Nostos

di Brooke Davis24
(/viewuser.php?uid=133075)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Donne e fanciulle non possono salire a bordo ***
Capitolo 2: *** Capitan Swan ***
Capitolo 3: *** Il male non nasce, si crea ***
Capitolo 4: *** Non tutto è come sembra ***
Capitolo 5: *** Durin ***
Capitolo 6: *** Liam ***
Capitolo 7: *** Sono Giuda e questo è il mio bacio ***
Capitolo 8: *** Il fidanzato di un pirata ***
Capitolo 9: *** Se non ti uccide, ti fortifica ***
Capitolo 10: *** Per i tuoi larghi occhi ***
Capitolo 11: *** Il riso del gabbiano ***
Capitolo 12: *** Le bugie hanno le gambe corte ***
Capitolo 13: *** Corruzione ***
Capitolo 14: *** Le parole se le porta via il vento ***
Capitolo 15: *** Quello che conta è il viaggio ***
Capitolo 16: *** Telos ***
Capitolo 17: *** Le petit mort ***
Capitolo 18: *** La parte in cui tutti rischiano tutto ***
Capitolo 19: *** Il canto della balena ***
Capitolo 20: *** La fase delle trattative ***
Capitolo 21: *** L'inganno della donna fantasma ***
Capitolo 22: *** Albori ***



Capitolo 1
*** Donne e fanciulle non possono salire a bordo ***


Capitolo I
Donne e fanciulle non possono salire a bordo


Donne e fanciulle non possono salire a bordo. Era una delle regole chiave della pirateria, perché, per quanto strano potesse apparire, di regole si nutriva anche quell’attività e, con esse, di ordine ed onore. Un buon pirata che potesse definirsi tale non aveva le sembianze di uno scapestrato, di un nullafacente, di un vagabondo senza arte né parte con la speranza di facili guadagni, di loschi raggiri. Quello non aveva nulla a che vedere con la pirateria. Quello era accattonaggio o, tutt’al più, degenerata accidia.

Donne e fanciulle non possono salire a bordo. Era una delle regole basilari della pirateria, la più elementare, forse la più logica e galante che fosse stata inserita nel codice d’onore dei pirati. Non si trattava di misoginia, di discriminazione, di sottovalutare il sesso femminile; era tutta una questione di logica mista a pratica. Le speranze che una donna sopravvivesse incolume alle intemperie naturali ed umane cui andava incontro una ciurma di pirati erano alte tanto quanto quelle che un pirata abbandonasse i suoi abiti per vestire quelle delle milizie di quello o quell’altro sovrano. Come il pirata sceglieva di rinnegare la prospettiva di una vita di servilismo per ideali che, col tempo, sarebbero svaniti o stati distrutti dal confronto con la realtà, a quei tempi era la natura stessa della donna a rinnegare la vita per mare, sia per costituzione che per temperamento. Si instaurava, così, nell’uno e nell’altro caso, la tacita ma lampante consapevolezza che qualunque tentativo di mescolanza non avrebbe dato nessun frutto. E che senso avrebbe trapiantare un germoglio in un terreno che non si addice alle sue radici?

Emma Swan era l’eccezione, l’eccezione alla regola che, per millenni, aveva caratterizzato la vita per mare di uomini al servizio di una sola bandiera: la Jolly Roger. E non era un semplice membro dell’equipaggio, non era una sguattera, una cuoca, un’anima perduta raccattata tra le acque torbide di un mare in tempesta. Emma Swan era il capitano della Nostos e con essa aveva instaurato quel mutuo rapporto di appartenenza che ogni capitano crea con la sua nave. Su quel vascello, temprato dalle intemperie, forgiato dalle lotte, curato ferita per ferita dagli uomini che ne avevano fatto la loro casa come di Emma la loro guida, la donna aveva vissuto più di quanto i suoi venticinque anni le avrebbero dovuto concedere.

Aveva smesso di essere una ragazzina molto tempo prima e, insieme al suo carattere, anche il suo corpo aveva seguito la naturale trasformazione che le circostanze avevano richiesto. Emma era di corporatura longilinea ma non esile; aveva le curve giuste al punto giusto, senza esagerazioni né in eccesso, né in difetto. Aveva lunghi capelli biondi che scendevano lungo la schiena, mossi appena alle estremità, e due occhi verdi che portavano con sé la stessa intrepida bellezza del mare. E, come ogni pirata che si rispetti, il suo abbigliamento era rigorosamente in pelle nera, un materiale che amava particolarmente e che le fasciava le lunghe gambe ed il busto, lasciandole scoperte le spalle, senza mancare un colpo.

Dopo un viaggio che era parso durare un’eternità, Emma e la sua ciurma avevano raggiunto la città di Thrain a bordo della Nostos e, aggirando accuratamente il porto della corona, erano riusciti ad attraccare nel porto secondario della cittadina costiere, il cd. porto dei pirati. Era lì che si svolgeva la piena attività del villaggio, era lì che si inseguivano la vita e la morte in una danza diseguale ed asimmetrica come asimmetrica e priva di equilibrio era la stessa Thrain. Era come se Thrain vivesse due vite, l’una parallela all’altra, la prima adiacente alla seconda, quasi si dessero il cambio per non stancarsi troppo a vicenda e per fare felici chi l’intera giornata non poteva proprio viverla, ognuno per le proprie ragioni. E l’una dall’altra, queste due vite, erano assai diverse: rappresentavano rispettivamente l’oscurità della notte, dei balordi, dei sotterfugi, delle meretrici, dei guadagni facili, delle magagne, dei segreti e il chiarore del giorno, la sua limpidezza, la sua austerità, la sua accorta selezione tra chi poteva esibirsi e chi no, la sua discriminazione. Un po’ come il porto del re, da un lato, e quello dei pirati, dall’altro.

Da che erano arrivati, Emma si era sentita un po’ parte di quelle ambientazioni, un po’ perfettamente estranea e, a poco a poco, aveva cominciato a sviluppare una certa affezione per Thrain; non perché fondamentalmente vi appartenesse e si riconoscesse nella gente del luogo, non perché le sue origini fossero umili quanto quelle di chi vi si aggirava, ma perché ne capiva le sfaccettature. Al suono dello sciabordio delle onde contro il ventre di quella o quell’altra nave, grande o piccola che fosse, la vita si esprimeva tutta lungo i suoi sentieri e pontili, tra le bancarelle dei pescivendoli e i venditori ambulanti, tra le gonne logore delle madri di famiglia e i bambini con la pelle annerita dallo sporco, tra le scollature smembrate delle prostitute e l’ingordigia degli uomini. E, nelle sue imperfezioni, Thrain era viva ed ostica come viva e ostica si sentiva di essere Emma. Ma lei era lì per compiere una missione e una missione avrebbe portato a termine!

Svoltando l’angolo in tutta la sua bellezza, Emma scorse il mare dall’unica zona ove le urla del mercato non arrivavano, la stessa in cui era attraccata la sua nave. Sistemando una ciocca di lunghi capelli biondi dietro l’orecchio con un movimento rapido, strizzò l’occhio a Joseph, uno dei suoi bambini preferiti, uno di quei bambini che, pur avendo le potenzialità, non avrebbe combinato mai nulla di buono nella vita, e, quando gli vide fare una linguaccia al suo indirizzo, avvicinò ripetutamente l’indice e il medio della mano destra a mimare il movimento delle forbici e, prima di passare oltre, sussurrò un impercettibile zac, che provocò la risata dal piccolo mascalzone. Sorrise a sua volta e fece per raggiungere uno dei suoi seduto su un barile accanto alla passerella d’ingresso alla nave, quando una voce la costrinse a fermarsi.

«Capitano!»
Voltandosi, scorse Julio e, d’istinto, inarcò le sopracciglia, osservandolo con cipiglio curioso e in parte guardingo: era madido di sudore e, benché fosse ben consapevole della emotività esuberante di lui, il fatto che il respiro affannoso le suggerisse una certa urgenza la rese oltremodo curiosa. Un sorriso invisibile curvò le sue labbra al suono di quella parola che aveva duramente conquistato e ne assaporò ancora e ancora il significato nella sua mente.
«Dimmi, Julio!» fece e il tono della sua voce fu imperativo, al punto tale che l’altro, la cui età era di qualche anno superiore a quella di Emma, si tolse il berretto e cominciò a stringerlo convulsamente tra le mani. Aveva ancora timore di lei, molto!

«E’ arrivato un uomo alla nave qualche ora fa, poco dopo che siete andato via. Vi cercava con urgenza. Mi ha chiesto di trovarvi a tutti i costi.» le comunicò ed Emma non se la sentì di inquisire ancora. Lo stato emotivo del ragazzo era di tale agitazione che, se avesse proseguito con le domande e avesse involontariamente assunto un cipiglio austero dei suoi, sarebbe stato probabile che crollasse.
«Ti ringrazio, Julio. Puoi andare!» disse e, girando su se stessa, si avviò in direzione di Diego. Diego era un omone di grossa taglia, di buon cuore ma con un temperamento davvero poco paziente; se avesse dovuto contare le volte in cui lo aveva visto prendere a cazzotti quello o quell’altro sbarbato e le altrettante volte in cui aveva dovuto radunare una buona metà della sua ciurma per impedirgli di spezzare l’osso del collo del malcapitato di turno, avrebbe davvero perso il conto. Silenziosamente, si sedette al suo fianco su un grosso barile.

«Mio capitano!» la salutò, ammiccando verso di lei e portandosi due dita alla tempia. Emma sorrise di quel sorriso furbo e consapevole che tanto bene si addiceva al suo animo frizzante e mascalzone.
«Chi è e dov’è?» chiese senza troppi preamboli.
«Alla taverna da Bill,» e fece un cenno del capo in direzione della locanda. «Non so chi sia, non l’ho mai visto da queste parti. E’ vestito come uno dei dintorni, ma…» Una pausa seguì le sue parole, mentre lo sguardo dell’uomo incontrava quello della donna pirata. «Puzza!» ed Emma comprese. Era un linguaggio in codice, un modo tutto piratesco per indicare chi stava al servizio del re o, in qualche modo, apparteneva alle autorità cittadine. Diego aveva un ottimo fiuto per quel genere di guai e lei seppe con certezza che non si fosse sbagliato. «Bill sa già tutto. Quando entrerete, vi farà cenno per indicarvelo. Il suo nome è Jones!»

Emma non perse tempo. Saltando giù dal barile, si diresse con passo spedito verso il luogo che le era stato indicato. Era una taverna vecchia di anni, impregnata dell’odore di salsedine e alcool, ma, nonostante fosse frequentata dai peggiori topi di fogna, il proprietario sapeva mantenerla discretamente bene. Quando varcò la soglia, la giovane fece fatica ad abituarsi alla penombra in cui versava il locale e, nel tentativo di darsi tempo, raggiunse il bancone. Bill le si accostò con noncuranza, evitando di dare troppo nell’occhio, e con un gesto casuale, mentre continuava ad asciugare con uno strofinaccio un bicchiere che non avrebbe potuto essere più pulito di com’era, le indicò uno dei tavoli addossati alla parete di fronte. Un sorriso inarcò le labbra di Emma quando scorse l’uomo di cui Diego le aveva parlato e, nel raggiungerlo, sentì l’adrenalina sconquassarle il corpo come solo l’idea di una sfida simile avrebbe potuto fare. Non le capitava tutti i giorni di avere a che fare con un infiltrato talmente sciocco da chiedere di lei nel suo territorio!

«Jones, suppongo…» fece, dopo aver preso posto di rimpetto all’altro, e godette dell’espressione di stupore che attraversò per un attimo i suoi occhi, prima di svanire dietro una coltre d’indifferenza.
«Vi manda il vostro capitano?» domandò, le sopracciglia scure inarcate in maniera piuttosto teatrale.
«Esattamente. Cosa volete da lui?»

Un sorriso di scherno apparve sulle labbra dell’uomo, che si fece avanti quel tanto che bastava ad essere investito dalla luce del sole, la testa china come nel tentativo di raccogliere i pensieri e combattere l’incredulità che la scena pareva suscitare nel suo animo. Emma notò che si trattava di un bell’uomo, di un gran bell’uomo, a dirla tutta. Aveva un viso mascolino ben delineato da una mascella forte ma non sporgente, la pelle chiara e coperta da una leggera peluria scura tanto quanto i capelli, e due occhi azzurro-blu che misero in allarme il suo istinto. Non era propriamente uno sprovveduto, non quanto gli altri almeno!

«Aspetto da ore e mi manda un sottoposto? E, per di più, una donna?» le chiese con fare retorico, sulle labbra ancora quel sorriso strafottente, quasi divertito. «Devo essere sembrato proprio un ometto di poco conto agli occhi di quell’altro pirata.»
«Oh…» fece lei, le braccia poggiate sul tavolo con estrema padronanza di sé, le labbra inarcate appena a composizione di un ghigno lieve ma rivelatore, mentre abbassava lo sguardo sui suoi polsi senza nessuna ragione effettiva. Amava le pause drammatiche, avevano un non so che di scenico! «Un misogino.»
Gli occhi verdi di lei tornarono a lui con tutta la carica seduttiva di cui erano capaci e lo sconosciuto parve apprezzare, mentre il suo sguardo indugiava più di un istante sulla bocca di Emma, tinta di un rosso tenue, quasi sbiadito, scendeva fino alla scollatura e risaliva con sfrontata lentezza.

«No, è che non amo che mi si faccia aspettare a lungo… O essere preso in giro!»
«Oh, è così?» Il tono fu velatamente sarcastico. «E quale ragione vi ha portato qui a chiedere proprio di lui, signor Jones? La stoltezza o il brivido della morte? Siete già pronto? Perché nulla suggerisce che abbiate un affare che possa interessarlo.» inquisì, il sorriso più ampio a scoprire i denti bianchi e perfettamente allineati, la mano ad indicare distrattamente l’abbigliamento dimesso di lui. Un lampo di apparente furbizia e di vittoria illuminò il blu intenso di quelle iridi, quasi pensasse di averla fatta franca col suo travestimento.

«Un pirata con la puzza sotto al naso. Bene, bene. Non ne avevo ancora visto uno.» la schernì, protendendosi ancora di più verso lei. «Credo che ci sia più di una cosa che io potrei volere da lui, a questo punto.» disse con fare ammiccante e lei si lasciò sfuggire una risata breve, roca, un suono basso che riecheggiò tra loro più e più volte, riempiendo lo spazio che separava i loro corpi, strisciando sulla superficie lignea del tavolo logoro.
«Non va contro tutti i vostri principi, tenente?» ribatté e le sue labbra s’inarcarono ancora di più verso l’alto, quando l’espressione di lui si fece di ghiaccio. Il muscolo del braccio dell’uomo scattò, come se fosse pronto a far scivolare le mani via dal tavolo e munirsi di ciò che aveva sotto tutti quegli strati coi quali si era travestito. Ma Emma fu più rapida e, con presa ferma, avvolse le sue dita attorno al polso di lui, scivolando fino a prendergli la mano e fermandolo prima che potesse mettere in atto il suo piano.

«Non siate sciocco, tenente. Non riuscireste nemmeno ad alzarvi da questo tavolo, se tiraste fuori quello che nascondete sotto l’abito. Possiamo parlare come persone civili.» lo ammonì e, in tutta risposta, l’uomo coprì la mano di Emma con la propria in una morsa altrettanto ferrea. «Ora, ditemi… Qual è il vostro nome?»
«Killian, Killian Jones. E il vostro?» A poco a poco, la bocca di lui si modulò a riproporne l’espressione spavalda, quasi civettuola e le spalle si rilassarono un poco.
«Emma.»
«Avete un bel nome, Emma, un nome forte.» disse, ma non ci fu traccia di alcuna lusinga nella sua voce. Pensava sul serio quello che aveva appena detto e la giovane lo comprese.

«Una donna non può permettersi di essere debole, neppure quanto al nome, con i tempi che corrono. Non credete?» A quelle parole, le sorrise più ampiamente, con fare genuino e strinse appena la presa sulla mano di lei, che ancora stringeva una delle sue senza tremori, senza titubanze.
«Credo di dovervi delle scuse per ciò che ho detto. Non intendevo offendervi.» Lentamente, le dita di lui cominciarono a muoversi, a carezzare il dorso di quelle di lei, sul volto un’espressione candida, una di quelle che doveva aver conquistato molte più donne di quanto fosse dato sapere.

«Mi offendete molto di più in questo modo, Killian Jones, credendo che io possa cedere alle vostre manfrine per una ragione o per un’altra.» Imitando da lentezza delle movenze di lui, sottrasse la mano alla presa dell’altro e incrociò le braccia al petto con aria meditabonda. «Sapete, Killian, nonostante non me ne stiate dando alcuna prova, deduco che siete un uomo intelligente,» Si fermò un istante, assaporando sulla lingua e negli occhi la soddisfazione che il tremore della mascella di lui le diede. «,ma davvero non riesco a capire cosa ci facciate qui. Come uomo al servizio del sovrano, dovreste sapere che questo porto è del tutto fuori dal controllo statale e, con esso, chiunque vi eserciti la propria attività.» Ancora una volta, tacque e la sconcertò un poco l’ardore degli occhi dell’altro: era come se tutto il suo essere stesse bruciando di sentimenti contrastanti e, benché non ne fosse certa, qualcosa le suggerì che non tutti fossero negativi come avrebbero dovuto essere. «La nave del mio capitano è arrivata da poco, e noi con lei, eppure siete venuto immediatamente a chiedere di lui.» Analizzò la situazione con cinica rapidità, evitando i dettagli superflui. «E, adesso, siete qui, con me, uno dei suoi uomini, in una locanda che pullula di gente che vi taglierebbe la gola per il solo gusto di vedere se lo avete davvero, il sangue blu. Me compresa.» La mascella di lui vibrò di un’intensità ancora maggiore e, pur non avendone la matematica certezza, Emma avrebbe potuto giurare che avesse stretto i pugni sotto al tavolo. «Se volete conquistare questo posto, Jones, cominciate da pesci più piccoli. E, adesso, uscite di qui, prima che vi scoprano o prima che io decida di divertirmi a vostre spese. Del resto, sono solo una donna e una donna deve pure trovare un modo per passare il tempo, quando non ha ago e filo a portata di mano. Non credete?»

Con un ultimo sogghigno, si alzò dal tavolo e non si premurò di sentirne o aspettarne la risposta, perché non era interessata. Qualunque fosse la ragione alla base del suo silenzio, gli aveva concesso più di una volta l’opportunità di esporle i suoi piani, le sue richieste, qualunque cosa gli passasse per la testa e non aveva saputo coglierla. I suoi passi furono rapidi e silenziosi, quando ebbe raggiunto il bancone e si fu accostata a Bill per sussurrargli due o tre parole, e altrettanto lo furono quando, aperta la porta, oltrepassò l’uscio e fu investita dalla luce del mattino inoltrato. C’era qualcosa di sbagliato in lei in quel momento, come se fosse troppo bella, troppo giusta e al contempo troppo torbida e sbagliata per trovarsi in quel luogo, a quell’ora. Diego la guardò da lontano con la stessa riflessione dipinta in volto, nel cuore un sentimento diverso dalla mera reverenza per quella giovane donna di soli venticinque anni che era stata in grado di conquistare una ciurma, un vascello, una vita in un lasso di tempo davvero breve. Fu un secondo, però, e l’espressione di lui mutò impercettibilmente. Emma non fece in tempo a stupirsi, che la risposta arrivò dritta alle sue orecchie.

«Non credete nella redenzione, Emma?»
La voce di Killian Jones, l’avventuriero senza un briciolo di amor proprio e di spirito di conservazione, la colse di sorpresa e, mentre si voltava per fronteggiarlo, le labbra di Emma si dipinsero di un sorriso privo di qualunque sfumatura, di qualunque colore, come se non ne avesse bisogno.
«Non per me, Killian. Forse per voi.»
«Da cos’è che dovrei redimermi?» le chiese, sgomento per la risposta ricevuta.

«Avete mai pensato, per un solo istante, di essere schierato dalla parte sbagliata?» D’istinto, fece un passo verso di lui e la distanza tra i loro corpi cominciò a ridursi. «Guardatevi intorno, Killian, e guardate voi stesso. E’ davvero una questione di bene o male? E, se così fosse, siete sicuro di essere dalla parte del bene? Avete soldi, potere, influenza, forse perfino buon cuore, ma siete così pieno di voi e della vostra giustizia da non riuscire a vedere, da non potervi riempire d’altro.» Un passo ancora. «Guardate quella bandiera nera e guardate tutte le altre presenti in questo molo: combattiamo tutti per la medesima causa, per il medesimo scopo, con l’unica differenza che non siamo tanto influenti quanto il vostro sovrano nelle vite dei cittadini.» Un altro passo. «E, allora, ditemi, Killian, per cosa combattete? Per chi combattete? Perché ci saranno tanti ideali nei vostri occhi, ma non avete combattuto per nessuno di essi fino ad ora e, forse, dovreste cominciare a farlo.»

A quel punto, la sua voce non era che un sussurro e le sue parole, l’intensità con cui le aveva pronunciate, il fatto che sapesse essere così giusta e così sbagliata ad un tempo ottennero l’effetto sperato. Con i propri occhi verdi, Emma scandagliò i segreti più bui di quell’azzurro-blu e gli mostrò un po’ di sé. Gli mostrò il rosso del sangue che era stato versato per mano sua, il nero dell’odio e della vendetta che avevano arso tutto il suo animo, il grigio della desolazione della quale era stata preda. Gli mostrò i colori del capitano della Nostos, quel capitano che Killian Jones aveva a lungo cercato, prima ancora che la sua nave avesse toccato le coste di Thrain, e che avrebbe dovuto temere.

«Capitano!» La voce di Diego, molto più vicina di quanto non fosse stata fino ad allora, viaggiò tra di loro, accendendo un barlume di consapevolezza nella mente dell’uomo. Emma indietreggiò di un passo, sulle labbra quel sorriso sghembo che Killian le aveva visto fare dal primo momento che si erano incontrati.
«Voi…»
Lei indietreggiò ancora, finché non ebbe affiancato Diego.
«Andate, Killian Jones, e non fatevi più rivedere da queste parti. E’ un ordine, non un suggerimento.»



Rieccomi con un'altra storia, stavolta AU, stavolta con un supporto. Per chi fosse arrivato fin quaggiù, mi auguro che il viaggio sia stato piacevole e, se vi va, fatemi sapere cosa ve n'è parso.
Buona lettura,
E-A.

N.B. Aggiungo una precisazione a posteriori: il personaggio di Emma potrebbe apparire assolutamente OOC per il suo estremismo, ma vorrei spiegarvi che non è così. La Emma che rappresento io è quella della prima puntata della prima stagione, con la stessa forza, spregiudicatezza, sicurezza di sé e capacità di raggiungere i propri obiettivi con tutti i mezzi. Qui, la situazione è un po' esasperata per via della missione che l'Emma personaggio deve compiere e che scoprirete più in là, per il suo vissuto un po' più crudo e per il fatto che, beh, è un pirata.

 

Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** Capitan Swan ***


Capitolo II
Capitan Swan


La vita di un pirata non è semplice, a dispetto delle credenze popolari. E’ un’esistenza confusa, ibrida, a metà tra la privazione e l’assenza di freni, tra gli ideali e la desolazione di non averne alcuno. Da che mondo e mondo, la tendenza a disumanizzare la figura del pirata è così diffusa che, quando se ne incontra uno, si fatica a realizzare che l’uomo che si ha di fronte è fatto della stessa carne, dello stesso sangue e della stessa capacità di provare sentimenti, siano essi buoni o malevoli, di qualunque altro essere umano. Si ha del pirata l’idea di un essere abietto, avvezzo ai piaceri della vita ed inconsapevole di qualunque forma di dedizione ad una causa, o all’onore, o al rispetto di regole e dettami che la società ha consolidato e imposto a se stessa nel corso del tempo. Ma la verità è che si tratta di prospettive, di angolazioni e di capacità di adattare la propria vista a qualcosa che non si conosce col proposito di osservarla in modo obiettivo.

Emma Swan era l’emblema dell’ibridismo della pirateria. Era una donna e una donna non avrebbe mai dovuto salire su una nave pirata, né per una traversata, men che meno per capitanarla; e questo implicava che non solo che fosse stata infranta una delle basilari regole del codice della pirateria -  un codice di cui nessuno conosceva l’esistenza e che nessuno si aspettava venisse rispettato - ma anche che tutto ciò che gli altri credevano fosse vero lo era eccome: i pirati erano incapaci di rispettare perfino una semplice, basilare regola. Al contempo, però, Emma rappresentava il cambiamento, la nota stonata che nessuno avrebbe mai dovuto suonare ma il cui suono sgomentava ed affascinava senza possibilità di ignorarla. Emma era quello di cui la pirateria – e non solo – aveva bisogno da tempo, era la possibilità di cambiare, di dimostrare, di stupire.

Aggirandosi per le vie sterrate di Thrain, il sole alto nel cielo a troneggiare sulle centinaia di teste che si sfioravano per le bancarelle del mercato, Emma si guardò intorno e comprese, per la prima volta dopo mesi di ininterrotta navigazione, quali e quanti fossero i pregi della vita sulla terraferma, quali e quante le opportunità che il mare, benché lo amasse, non avrebbe mai potuto offrirle. E una parte di lei rimpianse quella lontana fase della sua vita nella quale il mare non era stato che un mistero e le sue gambe erano state ben lontane dalla possibilità di reggerne gli smottamenti, quella fase della sua vita durante la quale aveva vissuto in una piccola casa ai margini di una foresta e aveva desiderato vedere il mondo con lo stesso ardore di chi desidera la libertà, ma sa di non poterla avere. Al pari di un carcerato condannato a scontare una pena senza limiti di sorta, in quel periodo Emma aveva anelato a possibilità che la sua condizione economica non le avrebbero mai potuto concedere, possibilità che, ironia della sorte, erano divenute certezze quando, dopo una serie di sfortunatissimi eventi, si era trovata ad affondare la lama di un pugnale nel ventre del capitano della Nostos con la consapevolezza di essersi presa non soltanto la sua vita ma anche parte della sua identità.

Le voci dei rivenditori ambulanti, di uomini e donne in preda a contrattazioni ben si mescolavano alle risate dei bambini che scorrazzavano tra la folla, o agli accenti di chi, venuto da una terra lontana, presentava i propri prodotti ai possibili futuri acquirenti, o ai versi del bestiame la cui sorte sarebbe stata una triste alternativa tra il giogo dell’aratro e la fredda superficie di un piatto da portata. In tutto quel trambusto e nella diversità che accomunava ognuno dei presenti al mercato della città, eppure c’era un elemento di condivisione, qualcosa che li accomunava. Quel giorno, era atteso il proclama del sovrano che, dall’alto della balconata del palazzo più illustre della città, avrebbe annunciato l’inizio dei preparativi per la festa che si sarebbe tenuta quella stessa sera al suo castello, una festa che avrebbe coinvolto il paese e che avrebbe visto l’arrivo di mercanti, saltimbanchi, speziali ed artisti, dando un colore diverso alla routine di chi dell’attesa di questi eventi straordinari riempiva i propri giorni. Ovviamente, l’accesso al castello era riservato ad un numero di eletti che poco avevano a che vedere con le vie sterrate di Thrain, ma si doveva riconoscere al sovrano il merito di non aver escluso la popolazione dai festeggiamenti per il fidanzamento della figlia con il principe di una terra lontana. Nei limiti del possibile, assicurandosi che rimanessero nel posto che spettava loro, aveva voluto coinvolgerli e, probabilmente, tacitare il loro malcontento.

Stretta nel proprio mantello, il cappuccio issato a nascondere il proprio volto, Emma si accostò al muro di un angolo della piazza, lontana a sufficienza da evitare le guardie del sovrano che si aggiravano tra la folla nel tentativo di placare qualunque possibile sommossa, ma vicina abbastanza da godersi lo spettacolo. Un sorriso le curvò le labbra, mentre i suoi occhi scandagliavano la moltitudine di persone in attesa del fatidico evento, e non poté impedirsi di ridacchiare, quando le imposte si schiusero, rivelando la figura di un ometto mediocre, avvolto in una nuvola di tessuti e gioielli che avrebbero fatto sentire fuori luogo la maggior parte dei presenti. Era un individuo senza pretese, Emma lo sapeva bene, un uomo che, come spesso accadeva nei ranghi nobiliari, si era ritrovato a ricoprire un ruolo che poco gli si addiceva e per il quale non aveva le capacità. Era di temperamento fragile, di carattere poco deciso, avido e, malgrado il suo aspetto, vanitoso e pieno di sé. Se Emma avesse dovuto dipingere un soggetto meno adatto alla posizione di re, non sarebbe stata così brava da arrivare ad un simile scempio.

Trascorsero pochi minuti prima che la figlia raggiungesse il padre e altri minuti ancora prima che ella prendesse parola; e fu una sorpresa per Emma constatare quanto grande fosse l’entusiasmo della gente al cospetto dell’individuo che avrebbero dovuto disprezzare e contro il quale avrebbero dovuto rivoltarsi. Una parte di lei si adirò e li biasimò per una simile carenza di spina dorsale, ma un’altra parte di lei, più saggia e più consapevole, suggerì che non sempre era facile come appariva trovare il coraggio per ribellarsi ad una situazione dalla quale non si sa come uscire. Ed Emma, dal canto suo, lo sapeva bene, perché a suo tempo lo aveva provato sulla propria pelle.

«Un inutile sfoggio di superbia e stupidità, non trovate?» La voce di Diego la raggiunse da dietro, strappandole una risata e costringendola ad annuire. Lei stessa non avrebbe saputo utilizzare parole diverse per dare una definizione allo spettacolo che si parava dinanzi ai loro occhi.
«Hai fatto ciò che ti avevo chiesto?» domandò, la spalla poggiata contro il muro e gli occhi fissi sula figura del sovrano che, con un sorriso sulle labbra, si stava accomiatando dalla folla in un tripudio di applausi.
«Certamente.» rispose lui e la smorfia sulle labbra di Emma assunse una connotazione diversa, compiaciuta e smaniosa al contempo. «Siete sicura che questo sia il modo giusto?»

Quando si voltò verso di lui per osservarlo, Emma sorrise delle rughe che solcavano la fronte dell’uomo più sorprendente che avesse mai conosciuto. Sapeva che Diego non approvava il suo piano, che avrebbe preferito di gran lunga un intervento più pacato e che desse meno nell’occhio; quando gli aveva comunicato le sue intenzioni per quella notte, la giovane ricordava distintamente il modo in cui aveva inarcato le sopracciglia e, poggiando la schiena alla sedia, si era preso il tempo per ponderare la scelta del suo capitano nella speranza di addurre una motivazione che potesse spingerlo ad essere più cauto. Ma Emma era stanca di aspettare e il carattere intrepido che la natura le aveva donato, misto alla giovane età, la rendeva incurante degli ammonimenti che spesso Diego le rivolgeva.

«No, certo che no. Ma è il modo in cui desidero venga fatto.»
Diego sospirò e scosse il capo, rassegnato all’idea che avrebbero dovuto attenersi al piano originario, ed Emma lo vide frugare nelle tasche per un po’, finché non ebbe tirato fuori una busta su cui capeggiava in rosso il sigillo reale. La giovane allungò il braccio e lo prese tra le mani, pregustando sulla lingua il sapore della serata.

«Avete trovato un vestito adatto?» la domanda di Diego la costrinse a sollevare lo sguardo e non con poca sorpresa. Guardandosi, entrambi non poterono fare a meno di lasciarsi andare ad una sommessa risata, perché non si era mai visto un pirata della sua stazza preoccuparsi dell’abbigliamento di una donna che avesse voluto partecipare ad un ballo di gala. Le sopracciglia di Emma si mossero verso l’alto, ammiccando con fare provocatorio.
«Oh sì! Ho trovato esattamente ciò che fa al caso mio.»

Quando si fu allontanata dal muro e lo ebbe oltrepassato, imboccando una via che l’avrebbe condotta al molo e, conseguentemente, alla sua nave, i suoi occhi verdi si posarono su una bancarella a poca distanza da loro e istintivamente la raggiunse. La frutta in esposizione aveva un aspetto delizioso e, quando le sue mani si mossero a prendere un acino d’uva e lo portarono alle labbra, le palpebre chiuse nell’attesa di pregustare il frutto, fu con l’espressione del pirata capitano che accolse la lamentela del mercante.

«Hey! Devi pagare per mangiare, cosa credi?» La voce aspra dell’uomo toccò corde che mai avrebbero dovuto essere sfiorate e le fattezze del viso di Emma s’indurirono a tal punto che, nel momento in cui abbassò il cappuccio e l’uomo la riconobbe, non bastarono tutto il terrore ed il gelo che lesse in quegli occhi estranei per placare il suo disappunto. «Io, io… Scusatemi! Cr-credevo che foste…»

«Chi? Chi credevate che fossi?» domandò e, nel farlo, compì un passo in direzione dell’uomo, la presenza di Diego alle sue spalle un ottimo motivo perché il mercante temesse per la propria vita. Con un movimento calibrato, Emma portò l’acino d’uva alle labbra e, quando l’ebbe morso, si compiacque della qualità della mercanzia e una parte di lei comprese per quale ragione l’uomo ne fosse tanto geloso. Il succo del frutto, dolce come il più delizioso dei nettari, pervase la sua bocca e fu una fortuna che il sapore le fosse di tale gradimento, perché i suoi occhi si schiarirono e le sue spalle si rilassarono; Diego parve comprenderlo, perché la sua mano tozza, fino ad allora pronta a fermarla da qualunque gesto inconsulto la reazione del rivenditore avesse scatenato, tornò inerme contro il suo fianco.

«Vi chiedo umilmente scusa.» fece lui con un filino di voce, indietreggiando quel tanto che bastava a costringerlo contro la parete di pietra alle sue spalle. «Potete prendere tutto quello che volete.» la invitò, sulla bocca i contorni di un sorriso tremulo, isterico.
«Come fate a sapere chi sono?» chiese, premurandosi di riportare il cappuccio sul capo prima di attirare troppo l’attenzione.

«Ero sul molo, l’altro giorno, e ho sentito un uomo che vi chiamava capitano.» le disse, le mani strette in una morsa convulsa che si sarebbe allentata solo quando Emma avrebbe messo una discreta distanza tra sé e quella bancarella. «E vi ho vista salire sulla Nostos e tutti sanno quanto sia temibile il capitano della Nostos.» Non era un tentativo atto a lusingarla, non stava provando ad addolcirla ed Emma non poté dubitarne, perché l’altro non ebbe neppure il coraggio di guardarla per tutto il tempo in cui pronunciò quelle parole. «Solo non sapevo fosse una donna e ho chiesto in giro per avere conferma. E l’ho avuta.»

«Devo esservi rimasta parecchio impressa, suppongo.» La voce di Emma era calda a quel punto, non perché fosse particolarmente compiaciuta, non perché stesse assaporando il momento in cui lo avrebbe punito per i suoi modi, ma perché c’era qualcosa di perverso e lusinghiero al contempo nel fatto che un uomo con più del doppio dei suoi anni si rivolgesse a lei con una tale reverenza.
«Non è cosa da tutti i giorni sapere che il capitano della più temibile nave pirata degli ultimi tempi sia una donna e sia tanto giovane, capitano. Perdonatemi se la mia sorpresa vi offende.»
«Nient’affatto.» tagliò corto Emma e si fece più vicina, finché, a poco più di un passo di distanza dall’altro, l’uomo non fu costretto ad alzare il capo per osservarla. «Sarete al ballo, stasera?»

«S-Sissignora, sì.» balbettò lui e la giovane sorrise più ampiamente, negli occhi un’astuzia che non prometteva niente di buono. «Il re ha esteso l’invito ai mercanti che hanno fornito la sua cucina dei prodotti a lui più graditi.» la informò, quasi intendesse giustificarsi per la sua presenza ad un evento che doveva stomacarla come poche altre cose nella vita.
«Raggiungetemi alla Nostos, stasera, due ore prima che il ballo abbia inizio, e la vostra insolenza potrebbe essere perdonata.» I suoi occhi verdi furono fermi in quelli grigio-azzurro dell’omino e, quando si accostò a lui al punto tale che i lembi del suo cappuccio sfiorarono la pelle avvizzita del volto magro dell’altro, le promesse che gli fece furono più chiare di qualunque altra parola avesse pronunciato fino ad allora. «Mi auguro non ci siano ritardi.»

Quando si fu allontanata, dietro di lei il mantello mosso dal vento e il passo di Diego pesante ma sicuro, Emma seppe di aver ottenuto molto più di un grappolo d’uva quel giorno: aveva ottenuto un infiltrato, una persona della cui fedeltà si sarebbe potuta servire per portare avanti il suo piano ed ottenere tutto quello da cui dipendeva la sua vita, tutto quello per cui aveva combattuto, ucciso e rinnegato la parte più perbenista di sé, lasciando pieno diritto di reggenza al suo io più spregiudicato ed indomito. E la vittoria di quella sera avrebbe deliziato il suo palato della stessa dolcezza di quell’acino d’uva, rendendola un passo più vicina alla realizzazione dell’unico scopo che avesse mai avuto nella vita.

*

Non si sarebbe aspettata nulla di meno di ciò che i suoi occhi videro nel momento in cui ebbe oltrepassato il portone d’ingresso e poté appurare in prima persona che, no, il re non aveva badato a spese quella sera. Il castello era una festa di suoni, colori, voci e profumi, un garbuglio di elementi così incredibilmente ben scelti che avrebbe distolto dai problemi della vita quotidiana perfino il più cinico e disperato tra gli uomini, fosse anche per un solo istante. Non si trattava solamente di decorazioni e chincaglierie varie, di addobbi o di tendaggi. Erano le persone presenti a rendere l’ambiente ancora più fastoso di quanto gli oggetti non facessero.

Fasciata in un abito nero, decisamente più minimale di quelli delle altre donne presenti in sala, Emma attese che il suo nome venisse annunciato per fare il proprio ingresso e le sue labbra arrossate dal freddo e dal balsamo che aveva utilizzato per l’occasione si piegarono in un sorriso seducente, gli occhi verdi tela di un dipinto dai contorni sfuggenti e, al contempo, contraddittoriamente profondi, come fosse indispensabile osservarlo a lungo per comprenderne il senso, ma bisognasse fare attenzione a non perdervisi dentro. Nel momento in cui la sua figura alta e snella fece capolino nel salone gremito di invitati, benché avesse piena consapevolezza che attirare l’attenzione su di sé fosse tutto fuorché saggio, non poté compiacersi degli sguardi che inevitabilmente le vennero tributati.

Al di là del fatto che il suo abbigliamento fosse così diverso da qualunque altro esemplare di vestiario ivi presente e che non avrebbe potuto non suscitare la curiosità dei presenti, Emma era indubitabilmente una donna di incredibile bellezza ed il nero del tessuto che indossava ben si sposava con il chiarore della pelle e il dorato dei capelli, che scendevano sulle spalle a carezzarle la schiena in una danza che seguiva esattamente il ritmo dei suoi passi. Le spalle ritte e la testa alta, a mostrare una fierezza che, data la sua posizione, non avrebbe dovuto possedere, si mescolò alla folla e costeggiò il salone con la stessa cura di un cacciatore in cerca dell’angolo migliore da cui spiare la propria preda. Il sorriso sulle sua labbra si ampliò quando il suo sguardo si posò sulla figura del mercante incontrato quel mattino e il modo rilassato in cui l’altro le rispose le fu di conforto, benché non ne avesse bisogno.
Quando, quella sera, l’uomo l’aveva raggiunta alla nave come pattuito, Emma aveva trovato in lui molto più di quello che non trapelasse in superficie. Era un uomo brillante, pieno d’iniziativa, oculato e con un’ammirevole attenzione per i dettagli; e c’era qualcosa di devoto in lui, quasi il suo spirito fosse alla continua ricerca di qualcuno cui prestare le proprie attenzioni. Ma, ancora più di ciò, l’aveva meravigliata e compiaciuta  sapere che non avesse affetti cui rendere conto. Una parte di lei, forse, la più umana e solidale, avrebbe dovuto spiacersi per il destino di solitudine cui era stato avvezzo, ma non fu così. Un uomo di fine intelletto e senza alcun legame sentimentale era tutto ciò di cui  aveva bisogno.

Era con disposizione d’animo del tutto differente, perciò, che lo aveva coinvolto nel piano di quella sera, offrendogli un posto nella sua ciurma come simbolo di gratitudine e rammentandogli, al contempo, che qualunque tradimento sarebbe stato pagato con la vita, sia che si fosse unito al suo equipaggio, sia che avesse preferito rendersi complice di quel singolo evento. Per quanto poco assennato potesse apparire il modo precipitoso in cui lo aveva arruolato, in realtà, sia Emma che Diego avevano avuto modo di conoscere di più sul mercante la cui vita aveva improvvisamente assunto un peso notevole agli occhi del capitano della Nostos. I loro informatori lo avevano descritto come un uomo ligio al dovere, mai maldestro e incapace di finzione alcuna; i suoi contatti con la corona erano limitati a quelle sporadiche occasioni in cui aveva toccato il molo di Thrain e tanto bastava perché meritasse – se non ancora fiducia - almeno un’occasione. Ma a convincerla era stato il modo in cui i suoi occhi avevano mutato espressione dinanzi all’evenienza di essere parte di qualcosa, il modo incredulo in cui l’aveva guardata, quasi temesse di udire altre parole infrangere la proposta da cui era stato lusingato appena pochi istanti prima. E, quando Emma lo aveva incalzato perché le rispondesse, non erano state soltanto le sue labbra a fornirle l’assenso che aveva sperato ma l’intero suo essere.

Ammiccando in maniera velata in sua direzione, la giovane distolse lo sguardo per incrociare quello di una donna a qualche metro da lei. C’erano curiosità e malizia sul quel viso sconosciuto, mentre i suoi occhi correvano su Emma come a voler comprendere cosa celasse, chi fosse, quale fosse la sua storia, ed Emma inclinò il capo a mo’ di saluto, quando l’attenzione dell’altra si fu soffermata sul suo volto. Colta di sorpresa, la donna rispose brevemente e le diede le spalle, dirigendo i propri passi altrove. Qualcosa di sciocco e noioso doveva caratterizzare quel mondo, si disse il pirata, qualcosa di infinitamente pietoso che portava i suoi abitanti a non avere altra distrazione che apprendere dettagli sulle vite altrui; e avrebbe dovuto sentirsi allarmata o perfino oltraggiata per il modo in cui era stata oggetto di studio fino a qualche secondo prima, tuttavia non fu così.

«Voi!»

L’attenzione di Emma non poté che seguire il flusso della voce  che, a poca distanza da lei, pareva aver infranto la bolla di elucubrazioni entro la quale si era rintanata, e fu con un sorriso ed un’espressione fintamente sorpresi che accolse Killian Jones, mentre l’orchestra prendeva posto e cominciava a suonare le prime note di un valzer. Non aveva creduto o minimamente pensato di poterlo vedere, ma rispondeva esattamente alla logica della serata che un tenente fosse presente alla festa di fidanzamento dell’uomo al cui servizio combatteva.

«E’ sempre piacevole lasciare il segno.» fece lei, ammiccando nei suoi confronti. L’uomo la osservò, si guardò intorno e, infine, tornò a dedicarle la propria attenzione, compiendo stavolta un paio di passi avanti finché le distanze non si furono ridotte. Quando i suoi occhi blu si posarono in quelli verdi di Emma, la giovane vi poté osservare un carico di risolutezza che sperava di poter far crollare nel corso della serata, sebbene non contasse di rimanere a lungo. Le erano sempre piaciute le sfide.

«Cosa siete venuta a fare qui?» Il braccio di lui scattò fino ad afferrarle il polso, sulle labbra un sorriso appena accennato, compiaciuto come di chi ha colto la propria vittima con le spalle al muro. L’espressione di Emma riflesse la sua, ma assunse improvvisamente contorni frizzanti e qualcosa di diverso baluginò nelle sue iridi.

«Volete invitarmi a ballare..?» Una pausa seguì le sue parole e sorrise più ampiamente con espressione colpevole, quando fu chiaro ad entrambi che non ricordasse il nome del giovane tenente.

«Deduco di non aver lasciato nessun segno.» le rispose, i contorni del viso ancora rilassati, benché la stretta attorno al braccio di lei fosse solida e il suo sguardo vigile. Lei rise. «Killian Jones.»

«Jones. Già!» fece Emma e parve quasi assaporarne il nome. «Entro fine serata, lo lascerete di certo, se continuerete a stringere la presa in questo modo.» gli fece notare e, d’istinto, l’altro rimediò all’errore, riproducendo un mezzo inchino in segno di scusa, le dita adesso leggere contro la pelle serica della donna.

«Devo chiedervi di seguirmi.» La sua voce divenne improvvisamente cupa ed Emma comprese dovesse trattarsi dello stesso tono che era solito adoperare per costringere gli altri a seguire un suo ordine, lo stesso di cui doveva servirsi per mettere dietro le sbarre quello o quell’altro furfante, lo stesso del quale, nelle sue fin troppo rosee fantasie, contava di servirsi per consegnarla alla giustizia. Emma sospirò e scosse il capo, apparentemente esasperata; poi, compì un passo avanti e ridusse le distanze tra loro, incurante del fatto che la festa fosse iniziata da pochi momenti e che non avrebbe potuto attirare di più l’attenzione che dando l’apparenza di civettare allegramente con un uomo tanto affascinante e, per di più, in divisa.

«E io devo chiedervi di non costringermi a trattarvi da sciocco, spiegandovi che non sarei qui se non avessi ottenuto un invito, se il vostro sovrano non sapesse e, soprattutto, volesse la mia presenza alla festa di fidanzamento della figlia.» Le sue parole parvero trafiggerlo, insinuare nel suo animo il dubbio che non necessariamente si trattasse di un inganno.

Prima di raggiungerla, con l’intento di comprendere se si trattasse della stessa donna della quale aveva appreso l’identità pochi giorni addietro, Killian, da soldato qual era, si era preso la briga di osservarla per non commettere alcun errore. Era davvero difficile, tuttavia, pensare che non ne riconoscesse o, per quel che valeva, notasse la figura, stretta com’era in un abito che le fasciava il busto con un corsetto e scendeva morbido, senza fronzoli sulle sue curve, creando un velo di protezione che nulla aveva a che vedere con le abbondanti gonne delle nobildonne presenti nel salone. Era difficile da ammettere, ma Killian non era riuscito a mentirsi, quando aveva realizzato – E con lui più di un invitato, incapacitato a distogliere lo sguardo- che la più bella donna della serata fosse un pirata da quattro soldi e che, nella sobrietà di cui pareva avvolto il suo essere, mostrasse di gran lunga più classe di qualunque altra dama invitata ai festeggiamenti.

Sulla base di ciò, la sua figura era così in vista – Ed era evidente che la giovane non avesse fatto nulla per nascondersi o passare inosservata - che non avrebbe avuto alcun senso presenziare ad un simile evento senza avere l’assoluta certezza di poterselo permettere. Quale altra spiegazione possibile, si chiese Killian, poteva giustificare il modo in cui ella si era messa volutamente in mostra, in un luogo che pullulava di guardie, pronte a proteggere il sovrano, la sua famiglia e i loro tesori e invitati? Piano, la osservò sfilare il braccio dalla sua morsa e i suoi polpastrelli ne sfiorarono inavvertitamente l’epidermide, finché ella non si fu liberata. I suoi occhi non allentarono la presa su quelli di lei neppure per un istante e, quando lei fece per voltarsi ed andare via, la sua reazione fu più rapida del previsto, quando le strinse nuovamente il polso e la costrinse a voltarsi.

«Mi concedeste l’onore» E pose l’accento su quell’ultima parola, come a voler sottolineare il sarcasmo di cui era impregnata. «di questo ballo?» Le labbra di lei si schiusero, belle e morbide come ci si aspettava che fosse la bocca di una donna di simile beltà, e il suo sguardo vagò per la stanza alla ricerca di qualcosa, prima di soffermarsi su un punto oltre la spalla di Killian e, infine, tornare a lui. «Vi preoccupate di cosa potrebbe pensare la gente, se vi vedesse ballare con me?» Il suo tono fu sorpreso e divertito a un tempo, e riaccese lo spirito di lei che, per un istante, era parso eclissarsi.

«Mi accertavo che non ci fosse nessuno della mia gente. Potreste rovinarmi la reputazione, sapete?» Killian rise e, pur a malincuore, rise non solo per l’assurdità della frase di lei, ma perché quel pirata, qualunque fosse la sua storia e qualunque fossero i suoi propositi, ci sapeva fare. «Ebbene, vi concedo l'onore di portarmi sulla pista da ballo per tenermi sott'occhio. Ma la serata è appena iniziata! Avete intenzione di ballare fino a che l'orchestra non chiederà pietà?» Il modo in cui gli sorrise, così genuino e infantile sotto molti punti di vista, avrebbe toccato il cuore di qualunque uomo ne fosse stato destinatario. C'erano una innocenza ed una indubitabile furbizia nei suoi occhi, ed un'altrettanto ammirevole padronanza del sarcasmo. Quando Killian si chinò leggermente su di lei per risponderle, si chiese per l'ennesima volta se fosse davvero possibile che la donna di fronte a lui corrispondesse al capitano il cui nome incuteva timore e reverenza al solo pronunciarlo.

«Iniziamo con questo ballo, signora. Vedremo come si evolveranno le cose!» Ironico, strizzò l'occhio all'indirizzo dell'altra e la sue dita s'insinuarono lentamente tra quelle di lei finché non le ebbe strette. Emma gli sorrise, un sentimento assai diverso dall'innocenza ardente nei suoi occhi, e Killian comprese che, in qualche modo, non la stesse urtando ma compiacendo. C'era qualcosa nel modo in cui lo guardava che non aveva nemmeno vagamente i contorni del timore di essere scoperta o giustiziata, qualcosa di selvaggio ed indomito che ben rappresentava quello che ci si sarebbe aspettati dal temibile capitan pirata.

Attraversando la sala finché non ebbero raggiunto la porzione dedita alle danze, già ampiamente occupata da coppie di nobildonne e signori dalle età più disparate, Killian la condusse ai margini di essa, nel punto in cui gli altri invitati si erano radunati per osservare o nell’attesa di unirsi, e, quando si fu voltato per inchinarsi e porgerle la mano affinché la giovane la prendesse, seppe che improvvisamente buona parte dell'attenzione in sala fosse concentrata su di loro. Piano, le dita affusolate di Emma scivolarono contro il palmo della mano del tenente e l'altro l'avvicinò a sé finché i loro corpi non furono ad un soffio di distanza l'uno dall'altro. L'aria tra loro era elettrica ma non per via del desiderio: Emma lo stava sfidando con ogni fibra del proprio essere, perfino con la quiete con cui ne seguì la guida mentre attraversavano il salone a passo di danza; e Killian la stava sfidando a tentare di fuggire, a dargli il piacere di consegnarla alle autorità della cui approvazione ella pareva tanto sicura.

«Siete sorprendentemente brava, considerato il fatto che non dovete prendere parte a molti eventi.» le disse lui e i suoi occhi scivolarono sulle labbra cremisi della sua compagna, quando le vide inclinarsi verso l'alto fino ad aprirsi in un sorriso. Sentiva che ci fosse qualcosa di sbagliato nel fatto che non l’avesse immediatamente consegnata alle guardie, impressione acuita dal fatto che, per chissà quale incomprensibile ragione, non avesse ancora confidato ad anima viva l’identità del pirata più ricercato degli ultimi cinquant’anni.

«Da quando in qua è necessario un evento per poter ballare?» Le sue sopracciglia si inarcarono verso l'alto e, per l'ennesima volta, entrambi ebbero l'impressione che Emma gli stesse impartendo una lezione, che, nonostante fosse più giovane di lui di qualche anno, ella stesse facendo sfoggio di molta più saggezza di quanta non ne avesse dimostrata il suo cavaliere. Ella rise, quando Killian tardò a rispondere, e la sua bocca si schiuse ancora per rivolgergli una domanda. «Ditemi, tenente, cosa fareste se dovessi avere necessità di darmi una rinfrescata?»

«Perdonate la mia ignoranza, signora, ma la gente del vostro rango non è abituata a poche comodità? In tal caso, i giardini del re sono vasti e ben curati.» Le parole di lui avrebbero dovuto offenderla e Killian seppe di essersi dimostrato non soltanto scortese ma anche poco educato. Ma quale educazione e quale cortesia avrebbe potuto mostrare nei confronti della donna sulle cui mani era scorso il sangue di molti suoi compagni d'armi? Emma rise di una risata bassa e roca e scosse il capo, divertita.

«Di solito, avete ragione, è così. Ma siete sicuro di voler osservare una donna in simili circostanze? Potrebbe distruggere l'incanto che il vostro buon nome e la vostra così buona educazione,» E si fermò un istante, rendendo Killian consapevole del fatto che, sebbene non l'avesse offesa, la sua mancanza di maniere non fosse passata inosservata. «vi hanno creato da che siete un fanciullo. E non credo che neppure io potrei sopportare il rimorso di aver mutilato per sempre le vostre tenere, idilliche fantasie sul gentil sesso.»

Per un istante, dovettero allontanarsi e la conversazione non poté proseguire. Il tenente osservò il pirata stringere la mano di un altro uomo e danzare con lui qualche istante, mentre, a sua volta, faceva altrettanto con la nobildonna più vicina. Emma sorrise allo sconosciuto e rise alle parole che l’altro le rivolse, facendosi improvvisamente più vicina per sussurrargli qualcosa prima che le sue dita tornassero nella salda presa di quelle di Killian. Egli fece per parlare, ma Emma lo zittì rapidamente con un gesto secco della mano, nelle sue movenze la stessa autorità  che ci si sarebbe aspettata dal capitano di una ciurma di briganti.

«So che una parte di  voi sottovaluta le mie potenzialità, che una parte di voi dubita perfino che io sia la persona che dico di essere, tenente, ma vorrei sapeste una cosa e che la sapeste per bocca mia.» Qualcosa nei suoi occhi verdi s’indurì, rendendoli più scuri e minacciosi di quanto non fossero mai stati. Per un istante, Killian intravide i contorni dello spietato pirata che aveva giurato a se stesso di trovare, il pirata il cui ritorno a Thrain aveva aspettato per anni, il pirata che, ironia della sorte, stava stringendo tra le braccia senza aver avuto il coraggio di infliggere nessuna delle punizioni che la sua mente aveva partorito a suo tempo. «Pochi sapranno che sono una donna e ancora meno crederanno che sia io l’artefice delle storie che si narrano sul mio conto, ma, donna o uomo che sia, il capitano della Nostos non è conosciuto per la sua pazienza, men che meno per lanciare minacce in vano. Quindi, ascoltatemi e fatelo attentamente.» Lentamente, passò sotto il braccio di lui, roteando con grazia e compostezza, ma il suo sguardo era ancora spaventosamente funereo quando tornò ad intimidire il blu delle iridi di Killian. «C’è una ragione per cui sono qui stasera, una ragione che prescinde da qualsiasi possibilità di comprensione per voi, ma sappiate che non mi muovo mai senza cautela. E, ve lo prometto su qualunque sia il Dio in cui credete, se ne avete uno, che il vostro bel faccino non vi servirà a nulla se dovessi trovarvi d’intralcio al mio cammino.» Era difficile, a quel punto, distinguere dove iniziasse il verde e finisse il nero degli occhi di lei, dove iniziasse la donna e finisse il pirata. Emma strinse più forte la presa sulla mano di lui e ridusse improvvisamente le distanze; la sua attenzione si posò brevemente sulle labbra dell’uomo e la sua bocca si schiuse in un sorriso che diradò parte della minacciosità che emanava da tutto il suo essere. «Sarebbe un vero peccato!»

Quando l’orchestra smise di suonare e furono costretti a compiere rispettivamente un passo indietro per applaudirla, Emma volse il suo sguardo al regale soppalco ove si trovava il sovrano e, quando ne incontrò lo sguardo, gli sorrise e lo salutò con un cenno del capo, provocando in lui una reazione pronta. Il re le sorrise di rimando, gioviale come nessuno si sarebbe aspettato che fosse col pirata che aveva innanzi, e, presto, mandò a chiamare uno dei servitori al suo fianco per sussurrargli un rapido ordine. Killian rimase sconcertato da quella che appariva la lampante dimostrazione delle parole di lei e non ebbe il coraggio di muoversi o di fermarla, quando la vide accomiatarsi con un leggero inchino.

Possibile che fosse vero? Possibile che l’uomo per il quale aveva combattuto e ucciso avesse stretto un sodalizio con l’artefice di ripetute carneficine? Possibile che tutti gli ideali per cui si era battuto non fossero stati che una mera, fallace illusione? In un baleno, gli tornarono alla mente le parole che Emma gli aveva rivolto al molo, indicandogli le bandiere alle loro spalle e mettendo in discussione la causa per cui aveva speso una vita. Quando il servitore del re lo ebbe raggiunto e si fu schiarito la voce per l’ennesima volta, chiedendogli di seguirlo per richiesta del sovrano, Killian non oppose alcuna resistenza e, con quelle stesse domande in mente, salì la scale che lo condussero al soppalco ove Emma aveva diretto la propria attenzione.

«Il tenente Jones, Vostra Altezza!»
Prontamente, Killian batté i tacchi e s’inchinò, l’espressione corrucciata di chi non è ancora riuscito a sconfiggere la tempesta di cui il proprio animo è in preda; quando fu tornato in posizione eretta, il suo sguardo seguì l’indirizzo preso degli occhi del sovrano per vedere Emma oltrepassare l’uscio in compagnia dello stesso uomo di mezza età con cui aveva danzato per un breve momento nel corso del valzer.

«Tenente, fatevi più vicino.» lo invitò il re, portando finalmente i propri occhi su Killian e mostrando un’impazienza che quest’ultimo non avrebbe saputo catalogare. «Ditemi, la donna con cui stavate danzando è forse la vostra fidanzata?»  L’espressione di Killian dovette trasmettere uno sgomento più grande del previsto, perché, in qualche modo, si riflesse su quella dell’uomo a poca distanza da lui. «Allora?» lo incalzò e la fronte di Killian si aggrottò.

«No, signore. Quella donna è… Pensavo sapeste chi fosse, pensavo l’aveste invitata voi alla festa di fidanzamento di vostra figlia.» Com’era possibile che avesse avuto accesso alla festa senza incontrare alcuna resistenza? Com’era venuta in possesso dell’invito con sigillo regale? Quanto vicina agli ambienti di corte si era aggirata senza che nessuno riuscisse a fermarla?

«Oh, devo averla di certo invitata, ma non saprei dire a quale famiglia appartiene. Vi ha detto qual è il suo nome?» chiese, l’espressione sollevata, improvvisamente gioconda nell’aver ricevuto la conferma che la giovane non fosse accasata col tenente a poca distanza da lui.
«Vostra Altezza, quella donna è Emma Swan.»
«Emma Swan, eh? Nome grazioso!» fece, picchiettando le dita le une contro le altre, ben lontano dal comprendere cosa Killian stesse tentando di dirgli. Esasperato, il giovane fece un passo avanti e la sua irruenza allarmò l’ometto seduto in poltrona, perché lo squadrò con fare guardingo e, dietro di sé, Killian sentì le guardie muoversi.

«Vostra Altezza, quella donna è un pirata, il capitano della Nostos.» disse e la reazione di sgomento e parziale incredulità che le sue parole provocarono valsero più di qualunque parola a testimoniare quanto conosciuto fosse il nome del pirata.
«Swan? Capitan Swan è una donna?»
Il sovrano quasi urlò quella realizzazione, il viso paonazzo alla consapevolezza di aver perduto armi e uomini per le mani di quell’individuo, alla consapevolezza di essere stato gabbato in casa propria. Poi, improvvisamente, la sua espressione si fece atterrita.
«I gioielli…» sussurrò, lo sguardo perso in un punto imprecisato oltre la spalla del tenente. «I gioielli per il matrimonio di mia figlia.»

*

Agitazione, eccitazione, adrenalina. Quale delle tre componenti fosse presente in misura maggiore nel suo animo Emma non avrebbe saputo dirlo. Mentre scendeva i gradini freddi e scivolosi di una parte del castello della quale probabilmente nessuno sapeva l’esistenza, i lembi del vestito stretti in una mano per evitare che cadesse, erano molteplici i sentimenti che si affannavano per prevalere nel suo cuore. Aveva ottenuto tutto quello che aveva cercato per anni, l’unica cosa che, se tutto fosse andato secondo i piani, avrebbe potuto darle quella serenità cui anelava da tempo immemore e che null’altro avrebbe potuto fornirle se non la realizzazione della causa da cui dipendeva la sua intera esistenza.

Cauta, reggendosi con la mano libera alla parete viscida per via del muschio, Emma accolse con un sorriso grato la mano che le porse Geoffrey, il mercante al quale doveva molto di più che un semplice perdono e un posto sulla sua nave, e la strinse, seguendolo per i cunicoli di quelle che, un tempo, dovevano essere state delle segrete. Le sue orecchie captarono i rumori di passi frenetici, di ordini urlati a destra e a manca in una condizione di allarmismo generale che non avrebbe mai potuto far del bene al loro tentativo di acciuffarla, perché nulla poteva il caos contro la strategia. La musica del valzer che aveva ballato fino a pochi minuti prima era ben lontana dal riempire le sale del castello ed Emma non poté impedirsi di sorridere nel pensare a quanto facile fosse stato gabbare non soltanto l’intrepido, sciocco Killian Jones ma l’intera reggia e le sue guardie.

«Avete sentito?» fece d’improvviso Geoffrey ed Emma lo imitò, quando l’uomo si arrestò un istante e la condusse a ridosso di una parete nascosta nell’ombra. Il suono che li aveva costretti a frenare la loro corsa si ripeté ancora ed entrambi aguzzarono la vista in direzione dell’ingresso che li aveva immessi in quella parte del castello per verificare di cosa si trattasse. Il respiro le si mozzò in gola e il sangue le si gelò nelle vene, quando osservò la sagoma del tenente scendere le scale e farsi sempre più vicina. Favoriti dall’oscurità di quell’anfratto delle segrete, trattennero il fiato quando, passato a pochi centimetri di distanza dalla loro postazione, l’uomo si arrestò per guardarsi intorno ed Emma comprese che fosse venuto da solo, che in un modo o nell’altro avesse compreso quale fosse il suo piano e si fosse arrischiato ad intraprendere quell’inseguimento senza considerarne i possibili risvolti.

Prima che Geoffrey potesse realizzarlo, Emma si fece avanti e, nello sgomento che si riprodusse sul viso bello e mascolino del tenente, trovò l’impreparazione che cercava e non perse tempo. Con l’elsa del pugnale che aveva tenuto alla coscia per tutta la serata, gli colpì lo zigomo, costringendolo ad indietreggiare sulle gambe oramai malferme, e, prima ancora che avesse il tempo di riprendersi dal colpo precedente, lo colpì al viso e poco dopo alle gambe , strappandogli un grugnito e mettendolo in ginocchio. Le mani di Emma furono rapide, così rapide che, quando Killian ebbe modo di riacquisire parte della lucidità di cui il dolore lo aveva privato, era già troppo tardi: carponi sul pavimento, i suoi polsi erano costretti nel ferro ossidato di vecchie catene che tiravano le braccia rispettivamente verso destra e verso sinistra, rendendolo vulnerabile alle mani di lei.

«Stupido, orgoglioso mezz’uomo!» sputò lei, la voce vibrante di un’ira che, se non si fosse costretto ad alzare il capo dolorante per osservarne il volto, non avrebbe saputo descrivere a parole. C’era qualcosa di inumano e profondamente spietato nella sua bellezza adesso, qualcosa che la rendeva perfettamente compatibile con la miseria del luogo in cui si trovavano come ne fosse il demone custode e le anime lì venute a mancare le appartenessero.

«Uccidetemi, capitano! Mostratemi che la vostra fama vi precede con le dovute ragioni.» la sfidò, non con meno spregio, non con meno fiele. Geoffrey assistette alla scena pietrificato, come impotente e i suoi occhi si spalancarono quando Emma si fece vicina all’altro, chinandosi sulle ginocchia, e accostò il pugnale alla gola di lui. «Ma vi troveranno, non riuscirete a farla franca… Non mi sarei mai arrischiato a seguirvi senza avere la certezza che qualcuno mi avrebbe seguito. E questo è un vicolo cieco. Non avete scampo!» si fermò un attimo e tese l’orecchio, spingendo gli altri due a fare altrettanto. Il rumore di passi ancora lontani ma in avvicinamento li colse di sorpresa, la lama del coltello fredda contro la pelle del collo muscoloso. All’ampio, soddisfatto sorriso dell’uomo, Emma rispose con una smorfia altrettanto sicura di sé, l’espressione folle del suo viso improvvisamente eccitata all’idea di farla finita.

«Oh sì! Fuggirò e, quando loro saranno arrivati, l’unica cosa che troveranno sarà il vostro sangue ancora caldo penetrare le fessure della pietra del pavimento.» Benché non volesse darle la soddisfazione di vederlo cedere, non poté impedirsi di grugnire quando la lama cominciò a lacerargli la pelle.
«Fermatevi, capitano! Stanno arrivando e abbiamo ottenuto quello che volevamo.» Emma si fermò un istante e Killian, gli occhi lucidi per il dolore, riconobbe l’uomo del valzer, l’uomo cui ella aveva sussurrato in maniera fintamente incurante delle parole all’orecchio. Era stato così cieco da non vedere l’inganno dinanzi ai suoi occhi! «Avete comunque vinto. Vi serve davvero la sua vita?»

Qualcosa si accese nello sguardo di lei, qualcosa di ancora più insano, come avesse ricevuto un’improvvisa rivelazione. Rapidamente, tornò in posizione eretta e lo guardò dall’alto della sua snella, incantevole figura. Killian la osservò, il collo impregnato di sangue per la ferita infertagli, e strattonò le catene nel vano tentativo di liberarsi.

«Mi prenderò qualcosa di meglio da voi, Killian Jones.» gli promise e la mascella dell’altro si contrasse e vibrò nervosamente più e più volte. «Vi lascerò la vita e con essa la consapevolezza di averla fatta franca, la consapevolezza di aver avuto la meglio su di voi.» L’uomo strattonò ancora le catene, stavolta con maggiore vigore, come un animale selvaggio restio ad arrendersi alla cattività. «E, un giorno, quando avrò raggiunto il mio obiettivo, tornerò a prendervi, tornerò a prendermi la vostra vita in qualunque modo mi aggraderà servirmene. Quindi, aspettatemi

Un urlo risuonò per le segrete, quando Emma abbatté inaspettatamente il proprio pugnale su Killian, conficcandolo nella spalla e squarciando la carne senza pietà alcuna. Con la stessa rapidità con cui lo aveva ferito, ritrasse l’arma e, senza guardarsi indietro, cominciò a correre in direzione opposta a quella dalla quale risuonavano sempre più vicini i passi delle guardie del sovrano. Le sue gambe si mossero svelte, più di quanto non avessero fatto fino ad allora, e lei e Geoffrey raggiunsero la vecchia, sconosciuta grata che conduceva a quella parte del castello che dava direttamente sugli scogli. Il mare era quieto quella sera, protetto dalla conca che le coste formavano in quella strozzatura di terra, e, quando Emma si fu tolta le scarpe e i suoi occhi cercarono quelli del mercante, un’eccitazione tutta nuova brillò nella notte  più fulgida del chiarore lunare.

«Siete pronto?» chiese e l’altro le sorrise, annuendo. «Andiamo!»

L’ultima cosa che udì quando, diversi minuti dopo, lei e Geoffrey nuotarono fino alla Nostos, ormeggiata strategicamente a distanza di sicurezza ma vicina abbastanza perché non annegassero nel tentativo di raggiungerla, fu una promessa ululata alla notte. I suoi uomini li issarono a bordo e non fu necessario impartire loro alcun ordine, perché il ventre della nave prese a muoversi sulla superficie dell’acqua pochi istanti dopo.

Vi troverò, Swan. Fosse l’ultima cosa che faccio.”



________________________________________________________________________________________
Spazio dell'autrice

Questa storia è rimasta in sospeso  molto più del previso, ma non perché non abbia avuto intenzione di continuarla. Non so se qualcuno di voi avesse letto il precedente capitolo e ricordi che questa dovesse essere una storia a quattro mani. Beh, la collaborazione non è andata in porto per impegni, carenza di ispirazione dell'altra autrice, tempistiche diverse. Ma confido nelle sue letture e nei suoi commenti come sempre, perché lei sa quanto ne abbia bisogno. =P
Detto questo, il secondo capitolo è di gran lunga più abbondante del primo e mi auguro vi sia piaciuto. Se vi va, fatemi sapere cosa ne pensate.
Come al solito, buona lettura! =]

Ritorna all'indice


Capitolo 3
*** Il male non nasce, si crea ***


Capitolo III
Il male non nasce, si crea


Tutto quello che era accaduto nelle ore successiva era difficile da spiegare, perché si trattava di una successione sconclusionata di eventi che nessuno avrebbe potuto prevedere, né Emma e la sua ciurma di pirati,  né Killian Jones e il suo sparuto equipaggio di soldati.

Nella perfetta sequenza che il capitano della Nostos aveva pianificato per settimane e settimane con l’assoluta convinzione che nulla potesse andare storto, una volta conquistato il bottino, raggiunta la nave e issata l’ancora, l’unica cosa da fare non rimaneva che pregare che non sopraggiungesse alcuna tempesta e che il viaggio per raggiungere la destinazione agognata fosse quieto e senza ostacoli. Perché ciò accadesse, Emma si era dimostrata più che solerte e altrettanto lo erano stati i suoi uomini nell’eseguire gli ordini loro impartiti: sborsando più di un sacchetto tintinnante di monete, si erano assicurati non soltanto l’aiuto necessario ad ostacolare nel modo più discreto possibile l’uscita dal porto delle navi del sovrano, ma, soprattutto, la complicità di un silenzio assenso quando alcuni dei pirati avevano fatto irruzione sulle imbarcazioni reali e tagliato una serie di corde che avrebbero rallentato qualunque tentativo d’inseguimento.

Ma era servito a ben poco al cospetto dell’ostinazione che il tenente Jones aveva dimostrato di possedere. Munitosi della prima imbarcazione libera che aveva trovato, incurante delle lamentele del proprietario della stessa, aveva compiuto l’impossibile e, seguito da un numero di uomini inferiore a quello che una delle navi che era abituato a comandare avrebbe potuto portare con sé, si era lanciato alla volta della Nostos con una furia che poche altre volte aveva dominato il suo animo.  Non erano bastate le sollecitazioni del medico di bordo, che aveva tentato invano di dissuaderlo a partecipare a quella missione suicida e a farsi curare come di dovere; né erano serviti i tentavi dei suoi uomini di portarlo alla ragione. Era stato implacabile nell’urlare ordini a destra e a manca e, teso come una corda di violino, si era limitato a serrare pugni e mascella, quando l’ira non si era dimostrata sufficiente a tacitare la sofferenza derivante dalle precauzioni che il guaritore stava usando per evitare spiacevoli conseguenze.

Trattandosi di un’imbarcazione piccola e affusolata, l’inseguimento era andato meglio del previsto o, almeno, così era parso finché non avevano compreso che la Nostos avesse rallentato di proposito e tirato fuori i cannoni, le bocche di fuoco spalancate, pronte a divorare asse dopo asse l’impertinente nave che aveva osato spingersi fino a tanto. Il tenente non si era perso d’animo e, benché non fosse possibile alcun paragone, aveva guidato i suoi uomini nel modo migliore che la situazione avrebbe potuto conceder loro, considerata la precaria posizione in cui si trovavano. Avrebbe ammesso solo a posteriori che lanciarsi al tallonamento di Capitan Swan senza le dovute precauzioni fosse stata una mossa avventata ma, soprattutto, priva di alcun senso. Nonostante il suo intento di prender tempo finché  non fossero arrivati i rinforzi avesse avuto una sua logica, il suo avversario aveva reagito con troppa prontezza e ferocia perché potessero resistere al cospetto di una simile offensiva.

L’ordine del capitano della ciurma di briganti era arrivato poco dopo e quello che era seguito altri non era stato che un susseguirsi di esplosioni, urla, spari, fumo e schizzi d’acqua. I colpi dei soldati non erano andati tutti perduti e, nonostante di dimensioni inferiori, i piccoli cannoni dell’imbarcazione avevano compiuto il loro dovere. Ma era servito a ben poco e la nave era colata a picco in un’accozzaglia di cadaveri e superstiti che Killian non aveva avuto modo di vedere: la perdita di sangue dovuta alla ferita, la tensione accumulata e le condizioni nelle quali si trovava non avevano concesso al suo corpo di reggere lo sforzo e, quando uno dei suoi uomini l’aveva gettato in mare nel tentativo di risparmiarlo da un colpo di pistola, aveva perso i sensi.

La situazione non era stata di certo meno movimentata  nei ranghi avversari. Emma aveva imparato diverso tempo addietro che il miglior modo per perdere una battaglia era abbassare la guardia e sottovalutare il nemico ed aveva deciso che mai avrebbe fatto pagare alla Nostos o alla sua ciurma il prezzo di una sua mancanza. Pistole alla mano, le sue gambe l’avevano portata da un capo all’altro della nave e non si era risparmiata neppure per un secondo, come nessuno dei suoi uomini. La sua voce era risuonata come il ringhio di una belva inferocita quando, lanciatasi su Geoffrey per salvarlo da un proiettile a lui indirizzato, la pallottola le aveva sfiorato il braccio, lacerandole la carne meno superficialmente del previsto. “Nessuna pietà” erano state le uniche due parole che, attraversando la fitta nebbia alzatasi per gli spari, i soldati avevano udito, prima che una fitta schiera di esplosioni non lasciasse loro alcuno scampo.

Ma il capitano era ben lungi dal ritenersi soddisfatto! Nella coincidenza meno fortuita della quale Killian avrebbe potuto trovarsi in balia, quando la Nostos aveva ripreso a muoversi, gli occhi di lei, aiutati dalle fiamme guizzanti in cui era avvolta parte della nave ormai naufragata, avevano captato il movimento di uno dei pochi superstiti rimasti in seguito allo scontro, l’unico che, vicino abbastanza da raggiungere il tenente Jones prima che fosse troppo tardi, gli aveva salvato la vita e aveva cominciato a nuotare il direzione opposta agli avversari nella speranza che la nebbia li nascondesse agli occhi del fuoco nemico. Un colpo secco era bastato per strappargli l’ombra di un guaito e quello che rimaneva della sua anima, prima che la presa attorno al corpo di Killian si allentasse e il giovane si accasciasse a faccia all’ingiù nell’acqua insanguinata, il cranio perforato da parte a parte.

«Calate le reti.» aveva urlato lei e i suoi uomini avevano titubato un istante, troppo preoccupati alla vista delle navi del sovrano che cominciavano a farsi più vicine del dovuto.
«Ma, capitano, cosa avete intenzione di fare?» le aveva sussurrato cautamente  un mozzo, mentre il suo sguardo passava alternativamente tra l’espressione di pietra del volto di lei e la bocca fumante della pistola che stringeva tra le dita affusolate.
«Pescare

Il corpo inerme del tenente era stato issato contro il fianco dell’imbarcazione  e, su ordine di Emma, il medico si era adoperato perché riprendesse conoscenza. Era troppo debole, troppo frastornato perché comprendesse cosa fosse accaduto e, quando gli uomini di lei lo presero e portarono sottocoperta, non oppose resistenza. Il guaritore di bordo fece loro strada, conducendoli nella propria stanza, ed Emma rimase un lungo minuto a fissare le coste ormai lontane di Thrain, consapevole che, per quanto avessero potuto tentare, non sarebbero riusciti a prenderla. Non quando buona parte delle funzionalità delle navi erano state compromesse dalla sua ciurma, non quando vi erano da recuperare decine e decine di corpi nel buio della notte.

Battendo le palpebre, il pirata allentò la presa sull’arma dalla quale era scaturito più di un colpo mortale quella sera e poggiò le mani al legno della Nostos. Carezzandone la superficie, sorrise teneramente, sul suo viso lo stesso sollievo e lo stesso feroce orgoglio di una madre che abbia salvato la propria prole, e, quando Diego le si fece vicino con cautela e ne incontrò lo sguardo, rivide in lei la stessa ragazzina risoluta che, poco meno di sei anni prima, aveva preso possesso della nave senza che nessuno fosse in grado di battere ciglio.

«Cosa avete intenzione di fare col prigioniero, capitano?» le domandò e i loro occhi s’incontrarono.
«Quello che gli avevo promesso di fare: mi sono presa la sua vita e non sarò soddisfatta finché non mi sarò presa anche i suoi ideali.» Il tono rimase quieto ed un sorriso leggero illuminò i bei lineamenti del suo volto.
«Non lo ucciderete, quindi?»
«Oh no!» fece lei, l’espressione bonariamente contrariata di chi non si capacita della difficoltà di comprendonio altrui. «Sai bene qual è la politica sui prigionieri: la scelta tra la vita e la morte è unicamente loro.»

«Certo, capitano. Ma credevo che, con tutte le rogne che vi ha causato da quando abbiamo messo piede nel porto di Thrain, voleste eliminare l’ostacolo.» le spiegò e, guardandosi intorno, Emma seppe che buona parte del suo equipaggio si fosse posto le stesse identiche domande e che fosse giunto alle medesime conclusioni di Diego. Si aspettavano che lo lasciasse morire o che lo uccidesse con le proprie mani, non che impartisse ordini affinché fosse curato.

Ridacchiando, la giovane gli diede le spalle e si avviò verso la scala che l’avrebbe condotta a poppa, fermandosi dopo aver salito appena pochi gradini per osservare la sua ciurma e rendersi conto che doveva loro delle spiegazioni. Da che si era impossessata della nave, aveva compreso che conquistarsi la loro fiducia avrebbe richiesto una proporzionata dose di rispetto e fiducia: il primo da tributarle, il secondo da concedere loro. La deferenza che provavano verso di lei le avrebbe assicurato i loro servigi a pena di morte e l’affidamento di cui li aveva onorati sarebbe stato un incentivo a comprendere che non avrebbero avuto nessuna opportunità di perdono, se l’avessero delusa. E, a distanza di sei anni, benché alcuni elementi fossero stati eliminati da un pezzo e non fossero divenuti che mangime per pesci, Emma Swan era ancora il famigerato capitano della Nostos e nessuno aveva mai tentato di scavalcare la sua autorità.

«Il tenente Jones non è come gli altri uomini che abbiamo avuto modo d’incontrare finora,» cominciò, il tono di voce alto abbastanza perché potessero sentirla distintamente oltre il frastuono creato dalle onde e dalla brezza notturna che gonfiava le vele. «e, per questo, merita un trattamento che si confaccia al suo lignaggio.» Un sorriso sbieco, come bieco era il sentimento che animava tutto il suo essere in quel momento, apparve sulle sue labbra e alcuni dei suoi pirati parvero finalmente capire. «Se gli togliessi la vita, sarebbe una fine troppo semplice, troppo prevedibile e le conseguenze sarebbero nulle. Cosa potrei farmene di un tenente stecchito, se non darlo in pasto ai pesci?» S’interruppe un istante e molti annuirono. «Ma, pensateci bene, cosa otterrei se riuscissi a tenerlo in vita, se riuscissi ad usarlo per la mia causa fino ad annientare tutto ciò in cui ha sempre creduto? Tradirebbe la sua intera essenza e il dolore per una simile sconfitta sarebbe maggiore di qualunque ferita fisica. E il piacere che io ne trarrei… Oh, sarebbe di gran lunga maggiore!» Le loro espressioni, a quel punto, erano accese di una stima e di un interesse che non avrebbero potuto essere più vividi. Era allettante l’idea di rendere pirata un uomo che aveva tentato di farli acciuffare con una caparbietà che mai nessuno aveva dimostrato fino ad allora, non quando il solo nome del loro capitano bastava perché ogni proposito di cattura svanisse prima ancora di essere partorito. «Quindi, questo è quello che faremo: come di consueto, gli porremo davanti la scelta tra la vita e la morte e, qualora scegliesse la vita,» Una risata generale coinvolse la ciurma, strappandone una breve al capitano che si accostò al legno della nave e, a braccia incrociate, guardò i suoi uomini con espressione attenta. Diego non poté impedirsi di scuotere il capo, ammirato. «Direi che sapete esattamente cosa fare. Adesso, datevi da fare e spegnete le luci. Siamo ben oltre l’orario previsto e abbiamo una missione da compiere.»

Quando si fu voltata ed ebbe preso posto al timone, Emma inspirò profondamente e si concesse un istante per assaporare la vittoria di quella sera. Una strana euforia spinse i battiti del suo cuore a seguire un ritmo nuovo, a metà tra il sollievo e l’aspettativa, tra l’audacia e il timore di vedere tutto infrangersi dinanzi ai suoi occhi per l’ennesima volta. Espirando, strinse la presa sul legno del timone e si costrinse a pensare positivo. Nulla sarebbe andato storto, neppure il più piccolo dettaglio. Non l’avrebbe permesso.

*

Quiete e penombra. Era tutto ciò che le serviva per pensare nitidamente e sezionare qualunque emozione affinché non avessero presa sul suo animo.  Non esisteva margine di dubbio per ciò che l’aspettava, non c’era spazio per le titubanze e i timori, per la pietà o il buon cuore. La sua missione richiedeva un’inclemenza di cui poche persone l’avrebbero creduta capace, quando aveva abbandonato il villaggio in cui era nata e cresciuta. Aveva sempre avuto l’aspetto di una ragazzetta per bene, dedita al lavoro e alla cura della casa e della propria famiglia, e, per lungo tempo, non era stata che quello: uno spirito libero, selvaggio intrappolato entro un corpo fragile e spaurito che conduceva la propria esistenza in una mediocre abitazione ai margini della foresta.

Provava vergogna, a volte, per la persona che era stata. O, almeno, per quella che avrebbe dovuto essere ma che non aveva avuto il coraggio di diventare per anni e anni. Spesso, si ripeteva che, se le sue scelte fossero state meno sagge e più coincidenti con gli impulsi primitivi del suo io, tutto quello che era accaduto non sarebbe mai divenuto realtà e avrebbe vissuto più felicemente; sovente, si diceva che, se avesse agito diversamente, il suo viso non avrebbe mostrato i segni di un’acredine che poco si addiceva ad una bellezza come la sua perché la rendeva più spietata di quanto non fosse concesso. C’era qualcosa di duro nell’espressione del suo viso, qualcosa che rasentava i limiti della spavalderia e sfiorava i contorni dell’incoscienza.

Le costava fatica pensare a quanti uomini avessero perso la vita per mano sua, quanto sangue avesse versato e quanta poca pietà avesse saputo dimostrare. Aveva messo in atto una delle regole più crude che la vita le avesse insegnato senza ammortizzarne la portata: nessuno ti concede una seconda possibilità, se non sei tu a prendertela. Ed Emma si era presa tutto quello che le era servito senza fare sconti, senza tralasciare nulla lungo il percorso. Non un conto in sospeso, non una delle lacrime che aveva versato, non uno dei torti che aveva subito.

Muovendo un passo in avanti e scostandosi dalla parete della camera, il giovane capitano raggiunse il letto addossato al muro opposto e si accomodò su una piccola porzione di materasso, stando ben attento a non far sobbalzare l’occupante dello stesso. Erano trascorsi diversi giorni dallo scontro con lo sparuto gruppo di soldati comandato dal tenente Jones, giorni durante i quali la navigazione era stata quieta e la Nostos aveva seguito la rotta prevista; giorni durante i quali il prigioniero aveva lottato più strenuamente di quanto Emma si fosse aspettata per rimanere in vita e sconfiggere la morte che era parsa aleggiare in quella camera come una presenza ingombrante. Il medico lo aveva oramai dichiarato fuori pericolo, ma il colorito della sua pelle era ancora pallido, la fronte ed il petto ancora tersi di sudore, la sua mente ancora lontana dalla lucidità.

Allungando le mani verso la bacinella posta lì accanto, Emma intinse lo strofinaccio nell’acqua fredda e, dopo averlo strizzato, lo accostò al viso dell’altro, tamponandolo delicatamente per lavar via i segni dell’ennesimo incubo, per lenire la sofferenza cui era stato in preda instancabilmente da che lo aveva issato sulla nave per renderlo suo detenuto. Un sorriso le curvò le labbra, quando realizzò di avergli causato molti più guai di quanti il tenente non avesse fatto con lei, e, mentre ripeteva l’operazione per rinfrescargli collo e torace, si disse di rammentarglielo, una volta che si fosse svegliato e fosse stato abbastanza in salute da reggere le sue recriminazioni.

La mano di lei si fermò a mezz’aria e le sue sopracciglia si inarcarono visibilmente, quando, contro ogni aspettativa, le palpebre dell’uomo si schiusero e batterono più volte nel tentativo di focalizzarsi sul luogo ove si trovava. I suoi ricordi dovevano essere parecchi confusi, perché si guardò intorno ripetutamente e sbarrò gli occhi quando scorse la sagoma di Emma seduta su un letto di cui non sapeva nulla, né come ci fosse finito, né quanto a lungo ci fosse stato. Con uno scatto fece per mettersi a sedere, ma ricadde nella stessa identica posizione quando comprese di avere i polsi costretti da saldi legacci e di avere in corpo meno energie di quante non credesse. Chiuse gli occhi per un lungo momento.

«Non fate mosse avventate, tenente.» La voce di lei suonò bassa nella stanza del medico avvolta dalla penombra. «Siete molto debole.»

Piano, ripose lo strofinaccio nella bacinella e si alzò dal letto, diretta verso la porta come a voler uscire. Killian la sentì scambiare qualche parola appena fuori dall’uscio, ma non avrebbe saputo dire quanta realtà ci fosse in ciò che i suoi sensi percepivano. I suoi ragionamenti erano offuscati da una fitta nebbia che gli impediva di ricordare cosa fosse accaduto, di ricordare gli accadimenti che lo avevano condotto a trovarsi in una stanza scarsamente illuminata in compagnia del pirata più temuto degli ultimi anni. Lo sciabordio delle onde gli diede un’unica certezza: erano su una nave e si stavano muovendo.

«Non perdere tempo.» Le sentì dire, poco prima che chiudesse la porta e tornasse da lui, sedendosi sulla stessa porzione di materasso. «Come vi sentite, tenente?» domandò con tonalità frizzante e impiegò un attimo a realizzare che Killian dovesse essere assetato, perché le sue mani si mossero solerti ad afferrare la brocca posta sul pavimento e a versare parte del contenuto in un calice. La mano di lei scivolò morbida contro la nuca bagnata dell’uomo e lo assistette finché l’altro non ebbe bevuto a sufficienza e ricadde con un tonfo sul cuscino.

«Dove mi trovo?» chiese lui, la voce roca di chi non proferisce parola da troppo tempo.
«Sulla Nostos.» rispose semplicemente Emma, riponendo il calice sulle tegole del pavimento e afferrando nuovamente lo straccio. Quando sfiorò la fronte dell’altro, lo sentì sospirare di sollievo e quella scena le ricordò una notte di qualche anno prima, una notte durante la quale si era presa cura dell’unica persona che avesse mai amato in vita sua. «Dopo aver affondato la nave con cui mi eravate venuto dietro, vi ho raccattato e affidato alle cure del medico di bordo.» lo aiutò a ricordare, lenendo il dolore che tanto sforzo stava causando alla psiche già martoriata del prigioniero.  Lentamente, le nubi presero a farsi più rade nell’animo di lui e le memorie dello scontro tornarono a far capolino nella mente del tenente.

«Cosa ne avete fatto dei miei uomini? Avete preso anche loro come prigionieri?»
«Vi piace il pesce, Killian?» fece di rimando lei, osservandolo con espressione meditabonda, l’ombra di un sorriso sulle labbra aranciate dalla luce della candela posta accanto alla tinozza.

«Cosa? Ch- Non è questo che vi ho chiesto. Cosa ne avete fatto dei miei uomini?» la incalzò lui, strattonando i legacci che lo costringevano a letto, inutilmente.
«Rispondete alla mia domanda e lo saprete.» ribatté Emma, una voce bassa e impertinente che la rese molto più giovane di quanto non apparisse, molto più spensierata ed infantile.

«Sì.» accondiscese lui infine, gli occhi arrossati, i muscoli dolenti per lo sforzo e la ferita che la sua interlocutrice gli aveva inferto. Piano, la osservò chinarsi su di lui e, quando fu a pochi centimetri di distanza dal suo viso e i capelli di lei gli sfiorarono le guance e le spalle nude, Killian trattenne il respiro per la risposta che lesse nei suoi occhi.

«Beh,» fece il pirata, umettandosi le labbra e lanciando uno sguardo rapido a quelle di Killian. I suoi occhi incontrarono quelli dell'uomo e questi vi scorse lo stesso piacere folle che le aveva visto dipinto in volto nelle umide segrete del castello. «Diciamo solo che i pesci avranno di che nutrirsi, allora!»

«NO

L’urlo di lui risuonò per la stanza con molto più vigore di quanto Emma si fosse aspettata e la sua reazione fu ben più fisica del previsto, al punto tale che riuscì a lacerare uno dei legacci con cui i suoi uomini lo avevano assicurato a letto. Con gli occhi iniettati di sangue, si lanciò contro di lei privo di qualunque coordinazione e, benché l’avesse colta di sorpresa, non poté nulla contro la prontezza di riflessi e lucidità di cui il capitano era dotata. La mano di lei planò implacabile sulla spalla ferita, spingendolo contro il materasso e posizionandosi, poco dopo, attorno al collo mascolino dell’uomo. Nonostante tutto, ella non strinse la presa e i suoi polpastrelli rimasero appena accostati all’epidermide sudata del tenente.

«E’ questa vostra impulsività a mettervi nei guai, tenente.» lo ammonì e lo fece con lo stesso tono che, tra le fila dell’esercito, avrebbe usato qualunque superiore per fargli una reprimenda. Killian respirò affannosamente, lacrime dettate dal dolore e dal senso di colpa accumulate tra le ciglia,  e, per la prima volta da che si erano conosciuti, Emma gli sorrise con tenerezza, dando l’impressione che una parte di lei fosse spiaciuta per la sua pena. «Sono desolata per la vostra perdita.»

«Tacete!» sibilò lui. «Avete appena fatto ironia sulla loro morte. Non osate fingere di essere dispiaciuta per quello che è accaduto.»
«Credo abbiate frainteso le mie parole, tenente.» disse Emma e gli sorrise. Piano, la vide accavallare le gambe e sistemare una ciocca di capelli dietro l’orecchio e Killian ebbe l’impressione ci fosse qualcosa di etereo nella figura di lei, illuminata com’era dalla luce tenue del cero mentre si stagliava contro uno sfondo di quasi completa oscurità. Per un attimo, credette di star sognando o di essere in preda ad un’allucinazione. «Non mi sto scusando per averne uccisi tanti. Sarebbe una bugia!» L’espressione del viso di lei fu così sincera che Killian si chiese cosa l’avesse resa la persona che era, quale evento avesse portato il suo animo ad essere avvolto da una simile oscurità. Perché, se c’era una cosa che aveva appreso in quei suoi trent’anni di vita, era che il male non nasce, si crea. «Mi spiace che la loro perdita vi addolori tanto e che dobbiate portarvi dentro il rimorso per la sorte cui sono andati incontro.»

«Mi avete appena dato notizia della loro morte definendoli cibo per pesci.» le fece notare e la sua mascella tremò. Emma osservò gli occhi di lui velarsi della stessa incoscienza che avevano avuto quando aveva ripreso conoscenza e seppe che la febbre si fosse alzata ancora una volta.

«Ops!» rise brevemente e Killian fece per colpirla ancora, prima che le dita di lei, ancora accostate al suo collo, lo spingessero al posto che gli spettava senza troppe cerimonie. «Siete un osso duro, tenente, ve lo concedo.» Il verde dei suoi occhi divenne improvvisamente più intenso e il baluginio delle fiamme che ivi si rifletteva parve avere vita propria e divampare dall’animo di lei. «Ma io sono un pirata e…»

«Siete Capitan Swan e suppongo di aver capito quali sono le implicazioni del vostro titolo.» la interruppe lui e sospirò, digrignando i denti come se faticasse ad accettare di aver commesso uno sbaglio. «Vi ho sottovalutata e ho lasciato che vi prendeste gioco di me. Una parte della colpa è mia.» disse, più rivolto a se stesso che non alla propria interlocutrice. Quando Emma prese nuovamente lo straccio bagnato per tergergli viso e torace, benché desiderasse spingerla via, il sollievo e la lucidità che quei brevi gesti gli diedero lo convinsero a tacere.

«Come avete fatto a trovarmi? Nelle segrete, intendo.» domandò lei, lo sguardo lontano dagli occhi blu del tenente mentre gli tamponava la fronte. Killian rise brevemente e, a quella reazione, l’attenzione di Emma fu completa, al punto tale che depose lo strofinaccio e attese la sua risposta.

«Sono stato promosso a tenente da qualche anno, ma, ancora prima di assumere la mia attuale posizione, avevo sempre sentito parlare del capitano della Nostos. Avete ucciso molti dei miei compagni,» Emma sorrise, un guizzo della follia di cui l’aveva vista capace ad infiammarle il viso. «e non desideravo altro che acciuffarvi e darvi in pasto alla giustizia. Dovevo solo attendere di poterlo fare. Quando sono diventato tenente, tuttavia, la vostra nave non toccava le coste di Thrain da più di un anno e ho quasi temuto non sareste più tornata.»

«Oh, che dolce!» fece lei, le labbra piegate in una smorfia arrogante. «Avete sempre avuto una segreta cotta per me e io vi ho quasi spezzato il cuore.» L’espressione di Killian rimase seria, ma questo non le impedì di ridere di lui e della sua serietà. «Vi prendete troppo sul serio, tenente. Non c’è nulla di male nell’ammettere che avete sempre avuto un debole per me. C’è una cosa che mi lascia perplessa, tuttavia.» Suo malgrado, Killian dovette chiederle di cosa si trattasse. «Siete quel genere di uomo cui piacciono le persone del suo stesso sesso, per caso? Perché avete appreso solo recentemente che-»

«Nulla del genere, ve lo assicuro.» tagliò corto lui, gli zigomi arrossati non più soltanto dalla febbre. Emma rise dell’imbarazzo dell’altro e le sue dita si mossero a carezzare la porzione di pelle color porpora, prima di scendere lungo la mandibola e il collo.

«Ne sono lieta. Sarebbe stato un vero peccato.» Il commento di lei, se possibile, rese le gote di Killian ancora più rubizze, ma i suoi occhi blu si accesero di una luce farabutta che bene si addiceva al temperamento di cui Emma lo sapeva capace. Per un attimo, quella luce le ricordò del loro primo incontro alla taverna da Bill, quando lui aveva creduto di poterla affascinare per arrivare al capitano della Nostos senza avere idea di esservi dinnanzi. Doveva esserci qualcosa di allettante nell’idea di sedurre il proprio nemico, si disse Emma, allo stesso modo in cui lei trovava allettante la prospettiva di renderlo un pirata. A modo suo, ognuno dei due sembrava prefiggersi l’obiettivo di avere la meglio sull’altro. «Dunque, dicevate?»

«Prima che tornaste, un mio informatore mi aveva parlato di un tentativo di furto al castello e vi risparmio tutti i dettagli della questione, ma sappiate che sono venuto a conoscenza delle segrete che avete scelto per svignarvela.» le spiegò, sorridendo di rimando all’espressione divertita e ammirata di lei. «E, quando ho chiesto ad alcuni invitati se avessero visto quale direzione avesse preso l’incantevole biondina in nero,» Emma inclinò il capo e sorrise più ampiamente, indirizzandogli quello stesso sguardo di bonario rimprovero che sua madre era solita rivolgergli quando Killian le faceva un complimento. «Beh, diciamo solo che ho fatto bene i miei conti!»

Emma si voltò in direzione della porta, le voci oltre l’uscio più pressanti, e comprese che i suoi uomini si stessero chiedendo se fosse il caso di fare il proprio ingresso o di attendere che fosse il loro capitano ad uscire e dar loro il permesso di entrare. Quando lo sguardo di lei tornò sul prigioniero, questi comprese che la loro conversazione fosse terminata, ma, quando lei fece per andarsene, con uno scatto che gli costò più dolore e fatica di quanto non ne valesse la pena, la afferrò per il polso e la costrinse a girarsi. Contro ogni barlume di buonsenso, Killian ridacchiò e, reggendosi sul braccio sano, la tirò leggermente verso il letto, incurante del fatto che le sopracciglia di lei fossero visibilmente inarcate. Nonostante tutto, Emma lo lasciò fare.

«Volete sapere perché vi ho salvato la vita, non solo tirandovi fuori dall’acqua ma facendovi medicare.» lo precedette lei e il tenente rise e annuì.

«State mantenendo la vostra promessa, quella di prendervi la mia vita e disporne come più vi piace, non è così?» chiese ed Emma si chinò finché i loro volti non furono alla stessa altezza, il polso oramai libero dalla presa dell’altro, mentre si reggeva premendo entrambe le mani contro le ginocchia.

«Farò molto più di questo, Killian Jones.» fece e s’interruppe un istante per inclinare il capo ed osservarlo meglio alla luce della candela. «Ho intenzione di sconvolgere il vostro mondo fino a farvi dimenticare chi siete stato e perché lo siete stato.» Tacque ancora, come per dargli il tempo di assimilare la portata delle sue promesse. «E, quando l’avrò fatto, di voi non rimarrà nient’altro che non sia io a volervi lasciare.»
 
«Credete davvero di riuscirci?» domandò, un sorriso strafottente ad inclinargli le labbra arrossate, ben visibili nonostante la barba incolta. «Perché non dovreste fare promesse che non siete in grado di mantenere.» la stuzzicò, reso più insolente dalle linee di febbre che parevano averlo reso vittima di un brutto scherzo, facendolo passare dalla timidezza alla tracotanza in un brevissimo lasso di tempo. Emma si rese conto che, in cambio, la febbre avesse portato via qualunque sentimento spiacevole avesse funestato l’animo del tenente fino a poco prima, facendogli momentaneamente dimenticare di essere stato in parte causa della morte di soldati a lui devoti.

«Vi ho già detto che le mie minacce non sono mai vane, tenente.» ribatté, divertita dal modo di fare spudoratamente civettuolo dell’altro. Una parte di lei si disse che, in condizioni normali, Killian Jones dovesse essere una bella gatta da pelare per qualunque donna avesse tentato di resistergli più del necessario.

«E io vi dico che non ho alcuna intenzione di permettervelo, a meno che…» L’azzurro dei suoi occhi si fece improvvisamente scuro, mentre si metteva a sedere aiutandosi con il braccio buono e riduceva le distanze tra i loro volti, puntando deliberatamente alla bocca di Emma. Guardandolo bene in viso, il pirata dubitò perfino che l’altro avesse piena consapevolezza della sua identità, a quel punto. «In effetti, potremmo rivedere i termini dell’accordo.»

«Non abbiamo fatto nessun accordo, tenente.» fece Emma, impossibilitata ad impedirsi di ridacchiare nel tentativo di portarlo alla ragione. «Vi ho solo promesso di prendermi la vostra vita e, pochi istanti fa, vi ho promesso di sconvolgerla e di non lasciare nulla dell’uomo che siete stato e continuate ad essere.»

«E io vi ho promesso che vi avrei trovato, quindi devo supporre che entrambi abbiamo onorato la prima parte dell’accordo.» Le sorrise di un sorriso che le guance imporporate resero contraddittoriamente bello sotto molti punti di vista, perché c’erano incoscienza ed innocenza in esso ma, allo tesso tempo, lascivia e un barlume di lucidità. «Il fatto che mi abbiate fatto un’altra promessa mi fa pensare che vogliate stringere un altro accordo e non sarò io di certo a scontentare Capitan Swan.» Emma avrebbe voluto ribattere che il loro non aveva propriamente l’aspetto di un accordo ai suoi occhi, ma si costrinse a tacere e, quando Killian lanciò uno sguardo alle sue labbra con più di un chiaro proposito dipinto in volto, il pirata comprese che fosse arrivato il momento di mandare a chiamare il dottore, prima che l’uomo perdesse completamente il lume della ragione. «Vi prometto solennemente, Emma,» pronunciò il suo nome con voce bassa e decisa, lentamente, dandole l’impressione che stesse assaporando il contenuto di quelle quattro lettere molto più a lungo di quanto chiunque altro avesse mai fatto. «di farvi tornare la persona che eravate prima che diventaste quella che siete, di combattere l’oscurità e riportare la luce. E, ovviamente, di non permettervi per nessuna ragione al mondo di realizzare la vostra promessa.»

«Il vostro altri non è che il delirio di un folle, tenente.» disse lei, tornando in posizione eretta e ristabilendo una discreta distanza tra loro.

«Potrà anche darsi, ma c’è una cosa in cui credo fermamente.» le rivelò, un sorriso ebbro ancora sulle labbra mentre Emma raggiungeva la porta, l’apriva e faceva segno al medico di entrare.

«Emma?» la chiamò e la osservò scambiare qualche parola con un ometto di piccola taglia e sistemare i lunghi capelli biondi su un’unica spalla affinché potesse osservare qualcosa che Killian era troppo lontano per scorgere, prima di dedicargli nuovamente la propria attenzione.

«Ditemi, tenente.» rispose lei, un sorriso divertito sui lineamenti oramai non più crudeli.

«Il male non nasce, si crea.»


___________________________________________________________________
Spazio dell'autrice:

Vorrei ringraziare le persone che hanno letto la storia, le persone che l'hanno aggiunta alle storie da seguire e, addirittura, chi l'ha inserita tra le 'preferite'. Non credo di potervi dire quanto mi faccia piacere e quanto questo mi sproni a continuarla. Quindi, g r a z i e d i c u o r e!
Ma un grazie ancora più sentito va a chi ha commentato questo secondo capitolo, perché non avrebbe potuto esserci sprone più grande per spingermi a continuare di questo. Quindi, direi che un grazie speciale va a Piccola87 [che spero di aver reso felice accogliendo il suo invito di continuare a scrivere], a Emma Bennet [che ha scritto una di quelle meravigliose recensioni lunghissime che io tanto adoro, dicendomi molto più di quello che mi sarei aspettata da una recensione. Sono contenta di sapere che trovi il peronaggio ben delineato, che ti sia piaciuta la scelta di ferire Killian e ti ringrazio per il consiglio sulle metafore, di cui farò tesoro] e Alexandra_Potter [che spero sia felice dei nuovi risvolti della situazione di questo terzo capitolo]. Grazie di cuore, ragazze. La prossima volta, conto di rispondervi singolarmente e in maniera più adeguata. =]
Per il resto, mi scuso se ho ritardato più del previsto, ma la vita universitaria mi distrugge e l'ispirazione latita sempre quando sono libera, mentre fuocheggia quando devo studiare. Ed è una gran bella fregatura, visto che dovrei ripetere e mi ritrovo a immaginare scene tra Emma e Killian! =,=''
Se volete farmi sapere cosa ne pensate, ne sarei felice. E mi scuso per gli eventuali errori, ma sono cotta come una scimmia e mi riprometto di rivedere il capitolo fra qualche ora, così da riposare un po' gli occhi.
Buona lettura! ;]

 

Ritorna all'indice


Capitolo 4
*** Non tutto è come sembra ***


Faccio una piccolissima premessa: ad un certo punto del capitolo, troverete un link che vi porterà ad una canzone; è quella che mi ha ispirata e che ho ascoltato durante la stesura della seconda parte e, se fate un po' di attenzione, c'è un passo che lo rende piuttosto palese. Ad ogni modo, non è obbligatorio che l'ascoltiate; era soltato per ricreare l'atmosfera in cui io ho immaginato la scena. ;]


Capitolo IV
Non tutto è come sembra
 
Le condizioni di salute del tenente Jones erano state pericolanti per diversi giorni dopo il loro ultimo incontro. L’umidità della stanza del medico e gli smottamenti cui la nave era stata in preda la notte in cui avevano incontrato una tempesta non gli avevano giovato e, più di una volta, il guaritore aveva espresso le sue perplessità ad Emma sulla possibilità che sopravvivesse, emaciato e indebolito com’era dalla successione di eventi che lo avevano frastornato tanto nel corpo quanto nello spirito. Il capitano della Nostos, a quel punto, si era arreso all’idea di lasciarlo andare incontro al suo destino e lo avrebbe fatto senza nessun rimpianto, se Geoffrey non le avesse suggerito di fare un ultimo tentativo, prima di gettare la spugna. E così, per una ragione che non avrebbe saputo spiegarsi nemmeno lei, Emma aveva dato ascolto alle parole del mercante, disponendo il trasferimento del prigioniero in un alloggio improvvisato all’interno di quello che, fino ad allora, altri non era stato che un ripostiglio nemmeno troppo stipato.
 
Sorprendentemente, aveva funzionato. Nel giro di pochi giorni, non soltanto l’uomo era riuscito ad uscire dallo stato febbricitante che aveva consumato tutte le sue energie da che era stato condotto sulla nave pirata, ma aveva cominciato a recuperare le forze con una rapidità che aveva sorpreso lo stesso dottore. Una notte, oramai ringalluzzito dal cibo e dalla luce del sole che filtrava dalla finestrella dello sgabuzzino, aveva persino tentato di usare il pover’uomo che lo aveva accudito fino ad allora come ostaggio, nella convinzione di poter ottenere qualcosa che nemmeno Killian aveva saputo definire con certezza. Razionalmente, si era ripetuto più volte che Capitan Swan non gli avrebbe mai concesso la libertà per così poco, che il sacrificio di un uomo della sua ciurma sarebbe stato il prezzo minimo per realizzare qualunque missione lo interessasse fino al punto da rischiare la cattura e, per quelle stesse ragioni, il suo tentativo non era andato neppure oltre l’uscio del nuovo alloggio; dopo qualche istante di esitazione, infatti, aveva deposto l’arma ed era tornato a letto. L’unico risultato che aveva tratto, puntando un coccio di vetro alla gola del guaritore, era quello di averlo spaventato a morte.
 
Quando il medico l’aveva raggiunta nei suoi alloggi ed Emma aveva appreso la notizia di ciò che il tenente si era arrischiato a fare, aveva riso a lungo nell’osservare l’espressione sconcertata dell’altro ed aveva dovuto offrirgli un goccio di rum e farlo accomodare su una sedia, prima che il tremore che lo aveva preso alle gambe smettesse di funestarlo. Con fare rassicurante, aveva battuto qualche pacca sulla schiena gracile dell’uomo e lo aveva invitato a non preoccuparsi: data l’ammirevole ripresa del tenente e supponendo fosse un uomo che sapeva come tirare un pugno, da quel momento in poi promise che avrebbe disposto che uno dei mozzi più prestanti lo scortasse nelle sue visite, onde evitare spiacevoli equivoci di simile portata. Una parte di lei, doveva ammetterlo, si era profondamente compiaciuta per lo spirito d’iniziativa – benché azzardato – dell’altro ed era arrivata alla conclusione che, se fosse riuscita a traviarlo, non ne avrebbe tratto solo grande soddisfazione, ma, con un po’ d’impegno, avrebbe potuto guadagnarci perfino un collaboratore di tutto rispetto.
 
Era stato a distanza di una settimana da quello spiacevole quanto divertente episodio che Emma aveva mandato Diego sottocoperta perché recuperasse il tenente e lo portasse alla luce del giorno. Killian aveva accolto con una certa diffidenza l’arrivo dell’energumeno ed era stato cauto nel seguirne le indicazioni, quando aveva compreso che non avesse nessuna possibilità di rifiutare. I suoi ricordi delle quasi tre settimane passate a bordo della nave pirata erano un labirinto, perché, del periodo d’incoscienza che aveva attraversato, ricordava ben poco e quello che ricordava era per lui fonte di turbamento. Nelle ultime sere, le uniche parole che erano risuonate nella sua mente – e che lo avevano invelenito come mai avrebbe creduto possibile – erano sempre le stesse: mangime per pesci.
 
Nel momento in cui, salite le scalette, si fu immesso sul ponte di coperta e la luce del sole lo investì, il suo corpo parve ringiovanire di dieci anni e più e tutte le macchinazioni che avevano irretito la sua mente fino a traviare parzialmente l’uomo d’onore che era si sciolsero ai suoi raggi. I suoi occhi corsero alla superficie piatta del mare color cobalto, scintillante come se cosparsa da un immenso tappeto di cristalli, e, per un solo brevissimo istante, ebbe l’impressione di essere sulla sua nave, insieme ai suoi uomini ed amici, vestito della divisa di cui andava fiero come di poche altre cose nella vita.
 
Bastò, tuttavia, uno sguardo più attento per infrangere l’idillio nel quale si era crogiolato. Le fattezze della Nostos non avevano nulla a che vedere con la magnificente eleganza di quelle del sovrano, ma era innegabile che fosse incantevole a modo proprio. C’era qualcosa di più selvaggio ed essenziale nel legno che la componeva, qualcosa di spavaldo come se la nave fosse talmente sicura di sé che non sarebbe bastata la più regale delle imbarcazioni per mettere in discussione una simile temerarietà. Guardandosi intorno, Killian scorse i volti della ciurma che viveva sulla Nostos e non poté esimersi dal notare che l’equipaggio rispecchiava esattamente quello che ci si sarebbe aspettato di vedere su un simile gioiello: vi era astuzia, diffidenza, insolenza sui loro lineamenti e alcuni di essi lo guardarono perfino con un certo divertimento.
 
Quando gli occhi Killian, quel giorno blu quasi quanto il mare, scorsero la figura del capitano, lo trovarono accostato alla falchetta, le braccia incrociate sul petto, i lunghi capelli biondi mossi appena dalla brezza e lo sguardo accigliato di chi sta ascoltando qualcosa di poco gradito. In quel preciso istante, bella come nessun’altra donna avesse mai incontrato nelle sue innumerevoli peregrinazioni, Killian comprese che fosse lei, Emma, l’anima pulsante della Nostos e che nessuno avrebbe potuto rispondere al nome di Capitan Swan ed incarnarne la nomea in maniera così veritiera all’infuori di lei. Furono necessari pochi istanti perché, improvvisamente consapevole di essere osservata, il pirata incontrasse lo sguardo del prigioniero e la sua espressione mutasse del tutto. I lineamenti del suo viso si rilassarono, mentre le labbra di lei si aprivano in un sorriso, e il tenente comprese che tutto l’equipaggio avesse tirato un sospiro di sollievo nell’osservare il proprio capitano distendersi a quel modo.
 
«Bene, bene, bene.» lo accolse lei, scostandosi dalla falca e compiendo un passo in sua direzione. «Chi non muore si rivede, tenente. Letteralmente.» proseguì, ammiccando teatralmente in direzione dell’altro. Per l’ennesima volta da che si erano conosciuti, Killian ebbe l’impressione che il pirata amasse chiamarlo in quel modo, ricordargli quale fosse il suo titolo, come se le desse uno strano senso di potenza l’idea di pronunciarlo, data la sua identità, e volesse mettere in chiaro quanto poco contasse al suo cospetto.
 
«Non potevo darvi la soddisfazione gettarmi in mare senza avervi dato del filo da torcere, non credete?!» fece lui e le sorrise ampiamente, il volto bello e virile investito dai raggi del sole alto nel cielo. L’altra annuì brevemente, l’espressione divertita.
 
«Sarebbe stato un vero peccato. Ho parecchi progetti in mente per voi.» Killian sogghignò dinanzi all’evidente equivocità delle parole del capitano e, insieme a lui, fecero altrettanto alcuni membri dell’equipaggio. «Oh, perdonatemi!» proruppe poco dopo, il volto acceso di un compiacimento gaglioffo. «Credo di aver scordato le buone maniere che ci si aspetterebbero da un incontro con una persona del vostro lignaggio. Come vi sentite, mio caro?» Una risata generale si alzò sul ponte e Killian inarcò un sopracciglio, il riso ancora sulle labbra.
 
«Mio caro?» le fece eco, mentre l’osservava avanzare molto lentamente in sua direzione.
 
«Oh, sacripante! Mettete forse in dubbio il mio interessamento nei vostri confronti? Mi ferite, signore.» rispose lei, scimmiottando i modi di quella che si supponeva essere una nobildonna. Il suo sguardo si volse improvvisamente verso il resto dell’equipaggio e lo percorse in lunghezza. «Dubitereste mai del mio interessamento per il tenente, miei prodi?»
 
Un coro di “nossignora”, “mai” e “perdio, no” seguì quella richiesta e, impossibilitato a fare altrimenti, Killian rise della situazione. Avrebbe dovuto essere spaventato probabilmente, essendo la sua sorte piuttosto incerta, e avrebbe dovuto essere perfino indignato alla sola idea di condividere lo stesso spazio con quel cumulo di manigoldi, ma non avrebbe avuto senso usare l’ostilità con lei. Ad Emma piacevano i giochi e, se era quello che desiderava, Killian avrebbe giocato. Per vincere.
 
«Suppongo, dunque,» fece lui e compì un brevissimo passo avanti, fin troppo consapevole della presenza dell’energumeno alle sue spalle. «che il trattamento che mi avete riservato, infilzandomi con quel pugnale, sia stato soltanto un effetto collaterale.»
 
«Collaterale a dir poco.» fece lei. “In realtà, voleva sedurvi” suggerì un mozzo alla sua destra e Killian osservò Emma come a chiederle conferma di una simile illazione. «Non l’avevate ancora capito?»
 
«Perdonatemi, ma è la prima volta che vengo sedotto da una donna a suon di coltelli.» disse lui ed Emma spalancò appena gli occhi, come sgomenta, mentre dalla sua ciurma si levava un coro di teatrale, fittizio sconcerto, quasi non credessero a quello che le loro orecchie avevano appena sentito.
 
«Ma che genere di donne avete frequentato finora, giovanotto?» proruppe una voce tremula ma sufficientemente chiara appena alle spalle di Emma. La giovane si voltò e accolse con un ampio sorriso l’arrivo di un vecchietto dall’andatura claudicante, dal mento sporgente e con una cicatrice a sostituire uno dei due occhi che, chissà come, doveva aver perduto. «Una donna che non attenta alla vostra vita non è una donna che vale la pena prendere in considerazione.» lo ammonì, agitando le dita nodose della mano libera in direzione di Killian.
 
«E’ una donna che vi ha fatto quello?» chiese il tenente, indicando l’occhio mancante, mentre una parte di lui continuava a ripetersi che dovesse essere in preda ad un’allucinazione, perché quello che stava accadendo era ben lontano dall’apparire come lo aveva immaginato, quando aveva tentato di figurarsi il loro primo confronto.
 
«Perdio, sì! E che donna!» rispose il vecchietto e, quando ebbe pronunciato quelle parole, un coro di fischi levatosi tutt’attorno gli strappò un sorriso sghembo, come sghemba era l’espressione del suo viso provato dagli anni.
 
«Va bene, dongiovanni, basta così.» lo ammonì Emma, sospingendolo delicatamente in prossimità di un barile e lanciandogli uno sguardo di bonario rimprovero, lo stesso affettuoso ammonimento che una figlia avrebbe avuto nei confronti del padre un po’ troppo in là con gli anni e fuori dal controllo del buonsenso. «Abbiamo cose più importanti di cui occuparci.»
 
A quel punto, gli occhi verdi di lei lo raggiunsero e Killian realizzò che il tempo degli scherzi fosse oramai terminato. Uno dei pirati si alzò d’improvviso e, senza troppe cerimonie, aprì il barcarizzo per mostrargli l’asse che dava direttamente sul mare, indirizzandogli un occhiolino che il tenente non seppe come qualificare se non in termini di sfida. Nel momento in cui la sua attenzione tornò sul capitano della nave, non seppe dirsi se lo rincuorasse quell’alone di divertimento che le leggeva in volto o se sarebbe stato preferibile saperla seria.
 
«Suppongo di dovervi illustrare la politica sui prigionieri, tenente.» disse con tono solenne. «Vi viene concessa la possibilità di scegliere tra la vita su questa nave e una assai probabile morte giù per l’asse. In altre circostanze, ci sarebbe anche la possibilità di mettervi su una piccola barca e lasciarvi al vostro destino, ma siamo in tempi di crisi e l’unica alternativa che possiamo darvi è farvela a nuoto, come avete capito.» spiegò e Killian la osservò con un’espressione sì scettica che Emma non poté impedirsi di ridacchiare.
 
«State scherzando!» fu tutto quello che riuscì a commentare Killian, ma il pirata scosse il capo fermamente.
 
«Su questa nave, ai prigionieri viene data la possibilità di essere artefici del proprio destino, salvo casi straordinari in cui non è possibile fare altrimenti che scegliere per l’interessato.» Piano, la osservò dirigersi in prossimità di un barile e, quando si fu accomodata ed ebbe accavallato le gambe, parve pronta a proseguire. «Ma non credete che sia necessariamente una grazia decidere di rimanere.» S’interruppe un attimo per guardare in direzione dei suoi uomini e ammiccare nei loro riguardi, finché, infine, non tornò a lui. «Molti di quelli che hanno scelto la vita sono morti prima che la Nostos toccasse terra e in maniera neppure troppo piacevole.»
 
«Quindi, è una trappola. Nell’uno e nell’altro caso, la soluzione finale è una.» ribatté il tenente ed Emma scosse il capo e alzò gli occhi al cielo, contrariata.
 
«Questo dipende da voi, non da me. Se rispetterete le regole, sopravvivrete a lungo.»
 
«Regole
 
Killian rise, incredulo al cospetto di quello che, ai suoi occhi, aveva le sembianze uno scherzo di cattivo gusto. Aveva l’impressione che si stessero prendendo gioco di lui e neppure per un istante aveva considerato che le parole di Capitan Swan potessero avere un solo fondo di verità. Si aspettava, piuttosto, che da un momento all’altro qualcuno estraesse una spada e cominciasse a torturarlo finché non si fosse dissanguato abbastanza da non riuscire a muovere un muscolo e, soltanto allora, avrebbero ritenuto opportuno gettarlo in pasto ai pesci, com’era evidentemente nelle usanze della brigata.
 
«Credete di essere l’unico ad averne, tenente?» Quando lo sguardo di Killian tornò su di lei, scorse qualcosa di diverso negli occhi verdi dell’altra. «Credete che le vostre siano le uniche regole valide nel mondo della navigazione?» lo incalzò senza troppa foga. «Che tutte quelle stupide idiozie sul colletto della giacca, e sulla posizione dello spadino, e sui risvolti delle maniche siano l’unico codice esistente nella vita per mare?» L’espressione curiosa di lui dinanzi all’elencazione precisa delle regole che doveva aver seguito da che aveva messo piede nella marina la fece sorridere più ampiamente e le addolcì i tratti del viso.
 
«Avete un debole per i marinai, capitano?» le chiese e l’angolazione della bocca di lei modificò la sua espressione in un miscuglio di malizia e soddisfazione.
 
«Vi stupirebbe apprendere quante cose so sul mondo che vi circonda.» Il modo in cui pronunciò quelle parole, avvolta com’era nella luce abbagliante del sole di mezzogiorno, rese le sue frasi molto più pregnanti di quanto non sarebbero state in un’altra occasione e, per la seconda volta da che l’aveva incontrata, Killian ebbe l’impressione che il pirata fosse stato molto più vicino a conoscere le sue abitudini di quanto lui non potesse immaginare. «Come il fatto che il vostro amato sovrano ha un vizio particolare quand’è nervoso,» Piano, allungò il mignolo e lo portò alle labbra, sfregando l’unghia contro la porzione di pelle tra la bocca e il naso a mimare un’abitudine che, a tutti gli effetti, Killian sapeva appartenesse all’uomo per il quale aveva combattuto anni e anni. «E che usa proprio questo dito,» e mosse ripetutamente il mignolo  «perché è lo stesso sul quale indossa l’anello di famiglia, come se, al cospetto di un gruppo di ufficiali prestanti e assai più preparati di lui, potesse fare la differenza e renderlo meno mediocre di quanto non sia.»
 
I capelli biondi si mossero appena allo spirare della brezza, sfiorando la pelle chiara delle spalle arrossata da un sole troppo forte per una donna all’apparenza tanto delicata ma dall’animo altrettanto battagliero, e, per un istante, il tenente Jones perse cognizione di tempo e spazio. Com’era possibile che non l’avesse mai notata, se era vero che si fosse aggirata senza alcun problema negli ambienti di corte? Per tutte le divinità dell’Olimpo, non esistevano dubbi che, se mai l’avesse vista anche una sola volta, non si sarebbe scordato di lei tanto facilmente. Non era una donna della quale fosse possibile cancellare facilmente la memoria. Non perché fosse vergognosamente bella e desiderarla fosse non solo naturale ma quasi un obbligo per qualunque uomo, quanto perché il suo sguardo possedeva un quid che mancava alla maggior parte della gente: le sue iridi bruciavano di vita e di ideali e del desiderio di raggiungere uno scopo. Killian seppe, in quel frangente più che mai, che, se c’era una cosa che non avrebbe mai dimenticato di Capitan Swan, erano i suoi occhi.
 
«E so anche che, non importa quanto abbiate fatto per lui, quell’ometto tutto imbellettato ricorda a stento il vostro nome.» Il tenente sussultò impercettibilmente a quella considerazione, perché le parole di lei brulicavano di verità; egli stesso sapeva, benché non l’avrebbe mai ammesso, di avere avuto in più di un’occasione l’impressione che il re non fosse la guida che tutti si sarebbero aspettati. Non perché non ricordasse il nome dei suoi ufficiali, ma perché non pareva un uomo capace di vera gratitudine. «Ma non dovreste prenderla sul personale!»
 
«Ah no?» fece lui, in parte divertito e in parte curioso delle ragioni che Emma avrebbe addotto per una tale considerazione. «Per quale ragione? Sentiamo!»
 
«Beh, come potreste interessargli? Non siete né un cosciotto di pollo, né una povera donna costretta a simulare un orgasmo.» La ciurma proruppe in una fragorosa risata, compreso l’energumeno che, di solito, appariva tanto più composto degli altri, e Killian non fu da meno. Quando lei tornò a parlare, le labbra dipinte di quell’atteggiamento da furfante, la bocca del tenente era ancora piegata in un sorriso. «Oppure sbaglio e vi rivedete in una delle categorie?» L’equipaggio reagì nuovamente con lo stesso entusiasmo ed Emma ridacchio della sua stessa impertinenza, mentre l’altro aggrottava la fronte, sorprendentemente divertito.
 
«Voi cosa dite?» la stuzzicò di rimando.
 
«Dico che non siete un cosciotto di pollo, altrimenti il vostro sovrano vi avrebbe digerito da un pezzo.» La considerazione venne fuori come se stesse soppesando una questione seria e altrettanto meditata fosse la risposta, non come se stesse facendo del pesante sarcasmo su un uomo di cui non aveva evidente stima. «Per il resto, direi che non siete di certo una donna e me ne compiaccio.»
 
Killian Jones aveva viaggiato a lungo, aveva condotto un’esistenza piena e soddisfacente sotto innumerevoli punti di vista e aveva incontrato, nelle sue frequenti peregrinazioni, molta più gente di quanto fosse dato sapere. E aveva conosciuto molte donne, giovani e mature, nobili e di basso lignaggio, più o meno belle. Ma mai, da che aveva memoria, il suo cammino aveva intersecato quello di una creatura che avesse in sé tutte le sfaccettature che, in poco meno di un paio di incontri, Emma Swan aveva dimostrato di possedere. Avrebbe dovuto riunire le singole caratteristiche di molte delle persone che aveva incontrato per ottenere un simile risultato e qualcosa gli suggeriva che non sarebbe stato comunque soddisfacente.
 
Nonostante avesse avuto la sua dose di meretrici da taverna e, di conseguenza, avesse conosciuto signore che definire sfacciate sarebbe stato un eufemismo, lo sorprendeva il modo in cui Emma si approcciava a lui. Erano la sua franchezza e la sua impudenza a piacergli, perché non nascondeva lo trovasse piacente, ma era altrettanto risoluta nel ritenere che non fosse all’altezza dei suoi standard. Ed era una sfida per un uomo come lui che di rifiuti non ne aveva mai ricevuti, né aveva mai pensato di poterne avere. Invece, a dispetto di qualunque previsione avesse mai fatto nel corso della sua vita, si ritrovava non soltanto ad essere respinto, ma ad essere respinto da un pirata.
 
«Se rimanessi, quali sarebbero le regole da rispettare?» domandò e il compiacimento che s’irradiò sul viso di lei lo avrebbe lusingato, se non avesse avuto la piena consapevolezza che averlo con sé era proprio ciò che l’altra desiderava, qualunque fosse la ragione di quel desiderio.
 
«Innanzitutto, il tradimento è punito con la morte.» Nel pronunciare quelle parole, l’espressione del volto del pirata si era fatta intransigente e Killian vi si era rivisto, quando, a suo tempo, in più di un’occasione, aveva dovuto imporre la propria autorità sui suoi sottoposti. «So che non siete  un pirata, che l’idea di mischiarvi alla gente come noi deve a dir poco repellervi e che, se ne aveste occasione, tornereste tra i vostri ranghi per tentare di fare colare a picco noi e la Nostos. Non credetemi sciocca, dunque, se vi chiedo fedeltà.» Le sopracciglia di Killian s’inarcarono visibilmente, ma il viso di Emma rimase impassibile, le sue labbra serrate nell’attesa di raccogliere i pensieri e darvi l’aspetto di parole. «La rotta che stiamo seguendo ci condurrà in terre ove non avrete nessun punto di contatto con le autorità nelle quali sperate di trovare la salvezza, in luoghi che probabilmente non avete mai neppure preso in considerazione e non è la vostra gente che vi troverete. Nel momento in cui attraccheremo, potreste sempre tentare di trovare un passaggio per Thrain e non sarò io ad impedirvelo, ma, se lo faceste, mi riterrei del tutto sollevata dell’incarico di assicurarmi la vostra incolumità e il vostro destino sarebbe unicamente nelle vostre mani.»
 
A quel punto, s’interruppe un istante e trascorsero lunghi minuti prima che tornasse a parlare, minuti durante i quali il tenente realizzò l’effettivo significato delle parole di lei e ne assorbì il colpo. Qualunque fosse la terra che avrebbe visto l’imponente Nostos attraccare al suo porto, il pirata gli fece capire che non sarebbe sopravvissuto senza il loro aiuto, che, per quanto lo ripugnasse l’idea di dover dipendere da una ciurma di pirati, quel gruppo di manigoldi era la sua unica salvezza ed Emma la persona cui avrebbe dovuto affidare la propria vita, se avesse voluto sopravvivere. E, ancor più che quello, le parole di lei gli confermarono che non avrebbe trovato nessun ufficiale, nessun alleato del suo sovrano, nessun fuoco amico che potesse liberarlo della prigionia cui Emma lo aveva costretto senza pagare caro il prezzo del solo tentativo. Le uniche alternative a lui disponibili erano percorrere l’asse o tentare di fuggire e Killian aveva la netta impressione che entrambe lo avrebbero condotto ad una morte prematura. Lo aveva incastrato, maledizione!

«Gli uomini che incontreremo, i pirati che conoscerete sono tutto quello che avete sempre pensato della categoria e perfino di più, e, se sapessero chi siete, l’unica opportunità di scelta che vi darebbero sarebbe tra una penosa morte e atroci sofferenze che cancellerebbero l’uomo che siete fino a rendervi un inetto.» La brezza soffiò fresca, allietando la pelle del tenente madida di sudore. Il sole era caldo, cocente nel cielo di mezzogiorno, ma non bruciava quanto i moniti dell’altra. Con un balzo, ella scese dal barile e si diresse a passi decisi, lenti verso l’uomo finché meno di un metro di distanza rimase tra loro; per qualche ragione, Killian ebbe per la prima volta l’impressione di essere davvero di fronte a Capitan Swan, lo stesso contro il quale aveva giurato vendetta in nome dei suoi compagni caduti, in nome di tutto quello che gli aveva portato via prima ancora che si conoscessero. «Se decidete di rimanere, dovrete considerarvi parte di questa ciurma finché non sarete di nuovo con i vostri uomini, se mai riusciste a tornarvi. Se decidete di rimanere, non vi passi neppure per la mente l’idea di ferire o mettere nei guai uno dei miei uomini, men che meno di ostacolare i miei piani.» La sua voce, a quel punto, vibrava di un’ira che il tenente non avrebbe saputo catalogare, un’ira che, tuttavia, aveva già letto nel suo sguardo la notte che lo aveva pugnalato alla spalla e non alla gola solo per merito dell’uomo che l’aveva persuasa a non ucciderlo, un’ira che pareva bruciare, di volta in volta, parte dell’umanità che le era rimasta in corpo. Repentinamente, ridusse le distanze e d’un tratto fu così vicina che Killian poté sentirne l’essenza: sapeva di mare, di salsedine, di pelle, di sole ma, soprattutto, di sangue. «Se decidete di rimanere ed infrangete una sola di queste regole, vi giuro che non esisterà buco nel quale potrete nascondervi, in questo mondo o in qualunque altro, che vi terrà al sicuro da me. Se venite meno ad una soltanto di queste indicazioni, vi farò desiderare di non essere mai nato negli stessi anni in cui il nome di Capitan Swan risuonava per i sette mari.»
Fu con quell’ultima palese minaccia che il capitano oltrepassò il prigioniero e raggiunse i suoi alloggi, chiudendosi la porta alle spalle con molto più vigore di quanto non fosse necessario.
Quando, qualche ora dopo, Diego la raggiunse e, con un sorriso, le comunicò che il tenente aveva deciso di rimandare la passeggiata sull’asse ad un’altra occasione, negli occhi verdi di lei baluginò un’emozione gagliarda di piena soddisfazione. Aveva ottenuto quello che voleva, ancora una volta.
 
*
 https://www.youtube.com/watch?v=2fngvQS_PmQ&feature=kp
Prendere quella decisione era costato a Killian Jones molto più di quanto fosse possibile credere ed aveva richiesto una buona dose di pazienza e ragionevolezza per spegnere l’incendio che il solo pensiero di accettare una simile proposta aveva appiccato nella parte più orgogliosa di sé. Gli era costato uno sforzo immane costringersi ad ammettere di avergliela data vinta e, benché l’avesse consolato la certezza che, un giorno, sarebbe riuscito non soltanto a tornare tra i ranghi cui apparteneva ma perfino a consegnarla alla giustizia, si era trattato di una magra consolazione a fronte della soddisfazione che sapeva di averle provocato.
 
Aveva passeggiato a lungo e instancabilmente nell’improvvisato alloggio che gli era stato assegnato, rivolto appena qualche parola al guaritore che lo aveva raggiunto per spalmare l’unguento maleodorante che aveva reso più rapida la sua ripresa e, infine, si era costretto ad uscire allo scoperto. La ciurma lo aveva accolto con diffidenza, curiosità e divertimento e il tenente aveva dovuto racimolare tutto l’autocontrollo di cui era stato capace per impedirsi di reagire in malo modo contro alcuni di loro, che non lo avevano solo apertamente deriso ma addirittura sfidato, dandogli del pirata. Per tale ragione, era stato un sollievo – e, al contempo, una sorpresa – l’annuncio di Geoffrey che, al calare del sole, aveva ordinato di spegnere ogni lume: buona parte dell’equipaggio era scesa sottocoperta, alcuni si erano placidamente stesi sulle tegole scricchiolanti del ponte, altri si erano accostati alla falchetta per osservare l’orizzonte farsi aranciato e, infine, spegnersi del tutto. Inspirando profondamente, Killian aveva trovato profonda quiete in quell’immagine, così rassomigliante a tante altre impresse nei suoi ricordi.
 
Era stato a quel punto che, avvolti nella penombra calata con la notte, vagamente illuminati da una luna tonda e piena e dalle stelle, l’energumeno che rispondeva al nome di Diego gli si era fatto vicino e aveva preso posto al suo fianco, sulle scale che conducevano a prua. Avevano taciuto a lungo, entrambi immersi in una fitta rete di pensieri che non avrebbero saputo sciogliere neppure con l’aiuto reciproco l’uno dell’altro, finché il tenente non aveva infranto il silenzio, azzardandosi a fare una domanda che doveva essere parsa sciocca alle orecchie del suo interlocutore, perché lo aveva sentito ridacchiare per un po’. Infine, Killian si era deciso a voltarsi e il suo sguardo aveva incontrato quello serio dell’altro, trovandovi tutto fuorché ciò che si era aspettato: gli occhi neri come il cielo notturno che avevano ricambiato l’espressione seria dei suoi, così chiari e diversi, erano semplicemente gli occhi di un uomo che era stato segnato dal mare quanto qualunque altro marinaio, non di certo gli occhi di un pirata.
 
La risposta del gigante lo aveva fatto sorridere e scuotere la testa e, quando la sua attenzione era tornata all’orizzonte ormai indistinguibile dal cielo notturno, le parole di Emma erano tornate alla sua mente. Al suo quesito sulla ragione per cui fosse stato ordinato lo spegnimento di qualunque fonte d’illuminazione, Diego aveva risposto spiegandogli che si trattasse di una regola del codice della pirateria, atta a fare in modo che le navi rimanessero occulte e non destassero troppa attenzione nel caso di eventuali imbarcazioni nemiche nei paraggi. Il tenente aveva riso di un riso amaro, rendendosi conto di aver sottovalutato le strategie avversarie quando si era lanciato all’inseguimento dei briganti, del tutto inconsapevole dell’esistenza di una simile regola, e aveva realizzato che le conclusioni del capitano della Nostos non fossero poi tanto errate. Spesso accecati dalla sete di giustizia e dall’arrivismo, come soldati della corona peccavano di superbia e negligenza e quello era il risultato: da fiero servitore della giustizia, si era ritrovato a conversare amabilmente con l’emblema di tutto ciò che si era sempre promesso di combattere.
 
Erano seguiti lunghi minuti di silenzio, fitto quanto quello precedente, dopo la spiegazione di Diego, la Nostos imperiosa mentre solcava le acque quiete di un mare ossequioso, la brezza fresca a muovere la camiciola che il medico gli aveva fornito insieme al resto dell’abbigliamento e agli strumenti da toeletta per sistemarsi la barba. Quando, qualche ora prima, si era guardato allo specchio, lo aveva rincuorato il riflesso che la superficie gli aveva mandato indietro: non importava che si trovasse sulla Nostos, che indossasse dei capi di vestiario simili in tutto e per tutto a quelli del suo equipaggio, che fosse accerchiato da pirati e che ad alcuni di essi dovesse la vita; nel momento in cui vi si era guardato, lo specchio gli aveva restituito l’immagine di un uomo che evidentemente non apparteneva a quelle circostanze, a quei luoghi, l’immagine dell’uomo che Killian Jones aveva sempre voluto essere.
 
D’un tratto, qualcosa aveva attratto la sua attenzione e le sue riflessioni si erano interrotte. Un mozzo più alto di lui di una buona spanna e decisamente più magro, lo stesso che aveva sghignazzato quando era venuto fuori da sottocoperta quella sera, si era diretto verso le scale di rimpetto a quelle sulle quali sedevano Killian e Diego e, poggiando una candela sulla falchetta, l’aveva accesa con un fiammifero; con la stessa noncuranza, poco dopo si era voltato ed era tornato al suo posto sul ponte nella nave, dovunque esso fosse. Il tenente era stato sul punto di aprire bocca per chiedere spiegazioni, ma non ne aveva avuto occasione. La porta di quelli che aveva dedotto essere gli alloggi del capitano si erano aperti e ne era venuto fuori il suo occupante, la figura snella più evidente di quanto non lo fossero quelle degli altri per via dei lunghi capelli dorati che, alla luce della luna, splendevano di luce riflessa. Con le labbra ancora schiuse, Killian espirò l’aria che aveva inalato nel tentativo di formulare la domanda e si limitò ad osservare.
 
Quasi volando sul pavimento della Nostos, Emma raggiunse le scale in prossimità delle quali era stato acceso il lume e vi si accomodò senza proferire parola. Quando gli occhi di lei sfiorarono i contorni del cero e il suo viso fu riscaldato dai colori della fiamma, Killian scorse nell’espressione della giovane qualcosa che non avrebbe saputo definire ma che non si sarebbe mai aspettato di vedere. Non vi era più traccia dello spietato capitano della ciurma di briganti che aveva affondato l’imbarcazione con cui lui e i suoi soldati l’avevano inseguita; non vi era più traccia della donna sfrontata e sicura di sé che aveva danzato con lui nel palazzo del sovrano, né del pirata insolente che lo aveva stuzzicato quella mattina; non vi era traccia di Capitan Swan. Con una sorpresa ben più grande di quella di sarebbe mai aspettato di provare, scorse dei tratti di una dolcezza e delicatezza tali, sul quel viso solitamente aspro, che stentò a credere si trattasse della stessa persona.
 
Morbide come morbida era la curva delle sue labbra, lunghe ciocche di capelli color dell’oro le incorniciavano il viso e Killian riconobbe Emma alla luce della candela, la donna che era stata prima di trasformarsi nel mostro che tutti conoscevano. Gli occhi velati di malinconia parvero di gran lunga più chiari di quanto non fossero mai stati e l’uomo si disse che avrebbe dovuto distogliere lo sguardo ad un certo punto, ma non era sicuro che vi sarebbe riuscito. Sorprendentemente e contro ogni aspettativa, Killian rivide in lei molto di sé, molto della persona che era, parte della stessa innocenza e dello stesso dolore, e, benché non ne conoscesse l’origine, senza rendersene conto guardò a lei non come a un pirata ma come all’essere umano che si nascondeva dietro la corazza di pelle della quale si era rivestita. Colto di sorpresa, batté più volte le palpebre e distolse lo sguardo, nel momento in cui una scena della quale aveva perduto memoria riaffiorò alla sua mente e lo costrinse a cambiare idea. Aveva già visto la donna oltre il pirata, l’aveva già incontrata.
 
Vi prometto solennemente, Emma, di farvi tornare la persona che eravate prima che diventaste quella che siete, di combattere l’oscurità e riportare la luce.”
 
Febbricitante ed indebolito com’era, non aveva prestato troppa attenzione alla reazione di lei a quella che non era stata che una farneticazione, né aveva avuto modo di ricordare nulla nelle settimane successive. Ma, nella quiete di quella notte, Killian acquisì la lucidità che gli permise di essere nuovamente padrone delle sue memorie: a quelle parole, nella stanza umida e stantia del medico, Emma aveva sbarrato gli occhi e, come scottata, aveva compiuto un impercettibile sobbalzo, prima che il sipario calasse ancora una volta sui suoi lineamenti e nascondesse dietro pesanti tendaggi il palco di emozioni che l’altra aveva precluso alla vista di qualunque essere umano.
 
«Non è sempre stata Capitan Swan, non è così?» domandò in un sussurro, prima che potesse fermare il quesito, e Diego sospirò come, in parte, si fosse aspettato un commento da parte sua.
 
«Tutti siamo stati qualcosa prima di diventare quelli che siamo.» rispose l’altro in maniera criptica, gli occhi fissi su Emma che, seduta sui gradini di legno della scala, guardava all’orizzonte come nel tentativo di trovarvi quello cui il suo animo anelava tanto ardentemente.
 
«Sapete cosa intendo.» ribatté il tenente, la voce carica di una tensione e di un’aspettativa che riuscì a modellare in apparente pacatezza. «Cosa le hanno fatto?»
 
«Ho conosciuto poco della persona che era prima di trasformarsi in Capitan Swan, tenente, ma ho conosciuto molto della donna che è diventata e, credetemi, è la creatura più affascinante che abbia mai incontrato da che ho vita.» gli confessò, nella sua voce un ardore che Killian non seppe catalogare finché non ebbe rivolto la sua attenzione sul viso dell’altro. Teneva a lei, e molto; non come un sottoposto tiene al suo capitano, neppure come un amico tiene al suo più fidato compagno. Provava per lei un trasporto sincero, profondo, protettivo.
 
«Killian Jones.» disse d’un tratto, porgendogli la mano, e tanto bastò perché Diego spostasse il proprio sguardo ad incontrare quello del tenente. La fronte dell’omone si aggrottò per un istante, mentre i pensieri si accavallavano sulle rughe che ne solcavano l’epidermide, ma Diego parve arrendersi presto e preferì lasciare andare qualunque suggerimento la sua mente stesse tentando di dargli. Con presa salda, la strinse.
 
«Diego.» Killian sorrise, poi i suoi occhi tornarono a posarsi su Emma e l’altro fece altrettanto. «Le hanno fatto quello che non augurereste neppure al vostro peggiore nemico, Killian.»
 
Il mozzo di alta statura che aveva acceso il lume trovò la propria strada fino alla giovane e si accomodò al suo fianco, osservandone il bel profilo per un lungo momento, prima che la sua mano si allungasse ad avvolgere le dita del capitano. Come destata da una riflessione di enormi proporzioni, Emma sussultò e il tenente temette per l’incolumità del pirata, ma, a dispetto delle sue paure, la ragazza sorrise all’indirizzo del compagno e annuì alle parole che l’altro le sussurrò. Quando l’uomo si accostò alla tempia della giovane per lasciarvi un bacio e, con la mano, carezzarle il viso, prima di accomiatarsi, Killian stentò a credere ai propri occhi e Diego rise del suo sgomento.
 
«Se sapeste tutta la storia, tenente,» L’accento che pose su quella parola costrinse Killian a voltarsi per osservarlo. «capireste molte cose e ne cambierebbero altrettante.» Con un grugnito soffocato, Diego fece pressione contro le tegole del pavimento e si alzò sulle proprie gambe. «Ricordate soltanto che non tutto è come sembra.» Quando fece per voltarsi, Killian lo fermò.
 
«Diego?» L’omone tornò a guardarlo, la fronte aggrottata in un’espressione di curiosità. «Siete voi la persona che ha il compito di tenermi d’occhio, non è così?» L’altro gli sorrise con fare genuino e strizzò l’occhio in sua direzione.
 
«Siete un tipo sveglio!» gli disse e Killian ridacchiò, prima che i suoi occhi si riposizionassero su Emma.
 
«E’ quello che farei io.» sussurrò in risposta e, pur non avendone la certezza visiva, seppe che Diego avesse annuito in approvazione.
 
A quel punto, lo lasciò andare e vagamente ne scorse la sagoma accostarsi al capitano della Nostos. Questi alzò lo sguardo a scrutare il suo nuovo interlocutore e il tenente godette della scena dalla sua postazione; non avrebbe saputo dire cosa stesse passando per la testa della giovane, né era certo di volerne avere conoscenza. Nel momento in cui la vide alzarsi e accostarsi alla falchetta per chinarsi appena sulla candela, seppe soltanto che una parte di lui aveva voluto redimerla sin dal loro primo incontro, quando non aveva avuto idea di chi fosse realmente, e che quell’idea pareva essere rimasta nel tempo, perché la promessa che le aveva fatto nella cabina del guaritore, pur nell’incoscienza del momento, trasmetteva la stessa immutata speranza.
 
Sopra la fiamma del lume, i loro sguardi s’incontrarono ed Emma lo perscrutò per un lungo, lunghissimo istante, mentre ombre e colori s’inseguivano sui suoi lineamenti resi più caldi dalla luce tremula del cero. Nel verde straordinariamente limpido dei suoi occhi, Killian vide il fuoco bruciare ogni cosa, qualunque bruttura l’avesse ferita e irrimediabilmente segnata, qualunque vessazione avesse subito, e restituirgli l’immagine di Emma Swan, fosse anche per quella manciata di secondi. Allo stesso tempo, quello stesso fuoco parve infiammare le sue di lesioni, quelle che la vita gli aveva inferto e che lo avevano indurito, le stesse che, tuttavia, non erano state in grado di cancellare l’uomo e di sostituirlo con la versione peggiore di sé, com’era accaduto con la giovane. In quel momento, Killian vide il fuoco scavare le loro anime, arroventarle finché la desolazione che le aveva assalite non spirò in cielo e si dissolse poco alla volta.
 
La bocca di Emma si piegò in un sorriso accennato, prima che un soffio spegnesse la candela.



__________________________________________________________________________________________________________
Spazio dell'autrice:

Ringrazio, ancora una volta, le persone che hanno letto lo scorso capitolo, chi ha aggiunto la storia tra quelle preferite o da seguire, chi semplicemente si è preso la briga di conoscere i miei personaggi. e' una soddisfazione, per me, condividere il mondo della Nostos e di questi Emma e Killian con voi e spero mi accompagnerete lungo il percorso.
Ringrazio ancora le persone che hanno commentato: Cloris84, PiccolaMalandrina ed Emma Bennet. Ragazze, i vostri commenti sono la scintilla per la mia ispirazione, davvero, e mi rendono sempre migliore la giornata. G r a z i e!
Spero che il capitolo vi sia piaciuto e che il viaggio sia stato altrettanto piacevole.
Buona lettura, comunque! :]

 

Ritorna all'indice


Capitolo 5
*** Durin ***


Un omaggio ad uno degli scrittori più geniali che siano mai esistiti. Un regalo un po' più lungo del previsto per voi, che mi leggete e avete avuto la pazienza di aspettare.


Capitolo V
Durin
 
Emma Swan era una creatura bizzarra. Senz’altro affascinante, ma quanto mai bizzarra.
Se c’era una cosa che Killian Jones aveva appreso in quelle lunghe settimane di navigazione sulla nave pirata, era che il suo capitano aveva molto più da raccontare di quanto uomini del doppio della sua età non avrebbero saputo fare, molto più di quanto egli stesso sarebbe stato in grado di dire su quegli ultimi trent’anni trascorsi per terra e per mare alla spasmodica ricerca di una giustizia che era parsa sfuggirgli come il più viscido rettile; una giustizia che, ironia della sorte, aveva sorprendentemente trovato nel luogo più inaspettato.

In quella peregrinazione della cui meta era del tutto ignaro, il tenente aveva avuto modo di studiare le abitudini vigenti sulla Nostos e, con sgomento, non aveva trovato nulla di quanto si fosse aspettato. Nessuna sregolatezza, nessuna esagerazione, nessuna ignavia. Ogni singolo membro dell’equipaggio ricopriva uno specifico ruolo che svolgeva con più o meno alacrità e, benché quegli uomini fossero tanto diversi tra loro, li guidavano un’armonia ed uno zelo che gli avevano reso assai più semplice il compito di comprendere come mai quella ciurma di pirati fosse la più temuta dei sette mari. Non si trattava della prestanza fisica o delle abilità in combattimento, quanto del mutuo rispetto che nutrivano l’uno per l’altro e, ancora di più, della completa devozione che provavano nei riguardi del loro capitano.

A dispetto delle sue superficiali e bigotte congetture, Capitan Swan era tutto quello che un individuo della sua posizione avrebbe dovuto essere: era brillante, sagace, giusto, intransigente, paziente, spaventoso e affascinante quanto bastava perché i suoi sottoposti gli dessero ascolto senza dubitare della sua autorità. Era stato incredibilmente interessante osservarlo impartire ordini ad uomini di stazza tre volte superiore alla sua ed ottenere esattamente quello che desiderava; e ancora più intrigante era stata l’idea di sapere come avesse appreso tutto quello che conosceva. La mente del tenente Jones aveva indugiato a lungo sul pensiero del suo nemico, la notte successiva alla tempesta che aveva rischiato di gettarli tutti in mare, la stessa tempesta alla quale erano scampati soltanto grazie alle direttive del capitano in pelle nera, quella donna di qualche anno più giovane di lui che, imponente più dell’albero maestro, al timone della Nostos, qualche ora dopo aveva osservato l’orizzonte senza battere ciglio, lasciandosi il fortunale alle spalle per non voltarsi mai più indietro.

Killian ricordava nitidamente il chiarore dei capelli grondanti di lei stagliarsi contro il cielo notturno, le spalle arrossate dalla violenza che l’acqua le aveva usato contro, e ricordava con altrettanta accuratezza  il modo in cui il suo bel viso era parso scurirsi alla vista del mozzo morente  che giaceva sul pavimento del ponte di coperta. Dal momento in cui il pugnale che era solita portare alla cintola era penetrato nella carne dell’uomo per strapparlo a quel supplizio e, nel silenzio più assoluto, il cadavere traforato da parte a parte era stato restituito al mare cui aveva dedicato la vita, qualcosa era cambiato nell’atmosfera che si respirava sull’imbarcazione. Da quel momento, qualcosa di scuro era calato sull’animo del capitano e, con lui, i suoi uomini ne avevano risentito.

Le risate mattutine, i canti baldanzosi, le sonate volgari erano stati sostituiti dal più impenetrabile silenzio ed Emma non aveva lasciato il timone per due giorni interi, l’espressione corrucciata costantemente rivolta dinanzi a sé. Diego aveva tentato di approcciarsi a lei più di una volta, ma non era servito a nulla, se non a mettere a repentaglio la sua vita. Il terzo giorno dopo la burrasca che aveva portato con sé l’uomo di cui Killian non ricordava neppure il nome, l’energumeno al cui fianco aveva trascorso buona parte della traversata si era accostato al capitano sulla soglia degli alloggi di quest’ultimo, qualche istante prima che costui li oltrepassasse e trovasse conforto tra le mura silenti del suo studio; l’espressione di lei era parsa una maschera di cera al cospetto delle bonarie sollecitazioni dell’altro e molti insieme a Killian avevano trattenuto il respiro quando le dita tozze di Diego si erano strette attorno alla spalla di lei, invitandola a rimanere un po’ in compagnia dell’equipaggio. Lo sguardo di Emma aveva oscillato dall’arto dell’uomo al suo viso con lentezza estenuante una volta, due volte, infine un’altra ancora.

Era bastato un istante e nessuno dei presenti avrebbe saputo spiegare come fosse anche solo vagamente possibile, ma Diego si era ritrovato scaraventato alla parete esterna degli alloggi di lei con un pugnale puntato alla gola. “Non è la misericordia di cui sono prodiga” si era limitata a sussurrare con voce funerea, i denti stretti, spingendo più a fondo la fiancata del coltello nella carne finché un rivolo di sangue aveva tracciato il suo sentiero lungo il collo del pirata e la ciurma lo aveva sentito mugugnare. Con lentezza inversamente proporzionale alla rapidità con cui lo aveva colto di sorpresa, Emma aveva compiuto un passo indietro, pulito la lama del pugnare sulla giacca logora di quello che si supponeva essere il suo confidente più caro ed era sparita nelle sue camere.

Non erano stati necessari gesti o parole, a quel punto. Diego aveva stretto i pugni e, pallido come un lenzuolo, era sceso sottocoperta, lasciando l’equipaggio – e Killian primo fra tutti -  in un silenzio attonito. Nessuno di loro avrebbe mai osato sfidare i nervi di Diego, non chi lo conosceva, men che meno chi poteva soltanto immaginarne il temperamento; e, a maggior ragione, nessuno di loro avrebbe mai osato alzare un dito contro di lui, perché le possibilità di uscirne gravemente mutilati erano alte più dell’immaginabile. Com’era possibile che quell’esserino mingherlino l’avesse non soltanto scaraventato contro la parete, ma fosse perfino riuscita a zittirlo senza il timore di provocarne una reazione?

Stecco, il mozzo alto e rachitico che aveva riso di Killian e cui aveva visto accendere la candela quella notte di diverse settimane prima, gli era passato accanto e, nel primo gesto amichevole che si fossero mai scambiati, gli aveva battuto due pacche sulla spalla, ridestandolo dal suo stato di stupore. I loro occhi si erano incontrati, il pirata aveva strizzato uno dei suoi e gli aveva fatto cenno di seguirlo; con un fitto gruppo di compagni, lo aveva condotto nel grosso spazio adibito a mensa di cui la nave disponeva e gli aveva porto una fiaschetta di rum, invitandolo ad accomodarsi. Era stato bizzarro prendere posto tra di loro, sentirli schernire il povero Diego, osservarli dare di gomito e intonare assurdi mottetti per dargli il benvenuto nelle losche schiere dei manigoldi, come pareva amassero definirsi. Malgrado tutto, Killian aveva riso.

E quel riso e quella bevuta erano stati in grado di cambiare le carte che la tempesta e la morte del mozzo avevano messo in tavola. La notizia delle circostanze che avevano visto il tenente fare combriccola con gli abitanti della Nostos era giunta alle orecchie del capitano della nave, allietando i suoi pensieri e schiarendo la sua mente fino a riportare parzialmente il sereno ove a lungo avevano dominato nubi e tenebre. Era impresso come un marchio a fuoco nei ricordi di Stecco, il modo in cui le labbra vermiglie di Emma si erano inclinate in un sorriso appena accennato per poi schiudersi e rivelare tutta la bellezza di cui era capace; in quel frangente, il pirata aveva compreso di essere riuscito laddove Diego, il braccio destro del capitano, aveva fallito e sarebbe stato riduttivo ritenere che fosse fiero del suo successo.

Quella sera, quando Emma aveva preso posto sulle scalette e il suo viso era stato illuminato dal chiarore della candela dopo giorni di assenza, gli uomini dell’equipaggio avevano bevuto alla salute di Stecco e a quella del loro capitano, ma Killian non li aveva raggiunti, né si era curato di controllare in quali condizioni versasse Diego. I suoi occhi non avevano abbandonato un solo istante il profilo della giovane, divorandone ogni porzione di pelle, perdendosi negli abissi di quegli occhi che promettevano di impedirgli di trovare la via di casa, e, per quanto a lungo si fosse ripetuto di avere soltanto bisogno di studiarla, non aveva avuto il coraggio di mentirsi tanto apertamente. C’era in lei tutto ciò che di deplorevole aveva sempre fuggito e disprezzato e, nella contraddizione di cui pareva dominata tutta la sua vita, più tentava di convincersi di non esserne affascinato, più si rendeva conto di quanto ciò non corrispondesse a verità.

I loro sguardi non si erano incontrati, le loro riflessioni non si erano intrecciate e i loro mondi erano rimasti lontani come solo due persone dei rispettivi schieramenti avrebbero potuto essere; e, quando si erano ritirati ognuno nei propri alloggi, i loro pensieri erano corsi a tempi diversi e persone diverse. Emma aveva rimuginato sull’unico essere che avesse mai amato sulla faccia di quello o di qualunque altro pianeta, Killian alla vita che aveva vissuto e che sembrava aver perduto per sempre. Eppure, in tutta quella distanza, in ognuno di quegli elementi che si frapponevano lungo il loro cammino nell’intento di allontanarli più di quanto non fossero, sussistevano una sincronia ed un collegamento che nessuno dei due sarebbe stato in grado di ammettere senza rinnegare un’esistenza di sforzi e ideali.

