Liberaci dal Male di Dicembre (/viewuser.php?uid=2724)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo + 01. La locanda della Volpe Reale ***
Capitolo 2: *** 02. Al castello Thurlow ***
Capitolo 3: *** 03. Appesa ad un filo ***
Capitolo 4: *** 04. L'alito di Dio ***
Capitolo 5: *** 05. Solitudine ***
Capitolo 6: *** 06. Mi dai sicurezza ***
Capitolo 7: *** 07. Tornare a casa ***
Capitolo 8: *** 08. Restare ***
Capitolo 9: *** 09. Ricordo lontano ***
Capitolo 10: *** 10. Il Prima e il Dopo ***
Capitolo 11: *** 11. Casa ***
Capitolo 12: *** 12. Dipendenza (parte prima) ***
Capitolo 13: *** 13. Dipendenza (parte seconda) ***
Capitolo 14: *** Interludio Primo + 14. I potenti ***
Capitolo 15: *** 15. Un segreto raccolto dal mare ***
Capitolo 16: *** 16. Non mi lascerai mai andare ***
Capitolo 17: *** 17. Pioggia ***
Capitolo 18: *** 18. William ***
Capitolo 19: *** 19. In un nome ***
Capitolo 20: *** 20. Di noi ***
Capitolo 21: *** 21. Mio ***
Capitolo 22: *** 22. Fotografia ***
Capitolo 23: *** 23. Familiarità ***
Capitolo 24: *** 24. Il libero arbitrio ***
Capitolo 25: *** 25. Nostalgia ***
Capitolo 26: *** Interludio + 26. Giles Arnett ***
Capitolo 27: *** 27. Realtà? ***
Capitolo 28: *** La cena ***
Capitolo 29: *** Un ricordo sbiadito ***
Capitolo 30: *** Interludio quinto + 30. Ritorno ***
Capitolo 31: *** 31. Lezioni di cavallo ***
Capitolo 32: *** 32. Vino ***
Capitolo 33: *** 33. Guarda me ***
Capitolo 34: *** 34. Chiaro ***
Capitolo 35: *** 35. Il casato dei Lannart (parte prima) ***
Capitolo 36: *** 36. Il casato dei Lannart (parte seconda) ***
Capitolo 37: *** Interludio quarto + 37. Spezzata ***
Capitolo 38: *** 38. Chiudere gli occhi ***
Capitolo 39: *** 39. Un libro ***
Capitolo 40: *** 40. Maria ***
Capitolo 41: *** 41. Il sole ***
Capitolo 42: *** 42. Lucifero ***
Capitolo 43: *** Interludio quinto + 43. Il tempo ***
Capitolo 44: *** 44. Il patto ***
Capitolo 45: *** 45. Rimetti a noi i nostri debiti ***
Capitolo 46: *** Amen ***
Capitolo 1 *** Prologo + 01. La locanda della Volpe Reale ***
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Prologo
Anno del Signore 1348
La luce che filtrava dalla finestra feriva i tuoi occhi, troppo intensa per la
tua malattia, troppo accecante per vedere la realtà: non sarebbe tornato e lo
sapevi.
Lo sapevi sin dalla notte di un mese fa quando, dopo aver messo da parte
educazione, morale e religione, avevate consumato il vostro peccato, lasciando
che l’alba pulisse le vostre anime. Te l’aveva detto e non gli avevi creduto.
Chissà perché…
Forse non gli avevi creduto perché avevi voluto leggere, nelle sue parole,
qualcosa che non c’era, forse e più probabilmente, perché speravi che mentisse.
Ma lui non ha mai mentito, è stato sciocco pensare iniziasse a farlo quella
notte.
E’ buffo perché ora che ti manca come e più di prima, ricordi quella notte e la
maledici; disconosci tutto, quello che è stato e ciò che eri, piangendo e
rinnegandolo, perché t’ha ingannato.
Ha tessuto la sua tela, ha imparato a prendersi gioco di ciò che eri e poi se
n’è andato. Dannato essere d’infima estrazione, bellissimo, come ti hanno detto
essere il diavolo.
C’è una voce, da qualche parte in te, che continua a ripeterti che ciò che avete
condiviso deve, per forza di cose, avere una qualche valenza, non solo per te,
ma anche per lui.
Ma non credi più alle favole. Se da piccolo eri un sognatore, hai imparato
presto che niente è come ti raccontava la buona e vecchia Dalia. Niente è come
vorresti, e lui neanche oggi, verrà.
Ormai sai che non ce la fai più, i medici bisbigliano, hai visto i volti terrei
della servitù, ma tu già sapevi che per il tuo male non c’era cura perché il tuo
corpo è troppo debole, e perché il tuo cuore ti ha già lasciato.
Ti chiedi se sia sbagliato amare così tanto un uomo che non si ricorda il tuo
nome e che non viene al tuo capezzale ad esaudire il tuo ultimo e sciocco
desiderio: vederlo. Vedere le linee del suo viso, armoniche e così perfette da
sembrare dipinte, i suoi occhi neri che così tante volte hai incontrato e
rifiutato. Ma non perché non lo volessi, no. Perché pensavi che tutto quello che
eri e sapevi, avesse un senso, che peccare di fronte a dio e agli uomini, fosse
qualcosa che tu non potessi fare.
Non tu, sempre cosparso di luce e inondato di gloria…
Sorridi, se solo gli altri sapessero quello che tu sai, del tuo dolore e della
tua redenzione fra le sue braccia. Perché lui ti ha curato, ti ha perdonato e
t’ha fatto rinascere. E ora ti lascia morire, solo, senza metafore, senza addii,
ma nel più asettico dei modi: nel tuo letto, fra lenzuola gelate che ti affanni
ad annusare nella speranza che ci sia ancora qualcosa di lui.
Perché non è lì con te?
Sono passati diversi giorni da quando hai inviato Cleto, il vostro falco. Non è
possibile che il vostro compagno vi abbia tradito e non abbia consegnato il
messaggio, non è credibile che abbia smarrito la strada. Il falco è testardo
come il padrone - a questo pensiero non puoi che sorridere - avrebbe cercato il
suo signore ovunque, l’avrebbe trovato e avrebbe fatto il suo dovere: gli
avrebbe comunicato di tornare.
C’è quindi un’unica spiegazione alla sua assenza: deliberatamente ha deciso di
ignorarti, come già aveva detto. Deliberatamente, s’è scrollato di dosso quella
notte, le sue parole, e ti ha lasciato solo nel tuo letto di morte.
Maria ti era apparsa, in questa stessa stanza, bella come ti è impossibile
descrivere, di una dolcezza che ti ha commosso, e ti aveva parlato. Ti ha tenuto
le mani nelle sue e ti ha accudito, nelle notti d’inverno, anche se solamente
una volta s’è mostrata a te.
Maria … che t’ha permesso d’amarlo più del suo Signore, più di te stesso e che
ha capito che nulla tu toglievi a lei, a te o a Dio, perché ciò che avevi,
volevi solo donarlo: questo è ciò che ti aveva insegnato il Padre, e così
facevi.
Maria che forse avrà sentito i suoi baci, le tue promesse e che ora si sta
apprestando a portarti nella sua dimora, lasciando qui chi non ti vuole e non
arriva, chi ti ha avuto e t’ha lasciato.
Si appresta la sera, la luce che filtra dalle finestre è più tenue, ma ti
ferisce gli occhi comunque, che stillano lacrime. Sarà per la malattia, pensi
tu.
Ancora poche ore, e te ne andrai, ancora poche ore, ma sai che ormai lui non
verrà. Lo vuoi vedere, lo vuoi maledire e ridirgli che non amerai mai niente e
nessun altro come ami lui. Lo vuoi uccidere con le tue mani e pregarlo di
abbracciarti. Lo vuoi anche solo accarezzare, con questi tuoi sensi che ti
stanno abbandonando, ottusi dalla peste.
Lo vuoi con te, a proteggerti, dalla morte che ti fa paura e dalla solitudine
alla quale non scapperai, né qui, né in Cielo, ma che, se lui non c’è, è la tua
sola compagna.
Non sarà Cleto a riportartelo, non sarà il tuo pianto a commuoverlo, perché ti
ha dimenticato e nell’ora della tua morte, lui è volontariamente lontano da te.
Non ti piangerà, non sentirà la nostalgia che ti ha invaso il cuore, insieme
alla consapevolezza di non essere niente.
E di morire solo.
*
Capitolo Uno
- La Locanda della
Volpe Reale -
Anno del Signore 1347
L’acqua che scendeva dai cieli era intrisa di un intenso odore salmastro,
nonostante quelle terre fossero piuttosto lontane dal mare. Nella vallata verde,
che quasi sembrava essere una bacinella fra i pendii della Cornovaglia, un
gruppo di uomini a cavallo avanzava faticosamente, coprendosi come potevano con
i loro mantelli. Gli zoccoli faticavano ad alzarsi dal terreno dopo ogni passo.
Il peso del cavallo e del suo cavaliere li faceva affondare nel terreno reso
fangoso dall’acqua e ormai anche le bestie, per quanto devote, iniziavano a
mostrare segni d’impazienza.
“Dobbiamo trovare riparo, manca poco al calar del sole” disse uno degli uomini
in fondo al gruppo.
“Sei fortunato a vederlo il sole da queste parti Cencio” ne seguì una breve
risata, ma i cavalli non si fermarono.
Allora dopo poco l’uomo che era stato chiamato Cencio riprese “Sole o non sole,
giuro che alla prima baracca che vedo mi fermo e ci passo la notte, magari con
una birra ed una bella donna”
Fu di nuovo l’uomo che prima aveva risposto a parlare “Certo, Cencio, e magari
vicino ad una fontanella dove zampilla vino e dove l’oste ti copre d’oro al solo
sentire il tuo nome”
”Del resto siamo famosi eroi…” La frase suscitò qualche risata nel gruppo
”Hai propria l’aria in testa, Cencio! Non siamo eroi, e di certo non siamo
famosi”
“Parla per te, Luppo” disse Cencio stringendosi nelle spalle. Stava per
continuare quando fu interrotto dall’uomo ammantato di nero che guidava il
gruppo, anche lui col viso coperto dall’ombra del cappuccio. “Oltre quella
collina” indicò con un brevissimo cenno della mano “c’è una locanda, ci
passeremo la notte”
“Visto Cencio, sei stato accontentato, non dici niente?”
Cencio diede un comando al proprio cavallo che allungò il passo, raggiungendo il
fianco del suo interlocutore “Riflettevo, Luppo” disse una volta arrivato vicino
all’amico “certo che gli Inglesi hanno un bel coraggio a chiamare quel rilievo
una collina, sembra la cunetta che separava casa mia da quella di mia nonna”
Luppolo scoppiò in una grossa risata, ma poi finse riserbo “Non ti fare sentire
Cencio, potresti offendere l’orgoglio di un’intera nazione e sai che il capo è
molto sensibile sull’argomento”
”Sarà anche molto sensibile, però quella cosa lì non è di certo una collina…”
“Sai come sono quest’isolani” scrollò le spalle Luppolo “tutti strani” aggiunse
picchiettandosi la testa con un dito.
Nei pressi della locanda, il gruppo accelerò il passo, desideroso di trovare
finalmente riparo. La casa dove arrivarono era molto grande, dalle finestre
usciva un leggero fumo di condensa e si potevano udire, sin da fuori, le voci
dei suoi occupanti.
Cencio scese di fretta del cavallo ed entrò. Il locale era pieno di gente,
forestieri probabilmente, che come i cavalieri, cercavano riparo dalla pioggia
scrosciante. Un buonissimo odore di stufato aleggiava per tutta la sala, Cencio
non poteva chiedere di meglio.
Un ometto paffuto gli si avvicinò:
“Benvenuto, signore, alla locanda della Volpe Reale, posso esservi d’aiuto?”
“Avremmo bisogno di un buon pasto e di riparo per la notte. Io e i miei compagni
siamo stremati dal lungo viaggio e dal tempo. Avremmo anche bisogno di un po’ di
biada per i nostri animali”
”Certo certo” rispose solerte l’oste “vi mando subito il mio ragazzo a prendersi
cura dei cavalli...”. E così dicendo fece un cenno della mano ad un ragazzetto
rosso tutt’ossa che, rapido, si alzò dal posto in cui sedeva e s’avvicinò a
Cencio. “Signore” disse inchinandosi “perdonate se forse vi sembro insolente, ma
è un arco lungo quello che portate in spalla?”
Cencio che aveva dimenticato da tempo di portare legato alla schiena il suo arco
lungo, fu sorpreso della domanda “oh sì “rispose dopo un attimo “è la mia
seconda pelle e quasi dimenticavo di averla addosso!”
“Ma allora dovete essere di ritorno da Crécy!” a queste parole molti nella
locanda si girarono a guardare il nuovo arrivato. Alcuni annuirono, altri
bisbigliarono parole d’ammirazione.
“Siamo stati a Crécy, sì, ma ti potrò raccontare tutto quando mi sarò scaldato,
e con me i miei compagni. Forza, occupati dei loro cavalli e poi, se ti fa
piacere, vieni a sederti alla nostra tavola”
Il ragazzo non se lo fece ripetere due volte. Da quelle parti era così raro che
succedesse qualcosa che non poteva credere di avere incontrato guerrieri di
ritorno da Crécy.
“Ehi, Cencio” Luppolo richiamò l’attenzione del compagno “invitare il marmocchio
al nostro tavolo non farà molto piacere agli altri”
”Oh beh, è giusto distrarsi un po’, gli altri dovrebbero imparare a vivere più
sereni”
“Sereni…A me pare che vivano piuttosto sereni. Sei tu che sei esagitato! Ma ora
andiamo a sederci, così lo stufato ti chiuderà quella bocca prima che dica cose
troppo insensate”
“Tanto con lo stufato arriva la birra, ci penserà lei ad incoraggiare la
parlantina del nostro giovane, non che questo sia necessario, sia chiaro.”. La
persona che aveva parlato era appena entrata nella sala.
Dopo essersi tolto il cappuccio inzuppato, guardò tutt’intorno a sé con occhi
vigili. Guardia era noto per non abbassare mai l’attenzione e da qui il
soprannome. Ogni luogo che visitava, ogni posto in cui si trovava, veniva
studiato, controllato e memorizzato da quegl’occhi azzurri e piccoli ai quali
pareva non sfuggire mai un particolare. La sua attenzione per il pericolo lo
avevano reso un membro insostituibile del gruppo che contava su questo in molte
situazioni. Del resto l’istinto gli aveva più volte dato ragione e questa sua
abitudine – o forse chiamarla attitudine le renderebbe più giustizia – ormai gli
era diventata naturale.
Dopo essersi guardato tutt’intorno, Guardia andò a sedersi al tavolo “Se Guardia
ci dà l’ok, allora mi siedo anch’io”
”Rimarrai secco prima o poi, se t’affidi ai sensi di un altro per scovare il
pericolo” ma ormai Guardia era così abituato al suo ruolo che trovava piacevole
la fiducia che gli altri avevano di lui.
Dopo che Guardia, Luppolo e Cencio si erano seduti al loro tavolo, entrarono
nella locanda altri tre cavalieri che raggiunsero i compagni liberandosi dei
mantelli zuppi.
“E il Nero dov’è?” chiese Cencio
“Dai cavalli ancora, vuole assicurarsi che stiano bene. Dopo il viaggio e
carichi com’erano, non mi stupirei se fossero sfiancati.”.
“Si vede che Nero è il capo” sorrise Cencio “io sono corso al riparo dal freddo,
lui si preoccupa anche dei suoi animali”
“Tu sei un marmocchio, Cencio, questa è la differenza, e lui è un grand’uomo”
all’affermazione di Luppolo, gli altri annuirono.
“A chi vi state riferendo?” ad aver parlato era il ragazzetto che aveva mostrato
la stalla ai cavalieri “A quello che parlava coi cavalli?”
“Parla di più ai cavalli che agli uomini, questo è certo, di sicuro non dice mai
una parola di troppo” Disse Luppolo, enfatizzando le sue parole con un gesto “
Ma ogni cosa che dice ha sempre senso, è come se lui capisse subito la
situazione e sapesse come muoversi… Non so come faccia, sembra sempre un passo
avanti a tutti”
“Questo lo dici perché hai le gambe corte” ironizzò Cencio causando delle grasse
risate da parte dei compagni.
“Ma se sono più alto di te di una spanna!” disse Luppolo che anche lui, a
malapena, riusciva a trattenere le risa “Te la taglierò quella lingua, prima o
poi, lo sai…”
“Comunque ragazzo” disse un altro dei cavalieri seduti al tavolo “quello che ha
detto Luppo è vero, se da grande vorrai andare in guerra o unirti a dei
mercenari, trova un capo come il Nero, che non fa mia scelte azzardate, che non
rischia mai la vita dei suoi uomini più della sua. E che ti rispetti…” le parole
di Forgia furono interrotte dall’oste che portò al tavolo le birre.
“Ecco a voi. Lo stufato arriverà tra poco…e tu, Jake, non dar troppo fastidio”
il ragazzo annuì ma rimase fermo sulla sua sedia, desideroso di ascoltare le
storie che quegli uomini avevano da raccontare.
Nero finalmente entrò nella locanda. Si scostò il cappuccio dal viso e ne
apparve un uomo sulla trentina, con occhi neri incredibilmente profondi. Jake lo
guardò a lungo, con la bocca leggermente aperta, lui era l’uomo di cui gli altri
avevano parlato con così tanto trasporto. Questi si avvicinò al tavolo senza
dire niente, sorridendo con dei perfetti denti bianchi.
“Voi dovete essere il Nero” disse Jake mettendosi sull’attenti ed inchinandosi.
“Così pare che gli altri mi chiamino, sì” disse lui, sedendosi alla tavola.
“Dovete di certo avere un nome proprio. Sono troppo impertinente nel
chiedervelo?”
“Tutti abbiamo dei nomi propri, Jake. Noi però abbiamo lasciato il nostro molto
tempo fa. Nessuno ormai lo usa più” gli spiegò Cencio. Jake fu tentato di
chiederne il motivo, ma i suoi occhi non riuscivano a staccarsi dal volto di
quell’uomo, per cui tacque. Oltre alla sua bellezza, quello che rapì Jake fu il
carisma di un uomo che aveva solo mosso due passi all’interno di una locanda
fumosa, ma che sembrava circondato da un’aura di sicurezza e forza.
Il Nero, però, non badò al ragazzino scrutatore, la sua attenzione era stata
catturata da altro.
“Forgia, ti senti bene? Hai una pessima cera”
Forgia annuì e non rispose subito, trasse un grosso respiro prima “Sì, dev’essere
stata la pioggia a stancarmi più del dovuto. Una notte di sonno al coperto e la
pancia piena di sicuro mi rimetteranno in piedi”
“E la ferita sulla spalla come va?”
Forgia fece un gesto vago con la mano, come per scacciare i dubbi “Guarisce,
meglio di ieri comunque”
Nero fece cadere la questione, nonostante i cerchi sotto gli occhi di Forgia e
le labbra incredibilmente pallide lo preoccupassero.
“Eccovi signori, lo speciale stufato della casa” disse l’oste portando in tavola
le ciotole e il pane.
Lo stufato si rivelò essere davvero delizioso, le cipolle all’interno erano
croccanti e la carne ricca. Il pane raffermo, poi, inzuppato nel brodo, fu
apprezzato particolarmente da Cencio che se ne fece portare una doppia razione.
Solo Forgia non mangiò molto
“Non hai appetito? Posso mangiarmi anche il tuo?” Chiese Cencio che senza
aspettare risposta si sporse a prendere la ciotola del proprio compagno.
“Hai proprio l’aria nella testa” lo rimproverò Luppolo “mangia il tuo e lascia
che gli altri mangino come vogliono. Anche se Forgia non ingurgita le pietanze
come fai tu, non vuol dire che abbia meno fame di te”
Ripreso come un bambino, Cencio si strinse nelle le spalle e lasciò la ciotola
all’amico
“Certo che dovrai smetterla di trattarmi come un bambino”
”La smetterò quando finirai di esserlo, Cencio.”.
Ma Forgia, nonostante le parole di Luppolo, non toccò più un boccone, Era
diventato rosso in viso e sudava.
“Tu non stai bene”
“No, è che mi sento soffocare qua dentro” disse alzandosi “Esco e prendo un po’
d’aria”, ma appena in piedi, l’uomo cadde a terra, pesantemente. Aveva il
respiro affannoso e la pelle ustionante.
“Ha la febbre altissima” disse Guardia toccandolo. Nero slacciò la casacca del
compagno e gli scoprì la spalla.
“Gangrena!”. La ferita che Forgia aveva sulla spalla era nera e gonfia, tutt’intorno
al taglio che non s’era rimarginato, c’era un pus verdastro misto a sangue.
“C’è un medico qui?” Chiese Nero all’oste che era accorso a vedere cosa fosse
successo.
“No mi spiace, è un gruppo di poche case su di un crocevia, nessun medico nei
paraggi”
“Maledizione, perché non ci ha avvertiti?” chiese Cencio
“Datemi un po’ d’acqua fresca” bisbigliò il malato a terra.
Jake corse a prenderla “Eccovela signore” disse porgendola a Nero che la diede
da bere al compagno, mentre cercava una soluzione che sapeva non esserci.
“La malattia è già entrata nel sangue” disse l’oste “non c’è niente da fare”
A queste parole gli occhi di Nero diventarono, se possibile ancora più scuri e
l’oste fece un passo indietro, intimorito.
“Mio marito ha ragione” comparve da dietro una donna grassa, probabilmente sulla
cinquantina “ne conosco di ferite così, e non si guarisce. Ma se volete avere
una speranza, potete andare al castello dei Thurlow”
Nero guardò la donna impaziente che continuasse “E’ a circa tre ore, forse due se il
cavallo è al galoppo, da qui. Ci vivono il vecchio Lord e suo figlio, Aaron
Thurlow. Si dice che lui abbia doti mediche fuori dl comune”
“Ragazzo, sellami il cavallo e procurami delle corde”
Jake rimase interdetto “corde?” ma lo sguardo del Nero non gli permise di fare
ulteriori domande e si dileguò a fare il suo dovere.
Gli altri invece, non ebbero bisogno di fare alcuna domanda. Se questo castello
distava 2 ore di galoppo, il cavallo del Nero per quanto possente, si sarebbe
sfinito a portare due uomini sul dorso. Dopo gli ultimi giorni in cui il riposo
era stato poco e la marcia lunga e dopo che era neanche da un’ora che stava
riposando i muscoli, avrebbe rischiato di non portare il suo cavaliere a
destinazione. Legando invece Forgia al suo cavallo, si sarebbe anche velocizzato
il passo. Jake tornò subito con le corde, mentre Nero e Luppolo alzavano Forgia
da terra.
“Grazie per la vostra ospitalità e per l’informazione". Disse Nero prima di
uscire, lasciando due monete d’oro sul bancone.
L’oste non poteva credere ai propri occhi e inchinandosi più del dovuto,
ricambiò i ringraziamenti.
“Andate tutti?” Chiese Jake stupito, quando vide che tutti stavano slegando i
propri cavalli “ma non è necessario…”
”Non si lascia mai un compagno solo, ragazzo” gli insegnò Guardia “specialmente
un fratello” e così dicendo passò la mano sull’elsa della sua spada “si è uniti
nel pericolo della guerra, ma la notte può riservare uguali e spiacevoli eventi”
Jake allargò gli occhi e annuì serio in volto.
“Indicatemi la strada!"
A rispondere fu la donna che aveva indicato il castello dei Thurlow come unica
soluzione, che era uscita dalla locanda con una torcia in mano.
“E’ una torcia moresca, non si spegnerà con l’acqua. La tenga il primo del
gruppo, eviterà agli altri di perdersi. Oggi è notte di luna nuova.” Nero prese
le torcia in mano e fece un cenno di ringraziamento “Andate dritto per di qua”
continuò la donna indicando la strada che costeggiava un fianco della locanda
“Seguite la strada e non l’abbandonate. Attraversate il bosco ai margini della
valle. Ai limiti dei bosco girate verso Nord. Il castello vi comparirà molto
prima che lo raggiungiate perché è su di un’altura e da uno dei torrioni brilla
sempre un fuoco. Sarete in grado di vederlo anche di notte”
“Che Dio vi benedica signora, a buon rendere” e così dicendo, Nero incitò il
proprio cavallo e quello di Forgia a partire, e gli altri fecero lo stesso. Non
aveva ancora smesso di piovere, e in quella notte senza luna, le gocce di
pioggia sembravano più taglienti sul il volto dei cavalieri. Il lumicino portato
dal Nero scomparve presto, in lontananza, e la moglie dell’oste rientrò nella
sua locanda, chiedendosi se quel cavaliere ce l’avrebbe fatta.
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Capitolo 2 *** 02. Al castello Thurlow ***
Nuova pagina 1
Ciao a tutti ^_^ Due parole
veloci. Innanzitutto ringrazio tutti quelli che hanno iniziato a leggere
Liberaci dal Male, è una storia a cui sono parecchio affezionata e a cui tengo.
Non recentissima, perciò lievemente diversa da come la scriverei adesso. Ma le
voglio così bene che fatico a rimetterci mano. Il bimbo è nato così, del resto
XD E' una storia che aggiornerò spesso, per la complessità della trama. Perciò,
chi ha paura di leggere un racconto che verrà interrotto per un periodo lungo,
non temete. Non accadrà ^_^ Vi mando un bacio e lascio le ciance ai capitoli
successivi. Un'ultima cosa, le risposte alle singole recensioni le lascio in
fondo alla pagina ^_^/
Capitolo Due
- Al Castello Thurlow -
I cavalieri sarebbero stati immersi nelle tenebre più scure, se non fosse stato
per la torcia moresca che la moglie dell’oste aveva dato a Nero: le nuvole
coprivano il cielo e solo il rumore battente della pioggia li aveva accompagnati
durante la loro cavalcata.
La preoccupazione per la strada si aggiungeva a quella nei riguardi di Forgia.
L’uomo non aveva più dato segni di lucidità dalla locanda e solo qualche gemito
sosteneva la speranza che ancora respirasse.
Il Nero conosceva poco quella parte d’Inghilterra, lontana dal luogo in cui era
nato. Sentiva i suoi compagni dietro di lui e cercava in quella notte tetra il
torrione illuminato che forse avrebbe dato speranza al suo compagno.
Cavalcavano ormai da diverso tempo, i cavalli iniziavano a mostrare profondi
segni di stanchezza, il freddo e gli indumenti inzuppati sembravano non dare
pace a nessuno
“Una luce!” gridò Cencio con foga.
Il Nero l’aveva già scorta e chiese un ultimo sforzo alla sua bestia. La moglie
dell’oste aveva detto bene, dal torrione del castello brillava un fuoco alto,
visibile anche da lontano. Nonostante sapessero che il vedere la luce non
significava l’esserne in prossimità, avere finalmente una direzione sicura diede
fiducia e forza ai cavalieri.
Ci volle un’altra ora per raggiungere il castello che, anche quando vicino,
rimaneva coperto dalla notte. Tuttavia, fu subito chiaro che non c’erano mura
intorno, e il ponte levatoio dell’entrata era già stato abbassato.
