Sotto il gelsomino in fiore

di Fidaide
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo I ***
Capitolo 2: *** Capitolo II ***
Capitolo 3: *** Capitolo III ***
Capitolo 4: *** Capitolo IV ***
Capitolo 5: *** Capitolo V ***
Capitolo 6: *** Capitolo VI ***
Capitolo 7: *** Capitolo VII ***
Capitolo 8: *** Capitolo VIII ***
Capitolo 9: *** Capitolo IX ***
Capitolo 10: *** Capitolo X ***
Capitolo 11: *** Capitolo XI ***
Capitolo 12: *** Capitolo XII ***
Capitolo 13: *** Capitolo XIII ***
Capitolo 14: *** Capitolo XIV ***
Capitolo 15: *** Capitolo XV ***
Capitolo 16: *** Capitolo XVI ***
Capitolo 17: *** Capitolo XVII ***
Capitolo 18: *** Capitolo XVIII ***
Capitolo 19: *** Capitolo XIX ***
Capitolo 20: *** Capitolo XX ***
Capitolo 21: *** Capitolo XXI ***
Capitolo 22: *** Capitolo XXII ***
Capitolo 23: *** Capitolo XXIII ***
Capitolo 24: *** Capitolo XXIV ***
Capitolo 25: *** Capitolo XXV ***
Capitolo 26: *** Capitolo XXVI ***
Capitolo 27: *** Capitolo XXVII ***
Capitolo 28: *** Capitolo XXVIII ***
Capitolo 29: *** Capitolo XXIX ***
Capitolo 30: *** Capitolo XXX ***
Capitolo 31: *** Capitolo XXXI ***
Capitolo 32: *** Capitolo XXXII ***
Capitolo 33: *** Epilogo ***



Capitolo 1
*** Capitolo I ***


Capitolo I



Il sole di aprile, pallido e velato di nubi che promettevano pioggia, creava giochi di ombre sulle rovine. Gli archi a sesto acuto, quello che rimaneva delle mura della vecchia magione, sembravano ancora più inquietanti, sinistri del consueto, mentre un vento, gelido per la stagione, sibilava attraverso le finestre così simili a due voragini, prive com'erano delle vetrate e di una parete alle loro spalle. Un uomo stava appoggiato al muro centenario, ai mattoni scuri che spiccavano nella verzura del giardino. Gli occhi chiari fissavano freddi un punto non meglio definito del parco che circondava una dimora signorile dai tratti austeri e cupi, a fare quasi da pendant con le rovine gotiche dove si trovava l'uomo. Gli alberi gemevano sbattuti dal vento, i sottili fili d'erba si piegavano di fronte alla furia della natura, il mantello del mago svolazzava scuro quanto le pietre contro cui sbatteva.
Chi l'avesse osservato dalla dimora avrebbe potuto pensare che fosse una statua, tanto era fermo nella sua posizione. Quell'immobilità, mossa unicamente dal vento, fu rotta dall'arrivo di un altro uomo, strettamente avvolto nel suo mantello, come per volerlo far muovere il meno possibile. Si avvicinò al mago appoggiato, ancora immobile, contro le rovine. Il biondo dei capelli, la carnagione chiara, pallida e gli occhi tra l'azzurro e il grigio denotavano la stretta parentela tra i due. Soltanto i tratti del volto, duri quelli dell'uno, più dolci quelli del secondo arrivato, li differenziavano.
«Non pensavo ti trovassi fuori con un tempo simile - disse il nuovo venuto - È stato per puro caso se ti ho visto da una delle finestre.»
«Immagino che sia una faccenda importante quella che ti spinge fuori, Lysiart.» affermò l'altro, voltando finalmente il capo verso il suo interlocutore.
«Le condizioni di nostro padre sono sempre più preoccupanti. L'infermiera sostiene che non gli rimarrà ancora molto da vivere.»
«Lo sosteneva anche il medimago che l'ha avuto in cura l'anno scorso.» constatò l'uomo senza che l'espressione del suo volto cambiasse.
«Sembra quasi che non te ne importi nulla, Abraxas - ribatté l'altro accorato - Si tratta pur sempre di nostro padre.»
«Ed io credo, Lysiart, che ormai dovresti conoscermi.» disse l'uomo appoggiato alle rovine, con una calma quasi innaturale.
L'altro chinò il capo al suolo, quasi in un moto di sottomissione, come se le parole del fratello lo avessero sconfitto. Si disse, come faceva spesso, che tra i due era di certo Abraxas ad apparire il maggiore, quando la realtà anagrafica diceva l'esatto contrario. Forse era per questo che il padre aveva sempre accordato la sua preferenza al secondogenito, così simile a lui.
«Hai ragione. - disse infine Lysiart quietamente, il tono leggermente fioco, mentre tornava ad alzare il capo - Eppure le parole dell'infermiera sembrano così reali. La signorina O'Connor appare assolutamente affidabile.»
«Dovresti imparare a dubitare maggiormente della gente, Lysiart. - controbatté il fratello - Soprattutto della signorina O'Connor. Non mi sembra così affidabile come dici e non mi sembra nemmeno così competente come vuol far credere.»
«Credi che sia meglio licenziarla?» domandò Lysiart incerto.
«No. - rispose semplicemente l'altro - Se licenziassimo la signorina O'Connor, non credo che troveremmo nulla di meglio, considerando che già lei era la migliore sul campo.» concluse, gli occhi fissi su Lysiart.
«Forse - iniziò il fratello - potrei prendermene cura io.»
«Andiamo Lysiart, non sei nemmeno stato in grado di prenderti cura di tua moglie, come puoi pretendere di riuscirci con nostro padre.» ribatté Abraxas, alzando appena un sopracciglio.
Il silenzio calò tra i due uomini, un silenzio interrotto unicamente dallo stormire delle foglie, dal frusciare dell'erba e dallo sbatacchiare del mantello del fratello minore contro le mura delle rovine. In lontananza si udì il rombo del tuono, che fece voltare di scatto Lysiart verso il luogo da cui sembrava provenire, da qualche parte a oriente, oltre il muro di cinta.
«Sai perfettamente come è andata, Abraxas.» affermò, infine, Lysiart, riportando lo sguardo sul fratello minore, per poi calarlo velocemente verso il suolo.
«Sì, lo so.» rispose solamente l'uomo, alzando per un istante gli occhi verso il cielo, ormai totalmente coperto di nubi, mentre il vento cresceva di intensità sferzandogli il volto.
Quando tornò a posare lo sguardo sul fratello, notò che teneva ancora gli occhi fissi al suolo, come se volesse studiare il movimento dei fili d'erba, che lottavano tra loro, piegati dalla tempesta imminente. Non riusciva a capire Lysiart, il più delle volte. Era così dissimile da lui, da suo padre, che quasi non sembravano avere legami di sangue. Era certo che se non fossero stati così facilmente riconoscibili come parenti esteriormente, nessuno li avrebbe detti fratelli. Si chiedeva come l'altro uomo potesse essere così dannatamente sentimentale, così debole, così ingenuo nel valutare le persone che lo circondavano.
«Non credi che sia meglio rientrare. - disse Lysiart, a voce più alta del solito, per sovrastare il rumore del vento e del tuono, ormai più vicino, quasi amplificato dal gioco di pieni e di vuoti delle rovine - Questo tempo è inquietante, soprattutto in questo luogo. Siamo troppo vicini a quei ruderi.»
«Non essere infantile.» ribatté Abraxas, continuando a fissare il fratello, che non aveva alzato il capo verso di lui, nemmeno mentre pronunciava quelle parole.
«Non riesco ad essere come te. - affermò Lysiart, alzando improvvisamente il volto - Così…così assolutamente a suo agio nel mezzo di una tempesta…così…- si interruppe, distogliendo gli occhi da quelli del fratello - …così impassibile di fronte ad ogni cosa…così simile a nostro padre, quando ancora stava bene.»
«Non ha nulla a che fare con il mio discorso l'essere o meno simile a nostro padre. - gli occhi di Abraxas indugiarono ancora per qualche istante sul fratello, prima di andare a portarsi su un vecchio salice piangente che pareva gemere più di tutti gli altri alberi- Ho soltanto espresso un'opinione, Lysiart.»
Il fratello maggiore tornò a chinare il capo, ancora una volta sconfitto, ancora una volta perdente. Sentì per un solo breve istante gli occhi inumidirsi di lacrime, che riuscì a trattenere, a ricacciare indietro. Non era più il ragazzo più grande che piangeva per le parole di quel fratello minore a cui avrebbe voluto assomigliare, in un miraggio che rimaneva anche allora, quando entrambi avevano superato la trentina, lontanissimo.
«Torno dentro, Abraxas.» annunciò infine, senza alzare lo sguardo, come se gli fosse troppo difficile osservare il fratello in volto.
L'altro non si mosse, né fece un qualche cenno di saluto, lasciando che Lysiart si allontanasse rapidamente, quasi di corsa,. Gli sembrò che stesse fuggendo dai tuoni che si facevano sempre più intensi e fragorosi, mentre le nubi gravavano sul suo capo, sempre più cariche di pioggia. Lasciò che il mantello continuasse a sbatacchiare per il forte vento, rimanendo immobile per diversi istanti. Poi, lentamente, fece qualche passo lungo le rovine, camminando in direzione opposta rispetto a quella intrapresa dal fratello. Si fermò soltanto quando ebbe raggiunto l'ultima delle finestre a sesto acuto, quella su cui si arrampicava tenace dell'edera. Sfiorò appena una pietra che ancora si intravedeva in quel garbuglio verde, poi tornò sui suoi passi, iniziando poco dopo ad attraversare lo spazio erboso che lo separava dalla dimora. Alcune gocce di pioggia iniziarono a colpirlo, poco distante dalle mura settentrionali di Malfoy Manor. Senza affrettare il passo continuò ad avanzare fino a che non arrivò quasi a sfiorare le pietre scure dell'abitazione. Prese a costeggiarle, giungendo all'angolo che congiungeva il lato settentrionale a quello orientale. Continuò a seguire le mura della casa di famiglia, mentre la pioggia continuava a bagnarlo, ormai insistente, il mantello e gli abiti zuppi, come i capelli, che gli si incollavano al volto, rendendo forse ancora più duri i suoi lineamenti. Un tuono echeggiò più forte, mentre raggiungeva la grande porta che immetteva all'interno della dimora, sovrastata da un arco a tutto sesto, dal decoro semplice e asciutto, austero, e leggermente rovinato dalle intemperie in alcuni punti. Salì i quattro gradini, che le generazioni di Malfoy che li avevo utilizzati avevano reso lisci e irregolari, raggiungendo infine il vasto atrio d'ingresso. Appena dentro estrasse la bacchetta da una tasca del mantello e mormorò rapido un incantesimo che gli asciugò in pochi istanti i panni ed i capelli.
I passi risuonarono sul pavimento di pietra, rimbombando nella vastità dell'ambiente, sorpassando il ticchettio insistente dell'acqua sulle due ampie vetrate che si aprivano ai lati della porta. Girò a destra, verso un altro uscio, in legno massiccio, con piccole foglie di vite intagliate al centro, dove si univano i due battenti. Lo aprì fermandosi sulla soglia, come per osservare la scena che gli si parava davanti. Due elfi domestici stavano lavorando in un angolo dell'ambiente e, se non avesse notato qualcosa di strano nel loro comportamento, sarebbe passato avanti, avrebbe attraversato il salotto di anticamera, poi la sala da pranzo, per raggiungere infine la biblioteca. Invece qualcosa lo fece fermare. In uno dei due esseri c'era una tensione che mai aveva notato, le rare volte che li aveva in qualche modo osservati, in uno di loro. Non si mosse dalla sua posizione, fermo, immobile sulla soglia della stanza, gli occhi fissi sui due elfi domestici che stavano in angolo dell'ambiente, tra una poltrona in stile Luigi XV e il camino, intenti probabilmente a sistemare qualcosa nello stipo intarsiato appoggiato all'angolo tra la parete di fronte e quella su cui si apriva l'uscio che immetteva nella sala da pranzo. Vide l'elfo che aveva attratto la sua attenzione abbandonare improvvisamente il suo lavoro e allungare per un istante una mano grinzosa verso l'altro, per poi allontanarla bruscamente e arretrare di un passo, prima di tornare ad avvicinarsi allo stipo e iniziare a colpirlo con il capo, punendosi.
«Signor Malfoy - lo chiamò una voce alle sue spalle, impedendogli di formulare il benché minimo pensiero sulle motivazioni che potevano portare quell'essere a punirsi quando sembrava che stesse facendo quanto era suo dovere fare - meno male che l'ho trovata, è successa una cosa terribile.»
«Cosa è avvenuto, signorina O'Connor?» domandò l'uomo voltandosi lentamente verso la sua interlocutrice, una donna di qualche spanna più bassa di lui, con i lunghi capelli, come sempre, raccolti in una treccia.
«Il signor Malfoy, suo padre, signore, è scomparso.» affermò con voce leggermente allarmata l'infermiera.
«Lei, signorina, cosa stava facendo, invece di badare alla salute del suo paziente?» Mentre parlava il corpo dell'uomo si appoggiò allo stipite della porta, fissando con attenzione il volto della donna, un sopraciglio leggermente alzato.
«Sono andata a prendere una medicina dallo stipo che si trova nel bagno comunicante alla camera dove il signor Malfoy si stava assopendo sulla sua sedia a rotelle. - l'infermiera trasse un leggero sospiro, prima di continuare - Sono stata via per poco tempo, glielo assicuro. Quando sono tornata non c'era traccia di lui e quello che è peggio, signore, è che devo somministrare quanto prima quel medicinale, onde evitare una brutta crisi o peggio.»
«Mi vuole spiegare, signorina, com'è possibile che un uomo nelle condizioni di mio padre possa alzarsi e scomparire?» domandò Abraxas staccandosi dallo stipite per iniziare ad avviarsi verso le scale che conducevano al piano superiore, immediatamente seguito dalla donna.
«A volte suo padre, signor Malfoy, sembra ritrovare la forza perduta. Ne ho parlato una volta con suo fratello. - con un gesto nervoso si sistemò una ciocca di capelli che le era sfuggita dalla treccia - È qualcosa che accade raramente.»
«Ma a quanto pare è accaduto oggi, signorina.» sentenziò Abraxas, iniziando a salire l'ampia scalinata della stessa pietra scura con cui erano state costruite le mura esterne.
«Non mi perdonerei mai se dovesse succedergli qualcosa, signor Malfoy - affermò la donna, mentre seguiva l'uomo su per le scale - soprattutto considerando che deve prendere quella medicina. È fondamentale. Devo somministrargliela ogni giorno a quest'ora e sono già in ritardo di alcuni minuti. Non oso immaginare cosa potrebbe accadere se…»
«La smetta di ciarlare, signorina O'Connor.» la interruppe Abraxas, senza nemmeno voltarsi verso di lei.
Il passo dell'uomo non accelerò mai, nemmeno quando raggiunse il piano superiore e il lungo corridoio su cui si aprivano le stanze della parte orientale dell'abitazione. Ignorò completamente le poche porte che si trovavano alla sua sinistra, per avviarsi deciso verso una di quelle che si trovavano dalla parte opposta, ancora aperta. La camera di suo padre era esattamente come appariva ogni giorno. Il grande letto a baldacchino con i tendaggi di pesante velluto di una tonalità particolarmente scura di blu, lo scrittoio, dove un tempo l'uomo sbrigava i suoi lavori per il ministero. L'unica cosa che stonava era la sedia a rotelle vuota, priva del suo abituale occupante, di quell'uomo, un tempo deciso, autoritario, ridotto dalla malattia a poco più di un vecchio fossile debole e indifeso. Anche la piccola porta che immetteva in una stanza di servizio era aperta, segno, pensò l'uomo, che la signorina O'Connor era corsa effettivamente subito ad avvertirlo.
«Non può essere andato molto lontano - affermò Abraxas, voltandosi verso la donna, che era rimasta ferma sulla soglia - non nelle sue condizioni.»
«È necessario trovarlo quanto prima, signor Malfoy. - disse l'infermiera - La sua medicina…»
«Lo so - ribatté l'uomo - e credo, signorina O'Connor, che la cosa migliore sia separarsi. Lei lo cerchi nella parte meridionale, io farò altrettanto in quella settentrionale di questo piano. Ci rincontreremo nel lato ovest, sempre che uno di noi due non lo ritrovi prima dell'altro. In quel caso invieremo un patronus. - fece una pausa - E prenderemo con noi la medicina che gli va somministrata. - continuò pratico - Immagino ce ne sia più di una dose nello stipo.»
«Esattamente, signor Malfoy.» confermò la donna, entrando nella stanza, per poi sorpassare l'uomo e recarsi rapida verso la piccola camera di servizio, da cui uscì poco dopo reggendo un'ampollina colma di un liquido sul viola, che porse ad Abraxas.
L'uomo annuì appena, mentre studiava per qualche istante l'ampolla, poi diede le spalle alla donna e si diresse fuori dalla stanza, svoltando a destra, iniziando ad aprire una delle porte che si trovavano lungo il suo percorso, passando su entrambi i lati del corridoio, trovandone tre vuote, fermandosi soltanto nella quarta, dove campeggiavano diversi strumenti musicali, disposti in un ordine perfetto. Qui un uomo dal mento allungato, di qualche anno più anziano di Abraxas, stava riponendo un antico liuto, con tanta attenzione e precisione da non accorgersi, se non dopo qualche istante della presenza dell'altro.
«Signor Malfoy, non mi aspettavo che venisse già adesso in questa stanza. - fece una breve pausa - Mi sono preso la libertà di mettere ordine, spero che questo non la disturbi.»
«Affatto, Green. - rispose l'uomo, osservando l'altro, impeccabile nella sua livrea da maggiordomo - Ma credo che dovrai interrompere la tua opera. Mio padre è introvabile e non potrebbe che aiutare qualcun altro a cercarlo, oltre a me e alla signorina O'Connor.»
«Certo, signor Malfoy.» rispose l'altro affabile, mentre si dirigeva verso la soglia.
Abraxas si voltò e lo precedette fuori dalla stanza, per poi voltarsi verso di lui e indicargli con un cenno del capo le scale che conducevano all'ultimo piano della dimora. Rimase per qualche istante immobile, fissando la figura dell'uomo scomparire lentamente alla vista, poi si voltò e riprendendo ad esaminare ogni stanza, si rimise alla ricerca di Adolar Eustace Geoff Malfoy.




Ecco una nuova avventura, una nuova storia, scritta a quattro mani da Alaide e Fidia. Ovviamente ogni commento è più che gradito!

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Capitolo 2
*** Capitolo II ***


Capitolo II

Quasi tutti gli abitanti del Manor si sentirono vincolati dalla leggera devozione, nata certo da obblighi morali piuttosto che da franchi slanci d’affetto, nutrita nei confronti di Adolar Malfoy, e radunati in una piccola folla, cooperarono per ritrovarlo. Quello che dapprima era un debole fermento si trasformò di sorpresa in un caotico pullulare di visi angustiati in ogni parte della magione. Gli abitanti sciamarono per gli anditi, scambiandosi talora taciti messaggi, cercando il modo più conveniente per trasmettere le cattive notizie. Era indubbiamente Hilda, l’infermiera del malato, la ricercatrice più accorata. I suoi gesti convulsi denotavano, più che angoscia, un forte senso di esasperazione. Si sentiva sul punto di esplodere quando scese al pianterreno, setacciando persino le crepe sui muri, mentre portava dietro le orecchie una ciocca solitaria che continuava a balzarle in maniera impertinente sul viso aguzzo. La caccia si dimostrò infruttuosa.
Stando al giudizio comune, quella di Hilda era un’indole quanto mai labile e malferma, e forse per questa ragione si ritrovò a incespicare ed ansimare sul tappeto persiano che foderava il pavimento del salone al pianterreno senza sapere quale direzione prendere. Conosceva parzialmente la dimora, poiché il suo misero alloggio si trovava nella cella piccola e cupa del degente, dove consumava interminabili giornate, tra il pallore che sembrava riflettersi dalle mura al viso del vecchio, e viceversa, e quell’aria malaticcia e squallida che riempiva ogni angolo della magione e ancor più si concentrava al cospetto del disabile, quasi fosse da lui misteriosamente evocata.
Comprese all'istante in che luogo si trovava: quello era il salotto dove era stata gentilmente accolta dopo l’assunzione. Lo dimostravano i mobili di mogano intarsiato, le pareti ricoperte di mussola bianca, il profumo dolce di erba fresca e terriccio che penetrava dall’esterno, e di cui ancora aveva memoria. Si piegò per scoccare una fugace occhiata al cavedio quadrangolare, oltre le tende bianche che alacri elfi avevano fissato, per mezzo di nappe dorate, ai lati della portafinestra. Sapeva che nel cortile non avrebbe trovato il suo paziente, ma contava di trovarvi perlomeno un briciolo di serenità. Spinta da questa convinzione, che alimentata dall’ansia si mutò in certezza, varcò la soglia, dimenticando per un attimo il compito gravoso di cui era tenuta a occuparsi.
Un vaso in stile geometrico, decorato con meandri e rigide volute che si snodavano su un fondo giallognolo, marcava il centro esatto del cortile interno. Hilda lo raggiunse e gli si appoggiò con entrambe le mani, firmandolo con le proprie impronte.
Il fragore dei tuoni era sempre più svigorito, e la pioggia ormai in declino. Persino quelle nuvole fosche che prima occultavano il cielo e parevano essersene impossessate volavano a sud, mosse da un vento feroce. Un denso profumo di terra bagnata investiva la zona reduce della turbolenta bufera, là dove fili d’erba e foglie vorticavano in una sinfonia di danze per posarsi delicatamente negli anfratti del cortile, profetando la rinnovata quiete. Gazze dalle code maculate riprendevano a sfarfallare di chioma in chioma, e il loro tetro gracchiare era ormai il suono più forte, dopo quello dei tuoni, a rompere la perfetta staticità del paesaggio, che se ne stava adagiato e sonnecchiante in un placido torpore crepuscolare.
Per poco Hilda non sobbalzò quando si imbatté in una figura squallida, o piuttosto quando una figura squallida si imbatté in lei. La nuova venuta aveva il viso segnato da screpolature che lo facevano apparire parecchio smunto, e movenze impacciate tanto singolari da renderla riconoscibile fra mille.
«Salve, signora Malfoy!» disse Hilda, cercando di apparire professionale anche durante quel momento di riposo ingiustificato.
La donna strizzò gli occhi corvini, che tanto somigliavano chicchi di caffè, e lasciò scivolare le labbra sulle ossa del volto, mostrando i due minuscoli incisivi.
«Non mi aspettavo di trovarla qui, infermiera. Tanta è stata la sorpresa, che mi ha spaventata.» disse lentamente e col tono capriccioso, benché nulla, sul suo volto, testimoniasse quelle parole.
«Non era mia intenzione, signora Malfoy.» replicò Hilda con leggero imbarazzo, facendo un cenno con la testa per rendere ancor più esplicito il messaggio, quasi stesse parlando a un essere irragionevole.
Era lì lì per riprendere fiato quando la moglie del dottor Abraxas la precedette: «Stavo dando uno sguardo agli arbusti e alla siepe. La trovo così arida che non mi meraviglierei di trovarla nel bel mezzo del deserto Sahariano. Vive, povera siepe, nonostante non le riserviamo molte cure. Invece le piante meritano assai più degli uomini, signorina O’Connor. Eppure mi chiedo a cosa serva la pioggia, se non le riverdisce. Porta solo fastidio, e un’inspiegabile monotonia.»
«Signora Malfoy, deduco dalle sue parole che non sa ancora ciò che è successo. »
«Avrei motivo di essere turbata? Beh, per dirle la verità, infermiera, ho notato un certo fermento, - rispose Megan, additando con l’indice scheletrico la portafinestra, – ma non ho interesse a scoprire quale ne sia la cagione.»
«Si tratta di suo suocero. – rispose l’infermiera, incurante delle sue parole. – Lo abbiamo cercato in ogni piano, eppure sembra essersi eclissato, stavolta.» Sottolineò intenzionalmente quell’ultima parola, anticipando una prevedibile risposta di Megan.
«Oh, che novità! – ripeté comunque la signora, con un mezzo sorriso negli occhi. – E’ la terza o la quarta volta che lo fa, e voi ne state facendo un dramma come al solito. Rispunterà nel momento più assurdo, signorina O’Connor. Lei saprà come sono fatti questi vecchi folli. Delle volte qualcosa li attira, si alzano e cercano un po’ di libertà. Ma poi tornano inevitabilmente al loro posto, perché la libertà non gli conviene affatto, e sono ancora desiderosi delle cure cui, forse troppo generosamente, noi persone normali li sottoponiamo.»
Hilda scosse la testa, contrariata di fronte a tale egoismo. «La prego di considerare la faccenda in modo più serio. Da troppo tempo è lontano dalla sedia a rotelle.»
«Adesso vuol farmi credermi che teme per lui? – rispose Megan Alcesti, ammiccando con una certa malizia. – Guardi, signorina O’Connor, sarà che sono scettica, ma non credo ai legami di affetto tra estranei. Se adducesse come pretesto il suo terrore di perdere il mestiere, allora sì, ci crederei.»
Hilda dovette giudicare la signora Malfoy una donna maleducata, perché, col volto arrossato, si costrinse a dire: «E’… è una questione di vita o di morte.»
A Megan bastò sentire quell’ultimo vocabolo per sbiancare, come in preda ad un sadico piacere. La morte… quale fascino esercitava sulla sua mente annebbiata! Se non fosse stata così innamorata della morte, certo non avrebbe collezionato stampe macabre nel proprio boudoir. Aveva sempre ritenuto il macabro qualcosa di attraente, e non certo perché, come tanti artisti, ne fosse affascinata. Megan amava la morte fisica nella maniera più bassa possibile.
«Sarò sciocca, signorina, ma in parte mi ha convinto. – riprese, persuasa ed estasiata dall’idea della morte come il Conte di Montecristo dall’hascish. – Non avendo niente di meglio da fare, mi offro volontaria per cercare Adolar Ma sia chiaro, è una pura cortesia. Francamente, non lo dica ad Abraxas, se quel vecchio squinternato ha deciso di gettarsi dall’ultimo piano in preda a un raptus di follia, scegliendo la fine della nuora, non mi riguarda affatto.»
Un’interiezione spasmodica proruppe dalle labbra dell’infermiera, che abbassò la testa, tentando di scacciare dalla mente quelle immagini orrende. «Dio… Dio gliene renderà merito, signora Malfoy, se ci aiuterà a trovarlo.»
Megan le batté sulla spalla, mormorando qualcosa sull’esistenza di Dio, prima che insieme attraversassero il colonnato e superassero in fretta la sala da pranzo, lanciandosi ad ogni passo occhiate di disagio.


Il maggiordomo Green arrancava così lentamente da dare l’impressione che il pavimento del corridoio del secondo piano gli scivolasse sotto i piedi mentre egli rimaneva immobile, lasciandosi alle spalle lo studio del dottor Abraxas. Nel suo studio, descrivibile come un immenso laboratorio quadrangolare, aveva trovato ogni cosa al suo posto, ma nessuna traccia del vecchio Adolar Malfoy: i vetri lucidati con maniacale impeccabilità, le provette cristalline riposte in una fila ordinata lungo il tavolo di marmo, le clessidre che il signor Malfoy collezionava accatastate secondo con un assetto incomprensibile dietro la porta, l’armadio rigorosamente chiuso a chiave. Persa ogni speranza, Green aveva saggiamente deciso di rivolgersi al gretto bibliotecario della magione, Zephyrus, che aveva l’aria di conoscere sempre tutto di tutti. Qualora Adolar fosse davvero passato dal secondo piano quel pomeriggio, senza ombra di dubbio lo aveva visto. Green proseguì lungo il corridoio, sempre più sicuro che Zephyrus gli sarebbe stato d’aiuto. Condottieri e grandi maghi di epoche passate lo scrutavano torvi dalle cornici dorate, biasimando tacitamente il suo camminare impettito e rigido, sussurrando di nascosto critiche che avrebbero indispettito non poco il maggiordomo, troppo lontano per udirle.
Il bibliotecario di Malfoy Manor alloggiava in una camera buia e lercia, molto più simile ad una cella monasteriale che ad una vera e propria stanza. La carta da parati, ingiallita dal tempo, si era scollata dalle mura e pendeva oscillante e grinzosa. All’interno del locale aleggiava un pesante odore di chiuso, condensato in un miasma tossico, e, quando i raggi di luce trapelavano dalle minuscole finestre imbrattate, si distingueva nell’atmosfera uno strato di pulviscolo misto a grumi di polvere. La ragione di quel disordine non era difficile da intendere: Zephyrus trascorreva le sue giornate in mezzo agli scaffali della biblioteca, e solo le notti in quel bugigattolo contaminato. Gli elfi non erano tenuti a ripulirlo, e la sporcizia si accumulava ogni giorno in misura maggiore. Non appena Green lo raggiunse, il bibliotecario, che stava fortuitamente sistemando una pila di libri sulla scrivania di quercia, lo adocchiò con piglio sgorbio.
«Green! – borbottò, zoppicando verso di lui. – E’ successo qualcosa o m’inganno? »
«Non lo immagina? – chiese il maggiordomo, sollevando appena la testa e inarcando le sopracciglia folte – Nient’altro che la sparizione di Adolar potrebbe spiegare questo viavai.»
«La sparizione di Adolar? E chi ha detto che è sparito? L’ho appena visto qui vicino.»
Green trasse un sospiro di sollievo. «Ne ero certo, signor MacNiemand. Ma a dirle la verità, ho attraversato or ora il corridoio in lungo e in largo, senza vederne l’ombra.»
Il topo di biblioteca aprì gli occhi cisposi, cosa che stupì Green, il quale aveva sempre ritenuto le palpebre dell’uomo inscindibilmente appiccicate. «Non è in corridoio? Ma se l’ho appena visto! Oh, accidenti!»
Uscì fuori la testa dalla sua gabbia, non senza palesare un certo senso di molestia, e guardò ora a destra, ora a sinistra, prima che gli venisse nuovamente rivolta la parola dal maggiordomo.
«Quanto tempo è passato, signor MacNiemand? E cosa stava facendo?»
«Sarà passata mezz’ora. – Tirò fuori un orologio da tasca e approvò con un cenno la frase appena articolata. – Era fermo a delirare, ma non ho udito ciò che dicevo. Stavo per chiamarlo, ma meglio considerando al distanza, vi ho rinunciato. Dopodiché sono entrato in camera, pensando che l’infermiera - non ricordo mai come si chiama - fosse nelle vicinanze.»
«Non l’ha meravigliata vedere Adolar Malfoy senza sedia a rotelle?, Il signore è gravemente malato, e non può allontanarsi di un metro dall’infermiera. Sono anni che lavora qui, signore, dovrebbe saperlo. – proferì il maggiordomo diplomaticamente. Si guardò intorno con fare circospetto, poi abbassò teatralmente il volume. – Glielo dico in maniera confidenziale: stamattina il signor Lysiart Malfoy si è lamentato di non trovarla in biblioteca. Non l’avevo mai visto così spazientito, certo lo sarà anche per problemi propri. Ma non sarebbe una cattiva idea scendere e rimanere giù, in biblioteca.»
«Al diavolo il signor Malfoy! Con questo tempaccio nessuno ha voglia di lavorare e mi sono concesso una pausa, per scorrere qualche pagina! Sono un bibliotecario, non uno schiavo.»
Il maggiordomo scrutò con aria cauta la scrivania, su cui era stato posto un libro dalla copertina spiegazzata. Il titolo, scritto in rilievo, lo colpì per la patina brunastra da cui sembrava ricoperto: Tradizioni magiche dell’Estremo Oriente.
Distolto lo sguardo e riordinati alla meglio i pensieri, continuò: «Non si agiti, signor MacNiemand. L’ho solo avvertita, e ricordi che “ambasciator non porta pena.” – Green tentò di abbozzare un sorriso, del tutto inadeguato all’occasione. – Qualora dovesse vedere Adolar, non lo lasci andare, e ci avverta subito.».
«Com’è mio dovere... – assentì il bibliotecario, infilando pigramente nel cassetto il tomo che stava leggendo. – Tuttavia, visto che si sono tutti mobilitati, mi do da fare anche io. Mi sono messo nella condizione di dover pretendere la clemenza del signor Malfoy.»
Sogghignò stupidamente, cercando di coinvolgere nella risata il suo interlocutore. Un attimo dopo, le loro strade si separarono. Zephyrus MacNiemand decise di ripercorrere il corridoio, per ispezionare la zona in cui poco prima aveva avvistato il vecchio ed accaparrarsi così la sospirata indulgenza, mentre Green accedette all’anticamera della stanza delle armi.


Come una statua in precario equilibrio, Megan si fermò di scatto prima di mettere piede sul pavimento levigato del secondo piano. Hilda, che le veniva dietro come una serva che segua docilmente la matrona, la guardò accigliata.
«Qualcosa non va, signora Malfoy?»
La donna si portò una mano alla testa con l’atteggiamento di chi ha scordato un trascurabile dettaglio. «Dio mio, ho lasciato il bambino da solo nella culla.»
«Completamente solo? – ripeté Hilda, sempre più irrequieta per proprio conto. – Lo raggiunga pure, signora Malfoy. Siamo già in molti a cercare il vecchio, e non serve un coinvolgimento generale.»
«Il piccolo Lucius è una canaglia. Ecco, mi sembra già di sentirlo strillare.»
Hilda abbozzò un sorriso fugace, strinse la lingua fra i denti e trasse dalla tasca una boccetta di liquido opaco. «Sette gocce al vecchio Adolar, se lo incontra per caso. Porto con me altre fiale.»
«Ci conti, infermiera.» Il tono era velato di sarcasmo.
Megan intascò l’ampollina e seguì il percorso inverso a quello che aveva intrapreso con l’infermiera, seguita dagli occhi di Hilda, che stette immobile e la guardò sparire oltre le scale. Il terrore che Adolar potesse essere già privo di vita le si avventò contro inaspettatamente, ma fu risollevata dal pensiero che, nel caso in cui fosse accaduta una simile tragedia, l’avrebbe già appreso in qualche modo. Si trovava dinnanzi alla stanza della armi, nel momento in cui, voltando lo sguardo quasi per caso, trasalì nel vedere il maggiordomo Green che sbucava dall’anticamera.
«Signor Green! C-ci sono novità?»
L’uomo parve spaurito, mentre lineamenti sanguigni gli rigavano il volto e perle di sudore freddo gli inumidivano la fronte. «Da parte mia, nessuna. Spero soltanto che gli altri abbiano avuto maggior…»
Si bloccò d’improvviso. Un’eco sottile e cavernosa saturava l’aria, simile al guaito di un lupo moribondo. La sua treccia schizzò a sinistra non appena Hilda proiettò lo sguardo sulla fonte di quel flebile suono. Green sgranò gli occhi, come in preda ad un’allucinazione, e per mettere a fuoco l’immagine impiegò diversi secondi. Proprio sul momento di deporre le armi, vedevano Adolar Malfoy che incedeva accanto a loro. In certi momenti barcollava, cercando un appoggio, in altri camminava con perfetta stabilità, mentre i pantaloni beige strusciavano contro il pavimento in un fioco stropiccio.
«Sia ringraziato il Cielo!» esclamò Hilda, precipitandosi verso il degente, felice come una figlia che abbia ritrovato il padre.
Green continuava a guardarsi intorno smarrito.
«Sono appena entrato nell’anticamera, ma lui non c’era.»
Gettò ancora uno sguardo alle sue spalle, come se sperasse di trovarvi la chiave dell’enigma.
«Doveva essersi nascosto dietro la porta dell’armadio. – gli venne in aiuto Hilda. – Forse non ha pensato di guardarci.»
Green dovette convenire con l’infermiera, ancora non troppo convinto. Nel frattempo l’anziano patriarca aveva smesso di farneticare e da bravo paziente ingeriva la medicina somministratagli dalla signorina O’Connor. «Non importa, Green. Lo abbiamo trovato. – La giovane donna carezzò il volto rugoso di Adolar con tocco delicato, poi riprese: - Si sente bene, signore? »
Nell’aria si levò un mugugno lamentoso, segno che Adolar Malfoy seguitava a sragionare. Presolo a braccetto, Hilda lo condusse giù per le scale, sussurrandogli gentilmente parole sincere.
Ma un urlo rapido, profondo e bieco ruppe la tensione, che sembrò abbattersi sul terreno e frantumarsi in mille pezzi con un riverbero cristallino. Non sarebbe stato un urlo tanto eclatante se fosse uscito dalle labbra di Adolar, anziché dalla stanza delle armi.
La tensione aumentò palpabilmente, tanto che Hilda sentì mulinare nel proprio cervello pensieri burrascosi. Dinnanzi a lei, scorse il maggiordomo impietrito dallo strillo, e nel medesimo istante le labbra di Adolar che si congiungevano. Nelle vene degli astanti il sangue fluiva veloce e raggelato. Dimenticando comprensibilmente ogni divieto, l’infermiera, abbrancata dal terrore, abbassò la maniglia. Ai suoi occhi si presentò uno spettacolo raccapricciante.
Sotto la stampa cinese di un delicatissimo gelsomino, Lysiart Malfoy aveva trovato il suo luogo di riposo. Ma si era addormentato nella peggior maniera concepibile. Il suo addome era ridotto in pezzi, fracassato fino alle costole, e stillava rivoli di sangue che gli impiastricciavano gli abiti. Un’espressione di limpido orrore era dipinta sul suo volto cadaverico, male aderente col collo squarciato, e le pupille azzurre, che ormai non emettevano alcun bagliore, apparivano dilatate, come a causa di uno sgomento improvviso. Una sorta di ghigno malizioso deformava la parte inferiore del viso. Era forse la smorfia di un urlo, un urlo che l’uomo, mentre il panico lo inghiottiva ingordamente, non era stato in grado di lanciare. Dinnanzi alla salma, come in preda ad una trance dello spirito, Abraxas Malfoy. Era rimasto quasi impassibile, come di suo solito, nonostante gli arti e la testa sembrassero paralizzati. Hilda sentì tanto crescere l’apprensione che dovette distogliere lo sguardo per non perdere i sensi. D'improvviso il silenzio si era fatto pesante, insopportabile, gravissimo, e sembrava far pressione sui timpani con violenza inaudita. Green boccheggiò, si avvicinò frettolosamente ad Abraxas e, in sua vece, diede disposizioni: «Chiamate in fretta Megan Malfoy! Il signor Lysiart è stato assassinato.»
Nessuno osò allontanarsi dalla stanza. Erano tutti soggiogati dallo sguardo incantevole del defunto.
Fu solo dopo un momento di sconquasso che Abraxas tornò del tutto in sé e corrugò la fronte in una smorfia di ribrezzo.
«Lasciate Megan al suo posto. Non porterebbe altro che impaccio.»
Adolar crollò sul muro, comprendendo la situazione pur nella sua follia, raschiando la vernice dalla parete come un uomo agonizzante che non voglia abbandonare le gioie terrene; Hilda affondò nelle mani un urlo di raccapriccio.br> «Non toccate nulla. – disse Abraxas, con una calma che stupì i presenti. – Ho discusso con mio fratello meno di un’ora fa, in mezzo ai ruderi. Non può essere deceduto prima di quell'orario.»
«Perché si trova qui, signore?» azzardò Green. «Sono entrato dalla porta che dà sul disimpegno.» rispose Abraxas, considerando la domanda legittima. «Questo avvenimento, - ribatté Green in tono confidenziale, - porterebbe a rivalutare la morte di Rachele Malfoy.» L'evento cui il maggiordomo alludeva era avvenuto il 14 Novembre dell’anno precedente, il 1954. Stando alle indagini, la donna, rampolla di una famiglia decaduta e andata in sposa all’ormai defunto Lysiart Malfoy, si era lasciata cadere dall’ultimo piano del Manor. Con lei aveva perso la vita il bimbo che portava in grembo. Le cause del suicidio non erano mai venute a galla. Diverse volte Lysiart aveva fatto accenno alla depressione cui sua moglie era soggetta. Malgrado lo sconvolgimento prodotto dalla morte improvvisa, la vicenda era caduta in poco tempo nel dimenticatoio.
«Non c’è un assassino a Malfoy Manor. Non è concepibile!» esclamò l'infermiera, la mano ancora sospesa dinnanzi alla bocca aperta.
«Oh, io… Temo di doverla contraddire, signorina...»
Dalla semiluce dell’anticamera era sbucato Zephyrus, il bibliotecario, lanciando occhiata pavide al cadavere, inorridito dalla vista del sangue e del corpo senza vita. Avanzò nella stanza delle armi con fare esitante, e raggiunse il crocchio di uomini assiepati attorno al morto, prima di riprendere a parlare: «Nessuno è venuto al Manor nel pomeriggio, nessuno si muoverebbe di casa con questo tempo. Senza dubbio l'omicida si è tra noi.
«Una fine atroce, il buon vecchio Lysiart.»
Si udì un rumore secco proveniente dal camino di fronte. Il vento si era insinuato nella canna fumaria, come a voler sancire la drammaticità e accrescere il pathos di quella sciagurata sera di Aprile.
Abraxas scosse la testa, costringendosi a rimanere calmo. «Sapevo che si sarebbe messo nei guai, prima o poi.»
«Abraxas! - urlò Hilda, scuotendo la testa, accorgendosi solo in ritardo di aver chiamato il padrone per nome. - Non parli così. Non adesso.»
Il volto dell’uomo rimaneva granitico. «Sto cercando di risalire a un possibile movente, invece di boccheggiare in maniera ridicola.»
Profondamente ferita, Hilda singhiozzò e sgusciò via, mentre Adolar arrancava al suo seguito.
Il maggiordomo si incaricò di avvertire gli altri abitanti di Malfoy Manor e lasciò la stanza. Quasi contemporaneamente, una donna esuberante, con capelli grigio fumo e occhi chiari, abbigliata in modo sobrio, entrò dalla seconda porta, quella per cui era passato Abraxas. Sia quest’ultimo che Zephyrus la riconobbero come Laureen Mallory, una vecchia cugina dei Malfoy, che, essendo caduta in disgrazia, non aveva più un soldo per vivere, e riusciva a campare solo grazie agli aiuti di Adolar. La sua camera si trovava non lontano dalla stanza delle armi.
Non appena scorse il cadavere, il suo bel viso fu alterato da un indicibile terrore.
«Lysiart! - esclamò stupita. – Gli hanno fracassato il ventre!»
Al terrore si sostituì uno scoppio di singulti e gemiti.
Zephyrus si strinse nelle spalle, preferendo, come Green, lasciare la camera. Abraxas e Laureen Mallory rimasero attoniti dinnanzi al cadavere.
«Ne so quanto te, Laureen.» esordì il fratello dell'ucciso, prevenendola.
La vecchia cugina annuì. «Oh, povero Lysiart! L'ultima cosa che mi aspettavo da questa giornata grigia era la morte di mio cugino.» Soffiò il naso su un fazzoletto di seta, continuando a gemere senza tregua.
«Non posso fare a meno di pensare che anche Rachele sia stata uccisa. In ogni caso, c'è un assassino interno alla casa.» disse Abraxas, le mani ai fianchi.
Calò il silenzio. Solo dopo un lungo minuto di pianto, Laureen riprese fiato.
«La pratica dell’harakiri prevede il fracasso dello stomaco. Sicuramente qualcuno l’ha usata su Lysiart.» esclamò la cugina.
«Harakiri?» ripeté Abraxas.
«E’ una tipologia di suicidio molto diffusa in Oriente: fa parte della legge dei samurai. - confermò Laureen, tirando su col naso ed evitando di fissare il cadavere. - I nobili guerrieri che hanno compiuto un’infrazione, o coloro i quali non vogliono andare incontro ai nemici, si spezzano l’addome, e poi da un compagno vengono decapitati, per far sì che il loro dolore, sfociante nel dissanguamento, non produca troppe sofferenze. Nel caso di Lysiart, qualcuno deve averlo immobilizzato. Dopodiché gli ha sfracellato le ossa dell’addome e l’ha lasciato moribondo. A meno che, - disse Laureen – non abbia deliberatamente scelto un suicidio tormentoso.»
«Nessun uomo si suiciderebbe in questa maniera. Tanto meno Lysiart.»
«So che è così, - ammise la cugina. - Ma ho la mente annebbiata dal dolore e dalla paura.»
Osservarono la stampa cinese del gelsomino che sovrastava il corpo morto.
«Più la guardo, più quell’immagine appesa al muro mi fa venire in mente una poesia che Lysiart aveva scritto. - notò Abraxas. - L’avevo trovata per caso sulla sua scrivania. In un primo momento non voleva che la leggessi, sostenendo che mi sarebbe risultata incomprensibile. Non ricordo più i versi, ma parlava di angoscia, profumi e fiori. Se non m'inganno, la elaborò dopo il suicidio di Rachele.»
Laureen chinò la testa, sopraffatta nuovamente dal dolore. Il suo respiro fu tagliato di netto da un gemito, e nuovamente la donna singhiozzò, guardando di traverso Lysiart come per trovare un senso a quell'assurdo rompicapo.
Il vento sferzò rabbioso, infiltrandosi nelle fessure della grande casa, rimbalzando e rimbombando cupo. La coltre di nubi si ispessì, divenendo fosca come l’interno di una campana nera. Quello fu, per gli abitanti, un colpo durissimo, destinato a mettere scompiglio in una casa nella quale l'armonia era stata minata già da tempo e la discordia serpeggiava infidamente nei cuori.




Eccovi il secondo capitolo! Un grazie particolare a:
Honey Evans: Su Abraxas non posso dire nulla, se non che hai colto quello che volevamo mostrare in questo capitolo. Grazie mille per la tua recensione!

Thiliol: Siamo contenti che l'epoca scelta ti piaccia! E che tu attenda con ansia il secondo capitolo!

Brilu: Siamo lieti che le descrizioni siano state efficaci! Sia quelle meteorologiche, che quelle di Malfoy Manor, così come siamo contenti che tu abbia colto come già adesso il mistero che aleggerà sulla storia. Hai capito perfettamente la differenza tra i due fratelli. Quanto alla reazione di Abraxas alla scomparsa del padre, ci chiudiamo in un rigoroso silenzio! Grazie mille anche per i complimenti sui nomi dei personaggi! Sappici dire cosa ne pensi di questo nuovo capitolo. P.S.: i capitoli li scriviamo uno a testa, ma ogni minima scelta la conduciamo insieme.

Madamina: Ti ringraziamo per i complimenti! Siamo contenti che tu dica che la fic promette bene fin dal primo capitolo! Speriamo vivamente che la tua impressione iniziale venga confermata dai capitoli successivi.

Un grazie a chi ha messo la storia tra i preferiti e a chi legge soltanto.

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Capitolo 3
*** Capitolo III ***


Capitolo III


Un silenzio pesante, assordante e macabro circondava il salotto del secondo piano, dove si erano trasferiti coloro che avevano trovato il cadavere di Lysiart, nel tentativo di prendere una decisione sul da farsi. Soltanto Hilda e il vecchio Adolar erano assenti. Zephyrus era apparso pochi istanti dopo che Abraxas, Green e Laureen si erano ritirati nella stanza, seguito da Megan. Si erano seduti tutti sulle poltrone e sui divanetti stile impero che circondavano un tavolo dai piedi che richiamavano l'antico Egitto, con l'unica eccezione di Abraxas che, vicino alla finestra esposta a meridione, dava le spalle agli altri. Tutti si fissavano l'un l'altro, attendendo che qualcuno dicesse o facesse qualcosa, attendendo che qualcuno rompesse quel fastidioso silenzio. Gli occhietti di Megan saettavano di tanto in tanto verso la porta che dal salotto immetteva nel disimpegno e di lì nella stanza delle armi, dove ancora giaceva il cadavere insanguinato, squarciato di Lysiart Adolar Malfoy. Sembrava quasi che, il corpo come spinto a scattare in piedi dal divanetto, desiderasse con tutta se stessa trovarsi davanti al corpo senza vita del cognato, come a voler assecondare la sua passione per il macabro.
«Chi poteva volere la morte di Lysiart Malfoy? - esordì Green, facendo vagare lo sguardo su tutti coloro che occupavano l'ampia sala, illuminata dalla fioca luce di alcune candele - Nessuno di noi lo odiava. Era una così brava persona. Aveva sempre una parola buona per tutti.»
«Non sono domande che dobbiamo porci noi. - intervenne Abraxas, continuando a dare le spalle agli altri, gli occhi persi nell'osservare gli alberi piegarsi di fronte all'intensità del vento, un ramo, di un vecchio tiglio, si spezzò, così come si era spezzata la vita del fratello - Saranno le autorità a stabilire cosa possa aver spinto qualcuno che vive in questa casa a uccidere Lysiart in modo tanto brutale.»
Gli occhi di Zephyrus andarono a fissarsi per un istante in quelli di Laureen, prima di portarsi sulla figura in piedi del padrone di casa. Ancora una volta fu il silenzio a regnare sovrano, interrotto unicamente dagli scricchiolii che il vento produceva nella vecchia dimora, rendendola sinistra, spaventosa a coloro che sapevano che era appena stato commesso un omicidio in quel luogo.
«Anche il giorno in cui è morta Rachele c'era un vento simile. - mormorò a bassa voce Laureen - Secondo me è una cosa da non sottovalutare.»
«Non tornare di nuovo su questa storia. - interloquì bruscamente Abraxas, voltandosi finalmente verso di loro - Credevo di essere già stato chiaro in proposito. Non ha importanza quello che è successo a Rachele.»
«Questo lo sostieni tu. - ribatté la cugina con un coraggio che non sembrava possedere solitamente quando si rivolgeva al figlio minore di colui, grazie al quale, riusciva a condurre un'esistenza decorosa, senza dover vivere sola nella povertà più assoluta - Se Rachele fosse stata uccisa, potrebbe essere opera dello stesso che ha ucciso Lysiart.»
«Adesso basta, Laureen. Credo che la tua opinione tu l'abbia espressa fin troppo bene. - sbottò l'uomo - Quello che dobbiamo decidere adesso è come agire. E, cosa non meno importante, cosa… - si interruppe per un breve istante, i lineamenti del volto che, se possibile, si indurirono ancora di più, tesi - …farne dei resti di mio fratello.»
«Se mi permette, signore - si intromise Green, alzando il capo verso il padrone di casa - non dovremmo toccare nulla.»
«Ma è assurdo, lasciare il povero Lysiart per terra, in quello stato. Non è già abbastanza orribile il modo in cui è morto?» intervenne Laureen, giocherellando nervosamente con le frange dello scialle, che portava sopra le vesti, quando era giunta nella stanza delle armi.
«Green ha ragione - disse il bibliotecario intervenendo per la prima volta - Ho letto da qualche parte che sarebbe meglio agire in questo modo, per quanto possa sembrarci ripugnante.»
Gli occhi di tutti coloro che sedevano all'interno del salotto, presero a vagare dall'uno all'altro.Nella mente di alcuni stava iniziando a farsi strada l'idea inquietante che l'omicida potesse essere seduto di fronte o accanto a loro. Gli occhi di Zephyrus notarono come Laureen stesse tormentando sempre di più le frange dello scialle in un continuo intrecciarsi di dita lunghe, affusolate e nervose. Megan aveva assunto una strana espressione che rendeva ancora più inquietante il suo volto, un'espressione a metà strada tra il desiderio e l'ansia, con un sorriso a segnarle le labbra sottili che esprimeva, al pari di una qualche maschera grottesca, piacere e sgomento.
«Dobbiamo mandare un gufo a Londra.»
La voce di Abraxas, fin troppo calma e misurata per un momento del genere, ruppe l'ennesimo silenzio ansioso, pesante, soffocante, che avvolgeva il salotto, rendendo quasi tetre le stoffe chiare e le decorazioni dorate che impreziosivano le poltrone e i divani.
«Conosco un Auror. - affermò Megan, mentre faceva saettare ancora una volta gli occhi verso la porta del disimpegno - Abbiamo frequentato insieme Hogwarts, ci spediamo ancora gli auguri per Natale. - si interruppe, mentre muoveva gli occhi sugli altri quattro - Si chiama Rosamund Jameson. Credo che sarebbe disposta ad occuparsi di questo caso.»
«Mandale un gufo, allora.» disse Abraxas con fermezza.


Adolar continuava a borbottare agitato, dimenando le mani e le braccia, gli occhi chiari velati dalla malattia, non più penetranti come un tempo. Hilda, al suo fianco, lo osservava preoccupata. Non l'aveva mai visto in quello stato. Il più delle volte era calmo, rimaneva immobile gli occhi fissi nel vuoto, l'espressione persa, come se la sua mente non fosse presente. Negli ormai rarissimi momenti di lucidità biascicava una frase fin troppo sensata, per poi ricadere lentamente nella demenza che la malattia aveva portato con sé.
Sembrava invece che la morte del figlio, il vedere il suo cadavere l'avesse come scosso. La donna si morse con forza il labbro inferiore, mentre si alzava in piedi e si avvicinava a lui, cercando di trovare il modo di quietarlo, senza necessariamente ricorrere ad un calmante, o peggio, ad un sonnifero. Lo stesso Abraxas Malfoy l'aveva raccomandata di farne il minore uso possibile e lei si atteneva il più possibile a quell'opinione. Soltanto una volta, il giorno in cui Rachele si era tolta la vita aveva dovuto far ricorso al liquido giallognolo di un sedativo. Trasse un leggero sospiro, tirandosi leggermente la treccia che le era scivolata sulla spalla.
«Signore - mormorò infine con voce rassicurante - si calmi, non è successo nulla.»
Le parole di Hilda parvero agitare ancora di più il paziente, che prese a divincolarsi, a premere le mani sui braccioli della sedia a rotelle, come se volesse alzarsi in piedi, ma la sua forza, in quel momento, era troppo debole, talmente debole che non riuscì nemmeno a muoversi. L'infermiera posò una mano, delicata, sulla spalla del vecchio, per poi risalire e accarezzargli piano una guancia, ma anche questo sembrò agitarlo ulteriormente. Il panico iniziò a farsi strada nel cuore di Hilda, mentre fissava gli occhi velati di Adolar, il volto pallido, di un pallore cadaverico, i capelli canuti e le labbra che si muovevano in maniera quasi forsennata a formare parole sconnesse. La donna riportò con un gesto lento, per non spaventarlo, la mano lungo il fianco, mentre con i denti si tormentava incessantemente il labbro inferiore.
«Lysiart! - esclamò improvvisamente il vecchio, la voce così simile a quella autoritaria che gli abitanti di Malfoy Manor avevano imparato a conoscere - non…sssssh…»
E nuovamente la voce dell'uomo si perse nel solo susseguirsi di parole senza senso. Eppure quell'esclamazione sembrava suggerire all'infermiera che l'uomo avesse in un qualche modo, pur nella sua demenza, registrato la morte del figlio maggiore, conservato nella sua mente sconvolta l'immagine di quel corpo insanguinato. La donna rimase ancora per qualche istante immobile, prima di recarsi, con un gesto sconsolato, inevitabile, fino al locale di servizio, dove raggiunse uno stipo dall'aspetto severo, verso il quale allungò una mano tremante, afferrando una boccetta dal cui vetro traspariva una pozione dal colore verdastro.
Tornò nella stanza di Adolar, che ancora si dimenava sulla sedia a rotelle, che ancora biascicava parole senza senso. Afferrò un bicchiere posato sullo scrittoio e vi versò tre gocce dalla boccetta, diluendole subito dopo con l'acqua di una brocca, posizionata anch'essa sul ripiano di noce. Poi con movimenti lenti, silenziosi, forse timorosa di poter recare altro danno alla mente del paziente, si avvicinò a lui, che, interrompendo i suoi movimenti esagitati, si voltò verso di lei, accettando, mitemente, il liquido che gli veniva offerto. Il liquido parve entrare subito in circolo, portando ad un cambiamento nel comportamento del vecchio, che improvvisamente chiuse la bocca, senza più emettere una parola, se non qualche rauco sospiro. Hilda si andò a posizionare dietro la sedia a rotelle e la spinse piano verso il letto. Strinse per qualche istante le labbra, mentre si avvicinava nuovamente ad Adolar per aiutarlo a spostarsi sul materasso, da cui aveva spostato le lenzuola pesanti con un gesto della bacchetta.
«Signorina O'Connor - la chiamò una voce dalla soglia della stanza, facendola voltare di scatto - domani verrà, con ogni probabilità, un Auror da Londra. Immagino lei sappia che vorrà vedere mio padre.»
«È proprio necessario, signor Malfoy?» domandò in un mormorio Hilda, fissando gli occhi chiari di Abraxas.
«Era sul luogo in cui è stato trovato il cadavere. Qualsiasi Auror dotato di buon senso, lo vorrà interrogare.»
«Ma lui, signore, non so nemmeno se sa nulla di quello che è accaduto. - protestò la donna - La sua mente non registra quello che accade intorno a lui.»
«Questo lo sappiamo io e lei, signorina, ma non un Auror che viene da Londra.» constatò l''uomo, facendo annuire a malincuore Hilda.
Abraxas fece qualche passo verso il padre, ancora seduto sulla sua sedia a rotelle, il volto chino, assopito, e l'infermiera che lo fissava ansiosa. Scrutò con attenzione l'intera stanza, soffermandosi sulla boccetta depositata sullo scrittoio e sul bicchiere vuoto posato su un tavolino posto accanto alla finestra che dava luce alla camera.
«Mi sembrava di averle detto, signorina, di non somministrare sonniferi a mio padre, a meno che non si tratti di un momento in cui è assolutamente necessario.»
L'infermiera boccheggiò per un istante, come se fosse una donna che era stata troppo tempo sott'acqua. Gli occhi andarono a fissarsi con intensità sulla boccetta della pozione che aveva usato, mentre il volto, già pallido, diventava ancora più diafano.
«Suo padre… - iniziò interrompendosi subito - …la morte di suo fratello, signore, l'ha turbato, anche se non l'ha registrata - iniziò a dire velocemente, tormentandosi il labbro inferiore con i denti - era tremendamente agitato, io…io ho ritenuto opportuno dargli qualcosa che l'aiutasse.»
«Bastava un calmante, signorina O'Connor.» affermò secco Abraxas, andando verso il tavolino, prendendo in mano il bicchiere vuoto ed osservando quel po' di liquido rimasto sul fondo attentamente.
L'infermiera passò le mani sudate sulla veste, più e più volte, agitata, mentre sentiva lo sguardo del padrone di casa su di sé.
«Non sarebbe riuscito a riposare, signore - disse infine - Ed oggi, dopo quello che ha visto, ha bisogno di riposo.»
«Forse avrebbe dovuto consultarmi, signorina.» ribatté l'uomo, avvicinandosi di un passo verso lei.
«Come minimo avrebbe lasciato suo padre ad agitarsi. - sbottò, improvvisamente irata, la voce acuta, isterica, Hilda - Aveva bisogno di quel sonnifero, stasera. L'ha visto anche lei, nella stanza delle armi, era scosso. Lei…»
«La smetta, signorina O'Connor. Ultimamente si scorda troppo spesso di essere un'infermiera alle mie dipendenze. - gli occhi di Abraxas fissarono il volto agitato, arrossato in quel momento, della donna, mentre faceva un altro passo verso di lei, sovrastandola - Sa perfettamente che ad un uomo nelle condizioni di mio padre non è consigliato somministrare sostanze come quella che lei ha usato. Forse, come dice lei, ne aveva realmente bisogno, forse lei ha esagerato la diagnosi. - una breve pausa - Vorrei soltanto ricordarle di venire a cercarmi in un'altra occasione del genere.»
Hilda trasse alcuni sospiri, mentre quell'ira improvvisa l'abbandonava subitaneamente, così come era venuta. Scostò lo sguardo da quello dell'uomo, per riportarlo sul paziente, ormai quasi totalmente addormentato.
«Mi perdoni, signore. La tensione di oggi… - mormorò pacata, prima di proseguire - Farò come dice, in futuro, signore. Spero di non avere nessun'altra occasione per dover fare qualcosa del genere. Questa è stata la prima volta che mi sia capitato da che mi occupo di suo padre.»
«Sta bene, signorina - gli occhi dell'uomo rimasero per alcuni istanti ancora sul volto dell'infermiera, prima che si voltasse per raggiungere l'uscio - Mi raccomando tenga la porta chiusa a chiave quando lei non è insieme al suo paziente.»
«Perché? - chiese la donna, portando lo sguardo ad incrociare quello del padrone di casa, che si era voltato verso di lei - Sembrerebbe una prigione per il signore.»
«Ma gli impedirebbe di vagare come ha fatto oggi. - fece una breve pausa - Si ricordi, signorina O'Connor, c'è un omicida in questa casa. Può ben immaginare da sola cosa sarebbe potuto accadere qualora mio padre si fosse trovato nella stanza delle armi al momento sbagliato.»
Il volto dell'infermiera divenne mortalmente pallido, le mani iniziarono a tremare leggermente, sudate. Le intrecciò saldamente tra di loro, fino quasi a farsi male. Deglutì a vuoto.
«Farò come dice, signore.» mormorò infine, lasciando trapelare parte dei sentimenti che l'avevano investita.


Il lento scorrere della penna sulla pergamena, lo scartabellare tra diversi fogli, colmi di una grafia sottile ed elegante, erano gli unici rumori che si udivano, quella notte, in uno degli uffici degli Auror, al secondo livello del Ministero della Magia. Un giovanotto era chino a riempire un verbale, mentre una donna, di cinque o sei anni più vecchia di lui, con i capelli neri, scurissimi, raccolti in uno chignon dall'aria piuttosto severa, che rendeva ancora più grandi gli occhi verde scuro, più diafano il suo volto e più accentuati gli zigomi, stava voltando con una mano sottile, elegante, l'ennesimo foglio di pergamena, riguardante l'indagine che aveva concluso alcuni giorni prima e di cui, quel giorno di aprile, stava raccogliendo tutti i dati in vista dell'imminente processo, lavoro che l'aveva portata a trascorrere più ore del suo solito nel suo ufficio a Londra, insieme ad uno dei suoi sottoposti.
Sbatté per qualche istante le palpebre, gli occhi ormai stanchi, dall'osservare, alla luce delle candele, quelle parole che si susseguivano senza cessa. Avrebbe probabilmente annunciato a Patrick che era meglio tornare nelle proprie abitazioni, se qualcuno non avesse bussato alla porta. Fu il giovane assistente ad andare ad aprire l'uscio, per poi tornare rapidamente all'interno della stanza.
«Una lettera per lei.» annunciò avvicinandosi alla scrivania colma di pratiche della donna che allungò una mano per afferrare la busta che Patrick le porgeva.
Il giovanotto tornò a sul posto, riprendendo a scrivere rapidamente, ignorando le palpebre che sembravano volersi chiudere da un momento all'altro. La donna intanto stava osservando con attenzione il sigillo di ceralacca che chiudeva la busta, prima di afferrare un tagliacarte in argento e staccarlo leggermente, con calma, come per non rovinarlo. Prese in mano il foglio di pergamena, alzandosi in piedi, per avvicinarsi ad una delle finestre stregate che mostrava un cielo notturno illuminato dalla luce chiara della luna, fermandosi accanto ad un vaso di fiori quasi avvizziti. Fece scorrere gli occhi sulle parole vergate da una grafia tondeggiante, disordinata e isterica, giungendo in poco tempo alla fine della missiva.
«Patrick - disse l'Auror, voltandosi verso il suo sottoposto - domani mi assenterò da Londra.»
«Per quale motivo?» domandò curioso il giovane.
«Un delitto ed una nuova indagine. - una breve pausa, durante la quale la donna si mosse nuovamente, raggiungendo la scrivania, chinandosi per scrivere rapidamente alcune righe, senza nemmeno sedersi - Ti pregherei di portare questo - disse mostrandogli la pergamena, dove spiccava l'inchiostro nero - al capo della sezione Auror, con la lettera che mi è stata spedita. Se dovesse comunicarti un qualsiasi messaggio per me, voglio che tu me lo faccia recapitare immediatamente a Malfoy Manor, dove mi troverò domani.»
«Certo, signorina Jameson. Può contare su di me.» rispose il giovanotto.


Il sole del mattino del giorno successivo alla tragedia, così ironicamente in contrasto con il cadavere che ancora giaceva nella sala delle armi, con la tempesta della sera precedente, illuminava l'anticamera che immetteva in quella che era stata la camera da letto di Lysiart. Abraxas avanzò lentamente nell'ampio locale, che sembrava essere troppo colmo di poltrone e divanetti in stile Luigi XIV, ricchi e sfarzosi, troppo ricchi e sfarzosi per un giorno come quello, così pieno di tensione, una tensione che pareva palpabile anche in quella stanza troppo grande e quasi inutilizzata, dal tempo in cui era il luogo di ritrovo dei vari maghi che dovevano chiedere un qualche favore al signore della magione. Pareva che su tutta l'antica magione aleggiasse un fitto strato di ansia, angoscia e sospetto. Lo si era visto perfettamente quella mattina a colazione, dove, come sempre, si erano ritrovati lui, sua moglie e Laureen. Il posto vuoto del fratello, al tavolo principale del salotto sul lato orientale del primo piano, sembrava occhieggiare beffardo verso di loro. Lo sguardo di Megan aveva ancora quella strana espressione che l'aveva caratterizzata per tutta la sera precedente, così in bilico tra l'eccitazione e lo sconvolgimento. La cugina pareva come essersi rattrappita, ripiegata su stessa dopo quello che aveva visto. Aveva perso tutta la calma iniziale, per continuare a guardarsi intorno spaventata, tormentandosi le mani e la veste. Mentre imburravano le loro fette di pane perfettamente tostato, pareva che ogni loro gesto fosse come irreale, così come strano era il loro assoluto silenzio.
L'uomo scacciò quei pensieri dalla mente, continuando a camminare, sempre lento, lo sguardo chino sul ricco tappeto di seta. Il sole, che entrava dalle due ampie finestre poste a oriente, creava giochi di luce ed ombre nell'ambiente e, quando incrociava la figura di Abraxas, ne faceva rilucere i capelli chiari. Il procedere del padrone di casa cessò solamente quando si trovò davanti alla porta istoriata che immetteva nella camera che era stata occupata dal fratello a partire dal momento in cui il vecchio Adolar aveva iniziato a perdere la ragione. Portò una mano verso la maniglia, abbassandola, facendo il suo ingresso nella stanza successiva, dove nessuno era più entrato da quando Lysiart vi aveva messo piede l'ultima volta. Ogni minimo oggetto sembrava ricordare il fratello morto: la scrivania ingombra di fogli di pergamena, in parte scritti, di scritte per lo più subito cancellate, in parte intonsi, le piccole miniature appese alle pareti dai tratti raffinati, dai soggetti discreti, non appariscenti, un grosso volume di poesie di uno dei maggiori poeti magici del diciannovesimo secolo. Soltanto il grande letto a baldacchino, dai tendaggi di velluto scuro con decorazioni in oro e argento, sembrava contrastare con il resto della stanza, come se fosse qualcosa di totalmente estraneo al carattere del suo occupante.
L'uomo trasse soltanto un lieve sospiro, mentre avanzava verso lo scrittoio, che si trovava accanto ad una delle finestre che dava a settentrione, da cui erano ben visibili le rovine, dove per l'ultima volta aveva visto il fratello vivo. Rimase per qualche istante immobile ad osservare il paesaggio al di fuori, l'erba ancora schiacciata dal vento della notte precedente, le rovine che ancora nessun raggio di sole aveva illuminato, il salice piangente dai rami ripiegati su se stessi. Tutto gli riportava alla mente l'ultimo dialogo che aveva avuto con il fratello, le singole parole che si erano scambiati.
Scosse leggermente il capo, avvicinando al ripiano di legno e avorio della scrivania. Vi fece scorrere sopra un dito, per poi gettare un occhio nelle carte del fratello. Alcune riguardavano le creature magiche che Lysiart amava studiare, altre erano poesie, appena abbozzate e subito cancellate da diversi tratti di penna, rendendo le parole pressoché illeggibili. Prese uno dei fogli e lo portò verso il volto, una delle poche pergamene dove il testo non era stato cassato.
«Catene che non si spezzano
Legami
Volere e non potere
Libertà
Angoscia, dolore
Morte.»

La mano gli tremò leggermente, mentre gli occhi scorreva quelle poche parole, scritte in un inchiostro che gli parve improvvisamente più scuro del solito.
«Signore, mi perdoni - disse la voce di Green, alle sue spalle - È arrivata l'Auror da Londra.»
«Arrivo immediatamente.» rispose semplicemente Abraxas, tornando a posare il foglio sullo scrittoio.
Rimase per qualche istante immobile, mentre Green si voltava e iniziava a dirigersi verso l'anticamera. Allungò una mano verso il ripiano di legno e avorio e afferrò la pergamena appena letta, piegandola accuratamente e infilandola in una tasca dei pantaloni.




Ecco a voi un nuovo capitolo! Speriamo entrambi che sia di vostro gradimento.
Un grazie particolare a:
Bic: Grazie mille per le tue parole! Siamo contenti che l'epoca scelta sia per te interessante! Sappici dire cosa pensi di questo nuovo tassello.

Moony Potter: Non possiamo che essere lieti che le descrizioni ti piacciano. Così come siamo felicissimi che tu possa trovare fantastici i primi due capitoli della nostra storia!

Thiliol: Addirittura la pelle d'oca! Questo non può che renderci contenti! Siamo curiosi di conoscere la tua opinione su questo nuovo capitolo.

Honey Evans: Contentissimi che tu ti stia appassionando! Dicci che ne pensi di Megan in questo capitolo (anche se compare in una scena soltanto) e che impressione ti fanno gli altri personaggi.

Brilu: La morte di Lysiart ti ha fatto proprio venire un colpo e questo è un fattore per noi importante, vuol dire che siamo riusciti a comunicarti quanto volevamo. Ovviamente siamo lieti che ogni singola parola sia stata a tal punto azzeccata! Quanto alla tua analisi dei personaggi noti veramente ogni minimo particolare (di più ovvio non si può dire!). Sappici dire cosa ne pensi di questo capitolo! Che impressione ti ha fatto Abraxas? E gli altri?

Un grazie a chi ha messo la storia tra i preferiti e a chi legge soltanto.

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Capitolo 4
*** Capitolo IV ***


Capitolo IV


Rispettando la procedura richiesta dalla buona creanza, Green lasciò accomodare l’Auror venuta da Londra nell’anticamera adiacente alla stanza personale di Lysiart, come disposto dal padrone di casa. Abraxas scrutò i grandi occhi da gatta della nuova venuta e abbozzò un sorriso scettico, quasi non reputasse adatta alle indagini quella donna insignificante e slavata, che sembrava dovesse crollare a terra da un momento all’altro.
«Mi chiamo Rosamund Jameson. – esordì con voce sottile. – E’ un onore conoscerla, malgrado la situazione sia incresciosa tanto per lei, quanto per me, che conduco un lavoro non sempre facile.»
«Non credo d’ingannarmi, - rispose Abraxas, sedendosi anch’egli, – nell’affermare che mia moglie la conosce, signorina Jameson.»
«Io e Megan frequentavamo la stessa classe, a Hogwarts.Eravamo molto amiche a scuola, eterne ricercatrici della solitudine, spiritose ed argute compagne nei tempi caliginosi dell’adolescenza. Una cara donna, Megan! – Scosse la testa con aria trasognante, lasciando che la nostalgia si dissolvesse, così com’era apparsa. Infine riprese: – La missiva che mi è stata recapitata era piuttosto vaga. Le porgo anzitutto le mie condoglianze per la morte di suo fratello. Ho indovinato la parentela, non è così?»
Abraxas annuì. «Lysiart era il primogenito della famiglia.»
Rosamund abbassò gli occhi, come per dare l’impressione di trovarsi lì non solo in veste di Auror, ma anche e soprattutto in veste di amica. «Sarà dura per lei, e lo capisco. E ciò mi rattrista, perché anche la mia vita è tempestata di drammi, e ho imparato, col tempo, a conoscere la solidarietà e il senso di aiuto reciproco. Nonostante possa sembrare un'insensibile, com’è mio dovere, smetto di profondermi in quelle che le suoneranno come vane frasi di cordoglio e giungo finalmente al sodo. Chiaramente ho intenzione di effettuare le dovute ricerche, signor Malfoy. Non le dispiacerà accompagnarmi per la casa e mostrarmi il corpo? Megan mi ha spiegato che lo avete lasciato lì, dove è stato rinvenuto, così come vuole la pratica.»
«E’ corretto. – spiegò Abraxas. – Abbiamo ritenuto opportuno non contaminare le prove.»
L’Auror fece per alzarsi e Abraxas, colto il segnale, la precedette. Uscì fuori dall’anticamera e attraversò una parte del corridoio, lanciando uno sguardo alla porta chiusa del salottino estivo. Quindi, sincerandosi con una fugace occhiata che Rosamund Jameson gli stesse venendo dietro, percorse sveltamente la rampa di scale che conduceva al secondo piano.
Un silenzio sepolcrale regnava nell’androne scarno. Era come se le mura, conoscitrici della verità, intendessero gridare al misfatto. Rosamund sussultava ad ogni passo, come se temesse che quella casa misteriosa e deforme potesse inghiottirla e stritolarla, o che una creatura diabolica fosse in attesa, lì, oltre i pilastri, pronta a saltarle addosso per azzannarla e artigliarla efferatamente. Solo un cielo striato di zaffiro e raggiante di luce riportava pace nel suo cuore.
Abraxas fece una pausa prima di aprire la porta della stanza delle armi, dove il cadavere di Lysiart giaceva immobile, in un profondo e più tetro silenzio. Si voltò verso l’Auror e disse con vocecalma: «L’avverto che non è uno spettacolo piacevole, signorina Jameson, né adatto ai deboli di cuore.»
L’apertura della camera e il trasalimento dell’Auror furono simultanei. Trafitto da un raggio di sole, che penetrava dalla feritoia, Lysiart Malfoy riposava con le spalle al muro, sotto la stampa cinese del gelsomino in fiore. Rosamund si ravvicinò cautamente, compassando ogni gesto od espressione facciale, percependo un brivido gelato lungo la schiena nel momento in cui sentì l’odore acre del sangue invaderle le narici.
«Io… Io non mi aspettavo nulla del genere. – ammise con una punta di amarezza e disgusto. –Avrà di certo la colonna vertebrale ridotta in schegge.»
Rosamund cercò con lo sguardo un oggetto contundente, atto a compiere una barbarie come quella. Lasciò che il suo sguardo scorresse sulle mura, lungo le quali erano agganciate impolverate armi bianche di costruzione Babbana. Infine, fulminata da quel che di assurdo vi era in quella faccenda, scrollò la testa.
«Impossibile. – fu lì lì per balbettare. – Nessuna delle spade, nessun oggetto con la punta affilata, nessun’arma è imbrattata di sangue. – Si rigirò su se stessa. – Ne manca per caso qualcuna, signor Malfoy? »
Abraxas si accigliò, facendo segno di diniego. «Sono centoquindici esatte. Nessuno strumento è stato rimosso dalla parete.»
«A meno che, - tentò Rosamund sagacemente, - qualcuno non abbia preso una spada, ucciso Lysiart Malfoy e ripulito l’arma del delitto, per poi ricollocarla sulla parete.»
«Questo è impensabile, signorina Jameson. Come vede le lame sono del tutto impolverate. Se qualcuno, per eliminare le tracce, ne avesse nettata una, apparirebbe evidente, poiché le incrostazioni e la sporcizia sarebbero andate via insieme col sangue.»
Rosamund socchiuse gli occhi.
«Ci sono incantesimi, - disse infine, - che possono ridurre un uomo in uno stato simile. – E indicò il corpo di Lysiart. – Ma, nel caso specifico, le percosse sono troppo imprecise. Un incantesimo avrebbe prodotto degli effetti palesemente attribuibili ad una magia. Insomma, percosse perfette, in punti strategici. Quest'opera è stata compiuta manualmente da qualche scellerato. E se l’arma non si trova qui, l’assassino deve averla presa da un'altra parte. Concludendo, deve essere venuto in questa camera con l’oggetto nelle mani. In tal caso, quello di Lysiart sarebbe automaticamente un omicidio premeditato. Si è chiesto, signor Malfoy, perché suo fratello sia stato ucciso proprio in questa stanza?»
Abraxas dovette riconoscere di aver sorvolato sulla questione.
«Ebbene, il particolare non è irrilevante, né marginale. L’assassino deve aver di proposito scelto di uccidere Lysiart in questa camera, averlo condotto senza che lui opponesse resistenza, ed averlo infine picchiato mortalmente.»
«Tutti gli abitanti conoscono a menadito la casa, signorina Jameson. E siamo davvero moltissimi, qui dentro. Forse anche troppi.»
L’Auror si strinse nelle spalle. Nello stesso istante, Abraxas fu illuminato da un’idea.
«Non abbiamo tenuto conto, adesso che ci penso, delle daghe del trisavolo.»
«Le daghe del trisavolo?» replicò Rosamund con una punta di curiosità.
«Parlo delle spade che il bisnonno di mio padre collezionava al tempo della rivoluzione francese. Le teniamo in un compartimento segreto, la cui ubicazione è conosciuta da me, da mio padre, dal defunto Lysiart e, forse, dal maggiordomo.»
Abraxas trasse dalla tasca la propria bacchetta e batté sul muro di destra, vicino al camino. La superficie della parete divenne malleabile e plasmabile come metallo fuso e sfrigolò prima di aprirsi in un varco quadrato. All’interno del compartimento stavano cinque spade disposte in perfetto ordine. La prima del set era del tutto macchiata di sangue, ed era stata agganciata di traverso. Rosamund la osservò incantata.
«Posso?»
Abraxas Malfoy annuì, scrutando l’Auror da sopra gli occhiali, mentre con delicatezza sfiorava la spada e la esaminava. «Stia attenta alle impronte.»
Rosamund raccolse la daga con estrema lentezza e la osservò lentamente. « Perché diamine non hanno ripulito le gocce di sangue? Magari l’assassino non ha avuto il tempo di farlo. E se così fosse… dovremmo trovare le impronte sull’elsa. Ma che senso avrebbe riporre la daga se non dopo averla nettata? Nessun omicida intelligente farebbe un gesto simile. »
« Nessun omicida intelligente. – disse Abraxas. – No, signorina Jameson. C’è un particolare che non ha considerato. Se la daga sta lontana dal suo compartimento segreto per più di tre minuti, scatta un allarme, e colui che ha rubato la spada viene magicamente individuato, grazie ad un dispositivo installato anni fa da mio padre. L’assassino ha riposto la daga nel compartimento sapendo che, se non l’avesse fatto entro il tempo, sarebbe stato incastrato. »
Sfoggiando un atteggiamento perplesso, l’Auror strizzò gli occhi. « Ricapitoliamo: l’omicida, che conosce l’ubicazione delle daghe del trisavolo, apre il compartimento segreto, impugna la spada e uccide Lysiart. Poi, nella fretta, non si preoccupa di ripulire la spada, o piuttosto sa di non averne il tempo, e la ripone nel compartimento, prima che scatti l’allarme. Magari pensa di ripulirla subito dopo averla riposta, ma l'arrivo di qualcuno, o qualcosa, glielo impedisce. »
Abraxas annuì. « Magari l'omicidio è avvenuto mentre cercavamo mio padre, che era andato in giro per la casa. L'assassino ha compiuto l'omicidio, poi ha rimesso a posto la daga, per far sì che non scattasse l'allarme. Aveva intenzione di riprendere la spada appena riposta per ripulirla, adesso che il minutaggio dell'allarme era ripartito, adesso che aveva ancora tre minuti. Ma non ha potuto farlo, perché io sono entrato. O forse perché si sono spanse le voci dell'infermiera, del maggiordomo e di mio padre, che stavano sulla scala di servizio. Impaurito, l'assassino non è riuscito a pulire la daga e ha dovuto Smaterializzarsi frettolosamente. »
« Questo escluderebbe l'infermiera, suo padre e il maggiordomo dalla lista dei sospettati. Infatti proprio mentre loro parlavano sulla scala, stando a quanto lei mi sta dicendo, l'omicida deve essersi Smaterializzato » concluse Rosamund.
Abraxas chiese a Rosamund la daga usata per uccidere Lysiart. Strinse l’elsa. Puntò la bacchetta sulla lama e disse: « Imaginem Revelo. »
Si diffuse un denso miasma, e due nomi, scritti a lettere cubitali, affiorarono sulla lama, scomparendo repentinamente. Gli unici ad aver lasciato impronte sull’elsa erano Abraxas Malfoy e Rosamund Jameson. « Non posso crederci! - proruppe l’Auror. – Lei capisce cosa significa, signor Malfoy? »
Le sopracciglia del medico si inarcarono.
Rosamund sembrava essere stata illuminata. « Le impronte dell'omicida sono scomparse. Insomma, sono state cancellate. La sparizione delle impronte può essere avvenuta subito dopo il delitto, e quindi l'omicida ha deliberatamente lasciato le tracce di sangue, eliminando però le proprie impronte, oppure dopo il ritrovamento del cadavere. Comunque sia, per qualche strano motivo, l’assassino ha lasciato il sangue sulla lama, ma non le impronte sull’elsa. Era sua intenzione farci scoprire che questa daga è l’arma del delitto. Resta da capire come mai ha lasciato le tracce di sangue, senza pulirle, e si è preoccupato di non lasciare al contrario le impronte digitali. »
« Magari usava dei guanti » ipotizzò Abraxas.
« L’Imaginem Revelo non si fa ingannare dai guanti, signor Malfoy. Quindi è lampante: l’assassino ha effettuato una magia per eliminare le sue impronte, ma ha provveduto affinché le tracce di sangue non sparissero. Tutto organizzato accuratamente per questo scopo. »
Abraxas rimuginò sulla questione. « Deve essere così. Ma perché lasciare i segni di sangue sulla lama? Che senso ha? »
« Questo resta da capire… »
Un’emozione imperscrutabile guizzò nelle iridi di Abraxas, mentre riponeva la spada all’interno del compartimento segreto.


Laureen Mallory, la vecchia cugina dei Malfoy, camminava lungo la pedana rossa che ornava il corridoio del pianterreno. Accanto a lei, lo sguardo rivolto rigorosamente sulle piastrelle del pavimento, Megan Malfoy ostentava un’espressione rigida e inflessibile.
« Una vicenda terrificante… - stava dicendo Laureen. – Dopo Rachele credevo che Malfoy Manor fosse entrato in un nuovo periodo di pace. »
Megan roteò i suoi occhietti vispi. « Come sei ingenua, mia cara Laury. Sembra quasi che tu non abbia vissuto la tua vita fra gli uomini. Non lo sai che la malvagità si annida ovunque? Quando meno te l’aspetti, ecco che si fa vedere in un omicidio raccapricciante, o in qualche atto di questo tipo. »
« Bah, è disgustoso, vomitevole. – rispose Laureen Mallory scuotendo la testa. – Io non ucciderei mai nessuno a quella maniera. Insomma, hai visto in che stato era ridotto Lysiart? Non è mica un pezzo di carne! L’abbiamo sentito parlare, con quel suo fare titubante, per anni ed anni. E poi lo vediamo lì, senza vita, in una posa orripilante, con il sangue che scorre a fiotti dal ventre sfracassato. Si può essere tanto macabri? »
La signora Malfoy sobbalzò a quella parola. « Io… Non so dirti, Laury, chi avrebbe potuto commettere un omicidio simile. Però… mi domando: tu sei una donna che conosce il fatto suo, giusto? Hai letto centinaia di libri. Ti apprezzo, Laury. Seriamente. Mi domando, dicevo: credi in tutta sincerità che Rachele, la moglie di Lysiart, si sia tolta arbitrariamente la vita, lo scorso anno? Credi che nessuno l’abbia spinta giù dal balcone dell’ultimo piano, facendole spezzare fatalmente le vertebre? Credi che colui che ha ucciso Lysiart possa aver compiuto altri gesti del genere, in passato? »
Uscirono all’aria aperta e si sedettero sotto il porticato, per ripararsi dal sole pungente. Laureen si strinse nelle spalle eloquentemente. Ma vedendo che ancora Megan la osservava, come in attesa di una risposta, disse: « Io non voglio pensare che a Malfoy Manor ci sia un omicida, mia cara Megan. E’ la cosa più brutta e più orribile che si possa dire. Non mi va proprio. Eppure il mio istinto razionale mi ha subito portato a rimuginare sul suicidio di Rachele. Noi lo sappiamo, vivendo qui, che era una donna depressa. Incinta, con un bambino in grembo, si sentiva maledettamente incompresa. Lysiart non badava più a lei. Si era dato alle poesie, ricordi? Come se quei componimenti fossero più importanti della donna con cui si era unito in matrimonio. Ah, Megan! Gli uomini sono tanto insensibili! E la povera Rachele, lo credo bene, aveva i suoi motivi per suicidarsi. Non dico che ritenga giusto il modo in cui si è tolta la vita. Insomma, uccidersi non è mai un’ottima scelta, a prescindere dalle cause che portano a farlo. Però, d’altro canto, mi sembra di capire cos’è passato per la mente della sciagurata, quando si è gettata dal balcone. Perché si è suicidata, Megan. Così penso io. Sarà stata tanto avvilita e tanto rattristata, poveretta… »
« Già. La compatisco. » rispose Megan, volgendo la testolina sformata in direzione della siepe.
« Non capisco perché! – ragionò Laureen a voce alta. – Santo Cielo! Uccidere Lysiart! Che motivo ci sarebbe? E’ stato buono con tutti. Timido, pavido, questo sì. E in virtù della sua debolezza non avrebbe mai torto le alette ad una mosca, Megan. Tu lo sai che ho ragione. Conoscevi tuo cognato meglio di me. Ucciderlo… per quale motivo? E Rachele? Cos’è, un piano per sterminarci tutti? Prima uno, poi l’altro? Mi angoscia, questa situazione. E’ angustiante. »
« Francamente, ammetto d’aver ragionato parecchio su Rachele e Lysiart. Una coppia strana. Una trovata un po’ da romanzo è quella che tutti paiono sostenere, e cioè che l’omicida di lui abbia fatto fuori anche la moglie, lo scorso anno. Le ragioni non le so, Laury. Non oso immaginarle. »
« Tu credi… - continuò la vecchia cugina, ma s’interruppe. Trasse un sospiro e riprese: - Credi che il testamento di Adolar Malfoy possa avere a che fare con tutto ciò? »
Sul volto di Megan passò un’espressione sgomentata, poi la donna gettò all’indietro la testolina storta, mostrando chiazze sporche sul cranio, e rise come una matta. « Leggi troppi romanzi, mia cara Laury. Ah ah. Non ho mai riso tanto, dacché vivo, credimi. Il testamento di Adolar. Ma che strane idee ti passano per la mente! »
Laureen dovette convenire che, in effetti, la sua era una tesi un po’ balzana, e la smentì subito.
« Non so perché mi sia venuta in mente. Forse pensavo che, eliminati ad uno ad uno gli eredi, una sola persona potrebbe ottenere il patrimonio intero. Che sciocca, sono stata! Lasciamo perdere, tutto ciò è assurdo. E poi non conosco neanche bene il testamento… C’è una bella arietta, oggi. Il temporale della notte ha fatto bene. »
« Veramente, - disse Megan, - ha apportato danni al roveto. Ed è un vero peccato! »
« Farò un salto in cucina, - esclamò Laureen alzandosi, - vediamo cosa preparano. »
« Io salgo al piano di sopra. Vedo se l’Auror mia amica è già arrivata. »
Laureen sorrise amabilmente. Megan si alzò, pensando: “Ma certo che è arrivata, quell’inetta! Era brava solo a versare pozioni nelle sue ampolline, a Hogwarts! Se viene a capo del mistero, giuro che mi taglio la testa, o mi brucio le dita nel fuoco!”.


La vecchia cugina sentì il piccante profumo delle spezie non appena varcò la soglia delle cucine. Lungo i tavoli da lavoro erano disposti gli attrezzi per preparare il pasto. Sui fornelli sobbollivano intrugli aromatizzati, intingoli brodosi, salse piccanti. Stette ad osservarli, e d’improvviso sbarrò gli occhi, quando scorse due elfi che si tendevano la mano. Maky ed Hatty, se ricordava bene. Erano gli elfi su cui Lysiart riversava, tempo prima, la rabbia provocata dal suo tormento, gli elfi che continuamente, quando il loro padrone era vivo, erano costretti a sopportare senza reagire.
« E voi cosa fate qui? Hatty, tu non lavori nelle cucine! » disse Laureen perplessa.
L’elfa strillò. « Hatty non voleva. Hatty ha dato uno sguardo alle pietanze, perché credeva di poter aiutare i suoi compagni. »
Laureen la vide voltarsi verso una pentola e sbattervi contro la testa, in una dolorosa autopunizione. « Hatty ha compiuto un gesto cattivissimo – sussurrava a denti stretti. – Hatty non doveva. Bugiarda, bugiarda! Hatty voleva bene al suo padrone… »
« Signorina Mallory! » esclamò il maggiordomo Green.
Era appena spuntato da dietro la porta. La vecchia cugina si girò a guardarlo, facendo cerimoniosamente oscillare la sciarpa di tweed che portava sulle spalle.
« Dimmi pure, Laurence. »
« Il signor Malfoy vuole il suo aiuto per redigere delle missive. Le chiedeva di scriverle per conto suo. »
« Arrivo subito! » rispose la donna, lasciandosi alle spalle pentole ed elfi.
Abraxas aveva appena finito di discutere con Rosamund Jameson, senza ancora rilasciare le sue deposizioni. L’Auror adesso esplorava la casa, apparentemente sicura del fatto suo. Laureen raggiunse il lontano cugino al secondo piano, vicino ai locali di servizio. Il signor Malfoy aveva in braccio il piccolo Lucius, che scalpitava impazzito, zampando coi suoi piedini. La vecchia cugina sorrise, guardandolo. Era così tenero. Chissà che uomo sarebbe diventato.
« Laury, perdonami il disturbo. Megan è andata ad incontrare la sua amica, ed io, come vedi, sono impegnato col piccolo Lucius. Non mi va di disturbare l’infermiera di mio padre. E Zephyrus è in biblioteca, come al solito. Per cui chiedo a te. Volevo inviare una lettera ad Ester e a Juliet Gena, sai, la sorella e la madre di Rachele. Non sanno ancora nulla dell’omicidio di Lysiart. La sorella di Rachele, Ester, è all’estero, in Giappone, sempre stando alla mia labile memoria. La suocera di Lysiart invece abita in una collinetta ad alcune centinaia di chilometri da qui. Quella vecchia megera non si dimostrerà neanche dispiaciuta per ciò che è accaduto. »
Abraxas appariva seriamente amareggiato per la morte del fratello.
« Dovrei comunicare loro la spiacevole notizia? » domandò Laureen.
« Se non è di troppo disturbo! »
« Figurati! » acconsentì la vecchia cugina. Abraxas le sorrise.
Sulla scrivania del corridoio c’erano alcuni fogli di pergamena ed un antico calamaio. Laureen li prese e sedette comodamente, cominciando a scrivere.


Hilda trafficava coi medicinali nella camera di Adolar. Dal modo in cui si muoveva traspariva una certa imperizia. Qualcuno, a Malfoy Manor, dubitava persino che la donna fosse una vera infermiera. Eppure era molto legata al suo paziente, e gli prestava un’attenzione morbosa. Il povero Adolar, sulla sua sedia a rotelle, si muoveva convulsamente, riottoso, restio a prendere la medicina puntualmente. Hilda era costretta a forzarlo. A volte tentava di persuaderlo con parole affettuose, e il vecchio si piegava miracolosamente.
Ogni sera l’infermiera provava a dialogare col suo paziente, che ormai aveva perso l’abilità di parlare e si limitava a bofonchiare brandelli di frasi sconnesse, con quel suo tono gutturale.
Mentre cercava una boccetta smarrita, Hilda si imbatté in una busta sigillata. Adolar stava osservando il cielo, ancora scosso per la morte del figlio. Non poteva vederla. No, era troppo lontano. Avrebbe potuto facilmente strappare lo stampo in rossa cera di Spagna e leggere il contenuto della busta. La curiosità prevalse. Munitasi di coltellino, Hilda staccò il sigillo. Ritrovò nell’involucro una lettera risalente a diversi anni prima.

Caro papà,
sono rimasto tremendamente addolorato dalla risposta che mi hai dato. Non era una richiesta di prestito eccessivo, e so che potevi concedermelo. Se ti chiedevo dei soldi possedevo le mie buoni ragioni. Rachele aveva considerato l’idea di un bambino. Ricordi il discorso che mi facesti una volta? Il denaro tuo era anche mio. Ti sei comportato da ipocrita. Sei tirchio fino al midollo, papà. Mi dispiace dirti una cosa del genere.

Tuo Lysiart

PS: la mia vita non ha più senso. Rachele è angosciata. A volte ho l’impressione che la testa stia per scoppiarmi. Sono stanco. Non avrei mai voluto dire una frase del genere. E’ la verità: sono in catene…


Hilda ripose velocemente la lettera nella busta, e si pentì di essersi immischiata in faccende che non la riguardavano.


