Spleen et ideal

di Scarlett__
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Primo Capitolo ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


Prologo

 
Udite il mio ruggito.
Il motto della sua famiglia le ritornò alla mente fulmineo e accecante quanto un raggio di Sole che spezzava l’oblio di una notte senza fine, disarmante e perfetto. Era un pensiero sconnesso, nato dal silenzio e dall’oscurità di quella stanza priva di finestre, dall’aria pregna di sangue e lacrime, di distruzione e pentimento. Le tenebre regnavano padrone e signore in quella cella soffocante e invivibile. Fredda. Irrimediabilmente e incontrovertibilmente gelida. Come il suo cuore.
Il suo ruggito di leonessa ferita era spezzato, incostante e sembrava più il lamento di un animale braccato e sotto tiro, alla piena misericordia e discrezione di un cacciatore assetato di sangue. Il cacciatore era in agguato, pronto a sferrare l’attacco mortale e piegare l’indomita bestia sotto il proprio giogo e il suo oppressore era abbastanza abile da non permetterle di fuggire.
Era un gioco, il suo gioco preferito. La vittoria era talmente vicina da poterne percepire l’odore dolce, ma la leonessa non poteva fallire. La disfatta significava morte e la morte non era un’opportunità contemplabile, non quando il desiderio di vita l’animava in un incessante battito ansioso come quello di un colibrì che anelava ancora a volare nonostante le insidie di un mondo corrotto e senza senso.
Un Lannister paga sempre i debiti.
Il pugnale insanguinato era caduto sulle sue vesti di broccato, oramai inutile e insensibile, macchiando l’abito nobile e aureo, unico segno di bellezza in quel cacciatore che aveva imparato a disprezzare e temere allo stesso tempo. Il debito era stata pagato, la vendetta contro colui che tanto l’aveva inseguita era stata squisita come non aveva mai osato sperare. All’inizio perlomeno, quando l’inconsapevolezza dettata da un impalpabile sollievo le aveva fatto dimenticare quanto il cacciatore fosse vitale nel suo palazzo. Il prezzo era stato indegno e la leonessa era stata incatenata, privata del suo onore, con le fauci ancora macchiate di sangue e gli occhi colmi di tremore e terrore.
E quell’attimo di pace dopo essere sfuggita al dardo di balestra che il suo aguzzino le aveva puntato alla gola, una pace tanto luminosa da accecarla, fu seguito dalla consapevolezza dell’insidia del potere che la condusse nel buio come una zattera alla deriva in un mare in tempesta.
Sei una leonessa, figlia mia. Non devi aver paura.
Non provava più nemmeno l’angoscia per il proprio fato. Non vi era posto per il panico nelle tenebre, quando tutto il risentimento era inghiottito da quella spirale senza fine di tedio e noia. Vi era soltanto un asettico rimpianto e una brama incessante di giustizia che non avrebbe mai ottenuto, non in quella città, non da quelle persone. Ciò che avrebbe guadagnato da quella lotta destinata al fallimento era il disprezzo di chi non aveva alcun diritto di giudicare. L’odio e la noncuranza erano armi ancor peggiori della spada se ben adoperate e i suoi carnefici erano abili quanto crudeli. E perché combattere quando il risultato sarebbe stato persino peggiore di come le si profilava in quella cella? In fondo nel buio poteva persino dimenticarsi di essere viva. Di essere la leonessa che aveva perduto i propri artigli, misera quanto la più infima delle fiere della Foresta del Re.
 
Note dell’autrice: Salve a tutti e benvenuti in questa piccola avventura. Questa storia nasce dal mio amore verso la famiglia Lannister, verso Jaime e Tyrion soprattutto, e vi sarà l’inserimento di nuovo personaggio, Astrid Lannister e la sua storia verrà spiegata nei prossimi capitoli. Grazie per essere passati, spero lascerete un commento. Alla prossima, Scarle
tt. 

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Capitolo 2
*** Primo Capitolo ***


È l’ignoto che temiamo quando guardiamo la morte e il buio, nient’altro.
Albus Silente

