Adesso io vorrei un pezzo di torta....

di elev
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Juliet ***
Capitolo 2: *** La Vichyssoise ***
Capitolo 3: *** Appartamento numero 2 ***
Capitolo 4: *** Red lights, gray morning ***
Capitolo 5: *** Unless… we are a little crazy ***
Capitolo 6: *** Stay... faraway (so close) ***
Capitolo 7: *** Ciao genio! ***
Capitolo 8: *** Sean ***
Capitolo 9: *** Bend it like Beckham ***
Capitolo 10: *** Silver and Gold ***
Capitolo 11: *** Trash, trampoline and the party girl ***
Capitolo 12: *** Metafisica e cioccolato ***
Capitolo 13: *** The Night Shift ***



Capitolo 1
*** Juliet ***


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“In un mondo pieno di dolcificante artificiale,
aspartame, saccarosio e derivati vari.
C'è chi ha perso la dolcezza dello zucchero
e la naturale duttilità del miele”

Sabrina Bertocchi

 


Juliet
 
 
Per quel giorno avevano previsto neve.
Erano le 7.30 di mattina e Juliet svoltava l’angolo del 142 di Portobello Road.
 
Il vento e il nevischio le pizzicavano il viso e un brivido di freddo le percorse la schiena portandola a stringersi ancora di più dentro al grosso cappotto che indossava. Una piccola “debolezza” che si concesse per quella giornata.
Juliet era famosa per non concedere nulla a nessuno.
Tantomeno a sé stessa.
Otteneva sempre ciò a cui puntava.
Lo svago, le distrazioni, la mondanità erano per lei delle scocciature.
Anche l’amore non aveva spazio nella sua vita perché come Juliet amava ripetersi “i baci non durano. Saper cucinare sì”.
 
Aveva seguito rigorosamente tutte le tappe: “dalla gavetta alla vetta” senza sgarrare.
Il suo rigore e la sua severità proverbiale avevano così praticamente costretto Tony a nominarla primo chef nel suo ristorante.
 
Juliet, finalmente… sei in ritardo!” l’accolse gesticolando Tony.
Il fornitore della verdura era già arrivato e il nuovo fattorino di servizio impilava le casse affianco alla dispensa.
Io sono puntuale, come sempre” fece lei di tutta risposta “e tu… -rivolta al fattorino – quelle casse non crederai di lasciarle lì. Due in cucina e le altre subito in dispensa, la verdura si squaglia.” agitando l’indice verso il locale.
Tony, possibile che ogni volta ti devo spiegare come voglio che sia riordinata la merce?” ribadì Juliet scocciata posandogli una mano sulla spalla in segno di rassegnazione.
Lui le dedicò un’occhiata dispiaciuta e rispose pacatamente “Juliet, non esagerare, qui fanno tutti del proprio meglio…” ma lei aveva già varcato la soglia dello spogliatoio in cui aveva lasciato il cappotto, sistemato i lunghi capelli biondi in uno chignon sotto la nuca e indossato il grembiule ben fermo.
 
Il grembiule per Juliet rappresentava tutto. Uno spettatore esterno poteva benissimo pensare che per lei fosse come un corsetto dell’ 800. Stretto da non lasciarla respirare. Una costrizione forzata a cui doveva sottoporsi per - secondo lei- contare qualcosa.
 
All’ “old lighthouse” la cucina era perfetta e rinomata, anche se ultimamente il numero dei clienti, solitamente critici gastronomici altezzosi e monotoni, che ogni settimana recensivano sulle riviste patinate, era calato. Tony era un ottimo ristoratore, praticamente il migliore della città, ma sognatore com’era, aveva nominato Juliet, affidandole l’ingrato compito di rendere più attrattiva – per quanto possibile data la classicità delle pretese della clientela- la carta menu.
 
Juliet ne aveva fatto una questione personale, dando comunque la colpa all’ultimo locale in che avevano aperto infondo alla strada.
Di certo non era colpa né della carta menu, tantomeno della sua cucina. Quella era perfetta così.
 
Nella sua cucina le cose andavano fatte come diceva lei ovvero: perfettamente.
Già, LA SUA CUCINA.
 
Per questo il più delle volte le discussioni tra lei e Tony andavano a finire nell’ennesima litigata.
La sua testardaggine non rendeva certo le cose più semplici.
 
 
 
 
“Angolo cottura”:
Buon giorno a tutti!
Se siete arrivati fin qui è già un inizio!
Ecco qui, la mia “novità”. Questa volta ho provato a calarmi in un contesto diverso dal solito.
Spero prima di tutto di riuscire ad accalappiare la vostra attenzione ;) poi ce la metterò tutta per andare avanti ed uscire con qualche cosa di “leggibile”…
Grazie a tutti

 

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Capitolo 2
*** La Vichyssoise ***




La Vichyssoise



Tra i clienti fissi dell’old lighthouse c’erano anche quelli del club della buona forchetta. Uno di quei club esclusivi formati da severi recensori gastronomici con la puzza sotto il naso.
Ogni volta che si riunivano, esigevano lo stesso tavolo e sfogliavano la carta dei vini con falso interesse per poi scegliere l’etichetta più cara. E la cosa peggiore che ogni volta traducevano sapientemente l’ordinazione in francese così che una seppur raffinata vellutata di verdure diventava una "vichyssoise"

Sul viso di Angie, la cameriera, si formavano sempre delle smorfie straordinarie. Lei riusciva a nasconderle bene ma una volta tornata in cucina si lasciava andare in fragorose risate.
oh voilà la Vichyssoise!” esclamava Liz da dietro la mensola delle pentole imitando dei gesti aristocratici e agitando il mestolo che aveva in mano rideva insieme alla giovane cameriera.
Juliet le fulminava con lo sguardo e senza mollare nemmeno per un attimo il grosso coltello che aveva in mano eseguiva una “mirepoix”* perfetta per il soffritto scuoteva la testa.

“Elizabeth! –tuonava- il piatto del numero 6, prima di notte, s'il te plaît” le diceva con tono autoritario.
Liz abbassava lo sguardo e riprendeva a comporre i menu che le erano stati assegnati con un tono di rassegnazione ballonzolando da una parte all’altra sulle note di una musica immaginaria. Liz ballava sempre. E questa era un’altra cosa che Juliet non poteva soffrire.
“in cucina si cucina” diceva.

“ E tu – riferendosi ad Angie- ci sono dei piatti che si raffreddano. Le filet aux champignons va servito prima del gelato. Non te l’hanno spiegato? I clienti aspettano, vite-vite !”

Quando era scocciata, Juliet chiamava le persone “tu” e si dimenticava del loro nome.
Angie usciva dalla cucina con i piatti da servire e borbottava di nascosto “Le filet aux champignons va servito prima del gelato” imitando la voce autoritaria della Chef.
Tony dal canto suo non dava troppo peso ai piccoli screzi tra Juliet e Liz. Erano entrambe ottime professioniste, lui lo sapeva. Essendo però di animo buono cercava di capirle tenendo loro la parte quando se lo meritavano e rimproverandole quando era necessario.


Da un po’ di tempo a questa parte i membri del club che presenziavano alle “serate gastronomiche” si riducevano sempre più. Malgrado il loro fare snob, per alcuni di loro, la stessa cucina classica di Juliet era diventata monotona. Presi dalla “moda dell’etnico” preferivano la concorrenza.
I pochi che rimanevano fedeli all’old lighthouse finivano sempre la cena col chiamare Angie al tavolo e chiederle con un gesto snob delle dita di parlare “avec le Chef” perché farle i complimenti di persona faceva chic. Juliet usciva dalla cucina con la divisa immacolata e i capelli ancora perfettamente raccolti malgrado tutto il lavoro che aveva svolto, quindi si intratteneva con i clienti sorridendo alle loro battute scontate.

Quella sera però fu Tony ad aprire la porta della cucina.  Aveva in mano un piatto con un’ entrecôte. Juliet lo squadrò dalla testa ai piedi, notando immediatamente quel dettaglio.
La smorfia che si disegnò sulle sue labbra quando le disse “La signora al tavolo 3 dice che se voleva una suola di scarpe al posto di una bistecca l’avrebbe chiesta al ciabattino!” fu proverbiale.
Nessuno mai aveva osato dirle che la sua cucina non era perfetta.

 “L’entrecôte è “comme il faut” replicò tutto d’un fiato Juliet dietro le spalle di Tony che usciva dalla cucina.
Aveva il viso arrossato dal calore e dalla rabbia. S
battè il mestolo che stava utilizzando e afferrò il piatto che Tony le aveva riportato riponendolo senza modifiche tra i piatti “da servire”.
Angie non ci pensò due volte a riservire, cinque minuti dopo, lo stesso piatto al tavolo 3.
 
Liz smise di tritare l’aglio per un momento incrociando gli occhi di Tony che rientrava in cucina dieci minuti dopo.
“Juliet, che hai combinato? Al tavolo 3 l’entrecôte è troppo cotta!” ribadì Tony preoccupato.
Un lungo sospiro interruppe lo sfrigolio della frittura per il tavolo 4, il timer del forno con il dolce per i gastronomi e lo sbattere della frusta per la maionese.
Il recipiente con la maionese montata a metà vacillo sul piano di lavoro e la frusta che Juliet stava sapientemente maneggiando rotolò per qualche centimetro sporcando il tegame posato poco più in là.

Senza dire una parola, afferrò il grosso coltello della carne, infilzò un altrettanto grossa bistecca cruda da tre etti pronta per il menu di qualche altro cliente e uscì dalla cucina sbattendo la porta.
Il tutto sotto gli occhi ora stupiti ora preoccupati di Tony e Liz che si precipitarono immediatamente in sala.

La scena a cui assistevano poco dopo aveva dell’incredibile. Juliet sbatteva la carne cruda infilzata col coltello sulla tovaglia bianca del tavolo 3 urlando a pochi centimetri da un’incredula signora Brown  “Così è abbastanza cruda? Se lo fosse di più sarebbe ancora a pascolare!  La mia carne è fatta come si deve; probabilmente lei non si è mai accorta di fare la spesa dal calzolaio anziché dal macellaio, per questo non ha ben presente come è fatta un’ entrecôte !!”

Il silenzio era calato in sala, i pochi clienti erano immobili.
Tony con gli occhi fissi nel vuoto cercava di convincersi che quello a cui aveva appena assistito non poteva essere successo veramente. Il suo cuore perse un battito quando il rumore dei passi di Juliet che si dirigeva all’ingresso di servizio del locale e usciva sbattendo con forza la grossa anta di ferro battuto interruppero per un attimo il flusso dei suoi pensieri.
 



*Il taglio mirepoix è un tipo di taglio delle verdure che si ottiene tagliando a cubetti di 3 millimetri di lato, sedano, carote e cipolle.
 



“Angolo cottura”:
Carissime seguaci,
ecco qua il secondo capitolo di “adesso io vorrei un pezzo di torta”. Finora non ci sono state recensioni sul primo capitolo. Le aspetto con ansia, che siano brutte o belle (anche se spero che apprezziate). Tanto per sapere come andare avanti. In questo capitolo già abbiamo qualche termine di cucina (… mi sto documentando), qualche parola francese (très chic) e un bel “botto” da parte della nostra protagonista. Prometto che presto darò spazio anche agli altri personaggi.
Un abbraccio a tutte
-elev

 

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Capitolo 3
*** Appartamento numero 2 ***








“Fa che il cibo sia la tua medicina e che la medicina sia il tuo cibo”
IPPOCRATE



Appartamento numero 2


Messaggio-numero-uno: “Juliet, sono Liz…. si può sapere cosa t’è preso ieri sera? Tesoro tu hai bisogno di svagarti… oggi è il tuo giorno libero promettimi che uscirai. Vai a cena fuori, vai a ballare, insomma fai qualcosa capito?! Chiamami…

Tiiiiii

Messaggio – numero – due: “ehm sì… buon giorno Juliet… spero che tu non risponda perché ti stai riprendendo da una colossale sbornia… sì, quella che ti ha portata  a dare spettacolo ieri sera… quindi sappi che se tu non fossi la numero due in questa città e avessi bisogno di te ti manderei a spasso con molto piacere….!”

“Non-ci-sono-altri-messaggi” fece la voce metallica della segreteria telefonica.

“La numero due…” borbottò Juliet, mentre premeva con forza sul tasto “cancella”.

L’intenzione di chiudersi per un’ora nella doccia ormai era svanita e Juliet si rese conto di essere ancora in mutande e canottiera.
Chiunque, qualunque altra donna avrebbe portato un capo più sexy, magari con del pizzo. Non Juliet.

La canottiera di cotone che indossava cadeva in modo anonimo sui suoi fianchi con cuciture dritte, senza fronzoli né decori. Nessuna forma. I bordi finivano stretti nell’elastico delle mutande dello stesso colore, a vita alta.
Eppure non era una brutta donna. Anzi.

Glielo dicevano tutti di non “annullarsi” in quel modo, ma il suo mondo era pieno di “autocostrizioni”.
Era mattina inoltrata e per Juliet ogni volta finiva allo stesso modo: il fatto di non aver nulla da fare per un giorno la sconcertava.
Doveva tenersi occupata.

E quindi finiva per fare quello che faceva tutti i giorni.
Cucinare.
Indossò un top,  una gonna al ginocchio e subito dopo un lungo grembiule bianco annodato sotto il seno faceva la sua scena sul corpo esile di Juliet.
Dopo mezz’ora sul tavolo, allineati perfettamente sul bordo, bacon, uova strapazzate, prosciutto, frittelle e pancake con lo sciroppo d’acero facevano al loro bella figura in grandi piatti immacolati.
Fissava il tavolo con tutto quel ben di dio strofinandosi il braccio destro sulla fronte, chiedendosi, forse per la prima volta, che diavolo dovesse farci ora con tutta quella roba.
non mangio mai mentre lavoro!” Juliet lo ripeteva fino all’esaurimento a chiunque le offrisse qualche cosa prima di prendere servizio.

Lei cucinava per qualunque persona le facesse un’ordinazione, non per sé stessa.
Rimase immobile per alcuni minuti, poi, sospirando rumorosamente, aprì la porta d’ingresso e scese una rampa di scale fino al pianerottolo precedente quello del suo appartamento.

Nelle scorse settimane aveva notato che l’appartamento, sfitto da mesi, era stato occupato.
Suonò il campanello sotto una targhetta in plastica sotto la quale era stato infilato un foglietto scritto a mano che diceva “appartamento 2”.

Dei passi si avvicinarono velocemente alla porta facendo cadere qualche cosa a terra. Il suoni erano ovattati.
La porta si aprì  sbattendo leggermente contro la parete.

Juliet fu investita da una musica fortissima che usciva da uno stereo che poté scorgere appoggiato sopra una vera e propria torre di scatoloni.

se non sai di che morte morire …
scegli me scegli me
e chissà dove andiamo a finire
scegli me scegli me


Una voce profonda e leggermente stonata sottolineava le parole.

Il ritornello fu momentaneamente sospeso da un “oh un momentoooo ora arrivo…e che sarà mai…” la voce ora era più vicina.
Un uomo sui trentacinque, moro, con dei comodi pantaloni della tuta verdi petrolio ed una canottiera senza maniche bianca si presentò alla porta. Con le braccia conserte, appoggiato allo stipite con aria interrogativa le rivolse un “oh! Aehm buongiorno…serve qualche cosa o forse è la musica che..?”

Ancora frastornata da tutti gli avvenimenti che le si erano presentati davanti in una volta sola, Juliet  alzò un braccio e col pollice indicò la porta del suo appartamento appena sopra aggiungendo con un sorriso appena accennato uno scarsissimo “abito qua sopra, ho appena cucinato… so che ha appena traslocato e mi chiedevo se per caso… insomma se non avesse ancora fatto colazione… in tal caso sarebbe tutto pronto…”
“c-cosa?” fu la risposta.

“Vuole che le porto qualcosa?” le uscì d’improvviso.
“Ma non mi conosce nemmeno, non sa niente di me… e poi avrei da fare…” aggiunse lui con tono perentorio facendo un cenno alla pila di scatoloni dietro di sé.

Juliet era sempre stata insistente e sia mai che non ottenesse quello che voleva; nessuno aveva mai rifiutato la sua cucina.
Fu giusto per il fatto che non sapeva bene nemmeno lei cosa ci facesse lì, su quel pianerottolo, a offrire da mangiare ad uno sconosciuto che aggiunse
“Beh, so che ha appena traslocato, lei non è di qui, non è sposato, ha una vecchia Stationwagon rossa e il suo giorno di bucato è il martedì… Agnes, la signora del primo piano, sa tutto di tutti. Dice a tutti che sono pazza…”

Sulle labbra dell’uomo spuntò un mezzo sorriso, a metà tra il divertito e l’incredulo.
Staccò pigramente la spalla muscolosa dallo stipite della porta, sulla fronte si formarono alcune rughe orizzontali prima che aggiungesse: “e lei è…”
“Cuoca! Sono cuoca…” precisò Juliet velocemente, poi pensò che probabilmente non era quello che intendeva dire, e si corresse “Juliet…ho pensato che visto che ha ancora da sistemarsi le andasse qualche cosa”.
Era la seconda volta che lo diceva.
Se n’era resa conto ed ora era caduta nel pozzo dell’imbarazzo e non sapeva come uscirne.

Ci pensò lui con “beh la ringrazio tanto ma tra poco arrivano altri scatoloni e se non sistemo questi… magari la prossima volta…allora arrivederci…”

Si scambiarono un sorriso cortese.
Già Juliet era capace anche a sorridere.
Quando serviva.

La porta verniciata di verde scuro si richiuse, i suoni ovattati ricominciarono a fare eco nel corridoio.

Juliet tornò in casa, si infilò il grosso cappotto di lana grigia e ridiscese le scale fissando quella porta verde scuro.

Uscì dal palazzo avvolta da un turbine di neve portata dal vento gelido che soffiava da una settimana a questa parte.
 



“Angolo cottura”:
Carissime seguaci…eccomi qui!
Dopo giorni di confusione e tentativi vari di mettere assieme qualcosa ecco sciolti i nodi.
Questa volta niente ricette e termini difficili, sarà per la prossima volta ;)
Abbiamo scoperto qualcosina in più del carattere “strano” di Juliet e che malgrado tutto è capace anche a sorridere ed imbarazzarsi.
Il nuovo vicino!? Che ne pensate? Scopriremo qualcosa di lui magari la prossima volta. Volutamente l’ho lasciato un po’ distaccato perché volevo che non si svelasse tutto immediatamente… nemmeno il nome! :-p
Spero che questo terzo capitolo per voi non sia proprio una schifezza colossale.
Fatemi sapere che ne pensate….
 
Altra precisazione: la canzone che si sente è della Nannini “Scegli me”.

 

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Capitolo 4
*** Red lights, gray morning ***





“C'è un momento particolare nella vita di una donna,
un momento unico ed irripetibile,
l'avvenimento topico che trasforma la ragazzina ingenua ed innocente in una vera donna.
Quando impara a cucinare.”
Mauroemme


Red lights, gray morning


Passò il resto della mattina percorrendo per le strade del quartiere stretta nel grosso cappotto nero.
Erano quasi le undici passate e chi svolgeva una qualsiasi attività su Portobello Road era già in pieno fermento.

