Titolo Provvisorio (Spoiler)

di BarbyFainello
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Antefazione, Capitolo 1. ***
Capitolo 2: *** Capitolo 2. ***
Capitolo 3: *** Capitolo 3.(Il caso irrisolto di Shelock) ***



Capitolo 1
*** Antefazione, Capitolo 1. ***


AVVERTENTE PER L'USO:
Questa Fan Fiction sarà un casino. Non vi saranno nomi ai capitoli, potrebbero essere spoilers, e una volta letto un avvenimento non si può modificare. Perciò se volete continuare, sappiate che tutto ciò che succederà ad Hope dipenderà solo da voi. Avete la sua vita nelle vostre mani. Avete la vita del Dottore nei vostri occhi. Perciò, se non volete piangere, ridere o tremare con loro, facendo in modo che tutte ciò che accadrà rimanga un punto fermo nella storia, smettetela qui di leggere.
Bene, se state leggendo questo invece siete abbastanza temerari da rischiare che ciò si scriva per mano vostra. Ma ora, correte. Correte via da qui. Scendete. Leggete. Ridete e scrivete voi la storia. Deciderete voi quando finirla, quando scriverla, quando continuarla e quando fermala. Sarà tutto nella vostre mani. Ma una volta letta, non potrete più tornare indietro, perché ormai ciò che avete letto sarà accaduto e, sarà troppo tardi per ripensarci. Potreste fermarmi è vero, potreste smetterla di leggerle, ma smettereste mai di leggere un libro mentre il vostro eroe sta cadendo da un burrone, senza sapere se si salverà o no?
Se avete risposto si, allora non continuate oltre ciò che state leggendo. Se avete risposto no, bhè...spero non cadrete anche voi con lui. Buona lettura sweety.
-Vostra Hope.
 
 


ANTEFATTO:
“Vedi caro amico, cosa si deve inventare per poter riderci sopra, per continuare a sperare. E se quest’anno poi passasse in un istante, vedi amico mio, come diventa importante che in quest’istante ci sia anch’io.
L’anno che sta arrivando, tra un anno passerà. Io mi sto preparando, è questa la novità.”
 
Queste furono le parole che scrissi su un biglietto blu. Lo legai alla coda del mio palloncino blu Tardis. Anche il biglietto aveva lo stesso colore. Come il biglietto e il palloncino di Irene.
Ci guardammo sorridendo quando entrambe legammo il biglietto. Chiudemmo gli occhi, nessuna delle due sapeva cosa vi fosse scritto sul biglietto dell’altra.
Lynz dietro di noi faceva il contro alla rovescia, mancavano 5 secondi alla mezzanotte del 2013.
4.
3.
2.
1.
“Dottore, ho bisogno di te!”
0.
Io e Irene lasciammo volare il palloncino, sorrisi guardandolo volare nel buio della notte mentre i fuochi d’artificio lo illuminavano, finché non andò troppo in alto e lo persi di vista.
Gli altri stavano già brindando al nuovo anno quando ormai il palloncino era sparito, Andrea mi si avvicinò con un bicchiere di spumante, dal terrazzo di casa sua riuscivo a vedere la cupola di San Pietro, non lo avrei mai ringraziato abbastanza per questo spettacolo così unico.
Avevo passato 17 anni di capodanni a guardare i fuochi dalla terrazza di mia nonna. Da dove non si vedeva nulla di bello. Ma questa visione di Roma, così colorata, ovunque io mi girassi, era una goduria per gli occhi.
Presi in mano il bicchiere brindando con gli altri. Bevvi in seguito, non amavo lo spumante, ma era tradizione, perciò non obbiettai e lo buttai giù, girandomi ,poi, mentre cacciavo fuori la lingua e arricciavo il naso dall’acidità che provarono le mie papille gustative in quel momento.
Presi il telefono, mandai gli auguri al mio, lontano, migliore amico.
Tornai con gli altri, tirammo fuori gli alcolici. Dopo aver bevuto come Russi, scendemmo in strada con altre bottiglie ridendo, mentre Roma, attorno a noi esplodeva ancora con i suoi mille colori.
 
