consideravano un posto triste, freddo, ma per me era quasi "casa", quasi. Ormai tutte le volte che volevo trovare mio padre venivo qua. Accanto alla sua tomba c'era una panchina e mi sedevo sempre lì a parlare con lui... Anzi, a fare conversazione con le voci nella mia testa. Anche quel giorno di marzo finii seduta lì a parlare da sola. Almeno non c'era nessuno se non qualche vecchietta che compariva come un fungo e andava a trovare il marito defunto.
La tomba di mio padre era semplice. Una lapide bianca, tonda, con sopra un breve epitaffio. "Un marito meraviglioso morto per una cosa per cui non si dovrebbe morire." L'aveva fatto incidere mia madre e si vedeva. Era un riferimento a me e me lo aveva rinfacciato più di una volta.
Dopo un po' tacqui finché da dietro non mi appoggiò le mani sulle spalle. - Ciao Clara. -
Trentadue denti si affacciarono dalla mia bocca al solo sentire la sua voce e il suo fresco profumo inebriante. - Come mi hai trovato? -
- Morgan. -
- Ah. Hahaha. Classico. -
- Si guardò intorno spaesato. - Possiamo andare via? Questo posto m'inquieta. -
- Saluto un attimo. - Mi alzai dalla panchina e accarezzai la lapide. Non so il perché di questo gesto. Semplicemente lo facevo sempre.
Mi girai e accettai il braccio del Riccio. Così, a braccetto, ci avviamo verso l'uscita.

- Cosa facciamo? - chiesi una volta in auto.
- Quello che vuoi te. Hai voglia di venire da me? -
- Bene. -
- Bene. - poi disse ad alta voce in modo che l'autista potesse sentire dove andare. Vedendo i miei due sacchetti assunse un'aria incuriosita. - Cosa sono? -
- Non è importante. -
- Ma io lo voglio sapere! - Aveva assunto la tattica bambino, ma non funzionava.
- Dovrai prima passare sul mio cadavere. -
- Sarà fatto. - Si buttò su di me facendomi il solletico.
- No... Fermo... Smettila... Hahaha... - Quando riuscii a fermarlo era praticamente sdraiato sopra di me nella limousine e gli strappai un bacio veloce che provocò in lui la voglia di un bacio più lungo che si chinò a darmi.
Poi arrivammo a casa sua. Salimmo all'ultimo piano ed entrammo nell'appartamento.
Misi giù i sacchetti e la borsa, tolsi la giacca e andai in bagno. Quando uscii Mika era in cucina a preparare il tè. Presi il disco e lo raggiunsi da dietro. Gli abbracciai i fianchi. - Questo è per te. -
Si girò e quando vide quello che avevo in mano mi saltò al collo. - Ommioddio piccola. Dove l'hai trovato? -
- Spoiler! -
- Ma come... Come facevi a sapere che questo... -
Finii la sua frase - ti mancava? L'hai detto tu. -
- Ma io non ricordo di avertelo detto. -
Gli accarezzai una guancia. - Mio caro, mi spiace avvertirti che... Eri ubriaco. -
- Ah... - Mi guardò negli occhi e iniziammo a ridere. Piangevamo dal ridere senza ragione.
Quando riuscimmo a ricomporci il tè era pronto e ci mettemmo a berlo. - Ti fermi qui stasera? -
- Non posso. -
Ci era rimasto male e mi mise il broncio. Quando lo faceva era bellissimo. - Devo andare a casa. Marco non sta bene. -
- In che senso? -
- Dev'essere successo qualcosa. Una goccia che ha fatto traboccare il vaso del suo dolore. Ieri ha quasi pianto. -
- Mmmmh. Buona fortuna. Quell'uomo è un mistero per tutti. -
- Ci proverò. - Rimanemmo assorti per qualche istante e poi esclamò - allora dovrai farti perdonare. -
- Per cosa? -
- Per non rimanere con me stasera. -
- E sentiamo signor Penniman. A qualche idea su come potrei farlo? - Chiesi avvicinandomi a lui in modo pericoloso.
- Beh... Potresti iniziare avvicinandoti ancora un po'. -
- Hahaha. Così va bene? - Mi strinsi a lui e mi misi sulle punte dei piedi per essere un po' più alta.
- Bene, ma non ci siamo ancora. - Mi baciò dolcemente fermandosi ad esplorare ogni angolo della mia bocca. Non respiravo, ma non era importante. Vivevo di lui. Non ce l'avrei mai fatta a vivere senza di lui ora che l'avevo conosciuto. Mi prese in braccio e mi sdraiò sul divano mettendosi a cavalcioni sopra di me. - Così ci siamo -
- Non credo proprio. - E con una mossa repentina mi misi sopra di lui. - Ecco. Ora ci siamo. -
- Hahaha. Okay. E ora? -
Sprofondai su di lui e iniziai a baciarlo sul petto, salendo, fino alle labbra. Danzammo quella danza per almeno dieci minuti finché non fummo entrambi senza fiato e mi lasciai cadere su di lui accarezzandogli il petto mentre lui giocava con i miei capelli.

Quando arrivai a casa udii dei suoni non ben definiti dalla stanza di Morgan. Ognuno decideva di riparare un cuore nel modo che voleva. Lui usava quel modo.
Mi preparai un panino e andai a mangiarlo in camera mia che per fortuna era insonorizzata. Così da poter ascoltare musica quando volevo a qualsiasi volume volevo.
Finito di mangiare misi le cuffiette nelle orecchie e ascoltai musica. Una domanda premeva nella mia mente "Perché avevo chiesto a Morgan di ospitarmi e non a Mika?" Non lo sapevo. Sentivo che se mi trasferivo da Mika sarebbe crollato tutto. Era troppo presto. Volevo far passare un po' di tempo. Dovevo avere la certezza che la nostra relazione fosse stabile. Giorni prima, all'ospedale, avevamo parlato del suo fidanzato. Tutti sapevano che ne aveva uno. Era venuto fuori che si trovava in Africa. Faceva il missionario ed era andato ad aiutare i bambini sopravvissuti di una città distrutta. Avrebbe dovuto tornare dopo qualche giorno. Avrebbe chiarito la situazione. Lo avrebbe lasciato.
Mi misi giù per dormire, ma troppi pensieri mi affollavano la mente e una volta mischiati a un po' di insonnia di qui soffrivo finii per alzarmi e scendere in cucina. Tornai di sopra, ma ancora non riuscivo a dormire. Così dopo un po' mi preparai per andare a fare una passeggiata. Erano le due di notte. Nemmeno tanto tardi e per strada c'erano ancora molti giovani. Pensai di fare un salto da Mika. Casa sua e di Morgan erano vicine e in dieci minuti ci sarei arrivata a piedi. Mandai un messaggio a Mika per avvisarlo che arrivavo al quale arrivò riposta poco dopo e m'incamminai mescolandomi fra i gruppetti di ragazzi ubriachi e passando inosservata.
Una volta sotto casa sua suonai e mi aprì la porta. Salii. Lo trovai che mi aspettava sullo stipite della porta. Probabilmente lo avevo svegliato. Aveva il sonno leggero (a volte) e si ostinava a non voler mettere in silenzioso il cellulare. Aveva un aria un po' stravolta ma lo sguardo allegro. I capelli erano, se possibile, più stropicciati del solito. Indossava una lunga vestaglia rosa con delle ciabatte a forma di cane. Era fantastico!
- Ma tu hai sempre l'abitudine di uscire a queste ore della notte? -
- Solo quando so che c'è un bell'uomo ad aspettarmi. -
- Ha-ha-ha. Dai entra. - Si spostò dallo stipite facendomi spazio. - Come mai sei qui? -
- Vuoi che vado a casa? -
Mi stava voltando le spalle per sistemare il portaombrelli, ma si girò di scatto. - Cosa?! No! Non volevo dire questo! Ti prego, non arrabbiarti. -
Mi avvicinai e gli cinsi i fianchi con le braccia poggiandogli la testa sul petto. - Non potrei mai... Non potrei mai... - Sussurrai.
- Bene. Marco? -
- È distrutto. Ma non parliamo di lui. È la nostra serata. -
- Okay. Che vuoi fare? -
- Potremmo: guardare una stupida commedia sdolcinata. Che te ne pare? -
- Ottima idea. -
Ci sedemmo sul divano abbracciati e accese la tv. Dopo un po' di zapping trovammo "Notting Hill". Una replica. Adoravo quel film.
Già quando eravamo a metà film non vedevo più niente. Ai trequarti mi prese in braccio e mi portò in camera da letto dove mi fece sentire completa e amata dandomi tutto l'amore del mondo.

- Buongiorno. -
Aprii gli occhi e non capii dove mi trovavo per qualche istante. Poi i ricordi del giorno prima mi piombarono addosso. Ero ancora sotto le coperte, anche se ero nuda, e Mika stava di fronte a me, in boxer blu fluo con un vassoio in mano con la colazione. Gli sorrisi soddisfatta. - È stato fantastico. -
- Anche per me. - Poggiò il vassoio sul letto e si chinò a baciarmi sulle labbra. - Vado a farmi la doccia. Tu intanto gustati la colazione. È raro che io cucini. Mi sono scottato le mani. -
Gli presi le mani fra le mie e gli baciai ogni singola scottatura gentilmente. Poi lo lasciai andare in bagno.
Mi gustai il cappuccino con sopra disegnato un cuore e il cornetto. Una volta finito mi misi delle mutande e una maglietta del Riccio che mi faceva quasi da vestito e andai a mettere via il vassoio.
Andando in cucina accadde ciò che non avrebbe mai dovuto accadere.

Udii il chiavistello girare e mi voltai per vedere di chi si trattava. Vidi un uomo dall'aria familiare e lì capii che eravamo fregati. - Amore, sono a casa. Sorpresa! -
Poi alzò lo sguardo con le valigie fra le mani e mi vide. Le lasciò cadere ed entrambi rimanemmo immobili a fissarci.
- Chi sei? -
- Clara. -
Rimanemmo così per un tempo infinito. Poi il suono di un altro chiavistello che girava giunse al mio orecchio dalle mie spalle. Non mi voltai per vedere di chi si trattava perché lo sapevo per certo, ma Bryan alzò lo sguardo e affrontò l'uomo che era uscito dal bagno. - Michael, chi è questa? -
Michael che aveva solo un asciugamano in vita e nient'altro a coprirlo disse solo - Bryan, che ci fai qui? -
- Che ci faccio qui? Mika, sei un figlio di puttana. -

NOTA SCRITTRICE: ciaooo! Allora, ecco qui un nuovo capitolo. Mi sembra più lungo, ma io e le unità di misura non andiamo d'accordo. Mi sono divertita a scriverlo e spero vi piaccia. Commentate ;)
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Capitolo 8
*** Red Roses ***


CAPITOLO 7
Bianco. Solo bianco.
Non vedevo nient'altro. Solo girandomi sul lato sinistro lo vidi. Era seduto su una sedia ed era appoggiato sul letto. La mia mano era sotto la sua chioma riccia, ribelle e morbida. Dormiva, ma non sorrideva. Era crucciato, preoccupato per o di qualcosa.
Allungai l'altro braccio e gli accarezzai dolcemente i capelli. - Non preoccuparti per me. Va tutto bene. Va tutto bene, - bisbigliai. Buttai la testa sul cuscino e cercai di non lasciare nessun pensiero invadere la mia testa. Si riscosse silenziosamente e rispose - come faccio a non preoccuparmi per te bambina? -
Sorrisi. - Buon giorno dormiglione. -
Scoppiammo a ridere, ma mi dovetti fermare. Faceva male. Da morire. Feci una faccia contrita e dovette accorgersene perché si alzò e uscì dalla stanza per cercare un medico. Quando tornò lo seguiva un uomo in camice bianco. Se i medici assomigliavano tutti a quello avrei dovuto farmi ricoverare più spesso. Aveva i capelli neri, leggermente scarmigliati, ma molto più ordinati di quelli di Michael. Gli occhi verde mare trasmettevano sicurezza e tranquillità. Sorrideva felice, come se non si dovesse trovare a contatto con la morte tutti i giorni.
Il bruno, che nel frattempo si era seduto sul letto accanto a me, dovette capire che apprezzavo la vista perché mi scoccò un'occhiataccia a cui risposi con uno sguardo innocente.
- Salve. Sono il Dottor Pastore. -
- Salve. -
- Allora, devo dire che si è ripresa molto bene. Dopo un mio collega le farà alcuni test per controllare alcuni fattori importanti, ma da quanto posso vedere sta bene. Qualche dolore o senso di smarrimento, amnesia o altro? -
Cercai di registrare tutto quello che diceva. - Solo mal di testa se rido. -
- Quello è normale. Se lei è d'accordo posso darle una  pastiglia con la quale starà meglio. -
- Grazie. -
- Bene. Si ricorda cos'è successo? -
Guardai in alto a sinistra, involontariamente. - Ero uscita di casa dopo che mia madre mi aveva cacciato - Iniziai cercando di ricordare ogni particolare di quella sera. - Poi mi sono fermata a un semaforo. Rosso. Aspettai il verde. Partii. Poi ho visto due fari. Era una macchina che mi ha colpito. Poi ricordo uno schiaffo e qualcuno che urlava. Poi mi sono svegliata qui. Ora. -
Mika mi strinse la mano con affetto, magari pensando che dovessi sentirmi male. Invece al contrario mi sentivo benissimo. Ero felice di vivere. Guardai a sinistra e capii il perché. Nella mia vita era entrato qualcuno che aveva cambiato tutto. Le mie labbra si aprirono in un sorriso. Sorrisi e sorrisi ancora. Non era carnale il desiderio che avevo per lui, forse solo un po': era un ottimo baciatore. Lo amavo perché mi completava. Era quello che io non ero. Felice, colorato... Bello. Non mi riuscivo a spiegare come avesse potuto scegliere me. Venni interrotta dal medico. - Okay. Allora tutto bene. Ti terremo sotto osservazione qualche giorno. Facciamo alcuni esami. Poi puoi iniziare la riabilitazione, anche se come ho detto stai già bene. Ritornerò fra qualche ora per vedere come va. Ciao. -
- Ciao - Se ne andò chiudendosi la porta alle spalle.
Lanciai a Mika un sorriso malizioso. - Allora... Sei rimasto qua tutto il tempo? -
- Sì... - Aveva colto il mio sguardo e si allungò verso di me per baciarmi. Baciandomi si spostò lentamente sopra di me. Quasi non me ne accorsi. Lo abbracciai con gambe e braccia. Affondò la faccia fra i miei capelli sparsi sul cuscino. - Hai un profumo buonissimo. - Spostò un ciuffo e iniziò a darmi piccoli bacetti sul collo. Risi, e stavolta fece meno male. - Siamo in un ospedale! Mika! Hahaha. 
Probabilmente avrebbe ribattuto se in quel momento non fosse entrato qualcuno senza bussare cogliendoci alla sprovvista. Quell'uomo aveva la capacità di arrivare sempre ai momenti peggiori. - Beccati! -
- Morgan! - Mika si lasciò andare su di me sprofondando nei miei capelli e togliendomi il fiato. - Mika... Mika... Non respiro! Hahaha! Mika. -
- Scusa. - Si spostò velocemente e scese dal letto.
- Sono venuto a trovare la convalescente: che mi sembra essersi ripresa benissimo. -
- Perfettamente come puoi vedere. - Guardò sia me che Michael. - Dove metto queste? - Chiese alludendo a un mazzo di rose rosse.
Mika lo guardò incuriosito dalla scelta, ma non disse niente. Probabilmente sapeva che Morgan non aveva possibilità con me, e che probabilmente non voleva nemmeno provarci con me, per rispetto.
Alla fine le sdraiò sul comodino. - Quei deficienti della reception non volevano farmi salire. Non so cosa avessero. Dicevano che non potevo venire perché non avevo parentela con nessuno dei pazienti. Ci ho messo un po', ma alla fine ce l'ho fatta. - Fece l'occhiolino al riccio. Non ero sicura di voler sapere cosa aveva fatto. - Morgan! - Esclamai - vieni qui per salutare la convalescente e parli solo di te stesso. -
- Hahahahaha. Ovvio. Dovresti conoscermi. - Venne accanto al letto e si sedette sul bordo, mentre Mika si girava e tirava su le tende, per lasciarci un momento fra amici. Non voleva impicciarsi, anche per questo lo amavo.
Morgan mi abbraccio e l'odore di fumo mi avvolse. Non mi dava fastidio però. Mi bisbigliò all'orecchio - ci hai fatto prendere un colpo. Non lo fare mai più. - Si stacco, ma rimase abbastanza vicino da poter sussurrare. - Dovevi sentirlo l'altra sera. Era terrorizzato. - Vide che il mio sguardo si spostava sul Riccio alla finestra e s'affrettò ad aggiungere - non voglio dare la colpa a te. Non potrei mai piccola Clara. Solo, supportatevi a vicenda. Ne avete bisogno. - Mi scoccò un bacio sulla fronte e poi tornò al suo umore abituale. - Allora Mika. Ti sei trovata una tosta. Mi fa piacere. Ma questo non significa che non verrai più ai miei festini, sappilo. Anzi! Ancora meglio. Verrete insieme. - La cosa non entusiasmava nessuno dei due. Significava farci vedere in pubblico insieme, non ne avevamo mai parlato. - Capì quello che pensavamo. Quell'uomo era una vera e propria volpe. Non so come facesse. - Ah, capito. Lui dovrebbe essere gay. - Disse come se stesse pensando ad alta voce. - Giusto! Mika! Tu sei gay e ti fai una. Ragazzi, molto sinceramente, con tutto l'affetto possibile. Siete nella merda.
Buona merda a tutti. Hahahaha. Se ve lo dice uno come me c'è da fidarsi. - Non aveva completamente torto, ma era anche completamente pazzo. Okay, la correlazione fra i miei pensieri era inesistente. Pazienza.
Qualcuno bussò alla porta. E dopo un attimo entrò un'infermiera. - Scusate signori. Devo fare alcuni esami. Potete tornare dopo. -
Morgan mi abbracciò al volo. - Ciao piccola Clara. Ci vediamo nei prossimi giorni. Rimettiti per quando torno. -
Mika si avvicinò a me dopo. Mi diede un bacio. Veloce, come una cosa abituale, come se lo avessimo fatto tutti i giorni per il resto della vita. Una parte di me fu felice di questo fatto, un'altra rimase insoddisfatta. - A dopo - disse muovendo solo le labbra.
Poi uscirono dalla stanza.

I giorni successivi passarono relativamente veloci. Per quanto potessero passare veloci i giorni in ospedale. Dopo un giorno già camminavo anche se con le vertigini. Poi senza. Una settimana dopo riuscivo a correre. I riflessi erano pronti e anche dal punto di vista psicologico era tutto apposto. Tutti i medici che mi seguirono in quella settimana si sorpresero della velocità del mio recupero.
Mia madre si fece vedere una volta e sapendo del suo arrivo feci in modo che nessun altro fosse nei paraggi. Facemmo un discorso strano. Mi salutò con un "ciao" e un "come stai?". Eravamo entrambe tese. Forse un po' le dispiaceva per quello che era successo, anzi, sicuramente. Per quanto potesse considerarmi colpevole della morte di mio padre ero anche l'unica cosa che rimaneva di lui. Per circa cinque minuti - un record - riuscimmo a chiacchierare civilmente: nei limiti possibili con lei. Poi arrivò l'imposizione. - Non voglio che tu frequenti quel tipo. Puoi dire e ribattere quello che vuoi, ma non te lo lascerò fare. Stai buttando la tua vita alle ortiche. Hai una vita davanti Clara! - Stava leggermente alzando la voce. - Ma appena passa un ragazzo carino lì a corrergli dietro come un cane con un osso. Ti rendi conto? -
Stetti zitta finché non finì. Poi presi una pausa. Dovevo decidere con cautela cosa dire. Avrei potuto rispondere in modo avventato, ma preferivo non farlo. - Quando mai è successo?! - Provò a interrompermi ma senza riuscirci. - Quando è successo?! In tutti questi anni mi è piaciuto un solo ragazzo. E quanto è durata? Un mese? Forse meno. Poi l'ho lasciato perché non era ciò che cercavo realmente. Poi questo ragazzo è entrato nella mia vira. Senza che quasi me ne accorgessi. E la mia vita?! Chi ti dice che non è questo che voglio dalla vita?! L'amore... -
- L'amore non esiste. Tutto finisce prima o poi. E vuoi fare il medico. Non hai tempo per certe cose, a meno che tu non voglia finire la tua carriera ancora prima di iniziarla e ritrovarti a casa con un marito sempre in giro a occuparti di un bambino. È questo che vuoi? -
- Vattene. Per favore vattene da qui. - Non poteva. Non poteva rigirare la frittata per farmi sentire in colpa del suo fallimento, della morte di papà: di qualunque cosa brutta fosse mai successa nella sua vita.
Si alzò dalla sedia e alzò le braccia a mo' di resa. - Come vuoi tu signorina, ma ricordati di queste parole quando quello che ho detto si avverrà. - Se ne andò. Senza una parola di conforto, di amore: come aveva fatto da quando era morto. Questo però non la giustificava.
Mika venne tutti i giorni. Chiacchieravamo, ridevamo, deliravamo e, appena riuscii a camminare senza vertigini, uscivamo a fare delle camminate nel giardino dell'ospedale. Se se ne fosse andato non so come avrei fatto.
Lo amavo. Lo amavo. Lo amavo. Non potevo farci niente e nemmeno volevo.
Anche Morgan si era fatto vedere spesso. Portava sempre rose rosse e allegria. Un giorno si mise a suonare con la chitarra che aveva dietro e quasi lo cacciarono per disturbo.
Infine arrivò il giorno per tornare a casa. Quando me lo dissero soppesai il problema e mi accorsi che non era da poco. Non sapevo con chi parlarne. Le opzioni erano tre: Laura, Michael, Morgan. Michael era da scartare. Laura.. Anche. Solo dopo mi resi conto che lei non sapeva quasi niente di tutta la storia. Rimaneva un'unica persona...

