simply, i hate you

di Sexy_Shit
(/viewuser.php?uid=278393)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** capitolo 1 ***
Capitolo 2: *** capitolo 2 ***
Capitolo 3: *** capitolo 3 ***
Capitolo 4: *** capitolo 4 ***
Capitolo 5: *** capitolo 5 ***
Capitolo 6: *** capitolo 6 ***
Capitolo 7: *** capitolo 7 ***
Capitolo 8: *** capitolo 8 ***
Capitolo 9: *** capitolo 9 ***
Capitolo 10: *** capitolo 10 ***
Capitolo 11: *** capitolo 11 ***
Capitolo 12: *** capitolo 12 ***
Capitolo 13: *** capitolo 13 ***
Capitolo 14: *** capitolo 14 ***
Capitolo 15: *** capitolo 15 ***
Capitolo 16: *** capitolo 16 ***
Capitolo 17: *** capitolo 17 ***
Capitolo 18: *** capitolo 18 ***
Capitolo 19: *** capitolo 19 ***
Capitolo 20: *** capitolo 20 ***
Capitolo 21: *** capitolo 21 ***
Capitolo 22: *** capitolo 22 ***
Capitolo 23: *** capitolo 23 ***
Capitolo 24: *** capitolo 24 ***
Capitolo 25: *** Capitolo 25: epilogo ***



Capitolo 1
*** capitolo 1 ***


Un'altra sera come le altre. Il buio era calato sulla città portando un'aria umida che s'incollava fastidiosamente alla pelle. Lo strato spesso di nuvole m'impediva di vedere la luna e le stelle. Aveva piovuto incessantemente per tutta la settimana e le previsioni non davano segni di miglioramento: nuvolo, pioggia, uno spiraglio di sole e di nuovo pioggia. Il solito clima londinese. Nulla a che vedere con Parigi. Certo, non che lì splendesse il sole tutti i giorni, ma almeno non pioveva così spesso. E io odiavo la pioggia e giuro di non averla mai odiata così tanto. Spensi il mozzicone di sigaretta sul davanzale della finestra e tornai dentro. Oreste venne a strusciarsi contro le mie gambe e lo presi in braccio, facendogli dei grattini sulla testolina. Il suo pelo lucente era segno che si era lavato da poco. Vidi il mio cellulare vibrare incessantemente sopra al tavolo della cucina.

- Pronto? -

- Megan, sono la zia. -

- ciao zia. -

- come va lì? -

- pioggia, pioggia, nebbia e ancora pioggia. -

La sua risata stanca mi riempì le orecchie.

- piccola mia, come fai a sopravvivere? Tu odi la pioggia! -

- non me ne parlare...è come il mio peggiore incubo che si materializza. -

- non ti scoraggiare, i tuoi sforzi saranno ripagati. La scuola è già iniziata? Hai fatto amicizie? -

- mi conosci zia, l'unica persona con cui scambierò qualche parola sarà il bibliotecario. -

- tesoro mio devi pur farti qualche amico...e i ragazzi sono carini? -

- certo, tutti molto carini, ma non vale la pena di perdere tempo con quei coglioni montati, fidati. Gli inglesi sono anche peggio dei francesi. -

ridemmo insieme.

- tesoro, ora devo andare, ci sentiamo presto. E non fare l'associale. -

- non ti prometto niente. Notte zia. -

chiusi la telefonata e mi buttai di peso sul divano. Erano solo le 19.30 ma già era buio come se fosse notte. Ero a Londra da circa due settimane e ancora non mi ero abituata agli orari; qui la scuola iniziava alle 9 del mattino, cosa assolutamente positiva per una che alla domenica dorme fino a mezzogiorno, e alla sera cenavano alle 5 di pomeriggio, cosa che mi andava meno a genio, dato il mio scarso appetito. Il display del mio cellulare s'illuminò, informandomi dell'arrivo di un nuovo messaggio. Mittente: sconosciuto. Fantastico.

“ party hard a casa Payne 52 avenue alle 09.00 a.m.. Invita chi vuoi e non mancare! “

An sì: gli inglesi avevano anche l'odiosa abitudine di contare le ore solo fino al 12. cosa che mi confondeva in una maniera terribile facendomi fare delle occasionali figure di merda. E chi diavolo era questo Payne? E come diavolo faceva ad avere il mio numero? Boh, fattostà che erano ormai le 20.00 e il mio stomaco reclamava il cibo. Mi alzai di malavoglia dal divano ed infilai le mie sdrucite converse nere e misi in borsa il mio amato romanzo “Alice nel Paese delle Meraviglie”. Decisi che sarei andata a comprare una pizza, in quanto le mie doti culinarie lasciassero alquanto a desiderare.

- ci vediamo tra poco Oreste, fai il bravo. –

Chiusi a chiave il piccolo appartamento e salii in auto. In due settimane che ero qui avevo mangiato più pizze di un inglese in tutta la sua vita. Fortunatamente avevo un metabolismo che mi permetteva di rimanere nel mio solito peso ma di sport non se ne parlava. Arrivata davanti alla pizzeria d’asporto parcheggiai l’auto. Dentro non c’era molta gente: una ragazza sulla trentina dai corti capelli biondi, il suo compagno e un ragazzo di circa la mia età, dai capelli corvini e dei tratti orientali. L’uomo sulla quarantina che stava dietro al bancone delle ordinazioni mi sorrise. Mi avvicinai.

- Buona sera signorina, dica pure. -

- salve vorrei una pizza margherita. -

- ha paura d’ingrassare? La nostra pizza è sana, non ha molte calorie. -

- lo immagino, ma credo che prenderò comunque una margherita. -

- come desidera. Ma no sa cosa si perde! -

Feci un sorriso tirato e andai a sedermi sulle poltroncine d’attesa. Il ragazzo di prima mi guardava divertito, come se fosse la prima volta che vedeva una ragazza alterata. Tirai fuori il mio libro e continuai a leggere da dove mi ero fermata:

“ < raccontaci una storia!> disse la Lepre Marzolina.

< sì, ti prego!> implorò Alice.

< e sbrigati > aggiunse il Cappellaio < o ti addormenterai prima della fine. >

< c’erano una volta tre sorelle che si chiamavano Elsie, Lacie e Tillie e abitavano in fondo a un pozzo…> iniziò il Ghiro.

< e che mangiavano? > chiese Alice.

< si nutrivano di melassa. > disse il Ghiro, dopo aver riflettuto qualche minuto.

< ma è impossibile, sai, gli avrebbe fatto molto male. > disse Alice.

< infatti, stavano malissimo > disse il Ghiro.

< ma perché vivevano infondo ad un pozzo? > continuò Alice.

< prendi dell’altro tè > disse seria la Lepre Marzolina.

< veramente non l’ho ancora preso, ragion per cui non posso prenderne dell’altro. > rispose Alice in tono offeso.

< vuoi dire che non puoi prenderne di meno > disse il Cappellaio < se non si è avuto niente non si può prendere che qualcosa. >

< nessuno ha chiesto la tua opinione. > disse Alice per poi tornare a rivolgersi al Ghiro, ripetendo la sua domanda < perché vivevano in fondo ad un pozzo? >

Il Ghiro vi pensò su un paio di minuti e poi rispose < era un pozzo di melassa. >”

(…)

 

Alzai di poco lo sguardo e riuscii a notare il ragazzo di prima, che ancora mi fissava. Dannati inglesi, ma non gliel’insegnano l’educazione?

- Malik, le tue pizze -

Disse il pizzaiolo e il ragazzo moro si voltò. Si avvicinò e prese le due pizze.

- grazie John. –

- figurati, salutami tua madre quando torni a casa! –

- certo, anche lei ti saluta. –

Si avviò alla porta e prima di uscire mi guardò un ultima volta, lasciandomi inebetita davanti al sorriso sghembo più provocante e sexy che avessi mai visto. Se non fossi stata in pubblico forse avrei fatto le bave, ma cercai di trattenermi.

- signorina? La sua margherita. –

Misi il libro in borsa e andai al bancone per pagare.

- è un bel ragazzo, vero? – mi chiese l’uomo dopo avermi fatto lo scontrino.

- bè, sono tutti belli qui, ma io non sono qui per i ragazzi. –

- scuola, immagino. –

- già, voglio impegnarmi al massimo. –

- hai un accento strano, sembra…francese? – alzò le sopracciglia in un’espressione interrogativa. Io annuii.

- in realtà, sono inglese, ma ho vissuto molto tempo a Parigi. –

- e così abbiamo una bella francesina nel nostro quartiere…bè, benvenuta a Londra. –

- grazie. – sorrisi all’uomo, anche se avrei voluto mandarlo gentilmente a fanculo. Detestavo Londra, quella città grigia piena di palazzi e stupidi taxi giallo canarino.

“ tesoro, devi pur farti qualche amico…”

E va bene zia, ci avrei provato. Quella sera sarei andata alla festa di questo Payne e mi sarei fatta conoscere.

 

Erano circa le 21.30, la festa era iniziata già da mezz’ora ed io ero ancora stesa sul divano a leggere. Oreste era rannicchiato sopra al mio stomaco e sonnecchiava tranquillo. Mi alzai di malavoglia, facendolo scendere, infilai le scarpe e uscii, senza badare al trucco. Avevo deciso di indossare un pantaloncino in jeans con delle calze a rete consumate e rovinate, una canotta grigia con l’immagine di Kurt Cobain appartenuta a mio zio e le mie solite converse nere. Giacca di pelle ed ero già in auto, in cerca della 52 avenue. Non fu difficile individuare la casa, dato che era l’unica della via da cui proveniva un baccano infernale. Parcheggiai l’auto due case più avanti. La porta di casa era aperta, nessuno più controllava chi entrasse, se qualcuno l’avesse mai fatto. Dentro regnava il caos più assoluto: ragazzi ubriachi si strusciavano tra di loro, altri ballavano sopra ad un tavolino che presto avrebbe ceduto ed altri chissà cosa stavano facendo ai piani superiori. Andai subito al tavolo dei drink, dovevo sciogliermi. Presi un bicchiere bello pieno di whisky e coca e ne buttai giù metà, senza dare retta alla gola in fiamme e ai leggeri capogiri che iniziavano a farsi avanti. Abbandonai il mio bicchiere sul tavolo e mi lanciai sulla pista. Go all the way, il titolo della canzone che andava. La conoscevo, e non mi dispiaceva affatto, sempre meglio di quella musica spaccatimpani da discoteca. Appena iniziai a muovermi sentii qualcuno avvicinarsi a me e cingermi i fianchi con le mani. Di solito mi sarei girata per accertarmi di che genere di persona avessi accanto, ma non questa volta. Nuova città, nuova me. Dovevo semplicemente lasciarmi andare. Stetti al gioco del tipo e cominciai a strusciarmi contro il suo petto; chiunque fosse aveva un fisico davvero niente male. Mi stavo divertendo ma il tipo iniziava a scendere con le mani, un po’ troppo per i miei gusti, così, mi staccai dalla sua presa e andai al piano di sopra, senza girarmi per vedere chi fosse. Non m’interessava, ma se io interessavo a lui mi avrebbe seguita e speravo vivamente che non lo facesse. Quella casa era enorme doveva avere almeno tre piani ed ogni corridoio sembrava infinito. Passai affianco alle stanze per sentire se fossero occupate e, quando ne trovai una che sembrava libera vi entrai e la chiusi a chiave.

- chi è? –

Sussultai nel constatare che nella stanza con me c’era qualcun altro. La sua voce era calda ma abbastanza sottile, e mi sembrava stranamente familiare. Eravamo circondati dal buio e l’unica fonte di luce era la luna che si vedeva dalla finestra aperta.

- stavo cercando il bagno. –

Dissi la scusa più banale che mi fosse venuta in mente, non ero brava a mentire. Questo rise.

- stai scappando anche tu da qualcuno, vero? –

- tu stai scappando da qualcuno? –

- ragazze appiccicose. Non mi va di andare a letto con la prima ragazza facile che passa. –

Riuscii ad intravvedere la sua sagoma seduta per terra, ai piedi del letto. Mi sedetti anch’io appoggiando la schiena alla porta; era difronte a me.

- dev’essere difficile? – lui sogghignò.

- no, dev’essere…una via di mezzo… -

- difficilmente difficile, allora. –

No vi fu alcuna risata da parte sua, sembrava aver davvero capito cosa intendevo dire.

- tu come sei? –

- facilmente difficile, suppongo. –

- si capisce dal modo in cui parli; anche quello è complicato. –

Questa volta fui io a ridere.

- si, forse leggo troppi libri vecchi. –

Seguì qualche minuto di silenzio. Poi lo sentii muoversi e avvicinarsi a me. Si posizionò davanti a me e mi scrutò, cercando di vedermi nonostante il buio. Io riuscii a vedere i suoi occhi, piccoli e sottili dai mille riflessi argentei sotto a quella pallida luce.

- e tu come sei? – chiesi, tornando allo strano discorso di prima.

- difficilmente facile, penso. E mi piacciono quelle facilmente difficili. –

- so a che gioco stai giocando e di solito non giocherei, ma…ho bevuto e questa sera mi va di essere facilmente facile. –

Si avvicinò ancora ritrovandoci ad un soffio l’una dall’altro.

- tu da chi scappavi? – chiese con una nota d’impazienza nella voce, come se volesse ancora aspettare ma non vedesse l’ora di strapparmi i vestiti di dosso.

- da quelli come te. Ma ora non scappo più. –

Sorrise sulle mie labbra e annullò la distanza tra di noi in pochi secondi. Il suo alito sapeva di vodka e tabacco, un mix fantastico. Approfondimmo il bacio e lui cominciò a scendere con un’umida scia di baci sul mio collo. Io mi appropriai del lobo del suo orecchio. Mi circondò la vita con le braccia sollevandomi. Il desiderio di lui cominciava a farsi spazio prepotentemente in me. Fece scendere le mani fino ai miei glutei e mi sollevò portandomi sul letto e adagiandomi delicatamente sul materasso continuando a baciarmi. Infilai le mani nei suoi capelli: erano stati sollevati in un enorme ciuffo con del gel e mi divertii a scompigliarglieli provocando un gemito d’assenso da parte sua. Accennai ad una risata e tornai a concentrarmi sul suo corpo. Dopo aver tolto anche l’ultimo bottone gli tolsi impazientemente la camicia e la gettai a terra. Feci scorrere le mani sul suo corpo senza stupirmi del fatto che fosse perfetto: addominali scolpiti, spalle larghe e braccia possenti. Mi tolse la giacca di pelle e anche la canottiera iniziando a baciare e leccare ogni lembo di pelle scoperto del mio seno. Con le mani scesi fino ai suoi jeans, slacciandone il bottone e togliendoglieli definitivamente. Una volta che fu di nuovo sopra di me sentii la sua erezione premere contro la mia coscia. Infilai una mano nei suoi boxer senza aspettare, non potevo, il desiderio era troppo grande. Presi in mano il suo membro ed iniziai a massaggiarlo ribaltando la situazione, per rendere la posizione più comoda. Cominciai ad andare su e giù con la mano, prima lentamente per poi aumentare la velocità. Nel frattempo lui mi aveva già sfilato sia gli shorts che le calze. Fin che lavoravo sulla sua intimità gli lascia degli umidi baci sull’incavo del collo e, ad ognuno, sentivo una scarica di piacere invaderlo; avevo trovato il suo punto debole. Passò le mani sulla mia schiena e cercò di slacciarmi il reggiseno ma ci mise più del previsto: si era incastrato. Ma era talmente eccitato e voglioso che con un colpo deciso lo strappò, rompendo il piccolo gancio in metallo e lanciando l’indumento al suolo. Io non diedi importanza al suo gesto, di reggiseni ne avevo almeno una ventina, averlo in questo momento era più importante. Tornò sopra di me martoriandomi un capezzolo con i denti facendo uscire qualche gemito di piacere dalla mia bocca. Intanto infilò senza indugio due dita nella mia intimità, provocandomi dei fremiti incontrollati di piacere. Era da troppo, troppo tempo che non mi lasciavo andare così. Si fermò un attimo; lo vidi allungare una mano verso il pavimento in cerca di qualcosa nella tasca dei suoi jeans. Ne estrasse un preservativo e se lo infilò in poco tempo. Tornò su di me mordendomi le labbra già arrossate. Io aprii le gambe permettendogli di penetrarmi, dapprima con movimenti lenti per farmi abituare alla sua presenza in me. Dopo qualche movimento si fermò, per permettermi di abituarmi senza recarmi dolore. Involontariamente le mie pareti si chiusero, stringendo il suo membro. Un gemito gutturale uscì dalle sue labbra e subito dopo iniziò a muoversi acquistando velocità. Mi aggrappai alle sue possenti spalle, richiedendo una forza maggiore che lui non esitò a dimostrare. Conficcai le unghie nella sua carne qualvolta toccasse il mio punto, facendolo urlare di dolore e piacere. Senza staccarmi da lui riuscii, in qualche modo, a ribaltare la situazione, trovandomi sopra di lui. Portò le mani sui miei glutei guidandomi nel gestire le spinte. I nostri gemiti aumentarono e riempirono la stanza finchè non venimmo insieme. Un orgasmo incontrollato m’invase, facendomi urlare di piacere. Allora, lui si acasciò al mio fianco, esausto e soddisfatto. Presi il lenzuolo e mi coprii, cominciava a fare freddo senza il calore del suo corpo sul mio. Quando il battito del mio cuore tornò regolare lui si posizionò nuovamente su di me.

- come ti chiami? –

- non ho intenzione di dirtelo. –

Lo scostai e mi alzai, per infilarmi i vestiti, ad eccezione del reggiseno, che era irrecuperabile. Lui era rimasto a guardarmi sul etto.

- perché no? – chiese, quasi offeso.

- perché non voglio conoscerti. Rovinerebbe tutto. –

- d’accordo. Quindi…è stata solo una notte di sesso. –

- gran sesso. –

Lui rise e si alzò, infilandosi a sua volta gli indumenti. Prima che potessi andarmene mi fermò.

- aspetta… -

Mi voltai e lui mi tirò a se dandomi un bacio prepotente, colmo di passione, facendomi tornare la voglia di cedere al piacere ma mi trattenni e lo allontanai piano.

- addio. –

- è stato un piacere. -

Risi e uscii dalla camera, precipitandomi al piano di sotto perché lui non potesse vedermi. Uscii subito dalla casa e tornai alla mia auto. Ingranai la marcia e partii, lasciandomi alle spalle la prima notte di piacere da quado ero arrivata nella fredda e spenta Londra.

Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** capitolo 2 ***


Il mattino seguente cercai di svegliarmi in orario, sebbene non avessi forza per farlo. Era il primo giorno di scuola per me, che ero entrata nel secondo quadrimestre. Oreste si era addormentato, come sempre, sul mio ventre e dovetti svegliarlo, facendolo andare nella sua cesta. Adoravo quel gattino dal lucente pelo nero. Infilai un maglione pesante con fantasia a fasce decorate, delle calze a fiori e i miei anfibi di cuoio nero. La mia enorme borsa blu e partii. Arrivai decentemente in orario mescolandomi nella confusione mattutina degli studenti. Quando si accorgevano di non avermi mai vista prima iniziavano a parlare tra di loro guardandomi e mandandomi frecciatine. Ce n’era un gruppetto, in particolare, che continuavano ad indicarmi con lo sguardo e a ridere. Ma non avrebbero riso per molto. Mi avvicinai ad un ragazzo con la testa ficcata nel suo armadietto, intento a rovistarvici dentro.

- scusa… -

Questo si alzò di scatto, andando a sbattere la testa contro la lamina di metallo. Cominciò ad imprecare sommessamente portandosi entrambe le mani alla testa.

- mio dio, mi dispiace! –

- tranquillo, non… -

Si voltò dalla mia parte e finalmente potei vederne il volto: era un bel ragazzo dai capelli biondo scuro e gli occhi castani. Aveva due spesse sopracciglia e delle labbra sottili. Mi guardava sconvolto, come se fosse la prima ragazza che vede in vita sua.

- …importa… -

Per smaltire l’imbarazzo gli porsi la mano.

- sono Megan Cooper, frequento la quinta. –

Lui si scantò e mi strinse la mano.

- Liam. Payne. Frequento anch’io la quinta. –

- aspetta, Payne? Era a casa tua la festa di ieri sera? –

- sì, ci sei stata? -

- sì, ma come diavolo facevi ad avere il mio numero? Non conosco nessuno qui. -

- abbiamo fatto irruzione nell’ufficio del preside prima delle feste natalizie e abbiamo preso l’elenco telefonico degli studenti del quarto e quinto anno per avere più gente… -

-  visto che sei esperto potresti dirmi dov’è? –

- infondo al corridoio, a sinistra. Vuoi che ti accompagni? –

- no, grazie, mi arrangio. Grazie ancora, ci vediamo. –

- sì…ci vediamo. –

Mi sorrise e io ricambiai per poi andare al presunto ufficio del preside. Una signora sulla cinquantina mi venne incontro, scrutandomi da sopra gli occhiali.

- salve...sono Megan Cooper, sono arrivata… -

- sei la francesina. –

La sua voce alquanto gracchiante da saputella mi fece venire i nervi a fior di pelle.

- esatto. Dovrei… -

-  non serve che disturbi la preside. Tieni, questi sono i tuoi corsi. Fa firmare ai professori il foglio e poi riportamelo. –

Mi porse un foglio con la lista dei corsi e delle aule in cui si tenevano.

- grazie. –

- va a lezione, muoviti. –

Mi voltai e me ne andai cercando di trattenermi dl tirarle un pugno in pieno volto. Mi diressi verso la suddetta aula M, dove avrebbe dovuto tenersi il corso di letteratura che avevo alla prima ora. L’aula era stretta e lunga, dall’aria sinistra; la vernice si stava scrostando dai muri a causa dell’umidità e i banchi erano stati imbrattati di scritte e tagli, segno che non dovevano essere molto nuovi. La campanella era suonata da poco e mancavano ancora studenti. Mi avvicinai alla cattedra dove sedeva il professore per fargli firmare il foglio.

- professor Groover? –

L’uomo alzò la testa dal registro e abbassò gli occhiali sfoggiando un caloroso sorriso di benvenuto.

- tu devi essere Megan Cooper, la francese. –

- già, sono io… -

Appoggiai il foglio sopra al registro perché lui potesse firmarlo. Estrasse una penna dall’astuccio in metallo rigido che teneva sopra al pino e firmò con una calligrafia morbida e ordinata.

- sarà un piacere averla con noi, signorina Cooper. Mi dicono che le piace molto la letteratura. –

- bè, abbastanza. Ma sono venuta qui per concentrarmi soprattutto sul mio indirizzo. –

- pittura, se non sbaglio. –

Io rimasi interdetta; come faceva quell’uomo a sapere così tanto sul mio conto?

- esatto… -

- ti starai chiedendo perché diavolo so gli affari tuoi; bè, vedi, la tua buona condotta spicca tra le altre e quando ho saputo che un’altra dei migliori avrebbe frequentato il mio corso ho voluto saperne di più, tutto qua. –

- dei migliori? La ringrazio professore, ma credo che dovrei guadagnarmi una certa fama prima di essere considerata una dei migliori. –

Il professore sorrise e mi porse il foglio.

- mi piaci. Benvenuta alla Saint Nazareth. –

Anch’io ricambiai il sorriso, un po’ infastidita da tutta quella confidenza. Però ero un po’ lusingata, in fondo, mi aveva appena messa tra “I Migliori”. Andai a sedermi in un banco libero in quarta fila. Appoggiai la borsa sull’altro banco e tirai fuori il blocco degli appunti e il mio amato libro.

- ragazzi silenzio, iniziamo. Intanto vorrei fare notare che abbiamo una nuova studentessa tra noi, Megan. Non rovinatemela… -

Ci fu una risata generale. Il professor Groover era un uomo molto giovane rispetto al resto dei professori, avrà avuto sì e no una trentina d’anni. Aveva dei capelli scuri tagliati corti e tenuti disordinatamente, accompagnati da una leggera barba del medesimo colore, anch’essa non molto curata. A dispetto della carnagione olivastra, aveva dei grandi occhi azzurri. Portava degli occhiali da lettura dalla montatura sottile e aveva un grande sorriso che gl’incorniciava il volto.

- d’accordo, cominciamo con l’appello. –

Tornò a sedersi dietro alla scrivania e cominciò ad elencare una serie di nomi di cui non conoscevo ancora i proprietari.

- …Malik? –

Poco prima che il professore potesse pronunciare quel cognome un ragazzo aprì la porta parandosi davanti ad essa.

- presente. –

Quella voce sottile e mielosa, dove l’avevo già sentita? Mi voltai e vidi il ragazzo della pizzeria d’asporto. Non sembrava affatto accaldato o senza fiato per aver corso fino a qui, anzi, sembrava totalmente calmo, come se non fosse assolutamente in ritardo.

- Malik, non posso sempre pararti il culo, è la quinta volta in una settimana che ritardi. –

- scusi, ero ancora fuori quand’è suonata. –

- sempre a provarci con le ragazze, eh? Vai a sederti, va. –

Lui si voltò dalla mia parte e, vedendomi, il sorriso sghembo terribilmente sexy si ripresentò sul suo volto. Io mi voltai di scatto, sperando che non volesse sedersi proprio accanto a me. purtroppo, scelse proprio il banco vuoto accanto al mio e vi appoggiò sopra lo zaino. Io spostai le mie cose senza alzare lo sguardo. Una volta seduto tirò fuori un quaderno a righe e una penna e si sedette comodamente sulla sedia. Il professore iniziò a spiegare.

- ciao. –

Il ragazzo alla mia sinistra di cui non ricordavo assolutamente il nome era girato verso di me e sorrideva.

- ciao. –

Risposi fredda. Non avevo intenzione di attaccare bottone durante la lezione, volevo seguire, ma lui continuava imperterrito.

- io sono Zayn. –

- Megan. –

- sei nuova? –

- a quanto pare… -

Continuavo a guardare il mio blocco, ma sentivo il suo sguardo addosso.

- ci siamo visti in pizzeria… -

- sì, lo ricordo. –

Finalmente si ammutolì, andando a seguire la lezione e non mi rivolse la parola per il resto della lezione. Il resto passò normalmente e anche le altre cinque ore. Conobbi la professoressa Stewart, di Algebra, il professor Higgins, di storia e geografia, il professor Roberts, di storia dell’arte e la professoressa Kelly, del mio indirizzo, pittura.

- …quindi dovrai frequentare alcuni corsi di base con le quarte come discipline plastiche e progettazione per avere ben chiaro come impostare i tuoi lavori, tutto chiaro? –

- certo, tutto chiaro. –

- ottimo. Benvenuta alla Saint Nazareth! –

- sarà almeno la quinta persona che me lo dice oggi. –

Lei rise.

- bè, è la prassi. Ci vediamo domani Megan. –

- arrivederci professoressa Kelly. –

Mi incamminai per i corridoi in cerca della mensa quando qualcuno mi afferrò il braccio. Mi voltai ed incontrai lo stesso paio d’occhi dorati di oggi.

- Liam, giusto? –

- sì, ciao Megan! Stavi andando a pranzo? –

- sì, stavo cercando la mensa… -

- ti ci accompagno io, se ti va. –

Aveva lo sguardo speranzoso di un bambino a cui non riesci a dire di no. Ma perché no? La zia aveva detto di socializzare e io non l’avrei delusa. Gli sorrisi.

- certo, così evito figure di merda. –

Lui rise e mi sorrise facendomi cenno di seguirlo.

- così…sei di Parigi… –

- in realtà io sono inglese, ma mi sono trasferita lì a undici anni. –

- wow…quindi hai parenti francesi? –

- il marito di mia zia, quindi no, sono completamente inglese. –

- e come ti trovi a Londra? –

- la odio. Non fa altro che piovere e basta. Io detesto la pioggia. –

- ti capisco, anche a me non piace la pioggia, ma d’estate è bello qui. –

- sì, ma Parigi…mi manca un sacco… -

Arrivati davanti alla mensa Liam aprì la grande porta e si inchinò, come un gentiluomo, per farmi entrare.

- bè, signorina, benvenuta al nostro rinomato ristorante! –

Io risi entrando con lui nella mensa. Ci mettemmo in fila ma quando vidi cosa servivano decisi di prendere solo una lattina di Coca Cola. Liam prese della pizza e una mela, con una bottiglietta di acqua naturale.

- dovresti mangiare qualcosa… -

- che senso ha se poi vomito tutto? –

Lui annuì.

- la pizza non è tanto male. –

Ci sedemmo ad un tavolo. Questo Liam era davvero socievole e simpatico. A quanto pare era il tipico ragazzo popolare, giocatore di football nella squadra della scuola, con una buona media e bello da morire, il ragazzo perfetto. Non per me, ovviamente. Ero una ragazza facilmente difficile, dopo tutto. Sorrisi tra me e me, ripensando alla sera precedente. Ad un certo punto un ragazzo biondo dagli occhi azzurrissimi si sedette al nostro tavolo.

- hey Liam, hai trovato una bella compagnia… -

- Megan, lui è Niall, è nella mia squadra di football. Niall, lei è Megan Cooper. –

- la francesina! –

- diamine, perché mi chiamate tutti così? È snervante. –

- la signorina ha un bel caratterino… -

Il biondo mi guardava maliziosamente. Ed ecco che si manifestava ancora lo strano fenomeno per cui i ragazzi dolci e simpatici sono amici degli spacconi arroganti. Io ero simpatica, certo…ma solo con chi voglio. Mi trattenni solo grazie alle parole di mia zia Meredith. Dovevo socializzare, non potevo mandare tutto a puttane già adesso.

- sì, me lo dicono spesso. –

Lui sorrise. Portava l’apparecchio bianco che si confondeva con il colore naturale dei denti. Guardandolo bene, era biondo tinto, con la ricrescita castana sotto. Anche lui aveva un bel fisico. Prese la pizza dal piatto di Liam e gli diede un morso.

- tranquillo, tanto non avevo fame. –

Disse Liam ironicamente. Il biondo sembrò non farci caso e continuò a mangiare la sua pizza indisturbato.

- buon giorno ragazzi! –

Un ragazzo dai capelli castano chiaro si sedette tra Niall e Liam, gingendo le spalle del biondo con un braccio, seguito da un riccio che si sedette accanto a me.

- Megan, lui è Louis e il riccio è Harry. Ragazzi, lei è Megan. –

- quella di Parigi! –

Disse il moro con un ciuffo spropositatamente enorme che gli ricadeva sulla fronte.

- non chiamarla così, si arrabbia! –

Disse Niall, intento a mangiare le croste dell’ex pizza di Liam. Io lo fulminai con lo sguardo.

- in realtà, mi arrabbio solo se lo dici tu. –

Lui sorrise beffardo.

- mi stai simpatica. –

Alzai gli occhi al cielo e mi rivolsi agli altri, cambiando discorso.

- frequentate tutti la quinta? –

- si tranne Harry. Lui è piccolino, fa la quarta! –

Ancora una volta fu Louis a parlare, il moro con gli occhi azzurri e un sorriso da parte a parte. Sembrava il più euforico del gruppo. Harry lo guardò male, innervosito.

- parla quello bocciato. –

- ma ho due anni in più di te. –

- sei comunque più stupido. –

- non sono io che ho la fama di puttaniere. –

- questo cosa c’entra? –

- ragazzi, per favore! Non mi sembra che stiamo facendo una gran bella figura. -

Si intromise Liam e alle sue parole calò il silenzio e tutti rivolsero i loro sguardi a me.

- no no, tranquilli, io sono anche peggio quando mi metto! –

Dissi, sperando che guardassero altrove. Detestavo essere fissata. Presi iniziativa e cambiai discorso.

- che indirizzo frequentate? –

- io scultura, Niall e Liam architettura e Louis design. Tu fai pittura, giusto? –

Disse Harry. Quel ragazzo aveva due enormi e magnetici occhi verdi, quasi sproporzionati che, però, nel complesso stavano benissimo e insieme al suo sorriso gli davano un’aria da bambino innocente che, a quanto pare, invece non era.

- sì, esatto. –

Alle spalle di Louis arrivò una ragazzetta biondo miele che gli gettò le braccia al collo.

- ciao amore! –

Lei si fiondò sulle sue labbra dandogli un bacio a stampo. Poi si sedette e mi squadrò dall’alto in basso. Poi si aprì improvvisamente in un enorme sorriso.

- ciao io sono Laurel, tu devi essere Megan, quella di Parigi! –

- sì…esatto. –

Louis le cinse la vita e la tirò a sé, facendo scontrare le loro fronti.

- perché non c’eri a progettazione? –

- ho bruciato la prima ora con Abbie e Julia, siamo andate in centro. –

- mi sei mancata… -

- anche tu… -

Si baciarono intensamente più di una volta per poi approfondire il bacio.

- perché non sei rimasta in Francia? Cioè, mi dicono che anche lì ci sono ottime scuole. –

Disse Harry, continuando il discorso di prima.

- sì, ma questa è la migliore e se devo spendere soldi voglio usarli nel miglior modo possibile e questo mi sembrava il migliore. –

- sì, è vero. Io vengo dall’Irlanda e diciamo che non è proprio a due passi da qui. –

Si intromise Niall.

- hey guardate chi arriva. –

Disse Liam indicando con lo sguardo qualcuno alle mie spalle.

- scusate per il ritardo, ho avuto da fare. –

Quella voce. Di nuovo. Ora sapevo a chi apparteneva ma mi sembrava di averla sentita anche prima d’allora.

- con Robin? –

Chiese Liam. Il ragazzo si sedette accanto ad Harry e annuì, prendendo dal vassoio di Harry una mela.

- l’hai mollata? –

Lui annuì di nuovo e diede un morso al frutto che teneva in mano.

- Zayn…le avrai spezzato il cuore, povera ragazza… -

- povera ragazza?! Hai idea di quanto appiccicosa e gelosa sia? Voglio uscire domenica; no, si va al centro commerciale a comprare trucchi e scarpe. Devo vedermi con voi; no, potrebbero esserci altre ragazze. È durata anche troppo, fidati. E poi diceva a tutti che ero il suo ragazzo, sai che non lo sopporto. –

Liam sospirò, ormai rassegnato.

- comunque, lei è… -

- Megan, lo so. Ho avuto il piacere di conoscerla stamattina. –

Non alzò lo sguardo, continuò a mangiare la sua mela. Perché diavolo dovevano esserci sempre i ragazzi come lui in mezzo alle compagnie? Non che avessi qualcosa contro di lui ma, d’ora in poi, avrei cercato di evitarlo. Mi alzai da tavola e presi la mia borsa.

- scusate, devo andare. –

- vuoi che ti accompagni? –

Si affrettò a chiedere Liam, con la sua solita premurosità.

- no grazie, so dov’è il giardino. Ci vediamo ragazzi. –

Tutti mi salutarono, anche il biondo, ma non Zayn. Quel ragazzo aveva qualcosa di stranamente familiare, ma non ricordavo dove avrei potuto già averlo incontrato. Mi diressi sul giardino sul retro, nell’area fumatori. Quella scuola era ben organizzata e mi convincevo sempre più di aver fatto un’ottima scelta. Mi sedetti su un muretto in cemento e tirai fuori  dalla borsa le mie Luky Strike blu. Ne accesi una e presi una grande boccata di fumo. La nicotina mi entrò nei polmoni e mi annebbiò il cervello, facendomi rilassare. Mi attendevano altre quattro ore in cui avrei fatto pratica nei laboratori del quarto anno. Le prossime due ore avrei avuto discipline plastiche e poi progettazione. Entusiasmante. Chissà che indirizzo frequentava Malik. Forse anche lui pittura. A distrarmi dai miei pensieri fu il suono della campanella. Gettai il  mozzicone a terra e lo calpestai con u piede. Raccolsi la borsa e tornai dentro, in cerca del laboratorio di plastica. Seguendo le indicazioni di alcuni studenti riuscii a raggiungerlo, con un quarto d’ora buono di ritardo. Bussai alla porta e feci capolino nell’aula, scorgendo il professore intento a fare l’appello e gli alunni seduti intorno a due grandi tavoli. Quando il professore mi vide sorrise.

- tu devi essere la Cooper. –

- esatto. –

- io sono il professor Simmons. Vieni, entra pure. Ragazzi continuate i vostri lavori senza disturbare.-

Vidi un ragazzo alzare una mano verso di me per farsi notare; riconobbi la testa riccia di Harry. Gli sorrisi e ricambiai il saluto. Mi avvicinai al professore.

- allora, tu frequentavi già un artistico, giusto? Quindi avrai fatto sicuramente discipline plastiche. –

- sì, ho lavorato con creta e argilla. –

- cos’hai riprodotto? –

- bè, gli ultimi lavori sono stati principalmente sulla figura umana. –

- bene, allora adesso ti do della creta e riprodurrai il volto che sta facendo anche il signor Styles. –

Mi guidò fino al tavolo di Harry e mi sedetti accanto a lui. Il professore andò nel magazzino per prendere la creta.

- hey, che ci fai qui? –

- devo riprendere le basi che ho lasciato l’anno scorso. –

- oh, bello…devi fare questo? –

Disse indicando il volto in gesso che stava sul tavolo, davanti a noi.

- a quanto pare… -

Tornò il professore e mi posizionò davanti un blocco di creta e qualche strumento per lavorarla.

- Styles non portarla sulla cattiva strada, d’accordo? –

- non si preoccupi, è in buone mani. –

Se ne andò, non convinto della sua affermazione e tornò ad occuparsi dei suoi affari alla cattedra. Io presi la mia creta e mi rimboccai le maniche. Adoravo sporcarmi le mani lavorando con materiali terrosi. Harry aveva già cominciato a lavorare da un po’ ed era a buon punto. Probabilmente ci lavorava da qualche lezione.

- sai, in realtà, questo è un lavoro da quinta. –

Disse il riccio, pavoneggiandosi.

- oh, allora sei bravo. –

Dissi, fingendo ammirazione. Lui mi diede una spallata amichevole sorridendo.

- diciamo che m’impegno. Mi piace davvero. –

- sì, anche a me piace il mio indirizzo. Disegnare è quello che ho sempre voluto fare e quello che farò. Ne sono convinta. –

- questo è lo spirito. Ah, riguardo a quello che ha detto Louis prima…non è vero che vado con tutte... -

Io risi e lo guardai negli occhi, notando un po’ di rossore sulle sue gote.

- ma figurati se ascolto quello che dicono gli altri! Io credo a quello che vedo, non per sentito dire. Parlavano male anche di me, sai? Dicevano che mi drogavo, che mi sono sverginata alle medie, che picchiavo le persone…capisci? Cazzate. –

Lui mi sorrise, sollevato. Ripresi a dare forma alla creta, cambiando discorso.

- Zayn che indirizzo frequenta? –

- scenografia. È un indirizzo nuovo, lui fa…fotografie. –

Io corrucciai la fronte, un po’ confusa.

- è un indirizzo che ne contiene altri. Le sue non sono semplicemente foto. Ci sono ancora quelle della vecchia mostra, un giorno te le farò vedere, così capisci. –

- ma lui è inglese? Cioè, non mi sembra di qui… -

- suo padre è anglo-pakistano. Come mai tutte queste domande su Malik? –

- oh, così…insomma, non mi sembra uno molto…facile, ecco. –

- bè, su questo hai ragione. Ha dei gusti difficili su qualsiasi cosa, delle abitudini strane ed è misterioso…l’unico della compagnia che riesce a stargli dietro è Liam. Loro si conoscono da sempre, sono praticamente fratelli. –

- senza offesa, ma a me Liam sembra l’unico normale tra di voi… -

Lui sorrise.

- bè, lui è…il bravo ragazzo. Va bene a scuola, non fa soffrire le ragazze, è atletico, bello e simpatico, quello perfetto. O, almeno, è quello che sembra. –

- che vuoi dire? –

La sua affermazione mi incuriosiva. Forse Liam non era come si presentava?

- bè, vedi…non è un santo. Anche lui è stato un “cattivo ragazzo”. I suoi hanno avuto una separazione difficile e lui ci ha sofferto molto. Diciamo che…scappa da loro. –

Non chiesi altro, non volevo fare la ficcanaso. Avrei saputo altro in seguito e solo da Liam, se avesse voluto dirmelo. Il resto della giornata proseguì normalmente fino all’ultima campanella. Uscii da scuola e mi avviai al parcheggio per prendere l’auto cacciai fuori una sigaretta e l’accesi, per poi fare un tiro. Appoggiati alla mia auto c’erano due ragazzi che pomiciavano beatamente. Quando mi avvicinai mi accorsi che il ragazzo in questione era Malik. Mi schiarii la voce per farmi notare.

- sarebbe la mia auto e dovrei andarmene. –

I due si lasciarono di malavoglia e mi guadagnai un’occhiataccia da parte della bionda ossigenata con un culo sproporzionato rispetto al resto del corpo, che se ne andò sculettando. Il moro mi sorrise maliziosamente, tornando ad appoggiare la schiena contro lo sportello del mio maggiolino.

- hai una bella macchina. –

- regalo di compleanno. –

Mi sorrise di nuovo.

- a quanto pare non sei la brava ragazzina che pensavo. –

Disse, alludendo alla sigaretta che avevo in bocca.

- anche le brave ragazze fumano. –

- io dico di no. Me ne dai una? –

- poi ti levi dalla mia auto? –

Si alzò immediatamente e si avvicinò a me. Gli porsi il pacchetto e lui ne sfilò una. Gli diedi anche l’accendino.

- però, ti tratti bene. –

Disse, facendo un tiro. In effetti, le Luky Strike costavano abbastanza.

- è la prima volta che le prendo e credo che non le prenderò più. Costano troppo. –

Buttai a terra il mozzicone e lo spensi definitivamente con la suola della scarpa. Aggirai l’auto e salii dalla parte del guidatore.

- ci si vede, Malik. –

Fece un cenno con la mano e partii. Guidare era un disastro; il senso di marcia era invertito e mi era impossibile superare, dato che non vedevo la fila opposta. Per di più, davanti a me c’era un dannato camion rimorchio che andava alla velocità di una vecchietta in carrozzella. Appena riuscii ad arrivare fuori casa, cominciò a piovere. Non aveva piovuto tutto il giorno, troppo bello per essere vero. Così, mi bagnai entrando in casa. Appena dentro, il piccolo gattino di appena tre mesi vanne a strusciarsi sulle mie gambe, aggrappandosi ai miei pantaloni con gli artigli. Lo presi in braccio e gli diedi un buffetto sul naso.

- ti sono mancata piccolino? Anche tu mi sei mancato. –

Si agitava tra le mie braccia così lo feci scendere. Mi fiondai sul divano, distrutta. Quel Malik era davvero…strano. Aveva appena lasciato la sua ragazza e già stava tra le braccia di un’altra. Bè, tra le gambe, probabilmente. Erano le 18.30, le 17.30 a Parigi. Presi in mano il cellulare e cercai in rubrica il numero della zia. Dopo qualche squillo rispose una familiare voce infantile, finalmente francese.

- …pret? –

- Daniel! –

- sorellona! Mamma, è Meg! –

- hey, come stai ometto? –

- bene! Oggi ho preso una A! –

- wow! Lo sapevo che eri un piccolo genio. Mi fai parlare con la mamma? –

- sì, ciao! –

Non feci in tempo a ricambiare il saluto che se n’era già andato, lasciando il posto a sua madre.

- tesoro, com’è andato il primo giorno? –

- a meraviglia! Ho conosciuto la metà dei professori e… -

Lasciai la frase in sospeso tenendola sulle spine.

- e? –

-… ho conosciuto dei ragazzi. –

- davvero? Come sono contenta Megan! E sono carini? –

- diciamo di sì… -

- non è una brutta compagnia, vero? Quando intendevo di farsi degli amici non intendevo cani e porci… -

- zia, stai tranquilla! Sono tutti ragazzi per bene e sono molto gentili con me. –

- mmm…va bene, mi fido. Ora devo andare, Daniel deve andare da un suo amico. Ciao tesoro. –

- ciao zia. Salutami lo zio e la piccola peste. –

Chiusi la telefonata e andai in bagno a farmi una doccia per rilassarmi.

Ritorna all'indice


Capitolo 3
*** capitolo 3 ***


Il giorno dopo, come quello precedente, mi preparai e arrivai a scuola in orario. Oggi pioveva a dirotto e arrivai zuppa. Dannata pioggia, avrei dovuto procurarmi un ombrello.

- hey Megan! –

Mi voltai e vidi Liam, con il suo solito sorriso dolce e premuroso. Se non ci fosse stato lui a portarmi in giro per quell’enorme edificio, probabilmente, mi sarei già persa una decina di volte.

- buon giorno. Bella giornata oggi, eh? – dissi sarcastica.

Lui accennò ad una risata.

- sei fradicia. –

- grazie al cazzo… - dissi sommessamente senza farmi sentire da lui.

Ci dirigemmo al mio armadietto e vi appoggiai i libri che non mi servivano.

- adesso ho storia dell’arte con Roberts, tu? –

Chiesi cortesemente.

- biologia con la Clarke. Se ti consola, Zayn frequenta il tuo stesso corso. –

- diavolo, adesso sì che sono felice. Questa giornata di merda non potrebbe andare meglio! –

La quantità di sarcasmo era aumentato nella mia voce. Quel ragazzo apatico era l’ultima persona che avrei voluto incontrare. Liam fece spallucce.

- non giudicarlo male, non è come da a vedere. –

- ma tu non mi sembri come lui, cioè…Harry mi ha detto che siete molto amici ma a me sembrate diversi l’uno dall’altro… –

Lui si passò una mano tra i capelli e passarono dei minuti prima che proferisse parola di nuovo.

- sai…nemmeno io sono come do a vedere. Solo, lo faccio nel modo opposto al suo; lui si isola, io cerco di aprirmi. –

Mi guardava negli occhi e potei notare una nota di rimorso nel suo sguardo, come se non avesse voluto dirmelo. Suonò la campanella, impedendomi di fargli altre domande.

- bè io vado da quella vecchia grinzosa della Clarke. Ci vediamo a pranzo. –

- sì, ci vediamo. –

Se ne andò sorridendo, come se la conversazione di poco prima non fosse mai avvenuta. Dovevo ammettere che anche quel ragazzo, in fondo, non era poi tanto normale. Mi incamminai per il corridoio in cerca dell’aula B, quando, qualcuno mi cinse le spalle con un braccio.

- hey, bella francesina, buon giorno! –

Il biondo dell’altro giorno era a meno di dieci centimetri da me, con un sorriso beffardo stampato in volto. Io lo allontanai.

- buona giornata di merda anche a te. –

- perché dici così? –

- perché non è affatto una bella giornata. Piove, sono fradicia e ho due ora di storia dell’arte. –

- mmm…capisco. Bè, io devo andare, non voglio subire la tua collera. Ciao francesina! –

Mi stampò un bacio sulla guancia e se ne andò, mescolandosi tra la folla. No, decisamente non erano normali. Finalmente raggiunsi l’aula, con qualche minuto di ritardo e mi sedetti in un banco libero in penultima fila. Come il giorno precedente, Zayn arrivò con un quarto d’ora secco di ritardo e venne a sedersi accanto a me. Il professor Roberts era un uomo sulla sessantina, con la piazzetta e dei fondi di bottiglia al posto degli occhiali. Le sue spiegazioni erano pesanti da seguire ma dicevano che fosse uno dei migliori.

- buon giorno. – disse il moro con un tono stanco.

- ciao. –

Gettò lo zaino sopra al banco, per coprirsi dal professore e tirò fuori un pacchetto di tabacco con cartine e filtrini. Prese una cartina e vi adagiò sopra una quantità spropositata di tabacco. Mi trattenni a malapena dall’urlargli dietro, non volevo farmi gli affari suoi. Dopo di che cominciò ad arrotolarlo nella cartina, cercando di modellarlo, ottenendo però solo un disastro, facendolo uscire dai due lati aperti. Prese un filtrino e lo mise ad un’estremità. Poi leccò la cartina dalla parte della colla ma si strappò. A quel punto scoppiai.

- cosa diavolo fai, da qua. –

Gli presi di mano quella specie di sigaretta e la aprii, estraendone il tabacco e il filtrino. Accartocciai la cartina strappata e ne presi una nuova. Lui non oppose resistenza, ne tantomeno mi rimproverò per non essermi fatta gli affari miei.

- non devi prendere una quantità industriale di tabacco o non riuscirai a fumarla. Poi devi assottigliarlo, rendendolo omogeneo prima di compattarlo, così. –

Gli mostrai come avevo fatto e poi proseguii, compattandolo. Presi il filtrino di prima e lo misi ad un’estremità.

- ora devi stare attento a non leccare troppo sennò ti si spezza la cartina… -

- sì, lo avevo notato. –

Sorrise ironicamente e anch’io. Leccai la parte cosparsa di colla e la feci aderire all’altro capo della cartina. Gli porsi la sigaretta ben fatta, frutto di una certa esperienza, soddisfatta del mio lavoro. Lui l’afferrò e la osservò. Poi guardò me e sorrise.

- sei più ingamba di quanto pensassi. –

- ho sempre fumato queste. In totale costano meno e contengono meno nicotina. Tu invece hai appena cominciato, vero? –

Lui annuì.

- è complicato girarle e si perde tempo. – disse rigirandosela tra le mani.

- non tutti hanno il mio talento. – mi pavoneggiai sarcasticamente.

- io ho altri talenti. –

- per esempio? –

- sono un ottimo seduttore. – disse malizioso.

- non mi sembra un talento. –

- secondo me sì. Tu sai girare le cicche e puoi fumarle; io sono bravo a sedurre posso scopare. –

- non mi sto facendo una grande idea di te. –

- sinceramente, non m’importa di cosa pensa una che nemmeno conosco. –

- allora la pensiamo allo stesso modo. –

Prese una nuova cartina, ci mise sopra del tabacco e iniziò ad amalgamarlo, seguendo le mie istruzioni. Poi lo rullò e vi infilò il filtrino, ma quando fu il tempo di leccare l’estremità con la colla la cartina si strappò, facendolo imprecare sommessamente. Io risi e gliela presi di mano. Presi un’altra carina dalla confezione e l’avvolsi intorno alla sigaretta.

- puoi rattopparla anche così, basta che non ne metti più di tre, sennò hai più carta che tabacco. –

E gli porsi anche quella. Lui l’afferrò, sbuffando.

- credo che continuerò a fumare quelle preconfezionate. –

- Malik e l’altra, state attenti per favore. –

Il professore ci richiamò, avendo alzato troppo la voce. Tornai a guardare il mio blocco degli appunti. Presi la penna e cominciai a scarabocchiare sulla pagina bianca. Sentivo il suo sguardo addosso. Provai ad ignorarlo ma non ci riuscivo. Mi votai e incontrai i suoi occhi scuri dai tratti orientali. I suoi capelli corvini erano tirati su con del gel in una cresta molto alta. Il suo sguardo mi metteva in soggezione.

- che hai da guardare? –

- hai dei begli occhi. –

Avevo capito il suo gioco. Sorrisi saccente e tornai a guardare il banco.

- non sono stupida Malik. –

- dico davvero,  mi piacciono i tuoi occhi. È difficile trovare una ragazza dai capelli scuri e gli occhi azzurri come i tuoi. Sembra un fotomontaggio. –

- già, me lo dicono spesso. – troncai il discorso cominciando a sentirmi in imbarazzo.

Continuava a fissarmi e la cosa mi dava alquanto sui nervi. Mi voltai di nuovo con un movimento secco del capo e lo trafissi con lo sguardo.

- potresti evitare di fissarmi? Mi da sui nervi. –

- avevo notato anche questo. –

- sei un bravo osservatore, perché non fai quello che ti dice l’istinto? Smettila di fissarmi. –

- perché? –

- mi metti in soggezione, detesto essere osservata. –

- a me piace fissarti. –

Fortunatamente suonò la campanella. Lui mi porse la sigaretta che avevo girato io.

- dopo ti aspetto in cortile. –

L’afferrai e senza dire nulla me ne andai. Non volevo prenderlo troppo in confidenza, non mi piacevano i tipi come lui.

A pranzo andai in mensa e  trovai i ragazzi al tavolo di ieri. Come il giorno precedente, presi solo una lattina di tè.

- salve ragazzi. –

Mi sedetti accanto a Niall, che mi cinse le spalle con un braccio.

- ecco la mia ragazza. –

Io spostai il suo braccio con poca grazia e mi allontanai un po’.

- giù le mani biondo. –

Gli altri risero, lui compreso. Aprii la lattina e bevvi un sorso del contenuto.

- neanche oggi mangi? – chiese Liam, con aria preoccupata.

- non ho fame. –

- se non mangi starai male… -

- mio dio, sembri mia…zia. –

Mi faceva male pronunciare la parola “madre” perché, in realtà, non ne avevo mai avuta una vera e propria. Mia madre non era una di quelle donne che darebbe tutto per suo figlio, che ti racconta la favola della buona notte, che mette i regali sotto l’albero la notte di Natale fingendo che sia stato Babbo Natale e che piange alla tua recita scolastica, no, quella non era mia madre.