[…]
 
“Hope…”
“Hope…”
Sentivo una lieve voce maschile sussurrare al mio orecchio, qualcosa mi scuoteva. Emisi un rantolo. La testa mi scoppiava, come se dei tamburi vi suonassero dentro, ma la pelle dei tamburi erano le membrana del mio cervello e qualcuno le stava colpendo.  Cercai di capire dove fossi, tenevo gli occhi chiusi, troppo comoda per aprirli. Ero su una superfice soffice, un letto probabilmente. Un letto molto comodo.
Affondai la faccia su questo morbido letto, mentre quella voce continuava a chiamarmi e a scuotermi, mi riaddormentai solo quando si arrese.
 
 
 
 
 






CAPITOLO 1.
 
Non so quanto dormii, ne dove effettivamente stessi dormendo. So solo che mi sveglia di soprassalto cadendo da un’altezza che mi sembrò non finire mai. Mi misi in ginocchio aprendo lentamente i miei stanchi occhi, che bruciarono alla visione della luce bianca sparata sulle pupille, che iniziarono a lacrimare dal dolore, non vedevo nulla. Il bianco di quella stanza era accecante. Notai il letto a castello, di legno scuro, affiancato al muro alla mia sinistra. Riflettei, Andrea non aveva letti a castello in casa. Forse eravamo a casa di qualche altra persona. Mi sedetti sulla sedia d’avanti la scrivania parallela al letto, chiusi gli occhi che bruciavano troppo.
“Per tutti gli Dei, ma un interruttore qui?” pensai tra me e me, mentre con le mani tastavo il muro per cercare un interruttore per spegnere la luce. La mia mano sinistra sentii qualcosa sotto i polpastrelli, qualcosa di freddo, che sembrava ferro e poco più giù un la piastrella dell’interruttore. La tirai giù, la luce si spense, aprii gli occhi che non fecero più male e tornai a stendermi sul letto per ricadere poi in un leggero sonno, mentre cercavo di ricordare cosa fosse successo la sera prima o almeno dove mi trovassi.
 
