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di amu hinamori
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Atto I: IL massacro ***
Capitolo 2: *** Atto II: Acqua e sangue, combinazione perfetta ***
Capitolo 3: *** Atto III: Un nuovo incontro con il Gatto Nero ***
Capitolo 4: *** Atto IV: Non c'è bisogno che mi ringrazi ***



Capitolo 1
*** Atto I: IL massacro ***


Atto I: Il massacro

Piatta, noiosa, pesante, povera.
Questa era la vita di corte per Amu, una fra le più belle principesse che il mondo abbia mai visto, con dei lunghi capelli color confetto, occhi profondi color miele, labbra delicate e rosee e un sorriso che fa sciogliere i ghiacci. Era una delle tante mattine a corte e lei stava camminando per i sfarzosi corridoi, ricchi di dipinti e armature medievali che facevano la muffa. L’abito verde con scollo a barca che portava, le cadeva delicatamente e la gonna a campana le copriva tutto il minuscolo corpo da sedicenne che si ritrovava; i tacchi che portava non facevano neanche rumore per i preziosi tappeti variopinti indiani che coprivano ogni centimetro dei corridoi infiniti del castello. Di carattere chiuso, ribelle e tenace, era una di quelle principesse che non avevano un stuolo di principi al loro seguito, anzi lei manco uno, forse è l’unica principessa bella come il sole che non ha mai avuto un principe che le facesse la corte.

La ragazza entrò nella sala del trono, in molti si girarono verso di lei, si inchinarono e dissero tutti in coro come delle marionette:
-Buongiorno Milady- l’odio che Amu provava era immenso: le davano del “voi”, s’inchinavano senza che qualcuno glielo dicesse, le chiedevano come stava anche se l’avevano vista esattamente venti minuti prima.
-Buongiorno- disse lei chinando il capo in segno di rispetto. Poi, riprese a camminare e arrivò davanti ai suoi genitori, seduti sui troni vestiti con colori sgargianti e abiti vistosi. Lei s’inchinò, le faceva strano inchinarsi davanti ai suoi genitori, ma se non lo faceva violava il protocollo di corte.

Maledetto protocollo di corte!


-Buongiorno Amu- disse la madre con sorriso radioso. La madre di Amu, la regina più gentile che si sia mai vista, era quel tipo di donna che non faceva caso ai pettegolezzi di corte, che dava poca importanza dei colori che andavano di moda.
-Buongiorno madre, buongiorno padre- rispose lei garbata e voce cristallina.
-Dicci tutto, figlia mia- disse il padre a gran voce. Il padre di Amu era quel tipo di padre che difendeva i figli per le cause giuste anche in pericolo di morte, che non negava mai un sorriso a nessuno.
-Volevo chiedervi se mi è permesso andare a fare una cavalcata- chiese Amu.
-Ma certo, fa sempre bene l’aria fresca- disse il padre, -vai e divertiti- il viso di Amu s’illuminò.
-Grazie padre, grazie madre- disse la ragazza inchinandosi ai sovrani. Corse fuori dalla stanza del trono e percorse tutto il palazzo per arrivare alle scuderie, montare in sella al suo amatissimo cavallo e scappare via da quella gabbia d’oro.
 
La principessa stava passeggiando nella foresta in sella a un cavallo bianco; si era cambiata di abiti, ora a dosso aveva un paio di pantaloni aderenti neri, una camicia bianca stretta in vita da una cintura ed era avvolta in un mantello dalla testa ai piedi. Percorse tutta la scogliera con il cavallo al galoppo, arrivò in paese dopo una manciata di minuti, scese dal cavallo e lo tenne per le briglie immettendosi per le vie del paese. Le strade erano affollate di popolani, mercanti e viaggiatori; il bello di queste “passeggiate” come le chiamava Amu era che lei poteva essere chiunque volesse  senza avere problemi di alcun genere. In città girava la voce che un individuo mascherato, che agiva di giorno, aiutava la gente di città, rubando ai ricchi per dare ai poveri, in poche parole una specie di Robin Hood coi fiocchi e contro fiocchi. Amu era proprio curiosa di vederlo all’opera, si diceva che era vestito tutto di nero, con un mantello e una maschera sugli occhi, i popolani dicevano che era un ragazzo dal cuore d’oro che aiutava la giustizia a fare il proprio corso.
Continuando a passeggiare, la principessa sentì del voci provenire da una delle vite circonstanti la piazza principale.
-Vi prego non mi portate via mia figlia- esordì un uomo inginocchiato per terra davanti a un altro vestito in modo sfarzoso.
-L’accordo parlava chiaro: dovevate restituirmi il doppio della somma pattuita se no mi sarei preso vostra figlia- esclamò l’uomo in piedi con in mano una pergamena rivolta verso l’uomo per terra.
-Quella riga non c’era quando ho firmato- disse il popolano ad alta voce guardando il foglio davanti a lui.
-Mi sembra che ci sia la vostra firma qui, quindi c’era anche la riga in questione- disse l’uomo in piedi, -e ora portate la ragazza sul carro- ordinò poi ai suoi uomini. Due energumeni presero la ragazza e la trasportarono sul carro mentre quest’ultima si dimenava.

Amu aveva seguito tutta la scena da dietro la folla e si chiedeva cosa sarebbe successo a quella povera ragazza. Il carro partì via e l’uomo per terra si mise a piangere disperatamente.
-Ancora quel nobile- disse una donna ad un’altra.
-Già sarà la terza ragazza questo mese- rispose l’altra.
-Il fatto è che riesce a farla sempre franca- disse un altro uomo.
Intanto a folla sparì in pochi minuti, rimasero sulla via, solo l’uomo che stava piangendo, Amu e il suo cavallo. Intenerita dal pianto del uomo, si avvicinò piano con il cavallo.
-Mi può spiegare cos’è successo?- chiese lei tendendo la mano al uomo, lui la strinse e si rialzò.
-Un mese fa ho chiesto un prestito a quel uomo e lui mi chiese in cambio mia figlia, non avendo altro dare in cambio se non avessi restituito la somma pattuita, accettai. Ma quel uomo mi ha ingannato!- affermò continuando a piangere.
-Mi dispiace tanto- disse Amu guardandolo. Poi si sentirono degli zoccoli di cavallo battere contro il terreno a tutta velocità, Amu si voltò e vide un cavallo bianco con sopra un ragazzo vestito tutto di nero e, mascherato. Si fermò davanti a loro con aria regale e alquanto misteriosa.
-Si può sapere dov’è finito quel poveraccio di un ricco?- chiese con aria arrogante e gli occhi freddi.
-Ma voi siete… il Gatto Nero- esordì l’uomo accanto ad Amu. Poi tutte le finestre delle case si spalancarono, così come le porte e la gente si affacciò per vedere quel ragazzo mascherato.
-Il Gatto Nero- esclamò una donna.
-Guardate c’è il Gatto Nero- disse un bambino entusiasta.
-Il Gatto…Nero- scandì Amu alzando il capo per vedere il cavaliere vestito di nero che si trovava vicino a lei.
-Allora dov’è andato quel ricco?- chiese di nuovo il ragazzo.
-Per di là- indicò Amu con l’indice della mano destra la via che aveva preso il carro.
-Grazie- affermò il ragazzo e poi partì al galoppo nella direzione indicata dalla ragazza.

Il Gatto Nero… il bandito famoso per il suo gran cuore, e per i suoi atti eroici nei confronti del popolo. Di certo mi piacerebbe davvero vederlo in azione, però non vorrei
mettermi troppo in mostra…


Così Amu salì in groppa al suo cavallo, e partì anche lei verso quella direzione. Mentre correva con il cavallo, vedeva la gente che si era sporta verso la strada per vedere quel ragazzo mascherato; continuava a cavalcare fino a quando non vide il carro del nobile di prima fermo con il ragazzo di prima combattere a spada tratta contro gli uomini che avevano portato via la ragazza.
Amu allora decise di agire, scese dal cavallo e furtiva, s’intrufolò nel carro. Lì dentro, oltre alla ragazza di prima c’erano altre ragazze spaventate con un bavaglio alla bocca e le mani legate, Amu si avvicinò a loro ma esse si spostarono spaventate.
-Non vi preoccupate- disse la principessa con voce calda, -sono vostra amica.-
Sciolse loro le mani e tolse i bavagli dalle loro bocce, tutte fecero un sospiro di sollievo. Amu sbirciò fuori dalla tenda del carro e vide che il Gatto Nero era in lieve difficoltà, si guardò attorno a sé per vedere di trovare qualcosa per aiutarlo, vide solo un sassolino piccolo sul pavimento. Fece scendere le ragazze dal carro molto silenziosamente e le fece nascondere dietro agli alberi, prese i contratti che attestavano il perché quelle ragazze erano state prese, il denaro in più confiscato ai padri di quelle ragazze e poi, prima di saltare giù dal carro, tirò il sassolino sulla testa del nobile che si voltò verso il carro, Amu scese giù dall’altra parte del carro e diede un colpo al cavallo che trasportava il tutto e quest’ultimo partì a una velocità spaventosa. Tutti gli uomini del nobile e anche lui rincorsero il cavallo che era già ben lontano e lascarono il ragazzo mascherato per terra con qualche ferita. Amu riconsegnò il denaro alle ragazze e le fece ritornare indietro al paese con il suo cavallo, la principessa poi si avvicinò al ragazzo per terra e gli tese la mano per farlo rialzare da terra.
-Bel intervento- disse lui freddo.
-Non tanto quanto il tuo- disse lei gentile.
-Certo che se non fosse stato per te, non saprei come sarebbe andata a finire questa volta- constatò lui con voce incolore mentre si puliva il vestito dalla terra e l’erba. Amu stracciò i contratti e li fece volare via attraverso il vento che aveva iniziato a soffiare.
-Tieni- disse poi, consegnando al ragazzo un fazzoletto di seta bianca.
-Per cosa?- chiese lui non capendo il gesto.
-Sei ancora carico di adrenalina che non vedi le ferite che ti ritrovi- affermò lei. Lui prese il fazzoletto dalla delicata mano della ragazza e se lo portò sopra una ferita.
-Beh allora ci si vede- disse lei iniziando a camminare verso la strada che portava al palazzo.
-Grazie- disse lui con tono incolore.
-Di niente- rispose lei e poi sparì nella foresta.