NOTA SCRITTRICE: Tah Dah (cit. Mika). Beh, ecco qua il nuovo capitolo. Che dire? Forse alcuni di voi hanno trovato alcuni riferimenti, forse no. Fatemi sapere cosa ne pensate recensendo. Anche se avete idee ;)
A presto ILoveRainbows

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Capitolo 9
*** Bryan ***


CAPITOLO 9
"Figlio di puttana"... Quelle tre parole mi riecheggiavano nella mente come l'eco di una spada che fenda l'aria. A quell'accusa rimase interdetto. Volevo correre in suo corso, ma sentivo di non dovermi intromettere. Come se io fossi il centro del ciclone e quindi non venivo distrutta da questo a meno che non provassi a uscirne.
- Come hai potuto farlo? -
- Bryan. So tutto. Puoi smetterla di fingere. -
- Non so di cosa stai parlando. E non rigirare la frittata. Mi hai tradito! E per di più mi hai tradito con... Una ragazza?! - Mi indicò con ferocia. Michael al contrario, dopo il primo shock, era calmissimo. Continuò le accuse - tu, Mika, il cantante dichiaratamente gay che parla di omosessuali nelle sue canzoni tradisce il fidanzato, che si trova in Africa ad aiutare i bambini, con una donna. Ha-ha-ha la stampa ci andrà a nozze. -
- La stampa non saprà mai niente. Così come ho difeso la tua identità difenderò anche quella di Clara. - Di nuovo venni indicata. - E non provare a farmi sentire in colpa. Non funzionava più da tempo. Lo sappiamo entrambi. Così come sappiamo entrambi che nemmeno tu ha le mani pulite in questa faccenda. -
Okay, chi lo seguiva adesso? Io no di certo. Di cosa stava parlando?
Si fronteggiavano nel salotto. A prima vista si sarebbe potuto dire che aveva la meglio Bryan. Alto, muscoloso, capelli biondi, occhi chiari... Il contrario di Mika. Allora è vero che gli opposti si attraggono. Dall'altra Mika. Alto, ma con corporatura esile... E con solo un asciugamano in vita. 
Sembrava che Michael però sapesse qualcosa che non sapevo. Qualcosa che poteva completamente ribaltare la situazione attuale. Ero quasi tentata da prendermi i pop-corn e godermi lo spettacolo. Appena Bryan era entrato mi ero subito sentita morire. Quella poteva essere la nostra fine. Ma, come ho detto, Michael aveva l'aspetto di uno che sa di avere un asso nella manica e sembrava infondere tutta la calma di cui era in possesso su di me.
Il momento di silenzio che era seguito all'affermazione di Mika era ormai durato parecchio.
A quel punto parlò Bryan. - Tu non sai di cosa stai parlando! -
- Oh sì che lo so. Se non sbaglio si tratta di te che mi tradisci con Sean. -
Ora si spiegava tutto. Anche se non sapevo chi era Sean.
- Siamo innamorati! Mi fa sentire speciale! -
- E io?! Non dicevi che ti facevo sentire speciale?! -
- All'inizio forse. Poi non più. Quello che provavo per te è difficile da spiegare. Era nuovo per me. Voglio che tu capisca che... -
Lo interruppe - per favore vai via da questa casa. -
- Voglio farti capire che... -
- Per favore. - Era sul punto di scoppiare in lacrime, ma non gli urlava. Non era arrabbiato. Era solo distrutto. Dal tradimento. Se pur di una persona che non amava via.
Bryan non sembrava avere intenzione di andarsene. A quel punto decisi di intervenire. - Vattene - Dissi in modo che mi sentisse. - Fuori di qui. -
- Chi sei per dirmelo? -
Mi sentivo ribollire. Una cosa che odiavo di più era perdere il controllo, ma non ce la feci più. Mi avvicinai a lui se pur molto più piccola. Lo spinsi fuori di casa chiudendo la porta dietro di lui.
Mi appoggiai alla porta con le mani e le braccia tese prendendo fiato. Girandomi mi accorsi che Mika si era rannicchiato sul divano con aria stravolta. Scossi la testa sconsolata. Mi sedetti sul divano e lui si aggrappò alla mia maglia stringendomi a sé e facendomi una doccia di lacrime. Il suo dolore si riversava su di me in fiumi di lacrime. - Ssh... Everything's gonna be just right... - Bisbigliavo nel suo orecchio accarezzandogli i capelli. - Slow down...  Slow down... Sssh... Long deep breaths... Slow down. -
- I can't... I don't... I can't... I don't... - respirò profondamente e poi disse - I don't want... I don't wanna lose you. - Disse fra mille singhiozzi.
- You won't. You won't. - gli bisbigliai di nuovo.
- I'm terrible. I distroy everything good. -
- No, you don't. -
- You'll leave me soon or later. Everyone does. -
- Never. I'm going to be here 'till you want me. -
- Thank you little Clara. -
- Always. - Poi, poggiando la testa sulle mie gambe si addormentò in un attimo nonostante fosse mattina, e io continuai ad accarezzargli i ricci. - Always - dissi un'altra volta parlando all'aria.

Dovevo averlo svegliato.
Dopo un'ora che dormiva ero andata a cambiarmi e farmi una doccia veloce, ma quando tornai non era più sul divano. Andando in cucina lo trovai seduto al piano da bar (sì, aveva un piano da bar che ho sempre amato) con una bottiglia di "Single Malt Scotch" davanti e un bicchiere da Whisky pieno di liquido dorato. Il volto era asciutto e negli occhi non si leggeva più dolore, ma solo rassegnazione. Quando mi vide non diede segno di felicità, ma gli occhi gli si illuminarono di gioia e questo mi bastò. Andai a prendermi un bicchiere e mi versai anch'io dello Scotch. Erano solo le undici di mattina e c'era la possibilità che andassimo avanti così a lungo. Mi sedetti di fronte a lui e ci fissammo negli occhi. Accennò a un sorriso e poggiai la mia mano sulla sua sul tavolo.
Si sporse verso di me e mi diede un bacio che sapeva di alcool e lo ricambiai con passione. - Grazie. -
- E di cosa? -
- Di tutto. -
- Avresti fatto lo stesso per me. - Mi morsi il labbro inferiore e mi guardò con amore e il sorriso gli si allargò.
- Probabilmente. - Accennando al mio labbro disse - amo quando lo fai - e con un sorriso ormai a trentadue denti scattò in piedi e svuotò il suo bicchiere in un sorso. Venne accanto a me e mi avvolse fra le sue braccia, per me un porto sicuro. Si avvicinò con sicurezza a me e pose le sue labbra sulle mie.
- Ho voglia di fare qualcosa di pazzo oggi. - Disse con aria spavalda.
- Okay, e sentiamo, cosa potrebbe essere? - Mi avvicinai a lui in modo provocante.
- Non era questo che intendevo, ma credo che me lo farò bastare. Fece un sorriso malizioso e ammiccò.
Gli cinsi i fianchi con le gambe e mi alzò senza difficoltà dalla sedia.

Andammo in camera. L'alcool ci aveva reso un po' brilli.
Si sdraiò su di me infilandomi le mani sotto la maglietta giocherellando con i miei capezzoli e aiutandomi a sfilarla. Poi scese verso gli slip e me li tolse. Fu il mio turno, mi misi sopra di lui facendolo eccitare ancora di più e gli strappai i boxer accarezzandogli il membro. Per la seconda volta in meno di ventiquattro ore finii per sentirmi completa.

- Usciamo. -
Era sdraiato accanto a me sul letto. Mi guardava e io guardavo lui cercando di non scoppiare a ridere.
- Dove vorresti andare? -
- Boh... - dissi giocando con una ciocca di capelli. - In centro? -
Il suo viso si rabbuiò.
- Ti prego, ti prego, ti prego - mi avvicinai a lui finché non gli fui a pochi centimetri.
- Sai cosa comporterebbe per te? -
- Per me sì, ma per te? - Mi ero fatta più seria, realista. Quello era stato un attimo di... Non so esattamente, ma non ero io quella che pregava qualcuno. Mai. - Lascia perdere. Domanda stupida. Sarebbe la nostra rovina. -
- Mi dispiace. -
Seguì qualche istante di silenzio. Ognuno perso nella propria mente. - Ho un'idea! - Esclamò entusiasta il Riccio accanto a me. - Ti presento come una vecchia amica. Girando in centro ci vedrà un sacco di gente. Vorrà sapere chi sei... Beh, Clara Gauthier. Sei appena diventata la mia migliore amica. -
- Ah, perché prima non lo ero? -
- Certo che sì. Ma sei anche altro. - Si lanciò su di me facendomi il solletico. 
- Piantala... basta... Mi arrendo! Hai visto tu. - Dissi buttandomi all'indietro.
- Allora. Ci prepariamo e poi arriviamo in centro da due posti differenti. Non dobbiamo dare nell'occhio. -
- Come facciamo? -
- Mi sembra elementare mio caro Watson. Tu passerai dal retro. -
Scoppiammo a ridere.

La folla era già acclamata intorno a lui nella speranza di una foto o un autografo.
Adorava i suoi fan. Si vede da come li trattava che si ricordava di come essere uno di loro e di quanto importante potesse essere una firma su un pezzo di carta. Si concedeva a loro quasi ogni volta.
Mi vide da lontano sopra molte altre teste e mi fece un breve cenno di raggiungerlo con la testa di cui nessuno si accorse.
Cercai di farmi strada fra la folla per raggiungerlo. Ero quasi arrivata quando un'altra ragazza mi spintonò perché non potevo superare tutti e mi fece perdere l'equilibrio. Finì rovinosamente a terra.
Avevo catturato l'attenzione di tutti che ora mi guardavano ridendo. L'unico che non lo fece fu Michael, che appena mi vide cadere si precipitò ad aiutarmi ad alzarmi lanciando un'occhiataccia a chi mi aveva fatto cadere.
- Vieni, andiamo via. - Ci incamminammo alla ricerca di un posto dove pranzare con me avvolta nell'ala protettiva del suo braccio.

ANGOLO SCRITTRICE: è corto e ci ho messo tanto. Scusate, la Dea Ispirazione mi ha fatto viva solo adesso e comunque non mi piace. 
Ora, considerando che sto letteralmente dormendo vado a, appunto, dormire.
Perdonatemi errori e fatemi sapere cosa ne pensate.
A presto, ILoveRainbows

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Capitolo 10
*** Mr. And Mrs. B... ***


CAPITOLO 10
I fan dietro di lui rimasero stupiti. Michael era sempre molto disponibile verso i suoi fan. La ragazza che mi aveva fatta cadere mi guardò malissimo. Conoscevo Mika, il suo cantante preferito. E per colpa mia l'unica cosa che aveva ottenuto dal suo idolo era uno sguardo di... Disprezzo? Era disprezzo? Probabile. Lui non amava quel tipo di fan.
Allontanandoci sentivo gli sguardi di tutti addosso. Volevano sapere chi ero. Perché conoscevo il loro idolo. E soprattutto: perché sembravamo così affiatati.
Camminammo per un bel pezzo, quasi mezz'ora credo (a giudicare da quanto si lamentava il mio stomaco), cercando di seminare i paparazzi che ormai arrivavano da ogni dove. Accelerammo il passo e dopo un po' riuscimmo a perderli. O forse capirono che non li volevamo in giro e per una volta ci lasciarono in pace.
Arrivammo fino ai Navigli. Era lì che voleva andare a mangiare. Luogo tranquillo, cibo buono e sembrava che a Mika piacesse la calma di quel luogo.
Tirava un vento leggero, ma per le strade non c'era nessuno. Se non piccoli gruppetti di persone sedute ai ristoranti.
Si diresse con sicurezza verso un ristorantino con i tavolini fuori. C'erano poche persone, ma aveva l'aspetto accogliente.
Si sedette ad un tavolo da due tirandomi in fuori la sedia per aiutarmi a sedere, come un vero gentleman, e la cameriera arrivò subito. - Salve Mr. Penniman. -
- Ciao Aurora. Quante volte dovrò dirti di darmi del tu? - disse lui scherzando.
- Una volta ancora come minimo Mr. Penniman. Come sempre. Il solito? -
- Sì grazie. Per due. - Sorrise e Aurora sorrise a lui, per poi lanciarmi uno sguardo di sbieco. Io la continuai a guardare anche quando se ne andò.
Girandomi vidi che Michael mi guardava divertito. - Che c'è? - gli chiesi brusca. - Ho delle valide rivali. -
- Niente, niente. È solo... - mi accarezzò gentilmente la guancia. - Tu non hai rivali. Ricordatelo sempre. -
- Cosa avrò fatto per farmi odiare così tanto?... - chiesi sconsolata guardando Michael negli occhi e perdendomi in un mare di cioccolato.
- Niente problemi esistenziali ok? -
Annuì poco convinta.
- Forza! Ti odiano così tanto perché io amo te. Con il tempo però ti ameranno... - Provai a ribattere, ma non ce la feci. - Ah-ah-ah. No. Ti ameranno, fidati. Finisce sempre così. Comunque, oggi dev'essere una giornata folle. Per cominciare ti ho portato qui, perché fanno una lasagna fantastica! -
- Bene. Amo le lasagne. -
Sorrise soddisfatto. - Perfetto. Perché le ho choosate anche per te. - ci fu un momento di silenzio in cui eravamo entrambi persi nei nostri pensieri. Poi esclamò - Dobbiamo fare una lista di quello che vogliamo fare. Hai una penna? -
Frugai freneticamente nella mia borsa, dai miei amici soprannominata "borsa do Mary Poppins" e ne uscì con una penna fucsia e un vecchio blocco della Moleskine.
- Punto 1: - mi rubò il blocco dalle mani - SORPRESA DI MIKA PER CLARA -
- Non vale -
- Sì che vale - ci fissammo per un paio minuti negli occhi. Chi l'ha dura la vince. 
Infatti vinse lui.
- Andiamo avanti - dissi fingendomi arrabbiata. - Punto 2:... Mmh. Shopping! -
Mi guardò stranito. - Shopping?! -
- Ovvio - questa volta fui io a rubargli il blocco. - Fidati, ci sarà da divertirsi. -
- Già. - Mi guardò in modo misterioso. Ero curiosa e non sapevo il perché.
Quando la cameriera arrivò con i vassoi assalimmo le lasagne con gusto. Mangiammo in silenzio, scambiandoci solo delle occhiate, assaporando quella prelibatezza. Era ambrosia.
Una volta finito di mangiare ci fu una lotta su chi dovesse pagare, ma ovviamente alla fine vinse lui. Camminammo per un po' sui Navigli e poi ci allontanammo. A un certo punto Michael vide qualcosa che doveva interessargli perché urlò - ECCOLO! - e iniziò a correre e il mio braccio con lui perché ci tenevamo per mano. Poi capii. C'era un parco. Era il parco San Giussano, conosciuto dai milanesi anche con il suo vecchio nome, Parco Solari.
Non era uno dei più belli che c'erano, ma i grossi alberi si stagliavano ai lati dei sentieri e con le loro fronde creavano ombre inquietanti sotto le quali la gente si riparava d'estate. Trovammo una zona dove c'erano dei giochi e tanti piccoli bambini che correvano in giro. Un bambino magrolino corse verso di noi guardandosi alle spalle perché scappava da un amico e si schiantò sulle ginocchia di Mika facendo un capitombolo. Avrà avuto sì e no cinque anni. Capelli scarmigliati neri. Grandi occhi azzurri. Guardò Mika con due occhioni interrogativi. - Scusi - disse.
- No, scusa tu. - Gli rispose il Riccio accanto a me sorridendogli. - Su, ti conviene sbrigarti a scappare. - Detto questo lo aiutò a rimettersi in piedi. Il bimbo inizio a correre via, ma poi si girò verso di noi. - Grazie Mika -
Noi gli stavamo dando le spalle. Mika si girò per salutare il bambino che però era già corso via. Rise e scosse la testa. Poi riprendemmo a camminare per la nostra strada.
Dopo un po' trovammo un altro spiazzo molto grande. C'erano una fontana, dei trampolini e una giostra con i cavalli. - Vieni! - Mi disse Mika e per la seconda volta in meno di un giorno rischiai di rimanere senza braccio. Appena giunse al botteghino dei trampolini prese due biglietti convincendo il proprietario a farglieli da cinque minuti. Io feci un po' di resistenza, ma infine salii sui trampolini. Eravamo un po' ridicoli in mezzo a quei bambini e anche le madri dovettero pensarlo perché tirarono via i figli. Questo non scoraggiò Michael che si mise a saltare come un pazo trascinandomi con lui nella felicità e nella mattia. Si mise anche a cantare a squarciagola "We Are Golden" senza preoccuparsi di niente. Quando passarono i cinque minuti eravamo uno più stanco dell'altro. Ridevamo come dei deficienti e camminavamo tutti storti come due ubriachi.

Sbucammo in piazza Duomo. Per andare in centro avevamo preso la metro. Erano le due del pomeriggio e c'erano molti giovani in giro. Ci dirigemmo in corso Vittorio Emanuele. Alcuni lo riconobbero e gli chiesero l'autografo che lui fu felice di fare. Continuavano a guardare male me... Non c'era speranza hahahaha. Non sapevo esattamente dove andare quindi lo trascinai nel negozio di musica. Appena entrò rimase stupito. Era nella sua essenza. Io rimasi sulla soglia un attimo dopo che lui fu entrato. Stava fra le pareti di LP. Alto. Capelli scompigliati. Vestiti colorati. Basco rosa shocking. Collo coperto da una sciarpa avvolta qualcosa come cinque volte. Aveva un sorriso stampato in faccia e gli occhi illuminati di gioia mentre si guardava intorno.
Entrai anche io e mi misi a guardare gli LP con interesse. A un certo punto anche Michael arrivò dove mi trovavo io. Mi cinse i fianchi da dietro e guardò l'LP che avevo in mano. David Bowie.
- Bel disco. -
- Ce l'hai? - chiesi stupita.
- Non in LP, ma visto che ci sono lo prenderei. Così lo puoi ascoltare quando vuoi. - Gli sorrisi innamorata.
A quel punto una voce si intromise. - Allora è a causa di questo finocchio che non mi hai mai filato?! -
I pochi clienti nel negozio guardarono dalla mia parte. - Esatto - gli risposi tranquilla cercando di tenere fermo Mika che gli sarebbe saltato alla gola. - È a causa sua. -
- Vaffanculo Clara. -
- Con piacere. Ora se non ti spiace prendiamo questo. - Dissi tendendogli l'LP di David Bowie.
Andò alla cassa e gli diedi i soldi. Poi mi restituì il resto con il sacchetto e mi disse - Un giorno te ne pentirai. -
- Hahaha. Non credo proprio - e detto questo me ne uscì dal negozio mano nella mano con Mika.
Fuori mi fermai un attimo per osservare Michael. Aveva lo sguardo irato e triste allo stesso tempo. - Hei, - dissi girandogli la faccia verso la mia. - Guardami. - I suoi occhi finalmente incrociarono i miei. - Non ascoltare quello che dice. È solo uno stronzo. Ed è invidioso, come le tue fan di me. - Gli feci l'occhiolino e gli strappai una risata. Era incredibile come potesse cambiare umore in un attimo. - Ma sì, chissene frega! Andiamo. Tu mi hai portato in questo negozio. Ora è il mio turno. -
Stava per partire in quarta ma prima lo abbracciai, senza ragione, e venni ricambiata. - Andiamo -

- Via Monte Napoleone?! Starai scherzando spero. -
- No, assolutamente no! - disse lui divertito dalla mia faccia incredula.
- Non posso permettermi neanche uno spillo di quelli che ci sono sui manichini in sta via! -
- Tu no, ma io sì. - Ripartì per la via.
- Fermo fermo! -
Si girò verso di me.
- Non è giusto. Non potrò mai ripagarti. -
- Non ce né bisogno ovviamente. Ti amo, questo è solo un pensiero. E poi ho una sorpresa. -
Lo guardai interrogativa, ma lui riprese a camminare per la via con me al seguito. Entrò in un negozio a passo sicuro. Riuscì a vedere al volo di cosa si trattava. Armani. Armani?! È pazo.
Appena entrati il proprietario del negozio ci venne incontro. - La stavamo aspettando Mr. Penniman. Benarrivato -
Mi guardai intorno. Non ero mai entrata pur essendo passata davanti a quel negozio con aria sognante centinaia di volte. C'erano pochi vestiti esposti e poca gente all'interno. Non c'era musica sparata a tutto volume come nei negozi per giovani. Vestiti di alta moda. Eleganti. Da sera. Era il mio negozio ideale.
- Salve Giancarlo. Ecco qui la dama. -
Il sarto o proprietario che fosse si rivolse a me. - Salve Ms. Gauthier. Si fidi, le troveremo un vestito perfetto. -
Mi prese per mano portandomi in un'altra stanza per prendere le misure. Poi scomparve dietro una porta e ne tornò poco dopo con una pila di vestiti in braccio che poggiò su un tavolo lì accanto. Ero strabiliata. Erano uno più bello dell'altro. Elegantissimi. Alcuni colorati altri no. Alcuni a tinta unica altri con strane fantasie. Ne provai diversi, ma né io né Mika ne eravamo colpiti.
Ce n'era uno molto corto violetto però con un lungo strascico di raso. Uno con la gonna a balze e le maniche strette e lunghe con fantasia a fiori. Uno di pizzo nero che andava giù morbido fino al ginocchio con la fodera giallo brillante.
Poi me ne fece provare uno lungo con un corpetto a bustier. Era blu elettrico, lungo fino ai piedi. Era attillato fino al ginocchio ma poi si allargava per fare in modo di riuscire almeno un po' a camminare. All'altezza del seno c'erano dei brillanti (credo fossero veri) che sembravano piccole goccie di pioggia anche se la forma non era quella; scendendo diventavano più radi fino ad essere nulli ad altezza della vita. Non aveva uno strascico, ma lo dovetti indossare con un tacco 12. Poi mi fece uscire e per l'ennesima volta sfilai sul lungo tappeto. In fondo c'erano alcune poltrone di velluto viola e su una di quelle c'era buttato Mika. Quando mi vide scattò in piedi e aspettò che io, imbarazzata come non mai, arrivassi in fondo al tappeto. Mi prese per le mani e mi osservò da lontano. - Sei bellissima - e avvicinandosi mi diede un bacio veloce. 
- Cosa ne pensa Mr. Penniman? -
- È quello giusto. -
- Mi fa piacere, lo trovo un pezzo di grande stile e sulla signorina è a dir poco meraviglioso, calza a pennello. -
- Già... - Disse Michael guardandomi in modo trasognato.
Mi intromisi nel discorso. - Si può sapere a cosa mi serve? -
Michael si rivolse al proprietario. - Posso? -
- Certo certo. Dev'essere sicuramente un evento importante. - Detto questo lasciò la stanza.
- Ci hanno invitati... -
- Chi? -
- Calma - rise - ci hanno invitato a cena... -
- Chi la regina? Il Presidente americano? Non saranno William e Kate? -
- No hahaha, nessuno fra questi. Sono stati i coniugi Bowie. -
Quasi svenni e mi dovette prendere al volo - sul serio? -
- Sì. -
- Bowie... Quei Bowie? -
- Sì, credo che intendiamo gli stessi Signori Bowie. -
Risi come una paza e non riuscivo a smettere. Ero felicissima. Mika mi guardava divertito.
- Questo vestito è per quell'occasione? -
- Sì. Mentre facevi la doccia mi ha chiamato Dave e ha scoperto di te. Quindi vuole conoscerti. -
- Non ci posso ancora credere. Il mio fidanzato è Mika. Il mio migliore amico è Morgan e sto per andare a cena da David Bowie. -
Feci una giravolta. - Su. Va a cambiarti. Domani prendiamo l'aereo. -
- Domani? - mi chiesi girandomi verso di lui.
- Sì. La cena è dopodomani. -
- Dove? -
- A New York City -
Il mio cuore non poteva resistere ancora a lungo. Prima o poi si sarebbe fermato.
- New York City?! - Esclamai.
- Esatto. La città dei sogni. - Mi allontanai per andare a cambiarmi che mi sembrava di camminare dieci metri sopra il cielo.

Andando verso casa di Mika continuavo a parlare. Non smisi un attimo. Il Riccio mi aveva assicurato che potevamo rimanere più giorni a New York. Questo mi avrebbe permesso di fare un giro per la città. C'erano un sacco di cose che volevo vedere. L'aereo era il giorno dopo alle dieci di mattina a Bergamo. Quindi quella sera avrei dovuto preparare la valigia. Sarebbero state undici ore di volo. Non credevo di riuscire a dormire, sarei stata troppo agitata. New York City.