« L’ideale sarebbe la settimana prossima. Mercoledì 18 aprile. » disse Megan.
Abraxas aveva incrociato il suo cammino dopo il breve colloquio di lei con Rosamund Jameson. Il cadavere era stato asportato e deposto provvisoriamente su una lettiga. La data dei funerali era ancora da decidere.
« Suppongo che Ester possa Materializzarsi immediatamente. - ragionò Abraxas. - Non si pone il problema. E il rinfresco? »
Megan lasciò tra le calde coperte della culla il piccolo Lucius, quindi sollevò la testolina e mostrò la fronte corrugata. « Possiamo organizzarlo oltre i ruderi, vicino al bersò. Chiederemo a Maky di preparare qualche stuzzichino leggero. »
« L’importante è che non si diffonda il caos. Non vorrei che i giornalisti ci piombassero addosso in un momento come questo. Ci basta sopportare per lunghe ore quell’arpia sgradevole. »
« Juliet Gena? Oh, sono sicuro che verrà a Malfoy Manor entro questa sera, e lancerà le solite imprecazioni, sventolando quel suo bastone in aria, a mo’ di scettro. Non ha proprio niente di sua figlia Rachele, quella vecchiaccia. » notò Megan, arricciando il naso.
« Dobbiamo sopportarla. Lysiart avrebbe voluto la famiglia al completo. » disse Abraxas, chinando lo sguardo in un atteggiamento di malcelata inquietudine che non si addiceva alla sua indole altezzosa.
Megan carezzò la fronte del marito. « Di che ti preoccupi, Abraxas? Ormai non c’è niente da fare. - Abbassò la voce. - Dopotutto, non è quello che… »
Una silhouette smilza apparve all’improvviso dinnanzi a loro. Megan si zittì deglutendo. Il maggiordomo avanzò stringendosi con rigida serietà nella sua divisa.
« Signori Malfoy, la signorina Jameson chiede degli interrogatori. »
« Di’ a Rosamund che può farli il Mercoledì, il giorno fissato per i funerali. – esclamò Megan, irata. - Saremo tutti vicino al bersò per il rinfresco, dopo la cerimonia di sepoltura. »
Green annuì mestamente e proseguì lungo il corridoio, per poi sparire dietro l’angolo.
« Credi che la tua amica riesca a risolvere il giallo? » domandò Abraxas con freddezza.
Megan congiunse le labbra, scrollando la testa, poi rise sguaitamente. « Oh, lo spero bene. »



Ecco a voi un altro capitolo, che speriamo sia di vostro gradimento.
Un grazie particolare a:
Thiliol: Siamo entrambi lieti che tu abbia trovato il capitolo bellissimo! E che ti sia piaciuta la poesia di Lysiart.

Brilu: Eccoti qui l'auror, dicci che ne pensi! E ovviamente cosa pensi di tutti quanti gli altri. La tua recensione non può che farci piacere con tutte le sue annotazioni e le opinioni sui personaggi. Sappici dire cosa pensi di questo capitolo, della lettera di Lysiart al padre e di tutto quanto viene descritto.

Moony Potter: Grazie mille per i complimenti! Ovviamente non possiamo dirti nulla sulle tue ultime parole. Appreziamo tantissimo la tua recensione che analizza in maniera approfondita ogni cosa che abbiamo scritto e questo non può che farci piacere.

Honey Evans: Ti ringraziamo per le tue parole! Sappici dire cosa pensi di quello che avviene in questo capitolo, dell'operato dell'Auror, della lettera di Lysiart e di tutto il resto.

Un grazie a chi ha messo la storia tra i preferiti e a chi legge soltanto.

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Capitolo 5
*** Capitolo V ***


Capitolo V

Il rumore del becchettare su un vetro destò di scatto la giovane donna. La notte ancora avvolgeva la Kyoto magica, così come avvolgeva tutto il Giappone. Ester Lizzie Hayward sbatté più volte gli occhi, mentre con la bacchetta illuminava la stanza dell'appartamento economico e piuttosto squallido dove viveva. Scalciò via la coperta, alzandosi poi lentamente in piedi, per raggiungere infine la finestra. Un gufo, di grosse dimensioni, uno di quei gufi utilizzati per il servizio internazionale, svolazzò dentro la camera, andando a depositarsi sul comodino accanto al letto. La giovane si avvicinò al rapace notturno e prese ciò che portava legata ad una zampa. Ancora assonnata, osservò a lungo la grafia sulla busta, prima di riconoscere quella della madre. Scosse appena il capo, mentre un'espressione irritata si faceva strada sul volto dalla carnagione leggermente olivastra. Ignorò gli occhi gialli del gufo fissi su di lei, come se fosse in attesa di un qualche segnale da parte sua, togliendo il sigillo, con impresso lo stemma degli Hayward, ed aprendo la busta.
Gli occhi neri scorsero rapidamente la grafia spigolosa della madre, che descriveva tutto quello che era accaduto al cognato. Per un brevissimo istante un sorriso storto si fece strada sul volto incorniciato dai riccioli scuri. Ne arrotolò uno intorno ad un dito, per poi far cenno al volatile di spiccare nuovamente il volto. Con gesti precisi richiamò alcuni capi di abbigliamento dall'armadio, per ammonticchiarli perfettamente piegati sul letto. Un altro colpo di bacchetta e anche una piccola borsa da viaggio emerse alla vista. La riempì con gli abiti, poi si avviò rapidamente verso il bagno, come se la sonnolenza iniziale fosse di colpo svanita. Pochi minuti e ne uscì perfettamente in ordine, abbigliata con un vestito da strega con le maniche che ricordavano quelle di un kimono.
La sua mente, mentre prendeva in mano la borsa e riponeva la bacchetta in tasca, lavora febbrilmente. Quello che era successo a Malfoy Manor era descritto minutamente dalla madre, anche se, a quel che diceva, non era ancora andata nella magione che aveva già visto la morte della sorella minore. Ester scosse lievemente il capo, facendo svolazzare alcuni dei corti riccioli, prima di smaterializzarsi alla sezione Trasporto Internazionale del Ministero della Magia di Kyoto. Il silenzio del luogo, dove sedeva soltanto un addetto, probabilmente annoiato, nonostante l'espressione imperscrutabile, le permise di concentrare la mente sulla scomparsa di Lysiart Malfoy. E ancora una volta comparve quel sorriso storto sul suo volto. Disse qualche breve parola all'addetto, utilizzando un giapponese dal forte accento straniero, piuttosto stentato e imperfetto, ma abbastanza efficace per farsi intendere in una situazione del genere. L'annuire e le parole gentili dell'uomo le scivolarono addosso, i suoi pensieri sempre fissi su quello che diceva la lettera che aveva letto al massimo un'ora prima. Si recò, rapida, verso un camino, prese un pugno di metropolvere e in pochi minuti si ritrovò nella sezione corrispettiva del Ministero della Magia inglese. Rimase a lungo ferma, appena ebbe sceso il gradino che la separava dal pavimento di pietra, scombussolata, come le accadeva sempre, qualora intraprendesse uno spostamento con il particolare tipo di metropolvere che permetteva di compiere spostamenti così lunghi, impensabili con la smaterializzazione.
Trasse un leggero sospiro, poi si portò rapidamente verso l'ascensore del ministero, ritrovandosi nell'Atrio di ingresso, con la sua fontana dorata ben visibile al centro. Ancora un breve tragitto e uscì dal principale edificio della Londra Magica. Il sole di quel pomeriggio di aprile le fece sbattere più volte gli occhi che ricordavano ancora la note che imperava su Kyoto a miglia e miglia di distanza.
Non si accorse quasi di essersi smaterializzata, in maniera meccanica, a Hayward House, se non quando riconobbe l'atrio d'ingresso dalla decorazione barocca, ridondante e rovinata in più punti. Una figura minuta uscì dall'ombra dello scalone che portava al piano superiore, leggermente ingobbita, una mano sul bastone, mentre l'altra penzolava lungo un fianco.
«Sei tornata prima di quanto non pensassi, Ester.» biascicò la donna, la voce acuta, fastidiosa.
«Appena ho ricevuto il tuo gufo, madre. - la giovane fece una pausa, mentre lasciava cadere in terra la borsa da viaggio, che sarebbe stata portata dagli elfi domestici nella sua camera - La notizia non era qualcosa che potevo ignorare.»
«Assolutamente. - la donna si avvicinò maggiormente alla figlia, il rumore del bastone sul ripiano di marmo risuonava inquietante in tutta l'abitazione - La morte di Lysiart è qualcosa che non può lasciare indifferenti, soprattutto il modo in cui è avvenuta.»
«Già, qualcosa di terribile, assolutamente terribile, ma non quanto un altro fatto ben più terribile.» constatò Ester, arricciando leggermente le labbra, mentre posava una mano su un tavolino intarsiato, sovrastato da un vaso in porcellana, sbeccato in un angolo.


Il cielo era velato da bianche nuvole da vento, che si rincorrevano l'un l'altra impetuose, a sovrastare un gruppo di persone dalle vesti scure. Attorno a loro le vecchie cappelle ricoperte in parte dall'edera, le lapidi più antiche rovinate dal tempo, sembravano incombere sinistramente, e ancor più inquietante pareva il gemito degli alberi, quasi un grido di accusa contro l'omicida, che ognuno dei convenuti credeva trovarsi tra loro. Più vicini al futuro luogo di riposo di Lysiart stavano i componenti della famiglia Malfoy, Abraxas accanto alla moglie che teneva il figlioletto, il proprio quel giorno compiva il secondo mese di vita, in braccio; il vecchio Adolar seduto sulla sua sedia a rotelle, che era stata fatta levitare con il suo occupante, fino al pian terreno e di lì nel giardino, con alle spalle l'infermiera e per finire Laureen Mallory poco discosta da loro. Green e Zephyrus MacNiemand erano più distanti, dietro i padroni di casa. A questi si aggiungevano solamente la cognata e la suocera di Lysiart, che si tenevano lontane dai parenti più stretti del defunto e Rosamund Jameson che subito dopo la funzione, durante il rinfresco, come era stato concordato, avrebbe interrogato chi riteneva più opportuno.
Gli occhi di Abraxas si posarono lentamente sulla figura aggraziata di Ester e su quella gobba di Juliet Gena, prima di alzarsi verso le nubi candide, così in contrasto con il nero delle loro vesti. Anche il piccolo Lucius portava un abitino scuro, come se, inconsapevolmente, partecipasse al lutto per la morte dello zio. Lasciò che il vento gli sferzasse il volto, come era accaduto prima del temporale il giorno in cui Lysiart era stato assassinato. Sembrava quasi che preferisse mantenere lo sguardo fisso sulle nuvole piuttosto che sulla bara scura, sulla fossa che la attendeva, sui pochi convenuti alla cerimonia. Il funerale si stava svolgendo in sordina, come era giusto che fosse, com'era successo anche per quello di Rachele, di cui si vedeva la lapide poco distante, accanto a quella spoglia, già pronta, di Lysiart. Era assolutamente impensabile far accorrere tutti i componenti delle maggiori famiglie purosangue, non ad un funerale di un assassinato, non a quello di una suicida. L'onore della famiglia ne avrebbe risentito troppo e i giornalisti impiccioni e ficcanaso avrebbero trovato fin troppe bocche pronte a parlare. Era già piuttosto grave che, in una delle pagine interne della Gazzetta del Profeta, fosse annunciata brevemente la notizia della morte del fratello e che l'articolista ne sottolineasse l'efferatezza. Tornò ad abbassare il capo, richiamato da un mugolio infantile di Lucius, che si dimenava tra le braccia della madre, muovendo i piedini, totalmente ignaro di quello che stava avvenendo intorno a lui. Con gli occhi risalì sul volto di Megan che sembrava essere come rapito dalla vista del cimitero dalle pietre scure, così simili a quelle del Manor che sorgeva alle loro spalle, il lato occidentale visibile attraverso gli alberi che circondavano le tombe. C'era un'espressione strana sul viso della moglie, come doveva esservene una simile nei suoi occhietti scuri. Era la stessa mimica facciale che la caratterizzava quando osservava la sua collezione di stampe dai contenuti macabri, che facevano bella mostra di sé nel boudoir che si apriva sulla loro camera da letto. All'uomo parve che la donna si fosse dimenticata di quello che le stava intorno, come se fosse totalmente concentrata su quella sua ben nota passione. Soltanto un leggero aggrottarsi delle sopracciglia sottili denotava un sentimento contrastante, più simile all'ansia, che non al sottile compiacimento per quello a cui stava assistendo.
Un colpo di vento più violento degli altri, fece gemere, in maniera, se possibile maggiormente sinistra e inquietante, gli alberi che circondavano il camposanto. Gli occhi, colmi di lacrime di Laureen scattarono verso i rami che sbattevano tra di loro, perdendo le piccole foglie verdi da poco tornate ad adornarli. Tirò su con il naso, mentre si stringeva maggiormente nel mantello da strega, andando a prendere subito dopo un fazzoletto consunto per potersi tamponare con un gesto composto gli occhi. Fece saettare, subito dopo, lo sguardo verso la figura di Abraxas, al suo portamento rigido, freddo e composto, al volto di Megan, al visino atteggiato in un'espressione buffa del piccolo Lucius. Sembrava evitare di fissare la fossa, se non di sfuggita, il corpo immediatamente percorso da un brivido, che la portava a posare lo sguardo altrove, sul volto intento, diafano dell'Auror, che, con il suo corpo magro e minuto, sembrava troppo piccola e fragile, colpita com'era dalle raffiche di vento. E di certo, si disse Laureen, non riusciva a riempire lo spazio tra i componenti della famiglia Malfoy e le due Hayward.
Il biascicare sconnesso di Adolar, fece improvvisamente chinare Hilda su di lui. Con un gesto affettuoso gli sfiorò la fronte e i capelli canuti, mentre si mordeva nervosa il labbro inferiore. Aveva sperato che il vecchio rimanesse calmo così come si era destato quella mattina, ma, purtroppo, pareva che, quando si aveva a che fare con ciò che era avvenuto a Lysiart, qualcosa scattasse nella mente dell'uomo. Gli posò una mano sulla spalla, mentre il paziente continuava a balbettare frasi e parole prive di qualsiasi significato, soltanto ogni tanto l'infermiera avvertiva il nome del figlio morto. Per un breve istante, in un momento in cui il biascicare di Adolar si era fatto più forte, le sembrò di avere gli occhi di tutti puntati addosso. Ma fu un attimo. Quando si guardò intorno notò unicamente il bibliotecario intento a guardarli da dietro le lenti spesse degli occhiali. Incrociò per qualche istante il suo sguardo con quello di Zephyrus, poi l'uomo tornò a voltarsi per seguire la cerimonia. Al suo fianco Green se ne stava fermo, impettito, il mento allungato che per qualche strana ragione parve ad Hilda ancora più lungo del solito.
Il lieve rumore della bara che veniva calata, con un incantesimo di levitazione, nella fossa, fece quasi sobbalzare Laureen, che, negli ultimi minuti, pareva come essersi assentata, la mente persa in chissà quali ricordi e pensieri. Fece scorrere rapidamente lo sguardo sugli altri convenuti, rabbrividendo leggermente incontrando il volto acido di Juliet Gena. Da che ricordava la madre della povera Rachele aveva sempre avuto quell'espressione stampigliata sul visto. Anche al funerale della figlia nulla pareva aver cambiato la sua abituale mimica facciale. Era qualcosa in fin dei conti che rispecchiava quel suo modo fastidioso di parlare, che aveva riecheggiato soltanto pochi giorni prima nel salotto d'anticamera del piano terra, quando la vecchia gobba era arrivata con la sua solita dose di frecciatine. Ben diversi apparvero alla donna i sentimenti che trasparivano dal volto di Ester, che era parsa veramente partecipe alle esequie della sorella. C'era qualcosa di strano, qualcosa che rasentava la soddisfazione che fece quasi rabbrividire Laureen. Distolse di colpo lo sguardo, facendolo scivolare sulla figurina di Rosamund Jameson, per poi riportarlo su Ester. Le sembrò di essersi immaginata ciò che aveva letto poco prima sul suo volto.


Il vento colpiva il bersò che, poco discosto dalle rovine, occupava parte del lato settentrionale del parco di Malfoy Manor. I rampicanti che si attorcigliavano lungo il pergolato erano sferzati così violentemente da sembrare che si dovessero spezzare da un momento all'altro. Soltanto un incantesimo, lanciato dal maggiordomo, teneva ferma la tovaglia, bordata a lutto, che occupava un lungo tavolo, con disposto sopra, in ordine perfetto, il cibo preparato dagli elfi domestici per il rinfresco. Nessuno dei convenuti pareva aver voglia di parlare, come se l'atmosfera cupa del cimitero di famiglia ancora li sovrastasse. Soltanto il piccolo Lucius, in spalla al padre, in quel momento, gorgogliava, mentre afferrava con le manine i capelli del genitore. Il padrone di casa si guardò intorno. Notò l'Auror che faceva girare quegli occhi troppo grandi su tutti gli ospiti, come se si stesse chiedendo da chi iniziare il suo compito. Laureen, in un angolo del bersò, teneva il capo chino, mentre poco distante da lei Juliet Gena teneva gli occhi fissi su di lui, che ricambiò lo sguardo malevolo della donna con un sorriso ironico appena accennato. Megan si stava avvicinando lentamente al tavolo, imitata da Green, mentre Zephyrus rimaneva immobile, gli occhi puntati su Laureen. Soltanto in un secondo tempo inquadrò Hilda e il padre, che pareva parecchio agitato, ancora più che durante la funzione. Si avvicinò rapido ai due, osservando attentamente i movimenti dolci dell'infermiera che tentava di calmare il vecchio.
«Signor Malfoy - disse la donna, quando lo vide fermarsi accanto a loro - posso riportarlo dentro la casa? Mi preoccupa questo suo fermento.»
«Purtroppo, signorina O'Connor, è qualcosa di impossibile. Sa perfettamente che la signorina Jameson deve portare avanti gli interrogatori. - una breve pausa, durante la quale sistemò meglio il bambino che, passato il momento di vivacità, si stava lentamente assopendo, il capo posato sulla spalla del padre - Riesce a capire cosa lo turbi tanto?»
«Quando eravamo al cimitero - la donna si interruppe, trattenendo un brivido, mentre alcune ciocche sfuggivano dalla treccia mossa dal vento - credevo fosse dovuto a ciò che è accaduto a suo fratello, signor Malfoy. Anche il giorno in cui è successa la disgrazia era così agitato, se lo ricorderà. Però in questo momento non saprei. Forse è il vento.»
Abraxas rimase a lungo in silenzio, sollevando per un istante gli occhi verso il cielo nuvoloso che si intravedeva attraverso il pergolato, per poi tornare a fissare la donna e il padre, che pareva agitarsi ancora di più, da quando era arrivato il figlio maggiore. Un lampo di tristezza attraversò gli occhi del padrone di casa, o almeno, così parve a Hilda, che però credette di esserselo immaginato, quando l'uomo iniziò a parlare con quel suo tono freddo, atono e pacato.
«Forse, signorina. Oppure riesce a percepire la tensione che proviamo tutti noi. - fece una breve pausa, voltandosi verso gli altri convitati, che lentamente, con gesti quasi meccanici, come se un burattinaio al di sopra del bersò li stesse muovendo con fili invisibili, prendevano chi una tartina, chi una mousse di salmone, chi un canapè, dal tavolo del rinfresco - Se soltanto non avesse visto Lysiart ridotto in quello stato, forse, sarebbe più tranquillo.»
«A volte nomina suo fratello. È l'unica parola che abbia un senso compiuto. Mi sembra quasi che lo stia chiamando.»
Il silenzio calò cupo tra i due, interrotto unicamente dalle folate di vento e dal biascichio privo di senso di Adolar. Hilda fissò per qualche istante l'uomo e il bimbo che teneva in braccio, addormentato, con un ditino in bocca, poi portò lo sguardo sul suo paziente. Gli posò una mano sulla spalla in un gesto gentile e rassicurante.
«Signor Malfoy - disse una nuova voce alle spalle del padrone di casa, facendo sobbalzare in maniera improvvisa l'infermiera - signorina - aggiunse Rosamund Jameson - immagino sia stata informata che oggi le rivolgerò delle domande.»
«Sì, signorina.» si affrettò a dire Hilda, alzando il capo di scatto, per fissare i suoi occhi chiari in quelli verde scuro dell'altra donna.
«Il suo paziente, signorina, non sembra in grado di rispondere ad alcuna domanda. - constatò l'Auror, spostando lo sguardo su Adolar, che continuava a borbottare parole sconnesse - Da quello che mi ha detto il signor Malfoy il giorno successivo al ritrovamento del cadavere lei, il maggiordomo e il suo paziente, stavate presso la scala di servizio. Quello che mi chiedo è come sia stato possibile che quest'uomo, costretto su una sedia a rotelle, da quel che vedo, possa essersene andato in giro per Malfoy Manor.»
«Vede, signorina Jameson, la malattia del signor Malfoy non è sempre costante. A volte sembra ritrovare la forza di un tempo. - fece una breve pausa, durante la quale scostò una ciocca di capelli dal volto - Ne avevo parlato con il signor Lysiart. Era qualcosa che mi preoccupava. La sua mente si è rifugiata in un qualche modo tutto suo e… - si interruppe - …quel giorno ero in ansia per lui. Avrebbe potuto farsi seriamente del male. Non avrei mai pensato di vedere il signor Lysiart, dopo aver sentito quell'urlo agghiacciante…» la voce di Hilda si spense in una specie di singulto nervoso, mentre una delle sue mani, quella non posata sulla spalla del vecchio Adolar, andava a stringersi febbrilmente intorno al ferro della sedia a rotelle.
«Quindi lei è entrata nella stanza dove è stato ritrovato il cadavere?» domandò retoricamente l'Auror, facendo vagare per un istante lo sguardo su Abraxas Malfoy.
«Sì, insieme a Green. È stato lui ad aprire se non ricordo male. - l'infermiera aveva iniziato a parlare rapidamente, le parole che quasi si accavallavano l'una all'altra - Siamo entrati e con noi il mio paziente. Appena mi sono ripresa dallo spavento ho condotto via Adolar Malfoy.»
«Non ha notato nulla di strano, signorina?» chiese Rosamund.
«Intende nella stanza? Non so dirle…alla servitù non è permesso entrare in quel luogo. Era la prima volta che vi mettevo piede. - una pausa, durante la quale si mordicchiò il labbro inferiore - E in quel momento non avrei mai potuto…osservare ogni cosa…con il signor Malfoy lì per terra e il sangue…» un singhiozzo le uscì dalle labbra.
«Mentre lei era lì non è entrato nessun altro, signorina?»
«Soltanto Zephyrus MacNiemand, il bibliotecario. - le parole giunsero più chiare e sicure alle orecchie di Rosamund, mentre l'infermiera alzava il capo e si guardava intorno - È quell'uomo con gli occhiali che sta parlando con Laureen Mallory.»
«La ringrazio, signorina. - disse gentilmente l'Auror, prima di voltarsi verso Abraxas, che aveva seguito con attenzione tutto l'interrogatorio - Signor Malfoy sarebbe così gentile da condurmi da questo Zephyrus MacNiemand?»
«Certamente signorina Jameson - l'uomo si voltò verso Hilda e il padre che ancora biascicava frasi senza senso - Signorina O'Connor, riporti pure all'interno il suo paziente.»
Non si fermò il tempo bastante per vedere se l'infermiera stesse facendo quanto le aveva suggerito, iniziando a camminare a passo lento e deciso, con la figura esile e diafana dell'Auror accanto.
«Deve essere triste per lei, signor Malfoy, vedere suo padre in quelle condizioni - commentò comprensiva la donna - Da quel che ho capito dalle parole dell'infermiera un tempo era un uomo forte e vitale.»
«Come tutti, prima del sopraggiungere della vecchiaia.» constatò Abraxas, lanciando un'occhiata alla donna al suo fianco.
Lo sguardo di Green seguiva attentamente gli spostamenti dell'Auror che, in quel momento, camminava al fianco del padrone, dopo aver interrogato Hilda. Girò il capo, in modo tale da poter seguire i due, fino a quando non li vide raggiungere Zephyrus e Laureen. Trasse un lieve sospiro, per poi voltarsi verso Megan che stava osservando attentamente un canapè e una tartina al caviale, apparentemente indecisa.
«Se mi permette, signora, le consiglierei quel canapè. È squisito. Gli elfi si sono superati.» disse l'uomo affabile.
Gli occhietti neri della donna corsero verso il maggiordomo, le sopracciglia leggermente aggrottate, le labbra tirate in un'espressione che voleva essere di circostanza, ma che in realtà sembrava piuttosto una maschera grottesca su quel volto tutt'altro che bello. Alzò per un attimo le spalle, poi si allontanò, dopo aver afferrato distrattamente un piccolo bicchiere che conteneva una delicata mousse al salmone. Continuò a seguire il tavolo fermandosi unicamente quando sentì delle voci, poco distanti da lei.
«…appena ho visto mio cugino ridotto in quello stato, signorina Jameson, mi sono quasi sentita svenire. Un uomo così paziente, così buono. - Laureen tirò su con il naso, provocando una ruga di disapprovazione sulla fronte di Megan - È stato qualcosa di terribile, non avrei mai pensato che l'urlo che ho sentito dalla mia stanza potesse portarmi a vedere una cosa simile.»
«Quindi, signorina Mallory, la sua camera è vicina al luogo del delitto?»
«Sì. A separarmi da dove è stato assassinato il povero Lysiart, ci sono soltanto il salotto e il disimpegno. Se penso che mio cugino è stato ucciso così vicino al luogo dove stavo leggendo…» si interruppe, tirando nuovamente su con il naso.
«Non ha sentito nulla, signorina Mallory, dal luogo in cui si trovava?»
«Assolutamente nulla.» affermò Laureen, con voce più sicura.
«E nemmeno io, signorina Jameson - si intromise il bibliotecario - Vede la mia stanza è vicina alle scale di servizio, che si trovano nei pressi dell'anticamera che immette sulla stanza delle armi, ma oltre al grido lanciato dal signor Malfoy - Megan vide l'uomo lanciare un'occhiata verso il marito - non ho avuto modo di sentire altro.»
«Era a conoscenza della scomparsa del vecchio signor Malfoy, signor MacNiemand?»
«Sì, Green era entrato nella mia camera poco prima. - fece una breve pausa - Sono rimasto poco tempo nella stanza delle armi. Poco dopo sono andato a cercare la signora Malfoy. L'ho trovata con il figlioletto, nella stanza dove dorme il piccolo.»
«Vi ringrazio entrambi, signorina Mallory, signor MacNiemand.» disse allontanandosi da loro, fermandosi poco distante, iniziando ad osservarsi intorno, gli occhi si posarono sulla figurina sghemba di Megan accanto al tavolo, alle spalle di Laureen e Zephyrus, per poi incontrare gli occhi del maggiordomo ed infine le altre due donne, che si tenevano lontane dai Malfoy.
«Noto che sta osservando la suocera e la cognata di mio fratello - disse la voce di Abraxas al suo fianco - Juliet Gena Hayward ed Ester Hayward.»
«Erano legate a suo fratello?» domandò l'Auror, mentre iniziava a camminare verso le due donne.
«Non direi. - si interruppe - Soprattutto la vecchia, credo che non abbia mai visto di buon occhio Lysiart. - una lieve nota seccata si impose per qualche istante sul tono piatto usato abitualmente dall'uomo - Dopo la morte di Rachele entrambe hanno iniziato a prendere in antipatia mio fratello, Juliet ha soltanto aumentato a dismisura la sua acidità.»
«Ho letto sui giornali qualcosa riguardo la morte di sua cognata. Una triste vicenda, signor Malfoy.» constatò Rosamund, spostando gli occhi sull'uomo al suo fianco.
Abraxas si limitò ad annuire, senza dire nulla. Lo iniziava ad irritare quel modo di fare della donna che era venuta ad indagare. Quel suo definire ogni cosa fosse accaduta in quella casa, una triste vicenda e quella sua pietà erano per lui qualcosa di indigesto. Con ogni probabilità era ben più normale il comportamento della signorina Jameson a quello di tutti coloro che si erano riuniti al funerale di Lysiart. In fin dei conti anche il fratello aveva sostenuto, diverse volte, che tutti loro avrebbero potuto apparire non naturali agli occhi degli altri, con tutta quella freddezza e quell'atteggiarsi come se ogni cosa scivolasse su di loro, senza lasciare alcun segno. Ma, a ben pensare, quelle parole erano più rivolte a lui che ad ogni altro componente della famiglia. Quella loro diversità così assoluta, li aveva allontanati o, forse, semplicemente, non erano mai riusciti a capirsi l'un l'altro.
«Juliet, Ester, questa è la signorina Jameson. È stata mandata ad indagare sulla scomparsa di Lysiart.» disse l'uomo nel momento in cui raggiunsero madre e figlia.
La donna più anziana lo fissò con quei suoi occhi perennemente malevoli, prima di andare a studiare con attenzione Rosamund.
«Non credo che la potremmo aiutare molto, signorina. - disse Ester, prima che l'Auror potesse fare una qualsiasi domanda - Io mi trovavo a miglia e miglia di distanza e fino ad alcuni giorni or sono, non sapevo che cosa fosse accaduto. È stata mia madre ad avvisarmi.»
«Le ho mandato un gufo, non appena mi è arrivata la notizia a Hayward House nell'Hampshire.» aggiunse Juliet che aveva scoccato un'occhiata ad Abraxas, prima di riportare lo sguardo su Rosamund.
«Che rapporto c'era tra voi e la vittima?»
«Era mio genero, signorina, che rapporto vuole che ci fosse? - affermò leggermente piccata la donna, agitando appena una mano - Certo non posso dire che fosse il genero migliore di questa terra. Nulla da ridire su come si comportava con me, ma se la povera Rachele fosse ancora in vita avrebbe molte cose da raccontare.»
«Non credo che alla signorina Jameson interessino i suoi vaneggiamenti sulla morte di sua figlia.» constatò aspro Abraxas.
«Lasci decidere a me, signor Malfoy, cosa mi può interessare o meno. - disse Rosamund, osservando per qualche istante il padrone di casa - Quanto a lei, signorina Hayward, in che rapporti era con suo cognato?»
«L'ultima volta che l'ho visto è stato al funerale di mia sorella, il novembre scorso. Ero all'estero all'epoca della tragica morte di mia sorella, un suicidio, così hanno detto - fece una pausa, la fronte leggermente aggrottate in un'espressione scettica - Da quel giorno non ho più avuto contatti con il povero - qualcosa nel modo in cui pronunciò quella parola, fece scattare verso l'altro un sopracciglio di Abraxas - Lysiart.»
Dall'altra parte del bersò Laureen Mallory si tormentava in continuazione le mani, sfregandole tra di loro, intrecciandole, andando alle volte a prendere il vecchio fazzoletto consunto unicamente per stringerlo e arricciarlo con le dita.
«Non dovrebbe essere così agitata, signorina.» mormorò improvvisamente Green, apparendo al suo fianco, facendo sobbalzare la donna.
«Come puoi dire che non mi devo agitare, quando il povero Lysiart è appena stato sepolto. - Laureen ripose il fazzoletto in tasca, voltandosi lentamente verso il maggiordomo - E ancora peggiore è l'esistenza di un assassino che gli ha squarciato a quel modo il petto. Hai mai reputato possibile che qualcuno potesse fare del male a quel brav'uomo?»
«Assolutamente, signorina. - si interruppe per un istante - Si figuri: una volta si era persino preoccupato perché avevo un terribile mal di denti. Quale altra persona avrebbe fatto una cosa del genere?»
«Di certo non Megan o Abraxas. - constatò Laureen - A volte mio cugino mi fa paura, quando poi ha quelle sue crisi. Una volta mi è capitato di assistervi. È stato terrificante, si agita tutto e strabuzza gli occhi, come un indemoniato.»
«Oh andiamo, signorina, l'epilessia non ha nulla di così terribile. Deve aver letto troppi romanzi di scarsa qualità.» commentò serafico il maggiordomo.
«Forse è come dici tu, Green. - mormorò Laureen, intrecciando ulteriormente le dita al fazzoletto - L'Auror sta per interrogare Megan. Da quel che ho sentito erano amiche ai tempi della scuola.»
«L'ho sentito dire anch'io. - l'uomo fece una pausa - Corvonero entrambe da quel che so, almeno la signora era una corvonero.»
«Imparentata con il preside per di più. Non ricordo bene in che grado…»
«Nipote del preside Dippett, se non vado errato. Se chiedi a Zephyrus ti saprà dire sicuramente di più. Ha una vera e propria mania riguardo agli alberi genealogici delle famiglie più in vista.»
«Ha una mania per tutti i libri della biblioteca, Green. - si interruppe - Lo trovi sempre chino su quelle antiche pergamene. Una volta mi ha detto…»
«Laureen - la interruppe Abraxas, sopraggiunto in quell'istante, dopo aver lasciato sole Rosamund e Megan - devo chiederti un favore, sempre che non sia un problema per te. Credo che sarebbe meglio far rientrare Lucius. Sai perfettamente che, in qualità di padrone di casa, non posso allontanarmi dal rinfresco fino a quando le nostre ospiti - con il capo indico Juliet ed Ester che stavano parlottando tra di loro - non ci avranno lasciati. Dato che la signorina Jameson ti ha già fatto le sue domande, ti chiedevo se puoi riportare nella sua camera il bambino.»
«Certo, Abraxas, nessun problema.» disse la donna, allungando le mani verso il bimbo che le venne passato con delicatezza, senza che il movimento lo riuscisse a svegliare.
La donna lanciò un'occhiata a Green prima di allontanarsi, lasciando soli i due uomini. Lo sguardo di Abraxas si fissò su Zephyrus che sembrava esser catturato dall'immagine di Laureen che si avviava lentamente verso casa.
«Signore, crede che l'Auror verrà a capo di quello che è accaduto al povero signore?» domandò il maggiordomo, lanciando una breve occhiata alle due donne, che parlando si stavano lentamente avvicinando a loro.
«Lo si saprà unicamente con il tempo, Green.»
La risposta laconica di Abraxas sembrò mettere a tacere l'altro uomo, i cui occhi si erano nuovamente puntati su Rosamund e Megan, fino a quando le due vecchie compagne di casa non si separarono. L'Auror avanzò a passo lento verso di loro, raggiungendoli infine.
«Signor Green, da quel che ho appurato, lei era presente al momento in cui è stato ritrovato il cadavere.»
«Esattamente, signorina Jameson - confermò l'uomo affabilmente - Mi trovato con l'infermiera e il vecchio Adolar, quando ho sentito gridare. Ero appena passato dal bibliotecario per chiedergli se avesse visto traccia del signor Malfoy e mi trovavo accanto alle scale di servizio. - fece una pausa, come per prendere fiato - È stato un momento terribile. Vedere ciò che ho visto dopo aver aperto quella porta, davvero, signorina, è una cosa a cui non avrei mai voluto assistere.»
«Ha notato nulla, signor Green?» domandò la donna.
«Nulla, signorina, se non il riferimento di qualcuno di noi al modo in cui è stato ucciso il povero signor Lysiart. Hanno detto che è stato un harakiri, o qualcosa del genere, una qualche diavoleria orientale.»
«Non ricorda di preciso chi l'ha detto?» gli occhi della donna si fissarono, intensi, su quelli del maggiordomo.
«È stata Laureen.» intervenne Abraxas, mentre una folata più forte di vento si abbatteva sul bersò.
«Laureen?» chiese leggermente spaesata l'Auror.
«La signorina Mallory.» spiegò il padrone di casa. Rosamund annuì, chiudendo un attimo gli occhi, come se, così facendo, riuscisse a prendere meglio nota di tutto ciò che aveva appreso.
«Direi che per oggi ho finito. - annunciò infine, tornando a mostrare il verde delle sue iridi - È sottinteso, signor Malfoy, che tornerò quanto prima per fare altri interrogatori e accertamenti.»
«Naturalmente, signorina Jameson. - una breve pausa - Green, accompagna la signorina.»
Il maggiordomo annuì e, con un gesto impeccabile, fece segno a Rosamund di seguirlo. Non appena abbandonarono la protezione del bersò, sotto il quale rimanevano ormai soltanto cinque persone, il vento li colpì più violentemente. Una ciocca di capelli riuscì a sciogliersi dallo stretto chignon della donna, ondeggiando intorno al suo corpo, fin oltre la vita. Con una mano sottile andò a chiudersi meglio nel mantello nero, mentre il maggiordomo al suo fianco camminava impassibile, soltanto il capo chino dava l'impressione che si stesse difendendo dal vento. Il tragitto fino al lato settentrionale dell'abitazione e da lì fino all'angolo con quello orientale fu più lento del solito, ostacolati com'erano dal vento che turbinava in continuazione attorno a loro. Si fermarono soltanto quando raggiunsero le scale d'ingresso e il viale bordato da una siepe, che portava al cancello di Malfoy Manor.
«Signorina Jameson, non so se le potrà interessare, ma quando siamo entrati, il signor Malfoy, Abraxas intendo, sembrava in preda ad una delle sue crisi epilettiche, una crisi lieve. Non sembrava particolarmente in sé.»
«Qualsiasi particolare mi può interessare, signor Green.» rispose Rosamund.
Quando l'Auror si smaterializzò, una tenda si mosse appena da una delle finestre del primo piano, tornando ad oscurare uno dei vetri.

Ecco a voi un altro capitolo!
Un grazie particolare a:
Thiliol: Ti sei fatta qualche opinione da questi interrogatori? (speriamo ovviamente che il capitolo ti piaccia)

Moony Potter:Eccoti un nuovo capitolo! La tua recensione ci fa molto piacere, anche se non avevi molto tempo hai messo in luce che particolari hai notato. Siamo contentissimi che il ritmo della fic ti piaccia. Sappici dire cosa pensi di questo nuovo chap.

Honey Evans: Grazie mille per i complimenti! Ovviamente non può che farci piacere che la storia ti stia prendendo così tanto.

Un grazie a chi ha posto la storia tra i preferiti e a chi legge soltanto.

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Capitolo 6
*** Capitolo VI ***


Capitolo VI

Benché Abraxas si fosse imposto la briga di occultare ogni notizia che riguardasse l’assassinio, affinché i giornalisti rimanessero, almeno per un certo lasso di tempo, all’oscuro dalla faccenda e non li molestassero con la loro indesiderata presenza, i fotoreporter mondani, armati di macchina, taccuino e penna, colsero al volo lo scoop grazie alla soffiata di un agricoltore, che lavorava nelle tenute poderali dinnanzi a Malfoy Manor, e si precipitarono senza remore nella villa del defunto Lysiart, poche ore dopo la cerimonia funebre, senza preoccuparsi di risultare sgraditi o indiscreti. Laureen Mallory, che aveva trascorso buona parte della sera a singhiozzare sull’altalena del bersò, era adagiata in un sinuoso recesso del cortile quando, scorti gli uomini della Gazzetta nel cavedio cinto dai portici, scattò in piedi irata e tremò come in preda a inattesi spasmi.
Una volta riacquistata la calma, domandò austeramente: «Chi vi ha fatto entrare?», ma i paparazzi, intenti a scattare foto da ogni parte, non le badarono.
Dall’accesso del pianterreno, improvvisamente, venne fuori Abraxas, fiero nel portamento e nell’espressione. Diede uno sguardo al cortile, risollevando Laureen Mallory con un’inusuale occhiata benigna, e trasse di tasca la bacchetta, per poi indirizzarla verso un giornalista che sembrava interessato agli arbusti della siepe.
«Uscite fuori di qui, o verrete immediatamente colpiti da una Maledizione Cruciatus. Siete responsabili di effrazione, per cui mi arrogo il diritto di difendermi. Avete cinque secondi per sparire dalla circolazione, a partire da questo istante.»
I fotoreporter, tutt’altro che sgomentati, si affrettarono a sgambettare per la villa, scattando fotografie ad ogni oggetto che attirasse la loro attenzione. Soltanto con ritardo furono scacciati e costretti a varcare il grande cancello nero che delimitava il confine di Malfoy Manor.
La luna, alta nel cielo, continuò a sfavillare torvamente. Laureen rimase intimorita sotto il colonnato, prima di essere raggiunta da Abraxas, che sembrava più irritato del consueto.
«Come hanno fatto a scavalcare le difese?» domandò all’anziana cugina.
«Sai quante diavolerie s’inventano quelli della Gazzetta, Abraxas. Suppongo che non sia difficile, per loro, escogitare un modo con cui superare gli incantesimi di difesa.»
«Spero per il loro bene che non entrino più, altrimenti sarò costretto a reagire con più asprezza.»
Rivolse uno sguardo al cielo fosco, foderato da stracci di nubi sparpagliate, che appariva così simile alla volta buia di una cappella cimiteriale, quindi si voltò placidamente verso Laureen, e riprese, stavolta con maggior pacatezza: «Sono andati tutti a letto, Lucius per primo. E’ maledettamente tardi. Non credi sia meglio rientrare, Laureen?»
«Preferisco stare qui – rispose la cugina, rabbrividendo per il freddo. – Non riuscirei comunque a dormire, non dopo quello che è successo, non sapendo che a pochi metri dalla mia camera è stato assassinato il povero Lysiart.»
Abraxas esalò un rassegnato sospiro assai somigliante al tetro ghigno represso di un demonio. Assioli e piccole civette, dalle loro postazioni nascoste, li osservavano con sguardo obliquo e impenetrabile, emettendo lamenti gutturali. Gli occhi vitrei dei gufi notturni parevano elettrizzarli, mentre esigui stormi di corvi gracchianti adombravano, passando, il cielo già tenebroso, in uno sfarfallio d’ali appena udibile. Le vene di Laureen pulsavano a tal punto che la donna sembrava sull’orlo del baratro, pronta a morire. Percepiva un urlo straziato levarsi dal suo cuore infranto e spandersi in ogni arteria del suo corpo incartapecorito, paralizzandolo.
Dormivano tutti. La brughiera che circondava Malfoy Manor sopiva in una quiete sepolcrale, non ancora dimentica del terribile omicidio. Sembrava di respirare un odore acre di decomposizione. Le frasche degli alberi, ondeggiando nerognole, erano avviluppate da una bruma vaporosa che, con il lento approssimarsi dell’alba, andava rarefacendosi.
Di sorpresa si udì un sibilo, più potente del vento che stormiva tra le fratte, più misterioso del cupo e ordinario crocidare. Abraxas e Laureen rizzarono le orecchie, attoniti. Proveniva dalla parte del cortile opposta a quella in cui si trovavano. Doveva esserci qualcuno, nell'ombra.
«Non potrei vivere senza di te, mia dolce Hatty. Ogni cosa appare così bella quando stiamo insieme, tu ed io, da soli.»
Oltre la colonna ad angolo si mosse una sagoma furtiva.
«Esci fuori, chiunque tu sia.» esclamò Abraxas, quasi urlando.
Un musetto terrorizzato emerse dalla penombra e l’uomo e la donna riconobbero Maky, l’elfo domestico che lavorava nelle cucine di Malfoy Manor. Accanto a lui strisciava con circospezione Hatty, l’elfa personale del defunto Lysiart.
«Che siete venuti a fare? E soprattutto, chi vi ha dato il permesso di uscire? Avete disobbedito al vostro padrone. Vi ordino di tornare subito dentro, e…»
«Il nostro padrone è stato ucciso!» sbottò Hatty rabbiosa, e poi cominciò a punirsi con inaudita violenza, sbattendo la testa contro la colonna più vicina.
«Piccola insolente! - esplose Abraxas, e afferrò per la collottola Hatty, che cominciò a strillare tra i gemiti di Maky. – Ti insegno io il rispetto.»
«Abraxas. - Era la voce di Laureen, che lo aveva appena raggiunto. – Lasciala stare. Sono sicuro che non disubbidirà più. Era già terribile il modo in cui la trattava Lysiart. Sono sicuro che ti ricordi»
«Sono elfi domestici. Devono portare rispetto.» fu la risposta secca.
Hatty venne rilasciata e, inavvertitamente, finì tra le braccia spalancate di Maky, che singhiozzava impaurito.
«Questo è vero – replicò Laureen, che diventava irremovibile quando c’erano di mezzo gli inattaccabili principi dell’epoca. – Ciò non significa che debbano essere soggetti alla violenza. Lysiart li sgridava ogni giorno, ma non era mai arrivato a picchiarli.»
Abraxas sembrava rabbonito dalle parole della cugina. Tacitamente ordinò, con gli occhi ridotti a fessure di fuoco, che i due elfi tornassero dentro la villa. Le creature sgusciarono intimidite oltre il cavedio e raggiunsero l’accesso principale.
«Ma Santo Cielo! - esclamò Abraxas. – Che cosa stavano facendo, secondo il tuo giudizio?»
Laureen si strinse nelle spalle. «C’è qualcosa di strano, invero. Nel corso della mia lunga vita, cugino, non mi era mai capitato di incontrare elfi tanto combattivi e sicuri di sé, elfi che osano venire meno ai loro doveri di servi.»
«Sono sicuro che il modo acido in cui questa sera, eccezionalmente, li ho redarguiti, li renderà mansueti, mia cara Laureen.»
Abraxas puntò la bacchetta sui lampioni del cortile, che si spensero all’istante. I moscerini e i piccoli insetti di campagna che ronzavano attorno agli stoppini di candela si trovarono senza un luogo sicuro in cui pernottare, e brusirono fievolmente, volando via nel cielo.
La quiete era statica e pigra, quasi innaturale. Un urlo sconvolto e atterrito la frantumò nel momento più inaspettato. L’inconfondibile voce, stridula e lacerante, apparteneva a Megan.
Abraxas si portò le mani ai capelli e, dimenticandosi totalmente di Laureen, che aveva sbarrato gli occhi in un moto di meraviglia, varcò la soglia, catapultandosi verso le scale.
Sul letto a baldacchino, nella camera da letto, decorato con fronzoli di stoffa che oscillavano sotto l’effetto della leggera brezza notturna, Megan se ne stava rincantucciata, le ginocchia strette nell’abbraccio delle mani, insieme al piccolo Lucius. Gli occhi corvini sfavillavano terrorizzati e il volto era sbiancato e slavato. Abraxas si avvicinò alla moglie con serietà compassata e la scrutò esitante. Di rimando Megan batté i denti, e dai suoi gesti convulsi trasparì una malcelata paura.
«Oh, Abraxas. – disse poi, tremando come una canna al vento, con quel suono tono cupo e melodrammatico. – Sapessi quello che ho visto…»
«Ti ho sentito urlare» spiegò il marito, rasserenandosi nel vedere Lucius che, seppur con una smorfia spaventata, si stava riaddormentando.
«E’ venuto da lì. In quell’attimo giocavo con il piccolo, che non la smetteva di ridere, quando ho visto spuntare una sagoma misteriosa. L’armadio si è aperto cigolando. Era una specie di uomo nero. Un fantasma, forse, con il corpo scuro. Aveva in mano una sciabola insanguinata e avanzava lentamente verso di me. All’improvviso, qualunque cosa fosse, è sparita in uno sbuffo di fumo inconsistente. Stavo per riappisolarmi, sicura di aver fatto un sogno, quando me lo sono vista spuntare vicina al letto. Aveva una risata demoniaca che proveniva da una bocca invisibile, due occhi straordinariamente appuntiti, come quelli degli orientali, e un naso affusolato. Avevo paura che prendesse il bambino. Abraxas, ti prego, portami via da questa villa.»
Il marito scosse la testa contrariato, guardandosi intorno rapidamente, come per cercare una via di fuga, e traendo repentini respiri. Megan era ancora angustiata, e piangeva.
Dinnanzi alla porta comparvero d’improvviso il maggiordomo Green, stranamente in uniforme, Hilda e il suo paziente, Adolar. Sembravano curiosi e avidi di sapere. Megan cinse con le braccia il suo cuscino. Nel vedere i nuovi arrivati, Abraxas corrugò la fronte e scosse la testa con insofferenza.
«Come le è saltato in mente, signorina O’Connor, di portare qui mio padre? - sbottò iracondo, mentre il degente si lamentava. – Non è successo niente, via, via, filate a letto. – Si rivolse a Megan – Cara, porta pure il bimbo nella nostra stanza, dormirà con noi questa notte.»
Hilda entrò nella camera e disse senza scomporsi: «Suo padre ha insistito, signor Malfoy. Non potevo rifiutare. Ha blaterato che se non fossimo venuti a vedere quello che era successo alla signora si sarebbe vendicato con tutti noi.»
«Beh, non c’è nessuno spettacolo interessante. - replicò Abraxas serioso. Lanciò uno sguardo a Green ed esclamò: - E tu, invece? Non sei tenuto a lavorare di notte. Perché diamine indossi la livrea?»
«Io… - mormorò Green. - Signore, non riuscivo a prendere sonno.»
«A quanto pare nessuno dormiva, questa notte.» commentò Megan, con un’ironia del tutto fuori luogo.
Calò il silenzio.
«Mi ricorda una storia che ho sentito anni fa su Malfoy Manor. - disse improvvisamente Hilda, guardando le mura con timore. – Si dice che una volta appartenesse ad un certo Svenson, un monaco eremita, che, essendo indemoniato, compiva le sue pratiche proprio qui, in questa villa. Il sangue degli uccisi macchiava le mura, e le anime continuavano a vagare dentro gli armadi, senza tregua. Alcuni spiriti si impossessavano degli abitanti della casa. C’era lo zampino di Lucifero e…»
S’interruppe bruscamente quando Abraxas, impallidito, fu colto da crampi ed altri preamboli di un attacco epilettico.
«Lei e le sue storie! - gridò Megan, che aveva ripreso a piangere, svegliando Lucius. – Fandonie, solo fandonie! In questa villa è sempre regnata la serenità, signorina. L’indemoniata sarà lei..»
Si alzò per riscuotere il marito, che sembrava caduto in trance. Hilda prese a mangiarsi le unghie. Aveva provato un impulso intrattenibile nel narrare la storia di Svenson. Sentiva il bisogno di liberarsi da quel peso di terrore che le oberava da anni le spalle.
Abraxas, continuando a tremare, impartì autoritariamente le sue disposizioni, e tutti filarono a letto senza cianciare.
Prima di uscire dalla stanza, il padrone di casa aprì l’armadio da cui era venuto fuori lo spettro, ma non vi rinvenne alcuna traccia di mistero. Quindi, presa per mano la moglie, la condusse oltre l’anticamera, nella stanza da letto. Il piccolo Lucius in braccio al padre, con il suo orsacchiotto di pezza, si quietò, e immediatamente crollò nella dimensione onirica, il faccino rotondo e paffuto velato da un’espressione allarmata. Abraxas e Megan chiusero a chiave la porta. Infine, con un po’ di riluttanza, si addormentarono.


Laureen Mallory, che, vista la sua straordinaria lentezza, giunse nella camera di Lucius con leggero ritardo, trovò la porta sbarrata. Provò a bussare, ma nessuno le rispose. Un po’ impensierita, tornò sui suoi passi, varcando la soglia della piccola anticamera, che dava sul salotto del primo piano. Non aveva idea di cosa potesse essere successo. Qualcosa nell’aria la intimoriva. Era come se le mura urlassero, e spiriti raminghi, senza pace, si aggirassero lungo gli anditi. La luce dei doppieri, le cui candele, fino a qualche minuto prima, illuminavano fievolmente i corridoi in pietra, simili a quelli di vecchi monasteri, era ormai stata inghiottita dal buio. La donna era costretta a proseguire con la bacchetta sfoderata e ravvivata da un incantesimo Lumos, che proiettava grottesche ombre, come di mostri dal collo lungo, sulle pareti. Stava tremando quando raggiunse il salotto, rendendosi conto del fatto che, a pochi metri sulla sua testa, nella stanza delle armi al secondo piano, era stato trovato il cadavere di Lysiart, col ventre squarciato. Sentì un rumore secco, che rimbombò minacciosamente, rimbalzando sui muri scabri. Qualcuno era davanti a lei, o forse dietro. Laureen puntò la bacchetta alle sue spalle, riesumando la tenacia giovanile. Strinse i pugni e i denti, pronta a imbattersi in un mostro. E invece alle sue spalle apparve Zephyrus, il bibliotecario, con le sopracciglia rialzate e la perenne espressione pavida sul viso da topo.
«Mi ha spaventato! - farfugliò Laureen. – Che ci fa qui?»
«Quello che fa anche lei, signorina Mallory.»
La donna chinò la testa. «Saggia risposta.»
«Ha saputo quello che ha passato la signora Megan stasera? Le… le è sembrato di scorgere uno spettro che usciva dall’armadio.»
«Uno spettro? - ripeté Laureen con una punta di incredulità. – Lo dico io, che quella povera donna mangia troppo, ai rinfreschi. Ha avuto le traveggole, signor MacNiemand, glielo dico io.»
Il bibliotecario si strinse nelle spalle, sollevando il muso. «Forse! Però la faccenda mi inquieta e francamente di questa casa ne ho abbastanza. E’ troppo strana… »
«Ha paura della morte? - chiese Laureen scettica, mentre giungevano nella scala di servizio. – Io mi sono abituata all’idea dell’oltretomba. Tanto moriremo tutti, prima o poi…»
«Una bella filosofia di vita, non c’è che dire!» rispose Zephyrus, ridendo.
«Lei, detto tra noi, sarebbe capace di commettere un omicidio, signor MacNiemand?»
L’uomo sbarrò gli occhi. «Io…»
«Ah, lo sapevo! – esclamò sapientemente Laureen. – Non ha tanto fegato, o forse ha paura del rimorso. Sì, la penso come lei.»
Erano giunti in prossimità della scala, e le loro strade si dividevano.
«Mi chiami pure Zephyrus, signorina Laureen. Potremmo… beh, darci del tu, giusto?»
«Ma certo, certo, caro Zephyrus. Dopotutto sono anni che viviamo sotto lo stesso tetto. Ora me ne vado a dormire, sperando che non succeda nient’altro, questa notte, e che gli spiriti della vecchia villa non ci perseguitino» aggiunse enfaticamente, gli occhi dilatati come quelli di un’indovina.
«B-buona notte, Laureen. A domani.»
«A domani, Zephyrus.»
Il bibliotecario si sentì avvampare mentre saliva le scale, per raggiungere la sua camera immersa nel buio della notte.


Rosamund Jameson ritornò a Malfoy Manor per altri accertamenti il mattino successivo. L’aria era fresca e frizzante ed il cielo, totalmente sgombro di nembi, appariva terso e promettente. L’aura di misteriosità che aveva avvolto la villa non era ancora del tutto svanita, eppure le mura di pietra, alla luce del giorno, sembravano meno bieche.
Il grande cancello nero dell’enorme casa di campagna venne aperto, e i cardini crepitarono, assetati d’olio. L’Auror, stavolta, veniva in compagnia di Patrick, il suo assistente, e continuava a guardarsi intorno con aria stravolta, come se quell’estranea casa deforme, in fondo in fondo, la terrorizzasse. Patrick era un giovane aitante e sagace quanto la sua compagna di lavoro.
Il maggiordomo Green venne loro incontro e li accolse bonariamente. Rosamund espose il suo desiderio di vedere il padrone di casa e discutere con lui.
Abraxas scese le scale ancora insonnolito. Era riuscito a prendere definitivamente sonno in tarda mattinata, e sentiva le palpebre pesanti e la testa lì lì per ciondolare. I capelli biondi e ben curati ondeggiavano lievemente e gli occhi grigi, profondi come baratri, luccicavano alteri.
«Vai pure, Green – disse, non appena raggiunse l’Auror e il suo vice. Quindi si voltò verso Rosamund: - Signorina Jameson, posso fare qualcosa per lei anche stamattina?»
Rosamund sembrava incerta sul da farsi, il che diede Abraxas la sensazione che fosse più stralunata del solito.
«Sì, sì. – rispose lei strizzando gli occhi. – Dunque… Il mio assistente, Patrick, vorrebbe dare un’occhiata in giro. Ed io vorrei scambiare due chiacchiere con lei, se non le dispiace.»
Abraxas strinse la mano a Patrick, che sorrise compiaciuto, quindi annuì in direzione dell’Auror, con la quale si recò all’ombra del gazebo.
Sedettero comodamente su una panca, l’uno dinnanzi all’altra. Rosamund era munita di block notes e Penna Prendiappunti.
«Le interesserà sapere, - esordì Abraxas – che questa notte mia moglie è stata aggredita da uno spettro»
«Uno spettro?» ripeté Rosamund, smorzando un sorriso.
«Non mi crede?»
«Certo che sì – replicò l'Auror. – Perché non dovrei?»
«Comunque se ne stava a letto con Lucius, quando ha visto sbucare un essere misterioso dall’armadio.»
La Penna cominciò a stendere fiumi di parole sul taccuino. Rosamund disse tra sé: “Che famiglia di matti! Non mi stupirei se la buona Megan avesse avuto le allucinazioni!”.
«Vedrò di capire se ha a che fare con l’omicidio, signor Malfoy – esclamò poi, rivolta al padrone di casa, ma ostentò una certa diffidenza. – Non sono qui per questo motivo, comunque. Volevo chiederle, innanzitutto, che rapporti aveva con suo fratello.»
«Lysiart era un povero frustrato, ma gli volevo bene. – rispose Abraxas. – I rapporti con sua moglie si erano guastati già da tempo e…»
«La moglie dell’ucciso? – ripeté Rosamund. – A proposito… mi chiedevo perché nessuno ami parlare di questa donna, signor Malfoy»
«Veramente, - disse Abraxas, - preferiamo dimenticare la brutta faccenda che l’ha coinvolta. Si è suicidata per ragioni di cui siamo all’oscuro.»
«Lysiart e la signora Rachele andavano d’accordo?»
«Lei si sentiva incompresa, ma d’altronde lui, con quella sua aria buona e pura, suppongo che non le avrebbe torto capello. Insomma, era fedelissimo, sincero, ma forse un po’ sciocco.»
«E, se non sbaglio, Rachele Malfoy aspettava un bimbo.»
«Sì, il piccolo Helmut. Non faceva che parlare di lui, la moglie di Lysiart. Del fatto che sarebbe stato infelice, una volta venuto al mondo.»
«Pensa sinceramente che Rachele si sia suicidata?»
«Non lo so. Potrebbe averlo fatto benissimo, gettandosi dal balcone. Ma potrebbe anche essere stata spinta.»
«Qualcuno aveva interesse ad eliminare la famiglia di Lysiart? »
«Può darsi, ma non ne capirei il motivo.» disse Abraxas.
Dopo un mugugno di assenso, Rosamund continuò: «Tornando a lei… provava stima per suo fratello?»
«Decisamente no. Mi dispiace dirlo, ma era un soggetto troppo strano, a cui mai mi sono realmente abituato.»
«C’è qualcuno che trae benefici dalla morte di Lysiart Malfoy? Voglio dire… aveva scritto un testamento?»
«Lysiart? Assolutamente no. E chi si aspettava che sarebbe morto tanto presto? Non aveva figli né moglie. A me non avrebbe lasciato uno spicciolo, anche sapendo che sarebbe morto subito. I suoi beni andranno, suppongo, al piccolo Lucius. Ma non penso che mio figlio si sia alzato dalla culla per uccidere lo zio.»
Rosamund rise, figurandosi la scena. «Ne dubito anche io. Un’altra domanda… Suo padre, Adolar Malfoy, ha siglato il proprio testamento, o sbaglio?»
«Naturale che lo ha fatto! E’ ultrasettantenne, sa che, purtroppo, la sua vita non durerà ancora a lungo. In ogni caso non capisco che c’entri.»
«Ci ragionerò io, una volta che lo vedrò. Perché posso vedere questo testamento, giusto?»
«Mio padre desidera che la busta non venga aperta prima della sua morte. Lo disse quando ancora era lucido.»
«Le circostanze mi obbligano a leggere il testamento, signor Malfoy, lei lo capirà. Tuttavia, se suo padre non vuole che ne venga divulgato il contenuto, le assicuro che farò di tutto per esaudire il suo desiderio.»
«Beh, ma io non so dove lo ha nascosto. Il ripostiglio segreto del testamento lo conosce solo Hilda O’Connor, l’infermiera, di cui mio padre si fidava e si fida tuttora ciecamente.»
«Hilda? Sì, le ho parlato ieri, ai funerali. - disse Rosamund. - Ma farò volentieri un’altra chiacchierata con lei.»
«Bene, non le resta che accomodarsi nel cortile. Gliela chiamo subito.»
«Gentilissimo, signor Malfoy» sorrise l’Auror con leggera falsità.
Abraxas la condusse nel cavedio, dove si accomodò pigramente. Hilda O’Connor la raggiunse dopo qualche minuto, una volta che il docile paziente passò sotto la vigilanza di Megan Malfoy.
«Lieta di rivederla.» disse Rosamund, ma pensò crucciata che la nuova arrivata non sembrava neanche una vera infermiera.
Hilda continuò a torturarsi la treccia, inquieta, ma non rispose.
«Mi chiedevo se il signor Malfoy, Adolar, le avesse mai detto dove tiene il suo testamento.»
«Certo che sì. – ribatté l’infermiera. – Ma non sono tenuta a…»
«Conosco la fiducia che il signor Malfoy ripone in lei, ma… non ne parli in casa, signorina: il testamento, forse, potrebbe nascondere la chiave dell’enigma.»
Hilda sorrise, scuotendo la testa scetticamente. «Ne dubito, signorina Jameson. L’assassino di Lysiart non avrebbe potuto vedere il testamento, e quindi agire di conseguenza. E’ nascosto in un luogo che soltanto io e il vecchio Malfoy conosciamo.»
«Non importa. Voglio comunque vederlo.»
L’infermiera perse la pazienza. «Non intendo mostrarle il testamento, è chiaro? Le assicuro che non c’è scritto nulla che possa portare alla soluzione del mistero.»
Rosamund trasse il distintivo e la bacchetta. «Glielo dico ufficialmente, signorina O’Connor. Se non vuole mostrarmi il lascito, verrà condotta direttamente alla centrale di Londra, dove sarà costretta a farlo in maniera ben più violenta.»
Se gli occhi di Hilda fossero stati armi da fuoco, l’Auror si sarebbe trasformata in un mucchietto di cenere. L’infermiera si alzò astiosa e proseguì velocemente verso il porticato, all’interno del cavedio. Puntò la bacchetta sul muro ed esclamò: «Recessum Revelo.»
La parete si aprì, rivelando uno scompartimento segreto ed un foglio di papiro.


Ecco un altro capitolo!
Un grazie particolare a:
Thiliol: è ovvio che non possiamo dirti nulla (altrimenti che giallisti saremmo), limitandoci a ringraziarti della recensione.

Moony Potter: grazie mille per i complimenti! Leggere le tue deduzioni ci fa molto piacere (è sempre bello capire cosa stia ipotizzando il lettore), ovviamente non possiamo dirti nulla in proposito, attendendo con ansia un tuo commento a questo capitolo.

Brilu: Siamo felici che ti sia piaciuto il modo in cui abbiamo caratterizzato il piccolo Lucius! E siamo altresì lieti che i 2 capitoli precedenti ti siano piciuti! Sappici dire cosa pensi di questo.

Honey Evans: Grazie mille per i complimenti! E non ti preoccupare, il tempo il più delle volte è tiranno.

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Capitolo 7
*** Capitolo VII ***


Capitolo VII

«Signora, quello che è scritto sulla Gazzetta stamattina è così terribile. Tutte quelle foto di quella casa maledetta, dove la piccola Rachele si è tolta la vita. Ed ora anche il marito di quella cara ragazza…»
«Andiamo, Margot, non puoi dispiacerti per lui.» ribatté Juliet Hayward, voltandosi verso la governante, una donna anziana, dal volto rugoso, con i capelli bianchi raccolti in una chignon morbido.
«Ma, signora, - disse l'altra, mentre si affaccendava per il salotto buono di Hayward House, l'unica sala della magione a non mostrare i segni dell'impoverimento della famiglia - non ha senso quello che dice. È stato ucciso un uomo e in maniera così orribile. L'articolista dice il suo corpo è stato fatto in mille pezzi. - l'anziana donna fece una pausa, prendendo fiato, mentre spostava con un tocco di bacchetta un centrotavola ricamato all'uncinetto, in modo tale che fosse perfettamente in mezzo al ripiano del piccolo scrittoio, situato in un angolo della stanza - Come può dire che non posso dispiacermi per lui?»
«In tutta sincerità, Margot, io credo che Lysiart Malfoy abbia avuto unicamente quello che si meritava per ciò che ha fatto a Rachele.» sentenziò acida Juliet.
«Signora, non parlate per enigmi. Sono vecchia, lo sapete, e non più sveglia come un tempo. Una volta vi avrei capito al volo. - una breve pausa - È stata la morte della piccola Rachele a togliermi la prontezza di spirito. - la governante scosse leggermente il capo, mentre proseguiva con il suo forte accento scozzese - Ma sto divagando. Ho avuto modo di parlare soltanto due volte con il defunto signor Malfoy e l'ho trovato una persona veramente squisita, non come quel suo fratello minore, che fa rabbrividire unicamente a guardarlo.»
«Mio genero non era per niente come lo descrivi tu. La sofferenza di Rachele era enorme e so per certo che la colpa era unicamente da imputare a Lysiart. - la padrona di casa si alzò piano dalla poltrona, in stile biedermeier, su cui era seduta, appoggiandosi al bastone - Ho sempre avuto il sospetto che mia figlia non si sia affatto suicidata.»
«Cosa dice, signora? - esclamò la vecchia Margot, facendo quasi cadere il vaso che teneva in mano in quel momento - La piccola Rachele era tanto tormentata. La sentiva anche lei quando parlava del bambino mai nato. Stava già pensando a togliersi la vita, se vuole sapere la mia opinione. Dire che un bimbo sarebbe sicuramente stato infelice non appena avesse visto la luce…soltanto qualcuno che è stanco della vita afferma cose del genere.»
«La tua opinione non è per niente sensata - affermò con forza Juliet, alzando il bastone, come fosse un prolungamento della sua mano protesa, agitandolo - Lysiart Malfoy ha ucciso mia figlia. Ne sono convinta. L'ha distrutta prima nello spirito, poi le ha dato il colpo finale gettandola dall'ultimo piano di quella casa.»
«Per l'amor del cielo, signora, non lo dica nemmeno per scherzo. - rispose Margot, posando il vaso su di un tavolino, mentre scuoteva leggermente il capo - La piccola Rachele era tormentata nello spirito, lo è stata fin da piccola. Non si ricorda quando la guardava con quei suoi grandi occhioni e diceva quelle frasi così poco da bambina?»
«Tu vivi nei ricordi, Margot, e vedi unicamente quelli, ma ti posso assicurare che mia figlia è stata distrutta dalla vita che conduceva a Malfoy Manor. - Juliet agitò nuovamente il bastone, prima di posarlo con un rumore secco sul pavimento di marmo - E lì ha trovato la morte.» concluse cupa.
La vecchia governante annuì soltanto, voltandosi poco dopo, per nascondere una smorfia di disapprovazione. Le parole della padrona le sembravano insensate, aveva anche provato a farglielo notare, ma sapeva che insistere con quella donna era pressoché inutile, soprattutto se si metteva in testa una cosa. Era portata a chiedersi se la donna avesse mai osservato realmente la figlia negli anni precedenti il suo matrimonio. Eppure in parte le parole di Juliet si erano incuneate nel suo animo, tanto che, diverso tempo dopo, quando era ormai in un'altra stanza della casa, si chiese se forse avrebbe dovuto darle retta. In fin dei conti lei aveva perso i contatti con Rachele dopo le nozze, con quella che nei suoi ricordi sarebbe sempre stata quella bimbetta troppo matura che la guardava con i suoi grandi occhi neri.


Rosamund prese in mano, con estrema delicatezza, il foglio di papiro, sigillato con della ceralacca rossa su cui era impresso lo stemma dei Malfoy. Si voltò verso l'infermiera che stava in piedi al suo fianco, tesa e nervosa, gli occhi ancora colmi dei sentimenti di alcuni istanti prima. L'Auror iniziò a camminare, dirigendosi verso la portafinestra che portava all'interno della sala da pranzo della magione. Hilda la seguiva da vicino, scuotendo più volte il capo.
«Quindi, signorina O'Connor - disse Rosamund, rallentando il passo, in modo tale che l'altra donna le si potesse affiancare - soltanto lei conosceva l'ubicazione del testamento?»
«Gliel'ho già detto. Il signor Malfoy aveva la più assoluta fiducia in me. - fece una pausa, mentre si sfregava le mani nella veste, come per calmarsi ed evitare di rivoltarsi come poco prima contro un'ufficiale mandata da Londra - Sono stata io stessa a riporre il papiro in questo nascondiglio.»
«Perché lei, signorina?» domandò l'Auror, fissando gli occhi sulla figura al suo fianco.
«Il signor Malfoy era già relegato sulla sedia a rotelle, signorina. Sono stata assunta per accudirlo, quando non poté più muoversi.» spiegò Hilda parlando rapidamente.
«Come è successo che Adolar Malfoy perdesse l'uso delle gambe, tranne in alcuni casi, come mi ha spiegato lei, signorina?»
«Nessuno lo sa di preciso. - rispose l'infermiera, mentre sfregava con forza le mani tra di loro - È stato qualcosa di improvviso. Forse era già ammalato da tempo e non l'aveva detto a nessuno.»
L'altra donna non commentò alle ultime affermazioni di Hilda, limitandosi ad aprire la portafinestra e ad entrare nell'ampia sala da pranzo, abbellita da un lampadario in cristallo di Boemia, che incombeva sul tavolo dalle decorazioni in madreperla. Rosamund si diresse verso una delle grandi finestre che si aprivano sul lato settentrionale della stanza, sedendosi su uno dei divanetti che percorrevano le pareti. Fece per frugare in una tasca del mantello, quando la porta che immetteva nel vasto ambiente, dalla biblioteca, si aprì, mostrando la figura di Abraxas.
«Signor Malfoy, lo dica anche lei alla signorina Jameson, di non violare la volontà di suo padre.» esclamò Hilda, fissando l'uomo, come se fosse la sua unica ancora di salvezza.
«Per quanto possa pensarla come lei, signorina O'Connor, dobbiamo permettere alla signorina Jameson di compiere il suo lavoro. D'altro canto sono sicuro che non troverà nulla di strano all'interno del testamento.»
«Lei, signor Malfoy - si intromise Rosamund - mi ha già detto di non sapere dove si trovasse il testamento di suo padre. Non ha mai avuto idea di cosa vi fosse scritto?»
«Nessuna. Non ha mai fatto cenno a cosa vi sia scritto. So soltanto che l'ha stillato, che deve per forza di cose aver chiamato dei testimoni, ma non so altro.»
L'Auror annuì, mentre estraeva dalla tasca del mantello la propria bacchetta, con la quale lanciò un incantesimo contro la ceralacca che si staccò senza alcuna difficoltà. Scorse rapidamente ciò che era riportato dal documento, corrugando più volte la fronte. Quando ebbe finito alzò il capo verso gli altri due, scrutandoli entrambi, per qualche istante.
«Signorina O'Connor, può andare.» annunciò Rosamund.
«E il testamento? Non lo ripone al suo posto?» chiese l'infermiera, che con una mano aveva iniziato a tormentarsi la treccia.
«Lo devo esaminare con attenzione, signorina. - disse l'Auror, fissando per qualche istante l'infermiera - Quando l'avrò fatto lo riporrò dove il suo paziente voleva rimanesse fino alla sua morte.»
L'infermiera strattonò con forza la treccia, trattenendo una smorfia di dolore, subito dopo, poi, senza dire una sola parola, se ne andò, passando per la portafinestra.
Abraxas, durante il breve scambio di opinione tra le due donne, era avanzato di qualche passo, lo sguardo fisso sull'Auror, come se volesse giudicarla. Per alcuni istanti il silenzio calò sull'ampia sala, rendendola forse ancora più vasta, occupata com'era da solo due persone, che, per quanto non distanti, apparivano lontanissime.
«Signor Malfoy, credo che mi potrebbe chiarire alcune questioni a proposito del testamento di suo padre. - fece una breve pausa - All'interno dello scritto, perfettamente in regola, viene nominato un terzo erede, oltre a lei e al suo defunto fratello.»
L'uomo non rispose, avvicinandosi soltanto di qualche altro passo, un sopracciglio era volato verso l'alto, mentre fissava, imperscrutabile, la donna.
«Suo padre - riprese Rosamund - fa riferimento ad un terzo figlio o figlia, il sesso non è chiaro, nato al di fuori dal matrimonio, a cui lascia un terzo del patrimonio. Non dice molto, se non l'iniziale del nome, una L…più precisamente è scritto: "Un terzo di quanto posseggo deve essere destinato a L., frutto del mio amore per C. L. Le carte in cui riconosco la sua legittimità sono depositate presso l'ufficio anagrafe del Ministero della Magia e potranno essere aperte soltanto dopo la mia morte, nel malaugurato caso in cui qualcuno apra questo testamento prima del termine da me previsto. Ho apposto tutte le protezioni perché così avvenga."»
«Non ho mai sentito mio padre parlare di un terzo figlio.» sentenziò secco Abraxas, mentre infilava entrambe le mani in tasca, quasi volesse celarle alla donna.
Rosamund annuì leggermente, mentre i suoi occhi tornavano a posarsi sul testamento. Ogni cosa era come chiunque poteva aspettarsi. Il patrimonio, eccettuato la magione di famiglia, era da dividersi tra i figli, tra Lysiart, Abraxas e quel misterioso o misteriosa L., e dopo la morte del primogenito, andava soltanto ai due rimanenti. Il problema era capire per che cosa potesse stare quella L. Per il cognome forse? Per L cominciava il cognome della madre del figlio illegittimo. Od era invece il nome del terzo erede? La donna scosse appena il capo, alzando lo sguardo verso l'uomo, che pareva come immobilizzato. Nulla era cambiato nella sua postura, se non forse lo sguardo che pareva fissare un punto più lontano nella stanza.
«Nemmeno di qualcuno le cui iniziali fossero C. L.?» domandò la donna, fissando come in tralice Abraxas.
«Assolutamente, signorina. Mio padre non ha mai fatto riferimento alla sua amante.» rispose l'uomo, senza cambiare la sua espressione.
«Sta bene, signor Malfoy. - disse la donna, mentre ripiegava con cura il testamento di Adolar - Porterò il documento con me. Lo ribadisca all'infermiera di suo padre.»
«Lo farò quanto prima, signorina Jameson. - una breve pausa - Ma lei crede veramente che la morte di Lysiart possa aver qualcosa a che fare con il testamento di mio padre?»
«Non saprei, signor Malfoy, ma lei può ben immaginare che non posso lasciare intentata nessuna strada.» disse la donna, alzandosi lentamente in piedi.
Proprio in quel momento la porta si aprì rivelando la figura giovanile di Patrick, seguito da Green, che pareva averlo accompagnato fino a quella stanza.
«Mi farò viva quanto prima, signor Malfoy.» mormorò la donna, mentre, con un movimento elegante, si avviava verso l'uscita.
Il rumore dei suoi tacchi sul pavimento di pietra, riecheggiò a lungo nella sala, anche quando se ne fu andata, lasciando Abraxas da solo, all'interno del vasto locale. Soltanto dopo diversi istanti l'uomo si mosse, scrutando le rovine che spiccavano fuori dalle ampie finestre, quasi un monito alla caducità della vita, con soltanto quei tronconi di mura e le arcate che un tempo dovevano contenere delle vetrate dai mille colori. Si diresse a passo piuttosto svelto verso il salotto d'anticamera, per poi uscire anche da quel locale, per poter così ritrovarsi nell'ingresso. Lanciò un'occhiata al portone incombente, maestoso ed enorme, della magione per poi salire le scale che portavano al primo piano. Stava già per svoltare, in modo tale da imboccare la rampa che permetteva di raggiungere l'ultimo piano della casa, quando la voce della moglie lo bloccò.
«Stavo per venire a cercarti in sala da pranzo. Hilda mi ha detto che eri in quella stanza con Rosamund.»
«Per quale ragione, Megan?» domandò l'uomo, tornando indietro di qualche passo, in modo da trovarsi nel corridoio, di fronte alla sposa.
«Continuo a ripensare a quello che è successo ieri sera, Abraxas…quello spettro… - fece una pausa, mentre traeva un pesante sospiro - …non potrei più dormire nella camera di Lucius.»
«Eppure sai anche tu che nostro figlio non può essere lasciato solo.» ribatté pensoso l'uomo.
«Potremmo tenerlo in camera con noi....»
«No, lo sai cosa abbiamo deciso quando è nato. E lui si è abituato a dormire da solo, nel suo lettino. Con la tua presenza accanto, è vero, ma non nello stesso letto con uno di noi. L'hai visto anche ieri sera. Era agitato e non credo fosse solo per quello che tu dici di aver visto. Dormiva, ma non in maniera serena, non come quando è da solo.- Abraxas si interruppe per qualche istante - Forse è meglio se dormo io con lui d'ora in poi, se a te spaventa così tanto quella stanza.»
«E lasciarmi sola? - gemette quasi la donna, mentre gli occhietti neri parevano come dilatarsi - E se quello spettro dovesse venire a tormentarmi, ad assalirmi? Potrebbe essere…aver preso di mira me sola.» «Non posso di certo lasciare solo Lucius, non con un assassino in giro per la casa.»
«Assumi una bambinaia allora. - biascicò quasi Megan - Io non ho più latte ormai, già adesso lo nutro con latte di capra…fargli fare il pasto notturno non credo sia un problema, anche per una che non sia sua madre.»
«E chi credi possa accettare di venire a fare la bambinaia in una casa di cui tutti i giornali, dalla Gazzetta del Profeta all'ultimo quotidiano di provincia, hanno parlato in relazione ad un delitto?» chiese Abraxas, scuotendo leggermente il capo, mentre gli occhi si fissavano, perplessi e ironici, sulla moglie.
«È necessario che tu lo faccia…l'hai detto anche tu, Lucius non può essere lasciato da solo…metti un annuncio sul giornale.»
«E sia, Megan, ma non illuderti che qualcuno risponda.»


La giovane donna salì lentamente i gradini di pietra che la separavano dal portone di Malfoy Manor. Teneva una busta ben stretta nella mano destra, mentre con l'altra si lisciava appena il mantello da strega piuttosto liso e malandato. Trasse un sospiro, a disagio, mentre i due battenti si aprivano da sé, permettendole di fare il suo ingresso nella magione. Non appena si ritrovò nel grande atrio, sovrastato dalle scale che portavano ai piani superiori, si sentì a disagio, con le sue scarpe dai tacchi bassi, con i suoi vestiti ordinari, come il suo aspetto. Anche il suo volto, leggermente paffuto, le sembrava assolutamente fuori luogo. Ogni minimo particolare pareva incombere su di lei, dal grande lampadario in vetro di Murano, alle due porte che si aprivano ai lati dell'ingresso, al portone alle sue spalle, alla scalinata. La pietra scura che caratterizzava l'interno e l'esterno dell'abitazione la fece rabbrividire per diversi istanti, mentre ricordava quello che aveva letto sulla Gazzetta del Profeta riguardo agli ultimi tragici avvenimenti che avevano coinvolto i Malfoy. Se fosse stata dotata di buon senso, non si sarebbe trovata in quel luogo, si disse, ma le sembrava di aver ormai perso quel poco di ragionevolezza che aveva da fin troppo tempo.
«Desidera qualcosa?»
Una voce affabile la sorprese, facendola sobbalzare spaventata. Si voltò verso un uomo in livrea, una livrea così perfetta da farla sentire ancora più piccola e insignificante.
«Io… - iniziò, interrompendosi subito schiarendosi appena la voce - …devo vedere il signor Malfoy. Mi ha spedito una lettera pregandomi di venire oggi… - si bloccò nuovamente, umettandosi appena le labbra aride e secche - per parlare con lui…riguardo il posto di bambinaia.»
Green scrutò attentamente la nuova venuta, con quei suoi capelli castani che non arrivavano oltre spalle, gli occhi incerti ed il suo aspetto così ordinario. Scosse con sufficienza il capo, prima di dire:
«Mi segua, signorina. Il signore mi ha fatto cenno ad una sua venuta.»
Senza aggiungere altro la guidò verso la scalinata, salendola lentamente. La giovane lo seguì docile, mentre le sue mani tremavano lentamente. Non si rese nemmeno conto di dove si stessero dirigendo, se non quando l'uomo in livrea le indicò una porta che si apriva su un corridoio. Trasse un sospiro per calmarsi, prima di bussare sul legno dell'uscio, gli occhi del suo accompagnatore fissi su di lei, in un modo che la faceva sentire ancora più insicura di quanto già non fosse. Una voce, al di là della porta, la invitò ad andare. La giovane lanciò un'occhiata al maggiordomo, poi abbassò la maniglia, entrando in un piccolo locale, dotato di un'unica finestra, dalle pareti decorate con una carta da parati dai motivi floreali. Una scrivania occupava il centro della stanza, mentre una piccola scaffalatura stava su una delle pareti. Un uomo stava in piedi, con le spalle alle porta, di fronte all'unica finestra della stanza.
«La signorina Zurrey, giusto?» domandò Abraxas Malfoy, voltandosi verso la nuova venuta.
«Sì.» mormorò semplicemente quella.
«Si accomodi.» la invitò il padrone di casa, indicandole una sedia accanto alla scrivania, su cui la giovane sedette, in punta, mentre posava le mani in grembo, lo sguardo basso.
«L'arrivo della sua lettera mi ha sorpreso, signorina. E credo che possa ben immaginare da sola il motivo. - l'uomo fece una pausa, mentre scrutava attentamente la giovane. Si staccò dalla finestra, andando a sedersi a sua volta, il ripiano dello scrittoio stava in mezzo a loro. - Mi chiedo cosa possa averla spinta a venire a Malfoy Manor e spero per lei, signorina Zurrey, che non sia stata la curiosità.»
«Assolutamente no, signor Malfoy. Io… - la giovane si interruppe, alzando per la prima volta lo sguardo sul suo interlocutore, abbassandolo subito dopo. Si mordicchiò appena il labbro inferiore. Non poteva di certo rivelare al suo possibile datore di lavoro ciò che realmente l'aveva spinta a rispondere all'annuncio sul giornale. - …mi serve per pagarmi gli studi.»
«E per farlo è disposta a venire in un casa che alcuni articolisti definiscono portatrice di sventure?» domandò Abraxas, scrutando con sempre più attenzione la figura seduta di fronte a lui.
«Mi piace quello che sto studiando, signor Malfoy e…ecco…io…mi serviva un lavoro per poterlo fare. Essere una bambinaia mi potrebbe essere oltretutto utile.»
«Vuole forse fare l'insegnante in uno di quegli istituti per orfani, signorina?» domandò l'uomo, arcuando appena le sopracciglia.
«Studio medimagia pediatrica, signor Malfoy.» rispose la giovane, alzando il volto di scatto.
Il silenzio cadde per alcuni istante sullo studiolo. Abraxas continuava ad osservare la sia interlocutrice. Gli parve tremendamente giovane. Doveva avere passato da poco i vent'anni. Il volto dell'uomo si contrasse per un attimo. Come poteva qualcuno che era poco più di una ragazzina, voler lavorare in una casa dove era da poco stato rimosso un cadavere sanguinante? Scosse appena il capo, cercando di concentrarsi su altri aspetti. In fondo la motivazione che la giovane gli aveva dato era sensata e plausibile ed effettivamente uno dei consigli che venivano impartiti agli studenti di medimagia pediatrica era di entrare il più possibile in contatto con i bambini. Lui stesso aveva pronunciato quelle parole durante un seminario che aveva tenuto l'anno precedente, pochi mesi prima della morte di Rachele.
«Ha per caso seguito il mese di studi dell'anno scorso?» domandò piatto.
«S-sì, signor Malfoy.»
L'uomo annuì appena. Non aveva notato la giovane Zurrey in mezzo alla miriade di giovani maghi e streghe che seguivano il mese seminariale di medimagia pediatrica, che quell'anno era stato affidato a lui.
«Immagino che lei si renda conto, signorina, che la sua giovane età e la sua inesperienza, di cui ha fatto cenno nella sua lettera, non giochino a suo favore, - l'uomo fece una pausa, mentre osservava gli occhi della giovane dilatarsi leggermente - ma la sua è stata l'unica domanda che mi è pervenuta. Il fatto che lei stia studiando quel campo della medimagia va tra l'altro a suo favore - una nuova breve interruzione - Se mi vuole seguire, signorina…immagino che voglia vedere il bambino.»
La giovane non disse una parola, limitandosi ad annuire, troppo impegnata com'era ad evitarsi di emettere un sospiro di sollievo. Si alzò in piedi lentamente, la busta, con la lettera di Abraxas, ancora in mano. L'uomo, dopo aver aggirato la scrivania, le si avvicinò, prendendo il plico dalle mani della donna, mettendoselo in tasca. Uscirono dalla stanza e, la Zurrey dietro al padrone di casa, si avviarono lungo il corridoio. La giovane non vide quasi le stanze in cui passarono, fino a quando non si fermarono in un'ampia camera, occupata da un grande letto matrimoniale, sul quale sedeva una donna dall'aspetto sghembo, con in braccio un bimbo che dormiva placidamente.
«Megan - disse l'uomo, richiamando l'attenzione della moglie - questa è la bambinaia di Lucius. Charlotte Zurrey.»
«È così giovane, Abraxas. - commentò la donna, scrutando, l'espressione leggermente malevola, la giovane - Sei sicuro che sia in grado di occuparsi di nostro figlio?»
«Non credo che tu possa avere molta scelta, Megan. - ribatté l'uomo, scoccando un'occhiata a Charlotte, che era rimasta in disparte, il capo nuovamente chino - E, a parte questo, la signorina Zurrey, mi è sembrata possedere le conoscenze adatte per occuparsi di un bambino. - una breve pausa, durante la quale si avvicinò alla moglie, per poi voltarsi verso la giovane - Mi segua, signorina, le mostrerò la camera del bambino.»


«Mi ha stupita ricevere la tua lettera, Ester. - affermò una giovane donna dai capelli ramati, seduta su una delle poltrone del salotto buono di Hayward House - Credevo che tu ti trovassi in Giappone.»
«Avresti dovuto immaginare, Cordelia, che sarei tornata da Kyoto. Non credo che tu non abbia letto cosa è accaduto a mio cognato.» affermò la padrona di casa, mentre afferrava una tazza di tè fumante per berne un lungo sorso.
«Credevo fossi venuta soltanto per il funerale e poi te ne fossi tornata in Giappone. Da quel che mi hai sempre detto, non nutrivi di certo un grande affetto per Lysiart Malfoy.»
«E non lo nutro nemmeno ora - ribatté la giovane, fissando quella che un tempo era stata una sua compagna di casa a Hogwarts - come non provo pietà per quello che gli è successo. - aggiunse poco dopo, scuotendo appena il capo - Sai perfettamente cosa pensavo di lui.»
«Sei ancora convinta che sia stato a causa sua che Rachele si è suicidata?» domandò Cordelia, fissando l'amica con occhi leggermente increduli.
«Sì, lo sono sempre stata. Quello che si è detto su di lei, che era depressa, che aveva forse anche dei problemi mentali, non mi ha mai convinta. Conoscevo mia sorella e so con certezza che, se fosse stata ancora a casa con noi, non si sarebbe mai tolta la vita. - Ester si interruppe per qualche istante, durante il quale ingollò un altro sorso della bevanda bollente - Lysiart Malfoy deve averle reso la vita matrimoniale un inferno.»
«Eppure al matrimonio Rachele sembrava così innamorata e felice.» commentò Cordelia, osservando attentamente la giovane Hayward, prendendo finalmente in mano la sua tazza di tè, soffiandovi sopra, prima di berne un sorso.
«Questo non vuol dire che anche suo marito l'amasse. - ribatté leggermente inalberata Ester - Se avesse tenuto a lei non credi che Rachele potrebbe non essersi suicidata?»
«Non so cosa pensare. - rispose l'altra, cercando di ignorare l'irritazione che l'amica sapeva far nascere in lei - Credo però che quando ti si rompe qualcosa dentro, nulla possa permetterti di impedirti di compiere un gesto estremo. Forse tua sorella si è tolta la vita perché si sentiva un peso per tutti, forse proprio perché credeva di rendere infelice Lysiart.»
«Per l'amor del cielo, Cordelia, in che mondo vivi? - sbottò Ester, impaziente - Alle volte mi chiedo se tu sei ancora la mia vecchia compagna di dormitorio. Un tempo non avresti mai ipotizzato nulla del genere.»
«Un tempo ero diversa, Ester, come lo eri tu. - rispose quietamente la giovane donna - Eri meno cinica e scettica quando andavamo a scuola…»
«Forse, ma tu eri di certo meno sdolcinata, altrimenti il cappello parlante non ti avrebbe mai smistato a Serpeverde.»
«Anche Lysiart Malfoy è stato smistato in quella casa, ma dalle poche volte in cui ho avuto a che fare con lui, mi è sembrato così distante dalla mentalità che ci viene affibbiata.»
«Tu credi veramente che una persona che porta la moglie ad una disperazione tale che questa si toglie la vita, sia così distante dalla mentalità serpeverde?»
«Non riesco a capire questa tua insistenza, Ester. - ribatté Cordelia - Sai perfettamente che mio padre condivideva con Lysiart la passione per le creature magiche. È stato qualche volta a casa mia e mi è parso una persona assolutamente squisita, educata e gentile. Ho avuto modo di vedere una volta anche Abraxas e devo ammettere che non l'avrei mai detto fratello di Lysiart.»
«Io credo che invece quei due fossero della stessa pasta. - affermò Ester, convinta - Uno è così freddo da far quasi paura, senza considerare le voci che circolano sul suo conto, l'altro era così falso da apparire gentile, riuscendo però a ridurre mia sorella alla disperazione. Rachele soffriva terribilmente con lui. Non avrebbe mai tolto la vita a se stessa e al bambino che portava in grembo se non vi fosse stata una causa forte e questa causa non può che essere Lysiart.»
«Rachele ti ha per caso parlato di qualcosa del genere?» domandò infine Cordelia, corrugando appena le sopracciglia.
«No, la conoscevi bene anche tu mia sorella. Si teneva tutto dentro e, come sai, poco dopo il suo matrimonio sono partita per andare a specializzarmi in Difesa contro le Arti Oscure al centro internazionale di Kyoto. Mi spediva delle lettere, ma non ha mai fatto cenno alla sua infelicità. Eppure doveva essere infelice.»
«Ma non è detto che questa sua infelicità fosse per forza di cose dovuta a Lysiart.» provò di nuovo a dire Cordelia.
«E a chi altri? Rachele non aveva alcun problema fino a che non si è innamorata di quel Malfoy che l'ha distrutta.»
«Tua sorella è sempre stata più fragile di te, più dolce e più insicura…»
«…e su questo ha fatto leva Lysiart per distruggerla.» sentenziò Ester, lasciando Cordelia priva di una qualsiasi risposta.