Continuava a camminare, per tutto il tempo non si era tolta il cappuccio che le copriva la testa e le oscurava il viso, se lo tolse e mise a contemplare la natura che la circondava. Ora che ci pensava bene erano quasi le cinque, il tempo per lei passava così velocemente per quanto si divertiva a fare passeggiate. Passò un’altra ora prima di arrivare al castello, proprio in orario per prepararsi per il ballo di gala che ci sarebbe stato quella sera. L’unica cosa a cui pensava era come sgattaiolare via da quella noiosa festa. S’intrufolò dentro il castello per una finestra e corse subito in camera sua. Si tolse quegli abiti che amava tanto e si mise un lungo abito bianco con merletti e perline azzurre e lilla. I capelli li raccolse in una coda bassa che fece passare davanti dal lato destro della testa, si truccò poco e si mise il ciondolo che amava tanto: un lucchetto con sopra quattro cristalli che formavano un quadrifoglio. Lo aveva trovato in un ruscello quando aveva cinque anni, e da quel momento era divento il suo tesoro più prezioso.


Mentre si vestiva, ascoltava la musica proveniente dalla sala da ballo, la festa era iniziata da un pezzo, quasi un’ora. Quando Amu fu pronta esteticamente e mentalmente per entrare in quella sala da ballo piena di gente eccentrica e altezzosa, uscì dalla sua stanza. Quando chiuse le porte della sua camera da letto, la musica si fermò, sentì delle urla provenire dalla sala da ballo. La ragazza corse verso la sala da ballo, imboccò le scale che spesso utilizzava per accedere a quella sala lentamente.
Si nascose dietro a un grande tendone color rosso mogano e osservò l’orribile scena che le si presentò davanti: i tavoli erano stati rovesciati per terra con tutto quello che reggevano, le finestre alcune erano rotte e altre aperte e per terra, sul candido pavimento di marmo, vide sua madre, suo padre e tutta la servitù che era addetta al ricevimento, in un lago di sangue.
Notò poi un gruppo di uomini in nero in mezzo alla sala con in mano delle spade insanguinate e delle pistole, era logico che erano stati loro a combinare quella strage.
-Ehy, ce n’è un’altra lì- urlò uno di loro puntando il dito verso Amu. La ragazza era paralizzata dalla paura, non sapeva cosa fare.
-Bene, uccidiamo anche lei… una più una meno non fa tanta differenza- affermò un altro.
La principessa iniziò a correre inseguita da quei malviventi. Mentre percorreva diversi corridoi, cercava di schivare anche i proiettili che le sparavano da dietro. Per sua grande fortuna conosceva il castello come le sue tasche, così fece cadere diverse armature creando una grande nuvola di polvere dietro a lei e poi svoltò a destra verso il passaggio che conduceva alle scuderie. Non riuscì neanche a montare sopra un cavallo che quei uomini l’avevano già raggiunta. Corse nella foresta cercando di seminarli un po’ per guadagnare tempo per poter mettere in atto un piano per seminarli definitivamente, ma neanche un secondo riuscì a seminarli. Aveva il respiro affannoso e le gambe le facevano male per quanto correva veloce, svoltava a destra e a sinistra, faceva lo slalom fra gli alberi, ma neanche un minuto di tregua. Ad un cerco punto finì su l’orlo di una scogliera. Era in trappola.
Prese un bel respiro e si buttò in acqua senza pensarci due volte, ma per quanto era stanca non riuscì a nuotare, i suoi occhi si chiusero e venne trasportata via dalla corrente del mare.
***

Amu sentì un lieve tepore, lentamente aprì gli occhi e vide un soffitto fatto in tavole di legno sopra di lei, si guardò attorno e vide un camino acceso, una finestra chiusa bagnata per la pioggia che scendeva. Si tirò su, e vide che si trovava in un grande letto, aveva su un abito diverso da quello che si ricordava: vestiva un semplice abito che le arrivava fino ai piedi, color pece con lo scollo a barca.

Ma dove mi trovo?

Sentì un rumore provenire dalla porta. Quando essa si aprì entrò nella stanza una ragazza della sua età, un po’ più alta di lei, con dei lunghi capelli biondi legati in due code. La ragazza aveva gli occhi color ametista e un viso dolce e roseo, di corporatura magra ma piena nei punti giusti. Vestiva un abito a maniche lunghe, viola, con qualche ricamo qua e la per non rendere l’abito piatto e anonimo.
-Vedo che ti sei svegliata- constatò con voce gentile.
-Da quanto stavo dormendo?- chiese Amu confusa.
-Da circa quattro giorni- rispose la ragazza prendendo una brocca dalla scrivania e versando il contenuto di essa in un bicchiere di vetro, -tieni- disse offrendo ad Amu il bicchiere pieno d’acqua.
-Come ci sono arrivata qui?- chiese Amu per poi bere metà dell’acqua contenuta nel bicchiere che stringeva fra le mani.
-Mio fratello ti ha trovata svenuta distesa sulla spiaggia e ti ha portata qui- affermò la bionda sedendosi al bordo del letto vicino ad Amu, -ora vorrei sapere chi sei?- chiese poi.
-Mi chiamo Amu Hinamori- rispose la principessa.
-Allora non mi ero sbagliata dicendo che tu sei la principessa, meno male che sei sfuggita a quel massacro- disse la ragazza, -io sono Utau, piacere di conoscerti- affermò poi.
-Il piacere è mio. Ora potrei sapere dove siamo, geograficamente parlando- chiese Amu.
-Siamo nella foresta a sud del regno, in una vecchia villa appartenente alla mia famiglia- spiegò Utau.
-Capisco- affermò Amu e poi cadde il silenzio.
-Se ti va di alzarti e scendere a conoscere il resto del gruppo basta solo che giri a destra e scendi alla prima scala a sinistra che trovi, noi siamo nella sala sulla sinistra, ci vediamo dopo Amu- disse Utau salutandola mentre usciva dalla stanza.

È gentile, oltre ad essere molto bella. Credo che sia di dovere scendere a conoscere il resto delle persone che vivono, tanto per ringraziarli per la loro ospitalità.

Amu scese dal letto, prese un grande scialle che trovò su una sedia, se lo mise sulle spalle per il freddo e poi uscì dalla stanza.



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Capitolo 2
*** Atto II: Acqua e sangue, combinazione perfetta ***