Toc. Toc. Toc. Toc. Toc.
Di colpo mi misi a sedere sul letto, battendo la testa al letto sopra di me, mentre i battiti alla porta continuavano.
Io: Avanti! –risposi cercando, invano probabilmente, di risistemarmi i capelli.
X: Buongiorno bella addormentata!- disse una voce maschile aprendo la porta, da fuori proveniva una luce fioca, e la figura nera d’avanti la porta che si apriva era quella di un ragazzo alto e magro. Cercai di ricordare gli invitati alla festa, non c’era nessuno che mi riconducesse a lui.
Io: Emh…scusami se ho dormito così tanto, tu sei?- forse ero stata troppo sfacciata, ma poco importava, volevo sapere dove fossi e chi fosse lui.
La luce si accese, ma sta volta era meno forte, quando vidi chi era quel ragazzo quasi urlai. O meglio, urlai davvero, anche se pensavo di farlo solo nella mia testa.
Mi strofinai gli occhi con le mani più, li chiusi e li riaprii ripetutamente. Il mio cuore aveva preso un ritmo veloce, e avevo smesso di respirare per svariati secondi dopo l’urlo.
Lui rimase li a guardami con una faccia divertita e fiera.
X: Salve, sono il Dottore. –disse tirando fuori il palloncino –E questo dev’essere tuo. Si era appiccicato al Tardis la notte di Capodanno, mentre guardavo Roma… -aggiunse sorridendo e porgendomi il palloncino.
Mi alzai, incredula e scettica, dal letto. Le gambe mi tremavano, non riuscii a dire nulla, avevo un nodo alla gola che mi impediva di parlare, gli occhi iniziarono a lacrimare, ma ero certa che non fosse perché la luce gli dava fastidio. Riuscii a fare un passo, lui mi guardava incuriosito, con la testa inclinata verso destra, sistemò il suo cravattino mentre feci un secondo passo verso lui, mi sorrise e in un attimo gli saltai in braccio stringendolo e piangendo. Lui mi prese al volo e mi abbracciò, senza dire nulla. Affondò la sua testa nella mia spalla, e mi strinse.
Anche se fosse stato tutto un sogno, era il sogno più bello della mia vita.
Mi mise a terra.
Io:Sei reale? Sei…sei….sei davvero tu? O sono pazza? O morta? O sto sognando?- chiesi ancora incredula.
Dottore: Non sei pazza e non stai sognando, e tecnicamente respiri e il tuo cuore batte, perciò non credo neanche che tu sia morta, e sei lo sei…bhe….non ce ne siamo accorti. Ma non preoccuparti, ora controllo!- rispose, parlando velocemente e sorridendo, mentre mi aveva già puntato il suo cacciavite sonico addosso, lo mosse dal basso verso l’alto mentre la lucina verde mi tracciò il corpo, poi lo guardò e esclamò contendo: No mia cara, sei ancora viva. Perciò benvenuta nel Tardis!
Ecco, il cuore aveva ripreso a battere all’impazzata. Perché io? E “Doctor Who” era solo un telefilm della BBC. Non poteva esistere.
Dottore: Si, si lo so. Ma sono reale, è che il caro e vecchio altezzoso, nonché mia decima rigenerazione, un giorno andò a raccontare tutto al produttore, gli diede la sceneggiatura iniziale e tutto il resto. Si, Matt Smith è uguale a me. O meglio, è una mia copia a dire il vero, è carne. Ma credo tu sappia già di cosa io stia parlando…o è uno spoiler? Non riesco mai a capire quali episodi escano e quando!- incalzò lui guardandomi e avvicinandosi alla porta.
Io:Nono! Assolutamente. So perfettamente di cosa tu stia parlando! E oddio…non riesco a crederci!-risposi in fretta, balbettando qualcosa.
Dottore: Uhm… balbetti?-chiese lui divertito.
Io:NO! Cioè…sono solo…oddio. Dottore….Dottore…-sospirai queste parole, tranne il NO quasi urlato. Le altre le sospirai tutte felicemente, sorridendogli, e guardandolo. Era così bello, come avevo sempre immaginato.
Dottore: Si…….come ti chiami scusa?-chiese lui porgendomi la mano, ormai fuori dalla porta.
Afferrai la sua mano –Hope…mi chiamo Hope e ho 17 anni…- risposi sorridendo.
Dottore: Uh, che belli i 17, ancora bambini ma quasi maggiorenni. Godili, non tornano più i 17 anni! –disse lui sorridendo, mentre stringendo la mia mano, camminavamo velocemente, girando a destra e a sinistra, avanti e indietro, tra i lunghi corridoi del Tardis. C’erano così tante porte sia alla mia destra, che alla mia sinistra, alcune sopra al soffitto, altre sotto, o forse eravamo a noi a girare? Non capivo, il mio senso dell’orientamento era andato a farsi friggere come qualsiasi altra cosa in quel momento. Scendemmo una rampa di scale e ci ritrovammo nella sala di pilotaggio. Quella che avevo sempre visto nel telefilm.
Non era tanto diversa da quella a dire il vero, era quasi completamente fedele al telefilm…o meglio, il telefilm era stato quasi completamente fedele alla realtà…cambiavano giusto alcuni particolari…………










-TO BE CONTINUED. 
 

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Capitolo 2
*** Capitolo 2. ***


Capitolo 2.
 
