I love you totally, tenderly, tragically.

di yingsu
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** I love you totally, tenderly, tragically. ***
Capitolo 2: *** ▪ I love you totally. ***



Capitolo 1
*** I love you totally, tenderly, tragically. ***


A radioactive, che mi supporta sempre

anche quando shippo cose random.








 

 

 

 

 

La pioggia scrosciava con un dolce suono regolare e continuo, accarezzando la lapide chiara che aveva davanti. Era rimasto seduto lì per un tempo indefinito – ma comunque incredibilmente lungo – ad osservare come le piccole stille si incastravano in quelle lettere, cesellate nella pietra fredda – non c’è più, è finita. Finita davvero.

Si strinse appena nelle spalle rabbrividendo, forse per via degli abiti inzuppati, o forse per l’idea di quella mancanza che da un lato lo rassicurava, ma che gli lasciava comunque quel senso di amaro in bocca. Sospirò chinando il capo, lasciando che le gocce d’acqua gli scivolassero sul cappuccio che ora non avrebbe più dovuto coprire i lividi delle botte, ma solo quelle lacrime che si  incastravano impreziosendogli le ciglia bionde, rifiutandosi di scivolare sulle sue guance pallide.

Si sentiva stupido: stava piangendo perché la ragione per cui la sua vita faceva schifo non c’era più. Ma forse era giusto così, forse non si può odiare così tanto l’uomo che ti ha messo al mondo da non versare lacrime alla sua morte. O più probabilmente quello era solo uno sfogo, il manifestarsi della sua consapevolezza che era finita, che non sarebbe mai più stato costretto a proteggere Karen da quella pattumiera che era diventata la loro esistenza – la loro famiglia.

Si crogiolò in quel pensiero per alcuni minuti, fissando l’erba sotto i suoi piedi con lo sguardo perso e smarrito, quando ad un tratto la pioggia smise di colpirgli la schiena e il capo, continuando però la sua lenta discesa – riusciva a sentirla mentre picchiava sull’ombrello che ora lo riparava, sussurrandogli che la pioggia non c’era più. È finita – aveva mormorato, mentre il tocco dolce e leggero di una mano sulla spalla lo rassicurava, dicendogli piano che non c’era più nemmeno suo padre.

Così come l’alcool lo aveva portato a inveire contro sua moglie e i suoi figli, così – allo stesso modo – lo aveva portato via da loro, lasciando comunque un intenso vuoto da colmare. Era lui l’uomo di casa, adesso.

Percepiva la presenza di Stan accanto a lui: la sua mano sulla spalla, l’ombrello aperto sopra le loro teste… ma era come se fosse lontano anni luce da lui, da quella pietra sepolcrale che sembrava ricordargli che lui non era tanto diverso da quell’uomo, e che nulla sarebbe cambiato ora che lui non c’era più.

«Kenny, ti ammalerai se resti qui…» lo sentì dire, ma la voce gli arrivò distante, come ovattata dal risuonare incessante di pensieri che gli riempivano la testa. Eppure sapeva che aveva ragione: era sempre stato di salute cagionevole – all’ospedale avrebbero dovuto dargli un abbonamento o una tessera punti.

Non rispose, Kenny, si limitò a girarsi verso di lui, a ricambiare lo sguardo di quegli occhi blu e profondi come l’oceano che aveva visto solo alla televisione, nei film e nei libri di Geografia. Non avrebbe voluto farsi vedere in quello stato da lui, ma non era la prima volta che Stan lo vedeva piangere e, anche se in quel momento desiderava chiudersi ermeticamente in quel suo cappuccio e sparire, lasciò che l’altro lo guardasse in tutta la sua fragilità, spogliato da quella barriera che lo proteggeva, nascondendo le sue emozioni al mondo. Crollò sulla spalla di quello che per lui era sempre stato un amico, come un ramoscello piegato dallo sferzare del vento, pronto a spezzarsi da un momento all’altro. Perché prima o poi si sarebbe rotto anche lui, e lo sapevano entrambi: quello stile di vita lo stava facendo a pezzi, lentamente ed inesorabilmente lo corrodeva e – presto o tardi – sarebbero rimaste solo le ossa, le ceneri di quello che sarebbe potuto essere Kenneth McCormick.