Atto II: Acqua e sangue, combinazione vincente

Fece come le aveva detto Utau e così arrivò al piano terra in pochi minuti, davanti alla porta sulla sinistra, Amu non sapeva se bussare o entrare semplicemente. Così, senza pensarci troppo, bussò. Le venne ad aprire un ragazzo un pochino più alto di lei con i capelli color castano chiaro e gli occhi simili a due smeraldi.
-Vostra altezza- disse facendola entrare nella stanza dove c’erano gli altri.
-Kukai ti ho detto di non chiamarla così- affermò la voce di Utau dietro di lui. Amu entro nella stanza chiudendo la porta dietro di se. Nella stanza c’erano Utau, il ragazzo che le aveva aperto la porta, uno alto con i capelli scuri e gli occhi color argento, uno con i capelli biondi e gli occhi azzurri e uno seduto sul divano con i capelli color blu notte.
-Vi volevo ringraziare per il vostro aiuto- affermò Amu guardandoli.
-Non abbiamo fatto niente di speciale- esordì il ragazzo con gli occhi color argento.
-Potrei almeno sapere i vostri nomi- chiese Amu.
-Io sono Kukai- disse il ragazzo che le aveva aperto la porta, -il ragazzo con gli occhi color argento è Shin, il biondo è Sulfus, e il ragazzo seduto sul divano è il fratello di Utau, si chiama Ikuto- continuò facendo le presentazioni.
-Piacere di conoscerti Amu- disse Sulfus sorridendo.
-Il piacere è mio- affermò Amu contraccambiando il sorriso.
-Beh sarà un onore per noi avere in casa la principessa del regno- esclamò Shin.
-Shin- lo richiamò il ragazzo seduto sul divano, -ti ricordo che ormai non è più la principessa, visto quello che è successo- continuò lui.
-Cosa sarebbe successo?- chiese Amu non capendo il filo del discorso.
-Semplicemente che in molti ti credono morta, qualcuno ha preso il potere e si è autoproclamato re, ha fatto cadere nella miseria il paese, ed eccetera- raccontò lui come se non gli importasse di quello che stesse dicendo. Ad Amu diede su i nervi quel comportamento così superficiale del ragazzo che se ne stava li, comodo comodo, seduto su quel divano.
-Ne parli come se non ti importasse nulla- affermò la rosa.
-Infatti, come non me ne importa niente di te- ribatté lui. Questo era troppo, per Amu quel ragazzo aveva superato il limite della stronzaggine.
-Se non ti dispiace potresti almeno guardarmi in faccia quando mi rivolgi la parola- esordì Amu cercando di contenere la sua rabbia.
-E perché? A proposito se mi dici quando te ne vai mi fai anche un grande piacere, così almeno so quando riavrò la mia camera- disse lui egoisticamente alzandosi e girandosi verso la ragazza. Amu lo fissò bene negli occhi, le ricordava qualcuno che aveva già visto.
-Ma io ti ho già visto da qualche parte- affermò lei continuandolo a fissare.
-Magari nei tuoi sogni- affermò lui ridendo.
-Io non faccio certi incubi- ribatté lei senza pensarci.
-Peccato- rispose lui.
-Aspetta, ma tu sei… il Gatto nero- affermò Amu fissandolo bene.
Su i visi dei ragazzi si dipinse uno sguardo spaventato, com’era possibile che quella ragazza lo avesse riconosciuto?
-Come? Non credo proprio- affermò Ikuto cercando di evitare di farsi scoprire.
-Già,  hai proprio ragione- concluse Amu.
-In che senso?- chiese Utau.
-Nel senso che un montato come lui non può essere quel moderno Robin Hood, che increscioso sbaglio che ho fatto!- disse lei sarcasticamente, -quando incontrerò il Gatto Nero gli chiederò scusa- disse lei.
-E per cosa?- domandò Shin.
-Per averlo scambiato per questa sottospecie di scemo- rispose lei con ovvietà.
-Come scusa?- chiese Ikuto avvicinandosi alla ragazza.
-Sei pure sordo oltre ad essere scemo- constatò lei.
-Ma come ti permetti?- esclamò Ikuto.
-Mi permetto quello che voglio- rispose la ragazza.
-Io non credo proprio, questa è casa mia ed esigo che mi si porti rispetto visto che ti ospito- disse lui autoritario.
-Di certo io non sono qui di mia volontà o mi sbaglio- affermò la ragazza.
-Prego?- domandò lui incavolato, quella ragazza la conosceva da appena cinque minuti e già gli aveva fatto saltare i nervi.
-Chi è quella “brava” persona che mi ha portata qui?- chiese Amu retorica.
-Questo è il ringraziamento per averti salvata?- esclamò Ikuto.
-Sì se chi mi ha salvata tratta con tanta superficialità quello che è accaduto- affermò lei, -e poi se ci tieni così tanto che sparisca da qui basta solo chiedere- concluse lei lasciando la stanza sbattendo la porta con violenza.
-Che caratterino- affermò a bassa voce Shin.
-Ehy ti ha dato del filo da torcere- esclamò Kukai.
-Lo ammetto: non credevo che quella ragazza, che io non ho mai visto prima, sia riuscita a riconoscermi, per quella storia li, s’intende- affermò Ikuto.
-Sarà… ma non vorrai mica farla andare via, dove potrebbe andare?- chiese Utau al fratello.
-Sarà una rompiscatole, ma non sono così cattivo- rispose uscendo dalla stanza
Amu stava guardando fuori dalla finestra l’acqua che cadeva copiosamente sul terreno, il tempo non accennava a smettere quel lungo temporale. Se c’era qualcosa che Amu non sopportava era la pioggia, troppo triste per lei. Nella sua mente vagavano pensieri come: “I miei genitori non ci sono più”, “hanno ucciso tutta la gente che conoscevo e di cui mi fidato”, “il paese è caduto in miseria”…
Le stava scoppiando la testa, voleva poter cancellare tutto, ma era impossibile. Quella scena, quel liquido sparso sulle piastrelle rosee, quelle spade impregniate del sangue dei suoi genitori, tutto le passava davanti come un film senza fine. I suoi pensieri vennero fermati dallo sbattere di una porta, si voltò dietro di se e vide Ikuto davanti a lei.
-Non ti hanno insegnato a bussare?- chiese lei con tono incolore e freddo.
-Questa è la mia stanza, te lo ricordi?- domandò lui retorico.
-Ah, sì…giusto- sibilò lei continuando a guardare fuori.
-Cosa pensi di fare…per il regno?- chiese poi lui con tono calmo e pacato.
-Cosa vuoi che faccia? Non ho mica la bacchetta magica!- rispose lei sarcastica, non ne poteva più di quei pensieri.
-Comunque tu non te ne puoi andare- constatò Ikuto appoggiandosi alla parete, di fianco alla ragazza.
-E perché no?- chiese lei.
-Pensa alla gente che ha fatto quella strage, cercherà di ucciderti in tutti i modi possibili di questo mondo- rispose lui sicuro di quello che stava dicendo.
-E tu che cosa proponi di fare?- domandò lei curiosa.
-Non saprei- affermò lui pensieroso.
-Visto: neanche tu sai cosa fare- disse Amu voltandosi dall’altra parte.
-Sì, ma… potresti guardarmi in faccia quando ti parlo- esclamò lui.
-Di certo non voglio vedere una brutta faccia in questo momento, quindi…direi che non mi volto- affermò lei dando poca importanza al ragazzo che aveva dietro.
-Principessa Amu Reiko Isabella Angelica Hinamori potresti girarti- le ordinò lui, sentendo il suo nome completo la ragazza si voltò di scatto.
-Come fai a conoscere il mio vero nome?- chiese lei.
-Semplicemente perché sei l’unica che ci può aiutare, e perciò un po’ di cose su di te le conosco- spiegò lui.
-In che cosa vi posso aiutare?- domandò di nuovo lei.
-La collana che porti al collo, dove l’hai trovata?- domandò lui.
-In un fiume, perché?- se prima Amu ci capiva poco di quel ragazzo, ora non ci capiva più niente.
-Secondo te è stata una semplice coincidenza? I cristalli incastonati nel lucchetto sono in realtà Pietre-ghiaccio- disse lui.
-Pietre-ghiaccio? Cosa sono?- chiese Amu guardandolo dritta negli occhi.
-Pietre speciali che fanno reazione con le persone- spiegò Ikuto.
-Continuo a non capire- affermò Amu con lo sguardo perso nel vuoto.
-Pietre che reagiscono con le persone, tu le tocchi e si colorano di un certo colore per identificare un elemento, solo persone speciali possono possedere una di queste pietre, o più- rispose Ikuto sedendosi accanto a lei.
-Speciali come?- domandò Amu, più guardava quel ragazzo più lo associava al Gatto Nero, possibile che quel presuntuoso assomigliasse così tanto a quel Robin Hood moderno?
-Persone che sanno usare ciò che gli circonda a proprio piacere, sono le pietre che scelgono i portatori non il contrario, tu hai trovato quel lucchetto perché era il lucchetto che voleva te- le raccontò Ikuto, Amu non credeva a nessuna parola di Ikuto.
-Tu scherzi, vero?- chiese Amu.
-Se scherzassi potrei fare questo- detto questo Ikuto puntò la mano verso la caraffa d’acqua sulla scrivania e fece uscire il liquido al muovere della mano, portò l’acqua vicino a se per far vedere ad Amu che non era un trucco di magia.
-Ma cosa?- disse Amu toccando l’agglomerato di acqua che fluttuava davanti a lei. –Come hai fatto?- chiese guardandolo stupita.
-Pietre-ghiaccio, io ne possiedo più di una come te- spiegò lui guardandola negli occhi.
-Quindi anche io possiedo un potere del genere?- domandò Amu.
-Sì, anche Utau, Shin, Kukai e Sulfus ne possiedono. Utau possiede il controllo della natura e il controllo della seta, Shin il dominio della terra, Kukai possiede l’abilità della agilità e Sulfus possiede il dominio del fuoco. Sono tutti poteri che servono in qualche modo nella vita di tutti i giorni. Più pietre ti cercano più poteri possiedi, tu hai quattro pietre quindi quattro poteri- spiego Ikuto indicando il ciondolo.
-Come si fa a capire il potere che si possiede?- domandò Amu togliendosi il ciondolo.
-Mettendo il dito indice della mano destra, pensando ai proprio sentimenti più profondi e sinceri, la pietra si colorerà a seconda del tuo potere- spiegò Ikuto.
Amu lentamente posò il suo dito indice sul cuore si destra e si concentrò, sentì una strana sensazione nel toccare il cristallo come di liquido e freddo, una lieve luce blu scaturì dal cristallo e poi svanì, intanto il cristallo era diventato blu scuro.
-Che cosa vuol dire il blu scuro?- domandò Amu guardando Ikuto.
-Il blu scuro è il colore dell’…acqua- affermò Ikuto.
-Acqua? Quindi il tuo stesso dominio- disse Amu.
-Esattamente- rispose Ikuto.
-In che modo posso esservi utile?- chiese Amu.
-Le persone che hanno ucciso i tuoi genitori non erano persone normali, erano schiere e schiere di portatori dell’abilità del combattimento, la tua famiglia ha sempre protetto un potere immenso chiamato Ice. L’Ice è il potere di tutte le Pietre-ghiaccio, se s’impadroniscono di quel potere, tutti i poteri di questo mondo saranno nelle loro mani- raccontò Ikuto, Amu non poteva credere che quel potere fosse stato proprio sotto il naso.
-Cosa possiamo fare?- domandò lei.
-Ora niente, tu non hai nemmeno la più pallida di come si tiene in mano una spada, prima ti alleni e acquisisci i tuoi poteri ed impari ad usarli, poi entreremo in azione- disse Ikuto alzandosi, -forza, andiamo da Utau e gli altri, vediamo di metterti a posto, sei ridicola con quel abito- concluse Ikuto uscendo dalla stanza. Solo dopo qualche secondo, Amu realizzò quello che le aveva detto: -Mi ha detto che sono ridicola? Adesso vedi come lo faccio nero- affermò lei alzandosi.