Il pavimento specchiato sotto le mie Vans nere lasciava intravedere fili, tubi, circuiti di mille colori attorcigliati tutti attorno al pilastro centrale del Tardis. Rimasi a fissarli, accucciata sulle ginocchia per avvicinare meglio il viso al pavimento, per svariati minuti con gli occhi che mi brillavano e con la paura di guardare il resto, la paura che nulla di ciò fosse vero. Ma i miei occhi erano affamati come la mia mente, le mie emozioni erano totalmente sovraffate dall’incredulità di ciò che stavo vivendo. Il dottore si schiari la voce, aspettando che dicessi qualcosa, io non ebbi il coraggio di guardarlo, per paura che tutto ciò svanisse, così sorrisi alzandomi e guardando in alto.
Attorno al pilastro centrale, in alto, fino al soffitto c’erano enormi cerchi color oro sporco, con scritte nere Gallyfreiane. Dio, cosa avrei dato per sapere cosa significassero. Poi d’un tratto, lampo di genio! Sapevo decifrarle, o così avevo studiato in delle fotocopie che avevo trovato su Internet. Presi alla svelta il telefono, notai il Dotttore guardarmi incuriosito.
Dottore: Io….-cercò di dire qualcosa, ma alzai un dito in segno di silenzio, e lo sentii sbuffare sorridendo. Iniziai a cercare di capire il primo cerchio cosa significasse… man mano che leggevo (secondo l’alfabeto delle fotocopie) usciva fuori la parola “First Doctor”.
Inglese, ovviamente. Perfetto. Io non so l’inglese. Oh su forza Tardis, so che First è primo, ma aiutami di più, non farmi faticare così tanto per capire cosa c’è scritto li in alto!” –sbuffai tra me e me mentre decifravo il secondo cerchio, il Dottore, nel frattempo, si era avvicinato a me. Era alla mia destra che guardava quello che digitavo velocemente e in modo sconnesso sugli appunti del cellulare. Sorrise quando finii di decifrare il secondo cerchio che diceva “Second Doctor”.
Dottore: P…-alzai il dito ancora, e lui sorrise di nuovo e si sedette a guardami, mentre continuavo a decifrare, ogni cerchio corrispondeva ad un dottore, e man mano, decifraro tutto in modo più veloce. Ogni cerchio era il numero di un dottore. All’11, mi bloccai. Era come se non riuscissi a mettere a fuoco gli altri cerchi.
Dottore: Non puoi leggere anche quelli, almeno non finché io sono qui. Quando l’ho restaurato, il Tardis ha deciso di farmi un piccolo scherzo, scrivendo nella nostra lingua tutti i dottori, il mio nome e qualcos’altro, ma ogni dottore può mettere a fuoco soltanto il suo numero, il nostro nome e i numeri delle rigenerazioni precedenti, dato che su tutto il resto c’è un potente filtro di percezione.Il resto è sfocato per noi, per te, invece, che non sei un signore del tempo, è possibile comprendere solo i numeri delle rigenerazioni, fino a quelle del dottore con cui ti trovi ora. Non so se quando io non ci sia tu possa leggere, nessuno si è mai messo a decifrarli.
Io:Oh…capisco…-sussurrai cercando di mettere comunque a fuoco il resto. Mi sforzai più volte, poi cedetti. Il Dottore mi guardava seduto dalla poltroncina parallela al cerchio dei comandi, che finalmente, dopo aver osservato le pareti di metallo con inserti irregolari di color oro sporco, guardai. Era stupendo. Mi avvicinai lentamente, e più mi avvicinavo, più pulsanti e manopole apparivano attorno a me. Iniziai a girare lentamente attorno al disco di comando, girai più volte, per non lasciarmi sfuggire nessun bottone o leva.
Amavo i dettagli, non per nulla ero in un liceo di Cinematografia e Fotografia. Io avevo scelto l’indirizzo fotografico, per questo amavo i dettagli, ogni piccolo particolare, pur apparentemente insignificante, che alla gente poteva sfuggire, a me colpiva. Volevo immortalare tutto, anche i dettagli più irrilevanti, per renderli eterni agli occhi delle persone che passavano di li, senza mai accorgersi di quella scritta, o di quel vaso, li fermo da anni. Ogni dettagli era importante, nulla era da trascurare per me.
Finii il quarto giro, quando il Tardis emise un rumore, quasi uno sbuffo.
Dottore: Su avanti, guardalo.- disse il Dottore ridendo. Mi feci coraggio e lo guardai. Guardai d’avanti a me, ma quando alzai la testa vidi lo schermo, lo scansai, come se sapessi già  muoverlo da tempo, mi venne spontaneo. Scansato lo schermo, d’avanti a me apparve in tutto il suo splendore il Tardis, quella colonna di cristallo trasparente al centro della piattaforma dei comandi, al suo interno scorreva una luce bianca, con dei riflessi blu e dorati.
Non so per quanto rimasi a fissarlo, so solo che d’un tratto quasi sospirai quattro semplici parole: Dio mio, è stupendo!
Il Tardis emise un suono, un fischio, il Dottore sorrise e si alzò di scatto sbattendo le mani e sistemandosi il cravattino.
Dottore: Allora, signorina dove la porto?- chiese lui sorridendomi e rimettendo lo schermo d’avanti a me. Lui era proprio dietro di me, sentivo il suo petto battere contro la mia schiena. Mi irrigidii imbarazzata. Era così alto confronto al mio metro e 65.
Poggiò le sue grandi mani sulle mie spalle.
Io:Oh Dottore, ovunque tu voglia! Stupiscimi te ne prego!- dissi girandomi verso di lui, sfoggiando il sorriso più bello che riuscii a fare in quel momento. Ancora incredula e eccitata per tutto ciò che mi stava accadendo.
Lui mi sorrise con tutti i suoi denti, agitò le mani, come avevo sempre visto fare dal “Dottore” in T.V. e si scansò, portandosi dietro lo schermo, scrivendo su di esso e pigiando svariati pulsanti, poi mi guardò, sapevo cosa stesse per dire e non vedevo l’ora di sentirmi dire quella frase:
Reggiti forte, si parte. G E R O N I M O !- disse lui guardandomi negli occhi, penetrandomi l’anima, urlando infine quel suo motto che tanto amavo.
 