Lasciò che le braccia di Stan lo scaldassero e riparassero, come una campana di vetro fa con i fiori durante l’inverno. Perché era lui, il suo rifugio, l’unico che si fosse mai preoccupato dello schifo in cui era stato ineluttabilmente trascinato – contro la sua volontà, perché se avesse potuto scegliere di essere qualcun altro lo avrebbe fatto, avrebbe smesso di essere Kenny e si sarebbe preso la vita di qualcuno che non fosse lui: una vita più facile.

Non sapeva dire con certezza da quanto e quando Stan era diventato il suo luogo sicuro, se era stato quando si era presentato a casa sua permettendogli di vedere gli ematomi delle botte, oppure quando lo ospitava a cena, permettendogli di fuggire solo per qualche ora da quell’atmosfera stantia che regnava sovrana in casa sua. Non lo sapeva, ma ricordava la prima volta che avevano oltrepassato il limite, il giorno in cui le sue labbra avevano sfiorato istintivamente quelle morbide di Stan, portandoli al di là della semplice amicizia che dicevano di avere. Ma questo Kenny non lo aveva capito, e faticava a comprenderlo pure in quel momento, mentre il suo corpo si stringeva in quell’abbraccio e le lacrime – prima ingarbugliate, intrappolate – si facevano strada sulle sue guance, costellate da quelle efelidi che non se n’erano andate con l’avanzare degli anni.

Non lo aveva mai capito l’amore, non aveva mai compreso a fondo il suo significato. Ma la colpa non era sua e della sua fissazione per il sesso, era la famiglia che lo aveva portato ad una visione distorta di questo sentimento. Così, per lui, l’amore era sempre stato una cosa prettamente materiale, fondata principalmente – e forse unicamente – sul piano fisico.

Pensava di amare Stan, ma perché sentiva di volerlo. E lo amava davvero, lo amava male, totalmente e tragicamente, ma lo faceva inconsapevolmente, senza sapere di amarlo.

Strinse convulsamente il cappotto di Stan fra le dita, lo fece nell’istante in cui sentì la mano del ragazzo abbassargli il cappuccio per poi naufragare in quelle ciocche bionde e spettinate. Era stato un gesto lento, un movimento che indicava l’inutilità di quell’indumento: non gli serviva più, non doveva più nascondere niente.

Sollevò il capo incrociando di nuovo quelle iridi oltremare, specchiandosi in quello sguardo – non servivano parole, entrambi sapevano che non c’era nulla da dire. Rimasero così per qualche secondo: gli occhi di uno puntati in quelli dell’altro – e quando Kenny chinò il capo annullando quel contatto visivo, le dita di Stan gli sfiorarono il mento, costringendolo a guardarlo, a mostrare quelle iridi celesti macchiate dal pianto.

«Va tutto bene…»  – fu un sussurro, un soffio di vento. Non era nemmeno certo che Stan avesse davvero parlato, magari se l’era solo immaginato, esattamente come si era figurato tutto il resto – compresa la voce di suo padre, quella che gli ripeteva che era come lui, che sarebbe diventato anche lui così.

«Va tutto bene» gli fece eco lui prima di poggiare le labbra sulle sue in cerca di conforto, sommerso da quella cupola che lo difendeva dalle intemperie – da quell’amore difettoso che lo teneva insieme, impedendogli di sgretolarsi fra quelle braccia.

 

 

 

 

 

 

 

Ciò che il padre ha taciuto, prende parola nel figlio;

e spesso ho trovato che il figlio altro non era, se non il segreto denudato del padre.

| Friedrich Nietzsche, Così parlò Zarathustra |

 

 

 

 

 

 

 

 

 

NdA;

 

Innanzitutto: buongiorgio.

