Quando il sogno finisce

di Enlil
(/viewuser.php?uid=6557)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 2: *** Capitolo II ***



Capitolo 1
*** Capitolo 1 ***


Titolo

Questa è la prima volta che scrivo una fanfiction su Harry Potter. Commenti, critiche e suggerimenti sono i benvenuti. Inoltre volevo ringraziare Lilyj per avermi segnalato la castroneria che avevo fatto definendo le donnole dei roditori, e T'Jill, la quale ha svolto un repentino e ottimo mini-betaggio di questo capitolo.

 

Capitolo 1

 

Quando Draco si svegliò ebbe come l'impressione di immergersi in una vasca di acqua calda. Tutto era ovattato e indefinito. Forse ciò era dovuto dall'intorpidimento causato dal lungo sonno, o forse, più probabilmente, dal cuscino premuto ben poco gentilmente contro il suo viso.

“Vuoi deciderti a svegliarti? Abbiamo fame e quell'odioso elfo domestico che ti ritrovi si rifiuta di servirci la colazione fino a quando tu non gli abbia ordinato di farlo.”

Draco, ancora confuso dal brusco risveglio e dal fatto di subire un attentato alla propria vita prima del caffè del mattino, riuscì in un modo o nell'altro a liberare una gamba dal groviglio di coperte e a dare un altrettanto poco gentile calcio verso il suo assalitore. Dal lamento e dal tonfo che seguirono appena dopo, e dal fatto che la pressione del cuscino contro il suo viso era diminuita, capì che il colpo era arrivato a destinazione.

“Weasel*! Razza di mammifero sottosviluppato affetto da gravi problemi mentali e di acne, che cosa credevi di fare?” urlò Draco sedendosi sul letto ormai completamente sfatto e fissando con la miglior espressione di disgusto in grado di assumere appena sveglio il suo aspirante assassino.

Ron, con il viso paonazzo e i lineamenti tirati un po' dal dolore e un po' dalla rabbia, si rialzò in piedi massaggiandosi con la mano la bocca dello stomaco.

“Non è acne, sono lentiggini, quante volte te lo devo ripetere? E poi è ovvio quello che avevo intenzione di fare: ucciderti in modo da liberare tutti noi dal regime dittatoriale tuo e del tuo stupido elfo domestico.”

Draco meditò per un attimo di come non fosse un buon piano rivelare i propri intenti omicidi alla vittima e di come sarebbe stata la storia se i rivoluzionari fossero stati tutti Gryffondor. Ringraziò per l'ennesima volta in quell'ultima settimana di essere nato Slytherin e, alzatosi, si diresse verso la porta del suo bagno personale.

“Per quanto sia onorato di essere il protagonista assoluto di un complotto tanto ben congegnato, ti devo chiedere di uscire dalla mia camera. I miei capelli necessitano di attenzione e la tua ulteriore presenza potrebbe infliggere danni permanenti al mio specchio.”

Draco ebbe come l'impressione di sentire un ringhio provenire da dietro le sue spalle, ma i suoi prodotti per capelli richiamavano a gran voce di essere utilizzati e così non se ne curò.

“Non osare nemmeno pensare di rinchiuderti nel bagno, Malfoy! Mettiti solo una maglietta e un paio di pantaloni, e scendi a ordinare alla tua schiavitù con le orecchie a punta di sfamarci!”

Sì, era proprio un ringhio. A quanto pareva i Weasley non intrattenevano rapporti disdicevoli solo con mudblood, ma anche con bestie ed affini. Con un brivido Draco cercò di togliersi dalla mente un'immagine alquanto raccapricciante di Lenticchia che faceva gli occhi dolci a Firenze, il centauro che insegnava Divinazione ad Hogwarts, e catalizzò tutta la propria attenzione nell'assumere un tono di voce fintamente scandalizzato e fastidiosamente acuto.

“E spogliarmi di fronte a te? Razza di pervertito, non te l'ha detto mamma weasel che non si chiedono queste cose di punto in bianco? Insomma, almeno prima regalami dei fiori o dimmi che la lucentezza dei miei occhi riempie il tuo cuore di desiderio.”

Draco ebbe appena il tempo di chiudere la porta del bagno dietro di sé prima di sentire il vaso della prozia Betty sfracellarsi contro di essa. Perfetto, pensò con un ghigno, non vedeva l'ora di contemplare l'espressione di Weasley quando gli avrebbe chiesto di pagare i danni.

*

Dopo aver dato la dovuta attenzione ai suoi capelli e aver perfezionato davanti lo specchio l'espressione di disgusto che aveva intenzione di rivolgere a Lenticchia quella giornata, Draco si diresse verso la sala da pranzo. Aperta la porta dovette fermarsi e sbattere le palpebre per un paio di volte. I  suoi occhi dopo una settimana facevano ancora fatica ad abituarsi a quell'accozzaglia di pacchiano e volgarità tutta in una volta. Scorse velocemente lo sguardo lungo quella marea di capelli rossi che invadeva entrambi i lati del lussuoso tavolo situato nel mezzo della sala. Quel colore faceva a pugni con le pareti, le tende e persino con i soprammobili. A quanto pareva l'arredatore non aveva mai neppure preso in considerazione l'eventualità che in quella stanza potesse entrare qualcuno con dei geni di tale cattivo gusto.

Tutti e sette i componenti della famiglia Weasley erano seduti nella tavolata dei Malfoy. Draco ricordò con un misto di divertimento e di pietà il momento in cui suo padre, una settimana prima, aveva per la prima volta visto tale chiaro segno dell'apocalisse imminente. Da quel momento non era più stato lo stesso.

Mentre si avvicinava alla tavolata Draco cercò di assumere un comportamento calmo e misurato. Sua madre da piccolo gli diceva sempre che bisognava fare così quando ci si avvicinava ad animali rimasti allo stato selvaggio. Loro erano in grado di odorare con i loro lunghi nasi acnosi la paura, lo sapeva.

“Finalmente ti sei deciso ad arrivare. Potevi evitare di spendere tanta fatica per quella faccia da furetto che ti ritrovi, se i tuoi genitori non sono riusciti a cambiartela quando eri in fasce non penso che ci siano più speranze”.

A quanto pareva Lenticchia ce l'aveva ancora per la storia del calcio, e neanche gli altri sembravano essere molto contenti di lui visti gli sguardi torvi diretti verso la sua persona.

Assumendo un'espressione ed una gestualità raffinata, Draco accennò un inchino in direzione della signora Weasley. Sua madre gli aveva detto anche che conquistati i favori del capo branco avrebbe tenuto in pugno l'intero clan.

“Mi dispiace profondamente per avervi fatto aspettare. Per farmi perdonare di tale ignobile leggerezza ho già dato ordine agli elfi domestici in cucina di preparare la miglior colazione che abbia mai sfiorato i vostri palati,” disse compiacendosi mentalmente per la propria furbizia.

I lineamenti della signora Weasley si addolcirono immediatamente e, con fare materno, lo spinse a prendere posto nella tavolata accanto a Ron, con grande disappunto del suo ultimogenito.

“Oh caro, non c'è niente di cui tu ti debba scusare. E' normale per un ragazzo della tua età non riuscire a svegliarsi la mattina. Ecco, siediti comodo.”

“Grazie signora Weasley,” rispose mellifluo Draco, approfittando dell'occasione per dare una gomitata al ragazzo sedutogli accanto.

Improvvisamente la colazione apparve sulla tavolata dal nulla e, mentre era intento a sporgersi per prendere un barattolo di marmellata, Lenticchia approfittò di quell'attimo di disattenzione per ricambiargli il favore. Due volte.

Nessuno dei presenti se ne accorse essendo tutti apparentemente decisi a decimare la fortuna dei Malfoy con le loro fauci voraci, se non la Weasleyuccia femmina, la quale rivolse una strizzata d'occhi al fratello e una smorfia di disgusto a Draco.

“Hai dormito bene, caro?” chiese la signora Weasley in un disperato tentativo di fare conversazione.

“Benissimo,” rispose con tono soffocato Draco, massaggiandosi ancora le costole.

In effetti era proprio così. Gli sembrava di aver fatto un lunghissimo sogno, anche se al momento gli sfuggiva del tutto dalla memoria. Ora che ci pensava non si ricordava neppure di essersi messo a letto la sera prima. Probabilmente ciò era dovuto dallo stress causato dall'avere la propria casa invasa da un branco di bestie selvagge dai colori osceni e con una particolare predilezione per cibi costosi e pregiati. Non credeva affatto che i gemelli pel-di-carota fossero affetti da una gravissima allergia alimentare che gli permetteva di mangiare soltanto piatti a base di caviale e tartufo, e un giorno o l'altro sarebbe riuscito a  coglierli in fallo.

Draco ripensò con profondo lutto agli ultimi, lunghissimi, giorni. Il signor Weasley passava metà del suo tempo a disegnare su pergamene schizzi di spine eclettiche o cos'altro fossero e l'altra metà a ringhiare minaccioso a tutti i ritratti dei suoi avi appesi sulle pareti della magione (sguardi peraltro del tutto contraccambiati dagli ospiti di questi quadri). La moglie, apparente resa folle al cospetto di tanto lusso e splendore, non faceva altro che preoccuparsi della sua carnagione (“Non sono pallido, sono aristocratico. C'è una esplicita legge nel manuale deontologico della famiglia Malfoy che vieta categoricamente a tutti i suoi componenti di bruciarsi la pelle al sole,” aveva cercato di dirle più volte, inutilmente, Draco). I gemelli (Forge e Grog o come cavolo si chiamavano) erano apparentemente giunti alla conclusione che se non puoi sconfiggere il nemico almeno puoi ridurlo sul lastrico riempiendoti la pancia nel contempo. Con Lenticchia e la Weasleyuccia femmina, infine, era guerra aperta, con tanto di insulti, calci e gioco sporco. Quelli erano i momenti migliori per Draco, gli facevano sempre venire in mente le sue giornate ad Hogwarts permettendogli di distogliere per un attimo l'attenzione da ciò che era rimasto della sua nobile ed illustre dimora.

Unica ancora di salvezza in quei momenti di profondo sconforto era il pensiero che in quel momento sarebbe potuto essere rinchiuso ad Azkaban ad essere mangiato vivo da pulci e zecche, senza contare il danno che ciò avrebbe inflitto ai suoi capelli. Per riuscire a riprendersi dal pensiero di tale mostruosità, Draco ingoiò una lunga sorsata di caffè, come a volersi liberare da un orrendo saporaccio.

Tutto aveva avuto inizio una settimana prima: la notte in cui aveva fatto entrare i Deatheater ad Hogwarts, aveva fallito la sua missione e si era ritrovato per sbaglio a far parte dell'Ordine della Fenice. Non propria una giornata delle più fortunate, insomma. La prossima volta che avrebbe dovuto mettere in pratica un astuto piano malvagio** sarebbe prima corso a controllare il suo oroscopo.