Arrivata al pian terreno raggiunse Ikuto che parlava con gli altri.
-Ikuto- lo chiamò lei incavolata.
-Bene Utau, dalle qualcosa per allenarsi e poi venite in sala allenamento- ordinò Ikuto tacendo Amu che lo stava per rimproverare.
-Amu vieni con me- affermò Utau trascinandola con se nella sua camera.
Era una semplice stanza, con un semplice letto, con una semplice scrivania e una semplice camera-armadio… altro che semplice camera-armadio! Sembrava una stanza da quando era grande e non si vedeva neanche un buco per mettere nuovi abiti. Utau prese un paio di pantaloni attillati e una camicia bianca. Fece indossare gli abiti ad Amu e poi le porse un paio di scarpe con il tacco da 8 centimetri.
-Perché devo portare i tacchi per allenarmi? Poi con tacchi così alti! Non ne ho mai portate di così alte- esclamò infilandosi quelle scarpe.
-Punto primo, se ci attaccano durante un ballo o un ricevimento avrai sempre a dosso questo tipo di scarpe; punto secondo, c’è una prima volta per tutti; punto terzo, non ho altre scarpe da darti- concluse Utau.
-Ok…- disse Amu specchiandosi.
-Guarda che stai bene, vieni qua che ti faccio una coda, non puoi portare i capelli sciolti quando fai gli allenamenti perché non sai come potrebbe andare a finire- affermò Utau legando i capelli della ragazza con un nastro rosso scuro.
La portò nella sala dove i ragazzi facevano gli allenamenti, una stanza grande tanto quando a un salone per i ricevimenti. La principessa entrò un po’ titubante nella stanza, vide Ikuto in mezzo alla stanza.
-Bene ora ti lascio, vado a preparare la cena. Non avere paura di Ikuto anche se può sembrare rude, è un bravo ragazzo- affermò Utau lasciando la stanza chiudendo la porta.
Chissà perché questi elogi nei suoi confronti non mi rassicurano per niente.
-Vedo che Utau ha trovato un abbigliamento adatto- constatò lui malizioso.
-Stendiamo un velo pietoso su questo argomento. Ora dimmi come mi vuoi uccidere- affermò Amu ironica.
-Oggi diciamo che non troverò il modo di ucciderti, devi imparare al più presto a dominare l’acqua- disse lui serio, anche se questa serietà Amu la vedeva come una semplice maschera per nascondere le sue vere intenzioni, come, ad esempio: “Adesso vedi come ti faccio patire le pene del inferno” oppure, “Ora vedi che bella doccia ti fai, magari anche con l’acqua fredda”. Ad Amu vennero i brividi al solo pensiero di quello che le stava per succedere.
-Bene, allora, devi capire un concetto di base su questo tipo di dominio: l’acqua è dappertutto, nel suolo, nelle piante, e anche nei corpi degli esseri umani. Quindi con l’acqua puoi avere diversi vantaggi in combattimento- disse Ikuto.
-Ok- rispose Amu.
-Ora proviamo a fare una prova- disse Ikuto andando a prendere una caraffa piena d’acqua, -il tuo obbiettivo è quello di far uscire l’acqua dalla caraffa- affermò lui mettendo la caraffa per terra davanti a lei.
-E come dovrei fare?- chiese Amu guardandolo.
-Basta concentrarsi. È come dare un ordine al liquido, ma questo lo devi fare con il pensiero, e con le mani dai la forma e fai muovere l’acqua- spiegò Ikuto.
-Bene. Non prometto niente- disse Amu voltandosi verso l’acqua. Portò la mano destra avanti, chiuse gli occhi e cercò di concentrarsi il più possibile cancellando tutto ciò che era attorno a sé. Iniziò a muovere lentamente la mano verso l’alto. Non sentiva niente. Si chiedeva se questo silenzio era un bene o un male.
Lentamente, mentre la mano si muoveva, l’acqua iniziava ad alzarsi dal recipiente, gli occhi di Ikuto iniziarono a brillare al vedere l’acqua muoversi sotto il controllo della ragazza, in pochi possiedono il potere dell’acqua, e sempre in pochi riescono al primo tentativo a far spostare l’acqua. Amu aprì gli occhi e vide che tutta l’acqua che era dentro alla caraffa era fuori a formare un grande agglomerato di acqua.
-Ce l’ho fatta- sibilò Amu stupida dei suoi progressi.
-Per essere la prima volta te la cavi piuttosto bene- disse Ikuto fissandola. Amu fece rientrare l’acqua nella caraffa senza tralasciare neanche una goccia.
-Bene ora ti insegno come modellarla a due mani- esordì Ikuto mettendosi accanto a lei. Lui in pochi secondi fece uscire il liquido.
-Ora stai molto attenta, ricordati, l’acqua può nuocere. Se sbagli un movimento o se ti deconcentri, l’acqua ti potrebbe anche ferire gravemente- le raccomandò Ikuto serio.
-Tu ti sei mai fatto male? Con l’acqua, intendo- disse Amu.
-No, non mi sono mai fatto male. Ora guarda,- rispose lui iniziando a muovere le mani, -ogni movimento che fai con le mani, l’acqua lo riflette. Se vuoi mandarla verso destra, devi spostare entrambe le mani, prima la destra poi la sinistra, verso destra; per la sinistra è uguale, fai gli stessi movimenti ma verso sinistra, solo che viene prima la mano sinistra e poi la destra.- Ikuto le fece vedere i movimenti che le aveva appena spiegato.
-Per far andare l’acqua in avanti basta solo che sposti la mano in modo orizzontale rispetto al tuo campo visivo. Invece per farla andare indietro, tu ti devi girare e portarti l’acqua davanti a te, così ciò che avevi dietro ce l’avrai davanti. Ricorda: per dominare l’acqua devi avere l’obbiettivo che vuoi colpire davanti ai tuoi occhi. La lunghezza del getto dell’acqua dipende da quanta forza ci metti nei movimenti, e la velocità è essenziale con questo dominio- disse Ikuto, -domande?-
-Nessuna- rispose Amu.
-Bene ora prova tu- disse Ikuto facendo rientrare l’acqua nella caraffa. Amu fece gli stessi movimenti di prima per far uscire l’acqua, iniziò a spostarla da destra verso sinistra senza avere molti problemi. Fece spostare l’acqua in avanti e indietro. Rimaneva concentrata, cercava di pensare a niente, solo all’acqua.
-Però, devo ammettere che sei abbastanza portata- disse Ikuto guardando i movimenti della ragazza.
-Grazie- ringraziò la ragazza allibita per quello che stava facendo.
-Sei sicura di non avere mai dominato l’acqua prima?- domandò Ikuto curioso e allo stesso tempo stupito.
-Questa è la prima volta che faccio una cosa del genere- affermò Amu.
-Ora aspettami qui, vado a chiamare Shin- disse Ikuto uscendo dalla stanza.
Ma come ci sono riuscita? E come mai Ikuto ripone tante speranze in me? Prima, quando ci siamo incontrati, mi trattava come una bambinetta. Chissà quali sono le sue intenzioni?
Amu vide entrare Ikuto seguito da Shin. Shin andò a posizionarsi dall’altra parte della stanza, Ikuto invece si mise contro il muro di sinistra.
-Allora, Amu ora Shin farà di tutto per poter farti del male attraverso il suo dominio, tu ti devi difendere con l’acqua e se puoi cerca di ferirlo. Non risparmiarti contro di lui- disse Ikuto rivolgendosi ad Amu, -Shin- disse rivolgendosi al ragazzo, -non ti risparmiare neanche tu- ora Amu iniziava ad avere paura.
Shin fece apparire dei grandi massi di roccia attorno a lui, uno di essi lo scagliò contro Amu ad una velocità strabiliante, fortuna vuole che Amu riuscì a schivarlo gettandosi per terra. Ne scagliò ancora un altro verso la ragazza che si rialzò velocemente però venne colpita dal masso che la fece volare in aria e cadere sul pavimento pesantemente. La ragazza emise un gemito di dolore, cercò di alzarsi, ci riuscì a fatica ma ci riuscì. Aveva il braccio che le sanguinava vistosamente. In quel momento entrarono Kukai, Sulfus e Utau nella stanza, spaventati dal gran rumore e videro le condizioni di Amu.
-Ikuto, Shin. Non credete di esagerare nel farla combattere appena dopo che ha imparato il dominio- urlò Utau.
-Glielo ho detto anch’io ma non mi vuole ascoltare- rispose Shin.
-Ikuto è un esagerazione- esclamò Kukai vedendo Amu che respirava affannosamente. Ikuto non rispose, continuava a guardare Amu.
-Forza, so che ce la puoi fare- sibilò a bassissima voce senza che gli altri lo sentissero. Amu sollevò il capo verso Shin, liberò la sua mente dal dolore per la ferita e si concentrò. Cadde il silenzio. Shin ricominciò a scagliare i massi verso di lei. Alla vista di Amu iniziò tutto ad andare a rallentatore, con uno scatto felino evitò i massi, si spostò verso destra. Shin continuava a scagliarle contro una miriade di massi giganteschi che lei evitava abilmente, cercava di far stancare Shin, correva come un gatto per la stanza. Ad un certo punto però venne di nuovo colpita da un masso ma quando cadde, riuscì ad rialzarsi subito.
L’acqua è dappertutto, anche negli esseri umani.
A quel pensiero Amu si guardò il sangue che le fuoriusciva dalla ferita, non era poco. Senza pensarci due volte iniziò a correre verso Shin. Era qualche metro da lui che con la mano sinistra mosse il sangue  in grande quantità e lo lanciò a mezz’aria, era come un diversivo per Shin, la ragazza fece in modo da nascondersi dietro il suo sangue. Shin non vide più niente, quando il sangue finì per terra non vide più Amu, si guardò a destra e a sinistra ma non la vide. Alzò lo sguardo e vide la ragazza sospesa a mezz’aria con una grande massa d’acqua attorno a lei.
-Sei finito!- urlò lei scagliandogli contro l’acqua con tutta la forza possibile. Il ragazzo non ebbe neanche il tempo di contrattaccare che venne sbaragliato contro il muro dall’acqua. Amu ritornò per terra e guardò ciò che aveva fatto, dire che era stupita era poco. Si rialzò e andò verso Shin a passo spedito, arrivata davanti a lui gli chiese: -Stai bene?
-Il vantaggio del dominio della terra è che si è solidi come una roccia, ma credo che mi sia venuto il mal di schiena per la botta- rispose Shin mentre si rialzava. Amu si voltò verso i ragazzi che avevano gli occhi sgranati per quello che avevano visto, si voltò verso Ikuto che aveva lo stesso sguardo che aveva prima: strafottente.
Amu si avvicinò a lui e gli chiese: -Andava bene?
-Che cosa?- domandò lui.
-La prova- disse lei.
-Passabile- disse lui con tono poco entusiasta e menefreghista.
-Passabile?- chiese Amu allibita.
-Sì, ti ritrovi con una bella ferita sul braccio, dovevi evitare ogni tipo di ferita o ostacolo, e poi c’era poca decisione- disse lui.
Ma guarda sto’ stronzo…
Amu fece muovere l’acqua verso Ikuto e senza che lui se ne accorgesse gli fece finire l’acqua addosso.
-Questo è per il “passabile”- disse lei, e poi gli tirò un calcio in piena pancia e gli disse: -Il calcio era abbastanza deciso?- lui s’inginocchiò per il dolore.
-Allora?- chiese lei.
-Decisissimo, mamma mia che dolore- disse Ikuto massaggiandosi la pancia. Amu sorrise vittoriosa e tutti gli altri si misero a ridere.
 