Il coltello scivolò lentamente sulla fetta di pane tostato, tenuta ferma dalle dita lunghe di Laureen, che sembrava tenere lo sguardo fisso su quanto stava facendo, forse per non portare tutta la sua attenzione sugli altri due commensali, immersi entrambi in un silenzio pari al suo. Posò con delicatezza il pane imburrato, facendo ruotare gli occhi da Abraxas e Megan, prima di portarli a fissare con intensità il bricco del latte.
«Non ho ancora avuto modo di vedere la bambinaia che hai assunto due giorni fa - disse infine la donna - Ho sentito Green parlarne con Zephyrus. Mi pareva perplesso.»
«Green dovrebbe imparare a farsi gli affari suoi - commentò l'uomo, portando gli occhi ad incrociare quelli della cugina - D'altro canto, come ho già avuto modo di dire, la signorina Zurrey è l'unica ad aver risposto all'annuncio.»
«Oh certo, non c'è da stupirsene. - mormorò Laureen, iniziando a mescolare nervosamente, la mano tesa, il proprio tè - Con quello che è accaduto al povero Lysiart. Mi chiedo perché questa signorina Zurrey abbia accettato.»
«È una poveraccia, Laury - disse caustica Megan - il bisogno di soldi a volte fa mettere in secondo piano qualsiasi cosa, anche la propria dignità, non credi?»
Le guance dell'altra donna si imporporano leggermente, mentre toglieva con uno scatto il cucchiaino dalla tazza, spargendo qualche goccia della bevanda sul piattino e sulla tovaglia candida. Abraxas lanciò un'occhiata alla moglie, un sopracciglio leggermente alzato, prima di scuotere appena il capo, riponendo con cura il proprio tovagliolo accanto al piatto intonso.
«L'importante è che sia brava con il bambino.» affermò infine Laureen, bevendo un sorso di tè, palesemente più calma, le gote di nuovo nivee.
«Te ne vai già?» domandò Megan, dopo diversi istanti di silenzio, rivolgendosi al marito, che si era alzato in piedi.
«Sto sperimentando un nuovo ritrovato contro una malattia infantile. - la informò, avviandosi verso la porta che dal salotto immetteva sul corridoio del primo piano - Sono certo che tu e Laureen non sentirete la mia mancanza.»
Il silenzio calò tra le due donne, dopo che Abraxas ebbe lasciato la stanza, arredata con eleganza, illuminata dal sole, che entrava dalle due ampie finestre site a oriente. Gli occhietti di Megan schizzarono per un attimo verso una porta, posta sulla parete settentrionale, in legno scuro, con incise alcune foglie d'acanto. Scosse appena il capo, prima di servirsi di una fetta di torta alla crema. Laureen la osservò per qualche istante, prima di addentare la sua fetta di pane e ingollare un altro sorso di tè, poi si alzò a sua volta in piedi. La padrona di casa la fissò per un solo attimo prima di tornare a dedicarsi alla torta. La cugina povera dei Malfoy uscì dalla stanza, emettendo quasi un sospiro di sollievo, nel momento in cui si trovò all'esterno. Non riusciva a capire come Megan potesse essere così irritante alle volte, ma la cosa che comprendeva meno di ogni altra era quel suo guardare un porta che sapeva essere chiusa, sigillata. Era da anni che nessuno metteva piede nella piccola libreria adiacente il salotto e questo la donna doveva saperlo per forza di cose. Certo, alle volte, anche lei si era chiesta perché quella piccola stanza così calda e accogliente fosse stata chiusa. Ricordò che una volta l'aveva chiesto a Lysiart. Il cugino le aveva anche dato una spiegazione che però aveva dimenticato da tempo.
«Laureen.» la chiamò una voce alle sue spalle, facendola voltare di scatto.
«Zephyrus, come mai lontano dalla biblioteca?» chiese la donna, fissando gli occhi in quelli di lui, resi troppo piccoli dalle lenti spesse che portava.
«Sto andando a prendere un libro che avevo portato in camera mia per poterlo così riporre nel suo scaffale.»
L'uomo osservò Laureen annuire in quel modo che all'uomo piaceva tanto, così come lo attiravano il portamento leggermente dimesso, i capelli raccolti morbidamente della donna. Scosse leggermente il capo, lo sguardo fisso sulla donna.
«Se non ti dispiace, potresti passare anche dalla mia stanza a recuperare un volume che ho preso dalla biblioteca alcune settimane fa?»
«Certamente Laureen. - disse l'uomo, mentre teneva gli occhi fissi su di lei - Sarà un piacere per me… - si interruppe, corrugando appena la fronte - …ultimamente sono come intrappolato in un chiodo fisso, legato a qualcosa che ho letto…»
«Ha a che fare con quello che è successo?» chiese la donna, rabbrividendo leggermente, mentre iniziava a camminare, allontanandosi dalla porta del salotto.
«Non propriamente, o almeno non credo. È stato uno di quegli articoli…sai uno di quelli che hanno detto che questa casa è come posseduta dalla sventura. - si interruppe per un istante - È stata quella parola posseduta che mi ha dato da riflettere…e mi ha fatto venire in mente un libro che avevo letto tempo fa, parlava di alcune malattie…- una breve pausa, prima di proseguire - non ricordo nemmeno per quale motivo lo stessi leggendo.»
Laureen rimase per qualche istante in silenzio, voltandosi verso l'uomo, che non aveva staccato gli occhi da lei per tutto il tempo in cui avevano percorso lo spazio che li separava dalle scale.
«C'era scritto che chi ha l'epilessia potrebbe essere come posseduto…indemoniato, non so se mi capisci.»
«Fin troppo bene, Zephyrus. - mormorò la donna, tremando appena - E quando hanno quelle crisi, sembra che quei libri dicano la verità. Ho visto Abraxas una sola volta, fa venire i brividi. - fece una breve pausa - Se non fosse mio cugino… - si interruppe scuotendo il capo - …ovviamente non posso credere…lo conosco da molto tempo.» concluse la donna in un lieve balbettio.
«Non si conosce mai nessuno fino in fondo, Laureen.» sentenziò il bibliotecario, ponendo un piede sul primo scalino.
«Forse, Zephyrus.»
L'uomo chinò appena il capo, iniziando poi a salire rapidamente i gradini, voltandosi di tanto in tanto in direzione della donna, come se volesse imprimersi ancora di più nella mente il volto di lei. Laureen rimase immobile accanto alla rampa delle scale incerta, immobilizzata e spaventata. Si riscosse solamente quando sentì un rumore di passi provenire per il corridoio, incontrando, per la prima volta, la figura della bambinaia, che teneva il piccolo Lucius in braccio.
«Lei è la signorina Zurrey, giusto? - domandò alla giovane, che si era bloccata, non appena le era stata rivolta la parola - Io sono Laureen Mallory, cugina del padrone di casa.»
«Signorina Mallory, - iniziò a dire Charlotte, fermandosi poco dopo, titubante, fissando attentamente quella donna che le sembrava in quel momento ergersi orgogliosa di fronte a lei - ecco…io cercavo il signor Malfoy.»
«È salito di sopra nel suo studio, ma non le conviene disturbarlo, signorina, è una cosa che detesta.» rispose Laureen, scrutando Charlotte.
«Eppure lui stesso mi ha pregato di contattarlo per qualsiasi evenienza. - la bambinaia si fermò un istante, iniziando a cullare piano Lucius, che aveva incominciato ad agitarsi - Ho bisogno di vederlo.»
«Sono certa che i suoi problemi possano attendere, signorina Zurrey.» ribatté la donna, scuotendo il capo.
«Invece no, signorina Mallory. - rispose la giovane, usando per la prima volta da quando era entrata in quella casa, un tono più deciso - Il bambino ha la febbre e…»
«Sa dove si trova lo studio di mio cugino, signorina?» la interruppe la donna, che puntò gli occhi su Lucius, improvvisamente preoccupata e tesa.
«Credo che mi dovrà indicare la strada, signorina.» rispose quietamente Charlotte.
La donna annuì e in poche parole diede le indicazioni necessarie alla giovane bambinaia, la quale iniziò immediatamente a salire l'ampia scalinata in pietra. Camminava rapida, spedita, tenendo stretto il bambino assopito, ma agitato dalla febbre che lo portava, alle volte, a dimenarsi. Raggiunse il corridoio del secondo piano e svoltò rapida a sinistra, percorrendolo fino alla porta che si apriva sul fondo, alla quale bussò con tocco gentile. Non udì nessuna risposta. Si morse il labbro inferiore, mentre il panico e l'ansia si facevano strada in lei. Trasse un leggero sospiro ed aprì l'uscio. Lo studio, perfettamente ordinato e lustro, era completamente vuoto. la bambinaia si fermò sulla soglia, guardandosi intorno spaurita. C'erano troppe provette perché potesse capire ad una prima occhiata, senza avvicinarsi ed osservarne il colore con maggior attenzione, quale di queste potesse contenere una pozione leggera per far abbassare la febbre al bambino. Con un gesto istintivo strinse maggiormente il piccolo Lucius a lei, mentre adocchiava un'altra porta, verso la quale si diresse, aprendola, per ritrovarsi in un corridoio lungo e stretto, che si bloccava davanti ad un altro uscio. Alla sua destra si aprivano tre ampie finestre che davano sul cortile esterno, di fronte stavano due porte. Si avvicinò alla prima e bussò, senza ottenere nemmeno quella volta risposta. Il bambino in braccio a lei, avvertendo forse la tensione della giovane, incominciò ad agitarsi con maggiore forza, improvvisamente desto. Charlotte iniziò a cullarlo, cercando di essere rassicurante, mentre con una mano abbassava lentamente la maniglia, ritrovandosi in uno studio, non molto dissimile da quello in cui era stata fatta entrare il giorno del suo arrivo. Abraxas le dava le spalle e sembrava frugare tra dei fogli sparsi sullo scrittoio.
«Signor Malfoy…io ho bussato, ma…»
«Cosa ci fa qui, signorina?» domandò bruscamente l'uomo, voltandosi verso di lei.
Charlotte indietreggiò di un passo, deglutendo appena, sotto lo sguardo pungente dell'uomo. Il bambino, che si era calmato prima che la giovane aprisse la porta, iniziò a piangere sommessamente.
«Io… - la bambinaia si interruppe, accarezzando con una mano la testolina di Lucius - …suo figlio ha la febbre. Nella sua stanza non ho trovato nulla che possa essere utile…così io sono…non volevo disturbarla.»
L'uomo non disse una parola avvicinandosi rapido a Charlotte, ponendo una mano sulla fronte del bambino, corrugando appena la fronte.
«Mi aspetti qui.» ingiunse alla giovane, prima di girarle intorno, per poter così uscire.
La bambinaia fece qualche passo all'interno della stanza, osservandone con attenzione le pareti, su cui spiccavano delle stampe di carattere floreale e paesaggistico, piuttosto antiche. Per qualche istante si chiese a chi potesse appartenere quello studio. Non credeva che Abraxas Malfoy potesse sedersi ad un tavolo così ingombro di fogli di pergamena, scribacchiati disordinatamente, non dopo aver visto l'ordine perfetto che vigeva nella stanza contigua. Passò lentamente il peso del bambino da un braccio all'altro con delicatezza, continuando ad accarezzargli il capo, mentre quel pianto improvviso cessava. Si avvicinò lentamente alla scrivania, con l'intento di raggiungere una sedia, quando il suo occhio cadde su una delle carte presenti sullo scrittoio, una lettera, di cui lesse unicamente l'intestazione. Era indirizzata a Lysiart Malfoy. Rabbrividì appena, allontanandosi dalla scrivania, accorgendosi soltanto in quel momento di una serie di foto presenti sulla mensola del camino, che raffiguravano un uomo biondo che la fissava con aria malinconica, alle volte insieme ad una giovane donna che scostava lo sguardo da lei. Charlotte deglutì a vuoto, mentre riconosceva l'immagine dell'assassinato e di quella che, con ogni probabilità, doveva essere sua moglie.
«Credevo mi avesse detto che non era venuta per soddisfare la sua curiosità, signorina Zurrey.»
La voce di Abraxas la raggiunse all'improvviso, facendola voltare di scatto.
«Io…signor Malfoy le assicuro che…stavo soltanto andando verso quella sedia e lo sguardo mi è caduto sulle foto…le ho già spiegato i motivi che mi hanno spinta a rispondere all'annuncio.»
L'uomo fece un passo verso di lei, fissandola attentamente negli occhi marroni, rivolti verso di lui, timidi, spauriti e dolci. Scosse appena il capo, continuando a scrutarla, prendendo nota della sua tensione, mentre estraeva da una tasca un'ampollina contenente un liquido bluastro.
«Conosce questo ritrovato, signorina?» domandò Abraxas, osservando il figlio che pareva essersi calmato tra le braccia della giovane.
«Sì, è uno sciroppo antipiretico per bambini.» rispose Charlotte, dopo aver fissato attentamente il liquido, rilassandosi leggermente.
«Immagino sappia anche che deve usarlo con la massima cautela. Non più di una goccia diluita nell'acqua nell'arco di due giorni, ma per quel tempo la febbre dovrebbe essersi abbassata.»
La giovane annuì leggermente, mentre sistemava meglio il bambino, in modo da reggerlo con il braccio destro, mentre allungava una mano per prendere la boccetta, sfiorando inavvertitamente la mano di Abraxas. Sussultò appena, portando rapidamente l'ampolla verso di sé, riponendola con attenzione in tasca.
«Può andare, signorina. - disse infine l'uomo, scostandosi per lasciarla passare, seguendo ogni suo movimento con lo sguardo - Una raccomandazione: non dica a nessuno, per alcuna ragione, di avermi visto qua dentro, soprattutto se glielo chiede la signorina Jameson.»
«Chi…»
«È l'Auror che indaga sulla morte di Lysiart.» la interruppe bruscamente l'uomo.
«Perché dovrei mentire ad un'ufficiale inviata dal ministero?» domandò Charlotte perplessa, chinando subito il capo, mordicchiandosi appena il labbro inferiori, dicendosi che non avrebbe mai dovuto mettere in dubbio un ordine di chi l'aveva assunta da pochi giorni.
«Non faccia domande di cui potrebbe pentirsi, signorina Zurrey. - una breve pausa, durante la quale il viso tondeggiante della bambinaia si alzò di scatto, allarmato - Si fidi di me.»
La giovane rimase per qualche istante immobile, indecisa. Sapeva che nascondere qualcosa ad una persona inviata da Londra era riprovevole, gravissimo, ed in una situazione normale non l'avrebbe mai fatto, non avrebbe mai accettato quello che Abraxas le stava chiedendo, ma quella non era una situazione normale. Trasse un leggero sospiro. Non sarebbe mai dovuta venire a Malfoy Manor, non avrebbe mai dovuto rispondere a quell'annuncio sul giornale, si disse quasi come in una cantilena interiore.
«Farò come dice, signor Malfoy. - mormorò infine con un filo di voce - Ha la mia parola.» concluse chinando subito dopo il capo, colmando la distanza che la separava dalla porta, aprendola, uscendo subito dopo dalla stanza.



Ecco un altro capitolo!
Un grazie particolare a:

Thiliol: Siamo contenti che il carattere di Rosamund sia di tuo gradimento. Non ci pronunciamo sulle teorie da te formulate, com'è naturale, ma sappi che le leggiamo sempre con vivo interesse. Non ti arrendere e sii ottimista! A volte le teorie apparentemente improbabili e bizzarre che ci balenano in mente si rivelano esatte una volta che l'enigma è risolto. A riguardo è meglio che teniamo la bocca serrata. Dicci che ne pensi del nuovo chap!

Grazie anche a tutti coloro che ci seguono senza commentare.

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Capitolo 8
*** Capitolo VIII ***


Capitolo VIII

«Scacco matto!»
«Dannazione, Laureen. Così non vale.»
«Temo di sì, mia cara.»
«Potresti aver barato! – sbottò Megan Malfoy, gli occhietti penetranti fissi su quelli dell’anziana cugina. – Quando sono andata nella camera qui vicino per prendere il boccale di limonata, ammettilo, hai spostato i pezzi. Per esempio la torre… sei sicura che fosse lì?»
« Ne sono sicurissima.» sorrise Laureen placidamente.
«Adesso giochi con la mia labilissima memoria, e non mi piace.»
«Tanto più amara è la sconfitta, mia cara Megan, quando non la si riconosce.»
«Oh, al diavolo gli scacchi! – proruppe la signora Malfoy, allontanando le pedine da sé con repellenza – Continueresti a vincere anche se giocassimo fino a domattina, non è vero?»
«Probabilmente, mia cara.»
«Probabilmente… – ripeté Megan in un sussurro, come se la parola pronunciata dall’avversaria potesse suggerirle il trucco per la vittoria. – Mi meraviglio, Laureen, – proseguì con la voce appannata da un’ira pessimamente nascosta, - che tu non abbia mai preso marito, con l’intelligenza che hai.»
Sarebbe potuto apparire come un complimento d’eccezione se la donna non l’avesse proferito col tono di chi, anche nella sconfitta, si reputa superiore al nemico.
«E’ stata una scelta personale.» sibilò Laureen, il volto piuttosto somigliante a quello di un aspide.
«Oh, certo!» sorrise Megan, ammiccando.
Quando si resse in piedi, inavvertitamente rovesciò la scacchiera, ed i vari pezzi, tintinnando argentini, scivolarono sul pavimento levigato.
«Ho molta fretta, mia cara.» disse Megan. «Spero che non ti dispiaccia raccogliere le pedine.»
Lanciandole un’occhiata fugace, Laureen ebbe l’impressione di avere dinnanzi una bambina piccosa cresciuta troppo in fretta.
«Ma certo, faccio io» disse poi, e con straordinaria rapidità trasse di tasca la bacchetta. Un colpo ben assestato, e i pezzi, volteggiando come in una danza, si riposero in una fila ordinata dentro la scacchiera.
Neanche un volatile avrebbe udito l’imprecazione sommessa che Megan biascicò mentre oltrepassava l’arco di pietra, diretta al piano inferiore.
Stringendosi nel suo scialle di broccato, trapuntato con ricami indaco, Laureen serrò la mascella e borbottò tra sé: «Brutta racchia screanzata, zotica, villana, scriteriata e sciocca.»
Avrebbe tanto voluto non vedere più quel viso aguzzo e deforme e quegli occhi, tanto simili a chicchi di caffè, spuntare davanti a lei. Dovette a stento reprimere un desiderio inumano, e si alzò per spalancare la finestra, sicché il denso profumo di naftalina che la signora Malfoy si era lasciata dietro venisse rimpiazzato dall’aria pura di campagna.
Una bruma nivea ammantava la fredda brughiera, e abbracciando con lo sguardo i campi lontani e le montagne, Laureen si accorse di non aver mai visto tanta desolazione. Non c’era niente di malinconico nell’aria. Solo una nota di cupezza e solitudine. Le creste che sbucavano, simili a funghi, nel bel mezzo della distesa, erano indorate dai raggi di un sole malato, trapelanti senza forza attraverso il drappo di nembi che rivestiva la volta. Un silenzio sepolcrale avvolgeva ogni cosa. Il cancello nero di Malfoy Manor, sospinto da una leggera brezza, cigolava tetramente. Oltre un largo pianoro tappezzato di piantacce rugginose si apriva un sentiero bifido; la diramazione di sinistra si immetteva in un vicino albereto, scomparendo tra le chiome fluttuanti; la diramazione di destra era inghiottita dai recessi sinuosi e semidistrutti di un vetusto acquedotto, preda di gramigna ed ericacee, e costituiva una carrozzabile. I ciottoli che foderavano la superficie di questa seconda biforcazione conferivano al lungo sentiero una colorazione avana. Zampilli di terriccio umido affioravano nei luoghi più improbabili in mezzo ai sassi. Una sfilza infinita di spaventapasseri si succedeva a destra dell’acquedotto. Nelle ridenti epoche del Basso Medioevo l’immensa tenuta poderale, da cui gazze e corvi ormai stavano alla larga per via degli spaventacchi, aveva ospitato una delle coltivazioni di vite più importanti d’Inghilterra. Adesso vi crescevano viluppi inestricabili di rami e ginestre paglierine, attecchite nei pressi di una casupola solitaria. All’orizzonte, inabissati in un oceano di trascendentale fumosità, se ne stavano campi e pascoli, pieni di greggi e tane di lepri.
E fu proprio in uno di essi che all’improvviso apparve un cocchio elegante, trainato da cavalle nere. Sembrava diretto a Malfoy Manor, perché aveva intrapreso la pista che serpeggiava nel cuore dei territori argillosi. Laureen osservò l’auriga, i cui tratti fisionomici erano camuffati dalla caligine. Era ancora troppo lontano, ma si intuiva facilmente che portava un cappello a falde larghe, tendente al marrone. La carrozza proseguì trottando lungo la landa brunita e traversò un'ampia zona su cui crescevano spighe di grano, onde in un mare aureo, che dondolavano ritmicamente a causa del vento di ponente.
In mancanza di altro da fare, Laureen aspettò che il cocchio raggiungesse lo spiazzo dinnanzi a Malfoy Manor. Dopodiché, lasciandosi alle spalle la finestra, oltrepassò l’arco di pietra e scrutò il cortile interno. Il maggiordomo Green si affaccendava alacremente in prossimità della siepe. Abraxas, in via del tutto eccezionale, stava per aprire il cancello al nuovo arrivato.
La portiera della vettura venne svogliatamente dischiusa e, dopo due scatti sui cardini, ne venne fuori un uomo altezzoso dai lunghi capelli bruni che ricadevano sulle scapole simili a gambi di fiori arricciati o a rami di nere rampicanti. Aveva da tempo superato le verdi età di gioventù, ma il volto rubicondo e cortese, testimone di una vita spensierata, suggeriva che pochi anni addietro sarebbe apparso non troppo dissimile dal prototipo dell'uomo piacente. Affondando la punta del bastone placcato d'oro sul terriccio, si allontanò a passo svelto dalla carrozza e raggiunse il cancello nero che lo divideva dall’imponente villa dei Malfoy. Il padrone di casa, Abraxas, sollevò appena le sopracciglia non appena scorse il nuovo arrivato.
«Lei, signor Further?»
«In persona. – rispose l’uomo – Posso entrare?»
«Ma certo, certo.» consentì Abraxas, mostrando il sentiero che conduceva alla scalinata d’ingresso.
«Grazie mille. – disse Further. Quindi si voltò in direzione del cocchiere. – Marcus, va’ pure. Potrò comodamente Smaterializzarmi, una volta uscito da qui.»
L’automedonte fece un rapido cenno con la mano e sollecitò i cavalli.
Abraxas e il signor Further avanzarono silenziosamente lungo il lastricato, poi il padrone di casa esclamò: «Mi stupisce rivederla dopo così tanti anni. E sua figlia Cordelia, come sta?»
«Alla grande. Tra qualche mese, suppongo, potrà sposarsi con un promettente ragazzo di Poole. Ah, signor Malfoy… le porgo le mie condoglianze per la morte di suo fratello. La faccenda mi ha letteralmente sconvolto.»
«Hanno fatto un gran clamore, i giornali. – disse Abraxas. – L’atmosfera di Malfoy Manor non è neanche lontanamente lugubre come la descrivono. C’è timore, sì, ma nessuno di noi, in fondo, è convinto che l’assassino di mio fratello possa tornare a colpire. Il che è sicuramente di buon auspicio, non crede? Abbiamo attraversato tempi bui, ma siamo sicuri che tutto tornerà a posto. Le indagini procedono e nonostante tutto ripongo fiducia nei lavori degli Auror.»
«Molti di loro sono assennati, in effetti – commentò Further, mentre varcavano la soglia e si immettevano nel vestibolo. – Altri perdono un sacco di tempo prima di afferrare gli indizi.»
«Dunque, dunque… Vuole che le offriamo un buon tè?»
«In realtà sono qui in veste di notaio, oltre che in quella di amico di Lysiart e della famiglia Malfoy. – disse Further. – Come saprà, suo fratello ed io condividevamo molte passioni, ai tempi della scuola. Eravamo buoni compagni e reciprocamente ci stimavamo. Suo fratello, due anni fa, mi consegnò una lettera. Fu l'ultima volta che ci vedemmo.»
«Una lettera? – ripeté Abraxas. – Sieda pure sulla poltrona, signor Further, e mi spieghi tutto.»
«Oh, grazie mille. – disse il notaio. – Dunque, signor Malfoy, suo fratello, tempo addietro, mi lasciò una lettera. Conteneva un messaggio aleatorio ed incerto.»
Allontanò un lembo della giacca e tirò fuori dalla tasca interna una missiva consunta.
«Eccola qui. – disse poi. – La legga e mi dica che ne pensa.»
Abraxas prestò un’attenzione morbosa alla strana epistola. Man mano che scorreva con lo sguardo le righe del messaggio, il suo volto cambiava sfumature. Infine si imporporò.

Caro Jeremy Further,
suppongo che non ti sia dimenticato di un vecchio amico. Ti scrivo da Malfoy Manor, la villa di mio padre. Ci avrai fatto un salto, quando frequentavamo Hogwarts. Se ripenso a quelle lunghe giornate d’inverno, trascorse con amici ed amiche sulle rive del Lago Nero, con la neve gelida che fioccava ma di cui non ci curavamo minimamente, mi assale la nostalgia. I tempi sono cambiati, la vita è molto più dura di un tempo. Impegni, oppressioni, caos. Dormo davvero poco, la notte, e perdo il mio tempo a scrivere insulse poesie che esprimano il mio stato d’animo. A volte mi chiedo se sono davvero un artista. Sento una vocazione, un bisogno impellente, come un fervore, che mi spinge a prendere la penna d’oca e a tracciare parole. Ricordi quello che ti dicevo sulle parole, Jerry? Erano formule magiche, ben più potenti degli incantesimi. Sembrerà la solita frasetta balorda, eppure continuo a ripetermela incessantemente. E se dovessi descrivere con una sola parola la mia vita odierna, userei “Schiavitù”. Ti domanderai perché. Ho una bella casa, una moglie stupenda e dolcissima, un mucchio infinito di soldi e una sfilza di piccoli elfi domestici al mio servizio. Oh, no, la vita di un uomo non è tanto rosea come appare. C’è sempre qualcosa, sotto. Tormenti, angosce, dolori. Pressanti influenze, cose di cui ti vorresti liberare. Accade a volte che mi sveglio nel bel mezzo della notte, così, di soprassalto. Mi guardo intorno e avverto delle strane presenze. Sono i prodotti della mia immaginazione, Jerry? La concretizzazione di tutte le mie più recondite paure?
Tutte le ansie di cui ti parlo così profusamente non hanno a che vedere con le sciocche dicerie che si sono diffuse sul conto di Malfoy Manor. Vecchi monaci indemoniati, un passato oscuro e mefistofelici mostri in agguato. E’ tutto così assurdo! Chi può aver inventato simili idiozie? Tu sei abituato a non prestare orecchio alla voce della gente, e per questo ti apprezzo. Mi prendono delle fitte insopportabili allo stomaco quando, provando a muovermi, mi accorgo di essere stretto nella morsa di catene invisibili.
Fernando de Rojas aveva capito che cos’è l’amore? “E’ un fuoco nascosto, una piaga gradevole, un veleno saporito, una amarezza dolce, un dolore dilettevole, un tormento allegro, una ferita dolce e fiera, una morte blanda.” diceva. Bah, niente di tutto questo, a mio parere. E’ tragedia, morte, interminabile sofferenza. Angustiante! E’ angustiante vedere Rachele, ogni giorno, che non crede d’essere amata. Ma, in fondo, Jerry, non riesco a dimostrarle che la adoro follemente. Una donna perfetta. Una moglie perfetta. Così dolce e sensibile…
E che cos’è l’odio? A volte penso che i due concetti siano facce della stessa medaglia, che coincidano.
Non voglio annoiarti con queste sciocchezze, amico mio. Sappi solo che vivo di angoscia. Non so se sarò in questo mondo ancora a lungo. Però ti prego di non rispondere a questa lettera, per darmi lezioni di vita, come eri solito fare. Soltanto io so quello che ho passato e quello che tuttora sto passando. In questa lettera non posso farne menzione. Niente nomi. Preferisco tacere, vecchio mio. Ma c’è gente strana, nel mondo.
Se dovessi morire sciaguratamente prima di aver trovato la mia pace interiore, il giusto equilibrio dello spirito, ti invito a lasciare i soldi che qui allego, centomila galeoni, a Laureen Mallory, un’anziana cugina che vive qui con noi. Laureen è una donna fantastica, Jeremy. La stimo. Parlando con lei, più che con mia moglie, mi sento felice. Le avevo promesso questo denaro e intendo mantenere la promessa.
Dalle i soldi che le spettano. Visto che sei anche un ottimo notaio, in caso di mio decesso, sbriga le pratiche per lasciare i miei soldi a Rachele.

PS: Consegna a Laureen i soldi di persona. L’apprezzerai. Forse è l’unica persona, in questa casa (insieme con Rachele), che non oserebbe mai, ma proprio mai, farmi del male…

Le ultime parole erano scritte con grafia incerta e ricca di sbavature.
«Laureen? – esclamò Abraxas. – Laureen? Per Giove! La vita è strana, signor Further. Maledettamente strana. Non mi ero mai accorto di quest’intesa tra la mia lontana cugina e Lysiart. Mi stupisce..»
«Adesso capirà perché sono venuto.»
«Quando ricevette la lettera di mio fratello, signor Further, non si chiese perché parlasse di decesso?»
«Sinceramente no – disse Further. – Lysiart voleva che non rispondessi alla sua lettera. Eppure non resistetti. Redassi una missiva, feci qualche domanda, ma Lysiart non rispose più e il contatto epistolare s’interruppe per sempre.»
Calò il silenzio.
Il notaio guardò l’orologio da taschino. «E’ tardi. Devo conoscere questa donna.»
«Oppressioni? Tormenti? – disse Abraxas tra sé. – Di cosa parlava?»
«Mi dispiace, non posso aiutarla. Lysiart era un uomo davvero particolare. Dunque, mi è possibile vedere questa Laureen e darle la sua parte d’eredità?»
«Certo, certo.» assentì Abraxas, alzandosi.
Il notaio lo imitò, sfregandosi le mani sui pantaloni. Poi chiese: «Rachele Malfoy è in casa? Vorrei chiederle di firmare un…»
«Rachele Malfoy è sepolta, signor Further. – spiegò Abraxas con tono spiccio. – Si è tolta la vita l’anno scorso.»
Il notaio sbarrò gli occhi. «Santo Cielo! Possibile che non lo sapessi?»
«In tutti i modi s’è messa a tacere la cosa. Ma i giornali ne hanno parlato per un mese.»
«Dev’essere accaduto quando mi trovavo in vacanza a Malacca, per aiutare il mio amico Stephen ad immortalare i vari momenti della raccolta di caucciù – blaterò Further tra sé. – Ne sono addolorato.»
«Faccio scendere Laureen.» disse il padrone di casa.
«Non serve. Sono già qui, Abraxas.»
L’esile figura di Laureen emerse all’improvviso. La sciarpa dell’anziana donna strusciava contro il pavimento.
«E’ lei, la signorina Mallory?» domandò Further.
«In persona. – disse Laureen, stringendo la mano al notaio. – Passeggiavo nel corridoio, quando ho udito casualmente le vostre voci. Non sono riuscita però a seguire il filo del discorso. Di che si parlava?»
«Il defunto Lysiart le ha lasciato dei soldi. – Further trasse dalla tasca un assegno. – Lo custodisca bene. Vanno ritirati alla Gringott.»
«Santo Cielo, che idea balzana! – disse Laureen, prendendo l’assegno velocemente. – La ringrazio per avermelo comunicato.»
«Deve siglarlo, dopodiché potrà ritirare la somma.» chiarì il notaio.
Laureen annuì. «Vogliate scusarmi. Devo urgentemente prendere una boccata d’aria fresca…»
Raggiunse di fretta il cortile. Abraxas si frizionava il mento. Further, un libretto nero in mano, sfogliava pensosamente le pagine. Dal cavedio provennero dei singhiozzi strozzati.
«Laureen. - spiegò Abraxas, leggermente sprezzante. – Si commuovere per le nullità.»


«Ha bisogno di aiuto, ispettrice Jameson?»
Rosamund scrollò la testa, concentrata, continuando a sfogliare un mucchio indicibilmente numeroso di carte e documenti. «Lascia stare, Patrick. Credo di poter fare da sola. Piuttosto, doppiami questo dattiloscritto. E’ il testamento di Adolar Malfoy.»
Patrick toccò appena il documento con la bacchetta, e il foglio, in una repentina metamorfosi, si duplicò. Il nuovo stampato era più pulito e bianco e la grafia decisamente più semplice da decifrare. Un terzo di quanto posseggo deve essere destinato a L., frutto del mio amore per C.L. Le carte in cui riconosco la sua legittimità sono depositate presso l’ufficio anagrafe del Ministero della Magia e potranno essere aperte soltanto dopo la mia morte, nel malaugurato caso in cui qualcuno apra questo testamento prima del termine da me previsto. Ho apposto tutte le protezioni perché così avvenga.
“A L. - pensò Rosamund accigliata. – Di chi potrebbe trattarsi? Certo è una lettera un po’ vaga. Dannazione! Il nome completo non poteva scriverlo, eh? Si rovinava l’inchiostro…”
«E’ successo qualcosa?» disse Patrick, interrompendo il flusso dei suoi pensieri.
«Non avrei dovuto accettare di indagare su questo maledettissimo caso. Mi tormento ancora per la faccenda del terzo figlio illegittimo. Ma chi diamine è costui? Beh, il vecchio Adolar non ci ha dato tante indicazioni, a riguardo. Avrebbe potuto scrivere qualcosa in più della semplice iniziale.»
«Lei crede, ispettrice, che il testamento del vecchio c’entri qualcosa?»
«Non lo so, Patrick. – sbuffò Rosamund con insofferenza. – Il caso è assurdamente complicato. Non mi aspettavo una cosa del genere quando mi hanno chiamato a Malfoy Manor. Oddio, e mi sembra ancora di vedere il cadavere fracassato. Che obbrobrio!»
«Cos’ha intenzione di fare?»
«Domani, visto che ormai è tardi, andrò all'ufficio anagrafe – disse Rosamund con risolutezza. – Cercherò i cognomi di tutte le famiglie Purosangue che cominciano per L, sicché mi sarà più facile capire chi era la misteriosa seconda amante di Adolar.»
«Tutte le famiglie Purosangue con il cognome che inizia per L? Saranno centinaia. Spera di azzeccarci così, fortuitamente?»
«Non c’è altro da fare. Oh, Patrick, s’è fatto tardi. Sono stanca di lavorare, per oggi. Le ossa non mi reggono più. Se rimango dietro questa benedetta scrivania per un minuto ancora sono certa che metterò radici.»
«Rassetto io la camera, signorina Jameson. Non si preoccupi.»
«Grazie, Patrick. Ti offro un bel bicchiere di whisky, domani, se riponi le pratiche del caso Grey dentro l’armadio, invii un Gufo alla centrale di Manchester, col messaggio relativo a quella faccenda di cui ti parlavo, metti in archivio i documenti del caso Malfoy e chiudi a chiave la stanza prima di andartene.»
«In realtà, ispettrice Jameson, sono astemio. Ciononostante mi impegno a fare tutto con la massima diligenza.»
Rosamund si stiracchiò, quindi infilò una ridda di fogli dentro la propria valigia e uscì fuori.
A Londra pioveva. Le luci sfavillanti dei negozi, unitamente al sottile gelo che sembrava insinuarsi subdolamente nella pelle, conferivano all’ambiente un clima raccolto e ossimoricamente caldo. Sulla superficie del Tamigi si era formata una patina di gelo, rotta dalla pioggia che continuava a bersagliare la città implacabilmente. A Rosamund toccò svoltare in un vicolo per evitare di imbattersi nella folla. Si sarebbe smaterializzata direttamente nei pressi di casa.
“Quanto è vero che mi chiamo Rosamund Jameson, io porrò fine al caso Malfoy. - disse tra sé. - Chissà che non ci scappi anche una promozione ad ispettore-capo. Sarebbe una doppia soddisfazione… tripla, se pensiamo che la farò in barba a tutti quelli che non credono nella mia abilità.”


Quella stessa sera, sgattaiolando nel semibuio della stanza delle armi, Abraxas non poté scacciare dalla mente la funesta visione del cadavere di Lysiart, adagiato al muro in una posizione disagevole e con le estremità della bocca flesse in uno scuro e inusuale sorriso. Procedette con cautela nella grande camera, che a quell’ora appariva languidamente rischiarata dalle tremule luci di una notte senza luna, e osservò da sopra le lenti il vasto assortimento d’oggetti che costellavano le pareti. I sospiri del vento si tuffavano con parossistica violenza nella canna fumaria, simulando la voce di un corno, per raggiungere l’enorme stanza e far ciondolare tetramente gli oggetti non completamente assicurati alle mura, che stridevano metallici. Una finestrella lignea, simile ad un pertugio scavato dalle tignole, si apriva a metà parete e rifletteva l’impressionistica immagine della sterminata brughiera e di un lontano campanile Babbano. Qualche metro sotto la finestra, da un punto scelto a casaccio ma difficilmente visibile agli osservatori disattenti, sbucava un mostriciattolo di pietra, sommerso dalle federe damascate di antiche scimitarre. Lì per lì Abraxas non gli prestò attenzione e continuò imperterrito ad esplorare la camera, come un topo in cerca di malta. Ma quando il piccolo emblema riapparve d’un tratto nel suo cervello, come l’affioramento di un cupo ricordo, non poté fare a meno di tornare sui suoi passi. Provava come la sensazione che per dimenticare la veduta minacciosa dovesse osservare quello strano simbolo con maggiore impegno. E dunque saggiò con le dita le venature in altorilievo del pupazzo e solo quando ne furono illuminate le fattezze da un incantesimo Lumos l’emblema si manifestò nella sua vera natura. Era un teschio, con occhi rotondi ed incavati e dentatura simile a quella d’un pettine. Abraxas, nell’osservarlo, non seppe se ridere o intimorirsi. L’aspetto era piuttosto grottesco e sembrava emettere un’occulta ed intensa nota tragica. Scostando un arazzo delle corti francesi, notò che la testa di quell’essere demoniaco era solo la parte superiore di una scultura in ossidiana. Teneva le mani ben aperte posizionate dinnanzi all’esile busto, come per respingere sataniche entità o attirare in un impero sconosciuto, regno di infernali spiriti raminghi, gli umani in fin di vita.
Mictlantecuhtli. Adesso ricordava. Suo padre, Adolar, gliene aveva parlato quando era ancora un bambino.
«E questa brutta creatura orribile cos’è, papà?»
«Oh, quella? Fu applicata alla parete più di un secolo fa. Rappresenta il signore di Mictlan, un dio azteco, protettore degli inferi. Svenson, il monaco che abitò Malfoy Manor per lunghi anni e che fu accusato e condannato alla pena di morte per via delle pratiche sataniche cui dava atto, lo fece costruire come varco per l’oltretomba. Non averne paura, Abraxas. E’ solo uno sciocco pupazzo intagliato nella concavità del muro. E Svenson… era un vecchio pazzo. Adesso piangi? Oh, non essere patetico. Credi davvero alle dicerie che si sparsero tempo fa?»
“Possibile che temessi questo pupazzo?” pensò Abraxas, sorridendo. “Dovevo essere davvero uno sciocco fifone, da bambino. Il varco per l’oltretomba… Bah, fandonie per convincere i bambini ad andare a letto!”.
Eppure qualcosa, nelle fattezze della figura scolpita, ancora non lo convinceva.
La porta si aprì cigolando e Zephyrus, l’attempato custode della biblioteca, si mosse pavidamente, mentre la sua ombra, come la sagoma di uno spirito divino, slittava dal corridoio alle vecchie mura del locale. Il tamburellante rumore delle sue zeppe acuì i sensi di Abraxas; il quale si voltò con apatia. Zephyrus ebbe come l’impressione che gli occhi del dottore lo stessero vivisezionando e si sentì inutile al suo cospetto e fuori luogo in quella nera circostanza.
«Che ci fai qui? Che sei venuto a fare?»
«Signore, io… ho sentito dei rumori, e mi ha colto uno strano timore.»
«Ancora quell’insulso terrore dell’assassino, Zeph? Ti avevo sopravvalutato, dunque. Sei più apprensivo e timoroso di quanto potessi immaginare.»
C’era un che di sdegnoso nel tono del padrone di casa e il bibliotecario non poté fare a meno di chinare la testa, stringendosi nelle spalle.
«Ti assicuro che nessuno commetterà più alcun omicidio. Quello di Lysiart è stato un dramma isolato. Non voglio che vai in giro di notte, è chiaro? Potresti spaventare Megan o Lucius.»
«Mi permetto di chiederle – sussurrò Zephyrus, come per sfida – quale motivo ha spinto lei, signor Malfoy, ad accedere a questa camera.»
Abraxas rispose all’istante, avanzando nel buio: «Fino a prova contraria, Malfoy Manor è di mia proprietà. E sono libero di vagarvi nel caso in cui il sonno tarda ad arrivare. Inghiotti l’indiscrezione, la prossima volta. Hai qualcosa da obiettare?»
«Certo che no. Non intendevo insinuare…»
«Le tue scuse non m’interessano, Zeph. Torna pure in camera tua.»
“Le mie scuse? – pensò il bibliotecario arrossendo. – Non stavo certo scusandomi, maledetto tiranno.”
«Sissignore. – rispose ad Abraxas con malcelata rabbia. – Spero tanto che sua moglie non si sia svegliata, sentendo i passi di entrambi.»
E rimarcò volutamente quelle ultime parole, come se rappresentassero un’ancora di salvezza, nonché l’ultimo modo di lavarsi l'onta e vibrare così un colpo profondo al despota assolutista di Malfoy Manor e alle sue dogmatiche e insoffribili imposizioni.


Era l’alba del mattino successivo, e Hilda bazzicava tra medicinali e intrugli terapeutici, mentre la sua lunga treccia brillava di candore alla stanca luce solare. Dava le spalle al vecchio Adolar, che intanto, le mani sui braccioli della sedia a rotelle, fissava un punto del muro con sguardo vago e assorto.
«Adesso, da bravo, prenda queste gocce.» disse l’infermiera, porgendogli con la massima cautela un cucchiaio da cucina ricolmo di un liquido oleoso.
Adolar aprì appena la bocca per permettere a Hilda di somministrargli il farmaco. D’improvviso, come se avesse riacquistato la lucidità tutto a un tratto, esclamò con gli occhi sbarrati: «Abraxas!»
E ricadde in una letargica catalessi.
L’infermiera, di rimando, arricciò le sopracciglia, tenendo a mezz’aria una bottiglietta di sciroppo. Forse non aveva sentito bene. Il vecchio si era espresso, finalmente, con tono netto e scandito, dopo anni di morte apparente?
«Signor Malfoy, - gli disse – sbaglio o l’ho sentita parlare?»
Adesso l’immagine del patriarca, placido nella sua consueta postazione, aveva perso ogni residuo di singolarità. Sembrava quasi che dalla bocca dell’uomo non fosse mai uscito il nome del figlio minore. Quasi non prestò ascolto alle parole dell’infermiera, e smorzò un sorriso ebete, divertendosi a osservare la guarnizione della grande finestra a bovindo.
Hilda scosse con leggera veemenza il corpo macilento del degente, ma quello sembrava del tutto ostinato e determinato a non proferire alcuna parola.
«Eppure l’ho sentito parlare. Non può che essere un buon segno.» si disse Hilda in tono profetico. Dimenticò per un attimo il paziente e raggiunse il corridoio. La prima persona in cui si imbatté fu Green, il maggiordomo, che si aggirava per la casa, a giudicare dall’aria, senza una meta precisa.
«Devo parlare col dottor Malfoy! – gli disse. – E’ un affare urgente.»
Green rivolse lo sguardo alla sua interlocutrice con abulico interesse, come se la stessa presenza della donna nell’androne, in un certo qual modo, gli stesse dando noia.
«Mi pare d’aver sentito la sua voce quando sono passato nell’andito, al piano superiore. Stando al mio intuito, si trova nel salottino o, in alternativa, nella stanza dei giochi, insieme con Lucius.»
«Grazie mille, Green. Gliene sono grata.»
«Si figuri, signorina. E il signor Adolar, rimane senza vigilanza?»
«Giusto, che sbadata! Gli dia l’occhio, io torno fra un attimo.»
Non appena percorse le scale, Hilda fu dinnanzi al salottino. Effettivamente la voce di Abraxas era facilmente udibile, ma, stranamente, tutt’altro che imperiosa.
«Oh, per favore, la smetta di guardarmi a quel modo. Mi mette in imbarazzo.»
Per quanto pressante fosse il bisogno dell’infermiera di spiegare al padrone l’inatteso e fugace risveglio di Adolar, stette in ascolto, a testimonianza del fatto che la curiosità è la componente dell’animo umano che più tende a prevalere sulle altre.
Una seconda voce provenne dal salottino. Doveva appartenere a una ragazza, o comunque a una giovane donna. Hilda non riusciva ad abbinare quel tono melodico ad un volto che avesse già visto. Di certo non si trattava di Megan.
«Mi perdoni, signor Malfoy. Temo di non poter fare altrimenti. I sensi si ribellano alla volontà…»
L’ultima frase era stata enunciata col tono di chi parla tra sé e sé. Difatti, appiattita alla parete, l’infermiera udì un trasalimento, segno che la ragazza, o chiunque fosse, si era pentita, pagando con la cattiva figura lo scotto della propria connaturata imprudenza.
«Lei… oh, maledizione, signorina Zurrey! Non dica più certe cose. Il piccolo Lucius sta già dormendo?»
«Suppongo di sì – esclamò in fretta la ragazza, e Hilda poté scorgere Charlotte, colei cui era stata affidata la custodia del bimbo. – L’ho adagiato sulla culla. E’ sfebbrato, nella notte. Credo fosse attratto dalla tela che tenete nella camera, sa… Il simbolo di Serpeverde…»
«Intende l’arazzo appeso al muro?» chiese Abraxas.
«Proprio quello – confermò Charlotte. – Anche lui, ad Hogwarts, sarà un piccolo Serpeverde?»
«Come tutti, in famiglia. E lei, Charlotte, di che Casa faceva parte?»
Calò un silenzio di tomba. Sbirciando dalla fessura dei cardini, Hilda vide che i due erano straordinariamente vicini.
Abraxas ridivenne freddo e indietreggiò con svogliatezza. Charlotte, riacquistata la lucidità, fece finta che i loro volti non si fossero mai neanche ravvicinati.
Hilda, pur ritenendo il momento inopportuno, varcò la soglia.
Il padrone di casa, per la prima volta, guardava l’infermiera dal basso in alto.
«Signore, - disse Hilda con fare spiccio, - Adolar Malfoy ha invocato il suo nome. Credo che farebbe meglio a scendere.»
«Arrivo subito.» Diede le spalle a Charlotte, che adesso era tutta intenta a rimettere dei panni lavati in una cesta di vimini, e seguì Hilda al piano inferiore.
Adolar aveva ripreso a blaterare frasi incomprensibili, girando per la camera con la sedia a rotelle.
«Ho paura che non stia molto bene, in questo momento.» sussurrò Hilda.
«Papà! – esclamò Abraxas, fiducioso. – Riesci a sentirmi?»
Il vecchio sbiancò non appena si ritrovò dinnanzi il figlio minore. I pochi capelli inscuriti che gli restavano sembrarono incanutirsi fulmineamente.
«Abraxas. – disse con voce strozzata. – Lysiart… Tu… Lei…»
«Sta tentando di dirci qualcosa, me lo sento!» disse Hilda accalorata.
«Cosa significa, papà?»
«Lysiart ucciso… I beni e-ereditati… Mia figlia… No, no, solo tu, Abraxas, sei degno dei miei soldi… Oh, no, Lysiart, sciagurato, traditore del sangue. I miei soldi… I miei soldi…»
«Un patologico attaccamento al denaro, il buon vecchio? – disse Laureen, facendo irruzione nella camera. Afferrò una siringa e continuò: - Un barbiturico è quello che fa al caso suo. Lasci fare a me, infermiera.»
Infilò l’ago in una vena del braccio nerboruto di Adolar e il calmante sedò all’istante il capofamiglia, che cadde addormentato.
«Tu, Laureen? Perché gli hai dato il calmante?»
«Andiamo, Abraxas, io conosco Adolar meglio di tutti voi. Sono brava a capire la gente, vista l'età che mi porto sulle spalle. Quanto è vero che siamo lontani parenti, tuo padre rischiava un attacco imminente. Se non fosse stato per la mia prontezza... Oh, dovresti ringraziarmi, invece di scaldarti.» disse la vecchia cugina.
L’infermiera era rimasta come sgomentata. «Suo padre, Abraxas, - disse a testa china, - ha capito qualcosa di molto importante. E se ha ancora un briciolo di intelligenza nella sua povera testa, tentava di comunicarlo.»
«Lui? – intervenne Laureen, accennando scetticamente al malato. – E’ possibile, mia cara, ma improbabile. Soltanto in pochi momenti è capace di intendere e volere.»
Anche Zephyrus entrò in scena di sorpresa, con fare scaltro e incerto a un tempo. Lanciò uno sguardo al paziente dormiente, poi squadrò Abraxas.
«Cosa gli è successo?» domandò.
«Una crisi. – disse Laureen. – L’ho sedato, poveretto! Spero sia finalmente in pace.»
«Sembra così duro! – commentò Hilda, abbattuta. - Ma in fondo ha bisogno di amore e affetto»
Il bibliotecario, a quelle parole, si voltò di scatto in direzione dell’infermiera e gridò, con gli occhi sbarrati: «H-Hilda O’ Connor? Santo Cielo, questo non è possibile!»
Poi sparì nel corridoio.


Ecco a voi un altro capitolo!
Un grazie particolare a Thiliol e a Moony Potter per le loro recensioni, a chi ha messo la storia tra i preferiti e a chi legge soltanto!

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Capitolo 9
*** Capitolo IX ***


Capitolo IX

Rosamund Jameson tossicchiò leggermente, mentre la polvere si levava da un volume di grosse dimensioni, dalla rilegatura rovinata dal tempo e dall'utilizzo. La biblioteca-archivio del Ministero della Magia era pressoché deserta quel giorno e non v'era nessuno nella zona in cui si trovava lei. Aveva impiegato diverso tempo prima di trovare ciò che le poteva interessare: un elenco, costantemente aggiornato, grazie ad un particolare incantesimo, delle famiglie purosangue inglesi. Con delicatezza voltò le grandi pagine, alcune ingiallite dal tempo, altre più recenti, fino a che non raggiunse la lettera L, che campeggiava al centro di un foglio, circondata da una graziosa miniatura, fatta di tralci di vite e piccoli fiori. Prima di analizzare singolarmente ogni elenco ed albero genealogico, sfogliò rapidamente tutta la sezione riguardante quell'iniziale, tornando immediatamente indietro. La prima famiglia che le capitò sotto il naso, il cui cognome, Lacherty, era seguito dal corrispettivo stemma, si era estinta da due secoli. Trasse quasi un sospiro di sollievo, sperando dentro di sé che la stessa sorte fosse toccata anche a molte altre dinastie purosangue, come sperava, pur sapendo quanto fosse inutile, che vi fosse una sola persona che potesse essere la misteriosa C. L. citata nel testamento di Adolar Malfoy.
Giunta al terzo elenco di nomi, prese in mano la penna che aveva portato con sé, la immerse nell'inchiostro e tracciò, con la sua grafia elegante, il primo nome che poteva corrispondere a quello dell'amante dell'uomo. Mentre proseguiva nella sua ricerca, annotando altri nomi sul foglio, scuoteva di tanto in tanto il capo. Non possedeva nemmeno un campo cronologico per le indagini. Il misterioso o misteriosa L. poteva essere nato prima di Lysiart, quanto dopo Abraxas, anche di diversi anni. Maledisse mentalmente il vecchio Malfoy per le sue reticenze. A cosa gli serviva non mettere subito in chiaro il nome della sua amante e del frutto del loro amore, se la sua volontà era che il testamento venisse aperto dopo la sua morte? Oppure pensava che i suoi figli legittimi se ne infischiassero della sua volontà, mettendosi a cercare quel foglio di papiro? Scosse appena il capo, mentre esaminava le pagine dedicate ai Longbottom, dove, per sua fortuna, non esisteva, nelle ultime generazioni, nessuna donna il cui nome iniziasse con la C. Si tirò leggermente indietro, sbattendo alcune volte gli occhi, ormai stanchi e affaticati dallo sforzo di focalizzare i caratteri arzigogolati di quel volume polveroso, forse non più consultato da tempo. Trasse un lieve sospiro per poi rimettersi rapidamente al lavoro, annotando ancora due nomi, prima di arrivare alla pagina dove campeggiava una grande M ornata anch'essa da una miniatura dai tratti delicati. Voltò alcune pagine fino a quando non raggiunse la sezione dedicata ai Malfoy. Annotò rapida, in un angolo, le date di nascita di Adolar, Lysiart e Abraxas, sperando che in un qualche modo le potessero essere utili.
Si alzò in piedi andando a riporre il volume, per poi tornare verso il tavolo di lettura ed iniziare a prendere in considerazione con calma i nomi che aveva annotato sulla pergamena. Erano troppi. Possibile che nessuno trovasse nulla di meglio da fare che chiamare la propria figlia con un nome che inizia per C? Rosamund scosse il capo. Era tutto così dannatamente complicato. Trasse un breve sospiro, prima di rileggere rapidamente i vari nominativi, aggiungendo accanto a loro alcune brevi annotazioni.
«Charity Lamb. Nata nel 1897, deceduta nel 1927. Unica nata dalle nozze dei suoi genitori, il padre era figlio unico. Priva di parenti stretti in vita. I Malfoy hanno mai avuto rapporti con i Lamb? Se è Charity l'amante di Adolar, il figlio illegittimo può essere nato, indicativamente tra il 1915 e il 1927. N.B.: i Lamb erano una famiglia purosangue assolutamente ininfluente.
Camilla Lawson. Nata nel 1904. Ancora in vita. Sposata con un mago tedesco. Controllare se vive in Germania, se sì da quanto tempo. Se fosse lei l'amante, L. deve essere sicuramente qualcuno di più giovane di Abraxas. Nato forse verso il 1922. La Lawson si è sposata nel 1923 ed ha avuto due figli poco dopo le nozze, uno nel 1924 e uno nel 1925. Questo esclude in quegli anni la nascita di L. L. non può nemmeno essere uno dei due figli del mago tedesco. Nessun mago purosangue accetterebbe di allevare il figlio di un altro come suo, soprattutto se questa illegittimità è palese e riconosciuta a livello ministeriale.
Corinne Lestrange. Nata nel 1899. Ancora in vita. Non sposata. Sembra possedere tutte le caratteristiche ideali per essere la misteriosa C. L. Non ha un marito, potrebbe aver avuto un figlio illegittimo. Fare indagini. Vedere se nella casa dei Lestrange è presente una qualche persona che possa aver le caratteristiche del figlio illegittimo, magari la sua origine è occultata sotto qualche altra funzione. Un qualche parente alla lontana.
Clarissa Linklater. Nata nel 1918. Ancora in vita. Si è sposata nel 1937. Forse è troppo giovane per essere l'amante di Adolar (ricordarsi che è nato nel 1884). Chiedere con precisione in che anno ha iniziato ad essere disabile. Chiedere a Abraxas o all'infermiera.
Cynthia Lockhart. Nata nel 1900, deceduta nel 1918. Indagare sulla causa della morte. Potrebbe essere stato parto? In questo caso il misterioso L. sarebbe del 1918. L. potrebbe essere stato cresciuto/a in un orfanotrofio. Oppure presso qualche parente dei Lockhart o dei Malfoy.
Christabel Lyndsay. Nata nel 1889. Ancora in vita. Sposata con una mago irlandese. Controllare se Adolar Malfoy ha mai avuto contatti di affari con il marito della donna. (sposata nel 1907) In questo caso potrebbe esservi una relazione clandestina. E la presenza di un qualcuno che possa essere L.»
L'Auror scosse appena il capo. Il suo intuito le diceva di scartare Clarissa Linklater, ovviamente avrebbe fatto le sue ricerche sulla donna, ma tra tutte era quella che meno avrebbe sospettato come possibile amante di Adolar. C'erano circostanze che riguardavano alcune delle altre donne che le rendevano nettamente più papabili per dare un nome e un volto a C. L. e di lì risalire al figlio o figlia che fosse.


La stanza dei giochi di Malfoy Manor apparve a Charlotte luminosa e calda, così in contrasto con le pietre scure della magione, con il suo aspetto tetro. Tenendo il bambino in braccio la giovane si mosse verso l'interno del locale, dove si trovavano giocattoli, forse ammucchiati da generazioni di piccoli Malfoy, in un angolo una culla e un tappeto dall'aspetto caldo e invitante sul pavimento. Con un gesto rapido della bacchetta scostò i pesanti tendaggi per fare entrare un filo di luce pallida e lieve, di quella giornata grigia. Una manina del bambino le tirò leggermente i capelli, come se volesse richiamare la sua attenzione, mentre gorgogliava qualcosa di incomprensibile. Gli accarezzò appena il capo, mentre si portava accanto ad una pila di giochi magici per bimbi di pochi mesi, osservandoli con attenzione, fino a quando Lucius non ne indicò uno, particolarmente colorato, con la manina destra. Charlotte sorrise appena e recuperò il gioco, per poi avviarsi verso il tappeto. Mentre camminava portò lo sguardo ad una delle finestre contro cui stava battendo una pioggia insistente, che era iniziata a cadere da quel mattino presto. Per un brevissimo istante le sembrò che qualcuno stesse scostando una tenda dalla finestra che si trovava al lato opposto della casa. Rabbrividì appena. Era da quando era giunta che le sembrava che tutti gli abitanti di Malfoy Manor, si scrutassero l'un l'altro, in una maniera che la inquietava. Scosse leggermente il capo, distratta da un improvviso movimento di Lucius, che sembrava improvvisamente agitato. Forse aveva colto la sua tensione, il suo tremito, si disse, mentre si sedeva, con attenzione sul tappeto, sistemandosi il bimbo sulle gambe, tenendolo con un braccio, mentre posizionava davanti a loro il gioco.
Mentre si occupava del bambino, aiutandolo con le forme colorate, dai disegni sempre in perenne movimento, la giovane si sforzava di non fissare la mente su quello che era avvenuto il giorno precedente. Era stata tremendamente sventata e imprudente a dire quella frase ad alta voce, sventata anche a fissare Abraxas a quel modo. Maledizione a lei e a quando aveva deciso di rispondere a quell'annuncio, con il solo scopo di poter stare sotto lo stesso tetto dell'uomo che tanto l'aveva attratta durante il mese seminariale. Rifiutò di concentrare la mente sul fatto che il signor Malfoy l'avesse chiamata per nome, che fossero stati così vicini ad un certo punto. Non doveva nemmeno soffermarcisi, si disse, mentre si ripeteva che lei era soltanto una sua dipendente, nulla di diverso.
«Non dovrebbe portare Lucius in giro per tutta la casa, signorina Zurrey.»
Charlotte sobbalzò, mentre girava il capo verso la porta sulla quale stava Megan Malfoy, intenta a fissarla con quei suoi occhietti piccoli e neri che le impedivano di trovarsi a suo agio, o meglio, che la facevano sentire meno a suo agio degli altri abitanti della magione.
«Ho pensato che qualche gioco potesse piacergli, signora Malfoy.» mormorò la giovane, tentando di dare un tono deciso alla sua voce, invano.
«Avrebbe potuto venire a prendere direttamente il gioco qui e portarlo nella stanza del bambino.» constatò secca Megan, facendo qualche passo avanti per la stanza, arricciando leggermente il naso, quasi che quella stanza così vivace le facesse ribrezzo.
«Avrei dovuto lasciare solo il bimbo. Il signore mi ha detto che non devo farlo per nessun motivo.» rispose rapidamente Charlotte, distogliendo lo sguardo dal volto della donna, odiandosi per come stava tentando di giustificarsi per ogni cosa.
«Sembra che si scordi, a volte, che Lucius ha una madre.»
La bambinaia sentì le mani farsi improvvisamente sudate, mentre scuoteva lentamente il capo. Avrebbe voluto scomparire in quel momento. Sentiva lo sguardo di Megan continuare a rimanere fisso su di lei, con quel suo modo inquietante di fissare la gente, un po' sghembo. E questo le rendeva più difficile trovare una risposta sensata, che non fosse qualcosa come "mi dispiace, signora, ma non ho pensato a portare il bimbo da lei."
«Temevo di disturbarla, signora Malfoy. - disse infine Charlotte, anche se dentro di sé dubitava della sensatezza delle sue parole - Mi devo…mi devo...ancora abituare a questa casa, alla sua immensità e…»
«Un tempo si faceva un gran parlare della magione degli Zurrey, signorina.» disse Megan, mentre si muoveva goffamente per la stanza.
«Un tempo, signora. Non ho mai visto la magione di cui parla.» rispose in un basso mormorio Charlotte, chinando se possibile ancora di più il capo.
«Signora Malfoy - la voce del maggiordomo, che sembrava sempre comparire all'improvviso ovunque, o almeno questa era l'impressione che Charlotte aveva avuto in quei giorni - c'è un problema giù alle cucine, una specie di lite tra elfi domestici. Paiono piuttosto inquieti di questi tempi.»
«Perché vieni a interpellare me, Laurence, invece di chiedere consiglio a mio marito?» biascicò la donna, lanciando un'occhiata alla bambinaia, che sembrava non possedere la capacità di guardare il volto delle persone.
«Ha chiesto espressamente di non essere disturbato stamane. Lo sa, signora, come potrebbe reagire se qualcuno lo disturba mentre sta sperimentando un qualche nuovo medicinale.» rispose Green, con il tono di chi conosce ogni singola abitudine di ogni singolo abitante di Malfoy Manor.
«Arrivo subito allora, Green.» disse la donna, lanciando un'ultima occhiata a Charlotte, piuttosto malevolmente, uscendo subito dopo rapidamente dalla stanza.
Il maggiordomo rimase per qualche istante sulla soglia, osservando con attenzione la giovane bambinaia che, a quasi nessuno all'interno della casa, sembrava abbastanza esperta e affidabile per poter prendersi cura del piccolo Lucius. Forse era soltanto troppo giovane, si disse Green, mentre dava le spalle alla giovane, chiudendosi la porta alle spalle.
Charlotte rimase a lungo immobile, provocando un piccolo grido di protesta da parte del bimbo che si era sentito ignorato durante tutto il dialogo precedente. Scuotendo appena il capo la giovane tornò ad occuparsi del piccolo, giocando con lui, lasciando che il tempo scorresse, tentando di non permettere ai propri pensieri di fissarsi sulle parole di Megan Malfoy. Non era tanto il riferimento della donna alla passata fortuna e all'attuale decadenza della sua famiglia ad averla turbata, quanto piuttosto le parole che riguardavano il suo rapporto con il bambino. I sentimenti che provava per il padre di questi, l'avevano portata in alcune occasioni a dimenticare che Abraxas era sposato con quella donna dall'aspetto così grottesco. Ancora una volta non si accorse dell'aprirsi della porta della sala, troppo concentrata sui suoi pensieri, e sul gioco di Lucius. Fu soltanto quando udì chiudersi l'uscio che si voltò di scatto. Si mordicchiò appena il labbro inferiore, mentre gli occhi focalizzavano la figura del padrone di casa.
«Signor Malfoy. - mormorò, mentre con la mente andava alla ricerca di una qualsiasi cosa da dire, anche la più banale. Scosse appena il capo, sforzandosi di riportare la sua attenzione sul bambino. - suo padre… - si interruppe, lievemente imbarazzata, mentre finalmente riusciva a portare lo sguardo su Lucius - …come sta?»
«Come sempre, signorina Zurrey. - rispose l'uomo facendo qualche passo verso la giovane e il figlio - Privo di senno.»
Soltanto il gorgogliare senza senso di Lucius riempì per diversi tempo la stanza. Abraxas, che ormai aveva raggiunto la bambinaia, si lasciò cadere su una delle poche sedie presenti nel locale. Gli occhi rimasero fissi su Charlotte, mentre scuoteva lentamente il capo, scacciando alcuni pensieri dalla mente. Non voleva nemmeno meditare sulle poche frasi sconnesse pronunciate il giorno prima dal padre, sull'intervento di Laureen e su quell'esclamazione priva di significato uscita dalle labbra del bibliotecario. Era come se Zephyrus si fosse accorto soltanto in quel momento del nome dell'infermiera, quando la signorina O'Connor era stata assunta da tempo, da quando suo padre non riusciva quasi più a muoversi.
«Mi dispiace, signor Malfoy. - disse infine Charlotte, ponendo fine a quel lungo silenzio, mentre porgeva una forma al bimbo che prese ad osservarla incuriosito. Lo sguardo della giovane tornò a posarsi sul padrone di casa, come se non potesse farne a meno - È terribile vedere il proprio padre perdere progressivamente il contatto con la realtà, giungendo ad un momento in cui non rimangono che i ricordi di quello che era un tempo.»
«Già, i ricordi… - disse con voce piatta l'uomo, scuotendo appena il capo. Il bimbo lasciò cadere per terra la formina per voltarsi verso il padre, quasi si fosse accorto soltanto in quel momento della sua presenza - signorina Zurrey, mi passi il bambino.»
Charlotte annuì leggermente, prendendo in spalla Lucius, che ormai non prestava più attenzione al gioco, alzandosi lentamente in piedi, per porgere il bimbo al padre. «Stanotte non si è svegliato per il suo solito pasto, signor Malfoy.» disse la giovane, come se non volesse far cadere altri lunghi silenzi tra loro.
«È un buon segno, signorina - constatò Abraxas, alzandosi in piedi, recandosi verso una delle due finestre - Mi dica se… - le parole gli morirono in gola, mentre gli occhi si posavano rapidi su un piccolo stipo, situato in un angolo in ombra della stanza. Il corpo si irrigidì di colpo. - Riprenda il bambino…»
La voce quasi strozzata del padrone di casa provocò un forte senso di allarme in Charlotte che si affrettò verso di lui. C'era qualcosa di strano, insolito, nell'uomo, come se la sua mente stesse per abbandonarlo. Aveva appena preso nuovamente tra le braccia Lucius il quale, spaventato da quell'improvviso irrigidimento del padre, aveva iniziato ad agitarsi, che Abraxas cadde al suolo, il colpo attutito dal tappeto. Un gemito strozzato uscì dalle labbra della bambinaia, mentre l'uomo prendeva a dimenarsi in maniera forsennata, aritmica, gli occhi dilatati, assenti e velati. Charlotte rimase immobile per un breve istante, intrappolata in una morsa di preoccupazione e di ansia, prima di affrettarsi verso la piccola culla e depositarvi Lucius per poi tornare rapida verso l'uomo che era ancora in preda di quell'attacco epilettico violento e improvviso. La giovane si inginocchiò poco distante da Abraxas, allontanando da lui, con un colpo di bacchetta, tutti gli oggetti che avrebbe potuto urtare, poi rimase immobile, facendo l'unica cosa che poteva: attendere la fine dell'attacco. Non seppe dirsi quanto tempo passò, prima che l'uomo iniziasse lentamente a calmarsi, fino a che non produsse più nessun movimento. Charlotte non disse nulla, mentre intrecciava strettamente le mani, come per impedirsi di compiere gesti di cui si sarebbe subito pentita.
«Il bambino…» mormorò soltanto l'uomo, la voce fioca, lontana, mentre voltava il capo intorno, incrociando lo sguardo preoccupato e teso della giovane.
«Sta bene, Abr…signor Malfoy. È nella culla.» rispose Charlotte, chinando di scatto il capo, mentre si mordicchiava appena il labbro inferiore.
L'uomo non disse nulla, posando le mani sulla superficie morbida del tappeto e tirandosi a sedere, la testa che gli doleva e girava leggermente. Era da tempo che non aveva un attacco del genere. Era quasi un'ironia della sorte che avvenisse proprio nel luogo in cui si era manifestata per la prima volta la malattia.
«Posso…c'è qualcosa che posso fare per lei, signor Malfoy?» domandò la giovane, tenendo ancora il volto fisso al suolo, la voce leggermente titubante.
«Nulla, Charlotte. - l'uomo si interruppe di colpo, scuotendo il capo, provocandosi una fitta di dolore - Anzi, vada a procurarmi un bicchiere d'acqua zuccherata. In cucina.»
La giovane annuì, alzandosi in piedi rapidamente, come se volesse allontanarsi da lì al più presto. Raggiunse la porta ed uscì, affrettandosi verso le scale, che si trovavano di fronte alla stanza, scendendole, fino a quando non raggiunse il piano terra.
«Signorina Zurrey, è successo qualcosa? Sembra così preoccupata.» la interpellò con voce leggermente untuosa il bibliotecario.
«Il signor Malfoy ha avuto un attacco epilettico piuttosto grave, signor MacNiemand. - rispose sbrigativa Charlotte, cercando di non pensare al modo in cui tutti parevano sbucare fuori all'improvviso in quella casa - Sto andando alle cucine.»
«Permetta che l'accompagni. - si offrì l'uomo, affiancandosi a lei, che aveva ripreso subito a camminare, appena aveva terminato di parlare - Una brutta malattia quella che colpisce il signor Malfoy. Immagino lei sappia cosa si dice in proposito.»
«Non crederà veramente a quei libri di quart'ordine che fanno riferimento all'indemoniamento?» chiese Charlotte, sgranando appena gli occhi per la sorpresa, mentre continuava a camminare rapida.
«A volte non si sa a cosa credere, signorina. - sentenziò Zephyrus - Sa mi sono sempre chiesto per quale motivo il vecchio Adolar abbia dato un nome del genere a suo figlio.»
«Cosa vuol dire, signor MacNiemand?» domandò la giovane, perplessa.
«Con il mio lavoro entro in contatto con migliaia di manoscritti e su alcuni di questi c'è scritto che il nome Abraxas ha un che di demoniaco, di satanico.»
«Non credo che un nome sia per forza di cose specchio della persona che lo porta.» mormorò Charlotte, tentando di mostrarsi più indifferente di quanto non fosse.
«Certamente, signorina Zurrey, ma deve ammettere che gli attacchi epilettici hanno un che di spaventoso.»
«È soltanto una malattia, signor MacNiemand, pericolosa unicamente per chi ne soffre.» rispose rapidamente la giovane, mentre scendeva i gradini che portavano al seminterrato della magione.
«Ne è veramente sicura, signorina Zurrey?» domandò Zephyrus nel momento esatto in cui lui e Charlotte fecero il loro ingresso nelle ampie cucine del Manor, dove vigeva una certa confusione.
La giovane si diresse rapida verso un gruppo di elfi domestici, non più seguita dal bibliotecario che era rimasto sulla soglia dell'ampio locale. Due di loro sembravano essere come imbambolati a guardarsi, fino a quando uno degli altri non si rivolse a lei, che fece la sua richiesta.
«Ci pensa Maky signorina. Maky deve badare al signore, signorina.»
La bambinaia fissò per qualche istante stupita il piccolo essere, proprio uno di quei due che parevano essersi come estraniati da quello che accadeva intorno a loro. Lo vide affaccendarsi, mentre l'altro elfo che l'aveva colpita si mosse per aiutarlo, prima di bloccarsi e mormorare incessantemente:
«Hatty è cattiva.» come se fosse una sorta di litania.
Charlotte prese il bicchiere di acqua zuccherata, abbozzando un lievissimo sorriso, allontanandosi appena.
«Non è vero che Hatty è cattiva, Hatty è dolcissima.» sentì mormorare dall'elfo che si chiamava Maky.
Si voltò per un istante e lo vide prendere la prima cosa che gli capitava in mano per punirsi. La bambinaia scosse appena il capo, per poi affrettarsi verso le scale, alla cui base non si trovava più il bibliotecario. Mentre saliva verso i piani superiori la mente rimuginava sulla strana scena a cui aveva assistito. Se non avesse sempre pensato che gli elfi non potessero provare sentimenti uguali a quelli dei maghi, avrebbe potuto giurare che Maky e Hatty fossero innamorati e, forse, al di là di ciò che riteneva, lo erano veramente. Trasse un sospiro, chiedendosi fino a che punto il sentimento che lei stessa provava, quello stesso sentimento che imputava ai due esseri, la stesse influenzando. Si passò una mano tra i capelli, nervosa, mentre quella che reggeva il bicchiere tremava appena. I gradini scorrevano rapidi sotto i suoi passi, fino a quando non raggiunse il corridoio del secondo piano. Si affrettò verso la porta della stanza dei giochi e la aprì. Abraxas si era rialzato in piedi durante il tempo in cui lei era rimasta assente e si era avvicinato lentamente alla culla, dove lei aveva deposto il bambino.
«Signor Malfoy. - lo chiamò avvicinandosi rapida a lui, mettendo a tacere qualsiasi pensiero le frullasse in quel momento nella mente - Le ho portato la bevanda che mi ha richiesto.»
L'uomo si voltò verso di lei, in un movimento lento, fissandola per qualche istante, prima di allungarsi e prendere il bicchiere che Charlotte gli porgeva, sfiorandole, forse più a lungo di quanto non fosse necessario, la mano.


Hilda si affaccendava, come ogni notte, intorno al suo paziente, che pareva, dopo l'agitazione della mattina precedente, essere sprofondato in una calma assoluta, forse dovuta alla dose di barbiturici che aveva iniettato Laureen. L'infermiera scosse leggermente il capo. Non riusciva a capire per quale motivo la donna avesse agito in quella maniera, proprio in uno di quei rari momenti in cui il vecchio Adolar appariva lucido. Anche Abraxas sembrava essere rimasto contrariato dall'intervento della cugina. Di certo aveva un che di strano. La donna passò delicatamente una mano sulla fronte dell'uomo che si era appisolato nel suo grande letto, così enorme per il corpo smagrito e fragile del degente.
Hilda si avviò verso la porta che dava sul corridoio accertandosi che fosse chiusa a chiave e sigillata da un incantesimo, poi si ritirò nella sua stanza, che comunicava con quella di Adolar. Tenne la porta aperta, come era solita far sempre, avvicinandosi subito dopo alla finestra, forse con l'intento di aprirla. Scostò la tenda, prendendo ad osservare la grande casa addormentata. Da nessuna delle finestre del primo piano, che poteva vedere, trapelava una luce, se non, una assai fioca dalla camera di Lucius, ma non la stupì. Il bambino dormiva sempre con una o due candele accese ed era palese che la bambinaia non aveva cambiato abitudini. Hilda rimase per qualche attimo immobile a pensare a quello che aveva sentito provenire dal salottino del secondo piano, a quel dialogo tra Abraxas e la giovane. Il comportamento del padrone di casa, in quel frangente, le era sembrato quanto mai strano, insolito, così lontano dal suo modo di fare. Per un breve istante indagò sui motivi che potevano spingere l'uomo verso una persona che conosceva a mala pena, ma un particolare improvviso bloccò il pensiero sul nascere. Alla luce tenue delle stelle e di una quasi invisibile falce di luna, che avevano preso il posto delle nuvole grigie da cui era scesa la pioggia per quasi tutta la giornata, le parve di vedere un'ombra stagliarsi in quella che un tempo era stata la camera di Lysiart. Sobbalzò, spaventata, memore di quello spettro apparso a Megan. Scosse appena il capo, distogliendo lo sguardo, per poi portarlo nuovamente verso il punto che stava osservando in precedenza e ancora una volta notò l'ombra.
Traendo un sospiro si precipitò fuori dalla stanza, non peritandosi di sigillare la porta con un incantesimo. Percorse rapidamente il tratto di corridoio che la separava dalla porta dell'anticamera. Attraversò il locale fastoso in poco tempo, bloccandosi davanti alla porta che immetteva nella stanza del defunto signor Malfoy. Rimase per qualche istante titubante, la mano sulla maniglia, poi con un gesto improvviso l'abbassò. Un uomo stava in piedi nel mezzo della stanza, dandole le spalle. La scarsa luce di quella notte d'aprile non impedì immediatamente a Hilda di riconoscerlo, mentre urtava, nel muoversi in avanti, un piccolo tavolino che si trovava giusto presso la porta.
«Signorina O'Connor, le sembra forse il caso di andarsene in giro di notte e lasciare il suo paziente da solo.» affermò di scatto l'uomo, dopo essersi voltato verso di lei.
«Non pensavo fosse lei, signor Malfoy. - rispose rapidamente l'infermiera - Temevo…sa quello spettro di cui ha parlato sua moglie.»
«Sembrate star diventando tutti paranoici in questa casa.» constatò Abraxas, osservando la sagoma scarsamente illuminata dell'infermiera.
«È stato commesso un omicidio, credo che sia naturale…non tutti sono come lei, signor Malfoy, non tutti riescono ad essere così impassibili di fronte ad ogni cosa.» protestò vivacemente Hilda.
«È inutile farsi prendere dal panico, signorina O'Connor, non quando non c'è nulla di cui preoccuparsi. Chi ha ucciso mio fratello aveva chiaramente un obiettivo e, purtroppo, l'ha raggiunto.»
«Come fa ad esserne così sicuro, signor Malfoy?» chiese la donna, tentando di non mostrarsi troppo perplessa.
«Se ragionasse attentamente sulla questione, forse anche lei sarebbe della mia stessa opinione. - si interruppe per un istante, facendo qualche passo verso la donna. Illuminata unicamente dalle stelle e da quel poco di luna che appariva in cielo, la figura dell'uomo sembrava sovrastare ancora di più l'infermiera - Quello che lei dovrebbe fare, signorina, è semplicemente andare a badare a mio padre.»
Alla donna non rimase che annuire debolmente. Le parole di Abraxas Malfoy riuscivano in quel momento a farla sentire in colpa per aver abbandonato da solo il vecchio Adolar, a tal punto colpevole da non riuscire a chiedersi per quale motivo il padrone di casa si trovasse a quell'ora della notte nella camera di Lysiart. L'uomo rimase ad osservare Hilda retrocedere ed uscire dalla stanza. Trasse un leggero sospiro, mentre tornava rapido verso la scrivania. Era stato solamente fortunato ad accorgersi dell'arrivo dell'infermiera, grazie al lieve ticchettio delle sue scarpe sulla pietra dell'anticamera. Certo non aveva avuto il tempo di raggiungere il boudoir o i locali di servizio, ma per lo meno non si era fatto cogliere a frugare tra le carte del fratello. E di certo la signorina O'Connor sarebbe stata meno accomodante di Charlotte.
Scosse appena il capo, tornando rapido ad avvicinarsi alla scrivania di Lysiart, tirando, lentamente, uno dei cassetti, che si aprì senza produrre rumore. Tastò con una mano fino a quando non sentì la presenza di un libro, dalla coperta in cuoio. Lo prese in mano e lo estrasse, osservandolo, per quel che poteva, alla luce che entrava dalle finestre. Chiuse per un istante gli occhi, affaticati, prima di tornare a fissare il libercolo. Gli sembrava di averlo visto tra le mani del fratello, alle volte. Un animale notturno lanciò un richiamo da qualche parte fuori dal Manor, mentre Abraxas si alzava lentamente in piedi, infilando il volumetto in tasca.
Si diresse rapido verso il piccolo disimpegno che veniva a crearsi tra la parete del boudoir e quella dei locali di servizio, raggiungendo la porta opposta a quella da cui era entrata Hilda. La aprì piano, ritrovandosi nel secondo anticamera, un locale più piccolo e discreto del grande anticamera di ingresso, lo attraversò, calpestando il tappeto turco che si trovava al centro della stanza, per poi percorrere un breve tratto di strada sulla semplice pietra, raggiungendo una nuova porta, che lo fece entrare nel salotto del lato occidentale, una vasta stanza, quasi inutilizzata, se non per passaggio. Lo percorse rapidamente e così fece con il piccolo anticamera, fino a quando non si ritrovò nella camera del figlio, immersa nel più assoluto silenzio. Il bimbo dormiva placido, illuminato appena dalla luce di una candela, nella sua culla, imitato dalla sua bambinaia, che giaceva sul grande letto a baldacchino. Abraxas si mosse lentamente, tentando di far meno rumore possibile, per la stanza, raggiungendo in poco tempo la porta che l'avrebbe fatto entrare nei suoi appartamenti. Mise la mano sulla maniglia, voltandosi però subito dopo verso le due figure addormentate, di cui scorgeva unicamente quella di Charlotte, raggomitolata sotto le coperte. Rimase per qualche istante immobile, prima di scuotere lentamente il capo ed aprire l'uscio, riuscendo così a raggiungere il locale che separava la stanza di Lucius da quella sua e di Megan. Entrò rapido nella camera, bloccandosi sull'ingresso alla vista della moglie seduta sul letto, raggomitolata, con una mano avanti a sé come se stesse respingendo una qualche presenza invisibile.
«Cosa sta succedendo?» domandò in maniera forse troppo brusca.
«Per fortuna sei qui, Abraxas - disse la donna, voltandosi verso il marito, gli occhi dilatati dal terrore - lo spettro…»
«Non c'è nessuno spettro in questa camera, Megan.» affermò l'uomo, avvicinandosi ulteriormente al letto, guardandosi per un attimo intorno.
«C'era…poco fa…era lì minaccioso…»
«Sicura di non essere semplicemente suggestionata da uno di quei quadretti che ami tanto osservare nel boudoir?» domandò Abraxas, interrompendo le parole della moglie.
«Certo che ne sono sicura… è come l'altra volta, quando ero con il piccolo Lucius…»
L'uomo scosse appena il capo, mentre si sedeva sul bordo del letto, fissando meglio lo sguardo sulla figura di Megan, che mai come quella sera gli appariva grottesca.
«Forse sei soltanto scossa da quello che è accaduto.»
«L'altra volta sembravi avermi creduto, Abraxas - ribatté la donna - Adesso perché…»
«Perché sembra che questo spettro scompaia quando entro io.» sbottò lui.
«Se Lucius sapesse parlare ti direbbe che c'era quell'altra volta…non ricordi com'era spaventato?»
Il silenzio cadde tra i due coniugi Malfoy. L'uomo si alzò piano dal letto camminando verso una delle due porte che si aprivano sul lato meridionale della stanza. Raggiunse quella più a sinistra e l'aprì, entrando nei locali di servizio. Stava per aprire un rubinetto, quando sentì una voce soffocata provenire dalla camera.
«Cosa sta succedendo, Megan?» domandò alzando di poco la voce.
«Lo spettro.» urlò quasi la donna.
Abraxas si voltò rapidamente verso la porta del locale dove si trovava e la aprì, tornando nella stanza. Sua moglie sembrava essersi raggomitolata ancora di più su se stessa. Si guardò intorno rapidamente, come se stesse cercando qualcosa.
«Non c'è nulla, Megan.»
«È scomparso quando hai aperto la porta.» mormorò a scatti la donna.
«Può essere. - disse Abraxas, aggrottando appena la fronte, mentre dalla camera da letto di Lucius si sentì chiaramente un pianto soffocato - Dannazione, Megan, hai svegliato il bambino.»
La donna non disse nulla, limitandosi a rimanere rannicchiata nella stessa posizione, ancora turbata. Poi improvvisamente si riscosse e punto gli occhietti neri, non più dilatati dalla paura, sul marito, osservandolo attentamente, per la prima volta, da quando era entrato.
« Perché sei tornato così tardi, stanotte?» domandò, la voce non più spaventata, ma più simile al suo tono abituale.
«Ho lavorato nel mio studio, Megan. Non è la prima e non sarà l'ultima volta che succede.- rispose piatto l'uomo, arcuando appena un sopracciglio, quando la moglie si alzò dal letto, la camicia da notte candida che pareva fare di lei una qualche villi sghemba. - Dove stai andando?»
«Da quella ragazzetta che hai assunto per badare a nostro figlio. Non è nemmeno in grado di farlo smettere di piangere.» biascicò rapida la donna.
«Vado io, Megan - disse l'uomo avvicinandolese - È meglio che tu ti riposi, dopo quel turbamento. Potresti impaurire Lucius.»
La donna chinò appena la testa, borbottando delle parole che per l'uomo risultarono incomprensibili. Scosse appena il capo e si avviò verso la porta da cui era entrato poco prima. Attraversò rapido il locale per entrare nella camera del figlio. La bambinaia stava camminando piano per la stanza con il bimbo in braccio, cullando il piccolo con delicatezza, cantando a bassissima voce una ninnananna, che però sembrava non aver effetto su Lucius che continuava a piangere e ad agitarsi.
«Signorina Zurrey.» la chiamò, facendo qualche passo verso di lei che si era fermata di scatto, fissando gli occhi sull'uomo.
«Non riesce a calmarsi, signor Malfoy. Ho sentito un grido soffocato provenire dalla sua stanza e il bambino si è messo subito a piangere. Ho provato a farlo giocare con il suo orsacchiotto di pezza, ma non l'ha voluto. - fece una breve pausa, avvicinandosi a lui e porgendogli il bambino - Forse lei…è suo padre.»
Abraxas prese il bimbo in braccio, gli occhi fissi sulla giovane, troppo vicina a lui. Fece un passo verso la finestra, mentre Lucius continuava ad agitarsi e a piangere.
«Non credo che faccia molta differenza, signorina.»
«Sono certa di sì, signor Malfoy. Mia madre mi ha sempre raccontato che mi calmavo unicamente quando ero in spalla a… - fece una pausa, mordicchiandosi il labbro inferiore, nervosa - …non credo che sia importante.»
«Sicura, signorina Zurrey? - chiese l'uomo voltandosi verso di lei, mentre faceva ondeggiare appena il bimbo tra le braccia, il quale si stava lentamente calmando. Charlotte rimase muta, immobile, gli occhi fissi sul volto del padrone di casa. Fu il piccolo Lucius a far distogliere lo sguardo del padre dalla bambinaia, sporgendosi appena, indicando l'arazzo con il simbolo di Serpeverde. - Sembra che lei avesse ragione, signorina. Pare che mio figlio voglia andare a Hogwarts prima del tempo. - una breve pausa - Se non sbaglio, non ha mai risposto ad una mia domanda. In che Casa era all'epoca della scuola?»
«Tassorosso, signor Malfoy.» mormorò Charlotte, arrossendo appena.
«Come tutta la sua famiglia?» domandò l'uomo, mentre il bimbo, dopo quel momento di eccitazione improvvisa, sembrava essersi quietato del tutto.
«No, di solito gli Zurrey vengono smistati in corvonero.» rispose la giovane, seguendo ogni singolo movimento di Abraxas.
L'uomo rimase in silenzio, avanzando verso la culla del bimbo, dove giaceva il piccolo orsacchiotto di pezza. Con delicatezza depositò il bambino nel suo lettino, un lieve sorriso gli increspò per un istante le labbra, quando lo vide infilarsi un ditino in bocca.
«Si è addormentato?» chiese in un mormorio la bambinaia, avvicinandosi a lui.
«Sì.» confermò l'uomo, voltandosi di scatto verso di lei.
«Cos'è successo, prima, signor Malfoy?»
«Mia moglie, ha avuto un incubo. - l'uomo si mosse per la stanza, oltrepassando la bambinaia, per iniziare ad avvicinarsi verso la porta, bloccandosi però, quando ancora non aveva interposto che pochi passi tra lui e la giovane. Non si stupì nel trovare gli occhi di Charlotte fissi su di sé, quando si voltò verso di lei. - Nulla di preoccupante.» aggiunse per riempire il silenzio che si era creato nella stanza.
La giovane fece un solo passo verso di lui, bloccandosi immediatamente, chinando improvvisamente il capo, turbata. Si mordicchiò il labbro inferiore, tentando di trovare una qualsiasi cosa da dire.
«Vada a letto. Tra poche ore Lucius vorrà mangiare. - l'uomo fece una pausa, mentre riprendeva il suo cammino. Si fermò quando fu quasi presso la porta - Buonanotte, Charlotte.»
«Buonanotte, signor Malfoy.»
Charlotte rimase immobile, fino a quando l'uomo non fu uscito, poi si portò rapida verso la culla. Sfiorò piano una guancia del bambino, prima di tornare a coricarsi sul letto, raggomitolandosi su se stessa.


Ecco a voi un altro capitolo. Come immagino molti di voi avranno notato, nella prima parte abbiamo utilizzato i cognomi Lockart (it. Allock) e Longbottom (it. Paciock) attenendoci all'originale inglese.
Un grazie particolare a:

Moony Potter: Le tue domande su Zephyrus riceveranno risposta presto o tardi. (della serie evviva le frasi sibilline :P)Quanto ad Abraxas e Charlotte, sappici dire cosa ne pensi dopo questo capitolo. (quanto al loro conoscersi prima, nel chap VII si dice che Charlotte ha assistito l'anno precedente all'azione ad un seminario mensile tenuto da Abraxas.). Ovviamente (altrimenti che giallisti saremmo) non possiamo dirti nulla sui tuoi sospetti su Laureen. L'unica cosa che ti diciamo è che ci fa molto piacere vederti fare delle supposizioni (è veramente segno che riusciamo a trasmetterti qualcosa) e ti ringraziamo per i tuoi complimenti!

Thiliol: Eccoti servita con il nuovo capitolo! Speriamo sinceramente che ti piaccia! Sappici dire cosa ne pensi!

Un grazie a chi ha posto la storia tra i preferiti e a chi legge soltanto!

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Capitolo 10
*** Capitolo X ***


CAPITOLO X

Erano ormai dieci minuti che la donna osservava la vecchia fotografia consunta senza sbattere ciglio. I sentimenti che fervevano nel suo cuore erano affiorati via via sul volto, donando alle guance un colorito vermiglio.
«Oh, Rachele. Ti ha ucciso. – biascicò a un tratto, osservando i delicati lineamenti somatici della figlia, che sorrideva spensieratamente. – Ma la sua morte, quell’uomo, se l’è cercata.»
Ester irruppe nella stanza, il viso etereo, e squadrando la madre con esitazione, disse: «C’è un uomo che aspetta, in cortile. Vuole che andiamo a parlargli.»
Juliet si resse in piedi dispnoica e stracciò la foto di Rachele in un gesto stizzoso. «Viene da quell’edificio ripugnante ed esecrabile?»
«Oh, no, non credo, mamma. Ha un viso del tutto sconosciuto.»
Le due donne marciarono fino alla porta d’ingresso, gli occhi che saettavano da un punto all’altro dell’atrio, come alla ricerca di un oggetto invisibile. In mezzo all’erba alta, dinnanzi ai gradini che conducevano alla porta in alabastro, Jeremy Osvald Further ammirava con morbosa curiosità la facciata del debole alloggio degli Hayward. Sembrava deprecarlo con smorfie di disgusto o ironica incertezza.
Sciabolando con il suo bastone, Juliet lo raggiunse e gli rivolse il mento, scrutandolo dall’alto in basso. Poi sbottò: «Chi è lei?»
Further ostentava un’altera impassibilità. «Sono il padre di Cornelia, un’amica di Ester. Mi meraviglio che la signorina non mi abbia riconosciuto. Tuttavia vengo in veste di notaio. Lei è la signora Juliet Gena Hayward, o sbaglio?»
«Sono io.»
«Ho controllato l’odierno codice, signora Hayward, e sono qui per consegnarle i soldi che spettavano a sua figlia Rachele. La morte di Lysiart avrebbe procurato alla moglie duecentomila galeoni. Ma, giacché la donna è morta, questo denaro va spartito fra lei e sua figlia Ester. Venga qui, signorina. Ecco. – trasse un libretto dalla tasca. – Centomila galeoni a lei, signora Hayward. E altrettanti alla signorina Ester.»
Juliet Gena strizzò gli occhi, strappando l’assegno dalle mani del notaio. Ester, più garbatamente, tese le dita, in attesa della sua parte di soldi.
«A questo punto, - disse Further, - tolgo il disturbo. Mi basta che firmiate questa schedatura. Sì, ecco, un po’ più a destra, sulla linea retta. Va benissimo. Il lavoro concernente questo caso è risolto. Arrivederci, signora e signorina Hayward.»
Nessuna delle due rispose al saluto. Entrambe si limitarono a fissare estasiate i propri assegni. Erano di nuovo ricche.
«E’ andata come credevamo.» disse Ester.
«Oh, figlia mia.»
Si abbracciarono, mentre il crepuscolo laminava di rosso le estese pianure, cornici di un quadro gaio e festoso, e le farfalle notturne prillavano aggraziatamente nell’aria linda.
Le nuvole, con occhi di fumo, scrutarono Juliet. La vecchia piangeva di felicità.
«Sembra quasi un sogno, mia cara. Il migliore della mia vita.»
La foto di Rachele, sfuggita dalle mani di Juliet e adagiata in mezzo alle pirocante, venne sospinta da un alito di vento e volò via, in direzione del lago di cristallo; sembrava che negli occhi della donna immortalata si fosse appena spento qualcosa: il luccichio vitale nelle iridi di una giovane che per lungo tempo aveva creduto di essere amata più d’ogni altra cosa al mondo.


