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Lista capitoli: Capitolo 1: *** Primo turno: Il gioco continua *** Capitolo 2: *** Secondo turno: La rosa del caduto *** Capitolo 3: *** Terzo turno: E' un gioco di strategia *** Capitolo 4: *** Quarto turno: Presa all'amo dai ricordi *** Capitolo 5: *** Quinto turno: L'Elenco Bianco *** Capitolo 6: *** Sesto Turno: L'Ibrido che è in me *** Capitolo 7: *** Settimo Turno: Un’intervista con la coscienza *** Capitolo 8: *** Ottavo Turno: Il silenzio del cannone ***
Nick: HollyMaster Tributo: Mags Turno: Primo Titolo Storia: Il gioco continua Genere: Introspettivo Raiting: Giallo Avvertimenti: Nessuno Pairing: Non è presente Note: Una presentazione di quella che è Mags dopo la 9° edizione degli Hunger Games a cui ha partecipato in 501 parole.
Non ero mai stata fuori dal 4. Non avevo mai visto nient’altro che il mare. Le onde che si infrangevano sulla riva, dolcemente; il sole che faceva capolino illuminando a specchio quella grande distesa d’acqua salata che era il mare.
Niente di più perfetto.
Non avevo cambiato idea durante il Tour della Vittoria. Distretti che si perdevano nella desolazione del cemento, altri ancora straziati dalla violenza dei soldati che avevano represso la ribellione, oppressione alla quale il 13 non era sopravvissuto. Ribellione terminata solamente nove anni prima con l’immediata decisione di instituire gli Hunger Games.
Quando erano iniziati avevo solo cinque anni e il 4 non faceva che ripetere che sarebbero finiti in fretta, che presto anche Capitol City si sarebbe accorta della brutalità dei giochi. Ma non era andata così e io, nove anni dopo, ero stata sorteggiata.
Nessuno credeva più alla storia della fine degli Hunger Games. Erano ormai un’istituzione, le fondamenta su cui poggiava la ricca società di Capitol.
I Distretti più furbi cominciavano ad armarsi.
Mentre ero sul palco, in mezzo alla piazza del 2, leggendo il discorso che mi avevano accuratamente preparato, potevo scorgere il basamento di quello che sarebbe diventato un centro di addestramento.
Volevano allenare i loro figli perché vincessero e tornassero a casa, impazziti ma vivi.
E io avrei fatto lo stesso.
Non volevo vedere altri ragazzini dal mio Distretto buttati in un’arena dove avrebbero esalato l’ultimo respiro.
Avevo quasi smesso di parlare da quando ero uscita. Preferivo osservare il mondo intorno a me e le cose orribili che lo popolavano senza commentare, perché tutto ciò che avrei detto mi si sarebbe ritorto contro.
Trovai, però, il coraggio per affrontare i mentori dell’1 e del 2 che avevano osservato la mia astuzia, mentre facevo fuori i tributi che avevano sperato ritornassero a casa.
Gli spiegai la mia idea delle alleanze. Sembrava gli fosse piaciuta. Anche loro avevano vissuto quell’inferno e anche se ogni anno cambiava aspetto, l’incubo che ti avrebbe perseguitato era lo stesso per tutti.
Eliminare la maggior parte dei tributi degli altri distretti come squadra per poi lasciare che la natura del gioco facesse il suo corso. Qualcuno avrebbe pensato che fosse quasi più crudele, tenerli in vita come carne da macello, ma noi sapevamo che, se fin da subito gli sponsor avessero avuto meno scelta, avrebbero investito su quella che poteva essere definita una “Squadra d’Abbattimento”.
O come li chiamò Capitol, i Favoriti.
Io non ero stata altrettanto fortunata.
Gli sponsor non erano ancora sicuri che il loro denaro avrebbe potuto aiutare concretamente un tributo e si limitavano a non concederne.
Ero riuscita a sopravvivere alla fame e alla sete a stento. Non avrei mai permesso ad altri ragazzi di patire ciò che avevo passato io. Avrei aiutato come potevo. Da mentore quale ero. Perché l’incubo non finiva una volta a casa. Il gioco di Capitol non finiva nell’arena, continuava.
La missione impossibile: riuscire a sopportare il peso di tutte quelle morti e spingerne al macello ogni anno di nuovi.
Capitolo 2 *** Secondo turno: La rosa del caduto ***
Nick: HollyMaster
Tributo: Mags
Turno: Secondo
Titolo Storia: La rosa del
caduto
Genere: Angst
Raiting: Arancione/Rosso
Pairing: Non è presente
Note: Nello zaino era presente, oltre
al genere e al raiting obbligatorio, questa immagine http://www.cliccascienze.it/files/1rosa-nera.jpg
E’
la prima fanfictionpropriamente angst
che scrivo quindi spero che lo sia sufficientemente. Detto questo, buona
lettura!
Era
sopravvissuto al bagno di sangue e continuava a lottare in cerca di qualche
goccia d’acqua.
Era
difficile non poterlo aiutare; fissarlo da uno schermo piatto, osservare ogni
sua minima mossa e pregare, sperare che trovasse ciò di cui aveva bisogno.
Essere
mentori non era per niente come mi ero sempre immaginata. Durante la mietitura
trattenevi il fiato allo stesso modo e spalancavi la bocca ogni volta che una
nuova, magnifica e mortale arena veniva presentata. Non era meno straziante
vedere strappare via la vita a uno dei tuoi due Tributi nei primi secondi del
gioco.
Ora
mi rimaneva solamente lui.
Il
Tributo che continuava a camminare nelle caverne costruite appositamente per
essere l’ultimo paesaggio che avrebbe dovuto vedere.
Le
gallerie si snodavano per diversi kilometri ed erano volutamente strette; se
avevi la sfortuna di incontrare un altro tributo non potevi evitare lo scontro
diretto. Il capo stratega era stato astuto, forse voleva finire in bellezza la
sua carica durata dieci anni. Annate di successi di cui io stessa avevo preso
parte solamente l’anno prima.
Mi
avvicinai allo schermo come se in quel modo potessi trasmettere un po’ di
coraggio anche a lui.
Aveva
un anno in più di me, sarebbe dovuta essere la sua ultima Mietitura, era stato
sfortunato.
Era
forte, massiccio, ma si spostava a fatica, trascinava i piedi, rischiando ad
ogni passo di cadere.
Era
disidratato.
Poggiai
una mano sullo schermo come nella speranza di dargli conforto. Avrei volto
aiutarlo, ma gli sponsor avevano un altro vincitore in mente per quell’anno.
Il
Tributo continuava a trascinarsi per gli stretti cunicoli, quando si aprì,
davanti a lui, una piccola grotta. Era due o tre volte più larga dei cunicoli
in cui fino a quel momento si era imbattuto.
Era
spaziosa.
Ma
quello che lasciava stupiti erano le bellissime rose nere che erano cresciute
in ogni anfratto di quella caverna. Ne sbucavano dal pavimento sabbioso, dalle
mura rocciose e ne pendevano perfino dal soffitto.
Il
colore scuro delle rose faceva brillare le piccole gocce di rugiada che ne
decoravano i petali.
Sorrisi
quando capì il motivo della loro esistenza e quando anche il Tributo lo
comprese,le sue labbra imitarono le
mie, incurvandosi a loro volta.
Acqua!
Il
Tributo spalancò le labbra mostrando una lingua porosa e secca. Gli occhi
avevano una strana luce, un po’ folle, ma che sapeva di speranza.
Tolsi
la mano dallo schermo, per andare a congiungerle sulle ginocchia, rilassandomi;
aveva finalmente una possibilità.
Il
Tributo si avvicinò a uno dei fiori e ci si piegò sopra catturando, con la
lingua, ogni piccola goccia di rugiada.
Un
rumore squarciò l’aria e la mia mano saettò nuovamente sullo schermo appena in
tempo per vederlo: un piccolo insettino nero staccarsi dal petalo della rosa e
risalire la lingua secca del Tributo, rivelando un bianco candido. Presto fu
seguito da altri e ognuno scopriva un nuovo pezzo di petalo che da nero si
tramutava in un bianco accecante.