Era stato solo qualche giorno dopo che la presenza del tenente Jones era stata richiesta negli alloggi del capitano, lo stesso giorno che, per la prima volta a distanza di più di un mese, avevano avvistato terra. Al cospetto dello schieramento di navi e casupole e piccole sagome in movimento, gli uomini avevano gioito ed Emma era parsa ardere di un entusiasmo e una smania che Killian avrebbe desiderato comprendere, ma dei quali non aveva alcuna conoscenza. Non era stata una sorpresa, tuttavia, quella convocazione, non quando la Nostos aveva calato l’ancora a debita distanza dalla cittadina e, poco dopo, una nave di proporzioni assai simili aveva lasciato il porto e tutti avevano  compreso di chi si trattasse . Tutti tranne il tenente. La deduzione che presto avrebbe saputo tutto quello che c’era da sapere si rivelò, invero, corretta.

«Lasciaci soli.» furono le parole di lei, quando Stecco lo ebbe accompagnato oltre la soglia degli alloggi, e non fu necessario aggiungere altro, perché la porta si chiuse alle spalle di Killian pochi istanti dopo. Gli occhi di Emma rimasero incollati sulle pergamene disposte alla rinfusa sulla scrivania e trascorsero diversi minuti, prima che ella gli dedicasse la sua attenzione; minuti che consentirono al tenente di osservare l’ambientazione spartana della cabina ed entrare, per la prima volta,  nel mondo di Emma Swan. Infine, la giovane si alzò e, con tutta l’impertinenza di cui il suo essere era compunto, gli sorrise appena. «Durin. E’ la città in cui attraccheremo.»

«Durin?» le fece eco Killian, le sopracciglia inarcate. Emma compì un passo verso sinistra, nel tentativo di aggirare la scrivania, e le assi in legno del pavimento scricchiolarono sotto il suo peso. Annuì brevemente.

«E’ un’antica città sulla quale si raccontano innumerevoli leggende.» gli spiegò e fece un altro passo, stavolta in direzione del suo interlocutore. «Deve il suo nome ad una delle più antiche tribù di nani che si narra siano mai esistite, una delle più coraggiose e battagliere in assoluto.» Con un cenno della mano, lo invitò ad avvicinarsi e Killian la seguì in silenzio, accostandosi all’apertura, posta su una delle pareti della cabina, che dava direttamente ad Ovest. Il braccio di lei si allungò fin quasi a toccarne il vetro spesso, mentre indicava le fattezze di Durin. «Vedete la montagna che torreggia sulla città? Si dice che fu teatro di una terribile battaglia, una battaglia che nessuno di noi sarebbe in grado di affrontare oggigiorno.» Qualcosa nella voce di lei lo spinse a voltarsi per osservarla e scorse sul profilo delicato del suo viso un incanto di cui non l’avrebbe creduta capace. «Gli antichi raccontano che, da fiorente e ricca città qual era, Durin dovette improvvisamente cedere le proprie sostanze all’avidità di un crudele, invincibile drago che scatenò sulla tribù la propria ferocia, quando l’orgogliosa popolazione di Durin rifiutò di cedergli il proprio oro.»

«Un drago.» fece Killian, la voce scettica di chi ha visto troppo – o, forse, troppo poco - del mondo per credere che simili creature fossero mai esistite. Emma non parve turbata dalla nota di perplessità nella voce del tenente e si limitò a confermare con un breve movimento del capo.

«Rase al suolo la città, investendola di fuoco e fiamme finché l’aria non fu impregnata del puzzo dei cadaveri carbonizzati e per le montagne echeggiarono le urla strazianti di uomini, donne e bambini. Razziate le ricchezze rimaste, il drago si rifugiò nel ventre della montagna e, per lungo tempo, vegliò instancabilmente sul suo tesoro, credendo che nessuno avrebbe mai osato avventurarsi fin lassù e sfidare la sua collera.» Nel raccontargli quanto aveva appreso sulla città presso la quale avevano intenzione di dirigersi, Emma non distolse lo sguardo dallo scenario dinanzi a sé per un solo istante, come se la visione delle case e dell’imponente altura alle loro spalle l’aiutasse a rammentare. «Si racconta che, qualche mese prima della catastrofe, un gruppo composto da una dozzina di nani fosse stato costretto a recarsi in una terra lontana in sinistre circostanze e che, una volta tornato e presa coscienza dell’accaduto, tentarono di ricostruire il loro regno e vi riuscirono.»

Killian ne seguì il racconto con sentimenti ambivalenti: una parte di lui non faceva fatica ad immaginare un popolo nell’intento di riscattare il proprio onore, proprio perché era quello che, da mesi ormai, prometteva a se stesso avrebbe fatto in una nenia ostinata e melanconica; l’altra parte, però, la più adulta e razionale, ascoltava le parole di lei con la stessa condiscendenza che un fratello maggiore avrebbe avuto per la sorella dall’animo sognante. I suoi occhi cercarono il profilo del pirata e vi trovarono, per l’ennesima volta, sfumature che mai si sarebbero aspettati di poter carpire. Quella dolcezza, la stessa che pareva dominarla tutte le sere al cospetto della candela e colmarla di un’essenza che ben poco doveva appartenere a Capitan Swan, era lì. Ella non avrebbe potuto, né voluto spiegargli la ragione di quel sentimento e non l’avrebbe fatto.

«Tuttavia, i figli di Durin erano una popolazione troppo potente, troppo orgogliosa, troppo coraggiosa perché quel crimine fosse lasciato impunito ed un gruppo di loro, diversi anni dopo, partì alla volta della montagna per riprendere ciò che apparteneva loro di diritto.» La voce di lei vibrò di un’emozione controllata a stento e lo sguardo di Killian scese sulle spalle affusolate dell’altra, quando la vide tendersi e scorse il fuoco ardere nei suoi occhi tanto grandi quanto verdi.

«Vi sarebbe piaciuto esserci?» chiese Killian, le labbra piegate in un sorriso a metà tra l’incredulo e il divertito.  Il verde delle iridi di Emma incontrò il blu dei suoi e seppe la risposta prima ancora che la risposta lasciasse la bocca di lei.

«Potete scommetterci!»

A quelle parole, il tenente non poté impedirsi di ridacchiare e, impercettibilmente, quasi senza rendersene conto, le si fece più vicino, scuotendo bonariamente il capo. La sua attenzione virò presto verso l’apertura dinanzi a loro e, indicando con la mano il vascello che avanzava verso di loro, tentò di ottenere maggiori spiegazioni di quante non ne avesse avute fino ad allora. Il capitano della Nostos rimase ad osservarlo per qualche istante, incurante del fatto che le distanze tra loro si fossero ridotte d’improvviso e con una naturalezza che non avrebbe potuto non destare i suoi sospetti. Infine, i suoi occhi seguirono la direzione dell’arto dell’uomo.

«E di quella che mi dite?»

«Quella è la ragione per cui siete qui.» rispose brevemente lei. «Barbanera viene a porgere i suoi omaggi alla Nostos e al suo capitano.» La testa di Killian ebbe uno scatto inaspettato e, stavolta, fu Emma a ridere di lui, quando comprese che l’altro pirata dovesse essere stato, fino a poco tempo prima, suo compagno nella lista dei bersagli che il tenente Jones si proponeva di abbattere. «Non siete forse un uomo fortunato, tenente?!» disse lei, nel momento in cui i loro occhi si furono incontrati per l’ennesima volta, sulle labbra quel sorriso compiaciuto ed impertinente che sovente gli riservava. «Capitan Swan e Capitan Barbanera in un solo colpo. Scommetto che non avreste mai pensato di poterci vedere davvero!»

Il corpo di Killian parve tendersi in maniera spasmodica alle stoccate ricevute, come spesso accadeva quando la giovane toccava corde che non avrebbero dovuto essere sfiorate, e l’espressione neutra che le aveva dedicato fino a pochi minuti prima venne sostituita dallo stesso astio che, tanto spesso quanto ella amava prendersi gioco di lui, l’uomo era solito riservarle. Emma aveva oramai compreso che, in ognuna di quelle occasioni, le memorie dei compagni perduti in battaglia affioravano a mo’ di avvertimento, quasi a ricordargli chi si celasse al di là delle dolci fattezze di donna che avrebbero potuto trarlo in inganno. E, in parte, in ognuna di quelle occasioni, Emma sentiva di capirlo.

«Vi prendete troppo sul serio, capitano, ve l’ho già detto.» fece lei nel tentativo di stemperare la tensione, ma non ottenne alcun risultato. A quel punto, i suoi occhi lasciarono brevemente quelli azzurri del suo interlocutore per tornarvi poco dopo, in essi una serietà che rese chiaro ad entrambi quale sarebbe stato il tenore della conversazione. «Ha mai visto la vostra faccia o c’è una sola possibilità che sappia chi siete e cosa siete?»

«Chi sono e cosa sono?» Una risata spenta, sarcastica riverberò per tutto il suo essere e, per un solo istante, Killian distolse lo sguardo e si osservò intorno, quasi stentasse a credere di star vivendo sul serio una situazione simile. Infine, tornò a guardarla e fu sul punto di dire qualcosa, quando l’altra lo interruppe.

«Non abbiamo tempo per la vostra indignazione, tenente. Ho bisogno che rispondiate alla mia domanda .» Le labbra di Killian rimasero serrate e la risolutezza che lesse su quel bel volto mascolino la costrinse ad alzare gli occhi al cielo e a sbuffare. Era una dannatissima spina nel fianco, quell’uomo! «La sua fama lo precede, perciò non ritengo ci sia molto da dire. Dovete soltanto sapere che, se vi è cara la vita, per nessuna ragione al mondo dovrete rivelargli chi siete o farglielo intuire, per quel che vale.» S’interruppe un attimo, quasi soppesando le parole, e, quando riprese a parlare, la sua espressione parve più cupa. «Siete un uomo testardo ed orgoglioso e si divertirebbe a torturarvi fino a provocare in voi una reazione. A quel punto, vi sfiderebbe a duello e credetemi in parola se vi dico che non avreste una sola possibilità di batterlo.»

«La morte non mi spaventa.» ribatté lui, impetuoso, ma l’espressione di Emma rimase immutata.

«Non si ha paura della morte finché non la si incontra, tenente.»

*

https://www.youtube.com/watch?v=2fngvQS_PmQ

Abbandonare gli alloggi del capitano e incontrare faccia a faccia uno dei nomi più temuti dei sette mari aveva sortito l’effetto auspicato più di quanto le parole di Emma non fossero state in grado di fare. Barbanera si era rivelato spregevole come previso e improvvisamente i moniti della giovane donna erano stati chiari e credibili come avrebbero dovuto esserlo sin da principio. Nella sua possente corporatura, coi lunghi capelli neri intrecciati ed agghindati di indefiniti oggetti di metallo, aveva fatto ingresso sulla nave e si era avvicinato ad Emma con la stessa sfrontata sicurezza che un macellaio avrebbe mostrato di fronte alla bestia sulla quale far calare la mannaia. L’aveva osservata a lungo, impudentemente, e si era preso tutto il tempo che aveva ritenuto necessario per compiacersi della sua bellezza ed assaporarne l’aspetto indomito, selvaggio.

A dispetto di quanto non si fosse aspettato, Emma aveva reagito col contegno di un capitano degno di essere chiamato tale e, benché avesse la metà degli anni di Barbanera, si era divertita a stuzzicarlo, a pungolarlo fino a provocarne le reazioni. La bocca di lui aveva avuto uno scatto nervoso, quando la giovane aveva preso a girargli attorno con un’espressione in viso che il tenente le non aveva ancora visto e che non avrebbe saputo catalogare, e tutto l’equipaggio aveva notato che, in qualche modo e per ragioni che non era dato sapere - le stesse che probabilmente stavano alla base del modo in cui Emma era stata in grado di scaraventare un omone del triplo del suo peso contro una parete -, Barbanera non fosse in grado di zittirla, né di incuterle il timore che suscitava in chiunque lo incontrasse. E doveva essere frustrante per un uomo del suo rango e del suo temperamento essere sminuito dalle stoccate di una giovane donna, che si supponeva dovesse tremare e supplicare perché non le facesse del male.

Ma, del resto, era di Capitan Swan che si parlava, della ragazza che aveva conquistato una nave, un equipaggio e il loro rispetto, una fama che sgomentava chiunque apprendesse le sue gesta. Si trattava della stessa ragazza che aveva gabbato ripetutamente Killian Jones, uno dei tenenti più stimati della Corona, che lo aveva ferito, quasi ucciso, fatto prigioniero e costretto a familiarizzare con l’unica categoria di esseri umani cui aveva sempre dato la caccia. Si trattava della stessa donna che asseriva di essere responsabile della vita  di lui finché le fosse stato fedele, che ne occupava le riflessioni e, al contempo, i progetti di vendetta; era la donna che avrebbe, in cuor suo, voluto redimere.

Accompagnato da Stecco e da un'altra manciata di uomini, una volta che la Nostos aveva attraccato al porto e una parte dell’equipaggio era stato assegnato al pattugliamento della nave, Killian era stato immesso nei vicoli di Durin e si era stupito della bellezza della città come di poche altre avesse mai visto in vita sua. La pietra levigata che formava i sentieri e le case era di una fattura altamente pregiata, una fattura che rispondeva esattamente alla storia di cui Emma lo aveva reso partecipe: da quanto aveva udito da piccino, Killian sapeva che lavorare la pietra fosse il lavoro che meglio si addiceva a quella leggendaria popolazione e, con essa, la brama di ricchezze conquistate col sudore della fronte nelle profondità della terra, tra i tunnel di una o dell’altra miniera. Per un istante, per quanto assurdo apparisse il solo pensiero, provò a dare per buono il racconto di Emma e si lasciò guidare dalla ciurma di pirati che, lo sapeva, non lo avrebbero perso d’occhio un solo istante.

Stecco e gli altri uomini furono ringalluzziti dalla vista della città in festa e delle donne, più o meno belle, che si aggiravano tra i banchi dei mercanti. Il tenente, benché ignaro delle consuetudini del luogo, fu soccorso dal suo spirito di osservazione e realizzò ben presto la ragione della celebrazioni; grossi stendardi, mossi dalla brezza notturna, sventolavano agli angoli delle strade e piccoli teatri improvvisati per i bambini mostravano le sagome di un drago di pezza che veniva sconfitto da piccoli ometti della stessa fattura, la barba e i capelli intrecciati come l’immaginario collettivo dipingeva le tribù dei nani. Il tenente si disse che, per quanto suggestiva fosse stata la vista della città illuminata dalle fiaccole nel folto della notte, quando avevano avvistato terra dopo mesi di ininterrotta navigazione, Durin era ancora più bella da vivere di persona.

Killian rise nel momento in cui, poco prima di lasciare le vie secondarie del porto per immettersi nel vivo dei festeggiamenti, una giovane dai costumi volutamente dimessi gli gettò le braccia al collo e, senza troppe cerimonie, sfregò il corpo morbido di donna contro il suo. In un gesto che avrebbe dovuto controllare ma che non seppe frenare, le sue mani la strinsero fino a spingersela contro e strapparle un gemito e furono soltanto i fischi di Stecco e degli altri che, riportandolo alla realtà, lo spinsero ad interrompere qualunque proposito i suoi istinti fossero stati sul punto di realizzare. Era sbagliato e una parte di lui ne era consapevole, ma, al contempo, quella stessa porzione del suo io, pur moralista e ligia al dovere, sapeva che fosse perfettamente giusto, che, prima di essere il tenente Jones, era Killian Jones, l’uomo. Con una riluttanza che aveva fatto fatica a nascondere, dovette prendere per i fianchi la bella, prosperosa ragazza che aveva innescato una pronta reazione nel suo fisico solido e virile e la spinse via, lasciandole null’altro che un sorriso e, soprattutto, l’amaro in bocca.

«Siete sicuro, Jones?» chiese Stecco, quando Killian ebbe raggiunto il gruppo, rimasto a qualche passo di distanza dal siparietto che si era creato. Un sorriso inclinò le labbra del pirata nel momento in cui, sfilandosi di bocca il pezzetto di legno che era solito mangiucchiare giorno e notte, gli si fece più vicino, gli occhi ancora puntati sulla giovane che non aveva mosso un solo passo dal luogo in cui Killian l’aveva lasciata. «Pirata o no, un uomo è sempre un uomo.» I loro sguardi s’incontrarono in una conversazione che non aveva bisogno di alcuna parola e Stecco finì per ridacchiare. «Come volete voi!»

A quel punto, non poterono che riprendere la loro marcia finché non ebbero raggiunto il cuore pulsante di Durin e, benché ognuno di loro fosse un uomo cresciuto, la sorpresa che si dipinse sui loro visi alla vista della città imbandita a festa li sopraffece. Le loro storie erano diverse, rispettivamente compunte di dolori e motivazioni che non avrebbero compreso l’un l’altro, e condividevano l’amore per il mare, ma, ancora più di ciò, erano perfettamente concordi nel pensare che la vita sulla terraferma portava con sé vantaggi e meraviglie che un’esistenza per mare non avrebbe potuto dar loro in termini di varietà.
Passeggiando tra la folla, Killian ottenne molto più di quanto avesse osato sperare: la sensazione di aver tradito i suoi ideali svanì al cospetto di quella gente che sentiva vicina a sé e la consapevolezza recentemente maturata si fece d’un tratto più chiara e appetibile. Fuggire e tentare di tornare a Thrain non avrebbe avuto senso, non sarebbe stato saggio e quantomeno fattibile; il porto pullulava di pirati della peggiore specie, come Emma si era premurata di renderlo edotto, ed ognuno di essi era estremamente fedele – per scelta o per forza di cose – a Barbanera. Cercare un passaggio per casa lo avrebbe condotto a due soli risultati possibili: quello di perdere le tracce di Capitan Swan per non ritrovarle mai più, o quello assai probabile di fare una fine spiacevole. In entrambi i casi, Killian sapeva di non potersi permettere un errore del genere e tanto valeva seguire il detto popolare: “Tien’ti stretti gli amici, ma ancor più stretti i nemici”.

Per una simile ragione, quella che fino ad allora era stata una mera, vaga congettura si era ben presto trasformata in una possibile missione, grazie all’attracco presso Durin. Seguire Emma da vicino fino a conoscerne i propositi gli avrebbe fornito una serie di enormi vantaggi che avrebbe potuto sfruttare in seguito, qualora avesse fortunatamente trovato la strada verso i suoi uomini ma malauguratamente perso le tracce del capitano della Nostos: ne avrebbe appreso il modo di ragionare, conosciuto le rotte e, con un po’ di fortuna, sfatato i piani per la cui realizzazione pareva essere disposta a qualunque cosa, nessuno scrupolo. Nello stesso modo in cui ella aveva tolto la vita a molti dei suoi compagni, Killian si proponeva di toglierle l’unica cosa che le stesse a cuore, qualunque essa fosse. Era una battaglia, quella, che desiderava vincere con ogni fibra del suo essere.

Radunati nei pressi di una parete, all’angolo di un’ampia piazza zeppa di teatranti improvvisati e artisti di strada, Killian e il piccolo gruppo di pirati trascorsero lunghi minuti a bere, ridere e scherzare, e Stecco si prese la briga di intrattenerli con una serie di grotteschi aneddoti dei quali era stato protagonista da che era diventato un pirata. In quegli istanti di assoluta quiete, immersi nel brusio di una folla gioiosa e scalpitante, il tenente ebbe modo di comprendere quanto poco a genio Barbanera andasse ai pirati della Nostos; c’erano un’asprezza ed un astio, nel modo in cui modulavano inconsciamente l’espressione della bocca ogni volta che qualcuno ne pronunciava il nome, da rendere inesistente qualunque margine di dubbio in merito. Sorseggiando dal boccale di birra che gli era stato fornito, Killian si accorse a stento di essere stato interpellato.

«Come dite?» domandò, del tutto inconsapevole di quale fosse il tenore della conversazione. Il ragazzo di nome Julio, il più timido e giovane della combriccola, diede di gomito a Stecco ed entrambi si scambiarono un sorriso complice. Quando Emma non era nei paraggi, il giovane acquistava un’inusuale, quasi inaspettata sicurezza.

«State pensando ancora a quella donna, eh?» insinuò Julio e uno degli uomini di Emma,  Xavier, batté una pesante pacca sulla spalla di Killian; grosso com’era, gli fece rovesciare buona parte del liquido ambrato, beccandosi un’occhiataccia dal tenente nell’ilarità generale.

«Secondo me, sta pensando al nostro capitano.» azzardò un altro, le mani accostate al sigaro nel tentativo di accenderlo, gli occhi fissi sull’operazione che stava eseguendo.

Il suo nome era Ulan. Era un uomo di corporatura non troppo robusta, simile a quella che Killian ricordava avesse suo padre, e di poche parole; benché amasse la compagnia e non si sottraesse mai ad alcuna bevuta, era il membro più taciturno della ciurma che il tenente avesse conosciuto nei mesi trascorsi e quella era la prima volta che si esponesse tanto apertamente. Aveva pronunciato le parole con noncuranza, quasi non ci fosse bisogno di alcuna spiegazione, e Stecco e gli altri si erano scambiati uno sguardo di malcelato stupore, prima di nasconderlo dietro una risata o dietro il boccale di birra. Quando Ulan ebbe finito e l’estremità del sigaro si illuminò all’ennesima boccata di fumo, gli occhi neri come la pece dell’uomo incontrarono quelli di Killian, in essi quella stessa, impenetrabile sicurezza che aveva accompagnato le sue parole.

«Non siete d’accordo?» inquisì il pirata, un sorriso impercettibile a curvarne l’angolazione delle labbra, il sigaro stretto tra i denti ingialliti dal tempo e dal fumo.

«Perché dovrebbe pensare al capitano, Ulan?» gli corse in soccorso Stecco, attirando l’attenzione del pirata su di sé con espressione divertita e deviandola dal tenente. In assenza di Diego, che non era ancora venuto fuori dai suoi alloggi dopo lo spiacevole inconveniente, Stecco doveva essere il suo controllore.

«Beh,» fece ed inspirò profondamente, prima che una nuvola di fumo venisse fuori dalla bocca e chiudesse gli occhi, in uno stato puramente estatico. «Capitan Swan lascia sempre il segno e non credo che il tenente Jones ne sia rimasto immune.»

Stecco si fece più vicino all’altro, invitandolo alla prudenza. «Attento a quello che dici, Ulan! Il capitano ha dato ordini molto precisi a riguardo. Non vorrai disobbedire.»

In tutta risposta, l’altro alzò le mani al cielo in segno di resa. «Non era mia intenzione, Stecco. E’ stata una svista.» rispose, ma i suoi occhi brillarono di un divertimento che irrigidì il più esile dei due. Killian notò che Stecco avesse stretto i pugni, benché fossero rimasti apparentemente inerti lungo i fianchi. «Quello che intendevo,» riprese e il suo sguardo tornò a Killian. «è che finirà come noi, né più né meno.»

Alcuni degli uomini risero e, piano, la tensione parve scemare, mentre le labbra di Stecco si piegavano in un sorriso sghembo. «Oh, hai ragione, amico mio!»

Killian fu sul punto di ribattere, di chiedere a cosa alludessero quelle parole, ma non ne ebbe modo di portare a conclusione i suoi propositi, perché una voce di donna, accompagnata da un silenzio che poco si addiceva alla festività in atto, vibrò nell’aria e costrinse ognuno di loro a voltarsi. Fu con grande sgomento che gli occhi blu del tenente, correndo sulla folla, scorsero la sagoma di Emma accostata ad un piccolo piano rialzato in legno, ai suoi piedi decine e decine di bambini seduti sul pavimento a gambe incrociate nell’attesa di chissà cosa. Ulan gli si fece vicino pochi istanti prima che la voce tornasse a scaldare l’atmosfera. «Tenetevi pronto ad innamorarvi, Jones.»

Oh, misty eye of the mountain below!
Keep careful watch of my brothers' souls

Le mani di Emma si mossero lentamente ma con sicurezza sullo strumento che aveva in grembo, uno di quelli a corda che Killian aveva visto suonare più di una volta in occasione di quella o quell’altra ricorrenza, al palazzo reale quanto a casa propria o di amici di famiglia. Le note fremettero nell’aria, fendendone il calore, raccontando una storia che ognuno dei presenti conosceva, una storia che l’intera Durin si era proposta di rammentare quella notte, una storia della quale Emma sarebbe stata il cantore.

And should the sky be filled with fire and smoke,
Keep watching over Durin's son!

A quelle ultime parole, la giovane donna riprodusse un arco col braccio, in un movimento calibrato e lento abbastanza da interessare la piazza e i suoi presenti nella sua interezza. Voci di giubilo si sollevarono quando Emma parve evocare i “figli di Durin”, quegli uomini che, Killian ormai lo sapeva, avevano combattuto per il loro popolo e il loro onore, e, guardandosi intorno, il tenente lesse le aspettative negli occhi di ognuna delle persone che occupava il luogo, l’attenzione puntata sulla giovane vestita in pelle nera e dai lunghissimi capelli color dell’oro che, in un’altra vita, doveva essere stata la principessa di un regno lontano e gioioso, ma che, in quella di vita, non era nient’altro che una delle tante anime ferite che il mare aveva amorevolmente accolto nel suo abbraccio.

Un gruppo di abitanti si accostò ad Emma, alcuni con strumenti a percussioni, altri con lo stesso strumento a corda che il giovane capitano della Nostos stringeva tra le dita affusolate, altri ancora semplicemente prendendo posto al suo fianco. Emma sorrise alla corpulenta donna che le si fece vicina, accompagnando la sua voce come un dolce eco, poi il suo sguardo volse ai bambini e la storia ebbe inizio. I gridolini emozionati  del suo giovane pubblico le strapparono un sorriso.

Quella notte, per quei pochi minuti che la voce di lei riempì la piazza e le strade di Durin, Emma raccontò di una battaglia di enormi proporzioni, di coraggio e onore, di fratellanza e morte, di orgoglio e sacrifici, ma, soprattutto, di vita; e, nel farlo, gli occhi di lei corsero più di una volta ai suoi uomini e Killian comprese che, qualunque avventura avessero affrontato o stessero programmando di affrontare, il capitano della Nostos e la sua ciurma si preparavano ad andare incontro ad uno scontro incerto, del quale sapevano una sola cosa: avrebbero vinto, non importava quale e quanto alto sarebbe stato il costo.

Quando Emma lo ritenne opportuno, le sue mani smisero di muovere le corde dello strumento e, come il più abile cantastorie, cominciò a muoverle in direzione del pubblico, della montagna, simulando ora le parole della canzone, ora le vicende che conosceva. I bambini urlarono e risero, quando Emma raccontò del temibile drago sull’altura alla loro sinistra e uno sputafuoco  al suo fianco ne riprodusse l’incandescente ruggito, come se la bestia fosse tra loro e avesse aperto le fauci per ridurli in cenere. La voce di lei era dolce e profonda, una voce piena che ben si addiceva alla donna che era, e parve curare antiche ferite che mai si sarebbero rimarginate, ma che, per un istante, parvero dolere meno.  Se Killian avesse trovato in se stesso la forza di distogliere lo sguardo da lei e guardarsi intorno, avrebbe scorto commozione e gioia sui volti dei figli di Durin, come li aveva chiamati lei. In cuor suo, tuttavia, non fu in grado di spingersi ad una simile impresa.

Detestava il modo in cui Emma fosse in grado di trasformarsi nelle più inopinate versioni di sé. Pur essendo un’unica persona, era come se in lei si riunissero un numero infinito di individui differenti, al contempo lontani e vicini tra loro: era lo spietato capitano della Nostos, il pirata che aveva ucciso, depredato, ingannato, mutilato e non si era mai guardato indietro; era la donna affascinante ed intrigante che poteva ironicamente sollazzare un’intera ciurma di uomini e sedurre un intero palazzo di nobili, senza destare il minimo sospetto sulla sua reale identità; era, al contempo, l’anima fragile che, ogni sera, chiedeva che fosse accesa una candela sulla falchetta della nave e si struggeva di un tormento che ogni membro dell’equipaggio pareva volesse dissipare per sollevarne l’animo. Com’era possibile, a quel punto, che fosse anche il cantastorie di un’antichissima città, la giovane che aveva sorriso ai bambini, la donna che aveva reso omaggio alla gente di Durin?

Quando Killian riuscì a sfuggire al dominio delle sue elucubrazioni, fu troppo tardi. La musica aveva cessato di suonare ed Emma era già andata via.

*

Per i canoni usuali, il porto di Durin era estremamente quieto. Benché l’intera città fosse nel pieno dei festeggiamenti e fosse notte inoltrata, tuttavia, una discreta quantità di uomini e donne, alcuni desti e altri svenuti a causa dell’alcool, occupava le strade del porticciolo. Killian condusse la mano alla fronte e fu costretto ad accostarsi ad un edificio, quando la testa minacciò di esplodergli e il suo corpo pregò per un attimo di tregua. Aveva bevuto più di quanto si fosse mai concesso in vita sua e, benché non fosse di corporatura esile, la tolleranza ad un simile ammontare di rum e birra non era tale da salvarlo nel guaio in cui si era cacciato.

Lo scoppiettio del fuoco che animava la torcia a poca distanza dal suo capo gli parve un rumore tanto rassicurante che, d’improvviso, l’idea di non aver raggiunto la Nostos non gli fu tanto avversa e, nonostante la sua mente fosse lucida e riuscisse ad articolare pensieri di senso compiuto, tutto il suo essere prese a sprofondare negli abissi del sonno. Senza rendersene conto, scivolò contro la parete dell’edificio presso il quale aveva cercato sostegno e, a dispetto del modo in cui era stato educato, realizzò di non poter fare nient’altro che arrendersi all’astenia che lo aveva colto impreparato. Non tentò nemmeno di combattere la spossatezza e, come tanti altri pirati nei paraggi, crollò addormentato sul pavimento del molo.

*

Trascorsero diverse ore prima che, scosso dagli scrupoli di coscienza e da un gruppo di uomini tanto alticci da non realizzare di averlo urtato nella loro traballante traversata verso la taverna successiva, Killian riprendesse conoscenza. A fatica, si mise a sedere in maniera più appropriata e, con una buona dose di forza di volontà, riuscì ad assumere una posizione eretta. Le voci di una Durin ancora in festa, benché mancassero una manciata di ore all’alba, giunsero alle sue orecchie da lontano, accompagnate dalle più prossime risate di donne e uomini gettati per i vicoli del porto come lo era lui. Raggiungendo un barile a qualche metro di distanza da lui, lo scoperchiò e fu con enorme sorpresa che vi trovò dell’acqua all’interno; affondandovi le mani, si bagno viso, collo e braccia e tutto il suo corpo parve emergere dalle tenebre in cui l’ubriacatura l’aveva gettato.

Riponendo il coperchio sul barile e dirigendosi verso il margine del molo, il tenente si azzardò a ripercorrere con la mente gli eventi che lo avevano condotto in quel luogo, ma il suo orgoglio ferito bruciava di un’indignazione tale che dovette abbandonare presto il proposito. Con le braccia incrociate sul petto villoso, Killian lasciò che la brezza marina alleviasse i suoi affanni ed inspirò ed espirò forte a più riprese. Era sbagliato. Stava sbagliando ogni cosa.

«Killian!»

Quando si voltò e i suoi occhi si posarono sui bei lineamenti di Emma, il sarcasmo con cui lo colpì il fato lo fece ridere di un riso amaro. La giovane lo osservò con espressione curiosa, sulle labbra quella smorfia divertita che tanto la caratterizzava.

«Capitano!» fece lui, tornando ad osservare il mare con espressione cupa. Presto, l’altra lo affiancò.

«Detto da voi, ha tutto un altro suono, sapete?» lo stuzzicò e, nel momento in cui Killian tornò ad osservarla, faticò a credere che stesse fingendo di flirtare con lui, nonostante entrambi sapessero quale fosse il gioco sotteso a quelle parole. Il tenente le lanciò uno sguardo di rimprovero ed Emma ridacchiò. «Siete così musone, tenente. Ve l’hanno mai detto?»

Piano, il pirata arretrò finché non si fu seduta su un barile posto al margine della banchina, i capelli biondi a carezzarle le guance arrossate in modo all’apparenza affettuoso. «Non lo sareste nella mia posizione, forse? Se io vi avessi catturato e tenuto prigioniera, avreste di che rallegrarvi?»

«Il problema non si pone. Sarei riuscita a fuggire.» rispose prontamente lei e Killian le dedicò nuovamente quell’espressione scettica e di biasimo che pareva riservasse soltanto a lei. «Non ho detto che sarei sopravvissuta dopo avervi gabbato, ma che sarei riuscita a fuggire.» precisò, ma il tenente non parve soddisfatto dalle sue illazioni.

«Come fate ad esserne tanto certa?» si costrinse a chiederle, mentre la osservava attorcigliare un piccolo cordoncino attorno alle dita con noncuranza. Il pensiero che il sangue dei suoi compagni avesse macchiato il candore di quella pelle lo disgustò e sgomentò al contempo. In frangenti come quello, Emma non aveva nulla da condividere col capitano della Nostos.

«Perché mi conosco abbastanza bene da sapere che potrei riuscire nell’impresa.» Gli occhi di lei lo raggiunsero e la torcia alle spalle di Killian, assicurata ad un robusto palo, si riflesse in quel verde con la stessa intensità con cui faceva la fiamma della candela che, ogni sera, Emma non mancava di contemplare fino allo spegnimento.

«Non ve lo avrei mai permesso.» fece lui, l’espressione seria.

«Lo avete già fatto.» ribatté Emma. L’uomo sobbalzò lievemente, la fronte aggrottata nel tentativo di comprenderne l’insinuazione. «Al ballo.» continuò lei. «Se aveste voluto consegnarmi alle autorità, lo avreste fatto allora, in un palazzo pieno zeppo di guardie che rispondevano agli ordini vostri e del vostro sovrano.» La bocca di lei assunse un aspetto carico di sdegno, nel pronunciare quell’ultima parola, e Killian fu sul punto di sorriderne. «C’è qualcosa che non va in voi, Killian.»

Ridacchiando, il tenente scosse il capo e, con le braccia ancora incrociate, si voltò così da poterla fronteggiare, ma si precluse l’opportunità di avanzare verso di lei. «Davvero? E di cosa di tratta?»

A dispetto delle sue aspettative, l’espressione di Emma rimase seria, concentrata quando tornò a parlare. «Sin dal primo momento che ci siamo conosciuti, avete tentato di redimermi e una parte di voi continua a volerlo. Perché?»

L’espressione di Killian riflesse quella del pirata sotto molti punti di vista. «Io voglio distruggervi e portarvi via tutto ciò che avete.» furono le parole che scelse per risponderle ed ognuna di esse fu veritiera. Ma era altrettanto vero che avesse preferito non affrontare le implicazioni del quesito che gli era stato posto e la ragione era che non avrebbe saputo darvi risposta neppure lui.

«Intendete la Nostos? La mia ciurma? La libertà?» domandò lei e, quando ebbe finito, rise e scosse il capo. Fissando gli occhi sull’orizzonte lontano, così scuro da rendere impossibile distinguerlo dal cielo in una notte senza luna come quella, il sorriso si spense sulle labbra di Emma. «Mi è già stato tolto tutto ciò che avevo e amavo. Non c’è nulla che potreste portarmi via in grado di creare la devastazione che quella privazione ha lasciato dietro di sé, tenente.» I loro sguardi s’incontrarono e Killian seppe che le parole di lei non fossero atte ad ingannarlo, che stesse dicendo la verità. «Ecco come sono diventata Capitan Swan,» gli disse. «Una persona che non ha nulla da perdere non ha timore delle conseguenze delle proprie azioni.»

«Credete di essere l’unica ad aver mai perduto qualcuno che amava? Credete che questo legittimi quello che avete fatto, il numero di vittime di cui vi siete resa responsabile?» chiese lui, ma il suo tono non fu accusatorio. Era come se volesse portarla a riflettere, come se volesse capire, come se, ancora una volta, la parte del suo animo che non riusciva a domare e che voleva redimerla avesse preso il sopravvento.

«Oh no, tenente!» rispose semplicemente Emma e gli sorrise. «Non lo penso affatto. Ma ciò non toglie che io non sono come voi. Non sono piena di ideali di giustizia, o quello che credete lo sia, né di buoni propositi, perché, nella mia vita, non è la giustizia che ho conosciuto.» Tacque un attimo e il silenzio che aleggiò tra di loro, mentre la brezza alleviava gli affanni di lei e le congetture di cui la mente dell’uomo era in preda, fu più eloquente di qualunque parola si fossero detti fino ad allora. «Sono Capitan Swan e tanto basta.»

Con un saltello, scese dal barile e, a quel punto, Killian azzardò un passo in avanti, sciogliendo le braccia dall’incrocio che le aveva impegnate fino ad allora. Emma alzò lo sguardo ad incontrare il suo e, per un lungo istante, nessuno dei due disse alcunché.

«Siete Emma Swan.» la corresse, infine, e la giovane sorrise. Per una millesimale frazione di secondo, gli occhi di Killian scesero a poggiarsi sulle labbra morbide dell’altra.

«Buona notte, Killian!» furono le ultime parole di lei, prima di compiere un passo verso sinistra ed oltrepassarlo, diretta alla Nostos.

«Emma?» la chiamò lui e il capitan pirata si voltò per guardarlo.

«Mh?» fece ed incrociò le braccia al petto.

«Avete una voce sorprendentemente bella.» le disse e l’altra gli regalò uno di quegli sporadici sorrisi pieni di cui, sempre in quell’altra vita, doveva essere stata prodiga.

«Non sono una sirena, se è questo che vi state chiedendo.» ribatté lei e Killian rise, sul volto quella stessa espressione di reprimenda che le usava contro sovente, come volesse correggere il suo comportamento. «Oppure mi stavate facendo un semplice complimento e suppongo di dovervi ringraziare.»

«E’ così difficile per voi?» fece l’uomo, quasi soddisfatto di aver ottenuto un risultato vagamente apprezzabile dalla donna più cocciuta che il fato o gli dei avessero mai messo sul suo cammino. Lo fece sorridere l’idea di aver pregato, sperato, supplicato di incontrare Capitan Swan e poter ottenere la sua vendetta e di aver ottenuto esattamente quello che desiderava. Allora, tuttavia, non aveva mai pensato potesse trattarsi di una donna, men che meno con un tale temperamento.

«Credere che mi facciate un complimento o ringraziare? Perché, nel primo caso, direi che, se non vi innamoraste di me, costringendomi a lasciarvi su un’isola sperduta per togliervi di dosso, sarebbe una grandissima sorpresa. Quindi, no, non mi è difficile accettare che vi complimentiate con me, Killian.» A quelle parole, si arrestò un attimo per osservare l’espressione del tenente e dovette trovarvi ciò che desiderava, perché gli regalo un altro di quei suoi sorrisi. «Nel secondo caso, direi che, , non è tra le mie attività preferite mostrare riconoscenza.»

«Non lo metto in dubbio, orgogliosa e testarda come siete.» ribatté Killian e le sopracciglia di lei s’inarcarono. «Non mi stupirebbe apprendere che siete la figlia di un riccone e che siete diventata pirata per uno dei vostri infantili capricci.» Incrociando nuovamente le braccia, il tenente rispose con un sorriso al riso della sua interlocutrice. «Vi si addice.»

«Se così fosse, sareste nei guai. Sbaglio o mi avete detto che un giardino mi sarebbe sufficiente per l’igiene personale, vista la gente cui appartengo?»

Touché, si disse Killian.

«Quello…» fece e, nonostante detestasse ammetterlo, provò vergogna per la sua condotta, perché, per quanti guai Emma gli avesse provocato, non era mai stata tanto scortese quanto lo era stato lui in quell’occasione. Ma, soprattutto, se anche fosse accaduto, non era nella sua indole rispondere alla maleducazion con altrettanta maleducazione. «Vi devo le mie scuse per ciò che ho detto.»

«Se vi aspettate che mi scusi per avervi pugnalato e affondato la nave, siete sulla strada sbagliata.» lo rimbeccò prontamente lei e Killian alzò gli occhi al cielo, compiendo inconsciamente un piccolo movimento in avanti.

«Mi credete davvero così sciocco?» cominciò lui e, prima che avesse modo di completare la frase, l’espressione di Emma gli lasciò intendere senza troppi giri quale fosse la risposta che avrebbe dato a quel quesito. Ancora una volta, il rimprovero apparve sui lineamenti di lui e, ancora una volta, il pirata sorrise. «Se non siete incline ai ringraziamenti, posso solo immaginare quanto vi repellano le scuse.»

«Lo sapete perché il ruolo che avete ricoperto vi ha fornito un’autorità tale da ridurre drasticamente le occasioni in cui dover fare ammenda.» gli fece notare. «E ne è dimostrazione il fatto non riusciate a fare a meno di ribattere, quando vi punzecchio, e che, qualunque conversazione si instauri tra noi, finiamo sempre per scontrarci. Due galli non stanno bene in un pollaio.»

Un gruppo di uomini dall’andatura traballante li avvistò e uno di essi le urlò un “Ohhh, capitano!”, strappandole un sorriso e un cenno del capo a mo’ di saluto. Quando tornò a Killian, qualcosa era cambiato nello sguardo di lui e quel qualcosa non le piacque.

«Buona notte, Killian. Di nuovo.» si congedò, ma, nel momento in cui fece per voltargli le spalle, dovette fermarsi ancora.

«E’ per quella persona la candela che accendete ogni sera sul ponte di coperta? La persona che avete perduto, intendo.»

Killian la osservò inclinare il capo e assottigliare impercettibilmente lo sguardo; i lunghi capelli biondi ne seguirono il movimento e, mossi dalla brezza marina, presero ad oscillare nell’aria, carezzandole il viso, le braccia, le spalle, il ventre. Infine, ella sorrise appena, in quel modo imperscrutabile che soltanto lei sapeva adoperare con simile padronanza.

«E’ per Emma. Per aiutarla a sopravvivere quando Capitan Swan è sul punto di spegnerla.»


________________________________________________________________________________________________________

Spazio dell'autrice

Chiedo veeeeeenia per il super-arci ritardissimo. Giuro di non aver preso invidia dal Coniglio Bianco e che si è trattato di una serie di sfortunati eventi, tra cui la sessione estiva in università e il fatto che dovessi dare un esame di quelli di ti tolgono vita sociale, libertà e salute. Però, ho pensato tanto alla storia, a Killian, Emma, Diego e a tutti voi e non vedevo l'ora di poter completare il capitolo per farvelo leggere. Spero vi piaccia e mi scuso se non ho avuto modo di ringraziare singolarmente le persone che hanno commentato la storia. Mi avete resa felicissima e dato uno sprint in più per scrivere, in un periodo in cui, tra caldo e università, l'ispirazione rischia di essere risucchiata nel vortice della latitanza.
Quindi, ringrazio di cuore a:
Alexandra_Potter
A lexie s
Emma Bennet
Celeste98
EmmaJones
Cloris4

Grazie, grazie, grazie di cuore! <3
Per il resto, volevo dirvi che l'idea di questo capitolo è nato dalla scena finale dello scorso. Avevo bisogno di farli attraccare e io sono una fan gigantesca di tutte le saghe di Tolkien; inoltre, la canzone di Ed Sheeran mi ha ossessionata e ha preso possesso di me. Quindi, dovevo farlo, insomma! Spero l'idea vi sia piaciuta e che il capitolo in generale sia stato di vostro gradimento.
Buona lettura!

P.S. Se trovate qualche errore, scusatemi, ma sono stanca, devo studiare e prometto di rimetterci mano appena mi riconnetto.


 

Ritorna all'indice


Capitolo 6
*** Liam ***


Capitolo VI
Liam
 
“Un brindisi per Capitan Swan!” “A Capitan Swan!”

Emma rise, quando la locanda risuonò ripetutamente del suo nome, e alzò a sua volta il bicchierone in vetro che stringeva tra le mani in segno di ringraziamento, scuotendo appena il capo con fare divertito. Amava quel genere di serate, quando l’alcool annegava qualunque pensiero e i visi rubicondi di uomini e donne si mescolavano gli uni agli altri senza distinzioni di classe e opinioni politiche. Per qualche ora, quell’ambiente si riempiva di alleati e nemici e il desiderio di farsi la pelle l’un l’altro lasciava il posto alla consapevolezza che tutti necessitavano di un momento per buttarsi alle spalle il peso che le circostanze e la società avevano imposto loro. E, se il suo animo fosse stato completamente sgombro da qualsiasi preoccupazione, Emma avrebbe potuto ritenersi davvero felice.

Per quanto le fosse stato tolto, la giovane sapeva che la vita le avesse dato molto di più di quanto non si fosse mai aspettata quando non era che una contadinella. Al di là del fatto che avesse acquistato un’autorità nella quale non aveva mai avuto l’ardire di sperare, ciò che più le era mancato e del quale poteva finalmente vantare il possesso era una famiglia. La sua ciurma, benché sgangherata e poco convenzionale e tutta rigorosamente maschile, era quanto di più vicino ad un nucleo familiare avesse mai avuto. Poteva contare sul loro sostegno, sulla loro solidarietà, sulla loro compagnia e affezione e, salvo il fatto che esistesse un più marcato sistema gerarchico tra loro, del quale non avrebbe potuto fare a meno se intendeva mantenerla unita, Emma si fidava fermamente di ognuno dei sui componenti. Era grazie ai suoi uomini che aveva superato sfide impervie senza piegarsi e grazie alla loro furbizia e coesione che aveva fatto bottino e poteva permettersi di spendere qualche moneta per il semplice gusto di giocare d’azzardo.

«Allora, signori,» fece, spingendosi in avanti sulla superficie del tavolo finché non fu così vicina al viso dell’unico estraneo presente tra loro da poter sentire il tanfo di rum che fuoriusciva dalle sue labbra, un sorriso ad inclinarle la bocca nella maniera più deliziosa che molti di loro avessero mai visto. «siete pronti per un altro giro?»

Killian, seduto al suo fianco, vicino come non le era mai stato in una circostanza tanto rilassata, ridacchiò ed Emma tornò a poggiare la schiena contro le assi di legno dietro di loro, lanciandogli uno sguardo furtivo. Quando avevano preso posto nella locanda, lei e una manciata dei suoi uomini tra cui Killian, Julio e Stecco,  la ventata di buonumore che li aveva accolti era stata così sopraffacente che era bastata un’occhiata al loro capitano, perché il gruppo di pirati capisse che la giovane aveva intenzione di divertirsi. Il tenente era rimasto perplesso, inconsapevole di cosa potesse significare l’espressione impertinente di lei, ma non aveva impiegato molto ad entrare nel giro.

Quella sera, Emma aveva giocato d’azzardo per la prima mezz’ora e, qualunque gioco fosse stato scelto e qualunque fosse stata la posta il palio, nulla era servito a scalfire la buona sorte che pareva muovere ogni sua decisione, ogni sua mano, ogni suo tiro. Dopo qualche tempo, negli occhi ancora quel bagliore sbarazzino che le restituiva parte della giovinezza che doveva aver perduto precocemente negli anni da capitano della Nostos, Emma lo aveva invitato ad accomodarsi al suo fianco e, con voce gentile e vagamente autoritaria, lo aveva guidato fino a che, a sua volta, non si era trovato nella stessa posizione  vincente che aveva ricoperto lei pochi istanti prima. I suggerimenti della giovane erano melliflui, sottili, impossibili da carpire per chi non le fosse stato vicino com’era Killian. La fiancata sinistra di lei aderiva perfettamente a quella destra dell’uomo, al punto tale che qualunque movenza venisse prodotta dall’uno si ripercuoteva inevitabilmente sull’altro; e il tenente avrebbe potuto fingere di non essere toccato da quella situazione quanto voleva, ma non sarebbe riuscito a dissuadere Emma dalla consapevolezza che aveva acquisito in merito.

Col passare del tempo, delle vincite e dei bicchieri di alcool, l’atmosfera si era fatta più rilassata e tesa al contempo. L’intera locanda risuonava di risate più chiassose, di reazioni più impetuose, di chiacchiere alte più di quanto non fosse necessario e il tavolo della ciurma della Nostos non faceva alcuna eccezione. L’aria era più calda, sferzata appena dagli aliti di vento che si intrufolavano attraverso le finestre e la porta, e ognuno dei presenti sembrava vivere i minuti con animo più giocondo a mano a mano che il tempo passava. Emma e i suoi uomini avevano riso, discusso, raccontato aneddoti, intonato brevi filastrocche e il tenente era stato sorprendentemente partecipe.

Di tanto in tanto, accostandosi all’orecchio della giovane, le aveva sussurrato di osservare quella o quell’altra scena ed ella aveva riso o lo aveva osservato con espressione maliziosa a seconda delle occasioni. L’iniziale tensione che si era instaurata tra loro, dettata dalla consapevolezza che non vi fosse mai stata una simile intimità da che si conoscevano e che con ottime probabilità non avrebbe mai dovuto esserci, si era trasformata in qualcosa di più suadente, morbido ma corposo come il velluto, ed ambedue ne erano pienamente consapevoli da tempo ormai. C’erano tra loro una sintonia ed una complicità che nessuno si sarebbe aspettato di vedere, né gli uomini di Emma, né Emma e Killian in prima persona. Ed erano quella stessa sintonia e complicità ad aver reso possibile lo scopo di svuotare le tasche del coraggioso avventuriero che aveva fatto una capatina al loro tavolo e, a quel punto, sedeva più leggero sulle assi della panca.

«Voi barate!» la accusò per l’ennesima volta l’attempato fabbro che sedeva in loro compagnia da più di un’ora. «Non può esserci altra spiegazione.»

Emma sbuffò con fare esasperatamente teatrale, incrociando le braccia a petto ed inclinando appena il capo a mo’ di sfida. «Non è la prima volta che lo dite, signore, ma non siete ancora stato in grado di provarlo. Non vorrete mica accusarmi di avervi offerto qualche bicchiere di troppo? Perché le mie intenzioni erano di assoluta cortesia.» disse e il suo tono fu fermo quanto bastava da rendere sempre presente agli altri con chi stessero parlando, ma morbido abbastanza da far pensare che potesse essere rimasta male delle parole dell’altro.

L’uomo si mosse inquieto sulla sedia, stringendo le mani tra loro in uno stato di evidente imbarazzo. «Oh, non era certo quello che intendevo! No, assolutamente no.» bofonchiò, i fumi dell’alcool tutto fuorché d’aiuto al tentativo che stava facendo di articolare una frase di senso compiuto. «Siete stata molto gentile e io ve ne sono grato, sul serio.»

«Non sembrerebbe, a dire il vero.» lo incalzò lei e Killian dovette chinare lo sguardo ed osservarsi le ginocchia per più di un istante per impedirsi di ridere e rovinare ogni cosa. Era una dannata peste, quella donna! «Vi ho trattato, forse, in modo tale da far dubitare delle mie intenzioni? Ho dato l’impressione di volervi ubriacare per vincere i vostri danari?»

«Oh, no, no, no, no, no! No di certo.» si affrettò a rispondere lui, posando lo sguardo ora qua ora là sulla superficie del tavolo, prima di tornare al viso di Emma. Se possibile, in quell’istante, dubitò ancor di più delle sue ragioni e parte della convinzione che aveva avuto quando aveva lanciato l’accusa scivolò via poco dopo. «E’ solo che… Bah, lasciatemi stare! Sono un vecchio brontolone che non sa perdere.» si scusò, grattandosi la nuca con le manine tozze e regalandole un sorriso dai denti ingialliti. Era la terza volta che quella scena si ripeteva con un canovaccio di poco dissimile e Killian si chiese come fosse possibile che quell’uomo ci cascasse ogni singola volta. «Proviamo con un altro giro. Magari, la fortuna mi arriderà!»

Detto questo, prese tra le mani i dadi che Emma gli porse e fece per inserirli nel contenitore in legno che gli avrebbe permesso di mescolarli, quando l’altra lo fermò, poggiando le proprie mani su quelle dell’uomo. Killian non poté impedirsi di notare quanto poco gradito alla vista fosse l’accostamento della delicatezza di lei con la rozzezza di lui. «Fermiamoci per un po’, signore, e ditemi una cosa, piuttosto.» L’uomo parve perplesso e sbatté ripetutamente le palpebre, nell’attesa che la situazione gli si facesse più chiara. «Non ho potuto fare a meno di notare che quella donna in fondo alla stanza vi abbia osservato più di una volta.» Questi seguì con lo sguardo la direzione di quello di Emma e i suoi occhi si posarono sulle abbondanti forme di una prostituta del molo, le cui dolcezze aveva più di una volta saggiato con piacere. Le pupille dilatate dell’uomo, quando costui tornò a guardare il capitano della Nostos, resero abbastanza palese a Killian e ai restanti membri dell’equipaggio che, qualunque fosse l’intento di Emma, avesse centrato nel segno. «Avete abbastanza monete nelle tasche o sono responsabile di aver depredato voi e quella donna di qualche piacevole ora insieme?»

Prontamente, le mani tozze del fabbro affondarono nelle tasche, cercandovi fin quando non vi ebbe trovato ciò che cercava. Quando ebbe finito, ne estrasse due monete tintinnanti ed Emma ve ne aggiunse una terza. «Ma…» fece lui, confuso come neppure il rum e le birre erano stati in grado di renderlo.

«Vi regalo un’ora in più di divertimento, signore. Che non si dica che Capitan Swan tratti male i propri amici!» fece lei e Killian avrebbe voluto rivolgerle quell’espressione di reprimenda che tanto spesso ella pareva meritarsi, ma dovette saggiamente trattenersi dinanzi alla gratitudine e allo sgomento dell’altro.

«Mio capitano,» proruppe quello, prendendole una mano tra le sue. Una strana sensazione infiammò appena il petto del tenente, ma questi non fu in grado di darvi una spiegazione. «siete la persona più generosa che abbia mai avuto l’onore di conoscere.» Le posò un rozzo bacio sul dorso della mano candida, prima di tornare a guardarla negli occhi. «Sono stato sciocco a non capirlo, a non capire che la fortuna mi ha sorriso sin dal momento in cui ho fatto ingresso in questa locanda.» Emma dovette stringere le labbra in due sottili fessure per impedirsi di ridere e prendere l’uomo sul serio, ma le costò immane fatica, tanto che dovette pizzicarsi ripetutamente la porzione interna della coscia con la mano libera per darsi un contegno. «E vorrei dirvi che-»

«Signore,» lo interruppe la giovane senza mezzi termini. «le vostre parole sono fonte di compiacimento per la sottoscritta, ma vorrei invitarvi a considerare che, se non vi affrettate a raggiungere la signora, qualcun altro potrebbe essere più rapido di voi e rubarvela da sotto al naso.» Piano, sfilò la mano dalla presa di lui, finché non l’ebbe liberata. «Quindi, vi ringrazio tanto e vi congedo al contempo. Andate incontro al vostro piacere senza alcuna remora!» disse e, nel farlo, sollevò il calice e lo indicò, come se stesse brindando in suo onore. Stecco ridacchiò appena e, nascosto dietro Julio, riuscì nell’impresa di non essere visto.

L’uomo si alzò e con andatura traballante si sfilò dalla panca ove aveva sostato per quell’ora abbondante, non prima di rivolgere ad Emma un’ultima espressione di ammirazione. «Siete meravigliosa, Capitan Swan! La più incantevole creatura che questi miei occhi abbiano mai visto. Che gli Dei vi benedicano!»

Quelle furono le sue ultime parole, prima di voltare le spalle al gruppo di pirati e muoversi all’indirizzo della donna che Emma aveva usato come diversivo per scrollarsi di dosso l’ennesimo peso umano che aveva incrociato il suo cammino. La sua mano afferrò distrattamente il piccolo bicchiere ove giacevano i dadi e, versandone il contenuto sul palmo, li prese tra le dita e li mosse con noncuranza, il sorriso ancora dipinto sulla bocca.

«Vi siete fatta più di un amico questa sera, capitano. Notevole!» commentò Stecco, che oramai si era abbandonato all’ilarità, spingendo gli altri a fare altrettanto. Il suo sguardo incontrò quello di Emma ed entrambi si scambiarono un’occhiata significativa che nessun altro avrebbe potuto cogliere all’infuori dei due interessati.

«Ne dubitavi forse?» chiese lei, l’espressione di chi la sa lunga.

«No di certo!» rispose Stecco, scimmiottando in malo modo le parole e movenze del fabbro, e tutti risero di quel tentativo, Emma compresa. «Ma mi chiedevo una cosa...»

«Sarebbe?» domandò lei di rimando, avendo l’impressione – neppure troppo latente – che quel quesito le si sarebbe ritorto contro.

«Credete che penserà a voi, mentre si scoperà quella povera donna?» A quelle parole, due dadi veloci come dardi infuocati planarono sul viso dell’esile pirata, uno colpendogli la punta del naso, l’altro infierendo sui denti socchiusi, a tratti rancidi. Killian e Julio scoppiarono in una fragorosa risata e Stecco prese a massaggiarsi la bocca e l’appendice nasale con gli occhi ancora brillanti di malizia. «Andiamo, capitano! Una buona metà degli uomini che vi incontra finisce per farlo. Vi stupirebbe tanto che quel tipo facesse altrettanto, dopo tutte le moine che vi ha fatto?»

«Per quel che mi riguarda, può fare quello che gli pare,» disse, sul volto un’espressione tanto divertita quanto disgustata. «ma ciò non toglie che non voglia avere quell’immagine nella mente, Stecco.»

«Non vi facevo un tipo tanto sensibile.» s’intromise Killian, attirando su di sé gli sguardi degli altri, soprattutto quello di Emma. Sistemandosi sulla panca, il tenente posizionò il braccio destro sullo schienale con fare da spaccone e non si rese neppure conto dell’impressione che avrebbe potuto dare il suo gesto, ma la giovane non vi prestò attenzione e si limitò a puntare gli occhi in quelli dell’altro con atteggiamento di sfida. «Credevo ci volesse molto di più per scalfire il famigerato Capitan Swan.» la stuzzicò ancora e, distogliendo un attimo lo sguardo, incrociò quello di Stecco, che ammiccò in segno d’apprezzamento.

«Suppongo che ci siamo sorpresi a vicenda, allora.» ribatté lei, un’espressione da canaglia sul bel viso femmineo. Killian inarcò le sopracciglia, sulla bocca ancora quel sorriso pieno e divertito che aveva faticato a reprimere per l’intera serata. Emma gli si fece di poco più vicina, quel tanto che bastava a rendere più drammatica la sua uscita senza, tuttavia, impedire ai membri della sua ciurma di udire la risposta. «Vi facevo un uomo più...» iniziò e s’interruppe un attimo, mentre la sua attenzione scendeva volutamente sul fisico vigoroso dell’altro, passandolo al setaccio come per trovare la definizione più confacente. «… sanguigno, direi.» Gli occhi verdi di lei tornarono ad incontrare quelli blu del tenente e fu lieta di trovarvi acceso il medesimo sentimento di sfida che ardeva nei propri. «E, invece, vengo a sapere che avete rifiutato le avance di una bellissima ragazza senza alcuna ragione apparente.» Stecco si soffocò quasi col boccone di birra che aveva tentato di ingurgitare e sia Emma che Killian si limitarono ad osservarlo e ridacchiare, mentre l’esile pirata tossiva nel tentativo di non morire soffocato.

«Ben ti sta!» disse Emma, beccandosi un’occhiata torva dell’altro che, paonazzo in viso, aveva ripreso a respirare. «Così, la prossima volta,» proseguì, allungandosi sul tavolo e puntando l’indice in direzione di Stecco. «ci penserai due volte prima di fare il gradasso con il tuo capitano.»

«Siete una megera, capitano, una dannatissima strega.» ribatté lui e, contro ogni aspettativa, Emma non se la prese, ma rise e scosse il capo. C’era qualcosa di infinitamente contraddittorio in lei, si disse Killian, qualcosa che la rendeva odiosa un momento e incommensurabilmente bella quello dopo. «Siete sicura di non essere figlia di qualche mago o chissà quale demonio?»

«Sarebbe un bel risvolto, non trovi?!» fece lei, muovendo le sopracciglia con fare ammiccante.

«Un mago dalla lingua tagliente, direi.» aggiunse Killian, attirando nuovamente su di sé l’attenzione della donna, ma si trattò di un fugace istante perché, nel frangente in cui Julio e Stecco si alzarono, ella non poté che tornare a soffermarsi sul duo. Non fu necessario che avanzasse alcuna domanda, tuttavia, in quanto le risposte arrivarono poco dopo.

«Vado a prendere qualcosa da bere, capitano. Posso stare tranquillo o rischierò di rimetterci la pelle ancora una volta?» Emma gli sorrise ampiamente, poi fece spallucce, lasciando irrisolto il quesito che le era stato rivolto. Stecco mosse la mano nell’aria, sussurrando un “Bha” che fece ridere sia lei che Killian; infine, si avviò verso il bancone con il giovane pirata al seguito. Per quello, non c’era bisogno di alcuna spiegazione: Julio provava ancora nei suoi confronti  una deferenza tale che si sarebbe stupita di un comportamento differente da quello che aveva assunto. Era il piccolo della ciurma, benché avesse due anni più di Emma e fosse un uomo bell’e fatto, ma le circostanze in cui lo avevano preso nel loro equipaggio la dicevano lunga sul perché fosse tanto timoroso nei riguardi del suo capitano.

«Dunque,» cominciò Killian. «vi aspettavate qualcosa di diverso da me, suppongo.» Emma tornò ad osservarlo e il suo sguardo fu abbastanza eloquente, al punto tale che il tenente non poté trattenere una breve risata.

Era sorprendente e strano allo stesso tempo, il modo in cui ella riuscisse a farlo sorridere e divertirlo con la più assoluta semplicità, soprattutto considerati gli standard cui egli era abituato. Killian Jones era un uomo tendenzialmente serioso, un po’ per l’educazione che gli era stata impartita, un po’ per il ruolo che aveva ricoperto nella marina reale, e suo fratello, così diverso da lui, si era sempre divertito a prenderlo in giro per quel suo modo d’essere così poco spensierato. Un po’ come faceva Emma. Ripensandoci, i suoi lineamenti si addolcirono.

«A cosa state pensando?» Alle parole di Emma, Killian sollevò il capo come scottato e la trovò ad osservarlo con espressione intenta. Fu sul punto di smentirne l’intuizione e tornare al discorso di prima, ma la sua interlocutrice non glielo concesse. «Vi prego di non mentirmi. Se proprio non desiderate parlarne, basta dirlo.»

Il tenente sospirò e le si fece volutamente più vicino, quel tanto che bastava perché i loro occhi fossero esattamente gli uni di fronte agli altri. Come si aspettava, Emma mantenne il contatto con l’usuale fierezza di cui l’aveva vista capace. «Non potete fare a meno di dettare regole, eh?» la canzonò e, mentre percepiva il fiato di lei sfiorargli il mento a causa della risata che le aveva suscitato, una parte di lui gli consigliò di allontanarsi, che quello era il primo passo per perdere di vista l’obiettivo.

«Deformazione professionale, dovreste saperlo.» ribatté lei e, contro ogni spiegazione logica, i suoi battiti accelerarono improvvisamente. Qualcosa le suggeriva che avrebbe dovuto ritrarsi, che avrebbe dovuto lasciar cadere quella conversazione e ristabilire le distanze, ma la più indomita e avventurosa porzione del suo animo le disse di vedere fin dove poteva spingersi, fino a che punto sarebbe potuta arrivare senza rimanerne scottata.

Gli occhi di lui scesero sulle sue labbra per una frazione di secondo ed Emma maledisse la sensazione che colse impreparato il suo stomaco. Intimamente, maledisse anche Killian Jones. «Stavo pensando a mio fratello.» spiegò e le sue parole avrebbero dovuto allentare la tensione che c’era tra loro, ma non fu così. «Non è più tornato dopo uno scontro con la Nostos.»

A quel punto, la voce di Killian fu così funerea e altrettanto lo fu la sua affermazione che Emma non poté impedirsi di aggrottare la fronte; le sue labbra si schiusero nel tentativo di formulare un quesito, nel tentativo di comprendere, ma Killian era evidentemente sulla difensiva e le informazioni in suo possesso erano troppo poche e troppo sommarie, perché potesse ottenere un qualunque risultato.

«Tre anni fa all’incirca, la sua nave s’imbatté nella vostra e l’unico superstite che lasciaste andare portò la notizia che nessuno era sopravvissuto allo scontro e che mio fratello era stato preso sulla Nostos, il che rendeva altrettanto scarse le probabilità che fosse sopravvissuto.» La voce di Killian vibrò di un’intensità ed una tensione diverse da quelle che avevano riempito l’aria fino a pochi minuti prima, ed Emma trovò quasi buffo tanto il modo in cui rapidamente potessero modificarsi le circostanze, quanto il fatto che il tenente avesse fatto la stessa fine del caro fratello, entrambi prigionieri dell’identico capitan pirata. «Del resto, non è mai tornato e suppongo di aver avuto la mia risposta.»

«Vostro fratello era un semplice marinaio?» azzardò e, al pari del suo interlocutore, il timbro di voce di cui si servì fu fermo e profondo, come a rendere evidente che non stesse più parlando con Emma, bensì con Capitan Swan.

«No, era il capitano della nave.» disse lui. «E, vedete, per molto tempo non ho fatto altro che odiarvi, che aspettare il giorno in cui vi avrei messo le mani addosso e vendicato la morte di mio fratello.» Le pulsazioni del pirata accelerarono, mentre l’adrenalina prendeva a scorrerle nelle vene ed uno strano formicolio le si diffondeva sui polpastrelli. Il primo uomo della Nostos non era abituato a ricevere simili minacce, non da chi conosceva il suo nome, la sua fama, non da un suo prigioniero. «Poi, mi avete preso sulla vostra nave e ho scoperto che date una scelta ai vostri prigionieri, una scelta tra la vita e la morte, e, allora, mi sono chiesto se fosse possibile che a mio fratello aveste dato la medesima opportunità, o se vi foste divertita a torturarlo fino alla morte.» La voce di lui era carica d’odio, rabbia e disperazione quando pronunciò quelle parole ed ognuna di esse gli diede l’apparenza di un uomo diverso da quello che le aveva seduto accanto per l’intera serata, un uomo iracondo e carico di risentimento che non brillava della stessa luce del tenente che aveva conosciuto fino ad allora. Un uomo che, sotto molti aspetti, assomigliava ad un pirata esso stesso. «E, come se non bastasse, ho scoperto che siete una donna e-» Le pulsazioni di Emma, a quel punto, non avrebbero potuto tenere un ritmo più frenetico e la sua espressione dovette renderlo piuttosto evidente, perché Killian le prese la mano e la strinse in una delle sue. Il respiro di lei era corto e i suoi occhi più scuri, come la volta in cui lo aveva pugnalato nelle segrete del castello. «Non vi sto sottovalutando!» disse lui e la sua voce fu d’un tratto, quasi incoerentemente, morbida, carezzevole.

«Non posso fornirvi alcuna certezza circa la sorte di vostro fratello.» Le parole di lei furono caustiche, fiele allo stato puro, e la sua mano tremò così prepotentemente nella stretta in cui Killian l’aveva serrata che il tenente comprese di essere ad un passo dall’assaggiare nuovamente la ferocia di Capitan Swan.  E, ancora più di ciò, realizzò di non potersi permettere di suscitarne la collera in un luogo simile, perché le percentuali di sopravvivenza e di ottenere la vendetta nella quale sperava giorno e notte si sarebbero drasticamente abbassate. Per quanto poco lo desiderasse, dovette modulare il suo stato d’amino, rendendolo più condiscendente di quanto non fosse in realtà. «Potrei averlo ucciso con le mie mani, come potrei aver lasciato il compito ad uno dei miei uomini.» Nonostante la prudenza che si era intimato di usare, la mascella di Killian vibrò a quelle parole. «L’unica vaga informazione che posso darvi è che, se era il capitano della nave, il trattamento è stato migliore di quel che potreste pensare.»

«Che intendete?» domandò il tenente.

Lentamente, il tremore alla mano di lei cominciò ad affievolirsi. «Che uccidere non è un’attività che mi aggrada, a dispetto della mia fama.» rispose e, sebbene una parte di Killian lo trovasse difficile da credere, l’altra non poté che ripensare a quanto effetto avesse avuto su di lei la morte di quel mozzo che si era trovata costretta ad uccidere. Qualcosa si era spento nei suoi occhi e aveva combattuto una battaglia contro l’oscurità che aveva minacciato di divorarla. «E’ per questa ragione che ho accolto positivamente la vostra scelta tra la possibilità di percorrere l’asse e rimanere a bordo della Nostos: perché, salvo i casi in cui sono costretta a farlo, non voglio che corra sulle mie mani più sangue del necessario.» Benché fossero fisicamente a pochi centimetri di distanza l’uno dall’altro, Emma seppe che non fossero mai stati tanto distanti come in quel momento. «Ma c’è anche un’altra ragione,» disse e le sue labbra s’inclinarono in un sorriso che non raggiunse i suoi occhi. «ed è che il piano che ho per voi è di traviare tutti i vostri ideali fino a rendervi un vero pirata, un membro della Nostos, un mio collaboratore, fino a farvi dimenticare le vostre amate insegne militari e aiutarmi a distruggerle quando arriverà l’occasione.»

Mentre pronunciava quel discorso, Emma realizzò che Diego non avrebbe mai approvato la sua decisione di confessare al tenente quale fossero le sue mire, perché questo ne avrebbe reso più difficile la realizzazione. Ma, a quel punto, se avesse vinto e fosse riuscita a raggiungere i suoi scopi nonostante una tale rivelazione, l’appagamento che avrebbe potuto trarvi sarebbe stato di gran lunga superiore a qualsiasi aspettativa. Killian le sorrise nella stessa, identica maniera, di un riso che non aveva nulla di divertito e la presa attorno alla mano di lei si allentò finché Emma non riuscì a liberarsi. Non era più chiaro, a quel punto, chi dei due volesse mettere maggiore distanza dall’altro, in un gioco di avvicinamenti e respingimenti che non avrebbe potuto far altro che logorarli. Era una lotta per la supremazia, una sfida a chi era il più scaltro, una battaglia volta a neutralizzare non solo le difese avversarie ma le intere fondamenta dell’esistenza altrui.

«Avete degli obiettivi ambiziosi.» si limitò a commentare, ma lo fece in modo superficiale. Finalmente, il tassello che a lungo aveva cercato per completare una piccola porzione del quadro era a sua disposizione; finalmente, sapeva quale fosse la ragione della sua presenza sulla Nostos.

«Non siete il progetto più ambizioso che abbia perseguito.» fece lei e Killian seppe di aver devastato gli equilibri che era riuscito a creare. Il prezzo di quella nuova consapevolezza era stato caro e sperava potesse valerne la pena, perché, per quanti passi avanti avesse compiuto con quella scoperta, era stato costretto ad indietreggiare di altrettanti con la confessione su suo fratello e la sua sete di vendetta. Entrambi, a modo loro, avevano scoperto le carte in tavola e avevano smesso di nascondersi e giocare. Ma ne era valsa la pena? «Siete una distrazione, un sollievo da ciò che realmente mi preme.»

«Conto che sia davvero così!» si limitò a dirle, ma Emma non mosse un muscolo. Non era curiosa, non era indispettita, non era interessata. Si trovava nella stessa condizione di piena indifferenza che aveva dominato il suo animo la prima volta che si erano incontrati, quando ai suoi occhi non era stato nulla di più che uno sciocco, presuntuoso ufficiale col petto troppo gonfio per vantare una discreta capacità di discernimento. «Perché, se siete distratta, sono più alte le probabilità di avere la meglio su di voi.»

Emma rise di un riso basso e continuo e gettò il capo all’indietro. I lunghi capelli dorati ne seguirono il movimento, in una cascata di fili aurei che impreziosirono la stanza di qualcosa di nuovo, inedito. Il collo di Emma si arcuò sotto lo sguardo vigile di Killian e, quando ella tornò ad osservarlo, l’uomo lo scorse ancora, Capitan Swan, impassibile ed intoccabile come le storie dei superstiti narravano fosse.

«E’ questo che vi hanno insegnato, non è così? A colpire alle spalle il nemico senza assumervi la responsabilità delle vostre azioni, senza guardare la vita che abbandona il suo corpo e si agita nei suoi occhi per l’ultima volta.» S’interruppe un attimo, quel tanto che bastava per osservare la rabbia montare il petto dell’altro, accendendo la miccia dell’orgoglio fino a farla esplodere. «Devo ammettere che mi sarei aspettata di più da voi.»

«Non vi ucciderei.» le disse a denti stretti.

«E pensate sul serio che io vi permetterei di sbattermi in gattabuia? Oh, Killian, mi spiace deludervi, ma, se volete sconfiggermi, non avrete altra scelta che togliermi la vita.»

*

Emma aveva appreso molte lezioni nel corso degli ultimi anni, lezioni preziose che l’avevano resa la donna che era e avevano rinsaldato la sua posizione come capitano della Nostos, lezioni i cui insegnamenti aveva saggiamente serbato per modellare la propria condotta. E fu sulla base di quei moniti che la giovane temperò la reazione che il recente colloquio con uno dei suoi informatori aveva suscitato in lei. Chiudendo la porta della stanza alle proprie spalle, sospirò e si guardò intorno.

Era al primo piano di una delle locande che davano sul molo di Durin, una costruzione in pietra in cui le assi del pavimento scricchiolavano sotto il peso di quello o di quell’altro avventuriero. Emma e i suoi uomini l’avevano scelta per un motivo ben preciso, per incontrare una persona specifica e, benché il loro comportamento non fosse apparso diverso da quello di un gruppo di pirati che si godevano la vita alla giornata, nulla era stato lasciato al caso. Il capitano dell’imponente veliero, la cui nomea la diceva lunga sulle gesta dei suoi abitanti, si era assicurata tempo addietro di essere presente a quell’incontro, fissato con largo anticipo, e vi era riuscita con successo; e, con un pizzico di aiuto da parte di Stecco e Julio, era perfino riuscita a non destare i sospetti del tenente ficcanaso che si era recentemente unito al loro equipaggio. Pensando a Killian Jones, le labbra di Emma s’inclinarono impercettibilmente verso l’alto.

I suoi occhi percorsero il piano, in essi il brillio di un entusiasmo e di un’aspettativa alle quali non concedeva spesso il lusso di padroneggiare nel suo animo, non con quell’intensità. Eppure, quella sera, le informazioni che aveva ricevuto si erano dimostrate un’arma sufficiente a pungolare il suo io, spesso così controllato sotto uno specifico versante, perché rispondesse positivamente. Emma era una donna estremamente ambiziosa ma, ancor più di ciò, era una persona indiscutibilmente caparbia ed aveva una missione da portare a compimento, una missione alla quale aveva dedicato gli ultimi anni della sua vita, per la quale non prevedeva margini di errore e che era più che intenzionata a realizzare nel migliore dei modi. Aveva impiegato sudore, armi, tempo e fatica per ottenere dei risultati e, quel giorno, aveva avuto l’opportunità di compiere il passo in avanti che troppo a lungo le era stato negato: finalmente, sapeva come arrivare alla persona che aveva cercato così strenuamente da darle l’impressione di non aver vissuto che in funzione di quell’unico obiettivo.

A quella consapevolezza, il suo cuore accelerò la propria corsa e l’adrenalina prese a scorrere, per l’ennesima volta quella sera, nelle sue vene, dandole una carica che le avrebbe consentito di sfoltire e dare del filo da torcere ad una buona dozzina di uomini contemporaneamente, se ne avesse avuto modo. Non c’era più nulla nella sua mente, nessuno spazio per la stizza o il divertimento che aveva provato al tavolo con i suoi uomini poche ore prima. Scuotendo il capo e stringendo i pugni lungo i fianchi, Emma mosse i propri passi lungo il corridoio che l’avrebbe immessa nell’andito successivo, consentendole di raggiungere la scalinata con la quale sarebbe tornata nel salone principale. Il pavimento crepitò al contatto con il tacco degli stivali in pelle nera che indossava e fu sul punto di svoltare l’angolo, quando s’imbatté nel tenente Jones e per poco non si scontrarono l’uno con l’altra. 

«Scusatemi,» fece lui d’istinto, prima di realizzare chi fosse la persona dinanzi a lui. «Siete voi...»

«Brillante osservazione!» lo pungolò lei e il suo umore era talmente positivo che si trovò persino nella disposizione d’animo di sorridergli genuinamente, come dimentica dello scambio di battute avuto al tavolo. Contro ogni aspettativa, Killian ricambiò, ma non ci volle molto per realizzare che, se la condiscendenza di lei aveva una natura prettamente emotiva, quella di lui non avrebbe potuto che essere imputata al consumo d’alcool. Copioso, oltretutto.

«Dovreste tenere a freno quella vostra linguaccia, capitano.» ribatté il tenente, guardandola e parlandole con molto più calore e molta più confidenza di quanto non avesse fatto nell’occasione precedente. La loro era un’altalena di sentimenti e reazioni così contrastanti e confusionari che chiunque li avesse visti non avrebbe potuto trarre che un’unica conclusione: uno dei due si sarebbe fatto male presto o tardi, e tanto.

«Siete il tipo d’uomo che preferisce le donne silenti e mansuete, capisco.» Eccola lì, l’espressione di rimprovero che si era aspettata di ricevere. Emma rise. «Anche se, anche se,» fece, muovendo un passo a destra e, dopo, un altro ancora, il sorriso dipinto in volto. «mi pare di aver capito che avete rifiutato quella giovane donna giù al molo.» Killian sospirò, ma era divertito e la giovane lo comprese. «Devo dedurre che non amate neppure un briciolo d’intraprendenza e preferite fare sempre la prima mossa?»

«Sono tutte conclusioni vostre, Emma.» subentrò lui, prima che l’altra potesse continuare, e quasi sospirò nel pronunciare quelle parole. Gli occhi verdi di lei tornarono ad osservarlo e Killian non poté fare a meno di notare che ci fosse qualcosa di diverso in lei, qualcosa che la rendeva radiosa come mai prima d’allora. «Non ho mai detto nulla di tutto ciò.»

«Neppure io. E’ stato il vostro comportamento a suggerirlo e non ho mai preteso di ritenere che le mie fossero verità assolute.» Il modo in cui pronunciò quelle parole fu pieno di una tale ovvietà che il tenente non poté impedirsi di ridacchiare, perché Emma sapeva essere impertinente anche quando gli si chiedeva un comportamento meno dispettoso, meno indisponente e non ne temeva le conseguenze. «E’ solo che siete sempre così controllato che mi chiedo se siate in grado di lasciarvi andare all’impulso del momento, anche solo per una volta.»

«Vi do tanta preoccupazione?» chiese lui, i denti scoperti a mostrare un sorriso che l’alcool aveva reso meno rigido, un sorriso che, si disse Emma, doveva aver conquistato i cuori di parecchie fanciulle svenevoli di quella o quell’altra corte.

Emma scosse il capo in un modo di fare che le apparteneva in maniera caratteristica: ogni qualvolta lo faceva, i capelli si muovevano attorno al suo viso in tanti, sottili fili d’oro che le accarezzavano le guance appena arrossate ora dalle brezza serale, ora dall’alcool, ora dalla forte emozione del momento, e il contrasto con il corpetto nero appariva d’improvviso più evidente. Killian aveva ammesso a se stesso, da un po’ oramai, che apprezzava quei momenti come poche altre cose da qualche tempo a quella parte.

«No, niente del genere.» fece e una parte di lei si sentì sollevata nel constatare la leggerezza nel tenore della loro conversazione. Avrebbe odiato che un colloquio con il tenente potesse guastarle l’umore quando, finalmente dopo anni, poteva permettersi di gioire della conquista ottenuta. «Mi incuriosite, piuttosto! Non mi capita sovente di avere attorno un esemplare come voi.»

«Esemplare, eh?» le fece notare, un tono di palese reprimenda tanto nella voce quanto in viso. Emma sorrise più ampiamente, ma non aggiunse altro. «Controllare gli impulsi è ciò che ci distingue dalle bestie, ma» E alzò una mano per fermarla dall’aggiungere qualunque osservazione stesse per fare. «non è questa la ragione per cui mi sono fermato.» Emma lo squadrò con sguardo curioso e si morse il labbro inferiore con espressione intenta, come se stesse tentando di arrivare alla conclusione corretta prima che l’altro gliela comunicasse. «Mi sono fermato perché è tutto ciò che, al momento, mi rimane della mia identità, una prova tangibile che non sono come voi, un pirata che salta di porto in porto, di fanciulla in fanciulla.»

«Le locande e i postriboli pullulano spesso di uomini in divisa, tenente.» gli fece notare lei, per un attimo dimentica dell’inappropriatezza di usare quell’appellativo in un luogo simile, e Killian annuì in segno di condiscendenza.

«Avete ragione, ma io non sono quel tipo d’uomo.» rispose semplicemente. «Con ciò non intendo dire di non essere saltato da un letto ad un altro senza farmi alcuno scrupolo, ma non ho mai pagato una donna per farmi entrare nelle sue grazie, né ho intenzione di farlo.» disse e le sue parole furono franche e il loro tenore irremovibile.

«Ce ne sono molte di quelle donne nella vostra società, non è così?» domandò Emma e le sue labbra si curvarono a riproduzione di un sentimento che aveva i contorni dell’amarezza. Le sopracciglia di Killian si inarcarono in un tacito quesito che trovò presto soddisfacimento. «Donne che si sciolgono per un sorriso, per un complimento, per l’autorità della divisa, per la promessa di una vita agiata e più che dignitosa.»

Il tenente annuì, sulla bocca una smorfia sardonica. «Ma, per rispondere alle vostre domande di prima, non è quello il genere di donna che gradisco frequentare. Ne ho conosciute alcune approfonditamente, diciamo,» aggiunse prima che Emma potesse mettere in dubbio le sue parole e, invero, l’altra parve apprezzare, perché gli sorrise. «ma non ho mai pensato di andare oltre, con nessuna di loro.»

«In questo modo state avvalorando la mia tesi sul fatto che le donne del vostro ceto siano sciocche, frivole, di modi melliflui.» gli fece notare e Killian le restituì il sorriso.

«Non ho detto questo. Ce ne sono alcune, come ce ne sono delle altre di temperamento completamente differente e diverse dalla vostra descrizione.» ribatté ed Emma parve, se possibile, ancora più curiosa.

«Come mai non siete sposato, allora?» Killian la guardò intensamente, chiedendole se quella fosse un’altra delle sue intuizioni. «Non portate la fede.» rispose lei. «E vi siete gettato al mio inseguimento con così poca cura per la vostra incolumità, soprattutto dopo aver appreso chi fossi, da far pensare che non ci fosse nessuno ad aspettarvi, una moglie o un figlio.»

«Mi avete osservato parecchio, eh?!» fece lui, incrociando le braccia, l’espressione di chi stenta a credere alle proprie orecchie.

Emma ammiccò con quel fare da canaglia che le apparteneva. «Non è possibile avere la meglio su un nemico di cui non si sa nulla. Tentavo di capire se aveste altri punti deboli, all’infuori dell’orgoglio ovviamente.»

A quelle parole, Killian rise, ma seppe di doverle ancora delle spiegazioni, seppe, soprattutto, di volergliele dare. «Non sono sposato perché non ho mai trovato la donna in grado di farmelo desiderare, nessuna in grado di prendere l’iniziativa, per rispondere ad un altro vostro quesito.»

«Tranne la ragazza del molo.» lo stuzzicò lei.

«Tranne la ragazza del molo.» confermò lui.

«Dobbiamo cercarla, allora.» sindacò Emma, battendo un pugno sul palmo della mano. «Non vorrete farvi scappare la vostra futura moglie.»

«Così non potreste ottenere la vostra vendetta e trasformarmi in un pirata.» le fece notare, più sorridente di quanto non fosse mai stato, mentre lei ponderava il significato delle sue parole con espressione meditabonda.

«Dannazione, avete ragione!» esclamò infine, gli occhi di un verde intenso fissi in quelli blu del tenente. C’era una sfumatura nuova nelle iridi di lei, una venatura che Killian non seppe leggere perché aveva dei contorni meno nitidi e genuini rispetto a qualunque altra espressione o sguardo Emma avesse avuto fino a quel momento. «Quello è un obiettivo che conto di raggiungere a qualunque costo, con qualunque mezzo.»

A quelle parole, entrambi si guardarono e, per un lungo momento, tacquero, senza avere alcunché da dirsi, confessarsi, comunicarsi. Poi, d’improvviso, in un gesto che l’altro non si sarebbe aspettato, Emma avanzò verso di lui, ne invase lo spazio personale e, aggrappandosi al colletto di una camicia straordinariamente ben tenuta per i luoghi che il tenente aveva frequentato negli ultimi tempi, poggiò la sua bocca su quella di Killian. Fu un tocco deciso, pienamente consapevole, come di chi sa quello che vuole e non ha timore di prenderselo.

La risposta dell’uomo fu, contro ogni aspettativa, pronta e altrettanto limpida nel suo significato. Le braccia di lui cinsero la vita di Emma cosicché ella fosse più vicina e, quando i loro corpi aderirono l’uno all’altro in una maniera tale da soddisfarlo, le sue mani si posizionarono saldamente sui fianchi di lei. Il pirata mosse la sua bocca su quella del tenente in una carezza suadente, femminea, quasi autoritaria; la lingua di lei si insinuò tra le labbra dell’uomo finché non le cedettero il passo e, in una mossa che era frutto di una mera improvvisazione, lo sedusse come solo Capitan Swan avrebbe saputo fare. I suoi baci furono mutevoli come mutevole era la persona che li stava impartendo: erano tocchi a tratti lascivi e peccaminosi, a tratti dolci ed innocenti. E, nel corridoio di quella locanda di Durin, col frastuono che saliva su per le scale fino al corridoio deserto del primo piano in cui si trovavano, Killian cedette alle sue lusinghe e ricambiò con rinnovato ardore.

Avrebbe potuto mentire, avrebbe potuto fingere e respingerla, avrebbe potuto tenere molteplici comportamenti ligi al dovere cui si era dichiarato devoto, ma non mise in atto alcuna di quelle opzioni. Sarebbe stata una farsa, una stupida menzogna che avrebbe snaturato l’animo di uomo sincero che lo aveva sempre contraddistinto: la desiderava e, se non fosse stato sufficiente a giustificare la sua pronta risposta, c’era da dire che non avrebbe dovuto pagarla quando si fossero separati. Per quella ragione – e per molte altre ancora che nessuno dei due era pronto ad accettare – il tenente Jones seguì le movenze di lei e, indietreggiando di qualche passo, si lasciò guidare finché non si trovò costretto contro una parete; e godete del momento senza alcuna remora, senza pregiudizi, senza nessuno dei perbenismi che avrebbero potuto guastargli l’animo, perché non affiorarono nella sua mente  al contatto con la bocca di lei. Piuttosto, qualcosa, nel baciare e nell’essere baciato da Capitan Swan, lo rese prigioniero della consapevolezza più grande che avesse avuto da tre mesi a quella parte: quel bacio non gli sarebbe bastato, né avrebbe saziato la fame di lei che aveva sopito, trasformato, respinto per tutto quel tempo. In quel frangente, ebbe la consapevolezza che non aveva voluto redimerla per mero spirito di giustizia e misericordia; il suo desiderio di redimerla altri non era che la mutilazione del bisogno che aveva di farla sua.

Era caduto vittima di una trappola infernale a causa della quale quanto più si muoveva nel tentativo di districarsi dai nodi che lo attanagliavano e tenevano prigioniero, tanto più vigorosa si serrava la morsa attorno a lui. Era rimasto vittima di ciò che aveva più intensamente deprecato in passato, quando aveva appreso dei tradimenti ai danni delle mogli di alcuni suoi amici, o quando aveva trovato alcuni dei suoi mozzi giacere nello stesso letto con una puttana. Aveva compreso cosa ci fosse di irresistibile nello stringere un patto col diavolo, quanto inaspettatamente una battaglia potesse trasformarsi in una danza di seduzione che irretiva i sensi e offuscava la mente. 

La mano di Killian si mosse fino a raggiungere la nuca di lei e si immerse nei lunghi capelli serici. Quando egli inclinò il capo per approfondire il contatto, Emma sorrise sulle labbra dell’altro, prima di dargli quello che voleva ed accoglierne le umide carezze con arrendevolezza. Le dita della giovane, ancora strette attorno al cotone della camicia, allentarono la presa per un istante, quel tanto che bastava per illuderlo di aver avuto la meglio; infine, lo strattonò ancora con lo stesso fare possessivo ed intransigente di un cavaliere col suo destriero capriccioso e, a quel punto, furono le labbra di lui a piegarsi in un sorriso, poco prima che Killian stringesse il labbro superiore di Emma tra i denti, tirandola leggermente verso di sé.

La bocca di lui si lanciò in una spasmodica ricerca di quella dell’altra, consumandone ogni porzione con una bramosia che non aveva saputo di avere, non per lei, non per il suo più acerrimo nemico, non per la donna che lo aveva ingannato, ferito, umiliato e si era presa la persona più cara che avesse mai avuto al mondo. Ed Emma non fu da meno, perché quanti erano i momenti in cui gli consentiva di condurre il gioco, tante erano le occasioni in cui prendeva il sopravvento, braccandolo non soltanto contro la parete in pietra del corridoio ma, soprattutto, contro la parete di menzogne che si era ripetuto per negare o ridimensionare l’attrazione che provava per lei.

Quando furono costretti a rallentare il ritmo e le labbra di lei interruppero il contatto, la mano destra di Killian si spostò dalla nuca al viso di lei e, piano, le carezzò la guancia imporporata dai baci che si erano scambiati. Con l’altro braccio ancora stretto attorno alla vita di Emma, il tenente si accostò nuovamente alla bocca della giovane e premette su di essa in una carezza carica di indugi. Era tutto sbagliato, tutto indiscutibilmente fuori controllo e Killian avrebbe dovuto pensare che ci fosse qualcosa sotto, perché non poteva essere una coincidenza il fatto che il capitano della Nostos gli avesse promesso di traviarlo con qualunque mezzo pochi istanti prima di baciarlo, ma, in cuor suo, non la trovò una ragione sufficiente per staccarsi da lei. Ed Emma non fu d’aiuto quando, allontanando nuovamente il proprio volto da quello dell’altro, sfregò il proprio naso contro quello del tenente, dolcemente, lentamente, prima di inclinare il capo in direzione opposta e baciarlo ancora.

Fu la voce di Julio che urlava a pieni polmoni il nome di Capitan Swan ad infrangere quel labile, precario equilibrio. Lo sguardo di lei corse al corridoio che dava sulle scale, i suoi occhi si fecero improvvisamente scuri, impenetrabili e, prima che potessero dire qualunque cosa, la presa delle mani di lei sulla camicia si sciolse e Killian la vide scomparire oltre l’angolo.

*

Le urla di Julio avevano avuto una motivazione ben precisa. Stecco si era infilato in una situazione decisamente sconveniente, nel momento in cui un gruppo di uomini ben piazzati cui aveva vinto un buon gruzzolo aveva scoperto il suo trucco con le carte e aveva minacciato di fracassargli tutte le ossa del corpo, collo compreso. L’intervento di Emma era stato a dir poco risolutivo: con fredda calma aveva invitato i tre sconosciuti a lasciar stare il suo uomo e, quando essi erano parsi divertiti dall’idea che quella donna fosse Capitan Swan e stesse minacciando degli individui della loro mole, era bastata una serie di gesti repentini che avevano chiarito quali ire avessero suscitato. Con una rapidità che nessuno aveva creduto possibile, Emma si era protesa ad afferrare il boccale di birra posto sul tavolo alla sua destra e, compiendo un passo in avanti, lo aveva fracassato sul viso dell’energumeno più vicino a lei; approfittando del momento di distrazione, Julio era corso in suo aiuto e aveva assestato un pugno sulla mascella di uno dei due rimasti. Libero per metà, Stecco si era occupato del terzo e, in breve tempo, la rissa era stata sedata senza ulteriori ripercussioni. Qualcosa, nell’espressione mortifera ed oscura di Emma, aveva instillato il dubbio che quella donna fosse davvero Capitan Swan anche in coloro i quali avevano fortemente riso della sola ipotesi.

Nel frangente in cui Killian aveva abbandonato la locanda, in differita rispetto al trio di pirati nel tentativo di origliare le conversazioni altrui e comprendere se qualcuno dei presenti avesse intenzione di vendicare il gesto in qualche modo, aveva trovato Emma nello stesso punto in cui si erano parlati la sera prima, quando le aveva chiesto che significato avesse la candela ed ella aveva risposto alle sue domande. Senza rimuginarci troppo su, la raggiunse e la affiancò. Una folata di vento gelido spirò da nord-ovest, muovendole i capelli e sfiorandole la pelle nuda delle spalle; Killian la vide intirizzire, ma l’espressione di Emma rimase fissa sull’orizzonte lontano, impassibile.

«Volevate convincermi a sposarvi con quel bacio?» le chiese e inaspettatamente il piglio di lei parve rilassarsi ed un sorriso affiorò sulle sue labbra vermiglie, quando si voltò a guardarlo.

«Volevo farvi conoscere una donna che prende davvero l’iniziativa.» rispose e, in cambio, la bocca dell’uomo le regalò la stessa smorfia divertita.

Scandagliandone rapidamente le emozioni, Killian non trovò in lei alcuna ripercussione dello scambio nel quale erano stati impegnati poco tempo prima. Non c’erano aspettativa o imbarazzo sul quel bel viso arrossato dal freddo; era la stessa Emma di sempre, spavalda, quieta, controllata, le guance purpuree l’unico segno che avesse provato un’emozione forte, un sentimento che il tenente sapeva fosse stato contaminato – se non completamente sopraffatto e sostituito – dalla rissa di pochi minuti addietro.

«Nessuno sembra avere intenzione di assaltare la Nostos, stanotte.» le comunicò e il pirata parve incuriosito.

«E’  per questo che siete rimasto indietro?» inquisì lei e Killian annuì. «Sapete essere sorprendente, Killian Jon-» L’espressione di lei si fece improvvisamente confusa e i suoi occhi abbandonarono quelli del tenente, dando l’impressione che fosse alla ricerca di qualcosa. E così era, perché, nella sua mente, Emma tentò disperatamente di afferrare quel dettaglio che il cognome dell’altro aveva richiamato alla sua mente. «Jones!» fece infine, tornando ad osservarlo con espressione incredula, quasi basita.

«Emma?» tentò lui, confuso.

«Vostro fratello… Qual era il nome della nave di cui era capitano e che si è scontrata con la Nostos?» domandò e, nel farlo, avanzò verso di lui, lo sguardo carico di un’aspettativa cui Killian non avrebbe saputo dare collocazione nel rango delle emozioni, considerato il tenore della loro conversazione.

«Il Gioiello del Reame. Perché?» la incalzò lui, protendendosi verso di lei come se potesse essere d’aiuto.

«Oh mio Dio!» Il viso di Emma divenne terreo – e quello di Killian non fu da meno, quando pronunciò queste ultime parole: «Voi siete il fratello di Liam.»
 
____________________________________________________________________________________________

Spazio dell'autrice:


Ho superato la maledizione del quinto capitolo e, anche se ho impiegato più tempo del previsto ad aggiornare, spero che il capitolo possa ripagarvi dell'attesa. :]
Ringrazio chi ha letto, chi legge, chi commenta e chi si appassiona alla mia storia, nonché chi aspetta [im]pazientemente gli aggiornamenti. Senza di voi e il vostro sostegno, questa storia non avrebbe nessuna chance di vita. Quindi, grazie di cuore!
Buona lettura! ;] P.S. Scusatemi per gli eventuali errori, ma, come al solito, vado di frettissima. Correggerò quanto prima.

Ritorna all'indice


Capitolo 7
*** Sono Giuda e questo è il mio bacio ***


Capitolo VII
Sono Giuda e questo è il mio bacio

 
«Questo cosa significa?»

Avrebbe potuto rivolgerle un’infinità di domande, alcune appropriate, altre completamente prive di senso logico, e, ancora più di ciò, avrebbe voluto fare ognuna di esse e ripeterle finché non avesse ricevuto una risposta. Ma ogni sua emozione parve fermarsi, rimanere paralizzata nell’attesa di una conferma che non era sicuro di voler ricevere; e la sua mente, in un tacito accordo con l’istinto, gli concesse la fortuna di porgere l’unico quesito che, probabilmente, ricomprendeva ciascuno dei dubbi che le parole e la reazione di lei avevano suscitato nel suo animo.

Emma lo guardò con l’espressione attonita di chi prende improvvisamente consapevolezza delle propria superficialità e realizza di essersi lasciato sfuggire un collegamento, una conclusione tanto ovvi e palesi da farsi beffe della perspicacia che il brillante capitano nella Nostos aveva sempre dimostrato di avere, eccezion fatta per quella circostanza. Una folata di vento, fredda come poco si addiceva a quella serata di un Agosto incredibilmente afoso, sferzò l’aria e un suono tagliente si riprodusse nello spazio tra i loro corpi, dando ad entrambi l’impressione che la loro relazione avesse preso un’inattesa svolta, che qualcosa fosse irrimediabilmente cambiato, benché non conoscessero ancora la direzione di quel mutamento.

Le labbra di Emma si schiusero e chiusero più volte, in tentativi inconcludenti che non avrebbero potuto portarla ad alcun risultato. Una parte di lei avrebbe voluto raccontare la storia connessa alla figura del primo Jones che fosse mai entrato a far parte della sua vita, dirimere i dubbi e le frustrazioni che avevano funestato – e, com’era evidente, ancora funestavano – l’animo di Killian; quella parte di lei non immaginava ma comprendeva, sapeva, condivideva per empatia quello spasmodico bisogno di avere delle risposte, di trovare un segno che desse un significato agli sforzi sostenuti nel tentativo di non arrendersi alle apparenze che, nel caso del tenente, suggerivano la morte del fratello. Un’altra parte di lei, tuttavia, la stessa che la rendeva Capitan Swan e le aveva concesso di mantenere quel titolo per tanti anni, le suggerì di tacere, che rispondere a quella domanda avrebbe fatto sorgere troppi interrogativi e avrebbe svelato troppo della missione che doveva essere compiuta. E questo Emma non poteva permetterselo.

«E’ tempo di tornare alla Nostos.» disse, ma seppe che non sarebbe stato tanto semplice scrollarsi l’uomo di dosso e ne ebbe conferma quando questi, ancor prima che terminasse la frase, avanzò verso di lei, riducendo drasticamente le distanze tra loro. «Killian,» fece lei, lo sguardo che correva da un punto ad un altro senza soffermarsi realmente su qualcosa, finché non incrociò quello di lui e lì rimase. La risolutezza che vi lesse rese abbastanza chiaro quale direzione avrebbe preso la loro conversazione.

«Lo avete conosciuto, dunque.» Le parole furono dure, controllate, come se l’uomo stesse lottando contro se stesso nel tentativo di dare un contegno alle proprie emozioni, ma stesse miseramente fallendo. «Come?»

Le braccia di Emma, pigramente abbandonate lungo i fianchi, risalirono fino ad incastrarsi l’una con l’altra all’altezza del petto. Sospirò piano. «Come ho conosciuto voi,» rispose ed un sorriso le increspò le belle labbra cremisi. «prendendolo come prigioniero sulla mia nave.»

C’era qualcosa di ironico nel destino, pensò Emma, qualcosa che ella non avrebbe saputo spiegare, perché non conosceva le architetture di quei piani tanto elaborati, ma non poté che ammirare il sarcasmo di cui erano impegnate. Quelle parole riportarono alla mente ricordi che aveva volutamente messo da parte, tirandoli fuori dallo scrigno ove li aveva relegati soltanto nel buio dei suoi alloggi, per darsi il conforto di cui aveva bisogno; ricordi che avevano come protagonista un capitano della marina reale e che sembravano appartenere ad un’altra vita, una lontana e quasi non sua.

«E’ buffo,» disse e non poté impedirsi di ridere appena e scuotere il capo, prima di tornare al volto del tenente. «Quando ho conosciuto vostro fratello, pensavo che la mia esperienza con la caparbietà dei membri della famiglia Jones fosse terminata.» Qualcosa, negli occhi di lui, si addolcì e la tempesta che infuriava in lui, rendendo i suoi occhi più cupi e blu di quanto non fossero alla luce del sole, parve quietarsi un istante. «E, invece, eccovi qui!»

Le iridi verdi di lei risplendettero di una luce nuova, ma Killian non seppe interpretarne il significato. «Come faccio a sapere che non state mentendo?» chiese ed Emma chinò il capo, sospirando e tornando a guardarlo subito dopo.

«Non ne avrei motivo.» rispose e, in parte, il suo ragionamento non avrebbe potuto essere più sensato. Le sue reazioni erano state troppo spontanee, perché lasciassero margine di dubbio sulla loro sincerità, ed il modo in cui stava temporeggiando, realizzò Killian, la diceva lunga sul fatto che sapesse molto più di quanto non volesse far intendere. «Siete molto diversi, voi due.» disse, infine, e l’espressione del suo viso si ammorbidì. «Vostro fratello è molto più fiducioso, molto meno rigido di voi.» Le certezze dell’uomo cominciarono a sgretolarsi irrimediabilmente a quelle parole ed egli non poté fare nulla per fermarne il decorso. «Non si limita a vedere il buono nelle persone. Lui crede fermamente che ci sia, anche quando non c’è nessun segno che lasci pensare una cosa simile.»

Il mondo di Killian Jones parve crollare in quel preciso istante, come se le fondamenta di quella recita che si era costretto a portare avanti per anni avessero improvvisamente ceduto e, bloccato dalla paura, lui si fosse lasciato cadere senza cercare alcun appiglio. I suoi occhi, solitamente così espressivi nel loro rigore, si fissarono su un punto imprecisato tra la spalla e la clavicola di Emma e il ritmo del suo cuore accelerò fino a che, senza nemmeno averlo realizzato, si trovò boccheggiante, le mani della giovane strette sulle sue spalle nel tentativo di scuoterlo.

«Killian?» la sentì ripetere e, finalmente, trovò la forza e lucidità per incrociarne lo sguardo.

«Parlate di lui al presente…» fece lui, l’espressione terrea, mentre l’implicazione sottesa alla sua constatazione si faceva largo tra i suoi pensieri e le sue mani si posizionavano rispettivamente sulle braccia di Emma e stringevano la presa. La giovane comprese di aver compiuto un passo falso e, svincolandolo dalla morsa in cui l’aveva stretto nel tentativo di fornire da ancoraggio alla realtà contro il turbine di emozioni che aveva minacciato di portarlo via, tornò in posizione eretta, il tocco di lui ancora saldo sulla sua pelle candida.

«Non è una storia che posso raccontarvi, Killian.» disse, gli occhi intensamente fissati in quelli dell’uomo, padrona di un’autorità che il tenente le aveva già visto sfoggiare. Fu la consapevolezza del significato di quell’atteggiamento a spingerlo a rafforzare la presa su di lei, mentre il muscolo della mascella  vibrava minacciosamente. «Non stasera, non ora.»

«Non è una risposta che ho intenzione di accettare, né di farmi andare bene. E’ di mio fratello che stiamo parlando, di tutta la mia famiglia.»

Un sospiro, leggero e quasi impercettibile, sfuggì dalle labbra di lei e, per una frazione di secondo, il tenente ebbe l’impressone che ella capisse, che sapesse; ma fu più di un mero presentimento, perché gli tornarono alla mente le sommarie spiegazioni che aveva sentito sul come fosse diventata la persona che era, sulla perdita che aveva subito, e quella deduzione divenne presto una certezza. Osservando le proprie mani stringere la pelle candida di lei, Killian realizzò di aver aumentato la presa più di quanto non avesse avuto intenzione di fare e, per un attimo, riuscì a provare qualcosa che non fosse lo sgomento connesso alla recente scoperta; i suoi occhi cercarono quelli verdi nel tacito intento di capire come fosse possibile che l’altra non avesse mosso neppure un muscolo per fermarlo, per porre fine alla morsa nella quale l’aveva braccata e, sorprendentemente, trovarono Emma su quel viso, non Capitan Swan. Ma era una Emma che non avevano mai visto, una Emma dalla quale non avrebbe saputo cosa aspettarsi.

Fu per una simile ragione che, quando la vide avanzare a chiudere definitivamente lo spazio che li separava fino quando i loro corpi non si sfiorarono, non riuscì ad anticiparne le mosse e a far fronte al suo attacco. Con un unico, fluido movimento, il pirata fece strisciare la mano contro il ventre e il petto dell’uomo e, quando fu arrivata all’altezza delle clavicole, allontanò l’arto quel tanto che bastava a caricarlo della forza necessaria per abbattersi senza pietà sulla gola di lui, mozzandogli il respiro. Killian indietreggiò, boccheggiante, e condusse ambedue le mani a coprire il punto leso. Era come annegare senza la dolce carezza dell’acqua.

Emma posizionò un braccio a cingergli il costato e, con l’altro, batté una sequenza di vigorosi colpi tra le scapole di lui, aiutandolo a trovare quel briciolo di ossigeno che gli avrebbe evitato di piegarsi carponi sul pavimento; e la sua intenzione doveva essere quella di andarsene e lasciare che si riprendesse da sé, avendo tutto il tempo per sistemarsi nei propri alloggi, dove sapeva che i suoi uomini non gli avrebbero mai concesso di arrivare: ma fece male i suoi conti. Sottovalutando il potenziale fisico del tenente e le sfide con le quali aveva dovuto temprare il suo corpo, ella fece per sfilare il braccio, quando le dita di Killian si strinsero attorno al delicato polso e, in una sequenza che il capitan pirata non aveva previsto, lo torsero all’indietro in una morsa dolorosa che la fece mugugnare.

Vista dall’esterno, agli occhi di uno sprovveduto o di un ubriaco, sarebbe stata una vista estremamente ridicola: un uomo che faticava a respirare ed una donna piegata leggermente in avanti con un arto in una torsione che minacciava di divenire innaturale di lì a poco; ma, quando Emma realizzò di aver commesso l’errore di sottostimare il suo nemico come era accaduto la sera del ballo, quando non aveva creduto che potesse scovare il passaggio per le segrete e, invece, aveva rischiato di essere catturata, non trovò una sola ragione per ridere. La sua bocca si mosse a simulare un’espressione rabbiosa e, sfruttando la posizione di svantaggio nella quale Killian continuava a trovarsi per via del colpo infertogli, mosse la testa all’indietro in uno scatto che colpì il naso del tenente senza pietà alcuna, costringendolo ad allentare la presa finché Emma non si fu svincolata.

La loro non era più semplicemente una guerra tra mondi diversi ed antitetici, bensì uno scontro personale di proporzioni addirittura maggiori. Avrebbero combattuto tutta la vita, fino allo stremo delle forze, se fosse stato necessario per imporre il proprio dominio e la propria supremazia sull’altro. Era una battaglia tra ragione e istinto, tra giusto e sbagliato, tra bianco e nero, tra etichetta e forza bruta. Nelle rispettive diversità, nessuno dei due aveva mai incontrato un avversario più feroce e caparbio e non era un caso che parte di ciò che ambedue temevano di più fosse il legame che quell’ultima scoperta aveva generato tra loro. Liam aveva inaspettatamente cambiato le carte in tavola, stringendo dei nodi che entrambi si erano ben guardati dall’intrecciare: Killian doveva sapere cosa fosse accaduto al fratello, quale sorte gli fosse toccata e, ancor prima che per consegnarla alla giustizia, non le avrebbe consentito di muovere un passo senza sentire l’intera storia che realizzò essere disposto a strapparle perfino con la forza. Quanto ad Emma, aveva, sì, troppo da perdere per consentirgli di costituire un ostacolo alle sue mire, ma, al di là della promessa di prendersi i suoi ideali che gli aveva atto a suo tempo, aveva una ragione in meno per ucciderlo.

«Maledizione

Il tenente non poté fare altro che gemere e registrare la bassa imprecazione di lei, prima che Emma si abbattesse su di lui con una furia che avevano ben poco di umano. Afferrandolo per il colletto della camicia e costringendolo ad indietreggiare con ferme spinte degli avambracci, premette saldamente il gomito sul suo plesso solare e fece per scaraventarlo contro un mucchio di barili, quando le dita di lui si chiusero attorno alle sue spalle e l’attirarono nella sequenza che la giovane aveva sperato fosse la fine di quella stupida rissa. Caddero e lo fecero in malo modo, Killian atterrando contro il pavimento, Emma battendo il fianco contro un barile rovesciato prima di accasciarsi sull’uomo; ed entrambi gemettero, ma, in quell’occasione, fu il tenente a dimostrarsi più rapido e, con un ultimo, ostinato sforzo, diede una spinta con i fianchi, costringendo Emma contro il pavimento.

«Arrrgh!» fece lei, un ringhio basso e roco di esasperazione, di indignazione, e si dimenò sotto il peso di Killian, selvaggia quasi ad uno stadio primitivo, come se il solo pensiero di essere braccata non si confacesse al suo animo e, in quanto tale, tutto il suo corpo non potesse che ribellarsi all’assurdità di una simile condizione. I muscoli di lei guizzarono scattanti, una, due, tre volte e, ad ogni tonfo sordo contro il pavimento, l’uomo ebbe l’impressione che ella si caricasse di nuovo odio, di rinnovato vigore. Era come una bestia intrappolata: indomabile, fiera e disperata.

«Fermatevi.» le intimò Killian a denti stretti e, nel tentativo di evitare che fuggisse al suo controllo, strinse la presa attorno ai polsi di lei così forte che le nocche delle mani sbiancarono e finalmente Emma mugugnò di dolore.

Libera dai legacci di compostezza e razionalità che raramente le capitava di sciogliere, dando sfogo a quanto non avesse il coraggio di esprimere, Killian vide un lato della donna che aveva avuto occasione di scorgere in un’unica occasione, la stessa che lo aveva visto sul punto di perdere la vita nelle segrete abbandonate di un palazzo che conosceva come le proprie tasche. Ed ebbe la sensazione – neppure troppo latente – che quella follia che le leggeva negli occhi fosse la stessa che l’aveva resa il pirata che era, perché, scrutando le sfumature di quel mare di verde delirio, Killian realizzò che Emma desiderasse ucciderlo con un ardore che mai aveva provato fino ad allora, un ardore brutale e spaventosamente ancestrale come di un sentimento troppo grezzo per essere provato senza i freni dell’inibizione. Lo vide e capì per quale ragione nessuno degli uomini della Nostos fosse ancora intervenuto in soccorso del suo capitano: non era lei ad essere in pericolo, in quel momento.

«Siete un uomo morto.» ringhiò, i lunghi capelli indomabili sparsi sul lastricato in pietra del molo di Durin come tanti filamenti d’oro puro, le guance arroventate dal miscuglio di sentimenti che, come soldati di una legione, correvano tutti in un’unica direzione, scomposti sebbene uniti.

«Ditemi di Liam.» ribatté, incurante delle minacce rivolte al suo indirizzo.

«Morirete nel cocente dubbio che possa essere vivo, Killian Jones.» gli disse, dimenandosi ancora e ancora, finché Killian non fu costretto a premere il proprio corpo contro quello di lei così forte da renderle il respiro affannoso. Ma, stavolta, ella non mugugnò.

«Parlate!» Senza troppa grazia, senza alcuna premura, la tirò su quel tanto che bastava a rispedirla contro il pavimento e una parte di lui godette di quel gesto come se da tempo desiderasse arrecarle il dolore che si era meritata di subire. «Aprite quella maledettissima bocca, perdio

Un baluginio guizzò nei suoi occhi, travolgente e pieno di sottintesi. «Spero che il vostro Dio abbia un posto in paradiso per voi, Jones.»

Pronunciò quelle parole in rapida successione ma in maniera distinta abbastanza da permettere al tenente di cogliere la sfida e la minaccia di cui erano portatrici. A quel punto, con uno scatto, si fece in avanti col capo e, impietosa, centrò la fronte di lui. Killian guaì, ed Emma con lui, ma non poté impedirsi di allentare la presa nella quale l’aveva costretta mani e corpo. La giovane fece per divincolarsi e, benché il suo proposito fosse sul punto di realizzarsi, dovette fronteggiare la rapida ripresa dell’avversario, nel momento in cui avviluppò per l’ennesima volta le proprie dita su uno dei suoi avambracci e la tenne saldamente legata a sé. Emma, tuttavia, non era disposta a dargliela vinta, tanto quanto Capitan Swan non aveva intenzione di perdere.

Quella che seguì fu una rapida, ben poco chiara successione di eventi: a dispetto di qualunque previsione, Emma ricambiò il gesto dell’uomo e, mantenendo saldamente la presa sulle maniche della camicia, lo tirò a sé e lo spinse via contemporaneamente, invertendo le posizioni. Mentre torreggiava su di lui, bella e feroce, i loro sguardi s’incontrarono, sospesi a mezz’aria, nello spazio occupato dai loro respiri affannosi; poi, contro qualunque aspettativa, Emma cominciò a rotolare, costringendo Killian ad assecondarla. Quando furono arrivati al margine del molo, le spalle di entrambi che sporgevano appena oltre le levigate pietre del porto di Durin, Killian scorse negli occhi di lei le fiamme di un fuoco che ardeva  di colori troppo vividi perché lasciassero spazio alla resa. Torreggiava su di lei, coprendola col proprio corpo come fossero un’unica cosa, ma non si era mai sentito più sopraffatto che in quel momento.

«Non sarà finita finché non mi avrete detto di mio fratello.» le disse e quella stessa luce che aveva intravisto nell’indomito verde si accese ancora, più calda e spaventosa della volta prima.

Lei sorrise, melliflua, ancora folle, sempre pirata. Infine parlò. «Avete ragione,» disse, il respiro corto, le gote imporporate, «non è ancora finita.»

E, con un ultima spinta dei fianchi ed un ultimo strattone, li gettò in acqua.

*

Emma osservò la fiamma della candela vibrare e acquietarsi, vibrare ancora e tornare allo stato iniziale, rubizza e bellissima come solo il fuoco avrebbe potuto essere nella sua forma più misera e piccina. C’era qualcosa, nella quiete dei suoi alloggi, che doveva essere impregnato di magia, qualcosa che rendeva quelle quattro mura di legno il posto più sicuro e confortevole al mondo, o, almeno, così parve a Emma nell’osservare i guizzi della fiammella a poca distanza dal suo viso: perfino essa, fragile come a volte la stessa Emma credeva di essere, appariva spavalda in quel luogo. Sorrise, stanca e spossata, ma non vi badò, consapevole che quel momento tutto suo le sarebbe servito per raccogliere le emozioni e fare di esse il proprio punto di forza, lasciandosi il resto alle spalle come se non fosse mai esistito, come se un passato non l’avesse avuto e, con esso, neppure un’identità.

Non poteva permettersi di essere qualcuno, buono o cattivo che fosse, perché questo avrebbe implicato dover rendere conto delle proprie azioni; ed Emma, questo, non poteva lasciare che accadesse. Aveva bisogno di trasformarsi nel mostro che sapeva di essere per ottenere ciò che aveva più a lungo agognato, ciò per cui aveva strenuamente lottato fino a rendere le memorie della persona che era stata vaghe, insensate immagini delle quali non sapeva che fare. L’Emma di quei ricordi era una persona sola, sofferente, prigioniera, indicibilmente stupida, vigliacca ed era quello a farle più male, la piena consapevolezza di essere stata causa dei propri mali, di non avere altri da biasimare se non il proprio riflesso nello specchio, quello specchio in cui non vedeva nient’altro che un pirata del quale non sarebbe stata in grado di dare spiegazioni, se mai fosse riuscita a salvare l’unica persona che avesse mai amato da che aveva respiro: suo figlio.

Henry era il bambino più fiducioso ed adorabile su cui i suoi occhi di giovane ragazza impreparata si fossero mai poggiati, il bambino cui aveva dato la vita in un moto di inesperienza mista a curiosità. Ricordava nitidamente di non aver mai amato il giovane uomo con cui lo aveva concepito, ma era certa  di aver voluto Henry come nient’altro e nessun’altro al mondo. Lui rappresentava tutto quello che le era sempre stato negato, tutto quello che il suo scellerato padre si era premurato non soltanto di farle mancare, ma perfino di portarle via. Il suo cuore batteva ancora il ritmo di una vendetta di cui avrebbe sempre avuto sete al pensiero delle parole che le aveva rivolto quel giorno di tanti anni prima, quando, tornando a casa con un sorriso soddisfatto ed un sacchetto di monete d’oro tra le mani, l’aveva trovata alla disperata ricerca di Henry. “Cerchi il ragazzo?” aveva biascicato, l’odore dell’alcool sui vestiti e sulle labbra annerite dal vino, “Oh, ci ha fruttato un bel gruzzolo! Siamo ricchi, adesso!”

Lo aveva venduto ad un peschereccio di manigoldi dall’accento straniero e dalla carnagione scura, trattandolo con lo stesso, inesistente riguardo che era solito riservare al bestiame di cui si curava durante il giorno per garantire loro il necessario per sfamarsi. Lo aveva gettato come fosse un peso, aveva incassato i suoi guadagni ed era andato a bere fino a svenire e quasi ammazzarsi in un accesso di tosse. Lo aveva dato via come se non avesse una madre, come se una manciata di monete potesse sanare la ferita che quel gesto aveva aperto nel cuore di Emma, squarciandola fin nell’animo e cancellando buona parte di ciò che era stata fino a quel momento. Il suo petto si stringeva come la prima volta, a distanza di cinque anni, al pensiero di quanto a lungo e disperatamente avesse cercato Henry, prima che un’anziana megera si prendesse la briga di dirle che, sì, aveva visto un bambino di non più di sei anni piangere e dimenarsi a bordo di un vascello che aveva lasciato il porto nella tarda mattinata.

«Stupida…» sussurrò, gli occhi inumiditi tra le folte ciglia chiare, e, stringendo il pugno, non poté impedirsi di trabalzare quando quel gesto la costrinse a guardare in basso per, poi, avvicinare l’arto alla fiamma della candela. C’era uno squarcio profondo che le attraversava obliquamente il palmo della mano sinistra, sulla pelle candida i residui del sangue che aveva tentato di lavare via prima di accingersi a rimuovere le schegge di legno che vi erano rimaste conficcate. Doleva, ma non quanto il pensiero di suo figlio e del modo in cui lo aveva perduto.

La porta dei suoi alloggi si aprì e richiuse poco dopo, ed Emma non ebbe bisogno di volgere il proprio sguardo verso l’ingresso per capire di chi si trattasse. Allungandosi appena sulle assi della sporgenza su cui era seduta, prese il proprio pugnale e lo accostò alla fiamma, osservandola lambire la consistenza fredda e dura del metallo, dapprima, da un lato e, infine, dall’altro. Puzzava di rum, lo stesso che aveva utilizzato per disinfettare la ferita, e trattenne a stento un moto di fastidio al ricordo di quanto a lungo avesse trasalito al contatto tra il liquido scuro e la carne viva.

«Perché non lasciate che sia il medico a vedervi la mano?!» La voce del tenente giunse da qualche parte oltre la scrivania alla sua sinistra e le labbra di Emma si piegarono in un sorriso. «Sembra messa male.»
Il capitano della Nostos non rispose, non subito almeno. Con la mente, ripercorse i momenti della caduta in acqua, il modo in cui si erano staccati l’uno dall’altra per cercarsi il momento immediatamente successivo, sebbene per ragioni diverse. Emma era stata implacabile, furiosa, assassina e i suoi pugni si erano abbattuti impietosi sul viso di Killian; ma non si era limitata ad attaccare perché aveva anche subito: nel tentativo di fermarla ed evitare che annegassero entrambi, l’uomo aveva mosso le braccia al fine di catturare quelle di lei e, al contempo, avvicinarla a sé, mentre la brezza notturna scuoteva mare e imbarcazioni rendendo quel posto una trappola mortale per chiunque vi si fosse trovato; i suoi calcoli erano stati errati, tuttavia, e, mentre Emma si divincolava con l’intento di colpirlo, la mano di lui si era scontrata con violenza con il viso dell’altra, facendole sanguinare un sopracciglio. Colta di sorpresa dalla virulenza del colpo, il pirata aveva smesso di nuotare per un attimo e, se non fosse stato per il bruciore che l’acqua salmastra le aveva provocato a contatto con la lieve ferita e per le braccia di Killian che l’avevano prontamente tirata su, ne avrebbe bevuto più di un semplice boccone.

A quel punto, aveva tossito, e forte, e si era lasciata guidare contro la parete del molo, entrambi più lenti di quanto non sarebbero stati in condizioni migliori. I colpi che avevano rispettivamente ricevuto e inferto li avevano indeboliti e i movimenti dell’acqua avevano reso difficoltoso perfino il più semplice dei compiti. “Killian!” aveva urlato a quel punto la voce di Stecco, “Corpo di mille balene, vi ammazzerete! Vado a chiamare aiuto!”  aveva proseguito e Killian non avrebbe potuto essere più d’accordo, considerato il modo in cui Emma continuava a dimenarsi. “State ferma, dannazione! Potrete ammazzarmi quando saremo sulla terraferma, ma, adesso, evitiamo di fare la fine dei miei soldati” le aveva detto, lo sguardo di fuoco nonostante avesse evidentemente fatto dell’ironia, ma lei lo aveva guardato con fare torvo, colpendolo alla spalla più duramente di quanto non si fosse aspettato. “Razza di idiota! Datemi una mano e ci penso io a farci uscire di qui!”

E aveva mantenuto la sua parola… più o meno. Accostandosi ad uno dei pali in legno della banchina, il capitano della Nostos aveva estratto il coltello che teneva alla cintola e, conficcandolo nel corpo dell’asta, aveva fatto leva con l’altra mano nel tentativo di scalarla; stranamente collaborativo – o, almeno, era quello che Emma aveva pensato per convincersi che l’idea di scalciare fino a colpirlo, per quanto allettante fosse, non li avrebbe aiutati in alcun modo -, Killian era venuto in suo soccorso e le aveva fatto da supporto, rendendole più semplice la salita. Era stato a pochi centimetri di distanza dal pavimento della banchina che la situazione era precipitata, nel momento in cui il colpo del pugnale era penetrato troppo a fondo, spezzando il palo nella parte alta e costringendo Emma ad agire d’impulso prima che fosse troppo tardi: sorretta da Killian, la mano di lei aveva raggiunto la sommità del palo ed era stata ad un passo dall’issarsi con le forze che le rimanevano e raggiungere la salvezza, quando, complici l’umidità che impregnava le tegole del pavimento e l’acqua che le bagnava le dita, la sua presa era venuta a mancare e d’istinto aveva stretto la porzione del palo divenuta sporgente, conficcandosela nel palmo. Aveva imprecato in modo neppure troppo signorile e sarebbe precipitata nuovamente in acqua, se Diego non l’avesse prontamente afferrata, lasciando a Stecco, Julio e un altro dei loro il compito di occuparsi del tenente. Perfino in quel momento, Emma aveva compreso che la loro diatriba non fosse finita lì.

«Mai quanto la vostra faccia, tenente.» disse, l’espressione impertinente mentre si voltava, ma priva dell’usuale tono di scherno con cui era solita farsi beffe di lui. E Killian lo comprese, perché c’era qualcosa di estremamente fragile nella figura accovacciata in prossimità del cero, con i lunghi capelli umidi che le sfioravano le spalle coperte da una camiciola bianca e l’arcata sopraccigliare attraversata il verticale da un taglio netto. Il senso di colpa, benché sul suo stesso viso fossero presenti molte più tumefazioni, gli strinse lo stomaco: non aveva mai, mai alzato le mani su una donna in tutta la sua vita.

Piano, avanzò verso di lei finché non l’ebbe raggiunta, i rispettivi sguardi impassibili l’uno nell’altro. «Fatemi vedere.» fece lui, cauto, e si protese per prenderle la mano. Emma lo lasciò fare, ma trasalì e tentò di ritrarla quando l’uomo sfiorò la porzione vicina alla ferita; la stretta di lui, tuttavia, rimase salda e continuò ad osservarle la mano con quello stesso fare intento che, si disse la giovane, doveva adottare quando studiava una mappa o un prigioniero gli dava troppo da pensare. Piano, rise. «Cosa trovate tanto divertente?»

Se possibile, il tono severo con cui le pose la domanda, mentre accostava appena la candela all’arto e lo ispezionava attentamente, acuì il suo divertimento. «A parte il fatto che siete sempre così serio?» chiese retorica, prendendosi gioco di lui com’era solita fare, e il suo spirito parve rinvigorirsi. «Immaginavo che, se foste riuscito a catturarmi e fossi stata vostra prigioniera, la vostra espressione sarebbe stata perennemente quella che avete adesso in volto.»

A quelle parole, Killian sorrise e alzò lo sguardo per osservarla, il sopracciglio drammaticamente inarcato. «Sareste stata un gran bel grattacapo!» le concesse ed Emma annuì, mordendosi il labbro con noncuranza. Mentre si protendeva con la mano destra a prendere il coltello, l’uomo non riuscì a impedirsi di guardarle la bocca, anche solo per un istante. «Lasciate che faccia io.» le disse e le sue parole suonarono quasi come una preghiera. La giovane esitò un attimo, trattenendo il respiro come per raccogliere i pensieri e trovare la risposta più idonea.

«Non credo sia il caso.» replicò infine. «Non mi fido di voi con un coltello in mano, mentre siamo da soli nei miei alloggi e-»

«Begli alloggi, a proposito.» la interruppe ed Emma sorrise con fare altrettanto malizioso, quando Killian fece un gesto eloquente in direzione del letto. «E vorrei aggiungere che Diego è giusto fuori dalla porta, se aveste bisogno di assistenza.»

«Lo stesso che vi ha permesso di entrare?» chiese e il tenente ridacchiò, facendosi appena più vicino per dare maggiore significato alle sue parole. Avrebbe voluto dirle che era stato il primo a stupirsi della condiscendenza dell’energumeno, nel frangente in cui lo aveva visto acconsentire alla sua richiesta di parlarle, e che, in tutta franchezza, aveva fatto ingresso nelle sue stanze pronto ad un assalto in piena regola, ma preferì sorvolare.

«Lo stesso che mi ha dato dieci minuti di tempo, prima di fare irruzione.» precisò lui e, per un istante, entrambi si chiesero che significato avesse quello stato di strana quiete dopo la tempesta. Implicava, forse, che fosse in arrivo un’altra bufera? Erano trascorse solo poche ore dall’ultima che avevano affrontato e nessuno dei due pareva pronto a fronteggiare la successiva. Pareva. «Datemi il pugnale.» ripeté e, stavolta, Emma lasciò che Killian s’impossessasse dell’arma.

Fu più delicato del previsto e lavorò rapidamente e con fare alacre, stando ben attento ad eliminare ogni scheggia di legno e pulendo la ferita per evitare che si infettasse. Se non fosse stata sul punto di svenire per il dolore, Emma avrebbe perfino trovato il coraggio per canzonarlo, ma uno strano, basso ronzio aveva preso a fischiarle nelle orecchie e, d’un tratto, la sua mente aveva cominciato ad annebbiarsi. Per un istante, ebbe l’impressione di poter essere qualcuno: la giovane ragazza che aveva reso omaggio alla città di Durin, il capitano di una nave straordinariamente bella, l’avventuriera che aveva piena fiducia nella sua ciurma, la madre che il destino le aveva impedito di essere; poi, una vocina le sussurrò che nulla di tutto ciò era possibile, che non poteva permettersi un lusso del genere, che qualunque opportunità di una vita normale le avessero offerto sarebbe stata un’illusione, fandonie come quelle che le aveva raccontato Liam. E, allora, si sentì nessuno com’era giusto che fosse.

«Emma, ehi!»

Adagiandole la mano ferita sulla coscia, Killian le cinse le spalle con un braccio e lasciò che si appoggiasse al suo petto, ma Emma si ritrasse con prontezza, benché la sua espressione la dicesse lunga su quanto fosse stordita. L’uomo sospirò e fu sul punto di dire qualcosa, quando gli occhi verdi di lei incontrarono i suoi e lo costrinsero a tacere.

«Non l’ho ucciso. » proruppe. «Era ancora vivo, l’ultima volta che l’ho visto.» Nel parlare, un respiro tremulo abbandonò le sue labbra, come se quell’ammissione le fosse costata più fatica di quanto non ci si potesse aspettare. «Non è stato facile conquistarmi la sua fiducia,» proseguì e il ricordo la fece sorridere, «ma è stato decisamente più semplice che avere a che fare con voi.» Killian accennò un sorriso, benché il suo corpo e il suo animo fossero in tumulto. «Un giorno, quando era oramai integrato col resto della ciurma  un po’ meno di come lo siete voi adesso, ebbe uno scontro con uno degli uomini di Barbanera. Aveva colto una stupida, stupida sfida che era stata creata con l’intenzione di smascherarlo. C’era qualcosa di troppo pulito, di troppo brillante in lui perché potesse passare per un pirata e il porto in cui ci recammo subito dopo la sua cattura era ben lontano dalle sembianze di quello di Durin.» Emma ricordò i postriboli, i locali lerci, il disappunto di Liam e l’espressione con cui le aveva chiesto come facesse a frequentare luoghi del genere; se fosse dipeso da lui, le aveva detto un giorno, l’avrebbe vestita di seta e messa in un giardino a bere tè e mangiare biscotti e avrebbe trascorso tutto il giorno a guardarla. Quando lo riferì a Killian, quest’ultimo rise ed Emma gli rivolse un’occhiata significativa. «Vostro fratello aveva una versione un po’ distorta di me, non importava quante cose terribili mi vedesse fare, e continuava a dire che dovessi essere figlia di un nobiluomo. Avreste dovuto vedere quanto si infuriava, quando rispondevo che, se così fosse stato, non avrei potuto essere niente di più che una bastarda.»

Ancora, Killian ridacchiò e la guardò come se capisse perfettamente quello che intendeva, come se, a sua volta, gli avesse dato le stesse identiche delusioni. «Nessuno sa smontare i sogni di uomo meglio di voi, non c’è che dire.»

La bocca di Emma si mosse a riprodurre una smorfia da canaglia, la stessa che la rendeva bella di un’incredibile carica seducente perché rispecchiava perfettamente il suo spirito gagliardo. «Potrei cogliere la vostra provocazione e rispondere che, d’altro canto, nessuno sa montare un uomo meglio di me, ma credo che non lo farò, per questa volta.» Killian avrebbe voluto rimbeccarla e dirle che lo aveva appena fatto, ma non fu necessario, perché il suo sguardo parlò per lui come sempre accadeva e perché Emma ne era già perfettamente consapevole. «Dopo quello scontro,» riprese lei, «vostro fratello ne uscì pesantemente sconfitto: aveva contusioni e ferite ovunque e alcune di esse si infettarono. Il medico di bordo impiegò più di un mese per rimetterlo in sesto e fui costretta a cedergli il mio letto.» Il tenente inarcò le sopracciglia, ma la giovane fece spallucce. «Non fu una gran perdita, perché non ne ho mai fatto molto uso da che sono capitano della Nostos.» Il suo sguardo rifuggì quello dell’uomo, percorrendo la stanza, ed ella ispirò a lungo. «Ad ogni modo, nel delirio della febbre, vostro fratello mi scambiò a volte per voi, a volte per vostra madre, a volte per il mostro che sono,» Killian trasalì impercettibilmente a quelle ultime parole, quasi il suo corpo rifiutasse ancora di vederla sotto quelle sembianze, «e, quando si fu ripreso e poté ricordare, ne rimase talmente turbato che mi sentii in dovere di raccontargli la mia storia.»

«Sul serio?» non riuscì a impedirsi di chiedere ed Emma ridacchiò, annuendo sommessamente.

«Vostro fratello ispira molta più fiducia di voi, Killian, senza considerare che non mi ha mai né minacciata, né aggredita.» lo punzecchiò, ma non suscitò in lui la reazione che si sarebbe aspettata. Il viso dell’altro si incupì e, nel momento in cui i suoi occhi si soffermarono sullo zigomo arrossato e sul taglio al sopracciglio che le aveva causato, Emma comprese. «Non prendetevela troppo, tenente. Guardate come siete ridotto!»

«Non è una giustificazione. Non avr-» fece per dire.

«Non lo avete fatto intenzionalmente, Killian, e non siete il primo uomo che mi mette le mani addosso. Quindi, se pensate di avermi ferita, o sconvolta, od offesa, tirate pure un sospiro di sollievo.» L’espressione di lui divenne, se possibile, ancor più tetra ed Emma sospirò, snervata. «Ma com’è mai possibile che siate sempre così cupo? Sacripante, è una cosa che non riesco a capire!» sbottò e lo vide accigliarsi al punto tale che seppe in anticipo le avrebbe rivolto di lì a breve l’espressione di rimprovero che non mancava mai di farle sapere quanto la biasimasse.

«Nel vostro mondo, sarà forse normale che si maltratti una donna, ma nel mio non è buona educazione fare nulla del genere. E’ piuttosto disdicevole!» le disse e nessuno dei due prestò attenzione al fatto che il tenore della conversazione fosse improvvisamente cambiato.

«Voi e la vostra buona educazione, ed etichetta, e galateo!» ribatté in un mottetto che aveva tutta l’aria di essere una canzonatura. «Perché le donne sono dei delicati bocciuoli da proteggere contro ogni intemperie, non è così?!» Nel pronunciare quelle parole, batté rapidamente le palpebre con fare sarcastico e civettuolo a un tempo e si alzò, spingendolo via con la mano illesa e muovendo qualche passo in direzione opposta. «Al diavolo voi, quel tipo di donna, i boccioli  e le margherite!»

L’attenzione del capitano della Nostos si soffermò sulla bottiglia di rum che aveva lasciato sulla scrivania, vi si accostò, la prese e si sedette sulla superficie del tavolo, ponendosela in grembo; avendo tutta l’intenzione di aprirla, avvicinò la sedia sulla quale era solita trascorrere le sue notti, vi posizionò i piedi e incastrò la bottiglia tra le gambe appena divaricate, stringendole quel tanto che bastava ad evitare che cadesse. La sua espressione si contrasse un poco quando, per errore, accostò la mano al vetro del fiasco e lo macchiò di sangue.

«Emma!» la canzonò bonariamente Killian, ma non mosse un passo in sua direzione e la giovane non prestò ascolto ai suoi richiami. «Emma!»

Con un leggero pop!, il tappo si staccò ed Emma non perse tempo: agguantando la bottiglia per il collo, la alzò a mo’ di brindisi, gli rivolse un sorriso ed un cenno del capo che definire sarcastici sarebbe stato un eufemismo e si accinse a bere. Ingollò un lungo sorso di rum, poi un altro più piccolo ed, infine, allontanò il fiasco dalle labbra, sospirando pesantemente; per un lungo minuto, non lo guardò neppure e rimase a fissare un punto imprecisato della sporgenza sulla quale rimaneva l’ultimo mozzicone di una candela ormai consumata.

«Ve ne offrirei un sorso,» fece e si voltò a guardarlo, gli occhi improvvisamente roventi, quasi avessero raccolto la fiamma del cero e se ne fossero appropriati, «ma scommetto che la vostra buona etichetta non sarebbe d’accordo.»

Killian si chiese quale fosse il segreto per avere a che fare con lei, cosa dovesse fare una persona sana di mente per non perdere il controllo ed impedire che, un momento prima, Emma fosse la creatura più affascinante del pianeta e, quello dopo, l’essere più indisponente che uomo, donna o bambino avessero mai avuto modo d’incontrare. Il ricordo del bacio che si erano scambiati, a fronte di tutto quello che era accaduto dopo, era di poco dissimile dall’avere i contorni della mera fantasia e, con un mezzo sorriso sghembo, il tenente non poté fare a meno di accostarla ad un pesce appena catturato: un istante prima, dava l’impressione di essere morto o, quanto meno, di essersi arreso e, quello successivo, cominciava a dimenarsi e fuggiva via senza lasciare traccia.

«A dire il vero, non mi dispiacerebbe.» disse lui.

«Ottimo!»

A quelle parole, il capitan pirata  scese dalla scrivania, si diresse presso un mobile in legno scuro e, aprendone l’anta, ne estrasse due bicchieri, posizionandoli sulla sommità dello stesso per riempirli fino all’orlo; quando ebbe finito, ne prese uno e lo porse a Killian.

«Vi ringrazio.» fece e inclinò il capo in un galante gesto di riconoscenza.

«Non avevo dubbi.» ribatté la giovane e, nel farlo, tornò indietro per prendere la bottiglia, lasciando l’altro bicchiere intatto sul mobile. Allo sguardo curioso del tenente, ella fece spallucce e disse: «Il racconto di vostro fratello non è ancora finito e, quando tutto sarà terminato, potreste averne bisogno per distendere i nervi.»

Fu a quel punto che Emma riprese la narrazione. Gli novellò di un’inaspettata amicizia tra lei e Liam, di come il giovane capitano della marina militare si fosse offerto di aiutarla a compiere la sua missione e di quanto, a volte, si fosse crucciato di aver preso una simile scelta, pensando a Killian. Gli disse, inoltre, che aveva parlato spesso di lui, delle loro scorribande, di come fossero cresciuti insieme e fossero stati sempre inseparabili, e volle porre l’accento sul fatto che Liam l’avesse descritto come una cocciutissima testa di rapa, cosa di cui il tenente non poté dubitare perché apparteneva pienamente allo stile del fratello.  Aveva tre anni più di lui e, benché Killian fosse il più severo e rigido tra i due, si era sempre preso cura di entrambi come ci si sarebbe aspettati da un fratello maggiore; quando era stato catturato dalla Nostos, aveva avuto la stessa età che Killian aveva in quel momento. A questo punto, doveva essere giunto ai trentatré.

Nel corso della narrazione, l’uomo realizzò quanta ragione avesse avuto Emma e attinse all’altro bicchiere con ingordigia; nel suo animo, si agitavano emozioni così diverse e contrastanti che non avrebbe saputo darvi un ordine e una collocazione precisi e, per tale ragione, decise di lasciarle andare a briglia sciolta e non le trattenne. Si sentì sollevato, frustrato, speranzoso, nostalgico, arrabbiato perfino e più si avvicinava la fine del racconto, più aumentava la voglia di bere, più diminuiva la sua lucidità: era come se la stanchezza dell’intera giornata gli fosse caduta addosso d’improvviso e le sue palpebre cominciarono a farsi talmente pesanti che fece appena in tempo a registrare l’informazione che suo fratello fosse prigioniero di un losco individuo, prima di essere costretto a reggersi alla scrivania.

«Killian,» sussurrò lei e la sua voce fu così tenue e dolce che Killian non oppose resistenza, quando Emma si fece passare il braccio dell’uomo attorno alle spalle e gli cinse la vita con l’altro, dandogli dei leggeri colpetti al viso con la mano lesa per evitare che crollasse addormentato, «state sveglio, su. Lasciate che vi accompagni a letto!»

«Che, che succede?» Biascicò le parole, ma la sua mente, in qualche anfratto recondito e ancora lucido, registrò che il pirata lo avesse soccorso con fin troppa solerzia, quando aveva accusato quell’improvviso senso di stanchezza, e che non stesse facendo nulla per cacciarlo dai suoi alloggi. «Cosa mi avete dato?»

«Niente di velenoso, tenente, state tranquillo.» gli spiegò, aiutandolo a camminare e trovando un valido sostegno nella scrivania. «E’ un’erba che, in dosi massicce, può portare alla morte, ma io ve ne ho somministrato giusto un po’ e sta esperendo il proprio effetto soporifero come mi aspettavo che facesse.» Inciamparono, ma ella fu forte abbastanza da evitare che ruzzolassero in terra. «Fate attenzione!»

«Perché?» domandò, gli occhi oramai completamente chiusi, ed Emma lo picchiò un po’ più forte sul viso perché li aprisse.

«Perché devo portare a termine una missione e voi mi tenete troppo sotto controllo. Quando vi sarete svegliato, io sarò lontana e Diego e Stecco si prenderanno cura di voi.» tentò di fargli capire e, quando furono arrivati a letto, lo aiutò a sedersi e, alfine, a stendersi.

«Diego…» disse con voce impastata ed Emma annuì.

«Proprio così. Non avrete davvero creduto che vi facesse entrare contro il mio personalissimo volere?! Oh Killian!» si prese gioco di lui, con quel tono stucchevole che sarebbe risuonato nella sua testa a lungo durante il sonno e la veglia, quando si fosse svegliato.

«Vi troverò...» furono le sue ultime parole e, benché suonassero ben diverse da come avrebbero dovuto, Emma ricordò che Killian le avesse fatto la stessa, identica promessa la sera del ballo, quando, dopo averlo ferito, era riuscita a fuggire e lui si era lanciato al suo inseguimento.

Con la mano indenne, gli sfiorò il viso e, piano, si chinò su di lui, poggiando le proprie labbra sulle sue. Quando interruppe il contatto, gli occhi verdi si posarono sul bel viso che aveva davanti e pronunciò le seguenti parole: «Mi dispiace, Killian Jones, ma sono Giuda e questo è il mio bacio.»



_________________________________________________________________
Spazio dell'autrice:

E' tardi, sono stanchissima, ma non vedevo l'ora di terminarlo e postarvelo. Quindi, ne è valsa la pena!
Chiedo scusa alle ragazze che hanno commentato e cui non ho potuto rispondere personalmente, ma, tra studio ed estate trovo davvero pochissimo tempo per connettermi. Due parole, però, ci tengo a spenderle: vorrei sapeste che, per quanto sciocco e poco credibile possa sognare, i vostri commenti hanno cambiato le mie giornate, facendomi sorridere quando non ne avevo voglia, ridandomi il buonumore quando di buono c'era davvero poco,  rendendo più solida e vigorosa la vena dell'ispirazione. Potrà apparire davvero estremamente esagerato, ma credetemi se vi dico che è così e che non sono riuscita a trattenere per me l'entusiasmo, al punto da farli leggere ad alcune persone cui era difficile spiegare i miei sbalzi d'umore senza una prova tangibile. Sospettavano già una liason con chissà chi, ma la verità è che, al momento, la mia liason è la scrittura e, a modo vostro, ognuno di voi. 
Quindi, un grazie speciale a A lexie s [Grazie anche per i complimenti alla pagina! <3], Emma JonesCloris84 e Ibetta. Siete state splendide!
Per il resto, ringrazio tutti gli altri, le persone che leggono e si appassionano e siete molti più di quelli che avrei soltanto potuto sperare. Il merito è anche vostro e questa storia un po' vi appartiene, al punto che spero riusciate a sentirla anche un po' vostra. Le visualizzazioni, il seguire/preferire/ricordare la mia storia ... Davvero, grazie! <3

Quanto al capitolo, mi restano da dire le seguenti cose:
1. Si scopre un po' di più sul passato di Emma e sotto due diversi aspetti. Mi sono limitata ad accennare, perché ho intenzione di affrontare il tutto dopo, in maniera più sistematica, ma mi era utile che sapeste per capire il gesto finale di lei, il suo trasformarsi in Giuda. Le sue motivazioni sono forti e le sue reazioni altrettanto, ma, adesso, potrete cominciare ad immaginare cosa abbia dato vita al mostro che è in lei. Inoltre, ci tengo a dire che sono consapevole che il regime temporale del bacio di Giuda [prima bacio, poi tradimento materiale]potrebbe apparire invertito, perché, IN TEORIA, lei lo ha già tradito drogandolo, M A, in pratica, lo bacia prima di andar via, quindi il tradimento non è ancora completato.
2. Spero che vi sia piaciuto quello che ho deciso di raccontarvi. Non ha a che vedere col bacio dell'ultima volta, ma - non so se avete avuto la stessa impressione - nello scrivere l'ultima parte, quando lei dà di matto sul modo in cui Killian vede le donne e lui la asseconda, mi sono resa conto di aver pensato "Ma com'è che sembrano già quasi una coppia?!"... Ogni tanto, quando non si scannano o picchiano o tentano di affogarsi!
3. Ci saranno tonnellate di errori, ma prometto di correggere quanto prima. 

G R A Z I E !


 

Ritorna all'indice


Capitolo 8
*** Il fidanzato di un pirata ***


Capitolo VIII
Il fidanzato di un pirata

 
Era un dato di fatto che, della sua previa identità, Emma avesse conservato ben poco; e testimonianza ne era il fatto che, nonostante alcuni dei suoi uomini non soltanto conoscessero la storia che l’aveva cambiata tanto profondamente ma avessero assistito ad una parte di tale trasformazione, quasi nulla fosse rimasto della donna che, un tempo, era stata.

Risaliva a cinque anni prima l’ultima apparizione di Emma Swan in tutto il suo mediocre splendore e il capitan pirata ancora sorrideva amaramente al ricordo del suo passato, nella piena consapevolezza che una parte di lei desiderasse cancellare ogni traccia degli errori commessi come se potesse bastare a lavar via il senso di colpa che le succhiava via ogni briciolo di energia, rendendole pan per focaccia e colmando le sue notti di incubi e bruschi risvegli. Emma aveva smesso di lamentarsi durante quegli episodi e aveva finito, piuttosto, per bramarli, assuefatta da una punizione che, sin dall’inizio, aveva pensato di meritare e con la quale si flagellava anima e corpo per non dimenticare mai quanto alto fosse il prezzo della debolezza.

Ella era nata una tarda notte di venticinque anni orsono, nella casupola di un guardaboschi ai margini del villaggio di Pleuk. La sua venuta al mondo era stata festeggiata con gioia da chi l’aveva messa al mondo e, alla loro letizia, si era presto accompagnata quella dei pochi ma affezionati vicini che avevano udito il primo urlo di una lei neonata echeggiare a lungo per i sentieri della foresta. Da quel momento, e per molti anni a venire, aveva condotto un’esistenza modesta ma incantevole, cresciuta tra le premure della madre e le attenzioni, seppur sporadiche, di un padre taciturno e tendenzialmente tetro. “Jack, amor mio!” era solita chiamarlo lei con voce squillante e una risata dirompente, spingendolo a guardare ora quello, ora quell’altro risultato ottenuto in uno dei suoi molteplici interessi; e Jack, che aveva la fama di essere un musone e un solitario, si lasciava andare ad un sorriso e, come per magia, i suoi occhi si accendevano di un’emozione che assai di rado osava colorarne gli umori . Molto tempo più tardi, quanto era stata una giovane donna assai più consapevole di come funzionasse il mondo, Emma aveva compreso che la madre, quella creatura così armoniosa nei modi e frizzante nelle espressioni, fosse stata l’unico appiglio che aveva tenuto il padre lontano dal precipizio che aveva minacciato di inghiottirlo per una vita intera. Sole, la chiamava lui, perché ella rappresentava l’unica fonte di luce in grado di rischiarare il suo mondo.

Alla luce di tutto ciò, non era difficile comprendere per quale ragione non vi fosse stata alcuna via di scampo, nessuna possibilità di salvezza per Jack quando, un giorno, al calar della sera, sulla via del ritorno verso casa con la bisaccia piena di selvaggina, aveva trovato il corpo di lei esanime lungo il sentiero, un sorriso spento sulle labbra ormai violacee e lo sguardo vuoto perso in un punto imprecisato tra le radici degli alberi. Doveva averla osservata a lungo senza avere il coraggio di toccarla e doveva aver taciuto per un tempo altrettanto esteso, perché, negli anni successivi a quell’episodio, crescendo al suo fianco mentre il vizio divorava non solo il buono che c’era in lui ma anche l’affezione che aveva provato nei suoi confronti, Emma aveva avuto l’impressione di poter scorgere negli occhi del padre i tratti di quella brutale immagine in più di un’occasione. L’alcool aveva in parte lenito l’acume del suo dolore, ma non era stato in grado di portare con sé ciò che era stato.

Emma ricordava a tratti gli eventi di quella notte fatale, ma le poche memorie che la sua mente le aveva permesso di mantenere erano nitide come marchi impressi a fuoco: l’urlo disperato di un uomo non troppo distante dalla casa della vicina ove la madre l’aveva lasciata poche ore prima; l’immagine di suo padre che, lontano oltre il vetro della finestra, avanzava con un corpo di donna inerme tra le braccia, il volto una maschera di disperazione che avrebbe cancellato per sempre la parvenza d’uomo che era stato; lo sgomento della vicina quando con un “Santo Cielo!” le aveva coperto gli occhi e le aveva intimato di rimanere in una stanza finché non fosse stata lei a chiamarla; l’incessante martellare del suo cuore che, rintocco dopo rintocco, le aveva suggerito che nulla sarebbe mai più stato come prima e che, in quel preciso istante, aveva perduto ogni cosa cui fosse stata affezionata.

Era cresciuta in fretta in seguito a quell’accaduto e non era stata più grande che di pochi anni rispetto a Henry, il giorno in cui le era stato brutalmente portato via. Di quel periodo, Emma aveva reminiscenze confuse perché lo stacco era stato così netto con la vita che aveva condotto fino ad allora da farle credere che, in fondo, non si fosse trattato altro che di una fantasia, di una stupida e puerile illusione con la quale aveva sperato di giustificare la spregevolezza delle sue azioni successive. Si era, per così dire, strenuamente legata alla convinzione che non fosse poi tanto inverosimile il pensiero che quella donna, quella Sole, non fosse mai esistita e che Jack fosse semplicemente stato il bastardo che l’aveva picchiata, umiliata e privata di qualunque cosa avesse amato senza nessun motivo particolare all’infuori del perverso gaudio che da ciò era riuscito a trarre. Accettare quella versione la liberava dal peso di aver perduto ogni briciolo di compassione con la partenza di Henry, le permetteva di pensare che il trattamento cui aveva sottoposto suo padre come capitano della Nostos avesse i contorni di una – pur barbara – forma di giustizia.

«Emma?»

Sobbalzò, come infilzata da un enorme spadone, e si guardò intorno spaesata per realizzare, poco dopo, di aver affrontato per l’ennesima volta uno di quei viaggi mentali che avrebbe dovuto evitare più degli ufficiali della marina. A quel pensiero sorrise e, senza pensarci troppo, saltò giù dallo steccato sul quale aveva trascorso l’intera giornata, voltandosi un’ultima volta per osservare il lontano, sinuoso incedere del fiume.

«Ah, sei qui, allora!» fece una voce alle sue spalle, costringendola a dirigere la propria attenzione in direzione opposta a quella del corso d’acqua, e con una certa riluttanza. Quando i suoi occhi verdi incontrarono quelli della sua interlocutrice, brillarono alla luce insistente di un sole guardone. «Ebbene?» chiese la giovane, posizionando entrambe le mani sui rispettivi fianchi. «Ti sembra educato fingere di non sentire?»

Il sorriso sulle labbra di Emma si fece più ampio, nell’instante in cui scorse una sfumatura di disapprovazione nel tono dell’altra, quasi il suo mondo girasse al contrario: dove gli altri cercavano il plauso, ella si rallegrava del loro biasimo. «E tu non credi che fare gli occhi da cerbiatto a quel ragazzo giù al mercato sia da vera sgualdrina?»

A quelle parole, un’ondata di pudore e vergogna imporporò le guance della giovane che fronteggiava la donna pirata con tanta confidenza ed Emma osservò la bocca di lei aprirsi, chiudersi e tremare a più riprese, prima che recuperasse la sua compostezza e si esibisse in un sorriso beffardo che il capitano della Nostos non le aveva mai visto in volto. Olivia era una fanciulla dai colori scuri e dai modi semplici e garbati e, nonostante fosse furba come una volpe, non brillava per sfacciataggine; e questo aveva reso più evidente di quanto già non fosse le differenze con la misteriosa donna dalla fulgida chioma bionda che aveva incrociato il suo destino poche settimane prima.

Che Emma fosse un’ammaliatrice era una realtà di fatto! Ma che potesse essere in grado di conquistare anche la completa fiducia di un’intera famiglia era un risultato che ella stessa non aveva mai sperato di raggiungere. Quando, qualche ora dopo aver drogato il tenente Jones e averlo lasciato incosciente nei suoi alloggi, il pirata aveva abbandonato i sicuri confini della Nostos col benestare di Diego e Stecco e, dopo un’intera notte in viaggio a bordo di una carovana, era giunta a Weston, la sua mente non era mai stata seriamente sfiorata dall’ipotesi di essere accolta nelle grazie di un nucleo familiare amorevole quanto quello cui Olivia apparteneva. Oltre ai genitori, la morettina aveva due fratelli e due sorelle e non importava che non avessero un tenore di vita tale da potersi permettere di spendere e spandere, perché le avevano offerto un posto alla loro tavola e nei loro letti con una cordialità che Emma aveva creduto inverosimile.

Erano trascorse più di due settimane dal momento in cui le sue trame si erano intrecciate col quieto vivere dei Kowl e, per quanto strano potesse apparire, il giovane capitano non si era mai sentita meno inquieta ed elettrizzata a un tempo all’idea di lasciarli: una parte di lei aveva sviluppato una strana quanto sincera affezione per quelle persone, l’altra manteneva la consapevolezza non soltanto della missione che l’aspettava ma del fatto che una famiglia, per quanto sgangherata e bizzarra, Emma l’avesse già e non vedeva l’ora di farvi ritorno.

«E tu, che non hai mai menzionato di avere un uomo tanto affascinante come fidanzato e che hai fatto innamorare il mio povero fratello maggiore, cosa saresti allora?» domandò, battendo il piede sul suolo sterrato ad un ritmo che sapeva di soddisfazione e vittoria. A quel punto, tuttavia, Emma perse qualunque interesse per la loro piccola sfida verbale e cominciò a vorticare nella sua mente la strana quanto plausibile ipotesi che qualcuno l’avesse trovata; e, se c’era qualcuno che avrebbe potuto incaponirsi a tal punto per scoprire dove fosse diretta e metterle i bastoni tra le ruote, qualcosa le disse che quello era l’uomo che aveva raccolto e spogliato delle insegne militari nelle acque del porto di Thrain.

«Di cosa stai parlando?» fece cautamente, le lunghe onde bionde mosse dal vento che filtrava tra gli alberi, attraversando le trame di cotone della camicia che le era stata gentilmente ceduta.

«Andiamo! Non fare la finta tonta con me.» ribatté Olivia e il morboso dubbio  che aveva subitaneamente partorito all’accusa di lei cominciò a crescere in Emma, trasformandosi a poco a poco in una certezza latente. Ma era davvero possibile, si chiese, che le sue precauzioni non fossero servite a nulla e che i suoi sogni di gloria fossero stati sfatati con una simile celerità? «Dimmi chi è quel bell’imbusto seduto in casa mia, che chiede di te con tanta urgenza.»

Le palpebre del pirata batterono più volte e, inspirando profondamente, ella si costrinse a mantenere la calma. «Ti prego di descrivermelo, Olivia.» si limitò a dire, ma lo fece in tono così grave e solenne e con una pacatezza tanto innaturale che la spavalderia dell’altra si trasformò presto in curiosità e, infine,  come fiutando il pericolo, in circospezione.

«E’ piuttosto alto, spalle larghe e vita leggermente più stretta. Ha la carnagione abbastanza chiara, occhi azzurri, capelli e barba scuri e-» fu sul punto di continuare, ma Emma la interruppe.