A volte sembrava che fosse passata una vita da quei terribili momenti, altre volte li sentiva così vicini da aver voglia di gridare e scappare, come se i seguaci del Signore Oscuro (“i tuoi amichetti,” era solito correggerlo Lenticchia, ma aveva smesso da quando gli elfi domestici gli avevano messo una tarantola nella zuppa) stessero ancora rincorrendo lui e sua madre mentre si davano alla fuga, prima di venir salvati dal Professore Snape.

Ora erano lì, circondati da una marea di volgari teste rosse, certo, ma almeno erano insieme: lui, sua madre e suo padre (richiamato improvvisamente agli arresti domiciliari nel caso che il Signore Oscuro facesse una gita ad Azkaban per vendicarsi del loro tradimento). E tutto perché lui era un codardo.

Aveva abbassato la bacchetta, non aveva ucciso Dumbledore. Non è che avesse avuto particolari scrupoli morali o altro, semplicemente non ne era stato in grado. Per tutto l'anno, mentre lavorava disperato su quei maledetti armadi, non aveva fatto altro che assaporare il momento che avrebbe messo fine a tutto. Invece, quando finalmente esso era giunto, non era riuscito a completare la sua missione.

Per una volta nella sua vita, si ritrovò a pensare Draco addentando una fetta di pane e marmellata, il fatto di essere un debole non gli pesava affatto. Se non fosse stato un codardo ora non sarebbe stato lì e non avrebbe riavuto la sua famiglia.

Ma, come dice il detto, non puoi avere il calderone pieno e la moglie incantata, quindi improvvisamente l'Ordine Della Fenice (che comunque aveva un nome orribile. Il Signore Oscuro poteva pure essere un pazzo assassino, ma almeno aveva stile) sembrava aver deciso che i Malfoy, per il semplice fatto che avessero chiesto le dimissioni dalla loro carriera di cattivissimi Deatheater assetati di sangue, ora erano dalla loro parte. Come se ciò non bastasse Malfoy Manor, dopo essere stata resa a prova di Unforgivable da tutti gli incantesimi del caso, era diventata il loro nuovo quartier generale.  

Draco considerava la cosa alquanto ingiusta. Insomma, avrebbero potuto mettere la cosa ai voti o almeno pagare un giusto affitto mensile. Inoltre aveva sempre creduto che per entrare a far parte di un organizzazione super segreta che combatte contro le forze del male ci volessero qualità come altruismo e buon cuore, ma a quanto pareva avere una gigantesca magione a disposizione e approfondite conoscenze del giro di amici del Signore Oscuro bastavano come qualifiche.

Improvvisamente la porta della sala si aprì e si udì provenire da essa un gemito di profonda disperazione. Draco alzò il volto dalla propria colazione e scambiò col padre uno sguardo che voleva dire 'sono qui con te, affronteremo insieme ogni sofferenza'.

Ciò sembrò dare un po' di conforto a Lucius, il quale, avvicinandosi con fiera rassegnazione alla tavolata, diede una veloce ed un po' maldestra pacca sulla spalla del figlio.

Draco non riuscì a trattenere il formarsi di un sorriso sulle sue labbra, ma si premurò a soffocarlo efficacemente dentro la sua tazza di caffè.

“Vedo che siete qui. E state facendo colazione.”

Draco ebbe quasi l'impressione di sentire un sibilo nelle parole del padre. Forse qualcuno dei loro antenati era un parseltongue, sarebbe stato figo.

“Sai, questo è il quartier generale dell'Ordine della Fenice, ordine di cui noi facciamo parte, nel caso tu te ne sia dimenticato,” disse il signor Weasley con tono colloquiale alle sue uova strapazzate.

“Certo,” sibilò a denti stretti Lucius. “Quello che non avevo capito era che il quartier generale dovesse disporre anche di una nursery, in questo caso mi sarei attrezzato.”

Per la prima volta da quando Draco era entrato, il signor Weasley alzò il volto dal tavolo. Le sue orecchie completamente paonazze quasi non si distinguevano dai capelli e il suo sguardo era infuocato, in completo contrasto con l'atteggiamento freddo e controllato dell'uomo biondo sedutogli di fronte.

“Su caro, non essere scortese con i nostri ospiti.”

La nuova voce, un po' bassa e dalla cadenza gentile, distolse l'attenzione di tutti i presenti dalla diatriba in corso e Draco quasi si lasciò scappare un sospiro di sollievo. Non avrebbe mai osato ammetterlo di fronte a suo padre ma, quando anni prima Lucius aveva scatenato una rissa col signor Weasley al Ghirigoro, non ne era uscito un gran che vittorioso.

“Non stavo mancando di rispetto, mi stavo solo assicurando che i nostri ospiti” qui il signor Malfoy fece una pausa, come se avesse appena pronunciato una volgarità disgustosa “disponessero di tutto ciò di cui avessero bisogno.”

Narcissa, ancora ferma sullo stipite della porta, fece un elegante gesto con la mano, come a voler scacciare una mosca fastidiosa, senza, nel contempo, arrecarle alcun disturbo.

“Sono certa che ci penseranno gli elfi domestici ad ogni loro necessità. Gli ho già dato l'ordine di preparare le stanze per gli altri, ormai dovrebbero stare per arrivare.”

A Lucius andò di traverso la tazza di tè.

“Altri? Vuoi dire che ce ne sono altri?” riuscì a dire, tra un colpo di tosse e l'altro, mentre con ampi gesti plateali indicava le teste rosse attorno a lui che lo guardavano con aria contrita. A Draco non parve essere una buona mossa: gli animali selvaggi si innervosivano dinnanzi a movimenti bruschi ed improvvisi, lo sapevano tutti.

“Harry sta arrivando?” disse la Weasleyuccia femmina che, nel tentativo di scattare in piedi il più velocemente possibile, ficcò il gomito nel piattino del burro.

Imbarazzante, pensò Draco stringendo più forte la sua tazza di caffè, platealmente ridicola.

Narcissa strinse per un attimo gli occhi dinnanzi a tale mancanza di ritegno e di buone maniere, e, impassibile, riprese a parlare.

“Il signor Potter, il signor Lupin, Severus e la signorina Ginger-”

“Granger,” ringhiò Lenticchia.

“dovrebbero essere qui a momenti,” continuò incurante la signora Malfoy. “Mia sorella mi ha mandato un gufo poco fa per avvertirmi.”

La schiena di Draco per un attimo ebbe un fremito, poi gli venne in mente che, dal momento in cui la sua famiglia non intratteneva più dei rapporti amichevoli con zia Bella (a quanto si sentiva in giro aveva giurato al Signore Oscuro che gli avrebbe torturati, fustigati ed infine uccisi per rimediare al disonore che avevano portato alla famiglia), sua madre doveva riferirsi a zia Andromeda. Gli sembrava una tipa a posto nonostante la conoscesse da solo una settimana. Aveva sì un gusto pessimo in fatto di uomini, ma almeno non voleva farli tutti a pezzettini e usare il loro sangue per scrivere sulle pareti di casa “Voldy, il mio oscuro cuore malvagio batte soltanto per te”.

In quel momento un elfo domestico con uno schiocco si materializzò nella sala e, con un profondo inchino che fece strusciare le sue pesanti orecchie sul pavimento, informò i suoi padroni che sì signore, erano arrivati, signor sì, gli ospiti, e che, certamente signore, li aveva fatti accomodare nel salone.

Ci fu un movimento di massa. Draco per un attimo si sentì annegare in un fiume color rosso sangue. Perfetto, pensò addentando con tutta calma una brioche, mancava soltanto la piaga delle locuste e sarebbero stati al completo.

*

Draco, finita in completa tranquillità la sua colazione, si decise ad andare a fare gli omaggi di casa ai suoi nuovi inquilini, non prima ovviamente di aver fatto una lunga sosta in bagno a controllare lo stato dei suoi capelli.

Arrivato sullo stipite della porta fu costretto a fare una ben poco dignitosa giravolta per evitare il placcaggio di due elfi domestici che, indaffarati, stavano uscendo dal salone con le braccia impegnate da grossi vassoi vuoti. Purtroppo Draco non aveva calcolato la possibilità a metà dell'azione di inciampare sull'orlo del tappeto che si trovava sotto i suoi piedi, e si ritrovò così a subire una ancor meno dignitosa caduta.

Draco maledì per un attimo tutti gli elfi domestici del mondo e il gusto di sua madre per le cose pelose e completamente inutili, quando si ritrovò a sbattere contro qualcosa di caldo e con due braccia.

Sfortunatamente la cosa calda e con due braccia era anche parecchio più bassa di lui e con una massa muscolare praticamente inesistente.

Con un tonfo lievemente soffocato dall'orrido tappeto, Draco finì malamente a terra. Aprì gli occhi e si accorse di avere le braccia piene di Potter.

Due spalancati occhi verdi lo fissavano sorpresi da sotto di lui e Draco avvertì l'immediata urgenza di alzarsi. Ci provò ma improvvisamente ogni sua articolazione era bloccata e il suo corpo sembrava pesare cento chili.

Un'ombra minacciosa si allungò sopra di loro. Draco alzò il capo e vide Lenticchia che, sul ciglio della porta, sembrava essere intento ad assomigliare il più possibile ad un pesce palla.

“Non è come potrebbe sembrare,” disse con le parole che uscivano cento all'ora dalla sua bocca.

“Per Merlino! Malfoy sta cercando di uccidere Harry!” urlò Weasley inorridito.

“Beh, non è neanche quest'altra cosa che potrebbe sembrare,” rispose Draco, un po' più incerto.

“Malfoy è inciampato e siamo caduti,” affermò prontamente Potter, mentre cercava invano di ridarsi un contegno.

Draco improvvisamente avvertì chiaramente il profumo di Potter, e il pensiero che i loro volti erano distanti pochi centimetri l'uno dall'altro lo colpì come una scossa elettrica, obbligandolo ad alzarsi il più velocemente possibile.

“Potter, sei appena arrivato e già mi sei fra i piedi. Ti pregherei d'ora in poi di mantenere una distanza minima di cinque metri tra te e la mia persona. Posso ammettere tre metri, ma solo in situazioni di vita o di morte.”

Draco sapeva che quando era nervoso aveva l'abitudine di parlare velocemente, ma in quel momento era la calma fatta persona. Il fatto che le sue parole continuassero a susseguirsi una dopo l'altra ininterrottamente non significava nulla, assolutamente.

Comunque Potter non pareva farci troppo caso, era troppo impegnato a fissarlo. Non gli piacevano le persone che lo fissavano: lo rendevano nervoso. Non che in quel momento si sentisse così. Era completamente rilassato e a suo agio.