Urlai
al Tributo di combatterli.
Lui
non poteva sentirmi e la sua lingua, ancora disidratata, non poteva percepire
nulla.
Se
ne accorse appena il primo insetto raggiunse la sua gola. Si portò la mano sul
collo mentre sgranava gli occhi sorpreso dall’arrivo della morte.
Provò
a sputare, a pulirsi la lingua con le mani ma ora ogni piccolo insettino di
ogni rosa stava percorrendo il suo corpo, tanto da farlo assomigliare ad un
nero mostro informe.
Crollò
a terra scosso da spasmi.
Se
non fossi stata abituata a scene del genere da svariate edizioni precedenti di
Hunger Games, avrei di certo vomitato. Pensare a quei piccoli esserini che
entravano nella sua bocca, zampettavano veloci giù, lungo la gola e si
depositavano sulla bocca dello stomaco, aspettando di essere raggiunti dagli
amici; era una delle scene più ripugnanti che avessi mai visto.
I
miei occhi si fecero lucidi, pieni di lacrime che non avrei voluto versare
mentre quelli di lui diventavano vitrei ma rimanevano spalancati in
un’espressione di terrore.
Stava
cedendo alla morte e non potevo chiedergli di combatterla. Stava annaspando
alla ricerca d’aria, ma quei piccoli ibridi si erano intrufolati ovunque: non
l’avrebbe trovata.
Ancora
qualche altro movimento violento dopodiché l’informe massa nera si bloccò
mentre gli insetti continuavano a cibarsi del corpo del Tributo ormai morto.
La
mia mano scivolò sullo schermo del televisore al plasma, percorrendolo
interamente, mentre le telecamere diminuivano lo zoom mostrando l’intera scena.
Il
corpo deforme di un Tributo in un campo di rose bianche.
Il
suono sordo di un cannone rimbombò nell’aria facendomi sobbalzare mentre gli
insetti si allontanavano da quel corpo che avevano dilaniato, come se qualcuno
avesse suonato la ritirata.
Capitolo 3 *** Terzo turno: E' un gioco di strategia ***
Nick: HollyMaster
Tributo:Mags
Turno: Terzo
Titolo Storia: E’ un gioco di
strategia
Genere: Introspettivo
Raiting: Giallo
Avvertimenti: Non sono
presenti
Note:Mags
parla per la prima volta con Brutus e quest’incontro le cambierà la vita
dandole una nuova visione dei giochi, una concezione che non credeva possibile.
La
storia è scritta in prima persona.
La
sfilata era sempre stata la mia parte preferita. Sebbene tutti sapessero cosa
li aspettava, l’orrore che li attendeva, era l’unico momento in cui non si
pensava solamente alla morte.
Era
in quel momento che iniziava la strategia.
Avevo
capito ormai da tempo che il modo migliore per vincere gli Hunger
Games non era la forza, ma l’avere un piano.
Questa
mia teoria così solida e salda era stata totalmente distrutta l’anno
precedente, dalla vincita di Brutus. Era il ragazzo più massiccio che avessi
mai visto, un armadio di muscoli, che si erano mossi all’unisono ad una
velocità inverosimile nell’arena.
Avevo
pensato che fosse uno di quelli senza cervello che, per qualche combinazione
fortunata, era riuscito a salvarsi solo grazie all’aiuto della sua forza
sovrumana. Ma quando lo avevo visto lì, davanti a me, a urlare contro il povero
stilista del suo Tributo, avevo capito che avevo totalmente sbagliato su di
lui.
Lo
aveva bloccato al muro con il braccio che premeva forte su quel collo bianco di
fondotinta.
Corsi
verso di loro: -Brutus, lascialo stare, per favore.-
In
fondo lo capivo bene. Obbligavano noi mentori a lavorare con degli individui
provenienti da Capitol City, che non avevano mai
conosciuto la miseria, il dolore o la morte. Era difficile averci a che fare,
ma era necessario.
Era
strategia.
Con
un bel vestito il Tributo sarebbe stato amato dal pubblico e avrebbe trovato
molti più sponsor.
Era
una tattica studiata e c’era solo un possibile motivo per cui il ragazzone
poteva avercela con uno stilista: sapeva giocare.
Brutus
si bloccò lasciando libero di respirare il povero collaboratore e mi rivolse
uno sguardo indagatore, aggrottando le sopracciglia.
-Chi
sei tu?- Magari era strategico, ma la gentilezza era sicuramente da eliminare
dalla lista delle sue caratteristiche.
-Mags, dal Distretto 4.- Mi limitai a rispondere mentre lui
faceva un passo verso di me e dietro di lui lo stilista si affrettava ad uscire
di scena massaggiandosi il collo color porcellana.
-Sei
ancora qui a fare il mentore? Non dovresti essere, non so, in pensione?- Chiese
lui piegando leggermente la testa di lato.
Mi
appuntai mentalmente che invadente ed indiscreto erano sicuramente altre due
sue importanti caratteristiche da aggiungere alla lista che ormai ad ogni frase
mi dava modo di arricchire.
-Non
voglio che qualcun altro debba fare i conti con tutto questo…- Risposi
sinceramente.
Avevo
sempre preferito continuare io in quel “lavoro”, chiamarla tortura sarebbe
stato più corretto, perché non avrei mai sopportato che quelli che ero riuscita
a salvare dovessero sopportare la morte ancora, ogni anno, senza sosta.
-Beh,
non stai facendo un buon lavoro. L’anno scorso ho ucciso il tuo Tributo.- Mi
ricordò con disprezzo lui.
Quelle
parole si fermarono sul mio petto come un macigno.
Una
verità che non avevo mai voluto ascoltare. Non volevo che chi riusciva a
salvarsi dovesse vivere ancora quell’orrore, ma per molti non c’era nessuna
salvezza, per molti, troppi, l’arena rimaneva l’ultima loro visione prima del
buio totale.
E
se avesse davvero avuto ragione, se fosse stata colpa mia?
Alcuni
avevano davvero una buona forma fisica e una valida intelligenza. Eppure erano
tutti caduti in quell’arena.
Forse
ero io che non sapevo allenarli al meglio, forse se ci fosse stato qualcun
altro gli ultimi sarebbero stati ancora in vita, trasformati per sempre, ma
vivi. I volti di quei ragazzi mi passarono davanti, devastati dalla morte, con
il sangue che scorreva nelle ferite che decoravano le loro facce rese
ripugnanti dalle piaghe aperte. Mi pareva di sentire l’odore nauseante del
sangue, di sentirlo appiccicoso tra le dita.
Cercai
di non pensarci, di dare ragione alla parte di me che aveva sempre creduto di
fare del bene ai vincitori, se così potevano essere definiti.
Tentai
di trovare qualcosa di sbagliato in lui, era più facile.
-Non
serve che tu faccia così. So che, nel momento stesso in cui hai ucciso l’ultimo
Tributo rimasto, hai capito che tutto questo non ti avrebbe portato nessuna
gloria, nessun onore.- Dovevo combattere quella piccola traccia di dubbio che
ormai aveva insinuato nel mio cuore e che secondo dopo secondo si stava
allargando a macchia d’olio, sarebbe arrivato ad infettarlo completamente.
Non
potevo dubitare di ciò che avevo fatto in tutti quegli anni.
-Non
voglio la gloria.- Sorrise tetro scossando leggermente la testa.
-Ero
volontario, sapevo a cosa andavo incontro. E mi è piaciuto ucciderli, tanto.-
Mi aveva semplicemente lasciato senza parole.
Non
avevo mai preso in considerazione che a qualcuno potesse veramente attirare
l’idea di mettere fine alla vita di uno sconosciuto.
Non
poteva essere vero.
La
mia mente ingenuamente non poteva comprendere una rivelazione come quella.