- d’accordo, scusa. –

Sospirai e gli sorrisi, pentendomi di essere stata brusca.

- scusami tu, è che oggi non è una delle giornate migliori. –

- non ti piace la pioggia, vero? – osservò Laurel – nemmeno a me piace. –

- sì, la odio. Scusate, vado un attimo fuori. –

Mi alzai dal tavolo e mi diressi nel giardino posteriore, dato che ormai non pioveva più. Frugando nelle tasche della borsa trovai la sigaretta di Zayn e mi ricordai dell’appuntamento che mi aveva dato, infatti, appena arrivai all’area fumatori, lo vidi con la schiena appoggiato alla parete dell’edificio, una mano nella tasca dei jeans scuri e l’altra che teneva la sigaretta. Il suo profilo era dannatamente perfetto; la mascella squadrata, il naso perfettamente dritto, le ciglia lunghe e nere e il suo viso avvolto da una nube di fumo che gli dava un’aria misteriosa e attraente. Quando mi vide sorrise malizioso.

- sapevo che saresti venuta. –

- sarei venuta anche se non ci fossi stato tu. –

- certo, come vuoi. –

Presi l’accendino dalla tasca dei jeans. Appoggiai la borsa ai miei piedi e accesi la sigaretta. Non era niente male, quel tabacco doveva costare parecchio. Notai che lui stava finendo di fumare una Malboro rossa, non quella che aveva girato stamattina.

- e la tua “meravigliosa” creazione? – Dissi sarcasticamente.

- stavo aspettando te. –

Gettò a terra il mozzicone della Malboro e tirò fuori dalla tasca della giacca in pelle la sigaretta che aveva tentato di fare la mattina stessa. L’accese e prese una bella boccata di fumo. Fece un’espressione compiaciuta.

- non è male. –

- ti è costato tanto? –

- quattro sterline e mezzo. –

- cazzo. È roba buona. –

Lui annuì e prese un’altra boccata di fumo. Puntualmente, iniziò a piovere. Fortunatamente c’era una leggera sporgenza del tetto che mi riparava. Chiusi gli occhi e sbuffai.

- pioggia di merda. –

- non ti piace? –

- la odio. È fredda e bagnata e…puzza. –

Lui rise, davvero divertito.

- la pioggia non puzza! –

- e invece sì. Sa di…di asfalto sporco e bagnato. –

- io amo la pioggia. La maggior parte delle persone la guardano dal lato negativo, vedendo solo bagnato, inconvenienti e puzza; – disse alludendo a me – secondo me, invece, ti schiarisce le idee, lavando e portando via con se quello che ti disturba. E non puzza, anzi; penso che abbia un ottimo odore di…libertà –

Io guardavo la strada dopo la recinzione scolastica, spostando velocemente il mio sguardo da un’automobile all’altra. La pioggia scrosciante sbatteva prepotente contro il metallo delle cappotte. Mi resi conto in quel momento che Zayn, dopo tutto, non era il coglione montato con gli ormoni impazziti che pensavo; forse Liam, dopo tutto aveva ragione e giudicare un libro dalla copertina non era mia abitudine. Feci un altro tiro di sigaretta ed espirai il fumo.

- a me fa schifo lo stesso. –

- lui sorrise e scosse il capo, capendo che avrebbe dovuto arrendersi.

- se vedessi un posto in questo momento scommetto che cambieresti idea. –

- ma davvero…e che posto sarebbe? –

Lui sembrò valutare la possibilità di non dirmelo ma infine parlò.

- vuoi vederlo? –

- quando? –

- ora. –

Io risi nervosamente e gettai a terra il mozzicone di sigaretta, stupita dalla sua richiesta.

- vorrai scherzare spero! Ci aspettano altre quattro ore di scuola e io sono appena arrivata, non posso bruciare! E come se non bastasse piove a dirotto e credo che non smetterà per un po’. –

- è questo il punto! Devi vederlo con la pioggia! –

- no, grazie, devo andare a lezione. Ci vediamo domani. –

Presi la mia borsa e mi diressi dentro. Ma che diavolo si aspettava? Che accettassi?! Avevo già avuto il tempo di essere una ragazza trasgressiva, ora era tardi, non potevo permettermi di fare errori. Mi incamminai per il corridoio fino all’aula P, di Algebra. Entrai e mi sedetti su un banco in prima fila. Conoscevo me stessa e sapevo benissimo che se non avessi cercato di seguire avrei pensate a che diavolo di posto avevo appena rinunciato.

Fortunatamente riuscii a rimanere concentrata, e anche le altre tre ore con la professoressa Kelly passarono in fretta. Quella donna mi piaceva sempre di più, man mano che la conoscevo; da lontano l’avrei scambiata con facilità per una ragazzina, data la sua altezza e la sua massa corporea. Aveva dei lunghissimi capelli molto mossi di un rosso scuro molto tendente al marrone, raccolti quasi perennemente in una crocchia. I suoi piccoli occhi erano incorniciati da degli enormi occhiali vintage a lente rotonda che le davano un’aria più professionale. Aveva non più di trent’anni e condivideva molte delle idee dei suoi studenti, per questo era molto amata.

- Megan, ho visto alcuni tuoi lavori degli anni scorsi e devo dire che mi sono piaciuti davvero molto. In un certo senso…credo di capire cosa vuoi esprimere, ma non posso dirlo, le opinioni sono diverse. Comunque, vorrei che tu partecipassi al concorso per la mostra che si terrà il mese prossimo qui a scuola; ti andrebbe? –

- bè, non aspettavo altro! –

Un sorriso radioso si fece spazio sul suo volto.

- bene! Allora, intanto continua a fare schizzi su quello che vuoi e non fermarti su un unico soggetto magari. Domani ne parleremo meglio. Ora vai pure, ti ho trattenuta qui ad oltranza. –

- si figuri, è un piacere. A rivederci a domani professoressa. –

- a domani Megan! –

Uscii dall’aula un quarto d’ora dopo il suono della campanella. Non vedevo l’ora del giorno successivo, quella materia mi faceva dimenticare tutti i miei problemi, come la pioggia per Zayn…stop. Effetto dell’arte finito. I miei pensieri erano tornati e anche i miei problemi. La pioggia continuava imperterrita e più forte di prima. Presi coraggio e uscii da scuola, bagnandomi di nuovo, dato che non possedevo ancora un ombrello. Come se le seccature non fossero abbastanza, appoggiato alla portella della mia auto c’era ancora Malik. Aveva una macchina fotografica appesa al collo e tentava di coprirla con la giacca. Anche lui era senza ombrello, fradicio. Quando mi vide venne verso di me.

- sta diventando un vizio, credo che cambierò posto auto. –

- vuoi venire in quel posto di prima? –

Io sbarrai gli occhi, un po’ confusa e allibita.

- vuoi dirmi che tu sei rimasto qui a prenderti la pioggia solo per aspettare me e chiedermi ancora una volta di venire in quel dannato posto, anche se sai che risponderei di no?! –

Buttai fuori la domanda tutto d’un fiato, senza aspettarmi una risposta da parte sua.

- sì. Sono sicuro che ti piacerebbe, dai vieni. –

- no! Zayn, ti prego, sono stanca e sto prendendo una marea di freddo e pioggia, voglio andare a casa. E se mi ammalo mi avrai sulla coscienza. –

Presi le chiavi dalla borsa e aprii l’auto. Prima che potessi salutarlo e andarmene lui era già salito dalla parte del guidatore. Sbalordita e irritata aprii la portella del passeggero e lo guardai in cagnesco.

- che diavolo stai facendo?! Non ho intenzione di venire! –

- Sali che si bagna il sedile. –

Ascoltando il suo consiglio mi sedei sul sedile e chiusi la portella. Mi abbandonai contro il sedile e sospirai.

- è un sì? –

Chiese lui, divertito. Chiusi gli occhi per riaprirli quasi subito, catturando il suo sguardo e trafiggendolo con il mio.

- che sia una cosa veloce. –

Lui sorrise soddisfatto.

- due minuti e siamo arrivati. –

Ingranò la marcia e uscì dal parcheggio, prendendo la strada inversa a quella per casa mia.

- …speriamo… -

 

Dopo più di mezz’ora arrivammo in un altro parcheggio, solo, due volte più grande e più desolato. La pioggia non accennava a smettere e la cosa mi metteva ancora di più di malumore. Perché uno sconosciuto si era preso la briga di portarmi in un posto che nemmeno volevo vedere? Quel ragazzo diventava sempre più strano.

- siamo arrivati. –

- dopo quaranta minuti. –

Fece finta di non sentirmi e scese dall’auto. Arrivò davanti alla mia portella. Io non volevo scendere; incrociai le braccia al petto e continuai a guardare avanti a me la pioggia che scivolava sul parabrezza. Lui aprì la portiera.

- ti decidi a scendere? –

- piove ancora. –

- se finisce non potrai vedere quello che voglio mostrarti. –

Lo guardai. Mi stava quasi scongiurando con lo sguardo. Sospirai pesantemente e poi scesi, chiudendo la portella alle mie spalle. Chiusi l’auto. La pioggia batteva sulla mia testa, bagnandomi i capelli e il volto.

- spera per te che ne valga la pena. –

- fidati, ti piacerà. –

Mi fece l’occhiolino. Io l’avrei preso volentieri a pugni, solo per sfregiare quel suo bel visino. Si incamminò per strada e si girò, facendomi segno di seguirlo. La pioggia cadeva e rimbalzava sulla sua giacca di pelle nera.

- perché non hai un ombrello? – chiesi irritata da tutta quella pioggia.

- a me piace prendere la pioggia, non porto ombrelli. A meno che non grandini. –

- potevi portarlo per me. –

- tu non ce l’hai un ombrello? –

- evidentemente no, altrimenti l’avrei portato, non credi?! –

Dissi acida.

- miss acidità è tra noi… -

- ringrazia che non è miss avanzo di galera con due ergastoli e una condanna a morte. –

Lui accennò ad una risata e imboccò una stradina stretta tra due palazzi altissimi. Da quella ne prendemmo un’altra, ancora più angusta. Io dovevo camminare dietro a lui. Ad un certo punto lui salì sulle scale anti incendio del palazzo che faceva da muro. Io esitai qualche istante ma poi lo seguii. Dovevo ammettere che la cosa mi incuriosiva parecchio. Ero arrivata fino a lì, perché fermarsi proprio ora? Alla fine della rampa di scale c’era una piccola terrazza provvisoria di ferro che dava su una porta, quella di emergenza. Quest’ultima era vecchia e manomessa, perciò lui riuscì ad aprirla ed entrammo. Dentro c’erano delle altre scale, buie, che davano su una grande porta rossa con dei maniglioni a spinta. Lui li aprì e quando uscii rimasi senza parole. Eravamo sul tetto del palazzo e si godeva di una vista stupenda: davanti a noi c’era il Tamigi e dall’altra sponda il London Eye e tutti gli altri grattacieli e palazzi della città. Erano le 18.30 e il cielo grigio iniziava a diventare nero e un potente fascio di luce penetrava le nuvole, facendomi strizzare gli occhi. La pioggia cadeva sull’acqua disegnando una miriade di cerci e le luci appena accennate della città si riflettevano sull’acqua rendendola quasi viva. Era uno spettacolo mozzafiato, anche un po’ inquietante. Aveva ragione, la mia idea sulla pioggia era cambiata, per ora, almeno.

- visto? Dovevi fidarti. –

- sono o non sono qui con te? –

Lui sorrise e io ricambiai. Questa volta il suo sorriso non era malizioso o furbo, come le altre volte, ma sincero e limpido. Ed era davvero…bello. Prese la macchina fotografica e iniziò a scattare una sequenza di foto. Finalmente, dopotutto, la pioggia cessò gradualmente e le nubi si dissolsero, lasciando spazio alle prime stelle della sera. Il cielo si stava colorando di un rosa spento tendente al grigio. Mi sedetti sul muro di cemento del palazzo con le gambe rivolte verso l’esterno. Era parecchio alto, ma non avevo paura. Zayn si sedette accanto a me a gambe incrociate.

- avevi ragione. È davvero… -

- spettacolare. –

Completò la frase al posto mio. E le sue parole erano davvero azzeccate.

- se avessi il mio blocco degli schizzi… -

Sussurrai, senza che lui potesse sentirmi.

- sei fradicia. –

- grazie tante Capitan Ovvio. –

Dissi ironicamente, ma l’acidità nella mia voce era scomparsa, sen’era andata con la pioggia.

- forse è meglio se torniamo, potresti ammalarti. –

- e a te cosa importa della mia salute? Non pensi alla tua? Ne hai presa il doppio di me. –

- sì, ma ti ho portato qui con la forza, se ti ammalassi mi sentirei in colpa. –

- oh, fai il bravo ragazzo…allora andiamo. –

Rise e mi diede una spinta con la spalla ridendo, seguito da me. Scendemmo tranquillamente attenti a non scivolare dalla scala anti incendio. All’ultimo gradino scese prima lui e mi porse una mano, aiutandomi gentilmente a scendere. Prima che potessimo salire in auto, però, ricominciò a piovere, ma non ci feci caso. In auto chiacchierammo tranquillamente del più e del meno, senza dare troppo peso a quello che ci eravamo detti in precedenza. Quando arrivammo a casa mia erano ormai le 19.30 e il buio era calato sulla città.

- vuoi rimanere? Così ti asciughi un po’. –

- d’accordo, grazie. –

Scendemmo dall’auto e salimmo la lunga rampa di scale fino ad arrivare alla malandata porta del mio appartamento. Quando aprii la porta Oreste venne immediatamente ad arrampicarsi sulle mie gambe, come per sgridarmi del mio ritardo. Io sorrisi e lo presi in braccio, coccolandolo.

- scusa piccolino, ti sei preoccupato? –

Gli feci dei grattini sulla testolina e sulla schiena, per poi adagiarlo delicatamente sulla poltrona. Zayn era entrato e aveva chiuso la porta per poi togliersi la giacca fradicia. Io lo imitai e la gettai sulla poltrona, insieme alla sua.

- ok, vado a prendere un asciugamano e vedo se ho dei vestiti per te. –

- grazie, mi basta una maglia –

Mi sorrise e io ricambia. Era il primo giorno in vita mia che sorridevo così tante volte alla stessa persona, ma mi veniva quasi naturale. Andai in bagno e presi due grandi asciugamani bianchi. In camera riuscii a trovare una vecchia t-shirt abbastanza grande e tornai in cucina. Trovai Zayn che si guardava intorno, cercando di non badare al piccolo gattino che gli ringhiava contro. Io risi e lui si voltò.

- secondo me non gli piaci. –

- tu dici? – disse ironicamente.

Ridemmo insieme. Gli porsi la maglia e presi in braccio Oreste, che si dimenava energicamente.

- vuoi andare in… -

Quando mi voltai per chiedere a Zayn se volesse usare il bagno mi ritrovai davanti l’immagine afrodisiaca del suo petto scolpito e nudo. Evidentemente aveva già fatto. Non riuscii a completare la frase e lasciai andare Oreste avviandomi verso camera mia.

- vado in camera a cambiarmi. –

Non lo vidi, ma intuii un ghigno compiaciuto comparire sul suo volto. Entrai in camera lasciando la porta semi aperta. Mi sfilai la felpa umida e i jeans, fradici. Andai verso l’armadio e tirai su i capelli bagnati in uno chignon disordinato. Aprii le ante dell’armadio ma, prima che potessi allungare una mano per prendere un indumento due braccia muscolose mi afferrarono i fianchi e mi tirarono a se, facendo aderire il mio corpo a quello di un altro. Mi voltai e trovai il viso di Zayn a qualche millimetro dal mio.

- che stai facendo? – sussurrai, senza fiato.

- ti riscaldo. –

Annullò la distanza tra le nostre labbra e io non riuscii ad opporre resistenza. I suoi baci sapevano di caffè e tabacco, un aroma inebriante. Dapprima rimasi immobile ma poi ricambiai i suoi baci, facendogli intendere che volevo di più. Il fatto di andare a letto con lui non mi turbava; non ero una stupida ragazzina sentimentale e non avevo paura di essere un’altra tacca sul suo letto perché, dal mio punto di vista, lo era lui sul mio. E dovevo anche ammettere di averci fatto più di un pensierino. Iniziai a scendere lasciandogli dei baci che andavano dalla spalla fino all’incavo del collo e, quando arrivai lì, lo sentii tremare, invaso dal piacere. Strano che bastasse così poco. Anzi, ora che ci pensavo, mi ricordava il ragazzo della festa. Anche a lui piaceva essere baciato sul collo. Possibile che…no. Non poteva essere. Scacciai quei pensieri e tornai a concentrarmi su di lui. Con un dito prese l’elastico che avevo in testa e lo tolse, facendomi ricadere i capelli bagnati sulle spalle. Le mie mani iniziarono a sfrecciare veloci sul suo petto nudo, bramose di scendere ancora. Le sue mani erano scese e mi massaggiavano la parte esteriore delle cosce, appena sotto al mio sedere. Sentivo la sua erezione sbattere contro la mia coscia, facendo accrescere la mia eccitazione. Ad un certo punto mi sollevò poggiando le mani sui miei glutei e io mi attaccai al suo bacino con le gambe. Mi adagiò sul letto e si posizionò su di me, infilando una gamba tra le mie cosce. Puntellò i gomiti sul materasso per non pesarmi e incatenò i suoi occhi ai miei. Non riuscivo a smettere di guardarlo, sarei rimasta lì in eterno. Quegli occhi sottili e profondi dai mille riflessi dorati.  Mi accarezzò il viso con una mano per poi baciarmi delicatamente. Io mi aggrappai alle sue spalle facendo scontrare i nostri bacini, provocandogli una scarica di eccitazione che manifestò mordendo le mie labbra. Passò le mani sulla mia schiena cercando il gancetto del reggiseno che trovò e sganciò senza problemi.

- …menomale… - sussurrò ansimando.

- ...c-cosa? –

- niente… -

Ricominciò a baciarmi fermando ogni mia domanda. Tolse impaziente il reggiseno e lo gettò a terra, avventandosi sul mio seno. Lo mordeva con fare malefico, facendomi sospirare e inarcare la schiena. Io riuscii ad allungare le mani fino ai suoi jeans, abbassandoli fino alle sue ginocchia, lui pensò al resto. Improvvisamente mi ricordai che non eravamo attrezzati e lo fermai.

- aspetta, il preservativo cazzo! –

- tranquilla, ce l’ho. –

- ma come… -

Mi tappò, ancora una volta, la bocca con un bacio. Ed io, ancora una volta, non cercai di protestare. Con una mano scese ad accarezzarmi un fianco scendendo fino ad infilare una mano nei miei slip. Violò la mia intimità dapprima con un dito, poi due, compiendo dei movimenti lenti e regolari. Io ero agonizzante sul materasso, in preda a spasmi di piacere. Il ragazzo ci sapeva davvero fare, non c’era che dire. Ma anch’io sapevo il fatto mio, non volevo solo subire. Così, lo spostai e ribaltai la situazione, trovandomi sopra di lui. Scesi fino ai suoi boxer con una scia di umidi baci sul suo petto. Quando arrivai in prossimità dell’elastico iniziai a girarci intorno, facendolo soffrire. Teneva i muscoli dell’addome contratti, in segno di sofferenza. Poi, finalmente, entrai con una mano, sfiorando la sua intimità e riuscendo a strappargli un gemito strozzato di bocca. Lo presi in mano e iniziai ad andare lentamente avanti e indietro. L’espressione di piacere dipinta sul suo volto erra impagabile. Quando fu stanco mi afferrò i fianchi e mi gettò nuovamente sotto di sé, lanciandomi un’occhiata famelica. Allungò una mano verso il pavimento ed estrasse dalla tasca dei jeans un quadratino azzurro. Strappò la confezione e si tolse i boxer, infilando il profilattico in pochi minuti. Tornò di nuovo sopra di me. con entrambe le mani prese i due lembi opposti dei miei slip e li levò senza esitazioni, perdendoli tra le lenzuola. Puntellò le braccia ai lati della mia testa ed entrò in me con una spinta decisa. Io strinsi tra le dita il lenzuolo bianco, scaricando la voglia che avevo di urlare di piacere. Le sue spinte aumentarono, sempre più decise. Ogni tanto mi mordeva un capezzolo, aumentando ancora di più la mia eccitazione. Dopo un po’ venni, lasciandomi travolgere dall’orgasmo. Dopo altre due o tre spinte venne anche lui e si acasciò esausto al mio fianco. Guardavo il soffitto scrostato dove si riflettevano i riflessi della pioggia sui vetri dati dalla luce scaturita dai lampioni. Avrei voluto coprirmi ma ero sfinita e non ne avevo la forza. Come a leggermi nel pensiero, Zayn afferrò il piumone bianco candido e ci coprì, avvicinandosi a me. una domanda uscì involontaria dalla mia bocca, curiosa di sapere la motivazione della sua esclamazione di prima.

- cosa intendevi con “menomale”, prima? –

Lui sorrise e sospirò.

- niente è che…il reggiseno della mia scorsa ragazza si era incastrato e per toglierlo…l’ho strappato.-

Il sangue mi affluì veloce in volto colorandomi le guance di un rosso acceso. Cazzo. Era lui. Non poteva essere una coincidenza. Ma ero troppo imbarazzata per chiederglielo. Controllai l’ora sulla radiosveglia che tenevo sul comodino: le 20.15.

- forse è meglio che vada, mia madre sarà già abbastanza preoccupata. –

Si alzò e infilò i boxer, per poi raccogliere il resto dei suoi indumenti. Il piccolo gattino entrò nella stanza, tenendosi a debita distanza da Zayn e salì sul letto. Venne verso il mio viso e mi annusò; arricciò il naso e soffiò. Scese dal letto, tornando in cucina.  Zayn rise e si infilò la t-shirt che gli avevo prestato.

- quel gatto mi detesta. –

- gli hai rubato il posto, mi sembra il minimo. –

Risi anch’io. Trovai i miei slip tra le coperte e li infilai. Mi alzai e raccolsi il reggiseno, indossando anche quello. Poi aprii l’armadio e ne estrassi un’enorme camicia a quadrettoni marrone scuro. La indossai e raccolsi nuovamente i capelli in una coda di cavallo. Raggiunsi Zayn in cucina e lo vidi alla porta. Oreste continuava a soffiargli contro. Seccata lo presi e lo chiusi in corridoio. Zayn sorrise.

- devo accompagnarti? –

- no tranquilla, ho la macchina a scuola e non è molto lontana. Ci vediamo domani. –

- a domani. –

Ci guardammo per qualche istante e poi lui aprì la porta chiudendosela alle sue spalle. Sospirai e andai a prendere il piccolo gattino. Lo presi in braccio.

- scusami piccolo, ma…non potevo rifiutare. Insomma, lo hai visto? E poi non capisco perché non ti piaccia, non è mica antipatico… -

Lui si lasciava cullare dalle mie braccia. Andai a sedermi sulla poltrona a gambe incrociate, continuando a fargli dei grattini sul collo.

- sai, credo proprio che sia lui, il ragazzo della festa. Tu non credi? –

Il micetto emise un miagolio strozzato e iniziò a soffiare. Scese dalle mie gambe e andò ad accoccolarsi nella sua cesta. Che diavolo gli prendeva? Bah, cose da gatti. Mi alzai e andai ad accendere i fornelli per far bollire dell’acqua. Mi arrampicai sulla credenza per raggiungere l’altissimo ripiano in cui tenevo gli infusi per il tè. Presi quello normale e lascai che la bustina diffondesse l’aroma nell’acqua calda. Una delle poche cose che amavo era il tè. Mi rilassava sempre. Come ero solita fare mi affacciai al balcone della finestra per osservare ogni movimento della città che, senza pioggia, era davvero bella. Dopo tutto, Zayn aveva ragione. Quando ebbi finito di bere l’intera tazza andai in bagno per farmi una doccia, così da lavare via i postumi di quella giornata insolita e stranamente piacevole.
- -
salve a tutti! volevo solo dire che se qualcuno vuole lasciare delle recensioni ben venga! sono davvero curiosa di sapere cosa ne pensate della mia storia e se piace potrei anche pubblicarne delle altre.
grazie!

Ritorna all'indice


Capitolo 4
*** capitolo 4 ***


- e così vivi con tua zia… -

Continuava Laurel imperterrita. Voleva conoscermi a tutti i costi e non la smetteva di farmi domande sulla mia vita a Parigi. Io stavo giocando distrattamente con la linguetta metallica posta sull’apertura della lattina di tè.

- con suo marito e suo figlio. – precisai, per dimostrarle il mio interesse.

- e i tuoi? –

Eccola, la domanda fatidica, quella che ponevo sempre anche a me stessa: e i miei genitori? Dov’erano? Perché non erano con me ora? Perché non erano mai stati con me?

- oh, bè…mio padre non l’ho mai conosciuto e mia…mia madre, bè, lei…vive in Italia…credo… -

Notando il mio disagio Louis si affrettò a cambiare discorso.

- hey Zayn, che fine hai fatto ieri sera? Dovevamo uscire, ricordi? –

- sì, scusate ma non mi andava proprio di vedere altre ragazze. –

- non sai cosa ti sei perso invece! Ce n’erano due che…mio dio che roba… - disse Harry con occhi sognanti.

- ho avuto di meglio da fare. –

Io non alzai lo sguardo ma sentivo che il suo era caduto su di me. Anche la scorsa sera era venuto a farmi visita, con la scusa del prestito di un libro e, dejavù, era accaduto la stessa cosa della settimana precedente.

 

 

“ scusa, non sono riuscito a resistere.” Disse ansimante, alzandomi la maglia.

“ figurati, ti capisco.”

Rise e riprese a baciarmi scendendo dal collo fino al mio seno.

 

 

 Per qualche strana ragione la sua affermazione mi appagava. Riteneva che fosse stato meglio passare del tempo con me che con delle galline rifatte. In fondo, come dargli torto, era stato davvero fantastico.

- Megan, ce l’hai il ragazzo? –

La voce squillante di Laurel mi fece alzare lo sguardo dal libro di Algebra per risponderle.

- no. – dissi semplicemente, per poi tornare a guardare il libro, facendo finta di studiare.

- se vuoi ti presento dei miei amici carini… -

- solo perché non ce l’ho non significa che ne cerchi uno disperatamente.  – dissi seccata.

Lei si zittì immediatamente. Detestavo conoscere persone per corrispondenza. La sua espressione era delusa e un po’ risentita così cercai di salvare la conversazione.

- cioè, io credo che se devi incontrare qualcuno è destino. Io non mi innamorerei mai di una persona che mi è stata presentata da amici di amici, capisci? –

Lei annuì sorridente, cambiando immediatamente umore.

- sì, hai ragione, scusa. Sai, mi piaci. Hai un modo di pensare…giusto. –

Aveva l’espressione di una bambina quando parla del suo eroe, come Superman o Batman. E la sua corporatura non aiutava; era minuta, dai fianchi stretti e il seno ridotto, sembrava una bambolina dei cartoni animati giapponesi. E i suoi capelli spropositatamente lunghi e biondi la facevano sembrare Raperonzolo. Il ciuffo scalato tirato su di lato da una molletta per capelli le lasciava la fronte scoperta mostrando i suoi grandi occhi color nocciola. Erano contornati da un filo di eye lineer sottile e molto mascara, che le allungava le ciglia. Era molto espansiva e chiacchierona, ma non era una gallina tinta e finta, come le ragazze che frequentava. In effetti, lei e Louis stavano proprio bene insieme.

- ti ringrazio. – le risposi sorridendo gentilmente.

Al suono della campanella Liam si alzò.

- signorina Cooper, è giunto il momento di andare. –

Chiusi il libro e sospirai, disperata. Oggi si teneva il compito di Algebra e io non avevo capito l’argomento. Sia martedì che giovedì della settimana scorsa ero andata da Liam per delle ripetizioni ma non erano servite a nulla dato che, alla fine, lui faceva i miei compiti e andavamo a guardare un film in salotto.

- non voglio fare il compito… -

- ma devi. Suvvia, non può essere così difficile. –

- non lo sarebbe se avessi capito qualcosa di quelle cazzo di espressioni. –

- non essere volgare, ora andiamo. A dopo ragazzi. –

Mi sollevò dalla panchina a peso morto e mi mise in piedi.

- addio. – salutai gli altri con fare melodrammatico e seguii Liam in corridoio, fino all’aula B. Ci sedemmo in ultima fila.

- cos’hai fatto ieri? – chiese voltandosi con la sedia dalla mia parte.

- ho studiato. – mentii spudoratamente.

- che noia, la prossima volta che usciamo non accetto un no come risposta. –

- Liam…io non sono come Harry o Louis, capisci? Non sono logorroica e preferisco un libro alla compagnia di persone reali e l’ultima volta che ho bevuto mi sono ubriacata e ti assicuro che non è stato divertente.  Anche perché non ricordo nulla da metà serata in poi. –

Lui accennò ad una risata e mi guardò negli occhi.

- non ti sto chiedendo di essere un’altra persona, solo, vorrei che ti divertissi. –

- ma io non ho bisogno di divertirmi! Devo concentrarmi, ho altri propositi per quest’anno. –

- sentiamoli. – disse, sedendosi comodamente sulla sedia, pronto per ascoltarmi.

- allora, come prima cosa, non avere voti inferiori alla sufficienza e mi sembra di andare bene. Secondo, devo trovarmi un lavoro per pagare l’affitto. Terzo, voglio dare il meglio nei miei disegni, magari fare qualche stage, che so. E con questo ho finito. –

- e l’amore? –

Lo guardai confusa.

- c-cosa? –

- innamorarsi non rientra nei tuoi propositi? –

- bè…no… -

- dovrebbe farlo invece. È importante per riuscire a portare a termine i tuoi obbiettivi. –

- no, non lo è. –

- e invece sì. –

- se sono venuta fin qui è proprio grazie all’amore che i miei genitori non mi hanno mai dato.  –

- capisco cosa vuoi dire. –la professoressa Stewart entrò in classe interrompendo il nostro discorso.

- buon giorno banda di delinquenti, pronti per il compito? –

Ci fu un coro di “no” da parte degli altri alunni e pochi “sì”. Liam si voltò dalla sua parte, pensieroso. Ero decisa più che mai a scoprire cosa lo spingesse a non mostrarsi come in realtà era e ci sarei riuscita. La professoressa distribuì i compiti e dopo un’ora sofferta li ritirò, lasciandoci andare all’ora successiva. Salutai Liam e mi diressi all’aula Q, nel seminterrato, dove si tenevano le tre ore giornaliere di Pittura. Mi diressi immediatamente dalla professoressa Kelly, per saperne di più sul concorso.

- oh, salve Megan.-

- salve professoressa. Volevo chiederle del concorso di cui mi parlava ieri… -

- oh, ma certo! Dunque, consiste nell’esporre un tuo lavoro. Puoi usare qualsiasi tecnica, pastelli, tempera, graffite, quello che vuoi, anche collage. Il tema è: “quello che mi fa stare bene“. –

- chi lo ha scelto? – chiesi, spiazzata da quella scelata.

- bè…noi tutti, i professori dei vari indirizzi. Non ti trovi? –

- no, certo che mi trovo. D’accordo, perfetto. – sorrisi alla donna e andai a sedermi al mio solito tavolo di lavoro.

- ti ha parlato del concorso? – chiese Dana.

- già… - sospirai.

- che ne pensi? –

- che è molto difficile. –

- per me è semplice! So già cosa farò, la tecnica e anche il soggetto! – disse Clare, con il suo solito entusiasmo.

- io sono nella merda. Considerando tutto quello che mi è successo ultimamente, non so proprio dove potrei trovare qualcosa che mi faccia stare bene. – disse di nuovo Dana.
Dana era una ragazza abbastanza alta e robusta, dalla carnagione olivastra e le labbra carnose e piene. I suoi occhi a mandorla dalle iridi scure suggerivano delle appartenenze orientali. I suoi capelli, nerissimi, erano leggermente mossi ed erano rasati dal lato destro. Era una ragazza che le persone potrebbero definire “bulla”; era stata cresciuta da sua madre con altri cinque fratelli e lei, essendo la maggiore, aveva dovuto fare da seconda madre a tutti gli altri. si era dovuta arrangiare come meglio poteva e, a volte, aveva dovuto lottare per ottenere delle cose, per questo poteva risultare scontrosa e superficiale, ma non lo era affatto. In due settimane che ero lì ero riuscita a conoscere la vera lei e, tra una sigaretta e qualche lacrima, era riuscita a raccontarmi la sua storia, che era l’esatto opposto di quella di Clare. Quest’ultima era anch’essa di normale statura e non troppo magra, dai capelli rosso fuoco tinti e gli occhi verdi. Lei era una figlia di papà, viziata e accontentata in ogni cosa, ma non le andava bene. I suoi genitori non c’erano mai, così ha cercato di apparire ribelle, facendosi un tatuaggio a soli quindici anni, un piercing da sola, fumando, ma non era abbastanza. Così è caduta nella spirale della droga, illudendosi che questo l’avrebbe aiutata. Ma non era stato così. E una volta entrati non è semplice uscirne. Infatti, vi era ancora dentro ma, da quando aveva conosciuto Dana, si erano supportate a vicenda, dando l’una all’altra quello che mancava. Eravamo tre ragazze completamente differenti, accomunate soltanto dal dolore del mancato affetto da parte dei nostri genitori.

- sono con te. – risposi all’affermazione di Dana.

Non avevo nulla che mi facesse stare bene. Non per davvero, almeno.

- potrei disegnare della cioccolata… - disse Dana, scatenando la risata di Clare.

- …chili e chili di cioccolata… -

- meglio di no, poi la scambiano per merda. – dissi senza pensare, facendo quasi soffocare Clare dalle risate convulse.

- mi sembri stressata Megan. – disse ancora una volta Dana, più seria.

- lo sono. Secondo voi sono troppo superficiale? Cioè…mi manca qualcosa? –

- un…ragazzo? – chiese Dana, timidamente.

Io annuii pensierosa, trovando la conferma delle parole di Liam.

- già… -

- tu devi solo fare sesso. I ragazzi sono appiccicosi e portano seccature, non ti servono a niente. – intervenne Clare, con il suo solito disprezzo per i ragazzi. Quando si trattava del gentil sesso lei si chiudeva nel suo guscio ed estraeva gli aculei, pronta proteggersi da qualsiasi tipo di attacco.

- a meno che tu non sia masochista, allora va bene. – continuò ancora una volta Clare.

- per vostra informazione, la mia vita sessuale è attualmente attiva. – dissi, fintamente offesa.

- cosa? E non ci hai detto niente?! Adesso parli e per punizione scendi nei particolari. –  disse Clare tutto d’un fiato, con gli occhi che le uscivano dalle orbite da quanto era eccitata.

Risi e aprii la borsa, estraendo il blocco degli schizzi per scuola e iniziando a scarabocchiare sulla copertina.

- lui è…Zayn Malik...fa scenografia… -

- oh, mio, dio, quel Zayn Malik?! Il ruba cuori misterioso e super sexy di quinta?! –

- a meno che non esistano altri Malik… -

- cazzo, Megan! È il più figo della scuola! –

I ragazzi degli altri tavoli si voltarono per fulminarci con lo sguardo. Dannazione all’eccessivo entusiasmo di Clare.

- non urlare porca puttana! – disse Dana, con lo stesso tono di voce, senza porre rimedio alla situazione.

- ragazze cosa succede? – disse la professoressa Kelly che era seduta alla cattedra, guardandoci da sopra la montatura degli occhiali.

- ci scusi, ma stiamo pensando al concorso e non abbiamo molte idee. – cercai di scusarci.

- contenetevi, per favore. Gli altri stanno lavorando e fareste meglio a farlo anche voi. –

- subito. –

Trucidai le due ragazze sedute davanti a me con lo sguardo.

- vedete di non dire nulla a nessuno, capito galline? –

Annuirono in silenzio ed estrassero dalle borse i rispettivi album da disegno. Li aprirono ed iniziarono a buttare giù delle idee. Io le imitai.

- com’è successo? – chiese Clare con un tono di voce normale e malizioso.

- bè…eravamo andati in un posto e pioveva…così quando siamo tornati si è fermato a casa mia per cambiarsi e…mi è letteralmente saltato addosso. –

Loro risero maliziose.

- com’è il piccolo "Jawaad" a letto? – chiese Clare, che a stento si conteneva dall'urlare.

- "Jawaad"? – chiesi io, confusa.

- è il suo secondo nome – si affrettò a spiegare Dana – e girano voci che chiami così anche il suo amichetto. –

- oh…bè è…fantastico. Insomma, il ragazzo sa quello che fa e dura un quarto d’ora buono.–

- dici che se ci provo me lo dà? – chiese Clare con fare innocente.

Dana le diede una gomitata poco gentile tra le costole facendola imprecare sommessamente. Io sorrisi e ci pensai un po’ su, sapendo già la risposta che, stranamente, mi dava fastidio.

- penso proprio di sì. –

- Meg, lasciala perdere, lo sai che scherza.. – cercò di giustificarla Dana ma io la fermai.

- no, è così. Dana, è stato solo sesso, nulla di più, nulla di meno; la cosa non mi turba. –

- secondo me sì… - disse Clare sottovoce, prendendosi un’altra pacca da parte di Dana.

- ragazze, no. provaci. Non m’interessa, davvero. – dissi seccata.

Una volta convinte ci ritirammo ognuna per conto nostro e iniziammo a disegnare. Io non ero per nulla convinta delle mie parole; in fondo, un po’ mi piaceva. Fisicamente, s’intende. E saperlo tra le braccia di un’altra m’infastidiva. In fondo, era stato lui a preferire la mia compagnia a quella dei suoi amici. Quando mi accorsi di quello che avevo disegnato sul mio album mi fermai, confusa; due occhi. Due bellissimi occhi. Ma non erano due occhi qualsiasi. Erano i suoi occhi. E mi erano riusciti davvero bene. Li avevo disegnati inconsciamente, senza sapere davvero quello che facevo.

- sono molto belli. –

Riconobbi la voce di John alle mie spalle. era appoggiato con le braccia sullo schienale della mia sedia; sentivo il suo respiro accarezzarmi la pelle del collo.

- grazie ma…non volevo disegnarli… - dissi a voce smarrita.

- pensavi a qualcuno? – chiese lui.

Mi voltai di scatto incontrando i suoi occhi quasi trasparenti.

- no, a nessuno. – risposi frettolosamente strappando il foglio, trovandomi davanti ad  una nuova pagina, completamente bianca. Ficcai quel foglio in borsa e mi voltai di nuovo. Potei intuire un sorriso saccente farsi spazio sul suo volto. Presi di nuovo a disegnare, senza badargli più di tanto. Accesi il mio mp3 e feci partire Tighten Up, dei Black Keys.

 

- ti dico che gli piaci. – continuava ad insistere Clare.

- non me ne fotte un cazzo, ok? Sono appena stata mollata in tronco da quel bastardo di Matt e non ho voglia di averne un altro tra i piedi. – rispose a tono Dana, molto seccata.

- sai, se fossi coerente con quello che dici, ne approfitteresti e faresti del sano sesso, invece che rimanere chiusa in camera tua a masturbarti, magari saresti meno acida. –

- ragazze, basta! Clare, non mi sembra che tu abbia un rapporto migliore con i ragazzi, non dovresti dire a Dana cosa fare.  – dissi sarcasticamente, esaurita da quella conversazione che andava avanti da quando Dana aveva parlato delle avance ricevute da parte di un ragazzo del quarto anno.

Lei mi guardò, ferita e le si inumidirono gli occhi. Io sospirai. L'umore di Clare poteva passare da euforica a depressa in pochi secondi, peggio di una donna incinta.

- Clare…lo sai che non volevo essere cattiva… -

- non è colpa mia se nessuno mi vuole, ok? E comunque non si parlava di ragazzi, si parlava di sesso e io faccio sesso. Spesso. – girò i tacchi e se ne andò dalla parte opposta.

Sospirai. Dana aprì il suo armadietto e vi infilò i libri.

- tranquilla, non lo farà. – disse con tutta la calma possibile, alludendo ai tagli che speso si procurava lei stessa con una lametta.

- come fai ad esserne così sicura? – chiesi preoccupata.

- perché sa che non volevi intendere quello. E sa che ci stiamo male se lo fa e ci tiene alla nostra amicizia. Tranquilla. – chiuse l’armadietto e afferrò la borsa.

Qualcuno da dietro mi prese la mano, facendomi voltare. Mi ritrovai davanti a quegli occhi che avevo immaginato per tutto il pomeriggio desiderando inconsciamente di vederli ancora.

- hey. – disse Zayn.

- ciao. –

Mi sorrise e lasciò la mia mano, imbarazzato dallo sguardo che Dana teneva puntato su di noi. Alzò una mano e mi porse una busta di carta bianca. Io la presi, sorpresa del suo gesto.

- visto che l’altra volta non avevi il blocco con te, ho pensato di darti una delle mie foto… -

Aprii l busta e il paesaggio mozzafiato della scorsa settimana m’investì, facendomi rivivere ancora tutte le emozioni che avevo provato.

- wow…g-grazie, è fantastico… -

Ero rimasta senza parole. Non pensavo che Zayn avesse sentito quello che avevo detto e, in più, si era anche preso la briga di ricordarselo e farmi una copia della sua foto.

- p-posso tenerla? –

- certo, è tutta tua. Io vado ci vediamo domani. –

- c-certo, ciao. -

Mi sorrise e se ne andò. Io non riuscii a ricambiare, rimasta imbambolata davanti al suo gesto. Dana venne al mio fianco e mi diede delle gomitate amichevoli sullo stomaco, cacciando un piccolo urlo di eccitazione.

- ti ha dato una delle sue foto? Una delle fantomatiche foto di Zayn Malik?! Hai fatto colpo, non c’è dubbio. –

- ma sta zitta… - dissi, leggermente imbarazzata.

- e tu vorresti dirmi che non ti piace? Ma ti sei sentita? Continuavi a balbettare! –

Le diedi una spinta e mi incamminai verso l’uscita, seguita da lei.

- ero solo sorpresa dal suo gesto. –

Mi prese la foto di mano e la osservò sorridendo. Se la rigirò tra le mani.

- non ci ha scritto nemmeno una frasetta? Uffa… -

Me ne riappropriai immediatamente e la richiusi nella busta, mettendola al sicuro dentro la copertina di un libro nella mia borsa.

- è solo una foto, Dana. Piuttosto, dopo fa un giro da Clare e assicurati che… -

- sì, sì, sta tranquilla! Vedrai che non ha fatto nulla, sta imparando a controllarsi. –

Sospirai ancora una volta, preoccupata per la mia amica e uscii. Stranamente, quel pomeriggio non pioveva, anzi, il sole stava tramontando colorando il cielo di un rosa carico.

- ti accompagno a casa? –

- si, per favore. L’autobus passa tra un’ora. –

Salimmo in auto e la lasciai davanti al suo condominio.

- avvertimi se mr Malik vuole divertirsi con qualcun’altra! –

- contaci. –

Rise e io scossi la testa, ingranando la marcia e andandomene. Il cielo era ancora chiaro, così decisi di fare una passeggiata per il centro. Parcheggiai l’auto e camminai per un pò. arrivai davanti ad un bar e vi entrai. Fuori era freddo e dalle vetrate del locale orientate verso ovest potevo osservare il tramonto dalle sfumature roso fuoco.  Mi sedetti ad un tavolino e tirai immediatamente fuori dalla borsa il blocco degli schizzi e due pastelli colorati per riuscire ad immortalare quel momento.

- cosa ordina signorina? –

Mi voltai e lo vidi, ancora.

- Zayn…che ci fai qui? –

- bè, io ci lavoro. –

Arrossii, vergognandomi della domanda ovvia che gli avevo appena posto.

- giusto…allora, una cioccolata calda, grazie. –

Lui sorrise e tornò dietro al bancone. Velocemente tornai a disegnare sul foglio, cercando di cogliere ogni sfumatura. La luce accecante del sole rendeva i palazzi davanti ad esso soltanto delle piccole ombre nere.

- sembra un dipinto impressionista. –

Riconobbi ancora la sua voce e sorrisi.

- sì, amo l’impressionismo. Credo che dei segni effimeri lascino molte più emozioni di quanto potrebbero darne un ritratto o qualcosa di realistico. –

- ecco qui. –

 Poggiò la tazza sul tavolo e si sedette sulla sedia libera davanti a me.

- posso? – disse, alludendo al mio quadernetto.

Io esitai un po’, non avevo mai mostrato a nessuno i miei schizzi, ma alla fine glielo porsi. Presi in mano la mia cioccolata e ne presi un sorso, scottandomi la punta della lingua. Ogni tanto sorrideva guardando le pagine, chissà a che pensava. Il sole gli illuminava il volto, colorando  suoi cadelli corvini di oro.

- non ritrai mai le persone. – osservò lui.

- non mi piacciono le persone. Un paesaggio esprime molto di più di un volto, per me. –

- anch’io di solito fotografo paesaggi. Ma ogni tanto mi piace prendere un soggetto. –

- mh, una volta ho disegnato Oreste! –

Dissi quasi sputando la bevanda di bocca. Lui fu lì lì per rispondere ma poi scoppiò a ridere.

- perché ridi? – chiesi irritata.

- è un gatto! –

- lo so…anche un bambino di due anni sa riconoscere un gatto… -

- no, io intendo delle persone. Un volto che esprime emozioni. –

Sbuffai e presi un’altra sorsata di cioccolata. Lui chiuse il quaderno e lo ripose sul tavolo, davanti a me.

- a che ora stacchi? – chiesi guardando gli scarabocchi sulla copertina del quadernetto che avevo tracciato io stessa quando le idee mancavano.

- alle dieci. –

- oh…e hai qualche impegno dopo? – dissi alzando lo sguardo per incontrare il suo, malizioso e interessato.

- no… -

- bene. – dissi solamente, prendendo un altro sorso della mia bevanda, continuando a sostenere il suo sguardo.

- tu hai da fare? – chiese lui, stando al mio gioco.

- nulla di troppo interessante. –

Sorrise malizioso, leccandosi le labbra secche.

- Zayn, non ti pago per provarci con le clienti! – urlò un ragazzo da dietro la cassa.
Lui si alzò velocemente dal tavolino prendendo il vassoio e tornò dietro al bancone. Si voltò un’ultima volta e mi strizzò l’occhio, mettendo in mostra il sorriso sghembo che mi faceva impazzire. Finii di bere la cioccolata e pagai al ragazzo che biondo che stava in cassa. Gli sorrisi e uscii dal locale, tornando sui miei passi e infilandomi in auto. Era calato il buio e le strade erano illuminate solamente da qualche lampione malfunzionante. Appena arrivai a casa diedi da mangiare ad Oreste e subito dopo mi infilai in doccia. Era stata una giornata stancante, ma avevo voglia di vederlo, di sentire le sue mani percorrere bramose ogni millimetro della mia pelle, di sentire la sua eccitazione, causata da me, di sentirlo in me. Era da una settimana che questa nostra specie di rapporto andava avanti e non dispiaceva a nessuno dei due: stavamo bene insieme e non avevamo impegni al di fuori del letto, non potevo chiedere di meglio. Pensandoci, sia Dana che Clare avevano ragione, benchè le loro idee fossero opposte; Clare mirava al sesso mentre Dana ad una relazione stabile e io avevo una via di mezzo: facevo sesso, del gran sesso, e lo facevo solo con un ragazzo. Più o meno, era quello che volevano entrambe. Uscii dalla doccia e infilai un’enorme felpa nera con scollo a barchetta e senza cappuccio. Era talmente grande che non avevo bisogno dei pantaloni per essere coperta. Tornai in cucina e accesi una sigaretta, per poi sedermi sulla poltrona. Oreste si posizionò davanti a me per osservarmi.

- questa sera devi fare il bravo, capito? Lo so che Zayn non ti piace ma…a me sì, quindi devi fartene una ragione. –

Il piccolino sbadigliò e andò ad appisolarsi sopra al cuscino di una sedia del tavolo da pranzo. Tanto non aveva capito nulla di quello che avevo detto e se avesse capito avrebbe comunque fatto di testa sua. Guardai l’ora sull’orologio appeso al muro sopra al divano, che indicava le 19.00. Sbadigliai e andai a spegnere il mozzicone di sigaretta nel posacenere sul davanzale della finestra. Andai a rovistare nella borsa per prendere le chiavi dell’appartamento ma non c’erano. Guardai sul tavolo, in bagno e in camera, ma niente.

- fottute chiavi andate a farvi fottere. – dissi buttando tutto all'aria, innervosita.

La stanchezza di quella giornata iniziava a farsi sentire, così, mi lasciai cadere a peso morto sul divano, prendendo di nuovo in mano il mio libro.

 

"- in questo momento sta sognando – disse Tweedledee – secondo te cosa sogna? –

Alice disse: – questo non può saperlo nessuno. –

- ma sogna te! – esclamò Tweedledee – e se smettesse di sognarti, dove credi che saresti? –

- dove sono ora, naturalmente. – disse Alice.

- macchè! – ribattè Tweedledee con disprezzo – tu non saresti più in nessun posto. Tu non sei che una specie di cosa nel suo sogno! –

- se quel re lì si svegliasse tu ti spegneresti…paf! Proprio come una candela! – aggiunse Tweedledum.

- ma no! – esclamò Alice indignata – e poi, se sono solo una specie di cosa nel suo sogno, cosa siete voi, vorrei sapere? –

- idem. – disse Tweedledum.

- idem, idem! – gridò Tweedledee.

Lo gridò così forte che Alice non potè fare a meno di dire: - ssss! Finirete per svegliarlo se fate tanto baccano! –

- è inutile che parli di svegliarlo – disse Tweedledum – tanto tu non sei che una delle cose nel suo sogno. Sai benissimo di non essere vera. –

- sì che sono vera! – disse Alice e scoppiò a piangere.

- non credere che piangendo diventerai più vera – osservò Tweedledee – non c’è niente da piangere.-

- se non fossi vera – disse Alice quasi ridendo tra le lacrime – non riuscirei a piangere. –

- non crederai mica che quelle siano lacrime vere. – disse Tweedledum con un tono di sommo disprezzo.

“so che parlano a vanvera ed è sciocco piangerci sopra” pensò Alice fra se. Così si asciugò le lcrime e continuò più allegramente che potè."

(…)

 

Quando mi svegliai qualcuno mi stava baciando il collo. Mi voltai e vidi Zayn sdraiato accanto a me che mi cingeva la vita con un braccio.

- hey… - dissi assonnata.

Lui sorrise e mi stampò un bacio sulle labbra.

- hey. – rispose lui con la sua voce mielosa.

Mi accorsi di essere sdraiata a letto.

- come diavolo ho fatto ad arrivare qui? –

- ti ci ho portata io. – disse tranquillamente.

Allora riacquistai un po’ di lucidità mentale e mi resi conto della situazione.

- come diavolo hai fatto ad entrare? – dissi alzandomi con il busto e notando con piacere che lui era solo in boxer e t-shirt.

- quando sono arrivato c’era un altro inquilino che entrava e mi ha fatto passare e…c’erano le chiavi fuori dalla porta. –

Sospirai e tornai a stendermi, accoccolandomi sotto le coperte.

- ecco dov’erano quelle chiavi del cazzo. –

Lui rise sottovoce e si avvicinò a me, facendo scontrare i nostri nasi. Il suo aroma di tabacco e caffè mi investì. Lo respirai a fondo, drogandomi di esso. Poi sbadigliai, sentendo di nuovo gli occhi farsi pesanti.

- hai sonno? –

- no, ora mi sveglio. – dissi mentendo, sapendo per cosa era venuto.

Mi posizionai sopra di lui e lo baciai un po’ di volte prima di approfondire il bacio, ma lui mi mise una mano sulla guancia e mi fermò. Io lo guardai interrogativa.

- sei stanca, non importa. – disse sorridendomi.

- ma allora sei venuto per niente… - mi baciò senza lasciarmi terminare la frase.

- ho detto che va bene così, davvero. –

Mi spostò da sopra di lui, facendomi stendere di nuovo sul materasso. Mi circondò con le braccia e mi strinse a se. Io ero confusa; dopo essere uscito da lavoro era venuto direttamente da me e si accontentava di dormire e basta? Forse era stanco. Ma allora, perché era venuto? Avrebbe potuto andare a casa sua a dormire. Però la cosa non mi dispiaceva. Non ero mai stata così con qualcuno; le sue braccia mi stringevano a se protettive , regalandomi calore e un vortice di emozioni che da molto non sentivo. Mi avvicinai ancora a lui e appoggiai le labbra nell’incavo del suo collo, facendolo sussultare, come sempre. Le finestre erano socchiuse e lasciavano entrare una pungente brezza di fine gennaio. L’aria nella stanza era fredda ma sotto le coperte regnava un piacevole tepore, sprigionato dai nostri corpi. Sentivo il suo respiro soffiare regolare sui miei capelli, carezzandoli delicatamente e provocandomi dei brividi lungo la schiena. Ci addormentammo così, l’una nella braccia dell’altro, beandoci del calore dei nostri corpi.