“E per situazioni di vita o di morte non intendo terremoti, alluvioni o draghi imbizzarriti, in quel caso la tua presenza sarebbe solo d'impiccio, ma situazioni davvero senza via di scampo, quali per esempio nel caso che io fossi inseguito dai Death Eater, che Tu-Sai-Chi cercasse di rapirmi per fare di me il suo schiavo-sessuale, che finisse il mio shampoo specifico per capelli delicati e stressati-”

“Malfoy, stai bene.”

“che rischiassi di dover entrare in contatto fisico con un Weasley, che... scusa, Potter?”

“Intendo dire che sembri stare decisamente meglio. Meglio rispetto a una settimana fa, ecco. Cioè da quando eri a scuola.”

Draco si sentì un poco rassicurato dal fatto che, nonostante al momento non fosse in grado di controllare la velocità con cui le parole gli uscivano di bocca,  riuscisse comunque ad essere più coerente di Potter e ad avere una maggiore padronanza lessicale.

“In effetti devo ammettere che il fatto di non dover uccidere più qualcuno per evitare di vedere massacrata la propria famiglia faccia miracoli alla carnagione. Non puoi nemmeno immaginare quanto essere agli ordini di un Signore Oscuro possa essere stressante, per non parlare dei danni che può procurare alla pelle.”

“Capisco,” rispose incerto Potter.

“Harry, ho trovato l'incantesimo di traduzione per la mappa, ora possiamo- oh, ciao Malfoy.”

“Salve, Granger.”

A quanto pareva quell'ultima settimana non aveva fatto altrettanto bene alla mezzosangue. Draco scorse velocemente la figura della ragazza appena uscita dalla sala. I suoi capelli erano come al solito un disastro, aveva le dita sporche di inchiostro e quell'espressione nervosa sul volto non le donava affatto.

“Dicevo. Ho l'incantesimo di traduzione... per la mappa di Londra. Malfoy, non puoi nemmeno immaginare quanto sia complicato riuscire ad orientarsi per la metropolisiana, ci si perde di continuo. E noi volevamo farci un giro per-”

“Volevamo andare a comprare dei regali per te e la tua famiglia, per ringraziarvi dell'ospitalità, ecco,” si intromise prontamente Lenticchia.

Malfoy non aveva nessuna idea di cosa fosse una metropolisiana, ma nel riuscire a smascherare le bugie era un esperto. Dopo sei anni nel dormitorio Slytherin certe cose diventavano naturali, come anche l'abitudine di rendere il proprio letto impenetrabile, insonorizzato e a prova di odori. Una lunga storia che riguardava Goyle, un incantesimo sbagliato e un vaso da notte.

“E quindi capirai che è nostro dovere andare da soli in qualche stanza, in modo da discutere su cosa sia meglio regalarvi. Una stanza lontana e preferibilmente a prova di spie.”

“Per non rovinare la sorpresa, naturalmente. Sia mai che qualcuno possa ascoltarci e capire quello che vogliamo fare-”

“Che vogliamo regalarvi, voleva dire Ron,” riprese la palla al balzo Granger, lanciando a Lenticchia uno sguardo malevolo.

Draco inarcò un sopracciglio nel modo in cui vedeva fare sempre a Blaise, e sperò di ottenere la stessa aria di altezzoso scetticismo che veniva così naturale all'amico.  

“Quindi vi serve un luogo appartato per discutere senza il rischio di orecchie indiscrete?” disse soppesando ogni singola parola.

“Ci sarebbe di enorme aiuto, sì.”

A Draco quasi sembrò di sentire il sollievo nella voce della ragazza.

“Diciamo che, forse, ci sarebbe una stanza che potrebbe fare al caso vostro.” Draco fece una pausa ad effetto. Gli piaceva tenere col fiato sospeso la sua audience quando aveva l'opportunità di esibirsi. “Ma ad una condizione.”

“Cosa vuoi, Malfoy, soldi?” ringhiò Lenticchia.

“Non dire sciocchezze, weasel. Vivi e mangi praticamente a mie spese e ti assicuro che il costo morale di ciò è mille volte più pesante di quello monetario. Quello che voglio è sapere cosa avete in mente di fare voi tre.”

“Te l'abbiamo detto. Vogliamo fare un regalo alla tua famiglia.”

“Granger, risparmiami la commediucola strappalacrime. Non sono solo uno Slytherin ma anche un figlio unico, dicevo bugie per avere dei riscontri personali già da prima che tu sapessi scrivere il tuo nome.”

“Malfoy.” La voce di Potter zittì immediatamente Lenticchia e la mezzosangue. “Hai ragione, non dobbiamo fare alcun regalo alla tua famiglia. Ma ci serve davvero un posto dove parlare tranquillamente. Non è per fare nulla di male, lo giuro. È solo, sai, una cosa complicata.”

Ora Draco era davvero curioso. Cosa dovevano fare i tre Gryffondor di così misterioso, da soli in una stanza appartata, senza il rischio di venire scoperti...

Oh.

“Quindi, questa cosa che dovete fare...” disse Draco con la voce leggermente strozzata. “È urgente?”

“Molto.”

L'espressione della Granger era dura e determinata. Suo padre si era sempre lamentato della mancanza di ritegno dei mudblood, ma Draco credeva che si riferisse ai loro vestiti osceni e alle loro maniere rozze, non alla loro deviata vita sessuale.

“E qualcuno ne è a conoscenza?”

“Beh, Dumbledore lo sa, è stato lui a incoraggiarci a farlo,” rispose pensieroso Lenticchia.

Draco aveva sentito delle voci riguardo al preside, ma non avrebbe mai creduto che quel vecchio potesse spingere tre dei suoi alunni ad inoltrarsi nelle vie più estreme e sfrenate della perversione sessuale. Insomma, ormai era un uomo in andropausa, avrebbe dovuto imparare a mantenere un certo contegno almeno sul luogo di lavoro. 

Improvvisamente la conversazione avuta una settimana prima sul tetto della scuola assunse per Draco tutta una serie di nuove sfumature. Avrebbe dovuto ricordarsi di chiarire la situazione con il preside il prima possibile, sarebbe stato gentile ma irremovibile a riguardo.

“Guardate, vorrei davvero aiutarvi, in fondo sono un adolescente anche io e vi comprendo, ma come padrone di casa ho delle responsibilità e non posso permettere che sotto il mio tetto avvengano certe attività.”

“Ma questa non è solo la tua casa ormai, è il quartier generale dell'Ordine della Fenice,” disse, insensatamente, Potter.

“Volete dire che nel vecchio quatier generale facevate questo tipo di cose?”

I tre Gryffondor si guardarono con un'espressione confusa.

“Certo Malfoy, tutto il tempo,” rispose Lenticchia, con lo stesso tono di voce che avrebbe usato per dire quale fosse il suo piatto preferito.

Draco si chiese per un attimo se la professoressa McGonagall fosse a conoscenza delle attività extracurricolari che solevano intraprendere i suoi tre studenti prediletti, quando un atroce sospetto gli si soffermò nella mente.

“E le facevate solo voi o anche...”

Potter lo guardò sbattendo per un paio di volte le palpebre, come se non riuscisse a capire dove fosse il problema in tutto ciò.

“Lo facevano anche tutti i componenti dell'Ordine, naturalmente.”

Se le avesse sapute prima queste cose, rifletté Draco mentre la sua mente gli proponeva migliaia di scene sconvenienti e in un certo qual modo stranamente eccitanti, non ci avrebbe messo così tanto tempo a cambiare schieramento.

“Beh, Malfoy potrebbe venire con noi,” disse lentamente Potter.

“Harry!” urlò Lenticchia.

“Harry!” gli fece eco Granger.

“Cosa? Almeno in questo modo potrebbe rassicurarsi, e poi mi sembra giusto. In fondo se non fosse stato per lui ora Dumbledore sarebbe morto. Gli siamo debitori.”

A quanto pareva era pratica comune per i Gryffondor mostrare riconoscenza invitando le persone  a sessioni di sesso di gruppo. Draco non ci trovava nulla di male in ciò, avrebbero dovuto renderla una pratica diffusa anche nelle altre case, nazionale persino.

“La proposta è molto allettante, sono decisamente lusingato, ma spero, Potter, che tu ti renda conto che accettare significherebbe non solo dover violare la regola dei cinque metri, ma ritrovarmi a dover subire contatto fisico da un Weasley.”

“Malfoy, ma cosa stai dic-”

“Quindi no, grazie davvero per avermi preso in considerazione, ma non credo di esser pronto a certe pratiche fin dai primi anni della mia giovinezza. Dicono che questo tipo di cose possono diventare come una droga: inizi oggi con manette e biancheria edibile, e domani ti ritrovi a chiedere pietà sotto ad un elfo domestico vestito da domatore di draghi-”

“Malfoy!”

“Non sono mica sordo, Sfregiato! Cosa c'è?”

“Ma cosa ti è venuto in mente?”

Draco trovava che il rosso non donasse assolutamente a Potter, stava per farglielo notare quando improvvisamente un dubbio iniziò ad insinuarsi nella sua mente.

“Vuoi dire che non mi hai appena proposto di partecipare con te, Weasley e Granger ad un'orgia?”

“Certo che no!”

Draco avvertì l'aria intorno a lui diventare improvvisamente più calda e sentì l'infrenabile bisogno di allentarsi il colletto della camicia, poi si ricordò che quel giorno non aveva indossato la camicia.

“Va bene, non c'è il bisogno di scaldarsi tanto. Ho fatto un piccolo errore che poteva capitare a tutti,” si difese Draco, un po' offeso. Insomma, non era certo colpa sua se Potter non era in grado di formulare un concetto chiaro e coerente. “E poi per cos'altro avreste dovuto aver bisogno di un luogo appartato, per scambiarvi le figurine delle Cioccorane?”

“O forse per ideare un piano per sconfiggere Tu-Sai-Chi e salvare il tuo brutto sedere purosangue?” disse Lenticchia velenoso.

“Ron!”   

“Non fare così, Hermione. È solo Malfoy. Cosa potrebbe mai fare, andare dai suoi ex-amichetti e dire che i suoi nuovi ospiti stanno ideando un piano per sterminarli tutti? Ed è meglio che sappia la verità prima che inizi di nuovo a spargere strane voci.”

“Onestamente più che “ospiti” preferirei utilizzare il termine “inquilini”, e poi vi assicuro che non ho assolutamente idea di chi abbia mai messo in giro quella diceria su voi e il mezzo gigante a scuola,” disse Draco guardandosi le unghie. “Comunque potevate dirla prima la verità senza dover creare a tutti i costi tante incomprensioni. Il terzo piano è pieno di stanze inutilizzate. Facevano parte degli appartamenti della prozia Betty: le piaceva fare degli strani esperimenti sugli elfi domestici e, anche dopo la sua morte, questi continuano a rifiutarsi di avvicinarsi a quel piano. Dovrebbero andare bene, basta non fare troppo caso alla polvere o alle macchie di sangue.”

Draco alzò lo sguardo e si accorse che i tre Gryffondor lo stavano fissando stupiti.