 
I giorni si susseguivano identici ai precedenti in quell’angusta gabbia nera che era divenuta oramai la sua dimora. Essere imprigionata nelle celle della Fortezza Rossa aveva risucchiato qualsiasi vitalità dal suo corpo. Aveva perso la cognizione del tempo e dello spazio. Nel buio di una notte senza fine non esisteva nulla, se non i pensieri che si sovrapponevano ai ricordi, confondendo nella sua mente realtà e fantasia. Il momento dei pasti era l’unico indizio che la rendeva consapevole che fosse trascorso un altro giorno, ma la fanciulla s’era rifiutata di mostrare le proprie debolezze alle guardie al servizio del suo carceriere e l’odore stantio della minestra aveva acuito quello di sangue e vergogna che aleggiava nella stanza.
La fanciulla era un’ombra indistinta nell’oscurità, ma un tempo era certa di essere stata Lady Astrid Lannister, la fiera ed unica figlia di Ser Jaime Lannister, erede di Castel Granito e delle Terre del Tramonto. Rammentava di aver avuto boccoli biondi come l’oro e labbra rosee sempre arcuate in un sorriso arrogante e feroce come quello del padre. Quella fanciulla aveva avuto gli occhi di giada, chiarissimi e allungati, azzurri con una data luce, che ridevano quando incontravano il luccicante mare della sua terra natia.
Della bambina piena di sogni e speranza, che bramava ciò che di migliore potesse ottenere, non era rimasto altro che lo spettro, una sagoma cava che conteneva un’anima dilaniata dalla crudeltà di colui che l’aveva amata e poi abbandonata a se stessa.
Le tenebre avevano reso schiava la forte leonessa, assoggettandola e incarcerandola con spesse catene di metallo che oramai erano divenute parte del suo essere. Le tenebre erano il suo rifugio, l’unico luogo in cui potesse davvero sentirti al sicuro, ma una luce rossa, rossa come il sangue che le macchiava la veste azzurrina a distanza di giorni dall’accaduto, rossa come il vessillo della sua nobile famiglia, spezzò la tenera oscurità che l’aveva protetta sino a quel momento.
« Tesoro… Astrid, sono io,» esclamò una voce flebile e colma di amore e mestizia. Quella voce era indistinguibile. Apparteneva ad un uomo, l’unico uomo importante nella sua esistenza da quando era stata tradita senza un motivo, senza alcun senso, ma la fanciulla non rispose e serrò gi occhi chiari, trattenendo le lacrime generate dall’improvvisa vicinanza con il fuoco della fiaccola.  
« Vuoi farmi del male anche tu?» Il tono era rauco, spento, inflessibile. Privo di emozioni proprio com’era la fanciulla ammantata contro il muro della cella. Le corde vocali, non abituate più a muoversi, rivelarono una tonalità raschiante, ben diversa da quella musicale con la quale aveva intonato canzoni infantili per i suoi cugini, i suoi dolci tesori.
« Non ne ho alcuna intenzione, bambina mia,» le assicurò l’uomo che più aveva amato. L’uomo che non l’avrebbe mai piegata sotto alcuna cinta di ferro. E Astrid tornò ad essere la figlia amata di Jaime, quella fanciulla che aveva accudito e protetto da ogni pericolo, insegnandole le arti della spada e della lingua tagliente. Fu una sensazione di meraviglioso terrore quella che sollevò il suo cuore scostando il nero macigno del risentimento e della colpa.
« Davvero? Credo proprio che la mia testa voglia dire addio al mio collo,» commentò ironica, prima di spalancare gli occhi chiari e immergerli nel mare più scuro e adamantino di Jaime. Non lo riconobbe. Non a primo sguardo. I capelli erano troppo lunghi, la barba troppo folta e gli abiti erano ben diversi da quelli confacenti ad un cavaliere della Guardia Reale. Vestiva come un umile pastore, una tunica di iuta grezza e marroncina. Nella barba si intravedevano fili d’argento che un anno prima non esistevano. La guerra e la prigionia l’avevano reso più anziano, ma l’espressione che le rivolse, di puro affetto privo di astio e livore, era quello che le aveva dedicato sin dalla più tenera età.
« Si terrà un processo formale, ma le prove a tuo carico sono troppo evidenti. Non potrai tornare in libertà,» asserì suo padre, inginocchiandosi dinanzi a lei, scostando la luce che proiettò ombre danzanti sulla porta di spesso legno che conduceva ai piani superiori.
« Morirò… zia Cersei mi ucciderà perché ho pugnalato Joff.» Era consapevole di ciò che affermava, non v’era traccia di timore nella sua voce oramai tornata normale, solo una calma rassegnazione dinanzi all’evidenza e all’incontestabilità di quel destino già scritto. La morte non l’atterriva, il suo vero nemico era il buio, ma suo padre le aveva mostrato la luce. Suo padre era sempre stato il suo salvatore, l’unico cavaliere che aveva riconosciuto come tale, e Jaime non l’aveva mai delusa.