«Modi garbati, quasi nobiliari, faccia da schiaffi e accento affascinante.» concluse per lei, alzando gli occhi al cielo e rendendosi conto solo dopo di aver messo una mano al fianco e di avere portata l’altra all’altezza del viso, per strofinarlo una, due, tre volte quasi a lavar via la stanchezza che quella recente scoperta le aveva gettato addosso.

«Ti ha fatto del male? Ha approfittato di te in qualche modo?» A quelle parole, il capitano della Nostos rise, memore dell’ultima occasione in cui si era trovata faccia a faccia con l’uomo della descrizione e consapevole del fatto che, se Olivia fosse stata a conoscenza della natura dei loro rapporti, avrebbe dovuto modificare il destinatario delle sue preoccupazioni. Ma, del resto, la ragazza non sapeva nemmeno chi Emma fosse in realtà. «Em?»

Il pirata sospirò e, tornando a guardare l’altra negli occhi, le regalò l’unico assaggio di verità che, per quel momento, avrebbe potuto concederle. «Ascoltami, Olivia, e fallo attentamente.» iniziò e la sua interlocutrice avanzò in sua direzione, finché non furono a pochi passi l’una dall’altra. «Ricordi quando ci siamo conosciute?» La giovane si limitò ad annuire, mantenendo il proprio sguardo fermo in quello di Emma. «Ti dissi subito che non avrei potuto rivelarti chi ero, cosa ci facessi qui e che, ad un certo punto, sarei dovuta andare via. Quel momento è arrivato e ho bisogno che tu mi dia una mano.» fece e, quando Olivia tentò di schiudere la bocca nel tentativo di parlare, la zittì con un secco movimento del polso, come non aveva mai fatto. «Non c’è tempo per le spiegazioni, non per tutte almeno. Se ne avremo mai occasione, saprai tutto quello che c’è da sapere ma, al momento, ti prego di fidarti di me e io non dovrò mentirti. D’accordo?»

Frastornata dagli eventi, la morettina impiegò qualche istante per rispondere e, quando, infine, fu pronta, nei suoi occhi erano nitidi i segni della confusione, tanto quanto lo erano quelli della risolutezza. «D’accordo. Hai la mia parola che ti aiuterò e farò qualunque cosa tu mi dica di fare.» rispose e, quasi involontariamente, strappò ad Emma uno di quei rari, semplici sorrisi che non sapevano di sarcasmo e di cui ella era tanto avara.

«Il motivo per cui devo andare via è che ho una missione da compiere, una missione molto importante da cui dipende tutta la mia vita, e quel giovane che hai visto è un ostacolo che non posso permettermi di affrontare, perché mi porterebbe a perdere parte del terreno che ho duramente conquistato e non posso lasciare che accada.» Nel pronunciare quelle frasi, Emma si assicurò di non fare trapelare nessun dettaglio, non soltanto per la riuscita del piano in sé ma per il bene di Olivia e della sua famiglia, e attribuì ad ognuna di quelle parole un carico di disperazione che non rispecchiava il vero. Killian Jones era una bella gatta da pelare e le sarebbe costato tempo ed energie, ma non era un pericolo per il raggiungimento del suo obiettivo, quanto, piuttosto, un’incognita; e il problema era proprio che ad Emma le incognite non erano mai piaciute. «Ho bisogno che tu vada nel fienile e prenda la bisaccia che mi hai aiutato a nascondere al mio arrivo. Dopodiché, torna qua da me il più in fretta possibile ed evita di essere vista da quell’uomo: sospetterebbe di te e ti seguirebbe.»

Olivia rimase silente per una frazione di secondo, prima di annuire con convinzione e girare sui tacchi alla volta della destinazione che le era stata indicata. Nascosta dal favore delle tenebre, il suo viaggio fu rapido e indisturbato e, pur con un po’ di affanno, eseguì gli ordini dell’altra con estrema solerzia, stando ben attenta a non essere vista da nessuno e muovendosi nel folto della foresta con l’agilità di una lepre. Quando fu tornata al punto d’incontro ed ebbe consegnato la borsa ad Emma, si limitò ad osservarla mentre si nascondeva dietro un albero e fu solo diversi minuti dopo che la vide emergere dal buio. Con indicibile sgomento, gli occhi scuri della ragazza osservarono la sagome longilinea dell’altra avvolta in un completo di pelle, pantaloni e corpetto, che richiese un enorme sforzo di volontà per costringerla ad incrociare lo sguardo della donna che, d’un tratto, le parve di non conoscere più. Era fiera, selvaggia e bellissima e Olivia non trovò le parole per dire quanto lo fosse.

«Ollie?» La voce di Emma la riportò alla realtà e, quando fu in grado di incontrare il verde degli occhi di lei, si sentì sollevata e sconcertata insieme. Era sempre la stessa persona, quella che aveva di fronte, ma, al contempo, era come se non lo fosse più, perché alla vivace tenerezza che le era parso di conoscere si era mescolato qualcosa di diverso e più tetro. Emma le sorrise. «Spero di poterti spiegare un giorno, o, forse, spero che mi dimenticherai e che vivrai la vita piena che meriti di avere, Olivia Kowl.»

La giovane deglutì, improvvisamente commossa, e si rese conto di non essersi mai preparata per un addio tanto prossimo. Benché si conoscessero da meno di un mese, Emma era stata quanto di più vicino ad un’amica avesse mai avuto e aveva appreso da lei il grande dono della sicurezza: adesso, finalmente, sapeva che non importava cosa dicesse la gente e quali maldicenze potessero diffondere sulla sua famiglia, finché aveva la consapevolezza che una vita di amore e dignità era tutto ciò di cui avesse bisogno per essere felice.

«Pensi che tornerai?» chiese e, a dispetto di quanto si fosse ripromessa, la sua voce la tradì. Ma in fondo, si disse, Emma non si era mai aspettata che cambiasse, non l’aveva mai voluto, ed era certa che questo non sarebbe cambiato in futuro.

«E’ probabile di no.» rispose e, porgendole la bisaccia contenente i vestiti che si era sfilata, attese finché Olivia non la prese. «Ma ti sia di conforto sapere che, se tutto dovesse andare secondo i piani, sarò felice come non sono mai stata.»

«Mi è molto di conforto, davvero.» fece lei e, in uno scambio che Emma non aveva previsto, le allungò il mantello nero che era solita indossare quando i venti gelidi del Nord spiravano e portavano con sé la notizia dell’imminente arrivo dell’inverno. «Prendilo, su!» la incalzò, precedendo qualunque protesta l’altra fosse sul punto di avanzare. «So che sei una tipa tosta e che non hai nulla a che vedere con noialtre, ma il freddo sta arrivando e, dovunque tu sia diretta, questo ti sarà d’aiuto.»

Emma sospirò, una volta tanto rassegnata, e senza troppe cerimonie se lo avvolse attorno alle spalle, stringendo i nastri all’altezza del collo. Doveva ammettere che emanava un piacevole tepore! «Ti ringrazio, Ollie, e ringrazia la tua famiglia da parte mia. Non dimenticherò mai la vostra  gentilezza.» disse e, quando scorse l’ombra delle lacrime accalcarsi tra le ciglia dell’altra, si affrettò ad aggiungere. «E dà un bacio a tuo fratello da parte mia!» A quello entrambe risero e il giovane capitan pirata colse l’occasione per fare un passo indietro, il corpo e la mente già pronti all’avventura che l’aspettava. «Potrei chiederti un ultimo favore?» fece d’un tratto, gli occhi ancora rivolti verso il folto della radura e l’espressione pensosa.

«Certo…» si limitò a ribattere Olivia.

Quando lo sguardo di Emma raggiunse quello dell’altra, il verde dei suoi occhi sorrise di un bagliore quasi accecante. «Ti andrebbe di porgere i miei omaggi all’uomo che mi sta cercando?»

Olivia ridacchiò, consapevole del fatto che, tra le azioni da canaglia che le avesse mai visto fare da quando la conosceva, quell’ultima sarebbe stata la migliore delle sue, e una parte di lei rimpianse di non poterla vedere ancora in azione in prima persona.

«Dimmi cos’hai in mente.»

*

Con le braccia incrociate all’altezza del petto,  Killian tentò di scorgere il paesaggio oltre il vetro della finestra, ma l’oscurità era calata da un pezzo e il mobilio interno - come la sua immagine, del resto - si riflettevano sulla sua superficie, rendendogli arduo il compito di acuto osservatore. Sospirando, non poté fare a meno di chiedersi quando la sua vita fosse divenuta così complicata e se ci fossero state delle avvisaglie che non era stato in grado di cogliere, segnali che avrebbero potuto, se non salvarlo, almeno prepararlo per ciò che l’aspettava. In un gesto automatico, cominciò a spostare il peso da una gamba all’altra, finché, divaricatele per assumere una posizione stabile, non si ritenne soddisfatto del risultato; piano in lui crebbe la consapevolezza che la fonte dei suoi guai fosse riconducibile ad un solo nome di donna.

Aveva viaggiato per quasi due settimane intere alla ricerca di Emma, frequentando locali malfamati e seguendone le tracce con la stessa instancabile testardaggine di un cane da caccia con la sua preda, e più aveva avuto l’impressione di avvicinarsi all’obiettivo, più ella era riuscita a sfuggirgli senza nemmeno rendersene conto. A quel punto, stanco e frustrato ma ben lontano dalla resa, aveva adottato la tecnica più efficace che gli fosse venuta in mente e, contro ogni aspettativa, aveva dovuto constatarne l’efficacia, perché lo aveva condotto a Weston e, lì, aveva ottenuto la conferma che la fonte di ogni suo guaio e turbamento fosse a portata di mano per la prima volta da che l’inseguimento aveva avuto inizio.

Era stato stupido e forse privo di accortezza, dal momento in cui avrebbe potuto attrarre su di sé e su di lei attenzioni sbagliate, ma chiedere di una splendida, giovane donna dai lunghi capelli color dell’oro aveva sortito il suo effetto come si era aspettato che accadesse e senza neppure troppe ripercussioni. Emma – lui lo sapeva bene - non era donna in grado di passare inosservata, non tanto perché amasse mettersi in mostra, quanto perché nessun uomo normodotato avrebbe potuto dimenticare un incontro, pur fugace, con il pirata che si agitava in lei e che rendeva ancora più intenso l’alone di fascino e bellezza che da lei emanava. Killian stesso, per quanto gli dolesse ammetterlo, sapeva che, quando tutto sarebbe terminato in un modo o nell’altro, la figura di Capitan Swan avrebbe aleggiato tra i suoi pensieri come un fantasma fastidioso, come un ricordo del quale è impossibile liberarsi.

Quando, quel mattino, si era avviato verso la casa del boscaiolo Kowl e della sua famiglia, la sua mente aveva tentato di figurarsi l’espressione con la quale ella lo avrebbe accolto, se di sorpresa, se di collera, se di rassegnazione. Ma, come sempre accadeva quando si trattava del capitan pirata più ignobile e sorprendente di cui avesse sentito parlare negli ultimi anni, lo stesso che – Non bisognava dimenticarlo! – era stato in grado di infiltrarsi presso un palazzo pieno di guardie e di uscirne trionfante, non tutto era andato nel modo in cui Killian avrebbe sperato. Non che si fosse aspettato di beccarla sul sentiero che portava alla foresta e braccarla in un sol colpo– Le sue aspettative sarebbero state davvero troppo rosee! -, ma che il fato gli si potesse accanire contro non era una cosa che aveva previsto. Era certo del fatto che Emma non fosse consapevole del suo inseguimento: i suoi spostamenti erano stati silenti e discreti, la distanza che li aveva separati era sempre stata troppa perché potesse destare sospetti, senza considerare che fosse stato sul punto di perderne le tracce in più di un’occasione. Com’era possibile, allora, che il suo tempismo lo avesse portato a bussare alla porta della famiglia Kowl proprio il giorno in cui lei aveva deciso di fare l’eremita e uscire di casa alle prime luci dell’alba?

La porta si aprì di scatto, strappando il tenente alle sue riflessioni, e Killian si voltò in direzione dell’avventuriera con l’assoluta certezza che non si sarebbe trattato della donna che sperava di vedere. E, infatti, fu Olivia, la maggiore delle sorelle Kowl, ad incrociare il suo sguardo; e il tenente non avrebbe avuto modo di sentirsi sospettoso o guardingo, se costei, varcata la soglia, non lo avesse osservato con espressione imperscrutabile, un’espressione che in tutto differiva da quella che gli aveva rivolto quando, diverse ore prima, si erano incontrati ed era stata tanto gentile da offrirgli una tazza di tè caldo. Era evidente, a quel punto, che non soltanto avesse avvisato Emma della sua presenza, ma anche che avesse ricevuto in cambio delle informazioni su di lui, perché la ragazza si mosse e comportò con la stessa diffidenza di un capriolo che si aggira per un tratto di foresta innaturalmente silenzioso.

«Olivia, tesoro,» accorse subitaneamente il padre e, nel raggiungerla, le prese le mani in un gesto d’affetto, «il sole è calato da un pezzo. Mi hai messo in agitazione!» le spiegò, facendo un cenno col capo verso Killian. «Questo brav’uomo ed io eravamo pronti a venirti incontro, se non fossi arrivata entro pochi minuti.» Il tenente sorrise appena, quel tanto che bastava a confermare le parole dell’altro, ma il sorriso che la giovane gli restituì fu tiepido e, allora, divenne irrequieto, perché sapeva che, ovunque ella fosse, Emma stesse già fuggendo con la consapevolezza, stavolta, di avere un inseguitore. E questo significava che ogni minuto sprecato in convenevoli era un minuto di vantaggio in più per il pirata. «Ma, dimmi, dov’è Emma? Sei riuscita a trovarla? Sta bene? E che fine ha fatto il tuo mantello?»

Il fiume di parole dell’uomo e la solerzia di cui esse erano impregnate vennero bloccate dalla figlia. «State tranquillo, padre! Emma sta bene e non è in pericolo.» Nel pronunciare quelle parole, gli occhi scuri di Olivia trafissero quelli del tenente, non abbandonandoli neppure per un secondo. «Mi ha detto di salutarvi, signore,» fece e Killian non poté impedirsi di avanzare di qualche passo nella stanza, in direzione del duo che ancora sostava in prossimità della porta. «e mi ha resa edotta del tipo di rapporti che vi legano,» disse e, furtiva, la sua mano si spostò lungo la schiena per afferrare il lungo bastone che lei ed Emma avevano ricavato da un ramo col fine di usarlo per portare a termine il suo piano. «e devo ammettere che sono rimasta parecchio stupita.» mentì in maniera spudorata, ma la sua recita fu credibile perché mantenne salda l’attenzione dell’altro. Le sue dita impugnarono il bastone con fermezza e, per un istante, la giovane figlia di un boscaiolo provò l’ebbrezza data dal potere di poter dominare qualcuno. «Cosa avete da dire in vostra discolpa?» domandò e non si sarebbe aspettata alcuna risposta, al punto che, quando questa arrivò, le parole di Killian la colsero di sorpresa.

«Vi chiedo umilmente scusa per aver mentito sulla natura dei miei rapporti con la vostra amica, signorina,» esordì e, complici i suoi modi galanti e il suo atteggiamento nobile, ottenne il risultato sperato, poiché qualcosa nello sguardo della giovane mutò. «ma le spiegazioni sarebbero andate troppo per le lunghe e io ho bisogno di trovarla, prima che sia troppo tardi.» le spiegò, avanzando verso di lei con espressione contrita.

«Non potete chiedermi di credere alle vostre parole e non a quelle della mia amica, signore.» gli fece notare e Killian non poté che sospirare nel comprendere che non avrebbe potuto fare altro che darle le spiegazioni che voleva. E probabilmente, si disse mentre raccoglieva i pensieri nel tentativo di riassumere brevemente gli accadimenti degli ultimi mesi, questo gli avrebbe concesso di ottenere da Olivia più di quanto avesse osato sperare dal momento in cui aveva varcato la soglia. Se c’era qualcosa che aveva imparato su Emma, era che non amava parlare del proprio passato e questa sarebbe stata un’arma che avrebbe giocato a favore del tenente, che nulla aveva da nascondere.

«Sono, o sarebbe meglio dire ero, un tenente presso la marina di Thrain, al servizio della Corona e del suo popolo. Vi risparmio i dettagli del racconto, perché non so cosa sappiate di Emma, ma-» disse e avrebbe proseguito, se le parole di Olivia non lo avessero interrotto.

«Niente. Non sappiamo niente di lei.» C’era amarezza nelle sue parole e Killian provò al contempo tenerezza e giubilo, poiché, per un verso, non poteva che sentirsi spiaciuto per quella ragazza dai modi semplici e gentili, ma, dall’altro, sapeva di aver ottenuto esattamente l’effetto desiderato. «Ha vissuto sotto il mio stesso tetto e mi ha trattata come un’amica, ma non ha voluto dirmi nulla che la riguardasse.»

Il tenente le sorrise appena. «Probabilmente, è per il meglio.» si limitò a dire e Olivia annuì, benché apparisse lungi dal sentirsi consolata o soddisfatta; ma il compito di lenire il suo dispiacere non spettava a lui. «Le nostre strade si sono incrociate in circostanze molto particolari, ma vi basti sapere che Emma è l’unica persona che può portarmi a ciò che rimane della mia famiglia.» confessò infine e quell’ammissione fu quasi una liberazione. «Mio fratello è prigioniero di qualcuno di cui non so il nome, l’ubicazione, gli intenti ed è l’unica persona cara che io abbia a questo mondo.» Il suo sguardo, a quel punto, come in cerca di sostegno, si poggiò sul proprietario di casa, che era rimasto debitamente in silenzio durante tutta la conversazione, per tornare, alfine, ad Olivia. «Provate ad immaginare una vita senza le persone che amate e scoprire che qualcuno può aiutarvi a ritrovarle. Non fareste ogni cosa in vostro potere per riuscirci?»

Le sue parole e la sua sincerità furono tutto ciò di cui aveva bisogno, perché la ragazza, che aveva già mostrato una propensione maggiore nei confronti dell’uomo rispetto a quando aveva fatto ingresso nella propria dimora, allentò definitivamente la presa sul bastone appuntato alla cintura e sospirò sommessamente.

«Non so dirvi che direzione abbia preso, né quale fosse la sua meta, signore.» gli spiegò e, benché una parte di lei detestasse l’idea di aver disatteso le aspettative di Emma, qualcosa le suggerì di aver fatto la scelta giusta. «Tenterete di ostacolare la sua missione?» non poté impedirsi di domandare e quasi trattenne il respiro nell’attesa che Killian le rispondesse.

«Credo di sapere dei suoi obiettivi quanto ne sapete voi, signorina, ma, no, non è quella la mia intenzione. Fintanto che mi condurrà da mio fratello o mi dirà come raggiungerlo, non farò nulla per fermarla.» Olivia tirò un sospiro di sollievo e sobbalzò quando il padre si fece improvvisamente avanti e le strinse una spalla per infonderle coraggio. «Anche perché non me lo permetterebbe e, se l’avete conosciuta, capirete che non mento.»

Risero insieme e Killian ebbe la sensazione di aver compreso per quale ragione Emma avesse scelto proprio quella famiglia come punto di appoggio, qualunque fosse la fase successiva del suo piano. Ma non c’era più tempo da perdere e, accostandosi alla porta, il tenente girò il pomello e la schiuse.

«Promettetemi una cosa,» esordì d’un tratto Olivia, costringendolo ad arrestarsi poco prima che oltrepassasse l’uscio. L’uomo la guardò, invitandola tacitamente a parlare. «che vi prenderete cura di lei, anche quando non ce ne sarà bisogno.»

«Mi chiedete qualcosa che va al di là delle mie possibilità, madamigella: se c’è una cosa che Emma detesta, è che un uomo la tratti come una fragile creatura bisognosa di protezione, ve lo posso assicurare.» disse lui, ma le sorrise e ammiccò nei suoi riguardi, incrociando lo sguardo del padrone di casa per dirgli tutto quello che non avrebbe avuto il tempo di dire; l’altro annuì sommessamente. «Vi prometto, tuttavia, che farò del mio meglio!»

*

«Per tutti  bucanieri! Che mi venga un colpo se metterò di nuovo piede in una foresta, quando questa storia sarà finita!»

Nel fitto buio della notte, rischiarato a fasci dai pallidi raggi della luna che filtravano tra le fronde dei nodosi alberi secolari di quel tratto di boscaglia, l’imprecazione a denti stretti del capitano della Nostos lasciò la bocca del suo autore in tanti piccoli sbuffi condensati. Quando aveva lasciato la casa della famiglia Kowl, seguendo il corso del fiume per evitare la strada principale nel timore di essere avvistata o seguita, non avrebbe mai immaginato di dover essere tanto grata ad Olivia per averle regalato il mantello nero che era stata sul punto di rifiutare. La protezione offertale dal tessuto contro l’umidità e la tagliente brezza notturna, infatti, sarebbe stata l’unico motivo che le avrebbe impedito di prendersi un malanno e di ciò il pirata fu grata come non mai.

Lei che in una foresta aveva vissuto la sua intera infanzia e adolescenza, lei che aveva rinforzato le sue gambe da marinaio soltanto per un caso fortuito e da non più di cinque anni, non avrebbe potuto bramare il dolce dondolio della Nostos e il familiare cigolio delle assi del pavimento più di quanto non stesse facendo in quel momento. E, ad ogni passo, ad ogni sbuffo, quella sensazione si acuiva, rendendole difficile mantenere i nervi saldi, benché avesse fatto della sua meta la sua unica ragione di vita. Negli ultimi anni da capitano della nave pirata più bella che i suoi occhi avessero mai visto, Emma aveva trascorso la propria vita nei moli di quella e quell’altra città, facendo capolino solo di rado nel cuore dei villaggi presso i quali era approdata e deprecando con tutte le proprie forze l’idea di un viaggio via terra. In virtù di ciò, non avrebbe potuto odiare meno, ma neppure di più, la posizione nella quale si trovava!

Mentre scavalcava la carcassa di un albero dal fusto reciso e lasciato giacere sul tratto di vegetazione che stava percorrendo, sorrise nel ricordare quanti mottetti e canzoni sconce fossero venuti fuori, una sera come tante a bordo della Nostos, nell’immaginare il dolore che avrebbe provocato ad ognuno degli uomini della sua ciurma tornare a sedere la sella di un cavallo dopo sì tanto tempo trascorso per mare; e una parte di lei sentì la mancanza di tutto ciò, della sicurezza e del calore che, nonostante tutto, quella famiglia sgangherata era sempre riuscita ad infonderle. Nel momento in cui aveva deciso di intraprendere quell’ultima porzione di viaggio da sola, in una scelta precisa e calibrata a fronte delle informazioni che aveva ottenuto in un percorso di ricerche durato anni, si era ripromessa di portarla a termine come si conveniva al nome di Capitan Swan. E non lo rimpiangeva!

C’era qualcosa di affascinante nell’imprevedibilità dell’intera situazione e l’assoluta consapevolezza che sarebbe riuscita nella sua missione – perché non esisteva, nella sua mente, margine di dubbio sulla riuscita di quell’impresa – e che l’avrebbe fatto senza l’aiuto di nessun altro pungolò il suo orgoglio e rifocillò il suo ego contro il freddo della sera, restituendole la fredda spavalderia di cui era capace e cacciando via le debolezza di una vita trascorsa come Emma, delle quali il suo carattere era ancora reduce. Non sarebbe più soltanto stata la prima donna a capo di una nave pirata; sarebbe stata la donna che aveva sfidato il destino e lo aveva vinto, salvando la vita di suo figlio e diventando la madre che le era stato impedito di essere dall’avarizia di un uomo abietto e consumato dal bere.

Improvvisamente, al di sopra del gorgoglio del fiume e dei versi degli animali che di notte abitavano la foresta,  risuonò un rumore di passi e lo scricchiolare di foglie ed Emma seppe che, a quel punto, non importava quanto vicine fossero le luci della città successiva e quanto deleterio potesse essere per il suo piano quell’impedimento: non poteva più ignorare il fatto di essere seguita. Mentalmente, maledisse il tenente Jones e si ripromise di fargliela pagare, poiché, nonostante non avesse la certezza che fosse lui a tampinarla, le aveva comunque reso il viaggio da Weston una fuga in piena regola e perché si era dimostrato una spina nel fianco dal primo momento in cui l’aveva incontrato nella taverna di Bill. Lo aveva ingannato, pugnalato, quasi fatto affogare, trasformato in pirata, picchiato e, infine, drogato. Era davvero così difficile capire il messaggio – nemmeno troppo sottile – di starle alla larga?

Con un ringhio basso, Emma abbandonò il corso del fiume, che era stato la sua linea guida fino a quel momento, e s’immise nel folto della vegetazione quel tanto che bastava perché l’oscurità l’avvolgesse e  non fosse più possibile scorgere la sua sagoma senza addentrarsi tra la fitta boscaglia. Con movimenti celeri, sciolse i nodi del mantello e, con estrema riluttanza, lo sfilò e ne allacciò le stringhe al ramo di un albero prossimo al limitare della foresta che dava sul villaggio, in mente uno specifico disegno: lì, la luce della luna investiva pienamente il pesante tessuto della cappa, proiettando lunghe ombre verso la porzione interna di verzura ove si sarebbe nascosta e fungendo da ottimo catalizzatore per l’attenzione di chiunque la stesse seguendo. Quando un’imprecazione soffocata raggiunse le sue orecchie dalle rive del fiume, Emma non perse tempo e, pregando che il cespuglio che aveva urtato con la mano non fosse ortica, tornò a nascondersi dietro il tronco di un albero.

L’avventuriero impiegò diversi minuti prima di notare il mantello e altrettanti per palesare la propria figura, e ognuno di quei minuti fu per Emma un assoluto tormento: il corpetto che indossava aveva una scollatura a cuore che non protesse in alcun modo la delicata cute delle sue spalle e, benché le sue dita stringessero saldamente e senza alcuna esitazione l’elsa del pugnale che era solita portare alla cintola, la giovane dovette impiegare tutte le sue forze per impedirsi di battere i denti. Perciò, quando la sagoma del tenente Jones si palesò in prossimità del mantello, fu con sollievo e un briciolo di divertimento misto ad esasperazione che accolse quella (neppure troppo inaspettata) epifania.

Sorrise nel vederlo accucciarsi dietro un cespuglio e, pregustando il momento in cui si sarebbe accostata a lui e lo avrebbe colto di sorpresa, fu investita da un’ondata di adrenalina che le restituì parte del calore corporeo perduto; e la smorfia sulle sue labbra assunse una connotazione sensuale, mentre il suo sguardo tornava ad essere quello di una canaglia, nel pensare che, dopotutto, quell’uomo sapeva come farle effetto. Poggiando una spalla alla corteccia del faggio dietro il quale si era nascosta, incrociò le braccia al petto e si prese tutto il tempo necessario per lasciar correre i suoi occhi sulla sagoma dell’uomo, soffermandosi con particolare attenzione sulla porzione che la posizione china di Killian faceva saltare più agli occhi. Leccandosi le labbra, Emma ammise che averlo nuovamente intorno aveva i suoi aspetti positivi, tutto sommato, e sotto molti punti di vista.

«Non sapete proprio accettare il rifiuto di una donna, non è così?»

Colto di sorpresa dalla scelta di Emma di manifestarsi volontariamente ai suoi occhi, l’uomo balzò in aria e, voltandosi verso il punto da cui aveva udito quelle parole, ne scorse la figura longilinea a diversi metri di distanza dal punto in cui egli si trovava. Emanavano da lei una spavalderia ed un divertimento così intensi e familiari che Killian non solo ebbe l’impressione di poterli toccare con mano, ma dei quali aveva quasi sentito la mancanza. Malgrado tutto, sorrise.

«Devo avere male interpretato il vostro bacio, poiché non aveva le sembianze di un rifiuto.»

La sua risposta le fece alzare gli occhi al cielo e scuotere il capo e i lunghi capelli biondi, nell’atmosfera tetra e misteriosa della radura ove si trovavano, brillarono di un’intensità quasi sovrannaturale. Dio, non poté fare a meno di pensare, quella donna è un assurdo scherzo del destino! E doveva essere davvero così, perché nessuna creatura del gentil sesso che avesse mai incontrato, per quanto aggraziata, sensuale, intrigante e vergognosamente bella, era mai riuscita a sortire su di lui l’effetto che Emma era in grado di suscitargli. Poteva accenderlo d’ira e desiderio in un solo istante, perfino contemporaneamente, e poteva consumarlo di odio e vendetta quello dopo.

«Sapevo che non mi sarei dovuta spingere a tanto con un uomo come voi.» disse e la modulazione della sua bocca preannunciò a Killian che stesse per prendersi gioco di lui in uno di quei suoi modi che tanto la compiacevano. Inarcando vistosamente un sopracciglio, chiese spiegazione ed Emma lo accontentò. «Un uomo all’antica come voi. Adesso, vorrete come minimo che chieda la vostra mano e vi sposi come si conviene ad un uomo virtuoso e per bene quale siete. Non è così?»

Ciò nondimeno, Killian decise di assecondarla e si fece più vicino, mantello alla mano. «Siete un pirata! Non nutro alcuna speranza che, dopo aver attentato al mio buon nome e alla mia virtù, possiate voler salvare quel che rimane del mio onore.»

«Lo faccio per il vostro bene!» Killian l’aveva oramai raggiunta e, ad ogni suo passo, Emma aveva avuto l’impressione che la tensione tra loro crescesse fino a rimanere l’unica cosa percepibile oltre al freddo. «La vita al fianco di un pirata, per un uomo tanto probo, attenterebbe al vostro onore più di lasciarvi senza proposta di matrimonio.»

«Oh-oh, è così?» chiese lui, mentre Emma si scostava dal tronco dell’albero e tendeva la mano perché le rendesse il mantello. Non aveva più freddo oramai e i brividi che correvano lungo la sua pelle erano di natura ben diversa: sapevano di adrenalina, di sfida e del più cocente desiderio che le fosse mai capitato di provare. «Nessuna donna vorrà sposare un uomo violato. Rimarrò solo a vita, solo con la mia dote.»

«Dote?» fece subito lei, stando al gioco, e Killian le rivolse la sua espressione di reprimenda, mentre ella si sistemava la cappa sulle spalle. «Oh, insomma! Avete ragione! Sarà il caso che mi impegni e mi assuma le mie responsabilità. Che donna sarei se lasciassi un uomo come voi in balia delle maldicenze, senza poter fa buon uso di una dote?»

A fronte di quel discorso, risero entrambi come se fosse la cosa più normale sulla faccia della Terra, ma ambedue non poterono fare a meno di notare l’assurdità della loro condizione e dei risvolti che la situazione aveva assunto. Killian non aveva dimenticato quali trattamenti avesse subito da parte dell’altra, né aveva rimosso l’intento per il quale si fosse messo così alacremente alla ricerca di lei; ed Emma, dal canto suo, non aveva accantonato l’idea di realizzare quell’impresa da sola per accogliere, al contrario, l’ipotesi di averlo al suo fianco come alleato. Eppure, nel bel mezzo di quella consapevolezza, non riuscirono a fare altro che lasciarsi trasportare dalla corrente e dall’inaspettato, travolgente piacere di aver ritrovato la propria nemesi.

«Pirata che non siete altro!» la rimbrottò lui, puntandole il dito contro fino a picchiettarle sul naso. «Ma, visto che siamo fidanzati adesso, suppongo sia d’obbligo che mi rendiate partecipe dei vostri loschi piani, amore. Non trovate?»

«E sarei io il pirata!» gli fece notare, arricciando il naso in maniera così infantile e deliziosa che Killian trattenne a stento l’impulso di farsi avanti e baciarla fino a toglierle il fiato. «Comunque, visto che me lo chiedete come fidanzato, sono costretta a dirvi che non posso esporvi ai rischi che la mia missione comporta e ad aggiungere che lo faccio per il vostro bene.»

Nel pronunciare quelle parole, Emma rifuggì il suo sguardo e lo oltrepassò, raggiungendo l’arbusto ove aveva posizionato l’inganno del mantello e accostandovisi. Nell’osservare le luci del villaggio a poca distanza da lei, il suo cuore prese a battere un ritmo più rapido, più intenso, più forte e i suoi pensieri corsero ad Henry, al momento in cui lo avrebbe rivisto e avrebbe potuto stringerlo a sé per non lasciarlo andare mai più. Sulle sue spalle e sul suo animo, pesavano il vuoto e l’assenza di cinque lunghi anni che non avrebbe saputo come riempire, che non avrebbe potuto recuperare in alcun modo, e con essi il timore di non essere una buona madre, di aver sparso e versato troppo sangue per poter toccare con quelle stesse mani il volto innocente di suo figlio. Furono quelle considerazioni, quei timori a ribaltare il corso dei suoi pensieri e invertire la rotta che avevano sempre seguito. Furono le immagini di uomini sventrati, dissanguati e decapitati a instillare in lei il dubbio che le fece rispondere con disposizione d’animo differente, quando il tenente le si fu accostato.

«Emma, a costo di incatenarmi a voi, non vi permetterò di fuggire ancora o di lasciarmi indietro.»

Ma era troppo presto perché Emma decidesse seduta stante quale fosse il modo migliore di agire. Aveva bisogno di ponderare bene le ripercussioni che la sua decisione avrebbe avuto, verificare che la sua strada e quella di Killian potessero coincidere e raggiungere uno scopo comune, prima di dare attuazione al piano che stava prendendo forma nella sua mente. Perché ingannarlo e drogarlo erano una cosa, ma ciò che aveva intenzione di fare era completamente, indubbiamente un’altra.

«C’erano degli uomini a Weston che ho spiato e seguito e che, oggi, al calar della sera, avevano programmato di raggiungere questo villaggio. Tuttavia, i loro piani sono cambiati e ho scoperto che la loro partenza era stata anticipata al mattino e, adesso, ho bisogno di trovarli.» Le sue spiegazioni furono caute e, benché stesse dicendo la verità, sapeva che, se avesse deciso di tornare al programma originario e lasciare l’altro indietro, avrebbe ancora potuto farlo. «E’ necessaria assoluta discrezione! Sono riuscita a non attirarmi le loro attenzioni per la mia intera permanenza a Weston e devo riuscirci anche stavolta.»

«Di chi si tratta?» si limitò a chiedere lui, sbigottito dall’improvvisa propensione alla condivisione mostrata da Emma. Una parte del suo animo gli suggerì di non credere a quelle parole, che non fosse nient’altro che un diversivo per ammansirlo e aspettare che abbassasse la guardia, ma, quando i loro occhi si incontrarono, lo spazio per l’incertezza ebbe motivo di ridursi in modo notevole.

«Non è il luogo adatto per parlarne. Vi dirò quello che c’è da sapere quando e se lo riterrò opportuno.» fu la sua unica risposta.

«Cosa state tentando di valutare, Emma?»

«Se valga la pena coinvolgervi in tutto questo, se sia saggio dirvi la verità,» Avrebbe voluto dirgli che il ragionamento alla base delle sue valutazioni non avesse che basi egoistiche e che sarebbe stato saggio allontanarsi finché era in tempo, eppure non pronunciò mai quelle parole, perché erano portatrici di un lusso che non poteva permettersi, il lusso dell’onestà. Non importava quanto sincero fosse il blu degli occhi di lui, né quanto morbido apparisse il suo nome su quelle labbra mascoline, perché lei era Capitan Swan e come tale avrebbe agito. «ma, soprattutto, se posso fidarmi di voi.»

«E dove avete intenzione di provarmi per avere il verdetto?»

Il sorriso che inclinò la bocca di lei le restituì parte della baldanza di cui la sapeva capace, mentre gli rispondeva: «Ma nella stanza di una locanda, è ovvio! Come mio fidanzato dalla virtù intaccata, non posso darvi nulla di meno di tutto ciò.»

«Non sarà sconveniente trascorrere la notte nella stessa stanza, senza essere uniti nel sacro vincolo del matrimonio?» ribatté Killian, stando al gioco.

Emma si fece più vicina, quel tanto che bastava a rendere la sua espressione da canaglia l’unica cosa visibile agli occhi del tenente. «Siete il fidanzato di un pirata, dolcezza. Il solo fatto che respiriate la mia stessa aria è sconveniente.»

 
_______________________________________________________________________________________
Spazio dell'autrice:

Chi non muore si rivede! 
Vi chiedo scusa per il ritardo, anche se credo di essere nei miei tempi normali, ma l'università mi ha portato via salute, tempo e voglia, anche se l'ispirazione è rimasta e continua ad esserci. Il capitolo è un po' di passaggio e, all'inizio, avevo anche pensato di non farli incontrare, ma, dopo un mese, pensavo di dovervelo e, in fondo, mancava anche a me scrivere dei loro battibecchi.
Voglio ringraziarvi dal più profondo del cuore per le visualizzazioni e i commenti, per aver letto e per continuare a farlo. Il mio ringraziamento speciale va a EmmaJones, a lexie s, Cloris84, pandina e tala_wuti, perché i vostri commenti mi fanno sempre sorridere e saltare per casa come una scema, e sono la mia principale fonte di ispirazione. Sapere che seguite con passione la mia storia appassiona anche me! <3
Buona lettura! P.S. Scusatemi per eventuali errori. Correggerò in seguito. ;]

 

Ritorna all'indice


Capitolo 9
*** Se non ti uccide, ti fortifica ***


Capitolo IX
Se non ti uccide, ti fortifica

 
Avevano camminato per una decina di minuti, prima di raggiungere una locanda ben nascosta tra la fitta rete di vicoli del villaggio che si trovava appena oltre la radura ove si erano incontrati, e, per tutto il percorso, Emma si era trincerata dietro un muro di assordante silenzio che aveva sgretolato qualunque proposito di iniziare una conversazione. Si era mossa in maniera meccanica, guardando innanzi a sé con l’espressione di chi è completamente immerso nei propri pensieri e fatica ad uscirne, e, se il tenente non l’avesse osservata con cotanta insistenza, nessuno avrebbe mai pensato che fossero insieme e stessero per raggiungere la medesima località. Killian aveva assistito ad uno di quei momenti già a bordo della Nostos, una di quelle occasioni in cui una patina invisibile ed intoccabile sembrava calare su di lei e renderla incapace di qualunque emozione senza, tuttavia, estraniarla completamente dal mondo esterno. Perché, per quanto assente potesse apparire, Emma aveva piena consapevolezza della realtà che la circondava e si muoveva tra i suoi sentieri con la maestria di un capitano che non ha nulla da temere.
 
Svoltato un angolo, gli occhi dell’uomo si erano posati su un’insegna che recitava “La Scodella Pimpante” e sulla quale primeggiava il disegno di una terrina azzurra che impugnava un cucchiaio in maniera piuttosto spavalda. Killian non aveva potuto non notare la bizzarria di quella scelta per i tempi che correvano e il riso era salito alle sua labbra in maniera automatica, mentre procedeva per uno dei pochi vicoli in cui il puzzo d’urina era quasi sopportabile. Fu con sorpresa e con una traccia di sgomento che, arrestatisi dinanzi all’ingresso della locanda, il suo sguardo ebbe modo di posarsi sulla sua compagna di viaggio per trovarvi nulla di quanto aveva scorto fino a quell’istante: sui bei lineamenti selvaggi della donna non era rimasta alcuna traccia del tormento che era parso affannare le sue elucubrazioni durante tutto il tragitto; esso aveva lasciato posto all’espressione invincibile e mascalzona di Capitan Swan, la stessa con la quale si era fatto beffe di lui di fronte ad una ciurma di pirati e lo aveva costretto a scegliere tra la camminata sull’asse e un posto tra la sua banda di manigoldi.
 
Il loro ingresso era stato annunciato dal tintinnare di un sonaglio posizionato sopra la porta principale e da una manciata di sguardi, alcuni curiosi, altri del tutto disinteressati; ma questi ultimi si erano ben presto trasformati fino a seguire i primi, quando l’atipico duo, formato da una giovane di bellezza disarmante e un uomo dall’espressione imperturbabile, si era immesso nell’ostello. Killian aveva studiato con estrema cautela il perimetro della stanza, stando ben attento a non dare troppo nell’occhio ma prendendosi tutto il tempo necessario per perlustrare il luogo in cerca di pericoli o di un indizio che potesse aiutarlo a mettere insieme i pezzi. Non si fidava di Emma e, se aveva appreso qualcosa nei mesi in cui era stato al suo fianco, era che aspettarsi un colpo basso in qualunque momento fosse la strategia migliore da adottare per evitare di essere gabbati.
 
«Emma?» li aveva accolti con voce esitante un uomo, l’espressione a metà tra l’attonito e il meravigliato, le mani improvvisamente inermi sul boccale che si erano ripromesse di sciacquare.
 
«Emma chi? Sei uscito di senno, vecchio panzone?» aveva urlato una voce di donna, lontana ma abbastanza nitida perché buona parte degli occupanti del locale la sentissero. A quelle parole, il giovane pirata dalla chioma aurea aveva ridacchiato e, accostando l’indice al naso, aveva intimato all’uomo dietro il bancone di tacere, per compiere qualche passo in direzione dello stesso e accomodarsi su uno degli sgabelli a disposizione qualche frangente dopo.
 
«Cosa ci fai qui?» aveva sussurrato lui, prodigo di un sorriso affettuoso che non era sfuggito al tenente, rimasto in disparte in prossimità dell’ingresso. «Sei pure sorda, ora? Ho detto flemma, perché sei più pigra e lenta di quella culona di tua madre.» La risposta dell’uomo, chiaramente rivolta all’indirizzo della donna rimasta invisibile agli occhi dei presenti, aveva suscitato una grassa risata generale e Killian aveva osservato Emma poggiare la fronte sulle mani in preda all’ilarità, gli occhi alla ricerca di quelli del barista a mo’ di rimprovero. Questi, per tutta risposta, le si era avvicinato e le aveva sussurrato: «Se non mi ammazza oggi, ti devo un favore.»
 
«Comincia con del vino, perché servirà tutto il mio fascino per impedire che ti ammazzi di botte. Ed entrambi sappiamo che ho bisogno di un incentivo.» aveva detto Emma, badando bene ad evitare che un tono di voce troppo alto potesse far saltare la sua momentanea copertura.
 
I suoi desideri erano stati presto esauditi e, proprio mentre si accingeva a mandare giù il primo sorso, una donna di stazza non certo minuta aveva fatto la sua apparizione, mestolo in legno alla mano. Il pirata e molti altri occupanti ai tavoli dell’ostello avevano rischiato di soffocarsi  al cospetto di una simile visione; Killian, a sua volta,  aveva riso piano, trovando un non so che di caratteristico nell’intera scena e, a pensarci bene, aveva realizzato che l’intera avventura al fianco del capitan pirata avesse, a suo modo, avuto i contorni di un’avventura in piena regola... Non sempre positiva, ovviamente!
 
 Quando la locandiera aveva cominciato ad avanzare verso colui si supponeva fosse il marito con cipiglio minaccioso ed era stata sul punto di proferire parola, Emma l’aveva presto interrotta: «Non sei cambiata di una virgola. Sempre violenta e prepotente!»
 
All’altra era stato necessario qualche istante per realizzare che la giovane che aveva osato rivolgersi a lei in quel modo non fosse un altro dei possibili bersagli della sua collera, bensì una delle persone che più aveva a cuore; e, quando la realizzazione aveva fatto breccia nel suo animo, il cucchiaio le era volato di mano e le rughe di rimprovero si erano presto trasformate nella stessa espressione tenera e mezza sorridente del marito.
 
«Emma? » si era limitata a dire, ma la ragazza aveva mosso l’indice come a volerla correggere.
 
«Flemma.» aveva detto, prendendosi gioco di lei e ammiccando in direzione dell’uomo, così la locandiera aveva messo le mani ai fianchi. «Qualcosa mi dice che siamo nei guai, Harold.»
 
Di lì a pochi minuti, il tenente aveva assistito ad uno degli sfoggi di autorità ed intransigenza più mordaci che gli fossero mai capitati sott’occhio. Con quel cipiglio severo che le calzava a pennello, la locandiera si era rimpossessata del mestolo e, senza troppi giri di parole, aveva invitato i clienti a lasciare la locanda e a saldare i rispettivi conti, aggiungendo che chiunque avesse tentato di fare il furbo se la sarebbe vista personalmente con lei. In una sfilata piena di disapprovazione e lamentele, la stanza si era svuotata più rapidamente del previsto e qualcosa aveva suggerito a Killian che il fucile che la donna aveva tirato fuori, quando alcuni dei presenti avevano tentato di sollevare delle obiezioni, dovesse aver fatto la sua parte. Era stato con un po’ di sorpresa che, dimentico di non aver fatto alcuna mossa per essere riconosciuto come compagno di Emma, le sue sopracciglia avevano accolto la canna del fucile rivolta contro il suo petto. I suoi occhi avevano cercato il pirata seduto al bancone, quasi aspettandosi che intervenisse, ma lo scintillio in essi e il sorriso sulle labbra di lei avevano reso piuttosto chiaro che non sarebbe accaduto nulla di tutto ciò.
 
«Credo che dobbiate fare un’eccezione, signora.» le aveva detto ed il grugnito della sua interlocutrice aveva strappato una risata sommessa ad Emma, che, piano, sorseggiava il suo vino.
 
«Ah-Ah! Come no! Solo perché sei un bel fusto non credere di poterla fare franca, carino. Muovi il culo ed esci di qui, prima che te lo riduca a un colabrodo.» La minaccia era stata accompagnata da un movimento secco del fucile in direzione della porta e Killian aveva compreso che il rischio di vedere realizzato il contenuto di quell’intimidazione fosse più alto di quanto non avesse pensato all’inizio. «Adesso
 
«Amo le donne intrepide e spavalde,» aveva cominciato e il suo sguardo aveva cercato appositamente quello di Emma; divertita, ella aveva ricambiato mordendosi le labbra. «Siamo sicuri che non ci sia nulla che io possa fare per trattare con voi?» e nel pronunciare quelle parole, con un’espressione esageratamente seducente che Emma non gli aveva mai visto in volto, aveva compiuto qualche passo in avanti.
 
La locandiera aveva divaricato di più le gambe, come se si stesse preparando a sparare e volesse essere certa di non essere sbalzata dal colpo. «Tesoro, sappiamo entrambi che io sono l’ultima donna che potresti cercare. Ora, prima che ti spari sul serio, togliti di torno immediatamente
 
Leccandosi le labbra piegate in un sorriso, con la consapevolezza di non poter osare ancora, Killian aveva rivolto la propria attenzione verso il bancone e aveva puntato l’indice in direzione dell’unica occupante rimasta. «E se vi dicessi che sono con lei?»
 
Quella domanda era riuscita a far breccia nella corazza di testardaggine e spavalderia della donna. Lo sguardo di questa aveva, a quel punto, oscillato dal pirata al tenente, e viceversa, per una buona manciata di minuti: all’inizio, per passare al vaglio le loro espressioni e comprendere se l’uomo stesse dicendo la verità o meno; in un secondo momento, per darsi il tempo di soppesare il tipo di relazione che sembrava intercorrere tra i due. Infine, non aveva avuto altra scelta che abbassare l’arma e, come frustrata, aveva afferrato la brocca in rame del tavolo più vicino a lei e aveva ingollato buona parte del contenuto.
 
«Ora, possiamo anche parlarne.» si era limitata a dire, prestando la minima attenzione al fatto che si fosse versata buona parte della birra sul petto prominente. A quel punto, poggiata con un tonfo la caraffa al suo posto, si era rivolta verso il bancone e tutto il suo disappunto aveva permeato l’aria della stanza prima ancora che parlasse. «Sai che avrei potuto ucciderlo o menomarlo?»
 
Emma si era limitata a fare spallucce, l’espressione serena e in parte delusa. «Era quello che speravo. Avresti risolto buona parte dei miei grattacapi.» Killian l’aveva redarguita con lo sguardo, ma il pirata aveva sorriso più ampiamente. «Non potrete mai rinfacciarmi di non essere stata sempre sincera con voi.»
 
«Dunque,» era intervenuto il proprietario della locanda, che nel frattempo era stato raggiunto dalla moglie, sul volto un’espressione di divertita curiosità. «hai portato un uomo…» Avanzando a sua volta in direzione del bancone, il tenente aveva osservato Emma scivolare sullo sgabello e allungare il braccio per chiedere che il bicchiere venisse riempito di nuovo; Killian si era accomodato al suo fianco senza riuscire ad attirarne l’attenzione. «Questa sì che è una novità!»
 
«Non credo sia il primo uomo che porto con me, Harold.» gli aveva fatto notare lei, facendo oscillare vistosamente il bicchiere nel chiaro tentativo di invitarlo a fare il suo dovere da barista.
 
«Oh, beh, sarà anche vero,» aveva risposto sommessamente, una caraffa in mano mentre si accostava ad Emma per soddisfarne la richiesta. «ma lui è molto diverso dagli altri.»
 
«Puoi dirlo forte, dolcezza!» aveva rincarato la dose la moglie, ammiccando nei confronti di Killian che non aveva potuto che sorriderle in segno di ringraziamento. C’era qualcosa di stranamente lusinghiero nel fatto che una donna tanto intransigente, la stessa che aveva tentato di sparargli pochi istanti prima, stesse adesso amoreggiando con lui in maniera tanto disinvolta.
 
«Diciamo che non ho avuto molta scelta.»
 
A quelle parole era seguito un racconto abbastanza sommario che aveva permesso ai proprietari della locanda di inquadrare a grandi linee il rapporto che legava Emma e Killian: entrambi ebbero l’impressione che, per quanto poco si fidassero l’una dell’altro, c’era tra loro ben più di quanto non trapelasse in superficie e che nessuno dei due ne fosse anche solo vagamente consapevole. L’uomo aveva guardato più volte la moglie nelle ore che erano seguite a quell’inaspettato incontro e, benché avessero tacitamente convenuto di non indagare ulteriormente sulle mire di Emma, consapevoli del fatto che, se e quando fosse stata pronta, sarebbe stata lei a parlarne e che farle pressione non avrebbe portato ad altro risultato che suscitarne le ire, si erano fatti un’idea abbastanza chiara tanto della situazione quanto dell’aitante accompagnatore che l’altra aveva portato con sé. Qualunque cosa ci fosse in ballo era evidente quanto impatto avesse sull’umore di lei e, chiunque lui fosse, era impossibile dubitare del suo buon cuore.
 
Killian, dal canto suo, era riuscito a carpire molto meno di quanto non avesse sperato. Le poche informazioni trapelate gli avevano concesso di capire che i tre non avessero mai incontrato la giovane prima che diventasse pirata, che molto probabilmente fossero persino all’oscuro della sua vera identità, che non avessero alcuna idea della missione che Killian aveva così strenuamente tentato di conoscere e che, per qualche strana ragione, ne avessero a cuore la felicità. A quel punto, al cospetto di quell’ennesimo sfoggio di affetto nei confronti di uno dei criminali più incalliti che avesse mai incontrato il suo cammino, il tenente non aveva potuto fare a meno di chiedersi come fosse possibile che, dovunque ella andasse, riuscisse a conquistare l’amicizia delle persone cui si accostava, perfino laddove taceva loro la fetta più grande della sua vita. Una parte di lui, alle cui lamentele aveva preferito non prestare attenzione, gli aveva fatto notare che Liam, il suo ligio e incorruttibile fratello maggiore, sembrava fosse caduto nella medesima spirale e che, d’altro canto, egli fosse sul punto di intraprendere il medesimo percorso.
 
«Credo sia il caso di ritirarci.» aveva esordito dopo un po’ Emma, lo sguardo pienamente vigile nonostante mancassero pochi minuti alla mezzanotte e avesse trascorso l’intera giornata in fuga tra i sentieri della foresta. «Posso avere la solita stanza, giusto?»
 
«E’ chiaro!» aveva ribattuto la locandiera con fermezza, aprendo un cassetto per estrarre una grossa chiave in ferro.
 
«Ho bisogno che tu venga con me, Olly. Devo parlarti in privato.» Il suo tono di voce era stato tanto grave che gli sguardi degli altri tre si erano fatti d’un tratto insistenti, finché gli occhi verdi di lei non avevano incontrato i loro, costringendoli a desistere. «Prometto che non abuserò di lei, Harold.» si era limitata a dire, l’angolo della bocca piegato all’insù in modo pestifero.
 
«Me lo auguro, visto che siamo fidanzati.» era intervenuto Killian, smorzando i toni e provocando il sorgere di una sguaiata risata nel locandiere, che aveva dovuto tenersi la pancia con entrambe le mani, ad un certo punto, ed asciugare bene le ciglia dalle lacrime che tutto quel riso lo aveva portato a produrre.
 
«Emma fidanzata?» E aveva riso ancora, perfino più forte, battendo il pugno sul legno consumato del bancone. «Questa sì che è buona!»
 
Le labbra di Emma si erano aperte in un sorriso ed ella aveva inclinato il bicchiere che stringeva tra le mani, finché Harold non lo aveva toccato col proprio a mo’ di brindisi. Era sorprendente, aveva pensato Killian, il grado di confidenza che il pirata fosse in grado di instaurare con persone che, a conti fatti, erano dei perfetti estranei.
 
«Voi aspettatemi qui.» gli aveva intimato lei, alzandosi dallo sgabello e trangugiando quello che rimaneva del vino. Le guance e le labbra arrossate dal calore del vino rendevano ancora più scintillante quello sguardo impenetrabile nel quale l’uomo aveva sempre l’impressione di potersi perdere.
 
«Come faccio a sapere che non tenterete di fuggire?»
 
Lo sguardo di lei si era abbassato, percorrendo in tutta la sua vigorosa mascolinità il fisico di Killian, ed era, infine, tornato ad incontrare quello di lui, sulla bocca un sorriso caldo che in tutto strideva col tenore delle parole che aveva pronunciato poco dopo: «Perché sono stanca di scappare, Killian. Ho deciso che le uniche due possibilità da contemplare con voi siano due: uccidervi o fidarmi. E saprete presto quale sarà la mia scelta.»
 
E così era stato. Emma si era presa tutto il tempo necessario non soltanto per conferire in tranquillità con la proprietaria della locanda, ma anche quello sufficiente a soppesare le conseguenze che sarebbero derivate dalla scelta da prendere in merito al tenente Jones. Accostata alla finestra che dava su un piccolo quartiere interno, sul quale si affacciavano alcune abitazioni e due piccole osterie, il pirata prestò attenzione ai suoni provenienti dall’esterno: gli schiamazzi degli ubriachi, le urla assai poco signorili delle donne di malaffare delle quali pullulavano le strade, il rumore degli zoccoli contro le pietre che formavano il sentiero. C’era qualcosa che le infondeva una strana quiete, una strana sensazione di pace in quello scenario, quasi a volerle dare l’impressione che la decisione presa fosse l’unica realmente plausibile.
 
Le braccia incrociate sul petto, sorrise nel ripercorrere mentalmente le ore trascorse in compagnia di Harold e Olly e nel realizzare quanta gente come loro avesse arricchito il suo percorso da che era diventato pirata. Aveva viaggiato tanto e tanto a lungo che, per quante vite si fosse presa, altrettante ne aveva date: quando aveva incontrato quella coppia sgangherata, i proprietari de “La Scodella Pimpante” erano stati sul punto di dover cedere la loro attività, nonché unica fonte di guadagno della quale fossero a disposizione, sommersi dai debiti contratti con un usuraio che aveva minacciato di distruggere tutto ciò che avevano costruito nel corso degli anni. Non era stato un problema per Emma, lei che delle minacce e del terrore intesseva i suoi spostamenti e la fitta rete di rapporti che era solita creare,  risolvere la situazione ed assicurarsi che quel problema non potesse mai più ripresentarsi. Chiudendo gli occhi, Emma riusciva ancora a sentire il calore del sangue di quell’uomo sulle mani e a vedere il sorriso spavaldo trasformarsi dapprima in sorpresa e, infine, in terrore della morte, nel momento in cui aveva realizzato che la bella biondina era molto di più di quello che appariva.
 
Se il tenente Jones avesse saputo, se avesse visto cosa ella era davvero in grado di fare, si disse Emma, tutte le sue idee sulla redenzione e la rettitudine morale sarebbero crollate come un castello di foglie al cospetto di un tornado. Benché parte dell’incontrollata spietatezza che l’aveva contraddistinta negli anni del primo incontro con Olly e Harold fosse stata dissipata, rimaneva ancora in lei un istinto primitivo che non era in grado di domare, una sete di vendetta che non era certa di poter saziare una volta che la sua missione fosse arrivata a compimento e Henry fosse stato di nuovo al sicuro. Come poteva smettere di essere il mostro in cui si era trasformata? Come poteva permettersi di traviare anche lui?
 
Il rumore della serratura la strappò al mare inquieto di domande e riflessioni che spesso intorbidivano i tratti della felicità ventura che si prometteva di raggiungere e, poco a poco, sospirando, lasciò che la tensione defluisse dalle sue spalle. La porta si schiuse e richiuse dietro di lei e, benché fosse pienamente conscia della nuova presenza all’interno della stanza, tacque a lungo. Il ritmo del suo cuore cominciò a scandire il corso dei suoi pensieri e si ritrovò a fingere una serenità che non apparteneva affatto al suo animo; in quel preciso istante, sentì la mancanza della Nostos e del suo equipaggio, la mancanza della stabilità che, in qualche modo, era riuscita a raggiungere e che presto si era trasformata in quotidianità e, per un solo, brevissimo istante, si chiese se tutti gli sforzi che aveva compiuto fossero valsi la pena che si era data e in cui aveva trascinato gli altri. Fu il ricordo di una piccola fiammella che si stagliava contro l’oscurità del cielo a darle la forza che le serviva per imporsi il rigore del quale sovente finiva per dimenticarsi e a cacciare via lo sfoggio di codardia di cui il suo cure si era appena reso protagonista
 
«Cosa ne è stato dell’usuraio?» La voce del tenente infranse lo stato di quiete nel quale Emma aveva finito per crogiolarsi in tutti quei minuti ed ella non poté far altro che sospirare e chiudere gli occhi, prima di voltarsi a guardarlo. La risposta fu così chiara nei suoi occhi e su tutto il suo volto che,  quasi come un riflesso, Killian sospirò a sua volta con la stessa, stanca rassegnazione. «Perché?»
 
«Giustizia, credo.» disse e seppe che l’uomo non avrebbe mai compreso, un po’ come la Emma che era stata un tempo. Quella fanciulla non conosceva nulla della violenza, della malvagità, della perversione e, nel gelo di quella stanza rischiarata appena dai raggi della luna, il pirata trovò ironico che, oramai, quella stessa fanciulla non conoscesse altro che violenza, malvagità, perversione. «Quello che pensavo fosse giustizia?» tentò di correggersi, le labbra piegate in un sorriso che non raggiunse mai i suoi occhi. «Ho fatto delle cose, tenente, che vi farebbero riconsiderare il concetto che avete di perfidia.»
 
«Perché?» fece di nuovo lui, l’espressione tetra nella penombra della stanza, ed Emma, per un istante, si sentì vuota, buia e insignificante come quelle quattro mura. E seppe che non esistesse domanda più difficile alla quale rispondere di quella che le era appena stata rivolta.
 
«Mio figlio.» La sua voce fu quasi un bisbiglio nel silenzio che riempiva lo spazio tra loro, rendendolo, se possibile, ancora più freddo e vacuo di quanto non fosse già. Il costante, placido contrarsi del suo cuore divenne improvvisamente una corsa forsennata, finché Emma non si ritrovò a brancolare nel buio e, quasi senza rendersene conto, indietreggiò fino ad urtare il piccolo tavolo posto nell’angolo della stanza. In quell’istante, ella comprese che, se mai morire avesse implicato sofferenza, non avrebbe mai potuto provare dolore più grande di quello che pronunciare a voce alta quelle due piccole parole era in grado di infliggerle. Era come morire ogni volta e faceva altrettanta paura. «Henry.»
 
Fu come aprire uno squarcio nella sua anima per l’ennesima volta, come accanirsi ed infierire sulla carne già lacera ed esposta al tocco crudele dell’aria. Nell’oscurità della stanza, la cui unica fonte di luce proveniva dall’esterno, gli occhi di Emma risplendettero di una disperazione penetrante, perfino commovente e Killian, nel ricordare in futuro quell’istante in cui Capitan Swan aveva deciso di fidarsi di lui anziché ucciderlo, avrebbe avuto memoria soltanto di essi, di quei grandi occhi verdi che avevano avuto il potere di recidere ogni legame con la persona che era e trascinarlo nell’universo di dolore del suo più acerrimo nemico.
 
 Per un attimo, Emma sorrise e inspirò profondamente. Il pensiero di potersi lasciare andare ad una simile confessione con il tenente Jones non aveva mai, neppure vagamente, sfiorato la sua mente. Benché amasse i giochetti e avesse imparato ad apprezzare i vantaggi dello stuzzicare l’altro per suscitarne le reazioni, Emma aveva sempre percepito con estrema nitidezza non soltanto la vastità del divario tra loro, ma anche e soprattutto l’impossibilità di vederlo colmato: come lei non sarebbe mai venuta meno al suo spirito pirata, così Killian non avrebbe mai rinnegato la sua vera natura; ed Emma era riuscita perfino ad ammettere, alcuni mesi dopo la loro conoscenza, che la caparbietà di cui egli si era dimostrato in possesso fosse una delle ragioni principali che lo rendevano tanto affascinante ai suoi occhi. Negli anni come capitano della Nostos, la giovane aveva conosciuto e apprezzato la sottile arte della seduzione e, talvolta, ne era perfino stata vittima; e, tuttavia, per quanto avvenenti ed interessanti fossero stati i suoi amanti, mai nessuno era riuscito ad attirare la sua attenzione quanto il tenente Jones. Non aveva avuto molte occasioni di godere della compagnia dell’uomo da quando avevano raggiunto il porto di Durin, troppo impegnata a sbrigare gli affari che maggiormente le premevano, ma i mesi antecedenti le avevano permesso di osservarlo a lungo e ciò che aveva scorto in quei momenti, quando l’altro non aveva avuto il minimo sospetto di essere bersaglio dei suoi studi, l’aveva intrigata e allarmata al contempo. Perché Emma aveva compreso di volerlo, di provare per lui un desiderio che, per quanto magistralmente dissimulato e tenuto sotto controllo, sapeva di dover respingere.
 
Il suo racconto, dunque, fu quanto di più sincero gli avesse mai concesso da quando si erano conosciuti; non essendo stato premeditato, il capitano della Nostos non appose alcun filtro atto a calibrare la portata delle sue parole e il significato di cui esse si facevano portatrici; e, alfine, realizzò di non averne sentito il bisogno, di avere, addirittura, provato un enorme sollievo, come alleggerita del carico che tante bugie ed omissioni avevano finito per aggravare. Lo rese partecipe del suo passato, descrivendogli come avesse vissuto negli anni della sua adolescenza e rendendo piuttosto lampante l’imbarazzo che provava nel ricordare la donna che era stata e per la quale provava perfino rancore. Gli parlò di Henry, della sua nascita e di ciò che ricordava di lui e, nel farlo, una profonda, per molti versi estranea, tenerezza colorò il tono della sua voce di una sfumatura che la rese più madre di quanto non pensasse di poter essere, ma Emma non se ne rese conto e Killian, nell’ascoltarla in silenzio, finì per comprendere finalmente per quale ragione avesse sempre tentato di redimerla. Non si era trattato meramente della volontà di compiere un’impresa titanica e all’apparenza impossibile, né del solo desiderio di farla sua: era come se, per qualche ragione di natura inspiegabile, egli fosse stato in grado di scorgere le macerie della persona che Emma era stata fin dall’inizio e questo lo avesse portato a sperare che, in fondo, non tutto era perduto.
 
Gli narrò del giorno in cui era diventata capitano della Nostos, quando aveva ucciso il suo predecessore al cospetto di un’intera ciurma di briganti e ne aveva gettato il corpo col ventre squarciato sul ponte principale della nave, affinché fossero chiare le sue intenzioni a chiunque avesse tentato di ostacolarla. Non si soffermò a lungo su quel passaggio, ma, prima di andare oltre, si lasciò andare ad una considerazione che si dimostrò illuminante per il tenente rispetto alla persona che Emma fosse realmente e sul perché le venisse tributata una simile devozione dagli uomini del suo equipaggio: “Credo che io e la Nostos fossimo destinate a trovarci, sapete? Un grande potenziale mai sfruttato, a dispetto delle apparenze. Con essa, ho trovato tutto ciò di cui un essere umano possa avere bisogno, una casa, e con me lei ha trovato l’unica cosa di cui nessuna nave potrebbe fare a meno, un capitano,” gli disse nella penombra della stanza e Killian non poté impedirsi di sorridere, perché c’era qualcosa di ironico nel fatto che nessuno degli ufficiali che aveva conosciuto nel corso della sua carriera avesse mai mostrato una simile deferenza per un’imbarcazione. L’arrivismo aveva corrotto il loro animo, rendendolo assai più bieco di quello di un pirata. “E’ stato un po’ come rinascere! Fino ad allora, non avevo che sopravvissuto, schivando i colpi che avrebbero potuto dare una svolta inattesa alla mia quotidianità. Avevo paura. E so che, ai vostri occhi, non può esserci nulla di onorevole  nell’uccidere un uomo per mera brama di potere, ma porre fine all’esistenza di quell’omuncolo è stato come uccidere la brutta copia di un essere umano che ero stata fino ad allora.”
 
E aveva ragione. Killian non avrebbe mai potuto comprendere, né giustificare il crimine che ella aveva commesso –e, con esso, tutti quelli che erano seguiti -, ma la fierezza e la passione che emanarono da lei in quel preciso istante lo condussero quasi all’ammirazione. Deprecava il codice morale al quale la vedeva ispirarsi e, tuttavia, riconosceva in lei la dignità di chi combatte per vivere e non rendersi preda degli eventi. Fu in quel momento che ebbe l’impressione di aver trovato la chiave per comprendere quale fosse il trucco che usava per conquistare chiunque ne incrociasse il cammino.
 
«E di vostro figlio che ne è stato?» chiese ad un certo punto, quando le circostanze resero obbligato porre quel quesito.
 
«E’ quello che ho tentato di scoprire  per tutto questo tempo. Vi risparmio i dettagli delle mie ricerche durate anni, perché non vi sarà difficile comprendere quanto arduo possa essere seguire le tracce di una persona che viene venduta ad una nave di schiavi, e mi limito a darvi le informazioni necessarie.» Killian annuì, trovando finalmente il coraggio per allontanarsi dalla porta e farsi più vicino. Il fascio di luce della prima delle due finestre presenti nella camera lo investì e la sua espressione concentrata parve appena più morbida; poi, compì un altro passo e la magia parve spezzarsi. «Ricordate la sera del ballo al palazzo dell’idiota che chiamavate sovrano?» Malgrado tutto, il tenente sorrise e annuì. «Il furto di quei gioielli non è stato il mero capriccio di un capitan pirata. Ne avevo bisogno per pagare un informatore, l’unico che potesse darmi quello che volevo e questi è stato piuttosto chiaro su quale fosse il prezzo da pagare. Ed è stato di parola! La sera in cui vi ho baciato nel corridoio di quella locanda di Durin,» A quelle parole, l’espressione di entrambi parve mutare e, per un attimo dimentichi del tenore della conversazione, si sorrisero con la giocosa malizia che avevano adoperato ogni qualvolta l’argomento in questione era stato preso in considerazione, «quella sera, lo scambio era appena avvenuto, ma il tempismo con cui ho realizzato che foste il fratello di Liam mi ha tradita. Contavo di partire il mattino successivo, come poi ho fatto, e di lasciarvi sulla Nostos senza troppi problemi, ma sapete benissimo come sono andate le cose.»
 
«Cosa avete scoperto quella sera?» domandò e una strana impazienza fece vibrare la sua voce, preda di quel valoroso buon cuore di cui Emma lo sapeva in possesso. Era come se una parte di lui tenesse già a Henry e alla sua sorte, come se desiderasse sapere che potevano fare qualcosa per salvarlo ed Emma non poté frenare il sorriso commosso che le salì alle labbra.
 
«Che Henry non è mai arrivato al mercato degli schiavi.» disse infine con un sospiro. «E’ stato preso su una nave mercantile e lì è rimasto per diverso tempo, finché…»
 
«Finché?»
 
«Finché non ho ucciso la figlia di un uomo molto potente, attirandomi addosso le sue attenzioni e il suo desiderio di vendetta. Uno dei miei uomini finì per tradirmi e dare all’informatore di questo signorotto tutto ciò che cercava: il mio punto debole.» Un sospiro ancora più pesante sfuggì dalle labbra di lei e Killian la osservò distogliere lo sguardo e puntarlo oltre la finestra, la fronte aggrottata come se i rimpianti la stessero cogliendo in un momento di debolezza e avessero preso a funestare il suo animo. «E’ lui che lo tiene prigioniero, non so da quanto, non so in che condizioni. Credo che una parte di lui si aspetti di essere trovato, che lo voglia perché ha un piano e che, nel frattempo, stia semplicemente godendo dei miei affanni.»
 
Killian le si fece più vicino e le sue mani si chiusero attorno a quelle di lei, finché gli occhi verdi di Emma non incontrarono i suoi. «Vi prometto che lo salveremo, Emma.»
 
Stancamente, la giovane gli sorrise in segno di gratitudine, ma nei suoi occhi si agitarono tutta una serie di quesiti che non ebbe il coraggio di palesargli. Non era ancora pronta, non con lui. «E’ lui che tiene prigioniero Liam, sempre che…» fu sul punto di continuare, ma si arrestò. Lo sguardo di Killian si fece più intenso ed Emma seppe che aveva compreso. «Come vi dicevo, quest’uomo, del quale non so darvi alcuna informazione, è rimasto inerme nel corso di questi anni, tranne in una circostanza. Non ho nessuna memoria della ragazza che ho ucciso e che gli stava tanto a cuore, ma devo averla incontrata poco tempo prima di aver preso come mio prigioniero Liam.»Tacque un istante, quasi volesse raccogliere i pensieri per evitare di esporsi con false informazioni e dargli tutto quello che meritava, e nel condividere con Killian quel peso provò un sollievo che raramente le era capitato di sperimentare da quando il suo calvario aveva avuto inizio. «Dopo mesi di navigazione, trascorso qualche tempo dal giorno del secondo attracco sulla terraferma, fummo attaccati da un gruppo di sicari specializzati, che riuscirono a fare vostro fratello prigioniero e a portarlo con sé. Non so quanto spietata sia la persona con cui abbiamo a che fare,» L’uso del plurale fece inclinare impercettibilmente la bocca di Killian verso l’alto. «ma non dev’essere uno stinco di santo, considerato che, respinti dalla mia ciurma e ottenuta l’informazione su Henry, tornarono qualche settimana dopo per rapire vostro fratello.» L’espressione del tenente si fece perplessa, come se faticasse a comprendere il nesso tra l’insuccesso dei sicari e il sequestro di Liam, ed Emma seppe di dover essere più chiara. «Stecco e Diego hanno chiesto un po’ in giro ed hanno appreso che uno della combriccola, presumibilmente il leader, avesse urlato al resto del gruppo che non potevano tornare a casa a mani vuote per nessuna ragione al mondo, perché ne andava della loro pelle.»
 
Finalmente, la domanda che, in tutti quei minuti, aveva indugiato sulla lingua del tenente venne fuori. «Ma perché rapire Liam? Perché non Stecco, Diego o qualunque altro uomo della vostra ciurma?»
 
Emma sospirò, capendo di dovergli dare delle spiegazioni che avrebbe preferito tacere perché avrebbero fatto sorgere ulteriori interrogativi. «Penso che fosse piuttosto evidente che tenessi all’incolumità di vostro fratello.» disse e lo fece con condiscendenza. «Come vi ho spiegato, Liam non era in grado di passare inosservato e… Ricordate la rissa in cui fu coinvolto?» Killian annuì con un secco cenno del capo. «Vi dissi che ci vollero settimane per rimetterlo in sesto e così fu. Una volta salvato vostro fratello dalle grinfie di Barbanera e dei suoi uomini, salpammo in direzione del porto successivo, quello in cui venne rapito, e feci in modo di averlo sempre al mio fianco per evitare che si cacciasse nei guai.»
 
Killian tentò di figurarsi le scene del racconto di cui Emma lo aveva reso partecipe, ma fu difficile immaginare suo fratello amico del temibile capitano della Nostos, benché non fosse una notizia fresca. C’era qualcosa di assurdo nell’idea che Liam Jones, sempre così ligio al dovere e padrone di qualunque situazione, avesse accondisceso ai comandi di una donna più giovane di lui senza battere ciglio. Con un sorriso, il tenente dovette ammettere che definire Emma in quel modo non rendesse affatto giustizia a tutto quello che rappresentava, ma la smorfia sul suo viso acquisì un retrogusto amaro quando il pensiero che potesse esserci stato del tenero tra i due parve turbarlo.
 
«Qualcuno deve aver pensato, dapprima, che fosse lui Capitan Swan e, in seguito alla scoperta della verità, che mi stesse a cuore. Tra perdere miseramente e perdere con riserva, anch’io avrei preferito la seconda delle due opzioni.»
 
«Quindi, pensate che Liam sia tenuto prigioniero insieme a Henry?» Il pirata aprì la bocca per correggerlo, ma l’altro non glielo permise. «Sempre che non sia già morto, lo so.» A quel punto, Emma annuì. «E dove siamo diretti?» chiese, rendendosi conto solo in quel momento di non aver minimamente allentato la presa sulle mani di lei; piano, sciolse l’intreccio e lasciò che le sue braccia giacessero inermi contro i fianchi.
 
«E’ quello che sto tentando di scoprire. E’ stato l’informatore di Durin ad indicarmi chi seguire e sono riuscita a farlo, finché non ne ho perso le tracce, come ben sapete.» Quell’ammissione le costò più di molte altre fatte quella sera. «Quel poco che ho appreso stando a Weston presso la famiglia Kowl è che costoro si recano in una località sconosciuta una volta ogni tre mesi, stando ben attenti a non essere seguiti, e per farlo passano di città in città, mescolandosi alla gente del posto per qualche giorno per poi ripartire all’improvviso. E’ quello che hanno fatto a Weston e quello che continueranno a fare finché non saranno giunti a destinazione. Ed è proprio lì che dovremmo trovare Henry e Liam.»
 
Killian tacque per un lungo istante nel tentativo di dare un ordine a tutte le informazioni che aveva ricevuto. «Come avete intenzione di procedere? Non sarà di certo facile tenerli sott’occhio senza essere scoperti, se sono dei professionisti. E voi non siete di certo una donna che passa inosservata.»
 
«Lo so.» ammise lei. «Per questo, dovremo usare la massima cautela.»
 
Nel pronunciare quelle ultime parole, si allontanò dal tavolo al quale si era appoggiata e oltrepassò Killian, dirigendosi verso la porta. «Dove state andando?» chiese lui, le sopracciglia visibilmente inarcate.
 
«Non preoccupatevi! Sarò di ritorno in meno di un’ora.»
 
*
 
Seduto al bancone della locanda completamente deserta, Killian prese il bicchiere di rum che stringeva tra le dita e ne soppesò la fattura, passandolo distrattamente da una mano all’altra. La lampada ad olio che aveva portato con sé illuminava appena una serie di tre sgabelli in successione e rendeva perfino più malinconico l’aspetto di quell’interminabile serata. A ben poco era servito l’alcool contro il turbine di pensieri e sentimenti che si erano scontrati nel suo animo, confondendolo e fiaccandolo più di quanto non fosse accaduto nel vivo del colloquio.
 
Apprendere il passato di Emma nelle sue sfaccettature più cruente e dolorose, conoscere le ragioni alla base del suo agire e il legame che l’aveva unita a Liam, nonché la sorte di quest’ultimo erano troppe informazioni per qualunque essere umano e Killian si era reso conto di non fare eccezione. Era passato in poco tempo dal credere che il fratello fosse morto nello scontro con una nave pirata a sapere che non soltanto il famigerato Capitan Swan non l’avesse ucciso, ma che si fosse preso cura di lui e lo avesse a cuore. Rise di un riso amaro e privo di vitalità alla consapevolezza che, fino a pochi mesi prima, non avrebbe mai creduto a nessuna di quelle parole e che, probabilmente, avrebbe tenuto Emma segregata in una prigione fino a sfinirla nell’attesa di una verità diversa, di una verità che fosse disposto a sentire. Come avrebbe mai potuto accettare che Liam, tra tutti il più giusto e temerario, avesse subito il fascino di un pirata e, stando al racconto di Emma, fosse riuscito a provare per lei un sentimento, fraterno o meno che fosse? E com’era possibile che, in tutti quegli anni di ricerche, non gli fosse mai giunta alcuna notizia che potesse far sospettare della sua sopravvivenza?
 
Accostando il bicchiere alla bocca, Killian ne trangugiò d’un fiato il contenuto e, quando l’ebbe fatto, sbatté con tanta violenza la coppa sul legno del bancone che essa rimbalzò e cadde a terra con un sordo tonfo metallico. Per qualche istante dopo ciò, l’uomo rimase in silenzio e tese l’orecchio, sperando di non aver svegliato e allarmato i proprietari della locanda, e fu con un sospiro di sollievo che l’oscurità non gli mandò indietro un suono che potesse dar adito ai suoi timori. Passandosi una mano sul viso stanco e sfregandolo con forza, Killian sospirò e si sarebbe fatto avanti per afferrare la bottiglia di rum, se lo scatto della serratura non lo avesse fermato a mezz’aria, costringendolo a voltarsi. Una figura ammantata fece il suo ingresso in tutta segretezza, ma l’uomo non ebbe neppure il tempo di reagire – in ciò, rallentato dall’abbondante quantità di alcool ingerito -, perché lo sconosciuto tirò via il cappuccio del mantello e una folta chioma bionda fugò presto ogni suo dubbio.
 
I loro sguardi si incontrarono nella penombra dell’ingresso, mentre Killian ricadeva pesantemente sullo sgabello e distoglieva lo sguardo, ed Emma sospirò forte, prima di disfarsi della cappa e raggiungerlo. In silenzio, si accomodò al suo fianco, attese qualche istante e, infine, si allungò per realizzare ciò in cui l’altro non era riuscito; con le dita affusolate strette attorno al collo della bottiglia, Emma accostò la bocca ad essa e bevve due lunghi sorsi, leccandosi le labbra e sforzandosi di non trasalire tanto per il freddo che aveva nelle ossa quanto per il sapore forte della bevanda. Aveva dimenticato quanto potesse essere gelida l’aria da quelle parti quando calava la sera, non importava che Agosto fosse finito da poco.
 
Riponendo la bottiglia sulla superficie del bancone, la spinse piano in direzione dell’altro, gli occhi fissi sul profilo rigido di quel volto mascolino. «Mi dispiace!» gli disse e lo sguardo di Killian si posò sul fiasco a poca distanza da lui.
 
«Per cosa?» chiese, prima di imitarla e concedersi un’abbondante sorsata di rum.
 
«Non dev’essere facile da digerire. La storia di Liam, intendo.» A quelle parole, il tenente parve sciogliersi un po’ e si mise a ridacchiare. «Che c’è?» chiese lei, un sorriso curioso sulle labbra.
 
Killian, finalmente, si voltò a guardarla e il blu dei suoi occhi, smorzato dal colore aranciato del lume, fu intenso come mai prima d’allora. «La storia di Liam, giusto. Perché sentire di una giovane che si trasforma nel re dei pirati, lo stesso che ho considerato mio nemico per anni, per poi scoprire che non solo gli devo la vita per aver salvato mio fratello ma che è alla ricerca di suo figlio è normale, no?» La bocca di Emma si aprì in un sorriso così compiaciuto e genuino che, complici i fumi dell’alcool, Killian rimase perplesso. «Cosa?»
 
Emma gli prese di mano la bottiglia e le loro dita di sfiorarono, e le rispettive temperature erano così diverse che, al contatto col calore di quelle di lui, la giovane sobbalzò impercettibilmente. «Mi avete appena definita il re dei pirati,» gli fece notare e il verde dei suoi occhi scintillò di una gioia inespressa fin quasi ad accecarlo, «e avete parlato al passato, quando mi avete definita vostro nemico.» Eccola, l’espressione di rimprovero che tanto le era mancata. «Dovreste bere più spesso e più abbondantemente, Killian.»
 
Egli fece per riacciuffare il fiasco, ma, prima di rendergliela, Emma bevve un buon sorso di rum. Le loro mani si sfiorarono ancora, ma, stavolta, Killian indugiò più a lungo nel contatto. «Quando siete nei dintorni, sembra l’unico modo plausibile per sopravvivere alla serata.»
 
A quelle parole, la giovane annuì sommessamente, il sorriso ancora sulle labbra, e scivolò sullo sgabello finché le sua schiena non fu poggiata contro il bancone e tutto il suo corpo non fu rivolto verso i tavoli immersi nell’oscurità. Il suo sguardo scandagliò i tratti di quel luogo per trovarvi alcuni dettagli differenti dall’ultima volta che vi era stata e Killian la osservò in silenzio, sorridendo del fare intento con cui pareva dedicarsi ad ogni singola attività, perfino la più banale.
 
«Dunque, c’era del tenero tra voi e mio fratello.» La domanda parve coglierla di sorpresa, nonostante il tono di Killian fosse rimasto neutrale, perché ella si voltò e lo scrutò a lungo prima di rispondere. «Suppongo di poter interpretare il vostro silenzio in modo affermativo.»
 
Emma scosse il capo in segno di diniego, quando Killian tentò di restituirle la bottiglia. «La cosa sembra turbarvi.» gli fece notare lei e l’uomo ridacchiò.
 
«Beh, avrei potuto scommettere su tante cose, ma che Liam potesse cedere ad un pirata non era tra quelle.» le confessò ed Emma annuì, ridendo a sua volta.
 
«Già…»
 
I loro sguardi si cercarono ancora e il tenente avrebbe voluto fare un centinaio di considerazioni e porle altrettante domande, ma preferì tacere poiché non era sicuro di essere pronto per le risposte che avrebbe potuto ricevere. Allora, le sorrise, teneramente e stancamente, come se quelle confessioni li avessero resi d’un tratto più vicini e lui si sentisse pienamente a suo agio ad abbassare un po’ la guardia.
 
«Andiamo a dormire!» disse e, dopo aver riposto la bottiglia dietro il bancone, afferrò il lume alla sua sinistra.
 
Entrambi si alzarono – Killian con un’incertezza nelle gambe che spinse Emma a farsi più vicina per soccorrerlo, nel caso in cui avesse perso l’equilibrio – e lentamente si diressero verso la scalinata che li avrebbe condotti al piano superiore. Eccezion fatta per lo scricchiolio delle tegole del pavimento, il tonfo dei loro passi e il cigolio della lampada che il tenente portava con sé, l’ascesa verso la camera che era stata assegnata loro fu piuttosto taciturna e quel silenzio permase anche quando, una volta aperta la porta, si immisero nel tepore della camera che la giovane ricordava di aver lasciato decisamente più fredda. Ispezionandola con lo sguardo, scorse un braciere nell’angolo della stanza più vicino al letto e non poté impedirsi di sorridere per l’accortezza che l’altro aveva mostrato, un’attenzione della quale lei, abituata ad un vivere così spartano, non avrebbe mai saputo dare sfoggio. E il sorriso sulle sue labbra non poté che ampliarsi nel momento in cui, girando attorno al letto per accostarsi al braciere e scaldarsi un po’, il suo sguardo cadde sulle coperte ordinatamente impilate ai piedi del letto. A quella vista, per la prima volta dopo anni, Emma sentì il bisogno di dormire e di farlo profondamente.
 
Quando si accorse che Killian la stava scrutando attentamente, la giovane temperò i tratti del suo compiacimento. «Non c’è bisogno che dormiate per terra.» gli disse, allungando le mani sulle braci e chiudendo gli occhi per lasciarsi andare ad un sospiro.
 
Le sopracciglia dell’uomo s’inarcarono in maniera teatrale. «Non ne avevo alcuna intenzione.» disse lui e, nel riaprire gli occhi e accorgersi della perplessità dell’altro, Emma ridacchiò.
 
«Meglio così, allora.» si limitò a commentare, ma qualcosa baluginò nello sguardo dell’altro, un lampo di realizzazione, e la sua bocca si schiuse in segno di tacito stupore.
 
«Non avete intenzione di dormire, non è così?» A quel punto, fu l’espressione di Emma a farsi confusa. «Quando eravamo nella vostra stanza e mi avete raccontato di Liam, mi avete detto che cedergli il letto non fosse stato un grande sacrificio per voi.»
 
Quell’uomo e la sua accortezza l’avrebbero distrutta, se lo sentiva. «Non è che non ho intenzione di dormire. Preferisco evitare i letti.» La domanda apparve a così chiare lettere sul volto del tenente che Emma si limitò a sospirare. «Non voglio addormentarmi troppo profondamente, tutto qui.» gli spiegò e, nel farlo, rifuggì lo sguardo dell’altro, afferrando l’asta di ferro accostata al muro per ravvivare appena quello che rimaneva dei tizzoni ardenti presenti nel braciere.
 
Mossi nei punti giusti dal pirata, alcuni ceppi abbrustoliti ripresero colore e, in breve tempo, una luce aranciata si diffuse nella parte della camera più vicina al caldano. Per Killian, che fosse colpa dell’alcool o meno, fu come una rivelazione poiché i colori del fuoco gli rivelarono ciò che Emma aveva nascosto così magistralmente in tutti quei mesi: la stanchezza di cui erano vittime non soltanto il suo corpo ma tutto il suo spirito sprigionò dal suo viso con una chiarezza disarmante e, da che l’aveva conosciuta, il tenente Jones realizzò di non averla mai vista tanto fragile quanto in quel momento.
 
«Emma?» la chiamò lui e la giovane alzò lo sguardo per incontrare il suo.
 
«Mh?»
 
«Vi propongo un accordo: se vi mettete a dormire, vi prometto che eseguirò ogni vostro ordine, da adesso fino a quando tutto sarà finito.» le propose e la bocca di lei si piegò in una smorfia imperscrutabile, che aveva le sembianze di un sorriso ma del quale non era possibile distinguere le sfumature.
 
«Ogni mio ordine?»
 
«Che sia attinente alla missione, ovviamente.» precisò Killian ed Emma gli lanciò uno sguardo contrariato. «E che non implichi che io rimanga indietro o inerme, qualora vi lanciaste in una missione suicida.»
 
«State aggiungendo troppe condizioni, tenente.» lo riprese lei, ma finì per annuire sommessamente ed accostarsi al letto.
 
Quando entrambi si furono sistemati sotto gli strati di coperte, egli non poté fare a meno di domandarsi quanto gravoso fosse stato per Emma portare da sola un simile fardello e quanto la confessione di quella sera dovesse averla sfiancata e spaventata a un tempo.
 
«Emma?» fece piano, nel timore di poterla svegliare qualora si fosse addormentata.
 
«Mh?»
 
«Li troveremo e vi prometto che andrà tutto bene.» le disse e il sospiro che giunse alle sue orecchie fu così sfibrato che, per un attimo, desiderò poterle infondere la speranza che tutti quegli anni di peregrinazioni le avevano portato via. Per un istante, ebbe perfino l’impressione che il peso sul materasso si alleggerisse.
 
«Non è una promessa che potete fare, Killian, e lo sapete.» La voce di lei dimostrava chiaramente che, per quanto stanca, fosse ancora perfettamente lucida. «Ma vi ringrazio!»
 
«E’ una promessa che ho intenzione di mantenere.» le confidò, lo sguardo fisso sul soffitto.
 
Il materasso si piegò sotto di lui, quando Emma fece per girarsi, e Killian la cercò con gli occhi, finché non ebbero trovato il verde tanto familiare cui ella lo aveva abituato. Ci volle tutta la buona volontà e la caparbietà di cui era in possesso per non farsi avanti e mandare a puttane i buoni propositi che si era ripromesso di mantenere, nel momento in cui la giovane, sollevandosi appena sul gomito, i lunghi capelli a carezzarle il petto, le spalle nude e il viso, divenne la rappresentazione materiale del suo più grande desiderio. Stringendo vigorosamente i pugni sotto le coperte, si impose una calma che era ben lontana dall’appartenergli e attese che l’altra si decidesse a parlare.
 
 
«Tenente,» fece lei e Killian avrebbe dovuto comprendere, dalla gravità del tono di voce e dalla risolutezza dello sguardo, che la sua interlocutrice fosse Capitan Swan, non più la ragazza con cui aveva avuto modo di confrontarsi quella sera; e questo, almeno teoricamente, avrebbe dovuto placare il suo desiderio e permettere all’odio di alzare il capo e fronteggiare la spavalderia della sua interlocutrice, ma non fu così. «vorrei che fosse chiara una cosa: Henry è una mia preoccupazione. Il fatto che adesso sappiate di lui non cambia le carte in tavola.» Il tenente avrebbe voluto sospirare, mettersi a sedere e, prendendola per le spalle, scuoterla fino a minare il campo di testardaggine ove si era relegata e ove impediva a chicchessia l’accesso; nella sua mente, tuttavia, riaffiorò nitida l’immagine di Diego scaraventato contro la parete della nave e il suo istinto gli suggerì che fosse saggio non chiederle uno sforzo maggiore di quanto non avesse fatto quel giorno, decidendo di fidarsi di lui e rendendolo partecipe del suo passato. Eppure Killian sapeva quanto focoso fosse il suo temperamento! «Il motivo per cui vi ho detto tutte quelle cose è che volevo capiste che non scherzo e che qualunque atto riprovevole mi vedrete compiere non è la follia di un momento. Io sono la persona che avete visto e, ancora di più, quella che vedrete e, ve lo giuro sulla vita di mio figlio, non esiterò ad uccidervi come una bestia se-»
 
Ma non ebbe mai modo di concludere. In uno scatto d’ira che non si sarebbe mai aspettata, il tenente scaraventò via le coperte, si alzò dal letto e, a grandi passi, lo aggirò finché non l’ebbe raggiunta. A quel punto, prendendola per un braccio, la trascinò con sé in prossimità del tavolo posto nell’angolo e, sollevandola per i fianchi come fosse una bambina capricciosa, ve la sbatté sopra con una veemenza tale che non soltanto il tavolo cominciò a dondolare, ma Emma fu anche costretta ad afferrarsi alla spalla di lui nel timore di cadere. In un’altra occasione, colta meno di sorpresa e con protagonista una persona diversa dal tenente Jones, il capitan pirata avrebbe prontamente reagito a quelle, seppur blande, forme di violenza cui l’altro l’aveva sottoposta; ma la successione degli eventi fu così inaspettata che non pose in essere alcuna delle precauzioni che, altrimenti, avrebbe immediatamente adoperato.
 
«Basta!» disse lui, la voce un ringhio basso mentre gli occhi blu la inchiodavano al posto. «Sono stanco delle vostre minacce. Volete uccidermi?» le chiese e, nel farlo, si allungò per prendere il pugnale che aveva lasciato sul davanzale della finestra più vicina. «Fatelo!» le intimò, posizionandole l’arma in mano e, dopo averle afferrato il polso, accostandola all’altezza della giugulare. «Finiamola qui e mostratemi davvero di cosa è capace Capitan Swan. Avanti
 
Le sue parole furono talmente roventi che l’espressione di Emma mutò radicalmente e lo sguardo di lei finì per indugiare con fare contemplativo sul collo vigoroso di lui. Il pirata studiò con attenzione la porzione di pelle esposta alla sua possibile, ventura violenza, finché i suoi occhi non si soffermarono sulla grossa vena pulsante che percorreva perpendicolarmente il collo e le sue dita non salirono a carezzarla. Delicata, premette i polpastrelli su di essa per sentire il sangue scorrere e il cuore pompare energico nel corpo di Killian, soggiogata dal fascino che il pensiero di reciderla esercitava su di lei. Lo avrebbe fatto senza pensarci troppo su, com’era accaduto già in molte altre occasioni, e avrebbe atteso finché, esangue, la sua vittima non avesse smesso di muoversi e contorcersi nel tentativo di salvarsi. Sarebbe bastata la frazione di un secondo per porre fine all’esistenza del tenente Jones, ma non sarebbero stati sufficienti anni per cancellare la sensazione del sangue dalla sua pelle, né lo sporco di cui sarebbe stata inondata la sua coscienza.
 
Con un sospiro breve e un sorriso, Emma allontanò il pugnale dalla giugulare dell’uomo e lo ripose sulla superficie del tavolo. «Killian,» fece, mentre nella sua mente affiorava l’immagine di una situazione ben diversa, la stessa in cui lui l’aveva sfidata con la stessa dissennata spavalderia nelle segrete di un castello. «vi ho mai detto che, di tanto in tanto, sapete essere un uomo estremamente imprevedibile?» La durezza con cui l’aveva guardata fino a quel momento parve smorzarsi, ma non le regalò nessun sorriso. Emma fu ben lontana dallo scoraggiarsi. «Siete stato voi a dire che vi sareste attenuto ad ogni mio ordine, se mi fossi messa a letto. Ve ne stavo dando uno.»
 
«Dormire. Dovevate mettervi a dormire.» la corresse con tono fermo e lei gli sorrise, l’acredine di Capitan Swan oramai sopita.
 
«E siete anche pignolo.» Piano, scivolò in avanti e, a gambe divaricate, le sue ginocchia finirono per porsi all’altezza dei fianchi di lui. Malgrado tutto, Killian non poté impedirsi di guardare in basso, anche solo per la frazione di un secondo. «Credo sia giunto il momento di andare a dormire.» disse e, benché ambedue fossero desti e all’erta, Emma scese con un saltello, lo spinse via e si diresse verso il letto per sparire sotto le coperte.
 
Il tenente rimase in quella posizione a lungo, finché un mugugno non fuggì dalle sue labbra e chiuse gli occhi, alzando il capo come per scaricare tutta la stanchezza accumulata. Quando, infine, si decise a seguirla e il materasso si piegò sotto il peso del suo corpo, il tenente impiegò più di qualche minuto per rasserenarsi e scacciare la tensione con cui quello scatto d’ira aveva finito per colmarlo. E fu con rassegnazione che si girò su di un fianco, nella mente l’eco delle parole che, tanto tempo prima, Liam gli aveva rivolto: “Se non ti uccide, ti fortifica!”

«Sarà…» disse tra sé e sé, in un sussurro quasi impercettibile, prima di rilassarsi e abbandonarsi al sonno.


 

_____________________________________________________________________________________________
Spazio dell'autrice:

Ogni promessa è debito! 
E mi sono impegnata con tutta me stessa per mantenerla, nonostante ci fosse un volo aereo di mezzo. Avevo assicurato a due ragazze [Lilith e Alessia! <3] che avrebbero avuto il capitolo entro fine settimana e sono lieta di esserci riuscita. Ho scritto sull'aereo, giù a casa dei miei, su a casa mia, di giorno, di notte, di pomeriggio, ma ne è valsa la pena. Preciso subito - ma chi è arrivato qui deve essersene reso conto - che questo capitolo è servito a mettere in chiaro alcune cose che finora erano rimaste in sospeso: perché Emma avesse rubato i gioielli del sovrano di Thrain, perché Emma fosse rimasta per tanto tempo a Weston come ospite dei Kowl senza alcuna apparente motivazione, perché, il giorno che Killian l'aveva trovata, lei avesse già programmato di andar via... Ma, soprattutto, apprendiamo quali informazioni su Henry Emma sia riuscita ad ottenere in tutto questo tempo e che fine abbia fatto Liam [anche se la questione su di lui rimane ancora in sospeso - Vivo o morto?]! 
Però, questo capitolo ha segnato, almeno per me che l'ho scritto, una suplice svolta: oltre a permettermi di chiarire tutta una serie di cose che mi consentiranno di andare meno per il sottile con la narrazione, ho potuto dare una nuova impronta al rapporto tra Emma e Killian. Lei ha deciso di fidarsi di lui e di renderlo partecipe di buona parte della storia della sua vita e questo significa che nuove sfide sono in arrivo... Il fatto che lui sappia, in qualche modo, metterà Emma un po' più sull'attenti, perché sa che lui conosce il suo punto debole e, per quanto ligio al dovere lui sembra, Emma si è sempre ispirata al motto "Fidarsi è bene, ma fidati che non fidarsi è anche meglio" per dirla con parole sue.
Detto questo, spero che il capitolo vi sia piaciuto e che la sua lunghezza non vi abbia affaticati, ma non sono riuscita ad accorciarlo in nessun modo. Come al solito, ringrazio tutte le persone che seguono la storia, che la leggono con passione e, ancora di più, le ragazze che hanno recensito: A lexie spandina Ibetta, come direbbero gli inglesi, "you made my day". Non solo aspetto con ansia le vostre recensioni, ma me le porto dietro per tutta la giornata e anche per i giorni a venire; avete un grosso impatto sul mio umore e non so mai come ringraziarvi. Quindi, questo capitolo - e anche gli altri, in fondo - è un po' anche vostro, perché, senza recensioni, non mi sarei mai sentita spronata a continuare e, senza sapere che qualcuno aspetta di sapere come vadano le cose, la mia ispirazione si sarebbe data alla latitanza. Quindi, g r a z i e! <3
Per concludere, vi auguro un buon OUAT-day e, ovviamente, un buon CS-day... Non credo di essere pronta per l'episodio di stanotte. *_*
Buona lettura!

Ritorna all'indice


Capitolo 10
*** Per i tuoi larghi occhi ***


Capitolo X
Per i tuoi larghi occhi

 
«Cosa ti porto, amico?» La voce di Harold lo costrinse ad alzare gli occhi dalla superficie umida del bancone. «Oh! Direi che un goccetto di rum è quello che ti ci vuole.»
 
Infernale. Se Killian avesse dovuto descrivere le ultime ore e il modo in cui si erano susseguite, non avrebbe saputo trovare parola più idonea di ‘infernale’. Gli eventi erano sfuggiti al suo controllo e al suo raziocinio con una rapidità che non aveva saputo prevedere e i progressi della sua relazione con Emma erano parsi cadere in picchiata contro il pavimento e sfracellarsi, dando l’impressione di un vaso oramai impossibile da ricomporre. Aveva perso la testa, aveva reagito d’impulso e si era tramutato nel pirata in cui la donna aveva sempre tentato di trasformarlo; ed era impossibile dire se l’ira che gli ribolliva in corpo fosse principalmente dovuta alla sua condotta, al fatto che avesse rinnegato la compostezza cui la marina lo aveva edotto o alla degenerazione che non era stato in grado di tenere sotto controllo.
 
Passandosi stancamente la mano sul volto, strofinò gli occhi con le dita e prese a massaggiarli con vigore nel tentativo di alleviare l’emicrania della quale era vittima da più di un’ora; e tanto il suo corpo quanto il suo spirito accolsero con un sospiro di sollievo la vista del bicchiere colmo di rum che Harold gli stava porgendo. Senza riflettere, lo portò alla bocca e ingollò un paio di sorsi, le palpebre chiuse come se non volesse vedere le sue tribolazioni annegare nell’alcool, come se gli risultasse intollerabile il suo stesso comportamento ma fosse conscio di non poterlo mutare per alcuna ragione al mondo, se aveva intenzione di sopravvivere a quell’ennesima svolta. Con una smorfia dal sapore dolceamaro, Killian ricordò le parole che aveva pronunciato appena due sere prima in quello stesso luogo, quando Emma gli aveva (neppure troppo sottilmente) fatto notare quanto avesse bevuto, prendendosi gioco di lui e del suo comportamento: Quando siete nei dintorni, sembra l’unico modo plausibile per sopravvivere alla serata”. Ed era vero. Dannazione, se era vero! In meno di un anno, quel demonio di un pirata lo aveva condotto vicino al baratro dell’alcolismo più di quanto non fosse mai stato in vita sua e ammetterlo era una confessione che costava molto.
 
«Ti va di parlarne?» lo sorprese la voce di Harold e, appena inebetito dal contenuto del bicchiere che aveva finito per ripulire, Killian rispose con un grugnito, facendo un cenno in direzione della bottiglia di rum perché gliene servisse dell’altro. «E’ un bene che la locanda sia quasi del tutto vuota.» continuò il proprietario della Scodella Pimpante e, nel farlo, accondiscese all’ordine che l’altro gli aveva indirizzato, accostando la bottiglia all’orlo del bicchiere finché il liquido ambrato non fuoriuscì e finì per bagnare le mani del tenente. Incurante, quest’ultimo leccò via l’alcool, dando l’impressione di non voler sprecare nemmeno una stilla della sua libagione. «Il fracasso avrebbe potuto spaventare i clienti.»
 
Quando Killian alzò gli occhi sul volto dell’uomo, vi trovò un’espressione consapevole e, per l’ennesima volta in pochi minuti, non poté che sospirare, domandandosi cosa avesse fatto di male, in un’altra vita, per essersi meritato un incontro tanto nefasto quanto lo era stato per lui quello con Capitan Swan. In quel frangente, desiderò trovarsi in una quieta casupola di campagna, circondato dal verde e dal silenzio della sera, in compagnia di una moglie e, perché no?, perfino dei figli; in quell’istante, desiderò un’esistenza ed un temperamento diversi da quelli che aveva sempre condotto e dimostrato di avere, poiché sapeva che ogni cosa sarebbe stata più semplice e il suo vivere meno affannoso. E finì per ridere anche di questi suoi pensieri, quando realizzò che Emma fosse stata in grado di fargli rinnegare – o, almeno, desiderare di ripudiare - tutto ciò che aveva faticosamente conquistato e meritatamente ottenuto. Non aveva mai desiderato una vita monotona e tranquilla, né mettere su famiglia prima di aver realizzato tutti gli scopi che si era prefissato di raggiungere, e non c’era stata alcuna donna, fino a quel momento, che lo avesse spinto a riconsiderare i piani che aveva fatto per il suo futuro. Si rese conto che, da quando aveva conosciuto Emma, la sorte si fosse caricata di un’ironia addirittura maggiore, sferzando il suo orgoglio con i ceffoni che non aveva ricevuto da piccolo ma che, di tanto in tanto, avrebbe sicuramente meritato.
 
Il motivo della contesa era stato uno stupido, madornale errore e la frazione di un secondo era bastata per rendere una semplice dimenticanza la miccia in grado di appiccare il fuoco a tensioni sopite, che mai, d’altro canto, erano state completamente debellate; quelle ostilità, pur accuratamente dissimulate, erano risorte, come una fenice dalle proprie ceneri, con le insidie di una distrazione non calcolata. Erano stati sufficienti un foglio di pergamena e i tratti di un viso di bambino raffigurati su di esso e la bufera era calata su di loro, rendendo Emma la persona più irragionevole e pericolosa che Killian avesse mai avuto modo di incontrare e il tenente la versione più superba ed altera di sé, quella che, in parte, il rigore della marina aveva cancellato.
 
Il mattino in cui, intontito dall’intruglio che Emma gli aveva somministrato per potersela dare a gambe in tutta tranquillità, Killian si era svegliato e aveva messo a soqquadro gli alloggi di lei, alla ricerca di un indizio e di una valvola di sfogo che gli consentisse di non impazzire di rabbia, aveva trovato molto di più di quanto non si fosse aspettato. Accartocciato in un angolo remoto della stanza, come dimenticato o perduto e mai più ritrovato, i suoi occhi si erano posati sui contorni di un foglio che aveva rivelato lui i tratti di un bambino dal sorriso grande e dagli occhi svegli, così svegli che, a forza di riguardarlo nel corso del lungo viaggio che lo aveva ricondotto ad Emma, il tenente si era convinto fossero in grado di osservarlo davvero. Con esso stretto tra le dita, la rabbia che gli ribolliva nelle vene e la pertinacia di un uomo che non è disposto ad arrendersi di fronte a nulla, aveva cercato e, infine, trovato l’unica persona sulla nave che avrebbe potuto dargli delle risposte concrete e comprendere le sue ragioni.
 
Diego lo aveva osservato a lungo, soppesando le parole che Killian aveva pronunciato e le conseguenze che sarebbero derivate dalle sue azioni, attendendo pazientemente finché il respiro del suo interlocutore non si era fatto più regolare e il tremore aveva smesso di scuotere le sue mani. A quel punto, gettando un’occhiata contrita all’indirizzo del volto di bambino che non aveva mai incontrato ma che in fondo conosceva, aveva sospirato e gli aveva dato tutto ciò che avrebbe potuto dargli un uomo tanto fedele al suo capitano: bocconi di verità. Ed era da quei mozziconi, da quegli indizi che era cominciata la ricerca del tenente Jones, nella mente reboante il pensiero della storia che si celava dietro tanto mistero, dietro la figura della donna che aveva investito la sua quotidianità fino a renderla così lontana da dare l’impressione che, in realtà, non si fosse mai verificata.
 
L’errore che gli era quasi costato la vita altri non era che quello di aver taciuto il ritrovamento e, dunque, il possesso del ritratto del bambino che aveva scoperto essere Henry. Il foglio di pergamena era rimasto relegato nella tasca interna della giacca che aveva portato con sé per proteggersi dal freddo, troppi gli eventi che si erano susseguiti dall’ultima volta che il tenente avuto modo di tirarlo fuori per dargli un’occhiata, benché conoscesse i tratti di quel volto come fossero di suo figlio. L’errore che aveva commesso era stato genuino: nell’incalzante successione di novità e rivelazioni del quale era stato attore e spettatore al contempo, la sua mente era stata sopraffatta al punto tale che Killian aveva dimenticato di essere in possesso di quell’oggetto in apparenza tanto inutile ma, in verità, infinitamente prezioso per la persona che l’aveva perduto. Ed era probabile, sì, che una parte di lui avesse inconsciamente respinto l’ipotesi di restituirle ciò che le apparteneva nel timore della reazione che ciò avrebbe potuto suscitare, ma era altrettanto reale che non aveva mai avuto intenzione di ferirla, benché – oramai lo sapeva – non fosse arrivato ad altro risultato che quello.
 
Nel ricordare l’espressione sgomenta con cui Emma lo aveva guardato, tra le dita stretto il ritratto che, accidentalmente caduto dalla tasca ove era stato riposto, aveva rinvenuto sul pavimento, Killian grugnì e, in una mossa che nemmeno lui si sarebbe aspettato, si sporse oltre il bancone per afferrare la bottiglia e berne con ingordigia buona parte del contenuto. Gli aveva chiesto spiegazioni, ma il tenente aveva realizzato, ben prima che la situazione degenerasse, che nulla di ciò che avesse detto sarebbe stato sufficiente a placare il tumulto che vedeva agitarsi nel verde di quegli occhi. Ricordava a stento quale fosse stato il momento in cui la loro conversazione aveva assunto una piega tanto dura, perché era inciso a fuoco nella sua mente il ricordo della postura di Emma poco prima che gli si avventasse contro. Lo aveva visto arrivare, il pugno che, colpendolo alla mascella, lo aveva costretto ad indietreggiare di alcuni passi verso la parete più vicina, sbalzato da una forza che non si era aspettato l’altra possedesse e dalla valanga che si era abbattuta su di loro con così poco preavviso. E, prima del dolore e dell’indignazione, aveva sentito scricchiolare le basi sulle quali si reggeva la loro relazione, le stesse che avevano duramente costruito e che un foglio malridotto era stato in grado di mettere in pericolo con un impeto distruttivo pari soltanto a quello del pirata.
 
«Hey, vacci piano, bello!» fece Harold cautamente, avvicinandosi per togliergli la bottiglia di mano, e Killian non oppose resistenza, lo sguardo fisso sul pavimento logoro oltre il bancone e le mani serrate in due pugni. «Devi calmarti e questo non ti aiuterà, fidati.» Un sorriso sorse sulle labbra dell’uomo che, con fare comprensivo, gli si accostò e gli diede due grosse pacche sulla spalla. «Se c’è una cosa che il matrimonio con Olly mi ha insegnato, è che l’alcool non aiuta a sbollire una grossa arrabbiatura.»
 
«Hai ragione,» sussurrò, più a se stesso che al proprietario della locanda, come se volesse convincere la parte più impetuosa e recente di sé che il suo comportamento non si addicesse ad un tenente della marina, «ma, al momento, sembra l’unica soluzione plausibile.» gli confessò, i nervi dolcemente inebetiti dagli effetti del rum. Il sapore forte della bevanda indugiava ancora sulla sua lingua e con un sorriso amaro Killian si disse che mai avrebbe pensato di poterne bere una simile quantità, lui che il rum lo aveva sempre tanto disprezzato. «La verità è che sono la caricatura della persona che ero, Harold, ed è tutto quello che mi ero giurato di non far accadere mai.»
 
Harold sospirò, allontanandosi un istante per servire un cliente seduto all’altro capo del bancone. Quando fu ritornato, gli disse: «Non sei come lei, se è questo che temi.» Killian alzò lo sguardo su quell’uomo che, a conti fatti, per lui non era nient’altro che uno sconosciuto, ma col quale aveva preso a confidarsi come se si conoscessero da una vita e che gli stava parlando come se davvero non avessero che vissuto fianco a fianco. «Dal momento in cui hai varcato quella porta, due sere fa,» gli disse ed indicò distrattamente l’entrata della locanda di sua proprietà, «ho saputo che c'era qualcosa di diverso in te.»
 
E il tenente, benché non ne sapesse le ragioni, non ebbe il cuore di dubitare di quelle parole, non nel momento in cui le memorie del loro primo incontro, quando marito e moglie lo avevano chiaramente discostato dalle previe conoscenze maschili di Emma,  si fecero improvvisamente vivide. I suoi occhi blu incontrarono quelli nocciola dell’uomo e la smorfia sulle sue labbra assunse delle sfumature differenti, più dolci e rilassate, dando l’impressione che, forse, quella sera il mondo non gli sarebbe crollato addosso fino a schiacciarlo col suo peso. Forse, quella sera, si sarebbe salvato e sarebbe stato un passo più vicino a trovare Liam.
 
«Non ero così, fidati, e non avrei mai pensato di potermi ridurre a tanto.» Le sue parole furono così malinconiche che Harold trattenne a stento l’impulso di raggiungerlo al di là del bancone e abbracciarlo per alleviare gli affanni che poteva leggergli in viso. Era un uomo tenero, il locandiere, e la vita non gli aveva mai dato la gioia di avere una sua progenie; che dipendesse da Olly o da lui o magari da entrambi, poco importava perché rimaneva nel suo cuore il vuoto di chi avrebbe voluto amare ma non ha potuto, non come voleva. «E continuo a ripetermi che è solo una situazione temporanea, ma comincio a dubitarne perfino io.»
 
Harold gli sorrise con tenerezza, prima di porgergli la domanda successiva. «Cos’era tutto quel baccano?» chiese e lo fece con la schiettezza di un uomo semplice, che non vuole sapere per il mero bisogno di soddisfare una curiosità ma con spirito di complicità. «Sembrava che andaste d’accordo, che foste alleati.»
 
Quelle parole fecero sorridere Killian, perché resero evidente il modo in cui la sua relazione con Emma apparisse all’esterno, e una parte di lui si sentì confortata dal risultato, quasi temesse le conseguenze di un giudizio diverso, meno amichevole. Ma la verità era che il suo animo non avrebbe potuto essere meno propenso al riso e alla convivialità, scosso com’era dagli eventi della mezz’ora prima e dalla precarietà della situazione nella quale si trovava. In cuor suo, temeva che ella sarebbe fuggita ancora, che l’unico modo per trovare Liam sarebbe stato inseguirla perfino in capo al mondo, anche a costo di far saltare la copertura che si era costruita nel corso di quei lunghi anni di ricerche. Una vocina sottile, pungente come solo la voce della coscienza può esserlo, gli chiese se fosse disposto davvero a tanto pur di raggiungere i propri obiettivi, se esistesse nel suo animo una disposizione tale da far prevalere il desiderio di rifarsi delle malefatte di lei a scapito di un bambino. Era davvero riuscita a trasformarlo fino a quel punto?
 
«Ed era così fino a un’ora fa.»
 
La pace era durata la bellezza di un giorno e mezzo, arco di tempo durante il quale si erano adoperati al fine di trovare il trio che tanto alacremente Emma aveva pedinato e spiato nelle ultime settimane. In quella breve avventura come compagni, Killian aveva potuto osservare da vicino l’abilità e la caparbietà di cui ella era capace, e su quei lineamenti tanto belli quanto crudeli aveva scorto la più grande determinazione che avesse mai visto sul volto di qualunque essere umano, poiché non vi era traccia di dubbio sulla riuscita dell’impresa negli occhi di Emma: sapeva che ce l’avrebbe fatta, che Henry sarebbe stato tratto in salvo ed era consapevole che questo avrebbe avuto un prezzo, un prezzo che era disposta a pagare dando in pegno perfino la sua anima. E, conoscendone la storia, il tenente l’aveva ammirata a dispetto di qualunque aspettativa e, in parte, ne aveva invidiato l’inusitata tenacia, con la consapevolezza che molti altri, nella sua posizione, avrebbero desistito di fronte all’evidenza e all’impossibilità della missione. Emma, invece, che non sapeva cosa fosse la resa, aveva trasformato il suo destino e sfatato più miti di quanti non fosse dato pensare; era una donna pirata, uno dei capitani più ricercati dalla marina militare, lo stratega più brillante e il combattente più intrepido che il tenente Jones – entrambi i Jones, probabilmente – avessero mai incontrato. C’era un non so che di incredibile nel pensiero che, un tempo, fosse stata una semplice fanciulla di villaggio e Killian, da quando aveva appreso la verità sul passato dell’altra, non aveva potuto fare a meno di chiedersi se l’avrebbe mai notata, e come sarebbero andate le cose se si fossero conosciuti in circostanze del tutto differenti.
 
«Il fatto è che le ho involontariamente taciuto di avere qualcosa di suo, qualcosa che suppongo le fosse molto caro e che aveva perduto. Ho tentato di farle capire la genuinità del mio errore, ma… Beh, hai sentito!» disse e il suo sguardo fu eloquente quanto quello di Harold. La loro zuffa aveva provocato un bel trambusto e, per quanto Killian avesse tentato di limitare i danni, aveva piena consapevolezza di aver perso a sua volta il controllo, ad un certo punto. «La verità è che quella donna è impossibile!» sbottò, battendo la mano sul tavolo così forte che il tipo addormentato all’altro capo del bancone sobbalzò e cominciò a guardarsi intorno come temendo un attacco. Harold rimbrottò Killian, intimandogli la calma, e il tenente si costrinse a dargli ascolto, inspirando profondamente; ma accondiscendere a quella richiesta fu come farsi violenza perché, quasi senza rendersene conto, strinse i pugni e digrignò i denti così forte che le nocche sbiancarono e il muscolo della mascella prese a vibrargli nervosamente.
 
Quando i suoi occhi si alzarono sul volto di Harold, non vi trovarono la comprensione che si era aspettato. «Penso sia il caso che tu ci dorma su, Killian,» si limitò a dire e il tenente non poté impedirsi di inarcare le sopracciglia, in un palese stato di confusione, «e domani saprai qual è il modo migliore per-»
 
«Non sei d’accordo!» lo interruppe bruscamente, la fronte aggrottata nello sforzo di capire. «Non credi che ti stia dicendo la verità o pensi che lei abbia ragione a prescindere?» domandò e l’alcool non solo rese strascicate le sue parole, ma più veemente di quanto non intendesse il suo quesito.
Harold si versò un cicchetto di rum e lo bevve d’un fiato, l’espressione intensa. «Non è questo, amico. E’ che-» Qualcosa nella reazione di Killian dovette rendere palese che il fare criptico che aveva finito per adottare non fosse il modo migliore per approcciarsi ad un uomo alticcio, per di più della stazza del tenente; infatti, poco dopo vi pose rimedio. «Sei sicuro di non essere più arrabbiato con te stesso che non con Emma?» tagliò corto.
 
«Arrabbiato con me?» Il tono della sua voce si fece improvvisamente brusco e, con uno scatto, si alzò e rovesciò lo sgabello, riuscendo a mantenere l’equilibrio soltanto grazie al pronto intervento del locandiere, che lo afferrò per il braccio appena in tempo. «Mi chiedo chi sia più ubriaco dei due,» sbottò, mentre se lo scrollava di dosso malamente, e Harold sospirò piano, conscio del fatto che i suoi timori si fossero appena realizzati, «ma su una cosa hai ragione: è meglio che vada in stanza.»
 
«Le hai mentito e sai che non avresti dovuto,» ribatté, fermando la fuga dell'altro prima che avesse inizio, «la conosci meglio di me e sai che avresti dovuto darle ciò che le apparteneva.» Killian schiuse istintivamente le labbra, sorpreso e colpito a un tempo, e diede l’impressione di aver appena ricordato dove fosse e con chi fosse, di aver appena realizzato che Harold non fosse uno dei suoi mozzi e lui non fosse più il tenente Jones cui erano stati, a suo tempo, tributati tanti onori. Per questa ragione, per quanto desiderasse smentire le accuse che il locandiere gli stava rivolgendo - perché la conclusione sottesa alle parole di lui era che il tenente avesse volutamente evitato di compiere ciò che ci si aspettava facesse -, rimase dov'era, sul suo viso riflessa la medesima franchezza del suo interlocutore. «Non credere io sia uno sprovveduto, Killian. Non so chi Emma sia o cosa faccio realmente, ma ha il fuoco negli occhi, un fuoco pericoloso e mio padre diceva sempre di stare in guardia da chi brucia dall'interno perché finisce inevitabilmente per bruciare ciò che sta all’esterno.» La grassa risata di due uomini addossati alla parete più prossima alla porta di entrata risuonò nella locanda, riempiendo il silenzio tra di loro. «Tu sei un uomo intelligente, Killian, direi anche onesto, e so di non conoscerti, ma, a volte, guardandoti, ho l’illusione di averti già incontrato e di capire di te tante, tante cose che non dovrei.» Il ricordo lontano di una persona dalle fattezze assai diverse da quelle del locandiere affiorò nella mente del trentenne e con essa riemersero memorie del suo passato che aveva creduto seppellite accuratamente e a fondo. «E lascia che ti dia un consiglio: c’è un tempo per l’orgoglio e c’è un tempo per la saggezza. Rinunciare al primo in favore della seconda non è sintomo di debolezza ma di umiltà.» A quel punto gli sorrise e, come Killian gli aveva visto fare molte volte, prese un boccale e cominciò ad asciugarlo con uno strofinaccio, lasciandosi andare ad un grosso sbadiglio. «Tu saprai cos’è giusto fare!»
 
*
 
Poreia era il nome del villaggio che l’aveva ospitata nell’ennesima tappa del suo infinito peregrinare. Emma conosceva i viottoli di quel paese e i suoi incroci come vi avesse sempre vissuto ed era così per ognuno dei luoghi che si fosse trovata ad esplorare negli ultimi anni della sua vita. Costretta dalla necessità di una missione tanto impellente, il capitan pirata aveva saccheggiato dei loro misteri e delle loro astuzie i borghi più quieti e se ne era servito per i propri scopi senza scrupolo alcuno, consapevole del fatto che nessuna gentilezza avrebbe ma potuto renderle ciò che le era stato strappato via senza che le venisse data la possibilità di combattere per proteggerlo. Eppure Poreia aveva avuto qualcosa di diverso sin dal primo momento in cui vi era stata condotta. In quel villaggio, Emma aveva avuto l’impressione che, se le circostanze fossero state diverse, Henry fosse stato ancora al suo fianco e lei non avesse imparato ad apprezzare il viver selvaggio della pirateria, sarebbe stato il luogo che la passata versione di sé avrebbe scelto per fuggire dall’uomo che, perfino allora, quando non era stata che una sciocca codarda, aveva faticato a chiamare padre.
 
Guardandosi intorno in quell’angolo di paradiso dimenticato da Dio, Emma sorrise nel momento in cui i suoi occhi si posarono sulla gonnella svolazzante di una bambina intenta a rincorrere un ragazzetto di qualche anno più grande, le braccia tese nello sforzo di acciuffarlo e le guance paffute arrossate dal riso e dalla crudeltà del freddo della notte. I contorni del viso di suo figlio apparvero nitidi nella sua mente, molto più di quanto lo fossero quelli incisi sul foglio di pergamena che era stato il pomo della discordia tra lei e il tenente Jones, e seppe che quel villaggio e le sue ricorrenze avrebbero affascinato lui tanto quanto avevano affascinato e continuavano ad affascinare lei. In un attimo di infinita debolezza, si concesse il lusso di immaginarlo al suo fianco, inseguire quella bambina col passo buffo che pareva rendere evidente anche a chi non lo conosceva quanto fosse buono ed innocente e, infine, voltarsi al suo indirizzo per sorriderle in quel modo che riservava unicamente a lei.
 
Il dolore che scaturì da quel pensiero fu talmente intenso che non fu in grado di controllarlo come era abituata a fare ed espiro a lungo e stancamente, come per liberarsi dal peso che quel segreto aveva posizionato sulle sue spalle e che l’aveva ingobbita fino a renderla la caricatura della persona che era stata. Ma, in fondo, quel cambiamento era una delle sfumature che più apprezzava della sua nuova vita e, benché fosse conscia della turpitudine del suo animo, non ne provò vergogna, non ancora; per la verecondia, ci sarebbero stati tempo e luogo adatti e, con essa, anche per il rimorso e l’impressione di non essere abbastanza, per la consapevolezza che non sarebbe bastata tutta l’acqua del mondo per lavar via il sangue degli uomini e delle donne che aveva sulla coscienza, perché ognuno di essi aveva lasciato sulla sua pelle un marchio impresso a fuoco del quale non si sarebbe mai disfatta. Il prezzo da pagare per l’esistenza che aveva scelto era quello di essere infestata, vita natural durante, dalle vittime che aveva mietuto.
Battendo le palpebre ripetutamente, rispedì le lacrime al mittente e deglutì forte, non per sciogliere quanto per respingere il nodo che le era salito in gola e stiparlo insieme agli altri che, per anni, aveva inghiottito e finito per collezionare. I suoi occhi vagarono sulla piazza oramai decisamente meno affollata e, nel tentativo di placare l’impetuoso galoppare di cuore e mente, si soffermò sulla figura che inaspettatamente era finita per attrarre la sua attenzione da che aveva messo piede in quel caldo angolo di paesino. Si trattava di un menestrello non più giovane ma neppure troppo in là con gli anni, i capelli lisci, stranamente lunghi per la categoria che rappresentava, luminosi alla luce del falò che era stato posizionato al centro della piazza e che, di tanto in tanto, degli uomini ravvivavano con dei vecchi ciocchi appassiti.
 
Era una tradizione dei villaggi più religiosi festeggiare l’arrivo dell’autunno con frequenza ricorrente, almeno finché il tempo permetteva di mettere il naso fuori di casa col calar del sole, almeno finché c’era qualcosa da celebrare; ma, in realtà, altri non era che un modo per ravvivare lo spirito di unità e collaborazione dell’intera comunità, finanche a rinsaldare la fede che, quell’inverno, tutto sarebbe andato per il verso giusto e che il freddo non avrebbe impedito a molti di loro, come spesso accadeva, di godere del piacevole tepore della primavera. Erano stati Harold e Olly a parlargliene, la prima volta che Emma, in compagnia di Diego e Ulan, aveva fatto la propria apparizione in paese, salvandoli dalla rovina più nera e dando loro una nuova occasione per vivere e non commettere gli errori fatti in passato. L’avevano resa partecipe delle ricorrenze più amate dagli abitanti, di quelle decisamente meno attese e del fatto che, come tutta la gente che risiede in centri tanto piccoli e non è abituata ai vizi della città, l’accoglienza riservata agli avventurieri fosse calda ma con un pizzico di sfiducia, quel tanto che bastava a non apparire ingenui a fronte dei pericoli che le novità erano solite portare con sé.
 
E quell’uomo aveva tutto l’aspetto di una piacevole, estremamente gradita novità. Al suono della sua voce e dello strumento a corde che portava con sé, in molti avevano ballato, altri si erano limitati a bere in compagnia, altri ancora si erano lasciati trasportare dal fiume dei ricordi o più semplicemente dai pensieri; e, nella diversità delle persone che avevano popolato quella piazza, tutti erano stati accomunati dall’impressione che quel menestrello, la cui passione e poesia emanavano da ogni fibra del suo essere, avrebbe potuto forzarli a fare tutto ciò che voleva con la melodia che aveva dentro e che trasmetteva attraverso il fiato, un po’ come il pifferaio magico delle storie che i bambini erano soliti sentire poco prima di mettersi a dormire.
 
Benché non rimanessero che una manciata di individui oramai, il capitan pirata osservò il talentuoso cantore versarsi due dita buone di vino dal fiasco che gli era stato offerto in segno di convivialità e, per l’ennesima volta nel corso di quella serata, i loro sguardi si incontrarono. L’uomo parve studiarla, perforarla carne e sangue per scendere nel vivo del suo essere e rimescolarne le emozioni, ed Emma lo lasciò fare, impavida, a tratti incurante, battendo le labbra placidamente con l’espressione imperturbabile che ci si sarebbe aspettati dal capitano della Nostos. Quando egli ebbe finito, dando l’impressione di aver trovato esattamente ciò che cercava, le sorrise con espressione consapevole, alzò il calice al suo indirizzo e brindò a lei. Sulla bocca della giovane si riflesse la stessa smorfia e, pur priva di un bicchiere che le avrebbe permesso di ricambiare il gesto, un cenno del capo bastò a servirla a dovere perché il suo messaggio di reciprocità fosse chiaro.
 
Una parte di lei non poté fare a meno di chiedersi se e cosa avesse visto e, infine, trovato quel menestrello dall’aspetto distante e severo, solenne quel tanto che bastava a donargli un’aura di importanza fuori dal comune per un uomo del suo rango: se il dolore per la perdita del figlio, se la vendetta che arroventava tutto il suo spirito, se la spietatezza che aveva contraddistinto le sue azioni, se la furia cieca che aveva provato quella sera nello scoprire il ritratto di suo figlio nelle mani del tenente Jones. A quel pensiero, Emma precipitò nello stato di tensione che aveva tentato di debellare per una serata intera e vi cadde in maniera tanto brutale che la vena pulsante all’altezza della sua tempia destra apparve in rilievo in prossimità delle lunghe ciocche bionde che avevano attratto l’attenzione di molti, quella sera.
 
Rievocò l’immagine del ritrovamento del foglio di pergamena che aveva perduto la notte in cui aveva drogato Killian, il modo in cui si era sentita usata e tradita dopo aver scelto di fidarsi di lui e condurlo fino a Liam, dopo avergli raccontato del suo passato e di Henry, dopo avergli concesso quello che non aveva permesso neppure a Diego e Stecco; e, nel rievocare ognuna di quelle occasioni, Emma sentì bruciare in lei lo stesso frustrante, devastante sentimento che aveva provato nell’apprendere che suo padre avesse venduto Henry per un sacchetto di monete. Lei, che nella vita aveva conosciuto il tradimento e si era ripromessa di non cadere nuovamente in simili trame, non quando avevano a che fare con suo figlio, era venuta meno al giuramento che aveva pronunciato nello sventrare il precedente capitano della Nostos. Lacrime calde, brucianti salirono ai suoi occhi, annacquando il verde intenso di cui la notte li aveva colorati, e a stento le sue orecchie percepirono la voce del menestrello intonare una ballata dalle sfumature tetre, a tratti malinconiche.
 
«Ballereste con me?» proruppe una voce decisamente troppo familiare e, nel voltarsi, Emma si chiese come fosse possibile che il tenente fosse riuscito ad avvicinarsi tanto senza averla insospettita. Stava, forse, perdendo colpi? Lo sguardo di Emma fu duro, affilato, carico dello stesso odio che aveva sprigionato dal suo essere, quando si erano trovati in stanza e Killian aveva temuto fosse la volta buona per Emma di dare realizzazione ai moniti che gli aveva sempre rivolto. Porgendole la mano col palmo rivolto verso l’alto, tuttavia, l’uomo non si lasciò scoraggiare e, sostenendone lo sguardo, aggiunse: «Vi prego!»
 
«Se volete che vi ammazzi, non avete che da palesarlo, tenente. Vi chiederò di seguirmi e la faremo finita una volta per tutte.» Il suo tono fu estremamente brutale, così brutale che, per un istante, Killian la rivide a cavalcioni su di lui, mentre brandiva un vecchio candelabro in ferro, negli occhi cristallino il desiderio di usarlo per fargli violenza. «Andate via,» sibilò «adesso!»
 
Benché ci fosse una sfumatura implorante nel blu dei suoi occhi, il tenete proseguì con voce ferma: «Un solo ballo, non chiedo altro.»
 
Emma avrebbe voluto dirgli che aveva domandato e, a tratti, ottenuto molto più di un semplice valzer in una piazza festosa da quando erano arrivati a Poreia e che, in cambio, non le aveva dato che menzogne; e fu sul punto di farlo, poiché le sue labbra si schiusero e il rifiuto corse sulla sua lingua, pronto ad essere proferito, ma non ebbe occasione di dare fiato ai suoi pensieri. Il tenente, lungi dall’arrendersi, fece un altro passo avanti, finché la sua possente figura non occupò l’intera visuale del bellissimo, crudele pirata.
 
«Solo un ballo e vi giuro che non mi vedrete più.»
 
La proposta fu così allettante che, dopo qualche istante di titubanza, Emma lo spinse malamente indietro con la mano e, senza prendere quella che l’altro le aveva galantemente offerto, si diresse in prossimità della falò e più vicina al menestrello, ove molti altri ballavano ancora, nonostante la tarda ora e il freddo pungente. Il suolo sotto i suoi stivali le rimandò un ritmo che scandiva quello della sua ira e ogni passo, così deciso e quasi violento contro la superficie sterrata della piazza, fu quanto di più vicino Killian avesse mai visto in Emma di Capitan Swan: nel momento in cui si fu voltata, feroce e collerica, il tenente vide riflesse nella profonda oscurità delle sue pupille gli sguardi spauriti degli uomini che aveva ucciso e, in un frangente di grande suggestione, ebbe addirittura l’impressione di riconoscere alcuni dei suoi compagni e soldati.
 
La bocca dell’uomo si piegò in un sorriso caldo, nonostante Emma potesse leggere tormento nel blu delle sue iridi. «Per ballare, dovrete pure concedermi di toccarvi,» le fece notare e, sicuro di sé, avanzò di un passo, pronto a stringerla ma pur sempre in attesa del permesso dell’altra, «altrimenti sembreremo estremamente ridicoli.»
 
«Non è necessario un ballo a farvi apparire ridicolo.» Le sue parole lo colpirono come fiele e il muscolo della mascella prese a vibrargli, ma si costrinse a respirare profondamente. Il fatto che stesse perdendo il controllo parve divertirla, perché le labbra di lei sorrisero di un piacere infido al suo indirizzo. «Ma suppongo che, per un uomo come voi, le apparenze siano tutto. E chi sono io per privarvi di quel poco che vi è rimasto della persona che eravate un tempo?»
 
Voleva colpirlo, stuzzicarlo, ferirlo, spingerlo al limite della sopportazione come solo Capitan Swan avrebbe saputo fare e Killian comprese che, pur conoscendone i trucchi, ella avesse ancora il pieno potere di ottenere esattamente il risultato che desiderava. Erano tornati al punto di partenza, quando lui non era stato che un balocco agli occhi del pirata, una distrazione da pensieri più incombenti che avevano minacciato di mettere a dura prova la psiche di lei, se non avesse trovato un modo per sfiatare parte della tensione accumulata. A quel punto della loro relazione, tuttavia, il gioco si era fatto più difficile, perché ambedue conoscevano i punti deboli che avrebbero fatto scattare l’avversario.
 
«E’ questo che avete intenzione di fare?» La sua domanda fu così genuina e diretta che Emma non prestò alcuna attenzione alle movenze di Killian, quando la mano destra di lui si posizionò sulla sua schiena finché non l’ebbe avvicinata a sé, usando la sinistra per stringere le dita dell’altra tra le proprie. Quei gesti gli trasmisero una strana sensazione di deja vu. «Premere tutti i bottoni fino a farmi scattare?»
 
Piano, presero a muoversi al suono dello strumento a corde del menestrello, la voce di quest’ultimo un accompagnamento soffice che leniva in parte la durezza della loro conversazione. «Potete star certo che i miei intenti sono be-» fu sul punto di dire, ma, comprendendo il significato delle sue parole, il tenente la interruppe.
 
«Mi dispiace,» disse e la durezza dei suoi lineamenti mascolini parve diminuire, gli occhi più caldi alla luce del falò, le spalle meno tese mentre la conduceva per la piazza a ritmo di musica, «mi dispiace di aver taciuto quando ho avuto l’opportunità di darvi il ritratto di Henry,» proseguì e l’espressione intenta, benché ancora ferrea, con la quale lo osservava lei gli fece sperare che, forse, non tutto fosse andato perduto con quell’ultimo scontro, «mi dispiace di avervi fatto credere che volessi prendervi in giro o guadagnare un vantaggio su di voi.» Killian riusciva quasi ad immaginarsela, la faccia compiaciuta e ridente di Harold alla notizia delle scuse che le aveva porto, e, benché il suo orgoglio prudesse al pensiero di aver ceduto in questo modo, seppe di dovere al locandiere più di un semplice ringraziamento, qualunque fosse l’esito del colloquio col pirata. Perché gli aveva insegnato qualcosa che neppure il rigore della marina era stato in grado di inculcare nella sua mente di uomo cocciuto: l’importanza dell’umiltà. «Non avevo intenzione di farlo. E’ solo che-» s’interruppe un attimo, le resistenze della sua superbia improvvisamente più forti.
 
«Cosa?» lo sollecitò lei, nello sguardo una sfumatura di curiosità che rese appena meno impenetrabile il suo sguardo.
 
«Temevo non avreste capito e vi sareste pentita di avermi raccontato di vostro figlio. Temevo non mi avreste più condotto da Liam.» Emma sorrise a quelle parole e, per quanto teso fosse ancora il suo corpo tra le braccia di Killian, le sue dita ammorbidirono la presa sulla mano di lui per assumerne una più naturale, leggera. «Cosa c’è? Perché ridete?» chiese, le sopracciglia inarcate, e, completamente dimentico del fatto che non si trovassero nel salone di un grande palazzo, fece per alzarla per i fianchi e farla volteggiare.
 
Secco, il colpo che Emma gli assestò tra le costole, oltre che a togliergli il fiato, servì a riportarlo alla realtà. «Trovo divertente che il timore di un mio pentimento,» fece con noncuranza, ignorando il fiato corto del tenente e sostituendolo per guidare entrambi nella danza con una sicurezza pari, se non superiore, a quella che l’uomo aveva dimostrato, «vi abbia portato a compiere un’azione che vi ha fatto ottenere proprio quel risultato.» Ella sorrise in maniera più genuina, quando Killian le lanciò un’occhiata di rimprovero e fallì miseramente nel tentativo di riprendere la posizione di predominio nell’esecuzione del valzer; e finì persino per ridere (di lui, ovviamente), nel momento in cui ne emulò le movenze e posizionò le sue mani affusolate sui fianchi muscolosi dell’uomo col chiaro intento di prendersi gioco del tentativo che questi aveva fatto pochi istanti prima. «Avete ragione,» disse quando il tenente ristabilì le posizioni originarie, «farvi volteggiare senza che indossiate una bella gonna non renderebbe giustizia alla vostra grazia.»
 
«Emma,» la sgridò lui, ottenendo come risposta un sorriso ancora più ampio, «la smettere mai di prendervi gioco di me?» domandò e fu divertito dall’espressione fintamente pensosa che assunse il pirata, prima di tornare a guardarlo.
 
«Non credo sia una cosa possibile, no. La vostra permalosità rende il gioco fin troppo allettante e tutti sanno quanto i pirati amino giocare.» Lentamente, lo sguardo di Emma tornò a velarsi della severità che l’attitudine allo scherzo aveva mitigato e il tenente seppe che fosse impossibile per Capitan Swan lasciar correre qualunque torto gli venisse fatto, senza che avesse modo di mettere in chiaro le cose allo screanzato che non si era attenuto ai suoi ordini. Una disciplina e un rigore ammirevoli, dovette ammettere Killian. «E trovo divertente il modo in cui somigliate a vostro fratello e il fatto che teniate a lui esattamente quanto lui ha a cuore voi.» L’uomo sospirò, immalinconito dal pensiero che la sua potesse dimostrarsi una mera illusione e che, alla fine, dopo tanto peregrinare, la sua erranza non portasse ad alcun risultato che quello di saperlo morto una volta per tutte. «E’ lui la ragione per cui non vi ho ucciso alla locanda.»
 
La confessione del pirata fu così brutale che il tenente vide sfumare le proprie congetture sulla sorte di Liam, cacciate via dal rimprovero e dalla stizza che ancora accendevano l’animo di lei. Nel ricordare il modo in cui si era avventata su di lui, Killian colse il momento che aveva determinato un cambio di rotta negli intenti dell’altra: dopo averlo ripetutamente picchiato con una rapidità, precisione e furia tali da stordirlo, Emma lo aveva costretto contro il pavimento e, gettando in un angolo il candelabro che aveva usato fino a spezzargli quasi la clavicola e un paio di costole, aveva estratto il pugnale dalla cintola. Per la frazione di un secondo, entrambi avevano rivissuto l’incontro nelle segrete del castello e l’arma aveva vibrato nell’aria, pronta a fenderla e sferrare il colpo che avrebbe messo fine ad ogni cosa. La consapevolezza che Harold e Olly non avrebbero mai osato contraddirla, neppure se avesse chiesto loro di aiutarla a gettare via il corpo, era stata una tentazione forte per il capitano della Nostos, così forte che il colpo era partito ed era quasi arrivato a destinazione. Quasi, perché, all’ultimo secondo, la direzione del pugnale era cambiata e tutto era terminato con un sibilo e, infine, un tonfo in prossimità dell’orecchio sinistro del tenente. Come molte altre volte in passato, Liam gli aveva salvato la vita e, come sempre, non gli aveva chiesto nulla in cambio.
 
«Lo avreste fatto sul serio, non è così?» fece, ma fu più un’asserzione che non una vera e propria domanda, sui suoi bei lineamenti un sorriso sconfitto, finanche deluso.
 
«Vi sorprendete ancora, tenente?» lo prese bonariamente in giro lei e lo fece con una condiscendenza tale che, in un’altra occasione, sarebbe stata sufficiente ad irritarlo, ma non quella volta.
 
«Non prendetemi per uno sciocco, capitano,» rispose lui ed Emma si stupì del distacco nel tono di voce dell’altro, poiché non era un sentimento che le aveva mai riservato, «ma il pensiero che possiate uccidere per una bugia mi sorprende, sì.» Quando i suoi occhi tornarono ad incrociare quelli intenti della donna, ella scorse nel blu intenso di quelle iridi qualcosa che non si era aspettata di trovare e ne sorrise: a dispetto di tutti i mesi trascorsi in compagnia della sua brigata, nell’animo del tenente brillava la stessa candida rettitudine del loro primo incontro, la stessa che aveva sempre rivisto in Liam. «Mi sorprende perché prendersi la vita di una persona è come una maledizione  silente ma perenne: ne senti sempre il peso, qualunque sia il motivo per cui lo hai fatto, e finisci per chiederti la vita di quante persone tu abbia rovinato.» S’interruppe un attimo per studiarla, sfiorandole i lineamenti con una tenerezza infinita. «E so che,» aggiunse infine, «al di là delle vostre azioni, ne siate cosciente anche voi.»
 
«Cosa ve lo fa credere?»
 
Le sopracciglia di Killian si alzarono per fargli assumere quell’espressione teatrale cui Emma aveva fatto l’abitudine e che tanto bene si accompagnava al sorriso compiaciuto che solitamente seguiva. «La sera che siete stata costretta ad uccidere uno dei vostri mozzi per alleviarne le sofferenze.» Sgomenta, la donna fece per arrestarsi, ma il tenente ne approfittò per trascinarla in una mezza giravolta. Nessuno di loro aveva notato che molte delle persone presenti nella piazza si fossero fermate ai margini della stessa solo per osservarli e che alcuni avessero cominciato a porsi delle domande: la tesi più accreditata, dopo pochi minuti, era che lei fosse una principessa e lui il mascalzone che l’aveva rapita, costringendola ad un travestimento in pelle per evitare che sospettassero della loro identità. «Tempo fa, qualcuno mi ha insegnato che non si può avere la meglio su un nemico senza conoscerlo,» le disse, facendosi più vicino per  dare un’impronta precisa alle parole appena pronunciate, le stesse che, con un sorriso, Emma riconobbe come proprie.
 
Forse, dopotutto, lei era una sirena che, sotto le mentite spoglie di una semplice umana, aveva irretito i sensi di lui e se ne stava servendo per vendicarsi di un torto subito molti anni prima. Questo avrebbe almeno spiegato l’aspetto selvaggio di lei e la rettitudine che emanava da lui.
 
«Siete un bravo allievo, ve lo concedo,» si limitò a commentare lei, costringendolo a rallentare il ritmo e ad assumerne uno diverso da quello che la musica imponeva. Come ispirata dal duo, l’esecuzione del menestrello cambiò, prestandosi al tenore del loro ondeggiare.
 
«Mi porterete con voi?» Stavolta, lo sguardo di lui fu così implorante che Emma finì per arrestarsi e schiudere le labbra, assumendo un piglio sì meditabondo che Killian non poté impedirsi di parlare ancora. «Emma,» iniziò e la sua voce, mentre afferrava la mano di lei per portarsela al petto, fu talmente bassa che il crepitio delle fiamme fu sul punto di sovrastarla del tutto, «ti imploro di credermi quando ti dico che non compirò più un errore simile.»
 
Le sfumature calde del fuoco colorarono quel viso solitamente pallido nella sua infinita bellezza, arrossandole le labbra schiuse e facendogli desiderare di accostarsi ad esse e baciarle fino a che la risposta che voleva sentire non fosse uscita da esse. Quando si furono ricongiunte e le dita di Emma sfuggirono alla sua presa, tuttavia, Killian comprese che né la tenacia, né il desiderio di cui era in possesso sarebbero stati sufficienti a farle decidere altrimenti.
 
«Non posso.»
 
Forse, erano solo due innamorati, fuggiti alle trame di un matrimonio infelice.

*
https://www.youtube.com/watch?v=uiLgSPgvf_8

 
Per i tuoi larghi occhi,
Per i tuoi larghi occhi chiari,
Che non piangono mai,
Che non piangono mai

 
Il tonfo dei suoi passi sulle tegole del pavimento era l’unico suono udibile all’interno della locanda, così stranamente quieta a fronte del baccano che la dominava di giorno: le sedie e i tavoli erano stati sistemati e attentamente ripuliti, il bancone sgombrato dai bicchieri che, con instancabile solerzia, Harold serviva ai clienti, le carcasse dormienti degli ultimi di loro rispedite a casa, qualunque e dovunque essa fosse. Emma sorrise nell’osservarsi intorno, il silenzio così profondo e immoto che se ne sentì sopraffatta, e riconobbe nel maniacale ordine in cui l’osteria era stata lasciata l’attitudine al controllo di Olly. Ridacchiando, ricordò il giorno in cui aveva chiesto quale fosse l’origine del nome che avevano scelto per il locale e il modo in cui la donna si fosse indispettita, mani ai fianchi, quando Emma e Harold avevano insinuato che esistesse un evidente collegamento tra di esso e il fatto che l’uomo avesse sposato una donna tanto chiassosa. “Senza di me, questa baracca non andrebbe avanti” aveva ribattuto in tono burbero e, nel timore di essere ambedue gettati col culo per strada, i due burloni avevano saggiamente deciso di tacere.
 
 Scuotendo il capo per ricacciare indietro quelle immagini e dirigersi al piano superiore, Emma fece per avanzare ma, improvvisamente colta dal dubbio di non aver abbassato il chiavistello, fu costretta ad arrestarsi e a tornare sui propri passi. Quel gesto, tanto semplice e apparentemente neutrale, si dimostrò più insinuante del previsto e, con un sospiro rassegnato, ella finì per poggiare il palmo della mano sinistra sulla superficie della grossa porta, gli occhi chiusi e il capo rivolto verso il pavimento come nel tentativo di allontanare un pensiero sgradito: Emma non era solita tornare sui propri passi, mai, non quando la decisione presa aveva a che fare con l’incolumità di Henry e la riuscita della sua missione, e non era solita neppure provare rimorso. C’era qualcosa di fastidioso, per questa ragione, nel fatto che una parte di lei continuasse a pungolarla perché rivedesse la scelta che aveva preso appena un’ora prima, nel fatto che quella stessa porzione del suo io le suggerisse di accertarsi che il chiavistello col quale aveva risolutamente posto fine alla sua collaborazione col tenente Jones fosse abbassato e non fosse necessario approntare una modifica a quella statuizione. La voce calda del menestrello, proveniente dalla strada, s’intrufolò tra le fessure delle pareti, più prepotente degli spifferi d’aria.
 
E perché non mi hai dato
Che un addio tanto breve,
Perché dietro a quegli occhi
Batte un cuore di neve

 
Gli aveva dato un’ora di tempo per tornare alla Scodella Pimpante, raccogliere le poche cose che aveva con sé e lasciare la camera alla volta del cammino che riteneva migliore. Gli aveva fornito tutte le informazioni che aveva sul presunto sequestratore di Liam, sulle persone che avevano tampinato e che avrebbero dovuto inconsapevolmente condurli al luogo ove si trovava costui, sulle loro abitudini; gli aveva perfino consigliato di usare prudenza, lei che, in più di un’occasione, aveva dimostrato quanto l’allettasse l’idea di disfarsi di quella presenza ingombrante. L’uomo l’aveva osservata con la solita espressione di reprimenda, ma dell’intenso, giocoso biasimo di cui era solito tingerla non c’era stata nessuna traccia; e, quando egli si era fatto avanti per salutarla e augurarle buona fortuna, Emma lo aveva liquidato con un secco, nervoso gesto della mano, girando sui tacchi e imboccando una delle stradine a lei più prossime. Era stato a quel punto che aveva realizzato quanta attenzione si fosse catalizzata su di loro, quanta curiosità avessero suscitato e, suo malgrado, non aveva potuto che sorridere nel realizzare che, dovunque fossero stati, avevano avuto il potere di destare i mormorii di chiunque si fosse trovato ad incontrarli.
 
Io ti dico che mai
Il ricordo che in me lascerai
Sarà stretto al mio cuore
Da un motivo d’amore

 
Scostandosi dalla porta con un sorriso, Emma raggiunse a tentoni le scale, impedendosi di imprecare quando urtò col fianco lo spigolo di un tavolo, e si diresse al primo piano nella convinzione di trovarlo completamente deserto. Fu con sommo stupore che, nella penombra del corridoio, rischiarata dai prepotenti raggi di una luna (quella sera) inarrestabile, i suoi occhi scorsero la sagoma del tenente prossima all’uscio della camera. In silenzio, maledicendo mentalmente la sorte e la sua ironia, lo osservò spegnere un lume e deporlo sul pavimento della camera per tirare, infine, la porta a sé. Quando i loro sguardi si incrociarono, lo stupore che scorse sui lineamenti di lui fu quasi toccante, ma durò appena un battito di ciglia.
 
«Temevo non sareste tornata per evitare il rischio di vedermi,» sussurrò, avanzando piano in direzione dell’altra, e il pirata gli regalò il sorriso più sincero che le circostanze le permisero di riprodurre, una smorfia che, con il gioco di luci e ombre cui si prestava il corridoio, assunse una fallace connotazione di divertita furbizia.
 
«Vedervi non mi provoca turbamento, Killian,» disse, andandogli incontro a sua volta, e, tuttavia, fu costretta ad ammettere che una piccola parte di sé, la stessa che le stava dando tanti grattacapi da un bel pezzo a quella parte, non fosse rimasta indifferente al loro inatteso incontro. «Siete identico ad un’ora fa, mezzo pirata e mezzo tenente.»
 
Le sue parole spinsero la bocca dell’uomo ad inclinarsi verso l’alto in quel modo genuino che tanto gli apparteneva. «Io speravo di vedervi.» Emma aggrottò la fronte e Killian ridacchiò. «Non è nulla di quello che potreste pensare, tranquilla!»
 
Non pensarlo perché
Tutto quel che ricordo di te,
Di quegli attimi amari
Sono i tuoi occhi chiari

 
«Che vi mancherei, ad esempio?» lo stuzzicò e apparve sul suo viso il sorriso da canaglia più bello che il tenente avesse mai visto su quella bocca. Inspirando con apparente noncuranza, egli si chiese se fosse possibile che l’idea di liberarsi di lui la ringalluzzisse a tal punto, se l’amarezza derivante da quella separazione avesse toccato solo lui e perché. «Oh, di questo sono certa! Rimpiangerete le avventure a bordo della Nostos e il suo capitano, ci scommetterei la pinna di una balena.»
 
Killian rise. Lo divertiva il fatto che, ad una indiscutibile buona educazione, rispetto alla quale il mistero rimaneva ancora irrisolto, Emma potesse affiancare in maniera tanto naturale il ricorso ad un gergo piratesco di tutto rispetto. E si stupì nel realizzare che quella parte di lei gli piacesse persino di più del ruolo di fredda nobildonna cui l’aveva vista giocare.
 
«Certo! Mi mancheranno i pestaggi, gli annegamenti, essere drogato... Oh, e pugnalato!»
 
Emma lo imitò, riproducendone le movenze e l’espressione perennemente imbronciata, a tratti arcigna con la quale era solito lamentarsi dei trascorsi con lei; i suoi occhi, tuttavia, a differenza di quelli del tenente, brillarono di un’emozione viva, benché imperscrutabile, che la rese di gran lunga dissimile dall’originale che stava di fronte a lei. Un demonio di donna, commentò la voce della sua coscienza e, quasi senza accorgersene, Killian si ritrovò ad annuire sommessamente ad una conversazione che aveva avuto luogo solo e soltanto nella sua mente.
 
«Dimenticate ‘baciato’,» gli fece notare lei e Killian le sorrise teneramente, con uno sguardo che le tolse quasi il respiro, sul suo volto chiare le parole che le sue labbra non pronunciarono mai. «Perché volevate vedermi, dunque?»
 
I tuoi larghi occhi,
Che restavan lontani,
Anche quando io sognavo,
Anche mentre ti amavo

 
«Telos,» la accontentò lui e, nonostante Emma attendesse una precisazione qualunque, questa non arrivò. Fu soltanto dopo una manciata di minuti che Killian decise di intervenire, proprio nel momento in cui il pirata fu sul punto di chiedere delle spiegazioni, in un gioco che parve compiacere lui quanto bonariamente irritare lei: «E’ lì che sono dirette le persone che stavate cercando, è lì che si trova Henry.»
 
Fu come ricevere un colpo di pistola in pieno ventre. Pur nell’incredulità iniziale del momento, il cuore di lei saltò uno, due, tre battiti prima di lanciarsi in una forsennata corsa contro lo scetticismo, una corsa verso la speranza; d’improvviso, le cautele che Emma aveva sempre usato, l’accortezza che si era imposta e che le aveva fatto abbassare innumerevoli chiavistelli – compreso quello con il tenente -  vennero meno e, senza quasi accorgersene, compì due passi in direzione di Killian. Gli occhi chiari di lei, grandi e profondi come soltanto l’animo di una persona ferità a quel modo avrebbero potuto essere, espressero un’agitazione sì incontrollabile che il tenente ebbe l’impressione di poter sentire i rintocchi del suo cuore impazzito implorarlo di non ingannarla.
 
Le mani di lui si posizionarono istintivamente sulle spalle di lei, nel tentativo di ancorarla alla realtà e impedire che soccombesse all’emozione che si celava oltre quell’aspetto di donna incredula. «Quando eravamo in quella piazza, suppongo vi siate accorta della curiosità delle persone che erano rimaste.» Emma annuì con un movimento secco. «Tornando verso la locanda, si era diffusa con certezza la voce che la bellissima biondina fosse il capitano di una nave pirata. Un ubriaco seduto per strada ne stava parlando liberamente con un topo, così mi sono seduto accanto a lui per chiedergli un goccetto e saperne di più: non me l’ha offerto, ma, in compenso, mi ha dato qualcosa che non mi sarei mai aspettato.» Il tremore che la scuoteva sotto pelle era appena percettibile e Killian si fece più vicino, gli occhi fermi in quelli di lei. «Mi ha detto che un tale, in compagnia di un altro uomo e una donna, gli aveva dato quella bottiglia perché gli rivelasse dove fosse la biondina in questione e che, una volta soddisfatto, si fosse messo a parlare animatamente con i due, dicendo che dovevano immediatamente rientrare a Telos e avvertire il loro signore. Ne avete mai sentito parlare?»
 
Emma  fissò lo sguardo su un punto imprecisato all’altezza del petto del tenente, riportando alla mente le memorie dei luoghi che aveva visitato o sentito nominare nel corso degli anni, ma era umanamente troppo da chiedere a qualunque essere umano, considerato lo stato emotivo in cui ella versava.
 
«Non ricordo, io-» fece per dire, guardandosi intorno come per riacciuffare i pensieri che non facevano che sfuggirle.
 
«Va bene così, non fa nulla,» la rassicurò lui. «Troveremo Telos e salveremo Henry e Liam.»
 
E se tu tornerai
T’amerò come sempre ti amai,
Come un bel sogno inutile
Che si scorda al mattino

 
A quelle parole, gli occhi di Emma cercarono quelli dell’uomo e vi trovarono non soltanto ciò che desideravano, ma ciò di cui avevano bisogno. Le mani di lei, come già era accaduto nella locanda di Durin, afferrarono i lembi della camicia di Killian e lo strattonarono, finché le loro bocche non si incontrarono con la stessa disperata passione che le aveva viste fondersi tempo prima. Bastò il tempo di un alito di vento perché il tenente, lasciata cadere in terra la bisaccia di cuoio, l’attirasse a sé, chiudendola nella morsa delle sue braccia nel timore di vederla fuggire via un’altra volta. Rapace, la sua bocca rispose ai movimenti di quella di Emma con il medesimo incontrollato tormento, schiudendole le labbra per imprimere in lei tutto quello che non si sarebbe mai concesso di pensare o, addirittura, provare in nessun altra occasione.
 
Calda, la lingua di Emma sollazzò quella dell’altro, combattendo una battaglia che non aveva nulla a che vedere con la rivalità: ad ogni movimento, ad ogni carezza lasciva, ad ogni umido tocco, la donna si sentì morire e rinascere ad un tempo, come se il suo corpo e le emozioni che esso conteneva, così a lungo sotto il giogo di un controllato raziocinio, si fossero lasciati perire per risorgere più forti di prima; era come se tutto il suo essere, in quegli anni, non avesse atteso che quell’istante, quella notizia perché la parte più combattiva di lei sconfiggesse le insicurezze e le perplessità che avevano dominato ogni suo spostamento. Le sue labbra sfiorarono, imprigionarono, s’impossessarono di quelle dell’uomo in una corsa contro il tempo, fuggendo, infine, da esse un attimo di troppo nel tentativo di dare ad entrambi l’occasione di riprendere fiato. Ma non ebbero modo di arrivare lontano: la mano di Killian salì a posizionarsi sulla nuca di Emma, impedendole di arretrare ancora, e le loro bocche finirono per incontrarsi per l'ennesima volta, mentre le braccia di lei scivolavano attorno al collo dell’altro e il tenente la costringeva ad indietreggiare con lui.
 