Passò accanto al negozio di Ben, l’antiquario.
Ben era un uomo sulla cinquantina, con i capelli radi e un lungo grembiule in pelle scamosciata.
Aveva ripreso il negozio dal padre, mancato ormai da una decina d’anni.
Stava lì da una vita.
Agnes, l’ottantenne del primo piano, gliel’aveva raccontato almeno un centinaio di volte. Con un velo di emozione ricordava i tempi della sua gioventù, quando, da giovane studentessa amava passeggiare nelle belle giornate di sole e, diceva, “si rifaceva gli occhi passando accanto al negozio di Jack”.
Juliet, malgrado la sua proverbiale repulsione per l’amore e le storie sdolcinate, si era convinta che tra i due ci fosse stato del tenero.
A quei tempi Jack era un giovane vent’enne con gli occhi azzurri.

Il discorso finiva sempre allo stesso modo: Agnes la guardava con quei suoi occhi ancora vispi e luccicanti e le raccomandava “cara mia, alla tua età sarebbe meglio per te che ti trovassi un bell’uomo anziché sgobbare tutti i giorni fino a tardi. Ci sono tanti bei giovanotti robusti in giro per questo quartiere…”.


Sorrise fra sé e sé guardando attraverso la vetrina del negozio. Il fuoco nel vecchio camino era accesso e illuminava il locale di una calda luce rossastra. Ben lucidava con costanza un antico mobile.

Quell’immagine le trasmise uno strano senso misto tra malinconia e romanticismo che la fece rabbrividire. “romanticherie… al diavolo!” pensò svoltando l’angolo.
 
Diede persino uno sguardo a quegli insulsi grembiuli che venivano stampati sul fronte con corpi muscolosi, donne in biancheria intima, statue storiche e chi ne ha più ne metta.  
Qualcuno osava definirli sexy ma a Juliet sembravano soltanto di cattivo gusto.
Arrivò fino a pensare come avrebbe reagito se qualcuno si fosse presentato in quel modo nella “sua cucina”. Un pensiero assurdo, visto il calibro del ristorante di Tony e visto il fatto che il suo team era formato da professionisti.

In quel preciso istante un profumo intenso di mele, zucchero e vaniglia le interruppe i pensieri facendo apparire un sorriso di gratitudine sulle sue labbra come se il profumo che usciva dalla “Hummingbird Bakery” l’avesse salvata dall’entrare in un tunnel buio e senza uscita.
Un raggio di sole in una questa giornata grigia.


Juliet si ricordò di non aver nemmeno fatto colazione, dedicò uno sguardo sognante alle torte esposte in vetrina e decise che quel giorno poteva fare uno strappo alla regola.

Il secondo in realtà.

Varcò la soglia del locale respirando a pieni polmoni rendendosi conto che, presentandosi alla porta di uno sconosciuto di mattina presto, aveva già toccato il fondo.


Un intenso profumo di mandorle tostate e caramello le venne incontro trascinandola  per un braccio vicino ad uno dei banconi di vetro.

Dieci minuti dopo Juliet uscì dal Hummingbird con due buste a righe rosa ricolme di fagottini caldi alle mele e due fette di torta alle mandorle spolverata di zucchero al velo.

Non lo dava a vedere. Non dava mai a vedere nulla a giudicare dall’espressione del volto.
Ma quel pomeriggio, dopo quell’episodio al ristorante, salendo le scale per rientrare a casa, si sentì felice. O quanto meno “riscaldata nel cuore”, come uno di quei caldi fagottini profumavati di cannella che portava nelle buste colorate.

 
 


Angolo cottura:

Care, carissime fedeli seguaci!
Rieccomi qui con una mia nuova fatica…. Oggi sono stata presa da un “blocco creativo” con cui ho combattuto fino ad un’oretta fa, quando le dita hanno cominciato a scrivere qualche cosa…
Quella “cosa” è diventata questo capitolo.
Mi rendo conto che è anche abbastanza corto ma… avevo due opzioni: o finirlo così e lasciare tutto in sospeso oppure continuare con una nuova giornata.

Abbiamo passato il primo giorno libero proprio con la nostra protagonista, che, come avete visto ha già combinato abbastanza!

Del nostro caro vicino nessuna traccia… d’altronde lasciamolo sistemare gli scatoloni con calma ;)
Posso assicurarvi (se vi interessa) che lo incontreremo prestissimo…. In che occasione non ve lo dico.
E forse scopriremo finalmente come si chiama.

In questo capitolo ci sono due cose che tengo a precisarvi:

 
  1. La pasticceria “Hummingbird” esiste veramente (mi sono documentata per essere “geograficamente coerente”)
  2.  C’è chi mi ha confidato di essere una frana in cucina e chi mi ha chiesto  di organizzare delle lezioni private con Juliet. Quindi: tadaaaa: vi lascio pure la ricetta dei fagottini. Questo è un progetto che ho in mente… se ci riuscirò ci saranno altre golosità da sperimentare.
Quindi ragazze…. mano ai fornelli… non abbiamo più scuse!

Alla prossima e grazie a tutte per le recensioni bellissime che mi lasciate ;)

 
 
 
Fagottini di pasta sfoglia con cuore di mela
 
1 mela grande
80 gr  di zucchero
1 cucchiaino raso di cannella
1 cucchiaino di succo di limone
1 cucchiaio  di marmellata di albicocche
4 quadrati da cm 15 x 15 di pasta sfoglia
 
Preparazione
 
Sbucciate, togliete il torsolo e tagliate una mela a cubetti di 1 cm di lato, quindi versateli in un pentolino assieme allo zucchero, il cucchiaino di succo di limone e il cucchiaino raso di cannella; fate cuocere qualche minuto, facendo sciogliere per bene lo zucchero e ammorbidendo un po’ la mela che non deve risultare però spappolata; per ultimo, aggiungete un cucchiaio di marmellata di albicocche.
 
Tagliate ora 4 quadrati di pasta sfoglia della dimensione di 15 cm per lato, e disponetevi sopra un paio di cucchiaini di composto di mela, badando di non aggiungere troppo liquido di cottura, altrimenti quando i fagottini cuoceranno al forno, il liquido fuoriuscirà.
 
Bagnate leggermente il bordo della pasta sfoglia con un pennellino imbevuto di liquido di cottura, e richiudete i fagottini a metà.
 
Praticate ora delle incisioni oblique sulla superficie e spennellate con il liquido di cottura sul quale andrete a spolverizzare dello zucchero semolato a grana grossa.
 Infornate i fagottini di mela in forno già caldo per circa 12 minuti a 220 gradi, poi lasciateli intiepidire e serviteli.

 

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Capitolo 5
*** Unless… we are a little crazy ***





“Non c’è uomo che non possa bere o mangiare,
ma sono in pochi in grado di capire che cosa abbia sapore.”
Confucio

 
 
Unless… we are a little crazy


-Quel porco! Esclamò Angie con stringendo i pugni mentre varcava la soglia del ristorante.
- Appuntamento fallito? Non dirmi che sei di nuovo andata ad uno di quei incontri per single! Le rispose Liz sogghignando dietro il giornale.
-Quel maiale si aspettava che io indossassi gli stivali in pelle che teneva nell’armadio… Dio solo sa a quale delle sue amanti sono appartenuti! E dire che sembrava un uomo così distinto e per bene… Certi elementi bisognerebbe solo prenderli per i gioielli di famiglia e strizzarglieli forte” ribadì la giovane cameriera con un ghigno “sadico”.
 
Liz posò il giornale sul tavolo, si pettinò i capelli biondi tagliati “alla maschiaccio” e trattenne una fragorosa risata serrando le labbra. Con sguardo perplesso si alzò dalla sedia, posò una mano sulla spalla della collega e con tono pacato le disse -quando la smetterai di frequentare certi pub?.
Lei di tutta risposta l’abbracciò affondando il viso nella spalla destra e soffocò un disperato
- Oh, Liz, Liz… difendimi tu da questo mondo di uomini malvagi… e fa che quando cambia la legge io possa sposare te!
 
- Interrompiamo qualcosa?
 
- Buon giorno capo! Esclamò Liz  portandosi la mano alla fronte a mo’ di saluto militare, sciogliendo l’abbraccio.
- Interrompiamo? La parola risuonava ancora nella testa della giovane aiuto cuoco quando si rese conto che Tony non era solo.
Un giovane sui 35, moro, con due occhi scuri e curiosi e le braccia conserte, gli stava accanto e sorrideva.
- Questo è Luca, un cuoco eccezionale, aiuterà Juliet a dare una rinvigorita alla nostra carta menu.
-Aehm, molto piacere, io sono Elizabeth… cioè Liz rispose la bionda, diede una gomitata ad Angie, che con gli occhi fissi su di lui, gli stava già facendo i raggi x e gli porse la mano.
-Sarete un buon team concluse Tony con tono solenne, non prima di aggiungere - Liz fagli vedere la cucina per favore, Juliet non è ancora arrivata…
 
Forse era meglio che quella mattina la sua Chef fosse in ritardo, era strano, è vero, ma almeno si sarebbe trovata davanti al classico fatto compiuto e non avrebbe potuto fare troppe scenate. Pensò Tony tra sé e sé mentre seguiva con lo sguardo  Liz, Angie e Luca recarsi in cucina.
 
- Ma la smetti di fissarlo?! Sussurrò Liz sottovoce dando l’ennesima gomitata ad Angie.
Questa stava ancora lì, dietro la mensola delle pentole, con la bocca aperta incantata ora sulla mandibola coperta da una leggera barba incolta, ora sulle spalle muscolose del nuovo cuoco che riordinava le casse della merce appena arrivata nella cella frigorifera.
- È colpa mia se è un fico pazzesco?! Protestava  lei con gli occhi che le brillavano.
- Angie! Smettila! La richiamò Liz con tono finto autoritario e piuttosto andiamo a dargli una mano, poveraccio.


- Angela ed Elisabetta disse Luca indicandole col dito, nel vederle avvicinare… come per memorizzare i nomi. Eccovi qua! Cominciavo a darvi per disperse. Usate anche il resto della cucina o fissate i pentoloni tutto il giorno in questo ristorante? Fece ironico.

- Wow! Ma allora è vero che è pure italiano!? Pigolò Angie in piena  adorazione;  Liz/Elisabetta continuava a passare le casse al nuovo collega, ma su quel commento volse gli occhi al cielo rassegnata:

-Angie, sarebbe meglio che tu ti dedicassi alla sistemazione dei tavoli di là in sala… le disse spingendola dolcemente verso la porta della cucina.
-Vai, tesoro, vai vai…


- Scusala! Disse Liz con tono serio mentre raggiungeva la cella frigorifera in cui Luca riordinava la merce.
Sulle labbra di Luca si formò un sorriso divertito e sincero, scosse leggermente la testa e finì di sistemare.

- Che si cucina oggi? Chiese Luca sporgendosi da dietro la spalla di Liz mentre consultava quella che Juliet chiamava  les instructions, ovvero una semplice lista dei compiti che era solita lasciare la sera prima.
- Prima di tutto prepareremo la mise en place, rispose lei senza staccare gli occhi dal foglio.
- Agli ordini “sous-chef” disse Luca in tono scherzoso. 

Era abbastanza insolito che lui, prendesse ordini da un aiuto cuoco. Luca era rimasto semplice e sognatore, questo,  malgrado avesse vinto innumerevoli concorsi e fosse uno chef ricercato ed acclamato da tutti.

Gli avevano proposto posti molto prestigiosi in tutto il mondo. Effettivamente qualche mese prima era stato in procinto di partire ma una sera gli aveva telefonato Tony, chiedendogli aiuto proprio nel suo ristorante.

Per Luca gli amici erano sempre stati importanti; Tony lo conosceva fin da ragazzino, quando entrambi,  si divertivano a nascondersi sotto i tavoli del bar dello zio.
 
****
Juliet si infilò le decolté nere appoggiandosi con una mano allo stipite della porta del suo appartamento.
Era pronta per riprendere in mano la sua cucina.

Uscì di casa e dieci minuti dopo varcò la soglia dell’old lighthouse spingendo la pensante porta  d’ingresso che qualche giorno prima aveva sbattuto con forza in preda alla rabbia.
- Buon giorno Angie! Fece appena vide la giovane cameriera apparecchiare l’ultimo tavolo.
- Liz?
- In cucina! Cinguettò la ragazza senza staccare gli occhi dalla tovaglia. Stava serrando le labbra per non scoppiare in una fragorosa risata. -Prepariamoci al botto! Pensò.
Tutto quel silenzio in sala, a dire il vero sembrò strano anche a Juliet, che il silenzio lo apprezzava.
 
****
 
- C’è troppo silenzio qui dentro! Un piatto deve avere una “sonorità” affermò ad un certo punto Luca.
- Ma Juliet non vuole che….protestò Liz allarmata vedendo il suo nuovo Chef posare una radio portatile di qualche decennio fa su una mensola.
- Juliet, Juliet…. Chi sarà mai? Un mostro?  Fece lui inserendo una cassetta nel vano della piccola radio.

Pochi secondi dopo una vecchia canzone di Paolo Conte risuonava nella cucina e Liz poté finalmente ballare al ritmo di una musica reale.
 
****
Juliet si avvicinò alla cucina, quando appoggiando la mano sulla porta per aprirla, sentì dei suoni ovattati provenire dall’interno.
Scosse la testa, poiché quella musica le sembrò famigliare. Non succedeva da tempo ma a volte Liz accendeva la musica di nascosto; Juliet gliel’aveva fatto notare diverse volte.
- Dovrò ricordarglielo di nuovo a quella testarda! Pensò Juliet e serrando scocciata la mandibola, entrò in cucina.
 
Lo spettacolo che le si presentò davanti aveva dell’incredibile:
 
 “It's wonderful, it's wonderful, it's wonderful
good luck my babe,


-Senti che profumo questo… diceva Luca porgendo un rametto di rosmarino a Liz

it's wonderful,

Liz si riempì  i polmoni di quel profumo così “mediterraneo”

it's wonderful, it's wonderful, I dream of you

Liz dondolò a destra poi a sinistra senza mollare il mestolo
 
a chips, chips,
 
Luca fischiettava  e la frusta delle salse diventò un improbabile microfono…
 
du-du-du-du-du”
 
- Buon giorno! Elizabeth, quante volte t’ho detto che non si ascolta la musica mentre si cucina?! Tuonò rivolgendo uno sguardo minaccioso alla bionda.
- Oddio! Juliet! L-l-lui  è…
Juliet spostò lo sguardo e rimanendo a bocca aperta: che ci faceva il vicino di pianerottolo nella sua cucina?
- Juliet, la cuoca vero? Non mi ha portato la colazione oggi? Disse divertito. Molto piacere Chef
Luca, disse porgendole la mano
- Elisabetta mi aveva avvisato, ora la spengo, disse facendo cenno alla radio e strizzando l’occhio a Liz.
- Elisabetta? Ma questo è pazzo! Pensò Juliet.
Serrò di più la mandibola, cercando di nascondere il fatto che si era trovata del tutto spiazzata, gli porse la mano incredula salutandolo con un gelido:
 – Juliet Edwards, sono lo Chef e questa è la mia cucina.
 
 
 
 
Angolo cottura:
Buon giorno fedeli seguaci! Il blocco creativo si è un po’ “sciolto” ed ecco qui la mia ennesima fatica…
Questa volta, forse, con la lunghezza ci siamo. Abbiamo fatto una scoperta eclatante direi! Anzi più di una: il vicino di Juliet è uno Chef rinomato, un figo pazzesco a detta di Angie e oltretutto ha invaso il campo di Juliet presentandosi nella sua cucina. Ora sappiamo anche il suo nome. La scelta, non ci crederete, è stata abbastanza ardua ma alla fine ecco qua…. Se devo dirvela tutta ho fatto un piccolo tributo al protagonista di una storia meravigliosa, da non perdere di vista, qui su efp, ovvero: “indissolubile” di Angelica Sofia. >>> NON PICCHIARMI EH!!!
 Ho pensato a lui perché gli amici per lui sono importanti (come per il “mio” Chef) e poi negli ultimi capitoli è stato un pochettino triste quindi ecco qua: a Luca ;)
Come proseguiranno le cose?
Secondo me ne vedremo delle belle, e dire che la storia, dovrebbe (lungi da me altri blocchi) essere soltanto all’inizio.
Che ne dite?
Insomma fatemi sapere, siate clementi mi raccomando ;)

 

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Capitolo 6
*** Stay... faraway (so close) ***


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Un buon piatto può cambiare l'umore di una persona. Un buon piatto può rendere onore è gloria a chi lo realizza.
Anonimo


Stay faraway so close
 
 
Era la seconda volta che Juliet si precipitava fuori dalla cucina come una furia lasciando che l’anta rimanesse li a sbattere per i fatti suoi.
- c’è un pazzo nella mia cucina! Fece lei a detti stretti  per non far sentire l’ennesima sceneggiata ai clienti, mentre Tony riponeva i mantelli degli ultimi arrivati nel guardaroba.
- Prima di tutto il locale, come la cucina sono ancora miei, e Luca è un cuoco eccezionale! L’apostrofò lui di tutta risposta.
Le guance della Chef si colorarono di un rosso sempre più vivo quando a pochi centimetri dal viso esasperato di Tony protestò gesticolando
- Eravamo d’accordo che avrei reclutato personalmente i miei collaboratori, quello io non lo voglio e le mie ricette non le svelerò! E poi è italiano…
- Luca è un cuoco eccezionale e noi dobbiamo rinnovarci… la gente al giorno d’oggi seguirebbe ogni tipo di dieta miracolosa pur di mantenersi in forma, quindi, quale occasione migliore: noi proporremo dei piatti sani e leggeri. E per i piatti di pesce potrebbe occuparsene lui! Concluse serafico Tony puntando il dito contro la sua Chef.
- Piatti di pesce… sbuffò Juliet.
Con le mani sui fianchi e il viso imbronciato tornò verso la cucina pronta a dar battaglia.
La musica si faceva più distinguibile più ci si avvicinava alla cucina e quando Juliet aprì completamente la porta venne investita da un ritmo Jazz insistente seguito dalle voci di Luca e Liz che sottolineavano le parole danzando attorno al piano cottura sui cui sobbolliva il sugo appena preparato.
Sotto lo sguardo ora sconvolto, ora scocciato di Juliet , Luca porse un cucchiaio di sugo a Liz imboccandola:  - è questione di trovare il momento giusto. Questo è il momento “Lisa”… preparati a questa bomba di gusto… assaggia un po’…
Liz chiuse gli occhi e assaggiò il sugo agitando una mano davanti alla bocca, letteralmente la fece levitare di gioia per qualche secondo.
- Se anche a stomaco pieno ti piace quello che mangi vuol dire che sei un buon cuoco! Aggiunse Luca e con convinzione aggiustò di pepe le quaglie che stava preparando.  