Nero si chiese come mai, trovò estremamente insolito quest’assenza di
protezione, in una notte come quella. Sembrava quasi che i padroni del castello
li stessero aspettando.
E difatti appena entrati, venne di corsa verso di loro un giovane
“Lasciate pure a me i cavalli” disse prendendo in mano le redini di Forgia “Il
signore vi sta aspettando”. Dietro di lui comparvero altri due uomini che
s’avvicinarono ai cavalieri.
“Come aspettando?” Chiese Guardia il cui senso di pericolo aveva percepito ci
fosse qualcosa di troppo insolito in quel castello “C’è qualcosa che non va…”
disse fra i denti, il che mise in allarme anche i rimanenti cavalieri che non
scesero da cavallo
Il ragazzo che era venuto loro incontro li guardò interdetto e con una leggera
impazienza, ansioso com’era di mettersi al riparo dalla pioggia cercò di
persuaderli a permettergli di prendersi cura dei cavalli.
“Il vostro amico non ha altra possibilità di salvezza se non quella di essere
curato dal mio padrone” Aveva ragione, pensò Nero. Per quanto strano, questo
castello, era l’unica speranza per il male di Forgia
“Come sai della malattia del nostro compagno?”
Il ragazzo sorrise “Me l’ha detto il padrone”disse con un tono pieno
d’ammirazione “Su, non siate così diffidenti che non c’è tempo da perdere!” Li
incoraggiò, ancora una volta, tirando verso di sé il cavallo di Forgia e
iniziando a disfare i nodi che lo tenevano legato alla sua groppa “Ma di che mi
stupisco?” si chiese il ragazzo parlando fra sé e sé ma in tono sufficientemente
alto perché anche gli altri sentissero “Anche questo m’aveva detto il padrone”
aggiunse alzando le sopracciglia con l’aria di chi sta dicendo la cosa più ovvia
di questo mondo
Ancora confuso dagli eventi, Nero decise di scendere da cavallo e prese lui
stesso a sciogliere le corde di Forgia . Nonostante il raziocino s’opponesse
all’idea che qualcuno potesse prevedere con tale precisione gli avvenimenti, il
suo istinto gli diceva che, seppur strano, quell’ambiente non era ostile.
Vedendo il proprio capo scendere da cavallo, gli altri fecero lo stesso. Guardia
si guardò tutt’intorno: per quanto buio, le torce facevano intravedere mura
imponenti. Quando il ragazzo gli si avvicinò per prendere il suo cavallo, però,
focalizzò nuovamente l’attenzione sul ragazzo e gli bloccò il braccio con una
presa tale che il giovane si fece scappare un grido di dolore
“Levante, Chiaro, andate col lui alla stalla e assicuratevi che i cavalli di
tutti siano trattati con riguardo”, Nero fece agli altri un cenno di seguirlo,
mentre si caricava sulle spalle Forgia, ormai completamente incosciente
“Com’è possibile, capo, che sapessero che saremmo arrivati?” chiese Guardia “
nessun messaggero ci avrebbe potuto precedere, peraltro non penso che l’oste ne
abbia inviato uno”
“Nessun messaggero via terra, è vero” disse una voce proveniente dalla loro
sinistra “ma un falco di certo sì” I quattro si voltarono verso la voce che
aveva parlato: che cosa poteva intendere con le sue parole?
”E questo” continuò l’uomo indicando uno stupendo rapace appollaiato sul suo
braccio “ penso v’appartenga”
“Cleto!” disse Nero che iniziava a capire. Il falco dal braccio del primo volò
sulla spalla del secondo che però non fece in tempo a chiedere ulteriori
informazioni.
“A dopo i convenevoli, se le condizioni del vostro amico sono così gravi come il
vostro falco m’ha detto, non possiamo perdere tempo”
Increduli, i cavalieri seguirono quell’uomo all’interno del castello. Sotto una
luce migliore, Nero scrutò colui che affermava di saper parlare coi falchi.
Camminava appoggiato ad un bastone ma, nonostante fosse zoppo, la sua andatura
era altera; usava il suo appoggio con estrema abilità, di sicuro quindi, doveva
usarlo da molto tempo. Le dita appoggiate sul bastone, venivano spesso coperte
dai lunghi capelli biondi, lasciati completamente sciolti, che sembravano
addirittura più lucidi della veste che portava addosso. Vesti di fattura
estremamente pregiata, ma di certo non una veste da giorno.
Svegliato in piena notte da un falco a lui sconosciuto, e nonostante fossero
forestieri a chiedere aiuto, premurarsi di venire di persona ad accogliere un
malato, pensò Nero che provò per l’uomo di fronte a lui un istintivo rispetto.
L’ospite li fece entrare in una stanza ampia, con un letto nel centro
“Accomodatelo pure lì” disse indicandolo.
Forgia emise un gemito quando venne appoggiato sul letto. Aveva le guance
paonazze e il respiro affannoso, i capelli che, bagnati, gli incorniciavano il
volto erano incollati alla pelle e gli davano un’aria ancor più sofferente.
L’uomo glieli scostò con delicatezza, quando tre servitrici comparvero sulla
porta, inchinandosi
“Ci avete mandato a chiamare, signore?”
“Date a questi uomini vestiti asciutti e mostrate loro le stanze in cui potranno
riposare”
Percependo la riluttanza del gruppo aggiunse “Non temete, mi prenderò cura del
vostro amico e se con questo freddo non vi scaldate subito e non vi cambiate,
domani avrò troppe persone stese su questo letto”
Poi si rivolse nuovamente alle donne “Fate anche in modo che non manchi loro
niente. Altri due sono fuori con Liam a provvedere ai cavalli”
Le donne s’inchinarono e s’affrettarono a compiere il loro dovere
“Vogliate scusarmi signori se l’urgenza della situazione m’ha fatto dimenticare
le buone maniere, perché io conosco di voi, ma voi non di me. Sono Aaron
Thurlow, come già credo vi abbia detto Linda, la cuoca della Volpe Reale. Mio
padre, il padrone del castello, purtroppo è vecchio e malato e ho pensato non
fosse il caso di disturbarlo per una faccenda in cui non sarebbe stato di alcun
aiuto.”
I cavalieri rimasero stupiti dai modi di Aaron che, sebbene educati,
dimostravano un’insolita solerzia.
Di nuovo, Nero, provò un istintivo rispetto nei confronti di quest’uomo che
sembrava mettere da parte l’etichetta più formale per risolvere di una
situazione grave. Ci sarebbe stato modo, in seguito, di presentazioni migliori e
più approfondite: ora Forgia era in bilico fra la vita e la morte e nessun nome
altolocato, da solo, avrebbe salvato l’amico.
“Volevo ringraziarvi per la vostra estrema cortesia” si sentì in dovere di dire
“Tuttavia preferirei rimanere qui accanto a Forgia durante le cure” Con un amico
in quelle condizioni avrebbe comunque avuto difficoltà nell’addormentarsi
Aaron sorrise “D’accordo, probabilmente avrò bisogno di un aiuto. Andatevi però
a cambiare d’abito e poi tornate pure qui. Sicuramente i vostri uomini si
sentiranno più tranquilli sapendovi insieme al vostro compagno”
E, così dicendo, iniziò lui stesso a togliere le vesti di Forgia
“Capo, che cosa facciamo?” chiese Cencio una volta usciti dalla stanza
“Per ora non abbiamo molte possibilità se non fare quello che dice Lord Aaron e
sperare che le sue arti possano davvero curare Forgia”
Luppolo scosse la testa pensieroso “Quella ferita non fa presupporre nulla di
buono…E’ stato uno sciocco a non dire niente …”
”Morirà?”
“Mi auguro di no, Cencio, ma sperare è una cosa, quella ferita è un’altra.
L’oste ha detto bene, la malattia è già nel sangue”
Cencio si girò preoccupato verso la porta ormai chiusa che separava il gruppo
dal loro amico
Si unirono agli altri anche Levante e Chiaro, di ritorno dalle stalle, quando le
serve di poco prima ritornarono
“Cambiatevi e cercate di riposare. Io rimarrò sveglio e se dovesse succedere
qualcosa, v’avviserò”
Cencio sembrò voler dire qualcosa, ma prima che potesse parlare, Nero disse “Non
fa piacere a nessuno di noi questa situazione. Ma solo Dio, per ora, ha il
potere di cambiarla”
”Ma tu sarai stanco almeno quanto noi” aggiunse Chiaro. Nero scrollò le spalle
come risposta e si rivolse alle donne che, quiete, erano rimaste in disparte e
chiese di indicare loro dove fossero le stanze
Poco prima che il gruppo andasse in diverse direzioni, Guardia disse “L’ironia
di questa notte sta anche nel fatto che ci stiamo fidando di un uomo che parla
coi falchi”
”Il capo lo fa sempre”
”Vero” scrollò le spalle l’altro “Ma in modo diverso”
”E’ sbagliato fidarsi di lui?”
“No, non so perché ma mi sento tranquillo, non ho percepito nessuna ostilità…”
”Se lo dici tu, Guardia”
“Ti ho detto più volte che rimarrai secco a fidarti dell’istinto di altri”
e così dicendo si separarono, lasciando nell’aria le domande non poste e le
risposte non ottenute.
Solo Nero aveva pensieri diversi da quelli dei compagni. Nessuno, tranne lui,
aveva la facoltà di comunicare con gli animali e non gli era mai capitato di
incontrare nessuno che fosse in grado di ascoltarli. Ma ancora più stupore
suscitava in lui il fatto di aver visto Cleto tranquillamente appollaiato sul
braccio di quell’uomo: lui così diffidente e solitario di solito, perfettamente
a suo agio con un estraneo.
Avrebbe voluto capire cosa avesse mosso il rapace, ma sapeva che ora non aveva
tempo e che aveva cose ben più importanti a cui pensare che quella di soddisfar
la propria curiosità.
“Signori” disse una serva agli uomini che stava accompagnando delle stanze “il
mio padrone s’è raccomandato di scusarsi per la scelta delle stanze, che forse
non sono spaziose e di vostro gradimento. Tuttavia l’ala Est del castello,
quella di solito adibita agli ospiti, ha subito dei danneggiamenti a causa del
maltempo di questi giorni. Le riparazioni sono già cominciate, ma le stanze sono
ancora troppo umide e fredde.”
Le stanze che presentò loro avevano già il fuoco acceso, erano piccole, ma non
troppo, ben ammobiliate, con pesanti coperte sul letto
“Per qualunque esigenza, signori, sono a vostra disposizione” aggiunse la donna
“in ogni camera troverete delle campanelle, che potrete suonare per chiamare me
o altro personale”
Così dicendo, la donna si congedò dal gruppo
“Proprio carina, chissà se tutta la servitù è così”
Luppolo guardò Cencio ma non disse niente. Rimase a fissarlo per un attimo in
più del solito e sospirò, cambiando discorso
“Se stamattina qualcuno m’avesse detto che sarei stato ospite di un Lord che
parla coi falchi, gli avrei dato del pazzo”
“E con Cleto, per di più”
Gli altri annuirono
“Per ora abbiamo un tetto sopra la testa, un posto caldo dove riposare e
un’insperata gentilezza del nostro ospite, il resto è nelle mani di Dio”
”Quando sapremo delle condizioni di Forgia, decideremo cosa fare, per ora è
meglio coricarsi ed aspettare il mattino”
Andarono ognuno nella propria stanza, senza dire più una parola. Il loro animo
era gravato dalla consapevolezza che, a meno di un miracolo, per l’amico non ci
sarebbe stato nessun mattino.
Il gruppo era unito ed insieme da troppo tempo per vagliare l’idea di lasciare
qualcuno indietro, ma se questa era la volontà di Dio, nessun Lord avrebbe
potuto opporsi.
Cencio aveva deciso il suo soprannome Forgia quando questi s’era unito al gruppo
che, ai tempi, non era ancora completo. L’aveva incontrato in una fonderia
fiamminga, dove gli aveva rubato quella che, come dopo avrebbe imparato, era la
spada della sua famiglia da generazioni. Se non fosse intervenuto Luppolo, come
sempre, a salvarlo, Forgia probabilmente si sarebbe ripreso la spada e con
questa la testa del ragazzo.
Chiuso nella sua stanza, sotto diversi strati di coperte, Cencio non riusciva a
pensare ad altro
Dopo quell’incontro in veste di ladro, però, l’aveva rivisto in una taverna, il
giorno dopo. Cencio non aveva subito riconosciuto l’uomo della fucina:
imbarazzato com’era dal fatto che Nero avesse saputo della sua attività del
giorno prima, non riusciva a staccare gli occhi dal suo boccale di birra. Era
stato Forgia ad avvicinarsi al tavolo dei cavalieri e a rivolgersi a Nero
“Voi dovete essere il Nero e i suoi uomini, giusto?” aveva detto. Ad un cenno
d’assenso del capo, lui aveva appoggiato sul tavolo un medaglione d’argento con
un rubino incastonato nel centro e Nero l’aveva guardato e poi annuito.
Se lo ricordava come fosse successo pochi giorni prima, invece erano ormai
passati anni.
Quest’uomo giovane, ma col viso segnato dal lavoro e dal fuoco del suo mestiere,
aveva guardato i suoi compagni prima e Cencio poi, aveva estratto da sotto il
mantello una spada e con un movimento rapido l’aveva infilzata nel tavolo, di
fianco alla sua birra “Così” aveva aggiunto “starai lontano dalla mia di spada,
figlio del Sud” poi s’era allontanato, nel fumo della taverna.
La spada che Forgia aveva donato a Cencio allora, era sottile e molto più
leggera rispetto alle spade comuni, lunga ed affilata. Staccandola dal legno del
tavolo, Cencio s’era messo ad osservarne l’elsa
“Sei proprio fortunato. Oltre alla testa, ci hai guadagnato una spada dei
Forgia”
L’elsa era finemente lavorata e riportava lo stesso simbolo che era stato
mostrato a Nero pochi istanti prima.
“E questo cosa significa?” aveva chiesto Cencio indicandolo “E che cosa sono i
Forgia?”
“Non mi stupisco che al Sud non ne abbiate mai sentito parlare” aveva spiegato
Chiaro a Cencio “i Forgia scesero dalla Finlandia sul continente secoli fa, ma
rimasero principalmente nel Nord. Erano e sono un gruppo di guerrieri fedeli al
loro capo più che al loro re, e che hanno affinato l’arte del metallo come
nessun altro. Le loro armi non hanno eguali, e come puoi vedere tu stesso “aveva
aggiunto indicando la spada di Cencio “non esagero.”
Il ragazzo non aveva potuto che annuire e continuare a guardare la sua arma con
profonda ammirazione
“Almeno, anche se hai l’aria in testa, Cencio, hai buon gusto per i tuoi furti”
Nero poi aveva preso il medaglione che Forgia aveva lasciato sul tavolo e
l’aveva sollevato, lasciando che il rubino brillasse, sotto i riflessi delle
luci delle candele, di un rosso incredibilmente intenso
“E’ una richiesta, questa, che penso di accettare. Qualcuno è contrario?” ma
nessuno aveva detto niente, consapevoli della forza e della lealtà dei guerrieri
Forgia. E così il gruppo si era ritrovato in sei, il giorno dopo. Il motivo per
cui Forgia aveva chiesto di unirsi al gruppo non sarebbe stato chiarito se non
diverso tempo dopo, ma in tutto e per tutto s’era rivelato essere un guerriero
degno della sua fama
Esasperato dall’agitazione, Cencio si spazientì sotto le coperte ed uscì dalla
sua stanza andando nel luogo a lui più naturale
Bussò alla porta di Luppolo dubbioso se questi fosse ancora sveglio o meno
“Entra Cencio” gli disse l’amico “Non riesci a dormire?”
Il ragazzo fece di no con la testa e si appoggiò pesantemente alla porta chiusa
dietro di lui, accasciandosi poi per terra. Luppolo si alzò dal suo letto e andò
verso il camino per ravvivarne il fuoco, poi si avvicinò al compagno e si
sedette di fianco a lui
“Pensi che sia sciocco che, a quasi vent’anni, non riesca ad affrontare queste
situazioni da solo?” Chiese con gli occhi umidi. Imbarazzato, poi, aggiunse “Ho
proprio l’aria in testa eh?”
Luppolo non rispose e gli mise semplicemente un braccio intorno alle spalle,
arruffandogli un po’ i capelli. Avrebbero aspettato insieme la mattina e le sue
risposte.
***
Stateira: Ciao ^_^/ Grazie davvero
per la tua recensione. Anch'io ho un debole per le strutture circolari e
Liberaci dal Male si prestava bene ad essere una storia che cominciava quando
finiva, ma in cui tutti i pezzi si incastravano piano piano. Sinceramente, ha
richiesto una buona pianificazione alle spalle (dovresti vedere il mio
quadernetto: pieno zeppo di scritte e appunti XD), però è stato molto divertente
farla ^_^ A presto.
CrazyCat: Grazie mille ^*^ Come
dicevo, non farò mai aspettare molto fra capitolo e capitolo (per non perdere il
pathos della storia), perciò non preoccuparti, gli aggiornamenti saranno
frequenti ^_^
Michan_Valentine: I numeri scritti
in numeri ?_? O cielo, orrore °O° Cambio subito, grazie per avermelo fatto
notare. Una caduta stilistica non indifferente (ah, l'inesperienza °_°). Lo
stile scarno è essenziale per la storia. Una grossa matrice di tutto Liberaci
dal Male sarà l'introspezione, non ci sarà troppa azione. Essendo però una
storia abbastanza complessa e abbastanza lunga, un registro troppo pesante
avrebbe rischiato di rendere pesantissimo il racconto (ho cercato di bilanciare
bene l'introspezione ed uno stile armonico, spero di non aver fatto troppa
cilecca XD): Per quanto riguarda le descrizioni fisiche, la scelta di non
entrare nel dettaglio è voluta. Sia perchè non sono bravissima nell'inserire la
descrizione fisica in un contesto narrativo (ora, che sono più abituata lo
faccio molto meglio, ma sono sempre stata più brava nelle ambientazioni.
Liberaci dal Male non è recentissimo), sia perchè la caratterizzazione sfumata,
ma ricorrente aiuta in molti punti a dare una sensazione di oniricità e di tempo
estremamente dilatato che voglio imprimere a LdM. Non mi dilungo troppo
(altrimenti ti annoio) perchè è troppo presto, ma la parte immaginativa sarà,
per alcuni versi, lasciata solo lettore ^_^ Un bacio grande, grazie mille per la
recensione
Mello: Grazie davvero *_* Nero è un
personaggio che a me piace tanto. Spero che continuerà a piacerti nel prosieguo
di LdM. E' complesso (e poi è tanto carino ahahah. Ma quieto il mio ormone ;D).
Un bacio.
|
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Capitolo 3 *** 03. Appesa ad un filo ***
Nuova pagina 1
Capitolo Tre
- Appesa ad un filo -
L’abito che trovò sul suo letto era morbido e caldo. Nero si spogliò e si
rivestì in fretta, impaziente di tornare da Forgia. Avvolto, però, da abiti
asciutti e nuovi fu pervaso da un senso di calore che lo fece sorridere per un
attimo. Lasciò le armi in camera e con loro Cleto che s’era appoggiato sulla
tastiera del letto e sembrava non dare segno di volersi muovere. Nero lo guardò
un attimo, poi decise che il tempo per interrogare il suo amico pennuto sarebbe
arrivato più tardi.
La stanza dove si trovavano Lord Thurlow e Forgia era diventata torrida, l’uomo
biondo s’era spogliato della tunica ed era rimasto solo con indosso una veste
leggera, lo stesso Nero appena entrato si liberò della sopraveste.
Forgia invece, tremava di freddo.
“Ho dovuto ravvivare il fuoco perché il vostro amico soffre molto di freddo,
nonostante sia bollente. Ha la febbre altissima e ormai è privo di coscienza da
diverso tempo”
Nero annuì e si avvicinò al letto dell’amico “Ditemi come posso esservi d’aiuto”
“Prendete quelli” disse Lord Aaron indicando una pila di stracci” sostituirteli
a quelli con cui ho avvolto Forgia. Suda così tanto che quelli di poco tempo fa
sono già zuppi” e così dicendo si diresse verso una parete piena di barattoli e
boccette.
Nero fece come gli era stato detto e prese ad avvolgere l’amico di nuova stoffa
“Non mi può sentire, non è vero?”
“Purtroppo no, ma dovremo cercare di riportarlo in sé. Quello che dovrà
affrontare ora richiederà tutta la sua lucidità e la sua forza” Aaron prese un
barattolo pieno di una polvere grigia e l’appoggiò sul tavolo vicino al letto.
“Lucidità?”
“Dovremo riaprire la ferita, incidendogliela. Sarà un dolore insopportabile, ma
dovrà rimanere sveglio, altrimenti non capirò se sto seguendo il corso della
ferita oppure gliene sto facendo una nuova”
Nero annuì “e poi lo medicherete con quella?” disse indicando la polvere che
Aaron aveva appena preso
“Sì, è una mistura composta per la maggior parte, di funghi e lieviti, mischiata
con acqua crea una pasta di odore sgradevole, ma di sicuro è l’unica sostanza
che può salvare Forgia. Poi dovrà berla, in quantità…”spiegò mentre già stava
preparando la mistura.
“Mi sto fidando di voi perché non ho nessun altra alternativa…”
”Non prometto la guarigione”
”E questo mi fa confidare sul fatto che non siate un ciarlatano. Farò quello che
mi chiedete e tutto ciò che è necessario, ma rispondete prima ad una mia
domanda.” Aaron annuì. “Come mai Cleto è venuto qui? Doveva conoscere questo
posto precedentemente, ma non vedo come questo sia possibile. Cleto è da sempre
vissuto ed andato dove sono vissuto ed andato io, e queste terre mi sono
sconosciute. Non mentitemi, perché sapete che facilmente potrò sapere la verità”
Lord Aaron abbassò lo sguardo e sospirò, esitando un attimo. Poi si prese i
capelli fra le mani e li sollevò, girandosi leggermente in maniera tale che il
suo interlocutore potesse vedere una piccola macchiolina nascosta sulla nuca. Un
osservatore disattento l’avrebbe potuta scambiare per un neo, ma il significato
di quella macchia non sfuggì invece a Nero, che spalancò gli occhi sbalordito.
Lord Aaron lasciò liberi i propri capelli che ricaddero pesantemente sulle sue
spalle, distribuendosi come fili d’oro su tutta la schiena e coprendo quel che
aveva appena mostrato. Guardò il Nero, per capire che cosa pensasse in quel
momento e il cavaliere lo guardò in volto.
Per la prima volta i loro occhi s’incrociarono e per un attimo fu come se tutto,
intorno a loro, si fermasse. Persi in uno sguardo, si ritrovarono avvolti in un
mondo senza tempo. Rimasero fermi ad osservare ciò che mai avevano visto prima,
incapaci di muoversi o parlare. Un gemito di Forgia interruppe questo dialogo
muto, e con un sussulto, entrambi ripresero a respirare non sapendo dire da
quanto stessero trattenendo il respiro.
“Forgia” disse Lord Aaron all’orecchio del malato “Mi puoi sentire? Devi
svegliarti!” e così dicendo gli diede una piccola sberla in viso. L’uomo aprì
gli occhi, ma non era cosciente “Forgia, mi devi ascoltare. Devi cercare di
svegliarti, ho bisogno che ti svegli per curarti”
Non osava scuoterlo per le spalle, sapendo che questo gli avrebbe causato
dolore. Visto che quindi, i metodi più semplici parevano essere completamente
inefficaci, Lord Aaron prese una boccetta con del liquido bluastro al suo
interno. Ne versò un po’ su uno straccio che poi mise sotto il naso di Forgia.
Immediatamente, quasi fosse posseduto, il cavaliere spalancò gli occhi e cercò
di mettersi a sedere. “Basta” disse sbiascicando.
“Di sicuro non è stato piacevole, e probabilmente un po’ drastico, ma non
avevamo altra soluzione” si giustificò col Nero, poi si rivolse nuovamente a
Forgia “Mi senti?”
Questi annuì debolmente, guardando l’uomo davanti ai suoi occhi confuso. Con la
mente offuscata dalla febbre, Forgia cercò di muoversi, in preda all’agitazione,
non capendo dove fosse o cosa quell’uomo volesse fargli. Sentiva un dolore
acutissimo alle narici e alla spalla, ma non si ricordava come mai fosse lì, né
tanto meno il perché del dolore.
“Forgia, devi calmarti” gli disse Nero, prendendogli il volto fra le mani e
assicurandosi che Forgia lo vedesse “Siamo qui per curarti, devi fidarti”
Rassicurato dalla vista del suo capo, Forgia fece cenno di sì con la testa.
“Avete una ferita infetta che dobbiamo curare, e una gangrena che dobbiamo
eliminare. Devo riaprire la ferita e medicarla. E dovremo anche curarci del
vostro corpo, la malattia è già nel sangue” Gli spiegò Lord Aaron scandendo bene
ogni parola. Forgia annuì, spaventato e di scatto si rigirò verso Nero quasi
volesse chiedere conferma.
Aaron osservò il cavaliere annuire e dare coraggio al proprio compagno. C’era
così tanta fiducia da parte di quest’ultimo nell’uomo di fronte a sé che Aaron
ne fu quasi commosso. Un piccolo cenno e Forgia era disposto ad fidarsi
completamente.
Preso un coltello con la lama molto affilata, e passatolo sul fuoco di una
candela, il Lord cominciò ad incidere. Appena toccata la ferita, Forgia
contrasse tutto il corpo e non riuscì a trattenere l’urlo che gli uscì dalle
labbra.
Anche se mosso a pena, Aaron sapeva che non poteva fermarsi, per cui continuò a
riaprire quella ferita putrida: il liquido giallo-verdastro misto a sangue che
ne usciva era la riprova che non c’era tempo da perdere. La pelle intorno alla
ferita era diventata nera e maleodorante, doveva fare presto.
Forgia aveva ripreso il controllo di sé, gemeva, ma cercava in tutti i modi di
non fare uscire nessun urlo dalla sua bocca, s’era aggrappato al braccio di Nero
e lo stringeva affannosamente
“E’ brutta, vero?” riuscì a dire preoccupato.
Pulendo la ferita con acqua, Aaron mentì “E’ molto meglio di quello che pensavo
ad una prima occhiata, ora devo continuare a riaprire e devo togliere tutta la
pelle annerita intorno, ma grazie al Cielo, non è molta”
”Aspetta!” disse in un filo di voce Forgia. Lord Aaron stava per obiettare
quando vide, negli occhi del malato, non più solo dolore o febbre, ma anche una
sottile disperazione che non riuscì a decifrare subito.