-Come
riesci a dormire la notte, con tutti i loro volti, le urla? Con quegl’incubi?-
Gli chiesi rivolgendogli uno sguardo di disgusto, quello che non ero nemmeno
riuscita a lanciare al Presidente Snow quando mi
aveva incoronata vincitrice.
-Non
ho mai detto che non li ho.- Allora forse era umano.
-Ma
il fatto è che io vedo le loro facce, i loro volti, perché tu non li hai
preparati abbastanza bene.- O forse no.
L’anno
dopo decisi di ritirarmi.
Le
sue parole mi avevano distrutta facendo ricadere la colpa che avevo sempre dato
a Capitol City e a Snow
sulle mie spalle, troppo fragili per riuscire a sostenere quel peso. Il peso di
tutta quella morte, di quei cadaveri e delle lacrime che i famigliari avevano
versato.
Le
alleanze tra i Distretti che avevo creato e cercato di mantenere solide si
sgretolavano ogni anno di più e le macerie non facevano altro che rafforzare la
coalizione che oramai contava solamente il primo e il secondo Distretto tra i
suoi adepti.
Erano
divenute le due zone più temute, era praticamente certo che i vincitori
sarebbero stati fra di loro, tra i “favoriti”, coloro che si cibavano del
denaro degli sponsor di Capitol City, lasciando agli
altri Distretti delle misere briciole.
Da
quell’anno nessuno, nel Distretto 4, vinse più, tranne due Tributi salvati
dalla fortuna.
Lo
capii solo troppo tardi, ma ora posso vederlo chiaramente: Brutus era la
persona che aveva compreso meglio di tutti il significato della parola
“strategia”.
Capitolo 4 *** Quarto turno: Presa all'amo dai ricordi ***
Nick: HollyMaster
Tributo: Mags
Turno: Quattro
Titolo Storia:
Presa all’amo dai ricordi
Genere:
Introspettivo
Raiting: Giallo
Pairing: Non presente
Note: Dovevo
scrivere qualcosa seguendo la situazione “Mags arriva
seconda (+1 punto se in qualcosa in cui si crede imbattibile)”
Spero possa piacere
e spiegare qualcosa di più sulla Mags che mi sono
immaginata.
Lo
facevo quando ero agitata.
E
ultimamente lo ero molto spesso.
I
volti dei Tributi che erano morti per causa mia, le lacrime delle famiglie e le
parole di Brutus mi battevano nel cervello, senza sosta.
Così
mi svegliavo di colpo, sudata, nel mio letto, in quella grandissima casa nel
villaggio dei Vincitori che mi ricordava ogni giorno che ero stata io a portare
alla morte ventitré miei coetanei.
Lui
compreso.
Mi
svegliavo nel buio urlando ma sapevo che nessuno sarebbe accorso a consolarmi.
Ero
sola.
Era
in quei momenti che cominciavo a costruire ami.
Era
rilassante; la mia camomilla.
Mi
ricordava di mio padre e di lui, Caleb, il ragazzo sorteggiato al mio fianco e
che non aveva mai lasciato quell’Arena infernale.
Tagliavo il filo e cominciavo.
Era
stato mio padre ad insegnarmi come fare, una delle poche cose che avevo appreso
da lui oltre al silenzio.
Lo
ricordavo con i piedi nella sabbia bagnata e l’acqua salata che raggiungeva a
malapena le sue caviglie. Si stagliava come una sagoma scura contro il cielo
che si faceva rosso nell’aria del tramonto. La rete in mano stracolma di pesci.
Ma
se era quelli rari che cercavi, quelli che si nascondevano sotto i massi e che
potevano essere venduti a un prezzo decisamente più alto al Mercato, allora
dovevi affidarti agli ami.
Tagliare
le corde, incrociarle, annodarle e infine tirare, forte, con tutta la forza che
si riusciva a trovare.
Con
il tempo divenni sempre più brava: i pesci si fidavano dei miei ami e
abboccavano con facilità, e la cosa non faceva che rendere mio padre sempre più
fiero.
-Sei
la migliore creatrice di ami del Distretto 4, Mags.
Se continui così, figlia mia, diventeremo i più ricchi pescatori dei dintorni.-
Secondo
mia madre era stato quel denaro a farmi estrarre per gli Hunger
Games, Snow non poteva permettersi che una famiglia
di un ragno povero, come la nostra, diventasse una delle più influenti a
livello economico nel Distretto.
Ma
non importava, io mi fidavo delle parole di mio padre.
Ero
la migliore creatrice di ami nel Distretto 4, ma mi sbagliavo, eccome.
Incrociavo le corde tra loro.
Era
così che avevo conosciuto Caleb.
Non
volevo parlargli. Mi ero rinchiusa dietro a un muro di silenzio. Avrei visto
presto quel ragazzo morire o forse sarebbe stato lui stesso a infliggermi
l’ultimo colpo, quello mortale.
Ma
durante l’intero addestramento non si era mai avvicinato agli addestratori di
combattimento con armi; se ne stava in disparte a lavorare per ore incrociando
corde.
Avevo
pensato che fosse uno sciocco, aveva una possibilità per imparare a difendersi
e sprecava il suo tempo in quel modo. La curiosità, però, giorno dopo giorno,
mi avvicinò a lui e alla sua opera. Avevo riconosciuto un amo sul suo tavolo da
lavoro ma mio padre non mi aveva mai insegnato a farne di così elaborati.
-Vuoi
che ti insegni?- Mi chiese traducendo i miei occhi sognanti. Io annuii e mi
misi al lavoro, ma per quanto ci provassi non riuscivo ad eguagliare i suoi
manufatti.
Mio
padre si sbagliava e io avrei voluto che non fosse stato così.
Facevo il nodo.
Lo
avevano trovato in quel modo.
Cercavamo
cibo nel lago. Mi ero proposta di creare io stessa gli ami per pescare.
Dopo
ore che galleggiavano sulla superficie azzurra nessun pesce aveva ancora
abboccato.
Ero
la più brava, a detta di mio padre, ma probabilmente non abbastanza da
ingannare gli Ibridi che popolavano l’Arena.
Caleb
aveva proposto di utilizzare uno dei suoi.
Nemmeno
mezz’ora dopo averli lanciati nel lago i pesci avevano già abboccato.
Si
avvicinò all’acqua, il tramonto lo faceva sembrare un’ombra scura e imponente
contro il cielo rosso del tramonto, con i piedi bagnati dall’acqua salata.
-Vedi,
l’allievo non supera il maestro!- Mi urlò sorridendo nel dimostrare la sua
superiorità.
Quel
sorriso gli si ghiacciò sulle labbra mentre i pesci che aveva appena liberato
dagli ami gli saltarono addosso mostrando denti aguzzi, innaturalmente
appuntiti, e cominciarono a strappare la sua carne dalle ossa.
E tiravo con tutta la forza che avevo.
Era
così che mi calmavo.
Le
parole di Brutus, che non smettevano mai di gironzolarmi nella testa,
scomparivano. Con loro anche i volti straziati dal dolore e dalla rabbia che
continuavano a perseguitare i miei sogni tramutandoli in incubi senza fine.
Ora
ero la più brava creatrice di ami del Distretto 4, ma il solo che mi aveva mai
superata era morto trucidato dagli Ibridi di Snow
nell’Arena. E come se mi fosse giunta una profezia seppi, in quel momento, che
quella sarebbe stata anche la mia fine.
Inghiottita
nell’Arena da qualche strana creazione di Capitol
City.
Note:
Il mio contenitore diceva “Mags... aveva bisogno di
bere.” Ed essendo questo Bianco, dovevo inserire questo colore nel titolo.
Il
nome Bellamy è stato spaventosamente rubato da una serie di cui mi sono
innamorata in questo periodo (The 100) e non so, mi sembrava un nome perfetto,
i due personaggi comunque non hanno nulla a che fare l’uno con l’altro.
Il
viaggio della vittoria era finalmente finito.