Capita raramente che io mi inabissi in nuovi fandom, ma oramai sono qui e devo spiegare il perché di tante cose. Inizio dicendo che avrei voluto fare le note iniziali per evitare che qualcuno mi linciasse, ma non volevo passare per quella che si giustifica dicendo che è la sua prima storia in questo fandom, quindi probabilmente se fa schifo è per quello. No, non sono il tipo.

Volevo dire che è tutta Licenza Poetica, perché io non ho idea di come siano diventati verso i diciotto anni questi esseri, e che io me li sono figurata così ricostruendo un po’ i vari trascorsi delle loro vite. In più ho notato che non è una coppia molto shippata, forse (probabilmente) per via di Stan e Wendy, ma io mi sono innamorata subito di questo pairing e non posso fare a meno di urlare come una pazza isterica – perdonatemi, se potete.

Non lo so, ecco. Spero solo che non sia un totale disastro, ecco tutto. Ho questo brutto vizio di umanizzare i personaggi, facendo di tutto per renderli verosimili, e quindi ho preso Stan e Kenny e li ho spogliati del fatto che siano dentro un cartone animato, facendo emergere quello che – secondo me – sarebbero se fossero esseri umani realmente esistenti.

Probabilmente sono andata OOC – di sicuro, in realtà – , ma come ho già detto: sono grandi, non hanno più otto anni, e sebbene certe cose non cambino mai, io ho provato a smontarli e rimontarli sui diciotto anni.

Nonostante questo mio OOC che io ritengo motivato, ho trovato giusto indicarlo lo stesso. Dopotutto siamo in una “What if?” perché – come ho già spiegato – non so come finiranno da grandi, e perché Stan non sta più con Wendy. Non lo so, sono confusa dai miei stessi avvertimenti, illuminatemi voi! ;A;

Per quanto riguarda la coppia in sé: io li vedo molto reverse. Entrambi hanno le loro debolezze, ed è giusto mostrare entrambe – questa volta è toccata a Kenny, ma la prossima volta (se ci sarà una prossima volta) toccherà a Stanley, già.

Diciamo che di tutto questo delirio introspettivo su Kenny salverei solo il bellissimo banner che – naturalmente – non ho fatto io.

Niente, dovrei aver concluso con le mie spiegazioni senza senso, se volete insultarmi o sputarmi: fatelo pure, sono qui.

Alla prossima (se ci sarà). ~

 

 

~yingsu.

 

ps. Il banner appartiene a radioactive che ringrazio per la grafica e il betaggio, e anche per avermi spronata a lanciarmi nella scrittura di questa shot che – diciamocelo – è stata un parto plurigemellare. ~

Grazie mille.

 

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Capitolo 2
*** ▪ I love you totally. ***









I love you totally.

 

 

La luce del tramonto filtrava fra le tende, colorando di un tenue arancione le pallide spalle del corpo steso accanto a lui. La stanza portava ancora quell’odore di hashish misto a sesso e sudore, così come il lenzuolo dal motivo a righe che lo copriva fino alla vita, celando in parte quello che avevano fatto, quello che si ostinavano a nascondere entrambi.

In un impulso incontrollato passò l’indice sulla clavicola del ragazzo, sfiorando l’ematoma di una vecchia botta – avrebbe voluto poterlo cancellare con una gomma, avere il potere di far scomparire i lividi e le ferite che sporcavano quella pelle bianchissima. E lo faceva: ci provava ogni volta con la punta del dito, strofinando appena il polpastrello come a voler sbiadire un segno di graffite sopra un foglio di carta. Lo osservò mentre dormiva, sonnecchiando piano con la guancia posata sul cuscino – stanco, con il fantasma del sudore che gli inumidiva ancora i capelli biondissimi –, riscoprendosi a sorridere come un idiota. Kenny aveva la fama dello sciupa femmine, e di certo non si poteva non biasimare le ragazze che ci provavano con lui, anche solo per poter dire di essere andate a letto con Kenneth McCormick. Era bello, bello in un modo che faceva male, e il pensiero che potesse avere tutte le donne e gli uomini che voleva lo distruggeva – anche se non ne capiva il motivo. Alla fine il loro era solo sesso, lo era sempre stato dall’inizio, e niente avrebbe potuto cambiare le cose.