L’ingresso nella stanza fu di gran lunga più rapido del previsto. Consapevole del fatto che il chiavistello reggesse a stento, Killian colpì la porta con una spallata per, poi, richiuderla malamente alle loro spalle e spingervi contro il comodino. Le dita di Emma si mossero esperte sui lacci della camicia di lui e così rapidamente da dare l’impressione che alcuni si fossero automaticamente districati al primo tocco; e non poteva essere altrimenti perché la bocca dell’uomo fu implacabile a tal punto che sarebbe stato impossibile mantenere qualunque forma di concentrazione, men che meno di maestria. Killian era ovunque, le sue labbra erano ovunque: sul viso di lei, sul collo longilineo, sulla morbida curva delle spalle, sulle palpebre chiuse, sulla porzione di pelle ove battevano frenetici i rintocchi di quel cuore tormentato. Nello sfilargli la camicia, ella lo sentì sussurrarle “Pirata” e, mentre le braccia possenti tornavano a braccarla  e incatenarla a lui, non poté fare a meno di annuire e ridere dello stesso divertimento dell’altro.
 
Fu con un ansito sorpreso che Emma accolse l’improvviso allentarsi del suo corpetto e i suoi occhi incontrarono quelli blu del tenente in una tacita domanda. «Ho immaginato e sognato talmente tante volte di slacciarlo che ho finito per affinare la tecnica,» disse e, nell’assecondare i voleri di lei, si lasciò trascinare sul letto finché non vi cadde steso sopra.
 
I loro movimenti furono fluidi, rapidi ma mai frettolosi, come se, nell’incertezza di ciò che sarebbe venuto dopo, volessero imprimere su mente e carne quell’esatto momento, l’istante in cui Capitan Swan aveva ceduto al tenente Jones e il tenente Jones si era lasciato catturare per l’ennesima volta dal suo più acerrimo nemico. I capelli dorati di lei risplendettero ai raggi della luna, carezzando ora il chiarore delle lenzuola, ora la pelle di lui e scendendo come una lunga cascata ad illuminare il mondo di Killian in modi che l’uomo non avrebbe saputo mai immaginare.  Stretti in una morsa indistricabile, rotolarono più volte e in più direzioni con una foga che ricordò a entrambi, sotto molti punti di vista, la lotta di Durin, quando, pur di non darla vinta all’altro, avevano rischiato di morire affogati o schiacciati dalle grosse navi presenti al molo. E, a quel pensiero, Killian sorrise più volte sull'epidermide di lei, gemendo sotto i tocchi delle mani navigate e persino prepotenti di Emma, il respiro corto e i pensieri accesi di una lascivia le cui corde la donna stava manovrando fino a fargli perdere ogni controllo. Nel momento in cui, infine, i loro corpi si incontrarono, tesi e brucianti, pronti a combattere una battaglia che sarebbe andata avanti tutta la notte, il tenente s’imbatté negli occhi di Emma. Quegli occhi, che lo avevano odiato, schernito, tormentato, a volte addirittura ucciso, lo inghiottirono in un abisso nel quale si lasciò precipitare e, per il più intenso frangente della sua vita, Killian non vide nient’altro che quel verde e le sue sfumature.
 
Ma i tuoi larghi occhi,
I tuoi larghi occhi chiari,
Anche se non verrai,
Non li scorderò mai

 
______________________________________________________________________________
Spazio dell'autrice:

Sono in super arci ritardissimo, come direbbe il Bianconiglio. Non credo di aver mai impiegato un mese esatto per pubblicare l'aggiornamento della storia, ma potrei benissimo sbagliarmi e mi sa che voi lo sapete meglio di me... In ogni caso, mi scuso tanto, ma ho viaggiato più del previsto e l'ispirazione era più sfuggente del Coniglio Bianco per Alice! [Sì, oggi sono fissata con il Paese delle Meraviglie!]
Però, PERO', MA, SED, ALLA, BUT [Non sono posseduta dal demonio, ve lo giuro, è una cosa da frequentatrice del liceo classico che mi è appena venuta in mente e ho deciso di infilarci] credo che questo capitolo mi abbia fatta un po' perdonare. E' addirittura più lungo di quello precedente e, ad essere sincera, non credevo possibile arrivare a fare una cosa simile, e, come se non bastasse, vi ho dato una cosa che molti di voi aspettavano da un bel pezzo e che pure io, devo ammetterlo, di tanto in tanto avrei voluto scrivere. Non mi ritengo brava nella stesura di queste parti vi avviso: odio il pensiero di essere troppo esplicita fino a sfociare nella volgarità, o l'idea che, descrivendo troppo nel dettaglio, io possa finire per non dare continuità allo stile che ho utilizzato finora, e contemporaneamente temo di dire troppo poco e di dirlo pure male e in maniera confusa. Quindi, mi sono rifiutata di rileggerlo più di due volte, quelle necessarie a correggere eventuali errori o mostruose ripetizioni, ma probabilmente ci ripasserò comunque in futuro per mia attitudine al labor limae. Spero, comunque, di non avervi deluso troppo, o disgustati, o annoiati, o fatto aspettare inutilmente! Se così fosse, mi scuso infinite volte e vado ad infilarmi in una vasca per riempirla con le mie lacrime.
Ad ogni modo, come tutte le volte, ci terrei a dedicare uno spazio particolare alle persone che commentano, perché, come dico sempre, "they make my day".
Ibetta: sono contenta di sapere che il capitolo non ti abbia annoiata e che tu sia contenta di leggerne di lunghi [questo dovrebbe fare proprio al caso tuo!]; mi lusinga e mi fa sorridere, soprattutto considerato che temevo di potervi annoiare con tutti i dettagli sulla missione e poca azione tra i due. Grazie di cuore per leggere e prenderti la briga di commentare. Mi fai sorridere e solleciti anche la mia ispirazione. Meglio di così..! <3
Pandina: *_________________________________* --> Sono stata abbastanza chiara? No, perché potrei continuare ancora a lungo. "Avrei continuato a leggere altre mille pagine" mi ha tipo stesa, non solo le prime volte che l'ho letto ma anche adesso che ci sono tornata per ringraziarvi a modo. Il mio io scrittore era all'incirca "Eri, che ne dici di una conga? CONGA!" ed è partito con tutto il seguito. Grazie al Cielo, nessuno era in casa per vedermi. E grazie a te che leggi, segui, commenti e ami tanto fare una capatina in quel di Thrain, o Durin, o Weston, o Poreia e non ti stanchi mai di seguire questi due. Ci sarai anche per Telos? Un posto per te lo trovo sempre. Grazie di c u o r e!
Pirate_Princess/Lilith/Compagnafedelediscleridomenicali: innanzitutto, ci terrei a dire che la tua recensione è super mila fantastica e che l'avrò riletta una decina di volte e che l'avrò fatta leggere non so a quante persone per spiegare perché facevo versetti e ridacchiavo come una cretina, così cretina che nemmeno una principessa Disney innamorata avrebbe destato tanta attenzione. Just saying! Per il resto, capisco il tuo scetticismo sulle storie italiane, perché io stessa, quanto a FF, tendo a dilettarmi di più in quelle in lingua originale [anche se adesso stanno scadendo un po' troppo nel ripetitivo: è una valanga di smut senza un briciolo di trama e, per questo, invito tutte le fangirls italiane a cimentarsi nella stesura di nuove storie nella nostra lingua, perché non solo ne abbiamo bisogno ma, diciamocelo, l'italiano è mille volte più bello dell'inglese, eccheccavolo!] e ti ringrazio per avermi scritto tutta una serie di complimenti che definirei i più belli che abbia mai ricevuto in assoluto. Non pensavo che qualcuno potesse arrivare a leggere lo spazio dell'autrice e trovarci tanto di me, perché neppure io mi ero accorta di essermi buttata tanto in queste poche righe di verde vestite. Quindi, grazie per questo in primis! E grazie anche per avermi quasi uccisa con il tuo "
Occhi a palla con pupille dilatate, tachicardia, farfalle nello stomaco, improvviso sbalzo di temperatura con conseguente ricerca di bevanda ghiacciata o simili" perché diciamo che nemmeno Pumba di fronte ad un laghetto di vermi grassocci avrebbe esultato tanto. Mi ha fatto estremamente piacere che tu abbia scritto questa recensione, che scala la mia top ten delle recensioni più belle mai ricevute e spero il capitolo ti sia piaciuto. <3
A lexie s: credo di poter dire di averti accontentata almeno un pochetto. Volevi un bacio? Diciamo che ti è andata bene, mio modo di scrivere quelle scene a parte! :-P
Volevo dirti che le tue considerazioni sulla storia sono meravigliose e dolcissime. Sì, dolcissime perché non potrei definire altrimenti il modo in cui dedichi tempo ed attenzione alla mia storia e il modo in cui ti lasci trasportare da quello che provo a creare, arrivando a dire cose del tipo "non credo lui si sarebbe arreso", "credo lui cominci a capirla benché non possa giustificare le sue azioni" e "quando l'afferra per la vita e la sbatte sul tavolo" con le congetture che sono seguite [Ci tengo a dirti che quella scena l'ho fatta un po' per illudervi e lasciarvi a bocca asciutta; volevo divertirmi immaginando le vostre facce e la vostra aspettativa e ti ringrazio per avermelo detto, perché mi hai fatto capire che ci sono riuscita, fosse anche con una sola persona]. Mi fanno capire che questa storia, che io scrivo non solo per diletto ma per vera passione, riceve da chi la legge lo stesso quantitativo di affezione che ci metto io nel darle forma ed è commovente per me, davvero. Grazie per questo e anche per i complimenti alla pagina! <3
LadyHide: non so se volessi o meno essere citata, ma io un grazie grande quanto la Nostos te lo devo. Non aggiungo altro! <3

Detto questo, ci terrei a dire due ultime piccole cose, prima che la stanchezza abbia la meglio su di me:
1. Io, Emma, Killian, Olly, Harold, gli abitanti di Poreia, la Scodella Pimpante e i suoi clienti, il menestrello, nonché il miracoloso ubriaco e il suo topo ci teniamo a ringraziare di cuore tutti quelli che hanno letto questo capitolo, dedicando un'ora del vostro tempo a noi che non meriteremmo nulla di così prezioso ma che ne siamo davvero grati. Senza di voi, non saremmo nulla!
2. Questo capitolo è un omaggio a Fabrizio De Andrè, sul quale non mi sento di dire nulla. La sua musica e le sue poesie parlano per lui meglio di quanto potrei mai fare io; lo ringrazio per avermi prestato questa canzone e mi scuso per averlo fatto impropriamente, abbassando il livello della sua poesia alla miseria della mia prosa. Grazie!

Buona lettura!


P.S. Mi scuso per eventuali errori. Prometto di correggerli quanto prima!




 

Ritorna all'indice


Capitolo 11
*** Il riso del gabbiano ***


Capitolo XI
Il riso del gabbiano

 
Quando Killian aprì gli occhi, il mattino successivo, placidamente e senza alcuna fretta come era solito fare da ragazzo, ebbe l’impressione che d’un tratto il mondo avesse preso a girare ad una velocità più controllata. Non sentiva addosso l’angoscia e l’adrenalina che lo avevano accompagnato da un po’ di tempo a quella parte, né la spiacevole sensazione di intrusione che aveva  provato a bordo della Nostos, quando le risate e i mottetti della ciurma finivano per svegliarlo e nel suo animo cresceva l’impressione di non appartenere a quel luogo e ai suoi occupanti. Battendo le palpebre una, due, tre volte con lo stesso pacifico benessere, si mosse appena sotto le coperte e si guardò intorno: la stanza era completamente illuminata dalla luce del mattino e, tuttavia, non con la stessa intensità che ci si sarebbe aspettati a quell’ora; aguzzando appena lo sguardo, notò come grandi nuvoloni solcassero il cielo e che, con la stessa attitudine di un gruppo di ragazzetti di strada, si divertissero a infastidire il sole, nascondendolo a tratti alla vista dei più. Un sorriso beato apparve sul suo volto e fu a quel punto che la sua mente realizzò quale fosse la ragione di una simile placidità, non appena i muscoli del suo corpo sollecitarono in lui i ricordi della notte appena trascorsa.
 
D’istinto, si alzò su un gomito e, percorrendo la camera con lo sguardo, trovò esattamente ciò che cercava; e le sue labbra non poterono fare a meno di piegarsi in un sorriso, quando scorse la figura di Emma accanto al piccolo tavolo sgangherato sul quale, la notte del loro arrivo, aveva caricato la donna in un impeto d’ira, ma che la notte prima aveva fatto da supporto per uno scambio di effusioni che nulla aveva a che vedere con la collera. Addossato alla finestra posta di rimpetto alla porta d’ingresso, su di esso erano stati disposti una pila di grossi libri e rotoli di pergamena, uno dei quali era stato appositamente disteso sull’intera sua superficie ed era trattenuto ai margini con alcuni fermacarte di fortuna; palmo poggiato sul tavolo e capo chino, ella studiava con espressione intenta quella che Killian suppose essere una mappa. Sul colorito pallido del viso, con gli zigomi appena imporporati dal sole che li riscaldava di tanto in tanto, l’uomo non poté fare a meno di notare che, a dispetto del fatto che non dovesse aver dormito più di tre o quattro ore – sempre che l’avesse fatto -, fosse una visione a dir poco incantevole.
 
Proprio lui, che in passato ne aveva viste di donne splendide svegliarsi al mattino più belle perfino della notte prima, non avrebbe saputo trovare il coraggio, in cuor suo, di non attribuire il primato giust’appunto a Capitan Swan. Doveva trattarsi di quell’atteggiamento noncurante, della genuinità con la quale si muoveva senza avere la minima consapevolezza della propria avvenenza e degli effetti che questa fosse in grado di suscitare, si disse; o dell’alone di sicurezza e caparbietà che emanavano da lei, rendendo semplice anche a Killian, che a suo tempo aveva dubitato non poco, vederla come il capitano della nave pirata che era. Ed era tenace e assolutamente imprevedibile: poteva prendersi gioco di lui un momento, metterlo in riga quello dopo e sfinirlo di passione quello dopo ancora. Nella quiete di quell’istante di riflessione e probabilmente di debolezza, il tenente si chiese se non fosse lei la donna che aveva cercato per tutta la vita, ma che il destino aveva messo sul suo cammino sotto spoglie tanto dissimili dalle sue.
 
La mano libera di lei si mosse sulla pergamena e con l’indice ne carezzò interamente la superficie, l’espressione concentrata, completamente assorta in pensieri che, Killian ci avrebbe scommesso, avevano a che vedere con Henry e il modo per arrivare a lui. Emma era un enigma, un mistero che quanto più aveva l’impressione di conoscere tanto più pareva si faceva intricato. L’amore e il tradimento l’avevano trasformata nella persona che era, una persona che Killian non avrebbe potuto che deprecare ma verso la quale, contro ogni aspettativa, si sentiva attirare senza possibilità di fuga.
 
«La giornata è iniziata presto stamattina, eh?»
 
La sua domanda colse Emma di sorpresa. A metà tra il divertimento e la voglia di raggiungerla, il tenente si limitò ad osservarla sobbalzare e voltare di scatto il capo in sua direzione e il suo sorriso si fece perfino più ampio e beato, quando l’espressione di lei, dapprima concentrata e dopo stupita, assunse le connotazioni della letizia. Per un lungo, lunghissimo istante, Killian desiderò che la notte non fosse ancora finita e che la stanchezza non avesse avuto la meglio su di lui, rendendogli pesanti le palpebre ed impedendogli di fare in modo che l’incanto perdurasse.
 
«Buongiorno, tenente!» lo salutò lei, tornando in posizione eretta nel tentativo di allungare i muscoli rimasti intorpiditi per la posizione così a lungo mantenuta. Conducendo ambedue le mani all’altezza delle spalle, le posizionò nella curva del collo e, con gli occhi chiusi, prese a inclinare il capo da un lato e, poi, dall’altro, lasciandosi scappare un mugugno a metà tra il dolore e il piacere. «Non si può dire lo stesso per voi…» fece con voce pacata, tornando a guardarlo proprio mentre il tenente si alzava e si sporgeva verso i pantaloni che giacevano sul pavimento.
 
Suo malgrado, Emma non fece nulla per distogliere lo sguardo e godette dello spettacolo nel miglior modo che la sua posizione le concesse. Un brivido, meschino e oltremodo provocatorio, le corse lungo la schiena e improvvisamente il suo corpo e tutti i suoi sensi si dimostrarono più svegli di quanto non fossero stati da che aveva messo naso fuori dal letto. Una parte di lei le disse che fossero molte le ragioni di quell’inattesa trepidazione, ognuna di esse perfettamente comprensibile, e le suggerì di lasciarsi andare, soltanto un po’, soltanto per qualche minuto. Prima che Killian tornasse a guardarla, tuttavia, ella si era convinta a distogliere lo sguardo e a fissarlo nuovamente sulla mappa, seguendo le intimazioni della parte più razionale di sé che le ricordò quale fosse il suo unico obiettivo.
 
L’uomo la raggiunse poco dopo, affiancandola ad una distanza decisamente ravvicinata: Emma riusciva a sentirne non soltanto il calore corporeo, ma perfino la leggera carezza del fiato sulla nuda pelle delle spalle ed era una tortura. «Trovato nulla?» chiese, gli occhi fissi sul viso della donna, le lunghe ciglia bionde piegate all’insù che vibravano ad ogni movimento degli occhi.
 
Ella sospirò. «Niente di niente. Ho studiato ognuna di queste mappe,» e nel pronunciare quelle parole si allungò per agitare le pergamene arrotolate e ammassate tra di loro all’angolo più lontano del tavolo, «le ho guardate centimetro per centimetro e ho preso tutti i libri che avrebbero potuto darmi qualche informazione a riguardo,» disse e si arrestò un attimo per inspirare ed espirare, e a Killian quasi si spezzò il cuore nel constatare che ella si fosse sentita a suo agio nel mostrare proprio a lui tanta fragilità, «ma nessuna traccia di questa fantomatica Telos.»
 
«Ehi,» fece lui con voce soffice ma ferma ed ottenne il risultato sperato, perché Emma si voltò a guardarlo e, in risposta, il suo stomaco si esibì in un capitombolo all’indietro nell’incontrare il verde di quegli occhi, «li troveremo, sta’ tranquilla!»
 
Emma lo guardò con espressione perplessa, la fronte aggrottata, evidentemente indispettita; e, nonostante non fosse il momento per una simile considerazione, non poté non notare che lui avesse abbandonato qualunque formalità nel parlarle. «Tranquilla, eh?» chiese, inclinando il capo. «Abbiamo un’informazione data da un ubriaco che parlava con un topo, Killian, un ubriaco che dice di aver visto tre persone quando avrebbero benissimo potuto essere tre scarafaggi, in realtà. E dovrei stare tranquilla?»
 
Lui le sorrise, ben lontano dallo scoraggiarsi, ringalluzzito dagli eventi della notte trascorsa e dall’idea che il suo buonumore potesse indispettire il pirata. In fondo, un po’ se lo meritava! «In questi giorni, abbiamo seguito tutti gli spostamenti di un trio, formato da due uomini e una donna. E’ una gran bella coincidenza che le informazioni dell’ubriaco corrispondano esattamente, non trovi?» Lo sguardo di Emma non vacillò per un solo istante, radicata com’era allo scetticismo di cui era impregnato tutto il suo essere, ma Killian comprese che quella fosse una forma di protezione dall’eventuale delusione che una smentita a quelle informazioni avrebbe potuto provocarle. Avrebbe dovuto mostrarsi altrettanto prudente forse, si disse. «E, in ogni caso, è sempre un punto di partenza. Non avevamo alcuna meta, alcun indizio finora. Tanto di guadagnato!»
 
A quel punto, Emma lo spinse via e lo costrinse ad arretrare di un passo, incrociando, poi, le braccia all’altezza del petto. «O,» proruppe e il tenente ebbe il sentore che non ne sarebbe venuto fuori nulla di buono, «potremmo cercare quei tre, ucciderne due per fare capire al terzo che non scherziamo e costringerlo a condurci da Henry. Semplice ed efficace!»
 
Nel vederle alzare le spalle con noncuranza, come fosse la proposta più normale del mondo, Killian non poté che sospirare e finì per rimproverarla col solo ausilio dello sguardo. «Certo! Come se sapessimo quale direzione abbiano preso,» Emma fece per intervenire, ma lui non glielo consentì, «o fosse una soluzione accettabile. Potrebbe mentirci comunque! Non sappiamo cosa li leghi a questo fantomatico signore: potrebbe avere in ostaggio i loro cari o aver promesso una lauta ricompensa in cambio e, in nessuno dei due casi, otterremmo quello che ci serve.»
 
Il capo di lei si mosse in maniera rigida, con uno scatto secco al contempo simile e dissimile ad un cenno d’assenso. «Bene,» commentò e distolse lo sguardo da quello di Killian per avvicinarsi al tavolo, «abbiamo Telos e l’attendibilità di un presunto maniaco dei roditori. Anni di maledettissime ricerche buttate al vento!» La voce di lei uscì in un ringhio basso, mentre le sue dita afferravano le pergamene e le gettavano sul pavimento con rabbia. Quando fu sul punto di lasciarsi cadere sulla sedia, l’uomo tentò di fermarla e costringerla a guardarlo, ma ella se lo scrollò di dosso bruscamente e cadde con un tonfo sul pericolante sgabello. «Non provate a dirmi che devo essere positiva, perché giuro che non risponderei delle mie azioni.»
 
«Emma,» cominciò lui, osservandone il profilo ora arcigno nella fremente iracondia che la caratterizzava, «non c’è una sola ragione per scoraggiarsi a questo modo. Anch’io voglio trovare Liam, Dio solo sa quanto voglia rivederlo, ma-»
 
«Ieri notte, è stato tutto sbagliato,» lo interruppe lei, la mano destra sul mento per carezzarlo con fare assorto, del tutto assente. «Avevamo un vantaggio e lo abbiamo sprecato. Avremmo dovuto tentare di trovarli finché eravamo in tempo, finché erano in città o, comunque, vicini.»
 
In un moto di esasperazione, ella chinò il capo all’indietro, poggiandolo sullo schienale della sedia, e chiuse gli occhi, ma quanto più tentava di quietare i pensieri tanto più la vocina nella sua mente le rinfacciava di aver venduto suo figlio per una notte di passione. Quel pensiero la ferì profondamente, là dove l’afflizione per la perdita di Henry aveva i contorni della disperazione e dello spasimo, e la consapevolezza di non potervi rimediare si limitò a spingere più a fondo la lama che già dalle primissime luci dell’alba aveva lacerato la sua speranza per lasciare solo il senso di colpa. Le sue orecchie captarono i movimenti del tenente che, ancora a torso nudo, aveva recuperato le restanti mappe per accostarsi, infine, al vecchio tavolino; aperti gli occhi, Emma lo osservò studiarle una ad una con estrema concentrazione e istintivamente sorrise nell’immaginarselo in alta uniforme, nella cabina di una delle navi della marina.
 
«Mmm,» fece ad un certo punto, accostandosi alla mappa principale che il pirata aveva fissato alla superficie dell’improvvisata scrivania, «c’è qualcosa che non quadra.»
 
A quelle parole, Emma si alzò e lo raggiunse, finché non furono l’uno accanto all’altra chini sul dettagliato prospetto. «Cosa?»
 
L’indice di Killian raggiunse un punto confuso, probabilmente rovinato dall’umidità, ai margini della pergamena. «Qualcuno ha cancellato quello che vi era scritto.» Emma si fece più vicina, la fronte aggrottata per lo sforzo di capire. «E non solo qui: tutte queste mappe presentano una cancellatura in quell’esatto punto della prospettazione geografica.» Piano, prese a srotolare ognuno dei fogli che aveva raccolto e a mostrarglieli perché comprendesse il suo punto di vista. «Qualcuno ha apposto una cancellatura in questo punto nel tentativo di simulare un proseguo di vegetazione, ma il tentativo è stato alquanto maldestro.»
 
A quel punto, Emma si voltò verso il tenente e nessuna parola, nessuno scritto avrebbe potuto parlare più chiaramente del suo viso in quel momento, perché vi erano dipinti la sorpresa e il compiacimento con pennellate perfettamente definite. Sentendosi osservato, l’uomo finì per fare altrettanto e, incrociando lo sguardo del pirata, le sue sopracciglia s’inarcarono in maniera eloquente fino a strapparle un mezzo sorriso.
 
«Sembri sorpresa,» le fece notare.
 
«Lo sono,» commentò candidamente lei e Killian ridacchiò. Fu con piacere che notò la rinnovata distensione sui lineamenti di lei, ravvivata da un pizzico di entusiasmo. «Non sapevo foste un esperto d’arte, né vi facevo tanto brillante, lo confesso.» Le fu impossibile non ridere della reazione del tenente, mentre tornava a concentrarsi sulle pergamene e ne prendeva una tra le mani per studiarla ancora e più da vicino, e nel farlo portò una ciocca di capelli dietro l’orecchio in un movimento che non passò inosservato agli occhi del suo interlocutore. «Credete davvero che abbiano tentato di nascondere quello che era scritto lì?» Alzando lo sguardo, sorrise prima di correggersi: «Intendo dire, per quale ragione fare una cosa simile?»
 
Suo malgrado, le labbra di Killian si inclinarono verso l’alto. «Non saprei, ma direi di cominciare con lo scoprire cosa abbiano nascosto. Poi, avremo tempo per i perché.»
 
Gli occhi di Emma si soffermarono con insistenza sul punto incriminato, prima che si lasciasse andare ad un sospiro e tornasse a incrociare lo sguardo dell’altro. «Credevo davvero fossero macchie d’umidità,» disse con espressione mesta e, benché provasse tenerezza per quella fanciulla dall’espressione stanca, il tenente non poté impedirsi di palesarle la considerazione successiva.
 
«Se fossi rimasta a letto più a lungo e ti fossi riposata, probabilmente lo avresti notato,» la rimbrottò bonariamente e la donna sorrise, non soltanto perché avesse notato la frecciatina ma per il fatto che, pur potendo mettere in rilievo il proprio acume a scapito dell’errore di Emma, egli avesse preferito crederla capace di arrivare alla medesima conclusione. «Mi aspettavo di più da questo fidanzamento, che non essere usato come un vecchio giocattolo.»
 
Il pirata rise sommessamente, di uno di quei suoni vibranti che Killian non avrebbe smesso mai di apprezzare. «Oh, non immaginavo foste il tipo d’uomo che si intrattiene in moine mattutine, tenente!»
 
«Beh,» cominciò e, nel farlo, avanzò di un passo, riducendo drasticamente la già esigua distanza presente tra di loro, «ci sono molte cose che non sapete di me,» proseguì e i suoi occhi oscillarono più volte dagli occhi alle labbra di lei.
 
Contro ogni suo proposito, il corpo di Emma reagì a quello dell’altro, infuocandola di un desiderio che avrebbe fatto impallidire perfino quel mattino di grigio vestito, e istintivamente finì per umettarsi le labbra. «Come il fatto che abbiate un debole per i pirati?»
 
Gentilmente, Killian le tolse la mappa di mano, posizionandola sul tavolo insieme alle altre, e, contro ogni protesta del suo orgoglio, del suo raziocinio, perfino del suo buonsenso, il pirata lo lasciò fare. «Come il fatto che, a questo punto, penso sia il caso di abbandonare questo tono formale.»
 
Le braccia di lui le cinsero la vita con estrema lentezza, carezzarono il tessuto in pelle del corpetto e salirono su per la schiena a sfiorare gli intrecci ivi presenti, fin quando non ebbe raggiunto il nodo in cima. In tutta risposta, le dita di Emma si posizionarono sulla pelle scoperta del ventre di lui e, fredde a contatto col calore del suo corpo, lo fecero sobbalzare impercettibilmente, quel tanto che bastava a compiacerla e ad ampliare il sorriso che faceva bella mostra di sé sulle labbra vermiglie. Alla provocazione, Killian rispose strattonandola un po’, finché non ci fu più alcuno spazio tra i loro corpi e, come lunghe e delicate zampe di ragno, le mani di lei proseguirono nella loro seducente scalata. Piano, senza chiedere il permesso, egli sciolse l’annodatura del corpetto ed eseguì il compito con una placidità tanto disarmante che il pirata resistette a stento all’impulso di velocizzare il ritmo. Per quanto combattuta fosse e pressante si stesse dimostrando l’imperativo della sua mente di abbandonare la  stanza, il suo corpo fu sordo a qualunque protesta e lo fu con intransigenza.
 
«Io voto per il mantenerlo,» disse e le movenze della sua bocca furono così accattivanti che l’uomo riuscì a stento ad alzare lo sguardo per incontrare il verde di quello di lei. «Non vorrei dimenticaste chi è il capitano o finiste per affezionarvi troppo, Jones.» Era la prima volta che utilizzava quel nomignolo e Killian realizzò con una certa sorpresa che amava il modo in cui il proprio cognome suonava se pronunciato da lei. «Pensate che delusione dareste a quel bellimbusto del vostro sovrano!»
 
Il tenente rise, ammonendola con lo sguardo, e si fece avanti come per baciarla, ma, all’ultimo momento, finì per virare e correre sulla linea della mandibola di lei fino a raggiungere l’orecchio. Chiudendo gli occhi, Emma sospirò e, rabbrividendo, accostò il proprio volto a quello dell’altro; il suo sospiro arrivò dritto al cuore di Killian che, in tutta risposta, la strinse più saldamente e mosse le dita con fare più alacre, consumato a sua volta dal gioco che aveva messo in piedi per stuzzicarla.
 
«Non vorrei dimenticaste della preziosa informazione che vi ho dato ieri,» fece e l’assecondò, abbandonando i modi colloquiali che aveva usato fino a pochi istanti prima, «e direi che, forse, sia arrivato il momento di mostrare un po’ di gratitudine.»
 
Il braccio di lei scivolò fino ad incastrarsi dietro il collo di lui, il sangue che le scorreva frenetico nelle vene. «Pensavo foste rimasto soddisfatto questa notte,» gli disse e Killian ridacchiò.
 
 «Oh, Emma
 
Qualcosa, nel modo in cui pronunciò il suo nome, le diede l’assoluta certezza che quella tortura fosse in procinto di finire per fare spazio ad un’altra, più lenta e bruciante insieme, e fu sulla scorta di tale consapevolezza che la sua bocca accolse prontamente e con altrettanto desiderio quella dell’altro. Non ci fu spazio per baci languidi o insinuanti, per le provocazioni e i temporeggiamenti, perché nessuno dei due avrebbe saputo indugiare un istante di più. Killian inclinò il capo, affondando le dita tra le ciocche seriche di lei per trovare, infine, il posto che spettava loro sulla nuca, e approfondì il bacio. Incatenati com’erano, il mondo prese a vorticare ad una velocità inaudita e la placidità della quale il tenente si era beato quel mattino venne del tutto meno, spazzata via insieme ai se, ai forse e ai ma. In quel frangente e per quelli successivi, le pareti della stanza fecero da schermo contro il mondo che li voleva nemici giurati, lo stesso che li aveva visti – e ancora li vedeva – porsi su posizioni opposte e pienamente dissonanti. Per i seguenti rintocchi di campana, il tenente Jones e Capitan Swan si nascosero all’umanità intera e protessero quel loro isolato attimo di cedimento alle proteste della fazione cui appartenevano; e le loro posizioni si invertirono e mescolarono, come combinate e cangianti erano le loro movenze. Per un’ora e poco più, la marina si piegò alla pirateria e la pirateria cedette al fascino della divisa.
 
*
 
«Siete una donna assolutamente insensibile!»
 
Emma sorrise, la porta che si chiudeva dietro di lei con un tonfo secco, perentorio. Inspirò ed espirò profondamente un paio di volte, gli occhi chiusi come per scrollarsi di dosso tutte le sensazione che, dalla camera appena oltre quella superficie in legno, sembrava si fosse portata dietro. Allungò il collo con calma, prima in una direzione e poi nell’altra, e, quando si ritenne nuovamente nel pieno controllo di sé, schiuse le palpebre per rivelare l’ostinazione di quel verde che, per qualche ora, si era lasciato annacquare dall’intenso blu delle iridi del tenente. Le tegole scricchiolarono sotto il suo peso, rendendo palese a Killian che il pirata avesse indugiato qualche istante prima di dirigersi verso la sua prossima meta, ma Emma non se ne curò, benché le riuscisse piuttosto complicato domare o nascondere il riso che le indugiava sulle labbra. Che cosa stava facendo?
 
Se lo era chiesta a più riprese e con una certa frequenza, quel mattino durante lo studio delle mappe e, ancora dopo, quando il tenente l’aveva convinta a seguirlo sul letto per un ripasso di quello che era accaduto la notte precedente. Era sbagliato e ne era pienamente consapevole, perché, se c’era qualcosa che la sua esperienza le aveva trasmesso, era che i militari si distinguessero in due nette e diverse categorie: gli arrivisti, disposti a tutto pur di ottenere ciò che desideravano – e, solitamente, era una massiccia combinazione di potere e ricchezze -, e gli idealisti come Liam e Killian, che facevano fatica a reprimere le loro emozioni; e, per quanto paradossale potesse apparire, Emma trovava che questi ultimi fossero di gran lunga più temibili. Non che temesse di poterne subire l’influenza, questo no!, ma più passava il tempo in sua compagnia, più aveva il (neppure troppo) vago sentore che ci fossero delle rogne all’orizzonte.
 
Era un uomo caparbio, tendenzialmente collerico, a tratti perfino prepotente, ma sapeva dimostrare una cura, una tenerezza e un’affezione che, sovente, le ricordavano il suo amore per Henry e il modo in cui il solo pensiero di suo figlio bastasse a scaldarle il cuore. In quelle ore, l’aveva amata con una passione che le era costata buona parte del suo buonsenso e del suo autocontrollo: era stato forte, deciso, infinitamente gentile e, a tratti, perfino più pirata di quanto non sarebbe mai stato disposto ad ammettere; e, per quanto si fosse ripetuta di mantenere il solito (labile ma ben presente) margine di distacco, non vi era riuscita perché Killian non le aveva lasciato alcuna via di scampo. Dovunque si fosse voltata, aveva trovato ora le sue mani, ora la sua bocca, ora le sue parole e aveva avuto l’impressione di essere in trappola più di quanto non fosse accaduto in passato, quando si era sentita prigioniera di una vita e di un temperamento dei quali aveva spesso rinnegato la titolarità. Ma la parte peggiore era che, in cuor suo, non avesse mai sperimentato un genere di detenzione tanto piacevole da che aveva memoria, perché nessun uomo era mai riuscito ad accenderla come la sola consapevolezza di essere da sola in una stanza con lui era in grado di fare.
 
Scendendo le scale, Emma ignorò l’improvvisa ondata di calore che le imporporò le guance e, giunta al piano terra, fu lieta di trovare la locanda quasi completamente deserta. I suoi occhi cercarono e trovarono Olly e, quando i loro sguardi si incrociarono, la donna si fermò un istante a studiarla, prima che le sue labbra si aprissero in un sorriso di scherno e cominciasse a ridacchiare, facendosi beffe di lei. Con espressione di rimprovero, sulla bocca una smorfia a metà tra il divertito e l’insultato, la giovane raggiunse il bancone e sedette su uno degli sgabelli. La risata di un uomo ubriaco, forte e biascicata, la trascinò per un istante lontana dal luogo ove si trovava e un brivido le corse lungo la schiena, prepotente e sprezzante; l’adrenalina prese a scorrerle nelle vene e, in un attimo, fu di nuovo il pirata che tanto amava essere, la donna fredda, razionale e potente che era diventata e di cui aveva bisogno. Era tempo, ormai. Non poteva mancare molto!
 
«Bene, bene,» esordì Olly con voce pimpante, strappando Emma alle proprie riflessioni, e le sue sopracciglia si inarcarono un attimo nel notare qualcosa di diverso negli occhi di lei, la stessa ombra che, per un brevissimo frangente, aveva creduto Killian fosse stato in grado di cancellare, «ti servo qualcosa?» Emma si sporse appena oltre il bancone per lanciare una rapida occhiata alle bottiglie, soppesando con fare intento la scelta migliore, mentre si umettava le labbra con noncuranza. E fu sul punto di comunicarle la sua scelta, quando la locandiera la interruppe con un sorriso appena accennato, eppure trionfante: «Non abbiamo begli uomini dagli occhi azzurri, ma qualcosa dovresti trovare,» fece e continuò a passare lo strofinaccio sul bancone con apparente innocenza.
 
La bocca di Emma ebbe a inclinarsi con spontaneo divertimento, ma i suoi occhi la seguirono con la stessa alacrità di un predatore con la vittima che più solletica i suoi appetiti. «Ah sì?» Il tono che decise di usare non fu vivace, tantomeno giocoso, piuttosto mantenne un profilo basso e al contempo rilassato che conferì alle sue parole una nota vibrante. Pur non avendo ancora alzato lo sguardo, Olly poté figurarsela nelle stesse movenze di un gatto, il corpo in tensione e la coda ritta, pronto a scattare. «Cosa suggerisce la casa?»
 
«Beh,» cominciò prontamente la locandiera, alzando un boccale per pulire una fantomatica macchia, prima di riporlo nel lavello insieme agli altri calici da lavare, «dipende da tante cose: se si vuole recuperare un po’ di energia,» e a questo punto i suoi occhi si alzarono un attimo per incrociare rapidamente quelli di Emma, prima di tornare in basso, «se si vuole qualcosa per completare in bellezza un buon pasto…» A questo si fermò, l’espressione improvvisamente, genuinamente colpita: «Sbaglio o non hai pranzato?» chiese e, nel farlo, pose le mani su ambedue i fianchi con un cipiglio assai contrariato.
 
Il pirata ridacchiò e, allegra, si morse il labbro inferiore; erano trascorse settimane dall’ultima volta che qualcuno si fosse preso cura di lei con tanto zelo e quel pensiero la fece sospirare, la Nostos e il suo equipaggio che aleggiavano nella sua mente come una fitta, costante nebbiolina. Come spesso accadeva quando la nostalgia dei suoi pochi affetti la coglieva impreparata, Emma si chiese se Henry avrebbe apprezzato quel genere di vita, se avrebbe amato quella nave quanto la amava lei o se, invece, non avrebbe finito per chiederle una vita più normale con una casa, un giardino e una routine. E, se fosse accaduto, sarebbe stata in grado di dargli quello che voleva? Avrebbe rinunciato ad ogni cosa pur di renderlo felice, anche laddove ciò avesse significato tramutare la sua esistenza in ciò che si era lasciata alle spalle senza rimpianti?
 
«Se mi è concesso,» s’intromise una voce, costringendo entrambe le donne a rivolgere la loro attenzione altrove, una voce che Emma trovò estremamente familiare ma cui non seppe dare un volto finché non seppe accostarvi il volto del proprietario, «vorrei permettermi di pagare il pasto della signora,» concluse il menestrello, spingendo una moneta d’argento e due di bronzo sul bancone per dare significato alle sue parole.
 
La giovane annuì sommessamente, dando ad Olly la soddisfazione di scegliere quale cibo metterle nel piatto, e, scivolando sullo sgabello, si voltò per fronteggiare il suo interlocutore. «Un ringraziamento è d’obbligo, suppongo,» disse lei con espressione imperscrutabile e gli occhi del menestrello indugiarono sul suo volto con una curiosità che sapeva d’incanto.
 
«Sono io a dovervi ringraziare,» fece l’uomo dopo qualche istante, sorridendole e porgendole la mano in segno di saluto. Emma la prese e la strinse con la stessa decisione che si conveniva ad una donna del suo calibro, ma egli la costrinse dolcemente a ruotare il polso finché non poté chinarsi a baciarle le nocche con estrema galanteria. «E devo ringraziare anche la mia buona stella, perché non speravo di riuscire a trovarvi.»
 
L’espressione del pirata si fece dubbiosa, per molti versi titubante e, d’istinto, ella inclinò il capo, ma non ritrasse l’arto benché la sua mente avesse partorito le peggiori congetture e il suo fisico fosse all’erta. «E a cosa devo tanta affabilità?»
 
Il menestrello rise piano, le dita ossute che ancora carezzavano teneramente quelle affusolate di lei. «Faber, per servirvi!» Emma lo osservò con attenzione, gli occhi verdi che sondavano quelli nocciola alla ricerca di qualcosa che la mettesse in allarme. Quando, qualche secondo dopo, Olly le posizionò una scodella fumante davanti e le porse un tozzo di pane, la giovane si era ormai convinta che l’uomo non avesse nulla a che vedere con le vicende che l’avevano portata lì, che non fosse un sicario mandato a rallentarla o, addirittura, fermarla. «E’ passato molto tempo dall’ultima volta che ho avuto il piacere di vedere occhi come i vostri, di incontrare qualcuno come voi.» Nel parlare, egli le tributò la stessa reverenza che Henry era stato solito rivolgerle, in quel modo di guardare le madri che hanno soltanto i figli. La guardò con l’amore di un artista per la sua musa e, forse, altri non era che quello. «Mi è consentito sapere il vostro nome?»
 
«Emma,» rispose lei, nella mente le malinconiche parole della canzone che aveva udito risuonare per i vicoli circostanti la locanda la notte prima, e finì per sfilare la mano dalla presa dell’altro, mentre spezzava in piccoli tocchetti il pane e li immergeva nella zuppa che le era stata servita.
 
Egli continuò a studiarla in silenzio. «Credo di dover essere più chiaro e mi scuso per la mia maleducazione,» disse infine. «Vi ringrazio e vi devo molto perché sono le persone come voi che ispirano la mia arte.» S’interruppe un attimo, dando l’impressione di star inseguendo un pensiero capriccioso e, con esso, le parole più opportune per spiegarle cosa intendesse dire. Da ultimo sorrise e le parlò con lo stesso fare criptico che ci si sarebbe aspettato da una persona che, come lui, aveva il mondo negli occhi: «Un uomo, un tempo, mi disse che fino a diciotto anni tutti scrivono poesie e che, da quest'età in poi, ci sono due categorie di persone che continuano a scrivere: i poeti e i cretini. Allora, io mi sono rifugiato prudentemente nella canzone che, in quanto forma d'arte mista, mi consente scappatoie non indifferenti, là dove manca l'esuberanza creativa.» Emma sorrise, riponendo nuovamente il cucchiaio nella scodella e deglutendo, sotto lo sguardo vigile di una Olly alquanto perplessa. «Ed ha latitato a lungo, questa mia esuberanza creativa, che, in fondo, poi mia non è,» le disse, le dita lunghe che picchiettavano sulla superficie del bicchiere con la stessa delicatezza con cui doveva toccare le corde del suo strumento, lo sguardo immerso nel rosso intenso del vino che, Emma si disse, stava bevendo da un pezzo, considerato il colore violaceo delle labbra, «finché non siete arrivata voi e me l’avete restituita.»
 
A quel punto, quegli occhi velati dalla passione – una passione che non aveva nulla a che vedere con la lussuria, bensì con il genio – e dall’alcool cercarono nuovamente il verde di lei e, nel trovarlo, egli sospirò come sollevato. La donna ricordò a tratti versi che parlavano di grandi occhi chiari, distanti e freddi, occhi che avevano fatto soffrire, ma che erano stati oggetto di un amore grande, benché mai ricambiato; e nel ripetere a mente quelle strofe, delle quali aveva un ricordo vago ma stranamente nitido per la poca attenzione che pensava di avergli prestato, si domandò come avesse fatto a scorgere in lei molto più di quanto altri non fossero in grado di fare e come ci fosse riuscito senza neppure avvicinarsi.
 
«Avete scritto delle canzoni che parlano di me,» disse e fu una frase a metà tra un’affermazione ed un quesito, ma Faber annuì quasi avesse capito, ancora una volta, senza bisogno di ulteriori, inutili precisazioni.
 
«Credo che continuerò a farlo ancora in futuro e per lungo tempo,» le confidò con voce bassa, le palpebre più pesanti sugli occhi in uno stato di beatitudine che l’uomo parve godersi in ogni sfumatura. Emma sospirò, guardandosi intorno in preda a sentimenti contrastanti: la parte di lei più insicura provava imbarazzo all’idea di essere oggetto di tanto immeritato interesse, mentre la parte più goliardica si compiaceva di quelle attenzioni e, a tratti, neppure se ne stupiva, trovando innumerevoli ragioni alla base di quella scelta. «Siete tante cose, Emma,» parve confessarle d’un tratto il cantastorie, «e tutte bellissime.»
 
«Non sapete quel che dite, Faber, altrimenti non pronuncereste in modo tanto avventato simili giudizi,» lo ammonì lei, un po’ com’era solita fare con i nuovi arrivati nella ciurma, quelli che credevano di saper affrontare una vita da pirata ma non avevano idea di cosa significasse.
 
«Anche la crudeltà può avere qualcosa di estremamente bello, mia signora.» Emma alzò la testa di scatto a quelle parole e finì per chiedersi quando avesse cominciato ad essere tanto prevedibile, quando avesse smesso di tutelarsi e impedire che gli altri vedessero cosa si nascondesse dietro l’apparenza che dava di sé. E Faber ebbe l’impressione di sentire il tonfo di un libro che si chiudeva, mentre Emma si lasciava andare ad un sorriso che aveva l’aria di un muro alto molte miglia. Un muro oltre il quale non era possibile vedere, neppure sbirciare, perché le aveva improvvisamente donato un’altra delle tante sembianze che ella sapeva assumere. «Pensate ad una fiera selvaggia: non è forse il brivido che provoca a renderla incantevole così com’è? E, come quella bestia, voi amate ciò che siete!»
 
Ella annuì, portando il bicchiere di vino alle labbra e bevendone qualche sorso, mentre un rumore di passi annunciava che qualcuno stesse scendendo le scale col desiderio di immettersi nella taverna. «E’ della bestia che canterete?» gli chiese e Faber parve soddisfatto dalla sfrontatezza che ella ebbe a dimostrare, perché le sorrise più ampiamente.
 
«Stasera, canterò di tutto quello che vorrete.»
 
Fu sulla scorta di tali parole che il tenente si immise nell’ambiente aranciato ove si trovavano Olly, Emma e il menestrello, oltre a qualche altro commensale, e ne avrebbe attirato l’attenzione, se, nello stesso momento in cui il suo stivale aveva abbandonato l’ultimo gradino, la porta non si fosse bruscamente aperta e l’ululato del vento non avesse sparso la sua minaccia e quella dei nuovi avventori con sé. Ma, in verità, non vi era nullo di sconosciuto, men che meno di intimidatorio nel gruppo di uomini che, sostando contro lo stipite della porta, parevano in procinto di invadere la Scodella Pimpante, non agli occhi di Emma e di Killian almeno.
 
Con uno stuzzicadenti al lato della bocca e il riso sulle labbra, Stecco incrociò le braccia al petto e disse: «Siete una visione, capitano!»
 
La reazione di Emma fu pronta quanto quella del manipolo di uomini che, dal nulla, aveva fatto apparizione in quel di Poreia alla ricerca dell’unica persona ai cui ordini rispondessero: abbandonando lo sgabello e apparentemente dimentica del menestrello, andò incontro al gruppo con passo deciso ed espressione raggiante, all’improvviso più Capitan Swan di quanto non fosse stata mai da che l’aveva conosciuta. Killian si chiese come fosse possibile tutto ciò, quale fosse il senso della loro presenza in un viaggio che Emma aveva sempre affermato di voler compiere da sola, per quale ragione li avesse lasciati indietro al solo scopo di ritrovarli poco tempo dopo, ma seppe che quelle domande e molte altre ancora non avrebbero trovato risposta tanto presto.
 
«Non che la cosa ci sorprenda, capitano!» aggiunse Julio, ma fu impossibile individuarlo perché, appena dopo Stecco, torreggiava l’imponente figura di Diego. «E fatti un po’ avanti, tu!» lo sentirono lamentarsi e l’omone avanzò ridacchiando, lasciando intravedere che anche Ulan avesse preso parte all’allegra comitiva.
 
«Come potete notare, il piccolo ha acquisito un po’ di sicurezza, capitano,» le disse quest’ultimo ed Emma ridacchiò, osservando Julio arrossire drammaticamente come al solito. «Corpo di mille balene, guardate un po’ chi c’è là… Jones
 
A quelle parole, gli occhi di Emma scorsero i volti dei suoi uomini fino a trovare quello di Diego e soffermarvisi. I loro sguardi rimasero a lungo fermi l’uno in quello dell’altra e si dissero parole che nessuno avrebbe mai sentito sfiorare le loro bocche, ma tanto bastò perché si capissero. Infine, l’energumeno si lasciò andare in un sorriso colpevole, che nulla aveva di pentito. Emma sapeva quali ragioni lo avessero spinto a disobbedirle e, ancora di più, conosceva le reticenze di cui l’aveva sempre resa partecipe nel tentativo di dissuaderla a portare avanti un piano che, ai suoi occhi, di sensato aveva avuto ben poco. Furono questi motivi – insieme all’affetto che provava per lui, alla consapevolezza di avergli, da ultimo, dato ragione e al rinnovato vigore che la vista della sua ciurma le diede – che le permisero di perdonare un errore per il quale, in un’altra occasione, Diego avrebbe pagato caro.
 
«Non so se l’avete notato, ma siamo tutti contenti di rivedervi,» sottolineò Stecco, mentre Ulan chiudeva la porta della locanda e un pressante bisbiglio si diffondeva per la locanda, un bisbiglio nel quale spiccavano le parole “capitano” e “pirati”.
 
«La Nostos?» si informò Emma e tutti quanti le sorrisero, quasi sollevati, come se avessero temuto che, in quelle settimane, il loro capitano potesse perdere parte dell’affetto e dell’attaccamento che nutriva per la sua posizione e i suoi uomini.
 
«Nelle mani di Hank,» le rispose Stecco. «Quel vecchiaccio ha un occhio solo, ma vede come se ne avesse tre. E, per tutti i kraken, ha la pellaccia più dura di quella di un coccodrillo.» Killian ed Emma risero a loro volta e il tenente non poté fare a meno di ricordare la prima volta che aveva visto Hank, quando gli aveva detto senza mezzi termini che soltanto una donna in grado di mettere a repentaglio la vita di un uomo fosse degna di essere considerata tale, nonché degna di attenzioni. Era passato così tanto tempo da allora! «E, poi, nessuno avrebbe avuto il coraggio di dirgli che la Nostos non era sotto la sua supervisione in vostra assenza. Ci avrebbe appesi a testa in giù per gli alluci!»
 
Un’altra risata seguì l’ultima puntualizzazione di Stecco, ma non durò a lungo perché, dietro Emma, Olly si schiarì la voce e, con le mani ai fianchi e un mestolo in pugno, esordì: «Capitano? Vuoi dirmi che sei un maledettissimo pirata?»
 
Emma si voltò con estrema lentezza, lanciando un’occhiata significativa ad ognuno dei suoi uomini finché ciascuno di essi non le ebbe risposto con un occhiolino, e, infine, fronteggiò la corpulenta locandiera. Sul suo volto e nei suoi occhi, Killian riconobbe il pirata che lo aveva catturato e asservito, lo stesso che, fino a poche ore prima, lo aveva sedotto e abbandonato per la seconda volta, e il brusio parve arrestarsi improvvisamente. Per un brevissimo frangente, nell’attesa che la giovane fornisse una risposta a tutti gli interrogativi – palesati e non – che aleggiavano nell’aria, tutto tacque e ogni cosa, perfino il silenzio, pese dalle sue labbra.
 
«Oh, mia signora, certo che no!» fece, ma il tono farabutto e l’espressione da canaglia di cui si servì non fecero che dilatare tempo e spazio, insieme alla consapevolezza che ci fosse altro da aggiungere a quella primaria affermazione. «Non sono un maledettissimo pirata qualunque.» Con un cenno del capo, ordinò ai suoi uomini qualcosa che non necessitò di alcuna spiegazione verbale, perché Diego, Ulan, Stecco e Julio si mossero in sincrono e, afferrando i pochi clienti presenti alla Scodella Pimpante, li issarono di peso fino a portarli in strada. Quando la porta si fu chiusa e, con le braccia incrociate al petto, Diego si fu poggiato contro di essa allo scopo di bloccarla, Emma tornò a guardare Olly, stavolta pronta a terminare la frase che aveva iniziato: «Capitan Swan, ai vostri ordini!»
 
*
A quel punto, c’era stato poco da fare per la corpulenta locandiera, se non accettare la presenza della donna cui era tanto grata e della sua ciurma. Poco importava che fosse un pirata e che il riserbo con cui aveva pronunciato il suo nome la dicesse lunga sul tipo di pirata che incarnava! Era Emma, la giovane che non aveva fatto altro se non salvarli da una rovina certa, la ragazza che non aveva mai minacciato la loro incolumità ma della quale immaginavano il potenziale, e tanto bastava perché meritasse fiducia e con lei i suoi uomini. Benché con una evidente, comprensibile ritrosia, Olly evitò di fare domande e Killian si assicurò che non ripensasse alla saggia scelta che aveva preso: le si fece vicino con una certa prudenza e le chiese di seguirlo un istante per un presunto problema alla stanza; l’occasione per parlarle e consigliarle di fidarsi di Emma fu presto trovata e, quando entrambi tornarono nell’osteria, trovarono il fascinoso capitano dalla fulgida chioma e la sua ciurma accomodati attorno ad un tavolo e immersi in una conversazione piuttosto concitata.
 
Ci fu un brevissimo momento di silenzio, in cui la combriccola di pirati volse il suo sguardo all’indirizzo del duo che era appena venuto dal piano di sopra, ma bastò che Olly si dirigesse verso il bancone perché la situazione si ristabilisse e Stecco si esibisse in una delle sue tipiche esclamazioni che il gergo di mare rendeva perfino più taglienti. E fu in quel momento che Killian scorse e riconobbe la figura che Emma si era assicurata non venisse toccata dai propri uomini, quando questi avevano ripulito la stanza dai pochi clienti presenti al loro arrivo: era il cantore che, la sera prima, aveva suonato la melodia in sottofondo alla loro lotta danzata e se ne stava placidamente seduto su uno degli sgabelli con le dita che carezzavano pigramente lo strumento a corde. Per l’ennesima volta quella sera, il tenente si chiese cosa fosse accaduto, quando si fosse creata una connessione tra costui ed Emma tale da garantirgli una simile protezione e come fosse possibile che non si fosse accorto di nulla nel breve lasso di tempo che aveva trascorso dormendo o rassettando la camera.
 
«Jones, non siete contento di vederci?» La voce di Ulan risuonò alta per il locale e Killian fu costretto a distogliere lo sguardo per rivolgerlo all’indirizzo di colui che l’aveva interrogato. Avanzando verso il tavolo, gli sorrise e fece per parlare, ma l’altro lo interruppe per aggiungere: «Avevate in mente di sedurre il nostro capitano? Come avete fatto a trovarlo, a proposito?»
 
«Già,» fece Stecco, battendo un pugno sul tavolo, «come avete fatto?» chiese e, nel farlo, si lasciò scivolare sulla sedia, incrociando le braccia al petto con espressione curiosa e divertita a un tempo.
 
Killian passò in rassegna i volti di quelli che, a tutti gli effetti, poteva considerare suoi compagni di viaggio – un viaggio diverso da qualunque altro avesse mai affrontato, ma pur sempre tale - e indugiò un solo istante sul viso di Emma, prima di rivolgersi a Ulan. «Che ci crediate o no, ho parecchia esperienza nella ricerca dei furfanti e il tempo trascorso sulla Nostos mi ha dato vantaggi che prima non avevo,» rispose e le sue parole divertirono parecchio i presenti, sulle cui bocche fecero mostra sorrisi soddisfatti, addirittura compiaciuti.
 
«Tutti questi mesi in nostra compagnia e ci chiama ancora furfanti, tzè!» esclamò Ulan, battendo giocosamente un pugno sul tavolo, e Killian si disse che non l’aveva mai visto tanto raggiante quanto in quel momento. Emma doveva essergli mancata, come era mancata a Stecco e Diego dei quali l’affetto era indiscutibile, e il tenente non riuscì a non domandarsi se qualcuno dei suoi uomini a Thrain avesse provato almeno dispiacere per la sua assenza. «Vi abbiamo trattato come sangue del nostro sangue e questo è il ringraziamento?»
 
«Avete anche affondato la mia nave e mi avete quasi ucciso,» precisò e il pirata si sfregò le mani, come ravvivato dal pensiero che lo scontro tra i due colossi avesse dimostrato chi comandava sul mare: e quella altri non era che la Nostos.
 
«Quello è tutto merito del capitano, Jones,» intervenne Julio, sfacciato come mai l’aveva visto in tutto il tempo trascorso a bordo del vascello pirata, «vi aveva già dato il benservito prima che potessimo intervenire.»
 
Gli occhi di Killian, a quel punto, cercarono e, infine, trovarono quelli di Emma e non avrebbe saputo dire fosse una sua impressione o se davvero fosse più bella dell’ultima volta che si erano visti in camera, quando lei si era chiusa la porta alle spalle e, senza voltarsi, era tornata ai suoi affari. Ella gli sorrise in quel modo di fare tanto mascalzone e consapevole che il tenente aveva imparato a conoscere e le sorrise di rimando nel constatare quanto fossero cambiate le cose tra loro. Nel guardarla, bella e potente in una taverna prevalentemente occupata da uomini, si chiese se si pentisse di averla incontrata e di avere trascorso tanto tempo nel suo mondo, se, al di là del pensiero di riabbracciare il fratello, potesse trovare spazio nel suo cuore per lei e ammettere quanto avesse appreso nel corso di tutti quei mesi. Perché, a distanza di tempo dalle sue prime volte sulla nave pirata più selvaggia e ricercata dell’ultimo decennio, comprendeva quali fossero i vantaggi di una vita da pirata, primo fra tutti un’assoluta, incondizionata libertà.
 
«Lo aveva dato ad un intero palazzo di soldati, il benservito,» ammise e riuscì a sorprenderla, perché, inarcando le sopracciglia, Emma inclinò il capo e lo guardò con una tacita, retorica domanda dipinta in volta, una domanda che lo fece ridacchiare. Una parte di lui riusciva a sentirne la voce, mentre gli chiedeva quando avesse perso del tutto il senno… Per lei, ovviamente! «E non avrebbe potuto farlo, se non fosse il re dei farabutti.»
 
«Al re dei farabutti!» urlò Ulan, alzando il pugno in aria con voce trionfante.
 
«Al nostro capitano!» seguirono a ruota gli altri e non persero tempo a raggiungere il bancone per fare le loro ordinazioni e soddisfare i loro primari appetiti.
 
Uno di essi fece anche il piacione con Olly, ma ottenne lo stesso risultato che, a suo tempo, aveva guadagnato Killian: se quest’ultimo aveva rischiato di farsi esplodere lo stomaco a suon di fucilate ma era riuscito, infine, a svignarsela, lo stesso non poté dirsi per Stecco che, in tutta risposta, si beccò un colpo di mestolo in pieno viso. Le imprecazioni che seguirono suscitarono una gran risata in tutto il locale, una risata che coprì a stento gli improperi dell’uno e le urla di avvertimento dell’altra, e tanto bastò perché la Scodella Pimpante divenisse più chiassosa di quanto non fosse mai stata. Il che era tutto dire, considerate le aspettative che il nome suscitava!
 
Da quel momento in poi, la serata trascorse in maniera sì gioviale che molti passanti – alcuni ignari dell’identità dei presenti e semplicemente incuriositi dalla vivacità che pareva respirarsi nel locale, altri intrigati dalle voci che circolavano sulla biondina chiamata pirata – si armarono di coraggio e presero parte all’improvvisata festa che gli uomini della Nostos imbandirono per il loro capitano. Trascinato dalla dilagante allegria della combriccola, Faber diede spettacolo con il suo strumento a corde e riuscì perfino ad accompagnare alcuni dei mottetti che Diego, Stecco, Ulan e Julio intonarono tra una bevuta e l’altra, mottetti che parlavano di belle donne, di storpi, di balene e sirene, mottetti che fecero ballare perfino chi, fino a quel momento, i pirati li aveva sempre disprezzati.
 
E, per la prima volta in assoluto, Killian vide il pirata che era in Emma venire fuori in tutta la sua magnificenza. Con disinvoltura e fare affascinante, accettò le proposte di ballo di chiunque le si avvicinasse e, laddove in un primo momento vi era stata cautela, la sfrontatezza ne prese il posto e tutti finirono per accostarsi a lei e chiederle di danzare. In tutto quel trambusto, lo sguardo del capitano e quello del tenente si incontrarono per un solo, fugace istante e tanto bastò perché Killian comprendesse che non era il caso di farsi avanti come tutti gli altri. “Avete paura che vi mangi, Jones?” gli chiese ad un certo punto Ulan, ma il fato – o, forse, la prudenza della donna – gli venne in soccorso, perché il menestrello smise di suonare e tutti cercarono riposo presso quello o quell’altro tavolo e la domanda fu dimenticata. Perfino Olly, abbandonate le reticenze iniziali, sorrideva da dietro il bancone col viso arrossato dal ballo e dal vino.
 
Fu proprio il cantore a rompere il ghiaccio e la sua voce vissuta echeggiò per il locale, catalizzando l’attenzione al tavolo ove aveva preso posto. «Ebbene, capitano,» disse e fu evidente a tutti l’intento lusinghiero dell’uso di tale appellativo, «mi chiedevo una cosa. Posso?» Emma fece un fluido gesto della mano, invitandolo a parlare. «Voi che avete visto molto del mondo e del mare,» fece, ma un pesante singhiozzo lo costrinse a fermarsi e tutti quanti risero, Killian compreso, «dunque, dicevo: qual è la cosa più suggestiva che abbiate mai visto?»
 
La curiosità che suscitò quella domanda fece sì che un lungo silenzio seguisse le parole di Faber, nell’attesa che la diretta interessata soddisfacesse l’interesse generale. Lo sguardo di Emma vagò a lungo e Killian poté figurarsela sfogliare con cura i libri ove aveva accumulato i ricordi di quegli anni da capitan pirata, arrivando alla conclusione che non fossero i suoi occhi a giocargli un tiro mancino: era davvero più bella di quanto non fosse stata di sopra. E avrebbe dovuto chiedersi come fosse possibile, se ci fosse una stregoneria di mezzo, ma questo avrebbe implicato non godersi il momento ed era uno di quei pochi insegnamenti che aveva intenzione di mantenere della vita da pirata: il carpe diem.
 
«Credo che non sia nulla di quello che vi aspettiate, signori,» disse rivolta alla platea e la sua voce fu la panacea ai mali di ognuno, perché suono soffice quanto bastava a trasportarli nel mondo che stava per aprire ai loro occhi, un mondo che la maggior parte dei presenti non avrebbe mai potuto esplorare. «Una notte di circa due anni fa, io e i miei uomini andammo incontro alla tempesta più terrificante che i nostri cuori avessero mai affrontato: era come se il mare si stesse preparando ad inghiottirci e il cielo lo stesse aiutando a facilitare il lavoro.» Killian scorse Diego annuire con la coda dell’occhio, lo sguardo fisso sul pavimento come se stesse rivivendo il dramma di quegli attimi per l’ennesima volta, e immaginò quante volte quella tempesta dovesse aver tormentato i sogni di ognuno. Glielo si leggeva a chiare lettere sui volti scossi che non soltanto avessero capito di quale episodio il loro capitano stesse parlando, ma soprattutto quanto intimamente quell’episodio avesse segnato le loro vite e la loro reverenza verso il mare. Una reverenza che sapeva di timore. «Perdemmo molti uomini quella notte. La nostra ciurma ne uscì quasi dimezzata e coloro che erano rimasti avevano perduto nelle profondità degli abissi buona parte del loro coraggio. Ci vollero giorni per sconfiggere la paura, mesi per lasciarsi alle spalle quell’episodio.» Come il sole doveva aver rischiarato il mattino successivo alla tempesta, così il sorriso di Emma diradò le tenebre che il suo racconto aveva fatto scendere sulla Scodella Pimpante, quando proseguì: «Sorto il sole, mi trovavo al timone della nave e una lieve nebbiolina scendeva giù da un cielo ormai non più plumbeo. Ogni cosa taceva, al punto da poter sentire il rumore delle increspature dell’acqua accarezzare il ventre della Nostos. Era l’epilogo perfetto al dramma di poche ore prima.» Diego porse un bicchiere colmo di vino a Julio, che lo prese senza protestare, e Killian, seduto su uno degli sgabelli del bancone, vide per la prima volta la famiglia che in loro non era mai riuscito a scorgere. «Quel mattino, mentre i miei uomini tentavano di mettere insieme i pezzi e restituire i cadaveri dei caduti al mare, risuonò nell’aria il verso di un gabbiano e non ci avrei trovato nulla di entusiasmante, se non avesse avuto lo stesso suono di una risata,» spiegò e il tenente, come molti altri in sala, ebbe l’impressione di trovarsi lì, sulle assi fradice di una Nostos sbattuta dal mare, ad udire il riso di un gabbiano. «Come se avesse pianificato ogni cosa e si ritenesse soddisfatto del risultato, quel gabbiano stava ridendo di noi e, forse, persino del nostro turbamento. Credo sia stata la cosa più suggestiva che mi sia mai capitata di udire!»
 
«Ricordo quel gabbiano,» proruppe Diego, lo sguardo che passava dal suo capitano ai compagni per, infine, percorrere la stanza, «non abbiamo restituito i nostri morti al mare finché non ce lo siamo lasciati alle spalle.»
 
«Già,» intervenne Julio, la fronte aggrottata nello sforzo di richiamare i ricordi alla mente, «perché voi non avete voluto ucciderlo,» disse rivolto ad Emma, inclinando il capo come improvvisamente preda della stessa curiosità che aveva dimenticato di soddisfare a suo tempo.
 
La giovane fece spallucce e gli sorrise. «Perché mai avrei dovuto? Si era meritato di vivere con una sfrontatezza che manca a molti uomini,» gli disse e si allungò sul tavolo per farsi più vicina al suo interlocutore. Era impossibile pensare che Emma avesse due anni meno di Julio, considerato il modo in cui si approcciava a lui. «Ricordalo sempre, Julio: non tutti meritano di morire, non se hanno saputo guadagnarsi anche una sola ora di vita.»
 
Fu qualche istante dopo che la risata di Stecco infranse la tensione creatasi fino a quel momento e tutti lo videro coprirsi il volto con la mano, prima che tornasse a dedicare la propria attenzione ad Emma. «Scusatemi, capitano, è che stavo pensando a-»
 
Ma non fece in tempo a terminare la frase, perché gli sghignazzi di Ulan si unirono ai suoi e quest’ultimo svelò l’arcano ignoto ai più: «Stavi pensando a Liam e alla scommessa.» Al nome di suo fratello, Killian scattò sulla sedia e gli occhi di Emma lo raggiunsero per rassicurarlo, ma non disse nient’altro. «Liam era uno spasso!»
 
«Vi riferite a quando sfidò il capitano a duello, non è così?» chiese Julio, ghignando a sua volta e suscitando una serie di gesti di assenso tra i due burloni, che avevano il volto rigato di lacrime.
 
Diego andò incontro a Killian e, lanciandogli una rapida occhiata, concluse il racconto. «Avrebbe dovuto sapere che promettere di vestirsi da donna per un giorno intero, se avesse perduto il combattimento, non era una scommessa saggia da fare.» A quel punto, rise anche lui ed Emma fece altrettanto, l’immagine di Liam in un grosso abito pomposo che sculettava su e giù per la Nostos, nel tentativo di non inciampare, impressa a fuoco nella memoria. «Il rosa è proprio il suo colore,» commentò l’energumeno e il gruppetto rise così forte che, trascinati dalla loro ilarità, il resto della locanda seguì l’esempio.
 
«Quel bastardo di un gabbiano non conosceva Liam o sarebbe morto soffocato dalle sue stesse risate!» commentò Stecco e, se possibile, questo peggiorò la situazione.
 
Ci volle una buona manciata di minuti, prima che il quintetto riuscisse a ricomporsi e decidesse di accostarsi al fiasco per un altro giro di vino. A quel punto, però, Emma si alzò e, senza dare troppo nell’occhio, raggiunse Killian che era rimasto in disparte per buona parte della serata. I suoi occhi verdi indugiarono a lungo sul bel profilo mascolino quando lo ebbe raggiunto e l’altro parve non voler notare di proposito la sua presenza, ma, alfine, la ebbe vinta, perché le iridi blu del tenente finirono per incontrare le sue.
 
«Siete arrabbiato, eh?» chiese, in sottofondo, a poca distanza da loro, le chiacchiere di Olly con Faber e qualche altro cliente. «Non dovreste!»
 
«Non sono adirato con voi,» rispose, ma il tono di voce fu più astioso e basso del previsto perché le sue parole potessero risultare credibili. «Lo sono, invece,» ammise infine ed Emma gli sorrise teneramente, le guance imporporate dal vino, dal riso, dalle innumerevoli danze che si era trovata a concedere. Suo malgrado, Killian non riuscì a controllare il capitombolo che fece il suo stomaco nell’averla tanto vicina. «E’ così che vi divertite con i vostri prigionieri, non è così?»
 
Poco distante, Olly liquidò un uomo più che alticcio e la sua promessa di dipingere quadri che la ritraevano in tutta la sua bellezza. “L’ultima volta che sono cascata in un tranello simile, avevo poco meno di vent’anni, dolcezza, quell’uomo è diventato mio marito e il suo unico dipinto che mi ritrae da protagonista mi fa somigliare ad un cinghiale ingravidato. ‘Paintre’ si faceva chiamare, il ‘pittore’. Bha!”
 
«Vorreste dirmi che mai, in tutta la vostra carriera, sia accaduto che i pirati che facevate prigionieri finissero sotto i vostri stivali a subire le peggiori umiliazioni?» Le parole di lei colpirono nel segno, perché Killian titubò qualche istante ed Emma finì per approfittare del vantaggio che si era conquistata. «O vorreste farmi credere che trattar male noi pirati sia meno deprecabile che farlo con un soldato in uniforme? Cos’è la divisa a darvi più dignità?»
 
«Non sono parole mie quelle che state pronunciando,» le fece notare, ma non ebbe modo di proseguire.
 
Accesi d’indignazione e d’ira, gli occhi di Emma lo costrinsero a tacere ed ella proseguì: «E’ quello che non avete gli attributi di dire, benché lo pensiate, tenente.»
 
L’uomo tentò ancora un altro approccio, insistendo sulla storia dei dipinti, ma Olly non si lasciò fiaccare. Guardandosi intorno con attenzione, individuò ciò che le interessava, andò a prenderlo e tornò al bancone con una cornice di medie dimensioni sotto l’ascella, mostrandone il contenuto all’ostinato pretendente: “Se riuscirete a fare di meglio, vi consentirò di offrirmi un pasto!”
 
Lo sguardo del pirata, per un attimo distratto dalla conversazione col tenente, raggiunse il trio a meno di un metro da loro e si posò sulla tela che la locandiera stava mostrando allo sconosciuto di cui poco le importava. Attentamente, ponderò il risultato che Harold aveva ottenuto e si disse che, se quello era il suo massimo, c’erano buone probabilità che l’altro si guadagnasse quel pasto in compagnia di Olly, a meno che non fosse dotato di capacità addirittura inferiori. D’improvviso, come un fulmine a ciel sereno, un pensiero attraversò la sua mente e la sua espressione si fece così sgomenta che Killian comprese di non essere ascoltato, ma non ne rimase offeso.
 
«Swan,» fece lui, utilizzando un appellativo che, fino ad allora, non le aveva mai rivolto, «che succede?»
 
«Nulla, tenente,» tagliò corto lei, lo sguardo duro, freddo, distaccato, completamente diverso da quello che aveva avuto fino a pochi istanti prima. «Se avete finito con la vostra invettiva, io sarei propensa a congedarmi,» disse e fu sul punto di oltrepassarlo, quando lui la prese per il polso e, costringendola a voltarsi, la tirò a sé.
 
«Che sta succedendo?» domandò e il tono e l’espressione sul suo viso resero chiaro che non sarebbe riuscita a scrollarselo di dosso come sperava di fare. Non le avrebbe concesso di trincerarsi dietro un muro di silenzi e congetture esclusivamente sue, non quando per quel gioco si erano immolati ambedue.
 
«Il gabbiano,» disse lei, «ha appena riso. Di nuovo.»

______________________________________________________________________________
Spazio dell'autrice

Vorrei fare alcune rapide precisazioni sul capitolo. Ho diviso il capitolo in tre parti, tutte e tre temporalmente vicine e l'una il prosieguo dell'altra, e fin qui nulla di strano. Se non che:
a)nella seconda parte, potete notare una parte in corsivo che corrisponde ad un dialogo di Faber, il menestrello. Ebbene, quelle parole appartengono ad un discorso effettivamente fatto da Fabrizio De Andrè, che ho ricopiato così com'era riportato sui siti internet. Quindi, è bellissimo, ma io non ne ho alcuna paternità.
b)nella terza e ultima parte, vi sarete accorti che, quando Emma e Killian parlano del fatto che lui possa essersi risentito della storia della scommessa, inframmezzavo il discorso con delle parti in corsivo su Olly. Ecco, è stata una scelta voluta che non sta ad indicare un flashback, ma semplicemente la volo
ntà di distinguere le due parti e di porre la vostra particolare attenzione sulla parte in corsivo. Il perché potreste averlo capito come no! A me importava specificarlo, qualora foste rimasti perplessi.
c)questo capitolo mi pare perfino più lungo dei precedenti, ma la verità è che non riesco mai a scrivere meno pagine del capitolo precedente. E' autismo, il mio! :-<

Detto questo, prima di passare ai ringraziamenti, volevo raccontarvi un aneddoto che riguarda il titolo del capitolo e l'ultima delle tre parti in cui esso è suddiviso. Ecco, dovete sapere che la prima parte (quella del risveglio e della beatitudine) è stata scritta non più di due giorni dopo la pubblicazione del capitolo: mi è venuta di getto, spontanea ed ero ispirata e, onde evitare i problemi dell'ultimo capitolo - e, cioè, che, avendo mille cose da fare, ignoravo il momento di ispirazione finché non passava e, poi, non riuscivo a mettere tre parole in fila senza sentirmi un'analfabeta -, mi sono impegnata a trascriverlo immediatamente. Sulla seconda parte c'è poco da dire, nel senso che pensavo da tempo di far tornare parte della ciurma (il perché e il per come li scoprirete, ovviamente) e, allo stesso tempo, volevo un'interazione diretta tra Emma e Faber; quindi, sono riuscita a conciliare le cose bene con questo capitolo e mi fa piacere. Sulla terza parte, invece, ho avuto un vuoto assoluto o, meglio, un'idea generale che non riusciva a materializzarsi in concreto: per capirci, mi immaginavo la baldoria alla Scodella Pimpante, ma non riuscivo a focalizzarmi sui dialoghi e sull'andazzo della conversazione. La botta di
"genio" (io volevo usare un'altra parola, ma è scurrile e lascio a voi la libera deduzione) è arrivata un giorno che, uscita dalla palestra, mi dirigevo verso il centro a fare un regalo di compleanno: non avevo ancora messo cuffie e musica e,d'un tratto,sento quella che sembra una risata e, oltre al fatto che mi sia preso un coccolone assurdo, realizzo subito che c'è qualcosa di troppo strano in quel suono per essere una vera e propria risata. Il fatto che fosse il verso di un gabbiano l'ho accertato subito dopo, ma non avevo mai sentito nulla di simile e ne sono rimasta così sorpresa che ho cominciato a rimuginarci e ne è venuta fuori la storia che avete letto. E, niente, volevo raccontarvelo! Perché dire qui queste cose, mi fa sentire meno folle quando cammino per strada e mi faccio film mentali da premi Oscar visti i dettagli (alcuni fanno anche cagare, capiamoci). :P

Per il resto, io non so mai come comportarmi con voi che mi lasciate tutti questi commenti e mi fate morire di morte lenta ed estremamente dolce. Riesco solo a dirvi - e sembro un disco rotto! - che vi sono tanto, tanto grata, che non ci sono recensioni che non mi piacciono perché ognuna mi dà qualcosa che appartiene alla persona e che, nella sua genuinità, mi emoziona sempre, che mi commuove il fatto che nessuna di voi abbia l'obbligo di scrivermi due paroline ma lo faccia comunque, che mi rende felice aggiornare la pagina "Gestione storie" e trovare il numero sempre crescente, che ovviamente la storia è anche un po' vostra perché - e non smetterò mai di dirlo! - senza le vostre recensioni di ispirazione non ne avrei affatto. Quindi, direi che:

-Ice and Love, non sono stata proprio bravissima, visto che ho impiegato 20 giorni, ma sempre meglio di un mese, no? Mi lusinga che tu riesca a trovare il tempo per la mia Nostos nel bel mezzo dello studio - E credimi che ti capisco, considerato il periodo! - e che tu attenda in modo febbrile l'episodio successivo, perché non avrei osato mai al mondo sperare nulla di simile. Quindi, grazie di cuore e spero che anche questo ti sia piaciuto! <3
-Cloris84, tu mi hai proprio fatta morir dal ridere. Quando ho aperto il video, ero in camera e ho cominciato a sghignazzare come una deficiente, tant'è che mia cugina mi ha vista e mi fa "Eri, che succede?" e ho dovuto spiegarle e non riuscivo a smettere di sghignazzare e gongolare come un'emerita cretina. Perfino adesso che rispondo alla tua recensione, non posso fare a meno di ridacchiare nel pensare quale possa essere stata la tua reazione al capitolo e il mio sorriso diventa tipo quello dello Stregatto nel leggere le cose meravigliose che hai scritto, tipo la storia dei feels e il paragone con OUAT (ho riletto quella parte una ventina di volte, perché non riuscivo a capacitarmene!). La storia del premio Nobel per la FF non vorrei neppure nominarla, perché arrossisco al solo pensiero, ma lo faccio perché devi saperlo che, a fine recensione, ero io a fare "OH MY GOD". G r a z i e! <3
-Pandina, posto assegnato e confermato. Ti terranno compagnia Ulan, Stecco, Julio e Diego, ma sta' bene attenta, perché sono pur sempre dei pirati e, come direbbe mia mamma, "fidarsi è bene, non fidarsi è meglio". Ah, e non osare mai più scrivere che ti ricordo la Woodiwiss o la storia rischia di rimanere incompiuta, visto che ci resto secca alla prossima! Sulla partenza, posso dirti che rimarremo un altro pochino a Poreia, ma la partenza è imminente. C'è ancora qualcosa da fare in questo villaggio tanto 'pimpante'. Grazie di cuore, Gra! :') <3
-Lilith, TU SEI PAZZA, nel senso più buono e bello che esista nell'universo. E le tue recensioni vanno tra le mie personali Meraviglie del Mondo! Ma come faccio con te, che mi scrivi le recensioni a quell'ora della notte? Come faccio a non sclerare? Adoro il modo in cui ti cali nella storia, il modo in cui tenti di capire i personaggi e le rispettive ragioni (tipo Emma e la brutalità della sua reazione, Killian e il sapore amaro del vedersi tanto diverso, Harold e il suo dolore per la mancata prole) e adoro il modo in cui riesci a renderti presente a tuo modo nelle vicende. A modo mio, ti ho davvero immaginata nella piazza di Poreia, vestita da popolana, a guardare quei due ed è qualcosa che non so spiegarti nella sua bellezza, perché dovrei farti capire che anche io sono sempre lì a guardarli e godermeli, sebbene non riesca ancora ad individuare la mia forma (di solito, mi immagino come due occhi giganti che fanno da guardoni, ma non c'è nulla di poetico in questo!). E vogliamo parlare della farfalle nello stomaco? No, dico io, vogliamo davvero parlare del fatto che una storia venuta fuori dalla mia mente contorta riesca a suscitarti simili emozioni? Io ci muoio di questo passo, lo dico a te e lo dico alle altre. E grazie anche per l'attenzione al mio "spazietto verde", che, a dispetto delle apparenze, per me ha molta più importanza di quanto non possa sembrare. Ci sentiamo a breve per sopravvivere alla puntata insieme... Grazie anche per quello! <3
-Kiss the night, direi che a)non fai pena nel recensire e, se anche fosse, continua pure perché a me piace ( ;-)), b)mi fa piacere che tu ti sia affezionata ad Emma perché è un personaggio forte, ostico sotto molti punti di vista e mi capita di temere che le persone possano finire per non capire l'amore che metto nel darle vita a modo mio, c)i tuoi complimenti sul mio stile mi hanno fatta molto arrossire, specialmente se consideri che io tendo a non prestarci attenzione (sono molto testarda e spesso, rileggendomi, detesto quello che scrivo e come lo scrivo, quindi non capisco chi mi fa complimenti sotto questo punto di vista) e che il tuo non solo l'ho letto diverse volte ma mi ha anche fatto dire "Dai, Eri, forse non dovresti pensare di cancellare un capitolo subito dopo averlo scritto/postato", d)"a mio parere la tua è la storia migliore dell'intera sezione" mi ha stesa, finita, caput. GRAZIE! <3
-A lexie s, una delle cose che mi ha colpita di più della tua recensione è il fatto di essere riuscita a sorprenderti. Credo sia una delle cose più difficili cui una persona possa aspirare nella vita e, per me, uno dei risultati più appaganti da raggiungere non solo attraverso la scrittura ma attraverso me stessa. Questo mi ha fatto sorridere, sorridere di cuore perché - so che può sembrare esagerato e anche falso, ma giuro che non è così - immaginarvi mentre leggete la mia storia e emozionarvi in tutti i modi in cui è concesso farlo è perfino più bello che partorire la storia in sé e perdermi nei meandri del mondo che ho creato. E sono contenta anche del fatto che, al di là dei personaggi principali, tu sia riuscita ad affezionarti ad Harold, perché è facile notare le persone che spiccano, i protagonisti, ma non lo è altrettanto notare chi sta dietro ma costituisce una buona fetta di storia, piena di sfumature decisive. So che tutto sembra lusinghiero da come mi pongo, ma che ci posso fare se mi emoziona il vostro modo di porvi alla storia? Perché credo anche di avere i migliori lettori di tutte le sezioni del forum! U,U Ah, nel leggere la tua recensione mi sono accorta che non vedessi l'ora di sapere come sarebbero andate le cose al risveglio e volevo farti sapere che, scrivendo la prima parte di questo capitolo, non ho potuto fare a meno di pensarti. G r a z i e d i c u o r e! <3
-Ibetta, la tua recensione è stata come un perfetto trailer: mi ha fatto rivivere il capitolo in flash precisi e mirati, ma mi ha dato in più la conoscenza delle tue emozioni. Harold, Emma e i suoi tristi pensieri su Henry, Killian e la consapevolezza di aver commesso un errore, il loro ballo e il modo in cui lei lo respinge alla fine, l'inaspettato incontro alla locanda (il fatto che tu abbia notato che lei lo stuzzichi con la storia del "ti ho anche baciato" mi ha fatta sorridere e, con essa, anche il fatto che tu abbia riso del topo e dell'ubriaco, perché ho riso anch'io nell'immaginare e scrivere la scena e ti ho sentita un po' vicina, benché non ti conosca) e, infine, il momento che molti di voi aspettavano da tempo, forse perfino di più di Emma e Killian in sé. Non ringraziarmi per lo spazio che ti dedico tra queste righe verdi, perché è il minimo che mi sento di fare e, a volte, mi spiaccio di essere di fretta e di non potervi dedicare tutto il tempo che meritereste, facendovi sapere passo dopo passo le emozioni che mi suscitano le vostre parole. Ti dico grazie in mille modi diversi, primo fra tutti con il sorriso che rileggere la tua recensione mi ha nuovamente provocato giusto adesso nel rileggerla! Sei un tesoro! <3

E, infine, grazie a tutti voi che leggete e che, pur non commentando, siete sempre lì dall'inizio. Volevo farvi sapere che so che ci siete, che non contate di meno solo per il fatto di non scrivermi e che sono grata della vostra attenzione ogni santissima volta. Un posto per voi, in questo viaggio, io lo tengo sempre sempre. <3

Buona lettura!

P.S. Al solito, correggo dopo eventuali errori, potrei averne fatti anche in questo mio spazio ma sono davvero troppo stanca per rileggere... E, ovviamente, buon OUAT-day! Stasera, prevedo morte certa per CS feels. <3

 

Ritorna all'indice


Capitolo 12
*** Le bugie hanno le gambe corte ***


Capitolo XII
Le bugie hanno le gambe corte


 
Aveva senso. Aveva tutto così dannatamente senso che Emma si chiese come avesse fatto  a non pensarci prima, come avesse fatto a non nutrire sospetti proprio lei che del dubbio aveva fatto il suo cavallo di battaglia. Poiché gli indizi erano stati tutti a portata di mano, l’unica spiegazione plausibile era che, in qualche modo, si fosse rifiutata di vederli, quasi il suo cervello avesse ripugnato a prescindere anche la sola possibilità di raggiungere una conclusione simile nelle ore trascorse a rimuginare sulle informazioni ottenute. Ma perché proprio adesso? Perché proprio ora che era ad un passo dal ritrovare suo figlio il suo cervello aveva perduto ciò di cui un’indole a lungo repressa lo aveva fornito?
 
La corsa su per i gradini fu così furiosa e la collera della quale era preda tanto acuta che, quando raggiunse la stanza condivisa in quei giorni col tenente Jones, non soltanto il boato provocato dallo sbattere della porta giunse distante e soffocato alle sue orecchie, ma non percepì neppure l’ingresso dello stesso qualche istante dopo. Furente con se stessa più di quanto non lo fosse stata nel corso della sua adolescenza - quel periodo della vita durante il quale aveva provato vergogna per la propria vigliaccheria -, Emma si mosse a grandi passi per la stanza, percorrendola per tutta la sua lunghezza ed evitando per mero istinto i mobili che rischiavano di intralciarle il cammino. Fronte corrugata e sopracciglia inarcate come nel tentativo di districare un nodo due gasse, un nubifragio di proporzioni mastodontiche parve abbattersi su di lei e sconquassare la nave delle sue certezze, prima che, da capitano qual era, ella riprendesse saldamente il comando dell’imbarcazione e la dirottasse verso il sereno; e, nel percorso che fece prima di raggiungere la destinazione prefissata, le annodature che le avevano impedito di calare le vele e fronteggiare la tempesta si sciolsero, rendendo ogni cosa più chiara.
 
Harold sapeva, non c’era altra spiegazione; e la pacata certezza con cui raggiunse tale illazione sembrò restituirle parte del controllo che aveva perduto. Harold sapeva chi Emma fosse, quale ruolo ricoprisse ma, soprattutto, che avesse un obiettivo, se non anche quale esso fosse. Ed era perfettamente consequenziale ritenere che avesse conoscenza di tutti quegli elementi per bocca dell’uomo che il capitano della Nostos aveva giurato di uccidere tra atroci sofferenze, lo stesso che teneva prigioniero Henry e con ottime probabilità perfino Liam. Il fatto che avesse tentato di impedire che Emma e il tenente giungessero alla conclusione più giusta ne era riprova, ma l’abilità che aveva dimostrato nel farlo meritava parecchie lodi, il pirata dovette ammetterlo. C’era stato qualcosa di astuto e addirittura geniale nel modo in cui aveva mantenuto la facciata di bonario locandiere, marito di una Olly spesso troppo dirompente, riuscendo, a un tempo, a ritardare e deviare tutte le mosse della giovane donna nei confronti della quale era debitore. Ma come esattamente e per quale ragione?
 
Con un sospiro assai rassomigliante ad una risata, Emma richiamò alla mente i ricordi di quel mattino, quando aveva strappato le sue membra alla comodità del letto per dedicarsi all’unico pensiero che avesse occupato la sua mente da anni a quella parte, ormai; e non poté impedirsi di sferrare un pugno contro il vetro della finestra fino a frantumarla, ai suoi occhi nitida l’immagine dell’espressione sorridente, quasi modesta con cui Harold si era offerto di aiutarla e aveva accettato i ringraziamenti nei quali ella si era profusa. Stupida, si disse, così stupida da fare tenerezza! Mentre i cocci di vetro cadevano al suolo con un tonfo sordo e il verde dei suoi occhi assorbiva il rosso vivido del sangue che grondava dalle ferite che si era procurata, il capitano della Nostos si sentì finalmente padrona della lucidità che pareva essere stata offuscata dagli accadimenti degli ultimi giorni, al punto tale che l’ipotesi di essere sopravvenuta a conclusioni affrettate non fece capolinea tra i suoi pensieri neppure per un istante. Sentiva di avere ragione, sapeva di avere ragione.
 
«Emma,» la voce del tenente arrivò alle sue orecchie soffice, piacevole ed ella si voltò per incontrarne lo sguardo, impavida e fredda come quando si erano conosciuti nella vecchia taverna del molo di Thrain, quando lui le aveva scioccamente attribuito il ruolo di sottoposta, se non concubina del famigerato Capitan Swan. Una parte di lui si prese gioco di quell’errore oramai datato, di un modo di fare naif del quale non si era mai visto succube. «Che sta succedendo?»
 
«Non è questa la domanda che dovreste pormi, tenente,» rispose lei, la voce melliflua del pirata che non era ancora stata tra quelle quattro pareti, e Killian ebbe l’impressione di poterlo vedere, il muro che relegava la donna negli anfratti più bui del suo io, lasciando spazio unicamente per il corsaro. «Dovreste chiedermi cosa accadrà, perché, se fossi in voi, sarei interessata a quello e a quello soltanto.»
 
Impossibilitato a fare altrimenti dinanzi ad una simile cripticità, l’uomo sospirò e compì un passo verso l’altra nell’intento di dare un’occhiata alle lacerazioni che il vetro le aveva lasciato sulla pelle, ma Emma alzò la mano lesa per scoraggiarlo e, al contempo, si diresse verso il letto per tamponare l’arto ferito con il lembo di un lenzuolo. Il tenente non colse il minimo segno di dolore o fastidio sul bel viso della giovane e qualcosa gli suggerì che quell’improvvisa regressione, fatta di efferatezza e alterigia, avesse a che vedere col riso del gabbiano cui ella aveva fatto riferimento al piano di sotto.
 
«Cosa intendevate dire prima, quando eravamo al bancone della taverna?» chiese senza troppi giri di parole e quella domanda parve accenderla di un entusiasmo malsano, lo stesso che aveva dominato il verde di quegli occhi tutte le volte che era stata sul punto di porre fine alla di lui esistenza.
 
«Ricordate quello che mi avete detto stamane a proposito delle pergamene?» fece lei con un cenno del capo in direzione del tavolo ove i rotoli giacevano da allora; in tutta risposta, l’uomo annuì, consapevole del fatto che il riferimento riguardasse le cancellature che erano riusciti a scovare. «Ho pensato e ripensato alle vostre parole, alle ragioni di un simile gesto, all-»
 
«Alla possibilità che il mio fosse un abbaglio bello e buono,» la interruppe lui, aggiungendo una considerazione della quale Emma rise, spingendo Killian a fare altrettanto. Non importava quante dimostrazioni di lungimiranza potesse darle, perché ella avrebbe comunque messo in discussione ciascuna delle sue abilità fino ad averne conferma certa, perché non si fidava ciecamente che di se stessa.
 
Malgrado tutto, Emma annuì e gli diede la piccola soddisfazione di averla beccata. «Dicevo, alla possibilità di trovare una soluzione e come e dove cerc-» fu sul punto di dire, ma non ebbe modo di completare la frase, in quanto il tenente intervenne per l’ennesima volta.
 
«Toglietemi una curiosità,» esordì e il modo in cui la sua bocca si inclinò, a riproduzione di un sorriso canzonatorio e malizioso a un tempo, fece intuire alla giovane quale sarebbe stato il tenore del quesito venturo, «ci avete pensato proprio tutto il tempo?»
 
La vera domanda rimase sospesa nello spazio tra loro, ma risuonò di una chiarezza disarmante che fece ridere Emma in modo genuino, benché assai distante da quanto non avesse fatto ore prima. Stava tentando di smorzare la tensione, di alleggerire il peso del fardello che aveva palesemente calpestato Emma, cagionandone la disfatta a favore del capitan pirata. Era un tentativo lodevole, benché non troppo sottile, che dimostrava quanto bene Killian avesse imparato ad approcciarsi a lei, sia che fosse la donna degli ultimi giorni, sia che si trattasse dell’algido e implacabile corsaro. E, sì, quest’ultima versione era in grado di distruggere ogni sua certezza e spingerlo tra le braccia della più assoluta deprecazione, ma ciò non significava che fosse sufficiente a portargli via non soltanto la coscienza che proprio quell’essere spregevole fosse la sua unica opportunità di riabbracciare Liam, ma anche il ricordo della persona che aveva visto in lei.
 
«Direi di sì,» cominciò con un sorriso da canaglia, «era un pensiero latente, una pulce nell’orecchio della quale è impossibile disfarsi.» L’espressione di Killian dovette risultare estremamente perplessa, tuttavia, perché il pirata aggiunse subitaneamente: «Non posso dire lo stesso per ieri notte.»
 
«Cos’è successo al piano di sotto, dunque?» inquisì lui, riportando la conversazione al filone originario nella consapevolezza che quel sottile punzecchiarsi fosse una mera concessione da parte di Emma, la cui reale attenzione rimaneva concentrata su quanto avesse scosso i suoi nervi fino a farla scattare. Poteva dirlo dall’attitudine cogitabonda dello sguardo, dal fare intento con cui non aveva smesso un solo istante di tamponare le ferite e dalle occhiate che vi aveva lanciato per accertarsi che non vi fossero schegge di vetro. «Cosa avete scoperto?»
 
«Quando questa mattina, alle prime luci dell’alba, ho lasciato la camera, ho prestato poca attenzione al fatto che reperire informazioni potesse dimostrarsi più complicato del previsto, considerata l’ora, ma non riuscivo a chiudere occhio,» spiegò e Killian osservò che avesse preso il discorso molto alla larga, come se stesse tentando di fargli percorrere lo stesso cammino che aveva intrapreso lei prima di arrivare alla conclusione, quasi a volergliela rendere più plausibile di quanto non sarebbe parsa altrimenti. «Al piano inferiore, ho trovato Harold già sveglio e il caso ha voluto che avesse proprio ciò di cui avevo bisogno: un assortimento di cartine del luogo e alcuni libri che, a suo dire, avrei potuto consultare nell’attesa che aprisse la biblioteca. Ha aggiunto anche, però, che dubitava potessi trovare qualcosa di meglio. Piccolo paese dell’entroterra, poco interesse per la navigazione, sapete come funziona. In queste circostanze, cito sue testuali parole, le locande sono quanto di meglio si possa offrire a chi coltiva interessi di questo tipo.» Istintivamente, Killian inarcò le sopracciglia, fiutando qualcosa di oscuro nella conversazione che era stata portata alla sua attenzione: il discorso non faceva una grinza sotto molti punti di vista, ma quante erano le probabilità che nessuna biblioteca o libreria del paesino possedesse una mappa dei luoghi circostanti e, soprattutto, che le uniche ivi presenti fossero in mano di Harold? «Quello che segue potete benissimo immaginarlo da voi e il resto ricordarlo dal momento in cui vi siete svegliato in poi. C’è qualcosa che devo aggiungere, tuttavia: ebbene, mentre eravamo intenti a bisticciare sul solito pomo della discordia, pirateria contro marina, Olly stava conversando con un uomo, un ubriacone che le faceva delle avances e promesse che solo un marinaio che fugge di porto in porto potrebbe fare ad una signora, nell’intento di portarsela a letto e passare alla conquista successiva.» Il tenente frugò nella sua mente nella speranza di trovare un indizio che potesse aiutarlo a ricostruire la restante parte della conversazione, ma  si rese conto che sarebbe stato inutile perché realizzò che, nel momento cui Emma faceva riferimento, il pensiero di suo fratello deriso dalla ciurma della Nostos aveva succhiato ogni sua energia fino ad accenderlo d’ira e non lasciare spazio per una siffatta intuizione. «Il fato deve proprio arridermi, Jones, perché le scene successive sono la chiave al nostro enigma.»
 
«Cos’avete scoperto?» la incalzò, alle sue orecchie nitidi i passi di qualcuno che saliva le scale. Qualcosa gli suggerì che si trattasse dei membri della Nostos alla ricerca del loro capitano.
 
«Harold dipinge, tenente. Maldestramente, direste voi.»
 
Fu come ricevere addosso una doccia gelata o come essere traditi dal proprio migliore amico nel cuore di una battaglia. Le sensazioni di smarrimento e incredulità erano pressoché le medesime e Killian finì per sentirsi istupidito dalla scoperta che Emma non ebbe bisogno di pronunciare a chiare lettere, perché l’altro la afferrasse. La osservò annuire, quasi a voler confermare che anche lei, pochi minuti prima, avesse compiuto lo stesso identico percorso e ne comprendesse i sentimenti, nonché i quesiti. E improvvisamente divenne nitida e comprensibile la ragione del cambiamento che si era innescato in lei e perfino più acuta si fece la consapevolezza delle conseguenze che ciò avrebbe avuto.
 
«Capitano?» chiamò la voce di Stecco al di là dell’uscio ed Emma si alzò dal letto per raggiungere la porta e chiudersela alle spalle, lasciando Killian nel più assoluto stupore. Ma quel momento di solitudine non si protrasse a lungo, perché ben presto il quintetto fece il proprio ingresso nella stanza e il silenzio fu riempito dalle loro voci. «Jones, che faccia lunga avete! Un kraken vi ha forse mangiato la lingua?»
 
Tutti risero a quelle parole, perfino il tenente accennò ad un sorriso, ma Emma intervenne poco dopo a riportarli tutti alla concentrazione della quale il momento necessitava. «Ho bisogno che andiate con Julio,» fece lei, rivolgendosi a Killian, «e che lo facciate senza sollevare alcuna obiezione. Sarete informato nei dettagli lungo la strada, ma prima dovete rispondere ad una domanda.»
 
«Sarebbe?» chiese l’uomo, alzandosi dalla sedia che aveva occupato poco prima che la ciurma varcasse la soglia per occupare la camera.
 
«Posso contare sul fatto che non ostacolerete Julio nel compito che gli ho assegnato? Perché agire in fretta è l’unico modo per arrivare a destinazione e per farlo avremo bisogno di alcune provviste, senza le quali non potremmo affrontare il viaggio.» S’interruppe un istante per lanciare un’occhiata significativa ad ognuno dei suoi uomini, Killian compreso, e, tuttavia, il suo sguardo indugiò un momento di troppo su Julio, inviandogli un’informazione che il tenente non seppe cogliere. «Siamo uomini di mare e, in fondo, lo siete anche voi,» disse e si lasciò andare in un sorriso che non raggiunse mai i suoi begli occhi verdi, mentre riportava l’attenzione sull’altro, «e capirete bene che un viaggio per terra non è proprio nelle nostre corde, men che meno con l’abbassarsi delle temperature.»
 
«Di che provviste si tratta?» domandò Killian, ma Emma scosse il capo e, con un gesto della mano, parve liquidare sia lui che Julio, perché quest’ultimo s’incamminò verso la porta e la spalancò, pronto ad uscire.
 
«Vi ho già detto che i dettagli vi saranno dati da Julio. Ho la vostra parola che sarete, se non un compagno, almeno un alleato in caso di necessità?»
 
«Perché una simile domanda? Credete che possano esserci degli uomini al servizio di Harold o-» fece, ma Emma lo interruppe con fare perentorio, come se avesse altro cui pensare e il prolungamento del loro colloquio non fosse che una perdita di tempo.
 
«Vi ho già detto che la persona con cui abbiamo a che fare mi ha messo dei soldati alle calcagna, un tempo. Non è sciocco pensare che ogni tappa del viaggio di questo fantomatico trio sia accompagnato da una piccola scorta che risiede sul luogo o va in avanscoperta per evitare problemi.» Gli occhi di Killian incontrarono brevemente quelli di Diego e, per la prima volta dopo tanto tempo, li trovò impenetrabili come erano stati all’inizio dell’avventura che lo aveva portato al famigerato Capitan Swan. «Ebbene?»
 
«Voglio trovare Liam, fosse anche per mettere un fiore sulla sua tomba,» rispose, ma Emma realizzò che non avesse ancora finito, «e non è nelle mie corde lasciare qualcuno indietro, men che meno in caso di necessità.»
 
Le sue parole fecero piegare la bocca di lei in un sorriso compiaciuto, mentre Killian raggiungeva Julio in prossimità della porta. «Vi siete affezionato a noi, dopotutto?»
 
Ulan ridacchiò e il tenente si voltò a guardarla con un sorriso da pirata che le fece mancare un battito. «Se rispondo di no, rischio di trovarmi con un abito da donna a saltellare per la taverna?» ribatté e l’intero quintetto sghignazzò, nella loro ilarità il tacito plauso dinanzi ad una battuta tanto arguta.
 
«No, ma potreste finire col culo sulla pietra fredda a far compagnia al nostro amico,» rispose, sorridente, e Killian attese il prosieguo che quella frase prometteva, «il maniaco dei roditori.»
 
La porta si chiuse con un suono secco, accompagnato dallo scalpiccio che il giovane pirata e il tenente riprodussero nel tragitto fino in fondo alle scale, e per diversi minuti la stanza rimase in una quiete immota che, in realtà, non avrebbe potuto essere più movimentata. Emma percepì il legame con i propri uomini rinsaldarsi e respirò l’azione che di lì a breve avrebbe cambiato completamente il corso degli eventi; e quella sensazione dovette compiacerla, perché i suoi muscoli si rilassarono e la sua mente si schiarì, cancellando qualunque sprazzo di frustrazione o inquietudine.
 
«Vi fidate di lui, capitano?» chiese d’un tratto Ulan, infrangendo la bolla nella quale ella si era crogiolata per assaporare il preludio di un compiacimento sfrenato e che avrebbe riportato in auge Capitan Swan in tutto il suo splendore.
 
Emma si voltò a guardarlo e annuì. «Sì… E no! Ho imparato a comprendere quanto legato sia al codice morale che si è imposto e so che non vi verrebbe mai meno, se non in una condizione di estrema necessità.» Ulan assentì sommessamente, d’accordo col suo capitano. «E non ho intenzione di permettergli di ostacolare il mio piano.»
 
Il suo sguardo captò il compiacimento dell’uomo e si spostò, infine, su Diego e Stecco, trovandovi esattamente ciò che cercava. Essi capivano e condividevano ciò che aveva intenzione di fare e, in qualche modo, parvero perfino sollevati nel vedere quanto fosse risoluta, come se quelle settimane di distacco avessero alimentato nell’animo di ognuno il timore che qualcosa fosse cambiato, che il loro capitano non fosse più lo stesso. E il sorriso da un orecchio all’altro che Stecco le rivolse, mentre avanzava verso di lei e si sfilava lo stuzzicadenti dalle labbra, confermò quella che, all’inizio, non era stata che un’impressione.
 
«Diamo al caro vecchio Harold quel che si merita chiunque inganni Capitan Swan,» sentenziò la giovane, le pupille dilatate a tal punto che del verde speranza delle iridi rimase appena il ricordo.
 
Inspirando abbondantemente e gonfiando il petto, lo smilzo pirata lanciò una rapida occhiata ai suoi compagni, prima di tornare ad Emma. «Ai vostri ordini capitano!» disse e, col braccio destro poggiato sul ventre e quello sinistro dietro la schiena, si esibì in un mezzo inchino, ben presto imitato da Ulan e dal corpulento omone loro amico.
 
«Che le danze abbiano inizio!» furono le ultime parole che Emma pronunciò nel raggiungere la porta e, infine, dopo averla oltrepassata, nell’imboccare il corridoio che conduceva al piano inferiore ove la voce del menestrello risuonava profonda. Una volta sceso l’ultimo gradino, percorrendo con lo sguardo l’intera sala, un brivido le corse lungo la schiena e il sorriso sulle sue labbra si colorò delle sfumature di follia e freddezza che erano in grado di rendere il suo aspetto spietato nella sua inusitata bellezza: il suo pensiero, in quel postremo istante di tranquillità, fu che la Scodella non sarebbe mai stata tanto pimpante quanto quella sera.
 
*
“Frigido pacatoque animo” avrebbero detto i latini per descrivere l’attitudine con la quale Emma aveva fatto ingresso nella parte più viva dell’intera locanda, ma essere latini non era condizione necessaria perché quella freddezza  - e il pericolo che essa portava con sé – potesse essere percepita. Una coltre di gelo, dapprima quasi soffice e in seguito impenetrabile, era calata sui presenti a mano a mano che i pirati si erano mostrati in tutta la loro spavalderia ed era stato presto detto quanto lontane dalla giovialità fossero state le loro intenzioni rispetto a pochi minuti prima. Alcuni dei clienti – i più avveduti e, probabilmente, i giramondo che avevano una maggiore consapevolezza delle forme svariate in cui i guai potevano presentarsi – abbandonarono la locanda prontamente, altri, storditi dal vino o istupiditi da una vita trascorsa nella pacata bambagia del paesino, non colsero il tacito invito di Emma se non quando questo venne palesemente chiarito agli occhi di tutti.
 
Stecco, Diego e Ulan si divisero per svolgere le mansioni che il capitano aveva assegnato loro e ognuno di essi ebbe successo: il primo ripulì i tavoli più vicini all’uscita, gli stessi occupati dai più svegli dell’intero locale; il secondo si occupò di prendere di peso chi, vuoi per il troppo alcool versato nel bicchiere, vuoi per un assai incauto scoppio d’orgoglio, aveva mostrato una certa resistenza; il terzo, infine, si era limitato a mettere a tacere Olly e, dopo aver sgomberato il bancone dagli ultimi idioti, a munirsi di tutte le bottiglie di alcool di cui la Scodella Pimpante disponeva, spingendosi fino al punto di svuotare la riserva della piccola cantina. Bastarono pochi istanti e, quando Emma fu rientrata dal suo colloquio privato con Faber, che si era premurata di liquidare in prima persona, ogni cosa era esattamente come ella aveva comandato che fosse.
 
Ciascun fiasco, ciascun boccale, ciascun calice, qualunque elemento contenesse dell’alcool era posizionato nel locale come a formare un preciso schema che aspettava solo di servire allo scopo per il quale era stato elaborato; ed Emma seppe che, se agli occhi di uno sprovveduto l’immagine della locanda in quelle condizioni avrebbe fatto pensare al mero caos post chiusura, a chi avesse masticato di strategia e battaglie non sarebbe sfuggito il filo conduttore che correva di recipiente in recipiente. Passando accanto ad uno dei tavoli prossimo all’ingresso, con un sorriso compiaciuto e il cuore che tamburellava nel petto ad un ritmo forsennato quanto il piacere che la serata prometteva, allungò il braccio e rovesciò quanto si trovava sulla sua superficie: la bottiglia s’infranse contro il pavimento e, con essa, il liquido si sparse sulle assi, inzuppandole. Infine, con la noncuranza di chi non ha commesso alcun gesto deprecabile, passò avanti.
 
«Che diavolo ti prende? Che stai facendo?» chiese Olly, la voce a metà tra l’irato e l’isterico, e la situazione parve precipitare, quando ella fece per oltrepassare il bancone e Ulan la afferrò per il braccio al fine di impedirglielo. «Toglimi quelle sudice manacce di dosso!»
 
«Sta’ calma, Olly! Agitarsi non servirà a nulla, se non a metterti nei guai,» fece Emma con voce calda, a tratti suadente, nell’avanzare verso il centro del locale e un brivido percorse la schiena dell’altra, che ancora si dimenava nel tentativo di liberarsi dalla stretta del pirata. «Ho sempre creduto che fossi una donna intelligente e mi auguro di aver avuto ragione e che, a breve, tu ti metta buona in un angolo, altrimenti mi vedrò costretta a chiuderti la bocca una volta per tutte.» Il modo in cui pronunciò quelle parole, il distacco del quale erano impregnate e la smorfia che indugiava sulla sua bocca furono sufficienti a rendere chiaro agli occhi di Olly che qualunque cosa Emma avesse taciuto loro sulla persona che era stava per rivelarsi in sua presenza; e una parte di lei rimpianse la curiosità che aveva provato, quando aveva ardentemente sperato che, un giorno, la giovane la ritenesse degna di fiducia abbastanza da aprirsi con lei. «Così, da brava!»
 
«Cosa… Che significa tutto questo?» azzardò, oramai ferma, benché disturbata dal tocco che il corsaro esercitava ancora su di lei. Tentò con un ennesimo strattone ma invano, perché Ulan strinse nuovamente la presa, stavolta al punto tale da strapparle un mugugno di dolore, al punto tale da farle intendere che, no, non era uno scherzo ed Emma non stava bluffando. «Perché vuoi farmi del male?»
 
Emma rise brevemente, uno di quegli suoni fuggevoli che riempivano l’aria di carica seduttiva, per quanto, stavolta, quest’ultima avesse contorni letali. «Ti piace giocare, non è così? Tu e Harold siete quel genere di persona che non ne ha mai abbastanza, che non sa dove stia di casa la gratitudine.»
 
«Di che diavolo stai parlando?» domandò, il tono di voce improvvisamente più alto, e fece per scattare in avanti, ma, stanco del suo dimenarsi, Ulan la strattonò con violenza e la spinse brutalmente contro una panca, facendole sbattere la testa al muro. «Bastardo!» urlò lei e non fu la più felice delle sue uscite, considerato il momento, che ebbe come immediata conseguenza lʼabbattersi di un pesante manrovescio sul suo viso. La locanda risuonò di no squittio come mai l’impavida Olly ne aveva riprodotti in vita sua.
 
Emma, dal canto suo, non mosse un dito. I suoi occhi rimasero semplicemente fermi sul volto della locandiera, che costei aveva istintivamente tentato di proteggere con la mano, non facendo, tuttavia, in tempo. Il capitano della Nostos la osservò a lungo nell’attesa che l’altra si voltasse e, nel frangente in cui lo fece, lo sguardo furente della più anziana tra le due aveva perso buona parte del coraggio che lo aveva sempre contraddistinto. Emma riusciva non soltanto a vedere, ma perfino a fiutare la paura che la dominava, adesso che aveva chiaro quanto serie fossero le intenzioni del gruppo e quanto precaria fosse la sua condizione. Col passare degli anni in qualità di Capitan Swan, la giovane aveva imparato che c’era un motivo per il quale si consigliava di mantenere il sangue freddo in presenza di una bestia furente: era perché la paura aveva un odore, un odore pungente e pesante che gli animali, al contrario degli uomini, riuscivano a percepire, facendo di esso un vantaggio per se stessi.
 
Un’altra bottiglia si infranse al suolo al movimento di un braccio di Emma. «Devo ammettere che mi avete fregata, tu e quel maiale di tuo marito,» disse piano, il sorriso che indugiava sulle labbra, mentre quelle di Olly si contraevano all’insulto rivolto nei confronti del marito. «Ho creduto davvero che foste delle brave persone, che potessi fidarmi di voi. A modo mio, ho perfino tentato di proteggervi dalle conseguenze di avermi incontrata sul vostro cammino ed ecco come vengo ricompensata per avervi salvato dalla miseria più nera: tradimento.» Qualcosa baluginò nelle pupille oscure di lei, qualcosa di folle e selvaggio che impedì alla locandiera di intervenire nella pausa che seguì quelle parole. «Guardate un po’ com’è pavido, l’agnello travestito da lupo! Credevi davvero che questo momento non sarebbe arrivato, che non avrei scoperto la verità?»
 
«Non so di cosa tu stia parlando. Sembri una maledetta pazza!» Il vigore che il suo animo aveva riconquistato duramente, in un attimo di sconsideratezza, si estinse in un ulteriore squittio alla mezza torsione che Ulan fece fare al suo polso. «Argh!»
 
«Sta’ attenta a quella tua linguaccia, donna,» la redarguì il pirata, chinandosi finché il suo viso non fu all’altezza di quello di Olly ed ella non si convinse a guardarlo, poco dopo attratta da un luccichio proveniente dalla direzione in cui si trovava l’altra mano di lui, «o mi assicurerò che il randagio qui fuori abbia uno stuzzichino con cui placare la fame, stasera,» la minacciò, facendo scintillare alla luce del lume più vicino la lama del pugnale.
 
Olly deglutì pesantemente, mentre un rivolo di sangue le scendeva lungo la tempia dalla ferita che il colpo di Ulan le aveva provocato. «Sto parlando del fatto che mi abbiate venduto al miglior offerente, che si dà il caso sia anche il mio più acerrimo nemico, la persona che ho intenzione di uccidere con le mie stesse mani.»
 
«Cosa..?» fu tutto ciò che la locandiera riuscì a dire, lo sguardo adesso rivolto ad Emma, l’espressione confusa di chi non è pronto all’impatto con la realtà, così confusa che il capitano della Nostos, per un istante, vagliò la possibilità non di aver sbagliato, ma che la donna fosse del tutto all’oscuro delle trame del marito.
 
Decise di valutarne l’innocenza o la colpevolezza in base alle reazioni e così proseguì: «Ho un figlio, Olly di Poreia, un figlio che mi è stato strappato quando io non avevo che diciannove anni e lui poco meno di cinque.» L’espressione sorpresa che apparve sui lineamenti tumefatti della locandiera le ricordò tanto quella che Stecco e Diego le avevano rivolto la prima volta che avevano udito quella storia venire fuori dalle sue labbra, poco dopo aver fatto fuori il precedente proprietario di quella che, ormai, era la sua nave; ed Emma ebbe l’impressione che Olly fosse rimasta stordita dall’inizio del suo racconto, come se una parte di lei stentasse a credere a quelle parole, ma un’altra non potesse fare a meno di credervi. «Mio padre ha ben pensato che venderlo a dei mercanti fosse l’affare della sua vita e, dopo aver bevuto buona parte dei guadagni della vendita, quando era troppo tardi perché potessi anche solo offrirmi come puttana su quella stessa nave pur di stare con lui, ha ritenuto che fosse giusto dirmelo. Un caro uomo, non trovate?» Delle fiamme azzurre, fredde più del ghiaccio, lambirono le sue iridi e, come quel pomeriggio di cinque anni prima, gli uomini di Emma rabbrividirono e serrarono i pugni nell’udire la storia che li aveva convinti a piegarsi sotto il comando di una ragazzina: c’erano azioni che neppure un pirata, se non il peggiore e il più sciagurato che si fosse mai visto, avrebbe potuto esimersi dal giudicare deplorevoli. «Lungo il cammino che mi ha portata a diventare un pirata alla disperata ricerca di mio figlio, mi sono fatta molti nemici, tanti quante le vittime che mi sono lasciata alle spalle… O quasi! Ebbene, uno di questi è proprio colui che ho scoperto essere il carceriere della persona che spero di poter salvare.»
 
«Cosa c’entriamo noi con questo?» chiese Olly timidamente e, nonostante il sospetto che quest’ultima fosse innocente apparisse quasi una certezza, Emma si decise a continuare fino a che non si fosse sentita soddisfatta. L’avevano già gabbata, era evidente, e non poteva permettersi che accadesse ancora.
 
Nel frattempo, altre bottiglie e altri boccali vennero rovesciati e, con essi, il contenuto di cui erano portatori. «Vi dice niente il nome Telos?»
 
Olly annuì, le sopracciglia aggrottate. «E’ il luogo in cui è nato Harold. Viveva lì, prima che ci trasferissimo a Poreia dove abitavo con la mia famiglia,» le spiegò e, forse lieta del fatto che le sue parole avessero attirato l’attenzione di Emma fino a renderla meno raccapricciante, forse nell’auspicio che si trattasse di un malinteso, ebbe a continuare: «Si trova a nord-ovest della foresta che circonda questo paesino, ma è difficile da raggiungere se non in primavera inoltrata o in estate, perché la vegetazione è fitta e non ci sono sentieri.»
 
«Com’è possibile che non ci siano sentieri? Come si fa a raggiungerla?» domandò Emma, battendo il pugno sul tavolo così violentemente che Olly, benché distante da lei, sobbalzò. «Vuoi prenderti gioco di me, non è così? Bene, se è questo che vuoi, Ulan-»
 
«Non ti sto prendendo in giro,» intervenne prontamente la donna, lanciando una rapida occhiata al pirata al suo fianco per assicurarsi che non fosse già pronto ad eseguire il tacito ordine che gli era stato imposto. «E’ quasi impossibile raggiungere Telos da qui. Non sento di gente che si avventura per quel tratto di foresta da quando era ancora vivo mio padre e non solo ti parlo di almeno dieci anni fa, ma si dice che queste persone non abbiano mai raggiunto la destinazione e che i loro fantasmi infestino quel luogo. Gli unici ad andarci sono gli speziali per i loro intrugli e l’unico motivo è che riescono a trovarci delle erbe medicinali che non crescono da nessun altra parte e che gli permettono di fare buoni affari con i mercanti.»
 
In tutto il tempo che Olly impiegò per fornirle quelle giustificazioni, Emma non poté fare a meno di convincersi della sua innocenza e, se una parte di lei si spiacque per il colpo che Ulan le aveva assestato, l’altra si accese di un’ira che aveva come unico destinatario proprio il marito della locandiera. In quell’istante, tuttavia, erano altre le questioni cui le premeva trovare risposta.
 
«Vorresti dirmi che nessuno va a Telos per paura dei fantasmi?»
 
Ulan mosse il coltello tra le dita all’evidente scetticismo mostrato dal suo capitano e il monito arrivò così chiaro, insieme al pulsare del viso tumefatto, che Olly si affrettò ad aggiungere: «Non ho detto che nessuno va a Telos, solo che non ci vanno da Poreia. Solitamente, si segue il sentiero fino a Weston e da lì si prosegue verso ovest fino a un paesino chiamato Regolton e ancora avanti per diverse miglia. Non saprei dire l’esatto percorso, perché sono stata a Telos una sola volta, quando ho incontrato il mio attuale marito, ma praticamente il viaggio richiede che si bordeggi la foresta fino a salire la montagna: è lì che si trova, costruita tutt’attorno la cima.»
 
«Quanto tempo ci vuole per raggiungerla?» fu la domanda che le rivolse Emma, il cuore che galoppava nel petto alla consapevolezza che Telos esistesse realmente e potesse essere raggiunta senza che questo implicasse un viaggio in mare della durata di diversi mesi. Era stato questo il suo principale timore quando le mappe falsate avevano dato l’impressione di ridere del barlume di speranza cui si era aggrappata: trovarsi in un luogo assai lontano da quello che intendeva raggiungere e che aveva sperato di trovare per anni. Istintivamente, sospirò di sollievo.
 
«A cavallo, poco meno di due settimane,» rispose Olly, la quale si accorse della perplessità che le sue parole avevano suscitato nellʼaltra. Weston, in fondo, era solo a poche ore di cammino. «Non abbiamo altro che cavalli da tiro da queste parti e quelli che troverete non sono abituati a percorrere lunghe distanze al galoppo. Credo possano permettersi a stento un trotto.»
 
«Quanto dalla foresta, invece?»
 
«Emma,» fece la locandiera e, per un breve istante, fu come se nulla fosse accaduto, come se gli eventi di quegli ultimi minuti non fossero intervenuti a spazzare il loro trascorso positivo, un trascorso che aveva visto Olly trattare la giovane con parte dell’amore che non le era mai stato concesso di sperimentare in qualità di madre, «è pericoloso! Le temperature si sono abbassate, la foresta è piena zeppa di animali selvaggi e, se non bastasse, sale su una parete della montagna priva di sentieri. Potreste smarrirvi e, a quel punto, nessuno potrebbe aiutarvi.»
 
«Sono un pirata, donna, e un capitano. Non esiste al mondo che perda lʼorientamento o che mi lasci spaventare dal culo impietrito di una montagna. Il mare è cangiante, gioca brutti scherzi e, quando parti per solcarne le acque, impari a comprendere cosa significhi essere in balia di se stessi,» le spiegò, ma non rimase ad osservarla, perché le sue orecchie captarono un fischiettio in avvicinamento che prometteva di appartenere alla sola persona che aveva intenzione di vedere in tempi brevi. «Sapresti indicarci la via?»
 
«Certo. Ci sono delle mappe che-» iniziò, ma dovette fermarsi quando Emma si esibì in una risata bassa e, dopo aver fatto un breve cenno d’intesa a Diego, che sostava in prossimità dell’ingresso, tornò a dedicarle la propria attenzione.
 
«Le mappe. Già.» Scosse il capo, il riso che indugiava ancora sulla sua bocca. «Credo di poter dire che tu non abbia mentito e mi abbia detto la sincera verità,» fece e, nel pronunciare quella frase, allungò il braccio sinistro per spazzare quanto fosse presente su uno dei tavoli vicino a lei e rovesciare tutto sul pavimento, «e credo anche che sia giusto metterti al corrente della verità.» Olly aggrottò la fronte con espressione sospettosa, come ringalluzzita dal beneficio che Emma le aveva concesso pur non avendo alcuna certezza materiale che le sue parole corrispondessero al vero. Forse non tutto era perduto, forse Emma aveva fiducia in lei e non vi era stato che un fraintendimento. «Tuo marito, il caro Harold,» continuò la giovane poco dopo, «non soltanto ha finto di non conoscere Telos, ma si è anche premurato di contraffare le mappe in vostro possesso e di farmele avere. Sai cosa significa questo?» Emma poté sentirlo di nuovo e distintamente, l’odore della paura che emanava dalla donna all’altro capo della locanda. «Che sa chi sono, che ho un figlio e che spero di raggiungerlo; che sa della segretezza della mia missione e che ha sfruttato questo particolare nella speranza che le cartine geografiche fossero un deterrente bastevole a convincermi dell’inesistenza di Telos fino a farmi ritenere opportuna l’idea di cercare altrove, forse di tornare perfino per mare. Mi ha venduta e ha venduto il mio bambino!» Pesanti, calde lacrime riempirono gli occhi di Olly ed Emma la studiò a lungo e senza trasporto alcuno, nell’attesa che la rabbia e l’amarezza facessero il loro corso; con curiosità, osservò grosse stille gettarsi a capofitto oltre le ciglia a formare rivoli sugli zigomi dell’altra e, mentre il suo sguardo rimaneva fermo, quasi ipnotizzato, sul dolore che trapelava dalla trasparenza di quei viottoli salati, le sue labbra si inarcarono in un sorriso che sapeva di mutilazione dell’anima. «Che buffo! Proprio lui che rimpiangeva tanto di non aver avuto un figlio finisce per dare in pasto agli squali il figlio di qualcun altro.»
 
«Perché dovrei credere alle tue parole?» chiese Olly con voce rotta dal pianto, in un ultimo, disperato tentativo di combattere l’istinto traditore che aveva subitaneamente creduto a quanto le sue orecchie avevano udito.
 
A quel punto, gli occhi di Emma trovarono quelli della propria interlocutrice e, con fermezza, le anticiparono una verità che, in cuor suo, costei aveva già accettato. «Henry,» sussurrò piano, come se il solo pronunciare quelle cinque lettere fosse in grado di straziare il suo animo e sconquassare il suo mondo, «mio figlio si chiama Henry.»
 
Il mento di Olly tremò per una frazione di secondo, prima che la porta si spalancasse e rivelasse la figura di Harold in tutta la sua corruzione, e quel fuggevole arco di tempo fu sufficiente perché la veridicità delle ultime rivelazioni aprisse una finestra sulla menzogna che la locandiera, sotto inganno, era stata costretta a vivere. Entrambe ricordarono quella sera di alcuni anni prima, quando Emma le aveva confidato che la sua più grande paura era legata ad un unico, piccolo nome di uomo che faticava a pronunciare perfino con la voce della mente. “Ti capita mai di pregare, canaglia?” le aveva detto in quell’occasione Olly, tra un cicchetto di rum e un altro, e il capitano della Nostos aveva annuito sommessamente, sorprendendo la più anziana. “Prego costantemente che il fato mi sia benevolo e non metta sulla mia strada qualcuno che abbia, pronunci, canti o invochi cinque lettere che compongono una sola parola,” le aveva rivelato e, quando la locandiera le aveva chiesto come fosse possibile che avesse messo al suo posto un usuraio ma temesse una semplice parola, Emma l’aveva corretta: “Non una parola, mia signora. Un nome. Ciò che temo è un nome.”
 
«Ma che-?»
 
Fu tutto ciò che Harold ebbe il tempo di dire nel tempo che Diego gli concesse per guardarsi intorno, prima di afferrarlo per giacca e mantello, tirarlo dentro la locanda e, nel chiudere la porta, sbatterglielo contro con violenza; e tanto bastò perché questo lo spingesse ancora di più nel baratro della confusione ove la vista di sua moglie in lacrime lo aveva già gettato. Con la stessa disposizione d’animo di un uomo braccato e consapevole di non avere possibilità di vittoria contro il proprio avversario, si guardò intorno in cerca di una via di fuga o, in alternativa, di un aiuto, ma i suoi occhi incontrarono ciò che spense in maniera definiva il barlume di speranza che, nonostante tutto, l’aggressione di Diego non era bastata a spazzare via: Emma.
 
«Ti aspettavamo,» gli disse con fare giocondo e, brevemente, rivolse la propria attenzione in direzione di Stecco per esibirsi in un breve cenno del capo, sufficiente perché l’altro si attivasse e, percorrendo la locanda con lentezza, quasi stesse assaporando il momento, cominciasse a rovesciare tavoli e sedie con violenza inaudita. «Con una certa smania, come avrai notato.»
 
«Cosa le avete fatto? Lei non c’entra niente, non sapeva nulla,» urlò e, tuttavia, la sua reazione fu avventata, perché, disturbato dal tono di voce troppo alto, l’omone che lo teneva ad un palmo dal pavimento lo strattonò così brutalmente contro la parete adiacente da mozzargli il respiro.
 
«Perché? Voglio sapere il perché,» fece lei, la voce calma, talmente piatta da dare l’impressione che non stesse provando nulla; e doveva essere così, in quanto aspettò pazientemente e senza battere ciglio che l’altro recuperasse la capacità di parlare della quale Diego l’aveva privato.
 
«Soldi,» proruppe quando fu in grado di articolare una frase di senso compiuto e le labbra di Emma si inclinarono in un sorriso per dargli l’impressione di aver creduto a quelle parole, ma non era così. «Mi hanno detto che dovevo solo evitare che arrivassi a Telos e ho tentato di farlo come meglio potevo, prima con Killian, poi con le mappe…»
 
Le sopracciglia di Emma si inarcarono d’improvviso, come se, nel prospettarsi la confessione di lui, mai avesse preso in considerazione uno degli elementi che erano stati messi alla sua attenzione dalle confessioni del traditore. «Killian?»
 
«Speravo che ti innamorassi di lui, che questo ti rallentasse o ti convincesse ad andare via, qualora fossi riuscita a farti credere che Telos non esisteva o, quantomeno, non era nei paraggi,» rispose e qualcosa in quelle parole la disturbò nel profondo, al punto che il suo stomaco cedette e si esibì in un salto nel vuoto al ricordo di come si fosse concessa al tenente più e più volte, rallentando le ricerche.
 
Il suo respiro si fece in breve tempo instabile e la rabbia la montò dentro in maniera sì impetuosa che perse ogni genere di controllo e, voltandosi in direzione del bancone, percorse a grandi passi la distanza che la separava da Olly; fu a quel punto che, dopo averla presa per il braccio e costretta ad alzarsi, si accostò al suo viso e, ignorando le preghiere di Harold, chiese: «Qual è il cognome di tuo marito?»
 
Tirando su col naso, le ultime parole della donna da cosciente, prima che un colpo fermo le si abbattesse sulla nuca, furono: «Lively. Harold Lively.»
 
 «Nooooo!»  strillò il marito, mentre il capo della locandiera si lasciava cadere in avanti e Ulan si affrettava a insinuare le braccia sotto le ascelle di lei per impedire che cadesse. «Olly! Olly, tesoro, svegliati!»
 
«Fallo tacere, Diego,» ordinò Emma e tanto bastò perché l’omone eseguisse l’ordine con non poco compiacimento, piazzando un grosso pezzo di stoffa nella bocca dell’altro, «e tienilo fermo,» aggiunse dopo essersi accostata ad Ulan ed avergli sussurrato qualcosa che nessuno, all’infuori del diretto interessato, riuscì a capire. Quando si fu voltata e il pirata prese a trascinare la corpulenta donna in direzione della porta d’ingresso, il capitano della Nostos comprese che sarebbe stato più saggio coinvolgere anche Stecco e, mentre i due trasportavano una Olly stranamente mansueta fuori dalla locanda, aggiunse rivolta all’uomo in lacrime: «Cosa si prova a vedersi strappare via qualcuno che ami, Harold?»
 
Con un cenno della mano, Emma chiese a Diego di togliergli la pezza di bocca. «Io non lo sapevo,» singhiozzò disperato, così simile ad un bambino che, nei suoi abbondanti cento chili, avrebbe commosso fino alle lacrime chiunque non fosse stato il capitan pirata, «non sapevo di tuo figlio,» proseguì in preda all’afflizione, il corpo violentemente scosso dai singulti.
 
Raggiungendo il retro del bancone con un sorriso a fior di labbra, la giovane si chinò fino a trovare ciò che cercava e, quando riemerse, lo fece con un ascia tra le mani. «Sai,» fece dopo un poʼ, gettando in terra le ultime bottiglie rimaste integre e camminando sui cocci di vetro e tra le brocche in rame che giacevano sul pavimento, mentre raggiungeva il duo formato da Diego e Harold, «cʼè un vecchio detto popolare che ho sempre trovato affascinante,» continuò e, nel farlo, esercitò violenza sulla faccia di lui finché non ebbe spalancato la bocca per consentirle di zittirlo nuovamente col tessuto, «perché ha un significato alquanto curioso, che credo di aver afferrato soltanto adesso.» Con lʼascia stretta nella mano destra, esortò Diego a mettere lʼaltro seduto sul tavolo e, pur con unʼespressione a metà tra il preoccupato e il contrariato, quest'ultimo non trovò in cuor suo il coraggio di disobbedire, neppure di avanzare il tentativo. «Dimmi un po’ com’è mai possibile che tu stia nominando mio figlio in questo preciso istante, asserendo di non aver mai avuto consapevolezza della sua esistenza, e che, allo stesso tempo, io non abbia mai fatto menzione dei miei trascorsi in relazione ad un bambino. E dimmi se non trovi curiosa la tua affermazione alla luce del fatto che neppure adesso, in tua presenza, la mia bocca abbia spifferato un simile dettaglio.» Mentiva, lo aveva già fatto e non aveva intenzione di smettere; e, qualunque fosse la ragione sottesa ad un simile accanimento suicida, poco importava. Colto in fallo, le pupille dell’uomo si dilatarono. «Ora, riesci ad immaginare quale sia il detto cui facevo riferimento?» domandò, ma si trattò di un quesito meramente retorico cui Harold non riuscì a prestare la dovuta attenzione, lo sguardo puntato sull’ascia che, stretta tra le mani di Emma, si levava fin sopra la testa di lei. Inclinando il capo con espressione quasi angelica nella sua imperturbabilità, gli sorrise prima di dire: «Le bugie hanno le gambe corte
 
Non fu sufficiente un colpo per raggiungere il risultato sperato. Dopo aver calato l’arma sulla prima gamba all’altezza del ginocchio e aver strappato al locandiere un urlo che, benché soffocato dal pezzo di stoffa, le entrò sottopelle, Emma si convinse che non fosse ancora abbastanza e si accanì sull’altra fino a che con un tonfo l’arto di Harold cadde sul pavimento e con un suono altrettanto cupo l’uomo perse conoscenza contro la superficie del tavolo insanguinato. Gli occhi del capitano della Nostos incrociarono quelli di uno dei suoi uomini più fedeli e vi trovarono una pietà che non vollero percepire e respinsero con violenza.
 
«Portalo fuori di qui e fanne ciò che vuoi,» ingiunse e mantenne fermo lo sguardo finché Diego non annuì sommessamente, caricandosi in spalla il corpo incosciente e monco di un arto. Ella lo osservò chiudersi la porta alle spalle e sospirò pesantemente, concedendosi un solo istante per chiudere gli occhi e trovare in se stessa la forza di fare i conti con la scelta che aveva preso.
 
Fu solo dopo diversi minuti che, sull’uscio di ciò che rimaneva della Scodella Pimpante, Capitan Swan si preparò allʼepilogo del suo ennesimo atto di violenza. Abbandonandosi ad un ultimo greve afflato, compì un passo indietro fino a che i suoi stivali non poggiarono sulla fredda roccia della strada e, alfine, lanciò la lucerna sulle assi impregnate di alcool della locanda. In seguito, quando l’incendio sarebbe stato domato e gli abitanti di Poreia avrebbero trovato riparo nelle loro confortevoli, piccole abitazioni, si sarebbe sparsa la voce che una figura di donna con i lunghi capelli al vento, evanescente quanto quella di un fantasma, era stata vista in prossimità del luogo del misfatto, intenta ad osservare le alte fiamme che lambivano quanto rimaneva dell’ostello; quelle stesse voci avrebbero detto che, come uno spettro, la donna fosse sparita nel buio pochi istanti dopo senza lasciare traccia.

________________________________________________________________________________________
Spazio dell'autrice:

E' passato più di un mese dalla stesura dell'ultimo capitolo, ma conto che l'attesa non sia stata troppo pesante grazie alle feste. In ogni caso, chiedo venia e, ovviamente, vi faccio tanti auguri di buon anno e di un felice anno nuovo. <3

Detto questo, inizio col dire che, lo so, il capitolo è un po' pesante quanto ai contenuti. Non so quanti di voi si aspettassero un simile risvolto - probabilmente nessuno, non con questa violenza -, ma avevo tentato di farvi intuire il tradimento di Harold con la parte in corsivo a fine dello scorso capitolo. Il riferimento era davvero molto sottile e devo ammettere di averlo fatto di proposito: volevo che lo sconvolgimento fosse tutto in questo capitolo e ammetto anche che molto probabilmente è stata una carognata. So quanto molti di voi amassero Harold e suppongo che alcuni siano rimasti scioccati dall'evolversi degli eventi, se non addirittura incazzati. Beh, se così fosse, posso ritenermi soddisfatta! xD
Non mi sento di aggiungere molto altro in merito, se non che c'è un altro indizio all'interno del capitolo - e precisamente nella seconda parte - su qualcosa che avverrà in seguito. Per essere un po' meno criptica, vi svelo che questo capitolo si connette direttamente alle vicende che si svolgeranno a Telos e ai personaggi che incontreremo lì. Non posso dirvi nient'altro all'infuori del fatto che sto tentando di addolcirvi la pillola, suppongo invano. :P

Come al solito, ringrazio tutti voi che leggete la mia storia, perché avete reso possibile non soltanto l'aver dato vita ad un mondo tutto nuovo e ai suoi occupanti [e io credo sia assolutamente meraviglioso!], ma anche spingermi a fare qualcosa che non accadeva da tempo: scrivere una storia con una passione e lucidità tale da aver presente perfino il finale. E sapete cosa significa questo? Che dopo anni e anni mi ritrovo a scrivere seriamente una long-fic e a dare sfogo alla mia passione più grande! E so che potrebbe sembrare inutile, ma, pur non scendendo nei dettagli, vi dico che non sono riuscita a mettere insieme una storia decente - e per tale intendo una che avesse una trama degna di essere chiamata tale - per quasi due anni e chi di voi scrive potrà capire la sofferenza derivante dal voler creare qualcosa, ma non esserne in grado. Quindi, grazie per avermi fatto questo regalo!
Per il resto, i miei ringraziamenti più sentiti vanno a Pandina, A lexie s, Ibetta, CSlover e Cloris84 per i commenti al capitolo precedente e a quelli ancora prima e per esserci sempre ad ogni nuovo episodio di questa storia. Emma, la Nostos e tutti gli altri vi mandano tanti baci e abbracci perché, senza di voi, sarebbero delle ombre relegate nella mia mente e non avrebbero potuto conoscervi, cosa di cui sono lieti. E mi scuso per non avervi ringraziato una ad una, come faccio di solito, ma credo di avervi fatto aspettare abbastanza per l'aggiornamento e dilungarmi ancora nel mio spazietto verde allungherebbe solo i tempi. In compenso, vi dedico il capitolo e vi do la facoltà di dirmene di tutti i colori! Ah, e ringrazio anche Michele, la ragazza che mi ha scritto un messaggio in pagina per parlarmi di Nostos. <3
Come al solito, mi scuso per gli errori, ma sono di corsa. Prometto di rimetterci mano entro stasera.
Buona lettura!

P.S. Ci tenevo a dire che il 21 Gennaio sarà il primo anniversario di questa storia. Auguri! <3
P.P.S. Per qualunque domanda, curiosità o insulto, questo è il mio ask: 
http://ask.fm/AllAboardWithCS


 

Ritorna all'indice


Capitolo 13
*** Corruzione ***


Capitolo XIII
Corruzione

 
Il freddo della sera si era fatto più pungente con il trascorrere dei minuti e la scelta che li aveva visti inoltrarsi immediatamente nel folto della foresta non aveva che peggiorato la situazione, già resa gravosa dagli eventi dell’ultima ora e dalla consapevolezza che aleggiava sull’impavido gruppo diretto a Telos. Quasi a voler imitare e, in qualche modo, accompagnare l’umore del sestetto, il manto di oscurità calato su di loro si era ispessito in maniera notevole e aveva finito per rendere perfino più raccapricciante lo sfondo sul quale procedevano, figuranti di una storia che aveva per protagonista il capofila, nonché unica donna della combriccola. Non sarebbe stato semplice stabilire se a destare maggiore inquietudine fossero i rumori del tratto di vegetazione che stavano attraversando o l’eco delle urla che si erano levate dal paesino poco dopo aver superato il confine di alberi ai margini di Poreia. Quel suono straziante rimbombava ancora nelle menti di ognuno, infittendo il silenzio ove avevano trovato rifugio nella mezz’ora successiva all’inizio della loro marcia, e, per quanto ogni cosa suggerisse al tenente Jones la gravità dei fatti, le svariate conclusioni alle quali era arrivato non erano neppure vagamente rassomiglianti alle fattezze della realtà effettiva.
 
Il buio, come il più efficiente degli alleati, aveva nascosto le tracce che il passaggio di Emma e dei suoi uomini aveva lasciato, rendendo impossibile per Killian il solo tentativo di guardarsi alle spalle per cogliere i dettagli del misfatto. Ma, in fondo, si rese ben presto conto che nessuna illazione avrebbe potuto fornirgli indicazione più chiara della gravità delle circostanze di quella che poteva leggere sui volti della combriccola cui aveva finito per appartenere. Le loro espressioni avevano un non so che di cupo e impenetrabile che prescindeva dall’attenzione richiesta per affrontare quell’ennesima avventura nel folto della vegetazione; e c’era qualcosa, nella disposizione che avevano assunto, che lasciava poco spazio ai dubbi: non volevano che il tenente si avvicinasse troppo al loro capitano. La figura ammantata di lei capeggiava il sestetto come uno spettro oscuro e risoluto, il passo rapido e incalzante di chi non ha intenzione di perdere un solo istante, e, benché tutti faticassero a starle dietro, nessuno ebbe il coraggio di proferire parola e chiedere una sosta. Killian riusciva a percepire nitidamente il fiatone dei pirati e, in più di un’occasione, captò gli sguardi che si inviarono reciprocamente, prima che Stecco li riprendesse e spronasse a muovere il culo con voce perentoria.
 
Erano sfiniti, così stanchi e provati che il tenente temette di doverne soccorrere uno per mancanza di fiato di lì a breve, e più il terreno si faceva accidentato e in salita, più l’aria si rarefaceva, più evidenti erano gli sforzi e più sonori i rantoli riprodotti da ciascuno di loro. Erano uomini abituati a fatiche di genere completamente diverso, a sforzi che non avevano nulla a che vedere con quel tipo di resistenza e il loro fisico stava inviando tutti i segnali della scarsa attitudine al moto che Killian comprendeva pienamente. Il mare e i viaggi lungo i suoi infiniti sentieri comportavano un impegno di natura diametralmente opposta e, per lunghi mesi, l’unica base solida su cui poggiare i piedi era costituita dalle assi in legno di quella o quell’altra nave, un’imbarcazione della quale potevano chiaramente distinguere l’inizio e la fine e oltre la quale faceva bella mostra la spuma salmastra del loro miglior nemico. La terra, così implacabile nella sua fissità, era una sfida cui non erano stati pronti.
 
Quella condiscendenza e tutti dettagli che l’accompagnavano resero manifesto che, qualunque cosa fosse accaduta a Poreia, non avrebbe potuto essere più devastate di quanto la sua immaginazione suggeriva e che la ragione per cui Emma lo avesse inviato in spedizione con Julio aveva avuto il solo fine di tenerlo lontano il più possibile. Pur sfinito dal passo al quale procedevano, Killian non poté frenare il brivido che gli corse lungo la schiena al ricordo delle urla di disperazione che il villaggio aveva prodotto e un altro seguì il primo quando la sua mente gli parò innanzi l’immagine di Emma, Diego, Ulan e Stecco nel momento in cui si erano ritrovati: tutto quello che aveva scorto, al di là dell’impenetrabile coltre di buio di cui erano vittima i loro occhi, era la vista del sangue che ne impregnava gli abiti e a tratti perfino la pelle, ora delle mani, ora del viso, ora del collo. Non si trattava, tuttavia, di solo sgomento. Era furioso con se stesso per non aver impedito che lo sfacelo – qualunque fossero le proporzioni che aveva assunto – si realizzasse, per aver intravisto i contorni delle conseguenze di quel tradimento ma non aver fatto nulla per fermarle; ed era adirato con lei per tutta una serie di ragioni che non era neppure necessario spiegare. Di qualunque atto di perfidia si fosse macchiata, non sarebbe bastata alcuna spiegazione per giustificare l’indecenza delle sue azioni, neppure quella che avesse avuto il nome di Henry.
 
«Fermiamoci qua,» disse Emma d’un tratto e quasi riecheggiò per quel tratto di foresta il grosso sospiro di sollievo che, tra un ansito ed un altro, i membri della sua ciurma parvero esalare in una chiara dimostrazione di sollievo. «Dividetevi in due gruppi: tre vadano a cercare la legna, gli altri rimangano esattamente in questo punto e facciano da bussola per orientarli nel ritorno.» Gli uomini si guardarono intorno, annuendo sommessamente all’indirizzo del loro capitano, e approvarono la scelta del luogo designato: era un piccolo spiazzo circondato da grossi alberi che avrebbe permesso loro di disporsi comodamente e riposare qualche ora, prima che la marcia ricominciasse. «Julio, dammi le borracce!»
 
«Subito, capitano,» rispose prontamente l’altro, togliendosi la sacca di spalla ed estraendo ciò che, con l’aiuto di Killian, era riuscito a procurarsi prima della partenza. In quel preciso istante, tendendo l’orecchio oltre i lugubri suoni della vegetazione, il tenente riuscì a captare il gorgoglio attutito di quello che pareva un corso d’acqua. Per l’ennesima volta, Emma aveva dimostrato un’oculatezza nella scelta compiuta che nessuno dei presenti, in preda agli spasimi, sarebbe stato in grado di dimostrare. «Ecco a voi! »
 
Senza nemmeno guardarlo, la giovane afferrò quanto le veniva porto e, voltandogli le spalle, s’inoltrò nel fitto della vegetazione per sparire poco dopo. Julio rimase ad osservare il punto in cui il suo capitano era sparito per diversi istanti, come immerso in riflessioni che gli impedivano di adempiere all’ulteriore ordine che gli era stato impartito, ma nessuno osò distoglierlo nella consapevolezza che un istante di quiete era tutto ciò di cui avessero bisogno.
 
«Cosa diamine è successo?» fece il giovane d’un tratto, esordendo con un quesito che aveva risuonato prepotentemente nella sua mente per tutto il tempo del viaggio. «Non l’avevo più vista in questo stato da quando la tempesta si è portata via  Il Mezza Lingua ed è stata costretta a mettere fine alle sue sofferenze,» aggiunse, facendo espresso riferimento ad un evento cui lo stesso Killian aveva assistito, un evento il cui ricordo fece trasalire impercettibilmente Diego per le conseguenze che aveva portato con sé.
 
«Ha dato al vecchio quello che si meritava,» tagliò corto Stecco, mentre infilzava il terreno con l’impugnatura della torcia e alzava le braccia al cielo per distendere i muscoli, chiaramente sfinito. «Figlio d’un cane che non è altro! Ci pensate? Gli abbiamo salvato il culo ed è così che ringrazia,» sbottò in un eccesso d’ira che nessuno dei presenti si era aspettato, neppure i suoi amici di lunga data. «Ha venduto l’unica persona che si sia schierata dalla sua parte, quella che gli ha concesso di vivere e riempire quel panzone che porta in giro tutto il giorno. Ha venduto Henry, bestia di una balena!»
 
«Sta’ calmo, amico,» intervenne Ulan con voce pacata, nei suoi occhi ancora quell’ombra meschina che lo rendeva più giovane e vissuto a un tempo, «sta’ calmo! Ha pagato il suo prezzo,» continuò sommessamente e, nel farlo, i suoi occhi si posarono sull’imponente sagoma di Diego, che aveva preso ad arrotolare le maniche della camicia per nascondere la vista del sangue. «Tutto bene, fratello?»
 
L’omone alzò lo sguardo al suo indirizzo e, con una durezza che mai Killian avrebbe pensato di poter scorgere su quel viso, annuì con un secco cenno del capo. «Vorrei togliermi questa cosa di dosso,» disse, alludendo alla camicia, «hai qualcosa in quella sacca?» domandò rivolto a Julio e questi gli diede la conferma in cui aveva sperato. «Bene,» si limitò a dire, «dividiamoci come ha detto il capitano e accendiamo un bel fuoco. Jones, Ulan, venite con me! Voialtri rimarrete qui a farci da guida,» sentenziò e, senza aggiungere altro, si avviò nella direzione opposta a quella che Emma aveva intrapreso.
 
La ricerca del legname, muniti com’erano di una sola torcia che impediva loro di separarsi, fu più ardua del previsto e, quando infine tornarono al punto di ritrovo, lo fecero stanchi e infreddoliti più di quando erano arrivati, accaldati per la fatica cui il capitan pirata li aveva costretti. Forte di un’esperienza via terra della quale gli altri erano decisamente sprovvisti, Killian suggerì loro di raccogliere dei sassi di medie dimensioni per formare un cerchio da adibire a braciere al fine di contenere il fuoco entro confini ben definiti, e la sua proposta trovò presto accoglimento. Mentre si accingeva a sistemare la legna al centro dell’improvvisato accampamento, gli occhi del tenente scrutarono l’espressione sul volto adesso cogitabondo ma consapevole di Julio e comprese che, durante la sua assenza,  Stecco lo avesse reso edotto di tutto quello che c’era da sapere.
 
Esausti, si lasciarono cadere a terra in prossimità del falò e, per un lungo arco di tempo, nessuno proferì parola, come se il crepitio del fuoco fosse tutto ciò di cui avevano bisogno in quel momento per portare un po’ di luce nelle profonde tenebre che gli ultimi avvenimenti avevano insinuato nel loro animo. Killian non poté fare a meno di notare che, al chiarore delle fiamme, il sangue di cui era inzuppata la camicia di Diego risultasse perfino più intenso e, con esso, anche il turbamento che pareva scuoterlo dall’interno.
 
«Non sarà il caso di andare a dare un’occhiata?» ruppe improvvisamente il silenzio Ulan e il suo sguardo preoccupato incrociò quello di Stecco, prima di indicare la schiera di alberi alle spalle di quest’ultimo, la stessa oltre la quale era sparita Emma. «Non mi piace questo posto, non mi piace tutto questo silenzio,» aggiunse e, stavolta, i suoi occhi cercarono Diego, non trovandovi alcuna risposta.
 
Stecco, aspirando un’abbondante boccata di fumo dal sigaro che aveva sgraffignato a chissà chi, lo guardò con fare impassibile, prima di muovere il capo in segno di diniego e rispondere semplicemente: «No, non è una buona idea.» A quel punto, espirò e, assaporando il momento, chiuse gli occhi con un sospiro. «Non è in sé. Sarebbe pericoloso, amico mio!»
 
Julio si mosse impaziente sul posto, guardando gli altri con i segni dell’inesperienza che ancora si mettevano in bella mostra. «E se qualcuno le avesse fatto del male?»
 
A quelle parole, le labbra di Stecco si piegarono appena in un breve sorriso, ma non fu lui a rispondere. «In questo preciso istante, dovresti temere per l’incolumità di chiunque incroci il suo cammino,» fece Diego, lo sguardo perso nelle fiamme mentre Ulan gli porgeva un tozzo di pane e qualche pezzo di carne essiccata; il pirata fece segno di no con la testa, ma non alzò mai gli occhi da ciò che sembrava incatenare così saldamente la sua attenzione.
 
Accadde tutto in un istante, così rapidamente che, nel torpore che aveva assuefatto i loro sensi, nessuno di loro ebbe la prontezza di reagire e, quando uno avanzò il tentativo, gli altri lo fermarono. Lo scatto con cui il tenente Jones abbandonò la sua postazione per immettersi oltre la linea di alberi che conduceva nel cuore della vegetazione non fu sorprendente ma neppure correttamente previsto: Stecco e Diego avevano studiato il comportamento dell’uomo dal momento in cui, sul limitare del villaggio, il gruppo si era riunito e, ancora, durante le conversazioni che avevano richiamato ciò che nessuno si era sentito di svelargli; e, benché non potessero dire di conoscerlo, avevano compreso che un uomo del suo stampo – come nemmeno Liam poteva dire di essere – non era in grado di stare con le mani in mano e accettare passivamente ciò che gli veniva imposto, neppure la mancanza di consapevolezza. Era un uomo piuttosto collerico, come solevano affermare tra di loro! Per questa ragione, nel momento in cui Ulan si era sporto per afferrarlo, il più imponente della combriccola lo aveva costretto a rimanere seduto.
 
«Lascialo andare,» disse Diego. «Se proprio deve saperlo, è bene che sia lei a dirglielo.»
 
Julio deglutì. «Ma non avete detto che potrebbe essere pericoloso?»
 
Stecco ridacchiò, stemperando la tensione che si era creata e che nemmeno il fuoco era riuscito a sciogliere del tutto. «E’ sopravvissuto ad un accoltellamento, ad un’infezione che avrebbe ucciso pure un cavallo, ad una scazzottata, ad un mezzo annegamento… Che altro? Dimentico qualcosa!»
 
Un sorriso increspò le labbra di Diego, mentre aggiungeva: «Un mezzo avvelenamento sotto le sembianze di un intruglio soporifero.»
 
«Già,» fece l’altro con una grassa risata, battendo il pugno sul palmo dell’altra mano, il sigaro tra i denti. «Quell’uomo ha la pellaccia più dura di quello che sembra. Se è riuscito a non farsi ammazzare finora, scommetto che camperà ancora a lungo.»
 
«A proposito,» intervenne Ulan, la fiaschetta di rum tra le mani e lo sguardo annebbiato di chi ha ceduto alla stanchezza e all’alcool, «cosa pensate che ne farà il capitano, una volta che la missione sarà completata? Lo terrà come prigioniero?» chiese e gli altri soppesarono il quesito più seriamente di quanto il pirata non si fosse aspettato, perché nessuno di loro aveva mai pensato a quell’evenienza, perché non erano mai stati tanto vicini al risultato e non avevano osato mai illudersi troppo.
 
Espirando abbondantemente, Stecco frugò una delle tasche dei pantaloni, prima di rispondere con espressione divertita: «Scommetto due pezzi d’oro che darà un bel filo da torcere al capitano e che non ci sbarazzeremo di lui come tutti pensate.»
 
«Oh-oh!» esordì Ulan. «Scommetti sul soldatino e non sul capitano? Questa è proprio grossa!» Riponendo la fiaschetta sul terreno, cercò anch’egli nelle tasche fino a trovarvi ciò che cercava. «Io scommetto tre pezzi d’oro,» a quel punto, Julio si esibì in un fischio d’approvazione che risuonò tutt’intorno a loro, rendendo palese che, per quanto torbido potesse essere l’animo di un pirata, non ci fossero dubbi sulla sua capacità di rendere gioviale il più inusuale dei momenti, «che il capitano lo lascerà con un pugno di mosche in mano e ci faremo grasse risate.»
 
«Io sono con Ulan,» aggiunse prontamente Julio, ricevendo in cambio la fiaschetta del pirata e bevendo una bella sorsata di rum, «e dico che non solo il capitano lo caccerà a calci, ma che lo farà in grande stile come quando lo ha preso sulla nave. Pago pure un giro di bevute a tutta la ciurma, Poseidone mi sia testimone!»
 
Tutti risero a quelle parole e Ulan si allungò perfino a dargli una grossa pacca di complicità sulla spalla. «Tu che dici, Diegone?» chiese Stecco, lieto del fatto che il clima leggero di quelle chiacchiere avesse reso meno tetro l’umore dell’amico.
 
«Dico che non abbiamo ancora visto la cocciutaggine di quest’uomo. Ci stupirà!»
 
Stecco, imitando il più giovane del gruppo, sebbene mettendoci maggiore veemenza, proruppe in un fischio  che fece scoppiare il gruppo in una delle risate di cui la Nostos risuonava più spesso. Le scommesse erano aperte. Restava solo da vedere chi avrebbe fatto cassa e chi avrebbe visto il borsello alleggerirsi.
 
*
https://www.youtube.com/watch?v=5NWnF_cdtIA

 
Se c’era una cosa che Emma aveva appreso in tutti quegli anni, era che fosse possibile fuggire da qualunque cosa tranne che da se stessi. Ed aveva sperimentato chiaramente gli effetti di quello che non era un semplice teorema ma un principio di vita indubitabile. Come semplice fanciulla di villaggio prima e come pirata dopo, aveva visto le stagioni cambiare, i legami rinsaldarsi o spezzarsi, le speranze rimanere stupidi vaneggiamenti o farsi solide certezze e, tuttavia, con una costante della quale non aveva mai potuto fare a meno, neppure quando si era vergognata di essa: la persona che era. I cambiamenti cui era stata sottoposta e quelli cui si era obbligata, per una ragione o per un’altra, non erano comunque riusciti a variare la sostanza che la rendeva Emma Swan: la donna spavalda, civettuola, spietata, vendicativa, rancorosa, brillante, divertente e piena di energie; la madre amorevole, ostinata, inarrestabile, affezionata, incondizionatamente proiettata al bene dell’unica persona che l’avesse mai toccata nel profondo, là dove faceva più male e bene al contempo.
 