Quella sera arrivai a casa alle venti praticamente danzando mentre camminavo. Morgan era in cucina che cercava qualcosa nel frigo praticamente entrandoci per cercare qualche resto o qualcosa di già pronto. Fortuna che avevo fatto la spesa. Mi chiedevo come facesse ad essere ancora vivo quell'uomo. Non cucinava. Non faceva la spesa. Non puliva la casa. Bah...
Non era di buon umore e questo fatto si ripercuoteva sull'aria della casa, ma appena entrai dovetti portare con me una ventata di felicità perché tutto l'ambiente mi sembrò allegro.
- Ciao. Sono a casa. - Vide i miei sacchetti e ci si fiondò sopra. - Giù le zampe dalla mia spesa. -
- Ma... -
- Niente discussioni hahahaha. -
- Come mai quest'allegria? -
- Come mai questi musi lunghi? - Indugiai sul suo volto e nei suoi occhi. C'era una tristezza infinita in essi, come in quelli di Michael. Anche quando erano felici un velo di tristezza oscurava i loro occhi per i dolori e le delusioni della vita.
- Sai, le solite cose. -
- Ci sarebbe una cosa che dovrei dirti. -
- Non me lo dire. - Fece finta di essere un indovino - Tu e Michael vi siete lasciati -
- Cosa?! - lo guardai esterrefatta.
- Okay, forse no. Tua madre è morta? - azzardò.
- No, non ancora. -
- Allora... - assunse un'aria molto pensierosa.
Interruppi i suoi pensieri praticamente urlando. - SIAMO INVITATI A CASA DEI BOWIE! - Si girò verso di me e non disse una parola. Rimase a fissarmi e non capivo cosa passava per il suo cervello. Era in moto, questo era evidente: ma cosa pensava?
Dopo un po' riuscì a parlare. - Puoi ripetere scandendo le parole? -
- I-signori-Bowie-hanno-invitato-Michael-te-e-me-da-loro-per-cena-a-New-York-dopodomani. Il che significa che domani abbiamo l'aereo. Alle dieci a Bergamo. Spero tu abbia qualcosa di elegante da metterti. -
Continuò fissarmi stranito quindi andai a prendergli un bicchiere d'acqua e glielo porsi. Invece di bere l'acqua si rovesciò il bicchiere in testa bagnandosi tutto. Appoggiò il bicchiere sul piano cucina e andò verso camera sua. Sarebbe tornato dopo poco probabilmente. Così mi misi a preparare la cena canticchiando e usando un mestolo come microfono. Preparai gnocchi con burro e salvia e quando l'odore iniziò a spargersi arrivò Morgan.
Si sedette al tavolo e io mi misi di fronte a lui poggiando i piatti sul tavolo. Mangiò un paio di bocconi, ma poi non resistette - Qual'è il programma -
Glielo spiegai con cura e alla fine decidemmo che lui sarebbe tornato il giorno dopo la cena perché aveva un concerto. Eravamo entrambi felicissimi. Insomma, stavamo parlando di David Bowie perdindirindina!

Quella sera feci la valigia. Venti chili di bagaglio più un beauty. Alla fine la valigia non era nemmeno pienissima, ma c'era tutto quello che mi serviva. Andai a letto presto, mentre Morgan mise la tv su Discovery Channel e credo ci si addormentò davanti. I giorni successivi sarebbero stati i migliori della mia vita. Poi sarei dovuta tornare a scuola, ma non me ne preoccupavo. Le uniche parole che mi vagavano per la mente riguardavano Mika e il mondo che mi stava facendo scoprire e la felicità che mi dava. Con questi pensieri d'amore riuscii finalmente ad addormentarmi.

La mattina dopo alle sei camminavamo già per casa in cerca di qualcosa da fare e ricapitolando quello che dovevamo fare o prendere ad alta voce. 
Alle otto un clacson suonò sotto casa e noi scattammo come due gatti.
L'avventura cominciava.

ANGOLO SCRITTRICE: hei guyz! Allora, alla fine ci ho messo poco perché sto male e quindi sono a casa da scuola. La mia mente è piena di idee (il mal di testa fa bene all'Ispirazione). Ci sarà da divertirsi.
ILoveRainbows

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Capitolo 11
*** New York City ***


CAPITOLO 11
"Ladies and gentlemen, please fasten one's safety belts"
Non dormimmo.
Quasi non mangiammo (per quanto riguarda me e Morgan, infatti Mika si abbuffò).
Passammo entrambi il tempo ad ascoltare musica persi nella nostra mente.
Eravamo eccitatissimi, ma lo mostravamo in modo strano. Beh, a conti fatti infatti non eravamo normali.
Quando misi piede sul suolo americano inspirai profondamente l'aria piena di smog. Non ero mai stata oltreoceano. Quasi improvvisai un balletto sulla pista di atterraggio prima che Mika mi trascinasse via. Ora eravamo io e Morgan ad essere super-attivi e agitati mentre Mika era distrutto.
Faceva quasi paura a guardarlo e anche un po' ridere e tenerezza.
Dopo quasi un'ora riuscimmo a riappropiarci di tutti i nostri bagagli. Una volta nella hall notammo un uomo con cartello che diceva:
MR. PENNIMAN
MR. CASTOLDI
MS. GAUTHIER
Io e Morgan guardammo di sbieco Mika, che fece spallucce e si diresse da quella parte.
Venne fuori che la signora Bowie si era premurata di procurarci un autista per i giorni in cui saremmo stati lì.
Ci aiutò a portare i bagagli fuori fino a una Mercedes nera con finestrini oscurati. Stile polizieschi americani.
Mika gli diede un biglietto e l'autista ci partì in quarta.

L'albergo... Ommioddio! Non lo avevo mai visto di persona ovviamente, ma avevo sentito gente parlarne come dell'albergo dove tutti volevano alloggiare e che nessuno poteva permettersi.
Il Plaza.
Appena uscii dall'auto, con l'autista che la teneva la porta aperta, saltai al collo di Michael riempiendolo di baci "grazie grazie grazie"
Rideva. - Di nulla hahahaha. - anche Morgan guardava l'albergo incantato. - Su, andiamo. - Michael diede una mancia all'autista dicendo che lo avrebbe chiamato e poi ci facemmo aiutare da due facchini a portare le cose nella hall e poi in stanza.
L'edificio era immenso e meraviglioso. Aveva un'aria antica, ma non soffocante. Ed era maestoso. Metteva i brividi quasi.
Avevamo due stanze, una di fronte all'altra. Una per me e Mika e una per Morgan.
Noi avevamo una grande camera da letto. Una sala da pranzo e un bagno che sembrava grande come tutta la casa dove vivevo con mia madre. C'era una gigantesca vasca idromassaggio. La camera da letto era dominata da un imponente letto a baldacchino che la occupava in gran parte. Poi c'erano due armadi e delle giganti finestre.
Per quanto eccitata ero mi buttai sul letto vestita e Mika accanto a me. Il jet-lag si faceva sentire. Erano le 2 del pomeriggio (a NYC si intende).
Mi svegliai a causa di dei colpi insistenti alla porta. Mika dormiva ancora abbracciato a me quindi gli scostai gentilmente le braccia e andai ad aprire. Mi si parò davanti Morgan. - Ehilà piccioncini. Ci avete messo molto ad aprire. -
Lo guardai male probabilmente - ma tu non hai sonno? -
- In realtà sì. Ma devo abituarmi al fuso orario e anche voi che oltretutto dovete stare qui una settimana. Quindi, tutti a cena fuori - urlò.
- Shhhh. Michael sta dormendo. -
- Non per molto. - sfuggì al mio controllo entrando nella stanza.
- Alzarsi! - disse mentre si mise a fare il solletico a Mika. Non si sarebbe svegliato facilmente. Dormiva molto profondamente, infatti qualche secondo dopo Morgan ci rinunciò dicendomi che mi lasciava la patata bollente e iniziando a vagare per il piccolo appartamento.
Io mi misi sul letto e mi sdraiai accanto a Mika. Gli accarezzai il volto e i soffici capelli ribelli e gli bisbigliai nell'orecchio di svegliarsi con un altro paio di paroline e quasi subito si svegliò.
Morgan che tornò in quel momento in stanza si piazzò vicino allo stipite della porta e guardò male Mika. - Perché se ti chiamo io non ti svegli nemmeno con il solletico, mentre se ti chiama lei ti svegli dopo due parole? -
- She gives me sex - disse stiracchiandosi. Trattenni a stento le risate per la scena. Morgan aveva assunto uno sguardo scettico. - I can give sex too if you want. -
Io e Mika ci guardammo e scoppiammo e ridere.
- che c'è? I can! -
- Meglio se andiamo - dissi io ancora ridendo.
Appena io e Mika ci fummo sistemati un poco scendemmo al ristorante dell'albergo per mangiare. Non saremmo andati molto in giro quella sera. Eravamo distrutti.
Anche se eravamo abituati tutti al cibo italiano che era molto più particolare e raffinato di quello americano non mangiammo male, anzi.
Il pasto sembrava aver dato energia a Morgan che decise di uscire anche se noi rimenavamo in albergo e appena finì il secondo ci salutò uscendo dall'albergo diretto chissà dove.
Noi ordinammo anche una fetta di torta al cioccolato, la cosa più buona che avessi mai mangiato (dopo le lasagne), tant'è che finita quella fetta Mika ne ordinò un'altra e se la mangiò tutta da solo.
Finita la cena salimmo in camera e mentre Michael si buttò sul letto davanti alla tv io feci una doccia. O almeno così doveva essere all'inizio visto che a un certo punto entrò in bagno Mika che doveva prendere qualcosa nel beauty e io lo schizzai e finimmo a fare la doccia in due.
Alle 23 crollammo mezzi morti a letto con lui che mi abbracciava proteggendomi dai mostri della mia mente.

Toc... Toc... Toc...
No, non di nuovo, vi prego... No...
E invece sì. Ero quasi tentata di mandare Mika ad aprire la porta, ma alla fine mi alzai e andai a vedere chi era pur sapendolo perfettamente. Aprì la porta guardando in cagnesco chi mi si parò davanti. - Morgan -
- Che perspicace la ragazza. -
Alzai un sopracciglio. - Questo discorso sa di già fatto. -
- Già. Dobbiamo andare per negozi. - fece una faccia disgustata. - Non posso credere che lo sto dicendo. Comunque, non ho un vestito per stasera e devo comprarlo. -
- Okay - risposi io ancora mezza addormentata.
Alzò lo sguardo alle mie spalle - Ecco il principessino. -
Mika mi avvolse la vita in un abbraccio delicato da ieri. Sorrise a Morgan - Lasciaci mezz'ora. Poi andiamo dove vuoi. - Morgan provò a ribattere. - No, voglio stare da solo con la mia ragazza -
Detto questo sbatté la porta in faccia a Morgan. Da fuori sentimmo dire - Okay, mi trovate in camera mia a vedere porno... Ehm, scherzo, documentari sulla natura ovviamente. -
Sorridemmo mentre ci baciavamo appoggiati al muro.
La mezz'ora passò velocemente. Ci rendemmo presentabili per uscire, chiamammo il servizio in camera per la colazione e scherzammo un po'. Poi chiamammo Morgan che scese e uscimmo dove l'autista della Mercedes nera ci aspettava.
Andammo al Rockefeller Centre a cercare dei vestiti per Morgan e Mika si comprò un cappello con visiera con sopra disegnate delle barche.
Mangiammo in un ristorantino italiano. Si può dire che non eravamo resistiti molto. Beh, io e Mika avremmo avuto ancora qualche giorno per vivere la città.
Nel primo pomeriggio facemmo un salto in cima all'Empire State Building su richiesta di Morgan e ci rimanemmo per mezz'oretta godendoci la vista e l'aria più pulita di quella giù in basso in strada.
Alle sei eravamo in albergo. Alle sette e mezza dovevamo essere dai Bowie e ci voleva almeno mezz'ora per arrivarci, se non c'era traffico.
Dopo mezz'ora Morgan venne a bussare alla porta e noi lo cacciammo con un: Non siamo pronti!

- Mika. Qui. Aiutami. - Arrivò alle mie spalle e mi tirò su la cerniera del vestito accarezzandomi la schiena. Ridacchiai - non ora. -
- Okay. - Mi girai e lui mi guardò preoccupato. - Quale dei due? - In mano teneva due papillon. Uno era rosso, l'altro bianco a pois rossi. Valutai i suoi vestiti. Stringate nere. Pantaloni blu scuro, quasi nero, attillati (ma non troppo). Camicia bianco splendente. Giacca con la bandiera inglese disegnata sopra.
- Ehm... - li osservai ancora un attimo. - Quello tinta unita. -
- Ok. - provò a metterselo di fronte a me senza uno specchio, ma dopo un po' si arrese al fatto che senza un immagine di sé riflessa davanti non riusciva a fare il nodo. Stava per spostarsi, ma gli presi i lacci del farfallino e gli feci un fiocco perfetto scoccandogli un bacio sulle labbra una volta finito.
Misi i tacchi e indossai il soprabito che sembrava un cappotto dei soldati inglesi durante la grande guerra. Poi infilai un cappello rosa per staccare dalle tonalità scure che stavo usando.
Eravamo pronti. Mi spruzzai un po' di profumo alla lavanda e uscimmo a braccetto.
Giù nella hall incontrammo Morgan vestito con un semplice completo nero e un cappello come al solito calato sugli occhi. Poi fuori in strada trovammo la solita Mercedes nera ad aspettarci.
Durante tutto il viaggio osservai New York passarmi accanto. I grattaceli si stagliavano nel cielo sovrastando le strade che venivano comunque illuminate dalla luce del sole che si rifletteva sulle pareti vetrate di questi. Per le strade, mandrie di persone camminavano velocemente incuranti di quello che accadeva intorno a loro se non li riguardava personalmente. Queste mandrie erano composte da persone di ogni razza, età, ceto sociale. C'erano banchieri vicino ad artisti di strada, ricchi imprenditori accanto a mendicanti. Visto da fuori sembrava un circo caotico e sempre in movimento.
Passando per Broadway vidi alcune giovani attrici che provavano per la strada e per i vicoli laterali, mentre altre litigavano con registi o ballerini per una parte non ottenuta o un amore finito male. Lungo la strada gli attori veterani vestiti in modo eccentrico, con pellicciotti, bastoni da signore, baschi e orologi da taschino camminavano verso le auto o la metropolitana. Avrei visto bene Mika lì in mezzo.
Ogni tanto si sentiva una sirena in lontananza e si potevano vedere gli autisti di tutte le vetture girarsi per cercare di capire da dove proveniva il suono e se potevano a guidare tranquilli. Le macchine gialle invadevano le strade facendo stizzire gli automobilisti di auto private o gli autisti di gente ricca (il nostro autista ad esempio) che tirando giù i finestrini gli urlavano di muoversi. Sempre facendo attenzione a qualche spericolato ciclista che rischiava la vista facendosi largo sulle strade a cinque corsie di Manhattan.
Ero così presa da tutto questo che quasi non mi accorsi che eravamo arrivati. Ci trovavamo difronte a una villa di modeste dimensioni circondata da un alto cancello e sistemi di controllo. Il giardino era ben curato e le piante erano evidentemente potate regolarmente. Entrammo nel giardino con l'auto attraverso una strada sterrata e ci fermammo proprio davanti all'entrata dell'edificio dove i signori Bowie ci aspettavano salutandoci.

NOTA SCRITTRICE: allora, eccomi qui con un nuovo capitolo. Volevo pubblicarlo il giorno di San Valentino, ma è da poco passata la mezzanotte quindi ho sforato. Volevo portare un po' di felicità a chi non ha un fidanzato (evitiamo l'argomento che è meglio). So che il capitolo non è molto lungo, perdonatemi.
Volevo farvi una domanda tecnica per migliorarmi. Per esempio: in questo capitolo non è successo molto. Ci sono diverse descrizioni e un paio di scene che però non sono essenziali per il racconto. Preferite se continuo così o se faccio le descrizioni più corte e magari arrivo prima al nocciolo della situazione?
Fatemi sapere e a presto
ILoveRainbows

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Capitolo 12
*** A Special Dinner ***


CAPITOLO 12

Scendendo offrii a Mika e a tutti gli altri un sorriso a trentadue denti. David e Iman ci vennero incontro sorridendo anche loro.
- Finalmente ci rivediamo, Uomo Dello Spazio. - disse Mika a David staccandosi da me per tendergli la mano. Aveva indosso una camicia bianca molto aperta sul davanti che lasciava scoperto buona parte del torace, un paio di pantaloni neri parecchio attillati, che mettevano in risalto il fisico che era quasi quello di una volta e anche qualcos'altro, e un paio di mocassini. Girandomi vidi Morgan che lo guardava leggermente imbambolato passandolo ai raggi X.
- Bambino! - disse David a Mika. Non era un'affermazione, quanto un nomignolo, un saluto. - Oh, vieni qui. - Si abbracciarono e sentii David dire – É bello rivederti. -
- Anche per me. -
Poi si staccarono e Mika salutò Iman. - Più bella ogni volta che ti vedo. - disse facendole il baciamano. Indossava un vestito di paillette bianco lungo fino al ginocchio. Anche lei, come me lo aveva abbinato a un tacco.
- Sisi, basta effusioni. O io e la tua fidanzata ci ingelosiremo. - disse scherzando David. Mika si allontanò di un passo sorridendo per tornare al mio fianco e avvolgendomi i fianchi con un braccio.
- Questa è la famosa Clara immagino. - disse David guardandomi. – La ragazza che ti ha fatto perdere la testa -
Sia Mika che io arrossimmo un po'.
- Esatto. Clara, David Bowie. David, Clara Gauthier. - disse presentandoci.
David mi porse la mano. - Molto piacere, Signor Bowie. - dissi perdendomi per qualche istante nei suoi occhi. Erano alcuni dei più belli che avessi mai visto. Non avevano un colore preciso ed erano pieni di pagliette di colori ancora meno definiti. Poi mi riscossi. Sorrisi inebetita e al mio lato vidi Mika farsi leggermente più rigido, ma senza realmente preoccuparsi.
- Il piacere e tutto mio e chiamami Dave. - disse facendomi un sorriso strano, d'intesa. Sentivo che sarei andata molto d'accordo con lui.
Poi strinsi la mano a Iman salutandola.
Infine fu il turno di Morgan, che per tutto il tempo aveva fissato Dave con la bava alla bocca, di essere presentato. Al suo più grande idolo. So come si sentiva. Aveva un sorriso storto in faccia e lo sguardo perso chissà dove. Sembrava fatto e conoscendolo lo avrebbe anche potuto essere, ma sapevo anche per certo che in quel momento non lo era.
- È un piacere signor Bowie, un vero piacere. - disse sheakerandogli la mano, con un sorriso che andava da un orecchio ad un altro.
- Anche per me. Mika mi ha parlato molto di lei. - gli rispose sorridendogli e guardandolo in modo curioso. Morgan –non era da lui- arrossì.
Nel complesso eravamo un gruppo vario e vestito in modo strano. Ognuno sembrava pronto per andare in un posto diverso: io ero pronta per gli Oscar, Mika per una festa in maschera, Morgan per un funerale (se non fosse stato per lo sguardo che aveva quando guardava Dave), Iman era l'unica pronta per una cena. Dave, beh... Era David Bowie, avrebbe potuto andare ovunque.
Mika credo si fosse accorto un po' di come lo guardavo, ma non aveva di che preoccuparsi.
In casa un maggiordomo prese le nostre giacche per metterle in un armadio e noi andammo in sala da pranzo.
Era una casa abbastanza sfarzosa. Sembrava quasi di stare in una reggia. Per terra c'erano degli arazzi e appesi alle parete quadri di probabile inestimabile valore. La sala da pranzo era dominata da un camino e un gigantesco tavolo che stava al centro. Sembrava essere fatto di legno di mogano, come le sedie. Era coperto da una tovaglia bianca ed apparecchiato per cinque, ma una parte del tavolo rimaneva libera. Nel camino bruciava un po' di legno che rendeva la stanza più accogliente e abitabile, dopotutto era una sera di marzo, non di luglio, faceva freschetto.
Ci sedemmo a tavola e io mi trovavo accanto a Mika che si trovava alla sinistra di Dave che stava a capotavola. Alla sua destra c'era sua moglie Iman e alla destra di lei, di fronte a me, Morgan. Forse detto così può confondere un po'. Ma non è essenziale capire.
Il maggiordomo di prima arrivò quasi subito portando un antipasto di tartine e champagne. Inizialmente chiacchierarono quasi solo il Riccio e l'Uomo dello Spazio. Poi Dave disse una cosa che mi colse impreparata. - Lo sapete che siete su tutti i giornali e siti di gossip? -
Strabuzzai gli occhi e se ne accorse perché continuò. - L'altro giorno a Milano. Quando siete scappati dalla folla dopo che qualcuno aveva fatto cadere Clara. Tutti vogliono sapere chi è lei. - disse indicandomi con un segno della testa. Sentii Morgan che cercava di soffocare una risata mangiando una tartina alle olive. Ovviamente si soffocò e iniziò a tossire. Dave lo guardò male, poi contiuò: - Comunque non dovete preoccuparvi. Sono soprattutto curiosi. Non l'hanno ancora insultata più di tanto. Aspettate qualche giorno. -
- Papà! Papà! È vero che Mika e la sua fidanzata sono qui? - una ragazza di circa tredici anni precipitò nella stanza. Era vestita normalmente. T-shirt e jeans abbinate a un paio di ciabatte. Si vedeva che non aveva in programma di uscire, poi pensai alla sua età e no, non aveva sicuramente intenzione di uscire.
- Lexi, quante volte ti ho chiesto di lasciarci in pace stasera? - Disse Dave un po' sconsolato, ma non proprio arrabbiato. Era comunque felice che sua figlia fosse lì e per qualche istante mi ricordò mio padre.
- Ti giuro che gli chiedo solo un autografo e me ne vado. - Si avvicinò a Mika emozionata stringendo "Origin Of Love" e una penna in mano. Glieli porse e Mika le sorrise. Il resto del gruppo delle persone era quasi in un momento di stasi che osservava la scena. Quando Mika glielo ridiede lei gli sorrise come un ebete. Lo stesso sorriso che dovevo avere io la prima volta che l'avevo visto. Lexi stava per andarsene e Mika si girò a scambiare uno sguardo con me e lei mi vide. Inizialmente mi guardò con diffidenza, ma poi mi sorrise e mi chiese l'autografo. Il mio primo autografo. Stavo firmando quando Dave disse. - Lexi, non scrivere niente di questo su internet. Soprattutto su Clara. Capito? -
- Capito - disse lei sorridendo. - Piacere di avervi conosciuti Mika e Clara, buona fortuna. - Se ne stava andando quando Mika la fermò. - Se vuoi puoi fermarti a venare con noi. Se per tuo padre e tua madre va bene. -
Lei si fermò e guardò Dave che disse semplicemente. - Se a voi non dà fastidio, okay. -
Venne verso di me per sedersi sulla sedia accanto alla mia. Morgan, che si presentò allungando il braccio dall'altra parte del tavolo, rischiò di far cadere tutto quello che c'era in mezzo. Lexi lo guardò incuriosita da quel figuro con i capelli da pazzo e dall'aria felice.
Si tolse le ciabatte e incrociò le gambe sulla sedia accanto a me. La cena ricominciò e ci portarono della pasta con zucchine e salmone, apparecchiando anche per Lexi. A quel punto chiacchierammo del più e del meno. Di musica soprattutto, ma anche dei progetti vicini delle varie persone. Niente di ché.
Per tutto il tempo mi sentii osservata. Da Lexi. Sembrava molto curiosa di sapere com'ero. Speravo veramente non scrivesse niente su social networks o altro.
Dopo un po' iniziò a far conversazione in inglese con Morgan che cercava in ogni modo di scoprire qualcosa su Dave in modi subdoli. Le insegnò anche qualche parola di italiano come: ciao, grazie, musica. Le fece anche ascoltare alcune canzoni, e non volli indagare su che canzoni le fece ascoltare. Speravo solo non fossero vietate ai minori di diciotto anni.
Alla fine della cena, quando eravamo ancora seduti a tavola, Mika, Morgan e Dave si misero a parlare di una canzone di Dave che stava producendo e io approfittai del momento per fare conversazione con Lexi, visto che Iman si era allontanata un attimo e non volevo farla sentire esclusa.
- Allora, vai alle medie? - chiesi girandomi verso di lei.
- Sì. -
- E dopo? Cosa ti piacerebbe fare? -
- Non so. Non sono ancora sicura. Pensavo a economia. -
Mika, che evidentemente l'aveva sentita, si girò verso di noi avvolgendomi un attimo la vita alla ricerca di contatto fisico. - Non farlo, fidati, non farlo. - le disse. Per poi darmi un veloce bacio alla base del collo e rigirarsi a chiacchierare con gli altri due.
Lexi mi guardò interrogativa. - Ha avuto una brutta esperienza con la London School Of Economics. - spiegai.
- Uh - disse - capisco. Invece è lì che mi piacerebbe andare. -
- Lui non ha retto più di un giorno. - dissi ridacchiando sotto i baffi - Comunque è un ottima scuola. Un sacco di gente è uscita da lì. -
- Già. Il Presidente Kennedy, Margherita II di Danimarca, e Mick Jagger! - Disse entusiasta.
- Lo conosci? - chiesi io.
- Chi? Mick? -
Annuii.
- Non proprio. L'ho incontrato alcune volte quando viene a trovare mio padre, ma di solito se c'è lui mi fa girare al largo. Chissà perché. -
Pensai che se anch'io avessi avuto una figlia la avrei fatta stare lontana da Mick Jagger. Vabbé che poi suo padre era David Bowie, ma queste sono dettagli.
- Posso farti io una domanda, ora? - chiese lei.
- Va bene. Vedrò se posso risponderti. - dissi io afferrando la palla al balzo, ma pronta a lasciarla se la domanda non mi fosse piaciuta.
- Com'è essere la fidanzata di Mika? -
- Prometti che non dirai niente in giro? - chiesi io per essere sicura del suo silenzio.
- Posso giurarlo. Sembrate felici insieme, non vorrei rovinare quello che avete. - e nei suoi occhi vidi che lo intendeva davvero, anche se le sarebbe piaciuto essere al mio posto.
Annuii soddisfatta, quella ragazzina era più matura di molte alla sua età. Beh, ascoltava Mika e suo padre era David Bowie, era normale.
Mi girai un attimo a guardare la mia anima gemella. Non si era accorto che lo guardavo e discuteva con allegria con gli altri due uomini. Feci scorrere lo sguardo dai suoi capelli ricci, i suoi fantastici, morbidi, meravigliosi capelli ricci e spettinati lungo il collo e la schiena per poi fermarmi sulle mani. Quelle perfette mani che sapevano toccarmi nei punti giusti per farmi sentire viva e che riuscivano a trasmettere milioni di sentimenti scorrendo veloci sui tasti di un pianoforte.
Mi rigirai verso Lexi e risposi lentamente - Essere la sua fidanzata è la cosa più meravigliosa e terrificante del mondo. Mika è capace di cambiare umore ogni tre secondi senza ragione così che non capisci più se sia serio o stia scherzando. È capace di farti sentire la persona più amata del mondo con un semplice sguardo fra la folla. Può sembrare un folle a volte, e in effetti lo è, e questa follia ti contagia portandoti a fare cose che non immaginavi di fare mai. È capace di farsi dire di sì a tutto semplicemente con uno sguardo e può farti perdere la pazienza nello stesso tempo che ci impiega un bambino di cinque anni che fa i capricci. Può farti dimenticare qualunque e dico qualunque cosa con un lieve bacio sulle labbra. A volte può essere pesante con le sue pretese, le sue idee pazze, le sue manie, ma è lui. E se si tratta di lui non posso fare a meno di sorridere perché mi fa sentire ciò che nessun altro mi aveva fatto provare. A essergli vicino si finisce per dipendere completamente da lui e si pensa che senza di lui non si saprebbe più vivere dopo che è entrato nella tua vita e l'ha stravolta. - finii soprappensiero e mi accorsi che Lexi mi guardava incuriosita e un po' confusa. Forse era un discorso complicato.
- È fantastico. Sei fortunata. - disse semplicemente mentre vedevo le rotelle della sua mente al lavoro.
- Hai ragione, lo sono. -
In quel momento tornò Iman - Su, Lexi. Ora di andare a letto. Lasciaci da soli. -
Sembrò un po' dispiaciuta, ma non protestò. Si alzò e mi tese la mano. - È stato un piacere conoscerti. -
- Anche per me. - dissi ricambiando la stretta energica con un sorriso.
Poi andò da Mika che la salutò con un abbraccio e augurandole una buona notte. Infine salutò Morgan che si alzò in piedi e le fece un inchino, come la prima volta che ci eravamo incontrati, e si avviò per le scale felice.
Quando se ne fu andata Dave propose di spostarci in soggiorno, saremmo stati più comodi. Ci alzammo e ci avviammo verso il soggiorno. Morgan alzandosi inciampò in un arazzo, ma Dave lo prese prontamente. Si guardarono per un istante interminabile negli occhi e poi Dave si girò come se niente fosse, incamminandosi verso il salotto. Io e Mika eravamo rimasti un paio di passi indietro e prima di uscire dalla stanza il Riccio si fermò e si girò verso di me stringendomi a sé dandomi un lungo bacio mordicchiandomi il labbro inferiore e attorcigliando la sua lingua con la mia.
- Per che cos'era? - chiesi sorridendo sulle sue labbra.
- Per il semplice fatto che ti amo e per quello che hai detto prima. Per nessun altro motivo. -
- Anch'io ti amo. Ora andiamo però. - dissi staccandomi dalle sue labbra morbide.
Arrivando in soggiorno notammo che Iman era scomparsa di nuovo e Dave si accorse che ci chiedevamo dov'era perché ci disse - Deve fare qualche telefonata all'estero. Ha chiesto di scusarla, ma non può veramente rimandare. -
Mika si buttò sul divano - Nessun problema. A patto che dopo venga a salutarci. -
- Ovvio - disse Dave cercando di prendere in mano quattro bicchieri. Mi alzai da vicino a Mika e andai ad aiutarlo. - Grazie -
- Di nulla - dissi sorridendo. Io lo portai a Mika e Dave a Morgan. Mentre stava dando il bicchiere a Morgan qualcuno precipitò nella stanza.
Irrompendo nella stanza esclamò - È vero quello che ho sentito? La nuova star mondiale è in questo soggiorno? -
Non riconobbi subito la voce, ma sicuramente riconobbi la figura esile che entrò dalla porta.