Quel sorriso che campeggiava volentieri sul viso dell’uomo si spense qualche secondo dopo lasciando il posto ad un’espressione preoccupata e colpevole, quando incrociò quella tirata e severa di Juliet che  osservava la scena.
- Va bene Chef, controllo le quaglie altrimenti diventano dure! Fece lui sottovoce fissandola, senza aggiungere altro sulla scena di poco prima.
- Le quaglie s’asciugano… non diventano dure! Rispose Juliet duramente e con un gesto di stizza aggiunse -alludendo al panno con cui Luca aveva afferrato il manico della pentola di rame  – stai andando a fuoco! Non vorrai incendiare la cucina spero.
Angie sorrise tra sé e afferrando l’ennesimo piatto da servire, spinse l’anta della porta con una spalla esclamando - ragazzi vado da quel deficiente del tavolo 3. Sì quello che ogni volta arriva con una donna diversa….se lo sorprendo ancora a fissarmi le tette lo infilo nel forno!.
- Buona questa! Rise Liz dal fondo della cucina
- Ah, Angelì che donna sei! Esclamò Luca con un sorriso serafico prima di voltarsi verso Juliet strizzandole l'occhio.
- Anche tu “Giulia”, non staresti male se sorridessi di più… impara da lei!

Per la seconda volta non ottenne risposta se non lo sbattere sordo del flacone per la salsa ai lamponi sull’acciaio brillante del piano di lavoro.
Juliet, con passi veloci, si rifugiò nella cella frigorifera e appoggiando entrambe le mani ad un ripiano, al buio, respirò profondamente.
La porta si riaprì pochi minuti dopo, Juliet si portò una mano alla fronte e socchiuse gli occhi alla luce accecante che ora illuminava la dispensa.
- Si può sapere cos’hai? Chiese Luca con esasperazione. – Guarda che non sono qui per rubarti il posto se è quello che credi… - Già… se non fosse così non rimarresti qui sibilò la donna.
Luca sospirò  piano scompigliandosi i capelli con una mano e appoggiò il gomito alla parete chinandosi leggermente dietro la schiena di Juliet.
- E poi dimmi, “Giulia” è per qualcosa che ho fatto? Perché ti ho rifiutato la colazione quel giorno… me lo puoi dire eh mica m’offendo!
- Non chiamarmi Giulia! Rispose irritata.
- Se vuoi che me ne vada, hai solo da dirlo… troverò un altro lavoro… a quanto pare sono apprezzato come Chef. Allora? Che vuoi che faccia? Chiese perentorio fissandola dritto negli occhi.
Si fissarono per qualche secondo.

- Mi dispiace ragazze ma a quanto pare qui non sono il benvenuto… me ne devo andare! Esclamò Luca staccando la presa della piccola radio appoggiata in cima ad una mensola.
- Si può sapere che succede qui? Fece allarmato Tony entrando in cucina.
- Juliet ha appena licenziato Luca fecero eco Angie e Liz.
- Cosa? Juliet…. No no, Luca tu devi rimanere noi abbiamo bisogno di te…
- Mi dispiace Tony, non a detta del tuo Chef a quanto pare… disse Luca agitando un braccio verso la collega.
- Juliet! Diglielo anche tu… le ordinò Tony
- Cosa? Rispose facendo spallucce;  voltò le spalle a Tony, Luca, Liz ed Angie e tornò a sistemare la decorazione di lamponi al budino di vaniglia che stava preparando.

Nonostante tutto però si sentiva osservata ed in cucina il silenzio quasi inquietante che era calato  fu interrotto soltanto dal ribollire del sugo, dallo scoppiettare del carré messo a rosolare in un tegame e dalla ventola della cappa poco distante.
Tutti la fissarono in attesa di una risposta.
Juliet si soffermò su ognuno dei suoi colleghi, fissandoli uno ad uno per qualche secondo. Sospirò e stringendo un cucchiaio lasciò andare un quasi impercettibili – e va bene!
- Cosa? Allora posso restare?  Luca interruppe il silenzio.
- Mi pare di averlo appena detto… che vuoi ancora? Fece lei acida.
- Voglio che mi dici di restare!
- Se le cose stanno così allora… voglio-che-tu-rimanga.
E ora forza al lavoro!
 


Care  seguaci!
Rieccomi... dopo un po' di tempo, lo so. Ho dovuto prendermi qualche settimana per riflettere su come continuare la storia che ultimamente stava prendendo un po' troppa polvere!
Ecco qui la mia ultima fatica... ho impiegato un mucchio di tempo e spero che questo capitolo sia almeno leggibile...
Grazie a tutte voi che mi seguite fedelmente e lasciate tante carissime recensioni ;)
Un abbraccio a tutte  -elev
ps. il titolo di questo capitolo è preso in prestito da una canzone degli U2 (dall'album "Zooropa") Tra l'altro una delle mie canzoni preferite. Fu colonna sonora del film "così lontano così vicino". Così lontano, così vicino! (In weiter Ferne, so nah!) è un film del 1993 diretto da Wim Wenders, vincitore del Grand Prix Speciale della Giuria al 46º Festival di Cannes.
Il film è il sequel de Il cielo sopra Berlino (1987).
Se qualcuno ha visto il film "il cielo sopra Berlino" (e ci vuole taaanta pazienza e mi sa che solo io guardo certe cose ahahaha) saprà a cosa si sono ispirati per fare il video della canzone.
 

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Capitolo 7
*** Ciao genio! ***


“Verrò, ma deve essere una cena seria.
Odio le persone che prendono i pasti alla leggera"  
(Oscar Wilde)


Ciao genio!


L’orologio segnava le otto e mezza di mattina quando Luca maledisse la sveglia la prima volta.  
Alzò la testa dal cuscino fissando quei quattro numeri  digitali verdi che lampeggiavano insistentemente sul fondo scuro del quadrante. Sdraiato con a pancia in giù, con il lenzuolo bianco che gli copriva per metà la schiena dalla pelle olivastra, tese un braccio fino a raggiungere il pulsante di spegnimento dell’allarme.

– stronza!- Grugnì spazientito ricacciando la faccia nel guanciale.

Cinque minuti dopo un altro suono insistente interruppe il dormiveglia dell’uomo.
Con la rassegnazione di un condannato, alzò per la seconda volta la testa dal cuscino soffiandosi via il ciuffo ribelle di capelli arruffati dalla fronte, afferrò quel maledetto orologio e lo sbatté sul comodino rendendosi conto inseguito che quel suono non corrispondeva alla sveglia ma al citofono.

Con gli occhi ancora semichiusi e l’equilibrio precario di chi si è appena alzato dal letto, s’infilò il primo paio di pantaloni della tuta saltellando ora su un piede poi sull’altro. Trascinando i piedi raggiunse la porta, la aprì con convinzione lasciando appoggiata la mano sulla maniglia sbadigliò:  - Che vuoi a quest’ora?  Mi hai portato di nuovo la colazione? -

- Buongiorno ehhh che faccia!… Non so di quale colazione tu stia parlando ma potresti offrirmela tu già che insisti!-

Luca rimase interdetto per qualche secondo, poi mise a fuoco e si trovò davanti gli occhi verdi e insistenti di una giovane sui 17. I capelli rasta stavano a malapena raccolti in un elastico con i colori della Giamaica tanto erano folti e il piercing alla narice brillava alla luce del sole che filtrava dalla finestra del pianerottolo.

- Tea?! Ma che ci fai qui a quest’ora?!-
- Beh? Non mi fai entrare? - Fece lei scocciata. Con un sorrisetto sarcastico lo spostò di lato con una leggera spinta e superò la porta.

- No aspe… Ossignore! -
- Fico sto posto!- Esclamò quella buttandosi sul divano poco distante con le scarpe ancora ai piedi.

- Tea!- L’apostrofò Luca raggiungendola dopo aver chiuso la porta - non puoi piombarmi in casa così, lo sai questo vero?-

Il sorriso sparì improvvisamente dal viso della giovane che si rabbuiò lasciando il posto ad un leggero rossore degli occhi.
- Io quella non la sopporto più! Non sapevo dove andare e quindi… sono venuta qui.-
Disse serrando la mascella.
- Hai litigato di nuovo con mamma vero?- Intuì Luca portandosi una mano tra i capelli, sospirando.
- Dovresti cercare di essere un po’ più accomodante, lo sai che lo fa per il tuo bene, si preoccupa… e soprattutto non è che ogni volta mi puoi piombare in casa a questa maniera… ho una vita anch’io, e tu dovresti andare a scuola.- Si raccomandò il moro dirigendosi in cucina per prepararsi un caffè.

- Parli proprio come un vecchio!- Lo canzonò Tea affacciandosi alla porta della cucina. - Com’è che sei diventato così saggio?- Trillò mascherando una risata.

- Senti ragazzina finiscila! Sono una persona seria io. Piuttosto… lo vuoi un caffè?- Fece Luca agitando il cucchiaino.
- Tu qui non puoi stare, devo andare al lavoro IO!-

- Eddai ti preeego, solo qualche giorno no? Terrò pulito e non organizzerò nessun festino a casa tua…- promise Tea sbattendo le ciglia. - Anche se questo posto non sarebbe male… - concluse azzardando una giravolta.

- Ora basta!- Ribatté Luca appoggiandosi  le mani sui fianchi e impegnandosi per rimanere serio - starai qui per il fine settimana, ora non ho tempo ma domani chiamo tua madre-!
- Graziegraziegraziegrazie"- saltellò lei buttandogli le braccia al collo.
- E bevi sto caffè che si fredda dai!- Sogghignò lui sciogliendo l’abbraccio.
- Muoviti che sono in ritardo!- Le urlò dal bagno.

Mezz’ora dopo Luca uscì di casa spingendo la ragazza fuori dal suo appartamento.
- Torno tardi! Fatti un giro e se hai fame in frigo ci sono le lasagne da scaldare… ammesso che tu sappia cosa sia un forno….- Sogghignò il moro.
- Sì "nonno" – l’apostrofò lei - non parlerò con nessuno e non accetterò caramelle dagli sconosciuti non ti preoccupare. E sappi che per accendere il forno non ci vuole Einstein!- Replicò lei facendogli una linguaccia prima di svoltare l’angolo.
- Ciao genio!- Le disse soltanto.

***

Luca sorrise tra sé e sé. - Ci mancava solo questa ora!- Pensò.
Dieci minuti buoni di cammino dopo, Luca varcò fischiettando la soglia dell’Old lighthouse.

Gli unici rumori che sentì provenivano, ovattati, dalla cucina. Intuì dunque che “qualcuno” era già al lavoro.
–  Buon giorno belle ragazze!- Salutò Luca varcando la soglia della cucina con un uno dei suoi sorrisi migliori stampato in viso.
 – Buongiorno Chef!- Fecero in coro Angie e Liz.

–  Giulia… - Aggiunse il moro con cortesia… Juliet gli dedicò un’occhiataccia e Luca si corresse immediatamente dandosi una manata sulla fronte – che sbadato… JULIET!-
Di tutta risposta ebbe soltanto un freddo, acido e severo  –Buongiorno Luca!-

–  Tutto bene?- Chiese ad alta voce e, smarrito, cercò con lo sguardo Liz e Angie ma nessuna osò replicare.
–  Va tutto benissimo, noi siamo al lavoro da più di un’ora e ce la caviamo alla grande!- Ribatté freddamente Juliet facendo cenno all’orologio appeso alla parete. 
 –  Chi non ha il senso della logistica non sarà mai un buon cuoco.- Sottolineò.
– Bene Chef. Mi scuso per il ritardo, ho avuto un imprevisto. Se hai finito mi metterei al lavoro.- Scherzò di tutta risposta il moro.
La cucina dell’Old lighthouse rimpiombò nel silenzio e le successive due ore furono interrotte unicamente dagli ordini della bionda Chef.

Juliet e Luca si trovarono a lavorare uno accanto all’altra senza interruzione. Nessuno osò più aggiungere frasi dette ad alta voce. Juliet non perse però occasione di esprimere il suo disappunto a gesti, rubandopiù utensili possibile al collega ogni qualvolta le si presentava l’occasione. Luca non perse occasione per accorgersene quindi sogghignando tra sé e sé se li riprendeva sporgendosi davanti alla Chef e sopra il suo lavoro.

Al terzo utensile recuperato Juliet assaggiò la salsa al rafano con un cucchiaio, lo sbatté sul piano di lavoro innervosita e corse nella cella frigorifera.
Con dei respiri ritmici e profondi Juliet provò a scaricare tutta la tensione addentando una mela presa da una cassetta delle scorte. Non fece in tempo a finirla poiché la porta si riaprì. Juliet indietreggiò staccando la mano appoggiata ad uno scaffale.

- Che vuoi anche qui?- Sbuffò.
- Non ho ancora capito che cosa io ti abbia fatto di male. Ti sono forse antipatico?- Replicò pacatamente lui agitandole un mestolo di legno davanti al viso.

- Quel mestolo serviva a me!- Sibilò la bionda riattaccandosi, questa volta con entrambe le mani allo scaffale voltandogli le spalle.

Juliet sentì Luca avvicinarsi e mentre le mani si appoggiarono accanto alle sue sul bordo dello scaffale, il respiro caldo dell’uomo sul collo le provocò un brivido quasi impercettibile lungo la schiena.
- Propongo una tregua Chef!- Disse Luca avvicinandosi all’orecchio della donna.

Juliet respirò profondamente e si voltò lentamente.
Rimase in silenzio guardando Luca dritto in quei “pozzi neri” che aveva al posto degli occhi per qualche istante scacciando il brivido che aveva provato poco prima.
Sbatté le palpebre e tornò in sé aggiungendo freddamente  – e va bene!-

- Benissimo!- Sorrise Luca soddisfatto incrociando le braccia al petto.
- Ora che abbiamo fatto pace ti prometto che mi sdebiterò della tua colazione invitandoti a cena… - aggiunse soddisfatto lo Chef.

- C.. cosa?- Fu la risposta irritata di Juliet già diretta verso la porta della dispensa.
- Non ci provare nemmeno…- disse mascherando un mezzo sorriso. - Piuttosto, c’è un dolce di là da finire -
- … muoversi!- Aggiunse sarcastica.





Angolo cottura



Salve, salvino!!!
Seguaci eccomi qui!!! Finalmente sono riuscita a finire questo nuovo capitolo… dopo settimane che ci giravo intorno.

Abbiamo qualche novità (che ne pensate?) e una sbirciatina nella vita quotidiana del nostro caro vicino!
Spero che vi possa piacere, giuro che erano 4 pagine di word scritte piccole piccole ed ora pubblicandolo mi sembra pure corto… C'è un aspetto "interessante" (per la storia s'intende all'interno del capitolo...a voi scoprire quale...
Attendo le vostre recensioni

Un abbraccio primaverile (finalmente!!) ovunque voi siate

A presto
Vostra
-elev

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Capitolo 8
*** Sean ***




“Le vere passioni hanno un loro istinto molto preciso.
Mettete un piatto di frutta davanti a un goloso;
non si sbaglierà, sceglierà, anche ad occhi chiusi, il frutto migliore.”


Honoré de Balzac, La cugina Betta, 1846


Sean
Erano le nove di una mattina soleggiata. La primavera stava facendo capolino finalmente dopo mesi di cieli grigi e temperature rigide.

Juliet adorava uscire presto, nei giorni liberi, per recarsi al mercato.

Scendendo la scalinata in pietra e porfido rosso di una via del centro, amava ammirare la luce calda del sole del mattino illuminare i palazzi storici che sorgevano lungo la discesa, tanto che spesso si ritrovava a camminare con lo sguardo rivolto verso l’alto verso gli ultimi piani delle case. Così facendo aveva scoperto per esempio, che gli ultimi piani di quei palazzi spesso avevano dei piccoli balconi decorati di fiori, invisibili, pur essendo lì da molto tempo, agli sguardi frettolosi  della maggior parte delle persone che ci passavano davanti tutti i giorni. Oppure che il palazzo giallo che dava sulla piccola piazza del mercato aveva un cortile interno completamente conquistato da un roseto; e che le stesse rose erano affrescate discretamente sopra la cornice di ogni finestra.

Il giallo dell’intonaco esterno rifletteva una luce dorata e calda che e a Juliet trasmetteva un senso di armonia interiore.  


La mattina trascorse in modo rilassato, tra il profumo della frutta, l’odore penetrante dei pesci appena pescati esposti in grandi vassoi di ghiaccio sulle bancarelle di legno ed  i richiami fantasiosi dei venditori.  Erano le undici passate quando Juliet ricordò la desolazione che regnava  da qualche giorno nel frigorifero di casa. Decise quindi di fermarsi per fare la spesa.

La bionda Chef si fece strada a fatica tra alcune automobili parcheggiate malamente lungo il marciapiede, maledicendole in silenzio sotto il peso della busta della spesa caricata su un braccio. Fu in quel momento che gli occhi della donna si posarono, attirati forse dal colore, su di una station wagon rossa, parcheggiata pochi passi più in là. Trasalì riconoscendo in essa una strana familiarità. “E se fosse…?” le chiese insistente una vocina interiore. Juliet provò a non darle retta scuotendo il capo e chiudendo gli occhi per qualche istante.

“Ora, con tutte le automobili rosse in circolazione non sarà proprio lui…” ripeté sottovoce come per autoconvincersi di una certezza che in effetti non aveva. Il suo cuore perse un battito, lo stomaco ebbe un sussulto  ed un brivido le attraversò la schiena quando, avvicinandosi silenziosamente, anche il proprietario dell’automobile le apparve di una famigliarità quasi sconcertante.

In un primo momento l’idea di cercare di passare inosservata cacciando la testa dietro la busta della spesa le sembrò geniale, ma poi, prima di avvicinarsi del tutto a quel tizio piegato in avanti con la testa infilata nel bagagliaio, notò che nella tasca posteriore dei pantaloni che indossava era infilato un vecchio modello di cellulare che trillava insistentemente per i fatti suoi. Pure Agnes, che non era tecnologica, l’avrebbe definito “dell’anteguerra”.

Un calore improvviso le invase le guance ora sicuramente rosee per l’imbarazzo, quando si rese conto che di fatto gli stava fissando il sedere da due minuti buoni, in piedi sul marciapiede con un sorrisetto sarcastico stampato sulle labbra. Cambiò quindi  idea giocandosi l’occasione di scherno.

Juliet si era avvicinata abbastanza da non avere più alcun dubbio sul fatto che il tizio col cellulare dell’anteguerra fosse in realtà proprio Luca, ora intento a sistemare innumerevoli casse d’olio d’oliva e di altro ben di dio mangereccio nel bagagliaio dell’automobile. Accanto ad una ruota posteriore era rimasta solamente una cassetta e Juliet si fermò proprio lì a pochi centimetri.

L’uomo, che non si era accorto della sua presenza, afferrò deciso la cassetta posata in terra con entrambe le mani ma ebbe un attimo di esitazione quando alzando lo sguardo si accorse dei due piedi infilati in due ballerine primaverili che sostavano lì accanto.
Juliet, che ora era passata a fissargli la nuca dall’alto in basso, fece un respiro e senza togliere quel sorrisetto ironico dalle labbra interruppe il silenzio:

 - Interessante…. non rispondi al telefono e fissi i piedi delle donne! Che diavolo stai facendo con tutta quella roba?! Non abbiamo nessun banchetto in vista mi pare! - Aggiunse sogghignando.

Con la cassetta a mezzaria, Luca si rialzò in piedi e con un sorriso beffardo fissandola dritto negli occhi ribatté:
- vengo a casa tua stasera per cena, ho fatto la spesa! E poi io fisso solo le donne che portano scarpe interessanti come le tue!- Ammiccò facendo cenno alle ballerine chiuse ai lati con piccoli teschi argentati.