 

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Capitolo 3
*** Atto III: Un nuovo incontro con il Gatto Nero ***


Atto III: Un nuovo incontro con il Gatto Nero


Mentre uscivo dalla stanza, Ikuto mi prese il braccio ferito in malo modo e si mise a guardarlo. Ovviamente mi lamentai per il dolore, visto che la sua stretta non era una fra le più delicate.
-Ora vieni con me. Meglio che ti medico quella ferita- affermò lui e senza tanti complimenti mi portò in salotto e mi fece sedere sul divano rosso scuro. Andò a prendere un asciugamano e un po’ di acqua. Iniziò a tamponarmi il braccio con l’asciugamano inumidito, quando faceva un po’ di pressione non mi risparmiavo dal lamentarmi per il dolore.
-Sei un po’ deboluccia nei confronti del dolore, mi ero aspettato un po’ di più carattere- si lamentò mentre mi curava la ferita.
-Desideri un altro calcio in pancia?- domandai io guardandolo.
-Ci tengo al mio stomaco- esclamò lui allentando la presa sul mio braccio. Appoggiò l’asciugamano e con il suo dominio, fece applicare l’acqua al mio braccio e poco a poco la ferita si rimarginò.
-Ma come?- chiesi io guardando sbalordita l’effetto dell’acqua sulla ferita.
-Questo dominio ha molti risvolti, uno di questi è la cicatrizzazione delle ferite. Per la tua incolumità è bene che impari a curarti le ferite da sola quando ne hai la possibilità- disse lui togliendo lo strato d’acqua dal mio braccio.
-Ikuto, però la ferita mi fa ancora male- gli dissi io.
-Il dolore sparirà tra poco, non si può fare tutto- affermò lui alzandosi e portando via l’asciugamano e l’acqua. Rimasi da sola per qualche minuto quando sentii Utau che mi stava chiamando: -Amu vieni la cena è pronta!!-
Mi alzai e andai in sala da pranzo, Shin e Kukai avevano appena finito di apparecchiare, mi sedetti a tavola e dopo arrivarono anche gli altri a sedersi. Utau ci mise nei piatti una bella porzione di minestra calda a base di patate, aveva un buon odore e il sapore non era niente male.
I piatti diventarono vuoti dopo circa trenta minuti, sparecchiammo il tavolo e poi i ragazzi si misero a parlare, quando poi interpellarono me.
-Amu certo che oggi non hai avuto pietà con Shin- constatò Kukai. Io non risposi, non sapevo come rispondere.
-Di certo non hai la mano delicata come si potrebbe credere- disse Shin ridendo.
-Ti sta bene. Così la prossima volta eviti di eseguire gli ordini di Ikuto alla lettera, per poco Amu non ci rimetteva un braccio- esclamò Utau prendendo le mie difese.
-Però è raro vedere una ragazza scagliare un attacco del genere, per di più la prima volta che utilizza il suo dominio… tu che ne dici, Ikuto? - affermò Sulfus.
-Dico che non la dovete mettere su un piedistallo, non ha fatto nulla di spettacolare- affermò lui senza mezzi termini. Di certo quello che aveva detto era vero, ma mi fece male perché credevo che fare quello che avevo fatto era strepitoso.
-Se poi ci aggiungiamo che era contro una sola persona, se era contro due uomini sarebbe già andata a far compagnia ai suoi genitori. Il suo grande problema è che è poco decisa, deve affinare lo spirito di aggressività e dimenticarsi che prima era una principessa- continuò lui. Quelle sue parole mi irritarono sopra ogni dire. Mi alzai scatto mettendo le mani sul tavolo, quelle parole mi avevano ferita dentro, per molti potevano essere delle semplici constatazione ma per me erano molto di più, sembrava che tutto quello che avevo fatto quel pomeriggio fosse stato come bere un bicchier d’acqua.
-Scusatemi per la mia debolezza e per le mie radici famigliari- affermai lasciando la stanza. Me ne ritornai in camera, mi misi sotto le coperte e mi addormentai.
 