 



 

 

Trent'anni a quel punto erano una buona aspettativa di vita. Probabilmente sarei morta prima. Di infarto molto, troppo precoce. O di troppa adrenalina in circolazione nel sangue. Dovevo ricordarmi di aggiungere un'altra persona alla lista di persone famose incontrate

- Mika
- Morgan
- David Bowie

E...
 

- Mick Jagger


Quando lo vidi entrare dalla porta il mio cervello andò in pappa.

 

 

 

 

 

 

 

La prima cosa che notò erano Dave e Morgan. Quando Mick era entrato nella stanza Dave si trovava in piedi davanti a Morgan e si era fermato lì, a pochi centimetri da Morgan che gli guardava il pacco insistentemente. Distorse il naso probabilmente pensando che se un uomo avesse avuto Dave sarebbe stato lui e non qualche novellino.

Era uno stecco, come Mika, ma non alto come lui. Indossava una maglietta aderente alla Freddie Mercury con un paio di jeans anch'essi attillati. Era quasi come non avesse nessuno dei due perché le forme del suo corpo erano perfettamente visibili. Sopra la maglia aveva una giacca a ghirigori.
Per prima si avvicinò al mio fidanzato. - È un piacere conoscerti Mika. -
- Piacere tutto mio - gli rispose lui con aria un po' trasognata. Si vedeva che lo ammirava. E beh, era un bell'uomo e ora ero io ad essere leggermente gelosa.
- Ovvio. Hahahaha - ricordava un po' Mr. Modestia Morgan. - Così, vedo che abbiamo un comune amico - disse alludendo a Dave.
- Benebenebene - poi fece un inchino a me e baciandomi la mano. Quel soggiorno era pieno di testosterone, un po' troppo. - È un piacere... -
- Clara. - dissi finendo la frase.
- Clara. Bel nome. - disse sorridendo.
Era felice di qualcosa, ma non avevo idea che cosa potesse essere.
Poi salutò Morgan in modo più freddo. Si lanciarono uno sguardo di sfida. Volevano entrambi la stessa cosa... Dave.
Sembravano tutti bisex in quel momento, e qualcosa mi disse che effettivamente lo erano.
Dopo le presentazioni che si vedeva che Mick avrebbe evitato volentieri si riscosse da un momento in cui era perso tra i suoi pensieri. - Dave - esclamò girando su se stesso. - Ci sono! -
Dave lo guardò un attimo confuso, ma poi potei quasi vedere una lampadina che gli si accendeva sopra la testa come nei fumetti. - Sul serio? - urlò. Si abbracciarono felici come due amici, anche se una volta erano stati altro.
Non capivo di che stessero parlando, ma sembrava avessero scoperto l'acqua calda.
Dave si precipitò al pianoforte e iniziò a suonare un motivetto che non avevo mai sentito. Sopra di lui si mise a cantare Mick.
 

Don't cry for him baby

He doesn't deserve you

You can be a star if you want

The brighter star of the sky

You can rise above it all

 

Dave finì con un sol e sorrise. - Fantastico - ce l'abbiamo fatta.
- Ce l'ho fatta. - disse Mick saccente.
- Sisi va bene... Ma ce l'abbiamo fatta. Ed è venuta fuori stupenda! -
Mika non si trattenne - Cos'è? -
- Ah già. Scusate per la scortesia. Io e Mick stiamo lavorando su un duetto e ci mancava un ritornello. Per questo si è precipitato qui. Ci eravamo dietro da giorni. Scusate di nuovo. -
- Accetterò le vostre scuse, ma in cambio voglio la canzone in anteprima. -
L'Uomo Dello Spazio e il frontman di una delle band più famose della storia si sedettero davanti al pianoforte alternandosi le strofe mentre Dave muoveva veloce le dita sul pianoforte. Era una canzone melodiosa, non proprio nel loro stile anche se si vedeva la loro firma. Mika mi abbracciò da dietro cullandomi leggermente mentre assaporava note e parole. Sentire il suo calore sul mio corpo mi faceva sentire bene, protetta. Era come se fossi su un altro pianeta dove c'eravamo solo io, lui e la musica.


Don't weep

Don't let him see your tears

'Cos he doesn't deserve your sadness

 

You have to be strong

Let him see that

Let him see that you live good without him

You have to be the best version of you

 

Don't cry for him baby

He doesn't deserve you

You can be a star if you want

The brightest star of the sky

You can rise above it all

 

Cantarono due volte il ritornello e finirono ridendo. Mika si unì a loro e la sua risata mi fece sentire come un bambino che apre gli occhi per la prima volta e vede il mondo meraviglioso che c'è intorno a lui.
- Bellissima - dissi io un po' soprappensiero. Mi era venuta in mente una cosa, un'avventura diciamo spiacevole che avevo avuto all'inizio del liceo. Ma questa è un'altra storia. - Parole meravigliose. Ritmo fantastico e non vado avanti. -
- Appoggio in pieno. - disse Morgan guardandoli mentre si divertivano. Beh, guardava soprattutto Dave. Una parte specifica di Dave.
Se continuavamo così rischiavamo di finire a fare un'orgia.
- Okay bambino. - Disse Dave improvvisamente serio rivolgendosi a Michael (il mio Michael). - Fai sentire al mio amico di che pasta sei fatto. - e lanciò uno sguardo malizioso a Mick. Sembrava cosciente che sia lui che Morgan ci stavano provando con lui e voleva farli penare. Mick era comunque in vantaggio rispetto a Morgan e quest'ultimo se ne rendeva conto perché gli altri due erano molto affiatati e si erano scambiati qualche abbraccio durante i quali avrei giurato di aver sentito Morgan ringhiare.
- Vieni Clara - mi incitò il Riccio andando verso il pianoforte dove un attimo prima c'erano seduti Mick e Dave.
Capii che voleva che cantassi con lui. Quando stavamo per partire non volava più una mosca e noi non ci eravamo più scambiati parola, completamente assorti. Bastò un'occhiata per sapere cosa avremmo suonato.
Sentii le prime note suonare dolcemente e poi iniziai a cantare.


Is it really necessary

Every single day

You're making me more ordinary

In every possible way


Mi diede il cambio con la strofa successiva e la sua voce mi fece sciogliere.
 

This ordinary mind is broken

You did it and you don't even know

You're leaving me with words unspoken

You better get back 'cause I'm ready for
 

Poi cantammo insieme il ritornello guardandoci negli occhi e sorridendo.
 

More than this

Whatever it is

Baby, I hate days like this

 

Caught in a trap

I can't look back

Baby I hate days like this

 

When it rain and rain and rain and rains

When it rain and rain and rain and rains

When it rain and rain and rain and rains

When it rain and rain and rain and rains

 

More than this

Baby I hate days like...

 

Cantammo tutta la canzone in sintonia perfetta. Sembrava che la provassimo da anni, ma in realtà la avevamo suonata solo poche volte prima di allora.
Alla fine non feci in tempo ad accorgermene che mi ritrovai le sue labbra sulle mie, incurante degli sguardi altrui.
Gli altri sorrisero e vidi distintamente Morgan che lanciava uno sguardo... Malinconico... Si credo che malinconico sia il termine adatto; in direzione di Dave.
Mick da parte sua aveva osato un po' di più stringendo la mano sinistra a Dave e provocandogli un sorrisetto e uno sguardo di sfuggita in sua direzione. Quella stanza era una bomba a orologeria.
- Ah bene, molto bene - esclamò Morgan al suo solito. - Ora è il mio turno -
- Il pianoforte è tutto tuo - gli rispose Dave con sguardo malizioso che fece irritare Mick che staccò la propria mano dalla sua.
Morgan buttò giù in un sorso il whisky dal bicchierino che aveva in mano e si diresse a passo sicuro verso il pianoforte.
Dave ebbe uno scatto e si spostò da accanto a Mick per andare a sedersi anche lui al pianoforte.
Pensò un attimo e poi riconobbi le note e le parole di "Non Arrossire" di Gaber.  Forse era il pezzo più adatto per l’occasione. E... La cantava in inglese. Chissà se la traduceva sul momento o se ci aveva già pensato... Smisi di pormi questi problemi e mi godetti la canzone.


No, don't blush

When I look at you,

But stop your heart

That's trembling for me,

Do not fear

To give me a kiss,

But stay beside me

And chase the fears

 

Our love

Could never die

Hold me tight

And let it go

No, don't fear

Don't linger

It can't hurt

If love is pure

 

No, don't blush

When I look at you

But stop your heart

That's trembling for me

 

La sua voce era così diversa da quella di Mika. Era rovinata dal fumo e dalla droga ed era roca, quasi fastidiosa, ma sapevo bene che una volta ascoltata una sua canzone, per quanto possa essere fastidiosa la voce, non si riusciva più a smettere di ascoltarlo. Ci ero passata.
Durante tutta il pezzo guardò Dave, che ricambiò sorridendo e facendo innervosire Mick. Quando finì ricevette un abbraccio dal suo idolo lo vidi sciogliersi, metaforicamente parlando, sulla sedia.
Applaudii procurandomi uno sguardo di fuoco da parte di Mika e Mick. Volevano sicuramente essere al posto di Morgan.
Poi iniziai a ridere per la situazione. Quei quattro erano davvero impossibili. Sono sicura che se me ne fossi andata qualcuno sarebbe finito all'ospedale, se non peggio.
Andai a riempirmi di nuovo il bicchiere, ma adocchiai una bottiglia di "Single Malt Scotch" che era molto più nel mio stile.
Mick propose di andare a fare un giro in auto, ma miracolosamente riuscii a far desistere quattro uomini già brilli dal prendere un auto e correre per New York in piena notte.
Allora ripiegarono su un altro bicchiere di Whisky.

ANGOLO SCRITTRICE: hei! Allora, mi scuso subito per tutto il tempo che ci ho messo a pubblicare. È una settimana quasi che ci lavoro sopra e spero sia venuto un lavoro passabile. Vorrei approfittare di questo capitolo un po' speciale per ringraziare tutti. Sicuramente tutti i recensori e i lettori silenziosi che però seguono le avventure e i mezzi infarti di Clara. Poi vorrei ringraziare alcune persone che mi sopportano durante le mie sclerate o i miei farneticamenti, quando mi viene un'idea e inizio a parlare da sola dicendo cose senza senso nel bel mezzo di una conversazione. In particolare un grazie speciale va a Nicole e Chiara.
Un ringraziamento più che speciale va a RainAndFire, che mi aiuta quando mi fermo o mi serve un suggerimento, e molto altro che non può essere detto. Il pubblico non può vedere tutto (come direbbe Morgan).
Devo ammettere che in questo momento sono un po' bloccata su come finisce la serata. Quindi se avete idee scrivetemele in chat, così da evitare spoiler.
Ancora grazie a tutti
ILoveRainbows

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Capitolo 13
*** Back to Italy ***


CAPITOLO 13
Non finirò mai di ripeterlo, ma Morgan era la persona più logorroica del mondo, beh, insieme a Mick.
Dopo poco che ci eravamo seduti di nuovo sul divano a chiacchierare era tornata Iman. Aveva l'aria molto stanca e aveva bisbigliato un paio di parole nell'orecchio del marito, il cui viso si era rabbuiato per qualche istante, ma poi era tornato allegro.
Iman aveva detto che si scusava, ma era stanca e sarebbe andata a letto. Aveva salutato tutti e poi aveva dato un lungo bacio a suo marito. In quel momento avevo notato Mick e Morgan, che per loro sfortuna erano seduti vicini, darsi la mano e fare pace.
Baciando Iman Dave aveva voluto infrangere le loro speranze, questo fatto li aveva portati a firmare un trattato di pace e ora chiacchieravano amabilmente fra di loro come due vecchi amici.
Io ero seduta fra Mika e Dave e facevo conversazione con quest'ultimo e ogni tanto Michael interveniva.
- Com'è essere David Bowie? - chiesi a un certo punto.
Prima che potesse rispondere Mika si intromise - A me non l'hai mai chiesto. -
- Non serve. - risposi guardandolo con amore. - Condivido la tua vita, e spero di poterlo fare per sempre. -
- Non la condividi da tanto. - disse guadagnandosi un pungo sulla spalla - ma finché lo vorrai potrai farlo, te l'ho detto. - aggiunse.
Mi rigirai verso Dave - Scusa. So che è una domanda che ti avranno fatto in molti, però boh, mi piacerebbe sentirlo. -
- Da pazzi - rise - cioè, la tua vita è un inferno. Tour, concerti di beneficenza, comparse a serate importanti. L'altra faccia della medaglia è il fatto che David Bowie è David Bowie. Una persona famosa rispettata sia dai suoi fan che da chi non lo è. Non sarò mai ai livelli di John Lennon o Freddie Mercury, ma sono comunque David Bowie, e mi piace, mi piace chi sono diventato. -
Lo guardai un po' indignata. - Tu sei al pari di John Lennon e Freddie Mercury. Tu fai parte dei grandi, come loro, come Elvis Presley, come Jimi Hendrix. Fate tutti parte dei grandi, di quegli uomini che hanno cambiato anche il modo di pensare, di vivere, non solo la musica. -
Mi sorrise riconoscente, silenzioso. Speravo di passare tante altre serate in sua compagnia ora che stavo con Mika. Era un uomo fantastico.
Mi sdraiai all'indietro poggiandomi sul grembo di Mika. Il sonno iniziava a farsi sentire, ma non intendevo cedere, solo prendermi una pausa. Socchiusi gli occhi e Mika si chinò a darmi un bacio per poi accarezzarmi i capelli. Vidi chiaramente un sorriso increspare le labbra di Dave a guardarci. Ero un po' stordita dall'alcool e Mika e Dave iniziarono a chiacchierare sulla canzone che quest'ultimo stava producendo con Mick. Com'era nata l'idea, come mai una canzone così diversa dal loro stile.
Li ascoltai, ma la loro voce proveniva da lontano, soprattutto quella di Dave. Girai la testa e guardai Mika. Amavo guardarlo, quando parlava. Il modo con cui farneticava delle cose che amava, il modo di gesticolare... Ah, non dimentichiamoci della voce. Dolcissima, da diabete. Armoniosa come poche. Acuta, ma virile. Quando cantava poteva essere potente come un'onda che si frastaglia sugli scogli o delicato come un ruscello in mezzo al bosco. Al suono della sua voce mi assopii.