Mentre lui la fissava sarcastico Juliet socchiuse gli occhi fulminandolo con lo sguardo e cercò di ribattere:
- non dirai sul ser….- quando fu interrotta dal rumore della busta di carta che si strappava sul fondo e dalla fragorosa e cristallina risata di Luca che ormai aveva sistemato la cassetta mancante in auto e la guardava con le braccia incrociate al petto muscoloso.

Juliet si ridestò pochi secondi dopo spostando imbarazzata lo sguardo dal pettorale di lui alle arance che rotolavano in terra fermandosi contro la ruota della station wagon ancora aperta; quindi si inginocchiò per raccogliere in fretta tutta la spesa.
Prima di poter raccogliere l’ultima arancia però, Luca si inginocchiò e con una mossa veloce gliela rubò di mano rialzandosi.

Gli sguardi si incrociarono per la seconda volta quando Juliet si rialzò da terra come una che aveva appena ritrovato la dignità perduta, ma prima che potesse replicare qualunque cosa lo trovò appoggiato- in una posa tremendamente sexy- all’automobile con sorriso innocente sulle labbra mentre, come se nulla fosse successo, sbucciava l’arancia.

- Giulia… come lo sapevi che adoro le arance? Comunque non crederai di cavartela così… per il dolce ci vuole una cosa più importante e soprattutto meno salutare!- Aggiunse alludendo alla cena e infine strizzandole l’occhio.

“Voleva deridere e fu derisa!” Pensò digrignando i denti come ogni volta quando i suoi piani non le riuscivano.
- Stupido!- Sibilò altezzosa.  - Ciao collega… - sbuffò ancora e, svoltando l’angolo senza voltarsi, giurò di avvertire ancora il suo sguardo alle spalle.


****


Juliet aveva ancora l’immagine di quel sorriso nella testa mentre risaliva gli scalini che portavano al suo appartamento, e quando si trovò a superare il pianerottolo dell’appartamento di Luca dedicò a quella porta verniciata di verde un’occhiataccia sarcastica.

Aveva già le chiavi pronte benché barcollasse sotto il peso della busta della spesa, quando si accorse della presenza di due persone. Alzò lo sguardo.

- Buongiorno! Cerca qualcuno?- Disse Juliet con sguardo interrogativo.

Una donna sulla cinquantina con i capelli grigi raccolti in una crocchia sulla nuca e la gonna al ginocchio ricambiò l’occhiata:
-Signorina Edwards? Sono qui per lui… - Rispose con sguardo severo, quindi fece un passo di lato spingendo davanti a sé un ragazzo magro, sui 17 e con la testa china.

Juliet aprì la bocca per replicare, fissando per un momento le ciocche biondo cenere del ragazzo.
- C-cosa?- Balbettò poi portandosi una ciocca di capelli dietro l’orecchio.
- Signorina Edwards, io sono dei servizi sociali, il ragazzo è stato pizzicato a rubare in un supermercato…la polizia ci ha dato le sue referenze.-
- Mi spiace… ma non capisco… che c’entro io? E sua madre?- Replicò Juliet incontrando finalmente gli occhi azzurri coperti da un velo di tristezza del ragazzo.
- pff quella… è partita… - sibilò lui serrando la mascella e stringendo i pugni nelle tasche della felpa azzurra che indossava. Le maniche gli lasciavano scoperto l’avambraccio su cui si notava un grosso tribale tatuato in nero.

- Dorothy Edwards non è sua madre?- Fece l’assistente sociale rivolgendosi a Juliet seccata…
- Dorothy Edwards… certo… ma non la vedo da anni…- replicò la bionda mentre un brivido le percorse la schiena. Sua madre! Che c’entrava sua madre ora? Non parlava con lei da anni. Almeno da quando Dorothy Edwards le aveva chiaramente riferito che il mestiere e gli studi che aveva scelto “non erano certo roba da donne” e che sicuramente lei non ce l’avrebbe fatta. “Juliet, ancora con questo capriccio….quando te ne renderai conto?! Insomma cresci, ragazza mia. Ho altro da fare che stare sempre dietro a te…” la voce di sua madre e quel rimprovero ormai risalente a parecchi anni prima - prima che lei, all’età di 17 anni, decise di andarsene veramente da quella casa - le risuonava ancora nelle testa.

- Ancora non capisco….- Fece la bionda ridestandosi

- Lei ha un fratello signorina Edwards. Sua madre è partita per l’India, lei ora è l’unica parente vicina quindi sarà affidato a lei. Veda di stargli dietro come si deve! Altrimenti farà una brutta fine. Ci vedremo tra un mese per vedere come va! - Rispose con voce ferma.

Juliet rimase sul pianerottolo di casa con le chiavi dell’appartamento in mano mentre guardava quella donna grigia scendere le scale.
Si accorse della presenza del ragazzo accanto a sé soltanto quando quello sbuffò rumorosamente.
- ok, almeno entriamo dentro.- Disse Juliet con rassegnazione aprendo la porta d’entrata.
- Bene, ora che ho scoperto di avere un fratello almeno posso sapere come ti chiami?- Aggiunse poi mentre appoggiava la spesa sulla tavola del salotto.
- Sean- ringhiò lui sottovoce

- Beh ora vediamo come posso sistemarti! C’è un piccolo studio di là accanto alla mia camera vedrò di sistemare quel locale e fartene una stanza, per  stasera devi accontentarti del divano…-
- Tanto io qui non ci rimango!- Rispose Sean trascinando una piccola borsa in tessuto – e poi – aggiunse - tu… tu non puoi dirmi cosa devo fare, non sei mia madre!- Sbraitò ancora.

- Sean!  Aspetta…-
 Ma prima che Juliet potesse finire la frase, Sean aveva già raggiunto l’ingresso e Juliet lo vide uscire dall’appartamento sbattendo la porta dietro di sé con forza.





Angolo cottura

Carissime seguaci,

rieccomi dopo una lunga, sospirata, travagliata pausa… ed ecco qui la mia ultima fatica. Devo svelarvi che per questo capitolo c’ho messo un bel po’ di tempo per mettere a posto le idee e spero che, malgrado come al solito non si vede, queste 8 pagine di word siano di vostro gradimento.

C’è un’ulteriore novità per Juliet e dire che la giornata era cominciata bene….riusciranno a combinare questa cena?!

A presto presto (spero)

Abbraccio tutte voi fedeli “recensore” ;)

-elev  

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Capitolo 9
*** Bend it like Beckham ***


Bend it like Beckham

Il cielo si stava rabbuiando quando Luca maledisse ad alta voce la busta di quelle stupide caramelle gommose che di frutta avevano soltanto il sapore, aperta sul tavolo.
- Cento ne mangerei, cosa c’è dentro vorrei sapere! - esclamò quasi esasperato, cacciandosi in bocca l’ennesima linguetta  acidula questa volta al sapore di pesca e fragola e tornando a preparare pensieroso gli ingredienti per la cena.

La vecchia radio accesa sul davanzale della cucina gracchiava il programma dei dischi su richiesta e, quando Bryan Johnson attaccò con “thunderstruck” e Luca alzò il volume,  il pacco di spaghetti si rivelò utilissimo per un improvvisato contest di air guitar da fare invidia alla migliore hard rock band del paese. Diede il meglio di sé per  i 4 minuti e 52 secondi del brano saltellando a piedi scalzi lungo il corridoio, per poi  finire in adorazione strisciando sulle ginocchia in salotto.
Alla fine, accaldato, si rialzò sogghignando, aprì la finestra del terrazzo  e, fischiettando il ritornello, si appoggiò al parapetto ammirando il crepuscolo della sera primaverile. La luce fioca di una sigaretta accesa attirò lo sguardo del giovane Chef che poco più in là, nel piazzale davanti al palazzo, notò la figura di un ragazzo, giovane per quanto si poteva intuire, che con lo sguardo basso e una mano in tasca improvvisava dei calci di rigore con una lattina.
– Ehi, Beckham! Grande goal! – lo interruppe Luca dal terrazzo al terzo calcio franco andato in porto tra i due pali di un’altalena del parco giochi.
Il ragazzo alzò lo sguardo un po’ smarrito per quella voce improvvisa, poi lo notò e fece spallucce tirando dalla sigaretta.
– Hai del talento ragazzo- aggiunse - ma se vuoi giocare sul serio quella non ti fa bene! - si raccomandò facendo cenno alla sigaretta accesa.
– Ah sì? Ma sentiamo a chi dovrebbe importare eh? E poi fatti i cazzi tuoi! – urlò, e tornò a tirare calci alla lattina.
– Va bene va bene… e che c’avete tutti oggi mamma mia! – Sbuffò semi divertito Luca alzando la mani in segno d’arresa. – Vado a farmi… “i cazzi miei” – aggiunse borbottando tra sé e sé, e rientrò in casa pronto a piombare in casa di Juliet per cena.

***

I rintocchi di una campana poco distante annunciarono che erano le 20 precise confondendosi con la sirena di una volante in servizio qualche isolato più lontano, quando una brezza tiepida entrata dalla finestra aperta sopra il lavandino, risvegliò Juliet dai suoi pensieri.
Erano trascorse quasi due ore da quando Sean era uscito sbattendo la porta e Juliet si ritrovò ancora nella stessa posizione in cui era rimasta. La mano appoggiata su di uno strofinaccio azzurro accanto al lavello si era intorpidita lentamente e le lacrime che le avevano solcato le guance ormai erano asciugate lasciandole comunque gli occhi gonfi, velati di rosso e un forte cerchio alla testa. L’ultima volta che si era sentita così era stato poco prima di uscire di casa di sua madre. Anche lei aveva sbattuto una porta. Anzi due: quella di casa di sua madre e quella del suo cuore. Si era ripromessa che nessuno avrebbe mai più potuto mortificarla in quel modo. Quei rimproveri, che ancora sentiva nella testa e che col tempo si erano affievoliti  assieme al ricordo di sua madre e ai suoi progetti ; ora, con la presenza di Sean, avevano ripreso vigore.

La stretta delle dita attorno allo strofinaccio riprese forza per un momento, quando gli occhi di Juliet, fissi nel vuoto fuori dalla finestra, si inumidirono di lacrime nuove che non persero occasione di solcarle di nuovo il viso.
Con una smorfia tirò su col naso e si passò la manica della tuta in ciniglia sulla fronte impregnandola di quello stupido dolore che era riemerso prepotente da qualche angolo recondito del suo cuore.
Il riflesso del suo viso arrossato nello specchio del corridoio la diede la certezza di avere davvero un aspetto spaventoso quando Juliet si ritrovò a vagare per l’appartamento senza uno scopo preciso. Quel silenzio le rimbombava nella testa dolente. Sbuffò  e decise che sì, una doccia rigenerante non avrebbe potuto che farle bene.

Fece per dirigersi verso il bagno quando con il piede scalzo, inavvertitamente urtò contro un’oggetto abbandonato a terra dandogli un gran calcio e facendolo finire addosso alla porta d’ingresso.  – ma che cavolo! – esclamò arrabbiata, fu in quel momento che qualcuno bussò alla porta.
– Ma si può sapere chi cazzo è che mi rompe le palle adesso cazzo?! Esclamò la Edwards furibonda accentuando la parolaccia proprio mentre girava la maniglia. – Vi siete messi d’accordo stasera? Non mi ero accorto che avessi un lato così “rude”, cara la mia scaricatrice di porto….e devo dire che non mi dispiace eh! – Sogghignò qualcuno divertito da dietro la porta e inseguito aprendola completamente. Juliet indietreggiò ancora con la mano sulla maniglia – C-cosa? L-Luca? Che ci fa qui? – balbettò poco convinta portandosi una ciocca di capelli dietro l’orecchio. – Che ci faccio? Come che ci faccio?- rispose il moro, e, facendo spallucce, entrò nell’appartamento con la cassetta di viveri in braccio; –Te l’avevo detto che sarei venuto per cena no? Io faccio sempre quello che dico e poi… questa roba pesa! Ah, e non ti scomodare “Giulia” la cucina la trovo da mé! –aggiunse.

– Sentirai che sapore, che profumo… oh, complimenti Juliet, bell’appartamento eh! – rise ad alta voce dalla cucina. Ma non ottenne risposta.
– “Giulia”…. Oh Juliet! – ripeté uscendo dalla cucina.
– Mi vuoi dire che succede? – dai scherzavo! – aggiunse con dolcezza.

Juliet strinse con più forza le braccia al petto e fissando un punto immaginario fuori dalla finestra del salotto voltando le spalle al collega, che confuso si avvicinò. Inseguito, non ottenendo risposta tranne che un singhiozzo strozzato, sfiorò la spalla alla donna che rabbrividì leggermente.
Lo aveva sentito avvicinare, il calore di quel corpo dietro la sua schiena , il tocco dolce della sua mano sulla spalla la fece sobbalzare. Juliet si sorprese nell’ammettere che la presenza di qualcuno che consolasse la sua rabbia in quel momento, non era affatto male. Rabbrividì leggermente al pensiero e si voltò incrociando gli occhi seri di Luca. – Ma che è sta faccia? Ma che è successo? – fece lui con tono preoccupato.

– Che fai piangi? –
– No! – sibilò lei.
La presa delle mani di Luca all’altezza delle spalle la trattennero dal voltarsi.
–Se n’è andato! – singhiozzò la bionda fissando le mani dell’uomo che le stringevano delicatamente le braccia.
– Chi? –
– Mio fratello! – Sbuffò lei guardando furtivamente negli occhi. – Che cosa? Da quando? – balbettò lui sorpreso. – L’ho scoperto oggi – fece sconsolata. – Dai, tornerà. Quella è la sua roba vero? – accennò con la mano alla borsa abbandonata in terra.
Juliet annuì abbassando tristemente il volto.

– Ohhh forza! Dai mi metto ai fornelli! Il cibo fa miracoli, sentirai che roba! – fece lui scuotendola leggermente, e, abbassando il viso verso la testa china di Juliet cercò di riagganciare il contatto visivo.
– Ma proprio non lo capisci quando non è il momento vero? –  Sbraitò Juliet scansandosi dalla presa.
– Perché? Che ho detto di male? –  Replicò con tono finto-offeso
– Tu e le tue battute! Ma pensi davvero che sia sempre tutto divertente? –
– Ma la cena? –
– Un’ altra volta… se ci sarà! –  Sbuffò. – E ora vai! Lasciami in pace–  insisté spingendolo verso l’uscita.

Juliet sbatté la porta con forza e, appoggiandovisi contro con la schiena, scivolò a terra sbuffando con le mani tra i capelli.
Cacciarlo via, quell’uomo insistente, sì era la cosa migliore da fare. Rifugiarsi nel solito guscio. Sì avrebbe fatto così. I pensieri disfattisti di Juliet furono interrotti dal suono insistente del citofono per la seconda volta.
Luca fissava la porta chiusa dell’appartamento di Juliet scuotendo il capo. Per un momento fece per andarsene ma poi,  con convinzione premette il campanello per la seconda volta.

Juliet aprì la porta con rassegnazione e ricacciandosi in gola gli insulti che avrebbe voluto sputare contro chiunque l’avesse ancora disturbata. Aprì la bocca lo stesso per replicare una qualunque scusa ma prima che uscisse qualunque cosa fu travolta da una ben nota voce maschile che, percorrendo velocemente il  tinello fino alla cucina,  le ordinava – No, Giulia non tenterai di cacciarmi di nuovo, ora vatti a sedere e preparati… se famo du spaghi ! –
– C… cosa?
–  Spaghetti! –  Sorrise trionfale appoggiandosi allo stipite dell’ingresso della cucina.
– Ma io non… la tavola…. –  indicò il tavolo spoglio – non è apparecchiata e… –
– Non mi interessa, faccio tutto io! Non ti intromettere… donna! – rise fragorosamente riempiendo un pentolone d’acqua.

Juliet si abbandonò rassegnata nella sua poltrona preferita e, sospirando, chiuse gli occhi. Passò un quarto d’ora quando un delizioso profumo di pomodoro e basilico invase il locale accompagnato da un allegro fischiettare.
Quando la chef riaprì gli occhi sul tavolo sostavano due calici ricolmi di vino rosso e due piatti di pasta fumavano in attesa di essere assaporati.
Si incantò su quella tavola così invitante e si sorprese quando pensò che Luca avesse proprio ragione nel sostenere che a volte il cibo poteva veramente fare miracoli.
Abbozzò un mezzo sorriso appoggiando la testa al lato della poltrona.
– ahaaa beccata! – il dito indice di Luca le indicava chiaramente l’angolo del labbro che si era appena incurvato. Juliet gli rivolse uno sguardo interrogativo ma non disse nulla.
– Beccata! T’ho visto: hai sorriso! – festeggiò danzando per la stanza. – Adesso vieni  se magna!! –
–  Sei sempre così? –  Chiese Juliet scuotendo la testa
– Solo con chi apprezza la pasta! – scherzò Luca.

Erano passate due ore da quando i piatti avevano preso il loro posto sulla tavola e Juliet con i pensieri annebbiati vuoi per il dispiacere, e anche sì, per il vino uscì sul terrazzo e stringendosi in una pashmina colorata, si sedette sulla panca e chiuse gli occhi inspirando l’odore di quella notte che si affacciava all’estate.
– Ridi di me? –  fu la voce che la interruppe.
– Non sto ridendo –  replicò – quanto abbiamo bevuto? –
–  “Anni e bicchieri de vino nun se contano mai!” –  rispose Luca affacciandosi al terrazzo.
– Che saggezza è mai questa?
– Mia nonna me lo diceva sempre! – fece Luca fissando il cielo stellato.
– Mi ha insegnato tutto. Finché ha chiuso la sua osteria sul Lungotevere. Poi sono venuto qui.-

– Da Tony? Ma non vi conoscevate da bambini? – Juliet si sdraiò sul morbido cuscino della panca.
–  Certo. Tony è mio cugino…. – che è t’è venuta la parlantina? –
Si voltò avvicinandosi alla donna, e quando fu sufficientemente vicino si soffermò per un attimo sulle sue labbra rosee e mormorò – buona notte Giulia... –  
Ma Juliet si era già addormentata.