 Venni svegliata da un suono monotono e ridondante. Era acuto e fastidioso, come di…una sveglia. Quando andai con la mano per spegnerla tastai qualcosa di morbido e caldo, che non assomigliava per nulla ad una sveglia. Da quella cosa si levò un gemito strozzato, in segno di protesta. Alzai la testa e vidi il ragazzo più bello che avessi mai visto: i capelli corvini arruffati e le labbra un po’ gonfie erano schiuse, la fronte distesa in un’espressione di assoluta serenità e calma. Aveva un leggero strato di peluria sulle gote che gli dava un’aria ribelle. Sorrisi e non potei fare a meno di lasciargli un bacio su una guancia, pungendomi appena. Lui non si mosse. Allungai la mano oltre di lui, raggiungendo quell’aggeggio infernale e interrompendo quel lamento straziante. Lui aprì gli occhi un paio di volte per mettermi a fuoco e poi li richiuse.

- …che ore sono? – chiese con la bocca impastata dal sonno.

- le otto meno un quarto. –

- è tardi. Entriamo un’ora dopo. – disse prendendo il piumone e tirandoselo sopra la testa.

Io accennai ad una risata.

- d’accordo. –

Mi alzai e andai a dare da mangiare ad Oreste, che graffiava alla porta della camera da almeno mezz’ora. Lo presi in braccio e andai in cucina saltellando. Lo appoggiai sopra al tavolo e versai nella sua ciotola del latte fresco. Lui scese subito e si catapultò famelico sulla ciotola.

- sei stato bravo piccolino, grazie. –

Dissi, accucciandomi per accarezzargli la testolina. Poi mi alzai e preparai una moka di caffè anche se in realtà non ne avevo bisogno. Iniziai a canticchiare Tug of War, di Carly Rae Jepsen. Il motivetto mi risuonava nella testa facendomi muovere il bacino a ritmo di musica. Raccolsi i capelli in una coda disordinata e aprii la credenza in cerca di qualcosa da mangiare.

- sei di buon umore oggi. –

Mi voltai e vidi Zayn sorridermi assonnato sulla soglia della cucina. Indossava solo i boxer e una t-shirt, come la sera precedente, e anch’io indossavo ancora l’enorme felpa. Gli sorrisi.

- hai fame? –

Lui annuì e si avvicinò, sedendosi a tavola. Si scompigliò i capelli con una mano, cercando di ravvivarli.

- allora, la nostra cucina è lieta di servirle caffè, latte, tè…caffè… -

Sorrise.

- sì, credo che prenderò del caffè. –

- ottima scelta! –

Presi la moka con il caffè appena pronto e lo versai in due tazze di ceramica bianca. Gliene porsi una. Lui sbadigliò e si stiracchiò prima di prendere in mano la tazza e bere un sorso della bevanda. Io mi sedetti come al mio solito sul ripiano da lavoro della cucina con le gambe penzoloni. Lui mi guardò corrucciando la fronte e inclinando le labbra in un mezzo sorriso.

- non vuoi sederti con me? –

Io scossi la testa come una bambina.

- preferisco stare qui. –

Lui alzò le sopracciglia, dandomela vinta. Quando finii di bere il mio caffè andai in bagno per prepararmi. Mi lavai il viso e misi un filo di trucco. Indossai dei leggins neri e una camicia enorme da boscaiolo, come la chiamavo io, con sotto una canotta dei Guns n’ Roses. Sciolsi i capelli e quando uscii trovai Zayn intento a giocherellare con Oreste, che tentava di mordergli un dito, ma senza riuscirci.

- stai cercando di fare amicizia? –

Lui si alzò dal pavimento e venne verso di me.

- ci stavo provando, ma è inutile. Il tuo gatto è stronzo. –

Gli diedi una pacca sulla spalla, offesa.

- non è vero…è solo geloso. –

Andai verso il tavolo per mettere nel lavello le tazze sporche.

- bè, io vado, ci vediamo dopo. –

- ciao. – dissi non curante, assorta nei miei pensieri.

Mi sentii cingere i fianchi e farmi voltare per incontrare i suoi occhi che oggi erano incastonati da mille schegge dorate.

- non credi di dimenticare qualcosa? – chiese, sostenendo il mio sguardo.

Io aggrottai la fronte e scossi piano la testa. Lui si avvicinò ancora.

- allora ti aiuto io. –

Annullò la distanza tra di noi, tirandomi a se delicatamente. Io gli cinsi il collo con le braccia e ricambiai energicamente il bacio. Quando mi lasciò rimasi con le labbra a pesce, traumatizzata dall’allontanamento prematuro delle sue labbra dalle mie.

- a dopo. – sussurrò sulla mia bocca per poi prendere la porta e uscire  passo deciso.

Con molte probabilità quella era una delle rare volte in cui ero arrossita violentemente, così emozionata. Perché mi faceva quell’effetto? Perché non avrei più voluto staccarmi da quelle labbra calde e morbide? Perché, improvvisamente, sentivo il bisogno di essere sua e di nessun altro? Ogni mia domanda non aveva una risposta. Nulla. Perché…era carino? Banale. Perché era simpatico? Falsa. Perché era maledettamente sexy? Superficiale. Non riuscivo a trovare una vera motivazione che andasse bene. Semplicemente lo volevo. Lui e nessun altro.

Ritorna all'indice


Capitolo 5
*** capitolo 5 ***


Anche il giorno dopo Zayn venne a casa mia per portare a termine quello che la sera prima non avevamo nemmeno iniziato. Il giorno successivo ancora, venerdì, arrivai a scuola in orario, sebbene piovesse più forte del solito. Trovai Dana e Clare ad aspettarmi davanti al mio armadietto, come di routine. Mi ero già scusata con Clare per la discussione di due giorni fa ed ero stata perdonata senza problemi, ma, soprattutto, ero stata molto sollevata dal fatto che non avesse nemmeno un graffio. Poco prima del suono della campanella dovetti separarmi da loro per andare al corso di Scienze motorie. Non capivo perché motoria fosse obbligatoria anche in un liceo artistico. Insomma, se uno avesse voluto fare l’atleta sicuramente non sarebbe venuto qui a studiare. Rassegnata entrai in spogliatoio per cambiarmi. Anche quel corso era in comune con Zayn, insieme a Liam e Niall. In palestra, però, non lo vidi. Niall mi venne incontro abbracciandomi energicamente. Io lo lasciai fare, ormai c’ero abituata.

- ciao bella francesina! – disse sollevandomi da terra.

- mettimi giù, Niall. – dissi seccata, dandogli delle pacche sulla schiena.

Lui mi lasciò andare e mi sorrise. Sospirai e ricambiai il sorriso.

- ciao anche a te, irlandese biondo! – dissi con quanta più enfasi potessi metterci.

Gli angoli della sua bocca si sollevarono in un luminoso sorriso. Anche Liam ci raggiunse.

- ciao Meg. – disse a fiato corto, dato che aveva appena smesso di correre.

- ciao Liam. È già arrivata la prof? –

- sì, è nel suo ufficio, tra poco arriva. – disse, per poi tornare a correre il perimetro della palestra.

- Zayn? – chiesi a Niall, speranzosa che sapesse rispondermi.

- boh. – disse solamente, per poi andare a far compagnia a Liam.

Sbuffai e aspettai che tornassero dov’ero io, per poi unirmi a loro.

Dopo una lunga ora di tortura mi cambiai di nuovo, pronta per affrontare due ore di letteratura, sollevata dal fatto che avrei potuto finalmente vederlo, avendo anche quel corso in comune con Zayn, ma lui non si presentò nemmeno a quello. Mi lasciai cadere su una sedia, delusa e portai lo sguardo fuori dalla finestra, per osservare la pioggia scrosciante. Una miriade di minuscole gocce d’acqua s’infrangeva contro il vetro lurido della finestra. Il vento frustava violentemente la chioma degli alberi, facendo volare via alcune foglie. Il professore stava spiegando Romeo e  Giulietta, ma io non stavo ascoltando. Ero troppo impegnata a immaginare dove fosse ora Zayn e che cosa stesse facendo. Forse…avrei dovuto chiamarlo? No. Perché mai? Non ero ne la sua ragazza ne una sua amica, per cui, non avevo motivo di preoccuparmi. E se gli fosse successo qualcosa? No, probabilmente, pigro com’era, aveva solo voglia di stare a casa, tutto qui. Ma se…

- …signorina Cooper? Vorrebbe dire anche a me a cosa sta pensando? – mi chiese il professore, notando che non ero per nulla presente in classe.

Io sospirai e abbassai lo sguardo.

- scusi. –

Tornò a spiegare la lezione ed io tornai a fare finta di seguire, pur essendo da tutt’altra parte con la testa.

 

Non appena suonò la campanella dell’intervallo ringraziai Dio e tutti i santi. Non era mio solito snobbare letteratura in questo modo, ma speravo invano di poter incontrare Zayn in mensa, seduto come al solito al tavolo con i ragazzi, oppure fuori, a fumare. Arrivai in mensa a passo spedito ma quando arrivai mi spensi nel constatare che c’erano tutti tranne lui. Andai a sedermi.

- ciao Megan! – disse Louis con il suo solito entusiasmo.

- ciao. –

- brutta giornata? – chiese Harry, piegando la testa da un lato per guardarmi meglio.

- considerando che piove e che stamattina ho sudato come un maiale con la Cox, sì, è una brutta giornata. – dissi, appoggiando distrattamente la borsa sopra al tavolo.

Gli altri ridacchiarono. Poi, mi feci coraggio e avanzai timidamente la mia domanda.

- …qualcuno ha visto Zayn? –

- no, oggi non è venuto a scuola. – disse Liam tranquillamente.

- ti manca? – chiese Niall con fare provocatorio.

- era solo per dire, è strano che non ci sia. – dissi cercando di nascondere il rossore provocatomi dall’affermazione di Niall.

Presi una fetta di pizza dal vassoio di Liam e le diedi un morso.

- mio dio, guardatela! Sta mangiando! – e mi mise davanti tutto il vassoio con il resto della pizza.

Io lo allontanai ridendo.

- ma smettila. Guarda che io mangio…quando mi ricordo… -

Lui mi guardò severo, come una mamma preoccupata.

- non cercate di cambiare discorso! – tornò all’attacco Niall – stavamo parlando di te e Zayn. –

Io sbuffai e diedi un altro morso alla mia fetta di pizza.

- non c’è nessun “io e Zayn”, a malapena lo sopporto. –

- però ti piace. – continuò lui, imperterrito.

- no. –

- e allora perché hai chiesto di lui? –

- era solo una cazzo di domanda Niall, ok?! – sbottai. Quel ragazzo era capace di farmi salare il sistema nervoso in pochi secondi.

Improvvisamente si ammutolì, mantenendo, però, un sorriso saccente. Louis gli diede una pacca sulla nuca, facendolo sussultare. Portò una mano al collo e lo massaggiò. Io rimasi a fissare la mia pizza, per poi gettare i resti sul vassoio di Liam, ormai vuoto. Mi alzai da tavola, prendendo la mia borsa.

- io vado da Dana e Clare. –

- Dana e chi? – chiese Harry,  più interessato.

- Dana e Clare, due mie compagne di corso. –

- hai fatto amicizia! – disse Liam, sorridente, sinceramente felice per me.

- e sono carine? – chiese ancora una volta Harry, senza preoccuparsi minimamente di me.

- sì, molto. –

- e sono libere? –

Un bagliore d’eccitazione attraversò le due pietre preziose che aveva al posto degli occhi.

- certo, tutte e due. – dissi sorridendo maliziosa.

- e… - iniziò, ma io lo interruppi prima che potesse fare altre domande, coprendogli il volto con il palmo della mia mano.

- ma tu sei troppo piccolino. – dissi mordendomi il labbro inferiore e scompigliando i suoi irresistibili riccioli.

Lui mi guardò imbronciato, come un bambino e poi portò le braccia al petto.

- suvvia, non disperare; è pieno di ragazzine facili con cui provarci qui, non andare proprio da quelle difficili. – dissi dandogli una pacca di conforto sulla spalla.

- ora vado, a dopo. –

Uscii dalla mensa. Improvvisamente sentii il cellulare vibrare incessantemente nella borsa, così vi infilai una mano alla ricerca de piccolo oggetto, ma senza risultati. Aprii la borsa con entrambe le mani per guardarvi dentro, senza più guardare avanti a me. Puntualmente, andai a sbattere contro qualcuno.

- cazzo, stai attento! – urlò questo, inviperito.

Alzai lo sguardo e lo vidi. Subito mi dimenticai del cellulare e lo lasciai vibrare a vuoto.

- Zayn…s-scusa, non stavo guardando… -

- sì, l’ho notato! –

Il suo tono era acido e carico di sarcasmo. I suoi occhi erano cupi e le pupille dilatate.

- scusa… - ripetei, intimorita dal suo sguardo duro.

Sospirò.

- sta più attenta la prossima volta. –

Alzai lo sguardo, timidamente, stringendo la borsa tra le mani.

- oggi non sei venuto… -

- avevo da fare. – disse semplicemente, con un tono distaccato.

- oh…bè, oggi hai… - non feci a tempo a terminare la domanda che lui mi aggredì, alzando un po’ la voce.

- senti, non ho tempo da perdere con te, ok? Lasciami in pace. –

Se ne andò dalla parte opposta alla mia, scansandomi con una spallata. Ma cos’era successo? Perché mi aveva trattata così? Ancora una volta la mia mente era colma di domande senza risposta. Gli occhi mi si velarono da un sottile strato di lacrime di rabbia. Ultimamente era sempre così: con lui ogni cosa era un mistero e una continua sorpresa. E la cosa era straziante per me, perché avevo sempre una risposta a tutto. Ma, stranamente, ogni cosa che riguardava lui era un mistero per me. Questa volta, però, davvero il suo comportamento non aveva una motivazione. Presi di nuovo sottobraccio la borsa e mi incamminai verso l’aula di Pittura. Oggi avrei avuto ben quattro ore di quella materia. Arrivata in aula andai direttamente al mio tavolo di lavoro, senza salutare la professoressa, come ero solita fare. Gettai di rabbia la borsa sopra al tavolo, guadagnandomi due occhiate stranite da parte delle mie amiche.

- cos’è, Malik ti ha dato buca? – disse Dana con la sua solita ironia graffiante.

- non nominarlo ti prego, non voglio parlarne ora. – dissi secca, sedendomi e tirando fuori l’album da disegno.

- ok… -

- hey, hai qualche idea per la mostra? – chiese Clare sorridente.

- non ancora, voi? –

- io sì, Dana ancora no. – rispose.

Io annuii e tirai fuori il mio mp3, facendo partire Lithium, degli Evanescence. Clare, sapendo già cos’avrebbe portato al concorso, stava finendo un lavoro con la tecnica degli acquerelli mentre Dana si stava sbizzarrendo con i pastelli ad olio, tecnica che lei adorava. Io stavo scarabocchiando delle idee sul mio foglio bianco. Non riuscivo a pensare ad altro che a lui. Disegnai di nuovo i suoi occhi. Poi la sua bocca. Poi il suo naso e, infine, mi resi conto di averlo disegnato completamente. Strappai il foglio e lo cacciai in borsa, ricominciando da capo. Quello che mi fa stare bene…forse leggere. Leggere mi faceva evadere dalla mia vita, immaginare mondi fantastici e ragazzi perfetti…che non cambiano radicalmente umore da un giorno all’altro. Come non detto, ci stavo pensando di nuovo. Iniziai a disegnare e mi persi negli schizzi, dimenticando, finalmente, dell’accaduto.

 

- oh, Oreste…sono disperata! – dissi esasperata al piccolo gattino che mi fissava interrogativo da sopra il tavolo.

Presi la gomma da cancellare e cancellai rabbiosamente ancora una volta il bozzetto che avevo tracciato, spiegazzando il foglio. Appena tornata a casa mi ero messa all’opera per iniziare il lavoro, pur non avendo idee. Avevo schizzato fogli e fogli con le più svariate tecniche, non ottenendo nulla.

La camicia che indossavo era piena di macchie di colore a tempera e così anche la mie mani. I capelli erano raccolti in uno chignon disordinato e mi faceva male la cute, avendoli tenuti legati troppo a lungo. Ad un certo punto sentii bussare alla porta e subito andai ad aprire, senza badare al mio aspetto. Quando rividi quegli occhi ebbi un tuffo al cuore. Lui? Qui? Perché? Teneva lo sguardo basso. Sospirai, infastidita ma allo stesso tempo grata della sua presenza.

- come hai fatto a salire? – chiesi con tono scocciato.

- un inquilino magnanimo mi ha fatto passare. – disse accennando a mezzo sorriso, senza alzare lo sguardo.

Io portai le braccia al petto, aspettando che parlasse. Lui si portò una mano dietro alla nuca, imbarazzato.

- senti…mi dispiace per oggi, non dovevo aggradirti in quel modo… -

Io non mossi un muscolo. Avevo tanta voglia di tirargli un ceffone, ma anche tanta voglia di impossessarmi di quelle labbra sottili e perfette. Finalmente alzò lo sguardo, sorprendendomi nel trovare i suoi occhi sinceri e velati da un senso di colpa. Io lo guardavo con freddezza: non avevo intenzione di cadere nuovamente tra le sue braccia addolcita da un semplice sguardo, non ero una facile.

- d’accordo, ci vediamo. –

Feci per chiudere la porta ma lui mise un piede sulla soglia, impedendomi di chiuderla.

- che vuoi ancora? – chiesi seccata.

- voglio farmi perdonare. Esci con me. –

- è una minaccia? Scusa, ma ho da fare ora. –

Lui accennò ad una risata.

- sì, l’avevo notato. –

In quel momento mi resi conto di essere in uno stato pietoso e arrossi, di conseguenza, investita da un’ondata d’imbarazzo.

- già. Quindi, se permetti… -

- per favore. Sono sicuro al cento per cento che ti piacerebbe. – disse quasi supplichevole.

Sospirai pesantemente per poi trafiggerlo con lo sguardo.

- spiegami perché dovrei voler uscire. Io non ho tempo da perdere con te. – dissi marcando l’ultima frase, per riprendere quello che aveva detto lui la mattina stessa.

Sospirò e si passò una mano tra i capelli.

- ti ho detto che mi dispiace…ma non potrò mai farmi perdonare se non esci con me ora. –

Sporco imbroglione…mi aveva incastrato. Alzai gli occhi al cielo mordendomi la lingua per non insultarlo.

- è un sì? – chiese speranzoso.

- entra… - dissi infine, ormai arresa.

Entrò in casa e si chiuse la porta alle spalle.

- dammi un attimo, vado a cambiarmi. – dissi per poi andare in camera.

- vestiti pesante! – lo udii dire dalla cucina.

Chissà dove diavolo voleva andare. Forse un altro dei suoi posti mozzafiato, magari. Andai in bagno e quando vidi la mia immagine riflessa allo specchio divenni paonazza dall’imbarazzo: i capelli erano una massa informe di ramoscelli secchi e il mio viso era pieno di schizzi di tempera. Mi sciacquai il volto e ravvivai i capelli. Decisi di indossare il mio solito maglione e un sotto tuta nero, con le mie Vans, sempre nere. Cappello di lana, giubotto da skateboard ed ero pronta. Quando tornai in cucina lo trovai a curiosare tra i miei disegni. Si voltò a guardarmi.

- sono per il concorso? –

Io annuii.

- ma non mi viene un’idea buona. –

Sbuffai sonoramente. Lui sorrise, continuando ad osservarli.

- a me piacciono. –

- anche voi avete il concorso? –

- tutte le quinte. –

- e tu hai già un soggetto? –

- più o meno…ma devo lavorarci. –

Sbuffai di nuovo.

- dove si va? – chiesi, incuriosita.

- vedrai, ti piacerà. –

- non mi piacciono le sorprese. –

Lui rise e poi mi guardò riducendo gli occhia due fessure, come se volesse leggermi nel pensiero.

- sei una complicata. –

“ parla quello in fase mestruale” pensai, ma a mi limitai a dire:

- lo so. –

Diedi una carezza a Oreste e presi la porta, seguita da lui. Quando arrivammo giù lui fece scattare la sicura di una Mercedes nera. Io alzai le sopracciglia.

- nemmeno tu ti tratti male. – dissi riferendomi al complimento che avevo ricevuto sul mio maggiolino.

- è di mia madre. – si affrettò a dire per poi salire dalla parte del guidatore.

Erano le 20.30 e il cielo era nero come la pece, senza l’ombra di una stella. Era interamente coperto da uno spesso strato di nuvole che minacciavano altra pioggia. Le strade brulicavano di persone intente a passeggiare, chiacchierare e fare altre centinaia di cose. D’altronde era venerdì sera. Ad un certo punto l’auto svoltò in una strada sterrata che conduceva ad un grande campo da calcio abbandonato, ora in utilizzo come parcheggio. C’erano già molte auto parcheggiate e tutte erano rivolte verso un grande telo, quelli per la proiezione di film.

- è un cinema all’aperto! – dissi con fin troppo entusiasmo.

Mi era sempre piaciuto andare al cinema ma, all’aperto, l’avevo visto solo nei film.

- te l’avevo detto che ti sarebbe piaciuto. – disse lui, con un tono di superiorità.

- cosa si guarda? –

- un vecchio film in bianco e nero, romantico e in francese. –

- wow. Ma tu lo sai il francese? –

- no. –

Io sorrisi.

- ora ho capito: ti serviva l’interprete. –

Lui rise.

- diavolo, mi hai scoperto! –

Gli tirai un pugno sulla spalla facendolo ridere di più.

- questa è la prima e ultima volta che ci casco. –

- sta iniziando. – disse cambiando discorso.

La pellicola iniziò a girare, proiettando il titolo del film: “Viendra à vous” – “verrò da te”.

Prima che potesse iniziare il film vero e proprio un enorme Jeep nera si parcheggiò davanti a noi, impedendoci la visuale.

- ma scherziamo?! – disse Zayn, alterandosi – non si vede più un cazzo! –

- Zayn, calmati… - cercai di calmarlo.

Si abbandonò contro il sedile sbuffando e mettendosi le mani sugli occhi. Sospirai e provai a pensare a qualcosa. All’improvviso mi venne un’idea.

- ho trovato. –

Uscii dall’auto e misurai a spanne l’altezza della Mercedes. Poi misi un piede sul sedile e mi arrampicai sulla fiancata fino ad arrivare al tettuccio.

- che cazzo fai?! – disse Zayn andando quasi in panico.

- dai, sali anche tu, da qui si vede! Non preoccuparti per l’auto, non si rovinerà… -

- e chi se ne frega dell’auto, se cadi ti fai male! –

- ssss! Sta zitto e sali! – gli dissi zittendolo, imbarazzata dalle attenzioni che mi dedicava.

Lui portò le mani ai fianchi, come una mamma alterata e si guardò intorno. Alla fine si avvicinò alla fiancata dell’auto e fece leva con i piedi sul sedile all’interno e arrivò sul tettuccio. Quando si fu seduto chiuse la portella con il piede e si voltò, inchiodandomi con lo sguardo. Io feci un sorriso tirato mostrando i denti e strizzando gli occhi, come una bambina che ha appena combinato un guaio.

- se cadi e ti fai male ti prendo sotto con l’auto e poi me ne vado. – disse serio.

Io non riuscii a trattenermi e scoppiai a ridere, contagiando anche lui. Questo lato di lui mi era nuovo; il ragazzo schivo e scontroso che avevo visto nei giorni precedenti non era quello che avevo davanti in questo momento. Liam aveva ragione e, pian piano, stavo scoprendo un ragazzo dolce e simpatico, dai gusti e abitudini un po’ bizzarri, ma nemmeno io ero una semplice.

- dai, seguiamo. – disse, andando a guardare il telo illuminato dalle immagini.

Dopo circa dieci minuti si avvicinò a me.

- sai quella storia dell’interprete? Bè, non era del tutto falsa… -

Sospirai.

- lei sta dicendo che…lui gli manca e…vorrebbe vederlo, vorrebbe che lui fosse lì con lei ma non può e…una serie infinita di cazzate troppo smielate. –

- non ti piacciono i film romantici? –

- certo che mi piacciono! E qui fuori è…è bellissimo, anche se fa un po’ freddo… -

- aspetta, adesso cosa sta dicendo lui? –

- dice…in pratica le stesse cose che ha detto lei…il suo sorriso, i suoi occhi, il suo corpo, tuttogli manca di lei…oh, ha deciso di andare da lei. –

- era ora. – disse, facendomi sorridere.

- aspetta… - dissi corrucciando la fronte - anche lei lo sta andando a trovare…merda! –

Le immagini seguenti mostravano i due che si vedevano dai finestrini dei rispettivi treni, che andavano dalle parti opposte. Zayn scoppiò a ridere.

- non rideresti se succedesse a te… - dissi quasi offesa dalla sua reazione.

- non mi succederebbe. – disse sicuro.

- come fai ad esserne certo? –

- perché se l’amassi non la lascerei mai andare. – rispose senza esitare, continuando a guardare lo schermo.

Io abbassai lo sguardo e sorrisi inconsciamente; la sua ragazza avrebbe dovuto davvero essere speciale, data la sua fama da sciupa femmine. Ma soprattutto, avrebbe dovuto essere pazza. In pochi avrebbero retto i suoi sbalzi d’umore e le sue strane abitudini. Il film proseguiva; ovviamente, alla fine i due protagonisti si reincontrarono, per non lasciarsi mai più.

- e vissero tutti felici e contenti. – dissi stiracchiandomi.

Puntualmente, iniziò a piovere. Come un gatto balzai giù dall’auto e mi chiusi in auto. Zayn entrò dopo qualche minuto ridendo.

- ma la odi così tanto? Sei scappata come una saetta! – disse trattenendo a stento le risate.

- te l’ho già detto; è bella da vedere, non da prendere. –

- io trovo che sia fantastica, in tutti e due i sensi. –

- bè, ognuno ha le sue idee. – dissi seccata.

Lui fece spallucce e mise in moto l’auto per tornare a casa. Per tutta la durata della serata non lo avevo quasi mai guardato negli occhi, e mi mancava. Volevo vederli, ancora e ancora. Automaticamente mi voltai dalla sua parte: il contorno del suo viso era illuminato dal vai e vieni di luce emanata dai lampioni sul ciglio della strada. I capelli erano bagnati e la cresta che aveva avuto  in precedenza si era afflosciata lasciando i capelli arruffati. Solo in quel momento mi accorsi del dilatatore, probabilmente da un centimetro, che portava al lobo sinistro. Le lunghe ciglia sporgevano dal viso sbattevano in movimenti lenti e regolari. Lo strato sottile di barba che di solito gli contornava il viso questa sera era stato rasato distrattamente, dati alcuni graffi fatti dalla lametta. Quando anche lui si voltò incatenò il suo sguardo al mio. I riflessi della luce artificiale prodotta dal lampione sopra a noi gli illuminavano vagamente gli occhi, dando un contorno indefinito al suo volto.

- siamo arrivati. – disse.

Io mi scantai; non me ne ero nemmeno accorta, troppo assorta da lui.

- oh…allora, a lunedì… - dissi, senza distogliere lo sguardo, aspettando che si avvicinasse.

Ma non fu così. Dopo qualche imbarazzante minuto di attesa mi voltai e presi coraggio, scendendo dall’auto, bagnandomi con la pioggia. Presi le chiavi dalla tasca del giubotto e aprii la porta del condominio, fiondandomi nelle scale. Salii velocemente ed entrai in casa, un po’ delusa dalla conclusione della serata. Tolsi il giubotto e lo appesi sull’attaccapanni in corridoio. Raccolsi i capelli umidi in una coda e mi tolsi il sotto tuta; in casa mi piaceva stare libera, senza costrizioni. Dopo pochi minuti sentii bussare prepotentemente alla porta. Mi precipitai ad aprire.

- Zayn! Non capisco come diavolo fai ad entrare se non hai chiave… -

- hai lasciato la porta aperta… -

- oh… - arrossii.

Lui sorrise e mi porse il mio cappellino nero.

- lo avevi scordato in auto. –

Io lo afferrai, delusa, ancora una volta.

- grazie. –

Lui sorrise e rimase fermo sulla soglia. Sospirai e, senza più riuscire a trattenermi, mi fiondai famelica sulle sue labbra, premendo sulla sua nuca con le mani, per un maggior contatto. Lui non esitò nemmeno un secondo e mi prese per i fianchi, facendo scontrare i nostri bacini e facendo accrescere la mia eccitazione. Fece qualche passo in avanti, entrando in casa. Chiusi la porta alle mie spalle e lui mi spinse, facendomi appoggiare la schiena contro di essa. Gli morsi il labbro inferiore e mi staccai.

- ti odio. –

- odio e amore sono i sentimenti più simili tra loro. – disse lui, per tutta risposta, avventandosi ancora sulle mie labbra, impossessandosene violentemente. Con le mani scese fino ai miei glutei e mi sollevò da terra. Io allacciai le gambe ai suoi fianchi e mi aggrappai alle sue spalle, togliendogli prima la giacca e facendola cadere a terra. Ci spostammo sul tavolo della cucina, continuando a baciarci. Lui infilò una mano sotto al mio maglione delineando il contorno del ferretto del mio reggiseno. Io scesi dalla mascella fino al suo collo con una scia umida di baci, provocandogli dei fremiti. Senza perdere tempo slacciò il gancetto del mio reggiseno, per poi sfilarlo insieme al maglione. Si avventò sul mio seno, stuzzicandomi un capezzolo con i denti e la lingua. Anch’io gli sfilai la felpa che indossava, facendo scorrere le mani sul suo petto, beandomi della sua perfezione. Scesi ancora, fino al bottone dei suoi jeans ma mi fermai.

- …non vuoi andare in camera? – chiesi, ansimante.

Lui annuì, senza staccare la labbra dalle mie e mi sollevò ancora una volta, dirigendosi in camera. Mi gettò sul materasso stendendosi su di me. Io gli sfilai a fatica la felpa e la t-shirt tutte e due in un unico gesto. Tornai di nuovo a giocare con il bottone dei suoi jeans. Lui mugugnò qualcosa e mi morse il labbro inferiore, in segno di protesta. Io risi e finalmente lo slacciai, togliendo di mezzo anche quell’indumento ingombrante. Lui scese dal mio seno fino al mio basso ventre, segnando un percorso con la lingua. Quando arrivò in prossimità dei miei slip alzò la testa e mi guardo, come a chiedere il permesso. Io stavo cercando di trattenermi dall’urlargli di muoversi, perché non ce la facevo più. Avevo bisogno di sentirlo dentro di me. Lui, vedendo la mia espressione sogghignò e, appagato, mi tolse le mutandine con un gesto lento e straziante.

- se non fosse che mi servi ti avrei già picchiato. – dissi, senza fiato.

Lui accennò ad una risata e violò la mia intimità con la lingua, stuzzicando il clitoride. Cercai di controllarmi per non dargli troppa soddisfazione, fin che non vi infilò due dita, iniziando a muoversi con movimenti circolari. Strinsi il piumone tra le dita per non urlare di piacere.

- non trattenerti. - disse malizioso.

“adesso vediamo chi non si trattiene” pensai, per poi ribaltare la situazione. Senza aspettare infilai una mano nei suoi boxer per prendere in mano la sua erezione calda. Iniziai prima con dei movimenti lenti e regolari e poi presi a stuzzicarne la punta con i denti e la lingua, facendogli sfuggire qualche sospiro.

- non trattenerti. – dissi io, vendicativa.

- lo faccio per la tua reputazione. Cosa penserebbe il vecchietto che abita sopra? – chiese affannato.

- si deciderebbe a muovere il cucco con la vecchietta del terzo piano. – dissi facendolo ridere a fatica.

Iniziai a passare la lingua su tutta la sua lunghezza fino a prenderlo in bocca. Non lo avevo mai fatto prima d’ora e non sapevo bene come muovermi, così, iniziai a succhiarlo piano e la cosa sembrava piacergli. Aumentai il ritmo e lui, seguendo il mio consiglio, si lasciò sfuggire più di qualche gemito. Lentamente diminuii i miei movimenti fino ad abbandonarlo completamente, lasciando il ragazzo agonizzante sul materasso. Quasi arrabbiato mi prese per i fianchi gettandomi sotto di lui. Prese il preservativo che aveva lasciato sopra al comodino e lo infilò in pochi istanti per poi tornare sopra di me. Si tolse completamente i boxer ed entrò in me, senza preavviso, facendomi urlare di piacere. Divaricai maggiormente le gambe e mi aggrappai alle sue spalle, conficcandovi le unghie per fargli aumentare la forza delle spinte. Il locale era riempito dai nostri gemiti che venivano spontanei, senza volerlo. Venimmo insieme dopo un po’ e lui si lasciò cadere sul mio petto, aspettando di riacquistare fiato. Dire che ero esausta era poco.

- mi sa che quella storia del “ tratta male le donne e loro ti ameranno” funziona… - disse, ancora ansimante.

Io gli diedi una pacca leggera sulla testa facendolo ridere. Poi presi ad accarezzargli i capelli, morbidi e umidi a causa della pioggia. I suo respiro stava tornando regolare e anche il mio. Alzò la testa e guardò l’ora sul display della radiosveglia sul comodino e poi tornò ad appoggiare il mento tra i miei seni. Mi guardava. Io tornai ad accarezzargli i capelli con entrambe le mani, sostenendo il suo sguardo. Un fascio di luce entrava dalla finestra socchiusa illuminando a malapena la stanza e il suo volto. Le sue mani mi accarezzavano delicatamente i fianchi, come se ora avesse paura di farmi male. Nessuno voleva interrompere quel silenzio, tutt’altro che imbarazzante. Ad un certo punto si spostò, stendendosi sul materasso al mio fianco e coprendoci con il piumone.

- dormi qui? – chiesi, speranzosa.

- d’accordo. – sussurrò lui.

Si volto dalla mia parte e mi lasciò un bacio sulla guancia.

- buona notte. –

- notte. – dissi, portandomi la coperta fin sopra al naso e voltandomi dalla sua parte. Rimasi a guardarlo per un po’, pensando a quanto fosse bello e…dolce, a volte. Era irresistibile.

Ritorna all'indice


Capitolo 6
*** capitolo 6 ***


Gettai con rabbia la borsa su un tavolo libero e mi sedetti. Poco dopo mi raggiunsero anche Clare e Dana.

- hey…giornata storta? – chiese Dana, sedendosi davanti a me.

- chiedilo al Zayn, il ragazzo mestruato. – mi lasciai sfuggire di bocca, presa dalla rabbia.

Le due ragazze sbarrarono gli occhi e poi scoppiarono a ridere.

- “ ragazzo mestruato “? – chiese Clare, che era seduta accanto a me.

- sì, hai capito. Il giorno prima ridiamo e scherziamo e il pomeriggio dello stesso giorno si arrabbia per il cazzo. Poi torna da me per scusarsi ed è dolce e romantico e il giorno dopo di nuovo è arrabbiato, per chissà cosa poi. – dissi tutto d’un fiato.

Repressi un grido di rabbia e appoggiai la testa sulle mani.

- perché cazzo fa cosi! – dissi, esasperata.

Le mie amiche non dicevano nulla, si limitavano a guardarmi incredule.

- vuole solo venire a letto con te. – disse tranquillamente Dana, aprendo la sua lattina di Coca Cola.

- ma dai, Dana…sono sicura che è successo qualcosa…con i suoi magari… - cercò di rassicurarmi Clare, inutilmente.

- no, Dana ha ragione. E io lo voglio per lo stesso motivo, non sono una stupida ragazzina romantica. Mi da solo fastidio che mi tratti anche male. -

- concordo, fagli vedere chi comanda. Non dargliela fin che non ti dice che cos’ha. – disse Dana con la bocca piena di pastasciutta.

Oggi non potevo essere più che d’accordo che con lei. Improvvisamente un paio di mani mi coprirono gli occhi.

- odio questo gioco. – dissi infastidita.

- ti do un indizio: sono bellissimo… - disse lui, cercando di camuffare la voce.

- Niall toglimi le mani di dosso. – dissi seccata, spostandole a forza.

- ok, ok…miss acidità è tra noi… - disse il biondo, sedendosi accanto a me.

- è colpa del ragazzo mestruato. – disse Clare, bevendo un sorso della sua Sprite.

- Clare… - la richiamai.

Niall scoppiò a ridere.

- Niall, loro sono Clare, la logorroica che non si fa mai i cazzi suoi e Dana, la ragazza che oggi ha sempre ragione. – dissi per presentargliele.

Clare mi fece la linguaccia mentre Dana si limitò a sorridere al ragazzo.

- bè, io sono Niall, piacere. – disse mettendo in mostra l’apparecchio bianco che portava ai denti.

- hey Niall, vai a rimorchiare e neanche mi inviti? – disse una voce roca alle nostre spalle.

Harry si sedette accanto a Niall.

- lui è Harry. è del quarto anno e ci prova con tutte, lasciate perdere. – dissi alle ragazze.

- ciao Dana. – disse lui, facendo finta di non sentire quello che avevo appena detto.

- buon giorno Styles. – rispose lei, sulla difensiva.

Io mi avvicinai a Clare.

- com’è che si conoscono? – chiesi in un sussurro, confusa.

- è quello di cui parlavamo la settimana scorsa. – disse lei, tra un morso e l’altro della sua pizza.

Harry continuava a guardare Dana, mentre lei cercava di ignorarlo.

- gli altri? – chiesi a Niall.

- Louis è uscito prima con Lory e Liam dovrebbe arrivare a momenti. – disse tranquillo.

- …Zayn? – chiesi timidamente.

Lui sorrise beffardo e ridacchiò tra se e se.

- è lui il ragazzo mestruato? – disse, cercando di trattenere le risate.

Io abbassai lo sguardo e mi morsi un labbro per trattenere le risate spontanee.

- sì…ma non dirglielo, ok? – lo additai, minacciandolo.

Lui alzò le mani in segno di resa.

- ragazzi eccomi! Scusate, la Stewart mi ha trattenuto. Hey scema, io ho preso B- nel compito. – disse rivolgendosi a me.

- se ti consola io ho preso una bella F, scritta in grande, sottolineata di uno sgargiante rosso carminio. – dissi sarcastica.

Lui ridacchiò e si sedette tra me e Clare, cingendomi le spalle con un braccio.

- andrà meglio la prossima volta. – disse, schioccandomi un bacio sulla guancia.

- ragazze lui è il mitico Liam; loro sono Clare e Dana, due comuni mortali che, come me hanno la media lella F in Matematica. –

- piacere. – disse lui, sorridendo gentile.

- io voglio conoscere Zayn. – sputò di bocca Clare.

Niall e Harry fecero un verso tipo “ wooo “ . Io la fulminai con lo sguardo.

- vuoi passare subito alla merce importante! – disse Niall.

- oh, no! Io non posso, lui e… - non le feci terminare la frase, tirandole un calcio da sotto il tavolo e facendole contrarre il viso in una smorfia di dolore.

- lei si vede già con uno. – dissi sbrigativa.

- sei gelosa? – chiese Niall, con fare provocatorio.

Io sospirai e mi alzai da tavola, prendendo la mia borsa.

- vado in fuori, ci vediamo a lezione ragazze. A domani ragazzi. –

Scompigliai i capelli a Niall e mi diressi in corridoio. Dovevo solo distrarmi e lasciarmi cullare dal dolce sapore di una sigaretta e la rabbia che mi era montata prima sarebbe passata. Fin che camminavo guardando il pavimento qualcuno mi afferrò il polso e mi tirò dietro alla fila di armadietti. Mi ritrovai ad un palmo di naso da Zayn, che spezzò quasi immediatamente la distanza che ci separava con un bacio. Io mi dimenai dalla sua presa e lo scansai.

- lasciami andare! – dissi inviperita.

Lui mi fece segno con il dito di non urlare. Mi pese per i fianchi e si avvicinò nuovamente a me, intrappolando le mie labbra in un bacio. Non riuscii a ribellarmi subito ma poi voltai la testa e alzai le mani, pronta a picchiarlo, se necessario, ma lui mi prese per i polsi, spingendomi, fino a farmi appoggiare la schiena sul muro freddo del corridoio. Mi teneva saldamente i polsi all’altezza della testa, così che non potessi ribellarmi.

- cosa vuoi Malik? – dissi, con una nota di disprezzo.

- te. – disse semplicemente, iniziando a baciarmi il collo.

Io mi lamentai, facendo qualche verso ma non riuscii a resistere. Se lui voleva solo fare sesso e io pure, qual’era il problema? Poi mi ricordai delle parole di Dana e lo fermai, liberandomi dalla sua presa.

- cosa non ti è chiaro della parola “no”? – dissi, cercando di ricompormi.

- andiamo… - disse, prendendomi la mano.

Io lo scostai senza grazia.

- andiamo un cazzo. Perché fai così? – chiesi, cercando di capire il suo comportamento, di cui non mi capacitavo.

- perché ho voglia di farlo, ok? – disse lui, per tutta risposta.

- bè io no, ok? – dissi con lo stesso tono – e se pensi che io sia disposta a sopportare i tuoi sbalzi d’umore da vecchia zitella in meno pausa, ti sbagli di grosso. – dissi infine, per poi allontanarmi, lasciandolo lì e andandomene.

Arrivata in cortile buttai rabbiosamente la borsa a terra e accesi una sigaretta fumandola avidamente. Ne fumai una, due, tre…forse anche quattro. Non riuscivo a placare la rabbia; non capivo come l’umore di una persona potesse cambiare così radicalmente da un’ora all’altra. Pian piano, ricordando ancora le parole di Dana, iniziai a sentirmi meglio. Sì, non ero un oggetto, era giusto così. Ripresi le mie cose e tornai dentro, pronta ad affrontare altre quattro ore.

 

- Zayn…ZAYN! – urlai, venendo con lui.

Si abbandonò sul mio petto aspettando che il respiro tornasse regolare.

Alla fine avevo ceduto e mi ero lasciata abbindolare dalle sue scuse.

- mi dici perché fai così? – chiesi io, ancora irritata per il suo comportamento.

- così come? – chiese sbadigliando.

- perché ti arrabbi? Non mi sembra di averti fatto nulla per farti arrabbiare. – dissi pensierosa.

Lui si stese accanto a me sospirando.

- non sono arrabbiato con te… - disse circondandomi con le braccia.

- e allora con chi ce l’hai? – chiesi voltandomi dalla sua parte.

Si avvicinò e incastrò la testa nell’incavo del mio collo, appoggiandovi le labbra, senza però rispondermi.

- allora? – chiesi io, volendo sapere il motivo di tali sbalzi d’umore.

Lui sbuffò e si allontanò da me, sciogliendo l’abbraccio. Si stese a pancia in su guardando il soffitto.

- Zayn… - lo richiamai.

- non capisco perché ti interessi tanto! – sbottò lui, alzandosi dal letto.

- mi interessa perché mi da fastidio essere trattata male senza motivo. – dissi io alzando il tono di voce di un’ottava.

- scusa. –

Infilò i boxer e prese l’accendino e il pacchetto di Malboro dalla tasca dei suoi jeans, dirigendosi alla finestra della camera. Io mi infilai gli slip e la sua t-shirt, ma rimasi seduta sul letto. Accese la sigaretta. Muoveva nervosamente la gamba, segno che qualcosa lo turbava. Sospirai e mi alzai dirigendomi da lui. Mi infilai sotto alla sua ascella per poi appoggiarmi al davanzale. Sfilai una sigaretta dal suo pacchetto e l’accesi facendo un tiro lungo e lento. Fuori era buio pesto e non si vedeva nulla fuorchè la luna piena: era una grande palla giallo pallido che emanava un’aura biancastra incapace di illuminare le strade.

- mi sa che domani piove. – dissi cercando di intraprendere una conversazione meno pesante per lui.

- mh. – si limitò a rispondere, senza aggiungere altro.

Io appoggiai la testa sulle mie braccia tenendo in alto la mano con la sigaretta.

- vorrei tornare a Parigi. Lì probabilmente, adesso si vedono le stelle. E la luna non è coperta dalle nuvole e riesce tranquillamente ad illuminare tutto. –

- io amo Londra. Con il suo perenne strato di nubi grigie e quel clima spettrale quando c’è la nebbia. E devi ancora vederla quando nevica! Diventa tutto bianco, è…fiabesco… -

Io sorrisi.

- mi piace la neve. – dissi, sperando che continuasse a parlare con lo stesso entusiasmo.

- preferisco la pioggia. – disse, facendo un altro tiro di fumo.

- ci avrei scommesso. – dissi, spegnendo il mozzicone sul davanzale di granito.

Anche lui spense la sua e mi cinse le spalle con un braccio, appoggiando la testa sulla mia spalla.

- scusa… - disse, abbattendo ogni muro d’orgoglio - …non volevo fare lo stronzo è che…sono stressato ultimamente. – disse, dandomi un bacio sulla guancia e tornando a letto.

- per il concorso? – chiesi io, sembrandomi la risposta più ovvia.

- mmm…no, non molto… - disse, facendomi segno con la mano di seguirlo a letto, battendola sul materasso.

Io salii e mi avvicinai a lui gattonando, andando ad accoccolarmi tra le sue braccia.

- perché, allora? – continuai ad insistere.

- non sei mai stata così rompi palle, cos’hai stasera? Vuoi farlo di nuovo? – disse scherzando.

Io risi e gli diedi una pacca sull’addome. Alzai il viso e lo guardai negli occhi.

- mi preoccupo. – dissi.

Lui diventò improvvisamente serio.

- non devi. – disse atono.

Sciolse l’abbraccio e si stese voltandosi dall’altro lato.

- buona notte… - dissi, seccata.

Lo stava facendo di nuovo. Si stava isolando. Io rimasi a guardare il soffitto, immobile e in poco tempo mi addormentai.

 

Zayn’s pov

Dannata donna, perché mi faceva quell’effetto? Era stato tutto perfetto fino ad ora. Adesso iniziava a fare la fidanzatina apprensiva e gelosa, diventando possessiva. Bè, in realtà non lo era, non ancora, almeno. Forse ero stato troppo scontroso, avrei dovuto dirle di mia madre. Ma come potevo dire una cosa tanto intima ad una ragazza che si e no conoscevo da un mese? Un mese che sembrava un’eternità. Dopo essere stato con lei non avevo più bisogno di andare con altre, non ne avevo più voglia. Volevo solo lei, sempre. Mi voltai lentamente dalla sua parte, pronto a scusarmi per l’ennesima volta, ma si era già addormentata. La luce pallida della luna illuminava la sua forma esile e affusolata, scoperta. Aveva le labbra schiuse e i capelli neri ricadevano disordinatamente sul cuscino, dandole un’aria selvaggia. Era voltata dalla mia parte e speravo che potesse aprire gli occhi da un momento all’altro. Quello che mi fa stare bene...ma certo, perché non lo avevo pensato subito? Mi alzai velocemente dal letto attento a non svegliarla e corsi in cucina a prendere la mia macchina fotografica. Sistemai lo zoom e tornai in camera. Salii in piedi sul letto e le scattai una foto. E un’altra. E un’altra ancora. Gliene scattai almeno una trentina da angolazioni diverse e ognuna era bellissima. Soddisfatto del mio lavoro mi rivestii, indossando solo la felpa, perché la mia maglia l’aveva ancora indosso lei, i jeans e la mia giacca di pelle. Presi la macchina fotografica che avevo appoggiato sul comodino e mi chinai su di lei, dandole un ultimo bacio su quelle labbra piccole e rosee. Le sistemai una ciocca di capelli dietro all’orecchio e uscii di casa, salendo in auto.

 

- dove sei stato fino a quest’ora? – chiese mia madre in tono severo.

- da Liam. – dissi distrattamente, salendo le scale.

- guarda che a me non mi prendi in giro, lo so che sei stato da una ragazza! – urlò per farsi sentire ma io avevo già chiuso la porta della camera a chiave e non avevo intenzione di ascoltarla ulteriormente. Possibile che stesse alzata fino alle due del mattino pur di vedermi rientrare? Da quando lei e papà si erano lasciati era diventata più oppressiva e assillante. Non che prima non lo fosse, ma ora non aveva altro da fare che controllarmi. E poi si era messa in testa che io mi drogassi e puntualmente la beccavo a frugare tra le mie cose. I miei si erano lasciati sei mesi fa, quando, mio padre, aveva dichiarato di avere una relazione con un’altra donna, che in più era incinta e, da allora, mia madre non aveva più avuto fiducia in nessuno, nemmeno in me. Io e lei non avevamo mai avuto un grande rapporto, ma ora non riuscivo più a reggerla; mi criticava sempre, per qualsiasi cosa facessi, mi dava del fallito e non supportava mai i miei sogni e le mie idee. Se abitavamo ancora nella stessa casa era perché volevo stare vicino alle mie sorelle, altrimenti me ne sarei già andato da tempo. E Megan era la mia unica via di salvezza, quello che mi faceva stare davvero in pace con me stesso. Ma non volevo che si avvicinasse troppo o l’avrei persa. Presi la macchina fotografica che avevo appoggiato sulla scrivania e mi stesi a letto. Andai a sfogliare la mia raccolta e la rividi, rivivendo i momenti di poco prima; con i suoi lunghissimi capelli corvini illuminati dalla pallida luce della luna e quell’accenno di un sorriso sulle labbra. Mi alzai e andai a sedermi alla scrivania, davanti al computer. Estrassi dalla macchina fotografica la schedina micro SD e la collegai al computer per salvare le foto che avevo scattato nell’ultimo periodo. Poi accesi il programma di Photoshop e cominciai a lavorare su quelle che le avevo scattato, essendo l’unica cosa che mi facesse stare bene in quel momento.
-- -- -- -- --
salve ancora a tutti! vi avverto: non credo che queta storia durerà più di 10 capitoli, ma non so che farci! perdonatemi e lasciatemi recensioni su recensioni, è importante x me riceverne, sopratutto x sapere se vi piacerebbe s epublicassi altre storie (  sennò mi ritiro ) 
grazie a tutti!!! :DD

Ritorna all'indice


Capitolo 7
*** capitolo 7 ***


Capitolo 7

 

- scusi professoressa… - chiesi timidamente alla professoressa Kelly per attirare la sua attenzione.

- dimmi Meg. – disse, senza staccare gli occhi dal catalogo d’arte contemporanea che sfogliava dall’inizio dell’ora.

Ormai mi chiamava anche con il mio soprannome.

- potrebbe aiutarmi a trovare un soggetto per il concorso? Ormai tutti hanno iniziato ma io non ho alcun’idea. – dissi sconsolata.

Lei abbassò gli occhiali sulla punta del naso e mi guardò negli occhi.

- bè, io non posso dirti cosa fare…cosa non capisci? –

- non c’è nulla che mi faccia stare bene! Non sono il tipo di persona che se ne va in giro con un sorriso da parte a parte sempre allegra e sorridente, capisce? – dissi io, cercando di farle comprendere i miei disagi.

- capisco…vedi, dev’essere una cosa che, magari, hai sotto gli occhi tutti i giorni, che ogni volta che la vedi ti senti in qualche modo sollevata, che ti legge dentro…di più non posso dirti. – disse lei, mordicchiandosi le labbra.

- d’accordo…grazie, a domani. – dissi, uscendo dall’aula.

Salii in auto pensando a quello che mi aveva suggerito la professoressa ma non mi veniva in mente nulla. A casa mi vestii come al mio solito con un’enorme camicia a quadri e null’altro. Raccolsi i capelli in uno chignon disordinato, tirai fuori china e pennelli e iniziai a disegnare: Parigi, la mia vecchia casa, Oreste…no, niente da fare. Aprii il blocco degli schizzi per trovare qualche idea che mi fosse venuta in precedenza ma quando lo aprii rimasi sorpresa da me stessa: lui. Lui ovunque. I suoi occhi, il suo sorriso, il suo corpo. Metà del blocco era occupato da disegni su di lui. Lo chiusi e lo sbattei sul tavolo, arrabbiata. Chiusi gli occhi e portai una mano su un fianco. Perché pensavo solo e sempre a lui? Se lui non c’era non riuscivo a concentrarmi perché pensavo a lui e se invece c’era ero comunque distratta dalla sua presenza. Era un male per me, in tutti i sensi. Eppure, stavo così bene…

Aprii gli occhi di colpo e mi catapultai sul tavolo. Presi un foglio nuovo e un pennino imbevuto di china nera e chiusi gli occhi, cercando di immaginarlo proprio lì, davanti a me e iniziai a tracciare le linee. Ma certo, perché non ci avevo pensato prima? Quegli occhi così profondi e intensi, che avevo sotto il naso ogni giorno e che mi leggevano dentro. E che…mi facevano stare bene, nonostante l’effetto non fosse duraturo. Quando ebbi finito di tracciare i contorni presi un pastello marrone scuro e uno giallo dorato e iniziai a colorare l’iride. Quando ebbi finito controllai l’ora: mezzanotte. Soddisfatta del mio lavoro riposi il foglio sul tavolo e andai a coricarmi sotto le coperte, quelle stesse coperte che ormai avevano il suo profumo, il profumo di noi insieme, fusi in un’unica cosa.