“Cosa c'è? Voi tre che escogitate qualche assurdo piano suicida non rientra esattamente nella mia definizione di insolito. Vi ricordo che ho passato gli ultimi sei anni a cercare di mettervi il ragno nel calderone, peraltro riuscendoci perfettamente ogni singola volta.”

“Ti sarebbe piaciuto, Malfoy,” sbuffò Ron.

I tre Gryffondor si guardarono un attimo titubanti, Harry fece un lieve cenno con la testa e iniziarono a dirigersi verso le scale che portavano al terzo piano.

“Sapete che la storia degli adolescenti che sconfiggono il male e salvano il mondo è terribilmente banale e fuori moda?” gli urlò dietro Draco.

“Mi ricorderò di dirlo a Voldemort la prossima volta che lo incontro,” rispose Potter, guardandolo da sopra la spalla.

Draco osservò per un attimo le schiene dei tre ragazzi farsi sempre più piccole, sospirò e si accinse ad aprire la porta della sala. 

Aveva appena posato la mano sulla pesante maniglia dorata quando udì delle voci provenire da dentro la stanza.

 

“Professor Lupin, Snape sta cercando di avvelenarmi.”

“Ginny, non credo che Severus potrebbe mai-”

“Le dico che il mio succo di zucca ha uno strano odore, e quando ci ho immerso il cucchiaino questo SI È SCIOLTO!”

 

“Signora Weasley, dev'essere movimentata la sua vita con così tanti figli.”

“Parecchio, signora Malfoy. Sono cinque e le assicuro che è un lavoro a tempo pieno.”

“Immagino. Da anni mi sto battendo per l'insegnamento a Hogwarts dei metodi anticoncezionali. Penso che lei, nella sua situazione, sia d'accordo con me nell'affermare che ci sia troppa disinformazione a riguardo.”

“Scusi?!”

 

“Finky, porta una bottiglia di whisky incendiario”

“Malfoy, non credo che i ragazzi dovrebbero bere superalcolici.”

“Infatti non è per loro, è per me. Finky, sarà meglio che ne porti due.”

 

Forse avrebbe dovuto seguire i tre Gryffondor, pensò Draco voltandosi e dirigendosi verso le scale, solo per assicurarsi che non facessero danni, naturalmente. Sua madre ci sarebbe rimasta malissimo se, oltre al vaso della prozia Betty, quel giorno altri cimeli di famiglia fossero andati distrutti.

*

“Cosa ci fa lui qui?”

Draco si lisciò un attimo i pantaloni nonostante gli calzassero già alla perfezione e pensò che indicare col dito una persona fosse un gesto alquanto maleducato, ma in fondo da Weasley non poteva aspettarsi di meglio.

“Perché, Lenticchia, si da il caso che questa sia casa mia, e che pertanto io non veda alcun motivo che mi possa impedire di rimanere nella mia sala, seduto sul mio divano, a godermi il calore del mio camino.”

“Malfoy, è luglio.”

“E allora? Patisco molto il freddo e mi piacciono i riflessi che il fuoco dona ai miei capelli.”

Ron si limitò a lanciargli un'occhiata di profondo disgusto, ma solo perché al momento Potter e Granger lo stavano trattenendo con tutte le loro forze affinché non facesse una carneficina.

“Comunque sono parzialmente d'accordo: siamo decisamente in troppi qui. Consiglierei una votazione per decidere chi escludere. Io propongo Lenticchia, e visto che sono il padrone di casa il mio voto vale triplo.”

“Qui nessuno voterà contro nessuno, capito?” disse in tono autoritario Potter, ma l'effetto in generale non era un gran che convincente poiché era ancora impegnato a trattenere a stento un Weasley ringhiante e alquanto agitato. “Ron, in fondo Malfoy potrebbe esserci utile. Potrebbe... ecco, potrebbe... potrebbe avere qualche buona idea.”

Stranamente le parole di Potter, se tali potevano essere definite quell'accozzaglia di sillabe messe a caso una dopo l'altra, non convinsero un gran che Draco, e neanche Lenticchia e la mezzosangue stando allo sguardo scettico che rivolsero all'amico.

“Vi assicuro che sono in grado di essere decisamente utile, inoltre i miei piani sono geniali,” cercò di difendersi Draco.

“Malfoy, durante l'ultimo dei tuoi geniali piani hai seriamente rischiato di farmi morire avvelenato,” disse Weasley a denti stretti.

“E in ciò che problema ci sarebbe?”

“Che forse non ero io quello che dovevi ammazzare?”

“Appunto, i miei piani sono così perfetti da essere in grado di fare qualcosa di giusto anche quando non funzionano.”

“Tu... tu razza di malvagio Deatheater!” disse Weasley mentre cercava di liberarsi dalla presa di Potter e Granger.

“Ci ho provato, ma a quanto pare non mi hanno voluto perché per loro non ero malvagio abbastanza,” ribatté velenoso Draco.

“Povero Malfoy, deve essere davvero tragico scoprire di fare schifo anche nell'essere davvero cattivo, come se non bastasse il quidditch e tutto il resto.”

Inutile dire che la seguente mezz'ora fu piuttosto movimentata. Il risultato finale fu un tavolino dei primi del settecento distrutto (a sua madre si sarebbe spezzato il cuore), diversi ematomi e un occhio nero per Potter causatogli per sbaglio da Weasley. Draco sperò che Potter non avesse intenzione di sconfiggere il Signore Oscuro ad un corpo a corpo: la fazione dei buoni non avrebbe avuto molte speranze di vittoria.

“Ora che avete finito di fare i bambini, possiamo iniziare a parlare di cose serie?” disse adirata Granger mentre era intenta a curare l'occhio di Potter, rischiando così seriamente di ficcargli la bacchetta in un occhio. “Ron, molla quel candelabro, e tu, Malfoy, per una volta nella tua vita stai zitto.”

Draco riteneva fastidiosa la tendenza della mezzosangue a voler essere sempre al centro dell'attenzione. Il fatto di essere circondata da deficienti, incapaci di portare avanti una conversazione decente, doveva averle provocato preoccupanti manie di grandezza.

Granger parve non notare il suo sguardo di commiserazione e posò un pesante libro polveroso sul tavolo.

“Quello che sto cercando di dirvi da ore è che ho trovato il libro contenente l'incantesimo per tradurre la mappa,” disse accarezzando con amore la copertina.“Si tratta di un tomo molto antico e per prenderlo ho dovuto schiantare Madam Pince. Non credo che l'abbia presa molto bene, dovrò trovare un altro luogo dove studiare.”

La Gryffondor fece un profondo sospiro malinconico, poi iniziò a sfogliare con gesti delicati ed attenti le pagine del libro.

“Mi dispiace interrompere il focoso amplesso che stai avendo con quel libro, Granger, ma sono un po' confuso. Cos'è questa storia della mappa?” disse Draco, scostandosi appena in tempo per evitare il candelabro che gli lanciò contro Weasley.

“Vedi, Malfoy, il fatto è che sappiamo per certo che Voldemort è alla ricerca di qualcosa,” iniziò a spiegare Potter, incurante dello sguardo tradito che gli rivolse Lenticchia. “Non sappiamo di preciso di cosa si tratti, ma se Voldemort la cerca così disperatamente, allora non può portare a nulla di buono. Quindi l'unica cosa da fare è batterlo sul tempo e trovare questo oggetto prima di lui.”

“Snape ci ha detto che Tu-Sai-Chi è ossessionato con la tomba di Slytherin,” riprese a parlare Granger. “Vuole trovarla a tutti i costi, quasi quanto vuole uccidere Harry.”

“Felice di saperlo. Stavo iniziando a sentirmi geloso,” disse Potter roteando gli occhi.

“Quindi è molto probabile che l'oggetto in questione si trovi proprio nella tomba,” continuò la ragazza lanciando un'occhiata di disapprovazione a Potter. “Fortuna ha voluto che l'unica mappa che indicasse la sua esatta collocazione si trovasse ad Hogwarts. Dumbledore ce l'ha data ma, essendo scritta in un linguaggio molto antico, per leggerla è necessario un incantesimo di traduzione particolare, e quindi-”

“Ferma un attimo. La tomba di Slytherin? Vuoi dire che esiste una tomba?” chiese Draco curioso. “Non ne avevo mai sentito parlare prima d'ora.”

“Possibile che tu non sappia neppure dove sia seppellito il fondatore della tua casa di serpi?” lo punzecchiò malevolo Weasley.

“Come se tu sapessi qualcosa riguardo a Godrig Gryffondor senza dover chiedere aiuto a Granger,” ribatté Draco punto sul vivo.

“Beh, so che aveva una grossa spada,” rispose il Gryffondor mentre le orecchie gli cominciavano a diventare scarlatte.

“Per favore, Weasley, dimmi che non è un eufemismo per indicare la prestanza sessuale di voi Gryffondor,” pregò con la voce che raggiungeva una tonalità particolarmente acuta.

Perfetto, pensò con un moto di disperazione, ora non avrebbe più potuto guardare Longbottom senza che gli fossero venuti in mente pensieri raccapriccianti riguardo alla sua di spada.

“Insomma, ragazzi!” urlò Granger con le mani piantate sui fianchi e le linee del volto tese. “Qui stiamo cercando di salvare la Terra, ve lo siete dimenticato?”

Weasley sbuffò e sprofondò nel divano a braccia incrociate, Draco cercò di trovare qualcosa di sagace e ad effetto con cui controbattere, ma era ancora troppo traumatizzato dal fatto di aver pensato alle parti basse di Longbottom per riuscirci.

“Prima che mi interrompeste stavo per dire che l'incantesimo, per funzionare, deve essere formulato all'alba.”

“Da quando c'è un orario specifico in cui lanciare gli incantesimi?” chiese Potter.

“Ci sono un sacco di incantesimi che per essere efficaci hanno bisogno di particolari condizioni,” spiegò paziente Granger. “Per esempio ci sono un sacco di maledizioni che svaniscono a mezzanotte, da dove credi che tutte quelle favole abbiano preso spunto?”

“Ah... ok,” disse il Gryffondor, ancora un po' dubbioso.

“Pertanto domani sarà meglio partire appena dopo aver eseguito l'incantesimo, in modo da non perdere tempo.”

“No, aspetta,” la interruppe Weasley. “A me non pare essere assolutamente una buona idea. Insomma, non sarebbe meglio dormire un po' di più in modo da essere ben svegli e riposati? Non possiamo mica sconfiggere il male se non riusciamo nemmeno a stare in piedi.”

“Ron! Non sappiamo quando Voldemort riuscirà a scoprire l'esatta collocazione della tomba, forse ne è già a conoscenza. Non possiamo permetterci di perdere tempo!”

“Sì, ma se davvero ci sono degli Inferi lì sotto forse dovremmo essere ben preparati per-”

“No, aspettate un attimo! Inferi?” disse Draco balzando in piedi. “Non mi piacciono gli Inferi. Sono sensibile a queste cose: non riesco nemmeno a sopportare la vista del sangue, immaginiamoci a quella di un non-morto in putrefazione! Inoltre dicono che uccidano le persone, sono troppo giovane e facoltoso per morire!”