“Perderò l’uso del braccio?” Non erano necessarie ulteriori parole perché Nero
capisse cosa in realtà avesse voluto dire Forgia. Era importante la vita, il
dolore per ferita e tutto ciò che questi comportavano, ma nulla più avrebbe
avuto senso se Forgia avesse perso l’unico mezzo che lui conosceva per vivere:
il suo braccio destro, col quale impugnava la sua arma e col quale forgiava le
sue spade. Il dubbio sotteso da quella domanda era se davvero aveva un senso
vivere mutilato ed incapace di fare nulla, o se magari sarebbe stato meglio
essere accolto nel Regno dei Cieli, come la volontà di Dio voleva. Nero si
chiese, però, se un Lord, zoppo per di più, avrebbe capito e aspettò anche lui
la risposta.
Aaron tamponò la ferita e gli sorrise dolcemente.
“Cercherò per quanto m’è possibile, di preservare la pelle e i muscoli. Non
posso, purtroppo, fare promesse che non so se manterrò.”
A questa risposta Forgia sembrò rilassarsi un po’. L’uomo che aveva di fronte e
a cui stava affidando la propria vita capiva, e tanto gli bastava.
Nero continuò ad osservare Aaron mentre puliva e tamponava la ferita, desideroso
di capire meglio quell’uomo.
“Ora dovrò riaprire l’altra parte di ferita e iniziare a togliere tutta la
gangrena. Non vi nascondo che sarà doloroso, ma dovrete cercare di rimanere
sveglio, ho bisogno della vostra collaborazione”
Forgia annuì
Le mani di Aaron ripresero a compiere il loro dovere sotto la guida attenta dei
suoi occhi turchesi, non si fece fermare dai gemiti del suo paziente, e taglio
dopo taglio, iniziò a eliminare tutto quanto ci fosse in eccesso; aveva
albeggiato da diverso tempo, per cui la luce all’interno della stanza era più
intensa e migliore rispetto a quella notturna delle candele.
Per quanto coraggioso e quasi muto, Forgia aveva il volto inondato di lacrime e
sudore. Guardava Nero con occhi terrei, ma lasciava che Aaron tagliasse lembo
dopo lembo, cautamente.
Qualcuno bussò alla porta e dopo poco comparve nella stanza una serva con una
brocca d’acqua fresca e un piatto con un po’ di frutta tagliata a pezzettini.
“Ti ringrazio, Josephine, appoggia pure tutto sul tavolo lì in fondo” disse Lord
Thurlow per la prima volta staccando le mani dalla spalla del suo paziente. “Ci
sono nuove su mio padre?”
”No, signore, è ancora chiuso nella sua stanza, ma so che ha lasciato entrare
Natalie questa mattina che gli ha portato del cibo e ha arieggiato la stanza,
che sa, non veniva aperta da molto. Poi però l’ha cacciata, ma s’è tenuto il
vassoio… “
Gli occhi di Lord Aaron si riempirono di malinconia “Ha parlato?”
”No signore” rispose Josephine, enfatizzando le sue parole con la testa... Il
lord sospirò e per un attimo non aggiunse niente, perso nei suoi pensieri.
“E i miei uomini?” Chiese quindi Nero
“Oh loro stanno bene signore” aggiunse in fretta la serva “Si sono svegliati
tutti di buon ora ed è stato servita loro la colazione, come ha ordinato il
padrone. Hanno sicuramente tutti un gran appetito, signore, specialmente il più
giovane…”
”Cencio…” le disse Forgia con un filo di voce, sorridendo appena. Nero e Aaron
si voltarono entrambi verso il malato stupiti e compiaciuti che, nonostante
tutto, la mente di Forgia fosse ancora lucida
“Cencio sicuramente” diede conferma il Nero con un sorriso.
“Ora sono quasi tutti fuori, chi nelle stalle, chi invece è andato a vedere i
lavori dell’ala Est. Se mi permette di aggiungere, Signore, ho sentito che
qualcuno di loro s’è offerto d’aiutare nelle riparazioni …”
”Vogliono rendersi utili in qualche modo” le spiegò il Nero “A nessuno di loro
piace essere ospiti di peso”
”Capisco Signore, ma siete qui da appena un giorno…ecco…” continuò confusa “è
molto…bello” concluse, non trovando parola migliore. Aaron la scrutò per un
attimo, consapevole del crescente imbarazzo che si stava impadronendo di
Josephine e desideroso di sapere che cosa lo stesse causando. Le sue guance
erano arrossate, il suo sguardo più chino del solito, ma di tanto in tanto, lo
sollevava lanciando occhiate furtive a Nero. Il Lord alzò le sopracciglia
sorpreso. Capito che cosa, o meglio chi, stesse mettendo in profondo imbarazzo
la donna, cercò di nascondere il sorriso con le dita. Spostando lo sguardo da
Josephine alla causa del suo imbarazzo, indugiò un attimo più del dovuto sul
viso di quell’uomo, ma accantonò i suoi pensieri da una parte. Più tardi, da
solo, li avrebbe ripresi in mano, c’erano cose più urgenti di cui occuparsi.
“Grazie Josephine, puoi andare” congedò così la donna e riprese in mano la sua
lama.
“Questa piccola pausa m’ha ridato forza, ora posso affrontare un’altra notte
così” cercò di scherzare Forgia che aveva l’aspetto tutt’altro che sereno.
“Volete un po’ di vino? Nelle nostre cantine conserviamo vino del Sud, Josephine
me ne ha appena portato un po’”.
“Sarebbe meraviglioso” Il viso del malato si distese notevolmente dopo
l’offerta.
“Bevete prima questo, che ha un sapore pessimo, ma vi aiuterà nella malattia.
Poi potrete pulirvi la bocca col vino” e così dicendo, Lord Aaron prese fra le
sue braccia Forgia e lo aiutò ad alzare il busto leggermente. Bevevo molto
lentamente, Forgia, faticava a rimanere sveglio.
“Vorrei dormire…”
”Non è possibile ora, dovete cercare di rimanere sveglio, finchè non ho finito…”
E così Aaron riprese a tagliare, minuziosamente, lembo per lembo.
Dopo un tempo indefinito, rialzò gli occhi su Nero e sorrise.
“Ho finito” Prese l’impasto fatto con la polvere grigia, e lo spalmò
abbondantemente sulla ferita che perdeva sangue e che era gonfia dove i punti
erano stati applicati, ma che aveva perso quell’aspetto putrido e nero di prima.
“Ora dormite pure, farò cambiare le lenzuola e chiederò a Natalie di vegliare su
di voi questa notte. Mi chiamerà lei per avvisarmi se ci saranno dei
cambiamenti… “ disse con tono leggero a Forgia, mentre preparava dell’altra
pasta per la notte.
Il sole era già praticamente calato, senza che né Nero né Aaron se ne fossero
accorti.
Uscirono dalla stanza di Forgia e si diressero verso il salone, dove sapevano
avrebbero trovato gli altri. La stanza era enorme, il camino principale copriva
un’intera parete, mentre altri quattro erano ai lati, più modesti. Aaron e Nero
trovarono i cavalieri seduti, alcuni con un boccale di birra in mano, altri che
parlavano fra di loro ma la stanza era gravida d’agitazione. Difatti, appena i
due uomini entrarono nella stanza, tutti si voltarono di scatto verso di loro in
attesa di notizie.
“Purtroppo, signori, non ho nessun tipo di notizia da darvi, né buona né
cattiva” spiegò subito loro Aaron. “Come presumo già sappiate, la ferita e la
gangrena erano piuttosto estese. L’ho medicata e spero di essere arrivato in
tempo…Tuttavia è troppo presto per dirlo”
”Ma il fatto che sia ancora vivo è un buon segno, no?”
“Lo è, certo” Aaron sorrise all’impeto di Cencio
“Ora, se volete scusarmi, sono molto stanco e non cenerò con voi. Egli “ disse
indicando il Nero “è stato vicino a Forgia tutto il tempo, quindi di sicuro
potrete chiedere a lui, se volete sapere qualcosa di più approfondito”.
Tutti quanti si alzarono e s’inchinarono verso il Lord.
“Vi ringrazio per il vostro tempo e le vostra pazienza, per quello che avete
fatto per Forgia e la vostra ospitalità” disse Luppolo “e parlo a nome di
tutti.” Aaron sorrise in risposta e s’inchinò a sua volta.
Nei pressi della porta, Aaron guardò Nero, appoggiato allo stipite con braccia
conserte, ancora in silenzio. Sì, avrebbe spiegato lui quello che c’era da
spiegare. Vi fu profonda intesa nello sguardo che si scambiarono, il cavaliere
poi sorrise. Non ci fu bisogno di parole o gesti, Aaron percepì l’enorme
gratitudine provenire da quell'uomo e dai suoi occhi color notte. Ancora e per
un attimo, i due indugiarono l’uno sull’altro, avvolti in un istante d’intensa
dolcezza che non capirono subito e questo li spaventò. Spezzata l’atmosfera,
Aaron si sentì chiamare.
“Scusatemi se vi trattengo oltre, Lord Aaron, ma non riesco a placare la
curiosità fino a domani.”. L’uomo percepì, nelle parole di Chiaro, un leggero
tono di sospetto “E’ Cleto ad avervi avvisato del nostro arrivo, ma com’è
possibile che Cleto vi conoscesse? E inoltre, vi fidate di un falco così tanto
da permettere a sei uomini armati di entrare nel vostro castello senza
nient’altro che i loro soprannomi?”
Lord Aaron guardò il suo interlocutore dritto in faccia con un’altezzosità che
prima non aveva dimostrato.
“Avete ragione ad essere sospettoso, di certo tutto questo è insolito. E’ Cleto
ad avermi avvisato, sì. Probabilmente sentendo le parole di Linda ha visto il
castello, lontano ma non a sufficienza per non essere visto da un falco. Per
quanto invece riguarda la mia fiducia, i falchi non mentono mai. Non ragionano
come gli umani, e non raggirano i loro interlocutori. Rispondendo alla vostra
seconda domanda, se davvero aveste voluto mettere in atto una tale farsa con un
compagno malato, per saccheggiare il castello e se foste stati così ben
organizzati da trovare una persona con una ferita come quella di Forgia, di
sicuro avreste anche saputo che non ci sono tesori conservati nel castello.”.
”Ma voi non avete visto la ferita di Forgia l’altra notte”.
”No, ma ne ho sentito l’odore” tagliò corto Aaron “Per ultimo, non penso che un
gruppo di briganti avrebbe riunito un italiano” disse guardando Cencio “uno
spagnolo” disse guardando Guardia “un asiatico” si rivolse verso Levante “ e
persino uno scozzese” aggiunse guardando Luppolo “intorno ad un capo inglese”
Chiaro fece ancora per prendere parola quando Lord Aaron lo zittì con un gesto
della mano “avete parlato a sufficienza perché il vostro accento tradisca le
vostre origini” e così dicendo impedì con gli occhi la replica a Chiaro. Sorrise
agli altri, con gentilezza e si congedò
“Bella roba, Chiaro, neanch’io sarei riuscito ad essere più cafone” Cencio si
lasciò cadere sulla poltrona scuotendo la testa.
Chiaro si schernì con un gesto della mano “Ero solo curioso”
“L’hai irritato senz’alcun motivo. Ha avuto la cortesia di non chiederti di
andartene…” si spazientì leggermente Nero “Il tono che hai usato, lo sai,
lasciava intendere ben altro rispetto a quello che hai detto. Ti conosco troppo
bene per pensare che tu non l’abbia fatto apposta, e Lord Aaron è troppo
intelligente per non averlo capito. Perché hai implicato che fosse sciocco, che
fosse falso ed un bugiardo” Chiaro roteò gli occhi, ma poi li abbassò, sotto
quelli di Nero, sentendosi colpevole.
Quando si comportava così, Chiaro sembrava molto più giovane di Nero, quando in
realtà aveva solo pochi mesi meno. L’argomento cadde lì, i soldati volevano
sapere cosa fosse successo in quella stanza e Nero raccontò loro tutto ciò che
aveva visto. Non fece nessuna menzione, però, del piccolo neo sulla nuca di
Aaron, conservò il segreto che tuttavia non abbandonò la sua mente per tutta la
sera.
***
Mello: eh Cencio, il
ragazzo ha carattere *_* Sono proprio contenta che anche il secondo capitolo ti
sia piaciuto, ecco qui il terzo. L'iniziodi LdM, probabilmente, è abbastanza
introduttivo, ma dà un'idea dell'ambiente. Fammi sapere se Nero continuerà
a piacerti (è un personaggio per il quale aver riguardo *_*): Un Bacio
BiGi: Ciao anche qui!
Felice di rivederti. La costruzione circolare è un'arma a doppio taglio, ma abbi
fede, non tutto è così "facile" come sempre XD
Michan_Valentine:
Ciao, felicissima di risentirti *_* Aaron è molto angelico, del resto ci sono
basi importanti per questo suo aspetto lievemente ultraterreno. Qualcosa si
intuisce in questo capitolo, il resto verrà. Ma è proprio per questo che non
posso addentrarmi molto nelle descrizioni fisiche, quel che Aaron ha sulla nuca
è difficile da rendere con una semplice descrizione. Sono però contentissima
che, nonostante la divergenza di stile, abbia voglia di continuare a leggere *_*
*hug*. Nero è un personaggio molto complesso, che avrà uno svolgimento
caratteriale ed un'evoluzione lungo tutto il racconto. Diciamo che appare
(all'inizio) ben poco di quel che è in realtà. Spero che il risultato piaccia
^_^ E poi Cencio *_* Ah, il ragazzo m'è rimasto nel cuore dal momento in cui
l'ho creato. E' tenero e cialtrone XD Baci
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Capitolo 4 *** 04. L'alito di Dio ***
Nuova pagina 1
Potrei dormire 8
giorni di fila. Sìsì, se davvero non mettessi più la sveglia, come minimo,
dormirei fino a domani pomeriggio (tenuto conto che ora sono le 9 di sera...).
Oddio, sto invecchiando, ormai ho sempre sonno. sigh. ;_; Non vedo l'ora che sia
il weekend... Ma prima di lanciarmi nel letto (e addormentarmi in volo O_O), vi
lascio un nuovo capitolo di LdM. Come sempre, lo sapete, ci tengo
tantissimo a sapere che ne pensate ^_^
Capitolo Quattro
- L'alito di Dio -
Chiusa la porta alle spalle, Nero vi si appoggiò e trasse un profondo respiro.
Si massaggiò gli occhi con le dita e cercò di rimettere ordine fra i suoi
pensieri. Cleto era ancora appollaiato nella stessa posizione nella quale Nero
l’aveva lasciato, aveva solo girato lo sguardo verso il suo padrone.
“Hai ragione, sono stanco, ma dubito comunque di riuscire a dormire
profondamente. Sono molto in ansia per Forgia…” Prese una bacinella d’acqua e
l’appoggiò vicino al fuoco per farla scaldare, poi d’improvviso aggiunse: “Lord
Aaron ha una piccola macchia, sulla nuca, a forma d’anello…di sicuro tu ne sai
qualcosa”
Il falco sbatté le ali.
“Come immaginavo, l’hai percepito quando sei venuto qui… Una macchia a forma
d’anello può voler dire tutto e niente, ma da come me l’ha mostrata, può solo
significare che Lord Aaron ha respirato l’alito di Dio” Disse con tono
pensieroso e poi aggiunse fra sé e sé “E io che pensavo fosse solo una
leggenda…”
Nero scrollò le spalle e appoggiò la bacinella con l’acqua tiepida all’interno,
sul tavolo “Evidentemente, mi sbagliavo. Ad ulteriore conferma di questo c’è il
fatto che Lord Aaron abbia taciuto la sua macchia di fronte agli altri…Se fosse
una cosa da poco, credo, l’avrebbe detta anche a loro. Invece non ne ha fatto
menzione.” Nero immerse le mani nell’acqua “Il respiro di Dio…” disse a se
stesso incredulo e si sciacquò il volto. Rimase poi fermo, a guardare la
superficie dell’acqua che rifletteva il suo viso pallidamente.
Cleto sbatté di nuovo le ali.
“Non so esattamente quanto di vero ci sia in quello che si dice a riguardo, è
una leggenda che c’è fra gli uomini. Si dice che esistano delle persone che per
diversi motivi, per la loro devozione, per la loro empatia col prossimo, o per
il loro acume, siano stati accolti fra i favoriti di Dio. Si dice che sia lui in
persona, oppure uno dei suoi angeli più vicini, a prendersi poi cura di questi
prescelti e che questi possano addirittura comunicare con loro, così come
possono comunicare con gli animali e la natura …
In realtà, delle storie che si raccontano, penso che ben poco sia vero. Alcuni
eroi del passato sono stati elencati fra prescelti, ma…” scrollò le spalle “…ha
davvero senso parlare di favoriti da Dio? Non siamo forse tutti uguali ai suoi
occhi?
Si dice inoltre, che chiunque respiri l’alito divino, mostri sulla propria pelle
una piccola macchiolina ad anello, come segno di riconoscimento…Non ne avevo mai
vista una, a dire il vero.”
Nero guardò Cleto “Però tu puoi rispondermi: davvero sei venuto qui perché hai
capito che era un eletto, oppure per quale altro motivo?”
Cleto volò vicino al camino, dove il fuoco si stava abbassando.
“Ma guarda che falco viziato che mi ritrovo! Va bene, ravviverò il fuoco, tu
però rispondi alla mia domanda”
Nero si chinò e appoggiò dei nuovi tronchetti di legno nel focolare, stando
attento a non abbassare troppo la fiamma e sorrise “Lo immaginavo” disse a
Cleto. “Io non posso percepirla chiaramente come mi dici di aver fatto tu, ma
non mi stupisce sapere che quell’uomo ha un’aura particolare che lo circonda.
Semplicemente il fatto che tu ti sia fidato completamente di lui, m’ha dato da
pensare: non ti avevo mai visto farlo con nessuno.”.
Cleto, felice dell’alzarsi della temperatura nella stanza, ritornò sulla
tastiera del letto.
“Lo so, anch’io parlo con te, non avrei dovuto stupirmi, quindi, che anche
qualcun altro sia in grado di farlo. Però è come se ci fosse qualcosa di
diverso…Come se…” Nero scosse la testa e si passò le mani sugli occhi
affaticati.
“Sì, sono molto confuso, Cleto, non posso nascondertelo. E non è solo il fatto
che Lord Aaron abbia quella macchia ad anello sulla nuca, ma anche gli
avvenimenti della scorsa notte mi sono poco chiari…” E di nuovo sospirò cercando
di trovare le parole.
Scrollando le spalle in segno di resa, iniziò a sbottonarsi i vestiti, per
mettersi quelli da notte che gli erano stati piegati ed appoggiati sul letto.
“Vedi cosa intendo?” disse indicandoli “Ha accolto sette stranieri nella sua
casa e se ne occupa come i più importanti fra gli ospiti… E’ premuroso.”. Nero
sorrise “No, non credo che questo sia un male, amico mio. Ma c’è qualcosa di
insolito in lui, sembra quasi che capisca prima del tempo le situazioni e le
parole. Per esempio, durante la medicazione, Forgia era vigile e ha chiesto al
Lord se avrebbe perso l’uso del braccio. E’ una domanda legittima, dirai tu, ma
in quelle condizioni, fatta ad uno sconosciuto, non lo è. Mi sarei aspettato che
Lord Aaron fraintendesse, interpretasse le parole di Forgia come ingratitudine
nei suoi riguardi… Lui che è persino zoppo, come avrebbe potuto capire una
persona che per tutta la vita non ha fatto altro che impugnare spade? Ed invece
la sua risposta e il suo volto erano così pieni di comprensione ed umanità che
ne sono rimasto sbalordito. Lo stesso Forgia, e sono certo di questo, non si
aspettava una risposta così sincera, quasi… calorosa.
E’ buffo, non trovi?” Nero si passò la mano fra i capelli “No, c’è molto di più,
troppo…” e sospirando si sedette sul letto appoggiando la schiena ai cuscini
“Troppo di più…Sono confuso da questi avvenimenti che non riesco a capire”
Poi s’infilò sotto le coperte “E non capisco se è questo mio stato d’animo a
trarre in errore il mio giudizio, ma ho come la sensazione che tutto questo
abbia un effetto benefico su Forgia. Non so se sto impazzendo, a dire il vero,
ma se davvero Lord Aaron ha respirato l’alito di Dio, può darsi che siamo
davvero nell’unico posto d’Inghilterra dove Forgia ha speranze di sopravvivere.”
Chiuse infine gli occhi “Buona notte anche a te”.
All’alba della mattina seguente, Nero si svegliò di soprassalto, senza riuscire
a ricordarsi perché.
“Ancora incubi...” Si vestì in tutta fretta e corse fuori dalla sua stanza,
scendendo le scale verso la stanza dov’era Forgia. Aveva un presentimento,
un’intensa sensazione che qualcosa non andasse.
Bussò alla porta impaziente, non sapendo chi fosse all’interno.
Una donna, che riconobbe essere quella che aveva portato il vino e la frutta
l’altra sera, gli venne ad aprire “Buongiorno, Josephine” Nero salutò
cortesemente la donna, mascherando completamente l’ansia nella voce e si diresse
poi verso il letto di Forgia. Questo non gli permise di vedere le gote della
ragazza infiammarsi. “Buongiorno a voi, signore…siete sveglio molto presto”
Nero stava osservando Forgia che non sembrava essere in uno stato diverso
rispetto a quello in cui l’aveva lasciato la sera prima. Il respiro era
leggermente accelerato, probabilmente la febbre era ancora alta, la ferita
medicata era tumefatta e gonfia, ma Forgia dormiva tranquillo.
Nero notò che le bende erano tutte nuove.
“Avete badato voi a Forgia questa notte?”
“Oh no signore, io non mi occupo dei malati. Natalie è rimasta con lui finchè il
padrone non è venuto”
”Lord Aaron è già stato qui?” chiese Nero stupito
“Oh sì, signore, prima dell’alba.” Annuì Josephine che faceva fatica a parlare.
“Ma se tu non ti occupi dei malati, come mai sei qui? “ Nero le sorrise, l’aver
visto Forgia tranquillo e ancora vivo, l’aveva rassicurato.
“Oh” disse Josephine a fil di voce “Il vecchio Lord s’è sentito molto male e lui
è dovuto correre nelle sue stanze” Nero aveva sentito Lord Aaron e la stessa
Josephine parlare del vecchio Lord la sera prima e chiese “Cos’ha?”
“E’ molto vecchio in realtà. E non si lascia a curare a dovere, non mangia, beve
molto vino, fa tanto preoccupare suo figlio che non sa più cosa fare per
convincerlo a prendersi un po’ cura di se stesso. Ma lui non lo fa, è testardo
e…” Josephine si fermò di colpo e si coprì la bocca con una mano, consapevole
del fiume di parole che aveva appena detto “Perdonatemi…”
Nero scosse la testa “E’ testardo? Eppure suo figlio non lo sembra…”
“O no signore, Lord Aaron non assomiglia per nulla al padre, è gentile con
tutti, sempre buono anche con la servitù. Lord Thrulow, non parla mai con
nessuno, dà ordini e non si occupa di altro. L’ala Est del Castello ha avuto
grossi problemi causati da queste piogge, e nei piani più bassi ci sono le
stanze degli stallieri, John e Michael hanno la loro età, con l’umidità hanno
male alle ossa, e Lord Thurlow non s’è preoccupato, mentre il padrone li ha
invitati nella parte più calda del castello, nell’ala Ovest, nelle stanze sotto
le vostre e…” di nuovo s’interruppe, guardando in basso e diventando così rossa
che il nero fece fatica a trattenere il sorriso “Scusate, parlo troppo signore,
è che quando mi prende… e poi se mi viene chiesto del padrone io…” incapace di
concludere una frase e resasi conto che più andava avanti più aggravava la sua
situazione di imbarazzo, Josephine decise che fosse meglio andarsene “Io vado,
Signore, se avete bisogno chiamatemi, presto penso che ritornerà il padrone” e
con un inchino frettoloso, uscì dalla stanza. Poco ci mancò che non si mise a
correre.
Rimasto solo, Nero guardò di nuovo Forgia, gli toccò la fronte, per sentirne la
temperatura. Era ancora alta.
Ripensò alla sera prima, a quella netta sensazione di sicurezza che aveva
provato. Forse il suo giudizio lo stava davvero tradendo perché, purtroppo, la
situazione di Forgia era così grave che gli sembrò sciocco farsi prendere da un
inutile ottimismo. Eppure anche quella mattina, il presentimento che, forse,
c’era speranza non lo abbandonava.
Qualcuno bussò alla porta e poco dopo comparve una donna anziana. Ricurva su se
stessa, si sistemò lo scialle prima di presentarsi “Buongiorno signore” disse
accennando un inchino impercettibile ma che costò evidentemente un grande sforzo
alla sua schiena. Senza aggiungere altro, si diresse verso il camino, molto più
velocemente di quanto Nero si sarebbe aspettato, dopo il faticoso inchino. La
vecchia si sedette sulla sedia vicino al fuoco e tirò fuori dalle maniche un
lavoro a maglia.
Sorpreso dalle donne del castello incontrate quella mattina, Nero rimase a
fissare la vecchia senza dire nulla, finché la donna se ne accorse “Oh cielo,
perdonatemi! Le buone maniere!” Disse alzandosi “Il mio nome è Margaret, e sono
la moglie del capomastro che si sta occupando del tetto nell’ala Est. Lord Aaron
Thurlow m’ha chiesto se potevo rimanere qui a fare a maglia, e a vegliare sul
malato” spiegò la vecchia.
“Buongiorno, io sono…”
“Certo che so chi siete! Dei forestieri al castello con un comandante così
bello! E’ una notizia che ha già fatto il giro di tutto il paese. E forse se ne
parla già anche nei villaggi circostanti!” Nero la guardò incredulo e la vecchia
continuò “Andate ora” continuò lei “andate a fare quello che dovete fare, se
succede qualcosa qui ci penso io a chiamare Lord Aaron”.
Nero la salutò cortesemente e uscì dalla stanza, scuotendo la testa al pensiero
di Josephine e Margaret. Di certo le donne del castello sembravano avere una
verve tutta loro.
“Buongiorno” il cavaliere si girò verso la voce nota. Lord Aaron stava scendendo
dalle scale “Buongiorno a voi, ho saputo di vostro padre e mi auguro che stia
meglio…”
”Più invecchia e più diventa testardo” nonostante il sorriso, dalla voce di Lord
Aaron trapelava un velo di preoccupazione “ Ora l’ho finalmente convinto a
riposarsi. In cambio m’ha fatto promettere della birra” scosse la testa “Siamo
alla fase che io chiamo ‘del baratto improprio’. Lui dorme e vuole della birra
per questo. Come se dormendo, facesse un favore a me!”
“Il baratto improprio eh? “
I due risero e Lord Aaron scrollò le spalle.
“Buongiorno Lord Aaron”, comparsi dalla porta opposta alle scale, Cencio e
Luppolo s’affrettarono a chiedere notizie del compagno.
“La febbre è ancora molto alta” spiegò Lord Aaron “tuttavia la ferita mi pare
sia migliorata. Forse è troppo presto per qualunque affermazione ottimistica, ma
mi sento più sereno”.
“Non so come ringraziarvi” disse Cencio quasi emozionato alla notizia. Due notti
prima s’era sciolto in lacrime per la paura di perdere un compagno, in quel
momento non trovava parole per ringraziare chi gli stava dando speranza in
qualcosa di diverso.