Si morse appena il labbro facendo scivolare la mano in quel mare di ciocche spettinate, scompigliate dalle sue dita solo qualche minuto prima: non voleva svegliarlo, ma nemmeno farsi trovare in quello stato – con Kenny nudo nel letto – dai suoi genitori. Lo sentì mugolare piano prima di aprire gli occhi celesti, chiari come il cielo di South Park durante le giornate di primavera, quando neanche le nuvole osavano macchiare di candido tanta bellezza. Non disse niente, Stan, lo guardò mentre si stiracchiava con un sorrisino idiota sulle labbra, borbottando poi un «Quanto cazzo ho dormito?» con la voce ancora impastata dal sonno.

«Non molto, ma fra un po’ torneranno i miei…» mormorò in risposta, «Dovremmo rivestirci» aggiunse poi, come a voler spiegare la sua frase precedente. Ma nel profondo avrebbe voluto restare lì in eterno, fermare il tempo e godersi quell’attimo ancora per un po’. Era andata come ogni volta: lo aveva invitato a casa sua, avevano bevuto qualche birra davanti ad un film porno, e poi, complice la passione – ammesso e non concesso che fosse stata quella a muoverli – , erano finiti a toccarsi e a baciarsi, fino a quando Kenny non lo aveva trascinato sul letto con una strana urgenza nella voce, la stessa che lui aveva tentato di nascondere.

Erano finiti a fare sesso come sempre, e – come sempre – appena avevano finito, ognuno si era preso i propri frammenti di anima, cercando di ricomporre un puzzle incompleto – Kenny si prendeva il meglio di lui, lo faceva tutte le volte.

Era come se la loro pelle si fondesse per quel quarto d’ora, come se le abili mani di un medico li avessero suturati assieme, ed era per questo che ogni volta che si separavano, ogni volta che Kenny scivolava lontano da lui, dal suo corpo e dalle sue braccia, Stan sentiva un dolore tremendo, come un vuoto interiore: mancava sempre un pezzo, o forse gli mancava il cuore.

Lo osservò mentre scivolava fuori dalle lenzuola, nudo come sua madre lo aveva fatto, come lo aveva già visto tante volte, ma si riscoprì comunque ad arrossire, non tanto per la vista della sua pelle pallida, quanto per i pensieri volgari che gli infestavano la mente: lo voleva, lo voleva di nuovo, e non era normale – non sono frocio. Eppure Kenny gli piaceva: perché? Forse perché si può amare una persona indipendentemente dal suo sesso, o forse perché Kenny era semplicemente Kenny, ed essere contagiati dal suo sorriso e dalla sua apparentemente immotivata allegria non era poi così difficile.

Si passò una mano fra i capelli umidi, sforzandosi a distogliere lo sguardo dal quel fisico giusto – né troppo magro, né troppo in forma – , «Dove hai messo il preservativo?».

«Sul pavimento, il cestino era troppo lontano» ammise l’altro con un sorrisino idiota, infilandosi i jeans scuri, strappati all’altezza del ginocchio, e Stan si strinse appena il setto nasale fra le dita – che testa di cazzo!

«Kenny, sei un cazzone, raccogli quella merda!» sbottò mettendosi seduto, rimirando con disgusto l’oggetto che l’altro stringeva fra le dita – si era chinato a raccoglierlo, e ora lo faceva oscillare a mezz’aria fra l’indice e il pollice. «Non fare stronzate e butta quel coso!» gli ordinò poi, recuperando le mutande che Kenny aveva distrattamente lanciato da qualche parte.

Si rivestì in fretta, sentendolo ridacchiare come uno scemo – forse lo stava prendendo per il culo, oppure stava semplicemente ripensando ai suoi commenti acidi sul preservativo usato: in qualsiasi caso non voleva saperlo.