La vigorosità con cui dieci colpi furono battuti alla porta della camera di Zephyrus resero lampante l’identità della persona che voleva incontrare l’abitatore della celletta.
Il bibliotecario, con la testa affondata sotto il cuscino, si riscosse tremando ed esclamò: «Mi perdoni, signor Abraxas. Non ho intenzione di aprire. Per la verità io… ho qualche linea di febbre..»
«Smettila di mentire con me, Zephyrus. Apri immediatamente o giuro che ti sfratto di casa.»
La maniglia fu abbassata con una lentezza strabiliante e Abraxas, lì per lì, provò la bizzarra sensazione che Zephyrus stesse cercando di provocare meno rumore possibile. Dopodiché si trovo faccia a faccia con il brutto coinquilino, maledettamente simile a un ratto delle fogne.
«Signore, non le consiglio di entrare. L’atmosfera nella mia camera è vomitevole. Gli elfi, stamani, hanno saltato le pulizie.»
«Infatti non voglio entrare, ma semplicemente parlare con te, Zephyrus. Chiederti spiegazioni.»
«Spiegazioni, signore? Che tipo di spiegazioni? Io non devo dirle niente.»
«Questo lo pensi tu. Eppure è successo qualcosa che non sono riuscito a capire, l’altro ieri mattina. Potrai chiarirmi le idee, non è così?»
«Non capisco di cosa stia parlando.»
«Fai il finto tonto, Zeph?» disse Abraxas a denti stretti, lanciando sguardi lungo il corridoio del secondo piano.
«Ma signore…»
«Niente ma, hai capito? Bene, se continui a fare lo gnorri, ti rinfresco la memoria. Hai gridato il nome di Hilda, l’infermiera, con fare mezzo accalorato e mezzo sgomento. Per quale motivo?»
Il bibliotecario rise, scrollando la testa. «Io non ho fatto niente del genere…»
«Come sarebbe a dire che non hai fatto niente del genere? Ti abbiamo sentito tutti.»
«Gli affari miei non la riguardano. – Il tono di Zephyrus, all’improvviso, si era fatto glaciale. Abraxas non lo aveva mai sentito parlare in quella maniera. – Quello che lei non ha capito è che, in questa casa, non sono il servo di nessuno. Custodisco una biblioteca, ho molto più cervello e molta più cultura di tutti voi messi assieme e mi arrogo a ragione il diritto di tenere per me ciò che voglio.»
Gli occhi del padrone di casa erano fissi su quelli del bibliotecario, che adesso teneva la grossa testa da topo alta e fiera. Abraxas emise un ringhio impercettibile, voltò le spalle a Zephyrus e corse giù per la scala di servizio.
Zephyrus fu tempestivamente raggiunto da Laureen, che aveva assistito alla scena da dietro un pilastro. L’anziana donna sorrise mestamente, avvicinandosi al bibliotecario con fare scaltro e circospetto.
«Sa essere crudele, caro Zeph. Ma lascialo stare. Ognuno di noi ha il diritto di nascondere i propri segreti.»
«Ti ringrazio, Laureen. La tua gentilezza mi rincuora…»
«Oh, grazie a te per i complimenti graditi. Dunque… sono già le sette. Ti piacerebbe andare un po’ nel salotto estivo? Megan ha preso la sua tisana alle cinque, per cui non possiamo sperare di farle compagnia. Ma staremo al caldo.»
«Certo, certo, dammi solo il tempo di prendere le chiavi.» rispose Zephyrus, celando pessimamente il proprio entusiasmo. Poi chiuse la porta.
In pochi minuti raggiunsero il salottino estivo e si accomodarono sui sedili di rattan, l’una dinnanzi all’altro. Sul tavolo fumava ancora una cuccuma ramata. Megan se ne stava all’entrata del balcone, intenta ad osservare un punto non meglio definito del cielo scuro. La sera era ormai prossima.
«Non sapevo che ti piacesse venire qui, Laureen.» disse non appena si accorse dei due nuovi venuti.
«No, infatti. C’era un po’ di fresco, nei corridoi di pietra, Megan. Credo che tu debba sapere quanto sia intollerabile la temperatura in primavera, con le mura che trasudano l’umidità accumulata in inverno. – Laureen prese con riguardo la cuccuma fumante e continuò: - Cosa c’è qui dentro? Un'altra tisana alle erbe, immagino.»
«Sbagli – rispose Megan, scuotendo la testolina. – E’ un decotto alla betulla. Mi aiuta a riacquistare la forza in stagioni come questa. Chissà che non distrugga anche il nefasto mal di schiena, che si è affezionato tanto a me da non aver intenzione di lasciarmi, a quanto pare. Posa pure il decotto sul tavolo, Laureen. Ne ho bevuto appena sette bicchieri; faccio una piccola pausa, adesso, poi ricomincio a bere.»
«Solo sette bicchieri? La situazione è alquanto grave, allora.»
«Sei così spiritosa, cara, che vorrei piegarmi in due dalle risate, ma, visto il mal di schiena, non riesco neanche ad abbassare la testa.»
«Se non puoi abbassare la testa è anche perché non hai un collo, Megan. – disse Laureen malignamente. – Comunque, io ti conosco. E qualcosa ti turba, non è vero?»
Zephyrus, che sembrava indispettito dalla presenza della signora Malfoy, era stato inghiottito dai propri pensieri. Laureen, accavallate le gambe, aveva a sua volta assunto un’aria tediata.
«Proprio a te non mi va di dirlo.» esclamò Megan, ammiccando.
«Insomma, non tenermi sulle spine!» la incitò Laureen con un sottile velo d’ironia.
Megan sorrise. «Oh, cara. Ho una mente piuttosto sveglia, al contrario di quello che molti potrebbero pensare. Io so! So…»
Ciò detto, si dileguò nel balcone comunicante, lasciando Laureen in preda ad una sorta di sconcerto.
Al colmo dell’imbarazzo, Zephyrus abbozzò un sorriso gioviale. «Strana donna, Megan. Come suo marito.»
Laureen scosse il capo, accigliata, si resse in piedi e sparì anche lei nel largo terrazzo.


Il cammino di Megan fu incrociato da Green. L’uomo stava impartendo perentorie disposizioni ad alcuni elfi, che nettavano alacremente, armati di spugna, la lunga balaustrata di Malfoy Manor.
«Signora, fa una passeggiata lungo il terrazzo?» le domandò.
«Penso, Green. Penso. Penso allo strano comportamento di persone che credi di conoscere.» E gli lanciò un’occhiata imperscrutabile.
«Sbaglio, o la frase sibillina era riferita a me?» domandò il maggiordomo.
«Non posso e non voglio dirti quello che mi passa per la testa.»
«Oh, dannazione, cos’ha combinato Groll? Maledetto elfo! Non lì. Gli ha già dato cinque passate di spugna il tuo amichetto Pinky. Pulisci il pavimento, piuttosto. – Si rivolse ancora a Megan: - Stia attenta, mia signora. A volte… sapere troppe cose è una franchigia e un rischio insieme. C’è di mezzo un assassino, sa… »
«Una franchigia e un rischio. – ripeté Megan. – Me lo ricorderò, Green. Puoi contarci.»
«Ecco che arrivano quei due. La signorina Mallory e il bibliotecario, Zephyrus MacNiemand.»
«Li avevo seminati. – sbottò la signora Malfoy, prima che i due sopraggiungessero. – Beh, sarà meglio che vada, ora. Devo bere altri due litri di decotto entro la mezzanotte. Oh, Zephyrus! Mentre è qui… mi metta da parte quel libro che le avevo detto. Come diamine si chiamava? Ah, sì. “Spettri e spiritismo.” E’ importante.»
«Sissignora.» rispose Zephyrus.
«Chissà che una volta per tutte non riesca a capire cosa vuole da me quello spettro che mi tortura puntualmente, di notte.»
«Ancora con quella storia? – interloquì Laureen. – Pensi, Megan, che non riusciamo a capire quando ti inventi le storielle e quando invece, rare volte, dici la verità?»
«Che hai, mia cara? – sussurrò Megan con sarcasmo. – D’un tratto ti sei scaldata? Eri così calma, quando ci trovavamo nel salottino estivo.»
La luna sbucò con piedi di ovatta da dietro un manto di nembi.
«Eccola lì che ci guarda. – disse Green tra sé, rimasto solo con gli elfi ancora una volta, dieci minuti dopo. – Signora Luna, lei potrebbe spiegarci cosa accade in questa brutta villa?»
Il satellite rimase immobile. Al che il maggiordomo gettò la testa all’indietro e prese a ridere, delirante, con gli occhi strabuzzati e folli.


Era ormai primavera e il rigoglio della natura si manifestava anche nella calura opprimente che attanagliava Malfoy Manor. Non era ancora tempo di vestirsi con abiti leggeri, eppure era altrettanto impensabile utilizzare vestiti invernali. C’erano attimi della giornata in cui sembrava di essere in pieno inverno, e attimi, invece, in cui si sarebbe percepita tutta l’afa estiva. Proprio in uno di questi Hilda, alle prese con il suo paziente, sentì il bisogno di un po’ di libertà. Assicuratasi che la porta del corridoio fosse chiusa, abbandonò Adolar dinnanzi alla finestra e superò la soglia che dava nella stanza comunicante, la sua. Si avviò a passo spedito verso l’angolo in fondo e immerse le mani nella limpida acqua di una bacinella. Mentre si sciacquava la faccia per ridonarsi colorito e ravvivare la sua tempra, l’occhio le scivolò su un cassetto semiaperto. Accigliata, cercò di ricordare se era stata lei a trarne qualcosa nelle ultime ore. Ma con stupore e rabbia arrivò alla conclusione che qualcuno si era intrufolato nella sua camera per cercare qualcosa.
Si asciugò di fretta le mani nel lungo abito da infermiera e tirò con forza il pomello dell’ultimo cassetto. Rovistò con avidità fra i suoi effetti, ma trovò che tutto era così come lo aveva lasciato. Possibile che si stesse sbagliando? Possibile che avesse dimenticato di aver aperto quel cassetto nelle ore precedenti? L’ennesimo rebus.
Chissà per quale motivo, Hilda sentì il bisogno di prendere il suo album e di sfogliarlo. Niente di strano. Ogni foto in perfetto ordine: la signora O’Connor, il marito, i figli, le immagini di tipica vita irlandese, la grande casa in cui era cresciuta, i ragazzi che aveva incontrato in giovinezza, le città e i monumenti che aveva visitato, i paesaggi della Scozia e i laghetti ghiacciati, un vecchio fidanzato conosciuto in Cornovaglia, le serate con i cugini di Glasgow ed il concerto in quell’orribile teatro di provincia. Sgranò gli occhi quando vide un lembo della copertina dell’album spiegazzato. Hilda era una maniaca dell’ordine, e non ricordava d’aver fatto quella piega. Sembrava causata da qualcuno che getta velocemente un libro in uno scomparto, senza curarsi di evitare le grinze.
Qualcuno voleva scoprire il suo passato. D’ora in poi avrebbe dovuto muoversi con molta cautela.
Chiuse a chiave il cassetto e tornò dal degente, che la aspettava placidamente nella camera accanto.


Green aveva ormai finito le pulizie della balaustrata quando Rosamund tornò a Malfoy Manor. Ad accoglierla fu Abraxas, che la attese dinnanzi all’ingresso. Allorché lei lo raggiunse, camminarono sul tappeto di ovatta che portava al salone. Ivi sedettero in un tetro silenzio.
«Dormono di già?» domandò l’Auror, facendo un cenno al piano superiore.
«Mezzanotte è passata, signorina Jameson. – rispose altero Abraxas. – Ci sono novità?»
«Nessuna sull’identità di L. Però ho come la sensazione che la risposta a tutte le domande sia sotto il mio naso. Intuito femminile, signor Malfoy. Eppure ho bisogno di alcune informazioni. Quella donna, l’infermiera…»
«Sì?»
«Ho chiesto del testamento e ha fatto tante storie. Una cosa che mi è sembrata alquanto strana. Ora, non vorrei puntare il dito accusatore senza prove certe. Hilda O’Connor, nella stanza delle armi, in uno scatto d’ira, la chiamò per nome, signor Malfoy. – disse Rosamund, ma vedendo che Abraxas era perplesso, aggiunse: - Me lo ha detto ad uno dei nostri primi incontri, ricorda? Lei, signor Malfoy, si era lamentato dell’onta subita dalla famiglia Malfoy. Al che l’infermiera aveva detto che lei era un insensibile.»
«Ah, adesso rammento. – rispose Abraxas. – Ma non capisco dove vuole arrivare.»
«Non è normale chiamare per nome un proprio superiore. Io non mi sognerei mai di parlare al Ministro della Magia come a un conoscente stretto.»
Abraxas abbozzò un sorriso, che nella penombra apparve piuttosto grottesco. La fiamma di una candela balenava sul suo viso di tanto in tanto. «Sbaglio, signorina Jameson, o lei pensa che abbia una relazione con Hilda?»
«Le parole sono uscite dalla sua bocca, signor Malfoy. Io non ho detto niente. Però la gente mormora. C’è chi dice che un uomo come lei non potrebbe, anche volendo, amare Megan. Detto tra noi… Lei ama sua moglie, signor Malfoy?»
«Certo che sì. – rispose velocemente Abraxas, ma dal suo tono Rosamund capì di aver toccato un tasto dolente. – Non l’avrei sposato se non l’avessi voluto.»
«Adolar non ha mai esercitato su di lei molto potere?»
Abraxas avrebbe voluto gettare una pietra sul discorso sconveniente di Megan, ma nella foga si lasciò sfuggire parole alquanto sciocche. «Potere su di me? Sono il figlio preferito di mio padre.»
Rosamund corrugò la fronte con interesse.
«Voglio dire… Lysiart era così debole… - proseguì Abraxas in fretta. – Mio padre ha sempre biasimato la sua vena poetica. Ha sempre detto che è poco “Malfoy”.»
«Poesie? – esclamò Rosamund. – Lysiart Malfoy scriveva poesie?»
«Non lo sapeva?»
«Nessuno me ne ha mai parlato. Potrei… leggerne qualcuna?»
«Sono nella camera di mio fratello. Possiamo raggiungerla.»
Rosamund si alzò e all’istante sussurrò un Incantesimo Lumos. Salì lentamente le scale, seguita da Abraxas, proseguì per il corridoio, entrò nell’anticamera e poi nella stanza del defunto. Il dottor Malfoy indicò un gruppo di fogli impilati e ne prese uno a caso, per poi porlo all’Auror.
«Un componimento breve.» disse Rosamund, scorrendo le righe con lo sguardo.
Si intitolava “Fuochi fatui e divampanti ardori”.
«Che cosa può voler dire? – disse a un tratto Abraxas. E lesse: - Gioia di trasgressione, celata è l’oppressione./ Vita scialba e segreti amori, fuochi fatui e divampanti ardori.»
Era fin troppo palese, e Rosamund dovette dire: «Lei conosceva meglio di tutti suo fratello. Crede che Lysiart avrebbe mai potuto tradire Rachele?»
Abraxas scosse la testa. «Sarebbe fin troppo surreale, signorina Jameson. Mio fratello era un marito apprensivo e buono. Neanche la donna più avvenente del mondo avrebbe potuto irretirlo. E credo amasse davvero Rachele.»
«Tutti dicono lo stesso, a Malfoy Manor. – notò Rosamund. – Ma se si trattasse di un’infedeltà, resterebbe un enigma: perché mai Lysiart dovrebbe parlarne in una poesia, rischiando di far scoprire la tresca?»
«E poi c’è l’oppressione. – disse Abraxas. – Ne parla in quasi tutte le poesie… La vita non lo soddisfaceva.»
Rosamund sbarrò gli occhi. «Oppressione? Oh, aspetti… questo mi ricorda un caso di qualche anno fa. La donna morta era oppressa dagli affetti di un amico e quando morì tutti pensarono che si fosse tolta la vita. Invece era stato l’amico ad ucciderla e le sue attenzioni erano dovute ad un interesse puramente economico. E se fosse il contrario? Se fosse un suicidio?»
«Un suicidio con l’harakiri? – disse Abraxas. – Non è normale, signorina Jameson. Perché avrebbe dovuto voler soffrire?»
«Già, i torni non contano. Ha ragione lei, signor Malfoy. Quest’ipotesi va accantonata.»
«Non dico questo. Magari aveva una patologia masochista.»
«Allora propende per il suicidio?»
«Non ho idee a riguardo – spiegò il padrone di casa. – Però un omicida a Malfoy Manor proprio non ce lo vedo.»
Rosamund annuì. «Capisco cosa intende. Beh, le farò sapere. Questa discussione mi è parsa molto interessante.»
Stava per uscire dalla camera quando Laureen, in vestaglia, le si parò davanti. L’Auror indietreggiò tremendamente spaventata.
«Mi scusi, signorina. Passavo di qui…» si limitò ad affermare l’anziana cugina dei Malfoy.
«Passavi di qui? – domandò Abraxas. – Laureen, la tua stanza è da tutt’altra parte.»
«Quanto la fai lunga, Abraxas. Ma quella donna che hai assunto continuava a lamentarsi nel sonno e mentre passeggiavo per il corridoio l’ho sentita e ho pensato di chiamarti.»
«Potrei sapere di chi parlate, se non sono indiscreta?» chiese Rosamund con rinnovato interesse.
«Lotte… - disse Abraxas. – Oh, volevo dire Charlotte Zurrey. La bambinaia di mio figlio Lucius.»
«Curioso!» sorrise Rosamund, mentre scendeva le scale.
«Curioso? – ripeté Abraxas. – Di che parla? Del fatto che ho assunto una bambinaia?»
L’Auror fece un cenno di diniego. «Del fatto che ha chiamato Charlotte con un nome abbreviato. Lotte...»
«E non mi urti con queste sciocchezze! – sbottò Malfoy. – Si è fatto tardi, vado a letto.»
Si congedarono.
Laureen fissò Abraxas sorridendo, e poi gli augurò la buona notte.


Ecco un nuovo capitolo! Speriamo sinceramente che sia di vostro gradimento.
Un grazie particolare alle persone che hanno posto la storia tra i preferiti e a coloro che leggono soltanto.

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Capitolo 11
*** Capitolo XI ***


Capitolo XI

Il sole illuminava il grande ingresso di Malfoy Manor, facendo brillare il maestoso lampadario in vetro di Murano. A Charlotte sembrò, forse per la prima volta da che era giunta, che la luce rendesse meno cupa e lugubre la magione. Anche il piccolo Lucius, in braccio a lei, pareva essere più vivace del solito. Fece qualche breve passo verso il portone che immetteva all'esterno, ma si fermò di colpo, non appena udì la voce della padrona di casa alle sue spalle.
«Dove crede di andare, signorina Zurrey?»
Charlotte si voltò lentamente, sforzandosi di non abbassare lo sguardo al suolo, mentre sistemava meglio il bimbo.
«Ho pensato di portare fuori il bambino, signora Malfoy.»
«E le sembra saggio, signorina Zurrey, con quello che è successo a mio cognato?»
«Al piccolo farebbe bene uscire, signora Malfoy.» rispose la giovane quietamente, mentre ignorava l'agitazione che la stava investendo.
«Può portarlo nel cortile interno, signorina.» sentenziò Megan, facendo vagare lo sguardo sulla bambinaia.
«Io… - la voce di Charlotte si spezzò leggermente - …credo che per suo figlio sia meglio uscire nel giardino, poter stare a contatto con la natura.»
«Ma non lo credo io, signorina Zurrey. E come ha detto lei, Lucius è mio figlio - la donna fece una breve pausa, mentre con quei chicchi di caffè che si ritrovava al posto degli occhi, sembrava perforare la giovane - In fondo lei è pagata da mio marito perché faccio il suo mestiere, non per prendere iniziative.»
«Non prendo iniziative, signora Malfoy, mi occupo meglio che posso di suo figlio.» ribatté Charlotte ostentando nuovamente sicurezza.
«Davvero, signorina Zurrey? Lei vuole fare unicamente colpo su mio marito.» sibilò maligna Megan.
La giovane deglutì a vuoto, chinando gli occhi vero il suolo, sconfitta e umiliata. Il piccolo Lucius si agitò un attimo tra le sue braccia, come se percepisse la tensione della bambinaia.
«Non…io, signora…non…» balbettò Charlotte.
«Oh andiamo, signorina Zurrey, io so… - la donna lasciò cadere la frase nel vuoto, facendo incurvare ancora di più il capo alla ragazza. Il silenzio cadde pesante tra le due donne, prima che Megan continuasse - Spero che si sia convinta che la cosa migliore è andare nel cortile interno, se proprio vuole portar fuori Lucius.»
«Come desidera, signora Malfoy.» mormorò la giovane, mantenendo il capo basso, forse per nascondere la frustrazione che le brillava negli occhi.
Non aveva fatto che quattro passi verso la porta che immetteva nella sala da pranzo quando udì una nuove voce, una voce ben nota, che la fece quasi sobbalzare, provocando un gridolino di protesta nel bimbo.
«Dove sta portando Lucius, signorina Zurrey?»
«Nel cortile interno, signor Malfoy,.» rispose Charlotte voltandosi lentamente, senza alzare lo sguardo verso di lui.
«Perché non nel giardino, signorina?» domandò Abraxas, lanciando un'occhiata sbieca alla moglie.
«La signora…»
«È una cosa insensata, Abraxas. - la interruppe Megan - Con tutto quello che è successo ti pare normale mandare fuori nostro figlio con una perfetta sconosciuta.»
«Dunque la signorina Zurrey voleva andare in giardino?» la voce dell'uomo si era fatta pericolosamente piatta, mentre un sopracciglio schizzava verso l'alto.
«Gliel'ho impedito. Sai cosa potrebbe accadere se l'assassino volesse uccidere nostro…»
«Lo so perfettamente, Megan. - ribatté Abraxas, l'attenzione ormai totalmente spostata sulla moglie - Ma questo potrebbe avvenire anche mentre la signorina Zurrey si trova con Lucius nella stanza dei giochi. Non ha quindi molto senso proibirle di portare il bambino in giardino. Quello che è più saggio è, per tutti noi, allontanarsi dalle mura della magione per qualche ora.»
«Dovevo immaginarlo che tu saresti stato d'accordo con lei.» biascicò Megan a mezza voce.
Charlotte sentì la tensione farsi più grande tra i due coniugi Malfoy. Il volto di Abraxas si era notevolmente indurito, gli occhi ridotti a poco più di due fessure.
«Non sai quello che dici, Megan. - le parole uscirono secche e dure dalle labbra dell'uomo - Signorina Zurrey, vada in cucina e faccia preparare il latte per il bambino, e un cestino con cibo per tre persone.»
«Non penserai che io esca?» ribatté Megan, impedendo che Charlotte potesse fare anche solo un passo.
«E per quale motivo non vuoi venire in giardino? Hai forse paura del tuo spettro?» domandò spietato Abraxas, mentre si avvicinava a Charlotte in modo tale che la giovane gli potesse passare il bambino.
«Sai perfettamente che detesto questi mesi. Non riesco proprio a capire cosa si possa trovare di bello nella primavera. Aggiungici anche i miei altri disturbi. Come puoi anche solo pensare che possa andare in quel vasto giardino?» protestò la donna, seguendo con lo sguardo le mosse del marito che impiegò più del tempo necessario, a suo avviso, per recuperare Lucius.
«Ah già, i tuoi eterni disturbi…quelli della tisana delle cinque, o di qualsiasi altra ora pomeridiana tu decida - disse l'uomo, come parlando a se stesso, facendo subito dopo una breve pausa - A questo punto, signorina Zurrey, chieda un cestino per due persone.»
La giovane annuì appena, lanciando rapida uno sguardo al padrone di casa, prima di allontanarsi velocemente. Il silenzio si fece pesante, asfissiante e opprimente. Sembrava quasi che il grande vestibolo d'ingresso si stesse lentamente richiudendo su Abraxas e Megan. Soltanto il piccolo Lucius pareva totalmente indifferente a quella palese tensione, mentre giocava con la stoffa del mantello del padre.
«Non mi piace questa storia. - disse Megan. La sua voce parve più forte di quanto non fosse, mentre rimbombava tutta intorno a lei. - La bambinaia poteva portare Lucius nel giardino e tu rimanere in casa.»
«Pensavo di essere stato chiaro. - ribatté l'uomo - ritengo che sia meglio per tutti noi allontanarci da tutto questo per Lucius, per la mia malattia.»
«Oh andiamo, Abraxas, soltanto perché hai avuto una delle tue crisi…»
«Sai perfettamente che un po' di tranquillità è tutto ciò che ci vuole dopo certi attacchi.»
«Tranquillità? Tu vuoi unicamente stare con quella ragazzetta!» sbottò Megan, la voce rivelava una nota di isteria.
«Smettila di dire cose prive di senso. - sbottò l'uomo, duramente, prima di aggiungere gelido - Le scenate non si addicono alla moglie di un Malfoy,»
Il silenzio calò nuovamente forte, intenso su Abraxas e Megan. Il padrone di casa mantenne a lungo lo sguardo fisso sulla donna, fino a che questa non parlò nuovamente:
«Non farmi più stupida di quanto non sia. Ho visto come la guardi e non mi piace. Non credo che in questo abbia molto a che fare l'essere o meno la moglie di un Malfoy.»
«Non insistere, Megan. - ribatté Abraxas, facendo una passo verso la moglie. Lucius tra le sue braccia sembrava osservare la madre con espressione fin troppo matura per un bimbo di poco più di due mesi - Il discorso è finito.»
«Non per me.» ribadì la donna.
«Megan, non ti conviene insistere. Lo sai perfettamente.» disse l'uomo, quasi come se quella fosse una semplice constatazione.
La donna chinò il capo, a fondo, incurvandosi quasi, in modo tale da rendere la sua figura goffa ancora più strana e sghemba. Senza dire una sola parola si allontanò verso le scale, iniziando a salirle. Alzando infine lo sguardo, incrociò la figura di Green che sembrava star sgattaiolando al piano superiore. Anche gli occhi di Abraxas scorsero la figura del maggiordomo. Il volto di irrigidì, indurendosi notevolmente, mentre scuoteva il capo. Da quando era morto suo fratello, sembrava che tutte le persone che vivevano a Malfoy Manor si fossero fatte più attente e sospettose di quanto non fossero mai state.
«Signor Malfoy.» mormorò Charlotte di ritorno, richiamando l'attenzione dell'uomo
«Signorina Zurrey - rispose di rimando l'uomo, distendendo appena il volto - se mi vuole seguire.»
«Non…non ho causato nessun problema?» mormorò la giovane, reggendo un cestino coperto da una tovaglia di tessuto raffinato.
«Non si faccia problemi che non esistono, signorina.» sbottò severo Abraxas, mentre il portone della magione si apriva, mostrando il viale e la siepe che lo costeggiava.
Il sole illuminava ogni cosa, creando giochi d'ombra tra gli alberi che costeggiavano il parco. Lucius iniziò a indicare ogni minima cosa, tirando con la manina paffuta il mantello del padre, mentre camminavano in silenzio, dirigendosi verso il lato meridionale del giardino. Man mano che si allontanavano dalle pietre scure di Malfoy Manor, il cuore di Charlotte si faceva più leggero. Le parve che anche il padrone di casa si stesse rilassando, ma, probabilmente, si disse, quella era soltanto l'impressione di un'anima innamorata. Nessuno dei due parlò fino a quando Abraxas non si fermò presso un laghetto colmo di ninfee.
«Sembra così diverso dalla casa, questo luogo - commentò la giovane, parlando senza quasi rendersene conto - Appare così sereno.»
«Non tutto è cupo e sinistro a Malfoy Manor per quanto strane storie circolino su di esso.»
Mentre parlava, con un colpo di bacchetta, aveva steso la tovaglia sull'erba, accanto alle sponde del piccolo specchio d'acqua che il bambino stava osservando con sguardo curioso. Charlotte posò il cesto in mezzo e, leggermente impacciata, si sedette in un angolo, assalita improvvisamente dalla tensione. Passò le mani sulla gonna lisciando il tessuto, senza mai posare lo sguardo su Abraxas, che si era sistemato a sua volta, il piccolo Lucius sulle ginocchia, lo sguardo fisso sulla ragazza, pensoso. La mente dell'uomo vagava, senza mai fermarsi sulla domanda che da qualche giorno a quella parte sembrava palesarglisi sempre più frequentemente. Trattenne un sospiro, prima di parlare con tono neutro: «Fu il nonno del mio bisnonno a porre questo laghetto e il padiglione che si trova oltre quella boscaglia. - con un gesto della mano, indicò una macchia di alberi più fitta delle altre presenti nel parco - Per sua moglie, o almeno, questo è quello che mia madre mi ha sempre raccontato, prima che morisse tanti anni fa, troppi, forse.»
«Signor Malfoy… - la giovane si interruppe di colpo, prima di poter aggiungere qualcosa d'altro, mordicchiandosi appena il labbro inferiore - …quel suo avo, doveva amare molto la moglie… - si interruppe, chinando il capo ad osservarsi le mani, in preda all'imbarazzo - io…non vorrei sembrarle inopportuna e sciocca.»
«Ho già avuto modo di dirle, Charlotte, di non farsi problemi che non esistono. - la voce di Abraxas si spense, mentre l'uomo scuoteva il capo, bruscamente, in un gesto che fece agitare leggermente il bambino - Fare un commento su un fatto del passato non è né inopportuno, né sciocco.»
La bambinaia alzò il capo di scatto, incontrando in questo modo gli occhi del padrone di casa,, che la fissavano fin troppo intensamente. Le gote le si tinsero per un breve istante di rosso, mentre tornava a fissare lo sguardo su qualsiasi cosa, pur di non guardare Abraxas. Il silenzio, interrotto unicamente dal lievissimo stormire delle fronde degli alberi, calò su di loro, colmo di una tensione ben percepibile, così percepibile da sembrar quasi piombare su di loro come una morsa. Fu soltanto il pianto improvviso del bambino a interrompere quella quiete inquietante che si era creata tra loro.
«Credo abbia fame, signor Malfoy. - mormorò Charlotte, mentre osservava con attenzione Lucius - Se vuole passarm…»
Si interruppe, notando che l'uomo si era già alzato in piedi avvicinandosi a lei, levatasi a sua volta, fino a quando non consegnò il bimbo tra le sue braccia. La giovane si affrettò a sedersi, cullando il piccolo, mentre appellava il biberon colmo di latte di capra, che si affrettò ad avvicinare alle labbra del bambino, il quale portò le manine quasi a stringere il vetro, mentre si nutriva. Abraxas, ancora in piedi, rimase ad osservare a lungo il modo dolce con cui la bambinaia si occupava del figlio, la delicatezza con cui lo teneva tra le braccia. Scosse nuovamente il capo, mentre, lentamente, tornava a sedersi.
«Vi siete già occupata di bambini, signorina Zurrey?» domandò, rompendo il nuovo silenzio che si era venuto a creare.
«Sì, di mio nipote. Alle volte mi veniva affidato, quando aveva quasi l'età di suo figlio.» rispose la giovane con una naturalezza di cui non si credeva capace in quel momento.
«Ha un fratello quindi, signorina?» domandò Abraxas con apparente noncuranza.
«Una sorella, signor Malfoy. Ottilia.» rispose la bambinaia, mentre toglieva il biberon a Lucius, che, ormai sazio, iniziava a chiudere gli occhi.
«Un nome non comune.» commentò l'uomo, lasciando quasi la frase in sospeso, mentre scrutava attentamente la giovane.
«Mia madre è una lettrice appassionata e…ha preso spunto da un autore babbano…non credo, non so se… - si interruppe, scuotendo appena il capo, nervosa - …Goethe. Anche il mio nome…» concluse in un mormorio, forse fin troppo confuso, la ragazza.
«Come in Werther. - constatò Abraxas, osservando l'espressione improvvisamente stupita della giovane bambinaia - Non mi guardi a quel modo, signorina…per quanto non credo sia un mistero cosa pensiamo noi Malfoy dei Babbani, questo non implica l'ignoranza totale. Se devo essere sincero, Charlotte, non ho mai letto il romanzo di Goethe. Conosco unicamente l'opera di Massenet. - una breve pausa - Vede, signorina Zurrey, la musica è una di quelle cose a cui non potrei rinunciare, chiunque l'abbia composta. - la giovane non disse nulla, limitandosi a mantenere gli occhi fissi sul volto dell'uomo, senza allontanarli da quelli di lui, come faceva di solito. Fu Abraxas per la prima volta a distogliere lo sguardo da lei. - Sa, Charlotte, che il suo nome non è mai stato tanto azzeccato. - disse con l'intento di rompere il silenzio, o, piuttosto, di non soffermarsi su uno dei tanti pensieri che in quel momento gli affollavano la mente - Ci sa fare con i bambini, proprio come la sua omonima.»
«Lo dice sempre anche Ottilia…a volte si chiede per quale motivo non sia io la sorella maggiore, così potrebbe avere più motivi per chiamarmi Lotte.»
Gli occhi dell'uomo tornarono a portarsi di colpo sulla giovane, osservandola con ancora più attenzione, come se stesse cercando in lei qualcosa, prima di scuotere leggermente il capo.
«Ed è per questa sua vocazione con i bambini che ha deciso di studiare medimagia pediatrica?» domandò infine.
«In parte… - la giovane lasciò che la voce morisse, assorbita dal lieve stormire delle fronde, mentre sistemava meglio il bambino addormentato che teneva in braccio - … forse non è stata la scelta più intelligente, considerando che… - fece una pausa, scuotendo il capo, improvvisamente tesa - …mi piacciono i bambini e… - si interruppe nuovamente - detesto vederli soffrire. Certo i miei e Ottilia avrebbero preferito che andassi a lavorare subito dopo la scuola.»
«Sarebbe stato un peccato, Charlotte. Se curerà un bambino malato come si sta prendendo cura di mio figlio, direi che la sua scelta è una delle più azzeccate.»
Le gote della giovane si imporporano leggermente, ancora una volta, mentre chinava leggermente il capo verso il bimbo che dormiva quieto tra le sue braccia. Per un istante si chiese come sarebbe potuta essere la sua vita se Lucius fosse stato figlio suo e non di Megan. Si mordicchiò per un istante il labbro inferiore. Era un pensiero che non doveva nemmeno fare. La signora Malfoy era un'altra.
Nessuno dei due parlò per diverso tempo, mentre, accompagnati unicamente dallo stormire delle fronde, adattavano parte del telo steso sul prato in una culla per il bambino, per poi pranzare, rimanendo anche durante quel momento perfettamente muti. La giovane tornò subito ad occuparsi del bambino che sembrava starsi risvegliando lentamente dal sonno in cui era caduto poco prima. Rimase per un istante immobile accanto al laghetto con le ninfee, osservando le foglie che impedivano di vedere il fondo in più punti, chiedendosi quanto sarebbe stato ben più bello quel luogo una volta che fossero comparsi i fiori il mese prossimo. Non si accorse che il padrone di casa le si era avvicinato, fino a quando non lo sentì parlare:
«Mi passi pure il bambino, Charlotte.»
La bambinaia si voltò di scatto. Era fin troppo vicina a lui, come le altre volte in cui Lucius era passato dalle braccia di lui a quelle di lei, o viceversa, ma il contesto era diverso. Il modo in cui avevano parlato quel giorno, in maniera così tremendamente semplice e familiare, come non avrebbe mai dovuto essere. Rimasero a lungo entrambi perfettamente immobili, fino a quando non si avvicinarono di un altro passo, fino quasi a sfiorarsi, vicini come erano stati un giorno nel salottino del secondo piano. Il bimbo, forse avvertendo la presenza del padre così vicina, allungò una manina verso di lui, come per chiedere di afferrare quella dell'uomo, che la portò accanto alle piccole dita del figlio, insieme all'altra, prendendo il bambino, sfiorando in quel modo le mani di Charlotte. Mantenne il contatto per un tempo che parve a entrambi troppo lungo, fino a quando Lucius non emise un urletto di protesta, per come era stato ignorato. Abraxas con un gesto rapido recuperò il bimbo il quale, soddisfatto, si mise a giocare con il mantello del padre, mentre i due adulti era ancora immobili a fissarsi, i volti, quasi spinti da un moto involontario, si facevano sempre più vicini, per poi allontanarsi di colpo, prima che l'uno potesse sfiorare l'altro. «È meglio rientrare, signorina Zurrey.» ingiunse l'uomo con tono fin troppo secco, mentre si voltava, dandole le spalle, facendo qualche passo per acuire la distanza tra loro.


Ecco un altro capitolo, che si allontana leggermente dagli altri, creando una parentesi nell'indagine sulla morte di Lysiart Malfoy.

Un grazie particolare a:
Thiliol: La tua recensione ci fa ovviamente piacere! Speriamo entrambi che questo capitolo, un po' diverso dagli altri, ti piaccia. Sappici dire!

Un grazie a chi ha posto la storia tra i preferiti e a chi legge soltanto.

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Capitolo 12
*** Capitolo XII ***


CAPITOLO XII

Il sentiero di campagna era delimitato a destra da un albereto rigoglioso, proprietà di un vecchio fattore scozzese, e a sinistra da un monumentale quanto spaventoso cimitero abbandonato, in cui corvi e cornacchie avevano riconosciuto il loro habitat ideale. Le croci arrugginite che segnalavano la presenza delle tombe, a quell’ora del mattino, erano asperse di rugiada, e il lento sgocciolìo dell’acqua sul terriccio molle produceva un sottile e tetro rumore. Una figura soltanto, con puntualità, traversava il sentiero, spingeva il cancello d’ingresso e si immetteva nei viottoli cimiteriali; quindi sostava in una cripta e versava lacrime amare sul nome scolpito nel marmo di Everard Christopher Hayward, il marito defunto. Non un fiore era mai stato posto nell’urna, non una preghiera pronunciata in ricordo dell’uomo morto. Le sole parole che erano uscite dalla bocca di Juliet Gena esprimevano astio nei confronti di coloro che, con mezzi subdoli, avevano provocato la morte di sua figlia Rachele. Lysiart Malfoy ne era il primo responsabile. Era come se, rivolgendo lamenti supplichevoli al marito, Juliet chiedesse indirettamente aiuto agli spiriti dell’oltretomba, invocasse le Erinni di Lysiart, onde assicurarsi che l’assassino di sua figlia, quale egli era innegabilmente, non avesse pace neanche tra le fiamme degli inferi, dove certo stava bruciando e pagando lo scotto della sua spietatezza.
Ma il volto di Everard, nella foto ingiallita, rimaneva attonito, e solo quando Juliet piangeva di pura tristezza mostrava segni di pietà. Allora i lineamenti statuari del ritratto magico abbandonavano la loro consueta rigidità, modificandosi come cera bollente sino a formare un’espressione di mera tristezza. Quando i riverberi dell’alba lattiginosa lasciavano il posto ai più potenti fasci di chiarore solare, che illuminavano a raggiera i campi incolti e la necropoli rustica, i corvi si nascondevano, emettendo i loro ultimi gracchi, e Juliet Gena sentiva le ossa anchilosate ed il bisogno di lasciare quel luogo desolato. Imboccava ancora il sentiero e proseguiva fino a un largo rondò, circondato da vecchie costruzioni fatiscenti e una sequela di piccoli putti, che vomitavamo acqua sordida. Da lì a Casa Hayward il cammino era breve.
Quella mattina Juliet fissava il lastricato e non si accorse della donna che le veniva incontro, con un largo cappello sulla testa e l’espressione gioviale. All’ultimo secondo sollevò il capo e i suoi occhi si incontrarono con quelli di Cordelia Further, la figlia del notaio nonché la migliore amica di sua figlia Ester.
«Signora Hayward, è un vero piacere incontrarla.»
Juliet Gena si limitò a fare una smorfia che da chiunque la conosceva sarebbe stata interpretata come un cenno di assenso.
«Torno dal mercato giù in paese. – continuò Cordelia. – Avevo chiesto ad Ester di venire con me, ma si è rifiutata. Credo che ultimamente non sia molto propensa al divertimento. C’è qualcosa in lei che mi turba. Non è d’accordo con me?»
«Mia figlia sta benissimo. – rispose la vecchia. – E’ per via dell’uggia primaverile che si chiude nel suo guscio.»
«Ho paura che l’assassinio di Lysiart, - disse Cordelia assumendo un’espressione triste, - l’abbia turbata. Non riesco a capirne il motivo, però. Era un uomo estraneo alla famiglia, da quanto ho sentito. Ester mi ha pure confessato in tutta franchezza, l’altro giorno, che l’omicidio non le dispiace più di tanto. Ma allora perché è sconvolta?»
«Oh, non la conosci bene. E’ sempre stata una ragazza molto suscettibile. A scuola se la prendeva per un nonnulla, e non poche volte mi chiamavano per giustificarla. Perché dovrei meravigliarmi?»
Cordelia si strinse nelle spalle eloquentemente, come chi non ha più argomenti e comunque ha perso ogni desiderio di colloquiare.
«Quand’è così…» disse tendendo la mano.
«No, aspetta! – rispose Juliet Gena. – Voglio che fai qualcosa per me.»
«Tutto quello che vuole, signora Hayward.»
«Ester non mi rivela niente dai tempi della scuola. Mi piacerebbe che tentassi di capire, parlandole, se c’è qualcosa in questa faccenda che la sconvolge particolarmente.»
«Sono timori fondati, i suoi, signora Hayward?»
«Potrebbe esserci sotto una minaccia.» disse Juiet.
«Farò quello che mi chiede.» rispose Cordelia.
Si strinsero la mano e procedettero ognuno per la propria strada.
Ma Juliet non riuscì a smettere di pensare alla figlia Ester. Un nuovo timore si era affacciato al balcone della sua anima, e lo sentiva urlare dentro di sé. “Non mi porteranno via anche te, bambina mia” pensò serrando la mascella. “Lysiart ha fatto la fine che meritava. Ma non tutto il peggio è passato. E sarebbe meglio darsi da fare.”
Varcò la soglia di Casa Hayward e si fece avanti nel largo salotto rivestito di broccati. Accuratamente ripose la sua pelliccia logora nell’armadio e lanciò uno sguardo alle scale. Ester emerse al pianterreno con sguardo addolorato. Juliet si rivolse a lei con un tono del tutto dissimile da quello che aveva utilizzato con Cordelia.
«Oh, cara… Va tutto bene? Torno adesso dal cimitero. – sussurrò accalorata. – Hai già fatto colazione, spero.»
Ester sembrò non averla udita e tergiversò. «Stamattina ho valutato la mia situazione. Potrei tornare a Kyoto e continuare gli studi. L’anno prossimo sarei un’Auror a tutti gli effetti. Oppure potrei restare qui senza mettere da parte i libri. Ho bisogno di un periodo di pausa e sento il desiderio di oziare, mamma. Così non ti lascio sola ancora una volta.»
«Di questo non devi preoccuparti. - rispose Juliet. - Tra breve mi stabilirò provvisoriamente a Malfoy Manor.»
«A Malfoy Manor? – ripeté stupita la figlia. – Ma che ci vai a fare? Ti hanno forse invitato?»
«Mi inviterò da sola. Ho rapporti non eccessivamente conflittuali con quella brutta racchia di Laureen Mallory. Le scriverò una lettera, fingendomi depressa, e chiederò asilo. Non potranno rifiutarlo, si sentono in debito verso di me per quello che hanno fatto a Rachele. E così starò a contatto coi membri della famiglia Malfoy.»
«Pensavo che li odiassi. – disse Ester, che sembrava traumatizzata. – Come ti è venuta in mente una simile idea?»
«Non hai ancora aperto gli occhi, cara. E’ stato Lysiart Malfoy ad uccidere Rachele. L’ha spinta giù dal balcone. Forse la tradiva. Ma ho bisogno di capire se stanno tramando dell’altro contro di noi.»
«Mamma, sei uscita fuori di senno! E’ vero, Lysiart avrà pure portato Rachele al suicidio, ma ciò non vuol dire che i Malfoy debbano avercela con noi. Hai delle fisime.»
«Non ho delle fisime, e te lo dimostrerò.»
Juliet sentiva di non poter fare accenno alle minacce di cui quasi certamente Ester era stata vittima. Ma sentiva il bisogno di indagare. Allungò la bocca in una specie di sorriso e andò allo scrittoio.


Alle dieci del mattino persino il piccolo Lucius era ben sveglio, e torturava la povera Charlotte, apparentemente innamorato del suo abito. La badante aveva dormito sonni tormentosi quella notte. Dopo le ore trascorse in giardino con Abraxas le sembrava di aver infranto una qualche legge di correttezza ed era stata assalita dai sensi di colpa. Lasciato Lucius nella grande camera dei giochi, decise di scendere al piano inferiore e di prendere una boccata d’aria alla finestra dell’anticamera vicino al salotto estivo. Il sole batteva sui vetri, trapelando flebile e smorzato fino ai corridoi di pietra. Si udivano i rintocchi di un lontano campanile, probabilmente quello del villaggio.
Charlotte superò la rampa di scale e si ritrovò al primo piano. Dinnanzi a lei, improvvisamente come di suo solito, apparve Green, quella mattina particolarmente allegro.
«Oh, è lei, signorina Zurrey. Mi ha quasi spaventato.» disse, interrompendo il suo petulante fischiettare.
«Stavo andando nell’anticamera. – disse Charlotte quasi in tono di scusa. – Volevo aprire la finestra per prendere un po’ d’aria.»
«E il piccolo? Tutto bene?»
«Lucius si è svegliato un’ora fa con una grande voglia di giocare.»
«Ha un carattere molto strano ed impulsivo. Ma sono sicuro che maturerà, ancora ha solo pochi mesi.»
«Di certo diventerà un bella persona. – sorrise Charlotte. – Come d’altronde suo padre, che…»
S’interruppe bruscamente e una macchia di rossore galleggiò sulle sue gote. Ma Green, che non sembrava molto capace di intuire le sottigliezze, disse con sguardo sciocco: «Già, il signor Malfoy è un tipo molto duro e intelligente. Allora torno al mio lavoro, signorina.»
Charlotte sorrise e il maggiordomo continuò a zufolare lungo l’androne. Spalancando la porta dell’anticamera, la bambinaia si immise nella larga stanza e si avvicinò in fretta alla finestra; la aprì e osservò il panorama. Poteva vedere i campi e spingendo la testa un po’ più in là la casa degli Hayward e il trambusto di una cittadina limitrofa. La boccata d’aria fresca la fece sentire decisamente meglio e pensò che sarebbe stato piacevole raggiungere il villaggio. Ma non osava chiedere il permesso ai Malfoy. Preferiva non vedere più Abraxas nemmeno di sfuggita. Quanto a Megan, certamente non le avrebbe concesso una simile franchigia.
Stava per uscire dall’anticamera quando qualcosa la fece sussultare. Non era successo niente, tutto era in silenzio; eppure una sensazione di curiosità si era insinuata nella sua testa quando aveva scorto, così vicina a lei, la porta della camera di Lysiart. Lì il defunto aveva trascorso le sue lunghe giornate. Lì, con molte probabilità, erano sepolti i segreti più occulti dell’assassinato, forse addirittura le cause dell’omicidio. Charlotte si sentì istintivamente portata a stringere le dita sulla maniglia dorata.
“Cosa mi salta in mente? La porta è chiusa. Non ho neppure la chiave... E perché dovrei entrare?” si disse.
Questo pensiero, invece di renderla più restia, la spinse ad abbassare la maniglia. E fu stupita quando intuì dallo scatto della porta che nessuno si era preoccupato di sigillare la stanza del defunto. Varcò la soglia con leggera riluttanza. Il suo peggior timore era che qualcuno entrasse nell’anticamera e la vedesse in atteggiamento furtivo. E poi sentiva anche una sorta di paura soprannaturale. Gli oggetti del morto le sembravano così ripugnanti. Non voleva neanche toccarli.
“Perché il maggiordomo non ha pulito la scrivania?” pensò osservando il ripiano polveroso.
Quando fece un passo, un grumo di sporcizia volteggiò in aria al suo seguito. Si sentiva un’esploratrice all’interno di una piramide misteriosa.
“Sono ancora una ragazzina immatura!” si biasimò. E tuttavia non tornò sui suoi passi, anzi procedette verso il letto. Tutto era silenzioso e agghiacciante. Dall’alto di uno scaffale una serie di gufi di ceramica la osservava con occhi stralunati. Più andava avanti, più sentiva crescere una morbosa eccitazione dentro di sé. Il brivido del segreto la esaltava, spronandola a continuare la missione, malgrado non conoscesse i suoi stessi intenti. Stava avvicinandosi ad un armadio per aprirlo, ma il piede scivolò su un pezzo di stoffa e Charlotte cadde con un tonfo sordo sul lato destro. Massaggiandosi il bacino e la schiena doloranti, si guardò intorno per sincerarsi che nessuno l’avesse notata. Poi chinò lo sguardo per risalire alla causa della sua caduta. Su una mattonella del pavimento c’era un fazzoletto straordinariamente ben fatto, ma palesemente femminile. Aveva intricati ricami di un verde acceso ed emanava un profumo dolce e mieloso. Charlotte dovette allontanarlo dal suo viso e starnutire più volte. Si resse in piedi frettolosamente quando udì dei passi nel corridoio. Qualcuno si stava avvicinando. Aveva il tempo di nascondersi, ma non certo di scappare. Se fosse uscita nell’anticamera, avrebbe praticamente rivelato il suo passaggio dalla camera di Lysiart alla persona che si trovava nell’andito. Non aveva altra chance, se non quella di chiudere la stanza, nascondersi in un armadio e attendere che la persona diretta in anticamera se ne andasse. Allora sarebbe potuta sgattaiolare senza problemi.
Spinse il fazzoletto col piede sotto la scrivania, chiuse lentamente la porta e tirò il pomello dell’armadio. C’erano troppi vestiti. Non poteva infilarsi là dentro. Il secondo armadio era dalla parte opposta della camera. Doveva solo sperare che l’individuo che si trovava in corridoio non entrasse giusto nella stanza di Lysiart. Con uno slancio fin troppo agile per lei, si avvicinò al secondo armadio e vi entrò. C’era abbastanza spazio per lei, ma era necessario tenere la porta semiaperta per far entrare dell’aria.
Con sollievo Charlotte capì che, chiunque fosse la persona in corridoio, si era fermata nell’anticamera e aveva chiuso la porta. Stava per uscire dal suo nascondiglio quando la porta della camera venne aperta. Charlotte percepì un brivido freddo lungo la schiena e strinse i denti. Lasciare che la trovassero era impensabile. Sarebbe stato naturale chiedersi cosa ci facesse lì dentro. Preferì sbirciare tra i cardini dell’armadio con gli occhi strizzati.
Abraxas aveva aperto la porta a lanciato uno sguardo poco attento di qua e di là. Con la sua occhiata anche lui aveva colto la presenza del fazzoletto ricamato sotto la scrivania. Si era chinato per prenderlo, del tutto stupito, e l’aveva intascato senza troppe cerimonie. Aveva aperto i cassetti repentinamente, mettendoli sottosopra, ed era uscito fuori.
Charlotte si era sentita finalmente libera. Ma all’improvviso ebbe un sobbalzo. Andando via, Abraxas aveva chiuso a chiave la porta, lasciandola in quel luogo lercio e abbandonato. I gufi di Lysiart, intuendo la triste sorte di Charlotte, risero beffardamente.


Nell’ufficio di Rosamund Jameson, a quell’ora del mattino, non si poteva neanche respirare. Le finestre davano a est ed i raggi del sole vi penetravano lasciando filtrare una calura insoffribile. Eppure un vento torrido soffiava in tutta Londra. Era impensabile aprire le finestre tanto quanto tenerle sprangate. Le tende non servivano a granché. L’unica cosa che la loro chiusura portava era un fastidioso semibuio. L’afa trovava sempre il modo di entrare e Rosamund trascorreva mattinate interminabili a scostare il ciuffo impertinente che continuava a balzarle di scatto sulla fronte, sbuffando contrariata. Patrick le ronzava attorno ostentando la deferenza ossequiosa che tutti i sottoposti mostrano nei confronti dei propri superiori, cosa che accresceva ancora di più, se possibile, l’uggia dell’Auror. A volte parole di fastidio le salivano alle labbra, ma le reprimeva giudiziosamente. Avrebbe voluto dire a Patrick quanto, in quei momenti, le sembrava simile ad un bambino che tenti di convincere un adulto a giocare con lui; eppure, un po’ per educazione, un po’ per la noia di aprire bocca, evitava di mettere su una discussione tanto delicata. E continuava a sbattere la testa contro i documenti disordinatamente accatastati sulla scrivania.
«Un caffè, signorina Jameson?» disse Patrick quando già erano le dodici e si avvicinava l’ora di tornare a casa.
«No, grazie. Tra mezz’ora vado via, non mi sento molto bene. Chissà quanto caldo farà in estate, se già in primavera il clima è insopportabile!»
L’assistente bevve il proprio caffè in un solo sorso e si passò il dorso della mano sulla bocca.
«E poi come fai a bere caffè caldo proprio oggi?» continuò Rosamund.
«Non importa quale bevanda bevo. L’importante è che sia una bevanda. – sorrise Patrick, col tono di chi si aspetta una risata dal suo interlocutore. Ma vedendo che aveva provocato in Rosamund nient’altro che un fievole sorriso teatrale e un piccolo scuotimento della testa in segno di cordiale disappunto, riprese: - E sul caso Malfoy ci sono novità? Credevo avesse indagato su Corinna Lestrange, o come diamine si chiama.»
«Sì, esatto. Stamattina all’alba ho fatto un salto dai Lestrange. Sono tipi odiosi, Patrick. Spero che non dovrai mai avere a che fare con loro. Mi hanno accolto in un grande salone coperto di arazzi e ho chiesto di Corinna Lestrange. Non mi sarei mai aspettato di vedere una donna di mezza età così esuberante e allegra. Eppure, in quanto Lestrange, nelle sue battute c’è sempre un che di fastidiosamente sarcastico. Le ho chiesto di rispondere con sincerità alle mie domande. Quando le ho parlato di Adolar, ha detto che sono buoni conoscenti, ma che “in tutta franchezza, non avrebbe mai scelto un tipo così poco alla mano come proprio amante”. – Rosamund tentò un’imitazione di Corinna, che le riuscì straordinariamente ineccepibile. – Abbiamo discusso un po’ dell’omicidio di Lysiart. Ha ammesso che le dispiace. Bah, Patrick, non so più cosa fare. Ho pensato che magari avrebbe potuto chiarirmi le idee, rivelare che era lei la madre del misterioso L. E invece sembra proprio che io abbia preso un granchio. – aggiunse contrita. – Ma non mi arrendo. Ci sono altre possibilità che devo attentamente vagliare.»
«Non ha pensato, - disse Patrick, - che Corinna stesse semplicemente mentendo?»
Rosamund scosse la testa. «Che motivo avrebbe? Per evitare uno scandalo? Non credo gliene importerebbe. Visto il suo carattere, si è comunque fatta una pessima reputazione. La situazione non potrebbe essere peggiore di così.»
«In sua assenza, - disse Patrick, - è arrivata una lettera del dottor Abraxas Malfoy. Il gufo sembrava piuttosto irritato.»
Porse all’Auror una missiva dall’aria autorevole, e Rosamund la svolse per leggerne il contenuto.

Signorina Jameson,
la informa che questa mattina, nella camera di mio fratello Lysiart, ho scovato un oggetto che potrebbe interessarle. Si tratta di un fazzoletto profumato. Ha ricami verdi e decorazioni floreali lungo i margini. Inoltre le interesserà sapere che la signora Hayward, madre di Rachele, si stabilirà a Malfoy Manor questa sera stessa. Posso chiederle di accertarsi che il fazzoletto non sia della moglie di mio fratello.
Si è poi verificato un fatto spiacevole. Charlotte Zurrey, la bambinaia che avevamo assunto per Lucius, è scomparsa. E’ probabile che sia volontariamente fuggita. Attendiamo le quarantotto ore prima di denunciare l’accaduto. La prego di effettuare al più presto un sopralluogo.

Distinti saluti,
Abraxas Malfoy

«Un fazzoletto? – disse Patrick, che aveva letto insieme a lei. – Ma che significa?»
«Significa che abbiamo forse il primo indizio su cui indagare. – spiegò Rosamund, - Ma è la scomparsa della bambinaia, quella che mi preoccupa.»
E si resse in piedi, prima di congedarsi.


Charlotte spinse con un tocco leggero la porta dell’armadio parietale, sperando che lo scricchiolare della stessa sui cardini non provocasse troppo rumore. Si ritrovò ancora nella stanza di Lysiart, col cuore che sembrava intenzionato a uscirle fuori dalla gabbia toracica per la violenza con cui batteva. Aprì bene le dita, stirando il palmo di entrambe le mani, prima di pianificare un piano di fuga. Fu decisamente sollevata quando, scostando i pesanti tendaggi di cretonne, vide una porta scorrevole che dava sull’enorme balcone. Quando abbassò la maniglia e fece scivolare la base della porta lungo il passaggio dentro il muro, sentì una folata di aria calda scompigliarle la chioma incollata alla fronte per il sudore. Quel soffio di vento fu per lei un grido di vittoria. Sentì di aver trovato il modo giusto per uscire dalla camera senza però destare sospetto negli abitanti. Sgusciò fuori e si chiuse la porta scorrevole dietro di sé, mandando al diavolo i tendaggi, che aveva dimenticato di chiudere.
Il balcone della stanza di Lysiart non comunicava con le altre stanze. Ma da lì si godeva di una vista mozzafiato. Il giardino esterno con le antiche rovine, che assumevano in quell'ora del giorno un'aurea romantica; le fronde degli alberi scompigliate dalla corrente calda; le libellule variopinte che sfarfallavano senza meta sull’erbetta. Si trovava al primo piano e non poteva certo gettarsi dal balcone senza provocarsi una frattura piuttosto grave. Il cornicione era abbastanza largo, ma Charlotte si chiese se avrebbe sopportato il suo peso. Si voltò ancora verso la camera di Lysiart da cui era uscita nella speranza di trovare una soluzione. Alla peggio avrebbe optato per il cornicione, ma se c’era una via d’uscita più facile era meglio non rischiare. Si diede della sciocca quando ripensò al momento in cui era entrata nella camera di Lysiart e ricordò di aver lasciato la bacchetta nella stanza dei giochi. Scoccò un’occhiata esasperata al cancello nero d’ingresso. Si vedeva appena da lassù, ma comunque a un tiro di sasso Una donna attendeva che aprissero. Si trattava forse di Rosamund Jameson? Charlotte strizzò gli occhi per focalizzare meglio e studiò il viso della nuova venuta. Gli occhi erano neri, i capelli della stessa tinta, legati in uno chignon. Possibile che avesse le allucinazioni? No, quella era proprio Ottilia, sua sorella.
Rincuorata e sbalordita nel contempo, Charlotte staccò un pezzetto insignificante dalla facciata e lo scagliò con tutta la forza delle braccia verso la sorella. Il tiro mancò del tutto il bersaglio, però cozzò con la cancellata e Ottilia Zurrey si sentì portata dal tintinnio udito a sollevare la testa verso il punto da cui riteneva fosse partita la scheggia. Dovette sgranare gli occhi anche lei prima di riconoscere Charlotte.
«Sei lì? – gridò con quanta voce aveva in gola. – Oh, Lotte, per piacere, fai aprire il cancello al signor Malfoy.»
Stringendo i denti, Charlotte la zittì a gesti, facendole cenno di avvicinarsi, e muovendo scanditamente la bocca per permettere alla sorella di leggere il labiale, riuscì a dirle: «Non-dovrei-essere-qui. Liberami-senza-che-Malfoy-lo-scopra. Non-posso-usare-la-materializzazione-dentro-i-confini-della-villa.»
Dovette ripetere il messaggio più volte e gesticolare come una pazza, ma infine Ottilia fece un segno d’intendimento. Continuò ad aspettare l’arrivo di qualcuno che le aprisse il cancello. Fu Laureen a percorrere il sentiero.
«Chi è lei?» domandò, mentre Charlotte si appiattiva al muro del balcone scongiurando che non la vedesse.
«Mi chiamo Ottilia Zurrey, sono la sorella di Charlotte. Dovrei… dovrei vederla.» spiegò la nuova venuta.
«Temo che sua sorella non si trovi più qui. – disse Laureen, ma le aprì il cancello. – L’abbiamo cercata, eppure non riusciamo a trovarla.»
«Oh, - disse Ottilia, lanciando sguardi di implorazione alla sorella che attendeva segni in balcone. – Come ha fatto? Voglio dire… - si interruppe, poiché il tono della sua voce era tutt’altro che preoccupato o meravigliato. – Charlotte è sparita? – disse poi, ma il cambiamento di inflessione fu troppo drastico. - Beh, posso parlare con… con il signor Malfoy?»
«Vuole che glielo chiami? Prego, si accomodi in salotto.»
«Preferisco aspettare fuori, se non le dispiace. C’è molto caldo.»
«Dentro le mura si sta bene, - assicurò Laureen. – Entri dentro, le chiamo Abraxas.»
«Ma no, aspetto qui. – disse Ottilia, con un rigido sorriso. – Il fatto è che… io ho bisogno del sole perché… ho avuto dei problemi alla pelle.»
Laureen corrugò la fronte e Charlotte, che da quella distanza non udiva perfettamente le parole di Ottilia, intuì comunque che la sorella si stava arrampicando sugli specchi nel tentativo di rimanere lì fuori per venire a soccorrerla.
«Problemi alla pelle? E le sue giornate dove le trascorre, in giardino? – domandò Laureen sospettosa. – Una cosa molto strana.»
«No, certo che no. – rise Ottilia, ma la sua fu una risata innaturale. – Dannazione, si è fatto tardi. Allora, può far venire il signor Malfoy qui o torno più tardi?»
«Glielo chiamo subito.» disse Laureen, ma prima di entrare seguì Ottilia con la coda degli occhi.
Ottilia, non appena si ritrovò libera, corse in fretta sotto il parapetto e serrò la mascella. Charlotte la guardava terrorizzata, come se temesse che Abraxas dovesse spuntare da un momento all’altro.
«Non potevi chiamare la signora o qualcun altro? – disse alla sorella. – E’ proprio di Malfoy che mi preoccupo, e lo stai facendo venire qui.»
«Non conosco gli abitanti, Lotte! – protestò Ottilia. – E’ già tanto che stia rischiando così.»
Charlotte si accorse che stavano solo perdendo tempo prezioso. Abraxas doveva ormai aver saputo dell’arrivo di sua sorella e probabilmente stava scendendo le scale per accogliere la nuova venuta, mentre le due non sapevano ancora che pesci pigliare.
«Come faccio a scendere di qui?» chiese Charlotte.
Ottilia si guardò intorno con visibile furore. Tirò fuori la bacchetta e la puntò su Charlotte, che serrò la mascella.
«Che cosa fai?» sussurrò.
«Non ne ho idea! - rispose Ottilia. Chiuse le dita attorno alla bacchetta e disse: - Reducto!»
Charlotte sentì le viscere in subbuglio e si ritrovò in pochi attimi delle dimensioni di un folletto. Ottilia la fece levitare, reprimendo a stento una risata di euforia, le fece scavalcare la balaustrata del balcone e, infine, depose la sorella sul prato dinnanzi a lei. Charlotte continuava a dimenarsi e a mugghiare.
«Engorgio!» disse Ottilia e all’istante Charlotte riacquistò le normali dimensioni.
Stavano cercando una scusa da dire ad Abraxas quando il padrone di casa in persona varcò la porta del giardino e sbarrò gli occhi alla vista di Charlotte. La quale, dal canto suo, provò una sensazione fastidiosa allo stomaco quando ricordò la giornata in giardino trascorsa con lui.
«Lotte! Ma che ci fa qui?» esclamò stupito, senza degnare Ottilia di uno sguardo.
Sembrava che tutto il mondo di Abraxas fosse condensato negli occhi di Charlotte. Tutto il resto era un semplice contorno alla meraviglia.
La bambinaia avvertì un brivido freddo lungo la schiena quando si sentì chiamare con quel nomignolo confidenziale. Ottilia evidentemente non ci aveva fatto molto caso. E proprio questa fissa di dare peso alle parole di Abraxas fece sentire Charlotte molto sciocca.
«Sono appena tornata dal villaggio – disse in atteggiamento serioso. – Non l’ho trovata in giro, signor Malfoy, motivo per cui ho preferito non disturbare nessuno. Sarei tornata prima di mezzogiorno.»
«Sono stato in pensiero. - spiegò Abraxas, irrigidendosi di colpo, subito dopo aver pronunciato quella frase avventata. Si affrettò ad aggiungere in fretta, il tono freddo e distaccato. - siamo stati tutti in pensiero, signorina Zurrey. C’è un assassino in giro, d’altronde.»
Charlotte chinò leggermente il capo. C'era qualcosa di strano nel modo di fare dell'uomo. Quel suo essere così sciolto all'inizio, che era giunto a preoccuparla, e poi quel suo repentino cambio d'umore, che l'aveva tranquillizzata e allo stesso tempo destabilizzata.
«Io… mi dispiace...per...non aver avvertito, signor Malfoy – riuscì a balbettare la bambinaia. – Beh...comunque si è risolto tutto, giusto? – si voltò verso la sorella. - Le presento Ottilia, signor Malfoy. Gliene parlavo in giardino.»
Subito fu assalita dal rimorso di aver menzionato il giardino e, quasi per punire la propria avventatezza, si morse il labbro, provocandosi un acuto e sottile dolore.
«Ah, sua sorella, giusto? – disse Abraxas, squadrando l'altra donna a lungo, prima di porgere la mano a Ottilia che la strinse immediatamente, facendo passare lo sguardo dalla sorella all'uomo. – E’ un piacere conoscerla. Sua sorella è davvero una don… sa fare il suo lavoro, al contrario di molti altri.»
Charlotte portò lo sguardo sull'uomo per qualche istante, prima di chianrlo nuovamente al suolo. Stava avvenendo come poco prima. In lui era tutto un continuo cambiare di umore. Da una parte quella strana affabilità che le sembrava assolutamente fuori luogo, dall'altra quell'irrigidirsi improvviso, quel cambiare modo di parlare e tono che la confondeva di pari.
«Sono venuta a trovare mia sorella. – disse Ottilia. – Non ci vedevamo da qualche mese, sa… Abitiamo tanto vicine, eppure...»
Attese che il padrone di casa, quell'uomo che le appariva così strano e mutevole, dicesse qualcosa. E non sapeva se sarebbe stato meglio attendersi il tono freddo e altero o quello più sciolto e gentile.
«Allora, signora, credo che potrebbe fermarsi a pranzo.» disse l'uomo sbrigativamente, come se la faccenda non gli importasse, mentre fissava attentamente il volto della sorella di Charlotte.
«Oh, no, davvero. – rispose Ottilia, scuotendo appena il capo, chiedendosi se fosse quella la risposta che l'uomo si attendeva – La ringrazio molto per la gentilezza, ma… sono già in ritardo.»
«In ritardo? E per cosa?» domandò Abraxas, senza riuscire a celare un briciolo di curiosità.
«Devo andare a prendere mio figlio. Si trova da mia madre ed ho già abusato troppo della sua pazienza, signor Malfoy. D'altro canto Thimoty mi starà aspettando con ansia.» si affrettò a spiegare la donna, parlando rapidamente.
«Capisco, signora. - rispose Abraxas, quasi comprensivo- Quand'è così, non la trattengo oltre.»
«La ringrazio comunque, signor Malfoy, per il tempo che mi ha dedicato. - rispose Ottilia, abbozzando un lieve sorriso. - Volevo unicamente chiederle se posso, in futuro, abusare ancora della sua pazienza per poter venire a trovare mia sorella.»
«Assolutamente, signora. Non le impedirei mai di parlare con Charlotte.» rispose Abraxas, abbozzando un improvviso sorriso.
«La ringrazio infinitamente, signor Malfoy,»
«Immagino che la ringrazierà anche Lotte. - affermò l'uomo lanciando una lunga occhiata alla bambinaia, che teneva invece il capo chino. - è veramente sicura di non volersi fermare, signora Ottilia? Immagino che sua madre sia più che contenta di occuparsi di suo figlio. - fece una breve pausa, mentre proseguiva rapidamente - Le basterà mandarle un gufo. In fondo lei, signora, è qui per vedere Lotte, la sua sorella minore, non credo che sua madre se ne avrà a male.»
«Se...se mette le cose in questo modo, signor Malfoy, non posso far altro che accettare.»
«Perfetto, se mi volete seguire, signora, Lotte.»
Carlotte non riuscì a fare un passo. L'uomo pareva tornato tutto ad un tratto a quel modo di comportarsi così tremendamente fuori luogo, così strano rispetto a ciò che aveva imparato a conoscere, così palesemente in contraddizione con quella stessa persona che aveva parlato freddamente solo pochi minuti prima e questo imbarazzava tremendamente Charlotte. Quella confidenza che Abraxas usava quando parlava di lei, alle volte, quel suo chiamarla per la seconda volta con quel nomignolo che, fino a quel momento, avevano utilizzato unicamente i suoi familiari più stretti la metteva a disagio, a tratti la disguastava, a tratti le faceva provare un brivido, a tratti la immergeva nel senso di colpa.
«Signorina Zurr...Charlotte. – biascicò infine. – Preferisco che mi chiami Charlotte, signor Malfoy.»
«Come desidera.»
Il volto di Abraxas divenne freddo e altero come sempre. Sembrava che si fosse come ridestato. Ottilia osservò per qualche istante la sorella, perpelssa, ripromettendosi di parlare con lei, quando fossero state sole, di quello strano rapporto che sembrava esistere tra lei e il suo datore di lavoro.


Un calessino modesto, trainato da un puledro piuttosto stupido, si fece largo nello spiazzo davanti a Malfoy Manor. Vi viaggiava la madre di Rachele, Juliet Gena, avvolta in uno scialle di pizzo nero. Aveva provveduto ad acconciarsi come se stesse andando ad una sera di gala. I capelli, così simili a radici, erano legati in due trecce bianche, che scendevano sulle spalle conferendole un aspetto che a lei era parso bello a vedersi ma che oggettivamente la faceva apparire più brutta di quanto non fosse, come una megera che col trucco prova a ridurre la sua deformità e involontariamente la rende ancora più mostruosa. Le labbra erano contornate da un’obbrobriosa linea rossa, e il cosmetico applicato sotto gli occhi era del tutto in contrasto con le rughe da vecchia che le segnavano il volto.
Il cocchiere, l’unico membro, oltre alla vecchia Margot, della servitù di casa Hayward, che ricopriva anche il ruolo di maggiordomo, scivolò giù dalla sella e corse ad aprire la portiera della carrozza alla padrona di casa, verso cui nutriva un profondo rispetto.
Juliet si fece aiutare a scendere giù senza opporre resistenza e affondò i tacchi sul terriccio. Dall’altro lato dello spiazzo una ragazza esuberante e piacente camminava verso di lei. Era Rosamund Jameson, e notando la sua preziosa bellezza Juliet Gena sentì un moto di astio inconscio.
«Salve! – sorrise l’Auror gentilmente. – Lei è Juliet Gena Hayward, la madre di Rachele Malfoy. Non è vero? Ci siamo viste al funerale, non so se ricorda. Sono l’Auror incaricata di…»
«Mi ricordo!» disse Juliet, e le voltò le spalle.
Rosamund arricciò le sopracciglia, camminando lentamente verso l’ingresso della villa dei Malfoy. Laureen e Megan, sedute nel sentiero che serpeggiava sino all’ingresso, scorsero le due donne con la coda dell’occhio.
Combatterono con lo sguardo prima di decidere chi sarebbe andato ad aprire la porta. Siccome Laureen non era la padrona di casa, non si preoccupò di alzarsi. E poi, in quanto anziana, aveva tutto il diritto di devolvere quello spiacevole compito alla padrona di casa. Megan, malgrado la riottosità, dovette alzarsi e correre piuttosto velocemente fino al cancello. Accolse con uno sguardo sprezzante Juliet Gena, facendole cenno di accomodarsi e borbottando: «La strada la conosce!» e sorrise invece a Rosamund, prima di abbracciarla.
«Cara, hai saputo la storia del fazzoletto?»
«Sì, me l’ha riferita tuo marito, Megan. – disse Rosamund annuendo. – Ehi, sei dimagrita notevolmente dall’ultima volta che ti ho vista. Hai smesso di mangiare?»
«Mi sono data allo sciopero della fame. – sorrise la signora Malfoy con la sua voce da cornacchia. – Scherzi a parte, mia cara. E’ solo che non si cucinano più le pietanze grasse che tanto piacevano al povero Lysiart.»
«Amava il cibo pesante?» domandò Rosamund incuriosita.
«I cibi zuccherosi, il miele. Non ho idea da chi possa aver preso. Abraxas, per esempio, mangia solo cibi salati.»
«Bah, i vostri soliti discorsi da donne!» intervenne il padrone di casa, appena uscito fuori, mentre il sole del primo pomeriggio spariva dietro una nuvola nerastra.
«Ah, è lei, signor Malfoy? – disse Rosamund. – Dunque, di che fazzoletto parlava nella missiva? E la bambinaia? E’ stata trovata?»
«Charlotte aveva fatto un salto al villaggio. – spiegò, e senza un motivo preciso Megan gli lanciò un’occhiata tagliente. – Comunque, - riprese, - il fazzoletto l’ho riposto in cassaforte, onde evitare che qualcuno lo facesse sparire. Sa, la prudenza non è mai troppa. E visto che l’assassino si muove tra le mura…»
Laureen annuiva dietro di lui, evidentemente convinta della medesima cosa e felice della precauzione.
«Dannazione, sono le tre passate. – esclamò Megan, guardando l’orologio da tasca. – La mia tisana!»
«Ah, la sua tisana…» borbottò Laureen eloquentemente.
«Offrila anche all’ospite, Megan. – disse Malfoy. - Mi diceva giusto poco fa che va pazza per le tisane.»
«Se non sono indiscreta, potrei…»
«Sì, signorina Jameson. – la prevenne Abraxas. – L’ospite è Ottilia Zurrey, la sorella di Charlotte.»
«Non ci siamo ancora conosciute, io e la bambinaia. – disse Rosamund. – Avrei il piacere di…»
«Eccola che arriva!» disse Megan, indicando Charlotte che usciva in giardino insieme a Ottilia e Lucius.
Dopo le presentazioni e qualche frase di cerimonia, Rosamund si mostrò impaziente di vedere l’indizio trovato da Abraxas, il famoso fazzoletto ricamato. Il padrone di casa, mentre le donne rimanevano in giardino, scortò l’Auror fino alla propria camera. L’atmosfera di Malfoy Manor, con le sue mura imponenti che impedivano l’ingresso del caldo, era tranquilla e piacevole. Traversarono i corridoi, Abraxas con passo svelto e deciso, Rosamund con leggera titubanza. Le figure dei quadri appesi alle pareti li seguivano con lo sguardo senza battere ciglio. Prima di entrare nello studio del medico, dove Abraxas teneva la cassaforte, Rosamund avvertì un odore sgradevole, tanto che ebbe l’impressione di stare entrando in una camera d’ospedale. I liquidi fumanti che si trovavano nella camera di Abraxas emanavano quegli effluvi fastidiosi, condensandosi in dense volute di miasma.
«Non è tossico, niente da temere. – assicurò il medico. – Venga pure.»
Procedettero in mezzo alla foschia e giunsero dinnanzi ad un armadietto blindato. Abraxas toccò la manopola girevole con la bacchetta e la fece ruotare con un incantesimo non-verbale. Il fazzoletto ricamato, adagiato su un ripiano della cassaforte, sprigionò all’istante un aroma delicato e dolciastro. Rosamund ne sembrava inebriata. I suoi occhi verdi sfavillarono di piacere.
«E’ incantato magicamente?» domandò stupefatta.
«Non ho avuto modo di analizzarlo. – disse Abraxas. – Gli ho dato un’occhiata superficiale.»
«Ricami verdi. – esclamò Rosamund, prendendo il fazzoletto tra le mani. – Un modello maledettamente interessante. Certo è cucito a mano. Dove lo ha trovato?»
«Nella camera di Lysiart.» disse Malfoy.
«Che strano! E cosa poteva farci un fazzoletto femminile nella stanza di un uomo? Forse era di Rachele?»
«Non credo. Non usava certi profumi. Era una donna che, vista la depressione, curava poco il proprio aspetto.»
«Farò analizzare questo fazzoletto alla centrale di Londra. Posso prenderlo, vero?»
«Naturalmente.»
Rosamund lo ripose con accuratezza nella propria borsa.
«Si ferma per la tisana, signorina Jameson?»
«Sono così stanca che non riuscirei a restare in piedi per più di dieci minuti. E per di più ho mangiato molto, a mezzogiorno. Penso che farò una dormitina.»
«Come vuole.»
Scesero in giardino, dove le donne chiacchieravano sommessamente, sproloquiando su faccende di vita mondana. Era arrivata pochi momenti prima anche Ester, sostenendo che sua madre aveva dimenticato gli occhiali a casa e aveva trovato opportuno portarglieli. Una malalingua avrebbe insinuato che era semplicemente venuta per controllare la situazione.
Laureen sembrava informatissima sulle ultime infatuazioni di una ricca signora del villaggio, che tradiva il marito con il macellaio. «… anche se la capisco. Suo marito, mister Smoker, fa l’apicoltore, ma è così brutto che le api gli ronzano lontano. – stava appunto dicendo con lo sguardo acido. – Mi ricorda un tizio che vidi qualche anno fa. Come diavolo si chiamava… Lippincott, sì. Lo conobbi a Dover, quando la zia Cora mi chiese di…»
La dissertazione venne bruscamente interrotta da un pianto isterico del piccolo Lucius, che continuava ad agitarsi fra le braccia di Charlotte.
«Lo dia a me. – disse Megan. – So badargli.»
Ma non appena Charlotte, ubbidientemente, le cedette il bimbo, Lucius divenne ancora più nervoso. Megan tentò di celare l’imbarazzo.
«Vuole il suo pupazzo.» disse Charlotte con serietà.
«Cosa dice? – domandò Megan. – Ha solo bisogno di coccole.»
«Ne ha avute abbastanza, signora Malfoy. – rispose Charlotte, cercando di essere umile. – Le assicuro che vuole il suo pupazzo, sarebbe bene che…»
«So io cos’è bene per mio figlio, signorina Zurrey. E se le dico che vuole le coccole, significa che...»
«…che dovresti ascoltare la signorina e dare a Lucius il pupazzo.» completò Abraxas.
Rosamund si sentì fuori luogo in quel contesto, ma non le pareva il caso di sgattaiolare via senza salutare. Il clima si era fatto teso. Lucius continuava a sbraitare. Si aprì una finestra e si spanse la voce di Hilda, l’infermiera, che ruppe l’imbarazzo generale.
«Signor Malfoy! Signor Malfoy! Adolar… ha ripreso a balbettare qualcosa…»
«Santo Cielo! – esclamò Abraxas. – Arrivo subito!»
Tutti i presenti gli corsero dietro, superando il giardino. Laureen si era portata le mani alla testa e correva, stranamente, più veloce degli altri. Megan stringeva la lingua fra i denti. Charlotte e Ottilia si scambiavano occhiate rapidissime, ma nessuno le notò. Salirono velocemente al primo piano e superarono l’andito ostentando il loro sgomento con le frastornate espressioni facciali. Nella camera di Adolar trovarono non solo il malato, ma anche l’infermiera, il maggiordomo, Zephyrus e tre elfi, tra cui Maky ed Hatty, che trafficavano con le medicine.
Effettivamente Adolar aveva preso a tartagliare frasi sconnesse. Si poteva udire in modo distinto il nome di Lysiart. Laureen si avvicinò al malato e gli massaggiò la fronte imperlata di sudore.
«Adolar, Adolar! Riprenditi, caro!»
Ester e soprattutto Juliet sembravano spaventate.
«Per favore, non fare brutti scherzi!» continuò Laureen.
Il malato guardò la vecchia cugina di famiglia e sussurrò dimenandosi: «La…La… Laureen! No, no, no! Loreley! Loreley!»
Hilda aveva sbarrato gli occhi e Zephyrus stava addirittura tremando sull’uscio, come se avesse intenzione di scappare.
«Che stai dicendo? – chiese Laureen corrugando la fronte. – Oh, ti prego, calmati!»
«… ucciso Lysiart… ucciso Lysiart…»
All’improvviso le voci si accavallarono e si creò un tramestio caotico. Sfruttando un incantesimo non-verbale, qualcuno aveva appena fatto calare il buio nella stanza. Non si vedeva a un palmo dal naso.
«Chi ha fatto un incantesimo Obscurus? – gridò Abraxas. – Chi ha fatto un incantesimo Obscurus, ho detto?»
La sua voce tuonava, ma nessuno riusciva a sentirlo nel trambusto. Soltanto in un secondo momento la confusione si placò. Adolar si era zittito. E gli effetti dell’Obscurus, piano piano, svanirono. Ma agli occhi dei presenti, quando la luce del sole ancora inondò la stanza, apparve il vecchio malato con gli occhi chiusi e la bocca spalancata.


Ecco a voi un altro capitolo!
Un grazie particolare a:
Thiliol: Veramente bella la tua recensione. Siamo entrambi contenti che il capitolo precedente ti sia piacciuto (effettivamente il rapporto del nome di Lotte con Goethe è farina del mio sacco..ndAlaide). Speriamo che anche questo ti piaccia. Sappici dire che ne pensi!

Un grazie alle persone che hanno messo la storia tra i preferiti e a chi legge soltanto.

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Capitolo 13
*** Capitolo XIII ***


Capitolo XIII

«Uscite tutti, immediatamente - ingiunse Abraxas non appena la sorpresa per quanto accaduto scemava - Signorina Zurrey, avrò bisogno del suo aiuto.»
«Se mi permette, signor Malfoy, dovrei rimanere anch'io, in qualità di Auror.» si intromise Rosamund, gli occhi ben fissi sul corpo di Adolar.
«Non sopporto aver gente che ficcanasa mentre lavoro.» rispose rudemente l'uomo.
«Allora perché fai rimanere la bambinaia?» chiese Megan, strizzando gli occhietti.
Charlotte sobbalzò leggermente, scoccando una rapida occhiata alla sorella, prima di chianre il capo, mordicchiandosi appena il labbro inferiore.
«Studia medimagia, Megan, e di certo mi sarà più utile di te. Ed ora, signori, uscite.» concluse l'uomo con tono imperioso.
Zephyrus scosse il capo, biascicando un "tiranno" tra i denti, mentre faceva vagare lo sguardo su tutti gli altri. A quel che sembrava quell'untuoso leccapiedi di Green era stato il primo ad uscire, seguito dalla sorella della piccola bambinaia, di quella ragazzetta che sembrava godere della massima fiducia del padrone, forse unica tra tutti loro.
Lentamente, uno ad uno, sciamarono dalla stanza del vecchio, chi guardando dritto davanti a sé, chi guardandosi indietro, fino a quando Hilda non si chiuse la porta alle spalle. Il maggiordomo prese in mano la situazione, guidando tutti loro nel salottino estivo. Non appena fu entrata Megan si affrettò verso il tavolino dove faceva bella mostra di sé il bricco della sua tisana. Spostò il peso di Lucius sul fianco sinistro, per poi versare la bevanda in una tazza. Il bimbo, contro di lei, si agitava probabilmente a causa della confusione, che vigeva intorno a lui. Nel frattempo anche tutti gli altri prendeva posto all'interno della stanza. Le Hayward si appartarono in un angolo, mentre Green rimaneva sulla porta, come a voler vigilare ogni cosa. Dal canto suo Ottilia, rasentando quasi la parete del salottino, si mise in disparte, mentre il bibliotecario faceva vagare lo sguardo sulla stanza, soffermandosi per qualche istante di più su Laureen e Hilda che avevano preso posto su due delle poltrone presenti nella stanza. La cugina dei Malfoy scuoteva il capo, sconsolata, mentre l'infermiera si tormentava senza posa la treccia.
«Cos'è successo, secondo lei, signorina O'Connor?»
«Non saprei, signorina Mallory. L'unica cosa di cui sono certa è che il vecchio Adolar è sottoposto a troppi stress ultimamente. Si agita spesso, da quanto è morto Lysiart. Se soltanto non avesse visto il cadavere del figlio.»
«Già - constatò Laureen, mentre si guardava intorno. Per un breve istante le era sembrato di sentire su di sé un osguardo gravido d'odio, ma a quel che pareva era unicamente frutto della sua mente - Spero soltanto che non sia morto, anche se...quella bocca spalancata...»
«Non lo dica, signorina Mallory, la prego.» mormorò agitata Hilda.
«Si è affezionata a quel vecchio scorbutico di mio cugino, signorina, e non me ne stupisco, considerando che bada da così tanto tempo a lui.»
Nell'intera sala Laureen e Hilda erano le uniche a parlare. Tutti gli altri si limitavano a scrutarsi, compresi Hatty e Maky che, per qualche strana ragione, non si erano materializzati nelle cucine come l'altro elfo. Ottilia, dalla posizione in cui si trovava, accanto ad una porta di piccole dimensioni, li notò all'improvviso. C'era qualcosa di strano in loro, nel modo in cui si guardavano e poi fissavano i vari Maghi e Streghe riuniti nella stanza, con quei loro grossi occhi.
«Li ha notati anche lei?» chiese una voce affabile alle sue spalle.
La donna sobbalzò leggermente, mentre si voltava verso il maggiordomo, impeccabile nella sua livrea, cosa che la fece sentire improvvisamente a disagio nei suoi abiti tremendamente ordinari. Per un istante si chiese come Charlotte riuscisse a vivere in quell'ambiente così lontano dalla loro vita semplice.
«Non possono passare inosservati, anche se devo ammettere che non li ho notati subito.»
«All'inizio si è troppo impegnati ad osservare tutti gli altri. È qualcosa di assolutamente normale al Manor.»
«Deve essere tanto tempo che lavora qui, signor... - la donna fece una pausa, concentrandosi leggermente - ...Green.»
«Già. Mio padre era maggiordomo a Malfoy Manor ed io ne seguo le orme.»
Ottilia annuì con un sorriso cortese, mentre riprendeva a far vagare lo sguardo. Quasi rabbrividì quando incontrò due occhi malevoli ed acidi, appartenenti a quella donna con il bastone giunta nel pomeriggio. Sembrava che volesse perforarla con lo sguardo e la giovane al suo fianco, sua figlia, se non ricordava male, pareva contrariata quanto la vecchia.
«Ha inquadrato le Hayward, madre e figlia, rispettivamente suocera e cognata del defunto Lysiart Malfoy.»
«La più giovane si chiama forse Ester Hayward?»
«Esattamente. La conosce, per caso?»
«Eravamo a Hogwarts negli stessi anni, all'incirca. Io ero tre classi avanti a lei, se non vado errata.»
«I tempi della scuola... - disse con fare nostalgico Green - qualcosa di assolutamente affascinante da ricordare.»
Come se si fossero sentite chiamate in causa dagli sguardi di Ottilia e del maggiordomo, Juliet ed Ester portarono la loro attenzione sui due, fissandoli a lungo.
«C'è sempre qualcuno che ti fissa in questa casa. - borbottò a bassa voce la più giovane delle due - Il maggiordomo questa volta e Ottilia Zurrey.»
«Sbaglio o era a scuola quando c'eri tu?» domandò Juliet, continuando a fissare lo sguardo acido sulla donna e su Green.
«Sì, era prefetto di corvonero, qualche anno avanti a me. Invece la bambinaia era nella stessa casa di Rachele, un anno indietro se non vado errata, ma mia sorella non ne ha mai parlato più di tanto.»
«Di certo non è molto importante...una bambinaia. Gli Zurrey sono caduti veramente in basso, se una dei loro rampolli lavora. Nemmeno un matrimonio illustre sono riusciti a ricavare per le due figlie. - disse acidamente la donna, prima di aggiungere, voltandosi verso la figlia - Secondo te, il vecchio Adolar, ha avuto la stessa sorte del figlio?»
«Non ne ho idea, anche se da come era messo, con quella bocca spalancata, direi che ci sono buone probabilità.»
«Sarebbe una notizia incredibile, Ester.» commentò la donna con una punta di cattiveria nella voce.
«Già.» rispose la figlia abbozzando un sorriso sghembo.
Nessuno sembrava badare più di tanto alle due Hayward. Sicuramente non le stava osservando Megan, tutta intenta a tenere gli occhi fissi su Ottilia, la sorella di quella ragazzina che sembrava interessare tanto al marito. A quel che pareva le Zurrey possedevano l'arte di affascinare gli uomini. Green sembrava un vero babbeo mentre osservava quell'Ottilia.
«Sembri nervosa, Megan.» interloquì Laureen, avvicinandosi a lei, dopo essersi alzata e averla raggiunta.
«Sono quelle sorelle. Guarda Ottilia Zurrey come civetta con il mio maggiordomo, ma la peggiore è quella Charlotte. Ronza sempre intorno a mio marito e lui, cosa ancora peggiore, sembra ricambiare l'attenzione.»
«Non vedo perché tu ti stupisca, Megan - ribatté sarcastica la donna - In fondo il povero Abraxas deve pur trovare qualcuno di bello da vedere.»
«Dovrei ridere Laureen? - domandò con voce leggermente isterica Megan - perché nel caso non ti trovo per nulla divertente.»
«Come sempre, mia cara, come sempre.» disse la donna più anziana, allontanandosi dalla padrona di casa.
Megan la seguì con lo sguardo, mentre beveva rapida un'altra tazza di tisana. Sapeva che il suo matrimonio si basava su tutto tranne che sull'amore, ma detestava il modo in cui Abraxas si comportava con la bambinaia. Era così palesemente interessato a lei, sempre pronto a concordare con lei, che si stupiva che tutti quei ficcanaso di Malfoy Manor, non si fossero ancora messi a consultare Charlotte quando avevano bisogno di qualcosa. Il bimbo tra le sue braccia, forse percependo la tensione della madre, si mise nuovamente a strillare.
«Tuo figlio è decisamente inquieto - disse Rosamund, raggiungendo la donna - Certo, quello che è successo oggi nella camera di tuo suocero deve averlo spaventato.»
«Sì, lo credo anch'io - rispose Megan, cercando di calmare Lucius - Hai idea di cosa sia successo di preciso?»
«Non del tutto. Soltanto che qualcuno ha lanciato quell'Obscurus e, quasi sicuramente, deve essere accaduto qualcosa d'altro, se il vecchio Adolar era in quello stato quando l'effetto dell'incantesimo è terminato.»
«Credi che sia morto?» chiese Megan con un guizzo di interesse negli occhi.
«Il medico è tuo marito - constatò Rosamund, facendo subito dopo vagare gli occhi sulle altre persone presenti nella stanza - Cosa ci fanno qui quei due elfi?»
Gli occhietti di Megan seguirono la direzione dello sguardo dell'Auror, inquadrando Maky e Hatty. Con un sospiro si avviò verso le due figurine che fissarono i grandi occhi su di lei.
«Il vostro posto è nella cucina.» disse con tono di voce che voleva essere imperiosa, il cui effetto fu, però, rovinato da nuove strilla da parte del bambino.
«Signora Malfoy, signora, Maky e Hatty si devono occupare della camera del vecchio signor Malfoy, signora.» disse Maky con voce acuta.
«Adesso è inutile. Filate in cucina.»
«Maky non ha fatto niente, signora. Maky e Hatty obbediscono agli ordini, signora.»
«Allora dovete ubbidirmi - disse Megan con una nota isterica nella voce - Andate in cucina.»
Sembrò improvvisamente che tutti gli occhi si fossero concentrati su di lei. Per diversi istanti non accadde nulla, poi i due esseri svanirono con un pop dalla stanza.
«Si sono comportati stranamente, non trovi , Megan?» domandò Rosamund, tenendo un tono casuale.
«Quei due elfi sono sempre stati strani. Una volta ho visto Lysiart redarguire pesantemente Maky, anche se non ne ho capito il motivo. E di certo, per irritare mio cognato, dovevano aver fatto qualcosa di grave.»
«O andiamo, Megan - interloquì Laureen che, con Green e Ottilia, si era avvicinata a loro - non ho mai visto nulla di strano in quei due elfi, se non un sano sentimento d'amore.»
«Dice davvero, signorina Mallory? - intervenne d'impulso Ottilia - Non ho mai sentito parlare di elfi domestici innamorati.»
«Ed infatti non eistono - ribatté acida Megan - Sono solo stramberie della cara Laureen.»
«Chi ti dice che siano stramberie?»
«Se mi permettete - disse Green, inserendosi nella conversazione - credo che tutti sappiamo troppo poco per poter dare una risposta certa, ma non credo che nulla possa escludere la teoria della signorina Mallory. Lei, signor Macniemand, che ha letto così tanto - aggiunse poco dopo, notando Zephyrus, vicino a loro, che sembrava seguire la conversazione, pur avendo lo sguardo puntato verso un punto piuttosto lontano nella stanza - cosa ne pensa?»
«Non esistono scritti sugli elfi domestici. Non è un argomento molto interessante a dire il vero. Potrebbero avere ragione sia Laureen, sia la signora Malfoy.»
«Lei signorina Jameson cosa ne pensa?» domandò la cugina dei Malfoy, rivolgendosi all'Auror che osservava la discussione in assoluto silenzio.
«Nessuna idea in proposito. Mi ritengo della stessa opinione del bibliotecario.»
«Forse, però - intervenne Ottilia, senza riuscir a fermare l'impulso di inserirsi nella conversazione - la signorina Mallory ha ragione. Se i sentimenti fanno parte della nostra vita, perché non dovrebbero interessare anche gli elfi domestici?»
«Per il semplice fatto che gli elfi non sono esseri pensanti...figuriamoci, come potete pensare che provino sentimenti esseri che sanno unicamente borbottare frasi sconnesse all'indirizzo del loro padrone?» chiese retoricamente Megan, osservando acidamente Ottilia e Laureen.
«Questo non vuol dire nulla, Megan, cara. Se pensi che...»
«Vi sembra il caso di parlare di argomenti così...così frivoli quando il povero signor Adolar potrebbe essere in punto di morte?» intervenne improvvisamente Hilda, che li aveva raggiunti da poco, interrompendo Laureen, mentre con le mani stringeva convulsamente l'abito da infermiera.
«Oh, andiamo, signorina, la smetta di fingere di essere preoccupata per il vecchio.»
La frecciata di Megan, ottene l'unico risultato di far azzittire tutti coloro che le erano intorno.