“Volete unirvi a me per la colazione?” sorrise loro il padrone del castello.
“Volentieri”
”Avrai una fame incredibile…”
“C’è poco da ironizzare Luppo, sto morendo di fame!”
“Mi chiedo” lo canzonò il compagno “come potessi resistere a pane e acqua quando
vivevi …”
“Non una parola di più” alzò il dito Cencio con aria petulante “quel signorotto
sadico e volgare, tale Guido – e non uso titoli onorifici perché non se ne
merita neanche uno – “ commentò “è parte del passato che non ho intenzione di
ricordare. E poi dimentichi, caro il mio Luppo, che dalle mie parti esistono
alberi da frutto che producono una tale quantità di delizie…”
”Ancora con questa storia” sbuffò Luppolo
“Non è colpa mia se in Italia c’è il sole” Cencio finse un tono offeso.
“Italia o Inghilterra, sole o non sole Cencio, quello che facevi tu è ovunque
conosciuto come rubare!”
“E’ il destino che m’ha obbligato!”
”Ecco che interpreta il suo ruolo melodrammatico…” sospirò Luppolo fingendosi
esasperato. La piccola diatriba fu interrotta dalle risate di Lord Aaron.
All’udirle, negli occhi di Cencio comparve per un attimo del panico. S’era
lasciato andare allo scherzo come faceva sempre con Luppolo, ma aveva appena
ammesso di fronte ad un Lord Inglese d’essere un ladro.
Ma non c’era niente di accusatorio nella risata dell’ospite che lo rassicurò
“Non ti preoccupare, non ho intenzione né di accusarti né tanto meno di
inorridirmi, se è quello che pensi. Non è mia abitudine giudicare le persone per
quello che sento dire o per un passato di cui non conosco le cause. Se poi è il
destino che t’ha obbligato” canzonò il ragazzo enfatizzando più del dovuto la
sua stessa frase “chi sono io per criticare?” concluse ridendo di nuovo. Le sue
parole rasserenarono così tanto Cencio che anche lui scoppiò a ridere “Vedi,
Luppo, lo dice anche Lord Aaron”.
Luppolo, anche lui stupito dell’atteggiamento dell’ospite, non poté che
concludere come sempre “Tu hai l’aria in testa, ragazzo”.
Anche il Nero sorrise, dissipato il ricordo dell’incubo mattutino, rassicurato
sulla situazione di Forgia, si sentiva sereno e persino allegro, in quella
gelida mattina di Novembre.
***
BiGi:
Felicissima ti piaccia Cencio *_* Il ragazzino ha il suo bel da dire e, non ti
preoccupare, avrà anche la sua importanza ^_^
Stateira:
Ciao, che bello risentirti ^_^ Il fatto che manchino i punti è... ehm... un
recesso mostruoso si una mia scrittura a getto. Con il proseguire della
storia, per fortuna, i punti compariranno. Spesso tornavo indietro e mettevo i
punti che mancavano, ma probabilmente per inesperienza, i primi capitoli mancano
di un sacco di punti (devono avermi fatto qualcosa di male in una vita
precedente °_°). Non ero abituata a metterli (se noti, sono solo quando c'è un
punto e a capo.). A volte, anche ora, rileggo il capitolo e ne aggiungo alcuni.
Probabilmente, piano piano, aggiungerò tutti quelli dovuti. Sono proprio
contenta che le descrizioni non dettagliate ti piacciano e aiutino a fomentare
l'aura di mistero. Del resto, quello era il fine. Dei personaggi si scoprirà a
poco a poco, e di conseguenza anche della loro fisicità ^_^ E non ti
preoccupare, anche gli altri avranno il loro ruolo. Cencio, poi, non potrebbe
fare solo da comparsa (con quel carattere esuberante che ha, non lo accetterebbe
mai XD). Un bacione
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Capitolo 5 *** 05. Solitudine ***
Nuova pagina 1
Ma quanto è santo
il venerdì sera? Grazie al cielo esiste il venerdì (che perle di saggezza che
lascio XD).
Capitolo Cinque
- Solitudine -
Si può morire di solitudine?
Se si scomparisse, se ci si potesse anche solo per un attimo dissolvere,
chiudere gli occhi e non pensare a niente e non ricordare nulla, tutto questo
potrebbe essere chiamato morte?
Aaron non lo sapeva. Guardava davanti a sé, dalla terrazza dell’ala Sud del
castello, con i suoi occhi che si perdevano in un azzurro terso.
Il cielo, così calmo di mattina, pareva dipinto con qualche pennellata qua e là
da un autore inesperto che macchia di bianco la tela. Le poche nuvole sembravano
sciogliersi nella brezza, e lui non poteva fare altro che guardarle ed
invidiarle.
Sospirò nel vano tentativo di sollevare dal cuore quel peso che ormai era così
radicato che sapeva esserne parte integrante.
Passò un uccello solitario che lui salutò con un gesto.
Tutto finito, in un attimo il cielo era di nuovo splendidamente e solamente
azzurro.
Si sedette su di una panchina in marmo e chiuse gli occhi, lasciando che i suoi
capelli venissero accarezzati dal vento. In lontananza poteva udire delle voci,
ma non riusciva a distinguere le parole. Sembravano un accavallarsi di suoni
che, anche loro portati dall’aria, scomparivano appena generati.
Anche loro, come tutto, se ne andavano, ma non lui, che rimaneva sempre in una
solitudine austera e assoluta.
Si può dunque morire di solitudine?
C’era un profondo senso di colpa in quella domanda, perché sapeva che offendeva
chi non c’era più. Pensò a suo fratello, al suo sorriso e ai loro giochi, agli
anni felici trascorsi insieme prima della loro malattia.
Nella sua memoria, Aaron divideva con meticolosa precisione la sua vita in due
parti: prima della malattia e dopo. Fra questi due periodi, poi, c’erano dei
giorni che non ricordava bene, che a volte pensava di aver scacciato e altre
volte invece riteneva solo di avere dimenticato.
In quei giorni aveva piovuto, di questo era sicuro.
Lui e suo fratello William avevano preso i cavalli nonostante il divieto del
padre e avevano galoppato a più non posso. Forse stavano gareggiando, Aaron non
lo ricordava. Né si ricordava esattamente il motivo per cui avessero disobbedito
agli ordini paterni, ma Aaron si ricordava però di aver detto qualcosa e di aver
persuaso il fratello più piccolo di qualche ora, a prendere il cavallo e
lanciarsi di corsa sui prati.
Come si era divertito, le goccioline d’acqua che gli picchiavano sui denti
mentre lui rideva! E anche William aveva riso, forse…
Tornati a casa, sgridati castigati, i due fratelli avevano iniziato a non
sentirsi bene. Un piccolo fastidio alla testa prima e la febbre poi…
Pioveva molto in quei giorni, Aaron era sicuro solo di questo.
Su quella panchina, quindici anni dopo, Aaron non riusciva ancora a ricordare
nient’altro…Oppure a dimenticare, non gli importava. Voleva solo che questo
sentimento di enorme colpa ed incredibile insicurezza gli fosse levato
dall’animo che invece, per tutta risposta, gli chiedeva se fosse giusto morire
e, finalmente arrendersi.
Le voci di quei giorni lontani erano confuse, la febbre gli aveva impedito di
stare vicino a suo fratello che gli dicevano indebolirsi sempre di più…
Su quella panchina, quindici anni dopo, Aaron poteva ancora sentire lo
scricchiolio della porta che s’apriva, la vecchia Dalia entrava con una candela
in mano ed un’aria greve in viso. Il piccolo Aaron era semi incosciente sul
letto, respirava affannosamente e non sentiva più le gambe.
“Cucciolo” gli aveva detto la balia “non riesci a muoverti neanche tu?” e con la
mano callosa e dolce gli aveva scostato i capelli zuppi di sudore dalla fronte
“come William, anche lui aveva smesso di muoversi”.
Quell’aveva era lì, chiaro ma incomprensibile. Aaron fece la più ingenua delle
domande:
“E ora?”
Sapeva già la risposta, perché il volto di Dalia e le parole della nutrice
gliel’avevano già data, ma aveva bisogno di sentirla “E’ morto poco fa”.
Questa frase segnò nel cuore di Aaron una fine: il suo animo di bambino di dieci
anni scomparve.
Si dice spesso che fra due gemelli c’è una connessione speciale, una particolare
empatia che solo loro possono capire. E Aaron non sentiva il fratello morto,
avrebbe giurato fosse di là, steso sul suo letto, malato come lui.
“Ma non è…” vero, avrebbe voluto concludere, ma il volto di Dalia non lasciò
invece spazio ad obiezioni.
La disperazione che provò fu però soppiantata quasi immediatamente da un altro
sentimento. Nell’istante in cui Dalia gli asciugava il corpo dal sudore e gli
faceva bere quell’infuso che non aveva salvato il fratello, Aaron si era
rasserenato: anche lui presto sarebbe morto. Pensare di separarsi così
bruscamente da una parte di sè è difficile e il piccolo Aaron riteneva
impossibile, che lui e suo fratello vivessero separati. La servitù spesso
confondeva l’uno per l’altro, loro padre non li distingueva, persino Aaron
stesso non avrebbe saputo tracciare bene il confine fra se stesso e William,
come poteva pensare che non sarebbe morto anche lui?
Si era quietato quindi e aveva chiuso gli occhi, sdraiato sul suo letto, forse
aveva sorriso leggermente: era solo questione di tempo.
E così aveva aspettato. Non sentiva più male, né aveva più freddo. Placidamente
si lasciava maneggiare dalle sapienti mani di Dalia e cullare dalle sue canzoni.
Non doveva avere fretta, quella nostalgia sarebbe scomparsa di lì a poco.
Ma il tempo passava, giorni interi senza nessun cambiamento.
E poi era arrivata la notte che aveva segnato l’inizio del “dopo”.
Adulto e ormai consapevole di quello che era successo, Aaron tremò ancora al
ricordo, sul balcone dell’ala Sud.
Quella notte era illuminata da un piccolo spicchio di luna che emanava luce
azzurrina. Il cielo era terso, ma brillavano poche stelle. La vecchia Dalia,
sfinita, s’era addormentata sulla sedia di fianco al letto di Aaron, il suo
volto appariva ancora più vecchio e stanco del solito, appoggiato su una spalla
e con la cuffietta dei capelli leggermente slacciata e pendente da un lato. Era
spossata, la vecchia nutrice, dalle lacrime piante per un bambino e dalle cure
date all’altro, nella speranza di non dover dire addio anche a lui.
Aaron, però stava bene, meglio dei giorni prima, e aveva tentato quindi di
mettersi a sedere. Era riuscito, con enorme fatica, perché non sentiva più le
gambe. Le aveva guardate, immobili, e aveva provato a muoverle, ma loro non
avevano obbedito.
La finestra s’era aperta di colpo e una folata d’aria tiepida era entrata nella
stanza, avvolgendola di un intenso odore di rosa. Aaron aveva guardato in
direzione della finestra, non aveva visto niente se non un leggero bagliore. La
brezza all’interno della stanza non si quietava, e ad un tratto aveva
accarezzato il viso del bambino. I suoi capelli biondi si erano sparpagliati al
vento, come se fossero mossi da una mano invisibile e poi aveva sentito un tocco
dolcissimo sulla nuca, un bacio di una tenerezza mai provata prima. Era stato
allora che Aaron aveva creduto di sentire la voce del fratello:
Ci rivedremo, ma non adesso, ora vivi, perché io vivrò con te.
E poi tutto d’improvviso era scomparso: il vento, la voce, il tocco del suo
collo e la luce sulla finestra. Era svanito tutto e Aaron, preso dal terrore, si
era coperto gli occhi con le lenzuola e si era rannicchiato il più possibile nel
letto, per quanto le sue gambe rimanessero immobili.
Il bambino si era svegliato tre giorni dopo, sfebbrato e guarito. Tre giorni di
cui Aaron non ricordava nulla, tanto che aveva pensato di essersi sognato tutto,
anche la voce di William.
Aveva guardato la finestra da cui era entrata la brezza e la voce di suo
fratello: era aperta, ma all’ esterno Aaron non sentiva nient’altro che il canto
degli uccelli mattutini. Solo allora aveva compreso che niente era stato un
sogno, perché gli era parso di sentire un “buongiorno” da uno di loro, un saluto
inframmezzato al canto. D’istinto si era portato la mano sulla nuca e aveva
sentito pulsare, laddove qualcuno l’aveva baciato. Si era sentito perso. Non
felice, non spaventato, solo perso e di nuovo si era accasciato sul letto.
Perché era stato risparmiato? Perché suo gemello, così identico a lui, era morto
e lui no?
“Vivrò con te” aveva detto William, perché? Non sarebbe forse stato meglio
andare via insieme?
Il piccolo Aaron voleva piangere, a dieci anni un’immensa solitudine aveva
conquistato il suo animo.
In che cosa William era diverso? Eppure ora, tutt’intorno a lui era cambiato, il
mondo in cui aveva vissuto e che aveva conosciuto era svanito.
Toccandosi la nuca, Aaron non aveva potuto fare altro che piangere.
Dalia non capendo perché il bambino fosse scoppiato in lacrime, s’era svegliata
di soprassalto. Scambiando il pianto per semplice tristezza, gli aveva detto:
“Piccolo mio, non rattristarti, William sarà sempre qui con noi”
Aaron era rabbrividito, perché sapeva che suo fratello non era scomparso, lo
sentiva ancora vivo. Scelto dal caso oppure da Dio, lui era stato abbandonato
sulla terra con le poche parole di William, completamente solo in un mondo che
ora gli parlava.
Perchè, si chiese quindi Aaron guardando ancora una volta il cielo terso di
fronte a lui, augurarsi di morire? Da quel giorno la sua percezione del mondo
era cambiata perchè sapeva che l’anima del fratello era viva. Forse quella
brezza dall’odore di rosa era davvero l’alito di Dio, ma di questo Aaron per
ora, non voleva occuparsi.
La solitudine di quel giorno quindici anni prima, era stata la sua più fedele
compagna da allora.
Sarebbe stato tutto più semplice se avesse potuto morire anche lui, William
forse avrebbe capito. Strinse i pugni e in un moto d’ira, colpì violentemente la
gamba malata. Non provò dolore, però, solo una lieve sensazione. Dal giorno
della sua malattia, la sua gamba era rimasta sopita. Dalia gli aveva detto che
era stato fortunato, perché avrebbe potuto imparare a camminare anche da zoppo.
Aaron aveva sempre pensato che quella sua gamba fosse così perché portava il
peso del suo cuore e di quello di William, ma non aveva cercato di spiegarlo
alla nutrice, che non avrebbe mai capito.
Si alzò a fatica dalla panchina gelida e raggiunse il parapetto in pietra. Prese
a muovere i piccoli sassolini grigi che vi erano sopra, senza un fine preciso,
solo per il piacere di sentirli fra le dita, e sospirò. Tutto quello che vedeva
e oltre, quei prati, quei boschi, le terre dei villaggi, tutto gli apparteneva.
La servitù lo riveriva e lo adorava, i paesani lo rispettavano e ammiravano.
Tutto quello era suo, perché ormai il padre non aveva più le forze per possedere
niente. Tuttavia questa opulenza non lo aveva mai reso felice. Sorrise e si
sentì un viziato. Se avesse osato dire qualcosa del genere a chi faceva un solo
pasto al giorno sarebbe stato accusato di arroganza e presunzione , lui però
avrebbe ceduto tutto quello anche solo per qualche momento senza la sua perenne
compagna: la solitudine . Per un’amicizia. Perché in fondo, quello che avrebbe
potuto sollevarlo ed allietargli l’animo era semplicemente questo. Ma nessuno
gli era veramente amico, delle mille persone intorno a lui, nessuno lo
considerava tale. Era il padrone, il figlio, il medico o il proprietario, ma mai
un eguale. La malattia di suo padre, poi, l’aveva obbligato a rimanere nelle sue
terre e a spostarsi raramente, molto meno di quanto avrebbe voluto.
L’essere un figlio devoto non gli pesava particolarmente, Aaron amava il padre
per quanto burbero e scontroso questo fosse. Però inevitabilmente, dopo la
partenza della sorella, andata in sposa a Suffolk, lui era rimasto nelle terre
dei Thurlow.
Sollevò le dita dal parapetto e le strofinò fra di loro per liberarsi dei
granelli che si erano appiccicati alla pelle. Li guardò ricadere sulla pietra e
saltare via, rotolare e allontanarsi. Gli sembrò un’immagine quanto mai adatta
alla malinconia di quel giorno.
“Avete dei possedimenti meravigliosi” La voce fece trasalire Aaron che, perso
nei suoi pensieri, non aveva sentito nessuno avvicinarsi.
“Mi dispiace, non volevo spaventarvi”
“Non vi preoccupate, ero solo soprappensiero” Sorrise a Nero non girando però lo
sguardo, spaventato dall’eventualità che dal suo viso trasparisse tutta la
fragilità di quel momento.
“Anche a detta dei muratori, la cura che avete per le vostre terre è rara.
Questo ha portato grande prosperità.” Sorrise “ho sentito più elogi in poche ore
oggi, di quanti sia solito sentirne in un anno”.
“Non date loro troppo peso, gli uomini spesso esagerano coi complimenti nei
confronti di coloro che danno loro da mangiare”
“Al contrario, direi io” Nero si avvicinò anche lui alla balaustra guardando un
punto non definito dell’orizzonte “E’ così facile per un padrone rovinare o
rendere piacevole la vita di un servo o di un lavoratore, che è proprio
l’opinione di questi che deve essere tenuta conto. Ho visto così tanti padroni
sfruttare il loro rango e la loro ricchezza a discapito di altri… Di certo,
nessuno aveva parole buone nei loro riguardi”. Nero fece una pausa, lasciando
che il vento gli scompigliasse leggermente i capelli e spostando lo sguardo su
Lord Aaron
“Inoltre, ho personalmente visto come vi siete presi cura di Forgia, quando per
voi non era altri che uno sconosciuto…”
A queste parole, anche il Lord staccò gli occhi dal cielo e si strinse nelle
spalle per schernirsi, imbarazzato.
“Non vi ringrazierò mai a sufficienza”
”Non è ancora guarito…”
“Lo so, ma senza le vostre cure sarebbe di sicuro già morto”.
Aaron annuì impercettibilmente “Gli siete molto legato, vero?”
“Lo sono, sì. Come a tutti i membri del mio gruppo, che ormai rappresentano la
mia famiglia”.
La famiglia pensò Aaron mentre i suoi occhi si velavano di malinconia.
Di nuovo cercò rifugio nell’orizzonte per paura di essere un libro aperto e che
la solitudine di quel giorno fosse troppo pesante per essere nascosta. Sentiva
il cuore battere nel petto, lentamente come se tutto fosse calmo e naturale, un
rumore ritmico e monotono. D’istinto vi mise una mano sopra, per accertarsi che
quel suono fosse suo. Lo era, solo e lento come tutto il resto, batteva non
ascoltato se non dal proprio padrone.
La famiglia era una parola vuota, parola che Aaron non poteva riempire con il
suo passato. William se l’era portata con sé, la sorella l’aveva stemperata
nell’apatia e suo padre non l’aveva mai voluta ascoltare. Forse prima dei suoi
dieci anni quella parola aveva avuto un senso, un bel significato che a volte
riscaldava l’animo di Aaron, ma che con sé portava anche l’aria gelida del
ricordo dei giorni in cui tutto era finito. E il tempo trascorso dopo quei
giorni, più lungo e più lento, sembrava nascondere e schiacciare i rimasugli di
ricordi felici che anzi, in giornate come quella, non lo lasciavano stare,
ritornavano e ritornavano ancora a ricordargli cosa non avrebbe mai più avuto.
“Non dovete cercare di nascondere il vostro stato d’animo” .
Aaron si girò di scatto verso il Nero. Che insolente! Come poteva un uomo
sconosciuto pronunciare una frase di sufficienza come quella appena detta? Con
che diritto un ospite si permetteva di essere così impertinente da schernirlo e
soprattutto, da non passare sotto silenzio di cui non sapeva né conosceva nulla!
Il padrone del castello lo guardò irritato, ma di colpo fastidio e rabbia si
dissolsero
Perché di solitudine si può morire.
Furono le parole che sentì subito dopo, intrise di malinconia. Non le aveva
pronunciate Nero, ma Lord Aaron le sentì ugualmente e, sbalordito, spalancò gli
occhi in cerca di un perché. Si guardarono, stupiti da un qualcosa mai detto ma
che toccò entrambi così profondamente che passarono minuti, probabilmente,
immobili e increduli. Una semplice frase non detta ma percepita aveva trapassato
la superficie di quel dialogo per approdare nel profondo dell’animo.
Chi aveva pronunciato quella frase? O forse l’avevano pensata? O non era mai
esistita? Non era insolenza, quella del Nero, né superficialità, tutt’altro,
perchè anche lui sapeva che di solitudine si può morire.
***
Stateira:
Che bellissimo! Sono felice che ti piaccia, davvero *_* /me offre una birra per
ricompensa ^_^ Se Cleto davvero avesse parlato, sarebbe stato molto poco
poetico, per me. Il falco comunica, ma pochi possono sentirlo. Per quanto
riguarda le donne del capitolo... eh eh anche se non riesco a creare
protagoniste avvincenti (perciò mi butto su uomini belli. Ma il mio è puro
interesse scientifico, sia chiaro XD), sono felice che le comparse siano
simpatiche. Un bacio
Michan_Valentine: Eh eh eh l'ombroso e il buono sono, in effetti, gli
stereotipi da cui sono partita. E' il primo impatto che i protagonisti
dovrebbero avere, e che poi vorrei cambiare (smontare, rifare, ricreare? Un po'
tutto ''^_^ Dici che è troppo?). Per quanto riguarda Aaron, uno scorcetto lo si
ha in questo capitolo, ma è un'infarinatura generale (la "torta" sarà chiara
quando sarà finita...oh cielo, che sia un pasticcere invece che una che
racconta-storie? °_°''' Cencio apprezzerebbe di certo XD). Mi piacciono tanto le
tue recensioni (sempre così dettagliate *hug*). Contentissima di risentirti. Un
baciotto (offro una birra anche a te? O te e biscotti?)
Sid1981:
Ciao! Grazie per la recensione. Dici che è scritta in modo insolito per una fic?
M'incuriosisci (del resto sono un'avida lettrice, ma da poco ho avuto il
"coraggio" di pubblicare le mille ed una storie scritte da me...No, non tutte
insieme, per carità, rischierei il ban dal sito XD). Un bacio
BiGI:
HAHAHA Cencio. Il ragazzo miete vittime *_* Mi ha molto divertito scriverne la
storia. Il nostro fanciullo imperverserà XD Bacibaci
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Capitolo 6 *** 06. Mi dai sicurezza ***
Nuova pagina 1
Capitolo Sei
- "Mi dai sicurezza" -
Aleggiava nell’aria, così, leggera e al contempo intensa: la consapevolezza di
aver inteso l’altro senza che ci fosse la necessità di vestirsi di parole e
adornare un qualcosa che non era possibile definire a voce. Gli occhi di Aaron,
di un turchese al cui confronto il cielo di quel giorno era azzurro pallido,
erano fissi e guardavano con stupore l’interlocutore che aveva labbra
leggermente socchiuse, una linea perfetta da cui fuoriusciva del vapore sottile.
Ma in quel momento non esisteva né il freddo, né le voci che giungevano da
lontano, entrambi ancora assordati dalle loro stesse parole.
Poi Aaron sorrise, con un sorriso così sincero e aperto da essere quasi
commovente. Sembrò, d’improvviso, molto più giovane, quasi un ragazzino con gli
occhi che brillavano. Di fronte a quella tenera debolezza non riuscì a porre
immediato rimedio, se non abbassando lo sguardo ed arrossendo, cercando
inutilmente di smettere di sorridere. Il Nero lo guardò e sfiorando leggermente
l’ampia manica della sua veste, gli fece cenno di sedersi sulla panchina di
marmo.
Anche il cavaliere si sedette, sereno. Chiuse gli occhi per un istante, per
godere ancora un attimo di quel momento e poi, finalmente, sorrise anche lui.
“Ho sentito che presto ci sarà un matrimonio”
“E’ vero” annuì Aaron “passando per le stalle e per l’ala Est, immagino non
abbiate sentito parlare d’altro”.
“Sono tutti in attesa, ho sentito che i preparativi sono già cominciati…”
“Si terrà a breve, si sposa Rebecca, chiamata dal villaggio “La bella”. Vi
lascio immaginare quanti cuori infranti…”
”Ecco perché se ne parla tanto, sentivo fra gli uomini un certa invidia” sorrise
“Sì, anche perché chi diventerà suo marito è il figlio del birraio del paese,
l’ultima persona che ci si aspettava la prendesse in sposa”.
“ Perché?”
“Credo che sia l’uomo più timido ed impacciato che abbia mai incontrato” Spiegò
Aaron “ E’ buono e sicuramente la tratterà bene, ma ci si chiede come abbia
fatto a chiederne la mano al padre”.
Il Nero lo prese un po’ in giro “Vedo che siete molto informato sulle voci che
girano in paese”.
“Vi sarete reso conto che dopo poche ore fra i muratori, non c’è vita che possa
rimanere segreta! Inoltre, voi non conoscete Josephine…”
”Ho avuto modo di incontrarla però” lo corresse il Nero ricordando la serva di
quella mattina “e devo dire di averla trovata… loquace”
Aaron rise all’eufemismo del Nero “Siete buono con lei e sicuramente molto
generoso!”
Nero si strinse nelle spalle e con l’aria innocente alzò leggermente le mani
come per allontanare da sé le parole di Aaron “Sono sincero” e Aaron rise, con
una voce cristallina e finalmente priva di preoccupazioni. Il Nero guardò il suo
interlocutore, felice di vederlo più sereno. Assaporò il suono di quella risata
per un istante; riteneva ingiusto che quel suono fosse stato nascosto dalle
ombre che prima avevano coperto il viso di Lord Aaron.
“Di sicuro” continuò l’ospite “in un paio di giorni Josephine vi avrà messo al
corrente del vero e del quasi vero sulla maggior parte degli abitanti della
zona. E di sicuro conoscerete i due sposi prima di vederli”
“Ho sentito che parteciperete anche voi al matrimonio”.
“Lo trovate insolito?”
”Molto, se devo essere sincero.”
Aaron fece un gesto per schernirsi “Mi hanno invitato…”
Il Nero sorrise e abbassò la testa. I capelli scuri gli caddero davanti agli
occhi e non fece nulla per spostarli: guardò attraverso quei fili d’ebano il
padrone del castello.