I give her all my love

That's all I do

And if you saw my love

You'd love her too

I love her


She gives me everything

And tenderly

The kiss my lover brings

She brings to me

And I love her


Ammetto che per un certo periodo avevo usato quella canzone come sveglia e ammetto anche che per qualche istante temetti che tutto quello che avevo vissuto era un sogno... Poi, per fortuna, constatai che non lo era. Vidi la faccia di Mika sorridermi felice e sentii le sue labbra sulle mie.
- Bentornata fra noi Donna Dei Sogni - Disse Mick con fare paterno. Ripeto, MICK JAGGER CON FARE PATERNO. Chi lo avrebbe mai detto? - Tutto bene? -
Mi misi seduta ancora un po' scombussolata. - Sì. Scusatemi un mondo. Non so che mi sia successo. -
- Devi aver mandato giù un bicchierino di troppo, che mischiato al sonno ti ha fatto andare K.O. - intervenne Mika.
Mi accorsi dell'assenza di Morgan e Dave. - Sono usciti a portare a spasso Archi, il cane di Dave - intervenne Mick leggendomi nella mente.
Dave aveva un cane?! Wow! Cose strane che si scoprono.
- Okay. - la testa pulsava un po'. E sì che non mi ero ubriacata e di solito reggevo più che bene l'alcool, forse anche un po' troppo. Mi ridistesi un attimo chiudendo gli occhi e poggiandomi una mano sulla fronte.
Sentii Mick allontanarsi e qualche istante dopo tornò con un bicchiere d'acqua e delle pastiglie. - Tachipirina - disse.
Annuii e buttai giù una pastiglia con un po' di acqua. Rimanemmo lì un po', a goderci il silenzio, senza imbarazzo, ma ognuno perso nei propri pensieri.
Dopo un tempo che sembrò infinito Dave e Morgan fecero il loro ingresso nel soggiorno, senza cane. Iniziavo a sospettare che quest'ultimo fosse solo una leggenda.
Ridevano come due pazzi a chissà quale battuta.
- Noi andiamo - disse Mika.
Ormai erano le tre, non proprio prestino. Almeno il mal di testa era passato e ora stavo bene.
Notai che eravamo tutti sobri, beh, a parte Morgan e Dave, e non volli indagare.
Mick sarebbe rimasto lì ancora un po' a parlare di lavoro. Quindi noi salutammo tutti. Mick mi diede il suo biglietto da visita dicendo di chiamarlo caso di problemi. Invece Dave scarabocchiò il suo numero su un foglio di carta dicendomi di chiamarmi se avevo problemi, ma anche se avevo voglia di fare due chiacchiere o chiedere consigli. Qualsiasi cosa.
Morgan, che era un po' alticcio salutò Dave molto calorosamente. E Dave ricambiò. Sembrava che Morgan nonostante tutto non ci avesse rinunciato. Si abbracciarono guardandosi con fare malizioso e credo di aver visto le mani di entrambi scendere verso il fondoschiena dell'altro; ma come ho detto in precedenza, non volevo sapere quello che era successo fra i due. Anche perché sarei finita nel fuoco incrociato di Mick e Morgan, e non era una posizione comoda.
Mika salutò Mick e Dave con allegria. Nonostante l'ora tarda sembrava pieno di energia. Strinse la mano a Mick e strinse Dave in un abbraccio, come due vecchi amici.
Fuori la solita Mercedes nera ci aspettava con autista. Mika mi aprì la porta ed entrai; poi salii anche lui. Mi abbracciò con affetto, e devo dire che in quel momento ero tutt'altro che stanca.
Le luci della città di notte mi passarono davanti veloci. Che diversa New York da Milano. Erano le tre di notte passate e sembravano le tre del pomeriggio. La gente camminava per le strade di Manhattan senza problemi e... C'era gente che faceva la spesa. Normalmente anch'io soffrivo d'insonnia. Quella sarebbe decisamente stata la mia città ideale.
Quando arrivammo all'albergo Mika di nuovo mi tenne la porta aperta. Salutammo l'autista e insieme a Morgan entrammo nell'imponente palazzo che trasudava magnificenza.
Il bar era ancora aperto e persone vestite elegantemente erano sedute sui divanetti dispersi per la stanza o al piano bar che facevano conversazione con il barista mentre quest'ultimo preparava cocktail. Devo dire che mi sembravano tanto gli anni venti.
Poi una voce si intromise fra i miei pensieri - Mi fermo un po' qui. - Morgan ovviamente. Indicava il piano bar anche se aveva l'aria stanca. Mika annuì e gli augurò buona notte dicendogli di non ubriacarsi troppo e lui si avviò strascicando i piedi verso l'alcool. Guardai Mika - vado un attimo da lui. Poi ti raggiungo su - avevo uno sguardo malizioso negli occhi e se ne accorse perché lo ricambiò.
- Non vedo l'ora - gli feci l'occhiolino, gli misi il mio cappotto in mano perché lo portasse in stanza e andai nella stessa direzione che aveva preso Morgan.
A metà strada mi girai un attimo Mika, fermo dov'era primo, che mi sorrideva e ricambiai con amore.
Giunta al bancone ordinai un Single Malt Scotch. Forse non avrei dovuto avendo da poco preso la Tachipirina, ma avevo fatto di peggio e avrei sopportato. Morgan era seduto accanto a me e rigirava un liquido trasparente, che dall'odore sembrava Tequila, nel bicchiere guardando con sguardo vitreo l'agire del barman mentre tirava annoiate boccate dalla sigaretta che aveva in mano creando nuvolette di fumo davanti a lui.
Gli poggiai una mano sulla spalla e sembrò riscuotersi dallo stato di torpore in cui era caduto. - Hei - disse continuando a guardare davanti a sé.
- Hei - risposi.
- Come mai qui? -
- Boh... -
- Dovreste essere su insieme, non dovresti stare qui con questo relitto -
- Relitto? -
Mi tese un foglio. C'era scritto sopra a computer e iniziai a scorrere velocemente le parole scritte.
... Revoca dell'affidamento congiunto ...
... Incontro con avvocati ....
... Ex-moglie ...
... Anna Lou ...
Alzai lo sguardo dal foglio in modo preoccupato. - È quello che penso? -
- Sì. Asia mi ha mandato il file sul cellulare e me lo sono fatto stampare poco fa. -
- Da quanto lo sai? -
- Ho visto il messaggio in auto. - aveva la voce rotta, ma continuava imperterrito.
Io invece non ero forte come lui e lo abbracciai. - Mi dispiace - bisbigliai nel suo orecchio. - Non sai quanto mi dispiace. Ma ti aiuterò, io e Michael ti aiuteremo, in ogni modo possibile. Ce la faremo. -
Sentii una lacrima calda bagnarmi la spalla e lo feci tirare su. - Mi hai sentito? - chiesi poggiandogli le mani sulle spalle e scuotendolo leggermente. - Ce la faremo. - e gli asciugai la lacrima dal volto.
- Grazie. Grazie Clara. Sei un'amica. -
- Non dirlo nemmeno - ribattei.
- No, sul serio. - ed effettivamente era molto serio. - Tu e Michael siete le uniche persone insieme ad Anna che mi sono rimaste. - E nei suoi occhi potei vedere il dolore represso. Mille sentimenti scorrevano come fiumi in piena nel fondo dei suoi occhi. - Non potrei mai perdervi. - bisbigliò.
- Non lo farai. Non ci perderai. - E lo strinsi di nuovo in un abbraccio.
Dopo un po' ci lasciammo. I suoi occhi erano tornati quelli di sempre, determinati come non mai a lottare per chi amava.
- Grazie. Ora vai da lui. Ti sta aspettando. - Mi disse sorridendo.
- Okay fratellone. -
- Fratellone? -
- Non ti piace? - Chiesi io alzandomi dalla sedia.
- Mmmh. Mi ci potrei abituare. -
Ridemmo.
Mi scoccò un bacio sulla fronte. - Divertitevi - e il suo sguardo era pieno di malizia.
Si beccò un pugnetto sulla spalla prima che mi avviassi verso l'ascensore.

- Sono tornata! - Appena entrai sentii l'acqua della doccia che scorreva. Situazione perfetta. Mi cambiai in silenzio e velocemente per poi entrare in bagno.
Aprii la porta  della doccia mentre Michael era di spalle che canticchiava.
Mi ancorai ai suoi fianchi facendomi bagnare dall'acqua. Sussultò un po' spaventato e si girò velocemente per trovarsi di fronte me che lo guardavo mentre l'acqua mi scorreva addosso.
- Non sei spaventato come credevo. - dissi, visto che mi sarei aspettata una reazione più brusca.
- Credi che non ti abbia sentito entrare? Hai anche urlato. -
Non aveva tutti i torti.
- Mi hai fatto aspettare. - 
- Mmh. - dissi io avvicinandomi alle sue labbra. - come posso farmi perdonare? -
Poi le nostre lingue si trovarono iniziando a danzare.
Era fantastico. Ci baciammo su tutto il corpo a bocca aperta in un ballo che volevo non finisse mai. Poi mi ancorai alla sua vita con le gambe e mi spinse contro una parete della doccia. Alla fine venimmo tutti e due con un grido soffocato nella bocca dell'altro.
Riprendemmo fiato e poi sempre con me ancorata a lui ci spostammo nel letto ancora grondanti d'acqua dove continuammo.
Alla fine mi appoggiai con la testa sul suo petto nudo ascoltando il battito del suo cuore e addormentandomi a quel suono per me così melodioso se pur ritmico.

Il giorno dopo Morgan partì a mezzogiorno e mezza e i giorni successivi sono da inserire fra i giorni più belli della mia vita, insieme al giorno in cui ho conosciuto l'amore della mia vita.
Girammo New York in lungo e in largo. Chinatown, Little Italy, passammo persino per il Bronx. A Chinatown riuscimmo ad entrare in una bisca dove giocammo a poker clandestinamente. A Little Italy cercammo immigrati del Nord Italia.
Visitammo il Guggenheim facendo foto strane con ogni quadro o opera buffa che trovavamo.
A Central Park passammo un pomeriggio abbracciati sull'erba godendoci l'aria primaverile.
Andammo anche allo zoo a dar le noccioline agli elefanti e mangiammo lo zucchero filato. Salimmo sulla giostra dei cavalli e facemmo un giro in barca. Eravamo come due bambini, ma quelli erano i nostri giorni, quelli dove potevamo fare quello che volevamo.
Andammo in cima all'Empire State Building e alla Statua Della Libertà.
Visitammo un vecchio bar del proibizionismo sulla Fifth Avenue, ma la cosa migliore fu andare a teatro.
Eh sì, perché da galantuomo qual era, Michael non poteva non portarmi a teatro.
Il Lago Dei Cigni.
Un classico certo, ma anche il mio balletto preferito, come gli avevo detto una volta, soprappensiero.
I ballerini erano eccellenti e l'opera... Beh, ho detto che era la mia preferita, e non finiva mai di stupirmi. All'uscita avevo iniziato a ballare cercando di imitare i ballerini che avevo appena visto, ma erano troppi anni che non facevo più danza classica e non avevo speranze di riuscirci.
Una mattina ci incontrammo persino Dave e andammo a prendere un caffè e, com'era ovvio io mangiai Donuts.
Poi arrivò il giorno stampato sul biglietto d'aereo di ritorno e salutammo quella città meravigliosa per tornare a Milano... E a scuola per quanto mi riguardava.
Nessuno mi aveva più sentito da... Ehm... Almeno dal giorno prima che partissimo per New York. Se non da prima ancora.
Mika mi fece accompagnare a scuola dal suo autista. Sarebbe venuto lui stesso, ma non poteva farsi vedere e lo capivo. In macchina iniziai a girare su tutti i siti di gossip per vedere cosa dicevano di me e cosa avrei dovuto aspettarmi. Tuttavia fui felice di constatare che in nessuna foto si vedeva la mia faccia.
La voce della mia brutta esperienza però doveva aver circolato perché tutti mi indicavano e bisbigliavano. Beh, anche perché ero scesa da un'auto con finestrini oscurati e autista, cosa che non avevo mai fatto prima.
Entrando in classe venni sommersa da mille domande. A quanto pareva tutti avevano provato a contattarmi senza risultato. Ora che ci pensavo, quasi non sapevo dov'era il mio cellulare, senza quasi. L'ultima volta che l'avevo visto credo fosse... La sera che ero andata via di casa, ma non ne ero sicura. Si beh, era un vecchio catorcio. Tutto quello che mi serviva si trovava nell'iPod.
Laura. Entrò tutta allegra non aspettandosi di trovarmi lì. Quando mi vide la sua espressione cambiò visibilmente. Mollò la cartella nel primo posto che trovò e, facendosi strada fra i miei compagni che formavano un cerchio intorno a me, mi trascinò di peso in corridoio dove a quell'ora non c'era quasi nessuno.
- Si può sapere che fine avevi fatto?! - sbraitò e le poche persone che passarono di lì in quel momento si girarono verso di noi.
- Ho avuto da fare. - dissi evasiva, ma guardandola in faccia.
- Da fare?! E non potevi neanche mandare un messaggio per sapere dov'eri finita?! Ho chiamato a casa tua e mia madre mi ha detto che non c'eri e non sapeva quando saresti tornata! -
- Ho avuto da fare. Te l'ho detto! - E stavolta urlai anch'io.
Si girò e andò in classe senza più una parola. Non sarei morta... Avevo ancora amici... Avevo... Avevo... Cristiano! Avevo Cristiano!
Mancavano ancora dieci minuti all'inizio delle lezioni e volevo parlargli e mi avviai per i corridoi dell'immensa scuola. Per fortuna lui e Laura non si conoscevano (ancora mi chiedo come mai non si erano mai conosciuti), ma gli dovevo delle spiegazioni. A lui le dovevo. Lui c'era sempre stato. Era stato l'unico, anche dopo la morte di mio padre, a tenermi sulla retta via. Nelle ultime settimane era stato in Inghilterra. Ed era tornato solo il giorno prima. Quindi non sapeva di tutto quello che era successo, non sapeva niente, non potevo dirglielo via messaggio. Per le chiamate a cui non avevo risposto potevo dire che... Il mio cellulare aveva tirato le cuoia. Erano mesi che aspettavamo quel momento.
Finalmente svoltai l'ultimo angolo e anche da lontano lo vidi. Sorrideva allegro come sempre salutando i compagni che probabilmente non aveva visto il giorno prima. I capelli erano tagliati tipo anni '60, ma li portava molto ordinati, ed erano color della pece con sfumature argentee, sembravano quasi tinti. Gli occhi erano verde smeraldo. Profondi come l'oceano, e come quello potevano rivelare mille sorprese e insidie. Aveva una camicia nera attillata e i pantaloni rosa shocking.
Ah, forse ho dimenticato di dire che Cristiano era gay e che Mika era anche il suo cantante preferito, per ovvie ragioni. Tuttavia qualcosa mi diceva che avrebbe preso bene l'intera storia.
Era di spalle. Mi avvicinai furtiva e mi lanciai su di lui facendogli il solletico.
- Piantala! Lo sai che lo odio - rise girandosi.
- Lo so! - Dissi con un sorrisetto malvagio che però si raddolcì subito a guardarlo.
- Bentornato - lo salutai buttandogli le braccia al collo stritolandolo.
- Si, anch'io sono felice di vederti. - rantolò.
Quando ci staccammo arrivò la domanda che mi aspettavo e il suo viso si fece serissimo. - Cos'è successo? - chiese con dolcezza. - Tua madre mi ha detto che non sapeva quando tornavi. -
- Niente giri di parole, eh? - tentai di scherzare, pur sapendo che non avrebbe funzionato. - Non preoccuparti, sono qui, ma ci sono un sacco di cose che devo raccontarti. Non ci crederai mai. - mi guardò provando a mettermi alla prova sorridendo. - Sul serio! - esclamai.
- Okay... - non era veramente sospettoso. Voleva solo darmi fastidio, però non resistette e scoppiò a ridere indicando la mia faccia e provando a imitarla, facendo ridere anche me.
- Ah, è mi è morto il cellulare. Finalmente. - effettivamente era disperso.
Sembrò soddisfatto. - Allora capito a pennello. - tirò fuori da una tasca un iPhone 4S e me lo diede. - Tieni. Era il mio vecchio, so che tua madre non te ne comprerà mai uno. Spero non ti spiaccia che sia usato. -
- Ma scherzi?! - esclamai saltandogli di nuovo al collo. - È fantastico! Grazie -
- Ci ho messo sopra la tua vecchia rubrica. Un po' di musica di Mika e anche qualche sua foto e foto nostre. - Lo strinsi in un abbraccio più lungo, ne avevo bisogno.
La campanella suonò. Cazzo. Ero dalla parte opposta della scuola e avevo greco. E la profe era tutt'altro che accondiscendente.
Così gli dissi al volo di trovarci sotto il grande fungo, che in realtà era un albero, all'uscita da scuola e che sarebbe venuto a pranzo da me (avevo già avvisato Mika, che era entusiasta di conoscerlo). Poi schizzai attraverso i corridoi come un fulmine.
Quando arrivai in classe la profe mi guardò con disappunto chiedendomi perché ero stata assente così tanto e risposi che avevo avuto problemi in famiglia. Firmò la giustificazione e iniziò la lezione. Durante gli ultimi giorni mi ero studiata tutto quello che avevo perso. Non era difficile, capivo bene il greco (per quanto lo odiassi) e anche i miei voti erano alti. Tuttavia la profe mi odiava.
Presi fuori il cellulare e mandai un messaggio a Mika da sotto il banco. 
"Mi manchi e la lezione di greco è da tagliarsi le vene. Non vedo l'ora di venire a casa e farti conoscere Cristiano. Ti amo. Clara"
Send
Poco dopo arrivò la risposta.
"Se vuoi andare a studiare medicina stai attenta alla lezione! E scusami, non ho una lametta. E un'altra cosa, non m'interessa conoscere Cristiano chiunque egli sia, a meno che non ti dia fastidio. Marco"
Ups! Ci mancò poco che non scoppiassi a ridere in faccia alla profe.
"Scusa, era per Mika. Hahahaha. Ci vediamo stasera."
Send.
"Avevo sospettato. A stasera. Non prendere freddo e non fare niente che io non farei."
Inoltrai il messaggio originario a Mika e non potei fare a meno di sorridere per l'aria paterna di Morgan. Sapeva essere molto dolce.
Dopo poco arrivò il messaggio di Mika.
"Anche tu mi manchi. Non vedo l'ora di conoscere questo Cristiano. Ora segui la lezione ;) ah, io ti amo di più. La Tua Coscienza."
Ok, stavolta scoppiai a ridere, anche se abbastanza silenziosamente.
"Deficiente, a dopo. Love u"
Le ore successive passarono relativamente veloci e finalmente arrivò la fine delle lezioni. Schizzai fuori di lì e mi sedetti sul muretto che circondava l'albero in attesa di Cristiano. Finalmente lo vidi arrivare e mi alzai come una molla. Lo presi per una manica della giacca e lo trascinai verso la macchina nera con gli sguardi di molte persone addosso.
Salii sulla macchina e senza che nessuno di noi dicesse niente la macchina parti alla volta della casa di Mika.
- Clara, lo sai che non è il mio compleanno vero? - chiese a un certo punto.
- Certo! - ero allegra. Le due persone più importanti della mia vita stavano per incontrarsi, ero forse più elettrizzata io di loro due messi insieme.
L'auto si fermò finalmente davanti al palazzo vittoriano e salutai Sam, l'autista mezzo sordo di Mika. Scesi dall'auto e sta volta fui io a tenere la porta aperta, per Cristiano.
Essendo un grande appassionato d'arte e architettura, nel guardare l'edificio che aveva la bocca spalancata e la faccia da merluzzo, come avrebbe detto Mary Poppins. - Grazie! Non avevo mai visto questo palazzo. È bellissimo! - si girò verso di me, mi prese in braccio e mi fece girare agilmente. Poi tirò fuori la macchina fotografica, che aveva sempre con sé, e scattò qualche foto felice. Sì, ne faceva collezione e io lo aiutavo.
Poi interruppi i suoi pensieri. - Non è questa la sorpresa - e mi avviai verso l'entrata del palazzo. Cristiano mi seguì come un cucciolo, continuando a guardare il palazzo con occhi lucidi.
Inserii la chiave nella toppa e girai facendolo entrare in uno di quei palazzi che spesso ammiravamo da fuori, ma dove non potevamo mai entrare.
Finché lui si guardava intorno incantato, l'ascensore che avevo chiamato veniva velocemente al piano terra per prenderci.
Quando arrivò entrai allegra e Cristiano mi seguì incuriosito da tutta questa strana faccenda.
Una volta su aprii il portone bianco ed entrai seguita a coda da Cristiano.
- I'm home! - urlai e sentii rumore di pentole che sferragliavano e qualcosa di ceramica che cadeva e si rompeva. Speravo vivamente che non fosse uno dei suoi piatti multicolor da collezione.
Comparve in soggiorno con un grembiule e un mestolo in mano.
Spostai lo sguardo sulla sua faccia e scoppiai a ridere. Aveva pomodoro sulla guancia destra e sul naso.
Solo in quel momento mi ricordai di Cristiano. Girandomi verso di lui vidi che stava in piedi all'entrata della stanza e fissava Mika con gli occhi sbarrati e la bocca leggermente aperta. Andai vicino e lo scossi leggermente - È tutto vero. È veramente lui. -
Mika venne da noi e strinse la mano a Cristiano che biascicò delle parole che sembravano - Piacere... Cristiano... Amico... Clara -
- Piacere Cristiano. Sono Mika. Clara mi ha parlato tanto di te. -
Cristiano annuì con sorriso da ebete.
- Ho fatto pasta al pomodoro. Va bene? -
Mi misi davanti a lui sulle punte dei piedi e gli tolsi il sugo dal naso. - Benissimo - dissi per poi scoccargli un bacio veloce sotto lo sguardo stupito di Cristiano.
Mi rigirai verso di lui - sediamoci a tavola. Ci sono parecchie cose che devo dirti. -
- Direi... - disse, ma senza cattiveria e, una volta tolta giacca e messo giù la cartella andammo in cucina.

- Quindi... Voi due vi siete conosciuti a Londra quando tu eri in gita scolastica e, nonostante lui sia dichiaratamente gay, vi siete innamorati e ora state insieme da quasi un mese e nessuno a parte una decina di persone, compresi artisti molto famosi come David Bowie e Mick Jagger, lo sa. -
Annui dall'altra parte del tavolo con il braccio di Mika che mi stringeva sulle spalle.
Se un attimo prima Cristiano sembrava stupito e un po' frastornato quello dopo sfoggiò un sorriso a trentadue denti che si rispecchiava nei sinceri occhi verdi che ci rivolse. - è fantastico. - riuscì solo a dire.
Sentii Mika farsi meno rigido accanto a me, dopotutto lui non conosceva Cristiano e non poteva essere sicuro di come si sarebbe comportato. Avevo intenzione di farli diventare amici e non credo che ci sarebbe voluto molto. Sembravano già in sintonia, un po' come me e Dave.
Per fortuna nessuno né Cristiano né io avevamo compiti per il giorno dopo e passammo il giorno sul tetto a chiacchierare visto che si stava abbastanza bene. Mi raccontò di Cardiff, dove era stato per un po' e iniziò a fare conversazione con Mika così che dopo un po' (qualche ora), con la scusa di preparare il tè delle cinque li lasciai da soli sperando che non iniziassero a raccontarsi aneddoti su di me come sospettavo Cristiano in particolare avrebbe fatto.
Non lo avessi mai pensato, quando tornai su li trovai a ridere per quella volta in cui avevo iniziato a correre dietro a un pezzo di carta per tutto il parco saltellando per cercare di rubarlo al vento.
Bevemmo il tè discutendo su come fare a rendere pubblica la nostra relazione, dovevamo farlo ed era meglio farlo al più presto, prima dell'inizio di X Factor.
Tre giorni a quella parte Mika avrebbe avuto un'intervista a Radio DJ trasmessa in tv e avrebbe fatto il coming out. Ovviamente avrei dovuto esserci anch'io, ma sarei comparsa solo dopo che lo avesse detto.
Dopo la decisione del piano Cristiano se ne andò con la promessa che ci saremmo visti molto presto.
Quando se ne fu andato abbracciai Mika, ne sentivo il bisogno, non so il perché. Mi cullò dolcemente fra le braccia stringendomi a sé e canticchiando "I Want To Know What Love Is" dei Foreigner.


I wanna know what love is

I want you to show me

I wanna feel what love is

I know you can show me


Rimanemmo così, abbracciati l'uno all'altro per un tempo infinito quando il buio ci sorprese ancora ancorati come se fossimo stati dipendenti uno dall'altro; a quel punto andai a casa.