 

- sono eccitatissima ragazze! Oggi dobbiamo consegnare i lavori! – urlò euforica Clare.

- il mio arriverà ultimo. – disse Dana, pessimista come sempre su queste cose.

- impossibile, hai così tante cose da dire tu. – dissi io, cercando di tirarle su il morale.

- sì ma…ve l’ho già detto, non c’è nulla che mi faccia stare bene. Insomma, mia madre è di nuovo incinta e ieri ho scoperto che mia sorella di quattordici anni ha iniziato a fumare, sono sotto stress e non ho mai tempo di pensare a me stessa. – disse, per poi prendere un enorme respiro.

- fai vedere. – dissi prendendole il foglio dalle mani.

Lo voltai: aveva disegnato una ragazza incatenata a mani e piedi, rinchiusa in una gabbia per uccelli. Lo sportellino era aperto, ma lei non poteva uscire.

- sai cosa? – le dissi ridandole il disegno – manca la cosa principale: quello che ti fa stare bene. –

Lei sbuffò, esasperata.

- fammi vedere il tuo, visto che sei tanto brava. – disse indispettita, strappandomi il foglio di mano.

Squadrò il foglio per qualche minuto e poi sorrise.

- sai – disse imitando il mio tono di voce di prima – sono gli occhi che disegni ogni fottuto giorno su qualsiasi foglio ti capiti sotto mano. E io so di chi sono. – disse guardandomi negli occhi.

Anche Clare, curiosa, si aggrappò alle spalle di Dana per sbirciare il mio disegno. Quando lo vide fece un versetto tipo “ow” e si mise a ridere come una scema senza motivo.

- che carina che sei…e lui che foto porta? – chiese dondolandosi sul posto.

- non ne ho la più pallida idea, un paesaggio suppongo. – dissi, riappropriandomi del disegno e mettendolo al sicuro nell’armadietto.

- ma nessuno vuole vedere il mio? – chiese la rossa, quasi offesa.

- io voglio vederlo! – disse Dana, imitando l’entusiasmo della ragazza.

Lei ci porse il foglio e rimanemmo a bocca aperta: al centro del foglio c’era una ragazza dai capelli rosso fuoco che tendeva le mani in avanti e lasciava cadere da esse lamette, siringhe e sigarette. alle sue spalle c’erano delle figure grigie non definite che le mettevano le mani sulle spalle, per trattenerla e, ai suoi piedi, una maschera. La maschera di una ragazza allegra e sorridente, che si era staccata e aveva scoperto il suo vero volto. Aveva usato china e acquerello, una tecnica che adoravo, rimanendo pressochè sui toni del grigio. Dana le cinse le spalle con un braccio; aveva gli occhi velati da uno strato di lacrime.

- dio Clare…è bellissimo… - disse con voce tremante, andando ad abbracciare la rossa.

- è il più azzeccato, penso. Adoro questa tecnica e…oh, Clare… - anch’io corsi ad abbracciarla.

- sei riuscita ad esprimere tutto quello che provi e che non riesci a dire, è fantastico. – dissi, stringendola forte.

- d’accordo, basta smancerie, devo andare a lezione. – disse Dana, tornando ad essere la dura di sempre.

- si asciugò le lacrime e ci salutò con un sorriso, prendendo la sua borsa sotto mano e andando a lezione.

- pronta per due ore di ginnastica? – mi chiese Clare.

- certo, come no. Non vedo l’ora di rivedere quello scheletro biondo della Cox. – dissi sarcastica.

Lei mi diede una pacca sulla spalla e se ne andò al suo corso. Io presi coraggio e mi incamminai verso lo spogliatoio.

 

- Cooper, cosa non ti è chiaro nella frase “ prendi la palla e batti da fuori campo” ?! – chiese la Cox, innervosita.

- scusi. – dissi, reprimendo una serie di insulti.

Era dall’inizio della lezione che mi teneva d’occhio, aspettando il primo errore per potermi sgridare. Io in ginnastica ero negata, soprattutto negli sport di squadra. Presi nuovamente la palla in mano e, dopo il suo fischi, mi posizionai e la colpii, mandandola, finalmente, nel campo avversario. La palla entrò in gioco e, dopo diversi passaggi tra i giocatori, cadde sul campo avversario, facendoci segnare un punto. Così, come dalle regole, i giocatori cambiarono postazione e, cambio dopo cambio, mi ritrovai in prima fila, faccia a faccia con Zayn. Mi sorrise e io ricambiai appena. La Cox fischiò ancora e la palla entrò di nuovo in gioco. Dopo alcuni passaggi arrivò a me e, fortunatamente, riuscii a pararla, mandandola proprio a Zayn che, però, non riuscì a prenderla. I compagni della sua squadra gli imprecarono contro.

- era perfetta Zayn! – urlò Niall.

- se il signor Malik la smettesse di fare la radiografia alla signorina Cooper, magari si concentrerebbe di più. – disse quella vecchia arpia, quasi fosse invidiosa di me.

Gli altri ragazzi risero, tranne me e Zayn. Lui abbassò lo sguardo e poi tornò a guardarmi, accennando a mezzo sorriso. Io scossi la testa.

- avanti, manca un quarto d’ora! – urlo la prof. prima di fischiare nuovamente.

Per la milionesima volta la palla entrò in gioco, rimbalzando da ragazzo a ragazzo, fino ad arrivare a me che, puntualmente, la mancai.

- Cooper, possibile che tu sia così maldestra? È la centesima volta che sbagli presa oggi… – disse e, allora, mi spazientii e scoppiai.

- senta, non so gli altri ma io non sono venuta qui per il cazzo. Se avessi voluto diventare una campionessa olimpionica di pallavolo credo che non avrei scelto questa scuola, lei che dice? – dissi ironica – io per oggi ho finito. Lo dica a chi le pare, mi metta in punizione, mi sospenda, non m’importa. Arrivederci. –

Lanciai la palla a terra e mi incamminai verso lo spogliatoio, senza aggiungere altro. Mi cambiai velocemente e uscii nell’istante in cui le altre ragazze entrarono.

- qua la mano Cooper. – disse Stephanie, una ragazzetta pimpante dalla carnagione piuttosto scura, che nutriva lo stesso mio odio per la ginnastica.

Io le diedi il cinque e uscii.

- Megan! – mi sentii chiamare.

Mi voltai e vidi Zayn correre verso di me. si fermò a guardarmi e poi scoppiò a ridere.

- gliel’hai messa in culo alla Cox! – disse, sorridendo sghembo.

- è solo invidiosa. – dissi senza pensare, ancora rimuginando.

- di me o di te? – chiese, avvicinandosi pericolosamente.

- Malik e Cooper, vedete di non procreare qui dentro, altrimenti sì che mi farò sentire dal preside! – urlò la finta bionda dall’altro capo della palestra, entrando poi nel suo ufficio.

- di me, ovvio. – dissi ad un soffio dalle sue labbra, per poi andarmene senza dire altro, lasciandolo interdetto.

Ritorna all'indice


Capitolo 8
*** capitolo 8 ***


Dana’s pov

- Harry, ho detto di no. – dissi seccata, per l’ennesima vota al riccio insistente.

- ma perché no? –

- perché…non voglio uscire con nessuno in questo momento, d’accordo? – dissi sbattendo lo sportello del mio armadietto.

- spiegami solo il motivo e ti lascerò in pace. – disse lui, parandosi davanti a me e impedendomi di andarmene.

Io strinsi le braccia al petto, sbuffando. I suoi grandi occhi verdi non la smettevano di guardarmi e io continuavo a tenere lo sguardo basso.

- allora? – insistette lui.

- perché…ho rotto con il mio ragazzo una settimana fa e…non è semplice essere mollati in tronco da qualcuno che pensavi che ti rimanesse accanto per sempre e che poi… - dissi trattenendo a stento le lacrime, ripensando alla telefonata di qualche settimana prima.

Lui era rimasto in silenzio. Si mordeva l’interno del labbro senza però lasciarmi andare.

- ok, allora…facciamo che ci incontreremo casualmente per strada e io ti inviterò a prendere un caffè, d’accordo? – disse sorridente.

Io elaborai per qualche istante le sue parole e poi scoppiai a ridere, lasciandolo perplesso.

- sei cocciuto, eh, Styles? – gli dissi, ancora tra le risate.

- era un sì? – chiese speranzoso.

Sorrisi e mi portai una ciocca di capelli dietro all’orecchio. Mi morsi il labbro inferiore.

- se il caffè me lo offri tu… - sospirai, cedendo alle sue insistenza.

Gli angoli della sua bocca si sollevarono in un dolcissimo sorriso, incorniciato dalle solite fossette che gli davano un’aria fanciullesca. Allungò un braccio verso di me.

- allora, mi permetta di offrirle anche un passaggio. –

Io lo guardai scettica ma poi lo presi sotto braccio.

- andiamo, che alle sette inizio a lavorare. – gli dissi, stringendomi a lui.

- al night club? – chiese, scherzoso.

Io gli diedi una pacca sulla spalla. Ci incamminando fuori da scuola, verso la sua auto.

- tu dove lavori, scusa? In un locale gay? – chiesi con lo steso tono scherzoso.

- veramente…io non lavoro… - disse con un filo di voce.

Io mi staccai dal suo braccio, spalancando gli occhi.

- cioè, tu…non hai mai lavorato? – chiesi allibita.

Lui scosse la testa lentamente, con le gote rosse di vergogna.

- oh, giusto – ricordai, tornando a camminare tranquillamente – tu sei un cocco di papà. Figlio unico, genitori separati, due case, un sacco di soldi…Ferrari… - dissi, indicando l’auto nera che stava proprio davanti a noi.

- sì, bè…non è così semplice come sembra… -

- oh, eccome se lo è. Io ho iniziato a lavorare a quindici anni. Ho altri quattro fratelli e mia madre è incinta di nuovo. Mio padre non l’ho mai conosciuto e chissà se quelli sono miei fratelli in tutto e per tutto. Per fortuna, ora mia madre si è sistemata ma…tocca sempre a me badare ai più piccoli. – dissi rimanendo ferma davanti a lui a fissare l’asfalto consumato del parcheggio scolastico.

Mi stupii di me stessa: avevo appena detto ad un estraneo della mia vita, cosa che di solito non avrei mai fatto. Mi risultava difficile parlarne anche con Clare e Megan. Ora ero vulnerabile.

- bè…non lo sapevo… -

- sì, scusa. Io…sono impulsiva. – dissi, cercando di farlo sentire meno in colpa.

Era la prima volta che vedevo Harry così in difficoltà. Rimasi in silenzio, fissando la pozzanghera dai riflessi arcobaleno ai miei piedi.

- bè, andiamo? Ho un sacco di soldi da buttare via! – disse, aprendo lo sportello del passeggero.

Io sorrisi e salii. Forse lo avevo sottovalutato. In fondo, sebbene fossi una dai guati terribilmente difficili, lui non si era ancora arreso. Lo guardai un ultima volta e sorrisi, inconsciamente, per poi portare lo sguardo fuori dal finestrino. Chissà cosa stava facendo Megan; magari, ora era insieme a Zayn, stretti uno all’altra, scambiandosi effusioni sul divano di casa. O, più probabilmente, erano ognuno a casa propria, a pensare quanto sarebbe stato bello stare insieme, ma troppo spaventati e orgogliosi per ammetterlo. Ma prima o poi, uno dei due avrebbe ceduto, me lo sentivo. Non si può reprimere un sentimento così forte per troppo tempo, o si finisce per esplodere. Forse il più difficile da convincere sarebbe stato il pakistano: per qualche oscuro motivo sembrava che volesse tenere Megan a distanza ma, allo stesso tempo, che non potesse vivere senza di lei. Da un paio di giorni avevano cominciato a circolare voci sulla possibile relazione dei due e a lui sembrava non piacere molto. Non che Megan adorasse essere al centro dei pettegolezzi, ma ci dava meno peso. E poi c’era Clare. La piccola e timida Clare. Chissà cosa le passava per la mente in questo momento. Da quando aveva visto Liam qualche giorno fa non parlava altro che di lui e di quanto fosse sexy. Ma io la conoscevo troppo bene: non era solo attrazione fisica. Sotto a quella maschera da dura si nasconde una ragazza dolcissima e sensibile, che guarda soprattutto il carattere in un ragazzo, prima dell’aspetto fisico. Per questo non aveva mai avuto tanti rapporti, non le andava di fingere. Anche se, da molto tempo ormai, era la cosa che le riusciva meglio.

- siamo arrivati. – disse la voce roca di Harry, facendomi tornare alla realtà.

Aprii la portella e scesi. Le gambe erano un po’ indolenzite, a causa della durata del viaggio più lunga del previsto. L’auto era parcheggiata davanti a StarBucks, uno dei bar più famosi di Londra.

- perché siamo venuti qui? C’era un bar molto più vicino… -

- mi piace qui. – disse semplicemente, guardando l’insegna gigante che continuava a girare su se stessa.

- d’accordo… - dissi seguendolo dentro.

Il locale era gremito di gente ma c’era ancora un tavolo libero.

- cosa prendi? – mi chiese lui, sfogliando il catalogo.

- quello che prendi tu. – dissi senza nemmeno aprire l’altro.

Lui mi guardò con un sopracciglio alzato e poi sorrise.

- guarda che un caffè non mi manderà in banca rotta… - disse ironico.

Io mi sforzai di sorridere e abbassai lo sguardo.

- davvero, non mi va di prendere niente. –

Lui mi guardò scettico e poi chiuse il menù. Di lì a poco arrivò quasi correndo impaziente una ragazzetta biondo platino, tutta mascara e rossetto. Salutò Harry con un sorriso smagliante e, quando si accorse che c’ero anch’io, si limitò a farmi un cenno con la testa.

- ciao Abigail. – la salutò dolcemente lui.

- ciao Hazza. – disse lei, con un po’ troppa confidenza per i miei gusti.

- lei è Dana, è di quinta. – disse per presentarmi.

La bionda mi rivolse un sorriso tirato e poi tornò a guardare Harry. Un milione di commenti pungenti che avrei potuto fare in quel momento mi balenarono in mente, ma mi morsi la lingua.

- cosa ti porto? – chiese cordialmente ad Harry, senza calcolarmi minimamente.

- due cioccolate, grazie. – disse lui, porgendole i due menù.

Lei annuì senza distogliere lo sguardo da lui.

- attenta a non guardarlo troppo, o lo consumerai. – mi lasciai sfuggire di bocca.

Lei arrossì violentemente e mi fulminò con lo sguardo, girando poi i tacchi. Harry rise.

- hai visto come mi ha guardata? Credo che assumerà qualcuno per farmi ammazzare… - dissi, considerando davvero la possibilità di essere uccisa da dei ninja in calzamaglia rosa, con tanto di tacchi a spillo e rossetti laser.

- ma dai…fa la seconda e ha già il ragazzo… - disse tranquillamente.

- tu non sai cosa farebbero le ragazze per acaparrarsi i ragazzi carini: magari non lo farà, ma so che in questo momento sta inventando un piano per ammazzarmi. – esclamai, facendolo ridere ancora.

Qualche istante dopo la bionda ossigenata tornò, scaraventando con poca grazia la mia cioccolata sul tavolo e appoggiando con delicatezza quella di Harry davanti a lui.

- hey, stai attenta biondina! – dissi, davvero scocciata.

- oh, scusa. – si limitò a dire, rivolgendomi il sorriso più falso e forzato che avessi mai visto.

Sorrise ad Harry e se ne andò sculettando. Io osservai la mia cioccolata, della quale, metà si era rovesciata sul tavolo. Quella di Harry era ancora intatta e aveva anche la panna. Sopra ad essa era stato disegnato un cuore di glassa al cioccolato. La osservai per un po’ e poi feci scambio con la mia.

- hey! – disse Harry, divertito.

- la tua ha la panna. E poi me lo devi, per risarcimento. –

- quale risarcimento? –

- di disturbo da parte della tua amica barbie-bionda-rifatta. – dissi, mettendo in bocca una cucchiaiata di panna.

La sua risata grassa mi riempì le orecchie, facendomi sorridere. Era una di quelle risate sincere e contagiose, che ti mette subito di buon umore. Allungò una mano e si sporcò la punta dell’indice con la panna della mia cioccolata. Invece di portarlo alla bocca lo allungò ancora e mi sporcò la punta del naso. Io spalancai la bocca e chiusi gli occhi, esterrefatta. Lo sentii ridere nuovamente.

- questo significa guerra, lo sai, Styles? – mi pulii con il tovagliolino di carta.

- non vedo l’ora di vederti perdere. – disse bevendo un sorso della sua bevanda., guardandomi da sopra l’enorme tazza di ceramica.

- io non perdo mai. –

Presi un’altra cucchiaiata di panna. Lui scrutava ogni mio movimento allerta. Io risi.

- hai paura? – chiesi maliziosa.

- più che altro temo per la mia felpa o per i miei capelli. – disse con un’espressione che diceva tutto.

Io risi ancora e inghiottii la panna.

- non preoccuparti, non farò fare figure di merda a nessuno dei due adesso. Mi vendicherò quando saremo soli…  -

Lui alzò le sopracciglia e sorrise sghembo. La cameriera tornò alla carica, interrompendoci ancora una volta.

- ecco il conto. –

- grazie Hazza per avermi dato la tua cioccolata. Io amo la panna. – dissi con il tono più smielato possibile, trafiggendo la ragazza con lo sguardo.

Lei deglutì a vuoto, intimorita e se ne andò senza dire nulla.

- due a uno. – dissi sottovoce, facendo un gesto di vittoria.

Harry scosse la testa – ti piacciono le sfide, vero? –

- sì. E non perdo mai. –

- questo è tutto da vedere. – disse lui, prima di alzarsi da tavola, lasciando una banconota da 20 sterline sul piattino del conto.

Mi alzai anch’io e prima di uscire lo presi per mano, sfilando davanti alla povera ragazza, che rimase di sasso.

- non sai con chi hai a che fare. – gli sussurrai all’orecchio prima di uscire, per poi mollare la presa, lasciandolo con un’espressione indecifrabile in volto.

- possiamo fare un giro in centro o la mamma ti mette in punizione se non torni per cena?- chiesi camminando, voltandomi verso di lui senza fermarmi.

- posso anche non rientrare questa notte, se ho qualcosa di meglio da fare. – disse malizioso, per tutta risposta.

Io sorrisi, divertita dalla piega che stava prendendo la discussione. Mi piacevano i ragazzi loquaci e intriganti e lui faceva proprio al caso mio.
-- -- -- -- --
salve a tutti:D visto che lo scorso capitolo era breve e non succedeva nulla di interessante ho pensato di publicarne uno in settimana, visto anche che esce un pò dalla storia principale. spero che vi piacci:DD lasciate recensioni che voglio sapere cosa ne pensate grazie a tutti:DDDDD

Ritorna all'indice


Capitolo 9
*** capitolo 9 ***


Megan’s pov

Era passata una settimana, non senza litigi e arrabbiature, ma era diventato quasi normale. Zayn ancora non voleva dirmi cosa lo mettesse così sotto stress ma non ci avevo ancora rinunciato. E oggi venivano esposti i nostri lavori. Dana e Clare non parlavano d’altro da settimane ormai.

- stasera ci vediamo? – chiese Zayn, dall’altro capo del telefono – oggi stacco alle otto. –

- mmm…d’accordo, ci troviamo a scuola? Vorrei vedere i lavori degli altri. – risposi distrattamente, intenta a leggere.

- …cosa stai facendo? – mi chiese lui.

Io chiusi il libro, tenendo il segno con un foglietto di carta, per concentrarmi nella conversazione.

- leggevo. – dissi sorseggiando il mio tè caldo.

- ti ho interrotta? –

- già, proprio così. – dissi io, ridendo appena.

- d’accordo, allora vado. Ci vediamo stasera. – rispose con un tono stranamente dolce.

- a stasera. – dissi io, per poi chiudere la telefonata.

Mi abbandonai contro lo schienale della poltrona e chiusi gli occhi. Quella giornata era stata pesante, vederlo era l’unica cosa che mi andava di fare in quel momento, ma dovevo aspettare ancora. Indossavo solo una t-shirt, la sua t-shirt grigio scuro che mi aveva lasciato la settimana precedente, quando se n’era andato nel cuore della notte. Era impregnata del suo odore di tabacco e caffè, un aroma letale. Perché improvvisamente mi sentivo così totalmente dipendente da lui? Io non mi ero mai appoggiata a nessuno e mai avevo lasciato che qualcuno entrasse nella mia vita in quel modo. Forse mi ero…innamorata? Suonava piuttosto strano. Megan Cooper non s’innamora, sono gli altri che si innamorano di Megan Cooper. Megan Cooper fa affidamento solo su se stessa, non ha bisogno dell’affetto degli altri. Ma io? Io ero diversa? Forse anch’io, in fondo, non ero sempre me stessa. Forse anch’io, giorno dopo giorno, avevo costruito una maschera. Quando mia madre tornava la sera tardi e non mi salutava nemmeno, troppo stanca per badarmi. Quando firmava distrattamente i miei voti senza interessarsi mai davvero sulla mia condotta scolastica, senza darmi mai una soddisfazione. Quando rideva davanti ai miei disegni, reputandoli insensati e da bambini di due anni. Giorno dopo giorno, pezzo dopo pezzo, avevo assemblato un’armatura nera, fatta di paure e insicurezze. Paura di fallire, di cadere, di non essere abbastanza. Eppure, lei rimaneva comunque mia madre, il mio modello, la donna che amavo. Fin che non se n’è andata, lasciandomi sola. Allora ho cominciato a capire che non esiste amore reciproco. Esiste l’amore ideale, quello che una persona crede il più bello, il più perfetto. Un amore che in realtà non esiste.

Una lacrima scese a rigarmi il volto. Forse non dovevo biasimare Zayn quando non voleva parlarmi dei suoi problemi. Nemmeno io mi ero mai aperta con lui. Non che me lo avesse chiesto, ma comunque non l’avrei fatto. Il piccolo Oreste si avvicinò a me e con un balzo fu sulle mie gambe. Cominciò a picchiettare con una zampetta sulla mia mano, come per richiamare la mia attenzione.

- tu mi vuoi bene Oreste? – chiesi, lasciando che un’altra lacrima calda scendesse sulle mie gote.

Lo sollevai e lo guardai in quei suoi grandi occhi dorati.

- certo che mi vuoi bene. –

Lo strinsi a me.

- anch’io ti voglio bene. Fanculo i cani, i gatti sono assolutamente più super bellissimi. – dissi, accarezzandogli il pelo lucido.

Iniziai a cullarlo e, piano mi calmai, lasciandomi andare ad un sonno ristoratore.

 

Quando aprii gli occhi e mi guardai intorno mi accorsi che il sole era tramontato. Guardai l’orologio sopra alla mia testa e constatai che erano le otto meno un quarto. Mi alzai di scatto, lasciando Oreste appisolato sulla poltrona. Mi infilai un paio di jeans chiari e un maglione nero che trovai appoggiati allo schienale di una sedia. Infilai il mio giubotto da snowboard, le Vans e mi gettai a capofitto giù dalle scale, fiondandomi giù per la stradina. Aveva deciso di andare a piedi, tanto la scuola distava solo qualche isolato.

Arrivai con solo qualche minuto di ritardo e, non essendoci praticamente nessuno, decisi di fare un giro tra i vari indirizzi. Scultura, pittura, architettura, oreficeria, design, moda…e, infine, fotografia. Passai velocemente in rassegna tutte le foto fin che una, più grande delle altre, non catturò totalmente la mia attenzione: una ragazza. Una ragazza addormentata. La sua espressione era serena e senza pensieri. Le labbra schiuse e i capelli sparsi sul cuscino bianco. E più la guardavo più mi accorgevo…di essere io. ero io. aprii la bocca per lo stupore. Chi altri poteva aver scattato quella foto se non…

- Zayn Malik… - lessi sulla targhetta in basso, per appurare i miei dubbi.

Il mio cuore, se prima si era fermato, ora batteva al doppio della normale andatura. Perché io? Forse…lo facevo stare bene.

 

Zayn’s pov

Entrai a scuola e andai diretto alla sezione di pittura. Passai velocemente i disegni, fermandomi su uno in particolare: due occhi. Due occhi dalle iridi dorate. Dentro ad esse era disegnato il riflesso di una ragazza sorridente che mi sembrava familiare…

- Megan Cooper. – lessi sulla targhetta in basso.

Assottigliai gli occhi per capire meglio: sembrava impossibile ma…quelli erano i miei occhi. Ogni particolare era curato nel dettaglio, sembravano quasi veri. Perché i miei? Cos’avevano di speciale? Forse, dunque…la facevo stare bene? Un brivido mi attraversò la spina dorsale. Quelle parole suonavano così dannatamente bene.

- è molto bello, vero? – chiese una voce sottile al mio fianco.

Mi voltai e vidi una donnetta dalla pettinatura afro che mi guardava da sopra gli occhiali.

- già è…molto bello… - dissi io, tornando a guardare il foglio.

- è di Megan, la conosci? – mi chiese avvicinandosi.

- più o meno… -

- è una dei miei alunni migliori – disse sorridendo – anche se, sinceramente, non ho molto capito questo suo disegno. –

- bè, forse è…quello che la fa stare bene…quella nel riflesso mi sembra lei, quindi…questi occhi la rendono…felice. – dissi io, ripensando alle mie stesse parole.

- già… -

Intuii che si era voltata ancora dalla mia parte e mi osservava.

- tu sei Zayn Malik, vero? – chiese, con quel mezzo sorriso sulle labbra che non accennava ad abbandonarla.

- si… - dissi intimorito.

Il suo sorriso si allargò ulteriormente e abbassò lo sguardo.

- ho visto il tuo lavoro. Credo che renda a pieno l’idea di “stare bene”. E ora, ho capito anche quello di Megan. –

Girò i tacchi e se ne andò sorpassandomi, proseguendo il suo giro. Un brivido mi attraversò la spina dorsale.

Perché me?

Perché i miei occhi?

Erano davvero i miei occhi o mi ero sbagliato?

E, se non erano i miei, di chi erano, dunque?

Chi la rendeva felice?

Una marea di domande si fecero spazio nella mia mente, bisognose di una risposta. Dovevo vederla. Dovevo vederla immediatamente. Avevo bisogno di tuffarmi in quel mare ghiacciato che erano i suoi occhi e sentirmi dire che quelli del suo disegno erano i miei occhi, che io e soltanto io la rendevo felice. Mi incamminai verso l’uscita. L’avrei aspettata lì, non sapendo se fosse già arrivata. Percorsi il corridoio in poche lunghe falcate fino a raggiungere la grande porta di vetro.

Il mio cuore iniziò a battere ad una maniera spropositata. Mai mi ero sentito così dipendente da qualcuno, mai. Forse avrei potuto pensarlo per il sesso, ma mai avrei potuto immaginare che sarei diventato dipendente di un paio d’occhi liquidi come l’oceano e pungenti come il ghiaccio.

 

Megan’s pov

Era lì, fermo davanti a me. Aveva il fiato corto, segno che era corso fino a lì. Quante domande avrei voluto porgli, ma già sapevo che non avrei aperto bocca. Troppa paura di infastidirlo, di farlo arrabbiare. Sapevo quanto facilmente cambiasse d’umore. Solo quando cominciai ad avere il fiatone mi resi conto di aver trattenuto il fiato fino ad allora. E, sebbene avessi una voglia matta di andargli incontro, di abbracciarlo e baciarlo, non mi avvicinai. Mi bastavano i suoi occhi. Avrei potuto guardarlo per sempre, ormai li conoscevo a memoria. Li ricordavo così bene che, quando li sognavo, sembravano reali. Perché sì, io lo sognavo e anche spesso. Sognavo che eravamo stretti uno all’altra o che passeggiavamo tranquillamente in posti meravigliosi. Ed era sempre così dannatamente difficile dover svegliarsi e sperare che oggi non avesse la luna storta. Perché era straziante dover sopportare i suoi sbalzi d’umore e nemmeno sapere il perché di tanta frustrazione. Anche lui mi stava osservando. Chissà quante domande avrebbe voluto porgermi, ma non aprì bocca. Finalmente, decise di rompere quel silenzio, tutt’altro che imbarazzante.

- hai già visto la mostra? –

Io annuii semplicemente. Lui annuì a sua volta.

- allora…andiamo? – chiese, venendo verso di me.

Io annuii ancora, senza proferire parola. Aprì la porta di vetro e mi invitò ad uscire, seguendomi. Mi strinsi nel giubotto bianco e nero che indossavo, colpita dall’aria gelida. Il vento frustava i miei capelli, mandandoli davanti al viso. Cercai più volte di scostarli ma inutilmente, così, rinunciai. Zayn teneva le mani nelle tasche dei jeans e i suoi capelli erano schiacciati di lato. Camminammo velocemente verso un enorme pick-up nero opaco.

- la Mercedes? – chiesi, incuriosita.

- era di mia madre. Questa è mia. –

Salimmo in auto. L’interno era rivestito di pelle nera lucida  e profumava ancora di nuovo. Accese il motore che partì con un rombo e accese il riscaldamento. Automaticamente partì anche l’autoradio; probabilmente si era dimenticato di spegnerla prima di scendere. Trasmetteva le note di una canzone a me familiare. Lui allungò una mano per spegnerla ma lo fermai.

- aspetta, mi piace. – dissi, cercando di riconoscere la canzone.

“…is a moment i treasure…don't wanna close my eyes, don't wanna fall asleep 'cause i'd miss you baby, and i don't wanna miss a thing…”

I don’t wanna miss a thing, degli Aereosmith. Conoscevo quella canzone a memoria. Cominciai a canticchiarla tra me e me.

- è nuova l’auto? – chiesi poi, per riprendere la conversazione.

- sì. Regalo di compleanno da parte di mio padre. – sorrise tra se e se.

- hai compiuto gli anni? –

- il dodici. Ma è arrivata soltanto ieri. Sei la prima che ci sale, dopo di me. –

- perché non mi hai detto che compivi gli anni? – chiesi, quasi offesa.

Sapevo che non gli piaceva che gli altri si facessero gli affari suoi o che si preoccupassero troppo per lui, ma mi dava fastidio. Non mi diceva mai niente.

- non credevo che fosse così importante. –

- giusto. Allora, quando mollerò tutto e tutti per dedicarmi alla causa ambientale, vivendo in un camping di hippies nudisti e fumati non te lo dirò, tanto non è importante. –

Lui mi guardò storto e poi scoppiò a ridere.

- tanti auguri, comunque… - dissi sottovoce.

- penso che se non me lo dicessi mi arrabbierei a morte. –

- perché? Non è importante. - mi voltai a guardarlo.

L’auto si fermò sotto al mio palazzo.

- si che lo è. – disse fermo, intrappolandomi nel suo sguardo.

Distolsi lo sguardo un po’ di volte ma poi tornai sempre da lui, affamata di quei due occhi scuri dai riflessi dorati.

- hai festeggiato? – interruppi il silenzio che si era creato.

- cosa? – chiese lui, palesemente confuso.

- il compleanno. Lo hai festeggiato? – abbassai la voce e voltai il busto verso di lui.

- se per “festeggiato” intendi “ubriacarsi davanti ad un film horror con un Niall depresso per l’ennesimo appuntamento mancato e un Harry eccitato e innamorato”, allora, sì, ho festeggiato. –

Disse sorridente, facendomi ridacchiare.

- ti hanno fatto i regali? –

- due confezioni da sei di birra e una bottiglia di rum. Che, tanto per precisare, ci siamo scolati la sera stessa. -

Ridemmo insieme.

- oh, e Liam mi ha regalato dei preservativi con degli smile gialli. Un po’ inquietanti , a dire il vero, ma sempre utili. –

- Louis? –

- una fornitura di preservativi a vita. Seri, però. – disse, assumendo un tono più formale.

Io scoppiai a ridere.

- certo che hai degli amici fantasiosi, eh? –

Sorrise, distogliendo lo sguardo. Mi sistemai una ciocca di capelli dietro all’orecchio e mi morsi il labbro inferiore, cercando di sembrare il più sexy e convincente possibile.

- se vuoi, possiamo vedere se il regalo di Liam funziona… - proposi maliziosamente.

Lui alzò la testa e mi guardò per pochi istanti, per poi sorridere sghembo.

- nah, meglio provare quelli di Tommo. Quelli di Liam sono “per quando sono triste e voglio darmi una botta di vita” ha detto lui, testuali parole. –

- io li volevo vedere… - dissi con un’espressione da cucciolo indifeso, giocando con il colletto della sua camicia che usciva dalla giacca in pelle.

- d’accordo, usiamo quelli… – mi accarezzò una gota, sorridendo.

Io portai in avanti il busto e gli asciai un bacio veloce a fior di labbra. Poi scesi dall’auto e mi incamminai velocemente verso il mio appartamento, seguita a ruota da lui. Lo volevo mio, come non mai.

Ritorna all'indice


Capitolo 10
*** capitolo 10 ***


Clare’s pov

- due X, fratto, uno più X alla seconda, meno la radice quadrata di tre… - copiai sul quaderno in bella calligrafia - …uno meno X alla seconda, fratto, uno più X alla seconda…pfff… - sbuffai, appoggiando la testa sulla carta. Avevo deciso di cominciare a fare i compiti di trigonometria durante la pausa pranzo, tanto per impegnare il tempo in modo costruttivo ma non aveva portato a nulla.

- trigonometria? – chiese una voce calda e familiare.

Alzai il capo e vidi Liam, in piedi avanti a me che mi guardava con la testa di lato e le labbra distese in un sorriso amichevole. Ci misi un po’ a rispondere, troppo estasiata dall’espressione dolce che aveva; sembrava un cucciolo bisognoso d’affetto.

- s-sì, esatto… - balbettai riprendendomi, abbassando lo sguardo.

Lui si sedette accanto a me e allungò il collo per vedere cos’avessi scritto. Sentii il sangue caldo affluirmi in viso, colorandolo, probabilmente, di un rosso porpora acceso. Non osavo muovermi.

- posso? –

- tutto tuo. – dissi frettolosamente, spostando il quaderno davanti a lui senza però voltarmi a guardarlo.

Con la coda dell’occhio lo vidi sorridere e inforcare la mia penna. Rilesse qualche volta l’equazione e poi iniziò a scrivere. Io lo seguivo con lo sguardo e ogni suo segno era corretto. Non si corresse nemmeno una volta e i calcoli filarono lisci fino alla fine.

- fammi vedere il risultato. –

Ubbidii e gli porsi il libro. Scrutò la pagina fino ad arrivare all’esercizio e poi sorrise.

- giusta. – disse soddisfatto del suo lavoro.

Io sbuffai e nascosi il viso tra le braccia sul tavolo.

- ero più felice se sbagliavi. –

Lui rise e si voltò verso di me. Tirò su una gamba e la appoggiò sulla panchina, piegandola sotto al ginocchio dell’altra.

- non è così difficile, se ci si impegna… -

- non è vero, perché io mi impegno! Tu invece no e ti riesce lo stesso. Uffa. –

Lui scrollò le spalle e si passò una mano dietro alla nuca.

- se ti va…posso darti delle ripetizioni… - avanzò timidamente la proposta.

Io alzai il busto di scatto, sorridendo sorniona.

- davvero? –

Lui sorrise a sua volta – certo. –

- non è che lo avevi già promesso a Megan? – chiesi per essere sicura che saremmo stati solo io e lui.

- no no, credo che lei voglia farsi aiutare da Zayn. Anche lui è bravo. –

- allora è andata! – dissi chiudendo il libro.

- domani da me? – chiese speranzoso.

- dopo scuola? –

- perfetto. I miei non ci sono quasi mai, per cui puoi venire quando ti pare. –

- oh…d’accordo. –

Lui mi guardava ma io continuavo a fissare il mio libro chiuso. Quanto lo capivo. Nemmeno i miei c’erano mai; mio padre viveva praticamente in America e mia madre lavorava come manager di una ditta famosa e quindi era sempre fuori casa. Non parlavo mai dei miei problemi familiari con gli altri, nemmeno con Dana e Megan. Non che mi risultasse difficile o altro, solo, mi vergognavo. Mi vergognavo di chi ero, di che cosa avevo fatto e di che cosa facevo tutt’ora. Mi vergognavo dei miei familiari ma soprattutto di me stessa.

- credo che tu abbia da dire molto più di quanto non dia a vedere. – notò il ragazzo alla mia sinistra.

Allora anch’io alzai lo sguardo, incontrando quegli occhi ambrati dalle venature dorate.

- già. – mi limitai a dire, senza distogliere lo sguardo.

Quegli occhi…sembravano capaci di leggere nell’anima di una persona…

- hey ragazzi! Studiate? – chiese Louis euforico come sempre, sedendosi al nostro tavolo insieme ad una bionda.

- aiutavo Clare in trigonometria… - disse Liam, continuando però a guardare me.

- vi abbiamo interrotti? – chiese cauta la ragazza, che aveva un’innaturale voce sottile e dolce, da cartone animato.

- no no – dissi sorridendole – stavo per andare dalle altre. Probabilmente mi cercano. –

Mi alzai da tavola e infilai i libri nella borsa.

- ci vediamo. – dissi, rivolta a tutti, guardando, però, il biondo negli occhi.

- a domani. – disse lui, sorridendo.

Gli sorrisi e me ne andai verso il corridoio, con un sorriso ebete stampato sulle labbra. Avrei passato un intero pomeriggio con Liam. Solo io e lui.

 

Megan’s pov

- come sarebbe a dire che non puoi aiutarmi? – urlai sbalordita.

Lui sospirò e chiuse il suo armadietto, prendendo i libri sottobraccio.

- Liam, mi servono quelle ripetizioni… -

- chiedi a Zayn! Anche lui è bravo… - si incamminò verso l’aula di chimica, seguito a ruota da me, totalmente in disappunto con la sua decisione.

- non posso…io e Zayn nella stessa stanza non portiamo nulla di produttivo. – dissi, facendolo ridere.

- lo immagino. – continuò, senza smettere di camminare.

- ma perché no? Cosa c’è di più importante della tua bellissima, dolcissima, simpaticissima e fidatissima amica Megan? – chiesi, parandomi davanti a lui, impedendogli di entrare in classe. Feci gli occhi dolci.

- devo aiutare Clare, ok? – disse, arrossendo lievemente, spostando lo sguardo, imbarazzato.

- e quindi? Non puoi aiutare entrambe? –

Lui scosse la testa. Mi scagliai contro di lui, abbandonandomi sul suo petto.

- Liam… - mi lamentai - …perché non vuoi aiutarmi? In tre sarà più divertente!-

Lui mi spostò con poca grazia e mi mise le mani sulle spalle. Fissò il suo sguardo nel mio.

- Sai Meg, a volte sembri più stupida di quello che sei. –

Io aggrottai la fronte.

- io e Clare…da soli…tutto chiaro? – disse marcando di più le parole “da soli”.

In realtà avevo capito, nulla sfugge al mio occhio vigile  e attento,  ma mi sembrava così strano e innaturale e volevo fare finta di non aver capito. Forse, la cosa mi infastidiva addirittura.

- no, me lo dici più esplicitamente? – chiesi facendo la finta tonta, per appurare i miei dubbi.

Lui sbuffò e si guardò intorno.

- …mi piace Clare, cazzo. – sussurrò - è evidente come una merda in mezzo alla strada, anche Niall se n’è accorto! – proseguì, alzando la voce, paonazzo per la vergogna.

Io lo guardai per un po’ senza dire nulla. Era come pensavo. Proprio in quel momento ci passò accanto Clare.

- salve ragazzi! – ci salutò, solare come al solito.

- ciao Clare. – sorrise cordiale Liam.

Lei ricambiò il sorriso ed entrò in classe, senza curarsi di me. Subito dopo arrivò anche Zayn; aveva i capelli scompigliati e indossava degli abiti comodi, forse proprio quelli con cui aveva dormito. Indossava degli occhiali dalla montatura nera e robusta che lo facevano assomigliare ad un professore. Mi distrassi per un secondo ma quando Liam provò ad andarsene lo bloccai con una mano, tornando vigile.

- buon giorno… – disse con la bocca impastata il moro, come se si fosse appena svegliato.

- Malik, devi farmi un favore: dai ripetizioni di matematica alla tua ragazza e dille di non stressarmi.– disse lui, entrando in classe.

Io sospirai e alzai gli occhi al cielo, portando poi le braccia al petto. Mi ero irrigidita appena avevo udito le parole “ tua ragazza” e avevo notato che lo stesso era stato per Zayn. Perché Liam non stava un po’ zitto? Il moro si grattò la testa.

- ti serve aiuto? – chiese, rimanendo in piedi a stento da quanto sonno aveva.

- no, mi arrangio. – dissi sbrigativa, entrando in aula, cercando di evitarlo. Quando entrai notai che Clare e Liam erano seduti vicini e chiacchieravano amabilmente di chissà che cosa. Sospirai ancora, trattenendo un istinto omicida nei confronti del biondo e andai a sedermi nell’ultimo banco, gettando la borsa sul piano lurido, intriso di graffi e disegni di indelebile. Zayn si sedette accanto a me, abbandonandosi contro lo schienale della sedia.

- perché ti siedi qui? – chiesi, ancora innervosita per il comportamento di Liam.

- perché questo banco è libero e non è tuo. – disse in tono pacato guardando avanti a se, sorseggiando del caffè da un bicchiere di plastica che non avevo notato prima.

- facciamo oggi dopo scuola? Il martedì è il mio giorno libero. – propose prendendo un altro sorso della bevanda.

- ho detto di no, non mi serve il tuo aiuto. –

- d’accordo, allora ci vediamo oggi. – continuò, ignorando le mie proteste.

- Zayn, ho detto… -

- se fai la brava dopo possiamo anche divertirci... – disse con una nota di malizia nella voce, senza però guardarmi negli occhi.

- e se faccio la cattiva? – chiesi suadente, più interessata.

Lui sorrise beffardo.

- allora mi divertirò solo io. – si voltò finalmente dalla mia parte, mantenendo quel suo sorriso seducente sulle labbra.

Mi morsi un labbro e distolsi lo sguardo, vedendo che il professore era entrato in aula.

 

 

Il buio regnava sovrano e le nostre risate riempivano la camera.

- quindi…il piccolo Liam si è innamorato… – rise ancora.

- già. –

- …della rossa? – chiese ancora una volta lui, tra le risate - e quindi non ha voluto darti ripetizioni…bè, è stato meglio così. – decretò, riprendendo fiato.

- oh, sì – dissi ironica – abbiamo studiato molto, infatti. – lasciandogli un bacio sullo sterno.

Lui prese a giocare con una ciocca dei miei capelli, facendomi venire i brividi.

- anatomia è importante in un liceo artistico. Bisogna saper disegnare le parti del corpo. –

Io risi.

- credo di essere diventata abbastanza brava. – dissi, alzando il busto per guardarlo.

Lui mi accarezzò una gota e mi diede un piccolo bacio a fior di labbra. Tornai a stendermi sul suo petto e lui mi strinse a se, carezzandomi le spalle e la schiena. Mi lasciai coccolare così per un po’ di tempo. Erano pochi gli attimi di dolcezza che avevamo ma, forse, ne valeva la pena aspettare coì tanto. Ogni suo tocco era così delicato e mi faceva tremare interiormente.

- non me ne ha parlato però; pensi che anche a Clare piaccia Liam? – chiese ad un tratto il moro, riprendendo il discoro di prima.

- penso di sì. Insomma, non fa altro che parlare di lui e di quanto sia bello… -

- tu parli mai di me? – chiese improvvisamente, lasciandomi spiazzata.

- bè…non molto spesso… - risposi imbarazzata, non sapendo bene cosa dire.

Sentii il suo petto vibrare, a causa delle risate sommesse.

- scommetto che Dana ti ha chiesto come sono a letto. – disse sicuro.

- Dana? Clare mi ha chiesto se poteva provarci con te! –

- e tu cosa le hai detto? -

- di sì. – risposi, stuzzicandolo un po’. Volevo vedere come avrebbe reagito.

- però non è venuta. – si lamentò il ragazzo.

- vai da Dana, forse è più disponibile. – gli consigliai.

- macchè – disse abbattuto – si vede con Styles. –

- sfiga. – dissi, fintamente dispiaciuta per lui – mi sa che dovrai accontentarti di me. –

- mmm…forse potrei provare con Lory. Lei e Louis non se la passano troppo bene ultimamente. –

- che amico che sei. –

- bè, mi ha regalato un sacco di profilattici, dovrò pur usarli in qualche modo! – rise.

Io lo spinsi di lato e mi alzai.

- ti sei offesa? – chiese ancora ridendo, rimanendo steso a letto.

- no, figurati. Anch’io stavo facendo un pensierino su Niall; è dotato l’irlandese. – dissi, infilando gli slip e la sua t-shirt.

- no, tu non puoi. –

- come? – chiesi, sbalordita dalla sua affermazione.

Non feci in tempo a voltarmi che le sue braccia mi tenevano già stretta a se, premendo la mia schiena contro il suo petto.

- tu sei mia. – sussurrò sul mio collo, facendomi rabbrividire.

Come potevano così poche parole e anche di poco senso farmi sentire così importante e voluta?

- io non sono di nessuno. – dissi fredda, sulla difensiva, cercando di liberarmi dalla sua presa.

Lui rise, senza lasciarmi andare. Poggiò le labbra sull’incavo della mia spalla.

- è qui che ti sbagli – sussurrò al mio orecchio – credi di essere libera ma non lo sei.-

Un’altra scarica di brividi. Io non ero mai dipesa da nessuno, come poteva lui sconvolgere in questo modo le mie convinzioni? Non dovevo, non potevo farmi manovrare da lui in quel modo, o mi sarei fatta male.

- Zayn… - lo richiamai, ma lui non mi ascoltava.

Aveva preso a baciarmi il collo, lasciandovi qualche livido umido ogni tanto. Dalla mia vita le sue mani salirono fino ai miei seni, che massaggiò avidamente, facendomi gemere.

- …no… - tentai ancora, lasciandomi trasportare sul letto.

Mi fece stendere e si posizionò tra le mie gambe. In un attimo di lucidità gli presi il viso tra le mani.

- non sono tua. – dissi ferma, cercando di convincermene.

Lui ghignò e strofinò la punta del naso contro la mia.

- se ne sei convinta. –

Sospirai e mi abbandonai a lui. Forse era proprio questo quello che dovevo fare; abbandonarmi, arrendermi. Ma io non ero una che si arrende. E se la soluzione fosse stata proprio gettare la spugna? Smettere di combattere contro qualcosa di invincibile? E che cos’era questa cosa? Era forse…amore?

Lo baciai con foga, cercando di dimenticare ogni mio pensiero e così fu. Probabilmente il giorno seguente ci avrei pensato ogni singolo minuto, ma ora non m’importava. C’eravamo solo io e lui.

Mi sfilò velocemente la maglia e andò a baciare e succhiare i miei seni, stuzzicando i capezzoli con i denti e la lingua. Io gemevo a ogni suo gesto, senza trattenermi. Mi sfilai da sola gli slip e divaricai ulteriormente le gambe, permettendogli di sistemarsi su di me. Entrò con un colpo deciso, iniziando subito con movimenti veloci e profondi. Inarcai la schiena e mi aggrappai alle sue spalle, conficcandovi le unghie. Anche lui gemette. Toccò più volte il mio punto, facendomi urlare. Quando venne continuò a spingere, finchè non venni anch’io. Si stese accanto a me, cercando di recuperare fiato. Chiusi gli occhi; stavo morendo di sonno, non avrei retto un altro giro, per quanto lo volessi. Lui puntellò un gomito sul materasso e si chinò su di me, carezzandomi il viso.

- …don't wanna close my eyes…don't wanna fall asleep 'cause i'd miss you baby…and i don't wanna miss a thing… - iniziò a cantare piano.

La sua voce era sottile e un po’ nasale ma melodiosa e intonata. Mi piaceva.

- perché canti questa? – chiesi, incuriosita dalla scelta della canzone.

- non lo so. L’ho sentita l’altro ieri alla radio e continuo a pensarla. Mi vieni in mente tu. –

Si stese nuovamente sul materasso. Mi accoccolai al suo petto e mi lasciai accarezzare dalle sue mani calde e delicate.

- non ho mai conosciuto mio padre – iniziai dopo un po’, di punto in bianco – mia madre non me ne ha mai parlato. Diceva che gli uomini servono solo a scopare, nient’altro. –

Lui era rimasto in silenzio. Decisi che ormai era fatta; era il momento di aprirmi.

- mia madre non è mai stata una di quelle madri amorevoli. Spesso diceva di essere una donna single senza figli. Per lo più io stavo da mia zia. È lei quella che considero mia madre. Quando compii undici anni mia madre aveva iniziato a vedersi con uno, ma non lo aveva mai portato a casa. Intanto, mia zia si era sposata e stava per trasferirsi in Francia. Un bel giorno, mia madre disse che aveva trovato l’amore, un uomo vero e bla, bla, bla…così se ne andò e mi lasciò con mia zia. –

Era rimasto in silenzio ad ascoltarmi. Non aveva smesso di accarezzarmi la schiena.

- quanti anni aveva tua madre quando… -

- quindici. –

Ancora silenzio. Allora mi stava ascoltando! Dopo tutto non era stato così difficile parlarne. Forse perché ora mi sentivo al sicuro, con qualcuno che non sarebbe sparito nel nulla.

- mio padre l’ho conosciuto, invece. Anche troppo bene. – iniziò lui, stavolta. – un uomo d’ufficio, avvocato, sempre a risolvere cause eccetera. Mia madre, invece, è una di quelle donne che sembrano serene e, invece, sono stressate, false, infelici. Ma a dire il vero non ho mai capito cosa volesse mia madre. Forse, semplicemente non vuole essere felice. Comunque, non c’è mai stata. Ne per me, ne per le mie sorelle. Sempre fuori a fare chissà cosa. Quando rientrava era solo per sgridarci e darci compiti. Poi… - e qui si interruppe un attimo - …mio padre tornò a casa, una sera…con una donna. Era bella e sicuramente più giovane di lui. Avevo quattordici anni allora, non ero troppo piccolo per capire al volo cosa fosse successo: mio padre era stato con un’altra donna. Ed era pure incinta. Da quel giorno mia madre cadde in depressione. Alcuni giorni era un fantasma, a volte non usciva nemmeno dalla sua camera. Altri giorni, invece, sembrava rinata: era una dittatrice. Sbraitava a manca e a destra senza motivo. Ora è…come prima. Una casalinga stressata, che pensa che sia un buono a nulla che butta via i soldi in una scuola che non può offrirmi un futuro. “con tutte quelle stupide foto”-

Io non dissi nulla. Ce l’avevo fatta, si era aperto con me.

- quante sorelle hai? –

- tre: - intuii un sorriso farsi spazio sul suo volto – Doniya, di sedici anni, Waliyha di dodici e Safaa di otto. – disse, tornando ad accarezzarmi.

- ti piacerebbero. Donya è dolcissima e Safaa è la ragazzina più intelligente che abbia mai visto. Walhiya è un po’ schiva ma in realtà è molto…artistica, diciamo. –

- come te. – dissi sorridendo.

- già. – mi guardò e mi accarezzò il viso.

I suoi occhi erano cupi, quasi non riuscivo ad individuare le pupille.

- è meglio che vada. – disse, alzandosi e infilando i boxer.

- non dormi qui? –

- no, meglio che torni o la dittatrice mi fa giustiziare. –

Sorrisi – d’accordo. –

Quando ebbe infilato anche la giacca si chinò su di me e mi diede un bacio sulla fronte.

- a domani. –

- buona notte. –

Uscì dalla camera senza voltarsi. Forse avevo sbagliato a farlo parlare: ora era pensieroso. Chissà come sarebbe stato domani. Mi rigirai nel letto, cercando di trovare una posizione comoda, ma niente: se lo avevo fatto per una buona causa, allora, perché mi sentivo così in colpa? Non lo avevo obbligato a dire niente, infondo. Chiusi gli occhi e mi ordinai di prendere sonno, ma funzionò soltanto dopo alcune ore.

 

 

Dana’s pov

Era steso sopra di me. Il suo respiro era tornato regolare e il suo corpo sprigionava un calore bruciante. Inevitabilmente, le mie mani erano finite tra i suoi riccioli perfetti, che gli invidiavo un po’; i miei erano sempre sparati in aria e non c’era un boccolo che sembrasse davvero quello che doveva essere. Sembrava che avessi preso un fulmine.

- hai perso… - disse lui a bassa voce, spostandosi di lato, stiracchiandosi.

- no mio caro; tu e la tua amichetta bionda avete perso! Lei ha perso il ragazzo e tu sei venuto a letto con me. – dissi portando le braccia al petto.