 
 
 
 
**nel frattempo a Roma**
I telegiornali riportavano da giorni, ormai, la scomparsa o la possibile morte di una ragazza, con i capelli castani, alta 1,65, di 17 anni.
I suoi amici l’avevano persa di vista la notte di capodanno, quando tutti erano ubriachi e si erano divisi in gruppi, lei era andava verso qualcosa, o così avevano detto, ma nessuno si ricordava bene cosa fosse. I genitori di lei erano ospiti nei programmi televisivi dal 2 Gennaio 2014. Ma nessuno aveva tracce di questa ragazza. A scuola, al Rossellini, i suoi compagni con i professori la chiamavano la mattina durante l’appello, ma nessuno aveva ancora il coraggio di dire assente ad alta voce. Il suo migliore amico, aveva scritto un post in bacheca sul suo profilo Facebook:
“Hope, ovunque tu sia, giuro, ti troverò.
Mi manchi migliore amica mia.
Se stai leggendo questo, o se lo leggerai, sappi che quando tornerai, giuro che non litigheremo più. Ma ti prego, torna da me, da noi. Ci manchi. Non puoi andartene per sempre, sei il nostro piccolo raggio di sole, la nostra speranza, sei la ragazza impossibile che faceva stare tutti bene. Ti prego, torna da me.
Ti voglio bene.
Mi manchi disastro.”
 
E questo era solo il primo, di una serie infinta di post, sulla bacheca della ragazza.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
-To be continued.

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Capitolo 3
*** Capitolo 3.(Il caso irrisolto di Shelock) ***


Capitolo 3.
Il caso irrisolto di Sherlock.
 