“Non è quello che intendevo…”
”Lo so, ma io penso sia sbagliato rinchiudermi fra i miei possedimenti e le mie
mura. Forse perché sono cresciuto qui, lontano dalla vita di corte e dalla
maggior parte degli altri nobili, ma mi sembra sciocco declinare un invito
semplicemente perché vivo in un castello”
Il Nero mosse leggermente il viso, ma lasciò ancora i propri capelli dov’erano
“Una persona lontana una volta disse qualcosa di simile, e mi ricordo che pensai
che se mai qualcuno in Inghilterra avesse detto lo stesso, quest’isola sarebbe
davvero potuta diventare un posto migliore”
“Pochi si comporterebbero come me perché sono pochi quelli che vivono a miglia
di distanza da un loro eguale” Disse Aaron inspirando profondamente
“Probabilmente se fossi costretto ad andare giorno dopo giorno a fare presenza
nei salotti e nelle corti di altri nobili, sarei così stanco di festeggiamenti
inutili che anch’io non andrei ad un matrimonio…” Poi aggiunse sottovoce,
cambiando discorso d’improvviso “Dal rispetto che sento nella vostra voce,
doveva essere un grand’uomo, la persona alla quale vi riferite”
Ma Nero non rispose subito, si limitò a girarsi e guardarlo “Lo fate spesso
vero?”
”Fate cosa?” Chiese con un sorriso stupito Lord Aaron
“Io non penso che sareste diverso a Londra. L’attenzione che vi ho visto mettere
nel prendervi cura di Forgia, quello che dite… Non sono dovute alla città di
nascita, ma piuttosto alla vostra indole”
Fu di nuovo il vento a rispendere, con una folata scompigliò i capelli d’oro di
Aaron che si girò verso il cielo. Cleto stava volando nell’azzurrò terso di
fronte a loro. Lì a terra, fra quelle pietre dell’ala Sud, rimanevano domande
non risposte e un insolito stato di quiete.
Aaron lottò contro un intimo istinto di fiducia nei confronti del suo
interlocutore. Quell’uomo sconosciuto suscitava in lui un sentimento di pace a
lungo dimenticato. La sera prima, senza neanche accorgersene, gli aveva mostrato
il marchio sulla sua nuca, perché anche adesso sentiva che, qualunque cosa
avesse detto, sarebbe stata al sicuro?
Si sentì protetto, senza una ragione. Guardò il Nero di fianco a lui che non
premeva né per delle risposte, né per una conversazione che ormai, era chiaro ad
entrambi, leniva la loro anima, e non solo con le parole. Il cavaliere aveva gli
occhi grandi e scurissimi, leggermente allungati, le ciglia lunghe che li
incorniciavano erano, se possibile, ancora più scure. Erano così intensi che
Aaron non potè fare a meno di chiedersi che cosa avevano visto e vissuto. Si
portò le ginocchia al petto e vi appoggiò la testa, ancora intento a guardarlo,
e solo dopo un po’ il Nero si girò a sua volta, stupito di quell’osservazione
protratta.
“Siete una persona che dà molta sicurezza, lo sapete?” si spiegò Aaron “e dai
vostri occhi date anche l’impressione di essere molto attento e curioso…eppure
non mi avete chiesto ancora nulla della mia macchia sulla nuca”
”Ugualmente voi non m’avete chiesto chi è l’uomo a cui mi sono riferito poco fa,
anche se sono certo che siete stato tentato”.
Aaron stava per protestare, ma si rese subito conto che Nero aveva ragione.
C’erano mille e più domande che voleva rivolgere al suo nuovo ospite, ma aveva
preferito non farne nessuna.
“Avete ragione” ammise sconfitto “ci sono molte, moltissime domande che vorrei
farvi e che non oso, forse ne avremo modo in futuro?” suggerì Aaron con un
pizzico di speranza nella voce, perché, si rese conto, era affascinato ed
incuriosito da quello straniero, e da tutto ciò che quegli occhi sembravano
portare con sé.
“Mi farebbe piacere” mormorò il Nero quando le grida di Margaret coprirono la
sua voce.
“Mio Signore, Lord Aaron, presto accorrete!”
Il biondo s’alzò di scatto dalla panchina, preoccupato per l’estrema urgenza
nella voce della donna. Prese il suo bastone e si diresse verso chi lo chiamava
“Mio signore, il malato… sta delirando!”
I cavalieri rimasero ad aspettare in una delle sale vicine alla stanza in cui
era tenuto Forgia. Cencio, che non riusciva a stare fermo per l’agitazione,
camminava avanti e indietro, davanti alla sedia di Luppolo. Quest’ultimo avrebbe
voluto protestare, dato che il ragazzo così facendo non faceva altro che
aumentare la tensione del momento, ma non ne ebbe il cuore. Così astuto e freddo
in battaglia, Cencio ora sembrava un ragazzino piccolo ed impaurito, coi suoi
capelli castani scompigliati sulla fronte e la sua andatura leggermente
dinoccolata.
“Cencio” gli disse poi in tono dolce, ma non riuscì a concludere la frase. Dire
che sarebbe andato tutto bene non aveva senso, perché Luppolo sapeva sarebbe
stata una menzogna. Il filo di speranza a cui tutti erano aggrappati in quel
momento si stava spezzando.
Cencio si girò verso di lui e lo guardò con occhi immensi, con la speranza che
Luppolo potesse dire qualcosa per risolvere la situazione. Lo scozzese lo prese
per mano e lo attirò a sé, delicatamente gli sistemò i capelli dietro le
orecchie e gli accarezzò il viso. Il gesto e il sorriso che ne seguì fu di tale
tenerezza che Cencio si calmò leggermente. La paura che albergava nei suoi occhi
pochi attimi prima, fu sostituita dalle lacrime. Non lasciando la sua mano,
Luppolo fece cenno a Cencio di andarsi a sedere vicino a lui. Il ragazzo rimase
immobile, come ancorato al terreno e, non riuscendo ad impartire nessun ordine
alle sue gambe, si sedette lì dove si trovava, per terra davanti a Luppolo,
esausto e sconsolato. Appoggiò la testa sulle ginocchia dell’amico e tirò su col
naso. Questo rumore e l’ardere del fuoco erano gli unici suoni che potevano
essere sentiti in quella stanza.
Il Nero era in disparte, appoggiato come suo solito con la schiena al muro e le
braccia conserte.
Siete una persona che dà molta sicurezza. Nella sua mente riascoltò quella frase
e la voce che l’aveva pronunciata. Di quella sicurezza ora, non ne trovava
traccia in sé, non aveva parole né altro che poteva dire per rassicurarsi.
Tuttavia il ricordo gli dava un insolito piacere.
Sospirò.
I pensieri di tutti, i singhiozzi di Cencio e persino lo scoppiettio del fuoco
parvero dissolversi quando comparve alla porta Lord Aaron: tutti rimasero in
attesa. L’ospite non disse una parola, fece solo un elegante cenno con la mano
al Nero, chiedendogli di avvicinarsi.
Delicatamente, poi, gli si accostò e cominciò a bisbigliare qualcosa che gli
altri non riuscivano a sentire. Nero prima spalancò gli occhi, sorpreso, poi,
fra lo stupore generale, scoppiò a ridere.
Se non l’avessero visto, nessuno dei cavalieri ci avrebbe creduto: Nero
sorrideva, tutt’al più la sua risata poteva essere contenuta, era da tempo
invece che nessuno lo vedeva più ridere di gusto. Finito quel dialogo sommesso,
Lord Aaron se ne andò come era venuto: in silenzio.
“Ha chiesto birra e carne e ha minacciato la povera Margaret strappandosi i
vestiti di dosso ed inseguendola nudo per la stanza”
Il silenzio si fece ancora più intenso
“Cioè, mi stai dicendo che sta bene?”
“Bene no, perché ha ancora la febbre alta, “ disse il Nero aggiungendo, più per
sé che per gli altri “il che giustificherebbe questo comportamento delirante”;
riprese poi a parlare con gli altri “Però pare sia ormai fuori pericolo”.
Vi fu un’esplosione di gioia “Ma quando guarirà” chieste Guardia “Possiamo
vederlo” chiese Levante, Cencio dal canto suo, nella totale irrazionalità,
cominciò a saltare quasi preso lui stesso da un raptus delirante, finchè non
gettò le braccia al collo di Luppolo che non resse all’impatto e cadde
all’indietro sul divano
“E’ salvo!!” gli gridò in faccia
“Questo l’avevo capito anch’io senza che tu m’abbattessi”
“Sei un insensibile, come sempre! E’ salvo!!” gli occhi di Cencio brillavano
così tanto che Luppolo non ebbe il cuore di continuare col suo solito sarcasmo
“Sono davvero felice” gli sorrise, arruffandogli i capelli.
Un attimo dopo però, Cencio era già in piedi, a fianco di Nero “Allora, quando
potremo vederlo, come sta? Cosa faremo? Perderà l’uso del braccio…”
“Cencio” lo interruppe il Nero con voce minacciosa “una sola domanda in più e
stasera niente cena”
Cencio si zittì di colpo
“Hai trovato l’unico modo per far tacere il nostro amico” rise Luppolo, poi
riprese in tono più serio “notizie più dettagliate?”
“A cena, Lord Aaron ci metterà al corrente della situazione. Sarà servita fra
un’ora”.
Nero uscì sul balconcino della stanza. Voleva rimanere per un attimo da solo: la
preoccupazione per le condizioni di Forgia, la notizia poi che le sue condizioni
sarebbero migliorate, le parole di Aaron e la sua voce bisbigliata, la stessa
voce che sorrideva cristallina poco prima sul balcone… Voleva avere modo di
capire, di riordinare tutto nel suo animo, nella calma della sera.
Sul balcone l’aria era fredda, ma il vento era cessato. C’era un profondo
silenzio, solo il fruscio degli alberi in lontananza lo inframmezzavano, il
cielo era particolarmente limpido e si vedevano tantissime stelle. Sembravano
voler disfare le maglie della notte con la loro luce, il manto buio che aveva
avvolto il castello era intarsiato di diamanti. Alcuni brillavano di più, altri
di meno, il silenzio che li circondava li rendeva ancora più misteriosi.
“C’è qualcosa che ti preoccupa?”
Nero si girò a vedere chi avesse parlato, perché, perso nei suoi pensieri, non
aveva riconosciuto la voce.
“Anche tu vieni a guardare le stelle, Chiaro?”
“In realtà ero venuto a cercare te, oggi non ti ho visto per buona parte del
giorno…”
Nero rise fra sé e sé “Sono stato rapito da dei muratori con una parlantina
particolarmente vivace e da alcune donne che m’hanno aggiornato sugli eventi
mondani di qui a poco…”
”Eventi mondani?”
”Un matrimonio, pare che una tale Rebecca si stia per sposare…”
Chiaro non parlò subito, ma guardò anche lui il cielo stellato “Quindi rimarremo
qui per molto” disse infine in un sospiro, lasciando trasparire la voglia di
andarsene.
Nero scosse le spalle “Non so bene ancora… Purtroppo, dal poco che Lord Aaron
m’ha detto, Forgia sebbene fuori pericolo, non guarirà in fretta, inoltre avrà
bisogno di molte cure per riprendere l’uso del braccio. E’ probabile quindi, che
dovrà rimanere qui ancora molto”
Chiaro sembrò leggermente stizzito e sbuffò. Nero non riuscì a trattenere il
sarcasmo “Ormai sei grande per sbuffare, mio buon amico. Ma non ti preoccupare,
se davvero Forgia dovrà rimanere qui a lungo, starò io con lui e non vi
obbligherò a rimanere. Ora che abbiamo compiuto quello che Re Edoardo ci ha
chiesto, possiamo tornare alle nostre case per un po’, ci meritiamo un po’ di
pace.”
“E tu? Non torneresti a casa con me?”
Nero guardò in faccia il suo interlocutore con un espressione a metà fra lo
stupito e l’irritato
“Quella non è casa mia, Chiaro. Non ho motivo per tornarci”
“Ma non è vero…”
”Chiaro, basta così!” tagliò corto Nero “Ti ho già ripetuto che non voglio
tornare più sull’argomento. Quella è casa tua, non è casa mia, e non ho
intenzione, né motivo, di tornarci”
Chiaro fece per protestare di nuovo, ma gli occhi di Nero lo fermarono.
“Gli altri decideranno cosa fare, se andare o restare. Tu fa’ come ti pare. Dal
canto mio non mi dispiace rimanere qui per un po’. E’ una parte molto quieta
d’Inghilterra e Lord Aaron è stato così gentile da aprirci le porte di casa sua”
Chiaro sospirò sconfitto. Tornare a casa senza Nero, per lui, non aveva molto
senso. Tornare e ritrovare suo padre e sua madre, sì, ma Nero era suo fratello e
la persona per la quale aveva abbandonato tutto. Lo aveva inseguito prima in
Oriente e poi in Europa, ma aveva la netta sensazione di non averlo ancora del
tutto ritrovato.
***
Michan_Valentine: Ciao ^_^ Sì, le tue
recensioni mi piacciono davvero, sei sempre molto attenta *_* Non so se questa
storia abbia raggiunto "il massimo" ora, o se mai raggiungerà "il massimo",
qualunque esso sia. Sono però contenta che tu me lo dica, che mi sproni e che
comunque, lo annoti. E questa, credimi, non è semplice retorica. Esistono dei
commenti e delle critiche oggettive (l'errore, il nonsense etc) ed esistono
delle critiche soggettive che, anche se non sono insindacabili, a mio modo di
veder sono forse più importanti. L'opinione soggettiva, quel che qualcuno pensa
è fondamentale. Poi, magari, quello che viene detto non rispecchia quello che io
penso oppure quello che io volevo trasmettere con racconto, ciononostante è
materia di confronto e di riflessione. Altrimenti, non sarei qui a leggere e a
scrivere. (e poi, detto fra me e te, io sono ben lunghi dal mio massimo, che mi
ostino a cercare. Per ora è piuttosto lontano, ahimè :/). Per tornare alla
storia nello specifico, oltre a non essere recentissima (neanche troppo vecchia,
direi di un paio di anni) è lunga. Di conseguenza l'ho strutturata in modo
tale che alcuni personaggi e alcuni eventi prendano forma solo strada facendo.
Altri evolvano fra le righe. Nero, poi, è il principe per questo tipo di
costruzione XD (po'rello, mi ci sono dedicata ahahahah). Che dire, tirare le
fila di più discorsi m'ha impiegato un pochino di capitoli... °_°(E poi mi si
dice che sono logorroica, chissà perchè XD). Un bacione
BiGi:
Aaron è un personaggio che ha fatto della solitudine la sua forza. Non mi
dilungo, altrimenti rischio spoiler, ma sono felice che si sia percepito il suo
malessere *_* Un bacio
|
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Capitolo 7 *** 07. Tornare a casa ***
Nuova pagina 1
Un capitolo un po' interlocutorio, ma che
pone importanti basi ^_^v Devo dire che Liberaci dal Male è un racconto che si
prende il suo tmepo, per conoscere bene i personaggi, ma credo che postando i
capitoli velocemente, si riesca comunque a stare bene dietro al racconto
^_^
Mi raccomando, ci tengo a sentire la
vostra opinione. Non siate timidi e fatemi contenta: recensite ^_^
Capitolo Sette
- Tornare a casa -
“Allora rimaniamo qui?”
“Hai sentito anche tu Lord Aaron, Forgia non si rimetterà prima di Natale, poi
avrà bisogno di cure per il suo braccio…”
”Quindi abbiamo deciso di fidarci e restare?”
“Non capisco perché tu sia così diffidente, Chiaro. Hai visto anche tu che
ferita aveva Forgia: sarebbe morto, ed invece Lord Aaron l’ha salvato. Non
abbiamo dunque ragione di pensare che ora farà diversamente”.
Chiaro non sembrava del tutto convinto, ma non trovò nulla da dire per
replicare.
“Penso che non si possa dubitare delle intenzioni del nostro ospite che inoltre
ci permetterebbe di rimanere qui, fin quando Forgia non sarà guarito…”
Nero si scostò dal muro al quale era appoggiato. Fece due passi verso il gruppo
di cavalieri ma non parlò subito, si picchiettò le dita sulle labbra pensoso
“…fino a Primavera” disse come concludendo il corso dei suoi pensieri ad alta
voce.
“Fino a Primavera? Intendi che dovremmo rimanere qui fino a Primavera?” chiese
Chiaro sgomento.
Nero focalizzò la sua attenzione sui suoi interlocutori:
“Chiaro” sospirò “ne abbiamo già parlato, non voglio ripetermi” lo fissò con uno
sguardo così intenso che l’amico non potè fare altro se non abbassare gli occhi,
tuttavia non si diede per vinto e picchiò il tallone per terra in segno di
stizza “ma…”
Nero si spazientì “Una sola parola in più a riguardo, Chiaro” disse con una voce
insolitamente profonda “e giuro qui davanti a tutti che ti chiuderò
personalmente quella bocca”.
Poche erano le cose che spazientivano il cavaliere e Chiaro, a volte, riusciva
ad evocarle tutte. A questa reazione, però, quest’ultimo sbiancò e arretrò di un
passo, spaventato da suo fratello. Il labbro inferiore gli tremava leggermente,
ma ebbe il buon senso di chiudere la questione.
“Probabilmente Forgia non sarà in grado di essere al meglio di sé fino a
primavera, per cui io rimarrò qui con lui”. Pronunciò questa frase lentamente e
scandendo ogni parola, dandole un tono inappellabile.
“Tu?”
”Sì, Cencio. Chi vuole restare può farlo, ma non sarà obbligato. Potete tornare
alle vostre case, dalle vostre donne, ovunque vogliate. Ci riuniremo qui,
all’equinozio di primavera”
“Quindi ci prendiamo una vacanza?”
Nero sorrise “Sì, Cencio, una vacanza…del resto, dici sempre che ce la
meritiamo, no?”
”Puoi dirlo, capo!”
“Re Edoardo potrebbe ancora avere bisogno di noi”
“Per quanto eccelsi cavalieri” ironizzò Nero “sono sicuro che potrà fare a meno
di noi per qualche mese”
”E poi, Cencio, sarà Natale anche per lui…”
“Già…” sospirò Cencio con aria sognante “Pensate a Londra, sarà vestita a festa,
ci saranno banchetti e cibo in abbondanza…”
”Londra non è il paradiso, ragazzo” ma la dissuasione non ebbe alcun effetto sul
più giovane del gruppo che con gli occhi sognanti era a miglia di distanza, fra
maialini al latte e creme di pistacchio. Sospirò.
“Luppolo, promettimi che un giorno mi ci porterai…”
”E cosa sono, tua madre?”
“No, ma sei mio amico” rispose lui col broncio
“E questo non fa di me il tuo accompagnatore…”
“Troverò il modo di persuaderti!” Luppolo non rispose e si limitò a guardare
Cencio e a sospirare. Non staccò subito gli occhi da lui, ma lo guardò ancora
per un attimo “Dovrai essere molto convincente…” disse a bassa voce, più a se
stesso che al suo interlocutore.
“Io comunque non rimango” disse d’improvviso Chiaro, indispettito ancora dal
discorso precedente, abbandonato in modo troppo prematuro. “Torno a casa, mia
madre e mio padre saranno contenti di rivedermi e sinceramente, ho voglia di
passare un po’ di tempo nelle mie terre…”
“Penso di andare anch’io…” Levante non parlava molto, a dire il vero quasi mai.
Aveva un pesante accento straniero e probabilmente un po’ per le sue difficoltà
nell’eloquio e un po’ per la sua innata riservatezza, rimaneva spesso in
silenzio. Ma con poche parole ebbe l’attenzione di tutti che, sbalorditi, si
girarono verso di lui
“Torni nelle tue terre? Ci vorrà un mese intero solo per il viaggio!”
L’espressione sul viso di Levante fu elusiva e vaga. Non rispose, forse era
meglio che gli altri credessero che tornasse a casa. Ma Nero non gliela fece
passare.
“Abbi il coraggio di dire dove vai” lo incitò, trattenendo il sorriso.
“Davvero, non torni a casa? E allora dove vai?”
“A sud…” tentò di sviare il discorso ancora una volta, ma Nero, di nuovo, lo
canzonò “Sì, al Sud dai grandi occhi verdi…”
Levante, ormai incastrato non potè che annuire, rosso in volto.
“Occhi verdi? Una donna?” Cencio, assolutamente incurante dell’imbarazzo del
compagno, voleva sapere di più “Ma quando l’hai conosciuta? Dove? E perché noi
non ne sappiamo niente”. Vista la reticenza di Levante, il ragazzo girò il suo
sguardo verso il Nero che, come il più innocente degli uomini se ne lavò le
mani: “Io ho dato il primo indizio…” disse “ …i miei sospetti ora sono realtà.
Solo l’interessato vi dirà di più, se vorrà”il suo sguardo tradiva l’espressione
di chi la sa lunga.
“Dicci la cosa più importante di tutte è: ha le tette grandi?” Guardia, pratico
come sempre, non badava ai dettagli romantici, ma veniva al sodo.
“Ma dai, Guardia, ti sembrano domande da fare? Saranno fatti suoi!”
”Perché tu non sei curioso di saperlo?”
Cencio ci pensò un secondo, poi di girò di nuovo verso Levante “Allora, ha le
tette grandi?”
Levante spazientito, imbarazzato e divertito alzò le mani al cielo “Basta, vi
racconterò al mio ritorno…”
”Devi vedere come va? Beh, effettivamente …Ma dicci solo, di dov’è?”
“Italiana, figlia di un mercante” rispose Levante e questa donna sconosciuta si
conquistò immediatamente la simpatia di Cencio: “Allora hai il mio completo
appoggio. Sarà bella, e sarà una donna come si deve. Buon sangue non mente”
”Ovvio che tu sia completamente imparziale…”
”Sto solo dicendo la verità, Luppolo, è inutile fare della facile ironia”
“Voi avete già deciso cosa farete?” chiese Chiaro che non si sentiva partecipe
del buonumore del gruppo.
“Oh beh” disse Cencio facendo spallucce “io non ho un posto dove tornare. Né una
donna da andare a trovare, quindi rimango qui”
“Io torno in Spagna” disse Guardia.
“Anch’io rimango “ disse Luppolo.
“Ma come, non hai una casa che t’aspetta in Scozia?” chiese Chiaro. Anche il
Nero si stupì della decisone di Luppolo. Aveva una casa a cui tornare e
sicuramente una famiglia e parenti che sarebbero stati contenti di riaverlo fra
loro.
“Sì, ma non s’aspettano che torni adesso. Preferisco rimanere qui…”. C’erano
sicuramente altri motivi che spingevano Luppolo a rimanere, però non sembrava
intenzionato a dirli, s’augurò che questa blanda giustificazione fosse
sufficiente.
“Quindi rimaniamo in quattro. Mi aspetto torniate entro l’equinozio di
Primavera. Se non vi farete vivi, manderò Cleto a cercarvi. M’aspetto, nel qual
caso, anche di ricevere vostre notizie”.
Gli altri annuirono. Si congedarono dopo poco per andare a letto. Finalmente
avrebbero dormito un sonno tranquillo, con la consapevolezza che Forgia si
sarebbe rimesso.
La pioggia cadeva fitta dal cielo grigio. Il Nero era sdraiato sull’erba, in un
piccolo giardino interno del castello e lasciava che l’acqua gli inzuppasse i
vestiti. Non guardava niente di particolare, solo le nuvole che si rincorrevano
e si trasformavano, ma sembravano fisse ed immutabili. La cupezza del cielo era
la stessa che dimorava quella mattina nel suo cuore. Nero si sarebbe messo a
ridere all’immagine di lui, fradicio sull’erba, ma non ne aveva la forza.
A volte capitava che la malinconia avesse il sopravvento e le parole di Chiaro
del giorno prima non avevano fatto altro che riportare in superficie ricordi e
sensazioni che avrebbe voluto dimenticare. Quella che Chiaro si ostinava a
definire casa loro, Nero la considerava ciò che vi era di più lontano da casa
sua. Tutto ciò che questa rappresentava, lei e i suoi abitanti, avevano segnato
così tanto la sua infanzia che, arrivato al limite, se n’era andato. E da
allora, da ben quindici anni, non aveva più rimesso piede in quelle terre. I
genitori di Chiaro chiedevano spesso di lui, ma Nero non ne voleva sapere, tanto
erano stati incapaci e gretti in passato.
Quello che desiderava in quel momento era sciogliersi nel vento e scomparire,
per dare un po’ di pace alla sua anima. Ma l’unica cosa che riusciva a fare era
rimanere immobile a terra, con la pioggia che gli bagnava i vestiti ed i
capelli.
Che cosa voleva? Non lo sapeva con precisione, spesso se l’era chiesto ma non
era riuscito a trovare una risposta….Tornare indietro ed affrontare quello che
gli altri definivano casa sua non aveva senso. Del resto, le uniche due persone
a cui era veramente legato, la cuoca Gillian e il suo maestro d’armi Anselm,
erano morte già da un po’. L’unico suo vero rimpianto era quello di non esserci
stato quando s’erano ammalati. Ma era sicuro che dal Paradiso lo guardassero e
sapessero dell’affetto che portava per loro nel cuore. Pregava spesso per le
loro anime, la preghiera in giorni come quello, sembrava l’unica fonte di
serenità.
Aveva i sensi gelati ed intorpiditi, l’aria che respirava gli parve per un
attimo densa.
Cercava una pace che non avrebbe ottenuto né lì sotto la pioggia né da nessun’altra
parte, ma questo non gli impediva di continuare a cercare.
“Eccoti!"
Nero si mosse impercettibilmente e vide avvicinarsi Luppolo.
“Dopo Forgia vuoi essere il prossimo ad ammalarsi?”
Nero sorrise “ Una volta che la tua pelle raggiunge una certa temperatura, non
senti più freddo”
“Tu sei il capo, di certo non mi metto ad argomentare con te” disse, ma poi
arrivò subito al punto per il quale aveva lo cercato.
“Chiaro non ha preso bene il tuo ennesimo rifiuto di tornare a casa, vero?”
”Per niente, ma non ho intenzione di litigare con lui un’altra volta. A volte
non so se è ottuso o solo insistente”.
Così dicendo, si sedette, pur non mettendosi al riparo dalla pioggia.
“Con quest’acqua non so quanto siano riusciti i muratori a mettere a posto la
restante parte dell’ala Est”
”Ti trovi bene qui, vero?”
Nero annuì “E’ un posto che mi rilassa molto, a conti fatti, sono contento di
potermi fermare per l’inverno. Chiaro non ha voglio di ascoltami quando gli
parlo…”
”…è il problema di avere un fratello all’interno del tuo gruppo”
Il Nero annuì malinconicamente.
“Non mi fraintendere, sai che penso che lui sia il più capriccioso e fastidioso
di tutti, ma l’ho sempre considerato un uomo d’onore e anche di grande
compagnia, quando è di luna giusta”
“Il suo comportamento è dovuto ai suoi natali…”
“Penso che sia anche dovuto alla sua indole e all’attaccamento morboso che ha
per te”
“Morboso non direi. Siamo cresciuti insieme e forse questo gli fa avere un
atteggiamento diverso nei miei riguardi, perchè se ne sente in diritto” Nero
cercò di sviare così la conversazione, anche se sapeva che il termine di Luppolo
era tutt’altro che fuori luogo. Chiaro viveva nella luce riflessa da Nero,
picchiava i piedi per terra ma non osava mai contraddirlo. Aveva il disperato
bisogno di avere la sua attenzione e approvazione. E quando queste venivano a
mancare, faceva di tutto per riottenerla, spesso in maniera petulante ed
eccessiva.