Lui mi sorrise.

- in realtà, è proprio per questo che hai perso; sei venuta a letto con me. –

- no, sono io che ti ho fatto cedere, quindi tu sei debole, quindi sei venuto a letto con me, quindi hai perso. –

Lui sbuffò e rise. Poi si avvicinò a me fino ad appoggiare il naso sulla mia guancia.

- …posso perdere ancora? – chiese in un sussurro.

La sua voce era così dolce e suadente che non potei fare a meno di girarmi e rimanere annegata nel suo sguardo. Alzai il busto e mi chinai su di lui, lasciandogli un piccolo bacio a stampo. Sfiorai il naso contro il suo senza smettere un attimo di guardarlo. Era così piccolo e indifeso, se vogliamo. Ora non era il solito Harry Styles, ladro di cuori, stronzo, che fa soffrire le ragazze, no; ora era semplicemente Harry, dolce e sincero. Ma non dovevo lasciarmi incantare.

- no. – sussurrai infine, sciogliendo quell’abbraccio.

Mi sedetti al bordo del letto e raccolsi i miei indumenti da terra.

- perché no? – chiese agitato, sedendosi a sua volta – ho detto che ho perso, qual è il problema? –

- non c’è nessun problema. – infilai gli slip e il reggiseno. Raccolsi i capelli in una coda, immaginando in che stato dovevano essere.

- allora torna qui. – disse come un bambino capriccioso.

Io lo guardai e risi. Lui portò le braccia al petto, aggrottando la fronte.

- lo abbiamo già fatto, cosa vuoi ancora? –

- …le coccole. – disse a sguardo basso, con lo stesso tono da bambino di prima.

Sospirai sorridendo e tornai da lui gattonando.

- so già che me ne pentirò. – dissi arrendendomi, prima di tornare fra le sue braccia.
-- -- -- --
ok; premetto che io non faccio trigonometria e quindi ho cercato qualcosa in internet sugli esercizi ma non so quanto possano essere giusti (immagina, puoi) per il resto...DOVETE RECENSIREEEEEEEEEEE.....per favore per favore! anche una recensione da una riga
es. : fai schifo scrivi di merda ritirati.
capito? a me vanno bene anche critiche!

ora mi dileguo donzelle. alla prossima settimana

Ritorna all'indice


Capitolo 11
*** capitolo 11 ***


Liam’s pov

- vuoi che andiamo di sopra o preferisci rimanere in cucina? – le chiesi entrando in casa.

- di sopra, meglio. –

- d’accordo. – dissi sorridendole.

Passando per la cucina andai a sbattere contro mia sorella, che indietreggiò.

- attento cretino.- disse con poca grazia, come al suo solito.

Alzò le sopracciglia, guardando qualcuno alle mie spalle. Il suo sguardo saettava da me a Clare.

- Clare, lei è Nicole, mia sorella. Sorella, lei è Clare, una mia compagna di corso. – dissi sbrigativo.

- piacere. – disse Clare, con il suo solito sorriso mozzafiato.

Rebecca continuava a guardare la rossa con un mezzo sorriso sulle labbra senza dire nulla e non capivo se fosse una cosa negativa o meno.

- noi andiamo di sopra. – dissi dirigendomi verso le scale.

- perché non rimanete giù? Mamma non torna prima delle otto. – disse continuando a guardare Clare, che si era rifugiata dietro di me, evidentemente intimorita da tutte le occhiate che Nicole continuava a lanciarle.

- non è mamma il problema, credimi. – chiusi il discorso, lasciandola interdetta.

Clare mi seguì silenziosamente fino alla mia camera. Aprii la porta e la feci entrare, richiudendola poi alle mie spalle. Sentii il sangue affluire rapidamente in volto: la camera era un caos totale. I libri erano sparsi sulla scrivania, i vestiti erano abbandonati sullo schienale della sedia girevole e i miei pastelli colorati erano rovesciati sul blocco da disegno. Lei si guardò in torno e poi mi sorrise.

- sei ordinato per essere un ragazzo. – sorrise timidamente.

Io sorrisi, imbarazzato.

- tu hai una strana idea di “ordine”. – dissi ridendo.

Lei fece scivolare la sua borsa in jeans dalla spalla al pavimento, che cadde con un tonfo sordo.

- camera mia è peggio – aprì la zip della giacca – ed è il doppio di questa. –

Allungai la mano e presi la sua giacca e l’appoggiai sulla poltroncina all’angolo della stanza, insieme alla mia.

- infatti, mi sembrava strano che non avessi ancora fatto commenti sull’enormità della mia casa. –

Lei rise.

- bè, diciamo che…i miei prendono abbastanza… - disse, tenendo lo sguardo basso.

La luce dorata che entrava dalla porta-finestra del balconcino colorava i suoi capelli di un rosso fuoco più intenso di quello della sua tinta. I suoi occhi verdi risaltavano più del solito; erano animati da una strana scintilla, quasi liquidi. Si mordeva nervosamente l’interno del labbro inferiore e batteva nervosamente il tallone del piede destro contro la punta del sinistro.

- bè, allora…direi di cominciare… - boffonchiai, cercando di sciogliere il ghiaccio.

Lei sorrise e prese nuovamente in mano la borsa, estraendone il libro di trigonometria e un quaderno. Si sedette sulla sedia girevole in pelle sintetica nera e io mi sedetti sul letto e aprii il mio libro.

- dunque…direi di fare qualche problema facile per iniziare. –

- ok capo! – civettò euforica, chinandosi sul ripiano della scrivania. Impugnava una penna, pronta a scrivere sul suo quaderno.

- dato un triangolo rettangolo ABC… - iniziai a dettare.                                     

- aspetta! – urlò – devo farmi la coda. – sentenziò, tirando su i capelli con le mani, legandoli poi in uno chignon disordinato. Ciocche di capelli uscivano ribelli da tutte le parti; la rendevano selvaggia ma anche estremamente tenera.

- vai. – disse, tornando nella posizione di prima.

- dato un triangolo rettangolo ABC con angolo retto… - ricominciai.

Notai un punto dietro all’orecchio che prima i capelli coprivano; c’era tatuato il simbolo dell’infinito con un segno sottile e non troppo marcato. Le stava a pennello su quel viso dai tratti dolci ma ben delineati. Ogni tanto mordeva il cappuccio della penna, ricontrollando i conti precedenti. Stava appoggiata sulla punta della sedia e muoveva nervosamente i piedi. Quanto avrei voluto sapere a cosa pensava durante la giornata…alle amiche? Alla scuola? …a me, magari? Zayn aveva detto che dovevo buttarmi e chiederle di uscire ma non ci riuscivo: avevo paura di sembrare troppo invasivo. Sentivo che la sua non era una storia facile e io la capivo meglio di chiunque altro. Se solo ne avessimo parlato, forse avrei potuto aiutarla, farla sentire meglio.

- è giusto! – esultò felice, girandosi verso di me.

- fammi vedere. – dissi scettico, prendendo in mano il quaderno.

Rilessi due o tre volte l’esercizio e confrontai il risultato con quello del libro. Mi voltai verso di lei che mi guardava con un aria di superiorità. Io risi e appoggiai il quaderno sulla scrivania.

- brava la mia rossa. –

Lei sorrise, arrossendo lievemente.

- sono un fottuto genio. – disse teatralmente, stringendosi la mano da sola.

- non cantare vittoria! Siediti, te ne detto un alto. –

Sbuffò e tornò a sedersi sulla sedia girevole. Impugnò la penna, in attesa che io iniziassi a dettare.

 

                                                                            *  *  *

 

- e sono andati a letto insieme? –

- a quanto pare… – dissi tra le risate.

La ragazza sospirò – ah, Dana…non mi fido di Harry; è troppo… -

- troppo Harry? – chiesi, facendola ridere.

- sì. –

Eravamo stesi sul letto ad una piazza e mezza da più o meno mezz’ora, dopo che lei si era raggomitolata sul pavimento, rifiutandosi di continuare. Si girò dalla mia parte. I suoi occhi schizzavano da una parte all’altra del mio viso, come se stessero cercando qualcosa.

- a che ora devi tornare? – le chiesi, per sciogliere l’imbarazzo.

- quando mi mandi via. –

Io sorrisi perdendomi nei suoi grandi occhi verdi.

- per me puoi restare per sempre… - sussurrai più a me che a lei ma, forse, lei lo sentì comunque, dato che arrossì e distolse lo sguardo, stendendosi a pancia in su.

- i tuoi a che ora tornano? –

- mia madre torna verso le otto. –

- tuo padre? – chiese, continuando a scrutare l’intonaco bianco sopra le nostre teste.

Io non riuscivo a levarle gli occhi di dosso; ogni volta che la vedevo volevo guardarla di più.

- lui vive a Manchester. – dissi senza pensarci troppo.

- sono separati? –

- da quasi due anni ormai. – sospirai.

- i miei è come se lo fossero: mio padre vive praticamente in America e mia madre lavora come manager di un’azienda importante e quindi si sposta di continuo. Non si vedono mai. …non ci vediamo mai. –

Anch’io portai il mio sguardo al soffitto. Sapevo che aveva molto di più da dire.

Apriti. Dimmi cosa ti fa soffrire, piccola. Ti guarirò.

- ti mancano? – tentai senza sembrare troppo invasivo.

Lei sorrise amaramente.

- forse una volta. Ora non più. Sai, – cominciò a mordersi nervosamente l’interno del labbro inferiore – è inutile cercare l’affetto in qualcuno che non riesce a dartelo. Anche se è da lui e soltanto da lui che lo vuoi, devi fartene una ragione  e cercarlo altrove. Solo che l’ho capito troppo tardi. – disse infine, voltandosi verso di me.

 - e ora…l’hai trovato? –

Lei scosse la testa. Abbassò lo sguardo e appoggiò la fronte sul mio petto.

- è troppo tardi per salvarmi. – sussurrò.

Io la strinsi a me d’impulso. Come poteva una persona spingermi a fare e a dire certe cose così impulsivamente? Io non agivo mai senza pensare ma ora era tutto confuso. Le spostai una ciocca di capelli dietro l’orecchio e vi appoggiai le labbra.

- io posso salvarti. Io voglio salvarti. – sussurrai, rabbrividendo nell’udire le mie stesse parole, così sentite e sincere. Mai avevo voluto stare vicino a qualcuno come ora.

- come puoi aiutarmi? Tu non sai cos’ho fatto. –

- allora dimmelo. –

- …mi vergogno… -

Le diedi un bacio dietro all’orecchio, proprio sul tatuaggio.

- non devi. Non con me. puoi fidarti. - dissi per rassicurarla, accarezzandole la schiena.

Lei alzò il viso, piantando lo sguardo nel mio.

- perché? – chiese, con gli occhi che sembravano due pozze infinite.

- perché tu mi capisci e… - tentai di dire, andando ad accarezzarle una guancia, guardando le sue labbra piene e rosse - …sei così bella e…ora ho una gran voglia di baciarti… - dissi senza rendermi conto delle mie parole.

Lei arrossì visibilmente, come sempre e sorrise timidamente, distogliendo lo sguardo. Mi avvicinai, poggiando la fronte sulla sua.

- posso farlo? – sussurrai ad un soffio da lei.

Lei annuì, strofinando il naso contro il mio. Finalmente, dopo un tempo che mi era sembrato infinito, potei assaporare ogni centimetro di quelle labbra piccole e carnose. Sapevano di fragole, un sapore che si abbinava perfettamente con i suoi tratti dolci e fanciulleschi. Le sue piccole mani gelide si allungarono verso di me, andando ad accarezzarmi il volto. quando si staccò teneva ancora gli occhi chiusi.

- …devo andare… - disse tentando di nascondere la voce tremante.

- d’accordo. – sussurrai per poi alzarmi. Le sorrisi e le porsi una mano, aiutandola ad alzarsi. Scendendo al piano inferiore sentii una voce familiare sbraitare contro qualcuno o qualcosa.

- …come sarebbe a dire che vuoi venderla?! Non puoi venderla adesso! Jack, ci sono un sacco di persone che perderanno il lavoro… -

Feci capolino in cucina per controllare che fosse apposto; una figura femminile di bell’aspetto mi dava le spalle. I capelli biondo-cenere a caschetto ricadevano perfettamente lisci sulle spalle, dando nessun segno di stress o corse frenetiche su e giù per la città, come invece era accaduto.

- …no…no, d’accordo… - sospirò – senti, sono stanca, ho fame e non ho ancora visto i miei figli, dici che ho fatto abbastanza per oggi? Posso staccare? Grazie Jack. A domani, sì. – disse seccata, per poi chiudere la telefonata.

Forse avrei dovuto presentarle Clare. Ma, forse, questo non era il momento più adatto.

- mamma? – la chiamai.

Quando si voltò mi guardò persa per qualche istante, per poi aprirsi in un sorriso luminoso.

- Liam, tesoro…sono arrivata in ritardo, scusa. Tua… – si interruppe, fissando un punto alle mie spalle.

Mi voltai e feci segno a Clare di avvicinarsi.

- lei è Clare, una mia compagna. L’ho aiutata in trigonometria. – spiegai.

- piacere. – sorrise cordiale la rossa, mostrandosi umile e gentile come sempre.

- oh…come hai detto che ti chiami cara? –

- Clare. Clare Winston. –

La donna sorrise dolcemente.

- me lo ricorderò. Scusate, devo finire il lavoro, vado nel mio studio. Vai a casa, Clare? –

- sì, signora. Grazie per l’ospitalità. – disse molto educatamente.

Colpito e affondato; mia madre andava in brodo di giuggiole quando qualcuno risultava così estremamente educato e gentile con lei. Era successo lo stesso quando Harry era venuto a casa mia; per poco non se lo portava a letto.

- spero di rivederti presto, allora. – disse sorridendo.

- certo. Arrivederci. –

Mi allontanai andando verso la porta, seguito da lei.

- le piaci. – dissi sorridente alla ragazza, che ora era di un color porpora acceso.

- davvero? Speriamo… -

Mi morsi un labbro e le accarezzai una gota bollente con il dorso della mano.

- a domani. – disse allungandosi verso di me.

Io mi abbassai e feci combaciare le nostre labbra in un bacio voglioso e disperato. Nessuno dei due aveva intenzione di staccarsi. Lo feci io, dopo qualche minuto.

- a domani. – le sussurrai all’orecchio stringendola a me un’ultima volta, per poi lasciarla andare.

Tornai dentro fischiettando, dirigendomi in cucina dove trovai mia madre e mia sorella che chiacchieravano ma si ammutolirono appena misi un piede dentro.

- hai fame? – mi chiese la donna sulla cinquantina.

- sì, in realtà. –

- piuttosto…è carina la tua amica… - disse Nicole assumendo un tono malizioso.

- sì, lo è. – risposi senza vergogna.

- uscite insieme? – mi chiese mia madre questa volta.

- no. –

- siete andati a letto insieme? – chiese Nicole, senza pudore.

- Nicole… - la richiamò flebilmente mia madre.

Io la fulminai con lo sguardo.

- no. –

La bionda sbuffò e uscì dalla cucina con un sacchetto di patatine in mano.

- non badare a tua sorella, sai com’è fatta. - disse per confortarmi – comunque mi piace. È gentile, educata e davvero molto bella. È i Winston sono una famiglia rispettabile. – disse lei, pensando sempre al lato proficuo della situazione.

- ok…vado di sopra. – mi congedai, sapendo dove sarebbe andata a finire quella conversazione imbarazzante.

- Liam! – mi richiamò.

Io mi voltai; aveva un’espressione severa.

- sta attento, capito? Usa sempre le protezioni! –

- mamma! – urlai esasperato salendo le scale. La sentii ridere di gusto. Era da tanto che non rideva. Mi lasciai scappare un sorriso prima di cadere sul letto a peso morto. Chiusi gli occhi: era mia.
-- -- -- -- -- --
ok, lo so, questi capitoli sono una palla mostruosa, mi annoio pure io....ma dal prossimo capitolo vi prometto che iniziano i casini (muahahahahah) non mi aspetto recensioni, ma se qualche buon'anima avesse qualcosa da ridire LA DICA, NON SIA TIMIDO. detto questo
al prossimo capitolo :DD

Ritorna all'indice


Capitolo 12
*** capitolo 12 ***


Megan’s pov

- cosa posso fare per te? – mi chiese cordialmente il ragazzo che si trovava dietro al bancone.

- io…ho letto l’annuncio fuori, ho visto che cercate personale… - dissi timidamente.

Lui sorrise dolcemente.

- certo. Dimmi nome, cognome ed età, grazie. – disse prendendo carta e penna.

Io mi avvicinai al banco, osservando cosa scriveva sul foglio.

- Megan Cooper…diciannove… -

Quando finì di scrivere alzò lo sguardo, sorridendomi.

- Chris. Piacere. –

Io ricambiai il sorriso. Poi si allontanò nel retro del negozio, lasciandomi sola. Era stato un caso che mi fossi accorta di quella piccola libreria; era un posto interessante, pieno di libri vecchi e nuovi, romanzi, fumetti, libri di testo e altro ancora. Amavo le biblioteche e le librerie, posti in cui sognare, l'unico lavoro – oltre a disegnare – che avrei davvero voluto fare. Mi sembrava un buon inizio. Chris tornò fuori dopo qualche minuto, appoggiando il cellulare sulla scrivania.

- il capo ha detto che puoi cominciare domani. – mi disse, senza abbandonare un attimo quel sorriso smagliante e rassicurante.

Io sorrisi e spalancai gli occhi.

- è…è fantastico! A che ora? –

- alle due di pomeriggio. Finiremo verso…le sette come primo giorno, va bene? –

- certo! Grazie mille! Allora…a domani! – dissi ancora euforica stringendogli calorosamente la mano. Uscii con il sorriso sulle labbra; finalmente sembrava andare tutto per il verso giusto. Appena fuori cacciai fuori il telefono; dovevo dire a Zayn che sarei stata impegnata e quindi non potevamo più vederci. Dopo nemmeno due squilli rispose.

- hey! – rispose con più entusiasmo del solito.

- Zayn! Oggi sono entrata in un negozio dove cercavano personale e, indovina? Mi hanno assunta! Inizio domani! –

- oh…wow! – rispose, probabilmente confuso sul perché avessi chiamato proprio lui.

- inizio alle due di pomeriggio e finisco alle sette, quindi…non possiamo vederci. –

- perché? – la sua voce era incrinata dal disappunto – possiamo vederci comunque... –

- sì, ma sarò stanca e anche tu lo sarai…ci vedremo un altro giorno, d'accordo? – dissi, sperando che capisse.

Ci furono alcuni minuti di silenzio in cui pensai che avesse chiuso la comunicazione quando la sua voce brusca spezzò il silenzio.

- devo andare. Ciao. – disse semplicemente, chiudendo la telefonata senza lasciarmi nemmeno il tempo di ricambiare il saluto.

Non capivo perché se la prendesse tanto. In fondo, ci saremmo visti anche a scuola. A volte avrei voluto prenderlo a sberle fino a fargli perdere sangue, ma mi trattenevo. Sbuffai e salii in auto per tornare a casa.

 

* * *

 

- qundi, questi…vanno sullo scaffale la giù in fondo… – disse Chris, passandomi uno scatolone pieno di libri Fantasy.

Io li presi e mi diressi verso le mensole che mi aveva indicato, cominciando a riporli in ordine alfabetico. Erano quasi le sette e tra poco sarebbe finito il mio primo giorno di lavoro. Chris era un ragazzo davvero simpatico e dolce. Aveva dei grandi occhi azzurri che trasmettevano calma e sicurezza e un sorriso perfetto. Mi aveva spiegato come funzionavano gli ordini e come servire i clienti e poi avevamo parlato del più e del meno.

- Megan! – mi sentii chiamare.

Quando mi voltai vidi una figura familiare sulla porta d’entrata.

- Z-zayn che…perché sei qui? – chiesi confusa avvicinandomi a lui.

Lui sorrise sghembo.

- sono venuto a prenderti. – disse, come se fosse la risposta più ovvia.

- oh…o-ok… -

Mi voltai ancora confusa verso Chris.

- io… -

- tranquilla, puoi andare. – disse sorridente – ci vediamo domani Meg. –

Io sorrisi di rimando.

- a domani. – lo salutai uscendo dal negozio con Zayn.

Una volta fuori ci incamminammo in silenzio verso la mia auto. Il cielo era ancora chiaro, l'estate stava per arrivare.

- come facevi a sapere dove lavoro? – chiesi camminando sul marciapiede.

- Liam. – rispose semplicemente.

Sbuffai. Sapevo che Liam l'avrebbe detto a chiunque, sopratutto a Zayn. Lui rise e si girò verso di me.

- sbaglio o non sei felice di vedermi? – chiese ironico.

- no, certo che mi va… -

Tornò a guardare avanti a se, infilando le mani nelle tasche dei jeans.

- sai…quel Chris non mi piace…quando stavi scaricando i libri ti squadrava il culo come se fosse il culo più bello che avesse mai visto… -

Io rimasi in silenzio: non sapevo se essere lusingata dalla sua gelosia o se essere offesa per aver appena detto che il mio sedere non era bello. Decisi la seconda opzione, ovviamente.

- il mio culo non è abbastanza bello per te? – chiesi infastidita.

- non volevo dire che… -

- sì, ho capito. – lo interruppi, offesa.

Rimase in silenzio per qualche minuto.

- hai un bel culo. – disse poi, facendo spuntare un sorriso divertito sulle mie labbra - il più bel sedere che abbia mai visto, in realtà. -

Io scoppiai a ridere. Improvvisamente si fermò, parandosi davanti a me; si fiondò sulle mie labbra, trattenendomi per i fianchi.

- buona sera, comunque. - soffiò sulle mie labbra.

- buona sera anche a te. –

Il suo bel viso era a qualche centimetro da me. Avrei potuto baciarlo ancora, ma non lo feci; non volevo approfittare dell'insolito buon umore che aveva.

Mi allontanai dal suo abbraccio, voltandomi per sbloccare l’auto. Feci per salire ma Zayn fu più veloce e prese posto alla guida. Io sbuffai, innervosita dalla sua mania di guidare anche se l'auto era mia.

- dai, sali. –

Mi guardava divertito. Aggirai la mia auto e salii, arrendendomi.

- com’è andato il primo giorno? – mi chiese tenendo lo sguardo fisso sulla strada.

- alla grande direi…non è difficile, devo solo sistemare i libri e aiutare i clienti e Chris è fantastico, mi ha spiegato tutto ed è davvero gentile… -

Zayn mi fulminò con lo sguardo; era davvero geloso? Impossibile.

- cosa c’è? – chiesi confusa.

Lui non rispose. Si limitò a guardarmi con la coda dell’occhio. Io sbuffai e mi abbandonai contro il sedile volgendo lo sguardo fuori dal finestrino: le case passavano veloci e non potevo soffermarmi ad osservarle. Il cielo si stava ingrigendo, preannunciando pioggia. Aggrottai la fronte, confusa, quando mi accorsi che non era la strada per arrivare al mio appartamento.

- Zayn, stai sbagliando strada. – cercai di avvertirlo ma lui continuò il suo percorso.

- sì, ecco, a proposito di stasera… - iniziò incerto, tenendo lo sguardo sul parabrezza - …io…devo andare a cena dai miei… -

- oh…se volevi un passaggio bastava dirlo… -

- no no. – mi interruppe – io…volevo che venissi con me. –

Subito non risposi, confusa: voleva che andassi a casa sua...ad una cena con i suoi?!

- quando dici “cena con i tuoi” intendi solo tua madre o... -

- ci saranno anche mio padre e sua moglie...e il loro figlio... -

- oh... - riuscii solo a dire.

Com'era possibile che lui volesse che io partecipassi ad una cosa così intima? Proprio lui che aveva cercato di escludermi dalla sua vita anche se, ormai, c'ero dentro fino al collo?

- è un problema per te? - chiese osservandomi.

- no no...è solo che... - feci una pausa per pensare a come dire quello che pensavo nel modo corretto, senza offenderlo - ...insomma, tu vuoi portarmi a cena dai tuoi? Sul serio? - dissi infine.

Mi guardò senza dire nulla.

- io...non vorrei che fraintendessero, ecco tutto... - cercai di giustificarmi, avendo paura della sua possibile reazione.

Ma lui si limitò a sorridere, tornando ad osservare la strada aldilà del parabrezza.

l'intenzione era proprio quella. - rispose sorridendo beffardo, lasciandomi confusa e senza parole.

 

 

La casa era una villetta bianca molto grande e lussuosa. Il giardino, molto ben curato, presentava un infinita stradina di ghiaia e, ai lati, un giardino rigoglioso, l'erba fresca di tosatura.

- vedrai, non sarà così orribile. Se non altro, le ragazze sapranno distrarti. - disse sorridendo tra se e se, alludendo alle tre sorelle di cui mi aveva parlato.

Parcheggiò l'auto vicino all'entrata di casa.

Le sue parole mi confortarono in un primo momento, ma poi mi ricordai di essere appena uscita da cinque ore di lavoro, che ero vestita con un enorme maglione sformato e dei leggins leggeri e sdruciti e che era dalle sei della mattina che non mi guardavo allo specchio: dovevo essere un mostro. Mi specchiai velocemente sul finestrino del Maggiolino, cercando di aggiustare i capelli e poi seguii Zayn, che si era già incamminato su per la scalinata in pietra che conduceva alla porta dell'entrata. Un'ondata di panico mi assalì.

- pss...hey! - richiamai la sua attenzione sotto voce, come se avessi paura che qualcuno potesse sentirci.

Lui si voltò, mostrandomi che mi ascoltava.

- come sto? -

Lui accennò ad una risata e alzò entrambi i pollici, in segno di approvazione, ma non riuscì a proferire parola dato che, proprio in quel momento, la porta si aprì. Ne fece capolino una bambina dai lunghissimi capelli corvini e gli occhi azzurri, dalla pelle olivastra e le fattezze di una piccola bambolina orientale di porcellana.

- Zayn sei arrivato! - trillò questa felice, saltando al collo del ragazzo.

- Safaa! Come stai piccolina mia? - chiese affettuoso, abbracciando e accarezzando la piccola.

- bene adesso che sei qui... - rispose timidamente, schioccando un altro bacio sulla guancia del ragazzo.

Quella bambina era troppo dolce, mi veniva la nausea. Doveva essere la sorella minore di Zayn, quella che lui reputava “intelligente”. La bambina volse lo sguardo a me e mi squadrò da capo a piedi, senza lasciar trasparire alcuna emozione sul suo volto.

- lei chi è? - chiese quasi con disgusto, staccandosi dal fratello.

- una mia amica. Si chiama Megan. -

Io mi limitai a sorridere, senza saper bene cosa dire.

- non mi piacciono le tue amiche... - disse Safaa senza prendersi la briga di abbassare la voce.

- Safaa, cosa dici? - intervenne una voce dolce ma autoritaria alle sue spalle – ogni amico di Zayn è il benvenuto qui! - disse la ragazza, aprendo ulteriormente la porta.

Era una ragazza di circa sedici anni, dai capelli neri con mesh bionde e gli occhi che mi ricordavano in tutto e per tutto quelli di Zayn.

- ...sopratutto le sue amiche... - disse sorridendo maliziosa.

Mi tese una mano, mantenendo il sorriso sulle labbra.

- piacere, Doniya! Zayn non ci aveva detto che avremmo avuto ospiti... -

- non lo aveva detto neanche a me... - dissi più a lui che agli altri, ma la ragazza scoppiò in una fragorosa risata.

- sì, Zayn è un po' sbadato, alle volte... -

Sorrisi e la seguii dentro, insieme a Zayn e Safaa, che stava attaccata al fratello.

L'interno della casa era in stile moderno; il colore dominante era il bianco candido e l'entrata era molto ampia. Si divideva in due corridoi che, probabilmente portavano alla cucina e al salotto. Di fronte alla porta d'entrata c'era un'immensa scalinata in marmo che conduceva ai piani alti della casa.

- Zayn! Ma lei... -

Una donna mora con un brillante rossetto rosso era uscita dalla cucina e si era parata davanti a noi: doveva essere la madre di Zayn. La sua espressione era stupita e rigida allo stesso tempo, evidentemente infastidita dalla mia presenza.

- lei è Megan, una mia compagna di scuola. Le ho chiesto di venire stasera, così, magari, potevi conoscere qualche altro mio amico oltre a Liam... -

- certo, capisco. - rispose fredda – Zayn, vieni un attimo in cucina? Ho preparato l'arrosto, quello che piace a te, voglio che lo assaggi. - disse, cercando di nascondere il palese bisogno di parlare in privato con il figlio.

Zayn sospirò e si passò una mano tra i capelli.

- vai in soggiorno con le ragazze, arrivo subito. - disse rivolto a me, lanciandomi un'occhiata penetrante.

Si allontanò con la madre, mentre io rimasi là immobile, a rimuginare.

- vieni, Megan; aspettiamo di là. - mi richiamò la maggiore.

- certo, arrivo. -

In salotto c'era una ragazzetta con il medesimo colore di capelli e occhi del fratello, dalla pelle, però, più chiara, quasi lattea. Portava gli occhiali da vista ed era vestita con un'enorme maglia; sdraiata sul divano, faceva zapping tra i canali.

- Waliyha, abbiamo ospiti. - la rimproverò Doniya.

Walyha si voltò nella mia direzione, squadrandomi come aveva fatto la sorella minore e poi tornò a guardare lo schermo del televisore.

- ciao. - si limitò a dire.

Quella ragazzina era la copia sputata del fratello; freddo e distaccato all'inizio. Speravo che poi si rivelasse diversa. Doniya spense il televisore e si parò davanti alla sorella a braccia conserte.

- lei è Megan, un'amica di Zayn. Vedi di essere carina con lei. -

- sì signor capitano. - disse con un sorriso falso e tirato.

Si alzò in piedi e si diresse verso la scalinata.

- vado a cambiarmi. - disse atona salendo le scale.

- scusala, è un po'... -

- come Zayn. - conclusi io la frase di Doniya.

Lei mi guardo sorpresa e poi sorrise.

- sì, è vero. Conosci mio fratello meglio di quello che mi aspettavo. -

- bè, credo che se non ci conoscessimo lui di certo non mi avrebbe invitata qui. -

- purtroppo ti sbagli; – disse sedendosi sul divano con la piccola Safaa in braccio – ha portato a casa molte ragazze, tutte conosciute la sera prima e...bè, puoi immaginare che tipo di ragazze fossero. Quindi, non devi prendertela se nostra madre dovesse risultare...fredda o... -

- sì, Zayn me lo ha detto. -

La sua espressione divenne sbalordita.

- Z-Zayn ti ha detto... -

- sì, ne abbiamo parlato...ma non mi ha detto molto, insomma... -

- cioè tu vuoi dirmi che Zayn ha detto a te la sua situazione familiare? -

Io annuii, confusa dalla sua reazione che mi sembrava esagerata.

- e tu non sei scappata? -

Io risi – perchè avrei dovuto? La mia situazione non è migliore. -

- anche il tuo papà ha sposato un'altra signora? - intervenne la piccola.

Io mi sedetti sul divano, accanto a loro.

- io non ho mai conosciuto il mio papà, ma scommetto che il tuo è cento volte meglio del mio. -

la piccina sospirò e si sedette compostamente sulle gambe della sorella.

- io non credo: se ci volesse bene non se ne sarebbe andato e non avrebbe avuto un altro figlio. Ora sta sempre con lui, è da due mesi che non lo vediamo. - disse sconsolata.

- ma stasera lo vedrai. Sono sicura che gli siete mancati tutti da morire. -

- davvero? - mi chiese conficcando i suoi occhi azzurri nei miei, intrappolandomi i una dolce morsa.

- certo! - rispose la sorella per darle sicurezza.

La bimba sorrise felice.

- sono contenta che sei amica di Zayn. Sei gentile con noi. Le sue amiche sono sempre stronze. -

- Saffa! Chi ti ha insegnato questa parola? - la rimproverò la sorella.

- è stata Walyha! - si difese la piccina.

Io scoppiai a ridere e con me anche loro, anche se la piccola non aveva ben capito il motivo.

- ...tu non puoi portare a casa chi ti pare! - urlò la madre dei ragazzi dalla cucina.

- pensavo che sarebbe stato meno pesante avere qualcuno con cui parlare, invece di guardarci negli occhi in silenzio per tutta la durata della cena! -

- io le conosco le tue “amiche” Zayn, e non mi piacciono. -

- lei non è quello che pensi. È davvero mia amica. -

- scopamica o amica?! -

- non sono affari tuoi! - tuonò il ragazzo fuori di se.

Proprio in quel momento suonarono alla porta.

- dev'essere papà. Safaa, vai ad aprire. -

La piccola balzò giù dal divano e si diresse ad aprire.

- Papà! - gridò entusiasta saltando addosso all'uomo. -

- hey, principessa...come sta la mia bambina? - chiese stringendola a se.

- bene! Lo sai che c'è anche Zayn? -

- ma davvero? Sono contentissimo allora! -

L'uomo si alzò dalla posizione supina che aveva assunto per arrivare all'altezza della figlia e andò incontro a Doniya.

- Doniya, figlia mia... -

Dietro di lui entrarono una donna dai corti capelli biondo grano con in braccio un bambino di poco più di un anno, probabilmente il figlio. Il padre di Zayn si fermò davanti a me sorridendo sornione.

- lei è l'amica di Zayn, papà! - disse Safaa, tornando ad aggrapparsi alla gamba del padre.

- un'amica di mio figlio? Ma che strano...bè, molto piacere! - disse stringendomi calorosamente la mano, con un sorriso da parte a parte.

- Megan, piacere. - dissi con un filo di voce, così confusa sul suo comportamento.

Se la sua ex moglie avrebbe voluto chiudermi la porta in faccia, lui mi avrebbe invitato a rimanere lì il più a lungo possibile. Erano così diversi.

- Papà! - urlò la terza sorella scendendo le scale a gran velocità, per poi fiondarsi tra le braccia del padre.

- oh, la mia Walyha! Ma all'appello manca ancora qualcuno... -

- ciao Papà. - disse Zayn uscendo dalla cucina.

Il suo sguardo era più duro, arrabbiato. Possibile che la causa del suo cattivo umore fosse sempre la madre? Andò incontro al padre e lo abbracciò, rimanendo però sempre distaccato.

- salve Samantha. Ciao Bob. - disse la donna dai lunghi capelli neri uscendo dalla cucina.

- buona sera Trisha. - disse per la prima volta la donna che portava con se il bambino.

- ciao Trisha. Come stai? - chiese gentilmente l'uomo, che, a quanto pare, si chiamava Bob.

- come sempre. Su, è pronta la cena. -

Tutti si diressero in cucina e io mi avvicinai a Zayn.

- tutto bene?-

- a meraviglia. - rispose a denti stretti.

Sapevo che non sarebbe stata una buoni idea andare lì, ma Zayn era cocciuto. Bob si sedette a capotavola e Tricia dalla parte opposta, come se volesse stargli il più lontano possibile. Di fianco a lui sua moglie, Samantha, con il bambino, e la piccola Safaa. Vicino a lei, volle che si sedesse anche Zayn. Io mi sedetti davanti a lui, tra Doniya e Walyha. La tavola era apparecchiata con una tovaglia color terra di Siena bruciata con un set di piatti abbinati. Le pietanze erano tutte al centro della tavola e ognuno si serviva a suo piacimento.

- allora, Megan...tu e Zayn andate a scuola insieme? - chiese Bob, servendosi una bistecca.

- sì, abbiamo alcuni corsi insieme. -

- e com'è Zayn a scuola? -

- come sempre...credo... - risposi nel più totale imbarazzo.

- papà, lasciala in pace... - lo ammonì Zayn, scocciato.

L'uomo rise – lo sai che scherzo! -

Da lì la conversazione si aprì nei più svariati argomenti e tutti parteciparono, anche la più piccola. Scoprii che Samantha, in realtà, era davvero simpatica e loquace, proprio il tipo di donna che si addice a uno come Bob, sempre con la battuta pronta. Lei sapeva rispondergli a tono, non come Tricia. Lei rimase in silenzio per la maggior parte della serata, tranne quando veniva interpellata.

- e tu, come vai a scuola, Megan? - chiese per la prima volta Tricia, senz guardarmi però negli occhi.

- ha voti molto alti, vuole andare all'università. - isse Zayn sorridendomi, come se fosse improvvisamente tornato sulla terra da un'altra dimensione.

Io sorrisi e abbassai lo sguardo – bè, diciamo che me la cavo... -

- uscite insieme? - chiese ancora Tricia.

Intuii che non le importava nulla riguardo la mia carriera scolastica; intuii anche che quella conversazione non sarebbe finita nel migliore dei modi.

- sì. - rispose prontamente Zayn, sorprendendomi.

- allora è da lei che vai la sera, dopo il lavoro, quando torni a l'una di notte passata. Da lei, o da una diversa ogni sera? - chiese tranquillamente, senza mai alzare lo sguardo, come se fosse una delle domande più normali che potesse porgli.

Nella stanza era calato un silenzio nervoso, in cui tutti gli occhi erano puntati su madre e figlio.

- non sono affari tuoi. -

La donna alzò il capo dal piatto, volgendo finalmente lo sguardo al figlio.

- sei mio figlio, di conseguenza, tu stesso sei un mio affare. - rispose tagliente, riducendo gli occhi a due fessure.

- ho diciannove anni, so badare a me stesso. L'unica ragione per cui vivo ancora qui sono le ragazze, lo sai. -

- fin che vivi sotto al mio tetto la tua età non conta; sono io che decido per te. -

- vuoi decidere anche chi devo frequentare? - chiese con con la voce che faceva trafelare una nota di rancore, celato da molto tempo.

- certo. E dico che non dovresti frequentare gente come lei. Sopratutto, non dovresti portare a casa gente come lei. -

Riprese in mano forchetta e coltello, tornando a tagliare la sua bistecca.

Sapevo cosa intendeva dire con “gente come lei” ma si sbagliava. D'altro canto, non potevo biasimarla, immaginando che tipo di ragazze aveva portato a casa Zayn prima d'allora. In ogni modo, il suo riferimento a me come una poco di buono non mi diede particolare fastidio. Ma a Zayn sì.

- Trisha... - la richiamò l'ex marito.

- dico quello che devo dire. - rispose senza alzare lo sguardo.

Guardai Zayn: teneva i pugni stretti sopra la tavola e lo sguardo fisso sul bicchiere di vetro davanti a lui, la mascella contratta.

- invece è meglio che io non esprima affatto la mia opinione. - sibilò prima di alzarsi da tavola.

- Megan, andiamo. - disse dirigendosi verso di me.

Mi fece alzare e mi prese per mano, portandomi fuori dalla cucina. L'espressione dipinta sul volto dei suoi famigliari non era ne scioccata ne sconvolta, come mi ero spettata: erano completamente indifferenti, un po' dispiaciuti forse, come se la scena fosse la solita scena, vista e rivista centinaia di volte. Uscimmo di casa e salimmo sulla mia auto. Ingranò la marcia e uscimmo dalla villa, diretti a casa mia. Teneva lo sguardo fisso sul parabrezza. Le mani stringevano il volante talmente forte da far diventare bianche le nocche della mano.

- ...mi dispiace... - dissi in un sussurro.

Lui rise amaramente.

- io dovrei chiederti scusa, non tu. Sono solo un idiota, non avrei dovuto portarti lì...lo sapevo com'è fatta mia madre... -

Questa fu l'ultima cosa che disse per il resto del viaggio. Ma, ancora una volta, mi accorsi che la strada non era quella per andare a casa mia. Infatti, ci fermammo davanti ad un'altra villetta bianca, simile a casa Malik. Il ragazzo scese, facendomi segno di prendere il posto di guida.

- io sto da Liam, tu vai a casa. Ci vediamo lunedì. - disse chinandosi all'altezza del finestrino – e...mi dispiace. -

- non scusarti, me ne hanno dette di peggio. - dissi abbozzando un sorriso stanco, cercando di tirargli su il morale.

Allungò una mano e mi accarezzò leggermente il volto - ma tu non sei così... -

Poi la ritrasse velocemente, come se si fosse pentito del suo gesto dolce. Piantò i suoi occhi scuri nei miei, impedendomi di distogliere lo sguardo. I suoi occhi dicevano molto più delle sue parole: rabbia, rimorso, dispiacere, vergogna...

Si voltò e si incamminò a testa bassa per il vialetto, tenendo le mani in tasca. Lo guardai finchè Liam non lo accolse in casa. Glielo avevo detto che sarebbe finita così. In un certo modo, mi sentivo addirittura colpevole: forse, se mi fossi opposta fin dall'inizio, o se avessi tentato di difenderlo, forse...forse...no, probabilmente non sarebbe cambiato nulla. A sua madre non piacevo e non le sarei piaciuta mai, ma non m'importava: a me bastava piacere a Za...

...Come? Davvero lo sto pensando? Come può Megan Cooper vivere dell'amore di qualcuno? La mamma te l'ha insegnato Megan, fidati solo dell'amore che tu stessa ti dai. E di quello del tuo gatto. Ma mai e poi mai, dell'amore di un uomo. Ma mai avevo provato una cosa simile...forse una volta: l'avevo quasi completamente rimosso, ma...quando andai alla festa di Liam, uno dei primi giorni qui a Londra, conobbi un ragazzo. Per qualche strano motivo, ogni gesto di Zayn a letto me lo ricordavano: la cresta alzata con il gel, dura ma flessibile al tatto; le spalle possenti e ben allenate su cui aggrapparsi durante l'atto; e il suo profumo, di tabacco e alcool...in realtà Zayn sapeva di tabacco e caffè, ma chiunque avrebbe l'odore marcio della Vodka addosso ad una festa del genere. Quindi, ogni indizio del ragazzo misterioso portava a Zayn...e se invece non era lui? Mi sarei vergognata da morire. Meglio far finta di niente, tanto avrei scelto Zayn in ogni caso. Già, mi dispiace mamma, ma mi sono innamorata.
-- -- -- -- -- -- -- -- -- --
mi scuso per l'assenza ma avevo un blocco!!!! non sapevo davvero cosa scrivere, perdonatemi perdonatemi >.< perdonate anche il mio povero capitolo, che anche se è tanto lungo in realtà non è molto interessante....vi giuro che mi impegno e che proverò a postare i capitoli più regolarmente.
p.s.: se avevte qualcosa da dire, le recensioni sono sempre ben accette ;)

Ritorna all'indice


Capitolo 13
*** capitolo 13 ***


Liam's pov

- amico, che succede? - chiesi a Zayn porgendogli una tazza di caffè.

- tua madre è in casa? - chiese ignorando la mia domanda.

- solo Niky. Allora, mi dici che è successo? -

Sospirò con aria grave e si sedette comodamente sulla sedia della cucina. Rimase in silenzio per alcuni minuti fissando la tazza che teneva in mano. Si mordeva nervosamente l'interno del labbro. Sembrava turbato: di solito quando veniva da me era per sua madre o per qualche ragazza troppo appiccicosa, ma non ci dava mai troppo peso; ora, invece, il suo sguardo era assente e il suo respiro pesante.

- bè, ecco...sai della cena, no? -

Annuii, prendendo un soro di caffè dalla mia tazza.

- dunque...ho pensato che sarebbe stato carino, magari anche più ufficiale, ecco...far conoscere Megan ai miei... -

A quelle parole spalancai occhi e bocca, sputando il caffè che avevo in bocca di nuovo nella tazza.

- ciao Zayn. - disse Nicole entrando in cucina.

- Niky, non adesso. - la rimproverai continuando però a guardare Zayn.

- ma ho fame... -

- va in salotto, per favore. Poi preparo io la cena. -

La ragazza sbuffò e si diresse fuori, rivolgendomi in silenzio appellativi poco carini.

- va avanti. - lo incitai. Sapevo che non era successo nulla di buono.

- bè, a mio padre è piaciuta, anche parecchio, a Samantha pure, e sopratutto alle ragazze! A Whalyia un po' meno, ma tutto sommato... -

- e a tua madre? -

Deglutì a vuoto. Sospirai passandomi una mano tra i capelli.

- ha fatto scenate? -

iniziò a rigirarsi la tazza tra le mani, fissando il liquido scuro al suo interno, rimanendo in silenzio. Chissà a che diavolo pensava.

- allora? - lo richiamai.

Sbuffò sonoramente – Liam, sono un cretino! Sono sempre stato stupido, ma mai così tanto. io....ho rovinato tutto. Andava tutto dannatamente bene e adesso... -

- dimmi cosa le ha detto tua madre. -

- ...le ha dato della puttana. Davanti a tutti. -

- ok, anch'io sarei arrabbiato se fossi in Megan... -

- ma è proprio questo il punto Liam! - disse alzando la voce - lei non è arrabbiata! Mi ha addirittura chiesto scusa, capisci? Le faccio pena... -

- wo, frena! Hai detto che non è arrabbiata?! -

lui annuì, sconsolato.

- ma che cazzo dici Zayn! Ti rendi conto di che ragazza hai trovato? Si prende addirittura la colpa per non farti stare male... -

- no Liam, non lo fa per quello. Ora come ora non vorrà nemmeno vedermi. Anche oggi, quando sono andato a prenderla al lavoro non era felice di vedermi. Sto rovinando tutto... -

I suoi occhi arrossati vennero coperti velocemente da uno strato di lacrime.

- Zayn stai...piangendo per una ragazza? - chiesi sbalordito.

A quelle parole si asciugò velocemente le lacrime che non avevano fatto nemmeno a tempo a scendere e fissò i suoi occhi scuri nei miei.

- questo...rapporto o qualunque cosa sia, deve finire. -

Spalancai ancora gli occhi, sempre più confuso e stupito.

- cosa... -

- non mi aspetto che tu capisca, anzi, non capirai sicuramente, ma devo farlo. Per me e...per lei. -

- per te lo fai? - gli chiesi riprendendo il controllo della mia voce – tu non te ne rendi conto ma...è la prima volta che ti vedo così...insomma, hai voglia di uscire, di andare a scuola, hai quasi voglia di vedere tua madre! E perchè? Te lo sei mai chiesto? -

Lui abbassò lo sguardo, come per rifletterci.

- per lei, Zayn. - gli appoggiai una mano sulla spalla, in un gesto di conforto - ...non c'è nulla di male se... -

- si che è male! - quasi gridò, spostando bruscamente la mia mano, alzandosi in piedi – io...non vado bene per lei. E lei...non doveva avvicinarsi così tanto. -

Sospirai – Zayn... -

- mi sto innamorando Liam. -

Alzai lo sguardo, credendo di aver capito male. Era in piedi in mezzo alla cucina, gli occhi di nuovo lucidi. Fissava il pavimento. Un sorriso amaro gli attraversò il volto.

- ti rendi conto Liam? Io innamorato? Non ha senso...per questo deve finire. Deve finire prima...prima che mi faccia male. Ancora. -

Una lacrima di rimpianto cadde, rigandogli la guancia fino al mento. Zayn Malik stava piangendo. Per una ragazza. Mai lo avevo visto così fragile e debole, così indifeso. Non era mai stato se stesso al cento per cento nemmeno con me.

- Megan non è così... -

- credi che non la conosca? - chiese sarcastico, mantenendo sulle labbra un sorriso falso e amaro, bagnato dalle lacrime – credimi la conosco meglio di te. -

- solo perchè non ci sono andato a letto insieme non significa che non la conosca. -

- non è quello che volevo dire. -

- e allora? -

- noi...abbiamo parlato. -

Alzai le sopracciglia – di...cosa, precisamente? -

mi appoggiai al banco da cucina portando le braccia al petto.

- di... - sospirò - ...bè, non importa... -

Si asciugò nuovamente le lacrime e si sedette di nuovo a tavola, riprendendo tra le mani la tazza di caffè. La fissava come se non potesse guardare altro, altrimenti sarebbe scoppiato di nuovo a piangere. E Zayn detestava essere debole, non lo faceva mai nemmeno con me.

- ho preso la mia decisione Liam. Ero venuto qui per chiederti un consiglio ma ora mi rendo conto che non ascolterò nessuno. -

- se è quello che ritieni giusto fallo. Ma credo che anche Megan abbia già sofferto abbastanza e non ti perdonerà facilmente. -

Annuì a vuoto, senza staccare lo sguardo dalla tazza. Ero certo che lui sapesse più di me quanto aveva sofferto Megan e, infatti, mi risultava impossibile capire perchè volesse farla soffrire ancora. Finalmente si voltò a guardarmi, ma i suoi occhi erano vuoti, non volevano guardare me.

- posso... -

- puoi rimanere quanto vuoi, lo sai. - conclusi al posto suo.

Lui annuì ancora tirando su col naso, per poi alzarsi.

- vado a fare un giro. Torno dopo.- mi avvertì prendendo la porta.

- pensa a quello che fai! - gli dissi prima che chiudesse la porta, ma fece finta di non aver sentito.

 

 

Megan's pov

Una leggera brezza entrava dalla finestra accarezzandomi la pelle. Le lunghe tende rosa antico svolazzavano alzate dal vento. Continuavo a rigirarmi tra le mani la foto di quel paesaggio; la pioggia fitta che cadeva sulla città e il sole che splendeva dietro le nuvole, in barba al cattivo tempo. Ma in realtà non pensavo alla straordinaria bellezza di quel paesaggio, no. Pensavo a lui. Perchè ormai era al centro dei miei pensieri da quando l'avevo conosciuto e non riuscivo più a pensare ad altro. Forse mi stavo sbagliando, lui non era quello giusto, mi avrebbe fatta soffrire; o forse era proprio quello di cui avevo avuto disperatamente bisogno per tutto questo tempo. Indossavo la maglia grigio scuro che mi aveva lasciato ancora un mese fa, come ogni volta che volevo sentirlo vicino. Era una semplicissima maglia con uno scollo a V poco pronunciato, di due o tre taglie in più della mia, così che mi arrivava a metà coscia e le maniche arrivavano al gomito. Appoggiai la fotografia sul comodino e mi rannicchiai sul letto, portando le ginocchia al petto. Avevo mal di testa e nausea e tra meno di tre ore mi sarei dovuta svegliare per andare a scuola e poi al lavoro, in libreria. Forse Zayn non sarebbe nemmeno venuto a scuola, come faceva ogni volta che non voleva vedere qualcuno, ovvero me. Avevo delle fitte allo stomaco, fitte di preoccupazione, di ansia; volevo solo abbracciarlo e dirgli che andava tutto bene, che non era successo niente. Forse il giudizio di sua madre gli pesava più di quanto non avesse detto. Ma perchè mentire? Non ne avrebbe avuto alcun bisogno...

Mi alzai velocemente dal letto, dirigendomi in bagno, arrivando al gabinetto giusto prima di dare di stomaco. Vomitai tutto quello che avevo mangiato a cena dai Malik. Una volta finito mi sentii meglio, come se mi fossi liberata di un peso. Tirai l'acqua e mi sciacquai il viso con dell'acqua fresca. In effetti, non era successo niente, mi dissi guardando la mia immagine riflessa nello specchio. Mi asciugai e andai in cucina, per fare colazione. Trovai Oreste addormentato scompostamente sopra al tavolo, come se la sera precedente avesse fatto le ore piccole e fosse tornato a casa ubriaco ed esausto. Lo avevo cacciato fuori dalla camera non appena aveva iniziato a miagolare, non mi andava di sentire alcun rumore, e ora guardarlo mi inteneriva. Gli grattai la testolina, svegliandolo. Si dimenò fin che non riacquistò lucidità e si sedette composto, come faceva sempre, guardandomi e muovendo la coda nervosamente.

- scusa piccolino, non volevo trattarti mele, ma ero tanto stanca...mi perdoni? - gli chiesi, facendo gli occhi dolci, ma lui non accennava a cambiare espressione.

- ma certo che mi perdoni... - risposi io per lui, raccogliendolo dal tavolo e cullandolo tra le braccia, con un espressione ebete in volto.

- perchè tu sei il miglior gattino del mondo, sì, sì, sì... - continuai a coccolarlo, con una voce dannatamente smielata.

- ...tu mi vuoi bene...sì, dovrei decisamente sposarti, chi se ne frega di quello che diranno... -

-- -- --

- Meg...Megan! - qualcuno mi chiamò ma non mi voltai; sapevo a chi apparteneva la voce, e non mi andava affatto di incontrarlo.

Accellerai il passo, dirigendomi verso l'aula di letteratura, ma non fui abbastanza rapida; mi bloccò appoggiando una mano sulla mia spalla e facendomi voltare.

- è maleducazione non salutare, scappare poi... -

- ciao Niall. - sbuffai irritata.

Tutto era irritante in lui; i suoi capelli troppo biondi, i suoi vestiti troppo colorati, i suoi occhi troppo azzurri ma, sopratutto, il suo sorriso smagliante sempre presente, in qualsiasi situazione. Non era il massimo ritrovarsi davanti un Niall Horan sorridente e con tanta voglia di vivere quando io volevo soltanto infilare la testa nella tazza del cesso e tirare l'acqua.