Il mattino dopo Amu si svegliò verso le otto, si cambiò gli abiti e scese giù a fare colazione. Non c’era ancora nessuno, così si arrangiò e per colazione mangiò una mela rossa. Finita la mela uscì dalla casa, c’era una bella giornata calda e soleggiata.
Iniziò a camminare e si abbatté in un fiume che scorreva vicino alla villa circondato da una fitta foresta, però li vicino c’era una radura abbastanza grande. Amu si mise in mezzo alla radura e prese un po’ di acqua dal bacino del fiume e la portò davanti a sé. Iniziò a giocarci un po’. Faceva delle figure con l’acqua che la divertivano molto, il tempo si era fermato per lei continuava e continuava a giocare con l’acqua senza fermarsi.
Ikuto quando si era svegliato era sceso al piano di sotto ma non aveva trovato da nessuna parte la principessa, rivoltò tutta la casa per cercarla. Uscì e sentì degli strani fruscii fra le foglie degli alberi anche non c’era un alito di vento, continuò a camminare da dove proveniva il fruscio, arrivò nella radura e vide una grande massa d’acqua con in mezzo una ragazza dai capelli rosa. Si muoveva in modo fluido e armonioso senza avere problemi.
-Amu, ma cosa…?- si chiese Ikuto strabiliato da quello che stava facendo Amu con l’acqua, era qualcosa che non aveva mai visto fare da nessun altro, a parte lui. Si avvicinò alla ragazza schiavando abilmente l’acqua che le stava attorno, arrivò dietro di lei e le sussurrò: -Guarda che ne hai ancora di strada da fare, piccoletta.
Amu sobbalzò per lo spavento preso e l’acqua cadde per terra aderendo al terreno scomparendo, la ragazza si voltò di scatto e cadde per terra. Ikuto si mise a ridere a vedere quello che la ragazza era riuscita a combinare da sola sentendo a mala pena la sua voce.
Amu lo guardò in cagnesco non sopportava quella risatina da ragazzo che ha appena visto una ragazza sbagliare, la irritava sopra ogni dire.
-Senti tu cosa vuoi da me?- domandò Amu fissandolo dritta negli occhi e lui smise di ridere e diventò serio.
-Cosa intendi dire?- chiese lui ricambiando lo sguardo.
-Perché mi tratti come se fossi una pietra preziosa quando si parla del mio dominio e poi cambi comportamento e mi tratti come uno zerbino, risolvimi questo arcano- disse Amu arrabbiata con il ragazzo.
-Te l’ho già spiegato, se l’Ice cade nelle mani delle persone sbagliate è la fine per tutti noi- rispose Ikuto, -tu servi per impedire tutto ciò, è vero ora non hai le carte in regola per poterli affrontare in combattimento, ma se ti ci metti puoi fermarli- disse Ikuto.
-E dimmi… tu cosa ci guadagni?- domandò Amu alzandosi da terra
-Io? Beh… rispetto, fama, cose così- disse Ikuto facendone l’elenco.
-E chi ti dice che io sono d’accordo? Detto sinceramente non me ne importa niente di ritornare ad essere una principessa, anzi, meglio così- affermò Amu voltando il viso da un’altra parte con indifferenza.
-Senti un po’- esclamò Ikuto, -se non l’hai ancora capito tu sei una delle poche persone che può evitare che scoppi l’inferno in questo regno, e hai il coraggio di parlare con tanto ribrezzo della tua vita da principessa, ma hai la minima idea di quanta gente vorrebbe essere al tuo posto? Di quante ragazze vorrebbero essere te almeno un giorno?- domandò Ikuto arrabbiato del poco tatto della ragazza nei confronti di quella situazione.
Amu abbassò lo sguardo, odiava più di ogni altra cosa la vita da principessa, era una gabbia dorata che ti costringeva a fare tutto ciò che non volevi, odiava quella vita con tutta se stessa.
-Con questo vorresti dirmi che anche tu vorresti diventare un principe?- chiese Amu con la voce tremolante e piena di tristezza.
-No, ma voglio dire che tu sei l’unica ad avere abbastanza potere per cambiare i connotati di questo regno caduto in miseria dopo appena quattro giorni- ribatté Ikuto.
-Hai idea della vita di una principessa? Hai idea di quello che ti accade? Hai idea di quello che devi sopportare per andare avanti? Hai la minima idea di quello che succede nelle mura del palazzo? DIMMI IKUTO HAI LA MINIMA IDEA?- urlò Amu davanti a Ikuto che la fissava, -Essere allontanata dalla propria famiglia per essere educata, non avere l’amore di una madre e di un padre negli anni dell’infanzia?- Amu aveva gli occhi lucidi, Ikuto non la fissava, la comprendeva ma non la compativa, sapeva quello che Amu intendeva dire, e la compassione non serve quando si è vittima dello stesso grado sociale.
-Anche io- iniziò lui, -ho vissuto la tua stessa situazione. Perciò non ti compatisco, ma non ho bisogno di una ragazzina che continua a maledire i giorni della sua infanzia bruciata- Ikuto estrasse dal fodero la spada e la puntò contro Amu dicendo: -O sei con noi, o sei pronta per andare a far compagnia ai tuoi genitori. Cosa scegli?
Amu si ritrovò puntata contro la spada, di certo aveva paura di quello che le stava accadendo, non poteva immaginare che Ikuto sarebbe ricorso alle maniere forti per farle cambiare idea. Con tutto il coraggio che aveva in corpo mise la mano sulla punta della spada e la spostò lentamente.
-Io accettò, ma ricorda bene: se solo una persona del gruppo verrà ferita, o nel peggior dei casi uccisa, io sarò fuori da questa faccenda, che ti piaccia o no. Intesi?- affermò lei calma e decisa allo stesso tempo. Ikuto ripose la spada nel fodero e poi rispose: -Vedo che non sei quel tipo di principessa che fai credere di essere, comunque sono d’accordo. Ora, vediamo di insegnarti a maneggiare le armi-
-Le armi?- domandò lei confusa.
-Non credere che puoi usare i domini per tutto il giorno- affermò lui dandole la spada in mano, -ora tieni la spada nella mano destra, io vado a prenderne un’altra- così facendo lo rividi dopo una manciata di minuti con in mano un’altra spada.
-Ricordati che devi evitare ogni tipo di ferita- le disse Ikuto mettendosi davanti a lei incrociando le spade, e poi iniziarono a combattere. Ikuto era stupito dalle conoscenze della ragazza, aveva qualche lacuna nella tecnica ma non si faceva problemi a difendersi con quell’arma.
Continuarono per tutto il giorno ad allenarsi, non erano stanchi, anzi avevano ancora energie in corpo, ma allo stomaco non si comanda. Ritornarono alla villa, cenarono con gli altri e poi si riposarono.
Amu era seduta davanti al camino ardente, rifletteva un po’ su quello che le era successo in quei giorni e le sembrava tutto un sogno, ma purtroppo non era così. Era tutto maledettamente vero. Sentì dei passi, alzò lo sguardo e vide Ikuto uscire dalla porta. Amu si affacciò alla finestra e lo vide addentrarsi nel bosco, qualcosa in lei le diceva di seguirlo, ma pensò di rimanere in casa per non correre troppi rischi. Ritornò a sedersi sulla poltrona, aveva accanto un bicchiere d’acqua, fece uscire il liquido dal bicchiere e iniziò a giocarci, però mentre ci giocava continuava pensare ad Ikuto. Quel ragazzo la incuriosiva sopra ogni dire, quando pensava al suo sguardo non poteva fare a meno ad associarlo al Gatto Nero, assomigliava troppo a quel ragazzo mascherato, era fin troppo uguale a lui. Gli stessi occhi e gli stessi lineamenti del viso.
Cosa voleva da lei Ikuto? Perché proprio lei? Cosa aveva lei che le altre ragazze non avevano? Perché quel giorno, le era capitato sotto gli occhi quel lucchetto che luccicava nell’acqua?
La storia che le pietre-ghiaccio sceglievano il proprietario e non viceversa era proprio singolare, come se il dominio dell’acqua non lo era. Era come se fosse finita dentro a un libro e lei era la protagonista. Era tutto così insensato per lei, passò per la sua mente un pensiero su chi poteva aver preso il potere a palazzo. Come si poteva ridurre un regno in miseria in meno di una settimana? Era quasi impossibile per la mentalità di Amu. Com’era potuto accadere che i suoi genitori fossero stati uccisi così sotto il suo naso? Come erano riusciti a far fuggire la nobiltà dal palazzo senza un urlo di terrore da parte di qualche nobile? Che la nobiltà ne fosse al corrente? O che li avessero imbavagliati? No, per circa una decina di uomini è impossibile imbavagliare tutta la nobiltà che circola in un palazzo durante un ballo, e poi ci sarebbe stato comunque qualcuno che avrebbe posto resistenza. Amu avrebbe sicuramente udito qualsiasi urla da parte degli invitati, ma invece l’unica cosa che aveva sentito quella sera era stata l’orchestra che suonava, la quale aveva smesso di suonare qualche istante prima che lei fosse entrata in quella sala.
I pensieri di Amu erano diventati una grande nebulosa nella sua mente, forse la soluzione a quell’enigma era più semplice di quanto si poteva sembrare e lei non la vedeva perché ci pensava troppo. Ma il più grande fra gli enigmi che la avvolgevano era Ikuto. Cosa sapeva di lui? Niente? La sua età? Forse diciotto anni, se il suo aspetto era lo specchio della sua età.
Cognome? Chi ha mai parlato di un cognome?
Grado sociale? Ambiguo.
Famiglia? Utau, sua sorella.
Casato? Chi ha mai menzionato un casato.
Amu fece rientrare l’acqua nel bicchiere, si alzò e vide dal orologio a pendolo che era quasi mezzanotte, vide che per la casa non c’era nessuno. Decise di ritornare in camera sua, ma non aveva sonno. Così uscì sul balcone, c’era una lieve brezza che soffiava dal mare che rendeva quella sera estiva più piacevole. Amu appoggiò le mani sul davanzale, la luna brillava insieme alle stelle. C’era un silenzio da cimitero, forse era una notte un po’ troppo silenziosa per i tempi che correvano.
Amu sentì uno strano fruscio, ma non ci fece tanto caso, pensò che forse erano gli alberi che erano stati mossi dal vento.
-Non ti sembra un po’ tardi per mettersi a guardare le stelle?- una voce dietro di lei la fece sobbalzare e girare allo stesso tempo. I suoi occhi videro una sagoma scura dietro di lei. La sagoma si mosse verso di lei, la luce della luna fece vedere ad Amu il viso del ragazzo, non altri che il Gatto Nero. Amu tirò un sospiro di sollievo dallo spavento che si era presa.
-E a te non sembra da maleducati spaventare una ragazza durante la notte?- chiese lei guardandolo.
-Era tanto per divertirmi un po’- rispose lui ridacchiando.
-Che bel trattamento che riservi a chi ti ha aiutato- constatò Amu.
-Non dirmi che eri tu quella ragazza con il mantello del altro giorno- domandò lui fissandola.
-In effetti ero io- rispose lei ricomponendosi dallo spavento.
-Beh, allora le scuse sono d’obbligo- affermò lui.
-Non ti preoccupare, non sono il tipo che si fa elogiare per ciò che ha fatto- disse lei, -comunque perché sei da queste parti?-
-Beh… ero passato in paese e per farmi una bella passeggiata, sono passato per il bosco- rispose lui velocemente.
-Capisco, com’è la situazione in città?- domandò lei.
-Di certo non è una delle migliori, la gente riesce a malapena a mangiare e i ricchi ne approfittano in ogni modo, gettando in miseria la povera gente- rispose lui amaramente.
-E tu cosa vuoi fare?- chiese poi Amu.
-Cerco di fare il possibile ma non è più di tanto facile, hanno messo troppe guardie per poterne uscire illesi, ma spero che questa situazione svanisca al più presto- rispose lui guadandola, -e tu invece, cosa vuoi fare?
-Io non saprei, non sono mai stata abituata a combattere con le armi. Molto spesso mi chiedo come sia potuto accadere tutto questo- rispose Amu.
-Ti senti sola?- chiese il Gatto Nero avvicinandosi a lei.
-Sì, anche se non lo sono, sono circondata da brave persone, ma non riesco a sentirmi a sicuro- rispose Amu.
-È normale sentirsi così, a volte, vostra altezza- sentendo quel appellativo Amu alzò subito lo sguardo.
-Sai chi sono io?- chiese strabiliata.
-Chi non conosce la principessa dai capelli color rosa lampone- rispose lui ridendo.
-Ti prego non parlarmi dei miei capelli, non li sopporto- disse lei accarezzandoseli.
-E perché?- chiese lui.
-Sono brutti- rispose lei.
-Per me sono bellissimi, non ci sono molte ragazze che hanno dei capelli così belli e lunghi- disse lui.
-Sai, sei la prima persona che mi dice che sono belli- confessò Amu, -ma dimmi cosa sai su di me?-
-Beh… conosco il tuo nome completo, quando sei nata, il tuo segno zodiacale e il colore dei tuoi occhi- rispose lui facendo l’elenco.
-Però ne sai di cose su di me, io però non so niente su di te- affermò Amu.
-Di che colore sono i miei occhi?- chiese lui voltandosi velocemente.
-Sono… due ametiste- rispose lei calma. Lui si voltò lentamente, nessuno aveva mai paragonato i suoi occhi a due ametiste.
-È la prima volta che qualcuno paragona i  miei occhi a delle ametiste- disse lui sottovoce.
-Sono la prima cosa che mi viene in mente quando guardo i tuoi occhi e gli occhi del ragazzo che vive qua- rispose Amu.
-E tu cosa ne pensi di lui?- chiese il Gatto Nero.
-Non so cosa pensare di lui, prima mi aiuta a medicarmi poi mi punta una spada contro, è un enigma per me. Non riesco a vedere niente di lui da quello che fa o da quello che dice, quei occhi mascherano tutto ai miei- affermò Amu.
-Non pensi che lo faccia perché gli piaci?- domandò lui.
-Non esiste. Io non sono mai stata desiderata da nessun ragazzo, e poi un tipo come lui non guarderebbe mai una come me, da quello che ho capito manco gli piaccio, mi tratta come se fossi una bambina- affermò Amu.
-Forse perché lui ti vede così, come qualcosa di piccolo e prezioso che deve essere protetto e per questo assume un atteggiamento come il suo- rispose il Gatto Nero, -però, io non condivido questo tipo di atteggiamento- disse lui avvicinandosi a lei, -preferisco dirle subito le cose che nasconderle-
-E tu cosa pensi di me, così a tatto?- chiese Amu. Lui avvicinò la sua bocca al l’orecchio di lei e le sussurrò:    -Penso che sei troppo preziosa per ricevere attenzioni da qualcuno che ti tratta male, e troppo bella per chi non sa vedere la tua bellezza- poi le diede un lieve bacio sulla guancia e si lanciò giù dal balcone atterrando in piedi sul terreno e scomparendo dentro al bosco come un fulmine. Ora veramente Amu non sapeva cosa pensare.