Non
avrei più dovuto sopportare la vista di quei volti impregnati di dolore mentre
mi dichiaravo spiacente per la morte dei loro figli ma onorata dalla vittoria
che aveva portato gloria e onore a tutti i Distretti, leggendo diligentemente
il discorso che mi avevano preparato.
In
piedi sul palco appositamente allestito davanti all’enorme edificio del
Municipio del Distretto 4 però non riuscivo ad abbassare lo sguardo sul foglio
che tenevo tra le mani. L’inchiostro stava svanendo lavato via dal sudore delle
mie mani mentre il mio sguardo vagava tra la folla, tra quei volti noti che di
rimando mi scrutavano perplessi combattuti dai loro stessi sentimenti: grati
che una di loro fosse tornata a casa ma allo stesso tempo distrutti dalla
perdita di Caleb. Solo mio padre e mia madre che mi guardavano tra la folla
sembravano essere decisi su quale fosse la migliore espressione da mostrare e
era il sollievo per poter abbracciare nuovamente la propria bambina.
I
miei occhi non riuscivano a staccarsi dall’enorme poster che ballava al vento
facendo muovere in modo innaturale il volto di Caleb. Era stato raffigurato con
lo sguardo a scrutare l’orizzonte, come se laggiù potesse vedere un futuro
splendente.
Su
un terrazzo che si alzava tra la folla stava Bellamy, il fratello maggiore di
Caleb, l’unico rimasto della loro famiglia.
Lo
ricordavo perché anche lui era un pescatore e per il suo apprendistato aveva
lavorato per mio padre. Era facile vederlo passeggiare per la riva con una rete
colma di pesci tra le mani, magari a petto nudo e con i raggi del sole che
picchiavano sui suoi addominali scolpiti. Nonostante la differenza d’età era
stata una delle mie prime cotte.
Non
mi ero accorta di quanto fosse simile a Caleb fino a che non lo vidi lì, vicino
a quel poster che sembrava essere uno specchio: gli stessi capelli scuri e
leggermente mossi, le stesse labbra severe e lo stesso sguardo battagliero.
L’unica cosa che li distingueva era il limpido azzurro che riempiva le iridi di
Caleb che contrastava nettamente con il profondo abisso che sembravano essere
quelli di Bellamy. Un abisso che sembrava essere sempre più acquoso dato che
tutto il corpo del ragazzo, dai pugni chiusi che mettevano in evidenza le vene
delle braccia, alla mascella che era contratta all’inverosimile mostrando
l’aorta, indicavano che stesse trattenendo a stento le lacrime. Ma l’avrebbe
fatto, ne ero convinta; non avrebbe mostrato la sottomissione a Capitol City.
Mai!
Anche
se fosse stato per commemorare la perdita del fratello, unico familiare a lui
rimasto.
Non
ricordavo bene cosa fosse successo a quella famiglia; una disgrazia in mare
quando io ero ancora troppo piccola per ricordare.
Erano
cresciuti insieme, Bellamy e Caleb, e quando quest’ultimo era stato sorteggiato
durante la Mietitura, il maggiore non aveva nemmeno potuto prendere il suo
posto per salvarlo, essendo già fuori dai giochi da un paio d’anni.
La
caparbietà che dimostrava Bellamy in quel momento era, per me, d’ispirazione e
allo stesso tempo un ricordo del mio fallimento. Io non ero stata capace di
combattere per i diritti del Distretto 4, ero solo stata capace di uccidere i
miei stessi coetanei per poter continuare a vivere una vita che, solo ora mi
accorgevo, non ero degna di continuare.
E
non mi ero limitata a quello.
La
mia gola si seccò nello stesso istante in cui ci pensai, era totalmente arida e
nonostante continuassi a cercare saliva per poterla bagnare questa sembrava
scappare da me, come se in quel momento il mio corpo fosse impossibilitato a
produrne. Era come se un nuovo abitante si fosse trasferito lì e quel qualcuno
non faceva altro che gridare e sbraitare il suo bisogno di dissetarsi.
Più
la sete cresceva più pensavo alle mie parole e alle sue, quelle che Snow aveva rivolto a me e l’elenco che mi aveva consegnato;
e più ci pensavo meno la sete sembrava intenzionata ad estinguersi.
Il
Presidente Snow mi aveva convocata per quella che
sembrava essere la mia missione dopo la vittoria. Ciò che spettava a coloro che
tornavano vivi dall’Arena era tutt’altro che gloria e onore. Ciò che avevo
trovato io era facilmente riassumibile in una parola: ricatto.
Mi
aveva convocata nel suo ufficio solo per essere sicuro che la minaccia fosse
efficace, solo per accertarsi che avrei fatto ciò che voleva.
Era
da quel momento, da quando l’odore fastidioso di rose mi aveva seccato la gola,
che avevo bisogno di bere, da allora che nessuno si era minimamente preoccupato
di passarmi nemmeno un goccio d’acqua, nonostante la mia mano poggiata sul mio
collo e i miei colpi di tosse frequenti facessero presumere facilmente la mia
disidratazione.
Avevo
accettato a malincuore l’offerta di Snow riuscendo
così ad allontanarmi da quell’edificio e da quell’odore nauseabondo di rose ma
la sete era rimasta lì.
Persistente.
Mi
aveva accompagnata durante tutto il viaggio verso il Distretto 4 e anche ora
che ero scesa dal palco facendo credere a tutti che da quel momento in poi sarei
stata libera dalle costrizioni alle quali loro erano costantemente sottoposti
pur sapendo benissimo che era tutta una bugia, menzogna su cui si basava
l’intero potere di Capitol City, neppure in quel
momento la sete mi aveva lasciata sola.
Avrei
ben presto assaporato le acque depurate che sgorgavano dai rubinetti delle case
nel Villaggio dei Vincitori ma il mio sguardo si era perso nell’abisso di due
occhi che mi fissavano curiosi.
-Mags…-
Cercai
invano della saliva nella mia bocca da poter inghiottire per cercare di bagnare
la mia gola disidratata. Ero certa che volesse vendicarsi in qualche modo per
la morte del fratello, urlarmi contro rivelandomi la mia natura distruttiva e
attaccarmi picchiandomi fino a che enormi fiotti di sangue sarebbero sgorgati
dalle mie ferite lasciandomi lì per la strada a morie. Quando però mi sentì
tossire per il mio bisogno di abbeverarmi e si avvicinò a me con passo sicuro e
con tono gentile mi chiese:
-Va
tutto bene?-
-Sì,
ho… ho solo un po’ di… di sete, ecco.- Riuscì a rispondere tra un colpo di
tosse e l’altro.
-Se
vuoi ho delle buone scorte di alcool a casa.- Mi sorrise mentre con il pollice
indicava la strada dietro di lui che ci avrebbe portato alla sua abitazione.
-Grazie
ma io…io ho solo quindici anni, non posso bere alcool.- Spiegai lusingata che
la mia cotta delle elementari si dimostrasse interessato a me.
-Giusto,
niente alcool prima della maggiore età, ma uccisioni a sangue freddo quelle
sono legalmente accettate.- Disse con un sorriso spento mentre abbassava lo
sguardo.
-Bellamy,
mi disp…- Cercai di manifestargli che la situazione
addolorava anche me ma lui mi bloccò riportando gli abissi a contatto coi miei
occhi.
–Ho
anche dell’acqua a casa, sai.-
Così
mi ero ritrovata nella cucina di casa sua, seduta su uno sgabello mentre lui mi
versava dell’acqua fresca in un bicchiere.
-Non
devi sentirti in colpa.- Cominciò sedendosi al mio fianco non appena bevvi il
primo sorso.
-L’ho
ucciso io. Io gli ho insegnato a costruire quegli aggeggi infernali che lo
hanno fatto trovare dagli Ibridi.- Stava parlando di Caleb, di suo fratello, e
di come quegli ami fossero stati la sua sfortuna più grande.
-Io
sto facendo di peggio.- Confessai su due piedi ingoiando poi l’intero contenuto
del bicchiere.