“Beh sì, secondo la leggenda che ci ha raccontato Dumbledore la tomba è sorvegliata anche da degli Inferi.” disse Potter. Draco credeva che una delle mansioni principali di un eroe fosse confortare le persone. Draco al momento non si sentiva affatto confortato.

“Anche? Cosa vuoi dire con anche?”

“Se non ricordo male di dovrebbero essere anche diversi incantesimi protettivi molto oscuri, per non parlare dei serpenti, immagino che non possano mancare nella tomba di Slytherin. E poi secondo a quando viene detto ci saranno anche dei... ehm... dei gatti,” finì Granger.

“Gatti? Che tipo di gatti?” chiese Draco, immaginandosi una schiera di scheletrici portatori di morte miagolanti.

“Gatti normalissimi. Salazar era un amante dei felini: ne aveva più di cinquanta. Ciò sembra essere stata una delle cause per le quali l'avevano scacciato da Hogwarts, oltre a tutta la storia del basilisco, naturalmente. A quanto pare i suoi gatti non facevano altro che rifarsi le unghie sui mobili e sporcare. La leggenda vuole che essi lo abbiano accompagnato anche nella morte.”

“Ah,” disse Draco, sentendo il bisogno di sprofondare nuovamente nella poltrona. Ciò non corrispondeva esattamente all'idea che si era fatto del fondatore della sua Casa. Si sentiva un po' demoralizzato.

“Quindi ricapitoliamo,” riprese a parlare Draco con tono isterico. “il Signore Oscuro vuole una cosa che non sappiamo cosa sia, che si trova in un luogo che non sappiamo dov'è ma che sicuramente è pieno di Inferi, trappole mortali, e gentili micini indifesi. E noi dovremmo andarla a cercare sperando di non incontrare lungo la strada dei non poi così indifesi Death Eater che stanno cercando la stessa cosa?”

“Sì, la situazione è più o meno questa.” rispose Potter con l'aria di uno che si stava rivolgendo ad una persona sul suo letto di morte.

Draco continuava a non sentirsi affatto confortato. Potter era un eroe davvero pessimo..

“Ah... ok. Volevo solo vedere se avevo capito bene,” disse mentre cercava di distendersi la fronte con le dita.“E, in quanto capo di questo gruppo, mi sembra mio dovere chiarire una questione: MA VI SIETE BEVUTI IL CERVELLO?!”

“E da quando in qua saresti il capo?” chiese Weasley, guardandolo come se fosse una cosa disgustosa che si trovava nel fondo del suo water.

“Da quando ho capito di essere l'unico qui ad avere un minimo di istinto di auto preservazione,” rispose Draco con un ringhio. “Insomma, non sappiamo neppure cosa cercare di preciso. Questo misterioso oggetto potrebbe essere qualunque cosa. Che ne so: un'arma, un libro, un vaso da notte!”

“Un vaso da notte, Malfoy?” chiese scettico Potter.

“Ti assicuro che un vaso da notte può essere un'arma dall'elevato potenziale distruttivo, specialmente se vivi nel dormitorio Slytherin ed hai Goyle come compagno di stanza.”

“Chissà perché ma improvvisamente non sono più curioso,” disse il Gryffondor con aria terrorizzata.

“Insomma, visto che da questa missione dipende la mia vita mi sembra logico attrezzarsi al meglio,” continuò a parlare Draco. “Riflettici Weasley, se io muoio non penso che i miei elfi domestici ne sarebbero molto felici, ti metterebbero nella zuppa qualunque cosa. Per non parlare delle maledizioni oscure che conosce mio padre: sono un numero inimmaginabile, ed una peggio dell'altra.”

“Guarda, Malfoy, che nessuno ti ha invitato a venire,” lo interruppe Lenticchia guardandolo di sbieco.

“Mi dispiace distruggere i tuoi sogni, ma ti ricordo che è stato Potter prima a chiedermi di unirmi a voi,” rispose Draco.

“Ecco, io...”

Potter si schiarì la gola. Sembrava essere piuttosto contrito per qualcosa.

“Io avevo invitato Malfoy a venire con noi, certo, ma solo per oggi. Insomma, non credo che sia una buona idea che domani ci sia anche lui. Sarebbe meglio se rimanesse a Malfoy Manor con i suoi genitori, al sicuro.”

A Draco parve improvvisamente che l'aria fosse diventata cemento nei suoi polmoni. Per tutta la conversazione aveva dato per scontato che il giorno dopo ci sarebbe stato anche lui a scontrarsi contro Inferi, Death Eater e dolci gattini, ma a quanto pareva Potter non lo voleva fra i piedi. La cosa avrebbe dovuto essere un sollievo. Oppure non si sentiva affatto più tranquillo, anzi, improvvisamente si sentiva solo e frustrato come non mai.

“Mi dispiace deluderti, Potter, ma domani ci sarò anche io! Nonostante tu creda che io sia un incapace, sono perfettamente in grado di badare a me stesso. Non me ne starò qui ad aspettare che voi tre vi becchiate tutti gli onori. Farò anche io la mia parte e alla fine mi dovrai ringraziare in ginocchio per aver salvato il tuo brutto culo Gryffondor!” disse in un sibilo.

Potter improvvisamente arrossì violentemente.

“Io non volevo... non volevo assolutamente dire che sei un incapace. Non è per questo. Solo, Malfoy, non sei obbligato a farlo, se non vuoi...” mormorò il moro, con voce impastata.

“Beh, Potter, si dà il caso che io voglia,” ribatté Draco duramente. Rivolse lo sguardo verso Weasley e Granger sfidandoli a dire qualcosa. I due ragazzi si scambiarono un fugace sguardo, ma stettero in silenzio.

“Ok, perfetto. Mi pare di aver detto tutto quello che ci fosse da chiarire,” disse Draco, alzandosi in piedi e dirigendosi verso la porta. “Assolutamente magnifico. Penso di aver dedicato abbastanza tempo oggi per la salvezza del mondo,  ora devo proprio andare fare una cosa. Ci vediamo domani all'alba all'entrata della magione.”

“Malfoy, dove vai?” gli gridò dietro Potter.

“A controllare il mio oroscopo,” rispose lo Slytherin, prima di uscire dalla stanza.

*

Il resto della giornata passò per Draco con relativa tranquillità. La signora Weasley lo aveva allegramente informato che gli avrebbe fatto un maglione, visto che la sera faceva piuttosto fresco e che, delicato com'era, non poteva assolutamente andarsene in giro poco coperto. Draco riuscì a ingoiare una rispostaccia solo perché Lenticchia e la Weasleyuccia femmina lo stavano fissavano truci, aspettando solo un pretesto per far scattare una guerra sanguinolenta.

Alla fine riuscì sgattaiolare fuori dalla casa, trovando rifugio sotto uno dei maestosi alberi del giardino. Sfidava qualsiasi maglione alla Weasley a trovarlo lì.

Posò la schiena contro il tronco e si ritrovò a fissare i rami scossi appena dal vento. Ormai era buio, i contorni delle cose si confondevano fra di loro e i colori erano velati dall'oscurità. A Draco non era mai piaciuta la notte. Anche quella volta, quando a undici anni era entrato nella Foresta Proibita con Potter, aveva avuto una fottuta paura. Però in quel momento si sentiva bene.

Tutto nel buio era come indefinito e confuso, e per un attimo si sentì anche lui come senza forma. Poteva essere quello che voleva: un figlio ideale, un uomo coraggioso, una persona amata. In quel momento sentiva di poter diventare tutte quelle cose che aveva sempre desiderato essere. 

Il rumore di passi appena soffocati dall'erba lo fece uscire dal suo torpore.

“Potter, cosa ci fai qui? Mi sembra di essere stato chiaro sulla regola dei cinque metri.”

Il Gryffondor si passò nervosamente la mano fra i capelli.

“Ecco... scusa, ma ti ho visto dalla finestra venire qui, e dovevo parlarti.”

“Ci siamo già detti tutto prima,” rispose Draco con voce strascicata.

“Io... Diamine Malfoy, possibile che tu debba rendere tutto così dannatamente complicato?”

“Cosa?”

Ora Draco si sentiva davvero offeso. Non solo quel deficiente analfabeta lo trattava come un moccioso indifeso e spaurito, ma ora gli affibbiava anche delle colpe assurde!

“L'hai presa nel modo sbagliato. Prima non volevo dire che non ti ritenessi in grado, o abbastanza forte, per combattere. Volevo semplicemente dire che non volevo che tu domani ci fossi.”

“Forse i tuoi amici sono troppo sensibili e di buon cuore per dirtelo in faccia, Potter, ma io non ho di queste qualità, e pertanto non ho problemi a dirti che quando parli sei assolutamente incomprensibile.”

Harry fece un verso frustrato e si avvicinò un po' di più a Draco. Anche lui si sarebbe sentito scontento se fosse stato incapace a relazionarsi con il normale mondo civile, ma ciò non era un buon motivo per invadere lo spazio personale altrui. Improvvisamente Draco sentì l'aria entrare con più fatica nei suoi polmoni, nonostante il suo respiro si facesse sempre più veloce.

“Non voglio che tu muoia, Malfoy.”

Lo Slytherin lo sentì a malapena, al momento era troppo impegnato a osservare gli occhi del Gryffondor. Non c'era solo il verde; anche con la barriera delle spesse lenti era in grado di vedere delle striature più scure incorniciare la pupilla. Draco si disse che, in fondo, la regola dei cinque metri era una gran cazzata. Al momento fra lui e Potter non c'era più di una trentina di centimetri, e non voleva che ciò finisse.

“Domani, se vuoi, vieni pure. Ma sappi che non ti lascerò morire. Ti proteggerò io.”

“Non credo di aver bisogno di protezione, Potter, specialmente non da uno che è più basso di me.”

Draco ci mise un po' a capire che era stato lui a parlare, e si stupì di quanto la sua voce suonasse roca e adulta.

“Davvero?” disse il Gryffondor con un lieve ghigno. “Peccato. Mi sa che dovrai fartene una ragione.”

Potter lo fissò ancora un attimo, infine si voltò e iniziò ad incamminarsi verso la magione. Con il moro lontano, finalmente Draco riuscì a respirare normalmente. Ciò gli dispiacque un po'.

Per qualche minuto rimase fermo, rivivendo la conversazione più volte nella sua mente nel disperato tentativo di trovarci un senso. Senza alcun risultato.

Infine si lasciò cadere sull'erba a peso morto e respirò profondamente la tiepida, rassicurante brezza notturna. Mille pensieri e domande gli riempivano la mente, oppure si sentiva stranamente in pace col mondo intero. Sentì un sorriso nascere sulle sue labbra, ma questa volta era da solo, quindi non c'era bisogno di nasconderlo.