Lo sentì avvicinarsi piano alle sue spalle, strisciare i piedi sul pavimento prima di stringergli appena i fianchi e stampargli un piccolo bacio dietro l’orecchio, un leggero contatto che lo fece rabbrividire. Era così tutte le volte: Kenny lo sfiorava con quella delicatezza maniacale – lo costringeva a sciogliersi, lo mangiava con gli occhi, e poi lo trascinava verso l’abisso, come uno squalo con la sua preda. E Stan non riusciva ad opporre resistenza, non riusciva a nuotare abbastanza forte e scappare, fuggire da lui, dalle sue labbra e da quelle mani, quelle dita che ora gli accarezzavano la schiena, pugnalandogli il torace e rubandogli il cuore.

«Prima hai detto una cosa…» – la frase gli accarezzò il collo, facendolo vibrare appena – aveva detto tante cose, farneticato un sacco mentre fumavano quello spinello, mentre le mani di Kenny gli disegnavano dei cerchi invisibili all’altezza della clavicola. Aveva detto troppe cose, più di quante avesse voluto, e lo aveva fatto con una bottiglia di birra in mano e un posacenere poggiato sul petto. «Cosa?» gli domandò, cercando di liberarsi da quella presa mortale, dal fantasma del suo respiro caldo sulla pelle.

Seguì un attimo sconcertante di silenzio, un minuto interminabile in cui lui cosa palpabile era la mano di Kenny fra le sue ciocche scure e spettinate, e poi la voce di Sharon arrivò lontana, come un soffio di vento che ulula piano lungo la tromba delle scale: «Stanley, sono tornata!» disse, portandosi via il tocco fra i suoi capelli, e lo spettro delle carezze sulla sua pelle.

«Vado a casa, ho promesso a Karen che l’avrei accompagna da una sua amica», e mentre le labbra di Kenny si posavano sulle sue, mentre lo guardava infilarsi la giacca e sollevare il cappuccio, il pensiero di quello che aveva detto, di quello che lui voleva sentirsi ripetere, gli gravò sul petto.

Voglio amarti, Kenny – gli aveva detto. Totalmente.

Ma non glielo disse, non di nuovo.

 

 

 

 

 

 

Amami, anche se io non ti amo.

Amami, anche se non merito l’amore.

Amami, anche se io non so amare,

e amami anche se non esiste l’amore.

 

| La Nave dei Folli |

 

 

 

 

 

 

 

 

 

NdA;

 

Ce l’ho fatta, è stato un altro parto, ma ce l’ho fatta.

Il pov di Stan non mi è familiare, ma volevo evitare di usare sempre quello di Kenny, quindi eccoci qua. Già.

Mi piace pensare che Stan sia ancora con Wendy – io ho delle mie teorie per cui il loro rapporto non può funzionare, ma non importa, non voglio offendere le ship di nessuno, ecco tutto. Vedetela come volete, insomma: Stan con Wendy che fa sesso con Kenny, o Stan con Kenny e basta. Per il resto non ho nulla da dire, ho dovuto alzare il rating per via del tema “sesso” e del linguaggio forte che, però, è proprio dei personaggi.

Come sempre motivo il mio solito OOC con il “non ho idea di come siano diventati a diciotto anni”, e questa è la mia personalissima versione dei fatti, se la vostra è diversa: mi dispiace, non so che dirvi.

Chiedo perdono per il finale aperto, ma me la sono sentita troppo(?). Ecco tutto. Mea culpa.

Al solito se volete insultarmi o sputarmi sono qui, se vi ha fatto schifo: ditelo. Se vi è piaciuta: ditelo comunque.

Tornerò – un giorno. Ne ho ancora tre, in mente. ;u;

 

~yingsu.

 

ps. Il banner appartiene a radioactive che ringrazio per la grafica e il betaggio, e anche per avermi spronata a lanciarmi nella scrittura di questa raccolta che sarà un parto. Ma spero ne varrà la pena. ~

Grazie mille.

 

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