- sei allegra come sempre, Francesina. - mi salutò sorridendo come sempre.

- e tu sei insopportabile come sempre, ignor “sono-sempre-felice-muoio-dalla-voglia-di-vivere” - dissi con un sorriso tiratissimo.

Lui rise e mi lasciò andare la spalla, affiancandomi quando tornai a percorrere il corridoio.

- come va con il tuo ragazzo? -

mi fermai di colpo e mi voltai, fulminandolo con lo sguardo.

- tu non ce l'hai una ragazza a cui stare appiccicato tutto il giorno invece che rompere le scatole a me? - chiesi irata, volendo che si togliesse di mezzo prima che gli tirassi un gancio destro dritto sul suo apparecchio argentato.

- lo sempre detto che sei scorbutica, ma gli altri non mi credono. -

Sospirai per cercare di calmarmi e ripresi a camminare, sempre seguita da lui.

- allora? - mi invitò a ripondere.

- senti Horan, oggi non è giornata. Ti prego solo di...non menzionare il soggetto “ragazzo”, solo questo. Per favore. -

Lui sembrò valutare la proposta e poi sorrise ancora.

- d'accordo Francesina, ma in cambio mi passerai gli appunti di chimica. -

Sbuffai ma poi acconsentii, annuendo stanca. Si congedò dandomi un bacio sulla guancia e sorridendo solare, per poi andare dalla parte opposta. Scossi la testa ed entrai in aula. Nella stanza c'erano quasi tutti gli studenti e chiacchieravano rumorosamente, aspettando che il professore entrasse. Presi posto in un banco in ultima fila, tenendo occupato quello accanto a me, nella sciocca e inutile speranza che se Zayn fosse venuto avrebbe voluto sedersi accanto a me. Il professor Groover entrò in aula e si sistemò sulla cattedra, iniziando fare l'appello. Portai lo sguardo fuori dalla finestra: eravamo agli inizi di aprile, e le chiome degli alberi erano verdi e rigogliose. Fortunatamente, oggi non pioveva ma splendeva un sole giallo pallido che emanava un'intensa luce bianca che si rifletteva sulle pozzanghere della pioggia precedente.

- è libero? -

Mi voltai e incontrai lo sguardo di un ragazzo dall'aria non più allegra della mia. L'orologio sopra la lavagna segnava le otto e quindici minuti così rinunciai alla possibilità che Zayn venisse a lezione.

- sì. - acconsentii, spostando la mia borsa.

Il ragazzo si stravaccò sulla sedia, lasciando lo zaino per terra. Alzò le gambe e appoggiò i piedi sul banco, portando le mani dietro alla testa.

- Victor Sullivan, bocciato in prima liceo ed espulso da ben due scuole, giusto?- lo richiamò Groover.

Il ragazzo sbuffò è si sedette composto – già, proprio così. - rispose come se non gliene importasse nulle.

Il professore sorrise falsamente – sei un bravo ragazzo, non voglio metterti una nota. Siediti composto e non farti notare dalla preside, così almeno finisci l'anno. Tutto chiaro? -

- trasparente. - rispose il ragazzo, tra i denti, con un sorriso ancora più falso di quello del professore.

Victor, così si chiamava, aveva dei capelli biondo chiarissimo, quasi bianchi e gli occhi di un azzurro sporco di grigio. La sua mascella era contratta come si stesse trattenendo dallo scattare in piedi e uscire di corsa dall'aula. Aveva un grosso taglio sul sopracciglio destro...

- smettila di fissarmi. - disse continuando a guardare dritto a se.

Io arrossii e spostai subito lo sguardo, rendendomi conto di essermi soffermata troppo a guardarlo, come facevo sempre, d'altronde.

- scusa. -

in quel momento la porta si aprì.

- Malik, buon giorno. Buona la brioches? - chiese Groover beffandosi di lui.

- scusi, io... -

fece per entrare ma il professore lo bloccò con un gesto della mano.

- siamo amici ormai, ma non posso farti entrare. Sono le otto e quarantacinque, devi aspettare il corso successivo. -

Zayn aprì la bocca per parlare e poi la richiuse. Voltò la testa e con lo sguardo cominciò a cercare velocemente qualcuno con lo sguardo. Quando arrivò a me si fermò e sospirò. Abbassò lo sguardo e uscì dall'aula, chiudendo la porta.

- non farlo soffrire troppo Megan, altrimenti perderà tutte le mie lezioni. - disse rivolto a me.

Dalla classe si levò qualche risatina e un mormorio generale. Come diavolo... -

- su, ora riprendiamo! James, leggimi il terzo paragrafo. -

- è il tuo ragazzo? - mi chiese Victor, senza spostare lo sguardo dal la cattedra.

- non sono affari tuoi. - risposi nel più totale imbarazzo, cercando di troncare in nascere un discorso che non avrei saputo come affrontare.

- perchè lo sa il professore e... -

- senti, non ti conosco, non sono cose che ti riguardano! - dissi a voce forse un po' troppo alta.

Finalmente si girò a guardarmi, conficcando i suoi occhi di ghiaccio nei miei, altrettanto ghiacciati. In quel momento la campanella delle nove suonò.

- e se permetti, ora me ne vado. - mi congedai, sorpassandolo e dirigendomi fuori dall'aula di corsa.

Zayn c'era, era venuto a scuola e mi aveva cercata in classe, forse non era arrabbiato, forse era tutto a posto e ci saremmo trovati la sera stessa. Percorsi tutto il corridoio verso l'aula di chimica, cioè la materia che aveva lui ma nell'aula non c'era. Lo aspettai un po', ma non venne. Dov'era andato? Vidi Victor avanzare lungo il corridoio con passo strascicato e le mani nelle tasche, con aria annoiata e non curante di tutti gli sguardi che erano puntati su di lui. Allora mi venne alla mete il mio primo giorno di scuola e ricordai quanto fosse frustrante avere gli occhi di tutti puntati addosso. Detestavo essere guardata. Arrivò davanti a me e si fermò. Era molto alto e dal fisico sottile ma ben allenato; lo si poteva notare dagli avambracci scoperti.

- che vuoi ancora? - chiesi irritata.

Lui sorrise divertito- dovrei entrare, se permetti. - disse imitandomi.

Io mi spostai da davanti alla porta, imbarazzata per l'ennesima figura di merda e portai le braccia al petto, spostando lo sguardo altrove.

- comunque il tuo ragazzo è in giardino, se è lui che stavi aspettando. - disse prima di entrare in classe.

Lo maledissi mentalmente e mi incamminai verso l'aula di matematica, fregandomene di quel Victor Sullivan e anche di Zayn. Liam era decisamente la compagnia che mi serviva in quel momento.

Ritorna all'indice


Capitolo 14
*** capitolo 14 ***


- voi con chi andrete al ballo di fine anno? - chiese Lory stringendo il braccio a Louis.

I ragazzi si guardarono intorno, imbarazzati.

- davvero non lo sapete ancora? - chiese esterrefatta.

- Lory, mancano più di due mesi, è ancora presto... - disse Dana, tenendo lo sguardo basso.

- non è mai troppo presto! Qualcuna di più sexy di te potrebbe arrivare e portarti via il cavaliere! -

Lory era una ragazzetta acqua e sapone, sempre sincera e senza peli sulla lingua. Non voleva dire nulla di male nei confronti di Dana, ma lei non lo intuì, e la inchiodò con lo sguardo.

- magari non ci voglio andare affatto, cosa dici? -

- sì che ci andrai! Sono sicura che Harry ti inviterà, vero Harry? -

Il ragazzo quasi non si soffoccò con l'acqua che stava bevendo.

- amore, metti in imbarazzo le persone... - la ammonì Louis.

- perchè? Avanti, lo sappiamo che si piacciono! E anche Liam e Clare, Megan e Zayn e Niall...caspita, Niall non ha una ragazza! Con chi hai intenzione di andarci? -

Si appoggiò sul tavolo con gli avambracci e portò tutta la sua attenzione su Niall. Louis si grattò la testa imbarazzato e si alzò da tavola.

- okey...tesoro, andiamo a fare una passeggiata fuori visto che è bel tempo? - le chiese gentilmente prendendola per mano.

Lei sorrise solare e si alzò di scatto.

- certo amore! -

Si incamminarono fuori, mano nella mano.

- lei...non fa sempre così... - iniziò Liam.

- mi ha dato della grassona. - disse Dana, ancora offesa.

- lei non voleva... -

- bè, non è che sei una top model... - si intromise Harry, tenendo lo sguardo basso.

La ragazza sgranò gli occhi: - come prego? -

- insomma...non sei una grassona, ma non sei nemmeno magra come lei... -

- però non ti è mica dispiaciuto l'altra sera, vero? -

- adesso non... -

- o mio dio, cos'è successo l'altra sera?! - chiese Clare eccitata.

- nulla che ti riguarda. - cominciò Dana sulla difensiva.

- sei la mia migliore amica, ogni cosa che fai mi riguarda, sopratutto se fai cose con Harry Styles! -

cominciarono a parlare tutti contemporaneamente, creando una gran confusione. In quel momento qualcuno si sedette accanto a me: Zayn.

Quando mi accorsi che era lui mi mancò il fiato. Si guardò intorno per capire la situazione e poi spostò la sua attenzione tutta su di me. Non riuscivo ad interpretare il suo sguardo: sembrava sollevato, ma anche dispiaciuto. I suoi occhi erano arrossati, come se avesse pianto...

Un paio di labbra morbide e umide vennero a contatto con le mie senza che me ne rendessi conto. In quel momento tutto svanì: i ragazzi, le chiacchiere, il rumore, la mensa...non eravamo più lì. Quello era un posto tutto nostro, dove c'eravamo solo io e lui. Quando mi staccai, molto lentamente, il silenzio era calato al nostro tavolo e tutti ci stavano fissando. Zayn si morse l'interno del labbro inferiore, continuando a guardarmi.

- ...scusa... - sussurrò, per poi alzarsi e andarsene.

- cosa...? - sussurrai anch'io, prima di alzarmi per seguirlo, ma Liam mi fermò

- Meg, lascialo solo. -

- ma perchè... -

- resta qui. - mi supplicò quasi, guardandomi dritto negli occhi.

Non capivo; Liam sapeva qualcosa che io non sapevo. E probabilmente riguardava anche me. Tornai a sedermi, fissando il vuoto.

- mi ha baciata. - sussurrai – davanti a tutti. E mi ha chiesto scusa. -

Liam sospirò. Harry si alzò e fece segno a Niall di seguirlo.

- noi andiamo...a fare due tiri in palestra. - annunciò il biondo, incerto.

- anche noi veniamo. - disse Clare, alzandosi, continuando a lanciare frecciatine ai ragazzi.

Si alzarono e tutti e quattro si diressero alla palestra, lasciando me sola con Liam.

- dimmi cosa sta succedendo. - dissi nel panico.

Non sapevo se ritenere il suo comportamento normale o se stesse accadendo qualcosa. E dal comportamento teso di Liam, dedussi che si trattava della seconda ipotesi.

- lo ami, Megan? - mi chiese diretto, senza fare tanti giri di parole.

- io... -

Alzò lo sguardo, incontrando il mio; i suoi occhi erano dolci e speranzosi, come li avevo visti il primo giorno.

- ...amo i suoi occhi scuri dai tratti orientali, i suoi capelli corvini e lucenti, il suo profilo dannatamente perfetto, le ciglia lunghe e nere e il suo sorriso sghembo; amo il suo modo di prendermi in giro e di stuzzicarmi, amo la sua voce, quando intona qualche vecchia canzone e amo il suo odore di caffè e tabacco. Questo...è amore? -

Il biondo sorrise – devi capirlo da sola. E devi dirgli quello che provi perchè lui non lo sa. -

- ma lui... -

- fallo Megan. Prima che faccia qualche stupidaggine. -

Si alzò da tavola e uscì dalla mensa, lasciandomi sola. Di nuovo.

Altre fitte allo stomaco. Fitte di panico. Mi alzai velocemente raccogliendo di corsa le mie cose e catapultandomi verso i bagni ma non vi arrivai in tempo; non appena girai l'angolo diedi di stomaco dietro ad una fila di armadietti. E di nuovo mi sentivo meglio, vuota, libera di ricominciare.

- Megan! -

Mi pulii la bocca dai residui di vomito con la manica della felpa e mi voltai. Due occhi grigi e spalancati mi fissavano ansiosi.

- tutto apposto? - mi chiese Victor preoccupato, prendendomi per un braccio.

Io mi strattonai, scansandolo.

- devo andare. - biascicai con la bocca impastata e la gola che bruciava.

Lo sorpassai e mi incamminai lungo il corridoio, dirigendomi fuori da scuola.

Pioveva, al contrario di quello che aveva detto il sole splendente quella stessa mattina. Era una pioggia fine e fitta, di quelle che ti batte addosso senza sosta, che ti martella nel cervello. Una pioggia fredda e umida, che ti penetra fin dentro alle ossa. Corsi nel parcheggio e mi guardai in torno, cercando una vecchia Mercedes, o un Pick-up nuovo di palla; ma niente. Solo il mio stupidissimo maggiolino verde-acqua. Se n'era andato. La pioggia dolce che cadeva sul mio viso si mescolò presto alle lacrime salate di rimorso che sgorgavano dai miei occhi, bollenti come il sangue. Gettai la borsa a terra e mi sedetti sul marciapiede lì vicino, senza cercare di ripararmi dalla pioggia. Volevo capire cosa ci trovasse lui in tutto questo. Volevo provare a vedere se davvero questa dannata pioggia avrebbe portato via con se ogni preoccupazione. Portai le ginocchia al petto, stringendole contro il ventre vuoto. Appoggiai la fronte sulle ginocchia.

- avrei giurato che odiassi la pioggia. -

Sorrisi di nascosto riconoscendo la voce, senza alzare il capo.

- già. -

- anche io la odio. -

Si sedette accanto a me.

- non che l'abbia sempre odiata: una volta mi piaceva osservarla, quando cadeva sulle auto che sfrecciavano veloci sull'asfalto. Oggi provo solo nostalgia e una grande rabbia verso me stesso. -

Alzai il viso, osservandolo: guardava dritto avanti a se, un punto indefinito. La pioggia gli bagnava i capelli biondi ossigenati, facendoli diventare quasi castani. Forse, quello era una delle poche volte in cui non lo vedevo sorridere.

- perchè sei qui Niall? - gli chiesi, cercando di trattenere le lacrime.

- perchè piangi Megan? - mi chiese ignorando la mia domanda.

- non lo so! - sbottai – sono...confusa e...ho paura. È scappato, Niall, capisci? È scappato da me...perchè? Liam mi ha detto...di dirgli cosa provo prima che faccia qualche cazzata...ma se lui non provasse niente per me? Che cosa cambierebbe? -

- sì...ti capisco. - disse sospirando.

- non so se ci riesci. Tu non hai una ragazza in perenne fase mestruale... -

Lui accennò ad una risata ma poi tornò serio.

- ...ce l'avevo... -

La pioggia smise per un momento di scendere e poi riprese, ma più dolcemente. Mi asciugai gli occhi con il polso della felpa e lo guardai.

- mi sembra l'inizio di una storia triste. -

- sì, lo è. -

- voglio sentirla. -

Sospirò e si passò una mano tra i capelli fradici.

- Emily Winston, terza liceo. Non molto alta, pallida, dai capelli corti e rossi come il fuoco: la più bella che avessi mai visto. Era così...carina e timida. Aveva paura persino di salutarmi. All'inizio mi evitava, ma io ho insistito fin che non ha ceduto ed è uscita con me. - sorrise tra se e se – è stato un periodo fantastico. Io non andavo da nessuna parte senza di lei e lo stesso lei senza di me. Ero totalmente dipendente da lei. Era la mia aria, la mia acqua, la mia isola felice. Un giorno uscii con Laurel; era mia amica e voleva che la aiutassi con Louis. - si fermò, come se fosse troppo difficile ricordare.

- anche quel giorno pioveva. Quando tornai a casa trovai Emily che mi spettava dentro all'auto di sua madre e ciò era assurdo perchè aveva soltanto 16 anni, non sapeva guidare. Scese arrabbiata, con le lacrime agli occhi e cominciò ad inveire contro di me. Non capivo perchè fosse così arrabbiata, non ce n'era motivo. Così, arrabbiato a mia volta, senza riflettere, alzai la voce e le dissi di andarsene. La sua espressione era...mi venne male al cuore. - si fermò di nuovo – salì di nuovo in auto e partì come un razzo, scomparendo sotto quella dannata pioggia. Salii nel mio appartamento e...dopo più o meno un'ora ricevetti una telefonata: la madre di Amily. Singhiozzava e non riuscivo a capire quello che diceva. Ma quando udii la parola “ospedale” mi catapultai verso il Central London Hospital, ma, sebbene fossi andato veloce come la luce...era troppo tardi.. -

fissava l'asfalto ai suoi piedi, stringendo la stoffa dei jeans chiari tra le mani così forte da far diventare bianche le nocche.

- un incidente d'auto. Correva veloce, non possedeva patente e...la pioggia l'aveva fatta andare fuori strada. -

- Niall...mi dispiace, io non lo sapevo... -

- infatti. Ma volevo comunque che lo sapessi. -

Si voltò a guardarmi; aveva gli occhi leggermente appannati e un mezzo sorriso sforzato e tremolante lo accompagnava. Mi fiondai ad abbracciarlo, senza pensarci due volte e lui ricambiò la stretta.

- bè, ero venuto qui a consolare te ma a quanto pare è accaduto il contrario. -

- io sto bene. - gli dissi, allontanandomi.

- Victor mi ha detto che hai vomitato. -

io sgranai gi occhi – Victor? -

- Victor Sullivan...pensavo che lo conoscessi... -

- sì che lo conosco, ma come ai a...conoscerlo tu? -

- viene a lezione di Matematica con me e Zayn al lunedì e oggi Zayn non c'era quindi...si è seduto accanto a me. -

mi voltai, tornando nella posizione di prima, stringendo le ginocchia al petto.

- Megan...stai poco bene? Vuoi che ti accompagni a casa? -

- no. Ci vado da sola. Di alle ragazze che stavo poco bene, nulla di preoccupante. Per favore. -

Lui annuì e si alzò, aiutando anche me. Raccolsi la borsa e feci scattare la sicura dell'auto.

- a domani. - dissi prima di salire e uscire dal grande cancello d'entrata della Saint Nazareth.

Ritorna all'indice


Capitolo 15
*** capitolo 15 ***


Tic toc. Tic toc. Tic toc.

Questo era il rumore ridondante e monotono che produceva il vecchio orologio a pendolo della cucina.

Don. Don. Don.

Tre rintocchi. Erano le tre del mattino e non avevo chiuso occhio tutta la notte. Ripensavo a quello che mi aveva raccontato Niall. Doveva essere stato estremamente difficile riuscire a sorridere di nuovo a quel modo.

Mi rigirai nel divano. Era maledettamente scomodo.

Chissà cosa aveva voluto intendere raccontandomi tutto ciò. Forse che dovevo sbrigarmi. Ma cosa avrei potuto dirgli? “hey Zayn, lo sai che ti amo?”, oppure una cosa più violenta e animalesca come “Zayn, ti amo cazzo!”. No, nessuna delle due era adeguata. E poi restava ancora il dubbio principale: era amore? Non avevo mai provato cose simili per qualcuno, nemmeno per il mio amico più caro, ammesso e non concesso che ne avessi mai avuto uno.

Finalmente, alle quattro, decisi di alzarmi e di preparare una moka intera di caffè. Mi preparai, diedi un'ultima carezza ad Oreste e uscii di casa, diretta a scuola. Erano le sette e mezza e il cielo era limpido come poche volte in quell'anno scolastico; on c'era nemmeno una nuvola e il sole splendeva pallido. La scuola era semi-deserta, dato che la campanella della prima ora non sarebbe suonata prima delle otto. Mi diressi nel giardino sul retro e mi sedetti sul muretto in cemento, accendendo una sigaretta. Dire che ero nervosa era poco. All'improvviso due ragazzi uscirono dalla porta schiamazzando e ridendo, avvinghiati uno all'altra...

- Harry, mi fai il solletico! -

- bè, l'intenzione era quella... -

Continuarono ad avanzare, tra un bacio e l'altro fermandosi dov'ero io. Quando la ragazza mi riconobbe si allontanò immediatamente, ricomponendosi.

- Megan...come mai qui? - chiese Harry, imbarazzato.

- non mi andava di stare a casa. Mi annoiavo. Voi invece? Perchè non siete rimasti a casa a fare queste cose?-

- non è assolutamente come sembra... - iniziò Dana, sulla difensiva.

- oh, avanti... - disse Harry, prendendole la mano – io pensavo... -

- Harry lasciami. - disse secca Dana, sciogliendo la presa del ragazzo dalla sua mano.

- come vuoi, ma non andartene. - la implorò.

Lei lo guardò per qualche istante e poi gli fece segno di seguirla dentro.

- noi entriamo. Ti aiuto a studiare fisica. - annunciò Dana.

Il ragazzo la seguì dentro, scodinzolando come un cagnolino che segue il suo padrone.

Chissà se anch'io facevo così con Zayn. Forse non me ne accorgevo, ma ero opprimente nei suoi confronti. Eppure, mi sembrava di avergli sempre lasciato i suoi spazzi, di non averlo mai costretto ad uscire con me, di non avergli dato l'etichetta di “mio ragazzo”. Anche se, in fondo, un po' mi sarebbe piaciuto. Poter andare a farmi consolare da lui quando avevo avuto una giornata storta, svegliarmi con lui la mattina, poterlo baciare davanti a tutti....e far sapere a tutti che era mio.

Serrai forte le palpebre, cercando di svegliarmi. Controllai il pacchetto di Marlboro: era rimasta una sola sigaretta. L'accesi subito invece di conservarla per la ricreazione. E aspirai avidamente ogni boccata di fumo, aspettando che suonasse la prima campanella.

 

 

- allora ci vediamo domani! - urlò euforica Laurel, allontanandosi mano nella mano con il suo Louis, che la seguiva sempre, ovunque andasse.

- anche noi andiamo...ci vediamo a Pittura ragazze. -

Clare si alzò e, con lei, inaspettatamente, anche Liam. Si scambiarono un'occhiata d'intesa e si allontanarono insieme, camminando fianco a fianco.

- io e te cosa facciamo, gattina? - chiese Harry, circondando le spalle di Dana con un braccio.

Lei lo scansò poco aggraziatamente.

- io e te non facciamo proprio un bel niente. E non chiamarmi in quel modo. Lo detesto. -

- come vuoi, orsacchiotta. -

- Harry, smettila! - urlò irata, alzandosi da tavola – e non seguirmi. -

Si incamminò fuori dalla mensa.

- non è carinissima quando si arrabbia? - ci chiese lui, con un sorriso ebete prima di correrle dietro.

Io sospirai. Alla fine, Zayn non era venuto. Piegai la testa di lato, cercando di vedere meglio l'entrata della mensa, ma niente.

- tornerà, stai tranquilla. - mi rassicurò Niall – devi solo dargli tempo. Credo che si senta in colpa per qualcosa. Di solito fa così quando deve scusarsi, detesta essere umile. -

- lo so – dissi sorridendo tra me e me – ma...non deve scusarsi di niente. -

Sbuffai – ora devo andare anch'io. Ci vediamo domani biondo. -

Gli stampai un bacio sulla guancia e mi incamminai verso il mio armadietto, per deporre i libri e poi dirigermi al piano inferiore, dove si teneva il laboratorio di pittura.

- 3,2...5,5, 8,7...2,3. - ripetei ad alta voce.

Feci scattare il lucchetto dell'armadietto e depositai i libri al suo interno.

- oggi non c'era il tuo ragazzo. -

Sobbalzai, quando Victor Sullivan spuntò da dietro lo sportello spalancato del mio armadietto.

- mi hai fatto prendere un colpo... - dissi portando una mano al cuore, che aveva accelerato il battito.

- senti, Sullivan, non sono affari che ti riguardano. Non ti conosco nemmeno! -

Chiusi l'armadietto sbattendo l'anta e mi incamminai verso il piano di sotto ma mi bloccai; mi voltai di nuovo a guardarlo.

- e, per tua informazione, non è il mio ragazzo. - gli feci notare.

- ma vi frequentate. - osservò lui, fiancheggiandomi.

- non ti deve interessare. -

- mi interessa sempre sapere se una ragazza è libera o impegnata, sopratutto quelle belle e con le gambe aperte, come te. -

Mi fermai di colpo, pietrificata. Mi voltai a guardarlo, intenzionata a strappare dal suo bel visino quel sorriso sfrontato.

- sappi che non ho intenzione di farmi rovinare l'esistenza da uno come te, perchè di problemi ne ho già abbastanza. Sei maleducato, superficiale e sessista e di me non hai capito proprio un cazzo! Quindi torna pure dalla mammina e dille di insegnarti meglio l'educazione... -

Non riuscii a terminare la frase che mi ritrovai con la schiena contro il muro. Victor mi aveva spinta e ora era a qualche centimetro da me e mi guardava arrabbiato, la mascella contatta e le pupille fisse nelle mie, le narici dilatate in un respiro irregolare e affannato.

- mia madre è morta quando avevo undici anni. È morta di overdose. - sputò tra i denti in un sussurro, come se fosse proibito pronunciare quelle parole.

In seguito mi sentii in colpa, ma in quel momento lo spinsi via, avvicinandomi poi di nuovo a lui, con la differenza che ora era lui la vittima.

- la mia se n'è andata quando ne avevo sei per ragioni che ancora non mi spiego. E non ho un padre, se ti interessa. Ora siamo pari, “bad boy” - sibilai velenosa, andandomene subito dopo, lasciandolo di sasso.

Corsi al riparo dentro la grande aula e mi sedetti al solito tavolo con Dana e Clare. Tutti i tavoli erano pieni oggi, solo il nostro restava sempre semi deserto. Nessuno voleva avere a che fare con “la drogata”, “l'isterica” e “l'orfanella”. Ma forse era meglio così. A noi piaceva stare per conto nostro.

Gettai la borsa sul tavolo e tirai subito fuori l'album da disegno, iniziando a scarabocchiare disegni astratti con fantasie particolari.

- Megan...tutto a posto? - chiese incerta Dana, mentre Clare mi osservava preoccupata.

Io sorrisi – certo. Tutto a posto. - dissi per rassicurarle.

- oh, eccoti qui. Tu devi essere Sullivan. - disse la professoressa Kelly.

Alzai lo sguardo e riconobbi immediatamente quei capelli troppo biondi e quegli occhi grigi così luminosi da sembrare argento.

- non ti sei presentato ieri. -

- ero stanco. - si giustificò il ragazzo.

La professoressa gli lanciò un'occhiataccia, mentre lui se ne stava lì impalato, con uno sguardo annoiato e un'espressione da menefreghista, che avrei preso volentieri a sberle.

- non è una giustificazione. -

- senta, sono maggiorenne, mi fornisco da solo le giustifiche. Mi dica dove devo firmare. -

La professoressa gli porse il registro continuando a guardarlo male. Il biondo firmò e si incamminò all'interno dell'aula. Quando incrociò il mio sguardo mi fissò in cagnesco e poi venne verso di me. Continuò a guardarmi anche quando si fermò dritto davanti a me. Poggiò il suo zaino sul tavolo.

- è occupato. - dissi io.

- non ci sono altri posti. -

- ma non puoi sederti qui. -

- chi lo dice? -

- io. Non voglio vedere la tua faccia ogni volta che mi giro. -

- io invece voglio fissare il tuo bel faccino per tutta l'ora. -

Lo fulminai con lo sguardo, ma i suoi occhi sembravano muniti di parafulmini, dato che non si spostò nemmeno un po'. Spostò la sedia e vi si sedette sopra, accanto a me. Cominciò a disegnare sul suo blocco senza dire più nulla per il resto della lezione. Io feci lo stesso, ignorando le occhiate confuse di Clare e Dana.

 

Il cielo era grigio fumo e le nuvole erano uno strato compatto che impediva a qualsiasi raggio di sole di penetrare. L'aria, calda e umida, preannunciava un temporale.

- ci vediamo domani Meg! - urlò Clare, allontanandosi con Liam.

L'aveva aspettata per tutto il tempo, e ora si lanciavano timide occhiate, tenendosi timidamente per mano. Forese loro erano l'unica coppia che io avrei mai potuto ritenere “carina”. Non di certo Louis e Laurel, o Harry e Dana. Louis faceva battute di pessimo gusto, Laurel era sovraeccitata, Harry era troppo dolce e Dana era isterica. Già, decisamente terrificanti. Ma gli amici non li scegli, ti capitano. E io mi li sarei tenuti stretti.

- a domani piccola Meggy. Cerca di non uccidere nessuno entro la fine della giornata. - dissi ironica Dana, allontanandosi dietro i due.

La salutai con un cenno della mano e rimasi lì, ferma davanti allaporta di ingresso della Saint Nazareth High School. Eravamo alla fine di aprile ma ancora il tempo non sembrava voler migliorare. Per qualche strano motivo, pensare di andare a casa mi faceva venire il volta stomaco. E mancava più di un'ora all'inizio del lavoro.

- io mio padre l'ho conosciuto, invece. -

non dovetti voltarmi per capire che era ancora Sullivan, evidentemente non soddisfatto del discorso che avevamo avuto prima.

- e ti invidio. Avrei preferito vivere in una favola, nella bugia che mio padre fosse il padre che tutti i bambini vogliono avere. Il marito che tutte le donne sognano... -

- pensavo che avessimo concluso prima il discorso... -

- volevo chiederti scusa. -

Mi voltai, degnandolo di attenzione.

- io...di solito non faccio così, sopratutto con le ragazze. L'ho fatto solo perchè...tu sei la prima che mi tiene testa e che mi rifiuta. Mi sono sentito debole. -

- certo, dalle tue parti sei tu il capo immagino... -

- no, affatto. Ma con le ragazze ho strada libera, di solito. -

- quindi...non pensi davvero quello che hai detto? -

- no. Scusa. -

Si voltò anche lui e mi sorrise. Un sorriso sincero, timido, di scuse. Sorrisi anch'io.

- d'accordo, facciamo pace... -

Allungò una mano e io la strinsi. Frugò nelle tasche dei jeans e ne estrasse un pacchetto di sigarette. Me ne porse una.

- sigaretta dell'amicizia? -

io risi – ora stiamo andando troppo oltre, ma l'accetto volentieri, grazie. -

L'afferrai e l'accesi. Il vento soffiava leggero, spostandomi i capelli davnti agli occhi. Tentai più volte di spostarli, ma inutilmente, così vi rinunciai.

- hai da fare ora? - mi chiese Victor, guardando avanti a se.

- tra meno di un'ora devo andare a lavoro. -

- dove? -

- è una piccola libreria in 21st street... -

- la conosco – disse espirando una boccata di fumo bianco – se vuoi ti accompagno. -

- non serve, ho la macchina. Ma grazie per avermi fatto compagnia. Non mi andava di tornare a casa. -

Lui si voltò e mi osservò, senza sorridere o fare qualsiasi altra espressione. Mi fissava e basta. E io detestavo essere fissata. Mi voltai, cercando di fare finta di niente. Aspirai una boccata di fumo e controllai con la coda dell'occhio che si fosse girato ma era ancora lì.

- puoi...non fissarmi, per favore? Mi da fastidio... -

- scusa. - disse subito, cambiando soggetto da osservare.

Mi sedetti sui gradini di pietra e lui mi imitò.

- allora...è malato? ...Zayn, giusto? -

Mi venne un groppo in gola: era malato? No, molto probabilmente. Conoscendolo era solamente arrabbiato per qualche strano motivo.

- non lo so. - risposi fingendo indifferenza.

- pensavo che ti interessasse... -

- perchè cadiamo sempre su questo argomento? Parliamo di te: la ragazza? -

Il biondo sorrise e si stiracchiò, stendendosi scomposto sugli scalini.

- ne ho avute tante...fin troppe, direi. Voglio rimanere single per un po'. -

- io ho sempre optato per quella strada, ma ora me ne pento. È bello avere qualcuno accanto al mattino o alla sera...qualcuno con cui stare quando non vuoi vedere nessuno, qualcuno che odi e ami allo stesso tempo. -

lui sorrise con la fronte corrugata in un'espressione di perplessità e divertimento.

- come puoi odiare e amare una persona al tempo stesso? -

- odio e amore sono i sentimenti più simili fra loro. -

Rabbrividii. Era la stessa cosa che aveva detto Zayn quando si era presentato per la terza volta a casa mia, dopo avermi quai costretta ad uscire con lui.

Un mezzo sorriso mi attraversò il volto ma sparì quasi subito.

- avete litigato, vero? -

Io sbuffai e roteai gli occhi al cielo.

- ti ho detto che non voglio parlarne. Sopratutto con te. - dissi alzandomi e scendendo la scalinata.

- cosa? - chiese alzandosi a sua volta – perchè? -

Io mi voltai e sorrisi maliziosa – perchè non mi stai simpatico. - risposi facendogli la linguaccia, per poi salire in auto e partire verso la libreria.

Ritorna all'indice


Capitolo 16
*** capitolo 16 ***


- hey Meg... -

Mi voltai e vidi Victor che avanzava a testa bassa verso di me.

- ciao. - lo salutai mettendo i libri nel mio armadietto.

- domani è il tuo giorno libero vero? -

Chiusi l'armadietto e lo guardai storto: - sì... -

- bè, c'è una gara di skateboard in un parco qui vicino. Sarà una cosa grandiosa! Insomma, monteranno una rampa da professionisti e ci saranno skater da tutto il Regno Unito e c'è un premio in palio e... -

- tu fai skateboard? - chiesi sorridendo, divertita da tutta quella sua eccitazione.

- bè...diciamo che me la cavo... -

- e partecipi? -

- no, perderei subito! Ma ho degli amici pro-skate che sono straordinari e ho promesso loro di andare così...mi chiedevo se ti andava di venirci con me. -

Era venerdì e Zayn non era venuto a scuola per l'intera settimana. Non era stato particolarmente noioso ma nemmeno divertente. Una strana ansia era accresciuta in me durante questi giorni: paura che non tornasse più, paura che, anche se fosse tornato, non mi avrebbe più voluto, paura che avessi commesso qualche errore, che fosse tutta colpa mia. Liam non voleva parlare di nulla su Zayn. Ma ogni volta che gli chiedevo sue notizie lui mi guardava addolorato e diceva: “sta poco bene. Si riprenderà.”

Sapere che lui stava male faceva soffrire anche me. Ma avevo trovato un metodo per combattere tutta quell'angoscia: mi chiudevo in bagno con una scusa e in qualche minuto avevo finito, così nessuno avrebbe sospettato e mi avrebbe fatto la predica. Mi sentivo libera, vuota, pronta ad affrontare nuove situazioni, ovviamente, poi lo schifo tornava, ma ero riuscita ad allontanarlo per un poco.

- allora? - mi incitò il ragazzo.

Alzai lo sguardo: i suoi occhi grigi e acquosi mi fissavano speranzosi. Da quando avevamo litigato e fatto pace nello stesso giorno era cambiato. Era più dolce e simpatico, mi trovavo bene con lui. Dunque, perchè non accompagnare un amico a una gara a cui tiene molto?

- certo. - risposi sorridendo sincera.

Le sue labbra si incurvarono lentamente in un sorriso che poi esplose mettendo in mostra tutti e trentadue i suoi denti bianchissimi. Mi abbracciò e mi sollevò da terra.

- grazie! -

Io risi: - mettimi giù! - lo implorai.

Quando i miei piedi toccarono di nuovo la terra ferma lo abbracciai ancora e affondai il viso nel suo petto. I suoi abiti profumavano di ammorbidente, freschi di lavaggio. Mi strinsi di più contro il suo corpo. Eravamo in mezzo al corridoio e stavamo bloccando il passaggio agli studenti ritardatari che si affrettavano ad entrare in classe, ma non m'importava: avevo bisogno di un abbraccio che non fosse di consolazione o pena. Volevo che qualcuno mi abbracciasse perchè voleva davvero farlo, perché era davvero felice di vedermi. Sentii il suo viso affondare tra i miei capelli fin che mi stringeva a se. Il suo naso mi sfiorava l'orecchio sinistro, provocandomi solletico.

- ok, ora devo andare. Ci vediamo dopo scuola al parco qui dietro, ok? -

- davanti al chiosco. -

Sorrisi: - perfetto. -

Mi salutò con un cenno della mano e mi diressi verso la mensa. Mi sedetti al solito tavolo. Dana e Clare erano impegnate in un acceso dibattito: da quanto ero riuscita a capire, Dana riteneva inconcepibile indossare converse e gonna per andare al ballo scolastico di fine anno. Clare, invece, lo riteneva più che lecito. Aveva intenzione di indossare converse rosse e un vestito a righe bianche e nere.

- te lo impedirò a tutti i costi! -

- posso fare quello che voglio! -

- ma sono la tua migliore amica, non voglio contribuire alla tua auto-umiliazione -

- buongiorno a tutti. - dissi sedendomi.

In quel momento calò il silenzio e tutti gli sguardi furono rivolti a me. Cominciai a spiluccare delle foglie d'insalata dal mio piatto, guardandomi intorno.

- Niall? - chiesi, accorgendomi che mancava il biondo.

- allenamento extra. La settimana prossima c'è partita. - rispose Harry, continuando a guardarmi.

Io annuii e continuai a mangiare il mio insipido cibo per capre, a mio parere inservibile a degli umani. Stavo per esplodere: anche lo sguardo di una sola persona mi infastidiva, figurarsi quello di sei persone.

- la volete piantare di fissarmi?! - sbottai – che cos'ho di strano? -

In quel momento tutti distolsero lo sguardo. Nessuno voleva spiegarmi il motivo di tanta attenzione nei miei confronti.

- salve a tutti! -

Niall si sedette accanto a me, cingendomi le spalle con un braccio. Mi scoccò un baciò sulla guancia.

- ciao Meg. -

- ciao... - dissi voltandomi dalla sua parte – com'è andato l'allenamento? -

- alla grande! Se continuiamo così li stracciamo quelli di Oxford! -

- che giorno è la grande partita? - chiese Louis.

- sabato prossimo. Giochiamo in casa. Voglio vedervi tutti in palestra alle sei, con striscioni e tutto il resto, intesi? -

Tutti accennarono a una risata, ma nessuno rise davvero come facevano di solito.

- ragazzi, cosa c'è? - chiese deluso dal loro scarso entusiasmo.

Liam gli lanciò una strana occhiata, cercando di non farsi vedere da me. Mi alzai di scatto; ero infuriata.

- se avete qualche problema con me me lo dite in faccia. Non sopporto chi parla alle spalle delle persone. -

Li guardai ad uno ad uno.

- siamo preoccupati, Megan. - disse Dana, tirando fuori il coraggio che solo lei possedeva – tu...sembri sempre più magra e ancora più pallida, se possibile. Sembra quasi che ti stia...consumando. -

Rimasi a fissarla per qualche istante e poi mi lasciai di nuovo cadere sulla panchina, attonita.

- da quant'è che non esci? - mi chiese Clare.

- un po'. -

- forse...potremmo... -

- ma sabato esco. Dico davvero, non sto mentendo. -

- con chi? - volle informarsi Laurel.

- ...Sullivan. -

- Sullivan? Ma non lo odiavi? - chiese Dana, confusa.

- no. Lui è...simpatico. Stiamo bene insieme. -

Calò di nuovo il silenzio. Liam rimaneva sempre zitto, come da quando Zayn non era più venuto a scuola. Sembrava che avesse un segreto e che non potesse dirlo a nessuno. Un segreto che, se pronunciato, ti rendeva incapace di parlare per il resto della vita.

- io...vado in giardino. Ci vediamo a lezione ragazze. A domani ragazzi, Laurel. -

Mi alzai da tavola e mi diressi verso la porta antincendio, uscendo sul giardino sul retro.

Un balzo al cuore: capelli neri, profilo tagliente, sigaretta sulle labbra, appoggiato distrattamente alla parete esterna della mensa con la pioggia che bagna delicatamente il suo viso. Mi avvicinai incerta, scrutandolo meglio. Quando fui più vicina avvampai: non era lui. Perfetto. Ora avevo pure le allucinazioni. Il ragazzo si voltò verso di me

- tutto ok? - mi chiese osservandomi.

- sì. - risposi seccamente, imbarazzata, ripercorrendo la strada per entrare. Aggirai l'edificio ed entrai per la porta antincendio della palestra, che si trovava più vicina all'aula di pittura. Mi incamminai a passo spedito per il corridoio.

Stupida. Come hai potuto illuderti in questo modo? Non capisci che sarà doppiamente difficile se continui così?

Ansia. Angoscia. Paura. Nostalgia. Un groviglio di sentimenti si agitava nel mio stomaco. Gli occhi mi pizzicavano. Ben presto le mie gote vennero solcate da calde lacrime. Le mie gambe iniziarono a correre automaticamente verso il bagno degli insegnanti che era il più vicino. Mi gettai a terra senza badare alla borsa e mi avvicinai al gabinetto. Mi sporsi giusto in tempo, prima di dare di stomaco. E vomitai la mia anima, la mia essenza, che pian piano se ne stava andando. Mi pulii la bocca con il dorso della mano e mi appoggiai al muro freddo. E lì mi abbandonai ad un pianto immotivato, pregando che nessun professore entrasse ad assistere a questo spettacolo penoso.

 

Liam's pov

- Brit! - chiamai.

Niente. Di solito arrivava scodinzolando allegramente, per poi saltarmi addosso.

- Brit! - provai ancora.

- dove sei stupido cane... -

presi la scatola di biscotti per cani e mi diressi in salotto.

- mmm... -

Il Labrador beige era chino sul ragazzo che stava dormendo sul mio divano e lo stava leccando ovunque sul viso.

- ...Meg... - stava mugugnando.

Sospirai.

- stupido ragazzo. - dissi tra me e me.

Ero convinto che se solo Zayn avesse visto che Megan era nelle sue stesse condizioni avrebbe capito che i sentimenti che provava la ragazza erano i medesimi suoi. Il moro boccheggiava, baciando una Megan invisibile, ricevendo in cambio leccate affettuose da parte di Brit. Mi sedetti sulla poltrona difronte a godermi la scena del suo risveglio. Quando aprì gli occhi e si rese conto che non era affatto una ragazza si sedette di colpo, cacciandolo dal divano.

- ...via, brutto cattivo... - disse assonnato.

Il cane venne da me a farsi coccolare, accettando volentieri qualche biscotto.

- no che non sei cattiva...sei una brava cagnolona...e lui che è cattivo...è un barbone scroccone... - dissi accarezzando la sua testolina morbida, scompigliandole le orecchie.

Zayn si stiracchiò e si levò il plaid di dosso. I capelli spettinati e la barba incolta non erano assolutamente da lui. Per non parlare delle profonde occhiaie e dello scenario composto da bottiglie di diversi alcolici abbandonate sul tavolino e sulla moquette.

- che ore sono? - mi chiese tenendosi una mano sulla fronte, come se la testa fosse troppo pesante da sorreggere.

- mezzogiorno. Stavo dando la pappa a Brit. -

- anch'io voglio la pappa. -

Io presi un biscotto per cani e glielo lanciai.

Lui lo prese al volo: guardò prima il biscotto e poi me e, dopo aver lanciato un'ultima occhiata al biscotto se lo ficcò in bocca, scrocchiando ad ogni morso. Io feci una smorfia, disgustato.

- Zayn, ti sei ridotto a una merda... -

- è buono. - si giustificò.

Abbassai lo sguardo e continuai ad accarezzare Brit anche sulla schiena e sotto il mento.

- hai nominato Megan... -

- quante volte? -

- due o tre...quando Brit è venuta a leccarti... -

Lui sbuffò e portò entrambe le mani al viso, coprendosi gli occhi.

- dici che devo bere di più? -

- dici che è davvero giusto quello che stai facendo? Non credi che Megan soffra quanto te? Per un problema che non esiste, oltretutto... -

- Liam, ho detto che non voglio parlarne. -

- se tornassi a scuola ti renderesti conto dell'errore che stai commettendo. -

- Liam basta! - urlò – sono esausto. È da una settimana che dorma si e no due ore a notte. Mia madre non mi ha mai telefonato, ciò significa che è arrabbiata. E, come se non bastasse, il Brandy è finito. -

Prese in mano una bottiglia vuota e la agitò per farmi notare che era vuota.

- i tuoi reni ne risentiranno... -

- e chi se ne frega... - boffonchiò alzandosi, lasciando cadere il plaid a quadrettoni rossi e neri a terra. Si grattò il fondoschiena rudemente e salì le scale zoppicando gobbo. Sospirai e mi alzai.

- vieni Brit, si mangia. -

Entrai in cucina e riempii la sua ciotola di croccantini e cambiai l'acqua del giorno precedente. Lei chinò la testa e iniziò a sgranocchiare il suo cibo scodinzolando.

- quanto ha intenzione di rimanere qui Malik? - chiese scocciata Nicole, seduta su una sedia con i piedi sul tavolo della cucina e una tazza di cereali in grembo.

- lunedì torna a scuola, spero... -

- non lo sopporto più; lascia il caos ovunque vada. Per non parlare di tutto l'alcol che beve! Non capisco perchè mamma non lo abbia già cacciato... -

- perchè mamma lo conosce da quando è nato e, che tu ci creda o no, gli vuole bene quasi quanto ne vuole a me e te. -

Lei ridusse gli occhi a due fessure – balle. -

- l'hai mai sentita a cena? Quando non c'è chiede di lui almeno due volte. -

- Niky dove hai messo lo shampoo alla pesca? -

Zayn entrò in cucina con passo strascicato indossando solo dei boxer neri e consumati, grattandosi la nuca. Nicole si alzò di scatto, appoggiando la tazza sul tavolo.

- è mio! Usa quello di Liam! - urlò per poi corre al piano di sopra, probabilmente per nascondere il suo prezioso shampoo.

- prendi il mio, è sull'armadietto bianco... -

- voglio quello alla pesca. -

- perchè? - chiesi confuso.

Lui abbassò lo sguardo, incrociando le gambe nervosamente.

- ...sa di Megan... - sussurrò.

Io sospirai – sei un controsenso Zayn. Prima dici che non ne vuoi parlare e poi cerchi ogni oggetto per ricordarla. Non ti capisco. -

- nemmeno io mi capisco più. - disse sedendosi sulla sedia appartenuta precedentemente a Nicole – so solo che mi manca da impazzire. Sto impazzendo Liam. -

Sospirai. Non facevo altro che sospirare quella settimana.

- e perchè non gilelo dici? -

- non gli importa Liam... -

- sì che gli importa! -

- io ho capito che... -

- tu non hai capito niente, Zayn! Sarà da almeno una settimana che vado avanti a ripetere che lei prova lo stesso per te ma perchè non mi credi! -

Il campanello interruppe il silenzio che si era creato. Zayn si allontanò barcollando un poco e andò ad aprire. Tornò indietro dopo pochi secondi, in compagnia di una ragazza dai capelli rossi...

- Clare! - dissi correndole incontro e abbracciandola.

- ciao. - disse dandomi un bacio sulle labbra.

Rabbrividii. Sapevano di fragola.

- come mai qui? -

- volevo farti una sorpresa... -

- bè, è una sorpresa fantastica... -

Le cinsi i fianchi con le mani e l'avvicinai a me, baciandola di nuovo. Lei infilò le mani tra i miei capelli, massaggiandoli.

- pensavo... - disse tra un bacio e l'altro - ...oggi i ragazzi vanno a una gara di qualcosa... -

- la gara di skateboard? -

- sì, quella. Ecco, pensavo che potevamo andarci anche noi, tanto non abbiamo nulla da fare... -

- se ti va ci andiamo. -

lei mi sorrise – fantastico! Zayn, tu vieni? -

Il ragazzo era seduto sul pavimento, accanto a Brit, e le accarezzava la testa, rubandole dei croccantini dalla ciotola.

- Zayn, non mangiare il cibo del cane! - lo rimproverai.

- sì, mamma – disse alzandosi.

Clare rise – allora, sei dei nostri? -

- ...viene anche...lei? -

- no, Megan esce con...bè, non lo so.

Lui sembrò valutare l'offerta e poi acconsentì con un cenno del capo.

- allora preparatevi, alle tre partiamo! -

- sì, Zayn dovresti fare una doccia: puzzi. -

Lui sbuffò e si alzò dal pavimento, dirigendosi fuori dalla cucina. Io sorrisi tra me e me e mi voltai, prendendo Clare in braccio, che tirò un urletto di sorpresa.

- e ora, a noi due. -

Rise e mi cinse il collo con le braccia e mi baciò intensamente, bagnando le mie labbra secche. L'appoggiai sul bancone in marmo, concentrandomi sul suo respiro irregolare. Tastai con le mani i suoi fianchi, scendendo fino al fondo schiena. Brit cominciò ad abbaiare.

- zitto, stupido cane... - dissi infastidito da tutto quel rumore.

Clare rise – non è stupida... -

scese dal piano, allontanandosi da me. Andò ad accarezzare il cane, che voleva giocare con lei.

- sei bella e intelligente, vero Brit? Vero? - disse con una strana voce, come se stesse parlando a un bambino.

Sbuffai e portai le braccia al petto, appoggiandomi al ripiano. Lei mi guardò: quei grandi e sinceri occhi color nocciola, che riuscivano a farmi piegare al suo volere sempre e comunque. Si avvicinò di nuovo a me; poggiò le mani sui miei avambracci e fece scontrare la punta del suo naso contro il mio.

- sai... - iniziò in modo sensuale - ...anche tu puzzi. E io ho fame. Quindi cucina e poi vai a farti una doccia. Su, su! Non c'è tempo da perdere! - disse ridendo, lasciandomi interdetto.

Mi passai la lingua sui denti con un sorriso ironico sul volto.

- la prossima volta non te la darò vinta. -

Mi alzai e mi diressi ai fornelli.

Ritorna all'indice


Capitolo 17
*** capitolo 17 ***


Presi una boccata d'ossigeno: l'aria era calda ma un venticello fresco mitigava il clima, rendendolo piacevole. Il sole era una palla infuocata sopra la mia testa. Avevo deciso di andare a piedi, visto che ero partita in anticipo. E così sarei riuscita a starmene un po' per i fatti miei, a pensare. Non vedevo l'ora di vedere come se la cavava Victor con lo skateboard. Forse avrebbe insegnato qualcosa anche a me. Svoltai l'angolo e mi ritrovai davanti alla Saint Nazareth. L'aggirai ed ecco il parco. Era gremito di persone di ogni genere: bambini, uomini, ragazzi, ragazze. C'era una grande confusione. L'eccitazione era palpabile nell'aria. Mi infilai tra la folla, facendo a gomitate per passare, fin che non arrivai davanti ad una grande piattaforma di cemento: cinque o sei ragazzi stavano sopra alle proprie tavole e si esibivano in salti e capovolte. Tra di loro riconobbi Jason, un ragazzo del mio corso di pittura e Victor. Avrei riconosciuto i suoi capelli biondissimi tra tutti. Quando mi vide sorrise. Io sorrisi di rimando e lo salutai con un breve cenno della mano. Prese la rincorsa e venne verso di me a bordo del suo skateboard.

- ciao Meg! -

- hey...te la cavi piuttosto bene! -

Lui fece spallucce e scese dalla tavola – aspetta di vedere i pro-skater. Loro si che sono impressionanti. -

- allora...non è che mi insegneresti qualcosa? -

Lui mi osservò per qualche istante e poi sorrise – davvero? -

- bè, sono venuta per questo. - dissi facendo l'occhiolino.

- andiamo nell'altra pista, questa è piena. -

Prese sotto braccio lo skateboard e ci incamminammo verso una piattaforma più piccola e più isolata, dove c'erano due bambini che tentavano di stare in equilibrio sulle loro tavole. Victor appoggiò la tavola a terra e mi fece segno di salirci.

- e se poi cado e muoio? -

Rise – bè, mi mancheresti parecchio, ma è la legge della natura. -

- non sei d'aiuto. - gli feci notare.

Lui rise ancora – sali e non fare storie. -

Sospirai e mi avvicinai. Appoggiai il primo piede sul piano di legno, non del tutto convinta. Piano, misi anche l'altro. Esultai, felice.

- sono un fottuto genio! ...e ora? -

- spingiti a terra con un piede. -

Presi un respiro e poi poggiai il piede sinistro sull'asfalto, dandomi una leggera spinta. Secondo la legge per cui Megan Cooper è scoordinata in qualsiasi tipo di sport, non riuscii a mantenere l'equilibrio e caddi all'indietro. Due braccia sottili e forti furono subito pronte e mi presero prima che potessi sbattere il fondoschiena sul cemento. Il suo respiro caldo si infrangeva sulla mia nuca e sentivo il suo petto vibrare per il troppo ridere.

- sei un disastro! -

- te l'avevo detto... -

Cercai di rialzarmi ma lui non voleva mollare la presa. Mi voltai a guardarlo negli occhi.