Angolo cottura:
Ehilàaaaa!
Dopo un mese e cinque giorni di assenza rieccomi qui: ELEV IS BACK!
C’è chi ora si metterà le mani nei capelli e urlerà disperato ma tant’è ve lo dovevo…. E spero di non avervi deluso!
Perdonatemi per l’assenza (se potete) sono stata letteralmente assorbita da un periodo super mega frenetico che mi ha tolto pazienza, ispirazione e tempo per scrivere… e ne sto riemergendo pian pianino solo ora! In questo capitolo, sembra di no e sembra pure corto, ma sono successe un  mucchio di cose e abbiamo scoperto anche qualcosa della storia del nostro Chef preferito. Fatemi sapere che ne pensate o se devo darmi all’ippica col cavallo a dondolo…
Grazie a tutte voi, fedelissime: Angelica Sofia, Calliope_25, Antos1991, Novalis, Serpentina e Bijouttina che mi lasciate sempre un commento e anche a tutte/i voi altre/i che avete messo la storia nelle seguite.
Passerò a spammare anche l’aggiornamento sulla mia pagina fb.
Un abbraccio a tutti -elev

 

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Capitolo 10
*** Silver and Gold ***


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Silver and Gold
 
Ogni notte esige il proprio menù.
Honoré De Balzac
 
- 10 -
 
Juliet strizzò gli occhi per abituarli piano alla luce tenue dell’alba.
Una fitta lancinante alla testa le provocò una leggera smorfia sul viso assonnato.  – Oddio ma che ore sono? –  farfugliò guardandosi attorno. Inseguito, rendendosi conto di trovarsi sul terrazzo di casa distesa su una scomoda panca in legno, rabbrividì portandosi una mano tra i capelli spettinati.
Juliet si alzò da quel letto degno di un fachiro stirandosi la schiena. Barcollando, si affacciò al balcone riempiendosi i polmoni di quell’aria frizzante delle prime ore del mattino e ammirando il panorama sui tetti del quartiere. Staccandosi dal parapetto urtò il tavolino dietro di sé facendo tintinnare due bicchieri uno contro l’altro e una bottiglia di vino vuota rotolò in un angolo del terrazzo. La serata trascorsa le tornò alla mente: la situazione con Sean, il fatto che non sapesse nemmeno dove fosse, lo sconforto in cui si era gettata prima che Luca bussasse allegramente alla sua porta e infine la cena e la chiacchierata sul terrazzo. Sospirò massaggiandosi le tempie doloranti e pensò che effettivamente era passato diverso tempo dall’ultima volta che aveva riso e non aveva avuto dei pensieri a pesarle sul cuore, o meglio, che la presenza di qualcuno di esterno glieli avesse fatti dimenticare per un attimo e così velocemente. A dirla tutta era passato un bel po’ di tempo anche dall’ultima volta che aveva organizzato una cena con qualcuno. Poi che qualcuno l’organizzasse per lei, no, questo proprio non le era ancora successo. Sospirò di nuovo e sorrise tra sé e sé scuotendo la testa come per scacciare quel pensiero, poi varcò la soglia dell’appartamento pronta a concedersi almeno una doccia. Fece per scostare la tenda della porta finestra quando lo sguardo si posò sul divano e su un braccio che appoggiato sul bordo, pendeva radente il  pavimento. Il cuore prese a batterle velocemente: c’era qualcosa, o meglio, c’era qualcuno! Represse l’urlo che le sarebbe uscito per lo spavento tappandosi la bocca con entrambe le mani e si avvicinò cautamente. Scoprì poi che il braccio ovviamente aveva anche un corpo e che quel corpo apparteneva ad un ragazzo profondamente addormentato a pancia in giù, vestito unicamente con un paio di boxer azzurri, sul divano.  Finalmente il suo cuore, che poco prima, per il ritmo con cui aveva preso a battere, somigliava più al batterista dei metallica, poté continuare a battere normalmente. Juliet tirò un sospiro di sollievo. Inizialmente rimase in piedi a fissarlo serrando con rabbia la mascella per tutta la preoccupazione che aveva provato per colpa sua, poi si accovacciò per scostargli una ciocca di quei capelli biondo cenere dalla fronte ma desisté e si soffermò sul viso. Aveva un’espressione seria ma angelica, sembrava quasi in pace con sé stesso, come se la rabbia che si rivelava nei suoi occhi quand’era sveglio non fosse mai esistita o fosse sparita come per magia.
Sì.
Sean, forse, era tornato a casa.
Recuperò un plaid dalla sua stanza e lo coprì senza che lui si svegliasse e, prima di ritirarsi in bagno, s’imbatté per la seconda volta nella borsa del fratello abbandonata a terra.
Juliet socchiuse gli occhi e la fissò con sguardo speranzoso, come se da un momento all’altro avesse ottenuto da essa  tutte le risposte che cercava, oppure come se, aprendola, ne sarebbe uscito il genio della lampada pronto ad esaudire ogni suo desidero. Si rimproverò per un momento di aver pensato di poterla aprire, poi cedette alla tentazione cosciente di non averne propriamente il diritto. Trovò soltanto una t-shirt sgualcita, un quaderno di schizzi a  matita, un pacchetto di sigarette cominciato e una copia del  booklet  di “rattle and hum”, album di una famosa rock band irlandese. Juliet lo sfogliò incuriosita e per un momento le sembrò di aver fatto una scoperta fondamentale. Gli scarabocchi e le sottolineature che si alternavano ai primi piani su fondo nero di un allora poco meno che trent’enne Bono Vox, al suo interno, sembravano evidenziare l’importanza di alcuni versi.
Forse Sean davvero era ancora alla ricerca di “ciò che non aveva ancora trovato…”*.
Riordinò silenziosamente la tracolla posandola accanto al divano e poco dopo una pioggia tiepida le sfiorò il corpo annebbiando il vetro dello specchio del bagno.

***
Quella notte era speciale, le temperature di quell’ultima settimana si erano alzate improvvisamente e Luca si scostò i capelli dalla fronte godendo di quell’unica leggera brezza che s’infiltrava dalla finestra gonfiando leggermente le tende. In effetti – pensò – anche quella serata era stata speciale. Aveva lasciato Juliet addormentarsi sul terrazzo mentre riordinava la cucina che, dopo quella cena improvvisata, somigliava più ad un campo di battaglia. Pensò alla faccia tosta che aveva avuto con lei, a sua nonna e agli insegnamenti indelebili che gli aveva trasmesso per la sua professione, pensò cosa avrebbe detto se solo avesse potuto vederlo in questo momento e per istante gli sembrò di essere ancora in quel locale dove una sciarpa-  rigorosamente gialla e rossa- era appesa come il ritratto di una divinità sulla parete pronta ad avvertire chiunque entrasse che lì non c’era da scherzare, a Juliet e al fatto che vederla cedere alla spensieratezza era davvero una bella soddisfazione.
Sì, era stato speciale o forse era il caldo di quella sera che gli stava facendo uno strano effetto.
Ripose l’ultimo piatto nella lavastoviglie ritrovandosi poi a ciondolare in silenzio per l’appartamento agitando le braccia avanti e indietro senza una meta precisa, poi sprofondò sul divano abbandonando la testa sul bordo dello schienale fissando il soffitto e sbuffando leggermente. Avrebbe potuto fermarsi a dormire. Come sarebbe stato ritrovarsi faccia a faccia con Juliet la mattina dopo per colazione? Con quest’immagine in testa sorrise dolcemente tra sé e sé dandosi del cretino per averlo solo pensato. Come avrebbe potuto permettersi di farlo veramente? Era l’ una passata e probabilmente era colpa della stanchezza. Luca staccò svogliatamente le mani che finora erano incrociate comodamente dietro la nuca e le posò sulle ginocchia come per aiutarsi ad alzarsi da quel comodo giaciglio.
In silenzio percorse il salotto e si affacciò dalla finestra sul terrazzo.
Juliet era addormentata profondamente. Tossicchiò piano come per dare un senso alla sua presenza, le aggiustò la coperta sulle spalle e uscì dall’appartamento.

***
Juliet uscì dalla doccia in una nuvola di vapore fissando le occhiaie che le segnavano il viso allo specchio del bagno. Imprecò silenziosamente contro di esse poi afferrò lo spazzolino da denti e con una dose esagerata di dentifricio cominciò a spazzolare aggirandosi nervosamente per l’appartamento senza una meta precisa.
Si bloccò poco dopo quando notò che il divano era vuoto e che, dal rumore che proveniva dalla cucina, qualcuno stava rovesciando dei cereali.
-Sean!? - strillò con la bocca piena di schiuma affacciandosi alla porta.
Interrotto da quel saluto improvviso, Sean alzò lo sguardo dalla scodella dei cereali e con il cucchiaio in mano la fissò.
- Buon giorno eh… Non ti ho sentito rientrare… - aggiunse tornando al lavabo per risciacquare
- C’è un orario anche per rientrare adesso? - Ringhiò cacciandosi in bocca una cucchiaiata di cereali. – Sei mia sorella non mia madre! – Aggiunse ironico con la bocca piena.
- Davvero ti sto così antipatica?! – Replicò con un velo di amarezza – E che cavolo! Hai diciassette anni per la miseria, e che ti piaccia o no, sono responsabile di te fino a prova contraria! – esclamò inviperita. - Comunque io devo uscire, e anche tu di sicuro avrai qualcosa da fare … - aggiunse poi agitando una mano.
- Tipo? E comunque dovresti già saperlo visto che qui dentro è tutto programmato – rispose acido
- Tipo andare a scuola! – tuonò la sorella stizzita ed esasperata.
Sean fece spallucce sogghignando mentre Juliet, afferrata la borsa, uscì di casa sbattendo la porta.

***
- Con tutta la scelta che c’era proprio lui mi doveva capitare… piagnucolò Tea sottovoce, e, ignorando le spiegazioni del professore, si aggrappò al braccio di Stacey che le sedeva accanto. La ragazza scosse la folta chioma di ricci rossi inarcando un sopracciglio – in realtà poteva anche andarti peggio! -Replicò poi, facendo un cenno con la testa a quel loro compagno sudaticcio e brufoloso.
Tea rispose con una smorfia, gli occhi sostarono per un attimo su quel tizio per poi ri-incollarsi sulla mandibola di quel nuovo compagno interessante che sedeva poco distante.
- Ma se gli stai facendo i raggi X da quando è entrato… se continui così più prima che poi sarai costretta a venire a scuola con il maglione a collo alto per mascherare degli imbarazzanti segni rossi sul collo, senza dimenticare che mi consumerai tutto il correttore, che dovrai raccontarmi tutti i dettagli bollenti e…  - Che cooosa? Sibilò arrossendo. - Piantala “Stay”! - Rispose con piantandole una gomitata nelle costole.
- White e Anderson! Avete qualche particolare interessante da aggiungere alle mie spiegazioni?  La voce stridula del Signor Mallow interruppe le due ragazze.
- No… certocheno Signor Marsh – soffocò una risata – S-Signor Mallow! – balbettò la rossa.
- Marshmallow… - non ci posso credere lo stavi facendo veramente? - Ridacchiò Tea nascondendo il viso dietro al libro di chimica. Il Signor Mallow (o Marshmallow come Tea e Stay l’avevano soprannominato) decise di riprendere l’esercitazione a coppie, e la classe si alzò rumorosamente dalle sedie per avvicinarsi al banco del proprio “compagno di laboratorio”.
- Compagno-di-laboratorio-bollente a ore dieci! - Aggiunse la White a denti stretti prima di allontanarsi da Tea lasciandola con un leggero rossore in viso. - Tu sei matta! – Mimò Tea con le labbra.
- E lei Signorina Anderson? Le conviene ascoltare le spiegazioni a meno che lei non abbia intenzione di provocare un incendio, o peggio, un esplosione e magari… rimanerne vittima – ribadì acidamente con una nota di sarcasmo, il docente.
- Certo…. La vorrei proprio sperimentare questa esplosione - mormorò senza farsi sentire, per poi  replicare - No certo che no Signore… -.
- Anche io- fu la risposta.
Tea voltò verso quella voce e si ritrovò faccia a faccia con il “compagnodilaboratoriobollente”, per un momento rimase interdetta poi tornò in sé e rispose secca – e tu che t’impicci? – mascherando un leggero imbarazzo con una risatina.
- Non m’impiccio è solo che non ho intenzione di giocare al “piccolo chimico” con una come te – rispose il ragazzo con un sorrisetto storto sulle labbra.
Tea aprì la bocca ed inizialmente non ne uscì nessun suono, poi, stizzita rispose – Omioddio, che razza di pervertito… sei uno di quelli, certo! – Poi aggiunse – comunque sappi non sono una di “quelle” che non vedono l’ora di “giocare al piccolo chirurgo” – protestò Tea offesa – e poi, per curiosità, perché? Che ho che non va? – aggiunse  – Non sarà per i miei capelli vero? Che avete tutti contro i miei capelli?.
 – Guardati te… hai un braccio peggio di un pacco postale pieno di timbri – rise soddisfatta alludendo al tatuaggio che spuntava dalla manica. Poi finalmente poté tornare a respirare.
Il ragazzo la fissava in silenzio stravaccato sul banco con la testa appoggiata sulla mano destra, poi alzò un sopracciglio, roteò gli occhi con esasperazione e fece per ribattere ma fu interrotto dalla voce dell’insegnante che li richiamò all’ordine picchiettando odiosamente l’unghia sul quadrante dell’orologio:
- Anderson e Edwards! Vi consiglio di cominciare il lavoro se non volete essere bocciati. -
Il brusio di tutta la classe si fermò e Tea si trovò quindici paia di occhi puntati addosso, quindici più quelli odiosi dell’insegnante che la fissava lanciandole una delle sue maledizioni.
- Non hai intenzione di collaborare vero? - Sibilò poi la ragazza e, mescolando nervosamente la sostanza nel bicchiere di vetro, roteò gli occhi rivolgendosi a Sean.
- Tu parli troppo! – Fu la risposta
- E tu sei un maleducato, scorbutico e scortese e… – ribatté lei cercando lo sguardo di Stay tra gli studenti.
La lezione proseguì in silenzio, Tea portò a termine l’esperimento senza le conseguenze letali ipotizzate dal Signor Mallow e quando finalmente la campanella segnalò la fine delle lezioni Tea si precipitò fuori dalla classe cercando Stay tra la folla, che si accalcava attorno agli armadietti.
Tea spalancò con foga l’armadio cacciandoci dentro la testa alla ricerca del libro per il corso di letteratura. – fisica, matematica,… “dannata” notte di mezz’estate dove sei… - borbottò. Fu in quel momento che la ragazza, frugando tra le dispense accatastate disordinatamente sul ripiano in metallo dell’armadietto, si imbatté in un foglio di carta a quadretti piegato in due incastrato tra la “Notte di mezz’estate” e “Romeo e Giulietta”. Tea si girò su sé stessa con il foglio in mano alla ricerca di un colpevole da insultare ma, apparentemente, nessuno tra la folla che si riversava nel corridoio sembrava essere il sospetto. Afferrò quel pezzo di carta stropicciato che nel frattempo era caduto in terra, lo aprì dubbiosa, e lesse: “grazie per non avermi fatto esplodere…comunque parli troppo!”
Rimase interdetta per un attimo, con un nodo alla gola. Un puntino fermo in mezzo alla calca, poi fu raggiunta da Stay, che aggrappandosi al suo braccio la trascinò con foga verso l’uscita dell’edificio ridendo – Allora? Su com’è andata? Voglio sapere tutti i dettagli!!-
- Tesoro, guarda che non è che ogni volta che hai a che fare con un esemplare di genere maschile devi per forza combinarci qualcosa!- Ansimò Tea inarcando un sopracciglio.
- “esemplare di genere maschile” eh – rise la White mimando le virgolette - non fare tanto la professoressa che tanto ho visto come lo guardavi! –
- Ah sì? E come lo guardavo? Sentiamo? Quello è solo un antipatico, scorbutico e pervertito! Ha criticato i miei capelli e… (oltre che lasciarmi bigliettini anonimi – pensò in silenzio)
- Antipatico e scorbutico eh? Secondo i sondaggi chi si attacca ai “difetti” per parlare di qualcuno maschera un interesse… - trillò Stay - Dimmi che ti interessa… ti prego… ho già in mente un piano e…-
- Usciamo di qui, presto, prima che la tua tempesta ormonale ci risucchi tutti quanti – scherzò Tea aggrappandosi al braccio dell’amica.
- Cos’è quella smorfia – aggiunse inseguito squadrando l’amica con la coda dell’occhio.
- No… è che pensavo che se fossimo risucchiati tutti quanti improvvisamente… ci sarebbe anche il Signor Mallow e… credo che non potrei sopravvivere – rispose continuando a ridacchiare. Non riusciva a smettere, il suo stomaco cominciò a farle male e le lacrime le bruciavano gli occhi. Voleva fermarsi. Ma non riusciva.
- Credimi, dovresti farti vedere da uno bravo! - Concluse Tea di tutta risposta, guadagnandosi una gomitata nelle costole.
 
Tea era solita cercare di concludere i discorsi imbarazzanti dell’amica prima che prendessero una direzione “pericolosa” per così dire. Aveva tutta una lista di argomenti “estintore” costantemente aggiornata per tenere il passo di Stay. Questa volta però, si era trovata impreparata e il classico argomento “spegni-bollore” non era stato immediatamente a sua disposizione, anzi, probabilmente la lista stessa era rimasta vittima di un incendio.
Bruciata.
Morta.
Carbonizzata.
 
***
- Permesso… ? – una voce maschile interruppe il chiacchiericcio delle due donne nel guardaroba.
- Sono arrivate, sono arrivate! Urlò Angie precipitandosi eccitata fuori dalla porta, lasciando Liz a bocca aperta sullo stipite.
- Angie, mi vuoi dire che succede? Replicò poco dopo. Ma la giovane cameriera era già impegnata a civettare con il fattorino, che, con il carrello di scatoloni  in bilico su una gamba ricambiava a monosillabi le domande della ragazza.
- Mi dovreste firmare questo…forse dovrebbe farlo il suo aehm il tuo capo e… – aggiunse il giovane con tono contrariato, ma non fece in tempo a finire la frase poiché Angie trillò - firmo io, firmo io… strappandogli di mano il bollettino di consegna, e firmandolo in modo molto o quasi troppo leggibile “A-n-g-e-l-a O’C-o-n-n-e-l-l” senza smettere di fissarlo.
- Bisogno altro? – sbuffò il giovane imbarazzato dal silenzio che si era creato nel frattempo, cacciandosi la copia firmata nel taschino della tuta.
- Ah, sì in realtà c’era qualcosa… Oh il tuo numero magari! - Stuzzicò la ragazza arrossendo.
-  Ehm i-io dovrei… - arrossì lui facendo un cenno al furgone parcheggiato in mezzo alla strada.
- A presto! – Lo salutò lei guardandolo riprendere il posto di guida.
- La devi finire! Così lo spaventi! – Liz ridacchiò dietro le spalle della collega – ora mi spieghi cos’è tutto questo chiasso?
- Le nuove carte menu! – s’illuminò Angie.
- Belllllleeee! Vedere, vedere…. – esclamò Liz ammirando il cordoncino dorato e il cartoncino goffrato su cui erano elencati dei veri e propri manicaretti che facevano venire l’acquolina in bocca alle dieci di mattina – certo che Luca ha fatto proprio un restyling – trillò poi piena di ammirazione mista ad un’espressione stupita della serie “davvero-noi-cuciniamo-queste-cose?”.
- È arrivato babbo natale? – una voce allegra interruppe l’idillio delle due ragazze.
- Oh, buon giorno Luca – lo salutarono in coro – sono arrivate le nuove carte menu! Geniale, inserire tutti questi piatti nuovi – pigolò Angie
- Qualcuno qui dovrà insegnarmi molti trucchi – replicò Liz sorridendo
- Non ti preoccupare “Elisabetta” sicuramente sarai all’altezza – ridacchiò Luca facendole l’occhiolino. – Alcuni di questi piatti sono segreti di famiglia tramandati da mia nonna sul letto di morte,…. – precisò poi con un velo di malinconia.
-Oddio, mi dispiace… mormorò Liz sinceramente dispiaciuta.
- Scusami, ma tua nonna non era viva e vegeta? Come puoi scherzare su queste cose?! – Sbottò Juliet varcando la soglia del locale.
- Cosa sono queste? – Chi ha aggiunto questi piatti senza dirmi nulla? – Urlò inseguito inarcando un sopracciglio.
- Dai Chef, credimi sono tutte bontà divine – anche se la nonna è viva e vegeta, sono veramente segreti di famiglia! Il cibo fa miracoli ricordi? – Aggiunse sorridendo sinceramente al pensiero della sera prima.
- C-cosa? – Juliet abbassò lo sguardo arrossendo
– Sei proprio un cafone! – sibilò ironica dirigendosi verso la cucina urtandogli una spalla.
– Ehi! Questo linguaggio non è adatto ad un ristorante del nostro livello! – la canzonò lui con voce aristocratica seguendola in cucina.
– Smettila o ti declasso a lavapiatti!
Liz e Angie si guardarono per un istante inarcando un sopracciglio una e aggrottando la fronte l’altra, poi scoppiarono a ridere e contemporaneamente esclamarono
 – Quei due non la raccontano giusta!