“Forse non morboso” sospirò Luppolo “di certo dipende da te in modo assoluto”.
Ci fu una breve pausa fra i due e la pioggia che picchiettava nelle pozzanghere
e che sgrondava dal tetto accompagnò quel silenzio.
“Perché non sei voluto tornare in Scozia?” chiese Nero a Luppolo senza
guardarlo, continuando a fissare il rivolo d’acqua che scendeva da una colonnina
lì di fronte
“Pensi sia davvero sbagliato che un uomo ami un altro uomo?”
Nero non spostò gli occhi dall’acqua, ma quella domanda lo stupì molto. Avrebbe
probabilmente guardato in faccia il proprio interlocutore sgranando gli occhi,
ma se l’aveva riferita a se stesso, probabilmente la domanda era costata una
fatica enorme a Luppolo e di certo non voleva mortificarlo col suo stupore.
Nero non seppe dire se davvero Luppolo si stesse riferendo a se stesso o se
stesse continuando il discorso fatto prima. Il sentimento che Chiaro aveva nei
confronti di Nero, infatti, non era un amore consueto, ma di certo aveva molte
caratteristiche in comune con esso.
“Davvero Dio giudicherà peccatori gli uomini che si amano?”
”Non lo so. Non so come Dio giudicherà i giusti dai peccatori. Posso dirti che
cosa dicono le Sacre Scritture, e cosa penso io. Ma non lo so per certo”
”Quindi metti in dubbio la Bibbia? Intendo…pensi che potrebbero essere
sbagliate?”
Nero infine guardò Luppolo negli occhi. Il cavaliere parve tenere molto a quella
conversazione, i suoi occhi erano gravati da una tristezza profonda.
“Penso che Dio si prenda cura di noi e giudicherà caso per caso”.
Luppolo annuì, in silenzio.
“E’ meglio che tu vada ad asciugarti, l’acquazzone non sembra voler cessare”
Guardarono per un attimo la pioggia e poi Nero disse: “Dio ci giudicherà per il
nostro operato. Ognuno ha un fardello con sé, ma io credo fermamente nella sua
bontà”
Luppolo sorrise, nei suoi occhi era scomparsa parte della malinconia di poco
prima. Guardò il Nero quasi volesse ringraziarlo e anche lui andò ad asciugarsi.
L’acqua calda rilassò molto i muscoli del Nero, stanchi e contratti senza un
apparente motivo. Un spesso vapore riempiva la stanza e rendeva tutto
opalescente. Nero si guardò intorno ed espirò come se avesse trattenuto il
respiro fino a quel momento. Lasciò che gli aromi tingessero quella mattina
grigia e ne inspirò l’odore, per poi immergersi completamente nell’acqua.
Con i rumori intorno a lui ovattati e le bollicine che gli facevano solletico
sulla pelle, Nero si sentì sereno, ebbe la netta sensazione che l’acqua stesse
lavando anche i suoi malumori mattutini, colorando una giornata che era iniziata
in un monotono grigio. Era felice di essere arrivato al castello Thurlow, lì si
trovava bene ed era incuriosito dal suo ospite, dai suoi occhi turchesi e dalla
sua macchia di Dio.
***
BiGi: Eheheh
chiaro è un personaggio inquietante, devo ammetterlo. E' comparso, all'inizio,
ma niente di che. Ora, è giusto che abbia il suo spazio ^_^ Besos
|
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Capitolo 8 *** 08. Restare ***
Nuova pagina 1
In effetti avrei
dovuto postare il capitolo molto prima. Giuro, ero davvero intenzionata a farlo.
Ma poi i giorni mi sono letteralmente sfuggiti di mano ;_; Uno fa due cosine, si
gira, si volta e sono già passati giorni, senza capire dove siano andati. Bah
^_^
Ovviamente amo
tutti coloro che recensiscono. Quelli che hanno già recensito, poi, ancor di
più. Grazie mille *_*
Capitolo Otto
- Restare -
Si fermò alla finestra a guardarlo, stando attento a non essere scoperto a
fissare così spudoratamente qualcuno. Fissare era maleducazione e lui lo sapeva,
tuttavia non riusciva a fare a meno di guardare e studiare il suo nuovo ospite,
dall’alto della sua camera. Aveva i capelli abbastanza corti, mossi sulla fronte
e sulla nuca, il vento del pomeriggio glieli scompigliava di continuo, ma ogni
volta sembravano tornare perfettamente a posto. Ciocca dopo ciocca, l’aria li
disfaceva, fili d’ebano che fluttuavano leggeri, e poi si riassestavano, in
compagnia degli altri, come se niente fosse.
Le linee del volto erano perfette, così regolari che sembravano scolpite nel
marmo greco. Aaron sorrise, non c’era certo da stupirsi se la notizia di quel
viso aveva già raggiunto tutte le case dei paesi circostanti e se tutte le
donne, giovani o meno, non vedevano l’ora di partecipare al matrimonio di
Rebecca per vedere finalmente l’oggetto di tanto parlare. Ma erano i suoi occhi
che Aaron prediligeva più di ogni altra cosa: enormi e color della notte,
leggermente allungati sui lati. Sembravano nascondere profondi segreti fra i
quali c’era il rischio di perdersi. Le ciglia erano lunghe, fitte e li
circondavano aggiungendo mistero a ciò che non poteva parlare, ma che in realtà,
pareva essere più eloquente delle parole. Quegli occhi gli avevano trasmesso
sicurezza sin dal primo giorno, quando i cavalieri fradici avevano varcato la
soglia di casa sua. C’era una voce, forse un istinto, fondo alla sua mente, che
non gli aveva mai detto il falso. Aaron non sapeva dire se quella voce gli
proveniva dall’alito di Dio o semplicemente da un sesto senso particole
sviluppato, ma aveva subito sentito che da quegli occhi non si sarebbe mai
dovuto difendere.
Ad Aaron quegli occhi sembravano una notte d’estate, cupi e solitari, ma
incredibilmente caldi e limpidi.
La linea della bocca, poi, morbida, pareva dipinta d’ambra, in contrasto con la
pelle chiara.
La sua andatura, le spalle larghe e l’altezza, la sua figura nel complesso,
emanavano un’autorità che era difficile non percepire. Lo stesso Aaron, che di
rango era superiore, provava una certa soggezione di fronte all’ospite.
Natalie, Margaret e tutte le donne che aveva sentito parlare da qualche giorno a
quella parte avevano ragione: era bellissimo.
Aaron si soffermò un attimo di troppo su questo pensiero, poi di scatto, si
voltò e si allontanò dalla finestra, barcollando leggermente, preoccupatissimo
per un pensiero così poco appropriato. Aveva il respiro accelerato e
un’agitazione intensa, causata da un inconscio molto più sincero della sua
mente.
Prese un piccolo sacchetto che aveva riposto nel cassetto vicino al suo letto e
uscì velocemente dalla stanza, deciso ad occuparsi di faccende più serie e a
dimenticare quanto appena accaduto.
Il giorno prima aveva piovuto ininterrottamente, ma fortunatamente di notte
aveva smesso e i lavori nell’ala Est del castello erano ripresi a pieno ritmo.
Aaron volle andare di persona a controllare che tutto stesse proseguendo
tranquillamente. Il capomastro lo aggiornò sui problemi e sulle eventuali
risoluzioni.
“Mi fido della vostra esperienza, tuttavia sapete che a breve questa casa
ospiterà diversi membri di famiglia e…sarà presa d’assalto da alcuni in
particolare”
Il capomastro spalancò gli occhi “I vostri nipoti?”
”Non solo, anche i miei cugini hanno mandato a dire che quest’anno passeranno il
Natale qui, e con loro le loro spose e figli relativi”
”Oh cielo” esclamò Natalie raggiungendo i due “ Questo farà almeno dieci
bambini!”
”Infatti, perciò avremmo proprio bisogno che quest’ala fosse in piedi e a posto
nel giro di poco tempo.”
”Ma non potrebbero trovare sistemazione nell’ala Sud?”
”Se possibile, vorrei evitarlo. Questa parte del castello è di più facile
gestione, per la servitù. Senza contare che la maggior parte dei cottage e della
dependance esterne sono più facilmente raggiungibili da qui”
”Quindi mi state dicendo che volete tenere lontani i marmocchi dalle sale
principali del castello?” Natalie non aveva peli sulla lingua, da anni a capo
della servitù femminile del castello, era diretta e schietta.
Aaron sorrise, conosceva la domestica sin da quando era bambino ed era stata
l’unica a riuscire a domare il temperamento astioso di suo padre, quindi il
giovane vedeva di buon occhio quella lingua affilata che molti altri, invece,
avrebbero visto come irriverente.
“Se vengono tutti quelli che hanno dato notizia, i bambini saranno quattordici,
le famiglie quattro, e sicuramente porteranno qualche servitore. Avere l’ala Est
da adibire per loro, con i cottage esterni, sarebbe più pratico. So inoltre che
non tutti i cavalieri rimarranno qui…”
“Ah beh, loro non sono certo un problema, tranne uno che è un po’ spocchioso! Ma
tanto lo faccio rigare dritto io” disse Natalie agitando il dito indice in alto
“gli altri sono molto a modo.”.
“Penso che, a meno di altri acquazzoni, qui dovremmo finire per l’arrivo degli
ospiti!”
”Bene, fatemi sapere se avete bisogno di qualcosa”
”La ringrazio signore” concluse il capomastro inchinandosi mentre Aaron se ne
stava andando.
Il Lord vide Cencio e Luppolo insieme ad un gruppo di muratori più lontano,
rimase ad osservali un istante. Distratto a guardare lontano, Aaron non si
accorse che anche Chiaro e Nero erano nelle vicinanze, per cui quando la voce di
quest’ultimo lo salutò, ebbe un leggero sussulto.
“Scusatemi, ma non vi avevo proprio visto”. Per un istante ripensò all’immagine
osservata poco prima dalla finestra, ma di nuovo la cacciò con forza dalla
mente.
Non capiva esattamente di che avesse paura e cosa lo infastidisse così tanto,
forse i suoi pensieri sul Nero? Forse l’essersi fermati ad ammirarlo ed esserne
affascinato? Non lo sapeva, ma abbassò gli occhi e non volle incrociare quelli
del suo interlocutore, nel timore che questi potesse leggere in essi la sua
profonda confusione.
“Ho sentito che i lavori nell’ala Est proseguono velocemente”
Aaron annuì cortesemente e guardò nella direzione dei muratori, non osando
ancora incrociare il proprio sguardo con quello di Nero.
“Posso disturbarvi per un attimo? Avrei delle faccende di cui parlarvi”
“Certo”rispose Aaron di nuovo padrone di sé, potete venire con me a…” cercò le
parole più adatte “dare aiuto ad un amico” disse infine non trovando migliore
definizione. “Potremo parlare nel tragitto”.
S’incamminarono per un viottolo ben curato, fatto di ciottoli bianchi. La
stradina percorreva il fianco del castello prima e dopo sembrava essere sola, in
mezzo al prato, per poi scomparire in un fitto degli alberi.
“Dove porta?” Chiese Nero che guardava con curiosità quel viottolo.
“Porta esattamente dove sembra: in mezzo al bosco”
Nero aggrottò le sopracciglia “Una strada battuta e ricoperta di sasso che porta
in mezzo al bosco?”
”Avrete notato che il castello è ben poco protetto dagli attacchi nemici, non ci
sono mura intorno, solo il fossato che non è molto profondo…”
Il Nero annuì, sin dalla prima sera lì, aveva trovato strana quella scarsità di
difese
“Le mura di questo lato sono composte dal bosco. Può sembrare strano, me ne
rendo ben conto, ma con la mia capacità di comunicare con gli animali e capirli,
m’è stato possibile stringere un patto con loro. Loro proteggono questo lato
della mia abitazione; mi avvisano se ci sono dei cambiamenti repentini di clima,
cosicché io possa tutelare i raccolti; mi dicono se degli sconosciuti cercano di
attraversare il bosco, o mi avvisano se qualche malintenzionato lo visita senza
che sia stato invitato”
Il Nero pareva esterrefatto “Ma se arrivasse un esercito? Contereste comunque su
di loro?”
Aaron sorrise di gusto “Siete proprio un militare! “ lo prese in giro “Sì,
conterei comunque su di loro perché in realtà sono alleati formidabili: veloci,
estremamente esperti dei luoghi, imprevedibili e che non temono l’oscurità o la
pioggia” Nero annuì, cominciava a capire.
“E questa stradina che porta all’interno del bosco...?”
“Gli animali sono miei amici e miei alleati, di certo non miei sudditi o servi,
il nostro rapporto si basa sullo scambio equo di favori” Sorrise “Penso che
questo faccia di me, in qualche modo, un mercante abbastanza innovativo”
Ironizzò su se stesso, ma poi riprese a spiegare “Non ho modo di ricompensarli
dei molti servigi che mi offrono, ma grazie alle mie conoscenze mediche ed
umane, posso aiutarli nella malattia e riesco a tutelarli contro i cacciatori,
che spesso si rivelano essere i loro peggiori nemici”
”Mi stupite” Ammise Nero “Devo essere sincero, io riesco a comunicare con gli
animali, anche se credo non in modo approfondito come fate voi, ma non avrei mai
pensato potesse esserci un’applicazione tanto pratica di questo dono…”
”Questo è perché voi siete un guerriero e potete avere una spada che vi difende
ed un cavallo che vi porta in groppa, io no, purtroppo il mio bastone non incute
molto timore” disse cercando di stemperare la situazione Aaron, ma il Nero
percepì la malinconia e rimpianto nella voce, che subito però vennero nascosto.
“Quindi ho cercato di usare al meglio le risorse che m’erano state date”
”Non sottovalutate il vostro animo, penso che pochi farebbero un così buon uso
del vostro dono”
“Questo non lo so, è un dono che non ho chiesto, me l’hanno imposto e io l’ho
accettato ma…” Aaron s’interruppe. Non voleva iniziare a parlare, né tanto meno
pensare a quella notte, a William e al bacio sulla sua nuca. Non voleva viziare
quella conversazione con rimpianti inutili di un passato che non poteva essere
cambiato.
Nero s’accorse che il discorso era stato bruscamente interrotto a metà ma non
disse niente. Rispettò la reticenza del suo interlocutore ma si chiese che cosa
questa nascondesse.
“Volevo ringraziarvi della vostra ospitalità” cambiò quindi discorso “Ho parlato
coi miei uomini ieri e alcuni di loro torneranno dalle loro famiglie e dalle
loro donne, Cencio e Luppolo rimarranno qui”
“Sono molto contento che rimangano. Cencio ormai è sotto l’ala protettrice di
Coriliss, la cuoca. Dice che da lui riceve particolari gratificazioni”.
Nero rise “Non faccio fatica a crederlo! Non ho mai visto nessuno mangiare con
l’appetito di quel ragazzo”
”E voi, rimarrete?” il tono di Aaron lasciò trapelare una piccola speranza che
in realtà nascondeva quella intensa che albergava in lui.
“Sì, e devo dire che sono molto contento del vostro invito. Il luogo è
incantevole e l’idea di tornare a Londra non mi allettava di certo”
”Tornare a Londra? Non pensavo foste di quelle parti”
Il Nero sorrise “avete un orecchio molto fine per gli accenti noto. E’ vero, non
sono di lì, ma quello è il luogo dove torno quando siamo in Inghilterra e siamo,
per così dire, disoccupati”
Aaron rise “Considerate il vostro un lavoro?”
”Non potrei considerarlo altrimenti. Veniamo pagati per impugnare le armi, non
facciamo nulla per la gloria”
”Eppure la vostra fama è giunta alle mie orecchie ben prima di voi. E dubito che
servireste altri se non Re Edoardo”
Nero guardò Aaron meravigliato “Non guardatemi così e ditemi se mi sbaglio. Il
mio istinto non è infallibile”
“No, avete perfettamente ragione” scosse la testa il Nero “mi chiedevo solamente
se davvero fosse così palese”
“Lo dite come se fosse una cosa negativa”
“No, non lo penso. Tuttavia, il lavorare per Re Edoardo è, per me, l’unico modo
per mantenere un qualche legame con l’Inghilterra…”
Aaron non capì e aggrottò le sopracciglia “Come l’unico. E la vostra casa? La
vostra famiglia..?”
I lineamenti di Nero s’irrigidirono per un istante e non rispose immediatamente.
I suoi occhi si persero un attimo nell’orizzonte e Aaron non capì esattamente
cosa vi lottasse al loro interno. Malinconia, forse rabbia. E solitudine.
Il silenzio che s’era venuto a creare era carico di indecisione che Aaron
interpretò anche come sconforto. Voleva dare una via di fuga a Nero, e tentò di
cambiare completamente discorso, dispiaciuto di aver messo il suo ospite in un
tale imbarazzo, ma Nero riprese a parlare interrompendolo sul nascere.
“Sono andato via di casa quindici anni fa e da allora non vi ho più fatto
ritorno. E di certo non ho intenzione di cambiare la mia decisione” poi aggiunse
fra se e se “Anche se Chiaro vorrebbe tutt’altro”
”Chiaro?”
“Lui è figlio dei nobili coi quali sono cresciuto. Mio fratello, in un certo
senso, il mio fratellastro più probabilmente. Vorrebbe che tornassi, insiste
ogni volta che ne ha l’occasione, ma io non ho intenzione di farlo…”
Fece una pausa, per permettere ad Aaron di parlare, magari nel tentativo di
persuaderlo a tornare a casa oppure per chiedergli il perché.
Ma dalla bocca dell’altro non uscì una parola.
Poi pensò al loro dialogo sul balcone, qualche giorno prima e all’intensa
solitudine che avevano condiviso, ebbe allora la sensazione che l’uomo che gli
era davanti capiva. Cercò la conferma gli occhi dell’altro e una voce dentro di
lui gli bisbigliò che non c’era condanna in quelle iridi turchesi. Il Nero non
poté fare altro che sorridere e un ondata di calore gli pervase il corpo.
“Avevo quindici anni quando lasciai casa. Me ne andai, senza una parola e senza
preavviso. Presi un cavallo, la mia spada e poco altro. L’unica persona che ebbi
il coraggio di salutare fu il mio maestro d’arme che non cercò neanche di
convincermi a rimanere. Non l’ho mai ringraziato per quel suo gesto, ma in
realtà m’ha dato una fiducia in me stesso che porto ancora dentro…”
”E’ lui che v’ha insegnato l’arte della guerra?”
”Sì, devo tutto a lui. Le mie capacità si sono affinate molto, successivamente,
e ho incontrato guerrieri e persone che hanno arricchito la mia tempra e le mie
capacità. Ma mai nessuno è riuscito a trasmettermi così tanto”
”E’ stato un ottimo maestro”
Nero aggrottò la fronte e guardò Aaron. Come poteva saperlo?
Il biondo sorrise all’aria interrogativa del cavaliere. “Vi mostro una cosa” e
così dicendo prese la mano di Nero fra e sue e dolcemente tracciò una linea
sottile al lato del suo palmo “Vedete questa linea? Viene chiamato il callo di
Marte e compare solo a chi impugna la spada in un determinato modo. Si dice sia
il modo più efficace di impugnare qualunque arma bianca, se ne guadagna in forza
e precisione”
“Il callo di Marte?”
”Sì, secondo il mito questo callo veniva a tutti i suoi discepoli e da allora ne
ha preso il nome”
Nero guardò stupito la sua mano e quella linea di pelle indurita che gli
percorreva il palmo. Poi passò gli occhi sulle braccia di Aaron, poi sulle
spalle ed infine sul viso.
Rimasero così, nessuno dei due lasciò le mani dall’altro. Da quel contatto
percepivano un calore intenso dal quale nessuno dei due voleva separarsi. Era un
contatto così personale che persino il vento sembrò fermarsi, per non
intromettersi.
Durò tutto un attimo, poi Aaron riprese il suo cammino e Nero fece di
conseguenza.
Il biondo si accarezzò il palmo della mano col pollice, senza farsi notare, per
ricordarsi bene quel tocco. Quel contatto, come le parole scambiate qualche
giorno prima sul balcone dell’ala Sud, gli aveva lasciato una lieve sensazione
di armonia che da tempo gli mancava e non voleva dimenticarlo, non voleva
lasciare che svanisse insieme a quell’istante.
Sorrise, il sentiero era terminato e si fermò, battendo il suo bastone due volte
sul terreno.
“Saranno molto diffidenti, all’inizio, ma metterò una buona parola” disse a Nero
che intuiva cosa lo avrebbe aspettato e che si ritrovò ad essere impaziente.
***
Stateira: Sono felice che i personaggi di cosiddetto "contorno" ti
piacciano. Dico cosiddetto perchè avranno comunque un ruolo importante
(Liberaci dal Male non è un racconto corale, strettamente parlando, ma ha
personaggi accessori che mi hanno preso molto, sia di pianificazione delle loro
vite, sia affettivamente XD). L'opposizione Chiaro/Nero volevo che fosse
evidente, del resto sarà un'opposizione destinata a protrarsi nel racconto. A
questo punto ci tengo che mi dica se ti piacerà come evolve il rapporto, quel
che c'è dietro ecc. E Luppolo, beh, non dico niente, però se ti accosti, te lo
svelo nell' orecchio: potevo mai lasciarlo
in balia del nostro italianuncolo da strapazzo? In balia mia mi sa che è messo
ancora peggio ahahah Bacio
Michan_Valentine: Ciao ^_^/ sìsì, felicissima di risentirti. Nero è
forse il personaggio che più di altri si rivela pian piano, ci sono stralci di
personalità qua e là, ma non posso rivelare tutto e subito. Come vedi, anche
solo il suo aspetto fisico, è spiegato più in dettaglio all'ottavo capitolo
piuttosto che quando entra in scena. La personalità di Nero è parte del perno di
Liberaci dal Male, va presa a piccole dosi (oddio, detta così sembra una
minaccia XDD). Nero devo centellinarlo (non puoi immaginare i fogli buttati via
nella pianificazione di personalità, storia, intrecci, reazioni, credenze.... di
Nero. Frecce, , cancellature, ri-frecce. Sembravo una pazza XD). E sulla
questione del macho...ehm. prometto che riprenderò la questione più avanti. Ora
farei solo spoiler inutili (scusami se continuo a rimandare discorsi. Ma è la
struttura del racconto a farmi essere cauta. Temo di rovinare e dare
anticipazioni dilungandomi troppo. '^_^). Fai benissimo a cosigliarmi qualcosa
riguardo le ambientazioni. Nonostante le adori, a volte sono un po' parca nei
movimenti XD Sopratutto per metà Liberaci dal Male. Il castello è un luogo
sicuro, ma intorno non c'è tanto... (In nuovi racconti sono e sarò più
dinamica). Ti mando un bacione.
lili1741: AHHHHHHHHHHHHHHHHHH (<- sfogo di Dicembre. L'ora è tarda,
chiedo venia °_°). La punteggiatura. Mi viene da piangere ;_; Quando ho scritto
liberaci dal male (2/3 anni fa) non mettevo i punti in fondo ai dialoghi (per
ragioni ignote) e mettevo le virgole *sempre* fra soggetto e verbo. Nel
rileggere i vari capitoli (di volta in volta), cercavo di correggere questi
scempi. Con l'andare della storia sono migliorata, ma all'inizio mi volevo
prendere a badilate in testa. Credimi. In trans da "racconto", non badavo alla
forma, per poi ritornarci su in un secondo momento. Con la benedetta virgola
casuale ;_; (scusa lo sfogo, ma più passano i capitoli, più le virgole prendono
i loro posti.XD). Per quanto riguarda Chiaro e Nero, sì, il loro rapporto sarà
spiegato piano piano, lungo tutta la storia. Così come gli intrecci di amicizia,
sentimentali e quant'altro. La storia è una storia ad incastro, ecco
perchè ho sviluppato tutto "lentamente". Baci
BiGi:
Cavolo! Luppolo e Cencio hanno davvero successo *_* Sìsì, no worries, ad ognuno
il suo spazio, non temere XD Grazie ancora tanto per le tue recensioni ^_^
|
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Capitolo 9 *** 09. Ricordo lontano ***
Nuova pagina 1
Questa volta sono
stata brava, no? Almeno sono stata rapida °_° E' che Liberaci dal Male ha un
andamento così "fluttuante" e da romanzo, più che fanfic, che voglio che non
venga a perdersi il pathos che rischierei di disperdere con la mia solita
puntualità -_- E' la fortuna di avere già il racconto bell'e finito XD Vi lascio
alla lettura, un baciotto.
Capitolo Nove
- Ricordo lontano -
Aaron aveva ragione, le volpi che apparvero nel bosco erano estremamente
diffidenti, guardarono Nero come un nemico ed esitarono prima di avvicinarsi.
Il cavaliere non riusciva a capire quello che dicevano, ma di sicuro percepiva
un’aura di ostilità rivolta verso di lui. La sua capacità di comprendere gli
animali era superficiale, empatica ma non approfondita, eppure era certo di non
avere mai sentito una tale aggressività nei suoi confronti. Tuttavia, dopo un
attimo, ne capì il motivo. La volpe che comparve dal bosco era ferita ad una
zampa, zoppicava e portava in bocca un cucciolo apparentemente privo di sensi:
una madre e suo figlio malato.
“Non temere, Fulva, è un amico, anche lui può capirti”.
La Volpe si girò di scatto verso Nero e lo guardò con occhi pieni di sospetto.
“E’ vero” disse il cavaliere accovacciandosi sulle gambe per essere più vicino
alla volpe “Non devi avere paura” e così dicendo tese le sue mani verso Fulva,
con i palmi rivolti verso l’alto. La volpe sembrò stupita da quel gesto e parve
guardare il cavaliere con aria interrogativa ma più tranquilla
“Non conosco il tuo linguaggio” le spiegò Nero “e non conosco te a sufficienza,
ma so che tutti voi vedete le mani degli uomini come la fonte dei vostri
pericoli, sempre così pronte a brandire un’arma per sopraffarvi… E come vedi non
ho portato armi con me”.
Fulva appoggiò il suo cucciolo per terra e si avvicinò cautamente al cavaliere,
ma poi si fermò di nuovo aspettando qualcosa.
“Vuole…” iniziò Lord Aaron
“…sapere chi me l’ha detto” concluse il Nero
“La capite?”
”No, a dire il vero non sento nulla, mentre quando parlo con Cleto, oppure col
mio cavallo mi pare di sentire la loro voce, però riesco a percepire la sua
titubanza e le sue variazioni d’umore…”
Aaron sorrise guardando prima il Nero poi Fulva
“Hai visto, è un amico” ma la volpe aspettava ancora una risposta
“Me l’ha detto Cleto, il mio falco. All’inizio, quando ci siamo conosciuti, era
molto diffidente, proprio come te. Diceva che gli umani sono falsi e m’ha
chiesto di porgergli le mani. M’ha spiegato che si possono capire molte cose
dalle mani di un uomo” disse guardando per un istante Aaron che,
inconsapevolmente, serrò in un pugno la mano che prima aveva stretto quella di
Nero. Entrambi, poi, riportarono la propria attenzione sulla volpe che questa
volta, pareva avere un’aria infastidita, quasi stizzita, tanto che trotterellò
incerta, sulla zampa malata, verso dove aveva lasciato il suo cucciolo e lo
riprese in bocca.