Charlotte rimase immobile, accanto alla scrivania di Adolar, mentre Abraxas, che si era avvicinato al padre, appena erano usciti tutti, si chinava su di lui. Lo esaminò per diversi istanti, sentendogli prima il battito cardiaco, osservandolo poi in volto. Soltanto in quel momento alzò il capo, traendo un sospiro di sollievo che tanto contrastava con la durezza che aveva usato poco prima con chi era giunto nella stanza.
«È vivo. - affermò improvvisamente, voltandosi verso la giovane - Ma questo non vuol dire che sopravviverà fino a domani.»
«Cosa gli è accaduto, signor Malfoy?» domandò Charlotte, avvicinandosi con un passo incerto all'uomo.
Una parte di lei avrebbe voluto avvicinarsi di più, offrire il suo aiuto in un momento che sembrava tremendamente difficile per il padrone di casa, un'altra parte di lei temeva che si ripetesse una scena simile a quella che era capitata quella mattina.
«Non ne sono certo, ma escludo che sia statao l'Obscurus ad avere questo effetto su di lui. Chiunque l'abbia lanciato, voleva che non vedessimo qualcosa d'altro.»
«Crede che qualcuno abbia tentato di uccidere suo padre?» domandò allarmata la giovane.
«Forse, oppure lo voleva semplicemente far tacere. - rispose l'uomo, aggrottando le sopracciglia - Forse non lo saprò mai. - una breve pausa, durante la quale si avvicinò a sua volta alla giovane - Charlotte, vada nel mio studio, al secondo piano. Nella stanza principale troverà una boccetta di estratto di fleur-de-éblis, me la porti. Serve anche un'altra fiala, ma non la troverà nella stanza principale. Batta con la bacchetta sul mattone subito sotto il mio diploma. Si troverà in una camera. Sullo scaffale subito di fronte alla porta c'è un ritrovato biancastro, è l'unico di questo colore, un ritrovato di gelsomino, rosa bianca e cappuccio del monaco, lo prenda con sé. Stia attenta a non inalarlo. Potrebbe morire in pochi istanti. - fece una breve pausa, mentre osservava la giovane annuire - Non dica a nessuno del comparto segreto. Ci sono sostanze pericolose all'interno e farmaci in via di sperimentazione. Sono certo che capirà, Charlotte.»
«Sì, signor Malfoy.» mormorò la giovane, prima di avvicinarsi alla porta ed uscirne.
Non appena si trovò nel corridoio, si affrettò a raggiungere le scale e a salirle rapidamentre, in silenzio, per poi percorrere il breve spazio che la separava dalla porta dello studio di Abraxas. Vi entrò e, senza badare più di tanto a quello che era nel vasto ambiente, si diresse rapida verso il diploma in medimagia sperimentale che faceva bella vista di sé su una parete. Poggiò la bacchetta sul mattone posto sotto la pergamena incorniciata e di fronte a lei, appena a lato del diploma, apparve un'uscio. Lo aprì e si ritrovò in una stanza più piccola, buia. La illuminò mormorando un Lumos, per poi guardarsi rapidamente intorno. Uno scaffale stava di fronte a lei, un altro sulla parete alla sua destra. In un angolo erano impilati alcuni calderoni, mentre vicino alla parete di sinistra stava un tavolo di lavoro pieno di mortai, bilancini e pestelli. Al centro stavano alcuni fogli di pergamena zeppi della grafia spigolosa di Abraxas. Charlotte avanzò rapida verso lo scaffale sul fondo e tenendo la bacchetta alzata, davanti a sé ne osservò con attenzione le boccette, fino a riconoscerne una, leggermente panciuta e schiacciata, contenente una soluzione biancastra. La prese nella mano libera, portandola fuori dalla stanza. Non appena si chiuse la porta alle spalle, questa scomparve alla vista. La giovane posò la boccetta sulla scrivania presente in quella parte dello studio e, dopo aver pronunciato un Nox per far scomparire la luce ormai inutile dalla punta della bacchetta, si avvicinò ad uno scaffale ricolmo di ampolle, fino a quando non trovò quella che cercava, contentente un liquido di colore giallastro che spandeva in giro un odore intenso e pungente. Mise la bacchetta in tasca, poi prese delicatamente l'ampolla in mano, andando poi a recuperare l'altro composto. Uscì, reggendo con attenzione le due ampolle, poi percorse rapida la strada che la separava dalla stanza di Adolar e vi entrò.
Durante la sua assenza l'uomo aveva spostato il corpo del padre sul letto e lo stava esaminando con più attenzione. Si voltò verso di lei, non appena udì la porta aprirsi. Si alzò dal letto e le si avvicinò, prendendo in mano la boccetta contenente l'estratto biancastro, sfiorando inavvertitamente la mano di Charlotte.
«Diluisca tre gocce del distallato di fleur-de-éblis in mezzo bicchiere d'acqua, per favore, Lotte. Poi mi raggiunga. Avrò bisogno del suo aiuto per farlo bere a mio padre, nello stato in cui si trova.»
La giovane annuì, senza quasi nemmeno notare il nomignolo con cui l'aveva chiamata Abraxas, il quale tornò rapidamente verso il padre. Lo fissò a lungo, un'espressione strana sul volto, prima di posare la boccetta sul comodino a fianco del letto. Con gesti lenti aprì la casacca che portava quella mattina il padre e prese a spalmare il composto sulla pelle dell'uomo. Non si accorse quasi che Charlotte l'aveva raggiunto, se non quando lei non lo chiamò in un lieve mormorio.
«Posi il bicchiere sul comodino, - disse l'uomo voltandosi verso di lei - Quest'unguento serve per riattivare la circolazione del sangue. L'avrà notato anche lei che mio padre era diventato tremendamente pallido, quando ha perso conoscenza. Questo ritrovato dovrebbe aiutarlo.»
«Non ho mai sentito parlare di questo ritrovato, signor Malfoy.» constatò Charlotte, per riempire il silenzio che si era venuto a creare. Trovarsi da sola con Abraxas, mentre questi esercitava la sua professione e le parlava con quello stesso tono che teneva durante le conferenze dell'anno precedente, la faceva sentire stranamente a disagio.
«Non è ancora stato approvato dal comitato di medimaghi che l'ha in esame. Sono certo della sua validità, ma sto rischiando molto utilizzandolo prima dell'approvazione... - scosse appena il capo, interrompendosi - ...ma credo che il motivo per cui ci mettano così tanto sia la pericolosità del farmaco se inalato, come le ho già detto, o ingerito. - una breve pausa - Sarebbe meglio, Charlotte, se non dicesse a nessuno di questo ritrovato, nemmeno alla signorina O'Connor, nel caso in cui mio padre non passi la notte, cosa che purtroppo potrebbe accadere, a causa di quello che è avvenuto mentre eravamo tutti immersi in quella dannata oscurità.»
«Farò come dice, signor Malfoy.» mormorò la giovane, maledicendosi per quella accondiscendenza, che già aveva mostrato in altre occasioni, ma che non riusciva ad evitarsi di mostrare.
«La ringrazio, Charlotte.» disse l'uomo annuendo, mentre riabbottonava la casacca del padre, per poi allontanarsi e andare nel locale di servizio, tornando, mentre si stava ancora asciugando le mani. Si portò dall'altro lato del letto, scoccando di tanto in tanto un'occhiata a Charlotte, quasi volesse accertarsi che la ragazza fosse ancora lì.
«Mi aiuti a metterlo seduto, Charlotte. - disse l'uomo, senza distogliere lo sguardo da lei. Aiutandosi con alcuni cuscini e a vicenda i due riuscirono a mettere seduto il corpo inerme di Adolar - Mi passi il bicchiere. - aggiunse. Ancora una volta le loro mani si sfiorarono, mentre il bicchiere passava dall'una all'altro. Con delicatezza Abraxas avvicinò il vetro alle labbra del padre e, dopo avergli reclinato appena all'indietro il capo, gli fece bere il liquido giallognolo. Attese qualche secondo, prima di tornare a mettere disteso Adolar, aiutato da Charlotte - Non c'è altro da fare, adesso, se non attendere l'indomani. Se passerà la notte, vorrà dire che è sopravvissuto.»
Il silenzio calò nella stanza del malato, mentre Abraxas girava intorno al letto per raggiungere Charlotte, che si era nel frattempo alzata in piedi. Con un gesto improvviso l'uomo le strinse la mano. La giovane non riuscì a seguire la sua ragione che le diceva di svincolarla e di andarsene, poi, altrettanto improvvisamente, Abraxas la lasciò andare, dirigendosi, senza dire una parola verso la porta, seguito poco dopo dalla giovane.
Camminarono per il corridoio, cercando di percepire un qualche suono. Fu soltanto perché Lucius riprese a piangere che individuarono il salottino estivo. Entrarono entrambi, a poca distanza l'uno dall'altro. Gli occhi di tutti si fermarono sulla figura di Abraxas che avanzò fino al centro della stanza, prima di annunciare, con voce assolutamente incolore:
«Mio padre è ancora vivo. Signorina O'Connor vada da lui e, nel caso noti qualsiasi cosa strana o fuori dal comune, mi venga ad avvertire.»
«Certo, signor Malfoy.» disse l'infermiera uscendo.
Gli altri rimasero immobili, come se attendessero qualche altra parola da parte dell'uomo. Lucius continuava a strillare senza cessa in braccio a Megan, ed il suo vagito era l'unico rumore che si sentiva all'interno della stanza.
«Cosa fate ancora tutti qui? - sbottò l'uomo - Quello che ho da dire l'ho già detto. Green, Zephyrus, tornate ai vostri lavori. Laureen avrai pur qualcosa da fare. Quanto a voi - disse indicando le Hayward - Juliet sai perfettamente qual è la stanza degli ospiti e tu, Ester, la tua presenza a Malfoy Manor non è necessaria. Hai riportato gli occhiali a tua madre, puoi anche andartene. - si interruppe per un attimo, mentre osservava il maggiordomo e il bibliotecario sciamare lentamente fuori dalla stanza, voltandosi entrambi indietro come se cercassero qualcuno da osservare, seppur con sentimenti opposti e diversi - Ottilia, credo che le farà piacere parlare con sua sorella - disse con voce più calma - e, forse, tornare a casa, come ha già avuto modo di dirmi.»
Senza aggiungere altro, si avvicinò rapidamente a Megan e prelevò il bimbo dalle sue braccia. Lucius continuò a piangere, ma in maniera meno isterica e forte rispetto a pochi istanti prima. L'uomo nel dirigersi verso la porta dalla stanza, passò accanto a Charlotte, fermandosi nelle sue vicinanze. «Ha detto che voleva il suo orsacchiotto, giusto, Charlotte?»
«Esattamente, signor Malfoy. - fece una breve pausa - L'ho lasciato nella camera dei giochi.»
L'uomo annuì, poi si avvicinò alla porta, ed uscì con il bimbo in braccio, seguito a ruota da Ottilia e Charlotte. Si divisero, silenziosamente, presso le scale. Abraxas le salì diretto al secondo piano, mentre le due donne le scesero, andando verso l'ingresso.
«Non riesco a capire come tu riesca a vivere in questo posto. - disse la sorella maggiore, quando furono già a metà della scala - È così maestoso. E tutti quanti si guardano sempre intorno con aria così sospettosa, fissandosi l'un l'altro, lanciandosi frecciatine.»
«Alle volte fingo che non esitano. Mi piace occuparmi del bambino ed è questa la cosa più importante. - fece una pausa - Lo sai quanto mi piacciano i bambini. Quando mi occupavo di Thimoty, era chiaro che mi piacesse.»
«Questo sì, Lotte, ma ci sono centinaia di famiglie che cercano una bambinaia - ribatté Ottilia, mentre raggiungevano l'ultima pecca - Quello che non capisco è perché hai deciso, tra tanti annunci, di rispondere proprio a quello messo sulla Gazzetta da Abraxas Malfoy.»
«Oh io... - iniziò Charlotte, arrossendo di colpo - ...vedi...ti ricordi che l'anno scorso ho avuto il seminario mensile? - Ottilia annuì leggermente - L'ha tenuto Abraxas Malfoy...io...io...mi sono innamorata di lui allora, e quando...l'annuncio...»
«Hai risposto per stare vicina all'uomo che amavi? - domandò sbalordita Ottilia, mentre stavano continuando ad avanzare, lungo l'imponente ingresso - Non riesco a crederci. Non è da te, Lotte. Tu sei sempre stata la più razionale delle due, anche se il cappello ha messo me a corvonero e te a tassorosso.»
«Credo che la mia razionalità sia scomparsa dopo quel seminario.» ammise Charlotte.
In silenzio raggiunsero il portone d'ingresso, sorpassandolo, in modo tale da uscire, per raggiungere così il viale e la siepe che lo costeggiava.
«E lui, come si comporta con te? - domandò infine la sorella maggiore - Oggi, quando eravamo soltanto noi tre, mi è sembrato strano.»
«Non riesco a capirlo. - mormorò Charlotte, fermandosi accanto al cancello, quando lo raggiunsero - E non riesco a capire me stessa. Alle volte vorrei che lui fosse sempre così in confidenza con me, che mi chiamasse sempre Lotte, ma allo stesso tempo questo suo modo di fare mi dà fastidio. È troppo fuori luogo. È stata tutta colpa mia, credo. Ieri siamo andati, soltanto io e lui, e il bambino, nel parco e mi sono comportata in maniera troppo distesa e rilassata...e anche lui, era diverso dal solito. Non so cosa pensare, Ottilia.»
«Nemmeno io. Ma quello che ti consiglio, Lotte, e tu sai che sulla questione sono la migliore in fatto di consigli, è che tu stia attenta. Non fare gesti avventati di cui potresti perntirti. - fece una pausa - Tornerò presto, non temere, sorellina.»
E con quelle parole e un abbraccio, la donna varcò i cancelli di Malfoy Manor, allontanandosi, rapidamente.


«È riuscita a capire qualcosa su quel fazzoletto?»
Rosamund alzò il capo dal pezzo di stoffa che stava esaminando per l'ennessima volta, due giorni dopo l'incidente occorso a Malfoy Manor. C'erano molti punti oscuri su quello che era accaduto nella stanza di Adolar Malfoy. Non riusciva nemmeno a capire se quello a cui aveva assistito, pur nell'oscurità più totale, era un omicidio o un semplice tentativo di metterlo a tacere.
«No, il ricamo è troppo intricato, per riuscirne a ricavare qualcosa.» rispose con voce sicura e professionale.
«Posso provare ad esaminarlo io?» domandò Patrick.
«Certo. - disse la donna, mentre prendeva in mano un plico di pergamene, tutte zeppe dei suoi appunti - Se mai dovessi capire qualcosa, avvertimi.»
Il silenzio cadde nello studio dell'Auror, che iniziò a riesaminare gli appunti presi sulla misteriosa C.L. Scorse attentamente l'elenco dei nomi, prima di borbottare tra sé. «È decisamente meglio appuntare la mia attenzione sulle donne ancora in vita...vediamo...la Lawson, che però vive in Germania...la Linklater e la Lyndsay...L'ultima delle tre mi pare una delle più probabili, dopo aver scartato quell'odiosa donna della Lastrange...»
«Signorina Jameson, venga, mi sembra di aver notato qualcosa.» esclamò Patrick, dall'altro tavolo.
La donna alzò il capo, fissando i grandi occhi, sul volto del giovane assistente. Si alzò lentamente in piedi e si avvicinò a lui, ponendosi alle sue spalle.
«Vede, mi sembra che il ricamo, così strano, crei come delle figure. Quattro figure per l'esattezza, una ricamata sull'altra. L'unica che sono riuscita a indovinare è questa viola, o almeno mi sembra una viola, anche se è molto intrecciata con quest'altra specie di cerchio.»
Rosamund si chinò maggiormente sul fazzoletto, osservandone meglio il ricamo, strizzando appena gli occhi, come per concentrarsi meglio.
«Sì, pare anche a me. Magari è un fiore che piaceva molto alla proprietaria. E lo stesso vale per gli altri oggetti. Oppure, ed avendo avuto una madre che amava particolarmente il ricamo, è qualcosa di assolutamente probabile, è unicamente un modo per la ricamatrice di far valere la propria abilità.»
«Già, è vero. Mi scordo sempre la regola numero uno per una qualsiasi indagine: non cercare a tutti i costi un indizio anche dove non è.» disse Patrick.
«Esattamente. - disse la donna - Esamineremo ancora per qualche istante questo ricamo. Sicuramente il fazzoletto è qualcosa di importante, una prova forse. Certamente ci dice qualcosa su Lysiart Malfoy.»


Il sole era già tramontato da un pezzo su Malfoy Manor. Charlotte Zurrey si trovava nella camera del piccolo Lucius, cullando il bimbo che, quella sera dei primi giorni di maggio, non voleva saperne di addormentarsi. Da quando Adolar era stato così vicino alla morte, sembrava che l'atmosfera della vecchia magione, si fosse incupita ancora di più. Trasse un leggero sospiro. Per una qualche fortuna, o sfortuna, a seconda del punto di vista dal quale osservava i fatti, aveva visto poco o niente Abraxas Malfoy.
Come se i suoi pensieri l'avessero chiamato, il padrone di casa, entrò dalla porta che dava sul piccolo anticamera, fermandosi nei suoi pressi. Non riusciva a capire nemmeno lui per quale motivo fosse andato nella camera del figlio, nella stanza dove si trovava Charlotte, si corresse. O meglio, la motivazione la conosceva fin troppo bene, era quella stessa causa per cui aveva evitato in quei due giorni di incrociare la bambinaia, ma alla fine, a quel che pareva, ne era stato incapace.
«Pare che Lucius sia particolarmente agitato ultimamente.» commentò vago.
«Credo senta la tensione che si respira nella casa. - disse la giovane, quietamente, rimanendo ferma nei pressi della finestra - Soprattutto negli ultimi due giorni.»
«Immagino sia come dice lei, Charlotte. - affermò l'uomo, avvicinandosi con alcuni rapidi passi alla bambinaia - Lucius avrebbe bisogno, sicuramente, di una maggiore calma.»
«Anche Thimoty ha avuto un periodo, mentre si avvicinava al terzo mese in cui era più agitato, ma non come suo figlio, signor Malfoy.»
«Sono certo che suo nipote, Lotte, vivesse in un clima più sereno.»
«La prego, signor Malfoy, non mi chiami con quel nomignolo.» mormorò la giovane, mentre, cullando Lucius, si allontanava di qualche passo dal padrone di casa.
«Me l'ha già chiesto, Charlotte, ma mi risulta difficile farlo.» rispose di rimando Abraxas, fissandola intensamente.
La cosa più saggia che avesse potuto fare in quel momento era salutare la bambinaia e andarsene nella stanza dove si trovava Megan, ma era qualcosa che il suo stesso cervello rifiutava di fare.
«Perché, signor Malfoy, perché non mi lascia semplicemente fare il mio lavoro? Con gli altri non è così.» disse flebilmente la giovane, senza imperdirsi di fissare l'uomo, a lungo, con un'intensità che non avrebbe voluto dimostrare.
«Lei non è gli altri. - ribatté l'uomo - Dannazione, Charlotte, potrei forse mantenere un po' di buon senso se lei la smettesse di guardarmi in quel modo.» concluse a voce forse troppo alta.
«Lei... - si interruppe con un singulto isterico. Avrebbe voluto con tutto il suo cuore che Abraxas non fosse mai entrato in quella stanza, e allo stesso tempo era felice che lo avesse fatto. Non si capiva più. - ...non riesco a controllare gli sguardi.» mormorò alla fine, affranta.
Il piccolo Lucius, nel frattempo, forse perché aveva sentito la voce del padre, forse perché era semplicemente stanco, si era addormentato tra le braccia della bambinaia.
«Charlotte...»
«Se ne vada, Abraxas, la prego - lo interruppe la giovane, stringendo a sé il bambino come se fosse uno scudo contro i suoi sentimenti - Sua moglie è di là che l'aspetta.» aggiunse con voce che voleva essere più decisa.
Il silenzio cadde improvviso tra i due, pesante e opprimente, come una ragnatela avvilupata intorno alla preda del ragno che l'ha intessuta. Nessuno dei due osava muoversi o rompere la calma surreale che era venuta a crearsi tra loro. Fu il piccolo Lucius, muovendosi appena nel sonno, contro il petto di Charlotte a smuovere la situazione. La bambinaia, come se fosse stata mossa da una molla, si affrettò a portare il piccolo nella sua culla, depositandolo con delicatezza, per poi posizionargli accanto il pupazzo di pezza.
«Quella era la mia culla, come lo è stata di mio fratello - disse improvvisamente Abraxas, interrompendo il silenzio - Forse lo sarà anche del figlio di Lucius, se mai ne avrà uno.»
«È stata anche la culla di suo padre?» domandò Charlotte, maledicendosi subito dopo per non aver taciuto.
«Sì, almeno credo. Non è mai stato molto chiaro in proposito. - fece una breve pausa, prima di aggiungere - Sono soltanto certo che mio nonno ha dormito in una culla diversa, quella che si trova adesso nella stanza dei giochi.»
«Suo figlio adora quel posto.» commentò la giovane.
Mentre parlavano, Abraxas si era avvicinato alla ragazza, fino a quando non furono distanziati soltanto di un passo. Con un gesto impulsivo, allungò una mano lungo il suo volto, scostandole una ciocca di capelli, che le era scivolata accanto ad un occhio. La giovane si ritrasse di colpo, come se si fosse scottata.
«È tardi, signor Malfoy. Credo che dovrebbe...»
«L'ha già detto, Lotte. Pensi veramente che io voglia andare da Megan, osservarla mentre si prepara per la notte?»
«È sua moglie.» mormorò Charlotte, indietreggiando di un altro passo.
«Lo so. Credi veramente, Lotte, che, ogni giorno, da quando sei arrivata a Malfoy Manor non abbia maledetto il mio dannato senso del dovere che me l'ha fatta sposare?» sbottò quasi furioso, facendo un passo verso di lei.
«Abraxas...» mormorò la giovane, spaventata dalla strana luce che brillava negli occhi dell'uomo.
«Non volevo spaventarla, Lotte.» disse l'uomo con voce decisamente più calma, rispetto a pochi attimi prima, mentre con un altro passo, riempiva quasi del tutto la distanza che li separava.
«Noi...non...io...lei...» balbettò debolmente Charlotte, fissando gli occhi in quelli di Abraxas, come se non potesse fare diversamente.Eppure sua sorella era stata chiara, le aveva detto di essere prudente, ma c'era qualcosa nel tono in cui l'uomo aveva parlato, nel tono in cui aveva detto quelle parole su Megan, che le facevano credere che Abraxas Malfoy non stesse mentendo.
Poi tutti i suoi pensieri furono annullati, quando l'uomo posò le mani sui suoi fianchi, quando chinò il capo su di lei, sfiorando per un breve istante le labbra della giovane con le sue, ritraendosi poco dopo. Rimasero immobili, senza che si scostassero, prima che, entrambi, quasi nello stesso istante, avvicinassero nuovamente i volti, facendo incontrare di nuovo le labbra in un bacio ben più urgente e passionale del precedente. Le mani di Charlotte andarono a intrecciarsi dietro la nuca dell'uomo, mentre si abbandonava completamente alle sue labbra, ormai completamente ignara dei consigli di Ottilia. Fu un grido proveniente dalla stanza accanto a separarli di colpo. Rimasero immobili per diversi istanti, mentre l'urlo si ripeteva. Entrambi riconobbero la voce di Megan. Charlotte rabbrividì leggermente, distogliendo lo sguardo da quello di Abraxas. L'uomo si passò una mano tra i capelli e, facendo uno sforzo su se stesso, si allontanò di alcuni passi dalla bambinaia.
«Lotte, mi aspetti.» disse soltanto, uscendo rapido dall'ambiente.
Dopo aver oltrepassato l'anticamera che divideva le due camere, raggiunse l'ampia stanza che condivideva con Megan. La moglie era bloccata in piedi, con un'espressione così grottesca da farla apparire una maschera greca o uno dei protagonisti delle stampre macabre che tanto le piacevano.
«Cos'è successo?» domandò l'uomo, con una nota scocciata nella voce.
«Lo spettro...è comparso e...»
«...è sparito poco prima che io entrassi. Davvero una notevole coincidenza, Megan, non trovi?» chiese sarcastico.
«Era lì, ti dico. Compare ogni volta che succede una disgrazia. Quando è morto tuo fratello, quando è quasi morto tuo padre...»
«E la seconda volta, Megan, perché è comparso?»
«Forse per metterci in guardia dalle persone che accogli sotto il tuo tetto.» disse sagacemente la donna.
«Non dire cose che non stanno né in cielo, né in terra, Megan.»
«Allora spiegami, cosa ci facevi nella stanza di quella, di quella ragazzina?»
«È la stanza di nostro figlio, quella. - disse l'uomo - Sono andato a vedere Lucius.»
«E pretendi veramente che io ti creda? Tu - disse la donna che sembrava aver ormai passato il momento di terrore - le dai sempre ragione, te la tieni sempre accanto. Non dovresti farlo, non così apertamente per lo meno.»
«Ho già avuto modo di dirtelo, Megan. Le scenate non sono adatte alla moglie di un Malfoy.» disse bruscamente l'uomo, voltandosi rapidamente, per raggiungere la porta dell'anticamera.
«Vai da lei, di nuovo?» domandò la donna, la voce isterica, come se avesse visto nuovamente lo spettro.
«Vado a controllare che tu non abbia spaventato nostro figlio.» sentenziò, camminando rapidamente e raggiungendo l'anticamera prima che Megan potesse dire qualsiasi altra parola.
Camminò velocemente, fino a quando non entrò nella camera di Lucius. Charlotte sedeva raggomitolata sul letto, leggermente tremante, mentre il bambino dormiva ancora tranquillo. Con passo veloce, l'uomo raggiunse la bambiania, prendendo posto sul bordo del letto.
«Se ne vada. - mormorò la giovane, alzando il volto, rigato dalle lacrime - Se ne vada.» ripeté supplichevole.
Durante la breve assenza dell'uomo, l'enormità di quello che aveva fatto, del bacio che li aveva uniti, si era palesata chiaramente davanti a lei. Era terrorizzata dal modo in cui aveva fatto cadere le sue barriere, era impaurita da come aveva permesso ad Abraxas di fare ciò che più voleva e che più rifuggiva. Aveva commesso il più grave errore della sua vita, rispondendo a quell'annuncio sulla Gazzetta del profeta, o forse, aveva fatto la cosa più giusta. Era abbattuta e confusa, incerta su cosa fare in quel momento, resa forse ancora più incerta da quelle parole sulla moglie che Abraxas aveva pronunciato poco prima di baciarla.
«Non ti voglio fare del male, Lotte.» disse infine l'uomo.
«L'ha già fatto, Abraxas.» ribatté debolmente la giovane.
«Non piangere, Lotte. Ti posso giurare che non era mia intenzione. - fece una breve pausa, mentre le posava una mano su una spalla - Ho tentato di evitarti.»
«Mi lasci. La prego, Abraxas.»
«Non fino a quando sarai così agitata.»
«La sua presenza...sei tu che mi impedisci di stare calma.» mormorò Charlotte sconnessamente.
L'uomo non disse nulla, chinando per un sitante il capo, maledicendosi per aver seguito l'impulso che gli diceva di baciarla almeno una volta, per non riuscire a fare quello che Lotte gli chiedeva. Alla fine, allungò le braccia verso di lei e l'abbracciò, lasciando che la giovane scoppiasse in un pianto dirotto contro la sua spalla. Non la lasciò andare se non quando, di nuovo calma si fu addormentata. La mise sotto le coperte e, con un ultimo sguardo, se ne andò.


Ecco a voi un nuovo capitolo! Sappiateci dire cosa ne pensate e soprattutto fate ipotesi (non siate timidi in proposito, potete veramente dire ogni cosa) su chi possa essere il colpevole, ma anche sul motivo di agire dei vari personaggi.
un grazie particolare a:
Thiliol: Come vedi il vecchio Adolar non è morto e ci sono nuovi sviluppi nella vicenda. Sappici dire cosa ne pensi!
Un grazie a chi ha messo la storia tra i preferiti e chi legge soltanto.

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Capitolo 14
*** Capitolo XIV ***


Capitolo XIV

I giorni successivi al bacio, per Charlotte, furono tremendamente esaltanti. Benché lei e Abraxas facessero in modo, per tacito accordo, di non trovarsi nella stessa camera o a una distanza troppo ravvicinata, la bambinaia coglieva al volo le occhiate fulminee che il padrone di casa le scagliava nei momenti più impensabili. Sentiva un groppo alla gola per il rimorso, eppure persino il rimorso era stroncato dalla gioia perversa che il bacio le aveva donato. Provava la stessa sensazione di un ladro che sia riuscito a ripulire una gioielleria prima dell’arrivo della polizia e che possieda un ottimo alibi. Eppure non voleva restare impunita. Una parte di lei, quella vittima del pentimento, bramava un castigo. Non voleva pensare a ciò che sarebbe successo, ma semplicemente prendersi alcuni giorni di pausa. I rapporti fra lei e il padrone di casa si erano raggelati nuovamente dopo il fatidico momento e la tensione era ormai palpabile. Agli occhi di Charlotte, Abraxas appariva del tutto indifferente, ma la ragazza sapeva quanto di nascosto lui pensava a lei, a loro. Gli occhi di lui, che sondavano avidamente il suo viso e cambiavano soggetto di interesse quando lei sorprendeva il suo sguardo, tradivano una passione tormentosa che faceva pressione nelle sue vene. Charlotte era angosciata dal pensiero che Abraxas stesse giocando con lei. Non lo riteneva crudele, ma la paura che l’uomo che amava alla follia fosse semplicemente divertito da quella situazione e che non sospettasse minimamente la profonda sofferenza di lei la attanagliava ogniqualvolta, sotto le coperte, provava a dormire.
L’atmosfera di tensione fu smorzata solo dai venti caldi della primavera. L’estate era ormai vicina e i profumi della natura in rigoglio si spandevano delicati nei corridoi di Malfoy Manor, addolcendo i cuori degli abitanti. Persino Megan, che pure, a causa dell’improvvisa rottura dei rapporti tra suo marito e Lotte, sospettava che ci fosse stato qualcosa tra loro, aveva abbandonato i suoi consueti toni burberi e si era mitigata. Le giornate si stavano allungando. I raggi del sole filtravano obliquamente attraverso le finestre degli androni, bagnando le mura scabre della villa. L’omicidio di Lysiart era ormai sprofondato nel baratro degli eventi da dimenticare e sembrava lontano quanto la misteriosa morte di Rachele Malfoy.
Un’unica persona turbava la quiete precaria di Malfoy Manor, ed era Zephyrus MacNiemand. Dal giorno dell’attacco ad Adolar non usciva più dalla stanza, mangiava pochissimo ed era preda di inattesi scoppi di isteria. Il suo atteggiamento non passava inosservato ed anzi preoccupava Laureen, che vi scorgeva chissà quale radice di sospetto. Megan, che sempre più spesso trascorreva le sue nottate nei corridoi per paura dello spettro, poteva giurare di averlo sentito mormorare frasi sconnesse quando, in preda a un sonno febbrile, si rigirava nel letto.
«Mi è parso anche di sentire il tuo nome, in mezzo alle frasi che pronunciava nel delirio notturno.» spiegò Megan a Laureen, mentre, apparentemente calme e riappacificate, entrambe bevevano una tisana alle erbe aromatiche.
«Il mio nome? – chiese Laureen. – Certo che è strano. Cosa può essergli accaduto?»
«So solo che l’altro giorno volevo un aiuto in biblioteca e lui non c’era.»
«Ah, hai cominciato a leggere?» tergiversò Laureen con una strana ironia.
«Sì, voglio evadere un po’ da questa spiacevole situazione.»
«Un luogo comune, mia cara. – sorrise Laureen. – Prendi un bel mattone fra le mani, così non te ne stacchi più.»
Notando che Megan non rispondeva, e piena di sussiego continuava a centellinare la propria tisana, aggiunse: «Hai sentito Hilda, ultimamente? E’ molto preoccupata. Mi ha rivelato che qualcuno è entrato in camera sua e ha sfogliato il suo album.»
Il volto di Megan sbiancò e i suoi lineamenti somatici si irrigidirono bruscamente. «Che cosa è successo precisamente?»
«Te l’ho detto. – spiegò Laureen. – Qualcuno ha sfogliato il suo album di nascosto. Non riesce a capire chi possa averlo fatto e per quale motivo. Ma possiamo stare sicuri che c’è una talpa, qui dentro.»
Cadde il silenzio.
«Senti, Megan… - disse Laureen all’improvviso, col tono di chi si toglie un grosso fardello dalle spalle. – Mettiamo da parte il nostro reciproco malanimo per qualche istante. Ho bisogno di parlarti.»
Si alzò e chiuse la porta del salottino estivo, poi andò a sedersi vicino alla cugina di famiglia sul sedile di vimini.
Megan corrugò la fronte e fece una smorfia. «Cosa vuoi dirmi?»
«Si tratta di tuo marito. Voglio che non pensi che con questo discorso io sia intenzionata a rigirare il coltello nella piaga. Mi sembra di aver notato strani giochi di sguardi tra Abraxas e la bambinaia, quella… Charlotte. – pronunciò il nome con una strana inflessione. – La ragazza sembra così mansueta e docile… Non il tipo che…»
«Laureen! – sbottò Megan, imporporandosi, e per la prima volta in vita sua un’espressione di tenera tristezza bambinesca le si dipinse in volto. – So perfettamente come stanno le cose. Non c’è bisogno che mi fai il discorsetto.»
«Non volevo parlare soltanto di un suo presunto amore, Megan. – disse freddamente Laureen. – Stavo considerando una situazione ben più grave. Lascia che ti spieghi.
«La potenza delle donne è spesso sottovalutata. Non sai quale ascendente esercitano talvolta sugli uomini deboli. Ora, non voglio certo dire che Abraxas è un uomo debole. Tutt’altro. E’ una persona volitiva, ma spesso anche i più duri vogliono qualcosa o qualcuno che li addolcisca. Ipotizziamo che Charlotte si sia trovata in difficoltà economiche ed abbia sognato una completa ricchezza. Ipotizziamo che Abraxas, dal canto suo, abbia desiderato un vero amore. Due persone del genere, che coltivano occulte passioni, diventerebbero soggetti doppiamente pericolosi se stringessero un’alleanza.»
«Dove vuoi arrivare?» esclamò Megan, che sembrava ferita.
«Il fratricidio non è un’ipotesi troppo balorda, sai? – fece una pausa, durante la quale Megan provò ad aprire bocca. – Caino uccise Abele perché era geloso di lui. Abraxas non ha mai provato una sincera stima per il suo fratello maggiore. E non dimentichiamo che Lysiart è uno dei legittimi eredi delle fortune di Adolar. Rachele è eliminata. Lysiart non c’è più.»
«Temo – disse Megan, - di non capire.»
«Apri gli occhi, svegliati, Megan! – esclamò Laureen concitatamente. – Se Charlotte avesse plagiato Abraxas? Se lo avesse convinto che, togliendo di mezzo Rachele, Lysiart e te, insieme al terzo figlio illegittimo di Adolar… non so se ne sai qualcosa, me ne ha parlato Abraxas l’altro giorno, ma deve restare segreto… - Megan annuì accigliata. - … se lo avesse, dicevo, convinto che potrebbe ottenere tutto il patrimonio di Adolar e sposare poi lei, Charlotte Zurrey?»
Il respiro di Megan si fece affannoso. «Tu… Tu… Spregevole megera! Come puoi pensare che Abraxas sia un assassino? Che abbia… che abbia commesso quel gesto terribile… che… che…»
Scoppiò in un pianto disperato e riprese fra i gemiti: «La tua mente può covare simili assurdità, Laureen, perché sei una donna crudele.»
«Ti comporti come una bambina, Megan. – la interruppe la cugina. – Stavo semplicemente cercando di ragionare con te… Neanche io penso che Abraxas abbia deciso di togliere di mezzo i figli di Adolar, intascare tutta la sua eredità e sposare Charlotte. Ma, come dicevo, la potenza delle donne è troppo spesso sottovalutata. Lei potrebbe averlo plagiato…»
Megan rifiutò questa tesi e si infervorò. Da quel sintomo Laureen capì che aveva fatto centro e che, seppur con riottosità, la padrona di casa condivideva l’idea che aveva proposto.
«Adesso bisogna fare attenzione. – concluse. – Devi stare attenta per te.»
Dopo essersi calmata, Megan rispose, come se stesse pensando a voce alta: «Quello che non capisco è: dove si nasconde il terzo figlio illegittimo? E’ forse in questa villa, sotto falso nome?»
«Cosa vai a pensare! – esclamò Laureen ridendo. – Certo che no! Che assurdità! – proruppe in una risata sguaiata. – Ah, Megan, sei influenzata dai romanzetti che leggi!»
«Io invece credo che il misterioso L., figlio di Adolar e fratellastro di Lysiart e Abraxas, possa nascondersi proprio qui, in questa casa! – disse con solennità. – Non solo… Sono dell’idea che sia proprio lui l’assassino.»
Dopo quella frase nessuno spiccicò parola per qualche attimo.
«Non capisco.» disse infine Laureen con sguardo vago, scuotendo la testa.
«Cosa non capisci?»
«Perché dovrebbe essere lui l’assassino, il misterioso L.?»
«Per lo stesso motivo che ti ha portato a sospettare di Charlotte e Abraxas. Se il misterioso L. eliminasse Rachele, Lysiart, me e Abraxas, resterebbe nell’ombra e intascherebbe tutti i soldi di Adolar, alla sua morte.»
A Laureen sembrò di vedere uno strano guizzo negli occhi di Megan. Si chiese da cosa fosse stato originato.
«Questo spiega il motivo per cui Adolar non è stato ucciso, ma solo colpito gravemente, la sera di qualche settimana fa.»
«Ma certo! – esclamò Megan. – Deve restare in vita fino a che tutti gli eredi non sono assassinati. Così il terzo figlio illegittimo intascherà tutto. Che piano malefico!»
«Deve restare in vita…» mormorò Laureen, assorta.
«A cosa stai pensando?» domandò Megan.
«A Hilda O’Connor. Persona molto strana. E se fosse lei il misterioso L.?»
«Cosa ti porta a pensarlo?»
«Beh, si prende cura di Abraxas. Non vuole che muoia. Potrebbe essere lei ad aver ucciso Lysiart e Rachele per intascare i soldi di Adolar, se davvero Adolar è suo padre.»
«E’ un’idea. – ragionò Megan. – Ma consideriamo che, molto tempo fa, ho parlato con il padre di Hilda. A meno che non fosse un padre putativo, la tesi va scartata. Oppure c’è il maggiordomo. Si chiama Laurence, dopotutto. L’iniziale coincide…»
Laureen si voltò. «Adesso vado giù, Megan… Ho bisogno di un po’ d’aria e…»
«No, aspetta!» esclamò Megan.
«Che vuoi?»
Megan fissò i propri occhi in quelli della cugina. Sentì la pelle vibrare. «Oppure… - disse. - Ci sei tu, Laureen.»
La cugina rise di gusto e gli lanciò un’occhiata storta prima di precipitarsi sulle scale, scuotendo ancora la testa per il disappunto.


Alla centrale degli Auror Rosamund lavorò fino a tarda notte, con Patrick che le ronzava attorno, per studiare i dettagli del fazzoletto ritrovato nella camera di Lysiart. Gli strani ricami, che si univano a formare diversi fiori sovrapposti, le piacevano molto. Era lì da tre ore. Conosceva quegli strani fiori meglio delle sue tasche.
«E’ riuscita a capire se nascondono qualcosa?» domandò Patrick, mentre rassettava alcuni documenti.
«A me sembra, - rispose Rosamund, - che questo fazzoletto sia alquanto strambo. Però… non mi raccapezzo. Che ci faceva in camera di Lysiart?»
«Magari era di una sua amante!» ipotizzò Patrick.
«Lysiart non era il tipo da avere un’amante, da quanto ho capito. E poi sarebbe fin troppo inverosimile l’idea che questa donna abbia dimenticato un oggetto personale nella camera del suo amante. Una trovata romanzesca, niente di più. Non ci capisco più niente!»
«Mi faccia vedere ancora una volta i ricami!» disse Patrick.
Rosamund gli porse pigramente il fazzoletto e il suo assistente lo esaminò attentamente.
«Un fiore a campana. – notò Patrick. – Forse un piccolo tulipano, o un’erica.»
«Avevo pensato anche io al tulipano. – disse Rosamund. – Ma dubito che sapere che tipo di fiori sono ci aiuti a trovare l’assassino.» Sorrise di questo pensiero, e Patrick quasi si piegò in due.
«Vero! – ammise, ancora ridendo. – Però dobbiamo cercare di scoprire tutto su questo fazzoletto.»
Rosamund scosse la testa, affondando una mano tra i capelli fluenti e tamponandosi con il proprio foulard la fronte imperlata.
«Strano, strano, strano, strano!» continuava a dire.
«C’è qualcosa che non va?»
«Ma sì! – disse Rosamund. – Tutto non va! Questo fazzoletto complica troppo le cose. E forse il suo ruolo è proprio questo…»
«Che intende dire?»
«Intendo dire che, forse, qualcuno voleva che lo ritrovassimo, che lo studiassimo, che traessimo le conclusioni sbagliate. Ah, quanto è vero Iddio, lo smaschererò, Patrick. Ormai è una lotta tra me e l’assassino.»
«Lo ha ritrovato il signor Malfoy, giusto?»
«Così sembra. Pare che non appartenga a nessun membro della famiglia. E se fosse di quella Charlotte?»
«Charlotte?»
«Charlotte Zurrey, la bambinaia. – disse tra sé Rosamund. - Potrebbe aver mentito. Ma che sto dicendo, perché dovrebbe essere proprio suo!» esclamò.
Patrick era diventato pallido.
«Qualcosa non va?» chiese Rosamund.
«Oh, niente. Mi ha fatto pensare… Io… Sono sposato con una Zurrey. Ottilia… Ma ci siamo lasciati tempo fa.»
Rosamund inarcò le sopracciglia. «Piccolo il mondo! L’ho conosciuta alcune settimane or sono a Malfoy Manor. Mi dispiace che il vostro matrimonio sia andato a monte.»
Patrick se ne uscì con una frase di circostanza. «Non eravamo fatti l’uno per l’altra.»
«Per cui conosci anche Charlotte, no?»
«Una brava donna…» disse semplicemente Patrick.
«Hai lasciato Ottilia con un figlio?»
«Thimoty. Vado a trovarlo quasi ogni settimana.»
«Capisco. – disse Rosamund. – Beh, adesso torno a casa. E’ tardissimo.»
Effettivamente la luna indorava già le facciate delle case di Londra, macchiando le strade trafficate con languide luci giallognole. Le insegne dei pub notturni ancora sfavillavano quando Rosamund tornò a casa, ripensando alla serata passata al Ministero, al misterioso L., e soprattutto a Lysiart. Si sdraiò sul canapè, accese una lampadina che emanasse un flebile bagliore e prese a leggere uno dei suoi libri preferiti, sperando di riuscire a rilassarsi. Si sentì costretta a serrare le palpebre, mentre nella sua mente scorreva l’immagine spaventosa di Lysiart con il ventre fracassato, del fazzoletto… La voce di Megan echeggiava nei meandri della sua mente.
«So chi è stato… So chi è stato…»
Rosamund chiedeva all’amica: «Dimmelo! Dobbiamo incastrarlo, Megan, lo capisci?»
«Oh, no, non posso dirlo… Non posso, Rosamund. Che strana creatura, l’essere umano. Che strana creatura!»
Si svegliò di soprassalto dopo l’incubo e si girò ripetutamente sotto le coperte roventi e pesanti. Il suo inconscio urlava un dolore inesprimibile. Rosamund decise che avrebbe dovuto parlare a Megan, riflettendo sul fatto che, delle volte, i sogni si rivelano realtà.
«E se avesse scoperto davvero chi ha ucciso Lysiart?» si domandò a voce alta, tremando.
Affondò la testa nel cuscino e finalmente dormì sonni tranquilli.


Era passata la mezzanotte, e Green non riusciva a dormire. Essendo addestrato a percepire i minimi rumori, non trovava la giusta concentrazione per sprofondare nell’universo dei sogni. Una finestra sbatteva in continuazione, producendo un fastidioso e petulante martellamento.
“La finestra dell’anticamera!” pensò subito.
Aveva dimenticato di cambiare la guarnizione esterna e ad ogni folata la finestra cozzava sonoramente contro il muro. Decise di alzarsi e rimediare alla dimenticanza. Non c’era bisogno di scomodare gli elfi, avrebbe fatto da solo.
Entrò nell’anticamera con la nuova guarnizione. Regnava un silenzio tombale nella stanza. Con la coda dell’occhio notò la presenza del padrone di casa nella camera del defunto Lysiart. La porta era semiaperta ed una luce tenue vi penetrava attraverso la fessura. Abraxas si voltò all’istante verso il maggiordomo, lasciò cadere bruscamente per terra un quaderno rilegato in pelle e lo redarguì: «Dannazione! Mi ha spaventato!»
«Sono mortificato, signore.» rispose Green con voce stupida.
«Che diavolo fai qui?»
Green pensò che avrebbe potuto fare la stessa domanda, ma gli sembrò scortese. «Stavo sostituendo la guarnizione di gomma. Faceva un fracasso infernale, signore.»
«Bene, adesso tornatene pure a letto. E sigilla ermeticamente la finestra. Se necessario, useremo la magia.»
«Sissignore.»
«Ah, Green!»
Il maggiordomo si voltò con sussiego verso Abraxas. «Sì?»
«Tu non mi hai visto.»
«M-m-ma certo! Certo, signore.»
«Non farti venire strane idee in mente. Sto indagando sull’omicidio di mio fratello. Spero di cavare il ragno dal buco.»
«Capisco, signore. Non fiaterò.»
Abraxas sospirò, riprendendo il quaderno rilegato che aveva lasciato inavvertitamente cadere alla vista di Green. La tensione tra i due si era sciolta. Il padrone di casa parlava di rado con la servitù, ma adesso non poteva fare altrimenti. Sentiva il bisogno di parlare con qualcuno che non fosse Megan, Lotte o Laureen.
«Senti, Green. Domani va’ al villaggio. Compra qualche libro di seconda mano e portamelo. Ho voglia di svagare un po’.»
«Ma certo, signore!»
«Ah, per favore, smettila di chiamarmi “signore”, per adesso. Siamo soli. – disse Abraxas sprezzante. – Riparata quella finestra? Vieni qui, dai un’occhiata a questo diario.»
Il maggiordomo trotterellò timidamente verso la stanza di Lysiart e si guardò intorno esitante.
«Cosa vuole farmi vedere?»
«Leggi qui. Lo scrisse Lysiart quattro giorni prima di morire.»
Con la punta della bacchetta illuminata bagnò di luce le righe del diario segreto del defunto. Apparvero nella penombra delle parole scritte con una calligrafia particolare e ricca di fronzoli e orpelli. Abraxas lesse a voce bassa:

Stanotte l’ho sognata.
Sembrava bella e pura come un tempo e nei suoi occhi non vedevo neanche un briciolo di perversione.
Mi prende le mani e mi porta su un prato verde, al cui margine si trova un dirupo scosceso e pericoloso.
«Buttati!» mi dice con occhi provocanti.
«No, non posso.»
«Se non lo fai ti ci spingo» mi dice.
«Non lo faresti mai.»
Mi sfiora le spalle e dà una piccola spinta. Sento il terreno franare sotto i miei piedi. Fisso lo sguardo sui suoi begli occhi, cerco un appiglio. Sto precipitando nel baratro.
«Non sono la tua marionetta!» riesco a dire, attaccando a uno sperone di roccia.
«Lo sei.»
«No, non lo sono. Dammi la mano, aiutami.»
Non lo fa. Allora la afferro per le dita e la getto giù dal dirupo.
Davanti a me, imprevedibilmente, appare Laureen. La donna che amo è morta, precipitata dal burrone. La mia buona cugina mi tende la mano. Mi rimetto in piedi, corro nel prato, libero.
Laureen mi sussurra: «C’è tanta crudeltà a Malfoy Manor. Io mi adeguo. Ma vorrei essere diversa, Lysiart. E’ tanto difficile tornare indietro.»
«Sei una cara persona, Laureen.» rispondo sorridendo.
«Ma perché l’hai uccisa? Hai lasciato cadere Rachele dal balcone.»
«Non ho lasciato cadere Rachele dal balcone!» rispondo.
«Sì, lo hai fatto.»
Non mi ricordo più se è vero. Forse Laureen dice la verità. Non sono più vicino al dirupo. Non ricordo se Rachele è morta, se l’ho uccisa io. E’ tutto confuso, ormai.
«Non era Rachele!» grido a Laureen.
«Non era Rachele? Che significa?»
«Non era Rachele la donna che è morta! – urlo, ripensando alla donna che ho spinto dal dirupo. – Non era Rachele! Non era Rachele!»
Le parole riecheggiano nella mia mente, si confondono.
Il sogno si fa caotico. Mi sveglio all’improvviso.

«E’ strano!» commentò Abraxas.
«Decisamente!» ammise Green.
«Qual è la parte più ambigua, a tuo giudizio?»
Il maggiordomo si frizionò il mento. «"Non era Rachele!" – disse. – Questa lettera nasconde un segreto. Ma non riesco a capire di che si tratta.»


Erano le tre, l’ora prevista per l’incontro. L’individuo esile e basso sgusciò fuori dalle cucine e raggiunse l’atrio immerso nel buio. Si guardò intorno, e i suoi occhi, grandi quanto palle da tennis, brillarono come gemme, riflettendosi sullo specchio parietale. Dall’altra parte arrivò un secondo esserino. I due si diedero la mano.
«Maky!» sussurrò l’elfa, soffiandosi il naso.
«Oh, mia dolce Hatty! Maky è contento di rivederti, anche sapendo che rischia la vita per questo. Ma Maky pensa che l’amore vinca ogni costrizione.»
Delle lacrime amare solcarono il viso dell’elfo.
«Hatty vuole sapere cosa turba il cuore del suo amato.»
«Maky si sente in colpa, Hatty. Maky ha peccato.»
«Non dirmelo. Non dirmelo. – squittì Hatty. – Il signor Lysiart Malfoy… Lui… Lui impediva il nostro amore… Tu hai pensato che… Oh, Hatty è così triste. Hatty non voleva che Lysiart morisse, ma è felice perché adesso è libera da lui, e si sente in colpa per questi cattivi pensieri.»
«Hatty non deve sentirsi in colpa. – disse Maky. – Non è stata lei a commettere l’omicidio.»
Hatty ebbe un sussulto.
Una figura baluginò nelle tenebre.
«Due elfi? Che ci fate qui?» sbottò nervosa.
Era Hilda O’Connor, l’infermiera.
Maky fece da scudo all’amata. «L’infermiera non impedirà a noi di incontrarci!»
«Lo farò, invece! Vi era stato espressamente riferito che dovevate comportarvi secondo le norme imposte dal padrone di casa! Riferirò immediatamente al signor Abraxas quello che è successo.»
«No, no, no! – sbottò Maky. – L’infermiera non riferirà al signor Abraxas. L’infermiera non ha il diritto!»
«Ce l’ho eccome, piccolo insolente. Voi non dovreste essere qui. Vi farò dividere una volta per sempre.» esclamò.
Si voltò indietro e andò verso le scale. Il comportamento così burbero di Hilda era dovuto alla sua bassa considerazione degli elfi. Complice la mentalità del tempo, li riteneva esseri inferiori, semplici animali domestici.
Maky ed Hatty dovettero, loro malgrado, punirsi per aver risposto male. Ne uscirono con la testa piena di contusioni. Ma Maky, prima di continuare a martellarsi la testa contro il muro, esclamò: «Ci sono due possibilità: vendetta o fuga.»
«Hatty non vuole fuggire! Hatty non vuole lasciare Malfoy Manor! Hatty non vuole neanche vendicarsi!» esclamò l’elfa.
«La pagherà. Maky gliela farà pagare!» esclamò lui, e si punì all’istante.
La mattina successiva furono date da Abraxas le disposizioni in merito alla separazione dei due elfi disubbidienti: Maky sarebbe andato in custodia per alcuni giorni ad un vicino dei Malfoy, un vecchio scozzese. Hatty sarebbe rimasta a Malfoy Manor, con l’obbligo di eseguire tutti gli ordini del padrone di casa.
Prima di lasciare la villa, Maky lanciò a Hilda un’occhiata di disgusto e disprezzo. Più tardi si dovette punire per quel gesto.


Il mattino dopo Green partì per il villaggio alle otto. Abraxas e Laureen lo videro percorrere il sentiero e Smaterializzarsi oltre i confini di Malfoy Manor. Erano le otto e mezza quando Rosamund Jameson rispose alla convocazione, raggiungendo la villa e sprizzando la sua solita vitalità con l’eccentrica maglietta decorata che portava e con gli occhi verdi da gatta che sondavano ogni oggetto con attenzione. Patrick le venne dietro arrancando, con l’aria un po’ svampita. Abraxas chiamò i due con lo sguardo, e l’Auror gli si avvicinò, mentre Laureen si metteva in disparte, restando comunque nel circondario onde poter udire le parole che i tre si scambiavano.
«Quello che sto per farle vedere è qualcosa di strano, signorina Jameson. – esordì Abraxas, aprendo il diario con il dorsetto dorato di Lysiart Malfoy alla pagine desiderata. – Uno scritto di mio fratello, che reputo alquanto interessante per via del significato ambiguo che cela.»
Rosamund fece scorrere lo sguardo sulla grafia fronzuta dell’uomo assassinato, mentre Patrick, alle sue spalle, sbirciava di sottecchi. Sul viso dell’Auror passarono espressioni talmente marcate che Abraxas si domandò se per caso la donna non avesse intuito qualcosa che a lui era sfuggito in un tempo così limitato.
«Posso portarlo alla centrale? Patrick lo esaminerà per me.»
Il ragazzo acconsentì docilmente.
«Non c’è problema, signorina Jameson. – disse Abraxas. – Crede… crede che nasconda qualcosa?»
«Forse. – spiegò semplicemente Rosamund. – Ma lo vedremo.»
«Ci sono novità sul fazzoletto?» domandò Abraxas.
«Sì. – interloquì Patrick. – Vi sono ricamati quattro fiori. Pensiamo di aver capito a che genere appartengano. Il primo è un’orchidea bianca. Poi c’è un rododendro… un tulipano, e un fiore di salvia. Sicuramente la proprietaria, ammesso che sia una donna, amava i fiori. E…»
Dovette zittirsi all’istante, perché un uccello nero passò su di loro ad una velocità impressionante e tentò di strappare a Rosamund il diario di Lysiart, senza risultato.
L’Auror fece un ghigno, trasse la bacchetta di tasca e la puntò sul volatile, pronunciando sottovoce la formula dell’incantesimo Homosembiante. Ma il getto mancò di poco l’obiettivo e Rosamund imprecò stringendo i pugni.
«Cosa…» balbettò Patrick.
«Era una gazza.» disse Abraxas.
«Non era una gazza, signor Malfoy. – disse Rosamund. – Non ha pensato neanche per un istante che quell’uccello fosse un Animagus interessato al diario?»
«A Malfoy Manor non ci sono Animagus registrati. Le assicuro, signorina Jameson, che quella era una gazza. Vivendo in campagna, so riconoscerle.»
Rosamund lanciò uno sguardo lievemente incerto all’albero in cui la gazza si era nascosta un attimo prima di spiccare il volo.
«Le gazze sono attratte dagli oggetti luccicanti.» disse Patrick.
«Il dorsetto del diario di Lysiart è dorato. Sarà stato quello ad attirare lo sciagurato animale.» spiegò Abraxas.
«Forse ha ragione lei.» disse Rosamund accigliandosi.
«Nient’altro che una gazza… - ripeté Patrick. – Ma ci ha fatto prendere un bello spavento.»
Sorrisero tutti e tre, Abraxas con una certa falsità, poi l’Auror e il suo assistente si congedarono. Abraxas restò a guardare il cielo. Quando si voltò verso Laureen, la donna era sparita. La ritrovò in salotto dieci minuti più tardi.
«Strano che Green non sia ancora tornato.» disse il padrone di casa.
«Nelle mattine limpide, quando c’è il mercato, il villaggio è sempre affollato.» replicò l’anziana cugina.
«Secondo te, - disse Abraxas all’improvviso, - chi si adatta meglio, in questa casa, all’immagine di una gazza?»
Laureen rise. «Tua moglie Megan sarebbe la prima sospettabile.»
Abraxas sbarrò gli occhi. «Sospettabile? Chi ha parlato di sospetti?»
«Oh, che sciocca! Io… - si affrettò a dire la cugina. – Io ho sentito la discussione, e… la questione della gazza.»
«Megan non avrebbe avuto motivo di prendere quel diario, e non è un Animagus, o lo saprei.» disse Abraxas, scuotendo la testa.
«Un marito così poco affezionato come te, Abraxas, non può conoscere tutti i segreti di sua moglie.»
«Non dire sciocchezze, Laureen. Mi stai irritando.»
Nonostante non ci fossero segni di irritazione sul volto di Abraxas, Laureen trovò opportuno porre fine alla discussione. Borbottò qualcosa, poi uscì dalla stanza.
Un attimo dopo, muovendosi con fare scaltro, il maggiordomo era di ritorno.
«Sono stato alla fiera. – disse. – Ma non ho comprato niente, perché i libri di seconda mano che piacciono a lei erano già stati acquistati.»
«Che bella notizia! – sbuffò Abraxas. – Vai a chiamare immediatamente Zephyrus, Green. Devo passare in biblioteca.»
«Signor Malfoy, il signor MacNiemand si rifiuta di uscire dalla sua camera ormai da giorni. Esattamente da quando Adolar stava per morire.»
«Non m’importa un accidenti. – gridò Abraxas, scattando in piedi. – Se non uscirà, lo sfratteremo.»
«Sissignore. Riferisco subito, signore.» disse Green docilmente, uscendo fuori con sguardo afflitto.


Mentre, accompagnato da Green, Zephyrus scendeva di malavoglia al pianterreno, incrociò con lo sguardo gli occhi di Hilda, che stava portando Adolar a fare una passeggiate per i corridoi. All’istante l’atmosfera si raggelò. Negli occhi del bibliotecario brillò un sentimento inesplicabile e l’infermiera lo scrutò con fastidio e incertezza, fendendo l’aria con un’occhiata. Zephyurs prese a tremare quando finalmente raggiunsero il piano inferiore.
«E’ un ricatto, un ricatto! – esclamò, in tono di rimprovero, in direzione di Green, che gli veniva dietro a fatica. – Non ho forse il diritto di rimanere chiuso in camera se non mi sento bene?»
Era tanto infervorato che percepì dentro di sé la forza necessaria per sfogarsi con Abraxas. Ma non appena fu dinnanzi al padrone di casa e ne vide l’espressione agghiacciante, scacciò dalla mente tutti i rimproveri che aveva pianificato e, reprimendo la rabbia, sbatté i piedi per terra.
Abraxas notò il gesto e si rivolse al bibliotecario con granitica severità: «Ha portato le chiavi della biblioteca?»
L’uomo gliele mostrò, e il padrone di casa abbassò la testa. Poco dopo si muovevano tra gli scaffali della biblioteca. Abraxas scelse un volume impolverato e con la copertina sgualcita, ne saggiò il titolo in rilievo e poco dopo uscì dalla stanza. Era ora di pranzo, ma si rifiutò di rispondere ai continui richiami di Megan. Si abbandonò a un placido relax, sfogliando sonnacchiosamente le pagine del romanzo che aveva scelto. Ingollò mezza bottiglia di cognac e gettò il libro sul tavolino di vetro del salotto. L’afa del primo pomeriggio faceva pressione sulle pareti, sembrava stritolarlo in una morsa di fuoco. Strinse le dita attorno alla stoffa del canapè proprio mentre Charlotte entrava in salotto.
Vide di sfuggita il padrone di casa e si fermò per un istante. Se fosse tornata indietro, avrebbe palesato la sua volontà di non incontrare Abraxas. Se fosse rimasta ferma, sarebbe parsa una sciocca. Ma se avesse proseguito, sarebbe inevitabilmente incappata in lui. Si fece coraggio e, malgrado la riluttanza, decise per quest’ultima opzione. Il viso rubicondo di Abraxas, che evidentemente aveva bevuto troppo brandy, la scosse. Nel vedere Lotte, il padrone di casa fu assalito da una sensazione di vergogna, molestia e paura, che si concretizzò nell’ennesima crisi epilettica. Charlotte si bloccò, lasciando cadere i vestiti di Lucius che aveva portato a lavare, avvicinandosi ad Abraxas con timore.
Si trattava senza dubbio di una crisi complessa. Abraxas aveva perso momentaneamente la capacità di intendere e volere e faceva schizzare gli occhi dappertutto senza vedere ciò che gli capitava di guardare.
«Abraxas! Abraxas! Per carità, dimmi cosa ti è successo!» esclamò Charlotte, esaltandosi.
Solo in un secondo momento si accorse di aver utilizzato un tono esageratamente confidenziale. Ma la foga del momento le aveva impedito di usare la ragione.
Abraxas udì la voce di Charlotte e le sue labbra furono scosse da un tremito. Prese a deglutire e masticare. Charlotte sentì il folle e assurdo impulso di baciarlo, ma fu frenata stavolta dalla razionalità. Indietreggiò, come violentemente respinta dalla forza dei suoi stessi pensieri, si guardò intorno e ritornò vicino ad Abraxas, pentitasi per non aver fatto nulla per lui.
Alzò la voce e Hilda O’Connor, lasciato Adolar in un angolino umido dell’atrio, li raggiunse. Qualche minuto dopo somministrò al padrone di casa un farmaco.
«Deve riposare un po’.» disse l’infermiera, mentre le due donne scortavano il malato sul letto matrimoniale.
«Cosa gli è preso?» domandò Charlotte.
«Una crisi, anche piuttosto grave. Non so cosa gli sia successo.»
«Sembrava aver perso i sensi. Ma era sveglio.» spiegò la bambinaia.
Allora si ricordò di Lucius. Lo aveva lasciato solo nella stanza dei giochi, a gattonare in mezzo alle costruzioni.
«Vado di là. – esclamò preoccupata. – Fatemi sapere.»
«Aspetti! – disse Hilda. – Può farmi la cortesia di chiamare la signora Malfoy? Starà lei con suo marito. Ho lasciato il vecchio giù al piano di sotto.»
«S-sì… La chiamo subito.» acconsentì Charlotte, ma la prospettiva dell’incontro con Megan la terrorizzò.
Già da tempo sapeva che la signora Malfoy aveva intuito quello che era successo tra lei e Abraxas. Quando giunse nella camera di lei, la trovò china sulla scrivania. Stava leggendo una lettera destinata ad Abraxas.
«Suo marito ha avuto una crisi. Hilda vuole vederla.»
Charlotte deglutì a vuoto, quindi si voltò per uscire dalla stanza. Ma Megan aveva perso tutta la sua consueta asprezza. Intascò la lettera e, senza degnare la bambinaia di uno sguardo, raggiunse il marito. Hilda tornò da Adolar e Charlotte dal piccolo Lucius. Megan rimase in camera con Abraxas. Quando questi si fu ripreso, la donna gli mostrò la lettera che aveva ricevuto.
«Me la manda Rosamund. – disse. –
Gentile signor Malfoy,
avevo lasciato l’ufficio per qualche minuto. Dovevo sbrigare delle faccende al terzo piano. Patrick era tornato a casa per la pausa pomeridiana. Di ritorno nell’ufficio, ha saputo dal custode dell’ala che un individuo incappucciato si è introdotto nell’ufficio in mia assenza. Sono stata assalita da un dubbio che si è poi rivelato concreto. Il diario di Lysiart Malfoy è stato trafugato. Le farò sapere i risvolti della faccenda.

Rosamund Jameson



Ecco a voi un nuovo capitolo! Chiunque voglia dire la sua sui sospetti del caso è assolutamente il bene accetto! Leggere ogni tipo di ipotesi ci farà piacere...
Un grazie particolare a:
Thiliol: Siamo contenti che il capitolo precedente ti sia piaciuto! E speriamo che ti piaccia anche questo! Sappici dire!

Un grazie a chi ha messo la storia tra i preferiti e a chi legge soltanto!

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Capitolo 15
*** Capitolo XV ***


Capitolo XV

Il giorno si protrasse stancamente fino al tramonto e poi alla notte. Molti non riuscirono a dormire a Malfoy Manor, ognuno tormentato da un pensiero diverso. Zephyrus, dopo essere stato fatto uscire a forza dalla sua stanza, vi si era ritirato nuovamente, riprendendo a rimuginare su un argomento che continuava a ossessionarlo da quando il vecchio Adolar aveva rischiato di morire. Charlotte si rigirava insonne nel letto, l'immagine della crisi epilettica di Abraxas ben presente nella mente, così come l'impulso che aveva avuto di baciarlo in quel momento. Qualcosa di assolutamente sciocco in un momento come quello, ma dettato da quell'amore smanioso che provava per lui e che il bacio che si erano scambiati, se da un lato aveva acuito i suoi sensi di colpa, dall'altro l'aveva resa se possibile ancora più coinvolta in tutto quello che avveniva all'uomo. Juliet, in una delle stanze degli ospiti, rimaneva seduta sul letto a fissare con occhi astiosi dritto in fronte a sé, meditando su come poter trovare il modo di farla pagare ai Malfoy. Trasferirsi in quella casa maledetta non era servito ancora a nulla, per il momento almeno. Sullo stesso piano, dalla parte opposta della casa Laureen camminava agiata per la stanza, tormentando con la mano lo scialle che portava sopra la camicia da notte. Il nervosismo era assoluto in lei, in quel momento, mentre si fermava di tanto in tanto in mezzo alla stanza, aggrottando le sopracciglia. Megan vagaba, al suo solito per il corridoio del primo piano, guardandosi intorno, con occhi terrorizzati, convinta che lo spettro sarebbe potuto sbucare ad ogni istante ad annunciare una disgrazia imminente. Nella loro stanza, solo, il padrone di casa stava in piedi presso la finestra, gli occhi persi nella contemplazione di quella parte di giardino illuminata appena dalla luna di quel giorno di maggio. La mente vagava sugli avvenimenti dei giorni precedenti. Il furto del diario del fratello lo irritava in modo particolare. Quella Jameson si era dimostrata una vera inetta in quel frangente. O forse, lui, avrebbe dovuto agire con maggiore prudenza, senza lasciare che qualcosa di così fondamentale finisse per perdersi. Trasse un lieve sospiro, mentre altre immagini si sovrapponevano a quelle del quadernetto in cui Lysiart annotava i suoi pensieri più nascosti. Charlotte gli si parò dinnanzi, quasi fluttuasse immersa nella luce della luna. Maledizione a lui e al momento in cui l'aveva baciata. Se già prima non riusciva a togliersela dalla mente, in quel momento gli risultava ancora più difficile. Ricordava vagamente di essersela trovata davanti, quel giorno, quando aveva avuto quella crisi epilettica, gli sembrava di rammentare la sua voce che lo chiamava. Sbuffò quasi, mentre, cancellando quei pensieri dalla mente, si recò fuori dalla stanza, oltrepassando l'anticamera, per poi ritrovarsi nell'atrio del primo piano.
Dalla porta dietro la quale riposava il padre non proveniva nessun rumore, segno che il vecchio stava dormendo e che, con ogni probabilità anche Hilda O'Connor era sprofondata nel mondo dei sogni, o degli incubi. Sorpassò la stanza, incrociando in quel momento Megan che si aggirava come uno spettro sghembo per il corridoio, sbucando fuori dal luogo dove si trovava il salottino estivo. La moglie lo fissò con i suoi occhietti neri, fermandosi subito dopo, imitata dall'uomo.
«Cosa ci fai, in giro, adesso, ancora vestito di tutto punto?» domandò la donna, con una nota di sospetto nella voce.
«Nulla che ti possa interessare, Megan.» bisbigliò lui, duro.
«Come sempre, vero Abraxas?» ribatté lei, alzando appena la voce, che assunse un'intonazione acida e isterica.
«Non mi sembra né il posto, né il momento per discutere. - la liquidò rapidamente lui, facendo qualche passo in avanti - Vai a riposare, Megan.»
La donna chinò il capo verso il suolo, rimanendo però immobile, ad osservare l'uomo camminare e avanzare, fino a quando non si fermò davanti alla porta della stanza della musica. Abraxas si voltò verso Megan, scrutandola a lungo, finché non la vide muoversi. Mise la mano sulla maniglia ed entrò nella stanza, totalmente immersa nel silenzio. C'era una certa quiete, tra gli strumenti musicali e i libri di musica, posti in ordine perfetto nel locale. La luna illuminava ogni cosa flebilmente, creando strani giochi di luce ed ombra, che affascinarono l'uomo. Si avvicinò lentamente alla finestra, sfiorando con la mano un liuto. Alzò il capo verso l'ala di fronte della casa e quasi sobbalzò quando vide una luce splendere nella stanza delle armi.
Lasciò in fretta e furia la stanza della musica, per poi dirigersi verso le scale che portavano al piano superiore. Transitò rapido per il corridoio del secondo piano, senza nemmeno notare la luce fioca che filtrava da sotto la porta della stanza di Juliet. Continuò ad avanzare rapido, fino a quando non aprì la porta della stanza dove aveva trovato il cadavere del fratello. Non vi era nessuna luce all'interno, nessuna luce abbastanza forte da essere vista dalla stanza della musica. Soltanto una candela era accesa ed illuminava la figurina piccola e magra di un elfo domestico.
«Cosa ci fai qui?» domandò brusco l'uomo avvicinandosi, dopo aver illuminato la stanza con la bacchetta.
«Niente, signor Malfoy, signore. Hatty è una brava elfa, Hatty obbedisce agli ordini.» biascicò la creatura con vocetta acuta.
«Tu dovresti seguire unicamente i miei ordini e non era un mio ordine venire in questa stanza.» ribatté duro Abraxas, osservando il luogo in cui si trovava Hatty, proprio accanto al rilievo del signore di Mictlan.
«Hatty non voleva dissobedire, signor Malfoy, signore. Io ho visto una luce, signor Malfoy. Hatty è venuta per controllare. Padron Lysiart ordinava ad Hatty di venir ad aspettare che persona uscisse dal muro, signore.»
«Di cosa stai blaterando?» chiese, nettamente più calmo Abraxas.
«Hatty non sa nulla, padron Lysiart non le ha mai detto niente.» affermò la creatura, tremante.
Abraxas rimase in silenzio, osservando con attenzione la stanza e la piccola elfa. C'era qualcosa di strano nelle sue parole, qualcosa che riguardava il fratello, qualcosa che gli faceva sorgere dei dubbi. Un sopracciglio schizzò verso l'alto, mentre rifletteva velocemente sulle ipotesi che le parole di Hatty potevano significare. Trasse un lieve sospiro, prima di ingiungere imperioso:
«Tornatene in cucina.»
Un pop e la creatura scomparì. L'uomo rimase ancora per qualche istante nella stanza, scrutandola con attenzione, avvicinandosi di tanto in tanto ad una parete, prima di andarsene in silenzio, così come era venuto. Prese a ripercorrere il corridoio del secondo piano, scendendo rapidamente le scale. Non appena raggiunse l'atrio sottostante, non si recò nella sua stanza, ma svoltò a destra, per poter così raggiungere l'anticamente degli appartamenti del fratello. Lo attraversò rapido, fino a quando non si ritrovò nella stanza da letto di Lysiart.
Si guardò intorno, illuminando l'ambiente con la bacchetta, di cui non aveva disattivato il Lumos. Scosse appena il capo. Non sapeva nemmeno lui perché era entrato lì dentro, forse unicamente per le parole che aveva sentito pronunciare all'elfa, forse per non tornare nella sua stanza e coricarsi accanto a Megan, forse per non cadere nella tentazione di entrare nella camera del figlio, di voler vedere Lotte.
Sospirò appena, mentre avanzava verso la scrivania. Con un gesto brusco aprì uno dei cassetti, ricolmo di fogli di pergamena, per lo più bianchi. Frugò, osservando ogni foglio con attenzione, fino a quando non estrasse gli unici due ricolmi della grafia del fratello. Posò entrambi sul ripiano di legno, poi stese meglio il primo e lesse con attenzione un'altra delle poesie di Lysiart.

«Come un topolino in gabbia,
Come un prigioniero ad Azkaban,
Così è il viver mio.
Soltanto oppressione
Anche la dove speravo di trovare libertà.
Oppressione.
Catene
Schiavitù.
Cos'altro è la mia vita se non un cadere da una prigione ad un'altra?»


Scosse appena il capo. Tutti gli scritti privati di Lysiart, nessuno escluso, avevano l'oppressione al loro centro. Quella poesia però sembrava attrarlo più di ogni altra. C'era qualcosa che lo incuriosiva, che lo portava ad interrogarsi su ogni singola parola. Osservò il foglio di pergamena ancora un istante, prima di prenderlo tra le mani. Lo stava per mettere in tasca, quando sentì aprirsi la porta. Alzò lo sguardo e vide di fronte a sé l'ultima e la prima persona che avrebbe voluto vedere in quel momento.
Charlotte si bloccò sulla soglia, rabbrividendo, nonostante la vestaglia che portava sopra la camicia da notte, nonostante la tiepida aria di maggio. Quando aveva visto la luce dalla stanza di Lucius, aveva pensato a qualsiasi cosa tranne che a trovare in quella camera Abraxas Malfoy, ma forse avrebbe dovuto immaginarlo. In fondo quella era la stanza in cui era vissuto suo fratello.
«Signor Malfoy - mormorò infine impacciata, notando che l'uomo non parlava - mi dispiace…io ho visto che qualcuno era qui dentro…non volevo ficcanasare…»
«Le credo, Charlotte - rispose l'uomo, calmo, come se sentire la voce della giovane, l'avesse in un qualche modo sbloccato. La osservò, mentre retrocedeva di qualche passo - Non se ne vada. - aggiunse poco dopo, continuando rapido - Venga qui.»
La ragazza si guardò intorno, come se si stesse chiedendo se poteva fuggire da qualche parte, per poi avanzare lentamente verso il padrone di casa. Non poteva fare altro, si disse, mentre una strana eccitazione si faceva strada in lei, accanto al familiare senso di colpa. Avrebbe dato qualsiasi cosa per non aver ricambiato quel bacio. Quando lo raggiunse l'uomo le mise in mano un foglio di pergamena fitto di una grafia elegante a lei sconosciuta.
«È una poesia di mio fratello. Sinceramente cosa ne pensa?» domandò l'uomo, fissando con attenzione, troppa, si disse da solo, la bambinaia.
«È strana. C'è tanta tristezza - mormorò la ragazza, dopo aver letto con attenzione quelle poche righe - E questo strano riferimento a due prigionie…io non ho mai conosciuto suo fratello, signor Malfoy…quindi non posso dire…ma mi sembra curioso il suo dire che è caduto da una prigionia ad un'altra, come se fuggisse da qualcuno e fosse capitato con qualcuno di peggiore di colui a cui voleva fuggire.»
L'uomo aggrottò appena le sopracciglia pensoso, mentre tornava a prendere tra le mani la pergamena con la poesia di Lysiart, infilandosela in tasca.
«Forse è come dici tu, Charlotte.» disse soltanto, provocando un lieve rossore sulle gote della bambinaia.
La giovane distolse rapida lo sguardo da Abraxas, guardandosi attorno nervosa. Doveva andarsene da lì, prima che accadesse qualcosa d'altro tra loro, qualcosa di più grave di quello che era avvenuto nella stanza di Lucius. Eppure una parte di lei le impediva di fare anche solo un passo verso la porta che immetteva nell'anticamera. Con lo sguardo individuò un altro foglio di pergamena, su cui spiccava la grafia di Lysiart Malfoy.
«Non sembra una poesia.» mormorò timidamente, indicandolo.
Abraxas scostò lo sguardo da Charlotte, su cui l'aveva tenuto fino a quel momento, portandolo verso l'altra pergamena che aveva trovato, leggendola ad alta voce:

«Avrei pensato che fosse come nella storia. Invece non è somigliante. Eppure il nome è lo stesso. Sono uno stolto. Sovrapporre un personaggio storico, ad una persona reale. O forse sono i quadri preraffaeliti che ritraggono la rivale della regina ad avermi portato a fare questa sovrapposizione. Ma forse mi sto ingannando ed effettivamente sono somiglianti. Mio padre direbbe che non ha senso per un Malfoy interessarsi alla storia babbana e lo direbbe anche Abraxas. Eppure vorrei quasi che trovassero questo foglio…per quello che temo. Sono soltanto uno sciocco…la rivale della regina…la poesia…tutte fantasie di una mente che vive fuori dalla realtà.»

«Cosa accidenti vuol dire? - sbottò quasi parlando a se stesso - Storia babbana…la rivale della regina…possibile che stia parlando di Rachele?»
«Io…signor Malfoy…- fece una breve pausa -…è strano questo passaggio…però la rivale della regina è sicuramente l'amante del re…di un re babbano, forse d'Inghilterra…»
«Sì, forse…ma perché mio fratello si dovrebbe mettere a ciarlare di…- si bloccò di colpo, scuotendo appena il capo, prima di aggiungere -…storia babbana, e perché scrivere queste parole su un foglio sparso e non sul suo diario….e di quale poesia starà parlando? Di quella che ho trovato poco prima… - si interruppe ancora una volta - Lei ha detto, Charlotte, che sua madre ama la letteratura babbana. Forse ne sa più di me sulla loro storia…le ha mai parlato di qualche amante di un re di Inghilterra…un'amante che si possa chiamare Rachele o Laureen o con un qualche altro nome…»
«Sì, a volte la vedevo leggere romanzi storici babbani. Però…il testo scritto da suo fratello è troppo vago. Potrebbe essere veramente qualsiasi delle amanti reali…di qualsiasi nazione a dire il vero- fece una breve pausa, prima di aggiungere rapidamente - Crede che abbia a che fare con la morte di suo fratello?»
«Non so dirlo con certezza, Charlotte. - si voltò ad osservarla, mentre riponeva anche quel foglio di pergamena in tasca. Gli occhi cerulei si fissarono, come ipnotizzati, sulla figura della bambinaia, sul suo volto tondeggiante e dolce, sui suoi occhi. Fece un passo verso di lei, continuando a osservarla intensamente. Chiuse di scatto gli occhi, portandoli poi a osservare fuori dalle finestre che davano sul parco, dalle quale si intravedeva il cielo che iniziava già a schiarirsi. - Ma è troppo tardi per poter ragionare con calma.»
La frase cadde nel più assoluto silenzio, mentre entrambi, come se fossero mossi dal medesimo burattinaio, si muovevano rapidamente verso l'anticamera, affiancati, senza però mai sfiorarsi.


Il sole illuminava vivacemente le bancarelle del mercato settimanale del villaggio vicino a Malfoy Manor. Charlotte, con il piccolo Lucius in braccio, si guardava intorno incuriosita, stando ben attenta a non incrociare la figura di Abraxas che camminava poco davanti a lei, accanto a Laureen. Il gruppetto era chiuso da Green e Juliet, il cui sguardo faceva rabbrividire la giovane ogni qualvolta la incontrasse. Il bambino gorgogliava felice, allungando la manina per indicare alcune bancarelle particolarmente decorate.
Era stato quasi un fulmine a ciel sereno ricevere l'invito, o meglio l'ordine, di portare Lucius con loro al villaggio, dal momento che Megan si era rifiutata di uscire. Per un istante aveva temuto che andassero unicamente lei e il padrone di casa, di ritrovarsi da sola con lui. Aveva quasi tirato un sospiro di sollievo quando aveva riconosciuto la figura della cugina dei Malfoy e del maggiordomo. Di Juliet Hayward avrebbe fatto volentieri a meno, ma era comparsa all'improvviso nell'atrio, dicendo che doveva assolutamente comprare un nuovo scialle. Sistemò meglio il bambino tra le braccia, come se questo potesse servire a non farle percepire gli occhi inaciditi di Juliet sulla schiena.
«Cosa ne pensi di quella ragazza, Green?» domandò la vecchia, agitando appena il bastone, senza premurarsi di tenere la voce bassa.
«Sa fare bene il suo lavoro, signora Hayward - rispose affabile il maggiordomo, con tono decisamente meno forte di quello della donna - Il piccolo Lucius è decisamente più tranquillo da quando c'è la signorina Zurrey ad occuparsi di lui.»
«Ma non ti sembra che sia un po' troppo un'acqua cheta?» chiese nuovamente Juliet, lasciando vagare lo sguardo da Charlotte ad Abraxas.
«No, non mi ha mai fatto questa impressione, signora Hayward.» commentò Green, seguendo gli occhi della donna che saettavano dalla bambinaia al padrone di casa.
Juliet non aggiunse altro, mentre appoggiandosi al bastone continuava ad avanzare, fin troppo spedita per una donna della sua età. Il capo vagava da un componente all'altro del gruppo, come se attendesse il momento in cui qualcuno di loro avrebbe fatto un passo falso. Era andata appositamente al villaggio con la speranza di poter trovare un qualsiasi mezzo per farla pagare ai Malfoy, a quella famiglia che aveva distrutto sua figlia. Certo, il maggior responsabile era morto, ma questo non le bastava, non ancora, non dopo tutti i mesi passati a meditare sulla morte di Rachele.
Green attese per qualche istante se la donna avesse qualcosa d'altro da ribattere, poi distolse la sua attenzione da lei. Non gli piaceva il modo in cui Juliet Hayward si era intrufolata al Manor, quel suo imporre la sua presenza a quel modo, proprio come aveva fatto anche quella mattina. Non riusciva nemmeno a capire per quale scopo si trovasse nella magione dei Malfoy e per quale motivo gli avesse fatto quelle domande su Charlotte Zurrey. Scosse appena il capo, mentre la sua attenzione veniva attratta da un volto familiare in mezzo alla folla che si faceva strada tra le bancarelle. Il tempo di mettere a fuoco la figura di Ottilia che questa era già scomparsa. Forse, si disse, la sua era stata unicamente un'impressione, provocata con ogni probabilità dalla presenza della donna a Malfoy Manor, non più di dieci fiorni prima.
I pensieri del maggiordomo furono annullati dal fermarsi improvviso di Abraxas e Laureen, come degli altri componenti del gruppetto, in una graziosa piazza, circondata da bancarelle di tessuti e da case con vasi di fiori dai colori vivaci alle finestra. Il padrone di casa si voltò verso di loro, scoccando un'occhiata, forse troppo lunga a Charlotte, che non passò inosservata.
«Credo che a non a tutti voi interessi una bancarella di libri. Lei Juliet ha detto di dover comprare uno scialle e se non sbaglio, Laureen, ne sei interessata anche tu. - fece una breve pausa, lanciando uno sguardo al maggiordomo e alla bambinaia. Una parte di lui prese a desiderare ardentemente di poter dire a Green di andare a comprare un paio nuovo di guanti, ma il buon senso lo fece desistere - Ci ritroveremo tra un'ora in questa piazzetta.» concluse, con una voce che non ammetteva repliche.
Juliet Hayward lo fissò con astio mal celato, mentre, lo osservava allontanarsi con il maggiordomo e quella insulsa ragazza, rimanendo sola con Laureen Mallory. Si voltò verso questa che attendeva immobile un qualche movimento della donna, la quale con un gesto imperioso, sottolineato dal muoversi del bastone, le indicò una via, nella quale si vedevano delle bancarelle di tessuti, simili a quelle presenti sulla piazzetta.
Le due donne proseguirono per qualche istante in silenzio. Laureen sembrava star rimuginando su chissà quali pensieri, mentre la Hayward, scoccava occhiate acide a chiunque osasse anche solo incrociare la sua strada.
«Sa, Juliet, che la sua presenza al Manor è quanto mai, come dire strana. - affermò ad un certo punto la cugina povera dei Malfoy - Non metto in dubbio quello che mi ha scritto nella sua lettera, ma potrebbe risultare sospetto che lei giunga a Malfoy Manor non troppo tempo dopo la morte del povero Lysiart.»
«Ma tu, Laureen, sai che le mura di Hayward House mi deprimono quanto mai.» ribatté la donna, lanciando un'occhiata sospettosa all'altra che le stava accanto.
«Certo, Juliet, certo. Però qualcuno potrebbe chiedersi perché per provare a farle passare la depressione sia voluta venire proprio a Malfoy Manor, che ha così tanti tristi ricordi per te.» ribatté Laureen con uno sguardo sagace.
«Sì, la morte della mia povera Rachele mi affligge ogni giorno - disse la vecchia, fissando intensamente Laureen - ovunque io mi trovi.»
«Spero proprio sia come dice, Juliet, ma deve ammettere che anche i suoi rapporti con la famiglia Malfoy non sono dei migliori. Anche questo è strano.» disse la donna, ponendo particolare attenzione nel pronunciare l'ultima parola.
«Non quanto credi. In fondo con te non ho dei cattivi rapporti, non è vero, Laureen?» domandò Juliet lanciando un'occhiata maligna alla Mallory.
«Assolutamente, assolutamente.» affermò serafica la donna.


In un'altra via del villaggio, opposta a quella in cui si erano inoltrate le due donne, Abraxas Malfoy, stava scartabellando tra diversi libri, più o meno antichi, scrutando attentamente alcuni titoli. Green si teneva in disparte insieme a Charlotte e al bambino.
«Di solito non viene mai di persona a cercare i libri, manda me.» commentò il maggiordomo, forse per riempire il silenzio, forse per poter cercare una qualche ragione per il comportamento del padrone.
«Forse non sa bene che libro cercare, signor Green. - rispose la giovane, evitando attentamente di far cadere lo sguardo su Abraxas - Oppure voleva uscire da quella grande villa.»
«Immagino che lei la trovi piuttosto tetra, signorina Zurrey - commentò affabile l'uomo - Anche se il giardino intorno è splendido in questo periodo dell'anno.»
Le gote di Charlotte si imporporarono improvvisamente, e diventarono ancora più rosse quando il padrone di casa la chiamò ad unirsi a lui. Gli si avvicinò, timidamente, dopo aver lasciato il bambino alle cure del maggiordomo, fermandosi a pochi passi da lui.
«Osservi questo libro. - disse Abraxas, passando a Lotte un volume dall'aria consunta e antica - Crede che possa servire per conoscere meglio la storia?»
La bambinaia prese il libro in mano, stando attenta a non sfiorare la mano dell'uomo. Sentiva palesemente la tensione tra loro, quella tensione che le faceva desiderare di essere a mille miglia di distanza e allo stesso tempo tra le braccia di Abraxas. Deglutì per un istante a vuoto, fissando il titolo del volume Notizie aneddotiche dei re d'Inghilterra, da Enrico II a Enrico VIII.
«Sì, potrebbe - mormorò piano, chiedendosi per quale motivo l'uomo fosse così risoluto a cercare notizie sullo scritto che aveva trovato, su quella rivale della regina, che portava lo stesso nome di una donna conosciuta dal fratello. Perché non rivolgersi alla signorina Jameson in questo caso, mostrandole i due fogli che aveva trovato? - Forse, anche questo.» aggiunse, indicandogli un altro libro, decisamente più voluminoso e importante, sulla cui coperta era inciso in caratteri eleganti il titolo Storia ragionata dei re inglesi da Guglielmo il Conquistatore a Giacomo III.
Abraxas allungò una mano come per volerlo soppesare, ma la voce del maggiordomo lo distolse dal suo intento facendolo voltare verso di lui, imitato da Charlotte. La giovane aprì le labbra in un sorriso quando riconobbe la sorella che, da quel che pareva si era fermata con il figlioletto, richiamando l'attenzione di Green.
«Vada da sua sorella, Charlotte. - le disse Malfoy, prendendo finalmente il volume dalle sue mani, evitando a sua volta di sfiorarle - Vi raggiungerò in un minuto.»
Ottilia sorrise alla sorella che le veniva incontro, anche se avrebbe preferito vederla lontana da Abraxas Malfoy. C'era qualcosa di diverso nel modo di comportarsi di entrambi, che la portava a credere che potesse essere accaduto qualcosa. Pregò dentro di sé che questo qualcosa non potesse aver nuociuto in un qualche modo a Lotte.
«Zia.» esclamò Thimoty, rompendo il silenzio che si era venuto a creare.
Charlotte si chinò abbracciando il bambino, che poi, alzando il capo verso il maggiordomo, si mise a studiare con attenzione il piccolo Lucius, che aveva puntato gli occhi sul figlio di Ottilia.
«Suo figlio è veramente incantevole, signora…» iniziò Green, facendo vagare lo sguardo dalla giovane al bambino.
«Semplicemente signorina Zurrey, signor Green. - mormorò Ottilia con un sorriso amaro sulle labbra - Credo però che non sarebbe così sicuro che Thimoty sia incantevole se lo vedesse quando si mette in testa di fare una cosa.»
«Immagino. Ricordo che mio padre diceva sempre qualcosa del genere a chi mi faceva dei complimenti.»
Ottilia sorrise, cortesemente, mentre lanciava un'occhiata a Charlotte, di cui notò soltanto in quel momento il volto più stanco e pallido di quanto ricordasse. Doveva trovare assolutamente il modo di parlare un po' con lei, da sola, uno di quei giorni, convincerla se fosse necessario ad abbandonare Malfoy Manor.
«È un piacere incontrarla di nuovo, signorina. - disse Abraxas che teneva in mano una borsa di tela con dentro i due volumi precedentemente analizzati - Ed è un piacere incontrare anche suo figlio.»
«Il piacere è mio, signor Malfoy.» rispose gentile Ottilia, alla quale non sfuggì lo sguardo più lungo che l'uomo riservò alla sorella.
«Spero che non rifiuti un invito a…»
«Signor Malfoy, finalmente l'ho trovata - disse una voce alle sue spalle, interrompendolo di colpo. Rosamund Jameson era come apparsa dal nulla, da accanto alla bancarella dei libri - Mi sono recata al Manor, ma eravate già venuti al villaggio. Devo essere arrivata al villaggio subito dopo di voi. - la donna fece una pausa, puntando i grandi occhi verdi su Ottilia - Ci si rivede.» disse semplicemente.
«Cosa voleva dirmi, signorina Jameson?» domandò l'uomo, impedendosi di mostrarsi scocciato per l'improvvisa interruzione.
«Soltanto aggiornarla sulla scomparsa del diario di suo fratello. Ho fatto le mie indagini e mi vedo costretta a dirle che non credo ci siano molte speranze di ritrovarlo. Sono già passati diversi giorni dal furto e per quanto io e il mio sottoposto abbiamo scandagliato tutte le possibili direzioni, non credo che ne ritroveremo traccia. - una breve pausa - Un vero peccato. Immagino che vi potessero essere tantissimi indizi interessanti per scoprire il volto dell'assassino.»
«Lo credo anch'io, signorina.» ribatté forse un po' troppo duro Abraxas.
«Naturalmente c'è sempre la speranza che il diario venga ritrovato. - fece una breve pausa, prima di aggiungere - Credo che tornerò presto a Malfoy Manor. Forse mi saranno utili ulteriori sopralluoghi. Forse tra le carte di suo fratello, perché sono convinta che la stanza di Lysiart sia colma di fogli di pergamena, chissà i cassetti della sua scrivania quanti indizi potrebbero contenere…- si interruppe per un istante, sgranando appena gli occhi, facendoli apparire ancora più grandi - …Arrivederci, signor Malfoy, signore...»


La notte era già scesa da un pezzo su Malfoy Manor, avvolgendo tutta la grande villa con una morsa di oscurità, rendendo ancora più cupe le pietre della magione. Tutti sembravano riposare quella notte priva di luna. Soltanto una luce filtrava dallo studio di Abraxas al secondo piano. L'uomo sedeva davanti alla scrivania, un foglio davanti al volto, non un foglio colmo della propria grafia aguzza, ma su cui spiccava la scrittura del fratello. Era quello stesso pezzo di pergamena che aveva trovato nella camera di Lysiart, quello che faceva riferimento alla rivale della regina. Non riusciva a togliersi dalla mente che vi fosse qualcos'altro oltre quelle parole su quella pergamena. La portò più vicina agli occhi, rigirandosela tra le mani e fissandola più e più volte. Non c'era nulla che si potesse vedere ad occhio nudo. Trasse un sospiro, poi preso da un'improvvisa illuminazione estrasse la bacchetta e toccò la superficie della pergamena apparentemente priva di parole. Non accadde nulla. Scosse appena il capo. Era convinto che in quel foglio di pergamena vi potesse essere la chiave per poter comprendere il testo davanti. Si alzò e per esaminarlo meglio avvicinò il foglio alla luce di una delle due candele che illuminavano il locale. Lentamente delle parole iniziarono a prendere forma sulla pergamena, parole che andavano a formare una poesia.

«Distrutta riposa
Nella mia oscura prigione
Umida e sotterranea
Mortale e avvelenata
Solitaria
Opprimente
Nostalgia dell'eterna
Mia assoluta
Illusione.»