Aveva la casa infestata da donnole chiassose, il giorno seguente avrebbe partecipato ad una missione ridicolamente suicida ed era sulla lista nera del Signore Oscuro, ma non era solo. Suo padre gli aveva dato una pacca sulla spalla, il professor Snape probabilmente avrebbe ceduto presto alla tentazione di avvelenare due o tre Weasley e Potter aveva giurato di proteggerlo. Quindi, in fondo, era tutto a posto.

*

Quando i due uomini entrarono nella stanza lo fecero in silenzio. I mobili e gli oggetti all'interno erano resi soffusi dall'oscurità, solo l'irrompere di qualche tuono fuori dalla finestra proiettava di tanto in tanto delle ombre allungate sulle pareti. A quanto pareva nessuno si era ricordato di accendere le candele in quella stanza.

Il rumore del temporale che infervorava fuori da quelle mura giungeva soffocato all'interno dell'edificio. L'ambiente era asettico, le pareti e i mobili completamente bianchi, come bianco era anche il volto della persona distesa sul letto.

Le gocce di pioggia che si schiantavano contro le finestre proiettavano una luce tremolante sul quel viso, dandogli un aspetto spettrale. Tutto in lui era come sfocato: le mani diafane ed inermi sopra il lenzuolo, le labbra esangui serrate come in una smorfia che non aveva ancora fatto in tempo a formarsi, i capelli biondo chiaro che si confondevano con le pieghe del cuscino, le ciglia pallide che fremevano appena...

Uno dei due uomini si avvicinò al comodino affianco al letto e, con un gesto appena accennato di bacchetta, accese la candela. I suoi lineamenti erano delicati e giovanili, ma l'espressione sul suo viso dava al suo aspetto più anni di quanti avesse. Sul camice bianco che indossava c'era una targhetta con una scritta sbiadita:

J. Abbott
Healer

“E' in queste condizioni da una settimana, dal giorno della battaglia di Hogwarts. Il padre non è ancora venuto?” chiese debolmente l'healer, sfiorando il polso del ragazzo come se volesse controllargli il battito ma non osasse farlo per paura di svegliarlo. La sua voce si distingueva a malapena dalla litania della tempesta che faceva da sottofondo.

“Non gli permetteranno di avvicinarsi a lui se non alla fine del processo. Ci vorranno settimane, se non mesi,” rispose, più bruscamente, l'altro uomo dalla barba folta, lo sguardo fisso sul comodino accanto al letto. Secondo la targhetta sul camice il suo nome era K. Randall ed era anche lui un healer.

“E nessuno è venuto a fargli visita?” chiese dopo qualche secondo Abbott, che ormai aveva rinunciato a controllare il polso del ragazzo e si limitava a fissarlo.

La sua domanda incontrò soltanto il silenzio.

“Capisco.”

Randall fece una scrollata di spalle e iniziò a dirigersi verso la porta.

“Le condizioni sono stabili e non possiamo fare nient'altro. Aspettiamo e vediamo se si sveglia, altrimenti lo spediamo al quinto piano,” disse quando già era arrivato sul ciglio della porta.

Non ricevendo risposta si voltò verso il collega che, immobile, stava ancora fissando la figura distesa sul letto.

“Allora, vieni?”

Abbott annuì e raggiunse l'altro uomo, ma prima di uscire si voltò per un'ultima volta verso il ragazzo addormentato. Era così magro e pallido da sembrare di stare sul punto di dissolversi nell'aria da un momento o l'altro, e si chiese per un attimo se ciò, se anche fosse accaduto, sarebbe importato a qualcuno.

Con un movimento del polso spense la candela e, infine, si voltò ed uscì dalla stanza.

 

Continua...

 

* Weasel: donnola

** Un piccolo omaggio al Draco di Maya e ai suoi astuti piani.

 

Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** Capitolo II ***


Titolo: Quando il sogno finisce

Titolo: Quando il sogno finisce
Autrice: Enlil
Beta: Thalia
Rating: Pg15
Pairing: Draco/Harry
Trama: Vivere è difficile. Non basta che tu desideri ardentemente una cosa per farla accadere. La sofferenza è inevitabile e i sentimenti non nascono dal nulla. Per costruire qualcosa devi lavorarci secondo dopo secondo e accettare che, anche se hai fatto tutto il possibile, non sempre riuscirai ad ottenere ciò che vuoi.
Vivere è difficile, a volte è più facile sognare.
Disclaimer: Harry Potter e tutti i personaggi sono di proprietà di JK Rowling e di chiunque ne possieda i diritti. Questa storia non ha scopo di lucro.

No, non sono morta, nonostante il dubbio sia più che legittimo visto il tempo passato da quando ho pubblicato questa storia. Prometto che d'ora in poi, salvo casi estremi, ci saranno regolari aggiornamenti e, nel caso ciò non avvenga, chiunque volesse darmi una tirata di orecchie è più che il benvenuto!


Un abbraccio grandissimo va a Thalia, la mia efficientissima beta, capace di farmi ridere a crepapelle e, l'attimo dopo, lasciarmi sprofondare nell'imbarazzo più assoluto. Se in questo capitolo non ci sono errori biologici-faunistici il merito va solamente a lei (però trasformare un primate in un primato poteva capitare a tutti ^^'').

Un bacio tesoro!




Capitolo 2


Quando Harry si svegliò ebbe come l’impressione di venir scaraventato in una vasca di acqua gelida. Aprì gli occhi di scatto; la luce dell’alba si insinuava ineluttabile fra i spiragli delle pesanti tende, rendendo i contorni della stanza netti in modo quasi crudele.

Il ragazzo si tirò le coperte fino a sopra la testa con un mugugno di protesta. Per un attimo si godette il torpore ovattato che gli concedeva quel confortevole rifugio, ma poi la causa del suo brusco risveglio ricominciò a farsi sentire a gran voce, in senso letterale.

L'urlo del neonato riempì la stanza, come ghiaccio contro tiepida pelle.

Harry sospirò e, buttate le coperte di lato, posò i piedi sul pavimento rabbrividendo per il contatto gelido. Ogni cellula del suo corpo si lamentò a gran voce di quel trattamento, ma Harry cercò di non farci troppo caso e si sporse sulla culla situata accanto al letto.

“Certo che a te il fiato non manca proprio mai,” disse con voce impastata al fagotto di coperte stropicciate.

Come risposta ricevette un urlo ancor più forte dei precedenti.

Il Gryffindor ci mise qualche secondo per ricordarsi che no, probabilmente non avrebbe raggiunto alcun risultato a spiegare il concetto di orario a un neonato e che no, neanche cercare un qualche pulsante di reset avrebbe funzionato.

Controllò velocemente se il pannolino fosse sporco, ma a quanto pareva il problema non era quello. Non poteva neppure avere fame, visto che lo aveva svegliato a quello scopo neanche un'ora prima; testimone di ciò era la sua maglia del pigiama ancora sporca di rigurgito di latte.

Il moro si chiese per un attimo quali altri motivi avrebbe potuto avere un neonato per piangere così disperatamente. Non era bravo con i bambini, anche ad Hogwarts si era sempre trovato in difficoltà ogni volta che un primino scoppiava a piangere per la nostalgia di casa. Per fortuna era Hermione il prefetto e quindi toccava a lei occuparsi di questo genere di cose.

Harry fissò ancora una volta il neonato, i suoi piccoli pugni stretti e il volto rosso quanto i suoi capelli. Forse il problema era proprio questo: Teddy aveva nostalgia della sua mamma e del suo papà. Harry a quel pensiero sentì l'aria nei polmoni farsi pesante.

Lui non aveva ricordi chiari dei suoi genitori, eppure sapeva per certo che aveva sentito la loro mancanza.

Harry prese in braccio il fagotto con gesti impacciati e tenendo le braccia più larghe di quello che avrebbero dovuto essere, gli sembrava. Gli sostenne la testa con la sua mano decisamente troppo grossa per quel corpicino minuscolo, sentendosi totalmente ridicolo e inadeguato, come se si trovasse di nuovo al quarto anno, obbligato ad esibirsi in un pomposo valzer di fronte all'intera scuola.

Poi avvertì il calore di quel corpo così solido e reale contro la maglia sottile del suo pigiama. Le ciocche di capelli fra le dita della sua mano sembravano quasi fremere ogni volta che, a pochi secondi di distanza, cambiavano colore. Il rosso si offuscava fino a diventare blu, che a sua volta sbiadiva in un biondo chiarissimo, per poi appassire e diventare del colore del succo di zucca.

Harry per un attimo si dimenticò di avere fra le mani un bambino urlante e capace di andare in frantumi da un momento all'altro. Iniziò ad accarezzare con le dita quelle ciocche soffici e a dondolare piano con il busto, sentendo quel gesto diventare improvvisamente naturale. Il ragazzo si concentrò totalmente su quei piccoli movimenti, scacciando completamente dalla mente qualsiasi altra cosa che non fosse il calore proveniente dal corpo di Teddy, il suo odore di pulito e di rigurgito di latte e il susseguirsi di quei colori, sentendosi per la prima volta in quell'ultima settimana un po' confortato. Poco alla volta il volto arrossato del bambino si distese e le sue urla si calmarono. Harry quasi non lo notò e continuò a tenere in braccio il bambino, cullandolo.



*



Harry cercò di scendere le scale il più silenziosamente possibile per non svegliare gli altri, ma quando arrivò in cucina si accorse di non essere stato l'unico ad alzarsi presto.

“Ciao Bill,” disse piano alla figura dai capelli rossi seduta davanti al tavolo e china su una tazza di caffè.

“Oh, ciao,” rispose il ragazzo alzando la testa dal giornale. “Vuoi un po' di caffè? Credo che sia ancora caldo.”

Harry fece un appena accennato gesto col capo.

“Sì, grazie,” disse con voce distratta. “Kreacher, sei qui?”

“Sono qui signore, vuole che le serva la colazione?” rispose rauco l'elfo, sbucando da sotto il lavandino. Nonostante Harry gli avesse proposto più volte di sistemarsi in una camera, lui continuava a non dargli ascolto, causando al suo padrone non solo un fastidioso torcicollo, per tutte le volte che aveva dovuto chinarsi per chiamarlo da lì sotto, ma anche un perenne mal di testa, per colpa delle ore e ore di noiosissime paternali da parte di Hermione riguardo ai diritti degli elfi domestici.

“No, grazie. Potresti per caso andare a controllare Teddy e avvisarmi quando si sveglia?”

“Kreacher andrà a fare il suo dovere, signore, ne sarà soddisfatto,” disse l'elfo prima di smaterializzarsi con uno schiocco secco, rendendo in un attimo completamente futili tutte le speranze di Harry di rimanere silenzioso.