 
 
 
* esplicito riferimento alla canzone “I still haven’t found what i’m looking for” (in realtà singolo dell’album successivo a quello citato in questo capitolo: ovvero “The Joshua Tree, 1987), presente comunque nell’album “rattle&hum” in versione Live.
Nel film Rattle and Hum, questo brano viene suonato in una versione gospel. La parte iniziale vede il contributo unicamente di Bono e The Edge, successivamente subentra il resto della band e il coro gospel. Nella parte finale il coro gospel, accompagnato da due solisti, diventano gli unici protagonisti del brano. Il brano è girato in bianco e nero dentro una chiesa di Harlem a New York.
(fonte Wikipedia e conoscenze in materia U2ica della scrivente)
 
Note (o mea culpa)
Tadaaaaaaaa….(si suggerisce alla platea di prepararsi al lancio dei pomodori) !
 Si sono ancora viva! Quindi scappate finché siete in tempo.
Prima di tutto chiedo scusa (anzi mi cospargo il capo di cenere) per il mega ritardo con cui pubblico questo (misero in realtà… visto che il concetto di lunghezza per certe super autrici non è certo uguale al mio…) capitolo! Sappiate che mi sento parecchio in colpa poiché oltre a non essere del tutto convinta di ciò che ho scritto, sono pure in ritardo da mesi…
Se siete arrivate vive fino qui può darsi che leggerete queste righe e sappiate che ce l’ho messa tutta (con l’aiuto dell’ipnosi di un certo mago può darsi che fra un anno e mezzo riuscirò ad andare avanti…. @_@), oltre a tutti i sospesi urgenti sul lavoro, passo le mie giornate con il rumore di un trapano per la demolizione di un ascensore sopra la testa, questo per otto ore… quindi se ho scritto delle castronerie pesanti perdonatemi ;)
Non faccio altri commenti…. Quelli li lascio a voi se vorrete farli….
Un abbraccio fraterno a tutte le mie seguaci
-elev-

 

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Capitolo 11
*** Trash, trampoline and the party girl ***


- 11 -
Trash, Trampoline And The Party Girl

 

La giovinezza sta nel provare ogni giorno le proprie idee e passioni contro la realtà, per vedere se tagliano.
Ugo Ojetti



 
- Anche quel segno rosso che hai sul collo è un ricordo dell’ultimo quarto di finale dei mondiali? - Ridacchiò Tea fissando il collo dell’amica attraverso lo specchio del bagno.
Stay aveva cercato di sviare l’argomento illustrando a Tea i risultati dell’ultimo sondaggio apparso su Vanity Fair, secondo il quale la metà delle donne che si allontanano dal tavolo con la scusa di rinfrescare il trucco, al bagno delle signore non ci va per quel motivo ma per spettegolare sulla gnoccaggine dell’amico sconosciuto degli amici in comune, che proprio quella sera non aveva avuto null’altro da fare che auto invitarsi a cena, o al bar, o…
I vispi occhi di Tea però si erano subito insospettiti e quindi, l’aveva scoperta immediatamente. Sebbene avesse motivazioni pressoché “comuni” in quel momento per frequentare il bagno delle signore.

 - Festeggiamenti….mondiali giù al pub – ammiccò l’altra!
- Cosa? Ecco dove ti eri cacciata ieri sera! Ti avrò lasciato mille messaggi ma vedo che hai avuto ben altra occupazione… e menomale che il risultato si è fermato al tre a due…. –
- Già! Non oso immaginare cosa sarebbe successo se si fosse vinto cinque a zero! – Rispose Stay cercando di rimanere seria. Ma, non riuscendoci, scoppiò in una fragorosa risata.
- A dire il vero dopo la quinta birra il poverino mi si è addormentato sulla spalla con la bavetta spontanea – aggiunse con una smorfia schifata.
- Ecco perché ti concentri a cercare in tutti i modi di trovarmi l’uomo ideale – rise Tea
- Oh insomma, trovatemelo voi un fidanzato no!? – Sbuffò quell’altra, e prima di spingere l’amica fuori dal bagno aggiunse  – certo che anche tu, se vai al pub…il massimo a cui puoi ambire è  uomo + pinta di birra in confezione risparmio! – sospirò Tea appoggiandosi alla porta spalancata. – Interessante… dici che saranno legati assieme col cellophane? – Rise Stay

-Ehi, voi due?! – Una voce stridula interruppe le risate delle due ragazze. Nancy,  alias “mi rifaccio il naso e anche tutto il resto quando mi pare e piace”, si era avvicinata sculettando e lasciando dietro di sé una scia pesante di profumo. – Non ci verrete mica così alla festa vero? – squittì indicando il maglione di Stay.
- Perché? Che hanno i nostri vestiti? – Insisté la White socchiudendo gli occhi con aria provocatoria.
Nancy squadrò disgustata  i vestiti “normali” delle due ragazze prima di aggiungere – nel negozio di mia madre fanno i saldi… magari trovate qualcosa che si possa adattare a voi. Anche se ne dubito, si sa, la classe non ce l’hanno tutti. Di certo non posso sfigurare per colpa vostra! – Girò i tacchi e continuò sculettando lungo il corridoio, salutando Ted, il capitano tutto muscoli e poco cervello della squadra di football del liceo, seguita dalle sue fedeli  “diventare-come-Nancy-è-il mio-obiettivo-della-vita” e una scia di “bava spontanea” di tutti i ragazzi della scuola.
- Stronza! -  bofonchiò la White. – Dai Stay lascia perdere – la rincuorò Tea prendendola sottobraccio.

****

Tea afferrò il borsone della palestra che aveva riempito freneticamente qualche istante prima, poi, senza dire altro, uscì di casa sbattendo la porta.
Per una volta che aveva cercato la “via del dialogo”(quella che sua madre andava predicando da una vita), non aveva funzionato. Tea aveva cercato di dissuaderla dal fatto che si era convinta frequentasse cattive compagnie, o che peggio, si era messa a bere, fumare o… . Tutto soltanto perché era rientrata troppo tardi, il giorno prima da una sessione di studio/pizza party a casa White e quel pomeriggio per la missione “cercare abito per festa” – festa per la quale sua madre aveva espresso vari apprezzamenti urlando per casa cosa avesse mai fatto di male per avere una figlia così- con Stay.

Stupida festa.  Quella stupida festa alla vecchia fabbrica in disuso. Si era fatta convincere da Stay a cogliere la palla al balzo per “cercare un uomo in un posto diverso”. – Me l’hai detto tu che devo frequentare altri posti, oltre al pub! – aveva puntualizzato l’amica prima di salire sullo scooter diretta al luogo della festa.
Poco dopo, dando ragione ai sospetti di Tea,  Stay era scomparsa tra la folla puntando un “candidato papabile” che danzava sensualmente accanto a lei, prima di trascinarla su un divanetto pronto per approfondire la conoscenza.

La ragazza si trovò sola al bancone del bar sorseggiando l’ennesima patetica bibita analcolica, finché una mano calda si posò sulla spalla lasciata nuda dalla scollatura del vestito.  Un ragazzo alto e muscoloso le rivolse un sorriso ammiccante – Ehi bellezza, che ne diresti di cambiare bevanda? – Disse porgendole un bicchiere dal doppio spessore che emanava una luce fluorescente.
Tea sorrise forzatamente ma forse, per non dare la soddisfazione a Stay, afferrò il bicchiere urlando un grazie nell’orecchio del tizio.

Il cocktail sapeva di fragola, era dolce, e quando Tea barcollò leggermente contro il bancone, il ragazzo sogghignò ed esclamò – la prima volta eh? Che ne pensi di uscire? Potremmo prendere un po’ d’aria e potresti lasciarti un po’ andare…- sfiorandole la guancia con il dorso della mano.
- P-per chi mi hai presa? Sta lontano da me! Capito? – ribatté Tea tenendosi la testa.
- Dai piccola, rilassati…
- Ha detto di starle lontano, hai problemi di udito amico? – lo interruppe un’altra voce maschile
- E tu che vuoi ancora? – mister muscolo si era avvicinato a quella figura esile che aveva osato intromettersi e lo fissava minaccioso.
All’improvviso la musica si fece ovattata e le orecchie di Tea cominciarono a fischiare. Sbatté le palpebre più volte per riprendersi, aprì una, due volte la bocca ma non ne uscì nemmeno un suono.

Gli occhi di Sean si posarono su di lei per qualche istante e con voce truce le ordinò: - Tu… vattene!
Tea corse fuori dalla fabbrica, l’aria fresca le bruciò nei polmoni. -Sean! – pensò ed iniziò a correre.
Corse finché credette di morire.
Corse finché, facendo le scale a due a due, si ritrovò davanti alla casa di Luca. Frugò sotto lo zerbino e con la chiave aprì la porta, la richiuse dietro di sé e ricominciò a respirare.

Tea fu felice di notare che la casa era vuota. Luca, probabilmente era al lavoro. Che avrebbe detto stavolta? Sicuramente la scusa –la-chiave-di-scorta-è –sempre-sotto-lo-zerbino- non sarebbe bastata. Ma Luca, Tea ne era certa, avrebbe capito. Nel frattempo si sarebbe inventata qualche cosa.
Con questo pensiero si buttò sul divano affondando il viso in un cuscino. Aveva quasi preso sonno quando un rumore alla porta d’ingresso attirò la sua attenzione, allarmandola.
Tea, si alzò di fretta, ritrovandosi in mezzo al salotto. Spense la luce e arraffò un cuscino come se fosse un arma convincente contro un eventuale intruso.
Con il cuore in gola, si avvicinò alla porta ma il rumore finì in un leggero lamento.
La ragazza guardò dallo spioncino ma non vide nulla, perciò, socchiuse lentamente la porta che, nell’aprirsi fece perdere l’equilibrio ad un corpo che si accasciò a terra.

Tea riconobbe una certa familiarità in quel braccio tatuato, spalancò la porta e si coprì la bocca con le mani esclamando -Oddio! Sean?! Ma che ti hanno fatto?
Il viso tumefatto, livido e sanguinante del ragazzo non gli impedirono di rispondere sogghignando – sei sparita… posso entrare?
Tea lo aiutò ad alzarsi abbracciandolo alla vita – chi ti ha ridotto così? Il tizio della festa vero? Che ci fai qui?- Gli chiese mentre lo faceva accomodare sul divano.
- Stai lontana da certa gente ok? – Rispose Sean mentre lei frugava nel freezer alla ricerca di una busta di ghiaccio. - Mia sorella abita qui di fronte ma ho perso le chiavi e lei è al lavoro… come al solito… - borbottò. – E tu invece?-
- T-tua sorella?- balbettò, poi aggiunse - Luca è un mio amico, sono scappata di casa poi dalla festa… et voilà! – rispose sedendosi accanto a lui sul divano. E tamponando il livido con il ghiaccio.
- Grazie – sorrise leggermente il ragazzo
- Grazie a te che mi hai difesa… - sussurrò Tea.

- Ehi ehi, vacci piano…ci sei capitata in mezzo, avevamo dei conti in sospeso – precisò poi.
- Sì certo, e tu i conti li risolvi riducendoti uno schifo – ridacchiò – Ma cosa c’entra con te quello?
- Fai troppe domande – rispose truce il ragazzo.

-Fa male? – chiese preoccupata dalla smorfia di dolore che gli si era formata in viso.
 - N-no… sei molto…dolce – mormorò abbassando lo sguardo poco dopo.

Esitò per un istante, poi una forza lo spinse verso le sue labbra. Un bacio solo, solo un bacio di pochi secondi. Se solo Tea non l’avesse tirato a sé portandogli una mano dietro la nuca con urgenza senza staccare le labbra dalle sue.
Sean la tirò a sé con foga mentre le mani della ragazza si insinuarono sotto la camicia ancora macchiata del sangue che gli colava dal sopracciglio, accarezzandolo. Fece una smorfia tra il dolore e la sorpresa quando lei gli esplorò ogni centimetro del collo salendo lungo alla mascella per ritornare sulle labbra. Una sensazione di calore, dolcezza e sicurezza invasero il suo corpo.
Tea ebbe un sussulto e staccò le labbra dalla spalla scoperta di lui – Sarà meglio che ti curi anche la ferita – sussurrò.


Sean la fissò e sorrise leggermente. Tea inarcò un sopracciglio mentre cercava di non pensare all’accaduto e di fissare alla bell’e meglio un cerotto sul viso del ragazzo. – Vuoi stare fermo e spiegarmi che c’è di così divertente? – Protestò la ragazza – No nulla… - rise di nuovo di nascosto. – Ah, il serio, freddo Sean allora è un essere umano?- sghignazzò poi – vuoi dirmi che cavolo hai?, Sarai mica ubriaco vero?-
- Pensavo… - rispose poi – siamo sempre in tempo a trovare un costume da crocerossina… anche se ti avevo detto che non avrei giocato a paziente e dottore con te… -
- Ah, ah, molto spiritoso – rispose lei offesa pizzicandogli un braccio e provocandogli una smorfia di dolore.
Dei rumori ovattati interruppero le risate dei due ragazzi.

***

La giornata intensa di lavoro era finita all’Old Lighthouse e Juliet e Luca finirono di pulire la cucina verso le una meno un quarto.
- Buona notte – sbadigliò Angie – non vedo l’ora di essere a letto. – Già a letto… con chi? – sghignazzò Liz aprendo la porta sul retro dopo aver salutato Luca e Juliet.
- Vuoi un passaggio Chef? – sorrise Luca mentre Juliet si infilava il giacchetto. – Non perdi occasione eh? Per una volta potrei anche approfittarne. Sono stanca morta. Prima arrivo, prima vedo se mio fratello è a casa.
- Sei troppo ansiosa “Giulia” è un ragazzo – cosa vuoi che faccia – disse girando la chiave.
Proseguirono il viaggio in silenzio. Juliet si strinse le braccia al petto e osservò il quartiere fuori dal finestrino.

****

- Oddio arriva qualcuno – squittì Tea tappandosi la bocca con le mani. – Forza sparisci! Nasconditi dietro il divano! – Aggiunse spingendo Sean dolorante a terra.
- Mamma che gli dico? – Mormorò prima che la porta si aprisse e si accese la luce nel corridoio.
- Sarà meglio che tu t’inventa qualcosa di credibile, ragazzina! – Tuonò Luca varcando la soglia del salotto, trovando Tea seduta sul divano. – Che cavolo ci fai qui!?
- L-l-uca n-n-on è come sembra! – Balbettò la ragazza ma Luca si avvicinò al divano e la guardò fisso negli occhi quando aggiunse – Non avrai mica bevuto vero? Non avrai organizzato un festino in casa mia – alzò la voce arrabbiato.
- Ehi! Quella cos’è?
 - Oh, -n-nulla! Uno straccio! – protestò Tea cacciando la felpa di Sean nel cestino dei rifiuti.

La voce di Juliet echeggiò dall’appartamento alle scale quando si accorse che Sean non era in casa. Allarmata, aveva preso a chiamarlo sia a voce che al cellulare noncurante dell’ora tarda.
All’improvviso una suoneria al massimo del volume trillò dentro al cestino della spazzatura e Tea, con un nodo alla gola, lo fissò pregando che Sean facesse finta di nulla.

- Ehi! La mia felpa! – Protestò invece una voce maschile da dietro il divano. Sean si alzò dal suo nascondiglio recuperando la felpa dal cestino.

- Uno straccio eh? – Mi prendi per il culo? – si arrabbiò Luca. – E lui chi cavolo è? Il cameriere del servizio in camera forse?
Luca prese a camminare avanti e indietro lungo il corridoio cercando di mantenere una certa calma e finì per affacciarsi alla porta d’ingresso. Juliet saliva e scendeva nervosamente le scale con il cellulare in mano.

- Problemi Chef? – Bisbigliò l’uomo.
- Il fatto che tu mi abbia fatto un piacere dandomi un passaggio a casa non ti autorizza a provarci anche sulle scale! – Ansimò la donna – Sean non c’è!
- Mh, ne terrò conto. Tuo fratello Sean è un biondone con una felpa azzurra? Credo di sapere dove sia! – fece strada verso l’ingresso verniciato di verde.
- Che cavolo ci fai qui? – Urlò Juliet, incurante della quiete notturna. – E lei? Oddio mio fratello fa sesso nell’appartamento del mio vicino di casa! – Non abbiamo fatto… - protestò Tea.
- Cosa sono quei lividi? – Fila a casa! – Abbaiò poi, spingendolo fuori dall’appartamento.
Prima di uscire si voltò per un attimo incrociando lo sguardo confuso, arrabbiato ed incredulo di Luca – e tu che hai da guardare? Prestare la casa alle ragazzine! Vergognati! – Latrò la bionda.

- C-cosa? Che c’entro io, non ospito nessuno io!
- Ehi! Io non sono una di quelle… - piagnucolò Tea stringendo i pugni - E tu, Luca si rivolse a Tea, non raccontarmi altre balle perché non ci crederò mai. Credevi che non me ne accorgessi? Farsi coinvolgere in una rissa per di più! –
- Non ti preoccupare, ne riparleremo domani!
- Bene! Buona notte Giulia!
- Non mi chiamare “Giulia”, zuccone! – Juliet trascinò Sean in casa e sbatté la porta.

Luca rimase a fissare il pianerottolo per qualche minuto, stordito da tutta quella confusione – Bei vicini che hai! – interruppe la voce sarcastica di Tea dietro di lui. Luca si voltò, la fulminò con lo sguardo e sbottò – ancora parli? Sta zitta che è meglio. Faremo i conti domani assieme a tua madre! -
E, presa la via della camera da letto, varcò la soglia e chiuse la porta sbuffando.
 