**Reggio Calabria**
Più guardavo il cielo stellato, più pensavo a lei. Erano passati ormai 10 giorni da quando era sparita.
La mia migliore amica, la mia migliore amica era sparita senza neanche salutarmi, con quel suo maxi sorriso, che aveva sempre stampato su quel suo volto bellissimo.
Lei, proprio lei se n’era andata senza salutarmi. Guardavo WatsApp, “ultimo accesso il 01.01.14 h 02.56”. Ogni volta speravo di leggervi “online” e di ricevere un suo messaggio con su scritto: “scherzetto, ci sei cascato panda. I’m here. Non me ne andrei mai senza salutarti!”. Ma dentro me sapevo che non sarebbe mai arrivato nulla del genere. Che ormai l’avevo persa. Anche se una parte di me ancora sperava, sperava di vederla apparire così dal nulla. Sana e salva.
Qualcosa nel cielo lampeggiò più volte, con una luce accecante, che mi distolse dai miei pensieri. Continuava a lampeggiare, sbuffai, qualche stupido aereo. Quando mi girai, la luce smise, il vetro non la rifletteva come prima. Menomale, se n’era andato. Mi rigirai, la luce riprese. Mi voltai, smise, mi rigirai riprese. Feci così un paio di volte, poi, stranito dalla situazione visibilmente incomprensibile e surreale salii in terrazzo, presi il telescopio, iniziai a montarlo.
Possibile? Ok, avevo iniziato a farmi le canne da poco, per distrarmi dato che Lei mi mancava troppo, ma non mi avevano mai fatto quest’effetto. Forse prima avevo esagerato.
Finii di montare il telescopio, lo posizionai verso la luce ed iniziai a mettere a fuoco.
Urlai. Urlai quando misi a fuoco. Urlai, mentre gli occhi mi si appannarono. Mi levai dall’ottica, con le mani sulle labbra, era impossibile. Non poteva essere.
Era in cielo. Era nel fottutissimo cielo. Mi asciugai gli occhi, con le mani che mi tremavano, guardai, la vedevo, era li. Ma non capivo cosa aveva attorno. Era li che agitava il suo braccino e, più lei lo agitava più piangevo. Eccolo, ecco l’esaurimento nervoso. Ormai quando sfaciolavo   [(in dialetto significa essere fatti, viaggiare con la mente)] la vedevo persino. Mi strofinai gli occhi, ormai appannati dalle lacrime, guardai, non c’era più. Non era più lì. Spostai il telescopio più e più volte, a destra, a sinistra, sopra, sotto. Nulla. Era sparita.
Non sapevo se ciò che avevo visto era la sua anima che mi salutava e, andava in cielo, o se semplicemente era l’alterazione che mi avevano provocato le svariate canne di prima.
Ma quello fu un valido motivo per far si che smettessi, ma ogni sera, con il telescopio montato sul balcone guardavo il cielo a quell’ora, sperando di vederla di nuovo.
Ormai, avevo di nuovo una piccola speranza, sapevo o meglio, mi illudevo che lei era viva da qualche parte e me lo stava facendo sapere.
Forse ero impazzito, ma nulla mi avrebbe levato quella speranza. Lei non se ne sarebbe mai andata senza salutarmi. Mai.
 
 
 
 
 
 
 