« Perché l’hai ucciso? Astrid, dimmi la verità e ti prometto che farò tutto ciò che è in mio potere per aiutarti,» sussurrò, attento che nessuno potesse udirli, prendendola tra le sue braccia e cullandola con dolcezza. Solo allora si accorse di un particolare che prima non aveva notato. Nel punto in cui doveva trovarsi la mano destra, la mano della sua spada, non v’era che una fasciatura candida e stretta all’altezza del polso. Deglutì a vuoto e serrò le palpebre, cercando di non sobbalzare per quella scoperta inaspettata. Due fieri leoni erano stati piegati dalla guerra, ma non erano ancora stati spezzati e Astrid non si sarebbe mai allontanata da suo padre, non quando aveva così tanto bisogno di quell’appiglio che erano le braccia forti dell’unico genitore che avesse mai conosciuto.
« Non mi crederesti mai, padre,» bisbigliò stanca, pregando gli Dei perché le lacrime non le macchiassero le gote prima pallide come la neve e in quel momento striate dal sangue rappreso. Non sarebbero state le sue lacrime a far ricrescere la mano di suo padre né avrebbero sanato il suo orgoglio ferito. Astrid si accoccolò meglio contro il petto scultoreo di Jaime e si lasciò accarezzare teneramente i lunghi e incolti capelli biondi, cercando quel tenero e disinteressato conforto che soltanto suo padre e suo zio Tyrion le aveva offerto.
« Astrid, io sono tuo padre,» esclamò Jaime contrariato, tenendola stretta contro di sé come se temesse che sarebbe ripiombata in quel mare di oscurità e terrore che era divenuta la sua vita quando aveva colpito suo cugino al petto e l’aveva visto accasciarsi sulle scale che conducevano al trono di spade con gli occhi verdi, identici a quelli di suo padre, spalancati e atterriti, « Ho ucciso un re anch’io. Se vi è una persona al mondo che possa crederti, quella sono io.»
« Ha detto che mi avrebbe fatto… data alle guardie e…» Non poteva continuare. Non ne aveva il coraggio. La vergogna di quel gesto dettato dall’istinto le fece imporporare le gote magre e il rimembrare quanto amore aveva nutrito per quel principe splendente le velò gli occhi di lacrime. Il rosso del suo pudore di fanciulla si aggiunse al sangue di Joffrey, di colui che aveva professato di amarla e che poi l’aveva denigrata e ferita. Era nella natura del crudele re che era divenuto ferire sino ad uccidere, ma Astrid aveva conosciuto il lato migliore, il più affascinante e dolce del suo bel principe e non aveva potuto sopportare oltre le ingiurie di quel mostro dal viso d’angelo.
« Continua, figliola,» la spronò Jaime docile, senza forzarla, continuando ad accarezzarle la schiena per mitigare il dolore che provavano entrambi. Joffrey era stato suo figlio, Astrid l’aveva sempre sospettato, ma Jaime non la stava abbandonando. Joffrey, invece, l’aveva ingannata, preferendole un’altra donna, che l’aveva stregato e l’aveva reso succube di un incanto disonesto, strappandolo dalle sue braccia accoglienti e sicure. In un attimo quella rabbia che aveva provato nei confronti di Joffrey riaffiorò sotto pelle, facendole formicolare le dita.
« Perché avrei dovuto sposarlo?» sbottò con alterigia, osservando suo padre con freddi occhi accusatori come se fosse stata colpa sua. In verità negli occhi di Jaime, grandi specchi smeraldini screziati d’oro, Astrid rivedeva Joffrey che li aveva ereditati nella forma e nel colore, « Io voglio Castel Granito, voglio tornare a casa. Perché è sempre così crudele con me? Non gli ho fatto nulla.»
« Figlia mia, è morto. Non può più farti del male. Nessuno può. Te lo prometto sulla mia vita.» La voce di suo padre era alta e sicura, pronta a difenderla a spada tratta. Per un attimo percepì di essere al sicuro. Joffrey era morto e non doveva temere più la sua malvagità. Fu soltanto un attimo. La consapevolezza che Joffrey era morto per mano sua le fece tornare alla mente i ricordi che li scorgevano innamorati e innocenti in quel desiderio di vita condivisa e di tenera passione, l’accusa che aveva letto nei suoi occhi morenti e la realtà della sua scelta di impugnare lo stiletto che era stata la causa della sua morte.
« Ha detto che prima di darmi alle guardie, mi avrebbe avuta lui perché un re deve aver diritto alla Prima Notte,» soggiunse Astrid tentando di relegare ad un angolo della sua mente quel ricordo. Erano state quelle parole a uccidere irrimediabilmente anche la dolce fanciulla che era stata innamorata per anni di un vano simulacro di avvenenza e nobiltà che non era mai esistite davvero, « Ero così spaventata. Mi ha sbattuta contro il trono. Una spada deve avermi colpito. Non ricordo bene. Avevo un pugnale nascosto nel vestito  proprio come mi avevi detto tu. Serviva per difendermi e mi sono difesa.» Jaime sospirò e annuì prima di baciarle la fronte e stringerla a sé. Astrid si beò di quell’istante di quotidianità, sorridendo per l’ispidezza della barba di suo padre contro la sua pelle morbida, poiché rese quel contatto reale, tangibile e perfetto, poi Jaime si issò in piedi e riprese la fiaccola. Astrid lo guardò implorante, socchiudendo le labbra a cuore e percependo le lacrime affacciarsi agli angoli degli occhi chiarissimi.
« Ti farò uscire di qui. Lo prometto, dolce Astrid.» 

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