NOTA SCRITTRICE: scusate tantissimo per i secoli che ci metto a scrivere i capitoli, ma non è un buon periodo sotto nessun fronte; comunque eccomi qua e spero vi piaccia.
Avviso già che il prossimo capitolo sarà un po' magari, noioso, perché devo riprendere un personaggio e spiegare che fine ha fatto ;) quindi non sarà neanche lunghissimo.
A presto spero
ILoveRainbows

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Capitolo 14
*** Coming-Out ***


CAPITOLO 15

CLARA
Il giorno prescelto sia Mika che Morgan mi aspettavano fuori da scuola camminando avanti e indietro ansiosamente.
Se loro due sembravano due leoni affamati chiusi in gabbia non so cosa dovessi sembrare io.
Era lunedì quindi l'ultima ora avevamo greco e non seguii una parola della lezione. Quando la profe mi aveva chiesto la declinazione del pronome relativo le avevo risposto in modo distratto: non lo so. Ed ero immediatamente tornata a pensare ai fatti miei senza nemmeno accorgermi che la profe mi aveva dato un meno. L'ultimo quarto d'ora batticchiai il piede sinistro per terra guadagnandomi parecchi sguardi di fuoco da Laura, ma non mi facevano effetto.
Quando suonò la campanella scattai in piedi come una molla e buttai le cose in borsa alla rinfusa per poi uscire dalla scuola praticamente correndo. Una volta fuori due braccia lunghe e abbastanza muscolose mi strinsero prima che mi rendessi conto di qualunque altra cosa. - Andrà tutto bene. - bisbigliai. Non riuscivo a capire perché fossimo entrambi così agitati. Cosa poteva andare storto? Ok, pessima domanda, quando qualcuno se la pone succedono sempre milioni di cose storte. Tuttavia avvertivo che sarebbe andato tutto bene, persino con i fan e soprattutto le fan, anche se forse non in un primo momento.

Nicola ci venne incontro salutando dapprima Mika e Morgan, che conosceva già, e poi presentandosi a me. Lui e Linus erano gli unici che sapevano cosa sarebbe successo. Era tutto programmato nei minimi dettagli. Ma che dico... Era tutto al caso! Non sapevamo ancora cosa sarebbe successo. Le uniche cose che sapevo erano che lo avrebbe detto, che io sarei uscita per farmi vedere, che i fan mi avrebbero odiata, che Cristiano ci stava guardava da casa e che la famiglia di Mika più altre poche persone sapevano di questa relazione. Non sapevo altro, e nemmeno gli altri.
Quando il programma iniziò io ero seduta fuori dalla sala ad aspettare il momento giusto. Ero seduta accanto a Morgan e avevo ripreso a battere nervosamente il tacco della scarpa per terra.
Parlarono di X Factor, i quali provini sarebbero stati dopo un mese e mezzo circa. Parlarono del più e del meno e a un certo punto Mika se ne uscì - posso fare una dichiarazione Nicola? -
- Prego - disse sorridendo sapendo già cosa stava per succedere e anche io mi preparai psicologicamente al momento. Stavo per essere annunciata come fidanzata di una star internazionale.
Guardò la telecamera parlando direttamente con il pubblico. - Nel corso della mia carriera è stato speculato molto sul mio orientamento sessuale. Sono stato definito bisessuale. Poi ho chiarito queste voci dicendo di essere omosessuale, ma non ho mai accettato un'etichetta, non mi sono mai posto limiti riguardo a con chi potessi andare a letto e tutt'ora non lo faccio. Qualche mese fa, mentre aspettavo che mia madre uscisse da teatro a Londra ho incontrato una ragazza, non una ragazza come tutte. Almeno non per me. Mi ha completamente fatto perdere la testa in un secondo. È una ragazza, forte, bellissima e dolce. Vorrei presentarvela. - fece un cenno della mano e mi fece entrare in studio dove mi porsero delle cuffie. - Lei è Clara. - sorrisi agitata. Per fortuna Linus iniziò a farci alcune domande e la tensione si smorzò. Non ero mai stata in tv, ma devo dire che credo di essermela cavata discretamente. Alla fine salutammo e Linus e Nicola e mandarono in onda "Origin Of Love".

Una volta fuori onda Mika mi abbracciò a sé - ce l'abbiamo fatta piccola Clara. Sei stata bravissima - mi baciò e lo sentii sorridere sulle mie labbra. Uscimmo con Michael che mi stringeva a sé per la vita e anche Morgan ci abbracciò con affetto. - Tutti a cena fuori. Offro io - esclamò.
- Sicuro che sia una saggia idea dopo un coming out simile? - Lo bloccò il mio fidanzato.
Ci osservò per un attimo che sembrò infinito e poi ammise - forse no. Vi va di mangiare cinese? Posso andare a prenderlo e lo mangiamo da Mika. -
Io e Mika ci guardammo e in uno sguardo ci capimmo. Avevamo bisogno di stare da soli. Gli annuimmo e io aggiunsi - Va bene se ci raggiungi alle otto e mezza. Ovvero fra... - guardai l'orologio. Erano solo le 5.30. - Tre ore. -
Capì subito e fu il suo turno di annuire. - Prendo un po' di cose miste va bene? -
- Certo. - disse Michael prima di trascinarmi ridendo fuori dall'edificio dove Sam ci aspettava per portarci a casa. Avevamo superato quella prova, ora ci spettava una ricompensa.
In ascensore ci baciammo tutto il tempo e ci spogliammo a vicenda in casa mentre cercavamo di arrivare alla camera da letto. Si staccò solo un attimo da me, per prendere un preservativo che gli infilai. Mi pose sul letto e iniziò a baciarmi su tutto il corpo finché non decisi di invertire le posizioni e iniziai a esplorare ogni angolo e piega del suo corpo fino ad avere le labbra arrossate e andai cercare le sue.
Le posizioni vennero invertite di nuovo senza che quasi me ne accorgessi ed ero di nuovo sotto. Mentre lui ricominciava a baciarmi e io gli tiravo leggermente i capelli gemevamo entrambi e il mio corpo si muoveva in sua direzione per cercare più contatto. 
Infine entrò in me. Prima lentamente e poi sempre più velocemente finché venimmo entrambi con un grido strozzato.
Rotolò giù da me. - Wow. -
- Già, wow. -
Rimanemmo lì sdraiati per un po'. Infine rotolai su di lui e ci abbracciammo. Mi strinse con forza e mi protesse dalla paura e dal dolore.
Dopo un po' ci alzammo e facemmo la doccia a turno aspettando che arrivasse Morgan. Puntuale come uno svizzero per una volta arrivò alle 20.29.
Mangiammo con le bacchette. O almeno io e Mika. Morgan invece lanciò cibo in giro e alla fine decise di passare a una comune forchetta.
Finito di mangiare decidemmo di guardare un film e alla fine optammo per "Titanic". Con Mika si finiva sempre a vedere commedie con attori belli che guardava con interesse. Tuttavia io e Mika eravamo più occupati a esplorarci la bocca a vicenda mentre Morgan rivolgeva tutta l'attenzione ai pop-corn che aveva davanti guardandoci a volte di sottecchi con sguardo leggermente disgustato. Alla fine mi rannicchiai sul petto di Mika mentre lui commentava la bellezza di Di Caprio con Morgan e respirando il suo profumo allo stesso tempo virile e che mi ricordava l'infanzia mi addormentai.

Mi svegliai di soprassalto.
5.37 di notte.
Girandomi vidi Mika dormire. Probabilmente mi stava abbracciando prima che mi svegliassi e ora stringeva solo il piumino. Sorrideva e sembrava un angelo con i capelli castani. 
Provai a rimettermi a dormire, ma non ci riuscii e dopo un po' mi alzai mettendo un cuscino al mio posto così che l'Angelo potesse ancora abbracciare qualcosa.
Andai in cucina per prepararmi una buona dose di caffeina. Aprii gli scuri, ma fuori era ancora buio e accesi una piccola luce. Tirai fuori i quaderni e mi misi a ripassare latino e a dare un'occhiata alla mia tesina. Era quasi pronta. Non dico che fossi una secchiona, anzi, ma dovevo andare bene. Era una mia condizione, dovevo andare bene per avere tutte le strade aperte una volta fuori dal liceo.
Latino mi usciva dalle orecchie e alle 6.30 chiusi il quaderno e tazza in mano andai sul tetto a godermi l'alba. Misi l'iPod nelle orecchie e mi misi a canticchiare le canzoni che passavano.

Bursting through a blood red sky

A slow landslide

and the world we leave behind

It's enough to lose your head,

disappear and not return again...

When I fall to my feet

Wearin' my heart on my sleeve

All I see just don't make sense

You are the port of my call

You shot and leavin' me raw 

Now I know you're amazing

Cominciai. 

'Cause all I need

Is the love you breathe

put your lips on me 

and I can live underwater,

underwater, underwater!

Underwater!

Un'altra voce completò il ritornello e mi girai.
Indossava un trench lungo fino ai piedi con collo con risvolto in su a proteggergli la gola e aveva le mani in tasca. Si ergeva fiero in tutti i suoi 195 centimetri e volgeva il volto verso il sole che nasceva. Questo lo illuminava creando un aura di luce intorno a lui. Era regale. Cantava con naturalezza e con voce melodiosa e virile.
- Ciao. - sussurrai togliendomi le cuffie.
- Buongiorno - e si sedette sulla sdraio accanto a me stringendomi in un abbraccio pieno d'amore e baciandomi il capo e le labbra. - Come mai sveglia così presto? - Chiese prendendo la tazza di caffè dalle mie mani e portandosela alle labbra.
- Ho fatto un incubo. -
Mi guardò interrogativo. 
- Litigavamo e poi te ne andavi di casa sbattendo la porta. Dopo un po' mi chiamavano, avevi avuto un incidente e non c'era stato niente da fare. - guardavo il nulla.
Mi scosse leggermente abbracciandomi e una lacrima solitaria mi rigò il volto - Va tutto bene. Era solo un incubo. Ci sono io ora. -
Annuì e rimanemmo lì ancora qualche istante per poi alzarci e tornare dentro.
Decidemmo che visto che era presto saremmo usciti a fare colazione e poi mi avrebbe accompagnato a scuola.
Controllammo un attimo Twitter, siti di gossip e, per quanto mi riguarda Facebook.
Dappertutto il link del video dell'intervista del giorno prima imperversava. Sul mio profilo Facebook tutti scrivevano: ma eri veramente tu all'intervista di Mika di ieri?
Non avevamo voglia di rispondere a nessuno e solo per un attimo pensai a quando sarei arrivata a scuola e non ero sicura di voler sapere cosa sarebbe successo.
Mangiammo in Corso Vittorio Emanuele con una fantastica brioche alla cioccolata ancora calda e verso le 7.30 ci avviammo verso scuola. Quando arrivammo era "l'ora di punta" e stava arrivando mezza scuola. Un sacco di ragazzi riconobbero Mika e gli chiesero un autografo che concesse volentieri. Quando ebbe finito gli diedi un bacio veloce.
- Sai cosa pensavo? - chiese.
- Mmh -
- Ormai dormi quasi sempre da me. Converrebbe quasi che sposti la roba che hai a casa di Morgan in casa mia. -
- Idea fantastica - e scoccandogli un altro bacio sotto lo sguardo allibito di alcuni alunni mi girai e entrai nell'arena... Meglio conosciuta come scuola.
Due ore latino verifica. Facile.
Un'ora filosofia. Dormito.
Una greco. Pessima. Profe di umore terribile.
Due ore matematica. Fatta solo mezza...
- Ricordiamo che la formula generale per la distanza punto-retta sul piano cartesiano può essere espressa con questa espressione. Quindi possiamo giungere alla conclusione che... -
Qualcuno bussò alla porta.
- Avanti -
La porta venne aperta velocemente e Morgan fece capolino in modo un po' brusco facendo sbattere la porta contro il muro creando una piccola scalfittura. Sfoggiò un sorriso da angelo al mio prof di matematica che lo guardò con sguardo assassino.
Diede una breve occhiata alla lavagna piena di calcoli incomprensibile - Ma a cosa serve nella vita? - chiese al mio prof di matematica che assunse un'aria leggermente irritata e poi il suo sguardo vagò per la stanza alla mia ricerca. Mi trovo in un attimo. - Paloma... Neonato... Mika... Aeroporto... Londra - Furono le uniche parole che capii da quanto parlava veloce. 
Doveva avere corso.
Capii in un attimo cosa voleva e preparai la cartella alla velocità della 
luce. Essendo maggiorenne mi firmai da sola la giustificazione per uscire.
Lasciai l'aula sotto lo sguardo esterrefatto di tutti i presenti.

- Dovremmo avercela fatta - urlò Mika correndo per i corridoi atoni dell'ospedale guadagnandosi uno sguardo velenoso da un'infermiera e stringendo in mano un gigantesco orsacchiotto che avevo testato e che era morbidissimo. Voltando l'ennesima volta vidi un gruppo che evidentemente era la famiglia di Mika. Avevamo programmato una cena di lì a due giorni per conoscerci, ma evidentemente il destino, se poteva essere chiamato così, aveva deciso che avremmo dovuto incontrarci prima.
Quando ci sentirono si girarono e vedendoci sorrisero salutando Mika e presentandosi a me.

ANGOLO SCRITTRICE: ecco il nuovo capitolo. Non sono molto sicura del coming-out, di come l'ho fatto, ma sarete voi a giudicare. Finalmente conosceremo la famiglia Penniman con una lieta notizia.
Spero di riuscire ad aggiornare presto
ILoveRainbows

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Capitolo 15
*** Adieu, mon Mika ***


CAPITOLO 14

BRYAN
Potevo sentire le ruote della metropolitana che sferragliavano veloci nei binari e ogni singolo piccolo rumore. Da quel giorno, dallo scorso martedì, tutto era cambiato. La mia vita era crollata, non c'era più e quindi avevo iniziato a vivere come un'ombra, vivendo di piccole gioie o tristezze altrui. Era questo che ero diventato, un fantasma di me stesso, di quello che ero stato. Vagavo per le strade nella speranza di incontrarlo, sì, era tutto quello che volevo. Incontrarlo un'ultima volta e dirgli che mi dispiaceva, che ero stato uno stronzo, che non ero arrabbiato e che volevo che ci rimettessimo insieme. Una parte di me sapeva che non avrebbe mai funzionato. Lui non era quel tipo di ragazzo. Era fedele fino alla morte e se non amava una persona non si sforzava di fare buon viso a cattivo gioco. Non poteva. Non era la sua natura e lo capivo, ma faceva male.
La metropolitana inchiodò per la centesima volta e scesi nell'aria primaverile di Kensington. Ero tornato a Londra. Non ce l'avrei fatta a rimanere a Milano. Era lì che era successo tutto. Per tre giorni non avevo voluto vedere nessuno, ma non mi biasimavo. Ero messo proprio male, mi facevo da psichiatra da solo.
Finalmente ero giunto davanti al palazzo giusto. Avevo bisogno di un abbraccio, di qualcuno che mi dicesse che sarebbe andato tutto bene e che non mi avrebbe mai lasciato.
Aprendo la porta dell'appartamento mi sembrò di entrare nella mia tomba.
All'entrata, messe un po' a lato, c'erano due valigie, le mie due valigie, e sopra un foglietto rosso.
"Hai rovinato tutto
Addio
Sean"
Fu come se mi avessero tirato un pugno nello stomaco. Come se Rocky mi usasse come sua personale bistecca per allenarsi e dovetti appoggiare la mano su una delle valigie per non cadere e per aspettare che le vertigini e il senso di vuoto totale sparissero almeno un po'.
Presi le valigie e uscii da quella casa lasciando le mie chiavi con il portachiavi a forma di orsetto che mi aveva regalato Michael tempo prima sul mobiletto all'entrata. Poi mi chiusi la porta alle spalle per l'ultima volta. Era già la seconda porta che chiudevo, il secondo capitolo della mia vita che finiva in così poco tempo e in modo così brusco e quasi inaspettato.
Portai le valigie a casa mia e le lasciai in soggiorno. Diedi un'occhiata in giro. Su ogni mobile, ogni oggetto, ogni ricordo di quella vita a cui non volevo fare ritorno c'era uno spesso strato di polvere. Troppo tempo era passato perché mi riabituassi a stare da solo.
Non potei sopportare oltre la vista e uscii cercando un po' di pace interiore. Camminai per miglia credo. Passai a Westminster e poi arrivai a Soho e Chinatown. Ero uscito dal giro tanto tempo prima, subito dopo che mi ero messo con Michael e non vi avevo più fatto ritorno, non ne avevo bisogno, avevo tutto quello che mi serviva e anche più di quanto meritassi evidentemente.
Ero arrivato. - due grammi per Lupo Nero -
- Finalmente ci si rivede. Tieni. -
Mi passo un pacchettino pieno di polvere bianca e io gli allungai cinquanta bigliettoni. Poi me ne andai con nonchalance. Mi sarebbe servito più tardi, tanto ormai la mia vita non aveva un senso e non avevo niente che mi tratteneva dal farlo.
Camminai per un'altra ora buona, fino a quando le tenebre e un velo di tristezza (per quanto mi riguardava) non scesero sulla città. A quel punto ero arrivato in Baker Street e presi una metropolitana per tornare a Kensington riprendendo a vivere delle vite altrui e ad ascoltare lo sferragliare del treno e l'aria che passava veloce ai lati della metro.
Arrivato alla mia fermata trascinai pesantemente i piedi fino a casa dove sbarrai la porta dietro di me e dopo aver preso una bottiglia di tequila mi buttai sul divano ancora vestito. Iniziai a fare zapping senza realmente cercare qualcosa da guardare e dopo un po' spensi la tv.
Aprii la bottiglia e mandai giù un sorso di liquido trasparente che andò a scaldarmi e a pizzicarmi leggermente la gola. Amavo la droga, ma non ero mai riuscito ad abituarmi al sapore dell'alcool. Mi faceva venire voglia di vomitare e mi provocava vertigini dopo solo un goccio. Sfilai con difficoltà il pacchetto comprato poco prima dalla tasca dietro dei pantaloni e lo aprii sul tavolino davanti al divano.

Dicono che morendo si rivedono tutte le proprie scelte, che la propria vita passa davanti agli occhi come un film accelerato... Beh, non provavo niente di tutto questo quindi o non stavo morendo o tutto quello che la gente dice è solo leggenda metropolitana.
Di una cosa sono sicuro. Provavo paura. Avevo paura di aver fatto una cavolata. Io non volevo morire, volevo vivere e riconquistare Michael. Ecco, Michael, il ragazzo che da adolescente mi aveva rubato il cuore proteggendolo dal dolore e che in cambio mi aveva chiesto soltanto di custodire il suo. Io lo avevo tradito. Gli avevo spezzato il cuore perché non mi sapevo accontentare. Non mi bastava avere il ragazzo migliore sulla faccia della terra... Ma che dico?! Nell'universo intero. Dovevo avere di più e mi ero rovinato con le mie stesse mani. Ora ero sdraiato sul divano di casa da solo e il telefono era troppo lontano per poter essere raggiunto. Ero solo. Michael non c'era. Non ci sarebbe più stato.
Sentivo l'acool e la cocaina girare nel sangue facendomi andare in tilt ogni nervo e muscolo del corpo. Non volevo morire. Forse se mi fossi aggrappato a un bel pensiero sarei sopravvissuto. Dovevo solo cercare di non addormentarmi e iniziai a pensare a me e Michael quando eravamo felici. Quando ancora ragazzi scoprivamo di piacerci a vicenda. Quando lo avevamo fatto per la prima volta. Quando mi aveva protetto dalla violenza di mio padre stringendomi semplicemente a sé. Michael. Era tutto quello che volevo eppure cominciai a provare freddo e fu come se vedessi la linfa vitale uscire come vento fuori dalle mie labbra semichiuse.
Tutto quello che rimase di me fu una lettera bagnata di lacrime e cosparsa di polvere bianca. Dovevo fare in modo che se Michael fosse mai venuto a conoscenza della mia morte non si fosse sentito in colpa. Era solo colpa mia, lo era sempre stato.

"Cari presenti,
Se ce ne sono. Se il mio piano è andato a buon fine state leggendo questa lettera in presenza delle mie ceneri. Giusto, crematemi, non voglio che rimanga niente di me, non me lo merito.
Non è colpa di nessuno se ho ricominciato a farmi. Anzi, questa era la prima volta da tanti anni.
Nessuno si deve sentire in colpa per quello che mi sono fatto, NESSUNO! Lo sapevano tutti che sarebbe finita così prima o poi.
Tutto quello che mi era successo negli ultimi anni, la fortuna di aver trovato un uomo fantastico doveva sfumare e ho fatto da solo. Non provate mai a pensare che avete fatto qualcosa di sbagliato.
Michael, Mika, amore mio, ti amo e ti amerò sempre."
Bryan"

ANGOLO SCRITTRICE: eccoci, avevo detto che sarebbe stato corto e un po' noioso, ma mi serviva un'uscita di scena. Come mi è stato fatto notare non potevo semplicemente farlo sparire. So che molti avranno da ridire sull'uscita di scena, ma spero che vi piaccia comunque. Nel prossimo capitolo riprendiamo Clara e Mika dove li avevamo lasciati ;) questa era solo una piccola digressione.

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Capitolo 16
*** Tears For A Friend ***


CAPITOLO 16

- Mamà - urlò Mika.
Mika mi passò l'orso gigante e abbracciò i suoi familiari. Quando finì mi tese la mano e mi fece avvicinare un po'.
- Vi presento la mia fidanzata. - aveva gli occhi che brillavano. - Famiglia, Clara. Clara, questi sono famiglia. Spero che potrete andare d'accordo. -
Jonnie mi si avvicinò, mi guardò un attimo con io che sorridevo nella speranza di piacerle e poi mi abbracciò. - Benvenuta in famiglia Clara - a quel punto tutte le sorelle e il padre si presentarono. Infine mi avvicinai a Fortunè. Era più alto di Mika (incredibilmente), capelli neri leggermente scarmigliati e occhi di ghiaccio. Sembrava una persona fredda al contrario di suo fratello. Però fece un sorriso che si rispecchiò in modo sincero negli occhi e mi tese la mano. - Piacere, Fortunè - tentando di parlare italiano al contrario dei suoi familiari. Mi stava simpatico. Un'anima solitaria e oscura, come me prima di conoscere Mika. Lui mi faceva sorridere.
- Come sta Paloma? - chiese Mika alla fine.
- Bene. Dovrebbero chiamarci da un momento all'altro. - Ci sedemmo nella saletta d'aspetto.
Era una famiglia allegra. Io chiacchieravo con Yasmine e Zuleika che volevano sapere com'era loro fratello come fidanzato e Mika parlava con suo fratello sotto voce raccontandosi chissà cosa e a volte sorridendo. Dopo un po' uscì da una stanza un infermiera con le guance un po' arrossate, bassa e un po' in carne, che con sguardo allegro ci avvisò che era andato tutto bene e che potevamo vedere madre e figlia.
Tutta la ciurma entrò nella sala dove c'erano Paloma in un letto con in braccio la piccola Belle e accanto al letto c'era il marito di Paloma, Albert, che sorrideva in modo felicissimo.
La prima persona che Paloma salutò fu Mika, perché non lo aveva visto prima di essere ricoverata. Quando quest'ultimo vide la bambina si illuminò di gioia all'inverosimile. La prese in braccio e la cullò qualche secondo così da lasciare a Paloma il tempo di salutare gli altri. Mi avvicinai a lui che le accarezzava dolcemente la guancia con il dorso della mano. - Ma ciao, ma ciaociaociao. -
- Ciao piccola Belle - dissi io.
Guardai Mika. Era una delle persone più felici dell'universo in quel momento. Gli occhi erano lucidi di gioia e in volto aveva un sorriso dolce e strampalato allo stesso tempo. Mi immaginai dei piccoli Mika che correvano per casa e non mi fu difficile farlo.
- Mika, non mi presenti la tua fidanzata? - Chiese Paloma.
- Sisi - disse lui con un cenno della testa, mentre era troppo impegnato con la neonata. - Clara Paloma, Paloma Clara. -
Sorridemmo per la sua noncuranza e ci occupammo da sole delle presentazioni. Alla fine Paloma richiese indietro la figlia e noi uscimmo tutti dalla stanza per lasciarli un po' soli. - Che si fa? - chiese Mika.
Tutti noi pensammo a qualcosa. - Beh, domani e domenica, quindi potremmo rimanere qui. Che ne dici? - Gli dissi io, anche se non ci aiutava a risolvere l'"ora".
- Che ne dite di un aperitivo? - propose Fortunè.
- Ottima idea! - esclamarono contemporaneamente Yasmine e Zuleika, felici della proposta.