 
**Sul Tardis**
D:Allora, ora che hai salutato il tuo amico, andiamo?
Io:Oh, si! Grazie Dottore! –dissi abbracciandolo, prima, quando stavamo per partire lo avevo fermato, non potevo andarmene senza salutare il mio migliore amico… ma ora, ora ero pronta per viaggiare con il mio Dottore.
Lui si limitò a sorridermi e a tirare una leva, volteggiando qua e la e spingendo altri mille pulsanti, abbassando e tirando leve, intorno al cerchio dei comandi.
Più lo guardavo, più mi lasciava senza parole e, più tutto mi sembrava un sogno. Lui era felicemente assorto nel suo esibizionismo. Quando d’un tratto udii finalmente, quel rumore che tanto amavo, stridermi nei timpani. Il Tardis stava atterrando ed io fremevo dall’impazienza di aprire la porta.
Il dottore mi guardò sorridendo, andò verso la porta e l’aprì, facendomi cenno di uscire. Non me lo feci ripetere due volte e corsi fuori.
Quasi non riuscii a vedere nulla per la nebbia che avevo sotto il naso, riuscivo solo a decifrare il numero civico della porta alla mia destra: 221B. Sorrisi, pensando al telefilm di Sherlock, sempre della BBC. Chissà se anche Sherlock era reale. Decisi poi, di chiederlo al Dottore, una volta capito dove fossi.
Andai leggermente avanti sul marciapiede, quando qualcuno che usciva di corsa dal 221B mi intruppò, facendomi cadere a terra.
Era un uomo alto, magro, indossava dei vestiti che non erano della mia epoca, sembravano dell’800 o giù di li. Aveva una lunga giacca nera, scarpe di pelle e una sciarpa sul blu/viola attorno al collo. In testa un cappello, un cappello alla Sherlock Holmes, che vendevano ormai ovunque nel 2014. Sorrisi guardandolo, mentre un altro uomo affianco a lui, molto più basso del precedente, mi tese la mano chiedendomi scusa. Quest’uomo, giurai che fosse Martin Freeman, solo vestito come un signorotto dell’800, con un bel paio di baffi, ingialliti poco sopra le labbra e con un bastone nero laccato, dal manico di finto oro.
Io:Oh no, signore, non si preoccupi, ero io che avevo la testa fra le nuvole, non trovavo la via.
X:Siamo al 221B di Baker Street MyLady. –rispose lui con aria gentile, lanciando uno sguardo fulminante all’amico che cercava invano di fermare una carrozza, fin quando non si girò e mi guardò, sgranando gli occhi, come me.
“Gesù!” , urlai nella mia testa, e sta volta riuscii a farlo restare li. Era Benedict! Era Benedict Cumberbatch            !
Io:Si…si…di…in…è Londra questa? –chiesi all’uomo che somigliava a Martin, dato che l’altro si era di nuovo girato, ma senza sbraitarsi, aveva chiuso gli occhi e appoggiato entrambi gli indici e i medi uniti sulle tempie, premendo.
X:Si signorina, non si sente bene? Forse ha battuto troppo la testa? Sono un medico, mi faccia vedere! –disse quell’uomo avvinandosi a me, ma il Dottore mi balzò alle spalle.
D:Oh, sì, il dottor Watson!-esclamò lui –prego, controlli pure la mia amica! Non vorrei si fosse già scalfita al primo viaggio! –aggiunse sorridendo e poggiandomi le mani sulle spalle.
Io:Waa…..wa….watson?-balbettai guardandolo a bocca aperta.
X:Si, molto piacere MyLady, io sono il Dottor John Watson, e quel maleducato lì è il mio amico Sherlock Holmes. Ma ora venga, prima vedo se sta bene, poi vorrei sapere per cortesia, se mi è concesso perché tutto questo stupore nel sapere il mio nome!-rispose lui, gentilmente, prendendo la mia testa tre le sue grandi mani, poggiando il bastone alla scalinata della casa,  mi controllò, e poi sorrise, mentre io non smisi di fissare Sherlock, incredula, che non s’era mosso di un cm.
John:No, nulla di rotto. Ma ora, se mi posso permettere, come mai tanto stupore nel sentire il mio nome? E come mai non riesce a staccare gli occhi di dosso dal mio amico? –chiese lui, incuriosito. Sherlock aprì gli occhi e mi guardò, poi guardò il Dottore di sottecchi.
Sherlock: Già, cortesemente, potrebbe rispondere? Cara piccola spia Italiana? Vi siete proprio fatti furbi voi Italiani eh, ma nulla sfugge al mio occhio miei cari! –intervenne Sherlock, pieno di se.
Io guardai il Dottore, che ormai era già scoppiato a ridere, come me.
Sherlock: Cos’è che vi diverte molto? Ho forse sbagliato qualcosa? Ne dubito. I vestiti della nostra cara MyLady sembrano provenire proprio dall’Italia, come il suo accento. E quindi, se lei è Italiana anche voi, Messere, lo siete. –aggiunse ancora più fiero di se, mentre Watson lo guardava ammaliato.
Io: Oh Dottore, ti prego, posso rispondere io? –chiesi al Dottore cercando di fare gli occhi dolci, mentre tiravo in giù il labbro inferiore. Il Dottore sorrise e, mi fece cenno con la mano di rispondere al nostro caro Sherlock.
Lui mi guardò, pronto a ribattere e ad avere ragione, sorrisi, quasi con un ghigno soddisfatto di me stessa, mentre iniziai a girare attorno al signor Holems, che mi guardava di sottecchi tentando di capire cosa stessi per fare, quando mi fermai proprio d’avanti a lui.
Io: Elementare signor Holems, lei guarda ma non osserva…-iniziai, piena di me, avevo sempre sognato di dire una frase del genere a Sherlock Holems, e finalmente il mio momento era arrivato! Stavo per correggere il famigerato e infallibile Sherlock Holmes…..
 
 
 
-TO BE CONTINUED.

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