- hai degli occhi bellissimi. - disse fissando, però, le mie labbra.

- grazie. - sussurrai.

Il primo a farmi un complimento del genere era stato Zayn.

Non pensarci Megan, non pensarci.

Mi staccai velocemente dal suo abbraccio, abbassando lo sguardo.

- ...qualcosa non va? -

- no. Tutto apposto. -

Raccolsi lo skateboard da terra e me lo misi in spalla. Nel frattempo, una calca di gente si era radunata attorno alla pista più grande e un ragazzo aveva iniziato a sbraitare in un megafono.

- mi sa che stanno iniziando. -

Ci incamminammo verso la pista guardandoci intorno.

- io...non vorrei averti offeso... - mugugnò Victor, guardando per terra.

- no è che... - sospirai.

- è colpa mia. - conclusi, troncando il discorso.

- ...i concorrenti vengano sulla pista con le loro tavole! - disse sbraitando il ragazzo che si trovava dall'altra parte della piattaforma.

Si trovava sopra ad una pedana rialzata, in compagnia di cameraman e gente varia. Alle sue spalle c'era un grande schermo dove venivano riprodotte le immagini riprese dalle telecamere. Doveva essere una manifestazione importante. Una miriade di ragazzi entrarono nella pista scivolando di qua e di là sulle loro tavole.

- hey, andiamo lì davanti...qui non si vede. - propose lui, che continuava ad allungare il collo per vedere sopra le teste della folla.

- tu vai, io...io mi siedo su quella panchina. - risposi indicando una panchina malmessa collocata sotto una giovane quercia che, però, faceva già ombra a sufficienza.

Victor piegò la testa di lato, guardandomi torvo.

- sicura che... -

- va tutto bene. - lo interruppi – voglio solo...sedermi un po' all'ombra. Tu va, intanto. Ci vediamo dopo. -

Sorrisi, per rassicurarlo. Lui si allontanò guardandomi, incerto. Mi voltai e mi incamminai verso la mia panchina. Per arrivarvi dovetti fare a gomitate con le persone. Più volte imprecai sommessamente, rivolta a quegli energumeni alti, grossi e sbruffoni, buoni solo a indossare canottiere con maniche troppo larghe e a sputare per terra. Quando avevo quasi raggiunto uno spiazzo isolato, qualcuno mi venne addosso, facendomi sbattere la testa contro la tavola da skateboard che il tizio teneva all'altezza del petto.

- porca puttana stai attento brutto idiota... - cominciai a sbraitare, massaggiandomi la fronte.

Non ne avrei sopportato un altro. Il ragazzo rise. Alzai lentamente il capo, trattenendomi a stento dall'esplodere. Volevo vedere la sua faccia di cazzo prima di spaccargli tutti i denti.

- ma come siamo graziose ed educate oggi...eh, Meg? -

Due smeraldi lucenti mi fissavano divertiti.

- Harry...? - chiesi perplessa, vedendo Lory che sbucava da dietro di lui e Dana che si posizionava al suo fianco.

- ragazzi che diavolo ci fate qui? - chiesi presa da una strana ansia – e da quand'è che tu vai in skateboard? -

Il riccio rise e Dana gli prese la tavola dalle mani.

- infatti lui non sa andarci. Quelli bravi qui sono Clare, Louis e Zayn. -

A quel nome mi vennero le vertigini.

- tu, piuttosto, non dovevi uscire con Vincent Vatte-la-pesca... -

- Hey Megan! Che diavolo ci fai qui? - chiese Niall arrivando insieme a Louis, sopra ad una tavola tutta scheggiata.

- pensavo che dovessi uscire con Sullivan! -

Stavo per rispondergli quando lo vidi: folti capelli corvini, un naso affilato, due labbra sottili, la mascella squadrata e quegli occhi che oggi erano così scuri da sembrare due pozze viscose di petrolio nero. I miei poveri occhi non ce la facevano a sopportare tanta bellezza all'improvviso, dopo così tanto tempo. Ma c'era qualcosa di diverso in lui. In quel momento mi resi conto che non poteva essere davvero Zayn Malik. La barba incolta, i capelli spettinati, due pesanti occhiaie nere sotto gli occhi, un enorme maglione sformato e dei pantaloncini vecchi e strappati. Zayn Malik non poteva nemmeno pensare all'idea di uscire di casa senza gel nei capelli, o senza indossare vestiti firmati. Per non parlare delle due pesanti occhiaie: piuttosto si sarebbe messo il fondotinta di sua madre, o sarebbe rimasto a casa a dormire.

- Hey Meg, questi li devi vedere! -

Sentii qualcuno afferrarmi saldamente il braccio sinistro. In quel momento i suoi occhi si conficcarono nei miei. Mi guardò intensamente per qualche istante e poi spostò lo sguardo su Victor, e sulla sua mano appoggiata al mio braccio. Quando Liam gli arrivò di fianco gli disse qualcosa ma il moro non lo ascoltava. Allora anche il biondo guardò nel punto in cui cadeva il suo sguardo e, come Zayn, guardò prima me, poi Victor, poi il mio braccio. Accadde tutto così lentamente, eppure, fu tutto troppo veloce. Non riuscii a parlare, non riuscii a muovermi che lui aveva già voltato le spalle e se ne stava andando a testa bassa. Avrei voluto seguirlo. Avrei voluto saltargli addosso e urlargli che lo amavo. Ma non lo feci. Mi lasciai trascinare da Victor verso la pista. Ma prima di rituffarmi in mezzo alla folla mi divincolai dalla sua presa e cominciai a correre. Il più lontano e il più velocemente possibile. Sorpassai la panchina e la quercia. L'aria mi frustava il viso, seccando sulle mie guance le lacrime che colavano giù. Riuscii ad arrivare fino ad un tronco morto e poi non riuscii più a mandare giù tutto quello che tenevo dentro: paura, rimpianto, angoscia, amore, vergogna. Gettai tutto fuori. Quando mi fui calmata mi asciugai la bocca con il dorso della mano e mi allontanai da lì. Mi sedetti a terra, poggiando la schiena sul tronco di un faggio. Se n'era andato. Di nuovo. Che diavolo gli passava per quella sua testa di cazzo? Quello che avevo visto nei suoi occhi mi aveva spaventato. Due buchi neri. Perchè aveva un aspetto così trasandato? Forse anche lui...

- ...Meg...Megan! -

Chiusi forte gli occhi stringendo ermeticamente le palpebre.

- ...Megan! -

Strinsi forte le braccia al petto.

- ...Megan... -

Si inginocchiò di fronte a me, sospirando.

- cos'è successo? -

- giramento di testa. Ora sto bene. -

lui rise. Aprii un occhio per controllare; si era alzato in piedi e si stava guardando intorno.

- ...non mi avevi detto che ci sarebbero stati anche i tuoi amici. -

- se lo avessi saputo non sarei venuta... - sussurrai e sono sicura che lui mi sentì, anche se non disse nulla.

- ...vuoi andare a casa? - mi chiese gentilmente, piegando la testa di lato, come faceva quando voleva mostrarsi indifeso. Lo trovavo adorabile.

Chiusi di nuovo gli occhi e annuii. Allungai le braccia, incontrando e sue mani che mi aiutarono ad alzarmi. Prese lo skate sotto braccio e mi cinse la vita con l'altro. Io appoggiai la testa sulla sua spalla, stremata da tanta agitazione e sospirai. Insieme ci incamminammo verso 23st Ave Street, lasciandoci alle spalle il piccolo parco pieno di persone che si godevano il resto di quel caldo e ancora lungo pomeriggio di giugno.

Ritorna all'indice


Capitolo 18
*** capitolo 18 ***


Perché io e quelli che amo scegliamo persone che ci trattano come fossimo nulla?"
"Accettiamo l'amore che pensiamo di meritarci."

 

- mi dispiace i averti fatto perdere la gara... -

- tranquilla non importa – mi rassicurò sorridendo – non era così importante... -

Io sbuffai e nascosi il volto tra le mani. Victor rise.

- dai, smettila! -

io scossi il capo, mortificata.

- scusa! - dissi per l'ennesima volta.

Lui scostò le mani dal mio viso, stringendole tra le sue.

- smettila di chiedere scusa, non hai colpa. - disse sorridendo.

Io sorrisi di rimando e sospirai. Sottrassi le mani dalla sua stretta e mi voltai. Il tavolo al centro della mensa, che prima era vuoto, ora si era quasi riempito: c'erano Liam e Clare, Harry, Niall e...

Il sangue mi si gelò nelle vene. Era tornato.

- Meg...tutto bene? -

Forse Victor non riusciva a vedere che dentro di me stessi esplodendo di gioia. Forse nessuno l'aveva notato. Forse quasi tutti vedevano però che sarei potuta svenire da un momento all'altro. Mi voltai velocemente, con un sorriso da psicopatica.

- Megan, così mi spaventi. -

Io abbassai lo sguardo e presi a rigirarmi tra le mani il bicchiere di plastica contenente del caffè.

- scusa. - sussurrai, senza abbandonare lo strano sorriso che nasceva spontaneo sulle mie labbra.

Spostai il mio sguardo sulla bevanda scura all'interno del bicchiere. Era scura e densa, proprio come i suoi occhi. E lui emanava lo stesso profumo di caffè, mischiato a quello penetrante del tabacco. Era giunto il momento di mettere da parte i sentimenti negativi e aprirgli il mio cuore. Se non l'avessi fatto ora non avrei avuto un'altra occasione. Ma come avrei fatto? Forse lui non avrebbe nemmeno voluto ascoltarmi. In tal caso lo avrei obbligato ad ascoltarmi. Se non glielo avessi detto sarei implosa. Il suono stridente della campanella mi risvegliò.

- io...devo andare. - dissi distrattamente, inseguendo con lo guardo il moro che stava già uscendo dalla mensa.

- Meg...Megan! – tentò di richiamarmi Victor, ma io non avevo tempo da perdere.

Mi precipitai fuori dalla mensa al suo inseguimento, ma lo avevo già perso. Il corridoio era gremito di gente e non riuscivo a distinguere nessuno.

- Hey Megan... -

Quando vidi Liam mi catapultai da lui.

- dov'è andato Zayn?! -

Lui mi fissò con le labbra corrucciate di chi sta per dire qualcosa, ma non disse nulla. Lo scossi con le mani.

- Liam rispondimi! -

- non lo so! Sarà al suo armadietto o nel laboratorio di fotografia, vai cercarlo! -

Sospirai e mi catapultai a rotta di collo giù per quel dannato corridoio, andando a sbattere contro altri ragazzi.

Eccolo. Era lì. Stava appoggiando un libro nel suo armadietto. Lo chiuse e stava per andarsene...

- Zayn! -

Chi lo aveva chiamato? Chi aveva bisogno di lui proprio in quel...io. Ero stata io a chiamarlo. Non me ne ero nemmeno resa conto, presa da tutta quella eccitazione. Ciò nonostante lui ne si fermò, ne si girò, bensì proseguì per la sua strada.

- Zayn! - lo chiamai ancora, avvicinandomi.

Niente. Perchè era così stronzo?

- Zayn, cazzo! - urlai arrabbiata, fermandomi a meno di due metri da lui.

Finalmente anche lui si fermò. Era finalmente giunto il momento della verità.

- cosa vuoi. - disse inespressivo.

Brividi. Forza Megan, parla.

- io...d-devo parlarti. -

- ...n-non ho ho tempo. -

- non ci vorrà molto, te lo giuro! io... -

- non ho più tempo. - disse voltandosi. - non ho più tempo per te, Megan. -

La gola mi si seccò e il cuore iniziò a battere velocemente.

- cosa...cosa vuoi dire? - chiesi sussurrando.

- voglio dire...che è come pensavo. Voglio dire che non avrei mai dovuto fidarmi di te, non avrei mai dovuto prolungare questa storia. Voglio dire...che sei come tutte le altre. -

I suoi occhi neri erano conficcati nei miei, e non c'era nulla di dolce nella sua voce. In quel momento mi parve di cadere in un buco nero. L'enorme buco nero dell'oblio. Gli occhi iniziarono a pizzicarmi. In quel momento tutte le mie certezze furono scaraventate a terra come fogli di carta che cadono da una scrivania, spostati dal vento. In quel momento la scuola e l'intero mondo mi caddero addosso. In quel momento, mi resi conto che aveva dannatamente ragione, così come aveva dannatamente torto.

- sai cosa? - dissi riuscendo a trovare un filo di voce in fondo alla gola – hai ragione. Non avremmo mai dovuto continuare questa specie di rapporto. E sì, sono come tutte le altre ragazze. E sai, le compatisco tutte quante. Dev'essere stato estremamente duro dover sopportare i tuoi sbalzi d'umore ogni giorno. Eppure ho resistito perchè pensavo...che per la prima volta nella mia vita, avessi trovato qualcuno che non mi abbandonasse. Qualcuno che mi amasse e da amare a mia volta. Dovevo fermarmi prima di innamorarmi di te, Zayn. Sono una stupida. -

Mi fissava con occhi spalancati e la bocca socchiusa, come se avesse troppe cose da dire ma non disse nulla. Tutti i miei propositi erano appena andati a puttane.

- scusa. -

Mi voltai e mi allontanai velocemente, facendo a gomitate con la folla che si era radunata attorno a noi per assistere alla scena. Le lacrime iniziarono a scendere a fiotti. Corsi il più velocemente nel posto che mi era più familiare, più di conforto in quel momento. Mi getti sulla tazza dell'ultimo bagno a chiusi gli occhi per non sentire il sapore disgustoso che avevo in bocca. Stavo vomitando me stessa. E avevo un sapore davvero orribile. La mia anima faceva schifo. Alzai il volto dalla tazza e mi sedetti accanto senza nemmeno tirare l'acqua. Appoggiai la testa contro le mattonelle luride di quel cesso e piansi. Piansi così tanto e così forte che non ricordo quanto tempo rimasi lì. Allora era questo che si provava ad essere innamorati? Avevo sempre biasimato quelle ragazze che piangevano per questioni di cuore, ma ora mi rendevo conto cosa si provava. Un vuoto incolmabile. E paura, tanta paura. Paura che quel vuoto fosse a destinato a rimanere tale per sempre. Mamma aveva ragione, fin dall'inizio. Ricordo che anche quando se ne andò lei piansi tanto. Piansi lacrime amare, di odio e di rabbia che pian piano si trasformarono in dolore e paura. Paura di essere sola al mondo. Solo quel giorno piansi. Io non avevo mai pianto, nemmeno da bambina. Nemmeno quando cadevo e mi sbucciavo le ginocchia. Nemmeno quando i bambini mi escludevano dai loro giochi. Nemmeno quando mia madre mi sbatteva in faccia quanto lei odiasse la sua vita e quanto mi disprezzasse. Era stato l'unico giorno della mia vita. Non mi sarei mai immaginata che mi sarei trovata a piangere di nuovo, in un lurido cesso, per di più. E per un ragazzo. Uno stupido ragazzo. Un bellissimo ragazzo. Uno stronzissimo ragazzo. Ma lo amavo. Eccome se lo amavo cazzo. Gli avrei dato me stessa. E in cambio, avevo ricevuto un lurido cesso in cui vomitare. Oh, no: quello me lo aveva dato la provvidenza. Lui mi aveva dato solo lo stimolo per vomitare.
-- -- --
salveee:) volevo dedicare questo capitolo alla mia migliore amica che ora è in spagna a divertirsi come una pazza ubriaca. spero che ti piaccia ele, e scusa se non ho postato prima che tu partissi. una leccata sulla guancia, bubu:)

Ritorna all'indice


Capitolo 19
*** capitolo 19 ***


Dear Agony
Just let go of me suffer slowly
Is this the way it's got to be?
Dear Agony

 

Erano passati due giorni dall'accaduto. Non ero andata a scuola. Nessuno si era fatto vivo. Nemmeno Dana e Clare. Niall era passato ma non gli avevo aperto. Aveva suonato il campanello due o tre volte e io avevo finto di non esserci, fin che non se n'era andato. Stavo accarezzando la piccola testolina lucente di Oreste, quando il mio cellulare iniziò a vibrare. Una chiamata. Mittente: Clare. Schiacciai il pulsante rosso e chiusi la telefonata. Volevo farle capire che la ringraziavo di cuore per non essersi interessata a me e che non avevo la minima voglia di parlarle. Un'altra chiamata. Mittente: Harry. Feci lo stesso anche con lui. Probabilmente era Dana. Mi stesi sul letto con la testa penzoloni. La stanza era capovolta. I mobili stavano appesi al soffitto. Il bicchiere d'acqua sopra al comodino era immobile. Secondo la legge di gravità avrebbe dovuto cadere. Ma quello era un altro mondo, il mio mondo. Un mondo in cui nulla ha senso. Eppure tutti sono felici. Un mondo in cui esisto solo io. Oreste si avvicinò al mio volto e, con una zampetta, iniziò a toccarmi una guancia. La toccai anch'io: era bagnata.

- non è niente piccolo. Non preoccuparti. - dissi asciugando le lacrime.

Lo accarezzai e lo presi tra le mani, portandolo sul petto. Era cresciuto parecchio da quando ero arrivata a Londra. Ora era un giovane maschio, non più la pallina di fuliggine che avevo trovato dentro a uno scatolone umido e maleodorante in un vicolo vicino all'aereoporto. In quel momento mi venne in mente il ragazzo che avevo incontrato la prima sera. Ero quasi certa che si trattasse di Zayn, ma mi piaceva pensare che fosse un ragazzo meraviglioso, il ragazzo perfetto per me. Colui che mi avrebbe amata come meritavo. Anche lui faceva parte del mio mondo. Ma, nonostante cercassi di immaginarlo diverso da qualsiasi persona conoscessi, il suo volto assomigliava sempre parzialmente al suo. Capelli ingellati, barba ispida, un profumo eccitante di tabacco e vodka (perchè era di quello che sapeva quella sera) e quel punto debole sulla cavità del collo, che lo faceva gemere tanto forte, dove gli piaceva essere baciato.

Un groppo allo stomaco.

Mi alzai di corsa e mi diressi al bagno, ma riuscii ad arrivare solo fino al lavandino, e poi sboccai. Amore e passione. Era un'agonia lenta e straziante, che ti consuma fino alle ossa e poi più giù, ancora più in profondità, finchè non ti scioglie l'anima. Appoggiai una mano sulla bocca e mi guardai allo specchio: il mio viso era pallido e più magro del solito e i miei capelli, se possibile, sembravano ancora più neri e i miei occhi erano così chiari da sembrare ciechi. Ero ridotta male, eppure, quella sullo specchio, mi sembrava una ragazza bellissima. Ero sempre stata consapevole della mia bellezza singolare, ma non mi ero mai servita di essa per nessun scopo in particolare. Forse perchè non mi rendevo realmente conto dell'effetto che facevo sulle persone. Sollevai la mano che tenevo sulla bocca e mi accarezzai una gota. Chiusi gli occhi e cercai di immaginare come sarebbe stato se qualcuno mi avesse accarezzato per davvero in quel momento. Mi avrebbe toccato la gota e delineato il contorno delle labbra. Poi sarebbe sceso sulla mascella e poi giù, fino all'incavo della spalla.

Basta.

Dovevo fare qualcos'altro. Mi sciacquai il viso e tornai in camera da letto. Mi affacciai alla finestra: il sole era alto nel cielo e splendeva pallido. Era mezzogiorno, probabilmente. Ma tanto non m'interessava, non avrei mangiato. Perchè mangiare se poi dovevo rigurgitare tutto? E poi non avevo appetito. Il cielo era azzurro e un sacco di automobili andavano avanti e indietro. All'improvviso, tutto quello che avevo sempre amato mi faceva schifo. Desideravo ardentemente che piovesse, che fosse buio. Chiusi con rabbia le pesanti tende di damasco rosso e mi buttai di peso sul letto, premendo la faccia contro il cuscino.

È buio. È notte fonda. Dormi Megan, dormi. Dormi e tutto passerà. Dormi.

 

* * *

 

Carezze. Dolci carezze su tutto il viso. Non osavo aprire gli occhi, stavo troppo bene. Ma, all'improvviso, quelle carezze si trasformarono in graffi e pacche. Allora aprii gli occhi e trovai Oreste sopra al mio viso, che cercava di svegliarmi. Doveva essersi spaventato, dato che aveva il pelo ritto sulla schiena. Lo accarezzai per tranquillizzarlo e lo culli tra le mie braccia. Mi alzai e andai ad aprire le tende. Sobbalzai: le strade erano semi deserte e il cielo era nero come la pece. Ora capivo perchè il micio fosse così agitato.

- scusa piccino! Mi sono dimenticata che tu mangi ancora... -

Mi precipitai in cucina con lui alle calcagna. Premetti l'interruttore della luce e presi una vaschetta di cibo per gatti. L'aprii e la poggiai a terra. Il gattino si precipitò sulla ciotola. Sospirai. L'orologio segnava le tre del mattino. Nonostante tutto, avevo dormito parecchio. D'altronde, cosa mi restava se non dormire? Quando dormivo stavo bene. Il telefono sopra al tavolo cominciò a vibrare. Mittente: Victor. Non esitai a rispondere, ma non dissi nulla. Sentivo il suo respiro regolare al di là della cornetta.

- Pronto? ...Megan? -

- ciao. -

La mia voce era roca e debole.

- ...come...bè, come stai? -

- bene. -

- Megan... - sospirò - dici un sacco di bugie, lo sai? -

- sì. Le racconto sopratutto a me stessa. -

Sospirò di nuovo. Me lo immaginavo che camminava nervosamente passandosi una mano dietro la nuca.

- sono le tre del mattino. Come mai sei già sveglio? - chiesi.

- in realtà...non ho chiuso occhio. -

- come mai? -

- sono preoccupato per te, Megan. -

Rimasi in silenzio. Forse c'era qualcuno a cui importava di me.

- posso...posso venire da te? Oppure... -

- perchè? -

Rimase in silenzio per qualche istante.

- io...vorrei vederti. Mi sei mancata in questi due giorni. E so che stai soffrendo. Vorrei...fare qualcosa per te, ecco. -

- allora vieni subito. - risposi e poi riattaccai.

Altre lacrime fastidiose iniziarono a scendere dai miei occhi. Mi sentivo una rammollita. Da quando avevo avuto quella discussione con Zayn non facevo altro che piangere. Piccole gocce d'acqua bagnavano costantemente il mio viso. Come fa la pioggia. Forse piangevo per far finta che piovesse. Lui amava la pioggia. Corsi in camera e aprii il cassetto del comodino con mani tremanti. Ne estrassi una polaroid. Era anonima, niente dediche, niente frasi poetiche. Solo un paesaggio incantevole. Chiusi gli occhi e immaginai di tornare indietro, all'inizio della scuola, quando lo odiavo. Sì, lo odiavo. Era uno sbruffone arrogante, non mi piaceva il suo comportamento. Mi costrinse a salire sulla sua auto e a camminare per un parcheggio deserto, sotto la pioggia fitta. Ma lo spettacolo che ci aspettava aveva ripagato tutte le fatiche. Forse, fu in quel momento che cambiai opinione su di lui. Il sorriso sincero che mi rivolse, il suo sguardo pieno di meraviglia. Una lacrima cadde sulla carta lucida. Mi affrettai ad asciugarla prima che potesse rovinarla. Era il mio ricordo più prezioso. In quel suonarono il campanello. Sobbalzai e rimisi via la foto di tutta fretta, come se qualcuno potesse rubarmela, e mi precipitai ad aprire. Sentii dei passi salire velocemente le scale. E qualcuno bussò alla porta. Attesi qualche istante e poi l'aprii quel che bastava per riuscire ad intravvedere il suo volto.

- ciao. - disse guardandomi attraverso la fessura.

Avrei voluto resistere, fare la persona forte e matura, ma non ci riuscii. Spalancai la porta e gli saltai al collo, lasciandomi andare in un pianto disperato.

- shhh...è tutto ok adesso. -

Chiuse la porta alle nostre spalle e ci sedemmo sul divano, io in braccio a lui. Mi accarezzava la schiena, posando dei delicati baci sui miei capelli.

- sono solo una stupida... -

- è colpa sua Meg, tu non hai colpa... -

- sì invece! - dissi tra i singhiozzi – se fossi stata più attenta...se non mi fossi distratta, sarei riuscita a vedere che quello che provavo io non era lo stesso per lui. Ma quando...quando mi baciava, quando mi parlava io...stavo così bene... -

- ...mi dispiace che sia andata a finire così. Tu...sei una ragazza fantastica. Ti meriti di essere amata davvero. -

Lo strinsi più forte.

- promettimi...che tu non te ne andrai... -

- non ne ho mai avuto l'intenzione, ma te lo prometto. Non me ne andrò Megan. -

Alzai lo sguardo e i miei occhi blu incontrarono i suoi, azzurro-grigi. Amavo il colore dei suoi occhi. Ero così vicina al suo volto che le punte dei nostri nasi riuscivano a sfiorarsi. Il suo respiro caldo si infrangeva sulle mie gote. Allungò un dito e sfiorò le mie ciglia, asciugando delle lacrime rimaste impigliate tra di esse. All'improvviso, le mie labbra fredde furono travolte da un'ondata di calore. Chiusi gli occhi: era una sensazione piacevole ma, in qualche modo, sentivo che era sbagliato. Aprii gli occhi e mi alzai.

- no... -

Victor mi fissava allarmato, con le labbra schiuse.

Mi aveva baciata.

- io... -

- Megan, ti prego perdonami, io...cazzo... -

Si alzò in piedi, venendomi incontro. Sbuffò e si scompigliò i capelli con le mani.

- sono un coglione... -

Continuava ad andare avanti e indietro nervosamente. Io me ne stavo lì impalata, senza dire niente.

- ora me ne vado. Scusa. -

Mi superò e uscì dalla porta, chiudendola piano. Perfetto. Ora c'era anche Victor a incasinarmi la vita. Bella merda...

Il cellulare squillò di nuovo. Risposi senza nemmeno leggere il mittente.

- Megan grazie al cielo! -

La voce da madre apprensiva di Dana mi confortò.

- perchè non hai risposto prima? Lo si quanto ci siamo preoccupate? -

- forse perchè, come delle stronze, mi avete ignorata da una settimana a questa parte, stando al gioco di quell'idiota figlio di... -

- ma che cazzo dici Megan! - disse Clare, così che capii di essere in viva voce.

- nessuno è venuto a chiedermi come stavo, nessuno si è chiesto se fossi ancora viva, tranne...tranne Victor... -

- ancora quel Sullivan? Ma perchè diavolo si immischia in affari che non gli riguardano? -

- nemmeno voi dovreste farlo allora! -

Chiusi la telefonata e scagliai il cellulare dall'altra parte della stanza. Oreste alzò la testa dalla ciotola, in allerta. Mi inginocchiai a terra, lì dove mi trovavo, stringendo le ginocchia al petto. Iniziai a singhiozzare, fregandomene di quanto forte piangessi. Di solito piangevo in silenzio, ma ora non m'importava. Diavolo, era accaduto tutto troppo velocemente. Era accaduto senza che io potessi fare niente. Le mie due amiche erano arrabbiate con me, ai miei amici non importava u fottuto cazzo di me e Victor, a quanto pare, provava qualcosa di più dell'amicizia. E Zayn...bè, lui restava il solito stronzo.

Ritorna all'indice


Capitolo 20
*** capitolo 20 ***


C'era un rumore. Un rumore fastidioso che continuava a ripetersi. Sembrava un...campanello. Mi alzai di malavoglia e andai in cucina. Erano le quattro di pomeriggio. Schiacciai il pulsante del citofono – chi è? - chiesi assonnata.

- siamo le stronze: apri! -

- non ci penso nemmeno. - dissi trattenendo una risata.

- oh, e andiamo... - intervenne Clare – abbiamo il gelato! -

- un Kg di gelato al cioccolato fondente, il tuo preferito. - aggiunse Dana.

Io appoggiai la schiena sulla porta, sorridendo tra me e me – perchè dovrei aprirvi? -

- perchè... - iniziò Clare.

- siamo le tue migliori amiche e ti vogliamo un sacco di bene e vogliamo essere sicure che stai bene! -

- e vogliamo consolarti, asciugarti le lacrime e prendere in giro il kamikaze pakistano insieme a te! - aggiunse Clare, con la sua innocenza, facendomi scoppiare a ridere.

Chiusi la comunicazioni e aprii la porta d'ingresso, aspettando che salissero le scale. Quando sentii bussare mi affacciai all'occhiello, guardandole attraverso la lente che distorceva leggermente le loro figure.

- Megan...tesoruccio! -

risi ancora e aprii la porta, cercando di guardarle severamente.

- oh, almeno ridi. Visto Clare? La prima fase della missione è riuscita con successo! -

- oh, ma smettila! - dissi, dandole una pacca sulla spalla.

Clare mi saltò al collo.

- mi dispiace che pensi che ti abbiamo ignorata Meg! Perchè non è così! - strillò.

- già. Abbiamo solo cercato di far ragionare il terrorista, ma quella testa di cazzo non vuole aprire le orecchie. -

- davvero, non c'è bisogno che lo infastidite. Ora non ci sono più ne misteri ne incomprensioni, è stato chiarissimo. -

- oh, Megan... -

Dana si avvicinò, abbracciandomi forte. Anch'io la strinsi, cercando di trattenere quelle schifosissime lacrime.

- piengi, se vuoi. Ti aiuterà a sfogare. Io ho pianto giorno e notte quando Matt mi ha lasciata e penso che se non avessi pianto avrei ammazzato qualcuno. E noi non vogliamo spiacevoli incidenti, vero Meg? - disse sorridente, asciugandomi le piccole lacrime che non avevano nemmeno fatto a tempo a scendere.

Io annuii, tirando su col naso.

- hey, allora l volete questo gelato, sì o no? - chiese scocciata Clare, impegnata ad aprire la confezione, con scarso successo.

Dana rise e corse a darle una mano. Andai a sedermi a tavola. Dopo aver fatto le parti, Clare mi spinse l'intera vaschetta sotto al naso.

- ti conosco Meganuccia. So per certo che in questi giorni hai seguito una dieta a base di aria fritta e acqua, perciò, mangia. -

io feci una smorfia e afferrai il cucchiaio, iniziando a giocherellare con il gelato.

- allora, fatto qualcosa di interessante ultimamente? - domandò Clare, rivolta a me.

- ho pianto. - risposi bruscamente – ho vomitato, e ho dormito un sacco. -

- e quel Victor? È passato, vero? - chiese Dana

Notai che questa volta lo aveva chiamato per nome. Forse si stava sforzando per essere gentile.

- sì. -

- che avete fatto? - chiese guardandomi negli occhi.

Mise in bocca una cucchiaiata di gelato.

- abbiamo parlato. -

Non accennai ai fatti accaduti. Avevo prima intenzione di parlare direttamente con Victor. Però, ripensando alla scena, avvampai. Chissà che impressione gli avevo fatto, rimanendo lì impalata senza dire nulla.

- lui...è carino, a preoccuparsi per te. -

- ed è carino anche fisicamente! - civettò Clare.

- sta zitta, arpia! - l'ammonì Clare.

- cercavo di tirarle su il morale. -

- non mi sembra l'argomento adatto. -

- e perchè no? È davvero sexy e se vanno d'accordo è anche meglio. Magari ci scappa la... -

- Clare smettila! Non vedi che è distrutta? -

- io non... -

- mi ha baciata. - dissi interrompendo la loro discussione.

Improvvisamente nella stanza ci fu un silenzio assordante. Uno di quei silenzi, che fanno male alle orecchie. Tenni fisso il mio sguardo sul gelato dentro alla vaschetta, giocando nervosamente con il cucchiaio. Clare scoppiò a ridere improvvisamente.

- wow. - esclamò Dana senza troppa enfasi.

- e quindi? - chiese Clare, assetata di pettegolezzi.

- e quindi niente. - troncai io.

Non avevo la minima idea di che sentimenti provassi in quel momento. Volevo solo chiudermi in bagno e non pensare più.

- ...vi dispiace...lasciarmi sola? Scusate, è che...non me la sento di parlarne... -

- bè, basta che cambiamo discorso! -

- Clare, vuole stare sola. - intervenne Dana, che percepiva la mia instabilità.

Io la ringraziai con uno sguardo. Clare mi saltò di nuovo addosso, stringendomi forte a se.

- fatti forza ranocchietta. - disse, baciandomi le guance.

- mangia, mi raccomando... - disse Dana abbracciandomi a sua volta, come una madre in ansia.

- si mamma. - risposi stando al gioco.

Mi pizzicò una guancia e uscì con Clare che la seguiva. Mantenni il sorriso fin che non chiusi la porta. Poi mi appoggiai contro il legno spesso, lasciandomi cadere a terra. Forse Clare non aveva del tutto torto. In fondo, Victor era dolce e comprensivo ed era davvero bello. Perchè non...

sbuffai e mi coprii il viso con le mani. Chissà se lui mi pensava mai. Probabilmente ora era a casa, insieme alle sue sorelle. Certo che mi sarebbe piaciuto rivedere Safaa e Doniya. Magari anche Walyha. In fondo, era passato parecchio tempo, forse su madre aveva cambiato atteggiamento. Avevo sempre desiderato avere una sorella, ma mia madre, ogni volta che glielo dicevo, mi ripeteva che io ero la prima e ultima. E che se non ci fossi stata nemmeno io, forse la sua vita sarebbe stata migliore. Sbadigliai e mi alzai, dirigendomi al bagno.

 

* * *

 

 

Zayn's pov

mi svegliai di soprassalto con il cuore che batteva a mille. Mi sedetti sul letto e presi un respiro, calmandomi. Avevo fatto un sogno. O un incubo, non ricordo. Uno di quei sogni che vanno bene fino ad un certo punto, fino a quando non cadi nel vuoto. Perchè era così che mi sentivo: caduto nel vuoto. Mi passai una mano sulla fronte sudaticcia e poi tolsi di mezzo le coperte, alzandomi dal letto. Quel letto era decisamente troppo grande: che diavolo me ne facevo di un letto a due piazze quando dormivo da solo? Una volta ci portavo le ragazze, ma ora non aveva senso. Mi sentivo un idiota insensibile. Cieco, sopratutto. Cieco e pure sordo. Se solo avessi cercato di vedere quello che lei veramente provava. Se solo avessi ascoltato i continui avvertimenti di Liam. Ora starei con li su quel letto. La bacerei ovunque. Le toccherei quelle labbra rosee e piene e farei un bagno in quelle pozze d'acqua cristallina che sono i suoi occhi. Ma non posso fare nulla di tutto ciò. Perchè sono un coglione. Preso da un impeto di rabbia chiusi il pugno così forte da far diventare le nocche bianche, e tirai un pugno al muro. Rimasi immobile, con i denti digrignati, fissando la mia mano insanguinata sulla superficie bianca. Che bel contrasto di colori. Sangue rosso che si riversa lentamente su una superficie bianca e immacolata. Io ero il sangue, denso e viscoso, come il petrolio; lei, il bianco, puro e immacolato. Doniya entrò di corsa in camera. Non distolsi lo sguardo dalla mia mano nemmeno un secondo, ma sapevo che era lei. Era l'unica che si preoccupava di me in quella casa.

- oh, Zayn... -

Si avvicinò a me e mi cinse le spalle con un braccio.

- vieni con me. -

Mi guidò fuori dalla stanza e mi portò in bagno. Chiuse la porta a chiave e iniziò a frugare nell'armadietto dei medicinali. Tornò da me con garze, cotone e disinfettante.

- siediti. -

Mi sedetti con lei sul bordo della vasca da bagno. Inumidì un pezzo di cotone con l'alcol disinfettante e iniziò a tamponare sulle nocche della mano. Bruciava, ma non mi dimenai: era la punizione che meritavo per averla fatta soffrire così tanto.

- Zayn... - sospirò fermandosi.

Io la guardai per la prima volta negli occhi, ma non riuscii a vederla. C'era una specie di nebbia che mi impediva di metterla a fuoco. La vidi allungare una mano per accarezzarmi una guancia.

- non piangere, fratellino... -

Non piangere. Non piangere?

Voltai il viso, spostando la sua mano. Ora piangevo, addirittura.

- è per Megan, vero? -

Mi asciugai le lacrime cercando di ignorare la voce di mia sorella.

- io...bè, non so bene cosa sia successo, ma...a me era sembrato una ragazza tanto cara...non pensavo che fosse come le altre... -

- lei non è come le altre! - urlai alzandomi in piedi – sono io il problema, qui. Sono uno stronzo, cieco, bastardo...forse non basta ancor per descrivere quanto faccio schifo. -

- ma se tu... -

- lei era venuta per dirmi quello che provava. Per dirmi che mi amava. E io l'ho mandata via. Le ho detto che non avevo tempo per lei. -

Doniya abbassò lo sguardo, sospirando. Tornai a sedermi accanto a lei. Prese una garza e cominciò ad avvolgerla sulla mia mano.

- ...eri confuso... -

- non cercare di giustificarmi. -

Sospirò ancora e si alzò, uscendo dalla stanza. Mi alzai anch'io e scesi al piano di sotto. Mi infilai le nike nere e abbassai la maniglia della porta per aprirla.

- dove credi di andare, signorino? -

Nel sentire la sua voce severa mi vennero i nervi a fior di pelle. Questa volta, il pugno l'avrei tirato a lei.

- da Liam. - risposi senza voltarmi.

- e quanto intendi stare via? L'ultima volta non ti si è più visto per cinque giorni. È tutto per colpa di quella puttana... -

Mi voltai e la guardai dritto negli occhi.

- non azzardarti a chiamarla in quel modo, capito? -

Ero a pochi centimetri dal suo volto, e sentivo benissimo che non provava un briciolo di paura. Mi prese la mano ferita e la portò all'altezza del volto per esaminarla.

- che ti sei fatto? -

Mi liberai bruscamente dalla sua presa.

- non sono affari che ti riguardano. -

Aprii la porta e uscii. Liam era l'unico che poteva farmi sentire meglio, dopo avermi rinfacciato quanto sia stato stupido.

Ritorna all'indice


Capitolo 21
*** capitolo 21 ***


Zayn's pov

- è inutile che ti piangi addosso... -

- non sto piangendo. - risposi scocciato, affondando ancora di più i viso nel cuscino.

- allora tira via la faccia dal cuscino. -

Io scossi la testa, stringendo il cuscino a me.

- Zayn... - mi rimproverò Liam, sedendosi accanto a me.

- hey Liam, posso prendere...che cazzo ci fai lui qui?! - chiese Nicole entrando nella camera, con la sua solita grazia.

- Nicole, non parlargli così. -

- Liam! È rimasto una settimana a casa nostra! Se prova a fermarsi solo un'altra notte lo mando via a calci in culo! -

- io non... -

- ha ragione. - dissi alzandomi.

La bionda era sulla soglia della port con le mani sui fianchi e l'espressione di mia madre quando torno a casa tardi la sera.

- non volevo infastidirti Niky. Scusami. -

mi sistemai i capelli e mi alzai dal letto, uscendo dalla camera, sorpassandola. Lei mi guardava mortificata, come se si fosse pentita. Mi incamminai giù dalle scale a testa bassa. Arrivai giù e aprii la porta.

- Zayn, non resti a cena? - mi chiese Karen, facendo capolino dalla cucina.

- no, grazie Karen. Vado a casa, lo sai com'è mia madre. -

- certo, sarà già in pensiero! Bè allora salutami Trisha. Ciao! -

- a rivederci, grazie per l'ospitalità. -

uscii di casa e mi incamminai per il vialetto, quando mi sentii chiamare. Mi voltai e trovai Liam che correva giù per le scale a rotta di collo.

- non andare a casa. - mi implorò quasi.

- non ho la minima intenzione di tornare in quel buco. - risposi io tranquillamente.

- bene. Allora andiamo da Hazza. -

 

* * *

 

Megan's pov

Mi rigiravo nervosamente il cellulare tra le mani. Avevo voglia di uscire, di sdraiarmi sull'erba e di vedere il cielo azzurro. Ma poi, pensai alle persone e a tutti quelli che avrei dovuto incontrare; avrei dovuto sorridere, salutare, fermarmi a parlare...

Chiusi gli occhi e appoggiai il cellulare sul tavolo, sbuffando. Poi mi immaginai l'abbronzato viso di Victor, con quegli occhi grigi e quei capelli così biondi da sembrare bianchi. Poi pensai a quello che era successo: era trascorsa un'intera giornata da allora. Ripresi il cellulare in mano e andai sulla rubrica, sfogliandola fino alla lettera V. premetti il tasto verde e aspettai.

Uno squillo.

Due squilli.

- Meg? - chiese na voce nasale dall'altra parte.

-ciao. - lo salutai timidamente – ti va di...non so...uscire? -

rimase in silenzio qualche secondo prima di rispondere.

- io....credevo che fossi arrabbiata. Cioè, ti ho...baciata e tu stai ancora male, io... -

- Victor, è tutto a posto. Volevo solo stare con te, ma se non ti va non importa-

- si che mi va! - mi interruppe.

- mi va tantissimo, davvero è tutto quello che mi va di fare. -

scoppiai a ridere.

- d'accordo. Allora vieni a prendermi per le otto, ok? -

- perfetto! - esclamò entusiasta.

- a dopo. -

Chiusi la telefonata e mi alzai. Mi trascinai in camera da letto e aprii le tende. La luce accecante del tramonto si riversò nella camera, facendomi strizzare gli occhi. Spalancai la finestra, affacciandomi sul balcone. Era stupendo. Ero sicura di non aver mai visto uno spettacolo simile da quando ero lì a Londra. Tentai fotografarlo con il cellulare, ma sapevo perfettamente che non sarei mai riuscita a rendere l'effetto di tanta magnificenza se non con un dipinto. Ma non ci riuscivo. Era da almeno un mese che non prendevo in mano colori e pennelli. Mi limitavo a fare degli schizzi confusi a matita o carboncino. Sospirai e mi voltai, andando ad aprire l'armadio. Ne estrassi il solito paio di shorts di jeans e una canottiera blu scuro, molto aderente. Le mie Vans e un filo di trucco. Ma come potevo uscire con Victor ed essere felice? Un senso di colpa mi invase. Io appartenevo a lui. E anche se avessi provato ad allontanarmi sarei stata sempre e comunque sua. Corpo e anima.

Mi catapultai alla tazza e vomitai. Ancora. Quando ebbi finito, però, mi sentivo meglio. Pronta a ricominciare. A far finta che non m'importasse. Pronta a far finta di essere indipendente come un tempo. Pronta a far finta di possedere ancora il mio cuore.

 

* * *

Zayn's pov

- e allora le ho detto: “ neanche il culo mia hai dato!” -

tutti scoppiammo a ridere come cretini. Non capivo che cosa ci fosse di divertente nelle battute sessiste di Harry, ma ridevo. Forse era la sua espressione da pesce lesso, o la sua voce impastata dal troppo bere.

- hey Zayn, ora tocca a te! - disse il riccio, indicandomi.

- cosa devo dire? - chiesi, pur sapendo già la risposta.

- devi raccontare qualcosa di divertente sull'ultima ragazza che ti sei scopato. -

Sospirai e cambiai posizione, sedendomi sulla moquette viola del salotto.

- io...bè... -

- oh, se non ti va non sei obbligato... - mi rassicurò subito Liam.

- no no! È obbligatorio invece! E poi tocca a te biondino. - disse invece Harry, aprendo un'altra lattina di birra.

Sospirai e chiusi gli occhi. Un sorriso spontaneo comparve pian piano sulle mie labbra.

- bè...Megan...ha un gatto, e...bè, non credo di piacergli molto, e... -

Sorrisi tra me e me, senza continuare il discorso.

- …“e” cosa? - chiese Harry, impaziente.

Io scoppiai a ridere da solo. Pensai al suo volto sorridente, illuminato dal sole mattutino e a Oreste che mi soffiava contro. Erano i momenti che più mi mancavano.

- ...io non l'ho capita. -

- non ti capita mai di ricordare qualcosa che potreste capire solo tu e lei? Potrei raccontarti tutto quello che vuoi, ma non capiresti mai. - dissi, bevendo l'ultimo sorso di birra.

Harry fissava il vuoto, tenendosi le gambe strette al petto. Poi scoppiò a ridere, rotolandosi sulla moquette. Liam lo guardava spaventato. Improvvisamente, Harry si sedette di nuovo, tornando serio, fissando il vuoto davanti a se.

- io la amo. -

A quelle parole fu Liam a scoppiare a ridere.

- amico, devi farti fare una visita neurologica! -

- ma io la amo. E lei non lo sa. E credo che mi lascerà presto. -

- in teoria non può farlo, dato che non state nemmeno insieme. - gli fece notare il biondo con la sua precisione snervante.

- hai capito cosa intendo... -

- allora diglielo. Altrimenti finisci come me. - dissi io, aprendo un'altra lattina di birra.

- perchè non glielo dici ora? - propose il riccio – cioè, non so a cosa possa servire, ma almeno saprebbe che il suo sentimento è ricambiato. -

Spostai il mio sguardo su di lui.

- dici che dovrei farlo? -

- sì...tanto ormai il danno è fatto. Potresti ripararlo o fare peggio, ma non credo che peggio di così possa andare. -

Tornai a fissare la lattina. Forse non aveva tutti i torti. Ma come potevo sapere se fosse la cosa giusta? In fondo lei era un Don Giovanni e in quel momento non era del tutto sobrio.

- io per Dana lo farei... - sussurrò.

- e allora facciamo una cosa – iniziò Liam, che non aveva quasi aperto bocca da quando eravamo arrivati – ora vi alzate tutti e due e andate dalle vostre ragazze e gli dite tutto quello che avete appena detto a me, ok? -

- io non ho detto che devo farlo. Cioè, le cose vanno ancora bene... -

Liam gli prese la lattina di mano e anche a me.

- non voglio sentire storie. E, Hazza, cerca di renderti presentabile, ok? E lavati i denti, che puzzi di birra. -

Poi si voltò verso di me con sguardo severo e sospirò.

- andrà tutto bene. -

Io annuii alzandomi e uscendo di casa. Guardai l'ora sul display del mio cellulare, che segnava le undici e mezza. Mi affrettai a salire in macchina. Forse era già a letto. O forse non mi avrebbe aperto. Non importa, io sarei rimasto lì comunque, fin che non sarebbe uscita. Parcheggiai davanti alla porta principale e scesi velocemente. Suonai il campanello. Nessuna risposta. Provai di nuovo. Ancora niente.

Magari sta dormendo.

Ma chi se ne frega, si sveglierà e dovrà ascoltarmi.

Non essere egoista.

Troppi pensieri si stavano sovrapponendo nella mia mente. Dopo aver suonato un'ultima volta, decisi che avrei aspettato lì fino ad un'ora decente del mattino. Mi sedetti di fianco alla porta e appoggiai la testa al muro, sperando che la mattina arrivasse presto.

 

* * *

 

Megan's pov

- sta attenta. - mi rimproverò Victor, sorreggendomi prima che inciampassi sul marciapiede.

- scusa...sono un po' scoordinata... -

- dovresti uscire di più. Te ne stai sempre chiusa in casa, il tuo fisico si indebolisce. -

- hey! - esclamai scostandomi da lui – non sono ancora una vecchia invalida! -

Scoppiai a ridere insieme a lui, che tentava di prendermi sotto braccio come si fa con le persone anziane, mentre io scappavo.

- dai, vieni qui! - mi supplicava.

Corsi avanti, catapultandomi all'entrata del mio palazzo ma, quando vi arrivai, il sangue mi si glò nelle vene e desiderai davvero di essere una vecchietta paralizzata.

- Megan... - disse il moro alzando la testa.

- perchè sei qui? -

- devo parlarti. - disse alzandosi.

Io indietreggiai.

- mi sembrava che ci fossimo già detti tutto l'ultima volta.

- non mi hai nemmeno lasciato parlare! - disse scocciato.

- ah, ora la colpa è mia? - chiesi sarcastica.

- Megan, che succede? - chiese Victor, mettendomi le mani sulle spalle da dietro.

Vidi Zayn studiare a fondo Victor con lo sguardo, fino a ridurre gli occhi a due fessure. Era forse...geloso?

- niente. Non succede proprio niente. - gli risposi, sentendo la rabbia ribollire.

- ti prego Megan. - mi implorò Zayn, addolcendo di nuovo lo sguardo.

- tu non sai perchè ho detto quelle cose. Avevo paura che tu mi lasciassi. Così l'ho fatto io per primo. Ma se lo avessi capito prima, ora...ora... -

- vattene Zayn. - dissi brusca, sentendo gli occhi pungere.

Aprii la porta e feci entrare Victor. Prima che la porta potesse richiudersi automaticamente, il moro riuscì ad entrare e mi tirò per il polso, costringendomi a girarmi.

Le sue mani mi strinsero gli avambracci, immobilizzandomi. Nello stesso momento, lo vidi avvicinarsi pericolosamente a me, ma non tentai di spostarmi, non ne avevo le forze. Perchè, in realtà, era proprio quello che avevo sognato per giorni e notti; un suo bacio. Ma quello che mi diede non fu come quelli ardenti di passione che di solito ci scambiavamo. Quello era un bacio disperato, implorante. Le sue labbra calde si modellarono perfettamente sulle mie, fredde e spente, che non risposero alle sue mosse. A pensarci bene, era una scena ridicola: cosa può fare un bacio dopo tutto quello che ho sofferto? Forse ero solo un'egoista, ma non m'importava. Quando lentamente si staccò da me, trovai da qualche parte nel mio corpo la rabbia e la tristezza che parlarono per me. Scoppiai in una risata fredda, senza espressione.

- credi davvero che un bacio possa risolvere tutto? Non significa niente. - sputai con disprezzo.

- e ora vattene. -

Gli voltai e le spalle e presi Victor per mano, che era rimasto a guardare la scena, guidandolo al piano superiore, fino al mio appartamento.

Entrai di corsa e mi chiusi la porta alle spalle. Serrai forte le palpebre.

Non puoi scappare Megan. Quanto più forte correrai, tanto prima ti raggiungerà.

- ...Megan. -

aprii gli occhi. I suoi occhi grigi mi osservavano preoccupati.

- mi dispiace. - sussurrai – ho rovinato tutto. -

- non ha rovinato proprio niente. - disse accarezzandomi una gota, per rassicurarmi.

- io....voglio scusarmi... -

lo guardai un'ultima volta negli occhi prima di chiuderli. Forse era questo quello che doveva succedere. Zayn non era la strada che dovevo percorrere. Era una strada tutta in salita, con pochi posti in cui sedersi a riposare. Victor, invece, era una grande vallata verde, piena di laghi e sentieri ombrosi. Forse, per una volta, avrei dovuto semplicemente scegliere la strada più semplice.

Senza rendermene conto, mi trovai con le labbra incollate alle sue. Portai le mani sulla sua nuca, cercando di avvicinarlo ulteriormente. Lui mi cinse in fianchi con le mani, scendendo a baciarmi le guance e la mascella. Gli scompigliai i capelli, senza che a lui desse fastidio.

Zayn detestava che lo mettessi in disordine.

Gli sbottonai la camicia fino alla fine, andando poi a depositare una serie di baci sull'incavo del suo collo.

Zayn avrebbe prodotto dei gemiti, eccitandosi ancora di più.

Cercai di arrampicarmi su di lui, così che potesse farmi seder da qualche parte, ma non accennò a spostarsi.

Zayn mi avrebbe portata subito sulla tavola, e poi sul letto.

Fin che stavamo lì, appoggiati alla porta, Oreste sbucò dalla porta del corridoio, avvicinandosi precipitosamente. Quando si rese conto che non ero da sola, iniziò a soffiare, cercando di cacciare Victor.

Almeno una cosa ce l'aveva in comune con Zayn: o forse era semplicemente il mio gatto che era geloso.

Infilò lentamente le mani sotto la mia canottiera, risalendo lungo il mio ventre, accarezzandomi la pancia fino a giungere al reggiseno. Ma, ancora prima di toccare il gancetto si fermò. Mi accarezzò il viso. Io aprii di scatto gli occhi, per vedere cosa non andava.

- non era solo un bacio, vero? - chiese riferendosi a quello che avevo detto a Zayn prima.

Con l'altra mano mi asciugò le lacrime che erano scese. Mi accorsi che stavo addirittura tremando.

- oddio Vic... - dissi, interrotta da scossoni.

- mi...mi dis...mi dispiace... -

- shhh... - disse, facendomi segno di tacere.

- è naturale. Andiamo a letto, vuoi? -

Io annuii cercando di riprendermi. Lo presi per mano e mi lasciai condurre in camera, dove mi sdraiai a letto, accanto a lui.

- dormi Megan. Domani è un altro giorno. -

chiusi gli occhi e mi addormentai, con la mente sgombra, incapace di elaborare tutte quelle informazioni.

Dio, perchè lui?