 

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Capitolo 4
*** Atto IV: Non c'è bisogno che mi ringrazi ***


Atto IV: Non c’è bisogno che mi ringrazi

Amu si svegliò tardi quella mattina, con quello che le era successo la sera prima non si poteva dire che non era stanca. Tutte quelle emozioni le avevano rovinato il sonno. Scese giù in cucina e vide che tutti stavano facendo colazione e parlavano.
-Buongiorno Amu- la salutò Utau.
-Ciao- rispose lei in uno stato catatonico sedendosi sulla sedia e mettendo i gomiti sul tavolo.
-Amu vuoi che ti preparo qualcosa? Ehy, Amu?- disse Utau chiamandola anche la ragazza non rispondeva.
-Ehy c’è qualcosa che non va?- chiese Sulfus. La ragazza si voltò verso di lui guardandolo con lo sguardo perso nel vuoto.
-Gatto…Nero…ieri…sera- disse lei a intermittenza.
-EHH???- urlarono tutti per quello che aveva detto Amu. La principessa raccontò per filo e per segno quello che le era successo ai ragazzi. Ikuto intanto stava scendendo dalle scale, entrò in cucina e vide quello che stava succedendo.
-Ehy, signorina, ti sembra l’ora di svegliarsi?- esclamò lui rivolgendosi ad Amu, lei si voltò a scatti e poi disse: -Dove sei andato ieri sera? Ti ho visto uscire.
-Sono andato a fare una passeggiata per smaltire la cena, era lievemente pesante- rispose lui.
-Ah, ora hai smaltito la cena?- chiese di nuovo Amu.
-Sì, perché?- domandò Ikuto chiedendosi cosa sarebbe successo dopo. Amu si alzò di scatto e poi rispose:     -Bene, oggi mi accompagni in città- disse lei, -va bene? Certo che va bene, vado a prepararmi, e sbrigati a prepararti anche tu- concluse lei correndo in camera sua.

-Ma cosa le è preso?- chiese Ikuto guardando gli altri. Utau si voltò e lo guardò in cagnesco.
-Cosa ti sembra che le sia preso, Ikuto?- chiese lei, -Perché ti sei travestito da Gatto Nero e sei andato da lei? Già è abbastanza difficile nasconderlo ma tu che vai da lei vestito in quel modo proprio non me lo aspettavo. Ora ci manca solo che viene a scoprire che sei proprio tu il Gatto Nero e poi scoppia il finimondo. Per quale maledettissimo motivo le hai detto quelle parole? Tu proprio non hai la minima idea della confusione che c’è nella testa di quella ragazza- disse lei riprendendo fiato.
-Non le ho detto niente di male, era solo per tirarle su il morale- rispose Ikuto cercando delle scuse.
-Tirarle su il morale? Tirarle su il morale?? Tirarle su il morale??? TIRARLE SU IL MORALE???? Tu in questo modo hai combinato il casino più grande nella storia dei casini! Ma ti rendi conto di quello che hai fatto? Se riuscito a mettere nella confusione più totale una ragazza! Quando lei scoprirà chi è veramente il Gatto Nero cosa penserà?- chiese Utau a Ikuto.
-Di certo non sarà la persona più felice del mondo- affermò Sulfus canzonandolo.
-Non ti ci mettere anche tu, basta già mia sorella- esclamò Ikuto.
-Ikuto andiamo- urlò Amu scendendo le scale di corsa fermandosi davanti alla porta. Ikuto mise il naso fuori dalla cucina e vide la principessa che lo aspettava impaziente, poi si voltò verso gli altri e vide la sorella che con il dito indice gli indicava di andare da lei. Lui, quatto quatto, raggiunse Amu davanti alla porta.
-Prima di andare, mettiti su questo, così evitiamo problemi per la tua identità- disse lui dandole un mantello lungo. Lei se lo mise tentennante e poi seguì il ragazzo fuori dalla villa, si addentrarono nella foresta che era illuminata dal sole estivo.

Chissà cosa ne pensa Ikuto del Gatto Nero? Quasi quasi glielo chiedo…

-Senti Ikuto…- iniziò Amu.
-Che c’è?- chiese lui con il modo di fare da scaricatore di porto.

Mamma mia, che modi!!! Mantieni la calma!

-Senti, tu cosa ne pensi del Gatto Nero?- chiese poi la ragazza mettendosi davanti a lui camminando all’indietro.
-Cosa intendi dire?- chiese lui fissandola.
-Voglio sapere cosa ne pensi…- disse lei voltandosi e tornando a camminare come le persone normali.
-Secondo me è uno che si da tante arie perché riesce sempre a passarla liscia con le guardie reali. È solo un ragazzo che passa il suo tempo a farsi elogiare da chi lo vede come il salvatore della povera gente- rispose Ikuto voltandosi verso destra con il capo.

Credo che lui non sopporti il Gatto Nero, anche se compie delle buone azioni nei confronti dei più deboli, a Ikuto non piace per niente.

-Da quello che dici sembra che tu non lo vedi come appare, allora smetterò di parlare di lui in tua presenza- affermò Amu voltandosi a guardarlo. Lui si fermò e la guardò bene, benché fosse di media statura, fragile dal punto di vista corporeo e avesse dei capelli tremendamente lunghi e di un colore strano, quella ragazza era riuscita ad imparare il dominio dell’acqua in pochissimo tempo.
-Senti, parlando di cose più importanti: davvero tu non eri a conoscenza dell’ Ice?- chiese lui cambiando discorso.
-No, mi sono sempre tirata fuori da ogni questione che riguardava i miei genitori- rispose Amu.
-Capisco- disse Ikuto sorpassandola e oltrepassando il fiume che scorreva li vicino con un salto, -dai vieni che siamo vicini al paese.-
Amu arrivò al bordo del fiume stava per saltare quando vide brillare qualcosa nell’acqua si fermò.
-Amu ti vuoi muovere- la chiamò Ikuto voltandosi, vide la ragazza che fissava l’acqua. Lui ritornò vicino a lei e le chiese: -Cosa stai guardando?
-C’è qualcosa che brilla nell’acqua- rispose lei.
-Sarà il sole che rispecchia la luce nell’acqua- affermò Ikuto.
-Il sole è per caso blu?- chiese Amu retorica inchinandosi davanti all’acqua mettendo la mano dentro al fiume.
-Come “blu”?- esclamò Ikuto abbassandosi per guardare meglio. La mano di Amu uscì dall’acqua e ora la ragazza teneva in mano un ciondolo a forma di mezza luna con incastonato un cristallo blu.
-Un semplice ciondolo a forma di mezza luna- affermò Amu delusa della scoperta. Si alzarono e continuarono a camminare arrivarono in una radura molto grande, la ragazza si fermò e si distese sull’erba e iniziò a contemplare il cielo azzurro, si sentiva rilassata e calma.
-Scusa Amu, ma se vuoi arrivare in paese dovresti continuare a camminare- esordì Ikuto fermandosi accanto alla ragazza distesa.
-Preferisco rimanere qui- affermò la ragazza incrociando le mani dietro la testa, -il Gatto Nero ha detto che il paese è caduto in miseria, andare lì mi metterebbe angoscia, non ti dispiace se rimaniamo qui?- gli domandò poi voltando lo sguardo verso di lui.
-Se va bene a te- rispose il ragazzo stendendosi anche lui sull’erba accanto alla ragazza, -sai, se qualcuno ti guardasse dal alto ti scambierebbe per un fiore da come sono messi i tuoi capelli- constatò poi Ikuto ridendo.
-Un fiore…-sospirò la ragazza tirando fuori il ciondolo a forma di luna. Lo contemplava per quanto fosse semplice e bello allo stesso tempo.
-Sai quel ciondolo mi ricorda la leggenda della luna blu e della luna rossa- affermò Ikuto fissando il ciondolo fra le mani della ragazza.
-Leggenda della luna blu e della luna rossa…non la conosco- disse Amu, -me la racconti?- gli chiese poi.
-Devo proprio? Cosa ho in cambio?- domandò lui svogliato.
-Tutta la mia gratitudine- lui la guardò un pochino male per la risposta scarna che gli aveva dato, lei lo guardò: il viso del ragazzo diceva “solo?”, -e magari anche una torta al cioccolato- affermò lei cercando di persuaderlo a raccontargli la leggenda.
-Va bene- disse Ikuto.
-Evviva- esclamò Amu felice.