Aaron scoppiò a ridere “Va bene, va bene, arrivo” disse, e poi spiegò il
comportamento di Fulva “Non ne abbiate a male, c’è un conto aperto fra volpi e
rapaci che alimenta da sempre una rivalità viscerale” Nero lo guardò con aria
incredula “Non so bene da che cosa sia stata generata, né se sia risolvibile. So
semplicemente che gli uni hanno sempre da ridire su cosa fanno gli altri e non
vanno mai d’accordo”.
Nero sorrise”Assomigliano ai battibecchi degli umani”
”Sì, ho provato anch’io a dire loro di trovare una soluzione. Ma non ne vogliono
sapere.”
Aaron prese il volpacchiotto dalla bocca della madre e lo accarezzò.
Si sedette ai piedi di un albero ed invitò la volpe a venirgli vicino sulle
gambe
“Vediamo prima come va la tua zampa…” disse adagiando il piccolino sulle sue
vesti morbide “Sai, anche questo cavaliere “le spiegò” è venuto al castello
perché un suo compagno era ferito gravemente.”
La volpe guardò Nero “Sì, sta meglio ora” le spiegò, ma non è ancora guarito.
Gli umani impiegano molto più tempo degli animali a rimettersi in forza, ci
vorrà ancora un po’ prima che si rimetta del tutto.” Poi si concentrò sulla
zampa della volpe: “Invece la tua ferita mi pare in via di guarigione. Immagino
anche che ti faccia meno male di un paio di giorni fa”
Fulva annuì.
“E’ stata scoperta mentre cercava di rubare una gallina del fornaio” Spiegò il
Lord a Nero “Le ho detto più volte che cacciare in città è pericoloso, ma lei
non vuole ascoltarmi”
”Istinto da cacciatore?”
“Qualcosa del genere. Dice che i polli del fornaio sono di gran lunga più buoni
della selvaggina che si trova quest’inverno nei boschi.”
Il Nero rise di gusto “Come darle torto? Immagino che saranno più pasciuti”
“Ma devo dire anche che penso ci sia della sana cocciutaggine femminile in tutto
questo”
“Vi sentisse Gillian, si arrabbierebbe moltissimo. “ scherzò il cavaliere
“Gillian..? La vostra donna?” Aaron si pentì subito della domanda appena posta:
suonava troppo morbosa. Non capiva bene neanche lui quale sentimento l’avesse
spinto a dire una frase così poco riflessiva, forse la curiosità, ma di sicuro
c’era anche un pizzico di fastidio.
Nero aveva una donna che l’aspettava da qualche parte?
Questo probabilmente voleva dire che avrebbe cercato di affrettare i tempi della
permanenza al castello Thurlow, e sarebbe voluto tornare presto da lei…
Aaron cercò di accantonare dei pensieri così stupidi, del resto non era affar
suo se il Nero avesse voluto tornare fra le braccia della sua donna. Tuttavia
una voce gli ricordò che era stato lo stesso Nero a dire che sarebbe rimasto al
castello fino a quando Forgia non sarebbe guarito.
Questa consapevolezza lo rasserenò, ma al contempo lo fece sentire
incredibilmente sciocco.
Ormai non poteva ritirare la domanda, però, e quindi aspettò la risposta di Nero
che scoppiò a ridere sotto gli occhi stupiti di Aaron che tutto si sarebbe
aspettato, fuorché una risata così aperta
“Dio non voglia che mi trovi mai una donna come Gillian” e scosse le mani come
per schermasi da un pericolo imminente “Non sono un santo! Probabilmente
troverebbe un motivo per alzare le mani contro di me in quattro e quattr’otto. E
temo che ne uscirei piuttosto malconcio”
Aaron non capiva e aspettò una spiegazione
“Era la cuoca del castello dove vivevo con Chiaro prima che me ne andassi” Aaron
notò che Nero non lo chiamò casa “Una donna fantastica, con un carattere forte e
risoluto, anche se spesso un po’ troppo violento. E aveva sempre da ridire sugli
uomini, nessuno pareva mai fare qualcosa di giusto. Diceva sempre che erano le
donne il senno di questa nazione”
Aaron sorrise “Quindi se m’avesse sentito fare un commento poco educato sul
genere femminile, l’avrebbe presa come un fatto personale?”
“Sicuramente…”
”Da come ne parlate sembra vi manchi molto…” Aaron aveva notato un profondo
affetto velato di malinconia nelle parole di Nero. Ormai che si era in
argomento, quindi, aveva pensato che potesse arrischiarsi e fare al suo ospite
una qualche domanda più personale.
“Moltissimo. Lei e il mio maestro d’arme sono le uniche persone di cui sento
davvero la mancanza…Le uniche persone a cui ero legato…” lasciò morire la frase
senza concluderla, come se fosse oppresso da un peso che non voleva esprimere
“E cosa avete fatto quando ve ne siete andato?” C’era un qualcosa che spingeva
Aaron a voler sapere di più e di più ancora su quest’uomo. Non sapeva quasi
niente, le sue gesta in battaglia gli erano giunte all’orecchio prima che questi
arrivasse, Cleto gliene aveva parlato, ma c’era qualcosa che lo legava al Nero e
che non comprendeva appieno. L’uomo di fianco a lui sembrava capire cose troppo
difficili da spiegare a parole e che non venivano mai pronunciate, ma che
aleggiavano sempre quando Aaron passava il suo tempo col lui. Questo lo
rilassava e, soprattutto, lo rassicurava molto.
Il Nero non rispose subito a questa domanda e s’appoggiò al tronco dell’albero
dietro di lui
“E’ stata una decisione presa dopo averci pensato a lungo: andare via. E’ buffo
perché, col senno di poi, mi rendo conto di quanto fossi ingenuo e sprovveduto,
ma allora il mio unico pensiero era che me ne dovessi andare”.
Aaron voleva sapere il perché, ma sapeva che non era ancora il momento di
spingersi così in là. Sarebbe venuto, sparava, ma non sarebbe stato quel
pomeriggio.
“Notti passate a pensare cosa fare, come partire, neanche un attimo speso a
trovare un luogo dove passare la prima notte, ma ero fatto così… Non riuscivo a
pensare al domani più di quando riuscissi a preoccuparmene. Quindi la notte in
cui avevo deciso di partire, avevo portato con me nella stanza la mia spada, il
mio pugnale, i rivestimenti di cuoio e un po’’argento che avevo raccolto i
giorni prima dalle stanze della padrona. Non avevo vestiti di ricambio con me,
né una mappa … Partii così, senza nulla” sorrise al ricordo “Ero davvero un
ingenuo…”.
Il cavaliere non riprese subito a parlare, ripensò a quella baracca dove aveva
passato la prima notte e, per un istante, gli parve che anche il cielo di quel
pomeriggio s’oscurasse e diventasse nero, proprio come il cielo di quella notte
lontana. E poi gli rivenne alla mente un’immagine di lui zuppo e infreddolito,
rannicchiato vicino ad un covone di paglia. Si rivedeva con occhi esterni ma
vicini al corpicino tremante e spaventato. Il bambino cercava di nascondere
persino a se stesso di avere timore dei tuoni, ma a ad ogni boato non poteva
fare a meno di tremare con più forza, scosso da una paura irrazionale.
Perché, si chiese Nero, stava osservando la scena, invece di riviverla. Come
poteva lui vedere sé stesso con occhi non propri?
Dopo un tuono particolarmente intenso, quel ricordo sembrò zittirsi, nessun
suono poteva essere udito, neanche il rumore della pioggia.
E fu in quel momento che il Nero capì che quello che lui stava rivivendo era
davanti agli occhi di Aaron. Un attimo, un’immagine solamente, quel campo
sterminato, la tettoia ed il covone abbagliati da un lampo seguito dal tuono… Il
Lord aveva visto quell’istante, lì sotto un albero, quindici anni dopo.
Ma a discapito di quello che lui stesso s’aspettava, non ne fu irritato, neanche
si sentì violato o imbarazzato. Una sensazione di calore gli pervase il petto ed
ebbe la netta sensazione di un affetto paterno e celestiale che lo avvolgeva.
Non capì da dove provenisse, non dal Lord di fianco a lui che, sgomento, non
capiva che cosa stesse accadendo.
E poi tutto svanì, d’improvviso, esattamente come era venuto. Una semplice
immagine negli occhi di Aaron,instanti di un passato lontano per Nero.
I due si guardarono, increduli per ciò che era appena accaduto; l’aria sembrava
densa e difficile da respirare. Il Nero portò le dita sul volto di Aaron, le
fece scivolare delicatamente sulla guancia e poi nei capelli. Aaron non reagì né
si mosse, impietrito dal ciò che aveva visto e da quel tocco che sembrava
volergli bruciare la pelle.
I capelli di Aaron erano morbidissimi fra le dita di Nero che le affondò
ulteriormente, fino a raggiungere la nuca.
Il dolore che provò Aaron fu così intenso che lo fece gridare. Spostò la testa
violentemente liberandosi da quel contatto e ritornò in sé
Anche Nero sembrò essersi appena svegliato da un sogno e sbattè gli occhi come
se fosse leggermente stordito. Il dito che aveva solo sfiorato la macchia sulla
nuca di Aaron gli pulsava e provò di nuovo provò l’affetto celestiale di poco
prima.
“L’alito di Dio…” bisbigliò, ma poi di scatto si girò verso Aaron
“Mi dispiace, io non…volevo, non sapevo…”
Ma il Lord lo interruppe “Io per primo ho violato la vostra mente… Non so
perché… Non ho nessun controllo… Ma io per primo vi ho arrecato dolore, e voi
non potevate sapere che cosa stavate facendo…”
Non dissero più niente per un po’, troppo confusi per qualunque parola. Il Nero
si guardò la mano e si chiese se quell’onda di calore fosse la presenza di Dio,
si chiese se attraverso Aaron lui non avesse percepito l’alito di Suo Signore.
Dunque era vero? I prescelti esistevano davvero, ma perché? E inoltre, che
compito avevano sulla Terra? Nero non riusciva a trovare risposte.
“E’ meglio che vada” disse alzandosi e facendo qualche passo verso la strada che
li aveva condotti lì.
“Aspettate!” disse con foga Aaron “Non…Non ve ne andate, ve ne prego”
Nero lo guardò per un attimo e Aaron abbassò lo sguardo
“Io non so spiegare quello che succede, non so dare risposte, né posso fare
promesse su quello che accadrà in futuro, dicendo che mai più violerò la vostra
mente. Perché…” e cercò delle parole che non trovava “perché tutto è
indipendente dalla mia volontà”. Scosse la testa. Era preoccupato che Nero
potesse andarsene, disprezzarlo per il suo gesto e sentirsi in pericolo “Non
vedetemi come un nemico” Quasi lo implorò. Avrebbe voluto dire mille altre
parole, di scusa, di spiegazione, la presenza del cavaliere gli dava sicurezza e
lui in quel momento ne aveva bisogno. Ma non disse niente e rimase in silenzio.
Si guardarono e poi il Nero sorrise con quello che ad Aaron sembrò un sorriso
bellissimo e rimase lì, con lui.
Aaron riprese ad occuparsi di Fulva e del suo piccolo che nel frattempo erano
rimasti lì, sopiti. Sollevò il muso del volpacchiotto
“L’hai portato con te a caccia, vero?” Fulva annuì
“Deve aver mangiato del cibo avvelenato. Poco, perché vedo che è solo stanco, ma
a sufficienza per farti preoccupare”. Poi si avvicinò di nuovo a Fulva
indicandole la bocca del figlio “Vedi com’è scura? Fagli bere molta acqua e
assicurati che per qualche giorno il cibo che mangia sia sano. Se dovesse
mangiare anche solo un altro po’ di questo veleno, rischieremmo di dover fare
fronte ad una situazione più grave.”
Fulva leccò il musino del cucciolo
“Sembra che le volpi, al pari degli uomini, facciano fatica a seguire i buoni
consigli”
Il Nero sorrise. Non c’era più traccia di disagio, nessuno strascico della
confusione provata pochi minuti prima. Lasciò che il frizzante vento autunnale
portasse via qualunque cosa, lasciandogli solo una sensazione di armonia.
“Quella notte ho pensato di tornare indietro, è stata l’unica volta che ho
davvero preso in considerazione l’idea …” disse ad un tratto Nero, di punto in
bianco. “Dopo di allora, non me ne sono mai più pentito, e anche oggi, non ho
dubbi: non tornerò mai più là, in quella che Chiaro si ostina a chiamare casa
nostra, ma che per me era una prigione” parlava forse più a se stesso che ad
Aaron, ma aveva un’intensa necessità di esprimere a parole quel groviglio di
pensieri sul luogo dove aveva vissuto da piccolo, sulla sua fuga, sulla sua vita
di mercenario.
Aaron lo capì e sorrise: gli andava bene. Ascoltare frammenti del passato di
quest’uomo andava bene, raccogliere le schegge per completare il puzzle andava
bene, non voleva intromettersi, né imporsi, i tempi e i modi di Nero sarebbero,
anche loro, andati bene.
Appoggiò la testa alle ginocchia e si girò verso il suo interlocutore “E che
cosa accadde dopo quella notte?”
“Non avevo idea di cosa fare, allora seguii l’istinto. Accantonato il pensiero
di tornare a casa, decisi che la cosa migliore sarebbe stata quella di
allontanarsi il più possibile da tutto quello che m’era noto. Volevo slegarmi
dal mio passato e persino dalla mia terra, volevo ricominciare daccapo. E così
presi la prima nave disponibile a Dover per il continente. Al capitano dissi che
potevo fare il mozzo per pagarmi il tragitto, ma lui non credette che ne fossi
capace, e mi richiese metà dell’argento che avevo con me. Erano tempi difficili,
che avrebbero portato a questa guerra…La sua nave sbarcava a Calais, portare un
clandestino Inglese in terra Francese costava per lo meno quella cifra, mi
spiegò. Non avevo scelta e quindi gli diedi quello che chiedeva. Lasciai a Dover
il cavallo, grazie al quale riuscii a racimolare un po’ d’oro, e portai con me
solo la spada ed il pugnale…”Rise “alla fine il capitano mi fece lavorare come
se non di più di un mozzo e ricordo che arrivai in Francia stremato, tanto che
al porto, dormì per un giorno intero, per trovarmi la mattina seguente senza più
un soldo e senza un’arma. E’ imbarazzante per me dirlo, ma fui derubato di tutto
senza che me ne accorgessi!”
“Tutto? E come avete fatto?”
”S’impara dai propri errori” si schernì Nero, “non m’hanno più rubato niente da
allora. Anche se devo essere sincero, Cencio c’è andato molto vicino”
”Un ladro professionista, allora!” scherzò Aaron
“Uno dei più scaltri che abbia mai visto”
Il loro discorso fu interrotto dal suono di un corno.
Aaron sospirò “Mio padre mi chiama, devo andare da lui però…”Esitò un istante
“Mi farebbe piacere continuare ad ascoltarvi. Purtroppo ho avuto così poche
possibilità di viaggiare che posso farlo solo attraverso occhi altrui”
Perché Nero aveva questa intima necessità di raccontare a quest’uomo, in fondo
uno sconosciuto, la sua vita? I suoi viaggi? Ma trovare una risposta non era
così importante, in quel momento, voleva e tanto gli bastava. “Vi racconterò
quello che volete sapere”
“Posso quindi aspettarvi in biblioteca, dopo cena?”
“Certo” disse sorridendo e si chiese quanto mancasse al calar del sole.
***
lili1741
: E' che LdM è lento di suo. Ad un certo punto accelererà, ma all'inizio deve
davvero prendersi il suo tempo. Quando l'ho scritto non riuscivo a staccarmi dai
"momenti". C'era quello, quell'altro momento che volevo descrivere... Perciò è
nato così. Riguardo alle visite, ho letto un libro che descriveva il quotidiano
nel medioevo e diceva che, è vero, i parenti lontani raramente si recavano a
trovare i propri cari (per via delle distanze, soprattutto), ma se lo facevano,
di solito era durante una festività cristiana. Una volta nella vita, magari
quindi a Natale. Devo essere sincera, la mia fonte è unica, non mi sono
documentata di più, perciò può essere che ci sia un grosso errore di
ambientazione. Vado a controllare più a fondo, allora, perchè se così fosse,
dovrei cambiare il pezzo. Vero che LdM ha un'enorme dose di sovrannaturale che
falsa il "racconto storico", ma mi dispiacerebbe fare errori grossolani :( [E
soprattutto, potrei aspettarmi la mia prof. di storia del liceo prendermi a
calci. Dio mi scampi XDD). Grazie davvero tantissimo per le tue recensioni. *hugs*
Bigi:
Nero dev'essere bellissimo *_* Avremo... sì, un "ragazzetto", per così dire O_ò
E' necessità di copione, non me ne volere XD
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Capitolo 10 *** 10. Il Prima e il Dopo ***
Nuova pagina 1
Dalla vostra
affezionatissima Dicembre, in una giornata di pioggia: Rapida come un
fulmine °_° Ecco qui il nuovo capitolo. Vorrei arrivare al quattordicesimo
quanto prima. Sia perchè, secondo me, lì migliora lo stile, sia perchè,
finalmente, lì il racconto prende una piega un po' più definita. Liberaci dal
Male ha un che di etereo '^_^ Comunque sia, ovviamente ringrazio tutti quelli
che vorranno lasciare un commento, una riga, una parola, un
qualcosa, chi legge, chi m'ha messo fra i preferiti, chi rimane incuriosito, ma
anche solo chi passa di qui. Mando un bacio.
Capitolo Dieci
- Il Prima e il Dopo -
“Quindi si sposa Rebecca…”
“L’hai sentito anche tu?”
“Me l’ha detto Corliss”
”E chi sarebbe Corliss?”
”La cuoca!”
“Oh Santo Cielo, Dio ci aiuti!”
“Ma perché devi essere sempre così negativo?”
”Non è questione di essere negativo Cencio, è questione che ora sappiamo cosa
farai per metà del tuo tempo qui”
“Che cosa vuoi dire?”
”Voglio dire che passerai giorni interi chiuso in cucina con questa Corliss a
mangiare, senza un minimo di ritegno”
”E qual è il problema?”
”Il problema è che sei ospite e fare la parte dell’ingordo non è né educato né
cavalleresco!”
”Cavalleresco… Ma Luppolo” rispose il ragazzo stringendosi nelle spalle “tu
dimentichi che io sono ingordo e poco cavalleresco. E poi, scusa, Corliss ha
detto che avanza spesso del cibo e che non vuole buttarlo via. Che male c’è se
lo mangio io?”
Luppolo sospirò sconsolato “Vediamo quando Lord Aaron ti caccerà da casa sua
perché rischi di mandarlo in rovina, poi vediamo che male c’è”
”Sei sempre così negativo”
”E tu hai sempre l’aria in testa!”
“Se non vi conoscessi bene, vi scambierei per marito e moglie!” Nero entrò nella
stanza dove c’era appena stato il battibecco fra Luppolo e Cencio. I due lo
guardarono con l’aria di chi è appena stato scoperto a fare qualcosa che non
avrebbe dovuto.
“E’ Luppolo che mi tarpa le ali”
Nero non trattenne il sorriso: “Di divoratore smodato?”
Cencio mise il broncio e cercò di replicare, ma Nero lo interruppe alzando le
mani
“Per carità, lascio a Luppolo il compito di domarti… “ e Cencio non insistette,
rispondendo solo con un sorriso sornione.
“Ho sentito anche” riprese Cencio cambiando discorso “che per l’Avvento verranno
qui Dama Thurlow e suo marito, con i figli, così come i cugini di Lord Aaron”
”Sempre da Corliss?”
Cencio fece di sì con la testa, felice di portare notizie fresche “Si popolerà
parecchio questo posto, dunque… Anche se tre dei nostri se ne andranno. Sono
stupito però” continuò rivolto a Luppolo “Che tu non torni a casa. Pensavo non
vedessi l’ora di tornare in Scozia”.
Luppolo sospirò e non rispose, scollando le spalle per lasciare cadere la
questione.
“Non lo biasimo” lo giustificò Nero “Andare a Nord, questo inverno, non è
saggio. Le strade sono impervie e ghiacchiate. Ho sentito dire che sarà uno
degli inverni più rigidi degli ultimi anni”:
A Cencio, questa, sembrò una giustificazione sufficiente e scosse la testa
alzando le sopracciglia, come se avesse sentito una cosa ovvia alla quale non
aveva pensato.
“Vado da Corliss ora, m’ha detto che avrebbe preparato una torta di mirtilli e
bacche solo per me, vi raggiungo per cena”
Luppolo annuì “Una torta di mirtilli” ironizzò “ è un ottimo spuntino prima
della cena”.
Quando Cencio fu uscito dalla stanza, il cavaliere scozzese si girò verso Nero e
lo scrutò.
L’inverno rigido era una buona scusa per Cencio, ma non per lui.
Si chiese perché, quindi, il capo avesse voluto darla: per far tacere il
ragazzo, oppure per qualche altro motivo?
Si chiese se il loro discorso di qualche giorno prima, nel giardinetto interno,
sotto la pioggia, centrasse qualcosa.
Si chiese se Nero avesse letto nelle sue parole quello che non osava ammettere
nemmeno a se stesso. Ma, come ogni qual volta che ci pensava, scosse la testa e
la liberò da qualunque riflessione che non voleva affrontare. Sapeva che la
tentazione poteva essere superata e che avrebbe solo dovuto seguire la sua anima
cristiana.
“E’ da qualche giorno che siamo qui e ancora non ci siamo mossi . Domani pensavo
di andare in paese, e magari cavalcare verso Nord per vedere i dintorni”
Nero annuì “Sì, penso sia un’ottima idea. Ora che siamo sicuri che Forgia starà
sempre meglio, è inutile che si trascorra tutto il tempo qui”
“Vorrei andare in chiesa” disse d’improvviso Luppolo sorprendendo quasi se
stesso.
“So che nel castello c’è una cappella, ma di certo troverai qualcuno che
t’indicherà la strada per la chiesa nel villaggio più vicino”
Luppolo annuì, voleva pregare e chiedere perdono per qualcosa che non aveva
fatto, ma che comunque bussava alla sua anima e alla sua coscienza.
Luppolo voleva cambiare discorso
“Ti vedo più sereno” osservò
“Rispetto a quando?”
”Più sereno in generale. Non so bene, è una sensazione…”
”Dev’essere il luogo…” ipotizzò Nero
“Questo posto sembra permeato da un’aura di calma, hai ragione” Annuì Luppolo
“Quando siamo arrivati qui, la prima sera, non me n’ero accorto. Ero troppo
preoccupato per le condizioni di Forgia, però è come se ci fosse qualcosa di…”
cercò le parole
“Celestiale?” suggerì Nero
“L’hai notato anche tu?”
”Sarebbe strano non notarlo” annuì Nero pensando a Lord Aaron. Si chiese se non
fosse l’ Alito di Dio a permeare il castello. Anche l’aura che circondava il
padrone era dolce, quieta e da tempo non si sentiva così in pace.
Scrollò la testa ad un pensiero così nuovo: “Sono contento di rimanere un po’
qui, dopo le Fiandre e la Francia, ero stanco di combattere …”
”Mi fa piacere sentirtelo dire” disse Luppolo “Gli ultimi due anni sono stati
così intensi che non so quanto ancora avremmo potuto reggere…e avevi bisogno di
una pausa…”
Nero lo guardò con aria interrogativa
“Ho sentito Chiaro, l’altra sera sul balconcino, il vostro dialogo… Sinceramente
sono contento che se ne vada.” Resosi conto del tono che aveva avuto quella
frase, Luppolo si spiegò meglio “Non mi fraintendere, a volte penso sia un
Inglese aristocratico e spocchioso, ma non mi riferivo a questo. Solo penso sia
meglio che se ne vada per un po’”
Nero lo guardò, aspettando che continuasse
“Sai quello che penso, trovo che abbia un’ossessione e sono contento possa
essere, in qualche modo, arginata”
”Se è vero quel che dici, pensi che pochi mesi a casa possano portare a dei
risultati?”
Luppolo scrollò le spalle “Devi ammettere sia strano che Chiaro abbia deciso di
partire pur senza di te, mi sarei aspettato rimanesse attaccato alla tua
gonnella”
Nero rise “Ora diventi offensivo” disse prendendolo in giro.
Luppolo gli sorrise e non aggiunse altro per un po’
“Vado da Forgia a vedere come sta” disse infine “a dopo”
Nero non rispose, annuì semplicemente.
Rimasto solo nella stanza, il cavaliere si appoggiò pesantemente allo schienale
della poltrona e si perse nei suoi pensieri. Avrebbe mentito se avesse detto di
non sentirsi più sereno sapendo che Chiaro sarebbe stato via per qualche mese.
Era come un fratello per lui, ma ultimamente la sua presenza stava diventando
ingombrante. L’armonia del gruppo, sia in battaglia che nel quotidiano,
rischiava spesso di essere minata dai suoi continui capricci. Forse Luppolo
aveva ragione a dire che quella di Chiaro era un’ossessione: Chiaro voleva con
Nero un rapporto esclusivo. Eppure Nero non aveva mai trovato in lui una persona
con la quale sentirsi in perfetta armonia. Gli era legato dall’affetto dovuto ad
un’infanzia trascorsa insieme e una vita passata fianco a fianco, ma nel suo
cuore non c’era mai stato un attaccamento pari a quello dimostrato dal
fratellastro. L’inquietudine che sentiva dominare il suo animo non poteva né
essere condivisa, né tanto meno sanata da Chiaro.
Sospirò, ogni volta che chiudeva gli occhi rivedeva di fronte a sé il suo
passato e ogni volta che li riapriva era sempre più convinto che per lui non
poteva esserci cura.
Voleva una casa, un approdo dove finalmente poter abbassare le palpebre e
riposare, ma non c’era riposo per lui. Per quanto l’avesse cercato fin
nell’Oriente più profondo, non l’aveva mai trovato.
A questo pensiero gli venne in mente la promessa fatta a Lord Aaron.
Veramente gli aveva promesso di raccontargli del suo viaggio nella terra di
Levante? Si mise a ridere e scosse la testa incredulo. Un cantastorie, pensò
prendendosi in giro. Ma nonostante l’assurdità della sua promessa, anche lì di
fronte al fuoco, questa gli sembrava, come nel pomeriggio, una cosa naturale. Si
stupì ad avere voglia di vedere il Lord e parlargli.
Ripensò agli occhi del padrone del castello quando questi gli aveva chiesto di
poterlo ascoltare. Pur non essendo uomo di molte parole, Nero si rese conto che
per quegl’occhi e per un qualche altro indefinito motivo, quella sera che
avrebbe spese molte e volentieri. Rivangare il passato era spesso stato
doloroso, un passato così frammentato e vissuto intensamente che il più volte
aveva cercato di accantonare. Ma quella sera era diverso, lì seduto, di fronte
al fuoco che emanava un tale calore che lo scaldava fin ne profondo, Nero si
sentiva insolitamente impaziente di farlo e sorrise.