* * *
finalmente, ecco il capitoloooo! perdonate il ritardo, ma anch'io mi sono presa una vacanza! mi raccomando, commentate commentate COMMENTATE!   mi fa felice sapre cosa ne pensate1 quindi, ciao e al prossimo capitolo :DD

Ritorna all'indice


Capitolo 22
*** capitolo 22 ***


Zayn's pov

- Zayn hai una faccia...vuoi dirmi cos'è successo sabato? - mi chiese Liam guardando il parabrezza davanti a se.

- niente. -

- oh, avanti...dimmi cosa ti ha detto o sarà lei a dirmelo. -

Io accennai ad una risata.

- se pensi che lei ti dirà qualcosa non la conosci affatto. -

- tutte chiacchiere inutili. Dai, dimmi cosa è successo. -

Fermò la macchina nel parcheggio scolastico. Sospirai e chiusi gli occhi. Solo a pensarci mi montava una tale rabbia...

- ero davanti a casa sua. Era tardi, pensavo che fosse già a letto. Ma dopo qualche minuto la vedo arrivare in compagnia di un biondo. Lo stesso che era con lei alla gara. -

- Victor Sullivan. -

- lo conosci? - chiesi voltandomi verso di lui.

- è lei che ce ne ha parlato. -

Tornai a fissare il cruscotto rivestito di pelle nera.

- ...da quant'è che escono? -

- bè non è che escono proprio...sono amici, come... -

- come Harry e Dana? -

- non proprio... -

- sono saliti insieme Liam. E non è uscito nessuno. -

- sei rimasto lì fino a quanto, di preciso? -

- fino alle 10. Ha dormito lì. -

- magari voleva solo farle compagnia... -

- oh sì, voleva riscaldarla. Voleva renderla felice, giusto? -

- oh, smettila! - disse dandomi una pacca sulla spalla.

- volevo dire, che magari è rimasta scossa da quello che le hai detto...che le hai detto? -

Sospirai ancora. Forse avevo sbagliato ad essere così impulsivo. Ma se non lo avessi fatto lei non avrebbe mai saputo. Ma forse avevo peggiorato ancora la situazione.

- le ho chiesto di parlare e...l'ho baciata. -

Il biondo si voltò lentamente dalla mia parte con occhi e bocca spalancati.

- mi ha detto che un bacio non vuol dire nulla. Se ne è andata mano nella mano con lei. -

Questa volta fu Liam a sospirare. Lo sentii aprire la portella e scendere. Fece il giro dell'auto e, come un vero gentiluomo, venne ad aprirmi la portella e mi porse una mano per farmi scendere. Io lo feci scansare e scesi da solo. Lo sentii ridere alle mie spalle, ma in quel momento a me non andava proprio di ridere.

- dove stai andando? - mi chiese.

- a fare quattro chiacchiere con Sullivan. -

Salii velocemente gli scalini dell'entrata e mi diressi in corridoio. Lo percorsi tutto fin che non arrivai all'armadietto di Megan. Non c'era nessuno, così continuai a camminare. Era lunedì, e la prima ora c'era il corso di letteratura. Mi incamminai velocemente verso l'aula ma non dovetti camminare allungo. Quando arrivai a metà strada lo vidi: testa bionda, profilo spigoloso e fisico da skater. In poche falcate gli fui accanto. Quando lo raggiunsi gli appoggiai una mano sulla spalla. I suoi occhi grigi mi fissarono dapprima sorpresi, poi quasi increduli.

- sai chi sono. - dissi atono.

- sì. -

- era un'affermazione, infatti. -

- hei, stai calmo! - disse cercando di spostarsi ma io strinsi la presa, impedendogli di liberarsi.

Mi trafisse con lo sguardo: - cosa vuoi? -

- vorrei spaccarti la faccia in questo momento, ma non posso. - sussurrai sorridendo forzatamente.

- oh, io lo so perchè sei incazzato. Ma è solo colpa tua. Non puoi mollarla e pretendere che rimanga triste e nostalgica per sempre. Ma sai, si è ripresa bene. Non gli manchi più. Almeno, non credo, dato quello che abbiamo fatto l'altra sera... -

Poi, più nulla. Accadde tutto in una frazione di secondo. Non ricordo chi iniziò per primo, fatto stà che mi ritrovai a tentare di difendermi dai suoi colpi e ad attaccare a mia volta. Si era creato una specie di arena, con gli spettatori tutt'intorno. Solo che nessuno incitava nessuno. Erano tutti spaventata. Ma nessuno aveva il coraggio di muovere un dito per fermarci. E non li biasimavo. Victor tentò di usufruire di questo momento di mia distrazione, ma riuscii a bloccare la sua mano, assestandogli anche un pugno in pieno viso. Barcollò all'indietro, ma non cadde. Quando si voltò vidi una riga rossa scendere lenta dal naso. Lui si pulì col dorso della mano e tirò su col naso.

Certo che questa se li sceglie tutti buoni!

- sei solo un cretino. - disse ansimando.

- e tu sei un approfittatore bastardo. - risposi a tono, ansimando ugualmente.

Contrasse la mascella e si fiondò di nuovo a capofitto su di me, ma io ero pronto: avrei lottato fino alla fine. Per lei.

 

* * *

 

Megan's pov

- Megan! -

Mi voltai e vidi Clare correre a rotta di collo verso di me. Si fermò quando mi era quasi addosso, con il fiatone.

- cosa c'è? - chiesi scocciata, pensando che fosse la solita cazzata.

- Victor...e Zayn...stanno facendo a pugni... -

Spalancai gli occhi.

- dove? -

- ...vicino all'aula professori... -

- cazzo. -

La lasciai lì e mi avviai a grandi falcate verso l'ultimo corridoio. Perchè, mi chiedevo. Perchè cazzo era tornato all'improvviso, mandando tutto a puttane. Di nuovo.

Cominciai a correre. Ma quando arrivai nel punto in cui Clare mi aveva detto non c'era nessuno dei due. Chiesi informazioni a Steve, un ragazzo che frequentava il corso di pittura con me.

- Sullivan e un tizio di fotografia si sono menati. Il tizio se n'è andato, Vicor è in infermeria. È quello che le ha prese più forti. -

Lo ringraziai e mi incamminai verso l'infermeria. Da una parte mi sentivo sollevata nel sapere che Zayn non si era fatto molto male; dall'altra mi sentivo terribilmente in colpa per aver preferito la salute di Zayn a quella di Victor. Arrivata davanti alla porta dell'infermeria la spalancai senza nemmeno bussare. Trovai il biondo, seduto sul lettino e il professor Groover, intento a srotolare una garza. Quando entrai entrambi si voltarono a guardarmi; Victor sospirò e abbassò la testa. Dal suo naso colava una striscia di sangue ormai secco, e il suo zigomo destro sembrava rifatto.

- bè... -

- non si preoccupi professore. Riparo io al mio danno. -

- come preferisci Meg. -

Mi tese la garza e se ne andò, chiudendo la porta e abbassando la piccola tendina per impedire di vedere dentro. Victor si passò una mano sulla nuca, come faceva quando era in imbarazzo. Vidi anche che le nocche della mano destra erano tutte spellate e ricoperte di sangue secco, forse non il suo. Appoggiai la garza sul lettino accanto a lui e mi diressi all'armadietto dei medicinali. Presi del disinfettante e del cotone e tornai da lui. Versai un po' del contenuto su un pezzo di cotone e cominciai a tamponargli le nocche della mano.

- chi è stato a cominciare? - chiesi per rompere il ghiaccio.

- bè...lui. È arrivato dentro di corsa e...gli ho detto che non poteva pretendere che tu lo volessi ancora dopo quello che ti ha fatto e...bè, poi lo sai. -

- dov'è lui adesso? -

- è uscito da scuola, credo. -

sospirai e passai a bendargli la mano.

- ...si è fatto tanto male? - chiesi sottovoce.

- mi ha distrutto, Megan. Forse, in condizioni normali, avrei anche potuto vincere, ma era incazzato. Parecchio incazzato. -

Annuii, più tranquilla.

- lavati il viso. -

Si alzò e si chinò sul piccolo lavandino, ripulendosi del sangue e rinfrescandosi lo zigomo gonfio.

- sai...quando ti ho detto che dovresti ascoltare quello che ha da dirti? - mi chiese asciugandosi con l'asciugamano bianco e logoro di quell'infermeria improvvisata.

Io annuii.

- bè, dovresti davvero farlo. -

- solo perchè sennò ti picchia di nuovo? -

lui mi fulminò con lo sguardo.

- scusa... - dissi abbassando lo sguardo. Mi sedetti a gambe incrociate.

- perchè è geloso da morire. Lui ti ama Megan e lo ha sempre fatto. Ti ha detto quelle cose solo perchè aveva paura... -

- stai solo ripetendo le sue parole! - urlai alzandomi.

- non occorre che me lo ripeti! Ma forse, sono io che ho paura adesso! Ho sempre dovuto fare tutto io, ho sempre dovuto chiudere un occhio su i suoi sbalzi d'umore, ma sono stanca! Voglio che siano gli altri a cercarmi, ora! -

tirai su col naso e provai ad asciugarmi le lacrime, ma lasciai perdere e mi lasciai cadere a terra.

- ...e sono stanca di piangere... - dissi tra i singhiozzi, che diventavano sempre più forti, fino a coprire qualsiasi suono. Portai le ginocchia al petto e rimasi lì, con Victor, come spettatore passivo, incapace di fare qualsiasi cosa. Alzai il viso e tirai su col naso. Portai una mano alla bocca. Provai a trattenerlo ma non ci riuscii. Corsi sul piccolo lavandino. Sentii Victor sorreggermi. Mi spostò i capelli dal viso e mi tenne una mano sulla fronte. Gli strinsi la mano ferita. Gliela strinsi talmente forte da riaprire le ferite e macchiare la garza pulita, ma lui non si mosse. Perchè non era arrivato prima che conoscessi l'altro? Perche Zayn non era Victor? Forse, perche...ora non sarei qui a soffrire. E non sarei qui a soffrire...perchè non me ne sarei innamorata.

Ritorna all'indice


Capitolo 23
*** capitolo 23 ***


Era ormai giugno. La scuola stava per concludersi con l'imminente ballo. Da inizio maggio Dana ed Harry avevano fatto in tempo a mettersi insieme e a lasciarsi almeno tre volte, finendo col lasciarsi. Ma tutti sapevamo che Harry non avrebbe mai mollato e che Dana era innamorata persa di lui. Tra Liam e Clare andava tutto a gonfie vele, anche meglio di Louis e Laurel, anche se, tra loro era sempre andata bene. Niall era sempre il solito scapolo, che non si fermava su una storia più di due settimane. E poi c'ero io. Megan Cooper, 19 anni, vissuta fino ad allora a Parigi, quinta liceo alla saint Nazareth, promossa con la media del nove, con una splendida carriera ad attenderla. Megan Cooper, la mora dagli occhi blu, desiderata da tutti. Megan Cooper, la stronza che non la da a nessuno. Questo era quello che ero per la gente. Ma solo per pochi ero Meg, la ragazzina che non aveva mai conosciuto l'amore e che, quando l'ha trovato per la prima volta, si è scottata. Ma ora ero riuscita ad uscirne. Ridevo, scherzavo, uscivo con gli amici., piangevo e me ne stavo chiusa in casa nei fine settimana. Se pensavo ancora a lui? Ogni fottuto giorno. Quando lo vedevo passare in corridoio e quando non lo vedevo. Dopo la lite avvenuta un mese prima con Victor non si era più fatto vivo, aveva lasciato correre, ma io no. Lo guardavo appena potevo, sperando che anche lui guardasse dalla mia parte. Ma facevo finta che non me ne importasse niente. E, un giorno dopo l'altro, era arrivata la fatidica sera del ballo.

- ho detto che non ci vengo. -

- oh, si che ci verrai! - insistette ancora Dana.

- ma che ci vengo a fare? Non ho nemmeno un cavaliere. -

- Victor muore dalla voglia di venirci con te. -

- già, peccato che nemmeno lui ci verrà. -

- perchè? - chiese scendendo dall'auto.

- perchè parte per l'America. - le risposi scendendo a mia volta.

Suonò il campanello dell'enorme villa.

- e quando torna? -

- l'estate prossima. -

Il cancello scattò e Dana si voltò verso di me.

- ora io vado a lavoro. Di a Clare che vengo stasera per le otto, con Liam. Dille che dovete anche essere pronte per quell'ora. -

Io annuii sospirando. Mi diede un bacio sulla guancia e attraversò la strada, dirigendosi alla fermata dell'autobus più vicina. Io aprii il cancello e lo richiusi, percorrendo il vialetto. Clare mi attendeva sulla soglia, con un sorriso malvagio stampato in volto, mi feci il segno della croce, facendola ridere.

- avanti, entra stupida! -

 

* * *

 

- oh, ma ti prego…sembro una sposa! – dissi vedendo la mia immagine riflessa allo specchio.

- infatti, sei bellissima! Dietro ci attacchiamo le ali di Dana e sembrerai un angelo. – disse Clare, con una scintilla di entusiasmo negli occhi.

- Clare…non mi va di prenderlo… -

- ti prego, insisto. Per me porta solo brutti ricordi, se non vuoi che lo butti portalo a casa. – disse lei, convinta.

Quello era il vestito che aveva portato al secondo matrimonio di suo padre.

- davvero Meg, sei bellissima… - disse ammaliata, guardandomi ancora una volta.

- ma smettila… -

Continuavo a guardarmi allo specchio, ma mi sentivo sempre più stupida e fuori luogo. I capelli raccolti in uno chignon ordinato mi faceva risaltare gli occhi, scoprendomi gran parte del viso, facendomi sembrare più innocente. Il trucco che mi aveva fatto Clare, mi faceva sembrare un’altra persona: il lucidalabbra e il mascara bianco mi davano un’aria etera, quasi fossi fatta di cristallo. Il campanello suonò, riportandomi alla realtà.

- è Dana, vado ad aprirle. – disse, catapultandosi al piano di sotto. Io rimasi a guardarmi, facendo dei mezzi giri su me stessa. Il vestito era bianco candido, lungo fino al ginocchio e la scollatura a cuore era coperta da delle maniche di pizzo bianco che terminavano con delle punte che superaano la mano di un paio di centimetri.

- mio dio Megan…ma sei tu? –

Mi voltai e vidi Dana, che mi guardava sorridendo. Alle sue spalle c’era anche Liam, che stringeva Clare tra le sue braccia. Dana teneva in mano un paio d’ali bianche, composte da una marea di penne e piume disposte ordinatamente. Erano grandi quanto un braccio.

- Dana, sono bellissime! – dissi avvicinandomi a lei per accarezzarle.

- le ho fatte io l’anno scorso per uno spettacolo del cazzo a cui non ho nemmeno partecipato... - sospirò, pensando a chissà cosa - girati che te le metto. –

Mi voltai di schiena. Sentii le sue mani appoggiare delicatamente i due oggetti alla stoffa dell’abito.

- hanno un adesivo, quando le togli devi stare attenta a non strappare il vestito. – disse, terminando il suo lavoro.

- adesso tocca a noi! – disse Clare, trascinando Dana in bagno.

Io mi voltai a guardare Liam e risi.

- da cosa saresti vestito? –

- da James Bond, mi sembra ovvio. – disse indicando il suo smoking.

- giusto…quindi Clare sarà…? –

- Catwoman. Non chiedermi perché. –

Ridemmo. Lui si avvicinò a me e mi abbracciò, attento a non sciupare le ali. Io ricambiai la stretta; era da tanto che non lo abbracciavo. Il ragazzo altruista e dolce che mi aveva aiutata ad ambientarmi era ancora accanto a me.

- come vanno le cose tra voi? – gli chiesi, riferendomi a lui e Clare.

Sciolse l’abbraccio per guardarmi. Sorrise, pensando a chissà cosa.

- bè, lei…è semplicemente stupenda. In ogni cosa. Mia madre vorrebbe adottarla. –

- sono contenta. – dissi, scompigliandogli i capelli.

Lui li risistemò con un gesto secco del capo.

- tu e Zayn… -

- no. – lo interruppi prima che potesse darci del voi come coppia.

Sospirò.

- Meg…lo sa anche lui che ha sbagliato…potresti parlargli almeno… -

- sbagliato? No Liam, lui non ha sbagliato, io ho sbagliato. Ho sbagliato a credere di essere diversa dalle altre, speciale per lui. –

- ma tu lo sei… -

- no, non lo sono. E non voglio più parlarne, per favore. –

Fortunatamente la porta del bagno si aprì facendo uscire Clare, che indossava dei pantaloni lucidi molto attillati e un top di pelle nera con una scollatura vertiginosa.

- Clare! Sembri una spogliarellista! – dissi incredula.

- guardare ma non toccare. – disse lei, ammiccando.

Liam la guardava a bocca aperta.

- sei troppo sexy così… - disse fin che lei si avvicinava a lui, rimanendo a stento in piedi su quei trampoli da dodici centimetri.

- non ti piaccio? – chiese con un tono di voce graffiante.

Lui deglutì.

- troppo… -

Si baciarono. Lei fece un versetto che assomigliava a un “miao” strusciandosi contro il ragazzo. Poi mi ricordai che lì dentro doveva esserci anche Dana.

- che fine ha fatto Dana? –

- eccomi. –

Mi votai e la vidi ferma sulla soglia del bagno; indossava un vestito principesco, pieno di veli e brillantini. I veli della gonna erano celesti e bianchi, mentre il corpetto dalla scollatura a cuore era di un azzurro chiaro. I lunghi capelli ondulati erano stati tirati indietro in un grazioso chignon e sopra al capo portava una tiara di strass argentati.

- Dana…sembri una principessa… - dissi senza parole.

Lei sorrise timidamente e abbassò lo sguardo

- farà strage di Styles stasera! – disse Clare, ancora avvinghiata a Liam.

- oh, ma sta zitta. – disse Dana, imbarazzata.

- bè, credo che sia ora di andare. – disse Liam guardando l’orologio appeso sopra al letto di Clare.

Scendemmo le scale e salimmo sulla sua auto.

- i ragazzi? – chiese Dana.

- sono già lì. –

- Harry da cosa è vestito? - chiese ancora una volta la ragazza, agitatissima.

Liam rise.

- mi ha chiesto di non dirtelo. –

- ma non è giusto! – si lagnò lei, portando le braccia al petto.

- suvvia, solo lui e altre tre o quattro persone in tutta la scuola hanno i ricci, non sarà difficile individuarlo. – dissi io, per rassicurarla.

Lei sbuffò. Clare accese l’autoradio, che dava le note di The way you make me feel. Amavo quella canzone, che avevo cantato centinaia di volte, facendo la doccia o preparando la colazione. Mi abbandonai contro la portella dell’auto, non potendomi appoggiare allo schienale per via delle ali e chiusi gli occhi; non volevo andare a quella festa. Volevo solo andare a casa e rimanere stesa a letto, a fissare il soffitto e a pensare a quanto sarebbe stato bello poterlo fissare tra le sue braccia. Allora, anche quel soffitto freddo e scrostato sarebbe sembrato migliore.

- Meg, siamo arrivati. – disse la voce tranquilla di Dana.

Aprii gli occhi e mi accorsi di essere l’unica ancora in auto. Aprii la portella e scesi, attenta a non sgualcire le ali.

- tieni. – disse Clare, porgendomi una maschera bianca con degli strass argentati alla base dell’occhio sinistro, che copriva buona parte del viso. Lei ne indossava una nera con delle orecchie da gatto mentre Liam ne portava una nera liscia.

- noi andiamo, ci vediamo dopo! – disse ancora lei, prendendo il ragazzo per mano e incamminandosi all’interno della palestra allestita dal comitato studentesco. Dana portava una maschera veneziana blu, con un sacco di piume e brillantini. Mi fece segno di entrare.

- dopo di lei, madame. – disse scherzosamente.

Io accennai ad un inchino ed entrai. Il volume della musica era davvero alto e il locale straripava di gente, tutti impegnati a ballare e bere. Dana si guardava intorno, probabilmente in cerca di Harry. Quando vidi una testa riccia avvicinarsi a noi sorrisi.

- mi scusi signorina, lei è per caso Alice? – chiese lui.

Dana si voltò e quando lo riconobbe sorrise. Il riccio indossava uno stravagante completo, e in testa aveva un cilindro ottocentesco.

- ma dispiace, io sono Cenerentola, deve avermi confusa con qualcun’altra. – rispose lei

- e la signorina è in compagnia di qualcuno? –

- veramente no. –

Lui sorrise e si voltò verso di me. Corrucciò la fronte.

- …Clare? – chiese, confuso.

- no, io sono un angelo. Non vedi le ali? – dissi, facendo un giro su me stessa per mostrargliele.

La sua espressione divenne da confuso a sbalordito.

- Megan? Megan Cooper? Mio dio sei…bellissima… -

- risparmia i complimenti per la tua ragazza, lei si che è bella. – dissi, mettendogli una mano sulla spalla.

- io vado a divertirmi con i miei amici Whiskey e Coca Cola, ci vediamo dopo. – dissi, mescolandomi tra la folla.

La palestra, sebbene fosse enorme, era piena zeppa di studenti che si strusciavano sudati tra di loro. Mi avvicinai a fatica al tavolo delle bevande. Per regola non avrebbe dovuto circolare alcol ma, ovviamente, metà delle bevande erano state corrette con rum e vodka. Per non parlare delle bottiglie di birra mezze vuote abbandonate sul tavolo. Gli unici professori incaricati di controllarci erano Groover e la Kelly, cioè uguale a “para culo assicurato”. Versai in un bicchiere del punch. Quando ne presi una sorsata mi resi conto che anche quello era alcolico. Lo buttai giù tutto d’un fiato, senza badare alla gola in fiamme e ne presi un altro bicchiere. Guardavo distrattamente i costumi dei ragazzi ma, in realtà, sapevo benissimo cosa stavo cercando. O meglio, chi stavo cercando. Chissà come l’avevano conciato quei coglioni dei suoi amici. Anzi, chissà se era venuto. Ad un certo punto sentii due mani cingermi i fianchi.

- sei bellissima. –

Non ebbi il bisogno di voltarmi per capire di chi si trattasse. Appoggiai la testa sul suo petto.

- grazie Niall. –

- sei il mio angelo? –

Io risi.

- se vuoi. Ma non credo sia un grande affare. –

Mi voltai e incontrai i suoi occhi azzurri. Poi guardai com’era vestito.

- cosa saresti tu? – chiesi confusa.

- un folletto irlandese! –

Risi. Allungai una mano e iniziai a giocare con la barba rossa che aveva attaccato al mento. Indossava un panciotto verde, intonato al gilet e ai calzoni. Portava una bombetta in testa e una pipa in bocca.

- la sai ballare la danza irlandese? – chiesi, incuriosita.

- certo. – disse lui, prendendo a muovere i piedi velocemente. Non sapevo se fossero giusti, ma era forte. Risi.

- wow, sei un folletto in tutto e per tutto. –

- ti va di ballare? Ti insegno come si fa. – disse lui, sorridente.

Io risi ancora.

- mi dispiace, ma mi vedo costretta a declinare la tua offerta. –

Lui fece una faccia da cucciolo ma subito dopo fece spallucce.

- d’accordo. Io vado a catturare qualche fata dispettosa. Ci vediamo dopo. –

- a dopo. -

Non feci nemmeno a tempo a salutarlo che un uragano alto un metro e cinquanta mi investi, abbracciandomi.

- Megan sei bellissima! – dissi la voce squillante di Laurel.

- grazie, anche tu sei…Raperonzolo? – chiesi, vedendola vestita di rosa confetto con una lunghissima treccia bionda che toccava quasi a terra.

Lei annuì sorridente. Louis alle sue spalle indossava un paio di orecchie da coniglio e un panciotto bianco, con in mano una tazzina di tè.

- tu sei il Bianconiglio? – chiesi sorridendo.

- no, il Leprotto Marzolino! Ma perché mi confondete tutti? Io devo prendere il tè con il Cappellaio e non porto orologi da taschino. – disse indispettito.

- scusa…comunque credo che non rivedrai il tuo Cappellaio per un bel po’ di tempo. – dissi maliziosa.

Lui sbuffò. La piccola principessa lo prese per mano.

- noi andiamo a ballare, ci vediamo dopo Meg! – disse dileguandosi con il suo ragazzo tra la folla. Ero sola, di nuovo. Buttai giù il quinto bicchiere di punch corretto. La testa iniziava a girarmi e quella confusione non mi aiutava. Mi feci largo tra le persone e riuscii a trovare la porta che conduceva alle scale. Le percorsi e arrivai al terrazzo. Il cielo era completamente buio. Le strade erano illuminate dai lampioni. Era aprile, ma faceva ancora abbastanza freddo. Cacciai fuori una sigaretta da una piccola scatola metallica che che avevo infilato nel reggiseno, insieme ad un piccolo accendino; il mio kit d'emergenza. L’accesi e feci un tiro. La nube di fumo bianco mi investì, circondandomi. Sciolsi i capelli facendoli ricadere sulle mie spalle.

- gli angeli non fumano. – disse qualcuno alle mie spalle.

Non mi voltai per capire chi fosse, non m’importava.

- io sono un angelo caduto. – dissi, per poi fare un altro tiro.

Lo sentii avvicinarsi.

- io sono un diavolo redento. –

Sorrisi alla sua affermazione.

- allora siamo sullo stesso piano. –

Anche lui tirò fuori una sigaretta e l’accese.

- perché sei caduta? – chiese.

- perché…mi sono lasciata tentare da un diavolo. –

Lui accennò a mezza risata.

- quindi è colpa mia. –

- in poche parole… - dissi, ridendo a mia volta.

Feci un altro tiro, più forte degli altri, che mi fece girare la testa.

- e tu perché sei redento? –

- perché mi sono innamorato di un angelo. –

Chiusi gli occhi e sospirai. Gettai a terra il mozzicone e accesi un’altra sigaretta.

- non ti piace la festa? – chiese, notando la mia insofferenza.

- sì, è fantastica ma…non vorrei essere qui. –

- e dove vorresti essere? – chiese ancora una volta.

- …in paradiso… -

Si voltò dalla mia parte sorridendo sghembo. Quel sorriso…mi ricordava terribilmente il suo. Perché qualsiasi cosa vedessi o sentissi mi portava comunque a lui? Era straziante. Ad un certo punto feci un cenno un po’ brusco del capo per spostare il ciuffo di capelli che mi cadeva sugli occhi e l’elastico della maschera che portavo si ruppe, cadendo a terra.

- cazzo… - dissi piano. Mi chinai per raccoglierla ma non cercai di indossarla nuovamente, non avevo bisogno di nascondermi. Tornai a guardare la strada sotto al terrazzo.

- e tu? Dove vorresti essere? –

Anche lui tornò a guardare avanti a se e dopo qualche attimo di silenzio, in cui pensai che non mi avesse sentita, rispose.

- anch’io vorrei essere in paradiso ma l’unico posto che mi merito è l’inferno. –

- cos’hai fatto di così terribile? –

- ho fatto scappare il mio angelo. Non l’ho saputo trattare come meritava e…se n’è andata. –

- e tu la ami? –

- …sì. –

- se anche lei ti ama ti lascerà spiegare. –

- e tu? Cos’ha fatto il tuo diavolo? –

- mi ha fatto credere di essere diversa, speciale e invece…per lui non sono niente. Così sono caduta.-

- e tu lo ami? –

- io…non lo so. Quando si tratta di lui non so mai niente. E puoi chiedermi qualsiasi cosa su di lui, cosa gli piace, quali sono i suoi sogni, ma se mi chiedi perché lo voglio…io non lo so. –

- sai, quando sai spiegarti il motivo è solo una cotta ma quando non sai perché…allora è amore. –

Mi voltai a guardarlo; quelle parole me lo ricordavano troppo, non poteva essere un caso. La maschera nera che portava gli copriva più di metà viso, anche il naso. I capelli erano tirati indietro con del gel. Indossava una camicia bianca con le maniche rimboccate, una cravatta nera slacciata e dei jeans strappati e consumati. Anche lui si voltò, trafiggendomi con lo sguardo.

- sai…mi ricordi un sacco una persona… - dissi avvicinandomi a lui.

Mi posizionai davanti a lui e, per appurare i miei dubbi, sollevai le braccia, portando le mani alle estremità della sua maschera. La sollevai lentamente, scoprendo il suo volto, così dannatamente e dolorosamente familiare.

Ritorna all'indice


Capitolo 24
*** capitolo 24 ***


- …Zayn… - sussurrai senza fiato, lasciando cadere a terra la maschera per lo stupore.
La voce mi morì in gola e non riuscii più a proferire parola. Gli avevo appena detto…che lo amavo. Ed era vero. Ma non avrebbe dovuto saperlo. Cercai di allontanarmi ma lui mi prese le mani, costringendomi a restare.
- ti prego, non andartene. – disse supplichevole.
Io rimasi ferma dov’ero, non volevo andarmene; quello era l’unico posto in cui avrei davvero voluto essere.
- lo so che…ho fatto delle stronzate davvero assurde e qualsiasi scusa non sarebbe mai abbastanza valida. Non ti chiedo di perdonarmi all’istante ma… -
Abbassò lo sguardo per poi rialzarlo, rimanendo serio. Si stava mordendo nervosamente il labbro inferiore e teneva la mascella contratta.
- …io ti amo. – disse infine.
Io non sapevo davvero cosa dire. Dopo tutto quello che avevo passato, piangendomi addosso e maledicendomi per essere stata così stupida, credendo di essere stata soltanto una delle tante, ora veniva a dirmi che…mi amava. Diavolo come suonava bene. Continuavo a sostenere il suo sguardo, senza dire nulla. Lui abbassò lo sguardo, sorridendo sghembo. Si accucciò e raccolse sia la sua maschera che la mia. Si rimise la sua e si portò alle mie spalle, allacciandomela di nuovo. Poi tornò davanti a me, inchinandosi.
- vuole concedermi l’onore di un ballo? – disse, tornando a guardarmi.
Io non potei fare a meno di sorridere e appoggiare la mia mano sul suo palmo.
- con molto piacere. –
Si alzò e mi cinse i fianchi con le mani. Io portai le mani dietro alla sua nuca, continuando a guardarlo. Dalle scale salivano rumori di musica scassa timpani da discoteca, ma non importava. Quella era la nostra musica. Una musica che nessun altro può sentire Appoggiai la testa sulla sua spalla e mi lasciai guidare da lui. Il suo profumo mi annebbiò il cervello, impregnandosi sulla mia pelle. Quanto mi era mancato. E le sue braccia muscolose e sicure, dove potersi rifugiare e dimenticare il resto del mondo.
- non voglio scappare. – dissi, sicura.
La sua stretta aumentò, trasformandosi in un abbraccio. Alzai il viso, trovando il suo a un soffio da me. Senza più riuscire a resistere, chiusi gli occhi e mi avvicinai ancora, sicura. Incontrai presto le sue labbra carnose. Sebbene fossero screpolate era la più bella sensazione che avessi mai provato, dopo del tempo che sembrava un’eternità. Sentii le sue mani circondarmi la vita, stringendomi possessive a se. Mi allontanai lentamente, per non rendere quel bacio più di quello che voleva essere. Rimasi con le labbra appoggiate appena alle sue.
- ti amo. – disse ancora, facendomi avvampare. Io non ero mai arrossita, mai. Nemmeno per il complimento più lusinghiero. Ma ogni più piccola cosa lui dicesse mi faceva sentire davvero la più bella e soprattutto mi faceva sentire amata, amata da lui. Io lo baciai una seconda volta, senza ricambiare le parole.
- andiamo a casa? –
Annuì e sciolse la stretta.
- ti aspetto alla mia auto, è proprio qui sotto. –
- lo dico agli altri e arrivo. –
Gli scoccai un ultimo bacio a fior di labbra e mi diressi giù dalle scale. Appena rientrai venni investita dalla musica assordante. Nella confusione riuscii ad individuare Clare e mi diressi da lei, sgomitando tra la gente per passare.
- Clare! – urlai, affinchè mi sentisse – io vado a casa! Non cercatemi dopo! –
- con chi vai? – chiese lei, urlando a sua volta.
- con Zayn… - dissi sommessamente.
- con chi?! – chiese lei assottigliando lo sguardo, no avendo capito le mie parole.
- …con Zayn! – urlai a squarciagola.
La sua espressione mutò da confusa a sbalordita. Gli angoli della sua bocca si sollevarono in un ampio sorriso e si fiondò tra le mie braccia.
- che bello Meg! Allora vai e non perdere tempo! – disse dandomi una spintarella.
Tornai a farmi spazio tra la folla e raggiunsi il parcheggio dove un pick-up nero mi aspettava davanti all’entrata. Lo raggiunsi con delle falcate svelte e aprii la portella, entrandovi. Mi voltai dalla sua parte e lo vidi che mi sorrideva; indossava ancora la maschera. Ricambiai il sorriso e mi allungai verso di lui, dandogli un altro bacio casto. Mi staccai quasi subito e mi abbandonai contro il sedile, finalmente in pace. Lui tornò a guardare avanti a se e ingranò la marcia per partire. Nessuno parlò per resto del viaggio; non c’era bisogno di parlare per sapere cosa stessimo pensando. E di tutti i silenzi che avevo avuto ultimamente questo era l’unico che avrei voluto udire. Arrivati a casa mia entrammo, sempre in silenzio. Quando aprii la porta Oreste si parò davanti a noi, osservandoci storto; se ne andò nella sua cesta, forse non riconoscendoci. Zayn chiuse la porta e venne verso di me, cingendomi la vita con le braccia. Mi accarezzò il viso con una mano, avvicinandolo al suo. Mi baciò dolcemente, provocandomi una scia di brividi su tutta la schiena. Io slacciai la sua maschera e gli presi il viso tra le mani. Lo baciai più intensamente, chiedendo il permesso di insinuare la lingua nella sua bocca, permesso che lui non mi negò. Mi staccai un attimo e mi voltai di schiena, dandogli le spalle.
- aiutami a togliere le ali. – dissi.
Sentii le sue mani salire dai miei fianchi fino alle mie scapole e staccare delicatamente i due oggetti, per poi appoggiarli uno alla volta sul tavolo della cucina. Mi sciolse l’elastico della maschera, poggiando anch’essa sul tavolo. Spostò di lato i miei capelli e poggiò le labbra sulla mia nuca. Le sue mani un po’ tremanti aprirono lentamente la zip del vestito, facendolo scivolare a terra. Allora mi voltai a guardarlo.
- sei bellissima. – disse lui, facendo perdere qualche battito al mio cuore.
Presi il suo volto tra le mani e lo baciai come da tanto, troppo tempo non facevo. E lo baciai una, due, tre volte. Poi scesi con le mani, inciampando sul primo bottone allacciato della sua camicia. Provai a sbottonarlo ma le mie mani avevano iniziato a tremare forte, così, lui le prese tra le sue e mi guidò, fino all’ultimo. Quando ebbi preso sicurezza gli tolsi definitivamente la camicia, scoprendo il suo fisico perfetto. Lo accarezzai piano, contemplandolo e poi alzai lo sguardo, incontrando ancora una volta il suo.
- sei bellissimo. – dissi sottovoce.
Lui sorrise e mi strinse a se, baciandomi il collo in più punti, lasciandovi dei succhiotti violacei e visibili che mi fecero sospirare. Mi strinse a se e mi sollevò da terra.
- vorrei stringerti così forte, fino a farti male. Vorrei toccarti l'anima. - sussurrò baciandomi il collo.
Gli circondai il bacino con le gambe aggrappandomi con le mani alle sue spalle. Arrivò velocemente alla camera e mi appoggiò sulla scrivania, facendo cadere alcune matite a terra. Gli slacciai il bottone dei jeans e li feci scivolare giù velocemente, bramosa di vederlo in ogni minimo particolare. Mi slacciò il reggiseno e me lo sfilò, prendendo in mano i miei seni e stringendoli, facendomi quasi male. Mi arrampicai su di lui, toccandolo e annusandolo ovunque. Sapeva ancora di caffè e tabacco. Lui mi accarezzò il collo e mi spostò i capelli dietro alle spalle, continuando ad accarezzarli.
- quanto mi sono mancati i tuoi occhi. - sussurrò guardandomi dritto negli occhi. Io gli accarezzai il volto. Poi allungai entrambe le mani e gli scompigliai i capelli, aspettandomi che si lamentasse, ma non lo fece.
- non ti da più fastidio? - chiesi continuando a massaggiarli.
- puoi fare tutto quello che vuoi. - rispose cingendomi i fianchi.
Sorrisi come mai prima d'ora e gli saltai letteralmente addosso.
Era mio. Completamente.
Cademmo sul letto ridendo come due idioti. Si spostò sopa di me, guardandomi un'ultima volta, prima di abbassarsi. Mi baciò delicatamente il ventre continuando a guardarmi, come a chiedere il permesso. Mi afferrò le cosce con le mani, stringendole e accarezzandole. Io gli scompigliai ancora una volta i capelli; li amavo. Morse i miei slip, sollevandoli. Mi coprii il volto con le mani e risi. Non era mai stato così. Forse voleva farsi perdonare. Giocò un po' con il bordo degli slip e poi li tolse definitivamente. Si sollevò quel poco che bastava per togliersi i boxer e tornò a stendersi su di me. Mi aggrappai alle sue spalle, accarezzandogli il collo.
- non hai idea di quanto mi sei mancata. - ansimò baciandomi le guance.
Io sorrisi. Intrecciai le gambe al suo bacino, stringendolo a me e poggiai le labbra sull'incavo del suo collo, facendolo gemere rumorosamente. Sorrisi, senza staccarmi.
- tu non hai idea di quanto mi sia mancato questo. - dissi facendolo ridere.
Si sollevò su di me per osservarmi. Mi guardò tutta e poi aggrottò la fronte, preoccupato.
- sei dimagrita tantissimo Megan...cosa... -
- sono sempre la stessa Zayn. - lo rassicurai prendendogli il viso tra le mani.
- non è cambiato niente. -
- neanche in tutto questo tempo? - mi chiese ad un millimetro di distanza.
- mai. -
Lo baciai così intensamente che mi mancava il respiro. Mi strinse in fianchi con le mani e, dopo qualche istante, entrò in me. Fu una sensazione strana; nuova, ma consueta. Non saprei dire se mi fosse mancato davvero il sesso. Forse era la cosa più insignificante, in confronto a tutto il resto. Mi aggrappai a lui, cingendogli il bacino con le gambe. Fin che si muoveva su di me mi guardava, accarezzando con lo sguardo il mio volto. I suoi occhi di cioccolato erano tonati dolci e morbidi, non più neri e vuoti come quelli che mi avevano spaventata fino alla nausea.
- Zayn. - dissi cercando di trovare aria per respirare.
- cosa c'è? - chiese diminuendo il ritmo.
- quella volta, alla festa di Liam... -
Diminuì ancora, come per mostrare che mi stava ascoltando.
- ...eri, tu. Vero?-
Si fermò completamente e mi guardò, per poi baciarmi.
- una ragazza facilmente difficile. - disse poi, sorridendo a bocca chiusa.
Gli occhi mi si riempirono di lacrime. Allora era sempre stato lui. Fin dal principio. Doveva essere lui. Non sarei mai potuta stare con nessun altro. Solo con lui.
- shh... - disse accarezzandomi il volto e riprendendo a spingere.
Sospirai, tornando a concentrarmi su di lui. Gli accarezzai la schiena, tracciando il percorso della sua spina dorsale. Lui mi circondò con le braccia baciandomi tutto il volto, dal mento alle tempie.
- Zayn... - ansimai.
- mh? - chiese lui, sollevandosi un po' per guardarmi.
Aprii la bocca per parlare ma non dissi nulla. Guardai le sue labbra e gli accarezzai la mascella per poi tornare a guardarlo negli occhi.
- ti amo. -
Sul suo viso si fece spazio lentamente un sorriso di come non gliene avevo mai visti fare. Mi baciò una, due, tre volte. E poi persi il conto. Persi la percezione del tempo. Non ricordavo più dov'eravamo. Non ricordavo più chi ero. C'era solo lui. I suoi baci. Le sue carezze. La sua pelle ambrata. I suoi occhi color del caramello. I suoi capelli neri. La sua voce sottile. Il suo inebriante profumo di tabacco e caffè.

Solo lui. Per sempre.

Ritorna all'indice


Capitolo 25
*** Capitolo 25: epilogo ***


- voglio morire. - dissi esasperata, fissando il soffitto scrostato.

Diavolo, aveva un urgente bisogno di una nuova mano di intonaco.

- ma io non voglio che tu muoia. - disse il moro baciandomi il collo.

Mi fece allargare le gambe e si posizionò meglio fra di esse. Mi circondò la vita con le sue braccia muscolose e appoggiò le labbra tra i miei seni.

- ma se continuo a vivere, tra meno di dieci ore te ne andrai a un milione di chilometri da me. - dissi facendo la bambina capricciosa.

Lo strinsi a me. Il suo petto vibrò, attraversato da una risatina, un po' dispiaciuta.

- è ad appena un'ora di strada da qui, non è poi così lontano. - cercò di rassicurarmi accarezzandomi la schiena – e poi tornerò ogni volta che lo desideri. -

- ma ti ho appena incontrato, non voglio già dirti addio. -

- ehi. - disse serio, prendendomi il viso tra le mani – addio è una brutta parola, non dirla mai più. -

Io annuii, dandogli un bacio a fior di labbra. Il ragazzo sospirò. Rotolò di lato e si sedette di fianco a me, accendendosi una sigaretta. Io mi strinsi alle coperte, alzando lo sguardo; le occhiaie erano sparite da un pezzo, ma aveva conservato un look più trasandato, con i capelli incolti e un leggero strato di peluria ispida sulle e gote e sul mento.

- sembra ieri che non sapevo nulla del mio futuro. Non immaginavo nemmeno lontanamente quello che mi sarebbe successo. - disse aspirando una boccata di fumo.

Io mi strinsi a lui – cosa sarebbe successo?-

Lui mi abbassò lo sguardo su di me e fece quel sorriso sghembo che mi piaceva tanto, sexy ma sincero. Fece passare un braccio dietro al mio collo e iniziò ad accarezzarmi la spalla opposta.

- bè...ho incontrato persone nuove, alcuni sono diventati miei amici, altri vorrei ancora spaccargli la faccia. - contrasse le labbra e assottigliò lo sguardo.

- e poi ho incontrato lei. - disse tornando ad addolcire il tono di voce.

Il mio cuore iniziò a battere le sue piccole ali, e prese il volo. Ora era leggero, poteva farlo. Non aveva più le catene che lo tenevano nel mio petto. Appoggiò la sigaretta sul posacenere e con la mano mi scostò una ciocca di capelli dal viso, mettendo in piena mostra il rossore sulle mie guance.

- lei...ha dei lunghi capelli neri, come la pece e...due bellissimi cristalli al posto degli occhi. E le sue labbra, a cuore, sono piccole e rosee, piene e morbide. E la sua pelle, bianca, come la porcellana più sottile. E il suo profumo è...indescrivibile. Forse è tè, mischiato alle pagine di un vecchio libro, o forse è l'odore degli acquerelli con quello della pioggia appena caduta. Sa di luce del sole. Lei è il sole, l'unico per me. E potrei stare qui a raccontare qualsiasi cosa su di lei, ma tu non capirai mai. -

mi guardò con un mezzo sorriso ironico, aspettandosi che gli tirassi un pugno, ma io continuai ad accarezzargli il petto muscoloso e abbronzato.

Se sapessi quello che provo io, caro Zayn. Se sapessi quanto amo i tuoi capelli, neri come i miei, soffici e sempre spettinati. Se sapessi quanto sono preziose le due pietre d'ambra che hai al posto degli occhi. Se sapessi quanto sono belle le tue labbra sottili, sopratutto quando si curvano in uno dei tuoi sorrisini ironici,quelli che mi fanno perdere la testa. Se sapessi che vado in iperventilazione ogni volta che mi sfiori, o che mi saluti. Se sapessi che il tuo profumo di caffè e tabacco manda in tilt il mio sistema nervoso, facendomi piegare a ogni tuo volere.

Sono malata Zayn. Ho una malata ossessione che mi perseguita. Penso che morirò senza di te perché, se io sono il tuo sole, tu sei la mia aria, la terra su cui cammino, le matite senza cui non posso disegnarti. Da quando è finita la scuola cerco di disegnarti sempre un po' meno, anche se è inutile. Sei il mio chiodo fisso. Ci sei tu e tu soltanto. Se penso che tra qualche ora salirai sul tuo pick up nero fiammante e partirai per un'avventura a cui non potrò partecipare mi sento morire.

- amore. - mi richiamò.

I suoi occhi erano chiari, illuminati dalla luce dell'alba. Avevano dei riflessi dorati e le lunghe ciglia scure accarezzavano le sue gote arrossate. Si distese nuovamente, alla mia altezza.

- se vuoi non vado. Resto qui con te. -

- idiota. - dissi colpendolo forte dritto sul plesso solare.

Fece una smorfia di dolore.

- se volevi che me ne andassi bastava dirlo, non serviva essere violenti. -

Tirai su col naso, lasciando che due lacrime di triste allegria, o allegra tristezza, scendessero a rigarmi le guance.

- ehi... - sussurrò Zayn, asciugandole con le dita affusolate.

- tu andrai a quella fottuta università, studierai sodo, ti laureerai in inglese e soltanto allora tornerai qui da me. Si tratta del tuo futuro e io voglio solo il meglio per te. -

Mi prese la mano con cui l'avevo colpito e ne baciò il palmo.

- è il nostro futuro. E se non ti sposerò, sappi che è solo perchè non credo nel matrimonio. -

- bene. -

Sorrise e mi baciò.

 

 

- sicuro che vuoi che venga anch'io? -

- per la quarta volta, sì. - disse scocciato.

- non voglio farvi litigare. -

- nessuno litigherà. - mi rassicurò, con scarso successo.

Suonò il campanello e le gambe cominciarono a tremare.

Fa che non apra sua madre. Fa che non apra sua madre. Fa che non apra sua madre.

- Zayn! - urlò Safaa gettandosi tra le sue braccia.

Grazie a dio.

- ciao ranocchia! - esclamò dolcemente sollevandola da terra.

Quando i suoi piedini scalzi toccarono di nuovo terra si voltò dalla mia parte e spalancò gli occhi.

- c'è anche Megan?! -

Corse dentro a rotta di collo, salendo le scale.

-Donnie! Donnie ci sono Zayn e Megan! C'è anche Megan! Te lo giuro, vieni a vedere! - urlò, cercando di convincere qualcuno.

Zayn sospirò facendo roteare gli occhi. Io sorrisi.

- scusa...è che... -

- sì, lo so. - dissi stringendogli la mano.

Lui mi sorrise, accarezzandomi dolcemente il dorso della mano con il pollice.

- Megan, sei tu?! - chiese incredula Doniya scendendo le scale, raggiante.

- Pensavo che Safaa stesse scherzando! -

Si avvicinò a me e mi abbracciò, baciandomi entrambe le guance. Dall'ultima volta che ci eravamo viste era passato quasi un anno; i lunghi capelli neri ora erano biondo grano, corti fino alle scapole. Lei e Zayn non si assomigliavano per niente; una solare e amichevole, l'altro rude e solitario.

- che bello rivederti. Ormai non ci speravo più! -

Una ragazza sui quattordici anni scese le scale trascinando i piedi. Indossava ancora il pigiama e aveva l'aria piuttosto confusa.

- wow. - disse vedendomi, annuendo con un'espressione compiaciuta.

- non me l'aspettavo fratello. Wow. -

- ciao Waliya, mi sei mancata anche tu. -

- si, si, certo. - disse scomparendo in cucina.

- parto per Oxford Doniya. - annunciò il moro, serio.

L'espressione della bionda divenne da scioccata a entusiasta.

- dio Zayn...è fantastico! - esclamò saltandogli al collo.

- parto oggi, sono venuto a salutarvi. -

- dobbiamo dirlo a mamma! - disse Doniya, raggiante, per poi sparire in cucina.

Safaa la seguì a rotta di collo, lasciandoci da soli in salotto. Zayn si voltò a guardarmi.

- pronta? -

Io scossi violentemente il capo e nascosi il volto tra le mani. Lo sentii ridere. Mi prese gli avambracci e li spostò, per guardarmi negli occhi.

- andrà tutto bene, ok? E se fa la stronza ce ne andiamo. -

Accennai ad una risata, facendo sprofondare il viso nel suo petto. Le sue braccia forti mi strinsero a se, cullandomi.

- ti amo... - sussurrò tra i miei capelli.

Sorrisi come una bambina, stringendolo ancora di più.

- non sai quanto ti amo io... -

- ma guarda un po' chi si rivede. - disse una voce familiare, che fingeva sorpresa – non pensavo che saresti tornato figlio mio. Ne tanto meno con quella tua ragazza.-

Trisha era piazzata sulla soglia della cucina, con le braccia conserte e uno strano sorriso ironico sulle labbra. Zayn serrò i pugni.

- bè, eccomi qui. -

- sei venuto a scusarti? - disse sollevando un sopracciglio.

Sentii il mio ragazzo sospirare, cercando di non reagire in modo violento.

- non pensi di dovermi anche tu delle scuse? -

La donna fece un verso di stupore – sono tua madre, non ti devo un bel niente. Tu mi devi la vita. -

- almeno potresti chiedere scusa a lei.- disse alludendo a me.

Mi sentii avvampare: lo sguardo severo della donna si posò su di me, squadrandomi dall'alto in basso. I suoi capelli sembravano più neri e più lunghi, facendola sembrare una bellissima strega cattiva. All'improvviso addolcì lo sguardo, confondendomi.

- mi dispiace di essere stata così scortese l'ultima volta, ma l'ho fatto per una ragione. E non ho sbagliato nemmeno questa volta. -

Aggrottai la fronte, davvero confusa. La donna sorrise ancora, smagliante.

- si vede subito che sei una ragazza formidabile, Megan. Zayn non se n'è mai andato di casa perchè ho chiamato “puttana” una delle ragazze che ha portato a casa. E, se eri così importante per lui, non potevi altro che essere il meglio che potessi desiderare per mio figlio. -

Avevo occhi e bocca spalancati e sentivo che Zayn era sorpreso tanto quanto me. La donna rise.

- lo so che sembro cattiva e severa, ma io amo la mia famiglia. Ora posso considerarti parte di tale. -

- grazie... - dissi incerta.

- parto per Oxford Trisha. - disse suo figlio, diretto. - oggi. -

- sarai contento di non vedermi più. -

- forse ora quasi mi dispiace. - disse sorridendo sghembo, ancora a disagio.

Rise ancora. Ma, questa volta, sorrise anche lui. La donna sospirò. Per la prima volta mi sembrava una madre amorevole, sofferente per la partenza del proprio figlio. Venne affiancata dalle altre figlie, Whaliya sbuffante.

- sei sempre la benvenuta qui, Megan. - disse Doniyia

- io vi ringrazio, ma non dovete sforzarvi di... -

- nessuno sforzo. - intervenne Trisha – sarà un piacere per tutti. Bob si è completamente innamorato di te! Ha chiesto di te ogni volta che ha chiamato. -

Sorrisi, intimidita. Caspita, non ero mai piaciuta a così tante persone in un colpo solo.

- Meg. - mi chiamò Zayn.

Mi voltai a guardarlo, per sapere cos'aveva da dirmi: le sue guance erano arrossite e i suoi occhi erano grandi, confusi, meravigliati. Sembrava un bambino in attesa che la maestra gli consegnasse la pagella a fine anno.

- sono le nove; dobbiamo andare. -

- oh, già. - sospirai.

Mi prese per mano.

- quando torni? - chiese la piccola Safaa, aggrappandosi alla gamba del fratello.

- non lo so – disse prendendola in braccio - ma ti prometto che quando torno ti porterò un super-regalo! -

La piccola sorrise raggiante e lo abbracciò.

- forza. - sospirò mettendola giù.

Abbracciò le sorelle e andammo verso la porta

- ci vediamo presto figlio mio. - disse sua madre con un sorriso contenuto, rimanendo ferma sul posto di prima.

- ciao Mamma. -

Chiuse la porta dietro di se.

- bè, se prima pensavo che tua madre fosse un genio del male pazzoide, ora ne sono totalmente convinta. -

Lui rise e mi tirò a se, baciandomi la fronte. Si allontanò e mi guardò.

- si parte per una nuova avventura. -

 

 

Un'altra sera come le altre. Il buio era calato sulla città portando un'aria umida che s'incollava fastidiosamente alla pelle. Lo strato spesso di nuvole m'impediva di vedere la luna e le stelle. Aveva piovuto incessantemente per tutta la settimana e le previsioni non davano segni di miglioramento: nuvolo, pioggia, uno spiraglio di sole e di nuovo pioggia. Il solito clima londinese. Nulla a che vedere con Parigi. Certo, non che lì splendesse il sole tutti i giorni, ma almeno non pioveva così spesso. Io odiavo la pioggia, ma giuro di non averla mai amata così tanto.

fineeeeeeeeeeeee finalmente haha :D

Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=1524644