E a tutto quello si era aggiunto anche la consapevolezza di poter essere ognuna di quelle sfaccettature contraddittorie senza essere necessariamente una finzione, la consapevolezza che essere donna, in un’epoca in cui esserlo condizionava un’intera esistenza, non significa nient’altro che vivere secondo le proprie regole e le proprie passioni. Aveva smesso di paragonare i suoi successi alle aspettative che gli altri nutrivano su di lei, aveva smesso di soffermarsi su ciò che riteneva impossibile per concentrarsi, di contro, sui modi per renderlo possibile, aveva smesso di piangere sul latte versato fino ad assumere il pieno controllo della propria esistenza. Ad un certo punto, aveva capito che, fintanto che avesse concesso agli altri di determinare i suoi sogni, le sue possibilità, le sue capacità, non avrebbe mai ottenuto altro che una proiezione distorta di quanto desiderava realmente. E che senso avrebbe avuto darla a vinta a chi credeva  che una donna non fosse abbastanza per solcare mari e oceani? Come avrebbe potuto guardare il proprio riflesso, sapendo di aver concesso a chicchessia il potere di farla sentire piccola e impotente di fronte alle scelte che altri avevano preso per lei?
 
Quando il mondo le aveva voltato le spalle e la fortuna si era schierata su un fronte che pareva esserle avverso, Emma aveva tirato su le maniche del suo vestito, asciugato le lacrime con un lembo di esso e alzato la testa fino a che il sole non aveva baciato ogni più piccola porzione della sua pelle. A quel punto, con lo stesso passo di marcia che i più avrebbero trovato inappropriato per una fanciulla, aveva cominciato ad inseguire quello stesso mondo e quella stessa fortuna che le avevano tolto tutto, li aveva presi per il braccio e costretti a voltarsi per guardarla negli occhi. Lo aveva fatto perché sapessero che non sarebbe rimasta lì ad aspettarli, che, a sua volta, avrebbe intrapreso quello o quell’altro sentiero finché non avesse raggiunto Henry; lo aveva fatto perché sapessero che, se mai i loro percorsi si fossero incontrati, li avrebbe accolti con la stessa risolutezza con cui li aveva salutati; lo aveva fatto perché sapessero che era una loro eguale e che non sarebbe bastato voltare lo sguardo o fingere che non fosse capace per sconfiggerla. Lei era molto più di quello.
 
Turbata dagli ultimi eventi eppure persuasa di aver preso la decisione più giusta – perché non avrebbe mai potuto lasciare impunito un simile crimine, non quando ne andava della vita di Henry -, i suoi passi la condussero ai margini del corso d’acqua che aveva individuato sulle mappe contraffate a lungo studiate e, per la prima volta da ore, si concesse il lusso di respirare davvero. Sciogliendo i nodi del mantello, incurante del modo in cui il freddo avrebbe attaccato la pelle esposta delle spalle, Emma  si concesse il lusso di mostrare le proprie paure e debolezze all’oscuro e spaventoso cuore di quella foresta, la stessa che tanti temevano un po’ come temevano lei.
 
«Dio,» esalò e fu quasi una liberazione dalle catene di Capitan Swan che l’avevano avviluppata quella sera. Non aveva piena consapevolezza di cosa fosse quando non era il capitan pirata più temuto dei sette mari, ma realizzò che, in quel momento, non avrebbe potuto essere nient’altro, qualsiasi aspetto avrebbe assunto. Una vocina timida le suggerì che, forse, sarebbe stato più appropriato pensare che, per la prima volta da sempre, stesse conoscendo la persona che c’era sotto Capitan Swan, una persona che non aveva nulla a che vedere con quella che era stata in passato e che si era formata da quando era riuscita a sciogliere i nodi del servilismo di una realtà che non le era mai appartenuta. «Piacere,» sussurrò e lo fece più seriamente di quanto non si fosse mai aspettata. «Qualunque cosa abbia fatto in una vita passata, chiedo scusa!» disse rivola al cielo. Quel soliloquio la fece ridere e ci fu un non so che di assolutamente inspiegabile nel senso di leggerezza che quel piccolo gesto riuscì a procurarle, ma perfino quello fu liberatorio.
 
Coprendosi il viso con le mani, tirò via i capelli dalla fronte  e li portò indietro. Insolitamente lucida, si accostò al corso d’acqua e, inginocchiatasi, immerse le mani nell’acqua gelida; pur rabbrividendo, la lasciò scorrere a lungo, fin quando non perse parte della sensibilità, quasi a voler lavare via non solo il sangue di Harold ma tutti i peccati che aveva commesso in quegli anni. Sapeva che non era finita lì, che altri si sarebbero sommati a quelli che si era trovata a realizzare col passare del tempo, ma a tutto ciò si aggiunse la consapevolezza che non tutto fosse perduto, che potesse ancora nutrire la speranza di riabbracciare Henry e tenerlo con sé. Avrebbe imparato a meritarlo, avrebbe fatto ammenda senza rinnegare ciò che aveva scoperto di sé, senza rinnegare Capitan Swan e quello che le aveva insegnato e donato; si sarebbe concessa la possibilità di essere la persona che, a lungo, aveva temuto di non poter diventare, la madre che aveva sempre sperato di essere un giorno. Si sarebbe concessa la pace.
 
Piano, lavò ciò che Poreia e il suo tradimento le avevano lasciato sull’epidermide, fermandosi quando il gelo minacciava di andare troppo in fondo, fino alle ossa, fino a impedirle qualunque movimento; e, col trascorrere dei minuti, si sentì padrona di una limpidezza che aveva temuto di non poter mai trovare. Quando i pensieri avevano preso ad accavallarsi senza sosta, al punto da impedirle il sonno più degli incubi che erano soliti coglierla impreparata, era perfino giunta alla conclusione più disperata che avesse mai partorito: se Liam fosse stato vivo e fossero riusciti a salvarlo, avrebbe lasciato che lui e Killian prendessero Henry per renderlo un brav’uomo, per dargli l’istruzione e la stabilità che sapeva di non potergli fornire come capitano della Nostos. Negli ultimi tempi, credendo non esistesse al mondo regalo migliore da fargli nelle condizioni in cui versava, si era perfino cullata nell’immagine di un Henry adolescente vestito dei colori della marina, lei che quelle insegne le detestava con tutta se stessa; Killian e Liam sarebbero stati tutto quello che Emma e un’intera ciurma non avrebbero potuto essere e, per quanto l’avesse fatta soffrire la sola idea di distaccarsi nuovamente da lui, si era ripetuta che lo amava al punto da rendere perfino sopportabile l’evenienza di non vederlo mai più. Si era detta che, sì, il suo cuore si sarebbe spezzato ancora, in cocci talmente minuscoli che tentare di metterli insieme si sarebbe dimostrata nient’altro che un’impresa fallimentare; e, sì, il suo stomaco avrebbe compiuto un capitombolo ogni qualvolta i suoi occhi avessero scorto la chioma castano chiaro di un ragazzetto che le ricordava vagamente Henry, ma ognuno di quei dolori sarebbe valso la gioia di saperlo felice e in salute. A quel punto, però, qualcosa era cambiato.
 
Avvolta nel mantello, seduta a pochi metri di distanza dallʼargine più vicino a lei e infreddolita ma più controllata di quanto non fosse stata fino ad allora, Emma alzò gli occhi al cielo e, chiudendoli, accese mentalmente una candela, un sorriso timido sulla bocca. Ricordava la sera in cui aveva lasciato credere al tenente Jones che quella fiammella non fosse per altri che per se stessa, perché l’aiutasse a trovare la via di casa quando era distante miglia e miglia da essa. Quella non era stata che una mezza verità rivelata ad una persona non ancora pronta a sentire il resto della storia. Il cero che aveva acceso notte dopo notte, fino a consumarne non solo la lunghezza ma le speranze che portava con sé, era per Henry, una tacita promessa affinché, in un modo o nell’altro, egli sapesse che stava arrivando, che presto o tardi si sarebbero rivisti, che la sua mente non aveva mai sfiorato l’idea di arrendersi. Lui valeva tutte le ferite, le ore insonni, le tempeste che aveva affrontato.
 
«Cos’è accaduto?»
 
Emma aprì gli occhi, ma attese qualche istante prima di rivolgere la propria attenzione alla figura a pochi passi da lei. Lo aveva sentito arrivare e il suo animo non aveva nutrito alcun dubbio sull’identità dell’avventore. Un sorriso esasperato le illuminò il viso nel realizzare che, dopo tutto quel tempo trascorso nel tentativo di domarlo o seminarlo o addirittura ammazzarlo, avesse imparato a riconoscerne l’incedere, ad aspettarsene le reazioni, ad ammirarne l’audacia.
 
«Ci sono occasioni in cui una bugia o una verità non rivelata fa meno male della verità, Killian, quella verità cui sembrate così disperatamente aggrappato,» rispose lei e, nel farlo, ne cercò lo sguardo fino ad incontrarlo. Con un’imponenza cui oramai ella aveva fatto l’abitudine, la figura di lui si stagliava contro uno sfondo cupo di alberi silenti, tra le mani una torcia che rendeva perfino più acuta la giustizia che emanava da ogni fibra del suo essere. «In cuor vostro, sapete la gravità degli atti che ho compiuto. Perché volete sentirvelo dire?»
 
La freddezza con cui l’azzurro degli occhi di lui combatteva il verde più caldo dei suoi infettò il sorriso spento che le rivolse. «C’è una ragione per cui, contro ogni promessa che mi avete fatto quando ci siamo incontrati la sera del ballo, continuate a volermi proteggere dalla persona che siete?» Sorpresa da una constatazione che ella stessa aveva avuto modo di fare in più di un’occasione, nelle tacite stanze della sua mente, Emma fece spallucce. «Già… Avete la risposta, allora.»
 
La risposta era che non esistevano spiegazioni, nessuna che fosse pienamente razionale. Come Emma non provava vergogna per le azioni che aveva commesso, né temeva il giudizio del tenente, così Killian non riusciva a domare quella parte del suo animo in grado di vedere del buono negli altri, né aveva intenzione di rinnegarla. Era qualcosa di cui andava fiero perché lo accomunava a Liam, loro che non avrebbero potuto essere più diversi. E poco importava che, su una scala di valutazione, la giovane non avesse fatto altro che dimostrargli il contrario: per lui bastava anche quel piccolo barlume di luce che gli aveva consentito di intravedere di tanto in tanto.
 
Emma sospirò, non di rassegnazione ma di stanchezza. «Non finirà bene tutto questo, lo sapete?!» Killian avanzò di qualche passo, le spalle tese e la postura rigida di chi è pronto ad assorbire un colpo, uno pesante. «Più passa il tempo, più ho l’impressione che finirò per uccidervi.»
 
Il tenente le sorrise, dando l’impressione che si stesse prendendo gioco di lei. «Non vi passa mai per la mente l’ipotesi che sia io ad avere la meglio, non è così?»
 
Il pirata lo guardò intensamente, così intensamente che qualcosa parve infilzarlo da parte a parte e, infine, sedimentare all’altezza dello stomaco. Dopo qualche istante, ella fece segno di no col capo. «Perderete in ogni caso, tenente.» Il modo in cui gli sorrise, così debolmente eppure con tenacia e assoluta convinzione, lo costrinse ad inarcare le sopracciglia in una tacita richiesta di chiarimento. «Non mi consegnerete mai a quella che voi credete giustizia. Tutt’al più, potreste farlo col mio cadavere, ma non vi sarebbe nessuna soddisfazione, non per un uomo come voi.»
 
«O Emma,» fece lui con una condiscendenza che rifletteva quella che la giovane gli aveva spesso riservato e questo le strappò un sorriso a tratti malinconico, «i vostri piani potranno anche essere gli stessi, ma i miei sono cambiati.» Chinandosi in avanti, Killian fissò la torcia al terreno con un colpo secco, prima di tornare a soffermarsi sulla sua interlocutrice. «Non vi separerei mai da Henry, né farei nulla per condurvi a una morte prematura, ma confido che il tempo come vostro prigioniero possa essere sufficiente a smussare alcuni angoli del vostro carattere,» disse e s’interruppe un istante, come per raccogliere il coraggio per pronunciare a voce alta le parole successive, «a farvi vedere con occhi diversi il mio ideale di giustizia.»
 
Nell’ascoltare quei propositi, le frasi di Harold tornarono alla mente di Emma, ricordandole  che perfino il locandiere avesse creduto nelle capacità di Killian di distrarla dal suo obiettivo, e qualcosa si ruppe fino a lasciare spazio sufficiente affinché Capitan Swan facesse la propria apparizione. Il calore che il verde dei suoi occhi aveva ritrovato nel realizzare che una vita con Henry non fosse una chimera perse d’intensità e l’immagine speculare delle fiamme, riflesse in quelle pupille tanto tenebrose, si fece portatrice di una freddezza che poco le si addiceva.
 
«Credete davvero di avere un simile potere su di me, tenente?» Abbassando lo sguardo verso il pavimento, ridacchiò e lo fece con quell’attitudine sarcastica che era solita assumere quando trovava che qualcosa fosse ridicolo. Alfine, alzò nuovamente lo sguardo su di lui. «Perché sono venuta a letto con voi un paio di volte?» Rise ancora nel pronunciare quelle parole, prendendosi gioco dell’altro. «Avete davvero un’alta opinione di voi, c’è da dire. E, ditemi, lo usate come scettro di giustizia?» domandò, alludendo alla sua virilità con un cenno del capo, e Killian riconobbe Capitan Swan dinanzi a lui, nessuna traccia della donna su cui i suoi occhi si erano posati fino a pochi istanti prima. In un’altra occasione, tanto sarebbe bastato perché scattasse, ma, a modo suo, aveva imparato a conoscerla tanto bene che si limitò a sorridere a sua volta. «Fate distinzioni di sorta o tentate di reclutare per la vostra causa sia donne che uomini?» Il bubulare di un gufo nelle vicinanze riempì quell’ennesima pausa. «Siete solo una spunta in una lunga lista di nomi, Jones. Non illudetevi.»
 
«Fate pure,» disse lui, l’espressione serena, «continuate a fare quello che sapete fare meglio. Non otterrete alcuna reazione!»
 
Qualcosa guizzò negli occhi di lei, quella follia che Killian aveva imparato a temere più dei sordi, impenetrabili momenti di silenzio nel quale l’aveva vista nascondersi, e senza perdere tempo ella balzò giù dal masso sul quale si era appollaiata, avanzando finché non si trovarono faccia a faccia. La torcia bruciava tra di loro, emanando un calore che non sarebbe servito a temperare l’impeto di ciò che stava per accadere; il vento soffiò più forte per un istante, prima di quietarsi del tutto; non troppo lontano, il suono di un fischio echeggiò per la foresta fino a loro. Ed Emma non smise di sorridere, assaporando il momento in cui gli avrebbe dato esattamente ciò che l’altro le aveva chiesto. “Speravo ti innamorassi di lui,” aveva detto Harold, “che questo ti rallentasse o ti convincesse ad andare via.”
 
«Gli ho mozzato le gambe,» proruppe con voce candida, «o, meglio, sono sicura di aver fatto un buon lavoro con una delle due, ma credo che l’altra sia rimasta attaccata per metà,» proseguì, cercando nella mente i dettagli che l’acqua aveva lavato via dalla pelle ma non dalla mente. «Ho preso un’ascia e zac. Doveva essere un po’ vecchia, però, perché ha fatto fatica a trapassare l’osso. Ci sono voluti più colpi di fila e non era semplice beccare sempre lo stesso punto.» Con una mano agganciata al fianco e l’altra che picchiettava ritmicamente sul mento, Emma attese qualche secondo, prima di aggiungere: «Ma non è tutto,» e il suo sorriso crebbe fino a formare una mezzaluna che tanto rassomigliava a quella che splendeva in cielo, «ho anche dato fuoco alla locanda. Avreste dovuto vedere com’era pimpante
 
La risata che seguì quell’esclamazione fu così fredda e acuta che l’acqua del fiume inciampò in grosse increspature, riflettendo l’umore del tenente, ma quel suono ebbe vita breve. Inaspettato e devastante come un tuono, un pesante manrovescio si abbatté sul bel viso della giovane e lo fece con una forza tale che il colpo la sbalzò, spingendola ad accasciarsi contro il pavimento con un mugugno che non riuscì a controllare. Nell’atto di cadere, Emma urtò perfino la torcia tra di loro e involontariamente la portò giù con sé, ma l’erba era troppo bagnata e l’aria troppo umida, vicini ad un corso d’acqua com’erano, perché il fuoco potesse attecchire. Ad accendersi, invece, furono l’indignazione e la collera di lei e, tuttavia, contro ogni aspettativa le sue mosse si dimostrarono più calibrate di quanto non fosse mai accaduto. Da prona che era, si issò sulle ginocchia con lentezza e portò per un brevissimo frangente la mano destra a carezzare la parte lesa, il respiro affannoso del tenente che troneggiava su di lei; poi, in una sequenza che si trovò ad improvvisare, tornò in posizione eretta e, nel farlo, afferrò la torcia per colpire Killian. Ma, dopo mesi trascorsi a così stretto contatto, l’uomo fu in grado di prevederne le mosse e riuscire, se non a bloccarla o schivare il colpo, quantomeno ad evitare una commozione cerebrale.  Il manico in ferro battuto della fiaccola si abbatté contro la sua spalla, seguito da una scarica di calci al ventre che lo fecero indietreggiare.
 
Per la frazione di un secondo, i loro sguardi s’incontrarono. «Siete una stupida ragazzina viziata,» azzardò lui, completamente fuori di sé, incurante del fatto che le sue parole non avrebbero potuto che aggravare la sua posizione, «un mostro che non meritava di essere messo al mondo.»
 
«Oh, vedo che non volete più redimermi!» Il respiro affannoso e il volto che pulsava, Emma fece oscillare la torcia che teneva tra le mani con la stessa ferocia di un serpente che mostra i denti e agita la coda. «Ce ne avete messo di tempo.»
 
«Non è questo che ho capito,» ribatté prontamente lui, deciso ad assestare il colpo più violento che qualunque nemico avesse mai sferrato contro di lei. «Ho realizzato che tutto questo ha un senso, quello che vi è accaduto: Henry vi è stato strappato via non per mettervi alla prova, ma per impedire che quel povero bambino crescesse accanto ad un mostro come voi. Non sareste stata una madre ma corruzione.» L’espressione di lei perse l’ardore che aveva mantenuto fino a quel momento, le paure che aveva sempre covato ormai esposte nella loro nudità. «Non meritate di trovarlo.»
 
Il tempo si fermò d’un tratto e impiegò qualche istante prima di riprendere la sua corsa; perfino quando lo fece, tuttavia, si concesse una lentezza che non gli era mai appartenuta. Emma riusciva a sentire i nitidi rintocchi scandire il trascorrere dei secondi e, in quell’arco di tempo, valutò un vasto numero di ipotesi che erano l’esatta rappresentazione delle contraddizioni del suo essere: fare un passo avanti e dare fuoco ai vestiti di lui per vederlo bruciare fino a morire; chiedere l’aiuto dei suoi per rendere monco anche lui e lasciare che le bestie della foresta mangiassero quello che rimaneva dell’uomo che era stato; limitarsi a legarlo ad un albero e proseguire senza di lui, perché non gli fosse mai concesso di trovare il fratello; imboccare quello o quell’altro sentiero della foresta e fuggire via, lontano da Poreia, da Telos, da Henry e sperare che, in un modo o nell’altro, quello stesso fato che glielo aveva portato via fosse tanto benevolo da dargli ciò che meritava.
 
Invece, si limitò ad alzare lo sguardo finché i suoi occhi non trovarono l’azzurro indignato del tenente, e gli sorrise stancamente. «Sono lieta di constatare di essere riuscita nel mio intento,» disse con un sospiro, abbassando la fiaccola e ignorando il dolore al viso, e nella sua memoria risuonò nitida la promessa che, in una delle loro prime conversazioni, gli aveva fatto: Ho intenzione di sconvolgere il vostro mondo fino a farvi dimenticare chi siete stato e perché lo siete stato. E, quando l’avrò fatto, di voi non rimarrà nient’altro che non sia io a volervi lasciare”. «Dalle vostre parole, si evince chiaramente che la corruzione ha toccato anche voi.» La bocca di Killian si schiuse nel constatare cosa ella l’avesse spinto a fare e batté più volte le palpebre, incredulo. «Benvenuto tra noi,» fece con voce soffice, prima di voltarsi in direzione della foresta ed essere inghiottita nelle sue tenebrose trame.
 
*
 
«Capitano?»
 
La voce di Julio la ridestò dai suoi pensieri. Volgendo la propria attenzione verso l’altro, lo osservò stiracchiarsi stancamente, gli occhi inumiditi dal sonno, in essi viva la speranza che a breve i compagni si sarebbero svegliati per cambiare turno di guardia: né Emma, né Stecco, né Killian – che avrebbe potuto dormire, ma non era riuscito nell’intento – erano stati di alcuna compagnia, avvolti in una coltre di silenzio così pesante che aveva costretto il giovane ad alzarsi di frequente per tenersi sveglio. Ella sorrise nel vederlo sbadigliare per l’ennesima volta e con un cenno del capo lo invitò a parlare.
 
«Sto tentando di ricordare la canzone preferita di Henry, quella che vi abbiamo sentito cantare spesso sulla Nostos,» disse con innocenza e il sorriso sulle labbra del capitan pirata si fece più ampio. Julio era un giovane di un’ingenuità disarmante, nato in un villaggio in cui si faticava ad uccidere perfino la selvaggina, e prenderlo come membro della sua ciurma le era costato notti di riflessioni: non aveva mai pensato che potesse sopravvivere a bordo della Nostos, ma si era sentita in dovere di dargli un’occasione, perché, a suo tempo, Diego e Stecco avevano fatto lo stesso con lei, consentendole di raccontare loro la sua storia e appoggiandola come capitano dal primissimo istante. Lì, aveva appreso, come prima lezione da pirata, che tutti meritano una possibilità. «Vi dispiacerebbe cantarne un pezzetto?»
 
La bocca di lei si schiuse, pronta a proferire un rifiuto, ma qualcosa la costrinse a fermarsi. Da quando aveva fatto ritorno all’accampamento, seguita a distanza di mezz’ora dal tenente Jones, non era riuscita a staccarsi dal pensiero del figlio, oramai immune alle parole che Killian le aveva sputato addosso. Eccezion fatta per un iniziale tentennamento, infatti, si era infine convinta che nulla avrebbe potuto distrarla dal suo proposito e che, sì, probabilmente non era la madre che Henry avrebbe meritato, ma avrebbe fatto quanto era in suo potere e perfino di più per diventarlo. E, mai come quella sera, lo aveva sentito vicino. I suoi occhi vagarono brevemente per l’accampamento, ignorando la figura di Killian accovacciata al di là del fuoco, e trovarono ciò che cercavano: Stecco le sorrise e ammiccò nei suoi confronti.
 
«Non fatevi pregare, capitano,» le disse quest’ultimo. «Non vorrete mica farci pensare che gli abitanti di Durin meritino una vostra esibizione più di noi!»
 
Ridacchiando, Emma alzò le mani al cielo in segno di resa. «Non sia mai,» fece lei con espressione significativa. «Ma solo un pezzetto!»
 
In quel momento, un gufo – forse lo stesso che Emma e Killian avevano udito in prossimità del fiume – bubulò con insistenza e, con una risata entusiasta, Stecco prese a fregarsi le mani. «Abbiamo spettatori, capitano!»
 
Emma rise brevemente e inspirò, mentre si metteva a sedere di poco più vicina al fuoco. Le fiamme calde, spasmodicamente protese verso un cielo notturno a malapena visibile tra le trame degli alberi, illuminarono il suo bel viso tumefatto e qualcosa si mosse nel ventre di Killian: il senso di colpa per aver perso il controllo ed essere arrivato al punto di colpirla; il disgusto per ciò che ella gli aveva rivelato sulle vicende di Poreia e per la leggerezza con cui lo aveva fatto, parlando di persone cui, nel bene o nel male, era stata affezionata; il timore che ella potesse avere ragione sul fatto di essere rimasto corrotto dal tempo trascorso con lei; il senso di colpa per le parole che le aveva rivolto…
 
So, you can keep me
Inside the pocket of your ripped pants*
Holding me close until our eyes meet
You won’t ever be alone

 
La sua voce risuonò melodiosa e calda come ciascuno di loro la ricordava, così piacevole che Julio dimenticò la sensazione di sonnolenza che, da ore ormai, non aveva smesso un solo istante di tormentarlo; e forse dipendeva dall’ambientazione, forse dal fatto che, nel chiudere gli occhi, Emma avesse messo tutta se stessa nel pronunciare quelle brevi frasi, forse dalla consapevolezza di essere un passo più vicini a recuperare la personcina che aveva influenzato ogni loro scelta e movimento, ma ci fu qualcosa di infinitamente più suggestivo in quella breve esibizione rispetto a quanto non fosse avvenuto a Durin.
 
Emma ricordò la prima volta che aveva intonato quelle stesse note al cospetto di Henry. Spiegargli che sarebbe stata lontana tutto il giorno fino a sera e che lui sarebbe dovuto rimanere in compagnia della vicina e della sua prole non era stato semplice e non aveva riscosso alcun successo; calde lacrime avevano riempito i grandi occhi color nocciola di quello che non era stato un bambino di più di quattro anni e, benché avesse annuito, era stato evidente che la prospettiva di avere cibo migliore in tavola non avrebbe lenito il dolore di vederla andare via. Scossa da una reazione che, nella sua inesperienza adolescenziale, Emma non si era aspettata, vederlo ciondolare per casa con un gioco tra le mani e l’espressione cupa che tanto lo aveva reso somigliante a lei le aveva spezzato il cuore. Così, quella stessa sera, nel metterlo a letto, gli aveva fatto una promessa che aveva spazzato i timori dal piccolo cuore coraggioso di lui.
 
And if you hurt me,
it’s okay baby, there’ll be worse things
inside these pages you just hold me,
And I won’t  ever let you go

 
Gli aveva promesso che sarebbe tornata sempre da lui, che nulla li avrebbe separati e che nessun broncio, nessuna marachella, nessun impiego sarebbe mai stato abbastanza per tenerli lontani, neppure l’inesperienza. Da quel momento, Emma aveva cominciato ad intonare quella canzone più spesso di quanto non si fosse aspettata, così spesso che non aveva mai dovuto neppure appuntarne i versi: quanto tornava da lavoro perché la sentisse arrivare, quando le urla di nonno Jack - che non era nemmeno degno di essere chiamato padre - lo spaventavano, quando litigavano per un motivo o per un altro, quando un incubo disturbava i suoi sogni.
 
Nel ripercorrere così dettagliatamente i passi del loro rapporto, come mai si era concessa di fare fino ad allora per paura di non farcela, l’emozione prese il sopravvento e i suoi occhi dovettero riflettere il tumulto interiore, perché Ulan, che aveva creduto addormentato fino a quel momento, allungò un braccio per afferrarle una mano e, facendola sobbalzare, se la portò alle labbra per lasciarvi un bacio. Emma ricordava distintamente che proprio lui fosse stato uno dei più scettici sulla sua nomina a capitano, ma che, allo stesso tempo, la sua lealtà non avesse mai vacillato dal momento in cui l’aveva riconosciuta come suo eguale e superiore.
 
Wait for me to come home
Wait for me to come home
Wait for me to come home
Wait for me to come home

 
Nel momento in cui tacque, la mano ancora stretta tra le dita callose di Ulan, e il suo sguardo raggiunse ciascuno dei membri della sua ciurma, la giovane realizzò che non soltanto quella fosse la sua famiglia, ma che senza di loro non sarebbe mai riuscita a portare a termine la missione. E, nel partorire quella considerazione, il suo sguardo si fermò su Diego che, steso sul pavimento, ammiccò brevemente in sua direzione prima di tornare a dormire.
 
«Sai cos’ho appena realizzato, Ulan?» fece d’un tratto Stecco, smorzando la tensione patetica degli ultimi minuti. «Che deve essersi messa a cantare per convincerci a non tagliarle la gola e ad accettarla come capitano,» aggiunse senza aspettare che l’altro gli desse il via libera. «Per tutte le meduse, era uno scricciolo di ragazzetta con lo sguardo assetato di sangue. Non c’è altra spiegazione.»
 
Ulan ed Emma risero, mentre lei scioglieva la mano dalle presa dell’altro e tornava a sistemare il mantello in modo tale che la riparasse dal freddo. «Io dico che è figlia di Hank. Ricordi le parole del vecchiaccio?»
«“Nessuno tocchi la ragazza o dovrà vedersela con me. Ha fatto la pelle al panzone e ha diritto di essere capitano. Queste sono le regole”,» gli fece il verso Stecco, sporgendo esageratamente il mento in avanti per riprodurne voce e fattezze.
 
Emma rise, raggomitolandosi appena contro il pavimento per trattenere il calore corporeo. «Io dico che, visto che ti è passato il sonno, caro Ulan, sia il caso di sostituire Julio e concedergli qualche ora di riposo,» disse, prima di mettersi nuovamente a sedere per evitare che il sonno, in guardia già da qualche minuto, la sopraffacesse. Piano, si accostò alla carcassa di un albero che Diego aveva trovato lungo la strada per il fiume quando vi si era recato per togliersi di dosso il sangue di Harold, e che aveva trascinato fino al punto di ritrovo. «Julio, tra moglie e marito non mettere il dito. Va’ a dormire!»
 
Julio la ringraziò con lo sguardo e accolse prontamente l’invito che gli era stato rivolto, prima che Stecco aggiungesse: «Brutta, piccola balorda!» L’imprecazione dello smilzo pirata risuonò per l’accampamento, strappando un sorriso assonnato al capitano. «Quest’uomo qui si è scopato un intero villaggio da cima a fondo,» aggiunse con indignazione.
 
«Che moglie pulita hai trovato, Ulan! Non si limita a spazzare casa, ma l’intero villaggio.» Il pirata scoppiò a ridere, mentre, in uno scatto collerico, Stecco gettava la fiaschetta contro il pavimento e la guardava con risentimento. «Forza, non te la prendere!» Gli sorrise con dolcezza, ma il suo sguardo brillò di furbizia. «Avete appena detto che sono la figlia di Hank. Ve lo siete meritato!»
 
A quel punto, dopo essersi scambiati un rapido sguardo, sia Stecco che Ulan scoppiarono a ridere e ben presto la fiaschetta fu recuperata per brindare senza uno specifico scopo. Gli occhi di Emma percorsero l’accampamento e, per la prima volta da quando erano rientrati dalla piccola spedizione sulle rive del fiume, incrociarono quelli del tenente Jones. Il contatto fu più lungo e intenso di quanto Killian non si fosse aspettato, ma nessuno dei due cedette alla consapevolezza di aver ferito l’altro in maniera profonda. Quando entrambi distolsero lo sguardo ed Emma chiuse gli occhi per concedersi qualche istante di riposo, l’uomo sospirò e fece altrettanto con l’amara consapevolezza che, non importava quanto spregevole ella potesse essere, non avrebbe mai dovuto abbassarsi al suo livello. Prima di sprofondare nel sonno - un sonno fatto di incubi in cui perdeva ogni possibilità di arrivare da Liam -, il canto di lei fu tutto ciò risuonò nella sua mente e, impossibilitato a liberarsene, per l’ennesima volta ebbe l’impressione che ella lo avesse corrotto.



___________________________________________________________________________________
Spazio dell'autrice:

Non sono morta. Chiunque ne avesse avuto il dubbio - o avesse pensato che la storia potesse non trovare una fine - tiri un sospiro di sollievo! Non ho dimenticato voi, né la piccola ciurma che procede verso Telos. E' solo che la sessione esami, soprattutto se inframmezzata dalle vacanze, può essere davvero devastante. In tutto questo, giuro di avervi pensati spesso e di aver sperato di trovare il tempo per scrivere ogni sacrosanto giorno, ma non c'era verso.

Ad ogni modo, eccoci ritornati con un capitolo che, come avrete capito, è più un'introspezione su Emma e sui suoi sentimenti, un piccolo passo verso la soluzione all'enigma che da sempre si è posta dopo essere diventata un pirata: merita di tenere Henry con sé, SE e quando riuscirà a salvarlo? E aggiungerei che è un piccolo trattato celebrativo dell'amore che li lega. Finora, non abbiamo visto molto del loro rapporto o di quello che c'è stato - prevalentemente perché sono interessata a mostrarvi quello che sarà -, ma ho pensato che, se c'era qualcosa che mancava nella storia fino ad ora, era una dimostrazione del legame che intercorreva tra questo bambino e questa mamma-ragazzina. Spero lo abbiate apprezzato.
Quanto al rapporto con Killian, credo che tutti voi avessero immaginato un risvolto non troppo felice, considerati i crimini di cui lei si è macchiata e gli ideali di lui. Ma vorrei chiedervi una cosa: che ne pensate della reazione violenta che ha avuto? Nel metterla per iscritto, una parte di me era divisa tra il comprenderlo e il condannarlo e mi domandavo come l'avreste presa voi. Quindi, se vi va, fatemelo sapere con un commento o sul link della mia pagina Ask [http://ask.fm/AllAboardWithCS]!

Infine, come sempre, ci terrei a ringraziare le persone che hanno scritto e commentato: Cloris84, EmmaJones, pandina, Emma09 e MartiM_04. Adoro i vostri commenti e ho amato vedere il vostro sgomento rispetto alle vicende che avevo messo per iscritto. Il risultato che volevo ottenere era esattamente quello e sono contenta di esserci riuscita. Ora che ci penso, chissà se l'avreste schiaffeggiata anche voi Emma! :P Comunque, grazie, grazie, grazie, grazie di cuore per i vostri complimenti, per il vostro sostegno e per trovare sempre qualche minuto del vostro tempo da dedicare alla mia storia. E' il regalo più grande che potreste mai farmi! <3
Un ringraziamento speciale va anche a Michele, la ragazza che mi ha scritto in pagina chiedendo quando avrei postato il prossimo capitolo. Non so il motivo, ma il tuo commento è stata la molla che ha fatto scattare l'ispirazione. Quindi, il merito di questo capitolo è anche un po' tuo e mi auguro di non averti delusa. 
Buona lettura!

*L'asterisco è per indicare che ho modificato leggermente il testo [pants, anziché jeans com'è nell'originale] per ovvie ragioni di attinenza alla storia. Ed Sheeran mi perdoni! E ho posizionato il link prima dell'effettiva "esibizione" perché è con quella in sottofondo che ho scritto la scena. A discrezione vostra se seguirmi o meno. ^_^

Ritorna all'indice


Capitolo 14
*** Le parole se le porta via il vento ***


Capitolo XIV
Le parole se le porta via il vento
 
«Non osate mai più metterle le mani addosso o giuro che vi stacco la testa con le mie mani.»
 
Il ringhio basso di Diego, convincente come pochi altri uomini avrebbero mai potuto essere, risuonò minaccioso a pochi centimetri di distanza dal viso di Killian, che il pirata aveva ben pensato di scaraventare contro la corteccia di un albero per poi issarlo di qualche centimetro da terra, le dita grandi e tozze strette attorno al maglione del tenente. I loro occhi sʼincontrarono a mezzʼaria, nel poco spazio che li separava, e il messaggio passò forte e chiaro, arrivando laddove era necessario che giungesse. Mai come in quel momento, il più minuto dei due comprese quanto Diego, nonostante la sua indole tendenzialmente pacata e ragionevole, potesse essere pericoloso e, ancora di più, realizzò la gravità del gesto che aveva compiuto la sera prima: la persona che aveva innanzi era conosciuta per la sua imparzialità e, benché nella maggior parte dei casi non gli fosse possibile sindacare una decisione del suo capitano, tutti sapevano che fosse uno dei pochi, se non lʼunico, a dire la verità ad Emma, anche e soprattutto quando questa non aveva intenzione di sentire ragioni.
 
Non che Killian avesse bisogno di conferme per comprendere quanto deplorevole fosse stata la sua condotta. Nella veglia come nel sonno, la sua mente era stata infestata dal biasimo e dalla delusione che la sua coscienza non aveva mancato di fargli presenti: suo padre, sua madre, i suoi nonni, nonché Liam avrebbero provato vergogna nel saperlo autore di un simile gesto, ma nessuna indignazione avrebbe potuto essere più grande di quella che egli stesso si era costretto a provare, una volta che la foga del momento era scemata e l’aria fredda della foresta lo aveva aiutato a prendere consapevolezza delle sue azioni. A nulla erano valse le giustificazioni che si era fornito, le ragioni che aveva addotto in sua discolpa, perché erano servite soltanto a rendere più chiaro un particolare che aveva voluto ignorare per tutto quel tempo: non la odiava, non ci riusciva e dubitava che ne sarebbe stato in grado. Neppure tornare con la mente all’eccidio di cui ella si era resa autrice, sterminando gli uomini che Killian aveva portato con sé per darle la caccia la sera del ballo, era bastevole a far sorgere in lui un simile sentimento.
 
Quando Diego lo lasciò andare, strattonandolo malamente prima di voltarsi e dirigersi nuovamente verso l’accampamento, il tenente sospirò di sollievo e con noncuranza si passò una mano sul volto stanco. Liam mi sarà debitore a vita se mai sopravvivrò a tutto questo, borbottò tra sé mentre imboccava lo stesso percorso per il quale il pirata lo aveva preceduto. Giunto a destinazione, le sue sopracciglia si inarcarono nel notare l’inusuale silenzio improvvisamente calato sul gruppo, un silenzio teso e stranamente eloquente che lo spinse ad avvicinarsi ad Emma, accucciata in prossimità del tronco che Diego aveva trasportato fino all’accampamento: l’idea era stata quella di creare una barriera per respingere qualunque creatura avesse avuto intenzione di avvicinarsi per far loro la festa e, per ottenere un simile risultato, avevano disseminato tanti, piccoli fuocherelli tutt’attorno il perimetro della radura.
 
In silenzio, si chinò sulle ginocchia fino ad affiancarla. «Abbiamo trovato il trio,» esordì lei con pacatezza, prima che Killian potesse avanzare qualsiasi domanda, e, se aveva avuto intenzione di stupirlo, c’era decisamente riuscita, «a meno di mezzo miglio da qui.»
 
«Spiegatemi,» si limitò a dire, chiaramente consapevole degli sguardi sospettosi che indugiavano su di lui, pronti a scattare al minimo segno d’ira per metterlo al suo posto. Non che Emma avesse bisogno di alcuna protezione, ma il tenente sapeva quanto affezionati al loro capitano fossero quegli uomini, in un modo che, dovette ammetterlo, mai nessuno era stato a lui all’infuori di Liam. «Come è successo e come avete intenzione di procedere?»
 
«Mentre dormivate, stamattina, alle prime luci dell’alba, io e Stecco ci siamo avventurati per un breve giro di perlustrazione,» Emma si volse a guardarlo e Killian non riuscì a scorgere alcun segno di risentimento negli occhi di lei, «e ci siamo spinti più in là di quanto non avessimo avuto intenzione di fare. Stavamo per tornare indietro, quando abbiamo udito dei bisbigli, come di qualcuno non proprio vicino ma abbastanza lontano perché la conversazione risultasse incomprensibile alle nostre orecchie. Fortuna ha voluto che fossimo stati particolarmente guardinghi e che ci fossimo mossi con particolare cautela, cosa che non posso dire di ieri sera.» Lo sguardo di lei si perse un attimo nel vuoto, mentre piegava la bocca in un’espressione delusa, come se la mancanza di accortezza del giorno prima non potesse che pesare interamente su di lei. «Avrei dovuto pensarci,» disse, alludendo al fatto che, fino a quel momento, in base alle informazioni datele da Olly, si era convinta che il trio avesse intrapreso il sentiero più lungo, lo stesso che, passando di nuovo per Weston, avrebbe costeggiato la foresta fino a salire la montagna; ed era sulla base di quella convinzione che non aveva minimamente pensato di usare una maggiore attenzione, intimando a se stessa e ai suoi uomini un comportamento che desse meno nell’occhio. Alzandosi per mettersi a sedere sul tronco e chinarsi appena in avanti, i loro volti alla stessa altezza, proseguì: «Non poteva essere altrimenti: che senso avrebbe avuto arrivare fino a Poreia per poi fare retromarcia, se la loro destinazione era Telos sin dall’inizio? Doveva essere per forza la foresta la loro unica alternativa.»
 
Killian fece segno di no col capo ed Emma sospirò. «Sappiamo che Harold fosse a conoscenza di tutto da prima che noi arrivassimo, non è così?» Ella annuì, scrutandolo con curiosità. «Era ed è tuttora plausibile pensare che fossero in combutta. Arrivare fino a Poreia avrebbe potuto essere un ottimo diversivo se, come avete detto voi, Harold contava di sviarvi: mentre noi ci saremmo affannati alla ricerca di Telos, il trio che avevamo seguito avrebbe potuto svignarsela e arrivare a destinazione con tutta calma.» Le sopracciglia di lei si mossero a formare un’espressione di nitido stupore: non aveva avuto il tempo, né la voglia per renderlo partecipe delle informazioni che il proprietario della Scodella Pimpante le aveva fornito prima di essere brutalmente seviziato e il fatto che le sue conclusioni fossero, nonostante tutto, sì verosimili era lodevole. «Cosa c’è?» chiese lui, notandone la perplessità.
 
Emma sorrise pigramente. «Siete un uomo brillante, più di quello che sembra,» fece candidamente lei e Killian ridacchiò, sollevato e turbato al contempo dall’assenza di astio dell’altra.
 
«Senza considerare,» aggiunse qualora le rassicurazioni precedenti non fossero state abbastanza, «che, per quanto ne sapevamo, Telos avrebbe potuto essere un’invenzione del nostro amico. Com’è che lo chiamate voi? Il maniaco dei roditori.»
«Ah-ah,» esordì Emma con cipiglio vittorioso, «avete dubitato anche voi dell’attendibilità dell’affermazione.»
 
«Beh,» fece lui con l’espressione di chi è stato colto in fallo ma con lo stesso sollievo di chi temeva ripercussioni mai presentatesi, «non è facile non farsi contagiare dal vostro pessimismo. Il trucco sta nel non farlo notare.»
 
Emma rise, limitandosi ad annuire sommessamente, poiché sapeva che non avrebbe potuto contraddirlo, non stavolta. E qualcosa di nuovo, uno strano tepore in grado di contrastare il gelo che la notte e le insicurezze avevano portato col loro arrivo, si accese in lei nel realizzare quanto duramente il tenente si sforzasse di combattere quelle stesse titubanze con le quali era solita tormentarsi, quanto arduamente fosse disposto a mettere in chiaro che, no, non aveva commesso una mancanza imperdonabile ma una semplicissima svista. Nel momento in cui i loro occhi si incontrarono per l’ennesima volta, il pirata lo osservò schiudere le labbra come per dire qualcosa, ma non glielo concesse.
 
Tirando su la mappa, punto il dito sulla sua superficie e fece scorrere l’indice sulla mappa. «Telos è al di là del fiume,» disse indicano la rozza cancellatura che Harold vi aveva apposto e sulla quale ella aveva inciso a chiare lettere il nome della loro destinazione, «Julio e Diego sono andati a dare un’occhiata e un temporale è in arrivo, il che significa che dev’essersi già abbattuto sulla città e che il letto del fiume si sia ingrossato,» gli spiegò e Killian scorse l’inquietudine crescere negli occhi di lei, così acuta che avrebbe voluto allungarsi appena per stringerle le mani, ma non osò farlo, non dopo quello che era accaduto. «La corrente non è troppo forte e l’acqua è ancora ad un livello accettabile,» proseguì, ma non fu abbastanza. «Dobbiamo arrivare prima di loro, Killian, e ci sono due modi per farlo.»
 
Il contenuto dell’ultima frase pronunciata da Emma fu così lampante che il tenente non poté impedirsi di sospirare. Possibile che l’unica soluzione per lei plausibile contemplasse necessariamente uno spargimento di sangue? Eppure, si disse, qualcosa era cambiato, per una ragione che non era ancora in grado di vedere: aveva vagliato un’ipotesi alternativa, ma, soprattutto, lo aveva reso partecipe dei loro movimenti. Lo sguardo di Killian corse lungo l’accampamento, soffermandosi sui visi minacciosi dei pirati, e comprese che fossero pronti a tirare fuori il pugnale al primo cenno che Emma avesse fatto loro. Così fedeli, così spietati.
 
«Sanno di noi?» domandò indistintamente e Stecco annuì piano, il sigaro ancora tra i denti anneriti dal tempo e da tutto ciò che era seguito ad esso. «Non posso fermarvi, ma non posso unirmi a voi,» disse infine, tornando in posizione eretta ed evitando accuratamente di incrociare lo sguardo di Emma, la cui espressione ridente era sfuggita alla sua attenzione. Soddisfatta, costei ammiccò in direzione del quartetto, prima di alzarsi, prendere il mantello e metterselo sulle spalle. «Deduco che ci vedremo a Telos, se tutto va bene.»
 
«In bocca al lupo, Jones,» fece Stecco e con un gesto secco gli lanciò una delle torce che avevano usato dalla partenza, mentre Ulan e gli altri si chinavano a raccogliere le borse. «Non si dica mai che i pirati sono di cuore arido!»
 
Tutti colsero l’occasione per lasciarsi andare in una grassa risata che, in realtà, nascondeva un divertimento di tutt’altro genere, e Killian dovette annusarlo perché i suoi occhi cercarono Emma e vi trovarono la conferma ai suoi sospetti: si stavano prendendo gioco di lui. Che avessero intenzione di guadare il fiume? E, se la risposta fosse stata affermativa, avrebbero lasciato il trio a briglia sciolta col rischio di essere preceduti nella corsa verso la salvezza di Henry? Qualcosa non quadrava.
 
«O tenente, siete così incredibilmente ingenuo da fare tenerezza!» L’espressione di lei aveva recuperato buona parte dell’attitudine da canaglia che tanto le apparteneva, pur non smentendo le insicurezze di poco prima. Emma era fatta così: nutriva la convinzione che qualunque debolezza meritasse la possibilità di prendere una boccata d’aria, ma, per quel che valeva, doveva essere spazzata via il momento successivo. E quale migliore soluzione se non quella di prendersi gioco della preda che aveva designato come sua preferita da che si erano incontrati? «Dopo tutto questo tempo, non ditemi di aver pensato sul serio che io e Stecco, avendoli colti in flagrante, potessimo lasciar correre,» disse e ammiccò in direzione del compagno di malefatte. «Non li abbiamo menomati o uccisi,» si affrettò ad aggiungere con espressione di finto timore, lanciando un rapido, significativo sguardo alla mano di lui che significava tutto e niente insieme: implicava che non aveva dimenticato il gesto della sera prima, ma, al tempo stesso, l’espressione giocosa smentiva la possibilità di qualunque risentimento.
 
«Cosa ne avete fatto, allora?» azzardò lui ed Emma fece un cenno del capo in direzione di Stecco, così da fargli intendere che sarebbe stato lo smilzo pirata a fornirgli le spiegazioni che cercava.
 
Quando Killian volse la propria attenzione verso l’altro, lo vide fregarsi le mani con soddisfazione: «Legati come salami, Jones! Se non foste dritto come uno stoccafisso quando si tratta di principi e robe di quel tipo, vi avrei mandato a chiamare per una sfida a chi fa il nodo più saldo in meno tempo.»
 
Il tenente sospirò, alzò gli occhi al cielo e, agguantando la sacca a lui più vicina, si incamminò verso il fiume, borbottando maledizioni su “stupidi pirati fuori di testa” e lamentandosi col fato per averlo punito tanto duramente da averlo indirizzato verso la Nostos. Con un coro di risate, gli altri lo seguirono e il loro buonumore si mantenne per un buon tratto di strada, finché, giunti sulla riva del corso d’acqua, non furono costretti a quietarsi. Il livello del fiume era cresciuto ancora e la corrente si era fatta evidentemente più intensa. Killian cercò Emma con lo sguardo e vi trovò la maschera di fredda risolutezza che ci si sarebbe aspettati da un capitano in un momento simile.
 
«Ho bisogno che mi ascoltiate,» disse e il suo tono fu così perentorio che perfino il tenente sentì l’impulso di scattare. «Madre Natura ci ha fatto il grandissimo favore di darci qualche buon centimetro in altezza e, se ci affrettiamo, non dovrebbe essere un grosso problema arrivare all’altra riva.» I pirati annuirono e furono sul punto di rompere le righe per controllare quale fosse il punto migliore ove tentare l’attraversamento, ma Emma li trattenne. «Non è tutto,» esclamò e, nel farlo, estrasse nuovamente le prospettazioni geografiche, prima di tornare a guardarli. «Potrebbe essere estremamente pericoloso arrischiarsi ad attraversare il fiume e non soltanto voglio che tutti ci riescano incolumi, ma voglio anche che queste mappe vengano portate per prime sull’altra sponda nel caso in cui qualcosa dovesse andare storto: qualunque cosa accada, fosse anche uno solo di noi a sopravvivere a questa foresta, Henry dev’essere tratto in salvo.» Le espressioni sui volti dei presenti trasmisero una perplessità e un timore del tutto legittimi, ma non furono necessarie domande perché, dopo un grosso sospiro, la giovane riprese: «Sono il capitano e, come capitano, sarò l’ultima a lasciare questa sponda, una volta che voi sarete al sicuro dall’altro lato.»
 
Un sorriso increspò le labbra di Killian nel sentire quelle parole, poiché realizzò che, a dispetto delle innumerevoli volte in cui lui ed Emma si erano scontrati in merito, quella regola accomunasse marina e pirateria. «Cosa c’entra questo con la storia delle mappe, capitano? Nessuno di noi morirà per attraversare un fiumiciattolo che fa il gradasso. Siamo sopravvissuti all’oceano, per tutti i kraken!» La furia con cui Stecco pronunciò quelle parole, come se il solo pensiero di perdere qualcuno dei suoi compagni e, a maggior ragione, il suo capitano fosse in grado di fargli perdere ogni forma di autocontrollo, agitò gli animi dei presenti, ma Emma rimase impassibile e ricambiò il suo sguardo con fredda consapevolezza. «Non avremo bisogno delle mappe, perché voi ci porterete a Telos e sempre voi salverete Henry e lo porterete a bordo della Nostos. E ci avrete al vostro fianco, nessuno escluso.»
 
«E’ quello il mio obiettivo, Stecco, ma non ho mai lasciato nulla al caso, né voglio farlo adesso,» disse brevemente, «e non sono stupida: Dio non mi ha concesso l’immortalità e qualcosa potrebbe comunque accadermi. E’ un discorso che vi avrei fatto alla locanda, se non si fossero aggiunte altre incombenze, un discorso di cui Diego è già a conoscenza.» Tutti si voltarono verso l’omone che, unico fra tutti, aveva mantenuto maggiore contegno alle parole con cui Emma si era introdotta. «Quando ho realizzato che avrei avuto bisogno del vostro aiuto, ho anche acquistato un’altra consapevolezza, quella che, per un motivo o per un altro, potrei non arrivare mai a Henry o non riuscire a farla franca. Sono anni che quest’uomo mi aspetta e deve avere in serbo per me un trattamento speciale.» Stecco fu sul punto di interromperla, ma un secco movimento della mano bastò a metterlo a tacere. «E conto di far fare a lui una fine penosa, che questo sia chiaro, ma esiste la possibilità che non sia io ad avere la meglio. Quindi, che si tratti di questo fiume e del modo di arrivare a Telos o di prendere Henry e tornare alla Nostos, voglio che siate pronti a farlo anche senza di me.»
 
«Tu sei d’accordo con tutto questo? Che Poseidone ti infilzi col suo tridente, figlio di una-»
 
«Stecco!» Il tono di lei fu funereo, intransigente e non fu necessario che compisse un passo in avanti per dare autorità all’ordine velato sotteso a quel richiamo, perché l’altro si arrestò. «Da quando è previsto che io chieda il permesso per fare quello che ritengo necessario?»
 
Fuori di sé, l’uomo scaraventò la borsa che aveva in spalla contro il suolo. «Da quando avete cominciato a farneticare, ecco da quando!» Julio trasalì al cospetto di cotanta insolenza e gli sguardi atterriti che intercorsero tra Ulan e Diego resero palese a Killian quanto pericolosa si stesse facendo la situazione. Era risaputo che Emma avesse più di qualche problema a tollerare imposizioni o ammutinamenti di qualsiasi genere. «Non avete mai, neppure per un secondo, dubitato che avreste avuto successo. Non vi ho mai sentita considerare neppure lontanamente l’ipotesi di una non riuscita e, adesso, questo. Non lasceremo che vi accada qualcosa, a costo delle nostre stesse vite, e lo stesso vale per Henry.»
 
A dispetto di qualsiasi timore, il capitan pirata mantenne un assoluto contegno e una calma quasi innaturale e un breve sorriso rispose: «Henry è l’unica cosa che mi preme, Stecco, e ho bisogno di sapere che-»
 
«Non avete bisogno di sapere un bel niente, se non che, senza di voi, quel ragazzino è perduto,» la interruppe bruscamente lo smilzo pirata, avanzando di un passo e mettendosi al centro del piccolo cerchio che avevano formato. «Cosa accadrebbe se, una volta salvato, lo portassimo con noi senza sua madre? La Nostos non avrebbe un capitano e lui crescerebbe come uno scellerato, senza una guida, tra un bordello ed un altro.»
 
A quelle parole, Emma sospirò nella consapevolezza di non poter pronunciare ancora le conclusioni alle quali era pervenuta - le stesse di cui Diego era a conoscenza -, perché i suoi uomini non erano pronti. «Non ho intenzione di morire per alcuna ragione al mondo, se è questo che temi, né di lasciare mio figlio in mano a nessun altro che non sia io,» chiarì lei e ci fu qualcosa di estremamente toccante nel modo in cui pronunciò quelle ultime parole, qualcosa di fiero che arrivò dritto al tenente Jones. «Ciò non toglie che quest’uomo potrebbe prendermi come prigioniera o chissà che altro, e voglio avere la certezza che porterete comunque a termine la missione, tenendo Henry al sicuro,» s’interruppe un attimo per raccogliere le idee e, nel frattempo, si guardò intorno. «In ogni caso,» fece e dal tono della sua voce tutti capirono che la questione era chiusa, «al momento mi preme arrivare oltre questo fiume e, nell’eventualità che non tutti riescano a guadarlo, voglio che gli altri proseguano verso Telos.»
 
Prima che Stecco sollevasse un’altra delle sue obiezioni, Diego intervenne prontamente: «Temete che la corrente possa farsi troppo forte e che un gruppo rimanga indietro?»
 
«Esattamente,» rispose Emma, allungando il braccio verso di lui per porgergli le carte. «Non ho intenzione di correre alcun pericolo: ci serviremo delle corde che si sono procurati Julio e Killian per assicurarci che la corrente non trascini via nessuno di noi.» Julio si affrettò a estrarre dalla borsa l’occorrente necessario a procedere in tutta sicurezza. «Tu sei il più alto, Diego, e sarai il primo a passare. Porterai con te una corda che useremo per legare doppiamente gli altri e, uno alla volta, ti seguiremo.» Ulan si accostò a Stecco e, costringendolo ad indietreggiare appena, gli sussurrò brevi frasi che  lo videro rassegnarsi con un sospiro rabbioso. «Qualora qualcuno non riuscisse a passare, gli altri dovranno proseguire e ci vedremo a Telos. Tentate di non dare nell’occhio e non fate mosse affrettate. Dobbiamo giocarcela bene!» Tutti annuirono, ma evidentemente non era ancora abbastanza. «Ho la vostra parola che, laddove mi accadesse qualcosa, procedereste comunque col piano e portereste Henry in salvo?»
 
«Sissignora!» La voce di Diego risuonò potente per quel tratto di vegetazione, rispedendo ogni dubbio al mittente e dando ad Emma esattamente ciò di cui aveva bisogno. «Henry sarà la nostra priorità assoluta e, se mai vi dovesse accadere qualcosa, rimanderemo ad un momento successivo il salvataggio o la vendetta.»
 
La giovane annuì con soddisfazione, prima che il suo sguardo si spostasse su Ulan e vi indugiasse fino ad ottenere ciò che desiderava. «Avete la mia parola, capitano,» le disse.
 
«E la mia,» aggiunse subito dopo Julio.
 
Quando gli occhi di lei incrociarono quelli di Stecco, un lungo, fitto silenzio calò su di loro e permase per diversi minuti, rimbombando delle considerazioni che agitavano ognuno dei presenti. Emma non avrebbe permesso a nessuno di disobbedire ad un ordine del genere, nemmeno ad uno degli uomini cui era più affezionata, e, sebbene Killian non temesse per l’incolumità di Stecco, era consapevole quanto il diretto interessato che ci sarebbero state delle conseguenze. Con ottime probabilità – e fu questo un pensiero comune all’intera ciurma -, si sarebbe trovato legato al tronco dell’albero più vicino, svenuto, senza avere alcuna possibilità se non quella di fare ritorno a Poreia e, da lì, dirigersi verso la Nostos e pregare che i suoi amici riuscissero nella missione. E dovettero essere quelle stesse considerazioni che, infine, lo costrinsero a chinare la testa in un gesto secco e a darle esattamente quello che tutti si erano aspettati: la sua parola.
 
«Bene,» fece lei a quel punto, «diamoci da fare.»
 
Quelle furono le ultime parole che Emma pronunciò, prima che il suo piccolo equipaggio si mettesse in moto per adempiere alle proprie mansioni. Lasciando a Killian il compito di formare un nodo stretto, imbracarono Diego e controllarono lo stato della fune per accertarsi che non ci fossero rischi di un’eventuale rottura; e quell’ultima fase fu decisamente la più spiacevole, perché ebbero modo di constatare che uno dei due cordoni fosse più eroso del previsto, al punto tale da rendere sempre più plausibile agli occhi di tutti quali timori avessero spinto la giovane a fare le osservazioni di poco prima. Le imprecazioni di Stecco alla scoperta di quella falla nel loro piano accompagnarono l’esecuzione delle fasi successive, ma non furono in grado di disturbarle. Anzi, riuscirono perfino a trovare il momento per farsi una sana risata, nel rimirare il modo in cui Emma aveva fissato le carte al capo di Diego, in maniera tale che fossero posizionate sulla parte alta della testa ma tanto da farlo somigliare ad una damigella aristocratica alle prime armi con le lezioni di portamento.
 
«E smettila di ridere, brutto idiota,» scattò Diego all’ennesimo sghignazzo di Julio, ma le sue minacce servirono a ben poco, perché il ragazzo non riuscì a trattenere nemmeno velatamente l’ilarità che quella scena pareva suscitare in lui. «Giuro che ti rompo quella testa di rapa, buono a nulla!»
 
«Forza, Diego, non prendertela,» intervenne Killian, intento a controllare per l’ennesima volta lo stato dell’imbracatura, tirando la corda per assicurarsi che i nodi fossero saldi abbastanza. «Liam, una volta, si prese una cotta per una ragazza che non aveva nemmeno un briciolo della grazia che hai tu,» disse e quel rincaro gli costò un’occhiataccia in piena regola, ormai lontani i dissapori legati al colpo inferto ad Emma nella consapevolezza che la minaccia fosse giunta al tenete forte e chiara. «E pensare che il nome avrebbe dovuto essere un’ottima avvisaglia,» commentò, ma suonò più come una riflessione fatta a voce alta che non come il prosieguo di una battuta. «Siamo pronti,» disse infine, voltandosi verso Emma.
 
Ella annuì al suo indirizzo e, mentre Diego si accostava al margine del corso d’acqua, gli altri afferrarono la fune, compreso il capitano che faceva bella mostra di sé come capofila. «Facci un segno quando sei pronto,» esclamò all’indirizzo dell’omone a pochi passi da lei, che annuì e si voltò appena verso il gruppo.
 
«Toglietemi una curiosità, Jones,» fece con un impercettibile sorriso sulle labbra. «Qual era il nome della ragazza?»
 
La bocca di Killian riflesse la modulazione assunta da quella del pirata. «Ermenegilda!»
 
Una grossa risata fu tutto ciò che precedette lo scroscio dell’acqua nel momento in cui Diego avanzò e fece il proprio ingresso con decisione nel flusso della corrente. La fune si tese tra le loro mani e, piantando fermamente i piedi sul terreno, il quintetto strinse la presa con decisione, osservando l’altro proseguire con risolutezza. Il timore che il letto del fiume potesse essere più profondo di quanto non avessero previsto con l’esplorazione mattutina venne presto sconfessato, quando videro Diego procedere per un buon tratto con l’acqua molto al di sotto delle ascelle, ma Emma non riuscì a tirare alcun sospiro di sollievo. Sapeva che quella era solo la punta dell’iceberg e ai suoi occhi non sfuggì la resistenza che il pirata dovette fare per combattere la corrente che minacciava di  trascinarlo via. Nell’istante in cui l’eco di un tuono risuonò nel cielo, tutto ciò che riuscì a pensare fu che il temporale si stava avvicinando con rapidità e che dovevano essere più rapidi, pur mantenendo lo stesso grado di sicurezza.
 
Nonostante tutto, fradicio e sfinito, Diego raggiunse l’altra sponda e, tentando di scuotersi l’acqua di dosso come poteva, non perse tempo a rimuovere l’imbracatura, permettendo agli altri di tirare la corda per l’attraversamento successivo e occupandosi, al contempo, di stringere i nodi dell’altra fune, quella che aveva portato con sé e che avrebbe usato per assicurare doppiamente i suoi compagni. Il suo sguardo, benché lontano, trovò quello di Emma e, pur controvoglia, dovette darle la risposta che costei si era aspettata: era assai probabile che non tutti riuscissero ad attraversare il corso d’acqua e questo significava che sarebbe stata proprio lei, in qualità di capitano, a rimanere indietro. Una parte di lui avrebbe voluto urlare che non fosse una buona idea proseguire, che fosse più saggio trovare una via alternativa e che lui li avrebbe aspettati a Telos, studiando luogo e situazione nell’attesa; ma sapeva di non poterlo fare, perché ricordava esattamente le parole che Emma gli aveva rivolto quando era riuscita a convincerla che chiedere l’aiuto dei suoi uomini non avrebbe reso la missione meno sua.
 
 “Io mi fido di te, Diego, e so che tu più di tutti, anche quando non condividi le mie scelte, ti sforzi di assecondarle non solo con il corpo ma anche con la mente,” gli aveva detto dopo essersi esibita in un grosso sospiro e la gravità di quelle parole aveva in qualche modo smorzato l’entusiasmo del pirata all’idea di averle strappato un sì affinché permettesse loro di raggiungerla e completare l’opera, insieme così come avevano iniziato. “Ci sarà un momento in cui avrò bisogno che tu ti fidi di me, pur laddove il buonsenso ti suggerisca di fare tutt’altro,” aveva continuato, “e sai bene che non potrai dire nulla agli altri”. A quel punto lo aveva guardato intensamente, come se volesse impedirgli non solo la fuga ma anche il tentativo, e infine aveva aggiunto: “Se mai dovesse succedere qualcosa e io non arrivassi a Henry o non riuscissi a fare ritorno sulla Nostos, porta mio figlio sulla nave, prendine il comando e falla salpare. E, se fosse vero che Liam è ancora vivo e il tenente Jones riuscisse a salvarlo, portali a Thrain e affidagli Henry, perché è il meglio che posso sperare per lui”. Quando i loro occhi si erano incontrati, ella gli aveva sorriso e Diego aveva compreso che l’idea di avere il supporto dei suoi uomini dovesse rallegrarla più di quanto lei stessa non si fosse aspettata. Facendo spallucce, aveva sussurrato “Non è cosa da pirati concedersi il lusso di guardarsi indietro: dovrete andare avanti”, dopodiché lo aveva congedato. Possibile che quel momento fosse già arrivato?
 
Con un’alacrità da far invidia, nel più sacro dei silenzi, il gruppo si mosse per adempiere alle fasi successive e Ulan e Stecco raggiunsero Diego senza troppe difficoltà, nonostante la stazza più minuta dei due avesse fatto temere un rallentamento. Il meccanismo era semplice: utilizzando la corda integra come imbracatura, la persona designata all’attraversamento procedeva con cautela e, una volta raggiunto il centro del corso d’acqua, gli veniva lanciata dalla sponda opposta la fune malandata perché se l’avvolgesse intorno come forma di assicurazione. E tutto andò esattamente secondo i piani, fin quando la sorte non si dimostrò loro avversa e amica al contempo, mettendo a repentaglio la vita di Julio ma evitando che si consumasse la tragedia. Appena pochi istanti dopo aver afferrato la corda che Diego gli aveva lanciato e averla assicurata ai fianchi, il temporale esplose sulle loro teste con violenza inaudita e questo non soltanto rallentò il giovane pirata, impedendolo nella vista e nei movimenti, ma ebbe come diretta conseguenza quella di far gonfiare il letto del fiume; un detrito, staccatosi dal fianco della montagna e trasportato per chissà quante miglia, si abbatté sulla fune tesa che Killian ed Emma stringevano tra le mani e, tranciandola di netto, finì per sbalzare sia loro che Julio: mentre i due cadevano al suolo e schivavano per un soffio il cappio che si rivoltava contro di loro come un serpente, il giovane cadde in avanti e ben presto venne sommerso dall’acqua.
 
«Julio!!!»
 
L’urlo di Stecco fu bastevole per risvegliare la mente di Emma dal tramortimento dettato dalla caduta e Killian fece appena in tempo a scorgerne la sagoma che tornava in posizione eretta, prima che ella si lanciasse in acqua con l’intento di soccorrere l’altro. Il suo proposito, tuttavia, non rimase che tale, perché, dopo averla raggiunta, le braccia del tenente la afferrarono saldamente per impedirle di proseguire.
 
«Toglietemi le mani di dosso,» urlò lei, ma Killian aveva già cominciato a trascinarla verso la riva, cosicché dovette cominciare a divincolarsi; e non fu una mossa brillante, considerata la furia dell’acqua. I suoi pensieri, le sue forze, tutta la sua tenacia erano, però, concentrate su Julio perché potesse capire quale rischio stava correndo a scapito della sua stessa incolumità. «Giuro che vi ammazzo con le mie mani!»
 
«Diego,» sbraitò Killian in tutta risposta, tentando di impedire che Emma fuggisse alla sua presa, «tiratelo fuori di lì, ora,» disse e il suo cuore perse un battito nell’osservare la testa di Julio che affiorava a tratti tra i flutti del corso d’acqua. Quell’attimo di distrazione bastò per permettere alla donna di assestargli un colpo tra le costole e il dolore e la carenza di ossigeno che seguirono furono sul punto di farle ottenere quello che voleva, ma con un coraggioso balzo il tenente fu di nuovo su di lei e, servendosi del proprio peso, la immobilizzò contro il suolo, dove l’acqua era davvero troppo bassa per dare fastidio o metterli in pericolo. «Non posso permettervelo,» le disse a denti stretti, osservando i lunghi capelli biondi di lei muoversi sinuosi nell’acqua, mentre la pioggia le sferzava il viso a ritmo incalzante, «morireste nel tentativo di salvarlo.»
 
Con uno sguardo di fuoco, ella si fece avanti quel tanto che la presa di Killian le consentiva. «Credo che spetti a me decidere se e come morire e salvare uno dei miei uomini è uno tra quelli che sceglierei, se mi fosse concessa la facoltà di farlo, ora come in futuro,» sbraitò e continuò a dimenarsi, la voce quasi flebile oltre lo strombazzo dei tuoni e dell’acqua.
 
«Sarà anche onorevole ma estremamente sciocco. Chi penserà a Henry?» Ma la sua domanda non ottenne l’effetto sperato, finendo, piuttosto, per accendere in lei il fuoco di un’indignazione ancora più grande, che tutta l’acqua di quel torrente non sarebbe bastata a sedare. «Avete detto che era la vostra priorità.»
 
«I miei uomini sono venuti qui per aiutarmi a salvare mio figlio, per aiutarmi a completare la mia missione e non perderanno la vita per un atto di codardia del loro capitano,» ribatté con vigore e la sfumatura bluastra che avevano assunto le sue labbra per il contatto col freddo dell’acqua attribuì una nota di solennità a quella constatazione. «Toglietevi di mezzo immediatamente,» ripeté, ma lo sguardo di Killian rimase impassibile.
 
«No.»
 
La tensione rilasciata da quella breve parola scorse tra loro con maggiore prepotenza del fiume stesso e fu manifestazione di un ennesimo atto di ribellione ai danni di Emma. E ci sarebbero state delle ripercussioni, Killian lo sapeva, perché, pur rimanendo sospeso tra le ciglia, riuscì ad intravederlo, il desiderio di fargli del male come ne aveva fatto a Harold. Ma non ci fu tempo per minacce di alcun genere, né per ulteriori imprecazioni: le urla del trio al di là del fiume attirarono l’attenzione del tenente Jones e del capitan pirata, distogliendo quest’ultimo dal proposito omicida che aveva finito per maturare. Impotenti, non poterono che limitarsi ad osservare Ulan entrare in acqua per afferrare la corda nel punto in cui minacciava di spezzarsi, mentre l’energumeno suo compagno raccoglieva la fune con solerzia. In pochi minuti, il corpo inerme di Julio venne tirato a riva ed Emma non riuscì a trattenere il sospiro di sollievo che venne a liberarsi dalla sua bocca, quando, colpito da una serie di ceffoni, il giovane riprese conoscenza e cominciò a tossire per espellere l’acqua ingollata.
 
 «Figlio di una crapa,» imprecò Stecco all’indirizzo del ragazzo, la mano levata pronta a colpire e il palmo della mano arrossato per le sberle che aveva tirato. Sia Emma che Killian risero, riuscendo solo ad immaginare in quali e quante altre bestemmie si stesse profondendo lo smilzo pirata oltre il trambusto dell’acqua, prima che l’attenzione di quest’ultimo si posasse su di loro. «Hey tu, levati di lì,» disse rivolto al tenente con un tono confidenziale che non gli aveva ancora riservato, tornando in posizione eretta e mettendosi le mani ai fianchi. «Non penserai di ingropparti il nostro capitano proprio adesso e davanti ai suoi uomini,» continuò e, mentre si sfilava dalla presa del tenente e tornava sulla terraferma, Emma non poté impedirsi di sorridere della ritrovata, pittoresca meschinità di Stecco.
 
Seguendo la giovane, Killian sorrise delle parole dell’altro, ma non ribatté. «Dobbiamo toglierci questi vestiti di dosso prima che ci prenda un accidente.»
 
Lo sguardo che ricevette come risposta fu più chiaro perfino del fulmine che anticipò le parole di lei. «Io e voi non abbiamo più niente da spartire, per quanto mi riguarda.» Un ringhio basso, minaccioso ad avvertirlo dello stato d’animo nel quale ella versava: non si trattava tanto delle azioni di cui l’uomo si era macchiato, quanto del fatto che si fosse trattato dell’ennesimo atto di ribellione ai danni di Capitan Swan; e il pirata doveva aver oltrepassato decisamente il limite di sopportazione che si era imposto, perché il suo essere vibrò della stessa follia primitiva che aveva cominciato a farsi spazio sovente da qualche giorno a quella parte. Come se più si avvicinassero a Henry e allo scontro che il suo ritrovamento e salvataggio richiedevano, più l’animo di lei si stesse preparando a fare tutto ciò che andava fatto, nessuna remora, nessun indugio. «Le nostre strade si separano qui, tenente.»
 
Ella lo oltrepassò, lo scricchiolio della pelle degli stivali zuppa d’acqua che la seguiva ad ogni passo. «Bene,» fece lui, voltandosi con le braccia aperte per poterla guardare negli occhi, ma Emma non si voltò e continuò a camminare. «Deduco di poter considerare parte del mio equipaggio la borsa che avrei dovuto trasportare sull’altra riva, visto che sono stato io a reperire l’occorrente.»
 
«Per quel che mi concerne,» scattò lei, furente, mentre tornava a incrociarne lo sguardo, «potete prendere quello che rimane della corda e impiccarvi all’albero che più vi aggrada, tenente.» La durezza di quelle frasi, benché gli costasse ammetterlo, lo colpì in pieno petto. Istintivamente, con le braccia stese lungo i fianchi, strinse i pugni e si morse la lingua. «Vi auguro buona fortuna
 
Il sorriso sardonico che gli rivolse, prima di girare sui tacchi e inoltrarsi nella foresta, fu l’ennesima, indisponente provocazione alla quale decise di sottoporlo: nascosto sotto le mentite spoglie di un buon augurio, gli aveva rivolto l’unica frase che un uomo di mare non avrebbe mai voluto sentirsi dire, poiché era presagio di grandi, atroci sventure. Chinandosi per prendere la sacca, passò la frazione di un secondo prima che l’uomo la scaraventasse nuovamente in terra in uno scatto d’ira che non fu in grado di controllare. Improvvisamente, l’incessante battere della pioggia non gli parve più tanto fastidioso, tanto simile al ritmo con cui il sangue aveva preso a scorrergli nelle vene, e dopo un po’ riuscì perfino a trovarlo distensivo. Quando recuperò il controllo dei suoi nervi e la padronanza di sé che tanto lo aveva contraddistinto nella marina, tornò ad imbrigliare l’agitazione di quegli ultimi istanti, recuperò ciò che rimaneva della borsa e, senza guardarsi indietro, oltrepassò la linea di alberi a lui più vicina, facendo ben attenzione a non imboccare lo stesso sentiero che Emma aveva intrapreso.
 
Sull’altra sponda, Diego, Ulan e Stecco si lanciarono un’occhiata carica di inquietudine, prima che quest’ultimo prorompesse con una delle sue frasi colorite: «Sarebbe stato meglio se se la fosse ingroppata, non è così?»
 
Nonostante tutto, risero.
 
*
 
C’erano volute tre ore, tre lunghissime e interminabili ore, prima che la situazione cominciasse a volgere per il verso giusto e il suo corpo e il suo umore riacquistassero parte dell’umanità alla quale si era così strenuamente aggrappato nell’ultimo anno. Nonostante le fronde degli alberi avessero costituito un’ottima copertura contro il frastuono della pioggia, accendere un fuoco si era dimostrato comunque più arduo del previsto e il fatto che fosse stato costretto a togliersi i vestiti e a starsene mezzo nudo in quell’inferno di foresta non aveva avuto come conseguenza che quella di incupirlo più di quanto già non fosse. Era frustrante la consapevolezza di essere ad un passo dallo scoprire quale fosse stata la sorte di suo fratello – e, con un po’ di fortuna, perfino riabbracciarlo – e trovarsi, al contempo, nella quasi impossibilità di compiere un solo passo in avanti.
 
Col trascorrere del tempo, tuttavia, la frustrazione si era trasformata in rassegnazione e la rassegnazione in caparbietà e il futuro non gli era più sembrato così nero come all’inizio, mentre un piano cominciava a prendere forma nella sua testa. Mangiucchiando con non troppa convinzione un pezzo di carne essiccata e del pane, realizzò che la sua priorità rimaneva trovare Emma e convincerla, nei limiti del possibile, a comportarsi da persona ragionevole; ma, a dispetto delle apparenze, non si trattava di una scelta di mera convenienza: sì, era l’unica in possesso di informazioni rilevanti sul percorso che li avrebbe attesi una volta giunti a Telos e, sì, aveva una mente brillante sulla quale valeva la pena fare affidamento, eppure era il pensiero di saperla sola in quella enorme foresta a disturbarlo almeno quanto la consapevolezza di essere, a sua volta, sprovvisto di copertura. E, se c’era una cosa che non avrebbe potuto che accomunare tanto un pirata quanto un soldato della marina, era convenire che procedere in due per un terreno ad entrambi estraneo fosse decisamente più lungimirante che non proseguire separatamente.
 
Con un ultimo sospiro rassegnato, Killian accese la torcia in suo possesso e coprì le braci con un po’ di terriccio per assicurarsi di non dar vita ad un incendio, mentre prendeva quella che, in base ai suoi calcoli, non poteva essere che l’unica strada in grado di condurlo ad Emma. Il bubolare dei gufi, misto al rumore delle fronde mosse dal vento, lo accompagnò lungo tutto il percorso, ma non fu in grado di scoraggiarlo o intimorirlo. C’era qualcosa nella situazione in cui si trovava che gli ricordava il passato, quei giorni non ancora popolati dal mare e durante i quali aveva dimostrato una spiccata propensione per l’avventura. Riusciva a vedere ancora, stampato a fuoco tra le sue memorie, il sorriso fiero del padre quando lo portava con sé, ora a piedi ora in sella ad un cavallo, per mostrargli tutto ciò che, a sua volta, aveva appreso dai suoi antenati. A distanza di tanti anni, di quel nucleo familiare così unito e pacifico non rimanevano che lui e Liam, lo sapeva.
 
Fu con una certa sorpresa che, dopo una buone mezz’ora di cammino, incuriosito da una serie di rumori che lo avevano costretto a spegnere la torcia per ragioni di prudenza, il tenente trovò esattamente ciò che aveva cercato: china in prossimità di un modesto focolare, vi era Emma Swan in tutta la sua impudente, disinvolta bellezza. Nascosto dietro il tronco di un grosso albero, Killian scrutò la scena e non poté fare a meno di notare, tra le altre cose, che la giovane fosse riuscita a trovare un cambio d’abiti nel tempo che avevano trascorso separati. Indossava un paio di pantaloni color sabbia di una o due taglie più grandi, una camicia da uomo che aveva fissato in vita con la una sottile stringa di cuoio e un gilet maschile che le cadeva addosso come fosse un largo giaccone. Con i capelli ormai asciutti e naturalmente ondulati, il tenente non poté fare a meno di ammettere che quel vestiario maschile le donasse quasi quanto il completo in pelle che era solita indossare. Se solo fosse stata appena più docile o, per non chiedere troppo, ragionevole! Non mi pare ti sia lamentato dell’altra notte o del mattino successivo, insinuò una vocina nella sua testa e probabilmente Killian avrebbe anche ribattuto, se qualcosa non avesse attratto la sua attenzione. Assottigliando lo sguardo e prestando una maggiore attenzione, realizzò di avere già visto quei vestiti e la sua intuizione ebbe conferma subito dopo.
 
«Ma la volete smetterla di lagnarvi?!» Le parole di Emma – e l’esasperazione di cui erano pregne – giunsero al tenente più nitide che mai, mentre la osservava alzare gli occhi al cielo, il viso arrossato dalla vicinanza col fuoco. «Voi siete la ragione per cui le donne sono sottovalutate,» disse, rivolta a qualcuno che Killian non fu in grado di vedere ma di cui intuì facilmente l’identità.
 
«Qua non si tratta di essere uomo o donna: voi siete più spregevole di qualunque essere umano io abbia mai incontrato,» ribatté una voce femminile, che la disperazione e il pianto resero più acuta della norma. Emma scosse il capo con esasperazione e Killian non poté trattenersi dal sorridere. «Li avete quasi uccisi!»
 
A quel punto, il pirata si voltò verso l’altra. «Non c’era altro modo per ottenere quello che volevo,» fece lei, raccogliendo un legnetto e cominciando ad agitarlo in direzione della sua interlocutrice quasi come monito, «e farete bene a tenere a freno quella vostra linguaccia o mi farete pentire di non aver iniziato da voi e aver risparmiato i vostri due amici.»
 
A quel punto, era abbastanza evidente – nonché brillante, Killian dovette ammetterlo – quale fosse stato il piano che Emma si era proposta di realizzare dal momento in cui si erano separati. Bagnata fradicia, infreddolita ed impossibilitata a perdere tempo, ella aveva fatto ricorso all’unica risorsa sulla quale avrebbe potuto contare: il trio che, insieme a Stecco, aveva messo fuori gioco nell’intento di guadagnare un vantaggio su di loro e arrivare prima a Telos. Una volta tornata al punto in cui li aveva lasciati, non aveva dovuto fare altro che costringerli a cederle i loro vestiti e darle le informazioni che desiderava, le stesse che il tenente non aveva e che, insieme a quelle che ella aveva strappato a Harold e Olly giù alla locanda, lo rendevano dipendente da lei sullo svolgimento della missione. Se anche fosse arrivato a Telos grazie al nitido ricordo della mappa, quale sarebbe stato il passo successivo da compiere per scoprire dove fosse Liam? Emma era l'unica che avrebbe potuto fornirgli la risposta a un tale quesito.
 
«Ci avevano messo in guardia da voi,» continuò imperterrita la donna.
 
«Dolcezza, provate ancora a sfregare la corda contro la corteccia e vi ritroverete col culo sulle braci, intesi? Se sperate di distrarmi con le vostre chiacchiere, vi avverto che non avrete successo.» Il bastoncino oscillava ancora, dando l’impressione che il capitano fosse annoiato da quello stupido tentativo di fargliela sotto il naso. «Credevo che Capitan Swan meritasse qualcuno di più sveglio, perdio! E, invece, mi ritrovo un branco di scimmie ammaestrate che sono riuscita a mettere nel sacco due volte in meno di un’ora e mezzo,» si lagnò, ma era evidente che un pensiero la turbasse perché, quando si fu voltata nuovamente verso il fuoco, lunghe rughe le solcavano la fronte.
 
«Ci ucciderete?»
 
Un lungo, stanco sospiro fu tutto ciò che Emma si concesse, prima di risponderle. «E’ proprio quello che sto tentando di capire e, credetemi sulla parola, il vostro ciarlare mi sta dando qualche spinta verso la direzione che io prediligo per carattere.»
 
«Suppongo che-» fece la donna, la voce incrinata dal pianto, «suppongo che non ci sia nulla che io possa fare per farvi cambiare idea,» proseguì, tirando su col naso, e Killian si preparò ad intervenire, qualora il pirata avesse optato per la soluzione più drastica. «E lo so che è un tentativo disperato chiederlo proprio a voi, ma anche i pirati concedono di esprimere un ultimo desiderio, no?» I singhiozzi, a quel punto, la sopraffecero e tanta disperazione colpì Emma che, distogliendo l’attenzione dalle fiamme, tornò a guardare l’altra con espressione curiosa. «Una volta arrivata a Telos, dareste a mia figlia la collana che porto al collo?»
 
La curiosità si tramutò ben presto in incredulità. «Davvero state chiedendo al vostro carnefice di avvicinarsi a vostra figlia?»
 
Killian, che aveva cautamente abbandonato il suo nascondiglio iniziale e raggiunto la fila di alberi più vicina allo spiazzo ove si trovava Emma, vide la stessa donna che avevano osservato per giorni a Poreia sorridere tristemente all’indirizzo del pirata. Emanavano da lei una rassegnazione ed un’amarezza in grado di rendere quel freddo, piovoso mattino d’autunno più malinconico di quanto già non fosse.
 
«Sono l’unica famiglia che le è rimasta, come a me non resta che fidarmi della vostra parola, qualora accettaste,» le confessò con cautela, quasi temesse che ogni sua parola potesse essere male interpretata dalla sua interlocutrice.
 
«Se siete tutto ciò che ha, perché siete qui adesso?» Nella domanda che Emma le pose, il tenente riuscì a scorgere il biasimo che, a lungo, ella aveva rivolto a se stessa dopo aver perso Henry per aver commesso l’errore di allontanarsi e lasciarlo al padre. «Perché non siete rimasta con lei, lontana da tutto questo? Se conoscete così bene la mia fama, perché andare incontro ad una morte certa?»
 
La donna lanciò un rapido sguardo in direzione dei due uomini svenuti a qualche metro da lei, prima di tornare a concentrare la propria attenzione sul pirata. «Perché volevo che avesse di più,» mormorò, gli occhi nuovamente pieni di lacrime, prima di schiarirsi la voce e continuare. «La vita che potevo offrirle era mediocre, ma sarei riuscita a sopportarlo se non avessi saputo che anche lei avrebbe fatto la mia stessa fine. Vivere di stenti in un paesino di montagna, finire per sposare un uomo di cui non si è innamorati e avere da lui dei figli che seguiranno le vostre orme. E’ un circolo vizioso e io non potevo permettere che continuasse.» La confessione fu così struggente e sincera che Emma ne fu toccata, memore di aver provato gli stessi timori, il medesimo senso di colpa e impotenza neppure troppi anni prima. «Con un po’ di fortuna e sacrificio, sarei riuscita a mettere su una bella sommetta per andarmene da Telos e ricominciare altrove, magari prendere anche una nave e andare in un posto completamente diverso.»
 
«Perché non un lavoro qualunque? Perché proprio questo?» la incalzò il pirata.
 
«E lo chiedete? Per una volta nella vita, mi si presentava la possibilità di guadagnare qualche soldo senza essere sfruttata e umiliata da qualche riccone,» fece ed Emma annuì quasi inconsapevolmente. «Ma dovevo immaginare che c’era poco da fidarsi. Era troppo bello per essere vero!»
 
L’espressione di Emma e quella di Killian riflessero la stessa curiosa perplessità. «Che intendete?»
 
«Che i soldi mi erano stati promessi alla fine di ogni giro di ricognizione, ma non è stato così. Dopo il primo, siamo tornati per chiedere il nostro compenso e ci è stato negato: solo quando voi vi foste fatta viva avremmo ottenuto quello che ci spettava.» Il capitan pirata sospirò profondamente nel realizzarsi quale e quanto grande fosse stato il raggiro ai danni di quella donna, la cui ingenuità e i cui sogni avevano finito per coinvolgerla in un piano decisamente più grande di lei. «E l’accordo era che nessuno si sarebbe potuto tirare indietro, se non con la morte.» 
 
«Sapete per quale ragione quest’uomo mi vuole a tutti i costi?» le chiese Emma, ma l’altra fece segno di no con la testa. «E suppongo che non l’abbiate mai neppure incontrato…»
 
«E voi come fate a saperlo?»
 
Emma alzò le spalle e le sorrise con estrema condiscendenza, al punto che l’altra arrossì per il tacito rimprovero che la donna le rivolse. Il boato di un tuono scosse la foresta e il pirata parve distratto da esso, tornando alla realtà e alla consapevolezza che non poteva attardarsi ancora. C’erano delle cose che aveva bisogno di sapere, altre che doveva risolvere e tutto questo con un unico pensiero stampato a fuoco in mente: Henry.
 
«Datemi qualche altra informazione e potrete fare ritorno da vostra figlia.» Gli occhi della donna, per la prima volta da che avevano incontrato quelli freddi e taglienti di Capitan Swan, si accesero di speranza. «Quale percorso avevate intenzione di seguire per arrivare a Telos?»
 
«Beh, volevamo attraversare il ponte dei fantasmi, ma con questo tempo era praticamente impossibile e-» fu sul punto di spiegare, quando l’altra la interruppe.
 
«Dove si trova?»
 
«Voi non capite: è un ponte piccolo e, anche se ha resistito tutti questi anni, sarà probabilmente sommerso in buona parte dal letto del fiume. Avevamo pensato di tornare indietro, quando ci avete trovati, perché è troppo pericoloso.»
 
«Come lo raggiungo?» insistette Emma e qualcosa, nella perentorietà con cui avanzò quella domanda, rese chiaro all’altra che non sarebbe stato saggio non darle ciò che voleva.
 
«Dovete semplicemente risalire la montagna e seguire il corso del fiume. E’ quasi ad un giorno di cammino da qui, in un punto in cui il corso si restringe, ma la corrente è più vigorosa.»
 
A quelle parole, il capitano della Nostos si alzò in tutta la sua statura e, gettando il legnetto nel fuoco, rimase con lo sguardo fisso tra le fiamme per una buona manciata di minuti. Killian comprese che si stesse preparando per la fase successiva della propria missione, una fase che sembrava richiedere un ulteriore sforzo, sia in termini di energie che di tolleranza. Quando parve ottenere ciò di cui necessitava, ella si voltò e, raggiungendo la donna, si chinò finché i loro volti non furono esattamente alla stessa altezza. Pur a distanza, il tenente scorse gli effetti che l’autorità di Emma avesse sugli altri.
 
«Non fatemi pentire di quello che sto per fare e, se mi conoscete di fama anche solo un po’, saprete che il mio non è solo un avvertimento ma una vera e propria minaccia.» La donna deglutì vigorosamente, il cuore che tamburellava nel petto al ricordo del modo in cui Emma aveva quasi soffocato i suoi compagni di viaggio, pur di ottenere le informazioni che, all’inizio, erano stati tanto sciocchi e ostinati nel volerle negare. «Non ho tempo di appurare se e quanto buone siano le intenzione di quei due,» disse con un breve cenno del capo agli uomini svenuti alla destra del fuoco, «perciò, sarete sola: ho intenzione di lasciarvi andare e consentirvi di fare ritorno a Poreia, ma a mani legate. Vi suggerisco di correre e di farlo più in fretta che potete. Confido che conosciate questi boschi abbastanza bene da sapere se, dove e quando prestare attenzione e, per esperienza, vi consiglio di far uscire dalla vostra bocca le urla più stravaganti che vi sia mai capitato di udire, altrimenti le bestie della foresta tenteranno di fare un buon pasto con la vostra carne.» Incredulo, Killian ascoltò le parole dell’altra e non avrebbe saputo dire se fosse più sgomento per il fatto che avesse deciso di lasciarla andare o per le condizioni che le stava imponendo. «Una volta arrivata a Poreia, decidete voi cosa fare: se tornare con qualcuno a salvare i vostri compagni o lasciarli morire qua. In ogni caso, quando avrete stabilito come procedere in questo senso, prendete un cavallo e tornate da vostra figlia prima che potete. Con un po’ di fortuna, me ne sarò già andata quando ciò sarà accaduto.»
 
«Io… Perché?» non poté fare a meno di chiedere la donna, ma Emma non rispose.
 
Si limitò, invece, a sorriderle e a farle un occhiolino, prima di voltarsi in direzione opposta a quella in cui si trovavano e domandare a voce più alta: «Avete obiezioni, tenente?»
 
L’uomo rise, colto in fallo. Ovvio che Emma sapesse della sua presenza, ovvio che nulla che si fosse avvicinato tanto al luogo ove si trovava potesse sfuggire alla sua attenzione. Mentre Killian si allontanava dall’albero dietro le cui radici si era appostato e avanzava per venire definitivamente allo scoperto, l’espressione già confusa della donna assunse delle connotazioni di vero e proprio sbalordimento nel prendere visione della sagoma in penombra che avanzava verso di loro. Nella sua mente, stordita dalle parole che il pirata le aveva rivolto pochi istanti prima, aveva preso a rimbombare un ulteriore, gigantesco quesito: tenente?
 
«E’ stato sciocco da parte mia pensare di poterla fare franca, eh?» disse una volta raggiunto il fuoco, gettando una rapida occhiata ai due uomini seminudi alla sua destra. Dovette ammettere che la descrizione di Stecco, come al solito, rendeva giustizia alla realtà: sembravano davvero due salami. «Devo prepararmi ad un duello?»
 
Emma lo squadrò con espressione dura, a tratti arcigna, prima di accostare il pugnale che stringeva tra le mani alla corda che legava le caviglie della sua prigioniera e tagliarla di netto. «Non ho tempo da perdere con voi,» fece, prendendo la donna per una spalla e aiutandola ad alzarsi. «Siete l’ultimo dei miei problemi!»
 
«Vi ho salvato la vita. Un grazie sarebbe gradito,» la rimbrottò, ma, quando i loro sguardi si incontrarono, non vi fu segno di ilarità o leggerezza in quegli occhi così diversi.
 
«La mia vita non è mai stata di vostra competenza, Jones, e mi pare di ricordare un vostro giuramento sul fatto che avreste seguito alla lettera qualunque ordine vi avessi dato in merito alla missione.» La vibrazione nella voce di lei diede alla donna la certezza che la fama di Capitan Swan non constasse di mere parole e, nell’avercela accanto, tutto lo stupore che aveva provato a suo tempo, nello scoprire che il capitan pirata più temuto dell’ultimo decennio fosse una ragazza, non poté che svanire. «Ma suppongo che avrei dovuto aspettarmelo: non ci si può fidare di voi viscidi serpenti!»
 
«Fino a prova contraria,» ribatté prontamente lui, il muscolo della mascella che vibrava nel gioco di luci e ombre creato dal fuoco, «ricordo di aver aggiunto che non vi avrei assecondata, se vi foste lanciata in una missione suicida. E quella lo era!»
 
In preda ad un’ondata d’ira, Emma compì un passo in avanti e, nel farlo, strattonò inconsapevolmente la sua prigioniera, stringendo la presa che esercitava sul braccio di lei fino a farla guaire. Come scossa da quel suono, il pirata allentò la presa, incrociò brevemente lo sguardo dell’altra e si scusò tacitamente, senza pronunciare alcuna parola. Costei le sorrise brevemente, negli occhi quel timore reverenziale che solo Capitan Swan avrebbe potuto suscitare perché, alla paura, si mescolavano spesso la sorpresa e l’ammirazione.
 
«Qual è il nome di vostra figlia?» chiese con tono autoritario.
 
«D-Davina, capitano,» rispose l’altra e trasalì nel rendersi conto dell’appellativo con il quale le si fosse rivolta, ma Emma le sorrise, dandole la certezza di non aver compiuto nulla che altri non avessero fatto prima di lei. «Il mio è Flora.»
 
«Andate adesso e non guardatevi indietro, finché non sarete al sicuro a Poreia,» le disse e il modo in cui lo fece rese sufficientemente chiaro agli occhi di Flora che si trattasse di un ordine vero e proprio. «E vi consiglio di non usare una sola parola gentile nei miei confronti, se non volete che vi mettano al rogo o sbattano al fresco e gettino la chiave. Le ferite che ho inferto a quel paesino grondano ancora di sangue.»
 
Flora schiuse le labbra come a voler dire qualcosa, ma dovette cambiare idea poco dopo, perché si limitò ad annuire e, dopo essersi guardata brevemente intorno e aver incrociato lo sguardo dell’uomo cui l’altra si era rivolta con tanto disprezzo, cominciò a correre senza mai voltarsi. Emma si disse che, con un po’ di fortuna, il frastuono del temporale avrebbe nascosto i rumori prodotti dall’altra alle bestie che abitavano la foresta e che, dopo anni di ronde per quegli stessi territori alla ricerca del capitano della Nostos, il fatto che conoscesse tanto bene il luogo avrebbe potuto aiutarla ad arrivare sana e salva a destinazione.
 
«Cos’avete intenzione di fare con questi due?» La voce del tenente arrivò fastidiosa alle orecchie di lei e, voltandosi, lo trovò chino sugli uomini svenuti. «Com’è possibile che stiano ancora dormendo, dopo tutto il fracasso che avete fatto e con questo freddo?»
 
Con una certa condiscendenza, Emma si mosse in direzione dell’altro fino a raggiungerlo. «Ho dato loro una mistura di erbe soporifere che li terrà fuori gioco ancora per qualche ora.» Le sopracciglia dell’uomo si inarcarono, ponendole una tacita domanda, e la donna sospirò esterrefatta. «Se proprio temete che qualcuno possa sbranarli, caricateveli in spalla e legateli sul ramo di un albero.»
 
«Cosa?!»
 
Il pirata fece spallucce, chinandosi sulla borsa che Killian aveva portato con sé per estrarne un pezzo di pane e morderlo. «Per tutte le meduse, sa di muffa!» L’espressione disgustata con cui guardò ciò che aveva tra le mani avrebbe potuto suscitare ilarità in un’altra circostanza, ma il tenente rimase ad osservala con la fronte corrugata finché non ottenne ciò che voleva. «Jones, se dipendesse da me, li lascerei attorno al fuoco giusto per non farli morire di freddo e me ne andrei, ma so che voi non ne sareste mai in grado. Quindi, visto che siete grande e grosso abbastanza, questa è l’unica alternativa che mi viene in mente.»
 
Il cipiglio severo di Killian non si modulò in toni più leggeri. «Quindi, devo dedurre che mi lascerete venire con voi…»
 
Emma sospirò per l'ennesima volta. «Spiegatemi che senso avrebbe procedere per conto mio con la consapevolezza di avervi alle calcagna. Dovrei mettere in atto una pantomima o perdere tempo nel tentativo di stendervi? Non ne vedo il motivo.» Le sue parole furono così taglienti nel realismo di cui erano impregnate che il tenente dovette distogliere lo sguardo e concentrare la propria attenzione altrove, inspirando ed espirando abbondantemente per mantenere la calma. Come quella sera alla Scodella Pimpante, avrebbe voluto prenderla, sbatterla contro una superficie e farle capire che quell’atteggiamento non le avrebbe fatto ottenere nulla, non con lui. «Il fatto che procederemo insieme non cambierà la situazione: le nostre strade si manterranno separate, perché i nostri obiettivi sono diversi.»
 
«Ricordo di avervi fatto una promessa, qualche sera fa,» disse lui, alzandosi per fronteggiarla in tutta la sua imponente figura. «Vi ho dato la mia parola che vi avrei aiutata a salvare Henry.»
 
Emma sorrise di una presunzione irritante. «Le parole se le porta via il vento, tenente.»
 
Stavolta, fu lui a trattarla con condiscendenza, mentre compiva un passo avanti e riduceva la distanza tra loro. «Non so che genere di uomini frequentiate, Capitan Swan, ma noi Jones non veniamo mai meno alla parola data.»
 
Ella lo osservò attentamente, una smorfia indisponente stampata in viso quasi a volerlo sfidare, e Killian poté sentirla ancora una volta crescere tra loro, la tensione che aveva dominato il loro rapporto da quando si erano incontrati. In un istante, riuscì a visualizzare nitidamente le immagini del loro percorso e fu estenuante: l’incontro nella taverna, il ballo al palazzo, lo scontro a fuoco tra le due navi, il periodo trascorso sulla Nostos, la sera alla taverna di Durin, la scazzottata sul molo e il mancato affogamento, la sera in cui ella lo aveva drogato ed era fuggita, il momento in cui l’aveva ritrovata, la Scodella Pimpante per arrivare, infine, al momento che stavano vivendo. Imperturbabile, la vide avanzare per ridurre ulteriormente le distanze tra i loro corpi, il sorriso più ampio adesso su quel volto femminile che suo fratello Liam aveva paragonato a quello di un angelo.
 
«Avete venti minuti di tempo per sistemarli, dopodiché procederò senza di voi.»


 _____________________________________________________________________________________________
Spazio dell'autrice:

Ce l'ho fatta, finalmente! E spero di essermi fatta perdonare per l'attesa, perché credo che questo sia il capitolo più lungo che abbia mai scritto per Nostos. A dire il vero, mi sta anche venendo il dubbio che possa essere esageratamente lungo e stancarvi, ma mi auguro che riusciate a godervelo comunque.
Diciamo che la ragione di questo capitolo è fondamentalmente semplice: l'ho partorito sia per rendere le cose un po' più difficili, sia per lasciare soli Emma e Killian e vedere come riusciranno a cavarsela adesso che lei è più Capitan Swan di quanto non sia mai stata dal momento in cui si sono conosciuti. In questi ultimi capitoli, il gioco si era fatto più semplice per il tenente Jones con una Emma più umana e leggermente più fiduciosa nei suoi confronti e in molti abbiamo apprezzato questo cambiamento. Però, non solo a me non piacciono le cose facili, ma diciamo che ho un debole per la versione più selvaggia di lei che porta, al contempo, in auge la parte più moralista di Killian. E' un po' come fare un salto nel passato con una sottile ma rilevante differenza: adesso, lui sa come prenderla e lei, pur a malincuore, non può più semplicemente scrollarselo di dosso, dopo avergli promesso di condurlo da Liam. Inoltre, credo l'abbiate capito anche voi, le cose si complicano perché più lei si avvicina ad Henry, più le due versioni che convivono in lei cominciano a farsi prepotentemente avanti: vorrebbe redimersi per essere una buona madre senza, d'altra parte, rinnegare Capitan Swan. E' un macello, sì, ma va tutto a beneficio di Killian. Se se la gioca bene, potrebbe riuscire ad aprire una breccia nel cuore arido di lei. Dite che può farcela? :P

Detto questo, i miei ringraziamenti vanno a chi ha letto e, ovviamente, a chi ha commentato. <3
Grazie a Cristina ed Elisabetta che mi hanno detto cosa pensavano su FB e mi hanno fatto tanto sorridere con i loro commenti. So che vi sto facendo un po' penare, ma credo che questo fosse abbastanza chiaro sin dall'inizio della storia, viste le loro differenze. Forse, avrei dovuto metter qualche "Warning Labels" in più, ma spero mi perdoniate. :)
Ma un ringraziamento speciale va a Pandina perché quello che ha scritto è la realizzazione di speranze che non osavo neppure nutrire: la speranza che qualcuno cogliesse così bene e così a fondo la dinamica tra Killian ed Emma e i due personaggi singolarmente presi.  A volte, nutro il timore di non essere abbastanza chiara nello spiegare quello che ho in mente per entrambi, ma il tuo commento, Pandina, ha davvero dissipato tanti dei miei dubbi. Con un commento, non hai riassunto solo un capitolo ma 13 capitoli di una storia le cui parole scorrono oramai da un intero anno. E mi hai emozionata e mi emozioni ogni volta che leggo quel commento. Grazie di cuore! <3 

Detto questo, fatemi sapere cosa ve n'è parso e se questo viaggio verso Telos è di vostro gradimento.
Buona lettura!


P.S. Potrebbe esserci ancora qualche errore, ma devo proprio scappare. Prometto di sistemare entro domani! :*

 

Ritorna all'indice


Capitolo 15
*** Quello che conta è il viaggio ***


Capitolo XV
Quello che conta è il viaggio

 
«Abbassatemi la camicia, tenente.»
 
Erano stati gabbati, ancora una volta e ancora stupidamente, così stupidamente che Emma non aveva potuto fare a meno di chiedersi come fosse mai possibile. Lei, che di quell’avventura aveva calibrato ogni singolo spostamento senza mai lasciare nulla al caso e che si era impegnata a farlo per la bellezza di cinque anni, era stata messa nel sacco due volte nel giro di una settimana. La ferita che scoprire del tradimento di Harold le aveva inferto bruciava tuttora, dandole l’impressione di aver allentato la presa che si era sempre ripromessa di esercitare sul destino proprio nel momento in cui avrebbe dovuto rinvigorirla; e l’ennesima sorpresa presentatasi dietro l’ennesimo angolo fu decisamente troppo da sopportare per una persona che, come lei, aveva lottato strenuamente per conservare l’umanità che le era rimasta. Sicché finì per perdere il controllo e la (pur sottile) linea di demarcazione tra Emma e Capitan Swan smise di esistere, lasciandole capire che, in fondo, non erano altro che la stessa persona.
 
La peregrinazione di Killian ed Emma aveva impiegato una gran parte della giornata, proprio come Flora aveva preannunciato, e le tenebre erano già scese sulla foresta quando i due avevano raggiunto il punto designato all’attraversamento. Riflettendo a mente fredda, il pirata si disse che probabilmente quel particolare non avesse deposto a loro favore, poiché le torce delle quali ella e il tenente si erano muniti avrebbero reso impossibile il funzionamento di qualunque cautela: a prescindere dalla rumorosità del loro incedere, dovevano aver attirato l’attenzione dei tre molto prima che giungessero a destinazione, a causa del baluginio delle fiamme che aveva permesso ad entrambi di rischiarare il percorso ed evitare che cadessero rovinosamente sul suolo accidentato.
 
Quando, dopo un viaggio che era parso non avere fine, stremati da un sentiero tutto in salita che scalava il fianco della montagna, la loro ricerca era terminata, l’inaspettato li aveva colti in flagrante e la capacità di reazione che erano stati in grado di mostrare in molteplici occasioni era venuta meno. Mentre sostavano in prossimità del ponte per studiare il piano migliore per arrivare sulla sponda opposta, un trio di (quelli che avevano scoperto essere) mercenari li aveva assaltati senza dare loro possibilità di contrattaccare e, così, non avevano potuto che arrendersi. A distanza di tre ore o poco meno, a notte già inoltrata, il capitan pirata e il tenente erano riusciti a dedurre tutta una seria di informazioni: il signorotto nemico di Emma era venuto a conoscenza, in un modo che ancora non erano riusciti a spiegarsi, del loro avvicinamento a Telos tramite la foresta e aveva disposto che una piccola pattuglia impedisse il loro avanzamento; gli uomini che componevano il drappello non erano stati informati dei caratteri sessuali del loro nemico, men che meno della sua ferocia; Telos non doveva distare molto dal ponte dei fantasmi.
 
Lo scatto che fece il capo di Killian nell’udire una tale richiesta, mentre quegli occhi azzurri si puntavano su di lei con perplessità e una punta di sgomento, la costrinse a sorridere, malgrado tutto. Negli abissi di quelle iridi, così limpide a tratti ma, da tempo, puntellate da tinte più fosche, Emma lesse la preoccupazione per la situazione nella quale si trovavano, il desiderio di giungere ad una soluzione plausibile che li liberasse quanto prima e la curiosità destata in lui dalle parole che le aveva appena sentito pronunciare. Lanciando una rapida occhiata  in direzione della piccola comitiva radunata attorno al fuoco, il capitan pirata si accertò per l’ennesima volta del loro stato: il liquore li aveva resi insolitamente allegri, preda dei loro istinti più primordiali, e la vicinanza col falò aveva accelerato un processo che, altrimenti, non si sarebbe mai attivato, mettendo in circolo l’alcool e lasciando che facesse il suo corso. Con cautela e nei limiti consentiti dalle corde che le stringevano polsi e caviglie, Emma si protese verso il tenente.
 
«Sono a un passo dallʼessere sbronzi e neppure da sobri sono delle cime, se pensano che Capitan Swan siate voi.» Killian non poté esimersi dal riprenderla con lo sguardo, ma dovette ammettere con se stesso che l’agguato al quale erano stati sottoposti mancasse di preparazione: come potevano sperare di catturare il capitan pirata più ricercato degli ultimi cinquant’anni senza conoscerne l’aspetto? Ammesso e non concesso che sapessero davvero chi avevano davanti, rifletté Killian d’un tratto. «Dunque, basterà attirare l’attenzione di uno di loro, mostrargli qualche curva e sperare che sia sufficiente a farglielo rizzare.»
 
L’espressione del tenente si fece ancora più accigliata. «Quindi, la nostra salvezza dipende da quanto sarete in grado di eccitarlo? Bene, siamo messi davvero bene,» brontolò, sospirando e guardandosi intorno come alla ricerca di un’alternativa migliore.
 
A fronte corrugata, perlustrò il paesaggio circostante, prestando particolare attenzione all’accampamento improvvisato ad alcuni metri da loro, e realizzò la veridicità di quello che aveva intuito sin dal primo istante: non soltanto quei tre erano assolutamente all’oscuro del piano che stavano servendo, ma erano anche in attesa di qualsivoglia istruzioni. Questo implicava che, a differenza del gruppo di cui Flora aveva fatto parte - che era stato addestrato a depistare qualunque tentativo di avvicinamento da parte del famigerato Capitan Swan e, nel contempo, a pattugliare le zone da Durin a Telos per segnalare un eventuale avvistamento -, la scelta di assoldare dei mercenari fosse stata una decisione dell’ultimo momento. E, benché Killian smaniasse per comprendere chi fosse il demonio che aveva trovato tempo e modo per far viaggiare una simile notizia dopo lo scempio consumatosi a Poreia, realizzò che tale circostanza rimaneva comunque un punto a loro vantaggio.
 
Quando nessuna alternativa all’idea della donna giunse in suo soccorso, la sua attenzione si spostò nuovamente su Emma, ma ella poté affermare con assoluta certezza che l’altro non approvasse ancora il suo piano. «E, ditemi un po’, come dovrei abbassarvi la camicia?» chiese, facendole notare gli spessi legacci che gli impedivano i movimenti.
 
Un guizzo di malizia si accese negli occhi di lei, mentre le labbra si curvavano appena verso l’alto. «Usate un po’ di fantasia, tenente, un po’ di quella che avete dimostrato di avere sotto le coperte.»
 
La bocca di Killian si schiuse, a mano a mano che la distanza con il corpo di lei diminuiva, ed Emma non poté ignorare il brivido che le corse lungo la schiena. A ben poco servì ripetersi che nulla aveva a che fare con l’aspettativa del proprio corpo al tocco di lui, poiché, quando i denti di questi si chiusero sul leggero tessuto e, nel farlo, le sfiorarono la pelle, seppe che l’elettricità di cui erano preda il suo animo e le sue membra non poteva essere attribuita al desiderio di vendetta che contava di far abbattere sui suoi carcerieri. Quella che stava provando era una sensazione viscerale, arcana che aveva già sperimentato e che, per un brevissimo istante, la costrinse a rivivere la notte che aveva trascorso insieme al tenente alcuni giorni prima; era un turbamento che aveva gli stessi contorni del furore che aveva guidato le sue azioni durante quelle ore. Fu un attimo e, mentre Killian le scopriva la spalla, tirando a sé la camicia affinché le scivolasse lungo la pelle, i loro sguardi s’incontrarono e ricordarono ad entrambi una circostanza che si erano incaparbiti ad ignorare: non importava quanto aspro fosse il disprezzo che capitava loro di provare rispettivamente l’una nei confronti dell’altro, poiché il desiderio latente sotteso a una tale, vivida esecrazione reciproca non avrebbe mai soggiaciuto ad alcuna delle loro riserve, mentali o morali che fossero.
 
«Volete che scenda ancora?» domandò, un sorriso sornione che indugiava sulla bocca schiusa, mentre gli occhi arroventati dalla passione sondavano il verde di lei.
 
E quell’istante fu come un’epifania! A malincuore ammise che, per quanto potesse ostinarsi a negarlo, Emma aveva in parte raggiunto l’obiettivo del quale lo aveva reso partecipe alla locanda di Durin, la sera in cui lo aveva baciato. Gli aveva promesso di lasciargli la vita per il semplice gusto di stravolgerla, distorcendo i contorni della persona che era sempre stato e della quale si era vantato, e vi era riuscita. Il Killian Jones di un anno prima non avrebbe mai lasciato spazio all’ardore in un momento che richiedeva unicamente concentrazione e prudenza.
 
«Io direi che dovreste allontanarvi immediatamente, se vogliamo che il mio piano funzioni.» S’interruppe un attimo e si lasciò scappare un sospiro, presagio di quello che avrebbe dovuto fare. «Fingete di dormire.»
 
Killian indugiò solo un istante prima di annuire brevemente e, con la stesa smorfia compiaciuta, accondiscendere alla di lei richiesta. Il profilo della giovane, illuminato appena dai riflessi caldi del fuoco che bruciava a diversi metri dalla loro posizione, parve più incantevole nella risolutezza della quale si stava caricando: il tenente riuscì a scorgerli, i mattoni di quel piano che, sistemandosi metodicamente l’uno sull’altro, la rendevano pienamente padrona della situazione; ed ebbe perfino l’impressione di vederlo, Capitan Swan ergersi in tutto il suo fiero, implacabile, spietato splendore, pronto a dare ai suoi nemici ciò che meritavano. Ma Killian Jones, soldato della giustizia, come avrebbe potuto lasciare che quanto riusciva a leggerle negli occhi accadesse, anche laddove fosse stato l’unico modo per ottenere la libertà?
 
Gli occhi verdi di lei, così brillanti nel buio della notte, rimasero fissi sul profilo dell’uomo che aveva intenzione di sedurre, lo stesso che più degli altri aveva subito gli effetti della sua bellezza. E la perseveranza del pirata diede presto i suoi frutti, poiché, qualche istante dopo, la visione che si presentò allo sguardo di costui accese istinti che l’alcool si era soltanto limitato a pungolare; e ciò al punto tale che la presenza di Killian, il quale non aveva fatto in tempo a fingersi addormentato, passò completamente inosservata. Come un pirata attratto dal soave canto di una sirena – e l’ironia dell’immagine non avrebbe potuto essere più acuta, considerata l’identità di lei - , l’uomo si alzò e senza indugi la raggiunse, chinandosi sulle ginocchia quasi a volersi accertare che la vicinanza non gli desse la triste consapevolezza di saperla miraggio.
 
Ed, in effetti, Emma aveva tutta la beltà di quelle leggendarie creature. Benché provata dagli accadimenti degli ultimi giorni, infatti, ella conservava la venustà dei suoi anni e il fare intrepido di chi ha combattuto per guadagnarsi da vivere: la folta chioma bionda si snodava in onde sinuose, incorniciando un viso dalle labbra sottili e dai contorni delicati che, in quel momento, non pareva chiedere altro che le attenzioni di chi le stava innanzi. L’uomo abbassò lo sguardo ad osservare la pelle candida esposta al freddo e, in un moto d’irrazionale indignazione, Killian giudicò malamente l’altro, perché era sua convinzione che nessuna persona di sano intelletto avrebbe mai potuto distogliere lo sguardo dalla perfezione di quel volto. L’indice lungo del loro carceriere, così strano da apparire un artiglio, si poggiò sulla morbida cute di lei e vi scorse sopra in una carezza lasciva che fece scendere di poco l’orlo della camicia, lasciando intravedere appena la rotondità di uno dei seni.
 
Quando lo sguardo di costui tornò a cercare quello di Emma, egli le chiese: «Siete sposata?» Ella fece segno di no con la testa. «Siete sua prigioniera?» La giovane indugiò un breve istante, una frazione di secondo estremamente calibrata, prima di ripetere il segno di diniego. «Siete la sua concubina, non è così?» le domandò, prima di lasciarsi andare in un grosso sospiro e carezzarsi la barba ispida.
 
«Sì,» rispose Emma a quel punto e lo fece con un’innocenza simulata che perfino Killian stentò a ritenere tale, tanto era credibile la sua pantomima. «Quella nave è l’unica casa che abbia mai avuto. Prima, i postriboli e la strada lo erano.»
 
L’altro annuì con fare sommesso, come se nobili pensieri sul trattamento che quella fanciulla avrebbe meritato avessero preso possesso della sua mente, e l’espressione sorpresa che si riprodusse poco dopo sui suoi lineamenti parve confermarlo. Nessuna donna, si disse Killian, doveva aver mai sortito un simile effetto sul suo animo da che si era fatto uomo ed Emma partorì la medesima considerazione. D’improvviso, tuttavia, nel posare la propria attenzione sulla bocca leggermente schiusa della giovane che gli stava davanti, qualcosa si accese negli occhi di lui ed egli parve tornare in se stesso, quel se stesso scevro di qualunque ideale e dedito ai piaceri più bassi della vita.
 
«Venite con me,» asserì ed estrasse un coltello dalla tasca per liberarle i polsi. Nel momento in cui l’uomo fu sul punto di fare altrettanto con le corde che le stringevano le caviglie, eppure, la donna lo fermò.  «Cosa c’è?»
 
Un sorriso ammaliatore accolse quella domanda. «Vorrei mostrarvi una cosa prima di andare,»  disse e sia Emma che Killian videro l’altro tentennare visibilmente, quando ella, dopo aver sistemato la camicia a coprire la spalla, gli mostrò il palmo per invitarlo a consegnarle l’arma. «Oh, non è quello che pensate!» Il modo in cui agitò le mani, lo sgomento e l’inesperienza che la sua reazione e il rossore delle gote rivelarono, furono un ottimo incentivo. «Non voglio farvi del male. Siete così grande e forte che non oserei mai. Suppongo basterebbe un ceffone per mettermi al tappeto.»
 
«Un ceffone?» fece lui, ringalluzzito dai complimenti velati che Emma gli aveva rivolto. «Su quel vostro bel faccino? Non oserei mai.» Ella gli sorrise ampiamente, battendo le palpebre con lentezza e con fare civettuolo, mentre allungava le braccia per posare le mani sul petto di lui; dopo un breve sobbalzo e un attimo di tensione, volti a dimostrare l’accortezza che un mercenario era in grado di dimostrare anche di fronte ad una donna di simile aspetto, l’uomo si lasciò andare e le mani di lei presero a muoversi sul corpo dell’altro con fare seduttivo. «Cosa..? Cosa volevate mostrarmi?» inquisì, la voce incrinata dalla passione, crescente almeno quanto il rigonfiamento nei suoi pantaloni.
 
Le dita di Emma segnarono un percorso di carezze che terminò all’altezza del polso di lui, ove le sue dita affusolare si strinsero in una debole morsa. «Avrei bisogno del vostro aiuto,» disse e, nel farlo, tirò a sé il braccio del suo interlocutore per posizionarselo sul petto, laddove i fili della camicia si incrociavano tra i seni. «Dovreste posizionare anche l’altra mano…» Ancora una volta, Emma gli mostrò il palmo e, stavolta, non incontrò alcuna resistenza; incoraggiato dall’espressione ingenua dell’altra e dall’aspettativa che quel tocco aveva creato in lui, le consegnò l’arma e seguì le istruzioni che gli erano state fornite. Pover’uomo! Se solo avesse saputo! «Ecco, così…»
 
A quel punto, Killian - e qualunque altro uomo che ne avesse conosciuto gli intenti - si sarebbe aspettato che Emma giocasse le sue carte e la facesse finita il prima possibile, ma nulla di tutto ciò accadde, non nell’immediato almeno. Accostando la lama del coltello alle stringe in tensione sul suo petto, ella tagliò il primo segmento con un movimento calibrato e lasciò che la sua preda si concentrasse sulla camicia, che aveva ceduto appena. E così fece ancora con un secondo, un terzo e un quarto segmento, finché l’attesa divenne a tal punto intollerabile che l’altro abbandonò ogni forma di circospezione, proprio come il pirata aveva sperato. Levandole il pugnale di mano, lo gettò sull’erba umida con estrema incuranza e si lanciò sull’altra per strapparle un bacio che spinse il tenente a scattare in avanti con l’intento di appropriarsi dell’arma e mettere fine a quel teatrino; la mano della giovane, tuttavia, fu più rapida e, mentre lo spingeva via in malo modo, Emma si impossessò del coltello. Nella frazione di un secondo, prima che fosse possibile fare qualunque cosa per fermarla, ella eseguì un taglio netto sulla gola del proprio spasimante e il sangue cominciò a scendere in un’ampia, mortifera cascata.
 
«Aiuto! Aiutatemi!» urlò lei, riversa sul mano erboso e surclassata dal corpo dell’uomo morente, oramai in preda alle convulsioni, mentre Emma lo ancorava a sé con una salda presa sui fianchi. «Qualcuno mi aiuti,» singhiozzò con voce disperata, ma tutto ciò che ricevette in cambio fu l’eco delle risate dei due compagni che, sbronzi e lontani a sufficienza da non comprendere la situazione, si convinsero che l’altro stesse abusando della giovane; e, allora, brindarono al suo indirizzo.
 
Killian non avrebbe potuto essere più esterrefatto, perché mai, mai in vita sua avrebbe pensato di poter assistere ad una scena simile. Un vago senso di nausea mise le tende nel suo stomaco alla vista di una ciocca di capelli di Emma completamente insanguinata, mentre, nella sua mente, gli spasimi dell’uomo al suo fianco si mescolavano alle urla di Poreia, distruggendolo. Per la prima volta da quando aveva messo piede sulla Nostos, assistette alla dimostrazione di cosa fosse veramente capace il Capitan Swan con cui aveva convissuto per tutti quei mesi, quel mostro sotto le mentite spoglie di una donna bellissima che pareva aver perduto ogni barlume di umanità. E, con un rumore breve e fastidioso, il tenente sentì un pezzo di sé rompersi ed essergli portato via dalla persona che giaceva inerme sotto il cadavere di un mercenario, simulando i singhiozzi di una disperazione che Killian sentiva parte del proprio animo. Tutto quello che aveva fatto fino a quel momento, lo aveva fatto nella speranza di trovare Liam o quello che rimaneva di lui, nell’intento di darsi una pace della quale la scomparsa del fratello lo aveva privato, insieme all’unico affetto rimasto nella sua vita. Ma raggiungere la meta valeva davvero la pena, quando il prezzo del viaggio era perdere la sua stessa identità?
 
Ciò che seguì fu un’accozzaglia di azioni che riflesse la loro prima battaglia navale e che, per un breve frangente, diede l’impressione di essersi chiusa con lo stesso risultato. Sfilatasi da sotto il cadavere ancora caldo del mercenario, Emma tagliò le corde che le impedivano i movimenti alle gambe e, rapida  come un felino, s’inoltrò nel fitto della foresta per non dare nell’occhio. Ridestatosi dal torpore nel quale quello scempio lo aveva catapultato e compreso il piano del pirata, Killian urlò avvertimenti di ogni sorta all’indirizzo degli altri due abbioccati attorno al fuoco, ma non ottenne che il risultato inverso, poiché la giovane, allarmata da quell’estremo tentativo di salvare le vite cui aveva intenzione di porre fine, velocizzò le fasi successive. Quando uno dei due, in parte disturbato dal farneticare del tenente, in parte insospettito dal mancato intervento dell’amico che se la stava spassando con la giovane,  si decise ad intervenire, era già troppo tardi.
 
«Tic toc, dolcezza,» gli disse Emma, chinandosi su di lui e posizionandogli un ginocchio sullo sterno. «Tic toc!»
 
Senza perdere ulteriormente tempo, ella affondò la lama lungo la parete laterale del collo di lui e, dopo averla estratta, si premurò di ripetere l’azione un’altra volta ancora. Ricoperta del sangue della precedente vittima, assunse lo stesso aspetto implacabile di un demone, tant’è vero che, quando si alzò per fronteggiare l’ultimo rimasto, costui parve inebetito dalla visione che gli si parò innanzi. Non poté dilungarsi in alcuna osservazione, tuttavia, perché Emma, assicurato il pugnale alla cintola, s’impossessò della spada a lei più vicina e si lanciò all’assalto. Il fracasso riprodotto dal cozzare delle lame accompagnò i movimenti di Killian che, facendosi più vicino al cadavere a pochi centimetri da lui, lo perquisì per trovarvi esattamente ciò che cercava. In breve, fu libero dai legacci che lo avevano impedito per tante ore.
 
Ancora una volta, però, il tempismo non fu dalla sua parte o, forse, non avrebbe mai potuto esserlo, non contro l’inarrestabile furia che pareva cogliere Emma in quei momenti, rendendo inutile ogni tentativo di resisterle. Nel momento in cui si issò sulle gambe e si voltò verso Emma con l’intento di fermarla, assistette ad una scena che sapeva di aver già vissuto, sebbene solo con la mente: come aveva fatto tanti anni prima per assicurarsi il controllo della Nostos, il pirata conficcò la lama dello spadone nel ventre del suo avversario e, spingendolo contro un albero, incastrò l’arma nella corteccia e diede un colpo secco verso il basso.
 
«Nooo,» urlò Killian e la foresta risuonò della sua rabbia e desolazione, mentre si lanciava all’inseguimento di lei.
 
«Andate al diavolo, tenente,» ribatté Emma in un ringhio minaccioso e, rapida, si voltò in direzione del fiume e prese a correre.
 
Tentennò la frazione di un secondo - così breve che, in futuro, non avrebbe saputo dire se lo avesse fatto davvero - e, infine, si immise nel flusso d’acqua con un unico, grande balzo. L’impatto con la corrente fu spietato: una volta che gli stivali toccarono le assi del ponte, il fiume la sabotò e finì per sbattere con violenza contro la ringhiera in legno dello stesso, così forte che il colpo le mozzo il respiro. Sapeva, tuttavia, di non potersi fermare, non in quel momento, non con Killian Jones alle calcagna e, pur ansimando, attorniata dall’alone rossastro del sangue che l’acqua stava lavando via dalla sua pelle e dai suoi indumenti, mosse un passo e, poi, un altro ancora.
 
Le fu presto evidente che il destino, o il Dio cui tutti sembravano appellarsi, volessero farle pagare i crimini di cui si era appena macchiata. Nel tentativo di oltrepassare quel ponte il prima possibile, Emma si mosse senza sosta, trascinandosi contro i sostegni laterali dello stesso e ignorando il dolore che le causò il pugnale quando un masso trascinato dai flutti ne urtò la lama, provocandole un taglio alla coscia; ma la sua avanzata non durò a lungo, poiché, giunta a metà del viadotto, nel punto esatto in cui la corrente si faceva più forte, un’asse del pavimento cedette ed ella perse ogni speranza di movimento, la caviglia incastrata tra ciò che rimaneva delle assi.
 
«Dannazione!» L’imprecazione suonò a denti stretti, mentre tentava di sfilare la gamba dalla trappola infernale ove era rimasta bloccata. «Chiunque tu sia, non mi impedirai di salvare mio figlio!»
 
Fu l’ultima volta che le mura di quella foresta udirono le urla di Capitan Swan, prima che costui prendesse un profondo respiro e si immergesse sotto il livello dell’acqua. I lunghi, interminabili minuti che seguirono quella sparizione videro il piccolo mondo che era quella radura tendersi fino allo spasimo, nell’attesa di comprendere quale sarebbe stata la fine del pirata che aveva solcato e dominato le tempeste di mari e oceani senza mai soccombere. Sarebbe stata una misera fine annegare tra le acque di un fiumiciattolo ingrossato, così vicina alla meta eppure apparentemente così lontana. Ma qualcosa – o, meglio, qualcuno – decise che non era ancora arrivato il tempo per Emma Swan di abbandonare quella terra.
 
Le possenti braccia del tenente, in un unico e deciso movimento, la tirarono fuori dall’acqua, consentendole di restituire ai polmoni l’aria per la quale si erano tesi fino al collasso. «Che diavolo stavi facendo?» le urlò Killian, prendendola per le spalle e costringendola a fronteggiarlo. Un rivolo di sangue le scorse dalla fronte lungo il viso e la mano di lui corse prontamente a verificare la gravità del danno. «Cos’è successo?»
 
Emma tossì forte, i capelli e il viso oramai quasi completamente liberi della tinta cremisi che li aveva colorati fino a poco prima.  «La corrente-» tentò, ma un eccesso di tosse la colse impreparata, impedendole di terminare la frase. «Ho battuto la testa contro la ringhiera, mentre tentavo di liberare la caviglia dalle assi del ponte.»
 
«E’ ancora incastrata?» Emma fece segno di no con la testa. «Dobbiamo muoverci, allora.»
 
Non era il tempo dei rimproveri e delle spiegazioni, come quello di poco prima non era stato il momento delle domande. Imboccato il ponte solo dopo aver recuperato lo zaino ed essersi appuntato una spada alla cintola, Killian aveva esitato un istante prima di farsi avanti per aiutarla a risalire sul livello dell’acqua. In quel frangente, così infinitamente breve, egli aveva pensato che non vi fosse alcuna ragione per non cogliere l’occasione di sbarazzarsi del suo più grande nemico, col vantaggio di non doversi neppure sporcare le mani. Si era detto che ella non meritasse che una misera fine come misere erano le vite di coloro cui aveva concesso di rimanere a questo mondo e misere erano le giustificazioni che si era data per coonestare i crimini commessi e il sangue versato; e, per un momento, aveva perfino riso e gioito del modo in cui la vita si stesse facendo beffe di lei. Era stato proprio quello, però, l’istante in cui aveva realizzato fino a che punto ella lo stesse cambiando, fino a che punto gli fosse entrata dentro tanto da spingerlo a partorire pensieri che, prima, non avrebbero mai trovato in lui terreno fertile in cui attecchire. “Gli eroi fanno ciò che è giusto, non ciò che è semplice” gli aveva detto Liam, una volta. E quella realizzazione gli aveva restituito uno di quei pezzetti di sé che Emma gli aveva sottratto lungo il cammino.
 
 A quel punto, era tempo di restituirle il favore.
 
*
 
https://www.youtube.com/watch?v=5Z3CrubHiOc

Quando giunsero sulla sponda opposta, il tenente non le diede tempo di trovare il sollievo che cercava contro la saldezza del suolo. Pur stremato e appesantito dai vestiti madidi, infatti, un’energia irriducibile si era impossessata di lui, rendendogli chiaro come il sole cosa dovesse e, soprattutto, volesse fare. Aveva indugiato e vacillato troppo in quei mesi, così terrorizzato dall’eventualità di perdersi nei meandri della pirateria e del suo scempio da non agire come aveva sempre fatto, come l’uomo che le vicende avevano forgiato. E, finalmente, arrivò alla conclusione che ignorare i cambiamenti che avevano inciso il suo animo non gli avrebbe restituito l’integrità che aveva perduto strada facendo. Se Emma era il pirata che voleva risvegliare in lui… Beh, Killian gli avrebbe dato un assaggio di ciò che era stato il tenente Jones e di ciò in cui ella lo aveva tramutato in quell’ultimo anno!
 
Afferrandola per un braccio, la trascinò in prossimità di un albero e contro di esso la scaraventò, senza alcuna grazia, senza alcun riguardo e decisamente senza alcun rimorso. Ella mugugnò, gli occhi chiusi e le labbra contratte in una smorfia di dolore, mentre portava la mano sinistra al capo e tastava con delicatezza la nuca per accertarsi che quell’ennesimo scossone non le avesse provocato un altro taglio. Infine, i suoi occhi si aprirono e incontrarono quelli blu dell’uomo che la osservava, e qualcosa passò tra di loro, qualcosa che riempì il silenzio di una miscela così variegata di sentimenti e stati d’animo che sarebbe stato impossibile prevedere chi avrebbe fatto la prima mossa e quale questa sarebbe stata.
 
Fu Killian ad aggiudicarsi tale onere e procedette in una maniera che Emma non si sarebbe mai aspettata. Rompendo gli indugi, ella lo vide avanzare verso di lei e ricoprire la distanza che li separava con pochi passi decisi. D’istinto, la mano del pirata scattò ad afferrare l’elsa del pugnale, ma, quando le mani del tenente si posizionarono sui suoi fianchi per issarla contro l’arbusto alle sue spalle, ella perse qualunque presa sull’arma e questa rovinò miseramente a terra. Semplicemente la baciò, accostando con virulenza la propria bocca a quella di lei e schiudendola con movimenti che l’altra non fu in grado di fermare poiché non ne trovò la forza; e, prima che potesse rendersene conto, si ritrovò a ricambiarne gli attacchi con identica aggressività.
 
Killian si spinse in avanti fino a far aderire il suo corpo a quello di Emma, il suo intimo infiammato dal contatto con le morbidezze di lei, e le sue mani vagarono su quelle stesse curve per esplorarle con fare implacabile. Risalendo lungo i fianchi, le dita di lui trovarono la scollatura della camicia e la lacerarono di netto fino a tastare la carne nuda, ancora bagnata dall’acqua del fiume. Con accortezza e possessività, egli segnò un percorso che condusse i suoi polpastrelli sui seni di lei, mentre la sua bocca lasciava, pur a malincuore, le labbra di Emma per scendere lungo il collo e, ancora giù, fino al petto. Un ansito, seguito da molti altri, sfuggì al controllo del pirata quando i denti dell’uomo si chiusero sulla tenera carne, torturandola fino a lasciarle una scia umida sulla pelle candida e un insolito rossore sulle gote.
 
Erano come animali, esclusivamente preda del loro istinto e impossibilitati a fuggire dall’incresciosa situazione in cui il fato li aveva messi, creandoli nemici e mettendoli sullo stesso percorso per portarli a scoprire che non esistevano vie di fuga o scappatoie di alcun genere da quella forza che li spingeva instancabilmente l’uno verso l’altra. Ed era quella la ragione per cui il tenente Jones stava divorando la mostruosa tela che era il corpo di lei, la cui pelle lasciava sulla lingua il sapore metallico del sangue delle sue vittime, ed Emma stava soccombendo a quell’attacco, pronta ad accogliere l’onda d’urto che avrebbe investito il suo essere e irrimediabilmente compromesso le sue facoltà di raziocinio. Ella aveva giocato tanto e sporco per risvegliare la bestia che era in lui, per compromettere e imbastardire il suo animo fino a renderlo affine al suo e avrebbe gioito e goduto di quella vittoria, fosse stato solo per quell’istante.
 
Tornando alla bocca della giovane, Killian affondò la mano tra le ciocche roride e, posizionandola sulla nuca, condusse l’altra a cingerle la vita, mentre la costringeva ad indietreggiare e a seguire le sue movenze. Il controllo che mantenne sulla situazione fu così spietato che non le permise di sottrarsi al suo tocco, quando la costrinse sul pavimento umidiccio e si stese su di lei per sovrastarla. Le mani mascoline del tenente vagarono a più riprese per percorsi che avevano già segnato, ma, per quanto intransigente si stesse dimostrando, non poté modulare il verso che fuggì dalle sue labbra, nel momento in cui le dita del pirata presero a trafficare con il cavallo dei suoi pantaloni. La risposta a quell’atto di ribellione, però, arrivò presto, perché, spalancandole le gambe, la spinta di Killian fece cozzare i loro bacini e finì per mozzarle il fiato.
 
Vederla piegarsi e soccombere al desiderio, osservarla accendersi mentre stuzzicava una ad una tutte le corde che ne avrebbero infiammato fisico e spirito come nemmeno l’odio era in grado di fare, guardarla boccheggiare nel suo essere inerme e, in tutto ciò, avere la consapevolezza di aver spento il maledetto Capitan Swan fin quando ne avesse avuto la forza. Ecco cosa voleva! E poco importava che per batterlo in quel duello avrebbe dovuto accendere il corsaro che era in lui, non fintanto che avesse potuto mangiarlo vivo e batterlo al suo stesso gioco. Perché, se erano l’ira incontrollata e l’anelito di vendetta a scatenare di solito la sua furia e sciogliere le catene che lo imbrigliavano, Killian avrebbe usato la concupiscenza, la febbre che li travolgeva quando non lasciavano spazio alle esitazioni, per rispedirlo ove meritava di stare.
 
Eliminando qualunque barriera di tessuto presente tra loro, l’uomo si immerse in Emma e perse la sua propria identità, l’ultimo appiglio alla ragione che gli era rimasto, ma non volle prestarvi attenzione. Portandosi una mano di lei alla bocca, ne baciò il palmo centimetro dopo centimetro, gli occhi chiusi mentre il suo corpo assorbiva gli ansiti sussurrati che giungevano alle sue orecchie e, nell’imbeversi di essi, acquisiva nuova forza. Emma stava facendo resistenza, ancora e nonostante tutto: poteva sentirlo dai movimenti del suo corpo, dal modo in cui rispondeva ai suoi baci, dalla velocità con cui sfuggiva ad ogni sua carezza se non strettamente necessaria. Dava l’impressione di un animale selvatico braccato cui non importava quanto confortevole fosse la prospettiva di un pasto caldo tutti i giorni e di un riparo contro l’asprezza degli agenti atmosferici, fintanto che la sua condizione fosse stata quella di un prigioniero.
 
«Emma,» mormorò lui, rallentando il ritmo mentre le lasciava un bacio lungo la mascella, «devi lasciarti tornare a poco a poco,» disse ed ella comprese cosa intendesse suggerirle, «perché è di te che tuo figlio avrà bisogno.»
 
Le labbra di lei si piegarono in un lieve sorriso nel realizzare il fine di Killian: come ella aveva voluto corrompere il servo della giustizia, l’uomo voleva sopprimere il pirata che viveva in lei. Ma egli non sapeva che quella parte del suo animo fosse stata e continuasse ad essere la sola ragione per la quale era sopravvissuta, in quanto col bucaniere erano arrivate, sì, la spietatezza e il rancore ma anche la caparbietà e il coraggio che le aveva consentito di superare le sue paure. E, quello che Killian voleva, Emma non poteva darglielo, né avrebbe mai potuto farlo perché, per quanto conflittuale fosse il rapporto che aveva instaurato con quella porzione del suo animo, ella vi era affezionata e la amava come si supponeva che ciascuno amasse la propria famiglia: bisognava imparare ad amare i difetti di una persona per lasciarle libero ingresso al proprio cuore, non fermarsi ai pregi. Ed Emma sapeva che, se qualcuno avesse sentito la necessità di cambiarla per poterla amare, non vi era spazio per quel qualcuno nella sua vita.
 
Ella pose le mani sul petto di lui e lo spinse via quel tanto che bastava perché i loro sguardi s’incontrassero; e sorrise nel constatare che, nonostante gli sforzi che entrambi avessero fatto per mutilare l’altro, il pirata e il tenente fossero ancora lì, imbattuti. Non fu necessario pronunciare alcuna parola perché il messaggio passasse forte e chiaro al destinatario e, dopo qualche istante, Emma lo vide annuire e giungere alla stessa conclusione. A quel punto, quando si protese nuovamente verso di lei e le loro bocche si incrociarono per finire quello che avevano iniziato, per la prima volta nella loro vita guardarono al viaggio e non al risultato ed il loro viaggio… Beh, era valso la pena di essere vissuto!



__________________________________________________________
Spazio dell'autrice:

Sono di fretta, oserei dire in ritardo, e non posso dilungarmi troppo in queste righe di verde vestito.

Mentre scrivevo il capitolo, mi sono ritrovata a definirlo come "di passaggio" ma, una volta terminato e riletto, mi sono resa conto che non fosse il termine più appropriato, perché mi sono accorta di aver inserito tanti piccoli elementi che richiamano il finale che ho intenzione di dare a questa storia e ho pensato che sarebbe riduttivo dargli un simile appellativo. E' vero, è uno dei capitoli più brevi che abbia scritto - forse, pari solo al primo e al secondo -, ma poco importa perché, proprio come il primo e il secondo, pullula di informazioni che mi auguro siate in grado di cogliere, anche se non ho molti dubbi a riguardo.;]
Mi limito ad aggiungere che, PANDINA, sei il mio nostromo preferito, un po' come Diego che c'è sempre stato ed ha sempre pazientemente sopportato i tempi e gli errori di Emma e, come Emma, ti sono grata per l'attenzione, la "devozione" e la costanza che hai dimostrato nel seguirmi in questo percorso. Per me è importante ricevere delle impressioni sul capitolo e capire se ho fatto bene o male, se sono riuscita a trasmettere le informazioni che volevo, se vale la pena continuare a scrivere o abbandonare l'impresa. Capisici quanto ti devo e quanto ti deve la storia! Grazie di cuore! <3
E aggiungo che, IBETTA, hai ragione a dire che passa troppo tempo da un capitolo all'altro, ma non trovo davvero il tempo per fare in modo che non sia così tra lezioni, studio e inconvenienti vari. Quindi, mi spiace che si crei questo inconveniente, ma non saprei come rimediare, anche perché spesso ho bisogno di tempo per partorire il capitolo nelle sue linee generali, al fine di capire cosa metterci e come sviluppare la trama. A dispetto di come fanno molte persone, non ogni capitolo è già pronto nella mia mente: so cosa voglio fare e so gli avvenimenti più importanti, ma, per il resto, mi lascio ispirare dalla vita di tutti i giorni, dai vostri commenti e dalle cose più sciocche per creare i singoli capitoli in sé. Grazie di cuore per aver recuperato e per avermi fatto sentire la tua presenza, che, come ho detto, fa davvero la differenza!
Un piccolo ringraziamento speciale va a ErinJS, sperando che sia ufficialmente parte della ciurma e sia arrivata con noi oltre il ponte dei fantasmi!

Buona lettura!
E grazie a tutti quelli che hanno letto finora. <3

P.S. Qualora non ve ne foste accorti, il link che ho inserito apre un video Captain Swan che io AMO, AMO, AMO. #OvariesBoom

N.B. Per un errore di distrazione, avevo inserito il link del video sbagliato, la cui colonna sonora non ha nulla a che vedere con l'atmosfera del capitolo o con quella in cui ho scritto la scena. Quindi, se vi andasse, vi consiglierei di rileggerlo con la canzone giusta, di godervi questo video CS e di scusarmi tanto. :D

 

Ritorna all'indice


Capitolo 16
*** Telos ***


Capitolo XVI
Telos

 
Telos significa scopo, risultato, compimento. E’ una parola che, come tante altre, deriva dal greco antico e si piega ad una molteplicità di usi nella lingua corrente. Ha la bellezza dello sconosciuto, l’apparenza dell’inventato e, tuttavia, affonda le sue radici in una serie di realtà concrete quanto lo è la nostra. E non è un caso che tutto ciò che Emma abbia cercato per i cinque, più lunghi, faticosi anni della sua vita porti ad un luogo che, già nel nome, si carica di un significato che racchiude in sé gli sforzi di una vita reinventata d’improvviso, risorta dalle ceneri di un’aggressione spietata ad opera della mano di un uomo che, forse, per i più, non avrebbe meritato di venire al mondo. Eppure, tutto quello che è stato l’ha portata esattamente dove si supponeva che giungesse: sulla soglia dell’arco prospiciente il paesino ove ogni cosa ha ancora da compiersi, ove il destino attende di vederla in azione per il raggiungimento del fine ultimo, vincere o morire.
*
https://www.youtube.com/watch?v=MqoANESQ4cQ

Non esiste viaggio senza una meta, non esiste meta senza un proposito di realizzazione forte e ben studiato. Emma, che era riuscita a dare un ordine al caos di una vita sconclusionata, trascorsa tra saccheggi e battaglie alle quali era sempre sopravvissuta, lo sapeva bene e aveva finito per fare di quella consapevolezza il suo mantra; sicché aveva studiato e voluto ogni passo in grado di avvicinarla a Henry con ogni fibra del suo essere ma, principalmente, con la mente. In quei cinque anni, aveva appreso che un’esistenza impregnata del timore del cambiamento e della speranza di un miracolo non valesse la pena di essere vissuta. Come unica artefice del proprio destino, infatti, credeva di essere stata fornita di tutti gli strumenti necessari per ottenere ciò che desiderava più ardentemente e per opporsi a chiunque avesse tentato di tarparle le ali, al fine di allontanarla dal suo telos. Ma nessuno, neppure le ceneri della se stessa più timorosa,  avrebbe avuto successo in quel proposito dissuasivo, a tratti addirittura ostativo, perché il suo telos era Henry, l’amore che il Fato voleva si meritasse nella sua immensa bellezza, anche a costo di combattere una guerra che aveva come principale nemico la Emma di un tempo. E il capitano della Nostos si era decisamente battuto senza risparmiarsi, guadagnandosi ciascuna vittoria perfino quando le probabilità di riuscita erano parse nulle.
 
Dopo quello che era accaduto una volta attraversato il ponte dei fantasmi, il capitan pirata non aveva perso un solo istante in manfrine. Come il più alacre lavoratore, si era messa all’opera perché lei e il tenente trascorressero solo un arco di tempo strettamente necessario fermi in quel punto, quanto bastava per accendere un fuoco, scaldarsi ed asciugare i vestiti con i quali avrebbero affrontato l’ultimo tratto di vegetazione. Killian non aveva potuto fare a meno di notarne l’imperscrutabilità dell’agire e l’intangibilità emotiva, come se non fosse dato comprendere cosa stesse accadendo al di là dei suoi occhi, ove le idee crescevano e s’intrecciavano tra loro. Ella era stata silenziosa, le sopracciglia curvate l’una verso l’altra nello sforzo di imbrigliare un pensiero e non lasciarselo sfuggire; e, tutte le volte che i loro sguardi si erano incontrati, il tenente aveva avuto l’impressione che parlarle fosse l’unico modo per renderla cosciente della sua presenza. E, in effetti, la sua osservazione non avrebbe potuto essere più corretta.
 
Con una sagacia che l’altro aveva apprezzato, Emma aveva deciso di non tornare al suo vecchio abbigliamento da pirata, per quanto arduo le risultasse, e di mantenere la sobria usualità dei capi di vestiario dei quali si era impossessata: nonostante dubitasse di poter mantenere troppo a lungo la copertura, voleva ridimensionare il margine di preparazione del nemico fintanto che le fosse stato possibile.  Affinché ciò accadesse, considerato il trattamento che aveva riservato alla camicia di lei, Killian aveva dovuto cederle il proprio maglione e senza alcuna sorpresa aveva scoperto che poco importava quanto grande le stesse e quanto poco usuale fosse vedere una donna abbigliata come un uomo: Emma era incantevole e sarebbe stato difficile evitare che la notassero.
 
Le prime luci dell’alba si erano da poco alzate quando giunsero a destinazione ed Emma osservò con una punta di curiosità le movenze assonnate del paesino e dei suoi abitanti, che si preparavano ad affrontare la giornata ciascuno a suo modo. Una folata di vento freddo le scompigliò i capelli, sollevandoli appena e trascinando qualche ciocca nel flusso d’aria, prima che tutto si quietasse. Con una punta di invincibilità, ella sorrise di una smorfia vittoriosa, dando l’impressione che, in cuor suo, sapesse già come sarebbero andate le cose, e, infine, sospirò: erano parecchie le mansioni cui assolvere, prima fra tutte trovare gli uomini della sua ciurma e incanalare le informazioni che avevano raccolto in quei giorni. Nella sua mente, neppure per un istante si materializzò il timore che fossero stati catturati o, peggio, uccisi, perché aveva fatto tutto il necessario affinché una simile svolta non avesse modo di coglierli impreparati. Con Harold e il manipolo di uomini messo alle sue calcagna fuori dai giochi, era impensabile che, se anche avessero voluto tentare, Flora e i suoi due compagni riuscissero a far viaggiare la notizia più velocemente di quanto ella e il tenente non avessero proceduto. Esistevano due sole vie perché le voci giungessero a Telos e l’unica che, date le condizioni del fiume, potesse essere intrapresa richiedeva settimane di viaggio. La foresta, d’altro canto, era già stata battuta.
 
«Ce l’abbiamo fatta.»
 
Alle parole del tenente, Emma si voltò e con un po’ di sorpresa ne sondò l’espressione, quasi, proprio come aveva intuito l’altro, avesse appena realizzato che costui fosse stato con lei per tutto il tempo. La tensione che lesse sui lineamenti dell’altro le ricordò che Telos costituisse un punto di svolta anche per Killian e il fastidio che aveva immediatamente provato – come se una parte di lei rigettasse la prospettiva di avere un infiltrato nel gruppo di uomini che aveva scientemente scelto, perché l’accompagnasse – sparì con la stessa rapidità con cui si era presentato. Benché non possedesse alcuna certezza concreta sullo stato di salute di Henry, infatti, era pacifico agli occhi di Emma che suo figlio non potesse essere che vivo e si disse che non avere la medesima certezza dovesse rappresentare un fardello di enormi dimensioni per l’uomo al suo fianco. Pur contro il suo giudizio, la notizia che ella gli aveva dato non aveva fatto altro che alimentare la speranza di saperlo vivo: a quel punto della missione, ricevere una smentita sarebbe stato devastante quasi quanto la notizia che, a suo tempo, gli aveva comunicato la sua morte. Avrebbe significato perderlo ancora una volta.
 
«Già.»
 
Fu tutto ciò che ella disse, portando nuovamente lo sguardo oltre l’arco a un paio di metri di distanza da loro. Convincersi a muovere un passo in direzione dell’apertura era difficile quanto accostarsi ad un vetro in posizione precaria: il timore di vedere infrante le sue speranze, di uscire da quella bolla di apparente invincibilità nella quale la vista di Telos l’aveva costretta era a dir poco paralizzante, perché nulla poteva assicurarle la riuscita dell’impresa. E, se possibile, la consapevolezza che, alla vittoria, si accompagnassero sempre, inderogabilmente tante piccole sconfitte rendeva meno allettante l’idea di procedere. Con un pesante sospiro, ad occhi chiusi, Emma godette di quell’ultimo istante di titubanza, conscia che di indugi non avrebbe potuto averne altri da quel momento in poi.
 
«Andiamo,» disse infine, le labbra piegate in un sorriso appena accennato, «Telos ci aspetta.»
 
E così fecero. Avanzando con passo deciso, oltrepassarono l’arcata che immetteva nella città e, implacabili come i migliori condottieri di un esercito che attraversavano il campo di battaglia, procedettero per la via principale. I loro sguardi incontrarono quelli dei commercianti che si accingevano a montare le bancarelle del mercato, quelle dei venditori ambulanti che trasportavano con sé le loro chincaglierie, quelle delle domestiche delle famiglie perbene che si erano svegliate di buonora per aggiudicarsi i prodotti migliori; e si resero conto di non aver destato l’interesse del quale si erano tanto preoccupati, aiutati dal fatto che ciascuno fosse impegnato nelle rispettive occupazioni. Questo finché un suono brusco, proveniente da un punto imprecisato alle loro spalle, non attirò la loro attenzione – e quella dei presenti -, costringendoli ad arrestarsi.
 
Una volta che si furono voltati, Emma, che precedeva Killian, dovette muoversi di qualche passo per comprendere quale fosse la fonte del rumore che avevano udito, ma il respiro irregolare del tenente la costrinse a rimandare quella scoperta ad un momento successivo. La bocca di lui era leggermente schiusa, l’espressione terrea di chi ha visto un fantasma. Un luccichio di gioia e dolore insieme brillava tra le folte ciglia dell’altro, annacquando il blu di quelle iridi spesso così tempestose e cupe nel loro imperturbabile valore morale.
 
«Killian?»
 
Il capo di Emma scattò nel sentire quella voce e i suoi occhi incontrarono i lineamenti gentili di un uomo che aveva imparato ad amare più rapidamente di quanto si fosse aspettata. Una cassetta di legno rotta ai piedi e un cumulo di verdure sparse tutt’intorno, Liam azzardò un sorriso in direzione del fratello, le lacrime che si lanciavano oltre il margine degli occhi fino a tuffarsi nella lunga barba ispida. C’era qualcosa di estremamente irreale nell’immagine che si mostrava alla loro attenzione, qualcosa che la rendeva assai simile ad un abbaglio: colui che avevano conosciuto come l’intrepido, elegante, ineguagliabile Capitano Jones vestiva, adesso, i panni di un venditore di beni di prima necessità. Eppure, nonostante la divisa gli donasse, l’aspetto che aveva assunto nell’arco di tempo in cui erano stati separati era quello di una persona in ottima salute e l’espressione serena era la stessa che ambedue avevano conosciuto in periodi diversi della loro vita.
 
Emma e Killian lo videro scavalcare la carcassa di legno che aveva prodotto quel lugubre suono e dirigersi con passo spedito in direzione del fratello, i denti scoperti a mostrare uno dei suoi sorrisi più luminosi, uno di quelli che gli aveva permesso di conquistare una ciurma di pirati, capitano compreso. A qualche passo di distanza dall’altro, Liam rallentò, negli occhi il timore che Killian potesse nutrire rancore nei suoi confronti, ma quel dubbio non fu sufficiente a spegnere il suo entusiasmo e, senza attendere ancora, si gettò contro di lui per stringerlo in un abbraccio. Emma sorrise, sul volto riflessa la commozione che sapeva appartenere ai fratelli Jones, e tirò un sospiro di sollievo quando scorse Killian ricambiare la stretta del fratello con lo stesso identico vigore. In quel momento, per quanto incauto fosse, non vi era spazio per il timore di destare troppa curiosità, per gli sguardi che si erano attirati addosso, per la possibilità che la voce di quell’abbraccio destasse allarme nel nemico. Era il momento di godersi il primo, inaspettato regalo che Telos aveva fatto loro.
 
Quando lo sguardo di Emma incontrò quello di Liam sopra la spalla di Killian, gli occhi azzurri di lui si accesero di un’emozione che ella già conosceva, dandole la certezza che tenesse ancora a lei in quel modo speciale che nulla, neppure la barbarie di cui l’aveva vista capace, avrebbe mai cambiato. Ed Emma sorrise e sospirò, alzando gli occhi al cielo con quel fare esasperato che gli aveva sempre rivolto; riuscì a strappargli una risata breve, che divenne presto più forte con la crescente consapevolezza di aver ritrovato la sua famiglia, la persona che, nel delirio della febbre, aveva tormentato la sua coscienza fino allo spasimo. Il legame che intercorreva tra lui e Killian era tangibile, così reale che il pirata ebbe l’impressione di esserne rimasta toccata a sua volta, come se non si fosse mai resa conto di quanto importante fosse per lei la possibilità che quei due si ritrovassero. Era un po’ come rimediare ad alcuni degli errori che aveva commesso, l’inizio del percorso di redenzione al quale si sarebbe dedicata anima e corpo per essere degna di suo figlio. Era il preludio di ciò che l’aspettava e non vedeva l’ora di goderne come protagonista.
 
«Chi l’avrebbe mai detto che sareste stati in debito col vostro più acerrimo nemico,» disse e aspettò che si sciogliessero dall’abbraccio. Il verde dei suoi occhi trovò il blu di quelli di Killian e vi lesse qualcosa di diverso. Risero tutti e tre. «E che i nobilissimi fratelli Jones sarebbero diventati un pirata,» fece e indicò il tenente, stando bene attenta perché quella conversazione non fosse udita da altri che non fossero loro, «e un commerciante di frutta e verdura.»
 
«Sta’ zitta!» Liam si fece avanti e, prima che Emma potesse protestare, la cinse con le braccia per stringerla a sé. Egli mise in quell’abbraccio tutto quello che avrebbe voluto dire, pur sapendo di non potere; le disse ciò che ella non gli avrebbe mai permesso di pronunciare e godette di quell’istante fintanto che ne avesse avuto tempo. «Sta bene,» disse infine e il capo di Emma scattò all’indietro, mentre la mano si posava sulla guancia di lui in una timida carezza, «Henry sta bene.»
 
«E’ con te?»
 
Liam fece segno di no con la testa. «Gli ho parlato di te tutti i giorni.» Emma sorrise, nel cuore una commozione che acuì il sentimento che provava per l’altro. «Mi ha chiesto ogni dettaglio di ogni storia che ricordassi e non vede l’ora di salire sulla Nostos. Ho fatto del mio meglio,» le disse a un certo punto, l’espressione esageratamente contrariata, in un modo che, si disse Emma, lo rendeva tanto simile al fratello e al modo in cui era solito rimproverarla, «ma non c’è stato verso: vuole diventare un pirata.»
 
A quelle parole, Emma rise come nessuno dei due l’aveva mai sentita ridere e, stavolta, fu lei a protendersi verso Liam. Chiudendo gli occhi, tentò di sciogliere il nodo che le si era formato in gola, di respingere le lacrime che avevano preso ad affollarsi prepotentemente oltre le palpebre, ma fu più difficile del previsto. Se tutto ciò che aveva sofferto in quegli anni l’aveva condotta a quell’esatto istante, ogni dolore, ogni nottata insonne, ogni ferita erano valsi la pena che si era data. Quel breve, singolo frammento di gioia fu in grado di lenire le angustie che, nella loro acredine, avevano finito per trasformarla e le restituirono parte della connessione con l’umanità perduta.
 
La verità era che Emma non credeva a nulla di tutto ciò. Henry non poteva voler essere come lei, non quando ella stessa aveva faticato duramente per capire cosa, chi o se fosse. Si era sentita così tante cose insieme e, di contro, nessuno troppo spesso per poter accettare che qualcuno, perfino suo figlio, aspirasse ad essere una persona che non si era trovata a lungo. Si era mutilata, curata, rinnegata, odiata, apprezzata per anni interi, senza mai trovare un vero equilibrio, una predominanza che le permettesse di comprendere quale posizione assumere verso se stessa; e, quando aveva compreso di essere un mostro e un pirata, aveva lottato contro la paura e la vergogna della bestia che albergava in lei, temendo la propria deformità. Sapeva di non essere perfetta, di vantare “qualità” che nessuno le avrebbe mai invidiato e sapeva di aver suscitato biasimo e sdegno nei più, un disprezzo che l’aveva spinta a respingersi a sua volta, finché, un giorno, le cose erano cambiate.