-Esiste
di peggio che uccidere il proprio fratello?-
-Fare
in modo che i nomi che mi passa Lui vengano sorteggiati durante la Mietitura
come ti sembra, meglio o peggio?- Non so perché mi ero confidata con lui, ma in
quel breve brevissimo istante la mia gola aveva quasi smesso di implorare per
dell’acqua.
Mi
guardò per qualche secondo. Non era sconvolto, non era deluso, mi scrutava
semplicemente con quegli abissi che si trovava al posto degli occhi.
-E’
questo che ti ha chiesto?-
-“Elenco
Bianco” lo ha chiamato. Un foglio di carta pieno di nomi, abitanti del
Distretto 4. Tutti ancora ragazzini, per questo il colore bianco, perché sono
puri e innocenti. Qualcuno come questa “LherReyal”.- Cominciai a parlare a raffica. Durante il
viaggio in treno avevo studiato bene tutta la lista e mi ricordavo ogni nome
impresso a inchiostro su quel pezzo di carta. -Ha solamente otto anni, faceva
dei piccoli lavori domestici a casa nostra a volte, ma non appena avrà
raggiunto l’età per poter partecipare, grazie a me, verrà sicuramente sorteggiata.-
-Penso
che suo nonno fosse uno dei capi della Rivolta contro Capitol
City.- Mi interruppe lui.
Ora
si spiegava il perché Snow avesse un elenco di quel
genere e perché fosse così ricco di nomi, molti del nostro Distretto avevano
partecipato alla rivolta e ora erano i loro eredi a doverne pagare le
conseguenze.
-Ma
lei che colpa ne ha?- Le parole mi uscirono dalle labbra in un grido di rabbia
senza riuscire a trattenerle in alcun modo.
Il
silenzio calò nella stanza.
Una
quiete fastidiosa e opprimente che riversava
su di me tutta la colpa delle mie decisioni.
-Sono
una persona orribile, vero?-
-Chi
ha minacciato?- Non avevo idea di come lo avesse capito. Certo, Snow lo faceva spesso, era nel suo stile cercare di
intimidire gli altri e i ricatti erano il suo metodo migliore ma il modo in cui
guardandomi negli occhi in uno dei momenti in cui mi sentivo più vulnerabile,
in collera con me stessa per la promessa fatta al Presidente era riuscito a
comprendere che non era solo voglia di uccidere il prossimo, quella che avevo
dimostrato nell’Arena, ma c’era qualcos’altro.
-La
mia famiglia.- Risposi sinceramente.
Snow
l’aveva fatto capire chiaramente; se i ragazzi dell’Elenco Bianco non fossero
stati sorteggiati, allora i miei genitori avrebbero fatto una fine molto
dolorosa e questo era tutto quello che mi serviva sapere. Non avrei permesso
che accadesse.
-Non
so se te lo sto dicendo solo perché ho perso mio fratello e la mia intera
famiglia con lui ma fino a che ne hai la possibilità dovresti lottare per
loro.-
-Non
so se posso farcela.-
Il
suo sguardo non si staccò dal mio nemmeno per un secondo quando sussurrò:
-Ti
aiuterò io.-
Uscì
da quella casa dopo aver finito il bicchiere che Bellamy mi aveva nuovamente
riempito e infilai la mano in tasca estraendo la lista. La guardai per qualche
secondo prima che la sete tornasse a farmi visita.
Anche
per quell’anno la Mietitura era finita.
Il
mio lavoro era stato fatto, i membri della mia famiglia erano ancora in vita e
io avrei dovuto depennare altri due nomi dall’Elenco Bianco.
Questa volta ero riuscita a far estrarre due diciottenni, non che cambiasse qualcosa
ma speravo fossero più preparati.
Era
in quei momenti che la mia gola si disidratava totalmente lasciandomi con una
mano sul collo a tossire.
-Conosco
quella faccia. Vieni, ti offro qualcosa da bere, ora hai l’età, no?- Bellamy mi
si avvicinò come faceva spesso dopo la Mietitura per controllare che stessi
bene e ogni volt cercava di farmi sorridere nonostante sapesse ciò che avevo
appena fatto.
Arrivaticasa sua mi sedetti sul solito sgabello e
mentre lui mi preparava qualcosa da bere, questa volta di alcolico, presi la
lista dalla tasca e la misi sul tavolo.
Feci
un profondo respiro mentre poggiai la punta della penna sulla prima lettera del
nome di colei che avevo spedito a morte certa perché Snow
lo aveva voluto.
“LherReyal”
-Faccio
io. Tu… tu bevi, vedrai starai meglio.- Mi strappò la penna dalle mani e si
allontanò con il foglio andandosi a sistemare in un altro tavolino, lontano
dalla mia vista.
Lo
ringraziai mentalmente mentre cominciai a sorseggiare dal bicchiere.
Ero
già a metà quando lui tornò ma la mia gola non accennava a smettere di gridare
quanto fosse secca e inaridita.
Ma
non avrei mai esaurito quella sete.
Il
dolore, il senso di colpa, verso me stessa, verso quelli che avevo ucciso.
Indirettamente certo, ma le mie mani erano sporche di sangue e non sarebbero
mai più tornate bianche. La lista non faceva che aumentare di anno in anno e
tirare una riga su quei nomi voleva dire uccidere i miei stessi compagni del
Distretto 4.
Se
quella sete era data dalla mia disperazione allora non si sarebbe mai spenta.
-Grazie.-
Dissi finalmente. Sapevo che non era facile nemmeno per lui.
-Fidati
di me, se avrei bisogno sarò al tuo fianco.-
Capitolo 6 *** Sesto Turno: L'Ibrido che è in me ***
Nick: HollyMaster
Tributo: Mags
Turno: Sesto
Titolo Storia:
L’Ibrido che è in me
Genere: Introspettivo,
Generale
Raiting: Giallo
Pairing: Mags/Bellamy
(?)
Note: Ho cercato di
inserire qualche riferimento alla saga originale di Hunger
Games e di fare tornare una Mags combattiva che non
si fa più condizionare. Non sono certa che il Mags/Bellamy
o Bellags (?) sia un vero e proprio pairing, non ci sono mai state scene da poter definirli una
“coppia”, ma vabbè, li ho inseriti lì.
Spero possa piacere anche questa :)
Se
lo faceva per essere crudele e mostrarmi quanto fosse viscido ed infido stava
sicuramente facendo la mossa giusta.
Non
c’era altro modo per chiamare la scelta di Snow di
convocarmi nel suo ufficio solo per presentarmi l’ologramma dell’Ibrido contro
cui Lher avrebbe dovuto combattere e, nelle sue
migliori speranze o nei miei peggiori incubi, morire.
Era
molto fiero della sua ultima creazione, evidentemente ci aveva investito più
impegno del solito. E si notava. Se durante i miei Giochi gli Ibridi erano
rilegati in acqua e soprattutto non portavano con loro nessun bagaglio
psicologico che si insidiasse nell’animo dei Tributi, quelli con cui avrebbe
dovuto avere a che fare Lher erano sparpagliati per
l’intera Arena e alla sola vista ogni muro di freddezza e razionalità che il
Tributo poteva aver creato veniva spazzato via.
Solo
vederne l’ologramma aveva raggelato il mio sangue.
Era
enorme, non molto alto, ma massiccio e robusto. L’intero corpo del mostro, che
si strisciava sulle quattro zampe corte e tozze era ricoperto da arti lunghi e
secchi. Alcuni terminavano in artigli, altri in tentacoli, certi erano solcati
da profondi tagli ancora aperti dai quali colavano gocce di sangue.
E
su ogni arto era appicciato, avvolto da uno strano muco di un colorito
verdognolo luminescente, un Tributo già divorato dal mostro. Se ne poteva
vedere solo una parte che spuntava dall’informe ammasso colloso: un piede, un
braccio, o peggio, il volto. L’Ibrido avanzava verso di te mostrandoti quale
sarebbe stata la tua fine, come il tuo cadavere sarebbe apparso al mondo
intero, e fino alla fine de Giochi saresti rimasto lì, mentre la parte del
corpo esposta all’aria marciva e imputridiva portando con se un nauseabondo
odore di morte.