 

 
Angolo cottura (anche se stavolta di cotto non c’è proprio nulla):
Carissime! Eccomi qui, finalmente dopo diversi (vani ) tentativi di autoipnosi  che mi hanno costretta a rivolgermi ad un noto mago/ricattatore, sono riuscita a sfornare l’undicesimo capitolo.
Abbiamo visto veramente poco di Juliet e Luca o meglio, sono stati protagonisti soltanto verso la fine. Premetto che stavo scrivendo questo capitolo da circa un mese (quindi ditelo: “se c’ha messo un mese a scrivere sta schifezza… chissà come  veniva se ce ne metteva due e mezzo!”)
Spero che comunque vi possa piacere e che non vi abbia annoiato “calarvi” un attimo nel “modo ggiovane” J Oltretutto abbiamo anche del peperoncino... spero di non essere stata patetica o melensa. Sappiate che quei due personaggi sono imprevedibili. Lo so che si conoscono da poco ma...
Visto che quest’estate sembra più un prolungamento dell’inverno (meteorologicamente parlando) lanciatemi altre verdure che alle mie latitudini non cresce più nulla! Anzi “affoga nel fango” invece di maturare….
Vi abbraccio tutte!
Ps. Il titolo di questo capitolo si ispira “alle lettere b”, mi spiego “trash , trampoline and the party girl” è il lato b di “a Celebration” singolo degli U2 del 1982. Ho fatto caso che il file per la stesura di questo capitolo si chiamasse “11 b”…. trastullamento cerebrale mio… scusate!!
-elev
 

 

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Capitolo 12
*** Metafisica e cioccolato ***


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Metafisica e cioccolato
 
Adesso io e lei sediamo insieme nella sua stanza e mangiamo cioccolato, e io le dico che in un futuro lontano, quando entrambi andremo in cielo, dovremmo cercare di prendere le sedie una accanto all’altro, vicino al tavolo del dessert.
(Anne Lamott)

 

– Capisco quanto per te sia difficile, voglio dire, in poco tempo ti sei ritrovato in un’altra casa, con un’altra persona e soprattutto con una sorella che non sapevi di avere.  Vorrei che tu capissi quanto è difficile anche per me. Non sono t-nostra (si corresse) madre, questo è chiaro, ma anche se non posso cambiare il modo in cui ti ha trattato – ci ha trattato in verità – mi sento responsabile per te! – Asserì Juliet Edwards con convinzione aggiustandosi la cintura di sicurezza dell’automobile. Aveva iniziato a parlare al plurale e non se n’era nemmeno resa conto! Un brivido le percorse la schiena ma lei prontamente cercò di ignorarlo cercando di rimanere calma. – E levati quelle cuffie quando ti parlo! – Sbraitò questa volta arrabbiata, stringendo il volante con entrambe le mani.
Con una manata che rischiò di farla uscire di strada e cozzare contro una fioriera piazzata alla fine del viale, spostò le cuffie “b” che coprivano le orecchie di quello zuccone di suo fratello impegnato a fissare il vuoto con un’espressione ora esasperata stampata in viso seduto sul sedile del passeggero.
– Ehi! – sbuffò poi, ma non ebbe il tempo di aggiungere altro poiché il monologo di sua sorella era già partito.
 
Aveva già passato l’intera serata a sostenere che era ora di rispettare le regole di una convivenza – benché forzata - minimamente civile, ma vista la riluttanza totale di Sean ad ascoltare le sue argomentazioni, Juliet era stata costretta a disseppellire l’ascia di guerra:
–  Pagella impeccabile, frequentazione irreprensibile delle lezioni e accompagnamento forzato in automobile da casa all’entrata dell’istituto scolastico e viceversa  fino alla fine del semestre! – Aveva tuonato.
Lo sproloquio veniva ripetuto alla nausea ad ogni tentativo di protesta del giovane. Quindi anche quel mattino.
Non ottenendo nessuna risposta o segno vitale oltre che a qualche sospiro e ad un irritante tamburellare delle dita lungo il bordo della portiera, esalò un ultimo tentativo di riconciliazione: – E va bene, non hai voglia di ascoltare. Capisco anche questo, ma abbi pazienza, mi sembra di parlare con un muro per la miseria! – Protestò scocciata voltando leggermente la testa verso il passeggero.
– Ah già, giusto! Perché si capisce, no!? Tu capisci sempre tutto! – Sputò velenoso, d’improvviso – mi sembra  di stare in galera! – Borbottò il ragazzo abbassando la voce.
– Ah No, stai zitto! Guarda che non prendo mezzora di permesso dal ristorante per venirti a prendere la sera così, intanto per divertimento, razza di ignorante che non sei altro! – Ribatté lei.
– Appunto, chi cazzo te l’ha chiesto!? – Sibilò suscitando le ire della sorella, che, ancora più irritata, si immise sgommando sulla strada principale. Percorse in silenzio quei due chilometri che separavano casa sua dal liceo di Sean, finché non inchiodò davanti ad un piazzale affollato di studenti.
– Porta il tuo culetto d’oro fuori di qui, avanti marsch! E studia! – Latrò poi puntandogli contro l’indice.
Sean scese dall’automobile grugnendo l’ennesimo insulto contro di lei e quel sistema a cui era inesorabilmente condannato, sbatté la portiera e voltò le spalle senza salutare.
– Alle cinque in punto qui, mi raccomando e niente stronzate! – Strillò la bionda fuori dal finestrino. Ammise che il ruolo di “carceriera” le stava riuscendo anche bene e, mentre controllava a vista i passi del fratello che si avvicinava all’entrata della scuola trascinando i piedi, lasciò andare uno sbuffo e una risata isterica.
L’intera scena, inevitabilmente, suscitò gli sfottò più penosi da parte dei suoi compagni di classe.
 

– Cristo Santo, amico, ma chi è quella stragnocca? – Ansimò una voce riprendendo fiato dopo aver percorso di corsa il piazzale.
– Lascia perdere, Will, davvero. – Farfugliò Sean voltandosi.
– E perché mai? Lo sai che se non sono impegnato con la palestra rispondo come il pronto intervento: dove c’è una “pollastra” mi trovi sul posto! – Ridacchiò, e aggiunse – Iniziare la giornata in quel modo lì non può che renderla buona!
– Buona un cazzo! – Ribadì di tutta risposta il biondo strattonandolo per la maglia della tuta – Quella “pollastra” è mia sorella, ed è pure una grande stronza. Quindi lascia perdere!
– T-tua sorella?!, balbettò, certo che potresti anche presentarmela…ma è stronza quanto te ?
– Vaffanculo Will! – brontolò a denti stretti
– Rilassati, e che cavolo! – Sbuffando, Will, ricominciò a saltellare sul posto – dovresti fare più moto, ti vedo pallido e quel livido sotto l’occhio? No, non aiuta di certo e dire che non saresti per niente male, “tesoro” !
– Ma fammi il piacere! Sarai anche uno e ottanta tutto muscoli ma mi pare che sarebbe meglio che ti facessi una doccia –  lo spintonò – Fai schifo, puzzi come un caprone, altro che attirare le donne… attiri le mosche e tu sai dove si posano le mosche?! – Nascose una risata con una smorfia.
Will, che teneva in modo maniacale al proprio aspetto, incrociò le braccia al petto offeso – Almeno si può sapere come mai vieni a scuola con la scorta?
– Arresti domiciliari, ti basta?
– Mh – Bofonchiò Will guardandolo dall’alto in basso. – Comunque dovresti smettere di ridurti così, sempre con quel maledetto rock nelle orecchie, insomma, non lo vedi? Là fuori che ci sono un mare di donne che cadrebbero ai tuoi piedi!
Che Sean considerasse Will l’incarnazione del concetto di superficialità, senza cultura (soprattutto musicale) era una cosa appurata ma era altrettanto vero che Will considerava Sean l’essenza della noia e della tristezza perché preferiva passare il tempo libero a fare schizzi su un quaderno e ascoltare qualche vecchio disco inedito o bere una birra in un pub fumoso, piuttosto che frequentare le discoteche o andare in palestra. – Sei vecchio dentro, caro mio! – gli diceva.
Si erano conosciuti da poco ma i loro continui battibecchi li avevano in un qualche modo legati, benché non fossero mai d’accordo su nulla.
Will era un viziato figlio di papà, e oltre ad essere bello e pieno di soldi, con le donne, che non doveva nemmeno sforzarsi di cercare dato che erano loro che andavano direttamente da lui, aveva sempre avuto un grande successo. Popolarità che non faceva che aumentare la già grande stima che aveva di sé. Will le frequentava qualche giorno e poi le mollava, loro piangevano e lui passava oltre, – non è una questione personale – diceva.
 

***
– Sta’ attenta ragazzina che se tenti di ingannarmi finisce che ti faccio fare la prova alla bocca della verità! –
Si erano conosciuti così, Luca e Tea.
Tea che amava giocare mentre sua madre pesava frutta e verdura nel suo negozio. Tea che, allora, era una vivace bambinetta di sette anni che faceva le boccacce allo specchio e provava in ogni modo ad “ingannare” i clienti aggiungendo di nascosto qualche oggetto pesante sul piatto della bilancia assieme alla merce che stavano per acquistare.
– La bocca della verità? – Esclamava lei fissando con curiosità quel giovane moro che aveva osato contraddirla. – Certo! – Rispondeva lui – Se non dici la verità e se tenti di ingannare le persone la infili e… Zac! Ti mangia la manina!
Lei spalancava la bocca impressionata e scappava urlando – tanto non mi prendi, non mi prendi! – Nascondendosi dietro la madre che sorrideva.
Da allora Tea aveva voluto sapere tutto. Gli aveva chiesto chi era quel signore che mangiava le mani dei colpevoli, come faceva a sapere che la mano infilata era di un bugiardo e se non era mai stufo di mangiare mani, ogni dettaglio. E da allora, ad ogni passaggio, Luca aveva dovuto spiegarle tutto, per filo e per segno.
In realtà aveva tralasciato il fatto che in realtà quella terribile bocca non era altro che un antico tombino, Luca scorgeva la meraviglia negli occhi di quella bambina incantata dalle sue storie e non aveva voluto deluderla. Le aveva voluto bene dal primo istante.
Tea era cresciuta assieme all’affetto che nutriva per lui e benché ormai non credesse più che il gatto Romeo degli Aristogatti esistesse veramente e vivesse al Colosseo, aveva trasformato il giovane, dieci anni dopo, in un vero e proprio punto di riferimento.
Le labbra di Luca tremarono leggermente e si tesero in un sorriso appena pronunciato, quei ricordi lo fecero sentire meglio. Come se, quel boccone amaro, che gli si era bloccato in gola dalla sera prima si fosse finalmente deciso a scendere. Con Tea non aveva mai litigato, non in quel modo e forse per questo si era trovato impreparato.  La sera prima aveva sbattuto la porta e si era buttato a peso morto sul letto credendo che addormentarsi ignorando il problema fosse la cosa migliore. Era stato un sonno tormentato quello di Luca: davvero Juliet credeva quelle cose? E Tea? Tea aveva diciassette anni e un paio di “paletti” non le avrebbero fatto troppo male. Decise di rimanere fermo sulle proprie decisioni: avrebbe chiarito con Juliet e le avrebbe promesso di tenere lontana Tea da suo fratello Sean per un po’ di tempo. Si passò una mano sulla fronte e sbuffò infastidito quando si accorse che se non si fosse vestito nei prossimi tre minuti sarebbe arrivato in ritardo sul lavoro.
Luca era ancora in piedi accanto al tavolo del salotto con un foglietto in mano. “Tolgo il disturbo. Tea” diceva. Quattro parole calcate a penna tra i quadretti del bloc notes,  un solco sul suo cuore. Tea se n’era andata.
Per l’appunto tre minuti dopo, l’uomo uscì dall’appartamento cacciando nervosamente le chiavi nella tasca della giacca.

***
– Problemi? – Sibilò Juliet all’ennesima occhiataccia di Luca da dietro la mensola.
La cucina era immersa nel silenzio più totale. Liz ed Angie si erano ammutolite quando avevano trovato le luci accese in cucina già prima di iniziare il turno e dentro avevano trovato Juliet intenta a caramellare degli spicchi di frutta che andavano inseriti in una complicata cesta di cioccolato decorata con delicati fili di zucchero di canna e pagliuzze d’oro.
Luca fece segno di no abbassando lo sguardo sul brodo di pesce. Erano le dieci di mattina quando “sweet child o’mine” iniziò a suonare nella sua tasca.
La canzone riprese almeno quattro volte prima che, spazientita, Juliet sbatté il mestolo sul piano di lavoro e sbraitò – Qualcuno vuole rispondere a quel dannato telefono?   E voi? Che avete da guardare?  Al lavoro! – Juliet apostrofò Angie e Liz e tese un orecchio verso il guardaroba poco distante ma non udì null’altro che la porta dell’entrata per i fornitori che si richiudeva.
Luca uscì sul retro ed ispirò profondamente chiudendo la telefonata. – Tea sei tu? – Fu tutto quello che riuscì a chiedere prima che due braccia gli cinsero il collo quasi soffocandolo.
– Ehi, ehi! Che c’è?! – Esclamò cercando di districarsi da quell’abbraccio e sforzandosi di rimanere fermo sulle sue posizioni.
– Scusami – Singhiozzò Tea.
– Tea, hai combinato un bel pasticcio, ora sono nei guai pure con… – fece cenno con una mano alla cucina.
– Guarda che lo so che lavora con te! – Ridacchiò la ragazza – Secondo me le piaci anche…
– Ma se mi odia! – Ora basta! Tea! – protestò l’uomo – Dimmi che cavolo sei venuta a fare!
La ragazza abbassò lo sguardo e sul suo volto si dipinse un’espressione pensierosa. – Sean – mormorò – Sai quel ragazzo con cui mi hai vista a casa tua? Ecco, oggi l’ho incontrato e praticamente mi ha liquidata dicendomi che non c’è mai stato nulla e che non potrà mai esserci niente. E io che credevo di piacergli, insomma almeno un pochino… – aggiunse delusa.
– Oddio Tea! Non mi dire che mi hai chiamato nel mezzo del mio turno per raccontarmi questa storia! Era questa l’emergenza?! – Sbuffò.
– Ma è un’emergenza, Luca! – Protestò la ragazza stringendo i pugni.
– Che stronzo – affermò dopo qualche istante.
– Chi? Io o il tuo amico? – rispose Luca fissando un punto indefinito sul marciapiede.
– Tutte due! – rise lei. – Questi ragazzi inglesi non capiscono nulla, Luca, portami in Italia! – lo pregò poi tirandolo amichevolmente per un braccio.
– Vedremo insomma si potrebb…  – si interruppe – Tea, vai a scuola che è meglio và…
Luca seguì con lo sguardo la ragazza che voltava l’angolo mandandogli dei baci volanti con la mano e sorrise stringendo le braccia al petto. Rimase solo per una manciata di minuti prima che la porta alle sue spalle si spalancasse nuovamente e una voce gli rivolgesse nuovamente la stessa domanda  – Problemi?
– Che caz… C-Chef c-cioè – Juliet! – balbettò.
– Tutto a posto? – Insisté lei con voce  più calma ma inarcando un sopracciglio.
– Tutto a posto – sospirò – Tuo fratello ha appena respinto Tea!
– Lo so! Alleluia! Mio fratello mi ha ubbidito allora! – Fece lei tutto d’un fiato.
– Che cosa? – Luca voltò lo sguardo verso la Chef in piedi accanto a lui con le mani sui fianchi avvolti nel grembiule candido. – Come fai a saperlo?  Quindi tu sapevi tutto… Voglio dire cosa gli hai detto?! –
– L’ho solo messo agli arresti domiciliari per un po’– rispose – Niente distrazioni.
– Incredibile! Ti rendi conto che l’ha presa in giro? Guarda che poi quella la devo consolare io! – Protestò trattenendo un sorriso.
–  Come sei tragico! Guarda che io non gli ho detto di fare così!
– Sentiamo, cosa gli avresti detto allora? – protestò lui quasi irritato
Juliet esitò un attimo, poi sbuffò spostandosi una ciocca di capelli dietro l’orecchio e fissò l’asfalto prima di rispondere – Gli ho detto di concentrarsi sullo studio. – Ah, e comunque, non ti odio! Aggiunse senza alzare gli occhi.
– Cosa? Hai origliato?!, Tossicchiò – Non ho mai detto questo! –
– Scagli la pietra e nascondi la mano, Chef? – Chiese ironica la bionda rientrando in cucina seguita dal collega.
– Assolutamente no! Vuoi provare le mie doti consolatorie? – Sogghignò dando un’occhiata al dolce lasciato a metà. – Mi sa che ne dovrai approfittare subito, cara la mia donna tutta d’un pezzo – fece cenno alla cesta di cioccolato crollata.
Juliet cacciò un urlo inorridita e si cacciò le mani tra i capelli – Nooo! La cesta!  Tu e le tue emergenze! – strillò colpendo Luca con piccoli pugni sul petto finché non si sentì afferrare per entrambe i polsi e un respiro caldo non la interruppe sussurrandole – Sei ancora più bella quando t’arrabbi!
Juliet inspirò ed espirò profondamente almeno tre volte contando piano fino a dieci tenendosi la fronte, quindi sparì nella cella frigorifera. Continuò il suo rito zen  finché si accorse di essere stata seguita.
– La smetti di seguirmi? – Brontolò quasi isterica.
– Chi io? Sei tu che mi hai seguito! Luca, cercando di rimanere indifferente, selezionava alcune verdure in una cassetta.
– Ma era per i gastronomi di domani! – Il dolce?, chiese lui. Juliet annuì leggermente chiudendo gli occhi appoggiandosi ad un ripiano.
– Ti darò una mano io, altrimenti gli propineremo dell’altro – asserì il moro strizzando l’occhio.
– Sei pazzo?! Questo è e questo sarà! – Urlò con voce stridula.
– Ma ci vorrà una notte intera per rifarlo! – Gesticolò Luca
Juliet inarcò un sopracciglio e fece un cenno verso la cucina – Già, più o meno come per rifare il tuo brodo…sarà minimo carbonizzato a quest’ora!
Luca uscì di corsa dalla cella frigo, spense il fuoco imprecando e dandosi del cretino per aver risposto a quella maledetta chiamata, poi alzò lo sguardo sentendosi osservato e trionfante annunciò – Allarme rientrato, ragazze – rivolgendosi alle ora incredule, ora sbalordite Angie e Liz.
 
 
Angolo cottura:
Mie care amiche, se credevate di esservi liberate definitivamente della vecchia elev, pensavate male. Se stavate già festeggiando perché avevo smesso di importunarvi con i miei caotici capitoli mangerecci: avete fatto bene ma… pensavate male! Se eravate convinte che qualcuno mi avesse confinato su di un’ isola deserta da due mesi a questa parte: per favore datemi il suo indirizzo che mi ci faccio mandare sul serio!!
Dette le sciocchezze del caso: tadaaaa a volte ritornano. Ebbene sì sono tornata a tutti gli effetti (anche dalle ferie che non ricordo nemmeno più di aver fatto). Spero che, malgrado tutto, apprezzerete anche il dodicesimo capitolo. Se non lo apprezzate cogliete l’occasione per disfarvi delle famose cassette di pomodori che avete conservato durante l’estate (che non c’è stata) XD
Vi abbraccio tutte
-elev

 

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Capitolo 13
*** The Night Shift ***


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Care tutte! Forse sarebbe meglio che smettessi di scusarmi per i miei enormi ritardi nel proseguo di questa storia. Ormai si sono formate delle voragini. O forse sarebbe meglio che smettessi di ostinarmi a scrivere castronerie e mi dessi ad un qualche sport estremo…. Perdonatemi se potete! Ho passato un periodo di vuoto mentale per la scrittura (credetemi l’ho odiato con tutta me stessa), ora eccomi qui: un regalo natalizio per voi! Ringrazio tutte voi (orami so che siete donne) che avete il coraggio di imbattervi in questa roba, chi lascerà una recensione, chi mi tirerà qualche spagnoletta o qualche scaglia di torrone di quello duro (visto che siamo a Natale). Prima di lasciarvi qualche annotazione a cui voi potrete rispondere con un bel “chissenefrega!”: 1) il titolo del capitolo -tradotto “turno di notte”- è preso in prestito dall’omonima serie TV (non so chi di voi ha avuto l’occasione di vederla)… siccome come ogni serie medica che si rispetti parlano o meglio fanno di tutto tranne che i dottori oppure fanno qualche operazione per cui devo coprirmi gli occhi perché mi fanno troppo schifo – anche nel mio capitolo ne succedono di tutti i colori….. 2) Ringrazio la canzone “America” (una delle canzone più ambigue che io conosca… poi dite che penso sempre male) che mi ha dato una parte di ispirazione… 3) Certe scene contengono qualche parola da scaricatore di porto e in altre occasioni il piccante dilaga… spero di non essere stata ridicola! 4) BUONE FESTE A TUTTI!!!