Harry stava per versarsi una tazza di caffè, quando sentì provenire un ticchettio dalla finestra. Poi un altro. Dopo qualche secondo sembrava che una pioggia di proiettili si fosse infuriata contro le mura della casa. Si voltò e per un attimo credette che Grimmauld Place stesse subendo un assedio da quelli che parevano essere migliaia e migliaia di pennuti. Poi si ricordò che era l'ora della consegna della posta.

“Dici che è prudente lasciarli entrare?” chiese mentre vedeva un povero allocco venir malamente sbattuto contro il vetro da una civetta parecchio agguerrita.

Bill ridacchiò.

“Direi che è più prudente di lasciarli fuori. Non credo che le finestre potrebbero reggere ancora a lungo e questa settimana le abbiamo già cambiate tre volte.”

Harry sospirò e con una stoccata di bacchetta aprì la finestra, non prima naturalmente di essersi acquattato sotto il tavolo. L'ultima settimana gli aveva insegnato parecchio.

Per qualche minuto tutto quello che vide furono piume. Stava cercando di non pensare allo stato in cui avrebbe rivisto la cucina, quando si ritrovò a dover evitare la traiettoria di un gufo finito fuori rotta.

Dopo qualche lunghissimo minuto nella stanza tornò il silenzio. Harry si tolse cauto da sotto il tavolo e, facendosi mentalmente forza, osò dare una veloce occhiata attorno a sé.

Tutto era ricoperto di cacche, pacchi, pergamene e piume dei più svariati colori. Meglio di quello che pensava, si ritrovò a pensare il Gryffindor mentre scostava dal tavolo un allocco rimasto senza sensi dalla strenua battaglia; almeno questa volta nessuno gli aveva mandato una strillettera.

“Anche dopo una settimana continuano a non diminuire,” disse Bill il quale, nonostante per tutta la durata della battaglia si fosse fatto scudo con un vassoio, aveva assunto l'aspetto di un capo indiano per colpa delle penne che gli adornavano i capelli.

Harry fece una alzata di spalle.

“Ci penserà Kreacher a sistemare le lettere con tutte le altre. Spero che nella cantina ci sia ancora un po' di posto,” rispose, prendendo una tazza e versandosi del caffè.

“Forse dovresti leggerne qualcuna,” suggerì Bill. “In fondo sono da parte di persone che vogliono soltanto ringraziarti.”

Harry abbassò lo sguardo sulla propria tazza e osservò per un po' la propria immagine riflessa nel liquido scuro.

“Forse lo farò,” disse, sapendo benissimo che non sarebbe successo. “Al momento ho altre cose a cui pensare.”

“Volevo parlarti proprio di questo, Harry,” disse Bill con voce greve. “È da giorni che ti vedo sempre impegnato a far qualcosa: i funerali, la ricostruzione di Hogwarts, Teddy... ma tu come ti senti?”

Harry si ritrovò a pensare, con un moto di fastidio, che Bill avrebbe avuto altre cose di cui essere preoccupato. In fondo era un mezzo licantropo, aveva la faccia simile ad uno scolapasta ed era sposato con una Veela e, a quanto ne sapeva, le Veela erano note per la loro tendenza a tener impegnati i propri compagni.

“Naturalmente ti ringrazio con tutto il cuore per aver permesso a me e a tutta la mia famiglia di stare qui tutti insieme a Grimmauld Place, e ti stai prendendo cura di Teddy in modo magnifico. Eppure non ti vedo felice come dovresti essere.”

“Io sono felice,” lo interruppe Harry, sentendo la rabbia iniziare a gonfiarli il petto. “È solo che ho bisogno di un po' di tempo, come tutti, credo.”

“Capisco. Penso che sia naturale,” disse il ragazzo più grande, fissandolo di sottecchi. “La guerra è finita da pochi giorni, ritornare alla normalità è strano per tutti dopo quello che è successo. Comunque è andato tutto per il meglio, dobbiamo solo riabituarci.”

Harry non sapeva dove posare lo sguardo, quindi prese il giornale e iniziò a far scorrere gli occhi lungo la prima pagina.

La sua attenzione venne catalizzata non dalle pesanti lettere che parlavano dei festeggiamenti per la sconfitta di Tu-Sai-Chi e nemmeno dalla pubblicità per un nuovo modello di scopa chiamato freedom, ma da un piccolo trafiletto situato nell'angolo in basso della pagina.

“Qui dice che i processi dei Death Eater avranno inizio la prossima settimana,” mormorò quasi tra sé e sé.

“Già,rispose con tono distratto Bill, mentre posava la propria tazza di caffè nel lavandino e l'allocco svenuto sul davanzale. “Immagino che abbiano fretta di sbarazzarsi di loro il più velocemente possibile. Se fosse stato per il ministero li avrebbero già spediti ad Azkaban e buttato la chiave. È stato solo grazie a Shakebolt che potranno avere un regolare processo.”

Il ragazzo più giovane non lo stava ascoltando, era troppo impegnato a leggere l'articolo.

“Il primo sarà Lucius Malfoy,notò.

Harry non sapeva come sentirsi a riguardo. L'unica cosa che avvertiva era uno strano ronzio nelle orecchie.

Avrebbe dovuto essere felice: Malfoy avrebbe avuto ciò che meritava. Oppure non riusciva a sentirsi del tutto sollevato, non dopo ciò che era successo a Narcissa e a Draco...

“Ormai i Dissennatori sono completamente banditi da Azkaban,” disse Bill, interrompendo i suoi pensieri. “Comunque spero che gli assegnino l'ergastolo.”

Per evitare di dover dire qualcosa in risposta, Harry si portò la tazza alla bocca. Il caffè ormai era freddo, ma fece finta di nulla.

“Era un Death Eater e avrà quello che si merita, si può dire che stia andando tutto per il meglio,” continuò Bill, alzandosi e dando una pacca sulla spalla ad Harry.

“Ora devo andare a portare la colazione alla mamma, è nella sua camera.”

Harry sapeva benissimo dove si trovava la signora Weasley. Era da una settimana, dalla battaglia di Hogwarts, che non metteva piede fuori da quella stanza... da quando Fred era morto.

“Ok, ci vediamo dopo,” rispose dopo qualche secondo, ma Bill era giù uscito dalla cucina e quindi nessuno lo udì.

Si rigirò per un po' la tazza fra le mani.

“Va tutto per il meglio,” sussurrò lentamente, soppesando ogni singola parola, “va tutto per il meglio.”

Le sue labbra ripetevano quella frase, ma nessuno era lì ad ascoltarlo, come nessuno lo udì scaraventare violentemente la tazza di caffè contro il pavimento, mandandola in frantumi.



*



Draco ritirò tutto quello che aveva pensato la sera prima. Non era assolutamente tutto a posto!

Era stato sbattuto giù dal letto ad un'ora indecente, la sua camera era invasa da Gryffindor senza il minimo senso del pudore e stava per andare a farsi massacrare da un'orda di Inferi assetati di sangue. Di lui non sarebbe rimasto neppure qualcosa da mettere nella tomba, visto che con tutta probabilità ci avrebbero pensato i gatti a divorare i resti del suo cadavere.

“Diamine, è l'alba! Se proprio dobbiamo partire a quest'ora barbara non potremmo prima far colazione, almeno?”

“Per la prima volta in vita mia mi trovo d'accordo con Weasley e spero voi vi rendiate conto di quanto dolore mi provochi la cosa,” disse Draco con tono sofferente, mentre cercava di infilarsi la veste lasciando scoperta alla vista la porzione più ridotta di pelle possibile.

Nonostante fosse vissuto per sei anni in un dormitorio maschile, Draco non aveva mai concepito l'abitudine esibizionista di andare in giro mezzi nudi, ed il fatto che Zabini avesse un fisico perfetto che sembrava essere stato scolpito nel cioccolato fondente non c'entrava nulla, assolutamente!

Draco pensò con un moto di fastidio al proprio petto pallido e angoloso e, involontariamente, si voltò verso Potter, il quale sembrava essere totalmente affascinato dal suo armadio, situato esattamente nella parete opposta della stanza.

“Possibile che tutto quello che sappiate fare voi due è scannarvi a vicenda o lamentarvi?” sbottò la Granger, sottolineando la propria esasperazione con un plateale svolazzo di braccia.

“Onestamente io preferisco quando si scannano, almeno in quei momenti posso anche non ascoltarli e aspettare che uno dei due stramazzi al suolo,” continuò Potter, continuando imperterrito a fissare l'anta destra dell'armadio.

Draco non credeva che fosse coerente dire ad una persona che l'avrebbe protetta e poi, la mattina dopo, lasciarla alla mercé del primo pazzo che voleva farla a pezzi. Ma comunque Potter era una persona profondamente squilibrata, quindi la cosa non lo avrebbe dovuto stupire più di tanto.

“Allora, quand'è che ci materializziamo?” disse Draco finendo di abbottonarsi il mantello.

“Ecco...” mugugnò pateticamente Potter, smettendo finalmente di rivolgere tutta la propria attenzione alla mobilia di casa Malfoy. Draco si ritrovò a provare una profonda pena nei suoi confronti, probabilmente non aveva mai visto nulla di così lussuoso ed elegante in vita sua, anzi, probabilmente non aveva mai visto neppure un armadio in vita sua, stando allo stato dei suoi vestiti!

“Non possiamo materializzarci, Malfoy. Sarebbe uno scherzo per Tu-Sai-Chi individuarci,” gli rispose Granger, col tono di chi si sta rivolgendo a un bambino molto piccolo o a una persona affetta da gravi problemi mentali.

Draco non sentiva di appartenere a nessuna delle due categorie, quindi optò per considerare la mezzosangue una povera pazza alla quale tanti anni di studio avevano mandato in pappa il cervello, e compatì anche lei dal profondo del cuore.

“Vuoi dire che useremo una Passaporta? Non mi sono mai piaciute le Passaporte: ho uno stomaco particolarmente delicato e sensibile. Una volta ho visto uno di quei cosi babbani di metallo che volano; sembrano parecchio instabili ma mi potrei comunque accontentare se servissero del the a bordo.”

Draco avrebbe preferito farsi trovare a fare un pompino a Longbottom vestito da Hupplepuff piuttosto che ammetterlo, ma aveva sempre desiderato entrare in uno di quei areostrani o come cavolo si chiamavano.

“Mi dispiace Malfoy, nessuna Passaporta né mezzi babbani.”

“Oh,” rispose Draco, cercando di non dar a vedere la propria delusione, “allora sarà meglio che vada a prendere la scopa. Weasley non sentirti troppo umiliato dalla mia immensa superiorità nel volare, non vorrei che dovessimo fermarci a metà strada perché sei scoppiato a piangere.”

“Ehm...”

Draco non era un esperto nell'interpretare il potterese (era difficile capirci qualcosa anche per la mente più elevata, visto che consisteva principalmente in mugugni da primate e parole monosillabiche elementari), ma il tono di voce non prometteva affatto bene.

“Cioè, almeno avrete pensato a portare le scope, vero? Neanche voi potete essere così inetti da esservele dimenticate!”