Nel ragionamento più elementare che ciascuno potrebbe fare, aveva realizzato di non aver commesso che una serie imperdonabile di errori: come poteva pretendere che gli altri l’apprezzassero, se non riusciva ad andare oltre le mutilazioni della bestia? E, così, si era ripromessa di amare il mostro anche quando il mondo avesse tirato fuori i forconi e avesse tentato di metterlo al rogo. Era in quel momento che Capitan Swan aveva fatto la sua apparizione, quando Emma aveva trovato la forza di gettare sul fondo dell’oceano le insicurezze della persona che era stata e, insieme a Stecco, Diego e gli altri, aveva assunto il controllo della Nostos, della sua vita.

«Grazie,» sussurrò e non fu necessario aggiungere altro, perché Liam comprendesse il valore che le sue frasi e, ancora di più, il suo gesto avessero per lei.
 
«A te, Emma.»
 
Killian si schiarì la gola. «Credo sia il caso di andare,» intervenne e i due seguirono il suo consiglio, sciogliendo l’abbraccio. «Abbiamo attirato parecchia attenzione.»
 
Liam annuì sommessamente. «Dietro la mia bancarella, c’è un viottolo che si snoda verso la parte più periferica della città. Percorretelo fino alla fine: dovreste trovarci uno dei ragazzi.» A quelle parole, l’espressione di Emma si fece confusa, poiché una parte di lei aveva afferrato ciò che l’altra parte riteneva improbabile. «Diego non è un tipo che passa inosservato,» le spiegò con un sorriso dei suoi, uno di quelli buoni e gentili che ricordavano a Killian quanto il fratello somigliasse alla madre. «Vi porteranno a casa mia e ci vedremo lì tra qualche ora.» L’espressione del fratello più piccolo rese chiaro a Liam che quell’idea non lo entusiasmasse, così lo raggiunse e, prendendolo per le spalle, ebbe a parlargli con lo stesso tono rassicurante che aveva adoperato quando non erano stati che bambini. «Devo delle spiegazioni a queste persone, altrimenti diventeremo il pettegolezzo più succulento della giornata.» A quel punto, il suo sguardo si spostò su Emma. «Ti dirò tutto quello che c’è da sapere. Farò presto!»
 
Lanciandosi uno sguardo d’intesa, il pirata e il tenente annuirono. Poi, reprimendo a stento un sospiro, seguirono le indicazioni dell’altro e imboccarono il sentiero che era stato indicato loro. Procedettero per alcuni minuti in silenzio, immersi in osservazioni assolutamente inconciliabili, così distanti da dare l’impressione ad entrambi che quel processo che sarebbe terminato con la loro separazione fosse già iniziato; e l’innesco era stato Liam.
 
«Grazie,» esordì Killian d’un tratto, stringendo le dita attorno al polso di lei e costringendola a voltarsi nella sua direzione. «Per aver mantenuto la parola, nonostante tutto, e per aver detto la verità. Mi avete dato più di quello che credete.»
 
Le sopracciglia di Emma si inarcarono. «Che intendete?»
 
Il sorriso che le rivolse e la tenerezza della sua espressione la spiazzarono. «Il pensiero di poter trovare Liam mi ha strappato alla sete di vendetta ove mi ero rifugiato negli ultimi anni,» le spiegò e si lasciò andare in una breve risata, mentre tamburellava distrattamente le dita sul polso di lei. «E’ buffo che siate stata proprio voi, che intendevo uccidere, a farlo.»
 
Emma ricambiò il suo sorriso. «Vi avevo detto che avrei stravolto la vostra vita, tenente. Quante altre volte dovrò dimostrarvi e ricordarvi che mantengo sempre le mie promesse?!» Killian annuì, la bocca piegata in una smorfia dolce come mai gliene aveva dedicate. La giovane riconobbe la gratitudine e la sorpresa nell’espressione di lui e una parte del suo animo, la stessa che aveva ritrovato il legame con l’umanità, ne fu sopraffatta. «Non avete mai davvero voluto uccidermi, dopo aver scoperto la mia vera identità. Perché?» chiese e, d’un tratto, non le importò che fossero nel bel mezzo di una via stretta e silenziosa e che i loro discorsi potessero essere alla portata di chiunque.
 
«Ci ho pensato diverse volte,» ammise lui, quasi vergognandosene, «ma non credo di essere mai stato neppure lontanamente vicino a dare esecuzione ai miei propositi, neppure prima di sapere di Liam.»
 
«Perché sono una donna?»
 
Gli occhi di Killian, dopo aver vagato qualche istante, si posarono sui suoi, seri. «No, non è per quello,» chiarì e quella confessione la sorprese. «Dopo aver visto ciò di cui siete capace, sarei riuscito ad uccidervi comunque, a prescindere dal vostro sesso.» S’interruppe un istante ed Emma ebbe l’impressione che, con quella pausa, anche il tempo avesse iniziato a trattenere il respiro. «Credo che sia stato un problema di tempismo! Avete dato il peggio di voi quando oramai era troppo tardi, quando oramai ero affezionato a voi.»
 
Il tempo sospirò di sollievo, esultando ed urlando di una confessione nella quale aveva a lungo sperato, ma il momento durò poco, poiché ad essere attesa era la reazione di Emma. Cosa ne avrebbe fatto di quella dichiarazione, lei che mai, neppure per un istante, aveva considerato la possibilità di suscitare nell’altro un sentimento di tenerezza? Era sciocco che, tra tutte le ipotesi vagliate, non avesse mai considerato la più semplice, la più ovvia, nonché l’unica che avrebbe permesso di dare risposta a tutti gli interrogativi rimasti sospesi nella sua mente. La preoccupazione che aveva sempre mostrato nei suoi confronti, la tenacia con la quale si era battuto perché si confidasse con lui, le attenzioni che le aveva rivolto, perfino il rifiuto della giovane che aveva tentato di sedurlo a Durin, tutto acquisiva una sensatezza che ella non era mai riuscita a spiegarsi con pienezza di dettagli. Non la lussuria, non la vendetta, non il desiderio di rivalsa ma l’affetto aveva mosso le azioni del tenente Jones. Ma era davvero possibile una cosa simile? Era plausibile che, alfine, la marina cedesse alle lusinghe della pirateria?
 
«Credo di essere stato affezionato a voi sin dal primo momento, quando vi ho incontrato in quella squallida taverna sul molo di Thrain e avete minacciato di ricoprire le assi del pavimento con il mio presunto sangue ceruleo,» ricordò con un sorriso e un’espressione di rimprovero, ed Emma sentì impellente il bisogno di fuggire lontano da lì, lontano da lui, lontano da quelle parole che non avevano alcun senso, parole che sovvertivano un ordine prestabilito. E quell’ordine non prevedeva alcun incontro tra fazioni nemiche, non prevedeva compromessi. «Devo avervi lasciata andare per questo motivo, la sera del ballo, bevendomi fandonie che mai, in un’altra occasione, avrebbero potuto risultare convincenti alle mie orecchie,» continuò, adesso serio, e compì un passo verso di lei. «E dev’essere per questa stessa ragione che non sono più riuscito a lasciarvi andare, né la notte in cui ho sacrificato tutti quegli uomini, né nessuna volta dopo.»
 
Un soffio di vento alitò nella via, muovendole i capelli al ritmo di un disorientamento che ella non riuscì a fermare, e fu dirompente la realizzazione che, per la prima volta in cinque anni, egli fosse stato in grado di distogliere la sua mente dal pensiero di Henry. Quelle parole erano la dimostrazione di quanto si fosse sbagliata sul suo conto fino ad allora, la smentita a ciò che aveva pensato poche ore prima: Killian non desiderava cambiarla, fare di lei ciò che non era per piegarla alle sue volontà. Per una circostanza che non era dato spiegare, era riuscito a trovare nel suo cuore la forza per apprezzarla, anche quando si supponeva che l’odiasse. Voleva soltanto che smettesse di operare scelte dettate dalla disperazione e trovasse l’equilibrio che la vendita di suo figlio le aveva impedito di mantenere, perfino di volere; quello stesso equilibrio che, in fondo, Emma si era ripromessa di riconquistare per il bene di Henry, una volta che tutto fosse finito.
 
«Tenente,» fece lei, in un disperato tentativo di ristabilire le distanze che l’altro aveva abbattuto nell’arco di pochi minuti, ma dalle sue labbra non uscì alcun suono in grado di esprimere ciò che aveva intenzione di dirgli. «Henry,» disse infine, «è la mia sola priorità. Lo è sempre stato e lo sarà sempre.»
 
Egli annuì, ma la sua reazione non fu quella che Emma si sarebbe aspettata. «Non l’ho mai messo in discussione, né ho intenzione di farlo.» Nel pronunciare quelle parole, avanzò ancora. «Ma è bene che sappiate che, nella vita, questo non esclude la possibilità di avere altre priorità. Quando tutto sarà finito e Henry sarà al sicuro sulla Nostos, potrete riprendere in mano la vostra vita, trovare altro per cui vivere, oltre a rendere felice Henry.»
 
«E voi vorreste essere questo per me?» domandò, l’espressione sgomenta di chi non crede ai propri occhi, il battito accelerato di chi sente di non avere via di scampo e vorrebbe dannatamente fuggire. «Voi vorreste essere la mia prossima, la mia altra… Ragione di vita?»
 
Killian rise dello smarrimento di lei, di quanto incredibili apparissero alle sue orecchie le parole che ogni donna avrebbe voluto sentirsi dire e che qualunque altro essere umano avrebbe accettato con commozione o, quantomeno, gratitudine. Tuttavia, non disse altro e, protendendosi verso Emma con ultimo slancio, diede risposta a quelle domande sulle labbra della giovane; le sue braccia la strinsero e incatenarono a sé e la sua bocca azzardò il tentativo di lenire le preoccupazioni delle quali l’aveva vista preda nell’unico modo che fosse in grado di fare effetto su di lei: le azioni.
La verità, però, era che nulla di tutto ciò ebbe il tempo di accadere, se non nella sua mente. Avrebbe voluto baciarla, sì, e avrebbe anche voluto mettere in atto ciascuna di quelle misure straordinarie che forse – solo forse – avrebbero sortito l’effetto sperato. Ma, nella realtà, non ne ebbe l'opportunità e la distanza che rimaneva tra di loro non poté essere colmata, non davvero.
 
«Capitano?»
 
La voce di Julio la strappò alla dimensione irreale nella quale il tenente l’aveva confinata e che, per tutte le fottutissime meduse, doveva essersi immaginata a causa della stanchezza; e fu per questo che, mentre si voltava in direzione del giovane e scioglieva il polso dalla presa esercitata da Killian, non fu in grado di trattenere il sospiro di sollievo che fuggì alle sue labbra.
 
«Julio!»
 
Il tenente la lasciò andare, come aveva già fatto altre volte e come sentiva che avrebbe fatto ancora, e alzò il viso verso il cielo, chiudendo gli occhi per scaricare la tensione provata negli ultimi minuti. Il ritrovamento di suo fratello aveva messo a dura prova il suo intero sistema di emozioni, fino a velocizzare un processo di realizzazione che, altrimenti, avrebbe richiesto mesi di riflessioni. Vedere il legame che intercorreva tra Liam ed Emma aveva attivato in lui campanelli d’allarme che non aveva neppure saputo di avere e, per la prima volta da mesi, aveva abbandonato ogni forma di controllo sulle emozioni che, col tempo, aveva finito per imbrigliare. Non che si fosse aspettato di ottenere una risposta differente o di vederla restare, no! Non da lei e non a quel punto dell'avventura, quando tutte le sue attenzioni erano concentrate sull'unica persona per la quale avesse messo in discussione ogni cosa. Non era quello il tempo, si disse mentre si accingeva a raggiungerli. Forse, per loro, non lo sarebbe mai stato.
 
*
 
«Provi qualcosa per lei, non è così?»
 
Liam osservò il fratello, il capo leggermente inclinato e un’espressione serena in viso, e Killian seppe che non fosse necessario rispondere alla domanda che gli era stata posta. Si conoscevano troppo bene a vicenda perché le parole potessero aggiungere qualcosa a ciò che uno sguardo era in grado di comunicare. E il maggiore dei due, nelle ultime ore trascorse in compagnia della ciurma di pirati e del fratello, aveva avuto modo di carpire quanto sufficiente per permettergli di raggiungere una conclusione in merito. Killian lo vide sospirare e passarsi stancamente una mano sul volto e, benché non avesse smesso un istante di sorridergli, comprese che, se avesse potuto, avrebbe manipolato la situazione nella quale si trovavano per evitare che esistesse. Com’era possibile che fossero caduti nella trappola che Capitan Swan aveva preparato per loro? Com’era possibile che, pur essendo così diversi, fossero finiti per innamorarsi della stessa donna?
 
«Lo capisco e non ti giudico,» proseguì e gli sorrise ampiamente. «Ci sono passato anch’io.»
 
Killian si sistemò sulla panca che aveva occupato insieme al fratello. «Non è quello che pensi,» ribatté prontamente e un senso di vaga irritazione lo infiammò, quando Liam gli sorrise con condiscendenza. «Non ne sono innamorato. Provo dell’affetto per lei, tutto qui. Ho trascorso praticamente ogni giorno dell’ultimo anno e mezzo al suo fianco. Sarebbe strano il contrario, no?»
 
Qualcosa era cambiato nelle ultime ore. Dal momento in cui si erano ricongiunti a Stecco e gli altri e, ancora di più, da quando Liam aveva fatto il suo ingresso nell’angusta abitazione che aveva adibito a dimora, il pentimento per lo slancio emotivo avuto in quel vicolo di Telos era subentrato con prepotenza, fino a fargli rivedere ognuna delle conclusioni cui era parso arrivare con cotanta convinzione. Non soltanto era evidente che non vi fosse spazio, nel cuore di Emma, per qualcuno che non fosse Henry in quel momento, ma lo era anche il fatto che non vi fosse alcuna possibilità per loro due in futuro. Nell’osservarla ascoltare attentamente il racconto del fratello e prendere nota mentalmente di tutte le informazioni sul figlio, Killian aveva realizzato che si fosse illuso delle stesse fantasie di un ragazzino, un ragazzino che non poteva permettersi di essere.
 
Lui era un soldato della marina militare, un uomo al servizio della giustizia, il baluardo di un ideale nel quale aveva sempre creduto e che aveva lottato per mantenere a galla a dispetto di tutto. Non importava quando corrotto fosse il mondo ove spesso si era trovato ad operare, o quanto effimeri i valori ai quali aveva sentito inneggiare: lui era sempre riuscito ad uscirne incolume, a salvaguardare ciò che aveva costruito con dedizione e fatica per amore di se stesso e dei suoi cari. Come avrebbe mai potuto rinnegare la vita che aveva condotto per una donna? Con quale coraggio sarebbe riuscito a guardare il suo riflesso senza sentire il peso di ciò che si era fatto, di ciò che aveva fatto alle persone amate? Suo padre e sua madre, le persone più incredibilmente dignitose e gentili che avesse conosciuto, erano stati brutalmente uccisi da una ciurma di pirati, durante un viaggio sulla nave mercantile di famiglia. Era davvero disposto a venderne il ricordo al pirata più spietato che avesse mai incrociato lungo il cammino?
 
No, la marina non poteva piegarsi alla pirateria e, così come non voleva che Emma fosse diversa da ciò che desiderava essere, da ciò che la sapeva orgogliosa di essere, non poteva cambiare neppure se stesso. Avrebbe fatto ciò che era giusto, l’avrebbe aiutata a salvare Henry e a raggiungere la Nostos, dopodiché sarebbe tornato alla sua vita, alla sua divisa, a tutto ciò che lo rendeva la persona di cui sapeva i suoi genitori sarebbero stati fieri. In un’altra vita, forse, l’avrebbe conosciuta prima che le cose degenerassero e avrebbero avuto una possibilità, quella che non spettava loro nell’esistenza che stavano conducendo. E, sì, era crudele che il Fato avesse comunque deciso di farli incontrare, di portarlo tra le braccia dell’unica donna per la quale avesse mai sentito il bisogno di mettere in discussione le sue credenze, ma la vita era anche questo: ingiusta.
 
«Non ti ho mai visto guardare nessuno nel modo in cui guardi lei, Killian,» disse Liam e, quando i loro sguardi s’incontrarono, il minore dei due trovò una fermezza sul volto dell’altro che non si era aspettato. «Non ti incaponire come al solito su qualcosa di cui finiresti per pentirti.»
 
Qualcosa, nell’animo del tenente, si accese e il suo orgoglio si infiammò. «Stai dicendo che dovrei dimenticare quello che hanno fatto alla nostra famiglia?» domandò, attento a non alzare troppo la voce. Ulan e Diego erano disposti attorno al tavolo, a qualche metro di distanza da loro, mentre Julio e Stecco erano andati a fare un giro di ricognizione, giusto per prudenza. «Sono stati i pirati a massacrare la nostra famiglia e, se non fosse stato per il fratello di nostro padre, avremmo perduto ogni cosa. Hanno distrutto la nostra felicità.»
 
Liam si fece avanti solo un po’, l’espressione conciliante. «Lo so, sai che lo so.»
 
Avevano sofferto così tanto! La perdita dei loro genitori aveva messo in discussione il loro mondo e improvvisamente il rischio di perdere tutto era divenuto una realtà più vicina di quanto non avessero mai creduto. Nessun testamento era stato ritrovato e i creditori del padre, che avevano perso tutto a seguito di quel naufragio, si erano gettati sui possedimenti di famiglia come avvoltoi su una carcassa, senza dar loro neppure il tempo di elaborare il lutto. Killian ricordava nitidamente l’eco delle urla dello zio, il dispiacere dei domestici, il ghigno sulla bocca della sorella della loro madre che, in combutta col notaio, aveva falsificato l’atto di proprietà, togliendo a Killian e Liam l’unica dimora che avessero mai avuto, l’unico legame con l’infanzia di gioia e amore nella quale si erano crogiolati. A soli dieci e tredici anni, se non fosse stato per quello zio cui dovevano tutto, sarebbero finiti per strada ad elemosinare un tozzo di pane.
 
«Ma non è stata Emma a farlo! Dio solo sa chi fossero quelle bestie che hanno affondato la nave di nostro padre,» tentò di fargli capire. «Anche lei ha sofferto, Killian.»
 
Il tenente sospirò, ben lontano dalla resa. «Non importa! Non potrei mai fare questo ai nostri genitori, o a me stesso. Non posso rinunciare alla persona che sono diventato.» I suoi occhi blu inchiodarono quelli più chiari del fratello ai suoi e improvvisamente realizzò quale fosse la ragione alla base delle argomentazioni di Liam. Sgomento, disse: «Tu credi che lei possa cambiare, non è così?»
 
«Ci spero,» rispose timidamente l’altro, facendo spallucce, «e averti al suo fianco potrebbe renderlo possibile.»
 
«Liam…» Killian rise amaramente, scuotendo il capo nella più assoluta incredulità, e gli tornarono alla mente le parole di Emma, che aveva riso del modo in cui Liam era stato solito dipingerla, quasi non riuscisse a vedere il suo vero io nonostante tutto. «E’ un pirata fatto e finito! Henry non potrà cambiare questo. Lo hai detto anche tu che spera di diventare come lei e lo sarà.»
 
«Diamine, sono solo gli sproloqui di un bambino, Killian!»
 
Il tenente gli si fece più vicino, la sua voce un sussurro. «Ha mozzato le gambe a un uomo a sangue freddo, fratello, e ne ha uccisi altri due davanti ai miei occhi con la stessa flemma.» Quella parola fece scattare una molla nel meccanismo dei suoi ricordi e le primissime serate trascorse a Poreia gli tornarono alla mente. Ma non era quello il tempo delle memorie! «Come fai a provare qualcosa per lei, senza vedere tutto ciò di cui è capace?»
 
«Perché io ho visto anche altro,» confessò con esasperazione. «Ho visto la persona che si nasconde sotto le spoglie del pirata, la stessa che avrebbe potuto uccidere sia me che te ma ci ha lasciati scegliere; la stessa che si è presa cura di me durante il delirio della febbre; la stessa che mi ha confidato di Henry e del suo amore per lui. Amo Emma.»
 
«Come puoi-» fece, la fronte aggrottata dinanzi all’ammissione che Liam aveva appena fatto. Se non fossero bastate le ragioni che lo avevano già spinto a riconsiderare la sua precedente posizione, il fatto che suo fratello fosse innamorato della stessa donna per la quale anche lui provava qualcosa sarebbe stato un ulteriore, ottimo deterrente. «Tu ami una persona che non esiste, Liam. Non può esserci Emma senza Capitan Swan, non può esserci la donna senza il pirata.»
 
«Killian?» La voce di Diego, più vicina di quanto non si fossero aspettati, fece sobbalzare entrambi e il tenente si voltò per comprendere quale fosse l’urgenza. «Il capitano vuole parlarvi. Vi aspetta in camera.»
 
Killian annuì sommessamente, prima di spostare l’attenzione nuovamente sul fratello. «Dimmi un’ultima cosa,» fece a quel punto. «Se credi nella sua redenzione, perché sembra che tu ti sia arreso? Perché vedi me al suo fianco?»
 
Una smorfia amara inclinò le labbra del Capitano Jones, prima che rispondesse. «Perché lei non mi vede come suo eguale, Killian, né lo farà mai.»
 
*
 
Un fuocherello vivace scoppiettava nel piccolo camino in pietra posto sulla parete sinistra della stanza, il crepitio delle carcasse in legno il solo suono che accompagnasse il respiro regolare dell’unica inquilina ivi presente. Emma si soffermò sulle linee che aveva tracciato con accuratezza sulla pergamena e ripassò mentalmente il percorso che aveva ritenuto il più idoneo a raggiungere il luogo ove Henry era tenuto prigioniero, ma fu inutile. Le informazioni che il suo cervello aveva assorbito in quelle ultime ore erano talmente tante e ciascuna sì sorprendente che imporsi la concentrazione era troppo pure per lei.
 
Stando alla ricostruzione di Liam, da che la lama della sua spada aveva posto fine alla vita della giovane di cui non ricordava neppure il volto, Henry era stato preso come prigioniero dal padre della fanciulla e lì era rimasto per tutto quel tempo. Saperlo chiuso nelle segrete di un castello, al buio di una cella umida e affatto confortevole, le aveva spezzato il cuore e, se possibile, l’idea che quella condizione si fosse perpetrata per anni incrinò la sua già labile stabilità emotiva. Perché ci aveva messo tanto? Cos’aveva sbagliato? Vi era qualcosa di squisitamente malvagio nel fare beffardo con cui il Fato si stava prendendo gioco di lei, costringendola a sentire il peso della colpa per la condizione cui aveva costretto un bambino di soli dieci anni, il suo bambino. Il solo conforto che fosse riuscita a concedersi proveniva dall’idea che, a seguito della cattura, Liam si fosse preso cura di lui nel modo migliore possibile: sbattuto nella stessa prigione ove si trovava Henry, il giovane capitano della marina aveva sopperito alle mancanze dell’anno che l’ormai giovanotto aveva trascorso in solitudine e aveva riacceso nel ragazzetto l’allegria di cui Emma lo ricordava capace.
 
Ma non era tutto. Il carceriere di Henry – dal quale Liam era riuscito a fuggire per un fortunato scherzo del destino – era nientepopodimeno che Richard Anthony Lively, il fratello arricchito di Harold di Poreia. Adesso capiva per quale ragione l’avesse venduta al miglior offerente, perché avesse dimostrato una simile ingratitudine verso l’unica persona che si fosse mai proposta di aiutarlo: il destino, quel bastardo, aveva tirato le fila della loro vita per fare in modo che colei che lo aveva salvato fosse nient’altro che l’assassina di sua nipote. Il mondo non avrebbe potuto farsi più piccino! Doveva essere stato devastante scoprire di essersi affezionato alla donna che aveva spezzato la fragile esistenza di una creatura che si affacciava al mondo per la prima volta. Eppure, Emma non riusciva a provare alcuna tenerezza, alcuna comprensione per ciascuno di loro, non quando nella sua mente faceva bella mostra l’immagine di suo figlio, sporco e rannicchiato contro la parete della cella ove sentiva di averlo messo lei, con la sua debolezza e incapacità.
 
Era così immersa nell’autocommiserazione che non si accorse neppure dell’ingresso del tenente nella camera. Killian la trovò con le spalle poggiate alla struttura in legno del letto, avvolta nel suo completo da pirata, lo sguardo perso nel vuoto come di chi ha perso se stesso e, in parte, pure la ragione; ma, dopo aver udito il racconto del fratello, non gli fu difficile immaginare quale pensiero le stesse causando un tale turbamento. “Anche lei ha sofferto.” L’eco delle parole pronunciate da Liam accompagnarono l’immagine di Emma, come l’unica, perfetta nenia che potesse accostarsi al quadretto che gli si profilava innanzi. Piano, l’uomo sospirò e, rimanendo dov’era, picchiettò le nocche sullo stipite della porta che si era chiuso alle spalle. Emma si alzò si scatto e lo sguardo spaurito che gli rivolse, prima di ricomporsi, mosse in lui quell’affetto che non poteva più negare, neppure a lei.
 
«Tenente! Scusatemi, non mi ero accorta di voi,» disse, mentre si guardava intorno nella speranza di trovare qualcosa che l’aiutasse a recuperare la compostezza necessaria per affrontare quel colloquio. «Immagino che vogliate trascorrere con vostro fratello tutto il tempo possibile e prometto di rubarvi poco tempo.»
 
«Va bene così,» la rassicurò lui e avanzò in sua direzione. «Non credo che mio fratello abbia intenzione di darsela già a gambe. Aspetterei il primo diverbio per quello,» fece con un sorriso e riuscì a strapparle una smorfia appena accennata. I loro sguardi s’incontrarono a metà percorso e, per un istante, la stessa tensione che era passata nel vicoletto di Telos costrinse le loro emozioni ad una breve tesatura. Vederla così indifesa era devastante. «Cosa volevate dirmi?»
 
Anche per lei era cambiato qualcosa in quelle ore. Killian poté dirlo dal modo in cui ella si forzò a distendere le spalle, lasciando ciondolare le braccia lungo i fianchi con fare apparentemente incurante. Emma lo squadrò con curiosità, come se temesse un attacco e volesse prepararsi a respingerlo, ma entrambi sapevano che non sarebbe bastata tutta l’accortezza di cui era capace per frenare un eventuale fiume di parole del tenente Jones, non quando il racconto di Liam era riuscito a penetrare fin nel profondo della sua anima e a scuotere le fondamenta della sua condotta. Eppure, c’era qualcosa di assolutamente inusuale nel fatto che si sentisse tanto a suo agio all’idea di mostrarsi più vulnerabile del solito al suo cospetto.
 
«Siete liberi,» proclamò lei e quelle due piccole parole sortirono l’effetto sperato, se era alla sorpresa che Emma aveva mirato, «voi e Liam, intendo. Siete liberi di andare, qualunque sia la direzione che più vi aggrada. Non siete più miei... prigionieri.»
 
«E questo cosa dovrebbe significare?»
 
L’espressione di Emma rivelò una perplessità che difficilmente avrebbe potuto essere dissimulata. «Pensavo di essere stata sufficientemente chiara…»
 
«Non è questo che intendo,» la interruppe lui, sconcertato. «Perché questo discorso e perché adesso?»
 
«Perché avete ritrovato la vostra famiglia, tenente, e vi scongiuro, fintanto che ne avete l’opportunità, di tenerla al sicuro, il più lontano da qui.» Quella supplica, così sincera e disperata, toccò corde che Killian si era imposto di costringere all’immobilità, risvegliando timori e, al contempo, sentimenti sulla cui tenuità doveva essersi sbagliato. «Prendete il necessario per affrontare il viaggio, raggiungete Durin e assicuratevi un passaggio su una delle navi al molo, tenendovi alla larga da Barbanera. Tornate a Thrain, dove vi ricopriranno di onori per essere sopravvissuti a Capitan Swan, e, soprattutto, tornate alla vostra vita.»
 
«No,» rispose lui, semplicemente e con un tono che non ammetteva repliche. I suoi passi lo condussero a lei e, benché non vi fosse tra di loro alcun contatto fisico, Killian sentì che l’intimità nella quale erano improvvisamente piombati avesse gli stessi contorni di quella che li aveva legati qualche ora prima. I colori del fuoco, così caldi alle spalle di lei, addolcirono la spigolosità della figura di donna che gli stava davanti, attenuando perfino l’oscurità del vestiario che fasciava il corpo dell’altra. «Ancora ordini, non è così? E’ più forte di voi!» Emma sospirò d’irritazione, il volto a tratti illuminato dai fasci di luce che penetravano tra le ciocche di capelli. «Non siete voi a dettare le regole. Pensavo l’aveste capito.»
 
«Volete litigare, tenente? Perché, se questi sono i vostri propositi, vi assicuro di non avere il tempo, la forza e la voglia per affrontare un diverbio sterile.» Il tono di lei, a quel punto, era oramai cambiato, formale come solo lei avrebbe saputo essere, solenne quanto bastava per colpire l’avversario nel punto giusto, il più debole. «Lasciate la stanza, prego.»
 
«Killian,» ribatté lui, prima che Emma potesse muoversi in qualunque direzione e porre effettivamente fine alla conversazione, «il mio nome è Killian.»
 
«Mi spiegate quale diamine è il vostro problema?» sbottò il pirata contro ogni previsione e l’uomo sospirò di sollievo e quasi sorrise. «Vi ha dato di volta il cervello? Avete le reazioni emotive di una donna isterica e gravida insieme, ammesso che le due cose siano scindibili.»
 
«Dovete semplicemente smetterla con tutto questo,» asserì lui con tono spiccio. «Gli ordini, le minacce, le imposizioni, le fughe, la distanza che volete mettere tra noi… Dovete finirla, perché non otterrete alcun risultato!» La bocca di Emma si schiuse per la sorpresa. «Ho promesso che vi avrei aiutato a trovare Henry e non riuscirete a distogliermi da questo proposito.» Ella lo guardò con espressione di rimprovero, ma Killian le sorrise, adesso più sereno. «Magari, vedere un pirata in miniatura potrebbe farmi cambiare idea sul vostro conto.»
 
Malgrado tutto, non riuscì a trattenere la breve risata che le sfuggì dalle labbra. «Sembrate parecchio fiducioso sulla riuscita del salvataggio,» gli fece notare e, a quel punto, i suoi occhi si spostarono nuovamente sulla mappa che aveva tracciato poco prima. Con cautela, si mise a sedere sulla panca posta ai piedi del letto. «Vorrei avere la vostra sicurezza.»
 
Killian la raggiunse e, senza aspettare un invito, si accomodò al suo fianco. «Non è un comportamento degno della vostra fama dubitare di voi stessa,» le disse e, pur non staccando gli occhi dalla pergamena, non passò inosservato il breve sorriso che modulò la bocca di lei.
 
«Beh, stando a quello che ci si aspetterebbe da Capitan Swan, avrei dovuto tagliarvi la lingua molto tempo fa, ma la vita prende pieghe inaspettate a volte.» Non avrebbe dovuto concederglielo, eppure Killian non poté impedirsi di ridere. «Deduco che dovrò riconsiderare i miei calcoli e includervi nel piano, no?»
 
Emma lo cercò con lo sguardo e vi trovò l’espressione sospettosa che si era aspettata. «Niente scherzi,» le disse, «o quel Lively sarà l’ultima delle vostre preoccupazioni.»
 
La risposta che, di lì a poco, gli avrebbe dato la sua interlocutrice non avrebbe potuto essere più criptica. A quelle parole, il modo in cui la giovane fece scattare le sopracciglia e il sorriso da canaglia che apparve su quel viso dalle fattezze fuorvianti nella loro bellezza furono la dimostrazione che, al di sotto delle incertezze dettate dai rischi della missione, Capitan Swan vivesse ancora in tutto il suo autentico ardore. Era come se, nell’attesa che il pirata che era in lei riprendesse le forze, Emma stesse lasciando spazio alla versione più insicura di sé per esprimersi, alleggerendo appena la tensione che si era costretta a provare da che quell'avventura aveva avuto inizio ma senza mai sopprimere il bucaniere. A dispetto di qualunque dimostrazione di buonsenso, Killian ammise che, in fondo, ne avesse sentito la mancanza, che la fugace apparizione del suo più acerrimo nemico – dopo il Fato, ovviamente – non gli fosse mai stata tanto gradita quanto in quel momento. Eppure, seppe di non poté indugiare a lungo nella sensazione: nel verde di quegli occhi, brillava infatti una promessa a caratteri cubitali che non gli fu dato decifrare, una promessa che dimostrava quanto chiare fossero le idee del corsaro rispetto ruolo che Killian avrebbe dovuto giocare nell’ultimo atto di quel dramma.

Non avete idea di quello che vi aspetta, tenente. Giuro che non ne avete idea!” avrebbe voluto dirgli, ma il rischio sarebbe stato troppo alto. Per questa ragione, dalle sue labbra fuoriuscì un’unica, grande, fallace promessa.
 
«Parola di capitano!»
 
O avrebbe dovuto dire “di pirata”?


_______________________________________________________________________
Spazio dell'autrice:

Sarà il caso di dire "Finalmente"? Finalmente a Telos, finalmente qualcuno si è esposto, finalmente sappiamo che Liam è vivo? Può darsi, ma credo che a questa esclamazione di trionfo si accompagnino altrettante maledizioni che, in fondo, so di meritare. Mi sono accorta di aver usato il metodo del bastone e della carota o, come ho più precisamente detto a mia cugina, il metodo "BASTONATA-BASTONATA-BASTONATA, CAROTINA". Non mi sto prendendo gioco di voi: ieri sera, nel rileggere buona parte del capitolo per gli ennesimi aggiustamenti, mi si è spezzato il cuore e non so se sia colpa della colonna sonora che ho scelto o se sono stata in effetti un po' bastar*a, ma credo che, se avessi letto un capitolo del genere in una storia per la quale spasimo, mi sarei messa a battere la testa contro il primo spigolo e a maledire l'autrice in armeno. Quindi, vi chiedo scusa se ho giocato un po' con i vostri feels, ma giuro che non c'entro niente: io mi limito a farmi trascinare dalla corrente dell'ispirazione, come vi ho già detto; per il resto, fa tutto lei. 

Scendendo un po' nel dettaglio del capitolo devo dire che le cose sono andate molto diversamente da come mi aspettassi. Non avevo programmato nessuna pseudo-dichiarazione da parte di Killian, né che Emma reagisse in maniera tanto 'emotiva' [nei limiti delle sue possibilità, sia chiaro! XD] e giuro di non aver programmato la retromarcia del tenente. Sapevo solo che avrei introdotto Telos e che si sarebbero ritrovati con Liam. Il resto era un enorme punto interrogativo. Spero, ad ogni modo, che il capitolo sia valso i minuti del vostro tempo che avete impiegato per leggerlo e fare una visitina alla combriccola e, se vi va, lasciatemi pure qualche impressione su Liam: sono curiosa di sapere che ve n'è parso da questa piccola introduzione.

Detto questo, voglio ringraziare tutte le persone che hanno letto e commentato, anche approcciandosi alla storia per la prima volta a distanza di un anno dal suo inizio. Siete davvero, davvero tanti, più di quelli che avrei mai immaginato di avere con me in quest'avventura, ed è soverchiante vedere la dedizione di chi c'è dall'inizio e la passione di chi si immette più di recente. Non so come ringraziarvi per tutto questo, non lo so davvero. 
Ovviamente, un pensiero particolare va a chi si è preso il tempo di lasciarmi le sue impressioni, perché, se trovo incredibilmente meraviglioso il fatto che leggiate la storia, non saprei nemmeno definire quanto conti per me il tempo ulteriore che vi prendete per scrivermi due paroline. Quindi:
-Pandina, i tuoi commenti sono pura poesia, lo sono sul serio. Non sono solo incredibilmente introspettivi verso i personaggi - e questo mi fa capire quanto tu ci sia affezionata e mi emoziona ogni singola volta -, ma sono scritti con un garbo linguistico che adoro. Immaginare Emma come un uragano è, forse, il più chiaro ritratto che si possa fare di lei dopo quello della bestia che impara ad amarsi. Da quando sei salita a bordo, pubblicare il capitolo significa anche aspettare la tua recensione e rileggerla e godersela a fondo. Grazie, sempre! <3
-Ibetta, se c'è una cosa che ho apprezzato del tuo commento e che mi ha fatto sorridere nonostante l'ennesima lettura, è stata la frase in cui dici di amare il contrasto tra la Emma spietata, cruda, truculenta e la Emma insicura e materna che, da qualche tempo a questa parte, ha cominciato a fare capolino più spesso che non all'inizio. Credo riassuma esattamente lo scopo che volevo raggiungere: affezionarsi a questo personaggio significa sgomentarsi per le atrocità che compie, ma riuscire a vedere anche quello che di buono e umano c'è ancora in lei. E ti ringrazio per questo, di cuore! Aggiungo che non devi preoccuparti per l'osservazione che hai fatto sulla lunghezza dei tempi e dei capitoli, perché non mi sono assolutamente risentita ma, se possibile, ne sono stata lusingata: è meraviglioso sapere che vorreste averne sempre di più. <3
-ErinJS, io direi che sei parte della ciurma eccome. Per quanto mi riguarda, lo eri sin dal primissimo commento, solo che, per scaramanzia, ho evitato di convincermene nel timore che, per noia o per il carattere della storia, finissi per non seguirci lungo tutto il viaggio; e sono felice di constatare che sei ancora qui.Posso aggiungere che mi hai quasi uccisa con la storia del "comprerei il tuo libro se lo vedessi sullo scaffale di una libreria"? No, perché ci sono quasi rimasta secca e ho avuto bisogno di qualche istante per riprendermi.G R A Z I E! <3
-Erikablue, ti ho già risposto, ma la tua recensione me la sono portata dietro per giorni, accompagnata da un grosso sorriso e da sospiri che nemmeno un'innamorata farebbe per l'oggetto delle sue attenzioni. E, sì, ti sto facendo una dichiarazione! <3

Qui, ritaglio uno spazietto particolare a CSlover ma, in realtà, un po' a tutti, perché mi ha posto una domanda che credo interessi chiunque segue la mia storia. Quanti capitoli mancano alla fine? CINQUE o SEI, non meno di cinque sicuramente. So già come andranno le cose bene o male e questo è lo spazio di cui ho bisogno per mettere tutti i puntini sulle "i" e chiudere questo arco narrativo. Preparatevi psicologicamente, come mi sto preparando io del resto! :') #notready
Tornando nello specifico a CSlover, direi che a)per una persona come me, che teme sempre di annoiare con i capitoli troppo lunghi ma non riesce a ridimensionarsi, le tue parole sono come o r o c o l a t o, giusto per fartelo sapere; b)in base a quello che hai detto sul lieto fine, scrivendo il capitolo ti ho pensata, perché mi sa che sia stato un po' una mazzata (mi riferisco alla parte dei ripensamenti di Killian); c)non puoi dire che ti rivedi in una frase che ho scritto e pensare che io ne esca incolume, sappilo. GRAZIE di tutto cuore! 

Buona lettura!

P.S. AVETE VISTO IL PROMO DEL FINALE DI STAGIONE? STO MORENDO.
P.P.S. Prometto di correggere gli errori quanto prima.

Ritorna all'indice


Capitolo 17
*** Le petit mort ***


Il link che ho inserito ad un certo punto non serve a rendere necessariamente l'atmosfera. L'ho messo perché stavo ascoltando quella canzone in quel preciso momento e il miscuglio di emozioni che è derivato dalla combinazione tra la melodia e l'immagine mi ha commossa, commossa seriamente. :')

Capitolo XVII
Le petit mort
 
«E tu da dove salti fuori?»
 
«Prego?!»
 
Quando si era decisa a lasciare i confini della camera che le era stata riservata e che aveva adibito ad Ufficio Strategie, Emma non si era certo aspettata un’accoglienza mattutina tanto brusca! E fu ancora più sorprendente scoprire che quel trattamento le fosse stato riservato da una perfetta estranea, della cui identità non immaginava alcunché. Chi era quella donna e per quale ragione Liam le aveva consentito di avvicinarsi a loro senza battere ciglio? Che fosse la sua amante? Se così fosse stato, c’era da dire che i suoi gusti erano notevolmente cambiati dall’ultima volta che si erano soffermati sull’argomento.
 
Appena oltre il ciglio della porta, Emma si fermò di scatto, l’espressione perplessa, mentre perlustrava la stanza principale con lo sguardo, sul volto i segni della notte tormentata appena trascorsa. Diego, Stecco, Ulan, Julio, Liam, Killian erano tutti lì, chi con un bicchiere di liquore tra le mani, chi seduto al tavolo col piatto della colazione ancora da pulire. Ma in quel quadretto apparentemente neutro, che in altre circostanze non avrebbe destato alcuna perplessità nel giovane capitan pirata, c’era qualcosa che decisamente non andava e quel qualcosa aveva le sembianze di una donna sui sessanta, alta e di costituzione robusta, che recuperava con la furbizia dello sguardo e l’attitudine sfacciata quanto il guardaroba di umile fattura finiva per toglierle.
 
Nessuno degli uomini osò proferire parola, mentre le due si studiavano con circospezione e curiosità insieme, e ognuno di essi convenne tacitamente con gli altri che sarebbe stato inopportuno muoversi fintanto che la tensione delle prime battute non fosse stata smorzata. Liam cercò il fratello con lo sguardo e, sorridendo a labbra strette, ammiccò al suo indirizzo e tanto bastò perché Killian realizzasse che questi avesse fatto attentamente i suoi calcoli perché quell’incontro avvenisse nel modo in cui si stava verificando. La donna che Emma stava osservando, infatti, altri non era che un’affezionata vicina del capitano della marina, la quale si era offerta gentilmente di occuparsi delle necessità domestiche dell’uomo fintanto che l’altro l’avesse rifornita dei beni di prima necessità della cui vendita era solito occuparsi al mercato: era un equo scambio, che aveva fornito ad ambedue le parti il vantaggio di fare affidamento su una persona di buon cuore e di poter giovare di tale amicizia. Nella breve mezz’ora che Killian aveva passato in sua compagnia, non era stato difficile comprendere per quale ragione il fratello si fidasse tanto di lei: era assolutamente meravigliosa, sotto ogni punto di vista.
 
«Chi è questa ragazza, Liam?» chiese la donna, quando realizzò che non avrebbe ottenuto alcuna risposta dalla giovane che se ne stava all’altro capo della stanza, mento alto ed espressione fiera.
 
«Questa, Dorothy, è Emma,» intervenne cautamente Liam, l’ombra di un sorriso che indugiava sulle labbra; e il capitano della Nostos dovette coglierne il divertimento, perché l’occhiata che gli lanciò fu più eloquente di qualsiasi intervento verbale. «Emma, ti presento Dorothy.»
 
La breve pausa che seguì quelle presentazioni fece sì che l’espressione di Killian finisse per riflettere quella del fratello. «Piacere di conoscervi, signora,» proruppe Emma, mettendo fine a quell’insolito silenzio nel quale la stanza e i suoi occupanti si erano visti piombare senza poter far nulla per evitarlo. «Soddisfatta?» domandò con atteggiamento indisponente, avanzando di qualche passo fino a raggiungere il lato del tavolo ove si trovava Julio, al quale concesse un fugace sorriso d’intesa.
 
«Che Dio ci assista! Dove l’hai trovata?» Il sopracciglio di Emma raggiunse vette vertiginose a quelle parole e la ciurma di pirati trattenne a stento gli sghignazzi che quella silente ma quanto mai eloquente reazione suscitò in loro. Dorothy si esprimeva col fare sfacciato proprio della sua condizione e il contrasto che questo creava con l’altero contegno del capitan pirata non avrebbe potuto dar vita ad intrattenimento migliore «E’ la cosina più incantevole e arrogante che abbia mai visto!»
 
Il tenente, che si trovava dietro la donna solo di qualche passo, avanzò e si accostò alla spalla di lei per sussurrarle all’orecchio, ma sufficientemente forte perché i presenti lo sentissero, un “Io stesso non avrei saputo dirlo meglio”. A quel punto, non importava quanto indisponente sarebbe risultata quella reazione agli occhi del loro capitano, Ulan, Stecco e Diego si lasciarono andare in una grassa, sguaiata risata che fece risuonare le pareti dell’abitazione di un’allegria come mai ve ne era stata da quando Liam vi si era stabilito. Lo sguardo di Emma cercò e trovò quello del tenente: come spesso accadeva, la loro silente comunicazione non abbisognò di verbalità alcuna perché il messaggio passasse forte e chiaro e, per l’ennesima volta, Killian si vide destinatario di una promessa che non seppe decifrare, la stessa della sera prima.
 
«Ebbene?» Le sopracciglia di Emma si mossero di scatto nell’avanzare la sua pretesa verso Liam e, pur notando Dorothy portare le mani ai fianchi, l’altra la ignorò. «Credo tu mi debba delle spiegazioni.»
 
«Non avr-» fece per dire la donna, mentre Liam avanzava in direzione della giovane dalla chioma bionda che aveva preso posto su una sedia, ma Killian intervenne per evitare che quella frase giungesse a compimento. Si limitò a metterle una mano sulla spalla, esercitando su di essa una pressione sufficiente ad attirarne l’attenzione. «Che sta succedendo?» chiese e non si rese neppure conto di aver sussurrato quell’ultima domanda.
 
Agli occhi del tenente fu palese che Liam avesse scelto di non renderla partecipe di una parte della storia, in un modo che non aveva ancora potuto spiegargli per carenza di tempo ed abbondanza di incombenze. «Lo capirete ben presto, mia bella signora. Ve lo prometto!»
 
E così fu. Rimediando alla penuria di dettagli del resoconto della sera antecedente, Liam narrò ad Emma parte delle vicende che si era visto costretto a tacere in un primo momento per ragioni di priorità: lui e Dorothy si erano conosciuti nei pochi ma intensi mesi di prigionia che lo avevano visto occupare la stessa cella di Henry e il feeling tra loro era stato a dir poco immediato. La donna si era dimostrata una persona caritatevole, giusta e leale e la sua affezione per il bambino quanto mai sincera, al punto da conquistarsi la stima e, in parte, perfino la fiducia di Liam. “Non che sia impresa ardua!”, si disse Emma, ma evitò di esprimere a voce alta quella considerazione nel timore che essa potesse interrompere il racconto. Il capitano della marina proseguì, illustrandole ancora una volta l’incredibilità dello scenario di fronte al quale si era trovato una sera, svegliato da un rumore improvviso nel bel mezzo della notte: la porta della cella spalancata, il corridoio ampiamente illuminato da un numero di torce inusuale per quel luogo e per quell’ora della notte e nessuna guardia nei paraggi.  Nonostante lo sgomento, le disse, il suo istinto di sopravvivenza aveva avuto la meglio e, accostatosi a Henry per svegliarlo, lo aveva preso per mano per condurlo ovunque quella fortuita circostanza li avrebbe portati. Poco importava che potesse trattarsi di una trappola! In ogni caso, valeva la pena tentare e sperare nella più rosea delle ipotesi.

https://www.youtube.com/watch?v=L7QIYXGL8m8
 
Le labbra di Emma si erano piegate in un lieve sorriso a quelle parole, che rappresentavano la dimostrazione lampante di ciò che Liam era e mai avrebbe smesso di essere, ma quell’attimo durò brevemente. L’uomo le confessò che, a quel punto, Henry aveva chiesto di lei – “La mamma è venuta a salvarci? Dov’è?” – e, se quella frase era stata sufficiente a fargli stringere il cuore allora, fu perfino più devastante da pronunciare agli occhi della persona che ne era diretta interessata. Un velo di tristezza calò su Emma e, per un brevissimo istante, il suo volto mostrò il dolore che ella aveva patito per tutti quegli anni: fu come essere al cospetto di uno squarcio dell’anima della donna che tutti avevano visto combattere anche quando si supponeva che crollasse; e fu così straziante che non soltanto gli uomini che la rispettavano e amavano, ma la stessa Dorothy percepì quel dolore come se un po’ le appartenesse. Killian le fece passare gentilmente il braccio attorno alle spalle, quando la sentì tirare su col naso, ma i suoi occhi non abbandonarono un istante il viso della ragazza. Per un frangente durato un battito di ciglia, ebbe l’impressione di poterla vedere, la persona che era stata prima che tutto accadesse, e desiderò essere lì, in quel preciso momento della sua vita, per risparmiarle tanto dolore.
 
«Va’ avanti!» disse lei, alzando finalmente lo sguardo.
 
E Liam acconsentì. Quel colpo di fortuna, benché evidentemente non casuale, aveva rinvigorito lo spirito suo e di Henry come da tempo non accadeva, ma con l’aspettativa di libertà era giunto anche il timore di non riuscire ad arrivare fino in fondo e questo li aveva fatti cadere in errore. Nella foga del momento, non ebbero a notare l’indizio che il loro angelo custode si era premurato di mettere a loro disposizione e, anziché dirigersi verso la zona più remota delle segrete, si erano mossi verso la porta che dava su una delle ali del palazzo. La corsa per i corridoi di marmo della dimora non era andata a buon fine, ovviamente: allertati dalla servitù, il padrone di casa e le guardie si erano lanciati all’inseguimento dei due e, nell’affanno di quei momenti, tutto ciò che erano stati in grado di udire fu l’ordine del primo che intimava di non torcere un capello al ragazzino e di sparare a vista all’uomo in sua compagnia.
 
A quel punto, Liam dovette fermarsi e, con un sospiro, si passò la mano sul viso, stancamente, gli occhi fissi sul pavimento. «Dio, quel ragazzino!» esclamò, la voce appena incrinata. Si schiarì la gola prima di riprendere, l’attenzione nuovamente sulla sua principale interlocutrice. «Nel sentire l’eco di quell’ordine, Henry mi ha tirato per il braccio e mi ha detto di fuggire, che lui avrebbe preso a correre in direzione opposta alla mia, attirando l’attenzione delle guardie e permettendomi di salvarmi.» L’emozione lo tradì ancora, dando l’impressione che il senso di colpa per aver accondisceso a quella che ora appariva come la sciocca pretesa di un bambino lo tormentasse senza tregua, e dovette alzarsi per placare il fiume in piena che aveva preso a scorrergli dentro. Nel momento in cui fece per oltrepassarla, Emma allungò il braccio per afferrargli il polso e i loro sguardi si incontrarono: non era adirata con lui. «Mi dispiace!»
 
Ella annuì sommessamente, poi gli sorrise. «E’ giusto così, Liam. Spetta a me salvarlo, l’ho sempre saputo.» S’interruppe un attimo, portando la propria attenzione su un punto imprecisato oltre la superficie del tavolo; lei e Diego si sorrisero. «Senza considerare che c’è qualcosa di perversamente piacevole nel constatare come voi Jones abbiate la tendenza a indebitarvi con noi Swan.»
 
Liam rise, mentre Emma scioglieva la presa attorno al suo polso e Dorothy inarcava di scatto le sopracciglia. «Ha cominciato a correre prima che potessi ribattere e, a quel punto, ho provato a seguire il suo consiglio, contando di nascondermi e tornare a riprenderlo non appena le acque si fossero quietate. Tuttavia, un manipolo di uomini, non vedendomi insieme a Henry, deve aver compreso e, distaccandosi dai compagni, si è messo alla mia ricerca: nel disperato tentativo di trovare un’arma, fosse stata anche solo una torcia, sono tornato nelle segrete ed è stato lì che ho realizzato quale errore avessi fatto.» Tornato a sedere, la sua espressione si indurì ed Emma vide in lui il capitano della marina che aveva catturato anni prima, fiero nella sua divisa blu zuppa d’acqua. «Il nostro salvatore aveva appositamente illuminato solo la parte di corridoio che conduceva verso la zona più remota delle segrete, non quella che dava verso l’uscita sul palazzo, e lo aveva fatto per una ragione ben precisa. Quando me ne sono reso conto e ho trovato il passaggio nella parete della cella rimasta carbonizzata, era troppo tardi per tornare a prendere Henry.» Nel pronunciare quelle ultime parole, il suo sguardo divenne implorante e colpevole insieme ed Emma non seppe dire se quei sentimenti fossero rivolti a lei, a Henry o se stesso. «Mi ero ripromesso di tornare a prenderlo, ma non ne sono stato in grado.»
 
«I controlli sono raddoppiati, non è così?» Liam annuì. «Hanno scoperto del passaggio nelle segrete?»
 
«No. Non mi avevano ancora avvistato quando sono tornato là sotto e, prima che scoprissero il trucco, mi sono assicurato di spegnere le torce. Possiamo utilizzarlo, se è questo che hai in mente.» Gli occhi di Emma scattarono sospettosi verso Dorothy, le sopracciglia inarcate nell’atteggiamento guardingo che le aveva visto assumere molte volte nel tempo trascorso insieme. «Lascia che ti spieghi il resto…»
 
Il loro salvatore – o, meglio, la loro salvatrice – altri non era che Dorothy. Con la complicità di una delle guardie, Rodrigo, si era assicurata che il turno di notte fosse coperto da persone scelte in base al criterio della stupidità, cosicché, quando il primo avesse proposto ai propri compagni di allontanarsi per prendere qualcosa dalla cucina, assicurandogli che sarebbe rimasto lui di guardia, il resto sarebbe venuto da sé. Nessuno avrebbe mai potuto sospettare che vi fosse la donna dietro l’accaduto, ma lo stesso lusso non era stato accordato al suo connivente: il morso del dubbio aveva ben presto colpito il padrone della dimora e, prima che arrivassero a lui, Rodrigo era stato saggio abbastanza da fare i bagagli e allontanarsi il più possibile.
 
Ma Dorothy non si era limitata ad architettare quel piano, no. Quando Liam ne aveva avuto più bisogno, dopo il lungo peregrinare che era seguito alla sua fuga, ella si era fatta trovare pronta ad accoglierlo e ad assisterlo come meglio la sua condizione le aveva concesso. Sapeva che l’uomo sarebbe tornato per rimanere accanto a Henry, se non addirittura per tentare un ulteriore salvataggio, e così era stato: non appena la prima occasione propizia si era presentata, Liam aveva fatto ritorno a Telos e aveva bussato alla sua porta, avendo compreso, in cuor suo, che Dorothy fosse l’artefice del complotto che gli aveva restituito la libertà. E, da quel momento, non soltanto lo aveva aggiornato sul tenore delle ricerche che Richard Lively non aveva smesso portare avanti nei mesi successivi all’evasione, ma si era premurata di aiutarlo a costruire un’identità che reggesse, collaborando per organizzare un eventuale nuovo colpo a palazzo e portando a Henry notizie sullo zio Liam. Peccato che da quel momento fosse già passato più di un anno!
 
Emma, i cui occhi avevano oscillato da Liam a Dorothy per l’intera durata del racconto, interruppe il fiume di parole per porre una semplice domanda alla donna: «Perché lo avete fatto?»
 
«Perché nessun bambino merita di starsene rinchiuso in una cella, al di là delle colpe di sua madre.»
 
Il pirata sorrise del modo diretto di parlare mostrato in più occasioni dall’altra. «Cosa vi fa pensare che io abbia fatto qualcosa?»
 
«Non hai mica il modo di fare di una santarellina, tesoro,» rispose Dorothy e, nell’incrociare lo sguardo di Liam, gli fece comprendere di aver finalmente messo a posto tutti i tasselli, senza che fosse necessaria alcuna spiegazione. Non attese che Emma le desse il permesso per mettere le cose in chiaro. «Sei tu il pirata che ha ucciso la figlia dei signori Lively. Tu sei Capitan Swan.» Il capitano della Nostos si limitò a riprodurre un cenno d’assenso col capo, tuttavia non aggiunse nient’altro. «All’inizio, ho pensato che fosse Liam il disgraziato che aveva fatto fuori la signorina, ma non poteva essere vero: Liam è subito stato gentile, pieno di rispetto e di buone maniere. Niente a che vedere con la feccia dell’umanità dei pirati.»
 
L’attenzione di Emma si spostò sui suoi uomini con una punta di divertimento, nell’udire quella definizione tanto colorita quanto stereotipata, per trovare nei loro volti il risentimento che si era aspettata. Stecco portò la mano alle labbra per sfilare il legnetto che era solito tenervi, in un gesto che il capitan pirata aveva visto compiere solo quando l’altro si accingeva a parlare con una donna per la quale nutriva un certo rispetto, ma qualcosa dovette fargli cambiare idea, perché lo rimise a posto poco dopo.
 
«Avete sentito, ragazzi? A qualcuno, in questa stanza, non piacciono i pirati,» fece Emma e, quando il suo sguardo incrociò quello di Stecco e scorse l’ombra di un sorriso sulle labbra di lui, ammiccò nei suoi confronti con fare complice.
 
«Ne avete mai provato uno, signora? Un pirata fatto e finito come quelli della Nostos, intendo,» domandò Stecco e Diego cominciò a sghignazzare senza badare alla possibile reazione dell’altra.
 
Dorothy si voltò verso colui che le aveva posto la domanda, mani ai fianchi. «Io con un pirata? Meglio morire.»
 
L’uomo smilzo fu sul punto di ribattere, ma Emma colse la palla al balzo per intervenire. «Signora, conoscete il significato dell’idioma le petit mort?» L’attenzione degli occupanti della stanza si spostò sulla giovane donna dai lunghi capelli biondi che se ne stava bellamente seduta al suo posto con il capo appena inclinato e un fare fintamente innocente: un modo di fare che Killian conosceva bene e che preannunciava l’arrivo di una delle stoccate che Emma amava tanto dare a chi osava provocarla. «Dal vostro silenzio, deduco di no, ma non è un problema. Non preoccupatevi! Sono sicura che ne avete avuto esperienza in più di un’occasione, o quantomeno me lo auguro per voi. Semplicemente non conoscete questa peculiare espressione.»
 
«Che diavolo sarebbe questa patì mar?» sbottò l’altra, mentre cresceva nel suo animo la consapevolezza che Emma si stesse prendendo gioco di lei.
 
«Le petit mort,» Emma pose volutamente accento sulla corretta pronuncia dell’idioma, «è ciò che volgarmente noi chiameremmo orgasmo.»
 
Non fu tanto l’uso delle parole a sconcertare Dorothy e i fratelli Jones, né il fatto che il richiamo a quell’espressione fosse un modo sottile per attribuire alle frasi della sessantenne una sfumatura estremamente voluttuosa, quanto il modo in cui pronunciò quell’unica frase. Mentre la bocca di lei si muoveva a composizione della risposta, Emma si era protesa leggermente in avanti, lo sguardo fisso in quello dell’altra, e il suo tono di voce aveva assunto improvvisamente una connotazione diversa, facendosi di colpo più basso e seducente. E, se Killian non avesse avuto l’assoluta certezza che quel suono fosse mero frutto della sua immaginazione, avrebbe giurato che l’ultima parola pronunciata dalla giovane fosse stata seguita dal colpo sordo di un tamburo.
 
Il volto di Dorothy assunse immediatamente le sfumature del porpora, conscia del fatto che il significato della sua frase le fosse stato ritorto contro in un modo che non aveva previsto, e, per la prima volta nella sua vita, non ebbe la prontezza di ribattere o infuriarsi, inchiodata sul posto dal verde di due occhi come mai ne aveva visti. Emma si alzò, cogliendo la palla al balzo, e a passi lenti si diresse verso la destinataria della sua burla. Lo fece con lentezza scenica, prendendosi tutto il tempo per carezzare l’intera superficie di un lato del tavolo con l’indice, e si arrestò solo quando fu a pochi centimetri di distanza dalla donna.
 
«No,» fu tutto ciò che disse con fare incontrovertibile, quando l’altra parve riacquistare l’ardire di cui la battuta l’aveva privata. «C’è una cosa che devo dirvi! Se avete capito chi sono, saprete anche di cosa sono capace e voglio essere chiara sin d’ora: vi conviene girare sui tacchi, lasciare questo appartamento e rintanarvi nella vostra casa tenendo la bocca ben chiusa, se non volete avere parte nel salvataggio di Henry.» Fu così dura, seria e perentoria che quel monito suonò come un ringhio basso e minaccioso e i suoi uomini ebbero l’impressione di avere innanzi l’incarnazione in forma umana del drago che aveva devastato Durin molti secoli prima. «Vi ringrazio per quello che avete fatto e, come segno della mia gratitudine, non oserò sfiorarvi con un dito fintanto che terrete la lingua a freno.» Rendendosi conto di quanto l’asprezza del suo tono avesse minato lo sfoggio di generosità che si era promessa di fare, aggiunse: «E, se aveste bisogno di qualunque cosa, saprete a chi rivolgervi senza indugio: che si tratti di denaro, protezione, di un passaggio per qualsiasi luogo desideriate visitare, Capitan Swan e la sua nave saranno ai vostri servigi.» Dorothy non avrebbe potuto essere più suggestionata dalla vista della giovane donna che aveva dinanzi agli occhi e dell’autorità che emanava da tutto il suo essere, perché mai si era sentita così piccola e sottomessa al cospetto di qualcuno, neppure di un uomo. «In caso contrario, vorrei sapeste che non basterebbe la vostra amicizia col Capitano Jones per mettervi al sicuro da morte certa.»
 
«Emma,» intervenne Liam, «ti prego, non è necessario…»
 
Un sorriso a metà tra il divertito e l’isterico apparve sulla bocca del capitan pirata, mentre chinava il capo verso il basso e, piano, portava la propria attenzione sull’altro. «Questo vale anche per voi due,» disse e la follia di cui erano accesi i suoi occhi ricordò a Killian ciò di cui ella era capace. «Non vi permetterò di mettere a repentaglio la vita di mio figlio per il vostro fottutissimo codice morale. Per quanto mi riguarda, potete infilarvelo su per l’orifizio che preferite, fintanto che non rompete il cazzo
 
L’escalation di emozioni cui ella era in preda, complici le informazioni che aveva appreso sulla miseria della condizione del figlio e l’impellente bisogno di porvi fine, la sopraffece senza che fosse in grado di porvi un freno e il passaggio era stato così rapido che Liam – la cui ostinazione lo aveva portato a credere di poter debellare la ferocia che vi era in lei – rimase sconcertato. Egli aveva avuto la fortuna di conoscere la giovane in un momento di quiete apparente e non aveva vissuto nulla di ciò cui Killian aveva assistito in più d’un occasione. Il tenente glielo lesse negli occhi, quando videro tutti e quattro gli uomini della Nostos avanzare di un passo verso il loro capitano, come a volerlo supportare e proteggere, negli occhi la stessa identica efferatezza. D’un tratto, Liam realizzò il significato delle parole che il fratello gli aveva rivolto la sera prima.
 
«Siete stata abbondantemente chiara,» Killian scelse con cura le parole, forse per la prima volta in assoluto intimorito dall’oscurità che trapelava dagli sguardi del quintetto a poca distanza da lui, «e avete la nostra parola che Henry è e sarà la nostra priorità per tutto il tempo.»
 
«Uccidereste per lui?» La voce di Ulan risuonò dietro Emma con tono funereo nella sua gravità. «Uccidereste anche solo per arrivare a lui?»
 
«Se si rendesse necessario, sì,» fu la risposta di Killian, ma non fu abbastanza per cancellare il sospetto. «Come tenente di una nave militare, mi sono già trovato ad uccidere degli uomini-»
 
«Pirati,» lo corresse Stecco, privo dell’accento sarcastico di cui si caricavano di solito le sue parole.
 
«Prevalentemente sì, ma non esiterei un istante, se ad essere a repentaglio fosse la vita mia, dei miei compagni o di Henry, in questo caso.»
 
«Vi uccideremmo entrambi senza pensarci un solo istante, tenente,» intervenne Diego, «se deste anche soltanto l’impressione di poter mettere a rischio la missione. E’ in ballo la vita del ragazzo!»
 
Killian annuì con un gesto secco e fu sul punto di ribattere con un’ulteriore rassicurazione, quando Dorothy lo precedette con una domanda: «Il signor Lively ha intenzione di uccidere Henry?»
 
Con lentezza esasperante, Emma volse il capo in direzione della donna e quest’ultima rimase sconcertata dalla risposta che trovò su quel viso, prima ancora che ricevesse la conferma verbale ai suoi timori: «Conta di ucciderlo davanti ai miei occhi per vendicare la figlia che gli ho portato via.»
 
«Ma… Ma la signora Lively non lo permetterebbe mai!» ribatté scioccamente Dorothy, istupidita dalla crudezza di un particolare che, nella sua mente, non aveva mai fatto capolino. In un’ingenuità che non si era mai attribuita prima d’allora, aveva creduto che la vendetta verso il tanto famigerato Capitan Swan si stesse consumando medio tempore con la lontananza del figlio, che aveva ritenuto una punizione già più che sufficiente. Spalancati, i suoi occhi vagarono rapidamente da un punto all’altro della stanza, come se la donna fosse alla ricerca di qualcosa; infine, tornando ad incrociare quelli di Emma, disse: «Dobbiamo salvarlo subito, prima che qualcuno scopra che siete a Telos.»
 
L’intervento della sessantenne finì per smorzare i toni di una conversazione che era parsa in procinto di degenerare. «Potete farci entrare di nascosto nel palazzo o, quantomeno, nel giardino, così da permetterci di raggiungere il passaggio?»
 
Dorothy sembro pensarci su per qualche momento e, nel farlo, prese a passeggiare con espressione intenta, seguita all’unisono con gli occhi da tutti gli occupanti della stanza. «Ho un’idea migliore!» proruppe dopo un po’, proseguendo nella sua avanzata e annuendo di tanto in tanto a quesiti che avevano luogo solo nella sua mente. «Sì, è decisamente meglio così,» bofonchiò ad un certo punto, in modo sì sommesso che gli altri fecero fatica a decifrare la composizione della frase, «e si può anche evitare che ci scappi il morto.»
 
«Che diavolo state farfugliando?» sbottò, allora, Emma.
 
Dorothy alzò il capo, l’espressione indispettita a dimostrazione del fatto che avesse recuperato parte della prontezza di spirito perduta a seguito dell’incontro col Capitan Swan di cui tanto aveva sentito parlare. Non poteva dirsi lo stesso per Liam, la cui risolutezza rispetto al salvataggio di Henry rimaneva immutata e il cui spirito condivideva in pieno le rassicurazioni fatte dal fratello ai pirati, ma che non era riuscito a cancellare il turbamento che la brutalità di Emma aveva suscitato in lui. Ciò che aveva visto pochi minuti prima non assomigliava neppure vagamente al ricordo che egli aveva conservato di lei per tutto quel tempo, anzi pareva rispondere in maniera decisamente calzante alla descrizione di Capitan Swan che gli era stata fatta molti anni prima e che, a seguito della cattura da parte della donna, si era sentito di dover smentire. Quello… Oh, quello era qualcosa di ben diverso!
 
«Dimenticavo che ti manca la pazienza, signorina,» le disse, «ma ecco cos’ho pensato: domani sera, per l’anniversario di morte della figlia, i signori Lively hanno organizzato un ballo. Sono anni che la signora prega suo marito di accontentarla e lui l’ha fatto finalmente, quando lei lo ha costretto a notare che, dopo la morte della figlia, quella che prima era solo la residenza invernale, è diventata la loro casa per tutto l’anno. La signora ama il mare!»
 
Nelle spiegazioni apparentemente superficiali di Dorothy, Emma carpì tutta una serie di elementi sui quali di era a lungo interrogata senza trovare risposta. Aveva sempre ritenuto inspiegabilmente strano che un uomo dedito ai commerci vivesse a Telos, un paesino situato tutto attorno la cima di una montagna. E se costui abitava nell’entroterra, si era chiesta, com’era possibile che la figlia fosse capitata nelle mani di un manipolo di pirati che le avevano subito fatto la festa? Certo, si era detta che, per quanto insolito, non le fosse dato sindacare sulle scelte di vita di un uomo che non conosceva e che il Fato – sempre il Fato – dovesse essere l’artefice che aveva condotto la fanciulla lontana dalla sicurezza dei sentieri della città natia fino a un porto malfamato, ma non ne era mai stata pienamente convinta. Adesso, tutto aveva un senso: Richard Anthony Lively era quel tipo d’uomo cui la fortuna aveva arriso abbondantemente nel corso della vita, al punto da consentirgli di mantenere due dimore ove trascorrere i due diversi periodi dell’anno in base alle esigenze del nucleo familiare. E quale scelta migliore se non quella di trasferirsi presso la residenza invernale, in un paese a settimane di cammino dal mare, quando aveva scoperto che il suo nemico altri non era che un pirata? Rappresentava la soluzione perfetta non soltanto per rendere la ricerca quasi impossibile al capitano della Nostos – e ci era quasi riuscito con la complicità del fratello e il trucchetto delle mappe -, ma anche per tenere prigioniero Henry senza destare sospetti.
 
«Capitano?» Julio la chiamò ripetutamente, fino a distoglierla dalle proprie riflessioni. «Tutto bene?»
 
«Certo. Scusatemi! Vada avanti, Dorothy.»
 
La donna la guardò con una punta di apprensione. «Dicevo che potresti fingerti mia nipote e infiltrarti al ballo. Nessuno è stato avvisato della minaccia di pirati a Telos, stranamente,» disse e, nel farlo, spostò lo sguardo da Stecco a Ulan per passare, infine, a Diego e Julio, «e nessuno sospetterà niente: c’è sempre bisogno di due mani in più, quando si organizza un ballo.» Emma le sorrise di un sorriso grato, umano per la prima volta da che si erano conosciute e Dorothy fu rapita da cotanta bellezza. «No, no, no, no, no, no, no, no. Non ci siamo!» La fronte di Emma si aggrottò e gli sguardi degli uomini presenti presero a oscillare tra le due donne. «Quella cosa lì, quel sorriso lì non potete farlo o col cavolo che passate inosservata! Tutti gli uomini del ballo vorranno venire a letto con voi e non guarderanno le signore.»
 
«Magari, con alcuni di loro ci sono già stata,» la punzecchiò, alzando le sopracciglia con fare significativo e facendo imbronciare l’altra al ricordo del tiro mancino che le aveva giocato in precedenza. Emma sorrise di un sorriso ampio e, nel farlo, si morse il labbro inferiore, riacquistando molti anni in giovinezza. «Prometto che sarò la nipote più timida, riservata e pudica che abbiate mai avuto!»
 
«Come no! Ti terrò d’occhio,» la rimbrottò e il loro rapporto parve prendere una strada che, fino ad allora, era parso impossibile percorrere. «Uno di voi può fare lo stesso,» disse, rivolta al quartetto di pirati, «ma non tu, Stecco. Hai la faccia da tipaccio!»
 
Tutti risero a quell’espressione, mentre Stecco si accigliava e incrociava le braccia al petto, masticando ritmicamente il pezzetto di legno che aveva tra le labbra. «Vada per te, Diego,» fece Emma e fu la scelta più saggia. «Sarà facile farti passare per uno spiantato nullatenente in cerca di qualche moneta o di qualcosa da mettere sotto i denti. La tua stazza deporrà a tuo favore.»
 
Dorothy rise. «Il buon Robin sarà felice di farti fare tutti i lavori più faticosi.»
 
«Senza considerare che averlo così vicino sarà come avere due uomini dalla nostra parte,» aggiunse Emma e Diego annuì, soddisfatto. Ella gli sorrise teneramente, poiché sapeva che tanta placidità nascondeva il sollievo di saperla a portata di mano, qualora se ne fosse presentata l’occasione. «E che Ulan, Stecco e Julio potranno tenere d’occhio i due Jones e intervenire in caso di bisogno,» proseguì con noncuranza, come se quella precisazione fosse del tutto superflua agli occhi dei suoi uomini e perfino dei due interessati.
 
Era sul punto di tornare nella sua stanza, quando la voce di Dorothy la costrinse a fermarsi. «Hey,» fece costei, squadrando dall’alto in basso Killian Jones come se fosse un pezzo di carne sulla cui qualità voleva sincerarsi prima di procedere all’acquisto, «che dici di infiltrare pure lui? Sarebbe un bel vedere per gli occhi delle signore e una spalla in più su cui contare.»
 
Con la mano poggiata sullo stipite della porta, Emma attese che gli occhi blu del tenente trovassero il verde dei suoi, un sorriso a trentadue denti stampato sul bel viso femmineo. «Che dite, tenente? Ve la sentite di affrontare un altro ballo in onore dei bei vecchi tempi?»
 
*
 
I preparativi per il giorno dopo erano stati frenetici, ma ognuno aveva svolto il compito assegnatogli con estrema sollecitudine e il piano era stato ripassato più volte. Per espressa scelta del capitano della Nostos, avevano deciso di agire dopo il termine del ballo, non soltanto perché le informazioni ottenute da Dorothy dimostravano che lo spiegamento di guardie sarebbe stato notevole durante lo svolgimento della festa – probabilmente nella (neppure troppo erronea) convinzione che la confusione che questa avrebbe portato fosse il momento propizio per un eventuale attacco a sorpresa, benché nessuno si aspettasse un risvolto del genere se non in via altamente ipotetica -, ma anche perché ella voleva evitare che venissero coinvolte persone innocenti. Quella, per lei, era una questione personale e, comunque fossero andate le cose, sapeva che i conti andavano regolati e la questione risolta una volta per tutte. Non poteva permettersi il lusso di vivere nel costante timore di una ritorsione da parte di un uomo sì potente!
 
Una volta definito ciò e sgraffignato un invito per consentire la partecipazione ufficiale di Killian, il problema più impegnativo si era posto in merito al vestiario e, nello specifico, a quello che interessava il tenente Jones. Per Emma, infatti, era stato sufficiente apportare qualche modifica ad uno dei pochi vestiti in buone condizioni che Dorothy aveva conservato dai tempi della giovinezza e, benché il margine di tempo che la donna trascorreva lontana dal palazzo fosse stato davvero esiguo, la situazione era stata risolta relativamente in poco tempo. Quanto a Killian, le cose si erano fatte decisamente più complesse, quando ci si era resi conto che costui dovesse presenziare con un abbigliamento degno dei partecipanti al ballo, ed era stato a malincuore che Liam e il fratello si erano visti costretti a lasciare la soluzione al problema nelle mani di Stecco e Julio. E i due, ad onor del vero, avevano avuto successo nell’impresa!
 
Con le doti che la pirateria portava con sé, il duo si era intrufolato in una serie di sartorie presenti a Telos alla ricerca di qualcosa che potesse ad occhio calzare al tenente e si erano ritrovati a maledire sia la corporatura imponente dell’uno, sia i fisici gracilini degli uomini che avevano commissionato tutti quegli abiti, per loro inutili. Alla fine, dopo aver rischiato di essere scoperti proprio all’ultimo tentativo, avevano trovato ciò che pareva rispondere alle loro esigenze e, con un po’ di fortuna, a quelle di Killian. Pareva, appunto, ad occhio. Perché il completo che avevano portato all’appartamento era, sì, di ottima fattura e meritevole di essere indossato ad un evento del genere, ma aveva un piccolo e quanto mai evidente difetto, che aveva fatto esplodere l’intera casa in uno scoppio di ilarità contagiosa: diciamo, per rimanere in toni vaghi ma sufficientemente comprensibili, che fasciava il corpo del tenente Jones in modo da far risaltare un punto di esso che avrebbe fatto arrossire le giovani meno esperte del settore.
 
«Almeno, nessuno potrà mettere in discussione le vostre doti, tenente,» lo punzecchiò Stecco, in una dell’infinita serie di battute cui lo avevano sottoposto, tra una risata e l’altra.
 
«Qualcuno di questi padri montanari vi maledirà per aver contaminato la verginità degli occhi della figlia,» rincarò la dose Ulan, tenendosi lo stomaco che gli doleva per le risate cui la vista del tenente stretto in quell’abito lo aveva costretto.
 
«Solo quella potrebbe contaminare, di verginità,» si aggiunse Julio e perfino Liam non poté più trattenersi e si unì all’allegria della comitiva.
 
E Killian sarebbe stato oggetto quantomeno di un altro giro di facezie, se la porta dell’Ufficio Strategie non si fosse aperta, rivelando il proprio contenuto e lasciando in sospeso l’ultimo scoppio di risa. Stretta in un abito estremamente modesto, con i capelli acconciati in una grossa treccia laterale e le guance arrossate dai buffetti che Dorothy le aveva dato per servire allo scopo, Emma fece il proprio ingresso nel soggiorno e tutti convennero che avesse un aspetto a dir poco mozzafiato. La sessantenne, alla quale si doveva buona parte del merito del travestimento, ma che nulla poteva vantare sulla bellezza della ragazza, parve soddisfatta della reazione degli uomini… Un po’ meno di quella della giovane! Come al solito incurante del proprio aspetto, ella tastò la gonna per trovarvi la spaccatura che lei e Dorothy si erano premurati di nascondere, la stessa che le sarebbe servita per estrarre il pugnale che aveva intenzione di fissare alla coscia. Individuando l’arma, raggiunse la panca ove era riposta e la prese tra le mani.
 
«Capitano!» La voce di Stecco attirò la sua attenzione e, finalmente, Emma si rese conto di essere il fulcro dell’interesse dei presenti. «Lasciatemi dire che nulla batterà il modo in cui vi fascia il completo in pelle, ma siete sempre una visione, per i kraken di Re Tritone
 
Emma rise, scuotendo appena il capo, e tornò a trafficare con l’arma per assicurarla ad una cinghia. «Capitano?» Stavolta, fu Ulan ad intervenire; ella fece un cenno con la mano per invitarlo a proseguire, pur rimanendo concentrata sulla mansione che stava svolgendo. «Avete detto che il padre di Henry non era gran cosa, giusto? Mi chiedevo se io fossi meglio o peggio di lui.»
 
La giovane levò un attimo lo sguardo, la fronte aggrottata come unica nota stonata di un’espressione divertita. Nonostante tutto, gli intimò d’alzarsi con l’intento di dare un’occhiata e, quando ebbe finito col davanti, fece roteare la mano per costringerlo a girare su se stesso, in modo da poter controllare l’altro versante: Ulan era un uomo ben fatto, alto e robusto, non troppo avvenente ma neppure brutto, con un bel paio di occhi grigio-azzurro che deponevano a favore della sua causa. Peccato che quel grigiore si estendesse anche ai denti, in un aspetto che Emma aveva visto essere comune a chi orbitava nella pirateria, ma che non riusciva comunque a farsi piacere!
 
Killian rise di quello studio approfondito, nella consapevolezza che molte delle donne che aveva conosciuto non soltanto non avrebbero  indugiato in maniera tanto esplicita nel giudicare il fisico di un uomo, ma che, soprattutto, non l’avrebbero fatto con cotanta disinvoltura.
 
«Molto meglio tu. Il padre di Henry era una cosuccia insignificante che non sapeva dove mettere le mani,» rispose alfine, un sorriso malizioso che indugiava sulle labbra, prima di tornare a dedicare la propria attenzione all’occupazione che più le premeva al momento.
 
«Non ho mai desiderato così intensamente essere una cosuccia da poco come in questo momento, Cristo!» Le parole di Ulan risuonarono come una bassa imprecazione che, tuttavia, giunse forte e chiara ad Emma, spingendola a lasciarsi andare ad una risata come da tempo non era capitato loro di sentirne. E l’uomo ne parve soddisfatto, perché aggiunse: «Sarei pure disposto a vestirmi come il tenente per voi, capitano.»
 
A quel punto, l’attenzione dei presenti tornò su Killian – Dorothy arrossì un poco nel notare la ragione della burla degli altri -, ma ciò non fu sufficiente a distogliere il tenente Jones dalla giovane a poco meno di un metro da lui. Il suo sguardo si posò intensamente sul volto di Emma nella speranza di incrociarne il verde degli occhi e, quando le sue aspettative ebbero a realizzarsi, il capitano della Nostos realizzò quali fossero i pensieri dell’altro senza avere dubbi in merito. Killian, a differenza di Ulan, non avrebbe voluto né essere una cosuccia da poco, né indossare alcun abito per farsi piacere da lei. Il suo unico desiderio era che fossero soli in quella casa, in quel momento e per molte, molte, molte ore a venire, cosicché i ricordi delle sue mani su di Emma potessero smettere di essere tali. E, inaspettatamente, quel pensiero infiammò anche lei.
 
«Su, su!» fece Dorothy d’un tratto, battendo le mani come per scandire il tempo e velocizzare i ritmi. La verità era che quello che, all’inizio, non era stato che un sospetto aveva finito per trasformarsi in certezza e, se non fosse bastato lo sguardo di fuoco passato tra i due, l’espressione di Liam che osservava la scena avrebbe fatto il resto. «E’ ora di muoversi!»
 
Distogliendo l’attenzione dal tenente, tuttavia, Emma non fu in grado di privarsi di un’ultima, piccola soddisfazione: portando una mano sul retro della gonna, si servì di questa per scostare alcuni strati di tessuto e scoprire la coscia, non prima di aver alzato la gamba sulla panca per agevolare l’allacciamento della cinghia col pugnale. Incurante delle lamentele di Dorothy e con un’espressione fintamente intenta, la strattonò una, due, tre volte fino ad assicurarsi che l’arma fosse  correttamente fissata all’arto. Quando tornò nella stanza che aveva adibito ad ufficio e il cui letto era rimasto intatto, un sorriso sulle labbra all’idea della reazione che il suo gesto aveva provocato nell’altro, si allungò un attimo per recuperare il mantello che le aveva dato Olivia e che Killian, nonostante il trambusto successivo agli eventi della foresta, era stato in grado di recuperare.
 
Sobbalzò nel momento in cui, voltatasi per raggiungere Dorothy, sbatté contro il tenente, della cui presenza non aveva avuto modo di accorgersi. «Le petit mort, Emma,» sussurrò lui, il volto così vicino a quello della giovane che le labbra le sfiorarono la guancia in una carezza lasciva. «Tu sei la mia piccola morte.»


__________________________________________________________________________________
Spazio dell'autrice:

I'm baaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaack! 
Chiedo scusa per il ritardo, ma gli esami mi hanno a dir poco tormentata. Ciò non toglie che vi abbia pensati costantemente e che io e i miei Nostossiani non vedevamo l'ora di rivedervi e fare un viaggio in vostra compagnia. <3
Come al solito, devo fare una serie di precisazioni sul capitolo:
a)Mi scuso di avervi fatto aspettare tanto per postare quello che mi sono resa conto essere un capitolo di passaggio, ma avevo bisogno di chiarire tutta una serie di dettagli che non potevo lasciare al caso o alla vostra immaginazione, come cosa ci facesse un mercante in un paesino di montagna, come Liam fosse riuscito a fuggire e perché non avesse portato Henry con sé, come Liam fosse riuscito a rimanere a Telos senza tornare in gabbia giusto uno o due giorni dopo. Adesso, finalmente, sappiamo che Richard Anthony Lively, fratello del caro traditore Harold di Poreia, ha fatto ritorno nel suo paese natio per incombenze da carceriere, che Liam non ha portato Henry con sé perché farsi uccidere non avrebbe portato a nulla di buono e che, dal giorno dell'evasione, sono trascorsi molti mesi prima che tornasse a Telos e anche dopo l'arrivo... Per ovvie ragioni!
b)Questo punto di ricollega direttamente a quello prima, nel senso che devo avvertirvi sull'altra ragione mi ha portato (inconsciamente, devo ammetterlo) a renderlo un capitolo di passaggio: questo è uno dei pochi, degli ultimi momenti di tregua rimasti, prima di una successione di capitoli piuttosto incalzante e piena di eventi e spiegazioni. A proposito, non so ancora dirvelo con certezza, ma questo dovrebbe implicare una maggiore lunghezza dei prossimi. Mi scuso per chi fa fatica ad approcciarsi ad essi!
c)Forse, e dico FORSE, ho intenzione di aggiungere qualche capitolo in più rispetto ai 5 che avevo preannunciato, perché mi sono resa conto di una cosa nello stilare gli appunti della storia.
d)Il prossimo capitolo potrebbe essere molto diverso, quanto a struttura, rispetto a quelli che ho scritto finora. Non posso aggiungere nulla di dettagliato, ma dovrebbe essere più dinamico per ragioni che sono solo intuibili da questo capitolo.

Adesso, passiamo alla fase dei ringraziamenti, il che implica che morirò di feels nel rileggere i commenti. VADO E MUOIO!
-A lexie s, è un piacere ritrovarti qui e non preoccuparti della tua breve assenza: come ho scritto all'inizio dello spazio in verde, comprendo perfettamente quanto tempo ed energia ti porti via l'università. Sono comunque contenta di averti trovata! Adoro il fatto che tu ti prenda sempre il tempo per darmi un parere tecnico, oltre che emotivo, perché un punto di vista sul lato strutturale e della resa linguistica mi serve per migliorarmi e capire se posso/devo cambiare qualcosa. Una cosa che mi ha fatto estremamente piacere è che tu abbia definito il mio stile riconoscibile: l'ho trovato un gran bel complimento! Per il resto, vorrei ringraziarti anche per l'altra parte del commento, soprattutto per "Non so se questa storia avrà o meno un lieto fine ma, in ogni caso, è stato un gran bel viaggio". Sono lieta di poter dire la stessa cosa, di averti avuta nel corso di questo viaggio! <3

-CSlover, il tuo "sappi che sto creando nella mia mente una fanfiction sulla tua fanfiction" è stato il top del top. Ho riso tantissimo e quella stessa gioia me la sono portata dietro per giorni. Sono felicissima, inoltre, di vedere che comprendi il perché del tormento di Killian: senza immedesimarsi in lui e in quello che ha vissuto, sarebbe impossibile riuscire a carpire queste sfumature e il fatto che tu ci riesca mi stringe il cuore, perché significa che non hai vissuto soltanto la storia, ma anche i personaggi e... Io non so davvero come ringraziarti per questo! <3 Quanto al resto, QUANTO HO RISO per la storia di Julio in versione Brontolo. HAHAHAHAHAHAHAHAHAHAHAHA Grazie anche per questo! <3 N.B. Non possono sbottonarmi sulle altre cose che hai scritto nel commento, ma sappi che ho letto e apprezzato anche quelle. :D
-Pandina, non so se emozionarmi più per la poesia dei tuoi commenti, o per quello che hai scritto ieri sul post della pagina. Nostos ti manca fisicamente? Beh, tu hai la capacità di farmi saltare un battito o due quando dici queste cose! E vorrei essere in grado di esprimere meglio la mia gratitutidine, a te come alle altre, perché avete reso possibile il nascere non solo di una storia ma di tutto un mondo che non sapevo nemmeno di avere in dentro. Senza di voi, non sarei nulla! Grazie, grazie, grazie dal profondo del cuore. <3
-ErinJS, ci tengo a dirti che ho appena riletto il tuo commento e ho passato tutto il tempo a ridacchiare, con mio padre in sottofondo a chiedermi 'Che ridi? Perché ridi?' e io con l'espressione da ebete in viso. Tanto per dire! Per commentare il tuo commento, se dovessi usare uno dei miei hashtag, userei #SOBBINGSOHARD, perché... Oddio! ç_ç Tu non puoi dirmi di leggere la mia storia e avere la tachicardia senza mettere degli appositi segnali che possano avvisarmi. Ci sono quasi rimasta secca! Senza considerare che quella rivelazione è stata seguita da un'analisi deliziosa di ciò che avevo intenzione di rendere, facendomi capire di essere riuscita a far arrivare proprio quello che volevo trapelasse. E ti devo ringraziare per avermi concesso l'onore di emozionarti e di occupare una parte del tuo tempo e dei tuoi pensieri! <3 Per quanto riguarda Liam, spero di aver chiarito un po' di più la dinamica dei fatti sul post fuga e mi sento di precisare qualcosa: non soltanto il senso di colpa per aver lasciato Henry indietro ha spinto Liam a non allontanarsi, insieme al fatto che nei primi mesi abbia vissuto alla bell'e meglio perché ricercato da Richard Lively, ma anche per ragioni logistiche, che chiarirò nei prossimi capitoli. Nel frattempo, grazie per questo viaggio, grazie per le tue parole, grazie di tutto! <3

E un ringraziamento speciale va anche alle ragazze che hanno commentato sulla pagina, facendomi sentire tutto l'amore che provano per questa storia, un amore di cui non ero assolutamente consapevole. Nel pubblicare quello stato, ammetto di aver temuto che nessuno potesse considerarlo, date tutte le novità su Dark!Emma (#AMOREDELLAMIAVITA) e i Captain Swan. Grazie, grazie, grazie! E questa gratitudine, ovviamente, si estende anche a chi, pur non commentando, si prende la briga di dedicare minuti del suo tempo a questa storia: so che ci siete e siete importanti per me, anche nel vostro silenzio. Per dimostrarvi quanto il vostro sostegno (tacito o meno che sia) mi sproni a dare di più, vi racconto un piccolo aneddoto di ieri sera, quando ero gasata della vostra partecipazione allo stato su All Aboard.
Mio fratello, dopo avermi sentita ridacchiare più di una volta: "Ma perché ridi?"
Io: "Capitan Swan! Mi fa morire! Ho appena scritto una battuta che dirà nel prossimo capitolo e lei è troppo forte."
MF: "... Ti rendi conto che le battute le scrivi tu, vero?"
Io: "Ma non c'entra! E' il modo in cui le dice lei, non la battuta in sé."
MF: "... Sai che non ha senso quello che dici, vero?"
Io: "Tu non capisci! Ai miei occhi, lei vive a prescindere da me, nel senso che non la vedo come una serie di parole su carta. Per me è una persona che... Non so come spiegartelo, ma mi fa ridere!"

Con questo sfoggio di follia, vi lascio.
Buona lettura!

 

Ritorna all'indice


Capitolo 18
*** La parte in cui tutti rischiano tutto ***


Capitolo XVIII
La parte in cui tutti rischiano tutto


https://www.youtube.com/watch?v=uNhKYa_KFaY
 
 
«Per tutte le meduse!»
 
La bassa imprecazione lasciò la bocca di Emma in un sussurro tanto lieve che nessuno avrebbe potuto udirlo all’infuori di lei. Non che la tenuità delle sue parole potesse mascherare lo stupore presente sui suoi lineamenti, a dire il vero! Ciò che si stagliava dinanzi agli occhi della giovane, in un connubio perfetto tra raffinatezza e sobrietà, andava ben al di là di qualunque aspettativa avesse mai nutrito in merito alla festa dei Lively e all’ambientazione ove si sarebbe svolta. Proprio lei, che di mottetti sulle origini dell’altro aveva tormentato il tenente Jones – e, a suo tempo, lo stesso Liam -, non avrebbe potuto mentire sull’effetto che quella sala imbandita a festa stesse avendo su di lei; e, pur contro il suo orgoglio, si concesse di trovare ogni cosa stupefacente, come null’altro avesse avuto l’occasione di vedere fino a quel momento.
 
Osservando la gente danzare, il sorriso sulle labbra dei presenti, lo svolazzare di gonne e merletti, l’orchestra e i suoi strumenti, comprese il fascino di quanto aveva spesso aborrito: era come prendere una boccata d’aria fresca dal gravame della quotidianità e recuperare parte della gioventù perduta a suon di musica e frivolezze. Perfino Emma, che della puerile spensieratezza che le sarebbe toccata non aveva vissuto nulla, ebbe l’impressione di sentire la tensione e la gravità accumulata con gli anni scivolare via e uscir fuori dalla porta-finestra che dava sul giardino; e si ritrovò a provare una sensazione di eccitazione sì innocente che finì per avere l’impressione di star vivendo un sogno, un sogno dal quale non avrebbe mai voluto svegliarsi se solo Henry fosse stato al suo fianco.
 
Con il vassoio stretto tra le mani e l’entusiasmo nel cuore, la giovane prese a percorrere a passi lenti la sala e, poco a poco, scorse quante e quali fossero le differenze tra il ballo al quale stava presenziando e quello di Thrain: vi era una veridicità senza compromessi, nell’assenza di sfarzo e nella mera aspettativa di trascorrere una serata piacevole, in cui Emma si riconobbe. E non fu in grado di trattenere una risata, quando la sua mente collocò uno Stecco danzerino tra la folla a poca distanza da lei ed essa le restituì l’eco delle parole di Dorothy. “Faccia da tipaccio”, lo aveva definito e, ad onor del vero, il seducente capitano della Nostos non avrebbe potuto dissentire a favore del suo uomo, il cui essere aveva abbracciato la vita della pirateria ancor prima che fosse in grado di pronunciare le sue prime parole. Stecco era nato pirata e avrebbe lasciato il mondo allo stesso modo, legnetto alla bocca.
 
«Non riesco a capire se siete riuscita a calarvi perfettamente nella parte,» proruppe improvvisamente una voce alle sue spalle, così vicina da farla sobbalzare e quasi cadere il vassoio di mano, «o se devo pensare che vi siate ricreduta su tutto quello che dicevate di disprezzare.»
 
Divertimento. Ecco cosa trapelava dalla voce e dalle parole del tenente Jones! E la di lui espressione non fece che riflettere specularmente quell’emozione, quando la giovane si voltò per fronteggiarlo con un atteggiamento di rimprovero tanto simile a quello che egli era solito riservarle. Guardandolo con piglio severo, Emma notò che il ballo avesse avuto lo stesso effetto su Killian e, se una parte del suo animo temette per la sincera partecipazione dell’altro all’impresa che di lì a qualche ora si sarebbe svolta, un’altra provò dispiacere per la persona che aveva innanzi: più di un anno prima, lo aveva strappato alla vita che aveva sempre condotto, ai suoi piaceri e alle sue abitudini. Doveva avere un sapore dolceamaro anche per lui prendere parte a quella pantomima.
 
«Non vorrete dare nell’occhio, accostandovi proprio a me?» Il monito fu posto con aria fintamente timida, mentre Emma si appropinquava al tavolo ove il buffet era sito con l’intento apparente di sistemare qualcosa. «Non mi toccherà ricordarvi quale sarebbe la vostra sorte, qualora intendeste ostacolarmi.»
 
Il riferimento fu chiaro e rese lampante quale fosse lo stato di tensione in cui l’altra versava rispetto all’esito della missione, ma non fu sufficiente a scoraggiare il tenente. «Godetevi il momento, finché ne avete tempo e modo, e state pur tranquilla che non desteremo alcun sospetto,» le disse, allungando una mano verso il vassoio per afferrare uno stuzzichino e portarselo alle labbra; e, quando i loro occhi tornarono ad incontrarsi, Emma scorse i contorni della malizia brillare nello sguardo di lui. «Posso dirvi con assoluta certezza che, in ogni ballo che si rispetti, un invitato si porta a letto almeno una bella domestica,» le molteplici implicazioni di quell’asserzione rimasero sospese nell’aria, «e non ve ne sarete accorta, Emma, ma voi siete già il boccone più ambito dell’intera sala.»
 
Un luccichio pericoloso animò lo sguardo della giovane a quelle parole, cancellando parte della timida virginalità che si era imposta per mantenere la copertura, e Killian convenne con se stesso che non avrebbe mai trovato un’altra donna in grado di accendersi e accenderlo com’era capace di fare lei. Era un incendio sempre pronto a divampare alla più piccola scintilla e, nel vederla bruciare, il tenente finiva sempre per ardere e consumarsi a sua volta. 
 
«Siete fortunato che la nostra copertura richieda un certo livello di attenzione,» fece lei, avanzando appena ed indicando con un fluido gesto della mano la composizione degli antipasti che portava con sé, come se stesse rispondendo ad una domanda in merito, «altrimenti sarebbe dilettevole mettervi alla prova e osservare quanto a lungo sareste in grado di mantenere nei limiti della decenza il rigonfiamento che quel pantalone fascia in maniera tanto deliziosa.»
 
La risata del tenente fece voltare più di una persona.
 
*
«Credo sia il caso di separarsi, ragazzi.»
 
Le parole di Liam scossero il quartetto dallo stato di torpore nel quale il tragitto verso il palazzo li aveva gettati e una serie di occhiate torve si riprodusse all’indirizzo dell’uomo nell’udirne il suggerimento. Stecco e Ulan si lanciarono uno sguardo d’intesa, prima di fare altrettanto con Julio, e d’istinto gli si fecero più vicini, così vicini che il piede di Stecco urtò quello dell’ex capitano della marina, facendolo inciampare. Una bassa imprecazione fu ciò che uscì dalle labbra di Liam, mentre tentava di non perdere l’equilibrio e i suoi occhi si puntavano sul più smilzo dei pirati, un’espressione di perfetto disappunto sul viso.
 
«Non provare a fare il furbo, Liam. Qua, nessuno si separa da nessuno.»
 
«Sul serio, Ulan?» Il sospiro a metà tra il risentito e l’esasperato nel quale il capitano Jones si lasciò andare testimoniava quanto poco costui fosse abituato a una simile mancanza di fiducia. «Dopo tutto quello che avete sentito, dopo essere rimasto un anno in questo buco di montagna per assicurarmi che nulla accadesse a Henry, dopo aver rischiato la mia maledettissima pellaccia per un ragazzino che quasi non conoscevo quando avrei potuto fare ritorno alla mia vita, voi dubitate ancora di me?» Era offeso, offeso nell’orgoglio e, pur a malincuore, i presenti convennero che il suo discorso non facesse una piega. Liam non era un traditore e, se anche non gli fossero piaciuti i pirati, sapevano il suo codice morale gli avrebbe imposto di salvare a qualunque costo la vita di un bambino innocente. Non c’era motivo per dubitare di lui e anche il loro capitano se ne sarebbe reso conto, se la sera prima non fosse stato fuori da qualunque grazia divina. «Perdio, ragazzi,» inveì e si fece più vicino a loro per evitare che qualcuno lo sentisse, «dobbiamo separarci. Non c’è altra scelta!»
 
«Spiegacene il motivo,» lo incalzò Julio che, in quell’anno, aveva acquistato parte della sicurezza della quale il suo passato turbolento l’aveva privato.
 
«Non c’è verso che un gruppo come il nostro passi inosservato, s’intrufoli in un giardino pieno di guardie, nelle segrete e riesca ad uscire senza problemi. A quel punto saremmo anche cinque, compreso Henry, e nessuno potrebbe rimanere nelle vicinanze per assicurarsi che Diego, Killian ed Emma la facciano franca a loro volta,» spiegò loro e la sua perplessità fu immediatamente cristallina, perché, da esperti in ruberie quali erano, ciascuno di essi sapeva come un piano ben congeniato richiedesse una tattica più precisa, che desse meno nell’occhio e permettesse di non essere smascherati alla prima occasione. «Dobbiamo dividerci: uno di voi verrà con me e gli altri due rimarranno indietro, fuori dalle mura del palazzo.»
 
«Cos’hai in mente?» chiese Ulan, le mani alla cintola e l’espressione di un uomo pronto all’azione.
 
«Tu verrai con me e ci intrufoleremo nel passaggio delle segrete,» disse, stando bene attento a guardarsi intorno per assicurarsi che nessuno fosse nei paraggi, «mentre Julio e Stecco rimarranno fuori fin quasi alla fine della festa e dovranno occuparsi del diversivo.»
 
«Diversivo?» fece Stecco, il volto espressivo piegato in una sfumatura velatamente interrogativa. «E che cosa dovremmo fare? Ammazzare qualcuno? Far saltare in aria qualcosa?»
 
«No, niente di tutto ciò,» si affrettò a rispondere Liam, l’ombra di un sorriso sulla bocca, mentre Stecco riposizionava il legnetto tra le labbra. «E’ vero che Killian ed Emma hanno messo fuori gioco il trio di ronda e che abbiamo ancora un vantaggio, ma questo non significa che Lively abbia abbassato la guardia: il fatto che, dopo tutti questi anni, il livello di attenzione sia ancora tanto elevato la dice lunga su chi sia la persona con cui abbiamo a che fare e un diversivo del genere lo insospettirebbe, lo porterebbe ad aumentare i controlli per tutto il palazzo e questo renderebbe quasi impossibile l’ipotesi di uscire ed evitare spargimenti di sangue.» All’occhiata sospettosa che i tre gli rivolsero a quelle ultime parole, Liam sospirò d’esasperazione: «Ci superano di numero ed equipaggiamento. Abbiamo bisogno di un diversivo che sembri un incidente di lieve entità e attiri l’attenzione quanto basta, mentre noi ce la diamo a gambe.»
 
Stecco incrociò le braccia sul petto e fu sul punto di dire qualcosa, quando Julio lo precedette: «E che diamine dovremmo fare?»
 
La tensione oramai visibile con l’appropinquarsi del momento dell’azione, Liam sbottò spazientito: «Inventatevi qualcosa, quello che vi pare, ma non strafate.»
 
I pirati si guardarono reciprocamente, le rughe profonde sulla pelle dei loro volti nello sforzo di prendere una decisione, e tacquero per un lungo momento, sviluppando una conversazione del tutto tacita che, Liam lo sapeva, verteva sull’affidabilità della sua proposta e, soprattutto, sulle conseguenze che un eventuale errore avrebbe prodotto agli occhi del loro capitano. Alfine, con un secco cenno del capo, diedero all’altro ciò in cui aveva sperato per la migliore riuscita dell’impresa.
 
Quando si separarono in due gruppi, i quattro uomini presero direzioni opposte.
 
*
 
Furibonda. Furibonda e propensa alla violenza sarebbero stati gli aggettivi che avrebbe usato per descrivere la sua situazione emotiva, a distanza di due ore dal momento in cui aveva fatto ingresso in quel pandemonio che aveva avuto la sfacciataggine di apprezzare.
 
Percorrendo a passo di marcia l’ultimo tratto di un corridoio isolato, Emma svoltò l’angolo e si accostò alla fredda parete di marmo nella speranza che i suoi nervi trovassero una tregua allo scuotimento cui erano stati sottoposti. Nella sua mente, come una nenia infinita e destinata a non trovare né la parola, né la nota finale, risuonava l’elenco di motivazioni per le quali valeva la pena mantenere la calma e non dare di matto, ma le costò comunque uno sforzo sovrumano e una serie o due di profonde inspirazioni domare i suoi più biechi istinti. Le immagini cruente di ciò che avrebbe voluto fare a una decina dei signorotti presenti alla festa, che avevano avuto l’ardire di approcciarsi a lei con la pretesa di vedere accolte le loro presunte lusinghe per il solo fatto che fosse una domestica, sfilarono ripetutamente dinanzi ai suoi occhi e, ad ogni passaggio, ad ogni ringhio della giovane, si caricarono di nuova violenza. Non era stato ciò che avevano detto a innescare in lei il processo evolutivo che era solito trasformarla nel pirata di cui andava fiera, quanto l’altera convinzione che il rango sociale di una persona potesse renderla subordinata o sovraordinata di diritto. Quell’episodio sarebbe bastato a ricordarle, se mai si fosse trovata a presenziare nuovamente ad un evento simile, quali fossero le ragioni in grado di alimentare la sua deprecazione verso quel mondo e i suoi occupanti.
 
Inspirò ed espirò più volte. Si sentiva come una bestia selvaggia cui era stata cucita addosso la pelliccia di un tenero animale oramai addomesticato e più si divincolava, più la sensazione di inappropriatezza e fastidio che si accompagnava a quella circostanza pesava sul suo corpo e sulla sua mente. Nello sforzo (a dir poco infruttuoso) di domarsi, le sue guance acquistarono un colorito acceso, conferendole l’aspetto fiero ed impetuoso che era stata costretta a mascherare tutta la sera a beneficio di un’attitudine arrendevole e mansueta che affatto le apparteneva. Piano, poggiò il capo contro la parete alle sue spalle e, nel tentativo di rallentare il respiro, chiamò alla mente l’ultima immagine che conservava di Henry, quella di un bambino che oramai non esisteva più.
 
Fu a quel punto che, con un impeto pari alla rapidità della realizzazione, la consapevolezza di trovarsi nello stesso luogo ove era suo figlio esplose nel suo animo e nulla rimase dell’ira e dell’indignazione che aveva provato fino a pochi istanti prima. Schiudendo le palpebre, ispezionò il corridoio presso il quale si trovava e tese l’orecchio, quasi si aspettasse di sentirlo arrivare da quella o quell’altra direzione e volesse farsi trovare pronta; e, benché sapesse di doversi attenere al piano per garantire la riuscita dell’impresa, il suo corpo si tese in uno spasimo d’amore incontrollato che fu sul punto di dare rinnovato vigore alle sue gambe e metterle le ali ai piedi.
 
«Emma!» Il capo della giovane scattò in direzione della voce che l’aveva interrotta, trovandovi il tenente Jones. Quell’uomo aveva il passo felpato di un felino, perdio! «Tutto bene?»
 
Eccolo lì, il suo principe azzurro dalla scintillante armatura con un’insopportabile propensione al salvataggio delle giovani donzelle! Quanto tempo sarebbe stato necessario per fargli entrare in quella zucca vuota che fosse perfettamente in grado di badare a se stessa? Tanto quanto ne sarebbe servito a lei per accettare che un’offerta d’aiuto non equivalesse necessariamente a considerarla una persona debole, le suggerì una vocina nella sua testa, ma Emma non vi badò. L’occhiata torva che ella finì per rivolgergli lo lasciò confuso e Killian fu sul punto chiederle spiegazioni, quando un rumore di passi li raggiunse e costrinse a cercare un riparo. Fu con estrema disapprovazione che il capitan pirata vide il tenente Jones seguirla dietro la tenda ove si era nascosta.
 
«L’invitato e la domestica che amoreggiano dietro le tende è un cliché, tesoro,» le disse e le sue parole sarebbero risultate di gran lunga più credibili se l’ombra di un sorriso non ne avesse smorzato il valore, costandogli uno sguardo di fuoco del quale l’uomo si beò senza rimorsi.
 
I due uomini che avevano udito in lontananza li raggiunsero e, a quel punto, i loro discorsi furono a portata d’orecchio. Le mani di Emma si strinsero attorno ai baveri della giacca in velluto che Killian indossava e tutto il suo essere si tese, quando li udì parlare del figlio e delle precauzioni prese per quella serata. In un’occasione diversa, il tenente avrebbe percepito il compiacimento del suo corpo alla vicinanza con quello dell’altra, ma i suoi sensi rimasero all’erta e, mentre le poggiava le mani sui fianchi nel tentativo di calmarla e prevenire un eventuale scatto d’impeto, sperò che per Liam e i ragazzi tutto fosse andato secondo i piani. Si fidava del fratello e delle sue capacità organizzative, perché avevano viaggiato a lungo insieme e sapeva quanto la sua pacatezza e propensione alla ponderazione potessero essere giovevoli a fini strategici; ma, nell’apprendere quale fosse l’entità dello spiegamento di forze armate che era stato impiegato, il suo stomaco si contrasse all’idea che potesse accadergli qualcosa.
 
«Tutto sta andando liscio, signore, proprio come avete ordinato,» disse l’uomo più vicino al nascondiglio ove si trovavano Emma e Killian. «Ci sono guardie per tutto il giardino, e nell’ingresso principale e in quello della cucina. Nessun avvistamento sospetto è stato rilevato.»
 
«E il ragazzo?» chiese quello che avevano individuato come il signor Lively e il respiro di Emma si fermò per un istante.
 
«Due guardie sono con lui nelle segrete e altre due presso la porta che dal palazzo immette laggiù,» rispose l’altro con fare zelante e i due infiltrati notarono il compiacimento che trapelava dalle sue parole. Non fu difficile per loro immaginare il sorriso sul volto di costui, mentre comunicava al proprio datore di lavoro i risultati di cotanta meticolosità, ed entrambi ne disapprovarono la condotta: avevano imparato, nell’esperienza come superiori di numerosi gruppi di uomini, che un sottoposto tronfio finiva per dimostrarsi incauto e inaffidabile. «Posso fare altro per voi, signore?»
 
Dal tono in cui parlò, era evidente che Richard Lively nutrisse ancora delle preoccupazioni. «Nessun avvistamento? Notizie dai porti, dai paesi limitrofi?»
 
«Nossignore. Niente di niente, tranne qualche coppietta che si dà da fare dietro i cespugli. Tutto fila liscio come l’olio.»
 
A quelle parole, Killian cercò lo sguardo di Emma con un lieve sorriso sulle labbra, ma la sua speranza di poterne smorzare la tensione si affievolì poco dopo. Quando i due se ne furono andati e la presa di lei cominciò ad allentarsi, il tenente trovò la freddezza di Capitan Swan in quel verde che aveva sperato di incontrare e seppe che il momento dell’azione fosse arrivato, che non ci sarebbero stati altri temporeggiamenti. Era giunto il tempo di portare in salvo Henry!
 
*
 
Non capitava troppo spesso che la fortuna si mostrasse benevola nel momento del bisogno; anzi, il più delle volte sapeva come, quando e dove sferrare un tiro mancino per rendere impossibile l’impresa che, fino a pochi istanti prima, era parsa in procinto di risolversi. Era sulla base di questo assunto che Liam e Ulan avevano proceduto alla volta del loro obiettivo, usando una circospezione ai limiti della maniacalità ed evitando conversazioni troppo pregne a favore di scambi di battute più funzionali e meno sospettosi. Un simile sfoggio di cautela, tuttavia, benché ammirevole, si era dimostrato superfluo dinanzi all’aiuto che la fortuna aveva fornito loro, quando, con le braccia stipate di merce, non soltanto erano riusciti a passare i controlli senza destare alcun sospetto, ma avevano persino trovato il modo per svignarsela in direzione del giardino.
 
Accucciati dietro un cespuglio di rose, i due uomini trattennero il respiro al passaggio dell’ennesimo giro di ronda cui erano state preposte le guardie del signore del palazzo. A malincuore, Liam aveva dovuto ammettere che quella cautela spiegasse molto dell’uomo contro il quale si erano schierati, poiché, dopo tanti anni dagli accadimenti che avevano innescato tutto, non aveva abbassato la guardia per un solo istante; e non permettersi di sottovalutare il proprio nemico era la chiave di volta che, sovente, portava alla vittoria. Quella volta, però, le cose sarebbero andate diversamente e il capitano della marina lo sapeva.
 
«Come arriviamo al passaggio?»
 
La domanda era stata posta da Ulan e Liam si era aspettato di udirla da un po’ ormai. La loro postazione era perfetta, esattamente quella che aveva sperato di conquistare quando Emma gli aveva assegnato il compito di raggiungere suo figlio e portarlo da lei: dal punto in cui si trovavano, egli riusciva a scorgere l’esatto tragitto che, in più di un’occasione nel corso di quell’ultimo anno, aveva immaginato di percorrere per salvare Henry. Ricordava ogni passo che aveva compiuto la fatidica notte della sua fuga, gli attimi di esitazione che lo avevano colto a più riprese quando si era reso conto di aver lasciato la situazione nelle mani di un ragazzino, quando si era reso conto di aver fallito in ciò per cui si era sempre ritenuto capace. E aveva compiuto a ritroso quell’itinerario così di frequente nella sua mente che sarebbe stato in grado di raggiungere il passaggio segreto con gli occhi bendati, nella certezza di non poter sbagliare.
 
«Dobbiamo calcolare bene il tempo,» rispose infine, lo sguardo ancora fisso su un punto dinanzi a sé.
 
«Il tempo? Che diavolo stai farneticando?»
 
La bassa imprecazione di Ulan uscì fuori in un bisbiglio a denti stretti e gli strappò un sorriso. «Per coprire la restante parte del percorso che è stato assegnato loro, le guardie impiegano in media sette minuti dall’istante in cui superano quell’albero,» spiegò con espressione assorta, indicando distrattamente un arbusto a circa cinque metri di distanza dalla loro postazione e dando prova delle raffinate capacità tecniche che lo avevano reso uno degli ufficiali più stimati dell’intera corpo militare. «Dobbiamo calcolare bene il tempo: non possiamo essere troppo precipitosi, perché rischieremmo di essere scoperti per caso o per un rumore; né possiamo essere troppo lenti, o rischiamo di essere colti in flagrante.» Ulan parve capire, gli rivolse un secco cenno del capo e spostò la propria attenzione verso il punto che Liam gli aveva segnalato al loro arrivo. «Il palazzo è costruito sulla cima di una montagna e il lato delle segrete si affaccia, in parte, su uno strapiombo. Dobbiamo essere cauti e rapidi a un tempo.»
 
Le sopracciglia del pirata si inarcarono e l’altro comprese cosa gli stesse passando per la testa. «E scommetto che il passaggio che hai trovato dà sul dirupo,» sussurrò con fare pensieroso, già sapendo la risposta. Quando il suo sguardo incrociò quello di Liam, Ulan seppe che questi nutrisse la sua stessa preoccupazione: «E’ troppo rischioso!»
 
«Ne sono consapevole,» convenne. «E Henry non potrà reggersi a lungo sulle proprie gambe: tutto quel tempo chiuso in uno spazio tanto ristretto ha un costo. Io ne so qualcosa,» disse, rammentando le volte in cui era ruzzolato nella sua corsa attraverso la foresta e quanto gli fosse costato uscire indenne dalla città. A un certo punto, aveva creduto di non farcela.
 
«Non ci resta che usare l’entrata principale una volta che l’avremo preso,» fece, infine, Ulan e tese l’orecchio per accertarsi che i soldati non fossero già di ritorno. Fu a quel punto che la sua espressione parve illuminarsi e i suoi occhi cercarono, sgomenti e consapevoli a un tempo, il viso del capitano Jones: «E’ per questo che hai ideato lo stratagemma del diversivo: non per i tre infiltrati ma per Henry. Sapevi che non sarebbe riuscito a camminare!» Colto sul fatto, Liam sospirò e annuì. «Perché non l’hai detto prima?»
 
«Emma non poteva saperlo,» si limitò a rispondere, conscio del fatto che nessun aggiunta fosse necessaria, «e non volevo che i ragazzi sentissero il peso del loro compito, perché li avrebbe portati a strafare.» In cuor suo, Ulan riconobbe per la prima volta i meriti dell’uomo che aveva innanzi a sé fino a sentirlo superiore a lui, ma non l’avrebbe mai ammesso a voce alta. «Quanto al resto, mio fratello non riuscirà a tenere Emma lontana da suo figlio per molto: per quando avremo raggiunto Henry, lei avrà accoppato buona parte dei presenti alla festa.»
 
Ulan ridacchiò. «L’ami, non è così?»
 
Liam tese l’orecchio e, ponendo una mano sulla spalla dell’altro, si appiattì insieme a lui in vista del convoglio. Il momento era quasi giunto.
 
«Puoi scommetterci.»
 
*
 
«Inventati qualcosa, Stecco. Pensa a un diversivo, Stecco. Non posso mica fare tutto io, Stecco. Oh, maledettissimo damerino!»
 
I bassi improperi del pirata più smilzo dell’intera combriccola riempirono il silenzio di quella piccola porzione di verziere che dava sulle scuderie. Il ballo era quasi giunto al termine: i suoni che, per tutta la serata, avevano inondato il giardino erano oramai fievoli e il numero di carrozze in attesa di gran lunga inferiore. Quello era il momento per dare attuazione al piano che Julio e Stecco avevano elaborato, dando esecuzione all’ordine del capitano Jones e facendo la loro parte nella missione della loro vita. E lo avrebbero fatto volentieri, se solo ne avessero avuto uno! Perché la verità era che, poco importava quanto semplice potesse apparire il loro compito, non era una richiesta da fare a un pirata – men che meno a un pirata come Stecco! - quella che includeva i contorni della mitezza nell’attirare l’attenzione di due dozzine di persone. I pirati erano spettacolari, drammatici e non potevano non dare nell’occhio.
 
«E se uno di noi si travestisse da fantasma?»
 
La proposta di Julio ruppe una catena di lamentele che non aveva smesso un istante di correre, da quando era stato assegnato loro quel compito. Stecco non aveva preso affatto bene l’idea di essere stato declassato ad esecutore di una mansione tanto banale e, sebbene il giovane lo capisse, trovava anche che quello non fosse il momento adatto per mettere su il broncio.
 
«Che diavolo hanno sentito le mie orecchie?»
 
«Potremmo fingerci il fantasma della figlia di Lively,» spiegò, incurante dell’attitudine scettica di Stecco dinanzi alle pressioni che lo scorrere del tempo stava esercitando sui suoi nervi da una buona mezz’ora, oramai. «Vado da Dorothy, mi faccio dare una tovaglia, o un lenzuolo o quello che ti pare e uno di noi si traveste.»
 
«Dico, ma ti ha dato di volta il cervello, ragazzo? Per tutti i balordi, come credi che una cosa del genere possa attirare l’attenzione delle guardie e del signor Lively?»
 
Julio alzò le spalle con aria fintamente noncurante. «Potremmo dare fuoco alle scuderie e travestirci dopo,» gli occhi di Stecco brillarono di entusiasmo nell’udire la nuova proposta e l’altro trattenne a stento un sorriso, «così farebbe più scena e non si allarmerebbe nessuno: sarebbe la bravata di un ubriaco al quale potrebbero porre rimedio una manciata di uomini, tutt’al più.» Il sollievo al pensiero di aver trovato una soluzione per uscire dal pantano di incertezze nel quale si erano calati allentò la tensione del suo corpo e l’adrenalina prese a scuoterlo all’alto in basso. «E, intanto, avremmo sollevato un po’ di polvere, quel tanto che basta a fornire agli altri il tempo di svignarsela. Quel Lively vorrà vedere chi è il cretino che osa prendersi gioco dell’anima di sua figlia, la notte della festa in suo onore, no?»
 
Lo smilzo pirata lo scrutò con circospezione, giocherellando distrattamente col legnetto che stringeva tra le labbra, ma il suo sguardo parlò per lui e Julio seppe che l’idea cominciava a prendere forma nella sua mente, fino ad apparire meno bislacca di quanto non fosse stata in principio. E, del resto, era la loro unica, nonché fattibile possibilità, considerato il margine di tempo loro rimasto. Checché ne potesse dire Stecco, Liam aveva elaborato una strategia estremamente funzionale e, in quanto esecutori, loro dovevano fare in modo che il successo avesse a realizzarsi.
 
«Ci sto,» decretò alfine, battendo il pugno sul palmo della mano. «Ma sarai tu a vestirti da donna! Idea tua, gloria tua.»
 
«Oh no! Io direi di giocarcela ai dadi…»
 
Quella sera, per la prima volta dopo mesi, Stecco avrebbe perso.
 
*
«Sei tutto intero?»
 
La domanda di Liam vibrò nell’aria stantia della cella nella quale si trovavano, rischiarata fiocamente dai pochi raggi lunari che filtravano dalle sbarre di un’unica finestrella: vi aleggiava un insopportabile olezzo di fuliggine, umidità e muffa che il capitano della marina ricordava bene col naso e con la mente, un puzzo sì penetrante da rendere quasi impossibile l’impresa di non tossire per due persone che, come loro, faticavano già a regolarizzare il respiro.
 
Avevano cantato vittoria troppo presto. Pervasi da un sentimento di invincibilità che li aveva portati ad un passo dalla morte, capitano e pirata avevano atteso il momento più propizio per uscire allo scoperto e, nel farlo, si erano lanciati per il giardino con rapidità e circospezione, nella consapevolezza che il tempo fosse loro nemico. Giunti in prossimità del dirupo ove scendeva un fianco del palazzo, Liam aveva spiegato al proprio compagno come procedere e, senza ulteriori indugi, aveva cominciato la breve scalata che l’avrebbe condotto all’unica via d’ingresso alternativa alle segrete. In un primo momento, Ulan aveva faticato a scorgere la fessura sulla quale poggiava il loro intero piano e, nonostante le plurime perlustrazioni, i suoi occhi non gli avevano mostrato ciò che lo sguardo del capitano Jones aveva già da tempo individuato. Era stata la voce di Liam a riscuoterlo dallo stato di esitazione che lo aveva colto impreparato, intimandogli di darsi una mossa prima che fosse troppo tardi, e il pirata era stato costretto ad affrettarsi. La fortuna, a quel punto, si era fatta beffe di loro e, quando nientemeno che un passo lo aveva separato dall’afferrare il braccio di Liam, oramai al sicuro all’interno del passaggio, la sporgenza in pietra su cui aveva poggiato il piede si era improvvisamente sgretolata.
 
Colto di sorpresa, Ulan non aveva fatto in tempo ad aggrapparsi alla mano di Liam ed era rovinosamente scivolato per un paio di metri contro la parete scoscesa della montagna. L’istinto di sopravvivenza, o forse una buona stella, erano accorsi in suo aiuto:  la sua corsa si era arrestata contro la radice sporgente di un grosso albero e c’erano voluti minuti interi prima che la sua scalata potesse ricominciare e il suo corpo potesse accasciarsi contro qualcosa di solido, finalmente al sicuro. Stesi sul pavimento nel più assoluto silenzio, erano rimasti in attesa finché il respiro del pirata non si era placato e avevano potuto appurare che nessuno avesse udito quanto era accaduto. Le guardie all’esterno e quelle presenti nelle segrete non avevano mosso un passo in quella direzione e fu un sollievo poter dire di averla fatta franca.
 
«Sì.»
 
Ma entrambi sapevano che non fosse vero! Nel disperato tentativo di non lasciarsi morire, Ulan aveva piantato le unghia contro le rocce sulla fiancata della montagna e molte di esse si erano spezzate o erano saltate completamente: adesso, tutto ciò che l’uomo riusciva a sentire era il pulsare della carne viva, esposta alla violenza della realtà esterna. Se avesse urtato contro qualcosa – qualsiasi cosa -, il dolore lo avrebbe consumato! Eppure non era un lusso che poteva permettersi al momento, quello di soffrire e lagnarsi della propria sofferenza, poiché sapeva che, a qualche cella di distanza, vi era un ragazzetto che aveva trascorso buona parte della sua esistenza nel buio delle segrete. E Dio avrebbe dovuto colpirlo con un fulmine, se dalle sue labbra fosse uscito un solo lamento prima che fossero giunti alla Nostos!
 
Dunque, ruppe gli indugi. Il passaggio consisteva in un’apertura naturale che gli agenti atmosferici – probabilmente con l’aiuto di un prigioniero laborioso – avevano creato nella montagna; fu sufficiente strisciare per un paio di metri e scostare con attenzione il grosso mattone in pietra del pavimento per entrare nella cella. Lui e Liam avevano discusso a lungo sul modo migliore di procedere e, alfine, avevano raggiunto un’intesa: dal momento che non sapevano quante guardie fossero state preposte alla sorveglianza del ragazzo, avrebbero attirato verso di loro tutte quelle che potevano e, poi, avrebbero improvvisato. Accostandosi all’arcata d’ingresso della cella bruciata, Ulan sporse il capo e tese l’orecchio per captare qualunque suono, stringendo una pietra tra le mani martoriate. Il fischio di una delle guardie giunse fino a lui da non troppo lontano. Quando lanciò il sasso contro la porta della cella adiacente, l’allegro mormorio cessò, immediatamente sostituito da un sommesso confabulare. Pur nella fitta oscurità, i due occupanti dello spazio fuligginoso si scambiarono un cenno d’assenso e attesero in uno stato di quiete immota. Nel momento in cui la sentinella raggiunse l’entrata della stanza ove si trovavano, capitano e pirata si tesero, pronti all’azione.
 
«Sarà stato qualche sorcio,» urlò questi al compagno rimasto indietro. «Mi faccio una bella pisciata e torno!»
 
Bingo! Senza alcuna forzatura, l’uomo cadde nel tranello e, facendo il proprio ingresso con noncuranza nella cella, offrì sul piatto d’argento a Ulan e Liam l’occasione che stavano aspettando. Il pirata fu il primo ad avanzare – forse per impazienza, forse per mettere a tacere il dolore alle mani che ancora pulsavano – e le sue movenze furono rapide e inattese sotto più punti di vista: attaccando l’altro alle spalle, gli tappò la bocca con un arto e con l’altro passò la lama del coltello sulla gola della povera guardia. Fu sufficiente tenerlo fermo finché gli spasimi non furono finiti e accompagnare il corpo mentre scivolava a terra. Poi, tutto fu finito.
 
«Che diavolo hai fatto?» Liam era furioso, in parte perfino con se stesso per non aver previsto una mossa simile. «Non avevamo concordato di ucciderli.»
 
Ulan pulì distrattamente il coltello sulla camicia sudicia. «Cosa volevi fare? Lasciarlo dormire e aspettare che allertasse il palazzo mentre fuggivamo?» sussurrò con aria di sufficienza, concentrando la propria attenzione verso il corridoio in penombra. «Liam, si fa a modo nostro: mettiti in mezzo e ti chiudo con la lingua mozzata in una di queste celle.»
 
Il capitano serrò le labbra, istupidito da quanto era accaduto e collerico per la posizione in cui era stato messo. Sapeva che il pirata avrebbe dato esecuzione all’avvertimento che gli aveva appena rivolto, perché doveva essere un ordine che Emma gli aveva comunicato tempo prima, e sapeva anche di non essere nella posizione per ribattere o evitarlo: aveva promesso a Henry che sarebbe tornato a salvarlo e così doveva essere. Non poteva mettere a repentaglio la vita del ragazzo per i suoi imperativi morali.
 
«Hey, amico! Non ti starai mica smanettando?! Quanto dura ‘sta pisciata?!»
 
La voce giunse dal corridoio con lo stesso tono scherzoso che aveva avuto il compagno prima di andare incontro a morte certa, segno che né la loro copertura, né quella degli altri fosse ancora saltata. Se così non fosse stato, i controlli sarebbero stati più serrati e l’umore decisamente più teso. Com’era nella sua natura, Liam si chiese quante persone avrebbero pianto la morte dell’uomo che avevano ucciso e dell’amico che avrebbe avuto la stessa sorta e qualcosa si agitò nel suo stomaco. Non poteva permettere che venisse versato del sangue innocente senza muovere un muscolo!
 
«Hey!» L’altro cominciava a farsi impaziente. «Se non ti vedo spuntare entro tre secondi, ti vengo a prendere e ti porto qui a calci in culo,» disse e la pausa che seguì fece intendere che si aspettasse una risposta. «Va bene. Ho capito. Vengo a prenderti! Ma giuro che, se ti trovo con l’uccello di fuori o mi fai qualche scherzo, mi scopo tua sorella e pure tua madre.»
 
Furbamente, Ulan strisciò i piedi contro il pavimento, facendo intendere che qualcuno si stesse muovendo in quella parte di corridoio; poi, tornò in postazione. E il suo fiuto incredibile dovette fargli intendere qualcosa perché, all’ultimo momento, tirò un gancio portentoso al ventre di Liam e si avventò sulla sentinella per fargli la festa. Dalla bocca dell’uomo non si levò nemmeno un urlo: non ne ebbe il tempo.
 
«Avanti il prossimo!»
 
Ma non trovarono nessun altro ad aspettarli, quando, dapprima, Ulan e, a seguire, Liam si avventurarono nella porzione illuminata delle segrete, pugnali alla mano. Il pirata procedette con cautela, dimentico di ciò che aveva fatto al proprio compagno, e i suoi occhi sbirciarono ciascuna cella alla ricerca del ragazzo. Ad ogni porta tratteneva il respiro, quasi come se temesse il fatidico incontro col figlio del suo capitano, come se una parte di lui fosse emozionato all’idea di vederlo e dare realizzazione al piano che avevano sperato di completare per anni. Una parte di lui si disse che, con Henry, la ciurma sarebbe stata al completo.
 
«Che diavolo era quello?» La voce di Liam era un guazzabuglio di emozioni diverse, quando si rivolse a Ulan e lo strattonò per il braccio. «Non ti sei attenuto al piano.»
 
Il pirata, a quel punto, rispose a tono. «Non rompere il cazzo, Liam, o ti giuro che fai la stessa fine di quei due là,» gli disse e non mentiva. «L’unico piano che ho intenzione di seguire è quello del mio capitano e, ora, vediamo di trovare il ragazzo.»
 
Passò uno sguardo intenso tra i due, uno sguardo che ristabilì le distanze che l’abitudine della navigazione aveva finito per cancellare nei lunghi mesi trascorsi insieme. Appartenevano a due mondi differenti e, finalmente, Liam parve realizzare le parole che Killian gli aveva rivolto la sera del loro ritrovamento: così come non avrebbe potuto domare l’animo selvaggio del pirata che aveva innanzi, non era possibile che amasse Emma senza accettare la parte più crudele di lei, senza vedere ciò di cui era capace.
 
«Liam? Liam, sei tu?»
 
«Henry!»
 
Quando aprirono la porta della cella dalla quale proveniva la voce che avevano udito, ciò che si trovarono dinanzi fu sufficiente ad allentare la tensione e a ricucire gli strappi che gli ultimi eventi avevano aperto tra Liam e Ulan: un ragazzetto tutto ossa, di non più di dieci anni, stava ritto al centro della stanza con espressione incerta e da lui emanavano una pacatezza e una serenità che, a tratti, ricordavano Emma, la versione migliore di lei. Gli occhi del capitano Jones si riempirono di lacrime, mentre avanzava verso il ragazzo e lo stringeva in un abbraccio sincero, e il pirata sorrise di gioia, concedendo a se stesso e agli altri due quell’attimo di tregua di cui il loro animo aveva bisogno. In quel momento, il suo essere parve rigenerarsi e caricarsi di nuova forza e, d’un tratto, anche il pulsare delle mani divenne un ricordo insignificante.
 
«Lei è qui?» chiese il ragazzo col viso rivolto verso Liam e, carezzandogli il capo teneramente, l’uomo annuì. Non avrebbe saputo dire quale gioia costituisse per lui averlo di nuovo accanto a sé. «Dove?»
 
«Ti sta aspettando,» rispose e la sua mente provò ad immaginare cosa sarebbe accaduto quando madre e figlio si fossero rincontrati. «Mi dispiace, Henry,» disse a quel punto, «mi spiace di averci messo tutto questo tempo.»
 
Henry gli sorrise di quell’innocenza che nemmeno la prigionia era riuscita a strappare dal suo animo. Non era in collera con lui. Forse perché, in cuor suo, pensava a sua volta che il compito di salvarlo spettasse esclusivamente ad Emma.
 
«Dobbiamo andare,» fece, a quel punto, Ulan, della cui presenza Liam si era completamente dimenticato. «Mettiti questi!»
 
Il capitano Jones afferrò la maglia di ferro e il resto dell’equipaggiamento che, nel frattempo, l’altro aveva sottratto ai due cadaveri rimasti nella cella carbonizzata. C’era una certa curiosità nell’espressione di Liam, mentre indossava l’armatura di cui era stato fornito, perché sapeva che non ci fosse stato il tempo di discutere il modo per uscire dalla porta principale. Dopo aver convenuto che Henry non avrebbe mai potuto percorrere tutta quella distanza senza rischiare di morire o di far saltare la loro copertura, i due avevano rimandato al momento in cui l’avessero salvato i dettagli della fase successiva. Era evidente che Ulan avesse trovato la soluzione, si disse.
 
«Cos’hai in mente?»
 
Il pirata finì col piazzarsi l’elmo sulla testa. «Aiutami a prendere questo.» Liam accolse le parole dell’altro con una punta di scetticismo, finché non vide Ulan trascinare il corpo esanime di una delle due guardie. «Lo sistemeremo contro il muro, dando l’impressione che dorma,» disse con voce arrochita dallo sforzo.
 
Liam si fece avanti per aiutarlo, lanciando occhiate furtive a Henry per osservarne la reazione: Ulan non aveva avuto il buonsenso di coprire il volto dell’uomo con la gola squarciata ed era uno spettacolo impressionante per un ragazzo che non aveva visto nient’altro che le mura di quella cella negli ultimi anni. Quando lo depositarono nel posto che Henry era solito occupare per dormire, il capitano Jones si premurò di nascondere con una coperta gli effetti dell’attacco del pirata. A quel punto, ripeté la domanda.
 
«Fuori dalla porta che immette al castello ci sono altre due sentinelle: le chiameremo e le convinceremo a darci il cambio,» spiegò e fece cenno a entrambi di lasciare la cella perché la chiudesse con la chiave, prima di appendere il mazzo su un chiodo piantato nella parete. «Ci sono altre celle lungo la scala, ne ho aperta una e il ragazzo ci aspetterà lì in silenzio. Quando le guardie saranno sparite alla nostra vista, uscirà e verrà con noi che lo trasporteremo come se dovessimo portarlo alla presenza di Lively.»
 
Il piano non era male e, tuttavia, aveva bisogno di un’aggiustatina. «Sarà meglio che vada avanti solo uno di noi due e l’altro li aspetti qua con la scusa di indicargli la cella e il posto in cui sono le chiavi,» disse, «così potremo assicurarci che entrambi abbiano svoltato l’angolo e Henry possa percorrere la scala senza rischiare di essere visto.» Ulan annuì: aveva senso. «C’è un altro problema: come facciamo a sapere che le guardie non conoscessero le due che abbiamo ammazzato e non scoprano il travestimento?»
 
«Spegnerò tutte le torce tranne queste due,» fece Ulan ed indicò le fiaccole più vicine alla cella ove Henry aveva abitato tanto a lungo. Sperare nella penombra e nella sorte era azzardato, lo sapeva, ma non sarebbe trascorso troppo tempo prima che scoprissero cosa stava accadendo a palazzo. E questo significava che dovevano muoversi, anche se questo avrebbe richiesto un grado maggiore di avventatezza! «Per il resto, improvviserò: se dovesse andare come dici tu, gli darò un calcio e li spingerò giù per le scale o gli ficcherò il coltello in un occhio.»
 
Liam gli rivolse un’occhiata di rimprovero, che tanto ricordava quella che Killian era solito riservare ad Emma, e Ulan comprese di non aver usato un linguaggio appropriato dinanzi al ragazzo. Spostò il peso da un piede all’altro, a disagio, e bofonchiò una frase incomprensibile ad orecchio umano. Dopodiché, voltò le spalle ai due e cominciò ad occuparsi della prima parte del piano, mentre il corridoio piombava nella stessa, fitta oscurità in cui giaceva esangue il corpo di un innocente. Adesso veniva la parte più difficile, si disse Liam. Adesso, veniva la parte in cui tutti rischiavano tutto.
 
«Può funzionare,» esclamò con fare incoraggiante e sorrise a Henry, scompigliandogli appena i capelli, prima di condurlo nella cella che Ulan aveva preparato per servire allo scopo.
 
Miracolosamente, il piano ebbe a funzionare senza troppi intoppi.
 
*
 
In una parte non troppo remota del giardino, antistante le scuderie appena incendiate, in un prepotente scalpiccio di zoccoli una figura ammantata correva di qua e di là con movenze che l’oscurità della notte, la luce lunare e il fuoco delle fiamme resero ambiguamente sinistre.
 
«Papariiiiiinoooooooooooooooo! Sono quiiiiiiiiii! Yu-huuuuuuuuu!»
 
Nascosto dietro un albero a qualche metro di distanza, Julio si tenne lo stomaco e si impose la serietà, promettendo a se stesso che, quando tutto fosse finito, Emma e gli altri della ciurma avrebbero avuto un resoconto dettagliato dell’interpretazione di Stecco.
 
*
 
La serata si era finalmente conclusa. Nessuno, all’infuori dei domestici e di pochi soldati, era rimasto in giro per il palazzo che, spossato come un uomo, pareva in procinto di addormentarsi. Richard Anthony Lively si sentiva soddisfatto eppure profondamente addolorato: la moglie giaceva nel letto con espressione serena, sfinita dal consumo di energie che i preparativi e la festa in sé avevano richiesto, e i suoi invitati erano andati via rallegrati dal tenore della serata; nonostante ciò, un dolore sordo, martellante si agitava nel suo petto al pensiero della figlia e di tutto ciò che esso portava con sé. Sospirando profondamente, si accostò alla finestra che dava sul roseto del quale la moglie si occupava con attenzione quasi maniacale, come se in ciascuno di quei fiori fosse racchiuso lo spirito della loro bambina e dalla sopravvivenza di quei germogli dipendesse il loro intero universo. Si passò stancamente la mano sul volto, quasi a voler tirare giù la maschera di cordialità che era stato costretto a tenere per tutta la durata dei festeggiamenti: il pensiero della figlia lo spossava e addolorava profondamente, spingendolo a provare un senso di vuoto che il più delle volte gli pareva incolmabile.
 
Rilassando le spalle in segno di resa, girò su se stesso e prese a sciogliere il nodo della vestaglia con l’intenzione di mettersi a letto, ma non ebbe nemmeno a cominciare. Delicatamente, qualcuno bussò alla porta e, dall’ombra allungata che penetrava dalla fessura inferiore della stessa, Richard Lively seppe che si trattava del loro maggiordomo. Schiudendo l’uscio con espressione assonnata, prese la lettera che l’altro gli porse senza chiedere troppe spiegazioni e lo congedò con un cenno della mano, senza proferire parola. Temeva di svegliare la moglie e non si sarebbe perdonato un atto simile, non quando l’animo di lei pareva essersi rasserenato dopo anni di tormento. Se solo fosse stato meno sciocco e si fosse preso il tempo per ascoltarla prima, avrebbe saputo quanto fosse importante per lei quella ricorrenza e il fatto di trasformarla in un giorno di celebrazioni. Un giorno, le avrebbe chiesto perdono anche per quello e le avrebbe confessato che, nonostante tutto, l’amava ancora come il giorno in cui si erano sposati.
 
Desideroso di raggiungerla nel mondo dei sogni, l’uomo poggiò la missiva sulla superficie della scrivania e si diresse verso il letto. Fu a quel punto che la stranezza delle circostanze pungolò il suo istinto: benché l’espressione del maggiordomo fosse stata rilassata, Richard realizzò quanto fosse insolito che il servitore si fosse preso la briga di recapitargli una lettera a così tarda ora. Chiunque gliel’avesse data doveva averlo sollecitato perché agisse in quel modo e, se anche si fosse trattato di un foglio compunto di frivolezze, egli si disse che valeva la pena verificare quale ne fosse il contenuto. In base ad esso, avrebbe saputo se, il giorno successivo, il servitore di lunga data meritasse una strigliata o un elogio per avere rischiato di turbare il sonno della signora Lively.
 
Tornato alla scrivania, prese la missiva tra le mani e osservò il marchio inciso sulla ceralacca. Le sue sopracciglia si aggrottarono nel riconoscere le incisioni dell’anello di famiglia, perché significava che Harold gli aveva scritto e Harold non era solito mettersi in contatto con lui. Che avesse bisogno di un prestito per saldare un debito con l’ennesimo usuraio? Con l’indice ruppe il sigillo.
 
«Richard, vieni a letto.»
 
La voce impastata della moglie lo fece sorridere e, quando si volse a guardarla, la trovò allungata verso la porzione di letto che egli era solito occupare. Forse dipendeva dalla particolare ricorrenza di quel giorno e dai sentimenti che gli aveva suscitato, ma provò uno slancio di tenerezza perfino più acuto nei confronti della donna con la quale aveva diviso una vita intera nel realizzare come, perfino nel sonno, ella fosse solita cercarlo. Era sciocco eppure vero che l’amore si rafforzava col passare degli anni e delle tempeste e la perdita della loro bambina, anziché ridurre in cenere ciò che avevano costruito, era riuscita a rinsaldarlo. Dinanzi alla veemenza del loro dolore, i lunghi periodi che aveva trascorso lontano dalla famiglia, i tradimenti con altre donne e le disattenzioni erano passati in secondo piano e Richard aveva promesso di rimediarvi. E, alla soglia dei sessant’anni, non avrebbe saputo dirsi più innamorato della moglie di quanto già non fosse, perché l’amava di una tenerezza piena di gratitudine e di condivisione, scevra delle spigolosità dell’amore giovanile.
 
«Arrivo.»
 
Per un attimo, fu sul punto di lasciar perdere e raggiungere direttamente la moglie. Poi, ispirato dal fatto che avesse già rotto il sigillo e sarebbe bastato un rapido sguardo alla lettera per carpirne il contenuto, dispiegò il foglio e lesse. Da rilassata che era, la sua espressione divenne terrea.
Il foglio recitava:
 
“Sta arrivando.”
 
_______________________________________________________________________________________
Spazio dell'autrice:

Credo siano passati quasi due mesi o, forse, due mesi interi dall'ultimo aggiornamento e mi spiace da morire per questo. Mi spiace perché avrei voluto aggiornare prima, perché avrei voluto scrivere prima, perché sono stata costretta a prendermi una pausa da uno dei luoghi in cui amo di più stare. Ma è anche vero che non avrebbe avuto senso provare a buttare su un foglio di word parole che non sentivo e, per un po', non ho avuto neppure la serenità mentale per concepire un capitolo come si deve. E io, a voi e a questa storia, pur nei limiti della mediocrità, voglio dare il meglio di me, il meglio delle mie capacità... A maggior ragione con l'avvicinarsi di capitoli così importanti e che necessitano un grado di coerenza che non ho mai sperimentato finora! E' la prima storia avventurosa che abbia mai scritto e tenere il passo con le informazioni che fioccano nella mia mente e riuscire a rendere ciò che ho intenzione di dire è un macello allucinante. Quindi, spero mi perdonerete! <3

Come vi avevo anticipato, il capitolo è diverso strutturalmente dagli altri. E' a tratti più dinamico e permette di avere una panoramica decisamente più ampia, perché sofferma l'attenzione su tre gruppi diversi di persone e sull'importanza del loro contributo alla missione. Spero di non aver combinato un casino con questo capitolo, perché era la prima volta che mi cimentavo in una cosa simile anche a livello contenutistico. Il mio timore più grande è che qualcosa non possa tornarvi o risultare chiara, ma ho letto e riletto e riletto e riletto il capitolo fino alla nausea e l'ho sistemato continuamente, sperando di renderlo il più gradevole possibile. 
Prima dei ringraziamenti, faccio 2 precisazioni:
1. Amo Stecco! <3 <3 <3
2. Rileggendo il capitolo, mi sono accorta che la parte in cui viene citato Henry sembra passare un po' sottogamba, perché non gli ho dedicato tanta attenzione, ma c'è un motivo: avrete tutta la panoramica emotiva e fisica della cosa quando avverrà l'incontro con Emma, perché è a quello che ho mirato dall'inizio di questa storia ed è quello il punto focale di Nostos. Ripercorrendo il viaggio che abbiamo fatto insieme, infatti, mi sono sentita fiera del mio operato nel realizzare che il centro di tutto non sia la storia tra Emma e Killian ma l'amore spasmodico ed indomabile di questa madre per suo figlio e il percorso di crescita e redenzione di lei che si snoda lungo i capitoli. E credetemi se vi dico di non essermi nemmeno resa conto di aver fatto una cosa simile e, per questo, di essermi piacevolmente sorpresa nel realizzarlo! E' un po' una lode ad Emma e ne sono felice.

Ora passiamo alle cose serie. Vi sembrerà assurdo, ma più passa il tempo e meno trovo le parole per esprimere a tutti voi la mia gratitudine. Dalle visualizzazioni, ai commenti, a chi mette la storia tra quelle preferite/seguite/da ricordare, mi stupite ogni singola volta. Ho iniziato questa storia con un po' di scetticismo e senza sapere quale fosse la meta cui stessi aspirando. Avevo in mente solo il primo capitolo e l'immagine di questa donna fuori dall'ordinario che ho amato subito. Il resto è venuto col tempo e col vostro supporto e non scherzo quando dico che parte della storia vi appartenga, perché senza una simile partecipazione non sarei riuscita ad andare avanti, non avrei avuto motivo per farlo. Quindi, ringrazio tutti dal profondo del cuore per l'ennesima volta, anche le persone che sembrano invisibili e non hanno mai speso il loro nome in una recensione: vorrei sapeste che non siete invisibili affatto e che contate moltissimo per me e per tutta Nostos.
-Lely_1324: vorrei riuscire a darti una risposta sensata, ma ogni parte della tua recensione è un colpo al cuore.  Dall'amore che dimostri per Emma alla passione per le vicende di questo gruppo sgangherato, tutto colpisce il mio cuore di autrice nel modo più positivo che possa esistere. Se c'è una cosa sulla quale voglio soffermarmi, però, è il modo in cui hai capito Emma e sei riuscita a scandagliarne gli aspetti caratteriali: non è cosa da poco, è cosa da lettori avidi di quelli che piacciono a me che, una storia, hanno bisogno di viverla senza filtri e inibizioni e sono in grado di rompere le barriere degli schermi per farsi protagonisti o amici della storia che leggono;
 e questo vale anche in riferimento alla tua capacità di riconoscere il mio stile di scrittura . Ti ringrazio per avermi concesso l'onore di averti nella schiera dei miei lettori! Sul finale, non dico nulla com'è ovvio, ma spero possa ripagarvi di tutto quello che mi, ci avete dato. Vorrei abbracciarvi uno per uno. Grazie, Elena! <3
-emmec94: la tua recensione è come uno spettacolo teatrale, perché dà un'emozione dopo l'altra. Sai, al di là degli apprezzatissimi complimenti sul mio modo di scrivere [sei troppo buona, davvero!], se c'è una cosa che mi colpisce ed emoziona è sapere di averti fatto un po' compagnia, di averti sottratto alla spirale dello stress per gli esami o per la vita di tutti i giorni per condurti in un viaggio diverso, catartico a suo modo. Vorrei sapessi che, per me e tutta la ciurma della Nostos [compresi quei due infiltrati dei Jones :P], è un piacere poterti stare accanto e che, sulla nostra nave, ci sarà sempre un posto per te, dovunque tu voglia andare e in qualunque momento tu voglia salpare. Grazie anche per aver commentato per la prima volta in assoluto la mia storia! Grazie, grazie di cuore!
-k_Gio_: non scusarti per essere giunta 'tardi', Gio. Io direi che sei arrivata nel momento migliore, quello dell'avventura e delle forti emozioni, il momento giusto in cui la ciurma ha bisogno anche di voi per #salvareilpiccoloHenry, come dice Lely_1324. Una mano in più è sempre ben accetta, soprattutto per chi ama Emma e si è appassionato alle sue vicende e a quelle dei suoi uomini. Ora che ci penso, possiamo considerarla una donna molto fortunata, circondata com'è da valanghe di testosterone! :P Grazie per aver scritto questa recensione! A volte, ho l'impressione di non dirlo troppo spesso, ma a voi che commentate devo statue e valanghe di monete d'oro perché sono le vostre parole a nutrire la mia ispirazione in una maniera che non saprei inventare in altro modo. Quindi, dilungati quanto voi, perché io vi leggerei all'infinito. Grazie! <3
-pandina: per me sarà un dolore mettere un punto a questa storia anche per te, sai? Io non sono pronta a dire addio alle tue recensioni su Nostos e nemmeno Emma e gli altri. Mannaggia a te! Ho sorriso per tutto il tempo in cui ho letto e riletto le tue parole. Sai fotografare perfettamente ciò che io vorrei far passare e mi dai sempre l'impressione che, forse, il compito che mi sono data imbarcandomi in quest'avventura sia stata in grado di svolgerlo, almeno in parte. E' vero! In quel capitolo, era lei a cercare lui in un lungo percorso di cambiamento che ha ancora da compiersi del tutto, in un percorso che la vede, forse senza che nemmeno se ne renda conto, contare su quell'uomo che sarebbe in grado di uccidere più di quanto sia disposta ad ammettere. E, se fossi in grado di farlo, sarebbe un piacere mostrarti quel vestito e tutte le ambientazioni in cui Nostos si è svolta. Sarebbe un piacere condividere con tutti voi l'aspetto del mondo che ha preso forma nella mia testa e che occupa buona parte dei miei pensieri. Grazie per esserci sempre, grazie per essere dentro la storia, dentro tutto sempre! <3

Buona lettura!


N.B. Un ringraziamento speciale va a mio fratello per avermi aiutata a concepire una serie di dettagli, per avermi aiutata a razionalizzare e ordinare le idee.

 

Ritorna all'indice


Capitolo 19
*** Il canto della balena ***


Questo capitolo lo dedico alla mia Silvia White. Spero che possa costituire il tuo porto sicuro, in questo momento. <3
A voialtri, miei prodi marinai, dico di mettervi seduti per bene e godervi il viaggio. Ad un certo punto, troverete un link che vi porterà ad una canzone:
vi consiglio sinceramente di ascoltarlo per la restante parte del capitolo e fino alla fine. 

Capitolo XIX
Il canto della balena
 
Emma ricordava. Era accaduto la notte del loro arrivo a Telos, alla luce aranciata del fuoco nell’Ufficio Strategie, che le memorie dell’accaduto l’avevano investita con un’irruenza tanto molesta quanto inattesa e senza darle opportunità di fuga. Come per magia, lo scrigno dei ricordi le aveva restituito ciò che credeva di aver perduto irrimediabilmente e con un’abbondanza di dettagli da averle impedito completamente il sonno fino alle prime luci dell’alba, quando era crollata per un paio d’ore su una scomoda panca in legno. Finalmente sapeva chi fosse la giovane la cui uccisione aveva scatenato le ire di un uomo potente come Richard Anthony Lively; finalmente ricordava i particolari di quel fatidico giorno; finalmente aveva coscienza delle sue colpe. Ma una parte di lei rimpianse di aver recuperato ciascuna sfumatura di quella consapevolezza. Nella sua mente, l’immagine del volto della ragazza e dei suoi ultimi istanti era divenuta nitida al punto da far male e la dolenzia latente che era seguita a quel recupero era ancora in grado di sfiancarla nella sua imperterrita costanza. Come se il pensiero di Henry non fosse abbastanza!
 
Le cose non erano andate esattamente come tutti pensavano, ma, a quel punto, Emma sapeva che poco importava quanto sottile fosse la linea tra realtà e finzione e da che parte di essa ella dovesse essere collocata in verità.  Erano trascorsi troppi anni, periodi di ineliminabile dolore e sensi di colpa, e ognuno di quegli istanti aveva invelenito il cuore dell’uomo come era accaduto per quello di Emma, al punto da rendere puerile la speranza che le parole potessero bastare per porre fine al loro dissidio. L’unico modo in cui si sarebbe conclusa quella faida era uno spargimento di sangue e il capitano della Nostos lo sapeva con una certezza scevra da rimorsi o titubanze. Le vicende che avevano reciso la fragile esistenza della piccola Lively, infatti, erano la dimostrazione di quanto poco affidamento gli uomini potessero fare sul destino, poiché era una forza arbitraria e volubile che, per natura, mancava di regolarità. Era, sì, vero che la responsabilità dei fatti dovesse essere imputata agli uomini della Nostos ed era, sì, altrettanto vero che il colpo finale l’avesse inferto la mano di Emma, ma, ad onor del vero, quella storia si colorava di sfumature sì variegate che avrebbero potuto scagionare - se non il gruppo di pirati - quantomeno il loro capitano. E quest’ultimo rimembrava che il susseguirsi degli eventi fosse stato inarrestabile, non meno che funesto.
 
Recatasi presso il molo in uno stupido moto di curiosità e innocenza, la giovane Lively era stata travolta da un cavallo in corsa che un manipolo di pirati della Nostos aveva atterrito al punto da causarne la fuga impazzita. Nessuno era riuscito ad intervenire in tempo per evitare che la ragazza fosse travolta e calpestata dalle possenti zampe dell’animale, nessuno aveva potuto fare alcunché per tamponare i danni. Per un arco di tempo che era parso durare un’infinità, non vi era stata anima viva che avesse avuto il coraggio di raggiungere il corpo inerme sulle assi del molo. Infine, Emma si era fatta avanti. Il suo cuore aveva mancato un battito, quando aveva posato lo sguardo su un volto di una bellezza così eterea da risultare irreale: ricordava distintamente il senso di inappropriatezza che aveva provato al suo cospetto, come se i peccati di cui si era macchiata non potessero sfuggire agli occhi di quella creatura angelicata, come se non meritasse di bruttarne la purezza. L’attenzione della ragazza si era spostata su di lei con gentilezza e un rivolo di sangue le aveva lasciato la bocca, il respiro affannato di chi sta per lasciare il mondo in una corsa tutta dell’anima. Emma aveva lentamente estratto il pugnale dalla cintola.
 
“Vivi sul mare?” le aveva chiesto la ragazza con voce mezzo soffocata ma col sorriso sulle labbra e il pirata aveva annuito. “Anch’io vorrei vivere sul mare. Mi rende felice!” A quel punto, il corpo aveva cominciato a tremare, scosso da spasmi via via più intensi, ed Emma l’aveva vista accigliarsi, quasi non capisse per quale ragione avesse perso il controllo del suo corpo. Solo quando i suoi occhi si erano posati sulla lama che il capitano della Nostos avea tra le mani, la paura l’aveva sopraffatta. “Mi ucciderai?” le aveva domandato in preda al terrore, ma Emma le aveva preso le mani e sorriso dolcemente, più di quanto non avesse mai fatto in vita sua con qualcuno che non fosse Henry. “No, sta’ tranquilla. Sei stata investita da un cavallo e ho bisogno di aprirti le vesti per assicurarmi che tu non sia ferita,” l’aveva rassicurata, materna, benché la differenza d’età tra loro fosse stata relativamente esigua. La giovane Lively, che nulla sapea dei meccanismi che muovevano il mondo, era parsa tranquillizzarsi. “Ah, allora devi essere un dottore! Ti spiace fare in fretta? Comincio ad avere freddo,” e aveva chiuso gli occhi. Era occorsa una manciata di secondi perché tutto finisse: Emma aveva calato la lama sul cuore della ragazza e, con un verso a metà tra lo stupore e il sollievo, ella se n’era andata.
 
Il capitano della Nostos si era chiesto a lungo, la notte in cui i ricordi le erano tornati alla memoria, come avesse potuto riporre nel dimenticatoio una vicenda simile, poiché aveva accompagnato lei e i suoi uomini con la medesima pacata insistenza con cui la nebbia mattutina soleva poggiarsi sul mare. Mai, in tutta la sua vita, le era accaduto di vedere qualcuno morire in un simile stato di pace e semi incoscienza, col volto sereno e la beatitudine nello sguardo, e mai più le sarebbe capitato. E, ogni volta che si trovava al cospetto di un moribondo per il quale provava compassione – come il mozzo che era stata costretta a finire a seguito della tempesta, diversi mesi prima -, pregava che lo avvolgesse quello stesso sentimento di inconsapevolezza, affinché non ci fosse spazio per il terrore e il gelo che arrivavano con la morte. A volte, aveva l’impressione di implorare proprio quella ragazza - della quale per molto tempo non aveva saputo nulla e che non era stata in grado di riconnettere al rapimento di Henry - , perché donasse a uomini e donne morenti la stessa pace che era stata concessa a lei.
 