“C’erano una volta, due dee di uguale bellezza, erano uguali come due gocce d’acqua, l’unica cosa che le faceva sembrare diverse erano gli occhi: una aveva gli occhi color dell’oceano e l’altra del sangue. Per quanto fossero belle nessuna delle due aveva uno stuolo di pretendenti al proprio seguito. Erano intelligenti e brave in ogni tipo di arte. Un giorno, la dea dagli occhi blu scese sulla terra per visitarla, tutto era stato reso possibile dalla madre delle due dee, la dea della luna, che le fece per dono una collana a forma di mezza luna blu. La dea conobbe un ragazzo della terra e se ne innamorò perdutamente e per il ragazzo fu lo stesso. Dalle nuvole, la dea dagli occhi rossi guardava la sorella con invidia e cattiveria, non sopportava l’idea che la sorella fosse riuscita a farsi amare da qualcuno prima di lei. Nacque la rivalità fra le due dee, forse una rivalità voluta dalla dea dagli occhi rossi nei confronti della gemella. Le sfide si protrassero per tanto tempo, ma la dea dagli occhi color dell’oceano riusciva a vincere sulla gemella ogni volta. Con perfidia la dea invidiosa lanciò una maledizione sulla sorella: “Se qualcun’altra guarderà, nei suoi occhi ti riconoscerà e proferirà il tuo nome, tu in un sonno eterno cadrai. Nessuno ti salverà finché il tuo amor non ti bacerà, che questo sia l’unico dei tuoi sogni che non si avveri e che la speranza ti abbandoni”.
Con la rabbia nel cuore, la dea dagli occhi scarlatti andò dalla madre chiedendo di poter scendere sulla terra, la madre acconsentì e le fece come dono una collana a forma di mezza luna rossa. La dea con l’odio che si portava dietro riuscì a trovare l’uomo tanto amato dalla sorella, quando egli la vide, la guardò profondamente e pronunciò il nome della sorella dagli occhi blu. In quello stesso istante la dea con gli occhi color del oceano cadde vittima del maleficio della sorella, ne la Luna, ne le stelle e neanche i pianeti riuscirono a far farla svegliare dal suo sonno profondo e la collana a forma di mezza luna blu cadde nelle acque del oceano depositandosi sui fondali di esso.
Avendo dei dubbi sulla ragazza che aveva di fronte, l’umano la osservò bene… i movimenti, la postura, il carattere erano indubbiamente uguali alla dea dagli occhi blu, ma c’era qualcosa che non gli tornava, quasi come un pezzo mancante di un puzzle. Dopo qualche mese i due si sposarono, di tanto in tanto la dea dagli occhi rossi andava a far visita alla madre, uno di questi momenti la dea disse: “Lui non mi ama come amava lei”. La madre le rispose con saggezza: “Chi ha mai detto che ti avrebbe amata come lei?”
“Io voglio quell’amore, voglio quel sentimento tutto per me” esclamò la dea con rabbia.
“L’amore non si può ne comprar ne scambiar, lui amava lei come lei amava lui, e tu lo ami come lei amava lui?” gli domandò la madre. “E chi conosce l’amore che lei provava per lui. Per quanto fossimo uguali, lui non mi ama allo stesso modo” esclamò lei di nuovo. “Non hai mai pensato che lui amasse ciò che c’era nel cuore di tua sorella e non la sua bellezza. Ciò che si ha nel cuore, lo può vedere solo chi ti ama” rispose la madre. Da quelle parole la dea vagò nell’oscurità più buia che si potesse immaginare. Anche il giovane vagò nell’oscurità sapendo di aver perso la persona che amava più di ogni altra cosa. Ma non tutto fu perduto infatti la dea della luna inventò un codice, il codice della luna che afferma come si possa riconoscere la persona giusta se ne si trovano due identiche, sapendo quello che era successo alla povera figlia poteva accadere a chiunque.”



-E questa è la fine- concluse Ikuto terminando il racconto.
-Che storia triste- affermò la ragazza.
-Sai si dice che esista il codice della luna- affermò Ikuto alzandosi dal terreno.
-Ma è solo una leggenda- esclamò Amu alzandosi.
-Le leggende hanno sempre un fondo di verità- ribatté Ikuto.
-Il fondo di verità di questa è pensa prima di agire punto e basta- concluse Amu. Ikuto disse qualcosa sottovoce così che Amu non lo potesse sentire.
Iniziarono a tornare verso la villa nel pomeriggio inoltrato, c’era fin troppa calma nella foresta. Nessuno dei due si poteva definire il ritratto della calma, quel silenzio metteva fin troppo in dubbio l’idea che fossero gli unici nella foresta. Si sentirono degli strani fruscii di foglie visto che non c’era un alito di vento entrambi si girano e non videro nessuno.
-L’hai sentito anche tu?- chiese Amu impaurita dalla situazione.
-Fin troppo bene- rispose Ikuto. Pensando che fosse stato solo un animale Amu iniziò a voltarsi lentamente. Si ritrovò davanti un gruppo di uomini tutti vestiti di nero con le spade sguainate.
-Ehm Ikuto, credo che abbiamo un problemino della massima urgenza- disse Amu facendo un passo indietro.
-Del tipo?- chiese lui iniziando a girarsi, poi quando vide quel gruppo di uomini affermò: -Ah…cazzo-
In un istante vennero subito accerchiati da quei malviventi pronti a combattere. Ikuto sguainò anche lui la spada.
-Che vogliamo fare? Sono troppi- gli sussurrò Amu.
-Tu ti vai a nascondere nella grotta che c’è dopo il tedicesimo pino a sinistra e io li faccio fuori. Al mio tre io gli distraggo e tu scappi- le rispose Ikuto.
-Che cosa? Non li vorrai mica uccidere?- gli domandò lei.
-TRE- urlò lui iniziando a duellare. Amu voleva aiutarlo ma non sapeva come fare, così seguì gli ordini di Ikuto e scappò via senza farsi notare. Si nascose dentro alla grotta che le aveva indicato Ikuto, si mise seduta vicino a un ruscello e iniziò ad aspettare.

Passarono circa trenta minuti da quando si era nascosta, Amu sperava con tutto il cuore che Ikuto arrivasse da un momento al altro. Sentì dei  al di fuori della grotta, lei si alzò lentamente e prese con il suo dominio un po’ di acqua per rimanere sicura che se non fosse stato Ikuto avrebbe usato l’acqua nell’unico modo che conosceva. Vide un’ombra, si preparò ad attaccare, quando vide un individuo che stava per affacciarsi nella grotta istintivamente fece muovere l’acqua ad una velocità strabiliante. Amu vide che l’acqua si era trasformata in un blocco di ghiaccio affilato, quando vide Ikuto tirò un sospiro di sollievo.
-Ti giuro che non ho la più pallida idea di come sia potuto accadere- affermò lei.
-Bene, allora siamo in due- esclamò lui che aveva la punta di ghiaccio contro la gola. Lei fece un pugno con la mano e il ghiaccio si frantumò.
Lei lo guardò e vide che aveva diverse ferite e lividi in varie parti del corpo.
-Ikuto ma come sei conciato?- però prima che le potesse rispondere lui cadde a terra.
-O mio dio- esclamò Amu, poi si accorse che era solo svenuto per l’eccessiva quantità di sangue che aveva perso. La ragazza lo medicò in modo che il sangue si fermasse e gli mise un fazzoletto inumidito sulla fronte.
Ikuto sentì qualcosa di bagnato in testa e lentamente iniziò ad aprire gli occhi. Vide il volto di Amu che lo fissava.
-Finalmente ti sei svegliato- affermò lei sorridente.
-Sono svenuto?- domandò lui.
-Sì, da quattro ore- rispose lei calma. Lui cercò di alzarsi ma non ci riuscì per il dolore, -credo che tu non andrai da nessuna parte conciato come sei- affermò lei.
-Sono stato peggio- rispose lui riuscendo ad alzarsi. Era quasi arrivato all’uscita della grotta vide un acquazzone che lo fece subito indietreggiare.
-Credo che il tempo non sia dalla tua parte- constatò Amu avvicinandosi a lui.
-E tu cosa consigli di fare?- chiese lui.
-Credo che questa grotta sia il posto migliore al momento, quindi vai a sederti vicino al fuoco e mangia qualcosa- gli ordinò lei indicando il fuoco acceso e un paio di mele rosse messe sul mantello. Lui sedette a fatica contro il muro e iniziò a mangiare una mela.
Lei si sedette di fronte a lui e iniziò a fissare il fuoco.
-Se vuoi evitarti un raffreddore mettiti su il mantello- gli disse lei. Lui si avvolse nel mantello scuro e si riscaldò.
Dopo qualche ora la temperatura si abbassò drasticamente e Amu iniziò a tremare dal freddo.
-Amu vieni qui- affermò Ikuto.
-E perché?- chiese lei.
-Così non prendi freddo, e ora fai quello che ho detto- le ordinò lui. Lei non osò ribattere e si sedette accanto a lui.
Lui le tirò il braccio destro e la fece scivolare sulle sue gambe e la coprì un po’ con il mantello.
-Ehi ma cosa fai?- urlò lei rossa.
-Evito di farti prendere freddo- rispose lui.
-In questo modo?- chiese lei sarcastica.
-Così almeno stai…comoda- disse lui guardando da un’altra parte, -è un modo per…ringraziarti per avermi curato le ferite- concluse lui.
Lei sorrise alla vista di tanta gentilezza da parte di Ikuto.
-Non c’è bisogno che mi ringrazi- rispose lei.
 

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