I corridoi del castello erano poco illuminati, tuttavia l’arazzo che si fermò ad
osservare Nero era circondato da diversi candelabri. Rappresentava due ragazzini
biondi intenti a lottare contro un drago. Sebbene la scena fosse intensa e i
contendenti sembrassero all’apice della lotta, Nero non percepiva una situazione
di pericolo, al contrario. Sembrava che quella lotta fosse un gioco, che il
drago fosse quasi un amico e che i due bambini lo conoscessero bene.
“Vi piace?”
Nero non si girò, ma rispose continuando ad osservare l’arazzo “Molto. Mi sono
fermato perché è insolitamente illuminato, a differenza del resto del corridoio.
Ora invece sto cercando di capirlo…”
”Di capirlo?” chiese Aaron incuriosito
“Ho come l’impressione che rappresenti un gioco più che una lotta…”
Aaron lo guardò stupito “Perché lo pensate?”
”Forse per l’espressione dei due bambini, troppo gioiosa, o forse per il drago…”
Aaron scosse la testa incredulo e poi sorrise “Quel drago è mio padre.”
Nero aggrottò le sopracciglia “Vostro padre?”
Aaron annuì “E quei due bambini siamo io e mio fratello…”
Nero si girò verso il Lord, aspettando la spiegazione: “E’ stato fatto in sua
memoria. Nei nostri giochi, quand’eravamo piccoli, lui immaginava sempre che
nostro padre fosse un drago che dovevamo sconfiggere per poter sfuggire alle sue
angherie - lezioni di scrittura, filosofia… Capitava spesso che lui ci scoprisse
mentre tentavamo di escogitare qualche modo per uscire all’aria aperta e
cavalcare”
Aaron allungò la mano e toccò l’arazzo, passò le dita affusolate sulla figura
del bambino che si riparava col proprio scudo dal fuoco del drago. Sospirò,
cercando di non lasciarsi prendere dallo sconforto, ma non riuscì a fare a meno
di dire
“Mi manca molto”. Ma appena pronunciate, si pentì di quelle parole. Si coprì la
bocca con le dita, quasi nel tentativo di fermare altre parole non volute.
“Era vostro gemello?” chiese Nero osservando l’incredibile somiglianza fra i due
bambini ritratti
“Sì, di qualche ora più piccolo di me. William…” pronunciare ad alta voce quel
nome provocò negli occhi di Aaron ondata di malinconia. Nero notò che nel
turchese delle sue iridi, il cambiamento di umore, come qualunque altro stato
d’animo del Lord, veniva testimoniato dallo smerigliarsi di quell’azzurro. Che
fosse un velo opaco, un’ombra bagnata oppure un bagliore luminoso, quel colore
sembrava trascrivere una storia, sembrava raccontare un segreto.
Gli piaceva guardare quel colore ed interpretarlo: quelle storie e quei segreti
erano troppo intensi per rimanere inascoltati.
“E’ successo molto tempo fa?”
Aaron annuì e rispose con un tono leggermente più basso del normale “Quindici
anni fa. Ci siamo ammalati entrambi: lui è morto, mentre io mi sono ritrovato
solamente zoppo”
C’era un profondo senso di colpa in quelle parole, Nero si chiese il perché,
anche se una parte di lui capiva. Aaron era stato risparmiato, e Nero si domandò
se quello non fosse stato il momento in cui il Lord fu prescelto.
“Quindici anni fa…” bisbigliò Nero. Quindici anni fa lui era partito e s’era
lasciato la sua casa alle spalle “Il prima e il dopo…”
Aaron sgranò gli occhi: il cavaliere sapeva?
Il Lord si chiese come fosse possibile che questi conoscesse l’artificio della
sua mente che divideva il suo passato in prima e dopo.
“Forse pecco di presunzione se penso che voi dividiate il vostro passato fra un
prima e un dopo? Forse solo ragiono come se il passato fosse mio… E’ più
semplice dividere ciò che è stato, razionalizzarlo e chiuderlo da qualche parte,
senza che questo crei ingombro e ritorni in superficie quando non deve. E’ una
vecchia abitudine che mi porto dietro a quando sono piccolo…” sorrise quasi
imbarazzato.
“Non penso sia presunzione, e di certo, se è una vostra abitudine, è anche mia”
disse Aaron tornando a guardare l’arazzo e, di nuovo, passando le sue mani sulla
figura del bambino con lo scudo “Ecco perché questa rappresentazione mi piace,
ma non voglio mai guardarla troppo a lungo. Mio padre non è più un drago e noi
non siamo più bambini…ed esistono sempre un prima e un dopo”
Ha senso separare, dividere l’esistenza in due semplici parti?
Probabilmente no, entrambi lo sapevano, ma sia per Nero che per Aaron, l’evento
che aveva segnato la loro infanzia sembrava così forte e resistente, da non
poter essere scalzato da nient’altro e soprattutto, da oscurare qualunque altro
evento.
“Vi chiedete mai se riuscirete a dimenticare?”
”Non penso di poter dimenticare” Scosse la testa Nero, mentre lasciava che i
suoi capelli gli coprissero leggermente gli occhi “E non sono sicuro di voler
dimenticare. Mi chiedo solo se per caso non esisteranno mai un altro prima ed un
altro dopo.” Fece una piccola pausa e poi riprese “Gillian, la cuoca, mi diceva
sempre che niente è immutabile. Mi diceva che per lei esistevano due prima ed
due dopo segnati dalla nascita dei suoi figli. La primogenita, perché l’aveva
fatta diventare madre, il secondogenito perché aveva dato un maschio al marito…”
Aaron annuì. Due eventi, due prima e due dopo… Questo faceva perdere, in qualche
modo, d’importanza ad uno di questi, perché non era più unico.
Era così facile capire Nero e così facile farsi capire. Non sapeva che cosa
fosse successo né perché Nero aveva preferito una vita da nomade, senza casa o
famiglia a quella che all’apparenza sembrava una vita agiata. Era importante
saperlo, ma non lì, non in quel momento.. La curiosità di Aaron nel voler
conoscere quest’uomo esisteva ed era forte, ma quello che gli riempiva la mente
e gli sanava il cuore era il poter condividere quella sensazione di smarrimento
e di paura che l’aveva accompagnato dalla morte del fratello ad allora.
Ancora una volta, ancora e come sempre, quel silenzio che s’era creato non
gridava spavento, non supplicava parole: era invece dolce, quasi morbido.
Aleggiava soffice ed aspettava, senza fretta, di lasciare spazio alla voce dei
presenti.
“Venite” disse infine Aaron “ho un libro da mostrarvi” e così dicendo si
allontanò da quell’arazzo, non voltandosi. Nero invece indugiò su quella
rappresentazione un po’ più a lungo, guardando il bambino biondo che brandiva la
spada e sembrava voler raggiungere il drago prima che questi colpisse l’altro
bambino protetto dallo scudo. Ebbe l’istinto di toccarlo, ma all’ultimo momento
desistette. Sentì un alito caldo sulla mano sollevata, ma pensò fosse il fuoco
delle candele.
***
lili1741 - come sono felice, grasssie. E' esattamente quello il punto di
questa prima parte (o cielo, sì, LdM si prende i suoi tempi in ogni senso,
perciò ha "qualche" capitolo con sè XD). Ma ad essere onesta, è che mi piace che
le storie abbiano i loro tempi e che non sia "tutto e subito". Un po', quindi,
lo faccio per la storia, e un po' lo faccio per me XD Baciotto
BiGi
- Ehm, diciamo "tra un po'. Nel senso che la struttura di LdM non è esattamente
lineare, perciò... Mica vorrai che "spoileri" tutto, no? XD Comunque abbi fede.
La mia anima shounen ai mi impone di accontentarla, e io mi sono piegata alla
sua volontà (neanche troppo difficilmente ehehehe )
|
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Capitolo 11 *** 11. Casa ***
Capitolo Undici
- Casa -
La stanza in cui entrarono
era ampia, a pianta circolare. Nero fu stupito da quella particolarità
architettonica e si osservò bene intorno. L’atrio, perfettamente tondo, non
aveva finestre, le pareti erano altissime e tappezzate di libri. Lontano,
sulla destra, si apriva un corridoio così stretto che Nero si chiese se un
uomo adulto potesse entrarci senza girarsi da un lato. Si diresse verso
quella piccola fessura che notò, in realtà, essere molto più larga di quello
che gli era apparsa all’inizio: era un corridoietto abbastanza corto che
portava in una stanza speculare a quella prima. Anche sul perimetro di
questa vi erano libri più o meno antichi e nessuno spazio per altro.
Nero notò che anche in
questa stanza, come in quella precedente, non vi erano finestre alle pareti,
né tavoli dove poter leggere. Si girò verso Lord Aaron per chiedergli
spiegazioni, quando questi gli indicò un’altra piccola apertura sulla parete
della seconda stanza, un secondo corridoietto nascosto dietro una pila
disordinata di libri. La terza stanza, anch’essa a pianta circolare, era
molto più ampia, con un tavolo appoggiato da un lato ed un divano
dall’altro. Quest’ultimo era piuttosto basso, ricoperto da cuscini che
sembravano cuciti d’oro. La stoffa era di un rosso acceso, lucido, Nero non
potè fare a meno di toccarla: “Seta” bisbigliò stupito, osservando i ricami
sopra i cuscini: l’argento e l’oro dei fili si amalgamavano in disegni
esotici.
“Viene dall’India” spiegò
Lord Aaron: “l’ho avuto da un mercante che m’aveva promesso Balsamo di
Gelsomino, ma che m’ha portato questo…” sorrise
“Uno scambio sicuramente
vantaggioso, ma non capisco, perché tenerlo qui?”
”Invece che nelle mie stanze intendete?”
Il Nero annuì.
“Qui vengo solo io, la
porta è aperta ma ai servitori non interessano i libri, nessuno saprebbe
leggerli. Mio padre non esce più dalle sue stanze ormai da qualche anno… Per
quanto invece riguarda gli ospiti, ne abbiamo solo nelle feste comandate e
di solito non è in biblioteca che passano il loro tempo…”
Nero annuì, continuando a guardarsi in giro, meravigliato dall’enorme
quantità di libri.
“Dante…”
Aaron si stupì “Conoscete l’italiano?”
“Vivendo con Cencio, è
praticamente impossibile non saperlo: parla di notte. Inoltre abbiamo
trascorso diverso tempo a Sud, di ritorno dall’Oriente, al servizio di
alcuni mercanti di Venezia. Ho avuto modo i impararlo lì”
“Dei mercanti…Avete
viaggiato con loro?” dalla voce di Aaron trapelò entusiasmo, la curiosità di
chi avrebbe voluto, ma non poteva mettersi in viaggio.
“No, anche se mi sarebbe
piaciuto… Eravamo stati assoldati per proteggere una congrega di mercanti da
saccheggiatori che si trovavano nella città. Ma non vi nascondo che mi
sarebbe piaciuto andare con loro, in India, magari” disse passando la mano
sul divano, ma di nuovo si girò verso la libreria
“Se vi piace, potete
prenderlo”
Lord Aaron si diresse verso
la parete dove si trovava la Divina Commedia e la sfilò dal suo posto
“Potete leggerlo, portarlo
con voi in stanza o se preferite, venirlo a leggere qui quando più vi
aggrada”
Nero fece per protestare,
ma il padrone del castello gli sorrise con uno di quei sorrisi che Nero
iniziava a trovare disarmanti: “Non sono così accecato dal mio entusiasmo
per l’avventura da non riuscire a vedere quello degli altri”.
Nero prese il libro fra le
mani, non trovò nient’altro da dire se non un semplice grazie. Era stupito
dalla sensibilità e dalla capacità d’osservazione del suo interlocutore:
nonostante sapesse di non aver dato evidenti segni di voler quel libro, era
impaziente di leggerlo.
Raramente aveva modo o
tempo di leggere libri, non avendo una dimora fissa non poteva portarli con
sé, né conservarli in un luogo sicuro.
“E credetemi quando vi
dico” aggiunse lord Aaron che sembrava leggere i suoi pensieri uno ad uno
“che potete venire qui quando volete, leggere quello che preferite. Per
tutta la durata della vostra permanenza, vi prego siate mio ospite anche fra
queste stanze”
Nero non sapeva, né capiva
come fosse possibile che Aaron capisse così chiaramente il suo animo e lo
facesse sentire così quieto e a proprio agio. Sorrise a se stesso, al
pizzico di gioia che aveva provato in quell’istante. Si sentì uno sciocco,
ma sorrise ugualmente coinvolto dal piacere di un gesto così banale quale
quello appena fatto dall’altro; così banale, ma non per questo, di meno
valore…Non c’era da nascondersi e non c’era da tacere, e questo lo rendeva
felice.
“Non vedo finestre in
queste stanze, però”
Aaron indicò il soffitto
che Nero notò essere fatto, nella quasi totalità, in vetro
“E stata una trovata di mio
nonno, ha studiato anni per poter costruire un tetto che non crollasse
sotto le intemperie di queste zone…” Aaron rise al ricordo “Quando fece
erigere questa biblioteca seguì personalmente tutte le fasi di costruzione!”
“Devo ammettere che il
risultato è splendido”
“Gli avrebbe fatto piacere
sentirlo dire. Mi ricordo che, da piccolo, mi sembrava strana questa stanza,
avevo sempre paura che il soffitto sarebbe precipitato, ma poi, quando ho
capito che non sarebbe successo, ho iniziato a passarci del tempo anche solo
per guardare il cielo”.
“Addormentarsi in un posto
caldo guardando le stelle è un lusso di pochi”
“Date una lettura di questo
posto molto romantica” disse prendendolo in giro, ma al contempo gli disse
“Mi sono addormentato così tante volte su quel divano, guardando il cielo e
immaginandomi chissà dove, che ormai ho perso il conto.”
”Avete veramente un grosso entusiasmo per i viaggi”
Aaron sospirò: ”E’
l’entusiasmo che il cieco ha per la luce, inutile e a volte, temo,
fastidioso”
“Fastidioso non direi
proprio, la curiosità per ciò che ci circonda non può creare fastidio, non
credete?”
”Lo penso anch’io, ma temo spesso di eccedere, nel tentativo di supplire con
le parole alla mia impossibilità di muovermi da questo posto”
“Vorreste andarvene?”
I due si guardarono, e
Aaron indugiò un attimo sulle ciglia lunghe del suo interlocutore. Sapeva
bene che la domanda non era così semplice come poteva apparire, portava con
sé il fardello di una persona che se n’era davvero andato di casa per motivi
a lui sconosciuti, ma che erano stati abbastanza forti da fargli prendere
una decisione radicale.
“No” rispose scuotendo la
testa “Vorrei visitare altri posti, non andarmene di casa”
Era una risposta sincera, diretta. La sua casa era lì, fra i mattoni algidi
di quel castello e l’aria gelida della bruma mattutina. Poteva essere
solitaria e quindi fredda, ma quella rimaneva pur sempre casa sua.
“E’ un sentimento che vi
invidio molto, devo essere sincero, ma faccio fatica a comprendere…” sospirò
il Nero.
Aaron non interruppe il corso di pensieri del cavaliere, si sedette sul
divano indiano indicandogli di sedersi al suo fianco. Istintivamente, come
faceva sempre quando si sedeva lì, solo nella stanza, si rannicchiò
nell’angolo sprofondando la schiena nei cuscini e appoggiando la testa sulle
ginocchia.
“Tempo fa, il mio Ataman mi
disse la stessa cosa, mi disse che visitare altri posti è bello solo se si
ha una casa dove tornare.”
”Il vostro Ataman?”
“E’ il capo dei cosacchi
tartari, i Nagaybäk. Con loro ho vissuto per tre anni dopo aver lasciato
l’Inghilterra”
”Nella Russia Orientale?” chiese stupito Aaron
“Sì, non mi chiedete come
mai sia finito tre anni fra i cosacchi tartari perché non sarei in grado di
dirvelo”. Scosse la testa sorridendo “Ho dei ricordi piuttosto confusi del
tragitto che da Calais mi portò in Oriente, eppure ci arrivai io, sul dorso
di un cavallo. Possiamo dire che mi sono perso”
“Perso! In Russia. Mi pare
un posto piuttosto lontano per perdersi…”
”Essere lì o da qualunque altra parte, per me non aveva importanza, quindi
quando l’Ataman mi chiese di rimanere, accettai di buon grado. Ero
affascinato dalle loro vite e dal loro modo di cavalcare, mi sembrò una
ragione sufficiente per rimanere un po’”
“E vi adottarono?” Aaron
suonò piuttosto confuso
“In realtà no, è contrario
alle loro usanze adottare qualcuno. Dicono che adottando si obbliga qualcuno
a rimanere fermo in un posto e loro pensano sia sbagliato”
“Ritengono sia sbagliato
l’obbligo, o proprio avere una dimora?”
“Ritengono sia sbagliato
che siano loro a sceglierla per te. I cosacchi sono nomadi, e fu proprio l’Ataman
a convincermi che quello che avevo fatto, sebbene folle, non fosse
sbagliato. Nessuno di loro ha una casa in pietra, o una residenza alla quale
fare ritorno, tutti considerano la loro casa il luogo dove si trovano gli
altri. A volte capitava che ci si fermasse in una particolare zona della
regione per mesi. Ciononostante nessuno aveva dispiacere a lasciare le terre
dove si era abitato per un po’ di tempo, dicevano che non è la terra che
dona ad un uomo una dimora, ma sono i suoi compagni a farlo”.
“E’ l’opposto di quello che
si pensa qui in Inghilterra, dove ora si fa guerra per rivendicare il
diritto alla terra”
”E voi pensate sia giusto?”
“Sono stato educato in
questa cultura e sono cresciuto in un posto che ora mi sento di chiamare
mio. Non vorrei abbandonarlo, ma non saprei dirvi perché, se è per le mura
che lo compongono, per le persone che ci vivono o per i ricordi che evoca…
Non lo so davvero…” Aaron scosse la testa per enfatizzare le sue parole.
“Perdonate la mia insolenza, però, non posso fare a meno di chiedermi che
senso abbia per il vostro Ataman dire che visitare perde di senso se non si
ha una casa dove tornare. Da quel che mi dite, lui la sua casa la portava
con sé.”
Nero rise “Sì, e questo
certo non sarebbe pratico con le case inglesi!”
Guardò i capelli di Aaron
sparpagliati sul divano e non riprese subito a parlare, rimase incantato nel
cercare di discernere quali fossero i ricami e quali invece appartenessero
al suo interlocutore, poi riprese il discorso “Ed è per questo loro modo di
vedere le cose che Levante è tornato con me in Europa. Lui, di contro,
soffriva questa mancanza totale di radici. Quando decisi di tornare ad
Ovest, venne con me… e a quanto ne so è ben intenzionato a metterle!”
sorrise, ricordandosi dell’imbarazzo di Levante quando la sua destinazione
era stata scoperta dai compagni
“Una donna?”
”Una veneziana, sì.”
”E l’Ataman l’ha lasciato andare?”
”Senza tentare di persuaderlo a rimanere, nonostante, sono sicuro, soffrisse
di vederlo andare via”
“Da come ne parlate,
provate un gran rispetto per quest’uomo”
“M’ha insegnato molto e
senza di lui, non sarei arrivato a diciott’anni. Le tentazione di partire
per mare e unirmi a qualche gruppo di avventurieri, a quell’età, era forte.
Pochi ragazzini sapevano impugnare la spada come lo facevo io perché pochi
ragazzini potevano vantarsi di avere avuto Anselm come maestro d’armi. E
questo, ai tempi, mi riempiva di arroganza…”
“Un pirata..?” chiese Aaron
spalancando gli occhi incredulo e divertito. “A vedervi ora sembrate tutto
il contrario, con la vita dei vostri uomini fra le mani ed un atteggiamento
assennato. Chi l’avrebbe mai detto! Ora potreste essere il terrore dei mari,
con una benda nera sull’occhio, un cappello che vi adombra il viso e un
uncino al posto delle dita” Aaron lo prese in giro, mimando la benda, il
cappello e l’uncino con le mani sotto gli occhi meravigliati di Nero che,
alla fine tentò di afferrare la mano del suo interlocutore per farlo
smettere di prendersi gioco di lui. Aaron riuscì ad evitare la presa e
scoppiò a ridere, cosa che fece subito dopo anche Nero.
“Sono contento di avervi
conosciuto sotto altre spoglie però” disse Aaron ritornando serio e
stringendosi nelle spalle “non sono sicuro che da pirata mi sarei sentito
così sicuro vicino a voi”
Siete una persona che dà molta sicurezza,
aveva detto e il sentirlo di
nuovo commosse il Nero che non replicò subito, lasciò che quella
sensazione gli accarezzasse le pelle. Temeva che le parole potessero
disperderla.
Guardò di nuovo capelli di
Aaron sparpagliati sui cuscini insieme ai ricami dorati:
“Non sono mai stato in
India. L’Ataman m’ha raccontato di cose meravigliose…” disse più fra sè e sè
che al suo interlocutore.
“Se è vero come dite che
loro hanno la loro casa laddove esistono i loro cari e non dove ci sono i
mattoni che ne delimitano il perimetro, come possono staccarsi così
facilmente gli uni dagli altri? Com’è possibile che l’Ataman non si sia
dispiaciuto di vedere partire Levante o voi, dopo avervi preso sotto la sua
ala protettiva per tre anni?”
“Non credo non fosse
triste, o non preferisse rimanessimo. Tuttavia quando Levante gli chiese
consiglio, fu lui il primo ad incitarlo…”
Aaron scosse la testa
“Forse sono io ad essere possessivo, o forse egoista.”
“Penso che siate
semplicemente molto legato a questo luogo per quello che rappresenta per
voi. Sinceramente non penso che la sua interpretazione di casa fosse
migliore o peggiore di quella inglese, ma non vi nego che m’ha dato
speranza”
“Speranza?”
“Di trovare la mia”
Lord Aaron guardò il Nero
che aveva gli occhi persi chissà in quale posto, chissà dietro quale
ricordo… Trovare una casa…
Era un concetto astratto
per lui, completamente nuovo. Pensò a sé e si rese conto che se non avesse
avuto un luogo da poter chiamare casa, probabilmente, si sarebbe sentito
perduto, in mezzo al niente
“Io non sono coraggioso
come voi” bisbigliò “Ammiro molto questa vostra forza”
Il Nero scrollò le spalle e
sorrise, non l’aveva mai considerata forza. A volte era disperazione, a
volte solitudine, a volte addirittura, pura e inutile abitudine.
Era una strada che non
prevedeva alternative, un giorno forse, Nero ne avrebbe trovato la fine, ma
per ora non gli rimaneva che cercare.
Aaron non capì subito se la
malinconia che percepiva sulla sua pelle fosse la sua reazione a quegli
occhi neri così distanti oppure se non fosse propria, ma fosse emanata dal
cavaliere di fronte a lui. E allora fece un gesto senza pensarci, un gesto
che più volte avrebbe maledetto in futuro ma di cui non si sarebbe mai
pentito. Un gesto semplice, in quell’atmosfera ovattata notturna, in cui il
loro respiro e il crepitio del fuoco erano gli unici suoni udibili. Prese la
mano di Nero e gli accarezzò i palmi, se la portò al volto prima e se
l’appoggiò fra i capelli.
Il cavaliere lasciò che la
sua mano fosse guidata senza opporre alcuna resistenza, quei capelli
sembravano seta fra le sue dita: le intrecciò fra quei fili dorati e lasciò
che la sua mano fosse condotta dall’altro.
Aaron la fece scorrere fra
i capelli, accarezzando poi con la guancia il polso del cavaliere e
permettendo alle dita di questo di sfiorargli la nuca.
Nero la sentì correre,
prima lungo il braccio poi per tutto il corpo: una sensazione avvolgente, di
intensa tranquillità; una sensazione di amore profondo, antico, che sembrava
avere radici salde. S’irradiò e permeò la sua pelle e la sua persona.
Era dolce, era violenta,
era intima, era esuberante. Era bellissima.
La sensazione fu così
intensa che gli tolse il fiato per un attimo. Ma questo fu quanto il tutto
durò.
Poco prima che Aaron gli
sfilasse la mano da capelli, Nero percepì un leggero alito di solitudine.
“Scusatemi” disse alzandosi
e allontanandosi dal divano “ avrei dovuto impedire che un sentimento così
negativo trapelasse”.
Nero non riuscì a dire
niente, l’onda che l’aveva percorso era ancora troppo viva in lui e troppo
sconosciuta per non rimanerne affascinato: Lord Aaron aveva condiviso quello
che per lui significava casa.
Non si accorse quindi che
le guance di Aaron erano rosse e i suoi passi troppo veloci.
Rimase fermo, orfano di una
sensazione nuova, e disorientato.
Aaron prese un libro dalla
biblioteca “Questo era il libro che volevo leggeste” disse rapidamente, non
osando neanche porgere il libro a Nero, ma preferendo appoggiarlo sul
tavolo. Il cavaliere avrebbe notato che la sua mano stava tremando, e Aaron
voleva evitarlo. Voleva prendere aria, perché stava soffocando.
“E’ uno dei pochi scritti
in cui si parla dell’Alito di Dio, ho pensato potrebbe interessarvi.
Purtroppo le mie ricerche non hanno dato molti risultati.
E’ meglio che vada ora, voi
potete rimanere qui e tornare ogni volta che vorrete e… scusate ancora…”
L’aria era densa, doveva
uscire di lì. Non trovando parole migliori, si scusò così, semplicemente e
si allontanò, il più in fretta possibile.
Pensò di essere sciocco ed
ingenuo. Pensò di essere uno stupido.
Tremava perché quel
contatto l’aveva emozionato. Niente di più e niente di meno: il suo cuore
era stato invaso da un’emozione così violenta che Aaron aveva avuto paura.
Un’emozione che non avrebbe dovuto provare e che era incontrollabile… La
solitudine era stata una buona scusa per interrompere quel contatto, ma la
realtà era stata che Aaron non aveva avuto il controllo su quello che
provava, e sfilare la mano dai suoi capelli era stata l’unica possibilità
perché Nero non leggesse nel suo animo.
***
Stateira: Grasssie, sai che adoro i tuoi commenti e quanta considerazione ne abbia *_* Sì, in effetti questi capitoli vanno letti velocemente, il rapporto fra "i due" ci mette un po', ma sono felice che traspaia l'intesa e soprattutto, la condivisione di percorsi di vita così diversi ma allo stesso tempo simili *_* E Luppolo...Beh, dato che mi sono affezionata al nostro scozzese, ho ritagliato parte del racconto per lui. E' l'anima yaoi che ha reclamato vittime sacrificali HAHAHA
BiGi Lo faccio anch'io, ecco perchè l'ho scritto. Ci sono alcuni attimi della vita che inevitabilmente, ti segnano e ti cambiano... Un bacione, grazie per la recensione *_*
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