Ciò
che più mi disgustava era però il sorriso che Snow
esibiva sotto la ispida barba bianca, trovava il suo nuovo Ibrido esilarante,
speciale, la perfetta arma da scagliare contro me e tutti i cittadini dei
Distretti che avrebbero dovuto incassare anche quel colpo.
Il
ritorno a casa non era stato per nulla facile.
Lo
stomaco, ancora scombussolato, non smetteva di ricordarmi cosa avevo appena
visto, ma la cosa che più mi preoccupava era che presto Lher
avrebbe dovuto affrontarlo e non ne sarebbe di certo uscita vincitrice.
Bellamy
non era in casa, probabilmente stava aiutando qualche ragazzo
nell’apprendistato vicino alla spiaggia. Da quando sapeva dell’Elenco Bianco,
da quando mi aiutava a depennare nomi ogni anno, aveva cominciato a lavorare
con i bambini del Distretto 4. Insegnava loro a pescare, a creare reti ed ami
elaborati, come aveva fatto anni prima con Caleb.
Suo
fratello continuava a mancargli.
Era
evidente.
Chiamava
il suo nome nel sonno, perdeva lo sguardo nell’orizzonte alla ricerca del suo
volto e, a volte, i suoi occhi scuri si riempivano di lacrime, che lui stava
attento a non liberare, magari senza alcun apparente motivo, ma io ero certa
che quando faceva così qualcosa gli aveva ricordato il fratello.
La
casa deserta non mi faceva sentire al sicuro.
Avevo
paura e mi vergognavo ad ammetterlo.
Grazie
a Bellamy il terrore che si era impadronito di me una volta uscita dall’Arena
si era affievolito sempre più ma ogni volta che non era con me mi sentivo
vulnerabile.
E
odiavo sentirmi in quel modo.
Bellamy
entrò dalla porta principale –Non puoi solamente nuotare quando andiamo là. Tua
madre ti affida a me perché tu possa imparare a pescare.- rimproverò sorridendo
il bambino che superò la soglia subito dopo di lui.
-Ma
a me piace nuotare!- Protestò lui portandosi le manine sui fianchi.
Lo
faceva spesso, di portare i suoi “allievi” a casa. A molti mancavano i genitori
e fermarsi a cena in una villetta nel Villaggio dei Vincitori era quasi un
sogno per loro.
-Allora
fai bene a nuotare!- Approvai io avvicinandomi ai due.
-Ecco,
due contro uno. Molte grazie…- Si finse offeso Bellamy mentre il piccolo rideva
a più non posso.
Portai
velocemente gli occhi verso l’orologio e mi spostai in cucina per cominciare a
preparare la cena. In breve il televisore si sarebbe accesso e avrebbe
trasmesso gli Hunger Games e io sapevo cosa sarebbe
successo.
-Dovresti
presentarti, è buona educazione.- Sussurrò Bellamy al bambino che aveva portato
le mani dietro alla schiena in segno di vergogna per poi avvicinarsi a me.
-Io
sono Finnick, e voglio ringraziarti molto per
l’ospitalità.- Appena finito di parlare si voltò verso Bellamy che facendogli
l’occhiolino lo tranquillizzò e fece comparire sul suo volto un grande sorriso.
In
quel momento il televisore si accese portando nella stanza un dolce suono di
foglie mosse dal vento.
Inquadrata,
in primo piano, Lher.
Portai
subito lo sguardo verso quel bambino con gli occhi così azzurri che sembravano
essere stati strappati dal madre stesso, quegli stessi occhi che adesso
guardavano lo schermo inorriditi.
-Finnick, ho bisogno che un ometto come te vada al piano di
sopra a prendere il vaso di fiori che è sul comodino al fianco del mio letto.
Lo metteremo al centro della tavola, sarà bello! Ma stai attento, è molto
pesante.-
-Sono
forte io!- Disse lui fiero di sé mentre alzando il braccio piegato a novanta
gradi stringeva il pungo mostrandomi i muscoli, per poi correre al piano
superiore.
Speravo
che quel piccolo compito lo avrebbe tenuto lontano abbastanza per non farlo
assistere alla scena che stava per essere trasmessa su quel televisore che non
ci era permesso spegnere.
Bellamy
non chiese nulla, aveva capito tutto e subito, come al solito.
Nulla
lo avrebbe preparato a ciò che stava per vedere.
I
suoi occhi furono catturati dallo schermo non appena apparve l’Ibrido. Era ancora
più spaventoso di quello che avevo visto quella stessa mattina. Forse era
perché si trovava davanti a Lher, forse erano i suoi
occhi colmi di lacrime che urlavano pietà dopo essersi soffermati sui corpi
dilaniati dei propri coetanei, o, molto più probabilmente, era il mio senso di
colpa: sapevo che ero stata io a mandarla lì, che senza di me sarebbe stata a
casa sana e salva e non avrebbe dovuto affrontare nessun mostro.
Lo
sguardo di Bellamy riuscì a staccarsi dallo schermo solo quando l’Ibrido allungando
quello che poteva sembrare un arto appiccicoso e informe agguantò la ragazza e
la risucchiò nel suo corpo amorfo.
Quando
poi mezzo volto di Lher spuntò da quell’informità
appiccicosa, mentre ancora digrignava i denti per il dolore, ancora viva ma consapevole
della sua fine, Bellamy non riuscì a trattenere un conato di vomito correndo in
bagno.
La
parte visibile del viso della ragazza continuò a contrarre i muscoli e a
lasciar cadere lacrime che svanivano raggiungendo il corpo colloso dell’essere.
Solo quando l’unico occhio distinguibile da quella massa informe si immobilizzò
spalancato, vitreo e spento, l’acidità nel mio stomaco cominciò a farsi
sentire. Fortunatamente ero abituata e il mio corpo poteva reggere anche di
peggio.
Proprio
in quel momento il piccolo Finnick scese le scale con
il volto coperto dall’enorme vaso che avevo usato come scusa.
-Eccolo
qui! Hai visto sono forte io.- Si vantò poggiando il vaso stracolmo di fiori
sul tavolo.
Lanciai
un’ultima occhiata al televisore che aveva cambiato scena e sembrava non volere
più inquadrare quel terribile Ibrido, per quella sera, per poi riportare lo
sguardo sul ragazzino e sorridergli. –Sei davvero muscoloso allora.-
-Ho
dei nuovi nomi per il tuo Elenco Bianco.- Mi avvertì con la sua solita calma
voce il Presidente Snow dall’alto capo del telefono.
-Verrò
a ritirarla non appena possibile.- Risposi io con tono sottomesso.
-Sai
c’è una new entry interessante; penso che tu lo conosca, FinnickOdair. Ho saputo che è stato nel Villaggio dei
Vincitori, così ho pensato di dargli l’opportunità di trasferirvisi in pianta
stabile.-
Non
risposi a quella provocazione, sapevo che avrei solo peggiorato la situazione,
ormai lo avevo capito. Sia lui, sia i suoi trucchetti.
Avrei
dovuto parlarne a Bellamy e a lui non sarebbe piaciuta la situazione, ne ero
sicura.
-Come
puoi fare una cosa del genere a lui?- Immaginavo che non sarebbe stato
semplice. Da quella cena, dalla perdita di Lher, Finnick aveva quasi vissuto con noi. Al mattino si
svegliava e accompagnava Bellamy sulla spiaggia dove pescavano e nuotavano
tutta la giornata e una volta sceso il buio si incamminavano verso casa mia,
nel Villaggio dei Vincitori, dove li attendeva una cenetta calda che avevo
preparato personalmente. La cena era solitamente seguita da qualche ora dove
giocavamo ad uno strano gioco di carte che ci aveva insegnato il ragazzo e per
renderlo più interessante Bellamy aveva deciso che al vincitore, ogni sera,
sarebbe andata in premio una zolletta di zucchero.
Finnick ne andava
matto!