L'uomo aggrottò appena le sopracciglia, perplesso, mentre allontanava il foglio dalla fiamma facendo tornare la pergamena immacolata. Per quale motivo il fratello aveva occultato una poesia? Il tema trattato non gli sembrava diverso da quelli che già aveva incontrato. L'oppressione, la prigionia e l'illusione. Era qualcosa che tornava più volte in quel foglio. L'illusione, di cosa però? Scosse appena il capo, mentre riponeva il foglio nella tasca dei pantaloni, allontanandosi rapidamente dallo studio, chiudendo piano la porta alle sue spalle.
Iniziò ad incamminarsi per il corridoio, fermandosi immediatamente, non appena vide una figura camminare lentamente, senza far rumore. Rimase per qualche istante ad osservarla, finché non riconobbe la bambinaia che stava avanzando verso la stanza dei giochi.
«Charlotte - la chiamò in un sussurro che, nel silenzio della notte gli apparve comunque troppo forte. La giovane si voltò rapidamente sobbalzando e chinando il capo - È tardi per vagare per la casa.»
Lotte rimase per qualche istante in silenzio, mentre tentava, invano, di nascondere i piedi nudi alla vista di Abraxas.
«Sto andando a prendere il pupazzo di Lucius. Sta agitandosi molto nel sonno e credo sia perché gli manca il suo orsacchiotto.»
L'uomo annuì, calmo, facendo subito dopo qualche passo verso le scale, fermandosi però quasi immediatamente, gli occhi come intrappolati dalla figura di Charlotte che appariva così piccola, innocente, con quella camicia da notte bianca, i piedi nudi ed i capelli che le coprivano il volto chino verso il suolo.
«La accompagno.» decise infine, avvicinandosi alla giovane, che, per evitare di essere troppo accanto a lui, camminava rasente al muro.
Raggiunsero in poco tempo la camera dei giochi, di cui Charlotte aprì la porta. Una volta all'interno Lotte, illuminata dalla luce della sua bacchetta, iniziò a cercare immediatamente il pupazzo del bambino, facendo forza su se stessa per non voltarsi verso Abraxas. Le mani le tremavano leggermente mentre spostava i giochi. Non si accorse che l'uomo era accanto a lei fino a quando non sentì una mano sfiorare la sua. Sobbalzò, scostandosi velocemente da lui, le gote arrossate.
«Non dovresti fuggire a questo modo, Charlotte.» mormorò Abraxas, senza nemmeno rendersene pienamente conto.
«La prego, signor Malfoy, non…»
«Cosa non dovrei fare, Lotte? - chiese Abraxas, con un'insolita nota d'urgenza - Ho fatto di tutto per evitarti, ma mi è palesemente impossibile.»
La giovane camminò rapidamente, fino a che non raggiunse la finestra. Perché l'uomo si comportava in quel modo? Perché non continuava semplicemente a non parlare più con lei, come faceva prima che si ritrovassero entrambi nella camera di Lysiart? Cosa gli aveva fatto cambiare idee? Scosse il capo. erano troppe le domande che le ronzavano nella mente.
Troppe.
«Lotte…»
«Ti scongiuro, Abraxas - lo interruppe la ragazza prima che l'uomo potesse dire qualcosa, oltre al suo nome - perché ti vuoi burlare di me? Tu…è impossibile che io ti possa realmente interessare…»
«Ne sei certa, Charlotte? - domandò l'uomo avvicinandolesi e ponendole le mani sulle spalle - Sei veramente sicura di quello che dici?»
Abraxas dubitava seriamente di se stesso in quel momento, non per quel che riguardava Charlotte, ma per come si stava comportando. Gli sembrava quasi di essersi trasformato in uno sciocco dall'animo poetico com'era stato il fratello. Sospirò appena, senza però allontanarsi dalla giovane.
«Io non so cosa pensare, Abraxas. Forse non sarei dovuta venire. È tutto così tremendamente sbagliato. - fece una pausa, interrompendo il flusso isterico delle sue parole - Tu hai una moglie, un figlio, un…»
«Non penso che tu sia così sventata da credere che io possa amare Megan.» la interruppe fin troppo accoratamente l'uomo.
«Ma vuoi bene a tuo figlio ed è Megan la madre, colei che gli ha dato la vita.» protestò Charlotte.
«Lucius è molto più tranquillo con te che con lei - Abraxas si scostò dalla bambinaia, voltandosi, dandole le spalle - Ci sono dei motivi, motivi gravi, che mi porterebbero alla rovina, che porterebbero alla rovina tutti i Malfoy, che mi tengono legato a Megan, ma il cielo sa che io non la amo, né l'ho mai amata. Dovere, difesa del mio nome, questi e altri dannati sentimenti, sterili e aridi, mi hanno fatto sposare quella donna.»
Il silenzio cadde pesante sui due. Charlotte accanto alla finestra si sfregò le mani sudate nel vestito, Abraxas rifletteva velocemente, come se stese tentando di trovare una via di uscita o un modo per convincere Charlotte dei suoi sentimenti.
«Abraxas…io…- iniziò improvvisamente la giovane, facendo un passo o due verso di lui - io… - una nuova pausa, durante la quale le gote si imporporarono leggermente. Se avesse avuto il buon senso di cui spesse volte parlava Ottilia di certo se ne sarebbe andata, ma sembrava che la sua mente non riuscisse a formulare un solo pensiero saggio - ti credo.»
L'uomo si voltò di scatto, fissando a lungo il volto di Lotte, prima di camminare rapidamente verso di lei e abbracciarla, sentendo subito dopo il capo della giovane posarsi contro il suo petto, mentre ricambiava l'abbraccio. In quel momento tutti i buoni propositi, tutte le cause che li avevano portati ad evitarsi nei giorni precedenti, parevano come scomparsi, svaniti nel nulla. Abraxas sollevò delicatamente il capo della giovane, per poi baciarla, un bacio più intenso del loro primo, e allo stesso tempo più urgente, un bacio che li annullò completamente l'uno nell'altra al punto che non si accorsero della porta che veniva aperta a metà, dell'ombra che venne proiettata all'interno, degli occhi fissi sulle loro labbra unite, sulle mani di Charlotte tra i capelli dell'uomo e di quelle di lui lungo la schiena della giovane. continuarono a rimanere avvinti anche mentre la porta lentamente si chiudeva, scambiandosi nuovi e ardenti baci. Fu dopo diverso tempo che si staccarono, il respiro di entrambi affannato, le gote di Charlotte arrossate. Rimasero immobili e silenziosi a fissarsi, entrambi consapevoli che non vi era più possibilità di fuga a quello che stava avvenendo tra loro.
«Il bambino - mormorò per prima la giovane, rompendo a malincuore il silenzio. - L'ho lasciato per troppo tempo solo.»
Abraxas annuì, mentre con la bacchetta appellava l'orsacchiotto di Lucius. Si avvicinò a Charlotte e glielo passò. Le loro mani si sfiorarono più a lungo del necessario e nessuno dei due parve volersi realmente allontanare dall'altro. Fu l'uomo il primo a fare qualche passo verso la porta, seguito a ruota da Charlotte. Si fermarono accanto all'uscio, le loro labbra si unirono brevemente ancora una volta, poi silenziosamente uscirono dalla stanza, separandosi, in silenzioso e comune accordo, quasi subito, la giovane diretta verso le scale di servizio, l'uomo verso la scalinata principale.


Hilda O'Connor camminava agitata avanti e indietro per la sua piccola stanza, illuminata dalla luce fioca di una candela. Una mano veniva spesso portata ai capelli sciolti che ricadevano sulla camicia da notte, lunghissimi. Di tanto in tanto si portava verso la ginestra e occhieggiava fuori. Dalla stanza dei giochi, sopra di lei, un raggio di luce illuminava la notte e il silenzio del cortile interno, per poi scomparire, lasciando al buio la corte. Scosse appena il capo, tornando verso il comodino sul quale si trovavano un album di foto e un diario. Sfogliò lentamente il primo, soffermandosi in particolare su una delle foto, che ritraeva la sua sorella minore. Si chiese improvvisamente come potesse aver potuto non accorgersi dei segni. Forse era semplicemente stata troppo impegnata a prendersi cura di Adolar per farlo. Voleva bene al vecchio, qualsiasi cosa pensasse la signora Malfoy. Scosse nuovamente il capo mentre afferrava il diario ed iniziava a riempirne una pagina, con la sua grafia leggermente spigolosa. Dalla sovracoperta del quadernetto trasse un vecchio foglio di pergamena consunto. Non poteva più permettersi di conservarlo in quel luogo. Avrebbe dovuto chiedere ad Abraxas di poter assentarsi mezza giornata, giusto il tempo di andare alla Gringot's.
Ripose ogni cosa con cura, poi andò nella camera del vecchio Malfoy. L'uomo dormiva quieto, senza che nulla sembrasse turbarlo. Hilda gli accarezzò la fronte con una mano, pensando che almeno lui pareva tranquillo nel silenzio inquietante della notte.


Abraxas scese velocemente le scale, come se distanziarsi dalla stanza dei giochi, potesse allontanare l'intima tentazione di tornare sui suoi passi e di seguire Charlotte fino alla camera di Lucius. Sospirò, scuotendo appena il capo, cercando di scacciare qualsiasi pensiero dalla mente, di concentrarsi al massimo sul nuovo ritrovato a cui aveva iniziato a lavorare quel giorno stesso. Dopo aver raggiunto il corridoio del primo piano, lo percorse velocemente, fino a quando, una volta oltrepassato l'anticamera, non si trovò all'interno della stanza che condivideva con Megan.
La donna era ancora sveglia, seduta sul letto, con un libro in mano. La luce di due candele che illuminava l'intero locale creava dei giochi di luce ed ombra che avevano un che di inquietante, cosa forse dovuta soprattutto ai tendaggi piuttosto scuri che circondavano il letto e che oscuravano le finestre.
«Sei tornato, alla fine. - disse Megan, chiudendo con uno scatto secco il volume, di cui si intravide per un attimo una xilografia dal contenuto piuttosto macabro - Decisamente tardi.»
«Siamo sposati da diversi anni e credo tu conosca perfettamente il motivo per cui faccio spesso tardi la sera.»
«Oh certo, un tempo forse, quando non c'era ancora quella ragazzina. - fece una breve pausa, mentre gli occhietti neri lampeggiavano leggermente, fissando il marito - Ti stai rendendo ridicolo…sei sempre intento a guardarla. Mi chiedo che arti possieda per averti incantato in questo modo.»
«Ti ho già detto di non parlare di cose che non conosci.» ribatté fermamente Abraxas, fissando la donna, la sua ombra che si proiettava minacciosa sulla figura ancora seduta sul letto.
«Ed io ti ripeto di non farmi più sciocca di quanto non sia in realtà. - Megan fece una pausa, posando il libro sul comodino accanto e alzandosi in piedi. Il letto stava tra i due sposi, quasi a rendere tangibile la distanza che stava tra loro. - La guardi sempre e lei fissa te. Non posso credere che tu sia stato fino a questo tempo nel tuo studio. Forse per un po'. Eppure ho la certezza che tu abbia visto quella Zurrey.»
«Stai per fare una scenata, Megan? - chiese aspro l'uomo - Non ti si addice.»
«Non mi si addice? Non mi si addice che chieda a mio marito spiegazioni del suo comportamento? Non sono una cieca, né una stupida, Abraxas. Tra te e quella ragazza è successo qualcosa. Ve lo si legge in faccia, più a lei che a te, ovvio, ma si nota.» sbottò rapidamente, istericamente la donna.
L'uomo rimase a lungo in silenzio, immobile, presso il letto, fissando la moglie dall'altra parte, la sua figura goffa, sghemba, il suo volto e quei suoi occhietti tanto simili a dei chicchi di caffé.
«Ti ho già dato una spiegazione. - disse calmo Abraxas - E mi sembra di essere stato abbastanza chiaro la volta scorsa. Il discorso su questa faccenda è chiuso.»
«Non per me. - ribatté Megan, gesticolando - Tu…»
«Smettila. - la interruppe gelidamente l'uomo - Sai perfettamente che non hai il diritto di recriminare su questo punto.»
«Sono tua moglie, Abraxas, la madre di tuo figlio e…»
«Queste cose le so perfettamente anch'io - la bloccò ancora una volta il marito, iniziando a girare intorno al letto - come so perfettamente che il nostro legame non può essere sciolto, e lo sai anche tu.»
«Certo lo so - sbraitò quasi Megan, mentre con gli occhi seguiva i movimenti dell'uomo che si stava avvicinando a lei - So perché mi hai sposata, sei stato molto chiaro quando mi hai parlato poco prima delle nozze, ma questo non implica che tu… - un'interruzione provocata da un singhiozzo isterico - …con la bambinaia di nostro figlio.»
«Cosa vuoi dire? Che non avresti fatto alcuna scenata se fosse stata una nostra pari?» sbottò l'uomo, improvvisamente irato e spazientito, fermandosi a poca distanza da lei.
«Dunque lo ammetti? Ammetti che vuoi la Zurrey? Che ti sei infatuato di lei come uno stupido?» domandò Megan con un lampo di trionfo negli occhi.
«Non ti permettere…»
«Altrimenti che fai? - lo interruppe la donna, una strana eccitazione negli occhi - Prend…»
«Zitta!» sbraitò Abraxas, avvicinandosi ulteriormente alla donna, sovrastandola, minaccioso.
Il silenzio calò improvviso, rapido, facendo percepire ad entrambi soltanto in quel momento, il rumore soffocato del pianto di Lucius nella sua camera. Megan rimase immobile per qualche brevissimo istante, prima di voltarsi e raggiungere, camminando rapida, come una furia, la porta dell'anticamera che la divideva dalla stanza del figlio, prima che Abraxas potesse far qualcosa per fermarla, limitandosi a seguirla da vicino. La bloccò soltanto poco quando raggiunse l'altra porta, afferrandola con forza per un braccio. Una smorfia apparve sul volto di Megan, che non poté far altro che fermarsi, mentre tentava vanamente di divincolarsi dalla stretta del marito, che aveva artigliato anche l'altro braccio con la mano libera.
«Torna di là, Megan. - le ingiunse con un tono che non ammetteva repliche - Mi andrò ad occupare io di Lucius.»
«Soltanto perché c'è lei…»
«Stai forse mettendo in dubbio che io tenga a mio figlio? - domandò aspro l'uomo, stringendo maggiormente la presa - Stai parlando a vanvera, ormai, Megan. Torna di là.»
La donna lo fissò ancora per qualche istante negli occhi, poi distolse lo sguardo, annuendo leggermente, sconfitta. La presa di Abraxas si allentò, lasciandola libera di muoversi e di tornare nella loro camera. Soltanto quando se ne fu andata, l'uomo aprì la porta che immetteva nella stanza del figlio. Il piccolo era tra le braccia di Charlotte che lo cullava piano, ormai quasi del tutto calmo e vicino a riaddormentarsi. La bambinaia si voltò rapidamente verso la porta non appena la sentì aprirsi. Le gote le si imporporarono non appena mise a fuoco la figura di Abraxas, e subito dopo retrocedette istintivamente di un passo. Aveva sentito le urla dei coniugi Malfoy, filtrate e attutite dall'anticamera, ma, anche se non aveva compreso nessuna parola, aveva la netta sensazione che alla base della lite vi fosse ciò che era accaduto nella camera dei giochi. L'uomo le si avvicinò rapidamente, osservando con attenzione il figlio, che, nel riprendere sonno aveva iniziato a ciucciare il pollice. Gli accarezzò appena il capo, evitandosi di pensare a quanto era appena accaduto con la moglie.
«Si è calmato velocemente.» disse infine, riempiendo il silenzio, mentre riceveva il piccolo dalle braccia di Charlotte, senza nemmeno bisogno di dire una sola parola in proposito.
«Credo fosse spaventato, all'inizio, ma ha pianto veramente poco.» mormorò la giovane, seguendo l'uomo, che stava andando verso la culla, dove poco dopo vi depositò il bambino, completamente addormentato in quel momento.
Il silenzio cadde tra di loro, quando lui si voltò ad osservarla. Charlotte chinò appena il capo verso il suolo, mordicchiandosi il labbro inferiore, il senso di colpa che già si era incuneato in lei quando aveva sentito le grida della lite tra Abraxas e Megan, si faceva sentire in maniera cocente.
«Sono io la causa di quello che è accaduto.» si lasciò sfuggire pur non volendo.
«Non porti problemi che non esistono, Lotte. Non è la prima volta che litighiamo e non sarà l'ultima. - fece una breve pausa - E di certo non devi sentirti colpevole per quello che è accaduto tra me e Megan.»
«Ne sei sicuro Abraxas?» domandò la giovane, alzando lo sguardo.
L'uomo annuì, avvicinandosi rapidamente a lei, abbracciandola piano, con una delicatezza che persino ai suoi occhi risultava stridere nettamente con il modo con cui aveva stretto le braccia della moglie.


Ecco a voi un altro capitolo! Speriamo entrambi sinceramente che vi possa piacere! Sappiateci dire!
Un grazie particolare a:

Moony Potter: Non sai quanto ci faccia piacere leggere le tue ipotesi! Ovviamente non possiamo, da bravi giallisti dirti nulla di compromettente! Siamo curiosi di sapere quale sia il tuo pensiero dopo questo capitolo, se i tuoi sospetti si sono spostati su altri personaggi o se sono rimasti stabili.

Un grazie anche alle persone che hanno messo la storia tra i preferiti e a chi legge soltanto.

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Capitolo 16
*** Capitolo XVI ***


Capitolo XVI

Malfoy Manor era immerso nel torpore mattutino quando Laurence Green, attutendo il cigolio, abbassò la maniglia della stanza delle armi e, con gesti ponderati, vi entrò. Un brivido gli corse lungo la schiena al ricordo di Lysiart col ventre fracassato che ghignava sardonicamente fra le braccia della morte. Sotto la stampa del gelsomino in fiore si trovavano ancora chiazze di sangue opaco che nessuno era riuscito a rimuovere. Il maggiordomo distolse lo sguardo, rattenne il respiro e si dedicò al proprio lavoro.
Pochi attimi dopo due elfi vestiti di stracci trotterellavano fino a lui, rivolgendogli i grandi occhioni tondi in segno di aspettativa.
«Tu prova a eliminare le macchie rosse sulla parete, Kitty. Mentre tu, Horn, spolvera il muro opposto. Eseguite gli ordini con la massima diligenza. Intesi?»
Gli elfi annuirono e Green li osservò qualche istante mentre cominciavano l’opera. Horn sembrava intimorito dalla piccola statua che sbucava dal muro, il dio azteco di Mictlan. Lo spazzolava con delicatezza, come nel timore che il pupazzo prendesse vita. Green fu infastidito dal comportamento pavido dell’elfo. Molte incrostazioni, sulla statuetta d’ossidiana, non andavano via se non strigliando con decisione.
«Per piacere, mettici più forza, Horn! Non vi ho forse detto che dovete eseguire gli ordini con la massima diligenza?»
L’esserino fece un segno affermativo con la testa. Ma quando raschiò via le gromme, la statuetta fece uno scatto meccanico. Green, che aveva preso posto, scattò in piedi.
«Attento! Così lo rompi. – gridò col volto imporporato. – Devi solo scrostarlo, ma con la massima attenzione!»
«Horn ci ha provato! – disse l’elfo in tono di scusa. – Horn ci ha messo più forza, ma la statua si è piegata.»
In effetti il dio di Mictlan rivolgeva adesso i palmi aperti al terreno, come in attesa di profondersi in un inchino. Il maggiordomo scrutò con attenzione la statuetta, accigliandosi e scuotendo la testa.
«Una parte si è dissaldata dalla parete. Ciò significa, Horn, che avresti potuto spezzare questo piccolo cimelio.»
Con la testa china e gli occhioni luccicanti, l’elfo congiunse le mani sul petto, tenendo la spazzola fra le dita biancastre.
«Lascia perdere, passa al camino.» sospirò Green con disappunto, e l’elfo, rianimato, cominciò a spolverare la cappa e i soprammobili.
Per tutto il giorno Green continuò a rimuginare lo strano scatto prodotto dalla statuetta del signore di Mictlan.


Quella stessa mattina, Rosamund Jameson venne a Malfoy Manor per esporre i risvolti del caso. Il sole sonnecchiava pochi gradi sotto allo zenit, emanando bagliori caldi che irradiavano l’intera superficie della villa, avviluppandola in un piacevole tepore. Quando varcò la soglia e si immise nel grande vestibolo che conosceva bene, l’Auror fece scivolare lo sguardo lungo il muro di pietra, in attesa che Abraxas la raggiungesse. Soltanto dopo diversi minuti di sfibrante attesa, in cui Rosamund studiò ogni particolare con attenzione morbosa, il padrone di casa scese le scale e si ritrovò nell’imponente ingresso dalle mura scabre.
«Ah, signorina Jameson. – disse chinando la testa in cenno di saluto. – Novità?»
La donna fece un segno di assenso. In pochi attimi Abraxas le fu dinnanzi, e Rosamund trasse dalla borsa una lettera scritta con stralci di quotidiani e riviste.
«La giudichi come vuole.» disse Rosamund, con l’aria di chi ha rimuginato molto su una data questione.
Abraxas lesse a voce alta la missiva.
«L’assassino è nel Manor, si aggira furtivo. E’ l’ultima persona di cui potreste sospettare. Non escludetela dalle indagini. Taccio il nome poiché sarebbe altamente rischioso per me, lo capirà, immischiarmi in certe faccende. So chi è. Quando incontro il suo sguardo lo accuso, perché intendo al volo che ha ucciso Lysiart Malfoy. Ripeto: l’ultima persona sospettabile di Malfoy Manor. Sembra estranea ad ogni faccenda, e invece, nell’ombra, ha covato il suo omicidio. - Abraxas tacque, e per la prima volta in vita sua Rosamund gli sentì sfuggire un’esclamazione di mero stupore. – Per Dio! Dove l’ha trovata?»
«L’hanno recapitata direttamente alla cassetta di casa mia. L’ho trovata stamattina. E’ stata analizzata con cura dal mio sottoposto e dalla scientifica del Ministero, ma né io né gli altri siamo riusciti a trarne alcuna conclusione. Lo stile della lettera è grezzo e per motivi di natura intellettuale mi sembra ovvio escludere la servitù della villa. Ma anche quest’ipotesi è campata in aria, signor Malfoy. Colui che ha scritto la missiva temeva per la propria incolumità. Per non mettere a repentaglio la sua vita, avrebbe potuto decidere, senza uno sforzo mentale troppo faticoso, di utilizzare uno stile scarno e piatto. Leggendo queste parole non mi sembra di comprendere alcunché. Mi domando per quale motivo l’autore della lettera non abbia fatto nomi. D’altronde sarebbe potuto rimanere in incognito, e…»
Ma s’interruppe, vedendo il volto di Abraxas sbiancato.
«Crede di aver intuito qualcosa?» gli domandò Rosamund.
«Beh, - proferì Abraxas, abbandonando d’un tratto il suo contegno e lasciandosi andare ad un comportamento bizzarro, - ho intuito una sola cosa: che lei, signorina Jameson, pur essendo molto intelligente e provata, guarda gli indizi solo da una prospettiva.»
Rosamund sembrò infastidita dall’affermazione e corrugò la fronte. «Non capisco.»
«Non capisce, appunto. – ripeté Abraxas, stavolta freddo. – Lo si legge tra le righe. Ha taciuto il nome perché voleva tacerlo, signorina Jameson.»
«In che senso?»
«Chiunque abbia scritto la lettera ha un forte legame affettivo con l’assassino. Lo teme e lo ama.»
«A me sembra che lei si discosti troppo dal significato letterale. – ingiunse immediatamente Rosamund. – Non è vero che guardo gli indizi solo da una prospettiva. Avevo considerato la sua ipotesi, signor Malfoy. Ma…»
«E poi… chi conosce il suo indirizzo? Perché recapitarlo a casa sua e non al Ministero?»
«Non è poi così complicato scoprire dove abito! – disse l’Auror. – Sarebbe bastato chiedere in giro al Ministero, rubare un mio biglietto da visita.»
«Questo non ha senso! – replicò Malfoy. – Ciò significa che l’autore della lettera si sarebbe dovuto recare prima al Ministero per chiedere un biglietto da visita, poi a casa sua. E allora perché non lasciare la lettera al Ministero direttamente?»
Rosamund si accigliò. «E’ innegabile. Eppure… chi, in questa casa, conosce il mio indirizzo?»
«Megan ed io.» rispose Abraxas con serietà.
«Anche qui stiamo guardando tutto da una sola prospettiva. L’autore della missiva non dice di abitare a Malfoy Manor. Per quanto ne so, balordo esempio per intenderci, signor Malfoy, persino Patrick potrebbe aver scritto questa lettera.»
Per qualche strano motivo calò un greve silenzio.


Laureen e Juliet Gena erano state ad origliare la discussione di Abraxas e Rosamund. Le mura del salotto, molto sottili, permettevano al suono di passare. Mentre giocavano a scacchi, commentavano la missiva recapitata all’Auror.
«Megan. Non c’è altra spiegazione.» disse Laureen.
«E chi sarebbe l’assassino, dunque?»
«Chiunque potrebbe esserlo. Ho sempre saputo che si nascondeva al Manor. Non è una novità.»
«Bah… Secondo me il maggiordomo, tipo un tantino losco e… - S’interruppe bruscamente. – Hai sentito? Si direbbe il campanello.»
In effetti uno scampanellare petulante si era spanso per la villa.
Juliet scattò in piedi, rovesciando, non proprio inavvertitamente, le pedine degli scacchi. Sottovoce Laureen commentò: «Strano che siano caduti i pezzi prima della mossa con cui avrei sancito la mia vittoria, Juliet.»
Ma la vecchia non la udì. S’era avvicinata alla finestra e guardava oltre i vetri. Il vicino di casa dei Malfoy stava riportando a casa l’elfo Maky.
«Niente di importante. – commentò. – Solo quello sciocco elfo innamorato…»
Quelle parole echeggiarono nella mente di Laureen.
Solo quello sciocco elfo innamorato…
Sentì la mente aprirsi a orizzonti di sospetto che non aveva mai considerato.


La grande casa dei Lockhart era una vecchia magione al confine della contea. La facciata piena di crepe e il tetto color oricalco erano memori di un antico splendore. Non c’erano che due finestre, oltre le quali si intravedevano tendine arancioni ed un ampio salone. Rosamund avanzò con decisione fino alla porta d’ingresso. Dopodiché diede tre colpi ai battenti.
Passarono venti secondi grevi e carichi di un soffocante silenzio, in cui l’Auror si diede una rapida aggiustata alla fluente chioma e assunse un’aria di professionalità.
«Chi è?» rispose all’improvviso una voce roca che sembrava fuoriuscire da una cupa spelonca.
«Rosamund Eustacia Jameson. – disse l’Auror. – Ufficio ministeriale dell’applicazione Legge sulla Magia.»
Nessuno aprì la porta, ma si fece udire ancora il suono gutturale di pochi istanti prima.
«Cosa desidera?»
«Vorrei scambiare quattro chiacchiere con un qualunque parente di Cynthia Lockhart. E’ una questione molto importante.»
La porta fu lentamente schiusa e cigolò sui cardini, aprendosi su un atrio lungo e tappezzato. Un vecchio ricurvo con un grosso bastone intarsiato la osservò dal basso in alto. Rosamund fu tentata di abbassarsi per dargli la mano, ma le parve un gesto umiliante per l’anziano uomo, che sembrava aver passato la novantina e non essere del tutto contento del proprio aspetto.
«Si accomodi.» sillabò con voce roca, indicando un grande salone sfarzoso.
Rosamund prese posto su una poltrona. Lockhart sedette dinnanzi a lei e la guardò in segno d’aspettativa.
«Dunque, - esordì l’Auror, - sono qui per una faccenda piuttosto complicata. Passo subito al sodo. Conosce Adolar Malfoy?»
«Il vecchio Adolar? Ma è naturale. Non ho mai incontrato persona più spregevole.»
«Suppongo che non le sia giunta voce di quello che è accaduto tempo fa a Malfoy Manor. Il figlio maggiore di Adolar Malfoy, Lysiart, è stato brutalmente assassinato nella stanza delle armi.»
«No. Non lo sapevo, e mi rincresce. – disse l’uomo con pacatezza. - Ma io che c’entro in tutta questa faccenda? Si figuri che non avevo mai sentito nominare questo tale.»
«Lei non c’entra nulla, direttamente. Ma sua figlia Cynthia potrebbe essere stata invischiata in una faccenda che…»
«Mia figlia Cynthia è morta nel 1918, signorina Jameson!» sbottò l’uomo, accalorandosi.
«So quando è morta sua figlia. Lasci che finisca il discorso. – rispose Rosamund. – Adolar Malfoy, nel suo testamento, parla di un figlio illegittimo avuto da una certa C.L., di cui non conosciamo l’identità. Questo figlio illegittimo avrebbe avuto tutti gli interessi per far fuori Lysiart e la moglie di lui, Rachele, anch’ella morta in circostanze misteriose, forse per suicidio, forse per omicidio. Togliendo di mezzo tutti gli eredi di Adolar, il figlio illegittimo erediterebbe un’enorme patrimonio da Adolar Malfoy.»
«Mi perdoni. Prescindendo dal fatto che ancora non capisco dove voglia parare, ho l’impressione che stiate puntando l’attenzione su questo figlio illegittimo, che tra l’altro, lo ribadisco, non ha niente a che vedere con mia figlia, solo perché non ne conoscete l’identità. Non potrebbe essere stato un altro fra i figli di Adolar ad ucciderlo? Ne aveva un secondo, o sbaglio?»
«Abraxas, sì. Sposato con Megan Malfoy. Le assicuro, signor Lockhart, che non li stiamo escludendo dalle indagini.»
«Bene. Adesso cosa vuole che le dica? Mia figlia non ha mai avuto rapporti con Adolar Malfoy. A stento lo conosceva, credo. Era più giovane, e morì nel 1918, come le accennavo, per consunzione. Ha vissuto un lungo periodo di deperimento, povera figlia. Vomitava sangue, era pallida e non voleva mangiare. Nessuna cura riuscì a strapparla dalle braccia della morte. Morì a diciotto anni.»
«Dove visse dal 1915 al 1918?» domandò Rosamund.
«Rimase qui. Ma era una ragazza strana. Non usciva, sognava un miracolo che mai avvenne. E poi la malattia la stroncò e si arrese. Le assicuro che l’ultima cosa che avrebbe fatto sarebbe stata diventare l’amante di Adolar Malfoy. Mi meraviglio che l’abbiate potuto pensare, voi del Ministero.»
«Non sapevo della malattia di sua figlia. – rispose Rosamund. – E non possiamo escludere alcun sospetto.»
Si alzò. «E’ meglio che vada. Sono sulla pista sbagliata.»
«Arrivederci.» esclamò freddamente il signor Lockhart.
Con un’occhiata Rosamund immortalò l’immagine impressa in un foglio di carta consunta, posto all’interno di un portafotografie. E prima di uscire, domandò: «Era quella sua figlia?»
«Sì.» disse l’uomo, e nella sua voce Rosamund lesse una nota falsamente triste.
Scosse la testa, dicendosi che s’era sbagliata, e riprese il sentiero da cui era venuta.


Abraxas si recò alle tre in punto nella camera di suo padre. Il pranzo era finito e gli abitanti del Manor sonnecchiavano. Solo Hilda continuava a trafficare alacremente attorno ad un oceano disordinato di boccette e intrugli.
«La vedo tesa. – esordì Malfoy. – Cosa c’è?»
«S-suo padre, Abraxas… Abraxas Malfoy.» rispose Hilda senza curarsi delle parole che diceva, mentre tirava fuori da un cassetto un calmante.
«Mio padre cosa?» domandò Abraxas.
«Suo padre si è sentito poco bene.» e gli somministrò il calmante goccia a goccia.
«Non capisco. E’ successo qualcosa?»
«Semplicemente quello che le ho detto! – rispose l’infermiera. – Sembra abbattuto e stanco.»
«Sarà meglio che gli controlli la pressione e il battito cardiaco.» rispose Malfoy, mobilitandosi.
«Ma no, no, è tutto sistemato! – assicurò Hilda, che sembrava tuttavia in una tremenda apprensione. – Desidera qualcosa di preciso, signore?»
«No, ero passato per accertarmi che andasse tutto bene.» rispose Abraxas accigliato.
«Oggi sono un po’ fiacca. Mi sono svegliata all’alba e ho lavorato senza sosta.» spiegò l’infermiera.
«L’ho notato. Non era abituata a lavorare tanto in Irlanda?»
«In Irlanda? Dagli O’Connor?»
Abraxas la guardò negli occhi, serio, poi annuì, ripetendo: «Sì. Evidentemente voi irlandesi non siete così attivi come noi.»
«No, i miei genitori mi davano da fare, veramente. E ho studiato per molto tempo. Per cui…»
«Capisco.» disse Abraxas, annuendo pensieroso.
«Ci sono risvolti? Ho visto la signorina Rosamund poco fa.»
«Sulla faccenda del diario niente. Non c’è traccia dell’individuo misterioso. Ma è stata recapitata direttamente alla Jameson una lettera.»
«Lettera? Che lettera?» chiese Hilda agitandosi.
«Qualcuno afferma che l'assasino si trova dentro le mura.»
«Santo Cielo! Dentro le mura? Nonostante potessimo immaginarlo, sentirlo ribadire è spaventoso!»
Abraxas annuì.
«Ma chi ha scritto la lettera? Non si deduce dalla grafia?»
«Semplici ritagli di giornale.» disse Abraxas.
«Vuole dire che…?»
«Chi sarebbe stato così sventato da scrivere a mano?»
«Comprendo la questione. Beh, mi faccia sapere quando… se… ci saranno risvolti, è importante che…»
«Glielo farò sapere. – disse Abraxas graniticamente, interrompendo il flusso disordinato di parole che fuoriuscivano dalle labbra di Hilda. – Vado a controllare che Zephyrus MacNiemand sia ancora vivo nel suo tugurio.»
«Ah, il bibliotecario. – Hilda sembrava ancora irrequieta. – Zephyrus, giusto?»
«Vado al piano superiore.» disse Abraxas.
«Le farò sapere se il signor Malfoy avrà bisogno d'aiuto.»
«Va bene.» rispose il padrone di casa, mentre usciva.
Quando fu nel corridoio si imbatté in Megan.
«Che fai? – le domandò con ironia e disprezzo. – Adesso ti sei messa a spiarmi?»
«Certo che no. Stavo passando di qui.» rispose Megan sdegnosamente.
«Stavi passando di qui e casualmente ti sei fermata ad origliare?»
«Ma non ho origliato!»
«Eri ferma quando sono uscito dalla stanza. Stavi origliando. E’ bene che la smetta con questo comportamento puerile, Megan. Non sai quanto mi irriti. Questa è la mia ultima parola.»


Dopo il primo pomeriggio Laureen, Juliet e Megan si affacciarono alla balaustra e fecero spaziare lo sguardo sulla sterminata brughiera. Lungo il sentiero che si insinuava fra i poggi lontani, splendenti di luce variopinta e costellati di rododendri, ginestre paglierine e gracili alberelli, due donne ridevano andando al galoppo. Avevano vistosi copricapo simili a quelli delle cavallerizze ed un appariscente abbigliamento sportivo.
Le tre donne le osservarono proseguire nella strada ghiaiosa. Laureen e Megan si lanciavano spesso occhiate di disappunto. Lo zefiro primaverile le carezzava dolcemente.
«Quella, se non vedo male, è sua figlia Ester.» disse all’improvviso Megan, rivolta a Juliet.
La vecchia indirizzò lo sguardo verso una delle due cavallerizze, quindi esclamò: «Ho lasciato gli occhiali di là. Laureen, tu che ne dici?»
«Penso che sia lei.» rispose Laureen.
«Aveva un completo da maestra di equitazione.» ammise Juliet.
«Comunque lo scopriremo presto. Si stanno avvicinando.»
E in effetti le due donne proseguivano ad andatura sempre più veloce. Quando furono a qualche iarda da Malfoy Manor, passarono al trotto e si fermarono dinnanzi alla cancellata.
«Ester!» gridò Juliet, agitando la mano.
La ragazza rispose con un cenno, poi disse alla compagna: «Sono lì, Cordelia.»
«Qualcuno apra!» disse Laureen, togliendosi lo scialle e ripiegandolo.
«Vado io.» rispose Megan con una punta di molestia nella voce.
Qualche minuto dopo, Ester e Cordelia si erano unite alle tre donne di Malfoy Manor. Sedettero nel salottino estivo, dove Megan preparò la tisana alle erbe aromatiche che somministrò agli ospiti, ignorando la loro palese riluttanza. Ester, leggermente china sul busto, parlava alla madre centellinando il decotto. Laureen e Cordelia avevano intavolato una discussione sulla galanteria di certi uomini stabilitisi oltre la proprietà degli Smithson.
«Quello sì che è un luogo come si deve. – disse Laureen. – Ci sono passata davanti tante volte, è sulla strada che porta al villaggio. Il resto della popolazione che abita il circondario è di cattiva specie. Gli uomini, ai miei tempi, erano molti più cortesi e garbati. Si è perso anche quel briciolo di romanticismo che c’era un tempo. Voglio dire… quando penso al mio primo appuntamento con l’uomo che poi rifiutai, mi sembra di rivivere un sogno strano. In compenso la vita di oggi è più comoda.»
Megan si accasciò stancamente vicino a Cordelia, facendo saettare gli occhi da una donna all’altra e interrompendo all’istante la discussione.
«Avete sentito della lettera?» domandò a Juliet e Laureen.
«La lettera recapitata alla Jameson? – disse Juliet. – Sì.»
«Di che si tratta?» chiese Ester, incuriosita.
«Novità sull’omicidio di Lysiart. Qualcuno ha scritto all’Auror che l’assassino si trova a Malfoy Manor.»
«Scommetto che abbia suscitato un certo scalpore. Ma se così non fosse?» chiese Ester, mettendo per la prima volta in dubbio una verità considerata assoluta.
«Che intendi dire?» chiese Laureen.
«Se, cioè, colui che ha scritto la lettera fosse l’assassino in persona e abbia avuto l’intento di sviare le indagini?»
«Una tesi interessante! Ci si potrebbe fare un dibattito.» commentò Juliet.
Calò il silenzio.
«Cenate qui, vero?» chiese Megan, che frattanto aveva messo nell’acquaio le tazzine vuote.
«Non abbiamo altri impegni. – disse Ester. – Io parto fra qualche giorno per il Giappone. Ho deciso di continuare la specializzazione immediatamente. Ogni giorno perduto è un passo indietro.»
«Sono già le sei.» disse Laureen.
«Ed io non ho ancora mangiato la mia mela.» completò Megan.
Le parole della raffreddarono l’atmosfera.
«Ha delle fissazioni.» spiegò in un sussurro Laureen all’orecchio di Cordelia.
«Non sono fissazioni. Una mela al giorno leva il medico di torno. E quando mi sono ammalata fino ad oggi? Da che sono sposata, appena tre volte.» e addentò una mela dall’aspetto succoso.
«Comunque, ne approfitto per mostrare ad Ester una sciarpa primaverile che ho comprato.» disse Juliet, alzandosi.
«Non affaticarti, mamma. Puoi sempre mostrarmela più tardi.»
«Ma quale fatica!» esclamò la vecchia, e uscì dalla stanza.
«Con permesso.» disse Ester, seguendola.
Laureen guardò attentamente Cordelia, senza preoccuparsi di metterla a disagio. La ragazza si sedette più compostamente sulla panca di vimini.
«Un bel torneo di scacchi per allenare la mente?» propose Megan.
«Proprio non ne ho voglia.» disse Laureen.
«Tu?»
«Io… va bene, vada per una partita! Ma non sono molto ferrata!» disse Cordelia, sorridendo cordialmente.
Megan prese una scacchiera di vetro. Laureen le osservò giocare fino a che non si fece sera e andarono a cena. Le ore passarono velocemente e nella più tranquilla maniera possibile. Ma c’era qualcosa, nell’aria, che faceva presentire una catastrofe imminente, e i convitati, alla luce dei doppieri nella grande sala da pranzo, non poterono ignorarlo.


Il campanile del villaggio sancì tre rintocchi e poi tacque. Non si udiva alcun rumore fuori da Malfoy Manor fuorché il sibilare del vento fra i cespugli e lo strusciare di scoiattoli ed ermellini sulle foglie sgretolate che tappezzavano le radure. I corridoi della grande casa erano deserti. Era una notte quieta, eppure sembrava che uno spiritello si aggirasse silenziosamente per gli androni, trapassando i muri e urlando tacite parole.
Uno degli abitanti non dormiva sonni tranquilli. Continuava a rigirarsi nel letto, sotto le coperte che sembravano arroventate. La sua fronte era imperlata di sudore, sulle sue labbra andavano a morire frasi sconnesse e tormentose. Il suo viso era una sfera di pallore e, nelle tenebre notturne, appariva quasi fosforescente. Stava sognando. Era l’incubo peggiore della sua vita, forse il peggiore che uno degli abitanti del Manor avesse mai fatto.
La figura dormiente scorgeva nel sonno demoni ghignanti che danzavano, tenendosi per mano, attorno al suo cadavere sbrindellato. Un fuoco ardeva sulla salma. Sembrava un rito spiritico, l’invocazione di una natura incorporea. D’improvviso, parole forti e potenti echeggiarono nella sua mente con forza parossistica: «NON VEDRAI IL PROSSIMO TRAMONTO!»
La figura si svegliò di soprassalto, ansimante e trafelata, e seppe che quel sogno angoscioso era profeta d’un’atroce realtà che si sarebbe presto rivelata.


Ecco qua un altro capitolo!
Un grazie particolare a

Moony Potter: Grazie mille come sempre per la tua bella recensione. Siamo contenti che tu riesca ad apprezzare il modo in cui stiamo portando avanti la storia tra Abraxas e Charlotte. Sappici dire cosa ne pensi di questo nuovo capitolo!

Un grazie a chi ha messo la storia tra i preferiti e a chi legge soltanto.

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Capitolo 17
*** Capitolo XVII ***


Capitolo XVII

L'alba presentò un cielo nuvoloso ed una temperatura nettamente inferiore rispetto al giorno precedente. Molti nella grande casa dormivano, ma c'era chi già vegliava. Una luce filtrava dalla finestra della stanza del vecchio Adolar, dove Hilda vegliava l'uomo immerso in un sonno agitato. La donna si tormentava le mani intrecciate in grembo, afferrando a volte la camicia da notte. Di tanto in tanto rabbrividiva, forse per l'aria fresca che filtrava dalle finestre, forse per delle cause nascoste nel profondo dell'animo.
Si alzò in piedi e poggiò una mano tremante sulla fronte dell'uomo addormentato, accarezzandogli appena i capelli, poi la scostò di scatto, scuotendo il capo, come se qualcosa l'avesse improvvisamente spaventata. Si alzò dalla sedia e si avvicinò piano alla finestra. Tutto era silenzioso fuori, mentre il cielo rischiarava lentamente, rendendo ancora più vivide le nubi grigiastre, che oscuravano quasi del tutto l'azzurro del cielo. Sospirò appena, poi tornò a sedersi, apparentemente più tranquilla.
Al piano superiore dell'antico edificio, su un altro lato, un'altra donna non riusciva a chiudere occhio. Laureen Mallory era inquieta, già vestita, come se fosse pronta per uscire, nonostante fosse presto. Era seduta su una sedia, posta davanti ad un piccolo tavolo da toeletta. Quando era più giovane, una decina di anni prima, amava passare del tempo lì davanti per compiacere la propria vanità femminile, sebbene, già all'epoca, fosse ben cosciente che l'aspettava un destino da zitella. Certo, aveva avuto i suoi corteggiatori, in fondo era e rimaneva una bella donna, ma essere la cugina povera dei Malfoy di certo non aiutava molto.
La donna scosse il capo, sbuffando appena, scacciando quei pensieri dalla mente, poi si alzò, lisciandosi appena la gonna ed uscì dalla propria stanza. Le finestre che davano sul corridoio mostravano appieno il cielo bigio e le nuvole cariche di pioggia. Laureen si chiese quando mai sarebbe iniziato a piovere. Scosse appena il capo, poi prese a camminare lentamente, spinta da qualcosa che nemmeno lei riusciva a comprendere, si diresse verso la stanza delle armi. Tutto appariva tranquillo all'interno, ma quella collezione di spade e carabine non aiutava a dimenticare il cadavere di Lysiart al di sotto della stampa raffigurante un gelsomino in fiore. Si strinse appena nelle spalle, proseguendo spedita, senza notare che qualcosa era cambiato nella posizione del signore di Mictlan.
Una volta uscita, attraverso rapidamente l'anticamera per poi ritrovarsi nel lungo corridoio sul quale si aprivano le tre camere degli ospiti. Erano tutte occupate, dopo che la sera precedente si era deciso che Ester e Cordelia avrebbero dormito al Manor, dato che si era fatto tardi. Soltanto da una di queste, però, notò Laureen filtrava una luce. Ed era la camera della più giovane delle due Hayward, cosa che le risultò quanto mai strana. Se avesse dovuto pensare ad una delle ospiti desta alle prime ore del mattino, Juliet sarebbe stata la prima a cui avrebbe pensato.
Si avvicinò leggermente alla porta, da cui le era sembrato provenire un rumore, ma non fece in tempo a fare altro. Un urlo agghiacciante perforò l'atmosfera quieta delle prime ore del mattino. Prima che Laureen potesse fare qualche passo verso le scale che conducevano al primo piano, da cui sembrava esser provenuto lo strillo, Ester si precipitò fuori dalla stanza, accompagnata da Cordelia.
«Cosa è avvenuto?» chiese quest'ultima, rabbrividendo leggermente, stringendosi nella vestaglia color pastello che portava sopra la camicia da notte.
«Non ne ho idea.» disse semplicemente la donna più anziana.
Mentre le due donne stavano parlando, Ester era già sopravanzata nel corridoio, camminando rapidamente, cosa che ben presto fecero Laureen e Cordelia, senza rendersi conto che Juliet si era affacciata sulla porta della propria stanza, con i capelli raccolti in una retina ed un'improbabile vestaglia gettata sopra la camicia da notte. Alla vecchia non restò che arrancare, appoggiandosi al bastone, alle loro spalle.
Il gruppo di donne, raggiunse, chi più rapidamente, chi meno, il corridoio del primo piano, dove trovarono Hilda O'Connor che si tormentava le mani, in piedi, davanti alla porta della stanza del vecchio Adolar. Ester e Cordelia furono le prime a raggiungerla. L'infermiera quasi sobbalzò nel vederle, nel notare poco più distanti Laureen e Juliet.
«Il grido…dalle camere dei signori Malfoy…» balbettò solamente, di fronte agli sguardi interrogativi delle nuove venute.
Cordelia si fermò leggermente a disagio, fissando la porta che Hilda aveva indicato tremando. Si sentiva assolutamente fuori luogo in quel momento, in una casa dove era stato assassinato un uomo e dove qualcuno urlava alle prime ore del mattino. Fu Laureen la prima a rompere l'immobilità, dirigendosi spedita verso l'anticamera che immetteva negli appartamenti di Abraxas. Al di là della porta si sentivano chiaramente le urla di un litigio e il pianto di un bambino. La cugina povera dei Malfoy, seguita da Juliet ed Ester si avvicinò all'uscio, iniziando ben presto a cogliere le parole scambiate nell'altra stanza.
«Sono stanco delle tue storie su quello spettro, Megan - stava dicendo Abraxas Malfoy, palesemente alterato, di una rabbia fredda - Nemmeno questa volta sono stato in grado di vederlo, nonostante le tue urla. Non hai ottenuto altro che svegliare Lucius.»
«Tu non mi credi, perché non mi vuoi credere. - ribatté la donna istericamente - in quanto a te ragazza, tornatene di là con mio figlio. Non voglio vederti qua a godere della mia lite con mio marito.»
A Laureen non sfuggì che Megan stava rimarcando la parola mio ogni qualvolta la pronunciava. Ed in fondo riusciva anche a comprenderne i motivi. Ciononostante si trovava ad essere in perfetto accordo con Abraxas riguardo al misterioso spettro di cui la donna parlava da qualche tempo a quella parte.
«Signora Malfoy, io non…»
«Stia zitta, signorina Zurrey.»
«Stai zitta tu, Megan - intervenne duramente Abraxas - Sei unicamente in preda ad una crisi isterica, che non fa altro che agitare Lucius.»
Ester e Juliet si lanciarono un'occhiata stranamente soddisfatta, mentre Laureen si avvicinò ulteriormente alla porta, aprendola con fare deciso. Considerando la rabbia che traspariva dalle parole del cugino, preferiva entrare all'improvviso nella sua camera piuttosto che essere sorpresa ad origliare all'esterno. Le due Hayward accolsero l'iniziativa con un certo disappunto, ben presto mascherato.
Fu l'uomo il primo ad accorgersi delle nuove venute, forse unicamente perché era l'unico voltato verso la porta. Le squadrò con fare indagatorio, attendendo che una di loro spiegasse la sua presenza nella sua stanza. «Abbiamo sentito un grido e siamo accorse immediatamente. Anche Cordelia e l'infermiera si sono destate.» spiegò rapidamente Laureen.
«Non c'è nulla da vedere. Mia moglie ha visto uno spettro, o almeno così dice.» rispose sbrigativamente l'uomo. Megan si voltò verso le donne, il volto pallido e spaventato, ma allo stesso tempo colmo di un sentimento di profonda ira e disgusto, che riversò su Charlotte, quando incrociò la sua figura, poco distante dal marito, prima di focalizzare le due Hayward e Laureen.
«Credo che tu abbia bisogno della tua tisana. - propose improvvisamente Juliet, mentre con gli occhi acidi, fissava uno ad uno i presenti, soffermandosi più lungamente su Abraxas e Charlotte, che teneva un Lucius agitatissimo e in lacrime, tra le braccia - Non hai un bell'aspetto.»
«Juliet ha ragione, Megan - disse Abraxas, gli occhi che dardeggiarono sulla moglie - Vai con lei. E pregherei anche voi altre signore di uscire. Come potete notare mio figlio è agitato.»
La moglie dell'uomo non poté far altro che annuire. Non aveva nessuna intenzione di fare una scenata davanti a quelle tre impiccione, che avrebbero unicamente riso alle sue spalle, anche se avrebbe avuto una gran voglia di dire ad Abraxas quello che pensava, di urlargli in faccia che le stava facendo uscire unicamente per rimanere insieme a quella gatta morta di Charlotte Zurrey.


Nel corso della prima metà della mattinata, ogni cosa parve tornare alla normalità. Lo spettro venne rapidamente dimenticato dai più, ci fu chi vi pensò più a lungo dicendosi che era soltanto frutto della mente di Megan Dippet in Malfoy, vi fu chi giunge a credere che invece la donna vedesse veramente uno spettro. Il cielo, contrariamente alle aspettative di Laureen, non aveva ancora riversato sulla terra una sola goccia di pioggia, pur rimanendo coperto di nubi grigie. Contrariamente alle aspettative di tutti una persona giunse a Malfoy Manor intorno alle dieci e mezza. Fu Green ad accoglierla, dal momento che Megan era rintanata in camera sua.
«Oh, signorina Zurrey, è lei - disse l'uomo, riconoscendo Ottilia - Sua sorella non ci aveva avvertito di una sua visita.»
«Ad essere sincera, mia sorella non sa che sono venuta a trovarla. - rispose la giovane donna, mentre entrava nell'imponente ingresso della magione - Mi trovavo per delle commissioni nelle vicinanze della villa ed ho pensato di venire a parlare un poco con Charlotte, sempre che questo non sia un disturbo.»
«Credo di no, sempre che i signori non dicano qualcosa di diverso - rispose affabile il maggiordomo - ma non vedo perché non dovrebbero farla parlare con sua sorella, considerando anche come si occupa bene del bambino.»
«Immagino sia con lui, in questo momento.» constatò Ottilia.
«Sì, vi accompagno. Credo che siano nella camera dei giochi.» disse semplicemente l'uomo.
La giovane donna lo seguì lentamente su per le scale, raggiungendo ben presto il secondo piano dell'edificio. Percorsero il corridoio, fino a che non si fermarono davanti ad una porta. Green bussò leggermente, ma non ricevendone risposta l'aprì. All'interno non c'era traccia né di Charlotte, né del piccolo Lucius.
«Forse sono ancora nella stanza del bambino. - disse il maggiordomo, corrugando appena le sopracciglia - Eppure sono certo di aver visto sua sorella uscire.»
«Ti sbagli, Laurence - disse improvvisamente una voce alle loro spalle, facendo sobbalzare appena Ottilia, che si voltò di scatto, inquadrando Laureen - Ho visto la signorina Zurrey andare in giardino, con il bambino in braccio. Credo si sia diretta verso il lato meridionale del parco. Certo con il tempo che minaccia di fare oggi…spero che abbia preso con sé un ombrello.»
«Mia sorella non è una sprovveduta.» intervenne Ottilia, mordicchiandosi subito dopo il labbro inferiore, per la sua avventatezza.
«Forse, signorina, forse.» sentenziò semplicemente Laureen, allontanandosi rapidamente da loro. Per diverso tempo Ottilia e Green rimasero immobili, il maggiordomo fissando lo sguardo sulla figura della maggiore delle Zurrey, la giovane rimuginando sulle motivazioni che l'avevano spinta a recarsi a Malfoy Manor. Fu l'uomo il primo a riprendersi, prendendo a guidare la donna, in modo da tornare nuovamente nell'atrio di ingresso.
«Credo che sua sorella possa essere andata presso il laghetto con le ninfee. È uno dei luoghi più belli del giardino e decisamente meno cupo della villa. - ipotizzò Green non appena si trovarono all'aria aperta - O forse nel piccolo padiglione lì accanto.»
«Ad essere sincera, temo che non riuscirei mai ad orientarmi in un giardino così immenso, tanto da contenere un padiglione e delle rovine.» commentò Ottilia.
«Effettivamente il parco della magione è immenso. Più spostato rispetto al laghetto con le ninfee e al rispettivo padiglione c'è anche un padiglione cinese, fatto costruire da un componente piuttosto eccentrico della famiglia Malfoy, quasi due secoli fa. So che il vecchio Adolar voleva farlo abbattere, ma il figlio maggiore si è sempre opposto, diceva che è un luogo poetico, con quelle canne di bambù vicine ad uno stagnetto, con accanto fiori orientali.»
«Deve essere un luogo affascinante.» disse la giovane, domandandosi per quale assurdo motivo il maggiordomo le stesse rivelando tutte quelle informazioni.
Quel che rimaneva del cammino fu percorso in assoluto silenzio. Ottilia ne approfittò per guardarsi intorno, per osservare incantata il laghetto con le ninfee e la piccola macchia d'alberi poco più lontana, verso la quale Green la guidò. Un piccolo sentiero sterrato attraversava la verzura, conducendo ad un piccolo edificio, dalle forme rococò, di un solo piano, con un'ampia porta bianca rivolta verso di loro e finestre ombreggiate da tende dai colori pastello, come notò la giovane, quando furono più vicini. Il maggiordomo si avvicinò, osservando con attenzione l'edificio.
«C'è accesa una luce all'interno. Sua sorella deve essere in quella stanza. - l'uomo fece una breve pausa - Vuole che l'accompagni?»
«Non si preoccupi, signor Green. Immagino che abbia tante mansioni da svolgere.» disse rapidamente Ottilia. «Allora la saluto, signorina. - l'uomo si allontanò di un passo, prima di voltarsi - La stanza dove si trova sua sorella ha la porta subito a destra dell'ingresso.»
La giovane annuì e con passo rapido si diresse verso la porta bianca, l'aprì e si ritrovò in un piccolo ingresso, su cui si aprivano due usci e su cui campeggiava un bel ritratto magico di una dama bellissima in abiti settecenteschi, che fissò per un istante curiosa Ottilia, prima di farle segno con un dito della mano di stare zitta. La giovane per qualche istante non comprese per quale motivo la dama ritratta, una qualche antenata di Abraxas Malfoy, con ogni probabilità, la stava invitando al silenzio. Poi udì due voci provenire dalla stanza posta sulla destra. Si avvicinò piano e si pose in ascolto, in un primo momento per accertarsi che una delle due fosse quella della sorella, poi perché la curiosità, la preoccupazione per quello che stava accadendo a Lotte, la investirono, impedendole di muoversi.
«È tutto così tremendamente sbagliato. - stava dicendo in quel momento Charlotte, la voce soltanto leggermente soffocata dall'uscio - Lo sappiamo entrambi e…forse sarebbe meglio tornare indietro, prima di quella sera…ma non credo di potere…eppure mi sento così colpevole, Abraxas.»
«Non dovresti, Lotte. - intervenne l'uomo, mentre Ottilia si chiedeva fino a che punto lui e la sorella si fossero spinti. - Non pensare che non capisca le tue ragioni, ma ti ho già spiegato ogni cosa.»
«Lo so. - disse in risposta la giovane, andando avanti e indietro per la stanza. Il rumore delle scarpe sul marmo era perfettamente udibile - Eppure c'è qualcosa di così tremendamente sbagliato in quello che stiamo facendo.
» «Sì, c'è, forse Eppure non possiamo più tornare indietro. - la voce dell'uomo si spense per diversi istanti. Odiandosi per quello che stava facendo, per essersi abbassata ad origliare sua sorella, Ottilia si chinò fino a che non trovò la serratura. Non vi era alcuna chiave infilata nella toppa. In quel momento lo scorcio di stanza che poteva vedere era completamente vuoto, ma poco dopo intravide la figura della sorella che sembrava indietreggiare appena, fino a fermarsi, alzando il capo verso Abraxas Malfoy, che doveva trovarsi poco distante da lei - È qualcosa di impossibile.»
«Sì, è impossibile - rispose di rimando Charlotte, rimanendo immobile - Eppure ho paura, Abraxas. Se qualcuno ci scoprisse…già tua moglie sospetta»
«Non devi temere di questo, Lotte. E men che meno devi temere di Megan.» rispose prontamente l'uomo, palesandosi alla vista di Ottilia.
La giovane rimase ancora qualche istante in attesa, mentre i due occupanti della stanza si avvicinavano sempre di più. Si alzò di scatto, mordicchiandosi il labbro inferiore incerta. Una parte di lei avrebbe voluto andarsene, lasciar perdere Charlotte, ma sapeva che le sarebbe stato impossibile, era sua sorella, l'amava, anche se dal suo punto di vista si stava cacciando in un guaio di dimensioni enormi. Sospirò appena, poi bussò lievemente alla porta, attirandosi un'occhiataccia dalla dama nel quadro.
Passò diverso tempo, prima che qualcuno venisse ad aprire. Ottilia quasi sobbalzò di fronte allo sguardo del padrone di casa, che pareva volerle leggere nel più profondo nell'anima, tanto da farle abbassare il capo.
«Oh, è lei Ottilia - disse l'uomo celando un leggero senso di sollievo - La prego, entri. Immagino sia venuta per parlare con sua sorella.»
«Sì, signor Malfoy. - rispose, riuscendo a mostrarsi calma la giovane donna - È stata Laureen Mallory a dirmi di aver visto Lotte nel parco. Il signor Green è stato così gentile da accompagnarmi fino a questo padiglione.» spiegò rapidamente, mentre entrava all'interno di una stanza di medie dimensioni, dalle pareti affrescate con temi di carattere pastorale e agreste, ritraenti per lo più pastorelli e pastorelle in abiti settecenteschi, intenti a scambiarsi promesse d'amore, in un insieme che agli occhi di Ottilia apparve piuttosto stucchevole, soprattutto se messo a confronto con le mura cupe della magione dei Malfoy.
Charlotte stava in un angolo con il bambino in braccio. La sorella pensò che l'aveva probabilmente afferrato mentre Abraxas stava venendo ad aprire la porta, in modo da non destare sospetti in chi fosse entrato. Quello che la colpì maggiormente in quel momento era la calma che Lotte ostentava, una calma simulata in un modo di cui mai l'avrebbe ritenuta capace. Soltanto in un secondo momento notò come il modo in cui teneva serrate le labbra fosse tutt'altro che naturale.
«Ottilia - disse la bambinaia, avvicinandosi rapidamente alla sorella, facendo uno sforzo incredibile su se stessa per non arrossire - non mi aspettavo di vederti così presto.»
«Mi trovavo nelle vicinanze di Malfoy Manor ed ho pensato di venirti a trovare, spero che per lei non sia un problema, signor Malfoy.» mormorò la giovane, passando lo sguardo dalla sorella, all'uomo, che aveva chiuso la porta alle sue spalle e che si era avvicinato a loro, continuando ad osservarla con attenzione.
«Assolutamente. La sua presenza è sempre gradita al Manor. - l'uomo fece una breve pausa, scoccando un'occhiata fin troppo intensa a Charlotte - Immagino che si fermerà a pranzo. Sono certo che a sua sorella non potrà che fare piacere.»
«Accetto più che volentieri l'invito.» disse la giovane donna, abbozzando un sorriso.
«Perfetto. Vado a dare disposizioni in cucina. - si interruppe, poi si avvicinò alla bambinaia - Dia pure a me Lucius, lo porterò con me al Manor. - mentre prendeva in braccio il piccolo, avvicinò le labbra all'orecchio della ragazza, sussurrandole qualcosa che Ottilia non riuscì assolutamente ad afferrare, ritrovandosi fin troppo presto a fissare gli occhi grigi dell'uomo - Ottilia, Charlotte.» le congedò, allontanandosi rapidamente.
Quando le due giovani rimasero sole, cadde un silenzio profondo e avvolgente su di loro. Nessuna delle due pareva intenzionata a fare la prima mossa. Charlotte aveva distolto lo sguardo da Ottilia e, persa quella calma apparente, aveva iniziato a fissare con intensità il pavimento. Quanto alla sorella maggiore stava cercando le parole giuste da rivolgere a Lotte, senza farle capire che aveva spiato parte della sua conversazione con Abraxas.
«Sono felice di vederti, Ottilia - disse infine la più giovane delle due, senza guardare la sorella negli occhi - Hai lasciato Timothy dalla mamma?»
«Sì, come sempre. Forse oggi pomeriggio lo andrà a prendere Patrick perché possa stare un po' con lui. - spiegò Ottilia, con un'espressione leggermente triste. - A volte non ho molto piacere che venga a vedere Timothy, ma mio figlio ha anche bisogno di vedere suo padre, per quanto vorrei non averlo mai incontrato. La nostra unione è durata così poco, che mi chiedo cosa mi abbia spinto ad innamorarmi di una persona con cui non ho mai condiviso realmente nulla.»
«Certe cose sono impossibili da spiegare, Tilia.» disse semplicemente Charlotte, alzando per la prima volta il capo e fissando la sorella.
«Ci stai passando anche tu, vero? - domandò l'altra, cercando di tenere un tono il più casuale possibile - Da come tieni il capo chino al suolo non credo che la tua infatuazione per il signor Malfoy ti abbia abbandonata.»
«Io… - Charlotte si bloccò subito, le gote che divennero scarlatte - …no, sono troppo vicina a lui…più lo vedo, più parlo con lui, più sto a contatto con lui…non credo che potrei mai dimenticarlo…come potrei? Per quasi un anno non ho fatto altro che pensare a lui, unicamente perché aveva tenuto dei corsi seminariali…poi qui…te ne ho già parlato.»
«Forse dovresti lasciare il Manor, Lotte. - propose Ottilia, fissando la sorella - Non vorrei mai che tu possa fare qualcosa di cui poi ti pentiresti in futuro.»
«Tu credi che… - la voce di Charlotte morì nuovamente, incerta - …è troppo tardi, Tilia…e non potrei mai lasciare Malfoy Manor, sarebbe assurdo - protestò più convinta la giovane - Abraxas…»
«Cos'è successo tra voi, Lotte?» chiese Ottilia, pressando la sorella.
«Niente, davvero nulla di grave. - rispose troppo in fretta Charlotte - Però il signor Malfoy stima il mio lavoro, dice che Lucius è più tranquillo da quando sono qui. Inoltre mi son affezionata al bambino, mi dispiacerebbe lasciarlo, senza un vero motivo.»
«Sei certa che non sia successo nulla con il signor Malfoy? Lotte, poco fa l'hai chiamato per nome. - Ottilia fece una pausa. Cosa stava accadendo a sua sorella? Perché non si confidava del tutto con lei? Cosa le aveva sussurrato Abraxas all'orecchio? - Ed anche se non fosse accaduto questo…cosa ci facevate qui? Così lontani dal Manor? Sai cosa potrebbe pensare la gente a sapere che tu e il tuo datore di lavoro vi incontrate in un padiglione isolato? Direbbe che questo è il ritrovo ideale per due amanti. Per l'amore del cielo, Lotte, non dirmi che siete già arrivati a questo punto.»
«Tilia io… - Charlotte si mordicchiò appena il labbro inferiore - …un bacio, ci siamo scambiati soltanto un bacio…ma qui…ci ho portato Lucius, gli faceva bene prendere un po' d'aria ed ero curiosa di vedere questo padiglione. Abraxas me ne aveva parlato qualche tempo fa…lui è arrivato dopo, ma non…tiene sempre un comportamento esemplare con me…ed anche se noi…io mi fido completamente di lui…e in quanto a te, Tilia, ti prego, fidati del mio giudizio.»
«Lotte - mormorò la sorella maggiore, avvicinandosi di un passo alla ragazza. C'era qualcosa che le faceva credere che la sorella le stesse nascondendo qualcosa, qualcosa che l'uomo le aveva impedito di dirle - sono soltanto preoccupata per te. Non è una situazione facile la tua. Il signor Malfoy è un uomo sposato, non scordartelo. - si interruppe quasi di colpo. Non doveva aggiungere nulla che facesse sospettare a Lotte che lei aveva origliato - Se mai avrai un qualche dubbio o incontrerai un qualsiasi problema, non devi far altro che rivolgerti a me.»
«Lo so, Tilia. - mormorò appena Charlotte, lanciando un'occhiata oltre la finestra, lo sguardo si perse a contemplare gli alberi - Credo sia ora di rientrare al Manor. - disse dopo diverso tempo, con voce decisamente più calma di quanto fosse stata durante la conversazione con la sorella - Tra non molto verrà servito il pranzo.»


Nelle cucine di Malfoy Manor l'attività procedeva alacremente, gli elfi domestici erano tutti impegnati nel preparare il pranzo per quel giorno e tutti erano chini su quello che stavano facendo, tutti, tranne due di loro, che, pur portando avanti il lavoro, stavano confabulando.
«Non dobbiamo parlare, Maky, Hatty ha paura.» disse quello più piccolo, mentre rimestava dentro una pentola.
«Hatty non deve avere paura. Sono tornato e nessuno ci dividerà. - affermò con convinzione l'altro essere - Nessuno deve provarci.»
L'altro elfo per diverso tempo non rispose, mostrandosi impegnato a rimestare il contenuto della pentola, ma di tanto in tanto gli occhi enormi andavano a posarsi sul compagno.
«Maky, non devi compiere altri gesti da non fare.» disse infine, la vocetta acuta e spaventata.
«Dolce Hatty, farò quello che va fatto.» sentenziò l'elfo domestico, con un tono di voce che per un qualche istante lo fece apparire qualcosa di diverso da quello che era.
Poi entrambi ammutolirono, non appena il padrone di casa fece il suo ingresso, ordinando di preparare il pranzo per un'altra persona. Abraxas lanciò un'occhiata rapida ai vari esseri, senza notare la vicinanza di Maky e Hatty, probabilmente perché troppo immerso nei propri pensieri e nel ricordo delle parole che quella mattina aveva scambiato con Charlotte. Scosse appena il capo, per poi uscire dagli enormi locali delle cucine e risalire al pian terreno, dove, altri elfi domestici, stavano apprestando la sala da pranzo, sotto la sorveglianza del maggiordomo, che si voltò verso il padrone di casa, proprio nel momento in cui questi, dopo aver attraversato il salotto di anticamera, entrava nel vasto locale.
«Green, fa' apparecchiare per un'altra persona.» disse il padrone di casa, provocando uno strano sorriso sul volto di solito atteggiato ad un'eterna espressione affabile del maggiordomo.
«Immagino abbia incontrato la sorella della signorina Zurrey, signor Malfoy.» commentò l'altro uomo.
«Esattamente, Green, e si fermerà a pranzo. - si interruppe, mentre gettava uno sguardo al tavolo - Il bibliotecario a quel che pare continua a rifiutarsi di farsi vedere, non vedo altra spiegazione alla mancanza di un posto. - una nuova pausa - Aggiungi anche il suo. Zephyrus verrà a pranzare oggi e per i giorni successivi.»
Abraxas non attese che Green annuisse, affrettandosi a tornare verso l'atrio e a salire le scale che conducevano ai piani superiori. Non incontrò nessuno sul suo cammino, dal momento che non notò il volto pallido di Hilda O'Connor far capolino dalla porta della stanza del padre, proprio nel momento in cui lui svoltava nel corridoio del primo piano, per poter salire la rampa di scale che l'avrebbe portato al secondo. Soltanto quando si trovò nelle vicinanze dell'uscio della prima stanza degli ospiti, venne fermato da una Juliet che pareva più acida del solito, ma anche stranamente compiaciuta da chissà cosa.
«Ho visto tua moglie pochi istanti fa, ti cercava.» disse semplicemente la vecchia, appoggiandosi al bastone, gli occhi ben piantati sulla figura del padrone di casa.
«Con ogni probabilità non ha guardato nell'unico luogo in cui avrebbe dovuto guardare.» sentenziò Abraxas sbrigativamente.
«Naturalmente, naturalmente.» affermò Juliet, assumendo un tono di voce stranamente insinuante, per poi prendere a camminare in direzione opposta a quella dell'uomo, appoggiandosi al bastone e voltandosi diverse volte verso di lui, come se volesse guardare dove si stava recando in quel momento.
L'unico pensiero di Abraxas, in quel momento, era la speranza che quella donna se ne andasse al più presto da casa sua. Se avesse potuto l'avrebbe volentieri sbattuta fuori di persona, insieme a quella ficcanaso di sua figlia e della sua amica, ma possedeva ancora quel po' di buona creanza per non compiere gesti così avventati. Fu forse per questo ulteriore motivo di irritazione che bussò con più forza di quanto volesse alla porta della camera di Zephyrus Macniemand.
Passò diverso tempo prima che questi venisse ad aprire, con il volto pallido e due enormi occhiaie che risaltavano in maniera quasi grottesca sotto le lenti spesse.
«Dovevo immaginarlo che fosse lei.» borbottò il bibliotecario, fissando il padrone di casa.
«Immagino che il discorso di ieri non ti sia bastato, Macniemand. Non ti pago perché tu te ne stia rintanato in camera tua a pensare a chissà quali problemi. - disse duramente Abraxas, squadrando il bibliotecario con attenzione - Il tuo compito è occuparti della biblioteca e non farmelo ripetere mai più.»
«Scommetto che se fosse stato un altro componente della sua servitù, la bambinaia di suo figlio magari, ad essere malata non avrebbe fatto tutto questo baccano, signor Malfoy.» biascicò Zephyrus con tono fin troppo irrispettoso per i gusti del padrone di casa.
«La tua malattia, Macniemand, si sta protraendo troppo a lungo e sono pronto a scommettere che se ti esaminassi con attenzione, scoprirei che non hai un accidente di niente. - man mano che parlava la voce di Abraxas si era alzata nettamente di tono e si era fatta più irritata - O forse sei così smanioso di doverti trovare un altro posto di lavoro, senza uno straccio di referenza in mano?»
Le labbra del bibliotecario si aprirono come se volesse ribattere, per poi serrarsi di colpo. Quel dannato tiranno aveva il coltello dalla parte del manico. Non avrebbe avuto speranze di trovare un altro posto di lavoro, in una biblioteca magica di una famiglia prestigiosa, se si fosse fatto buttare fuori da Malfoy Manor in malo modo. Chinò il capo, in segno di assenso. Non gli rimaneva altro da fare, se non voleva ritrovarsi in mezzo ad una strada senza un becco di un quattrino.
«Sembra che tu stia iniziando a ragionare - constatò seccamente il padrone di casa - Pretendo che tu ti presenti a pranzo, oggi. E non voglio sentire una sola scusa.»


La sala da pranzo era piena del cicaleccio delle diverse persone che vi erano convenute. Erano tutti presenti, eccetto Hilda O'Connor che stava badando ad Adolar, in camera del vecchio. Abraxas, come suo solito, sedeva a capotavola, con dalla parte opposta Megan, che pareva fissarlo più e più volte a disagio, mentre suo marito parlava animatamente con Charlotte Zurrey e con la sorella di questa. Immaginava che avesse fatto sedere quell'Ottilia di fianco a lui unicamente per mantenere le apparenze, anche se era certa che fosse chiaro a tutti che quella ragazzetta aveva attirato l'attenzione del marito. Dall'altro lato del padrone di casa stava Juliet Hayward con accanto la figlia e Cordelia. Le due giovani era immerse in una fitta conversazione, mentre la vecchia sembrava non perdere un solo movimento di Abraxas e delle due Zurrey. Zephyrus e Laureen completavano la tavolata, mentre Green si aggirava alle loro spalle per assicurarsi che ogni cosa andasse per il verso giusto, anche se a Megan sembrò che si occupasse troppo di frequente delle esigenze di Ottilia.
«Non dovresti continuare ad osservare a quel modo tuo marito, Megan cara - disse Laureen, voltandosi verso di lei, abbandonando per un istante la conversazione con Zephyrus - Detta tra donne, non dovresti dargli questa soddisfazione.»
«Soddisfazione, Laureen? - rispose l'altra con fare incredulo - Guardalo. Non tenta nemmeno di nascondere che non ha occhi che per quella fraschetta. Va ancora bene che non l'abbia fatta sedere al mio posto, considerando che ha fatto mettere la culla con Lucius vicino a dove siede lei e non a me.»
«Di cosa ti stupisci, Megan, in fondo l'ha assunta proprio perché si occupi del piccolo ed in questo devi ammettere che è piuttosto brava.» constatò Laureen, lanciando un'occhiata alla bambinaia.
«Mai quanto ad occuparsi di suo padre.» constatò aspramente Megan, prima di prendere in mano la forchetta ed iniziare a mangiare voracemente lo sformato di pesce che era appena apparso davanti ai commensali.
Laureen trasse un leggero sospiro, poi si voltò verso Zephyrus, osservandolo per qualche istante. Era più che certa che Abraxas avesse usato metodi tutt'altro che gentili per far uscire il bibliotecario dalla sua stanza, ma doveva ammettere di essere contenta di vederlo di nuovo in mezzo a loro, e sicuramente uscire da quel tugurio gli faceva bene, considerando il pallore cadaverico del suo volto.
I movimenti di Laureen non sfuggirono all'occhio attento di Juliet che, avendo smesso per un attimo di scrutare Abraxas e Charlotte, aveva iniziato a far scorrere il proprio sguardo sugli altri commensali, senza tralasciare nessun particolare, né il volto scavato di Macniemand con quello sguardo leggermente stralunato, né il modo assolutamente volgare con cui Megan mangiava, né le attenzioni che il maggiordomo riservava alla maggiore delle Zurrey.
«Sai, mamma, - disse improvvisamente Ester al suo fianco - Cordelia ed io stavamo ricordando proprio in questi momenti di quando andavamo a scuola. Ricordo piuttosto bene le due Zurrey, sebbene una fossa maggiore e l'altra minore, rispetto a noi. E da come le vedevo ora, non avrei mai immagino che Charlotte potesse far cadere su di sé l'attenzione di Abraxas Malfoy.»
«Mi sembra che tu sia tremendamente prevenuta, Ester - intervenne Cordelia - Da come lo dici sembra quasi che la giovane Zurrey sia arrivata a Malfoy Manor con il preciso scopo di sedurre il padrone di casa, cosa che a me sembra inverosimile. In fondo se la osservi attentamente non sembra molto cambiata da quando andavamo a scuola. Non credo che tua sorella avrebbe potuto parlare bene di una ragazzina intrigante.» «Non dovresti parlare di Rachele davanti alla mamma, Cordelia - la rimproverò Ester - Ti pregherei, mamma, di…»
«No, Ester, lasciala finire. - la interruppe Juliet - Così Charlotte Zurrey conosceva Rachele ai tempi della scuola? Strano, a casa non ne ha mai parlato.»
«Non credo che si conoscessero granché a dire il vero. Erano semplicemente nella stessa casa, seppur con un anno di differenza. In fondo Rachele è stata Prefetto di Tassorosso ed è in quella funzione che deve aver scambiato qualche parola con Charlotte. Sono certa che il loro rapporto non si sia sviluppato ulteriormente, altrimenti anche Ester ed io avremmo conosciuto la giovane Zurrey, considerando quanto Rachele era legata a noi. Però come Prefetto avrà avuto sicuramente modo di osservarla. Una volta ci disse che era una ragazza a modo, tutto qui.»
«Una ragazza a modo non si aggirerebbe a sedurre uomini sposati. - sentenziò Juliet - E purtroppo mi costa ammetterlo, ma Rachele non è mai stata brava a giudicare gli altri. Se avesse avuto questo dono, non avrebbe mai sposato quel maledetto Malfoy.»
«Signora Hayward, mi perdoni, ma…»
«Tu sei troppo tenera di cuore, Cordelia. - la interruppe Ester, mentre posava il cucchiaino da dessert sul piatto ormai vuoto - O forse non vuoi vedere la realtà dei fatti.»
Lentamente tutti i commensali terminarono il pranzo. Alcuni scambiarono ancora alcune parole con il vicino, poi, chi prima chi dopo, si alzarono tutti in piedi. Alcuni di loro salirono al primo piano per recarsi nel salottino estivo, Charlotte proseguì fino al secondo piano, alla stanza dei giochi, insieme alla sorella, Abraxas andò nel suo studio, non senza prima aver lanciato un'occhiata più lunga alla bambinaia. Zephyrus andò a rintanarsi in biblioteca, mentre Green sovrintendeva alle pulizie della sala da pranzo. Lentamente anche coloro che si erano attardate nel salottino estivo si sparsero per la casa, chi da solo, chi in coppia.


La pioggia che le nuvole minacciavano da quella mattina, iniziò a cadere intorno alle cinque del pomeriggio. Tutto era tranquillo nella grande villa, nulla sembrava smuovere la calma di quelle ore e nessuno pareva aggirarsi per il giardino bagnato da una fitta pioggia. Soltanto alcuni merli volavano verso gli alberi intorno al padiglione rococò, dove quella mattina Ottilia aveva trovato sua sorella con Abraxas, mentre un leprotto raggiungeva la propria tana nei pressi del padiglione cinese.
Era questo un edificio di modeste dimensioni, con il tetto a pagoda e dei draghi a fare da grondaie, dalle cui fauci spalancate uscivano getti d'acqua e non già di fuoco. Di colore rossastro, aveva un ingresso piuttosto elaborato, e alcune finestre al piano terreno da cui si intravedeva una decorazione parietale di carattere orientaleggiante. Poco discosto dall'ingresso stava uno stagno, circondato da giunchi e da alcune piante provenienti dall'estremo oriente, attraversato da un ponticello di gusto cinese, con un fior di loto nel mezzo. Le gocce d'acqua creavano dei grossi bottoni nell'acqua melmosa dello stagno, mentre tutto intorno sembrava sussistere una pace assoluta.
Fu un grido spaventato a rompere questa pace, un grido proveniente dal padiglione giapponese. Una figura sbucò all'improvviso dagli alberi che distavano poche centinaia di metri da quell'angolo orientale del parco di Malfoy Manor, totalmente avvolta in un mantello da mago, con il cappuccio a coprirsi il capo, per proteggersi dalla pioggia. Non le ci volle per raggiungere la porta laccata dell'edificio e per spingerla, dal momento che risultava socchiusa.
La scena che gli si presentò davanti parve bloccare lo sconosciuto per un istante sulla porta. Riverso al suolo stava il corpo di una persona palesemente morta, in cui il nuovo venuto riconobbe agevolmente Hilda O'Connor, il cui volto era rimasto immobilizzato in un'espressione a mezza via tra la sorpresa e il terrore. Poco distante da lei stava una figura in piedi, avvolta a sua volta in un mantello, sgocciolante di pioggia, che non si accorse che qualcuno era entrato nel padiglione.
«Charlotte.» chiamò l'altro, levandosi il cappuccio e chiudendo la porta alle sue spalle, mentre si avvicinava a lei.
«Abraxas.» disse semplicemente la giovane, voltandosi verso di lui, mostrandogli il volto pallido.
Pochi passi e l'uomo la strinse tra le braccia, mantenendo però lo sguardo sul cadavere dell'infermiera, accanto al quale giaceva un foglio spiegazzato e ingiallito dal tempo. Si staccò da Charlotte e si avvicinò al pezzo di pergamena, dandogli una breve scorsa, poi, dopo aver lanciato un'occhiata alla giovane, se lo mise in tasca, piegandolo in due.
«Vai a mandare un gufo a Londra, alla signorina Jameson. È meglio se rimango io.» disse l'uomo, indicando il cadavere.
Ma Charlotte non poté fare nemmeno un passo perché altri abitanti di Malfoy Manor giunsero ad affollare il piccolo padiglione. Sembrava quasi che nessuno fosse rimasto in casa in quel pomeriggio piovoso.


Ecco un altro capitolo! Speriamo sinceramente che sia di vostro gradimento!
Un grazie particolare a:

Moony Potter: Come vedi hai indovinato! C'è stato un altro delitto. Ti aspettavi che la vittima fosse Hilda o la tua mente pensava a qualche altro personaggio? Quanto ai capitoli che mancano alla fine, siamo all'incirca a metà dell'opera (tutto è già pianificato, ma un margine d'incertezza c'è sempre). Ti ringraziamo ovviamente per i complimenti. Sappici dire cosa ne pensi di questo capitolo.

Thiliol: Eccoti un nuovo capitolo….e un nuovo morto…ti ringraziamo per i complimenti! E sappici dire cosa ne pensi di questo capitolo!

Un grazie alle persone che hanno messo la storia tra i preferiti e a chi legge soltanto.

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Capitolo 18
*** Capitolo XVIII ***


Capitolo XVIII

La pioggia continuava a picchiare sulle finestre della magione, scivolando lungo i vetri e offuscandoli con larghe chiazze d’un bianco vaporoso. Erano appena le cinque e mezza e la nebbia s’era levata nel padiglione cinese, dove Zephyrus, il primo arrivato, Laureen, Megan, Juliet, Abraxas, Charlotte e Ottilia avevano fatto capannello e discutevano sommessamente dell’accaduto.
«Se fossi arrivata un attimo prima! – disse Lotte, in evidente stato d’apprensione, contenendo le lacrime che già le velavano gli occhi. – Ho visto una figura che usciva dal padiglione. Ha percorso il ponte e si è immesso nella macchia di verzura. Dopodiché non sono riuscita più ad individuarne i contorni.»
«Sbaglio, signor MacNiemand, o lei è venuto da quella parte?» intervenne Abraxas, accigliato.
Il bibliotecario annuì mestamente. «E’ vero, ma non mi sembra di aver notato ombre che si muovevano nella vegetazione. E’ sicura di quel che dice, signorina Zurrey?»
«Sicurissima. – disse Lotte, con tono persuadente e frettoloso. – Non credo sia stata la mia immaginazione. Ho persino udito il rumore delle foglie.»
«Il rumore delle foglie? – squittì Megan. – Non diciamo baggianate. Come poteva udire il rumore delle foglie con questa pioggia e coi tuoni?»
Charlotte si morse il labbro inferiore, ferita da quella insinuazione. Era cosciente che la propria posizione non le permetteva di rispondere a tono, nondimeno aveva una voglia irrefrenabile di difendersi e attaccarla.
«Sono sicura d’averlo udito, signora Malfoy. – disse graniticamente, ma la voce risultò timida e leggera. Nell’udirsi, aggiunse all’improvviso: – Non avrei motivo per mentire.»
«Questo non lo so.» replicò Megan con asprezza.
Traendo un lungo respiro, Charlotte aprì bocca per ribattere, ma Abraxas la precedette: «Ragionare con mia moglie quando si mette in testa un’idea sbagliata è molto difficile, signorina Zurrey. Mandi un gufo alla Jameson, se non le dispiace.»
La signora Malfoy batté i piedi sul terreno bagnato, gli occhietti che saettavano da una parte all’altra, palesando un’irritazione repressa.
«Le avete controllato i battiti cardiaci?» sussurrò, guardando con le labbra congiunte il cadavere di Hilda.
«Lo ha fatto Lotte. – disse Abraxas. – Ma se non credi alla sua parola, avvicinati pure.»
«Sarebbe meglio che andassimo. – interloquì Laureen. – Dobbiamo lasciare intatto il luogo del delitto fino all’arrivo di Rosamund Jameson.»
La proposta fu acclamata da un muto coro di assensi, e il gruppetto sciamò fuori dal padiglione cinese. Quando furono tutti all’ingresso della magione, si imbatterono nel maggiordomo, che li guardò con espressione interrogativa.
«Hilda O’Connor è stata assassianta. – spiegò Abraxas con fare spiccio. – La passeggiata sotto la pioggia mi ha sfiancato. Vado a cambiarmi d’abito. – E ingiunse, rivolgendosi ai presenti: – Vi prego di tornare nelle vostre stanze, signori. Megan, trova mio padre e pensa a lui finché non arrivo io.»
Nei corridoi di Malfoy Manor si avvertiva un’uggia strana. Il cielo plumbeo non dava segnali di schiarita e, per la prima volta da tempo, sembrava fosse ritornata la stagione invernale.
Tutto il pomeriggio trascorse nel più completo silenzio. Si poteva udire talvolta un commento, pronunciato sommessamente, di Juliet o della figlia Ester. Spaventata e angosciata dalla situazione, Cordelia aveva deciso di lasciare il Manor, ma Abraxas l’aveva trattenuta, spiegando che, per adempiere alle formalità, avrebbe dovuto partecipare agli interrogatori dell’Auror. Fu deciso che Adolar non avrebbe saputo nulla dell’omicidio di Hilda O’Connor e che Abraxas si sarebbe occupato di lui prima che si fosse presentato un nuovo infermiere.
Erano passate le sei quando Rosamund giunse al Manor e venne ricevuta dal maggiordomo. Abraxas l’attendeva in salotto e, quando l’Auror ebbe varcato la soglia, egli vide nel suo volto uno sconvolgimento che non le si addiceva.
«Ho saputo dell’evento. – esordì Rosamund, notando la perplessità di Abraxas. – Si chiederà perché sono stupita, signor Malfoy. La risposta è semplicissima: non me l’aspettavo. E immagino intuisca cosa voglio dire: la pista che ho scelto di seguire è del tutto errata. Sono fuori strada e dovrò cambiare piano d’indagine.»
«La porto al padiglione cinese. – disse Abraxas. – Abbiamo lasciato lì il cadavere.»
«Sta bene.» rispose l’Auror.
Uscirono nuovamente in giardino e avanzarono nella nebbia, bersagliati da impertinenti gocce d’acqua. Abraxas arrivò per primo alla destinazione e lentamente spinse la porta del padiglione.
Il corpo esanime dell’infermiera giaceva ancora sul pavimento di pietra. Vecchi incensieri fissati al muro spandevano un delicato profumo di unguenti orientali, cannella e gommoresina. Rosamund avanzò lentamente verso la salma, inspirando le lievi esalazioni.
“Una famiglia di matti!” pensò. “Bisogna che mi guardi le spalle.” E a voce alta affermò: «Che incomprensibile assurdità!»
«Non riesco a capire cosa la renda tanto esitante.» disse Abraxas.
«E’ stata spezzata la catena. – rispose l’Auror, il volto infiammato, come se avesse appena avuto un’idea brillante. – Rachele e Lysiart uccisi... Niente di troppo sconvolgente, seppur terrificante. Non dovrei dirlo, ma mi aspettavo la sua morte, signor Malfoy, o quella di Megan. A quanto pare, invece, dovremmo escludere il movente dell’eredità e pensare a qualcos’altro…»
Abraxas fece per ribattere, ma si zittì, annuendo.
«Non capisco come possa essere stata uccisa. – riprese l’Auror. – Vada come vada, è certo che la scientifica esaminerà il corpo, effettuando l’autopsia tra domani e dopodomani. I collaboratori dell’Ufficio saranno qui intorno alle otto di questa sera. Mi perdoni il ritardo con cui l’avverto.»
«Vuole esplorare il padiglione o preferisce che torniamo dentro?»
«Do un’occhiata intorno.» disse l’Auror, chinandosi sul corpo della defunta e lanciando rapide occhiate alle aiuole coltivate nel reparto.
Procedette verso l’estremità del padiglione, osservando le foglie di un lauri che cresceva lungo il margine dello spazio ed i rami d’una magnolia di recente piantagione.
«Curioso!» sussurrò, arcuando le sopracciglia Abraxas osservava con attenzione tutti i movimenti dell’Auror, talora accennando qualche passo inquieto, tenendo rigorosamente le mani intrecciate dietro la schiena.
«Hilda si stava avvicinando alla magnolia, con molte probabilità.» disse l’Auror.
“Sì, ma perché? E da che parte è stata colpita?”
Notò poi un particolare che attirò la sua attenzione. Le dita bianche di Hilda erano strette in quello che, prima del cedimento muscolare, doveva somigliare ad un pugno.
«Ha le falangette unite.» disse.
«E con ciò?»
Rosamund sollevò lo sguardo sul padrone di casa. «Reggeva qualcosa in mano quando è stata uccisa.»
“Dannatamente perspicace!” pensò Abraxas. «Non si è trovato nulla qui.» disse freddamente.
«Me ne occuperò in seguito.»
Calò il silenzio, mentre Rosamund giocherellava con i rami dell’elegante magnolia rosata, assaporandone la fragranza.


Passeggiando lungo il selciato del cortile, chiunque avrebbe udito lo stordente e delizioso profumo della terra bagnata. Mentre i deboli raggi del sole occultato morivano dispersi nella nebbia, i collaboratori dell’Ufficio giungevano all’imponente cancellata d’ingresso con ombrelli neri e raffinati e attendevano in una quiete solenne.
Laureen, col suo scialle di pizzo, centellinava nel salotto estivo un’enorme tazza di decotto alle erbe, lanciando talvolta rapide occhiate al cielo, agitato da pioggia implacabile e venti impetuosi, attraverso la portafinestra della camera. Solo in lontananza si scorgevano, nel tessuto della volta plumbea, brecce di piccole dimensioni aperte su un cosmo di spenta azzurrità crepuscolare.
«Non tornerà la quiete prima di dopodomani.» disse, scostando le tendine della finestra e voltandosi poi in direzione della sua interlocutrice.
«Due giorni? – rispose Megan, scettica, deponendo sul tavolino di vinchi la propria tisana. – Io credo che il cielo sarà sgombro domattina.»
«Fidati del mio giudizio, cara.» ribatté Laureen pacatamente.
Megan si alzò per guardare il cielo, ormai non del tutto convinta delle proprie parole, ma fin troppo orgogliosa per ammetterlo.
«Comunque sia, - proferì, tergiversando con astuzia, - sono appena arrivati quelli del Ministero. Porteranno via il cadavere.»
Anche Laureen si accorse finalmente degli uomini bene in arnese che erano arrivati al Manor e adesso camminavano sveltamente, come cani che conoscano il proprio dovere, per il lastricato avana.
«E la Jameson?» domandò, retrocedendo stancamente e adagiandosi sulla sedia.
«Stando a ciò che mi ha detto Abraxas, tornerà fra pochi minuti.»
Laureen annuì. «Ho ragionato molto, stanotte, sulla faccenda del diario. Malgrado i sonniferi, mi risulta difficile non svegliarmi nel bel mezzo della nottata. Mi sono ritrovata confusa e sgomenta e non ho potuto fare a meno di ordinarmi un po’ le idee. Suppongo abbia saputo tutto i dettagli della faccenda. Un individuo è andato al Ministero e, in assenza di Rosamund, si è impossessato del diario. Se lo ha fatto, è per un solo motivo, mia cara: quel diario conteneva delle prove che avrebbero potuto inchiodare l’assassino. – Fece una pausa. – Ti vedo piuttosto tranquilla. Non hai capito cosa voglio dire?»
«Beh, mi sembra normale che il diario di Lysiart contenesse importanti informazioni. – disse Megan. – Ti assicuro che c’ero arrivata anche io.»
«Si dà il caso che abbia parlato con Abraxas per spillargli un’informazione e la faccenda mi ha reso perplessa. Hai idea di dove fosse il diario?»
Megan fissò l’amica in segno di aspettativa.
«In un cassetto!» disse Laureen, e rimase in attesa, compiaciuta.
«In un cassetto…» ripeté la padrona di casa con incertezza.
«La domanda mi è sorta spontanea. Perché il diario è stato trafugato in ritardo? Se l’assassino si trova dentro il Manor, sarebbe potuto andare in camera di Lysiart e rubare la prova. Eppure non lo ha fatto.»
«Intendi dire che l’assassino si trova fuori dal Manor?»
«Non può che essere così. C’è forse alternativa?»
«Nessuno era nemico di Lysiart fuori da questa casa. O è un omicidio da cui qualcuno trae guadagno materiale, o si tratta di suicidio.»
«Il guadagno, certo. – disse Laureen. – E hai considerato l’ipotesi di un’amante, per esempio?»
«Conoscevi Lysiart meglio di me. Non è verosimile.»
«Lo so, ma la vita è strana.. Spesso ci illudiamo di conoscere la gente e…»
«Ma Hilda? – proruppe improvvisamente Megan. – Perché Hilda è stata uccisa? E perché la Zurrey si trovava nel padiglione?»
Laureen, infastidita dall’interruzione, borbottò: «Davvero non riesco a immaginarlo.»
«Hai pensato, - disse Megan, - che l’assassino si trovi dentro le mura?»
«Ne parlavamo giusto poco fa, ma hai cambiato discorso.» «Poco fa parlavamo di un assassino che si trovi fra le mura. Ma io ho detto dentro…» precisò Megan.
Laureen si accigliò. «Come uno spirito?»
«Esattamente, mia cara. Come uno spirito… - disse Megan, con gli occhietti sbarrati che la facevano somigliare a un’invasata. - Sarà meglio che faccia un salto in biblioteca, domani. Voglio trovare informazioni su Svenson, l’uomo che abitò il Manor prima dei Malfoy.»
«Scoprirai che hai preso la strada sbagliata.» replicò Laureen.
«Oh, questo si vedrà.» Ciò detto, addentò la sua mela e, lasciandosi dietro un odore di naftalina, sparì nell’andito.