Non l’aveva uccisa per cattiveria, bensì per pietà e, se una colpa poteva esserle attribuita, era quella di non aver saputo tenere a freno l’indisciplinatezza dei suoi uomini. E, tuttavia, col senno di poi, pur nella consapevolezza che vi fossero tutte le attenuanti del caso, Emma aveva realizzato che agli occhi di un genitore ci fosse un solo colpevole e, in quella circostanza, il colpevole era lei.
 
Percorrendo con passo lento ma deciso uno dei tanti corridoi che l’avrebbero condotta a destinazione, Emma si sentì padrona di sé e del suo destino come si era aspettata che accadesse: sapeva che, in prossimità dell’azione, il suo spirito e tutto il suo corpo venivano affetti da uno stato di torpore che impediva loro di provare qualsivoglia sentimento. Riusciva a visualizzare solo ed esclusivamente l’obiettivo, conscia che qualunque cosa si fosse messa in mezzo sarebbe stata eliminata senza margine di ripensamento. Era con quella stessa freddezza che aveva raggirato il tenente Jones, costringendolo a fare la guardia oltre la porta di una delle tante stanze con la scusa di dover recuperare qualcosa. Era con quella stessa freddezza che, invece, aveva sfilato l’abito da domestica per tornare ad vestire i panni da pirata e svignarsela dalla porta che collegava la camera a quella adiacente.
 
Non provava alcun rimorso per averlo ingannato, né sentiva di dovergli qualcosa. Era stato utile a suo modo, sì, ma questo non implicava che si fidasse di lui al punto da dimenticare chi fosse davvero Killian Jones. Checché ne potesse dire e per quanto evidenti fossero i cambiamenti che gli ultimi due anni avevano lasciato su di lui, Emma poteva scorgere in quegli occhi il fuoco della giustizia in cui egli così ardentemente credeva, lo stesso che avrebbe potuto esserle d’intralcio per rispettare un codice al quale ella non sentiva di appartenere. Perché quella non era la sua giustizia, la versione dell’ideale in cui, a modo suo, le era capitato di credere.
 
Se c’era una cosa che quell’esperienza le aveva fornito, era la forma mentis che le aveva assicurato il successo in ognuna delle imprese che aveva intrapreso.
Nella sua versione della giustizia, non c’era spazio per la pietà o i tentennamenti, men che meno per la redenzione. Emma voleva salvare suo figlio, non essere salvata. E, se per raggiungere quell’obiettivo le fosse toccato di ardere tra le fiamme dell’inferno, il demonio avrebbe dovuto rassegnarsi all’idea di avere tra i suoi servitori un’anima che avrebbe richiesto al fuoco di bruciare più forte e alle lingue di lava di allungarsi con maggiore prepotenza verso l’alto, allora. Nella sua versione di giustizia, il primo passo per la corretta esecuzione di quel piano consisteva nel tagliare la gola a Richard Anthony Lively nella comodità del suo letto e attendere finché non l’avesse visto farsi cinereo e spirare. E di quell’immagine si sarebbe nutrita fino a saziare il suo proposito di vendetta e ad appagarlo come da anni bramava di fare.
 
Attraversò spedita i corridoi che l’avrebbero condotta a destinazione e neppure una volta si guardò indietro o temette di essere scorta da qualcuno. Era al piano inferiore che si muoveva la servitù nel disperato tentativo di eliminare le tracce del passaggio degli invitati e, se alcuni di essi ancora si attardavano, era nel giardino che tenevano le loro conversazioni. Inoltre, il capitano della Nostos aveva appositamente scelto il percorso interinale, quello che meno dava nell’occhio poiché passava per un sentiero di porte, stanze e cunicoli assai discreti, e sapeva che le probabilità che qualcuno si imbattesse in lei mentre attraversava quell’ala del palazzo quieta e avvolta nella semioscurità fossero infinitamente basse. Emma, tuttavia, conosceva la sua nemesi, il Destino, e, memore di quanti impedimenti avesse messo sul suo cammino da che la sua avventura aveva avuto inizio, non tolse mai la mano dall’elsa della spada che portava alla cintola.
 
Fu per quella ragione che accolse con un sorriso quasi di scherno il primo enorme contrattempo che finì per incrociare. Prevedibile, dolcezza, prevedibile!
La figura di un uomo di stazza robusta, assai simile a quella del tenente Jones, svoltò l’angolo per immettersi nel corridoio che Emma aveva percorso per una buona metà e, nel vederla, si arrestò di colpo. Non le fu necessario udirne la voce per comprendere che colui che aveva innanzi altri non fosse che il tronfio capo delle guardie che ella e Killian avevano udito parlare con Lively poco più di un’ora prima. E anche l’altro dovette riconoscerla, poiché il suo sguardo s’indurì e la mano si strinse con fermezza attorno all’elsa della spada. Emma poté scorgere in quegli occhi, insieme alla realizzazione di essere al cospetto del famigerato Capitan Swan, un misto di sorpresa ed eccitazione: benché fosse giunta alle loro orecchie la notizia che fosse una donna, non era il tipo di donna che Emma rappresentava che si sarebbe aspettato di vedere, né aveva mai osato sperare che fosse proprio lui il primo ad avere l’opportunità di farle la pelle. Era un peccato dopotutto, si disse!
 
«‘Tutto fila liscio come l’olio, signore’.» Emma ruppe gli indugi, facendogli il verso, le labbra atteggiate ad un sorriso spavaldo e raccapricciante nella sua assenza di tensione. Poi, compì un passo verso di lui e con suo enorme piacere lo vide sobbalzare impercettibilmente. La smorfia sulla sua bocca divenne più ampia, compiaciuta. «Avete intenzione di battervi, non è così?»
 
L’uomo non parlò. I suoi occhi si limitarono a studiarla, mentre ella avanzava ancora di pochi passi, e finì per chiedersi come avesse fatto quella ragazza ad ottenere i risultati che la loro porzione di mondo le tributava: bastava pronunciare il suo nome in qualunque porto e, che si sapesse che era una donna o meno, gli uomini divenivano tremebondi e le puttane smettevano di agitare le mammelle, a disagio. Un’ondata di stizza e di orgoglio lo attraversò, indurendogli l’espressione del viso squadrato, quando realizzò che non soltanto non gli venisse portato nemmeno un decimo del rispetto che era dovuto a lei, ma che quella stessa giovane rischiava di mandare per aria la missione che il signor Lively gli aveva assegnato quella sera. Se tutto fosse andato in fumo, avrebbe perduto molto più che il buon nome che aveva tentato di farsi in tanti anni di onorato servizio e questo non poteva permetterlo.
 
Sguainò la spada. «Non uscirete viva di qui, ragazzina,» disse e la sottigliezza del suo insulto lo rese così fiero di sé che una scarica di adrenalina gli corse giù per il corpo e lo spinse ad avanzare. «Vi conviene arrendervi e, forse, non soffrirete troppo.»
 
Emma rimase imperturbabile, il sorriso che faceva ancora bella mostra di sé sulle labbra vermiglie. Dando prova di indicibile destrezza, ella imitò l’altro e impugnò l’arma con una padronanza che la diceva lunga sulla sua capacità di manovrare quell’arnese.  Un’immagine peccaminosa attraversò la mente dell’uomo al collegamento che la sua mente creò con quella constatazione e si chiese se, dopotutto, Lively gli avrebbe concesso di scoparsela un paio di volte, prima di farne quello che voleva. Chissà se le sarebbe piaciuto, si chiese, o se l’avrebbe supplicato di smetterla o se, con l’alterigia che sembrava appartenerle, avrebbe sopportato con stoica rassegnazione. Rifletté un istante per realizzare che, probabilmente, ella sarebbe stata troppo distrutta dalla morte del figlioletto per curarsi di ciò che le avrebbe fatto; e, stranamente, quel pensiero lo eccitò.
 
Il clangore che le spade riprodussero nello scontrarsi interruppe il flusso dei suoi pensieri, costringendolo ad affrontare la realtà.  Il suo avversario, benché fisicamente meno forte, dimostrò di avere dalla sua una tecnica che l’uomo non aveva mai visto adoperare: si muoveva a tratti rapidamente, in una successione di passi brevi e quasi ballati, e a tratti con fluidità, lentezza e precisione. Rassomigliava tanto ad una danza, talvolta incalzante, talvolta perfettamente calibrata, e la passione con cui ella la stava eseguendo rendeva imprevedibile ciascuna delle sue mosse. Voleva vincere, credeva di poter vincere e questo la conferiva una forza perfino maggiore di quella che il suo corpo avrebbe dovuto mostrare. Ma l’altro non era disposto a cedere almeno quanto lei, poiché i vantaggi che gli sarebbero derivati dalla sopraffazione del nemico erano un deterrente sufficiente contro qualsiasi genere di distrazione. E, se costei era agile, egli avrebbe puntato sulla forza fisica.
 
La attaccò con ferocia, sferzando l’aria con una serie di colpi che avevano il suono della morte, ed ebbe a mostrare tutte le sue doti di fine combattente, benché il suo animo fosse rozzo e meschino come il più inetto degli uomini. Emma parò e schivò i colpi con maestria, ma il suo corpo cominciò presto ad accusare la fatica dovuta all’inferiorità fisica e, dopo un po’, si ritrovò ansante. Forse, rifletté, lasciare indietro il tenente Jones non era stata l’idea più brillante che avesse avuto negli ultimi tempi! E il timore che, di lì a breve, qualcuno fosse allertato dal rumore delle loro lame e questo facesse perdere a lei e alla sua ciurma il vantaggio dell’effetto sorpresa colmò il suo cuore. Ancora col fiato corto, si lanciò in un’ulteriore serie di affondi, costringendo l’altro ad indietreggiare per evitare di rimanere ferito, e, per un istante, la situazione parve volgere a suo vantaggio, perché uno squarcio si aprì sulla coscia di lui quando l’arma di Emma si conficcò nella carne così rapidamente da impedire all’avversario di ripararsi.
 
Non ci fu tempo per esultare, però, perché come caricato dal dolore della ferita, con la lama ancora conficcata nella carne, l’uomo scattò in avanti a sua volta. Aiutata dall’esilità del suo fisico, Emma fu più rapida e, non mollando la presa sull’arma che stringeva, riuscì a scansarsi. Eppure non fu abbastanza, perché, quando al primo seguirono un altro fendente, e un altro e, infine, un altro ancora in una successione tanto rapida quanto poderosa nella sua intensità, la giovane finì per schivare l’ennesimo attacco ma, nel farlo, perse l’equilibrio e cadde stesa lungo il pavimento. La lama dell’altro brillò alla luce della torcia più vicina ed Emma la vide calare su di lei con violenza implacabile. Stringendo ambedue le mani sull’elsa della spada prima che fosse troppo tardi, riuscì a schermarsi e a rimandare il momento della sua fine, ma il contraccolpo le storse un polso e senza che se ne rendesse conto urlò di dolore.
 
La sensazione durò un battito di ciglia. Probabilmente avvisato sulle attitudini violente e imprevedibili dell’avversario, l’uomo non perse tempo: come aveva fatto più volte in battaglia in presenza di un ostaggio prezioso, afferrò l’elsa della spada e la abbatté con decisione sul capo della donna. Emma svenne.  
 
*
Aveva scoperto della morte di sua figlia nella maniera più straziante che ci si potesse aspettare, così lacerante che le memorie di quegli istanti, tratteggiati con la nitidezza che soltanto il dolore di un cuore infranto poteva avere, lo tormentavano ancora con la medesima irruenza della prima volta in cui li aveva sperimentati. E il suo cuore, quel giorno, era andato in frantumi con la prospettiva di non ricomporsi mai più.
 
Aveva deciso di far loro una sorpresa. Dopo mesi di peregrinazioni e affari andati a buon fine, Richard Anthony Lively si era trovato a scorgere il porto di Durin con una trepidazione che non aveva mai saggiato in anni di onorato servizio, una trepidazione che aveva scioccamente imputato all’avanzare dell’età. La vita gli aveva donato sporadiche, ben soppesate gioie da che era venuto al mondo e alcune di essere erano giunte solo quando il suo riflesso allo specchio gli aveva restituito l’immagine di un uomo dalla chioma non più folta, con profonde rughe d’espressione ad arricchire il suo volto in nome degli innumerevoli viaggi ai quali si era dedicato anima e corpo. E, in qualche modo, il sopraggiungere dell’età canuta aveva addolcito la personalità del mercante col quale si era definito negli ultimi tempi, quasi a ricordargli che, se avesse avuto intenzione di godersi la vita e i suoi picchi d’intensità, avrebbe dovuto approfittarne ora che di tempo a disposizione non ne aveva quanto in passato; ora che alcuni dei patimenti che lo avevano visto imbrunirsi dolevano un po’ di meno.
 
Dopo anni di vedovanza, aveva sposato una moglie più giovane di lui di quasi vent’anni e da lei aveva ricevuto il regalo che la vita gli aveva negato col perdere, durante una battuta di caccia finita in tragedia, la donna alla quale si era legato per quello che pensava sarebbe stato il resto della sua vita. Rose, la sua unica figlia, era un fiore prezioso e delicato attorno al quale girava il suo mondo intero e, benché quest’amore non gli avesse impedito di partire per mare per lunghi periodi di tempo, né di temperare l’apparente durezza del suo carattere, i ritorni si erano fatti più dolci e agognati con la sua nascita.
 
Con passo baldanzoso e un sorriso che la sua anaffettività era a malapena riuscito a mascherare, quel giorno aveva attraversato il giardino della sua tenuta, nella mente l’aspettativa di vedere la reazione delle due persone che più amava al mondo quando avrebbe comunicato loro che intendeva portarle con sé per la spedizione successiva e quando avrebbe presentato loro il bambino che aveva salvato dai mercanti di schiavi. Georgie, come lo aveva affettuosamente soprannominato, era il figlio che non erano riusciti ad avere nonostante gli sforzi e il fratello per cui Rose li aveva instancabilmente supplicati; ed era forse merito dei mesi trascorsi in sua compagnia l’accresciuta tenerezza che mai si era concesso di mostrare in base all’educazione impartitagli.
 
 Tutto si era spento in lui con brutalità acuita dall’attesa letizia, quando i suoi occhi si erano posati sulla figura emaciata e distrutta della moglie che, gettandosi ai suoi piedi, gli aveva comunicato cosa fosse accaduto poco più di un mese prima. Era nitido nel suo cuore il ricordo della pena che aveva provato, tanto quanto lo era stata l’impressione di aver cagionato con la sua lontananza la morte dell’unico essere vivente che avesse mai avuto una presa sul suo cuore. Aveva fatto ciò che aveva ritenuto più giusto per tutelarle, costringendo la moglie, in seguito al parto, ad una vita nell’entroterra, persuaso che i pericoli delle città di mare fossero di gran lunga superiori a quelli da cui avrebbe potuto proteggerle con il giusto numero di guardie e precauzioni. E, invece, rimandando di anno in anno la promessa fatta a Rose di condurla alla scoperta del mondo su una delle sue navi, non aveva fatto altro che spingerla tra le braccia di una morte certa, che nessuna fatica aveva fatto a trovarla.
 
Alla pena e al senso di colpa, tuttavia, erano subentrate presto l’ira e il desiderio di vendetta ed aveva finito per rimanere ossessionato dal proposito di trovare e uccidere il pirata che, secondo il racconto della moglie, aveva colpito a morte Rose, gettandone il corpo tra le onde e impedendo loro di darle onesta sepoltura. E l’ossessione lo aveva circuito a tal punto da fargli prestare la minima attenzione al benessere della sua sposa: col senno di poi, Richard Anthony Lively aveva ammesso a se stesso che, se non fosse stato per Georgie e la gioia puerile che egli aveva portato con sé, ella non sarebbe sopravvissuta a lungo, vittima della spada o della malattia.
 
Come aveva già fatto in passato in nome del benessere che si era ripromesso di garantire alla sua famiglia, poche settimane dopo aver ricevuto notizia della tragedia che li aveva colpiti, Richard era tornato per mare con un obiettivo preciso: trovare il capitano che governava una nave di pirati chiamata Nostos. E, con quelle poche informazioni e le immagini del momento in cui lo avrebbe finito sul ponte del suo vascello, poco prima di affondarlo con tutti i suoi uomini, egli si era nutrito e tormentato per mesi, fino a rendere quell’unico pensiero la sua sola ragione di vita. La verità era che non avrebbe potuto fare altrimenti, poiché il costo dell’ammissione delle sue colpe sarebbe stato talmente alto da spingerlo a fare ciò che a molti aveva biasimato: togliersi la vita.
 
Erano stati mesi interminabili di ricerche prive di fondamento, finché non era arrivato ad un punto di svolta: alleggerendosi di una capiente borsa di pezzi d’oro a favore dell’ennesimo informatore, aveva appreso che il tanto famigerato Capitan Swan altri non fosse che una donna e che, se era alle sue origini che desiderava attingere, avrebbe dovuto navigare verso Ovest fino a una città chiamata Tartaros e, una volta lì, chiedere di Jack il guardaboschi; nel frattempo, aveva aggiunto il manigoldo col piglio soddisfatto di chi ha intascato un bel gruzzolo, gli sarebbe convenuto pregare che quell’uomo non si fosse ancora ucciso a forza di bere. Le prospettive, a quel punto, gli erano parse meno rosee che mai, ma non era servito a nulla fare pressioni per spillare qualche dettaglio in più sull’identità di tale Jack o sulle mire del capitano della Nostos: quell’uomo si era categoricamente rifiutato di aggiungere qualsivoglia informazione ulteriore, a qualunque prezzo avesse tentato di estorcergliela, sulla scorta del peso che dava alla sua vita e della consapevolezza che non sarebbe mai sopravvissuto alla spietatezza di Capitan Swan se avesse osato troppo.
 
Era stato frustrante constatare quanto largamente diffuso fosse quell’atteggiamento di omertà. Molti erano parsi inorriditi all’idea che qualcuno fosse stato tanto sciocco da concedergli quelle informazioni per denaro, convinti che il letto di morte fosse l’unica possibilità ammissibile per lasciarsi andare a tanta sconsideratezza. Richard ricordava ancora lo sguardo di un vecchio sdentato, che nella caccia alle balene aveva perso molto più di una gamba e un braccio, e il modo in cui aveva aspirato avidamente il fumo dal sigaro logoro che stringeva tra le dita mozzate: “Ti sei messo alle calcagna del demonio, eh? Spera solo che gli Dei siano tanto benevoli da non volere che sia il demonio a mettersi alle tue!” E quel vecchio e le sue parole erano divenute presto provvidenziali, perché Richard era, sì, arrivato a Tartaros e aveva, sì, incontrato Jack il guardaboschi, ma aveva anche realizzato di essere passato da predatore a preda contro ogni sua aspettativa.
 
Già, perché Jack il guardaboschi, ridottosi all’ombra dell’omone che doveva essere stato in passato, si era rivelato il padre della donna che Richard stava cercando. Come persuaso che ammettere a voce alta ciò che aveva commesso potesse costargli la dannazione eterna più del fatto di esserne stato artefice a suo tempo, il guardaboschi gli aveva confessato la responsabilità della persona che sua figlia era diventata guardandosi continuamente intorno con circospezione; e la putredine della casupola ove Richard era stato costretto ad incontrarlo gli era parsa nulla a confronto con lo stato in cui l’altro gli si era presentato, una volta sollevato il lenzuolo con il quale soleva coprirsi. 
 
Stando al racconto dell’uomo, un anno dopo aver perduto le tracce del figlio ed essersi impossessata della Nostos, Emma era tornata a Pleuk, il villaggio in cui era nata, per dare il benservito al padre e di lui aveva fatto una cavia per le torture più atroci: assicurandosi l’assistenza di un medico, ne aveva bruciato la pelle delle gambe quel tanto che bastava perché il ricordo di quel dolore rimanesse impresso a fuoco sulla carne e, tuttavia, stando ben attenta a non provocarne la morte; e, infine, ne aveva riempito di sale le ferite per il solo gusto di vederlo soffrire. Quello che aveva avuto davanti, si era reso conto poco dopo Richard, non era stato un uomo, bensì il risultato di ciò che Emma Swan aveva fatto di lui e, cioè, un mostro dalle sembianze spaventose che ella aveva a tal punto manipolato da impedire che cercasse il suicidio. Sarebbe stato troppo semplice, troppo rapido, troppo poco.
 
Quale dolore e soddisfazione insieme gli aveva procurato realizzare di avere tra le mani colui che rappresentava lo strumento perfetto per la sua vendetta e, insieme, l’unica ragione per la quale sua moglie era ancora in vita. Non soltanto la storia di Georgie – che aveva scoperto chiamarsi Henry –corrispondeva esattamente a quella che gli aveva narrato a grandi linee Jack il guardaboschi, ma, se questa non fosse stata sufficiente a convincerlo, vi era un dettaglio in più in grado di togliergli ogni dubbio: nella spirale sconclusionata dei sensi di colpa che era venuta dopo la ricognizione degli errori della sua vita, l’uomo aveva ammesso di aver perso il controllo quando, portato con sé il nipote in osteria, quel bambino di soli cinque anni si era ferito con un coltello al volto; annebbiato dai fumi dell’alcool, la soluzione più plausibile gli era parsa quella di venderlo al primo mercenario e continuare ciò che aveva dovuto interrompere nell’osteria come nulla fosse. E Georgie aveva una cicatrice nella porzione di pelle sovrastante il labbro superiore proprio come il nipote di cui Jack rimpiangeva le sorti.
 
Aveva provato disprezzo e vergogna per la caricatura d’uomo che aveva avuto davanti, ma ne aveva provato ancora di più per se stesso nel realizzare quanto miserabile lo avesse reso il dolore della perdita. Durante il percorso di ritorno, una freddezza impenetrabile era calata su di lui, annichilendo la sua parte emozionale al punto che la prospettiva di uccidere Georgie era finita per sembrare l’unica reazione plausibile al male ricevuto. Poi, in una notte di abominevole viltà, aveva compreso che non sarebbe stato abbastanza mettere fine alle pene di quella donna con cotanta semplicità, non quando lei lo aveva privato perfino del privilegio di piangere sul cadavere di sua figlia. Come il mare aveva inghiottito il corpo di Rose, il desiderio di rivalsa aveva ottenebrato la sua umanità fino a fargli partorire un piano che lo avrebbe cambiato per sempre: mentendo a sua moglie, aveva simulato la fuga di Georgie e, con la promessa di starle accanto, l’aveva condotta a Telos e alla loro nuova vita. La verità era che, svuotato di qualsivoglia parvenza di affezione nei confronti del bambino, dopo averlo sbattuto nelle segrete e posto sotto la stretta sorveglianza di due uomini a lui fidati, si era ripromesso di fare esattamente ciò che quel pirata aveva fatto a Rose.
 
Da allora, la sua vita non era stata che finzione e attesa.
 
*
 
Emma amava la nebbia. Era sempre stato così da che aveva messo piede sulla Nostos. Quel giorno di cinque anni prima, quando aveva letteralmente eviscerato il previo capitano della prima nave pirata che avesse mai visto, sottraendogliela un po’ come la vita aveva privato lei di suo figlio, ricordava di essersi mossa nell’ombra, sospinta e aiutata da quello stesso velo di cupa tristezza. Non avrebbe ottenuto nessuna vittoria, quella mattina, se la nebbia non fosse stata dalla sua parte: il pavimento in legno della Nostos non si sarebbe fatto scivoloso, l’uomo non avrebbe rischiato di perdere l’equilibrio e allentato la presa sul suo polso ed ella non sarebbe mai riuscita a trafiggerlo da parte a parte. Ma, al di là di ciò, Emma era convinta che non avrebbe mai trovato in cuor suo il coraggio per assecondare la brutalità dei suoi istinti, se l’atmosfera  tutto intorno a lei non fosse stata tanto surreale.
 
La nebbia di quel giorno aveva portato con sé la discrezione di cui il Fato spesso mancava e, aiutando Emma ad ottenere la sua rivincita, aveva lasciato che la giovane uccidesse la ragazzina che ancora era in lei per farsi donna, con tutto ciò che quella mutilazione avrebbe comportato. A ripensarci, nello stato di attonita confusione nella quale la sua mente si trovava, il capitano della Nostos realizzò di aver ricevuto molto più aiuto di quanto non avesse mai sperato nel corso della sua vita: quante erano le probabilità che una ciurma di spiantati senza onore né gloria accettasse di sottomettersi ad un’anima debole come lei? Qualcuno doveva aver messo appositamente Diego lungo il suo cammino, perché scorgesse il fuoco che perfino Emma aveva dubitato di possedere e si schierasse dalla sua parte contro le resistenze degli altri. Qualcosa doveva averla guidata lungo il molo perché scegliesse la Nostos tra tutte le navi ivi presenti e non facesse la fine della giovane Lively. Del resto, non aveva avuto che la medesima età e, soprattutto, la medesima inesperienza.
 
Con un mugugno soffocato a malapena, Emma si mosse e un indolenzimento sparso la colse impreparata, accompagnato da una sensazione di freddo fin troppo reale per poter essere scambiata con il gelo dell’aldilà. Inoltre, se non fosse bastato quello a convincerla, lo spasimo che seguì un breve movimento al polso, mozzandole il fiato, avrebbe fatto il resto. All’improvviso, realizzò il perché della sua condizione e i suoi occhi si spalancarono per la sorpresa mista a terrore, quando comprese di essere nelle mani del nemico: ricordava lo scontro con il tronfio capo delle guardie e ricordava anche di esse stata sopraffatta; e questo era sufficiente a risvegliare in lei gli antichi demoni che, fino a quel momento, aveva serbato per l’incontro con Richard Anthony Lively. Tuttavia, la sua razionalità prese subitaneamente il sopravvento e seppe che l’ira funesta che stava montando dentro di lei non avrebbe cambiato il fatto che fosse numericamente e fisicamente in svantaggio. Doveva prendere tempo ed escogitare un piano per togliersi dalla situazione in cui si era cacciata, ma, prima di tutto, doveva capire in quale luogo l’avessero portata e se ci fosse possibilità di scampo.
 
Muovendosi contro il pavimento con l’intento di attirare l’attenzione dei presenti su di sé, Emma fece per mettersi a sedere e tanto bastò perché capisse quanto precaria fosse la situazione in cui si trovava. Una fitta al polso le mozzò quasi il respiro e, proprio nel mettere in atto il tentativo di reggersi sulle ginocchia, scorse la fonte del rumore di ferro che aveva udito ad ogni sua movenza: grosse catene arrugginite pendevano dalla parete alle sue spalle e fino ai suoi polsi, terminando in due grosse manette cosparse di aculei interni che premevano sulla sua carne fino a farla sanguinare. Quello era uno strumento di tortura che aveva visto usare a Barbanera nei bassifondi di uno dei tanti porti ove si erano incontrati e nella sua mente era ancora impresso lo sguardo di terrore misto a pena che era apparso sui volti dei prigionieri, quando avevano realizzato che l’unico modo per liberarsi fosse quello di perdere buona parte della mano.
 
«Ho aspettato questo momento per un tempo che è parso una vita.»
 
Una voce mascolina, quasi innaturale nella sua spettralità, pronunciò quelle parole ed Emma seppe, prima ancora di incontrarne lo sguardo, che le mire di quell’uomo erano inarrestabili e che, sì, avrebbe ucciso Henry se ne avesse avuto l’opportunità. Lo cercò e trovò in pochi istanti ed il verde dei suoi occhi – che molti avevano definito spietato e gelido come lo era la sua anima – divenne improvvisamente l’elemento di maggior calore dell’intero ambiente. Pur mantenendo l’attenzione fissa su di lui, ella riconobbe nell’immediato il luogo in cui era stata condotta, poiché aveva avuto modo di trascorrervi l’intera serata: si trovava nella sala ove era stato organizzato l’evento in onore della figlia dei Lively, sotto il dipinto della giovane che Emma e molti dei commensali avevano rimirato a lungo durante il ballo perché espressione di una bellezza eterea, senza tempo. Lo sfondo di canti e di balli si era trasformato in un teatro di vendetta e dissapori, in penombra. L’ironia!
 
«Non siete il primo uomo ad avere un’ossessione per me, Richard.»
 
Gli sorrise semplicemente, con il modo di fare disarmante che Richard si sarebbe aspettato da un pirata come lei. Nel conoscerne, finalmente, i tratti del viso, benché il racconto del guardaboschi gli avesse fornito un’indicazione orientativa in merito, egli non poté comunque impedirsi di rimanere sorpreso: era giovane e bella di un fascino come non ne aveva mai conosciuti. C’era qualcosa di arcano e turbolento in lei, come un antico incantesimo che, sottopelle, pareva renderla splendida di una bellezza immortale e spaventosa a un tempo. Quegli occhi, verdi quanto gli smeraldi – gli stessi che, si disse, erano stati gli ultimi a incrociare quelli di sua figlia Rose -, erano uno specchio di brutture patite e inflitte insieme e, per un istante, così breve che quasi temette di averlo solo immaginato, l’uomo provò pietà per lei. Una creatura come quella che gli stava innanzi, che non aveva conosciuto che spietatezza nella vita, che altro avrebbe potuto portare in quella di chi la circondava, se non miseria e sofferenza?
 
Mettendosi a sedere sui talloni con un mugugno stanco, Emma sospirò e inclinò appena il capo. «Dunque, dimmi un po’,» fece, abbandonando il tono formale per assumerne uno più colloquiale, a dimostrazione del fatto che non provasse alcun timore per lui nonostante la situazione di svantaggio in cui si trovava, «sei soddisfatto dell’aspetto di questo capitan pirata?»
 
Aveva una bella faccia tosta, doveva ammetterlo. «Le catene ti donano, non c’è che dire,» la imitò, parlandole con la stessa confidenza che ella gli aveva usato, ma non le sorrise. Non voleva abbassare la guardia. «Sono curioso, però, di vedere se ti doni anche la disperazione di perdere un figlio.» A quel punto, rise freddamente e si guardò distrattamente le mani, prima di tornare a prestarle la sua piena attenzione. «Ti rendi conto di aver passato tanti anni alla ricerca di una persona, solo per vederla morire?»
 
Voleva ferirla, assaporare l’anticipazione del dolore che avrebbe provato nel rivedere il figlio sporco e provato con la consapevolezza di averlo messo al mondo per nient’altro che quello.  Il muscolo della mascella di Emma vibrò  a quelle parole e gli occhi le si oscurarono di un sentimento terribile e temibile insieme, trasfigurando quella bellezza fino a renderla raccapricciante. Infine, accennò un sorriso con la bocca femminea.
 
«Almeno io sarò al suo fianco e Henry non trapasserà sulle tegole umide e sudice di un porto che sa di piscio più che di pesce.»
 
Quelle parole lo colpirono con una dirompenza che si era aspettato, poiché rappresentavano la statuizione verbale di ciò che non aveva mai avuto il coraggio di ammettere a voce alta, nemmeno con se stesso. Preda dell’istinto, si alzò e mosse grandi passi verso di lei, la mano alzata con l’intento di colpirla e rispedirla a faccia al suolo come un cane, ma questo non lo portò che a fare l’unica cosa che si era ripromesso di evitare: permetterle di manovrarlo fino a privarlo della lucidità. Quando Richard fu vicino abbastanza da caricare il manrovescio, in un colpo di scena che nessuno si era aspettato, dalla porta-finestra che dava sul giardino spuntò fuori Diego: a grandi falcate l’omone si precipitò in aiuto del suo capitano e, nel farlo, scalciò così forte contro la schiena di Lively che costui cadde a terra, senza fiato.
 
«Signor Lively!»
 
L’urlo del capo delle guardie, rimasto in prossimità della porta all’altro capo della sala in quei brevi minuti successivi al suo ritorno, dopo aver intimato ad un suo sottoposto di recarsi presso le segrete per prelevare il ragazzo, riecheggiò per l’enorme stanza prima di spegnersi in un silenzio carico d’attesa. Questi ed Emma, entrambi consapevoli della figura rannicchiata che giaceva a pochi passi da lei ma ancor di più dell’energumeno che lo aveva brutalmente tramortito, si osservarono per un tempo che sembrò dilatarsi oltre i limiti consentiti e ciascuno ponderò la pericolosità della situazione. Dalla prodezza della loro mossa avrebbero potuto dipendere le sorti di quello scontro e, poiché nessuno dei due desiderava uscirne sconfitto, fecero l'inutile tentativo di soppesarne la portata nella speranza di limitare gli effetti collaterali. Alla fine, fu il capo delle guardie a rompere gli indugi, ma il suo balzo sgraziato, quasi animale nella sua foga, finì per arrestarsi con la stessa rapidità con cui si era riprodotto dinanzi alla non-reazione di Emma: lo sguardo fisso su di lui e l’espressione imperturbata, ella si tese in avanti e così rimase, apparentemente immobile, dando l'impressione di non temere alcun attacco, né che ne fosse lui l'artefice, né che tale si dimostrasse il destino. Ma non era che un'apparenza fallace e contraddittoria, quella!
 
Un suono sinistro, gutturale venne fuori dalle sue labbra serrate e il sangue prese a cadere copioso sul pavimento della sala, mentre gli aculei penetravano, fino a lacerarla, la carne delle mani di Emma. La gamba di lei si mosse appena in avanti, quel tanto che bastava a caricarsi per lo strattone finale, e in quel breve lasso di tempo raccolse in sé tutto il coraggio che aveva accumulato negli anni.
 
Si era preparata al dolore per una vita intera. La vita l’aveva forgiata col patimento quasi a volerla marchiare perché non dimenticasse qual era il suo destino: la figlia di uno sciocco inetto, privo di qualunque forza di volontà che non avesse a che fare col bere, che speranze avrebbe potuto avere di vivere felicemente? E, allora, Emma aveva accettato la sua condizione con la stessa rassegnazione con la quale uno storpio accetta la menomazione di cui è affetto. Piangersi addosso non le avrebbe migliorato la vita come non l’avrebbe migliorata al cionco. Dunque, tanto valeva rimboccarsi le maniche e fare dei suoi punti di forza un’arma per contrastare quell’imperituro flagello cui era stata designata.
 
Fu con quella disposizione d’animo e con un ringhio di rabbia, strazio e frustrazione insieme che strattonò in avanti quel tanto che bastava a liberarsi dalla presa delle manette aculeate con le quali avevano sperato di incastrarla. Oh, come doleva la carne sua… per quello che ne rimaneva! Doleva a tal punto che, col viso rigato di lacrime di patimento, Emma partorì per un istante il pensiero di privare Lively della spada e mozzarsi entrambi gli arti. Lunghi solchi le percorrevano il dorso e i palmi delle mani, così profondi che non ebbe il coraggio di guardare una seconda volta, poiché l’aspetto che avevano avrebbe finito per scoraggiarla. Si disse, però, che quelle ferite fossero ben poca cosa al cospetto del dolore che aveva provato cinque anni prima nel sentire la vecchia megera del porto confermare le parole di colui che si era rifiutata di chiamare padre; e inaspettatamente rivisse quegli istanti con un nitore che non aveva mai sperimentato da che li aveva vissuti.
 
“Un piccoletto delizioso che si dimenava come un matto, sissignora,” le aveva detto l’anziana dai vestiti logori, leccandosi le labbra secche per la denutrizione con avidità, fino a dare l’impressione che le fosse impossibile smettere di pensare a un buon pasto caldo con cui dare sollievo allo stomaco. Era difficile per una poveraccia come lei sperare nella fortuna che qualcuno perdesse una moneta, così da assicurarsi, una volta tanto, una cena per la quale non lottare coi topi. E, tuttavia, la speranza era tutto ciò che le era rimasto. “Lo hanno pagato poco perché pensavano fosse gracilino,” aveva aggiunto prima che i suoi occhi tormentati dai crampi della fame si spostassero su Emma. A quel punto, come non era mai accaduto da che la vita l’aveva condotta a mendicare per i porti, l’ossessione per il cibo si era spenta nei suoi occhi e nella sua mente dinanzi allo strazio sul viso della giovane che le stava accanto. L’aveva osservata crollare sulle assi del pavimento, il volto sfigurato dalla profondità di un dolore che, nonostante la sua veneranda età, la donna si era resa conto di non aver mai sperimentato, non spiritualmente almeno. E aveva provato pietà, una pietà materna che le aveva fatto dolere il ventre rinsecchito per i figli che non aveva mai avuto.
 
“Mi dispiace,” le aveva detto e si era allungata per afferrarle le mani. Ma, in quel momento, come ridestata dal contatto con un altro essere umano, Emma aveva urlato e lo aveva fatto così forte da sovrastare, per un istante, i rumori del porto e attirare l’attenzione dei presenti. La vecchia era trasalita e, d’istinto, aveva ritirato il braccio, ma non era stato sufficiente ad impedire che l’onda d’urto emanata dalla sofferenza dell'altra la colpisse. “Su, su, piccina,” le aveva detto, dopo essersi inginocchiata e averne stretto il corpo scosso da spasimi tra le braccia fragili, ma, presto, la sua voce aveva finito per incrinarsi fino a rendere poco credibili quelle rassicurazioni alle sue stesse orecchie. Allora, aveva taciuto.
 
Erano rimaste in quella posizione, rannicchiate sulle ginocchia contro il pavimento logoro di un porto a loro indifferente come loro lo erano ad esso, finché le membra non avevano chiesto pietà e, consapevole di doversi riguardare, la più anziana delle due si era fatta coraggio. Per una serie di sfortunate circostanze, il suo mondo era andato a rotoli e lei non aveva mai trovato la forza per impedire che la vita la dominasse. Non avrebbe lasciato che la giovane che aveva tra le braccia facesse lo stesso, che quello squarcio nell’anima finisse per cancellare la sua voglia di stare al mondo fino a renderle dolce l’evenienza di lasciarsi affogare in tanta pena. Per quanto infingardo potesse mostrarsi il destino, la vecchia megera aveva imparato che avevano una sola occasione per godere delle bellezze della vita e quell’unica opportunità non poteva andare sprecata.
 
“Basta così,” le aveva detto con il tono dolcemente perentorio che era stata solita adoperare quando lavorava come governante; poi, l’aveva presa per le spalle e, guardandola negli occhi, l’aveva scossa con una forza che le sarebbe costata parecchio nei giorni successivi. “Ascoltami, bambina mia, non farti questo e non farlo a quel bambino. Lo senti il dolore che porti dentro? Li senti il freddo e la rabbia che si scontrano come titani? Non lasciarli vincere, nessuno dei tre. Raccogli quelle poche forze che ti sono rimaste e cambia il tuo destino.” Le sue mani sporche e rugose, a quel punto, avevano allentato la presa quel tanto che bastava ad asciugare il viso dell’altra e cancellare i segni della desolazione che ne avevano colto lo spirito. “Prendi la vita a due mani, caricatela sulle spalle e cammina, corri finché non ti sarai abituata a quel peso e il tuo corpo non avrà imparato a reggerlo senza spasimare per la fatica. E fai tutto a testa alta. Tu non sei debole, non sei una fanciulla da salvare, non sei la vittima del destino. Sei una cazzo di donna con una cazzo di volontà di ferro che può ottenere tutto quello che cazzo vuole.” La durezza delle sue parole aveva penetrato la coltre di indifferenza a qualunque energia vitale che la perdita di Henry aveva portato con sé e gli occhi di Emma si erano accesi di un fuoco che non aveva mai saputo di avere. “Trova qualcosa per cui combattere e combatti fino a morirne. Ma muori solo in combattimento, mai nello squallore della resa poiché, se così non fosse, l'avresti data vinta due volte al fato, permettendogli di farsi beffe di te.”
 
“Henry. Voglio combattere per Henry,” aveva trovato la forza di dire Emma e la vecchia sconosciuta aveva annuito seccamente. “E, allora, va’ e combatti! Trovalo! Questo è il tuo nostos.” L’espressione di Emma si era fatta confusa e, con la stessa condiscendenza che aveva usato ai suoi allievi, l’altra le aveva sorriso e spiegato: “Nostos è quello che i Greci consideravano il viaggio della vita. Un viaggio alla ricerca di qualcosa, di qualcuno ma, soprattutto, di se stessi. Una prova di grandezza, di eroismo, di ardimentosa e prode virulenza. Va’ e, solo quando avrai trovato ciò che stai cercando, torna a casa. Torna e scopri la persona che sei diventata, quella che non conoscevi ma eri già.”
 
Spostando il proprio sguardo sul carceriere di suo figlio per trovarvi lo stesso attonito sgomento che vi era sul volto del capo delle guardie all'altro capo del salone, Emma ignorò i segnali della sofferenza fisica, avendo in mente solo il compimento di quel viaggio iniziato anni prima. Alzando la mano lacera per distrarlo, gli sferrò un calcio così forte che due denti e un copioso schizzo di sangue macchiarono in lunghezza la parete più vicina. Infine, dopo aver ottenuto da Diego il cenno d’intesa che si era auspicata, si accostò a Richard e lo afferrò per il colletto della giacca col fine di trascinarlo in prossimità delle catene dalle quali si era liberata. C’era in lei una forza sì belluina ed efferata che solo il nitido ricordo della vecchia di cui non conosceva neppure il nome avrebbe potuto ispirarle! Era un vigore direttamente proporzionale al patimento provato in quegli istanti, acuito da sentimenti molesti di ira, vergogna e risentimento che aveva covato lungo l’intero percorso e che, adesso, sentiva esasperati dalla prossimità dell’incontro col figlio.
 
Il clangore di due lame che cozzavano la distrasse un istante, solo per mostrarle l’immagine del tenente Jones che si batteva furiosamente con il tronfio capo delle guardie. In quel fuggevole sguardo, Emma ebbe il tempo di provare ammirazione per il soldato della marina e per la sua tempra fisica e morale, perché si stava battendo con una maestria che apparteneva alla parte più retta di lui e che il capitan pirata sapeva di non essere riuscito ad intaccare, per quanti tentativi avesse fatto. Alla fine, si disse, Killian aveva mantenuto davvero la promessa di assisterla nella sua missione ed era accorso in suo aiuto quando ne aveva avuto più bisogno, senza risparmiarsi, senza arrendersi dinanzi agli affronti e alla mancanza di fiducia cui ella lo aveva sottoposto. Tenne a mente il proposito di ringraziarlo in futuro, laddove ve ne fosse stata occasione, prima di tornare alla figura che versava in stato di semi incoscienza tra le sue mani. Il momento della resa dei conti era finalmente giunto.
 
Mettendosi a cavalcioni su di lui, Emma ne osservò il viso tumefatto, sporco di sangue e realizzò di avere tra le mani un uomo che, le sue, doveva averle sporcate poche volte nella vita. Non era un combattente addestrato, non era un uomo fisico o d’armi, ma un padre disperato che aveva fatto del denaro l’unica arma a suo favore per ottenere tutto ciò che voleva. Nel catturarla grazie all’aiuto del capo delle guardie, doveva essersi illuso di aver realizzato il suo proposito, di aver compiuto il grosso del lavoro e, se il capitan pirata non fosse stato avvezzo tanto agli scherzi del destino quanto al temperamento di chi non ha intenzione di arrendersi alla morte, avrebbe anche potuto giustificarlo per il suo ottimismo. La posizione in cui si trovavano le ricordò la sera in cui aveva torturato suo padre fino a istupidirlo, fino a supplicarla di ucciderlo e porre fine alle sue sofferenze, e quella stessa smania finì per impossessarsi di lei. Come in quell’occasione, Diego era accorso per impedire i movimenti della vittima.
 
Allungandosi in direzione delle manette, ne afferrò una e, caricando il colpo, la abbatté sul viso di Richard. Un aculeo gli sfregiò il viso e una parte del naso ed egli urlò di dolore più forte di quanto non avesse fatto Emma. E fu così ancora, ancora e ancora, le strilla acute appena soffocate dal duello che imperversava alle loro spalle, mentre ad ogni goccia di sangue che spillava dal corpo del suo nemico la concupiscenza che ella stava provando si accresceva. Fu il tocco di una mano fragile eppure decisa a fermarla dall’assestare il colpo che avrebbe messo fine allo stato di belligeranza in cui versavano. Gli occhi di Emma, scuri come non lo erano mai stati, incrociarono quelli caldi, stranamente familiari di una donna più grande di lei per trovarvi un orrore e una disperazione anch’essi risaputi, perché li aveva visti negli occhi di Harold quando Ulan aveva colpito Olly.
 
«Siete una donna molto coraggiosa, o molto sciocca, se avete l’ardire di accostarvi proprio a me in un momento come questo,» disse e la freddezza del suo sguardo e della sua voce fece trasalire l’altra, al punto che questa interruppe il contatto e ritirò la mano. Era come una fiera, indomita e bellissima!
 
«Vi prego, vi supplico,» fece l'altra al suo indirizzo con voce tremante, tentando di articolare una richiesta che suonasse allettante. «Non so cosa vi abbia fatto mio marito, ma lasciatelo vivere e prendete tutto quello che volete dal castello. Non mi è rimasto che lui!»
 
Ecco dove aveva visto quegli occhi. Adesso, riconosceva perfino i tratti dell’innocenza di quel viso, poiché era la trasposizione nel futuro di colei che la giovane Lively sarebbe diventata se il Cielo non l’avesse chiama a sé in maniera tanto perentoria quel giorno di quasi sei anni prima. Lo sguardo di Emma scorse lentamente dal viso della sua interlocutrice a quello che rimaneva di Richard e, infine, si posò su Diego per trovarvi la stessa fiducia assoluta che aveva riposto in lei da che si erano incontrati, perfino nel realizzare i piani che l’uomo aveva trovato meno condivisibili. Non proruppe alcun suono, eppure, com’era suo solito, la sua espressione parlò per lui, suggerendole la strada meno violenta fintanto che era possibile prenderla senza correre rischi: le disse che avrebbero fatto meglio a filarsela prima che qualcosa andasse storto, che era giunto il tempo di trovare Henry e ricongiungersi con lui, che probabilmente Lively sarebbe morto comunque e tanto valeva lasciare a quella donna la consolazione di non vederlo ammazzato dinanzi ai suoi occhi. Innocente quanto la figlia, aveva già pagato il prezzo che la vita le aveva imposto. Come lo aveva imposto ad Emma, a Henry, perfino allo stesso Lively.
 
«Assicurati che tuo marito stia lontano da me e da mio figlio il più possibile o finirò quello che ho iniziato.»
 
https://www.youtube.com/watch?v=YJsF7sHpaPs

Gettando a terra la catena, Emma si scostò da lui e si trascinò carponi quel tanto che bastava a prendere le distanze dal corpo morente del suo nemico. All’infuori delle parole sussurrate che la signora Lively stava rivolgendo all’anima di suo marito, nella stanza imperava il silenzio più assoluto, nell’aria il sapore ferroso del sangue versato come in un campo di battaglia ove lo scontro si sia oramai consumato. Nel tentativo di ignorare il frenetico pulsare del suo cuore e quello dei suoi arti laceri, il capitan pirata comprese che quello stato di quiete fosse imputabile solo ed esclusivamente all’intervento dei suoi uomini, ma che non sarebbe durato a lungo: Diego doveva essersi occupato della servitù e gli altri delle sentinelle disposte per il giardino. Prima che fosse troppo tardi e che il loro vantaggio venisse cancellato, era necessario che si affrettassero a lasciare quel luogo per fare ritorno sulla Nostos. Ma Henry? Che ne era stato di lui?
 
Uno scalpiccio frettoloso, proveniente dal corridoio esterno alla sala, raggiunse i presenti e sia Emma che Killian che Diego si voltarono appena in tempo per assistere all’unica scena che avessero avuto a cuore da che avevano pianificato l’ingresso in quel palazzo. Le figure di Ulan e Liam fecero la loro apparizione nel quadro disegnato dallo stipite della porta per dare loro la certezza che, sì, anche loro erano vivi. Killian tirò un sospiro di sollievo nell’incrociare lo sguardo dell’amato fratello e parte della tensione accumulata parve svanire. Diego sorrise e annuì all’indirizzo di Ulan per ottenere la tacita conferma in cui aveva sperato. Emma si limitò ad osservare un punto imprecisato tra i due, restia ad osservarli in volto nel timore di leggervi ciò che il suo cuore più paventava. Distrutta com’era, in ginocchio su un pavimento che grondava di sangue quanto lei, con gli arti scorticati, attese e trattenne il respiro, pregando perfino gli dei che aveva giurato di disconoscere tempo prima perché il suo desiderio si realizzasse.
 
Infine, accadde e la terza figura che tutti avevano atteso con impazienza fece la sua apparizione. Un ragazzetto dinoccolato, alto per i suoi dieci anni, col viso scavato dalle privazioni e pallido per la mancanza di luce, si fermo tra Liam e Ulan e si voltò in direzione della sala ove stavano gli altri tre. Emma scorse su quei lineamenti tanto amati la stessa espressione di attesa che sapeva di avere lei stessa. Henry la osservò a lungo, incredulo e sgomento insieme. Quella che giaceva sul pavimento, a diversi metri di distanza da lui, era una donna come mai ne aveva viste, eppure sorprendentemente rassomigliante al ricordo che aveva tentato di mantenere vivo negli anni. Quei capelli, così biondi da rammentargli l’oro filato dal protagonista della storia che Dorothy gli aveva raccontato spesso, restituirono i colori alle sue memorie in bianco e nero e accesero in lui qualcosa che aveva sempre provato ad immaginare in un’impresa dimostratasi presto fallimentare: il calore di un affetto vecchio come il mondo, tanto intenso e genuino da rendergli semplice accettare che quella altri non fosse che sua madre. Quello, il tempo non aveva potuto cancellarlo, né manipolarlo come aveva fatto con i ricordi di entrambi. Quello rappresentava qualcosa che sfuggiva al controllo della logica e delle regole su cui si basava il vivere umano, poiché era l’espressione più nobile e alta di ciò che gli dei avevano sempre invidiato agli uomini: la capacità d’amare e di farlo incondizionatamente, anche quando appariva sbagliato, impossibile, insensato.
 
Con una sensibilità che gli era sempre appartenuta e che aveva sviluppato perfino di più nei lunghi anni di prigionia, colse in ognuna delle ferite che il corpo di Emma presentava la profondità delle lesioni che la lontananza da lui le aveva causato. Era una donna che aveva lottato instancabilmente e che non solo non si era mai arresa, ma non aveva mai neppure pensato di farlo. Negli squarci che aveva sulle mani quasi irriconoscibili, nel colore torbido dei suoi occhi, nel sangue che intaccava la pura beltà della sua pelle e dei suoi capelli, egli trovò la smentita ai dubbi che Richard Anthony Lively aveva instillato in lui in tutti quegli anni, poiché ciascuno di quegli elementi era una dichiarazione d’amore nei suoi confronti che il fitto silenzio che si era creato in quella stanza con la sua apparizione non sarebbe bastato a soffocare. E, in cuor suo, trovò non solo la forza di perdonarla ma, con lo stesso impeto, trovò la forza di amarla di eguale intensità.
 
Un sorriso si aprì sul viso emaciato di Henry, illuminandolo di una luce che Emma ricordava con nitore, e senza perdere altro tempo il piccolo si lanciò in una corsa che il lungo periodo di immobilità rese buffa e sgangherata. Quando fu a pochi passi da lei, le gambe lo abbandonarono e d’istinto si slanciò in avanti per percorrere quanta più distanza possibile. Non cadde mai, non avrebbe potuto. Con un ultimo sforzo, Emma si trascinò in avanti quel tanto che bastava perché, in un unico, fluido movimento, il suo corpo potesse accogliere quello di Henry come il porto sicuro che avrebbe voluto essere per lui. L’impatto fu violento: petto contro petto, ossa contro ossa, patimento contro patimento, ma Emma fu più solida della roccia e il colpo parve non muoverla di un solo millimetro. Era come se avesse allenato ciascuno dei suoi muscoli perché fossero pronti al momento opportuno, perché non la deludessero in occasione dell’istante per cui aveva vissuto in quei lunghi cinque anni. Ed Emma non si deluse neppure quella volta, ottemperando al suo compito con la solerzia che l’aveva contraddistinta come capitano della Nostos.
 
Henry si strinse a lei e pianse della stessa dolce, amorosa melanconia della balena, il cui canto mira a suscitare amore nel compagno di specie prescelta. Ma era un corteggiamento privo di scopo, il suo, poiché la devozione che Emma provava nei suoi confronti non aveva trovato occasione per spegnersi o affievolirsi. Ella fece per stringerlo a sua volta, ma, quasi come promemoria di ciò che era servito per arrivare a quel risultato, il rosso acceso di cui erano cosparse le sue mani ne attirarono l’attenzione e non trovò, in cuor suo, il coraggio di macchiarlo dei suoi peccati. Era ironico e giusto a un tempo che proprio quelle mani, che tanta morte e devastazione si erano lasciate dietro, avessero ricevuto il benservito proprio quel giorno.
 
Incrociando le braccia in maniera scomposta, fece il possibile per ricambiare la stretta e tacitamente desiderò che quel momento rimanesse imperituro, non solo nella sua mente ma nella realtà sostanziale. Porre fine a quell’abbraccio avrebbe significato mettere in atto la restante parte del piano, andare incontro alla Nostos e affrontare le conseguenze del suo agire, una dopo l’altra e senza sconti: decidere cosa farne dei fratelli Jones; stabilire quale sarebbe stata la tappa successiva da imporre alla sua ciurma; scegliere il tipo di vita che avrebbe voluto vivere; meritarsi l’amore e il perdono di suo figlio; dare compimento al suo nostos con una quadratura del cerchio che avrebbe richiesto di trovare un equilibrio tra Emma e Capitan Swan.
 
Si concesse un ultimo, fuggevole istante per assaporare l’unico momento di pura letizia che avesse provato in quei lunghissimi cinque anni e, nel farlo, poggiò il viso contro il capo di Henry e chiuse gli occhi. Richiamò alla mente solo i ricordi più belli che conservava della loro vita prima che tutto cambiasse, quelli che si era costretta a relegare in una parte remota di sé ma che il contatto con suo figlio aveva ridisegnato con inequivocabile chiarezza, e li scorse uno dopo l’altro in rapida successione. In quel preciso istante, realizzò che, per quanto dolore avesse provato nella sua vita e nonostante le brutture di cui si fosse macchiata come pirata, la sua capacità di amare era rimasta intatta sotto le pressioni di un’emotività non sempre chiara. Perfino nei momenti di più violenta crudeltà, lo slancio ad aggredire le era venuto dalla sua parte sensibile, non da quella razionale. In un modo o nell’altro, nascondendosi dietro le sembianze di Capitan Swan, Emma era riuscita a sopravvivere dentro di lei in tutte le sue sfaccettature di madre, di donna, di sorella, di amica. In fondo, non era stata che questo per i suoi uomini, per Killian, per Liam, per Olivia e la sua famiglia e, prima che tutto precipitasse, anche per Harold e Olly; e ciascuno di loro era stato infinitamente più abile di lei nel realizzarlo, convinta com’era di essersi perduta per sempre nelle maglie della pirateria.
 
Questo significava che non soltanto non avrebbe dovuto ma nemmeno potuto lasciare che Henry andasse incontro ad una vita migliore con gli uomini più retti che la sua ciurma avesse accolto. Con l’egoismo di cui si imbelletta anche l’amore più sincero, non sarebbe mai stata in grado di lasciarlo andare, un po’ come non sarebbe mai riuscita a separarsi dalla Nostos perché l’uno e l’altra definivano chi fosse nella contraddizione di tutto il suo spirito.
 
Delicatamente, si fece indietro finché non incrociò lo sguardo di suo figlio. «Dobbiamo andare, Henry. Ti porto sulla Nostos.» Fu strano pronunciarne in nome, abituata com’era ad evitare di scandirlo anche solo con la mente, ma, per la prima volta in cinque anni, non le provocò una fitta al petto, piuttosto una piacevole sensazione di calore. Lo sguardo di lui si illuminò a quelle parole e le sorrise di nuovo, di un’espressione incredula che le ricordò un po’ la sua e le spezzò il cuore. «Diego?»
 
L’altro accorse prontamente e, senza troppa fatica, rimise in piedi entrambi. Non fu necessaria nessuna ulteriore precisazione da parte di Emma, sicché l’omone prese Henry e se lo caricò  mo’ di sacca sulle spalle, intimandogli di fare attenzione e di tenersi stretto. Una voce si alzò alle loro spalle proprio mentre Emma faceva per dirigersi verso la porta e, al fianco di Killian, raggiungere gli altri che li aspettavano per compiere l’ultima parte del piano.
 
«Georgie?»
 
Gli occhi di Emma incrociarono quelli della donna, ancora china sul corpo rantolante del marito, e, seguendone la direzione, ebbe a comprendere il perché di cotanta sorpresa, sebbene i particolari li avrebbe recuperati solo in seguito. Costei doveva avere conosciuto Henry per un breve lasso di tempo senza avere notizie ulteriori circa la sua sorte. Richard Anthony Lively doveva averle nascosto buona parte della verità, forse per non addolorarla, forse perché se ne vergognava, e quest’improvvisa realizzazione condusse Emma a provare un inaspettato moto di pietà per la persona che aveva innanzi e per il suo destino: somigliava tanto alla versione fanciullesca che Emma era stata sulle assi del porto più vicino a Pleuk, dopo che Henry le era stato portato via.
 
«Spero tu possa trovare il tuo nostos,» le disse, prima di voltarsi e raggiungere gli altri.
 
*
Il percorso verso l’esterno del palazzo fu pressoché privo di ostacoli. I ragazzi avevano svolto un ruolo ineccepibile, per il quale Emma si ripromise di premiarli una volta che ce ne fosse stata occasione, e non incontrarono contrattempi lungo la via. L’espressione con cui l’accolse Stecco, quando lo raggiunsero all’inizio del sentiero che li avrebbe condotti al cancello e fuori le mura della tenuta, le suscitò un sorriso: dal tripudio nel vedere il piccoletto sobbalzare sulle spalle possenti di Diego passò alla preoccupazione nel rendersi conto dello stato in cui versavano le mani di Emma. Ma ella lo liquidò con un movimento rapido, consapevole del fatto che l’adrenalina stesse giocando a suo favore, alleviando la pena che le sarebbe spettato di provare in realtà. Rapidamente, presero a percorrere il sentiero alla volta dell’ultima parte della missione.
 
Fu a quel punto che, inaspettatamente, la sorte ebbe a mutare e quello che era parso un percorso tutto in discesa modificò la sua pendenza. Un rumore di passi e lo sguainarsi di una spada li misero in allarme e tutti si voltarono per scorgere la figura del capo delle guardie venire loro incontro con l’arma che scintillava alla luce lunare. Emma cercò, d’istinto, la sua spada, ma realizzò ben presto di essere stata disarmata durante il periodo di incoscienza. Stecco si fece avanti prima di tutti gli altri e, senza pensarci due volte, fece cozzare la propria lama contro quella del nemico. Il contraccolpo fu forte, considerata la differente stazza dei due, e Ulan fu lesto a sguainare la propria, seguito a ruota da Killian la cui espressione accigliata la diceva lunga sul biasimo che stava provando verso se stesso. Aveva deciso di non uccidere l'uomo con cui si era battuto per evitare un inutile spargimento di sangue e gli era parsa una scelta priva di risvolti consistenti, dopo averlo messo al tappeto una volta per tutte. E, invece, proprio il suo errore di giudizio si stava rivelando l’unico contrattempo di un piano perfettamente eseguito. Ma poteva davvero considerare un errore il fatto di aver optato per la vita di un uomo piuttosto che per la sua morte? Emma lo aveva cambiato davvero, se era arrivato al punto da fare simili considerazioni.
 
Per fortuna, la questione parve risolversi in pochi attimi. Fingendo una inesperienza che non gli apparteneva affatto, Stecco diede all’altro l’impressione di essere una preda facile alla sopraffazione e, quando l’altro abbassò la guardia nella convinzione di aver vinto, si limitò a sciabolare a destra e a manca un paio di volte per sorprenderlo e spingerlo, con un calcio, col culo a terra. Con un sorriso soddisfatto e il legnetto tra le labbra, guardò il suo nemico sudare nella sua spessa armatura e convenne con se stesso che anche in versione fantasma avrebbe avuto la meglio su quel damerino.
 
«Non uccidermi, ti prego,» gli disse il capo delle guardie, disarmandosi e alzando le mani in segno di resa. «Stavo solo facendo il mio dovere.»
 
«Il tuo dovere, eh?» Stecco ridacchiò, malevolo. «Mi spiace, amico mio, ma noi pirati non siamo tipi clementi. Com’è che dite voi, capitano?» le chiese, lanciandole un’occhiata di scherno, l’ultima che le avrebbe rivolto. «Ça va sans di-»
 
Stecco non ebbe mai a terminare la frase. Il capo delle guardie, che giaceva inerme sul pavimento, poteva non essere uno dei più esperti spadaccini che avessero conosciuto, ma aveva dalla sua una spasimante e incontrollata brama di gloria che, ben nascosta fino a quell’istante, emerse e servì al suo scopo. Ingannevole come una faina, schivò l’arma che lo smilzo pirata gli aveva puntato contro e, con alla mano il piccolo pugnale che teneva nascosto alla cintola, si issò in tutta la sua statura e pose fine all’esilarante, coraggiosa esistenza di uno degli uomini più inusuali e affezionati che Emma avesse mai conosciuto. La piccola lama seghettata penetrò nel petto con violenza, mozzando il respiro di Stecco che guardò il suo carnefice con occhi sbarrati, increduli.
 
«… sans dire,» completò il traditore al posto suo, con un misto di tripudio e sete di sangue nella voce.
 
«Nooooooooooo.»
 
L’urlo di Emma risuonò per i giardini della dimora e per i vicoli di tutta Telos come un grido di battaglia e un verso funereo insieme. Mentre Ulan si lanciava all’inseguimento dell’impostore assassino per piantargli la spada tra le scapole e affondare fino a creare un taglio netto per tutto l’addome, il capitano della Nostos si gettò ai piedi del suo uomo più fidato, prendendogli la testa fra le mani e poggiandosela in grembo.
 
«Tieni duro, Stecco,» gli disse, carezzandogli delicatamente il collo mentre tentava di individuare il punto in cui il coltello era rimasto incastrato al fine di appurarne la profondità. «Ti portiamo subito da un fottutissimo dottore. Liam?» La domanda rimase sospesa, quando Emma realizzò che Diego avesse passato Henry al capitano della marina per liberarsi le braccia. Ma non era dal medico che aveva intenzione di condurlo, poiché sapeva che non sarebbe servito a nulla, poiché non ne avrebbero avuto il tempo. «NO,» fece lei, furiosa, gli occhi iniettati di sangue mentre una folata di vento le muoveva i lunghi capelli biondi, dandole l’aspetto di una strega. «NOOOOOOOOO!»
 
«C-Capitano,» rantolò Stecco, il sangue che usciva a fiotti dalla ferita sul petto, il viso già cinereo. Emma chinò il capo verso di lui con gli occhi ricolmi di lacrime non ancora versate. «S-Siete la c-cosa più b-»
 
«Sta’ zitto, idiota!» lo interruppe lei, con la voce rotta dal pianto.
 
L’uomo smilzo ridacchiò appena, il sangue che dalla bocca scendeva in rivoli  sui lati del volto. «V-volete vincere sempre, e-eh? P-Prepotente,» bofonchiò tra un rantolo e l’altro ed Emma rise di un singulto che non aveva il suono divertito che Stecco era solito strapparle. Le lacrime le rigarono il viso, mentre con quello che rimaneva delle sue mani, carezzava il volto dell’uomo il cui sguardo stava rapidamente perdendo il suo zelo. La fissò per un’ultima volta, gli occhi inumiditi in un misto di estasi e commozione. «Io… Io sono f-felice, mio c-c-capitano.»
 
«Mi dispiace, Stecco. Perdonami!»
 
Stecco le sorrise, stringendole la mano insanguinata per trovare conforto in lei e dargliene a sua volta. «Grazie, mio capitano. Au... Auguratemi b-buon viaggio.»
 
Il legnetto cadde dalle sue labbra per perdersi sul manto erboso.
 
*
 
Il dolore piegò Emma fino a spezzarla e di quello spezzarsi furono testimonianza gli spasimi che le scossero il corpo, echeggiando di uno strazio che la sua anima aveva già conosciuto. I suoi uomini, increduli e devastati quanto lei, la osservarono chinarsi su di lui come schiacciata da un peso al quale non avrebbe potuto reggere; e accostarsi al viso di Stecco fino a poggiare la sua fronte contro quella dell’altro. I capelli di lei, già macchiati dal sangue suo e del suo nemico, si imbevettero dell’essenza dell’uomo che ella stringeva a sé e che, per un tempo lunghissimo, non fu in grado di lasciare andare. Eccolo il prezzo della sua missione, dei suoi crimini, della sua violenza! Un prezzo che non era stata lei a pagare, non con la vita; un prezzo che non poteva, non riusciva ad accettare poiché non vi trovava alcuna giustizia. Perché non prendersi la sua di vita? Ma la verità era che conosceva già la risposta: sarebbe stato troppo facile, troppo poco.
 
«Dobbiamo andare, capitano.»
 
Fu Diego a interrompere quello stato di immota sofferenza in cui tutti si erano rifugiati e, quando Emma alzò il capo, nessuno dei presenti riuscì a impedirsi di trasalire. Qualcosa di nuovo, diverso e spaventoso insieme era apparso su quei lineamenti, spegnendo la luce negli occhi di lei su un volto ancora scosso dal dolore delle emozioni. Ricordava tanto l’immagine di un’anima perduta nelle trame incandescenti dell’inferno che, una volta arrivata sulla terra, non sapesse come e dove muoversi. Era come se, per sopravvivere all’intensità di quegli accadimenti, l’unica soluzione plausibile che avesse trovato fosse stata quella di spegnere ogni emozione e relegarla lontano da lei.
 
Ella annuì seccamente. «Dobbiamo portare il cadavere con noi,» disse e Diego si limitò ad accondiscendere, mentre Emma lanciava un ultimo sguardo a quel luogo di morte e desolazione ove vi erano più vinti che vincitori. «Ma non è tutto,» aggiunse, bloccando sul nascere qualunque propensione alla fuga fosse sorta nella mente dei suoi compagni di viaggio. Costoro la osservarono perplessi e, tuttavia, incapaci di formulare la domanda che indugiava sulle labbra di ciascuno. «Voglio radere ogni cosa al suolo.»

*
 
Le fiamme arsero ciò che rimaneva della dimora di Richard Anthony Lively, comprese le costruzioni circostanti alla tenuta. Nel disperato tentativo di arginare i costi di quello scempio che sapevano di non potere arrestare - non senza andare incontro a morte certa a loro volta -, i fratelli Jones fecero del loro meglio per mettere in salvo la servitù imprigionata da Diego e arrivarono addirittura a perlustrare il giardino in groppa a un cavallo per ridestare le guardie che Stecco e Julio erano riusciti a mettere fuori gioco prima del loro arrivo. Ma si trattò di una magra consolazione, quando le urla della signora Lively - che avevano dovuto trascinare di peso fuori dalla dimora perché non si lasciasse morire insieme al marito - li penetrarono fin nell'anima per renderli consapevoli dei compromessi cui erano scesi.

Quando le fiamme lambirono il luogo in modo da soddisfare il capitan pirata, silenziosamente il gruppo si incamminò verso il cancello d’entrata e, una volta superato quello, essi trovarono i cavalli che Stecco e Julio avevano preparato per l’occasione. Il giovane, rimasto indietro per tenere d’occhio le bestie, osservò sconcertato la combriccola che gli veniva incontro per realizzare, solo in un secondo momento, che la figura inerte che Diego portava sulla spalla con espressione distrutta altri non fosse che il suo compagno di malefatte. La sua espressione si fece greve e fu sul punto di cedere sotto il peso della tragedia, quando incrociò lo sguardo del suo capitano e comprese di non potersi permettere alcun cedimento, non in quel momento.
 
Tutti divisero un cavallo per comodità e per dare meno nell’occhio, tutti tranne Emma: Diego portò con sé la salma di Stecco, Julio divise la cavalcatura con Ulan e i due Jones presero con loro Henry, il cui sguardo non aveva abbandonato la madre un solo istante. Attraversarono Telos avvolti nei loro mantelli e l’abbandonarono come si lascerebbe una dimora infestata da strane creature, con il cuore pesante e sollievo a un tempo. E, se possibile, percorsero la foresta con celerità ancora maggiore, su di loro una coltre di silenzio più pesante del freddo notturno. A chi aveva udito le urla provenire dalla dimora dei Lively e aveva trovato il coraggio di affacciarsi dalla sicurezza della propria dimora, rimase impressa nel cuore l’impressione di aver visto i cavalieri della morte portare con sé il sapore metallico del sangue e anche chi non credeva in un dio piuttosto che in un altro provò l’istinto di farsi il segno della croce.
 
Adesso che la quiete era giunta, le ferite cominciarono a pulsare, sia quelle dell’anima che quelle del fisico, e ciascuno di loro credette di aver sbagliato qualcosa: Emma rimpiangeva di aver modificato il suo proposito iniziale di procedere per conto suo; Killian di non aver finito il capo delle guardie quando ne aveva avuto occasione; Liam di aver proposto l’idea della separazione iniziale; Julio di essere rimasto indietro e di aver mandato avanti l’amico; Ulan di non essersi prontato per primo nell’affrontare il maledetto traditore. L’unico a non avere rimpianti era Diego. Egli sapeva, con la maturità dei suoi anni e della sua persona, che non soltanto ciascuno dei presenti avesse assolto al proprio compito nel miglior modo possibile, ma che le perdite facessero parte della vita e, soprattutto, delle battaglie. Se non fosse stato Stecco a morire, il destino si sarebbe preso qualcun altro dei presenti ed egli era convinto che ciascuno di loro avesse ancora un ruolo da giocare in quella grande partita che aveva portato esseri umani tanto diversi ad unirsi per una causa comune.
 
Quando, come prestabilito, arrivarono il prossimità del fiume, più in basso di qualche miglia rispetto al punto in cui si trovava il ponte dei fantasmi, vi trovarono Dorothy e un altro uomo in loro attesa. L’espressione di entrambi, da sollevata che era, mutò ben presto nel realizzare quanti dettagli a loro ignoti stessero nascondendo la notte e i mantelli, addolcendo l’aspetto delle molestie che ognuno dei membri del gruppo doveva aver subito. Emma fu la prima ad andare loro incontro, mentre gli altri si affrettavano a caricare la piccola imbarcazione che avevano sistemato lì quello stesso pomeriggio.
 
«Tu,» disse, rivolgendosi all’uomo che accompagnava Dorothy con espressione diffidente.
 
«Lui è Rodrigo, la guardia di cui ti ho parlato.»
 
Rodrigo altri non era che l’informatore incontrato a Durin, quello che aveva fornito ad Emma le informazioni più importanti che avesse reperito da che erano iniziate le sue ricerche. Curioso che non le avesse spiegato da principio il suo ruolo e la sua identità, ma probabilmente, convenne Emma, sarebbe stato un rischio troppo grosso da correre, conoscendo il temperamento del capitano della Nostos.
 
«Ci sarà tempo per le spiegazioni quando saremo sulla Nostos.»
 
Dopo che tutti ebbero preso posto sull’imbarcazione, prestando attenzione alla forza della corrente, guadarono il fiume fino alla foce, aiutati dall’assenza di piogge che rese, se non gli animi più leggeri, il percorso meno impervio, .
 
La balena, perduto lo slancio d’amore, aveva smesso di cantare e tutto taceva, adesso, nello spirito di Emma.
 
____________________________________________________________________
Spazio dell'autrice:

Sono in ritardo, come sempre, forse più delle altre volte. Ma una spiegazione ce l'ho: come avrete visto, questo è il capitolo centrale, in cui molti nodi vengono al pettine e si compie quello che abbiamo aspettato per la bellezza di quasi due anni e 19 capitoli. E' la quadratura di una parte del cerchio e volevo dedicarci tutta l'attenzione possibile. Avevo bisogno che l'ispirazione mi prendesse e mi facesse sua senza possibilità di tirarmi indietro e così è stato: ieri sera, quando stavo per spegnere il pc, ho avuto la prontezza di aprire il documento di word e, dalle 22:30 fino alle 6 del mattino, non ho fatto che scrivere. Instancabilmente, incessantemente, senza riuscire a frenare il flusso di parole che avevo frenato fino ad allora. Ho inserito cose che non avevo previsto [come il flashback sul molo con l'anziana signora], ho cambiato parti che ritenevo fosse giusto migliorare e ho vissuto a Nostos per la bellezza di più di 7 ore. E' stato liberatorio, meraviglioso, inatteso più delle altre volte e spero di non avervi deluso in alcun modo. 
Quello che volevo e voglio da questo capitolo può riassumersi in una parola: emozione. Volevo prendervi il cuore e tirarvi giù con me nel vortice degli eventi di questo capitolo, fino in fondo dove non si distingu più chi legge da chi scrive da chi vive. Siamo tutti 'nostossiani'.

Stavolta, non mi dilungo troppo nei ringraziamenti, perché, se leggete dall'inizio, sapete che non riuscirei comunque ad esprimere a parole quanto significhino per me le vostre parole, la vostra costanza e il tempo che mi dedicate. Posso solo dirvi, mie care k_Gio_, emmec94, Lely_1324 e pandina, che le vostre recensioni mi regalato sempre, sempre, sempre un sorriso ed è uno di quei sorrisi che mi godo di più perché li sento davvero fin nell'anima. E amo il fatto che si percepisca all'esterno, che mia cugina, la mia coinquilina e chi mi sta intorno arrivino a chiedermi cosa mi faccia sorridere e io non riesca comunque a spiegarlo. E' una felicità, quella, così pura e profonda che non potrei mai tradurla a parole, proprio io che ne uso tante per tracciare una storia. 
Il mio ringraziamento per voi è l'intera nottata trascorsa a scrivere e il risveglio con il dito sul computer, pronta a leggere e rileggere per limare il più possibile e rendere il capitolo migliore della prima stesura. E sono le lacrime che ho versato per Emma, Henry e Stecco; e i miei 'No' nella parte finale del capitolo, come se io non avessi potere in merito alle loro sorti e fosse mera spettatrice inerme di ciò che stava accadendo. Come dicevo a Gra, del resto, è un po' così: la storia finisce per travolgermi e dirmi quale direzione prendere e io non ho altra scelta che seguitare lungo quel percorso.

Un ringraziamento speciale, poi, va a Herman Melville che mi ha ispirato il titolo del capitolo e che mi ha costretto a vedere video sulle balene e a trascorrere la prima parte del mio Venerdì sera a piangere come una cretina nel sentirne il canto e nel vedere il video dei loro spruzzi felici nell'essere salvate da quella o quell'altra rete. Sto leggendo Moby Dick e, a dispetto della complessità della narrazione che rende più difficile immedesimarsi nella storia di quanto non accada con altri libri, deve essermi proprio entrato dentro per ispirarmi in questo modo. Ah, le magie dei grandi capolavori! Grazie, Herman, grazie.
Segue il ringraziamento a mio fratello che, come al solito, mi fa da consulente sulle parti strategiche ed è sempre sincero. E' un po' la voce della mia coscienza, perché riesce sempre a trovare i punti che non mi convincono e a spingermi a ritornare a lavoro anche quando sono stanca e vorrei non essere pignola come al solito. Grazie, Linolà! Sei il miglior consulente di sempre.
E un altro ringraziamento voglio farlo alla mia amica Martina, che mi ha stupita, l'altro giorno, dicendomi di essersi messa in pari con la storia in tempi record. Quasi non ricordavo di averle passato il link e lei se n'è uscita dal nulla con questa sorpresa. Grazie, grazie, grazie!

Mi scuso in anticipo per eventuali errori o per le parti che non scorrono bene come dovrebbero, ma ho davvero bisogno di staccare un attimo e andare a scaricare. La seconda parte del capitolo mi ha scossa e non mi fermo da tante, troppe ore. 
Buona lettura, miei prodi!

 

Ritorna all'indice


Capitolo 20
*** La fase delle trattative ***


Capitolo XX
La fase delle trattative 


(https://www.youtube.com/watch?v=ymJvCqECR44)
 
Aveva perso la rotta, così silenziosamente, così irrimediabilmente, così tristemente da renderle impossibile trovare le coordinate per tornare sulla retta via. Era come una nave allo sbaraglio, preda del mare e delle sue correnti, impossibilitata a imporsi per tracciare il cammino che avrebbe voluto perseguire, eppure altrettanto desiderosa di farlo. E più chiedeva a se stessa di darsi un contegno, più i marosi sconquassavano il suo apparente equilibrio fino a renderle chiaro che, no, non sarebbe potuta fuggire neppure stavolta.
 
Ma come era possibile pretendere che si gettasse a capofitto in quell’ennesima sfida, stavolta contro le ferite che la vita aveva lasciato su di lei senza dar loro il tempo di risanarsi, se non sapeva più chi fosse? Ora che ogni cosa pareva essere tornata al suo posto, era lei a sentirsi fuori luogo nella sua stessa pelle, quasi al punto da non sopportarne il contatto, e osservare tutte quelle lacerazioni, tutti i segni che anni di dolore avevano scavato sulla sua carne aveva l’insostenibile sapore dell’ira e, insieme, dello scoramento. Riusciva a scorgere il pulsare di ognuna di esse, la deturpazione che avevano cagionato alla sua anima e il modo in cui essa se ne crucciava come non era mai stata in grado di fare; e la connessione che la quiete aveva d’un tratto ristabilito con la parte più umana di lei ebbe, infine, a toglierle il respiro, lontana anni luce dall’essere pronta a sentire ciò che si era rifiutata di ponderare fino ad allora.
 
D’un tratto, le sue preoccupazioni erano mutate e il centro delle sue angosce si era spostato, rendendola punto focale di un’attenzione che non si era mai dedicata. Adesso sentiva, provava, languiva inferma nello stato di abbattimento ove la frustrazione e il dolore l’avevano gettata; e in quel limbo di sensazioni mai provate aveva finito per perdersi. Sapeva esattamente come governare la Nostos, come comportarsi con Henry e con i suoi uomini, come solcare i mari e rifuggire le tempeste, perché non aveva fatto e aspettato altro da che aveva memoria, da che aveva avuto inizio la sua seconda esistenza e la fiamma del suo io si era accesa di colori tanto vividi quanto spaventosi; ma sapeva anche che non sarebbe bastata tutta l’esperienza accumulata per renderle meno gravoso il compito di scendere a patti con le conseguenze delle sue azioni. Poteva vederli, così nitidamente da spezzarle il cuore, i risultati di ciò che aveva compiuto e ciò che essi le avevano fatto, cosa l’avevano resa: un cumulo di macerie che non sapeva se sarebbe stata in grado di ricostruire.
 
La verità era che ne sentiva la mancanza: di Stecco e del suo viso smilzo e dispettoso, del suo passo claudicante e del modo in cui iniziava una risata a labbra strette per evitare di perdere il legnetto che teneva sempre con sé. Le mancava il modo in cui il suo sguardo, di tanto in tanto, finiva per posarsi su di lei e vederlo assumere quell’espressione a metà tra il fiero e il commosso. Ma, più di tutto, sentiva la mancanza della sua essenza per tutta la Nostos, dalle prime luci dell’alba fino alle ultime ore del giorno.
 
Stecco era quel genere d’uomo nato per solcare i mari e, in quanto tale, amava ogni aspetto della vita per i meandri di un elemento per natura sì incostante. Benché spettasse anche a lui un posto sottocoperta, Emma lo aveva visto stendersi sulle assi del ponte della Nostos innumerevoli volte, con una mano incastrata tra le scapole e il braccio a mo’ di cuscino. Un giorno, ella gli aveva chiesto quale fosse la ragione che lo spingeva a rifiutare la comodità di una branda per la durezza di quelle assi e, quasi senza rendersene conto, era andata perfino oltre. In quell’occasione, Emma ricordava di non essere ancora stata certa della stima e della fiducia dei membri dell’equipaggio, ma ricordava con altrettanto nitore l’audacia che l’aveva spinta a domandargli quale fosse la riflessione più ricorrente alla quale era solito abbandonarsi. Egli l’aveva sorpresa e, invece che uno dei suoi soliti mottetti, le aveva regalato la verità: “Pensavo che sono felice, capitano, maledettamente felice qui e ora, su questa nave con voi e con tutti questi scavezzacollo che mi ritengo fortunato a chiamare fratelli. Quando attracchiamo in un porto, provo pena per quelle anime ingabbiate che vivono sulla terraferma: li vedi affannarsi per quella o quell’altra cosa e realizzi che non trovano mai il tempo per godersi il presente. Che diamine di spreco!” Emma aveva sorriso della sua intemperanza e, benché tutti i suoi pensieri fossero stati rivolti proprio al futuro contro il quale Stecco aveva appena inveito, si era trovata d’accordo con lui. Gli aveva promesso, dunque, che, quando avesse trovato Henry e fosse riuscita a portarlo sulla Nostos, si sarebbe impegnata a fare tesoro delle sue parole. “E, se doveste dimenticarvene, ci sarò io pronto a ricordarvele!” In quel preciso istante, il loro rapporto era cambiato. Doleva, ora, rendersi conto che non avrebbe potuto mantenere il suo proposito e doleva ancora di più, per Emma, sapere di essere stata cagione di tanta sventura.
 
Guardando l’orizzonte, le sue mani carezzarono il timone prima di stringerlo saldamente e, in un sospiro, si arrese alle paure, ai timori che aveva così audacemente tentato di scacciare, finché il suo sguardo non divenne disperato e nei suoi occhi non passò nitida l’accorata richiesta di aiuto alla Nostos. Aveva bisogno che fosse Lei a portarla in salvo stavolta, che la guidasse finché non fosse stata al sicuro e la tempesta non fosse passata, che le restituisse ciò che non si era neppure accorta di aver perduto lungo la via. Una lacrima solcò la sua guancia, cadendo in picchiata verso il pavimento e infrangendosi silenziosamente sulle sue assi logore, ed Emma seppe che avrebbe voluto fare altrettanto: lasciarsi andare, solo un po’, solo stavolta, per scoprire cosa si provasse ad essere salvati e a non avere alcun controllo su ciò che le stava accadendo. E, mentre quel pensiero dolce e terrificante a un tempo le sfiorava la mente, quasi ad accogliere la sua tacita richiesta d’aiuto, il legno scricchiolò sotto il peso del tenente Jones, che, nei colori tenui di quell’alba nuvolosa, si accingeva a raggiungerla.
 
Mantenendo lo sguardo dinanzi a sé, Emma lo udì fermarsi in cima alle scale, percepì lo studio attento cui la sottopose e, infine, attese che la oltrepassasse per accostarsi al parapetto com’era solito fare da quando avevano salvato Henry. Tacquero a lungo e quel silenzio fu confortevole a tal punto che, per un momento, entrambi vi si crogiolarono e sperarono bastasse a sistemare ogni cosa. Eppure Killian sapeva che auspicare un risvolto tanto positivo fosse da sciocchi, perché l’inerzia non sarebbe stata sufficiente a colmare la voragine che aveva visto inghiottire la donna alle sue spalle e martoriarla in ogni singolo istante in cui i suoi occhi si erano posati su di lei. Sicché si volse in direzione dell’altra, ne osservò la sagoma per un brevissimo frangente e, infine, la raggiunse, fermandosi a così poca distanza dalle spalle della giovane che, quando un breve soffio di vento alitò verso di loro, esso portò con sé il profumo del pirata che oramai conosceva più di quanto fosse disposto ad ammettere. Sapeva di sangue e di disperazione.
 
«Non dite nulla.»
 
La voce di lei, arrochita dalle lunghe ore di mutismo nelle quali si era relegata al timone della Nostos, proruppe in una richiesta che il tenente avrebbe tanto voluto assecondare, ma alla quale non avrebbe potuto dare alcun seguito. Le aveva dato tutto il tempo necessario per chiedere aiuto, pur nella consapevolezza che ella lo avrebbe usato per tormentarsi, e il risultato era che, da quando avevano fatto ritorno sulla Nostos ed erano salpati in fretta e furia dal porto di Durin, l’aveva osservata perdere, giorno dopo giorno, una parte di sé fino a renderlo quasi nostalgico al pensiero del pirata che era stata. Killian sospirò ed Emma seppe che la sua richiesta lo avesse frustrato, come se si fosse aspettato altro da lei, come se si fosse augurato di sentirla tradurre a voce la richiesta d’aiuto che l’intero suo essere stava inviando a chiunque le stesse accanto. Ma era più di quanto le si potesse domandare, perché Emma non era abituata a cercare alcun sostegno, perché Emma non era in grado di ammettere quanto la terrorizzasse l’idea di avere bisogno di qualcuno.
 
«Stecco è morto,» disse lui, in maniera così semplice e brutale da dare l’impressione fosse un ordine, «Stecco è morto.»
 
La potenza di quella frase la investì con tutta la dirompenza di cui avrebbe potuto caricarsi grazie ad un effetto sorpresa: di tutte le parole che ella si sarebbe aspettata, l’evocazione di quella mera statuizione non era tra di esse.
 
Nella settimana che era seguita al ritorno sulla Nostos, Emma aveva preso le distanze dal mondo che la circondava e dai suoi abitanti e, quasi inconsapevolmente, aveva dato il via ad un’esistenza intima ed esclusiva come mai ne aveva vissute da che era divenuto capitano di quel vascello. Al timone dell’unico elemento della sua vita che le desse conforto e stabilità, aveva trascorso ore ed ore immersa nei suoi pensieri, schermandosi dietro una facciata di freddo cinismo che le sarebbe servita per affrontare ciò che l’aspettava; ma la verità era che, a poco a poco, più consapevolmente del previsto, aveva cominciato ad accarezzare l’idea di rifuggire il confronto per il quale si stava preparando. Nella sua mente, era stata chiara e quasi confortante l’idea che, presto o tardi, sarebbe stata forte abbastanza da ricacciare, per l’ennesima volta, i suoi demoni in un angolo e tornare ad essere il pirata di un tempo. Nessuno scontro, nessuna conseguenza.
 
E, nel partorire siffatto piano, non aveva mai creduto che qualcuno potesse avere l’ardire di farsi avanti e sfondare con prepotenza ciò che aveva laboriosamente innalzato a realizzazione di un piano ancora da terminare. Perciò, rimase impreparata di fronte agli effetti che tre semplici parole furono in grado di scatenare. Il suo corpo si irrigidì d’istinto, perché era ciò che Emma lo aveva abituato a fare di fronte a una minaccia, nella consapevolezza che l’unico modo che avessero per uscirne vittoriosi fosse resistere; ma lo sfinimento e la sofferenza avevano piantato radici troppo profonde nel suo essere perché le ultime difese rimaste reggessero allo sforzo. Killian la vide crollare poco a poco ma inesorabilmente e, mentre le mani di lei allentavano la presa sul timone ed Emma si lasciava piegare dal peso della colpa e dell’afflizione, tutto ciò che poté fare fu sorreggerla perché non cadesse; e in lui crebbe la consapevolezza di avere tra le braccia la versione più fragile e vera della persona che aveva conosciuto in tutto quel tempo.
 
Un suono greve, straziante lasciò la bocca di lei, a metà tra uno spasimo e un singulto, e l’impatto fu così spaventoso che Killian si sentì toccare nel profondo dalla sofferenza che Emma ebbe a rivelargli in quell’istante. E, finalmente, vide la donna oltre il pirata e ciò che quella maschera di crudeltà e spavalderia aveva fatto alla persona che ella era stata: si accorse, d’un tratto, che non c’era alcuna cicatrice nell’animo Emma, ma carne viva, pulsante, esposta alla crudeltà delle intemperie; che non c’era alcuna pace per lei all’orizzonte, nessun perdono, nessuno sconto di pena e che avrebbe dovuto patire tutto quel dolore fin quasi a morirne, prima di potersi rialzare.
 
In cuor suo, nonostante le atrocità che le aveva visto compiere e nonostante il disprezzo che queste avevano suscitato in lui, Killian pregò, implorò silenziosamente che quel supplizio finisse, che la donna che stava stringendo tra le braccia fosse graziata e il suo dolore sparisse, risucchiato dalle profondità dell’oceano per non tornare a galla mai più. La Nostos si agitò, oscillò e s’inclinò pericolosamente come piegata a sua volta dal dolore di Emma e, quando il vecchio Hank li raggiunse per capire cosa stesse succedendo, il suo viso riflesse la preoccupazione del tenente e i suoi occhi si riempirono di lacrime, mentre Killian indietreggiava appena e l’uomo prendeva il suo posto dietro al timone, abbassando il cappello sul viso rugoso per nascondere la commozione.
 
Scivolarono a terra, addossati al parapetto e schiacciati dal patimento che emanava da lei, ed Emma poggiò il volto rigato di lacrime contro il braccio del tenente, le spalle scosse dal pianto, il corpo sconquassato da tremori. Dinanzi agli occhi della sua mente, scorsero le avventure degli ultimi anni ed ella rivide se stessa dalla prospettiva di uno spettatore esterno: per la prima volta in assoluto, notò di quanta solitudine e tormento fossero stati compunti i suoi giorni e le sue notti, perfino quelle che era stata solita ricordare con un sorriso, e finalmente comprese cosa si celasse dietro ognuna di quelle ferite. Non amava semplicemente Henry per il legame che intercorreva tra loro, né perché chiunque si sarebbe aspettato che una madre amasse un figlio per il solo fatto di averlo messo al mondo. Emma amava Henry poiché aveva portato nella sua vita bellezza, stabilità e ordine come mai ve ne erano stati, dando un sapore nuovo ai suoi giorni. Era stato Henry a darle la vita, non il contrario. E, nel preservare a tutti i costi quanto li legava, nello spasimo d’amore più intenso che il suo essere avesse provato fino ad allora e che l’avrebbe mai animata anche in futuro, aveva sacrificato non solo alcune parti di se stessa, ma buona parte di quanto la circondava. Così, senza prestarvi nemmeno attenzione, il mondo intorno a lei era divenuto parte di una vita di cui ella aveva bisogno e che, purtroppo, aveva pagato le conseguenze delle sue necessità. Come Stecco, la cui esistenza era stata votata alla realizzazione di un piano dei cui frutti non avrebbe potuto godere. Era, allora, sbagliato sentirsi responsabili? Era sbagliato che Emma sentisse su di sé il peso di quella e di molte altre vite recise fino al punto da desiderare che anche la sua si spezzasse?
 
In ciascuno dei sussulti che la scossero, era nascosta una preghiera, una richiesta di perdono, un urlo di disperazione che svegliò l’intera sua ciurma e, mentre Killian la stringeva e caricava su di sé parte di quella sofferenza come gli appartenesse, Henry e Liam li raggiunsero, osservando la scena da lontano con la stessa impotenza di una piccola imbarcazione nel bel mezzo dell’oceano. Infine, Henry prese ad avanzare verso di loro con il passo deciso di un uomo e cadde sulle ginocchia dinanzi ad Emma, adesso di nuovo bambino. Piano, si protese in avanti e si strinse a lei, adempiendo allo stesso compito dell’uomo alle spalle della madre. Il braccio del capitano della Nostos lo circondò prontamente e la sua mano si posizionò sulla nuca di colui che aveva desiderato avere accanto con l’ardore instancabile che solo una madre avrebbe potuto avere.
 
Per quello che parve un tempo infinito, la Nostos risuonò della disperazione del suo capitano e l’eco che il mare continuava a rimandare scosse l’imbarcazione e i suoi occupanti senza sosta, fino a raddoppiarne la pena e, insieme, alleggerirla. Il percorso di redenzione che Emma aveva a lungo temuto era appena iniziato, tra le braccia di due uomini che, ognuno a modo suo, avevano fatto la differenza per lei e l’avevano cambiata. Quando la nebbia di dolore che le aveva offuscato la mente prese a diradarsi ed ella fu in grado di percepire la saldezza dell’abbraccio nel quale si trovava, realizzò, in un ultimo momento di lucidità, di avere tra le braccia la persona per cui aveva così strenuamente lottato da ridurre in brandelli la sua stessa personalità. E, prima che la stanchezza la sopraffacesse concedendole la tregua che ella non era stata in grado di accordarsi, seppe di essere più amata di quanto meritasse.
 
*
 
A quel punto, la situazione era precipitata senza che nessuno riuscisse a prevederlo.
 
Dopo averla condotta nelle sue stanze e lasciata in un sonno all’apparenza tanto pacifico quanto profondo, i compagni di viaggio del famigerato Capitan Swan avevano tirato un sospiro di sollievo. Quei lunghi giorni di rigidità e silenzio, in cui l’avevano vista trincerarsi da che il corpo esanime di Stecco era stato inghiottito dagli abissi marini, erano parsi giungere a conclusione e tutti avevano creduto che una nuova alba fosse in procinto di sorgere. Ma, nel dimostrarsi tanto ottimisti, ciascuno degli occupanti della Nostos aveva sottovalutato il dolore della perdita e, insieme ad esso, la tortuosità del cammino verso la sua elaborazione.
 
Nottetempo, un urlo li aveva colti di sorpresa prima che la sagoma di Henry venisse fuori dagli alloggi del capitano con fare trafelato. Liam, Killian e Diego erano accorsi prontamente per trovarsi innanzi un essere che avevano faticato a definire umano: col viso e gli occhi arrossati dal delirio della febbre, Emma era apparsa loro in uno stato che li aveva impediti nei movimenti tanta la sorpresa che avevano provato nel riconoscerla. Quasi senza vederli, ella aveva cominciato ad urlare frasi sconnesse di odio e rancore e, d’un tratto, era tornata pericolosa alla stregua della fama che si era guadagnato il suo nome. All’interno di quelle quattro mura, pareva che l’inferno fosse salito per darle un assaggio della punizione che meritava e che Emma stesse combattendo per impedire al padrone di quelle fiamme di sopraffarla, lungi dall’arrendersi. Solo per un istante, brevissimo eppure infinito, gli occhi farneticanti di lei li avevano raggiunti e tanto era bastato perché capissero quanto lontana dalla salvezza ella fosse.
 
 Era stato Diego a muovere il primo passo e lo aveva fatto con decisione. Come se si fosse aspettato quel risvolto, come se sapesse esattamente cosa fare. Da quel momento in poi, aveva preso in mano le redini della situazione e, allontanando dalle stanze di Emma chiunque all’infuori del dottore e di Dorothy, si era preso cura del suo capitano con instancabile solerzia e devozione. In turni ininterrotti, i tre si erano affiancati a quella donna ora malata, ora temibile e li aveva costantemente accompagnati l’impressione di non conoscere colei che avevano di fronte. Era come un insieme di macerie che, troppo a lungo, la nebbia aveva nascosto ai loro occhi, dando l’impressione che la rovina fosse grandezza, che un cimitero di detriti fosse un forte. L’indomita combattente che ciascuno a modo suo aveva ammirato, temuto e disprezzato aveva finito per rivelarsi loro nella sua versione più fragile, mostrando la profondità di ciò che l’aveva plasmata e mutilata nel tempo.
 
Per intere settimane, il resto dell’equipaggio non aveva avuto accesso a quegli alloggi e tutto ciò che li aveva accompagnati era stato il sentore di ciò che stesse accadendo lì dentro. Perché, quanto più quiete erano le acque che sospingevano la Nostos alla volta dell’ennesimo viaggio, tanto più pareva crescere il tormento e il dolore in quelle stanze. La voce di Emma, un lamento ancestrale e tenebroso col potere di zittire un’intera ciurma, era stata l’unica costante di quell’avventura che pareva non avere fine. E, in qualche modo, di quella perdizione che aveva avviluppato l’anima della donna erano rimasti vittime i suoi stessi uomini: ad ogni gemito del loro capitano, i pirati parevano perdere il loro ardore ed ottimismo e, dopo un’intera settimana, avevano preso a ciondolare per la nave con aria smarrita, sconfitta.
 
Non era servita a rifocillarli la vista del viso di Diego quando, il decimo giorno da che il delirio aveva fatto la sua apparizione, egli si era spinto sul ponte. La preoccupazione e l’avvilimento che emanavano dal suo viso, insieme alle innumerevoli ferite che pulsavano ancora sulla pelle ricoperta di abrasioni, erano stati quasi sopportabili rispetto ai singhiozzi che l’avevano scosso fino a che non si era accasciato a terra. Henry, Liam e l’intero equipaggio erano rimasti come paralizzati dall’idea che quella reazione aveva fatto sorgere nelle loro menti, ma Killian era presto giunto a smentirli. Nel panico che il pianto di Diego aveva seminato, infatti, il tenente aveva indirizzato i suoi passi verso la cabina per accertarsi che, no, una febbre non potesse averla messa fuori gioco per sempre, non una combattente come lei; e aveva avuto ragione, non meno che timore. Quando si era accostato al suo letto, non era riuscito a scorgere, nelle membra smagrite e martoriate di quel corpo dormiente, nulla della donna che aveva conosciuto.
 
“Se vuoi, puoi sederti un po’ accanto a lei,” gli aveva detto Dorothy e Killian, colto di sorpresa dalla vicinanza della voce di lei, si era quasi risentito di quell’interruzione verbale al flusso dei suoi pensieri. Una parte di lui, quella che non riusciva a comprendere quanto grave fosse la situazione e temeva il peggio, si era convinta che il silenzio potesse bastare a congelare ogni cosa, finché non si fosse presentata una soluzione adeguata.
 
Il risentimento aveva avuto vita breve ed egli si era limitato ad annuire e a prendere posto sulla sedia più vicina al letto. La mente, allora, lo aveva riportato al ricordo della visita che Emma gli aveva fatto quando, dopo averlo preso come suo prigioniero sulla Nostos, lo aveva affidato alle cure del medico di bordo perché si rimettesse dall’infezione che la ferita alla spalla gli aveva causato. Le sue labbra si erano inclinate in un sorriso stanco, divertito e quasi nostalgico nel ricordare la promessa che le aveva fatto quella notte: di riportarla alla luce fino a risvegliare in lei la donna che era stata e far sopire per sempre il pirata. Una promessa pressoché impossibile, aveva realizzato col senno di poi, in quanto non era dato che l’una esistesse in assenza dell’altro. E cosa non avrebbe dato Killian per riaverlo con sé, il corsaro di un tempo, proprio ora che ogni indizio ne faceva presagire l’imminente scomparsa.
 
Le aveva preso una mano tra le sue e ne aveva carezzato il dorso ricoperto di bende come se un semplice gesto potesse bastare per infonderle parte della forza di cui ella aveva bisogno e, insieme, dare a lui la speranza per non abbattersi di spirito. Henry lo aveva raggiunto poco dopo e l’espressione sul suo viso era stata così atterrita che Killian lo aveva preso per mano e avvicinato a sé con lo stesso istinto di protezione che avrebbe usato per un figlio suo. Il bambino si era accostato al suo grembo, divorando con gli occhi i lineamenti della madre senza trovare il coraggio di toccarla, e il tenente lo aveva sentito irrigidirsi con l’insorgere del pianto. Era stato teneramente stoico nell’esternare il dolore che portava dentro: si era limitato a tirare su col naso e a tamponare di tanto in tanto il viso con l’orlo della camicia da pirata di cui andava tanto fiero nonostante fosse di parecchie taglie più grande di lui.
 
“Non è colpa tua, Henry,” si era premurato di ricordargli Killian, ma aveva ottenuto l’effetto contrario a quello sperato. Gli occhi del bambino si erano riempiti delle lacrime fino ad allora trattenute e, poco dopo, si era piegato della stessa disperazione di Diego. Il tenente lo aveva circondato con le braccia e stretto saldamente a sé. “Non farti questo e non farle questo. Sarebbe molto triste se sapesse una cosa del genere,” aveva sussurrato vicino al suo orecchio, la grande mano posizionata sulla schiena mingherlina di colui che, in un certo senso, gli aveva restituito suo fratello Liam. Henry si era aggrappato al suo collo e aveva nascosto il viso contro la sua spalla e, in fondo al cuore, Killian aveva sperato che il pianto di Henry bastasse perché Emma riprendesse coscienza. Ma nulla di tutto ciò era accaduto.
 
Dopo quel momento di sconforto, Killian aveva tentato di dare nuova vita all’equipaggio della Nostos e, aiutato da Ulan e dal vecchio Hank, era riuscito a ripristinare l’ordine che era andato perduto, organizzando la vita di tutti i giorni in maniera quanto più funzionale possibile. Il merito del cambio d’umore, però, doveva essere principalmente tributato al giovane Julio e all’iniziativa della quale si era fatto promotore. Colpito dal lutto forse più di chiunque altro dei suoi compagni, aveva organizzato una breve fiaccolata sul ponte della nave: accompagnati dal solo scroscio delle onde e dal crepitare del fuoco sulle torce, il tempo si era come fermato sulle assi di quella casa galleggiante e gli uomini che vi vivevano avevano trovato il modo per elaborare il lutto come la frenesia dei primi giorni non gli aveva permesso di fare. Il tenente aveva scorto nella penombra della sera i loro visi commossi e, quando, più tardi, si era accomodato sui gradini che portavano a poppa, il ricordo di quelle espressioni lo aveva accompagnato nelle sue riflessioni notturne. Mai, nella sua esperienza come tenente, aveva dubitato dell’essenza animalesca dei pirati e mai si sarebbe aspettato di essere smentito in maniera tanto lampante dai contorni della realtà.
 
“Alla salute, vecchio mio!”
 
A mo’ di brindisi, aveva alzato la fiaschetta verso l’alto, porgendo i suoi saluti a Stecco e, insieme, ai pregiudizi di cui si era liberato negli ultimi due anni. Liam si era presto unito a lui.
 
*
 
La nostalgia è un sentimento così prepotentemente strano. Un odore, un suono e sensazioni che pensavi di aver eliminato per sempre dal bagaglio di ciò che è dato provare tornano a galla con l’irruenza che solo chi non chiede permesso o scusa può avere.
 
Se Emma avesse dovuto darle un volto, una forma, avrebbe guardato ad essa come a un ibrido tra la volpe e il drago, poiché riteneva che questa possedesse il fare scaltro e silente dell’una ma la carica distruttiva dell’altro. E, a fronte degli ultimi avvenimenti che ne avevano funestato l’animo, Emma quasi riusciva a figurarsela, la nostalgia, acquattata nei recessi più desolati e dimentichi dell’io, esemplare reietto nella folla delle emozioni. Pazientemente in attesa del suo momento e laboriosa quanto una formica, poteva scorgerla perfino attingere qui e lì dal baule dei ricordi, stipato com’era dei frutti dell’instancabile selezione operata dal cervello: una dose di cuore spezzato, una di amarezza di parole mai venute al mondo, una degli errori per i quali il perdono non voleva saperne di sopravvenire e il gioco era fatto.
 
Ogni cosa taceva di un misticismo insperato tra le quattro mura che formavano la cabina di Capitan Swan. Le tavole di legno sapevano della spossatezza che seguiva il patimento più acuto e regnava sovrano il silenzio, cullato dal ritmico scroscio delle onde che mai avevano smesso di cantare la loro nenia, neppure quando il buonsenso avrebbe suggerito di tacere. Il peggio era passato, oramai. La febbre e i suoi deliri avevano trovato finalmente pace e le lacerazioni che l’anima di Emma portava timidamente su di sé avevano smesso di sanguinare per ora, per un po’. Aleggiava, tra i presenti, un tacito accordo di rispetto reciproco: nessuno di loro avrebbe infranto la bolla nella quale si erano chiusi, stremati com’erano dalla stanchezza cui la veglia li aveva costretti. E, nel dare seguito a quella promessa quasi solenne, Dorothy si era finalmente inabissata nel mondo dei sogni presso un angolo della stanza e il dottore aveva lasciato la camera per fare altrettanto.
 
Diego sospirò piano, sistemandosi meglio sulla sedia e strofinandosi gli occhi con un sorriso sulle labbra. Era felice, felice e soddisfatto come da tempo non si era più sentito! Da quel calvario iniziato tanti anni prima, erano usciti vittoriosi e, benché il Fato si fosse preso alcune rivincite su di loro, Diego sapeva che Henry fosse al sicuro e che, finalmente, altrettanto potesse dirsi per Emma, salva quantomeno dall’infezione che aveva minacciato di stroncarla. Sapeva, però, che quell’ottimistico pensiero portava con sé una postilla, poiché l’uomo non avrebbe potuto asserire con altrettanta certezza che ella fosse del tutto in salvo, non da se stessa e dalla lotta che avrebbe potuto potenzialmente riuscire laddove la febbre non era arrivata.
 
Con lo sguardo, ispezionò rapidamente la stanza e, nell’individuare l’armadietto degli alcolici, seppe di essersi meritato ben più di una sbronza per tutto quello che aveva fatto. A passi pesanti, raggiunse la piccola credenza, ne estrasse una bottiglia smezzata di rum e, stappandola lungo il percorso di ritorno verso la scrivania, bevve direttamente da essa. Non aveva né la forza né la voglia di attenersi a qualsivoglia convenevole e il suo corpo rispose prontamente, grato, quando il liquido scese senza indugi a scaldargli lo stomaco vacante. Se qualcosa di positivo poteva essere trovato in quelle ultime settimane infernali, era che la preoccupazione avesse attenuato il suo senso di fame al punto da fargli perdere qualche chilo.
 
«Non hai scordato la via eh, vecchio mio?!» fece rivolto al rum, osservando svogliatamente la bottiglia tra le sue mani. «Così si fa!»
 
Rise nel realizzare che quella conversazione si stesse svolgendo nient’altro che col liquido che la tradizione soleva accostare ai pirati; e, quasi con fare presuntuoso, brindò al Fato e alla disfatta cui l’avevano costretto. Fu difficile per lui, stanco com’era, rendersi conto nell’immediato che, in verità, il riso si fosse ben presto trasformato in pianto. Per alcuni minuti, pesanti lacrime scorsero lungo il suo viso senza essere notate, infrangendosi ora contro il tessuto dei suoi vestiti, ora contro la superficie della scrivania, e fu solo quando un singhiozzo, più prepotente degli altri, lo fece sobbalzare sulla sedia che si riscosse dallo stato cui era caduto in preda. Stecco è morto, sussurrò una voce nella sua testa e Diego bevve grosse, imponenti sorsate per farla tacere. Ma Emma è viva!
 
«Vedo che ti sei preso delle libertà in mia… assenza!» La voce di Emma lo raggiunse, fioca, e Diego spalancò gli occhi per trovarsi davanti il capitano della Nostos in tutta la sua nuova, fragile bellezza. E quasi si strozzò nel processo! «Date a un uomo un dito e si prenderà tutto il braccio,» sentenziò lei con un sorriso sornione sulle labbra.
 
Con le dita tozze, il pirata cancellò dal suo volto i segni lasciati dal pianto. «Come vi sentite, capitano?»
 
«Come se qualcuno mi avesse strappata via dal mio corpo, gettata all’inferno e costretta a ritornare in ginocchio senza fornirmi di alcuna mappa.»
 
L’altro le sorrise e la osservò prendere posto sul baule alle sue spalle con lo stesso affetto di un padre, quello che Emma non aveva mai avuto. E, nello scrutarla e nello sperimentare il sollievo che quell’inatteso risveglio fu capace di donargli, Diego percorse a ritroso la strada che avevano coperto insieme fin sopra al punto in cui tutto era iniziato e i loro diversi, intrecciati cammini avevano preso a fondersi.
 
Da che si erano conosciuti, era stato per lei tutto quello che un capitano avrebbe potuto desiderare: non solo un quartiermastro, ma anche un consigliere, un amico, un esecutore e, a tratti, perfino la voce della sua coscienza. Eppure non era stato sincero con lei, questo no! Benché si fosse ripromesso di non mentirle e benché, a suo modo, avesse mantenuto tale proposito, si era costretto a tacere l’unica verità della quale Emma non avrebbe mai potuto sospettare e, probabilmente, l’unica che avrebbe avuto diritto di sapere. Nell’incrociarne il verde degli occhi, ora così limpido da apparire quasi estraneo, Diego decise che fosse giunto anche per lui il momento di lasciarsi alle spalle i fantasmi che lo avevano accompagnato e sperò di avere l’opportunità di meritarne il perdono. Perché, se qualcosa aveva appreso in quegli anni, era che non sarebbe riuscito a separarsi da lei senza uscirne distrutto!
 
«Emma,» iniziò e, nonostante si fosse imposto di dire tutto d’un fiato, non fu in grado di proseguire, non subito. L’altra lo guardò con sospetto, fiutando nell’aria l’arrivo di una notizia che avrebbe potuto non compiacerla, ma mantenne la calma come l’aveva vista fare decine di altre volte in ognuno dei loro colloqui. Era ancora così se stessa da fare spavento! Alfine, il pirata si decise a continuare: «Io sono tuo zio.»
 
Per un attimo, lo aveva sfiorato l’idea che il modo migliore per iniziare fosse una premessa, così da disegnare i tratti della vicenda e spiegare le sue ragioni prima che l’ira lo precedesse sul tempo e impedisse alle motivazioni di penetrare nella mente della sua interlocutrice. Tuttavia, si era presto costretto a darsi dello sciocco: conosceva Emma e sapeva – poiché vi aveva già assistito – che quella precauzione sarebbe suonata alle di lei orecchie come una giustificazione, a tratti perfino come una macchinazione. E lui era troppo stanco per quel gioco, per l’interrogatorio che sarebbe seguito, per la corsa volta a sconfiggere i dubbi che sarebbero insorti ad ogni suo tentativo di spiegarsi. Voleva soltanto liberarsi di quel fardello!
 
La vide irrigidirsi, ma non volle prestarvi attenzione e continuò. «Il fratello di tua madre, per l’esattezza, e maledico il giorno in cui non sono venuto a prenderti quando ho saputo della sua morte.»
 
Dette a distanza di così tanto tempo e senza alcuna sollecitazione che lo costringesse a una confessione, le sue parole suonavano come una musica folle e inaspettata che investì Emma dell’irruenza di cui si faceva portatrice.
 
«Siamo cresciuti insieme a Pleuk, figli di due brave persone senza arte né parte. Erano due contadinotti che vendevano una parte del raccolto al mercato del paese e che, con quello che guadagnavano, speravano di poter crescere la famiglia.» L’espressione di Emma era confusa, incredula come di chi non riesce ad afferrare il significato delle parole che sta udendo e, allo stesso tempo, non può fare a meno di vedervi un inganno. «Non fraintendermi, Emma: li amavo, ma sarei un ipocrita se non ammettessi la loro mediocrità, perché è da essa che discende la mia.»
 
Si mosse sulla sedia, a disagio. Quella rivelazione aveva un retrogusto amaro che sapeva di risentimento: pur essendo sceso a patti con i suoi limiti, Diego imputava in parte ai genitori la carenza di scelte che era stata una costante della sua vita. Non che pensasse di avere un talento nascosto che avrebbe potuto renderlo un uomo di successo, ma la consapevolezza che la pirateria fosse parsa l’unica opzione plausibile alla versione sedicenne di se stesso portava con essa gli strascichi della rassegnazione, una rassegnazione che sapeva essergli stata inculcata.
 
«Io e tua madre eravamo i figli maggiori di altri cinque fratelli e tua madre era…» fece una pausa, scuotendo il capo con una smorfia che tradiva una grande amarezza e, al contempo, una profonda affezione. «Dio, tua madre era tutto, Emma! Dovunque andasse, portava luce e bellezza. C’era qualcosa di puro e meraviglioso in lei che non saprei neppure spiegarti a parole, perché non ne saprei trovare di adeguate.» Seguì una breve riflessione, dopo la quale si convinse ad ammettere: «Su una cosa aveva ragione quel buono a nulla di tuo padre: Hillary era un sole.»
 
Il suo racconto proseguì sciolto e senza troppi giri di parole. Era un fiume in piena che Emma non avrebbe potuto – e, a un certo punto, neppure voluto – arrestare. Le parlò della loro infanzia disgraziata, del rapporto instaurato con la sorella, di quanto quell’amore incondizionato lo avesse reso protettivo ai limiti della gelosia e di come, alfine, quel legame e la sua cocciutaggine fossero stati la causa del disgregarsi della loro intesa. Le confessò senza vergogna, dunque, di aver fatto quanto in suo potere per ostacolare il matrimonio con quello che sarebbe divenuto il padre di Emma e di aver operato con un’ostinazione tale da costargli la fiducia della sorella. Col senno di poi, ammise Diego, aveva capito che, per quanto inetto fosse quell’uomo, amava Hillary e la rendeva felice e che lui avrebbe dovuto avere la forza, se non di accettarlo, quantomeno di tollerarlo.
 
«Non sempre quello che pensiamo sia il meglio per gli altri corrisponde a quello che loro desiderano, ma, soprattutto, non sempre abbiamo ragione. Piuttosto che starle accanto, adirato con lei e con me stesso per aver fallito sotto ogni punto di vista, mi sono imbarcato su una nave pirata e sono fuggito: l’amore fraterno che provavo per tua madre era l’unica cosa a rendere Pleuk tollerabile. Senza di lei, che senso avrebbe avuto rimanere? Così, sono andato via senza alcun rimpianto, convinto che lei fosse la sciocca e io quello nel giusto e che, se lei aveva preferito un imbecille conosciuto pochi mesi prima a me che le ero stato accanto una vita, evidentemente non meritava di avermi nella sua. Ma è ovvio che mi sbagliassi!» Fece quell’ultima ammissione guardando Emma dritto negli occhi, con un candore cui ella non avrebbe potuto non credere. «Ho saputo di te solo molti anni dopo, una delle poche volte che ho avuto occasione di tornare a Pleuk, ma non ho avuto la forza di perdonarla… O, forse, di chiedere il suo perdono!»
 
A quel punto, si era arrestato. La sua mascella si era contratta e i suoi pugni stretti fino a che le nocche non erano sbiancate. Capendo quale dolore lo avesse preso d’un tratto, Emma lo raggiunse e gli porse la bottiglia di cui lo aveva privato all’inizio del racconto; poi, tornò a sedere sul baule, in attesa. Diego bevve due lunghi sorsi di rum, annacquando il senso di colpa che si portava dietro come un fardello da chissà quanti anni, ed Emma vide quanto fossero simili per la prima volta da che si conoscevano. Ma, soprattutto, comprese finalmente per quale ragione Diego le fosse stato accanto anche quando il buonsenso avrebbe suggerito di prendere distanza dalle sue azioni. A modo suo, aveva tentato di espiare le sue colpe e porre rimedio agli errori commessi e, nel farlo, era divenuto per Emma quella presenza costante che avrebbe voluto essere – ma non era stato – per la defunta sorella.
 
«Quando hai scoperto che era morta?»
 
«Pochi giorni prima che tu arrivassi sulla Nostos,» rispose dopo lunghi minuti di silenzio, in cui era parso che Diego stesse lottando con tutte le sue forze per recuperare i ricordi, oltre le pieghe della sofferenza e di ciò che non riusciva a perdonarsi. Tutto per darle quello che meritava: la verità. «È assurdo,» esclamò d’improvviso, rialzando lo sguardo al suo indirizzo e sorridendole di un’incredulità quasi puerile. «Il tuo arrivo sulla Nostos è stato provvidenziale. Sei approdata su quella nave come se sapessi che quella era la tua unica chance e lo hai fatto nell’unico momento in cui un’impresa tanto bizzarra avrebbe avuto una possibilità di riuscita.»
 
Emma inarcò le sopracciglia, faticando a comprendere. «Che intendi dire?»
 
«Gli ultimi mesi di navigazione, prima che attraccassimo nel porto di Tartaros, si erano distinti per un dilagante malcontento dell’equipaggio nei confronti del capitano: da tempo oramai, era diventato sciatto, superficiale e lasciava inascoltati i bisogni dei suoi uomini. Si vociferava, tra i più risentiti, che fosse d’obbligo una sostituzione per votazione e pareva che io fossi quello ritenuto più idoneo. Ero io a sopperire alle mancanze del capitano, io ad occuparmi degli abbordaggi delle navi, sempre io a tenere d’occhio gli uomini e le loro mambasse.» Bevve ancora dalla bottiglia, finché il contenuto non si fu esaurito e le parole cominciarono ad uscirgli dalla bocca appena strascicate, complici la stanchezza e l’inappetenza delle ultime settimane. «Perdio, ero lusingato, lo ammetto,» disse, battendo il pugno sulla scrivania come a liberarsi di quella scomoda verità. Emma lanciò un’occhiata a Dorothy, che dormiva all’altro capo della stanza, per appurare che quell’ultimo scatto non l’avesse svegliata. «Dopo aver passato una vita a credere di non poter fare nulla, ad affogare nella mia stessa mediocrità, era arrivato il momento del riscatto e devo ammettere che, all’inizio, ne sono stato lusingato.»
 
«Però, non avevi la stoffa e lo sapevi.»
 
L’osservazione del capitano della Nostos arrivò come un fulmine a ciel sereno. Per l’intera durata del racconto, quasi si stesse riservando la possibilità di saggiarne il contenuto per decidere se credervi o meno, aveva limitato il più possibile ogni forma di intervento. C’era qualcosa di così incredibilmente assurdo in una confessione tanto inaspettata! Echeggiavano, nella mente indebolita di lei, un numero così portentoso di domande e, insieme, di risposte che darvi un ordine pareva impresa impossibile. Eppure, proprio nell’assurdità travolgente di cui erano portatrici ognuna di quelle informazioni, Emma trovò la ragione per capire e addirittura perdonare. Finalmente, buona parte delle incongruenze cui, a suo tempo, non aveva saputo dare spiegazione avevano smesso di essere un enigma per lei e ogni cosa ebbe a rivelarsi nel suo aspetto più vero e credibile.
 
Diego la guardò torva, ma, alfine, annuì. «Io sono un bravo esecutore e un eccellente quartiermastro, ma un capitano… Un capitano deve avere la tempra del leader, dev’essere in grado di ispirare gli altri, anche timore se necessario. E io, ahimè, non posseggo alcune di queste caratteristiche!»
 
Lo ammise con pacifica consapevolezza. Aveva fatto pace con se stesso molto tempo prima, imparando a convivere con i suoi limiti senza crucciarsene e scommettendo sui suoi punti di forza fino a elevarli per diventare una persona completa. Anni addietro, si era chiesto quale giovamento avrebbe tratto la sua vita dall’odio di sé e la risposta che si era dato aveva giocato un importante ruolo sul suo futuro: sarebbe diventato come Jack il guardaboschi, un uomo morto dentro che sua sorella aveva provato a salvare senza troppi risultati.
 
«Nonostante i dubbi avessero cominciato a farsi spazio nella mia mente in proposito, gli uomini erano ancora decisi a propormi come sostituto del capitano e io sentivo di avere le mani legate. Quando siamo giunti a destinazione, però, sono venuto a sapere della morte di mia sorella e sono quasi impazzito di dolore.» Diego ricordò lo strazio che aveva sperimentato nell’apprendere la notizia più dolorosa della sua vita a distanza di tanti anni; il volto invecchiato di sua madre, rimasta vedova, quando era andata a cercarla nella speranza di una smentita; e la profondità della voragine che si era aperta sotto di lui, minacciando di inghiottirlo. «Gli uomini erano annichiliti nel vedermi in quello stato e coloro che mi sostenevano cominciavano a dubitare che la sostituzione potesse essere fatta: le probabilità che facessi far loro una fine ancor più misera di quella imputabile al capitano allora in carica erano alte e io stesso non avrei saputo dargli torto. Poi, sei arrivata tu…»
 
Era stato come vedere un fantasma, o forse un angelo, dirompere nella sua vita per scuoterlo dal marasma in cui si era inabissato. Un angelo dalle sembianze di sua nipote, così rassomigliante alla sorella perduta da provocargli uno spasimo al cuore. Nell’istante in cui ella aveva consumato la sua vendetta e con un’innocenza quasi sciagurata aveva annunciato di voler prendere possesso della nave, qualcosa in lui si era riacceso e aveva saputo esattamente cosa fare.
 
«Eri una donna ferita ma inesperta, che sperava di poter governare una ciurma di pirati per piegarli al tuo volere. Ci avevi liberati da quel fardello panzuto che era il nostro capitano, ma, per un problema che avevi risolto, ne avevi creato un altro. Chi sarebbe succeduto a capo della nave?» Gli occhi di Diego, ridenti, incontrarono quelli di Emma ed ella vi riconobbe lo stesso affetto e la stessa, piena fiducia in lei che vi aveva scorto quel giorno di fitta nebbia in cui si era fatta adulta. «Tu,» disse l’omone seduto a qualche passo da lei, «nessun altro che tu.»
 
Emma gli sorrise. «Perché non me l’hai detto prima? Perché proprio adesso?»
 
«Non volevo che smettessi di credere in te stessa come stavi facendo in quel momento. Non volevo pensassi che la conquista del posto da capitano fosse merito mio.»
 
Ella inarcò le sopracciglia e chiese: «Vorresti farmi credere di non aver interceduto per me con gli uomini della Nostos?»
 
«Io non ho fatto nient’altro che il mio lavoro: ho detto loro che la tua presa di posizione era legittima, ma che non potevo imporla a nessuno. Se non credevano fosse la cosa giusta, potevano andarsene e cercare posto presso un’altra nave,» le spiegò ed Emma annuì sommessamente. «Li ho spinti, però, a guardare i vantaggi della situazione: si erano sempre fidati di me e delle mie capacità di giudizio al punto da volermi nella posizione che tu stavi reclamando. Se ti avessero dato il beneficio del dubbio, io mi sarei assicurato che saresti stata un buon capitano. Solo Stecco sapeva della nostra parentela.» D’un tratto, il sorriso sulle sue labbra si era trasformato in aperta risata: «Ma dissi loro che c’era un altro vantaggio: avere una donna a capo di una nave pirata avrebbe facilitato i saccheggi, perché avresti riportato a galla il timore dei più vecchi presagi del mondo marino e nessuno avrebbe osato attaccarci.»
 
Emma scosse il capo e rise insieme a lui. Sapeva bene che, quando le vicende di cui stavano discorrendo si erano svolte, fosse stata naif a tal punto che, senza l’aiuto di Diego, Stecco e in un secondo momento di Ulan, le sarebbe stato impossibile muovere i suoi passi nella giusta direzione per acquisire l’esperienza necessaria a forgiare il suo presente. Pur con una certa resistenza e una buona dose di scetticismo da parte di Stecco, Diego e lo smilzo compare erano riusciti a garantirle i rudimenti di cui aveva bisogno per diventare un buon leader; ed Emma era stata strabiliante non solo nella rapidità con cui li aveva appresi ma, soprattutto, nell’acume con cui li aveva resi propri. Non c’era voluto molto affinché si conquistasse, dapprima, il rispetto e, infine, la devozione di Stecco per mantenerla fino alla fine dei giorni.
 
«Mi stai dicendo che hai fatto leva sulla loro scaramanzia?»
 
«Esattamente. Conoscevo tutti loro come le mie tasche ed ero consapevole che molte riserve nascessero dal fatto che fossi una perfetta sconosciuta e, soprattutto, una donna. I pirati sono molto suscettibili a riguardo e averti a bordo era per alcuni di loro di cattivo auspicio. Così, ho provato a fregarli sul tempo, portando a galla l’argomento e costringendoli a discuterne apertamente. Ho imparato con gli anni che l’unico modo per assicurarsi la collaborazione degli uomini è convincerli che ciò che stai proponendo sia la scelta più sensata e mettere a tacere i loro dubbi, piuttosto che lasciarli crescere nell’ombra. E, come quartiermastro, mi sono servito delle mie capacità persuasive per fare breccia nelle loro convinzioni.»
 
«E come hanno reagito?» chiese lei, curiosa.
 
«Beh, alcuni col segno della croce,» rispose lui sogghignando, «altri, meno superstiziosi, erano concentrati sui vantaggi di avere una donna a bordo. Sono uomini, sai com’è!» Emma annuì e fu sul punto di avanzare un ulteriore quesito, prima che l’altro la interrompesse. «È stato Hank a giocare un ruolo determinante.»
 
«Hank?! Il vecchio Hank?!»
 
«Proprio lui,» le confessò Diego.
 
«Ma se è il più scaramantico della ciurma!»
 
Diego osservò lo stupore accendere quel volto provato dalla febbre e si preparò a darle molto più di quello che avrebbe potuto aspettarsi.
 
«Hai presente quella volta che Hank raccontò di appartenere ad una famiglia caduta in disgrazia e menzionò il fatto di avere una sorella di poco più piccola di lui?»
 
«Cosetta, sì,» fece lei, spingendosi avanti sul baule come a volerlo incalzare.
 
«Non stava mentendo. Fu lui a prendermi nella ciurma quando ero ragazzino e, dopo qualche tempo, mi confessò di avere avuto una sorella, morta di fame pochi mesi dopo la sua partenza sulla Nostos. Avere questo vissuto in comune ci ha resi più vicini e…» Le parole gli morirono in gola ed Emma lo scrutò per comprenderne il motivo. Sul suo volto scorse sentimenti come il pudore e l’imbarazzo, ma non ne individuò la ragione. «Mettiamola così, il vecchio Hank mi fece promettere di fare un giro per il porto delle città in cui saremmo attraccati per assicurarmi che non ci fossero donne in difficoltà.»
 
Emma lo guardò con espressione spiazzata. «È per questo che sparite per interi pomeriggi dopo ogni attracco?»
 
«Esatto, ma è meno nobile di quello che sembra,» tentò di spiegarle. «Sono davvero poche le donne che non cedono alla prostituzione quando i morsi della fame si fanno sentire. Quindi, la parte più difficile della beneficenza è trovarne una che rimanga viva, nonostante l’orgoglio. Il giorno che voi siete arrivata sul nostro vascello e avete ucciso il vecchio capitano, Hank non era ancora di ritorno dal suo giro di ronda. Lo fu soltanto quando la discussione in merito alla vostra nomina era già inoltrata e rimase in disparte per un po’.»
 
«Lui sapeva….» La realizzazione del significato di quel racconto la travolse prima che Diego potesse terminare. «Lui sapeva di Henry, sapeva cosa mi era accaduto.»
 
Quando i suoi occhi si alzarono per cercare quelli di Diego, egli le sorrise dolcemente. «Aveva assistito alla scena con la mendicante al porto e aveva ottenuto da lei il resoconto per qualche moneta.»
 
Emma abbassò lo sguardo sul pavimento, senza fiato. Come i pezzi che componevano la struttura di una casa, gli avvenimenti di cui era costellata la sua vita si erano incastrati a quelli della vita di altri in maniera incredibilmente perfetta. Da quello che aveva ritenuto essere un fortuito e isolato incontro con la vecchia megera, erano poi stati coinvolti Hank, Diego e l’intero equipaggio del vascello che, allora, veleggiava sotto il nome di Pescecane. Gli occhi le si velarono di lacrime e un enorme senso di spossatezza precipitò su di lei fino a sfibrarla. Poggiando la schiena contro la parete alle sue spalle, tacque a lungo e Diego con lei.
 
Solo dopo un arco di tempo sufficientemente dilatato, l’uomo trovò il coraggio di dirle: «La verità è che non te l’ho detto prima nel timore che non avresti capito, che non ti saresti più fidata di me, che mi avresti fatto fuori, fisicamente o metaforicamente.»
 
«Cosa ti fa pensare che le mie reazioni possano essere diverse adesso?» chiese lei, ma non sopraggiunse alcuna risposta, poiché non ve ne fu bisogno. In cuor suo, Emma lo aveva perdonato molto tempo prima che quel racconto giungesse a compimento. «Non aspettarti che ti chiami ‘zio’, né di avere trattamenti preferenziali,» fece lei dopo qualche istante ed entrambi risero.
 
«Per me sei tutta la mia famiglia, Emma,» le confessò lui a quel punto, «lo sei stata dal primo momento in cui hai messo piede su questa nave e i miei occhi si sono posati su di te. E ho giurato a me stesso di proteggerti a qualunque costo, ma, ancor prima, di non commettere gli stessi errori che ho commesso con tua madre.» Ecco perché non le aveva mai imposto il suo pensiero, ecco perché le era stato accanto perfino quando le sue azioni si erano fatte brutali oltre ogni ragionevole dubbio. «Ma sei la mia famiglia in quanto Emma: Emma madre, Emma capitano, Emma pirata. Il fatto che condividiamo lo stesso sangue ha solo conferito eternità al mio giuramento di devozione, non l’ha forgiato.»
 
Il capitano della Nostos lo osservò a lungo, prima di raggiungerlo e prendergli una mano tra le sue.
 
«Grazie,» gli disse, «per tutto quello che hai fatto per me, Diego, e per tutto ciò che so che farai in futuro. Grazie per avermi permesso di salvare mio figlio e, conseguentemente, me stessa.» Si sorrisero a vicenda, vicini come lo erano sempre stati. «Anch’io ho una cosa da dirti,» confessò lei, infine, «e ho bisogno anche di Ulan.»
 
«Vado a chiamarlo!»
 
Diego fece per adempiere al suo dovere, ma, prima di lasciare la stanza, un pensiero gli attraversò la mente e gli impedì di proseguire. Voltandosi in direzione del suo capitano e osservandola prendere posto dietro la scrivania e assumere quell’aria solenne che suggeriva la serietà del piano, egli seppe di avere ragione prima ancora di ottenere la conferma che cercava.
 
«Si tratta dei fratelli Jones, non è così?»
 
*
 
«E direi che possiamo anche fermarci qui, per oggi.»
 
Con un lieve tonfo, il libro che Emma stringeva tra le mani si chiuse, mentre, alla luce delle lampade, la copertina esibiva con orgoglio il titolo in lettere scarlatte, Storie di Pirati. Sorrise. Ricordava l’esatto momento in cui quel tomo era entrato in suo possesso: a fargliene dono era stato il membro più taciturno e anziano della ciurma, nonché medico di bordo, il cui nome era Gustave. L’aveva osservata con piglio severo quel giorno, le sopracciglia inarcate a composizione di due archi del tutto asimmetrici, e, solo dopo lunghi minuti, si era deciso a parlarle: “Per capire il presente, bisogna conoscere il passato” le aveva detto e, senza darle il tempo di replicare, aveva lasciato gli alloggi del capitano ed era tornato alle sue occupazioni.
 
Col senno di poi, Emma aveva realizzato che quello di Gustave fosse stato nient’altro che un tentativo di metterla alla prova. Più che scettico sulla scelta degli uomini di consentire ad una ragazzina di mettersi a capo di una nave pirata, aveva deciso di concederle il beneficio del dubbio e saggiarne il potenziale: non gli sarebbe importato che fosse una donna, men che meno che avesse un quarto dei suoi anni, se ella avesse dimostrato di possedere in germe ciò di cui quella combriccola di spiantati necessitava. Aveva visto talmente tanto del mondo da sapere che le apparenze fossero spesso più che ingannevoli e che caderne preda fosse un segno di castronaggine che un uomo di intelletto come lui non poteva permettersi. E, alfine, aveva avuto ragione, perché Emma lo aveva stupito.
 
Così, quando la sua salute era migliorata e finalmente la sua routine aveva assunto una parvenza di normalità, il capitano della Nostos aveva voluto conoscere suo figlio ed essere per lui ciò che non era stata in quei lunghissimi cinque anni. Prima che Henry facesse ingresso nella camera per la prima volta da che era cosciente, lo sguardo di Emma si era posato sullo scaffale ricolmo di volumi e pergamene alle spalle della scrivania e non aveva avuto alcun dubbio su cosa fosse giusto fare. In quella che era parsa una prigionia imperitura, Henry aveva perduto l’occasione di apprendere e vivere molti degli insegnamenti che gettavano le basi per la formazione di una persona ed Emma intendeva porvi rimedio. Era stato doloroso e insieme consolante, per lei, vedere il volto di lui accendersi di entusiasmo alla prospettiva che gli venisse insegnato come leggere e scrivere, doloroso e consolante non meno che per Henry.
 
A distanza di una settimana da che quel primo punto di contatto era stato instaurato, Emma osservò con un sorriso soddisfatto le mani impiastricciate di inchiostro del figlio e l’espressione imbronciata sul suo volto. Allungando il braccio, gli scompigliò i capelli in una carezza materna e si sporse in avanti per lasciargli un bacio sulla tempia. Era assurdo constatare quanto spontaneo e del tutto naturale fosse per lei approcciarsi al pirata in miniatura che aveva davanti! A dispetto delle riserve più radicate e dei timori che da esse erano scaturiti, il suo istinto le era venuto in soccorso per colmare il vuoto lasciato dallo strappo inferto al loro rapporto tutto quel tempo prima. Non v’erano frizioni, incertezze, titubanze, non più. Si trattava di dare ascolto alle sue sensazioni prima ancora che i dubbi potessero sopravvenire.
 
«Sono un buono a nulla,» fece Henry, strofinandola manica della camicia contro il naso per ricacciare indietro il pianto. Il tentativo fu tanto goffo quanto adorabile. «Non c’è nulla che io sappia fare!»
 
«Beh, non sono d’accordo,» lo corresse lei, «perché mi pare tu abbia un certo talento nel buttarti giù dinanzi agli ostacoli.» Henry si voltò a guardarla, gli occhi infiammati per l’indignazione e le lacrime non ancora versate, e a Emma si strinse il cuore. «Se così non fosse,» continuò, mentre tornava a poggiare le spalle contro lo schienale della sedia, «ti saresti accorto che buona parte delle persone che compongono questa ciurma non sappia nemmeno da quale parte aprire un libro, o che tanti altri sappiano a malapena far di conto.» Il suo tono rimase vago ma fermo e i suoi occhi non abbandonarono mai quelli del bambino. «Se così non fosse, sapresti che nessuno nasce con un’abilità pienamente sviluppata. Bisogna lavorare per riuscirci!»
 
Una lacrima oltrepassò la linea delle ciglia per riversarsi sulla tenera guancia e il mento di Henry prese a tremare, mentre le chiedeva: «E fossi nato senza nessuna abilità?»
 
Emma si protese verso di lui per prendergli una mano. «Ne dubito fortemente, Henry,» gli disse e usò la stessa ferma convinzione con cui era solita ribattere alle perplessità sollevate dai suoi uomini in merito a quella o quell’altra questione. «Sei mio figlio, Henry, e hai dato prova di avere in te non solo un grande coraggio, ma anche una spiccata intelligenza. Credi davvero che sia cosa da tutti resistere nelle condizioni in cui hai vissuto tu?» Le costò uno sforzo immane attingere a quella parte delle loro vite che avrebbe voluto solo dimenticare, ma seppe di aver fatto breccia nelle incertezze del figlio quando ne vide mutare l’espressione. E, allora, si disse che il gioco valeva la candela. «O che sia cosa da tutti credere in un’altra persona come hai fatto tu? Hai creduto in me, nel fatto che ti avrei salvato e che saremmo stati insieme come neppure io sarei riuscita a fare. Qui,» disse lei, sfiorando la porzione di camicia sotto alla quale batteva il cuore, «c’è molto più di quello che pensi. Molta più forza, molta più tenacia di quanto immagini.» Si fermò un istante e la sua espressione si raddolcì. «Nessuno ha mai creduto così fermamente in me e ti ringrazio per questo.»
 
Lo slancio con cui si gettò su di lei quasi le mozzò il fiato. Mentre lo stringeva a sé e ne carezzava lentamente la schiena per consolarlo, il corpo e la mente di Emma rivissero la dolce atrocità di un momento simile e neppure troppo lontano, quello del loro ricongiungimento. Piano, poggiò il viso contro il capo di lui. Non c’era nulla che potesse fare per impedire agli spasimi di tormentarla di dolore e paura al solo ricordo di ciò che avevano passato, ma neppure per un secondo ebbe la pretesa di farlo. Sarebbe stato un po’ come pretendere di cancellare una porzione della loro storia che, per quanto amara fosse, rimaneva comunque parte del vissuto che li aveva condotti a quel preciso istante. Sarebbe stato un po’ come pretendere di dimenticare Stecco.
 
«Sai che c’è?» esordì d’un tratto Emma, prendendolo per le spalle e costringendolo a fronteggiarla. «Fammi un favore. Va’ dal vecchio Hank e avvisalo che ci approprieremo del timone per un po’. Credo che sia arrivato il momento per te di sentire quanto è potente la Nostos.»
 
«Dici sul serio?» le chiese con espressione sgomenta.
 
«Mai stata più seria in vita mia,» rispose Emma e l’entusiasmo di cui si accese Henry alle sue parole la ripagò di tutte le frustrazioni degli ultimi tempi.
 
Dopo averle schioccato un bacio in fretta e furia, Emma vide il figlio schizzare in direzione della porta e quasi inciampare nei suoi stessi piedi, tanta era l’eccitazione che lo animava. Ridendo sommessamente, il capitan pirata si rilassò contro la sedia e, gettando il capo all’indietro, chiuse gli occhi per un momento. Ora come mai, sentiva di aver ricomposto una parte di ciò che era andato distrutto dentro di lei e, benché i momenti di sconforto riuscissero ancora a coglierla impreparata di tanto in tanto, sapeva che voleva superare ciascuna di quelle difficoltà al di sopra di tutto. Il formicolio alle mani le ricordò che il fantasma di ciò che aveva affrontato non fosse ancora andato via, ma Emma decise di non prestarvi attenzione. Per quanto angosciante fosse dentro di lei il peso della lotta che ancora aveva da compiersi, era ancora più ferma nel suo animo la convinzione di non poterle concedere alcuna vittoria. Sì, aveva perduto se stessa e non aveva ancora trovato la via per riprendersi ciò che le apparteneva, ma il clangore della battaglia non sarebbe bastato a spaurirla perché lei valeva ogni minuto, ogni goccia di sudore, ogni spasimo speso alla ricerca della persona che sarebbe stata. Doveva trovarsi ma, soprattutto, voleva trovarsi, un po’ come aveva trovato Henry.
 
Il legno del pavimento adiacente alla porta scricchiolò come di consuetudine ed Emma si chiese se fosse Henry, già di ritorno per spronarla a darsi una mossa. Con un sorriso sulle labbra, fece per alzarsi, ma, quando il suo sguardo scrutò la stanza alla ricerca del figlio, non vi trovò quello che si era aspettata.
 
«Killian!»
 
Ritto a pochi metri da lei, con un’espressione indecifrabile, stava il tenente Jones in tutta la sua dignitosa figura. Per giorni interi, nel timore che scorgesse nel suo comportamento i segni della macchinazione ordita, Emma si era premurata di lasciare le sue stanze solo quando le fosse stata fornita la certezza che non l’avrebbe trovato sul ponte. Le provocò una strana sensazione di vuoto allo stomaco averlo così vicino così inaspettatamente e la sua bocca rimase schiusa in segno di stupore per alcuni istanti, prima che riuscisse a ricomporsi. Il modo in cui il nome di lui le era uscito di getto e il suono che riprodusse una volta nell’aria sorprese entrambi. Alzandosi, Emma non poté fare a meno di notare che il viso del tenente apparisse ancora più altezzoso sbarbato di fresco e che costui avesse deciso di chiudersi la porta alle spalle.
 
«Come state?»
 
La domanda di Emma rimase sospesa nell’aria, mentre Killian restava fermo nella sua posizione quasi a dare l’impressione che stesse decidendo sul da farsi. Infine, Emma lo vide avanzare e muoversi a grandi falcate verso di lei, sul volto quella stessa espressione che la giovane non avrebbe saputo decifrare nonostante si vantasse di conoscerlo meglio di quanto lui credesse. In un gesto istintivo, mentre lo osservava aggirare il tavolo per raggiungerla, ella poggiò la mano sulla copertina di Storie di Pirati come se quel tomo potesse aiutarla a comprendere prima che fosse troppo tardi. Ma non fu così. Quando il tenente Jones fece scontrare la sua bocca contro quella di lei, stringendole il viso tra le mani, Emma non avrebbe potuto essere più impreparata.
 
La baciò con la medesima intransigenza che Emma gli aveva usato la prima volta, in un isolato corridoio della taverna di Durin, con la convinzione di chi sa quello che vuole e non indugia a prenderselo. Ma Emma fu di gran lunga più inerme del Killian di allora, poiché non era quel genere di battaglia che si era aspettata e perché ancora adesso non era sicura di volerlo. Si lasciò trascinare forse per la prima volta da che si conoscevano e gli diede esattamente quello di cui pareva avesse bisogno: sentirla viva e reale sotto le sue mani, lontana dalla spirale di deliri e svenimenti che gliel’avevano quasi portata via, lontana dal baratro in cui aveva minacciato di cadere per settimane intere. E la baciò così arditamente e instancabilmente che, quando decise infine di concedere a entrambi una breve tregua, Emma si ritrovò ansante, le guance imporporate da tutto ciò da cui non era riuscita a schermarsi per tempo. Killian rimase dov’era, la fronte appoggiata a quella di lei e le mani a cingerle il viso. Per diversi istanti, ogni cosa ebbe a confondersi e tale si mantenne. Infine, le braccia dell’uomo scivolarono dietro al collo e attorno alla vita di lei per avvolgerla in un silenzio senza pretese. Quasi impercettibilmente, le baciò il capo e, quasi timidamente, Emma ricambiò la stretta.
 
Era tutto così sbagliato, confuso e indecifrabile. Killian sapeva di lei più di quanto avrebbe mai immaginato di poter apprendere: conosceva i difetti e le imperfezioni dietro cui l’aveva vista trincerarsi nel tempo trascorso insieme, le debolezze in grado di mostrare le falle nell’impietosa apparenza che voleva dare di sé, l’intensità con cui provava ciascuna emozione fino a consumarsi e consumare chi le stava intorno. Era proprio di quella passione che aveva acceso i suoi uomini fino a far affezionare un branco di pirati ad un ragazzetto di cui sapevano poco o nulla; era di quella passione che aveva acceso Liam e, alfine, anche lui, fino a renderli competitori di un amore che probabilmente nessuno dei due avrebbe avuto. Allo stesso tempo e allo stesso modo, Emma aveva finito per realizzare e disattendere la promessa che gli aveva fatto, perché aveva imparato a riconoscere di lui le zone d’ombra e quelle di luce, ma si era spinta più in là di così: aveva finito per trovarle familiari. Eppure, che senso aveva tutto ciò alla luce della diametrale opposizione che li vedeva protagonisti? Che lo avessero voluto o meno, erano andati ben oltre i limiti del consentito e del ragionevole e almeno uno dei due ne era consapevole.
 
Poggiando entrambe le mani sullo sterno dell’altro, Emma lo spinse via e indietreggiò nello stesso tempo; poi, si diresse verso la porta e la oltrepassò per raggiungere l’esterno. La fredda aria notturna la accolse con l’empietà di uno schiaffo ben assestato, fino a restituirle la lucidità che, solo per un breve frangente, aveva finto di perdere. I suoi passi la condussero da Henry e, nel dargli le spiegazioni che aveva promesso, strinse le mani attorno al timone della Nostos affinché le desse la direzione e la stabilità di cui aveva bisogno adesso che non sapeva più chi fosse.
 
Ma Killian non era disposto a demordere, quantomeno quella sera. Li raggiunse poco dopo, poggiandosi al parapetto alle loro spalle per osservarli manovrare il vascello come fossero un’unica persona di cui egli desiderò essere parte. Il cassero era vacante, eccezion fatta per loro tre, e la Nostos taceva di un silenzio pacato e soddisfatto ora che il capitano era tornato al posto che gli spettava.
 
«Credo che Henry possa provare a manovrare da solo, per un po’.»
 
La vide irrigidirsi appena sotto il tessuto della giacca, mentre il figlio le chiedeva: «Posso?»
 
Emma indietreggiò di un passo, poi si voltò per incrociare lo sguardo mezzo divertito di Killian e chiarire quale fosse la sua posizione in merito. Qualunque cosa avesse in mente l’altro, non era mettendo bocca su quello che avrebbe dovuto fare o meno con suo figlio che l’avrebbe ottenuta. A passi decisi, il tenente la osservò avanzare verso di lui, ma, prima che qualunque suono potesse lasciare la sua bocca, quando fu a distanza sufficientemente ravvicinata perché la potesse toccare, la afferrò per il bavero della giacca e la tirò a sé. Ancora una volta, le sue labbra cercarono e trovarono quelle di Emma e le invitarono ad una danza alla quale le altre rimasero sorde.
 
Quando schiuse le palpebre, la trovò con la stessa espressione indispettita di poco prima e non poté impedirsi di ridere. «Non stasera, Emma,» la supplicò, così vicino a lei che non avrebbe saputo dire dove finisse il suo respiro e iniziasse quello dell’altra, «non stasera, ti prego.»
 
«Perché?»
 
Killian schiuse le labbra e inspirò, ma nulla di tutto ciò che disse dopo suonò vagamente simile a quello che avrebbe voluto dire. I suoi occhi blu, nel buio appena rischiarato dal benestare delle stelle, scandagliarono i recessi più remoti di quelli di Emma, dando l’impressione di essere alla ricerca di qualcosa, forse una conferma. Non li abbandonò mai quella sfumatura supplichevole che Killian aveva espresso anche a voce.
 
Egli sospirò, prima di dire: «Non lo so.»
 
Emma non credette alle sue parole, ma convenne con lui che fosse la risposta più appropriata al momento e alla loro situazione. Nulla di buono sarebbe venuto fuori da ciò che pareva – soltanto pareva – possibile ma che, in realtà, non lo era neppure lontanamente. Tutte le fantasie, le possibilità, i buoni propositi partoriti dalla mente avrebbero dovuto scontrarsi con la dura verità, che, impietosa, sarebbe calata su di loro presto o tardi fino a smentire qualunque consapevolezza si fossero illusi di avere. Erano stati due anni intensi, a tratti perfino folli e sia Emma che Killian ne erano usciti fuori profondamente cambiati. Molti dei tratti più spinosi delle rispettive personalità avevano dovuto scontrarsi con quelle dell’altro e molte delle rispettive convinzioni erano state spesso smentite o, quantomeno, messe in discussione. E, in quel continuo smussare di angoli e prospicienze ingannevoli, avevano scoperto di essere più simili di quanto si fossero aspettati ma, comunque, non abbastanza.
 
Divaricando le gambe per avvicinarla a sé più di quanto già non fosse, poggiati al parapetto della nave, Killian osservò il viso di Emma e le sorrise: gli era cara. Per quanto ostinate potessero essere le sue riserve su di lei e su tutto ciò che rappresentava, il tenente sapeva oramai di avere a cuore lei, suo figlio e il futuro che li aspettava; e sapeva che una parte di lui desiderasse esserne parte, pur contro ogni forma di buonsenso. La prospettiva di perderla aveva avuto sul suo animo un effetto dolorosamente rivelatore che si era manifestato in tutta la sua irruenza proprio quando l’aveva rivista, sana e salva, pochi istanti prima.
 
«Sei il mio più acerrimo nemico,» sussurrò e diede l’impressione di essere rivolto più a se stesso che alla persona che aveva davanti, «e rappresenti tutto ciò che ho sempre combattuto. Quando ci siamo conosciuti, ero risoluto a vedere il tuo corpo penzolare dalla forca.» Emma aggrottò la fronte, lungi dall’essere compiaciuta, e Killian le sorrise. «Beh,» fece, lanciando uno sguardo di apprezzamento all’esile figura che stringea tra le braccia, «non avevo idea che questo fosse il corpo del mio più acerrimo nemico, altrimenti suppongo che le mie priorità sarebbero cambiate,» si corresse e l’espressione di lei divenne meno arcigna. «Ricordi cosa mi dicesti il giorno che ci incontrammo?» chiese, «e non mi riferisco alla battuta sul sangue blu di cui vai tanto fiera.» Emma rise di quella precisazione. «Dicesti che i miei occhi erano pieni di buoni ideali, ma che non avevo combattuto per nessuno di essi. E forse, solo forse,» precisò in risposta al compiacimento nello sguardo di lei, «avevi ragione.»
 
«Ricordo anche cosa dicesti tu,» gli fece eco Emma. «Mi chiedesti se credessi nella redenzione.»
 
«Credi che siano due cose possibili, Emma? Che sia possibile cambiare vita e rimediare ai propri errori, da un lato, e ottenere la redenzione, dall’altro?»
 
Ella parve riflettere sulla questione una buona manciata di secondi. «Ti ci vedo al posto di quel vecchio panzuto a governare Thrain,» disse e Killian la rimbrottò con lo sguardo, come da tempo non faceva. «Inoltre,» proseguì e, stringendone i lembi della camicia tra le dita, si avvicinò pericolosamente al viso dell’altro, «i rapporti tra marina e noi povere anime dannate potrebbero diventare più cordiali, non trovi?»
 
Lo sguardo del tenente scese a carezzare le labbra di lei. «Mh,» mugugnò brevemente, «il famigerato Capitan Swan non starà mica proponendo una tregua tra marineria e pirateria? Lo credete possibile, nonostante tutto?»
 
«Se non siete interessato, governatore,» lo stuzzicò Emma e, nel farlo, ampliò brutalmente le distanze tra loro, «non c’è motivo di insistere.»
 
Killian la strattonò finché non poté sentirne di nuovo il calore del fiato sulla pelle del volto. «Siete un tipo davvero permaloso, capitano, se non sapete reggere un po’ degli stuzzicamenti tipici della fase delle trattative.» Mantenere la concentrazione nel pronunciare quell’ultima risposta gli costò un enorme sforzo di resistenza. «Che, a proposito, sarebbe più opportuno continuare in privato nei vostri alloggi.»
 
L’invito fu tutto fuorché sottile, almeno quanto la provocazione che seguì. «Il ponte di una nave è troppo sconsiderato come luogo per la vostra virginale saggezza?»
 
«State giocando col fuoco, capitano,» mormorò lui con voce roca, lanciando uno sguardo all’indirizzo di Henry, «ma suppongo che sappiate di essere protetto da quel ragazzino lì.»
 
Emma gli sorrise. «Siete più pirata di quello che date a vedere!»
 
«Mamma?»
 
La voce di Henry li interruppe e, con un sospiro, Emma prese le distanze per raggiungerlo. Prima che l’ultimo residuo di contatto venisse meno, tuttavia, si voltò a guardarlo, mentre la mano di Killian stringeva ancora le sue dita fasciate. Delicatamente, accostò la sua bocca a quella di lui e lo sentì fremere al solo contatto. La baciò ancora, stavolta con minore impeto ma in modo più lento, profondo fino a scaldarla laddove, fino a quel momento, Emma non aveva percepito che vuoto e perdizione; e, con una modestia simile al pudore, Killian rinvigorì quella fiammella per impedire che si spegnesse. Per un attimo, Emma tornò ad ardere del vigore di un tempo fin quasi a togliergli il respiro. Quando si scostò da lui e i loro sguardi s’incrociarono, Killian scorse tra le macerie un piccolo di fenice pronto a risorgere dalle proprie ceneri.
 
«Grazie per esserti preso cura dei miei uomini, mentre io non potevo.»
 
«Grazie per non aver smesso di combattere.»

_______________________________________________________________

Spazio dell'autrice:

Sono passati tre mesi dall'ultimo aggiornamento e non me ne ero neppure resa conto. Non perché mi fossi dimenticata di Nostos e di voi nostossiani, ma, al contrario proprio perché in questo mondo tutto mio ho cercato tanto spesso rifugio da non essermi accorta della mancanza... La mia mancanza nei vostri confronti! Vi chiedo scusa sinceramente per questo ritardo inaspettato: avevo già detto che parte di questo capitolo l'avessi bella che scritta tempo fa ed era vero. Il problema è che mi sono resa conto di essere agli sgoccioli e, come per tutte le altre storie che ho scritto, l'idea di dover lasciare Emma e tutti gli altri compagni di questa storia mi toglie il fiato. Non sono pronta, non sono pronta nemmeno per idea e a pagarne il prezzo, purtroppo, siete voi che aspettate i miei aggiornamenti. Mi spiace tanto!

In compenso, credo di aver scritto il capitolo più lungo di questa storia e avrebbe dovuto essere addirittura più lungo, ma ho deciso di smezzarlo perché il prossimo capitolo ha un'identità sua propria che merita di essere celebrata senza altre distrazioni nel mezzo. A proposito, vi avviso che siamo a tre capitoli dalla fine, sempre che non me ne pento prima e decido di agguingerne un'altra ventina, pur di non lasciare la Nostos e il suo dolce cullar.

Vi ringrazio tutti dal più profondo del cuore. In questi tre mesi, non solo alcuni di voi si sono presi la briga di lasciarmi una recensione, ma le visualizzazioni della storia sono cresciute a dismisura e contro ogni mia aspettativa.Credetemi se vi dico che vorrei conoscervi uno per uno, o miei nostossiani, per sapere verso chi indirizzare la mia gratitudine e poter dare quantomeno un nome a tutti quei numeri che mi rendono sempre felice.
Lady Lara, k_Gio_, simogi, pandina e Lely_1324, siete nel mio cuore e con voi le vostre recensioni. E siete nel mio cuore come in quello della nostra ciurma, che senza di voi non sarebbe mai arrivata a questo punto. Potrà sembrare poco vero, ma è con le vostre parole nell'orecchio che riesco a stilare i vari capitoli e sono le vostre parole che leggo e rileggo all'infinito. Prometto di ringraziarvi a dovere nella prossima recensione, perché devo scappare a un festival del vino che non posso perdermi.

Buona lettura e buona puntata per stasera!
Grazie! <3

Ritorna all'indice


Capitolo 21
*** L'inganno della donna fantasma ***


Capitolo XXI
L'inganno della donna fantasma

 
«Vele!»
 
L’urlo squarciò l’atmosfera con tutta la frenesia che un avvistamento era solito portare su una nave pirata. A pieni polmoni e con un entusiasmo surreale nella sua consistenza, l’uomo di vedetta si fece carico di quella che, in circostanze normali, sarebbe stata una lieta notizia ma che, di quei tempi, non avrebbe potuto che suscitare perplessità. Gli occhi di tutti i membri dell’equipaggio cercarono il capitano della Nostos che, poggiato al parapetto in assetto contemplativo, per lunghi minuti non diede segno di aver udito alcunché. Ma ciascuno dei presenti, perfino il più inesperto, comprese che, in verità, quell’informazione, lungi dal passare inosservata, fosse sul punto di essere sottoposta alla più seria ponderazione.
 
Da quando Emma era diventata capitano della Nostos, gli inseguimenti, gli abbordaggi e le razzie non avevano mai mancato di soddisfare la ciurma di spiantati che, pur con una certa riluttanza iniziale, aveva finito per ammirare la giovane donna al cui comando si erano sottomessi. Con implacabile ferocia, l’avevano vista sfidare uomini di gran lunga più corpulenti di lei, incassare i colpi e rialzarsi come nulla fosse, sul viso quello sguardo cupo e mortifero che gelava il sangue nelle vene. Era stata inarrestabile e spaventosa come la sua età e il suo aspetto non avrebbero mai suggerito, finché al rispetto non si era aggiunto l’incanto che solo una creatura sì contraddittoria avrebbe potuto suscitare. Pareva fosse attorniata da un’aura di impenetrabile invincibilità che tanto più aumentava quanto più crescevano le probabilità di vederla sconfitta. Alla fine, coloro le cui proteste si erano col tempo ammansite non avevano potuto fare a meno di provare una sorta di timore reverenziale per lei, annichiliti dalla possibilità che qualcosa di sovrannaturale non potesse che esserci.
 