Andammo a un'enoteca molto pregiata non troppo lontana da dove ci trovavamo. Scoprii che Fortunè era un appassionato di vini e dato che anche mio padre lo era e che ne sapevo qualcosa mi permisi di ordinare del Brunello Di Montalcino dell''88 sotto lo sguardo di approvazione di Fortunè e quello un po' confuso degli altri.
Passammo la serata a chiacchierare del più e del meno. Fortunè era una persona estremamente carismatica e socievole una volta conosciuta, ma anche molto lunatica, come la sottoscritta. Alle sette ci avviammo ognuno a casa e io non stavo più nella pelle. Non vedevo l'ora di vedere la casa a Londra di Mika.

- Slap! - Devo dire che la prima visione della casa di Mika fu piuttosto umida e rosa. Infatti era la lingua di Mel sulla mia faccia e le sue zampe sul torace. Barcollai indietro, ma per fortuna c'era Mika che mi tenne in equilibrio. - Mel! Giù! - ordinò.
Mel si accucciò e iniziò a scodinzolare e uggiolare finché il suo padrone non l'accarezzò un attimo. Poi se ne andò soddisfatta. Finalmente potei guardare la casa. Era incredibile. Le pareti erano ognuna di un colore diverso, ma senza essere soffocanti. Ciò che rendeva l'aria soffocante erano i fiori. Di ogni tipo e colore. Ricoprivano ogni superficie libera. Gerani, mimose, rose, violette, gigli...
Le pareti erano pieni di quadri e dipinti evidentemente fatti da lui. Rappresentavano per lo più figure astratte oppure figure reali colorate in modi assurdi.
Il pavimento era parquet e a volte scricchiolava dando l'idea di una casa antica che aveva visto molte storie.
Avevo iniziato a camminare per la stanza, naso all'aria, quando mi trovai davanti il mio amato. Gli buttai le braccia al collo e bisbigliai - è bellissima -
- It's home. Our home. -
Mi diede un breve, ma soffice bacio sulla punta delle labbra e poi un altro più approfondito.
Smangiucchiammo un po' di pasta con sugo al pomodoro che era avanzata in casa e poi uscimmo. Voleva farmi vedere Londra di notte. Beh... Se New York mi aveva stupito, Londra... Essendo anche la mia città preferita, mi scavò nell'anima. Era lì che volevo vivere. Lì e da nessun'altra parte.
Mika viveva a sud di St. James's Park, a Westminster. Una delle zone più ricche e curate di Londra. Prendemmo un taxi e arrivammo a Oxford Street. Mi spiegò che lì c'era la vera vita notturna di quella capitale meravigliosa. Entrammo in un locale dove trovò dei suoi amici con i quali cominciò a chiacchierare. Erano persone simpatiche e stravaganti come lui. All'inizio comunque mi sentii un po' spaesata non conoscendo nessuno, ma dopo un po' mi divertii molto di più.
Trovai una ragazza simpatica e stringemmo subito amicizia. Si chiamava Chloe e aveva un anno più di me. Lei era inglese per nascita, ma aveva vissuto un paio di anni in Italia. Alla fine della serata ci scambiammo i numeri di telefono con la promessa di rivederci. Anche Mika era felice che avessi trovato un'amica. Ormai frequentavo solo uomini. Lui, Marco, Cristiano. Effettivamente...
Mentre stavamo tornando in taxi mi arrivò un messaggio di Marco: se riesci ci sentiamo su Skype.
Gli risposi che lo avrei chiamato in un quarto d'ora. Non appena fossimo arrivati a casa.

- Mikaaaa! La telecamera! Perché non funziona?! -
Arrivò saltellando attraverso la porta mentre cercava di cambiarsi i boxer. Gli sorrisi maliziosamente e leggermente divertita. - Aspetta. Devi... - si mise accanto a me davanti allo schermo del computer, ma si allungò per sistemare qualcosa dei cavi dietro.
- Bei boxer Mika! - sentii urlare con voce roca.
- Morgan! - esclamai. - Funziona! -
Mika era leggermente arrossito.
- Susu, non fare il bambino e finisci da cambiarti. - dissi scoccandogli un bacio all'angolo delle labbra. Poi ritornai concentrata sullo schermo e la telecamera. - Eccoci. Cosa dovevi dirmi? -
Vedevo nello schermo Morgan seduto sulla sua gigantesca poltrona girevole con la scrivania sommersa da carte mentre cercava qualcosa in mezzo a queste.
- Beh, innanzitutto bel vestito. - disse commentando il tubino di paillette argentee molto corto che indossavo.
- Grazie. Poi? -
- Devi iniziare a pensare a che università iscriverti. -
- Con calma. Ho altri problemi per la testa. -
- Tipo? - chiese stupito.
- Te e la tua revoca di affidamento. -
Sorrise in modo dolce. - Non è compito tuo occupartene Clara, lo sai. Vivi la tua vita. Sei ancora giovane, non rovinarti con me. -
- Marco. Come io sono una delle persone che ti sono ancora vicine per te. Tu sei una delle poche persone che mi sono vicine. -
- Allora siamo messi male - disse ironico. - Grazie comunque. È proprio a proposito della revoca dell'affidamento che ti vorrei parlare. -
- Vai. -
- Mi è arrivato un documento da Asia. Vuole togliermi l'affidamento perché dice che non sono un buon esempio per Anna . -
- E tu dimostragli che non è vero! - quella storia mi stava trascinando un po' troppo, ma difatti, se non fossi riuscita ad entrare a medicina avrei ripiegato su giurisprudenza.
- Clara... Stiamo parlando di me. Marco Castoldi in arte Morgan. Non stiamo parlando di Michael. Cos'ho fatto di giusto nella mia vita?! - La maschera Morgan si stava sgretolando e anche Marco, sotto, stava iniziando a cedere e non potevo permetterlo.
- Hai aiutato me! - Urlai al limite. - Mi hai aiutato quando più ne avevo bisogno! Mi hai dato una casa e una persona che mi capisce e sulla quale posso contare! A te si può chiedere tutto e si sa che risponderai con sincerità! Questo sei tu! Un uomo sincero e una persona su cui nel momento del bisogno si può contare! -
- Sicura che stai parlando di me? - chiese triste e senza ironia.
- Sì! Ne sono certa! Perché io ho visto il vero Marco. Non Morgan, non una delle centinaia di maschere che come me indossi ogni giorno. Ho visto il Marco che tiene con tutto se stesso alle persone a cui vuole bene, che lotta per loro. - provò a dire qualcosa, ma io continuai. - Domani torniamo, o almeno io, a Milano e daremo una sistemata alla tua casa e alla tua vita. Faremo vedere che sei un padre capace e responsabile. -
- Grazie piccola Clara, grazie. Sei più forte di me. - Nella sua voce sentii il dolore sorpassato dalla speranza.
- Buonanotte Marco, fratellone, ti voglio bene così come sei; non cambiare mai. -
- Buonanotte mademoiselle. Saluta il tuo fidanzato in boxer. -
- Contaci. A domani. -
Con un tasto chiusi la telefonata e mi poggiai all'indietro sulla gigantesca poltrona girevole. Quando riaprii gli occhi girai la sedia e vidi Michael. Era poco più di un'ombra poggiata sullo stipite della porta. - Da quanto tempo sei lì? - chiesi stanca, ma senza rimprovero.
- Da un po'... - disse semplicemente. Venne verso di me e accucciò per essere alla mia altezza. - Ti amo. Sei la cosa più bella che mi sia capitata. Ti amo e non smetterò mai di amarti. -
- Aspetta a dirlo. Sei sicuro di voler conoscere tutti i lati di me? Anche quelli più oscuri e feriti? -
- Ne sono certo - disse lui guardandomi negli occhi e sostenendo il mio sguardo. - Voglio conoscere ogni sfaccettatura del tuo carattere, anche quelli feriti; e chiudere queste ferite. -
- Ti amo - dissi io confortata dal suo abbraccio e dalle sue parole.
- Dai, andiamo a dormire. -
Mi alzai in piedi e mentre cercavo di stabilizzarmi venni sollevata con facilità. Non protestai e mi lasciai portare in camera dove mi rimise per terra e mi aiutò a togliere il vestito. Tolsi il reggiseno e infilai una vestaglia blu. Poi mi infilai sotto le coperte accanto a Mika. Mi strinse in un abbraccio e poggiai la testa fra la sua spalla e il suo collo piangendo lacrime silenziose.
Piangevo per Marco. Era assurdo, erano secoli che non piangevo per me. Qualsiasi cosa mi fosse successa negli ultimi anni, compresa la morte di mio padre, non mi aveva portato a piangere, ma il dolore di Marco, di una delle poche persone che nella mia vita contavano qualcosa mi aveva distrutto. Mi addormentai così, nell'abbraccio di Michael, mentre sussurrava Over My 
Shoulder.
Quando mi sarei svegliata sarebbe stato un altro giorno.

ANGOLO SCRITTRICE: ciao a tutti! Essendo a Milano ;) sono riuscita a scrivere velocemente. Tuttavia non so come mi sia venuto questo capitolo, ma dovevo riprendere in mano la "situazione Anna Lou". Comunque spero vi piaccia come sempre. Scusatemi per il poco che ho scritto.
Au revoir
ILoveRainbows
P.S. I Navigli, anche se non so cosa c'entri, sono bellissimi. Sempre stati e sempre saranno uno dei miei posti preferiti di questa città meravigliosa. Se non ci siete mai stati andateci. Peccato che Mika sia a Los Angeles :( oggi torno a casa, ma spero di tornare presto qui con la scusa di trovare mio zio.

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Capitolo 17
*** Vegetables In The Fridge ***


CAPITOLO 17

NOTA SCRITTRICE: avviso solo che nel capitolo precedente avevo messo Mika a vivere a Nord di Hyde Park, ma mi sono accorta che non aveva senso perché lì c'è Notting Hill. Quindi ho modificato e ora vive a Sud di St. James's Park, nel quartiere di Westminster. Scusate ^_^


Altro che nuovo giorno!
Mi svegliai al profumo di brioche e caffè e non appena stropicciai gli occhi vidi Mika entrare in camera cercando di tenere in equilibrio un vassoio senza inciampare su Mel.
- Ciao piccola Clara - disse regalandomi un sorriso a trentadue denti.
- Tempismo perfetto! -
Giunse finalmente al letto e poggiò il vassoio con gambe (che per fortuna non scappò via) davanti a me.
Nessuno mi aveva fatto più una cosa così da quando la domenica mattina mio padre mi comprava una brioche e una rosa perché usciva a prendersi il giornale e me li lasciava su un vassoio sulla scrivania sotto la finestra.
Gli sorrisi riconoscente. Le azzeccava tutte. Era l'uomo perfetto.
Mi avventai sulla colazione cercando di mantenermi neutrale, ma assolutamente sciogliendomi al sapore della crema. Ne presi un po' su un dito e la feci mangiare a Mika che nel frattempo mi guardava imbambolato.
- Buona vero? - Chiese.
- Divina. -
- Mi fa piacere - e ritornammo ai nostri pensieri. La finestra era basculante e le tende aperte così che entravano un filo d'aria e qualche raggio di sole che illuminavano gli oggetti colorati che c'erano in quella stanza.
- L'aereo è alle 18. Non ne ho trovati che partivano prima. Arriveremo un po' tardi. -
- Alle 18?! -
- Si. Quelli prima... - cercò di scusarsi. Gli misi un dito sulle labbra zittendolo.
- È perfetto - dissi baciandolo dolcemente. - Così abbiamo tutto il giorno per fare shopping! -
- Hahahaha. Allora vestiamoci che si va. -
Si alzò portandosi dietro il vassoio vuoto da portare in cucina e io aprii l'armadio. Fortuna che Marco si era premurato di preparare una piccola valigia con dei vestiti e me l'aveva mandata. Non avevo molta scelta. Comunque alla fine optai per un paio di pantaloni neri fino alla caviglia, una t-shirt blu svolazzante, una giacca rosa shocking. Una borsetta nera con il minimo indispensabile e un impermeabile anch'esso nero. Tutto con l'unico paio di scarpe che avevo. Delle ballerine con un po' di tacco nere. Poi andai in bagno e misi un filo di trucco; giusto per non sembrare uno zombie, ed ero pronta ad uscire in un tempo record.
Mika mi stava aspettando suonando Grace Kelly al pianoforte e quando mi sentii arrivare scattò in piedi e si girò verso di me. Camicia bianca, pantaloni e giacca blu abbinati, stringate nere, pochette viola. Semplice ma originale.
Mi tese il braccio che accettai e uscimmo a braccetto come la coppia perfetta di fidanzatini.
Inizialmente lo convinsi a portarmi da Forbidden Planet. Era un negozio per nerd che prendeva il nome dall'omonimo film del '56. C'ero stata con mio zio ed era meraviglioso. Aveva di tutto su un sacco di serie e saghe: Harry Potter, The Lord Of The Rings, Star Trek, Star Wars... E soprattutto (a mio parere) aveva ogni gadget possibile e immaginabile del Doctor Who!
Per fortuna dopo mezz'ora Mika mi trascinò fuori di lì. Altrimenti avrei speso tutti i soldi di entrambi. Ero riuscita a comprare un cacciavite sonico del Decimo Dottore, qualche spilla e un fumetto.
Dopo quella folle avventura iniziammo a girare per vari negozi del centro. Alcuni lo riconoscevano e gli chiedevano l'autografo, ma prima che venisse attirata una folla troppo grande mi trascinava via correndo e ridendo facendo slalom fra la gente.
Andammo in negozi di vestiti da donna e da uomo per poi rinchiuderci in un negozio di vecchi dischi e Lp dove ci mettemmo a ballare come deficienti sotto lo sguardo stupito di tutti.
A ora di pranzo prendemmo un taxi e mi portò a mangiare pesce a Greenwich dove poi facemmo anche due passi. Infine andammo a Camden Town dove provammo comprammo magliette con scritte "Stay Hungry Stay Foolish" "Keep Calm And Eat Cupcakes" "Love Pandas". Con Mika che fece una faccia da panda (per quanto sia possibile) e disse - I'm a beautiful and sweet panda. -
- Yes you are - dissi baciandolo e stropicciandogli i capelli.
Infine fermammo un taxi che ci riportò a Westminster e, dopo aver preso le valigie, andammo in aeroporto pronti per tornare a Milano.
Il viaggio fu tranquillo e all'arrivo ci venne a prendere Morgan che aveva ritrovato il sorriso. Cercò di tirare su la mia valigia ma era troppo pesante e rimase bloccato a metà come un vecchio con la schiena spaccata. Quindi la prese su Mika con leggerezza e uscimmo in strada dove Marco aveva parcheggiato.
Lasciammo Mika a casa sua e poi andammo da lui. Durante il viaggio gli avevamo accennato dell'idea di trasferirmi a casa di Michael e lui ne era stato felice. Avrei comunque avuto una stanza per me a casa Castoldi dove andare in caso di necessità.
Arrivati da Morgan notai che la casa era stata ripulita. Il giardino aveva definitivamente l'aspetto di un giardino innanzitutto. Entrando non sentii più il tipico profumo di casa sua: alcol e sigarette. Al contrario c'era un profumo di fresco e pulito. Storsi leggermente il naso e, buttata malamente la borsa per terra all'entrata, iniziai a vagare per la casa alla ricerca di altri cambiamenti. Entrando in soggiorno notai che le tapparelle erano state tirate su, come non succedeva mai di giorno, infatti sembrava di vivere con un vampiro, e raggi di luce primaverile s'insinuavano fra le delicate tende violette.
Erano spariti tutti gli alcolici dall'armadio a vetro e anche dei bicchierini da whisky non c'era traccia.
Aprendo il frigo venni sommersa da vegetali che rimisi dentro a fatica. Vagando per le altre stanze notai che quel luogo era stato rivoltato come un calzino da cima a fondo. Oltre ad aver fatto sparire un sacco di oggetti, Marco lo aveva anche pulito ed ora era lustro come la vetrina di una gioielleria.
La cosa che mi lasciò più sconvolta fu un vaso di fiori misti sopra il pianoforte.
Tornata all'entrata della casa trovai Morgan che mi aspettava con aria speranzosa.
- Allora? -
Distolsi lo sguardo dalla finestra del soggiorno che si vedeva dall'entrata per guardare Morgan. Lo guardai scettica - Che cazzo hai fatto? -
Sembrò spaesato - non va bene? -
- Sì... Cioè, no. Ossia - dissi spazientita. - Sì, ma no! -
Sembrava ancora più spaesato di prima e sembrava avere le pupille a punto di domanda.
- Mi spiego. Va benissimo per i servizi sociali o chiunque verrà a controllare la casa per Anna. -
- Ma? - Chiese sapendo che c'era per forza un ma.
Allargai le braccia indicando tutta la casa metaforicamente. - Ma tu dove sei in tutto questo? -
Confusione. Era tutto quello che leggevo nei suoi occhi. - Intendo - mi avviai in soggiorno indicando il vaso di fiori sul pianoforte e lui mi seguì come un cucciolo. - Questo non sei tu. - Poi indicai la finestra e le tende. - Nemmeno questo sei tu. Dov'è Morgan in tutto questo? -
Capì e rispose strascicando le parole come se gli costasse dirlo. - Da qualche parte nel mio cervello. -
- Per quanto tempo? - Chiesi preoccupata.
- Cinque giorni. Verranno a fare un controllo fra cinque giorni. -
- Beh, - dissi con allegria. - Tu ti chiami Morgan? -
- Si - disse con sguardo sconsolato.
- Bene! Tu sei un uomo forte e sopravvivrai! Al massimo ti sposti in albergo e per pagare suoni il pianoforte nel bar del ristorante la sera. -
Sorrise quasi impercettibilmente. - Controllano le mie finanze. -
- Per quello ho detto che puoi suonare al bar dell'albergo per pagare la stanza. Oppure potresti fare il mendicante travestito in modo da non farti riconoscere. Non credo che dovresti pagare le tasse, ma non ne sono sicura - dissi pensierosa. - Forse prima dovremmo chiedere al tipo che chiedeva l'elemosina due isolati a destra di qua. -
Questa volta finì per sorridere. - Sei fantastica. -
- No, a parte gli scherzi. Ce la farai. Ne sono certa. Se non riesci proprio a sopravvivere ti affittiamo il divano di casa Penniman. -
- Con voi due piccioncini dentro? No grazie. Sai che sono debole di stomaco. -
Senza che quasi se ne accorgesse presi un cuscino dal divano e glielo spiaccicai in faccia. Inciampò sul tappeto e cadde tirandosi dietro me e facendomi il solletico per vendicarsi. Quando mi arresi ci sdraiammo entrambi a pancia in su sul tappeto ridendo per riprendere fiato e riposarci un po'. 
- Tu es un enfant terrible! -
- L'ho già sentita sulle labbra di qualcun altro questa frase -
Dopo poco suonarono al campanello.
- È aperto - urlò Marco ancora ridendo.
Mika entrò e lo vidi al contrario.
- Amore, non si cammina sul soffitto. -
Sorrise - quanto siete fatti da uno a dieci? -
- Zero - urlai. - Siamo così al naturale. -
Ridemmo entrambi di nuovo. Sembravamo molto fatti.
- Siamo messi male allora. Morgan, ti ho fatto un po' di spesa, posso metterla nel frigo? -
- Se ci sta - disse lui guardandomi complice.
- Che sciocchezze vai dicendo Morgan?! Il tuo frigo è vuoto - esclamò; dirigendosi con passo deciso in cucina.
- What the hell! - Lo sentimmo imprecare qualche secondo dopo. - Morgan - gridò - potevi avvertirmi. -
- No mio caro, dovevi fare amicizia con il nuovo contenuto del mio frigo. Questo è il suo modo di salutare. Di ciao. -
Scoppiammo a ridere di nuovo. Non stavamo bene.
Mika arrivò in soggiorno severo. Parlò con calma e scandendo le parole. - Adesso voi due alzate i vostri delicati fondoschiena da quel tappeto e venite in cucina a bere un bicchiere d'acqua nella speranza che vi riprendiate. -
Gli facemmo la linguaccia e tornammo a ridere mentre se ne andava apparentemente arreso in un altra stanza.
Qualche istante dopo tornò e ci rovesciò in faccia un bicchiere d'acqua e cominciammo a sputacchiare. - Uno a zero per Mika. - Disse sorridendo con aria di sfida incrociando le braccia sul petto.
- Va bene ci arrendiamo stecco. - disse Morgan tendendogli la mano per farsi aiutare ad alzarsi.
- Tu es un enfant terrible. - esclamò Mika.
- Non due volte in un giorno! - Rispose sconsolato e un po' divertito. 
Io mi arrangiai e quando fui in piedi li lasciai a cianciare e andai a preparare una valigia con le mie cose da portare a casa di Mika.
Lasciai lì un po' di oggetti, un poster di Mika alla parete, un paio di t-shirts e dei pantaloni, per ogni evenienza, e chiusi la porta raggiungendoli in soggiorno.
Mika però non c'era - dov'è? - chiesi a Morgan.
In quello stesso istante due braccia mi sollevarono da dietro mettendomi a sacco di patata sulla spalla sinistra e portandomi verso l'uscita. - Enfant terrible, prendi tu la valigia? - chiese
- A patto che la smettete di chiamarmi così. -
- Puoi contarci enfant terrible. -
Risi sulla sua spalla prima di venire depositata accanto a una Mercedes nera che però non aveva autista. A Mika piaceva guidare, probabilmente era venuto da solo.
Salutai Morgan con un abbraccio.
- Lo sai che questo non è un addio, ma che probabilmente ci rivedremo fra due giorni vero? - Chiese leggermente a disagio per tutta quella dimostrazione d'affetto. 
- Si, ma avevo bisogno impellente di un abbraccio. -
- E non potevi chiederlo al tuo fidanzato? - continuò ma senza rabbia.
- Volevo un abbraccio da un amico. -
A quel punto mi abbracciò anche lui.
- Comportati bene piccola Clara. - Mi sussurrò nell'orecchio.
- E tu non fare pazzie enfant terrible. -
- Contaci. - ci staccammo dall'abbraccio.
- Ci sentiamo fra qualche ora. - dissi schietta salendo in macchina.
- A dopo. - disse andandosene. Quando era quasi alla porta si girò - Siamo due pazzi, lo sai vero? -
- Sì, e ne vado fiera. - agitai la mano salutandolo.
- Ciao Mika! -
- Ciao. - mise in moto e ripartimmo mentre Morgan entrava in casa senza guardare indietro. Sapeva che non saremmo spariti.