Nello stesso istante in cui Megan abbandonò il salotto estivo, la pioggia prese a scendere con meno foga dal cielo plumbeo. Una nebbia lattea e vaporosa ancora avviluppava la grande magione e, benché la tempesta fosse ormai in declino, si percepivano le avvisaglie di un nuovo e più potente acquazzone.
Charlotte, frizionandosi le tempie ed i capelli morbidi con la punta delle dita, uscì sul vasto parapetto e lanciò uno sguardo oltre la balaustrata nera. L’aria era fresca e frizzantina e timide gocce d’acqua aspergevano le foglie verdi tutt’attorno al Manor.
La bambinaia stava avanzando di qualche passo in direzione dell’angolo, quando si imbatté nel maggiordomo, che camminava serio e impettito, immerso nei propri pensieri, verso la direzione opposta. Nel vederlo, Charlotte provò un moto di tranquillizzante distensione. Tutta la faccenda di Hilda era stata per lei sconvolgente e da qualche ora le sembrava che il pavimento sotto di lei fosse crollato e stesse ancora precipitando in un baratro buio e senza fondo. Il viso docile e bonario di Green le ridonò un precario rasserenamento. Ghermita da quella sensazione insolita, decise di avviare un banale scambio di parole, l’unico espediente attuabile che potesse alleviare il tedio ponderoso di quell’infausto pomeriggio.
«Signor Green, - disse, inghiottendo via via il primigenio imbarazzo, - ha svolto le sue mansioni giornaliere?»
Si meravigliò delle proprie parole. La sua timidezza, il più delle volte, le impediva di essere spigliata nei rapporti umani, pregio di cui, al contrario, poteva vantarsi Ottilia.
Green, perso com’era nella sua meditazione, non prestò molto interesse allo strano tono usato da Charlotte, ma rispose con semplicità: «Ho dato tutte le disposizioni agli elfi. Non sto molto bene, oggi.»
Charlotte continuò a fissare il maggiordomo, mentre quest’ultimo, con aria assorta, interrogava il paesaggio che si scorgeva dalla balaustrata. Lotte lo vide sospirare e disse, stavolta con naturalezza: «E’ una giornata così deprimente. E la povera Hilda…»
Lasciò che la frase sfumasse nel silenzio.
«Avevo considerato l’idea di lasciare il Manor, tempo fa. – replicò Green tristemente. – La vita di casa Malfoy si addice ad una personalità granitica ed io non ho la forza e la volontà di affrontare le difficoltà che si presentano qui ordinariamente. – Si voltò verso la sua interlocutrice. – Lei ha mai conosciuto l’amore, Lotte?»
Quella domanda colse Charlotte alla sprovvista. Quando riuscì a frenare il demonio che si agitava nel suo cuore in subbuglio, le parole le avevano già sfiorato le labbra: «Credo di sì. E lei?»
«Non ci credevo molto, quand’ero giovane. Per la verità sono sempre stato un po’ introverso, e tuttora non amo la compagnia e la gente. I piani del destino si rivelano tanto inaspettatamente da non lasciarti il tempo di pensare. Non è così?»
La bambinaia si domandò se Green avesse fiutato la tresca imbastita con Abraxas. Quando guardò nei suoi occhi per leggervi una risposta, vi trovò un’oasi di ingenuità e rise al pensiero che le parole del maggiordomo potessero nascondere un nucleo di malizia.
«Sì, è vero.» rispose infine, sorridendo flebilmente.
Green sospirò ancora, stavolta per sancire la fine dei pensieri tristi e dare inizio ad una nuova e più allegra discussione.
«L’altro giorno, - disse, - stavo osservando gli elfi che spolveravano la stanza delle armi. Non so se ha visto la camera, signorina. E’ enorme, piena di arazzi e stemmi d’ogni genere. Ma la piccola scultura d’ossidiana che se ne sta appesa al muro, sgrassata dalla mano debole di un nostro elfo, ha emesso uno strano scatto e si è inchinata.»
«Uno scatto?» esclamò Charlotte, incuriosita.
«Un suono metallico, a dire il vero. Come d’un congegno che si incastri.»
«Un congegno nella parete della stanza...» ripeté Charlotte, con aria meditabonda.
«Le dice qualcosa?» domandò Green.
«Mi hanno sempre affascinato le faccende inspiegabili. – Fece una pausa. – Ne ha parlato con il signor Malfoy?»
«Sì, ma ha ignorato il problema.»
Calò nuovamente il silenzio. Infine Green disse: «L’aria è fredda, quasi rimpiango l’afa degli scorsi giorni.»
Charlotte annuì. Il maggiordomo fendé l’aria con rapide occhiate all’orizzonte, come nel tentativo di scorgere qualcosa.
«Ha mai raggiunto il lago? – riprese. – E’ una distesa d’acqua limpida e cristallina coi fondali colorati. Mi piacerebbe farci un salto. Dista sì e no tre chilometri dal Manor.»
«Non conosco i dintorni, mi spiace.» rispose Charlotte contrita.
«Non è originaria di qui?»
«Sono nata a Norwich, ma mi sono trasferita più a Sud per gli studi.» spiegò Charlotte.
«Sua sorella Ottilia… anche lei studia medicina?»
«Stava ottenendo una specializzazione in Erbologia, ma quando il marito l’ha lasciata ha abbandonato tutto. In certi periodi lavora a Diagon Alley per conto di un antiquario.»
«Perdoni l’indiscrezione… cosa ha portato Ottilia e Patrick alla rottura del matrimonio?»
Charlotte abbassò lo sguardo. «Non mi hanno riferito nulla. So soltanto che litigavano molto spesso e che lui la accusava ingiustamente di non riservargli le sue attenzioni. – Quel discorso aveva raggelato l’atmosfera. – Si è fatto tardi. Sarà meglio che torni dentro.»
Green annuì con mestizia, mentre nella volta perlacea bagliori dorati giocavano in un’elegante sinfonia di luci. Una falce di luna spariva dietro le nubi, lasciando trapelare oltre le masse di vapore obliqui raggi fiacchi.


Il campanile del villaggio suonava la mezzanotte. Dodici rintocchi netti salutavano l’inizio di una nuova pioggia. Le strade ciottolose, colme d’acqua, si trasformavano in fiumi senza argini. I profili delle case scolorivano dietro il manto acquoso, mutando forma e colore. Il rumore della pioggia era l’unico udibile al villaggio, così come al Manor. Ospiti e abitanti dormivano, infiacchiti da quella giornata tremenda. Soltanto una persona, fra le scottanti trapunte d’una stanza, seguitava da tempo a rigirarsi come un’anima in pena. L’immagine del volto sbiancato di Hilda O’Connor scandiva ogni suo gesto. Il grido penetrante schizzato dalla sua gola pochi attimi prima di essere uccisa echeggiava nella sua testa, penetrante come una sciabola che si divertisse a bucargli le pareti del cervello. Sentiva nelle vene il fluire potente e implacabile del sangue. C’erano attimi di lucidità in cui il rimorso attizzava il fuoco nel suo cuore, attimi in cui il dolce sapore della violenza inebriava la sua ragione. Strinse i denti e delle lacrime calde scorsero lentamente sul suo volto, raggiungendo le labbra. Il respiro si faceva via via più affannoso. Inutile provare a dormire. Avrebbe sofferto tutta la notte, e doveva suo malgrado accettarlo.
“Una vittoria di Pirro!” venne da dire all’individuo.
“Il Tempo è medico e omicida” rispose a tono una parte della sua ragione. “Ti farà dimenticare!”
Hilda non sarebbe potuta sopravvivere. Aveva cercato la morte e infine l’aveva trovata.
“E’ semplice uccidere.” pensò, socchiudendo le palpebre.
A dispetto di ciò che aveva creduto, riuscì a gettarsi stancamente tra le braccia di Morfeo, mentre il grido di Hilda dinnanzi alla Morte ancora perforava la sua mente intirizzita e Lucifero, appagato, si trastullava nel suo cuore di ghiaccio.


La vegetazione attorno a Malfoy Manor trasse un enorme sospiro, e d’improvviso le belle di notte si schiusero, gli uccelli ripresero a cantare, al riparo nei loro nidi, libellule gigantesche danzarono nell’aria biancastra e il sole tentò, invano, di sbucare in uno squarcio di nuvole. Piovigginava.
Abraxas si alzò, si terse il sudore accumulato nella notte e, lanciando un’occhiata alla moglie che, con una smorfia, ancora sonnecchiava inquieta, camminò a passi decisi verso l’acquaio. Infilò le mani sotto l’acqua corrente e si passò le dita bagnate fra i capelli, sbattendo più volte le palpebre. Scelse accuratamente i vestiti, si sfilò il pigiama e indossò pantaloni di velluto nero e camicia bianca. Scese in sordina le scale e, una volta che fu nell’atrio del pianterreno, scorse Ester e Cordelia che armeggiavano col chiavistello che sprangava il portale. Avanzò con le sopracciglia inarcate e, senza dire una parola, spostò il chiavistello con determinazione e spalancò il portone.
«La ringrazio, signor Malfoy. – disse Ester gentilmente. – Non riuscivamo a capire come…»
Con un cenno leggermente infastidito che non ammetteva repliche, Abraxas uscì all’aria aperta. Ester e Cordelia scesero timidamente le scale. Quest’ultima, con sprezzo del pericolo, tentò un nuovo approccio col padrone.
«La signorina Rosamund sarà qui per gli interrogatori prima di mezzodì, signor Malfoy?»
«Così mi ha riferito.» disse Abraxas, avanzando sotto la pioggia per dare un’occhiata al sentiero.
Non c’era traccia di uomini, almeno per qualche iarda.
«Dovrei tornare a casa in tempo per il pranzo. Io e mio padre attendiamo ospiti.» disse Cordelia.
«Le assicuro che arriverà in tempo, signorina Further. Adesso…»
Si zittì quando vide Charlotte, vestita con un completo indaco, scendere col contegno di un’imperatrice l’ultima rampa di scale e varcare la soglia.
«Signorina Zurrey. – disse, celando pessimamente la gioia. – Dov’è il bambino?»
«Dorme ancora nella culla.» rispose Charlotte sorridendo dimessamente, mentre raggiungeva i tre nel giardino e rimaneva vicina al muro di pietra per evitare di inzaccherarsi i mocassini.
Abraxas annuì. Ester, percependo un’atmosfera inadeguata a lei, trovò saggio ritornare dentro, seguita a ruota da Cordelia. Il padrone di casa seguì il loro cammino con la coda degli occhi, senza avvicinarsi a Charlotte. Quando furono spariti dalla sua vista, si avvicinò alla bambinaia, ponderando i gesti.
Charlotte deglutì, intrecciando le dita in un gesto spasmodico.
«La mia presenza è ancora motivo di molestia per te, Lotte?»
«No. – disse timorosamente la bambinaia, scuotendo la testa. – Sono solo un po’ scossa. Ho passato una notte che vorrei dimenticare.»
«Siamo tutti scossi, a Malfoy Manor. – disse l’uomo, fermandosi accanto a lei. – Cosa ti preoccupa? Sono forse le chiacchiere di Megan?»
La sera precedente c’era stato l’ennesimo litigio fra i due coniugi. Charlotte non sapeva come Abraxas avesse compreso che, spinta dalla paura, lei aveva origliato alcuni brandelli di discussione, ma non se ne curò e, per alleviare la tensione, si morse il labbro inferiore.
«Sai già come la penso. Megan è frustrata, depressa, insoddisfatta e angustiata. Blatera nel sonno e, se non la conoscessi bene, la direi pazza. Ti prego di perdonarle gli scatti d’ira, Lotte.»
«Io non…»
«Non l’ho sposata perché l’amavo. Se mio padre non avesse avuto quel debito coi Dippet e se io non fossi stato a mia volta in debito con mio padre…» Si interruppe bruscamente. Trasportato dalla foga, sentiva d’aver detto più del necessario.
Rimasero in silenzio, Charlotte imbarazzata, Abraxas silenzioso, fino a che due figure non ruppero la staticità del paesaggio muovendosi verso l’entrata scura. Rosamund avanzava con serietà, seguita da Patrick, il suo sottoposto, nonché l’ex-marito di Ottilia.
Abraxas, con ampie falcate, raggiunse la cancellata e la spalancò, salutando con una decisa e insieme fredda stretta di mano i due nuovi arrivati.
«Gli interrogatori saranno rapidi. – disse Rosamund. – Patrick mi aiuterà. Se mi è concesso, signor Malfoy, vorrei visitare ancora il luogo del delitto, onde sincerarmi di non aver tralasciato alcun particolare. Non mi dispiacerebbe esplorare per l’ennesima volta la stanza delle armi.»
Charlotte si era avvicinata al gruppetto, mormorando dei saluti ai nuovi arrivati.
Abraxas rispose: «Posso accompagnarla direttamente al padiglione cinese. Sarebbe utile scoprire da che parte è stato lanciato l’Avada Kedavra che ha ucciso Hilda, suppongo.»
Rosamund corrugò la fronte e l’aria sembrò diventare improvvisamente gelida. «Non mi sembra di averle già comunicato i risultati dei referti, signor Abraxas. Come fa a sapere che la vita di Hilda è stata stroncata da una Maledizione?»
Charlotte accostò di nascosto la propria mano a quella di Abraxas e la strinse. Il padrone di casa, senza abbandonare l’aria dignitosa, ribatté: «So riconoscere gli effetti di un Avada Kedavra, signorina Jameson, sebbene i miei studi medimagici non abbraccino il campo. Credevo fosse ovvio anche per lei. A quanto pare, non è così.»
«Non ne faccio un dramma. – disse Rosamund spicciamente, entrando nel giardino. – Comunque, mi accompagni pure al padiglione cinese.»


Venne riservato a Rosamund, per gli interrogatori, il salottino estivo. Esaurite tutte le risposte, Megan si alzò ed uscì dalla camera, accennando un saluto all’Auror per lasciare il posto a Laureen. Si richiuse la porta alle spalle quando l’anziana cugina fu entrata e scese di fretta le scale, adocchiando torvamente Charlotte che se ne stava in un angolo dell’atrio assieme a Ottilia. Svoltò di fretta ma qualcosa, nel discorso delle sue sorelle, dovette attirare la sua attenzione perché all’improvviso piantò i piedi per terra e avvertì un brivido freddo lungo la schiena. Celandosi dietro un pilastro, tese le orecchie. Una delle due aveva pronunciato il nome di Lysiart.
«…nella stanza delle armi. – stava dicendo Charlotte. – Me lo ha detto Green, il maggiordomo. Era una sorta di congegno nella parete.»
“Un congegno?” pensò Megan, inarcando le sopracciglia. Retrocedette lentamente e, quando fu a un tiro di sasso dalle due sorelle Zurrey, risalì nuovamente le scale, diretta al secondo piano.
Tre minuti dopo abbassava la maniglia della stanza delle armi, decisa a cercare il congegno nella parete di cui Charlotte aveva parlato.
Varcò la soglia scrutando con timore riverenziale il signore di Mictlan. La scultura in ossidiana era lucida e brillante e dominava la stanza con la sua espressione severa.
Megan si avvicinò alla statuetta con passi ovattati e ne saggiò la testa con la punta delle dita. Non aveva mai prestato molta attenzione a quel dettaglio della camera. Adesso, invece, quel piccolo demone scultoreo sembrava attrarla.
“Un congegno” rifletté, tastando la parete. Charlotte doveva essersi sbagliata o aver parlato a sproposito. Avrebbe dovuto aspettarselo da una donna come lei.
Volse lo sguardo al resto della camera, tagliando di netto coi suoi chicchi di caffè gli arazzi appesi al muro. E poi vide il gelsomino in fiore e le macchie di sangue sul pavimento che le ricordarono l’harakiri e il defunto Lysiart. A pochi metri di distanza dal punto in cui si trovava, suo cognato era stato brutalmente trucidato. Avanzando timorosamente, Megan covò con gli occhi le chiazze rosse, ormai sbiadite, che ricamavano piccoli cerchietti sulle piastrelle. C’era qualcosa che non la convinceva. Procedette ancora, dimentica del signore di Mictlan e del misterioso congegno. Poi finalmente comprese. Una piastrella vicina al gelsomino recava uno strano segno nero. Nessuno l’avrebbe mai notato da lontano, perché sembrava appartenere alle decorazioni del pavimento. Megan, però, si soffermò sul dettaglio. Era una X, arricchita con uno svolazzo fronzuto, quasi una miniatura cesellata con maniacale attenzione. Solo una mano leggera e sicura avrebbe potuto inciderla.
Quando tastò col tacco la strana lettera, sentì un rumore sottile. La piastrella non era incollata. Si chinò sul segno, e con lentezza rimosse la mattonella. Trovò proprio sotto la X un biglietto delle dimensioni di un’unghia. Trasse di tasca la bacchetta ed esclamò: «Engorgio!» Il pezzetto di carta si allargò all’istante. Era una poesia, scritta con la grafia chiara ed elegante di Lysiart Malfoy. Megan abbozzò un sorriso di trionfo e fece scorrere lo sguardo sulle pochissime righe.

11 Aprile 1955

Audace saturnismo

L’infausta rovina,
il triste segreto.
La Burattinaia
si cela qui dietro.

Megan corrugò la fronte, intimorita da quelle parole prive di senso. C’era qualcosa, nella parola “Burattinaia”, che la rendeva esagitata. Intascò la poesia di Lysiart e, mentre tornava in camera, provò invano ad interpretarla.


Gli interrogatori presero buona parte della mattinata, ma Rosamund e Patrick non riuscirono a trarne alcun dato oggettivo. Zephyrus MacNiemand e Laureen si mostrarono emotivamente scossi, ed ammisero di aver reagito con angoscia alla notizia della morte di Hilda, ma dalle loro testimonianze non fu dedotto alcun particolare illuminante. All’ora di pranzo, non solo l’Auror e il suo sottoposto abbandonarono la magione, ma anche Ester, Cordelia e Ottilia, che dovevano ritornare in paese. Le previsioni meteorologiche di Laureen si rivelarono esatte. Piovve per i tre giorni successivi alla morte di Hilda e soltanto all’alba del quarto giorno si rivelarono i segni della sospirata quiete.
I referti magici confermarono le tesi di Abraxas: l’infermiera di Adolar era stata uccisa con una Maledizione senza Perdono.


Ecco a voi un nuovo capitolo! Sappiateci dire cosa ne pensate!
Un grazie particolare a Thiliol per la sua recensione. Sappici dire cosa pensi di questo nuovo capitolo!

Un grazie a chi ha messo la storia tra i preferiti!

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Capitolo 19
*** Capitolo XIX ***


Capitolo XIX

Il sole splendeva, appena velato da alcune nubi, su Malfoy Manor, senza però rendere meno cupa la magione. Soltanto alcune zone del giardino sembravano essere veramente vivificate dal bel tempo. Un certo tepore si diffuse anche all'interno delle vecchie e spesse mura, dove gli abitanti si aggiravano inquieti, chiedendosi chi sarebbe stata la prossima vittima dell'assassino. Dopo la morte inspiegabile di Hilda, le occhiate sospettose che si lanciavano l'un l'altro erano sempre più frequenti, venendo a creare una tensione che anche il piccolo Lucius, pur con i suoi quattro mesi compiuti da poco, sembrava avvertire. O almeno questo era quello che pensava Charlotte, mentre se ne prendeva cura nella stanza dei giochi, tenendolo sulle ginocchia, mentre seduta sul pavimento, lo aiutava a giocare con delle formine. Le pareva che ci fosse meno vivacità nei gesti del bambino, meno curiosità. Gli accarezzò appena il capo sul quale spuntavano radi capelli biondi, con affetto. In quel periodo si era affezionata a lui, aveva iniziato a notare delle piccole particolarità nel modo di comportarsi del piccolo che a volte immaginava che Megan non conoscesse.
Come richiamata dai pensieri della giovane, la donna entrò nella stanza, squadrando acidamente Charlotte e il modo in cui teneva in braccio il figlio, non come una semplice bambinaia.
«Signora Malfoy.» mormorò soltanto Lotte, mentre, vedendo la donna, le tornavano alla mente le parole che Abraxas si era lasciato sfuggire.
Quale debito poteva aver avuto Adolar Malfoy con i Dippet? Quale debito Abraxas con suo padre? Sapeva perfettamente che l'uomo non avrebbe mai voluto dire quelle parole, ma questo non impediva alla curiosità, quella curiosità che da quando era a Malfoy Manor sembrava essersi elevata all'ennesima potenza, di cercare una qualche risposta o, per lo meno, di fare ipotesi.
«Signorina Zurrey, sembra proprio che voglia far credere a Lucius che sia lei la madre.» constatò con voce acuta la donna, avvicinandosi alla giovane, che si era lentamente alzata in piedi tenendo il bambino in braccio.
«No, signora.» rispose solamente Charlotte, riuscendo a dare una certa fermezza al proprio tono.
Se soltanto non si fosse trovata in una situazione subalterna alla moglie di Abraxas, avrebbe potuto, forse, risponderle a tono, vincendo la sua naturale timidezza. E, a voler essere sincera, in quel momento aveva una gran voglia di cacciare via quella donna, dicendole qualcosa di cattivo.
«Ne è certa? - ribatté Megan, continuando a squadrare la giovane, chiedendosi come avesse fatto a incantare suo marito. Non avrebbe mai creduto che Abraxas potesse cedere di fronte ad una finta ingenua come doveva essere quella Zurrey - Sa, il suo comportamento sembra dire l'esatto contrario.»
«Lei è unicamente…- la bambinaia si interruppe di colpo. Non era quello il tono con cui doveva rivolgersi alla moglie del suo datore di lavoro, per quanto questi potesse essere l'uomo di cui era innamorata - Ne sono assolutamente certa, signora Malfoy.»
«Oh andiamo, signorina Zurrey, non vorrà farmi così sciocca da pensare che io possa non capire che vezzeggiare Lucius è unicamente un modo per tenersi stretto il padre.» disse malignamente la donna.
«La smetta, signora Malfoy. - proruppe Charlotte alzando improvvisamente la voce, provocando una certa agitazione nel bambino - Sono stanca di queste sue continue insinuazioni…»
«Insinuazioni? - la interruppe Megan istericamente - Non sono una stupida. Ho visto come vi guardate, tu e Abraxas. Non cercate nemmeno di nasconderlo. Se lei non avesse ottenebrato la mente di mio marito, facendosi passare per qualcosa di diverso dalla piccola intrigante che è, sarebbe già stata licenziata da tempo.»
«Non ho paura delle sue minacce, signora Malfoy. - ribatté la giovane esibendo un tono inflessibile, che di solito non le apparteneva - E le ribadisco, sono stanca di questo suo attaccarmi continuamente, di questo suo mettere in dubbio qualsiasi cosa io dica. Potrò anche essere una sua sottoposta, ma questo non le dovrebbe impedire di trattarmi con maggiore rispetto.»
«Rispetto? E per chi? Per una piccola intrigante che è venuta in casa mia con il solo scopo di entrare nel letto di mio marito?» domandò Megan, fissando la giovane, gli occhi, così simili a due chicchi di caffè, parevano volerla perforare.
Charlotte arrossì di colpo, chinando appena il capo. Sembrava che tutto il coraggio che l'aveva animata fino a quel momento fosse scomparso di colpo. Non riusciva nemmeno ad avere la forza di negare quello che Megan aveva detto, anzi, le lacrime premevano sui suoi occhi per uscire. Sospirò per qualche istante, stringendo più forte a sé Lucius, che si era improvvisamente immobilizzando, come se percepisse la tensione che pervadeva la stanza.
«L'ho punta sul vivo, non è così signorina Zurrey?» domandò Megan, facendo un passo verso la giovane.
«Stia zitta - disse la bambinaia, la voce leggermente tremante, mentre, facendo forza su se stessa, tornava ad alzare il capo - Lei non sa nulla di quello che penso e…lei non potrebbe mai capire…»
«Cosa non potrei capire?» domandò ironicamente la donna. Quella piccola vittoria sulla Zurrey la faceva sentire stranamente bene. La stava umiliando e lo sapeva perfettamente. Aveva notato, non appena la giovane aveva alzato il volto che gli occhi le si erano inumiditi e questo era qualcosa che la rendeva stranamente felice. Sapeva altresì che pensava realmente quello che aveva detto, che nulla le avrebbe impedito di pensare che quella dannata ragazza fosse venuta al Manor con lo scopo preciso di sedurre suo marito, riuscendoci perfettamente, tra l'altro.
«Gradirei che mi rispondesse, signorina Zurrey. - rincarò la donna - Cosa non potrei capire?»
«Lei… - Charlotte si interruppe mordicchiandosi il labbro inferiore. Sentiva dentro di sé una rabbia che non aveva mai provato prima, una rabbia però che non riusciva ad emergere, a scaricarsi su Megan. Quello che mostrava era soltanto nervosismo. - …non potrebbe mai capire che io a…»
La signora Malfoy non poté mai scoprire cosa non aveva compreso, perché in quel momento la porta della stanza dei giochi si aprì, facendo ammutolire immediatamente Charlotte. Laureen Mallory fece qualche passo avanti, facendo passare lo sguardo da Megan che aveva un sorriso sghembo sul volto, un sorriso che emanava una certa soddisfazione, a Charlotte che pareva sul punto di piangere, anche se la donna non seppe dirsi se quello era dovuto al dolore, all'umiliazione o alla rabbia.
«Megan, cara, ti stavo cercando per tutto il Manor. Oggi mi sento piena di acciacchi o, meglio, più del solito piena d'acciacchi, e così pensavo di poter prendere la tisana insieme a te, anche se non mangerò mai una di quelle orribili mele.» disse la cugina povera dei Malfoy, pensando dentro di sé che invece di entrare così rapidamente non appena aveva riconosciuto la voce di Megan, avrebbe potuto rimanere fuori ad origliare. La sua curiosità innata la faceva pentire di non aver aperto semplicemente la porta e guardato dentro da uno spiraglio. A quel che pareva, si disse, quella stanza sembrava servire a tutto tranne che a far giocare il piccolo Lucius.
«Giusto, Laureen, la mia tisana. Vengo subito. Se mi vuoi fare il piacere di precedermi… - le due donne si fissarono. La padrona di casa con uno sguardo che voleva chiaramente invitare l'altra ad andarsene, la cugina povera con lo sguardo di chi la sa lunga, di chi, anche senza aver sentito una sola parola intuisce qual è il motivo della lite. In fondo non era difficile, si disse Laureen, mentre lasciava la stanza, capire che Megan e Charlotte stavano litigando a proposito di Abraxas - Quanto a lei, signorina Zurrey, si ritenga fortunata per l'arrivo di Laureen, ma non creda che il discorso finisca così.»
Ma, persa la spinta iniziale, la minaccia di Megan risultò vuota, persino alle orecchie di una nervosissima Charlotte, che aveva quasi benedetto Laureen per il suo arrivo improvviso, per averle impedito di parlare troppo. Soltanto quando la signora Malfoy fu uscita la bambinaia riuscì a rilassarsi e questo portò Lucius ad agitarsi vivacemente tra le sue braccia e le lacrime a scendere silenziose lungo le gote della giovane, non più trattenute dalla rabbia e dalla volontà di impedirsi un'ulteriore umiliazione. Tirando su con il naso tornò a sedersi per terra, riprendendo il gioco con il bambino, a cui però non riusciva a dedicarsi con la dedizione che avrebbe voluto. Sentiva che le lacrime continuavano a scorrere lungo il suo volto, anche mentre sorrideva per un movimento strano di Lucius che tentava di afferrare una formina particolarmente lontana da lui. Con un gesto calmo gliela passò, mentre rifletteva rapidamente su quello che era appena accaduto. Forse avrebbe dovuto dare retta alle parole di Ottilia e decidere di lasciare il Manor, ma sapeva perfettamente che non poteva farlo, che non voleva farlo.
Non si rese conto che la porta si era aperta, intenta com'era a tentare di frenare il pianto, quelle lacrime di umiliazione e rabbia repressa e cercare di comportarsi normalmente con il piccolo Lucius. Soltanto quando sentì un braccio cingerle la vita, si accorse della presenza di Abraxas, al suo fianco.
Sobbalzò appena, tentando in maniera piuttosto goffa di nascondere il volto all'uomo, mentre Lucius, sulle sue ginocchia sembrava essere tremendamente eccitato avendo avvertito la presenza del padre.
«Immagino sia stata Megan.» disse soltanto l'uomo, prendendo il figlio dalle braccia di Charlotte, tenendolo sulle sue gambe con un solo braccio, riportando l'altro a cingere la vita della giovane.
«Io…- iniziò la bambinaia, voltandosi verso di lui - …è accaduto come al solito.»
«Non dovresti lasciarti turbare a questo modo da lei. - affermò Abraxas fissandola a lungo - Conosci la verità.»
«È difficile…» mormorò solamente Charlotte, chinando appena il capo.
«Forse, ma ricordati sempre, quando Megan avrà un altro dei suoi scatti d'ira, quello che ti ho detto anche altre volte.»
La giovane annuì, sorridendo appena, mentre con una mano si asciugava gli ultimi residui di lacrime. Lucius in braccio al padre sembrava essersi improvvisamente calmato e andare verso una specie di dormiveglia. Abraxas e Charlotte rimasero a lungo a fissarsi, prima che le loro labbra si sfiorassero in un bacio breve, ostacolati com'erano dal bambino che si era, nell'addormentarsi, attaccato al collo del genitore.
«La signorina Jameson, ha detto quando tornerà per indagare?» domandò improvvisamente Lotte, mordicchiandosi appena il labbro inferiore.
«No, ma credo che non tarderà molto. - Abraxas fece una pausa, mentre si frugava rapidamente in tasca, estraendo la pergamena ingiallita che aveva preso accanto al cadavere di Hilda - Tienila tu, nascondila da qualche parte nella stanza di Lucius. È la cosa migliore.»
Charlotte annuì nuovamente, ricevendo con mano leggermente tremante il foglio, infilandoselo rapidamente in tasca, prima che entrambi si alzassero in piedi. Abraxas teneva ancora il bambino in braccio quando uscirono dalla stanza dei giochi.


Al piano di sotto Megan stava mangiando quasi con rabbia la sua mela. Odiava il modo in cui non era riuscita a rendere efficace la sua minaccia finale. Aveva sperato in un'uscita ad effetto, umiliando ulteriormente quella ragazzina, invece sembrava una bambola meccanica a cui l'inventore si era scordato di girare la molla per ricaricarla. Eppure, si disse, una piccola, misera vittoria l'aveva ottenuta. Certo, per vincere veramente, avrebbe dovuto distogliere il marito da quella assurda passione, ma sapeva da sola che era qualcosa di impossibile per lei.
Era sempre stata cosciente di non essere bella. A scuola aveva subito le frecciatine dei suoi compagni per quel suo sembrare così dannatamente sghemba.
«Cosa diamine ti ha fatto quella mela, Megan? - domandò Laureen, che dopo aver sorseggiato con calma una tazza di tisana, era rimasta in silenzio ad osservare la donna - Sembra quasi che tu la stia scambiando per una persona che vive in questa casa.»
«Se potessi aver nelle mie mani quella Zurrey, come ho tra le mani questa mela, non farebbe più la gatta morta con Abraxas.» sbottò rabbiosa Megan.
Era la prima volta che parlava così apertamente con qualcuno di quello che provava, ma tenersi ogni cosa dentro di sé l'aveva portata a non riuscire più a frenarsi.
«Credo che tu stia sbagliando atteggiamento in questa triste vicenda. Vedrai che tuo marito dimenticherà presto la bambinaia di suo figlio. - la donna fece una pausa, mentre corrugava le sopracciglia pensosa - Non credo che possa interessargli veramente legare la propria vita ad…» «Eppure Laureen, tu stessa tempo fa hai detto che Abraxas poteva essersi innamorato della Zurrey.» la interruppe Megan, fissandola con intensità negli occhi.
«So quello che ho detto, ma forse potrei anche essermi sbagliata, o forse no. Ma il fatto che tuo marito possa essersi innamorato di Charlotte Zurrey non vuol dire che questo possa essere un pericolo per te.»
«Ah no? E per quale motivo dovrei pensare una cosa del genere?» domandò una Megan molto vicina ad una tremenda crisi di nervi.
«Per il semplice fatto che sai per quale motivo tuo marito ti ha sposato. Lo conosco da più tempo di te e posso assicurarti che non infrangerebbe mai qualcosa che ha compiuto per pagare un debito.» spiegò Laureen pazientemente.
«E tu…» la voce di Megan fu improvvisamente interrotta da un certo trambusto al piano di sotto.
Traendo un sospiro esasperato uscì dal salottino estivo e scese rapida le scale. Davanti a sé nell'ingresso della casa stavano due individui, una donna dai capelli biondo scuro, striati pesantemente di grigio, e un vestito di buona fattura e un uomo abbigliato in maniera assolutamente riprovevole, con un abbinamento di colori che avrebbe fatto rivoltare chiunque. La sua attenzione fu talmente focalizzata da questo particolare che non si accorse della presenza di Green nell'ombra del grande androne di ingresso.
«Chi siete? - domandò senza troppi preamboli la padrona di casa, cercando di ergersi maestosa, nonostante la bassa statura - E soprattutto chi vi ha fatti entrare?»
«Il vostro maggiordomo, non appena gli abbiamo detto chi siamo. - disse la sconosciuta, facendo una breve pausa - Anche se ci saremmo aspettati di ricevere una lettera da parte vostra, invece di leggere della morte di nostra figlia Hilda su un giornale.»
«Può benissimo immaginare, signora O'Connor, che le cose non sono granché semplici qui a Malfoy Manor, dopo tutto quello che è accaduto - disse Megan con tono contegnoso, come a voler far capire ai genitori dell'infermiera che lei non aveva sbagliato in nulla - Mio marito dovrebbe essere con suo padre. - fece una pausa, inquadrando finalmente il maggiordomo che sembrava non perdersi nemmeno una parola di quello che veniva detto - Green, vai a chiamarlo. Se volete seguirmi intanto, signori O'Connor.» aggiunse, indicando la sua sinistra, dove troneggiava la porta che immetteva nel salotto di anticamera.
Li guidò con piglio che pensò sicuro, mentre Laureen, che l'aveva seguita fino al piano terra, le si affiancava. Il salotto li accolse illuminato dal sole di quel giorno di inizio estate. Con un gesto piuttosto rigido Megan fece accomodare i due O'Connor su delle poltrone, facendo altrettanto.
«Mio marito sarà qui tra poco, signori. - disse semplicemente, anche se la voce non aveva ancora del tutto perso quell'isteria che l'aveva presa nel salottino estivo. Era riuscita a mascherarla subito, ma in quel momento sembrava più che avesse ingaggiato una lotta con se stessa - Immagino che…»
«C'è qualcosa che non va in questa casa. - disse improvvisamente il signor O'Connor - Guarda, cara - disse rivolto alla moglie, che scuoteva piano il capo - Sembra quasi che le mura parlino di chissà quali delitti, e non sto parlando soltanto della morte di nostra figlia.»
«Signora Malfoy, lo perdoni. - disse la moglie dell'uomo - Shaun ha sempre sostenuto di poter sentire i sentimenti delle abitazioni.»
«Certo - disse Megan, che però stava osservando con attenzione assoluta il signor O'Connor, chiedendosi se quell'uomo dall'abbigliamento così bizzarro e variopinto, non potesse trovare una risposta ad alcune sue domande - Come vi stavo dicendo…»
Ma ancora una volta la donna venne interrotta. La porta si aprì palesando il volto affilato di Green.
«Mi dispiace signora, ma suo marito non è con il signor Adolar. Ho trovato Zephyrus a vegliare sul signore. Ha detto che il signor Malfoy l'ha obbl…ehm gli ha chiesto di badare al padre. Sa, il signor Malfoy sta badando ad uno di quei suoi medicinali sperimentali e non vuole essere disturbato.»
Sul volto di Laureen apparve come una sorta di intuizione. Non sapeva per quale motivo, ma aveva l'assoluta certezza che Abraxas non fosse chino sui suoi intrugli. Ben più probabile, pensò, che fosse intento a baciare Charlotte Zurrey.
«Puoi andare Green - disse Megan, tentando di dare un tono signorile ai suoi gesti. Aveva ancora quel po' di buon senso per non chiedere al maggiordomo di andare ad accertarsi che la bambinaia fosse ancora nella stanza dei giochi, da sola. Aveva visto il lampo che era apparso sul volto di Laureen e anche senza quello era certa che Abraxas non si stesse occupando di nessun nuovo ritrovato. Lo aveva sentito parlare con la defunta Hilda qualche giorno prima dell'omicidio dell'infermiera di un decotto che doveva rimanere a fermentare per un mese e di certo non era passato così tanto tempo da allora. E sapeva fin troppo bene che non si occupava mai della sperimentazione di due medicine in contemporanea - Come vi stavo dicendo, signori O'Connor, immagino che voi siate venuti per discutere di quello che è accaduto a vostra figlia.»
«Sui giornali era scritto unicamente che è stata assassinata. Cos'altro si sa in proposito?» domandò la donna.
«Poco o niente. Le indagini sono ancora in atto. - rispose Megan - Si sa soltanto che è stata uccisa da una maledizione senza perdono.»
Mentre le due donne parlavano Shaun O'Connor si era alzato in piedi e sembrava essere attratto in maniera particolare dalla parete settentrionale della stanza. Laureen seguiva con attenzione ogni suo movimento e, soprattutto, tentava di carpire qualcosa del suo mormorio. Se non le fosse sembrato tremendamente sciocco, avrebbe potuto giurare che l'uomo stava parlando con la parete della casa.
«Qualcuno è stato murato vivo in questa casa.» annunciò subito dopo l'uomo.
Megan sobbalzò sulla poltrona, mentre Laureen impallidì di colpo. La seconda pensò che c'era qualcosa di tremendamente inquietante in quell'uomo abbigliato con colori vivaci, ma che parlava di delitti e morte.
«Per favore Shaun, non mi sembra il caso. - disse la moglie dell'uomo con ragionevolezza - Pensa a quello che è successo a Hilda.»
«Appunto, Brigitte, appunto. Avevo detto alla nostra ragazza di non venire qui e di non immischiarsi con i Malfoy. Avevo ragione. Sentivo già allora che la casa dove si era trasferita Hilda aveva qualcosa che non andava.»
«Signora Malfoy, la prego, lo scusi. Ha detto le stesse identiche parole quando sua sorella si è sposata e non è accaduto nulla.»
«E non c'è modo per distrarlo da tutto questo?» domandò Laureen, scoccando un'occhiata a Megan che sembrava fissare affascinata l'uomo. In fondo, si disse la donna, la moglie di Abraxas doveva trovarsi a suo agio con qualcuno che faceva ragionamenti macabri che potevano sposarsi perfettamente con le stampe che Megan sembrava adorare.
«Accade all'improvviso, di solito signora. Credo che sia rimasto molto scosso dalla morte di Hilda e che questo l'abbia portato ad estraniarsi più del solito.» spiegò Brigitte chinando appena il capo, quasi si vergognasse del marito.


Le decorazioni rococò sembravano quasi incombere con i loro stucchi e le tinte pastello degli affreschi, su Charlotte e Abraxas. Il piccolo Lucius dormiva placidamente, deposto con cura su alcuni cuscini. La decisione, dopo che erano usciti dalla camera dei giochi, di andare nel padiglione rococò era stata quasi simultanea. L'uomo l'aveva guardata soltanto per un attimo e le aveva fatto un semplice cenno con il capo, poi, dopo che il padrone di casa era andato a ordinare a Zephyrus Macniemand di prendersi cura del padre, entrambi erano arrivati alla porta della magione e avevano infine raggiunto il piccolo edificio. Si erano recati in una delle stanze sul retro, dove le decorazioni si facevano ancora più pesanti e mantenevano sempre quel tono lezioso e pastorale.
La bambinaia si sistemò meglio, il capo poggiato sul petto dell'uomo che l'abbracciava. Era da quando erano entrati e si erano seduti su un divano dalla copertura rosa e verde pastello, che erano immobili in quella posizione. Si spostavano unicamente per scambiarsi qualche bacio appassionato. Avevano anche parlato poco. Sembrava quasi che nessuno dei due volesse far riferimento a nulla di quanto era accaduto in quei giorni. Anche gli usuali sensi di colpa di Charlotte parevano essere scomparsi del tutto, ma forse questo era unicamente dovuto al fatto che si fidava ormai cecamente delle parole di Abraxas.
«Dovremmo rientrare. - disse improvvisamente l'uomo guardando fuori dalla finestra - Prima o poi qualcuno verrà a guardare se ho bisogno di qualcosa nel mio studio, nonostante sappiano che odio esser disturbato in quei frangenti. - fece una pausa, scuotendo appena il capo. - È meglio per entrambi che questa persona non sia Megan e, nel caso, che Megan mi trovi lì.»
Charlotte annuì appena. Le parole di Abraxas le avevano fatto ripiombare addosso l'umiliazione e la rabbia provate poco tempo prima nella camera dei giochi. Sapeva che quella breve tregua, quel rifugiarsi nel padiglione rococò non poteva durare per sempre. Era altresì cosciente che le parole dell'uomo erano più che sensate. Forse si sarebbero potute evitare altre liti notturne tra i due coniugi, altre liti che svegliavano Lucius, il quale, ne era certa, pur con i suoi pochi mesi, percepiva perfettamente la tensione tra i genitori. Sospirò appena e fece per staccarsi da Abraxas, ma le mani dell'uomo ancora la tenevano contro di lui.
Il padrone di casa sapeva che avrebbe dovuto seguire il suo stesso consiglio, ma da quando era iniziata quella relazione con Lotte si scopriva a fare cose tutt'altro che ragionevoli. Ed una di queste era baciarla nuovamente, in quel momento, accarezzandole la schiena e i capelli, e baciarla di nuovo e ancora una volta.
Soltanto il pianto improvviso di Lucius impedì ad entrambi di spingersi oltre ai semplici baci. Si staccarono di scatto, fissandosi per qualche istante, poi, l'uomo si alzò e andò a prendere in braccio il figlio che continuava a strillare, agitandosi. Charlotte si portò una mano al petto, mentre calmava leggermente il respiro ansimante, per poi alzarsi a sua volta e avvicinarsi ad Abraxas.
«Ha fame.» mormorò infine, osservando il bambino.
L'uomo si voltò a guardarla per un istante, annuendo infine. Le sfiorò nuovamente le labbra con le proprie, per un attimo, prima di parlare:
«Ricordati, Lotte, qualsiasi cosa possa dirti Megan, ignorala. Non lasciare che le sue parole ti possano ferire. - fece una pausa - Torneremo insieme al Manor, per quanto possa non sembrare saggio, ma nulla si può fare nel caso in cui ci fosse qualcuno a spiare dalle finestre. E se quel qualcuno fosse Megan, sai già come si comporterebbe. - una nuova pausa, mentre con il bambino piangente ancora in braccio iniziò a raggiungere la porta, affiancato da Charlotte - Appena sarai all'interno della villa, dopo aver dato da mangiare a Lucius, nascondi il foglio che ti ho dato. Mi fido della tua discrezione.»
«Lo farò, Abraxas - mormorò semplicemente Lotte, mentre uscivano dalla stanza, attraversandone un'altra per poi raggiungere l'ingresso ed uscire. A contatto con il tepore estivo Lucius parve calmarsi un attimo, iniziando a tormentare la veste del padre con le manine paffute - Anche Thimoty era così vivace i primi mesi, a dire il vero lo è ancora. - disse la giovane, forse per non far cadere il silenzio tra loro - Nonostante tutto.»
«Intendi per via della rottura tra i suoi genitori?» domandò piuttosto retoricamente l'uomo.
«Sì, ma quando accadde era molto piccolo, sui dieci mesi. Non credo ricordi le lacrime di Tilia. - scosse appena il capo, mordicchiandosi il labbro inferiore incerta, scoccando un'occhiata interrogativa ad Abraxas che la invitò con un cenno del capo a proseguire - Vede comunque suo padre, anche se mia sorella non vorrebbe, ma sa perfettamente che a Thimoty serve.»
«Tua sorella è saggia, Lotte.» commentò l'uomo, voltandosi ad osservarla a lungo, per poi portare lo sguardo sul Manor, che ormai sorgeva al loro fianco.
Il silenzio cadde tra loro, pesante, quasi opprimente come le mura scure che li sovrastavano. Ci volle troppo poco tempo perché arrivassero al grande portone d'ingresso ed entrassero. Un vociare proveniente dal salotto di anticamera fece inarcare un sopracciglio al padrone di casa. Si voltò verso Lotte e le consegnò il figlioletto, il quale si stacco malvolentieri dal padre, riprendendo a piangere. La bambinaia si affrettò rapidamente verso le scale, sotto lo sguardo vigile di Abraxas che subito dopo si portò verso la porta alla sua destra.
L'intuizione che aveva avuto appena entrato nell'androne di ingresso, di aver udito altre voci che non appartenevano agli abitanti del Manor si rivelò esatta. Senza attendere oltre, dopo aver lanciato un'occhiata alla scalinata ormai vuota, aprì la porta del salotto, scrutando con attenzione i due sconosciuti.
«Non pensavo che finissi tanto presto con i tuoi esperimenti - disse Megan, osservando il marito come se tentasse di capire dove fosse stato realmente, ma il suo atteggiamento così misurato le fece dubitare per un attimo di essersi sbagliata, errore che però le parve ben presto assurdo, considerando che aveva appena sentito, o creduto di sentire, gli strilli di Lucius. Si chiese se anche Laureen se ne fosse accorta o se invece fosse troppo assorta dalle chiacchiere di Shaun O'Connor, che in quel momento sembrava un allegro compare, di quelli che si incontrano in un pub di paese - Immagino non ti sia accorto del trambusto. - aggiunse, indicando poi i due irlandesi che si erano alzati in piedi non appena l'uomo era entrato nella stanza - Signori O'Connor, mio marito Abraxas. Sono i genitori di Hilda.»
Il padrone di casa annuì appena, salutando forse troppo severamente i due coniugi, per poi andare a sedersi in una poltrona piuttosto discosta da quella di Megan.
«Speravamo di incontrarla, signor Malfoy. - disse Brigitte, dopo aver fatto passare alcuni minuti - Ho già avuto modo di parlare con sua moglie di quello che accaduto a Hilda. Quello che volevamo discutere con lei è il funerale. Immagino che della famiglia sia lei a tenere i contatti con le autorità di Londra.»
«Esattamente, signora O'Connor. - confermò l'uomo, mentre scrutava con le sopracciglia appena aggrottate i due irlandesi - Il corpo di sua figlia si trova ancora a Londra, ma credo che domani o dopodomani al massimo le verrà reso. Quanto ai funerali ritengo sia più saggio seppellire l'infermiera di mio padre qui al Manor. Ha fatto molto per un componente importante della famiglia e sono certo che se mio padre potesse ancora decidere qualcosa, vorrebbe che Hilda fosse sepolta qui.»
«Veramente, signor Malfoy, avremmo preferito riportare la salma con noi in Irlanda. - disse la donna, scoccando un'occhiata al marito che pareva troppo intento a fissare alternativamente le mura della stanza e il volto di Abraxas - Anche se capisco che la sua proposta è un on…»
«Nessun onore. La casa lo dice. Lei, signor Malfoy, ha un demone in corpo.» la interruppe improvvisamente il marito facendo piombare il salotto nel più completo silenzio.


Ecco avoi un altro capitolo! Un grazie particolare a:
Moony Potter: Cosa ne pensi di questi nuovi risvolti? Dei genitori di Hilda? (siamo "sadicamente" contenti che non ti aspettassi che fosse lei la vittima) Siamo felicissimi di aver fatto scattare in te la curiosità! Grazie mille per i complimenti!

Thiliol: Siamo felici che la poesia ti sia piaciuta. Sappici dire cosa pensi di questo capitolo!

Un grazie a chi ha messo la storia tra i preferiti e a chi legge soltanto!

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Capitolo 20
*** Capitolo XX ***


Capitolo XX

Il silenzio fu rotto dal brusco e stridulo tossicchiare di Laureen, che si mostrò quanto mai attratta da una giara Ming posta sull’angoliera. Shaun O’Connor, certo che Abraxas fosse indemoniato, tra il timore e la deferenza si ritrovò ad incedere molto lentamente, con sguardo pensoso, fino alle pareti della stanza, saggiandone la superficie con le mani tozze. Abraxas socchiuse le palpebre sprezzante, fendé la stanza con gli occhi in fiamme e si voltò pacatamente verso la madre di Hilda, la quale, imbarazzata, fingeva d’essere persa in astruse elucubrazioni mentre con le lunghe dita affusolate livellava le rughe sul dorso della propria mano sinistra.
«Non si tratta di onore o mediocri questioni di convenienza, signora O’Connor. – rispose il padrone di casa con calma innaturale, facendo rizzare all’istante il capo di Brigitte in una recitazione di pessima categoria. – Le assicuro che sua figlia, - continuò, lasciando intendere che aveva compreso lo sciocco espediente della donna per celare l’imbarazzo e che lo disprezzava, - avrebbe accolto questa risoluzione con docilità e condiscendenza. Ci è stata di grande aiuto e mi permetta di dire, signora O’Connor, che chiunque, al Manor, la considerava un membro della famiglia.»
Quelle parole fecero sprofondare la stanza in un nuovo e più greve silenzio. Si poté udire il tintinnio delle unghie di Laureen che picchiettavano la giara Ming e il ronzio di un’ape sulla credenza di mogano meranti.
Dopo qualche attimo di calma apparente, Brigitte, al colmo dell’impaccio, arcuò le labbra, mostrando una lunga fila di denti dal colorito pallido.
«Signor Malfoy, apprezzo la sua gentilezza, ma…»
Abraxas scosse la testa, interrompendola. «Sarà meglio che non ne discutiamo troppo lungamente, signora O’Connor. Non vorrei risultare caustico, ma la prego di limitarsi ad approvare la deliberazione senza dar vita a insulsi dibattiti.»
Brigitte annuì velocemente, mentre mille domande senza risposta si affacciavano nella sua mente confusa.
«Un demone… Un demone… Lo governa… E’ il suo burattinaio…»
Le blaterazioni di Shaun ancora colmavano i brevi attimi di silenzio, come un mormorio di sottofondo. Laureen lasciò la giara Ming e si avvicinò con gesti compassati ad una poltrona.
«Offri loro da bere, Megan.» disse Abraxas altezzosamente, fulminando per mezzo di uno sguardo repentino la figura di Shaun.
«Prendete un’acquaviola o un bicchierino di Whisky Incendiario?» sorrise Megan, aprendo la credenza e traendone due bottiglie dal lungo collo.
«Accetto volentieri dell’acquaviola.» sorrise cortesemente Brigitte O’Connor.
«Per lei, signor Shaun?»
L’uomo si voltò lentamente. «Gradirei del vino, se ci fosse. E’ l’ideale per scacciare i cattivi presagi.»
«Mio marito adora il vino! – ingiunse tempestivamente Brigitte, annuendo. – E’ un enologo ed intenditore di vini pregiati. Teniamo un vasto assortimento di barilotti nella nostra cantina.»
«Posso offrirle del Cabernet-sauvignon. Manderò Green a prenderne una bottiglia nelle cucine.» rispose Megan.
«Non si scomodi, signora Malfoy. – disse Brigitte con un gesto della mano. – Shaun ne farà volentieri a meno. Giusto, caro?»
«Preferirei averlo, invece, se non è di troppo disturbo.»
«Nessun disturbo.» disse Megan con inusitata cortesia, ma palesando di contro un senso di acuta molestia.
Qualche minuto dopo centellinavano le loro bevande, discutendo dei funerali. Abraxas, pur aprendo bocca soltanto per pronunciare il minimo indispensabile, con la sua fermezza teneva le redini della discussione, dirottandola e governandola, quando usciva dai binari, secondo la propria volontà. Fu decretato che il cadavere di Hilda sarebbe stato seppellito in una cripta a Malfoy Manor, poco distante dal padiglione cinese.
«Ci occuperemo personalmente dell’inumazione. – disse Abraxas con tono che non ammetteva repliche. – Volete che qualche incisione particole venga scolpita sulla lapide?»
Brigitte scosse la testa. «Niente di…»
«Naturalmente. – disse Shaun, rivolgendosi a Megan e non direttamente al proprio interlocutore. – Voglio che venga tracciata l’immagine di un Uroboro e, a pochi centimetri, quella del sole. Capirà, signora Malfoy, quanto siano importanti tali simboli alchemici nell’alidilà. Ho notizia di alcuni raccapriccianti casi che riguardano cadaveri seppelliti nella provincia del Munster che, non avendo questi simboli riportati sulla tomba, si sono svegliati per tormentare i loro più stretti amici.»
«Sciocche superstizioni e nient’altro! – esclamò Abraxas. – Non vogliamo che simili credenze plebee vengano associate al nome dei Malfoy e che si tenga conto di una tradizione talmente indecorosa e turpe per la sepoltura di un membro della famiglia.»
«Volevo ricordarle che Hilda è nostra figlia, signor Malfoy. Pertanto ho il pieno diritto di cautelare la situazione.»
«Cautelare la situazione? – ripeté Abraxas incredulo. – Cautelare la situazione? Lei è un mago, signor O’Connor, e quando s’è mai detto che un mago creda nelle superstizioni? Da che mondo è mondo, non esistono spiriti tormentatori, e può star certo che non vedrà mai lo spettro di Hilda se non in sogno.»
«E il caso Inlay a Dungarvan, nella contea di Waterford? Forse non lo conosce?» sbottò Shaun infiammandosi.
«Caro, cerca di essere meno impulsivo e di frenare gli istinti.» disse Brigitte timidamente.
«Istinti? Tu e i tuoi soliti rimbrotti sciocchi! Ne ho abbastanza, Brigitte! Adesso taci. Il signor Malfoy è un miscredente. E in quanto tale sarà senz’altro colpito da…»
«Il signor Malfoy, - disse la moglie suasiva, tra gli sguardi avidi e divertiti di Laureen, - vuole soltanto dire che…»
«Credo di essermi spiegato benissimo, signora O’Connor. – interloquì Abraxas. – Non c’è bisogno che rielabori il mio pensiero.»
«E’ inammissibile! – disse Shaun quasi urlando, facendo avvampare di vergogna le gote di Brigitte. – Inammissibile che non venga rispettata la Norma Anti-Malocchio quando muore qualcuno. – Nel vedere lo sguardo sdegnoso di Abraxas, si zittì d’improvviso ma, armato di coraggio, riuscì a riprendere con un filo di voce: - Vedo che è irremovibile su questo punto. Mi permetta almeno, mentre la bara viene seppellita, di recitare il rito esoterico atto ad implorare perdono allo spirito di Hilda per il mancato dovere.»
Abraxas, realmente esasperato ma senza tradire la sua debolezza, si rizzò in piedi. «Vogliate scusarmi. Mi sono appena ricordato di un’incombenza lavorativa.»
Ciò detto, abbandonò la stanza.
All’ora di pranzo, Shaun e Brigitte rifiutarono l’invito a pranzo e si recarono alla vicina Locanda dei Sette Draghi, dove avrebbero trascorso il pomeriggio e la notte. Fu deciso che il giorno successivo si sarebbero date le disposizioni per la sepoltura delle spoglie di Hilda.


Nello studio di Rosamund Jameson, Patrick rimuginava sul caso Malfoy. La lampada proiettava una luce fioca sul fazzoletto ricamato, assai più forte dei bagliori crepuscolari che, languidi e infiacchiti, penetravano dalle veneziane del Quartier generale degli Auror. I ricami erano intessuti con cura maniacale ed i quattro fiori elegantemente particolareggiati sembravano spuntare come per caso dall’oceano di orpelli.
«Orchidea bianca, viola, tulipano, salvia.» ripeté a voce bassa, come se quelle parole potessero a lungo andare suggerirgli la soluzione del mistero.
Sfogliò ancora il manuale polveroso che aveva ritirato alla Biblioteca Ministeriale, scorrendo con le dita le righe di pagina quattrocentosessantasette.

Nel linguaggio dei fiori l’orchidea è emblema di eleganza, passione e sensualità.

Rilesse più volte anche la descrizione della viola, cui erano affibbiati sia l’intelligenza che, per una strana coincidenza, la sensualità. Sulla salvia ed i suoi fiori non trovò che informazioni di scarsa importanza: l’estratto della pianta era utile per produrre fragranze e profumi, rafforzare i denti e creare veleni. Più scrutava con attenzione il terzo fiore, più si convinceva che non fosse un tulipano. Era ampio e schiacciato, per certi versi simile ad una piccola rosacea.
Passarono lunghi minuti carichi di ansia. Nell’attesa dell’Auror, Patrick sorseggiò il proprio tè e ripose sottochiave il fazzoletto ricamato. Alcuni attimi dopo Rosamund, la fronte imperlata di sudore, entrò nella stanza e si adagiò sulla poltrona in pelle.
«Dannatamente complicato, strano, assurdo. – borbottava sottovoce, scuotendo la testa dai lunghi capelli neri. – Ma ci sono quasi, Patrick, quanto è vero che mi chiamo Rosamund Jameson.»
«Si è imbattuta in qualche strano elemento?»
«Tutti gli elementi del caso Malfoy sono strani, Patrick. Ma forse sono giunta proprio adesso ad una conclusione. Un po’ in ritardo, commenterai. Sia come sia, ho inviato stamani un gufo al segretariato magico di Wexford. Quando arriverà la risposta, potrei approdare ad una verità sconcertante.»
«Mi permette di conoscere i dettagli in anteprima? Sono i vantaggi dell’essere suo assistente, signorina Jameson.»
«Vedrai, Patrick. Non voglio pronunciarmi. A rigor di logica, l’assassino dovrebbe essere uno dei due, per quanto strano possa sembrare.»
«Uno dei due?» ripeté il sottoposto, incuriosito.
«Sarai d’accordo con me. – s’interruppe, per cambiare discorso dopo una lunga pausa. – Stando a ciò che mi ha riferito poc’anzi Megan Malfoy, sono appena giunti i genitori di Hilda O’Connor in paese. Domattina andrò a parlargli.» concluse spicciamente, prima di sbuffare e gettare alla rinfusa un mucchio di documenti nel suo armadietto personale, richiudendolo con sei giri di chiave.
«Vuole che sistemi i documenti del caso Malthus, signorina Jameson? Non mi costa nulla, dopotutto, e ci…»
«Lo farò io domattina, Patrick.»
«Oh, sta bene! Comunque sia, ho lavorato sul fazzoletto. Quel pezzo di stoffa non ha fatto alto che accrescere i miei dubbi. E il tulipano…» mormorò, lasciando sfumare nel silenzio quelle ultime parole.
«Dubito che il fazzoletto ci porti a qualcosa. Ho smesso di analizzarlo perché, a mio giudizio, siamo sulla pista sbagliata.»
«Pista sbagliata?» domandò Patrick.
«Non c’è nessun’amante di Lysiart, Patrick, avremmo dovuto capirlo prima. Qualcuno tenta di sviarci. E’ una questione di soldi, c’è di mezzo un’ingente eredità…»
«Questo significa che… il fazzoletto, e il diario, e le poesie di Lysiart…»
«…non sono legate all’assassinio, esatto! E visto come si stanno mettendo le cose, ci metterei la mano sul fuoco. – sentenziò Rosamund. – Ti prego di non far parola con nessuno di ciò. Ho trovato una prova schiacciante, adesso. L’assassino è molto più astuto del previsto, ci tiene d’occhio in qualche maniera, ci conosce, sa dove vogliamo andare. – concluse teatralmente. – Vado a fare un giro al parco. Ti va di farmi compagnia?»
«Non lo prenda come un rifiuto, signorina Jameson. Mio cugino Florian mi aveva chiesto di raggiungerlo alla fattoria, e una volta tanto vorrei accontentarlo.»
«Non crearti problemi. – rispose l’Auror. – Ma fammi una cortesia, prima di andare: cerca informazioni sulla famiglia O’Connor, sui due coniugi e sull’infermiera, e fammi sapere se Hilda aveva fratelli o sorelle.»
«Credo di non capire.» disse Patrick, mentre Rosamund si alzava, infilandosi il giubbotto primaverile.
«Non c’è bisogno che tu capisca, Patrick. Fa’ come ti ho detto.» e ammiccò prima di lasciare lo studio.


Il rumore dei suoi passi echeggiò per gli anditi, rintronando cupo, mentre Abraxas avanzava con fermezza, tra grugniti di rabbia, verso il proprio laboratorio. Al suo fianco, la testa china e le mani giunte, incedeva a passetti rapidi Hatty, con gli occhi persi in una dimensione di inquietudine soave.
Varcarono la soglia del laboratorio, immettendosi in uno spazio annegato nella fumosità e nel miasma. Dalle ampolle e dalle fiale poste sul lungo tavolo marmoreo scaturivano odori nauseabondi e solforici.
«Sta’ lontana da quel vasetto di liquido incolore, Hatty, se vuoi vivere ancora per più di un minuto.»
L’elfa si allontanò speditamente dal tavolo, scossa dal tremore in tutto il corpicino. Finché non si fermarono, rimase sulla scia di Abraxas, camminando solo nei punti in cui il padrone aveva messo piede ed evitando coscienziosamente anche solo di lanciare sguardi ai liquidi che le scorrevano a sinistra, formando un’infinita sequela sul grande ripiano bianco. Il medico arrestò la sua marcia dinnanzi a un congegno che, tramite un macchinoso sistema di distillazione e vasi comunicanti, filtrava gocce opalescenti, lasciandole colare in una bacinella dorata.
«Voglio che non mi disturbi e rimetti in ordine quei manuali in fondo all’armadio, in base al colore del dorso, senza toccare le boccette per nessuna ragione al mondo. Allontanati dal secondo tavolo e non immergere le mani nelle vasche.»
Hatty annuì, trotterellando fino all’armadio grigio metallico poco discosto dal muro, mentre Abraxas si chinò sul congegno e cercò fra le boccette dei liquidi ossidanti un contenitore di acido nitrico. Il progetto a cui stava lavorando era altamente complicato e necessitava di una minuziosa concentrazione da parte sua. Per molti mesi aveva meditato sull’attuazione del suo piano, ma soltanto due giorni prima, finalmente libero da tutti gli impegni, aveva considerato seriamente l’idea di cominciare. Si infilò i guanti di lattice e terse il liquido che fuoriusciva dalla bacinella, che poi travasò in un contenitore più grande posto a poca distanza, sul tavolo di marmo. Impugnò la boccetta di acido nitrico con un gesto solenne e ne versò una goccia nel recipiente. Se il mix di sostanze avesse provocato l’effetto sperato, avrebbe portato a termine un quinto del lavoro. Attese, con le mani irrigidite, per lunghi secondi. Ma non vi fu alcun segno e fu investito da una triste consapevolezza: qualcosa era andato storto.
Quando si rese conto del proprio errore, sentì affiorare in volto un rossore bruciante ed al cervello una sensazione di iracondia e fastidio, tanto più quando gli passò davanti l’immagine di un ostinato Shaun O’Connor che dissertava sulle pratiche esoteriche da attuare durante il seppellimento di Hilda.
Represse un gemito, si voltò di scatto, si sfilò i guanti e li lanciò senza rendersene conto sull’elfa che sistemava l’armadietto.
Hatty, nel ritrovarseli addosso, smise di lavorare, squadrò con sguardo incerto il padrone, come se fosse convinta di vivere in un sogno.
«Che ti è preso? – sbottò Abraxas. – Esegui i miei ordini!»
Ma l’elfa rimase lì dov’era, con le gambette piantate a terra ed un’espressione a metà tra il trionfo e la desolazione dipinta sul volto.
«Esegui i miei ordini, ho detto!» ripeté Abraxas con tono perentorio.
«Hatty non esegue i suoi ordini, padron Abraxas. Hatty è un’elfa libera.» E sollevò con due dita i guanti di lattice che Malfoy le aveva lanciato, lasciandoli spenzolare.


Il mattino successivo, intorno alle otto del mattino, un gufo planò nel cielo screziato di bianco, imbucando una missiva nel portalettere di Rosamund Jameson. L’Auror si precipitò sullo zerbino e raccolse l’epistola appena ricevuta, scartandola con avidità. Era di Patrick.

La informo che la risposta dal segretariato di Wexford è stata recapitata stamattina al Quartier Generale degli Auror e che le ricerche sugli O’Connor hanno già dato ottimi risultati. La aspetto.

Patrick


Gli occhi di Rosamund si illuminarono. Quando fu finalmente pronta, uscì nel caotico viale londinese, lanciando uno sguardo al parco dall’altro lato della strada, e, imboccata una viuzza stretta con le mura di marna e due contenitori di pattume sul fondo, si Smaterializzò, producendo un pop sonoro, nei pressi della cabina del Ministero.
Quattro minuti più tardi, mentre Patrick, con le mani ai fianchi, sbirciava alle sue spalle, Rosamund fece scorrere lo sguardo sulla missiva proveniente da Wexford. Chiazze di diverso colore macchiarono il suo volto, denotando ansietà, speranza e soddisfazione. Era tutto come aveva sospettato.
“Sapevo che nascondeva qualcosa. Incastrerò l’assassino quando saprò tutta la verità” pensò allegramente, lasciando intendere al suo assistente che aveva scelto la pista giusta.
«E sugli O’Connor che mi dici, Patrick?»
«Ho usato la Metropolvere per recarmi al Ministero Irlandese. Shaun e Brigitte hanno una seconda figlia. Si chiama Deirdre O’Connor ed ha qualche anno meno della sorella Hilda. Deirdre è una saggista di storia medievale magica, ha pubblicato diversi articoli sulla rivista inglese “Sunup”, creato una libreria e promosso l’apertura di alcune biblioteche.»
«Questa donna è sposata?»
«No, al Ministero ho saputo che non ha marito né figli. Deirdre vive nel Devon, si è trasferita in Inghilterra dall’Irlanda quattro anni fa.»
«Per quanto riguarda il passato di Shaun e Brigitte O’Connor… Cos’hai scoperto?»
«Hanno la fedina penale pulita. Lui è un piccolo proprietario terriero. Brigitte è una casalinga. Reddito nella norma, buoni rapporti con la gente, non hanno mai creato problemi.»
«Ho un appuntamento con loro due stamani, li ho contattati via gufo la sera scorsa. Tu rimani qui e occupati dei casi minori. Ti farò sapere.»
«Vuole che lavori ancora al fazzoletto?»
«No, lascialo da parte, Patrick. Ci penserò io al mio ritorno. Cerca piuttosto notizie su Deirdre O’Connor, devo scoprire se anche lei, come Hilda…» Si zittì bruscamente.
«Completi!» disse l’assistente.
«Non importa. – Rosamund scrollò il capo. – Fammi sapere tutto di lei.»
Rosamund lasciò lo studio alle nove e mezza, materializzandosi in una strada del villaggio di St. Martin’s Abbey. Si respirava un’aria frizzantina e gradevole, memore delle recenti piogge. Pernici e beccacce si muovevano qua e là nel cielo cobalto, tra gli stracci di nubi chiare, ammarando spesso su pantani rigurgitanti di fango. Era appena cominciato un nuovo giorno lavorativo, portando con sé il viavai di commercianti per le piazze, assediate da vecchi ruderi di roccia arenaria, di ragazzini lungo le vie ciottolose, di fabbri che uscivano ed entravano nelle fucine, artigiani che lavoravano la terracotta e ubriachi, reduci di una notte insonne trascorsa nei ghetti del borgo. Libellule grandi quanto un dito scivolavano da sopra i tetti ai prati, mentre i rami frondosi di larici e betulle incorniciavano il paesaggio, conferendogli un che di onirico e sovrannaturale.
Rosamund si fermò dinnanzi ad un’insegna rappresentante tre Neri delle Ebridi che sputavano lingue di fuoco azzurro e su cui capeggiava la scritta: AI TRE DRAGHI. Alla sua destra si ergeva un edificio con la facciata di legno: la locanda in cui alloggiavano i signori O’Connor.
L’Auror entrò rapidamente nell’atrio, salutò con un cenno gli uomini seduti sulle poltrone e si diresse verso l’uomo arzillo che sedeva dietro al bancone.
«Sono Rosamund Jameson, del Quartier Generale degli Auror. Vorrei parlare con i signori O’Connor. Aspettavano la mia visita.»
«Vuole che li chiami o preferisce raggiungerli in stanza?»
Rosamund si guardò intorno cautamente, incrociando gli occhi indiscreti dei presenti.
«Preferisco raggiungerli. – rispose poi senza esitazioni. – Che stanza occupano?»
«La quattordici. – rispose l’uomo. – Pianterreno, l’ultima a sinistra.»
«La ringrazio.»
Proseguì lungo il corridoio, su cui era steso uno sfilacciatissimo tappeto del Caucaso, e, giunta dinnanzi alla porta della camera, bussò. Ad aprirgli fu Brigitte O’Connor, che, nel vederla, trasse un sospiro di sollievo. Shaun non si trovava nella stanza con la moglie.
«Lei è la signorina Jameson? – disse. – Entri pure. Mio marito è andato a fare una passeggiata per sgranchire le gambe, aveva intenzione di risalire il poggio, prima che ci rechiamo al Manor.»
Fece accomodare Rosamund su una sedia di quercia, poi le sedette innanzi.
«Prima che inizi a parlare, signorina Jameson, - esordì a voce sommessa, - vorrei farle una rivelazione che potrebbe scioccarla.»
«Temo, signora O’Connor, di conoscere già la rivelazione che vuole farmi.»
«Allora ha già saputo tutto?»
«Mi è arrivata poc’anzi una missiva dal segretariato di Wexford, per cui sì, ho saputo tutto. Ma non mi ha stupito più di tanto. – Rosamund si fermò. La stanza piombò nel silenzio. Riprese: -Avevo intuito mesi fa che Hilda era la terza figlia illegittima di Adolar Malfoy. La risposta dall’Irlanda è stata solo una conferma a qualcosa che già sapevo.»
«Ebbene, sì. – disse Brigitte con aria contrita. – Hilda non era nostra figlia. Si chiamava Loreley Malfoy. Era nata dall’unione di Charity Lamb e del suo amante, il vecchio Adolar. Charity era una mia parente alla lontana oltre che una cara amica.»
«Ci sono ancora dei buchi neri. – disse Rosamund. – Perché Loreley fu affidata a voi? Cosa successe a Charity?»
Brigitte O’Connor si accinse a raccontare. «Era il 1918 quando appresi la notizia della nascita di Loreley Malfoy. Io e Charity ci conoscevamo da tempo e fu lei stessa a rivelarmi che aveva avuto un figlio da Adolar, a quel tempo sposato con Nadine Malfoy. La nascita di un figlio illegittimo era destinata a sollevare un polverone, macchiando fatalmente la distinzione di Charity e il decoro di Adolar, già visto di cattivo occhio da molti per via di certi pettegolezzi.
«Così venne messa a tacere la notizia. Charity rimase a vivere da sola con la figlia Loreley, e Adolar non disse niente alla moglie per evitare una rottura del matrimonio.
«Charity voleva molto bene alla piccola Loreley. Qualche volta andavo a trovarla, e notavo che la bambina cresceva felice e sana, pur risentendo della mancanza di una figura paterna. Non che Adolar avesse del tutto abbandonato Charity! Andava a trovarla spesso, per dire la verità, e naturalmente era lui a sostenerla economicamente.
«La situazione andò avanti per parecchio tempo. Non si lasciò trapelare la notizia, e Loreley compì nove anni nel 1927. La salute di Charity si era aggravata in quegli anni. Soffriva di cuore, e proprio in quell’anno fu stroncata da un infarto. Così Loreley rimase senza punti di riferimento. Sua madre era morta, suo padre non poteva tenerla senza dar vita a dicerie, pettegolezzi e scandali.
«Charity, prima di morire, aveva scritto le sue ultime volontà. Se Adolar non avesse accettato di tenere la piccola, Loreley sarebbe stata affidata a me. Il vecchio signor Malfoy accettò questa decisione, e la bambina partì per l’Irlanda. Riuscimmo a cambiarle nome: Loreley Hilda Lamb divenne Hilda Margaret O’Connor. La ragazzina visse un periodo di acuta depressione senza i genitori, ma la compagnia della piccola Deirdre, la nostra figlia minore, la fece risollevare del tutto. Avrebbe dovuto vedere lei stessa quanto andavano d’accordo. Loreley era molto protettiva nei confronti della sorella. Le riservava tutte le sue attenzioni, a volte mostrandosi anche un po’ invadente, ma Deirdre ne era molto contenta. Loreley era tanto scossa dagli eventi che avevano stravolto la sua esistenza che faceva di tutto per rendere felice Deirdre. Le controllava la posta, le diceva quali ragazzi andavano bene per lei e quali no ed esercitava in generale su di lei una notevole influenza.
«Loreley e Deirdre andarono sempre molto d’accordo, motivo per cui la loro separazione fu alquanto dolorosa. Venendo a sapere che Adolar si era ammalato improvvisamente ed era ridotto su una sedia a rotelle, Loreley decise di partire e di farsi assumere come infermiera. Aveva una gran voglia di conoscere suo padre e di rivederlo dopo tanti anni.
«Deirdre partì anche lei per l’Inghilterra e cominciò a scrivere saggi. Le vite delle due sorelle si divisero per sempre, da allora.»
«Perché Hilda non si presentò subito come la terza figlia illegittima?» chiese Rosamund, prendendo appunti.
«Era molto incerta e al Manor si sentiva fuori posto. – spiegò Brigitte. – Adolar ormai era incapace di intendere e volere ma credo che, in fondo, avesse riconosciuto sua figlia.»
«Questo posso assicurarglielo. La sera in cui Adolar fu attaccato (non so se è venuta a sapere dell’accadimento) lo sentii pronunciare il nome della figlia. Cominciai a capire che qualcosa mi sfuggiva. Molti pensarono che Adolar avesse storpiato il nome di Laureen, ma io non trovai verosimile questa banale spiegazione.»
Brigitte interrogò i propri piedi, alzandosi poco dopo e versando in un bicchiere della limonata.
«L’assassinio di Loreley ha un collegamento con la morte di Rachele e Lysiart. – Brigitte fece una pausa, quindi aggiunse: - Ne prenda un po’. – E porse all’Auror il bicchiere. – Tutte e tre le morti fanno parte dello stesso piano. Lo ha capito, giusto?»
Rosamund annuì, sorseggiando la limonata. «Qualcuno vuole togliere di mezzo gli eredi di Adolar. Prima Rachele, quindi Lysiart, poi Loreley. La prossima vittima, a rigor di logica, dovrebbe essere Megan Malfoy, o il marito Abraxas. Per lo stesso motivo, il colpevole dovrebbe essere uno dei due, ma sembra una soluzione troppo ovvia.»
«E quell’altra? – domandò Brigitte. – Laureen Mallory? Erediterebbe le sostanze di Adolar se morissero tutti gli eredi.»
«E’ piuttosto anziana, ha l’esistenza pianificata e vive bene sotto il tetto dei Malfoy. Non avrebbe bisogno dei soldi.»
«E chi altri potrebbe volere la morte degli eredi?» Brigitte rimuginava tra sé.
«C’è una quarta persona. – disse Rosamund pacatamente. – Qualcuno apparentemente estraneo ad ogni avvenimento, abbastanza giovane per sfruttare al meglio il patrimonio del vecchio, quando e se lo riceverà.»
«Di chi sta parlando?» chiese Brigitte, accigliata, ma seppe che l’Auror non avrebbe risposto.
Rosamund scoccò una rapida occhiata all’orologio da tasca, scuotendo la testa.
«E’ tardi, sarà meglio che vada. – disse sospirando. – Ci vediamo ai funerali di Loreley, signora O’Connor. Buona giornata.»
«Arrivederci, signorina Jameson.»


Ecco a voi un altro capitolo! Diteci cosa ne pensate!
Un grazie particolare a:

Thiliol: Siamo contenti che ti sia piaciuto il capitolo scorso e che ti piaccia il modo in cui si stanno mettendo le cose tra Charlotte e Abraxas. Sappici dire cosa pensi di questo capitolo! (p.s.: comunicazione di servizio: Fidia è un ragazzo)

Un grazie a chi ha messo la storia tra i preferiti e a chi legge soltanto.

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Capitolo 21
*** Capitolo XXI ***


Capitolo XXI


Un clima uggioso si riversò su Malfoy Manor il giorno dei funerali di Loreley. La verità che Rosamund aveva appreso era ben presto venuta a galla, per vie traverse, o forse per le chiacchiere che erano fuoriuscite dalla locanda, e molti si chiedevano chi alla villa conoscesse la vera identità della donna. Soltanto poche persone erano riunite intorno al feretro di quella che era stata l'infermiera e la figlia illegittima di Adolar Malfoy.
Abraxas e Megan stavano fianco a fianco, davanti, con dietro Charlotte Zurrey che teneva in braccio il piccolo Lucius, vestito a lutto. La giovane osservò per un istante il bambino che, totalmente ignaro di ciò che avveniva attorno a lui, stava giocando con i capelli della bamninaia, muovendo le manine paffute. Era strano dover pensare che il bambino aveva già presenziato a due funerali nei suoi quattro mesi e qualche giorno, che aveva perso, ancor prima di conoscerli uno zio e una zia. Poco distanti dai coniugi Malfoy stavano Brigitte e Shaun O'Connor che erano stati raggiunti proprio quel giorno dalla figlia Deirdre che con i suoi capelli rossastri e gli occhi verdi, sembrava incarnare la tipica donna irlandese.
La servitù del Manor, Green e Zephyrus stavano in disparte, ma entrambi sembravano non togliere gli occhi dagli O'Connor, l'uno osservando la strana e bizzarra figura del padre adottivo di Loreley, l'altro con gli occhi puntati su Deirdre. Altrettanto in disparte, appoggiata al suo bastone stava Juliet Hayward, che faceva vagare il suo sguardo perennemente acido su tutti i presenti.
La cerimonia sembrava ricalcare quella che aveva accompagnato l'ultimo addio a Lysiart Malfoy. Entrambi erano morti assassinati, entrambi erano morti troppo presto. Deirdre era l'unica che stesse piangendo in quel momento, gli occhi chini al suolo, ignara dello sguardo persistente e allucinato di Zephyrus su di sé. Amava quella che per lei sarebbe sempre rimasta Hilda O'Connor, per quanto sapesse che non era realmente sua sorella, per quanto sapesse che il suo vero nome era Loreley. Aveva perso chi l'aveva sempre protetta, chi le aveva impedito di compiere degli errori tremendi nella sua vita, chi le era sempre stata vicina, consolandola nei momenti difficili. In quel momento si pentiva delle volte che avevano litigato, delle volte in cui aveva detto alla sorella maggiore di essere meno soffocante, di lasciarle vivere la sua vita. In quel momento in cui l'aveva persa per sempre si rese immediatamente conto che avrebbe sentito la mancanza della donna, delle lettere che le scriveva da Malfoy Manor, delle risposte alle sue confidenze. Era come se fosse scomparso un pezzo di lei, la sua amica più cara.
Soltanto dopo diverso tempo fece vagare lo sguardo sulle altre persone. Quando era giunta con i suoi genitori, aveva a malapena guardato in volto il padrone di casa e sua moglie. Era troppo addolorata per la morte di Loreley per poter badare a chi la circondava. Si soffermò sui suoi genitori. Suo padre pareva irritato per qualcosa, anche se il volto solitamente bonario dell'uomo mostrava i segni del dolore per la perdita della figlia adottiva. Sua madre teneva il capo chino, ma non piangeva. Brigitte O'Connor non aveva mai pianto in pubblico una sola volta in tutta la sua vita. Deirdre immaginava la sua espressione addolorata, gli occhi forse lievemente lucidi, ma nessuna lacrima a rigarle il volto. Era una donna forte, si disse la figlia, e forse soltanto una donna come lei poteva avere un rapporto civile con Shaun.
Tirò su appena con il naso e spostò la sua attenzione su Abraxas Malfoy e sua moglie. La donna pareva quasi trovarsi a suo agio vicino alla cripta dove stava per essere sepolta Loreley, come se amasse la cupezza del posto, con alcuni corvi che stavano appollaiati sopra un salice. Da dove si trovava era troppo lontana per poter leggere una qualsiasi espressione negli occhi piccolissimi e neri della donna. Accanto a lei il marito sembrava non mostrare nulla, né dolore, né nervosismo. Era semplicemente immobile, con quella che le era stata indicata come la bambinaia di suo figlio alle spalle, forse troppo vicina a lui. Deirdre era comunque troppo addolorata per poter fare ipotesi in proposito, per poter vedere in quella vicinanza una traccia della relazione tra i due.
Fu soltanto quando tornò a fissare il feretro di Loreley che sentì uno sguardo fisso su di lei, alle sue spalle. Si voltò appena, incontrando gli occhietti di Zephyrus resi più piccoli dagli occhiali enormi. Sobbalzò leggermente, quando lo mise bene a fuoco. Il bibliotecario, non appena Deirdre O'Connor si voltò, distolse rapido lo sguardo, come se si fosse scottato. Green al suo fianco parve notare qualcosa, dal momento che si voltò verso di lui, con uno sguardo che parve interrogativo, per poi tornare a fissare il signor O'Connor che con i suoi vestiti improbabili, sembrava assolutamente fuori posto. Da dove si trovava lui non poteva vedere le labbra di Shaun muoversi rapidamente, come se fossero intente a recitare chissà quale rito. Abraxas Malfoy, dal canto suo, intercettò perfettamente il borbottio incessante di O'Connor e quel suo stringere qualcosa nelle mani. Un sopracciglio schizzò rapido verso l'alto, mentre riportava lo sguardo sul feretro. Sentiva alle sue spalle la presenza di Lotte e di suo figlio. Sapeva che la giovane era troppo vicina, tanto che se avesse fatto soltanto un altro passo o due si sarebbero sfiorati, sapeva che Megan doveva averlo notato, che ci sarebbe stata un'altra lite, ma, in fondo, non gli importava, non in quel momento.
La bara venne posta all'interno della cripta. Sulla lapide era apparso il vero nome dell'infermiera che, soltanto in punto di morte, era veramente ricongiunta alla sua famiglia. Charlotte fece qualche passo indietro, mentre gli ospiti si recavano verso il rinfresco, posto sotto un gazebo, lo stesso gazebo sotto cui era stato allestito il rinfresco per la morte di Lysiart. La magione, ben visibile, con le sue pietre scure, che ben si adattavano alle nuvole grigie del cielo, pareva incombere su di loro, come se le sue mura conservassero perfettamente l'immagine dell'omicida di fratello e sorella.
Lentamente tutti raggiunsero il tavolo su cui troneggiavano vassoi di tartine e delle bevande. Nessuno si avvicinò, eccetto la sola Megan che afferrò nervosamente un vol-au-vent, inghiottendolo rapidamente, mentre seguiva con lo sguardo i movimenti del marito che stava in piedi in un angolo con la Zurrey a poca distanza. Pareva almeno che avessero il pudore di non flirtare sfacciatamente al funerale di Loreley. Gli O'Connor erano uniti, tutti e tre nel loro dolore, in silenzio, fino a quando Shaun non iniziò a parlare:
«Non riesco proprio a capire come il padrone di casa sia riuscito ad avere così poco buon senso da rifiutare i miei consigli. Lo sapete anche voi come sia importante prendere tutte le precauzioni necessarie. Ve lo dico io, ha reso volutamente infelice ed errante lo spirito di Hilda.»
«Non ti sembra di esagerare, papà? - domandò Deirdre con voce ancora spezzata dalle lacrime. - Credo che il signor Malfoy abbia agito come riteneva più giusto e Hilda era pur sempre una sua dipendente e, cosa ancora più importante, sua sorella.»
«Hilda rimarrà sempre la nostra bambina. Ci siamo presi cura di lei per anni, ma lei ha voluto venire fino a Malfoy Manor. Non doveva. Immischiarsi con i Malfoy è qualcosa di controproducente per chiunque. Guarda che fine ha fatto. Morta assassinata da uno di questi individui che si sono affannati a seppellirla.»
Al fianco dell'uomo Brigitte ebbe un tremito. Le parole del marito le riportavano alla mente quello che le aveva detto la signorina Jameson. Fece vagare rapida lo sguardo soffermandosi su Megan e su Abraxas, per poi studiare la giovane che teneva il figlio della coppia. Si chiese se non fosse quella la persona giovane di cui aveva parlato l'Auror. Scosse appena il capo, riportando gli occhi sul marito e Deirdre, accorgendosi solo in quel momento che la figlia si era allontanata.
La giovane O'Connor si incamminò verso un punto imprecisato della parte di parco che circondava il gazebo. Non voleva sentire suo padre parlare in maniera che a lei pareva irrispettosa della morte di Loreley. Non reputava importante, si disse, mentre si fermava sotto un salice piangente, come se volesse trovare riparo e conforto tra i suoi rami piegati, in quel momento interrogarsi su chi le aveva tolto la sorella, l'amica più cara. Voleva unicamente pensare alla donna, a com'era prima di incontrare la morte in quella grande e cupa magione.
«Vorrei porgerti le mie condoglianze, Deirdre.» disse improvvisamente una voce alle sue spalle, facendola sobbalzare.
«Ti ringrazio, Zephyrus.» rispose la giovane, mantenendo però un tono leggermente sostenuto, mentre osservava l'uomo, attraverso gli occhi ancora umidi di lacrime.
«So che è un momento doloroso per te, ma volevo dirti che…»
«Non c'è niente da dire, Zephyrus. - lo interruppe Deirdre seccamente - Abbiamo già parlato a lungo tempo fa. - si interruppe per un attimo, inumidendosi appena le labbra - Ti pregherei di lasciarmi sola, adesso, per piangere mia sorella.»
L'uomo borbottò qualcosa di indefinito prima di allontanarsi a passi rapidi, con il capo chino. Deirdre trasse quasi un sospiro di sollievo, appoggiando appena una mano al tronco del salice, mentre nuove lacrime le bagnavano il volto. Le sembrava di non riuscire più a smettere di piangere. Il dolore era troppo forte, troppo lancinante. Tirò leggermente su con il naso, asciugandosi con la mano il volto, ricacciando indietro altre lacrime, quando si voltò. La donna con il bastone, la suocera del defunto Lysiart Malfoy, se non aveva capito male, sembrava fissarla con un'espressione così acida e malevole, che si chiese improvvisamente se vi fosse qualcosa che non andava in lei. Per fortuna, si disse, la vecchia trovò qualcun altro da osservare.
Deirdre fece qualche passo, in modo da allontanarsi dai rami del salice, mettendo meglio a fuoco il tavolo del rinfresco, accanto al quale, oltre alla signora Malfoy, stavano anche Zephyrus e il maggiordomo. I suoi genitori stavano ancora discutendo, con ogni probabilità dell'omicidio di Loreley. Abraxas Malfoy era invece più distante e pareva sorvegliare ogni cosa, mentre poco distante da lui stava la bambinaia con il piccolo Lucius in braccio. Il bambino con la sua vivacità strappò un sorriso mesto a Deirdre, che, forse per evitare un altro incontro con il bibliotecario, o per non doversi sentire in dovere di tornare dai suoi genitori, le si avvicinò. Avrebbe potuto scegliere di scambiare qualche parola con il padrone di casa, ma la sua espressione così fredda e austera la spaventava. La giovane che si occupava del piccolo le pareva spersa al pari di lei.
«Signorina O'Connor. - disse immediatamente Charlotte, non appena l'irlandese si fermò davanti a lei. Lucius, sentendo una nuova presenza, si girò, fissando la nuova venuta con occhi incuriositi e vispi - Mi duole che lei…- la giovane si interruppe incerta -…mi dispiace per il lutto che l'ha colpita.»
«La ringrazio, signorina . - rispose Deirdre, ricambiando lo sguardo innocente del bimbo. - Ero molto legata a Hil…Loreley.»
«Lo immagino. Era sua sorella, per quanto non lo fosse per sangue, ma…- Charlotte si interruppe nuovamente, scuotendo appena il capo - Mi perdoni, signorina O'Connor, temo di essere tremendamente sventata nel modo di rivolgermi a lei…e forse sto parlando troppo.»
«Non si preoccupi. - mormorò Deirdre - Non è per nulla sventata. Loreley è stata una sorella per me, per molti anni, così tanti che alle volte mi scordavo che in realtà non era realmente mia sorella. Mi mancherà tremendamente. Non so se riesce a capire cosa intendo.»
«Sì, signorina O'Connor. Se dovesse accadere qualcosa a una delle persone che amo, credo che non mi darei pace.» rispose di rimando Charlotte, quieta, sforzandosi di non voltarsi a guardare Abraxas.
Deirdre riuscì a sorridere appena, rivolta alla giovane. Le sembrava che tra tutte le persone riunite al funerale di Loreley lei fosse quella che meglio poteva comprenderla. Forse era per la sua giovane età, forse per il modo affettuoso con cui teneva in braccio il bambino, forse per le sue parole gentili. Non la inquietava come la vecchia con il bastone o come la signora Malfoy, né la metteva a disagio e la intimoriva come il padrone di casa.
«Il padre di Loreley - disse infine, cercando di ignorare la solita fitta di dolore per il pensiero della perdita della donna - è nel Manor?»
«Sì, con Laureen Mallory a vegliarlo. Nessuno riesce a capire se si sia reso conto della perdita della figlia. - fece una breve pausa - Forse molti qui al Manor sono ancora scossi dall'aver appreso che Hilda era figlia di Adolar. Deve essere stato difficile per lei avere a che fare con suo padre quando questi ormai non era più in grado di comprendere nulla di ciò che gli stava intorno.»
«Conoscendo Loreley lo credo anch'io. - confermò Deirdre - Era molto protettiva con le persone che amava e, quando ha deciso di venire fino qui, mi ha detto che lo aveva fatto perché voleva stare accanto a suo padre, perché voleva essere con lui quando sarebbe morto, invece è stata lei a… - le parole morirono, soffocate da nuove lacrime. Charlotte si mordicchiò il labbro inferiore incerta, mentre Lucius si agitava tra le sue braccia, improvvisamente irrequieto. Deirdre estrasse un fazzoletto dalla tasca del mantello e si asciugò gli occhi, reprimendo ulteriori lacrime - Scusi, signorina.»
«Non c'è nulla di cui si debba scusare, signorina O'Connor.» mormorò Charlotte, con un piccolissimo sorriso di comprensione.
Deirdre annuì appena, ricambiando mestamente il sorriso, facendosi però subito leggermente più tesa quando avvertì uno sguardo insistente su di sé. Si voltò rapida e, come si era in fondo aspettata, vide che Zephyrus la stava fissando, dimentico della tartina che teneva in mano. Rabbrividì appena. Tra tutte le persone che avrebbe voluto incontrare al funerale di Loreley, quella era l'ultima della lista.
«Signorina O'Connor, temo di aver ricoperto in maniera piuttosto scarsa i miei doveri di padrone di casa. - disse una nuova voce. L'irlandese si girò verso Abraxas Malfoy che si era avvicinato a loro e si era posto accanto alla bambinaia. Deirdre notò che ancora una volta i due sembravano molto vicini, troppo, forse, anche se non diede un gran peso a questo particolare - Ho già avuto modo di parlare con i suoi genitori, quando sono venuti al Manor. - l'uomo fece una pausa, prima di proseguire - Le porgo le mie condoglianze. Di certo lei conosceva Loreley meglio di quanto abbia mai potuto conoscerla io.»
«La ringrazio Signor Malfoy. - disse Deirdre, cercando di leggere l'espressione sul volto dell'uomo, che però le parve soltanto austera - Lei ha avuto a che fare con mia…sua sorella per diversi anni. Forse non l'ha potuta conoscere come la conoscevo io, ma…credo di dover porgerle le mie condoglianze.»
Da dove si trovava Megan osservava attentamente tutti i movimenti del marito. Non si stupì quando lo vide avvicinarsi a Deirdre O'Connor e alla Zurrey. Aveva la certezza netta che Abraxas avesse atteso che qualcuno andasse da quella ragazza per potersi così avvicinare a lei, giusto per mantenere un po' di pudore, sempre che il modo in cui stavano quasi appiccicati potesse aver qualcosa di decoroso. Per lo meno suo padre era stato meno spudorato di lui. Aveva tenuto la sua amante e la sua figlia bastarda lontane dal Manor.
«Qualche problema, Megan?» domandò al suo fianco la voce di Juliet, con quel suo tono perennemente acido e malevolo.
«Forse. - rispose la donna, fissando i suoi occhietti neri sulla vecchia - Sa, è piuttosto imbarazzante un funerale del genere.»
«Capisco bene cosa vuoi dire. - rispose l'altra, lanciando un'occhiata a Charlotte, Abraxas e Deirdre - Seppellire tra le tombe di famiglia una sorella di dubbia origine è come voler gettare del disonore sul nome del vecchio Adolar, non trovi?»
«Certamente - disse Megan, strizzando appena gli occhi, facendoli apparire ancora più piccoli - Mi chiedo cosa sia passato per la testa di mio marito quando non ha affidato questa incombenza agli O'Connor.»
«Quando ha avuto questa idea?» chiese indagatoria Juliet.
«Quando sono arrivati quell'irlandesi.» disse l'altra donna, arricciando appena le labbra, rendendo ancora più grottesca la sua espressione.
«Strano.» buttò lì sibillina la vecchia, prima di allontanarsi appoggiandosi pesantemente al bastone.
Dall'altro lato del tavolo Zephyrus Macniemand continuava a fissare con insistenza Deirdre O'Connor, senza nemmeno ascoltare le chiacchiere piuttosto convenzionali di Green, senza accorgersi che il maggiordomo aveva improvvisamente smesso di parlare per focalizzare il suo sguardo sul bibliotecario.
«Sembra che la signorina O'Connor abbia conquistato la tua attenzione, Zephyrus - commentò l'uomo, senza perdere il suo tono affabile - Per caso la conoscevi da prima?»
«Sì, ho già avuto a che fare con lei in passato.» fu la secca risposta del bibliotecario.
Green annuì semplicemente, senza aggiungere altro. Avrebbe voluto fare qualche altra domanda, ma la sua attenzione era stata catturata dai movimenti isterici di Megan Malfoy che sembrava soffocare nel cibo una certa ansia nervosa.
Mentre il rinfresco funebre giungeva mestamente al termine, il vento aveva iniziato improvvisamente a scuotere i rami e a passare fischiando tra le rovine poste sul lato settentrionale della magione. Shaun O'Connor borbottò alcune frasi sulla malvagità di quel luogo alla moglie, che annuì leggermente, assecondandolo, poi, ad un cenno imperioso del padrone di casa, tutti iniziarono ad incamminarsi, chi verso la magione, chi per allontanarsene.