Molto
spesso si fermava perfino a dormire. Quella casa aveva talmente tante stanze
che gliene avevamo lasciata una senza problemi.
-Quando
sogna dei brutti mostri viene a rifugiarsi nel nostro letto. Vuoi diventare tu
il mostro dal quale scappa?- Quelle parole mi colpirono al cuore come un
macigno. Non avevo mai pensato di essere paragonata all’Ibrido informe che
aveva inglobato Lher e tutti gli altri Tributi della
sue edizione ma, infondo, non c’era alcuna differenza tra noi.
Entrambi
eravamo stati creati dalla pazzia di Snow.
Ciò
che però io non potevo permettermi era la morte dei miei genitori ma
soprattutto di Bellamy. Aveva fatto tanto, troppo per me in tutti quegli anni
ed ero sicura che Snow se la sarebbe presa con lui se
l’Elenco Bianco non sarebbe entrato al completo nell’Arena.
-Noi
siamo una famiglia.- Aggiunse lui stringendomi le mani. –Io, te e Finnick.-
-Forse
potremmo avere una vera, di famiglia intendo.- Stavo mentendo.
Non
avrei mai creato una famiglia, per il semplice fatto che sapevo che fine
avrebbe fatto grazie agli Hunger Games e il mio
essere una dei Vincitori, ma questo Bellamy non lo sapeva ed ero convinta fosse
una delle poche affermazioni che gli avrebbe fatto cambiare idea su Finnick.
Avevo
ragione.
Quella
notte mi svegliai in un bagno di sudore.
Un
incubo mi aveva costretta ad interrompere il mio sonno d’improvviso.
Un
neonato si aggirava, gattonando, in un bosco deserto, fino a che non si era
trovato davanti l’Ibrido dal corpo informe e colloso che aveva allungato il suo
arto verso di lui per inglobarlo, così come aveva fatto con Lher
e con altri prima e dopo di lei. Proprio in quel momento il neonato aveva
voltato il viso in modo che fosse visibile e avevo riconosciuto i tratti
indistinguibili di Finnick mentre veniva ingoiato. La
sua piccola manina spuntò dal corpo amorfo del mostro, contraendosi ancora
verso di me nella disperata ricerca di aiuto fino a che non si fermò rimanendo
immobile.
Con
gli occhi spalancati nella notte decisi che non avrei lasciato Finnick morire così. Avrebbe dovuto affrontare gli Hunger Games, perché egoisticamente sapevo che non avrei
potuto vivere senza il sostegno di Bellamy ed ero consapevole del fatto che Snow avrebbe trovato qualcun altro per riuscire a buttarlo
nell’Arena, privandomi così degli uomini più importanti nella mia vita, ma lo
avrei allenato.
Era
quello il mio compito e lo avrei portato a termine.
Capitolo 7 *** Settimo Turno: Un’intervista con la coscienza ***
Nick:
HollyMaster
Tributo:
Mags
Turno:
Settimo
Titolo
Storia: Un’intervista con la coscienza
Genere:
Introspettivo
Raiting:
Giallo
Avvertimenti:
Nope
Pairing:
BellagsxD
Note:
Spero che l’idea possa essere all’altezza. So che non doveva per forza essere
un’intervista ma mi sono lasciata ispirare e ho pensato che sarebbe stato
interessante vedere cosa passa per la testa di Bellamy (unico “parente” che mi
sembrava degno di questo ruolo) nei riguardi di Mags.
Una specie di confronto con la sua coscienza, per cercare di capire se sta
facendo la cosa giusta.
E’
un po’ diverso dal mio solito modo di scrivere ma spero possa piacere lo
stesso.
Per
quando riguarda Bellamy ho pensato che trovare un motivo per cui Mags ha smesso di parlare (come poi ce la presenta Katniss) sarebbe stato qualcosa di “nuovo”. Ho sempre
pensato che il tema del sacrificio per qualcosa in cui si crede fosse molto
vivo in Hunger Games, quindi l’ho riproposto.
I
verbi sono un tantino incasinati, ma ho cercato di trasmettere la diversità tra
ciò che era e ciò che è o è ancora (pure sta frase è incasinata xD), spero si capisca.
Spero
non sia troppo “romantica” anche se non lo è, ma ovviamente nella visione di Mags da parte di Bellamy l’amore c’è (almeno quello
poveretta xD).
Vi
lascio alla lettura!
Avevo
capito che Mags aveva bisogno di me la prima volta
che l’avevo vista, finito il tour della vittoria.
Avevo
capito di potermi fidare di lei quando mi era riuscito così facile parlarle di
mio fratello.
Avevo
capito quanto splendente fosse il suo sorriso dopo la prima volta che l’avevo
contemplato e ben presto avevo capito che ero l’unico a poterlo far comparire.
Era
compito mio, il mio obbiettivo.
Avevo
capito di amarla quando ci ero riuscito per la seconda volta, a farla
sorridere.
E
avevo capito che non l’avrei lasciata andare per nessuna ragione al mondo
quando mi ero buttato a capofitto nell’Elenco Bianco senza nemmeno battere ciglio.
Potevo
definirla la mia anima gemella, la persona che ero destinato a trovare.
Come sai che è la tua anima
gemella?
Non
saprei rispondermi.
So
solo che lei lo è.
Lo
sapevo quando le ho chiesto di sposarmi in riva al mare.
Avevo
capito di aver fatto la scelta giusta quando, molto prima del suo “sì”, avevo
potuto osservare il suo sorriso. Quello spontaneo che le faceva piegare gli
angoli della labbra in un dolce scatto e le faceva risplendere gli occhi di
mille luci differenti.
Quello
che ero sempre più felice di vedere ogni volta che la incontravo mentre
addestrava Finnick.
Deve avere qualcosa di speciale,
no?
Certo
che ha qualcosa di speciale e ora è totalmente mia, è la mia famiglia.
Tutto
quello che ho perduto: Caleb, i miei genitori, lo ritrovo in lei.
Sapevo
bene che non avrebbe mantenuto la promessa di avere un bambino con me, né con
nessun altro, perché aveva sofferto troppo e non poteva permettersi che
nessun’altro, così vicino a lei, potesse provare un dolore del genere, non se
poteva impedirlo.
E’ una bugiarda dunque?
Lo
aveva fatto per me.
Non
avrei sopportato l’idea di un no come risposta, perché semplicemente non potevo
pensare ad un futuro nel quale lei non fosse stata felice e sapevo che per
esserlo avrebbe dovuto abbandonare l’Elenco Bianco e tutto il dolore che ne
derivava.
Sapevo
che ne sarebbe stata capace, la sua forza, quella che le aveva permesso di
superare tutte le difficoltà che aveva sempre incontrato, la stessa che l’aveva
spinta a seguirmi quel giorno in casa mia e a consolarmi per la perdita di mio
fratello, le avrebbe permesso di lasciare che Snow sbrigasse
i suoi sanguinolenti affari da solo. Ma d’altra parte sapevo che non lo avrebbe
mai fatto, non avrebbe mai messo a rischio la mia vita.
E’
per questo che voglio chiudere questa faccenda.
Quindi è questa la risposta che ti
sei trovato? Lo fai per lei?
Non
lo faccio per lei.
Mags
mi ha solo ispirato, mi ha dato un esempio da seguire, come una luce che si
staglia contro l’oscurità. Lei allena i suoi Tributi per renderli meno
vulnerabili, pronti ad affrontare ciò che nessun ragazzino dovrebbe mai nemmeno
immaginare.
Fa
ciò che può, ma trova sempre la parte positiva, anche nella crudeltà degli Hunger Games, e semplicemente si sforza di farla brillare
di più di quella negativa.
Mi
ha dato la forza per capire cosa avrei dovuto fare da quando mi hanno portato
via Caleb.
Non
lo faccio per lei, ma per tutti quelli che hanno fatto parte della lista, per Lher, per Finnick.
Sono entrambi già spacciati e lo
sai bene?
Lher
è morta e Finnick dovrà partecipare agli Hunger Games, è vero.