I tre Gryffindor si rivolsero delle fugaci occhiate.

“Mi dispiace, Malfoy, niente scope. Hermione non ha molta confidenza co-” Potter fu obbligato a fermarsi a metà, probabilmente a causa dalla propria incapacità di formulare una frase completa di subordinate e tutto il resto, ma forse il fatto che Granger gli aveva appena conficcato il gomito nella bocca dello stomaco poteva aver influenzato in qualche modo la cosa.

“Come ho già spiegato mille volte,” continuò la ragazza schioccando un'occhiataccia a Potter, ancora piegato in due dal dolore e con gli occhi pieni di lacrime, “ci metteremmo troppo tempo con le scope. E' decisamente molto più razionale e logico usare dei mezzi... alternativi.”

Mezzi alternativi? Ora Draco era davvero interessato.

“Vuoi dire che avremmo tutto un arsenale di gadget super lusso da paladini del bene? Se sì, io pretendo di scegliere per primo. Come leader assoluto mi aspetta soltanto il meglio.”

Draco aveva sempre desiderato avere una spada, già si immaginava di averla alla cinta per l'intervista che gli avrebbero fatto per il suo Ordine di Merlino Prima Classe; sarebbe stata da urlo col suo mantello blu!

“Non iniziare a montarti troppo la testa, Malfoy,” lo interruppe Weasley proprio mentre Draco stava vivendo mentalmente una scena molto toccante che riguardava se stesso, la sua spada e sette gemelle Veela estasiate dalla sua presenza. “Abbiamo solo chiesto ad un amico di... farci un prestito.”

Allo Slytherin non piacque affatto il sibilo malevolo con il quale il ragazzo dai capelli rossi aveva adornato le sue parole, ma al momento era troppo distrutto dal vedere le sette gemelle Veela allontanarsi salutandolo deluse per curarsene.

“Vuoi dire niente optional da salvatori del mondo?! Niente armi infuocate, aggeggi sparaflescianti e divise all'ultima moda?!” Draco si buttò la faccia tra le mani in un gesto esasperato. “Se avessi saputo che foste un'associazione segreta così scadente e mal equipaggiata ci avrei pensato io a fondarne una migliore, a cominciare dal nome!”

“È sempre stato così platealmente irritante anche a scuola?” Draco udì Weasley chiedere agli altri due Gryffindor.

“Probabile,” rispose Potter, ”sarà per questo che non gli abbiamo rivolto la parola per sei anni.”

Draco aprì una fessura tra le sue dita abbastanza grande per fulminare con lo sguardo i tre Gryffindor.

“No, Potter. Voi non mi avete rivolto la parola per sei anni perché eravate troppo intimoriti dalla mia persona e da ciò che avrei potuto farvi, e io incoraggiavo la cosa poiché vi trovavo insopportabili e anche particolarmente sgradevoli alla vista,” lo corresse Draco, “In effetti non sarebbe male tornare alle vecchie e sane abitudini,” considerò rivolgendo un'occhiata speranzosa ai tre Gryffindor mentre, con uno svolazzo di bacchetta, apriva le finestre della propria camera.

Il sole stava iniziando timidamente a far capolino da oltre le colline, allungando sul terreno le ombre degli alberi, delle case e dell'immensa statua che c'era in giardino.

Aspetta, da quanto il suo giardino aveva una statua alta tre metri e pelosa?!

Draco sbatté un paio di volte le palpebre e si rese conto che non era una statua, ma il mezzogigante idiota che sbatacchiava in aria il suo braccio immenso in un patetico tentativo di mimare un saluto fra civili esseri umani.

“Sembra che Hagrid ci stia già aspettando di sotto,” notò Harry, guardando la scena da sopra la spalla di Draco e contraccambiando prontamente al saluto.

“Ditemi che non è vero...”

“Ti conviene risparmiare il fiato, Malfoy,” gli intimò Weasley, rivolgendogli un ghigno obliquo, “potrebbe servirti dopo, nel caso a Fierobecco venga voglia di fare uno spuntino.”

Draco osservò il mezzogigante rivolgere delle occhiate piene di lussuria ai quattro Ippogrifi intenti a fare colazione con le petunie di sua madre e sentì di aver toccato il fondo. Le possibilità di arrivare vivi e con tutti gli arti al posto giusto alla fine della giornata si riducevano drasticamente ogni secondo che passava, e tutto perché aveva ancora una volta sottovalutato gli istinti suicidi ed autolesionistici della fazione del bene.

Draco cercò disperatamente di farsi coraggio, in fondo c'era Potter con lui! Il Gryffindor gli aveva giurato che non avrebbe permesso a nessun Weasley, ippogrifo o Signore Oscuro di attentare alla sua incolumità... certo, con decisamente meno parole e con una padronanza lessicale da lasciar pieno di sconforto un bambino di tre anni, ma il senso era quello!

Draco rivolse lo sguardo verso Potter che, intento a pulirsi gli occhiali con l'orlo della maglietta, lo contraccambiò con un'occhiata miope. Lo Slytherin si lasciò sfuggire un gemito di disperazione e si preparò psicologicamente al peggio.

*



Harry era appena tornato nella sua camera dopo aver lasciato a Kreacher il compito di dar da mangiare a Teddy. L'elfo domestico si era rivelato entusiasta di avere di nuovo un bambino a cui badare ed era completamente alla mercé del piccolo metamorfomagus.

Con un sospiro Harry si buttò sul letto ancora sfatto, chiedendosi se sarebbe stato in grado di dormire per almeno un paio d'ore senza essere svegliato dagli incubi, quando sentì qualcuno bussare alla porta.

Stranamente la visione di una chioma di capelli crespi che faceva capolino dalla fessura della porta non gli diede la solita sensazione di conforto e di casa.

“Ciao Harry.”

“Hermione,” disse Harry, salutando l'amica con un gesto svogliato della mano.

La ragazza si avvicinò e si sedette sul letto accanto all'amico.

“I tuoi genitori?” chiese il Gryffindor, mettendosi seduto e portando le ginocchia contro il petto.

“Li ho appena lasciati a casa. Sono ancora un po' confusi per la storia dell'Oblivion, ma non credo che abbia causato loro danni permanenti. Certo, continuano a chiamarmi Harmony, ma dovrebbe passare fra qualche giorno,” rispose l'altra ragazza, rivolgendogli un sorriso appena accennato. “Ron sta ancora dormendo, ho pensato di passare a trovarti perché è un po’ che non riusciamo a fare una chiacchierata tra noi.”

Harry si chiese perché tutti avessero improvvisamente tanta voglia di parlare con lui. Lui stava benissimo anche restando zitto.

“Gli altri mi hanno detto che sei stato molto fuori casa negli ultimi giorni. E quando c'eri, eri sempre impegnato a prenderti cura di Teddy.”

Harry rimase in silenzio a fissare le proprie ginocchia coperte dal tessuto scuro dei pantaloni del pigiama.

“Ventisei,” udì la propria voce dire dopo un po'.

“Cosa?”

Ventisei,” ripeté. “È il numero dei funerali a cui ho partecipato negli ultimi giorni. Avrei voluto assisterne di più, ma proprio non ci sono riuscito.”

“Oh, Harry,” disse Hermione, avvicinando la mano sulla spalla dell'amico e lasciandola lì, a mezz'aria, come se non osasse toccarlo.

“Ieri sono andato al funerale di Narcissa. Non c'era nessuno, la stanza era completamente vuota. Lo stesso funzionario incaricato a presiedere la cerimonia sembrava come essere a disagio, desideroso che tutto finisse il prima possibile, come se si trattasse di una fastidiosa scocciatura.”

“Immagino che al momento nessuno abbia voglia di venire associato ai Malfoy. La loro posizione nella guerra è fin troppo nota.”

“Ma li hai visti anche tu, Hermione. Alla fine non hanno combattuto, volevano solo stare insieme,” disse Harry, rivolgendo finalmente lo sguardo verso l'amica.

“Harry, lo sai benissimo anche tu che Lucius è tutto tranne una brava persona.”

“Certo che non è una brava persona! È un Death Eater, ha quasi ucciso Ginny e ha fatto un sacco di cose orrende e crudeli. Ma è solo grazie a Narcissa che sono ancora vivo, senza il suo aiuto non avrei mai sconfitto Voldemort!”

“Ma Harry, non l'ha fatto per salvare te, ma Draco.”

“Lo so. Non è mai per salvare me. Anche Snape non ha fatto tutto quello... tutto quello che ha fatto per salvare me, ma solo per mia madre. Ma questo non significa che non dovrei essergli riconoscente!”

Harry fissò gli occhi stanchi ed infossati di Hermione e si chiese come potesse l'amica non riuscire a capire.

“Gli sono comunque debitore e lei è morta per questo. Glielo devo e, anche se non ho potuto salvare lei, almeno posso fare qualcosa per la sua famiglia.”

“Oh, Harry.”

“Cosa c'è?” chiese il Gryffindor sentendo per un attimo di odiare la voce della sua migliore amica.

“Ma non te ne rendi conto? Insomma, la guerra è finita, ti sei battuto con Voldemort e ne sei uscito vincitore. Non pensi che ciò possa bastare?” disse la ragazza, porgendo la mano per spostare una ciocca di capelli da davanti gli occhi del ragazzo. “Non c'è bisogno che tu debba affrontare altre battaglie. Tutto si è risolto per il meglio ed è ora che tu inizi a pensare soltanto a te stesso.”

Harry si scostò bruscamente, obbligando Hermione a ritrarre la mano .

“Finito per il meglio? Intendi dire che la morte di Fred significhi che tutto è finito per il meglio?” Il moro lasciò la propria rabbia crescere d'intensità; forse in questo modo la disperazione che da giorni lo consumava non avrebbe più avuto abbastanza respiro per crescere e lui avrebbe finalmente trovato sollievo. “Che il fatto che Teddy sia rimasto orfano sia solo un trascurabile particolare? E Dobby, Remus, Tonks, Moody, Colin e tutti gli altri, anche loro non significano nulla? Viva gli eroi caduti in battaglia, ora però andiamo a festeggiare! È questo che vuoi dire?”

“N-no Harry... non intendevo assolutamente dire questo... io-”

“Bene, perché tutto non si è risolto per il meglio. Per niente!” urlò Harry alzandosi bruscamente dal letto. Si diresse verso la porta e, appena prima di uscire, guardò da sopra la spalla la ragazza. L'espressione del suo viso era dura, ma ciò che fece gelare il sangue nelle vene ad Hermione fu il tono freddo e quasi crudele delle sue parole.

“E vorrei che tutti la smettessero di far finta che sia così.”



Continua...



I commenti fanno bene al cuore delle fanwriter, quindi se avete consigli, critiche, suggerimenti o semplicemente qualcosa da dire, non fatevi scrupoli a lasciarmi scritta qualche parolina!



Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=242267