The night Shift


La notte è calda, la notte è lunga, la notte è magnifica per ascoltare storie.




– Ti fidi proprio poco di tuo fratello: levarlo così da qualsiasi distrazione e da quella povera ragazza… bella fiducia – proferì Luca dopo un momento di silenzio – interrompendo di caramellare alcuni spicchi di frutta. La Edwards, che stemperava il cioccolato in un pentolino voltandogli le spalle, tacque. Poi sbuffò infastidita da quell’ennesima intrusione nella sua sfera più personale spostandosi una ciocca di capelli dalla fronte corrucciata con una mossa dell’avambraccio. La massa scura del cioccolato era quasi sciolta quando Juliet alzò lo sguardo esitando per qualche istante, inseguito incrociò gli occhi vispi di Luca che la fissava sorridente.

- Che c’è? – Proruppe l’uomo senza smettere di sorridere – Non sei contenta di essere qui… con me? Quel sorriso sghembo stampato sulle sue labbra e quegli occhi insistenti che non le si staccavano di dosso la irritavano più del fatto che quella notte l’avrebbe dovuta trascorrere in cucina e che la sua scultura al cioccolato fosse andata distrutta. Fu sorpresa di ammettere a sé stessa che se da un lato, quel sentimento di irritazione non le dava pace e non la faceva concentrare abbastanza, dall’altro le aveva già fatto ritrovare -più di una volta- nella massa liscia del cioccolato appena sciolto- la stessa tonalità di quei suoi occhi vivaci e profondi provocandole uno sconvolgente sentimento di piacere.
- Comunque, magari, diglielo a Sean che Tea è troppo buona per essere presa in giro, ok? – Insistette Luca. Juliet scosse le spalle, divisa tra questi due sentimenti contrastanti, cercando di mantenere la concentrazione sul tegame finché non resistette più ed esplose: - NO! Non sono contenta di essere qui, per colpa tua per giunta e… no! Non mi diverto a dettare legge con quello scemo di mio fratello e poi dici che Tea non può essere presa in giro: io…lo faccio per proteggerla…

Luca la fissò incredulo ma la lasciò finire quel monologo senza senso. Posò il mestolo e la raggiunse appoggiando entrambe le mani sul piano di lavoro. Dopo qualche istante sussurrò serio – ma che ti hanno fatto per essere così? E poi, scusami tanto, da che cosa la vorresti proteggere a tutti i costi? - Dalle fregature! – Urlò Juliet rossa in viso – non so che intenzioni abbia mio fratello ma se tratta tutto con la stessa superficialità….sarà inevitabile! - Non puoi impedirle di scottarsi lo sai? E poi nemmeno la conosci…
- Non la conoscerò – fece sconsolata – ma riconosco che rimanere fregati non è per nulla divertente!
- Juliet! – Sussurrò Luca allontanandosi un poco – non puoi avere tutto sotto controllo, lo sai questo? Fammi indovinare… sei stata fregata vero? – Domandò l’uomo tornando a posare gli occhi su di lei. Juliet socchiuse gli occhi, sospirò, inspirò nervosamente e poi sputò il rospo con un leggero tremore della voce: - si vede tanto? Luca annuì impercettibilmente senza aggiungere altro.

- Avevo un’amica ai tempi della scuola, ed io ero sola e troppo ingenua per capire che le persone non vedono l’ora di approfittare della bontà altrui. Ci perdemmo di vista e, al liceo, ci misero in classi diverse. Ma il punto è… è che un giorno mi presi una cotta per un ragazzo. Oddio, per me era stupendo, ma non mi avrebbe mai filato. Un giorno la sua voce per telefono si dichiarò apertamente ed io con il cuore colmo di gioia gli risposi che sì, assolutamente sarei stata la sua ragazza.

Il mondo mi crollò addosso qualche giorno dopo quando, volendo incontrarlo per la prima volta dopo quella dichiarazione, lo vidi nel piazzale della scuola mano nella mano con la nuova amica della mia “ex-amica”.
Non solo: ben presto scoprii che la telefonata non l’aveva fatta lui, ma che era stata lei, la mia ex-amica, ad aver ingaggiato qualcun altro per farla. E a lui, che non ne sapeva nulla, avevano detto che ero stata io a mettermi in mezzo pur di ostacolarli nel mettersi insieme. Quindi nemmeno parlargli sarebbe servito a qualcosa.
Juliet deglutì per poi proseguire: - Mi sentii tradita a tal punto che diventò il mio chiodo fisso: non fidarmi più di nessuno. In nessun caso! Tea non può venire illusa! - Asserì con voce stridula. - Capisci? Non posso permetterlo! – Ribadì asciugandosi le grosse lacrime che le solcavano il viso.
– Dio, Juliet, ma cosa c’entra Tea con questo? E poi così facendo la illuderai tu stessa! Credi che non me ne sia accordo di come lo guarda? Tra quei due c’è qualcosa e io non penso che tuo fratello sia così stronzo! E tu…io, noi… non possiamo metterci in mezzo! Luca con quella sua voce ferma e calma e quei suoi occhi colmi di sincerità le avevano fatto perdere un battito.
Juliet aprì la bocca senza che però ne uscisse un suono poi balbettò: – N-noi? P-Perché come lo guarderebbe, sentiamo? Cioè… tu cosa avresti fatto? Luca fece spallucce e si voltò fissando il lavoro ormai concluso, ma non poté sforzarsi a lungo nel trattenere una leggera risatina.
– Allora? Protestò lei -… ti sei appena fatto una carrellata di fatti miei e ora ridi?! Forza, ora tocca a te!
– E da quando i fatti miei ti interessano così tanto?
– Questione di parità! - Bofonchiò la bionda incrociando le braccia al petto finché improvvisamente una presa decisa la fece voltare e due occhi come due pozzi scuri allagarono i suoi… cristallini.

Fu un interminabile secondo di silenzio quello che la fece soffermare lungo il velo di barba che gli accarezzava la mandibola per poi scendere lungo il collo fino alle spalle e al torace scolpito che saliva e scendeva con ritmo regolare. Si sentì avvampare
- Sto ancora aspettando! – Ringhiò, cercando invano di districarsi dalla presa del moro.
- Dovresti finire il tuo dolce! –Protestò l’uomo con una risatina sarcastica.
- E allora tu dovresti mollarmi il braccio, idiota! Con uno strattone la donna si liberò dalla presa concentrandosi nuovamente sulla scultura di cioccolato a cui ormai mancavano solo le pagliuzze d’oro.

Luca rimase alle sue spalle a pochi centimetri da lei; si soffermò quell’attimo sul collo della giovane collega e con un sussurro caldo soffiò – Niente… ho detto a Tea che in Italia sicuramente ci sono ragazzi che la meriterebbero di più di tuo fratello….
- Che cosa? Ma sei completamente rimbecillito?! – Protestò Juliet voltandosi con la fronte corrucciata.
- Dovresti finire il… coso… - reclamò l’uomo cercando di cambiare discorso
- Non cercare di cambiare discorso!
- Non cambio discorso, lo devi finire!
- E cos’avrebbe Sean che non va?
- Non dimenticare la frutta caramellata!
- Mi avevi promesso una mano per il dolce… siamo qui per quello - replicò Juliet
- Anche tu cambi discorso!
- Non è vero! – Ringhiò arrabbiata
- Sei molto sexy quando ti arrabbi
- Mi prendi in giro?
- Ma perché? Sean ha qualcosa che non va?
- Veramente l’ho chiesto prima io!
- Stai facendo un discorso senza senso…
- Anche tu
- È molto sexy…
- Chi? Mio fratello Sean o il discorso..?
- Nessuno dei due - ridacchiò
- E allora cosa?
- Scommetto che dopo quell’idiota avrai spezzato il cuore a tanti di quei ragazzi…. Juliet concentrò lo sguardo verso un punto indefinito del pavimento, poi alzò lo sguardo e soffiò – macché… sfigati! - Chef….
– Luca, con una presa decisa la fece voltare e si trovò a pochi centimetri da viso sorpreso della collega. Le prese delicatamente il viso tra le mani e sussurrò - hai una macchia di cioccolato…qui – accarezzandole una guancia con il pollice la tolse – è questa che trovo…. – assaggiò il cioccolato dal dito - molto sexy…

La Edwards si sentì avvampare improvvisamente ma non smise di fissare quegli occhi scuri che la osservavano con curiosità smaniosi di scoprire di più. Il suo cuore perse un battito quando due labbra carnose color fragola si avvicinarono alla sua tempia. Un brivido caldo le percorse la schiena e si morse il labbro dubbiosa su come avrebbe dovuto reagire.
- L- Luca n-on…. – balbettò con voce roca cercando di tornare razionale.
- Shhh respira – mormorò l’uomo. Juliet inspirò ma l’aria le bruciò i polmoni: la scia di leggerissimi tocchi caldi e sensuali lasciati da quelle labbra delicate le inebriarono la mente. Lui allungò la mano percorrendole le tempie, il collo ed i fianchi mentre lei chiuse gli occhi e si morse la bocca, appoggiandosi al piano di lavoro.
Scese da quel freddo acciaio inossidabile come se avesse abbandonato l’ultimo lembo di terra razionale e girò attorno a quel corpo statuario. Si fermò alle sue spalle abbandonando una mano sul petto scolpito affondando con urgenza le dita nel cotone bianco della camicia.
– Non ti ho mai ringraziato… - sussurrò poi Luca deglutì senza voltarsi, intrecciando le dita delle donna con le sue all’altezza del pettorale sinistro. La punta del naso e le labbra schiuse della donna gli solleticarono il collo provocandogli un brivido di piacere. - Quindi…grazie! – mormorò.
Luca si voltò lentamente, accarezzandole dolcemente una spalla e un braccio con il dorso della mano. L’avvicinò a sé posandole una mano dietro la schiena.
- C- cosa fai? – Balbettò Juliet alzando lo sguardo ed incrociando i suoi occhi
– I-io n-noi dovremmo parlare…
- Stiamo già parlando…. Parla con me! –
Luca le tolse la bandana e le sciolse i capelli che ricaddero morbidi sulle spalle, si avvicinò e ne assaporò il profumo. Il corpo della giovane chef si rilassò contro il suo, Luca lo percepì affondando il sorriso in quella chioma profumata. Fu un lento silenzioso quello che accompagnò il loro “parlarsi senza parole”. Parlarono finché le prime luci dell’alba filtrarono dalla finestra.

****

Juliet si svegliò a terra, appoggiata alla spalla di Luca che respirava piano appoggiato ad uno scaffale. Un braccio circondava la vita dell’uomo, cosa che le provocò un sussulto improvviso. Staccò delicatamente le dita una per una dal quel corpo caldo, si sistemò la divisa e prima di uscire dalla cucina voltò ancora una volta la testa per guardarlo.
- Ehi! Dove stai andando? – Una voce maschile la bloccò sulla porta.
- M-mi dispiace per ieri sera, n-non avrei dovuto – farfugliò tutto d’un fiato irrigidita e pestando un piede a terra.
- A me dispiace solo per stamattina! Vieni qui, accanto a me – Luca fece segno allo spazio vuoto accanto a lui.
Juliet Edwards si accovacciò lentamente e si risedette dubbiosa. Prima che potesse ripensarci un braccio le circondò le spalle facendola sentire, dopo tanto tempo, protetta.

****

- Vuoi fermarti?! - Strillò Tea inseguendo Sean lungo il corridoio dell’istituto scolastico. Lui non le diede ascolto e, fingendo di non sentire, continuò il suo percorso finché la ragazza non gli si parò davanti bloccandolo con entrambe le mani e con fare minaccioso soffiò: Edwards! Ora mi ascolterai, oh sì che mi ascolterai!
- Non ho nulla da dirti – bofonchiò il ragazzo cercando di divincolarsi.
- Sì, invece! – Fece stizzita – prima mi eviti, poi salvi la donzella in difficoltà dal bruto, fai a botte, mi baci, poi mi eviti come la peste e ora non hai nulla da dirmi?! Grande! Siete proprio tutti uguali…. -
- Da quando dovrei rendere conto a te? – Sogghignò Sean Edwards incrociando le braccia al petto.
– Sei proprio un cavernicolo, maleducato, antipatico,… stronzo! Che cazzo t’è preso eh? Vuoi liquidarmi come una delle tante? Eh no caro mio io non sono una di quelle… - urlò Tea. Sean sbuffò inclinando volgendo lo sguardo al soffitto.
- Mi ascolti quando parlo? – Tuonò la ragazza – Ripetimi quello che ho detto!
- Dai, che palle, non rompere, Anderson – sbuffò il ragazzo.
- Allora?! - Uffa….e va bene… hai detto che non sei una delle tante… contenta ora? Posso andare adesso? – Brontolò Sean.
- Vigliacco – Sibilò lei a denti stretti prima di vederlo voltare le spalle.
- Cos’hai detto?? – Sean si voltò si scatto e afferrò Tea per le spalle facendola indietreggiare verso la porta del locale delle pulizie. Tea barcollò e aprì la porta del locale con una mano. Quando riprese l’equilibrio due labbra avide le chiusero la bocca posandosi sulle sue cercandole, esplorandone ogni angolo.
Le lingue si incontrarono cimentandosi in una rabbiosa danza passionale che li lasciò entrambi senza fiato. Tea si aggrappò al ragazzo tentando di divincolarsi e quando ci riuscì lo fissò dritto incredula negli occhi per un istante.
- Whoah! E questo? C-cosa sarebbe? – Esclamò poi
- Non sono un vigliacco, capito? E comunque io…tu…non possiamo vederci… i-io devo studiare!
- T- tu….studiare? Cos’è? La scusa del secolo o ti hanno rapito gli alieni? – Sbraitò la ragazza strattonandolo.
- Zitta che ci sentono! – Protestò Sean.
- Senti…. Non so cosa tu abbia in testa ma… quando l’avrai ben chiaro… anzi quando ritroverai il tuo cervello sei pregato di comunicarmelo, nel frattempo…. Smetti di cercarmi… vaffanculo Sean! – Tea urlò finché le mancò la voce e uscì dallo sgabuzzino sbattendosi la porta alle spalle.


****

- Caffè e cornetti? – Propose Luca sbadigliando. Juliet sollevò leggermente la testa da quell’appoggio comodo e gli sorrise annuendo.
- Ehi! Cos’è quel sorriso?
- Perché? – Rispose lei tentando di mascherare la sua espressione gioiosa.
- Hai un sorriso fantastico, perché lo nascondi?
- Forza! Basta Smancerie! – Juliet si alzò in piedi dando dei leggeri pugni alla spalla dello chef.
- Mi ci vuole un caffè… forte! – Juliet afferrò i filtri del caffè americano ma Luca le si avvicinò alle spalle, le prese le mani e la fermò.
- Davvero tu quello lo chiami caffè? – Ora ti faccio vedere io!
L’uomo si avvicinò e, spostandole i capelli le lasciò un leggero bacio sul collo poi, con più decisione, le stuzzicò il lobo dell’orecchio con la lingua e ridiscese verso la spalla spostandole la divisa. Si insinuò tra il tessuto intuendo la spallina del reggiseno, che non ebbe problemi a spostare, con una risata maliziosa.
Il cucchiaino ricolmo di caffè cadde rovesciandosi accanto alla caffettiera quando Juliet intrecciò le dita a quelle di Luca. Appoggiò la nuca al corpo e percepì il calore che si appoggiava a lei. Con una presa rapida la fece voltare d’improvviso e Juliet si ritrovò seduta sul piano di lavoro.
Luca afferrò il cornetto, lo spezzò e le sussurrò all’orecchio – assaggia questo!
Un gemito le si fermò tra le labbra quando tentò di parlare.
– E il mio caffè? – sussurrò poi, maliziosa.
Luca richiuse la caffettiera senza staccarsi, le baciò le labbra a stampo.
Poco dopo il profumo del caffè invase l’ambiente e il moro le porse la tazzina calda. - Questo è un caffè – aggiunse.

Juliet lo degustò tutto d’un fiato, mordicchiando il labbro inferiore, fissò le labbra di Luca e con una foga che non avrebbe mai sospettato di avere, lo trascinò a sé afferrandolo per la maglietta. Approfondì il bacio da casto a passionale, incontrò la lingua, gli morse il labbro e gli stuzzicò l’orecchio avvinghiandosi attorno a lui con le gambe avvertendo l’eccitazione crescere. Senza fiato si staccò e sussurrò: s-scusami i-io non… devo andare!


***
Sean Edwards uscì di soppiatto dallo sgabuzzino imprecando a denti stretti, dopo aver urtato la metà del materiale riposto sui ripiani, sperando di non essere notato.
- Incontri clandestini tra le scope? – Esclamò una voce sarcastica.
Sean alzò lo sguardo scontrandosi con l’unica persona che non avrebbe voluto incontrare in quel momento. Will lo osservava perplesso. - Will che cazzo ci fai qui? Non hai di meglio da fare? – Abbaiò.
- Ammetto che sapere cosa combini nello sgabuzzino assieme alle scope mi alletta parecchio ma ho problemi più importanti che stare dietro a te – rise l’altro aggiustandosi un ciuffo ribelle.
- Infatti chi t’ha chiesto niente!
- Non sono qui per te – ripeté Will rabbuiandosi e cacciando le mani nelle tasche dei pantaloni.
- Appunto, quindi gira al largo…. - Minacciò l’amico.
- Devi aiutarmi, sono disperato – annunciò poi abbassando la voce.
Sean alzò lo sguardo corrucciato e protestò – Che cosa? Sei completamente rintronato o sei ubriaco? Ho già abbastanza casini per i fatti miei!
- Capisco – fece Will – Casini che escono dagli sgabuzzini sbattendo le porte a cui tu cerchi di tappare la bocca infilandoci la lingua. Bella tecnica, ma mi pare che non stia funzionando gran ché.
- Non so di cosa tu stia farneticando – Sean fece spallucce fingendo indifferenza.
- Ti piace la Anderson e non mi dici niente?
- Will te lo ripeto… che cazzo vuoi?
Will sospirò fissando il pavimento poi annunciò: - Sono innamorato.
- Mi prendi per il culo?!
- Affatto! Replicò con voce roca.
- Tu corri dietro a chiunque del genere femminile basta che respiri…. Davvero, che cazzo vuoi dai me?
- Sean sono disperato, e tu mi aiuterai! – Annunciò soddisfatto.

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