Ma
non tutti gli altri, tutti quei nomi che vedo ogni anno quando ne depenno uno.
Loro avranno la stessa opportunità di tutti gli altri.
Ti stai illudendo. Snow troverà qualcun altro.
Forse
è vero.
Mags
però non sarà costretta a sopportare il rimorso e il dolore che sente tutti i
giorni da ormai troppo tempo.
Non
posso fare più di tanto, ma questo sì.
Lei
ha sempre creduto in me, molto prima che lo facesse chiunque altro, molto prima
che lo facessi io stesso. Si merita che, almeno per una volta, sia all’altezza
delle sue aspettative.
Per
questo sono andato da Snow a chiedere di prendere me
ed eliminare ogni nome dall’Elenco Bianco.
Speravo
che pensasse che rinchiudermi come prigioniero gli avrebbe fruttato di più, in
futuro, che uccidermi…
Ma sapevi che non sarebbe successo.
Sapevi che ti avrebbe ucciso e che
avrebbe aspettato di averla davanti, che l’avrebbe fatta soffrire.
Sapevo
che le avrei potuto dedicare le mie ultime parole.
Allora ti conviene parlare in
fretta. Il veleno ti lascerà poco tempo.
-Non
dire nulla. Io credo in te. Continua a fare ciò che fai, ma non dire nulla.-
Sospiro con le ultime forze che ho in corpo mentre la guardo da uno schermo.
Gli occhi che le diventano umidi e brillanti, ma lo sguardo fermo e alto, fisso
nel mio, mi fa capire che sa perché lo sto facendo, che una parte di lei, per
la quale si sente anche in colpa, mi sta ringraziando.
E
per la prima volta sento di esserci riuscito. Di aver stampato in lei un
sorriso indelebile che non potrà mai mostrare al mondo ma che tratterrà nel
cuore, perché non deve più uccidere nessun innocente, perché è libera.
Lei
è la mia famiglia e come le avevo detto la prima volta che ci eravamo
conosciuti “fino a che ne hai la possibilità dovresti lottare per la tua
famiglia.”
-Ti
amo e so che mi ami anche tu, quindi non dire nulla.-
E
così fece.
Continuò
ad allenare i loro Tributi senza mai
più dire una parola.
Capitolo 8 *** Ottavo Turno: Il silenzio del cannone ***
Nick:
HollyMaster
Tributo:
Mags
Turno:
Ottavo
Titolo
Storia: Il silenzio del cannone
Genere:
Introspettivo
Raiting:
Giallo/Arancione
Note:
Ho utilizzato la morte del libro e non quella del film dove Finnick
urla disperato ilnome di Mags.
Non è una storia lunga, (quando mai le mie?!) ma spero possa comunque andare
bene. Diciamo che il non farla troppo lunga è stata una scelta voluta. La sua
morte è gia stata affrontata nei libri ed è una morte
veloce, improvvisa che non ci da il tempo di immagazzinarla come si deve. E
quindi ho cercato di mantenerla così, aggiungendo i pensieri di Mags, ovviamente. Il tema principale è quello del sacrificio,
che ha segnato la vita della Mags di cui ho
raccontato più o meno dall’inizio fino alla fine, appunto.
Ti
lascio alla storia.
Ci
svegliamo di soprassalto tra le nostre stesse urla di terrore.
La
pelle brucia e si gonfia in bolle innaturali e pulsanti. Ne ho la gamba
interamente ricoperta il dolore è talmente acuto e persistente che la mia vista
si annebbia. Per un attimo dimentico dove sono, ma la visione di Finnick che, trasportando Peeta,
comincia a scappare mi ricorda dell’Arena, dei 75esmi Giochi.
La
Ghiandaia Imitatrice mi solleva da terra allontanandosi dal luogo in cui
avevamo deciso di fermarci per riposare. Per sorreggermi mi tocca la gamba
dolorante e tutto quello che vorrei fare è urlare, liberare i miei polmoni,
come se potesse darmi un qualche tipo di sollievo. Ma non lo faccio, so che non
aiuterebbe me e di certo non lei.
Una
nube densa e grigiastra ha inghiottito i nostri giacigli e si sta scagliando
contro di noi come una valanga di morte mentre cerchiamo di scappare il più
lontano possibile.
La
Ghiandaia fatica, sento il suo cuore pompare all’impazzata chiedendo sempre più
sangue; rallenta.
E’
solo una ragazza.
Mi
guardo alle spalle.
La
nube ci segue senza dare alcun segnale che si fermerà mai, ed è in quel preciso
momento che comprendo che presto dovrò fare quello per cui sono entrata in
quest’Arena.
La
sento parlare con Finnick, non vuole lasciarmi
indietro ma sa che non riuscirà a trarmi in salvo. E’ combattuta e la
comprendo. Per me è stato lo stesso con l’Elenco Bianco, ma per lei non ci
saranno scelte così ardue da prendere.
Quando
sono entrata nell’Arena sapevo che non ne sarei uscita.
Era
la Ghiandaia che doveva sopravvivere, vincere per poter portare avanti la
rivolta che rappresentava.
Quella
rivolta che egoisticamente mi sentivo di aver iniziato e portato avanti, per
quel che potevo. Nonostante gli errori, con Caleb, con l’Elenco Bianco e tutti
quelli che avevo mandato a morire.
Ero
felice di essere riuscita a conoscere ed aiutare colei che avrebbe riportato la
giustizia a Panem. Forse era quella la punizione per essere caduta nella rete
di Snow, per aver ceduto alle sue minacce. Ma mi
sarei sacrificata volentieri, per lei, per Finnick,
per tutto quello che rappresentavano.
Mi
ero sacrificata per Annie, offrendomi volontaria al suo posto, perché avevo
visto nel suo sguardo perso negli occhi di Finnick,
lo stesso mio quando i miei occhi incontravano quelli di Bellamy.
Mi
sarei sacrificata per Katniss, perché nel suo sguardo
vedevo lo stesso mio quando avevo deciso di lottare per i Tributi.
Mi
avvicino a Finnick e senza dire una parola gli stampo
un dolce bacio sulle labbra ancora zuccherate.
Sa
che è un addio. Non mi ferma.
Sa
che credo in lui e in Katniss, sa qual è la sua
missione.
Riprende
a correre, senza versare una lacrima.
Sono
davvero fiera di lui.
Di
nostro figlio.
Mi
incammino contro la nube mentre la Ghiandaia, sconvolta dalla mia decisione,
decide di rimettersi alla rincorsa di Finnick, che
sosteneva ancora il corpo di Peeta.
Mentre
mi muovo verso quella nebbia grigiastra un macabro sorriso si dipinge sul mio
volto pensando che il mio cuore non sobbalzerà più all’orribile suono del
cannone, perché quando suonerà le mie orecchie saranno sorde.
La
nube si avvicina.
Ne
vengo immersa.
La
mia pelle si gonfia, si riempie di pustole pulsanti e dolorose.
Le
mie gambe non riescono più a sorreggere il mio peso e decido che va bene così.
Mi
accascio a terra e finalmente capisco perché noi Tributi rimarremo tali per
sempre. Il mio ultimo pensiero non si rivolge né a Finnick,
né ai miei genitori, né a Bellamy, ma a CorneliusSnow: l’uomo che aveva rovinato la mia vita, a cui davo
tutte le colpe della mia infelicità.
L’uomo
che ora, ero sicura, rideva della mia morte.
Ed
era così che me lo immaginai, sorridente, con gli occhi spalancati in
un’inquietante espressione ghiacciata nel tempo mentre la freccia di KatnissEverdeen, quella che
rappresentava tutti noi Tributi, gli trafiggeva il cuore.
Lì,
stesa a terra, tra la nebbia più fitta, senza riuscire a vedere nulla tranne il
grigio cupo di quella nube chiusi gli occhi abbandonandomi al semplice dolore,
consapevole che non avrei sentito il sordo suono del cannone che annunciava la
mia morte rimbombare nell’Arena.