Arrivati a casa Mika andò a farsi una doccia e io sistemai le mie cose in un armadio che mi aveva lasciato.
Poi mi buttai sul divano e mi misi a fissare il soffitto apaticamente.
Non pensavo a niente se non a Mika. Occupava interamente i miei pensieri e la mia vita. Solo per un momento s'insinuò fra i miei pensieri il ricordo della scuola, ma poi sparì in un soffio sostituita dall'immagine pura di Mika.
Dopo un po' sentii la porta del bagno aprirsi e né uscì Mika insieme al vapora con un accappatoio avvolto in vita (Mika, non il vapore).
- No, non di nuovo - esclamò.
Non riuscii a trattenere un sorriso. - Tranquillo sono perfettamente sana di mente. -
- Questo è preoccupante. -
Sfoggiai un sorrisetto malvagio. - Lo so. -
Venne verso il divano e si chinò per darmi un bacio e non so come riuscii a trascinarlo sul divano e a mettermi a cavalcioni su di lui. - Uno a zero per Clara. -
Alzò le mani in segno di resa. - Hai vinto tu, mi arrendo. -
- Bene - e iniziai a baciarlo su tutto il corpo.

ANGOLO SCRITTRICE: eccoci alla fine. (Del capitolo, non della storia, tranquilli). Non succede molto se non c'è Clara va a vivere da Mika e che domani dovrà andare a scuola, come me! Quindi credo che mi appropinquerò nelle braccia di Morfeo (purtroppo non quelle di Mika) e schiaccerò un pisolino.
Au revoir
ILoveRainbows

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Capitolo 18
*** Two hours and twenty-six minutes ***


CAPITOLO 18

Scuola.
Ovvero, come direbbe Facebook: Società Che Uccide Ogni Libero Alunno. Parole sante. Fortuna che l'anno prossimo ero fuori di lì. Cioè, il luogo era fantastico, pieno di gente folle e stravagante, ma la scuola... Era di un noioso. Tutti i giorni, prima di conoscere Mika, mi chiedevo a cosa servisse alzarsi la mattina: andare a scuola, tornare a casa, fare compiti, crollare morta a letto. Questo era il classico e rimpiangevo ogni giorno di averlo choosato.
Ora almeno avevo una ragione per alzarmi dal letto. Se avesse dovuto lasciarmi non credo sarei sopravvissuta molto.
- Susu! Tutti a scuola! - Disse Mika letteralmente buttandomi giù dal letto sul tappeto.
- Ancora cinque minuti. Non ho dormito niente. - Biascicai per poi ricrollare mezza addormentata.
- Non è colpa mia se non hai dormito niente - disse girandosi un po' indignato dall'altra parte.
Con non so quale forza riuscii ad arrivare al cuscino e a tirarglielo dietro.
- Ouch! -
- Non è colpa tua?! - esclamai divertita.
- Chi ha voluto andare avanti fino alle tre? -
Alzai le mani con aria innocente. - Io no di certo. -
- Nooooo - disse con aria sarcastica. - Su, alzati e vestiti che ti porto io a scuola. Altrimenti ti prendo in braccio e ti porto così come sei. -
Saltai in piedi. - Davvero mi accompagnerai tu?! -
- Sai, qualche giorno fa abbiamo fatto coming-out -
- Giusto! - esclamai. - Andiamo - Mi avviai verso il bagno, ma venni intercettata da due braccia che anche se non sembrava erano muscolose.
Le labbra di Mika si posarono con dolcezza sulle mie labbra dandomi un bacio di cui rimasi insoddisfatta e poi venni mandata in bagno dove misi l'iPod in shuffle e mi feci una doccia cantando, o meglio, sussurrando, Rise dei The Frames.


But sometimes we will fall

From the light

But it shines on us tonight

And together we will rise

Pass this line

That we're crossing here tonight

But together we will rise

And together we will rise


Finita la doccia mi asciugai in fretta, mi vestii con pantaloni blu e maglietta bianca e mi truccai.
Uscendo dal bagno mi colpì il profumo di pancake che proveniva dalla cucina. Mi colpì anche un'altra cosa, la musica. I Kiss che cantavano I Was Made For Lovin' You a tutto volume alle sette di mattina.
Arrivata in cucina trovai Mika che ballava con il mestolo in mano, usandolo come microfono, mentre cercava di cuocere i pancake facendoli volare in aria.
Sculettava a destra e a sinistra cercando di frenare l'impulso di mettersi a ballare in mezzo alla stanza senza controllarsi.
Scoppiai a ridere e solo allora si accorse della mia presenza. Mise l'ultimo pancake nel piatto e venne verso di me continuando a cantare sopra le casse.

I was made for lovin' you baby

You were made for lovin' me

And I can't get enough of you baby

Can you get enough of me


Poi lo sostituii nella strofa successiva prendendogli improvvisamente il microfono dalle mani.


I was made for lovin' you baby

You were made for lovin' me

And I can give it all to you baby

Can you give it all to me


Finimmo abbracciandoci mentre ridevamo, distrutti da quanto avevamo dovuto urlare per riuscire a cantare quella canzone.
- Complimenti. Non pensavo saresti riuscita a cantare una canzone simile. -
- Ehi! - dissi colpendolo - per chi mi hai preso? -
- Per la ragazza migliore del mondo. - Disse dandomi un bacio sulla punta delle labbra. - Dai, facciamo colazione. -

- Allora ci vediamo all'uscita? - Chiesi per essere sicura che non mi avrebbe abbandonato nelle mani dei professori.
- Signor sì signora! - Disse facendo il saluto militare.
- Hahahaha, scemo. - Feci per andarmene, ma mi afferrò per un braccio.
- Pensi di fuggirtene così? - E pose le sue labbra con le mie mordendomi il labbro inferiore per raggiungere la mia lingua.
- Visto che ci siete spogliatevi qui. - Disse una voce a lato.
Ci staccammo imbarazzati e solo poi mi accorsi che si trattava di Cristiano.
- Vuoi farci morire d'infarto? - Esclamai, ma senza rabbia.
Lui ci scoppiò a ridere in faccia. - Dovevate vedervi. Hahahaha. Eravate terrorizzati. - Provò a imitare le nostre facce e non potemmo fare a meno di ridere anche noi.
- Ci vediamo all'uscita. - Dissi rivolgendomi a Mika e lasciandogli un bacio veloce come quello che mi aveva dato lui quando mi ero svegliata. Era una punizione e si accorse perché mentre mi allontanavo mi urlò - non finisce qui! -
- Vedremo... - gli risposi girandomi verso di lui con sguardo malizioso. Poi continuai, o almeno ci provai. Un paio di secondi dopo venni fermata da un'altra voce.
- E così è per lui che non ti sei fatta più sentire. -
Laura.
- Sì, qualche problema? -
- Un cantante? E per di più un frocio? -
Serrai i pugni e Cristiano se ne accorse. - Gira al largo Laura. - disse.
- Ma perché? Noi siamo amiche. - Disse con voce ruffiana.
- Non più. Vattene. - Aveva assunto un'aria minacciosa.
- Spostati di mezzo. - Sibilai fra i denti.
Poi sentii un corpo caldo a contato con il mio da dietro e due mani si poggiarono sulle mie spalle stringendo leggermente. - C'è qualche problema? -
Chiese Michael con voce dura.
- Oh, ecco che il frocio viene a salvare la donzella e l'amico frocio in pericolo. -
Che mi si assolva, ma non riuscii a trattenermi. Un mano chiusa partì incontrollata verso il suo volto.
Sentii la sua pelle a contatto con il mio pugno teso.
Quando finì il secondo vidi un po' di sangue scenderle dal naso. - Puttana - disse.
Mika e Cristiano avevano più controllo di me e mi trattennero dal saltarle alla gola. - Puttana sarai tu. - sibilai piena di odio.
Si girò e se ne andò. Sospettavo che avrebbe rotto per un po'.
Solo in quel momento mi accorsi che avevo la mano ancora chiusa a pugno e che Michael stava cercando gentilmente di aprirla. Lo lasciai fare e mi esaminò le nocche che mi pulsavano. Dopo aver appurato che non mi fossi fatta niente di grave mi strinse a sé in un abbraccio. - Andrà tutto bene. Ma se dovesse rifare quello che ha fatto oggi se la vedrà con me e i miei muscoli. - bisbigliò nel mio orecchio.
- Grazie per esserci. -
- Always. -
Mi staccai dall'abbraccio. - Devo salire - dissi con sguardo triste.
- Sì vai. - poi si rivolse a Cristiano. - Tienila d'occhio. -
- Sempre fatto. E continuerò a farlo. -
Annuì stanco, ma un po' confortato da quelle parole e si avviò verso la macchina. Mi girai per seguirlo con gli occhi e solo in quel momento io e Cristiano ci accorgemmo che tutti ci guardavano. Fece per dire qualcosa, ma lo fermai prendendolo per la manica della giacca e entrando nell'edificio.

La mattina passò mooooolto lentamente, usando un eufemismo. Dire che a un certo punto pensai di buttarmi giù dalla finestra non è un'esagerazione.
Passai il tempo sprofondata nella sedia pensando a Michael e cercando di prendere degli appunti vagamente decenti.
La profe di latino, dopo aver beccato un mio compagno con il cellulare, ci rifece per l'ennesima volta la ramanzina dicendo che avevamo gli esami; quindi dovevamo stare attenti; che non potevamo farci i cazzi nostri... Beh, avete presente no?
Effettivamente mancava poco, metà aprile, maggio, inizio di giugno... Poi l'Armageddon.
Alla fine della mattinata trovai Cristiano fuori dalla mia porta che mi seguì come un bodyguard.
Appena uscii vidi Mika con un mazzo di fiori tutti diversi fra loro e coloratissimi e il mio viso un secondo prima nero si illuminò di gioia. Feci i dieci scalini che mi separavano da lui due alla volta. Correndo. Incurante degli sguardi altrui.
- Ci sei! - Esclamai saltandogli al collo e dandogli un bacio sulla guancia mentre ci raggiungeva anche Cristiano.
- Te lo avevo promesso. Non prometto mai niente che non posso mantenere. -
- Lo so. - Dissi guardandolo con tutto l'amore del mondo.
- Scusa. Ehm, Mika? -
Ci girammo entrambi, anzi, tutti e tre, anche Cristiano, verso la voce e ci trovammo davanti una primina che sembrava in soggezione.
- Scusa, potresti farmi un autografo? -
Mika le sorrise con gentilezza, diede il mazzo enorme a Cristiano che ne venne sommerso, e prese il foglio che la ragazzina gli porgeva.
- Come ti chiami? -
- Amanda. - disse lei felice di aver avuto l'attenzione del suo idolo senza aver intorno troppa altra gente.
- Bel nome. Non ho mai conosciuto nessuno che si chiama così. - Disse mentre scribacchiava una breve dedica e il suo nome sul foglio. Poi si girò verso Cristiano, prese un tulipano rosso dal mazzo, e lo diede ad Amanda insieme al foglio.
Gli sorrise felice e tornò dalle sue amiche che la aspettavano poco lontano. La osservai per qualche istante in più. Era incredibile come Mika sapesse far felici le persone con niente.
- Allora, che si fa? - Chiesi.
- Tutti a mangiare ai Navigli. -
- Tutti? - intervenne Cristiano.
- Sì, tutti. Anche tu. - rispose Mika allegro.
Si avviò a piedi, ma noi due rimanemmo fermi. Dopo qualche istante si girò per controllare che gli fossimo appresso.
- A piedi? - chiesi scettica.
- Prendiamo un po' di aria. -
- A piedi inalando l'aria pregna di smog di Milano? - Chiese Cristiano.
- Che piattole che siete. Ho parcheggiato la macchina sulla strada per i Navigli. -
Feci una faccia poco convinta, ma lo seguii seguita a ruota da Cristiano.
- Che musi lunghi. Almeno vi muovete un po'. E comunque non posso portarvi in braccio. -
Risi ritrovando il buon umore. - No infatti. -
Ci avviammo in silenzio godendoci i raggi di sole primaverili (che però sembravano estivi).
Dopo un po' cominciammo a chiacchierare di Xfactor. I giudici erano gli stessi dell'anno prima. Mika, Morgan, Elio e la (S)Ventura.
Dopo un po' sentii una macchina fermarsi bruscamente sulla strada accanto al marciapiede dove camminavamo e ne uscì proprio Morgan con aria trafelata. - Finalmente vi ho trovati. È stata un'impresa. -
Ero abbastanza scioccata. Uno: che ci faceva lì mezzo morto dalla fretta. Due: come aveva appunto fatto a trovarci a Milano?! Non era un paesino di campagna... Bah...
Fortuna che si spiegò. - L'incontro, l'hanno anticipato a oggi pomeriggio. Vengono fra due ore e... - controllò l'orologio - ventisei minuti. - Ci guardò sperando dicessimo qualcosa, ma stavamo entrambi pensando. Alla fine fu lui a parlare. - Quello chi è? -
- Cristiano. - Risposi sbrigativa.
- Ah, piacere. - Disse facendo un sorriso veloce.
Io guardai Michael e in un secondo ci capimmo. Mi girai verso Cristiano - mi spiace rovinare così il pranzo. Ma dobbiamo andare a casa di Morgan per tranquillizzarlo un po'. - Davanti al suo sguardo interrogativo continuai. - Se vieni ti spiego tutto in auto, altrimenti ci vediamo domani e scusami ancora. -
- Se per Morgan va bene io vengo. - Disse incuriosito dalla situazione.
Mi girai verso l'interessato che scrutava Cristiano strizzando leggermente gli occhi. - Ci fidiamo? -
- Ci fidiamo - dicemmo io e Mika all'unisono.
Salimmo tutti in auto e partimmo alla volta di casa Castoldi mentre io e gli altri spiegavamo la situazione a Cristiano.
Quando arrivammo era tutto come il giorno prima. Fiori, luce e verdura nel frigo.
Sistemammo le ultime cose, pulimmo gli angoli più remoti, confortammo Morgan e bevemmo frullato di banana e fragola (non voglio sapere come le avevano coltivate in aprile).
Quando l'orologio batté le tre e cinquantacinque sia io che Mika abbracciammo Morgan mentre Cristiano si limitò a un'energica stretta di mano e uscimmo di casa per iniziare ad avviarci ai Navigli, dato che dovevamo ancora pranzare.
L'ultima istante in cui vidi Morgan se ne stava sulla porta stringendo la maniglia agitatamente.

ANGOLO SCRITTRICE: perdonatemi, sono in stra ritardo e non é lungo e non mi piace. Chiedo umilmente perdono.
Solo una piccola nota, i The Frames, che canta Clara sotto la doccia sono un gruppo irlandese molto poco conosciuto e Rise è la canzone loro che mi piace di più, se vi dovesse capitare di ascoltarli.
Ditemi cosa ne pensate come sempre.
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Capitolo 19
*** The End ***


CAPITOLO 19

Con gli assistenti sociali non avrebbe potuto andare meglio. Nonostante la cattiva fama di Morgan capirono che ci teneva a sua figlia e che avrebbe fatto qualunque cosa per lei.
Alla fine del processo e di molte discussioni i termini dell'affidamento non furono cambiati e festeggiammo andando fuori a cena con anche Anna Lou che finalmente conobbi. Era una ragazzina estremamente socievole e solare, forse a volte un po' impertinente come il padre. Amava la musica e fui felice per Morgan. Un punto a favore suo, uno in meno per Asia.
Dopo aver conosciuto Anna passai parecchio tempo in sua compagnia. Era matura per una della sua età e si riuscivano a intrattenere conversazioni interessanti.
Quanto a Morgan, beh... Innanzitutto la casa tornò quella di una volta, dopo che Anna si era battuta per questa nobile causa. A quanto pare a nessuno piaceva quella rimodernizzazione.
Si può dire che fosse leggermente cambiato, aveva la testa un po' più sulle spalle, ma stiamo parlando di Morgan dopotutto e continuò ad avere i suoi giorni poco lucidi.
Gli ultimi mesi di scuola furono molto impegnativi e per un po' non vidi Mika, che era a Los Angeles per registrare un nuovo album. In quel periodo potei soppesare la verità del detto: la lontananza aumenta l'amore. Verissimo.
Però riuscimmo a sopravvivere e tornò a Milano giusto per la maturità. Nel periodo precedente mi aiutò Morgan a studiare, che, nonostante non avesse finito il classico per ripiegare sul geometri, si ricordava ancora qualcosa di quel periodo.
Poi ovviamente io e Cristiano ci aiutammo a vicenda. Lui avrebbe portato come tesina "i diritti dei gay", un tema forse banale, ma estremamente attuale e adatto a lui e fui felice di aiutarlo.
Io invece puntai sulle "cure palliative". È ero, il mio sogno era di diventare chirurgo, ma mi interessavo anche di questa branchia della medicina. Troppo spesso i pazienti terminali venivano abbandonati a se stessi.
Lui prese 100. Io 97. Ne fui felice. Mi ero predisposta un minimo di 90 e 97 era perfetto. Non ci credevo quasi.
Mika e io festeggiammo e non poco. Facemmo anche una settimana a New York. Ormai aveva capito che nemmeno io amavo il mare e preferivo una grande città (dove magari ero già stata), ma che potevo esplorare in ogni sfumatura. Così rividi anche Dave che si trovava lì per un breve periodo prima di tornare a Londra.
Il resto dell'estate la passai a studiare per entrare a medicina alla UCL (University College London). Sapevo che sarebbe stata un'impresa. Insomma, stiamo parlando di una delle università di medicina più prestigiose al mondo.
Marco e Michael avevano proposto di cercare di entrare alla Hopkins o alla Stanford o persino a Harvard. Ma oltre che costare tantissimo ed essere impegnativissime erano anche in America. Già Mika avrebbe dovuto viaggiare molto. Se fossi andata in una di quelle scuole avremmo rischiato di non vederci più.
Entrando alla UCL invece avrei potuto semplicemente vivere nella sua casa a Londra. Mika fu felicissimo della mia decisione. Lo avrei comunque visto poco fra X Factor, CD, concerti e tutto, ma era meglio di niente.
Quando diedero i risultati per sapere chi fra i migliaia di partecipanti era riuscito ad entrare in quell'università meravigliosa Mika era a Milano per un'intervista, ma fece venire con me suo fratello, con il quale durante l'estate ero diventata molto amica. Sapete quando si dice: ho avuto culo? Beh... Ebbi molto culo. Passai per un punto. Stentavo a crederci e dubito che voi ci crediate. Chiamai immediatamente Mika che si congratulò con me praticamente urlando. Quella sera tornò da Milano e andammo a festeggiare con la sua famiglia.
Pure Cristiano riuscì a coronare il suo sogno, giurisprudenza a Londra.
Ero la persona più felice del mondo, avevo tutto quello che volevo. Anche se la mia vita era molto incasinata.
Mia madre la sentii un paio di volte. A quanto pare aveva trovato un fidanzato e provai molto dispiacere per questo. Era rimasta quella di sempre, acida e rigida. Non le andava giù che stessi con Mika e che studiassi medicina invece di puntare su un lavoro sicuro che mi avrebbe sicuramente dato quello che mi serviva per vivere come lavorare come commessa in un negozio per il resto dei miei giorni. Ma non m'importava cosa pensava.
Quando iniziò l'università fui ancora più occupata e poi iniziò X Factor e Mika andò a Milano venendomi a trovare una volta ogni settimana. Per fortuna nella capitale inglese avevo la sua famiglia, Cristiano e qualche nuova compagno di medicina con cui avevo fatto amicizia.
Anche quell'anno X Factor andò egregiamente. Con Morgan ci vedevamo appena uno dei due aveva un momento libero e di solito era lui che veniva a Londra.
Passai egregiamente l'anno d'università e anche quello dopo e quello dopo ancora. Poi feci specializzazione in chirurgia e iniziai a lavorare in un ospedale facendo cose di base in attesa di riuscire ad arrivare al fatidico momento della chirurgia.
La carriera di Mika andava di benissimo in meglio se si può dire. Ormai tutti lo conoscevano e sempre più gente era attratta da quel ragazzo stravagante. Sì, nonostante tutto rimaneva lo stesso.
Anche fra di noi andava tutto bene. Le fan... Bah, alcune mi avevano accettata, altre avevano ancora istinti omicidi verso di me, ma ci avevo fatto l'abitudine.
Avevamo due carriere "full-time", ma questo non ci allontanava, anzi, rendeva i momenti insieme più importanti ed essenziali.
Prima o poi arrivò la questione figli. Eravamo entrambi d'accordo sul fatto che volevamo figli. Dopo averne discusso un po', molto poco perché giungemmo presto alla stessa conclusione. Avremmo adottato un bambino. Volevamo aiutare i bambini rimasti orfani. Ci sarebbero stati anche i figli generati da noi, ma anche adottati. 
All'inizio adottammo una bambina di cinque anni. Aisha.
Pelle scura, due grandi occhioni color cioccolato. Capelli più ribelli di quelli di Mika. Era un amore.
Ci unì di più di prima se possibile e, nonostante quello che molti dicono di avere un figlio, non uccise la nostra vita sessuale.
Tre anni dopo fu il turno di Nathan Michael Penniman. Assomigliava un sacco a Mika ed era adorabile. Un piccolo Mika che correva per casa rincorso da quello grande.
Inizialmente pensavo che due figli mi avrebbero rovinato sul lavoro, ma ormai ero conosciuta. Aneurismi e craniotomie erano all'ordine del giorno e nessuno osava discutere la mia autorità.

- Piccola Clara, sei qui? - Già, non ha ancora rinunciato a quello stupido modo di chiamarmi.
- Sono in studio. -
- Eccoti. - Entra nella stanza alle mie spalle e mi giro a guardarlo. Indossa una camicia bianca con qualche bottone slacciato e dei pantaloni blu notte.
Noto i pettorali appena accennati che negli anni sono rimasti, grazie al costante esercizio, sotto la camicia. Gli sorrido maliziosa e chiude la posta alle sue spalle.
I bambini sono da nonna Jonnie e non torneranno prima di sera. Ormai hanno dodici e quattro anni.
Abbiamo tutto il tempo per noi.
- Non trovi faccia un po' caldo? - chiede avvicinandosi pericolosamente. 
- Si, hai ragione. Ahahahhahah. - si avventa sulle mie labbra mordicchiandomi il labbro e cercando il contatto con la mia lingua. Fortuna che in studio ho un divano.

Non so come andrà avanti la nostra storia, ci sono ancora tante cose che vogliamo fare, insieme, ma chissà quali sono i progetti del destino per noi due. Spero che qualunque questi siano vadano di pari passo.


Il mio nome è Clara Gauthier e questa è la mia storia.



ANGOLO SCRITTRICE: eccoci giunti alla fine. Ringrazio tutti quelli che mi hanno seguito e recensito o non. Ringrazio soprattutto come qualche capitolo fa Chiara e Nicole. Poi ringrazio Icanlive_underwater e RainAndFire per tutto e per avermi sempre seguito e supportato.
Quest'esperienza mi è piaciuta un sacco e spero che mi abbia fatto crescere un po' in quanto immaginazione e scrittura. Ho in progetto una slash con Mika dove cercherò di applicare tutto quello che ho imparato scrivendo questa fanfiction.
Fatemi sapere cosa ne pensate di questo finale. Se vi è sembrato troppo brusco o troppo melenso o troppo "a buon fine".
Spero di "sentire" alcuni di voi quando pubblicherò la slash.
Grazie mille
ILoveRainbows

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