Erano trascorsi cinque anni da allora, cinque anni durante i quali Capitan Swan era riuscito non soltanto a dominare quegli uomini spietati fino a rendere ininfluente la sua giovane età, ma perfino a conquistarne l’ossequiosa devozione. Ma aveva fatto più di ciò in quel lasso di tempo, poiché era riuscita ad estendere la portata che il terrore e lo sgomento suscitavano alla sola pronuncia del suo nome ben al di là dei confini del suo equipaggio. Nonostante alcuni – pochi! - fossero sopravvissuti allo scontro con la giovane e la sua ciurma per poter rendere nota la notizia che il tanto famigerato capitano della Nostos altri non fosse che una ragazza, nessuno di quei racconti era riuscito a sminuire l’inquietudine che ella si era dimostrata in grado di suscitare. Che nelle loro menti quella figura apparisse sotto le sembianze di uomo o donna, le due parole che ne componevano l’appellativo erano comunque sufficienti a spaurire perfino i più temerari! Se erano i fatti a parlare, non le si poteva certo recriminare una morbidezza tipicamente femminile nel trattare i suoi avversari.
 
La più terrificante delle storie che circolavano sul pirata era frutto del racconto di un superstite sfuggito (non per caso) al martirio perpetrato dagli occupanti della Nostos ed era bastata ad esacerbare i sentimenti di superstizione su colui – o colei – che a molti appariva ancora un mito. Questi aveva raccontato che, dopo aver subito l’attacco di una ciurma di esseri più demoni che uomini, si era svegliato sul vascello che era stato solito chiamare casa con la sensazione di essere precipitato negli anfratti più cupi dell’inferno. Un inferno ove i cadaveri sgozzati dei suoi compagni tutt’intorno a lui erano parsi nulla in confronto alle loro teste appese per tutto il perimetro della nave, gli occhi spalancati nell’ultimo spasimo di terrore prima che il pirata li finisse.
 
Le cose erano cambiate, tuttavia, o, almeno, così tutti si aspettavano che fosse. La liberazione di Henry e la conseguente malattia che aveva seguito la morte di Stecco avevano avuto un effetto profondo su di lei, tale che nessuno dei suoi uomini sarebbe più riuscito a prevederne le mosse. Era come se, per quanto arduamente ella si stesse impegnando a nutrire e sviluppare la versione umana e materna del suo io, il conflitto con l’aspetto più selvaggio e intemperante si inasprisse. E, così, in quegli occhi a tratti verdi come i mari tropicali, a tratti oscuri come le viscere di un capodoglio, i suoi compagni di viaggio finivano per intravedere sovente i contorni di suddetta lotta. Come si sarebbe comportata, ora che suo figlio rischiava di subirne le conseguenze, dinanzi alla prospettiva di uno scontro? A rispondere alla chiamata dei suoi uomini sarebbe stato il pirata oppure la madre?
 
La verità era che quell’urlo aveva avuto su di lei un effetto inatteso, costringendola a far fronte a un quesito che ella stessa non aveva smesso un istante di porsi. Perché, per quanti sforzi avesse compiuto e per quanti miglioramenti fosse riuscita ad ottenere nel ricucire lo strappo con l’umanità che si era a lungo negata, nel farlo si era vista costretta a sacrificare la versione di lei che le aveva garantito la sopravvivenza in tutti quegli anni, quella che non voleva saperne nulla di sopirsi a vantaggio di un’altra.
 
Con i gomiti poggiati sul parapetto e l’espressione pensosa, Emma sospirò della consapevolezza che si era permessa di acquisire in quelle ultime ore. Amava suo figlio e Dio – o chi per Lui – le era testimone di quanto ardente fosse l’amore che provava nei confronti di quella creatura per cui avrebbe dato tutto. Ma amava anche se stessa, la donna che era diventata e di cui, a tratti, aveva finito per provare vergogna. Non importava quanto balsamico fosse il legame con Henry e quanta vitalità le avesse restituito, non se questo avesse avuto come corollario quello di annullarsi ai fini della maternità. Non era quello che desiderava, sparire oltre le trame di un’esistenza devota solo ed esclusivamente ai bisogni di un altro. Lo aveva già fatto a suo tempo, quando Henry non era stato che un tenero infante e lei la contadinella plasmata su uno stampo che, forse, si addiceva alla società del tempo ma non più alla persona che ora desiderava essere. E il risultato l’aveva vista soccombere alla sua stessa ignavia per poi risorgere dalle proprie ceneri in un percorso irto di doglianze che non poteva più permettersi di intraprendere.
 
Emma non era soltanto una madre. Era una donna e, prima ancora, una persona che, come tale, andava curata e nutrita. Nel suo modo così anacronistico di vedere il mondo, non avrebbe mai potuto aiutare Henry ad essere qualcuno di completo se lei non si fosse concessa lo spazio necessario per scoprire chi era e chi sarebbe potuta diventare. Uno scrigno compunto di necessità, sogni e speranze solo altrui, ecco cosa sarebbe stata altrimenti! Un vano portaoggetti dal quale attingere in caso di bisogno e da lasciare chiuso quando non fosse più servito il suo aiuto. Ma era davvero esistenza quella? O, meglio, era davvero vita degna di essere considerata sua?
 
L’eco di quel grido e delle possibilità che portava con sé ridestò il pirata che era in lei e lo fece scalpitare, così prepotente da renderle impossibile ignorarlo. Lentamente, girò su se stessa e con lo sguardo sfiorò il volto dei suoi uomini, in attesa. Fu con un attimo di esitazione e un urlo di obbedienza e, insieme, tripudio che essi accolsero le sue parole.
 
«Tenetevi pronti a un po’ di sano divertimento.»
 
Emma osservò ciascuno di loro scattare per ricoprire le proprie mansioni, ma dovettero arrestarsi quando Diego scese le scale a passi pesanti con espressione contrita. Era evidente che il quartiermastro non fosse affatto compiaciuto e, in quanto rappresentante della ciurma, gli dovevano quantomeno il rispetto di sentirne le rimostranze.
 
«Capitano,» fece con lo sguardo fisso su di lei, mentre il vento le scompigliava i capelli dandole l’aspetto rocambolesco che da tempo non le era più appartenuto, «credete sia il caso di lanciarci in un’impresa simile, considerata…» si fermò un istante, correndo con lo sguardo a Henry, «Beh, considerata la nostra situazione!»
 
Emma lo guardò con fermezza, poi si rivolse ad un uomo a pochi passi da lei. «Non osate issare la Jolly Roger e preparate una lancia,» disse e tutti ebbero l’impressione che il capitano più temuto dell’ultimo decennio fosse tornato in tutto il suo combattuto splendore. «E’ tempo di prenderci ciò che ci spetta!»
 
«Emma!» La voce di Liam si alzò da dietro un gruppo di uomini che non avevano ancora trovato la forza di obbedire agli ordini del loro capitano, ma che non poterono più esimersi quando lo sguardo di questi li trapassò da parte a parte. Rompendo le righe, ebbero a rivelare la figura corrucciata del capitano Jones. «Che diavolo stai facendo?»
 
Avrebbe voluto spiegargli, renderlo partecipe di quanto devastanti fossero stati gli effetti di quella lotta durata una vita, ma sapeva che sarebbe stato fiato sprecato. Emma viveva il dilemma delle persone dotate di spiccata sensibilità: non importava quanto dura fosse la loro apparenza e quanto lodevoli i tentativi di schermarsi dagli eventi esterni: questi ultimi, in un modo o nell’altro, finivano per penetrare la corazza e scivolare sottopelle, lasciando un marchio più o meno profondo a testimonianza del loro passaggio. E chiunque non si fosse trovato a sperimentare quella sensazione -  la consapevolezza, cioè, di non saper rimanere indifferente a tutto ciò che avrebbe dovuto restare fuori ma finiva inevitabilmente per entrar dentro - non sarebbe mai riuscito a realizzare il più elementare dei risultati: alla fine, non si era mai soltanto se stessi, ma la summa di tutto quello che aveva oltrepassato le barriere difensive.
 
Era un labirinto, un intricatissimo labirinto dal quale sembrava impossibile uscire. Le capitava di perdersi per i corridoi del suo essere, tutti così uguali da darle la nausea, e accadeva per un tempo tanto lungo da rendere quasi chimerica la prospettiva di trovare una via d’uscita. Da quando era rinvenuta dal supplizio in cui il dolore emotivo e l’infezione dovuta alle ferite riportate l’avevano gettata, non aveva smesso un solo istante di provarci, addentrandosi nella piccola città fatta di alte siepi che sembrava impossibile attraversare per intero e che, pur portando il suo nome, le risultava sovente estranea. E lo aveva fatto con disposizione d’animo sempre differente: a volte, con la paziente rassegnazione di chi sa di avere un lungo percorso davanti e non si affanna a completarne le tappe; altre volte, con il timore di chi comprende di aver perduto l’orientamento e spera di poterlo ritrovare; altre volte ancora, con la disperazione di chi non riesce più a racimolare in sé il coraggio per dirsi che tutto andrà bene. L’unica costante di quel viaggio era che non fosse ancora riuscita a trovarsi, non completamente, e la percezione della sua mancanza era talmente tangibile che, di tanto in tanto, superava perfino la sofferenza per la perdita di Stecco.
 
Ed era sfibrante ascoltare il tarlo nella sua testa che le chiedeva di sentir ragione: non era detto che la persona che aveva davanti, con le sue contraddizioni e i suoi martirii, non fosse lei. Le aveva ripetuto diuturne volte che l’antinomia tra gli aspetti apparentemente inconciliabili del suo carattere sarebbe venuta meno soltanto quando si fosse decisa ad apprezzarne i reciproci ruoli, ma Emma non vi aveva mai prestato ascolto. Non perché non trovasse sensate quelle parole, non perché non riuscisse a concepire il risultato auspicato. Semplicemente una parte di lei si opponeva alle debolezze che l’umanità portava con sé, disavvezza ad esse e alla sofferenza di cui erano cagione.
 
«Statemi tutti a sentire,» fece, il tono di voce alto affinché ogni membro dell’equipaggio potesse udire ciò che aveva da comunicare loro. «Questo non avrà nulla a che vedere con gli abbordaggi compiuti in passato,» spiegò, «perché non ho intenzione di mettere la vita di mio figlio e la vostra in pericolo, non quando le ferite per la morte di Stecco sono ancora così vivide.»
 
Quelle parole li toccarono nel profondo. Non rappresentavano soltanto l’amara verità che la maggior parte di loro faticava perfino ad ammettere nel silenzio dei propri pensieri, ma soprattutto l’affezione profonda che quel capitano, il loro, nutriva nei confronti di chi le era stato accanto in tutti quegli anni. Non era avvenimento comune vedere qualcuno nella posizione in cui si trovava Emma assecondare i bisogni di un gruppo di estranei e averne a cuore l’avvenire. Questo, gli uomini della Nostos lo sapevano bene poiché era ciò che, alfine, li aveva visti capitolare al servizio di una giovane donna, contro ogni forma di buonsenso e scaramanzia. Chiunque, al cospetto di una ciurma tanto bizzarra, avrebbe riso con sufficienza e una punta di sarcasmo, pronto a sparare sentenze e consigli su come gestire i loro affari e su quanto poco appropriato fosse avere una figura femminile dietro il timone. Chiunque tranne loro!
 
«Quindi, aprite bene le orecchie perché lo dirò una volta e una volta soltanto e non ci saranno obiezioni, non stanotte.» Nel cielo aranciato, il giorno si preparava a lasciare il posto alla notte e a tutti i suoi vantaggi. «Diego, tu e un manipolo di uomini a tua scelta vi calerete sulla lancia e remerete il più lontano possibile dal punto d’incontro tra le navi. Avrete il compito di proteggere Henry finché non saremo tornati a riprendervi.» La sua attenzione, a quel punto, si riversò sul resto della combriccola, in attesa dei suoi ordini e animata da un entusiasmo quasi malsano. «Quanto a noi, voglio risvegliare in quegli uomini timori che non ricordavano neppure più di avere.»
 
«E’ un piano folle,» esclamò Liam, mentre gli uomini di Emma si attivavano per dare solerte attuazione agli ordini del loro capitano. «E a che pro? Puro divertimento?»
 
Sembrava sconcertato all’idea che la donna dinanzi a lui potesse prendere in considerazione un’ipotesi tanto sanguinolenta, mettendo a repentaglio l’incolumità del suo stesso figlio, al solo scopo di dare sfogo ai più biechi istinti che potessero animare una ciurma di anime perdute. La guardò come in attesa di una smentita ai suoi timori, nei suoi occhi forte la speranza che Emma gli rivelasse di essersi presa brevemente gioco di lui, ma ella mantenne il suo sguardo senza mutare espressione. Infine, lo raggiunse per fronteggiarlo.
 
«Fermami!»
 
Non ne attese la reazione, poiché non era interessata. Prima di tornare nelle sue stanze, fece cenno a Henry di seguirla e i suoi occhi cercarono quelli di Diego. Pur nel silenzio tombale che passò tra i due, i fratelli Jones intesero che si stesse svolgendo dinanzi a loro una conversazione che non necessitava di esplicitazioni di alcun genere. Ad un certo punto, l’energumeno che avevano imparato a rispettare a loro volta annuì seccamente all’indirizzo del suo capitano e la sua attitudine divenne, da perplessa che era, accondiscendente. Lo osservarono urlare ordini al gruppo incaricato di preparare la lancia che li avrebbe portati lontani dalla traiettoria delle navi.
 
«Liam,» fece Killian quando furono soli, «è inutile opporsi.»
 
Il fratello lo guardò con sconcerto immutato. «Non vorrai dirmi che sei d’accordo con lei.»
 
«No, ma capisco perché lo stia facendo,» ammise. «I suoi uomini l’hanno seguita in questi ultimi due anni alla ricerca di informazioni su un ragazzino che per loro non contava nulla e più si avvicinava il momento dello scontro finale, più cautele dovevano adottare e meno potevano rischiare di concedersi le scorrerie cui sono abituati. Dev’essere stata dura tenerli a bada e lei sa perfettamente di non poter tenere al guinzaglio una ciurma di uomini di questo spessore. Significherebbe tirare troppo la corda!»
 
Liam tacque per un lunghissimo istante, durante il quale Killian vide i suoi occhi accendersi di emozioni che ben conosceva, poiché ne condivideva ogni più piccola sfumatura. Infine, sospirò, persuaso dal ragionamento del fratello ma ben lungi dall’essere sconfitto. La verità era che nessuno dei due avrebbe potuto immaginare ciò che si apprestava a sprigionarsi e, soprattutto, ciò che per sempre avrebbe oscurato una parte della loro anima, poiché si sarebbero chiesti se, forse, solo forse, avrebbero potuto fare di più per porvi rimedio prima che fosse troppo tardi.
 
Killian si accostò a lui e gli mise una mano sulla spalla come a volerlo consolare. Avrebbe voluto confessargli la complessità delle sue riflessioni e dirgli che qualunque barbarie avessero commesso quei pirati sarebbe stato un modo per sfogare il dolore per la perdita del loro compagno e, in parte, la rabbia che nutrivano nei confronti del loro capitano per averlo permesso. Avrebbe voluto dirgli che non era soltanto l’equipaggio ad avere bisogno di quello sfogo, ma ancora di più Emma, lontana dalla prospettiva di rinunciare alla vita che aveva condotto fino a quel momento. Tuttavia, tacque. Quando Liam gli propose di unirsi alla scialuppa di sicurezza di Henry per non prendere parte a quello scempio, Killian fu sul punto di opporsi, ma non ne ebbe il tempo.
 
«Voi due rimanete qui,» decretò la voce di Ulan alle loro spalle.
 
Il suo sguardo non ammetteva repliche.
 
*
Vi erano placidità e, insieme, irrequietezza nel suo animo, quella fredda sera in cui la Nostos procedeva, maestosa, sulle acque di un mare che presto si sarebbe tinto di rosso. La pervadeva, infatti, la serenità di sapere quale fosse il suo obiettivo e, insieme, l’incrollabile certezza che la vittoria avrebbe piegato il capo in loro favore; e, tuttavia, scalpitava nel suo intimo l’aspettativa di ciò che sarebbe stato dopo la notte cui andava incontro. Era un momento di svolta, l’istante che avrebbe definito le sue scelte e, soprattutto, il futuro suo e dei suoi uomini. Non potevano continuare ad errare per quelle acque, fingendo che nulla fosse accaduto. Non potevano continuare a infestare quei luoghi con la stessa spregiudicatezza che avevano usato fino ad allora.
 
La loro anima era stata ferita troppo profondamente e il dolore era ancora troppo pulsante, perché ne fossero in grado. Aleggiava su di loro il fantasma della disfatta, la perdita di un uomo che aveva costituito una parte insostituibile di quella ciurma, tenendola insieme perfino quando era parso impossibile e con i metodi più inconsueti. Emma serbava gelosamente nel cuore i ricordi delle prime occasioni in cui, pur non volendolo dare a vedere, Stecco si era schierato dalla sua parte, concedendole il beneficio del dubbio che tanti non avrebbero pensato di darle senza scoppiare in una grassa risata. Ed era proprio questa intollerabile gelosia di preservarne la memoria come se non se ne fosse mai andato che stava consumando lei e chiunque fosse rimasto al suo seguito. Rimanevano così strenuamente attaccati a quel ricordo da non saper più trovare la strada per andare avanti e a lungo andare questo li avrebbe smembrati, se Emma non vi avesse posto rimedio prima che fosse troppo tardi.
 
Aveva languito a sufficienza in uno stato di frustrazione e mortificazione di sé. Ora, era venuto il tempo di prendere il coraggio a due mani e dare un indirizzo che potesse salvare l’unica famiglia che avesse mai avuto, anche a costo di andare incontro all’ignoto e sfidare la sorte. Da che era tornata in sé, a mano a mano che i giorni si erano succeduti, aveva preso ad agitarsi dentro di lei lo spettro dell’avventuriera che sapeva di essere e necessitava di venire assecondata a dispetto delle cautele di madre che premevano affinché venisse domata. Alfine, Emma aveva compreso di non avere altra alternativa che darvi, darsi un’altra forma.
 
«Pronta ad una nuova avventura, vecchia mia?»
 
Sussurrò quella domanda con una smorfia beata in viso, come se i contorni del domani avessero smesso di spaventarla per tornare ad entusiasmarla com’era stato un tempo. Si era battuta per Henry con la selvaggia fierezza di una mamma animale, affrontando le sfide con una disposizione d’animo imperturbabile, poiché aveva saputo in cuor suo che dipendesse da nientepopodimeno che lei dare una definizione a ciò che l’aspettava: ogni nuovo ostacolo, ogni nuova sfida si sarebbe potuta trasformare in un’opportunità di arricchimento, oppure in un motivo di sconforto. Così, aveva smesso di temere l’ignoto. Ora, fremeva dinanzi all’aspettativa di affrontare qualcosa delle cui sembianze non era certa, a partire da se stessa.
 
Ulan le si avvicinò strisciando, il viso appena scoperto dal telo che si era procurato per evitare che potesse essere visto dagli occupanti dell’altra nave. Non era ancora giunto il tempo dell’azione, avevano un margine ancora piuttosto ampio prima che le armi fossero tirate fuori. E loro due erano gli unici occupanti del cassero per espressa volontà di Emma.
 
«Avete preso la decisione giusta, capitano,» le disse, guardandosi bene dal rendere udibile le sue parole ad altri che non fosse il pirata che aveva innanzi. «C’è bisogno di cambiare aria per un po’ e, perché no?, fare il culo a quelle facce gialle che si fanno chiamare pirati.»
 
Emma sorrise. Ulan si riferiva al viaggio che li attendeva: sarebbero andati verso l’Estremo Oriente, dove mai avevano osato imbarcarsi, con l’intento di rendere il nome della Nostos tanto temuto quanto lo era in quelle acque che, oramai, conoscevano a menadito. Era una prospettiva entusiasmante e spaventosa insieme! Benché Ulan avesse dimostrato la stessa incosciente sfacciataggine, Emma sapeva che inoltrarsi in un territorio sconosciuto avrebbe richiesto grandi cautele e attenti studi del territorio, prima di lasciare che il vento li sospingesse davvero dove desideravano andare. Servivano mappe, informazioni, provviste, armi e, soprattutto, il consenso dell’intero equipaggio.
 
Non avrebbe potuto affrontare quella nuova avventura senza averne raccolto, prima, il benestare. Sì, le probabilità che fossero dalla sua parte erano alte, poiché conosceva i loro animi come le sue tasche e, così come era stata in grado di scorgerne l’insofferenza nelle ultime fasi di quella missione di salvataggio, aveva imparato anche quali corde premere per suscitarne l’entusiasmo. Questo, però, non significava che avrebbe potuto darne per scontato il parere. Se c’era un insegnamento che Stecco si era premurato di impartirle con il fare bonariamente duro dei primi tempi, era che non esisteva errore più stupido che credere di possedere un intero manipolo di uomini liberi e pretendere di imbrigliarne la sorte contro la loro volontà. Emma ne aveva fatto tesoro nel corso degli anni, perfino quando questo aveva significato rallentare sulla tabella di marcia per concedere loro una settimana o due tra razzie e bordelli.
 
«Credi che saranno d’accordo? Gli altri, intendo.»
 
Ulan la guardò dal basso della sua posizione, eterea com’era in quell’abito bianco che così poco si addiceva alla sua anima. «Ne saranno spaventati all’inizio,» disse con franchezza, «ma sapremo persuaderli: i pirati sono uomini avidi e orgogliosi. Basterà la promessa di ricchezza e nuova gloria per renderli dei nostri.» Emma chinò leggermente lo sguardo, quel tanto che bastava per incontrare quello del suo interlocutore. «Dopo anni trascorsi alla ricerca di un ragazzino, sarà come respirare aria fresca tornare ad essere semplici pirati.»
 
Ella lo guardò un istante lungo una vita, infine annuì. Sapeva cosa intendesse Ulan e sapeva di non potergli dare torto. Era riuscita a piegarli al suo volere più a lungo di quanto fosse pensabile, ma non poteva avvenire senza pagare un prezzo. Adesso, doveva loro tutto ciò di cui li aveva privati negli ultimi anni. Il problema sarebbe stato conciliare quell’aspetto della sua vita col fatto di avere suo figlio con sé: non l’avrebbe mai messo in pericolo, ma non poteva neppure rinunciare alla sua vita, all’esistenza che si era scelta. Ne sarebbe morta.
 
«Temo i Jones, capitano,» le confessò improvvisamente. L’espressione di Emma si corrucciò un poco, mentre attendeva che continuasse. «Stasera, se le cose dovessero andare come io e voi ci aspettiamo, potrebbero essere un problema.» Gettando un’occhiata dietro di sé per accertarsi che nessuno fosse in prossimità del cassero, tornò a parlarle: «Come pensate di reagire a questa eventualità?»
 
Emma tacque, concedendosi il tempo per riflettere su un quesito che aveva tormentato anche lei. Alfine, sospirò e, puntando lo sguardo innanzi a sé, inclinò la bocca in un lieve sorriso. «Come si risolvono tutti i problemi, mio caro Ulan: eliminandoli.»
 
Lo sguardo del pirata indugiò più di un istante sul viso femmineo a poca distanza da lui, quasi volesse captarvi una sfumatura di tentennamento. Ma non fu così!
 
Sogghignando compiaciuto, sparì sotto il telo.
 
*
 
Una leggera brezza soffiava da nord-ovest, saziando quello che sarebbe stato il ventre delle vele se queste non fossero state appositamente ammainate. Il frangersi delle onde contro lo scafo scandiva il tempo nell’atmosfera quasi sacrale in cui il veliero procedeva a rilento, così spoglio, silenzioso e vuoto da dare l’impressione che fosse l’unico superstite di una tempesta alla quale nessuno era scampato. Era così fiera nella sua maestà, la Nostos, una struttura di assi, sudore e salsedine che aveva iniziato il suo viaggio lungo una vita molti capitani prima e con nomi sempre diversi in base al capriccio di quello o quell’altro equipaggio.
 
Era stata costruita sul finire di una primavera bizzosa di molti anni addietro – Non è cortese rivelare gli anni di una donna, neppure se fatta di legno! – per volere di un ricco mercante e della sua brama di guadagni. A pensarci, la Nostos era un’eccezione nel suo genere e sempre lo era stata, poiché mai aveva servito gli affari di una bandiera che non fosse quella degli introiti più facili e felici e, più di recente, della Jolly Roger. Era nata e cresciuta sotto l’egida dell’assoluta libertà e alla sua mercé desiderava rimanere finché non fosse venuto il tempo di ammainare le vele e diventare cibo per camino. Era una fortuna che il destino avesse preso in considerazione la prospettiva di assecondarla, quantomeno fino a quel momento. Perfino quando l’ombra della pirateria era calata su di lei con l’incombente minaccia della distruzione, infatti, il fato le aveva arriso e, da preda, era divenuta strumento di caccia nelle mani di chi ne aveva riconosciuto il potenziale: non era una nave peccaminosamente bella nelle sue forme, ma era solida e temeraria di una schiettezza scevra di fronzoli. Qualunque tempesta le fosse venuta incontro e indipendentemente dalla sua furia, l’aveva affrontata con la caparbia dignità di un vecchio lupo di mare, scricchiolando e piegandosi senza mai spezzarsi, non del tutto almeno. E tanto era bastato perché sopravvivesse alle mani dei più spietati – e talvolta incoscienti – che si erano messi al suo timone.
 
Procedeva quieta, quella sera, fendendo la superficie dello specchio d’acqua sotto di lei senza mostrare un’identità apparente, proprio come il suo capitano voleva che fosse. Chiunque avesse allungato lo sguardo per studiarla non avrebbe visto nient’altro che ciò che era, una serva del mare e delle sue bizzarìe che procedeva indisturbata lungo il cammino tracciato per lei dalle correnti. L’unica nota stonata a compimento di quel quadro di tutta naturalezza era la sagoma indistinta di una giovane donna di bianco vestita a governarne il timone. L’abito svolazzava placido dietro costei, stuzzicato dai dispetti della brezza serale, e di tanto in tanto ne scopriva le caviglie dalla pelle alabastrina. E non importava quanto ispido fosse il tocco del vento su di lei: mai, neppure per un istante, le mani della giovane abbandonarono la presa sul timone e gli occhi il giogo sull’orizzonte celato alla vista dall’imbrunire.
 
Era così labile, in quel momento, il confine tra sogno e realtà che gli occupanti del veliero che ne incrociava la rotta si mossero nervosamente lungo il ponte, lo sguardo rivolto verso il capitano in cerca di una spiegazione. L’espressione di lui era – eccezion fatta per la ruga di concentrazione che ne solcava la fronte – imperturbabile, quando richiuse il cannocchiale con un movimento deciso. A mano a mano che si avvicinavano alla nave vacante, gli uomini diventavano più nervosi, quasi pentiti della scelta presa ed egli non avrebbe potuto biasimarli. In altre occasioni, nessuna titubanza avrebbe intaccato il suo animo, a favore della più ferma convinzione: non valeva la pena abbordare una nave lasciata a se stessa per tutto l’oro del mondo. Nella migliore delle ipotesi, una volta sbarcati su di essa, avrebbero appreso che ciurma e capitano l’avessero abbandonata per una buona ragione, nessuna traccia del carico di cui avrebbe dovuto essere ricolmo il suo ventre; nella peggiore, avrebbero scoperto che dei disgraziati si nascondevano sottocoperta e, allora, avrebbero dovuto affrontarli a fil di spada. Tuttavia, negli ultimi tempi, la sua posizione si era fatta troppo precaria per imporsi al volere del resto dell’equipaggio e questo nonostante contassero sulla sua esperienza più che trentennale.
 
«Una nave perduta governata da una sposa,» fece uno degli uomini più anziani della ciurma, nonché padre dell’uomo che aveva finanziato il viaggio. Con un barlume di terrore negli occhi, sputò sulle assi della nave. «E’ un cattivo presagio, un cattivo presagio!»
 
Gli uomini si mossero incerti, la presa delle mani blanda sulle corde e quella del coraggio ancora meno intensa sui loro cuori. Il vecchio aveva ragione, il capitano lo sapeva, ma la loro situazione era fin troppo disperata per non avanzare neppure un tentativo. Quella che avrebbe dovuto essere una spedizione semplice e promettente si era, infatti, ben presto trasformata nella disfatta più grande della carriera di ciascuno di loro, con tutto ciò che questo avrebbe comportato: se fossero tornati in porto con la stiva e le tasche vacanti, l’onore non sarebbe stato l’unica cosa che la maggior parte di loro avrebbe perduto, bensì la vita. A questo punto, per quel che valeva, l’ignoto aveva comunque sembianze più accattivante del cognito.
 
Il capitano sospirò. «Tenetevi pronti all’abbordaggio quando vi darò il segnale.»
 
La nave avanzò con indolenza, buona parte delle vele issate per consentire un avvicinamento scevro da pericoli; e a mano a mano che le sembianze della figura spettrale si facevano più distinte gli uomini perdevano coraggio e, insieme, si caricavano della disperazione della loro condizione. A momenti il terrore di aver sfidato la sorte stringeva i loro petti fino a fargli mancare il respiro; a momenti la bramosia di sfuggire alle avide mani di creditori e usurai li accendeva di un’audacia quasi demoniaca. La disperazione rende l’essere umano capace della più aberrante bruttura ed era con quella disposizione d’animo che l’equipaggio demolito dalla sorte si preparava ad accogliere il segnale dell’uomo al loro comando. Ben presto i ganci vennero lanciati e i ponti preparati, mentre alle spalle del gruppo adibito alle fasi dell’abbordaggio i compagni sfoderavano le armi, pronti a qualunque evenienza. La verità, tuttavia, era che i loro occhi non avevano trovato la forza di distogliere lo sguardo dalla giovane occupante della nave, al punto che, in un certo qual modo, ne avevano assorbito il pallore.
 
(https://www.youtube.com/watch?v=TtKRrVcj_Lw)

Fu un attimo. Un alito di vento, stavolta così prepotente da parere quasi dissuasivo nel suo intento, soffiò tra le due imbarcazioni, gonfiò il vestito della donna di una pienezza che poco le si addiceva e le funi tra le navi si tesero nello sforzo di mantenere il contatto. In quell’istante, con un movimento quasi innaturale, il volto di lei scattò nella loro direzione, lo sguardo feroce e spietato, scuro come gli abissi del mare. Ciascuno dei membri dell’equipaggio fece un balzo all’indietro, trattenendo il respiro, mentre le labbra di lei rimanevano ferme in una posizione di insopprimibile tensione, come se l’intrusione di cui l’avevano resa vittima le stesse costando uno spasimo di dolore fisico, quasi fosse una violenza. Infine, i suoi lineamenti si addolcirono e la bocca si mosse a modulare quella che avrebbe potuto essere nient’altro che la smorfia del demonio in persona.
 
«FUOCO!!!»
 
Da inerte che era, la Nostos parve prendere improvvisamente vita e, disfattasi del mantello di finzione che l’aveva coperta fino a quell’istante, liberò i pirati dal suo ventre, pistole, sciabole e pugnali alla mano. Non ci fu alcuna esitazione, né agitazione, poiché quegli uomini sapevano esattamente ciò che i loro animi reclamavano: sangue e vendetta verso un nemico che gli avventurieri caduti in disgrazia rappresentavano solo figuratamente. In un battito di ciglia, i malcapitati furono bersagliati dal fuoco di un nemico contro il quale non avevano avuto il tempo di schermarsi e i primissimi di loro, quelli pronti all’abbordaggio, caddero sotto quei colpi inaspettati. Non erano pronti. Non avrebbero potuto esserlo.
 
La dinamica dell’attacco andò contro tutto quello che avevano conosciuto da che erano venuti al mondo nella veste di uomini di mare. Anziché limitarsi a proteggere l’imbarcazione e sventare l’abbordaggio, gli uomini della Nostos si servirono degli agganci e dei ponti posizionati dall’equipaggio invasore per capovolgere la situazione, raggiungendo così la nave nemica. Avanzarono con la sete di morte stampata in volto, brandendo le loro armi con l’efferatezza implacabile di chi non teme la Morte ma la venera, e di questa brama oppressero gli animi dei loro avversari. I colpi di costoro si fecero deboli e avviliti, le loro braccia cedettero sotto la pressione del terrore e le loro gambe incespicarono contro quegli stessi ostacoli che avrebbero dovuto mettere in difficoltà gli stranieri, non loro che su quella nave avevano trascorso ogni istante della loro vita negli ultimi mesi.
 
Emma seguì e guidò i suoi uomini, domatrice di bestie selvagge quando la più irsuta e abominevole era nient’altri che lei. Dei suoi ordini e del sapore ferroso del sangue era satura l’aria. Non importava quanto forte potesse urlare un uomo di risparmiargli la vita: la pietà sarebbe stata l’ultima cosa che avrebbe trovato quella sera.
 
Il primo a cadere per mano sua fu il capitano della spaurita ciurma tratta nelle maglie del loro inganno.  Egli si batté valorosamente, sul volto l’espressione di chi sa di non avere possibilità di sopravvivenza ma non ha intenzione di morire di codardia. Quando, infine, venne disarmato, Emma lo costrinse in ginocchio e, al cospetto del suo equipaggio, gli tagliò la gola con un unico, secco movimento. Era un modo crudele di morire, avere tutto il tempo per ponderare gli errori commessi e sentire la vita fluire via dal proprio corpo, dolce come sa essere solo quando sai di averla perduta.
 
Quello fu solo l’inizio! Premendo il grilletto, ella usò l’ultima pallottola della pistola che teneva in mano per perforare il cranio di un uomo che minacciava uno dei suoi, lasciandogli sul viso quell’espressione di perduto istupidimento proprio della morte. Emma rise, rise così forte che le vibrazioni di quel suono ancestrale e raccapricciante perforarono le ossa dei pochi superstiti rimasti, annichilendoli fin nel midollo; e di quel terrore e delle invocazioni ora al loro Dio, ora alle loro madri il capitano della Nostos si nutrì come se non avesse desiderato nient’altro che consumarsi dell’oscurità del suo animo dopo aver troppo a lungo taciuto. Nessuno di loro sarebbe sfuggito, nessuno di loro sarebbe sopravvissuto, nessuno avrebbe visto l’alba del giorno dopo poiché era così che lei aveva deciso.
 
Inquieta, tornò a guardarsi intorno, i suoi occhi dardi infuocati alla ricerca della prossima vittima. Un sorriso le inclinò le labbra quando incrociò lo sguardo di una povera anima che tentava di trascinarsi verso un mucchio di cadaveri con l’intento di nascondervisi sotto. Lo vide irrigidirsi, come gelato dal sentore della morte che vedeva farglisi incontro, ma non demorse. Lottò contro il dolore e la stanchezza dovuta al dissanguamento, complice l’adrenalina della vita che non voleva saperne di abbandonare il suo corpo, e arrancò sulle tegole del pavimento, mentre Emma avanzava verso di lui con pacatezza. Quando ella estrasse il pugnale dalla cintola e compì un balzo che ridusse le distanze tra loro, tuttavia, il coraggio parve defluire dal suo corpo e urlò di una disperazione così infantile che poco si addiceva ad un uomo della sua età.
 
«Mammaaaaaaaaaaaaa!»
 
Con un movimento secco, Emma caricò il colpo e incastonò il pugnale tra le costole della vittima, finché il grido non gli morì sulle labbra cineree. Lo osservò a lungo e con una strana bramosia sul viso, come se desiderasse cogliere il momento in cui la vita abbandonava il suo corpo e stiparlo nel bagaglio dei ricordi cui attingere nelle notti più gelide e cupe. E il sorriso che apparve sulla sua bocca quando questo accadde… Oh, era perdizione quella!
 
La verità era che in ciascuna delle vite cui metteva fine scorgeva, in realtà, le sembianze degli uomini che le avevano rovinato l’esistenza, uno dopo l’altro, senza curarsi delle conseguenze che le loro azioni avrebbero avuto su di lei: suo padre, Harold, il signor Lively, il capo delle guardie, perfino i fratelli Jones... E dell’odio che aveva provato per loro e continuava a provare aveva deciso di farsi consumare, al bando la stoica sopportazione che il mondo pareva aspettarsi da lei. Era e rimaneva un maledettissimo pirata e non aspirava a nessun perdono divino. Le era stata data una sola vita da vivere e l’avrebbe fatto unicamente secondo le sue regole. Per poterlo fare, però, doveva liberarsi di tutto ciò che era stato e non poteva più essere. E, come non erano stati umani con lei, non avrebbero potuto aspettarsi umanità da lei!
 
Piena della propria invincibilità, si mosse verso il parapetto quel tanto che bastava a scorgere un fuggiasco tra le acque mortifere, teatro di scontri, e ringhiò di un verso efferato prima di chinarsi su uno dei cadaveri ai suoi piedi, sottrargli la pistola e puntare alla nuca dello sconosciuto che si dimenava tra i flutti. Prima che potesse scagliare il colpo, due mani l’afferrarono da dietro e ne deviarono la traiettoria: la pallottola fece un buco nell’acqua, a meno di un metro dal bersaglio. Nella frenesia della battaglia, Emma si voltò per fronteggiare colui che aveva osato non solo metterle le mani addosso, ma, soprattutto, privarla del suo bottino di guerra. I suoi occhi incontrarono l’espressione inorridita di Liam, la spada stretta in pugno, puntata contro di lei. Le labbra di Emma vibrarono in un sibilo basso e minaccioso, poi si piegarono in un sorriso, lo stesso che tante, innumerevoli vittime aveva lasciato alle sue spalle.
 
Oh, che modo ingiusto di morire!
 
Con l’impeto che solo un’anima sciagurata come la sua avrebbe potuto usargli, Emma sferrò un colpo dopo l’altro finché la sua lama, fendendo l’aria, non incontrò quella dell’incredulo capitano Jones, che un tempo le era stato caro come un vecchio amico. Il sibilo della sua lama passò a pochi centimetri dal volto dagli occhi cerulei dell’uomo, dandogli il tempo sufficiente per realizzare che, sì, lo avrebbe ucciso se solo gliene avesse data l’occasione. Della donna e madre che aveva conosciuto e spesso idealizzato, non vi era traccia in quel momento e, per la prima volta da che ne era diventato prigioniero, scorse in lei l’oscurità su cui Killian aveva tentato di ammonirlo.
 
«Che tu sia dannata!» urlò Liam, bloccando il colpo del suo ritrovato, acerrimo nemico.
 
Emma colpì ancora, ancora e ancora con un’abilità che avrebbe ridotto in pezzi il capitano delle guardie e la sua boriosa armatura, se solo ne avesse avuto occasione a suo tempo. La verità era che, allora, non era stata nemmeno lontanamente disperata e perduta quanto lo era adesso che la responsabilità e la sofferenza per la morte di Stecco le bruciavano nel sangue come fiele, avvelenandole il sistema emotivo per stravolgerlo e rendere visibile tutto ciò che si nutriva di devastazione e cancellare il barlume di umanità che l’aveva guidata nell’ultimo periodo. La verità era che, più degli uomini che l’avevano intralciata lungo il cammino, Emma odiava se stessa e con un’acredine che sovente le rendeva difficile vivere nella sua stessa pelle.
 
Per un istante, Liam riuscì ad incalzarla e fu quasi sul punto di sopraffarla. Sfruttando il fatto che un cadavere le avesse fatto perdere l’equilibrio, la costrinse ad indietreggiare con una serie interminabile di colpi ben vibrati, così ben vibrati che Emma parve reggere a stento l’aggressione. Avrebbe voluto umiliarla come lei aveva umiliato lui coi suoi raggiri, ridicolizzandola davanti ai suoi uomini; avrebbe voluto ferirla tante volte quante erano le vite che si era presa senza che lui avesse potuto far nulla per fermarla; avrebbe voluto ucciderla per cancellare per sempre il ricordo della sua esistenza e andare avanti con la sua vita, lasciandosi quella parentesi alle spalle. Ma Emma aveva lottato troppo a lungo e con nemici di gran lunga più temibili, infierendo a se stessa tormenti che Liam non avrebbe mai conosciuto se non attraverso le parole di altri, per soccombere a un omuncolo come lui.
 
Per un brevissimo istante, le loro spade smisero di agitarsi in aria e l’efferato capitano della Nostos colse l’occasione per spingersi dove sapeva che avrebbe trovato carne vivida da seviziare.
 
«Tienti pronto a fare la fine dei tuoi stupidi genitori, Liam.» Emma vide la presa di lui farsi più salda sull’elsa della spada, le nocche bianche per la tensione. «E’ quasi poetico, non trovi?» proseguì, il respiro affannoso per lo scontro che li aveva visti protagonisti, ma ancora di più per quello che li aspettava. «Un’intera famiglia che soccombe alla pirateria… E’ un vero peccato che tu non abbia dei figli, piuttosto.» Tacque quel tanto che bastava a estrarre un pezzo di stoffa dalle trame del suo corpetto in pelle – il vestito bianco giaceva, distrutto e dimenticato, da qualche parte sulle assi della Nostos - e pulire con esso la lama dell’arma. La stava preparando per il suo sangue, comprese Liam. «La mia spada avrebbe volentieri banchettato sulle loro tenere carni.»
 
Con un urlo furioso, il capitano Jones si scagliò verso di lei e combatté per qualcosa di ben più importante che il suo onore: lottò per la famiglia e i compagni che aveva perduto, per i figli che non aveva ancora avuto, per l’ideale di giustizia cui aveva votato la sua vita finché Emma non lo aveva deprivato perfino di quello. Ma, come Emma aveva previsto, quegli stessi sentimenti finirono per accecarlo, facendogli commettere errori che il grande combattente che era stato non si sarebbe mai permesso di fare in un’altra occasione. C’era troppa rovina attorno a lui, però, troppo sangue innocente e troppo grande era il senso di impotenza cui lei lo aveva costretto perché riuscisse a trovare la lucidità che lo aveva contraddistinto in passato. Alfine, compì lo stesso errore di Richard Anthony Lively: lasciare che lei e le sue parole gli entrassero sottopelle.
 
Emma parò i suoi colpi senza alcuna fatica, eppure indietreggiò per trarlo ancora di più nella sua rete di inganni. Quando i suoi passi la condussero alle scale tra il ponte e il cassero, finse di perdere l’equilibrio e, con espressione sgomenta, si appiattì contro i gradini, apparentemente sconfitta. L’inganno non durò più a lungo di così, però: nel momento in cui Liam fece per trafiggerla, Emma si scansò e, con la mano ben stretta all’elsa del pugnale che portava nello stivale, scattò in avanti per conficcare la lama nello stomaco del suo avversario.
 
«LIAM!!!»
 
L’urlo di Killian, all’altro capo della nave, fu talmente forte da rallentare per un breve istante la mattanza che si stava compiendo tutto intorno a loro, ma non lo fu abbastanza da impedire ad Emma di udire lo spasimo di Liam, la cui spada era rimasta incastrata tra le assi del pavimento quando aveva tentato di finirla. Ella lo strinse tra le braccia, mentre il sangue le imbrattava i vestiti, e per un brevissimo istante rivisse il momento in cui lo aveva preso sulla sua nave. Fu un momento poetico nel suo dramma: proprio lei, che gli aveva concesso un’altra opportunità, lo stava deprivando della vita.
 
«Salutami Stecco!»
 
Decisa, gli assestò un colpo secco sulla nuca per poi lasciarlo cadere lungo il pavimento. Scostandosi da lui, salì le scale giusto qualche istante prima che Killian lo raggiungesse.
 
«Liam, Liam,» lo chiamò, chinandosi sulla sagoma incosciente del fratello, «svegliati, ti prego!»
 
Lo voltò verso di sé e prese a scuoterlo per le spalle, le sue mani madide del sangue del fratello che usciva a fiotti dalla ferita. Con movimenti frenetici, si tolse la camicia e cominciò a tamponarla, sul viso l’espressione disperata di chi teme di non potere nulla contro le circostanze avverse. Killian, però, era un uomo fin troppo risoluto per lasciarsi soverchiare da un cumulo di meccanismi preordinati, che si chiamassero destino, fato o sorte. Aveva sperato di ritrovare Liam troppo a lungo e troppo strenuamente per lasciare che la morte se lo prendesse senza aver combattuto.
 
«Sta’ tranquillo, Liam,» fece a denti stretti, mentre con una mano tamponava la ferita e con l’altra si sfilava la cintura e gliela avvolgeva intorno ben stretta, nella speranza di limitare la fuoriuscita di sangue fintanto che non avesse avuto modo di trovare qualcosa per porvi rimedio. «Un giorno mi libererò di te, ma non sarà oggi.»
 
«RITIRAAAATAAAAA!!!»
 
La voce di Ulan squarciò l’atmosfera di disperazione che regnava su quel povero vascello. Gli uomini della Nostos dovettero arrestarsi e con lo sguardo cercarono, dapprima, chi li aveva richiamati all’ordine e, poco dopo, il loro capitano. Ella sostava in prossimità di uno dei ponti di collegamento tra le due imbarcazioni. Senza proferire parola, le chiesero cosa fare, come comportarsi, quasi lei fosse un magico pifferaio e loro tanti piccoli roditori storditi dalla brutalità del loro io. Con un secco movimento della mano, ella disse loro di porre fine alle barbarie e di tornare sulla nave cui appartenevano, l’espressione svuotata come di chi ha tirato fuori tutto e non ha più niente da donare.
 
«Cosa ne facciamo di questo?» le chiese uno dei suoi, con le mani strette attorno al corpo tremante di un uomo ancora illeso, mentre gli altri ponevano fine alle sofferenze dei moribondi con una pietà quasi ossimorica e i lamenti si spegnevano poco a poco. «L’abbiamo trovato nascosto nella stiva, dietro una cassa.»
 
«Sono-» balbettò l’uomo, la fronte madida di sudore e la gola secca di chi si trova in uno stato di terrore assoluto, «sono un medico,» disse, quasi fosse un’esimente alla codardia dimostrata.
 
Quelle parole, però, per quanto sdegno suscitarono nella ciurma, costituirono per chi le aveva pronunciate un’ancora di salvezza. Emma parve ponderare a lungo la sua decisione, ma in realtà non impiegò che una manciata di secondi, quelli necessari ad incrociare lo sguardo di Ulan perché comprendesse le sue intenzioni.
 
«È il vostro giorno fortunato, doc,» sentenziò con voce funerea, mentre si arrampicava sull’asse posizionata a mo’ di ponte con l’intenzione di attraversarla. L’espressione di sollievo che passò sul viso del medico non avrebbe potuto essere più timida, poiché temeva di essere ingannato dalle parole della donna. «Sarete colui che darà testimonianza della grandezza di Capitan Swan e della sua ciurma.»
 
I suoi uomini esplosero in un boato di approvazione, mentre Emma sorrideva al loro indirizzo e si preparava a tornare sulla Nostos. Il fragore di un’esplosione e il lancinante dolore che la giovane provò subito dopo, tuttavia, smorzarono ben presto l’entusiasmo. All’altro capo della nave, in cima alle scalette ove il capitano della Nostos aveva dato il benservito a un vecchio amico, stava Killian Jones in tutta la sua imponente figura, la canna della pistola che tenea tra le mani fumante del colpo che aveva inferto ad Emma.
 
Non poté più nulla, ovviamente. In men che non si dica, quattro degli uomini di Emma gli furono addosso, lo disarmarono e spinsero contro il pavimento finché non fu in ginocchio. I suoi occhi blu, però, freddi come l’oceano in un giorno d’inverno, non si mossero dalla presa in cui avevano avviluppato quelli di lei; e rimase impassibile perfino quando uno dei pirati premette la lama di un pugnale contro la sua gola. Poche gocce di sangue stillarono dalla ferita che quel contatto violento fece sorgere, mentre tutti attendevano che Capitan Swan decidesse a quale sorte dovesse andare incontro.
 
Toccandosi la spalla con una smorfia di dolore malcelata, Emma assaporò il momento in cui avrebbe messo fine all’esistenza del tenente Jones, come non aveva saputo fare la sera del loro secondo incontro nelle segrete di un castello che, a distanza di così tanto tempo, pareva quasi frutto della sua immaginazione. Che differenza avrebbe fatto, del resto, una vita spezzata in più o in meno dopo quello che si era compiuto sul ponte della nave ospitante?
 
«Lasciatelo vivere,» disse nel silenzio tombale che aleggiava sulla nave-cimitero che si apprestavano ad abbandonare, «perché veda suo fratello morire e viva il resto della sua vita nella consapevolezza che Capitan Swan lo ha risparmiato.»
 
Con un colpo ben assestato sulla nuca, Killian chiuse gli occhi al mondo, sapendo che al suo risveglio la ciurma con la quale aveva convissuto negli ultimi anni sarebbe stata solo un ricordo. Un doloroso ricordo.
 
*
 
Furono i lamenti sconsolati di un uomo in preda alla disperazione a ridestare Killian, diverse ore dopo. La testa gli doleva per il colpo ricevuto e, mentre si apprestava a risalire definitivamente dagli abissi dell’incoscienza, in un primo momento faticò ad individuare la ragione del suo stordimento. La verità lo colpì con l’irruenza di un pugno ben assestato, quando il nome di suo fratello divenne un grido prepotente e disperato nel suo animo. Balzando su quattro zampe, si guardò intorno alla ricerca di Liam e si scoprì ancora in cima alle scale dalle quali aveva sparato ad Emma. Il pensiero di lei, pur per un frangente talmente breve da sembrare irreale, lo colse impreparato, provocandogli un impercettibile spasimo. Infine, i suoi occhi si posarono dove ricordava di aver lasciato Liam. Non era lì.
 
Si alzò con un sentimento di disperazione misto a speranza e aprì la bocca per chiamarlo, ma le parole gli morirono in gola quando vide lo spettacolo tutto intorno a lui: un tappeto di cadaveri, sangue ed armi si stagliava dinanzi ai suoi occhi, presentandogli il conto degli errori che avevano portato a quella sciagura. L’orrore di quella vista e il puzzo che esalava dai cadaveri lo nausearono a tal punto che fece appena in tempo a raggiungere il parapetto della nave. Diede di stomaco violentemente e il suo corpo rimase scosso dagli spasimi e dai conati per un interminabile lasso di tempo; e, per quanto tentasse di darsi un contegno, l’odore ferroso dell’aria impregnata di sangue mise a dura prova la sua capacità di resistenza. Proprio lui, che di guerre ne aveva viste a dozzine negli anni a servizio della Corona, non si era trovato pronto all’efferatezza che si era consumata quella sera!
 
«Anche voi siete vivo,» esclamò una voce alle sue spalle, costringendolo a voltarsi di scatto e ad afferrare il malcapitato per il bavero della giacca insudiciata. L’inorridimento dei momenti successivi al suo risveglio aveva cancellato il ricordo di quei lamenti che, da principio, lo avevano riportato alla coscienza. L’uomo lo guardò terrorizzato, poi parlò ancora: «S-sono il medico di bordo,» fece, prima che la realizzazione di ciò che era accaduto lo colpisse, costringendolo a correggersi. «Ero il medico di bordo di quest’equipaggio.»
 
Killian lo lasciò andare, la bocca impastata. «Aiutatemi a trovare mio fratello!»
 
«Voi-» si approcciò timidamente, fermando Killian sul posto, «voi eravate parte di quella ciurma di mostri.» Era sospettoso e indietreggiava, e il tenente non si sentì di criticarlo, in cuor suo. «Quella donna non vi ha ucciso per riservarvi una fine ancora peggiore della morte,» disse, «ma il fato l’ha beffata.»
 
Killian era sicuro che l’uomo volesse approfittarsi di lui per uscire vivo da quella situazione: un medico non poteva saperne poi molto di come governare una nave e doveva aver temuto di morire di stenti, prima che Killian rinvenisse.
 
«Non ho tempo da perdere con le vostre congetture,» fece, scendendo le scale e mettendosi alla ricerca di suo fratello. I suoi occhi quasi stentarono a fare il loro lavoro quando incrociarono la sagoma di Liam, seduta sul pavimento, nell’atto di tenersi il ventre in segno di protezione. «Liam…»
 
Quel nome uscì quasi sussurrato dalle sue labbra, mentre si faceva rapidamente spazio sul tappeto di cadaveri e lo raggiungeva, gettandosi in ginocchio accanto a lui per stringerlo in un abbraccio. Non era possibile che fosse ancora vivo dopo tutto quello che avevano affrontato! Il fratello ricambiò la sua stretta e Killian si rallegrò nel sentirla salda: il timore che, pur essendo ancora in vita, fosse troppo malridotto per sopravvivere alle condizioni in cui si trovavano aveva stretto il suo cuore in una morsa così dolorosa che, adesso, quasi faticava a lasciarsi andare all’evidenza di una buona notizia. Aveva temuto che si fosse battuto solo per potergli dire addio e fargli promettere di andare avanti.
 
«Com’è possibile?» gli chiese, facendosi indietro per osservare la fasciatura che aveva attorno al ventre.
 
Con un sorriso grato, Liam alzò il braccio per indicare un punto imprecisato dietro la spalla di Killian. «Quell’uomo mi ha salvato!» Il tenente si voltò per vedere il dottore che avanzava nella loro direzione. «Non so quale magia abbia fatto, ma è riuscito a mettermi in sesto prima che fosse troppo tardi.»
 
«Oh, via! Avevo ancora tutte le mie cose e la vostra ferita era più superficiale di quanto non sembrasse,» fece, sistemandosi gli occhialetti sul naso. «Quando quella donna ha detto che sareste morto, ho immaginato che vi avesse scavato un buco così nello stomaco e, invece, non ha preso alcun organo vitale.»
 
Liam e Killian si guardarono profondamente e in silenzio, mentre il medico li rendeva partecipi del suo intervento con solerzia di dettagli. Tra di loro passò una conversazione che nessuno dei due avrebbe avuto il coraggio di affrontare a voce, non per il momento: erano troppo storditi, stanchi e in balia degli eventi per potersi permettere il lusso di qualsiasi considerazione. Avrebbero finito per sprecare energie che non avevano e il benestare che la sorte aveva concesso loro.
 
Liam fu il primo a parlare e gli sorrise con quella gentilezza d’animo che solo Emma era stata in grado di intaccare, pur brevemente. «Sono felice che ce l’abbiamo fatta entrambi.»
 
Prendendogli il viso tra le mani, Killian sorrise a sua volta. «Non ti avrei mai perdonato, se fossi morto.» Liam rise, ma lo sforzo che gli costò quell’attimo di sollievo e spensieratezza lo costrinse ad un’espressione di dolore. La ferita pulsava ancora. «Le ho sparato, Liam,» sbottò Killian prima che la conversazione potesse dirsi chiusa. «Ho sparato ad Emma!»
 
Il più grande dei due si prese un attimo per assorbire la notizia, incapace di dare una collocazione alle sue emozioni e di discernere se prevalesse tra di esse il piacere della vendetta, l’amarezza di sapere che, infine, fosse riuscita a cambiare sia lui che Killian o la delusione di non avere ancora smesso di provare qualcosa per lei e di soffrire all’idea che fosse ferita.
 
Alfine, si scrollò di dosso quel turbine di sensazioni ché era troppo debole per provare e si rivolse a suo fratello. «Non pensiamoci più, Killian. Abbiamo altre cose di cui occuparci al momento.»
 
Killian annuì e gli sorrise. «Hai ragione. Dobbiamo tornare a casa!»
 
 
 

________________________________________________________________________________
Spazio dell'autrice:


Oramai, è un appuntamento fisso quello con i miei ritardi e le mie giustificazioni, ma stavolta è ancora più assurdo, visto che il capitolo era pronto per metà da un bel pezzo come vi avevo accennato. La verità è che sono quasi alla fine del mio percorso universitario, la stanchezza si fa sentire e non riesco più ad essere brillante come all'inizio, quando preparavo un esame nella metà del tempo e facevo altre mille cose nel frattempo. A volte, quando finisco di studiare, sono così stanca che non riesco nemmeno a formulare un pensiero di senso compiuto, figurarsi scrivere un capitolo come si deve a questa storia. Ecco perché mi vedo costretta a rimandare: se così non facessi, probabilmente aggiornerei più di frequente, ma non riuscirei a mantenere la qualità che mi sono imposta e non credo di poterlo fare davvero. Anche perché vi confesso di avere un progetto in cantiere per questa storia!
In ogni caso, eccomi tornata con questo aggiornamento. Suppongo sia molto diverso da ciò che vi aspettavate e, se da una parte spero di avervi sorpresi, dall'altra so di aver destato qualche perplessità e forse perfino delusione. Separare i Jones da Emma non penso sia quello che avreste voluto, soprattutto sapendo che siamo a ridosso della conclusione, ma vi assicuro che è un passaggio obbligato, almeno per il mio modo di concepire la storia. Mi auguro solo che, quando vi darò la spiegazione nei capitoli a venire, possiate condividere la mia posizione e godervi il viaggio. 

Come avrete notato, il capitolo è molto oscuro, ma apre una finestra su una parte di Emma che abbiamo avuto l'occasione di vedere a sprazzi, mai in tutta la sua schiettezza. Mi riferisco alla scena con Harold o a quella con il signor Lively: abbiamo avuto un assaggio della sua crudeltà, ma non vi ho mai introdotti davvero alle contraddizioni di Capitan Swan. Adesso, sapete di cosa è davvero capace, quanto possano essere deprecabili le sue azioni, forse adesso perfino più che in passato, visto che ha un figlio cui badare. C'era una cosa che mi premeva capiste, però, con questo capitolo: Emma non è soltanto una madre, la madre di Henry. Emma è una donna, un pirata, una combattente, un'anima dannata e, sì, anche una madre, ma non solo quello. Il fatto di aver ritrovato Henry, dopo tanti anni di sacrifici, non cancella improvvisamente la persona che è stata, non la annulla. Il pirata è sempre lì, perché, in fondo, il pirata è Emma, una delle sue tante sfaccettature. 
Questo è un punto estremamente importante per me, il fatto di non credere che una donna, dopo aver avuto un figlio, smetta di essere se stessa e sia solo ed esclusivamente votata a chi ha generato. Ed ho usato appositamente un capitolo così duro per farvelo capire, a dimostrazione di quanto sia determinante per me questo aspetto e, soprattutto, di quanto importante sia per Emma riuscire a conciliare le due cose senza annullarle. Come potrebbe essere una buona madre e insegnare a Henry come diventare un uomo, con tutte le sue aspirazioni e contraddizioni, senza accettare prima se stessa e darsi la possibilità di continuare a crescere? 
Prima di lanciarmi nei ringraziamenti, aggiungo che, secondo i miei calcoli, dovrebbero mancare non più di due capitoli alla fine, salvo cambio di rotta per idee improvvise. Scoprirete di più sui fratelli Jones, per vostra gioia, e vedrete come finiranno le cose sia per loro che per Emma, Henry e gli uomini della Nostos. Prometto di spiegarvi tutto!

Detto questo, faccio un salto indietro e, come promesso, dedico la mia attenzione a chi non avevo avuto modo di ringraziare a dovere per le recensioni a "Il canto della balena". Ogni promessa è debito! :P


ALYEN, voglio solo dirti che, rileggendo la tua recensione, ho avuto i brividi per tutto il tempo, perfino quando ti scusavi del fatto che ti stessi dilungando. Sei un pugno in pieno stomaco, di quelli che ti mozzano il fiato ma sono in grado di fermare il tempo e farti pensare a cose cui non avevi avuto modo di pensare! Hai scritto tante cose bellissime, davvero, così belle che elencarle sarebbe impossibile senza finire domattina, ma, se c’è una cosa che ancora mi fa rabbrividire, è l’idea di aver impattato la tua vita con la mia storia. Quando hai scritto che ho risvegliato in te sentimenti da tempo sopiti, avrei potuto piangere, saltellare e urlare insieme. Per me, scrivere è molto più che mettere delle parole su carta con un linguaggio più o meno forbito. Per me, scrivere è emozione allo stato puro: se dovessi contare tutte le volte in cui ho riso pensando a una battuta di Stecco, o le volte in cui, lavando i piatti, mi trovavo coi lucciconi a pensare all’incontro Emma-Henry, penso che perderei il conto. Io, questa storia, non la sto solo mettendo giù su carta e condividendo con voi, no. Io la sto vivendo con un’intensità che non so nemmeno spiegare; e ne sono così innamorata che il timore di non essere abbastanza mi toglie il fiato. Ho sempre paura di non essere chiara ma, soprattutto, di non trasmettere nulla e lasciarvi a una lettura sterile e vuota che, spesso, devo farmi violenza per pubblicare ogni capitolo. Quello che tu hai detto è la realizzazione di un piccolo grande sogno, che non ho nemmeno il coraggio di vivere: quello, cioè, di darvi accesso al mondo che ho creato e trascinarvi in questo vortice di emozioni per un’oretta o due. Rubarvi alla vostra vita e tenervi con me per un po’, anche se non vi ho mai visti, perché vi ho cari come se l’avessi fatto.
Quindi, grazie, grazie infinitamente per essere stata con me, con Emma, con Killian e con tutti i protagonisti di questa storia. E’ un onore e un privilegio e, ti prego, non scusarti mai più per la lunghezza dei commenti. Se solo sapessi quanto sono importanti per me, non lo penseresti nemmeno. Senza di voi, senza le vostre parole, senza il vostro apprezzamento, Nostos sarebbe rimasta ai primi capitoli e io mi sarei persa un viaggio che non sono mai pronta a lasciare andare. Grazie, grazie ancora! <3
 
LELY_1234, che gioia vedere sempre una tua recensione! E’ come sentirsi a casa, quando organizzi una cena e vedi quelle facce amiche che tanto adori e che hai proprio necessità fisica di vedere ogni tanto, altrimenti impazzisci. “Il canto della balena” è stato un capitolo bellissimo e duro da scrivere, perché c’era così tanto da dire e da provare che ho rischiato di sentirmi consumata: consumata dall’intensità di ciò che dovevo dire, consumata dalla paura di non essere in grado o all’altezza, consumata dal dubbio di non aver fatto bene. Se ti dicessi quante volte ho riletto il capitolo prima di consegnarvelo, mi prenderesti per pazza, ma ne sarebbe comunque valsa la pena, se fosse servito a donarti tutto questo scrigno di emozioni.
Ti ringrazio per i complimenti che hai fatto al mio stile. Io non mi apprezzo mai abbastanza, piena delle mie incertezze, e, sebbene sia lontana anni luce dal vedermi nel modo in cui tu mi hai descritto, è uno sprone ad andare avanti anche quando le insicurezze minacciano di bloccare il prosieguo di questa storia. Hai un posto speciale in questa ciurma e spero di averti con me fino alla fine del viaggio. Sono io che ti devo dei ringraziamenti, non il contrario. <3


PANDINA, oramai di te so più del tuo nickname e della tua squisita capacità di lasciare recensioni che stendono. A volte, quando ti leggo sotto un capitolo, sento quasi la tua voce accompagnata dal frangersi delle onde e sento di imparare qualcosa su questa storia che non avevo carpito io stessa, che ne sono l’autrice. Ma, se c’è una cosa che non cambierei con niente al mondo, è il tuo rapporto con la mia Emma di parole: la ami e la odi come una madre con un figlio un po’ bischero, che vorresti sempre indirizzare sulla retta via ma sai di doverlo lasciar vivere, spesso anche sbagliare. Come hai detto tu, Emma è tante cose insieme e, sì, conoscerne il passato apre una finestra su una versione di lei del tutto inedita ma sempreverde: quella di una persona che ha sofferto, profondamente e ingiustamente, e di quel dolore si è consumata fino a morirne e rinascere. Ci vuole forza per farlo, ma non una forza qualsiasi: è quella tenacia che nasce proprio dalla disfatta, dalla debolezza e che è ancora più intensa perché ha conosciuto e toccato il fondo più volte.
Grazie ora come sempre per essere sempre presente, qualsiasi siano le condizioni atmosferiche, e per fidarti di me come tuo capitano in questo viaggio che sa di vita.
 
SIMOGI, è un piacere saperti dei nostri sempre e comunque. Ti confesso di aver sorriso, pensando all’espressione che avresti fatto nel leggere quest’ultimo capitolo, tu che avevi sperato che Killian rimanesse consapevole dei suoi sentimenti. Quello che hai detto, però, non significa che non sia vero, attenzione: semplicemente, è tutto tanto, tanto complicato, più per loro due che non per noi, mi sa. Da quando è iniziato questo percorso, se c’è una cosa che ho faticato a definire è il loro rapporto. Sono così diversi e simili allo stesso tempo, ma in maniera diametralmente opposta: hanno la caparbietà, la schiettezza, la forza e il coraggio ad accomunarli, ma la relazione tra luci ed ombre influenza il modo in cui ciascuno di questi aspetti caratteriali si incastona all’altro. Non vedo l’ora di sapere come hai reagito a questo capitolo. In realtà, succede sempre così, finché non mi godo le tue reazioni scritte sotto al capitolo. Grazie infinite per la tua promessa di fedeltà alla storia, perché è una delle cose più belle che potessi aspettarmi, pur non avendo il coraggio di pensarlo. <3
 
K_GIO, amo la devozione con cui ti prendi l’impegno di recensire la mia storia, quasi sapessi oramai quanto sia importante – che dico, fondamentale – per me sapere cosa ne pensate. Sì, Killian è sulla Nostos dalla bellezza di due anni e mi commuovo anch’io solo a pensarci. Ne è passato di tempo da quel primo incontro nella taverna di Thrain, quando pensava di avere dinanzi uno scagnozzo di poco conto dell’omone che pensava essere Capitan Swan.  E, sì, ho pensato anch’io alla possibilità che Emma rivelasse la verità alla madre di lei, ma alla fine ho preferito risparmiarle questo dolore: ci pensi quanto sarebbe stato grande il senso di colpa della madre, se avesse saputo che era morta perché non aveva saputo tenerla al suo fianco con sufficiente attenzione? Meglio credere nella crudeltà di un pirata senza cuore! In fondo, anche in questo, Emma è stata misericordiosa, forse proprio perché è una madre e sa cosa voglia dire addossarsi le colpe di errori non sempre evitabili altrimenti.
Grazie mille di tutto, mia cara: grazie mille di aver recensito con la tua immancabile solerzia, grazie mille di averci messi (me e la Nostos) tra le tue priorità mattutine, grazie per averci consentito di emozionarti! <3
 
LADY LARA, sono lieta di darti il benvenuto nella mia sgangherata ma irresistibile ciurma e lo faccio con i più sentiti ringraziamenti. Quando leggo l’espressione ‘opera letteraria’ accostata a qualcosa scritta di mio pugno, sorrido sempre con una grande incredulità: non solo rimango sempre delusa dall’ultima lettura del mio capitolo prima di pubblicarlo, ma mi sembra quasi offensivo avere la pretesa di creare un intreccio, come se offendessi chi di capolavori ne ha scritti parecchi o anche solo uno, lasciando però il segno. Grazie per avermi concesso di emozionarti e di entrare un po’ nella tua vita e grazie per avermi lasciato la tua impressione. Sentiti libera di tornare quando vuoi! <3


Buona lettura!  

Ritorna all'indice


Capitolo 22
*** Albori ***


Capitolo XXII
Albori


 
Era tutto così quieto e perfettamente in ordine nel suo quotidiano caos. Quelle stanze, quei corridoi, quegli stessi giardini erano esattamente dove li aveva lasciati decine di anni prima, l’aspetto immutato di una familiarità imperitura nella quale erano tornati a crogiolarsi dopo tutto quel distacco.
 
Killian si era chiesto spesso, negli ultimi mesi, se fosse possibile sentirsi così a casa e così fuori posto allo stesso tempo in un unico luogo. Era come se il suo cuore pompasse al ritmo di una melodia che sapeva di conoscere bene, salvo dimenticarne gli accordi tutto d’un tratto, nelle orecchie il sordo ronzio di ciò che avrebbe dovuto ricordare e il senso di inappropriatezza per essere tanto disconnesso da ciò che lo circondava. Era la nota stonata di una composizione bellissima che l’autore non riusciva ancora a mettere in sesto: dove stava quel sol? Avrebbe dovuto aggiungere un re, un fa, un do? E se, nel farlo, avesse perso tutto il senso della storia in note che aveva duramente elaborato?
 
Erano trascorsi tre anni dagli eventi funesti di cui era stata costellata la notte in cui avevano detto addio per sempre alla Nostos. E, in tutto quel tempo, di cose ne erano accadute prima che lui e Liam fossero riusciti a reimpossessarsi della casa che gli era stata brutalmente sottratta da bambini, alla morte dei loro genitori. Intrappolati su una nave fantasma, le cui tegole erano rimaste impregnate del sangue dei precedenti viaggiatori, avevano impiegato più di un mese per fare ritorno a Thrain: Killian ricordava le mappe nell’ufficio di Emma e il percorso seguito con la Nostos durante il periodo in cui il suo capitano era stato impossibilitato a svolgere le mansioni che gli competevano; ma, al momento in cui avevano incrociato la rotta della nave su cui si sarebbe consumata la mattanza, erano trascorse già delle settimane senza che né lui né Liam avessero avuto alcun accesso alle informazioni concernenti la navigazione. Per questo, una volta lasciati al loro destino da Emma e la sua ciurma, avevano brancolato nel buio con lo scoramento nel cuore per un’intera settimana, prima di incrociare un’altra imbarcazione ed ottenere l’insperato aiuto per il quale i fratelli Jones e il medico avevano tacitamente pregato.
 
Era stata dura, insopportabilmente dura. Sui loro animi, aveva pesato come un macigno la consapevolezza che, a modo loro, avrebbero potuto fare di più per evitare la strage che si era consumata sotto i loro occhi ai danni di un manipolo di uomini innocenti. Non importava quanto alacremente avessero lavato le tegole di quel dannato ponte: la brezza serale, con puntualità disarmante, avrebbe comunque portato con sé l’odore del sangue versato come monito alla loro ignavia. Forse, si erano detti più e più volte nel silenzio delle loro menti, quel viaggio sarebbe servito ad espiare una parte delle loro colpe. Si erano resi conto ben presto, tuttavia, che le conseguenze di ciò che trascinavano come un fardello sulle spalle erano ancora tutte da affrontare.
 
Mettere piede a Thrain era stato un sogno. Dopo più di due anni, la barba ispida e il volto emaciato per la ristrettezza delle provviste a loro disposizione nell’ultima parte del viaggio, avevano raggiunto l’unica meta alla quale avesse avuto senso mirare. Il senso di appartenenza che si accompagna ai luoghi ove si è vissuto felicemente li aveva accolti e cullati e, con esso, i volti delle persone che si erano lasciati alle spalle. Ogni sorriso, ogni abbraccio, ogni stretta di mano, ogni carezza erano serviti loro per ricordare un passato talmente lontano da sembrare soltanto un’illusione il più delle volte. Entrambi, nel silenzio delle stanze che i loro amici si erano premurati di mettere a disposizione, avevano versato lacrime silenti ma brucianti, finché il cotone lindo delle lenzuola non ne aveva assorbito le frustrazioni.
 
Avevano pianto tutto e niente nell’atteggiamento tipico di chi ha perduto più di quanto avesse mai posseduto. Che ne era stato dell’identità a cui si erano così strenuamente aggrappati? Non rimaneva che una sfocata, tremula immagine degli ideali in cui avevano creduto e dai quali si erano fatti definire per molto tempo; e lo specchio aveva preso a rimandare l’immagine di qualcuno che avevano fatto fatica a riconoscere. Quando avevano realizzato di non aver mai visto, per tutto il tempo che erano stati con Emma, il loro riflesso, l’impatto della realizzazione li aveva colpiti con l’acuta precisione di tanti piccoli aculei: non sapevano più cosa fosse rimasto delle persone che si erano ripromessi di rimanere, a dimostrazione del fatto che, per quanto avessero lottato per resistere all’oscurità di cui lei si era fatta portatrice, avevano finito per fallire il tentativo.
 
Pesava sulle loro coscienze la responsabilità di avere, in qualche modo, preso parte agli eventi di quella notte come se ne avessero condiviso lo scopo e non importava quanto arrossata fosse la loro pelle per i numerosi lavaggi, né quanto puliti apparissero i loro volti sbarbati di fresco, non quando il sentore dello sporco continuava ad insudiciare la loro anima. Erano stati corrotti di una perdizione che non avevano visto arrivare, perché aveva assunto le sembianze del blando compromesso. Se la vita era fatta di accomodamenti, si erano detti ogni qualvolta il loro istinto aveva drizzato le orecchie a quella o quell’altra prospettiva descritta da Emma, le piccole concessioni che le avessero fatto sarebbero riuscite quantomeno a limitare i danni delle sue azioni. Forti di quella convinzione elementare e così stupidamente innocente per appartenere a due uomini della loro tempra ed età, erano caduti in una trappola che li aveva lasciati senza la consapevolezza di sé. Ed era da lì che si erano visti costretti a ripartire!
 
I loro superiori erano stati prodighi di complimenti e ammirazione, desiderosi di conoscere i dettagli della loro fuga con la promessa di restituire loro le stesse posizioni e gli stessi privilegi d’un tempo come se nulla fosse cambiato. Era proprio quello il problema, avrebbero voluto spiegare a ciascuno dei presenti! Se c’era una conclusione che avrebbero potuto trarre con assoluta certezza dall’esperienza vissuta, era che fossero cambiati e con loro le cose che gli erano sempre appartenute. Il resto – le scorrerie, gli scontri, le spiegazioni – erano un mero corollario del quale non avrebbero saputo che farsene. Così, quando Killian aveva chiesto loro un po’ di tempo per trovare la serenità perduta, sul viso quell’espressione di inquietudine che lo aveva reso un estraneo ai loro occhi sempre uguali, non avevano potuto negarglielo.
 
Avevano condotto una vita ritirata per alcuni mesi, lontani dal caos della città e degli incontri mondani, della loro casa assidui frequentatori solo un ristretto gruppo di amici degni di essere chiamati tali. Poi, il tempo aveva cominciato ad esercitare l’azione balsamica che tanto gli apparteneva e le cose avevano cominciato a seguire il loro corso, trascinate dall’aiuto di chi sapeva come, se e quando fosse il caso di insistere o tacere. A poco a poco, i momenti di smarrimento si erano fatti più sporadici e sia Killian che Liam avevano trovato il modo di reinventarsi.
 
Dei due probabilmente il più provato era stato Liam. Le ferite che bruciavano sul suo cuore erano ben diverse e più dolenti di quella al ventre e, se quest’ultima era guarita lasciando una cicatrice callosa a testimonianza di quanto fosse accaduto, quelle che portava nell’anima avevano faticato ad intraprendere lo stesso percorso di guarigione. Spesso Killian lo aveva scorto corrugare la fronte e stringere i pugni finché le braccia non erano state percorse da un lieve, eppure costante, tremore. A quel punto, lo aveva osservato ridestarsi, scuotere il capo, sospirare e tornare pian piano in sé, pronto a sorridergli con la stessa paterna indolenza che gli aveva sempre usato. I segni di ciò che stava passando, però, erano stati fin troppo chiari perché Killian potesse essere ingannato: stava lottando per recuperare la stima di sé e far pace col senso di colpa che si portava dietro come un monito per il futuro.
 
Un giorno, tuttavia, le cose erano cambiate con l’incedere inaspettato delle piogge primaverili, quando le nuvole si avvicinano di soppiatto per osservare come se la cavano gli uomini su quella terra per loro irraggiungibile e, trovandoli incredibilmente buffi, riversano le loro lacrime d’ilarità su quelle piccole creature solo per vederle incespicare, scivolare, bagnarsi e, infine, trovare la forza per ridere a loro volta. Una lettera del loro avvocato li aveva avvisati del cambio di sorte che avevano subito: i parenti che li avevano deprivati dei loro beni erano caduti in disgrazia, così in disgrazia da aver perduto la casa nella quale avevano ingiustamente spadroneggiato. Era il momento di agire per prendersi ciò che spettava loro, al bando l’orgoglio che li aveva trattenuti per tutto quel tempo, e così avevano fatto.
 
Avvolti nei colori della divisa con la quale avevano servito valorosamente il loro sovrano, i fratelli Jones si erano recati proprio dall’uomo cui avevano prestato giuramento di devozione affinché prestasse ascolto alle loro ragioni. Indebitatisi a causa del gioco e incapaci di versare al sovrano il contributo che gli dovevano, infatti, i loro sciagurati parenti avevano dovuto cedere la dimora che era appartenuta a Killian e Liam proprio all’uomo che era stato per loro un esempio di giustizia prima di conoscere Emma. Egli li aveva accolti con un gran sorriso, le sfumature dell’avarizia ora più acute sui suoi lineamenti, e aveva prestato orecchio all’arringa di Killian in presenza dei rispettivi avvocati, come il tenente aveva richiesto che fosse.
 
“Non abbiamo intenzione di rubare il vostro tempo, Vostra Maestà, e dunque non aggirerò la questione, ma gliela proporrò così come stanno le cose. La dimora che è stata recentemente aggiunta alle vostre proprietà ci è appartenuta, molti anni orsono: era la casa dei nostri genitori, la casa ove abbiamo conosciuto l’amore di una famiglia che ci è stata portata via troppo presto. Le persone da cui l’avete giustamente presa erano nostri parenti, ma temo che questa definizione sia fin troppo lusinghiera, considerato che, alla morte dei nostri genitori, hanno ben pensato di far sparire il testamento lasciato da mio padre a nostro favore e ci hanno messo alla porta. Siamo cresciuti lontani da casa, senza mai chiedere nulla, senza mai guardarci indietro, votando la nostra vita ad una causa che ci ha resi fieri nonché gli uomini che siamo.”
 
A quel punto si era fermato un istante, tra lui e l’uomo che gli sedeva innanzi lo spettro della richiesta che avrebbe avanzato. Sbarbato di fresco, col viso ancora provato dalla sofferenza, Killian aveva puntato lo sguardo sul suo sovrano e ne aveva scandagliato l’animo fino a comprendere che l’avidità che gli leggeva negli occhi era indicativa del fatto che questi non avrebbe accettato di buon grado che il suo patrimonio andasse diminuito, non importava quanto valore avessero dimostrato gli uomini che aveva innanzi. Ma Killian era stato risoluto a vincere quella battaglia, per Liam.
 
“Vi siamo infinitamente grati per la generosità di cui ci avete reso destinatari privilegiati nelle settimane successive al nostro ritorno: non avremmo potuto aspettarci un’accoglienza migliore, dopo tutto quello che abbiamo passato negli anni lontani da Thrain.” Le sue parole erano state calcolate con estrema ponderazione e, dall’espressione corrucciata del sovrano, Killian seppe che l’altro aveva capito cosa stesse tentando di fare. “Quando ci avete detto di chiedere qualsiasi cosa di cui avessimo bisogno, noi eravamo troppo sconvolti e desiderosi di pace per poter trovare una risposta. Adesso, abbiamo trovato ciò che i nostri cuori desiderano ardentemente: fare un’offerta per acquistare quella che un tempo solevamo chiamare casa e trovare, finalmente, forse, un po’ di pace nel nostro cuore.”
 
Le trattative non erano durate a lungo e non erano neppure state delle trattative, a dirla tutta. Dopo aver ascoltato la proposta di Killian, il sovrano aveva scambiato una rapida occhiata col suo rappresentante legale. Infine, si era lasciato andare ad una grassa risata, apparentemente divertito. Benché nei suoi occhi brillasse l’ombra del disappunto, aveva rassicurato Killian e Liam sulla loro sorte, affermando di aver già disposto le carte necessarie per la donazione in loro favore come ricompensa per gli sforzi che avevano affrontato e la devozione dimostrata. La verità era che non esistevano alternative possibili da vagliare: se si fosse sparsa la voce che l’unica richiesta avanzata da quei due poveri diavoli scampati alla morte per un soffio era stata rifiutata, il malcontento si sarebbe esteso a macchia d’olio tutto intorno al sovrano, fino a lasciarlo annegare nel sospetto di possibili ritorsioni. Un uomo nella sua posizione non poteva perdere la fiducia e la stima degli uomini che avevano il compito di proteggerlo dai pericoli connessi al suo rango, non quando tutti sapevano come Killian si fosse lanciato all’inseguimento del manipolo di pirati che aveva tentato di sottrarre i gioielli della corona e, a causa di ciò, era finito prigioniero.
 
Con un misto di soddisfazione e insofferenza, Killian attraversò i giardini frontali della loro casa con lo sguardo e sorrise, mentre il sole gli scaldava la pelle del viso e le risate di un bambino riempivano l’aria. I suoi occhi incrociarono quelli della cognata, che lo salutò affettuosamente con un morbido movimento del braccio, prima di tornare ad inseguire il piccolo di un anno e poco più che zampettava buffamente qua e là. Olivia era la cosa migliore che fosse mai capitata nella loro vita e, soprattutto, in quella di Liam. Gli aveva restituito l’equilibrio e la serenità di cui il fratello maggiore era sempre stato tanto prodigo, al punto da perdere completamente l’orientamento quando questi gli erano stati portati via. E, benché le cose si fossero evolute con rapidità sconcertante, Killian aveva benedetto la loro unione sin dal primo momento.
 
«E’ una gran bella giornata!»
 
La voce di Liam lo destò dalle riflessioni che lo avevano occupato fino a quel momento. Con la coda dell’occhio, Killian ne scrutò il bel profilo e si rallegrò quando i risultati della sua ricerca parvero vani: non c’era segno di turbamento in lui. Se possibile, con l’arrivo di sua moglie e del piccolo Theodore, il suo animo si era rinvigorito di una pace che non aveva posseduto nemmeno in gioventù. Killian lo invidiava di una gelosia buona: invidiava il fatto che avesse ritrovato la strada verso se stesso, che avesse trovato il posto in cui stare e la forza per buttarsi alle spalle il passato per lasciare spazio solo al presente. Lui, invece, non era stato altrettanto capace.
 
«C’è una cosa che devo dirti, Killian,» esordì Liam, volgendo lo sguardo all’indirizzo del fratello minore per vedersi restituire un’occhiata dubbiosa. Un’ombra leggera era calata sul viso di Liam e, nel vederlo esitare, Killian si chiese se, forse, non fosse poi così lontano il ricordo di ciò che avevano affrontato. «Ha a che vedere con Olivia.»
 
«Di che si tratta?»
 
A quel punto, Liam tacque e rimase taciturno per un tempo lunghissimo, durante il quale il fratello minore non seppe indovinare la ragione dei suoi indugi per quanto si sforzasse di trovarne una. Non c’era nulla che non andasse nella donna che era solito chiamare cognata ed era fermamente convinto che, se anche si fosse scoperto che aveva un passato torbido alle spalle, nulla avrebbe potuto cambiare la stima e la fiducia che nutriva per lei e per ciò che era stata in grado di costruire da che era entrata a far parte del loro nucleo familiare. Era curioso, si disse mentre attendeva la comunicazione del fratello, che Liam tentennasse in maniera tanto vigorosa, vigorosa al punto da ponderare le sue parole come se temesse la sua reazione.
 
Per quanto legittimi fossero i dubbi di Killian, che conosceva il fratello come e forse meglio dell’anima sua, però, non avrebbe giudicato la situazione con altrettanta leggerezza se avesse saputo ciò di cui Liam era oramai a conoscenza. Il più grande dei due distolse l’attenzione da quegli occhi, così simili ai suoi, che lo imploravano di mettere fine a quel silenzio e si volse in direzione del giardino quel tanto che bastava ad accogliere con letizia l’alito di vento fresco che passò vicino a loro, giovevole.
 
Risalivano a poche notti prima gli eventi di cui Liam desiderava disperatamente disquisire col fratello, quando la moglie si era decisa a far cadere definitivamente l’ultimo velo d’ombra che esisteva tra di loro. In un accesso di sincerità, dettato dalla stanchezza per avere a lungo taciuto, dal senso di colpa o, più probabilmente, dal lindore innato di cui brillava il suo animo, Olivia gli aveva confessato di essere stata legata a lui non solo dalle trame metafisiche del fato, bensì anche dalla mano e dal volere terreno di una donna che mai più Liam avrebbe voluto sentire nominare; la stessa che tormentava ancora i suoi sogni e faceva vacillare la consapevolezza che aveva di sé tutte le volte che rimirava il suo riflesso nello specchio. Emma Swan, la donna pirata che aveva irrimediabilmente cambiato la sua vita, era l’unica che avesse reso possibile tutto ciò che aveva di più bello e caro al mondo. Proprio lei, che avrebbe voluto odiare e cancellare per sempre dai suoi ricordi, aleggiava ancora ai margini della sua esistenza come un fantasma troppo mordace per essere scacciato via a suon di suppliche. Com’era possibile?
 
Olivia gli aveva descritto nel dettaglio l’intreccio che legava le loro vite in maniera tanto stretta, rendendolo partecipe di una porzione del suo passato che, fino a quel momento, ella aveva preferito tacere. Ingenuamente, Liam aveva sempre pensato che quelle memorie nascondessero troppo dolore per essere anche soltanto pronunciate a voce alta e, altrettanto scioccamente, non aveva mai forzato la mano, risoluto che presto o tardi, quando fosse stata pronta, sarebbe stata lei stessa a venire da lui per eliminare anche quell’ultimo segreto. Mai avrebbe potuto immaginare che buona parte di ciò che non conosceva potesse avere sembianze per lui tanto familiari e, al contempo, dolorosamente estranee. Le due si erano conosciute, stando al racconto della moglie, sulla via per Telos: Olivia e la sua famiglia avevano accolto Emma per fornirle l’aiuto di cui aveva abbisognato senza chiedere nulla in cambio. Com’era tipico del pirata, si era fatta strada nei loro cuori, finché non avevano finito per rimanere stregati dal mistero e, insieme, dalla rude schiettezza che emanavano da lei, impossibilitati a negarle alcunché. La amavano come se fosse di famiglia, gli aveva detto Olivia. E poco importava che una parte di loro fosse sempre stata consapevole di non aver avuto accesso alla versione più completa di tutta la storia, poiché di Emma avevano intravisto l’essenza e, da persone semplici quali erano, tanto era bastato.
 
I loro sentieri si erano separati bruscamente, quando – e qui Olivia aveva fatto una pausa a metà tra l’imbarazzato e il sollevato – suo fratello Killian era piombato in casa loro. Killian?!, aveva chiesto con fare sgomento Liam solo per sentirsi rispondere che, sì, era proprio di lui, il bel tenente dalla mascella squadrata e il portamento combattivo, che stava parlando. Era stato un incontro fugace, così breve e superficiale che Olivia non faticava a comprendere per quale ragione egli non l’avesse immediatamente riconosciuta quando si era presentata alla loro porta poco più di un anno prima. Al tempo in cui i loro destini si erano brevemente sfiorati, Killian aveva avuto priorità diverse e di gran lunga superiori per prestare attenzione al volto di quella giovane di famiglia assai modesta; a quei tempi, Killian non aveva avuto altro interesse che trovare Emma affinché lo conducesse da Liam, desideroso di conoscere i dettagli di una storia che il pirata gli aveva negato quando aveva deciso di drogarlo e lasciarlo indietro.
 
Olivia aveva rivisto Emma solo parecchi mesi dopo il loro ultimo incontro e la Provvidenza aveva dovuto averla a cuore per mettere proprio il pirata sulla sua strada. Unica superstite di una famiglia spezzata dalla polmonite, la giovane non aveva più avuto un tetto sulla testa, né un posto dove andare e il suo futuro le era parso tanto oscuro che, benché se ne vergognasse, aveva pensato più d’una volta di farla finita. Poi, era arrivata Emma, l’aveva presa con sé e, insieme alla sua ciurma di matti, l’aveva portata in salvo. Infine, l’aveva condotta a Thrain e l’aveva indirizzata verso i fratelli Jones, presso i quali aveva trovato molto di più che il semplice aiuto che si era aspettata. Aveva trovato l’amore, una famiglia e, soprattutto, una nuova versione di sé. Il resto era storia.
 
La reazione di Liam aveva tardato ad arrivare, o, meglio, si era palesata nelle forme di un silenzio impenetrabile. Mille riserve, mille domande e altrettante risposte gli erano passate per la mente nei tre giorni di mutismo che erano seguiti a quel racconto. Una mattina, alfine, si era risolto a parlare con Olivia per dirle che non importava come fosse arrivata a lui, purché l’avesse al suo fianco e, con lei, il loro bambino; e, per la prima volta da anni, era riuscito a lasciare andare la rabbia e la frustrazione alle quali si era così disperatamente aggrappato dal suo ritorno a Thrain. Finalmente, era riuscito a lasciar andare Emma, sciogliendo, così, la presa che ella aveva esercitato su di lui incessantemente. L’ultimo barlume di preoccupazione che lo tormentava ancora aveva a che vedere con suo fratello: benché non ne avessero parlato apertamente, Liam conosceva Killian tanto intimamente da poter dire che l’altro non fosse ancora felice, prigioniero delle conseguenze di ciò che era stato. In cuor suo, sapeva che i sentimenti del fratello per la donna che egli aveva amato a sua volta fossero ancora lì, profondamente radicati nel suo cuore al punto da impedirgli di scacciarla dai suoi pensieri. Poteva leggerglielo negli occhi ogni qualvolta una giovane si approcciava a lui e, nel confronto con l’immagine di donna che ancora conservava nella mente, Killian non riusciva a ricambiare le attenzioni altrui. Era ostaggio di se stesso e dei suoi desideri, di ciò cui segretamente anelava ma non si era ancora concesso di volere davvero, poiché le implicazioni di quella scelta sarebbero state molteplici e difficili a modo loro: accettare ciò che il suo istinto gli suggeriva avrebbe significato ammettere che Emma lo avesse cambiato più a fondo di quanto non avessero pensato all’inizio, cambiato al punto da doversi reinventare e trovare nuovamente il suo posto nel mondo. Alla luce di tutto ciò, Liam si chiedeva quale giovamento avrebbe potuto trarre l’altro dal suo racconto, benché detestasse mentirgli.
 
Tornando a concentrare la propria attenzione sul viso del fratello, ne scrutò i tratti e ne scandagliò le profondità dello sguardo per scoprire che, sì, quella nube d’oscurità era ancora dove l’aveva lasciata l’ultima volta. D’un tratto, il proposito di confessargli tutto parve mutare e, con esso, la modulazione dei suoi lineamenti. L’espressione del suo volto si distese, mentre prendeva la sua decisione: non era ancora giunto il momento di parlargliene.
 
«Non so come dirtelo,» tergiversò, «ma ha intenzione di presentarti una delle sue più care amiche.»
 
Killian lo studiò brevemente, consapevole che ci fosse molto più di quello ma ben lontano dal comprendere la verità. Infine, gli rese un’espressione a metà tra il divertito e l’esasperato. «Sembra l’occupazione preferita di tua moglie da quando ha fatto il suo ingresso in società. Non ti pare il caso di distoglierla?»
 
Liam rise brevemente. «In sua discolpa, mi sento di dire che non è tutta farina del suo sacco. Temo che buona parte di quelle donne si sia avvicinata ad Olivia nella speranza di arrivare a te.» Stava dicendo la verità, ma lo fece con un tono di scherno che gli costò un colpo alle costole. «Peccato che abbiano messo gli occhi su uno scapolo incallito! Non hai ancora pensato di sistemarti, vero?»
 
«No, non ci ho mai pensato,» rispose d’impulso, ma l’ultima parola fu seguita da un sospiro ricco di implicazioni. C’era stato un momento in cui aveva desiderato essere parte di qualcosa di più e con un’intensità tale da far male ancora adesso, poiché aveva l’impressione di essersi lasciato sfuggire un’occasione. Scacciò via quel pensiero rapidamente com’era venuto. «Sai che non sono proprio il tipo da una donna sola,» disse, tornando a guardare il fratello, ed entrambi percepirono la falsità nelle sue parole. «Ma devo ammettere che quella Rosalinda non è niente male.»
 
«Chi non è niente male?» fece la voce di Olivia, il viso arrossato dall’attività fisica, Theodore tra le braccia.
 
«Eccolo qua, il mio ometto,» esordì Killian, gli occhi illuminati da una luce tutta nuova, mentre il bambino si sporgeva verso di lui affinché lo prendesse. Non se lo fece ripetere due volte! «Andiamo,» disse, spingendo il piccolo in aria quel tanto che bastava a provocarne il riso. «Lo zio ti porta a fare un giro a cavallo.»
 
L’urletto di approvazione che riprodusse Theodore allarmò Olivia. «Killian, sta’ attento,» gli urlò dietro, mentre questi scendeva le scale muovendo la mano al suo indirizzo come per tranquillizzarla. La giovane portò lo sguardo sul marito, prima di alzarsi sulle punte e lasciargli un bacio sulla guancia. Liam sorrise. «Di chi stavate parlando?»
 
Gli occhi di Liam stavano seguendo ancora la sagoma del fratello che attraversava il giardino con in braccio suo figlio, quando rispose alla domanda della moglie. «Di Rosalinda. Pare che abbia attirato l’attenzione di Killian,» fece, ma si affrettò ad aggiungere: «Non farti troppe aspettative, Olivia. Sai com’è mio fratello!» Finalmente, si volse a guardarla, convinto di trovare sui lineamenti della giovane l’entusiasmo che una notizia del genere avrebbe destato in altre circostanze, ma si sorprese nel trovarla pensierosa. «Da dove viene tutta questa pacatezza?» si prese gioco di lei.
 
«Io credo che il cuore di tuo fratello sia già preso, amore mio,» sentenziò con lucida convinzione e lo sorprese. «Gli hai detto nulla della nostra conversazione?» domandò con una punta di tensione nella voce e annuì, quando Liam fece segno di no con il capo. «Ne sono contenta,» disse, «perché vorrei essere io a parlargliene.»
 
Liam non avrebbe potuto essere più sorpreso. «Tu?!» fece, scostandosi da lei per guardarla meglio in volto. «Perché mai?»
 
Lo sguardo che Olivia gli rivolse fu penetrante e parve scandagliare i più profondi recessi della sua anima, senza lasciargli via di scampo. «Ci sono cose di cui tu e tuo fratello non riuscite a parlare, alcune delle quali non discuterete mai probabilmente perché fa troppo male per entrambi. Emma è uno di quegli argomenti.»
 
Quel nome gli provocò uno spasmo di dolore. «Se solo sapessi quello che ci ha fatto, amore mio…»
 
«Ma io so!» Per l’ennesima volta in pochi giorni, Olivia lo sgomentò al punto da togliergli le parole di bocca. Ella lo guardò con un sorriso indulgente, carezzandogli il viso con infinita tenerezza. «Durante il viaggio verso Thrain, mi ha raccontato tutto: tutto quello che ha passato, tutto quello che vi ha costretti a sopportare, tutto quello che di terribile c’era da sapere… Beh, lo so!»
 
«Perdonami! Non avevo pensato foste tanto amiche dal racconto che mi avevi fatto l’altra sera.»
 
Ella sorrise con condiscendenza, ancora una volta. «Non lo ha fatto per amicizia, ma per prepararmi all’incontro con voi due. Credo che immaginasse il vostro stato e non voleva che mi approcciassi nel modo sbagliato. Diciamo che mi ha evitato l’imbarazzo di dire la cosa sbagliata al momento sbagliato.» La vena all’altezza del collo di Liam prese a gonfiarsi in un chiaro segno di alterazione. Allora, Olivia gli prese la mano e se la portò al petto, chinando il capo quel tanto che bastava a posare un bacio lieve sulle nocche di lui. «Non odiarla, ti prego,» fece in tono supplichevole. «Hai visto anche tu che c’è del buono in lei e avevi ragione: in un percorso costellato di sangue e brutture, ha fatto anche del bene. Ha fatto sì che tu e Killian vi ritrovaste, mi ha salvata da morte certa, ha fatto sì che ci incontrassimo. So che-»
 
«Non la odio,» la interruppe, sospirando amaramente. «Ed è per questo che la detesto di più. Nonostante tutto quello che ci ha fatto, non riesco ad odiarla, non riesco a non volere il suo bene e quello di Henry.»
 
Olivia sorrise all’indirizzo dell’uomo che amava anche per la sua infinita bontà: aveva compreso già da un pezzo che Liam doveva aver amato Emma nel tempo in cui era stato a bordo della sua nave, ma non provava alcuna gelosia a riguardo, poiché sapeva con certezza assoluta che l’uomo che aveva sposato non avrebbe mai potuto capire e, dunque, amare davvero Emma per ciò che era; tanto da rendere il loro un amore solo per metà, in quanto abbisognava di uno sforzo per completarsi e finiva comunque per rimanere imperfetto.
 
«Credo che Killian dovrebbe andare da lei,» disse infine, ma Liam scosse il capo.
 
«Ha già provocato abbastanza dolore alla nostra famiglia,» fece, risoluto, e, quando tornò a guardarla, Olivia seppe che avesse preso già la sua decisione. «Dobbiamo fare in modo che incontri Rosalinda e lasciare che si conoscano.»
 
Olivia osservò con fare intento il marito per una manciata di istanti e, quando si risolse a parlare, lo fece con tono battuto ma non ancora sconfitto. «Come desideri!»
 
*  
«Ci guardano tutti!»
 
La voce proveniva dalla donna che Killian portava sotto braccio e, sbirciandone l’espressione entusiasta, l’uomo rise debolmente. Con passo ponderato, attraversarono il salone gremito di gente, salutando con un cenno ossequioso del capo ora quello ora quell’altro dei rispettivi conoscenti, e si fecero largo tra la folla. Non erano di certo la coppia più eminente presente in sala e, tuttavia, erano in grado di destare attenzione più di tutte le altre poiché rappresentavano una novità. Non vi era un solo uomo o donna che non si fosse sentito sgomentato nell’apprendere la notizia del fidanzamento tra il neo eletto capitano Killian Jones e la figlia di uno dei più illustri commercianti di Thrain, Gonzalo Bravo. Rosalinda era un fiore in boccio dai colori tipicamente latini: pelle olivastra, occhi e capelli scuri, labbra carnose, aveva da poco compiuto ventuno anni, raggiungendo, così, l’età più propizia per un matrimonio vantaggioso sia per sé che per la famiglia. Killian, dal canto suo, rimaneva uno degli scapoli più ambiti della città e, pur con i suoi trentatré anni, nessuno aveva dubitato della fortuna di Rosalinda quando, dopo mesi di frequentazione, lui aveva deciso di impegnare la sua parola e chiederle la mano. Li separavano più di dieci anni, ma era soltanto un dato anagrafico: in realtà, non esisteva giovane donna che riuscisse a sortire un effetto tanto potente su di lui.
 
«Invidiano la mia fortuna,» le disse con tono lusinghiero, ma Rosalinda era più furba di così e captò la nota ironica nella sua voce. Per questo, gli lanciò un’occhiata di rimprovero, sebbene non ci fosse risentimento sul suo bel viso: in verità, amava quell’aspetto di Killian. «Sarò costretto a vigilare come un cane da guardia per impedire che qualcuno ti sottragga al mio braccio.»
 
«Non vorrai mica tenermi al guinzaglio tutta la sera!»
 
«Non credo sarebbe possibile, nemmeno se lo volessi,» rispose e lo fece usando le parole giuste. Rosalinda era stata cresciuta da un padre amorevole che non le aveva mai negato nulla e da una madre forte che le aveva insegnato a non sottomettersi mai a nessuno. Da questo connubio, era venuto fuori il carattere tenace e, insieme, gentile della donna che Killian aveva scelto di sposare.  «Ma sappi che ti terrò d’occhio!»
 
Ella gli diede un lieve buffetto sul dorso della mano, mentre si accostavano ad una coppia di amici. Erano entrambi due individui dalla forte personalità e la rete delle loro amicizie – più o meno forti che fossero – si estendeva in maniera piuttosto vasta. Rosalinda aveva spesso riflettuto sul numero di invitati che sarebbero stati presenti ai loro ricevimenti, quando si fossero trasferiti nella casa che Killian aveva progettato di prendere perché vi si trasferissero dopo la celebrazione del matrimonio, e l’idea di tutta quella confusione l’aveva rallegrata e fatta sorridere in anticipo; ma c’erano anche altri pensieri che avevano più frequentemente occupato le sue fantasie, facendola arrossire violentemente quando si spingeva più in là del dovuto. Amava con sincerità e devozione l’uomo che aveva scelto per condividere la sua vita ed era stata una sorpresa per lei che, di pretendenti, ne aveva respinti più di quanto la sua famiglia potesse permettersi. I suoi genitori, tuttavia, non gliel’avevano mai fatto pesare, anzi erano parsi al contempo fieri e sollevati quando si era dimostrata perentoria nel rigettare la prospettiva di maritare qualcuno soltanto per la sua posizione sociale: un’unione vantaggiosa avrebbe certamente reso più facoltoso il nome della loro famiglia e contribuito alla solidità economica del loro nucleo, ma il padre l’amava troppo per lasciarla andare tanto presto e la madre era orgogliosa di aver cresciuto una figlia sì decisa da sapere cosa fosse meglio per lei. Quando Killian era giunto nelle loro vite, dunque, con la sua schietta bellezza e il suo fare onesto, non c’erano state obiezioni ed era parso a tutti loro che il tempo e la pazienza li avessero ricambiati, poiché la famiglia Jones godeva di grande rispetto e le loro finanze, benché in fase di assestamento, si sarebbero risollevate rapidamente, anche col loro aiuto se questo si fosse reso necessario.
 
Trascorsero una serata piacevole come molte altre ve ne erano già state, entrambi raggianti nella novità della loro condizione e nella gioventù che emanava dai loro volti. Danzarono, chiacchierarono, bevvero e discussero perfino d’affari, dando l’impressione di essere una coppia molto promettente e ben assortita. Rosalinda conosceva il meccanismo degli affari, poiché vi era stata abituata per una vita intera, e Killian sapeva come trattare a seconda delle persone che aveva innanzi, intuendone le debolezze e i punti di forza e sapendo gestire la conversazione per compiacere ciascuno di loro e fare, al contempo, il suo interesse. Erano un ingranaggio perfettamente assemblato ed egregiamente funzionante. Quando si erano conosciuti per intercessione di Olivia, nessuno dei due avrebbe mai potuto immaginarlo, men che meno sperarlo, anche perché Rosalinda era parsa del tutto immune alle attenzioni di Killian all’inizio. La verità – che gli aveva rivelato solo molto tempo dopo – era che la sua condotta distante e altezzosa era stata solo un modo per nascondere il nervosismo che provava in presenza dell’uomo. Che proprio quel suo modo di fare avesse finito per essere un’arma centrale per incatenarne l’interesse era stato solo un caso!
 
«Sono molto felice,» gli rivelò lei con candore, un attimo in cui ebbero il tempo di appartarsi nel salone senza nessuno ad interromperli. A poca distanza dal punto in cui si trovavano, stava solo un gruppo di uomini della marina, compagni di Killian, del tutto assorbiti dalla loro conversazione. Non stavano prestando alcuna attenzione a loro due. «Tu lo sei?» Killian si chinò per baciarla sulle labbra, indugiando su di esse quel tanto che bastava a farla fremere tra le sue braccia. Poi, si fece indietro e sorrise compiaciuto. «Non è una risposta, ne sei cosciente?»
 
«Sì,» fece lui con un sospiro che Rosalinda non seppe interpretare, «sono felice.»
 
«Sai, stavo pensando» disse lei, mentre la mano di Killian le carezzava il fianco con fare lascivo ma senza dare troppo nell’occhio, «che mi piacerebbe chiamare il nostro primo figlio Henry. Dargli il nome di mio padre sarebbe-»
 
Le parole le morirono in gola, quando alzò gli occhi per scrutare l’espressione dell’uomo che amava: era sbiancato e i suoi occhi si erano velati di un sentimento tenebroso del quale lei non sapeva nulla. Una prima ondata di imbarazzo la colpì con violenza, imporporandole le guance del rosso della vergogna per aver tirato fuori un argomento pieno di tante implicazioni; poi, subentrò la curiosità e con essa il desiderio di comprendere il perché di una simile reazione. Possibile che giudicasse la sua proposta irrispettosa delle tradizioni? No, non aveva alcun senso conoscendolo. Che si fosse dimostrata troppo precipitosa a tirare fuori un argomento tanto impegnativo, considerato il fatto che non fossero ancora sposati? L’idea di essere risultata inappropriata la fece arrossire ancora e più intensamente, ma Rosalinda era una donna fin troppo sicura di sé per lasciare che uno scivolone pregiudicasse del tutto l’andamento della serata. Ricomponendosi, gli sorrise con una noncuranza rovinata solo dal colorito acceso delle gote.
 
«Lascia perdere! Sono i deliri di una sciocca che ha bevuto qualche sorso di vino di troppo,» si giustificò con tono rassicurante, ma l’espressione rimase immutata sul volto dell’altro. «Vado a rinfrescarmi un attimo. Torno subito!» Lo baciò brevemente prima di andarsene.
 
Killian non si mosse di un solo passo. Una parte di lui era in collera per il suo comportamento, poiché sapeva di aver mortificato Rosalinda con la sua reazione e, ancora peggio, col suo silenzio; ma l’altra parte era rimasta congestionata dalle mille implicazioni che le parole di lei avevano avuto alle sue orecchie. Si era illuso di aver relegato buona parte di ciò che più lo tormentava in una porzione ben lontana della sua mente, ma evidentemente non era così se la pronuncia di un nome – peraltro estremamente comune – poteva suscitare in lui sentimenti tanto intensi. Non se l’era aspettato, si disse, tutto qui.
 
«Sembra che abbiate bisogno di un sorso, capitano,» fece una voce a poca distanza da lui, prima che Finnick, uno dei suoi soldati, si facesse avanti, porgendogli un bicchiere. Killian lo prese senza pensarci e bevve avidamente. «Le donne hanno questo incredibile potere di farti contorcere le budella da un momento all’altro,» commentò col suo solito modo di fare colorito e gli strappò un sorriso.
 
«Come procede la serata, Finnick?» gli chiese, ritrovando parte della compostezza perduta. «Novità interessanti da riferirmi?» Inaspettatamente, l’espressione dell’altro si fece tetra, dando l’impressione di essere a disagio. «Che succede, Finnick?» lo incalzò, impaziente.
 
Il giovane si guardò intorno, impacciato. «Credo sia meglio che lo sappiate da me, che non da altra fonte,» esordì, tirandola per le lunghe più di quanto fosse necessario. Killian lo guardò con insofferenza, la fronte aggrottata come accadeva tutte le volte che si preparava ad incassare un colpo: era un’espressione che Finnick gli aveva visto assumere in più occasioni, stando al suo comando. Raccogliendo tutto il coraggio che aveva in corpo, si decise a parlare, infine: «Pare sia stata avvistata la Nostos.»
 
La sorte sapeva mostrare un’ironia sardonica alle volte. «Quando?»
 
«Circa un mese fa. Erano quattro anni che non se ne avevano notizie e tutti, pirati compresi, pensavano che fosse affondata nel corso di una tempesta e il diavolo si fosse portato quelle anime dannate in fondo al mare. Ma, come si suol dire, l’erba cattiva non muore mai!»
 
«Dove?»
 
«Al largo, molto lontano dalla costa,» disse, bevendo dal bicchiere che aveva in mano fino a svuotarlo. «Pare sia stata la ciurma di Barbanera ad incrociarne la rotta e la sorpresa è stata tale che la notizia si è dispersa a macchia d’olio, quantomeno tra i pirati. C’è voluto un po’ di più prima che la voce arrivasse a qualcuno dei nostri!»
 
Killian inspirò, indeciso sulle domande da porre. Finnick poteva scambiare la sua tensione come fosse dettata dal ricordo degli orrori che si supponeva lui e Liam avessero subito negli anni a bordo della Nostos, ma Killian non avrebbe potuto mentire a se stesso con altrettanta facilità. Erano plurime e contrastanti le ragioni che muovevano la sua curiosità, al punto che spesso essa assumeva le sembianze dell’apprensione. Ma a chi era rivolto quel sentimento? A Liam e alle conseguenze che una notizia del genere avrebbe avuto su di lui, a Henry, a Emma, o a se stesso?
 
Togliendolo dall’imbarazzo di chiedere, Finnick parlò ancora: «E’ vivo,» disse, «Capitan Swan è vivo.»
 
*
 
Killian si appoggiò al parapetto del balcone che dava sul giardino come se reggersi sulle gambe gli costasse uno sforzo immane, lo sguardo in basso ad osservare un punto imprecisato tra la balaustra e l’acciottolato al di là di essa. Non era possibile!
 
«Mi dispiace, Killian!» La voce di Olivia parve arrivare da molto lontano, mentre gli posava timidamente una mano sulla spalla con fare consolatorio. «Non avrei mai voluto mentirvi, ma Emma mi ha fatto promettere-»
 
«Ma certo che ti ha fatto promettere!» sbottò a voce fin troppo alta, tanto che alcuni degli invitati più prossimi alla porta-finestra che dava sul balcone ove si trovavano lui e Olivia si voltarono per capire cosa stesse succedendo. «Perdonami,» si scusò e la cognata gli sorrise.
 
«Non ho nulla da perdonarti. E’ una reazione piuttosto comune perdere le staffe quando c’è lei di mezzo,» fece e Killian, suo malgrado, dovette annuire. Dopo una lunga pausa, proseguì: «Come stai?»
 
Una risata seguì quelle parole, breve ma densa di significato. Olivia vi lesse esasperazione, frustrazione, confusione, forse perfino una punta di delusione ed erano tutti sentimenti che Killian indirizzava a se stesso e a nessun altro. In quei quattro anni, non aveva fatto altro che preoccuparsi per il benessere del fratello solo per potersi concedere il lusso di evitare i problemi che lo interessavano in prima persona; ad un certo punto, aveva messo in pausa tutto ciò che lo riguardava e solo l’arrivo di Rosalinda era riuscito a muovere gli ingranaggi giusti perché il meccanismo della sua vita tornasse a funzionare. Doveva essere devastante realizzare che, dopo tanti sforzi, fosse bastato un istante per ripiombare nel caos che si era tanto affannato a riordinare. Tutto quello stoicismo solo per rendersi conto che non era in grado di rispondere alla domanda che sua cognata gli aveva posto.
 
«Tuo fratello non vorrebbe che te lo dicessi, ma credo che tu debba partire,» confessò e lo fece con la stessa schiettezza che gli aveva sempre usato. Era una delle caratteristiche che più apprezzava in lei, probabilmente poiché era un tratto a lui familiare. «Voglio che tu sia felice con tutto il mio cuore, Killian, e mi addolora l’idea di saperti lontano da noi, ma mi provoca più sofferenza il pensiero di vederti vivere una vita a metà.»
 
«Che mi dici di Rosalinda?»
 
La domanda la colse di sorpresa, benché avesse considerato anche quell’aspetto della questione. «Mi è molto cara,» rispose e Killian si scostò dalla balaustra in pietra per poterla osservare, «ma tu sei la mia famiglia e, se fossi costretta a scegliere, preferirei la tua felicità alla sua.» La franchezza con cui ebbe a parlargli fu toccante. Olivia era una donna decisa e affettuosa e lo commosse sapere che avesse preso le sue parti prima ancora che si scatenasse l’inferno, sempre che avesse deciso di ascoltarne i consigli. «Sono disposta anche a mettermi contro tuo fratello.»
 
«Ma partire per fare cosa? Per andare dove, poi?»
 
«Non vuoi delle risposte, Killian?» gli chiese, muovendo due passi in sua direzione e squadrandolo con cipiglio serio. «E non credi che lei sia l’unica a potertele dare?» Un pensiero fugace parve attraversarle la mente, cambiando il flusso delle sue considerazioni. Killian non dovette chiedere, poiché Olivia ebbe ad esporglielo poco dopo: «Sono convinta che sarai tu stesso a trovare le risposte di cui hai bisogno,» si corresse, «ma sono anche convinta che dovresti incontrarla.»
 
«Non sono innamorato di lei, se è questo che stai insinuando.»
 
Killian era un uomo testardo e orgoglioso, Olivia lo sapeva bene, così modificò la risposta che avrebbe voluto dargli nell’unica che l’altro avrebbe mai accettato. «Ma potresti esserlo,» insinuò, beccandosi in tutta risposta un’occhiata torva. «Oppure no, chi può dirlo. Ma non preferiresti scoprirlo?»
 
«E io dovrei lasciare tutto, compresa la donna che ho deciso di sposare, e partire alla volta di una ricerca che potrebbe non portare a nulla solo per ottenere delle risposte?»
 
«Solo?» La stava esasperando. «Perdio, Killian, sei più intelligente di così! Vorresti farmi credere che il dubbio non ti ucciderebbe? E’ bastato il nome di Henry per provocarti un mezzo svenimento, dannazione.» Killian la guardò con sgomento, mentre lei inspirava per ritrovare la sua compostezza e si avvicinava a lui; poggiò entrambe le mani sulle spalle dell’uomo che aveva di fronte e gli sorrise, condiscendente. «Non sei felice. Puoi fingere con te stesso, ma non ho intenzione di continuare con questa farsa. E non parlo solo della tua vita sentimentale. Tu non sei felice qui, a Thrain. Non sei felice di quello che fai, di quello che sei diventato. Non lo sei e basta.»
 
Killian si chiese quando Olivia avesse scoperto tutte quelle cose sul suo conto e dove avesse trovato la sicurezza per parlargli in quel modo. Nel guardarla, le immagini del loro primo incontro tornarono alla sua mente con una vividezza tale che si chiese come avesse potuto non riconoscerla per tanto tempo. Aveva sempre pensato che il volto di lei gli fosse familiare in una strana maniera che non si era mai riuscito a spiegare, ma aveva imputato quella sensazione allo stordimento di cui era stato vittima: nei primi tempi del loro ritorno a Thrain, ogni cosa gli aveva ricordato le avventure a bordo della Nostos: il volto di un venditore di chincaglierie, il cigolio dell’insegna di una locanda, la voce di un cantore, perfino i giardini di casa sua erano parsi rassomiglianti a quelli di Casa Lively. E quei continui accostamenti erano stati così fiaccanti per il suo equilibro che, ad un certo punto, aveva dovuto ricacciare tutto indietro e respingere al mittente ogni rimando che la sua mente avesse fatto. Ecco perché non aveva indagato ancora su Olivia! Era già sufficientemente doloroso sentirsi costantemente tormentato dal fantasma di Emma, che vedeva ovunque, per trasferire quell’insania su un’altra persona innocente e tormentare anche lei.
 
«E’ solo difficile aggiustarsi ad una realtà che è rimasta identica al passato, quando tu sei tanto cambiato. Richiede tempo,» la rassicurò, o, forse, lo fece più per consolare se stesso.
 
«O forse no,» fece lei, imperterrita. «Forse, devi solo smetterla di trovare scuse, ascoltare l’istinto e fare ciò che ti suggerisce, per quanto folle possa sembrare. In ogni caso, potresti sempre tornare e riprendere da dove hai lasciato.»
 
Sapevano entrambi che non fosse così facile. Non tutto poteva essere messo in pausa nell’attesa che lui trovasse le risposte di cui aveva bisogno. Non poteva mettere in pausa Rosalinda, ad esempio, e chiederle di aspettare un ritorno che avrebbe potuto non verificarsi mai. Ma Olivia aveva la sua buona dose di ragione a parlargli in quei termini, poiché, allo stesso modo in cui mostrava cura e attenzione per la sorte altrui, Killian non poteva ignorare i suoi, di bisogni. Il problema era capire quali essi fossero e, laddove vi avesse trovato contrasto, quali di essi far prevalere. Di una cosa, infatti, era certo: non avrebbe mai chiesto la mano di Rosalinda se non fosse stato sicuro di poter essere felice con lei al suo fianco, se non avesse creduto possibile un futuro con lei. Rimaneva da vedere se quello fosse il suo unico desiderio o quello per il quale aveva ripiegato dopo aver rinunciato ad un’alternativa altra.
 
«Ti ringrazio,» fece e, prendendole il viso tra le mani, le baciò la fronte. «Non avrei potuto chiedere di meglio per mio fratello.»
 
Era amara la consapevolezza che Emma lo avesse previsto a sua volta.
 
«Killian?» La voce di Rosalinda pose fine a quel momento di condivisione fraterna. «Tutto bene?» chiese, turbata dalla scena.
 
Olivia si scostò da lui, sorridendo all’indirizzo dell’amica. «Certo. Perdonami per avertelo rubato tanto a lungo,» si scusò, raggiungendola per prenderle le mani con fare affettuoso e, infine, lasciandoli soli.
 
«E’ a causa di quello che ho detto prima? Mi dispiace, Killian, sono stata una-»
 
«Non è come pensi,» la interruppe. «E’ una questione di famiglia,» disse, ma, anziché fornire una giustificazione che la sollevasse, finì per ferirla.
 
Rosalinda lo guardò con espressione avvilita. «E io non ne faccio parte, non è così?»
 
“Non ancora, a voler essere precisi” avrebbe voluto risponderle, ma fu più lungimirante di così. Le sorrise con grande tenerezza, quella che a tutti gli effetti provava per lei, e le andò incontro per cingerla con le braccia e stringerla a sé. Dopo un attimo di resistenza, ella si lasciò andare contro di lui e lo abbracciò a sua volta, il viso accostato contro il suo petto. Killian non poté fare a meno di notare quanto diversa Rosalinda fosse da Emma: in tutto il tempo che erano stati insieme sulla Nostos, ricordava di averla stretta solo in un’occasione, dopo la morte di Stecco, ma non c’era stata alcuna tenerezza tra di loro, bensì la più acre devastazione. Si era spezzata tra le sue braccia sotto il peso di ciò che aveva dovuto affrontare per tutta la vita e non perché avesse fiducia in lui, piuttosto poiché Killian era stato l’unico a spingere affinché la sua recita giungesse a una fine e, quando ciò era accaduto, si era trovato sul luogo della disfatta. Occorreva una buona dose di tempo e pazienza per ottenere da Emma una dimostrazione di tenerezza e, anche in quel caso, era la fiducia che nutriva nella persona a manovrare le sue azioni. Fiducia, in Killian, non ne aveva mai avuta, non pienamente. L’aveva sempre visto come l’ostacolo che avrebbe finito per impedirle di realizzare il suo piano e, forse, non aveva avuto tutti i torti. Se non fosse stata per la sua ostinazione a fare la cosa giusta, probabilmente Stecco non sarebbe morto per mano dell’uomo che Killian era stato incaricato di finire. Si chiese se Emma gli attribuisse la responsabilità della sua perdita.
 
«A cosa stai pensando?»
 
Killian chiuse gli occhi e si morse il labbro inferiore nel realizzare che, ancora una volta, i suoi pensieri fossero tornati ad Emma. Era una maledizione, si disse. Bastava un istante di distrazione, la frazione di un secondo in cui abbassava le difese, e lei tornava prepotentemente a farsi spazio nelle sue riflessioni; e più la scacciava, più intensità acquistavano le sue elucubrazioni su di lei. Chinò il capo verso la donna che stringeva a sé, così fragile, aperta e, al tempo stesso, tenace e si chiese per quale ragione non riuscisse a farsela bastare, per quale ragione continuasse a notare in lei gli aspetti che più la distinguevano da Emma e a rimanerne deluso. Rosalinda gli era cara e avrebbe potuto amarla, ne era convinto, se solo Emma non fosse arrivata prima a creare un modello di paragone al cospetto del quale tutte le altre – perfino colei che lo aveva convinto a piegarsi all’istituzione del matrimonio dopo tanti anni – finivano per sfigurare. Ed era ancora più frustrante avere la consapevolezza che Rosalinda fosse di gran lunga una donna migliore di Emma, priva degli aspetti di biasimo che, invece, sapeva appartenessero all’altra. Il problema, probabilmente, era che, più del buono, Killian avesse imparato ad ammirare il cattivo tempo di Emma, poiché vi aveva scorto una tenacia, una forza ed un coraggio che sapeva di non possedere nemmeno lui. Ma era abbastanza per cancellare la riprovazione che gli provocavano le sue azioni, per consentirgli di provare per lei ciò che non si era mai concesso di provare per nessuna, soprattutto per lei?
 
«Vieni con me.»
 
La prese per mano e, senza indugiare ancora, la condusse attraverso la rampa di scale che conduceva ai giardini della tenuta. Rosalinda lo seguì senza dire una parola, lavando via con la mano libera le lacrime che non era riuscita a trattenere quando si era retta a lui. Forse aveva pensato che fosse troppo giovane e ingenua per porsi delle domande, ma ella aveva sempre sospettato che l’uomo che amava gli nascondesse qualcosa. Aleggiava tra loro come un fantasma che le impediva accesso al cuore di Killian. Non sapeva se si trattasse di un amore finito male che l’aveva segnato, di un trauma risalente al passato che non aveva ancora metabolizzato o di un evento ancora in corso di cui non aveva avuto il coraggio di parlarle. Qualunque cosa fosse, ella temeva che potesse rovinare ciò che avevano costruito.
 
Killian le fece circumnavigare la grande fontana presente in giardino, cosicché le statue da cui venivano fuori i giochi d’acqua nascondessero le loro sagome agli occhi indiscreti che si fossero avventurati sulla balconata. Quando posò lo sguardo sul viso di lei e ne notò il rossore, la sua espressione acquistò una sfumatura colpevole e, guidato dall’istinto, si fece avanti per baciarla. Prendendole il viso, infierì sulla sua bocca con una passione che non le aveva mai mostrato e, nonostante la sorpresa iniziale, Rosalinda rispose con eguale ardimento. Entrambi nutrivano la speranza che quel bacio potesse cambiare qualcosa: Killian desiderava che fosse abbastanza per scacciare dalla mente il tarlo che Olivia vi aveva posto, quella vocina che lo supplicava di partire alla ricerca del suo posto nel mondo; Rosalinda, dal canto suo, sperava di dimostrargli di essere la persona di cui aveva bisogno, quella che sarebbe rimasta al suo fianco sempre, non importava quanto male potessero mettersi le cose. La verità era che non esistevano al mondo due anime tanto compatibili quanto le loro e che sarebbero stati perfetti insieme, l’esatto connubio tra razionalità e sentimento di cui una coppia abbisognava per durare nel tempo. Sarebbero stati perfetti, ma in un’altra vita. In quella, il destino aveva già deciso che Killian non potesse amarla come lei meritava, neppure se si fosse sforzato. Quando si staccò da lei, l’uomo sentì il suo cuore andare in frantumi.
 
«Devo partire,» le disse senza troppi preamboli e le sue parole le mozzarono il fiato. «Non posso rimanere.»
 
«Hai, hai qualche problema con la giustizia?» balbettò Rosalinda, nonostante si rendesse conto dell’improbabilità della situazione che aveva descritto.
 
Lui sorrise, mentre col pollice le carezzava la pelle del viso. «No, non è questa la ragione.»
 
«E allora qual è?»
 
«Non è questo il mio posto, non più,» fece, ma si rese conto di doverle una spiegazione più accurata di così. «Gli anni lontano da Thrain mi hanno cambiato e la vita che conducevo in passato, la vita che conduco adesso non mi rendono più felice.» Lei fece per controbattere, ma Killian non le diede modo di interromperlo. «So di aver detto che ero felice quando me l’hai chiesto e non ho mentito, non a te almeno. Da quando sono tornato, non ho fatto altro che mentire, sì, ma a me stesso, nel tentativo di ignorare la voce che mi implorava di sentir ragione, e tutto questo perché-» S’interruppe quel tanto che bastava a realizzare che, ancora una volta, la ragione della sua cocciutaggine aveva a che vedere con Emma. Gli aveva promesso di cambiarlo fino portargli via tutto ciò in cui credeva, la prima sera che si era svegliato sulla Nostos, delirante a causa della febbre. «Perché non ero disposto ad ammettere che una persona avesse ragione.»
 
«Di chi si tratta? Olivia?»
 
Killian scosse il capo. «Non è importante. Ti basti sapere che aveva ragione. Non posso rimanere e fingere che la mia vita vada esattamente come desidero. Negli ultimi quattro anni, sei stata l’unico barlume di verità che io mi sia concesso.»
 
«E, allora, rimani per me!»
 
«Lo vorrei davvero, Rosa,» fece, «ma non posso farti questo. Sei una donna meravigliosa e, in un’altra vita, sono sicuro che sei anche la compagna che avrei potuto amare più della mia stessa esistenza.» Una lacrima scorse lungo il viso di lei, che, pur non riuscendo ad afferrare appieno il significato delle sue parole, riusciva a scorgere il risultato cui miravano. «Ma non in questa!»
 
«Hai detto che devi partire, che non puoi rimanere,» gli fece notare con la voce arrochita dal pianto che stentava a trattenere, «non che non potessi portarmi con te. Portami con te! Chiedimelo e verrò!»
 
Un sospiro lasciò la bocca dell’uomo. «A vivere una vita di porto in porto, senza una meta, senza una casa, a bordo di quella o quell’altra nave? Oh Rosa, ti prego, non rendere tutto più difficile di quanto non sia già. Non saresti felice, finiresti per odiarmi.»
 
«Non potrei mai odiarti, lo sai. Non io.» Lo sguardo che gli rivolse conteneva tutto il dolore che una donna del suo calibro poteva provare nel sapere di aver supplicato un uomo solo per rimanere a mani vuote, come la più sciocca e inetta del suo genere. «Forse, vuoi dire che tu finiresti per odiare me, perché non sono chi vorresti che fossi.»
 
Cominciava a capire, realizzò Killian. «Non potrei, lo sai anche tu. E’ più probabile che finirei per odiare me stesso per non essere stato in grado di lasciarti andare, pur sapendo fosse la cosa giusta da fare.»
 
Per quanto forte fosse, il dolore di un cuore spezzato era troppo da sopportare per mantenere intaccata la sua maschera di donna tenace. La pena che Killian gli stava infliggendo la travolse con la forza brutale che soltanto un attacco sferrato tanto inaspettatamente avrebbe potuto avere, e lei si sciolse in un pianto che, in tutta la sua compostezza, mostrava un’atroce sofferenza. Con la dignità tipica del suo animo, nascose il volto tra le mani e lasciò che silenti singhiozzi la scuotessero da cima a fondo. Killian fece per consolarla, ma si arrestò prima di riuscire a toccarla: non le sarebbe stato di alcun giovamento.
 
«Mi dispiace,» fu tutto ciò che riuscì a dire.
 
Passarono alcuni minuti prima che Rosalinda riuscisse a trovare la forza per fronteggiare di nuovo l’uomo che amava. Aveva gli occhi arrossati e il volto gonfio a causa del pianto, ma la sua bellezza rimaneva intatta; anzi, se possibile, aveva acquisito una sfumatura drammatica tale da accentuarne i tratti. Solo uno sciocco si sarebbe lasciato sfuggire una donna del genere, si disse Killian, e in effetti tale si riteneva.
 
«Vorrei riuscire ad odiarti per quello che mi stai facendo,» gli confessò, sulle labbra un sorriso amaro. «Prima che arrivassi tu nella mia vita, ero stata così oculata nelle mie scelte per evitare che il mio cuore finisse con l’essere spezzato ed eccomi qui, innamorata dell’unico uomo che non desidera avermi al suo fianco.» Killian fece per correggerla, ma Rosalinda non glielo concesse. «Basta! Non ho alcun bisogno di sentirmi dire quanto io sia meravigliosa e perfetta o, addirittura, l’amore della tua vita in una realtà che non esiste. Finirei per vivere di una fantasia e rifuggire la vita reale e i miei genitori mi hanno cresciuta meglio di così.»
 
Nonostante la sua giovane età, Rosalinda dimostrò la tempra di cui era fatta e Killian quasi rimpianse di aver preso quella decisione e di essere stato tanto frettoloso nel comunicarglielo. Lentamente, come se una parte di lei rimanesse ancora attaccata alla speranza che fosse uno scherzo di cattivo gusto, si tolse la catenina che portava al collo e dove aveva deciso di riporre l’anello di fidanzamento che le era stato donato. Allungandosi, prese la mano di Killian e depositò il gioiello sul suo palmo. Quando tornò a parlargli, i suoi occhi fissarono quelli dell’uomo con fermezza, benché ricolmi di lacrime non ancora versate.
 
«Sappi che non rimpiango un solo istante passato con te e che non ti odio, né lo farò mai, ma che desidero ardentemente poterlo fare,» gli disse e lo strazio che le lesse in volto lo ferì più del contenuto delle sue parole. «Ti auguro di trovare quello che stai cercando, amore mio,» fece, mentre guardava gli occhi di Killian colmarsi dello stesso dolore di cui erano compunti i suoi. Erano le battute finali di una storia che era nata e finita troppo presto e troppo dolorosamente. Una lacrima lasciò gli occhi di Rosalinda, seguita da molte altre, prima che potesse parlare ancora e per l’ultima volta. Gli sorrise teneramente, poi sussurrò: «Spero di averti reso felice nell’altra vita.»
 
Rosalinda lo osservò deglutire a fatica e, infine, sorriderle a sua volta, prima di incamminarsi lontano da lei. Ella crollò seduta sull’argine della fontana, schiacciata dalla rapidità con cui gli eventi si erano succeduti. Rivide se stessa stretta tra le braccia di Killian confessargli quanto fosse felice e le sue speranze per il futuro e si sentì così stupida che dovette chiudere gli occhi e voltare il capo da un’altra parte per scacciare quella visione. Che ingenua era stata a credere di poter imbrigliare lo scapolo più ambito della città! Ma la cosa che più la feriva era che, nell’ignorare tutti i campanelli di allarme, aveva finito per rendersi ridicola e rinnegare la persona che aveva sempre creduto di essere. Che ne era stato di quella donna?
 
«Tesoro?»
 
La voce di suo padre che la cercava fu la goccia in grado di far traboccare il vaso. Senza nemmeno aspettare che le venisse incontro, Rosalinda scoppiò in un pianto disperato che riecheggiò per i giardini a lungo, come il lamento di un animale morente. Vedendola in quello stato, la madre, che di solito era una donna ruvida e poco fisica, la raggiunse prontamente e la cinse con le braccia, fornendole il sostegno di cui aveva bisogno; secca, ordinò al marito di far preparare la carrozza per tornare presso il proprio focolare domestico.
 
«Sst, piccola mia, da brava,» sussurrò con le labbra premute contro il capo di Rosalinda, sicché ogni movimento pareva un mezzo bacio dato alla figlia. «La vita non finisce per via d’un uomo,» la rassicurò e Rosalinda si stupì della perspicacia della madre, che doveva aver intuito tutto senza che fossero necessarie spiegazioni. «Il dolore che stai provando adesso sarà già sbadito domani e, ad ogni giorno che passa, ti parrà sempre più lontano, finché, una mattina, ti sveglierai e ne sarà rimasta solo una piccola traccia come monito per ricordarti che la vita può essere generosa ma anche perentoria.» Le sue, erano le parole di una donna che aveva sofferto la sua buona parte di dolori e Rosalinda, che ne conosceva solo una porzione, fu felice di averla come madre poiché le consentiva di sperare che fosse possibile rialzarsi più forti di prima. «Andrà tutto bene, te lo prometto. Io e papà siamo qui per te e ricorda che hai ancora te stessa. E’ non perdere la persona che sei l’unica arma che ti permetterà di superare ogni ostacolo.» S’interruppe un attimo. «E io sono fiera di te!»
 
All’altro capo della dimora, in un corridoio buio e isolato della casa presso la quale si teneva il ballo, Killian strinse in mano l’anello di fidanzamento che Rosalinda gli aveva restituito. Sospirando, chiuse gli occhi un istante, il battito del suo cuore forte nelle orecchie.
 
Era da lì che doveva partire.
 
*
 
Lo scroscio delle onde e lo scricchiolio delle assi della nave erano gli unici rumori udibili, quel giorno di gennaio in cui il mattino si preparava ad albeggiare. Il cielo, ancora in preda ai fumi del sonno, era tinto di un rosa tenue che sfumava in arancione, giallo e, infine, azzurro; solo più tardi il suo colore si sarebbe uniformato per fare posto alle occupazioni della giornata, benché Killian sapesse che molti fossero intenti nelle proprie faccende da ben prima che il sole pensasse di fare capolino oltre la linea dell’orizzonte. La fresca brezza del mattino gli sferzò il viso, costringendolo ad alzare il bavero del cappotto per coprirsi meglio, eppure era piacevole poiché pareva avere la meglio sulla stanchezza. Non aveva dormito molto nell’ultima settimana, tormentato dalle immagini di ciò che aveva fatto a Rosalinda e dall’incertezza che caratterizzava il suo presente, ed era stato più difficile del previsto prendere una decisione, ma, alfine, vi era riuscito: quella mattina, era iniziato il viaggio alla ricerca di se stesso, un viaggio che aveva portato solo dolore fino a quel momento. Liam era rimasto distrutto dalla prospettiva di separarsi da lui: dopo una prima reazione collerica, quando aveva intuito che i propositi del fratello fossero più che concreti, era subentrato lo sconforto. La sua espressione si era fatta portatrice di uno smarrimento che, se non fosse stato per Olivia, sarebbe stata sufficiente per spingere Killian a desistere dai suoi propositi. Se c’era qualcosa che non sopportava, era l’idea di cagionare sofferenza alla persona che più amava al mondo.
 
Alla fine, però, ce l’aveva fatta e, prima di partire, era perfino riuscito a chiarire uno degli aspetti del loro passato sul quale lui e Liam non erano mai voluti tornare. A lungo, dopo aver scoperto la successione degli eventi che avevano visto protagonista il fratello, Killian si era questo per quale ragione Liam non gli avesse fatto avere alcuna notizia, alimentando in lui la convinzione che fosse morto e causandogli una pena che sperava di non dovere provare mai più. Liam lo aveva guardato con sgomento quando l’altro gli aveva chiesto spiegazioni, intollerabilmente stupito all’idea che il suo silenzio potesse averlo ferito in qualche modo. L’unica ragione per cui non aveva ripreso i contatti con lui risiedeva nel timore che una sua lettera potesse spingerlo a lanciarsi in una sfiancante ricerca, irta di pericoli, che lo avrebbe portato ad addentrarsi in luoghi che non conosceva e ad affrontare persone che avrebbe potuto sottovalutare, andando così incontro a morte certa; quando era riuscito a sfuggire alla prigionia di Lively, invece, il suo unico timore era che la copertura saltasse e il piano di Emma potesse essere sviato, impedendole di raggiungere suo figlio. Killian aveva annuito sommessamente, comprendendo ma non condividendo tutte le motivazioni del fratello. Se solo avesse saputo cos’aveva significato per lui l’idea di averlo perduto per sempre, forse avrebbe agito diversamente, ma probabilmente quella separazione gliene avrebbe dato una vaga idea.
 
Si erano salutati con un lungo abbraccio silenzioso, poiché tra loro non c’era bisogno di parole la maggior parte delle volte. Infine, Killian si era scostato da lui e, mascherando la commozione al meglio delle sue possibilità, lo aveva raccomandato di prendersi cura di se stesso, Olivia e Theodore. Sarebbe tornato presto e desiderava che fossero tutti interi, pronti ad accoglierlo trovandolo più felice di quando l’avevano visto partire, e con un po’ di fortuna la famiglia Bravo avrebbe smesso di detestarlo. Entrambi avevano riso a quella battuta, l’ultima risata insieme per chissà quanto tempo ancora. A quel punto, Killian aveva raggiunto la nave a bordo della quale aveva deciso di imbarcarsi, un piano d’attacco stampato a chiare lettere in mente. Poi, il vascello era salpato.
 
«Non mi mancherà affatto quell’accozzaglia di ruderi,» fece un vecchio al suo fianco, mentre accendeva la pipa e si sporgeva dal parapetto per dare un’occhiata dabbasso. «E a te, ragazzo?»
 
«Mi mancherà la mia famiglia,» rispose con un sorriso divertito: quel tipo gli ricordava incredibilmente il vecchio Hank.
 
Lo vide aspirare una bella boccata di fumo, gustarlo e, infine, espirare. «Se la tua famiglia è qui, cosa ti spinge ad andare via? Sei in cerca di fortuna?» Gli lanciò un’occhiata interessata, studiandolo con attenzione. «No, non direi che te la passassi male laggiù. Cosa, dunque? Fama?»
 
«Se può avere qualche significato, me stesso.»
 
Il vecchio fermò la pipa tra i denti e batté un pugno vigoroso sul palmo dell’altra mano. «Perbacco, se ce l’ha! Un uomo deve avere le idee chiare su chi è e cosa vuole, altrimenti che ne sarà della sua vita?» Killian si sentì rincuorato dalle sue parole, come fossero di buon auspicio. «Ma dimmi una cosa,» fece e la maschera che era il suo volto provato dal sole e dalla salsedine assunse un’espressione insinuante, «c’è anche una donna di mezzo?»
 
Killian rise di cuore e, come lui, altri che avevano udito lo scambio di battute.
 
«Le donne c’entrano sempre,» fece un uomo sulla cinquantina a qualche passo di distanza da loro, sigaro alla mano. Ne offrì uno a Killian, che accettò di buon grado, e lo fece accendere. «Non conosco storia in cui non ci sia di mezzo, direttamente o indirettamente, una donna,» proseguì. «Creature pericolose, le donne. Bellissime e affascinanti, certo, ma pericolose.»
 
«Ebbene,» sbottò il vecchio, fregandosi le mani per il freddo, «parlaci di questa donna, ragazzo. Abbiamo un lungo viaggio davanti a noi e tanto vale distrarsi un po’. A proposito, qual è il tuo nome?»
 
«Killian Jones, per servirvi!»
 
«Fulmini e saette!» esclamò il vecchio e l’entusiasmo gli fece quasi cadere a terra la pipa. «Tu sei uno di quei due sciroccati che è sopravvissuto al Capitano Swan!»
 
«Sissignore,» rispose Killian, il sorriso ancora sulle labbra mentre accostava il sigaro alla bocca.
 
«Per tutti i tritoni, ragazzo, sei un maledettissimo miracolo vivente,» commentò e, come lui, molti altri annuirono, guardando Killian con una certa curiosità. «Dicci com’è. E’ davvero terribile come si dice?»
 
Killian indugiò a lungo prima di parlare, riempiendosi i polmoni alternativamente di aria salmastra e fumo. Era una domanda difficile cui rispondere con un secco sì o no, ma, guardando gli uomini nel suo raggio d’azione, comprese che ciascuno di loro si aspettava qualcosa da lui. L’interesse che aveva destato il suo nome, poco meno di un’ora dopo la partenza da Thrain, gli suggerì che in futuro sarebbe stato saggio evitare di usarlo fintanto che non fosse stato necessario. Avrebbe pensato anche a quello in seguito, ma oramai era tardi per tornare indietro.
 
«Sì, lo è.»
 
«E non temi di incontrarlo nuovamente sulla tua strada e di non essere stavolta tanto fortunato da sfuggirgli?» fece uno dei tanti attorno a lui, prendendo parte alla conversazione.
 
«A meno che questo viaggio non abbia proprio quello scopo, trovarlo e farsi trovare,» fece il vecchio con voce sommessa, quasi stesse parlando a se stesso solo usando un tono di voce più alto del previsto.
 
«Ma cosa vai dicendo, vecchio pazzo?» commentò un altro e ricevette un coro di assenso. «Solo un suicida farebbe una cosa del genere e tanto varrebbe, a quel punto, infilarsi una pistola in bocca e farla finita senza tante cerimonie.»
 
«Già. Perché farsi torturare da un pirata, se proprio si vuole morire? Io lo farei dopo una bella scopata, o magari durante,» fece un altro ancora, suscitando, stavolta, un sostegno perfino maggiore. «Dopo aver sparso per l’ultima volta il mio seme.»
 
«Tra le braccia di una bella donna tutta tette e-»
 
Da quel momento, la conversazione prese una piega del tutto diversa e Killian non avrebbe potuto esserne più lieto. Sorrise, annuì e fece alcuni commenti a sua volta, fumando placidamente il suo sigaro. Quella stessa notte, però, quando pensava che la fortuna non avrebbe potuto arridergli più di quanto non avesse fatto quel mattino, il vecchio gli si avvicinò mentre stava seduto sulle scale e lo squadrò con quel modo di fare schietto di chi non chiede scusa per essere ciò che è.
 
«E’ lei la donna della tua storia, non è così? Il capitano della Nostos, dico.» Colto di sorpresa, Killian aprì la bocca e fece per farfugliare una scusa, ma l’altro lo precedette. «Credi che non abbia sentito le voci che circolano su di lui, lei, qualunque cosa sia?» Era una domanda che non richiedeva risposta. «Inoltre, hai la faccia di uno che è stato fregato per benino e, se anche solo un tozzo di quello che si dice sul suo conto è vero, tutto torna.»
 
Non avrebbe avuto senso negare l’evidenza. «Cosa volete che vi dica? Lascia il segno!»
 
Il vecchio rise della sua battuta. «Non ho dubbi a riguardo,» commentò. «Ha mai tentato di ucciderti?»
 
«Ripetutamente,» rispose Killian.
 
«Perdio,» fece il vecchio, ridendo. «Sembra così eccitante! Ma è una bella donna o è deforme?»
 
Killian rispose senza un attimo di esitazione, quasi che le parole venissero fuori dalla sua bocca senza bisogno di essere ponderate o guidate. «E’ la più bella donna che io abbia mai visto, signor-»
 
«Virgin. Chiamami Virgin e dammi del tu.» All’occhiata sardonica che Killian gli rivolse, il vecchio non tardò a commentare: «Un nome del cazzo, lo so, ma sono stato abbastanza uomo da smentirne il significato, ragazzo, se capisci cosa intendo.»
 
Killian alzò le mani in segno di rispetto, poi torno a poggiare le braccia alle ginocchia, sovrappensiero. «Non avevo mai visto nulla di simile in tutta la mia vita, Virgin. E’ bella, è potente, è sfrontata, è determinata, è impavida, è…» indugiò un attimo, incerto su come concludere. «E’ una forza della natura.»
 
«E tu non riesci a togliertela dalla testa, anche se sai che è una specie di cancrena, una mela marcia,» fece Virgin. «Perdiana, credo che me la farei nelle mutande da tutti e due i buchi nonostante la mia età, se mai la incontrassi.»
 
Killian rise dell’immagine colorita fornitagli dal vecchio. «Le piaceresti!»
 
«Davvero?» L’altro annuì. «Presentamela! Portami con te!» Killian lo guardò con espressione poco convinta, come se stesse assistendo al delirio di un folle. «Oh, andiamo! Sono a un passo dalla tomba, mi fermo di tanto in tanto nei porti per fare una pisciatina senza il rischio di bagnarmi le scarpe, ma la verità è che non riesco a stare lontano dal mare. Realizza il sogno di un povero vecchio, su.»
 
«Virgin, non ho idea di dove sia e, diamine, non è per lei che sto affrontando questo viaggio.» Virgin lo guardò torvo, poi sputò sulle assi del pavimento come se le sue parole fossero menzogne e lo disgustassero. «Ti ho già detto che sto cercando di trovare me stesso. Devo capire cosa fare della mia vita, ora che quella che conducevo a Thrain non mi calza più come un tempo.»
 
«”Non mi calza più come un tempo”,» gli fece il verso, scimmiottando i suoi modi di fare e assumendo un’aria civettuola e caricaturale. «Ma sentiti, ragazzo! E tu vorresti provare ad arrivare a lei parlando in questo modo? Che il Cielo mi fulmini ora se hai una possibilità di farcela!» Tacque un attimo, alzando lo sguardo al cielo di sottecchi come in attesa di un segnale, ma non arrivò nulla. «Vedi? Non c’è verso che tu ci riesca! Sei troppo perbene.»
 
«Non sapevo fosse un difetto,» fece Killian, inorgoglitosi.
 
«Senti, ragazzo mio, lascia che il vecchio Virgin sia chiaro con te, visto che tu non sei in grado di fare lo stesso: sei un uomo di mare, preparato e con qualche asso nella manica. Se quello che ho sentito sul tuo conto è vero, sei un gran capitano e questo puoi sfruttarlo a tuo favore. Ma c’è questo problemino del tuo comportamento! Nessun uomo dei porti dove intendi andare ti darà mai una possibilità, se continui a sembrare uno dei cani della marina reale.» Killian dovette ammettere che le obiezioni di Virgin erano sensate: aveva avuto le stesse perplessità, quando si era domandato come avrebbe fatto a sopravvivere e a trovare un ruolo che gli confacesse. «Ed è chiaro che tu te lo vuoi lasciare alle spalle quel passato, perché non sei più quell’uomo. Cala un po’ le penne, allora. I pirati sono persone subdole, che fiutano le debolezze degli altri e se ne servono. Devi essere più furbo di loro e nascondere le tue capacità. Sarai anche bravo con la spada, no?» Killian annuì. «Bene, loro, questo, non devono saperlo. Devi essere… misterioso, ecco.»
 
«Dove vuoi arrivare, Virgin?»
 
«Ti ho già detto cosa voglio, ragazzo. Non pensare che Virgin usi dei trucchetti: sono troppo vecchio per queste cose e, comunque, con uno come te si guadagna più essendo sinceri.» Era un uomo sorprendentemente sveglio, ammise Killian, e avrebbe potuto imparare molto da lui. «Pensaci. Ti chiedo soltanto questo.»
 
Il più giovane dei due annuì, suscitando il riso mezzo sdentato dell’altro che si ampliò quando Killian pronunciò le seguenti parole: «Se per caso, a un certo punto del mio viaggio, dopo aver trovato me stesso,» a questo punto le sopracciglia di Virgin avevano reso l’espressione di lui piuttosto insinuante, «decidessi di volerla trovare, tu sapresti come fare, giusto?»
 
«Puoi scommetterci il culo, ragazzo!»
 
Quella fu la fine dello scambio di battute tra i due, almeno per quella sera. Una settimana dopo, avevano già stretto l’accordo: Virgin sarebbe stato il compagno di viaggio di Killian. 

Lo aspettavano gli albori di una nuova vita.



______________________________________________________________________________
Spazio dell'autrice:

UDITE, UDITE, popolo di Nostos! Grazie alla sfida lanciatami dalla cara k_Gio, che supponeva non avrei pubblicato prima dell'anno nuovo (e chi può giudicarla?!), la qui presente sfaticata è riuscita a pubblicare l'aggiornamento in meno di due mesi. Sono sfinita, ma sono anche molto fiera di me e del capitolo, che è venuto fuori con una tale spontaneità da richiedere minime correzioni e, considerato il fatto che io di solito ne faccio a bizzeffe, è tutto dire anche questo.
Ad ogni modo, il capitolo comporta un salto temporale di circa quattro anni dall'ultima volta che ci siamo lasciati e apre una finestra sulla vita dei fratelli Jones, spiegandoci cosa abbiano fatto in tutto questo tempo. Non so se aveste immaginato qualcosa de genere, o se vi foste aspettati che Killian si lanciasse ad una spasmodica ricerca di Emma per vendicarsi o che altro, ma spero di avervi soddisfatti. A mio avviso, questa è la piega più naturale che potessero prendere le cose e l'ho sempre immaginata in questo modo, soprattutto per sottolineare un tema ricorrente in tutta la storia: il bisogno di trovare se stessi. Abbiamo visto, infatti, sia Emma che Killian affannarsi alla ricerca delle persone che amavano, ma li abbiamo anche visti tormentarsi nel tentativo di capire chi fossero diventati a seguito di tutti gli eventi di cui era stata costellata la loro vita. E' un tema che mi è molto caro, perché, lungo il percorso che mi ha vista dare forma a questa storia, io stessa ho dovuto percorrere quel sentiero, scoprendone la tortuosità e l'importanza. Se dovessi definire questa storia, inoltre, non lo definirei mai un romanzo d'amore, né materno né di coppia: per me, questa storia nasce per dimostrare la tenacia dell'essere umano, il bisogno di trovare il proprio posto nel mondo e fare i conti con se stessi per accettare quello che si è; e questo capitolo ripercorre in maniera un po' più lineare e chiara queste fasi rispetto a quanto non avvenga nel resto dei capitoli, dove questo percorso era affiancato da quello volto a trovare Henry e Liam.

Detto questo, rimangono due cose da fare e mi accingo subito. Innanzitutto, ricordarvi che - salvo cambiamenti di idea - questo è il penultimo capitolo della storia. In secondo luogo, devo procedere ai ringraziamenti per chi ha letto e recensito, ma soprattutto per Adele: non sarei mai riuscita a scrivere in maniera tanto fluida questo capitolo senza "When we were young" in sottofondo. Non so se abbiate per voi possa fare alcuna differenza, ma, se volete capire un po' di più l'atmosfera in cui ho immaginato e vissuto tutte le scene, vi consiglio di rileggerlo con quella in sottofondo appena ne avete l'occasione.

-Lady Lara, non sai quanto io rimpianga che i tuoi commenti siano arrivati solo sul finire di questa esperienza. Sono così puntuali nel soffermarsi sui personaggi e sui singoli aspetti della vicenda da placare uno dei miei timori più grandi quando scrivo: quello di non fare arrivare il significato di ciò che metto su carta, come se i miei scopi non riuscissero ad emergere e voi brancolaste un po' nel buio. Mi rende immensamente felice sapere che non è così, ma anche infinitamente triste il pensiero che avrò occasione di leggere soltanto un'altra delle due recensioni, forse. Ti ringrazio, quindi, dal profondo del cuore non solo per aver commentato, ma soprattutto per aver deciso di dare una chance a me e alla mia storia. Sei preziosa!

-Mia carissima k_Gio, voglio dirti sin da subito che hai perfettamente centrato tutti gli aspetti del capitolo, soprattutto attraverso la tua reazione emotiva. Volevo proprio che Emma vi suscitasse questo conflitto interiore tra il capirla e il non capirla affatto, tra il biasimo e la compresione per aver commesso una strage praticamente gratuita e priva di qualsiasi scopo, anche col rischio di mettere in pericolo Henry che, ricordiamolo, è comunque su una barchetta in mezzo all'oceano.Volevo che ciò accadesse perché volevo riprodurre in voi, più o meno, il tormento che vive lei, così divisa tra ciò che è, ciò che dovrebbe essere e ciò che vuole essere e incapace di conciliare aspetti tanto in contraddizione tra loro. Sono elettrizzata all'idea che vi sia arrivata tanto, anche a chi fatica a capire Emma in tutte le sue scelte. So di aver creato un personaggio privo di zone grigie: o la ami o la odi, ma in qualche modo finisce che la capisci comunque. Ti ringrazio tanto anche per i complimenti, ma soprattutto per avermi mezzo sfidata con l'ultima frase della tua recensione, spingendomi ad accorciare i tempi di attesa per l'aggiornamento. E' stato un viaggio bellissimo anche questo capitolo e, anche se mi rattrista essere così vicina alla fine, sento che è giunto il momento per poter lavorare al progetto cui accennavo la scorsa volta. Ma, come sempre, grazie per aver letto e commentato e per essere ancora qui dopo tutto questo tempo. E' commovente e mi scalda il cuore. Grazie! 

-Alyen, cara dolce mervigliosa Alyen, è un piacere così grande leggere le tue recensioni che, quasi quasi, aggiungo due o tre capitoli alla storia solo per goderne ancora un po'. Che dire?! Sei stata in grado di sfocare i miei dubbi con le tue parole, sia rispetto alla mia capacità di rendere reali e vivi i personaggi, sulla sulla struttura del personaggio. Devo confessare che non avevo mai scritto nulla del genere, la cui complessità sta tutta su un altro livello per il dinamismo dell'azione, e che, ancora adesso, ho un po' il timore di aver arraffazzato le cose; ma sono lieta di sapere che le immagini fossero vivide abbastanza da farvi sentire su quella nave, teatro di indicibili orrori. Come hai detto tu, forse la separazione tra i Jones ed Emma non è stata tanto sorprendente e, in effetti, io l'ho sempre avuta in mente dagli albori della storia, quando avevo scritto solo il primo capitolo e non sapevo un accidenti di niente su cosa scrivere nel secondo, su come snodare la trama. Questa lunga pausa - non so se vi aspettaste anche che fosse tanto dilatata nel tempo - è servita ai fratelli Jones per leccarsi le ferite e capire cosa farne del loro futuro, ma, soprattutto, è servita a Killian per mettere da parte l'orgoglio e ammettere che Emma avesse vinto la scommessa: è cambiato tanto, più di Liam, più di quanto si fosse aspettato e non può limitarsi ad affondare la testa nella sabbia, fingendo che tutto vada bene. In questo, è stata determinante Olivia, a proposito della quale spero di avervi fatto una piccola sorpresa: non so se qualcuno di voi la ricordasse e si aspettasse di rivederla o meno, ma ho sempre sentito, dal primo momento in cui ho scritto di lei nell'ottavo capitolo, di non poterla lasciare andare, di non poter permettere che fosse una piccola cometa. Mi piace pensare che gli intrecci del destino siano tanto strani da far incontrare persone che, per tutta la vita, si sono mancate per un soffio. E' poetico, a mio avviso. 
Grazie per essere tornata a scrivere le tue recensioni e grazie per avermi letta con lo stesso, immutato entusiasmo, che spero di aver mantenuto alto durante questo capitolo. Grazie davvero di cuore!

-Simogi, tu sei la più fortunata dei recensori in assoluto. Ci pensi che hai pubblicato alle 00:01 di oggi e ti becchi l'aggiornamento a distanza di sole 18 ore? Quando mi sono accorta della recensione, il tutto assolutamente per caso, quasi non credevo ai miei occhi. Spero possa essere per te un bel regalo, come per me lo è stato trovare la tua recensione. A proposito di ciò, sono lieta di constatare che tu condivida la mia visione di Emma, del bisogno che ha di cambiare qualcosa, sì, ma senza rinnegare la persona che sa di essere e, soprattutto, che vuole essere. A mio avviso, l'errore più grande che si possa commettere è annullarsi per qualcuno, chiunque esso sia, perfino per un figlio. Penso che i rimpianti mi distruggerebbero, se mai facessi una cosa del genere, ammesso che ci riesca senza impazzire. Bando alle ciance, spero che il capitolo ti sia piaciuto e non vedo l'ora di sapere cosa te ne è parso. Grazi ancora, sempre!

Prima di lasciarvi, volevo rinnovare i ringraziamenti per chi ha letto dopo quasi tre anni dall'inizio di questa storia e anche chi si è appena approcciato. Le visualizzazioni crescono in maniera tanto rapida che, a volte, fatico a credere che numeri simili possano essere miei. Siete preziosi! Inoltre, ci tenevo a dirvi che nutro una serie di curiosità in relazione alle vostre impressioni sul capitolo:
a) Che ve n'è parso di Rosalinda?
b) Avete subito ricordato Olivia e vi ha fatto piacere rivederla in queste vesti?
c) Che fine pensate che abbia fatto il nostro capitano e cosa ne è stato di lui in questi 4 anni, secondo voi?

Grazie mille, ancora.
Buona lettura!

Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=2413838