Il giorno successivo vide in cielo il sole che, velato da alcune leggere nubi, illuminava a tratti Malfoy Manor e il parco che sorgeva intorno. Lentamente tutti gli abitanti della magione si alzarono e si recarono in diverse zone dell'edificio. Zephyrus Macniemand con quegli ormai consueti occhi allucinati e con un leggero tremito alle mani, raggiunse la biblioteca di malavoglia. L'unico pensiero che lo spingeva a non ritornare a rintanarsi nella sua stanza erano le parole aspre di Abraxas Malfoy, la minaccia di scacciarlo dalla villa senza uno straccio di referenza. Green si aggirava per le stanze ad assicurarsi che tutto procedesse come doveva, che gli elfi fossero affaccendati secondo i loro incarichi. Megan, Juliet e Laureen si ritrovarono nel salottino estivo, subito dopo colazione, a scambiarsi pettegolezzi e considerazioni. La cugina povera dei Malfoy era quanto mai interessata a quello che era accaduto al funerale il giorno precedente. Charlotte si recò con il piccolo Lucius nella camera dei giochi, mentre Abraxas entrò nella stanza del padre. Il vecchio Adolar era seduto sulla sua sedia a rotelle, con il volto assente, lontano, in quel mondo personale in cui era precipitato anni addietro. Il figlio si sedette poco distante da lui, lanciandogli di tanto in tanto delle occhiate, come per accertarsi che tutto stesse andando bene, che non avesse delle crisi improvvise. Tra le mani teneva uno dei libri di storia che aveva acquistato tempo addietro al mercato, sfogliandolo distrattamente. Non sapeva nemmeno per quale motivo si fosse dedicato alla lettura di Notizie aneddotiche dei re d'Inghilterra, da Enrico II a Enrico VIII. Forse unicamente, si disse, per non fissare troppo a lungo l'anziano padre.
Sospirò appena, voltando un'altra pagina, giungendo alle pagine che riguardavano Enrico VIII, sicuramente il capitolo più voluminoso dell'intero libro. Aveva appena iniziato a leggere le prime righe, quando la porta della stanza si aprì piano, facendo comparire Charlotte con il piccolo Lucius in lacrime in spalla. L'uomo chiuse con uno scatto il libro e si avvicinò a loro.
«Tuo figlio si è fatto un piccolo taglietto con una delle formine con cui stava giocando. - spiegò rapida la bambinaia - Credo che…»
Si interruppe quando Abraxas prese il bambino dalle sue braccia. Il piccolo si calmò leggermente, riconoscendo con ogni probabilità il padre, che, tenendolo con un solo braccio, stava esaminando un taglietto su una delle dita paffute del bambino.
«Hai fatto bene a portarlo, Lotte - disse, voltandosi verso la giovane che era rimasta ferma nei pressi della porta - Anche se immagino che sai perfettamente come curare un taglietto del genere.»
«Sì, ma credo che la presenza di uno dei genitori sia più utile.» disse in un mormorio, mentre comprendeva in maniera chiara che non sarebbe mai riuscita a portare il piccolo dalla madre.
«Rimani un attimo con mio padre, mentre vado nel locale di servizio.»
Charlotte annuì, mentre si sedeva sulla stessa sedia dove poco prima stava Abraxas. Lanciò un'occhiata al libro che l'uomo stava leggendo, per poi portare la propria attenzione sul vecchio che aveva iniziato a biascicare cose senza senso, mentre con lo sguardo assente pareva fissare la giovane. La bambinaia trasse un sospiro. Doveva essere tremendo avere a che fare con un genitore in quelle condizioni. Non riusciva ad immaginare sua madre ridotta in quello stato pietoso e pregò dentro di sé che non accadesse mai. Lanciò uno sguardo verso la porta dietro la quale era sparito il padrone di casa con il figlioletto, prima di riportare la sua attenzione su Adolar.
Non seppe dirsi quanto tempo passò prima che Abraxas ricomparisse con in braccio un Lucius decisamente calmo e non più in lacrime. Si alzò in piedi e fece qualche passo verso di lui, subito bloccata da un grido che eruppe dalle labbra di Adolar. Il bimbo iniziò ad agitarsi all'istante, mentre il padre si avvicinava rapidamente a Charlotte, passandole il piccolo. La giovane vide Abraxas affrettarsi verso il vecchio e chinarsi su di lui.
«I Dippet!...- articolò Adolar, facendo irrigidire immediatamente il volto del figlio - Abraxas…i Dippet, devi fare qualcosa…»
«L'ho già fatto, papà.» biascicò in risposta il padrone di casa, un sopracciglio inarcato e una rigidità assoluta nell'espressione.
«Lysiart…niente…i Dippet…- le parole sconnesse nel vecchio si interruppero di botto - Non tu!» gridò, facendo sobbalzare Charlotte e scoppiare in un pianto dirotto Lucius.
Il corpo di Abraxas si irrigidì maggiormente, prima di scivolare per terra. La bambinaia deglutì a vuoto. Sapeva cosa stava per accadere, ancor prima di vedere l'uomo iniziare a dimenarsi al suolo. Tenendo il bambino agitato e piangente stretto contro di sé, si inginocchiò a poca distanza dal padrone di casa, mentre il vecchio Adolar continuava a biasciare parole sconnesse, invocando ad un certo punto la figlia morta. Tutto sembrava accadere seguendo un ritmo vorticoso, o almeno fu quello che apparve a Charlotte, mentre rimaneva immobile, cercando di far calmare Lucius.
Non si accorse dell'aprirsi della porta se non quando qualcuno le si rivolse, facendola sobbalzare improvvisamente, provocando ulteriore agitazione nel bambino.
«Signorina Zurrey, mi dia subito il bambino. Mi pare chiaro che non riesce ad occuparsi di mio figlio nella maniera assennata che vorrebbe far credere.»
L'arrivo di Megan parve calmare di colpo Adolar che riprese a biascicare parole prive di significato a mezza voce, ma non bloccò la crisi epilettica del marito, né il tremore che aveva preso Charlotte da quando era entrata.
«Il bambino è spaventato, signora Malfoy. - mormorò con voce fin troppo timida e sommessa la giovane - Credo sia normale, considerando…»
«Sta soltanto cercando delle scuse, signorina - la interruppe Megan, mentre si avvicinava a lei, evitando il corpo del marito - E di certo non avrebbe dovuto portarlo nella stanza di un vecchio demente.»
«Io…signora…» iniziò a dire Charlotte, stringendo, con un gesto involontario, Lucius maggiormente a sé.
«Mi dia il bambino.» le ingiunse Megan cercando di dare alla sua voce un carattere imperioso.
Mentre le due donne parlavano la crisi che aveva colpito Abraxas si stava allentando, portando il corpo dell'uomo ad una calma che tanto contrastava con le convulsioni che lo avevano appena colpito. La prima cosa che sentì furono delle voci ovattate e qualcosa di molto simile ad un pianto. Non ricordava dove si trovasse di preciso, come sempre quando l'epilessia lo colpiva. Per diversi istanti non riuscì ad muovere le palpebre, mentre il vociare intorno a lui si faceva più chiaro e distinto, permettendogli infine di riconoscere Charlotte e Megan, con il pianto di Lucius in sottofondo, poi il pianto si affievolì lentamente e anche la voce della moglie tacque, proprio nel momento in cui fu in grado di aprire gli occhi. La prima cosa che vide fu il soffitto leggermente decorato della stanza, prima di udire dei passi frettolosi avvicinarsi a lui e il volto di Charlotte entrare nella sua visuale.
«Lotte. - mormorò piano, mentre facendo forza sulle mani, si tirava lentamente a sedere. Di nuovo quasi del tutto lucido, fissò il volto della giovane e notò che era teso, umiliato - Ho sentito la voce di Megan, poco prima di aprire gli occhi. Cos'è accaduto?»
«Il solito…ha portato via Lucius.» disse in un sussurro agitato la bambinaia, mentre l'uomo allungava una mano verso quella più vicina della giovane, stringendola.
«Mio padre?»
«Si è calmato quando è entrata tua moglie. Prima ha chiamato Loreley, quando ha smesso di parlare dei Dippet.» spiegò Charlotte, leggermente più calma.
«Perché diamine gli è venuto in mente adesso? - disse a se stesso Abraxas, scuotendo poi subito il capo, per incontrare poco dopo gli occhi leggermente dubbiosi di Lotte - Va' a cercare Laureen e dille di venire a prendersi cura di mio padre. Dopo, quando sarai tornata, ti devo parlare. Hai bisogno di risposte.»
La giovane annuì piano e si alzò lentamente in piedi, uscendo, dopo avergli lanciato un ultimo sguardo.


Juliet e Laureen erano ancora nel salottino estivo quando Megan le raggiunse con un agitatissimo Lucius in braccio. La donna più anziana soffermò lo sguardo sul bambino che ancora piangeva a scatti, muovendosi come se volesse fuggire dalle braccia della madre.
«Cos'è accaduto?» domandò invece la Mallory.
«Mio suocero stava urlando cose senza senso quando sono entrata e mio marito aveva una delle sue crisi epilettiche. E la Zurrey era presente, come sempre.» spiego frettolosamente Megan, mentre tentava in maniera piuttosto goffa di calmare il piccolo.
«Dovresti fare qualcosa per quella piccola intrigante. - commentò Juliet - È scandaloso il modo in cui si comporta. Fossi al tuo posto l'avrei già licenziata su due piedi.»
«Crede forse che io non l'avrei fatto se avessi potuto? Ma è stato Abraxas ad assumerla.» disse Megan istericamente, forse perché la Hayward aveva rimarcato la sua impotenza, forse perché Lucius non voleva saperne di stare buono.
«Già. - disse Laureen - Devi solo sperare che questa sciocca infatuazione lo lasci, anche se, ripensando a qualcosa che avevo già notato, credo che possa essere difficile.»
«Dovresti parlargli, Megan e dirgli che, se proprio vuole quella ragazzetta come amante, deve trovarle un posto fuori di casa. Non può umiliarti a questo modo, considerando anche quello che è accaduto ieri al funerale. - affermò Juliet, appoggiando le mani giunte sul bastone - Sempre appiccicati. Credo che tutti abbiano capito che tra loro c'è qualcosa. Non è da gentiluomo comportarsi in questo modo.»
«Forse non stiamo prendendo in considerazione un fatto. - interloquì Laureen - Se ci pensate Abraxas ha sempre avuto…»
La voce le morì in gola quando la porta si aprì, mostrando la figura di Charlotte Zurrey sulla soglia. Le tre donne si ritrovarono a fissarla chi con insistenza, chi acidamente, chi con malignità. La bambinaia si sentì arrossire sotto quegli sguardi e chinare il capo. Le sembrava di essere improvvisamente di fronte alle tre Norne della mitologia nordica pronte a decidere quando la sua vita dovesse finire.
«Signorina Mallory - riuscì comunque a dire, anche se con voce appena tremante - il signor Malfoy vuole che lei vada ad occuparsi di suo padre.»
«Certamente - disse Laureen, studiando con attenzione gli atteggiamenti e i gesti di Charlotte, dicendosi che forse tutto quell'accanimento su di lei era esagerato - Verrò subito.»
La donna si alzò in piedi e, dopo aver salutato le altre due, si avviò verso la porta, uscendone al seguito della bambinaia. Le due camminarono in silenzio per il tratto di corridoio che separava il salottino estivo e la camera di Adolar. Di tanto in tanto Laureen lanciava delle occhiate alla bambinaia, come a volerla studiare con attenzione e farsi un'idea precisa su di lei, ma non ebbe molto tempo. La porta della stanza del vecchio era davanti a loro, aperta. Abraxas stava in piedi e sembrava tranquillo, assolutamente lontano da quella crisi che l'aveva colpito poco tempo prima. Lanciò un'occhiata a Charlotte che rimase in attesa fuori dalla camera e si rivolse alla cugina.
«Adesso è decisamente più calmo. Se dovesse agitarsi nuovamente, dagli una sola goccia di questa pozione. - l'uomo indicò una boccetta sulla scrivania presente nella stanza - Unicamente se si agita moltissimo. Di solito dopo una crisi non ne ha altre.»
«Quando pensi di assumere una nuova infermiera?» domandò Laureen, bloccando il padrone di casa che si stava avviando verso la porta.
«Appena la Jameson avrà risolto il caso. Non credo che vi sia qualcuno disposto a venire a lavorare in una casa dove sono morte assassinate due persone a distanza di circa due mesi l'una dall'altra.»
La donna annuì, senza dar voce al pensiero che l'aveva attraversata. In fondo, si disse, c'era stato chi era giunto a lavorare al Manor dopo il primo omicidio, ma con ogni probabilità Charlotte Zurrey aveva delle motivazioni che a lei sfuggivano completamente.
Abraxas fissò per un breve istante Laureen, poi riempì il breve spazio che lo divideva dalla porta. Chiuse l'uscio alle sue spalle e, con Charlotte al fianco, si avviò verso le scale. Con un gesto che apparve casuale appoggiò una mano sul corrimano. Era ancora piuttosto indebolito dalla crisi epilettica, sentiva il capo dolergli e la vista alle volte gli si appannava ancora. Soltanto un'altra volta aveva avuto una crisi così intensa e, in fin dei conti, si disse non si stupiva che questa nuova fosse avvenuta proprio in quel momento. Accanto a lui Lotte camminava silenziosa, scoccandogli di tanto in tanto un'occhiata preoccupata. Raggiunsero così l'atrio di ingresso e poi, lentamente, il portone che immetteva all'esterno. Non appena sentì la brezza di giugno colpirgli il volto, Abraxas avvertì che le conseguenze della crisi si stavano attenuando. Mentre camminavano costeggiando la magione si voltò ad osservare con maggiora attenzione Charlotte e il suo volto dolce e mite.
«Immagino che tu sia rimasta abbastanza scossa da quello che è accaduto poco fa. - disse infine, quando iniziarono ad allontanarsi dall'ombra cupa del Manor - Avevi già avuto a che fare con una mia crisi, ma credo che non avessi mai sentito mio padre urlare a quel modo, per così tanto tempo.»
«Non so se sono scossa. Mi sembrava che tutto accadesse troppo velocemente e non sapevo cosa fare. Lucius era terrorizzato e non riuscivo a calmarlo. Tu…ero preoccupata e tuo padre sembrava non voler smettere di urlare.»
«Non dovresti preoccuparti per le mie crisi, di solito non sono così forti e intense. - l'uomo fece una pausa - Ho imparato a conviverci. La prima l'ho avuta quando avevo otto anni. Stavo giocando con mio fratello, nella stanza dei giochi, quando è successo. Lysiart si è spaventato a morte ed è corso a chiamare nostra madre. I medici che mi hanno visitato hanno capito subito cos'era successo e ci hanno spiegato cosa fare quando si sarebbero ripetute nuove crisi. - Abraxas si fermò accanto al laghetto con le ninfee, per poter osservare meglio Charlotte - È anche per la mia malattia che ho scelto di dedicarmi alla ricerca di nuove cure. Esercitare la professione di medimago sarebbe stato impensabile.»
La voce di Abraxas morì tra il cinguettare dei merli, lo stormire delle fronde e il ronzare degli insetti. Rimasero entrambi immobili, fissandosi a lungo, prima che l'uomo, con un gesto che lui stesso definì fin troppo impulsivo, afferrò una mano a Charlotte, per poi riprendere a camminare.
«Con Lucius sono certo che hai fatto quello che potevi. E credo che per chiunque fosse impossibile calmarlo. - fece una pausa, tacendo il fatto che avrebbe preferito che il figlioletto fosse tra le braccia di Lotte e non tra quelle della moglie, in quel momento. - Quanto a mio padre alle volte ritrova uno sprazzo di lucidità o, meglio, sembra che in lui riemergano ricordi della sua vita. Ed è quello che è accaduto poco fa. Ha ricordato un fatto accaduto alcuni anni fa, poco prima che finisse su una sedia a rotelle, demente.»
Charlotte registrò qualcosa di insolito nella voce di Abraxas in quel momento, qualcosa a cui però non riusciva a dare un nome. Mentre procedevano avevano raggiunto il padiglione rococò e vi entrarono, raggiungendo una delle stanze sul retro. Come alcuni giorni prima si sedettero su un divano. La giovane senza nemmeno darsi il tempo di riflettere appoggiò il capo contro il petto di Abraxas, mentre l'uomo le circondava la vita con il braccio.
«Prima, quando mi hai mandata a chiamare Laureen, mi hai detto che mi dovevi delle spiegazioni. - mormorò piano Lotte, dopo diverso tempo, accoccolandosi meglio contro l'uomo - È per quello che ha detto tuo padre?»
«Sì. Forse te ne avrei parlato comunque. Sarebbe stato inevitabile. - l'uomo fece una pausa, prima di sospirare appena - Mio padre ha compiuto qualcosa che lo ha messo in una situazione di, chiamiamola, gratitudine con i Dippet, una situazione che mi ha portato a decidere di sposare Megan.»
«Per quale motivo tuo padre doveva qualcosa alla famiglia di tua moglie?» domandò la giovane, mordicchiandosi appena il labbro inferiore.
«È accaduto nel cinquantuno. Immagino tu sappia cosa sia accaduto a livello politico quell'anno.»
«Sì, il ministro si dimise improvvisamente perché aveva perso il senno. Ricordo che la notizia arrivò a scuola mentre stavo dando i M.A.G.O. Colpì tutti in maniera incredibile.» disse Charlotte, annuendo appena.
«Vedi, mio padre è sempre stato di una tirchieria incredibile. Spendeva soldi unicamente se credeva che fosse indispensabile. Immagino che giudicasse indispensabile mantenere Loreley e che giudicasse indispensabile non far cadere in malora il Manor. - si interrupe per un istante, come per raccogliere le idee - Litigò diverse volte con mio fratello per questo, ma è qualcosa che non è importante, non per quello che sto per dirti. Mio padre non giudicò mai indispensabile pagare quanto fosse dovuto alla comunità magica. Non so come sia andata di preciso, conosco unicamente il racconto di mio padre, che di certo non è oggettivo. Il Ministro lo convocò per parlargli appunto di questo e… -la voce di Abraxas morì per un breve istante, prima di riprendere più spedito - …litigarono. Al Ministero non c'era più nessuno. Si erano accordati per un orario piuttosto fuori dall'ordinario, da quello che ho capito. Non so cosa passò nella mente di mio padre, ma scagliò una delle maledizioni senza perdono contro il Ministro. Puoi immaginare da sola quale.»
Charlotte annuì, tremando leggermente. Le decorazioni rococò le parvero ancora più frivole in quel momento. Una Cruciatus, più di una probabilmente, se il Ministro era impazzito. Deglutì appena a vuoto.
«I Dippet, cosa…»
«Il padre di Megan vide quello che accadde. Era rimasto al Ministero e aveva assistito a tutto. Parlò con mio padre e decise di non dire nulla, di far credere di aver trovato il Ministro delirante, di aver già notato nei giorni precedenti dei segni di follia. Era il suo Segretario Personale e tutti ebbero fiducia nelle sue parole. Nessuno indagò, nessuno credo abbia sospettato cosa avvenne veramente. Soltanto io e Lysiart sapevamo. Nostro padre ce ne parlò quando tornò a casa dal ministero sconvolto. Dovevamo trovare un modo per sdebitarci con i Dippet. Chiese a me di trovarlo.»
Il silenzio calò tra gli stucchi e le scene di vita pastorale. Le tinte pastello e i volti rosei dei contadinelli ritratti, sembrarono quasi diventare sinistri in quel momento.
«E tu sposasti Megan - mormorò Charlotte, dopo diversi istanti, mentre si faceva più vicina e stretta ad Abraxas - Per sdebitare tuo padre.»
Non le venne in mente, in quel momento, che l'uomo aveva parlato anche di un debito suo nei confronti di Adolar. Forse perché alzò il capo e fissò meglio l'espressione di Abraxas, forse perché poco dopo le loro labbra furono unite.


Ecco a voi un altro capitolo! Spero che sia di vostro gradimento!

Un grazie particolare a:

Thiliol: Non hai fatto nulla di imperdonabile, sono cose che succedono! Ti ringraziamo per i complimenti! (tacendo ovviamente qualsiasi possibile risposta alle tue supposizioni) Siamo contenti che tu sia riuscita a leggere gli indizi sulla vera identità di Hilda/Loreley. Sappici dire cosa pensi di questo capitolo e se ti porta a pensare a qualche altro sospetto.

Un grazie a chi ha posto la storia tra i preferiti e a chi legge soltanto.

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Capitolo 22
*** Capitolo XXII ***


Capitolo XXII

La cena ebbe luogo all’imbrunire e fu quanto mai sobria e frugale. Persino Juliet, Laureen e Megan misero da parte, in via del tutto straordinaria, la loro congenita bramosia di spettegolare e si concentrarono sulle pietanze e sulle bibite. Lottando contro una fava che non voleva saperne di essere infilzata dalla forchetta, la signora Malfoy guardava di sottecchi Abraxas, serio e compunto, nel desiderio di coglierlo in fallo quando avesse cominciato a corteggiare spudoratamente la bambinaia. Con suo profondo dispiacere, dovette notare che egli mantenne il contegno fino a che gli elfi non fecero sparire i piatti e posero al centro della tavola una fruttiera straripante di mele, ribes e qualche chicco d’uva, uniti a formare un mix di tonalità vermiglie e farcite con deliziosa crema bianca. Zephyrus inghiottì una mela senza avvertirne il sapore, scosso com’era dalla morte di Hilda O’Connor. Gli altri, eccetto Megan (evidentemente intenzionata a trascorrere in sala da pranzo più tempo del marito), si limitarono a osservare la frutta senza toccarla, mentre Abraxas occhieggiava Charlotte a intervalli regolari.
Megan capì che era tempo di andare a letto, ma si convinse al contempo che un ostinato Abraxas stesse escogitando degli espedienti per rimanere solo in stanza con Charlotte. Finse un malore e chiese al marito di raggiungerla immediatamente nella camera da letto. Se la sua dignità fosse stata scalfita dalla scoperta definitiva e inequivocabile della tresca fra Abraxas e Lotte, Megan non sarebbe stata meno afflitta. Mentre saliva le scale, poggiata alle spalle di Abraxas, sapeva di averlo allontanato solo momentaneamente dall’oggetto delle sue attenzioni. Benché sentisse il sangue del marito pulsare sotto le proprie dita, era cosciente di quanto Abraxas fosse distante da lei.
Quando furono in camera, non tanto per portare avanti la messinscena, ma piuttosto perché si sentiva davvero venir meno, Megan si gettò a braccia spalancate sul lenzuolo di raso, accoccolandosi sotto le trapunte leggere, e pensò a Lotte con un disprezzo direttamente proporzionale alla felicità che avrebbe provato se Abraxas fosse stato innamorato di lei.
Il marito si sbottonò la camicia, si sciacquò velocemente il volto e, aperto il cassetto per trarne una nuova asciugamano, fece inavvertitamente cadere sul pavimento un minuscolo pezzetto di carta. Quando si fu asciugato il viso, si chinò e lo raccolse, prima di farvi scorrere sopra lo sguardo.

Audace saturnismo

L’infausta rovina,
il triste segreto.
La Burattinaia
si cela qui dietro.


«Megan! – tuonò all’improvviso, facendo sussultare la donna che, rannicchiata in un angolo del letto, appariva adesso tanto simile ad un grosso batuffolo di cotone. – Dove hai trovato questa poesia?»
«Nella stanza delle armi.» pigolò Megan, simulando una nota di affanno.
«Da quando in qua ti aggiri per il Manor ed entri nella stanza delle armi?»
Megan sollevò la testa, aggiustandosi la cuffia in modo tanto ridicolo da richiamare nella mente di Abraxas l’immagine di una bimba piccosa e testarda.
«E’ anche casa mia, questa, fino a che sono viva e sposata con te. Sbaglio, forse?» rispose di rimando, dando particolare risalto alle ultime parole.
«Sei esasperante, Megan. Quando parli con me, utilizzi sempre un tono burbero che mi dà sui nervi. Da un punto di vista strettamente formale, non puoi certo ritenerlo un atteggiamento decoroso. Se lo fai per indispettirmi, mi piacerebbe capire dove vuoi arrivare. – rispose Abraxas. – Sai perché ti ho sposata e, perdonami, non ho voglia di affrontare sempre lo stesso argomento. – Rivolse lo sguardo alla poesia di Lysiart e continuò con calma innaturale: - Voglio sapere qual era l’esatta ubicazione di questo preziosissimo componimento.»
«C’è una piastrella segnata, nella stanza delle armi. L’ho scovata lì sotto.»
«Avresti dovuto avvertirmi, Megan. Questa poesia…»
«Avrei potuto, ma non parliamo molto spesso ultimamente, se non per litigare…»
«Questa poesia… - continuò Abraxas con noncuranza, - nasconde qualcosa. Se me lo avessi detto prima, l'avrei fatta esaminare dalla Jameson. Immagino che ignori l'importanza di questo documento. Contiene dettagli determinanti.»
«Come fai a dirlo?»
«L’infausta rovina, il triste segreto. La Burattinaia si cela qui dietro. – recitò Abraxas. – C’è qualcosa sotto le righe. Il titolo stesso nasconde una buona dose di ambiguità.»
Parlava più con se stesso che con la moglie, e sentiva tanto il bisogno di meditare e risistemare con ordine le congetture sulla poesia che, indossata nuovamente la camicia, uscì fuori dalla camera da letto e attraversò l’andito buio. Dieci minuti dopo, vicino alla siepe del cortile, se ne stava seduto a rimuginare sul titolo della poesia di Lysiart. Una brezza sottile e tiepida gli carezzava i capelli mentre lasciava che la bacchetta illuminata scivolasse sul frammento di carta e ne rischiarasse la dicitura.
Per una fatale bizzarria, pochi minuti dopo vide emergere dalla tetraggine un volto conosciuto, e non ebbe alcun dubbio sull’identità della figura che aveva innanzi.
Charlotte indossava un vestito azzurro e osservava gli occhi dell’amante fin quasi a perdervisi.
«Ho sentito il rumore dei tuoi passi. – spiegò, mordendosi il labbro inferiore. – Perché sei alzato, Abraxas? Qualcosa non va?»
«Megan, - fu la risposta sommessa, - ha trovato una poesia di Lysiart nella stanza delle armi. Risale al giorno prima dell’assassinio.»
«Nella stanza delle armi? – ripeté Charlotte con tono di voce inusitatamente alto, guardandosi poi intorno con circospezione. – E perché era nascosta lì?»
«Non riesco a capirlo. – disse Abraxas. – Temo però che celi un indizio, una traccia, un nome, o qualcosa di simile.»
Tese il pezzo di carta a Lotte perché lo leggesse. Quando ebbe finito, rimase in attesa di un’opinione.
«Saturnismo? – domandò Charlotte, sbalordita. – E’ il nome dell’avvelenamento da piombo.»
«Se Lysiart fosse morto avvelenato, avrebbe assunto una valenza particolare. Ma è stato ucciso con il seppuku, e non vedo in che maniera il saturnismo si possa ricollegare alle modalità della sua morte. Senza contare, - ingiunse, facendo una pausa, - che se avessi dovuto stilare una lista degli aggettivi da affiancare a “saturnismo”, “audace” sarebbe stato l’ultimo. Lysiart non sceglieva le parole con leggerezza. Le meditava.»
«Dunque... credi che voglia dirci qualcos’altro?»
«Potrebbe essere collegato al pianeta Saturno. – disse Abraxas. – Ma non vedo come…»
«O al dio Saturno. – puntualizzò Charlotte, con aria cogitabonda. – Non ho studiato molto la mitologia romana. Se la memoria non m’inganna, corrisponde alla divinità greca di Crono, padre di Zeus.»
«Crono. – ripeté Abraxas. – Il divoratore dei figli. Megan tiene un falso di Goya che lo rappresenta, nel boudoir. – Qui fece una seconda pausa per riprendere fiato. – Sarà meglio consultare la biblioteca domattina, per raccogliere informazioni sulla divinità.»
«E il resto della poesia? – chiese Charlotte. – Parla di una burattinaia. Devo ammettere che la faccenda non solo mi lascia perplessa, ma mi intimorisce.»
«Non ho idea di chi possa essere.» concluse Abraxas.
Si alzò di scatto quando il fruscio dei cespugli acuì il suo udito.
«E’ bene che andiamo a letto, Charlotte. Incontriamoci domani sera allo scoccare della mezzanotte qui in cortile. Sigilla il nascondiglio. Ci disferemo il più presto possibile del documento, prima che Rosamund possa trovarlo.»
La bambinaia annuì, sfiorò le labbra di Abraxas e, un minuto dopo, sparì nella caligine notturna.


Non meno affollato di un bazar levantino, il mercato settimanale di St. Martin Abbey si estendeva a ridosso dei palazzi incustoditi che signoreggiavano tutt’intorno agli slarghi del centro storico. Innumerevoli fiumane di donne e domestici sciamavano per le vie, simili ad alacri formiche, parlando concitatamente delle ultime novità, tirando fuori questa o quella stranezza sulla figlia del macellaio, spettegolando sullo scialacquatore che aveva passato la notte in strada; era un’ardua impresa discernere, in mezzo al tumulto di figure e stoffe e oggetti, la bancarella dei romanzi e dei vecchi tomi ingialliti.
Alle dieci del mattino, Deirdre O’Connor si rigirava fra le mani con noncuranza un libro di piccole dimensioni, mentre la chioma fluente e vaporosa veniva rischiarata dai raggi di un sole radioso.
Lasciò cadere il tomo appena raccolto in mezzo al mucchio e, mentre ne sceglieva pigramente un secondo, provò a individuare nella ressa una traccia dei propri genitori. Quando spostò lo sguardo sulle finestre del municipio, un balenio la fece trasalire: il volto di Hilda era apparso davanti a lei per l’ennesima volta. Tutta la notte aveva provato a scacciarlo dalla mente, ma i lineamenti appena abbozzati e la treccia bionda della sorella sembravano decisi a martoriarla e a farla uscire di senno.
Esasperata e ormai ai limiti della sopportazione, si voltò di scatto verso la bancarella dei libri. Ma lo fece con tanta veemenza che per poco non assestò una gomitata allo stomaco di una giovane donna, dall’aspetto vagamente familiare, che sembrava interessata ad un’antichissima edizione di Ivanohe.
La squadrò con attenzione, cercando di rammentare in che occasione l’avesse vista prima di allora.
«Ci conosciamo?» domandò la giovane donna, guardandola con una punta di curiosità e continuando a sfogliare il libro di Scott.
«Mi scusi, mi sembrava di averla vista da qualche parte. – rispose Deirdre con esitazione. – Forse mi sbaglio.»
«Qual è il suo nome?»
«Deirdre. – rispose la ragazza. – Deirdre O’Connor.»
«Mi lasci immaginare… E’ la sorella di Hilda O’Connor? - La giovane donna fece una pausa, riponendo Ivanohe fra gli altri classici. – Io sono Ottilia Zurrey, la sorella della bambinaia di Malfoy Manor. Forse avrà notato delle somiglianze fisionomiche tra me e Charlotte.»
«Ma certo! – tentò di sorridere Deirdre, con un cenno del capo. – Per qualche motivo non riuscivo a collegare i due volti in maniera consapevole.»
Ottilia abbassò il capo. «Volevo porgerle le mie condoglianze, visto che non l’ho ancora fatto. La mia presenza era del tutto fuori luogo, al Manor, nel giorno del funerale. Sono una semplice conoscente dei Malfoy, d’altronde. – Si zittì, tra l’imbarazzo e la costernazione, quindi riprese: - E’ stata una spiacevolissima e orrenda tragedia.»
«La notizia ci è giunta all’improvviso. E’ avvenuto tutto troppo in fretta. – disse Deirdre. – Nessuno di noi se lo aspettava. Mia madre ha parlato con l’Auror che si sta occupando del caso. Secondo lei, questa serie di omicidi è un piano per intascare i soldi di Adolar Malfoy.»
Poco prima che la Zurrey avesse il tempo di formulare una risposta, una voce affannata sovrastò il chiasso della fiera.
«Signora Ottilia!»
Le due donne si voltarono, appena in tempo per vedere il maggiordomo Green che, facendosi largo, scompariva a tempi alterni tra la folla, agitando le mani ossute.
«Il maggiordomo di Malfoy Manor, o sbaglio?» chiese Deirdre accigliata.
Ma Ottilia sembrava smarrita in una dimensione di soave inquietudine e rimase per qualche istante attonita e allibita.
«Signora Ottilia!» ripeté la voce del maggiordomo.
Green aveva finalmente guadagnato la bancarella dei libri e stava tentando di ritrovare la compostezza dopo la sfacchinata.
«Salve, signor Green.» disse Ottilia sorridendo.
Il maggiordomo salutò con altrettanto calore la signorina O’Connor, prima di rivolgersi alla Zurrey: «Dove ha lasciato il piccolo Thimoty?»
«Da mia madre, come al solito. Avevo bisogno di un libro da leggere, così sono venuta qui a spulciare la bancarella.»
Green esaminò rapidamente i vecchi volumi gettati alla rinfusa e tirò fuori lentamente un romanzo dalla copertina dorata.
«Il mastino dei Baskerville. – disse Ottilia. – L’ho letto molti anni fa, ma ne ho solo un vago ricordo. Lo stile di Doyle è piacevole, eppure trovo le conclusioni di Sherlock Holmes sempre troppo irrealisticamente ingegnose e prive di originalità.»
«La letteratura Babbana è quasi sempre priva di originalità.» intervenne Deirdre.
«Mi è stato detto che lei scrive saggi. – disse Green. – Di che si occupa precisamente?»
Il volto di Deirdre si illuminò, mentre dissertava sugli studi che aveva condotto prima di passare ai saggi.
«Storia medievale magica. – rispose. – Disapprovo l’idea di un medioevo cupo e oscuro, totalmente scevro di lati positivi. E’ un luogo comune che andrebbe estirpato. E’ vera l’esistenza di leggende, credenze e superstizioni piuttosto sciocche, com’è vero che la mentalità era alquanto ristretta, ma ci furono tante di quelle innovazioni e tanti di quegli uomini geniali, in quel periodo! Per esempio, la ricerca alchemica dell’elisir di giovinezza, nell’Alto Medioevo, non è un’assurdità, né la Pansofia si può considerare un miraggio utopico. – Fece una pausa per prendere il respiro. – Oh, scusatemi, quando si tratta delle mie passioni non riesco mai a fare discorsi piacevoli.»
«Trovo l’argomento molto interessante, invece. – disse Ottilia. – Mi farebbe piacere leggere un suo saggio; certo solo se posso comprenderlo!»
«Tento di scrivere nella maniera più semplice possibile, signora Zurrey, di modo che non solo gli studiosi possano comprendere le mie tesi. Posso farle avere immediatamente una copia in omaggio di Dietro il caduceo. - Trasse dalla borsa a tracolla un libro abbastanza grosso, compiacendosi per l’aspetto molto autorevole con cui si presentava. – Non è noioso, mi auguro. Ci sono pochissime date e una serie interminabile di curiosità. E’ una nuova interpretazione del caduceo, che io ricollego ad una setta medievale, ben accolta dalla critica, per fortuna. Forse poco scientifica, e sicuramente opinabile, nasconde comunque una buona parte di verità.»
«Lo leggerò senz’altro.» rispose Ottilia.
«Mi faccia sapere, allora. – Diede uno sguardo all’orologio. – Dei miei genitori non ho ancora scorto traccia. Sarà meglio che vada alla locanda prima di pranzo. Arrivederci, signora Zurrey. Signor Green…»
Dopo le ordinarie frasi di commiato, Deirdre si allontanò dalla bancarella dei libri, lasciando dietro di sé un alone di imbarazzo e silenzio inatteso. Ottilia, evidentemente persuasa che spettasse a Green rompere il ghiaccio, fece scorrere lo sguardo sui settori della fiera. Ma il maggiordomo rimase ostinatamente e timidamente in silenzio, al che la signora Zurrey disse: «Vorrei dare uno sguardo alla bancarella dei fiori. Vuole seguirmi?»
«Naturalmente.» sorrise Green.
Mentre camminavano, Ottilia spiegò che in quei giorni suo figlio Thimoty, caduto accidentalmente in uno stagno, si era beccato l’influenza.
«Continua a tossicchiare in maniera preoccupante.» spiegò con voce amareggiata.
«Conosco tanti di quei rimedi per curare la tosse! – disse Green, mostrandosi molto interessato ai problemi di Ottilia. – Prima che entrassi a scuola, mia madre tagliava a fette sottili una cipolla e la lasciava sul comodino, di modo che ne inspirassi gli effluvi durante la notte. Non era una cosa piacevole, devo dire, però mi aiutava. E inoltre c’era la zuppa di ravanelli! La detestavo per il semplice fatto che mi veniva preparata unicamente allorquando prendevo la tosse o la bronchite. Ha tentato un sistema o l’altro? Le consiglio poi di fargli bere molta acqua.»
«Grazie mille, ne prendo nota, sebbene il problema sembri quasi risolto. Questa mattina mia madre gli ha preparato una tisana coi chiodi di garofano, una soluzione terapeutica altamente corroborante. – disse Ottilia, annuendo, mentre camminavano in mezzo alla folla. – Thimoty è in via di guarigione ormai.»
«Ne sono contento. – rispose Green. – Quanti anni ha?»
«Cinque, compiuti il mese scorso. Purtroppo risente della mancanza di un padre, devo ammetterlo. Ma un giorno intenderà che la situazione di un tempo era inaccettabile e che un armistizio è più ragionevole di una guerra infinita. – Si interruppe. – Forse non dovrei angustiarla con questi spiacevoli discorsi, signor Green.»
«Ci vuole ben altro per angustiarmi, signora Zurrey.» sorrise il maggiordomo.
Ottilia abbassò lo sguardo, carezzando una pianta di centocchio dai petali sottili. «Il fatto è che – proseguì tristemente, - non riesco a tollerare le persone troppo gelose e possessive. Amo prendermi le mie libertà, ed è una cosa che in qualche modo mi accomuna a Charlotte.»
«La capisco. E’ anche vero che la gelosia talora denota un grandissimo attaccamento affettivo.»
«Quando non è smodata. – puntualizzò Ottilia. – Patrick non era un cattivo marito, ma arrivava più volte ad accusarmi di atti vergognosi, di cui decisamente non mi sarei mai macchiata, basandosi su sguardi disinteressati e strette di mano.»
«Charlotte mi aveva spiegato che non andavate molto d’accordo.»
«Non ho tradito Patrick. Forse non ero realmente innamorata di lui, tant’è che non sono riuscita ad accettarne i difetti. Ma sicuramente non l’ho tradito, né ho tollerato, conseguentemente, che lui potesse pensarlo.»
«Lo capisco e, dopotutto, condivido la scelta di separazione quando una coppia dà vita ad alterchi continui, signora Zurrey.»
«Naturale, di fatto è stato meglio per noi e per Thimoty. – Dopo aver pagato il centocchio che aveva adocchiato poco prima, guardò il maggiordomo negli occhi: - Mi chiami Ottilia, signor Green, e mi dia pure del tu. Non amo l’utilizzo di un tono formale tra confidenti.»
«Sta bene, Ottilia. – sorrise Green. – Puoi chiamarmi Laurence.»
Stavano esaminando i frutti minuscoli e violetti di un’aronia, quando Ottilia sollevò la testa e disse: «Sbaglio, o quella donna è Rosamund Jameson?»
«Proprio lei.» confermò Green, inquadrando la figura esuberante dell’Auror che stava china su alcune boccette di creme, balsami e profumi vari in una bancarella vicina.
Ottilia fece un cenno col capo quando Rosamund si avvicinò ai due. Si appartarono senza neanche rendersene conto, in modo da evitare l'afflusso della folla. I saluti furono piuttosto freddi, ma la voce morbida dell'Auror fece volare all'istante l'angelo del silenzio.
«Dovrei fare un salto a Malfoy Manor, verso mezzogiorno. Il signor Malfoy mi ha detto che è stata ritrovata un’altra poesia di Lysiart, e volevo esaminarla.»
«Mi era stata accennata la cosa. – disse Green, staccando svogliatamente una foglia secca da una piantina e cominciando a rigirarsela fra le dita, fino a sbriciolarla. – La aspettava intorno alle undici e mezza.»
«Non sono molto in ritardo, per fortuna. – disse Rosamund, sorridendo meccanicamente. - Vogliate scusarmi se non mi fermo a discutere, ma immaginate quanto poco tempo ho a disposizione. C’è una calca insopportabile a quest’ora, preferisco starmene in ufficio, malgrado l’afa.»
Si congedarono tutti e tre, e proprio quando Green stava per salutare Ottilia con un’amichevole stretta di mano, la signora Zurrey gli chiese: «Ti va di pranzare a casa mia, oggi? Prenderò Thimoty nel pomeriggio. In una parola saremo sicuri che il tetto non ci crolli addosso.»
«Oh, beh, perché no? - Il volto gli si chiazzò di rosso. - Mi tocca avvertire il signor Malfoy. Doveva accordarmi due giorni di permesso, la scorsa settimana, per cui credo che si mostrerà assenziente.»
«Posso occuparmene io. – intervenne Rosamund con premurosità. – Sarò al Manor tra poco più di mezz’ora.»
Con atteggiamento fin troppo grato, il maggiordomo accettò la proposta. Un istante più tardi le strade dei tre si divisero, e le figure sparirono in mezzo alla folla di St. Martin Abbey.


«Mitologia greca… Mitologia greca…» borbottava Zephyrus tra sé, avvinghiato alla scaletta di ferro, mentre con le dita tozze saggiava il dorso dei libri dell’ultimo scaffale.
«Più propriamente romana.» obiettò Abraxas, che guardava il bibliotecario dalla sua postazione in basso.
«Non credo importi tanto. Il dio Crono equivale a…»
«So che Crono e Saturno rappresentano la stessa divinità. – lo interruppe il padrone di casa. – Ma, come le ho spiegato, è importante che ci atteniamo letteralmente alla poesia di Lysiart. Se la parola “saturnismo” fosse strettamente collegata al dio romano, allontanarsi dal senso letterale significherebbe imboccare la strada sbagliata.»
«Le interessa Simbologia e studio dei miti celtici, greci e romani
«Portalo giù. Potrebbe essere la volta buona.» replicò Abraxas.
Il bibliotecario sembrò piuttosto restio a lasciare la sua posizione sicura sulla scala e scese come nel timore che potesse rovesciarsi e precipitarlo sul pavimento. Il tomo che aveva rubato alla mensola era di enormi dimensioni: più di duecento pagine interamente illustrate, piene di note a piè di pagina e didascalie.
Con negligenza lo gettò sulla scrivania di legno, e il tomo sollevò una nube di polvere grigiastra.
Abraxas si avvicinò all’enciclopedia mitologica, cercando con sveltezza alla voce “Saturno”.

I caratteri rappresentativi di Saturno sono per lo più mutuati dalla sua vicenda mitologica. Ad esso vengono connessi gli anziani, i padri, gli antenati, gli orfani, le eredità, l'approfondita ricerca e l'ottima memoria oltre che il carcere, un lungo periodo di solitudine, la misura e il peso.

«Gli anziani, l’eredità, l’ottima memoria…» biascicò Zephyrus, con l’aria di chi ha compreso l’inintelligibile.
«Non vedo alcuna connessione diretta con l’omicidio di Lysiart, fuorché, forse, l’eredità.» commentò Abraxas.
«Saprà qualcosa sul significato proprio di “saturnismo”, immagino.»
«Avvelenamento da piombo. - disse Abraxas. - In parte i miei studi abbracciano i veleni.»
«Si dice che Beethoven sia morto per avvelenamento da piombo. Così come il pittore Francisco Goya.» borbottò il bibliotecario, ripulendosi le mani sui pantaloni di fustagno.
«Non c'è nient'altro sul dio Saturno?» domandò Abraxas, indicando i libri con lo sguardo.
«Tutto ciò che è messo in relazione alla divinità riguarda, generalmente, la tensione che c’è fra gli anziani ed i giovani.»
Prima che Abraxas potesse ribattere, attirando l’attenzione sull’aggettivo che affiancava la parola “saturnismo” nel titolo della poesia di Lysiart, Maky annunciò l’arrivo di Rosamund Jameson.
L’Auror, sobriamente vestita con un inconsistente abito dal colorito pallido e rosato, si adagiò sulla poltrona del salotto, dopo aver salutato Abraxas con una formale stretta di mano. I pesanti tendaggi di chintz filtravano una luce calda e opprimente, che rischiarava il camino spento e l’attizzatoio, la credenza in mogano e le pareti chiare. In ogni dove si percepivano i segni dell’estate ormai alle porte.
Prima di esordire, Rosamund lisciò i capelli e socchiuse le palpebre.
«Nella missiva mi ha spiegato solo superficialmente la faccenda della poesia.»
Abraxas spiegò il sottile pezzo di carta e lo porse all’Auror.
«Un brano singolare che non siamo riusciti a interpretare.»
«“Audace saturnismo” – disse Rosamund, con aria meditabonda. – “La Burattinaia si cela qui dietro”.»
«Potrebbe riferirsi, - ipotizzò Abraxas con serietà, - ad un vero e proprio enigma nascosto dietro il titolo o dietro le parole, se non addirittura dietro le singole lettere.»
Quando Abraxas sollevò lo sguardo sul volto di Rosamund, che continuava a ripetere il titolo sottovoce, fu stupefatto nel vederlo sbiancare tutto d’un tratto e cambiare repentinamente colore.
«Crede di aver dedotto qualcosa?» chiese senza indugio, ma con un velo di scetticismo nella voce.
«No, no, è forse una sciocchezza. – disse Rosamund, stavolta con calma placida. – Stavo meditando sulla parola “audace” e seguendo nel contempo una linea di pensiero ben precisa, ma, per qualche strano motivo, l’ho persa all’improvviso.»
«Ritiene dunque che il titolo nasconda una verità sfuggente o qualcosa di simile?» domandò Abraxas.
L’Auror aggrondò la fronte.
«Il titolo? Sarà pure stravagante, soprattutto a livello semantico. – disse Rosamund, poco convinta. – Ma credo che il mistero risieda, piuttosto, nelle parole della poesia e nel loro significato. L’elemento tipico e topico delle poesie di suo fratello consiste, come avrà notato, nella “rovina”. Ed è tanto sciocco tentare di decifrare su due piedi il titolo senza accurate ricerche previe relative a determinati argomenti, quanto tralasciare i termini più semplici che la poesia contiene. Ho sempre pensato che gli uomini abbiano una predisposizione congenita a complicarsi l’esistenza, per poi lamentarsene ed ancor più tardi volersela facilitare.»
«Ricorda la poesia che le mostrai tempo addietro, prima della morte della mia sorellastra?»
«Non molto, a dire la verità.»
Raccolse il secondo foglio spiegazzato che il padrone di casa le porgeva, rigirandoselo fra le mani con delicatezza maniacale.

Distrutta riposa
Nella mia oscura prigione
Umida e sotterranea
Mortale e avvelenata
Solitaria
Opprimente
Nostalgia dell'eterna
Mia assoluta
Illusione.


«Ci sono degli elementi che allacciano ambedue i componimenti. – concluse Abraxas. – Un senso di oppressione, che in questa seconda poesia si enuclea dal lemma esplicito di “prigione” e in “Audace saturnismo” dal lemma “Burattinaia”. Sarebbe interessante notare, per esempio, il genere della parola che ho evidenziato or ora.»
«”Burattinaia”? - domandò retoricamente Rosamund. -Letteralmente, sembrerebbe riferirsi una donna. Ma dato che si tratta di una poesia, dobbiamo cercare di risalire a ciò che il simbolo occulta. Non è da escludere che suo fratello intendesse un oggetto associabile al genere femminile. – Inspirò con la lingua fra i denti e riprese: - Ecco un altro lavoro per Patrick. Glielo sottoporrò.»
«Bene! Quand’è così…»
«Prima di andare, - disse Rosamund tempestivamente, - vorrei parlare a quattr’occhi con la bambinaia. E’ lei che ha trovato il cadavere di Loreley, dico bene?»
«E’ impegnata col bambino nella sua stanza, ne avrà per altri dieci minuti. Lucius fa i capricci se non mangia nella propria camera e se non è la signorina Zurrey a dargli il latte. Se può farmi la cortesia di aspettare…»
«Mi è concesso, se non sono poco cortese, - lo interruppe Rosamund con le sopracciglia inarcate, - salire al primo piano e raggiungerla direttamente lì? Non mi tratterrò più di cinque minuti, glielo prometto. Devo passare al Ministero e non ho molto tempo prima che scocchi l’una.»
Dopo un attimo di greve silenzio, Abraxas volse solennemente la testa e proferì: «Mi segua.»
Tra l’impazienza e la fretta, Rosamund aumentò la velocità del passo, traversando il primo piano e giungendo dinnanzi alla porta della camera di Lucius prima del padrone di casa. La giovane bambinaia, seduta a una tavola improvvisata, tentava di far ragionare il piccolo Malfoy, aiutandolo a bere il latte e ammonendolo con sguardi dolcemente severi quando, gnaulando stizzosamente, egli si rifiutava di collaborare.
Non appena l’Auror varcò la soglia, ebbe inizio uno straordinario gioco di sguardi ermetici tra i presenti. Lucius fissò Rosamund come se si trovasse dinnanzi ad una creatura famelica che aveva rotto la quiete del pranzo per rubargli il biberon, Charlotte interrogò gli occhi di Abraxas con angoscia e aria interrogativa, e quest’ultimo, alle spalle di Rosamund, fece intendere che ogni cosa doveva svolgersi in modo assolutamente regolare, di modo che non si lasciasse adito a sospetti. Rosamund intercettò lo sguardo di Charlotte, che, accortasi del gesto affrettato, dirottò l’attenzione sul poppatoio di Lucius. Abraxas, infine, ruppe il silenzio con uno schiarimento di voce, per far scivolare via dalle memoria dei presenti l’accaduto.
«La ringrazio per avermi accompagnato.» lo prevenne l’Auror.
Un cenno di Abraxas le fece capire che quei ringraziamenti erano superflui.
Prima di uscire, il padrone proiettò inavvertitamente lo sguardo verso un elefantino di legno che si trovava sull’armadio, particolare che non sfuggì all'occhio addestrato dell'Auror. Fu soltanto allora che Abraxas si accomiatò.
«Continui pure a sfamare il bambino, signorina Zurrey. Non voglio trattenerla molto. – disse Rosamund quando la porta della camera fu finalmente chiusa. – E' mia intenzione farle una domanda che avevo dimenticato durante gli interrogatori.»
«Sta bene.» disse Charlotte, tentando di imprimere nella sua voce una nota di fermezza.
«Mi sono chiesta cosa ci facesse Loreley, o Hilda, nel padiglione cinese, la sera in cui è stata assassinata. Reputo la faccenda piuttosto curiosa. Quella zona del Manor, come ho potuto notare quando vi ho fatto un sopralluogo, è poco sfruttata. Per quale motivo un’infermiera avrebbe dovuto lasciare il suo paziente durante il tempo di lavoro e fare una passeggiata senza chiedere il permesso?»
«Temo di non conoscere la risposta, signorina Jameson. – disse Charlotte, intrecciando le dita bianche e prendendo subito a gesticolare. – Sono passata di lì, come le ho detto, perché era cominciato a piovere, e ho tagliato per arrivare più in fretta in un luogo riparato. Proprio in quel momento ho sentito un urlo. Mi trovavo dietro il padiglione e mi sono precipitata all’istante dentro.»
«Naturalmente non pretendo di sapere da lei cosa ci faceva Loreley nel padiglione cinese, signorina Zurrey. La mia domanda è un’altra: ha fatto caso ai dettagli della scena? Ha notato un oggetto qualsiasi… magari simile a un pezzo di carta?»
Le gote della ragazza si imporporarono all’istante, mentre occhieggiava con ansia crescente l’elefantino ligneo.
«Non aveva niente. – si affrettò ad assicurare. – Ho guardato bene le mani. Erano vuote, ne sono assolutamente certa.»
«Non le ho chiesto cosa Loreley avesse in mano. – puntualizzò l’Auror. – Ma intendevo proprio questo. Straordinario che l'abbia intuito da sola.»
Fece una pausa strategica, attenta alla reazione della bambinaia, che si mostrò quanto mai occupata ad acquietare un recalcitrante Lucius.
«Io… ho guardato subito il cadavere. – disse Charlotte. – Quando mi ha fatto la domanda, pensavo si riferisse a quello che Loreley portava con sé, per questo ho detto che non aveva niente in mano.»
In ritardo si accorse che difendersi, un atto lì per lì istintivo, significava riportare l'attenzione sulla risposta che aveva appena pronunciato.
«Si è chiesta perché glielo domando?»
«Stavo per farlo. Immagino che…»
«Loreley era lì per nascondere qualcosa. – completò Rosamund. – Aveva i polpastrelli uniti in una posizione molto ambigua e il braccio teso verso un’aiuola. Ho subito pensato che volesse seppellire un pezzo di carta molto importante. - Congiunse le labbra, come per invitare Charlotte a finire la frase. - Parlo del certificato di nascita.»
«Il certificato di nascita?» ripeté la bambinaia, costringendosi a non guardare l’elefantino di legno.
«Sarebbe stato naturale farlo. Se si fosse scoperto che era la figlia di Adolar, chi non avrebbe sospettato di lei? Resterebbe da stabilire perché ha scelto proprio di nasconderlo quel giorno e non subito dopo l’assassinio di Lysiart. Ma magari lo stava solo trasferendo
«Il ragionamento fila. – disse Charlotte. – Ma le assicuro che se Loreley aveva qualcosa con sé, di certo deve esserle stata sottratta prima che io arrivassi nel padiglione.»
«Il che mi lascia notevolmente perplessa, tenendo conto dei tempi dell’omicidio. Mi ha spiegato poco fa, così come nell’interrogatorio, che, udendo il grido di Loreley, si è precipitata all’istante nel padiglione cinese. L’assassino può aver ucciso Loreley alle spalle, a qualche metro di distanza, aver percorso il tratto non insignificante che lo separava dalla sua mano, averle tolto il certificato (ammesso che fosse un certificato e che Loreley lo avesse) ed essere poi uscito, prima che lei, signorina Zurrey, potesse coglierlo direttamente sul luogo del delitto?»
«Non capisco dove voglia arrivare.»
«In breve: è sicura che il signor Malfoy non abbia preso il certificato, per paura, magari, di essere reputato colpevole - è un erede di Adolar, dopotutto, e i sospetti sarebbero ricaduti su di lui e su Megan, se si fosse scoperto chi era Loreley - o che comunque Loreley avesse in mano qualcosa che dopo non aveva più?»
«Non mi sembra che il signor Malfoy abbia preso qualcosa.» disse Charlotte, implorando nuovamente aiuto alle zanne dell'elefantino.
«Non le sembra, o ne è sicura? Vede, si tratta di una questione di fondamentale importanza.»
«Posso chiederle perché non ne parla direttamente con lui?»
«Se avesse voluto, me lo avrebbe già detto lui stesso. Inoltre è lei, signorina Zurrey, ad essere entrata per prima nel padiglione. Per cui era l’unica che avrebbe potuto vedere se Loreley aveva in mano il certificato oppure no.»
«Mi dispiace, è probabile che non abbia prestato molta attenzione alle mani di Loreley.»
«Poco fa ha asserito il contrario: ha guardato bene le mani ed erano vuote, ha detto di esserne assolutamente certa.»
«Quella sera ero in confusione, e ripeto che mi sembra che non avesse nulla in mano. Ho detto di esserne sicura perché così mi sembrava, ma adesso che mi ci fa riflettere, magari non ho prestato l’attenzione necessaria ai dettagli. Pertanto confermo ciò che ho appena detto.»
«Benissimo. – disse Rosamund, alzandosi. – Non la trattengo, ma sappia che se sta proteggendo un innocente, non deve temere di rivelarmelo, perché nessuno dei due corre alcun rischio.»
«Perfetto.» rispose Charlotte.
L’Auror stiracchiò le labbra in un sorriso artificioso, sospirò e strinse la mano alla bambinaia, che aveva appena messo da parte il biberon di Lucius. Incedette a passo lento nella stanza e si fermò davanti all’armadietto.
«Interessante questo gingillo.» sorrise, squadrando l’elefantino di legno.
«Sì, era un regalo di Lysiart a Lucius.» sorrise Charlotte con imbarazzo.
«Posso?» disse Rosamund, sollevandolo dal ripiano.
«Faccia pure.»
L’Auror lo esaminò da più angolature, poi diede cinque colpi di bacchetta alla proboscide e alle zanne d’avorio, sussurrando: «Occultum revelo». Ci fu uno scatto improvviso, e l’elefante spalancò meccanicamente la bocca, rivelando un foglio di pergamena bisunto. Scorrendone le prime righe, tra gli sguardi difensivi di Charlotte, Rosamund lesse: «Certificato di nascita. Loreley Hilda Malfoy.»


Ecco a voi un altro capitolo! Speriamo che incontri il vostro favore!
Un grazie particolare a:

Thiliol: Siamo contenti che ti sia piaciuto il momento dell'attacco simultaneo di Adolar e Abraxas! Quanto all'assassino, magari dopo questo capitolo avrai le idee più chiare o più in confunsione. Sappici dire!

Vekra: Siamo contenti che da una perplessità iniziale tu sia giunta a leggere addirittura nove capitoli di fila! Ci fa piacere che ti sia piaciuto il personaggio di Hilda e che siamo riusciti nell'intento di rendere il suo affetto per il padre! Sappici dire cosa pensi di questo capitolo! E se hai puntato i tuoi sospetti su qualcuno dei personaggi implicati.

Un grazie a chi ha posto la storia tra i preferiti e a chi legge soltanto!

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Capitolo 23
*** Capitolo XXIII ***


Capitolo XXIII

Il silenzio calò tra le due donne. Era un silenzio assordante, pesante e opprimente, che sembrava avere investito anche il piccolo Lucius che pareva essersi come immobilizzato. Era come se Charlotte e Rosamund si trovassero in una bolla di cristallo, immobilizzate. Fu la bambinaia la prima a fare un piccolo movimento, stringendo maggiormente a sé il bambino che si agitò appena tra le sue braccia.
«Come spiega la presenza di questo documento nella camera del bambino che lei accudisce?» domandò l'Auror, mettendo fine, poco dopo, al silenzio.
«Non riesco a capire come possa essere arrivato fino a qui. Chiunque può entrare in questa stanza quando non ci sono.» riuscì a dire con voce leggermente strozzata la giovane.
«Sono certa che l'analisi delle impronte risulterà efficace. Qualcuno deve pur avercelo messo, non è logico signorina Zurrey?» chiese insinuante l'Auror.
«S-sì.» balbettò Charlotte.
La situazione si stava facendo insostenibile per la giovane, la cui tensione aumentava di secondo in secondo. Temeva una qualsiasi altra domanda della donna, temeva quei suoi occhi verdi che le apparvero fin troppo penetranti. Fu Lucius a venirle inconsciamente in aiuto, mettendosi a strillare all'improvviso.
«Devo cambiare il bambino, signorina Jameson.» annunciò Charlotte, con fin troppo sollievo.
L'Auror osservò per qualche istante la giovane, prima di annuire, anche se per alcuni momenti non lasciò la stanza. Era già sulla soglia quando si voltò verso Charlotte, scrutandola attentamente con quei suoi grandi occhi.
«Tornerò subito dopo pranzo. Avvisi il signor Malfoy, signorina.»
Charlotte assentì in silenzio, mentre con Lucius in braccio si avviò verso il locale di servizio. Quando fu dentro posò il bambino sul fasciatoio ed iniziò ad armeggiare con gli abiti del piccolo e poi con le pezze sporche. Davanti a sé vedeva sempre l'Auror con in mano l'elefantino e il certificato di nascita. Mentre continuava ad occuparsi di Lucius, sentì le mani tremarle leggermente, tanto che, nel momento in cui sistemò le pezze pulite, non riuscì subito a fermarle con la spilla da balia. Si lisciò lentamente l'abito, prima di riuscire nel suo intento, per poi rivestire il bambino. Il piccolo emise uno strano gorgoglio che strappò un sorriso tirato alla giovane.
Quando tornò nella camera del bambino vi trovò Abraxas ad attenderla. Si bloccò immediatamente, deglutendo a vuoto.
«Ha trovat…»
«Lo so. L'ho incontrata mentre scendeva le scale.» la interruppe l'uomo, fissandola intensamente.
«Avevo sigillato il nascondiglio, te lo giuro, ma lei è riuscita a trovarlo comunque. - la bambinaia si umettò appena le labbra secche - È stato terribile…tutte quelle domande e…temo di non aver dato una gran prova di fermezza…»
Abraxas non disse nulla per diverso tempo, limitandosi ad osservare Charlotte che con gesti nervosi si avvicinò alla culla del bambino, depositandovelo. Il piccolo iniziò ad agitare le manine paffute, quando una farfalla, entrata probabilmente dalla finestra spalancata nel locale di servizio, iniziò a svolazzare sopra di lui.
«Non è colpa tua, Lotte, se ha trovato il certificato di nascita di Loreley - affermò infine l'uomo, avvicinandosi a lei - Avremmo dovuto distruggere prima il documento.»
Charlotte si voltò verso di lui, trovandoselo più vicino di quanto avesse immaginato udendone la voce alle spalle. Si mordicchiò appena il labbro inferiore, ancora nervosa, nonostante fosse ormai passato il timore di trovare rimprovero nella voce dell'amante, di essere allontanata da lui.
«Ho paura, Abraxas.» mormorò infine, chinando appena il capo.
«Non devi, Lotte. Andrà tutto per il verso giusto. - mentre parlava l'uomo riempì la distanza che lo divideva dalla giovane, abbracciandola. Charlotte artigliò quasi la stoffa della camicia di Abraxas - Dobbiamo unicamente essere convincenti quando ci interrogherà oggi pomeriggio. - fece una pausa breve - Tu cosa le hai detto quando ha ritrovato il documento?»
«Ho detto che chiunque poteva averlo messo nell'elefantino, che chiunque può entrare in questa stanza… - le parole di Lotte si persero, mentre la giovane si stringeva maggiormente contro Abraxas - …ma non lo crederà. Ha detto che cercherà le impronte e troverà le nostre sia sull'elefantino, che sul documento.»
«Dannazione. - biascicò a mezza voce l'uomo, alzando il capo e fissando il proprio sguardo sulla farfalla che tanto attraeva il figlioletto - Non possiamo negare di aver mai messo le mani sul certificato, ma non possiamo nemmeno affermare di averlo avuto in nostro possesso per lungo tempo, di sapere che foglio era quello…»
«Cosa possiamo dire?» domandò tesa Charlotte.
Un rumore proveniente dall'anticamera che collegava la stanza di Lucius a quella di Abraxas fece bloccare i due, che sciolsero immediatamente l'abbraccio. Pochi istanti dopo Megan fece il suo ingresso, trovando la bambinaia leggermente in disparte, mentre suo marito era chino sulla culla del figlio.
«Stiamo aspettando solamente voi a pranzo.» annunciò con una certa acidità.
Avrebbe potuto giurare che i due non erano così distanti poco prima che lei entrasse. Erano degli sciocchi se speravano di ingannarla, ma forse non era nemmeno quello il loro scopo. In fondo non c'era un solo abitante di Malfoy Manor che non fosse a conoscenza della tresca di suo marito con quella fraschetta.
Abraxas prese in braccio il bambino e, lanciando una breve occhiata a Lotte, si incamminò verso la porta. La giovane lo seguì rapidamente, tesa e nervosa.
Il tragitto che li separava dalla sala da pranzo avvenne nel più ostinato silenzio. Megan alle spalle di Charlotte la osservava con malignità, attendendo un suo qualsiasi passo falso, ma né la ragazza, né il marito le diedero la possibilità di sfogarsi per lo meno con una frecciatina diretta alla bambinaia, una preda in fondo ben più facile da colpire rispetto ad Abraxas.
Laureen e Juliet erano già sedute ai loro posti. L'assenza di Zephyrus fu giustificata dalla cugina povera dei Malfoy, che annunciò come il bibliotecario si stesse prendendo cura di Adolar in quel momento. I coniugi Malfoy si sedettero, come sempre, l'uno di fronte all'altro, dopo che Abraxas ebbe posizionato Lucius nella sua culla, alle spalle del posto della bambinaia, che si trovò seduta accanto a Juliet. Di fronte a lei incontrò gli occhi di Laureen. Non si voltò alla sua destra, dove sedeva Megan, né portò lo sguardo su Abraxas che le sembrava tremendamente lontano in quel momento.
Il pranzo proseguì in silenzio per quasi tutte le portate. Juliet faceva vagare il suo sguardo inacidito su tutti i commensali, notando come la giovane accanto a lei sembrasse avere un appetito piuttosto scarso, al contrario di Megan che mangiava voracemente come suo solito. Abraxas portò soltanto per un istante gli occhi sull'amante, prendendo nota della sua tensione, maledicendo mentalmente l'interruzione della moglie ai loro discorsi nella camera del figlio.
Fu soltanto quando arrivò il dolce che il silenzio fu rotto, dalla voce della padrona di casa.
«Dove si è andato a cacciare il maggiordomo?»
«Si è preso qualche ora di libertà. Gli dovevo due giorni di permesso.» rispose Abraxas, posando il cucchiaino sul bordo del piatto.
«Perché proprio oggi? E dove diamine è andato?» si impicciò nuovamente Megan.
«Non vedo perché dovrei interessarmi a come spende i suoi giorni liberi Green.» ribatté seccamente l'uomo, riportando il silenzio sulla tavola.
Laureen dal suo posto sentiva chiaramente la tensione opprimente che li circondava. Aveva notato che la bambinaia sembrava essere in preda ad un forte nervosismo, dai gesti rigidi con cui si portava alle labbra quel poco cibo che aveva mangiucchiato durante il pranzo. Doveva essere accaduto qualcosa, forse legato alla visita della Jameson, congetturò acutamente la donna.
«Signorina Zurrey, potrebbe andare in cucina a vedere perché gli elfi tardano tanto a preparare la frutta?» domandò improvvisamente Abraxas, facendo sobbalzare Charlotte, che annuì immediatamente, alzandosi in piedi e allontanandosi rapidamente dalla tavola, mentre passava dietro alla sedia dell'uomo, sentì la mano di lui stringere per un solo brevissimo istante la sua, in una stretta che fu, pur nella sua brevità, rassicurante per la giovane.
Charlotte uscì dalla stanza, tirando un sospiro. Cercare di celare il suo nervosismo si era rivelata una missione impossibile. Era certa che tutti se ne fossero accorti. Scosse appena il capo, mentre si avviava rapida verso le cucine. La mano che Abraxas aveva stretto le sembrava portare ancora il suo calore. Arrossì appena, nel momento in cui iniziava a scendere le scale che portavano al piano interrato, raggiungendo in poco tempo le cucine. Gli elfi lavoravano alacremente, preparando il cesto ricolmo di frutta di stagione, ma poco distante da lei, sentì distintamente due di loro vociare.
«Hatty deve andarsene da Malfoy Manor, Hatty è libera e deve andarsene.»
«Io non vado, Maky. Hatty non vuole lasciare il suo Maky.»
«Ma Hatty sarebbe più felice lontano da questo posto.» insistette uno dei due.
«Hatty non può essere felice senza il suo Maky.»
Charlotte scosse appena il capo, facendo qualche passo all'interno della stanza, mentre le rimanevano impresse le parole che si erano scambiati i due elfi domestici. Per un brevissimo istante le sembrò di comprendere l'elfa che non voleva lasciare la casa, nonostante le fosse possibile. Trasse un nuovo sospiro, per poi rivolgersi alle creature che si affaccendavano, dicendo semplicemente che i signori volevano avere in brevissimo tempo la frutta. Non badò neppure che obbedissero, iniziando a risalire rapida le scale. Trovò, come si era aspettata, Abraxas nel grande atrio della magione. L'uomo le fece un rapido cenno con il capo, mentre si portava verso un angolo piuttosto in ombra dell'ampio atrio di ingresso. La bambinaia si affrettò a raggiungerlo, fermandosi poco distante.
«Ascolta, Lotte - disse con voce concitata l'uomo, guardando oltre il capo della giovane, come per accertarsi che nessuno li vedesse - dobbiamo dare una versione simile alla signorina Jameson. La cosa più saggia che possiamo dire… - La voce di Abraxas fu interrotta da uno scampanellio, segno che qualcuno era presso il cancello. Charlotte rabbrividì appena. - Non abbiamo tempo. Rispondi vagamente alle domande che ti fa. Ricorda, il foglio non l'hai preso in mano nel padiglione e non sapevi cosa fosse.»
«Abraxas…» mormorò con voce strozzata la giovane.
«Andrà tutto per il verso giusto, Lotte.» la rincuorò rapidamente lui, prima di farle cenno di tornare in sala da pranzo, mentre lui si affrettava verso il portone di ingresso.
Charlotte deglutì leggermente a vuoto, mentre attraversa l'andito rapidamente e ritornava nella sala da pranzo, dove la frutta faceva bella mostra di sé al centro del tavolo. Si sedette senza dire una parola al suo posto, tentando di ignorare gli sguardi delle altre tre donne che si erano concentrati su di lei. Megan continuò a mantenere gli occhietti neri sulla ragazza. Non le sfuggì il gesto nervoso con il quale la giovane prese una pesca dal piatto di portata. C'era qualcosa di strano nel modo di comportarsi della bambinaia, ma forse, si disse, tutto era dovuto al trucco da quattro soldi utilizzato da suo marito per poter stare solo con la Zurrey.
L'aprirsi improvviso della porta, fece sobbalzare Charlotte e portò gli occhi delle altre tre donne su Abraxas che fermò per qualche attimo il proprio sguardo sulla bambinaia.
«Charlotte, la signorina Jameson desidera parlarle. - annunciò il padrone di casa - Mi ha pregato di avvisarvi che potrebbe dover porre delle domande ad ognuno di voi. - una breve pausa - Laureen pensa tu a comunicarlo a Zephyrus.» La bambinaia, sotto gli sguardi indagatori di Megan e Juliet si alzò lentamente in piedi, lasciando sul piatto la pesca ancora intonsa e seguì Abraxas fuori dalla stanza. L'Auror l'attendeva insieme a Patrick. L'uomo salutò con un cenno del capo quella che era stata sua cognata, poi seguì Rosamund, il padrone di casa e la giovane, salendo le scale e raggiungendo il salottino posto accanto alla stanza della musica.
Charlotte ricordò chiaramente la prima volta che aveva posto piede in quella stanza di piccole dimensioni. Era il giorno in cui era stata assunta ed era anche in quel momento tesa, ma di una tensione totalmente diversa. Facendo forza su se stessa non si voltò verso Abraxas, quando questi, dopo aver detto qualche parola all'Auror, uscì dalla stanza, rimanendo immobile, in piedi, fino a quando Rosamund non la invitò a sedersi.
«Come può immaginare, signorina Zurrey - disse la donna, fissando con attenzione la bambinaia - abbiamo trovato delle impronte sia sull'elefantino che sul certificato di nascita di Loreley Malfoy. - fece una pausa, puntando maggiormente lo sguardo sul volto mite della giovane - Non starò a fare preamboli lunghi ed inutili. Sia sull'oggetto che è stato palesemente usato come nascondiglio, che sulla pergamena del documento sono state ritrovate le stesse impronte: le sue, signorina Zurrey, e quelle del signor Malfoy. - Charlotte strinse leggermente le mani in grembo, forse per non tremare, per non mostrare in maniera troppo chiara la propria agitazione interiore - Quando ha preso in mano l'elefantino e soprattutto quando ha avuto tra le mani il certificato di nascita di Loreley Malfoy?»
Il silenzio cadde per qualche istante nella piccola stanza. Patrick osservava con attenzione Charlotte. La ricordava come una ragazza piuttosto timida e impacciata. L'ultima volta che l'aveva vista, prima di quell'indagine, era appena tornata a casa da Hogwarts dopo aver ottenuto dei buoni M.A.G.O. e, ad essere sincero, non gli sembrava molto cambiata da allora.
«L'elefantino l'ho preso in mano diverse volte. - la giovane fece una pausa, mentre spostava appena le mani in grembo, sudate - Sono solita raccontare una fiaba a Lucius, prima di metterlo a letto e alle volte utilizzo degli oggetti presenti nella stanza per illustrare la storia. Sono certa di aver usato il regalo di Lysiart per questo. - una nuova interruzione, durante la quale deglutì appena. Sentiva la gola completamente secca, riarsa - Quanto al documento io non ricordo di averlo mai avuto tra le mani…»
«Eppure vi sono le sue impronte sopra, signorina Zurrey.» la interruppe Rosamund, incalzandola.
«Forse l'ho raccolto da terra, in una delle stanze del Manor e non mi sono accorta di cosa fosse.» disse, parlando forse troppo rapidamente.
Patrick accanto a Rosamund teneva uno stringato verbale dell'interrogatorio, osservando di tanto in tanto Charlotte. Nemmeno nell'esprimersi pareva molto cambiata. Era impacciata come sempre. Non riusciva a capire come avesse fatto ad affrontare l'assunzione a Malfoy Manor, sotto lo sguardo austero e freddo del padrone di casa.
«E non ha mai avuto la curiosità di vedere cosa stava raccogliendo?» domandò l'Auror, avvicinando il capo alla giovane che stava dall'altra parte della scrivania.
«Non sono una ficcanaso, signorina Jameson. - ribatté veementemente Charlotte, prima di aggiungere, calmandosi appena - Mi è capitato alle volte di raccogliere qualche foglio da terra. Con il bambino faccio delle brevi passeggiate lungo i corridoi, quando fuori è brutto e non posso portarlo in giardino. Con ogni probabilità avrò raccolto il certificato una di queste volte e doveva essere voltato, o non l'ho letto, altrimenti me ne sarei ricordata.»
«Quindi lei ritiene di aver preso in mano il certificato casualmente, perché caduto per terra da qualche parte nella casa, il che renderebbe piuttosto sventata Hilda, non trova, signorina Zurrey? - la bambinaia non rispose, limitandosi a chinare il capo, cercando di ripetersi le parole di Abraxas che le dicevano che ogni cosa sarebbe andata per il verso giusto - Sicura di non aver preso in mano il certificato, quando ha trovato il cadavere e subito dopo di averlo passato al signor Malfoy? O forse è avvenuto il contrario e il signor Malfoy le ha dato il certificato da custodire?»
Charlotte deglutì a vuoto davanti a quel fiume di domande, sforzandosi di non tremare quando la donna arrivò all'ultima. Con uno sforzo tornò ad alzare il capo, fissando l'Auror, senza riuscire però a nascondere il suo nervosismo.
«Come le ho detto prima di pranzo, non mi sembra di aver visto alcunché quando ho trovato il cadavere della signorina O'Connor - mentre parlava sfregò per un attimo le palme delle mani tra di loro - Può darsi che l'abbia raccolto nella camera del vecchio Adolar, ma non ne sono sicura.»
«Pare non essere sicura di niente, signorina Zurrey. - disse Rosamund. A Charlotte gli occhi della donna apparvero ancora più grandi - È certa di non aver preso in mano il certificato nel padiglione cinese?»
«Ne sono certa.» rispose Lotte, ostentando una sicurezza che era ben lontana dal provare in quel momento.
«È altrettanto sicura di non aver ricevuto il certificato dalle mani del signor Malfoy?» la incalzò Rosamund, scrutandola.
«Sì.» mormorò Charlotte, perdendo buona parte della finta tranquillità che aveva mostrato pochi istanti prima. L'Auror annuì appena, lanciando un'occhiata a Patrick. L'uomo aveva finito proprio in quel momento di appuntare la risposta della giovane bambinaia e aveva lo sguardo puntato su di lei.
«Signorina Zurrey, sarebbe così gentile da firmare sotto il verbale del suo interrogatorio... - disse Rosamund, allungando una penna alla giovane, che, ricevendo il foglio da Patrick, appose la sua firma sotto la grafia ordinata dell'uomo. L'Auror riprese indietro la penna, per poi voltarsi verso il proprio assistente. - Patrick, accompagna fuori la signorina Zurrey e chiama il signor Malfoy.» disse, notando un lieve sobbalzare della giovane, poco prima che questa si alzasse in piedi.


Juliet sedeva su una delle poltrone del salottino estivo. Gli occhi dardeggiavano spesso verso la porta. Avrebbe avuto una gran voglia di uscire e andare ad origliare l'interrogatorio tra la giovane Zurrey e l'Auror. Ed era certa che anche Megan fosse dello stesso avviso, considerando come stava in punta di sedia. Forse era unicamente la presenza del padrone di casa, che era posizionato accanto alla finestra con il bambino in braccio, a frenare tutte loro, compresa Laureen, che stava facendo di tutto per fingere di non essere curiosa.
«Mi chiedo cosa sia potuto accadere per poter volere la presenza della Zurrey.» commentò la Mallory, pronunciando le parole che erano sulla punta della lingua delle altre due donne.
«Forse ti sei scordata, Laureen, che è stata Charlotte a ritrovare il cadavere di Loreley. - affermò Abraxas, con tono che voleva chiaramente impedire il nascere di ulteriore domande - Non è altro che normale routine.»
«Credi davvero? - disse Megan, senza riuscire a trattenersi, facendo convergere su di sé l'attenzione di Abraxas - È passato un tempo decisamente lungo da quando la Zurrey è stata convocata da Rosamund, maggiore di quello che occorre per domande di routine.»
«E da quando tu conosci perfettamente quanti minuti o ore servono ad un Auror per fare il proprio lavoro?» domandò l'uomo palesemente seccato.
Il silenzio calò nella stanza. Juliet fece passare lo sguardo dal marito alla moglie e viceversa, senza nascondere un leggero sorriso acidamente compiaciuto. Laureen scosse appena il capo. Era sempre più frequente, ormai, assistere a scene del genere, a momenti di tensione sempre più palesi ed evidenti tra Abraxas e Megan, la quale stava per aprire nuovamente la bocca, quando la porta del salottino fu aperta da Charlotte, seguita a ruota da Patrick.
L'assistente di Rosamund avvertì gli sguardi delle tre donne fissarsi su di lui e per un istante si sentì terribilmente a disagio. Scosse appena il capo, portando lo sguardo sul padrone di casa che sembrava occupato a badare al figlio. Si schiarì un attimo la voce, prima di parlare.
«Signor Malfoy, la signorina Jameson desidera scambiare qualche parola con lei.»
Abraxas annuì, avviandosi rapido verso la porta, fermandosi soltanto quando raggiunse Charlotte. Le passò il bambino, avendo cura di sfiorarla, prima di dirle di portare Lucius nella stanza dei giochi, poi seguì Patrick fuori dal salottino estivo, lasciandosi alle spalle una possibile, ennesima, discussione con Megan. Per raggiungere lo studiolo dovettero unicamente attraversare leggermente in diagonale il corridoio. Una volta all'interno della stanza Patrick tornò ad occupare il suo posto e Abraxas si sedette dove prima si era trovata Charlotte.
«Come le ho già detto stamattina, signor Malfoy, ho trovato il certificato di nascita di Loreley Malfoy all'interno di questo elefantino nella camera di suo figlio. - Rosamund fece una pausa, mentre fissava il volto perfettamente calmo dell'uomo - Ho compiuto le ricerche necessarie ed ho trovato delle impronte, le stesse impronte, sull'elefantino e sul documento. Come ho già avuto modo di dire alla signorina Zurrey, non starò qui a fare inutili preamboli. Le impronte appartengono a lei, signor Malfoy, e alla bambinaia di suo figlio. Come sono finite le sue impronte sul certificato?»
«Non saprei, signorina Jameson. - rispose l'uomo, lanciando un'occhiata distratta al certificato - o forse, ora che mi ci fa pensare…si ricorda quando fu aggredito mio padre? - una breve pausa - Rimasi solo con la signorina Zurrey nella sua stanza e fu quel giorno che raccattai da terra un foglio. Può ben capire che il mio primo pensiero andò a mio padre e di certo non badai al contenuto del foglio. Con ogni probabilità era rovesciato.»
«E a quel punto lo passò alla signorina Zurrey?» domandò Rosamund, fissando con attenzione l'uomo, come a cercare qualche falla nel suo racconto.
«Esattamente. La pregai di posarlo sulla scrivania della stanza di mio padre.»
«Perché non lo fece lei stesso?» incalzò la donna.
«Avrei perso del tempo prezioso. Non c'era un istante da perdere in quel momento, signorina Jameson.» rispose Abraxas, lanciando uno sguardo a Patrick che scriveva rapido le sue risposte su un foglio di pergamena. In un angolo poco lontano erano visibili delle altre carte ammucchiate e all'uomo non ci volle molto tempo per capire che riportavano l'interrogatorio di Lotte.
«Lei è arrivato sul luogo del delitto immediatamente dopo la signorina Zurrey. Ricorda di aver visto qualcosa accanto al corpo?» domandò la donna.
«Ho già avuto modo di rispondere a questa domanda, signorina Jameson. Non ho visto assolutamente nulla.»
Rosamund annuì leggermente, gli fece firmare l'interrogatorio, per poi congedarlo. Trasse un sospiro, massaggiandosi leggermente le tempie, prima di voltarsi verso Patrick.
«Ti sembra che stiano mentendo?» domandò, voltandosi verso l'assistente.
«Non saprei. - rispose sinceramente l'uomo - Il signor Malfoy dà l'impressione di saper perfettamente quello che dice.»
«Forse ne dà troppo l'impressione. - lo interruppe Rosamund, facendo un gesto vago con la mano - Nulla sembra non quadrare nella sua versione dei fatti ed, in fondo, conferma le parole vaghe della signorina Zurrey. Ed è proprio questo che mi dà da pensare. - fece una pausa, corrugando appena le sopracciglia - Tu cosa pensi delle parole della bambinaia? In fondo l'hai già conosciuta.»
«Non mi è sembrata molto dissimile da come la ricordavo, tremendamente timida, impacciata e insicura. - l'uomo fece una pausa - Ricordo che la prima volta che Ottilia mi presentò a sua sorella, Charlotte spiccicò due o tre parole al massimo. Quando già il mio matrimonio era in crisi, rammento lo stupore anche mio, quando ha annunciato, durante le vacanze di Natale del suo ultimo anno, di voler intraprendere lo studio della medimagia con indirizzo pediatrico. Certo, con i bambini ci sa fare. Thimoty la adora. Quando è con me, mio figlio parla in continuazione di sua zia. Da quando poi lavora qua al Manor, sembra sentirne la mancanza in maniera incredibile. Credo sia una buona bambinaia per il piccolo Malfoy. «Scusi, signorina Jameson, - disse dopo essersi interrotto per diversi istanti - ma quando parlo di mio figlio… - si fermò un attimo, schiarendosi appena la voce - Non credo abbia mentito.»
«Forse, Patrick. Eppure c'è qualcosa nelle deposizioni della signorina Zurrey e del signor Malfoy che non mi convince. - Rosamund si massaggiò nuovamente le tempie, prima di scuotere appena il capo - Secondo te che rapporto può esserci tra i due?»
«Immagino un rapporto professionale…- l'uomo si interruppe di colpo, sgranando appena gli occhi - Crede che tra Charlotte e il signor Malfoy vi sia qualcosa di più? Io non so cosa dirle, cioè non posso credere che…è pur vero che Ottilia mi ha tradito, ma…effettivamente questo non ha nulla a che fare con Charlotte.»
Rosamund scosse appena il capo, guardando con attenzione l'elefantino e il certificato di nascita di Loreley Malfoy, mentre ripensava ad alcuni particolari riguardanti l'indagine. Trasse un sospiro, prima di voltare appena il capo, in modo da intravedere l'ala opposta della magione, dalla finestra dello studiolo.
«Va' a chiamare Megan, Patrick. Forse lei può darci una risposta in proposito. - fece una pausa - Mi pare ovvio che i tuoi ricordi in questo caso non ci possono essere molto utili.»
L'uomo annuì, alzandosi in piedi ed uscendo. Rimasta sola, Rosamund si alzò in piedi e si avvicinò alla finestra, osservando meglio il cortile interno, come se questo potesse dare una qualche risposta ai propri interrogativi. Non riusciva a capire se, chi aveva trafugato il certificato di nascita da accanto il cadavere di Hilda, fosse anche l'assassino. Certo, potevano aver sottratto qualsiasi altro foglio o oggetto, ma era più che convinta che si trattasse di quel documento. Era logico che la donna lo volesse nascondere. Il vero problema in quel momento era comprendere se Charlotte Zurrey e Abraxas Malfoy stessero mentendo e soprattutto accertarsi che la sua impressione che tra loro vi fosse ben più di un semplice rapporto professionale, fosse veritiera. Questo avrebbe potuto aprirle il campo ad ulteriori ipotesi. Quando la porta si aprì, facendo entrare Megan con Patrick al seguito, tornò a sedersi, attendendo che la sua vecchia compagna di scuola facesse lo stesso.
«Pensavo fossi già andata via, Rosamund. - disse la padrona di casa, senza attendere che questa le facesse delle domande, mentre gli occhietti neri si posavano sull'elefantino che tante volte aveva visto nella camera del figlio. - Cosa…?»
«È proprio a causa di questo che ti ho chiamata. - l'Auror fece una breve pausa - Ho ritrovato il certificato di nascita di Loreley Malfoy all'interno dell'elefantino. Tu, Megan, l'avevi mai visto?»
«Assolutamente no. - rispose l'altra donna - E sinceramente mi stupisce che tu l'abbia trovato nella camera di mio figlio in quell'inutile regalo che gli ha fatto Lysiart, poco dopo la sua nascita. Soltanto mio cognato poteva pensare di regale qualcosa di così assurdo per un neonato. Si è giustificato dicendo che da grande gli sarebbe stato utile per nascondere i suoi segreti.»
«Pare che qualcuno abbia anticipato i tempi. - commentò solamente Rosamund, scrutando attentamente Megan - Quello che voglio sapere da te è in che rapporti siano tuo marito e la bambinaia di tuo figlio.»
«Non è difficile rispondere. Basterebbe che tu fossi a pranzo per accorgerti che Abraxas e la Zurrey hanno una tresca. Si guardano sempre, alle volte mio marito diventa improvvisamente introvabile. Non li ho mai colti veramente sul fatto, ma anche Juliet e Laureen si sono accorte della cosa. - la voce della donna, tra l'isterico e l'indignato, si spense per alcuni istanti - Ti posso assicurare che quella piccola intrigante e mio marito sono amanti.»
Rosamund annuì, lanciando un'occhiata a Patrick che fissava come imbambolato Megan, immerso com'era nei ricordi, nel momento in cui aveva iniziato a sospettare che Ottilia Diane Zurrey avesse un amante, quando già il loro matrimonio andava a rotoli. Gli sembrava incredibile sentire che Charlotte aveva intrecciato una relazione con un uomo sposato. Si chiese se la giovane non gli avesse mostrato un volto ben diverso da quello che era in realtà, o meglio, da quello che la signora Malfoy diceva fosse.


Ecco a voi un altro capitolo! Speriamo sinceramente che vi possa piacere.

Un grazie particolare a:

Thiliol: In questo capitolo non diamo risposte alle tue domande (siamo perfidi, vero? :P), anzi forse ne aggiungiamo delle altre. Sappici dire cosa pensi degli interrogatori a Lotte e Abraxas.

Un grazie a chi ha posto la storia tra i preferiti e a chi legge soltanto.

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Capitolo 24
*** Capitolo XXIV ***


Capitolo XXIV

Alle tre di quello stesso pomeriggio, Rosamund e Patrick tornarono al Quartier Generale, psicologicamente predisposti a trascorrere lì buona parte della giornata, e inserirono nell’archivio le deposizioni di Abraxas, Charlotte e Megan. Il chiarore del cielo era stato offuscato, all’ora di pranzo, da due eserciti di nuvole che si contendevano un frammento celeste. Nessun dipendente del Ministero si sarebbe aspettato di veder scendere giù delle goccioline esigue, prima che Londra mutasse di furia in un teatro piovigginoso eppure limpido. Seduta alla scrivania, col mento sul palmo della mano, l’Auror era persa nella contemplazione del cielo e letteralmente inghiottita da una caterva di pensieri e congetture. Il trovarsi di fronte all’ostinazione di Abraxas Malfoy, che sembrava certo delle proprie parole ed aveva anche il potere di persuadere gli altri con la sua fermezza, non aveva spazzato via i suoi dubbi; li aveva al contrario centuplicati.
Quando infine Rosamund raggranellò un quantitativo abbastanza consistente di risoluzione per bloccare il flusso dei pensieri che tanto le premevano, si resse in piedi, facendo stridere le gambe della sedia sul pavimento, e occhieggiò Patrick, il quale, con gli occhiali sulla punta del naso e la lingua fra i denti, analizzava per l’ennesima volta il fazzoletto ricamato. Lasciò il proprio sottoposto al suo lavoro, si avvicinò all’armadietto rapidamente e trasse dalla borsa una chiave, prima di rigirarla nella serratura per ben sei volte. Aperta l’anta metallica, cominciò a frugare fra i documenti con fretta indicibile, mentre una crescente preoccupazione traspariva dal suo volto pallido.
«Dannazione, Patrick! – esclamò, voltandosi in direzione dell'assistente. – A volte mi chiedo come si possa essere così sciocchi! Ho dimenticato di rassettare le pratiche, smarrendo una lettera che dovevo inviare al dirigente della distilleria derubato l’altro giorno. Fortuna che era di poco conto! E dovresti vedere quanti errori di ortografia ho disseminato nella dichiarazione che ho redatto stamani, prima di andare al Manor. Lo stress mi sta facendo letteralmente impazzire. Ho bisogno di prendermi una pausa.»
«Non c’è problema. – disse Patrick, alzando gli occhi dal fazzoletto. – Posso starmene qui fino alle cinque e dire che lei aveva un impegno improrogabile. Mi crederanno; so essere convincente quando voglio…»
«Ti ringrazio infinitamente. Non so davvero come farei senza il tuo aiuto. – sbuffò Rosamund, passandosi una mano fra i capelli. – Non sentirti in dovere di restare qui. Se preferisci andartene, basta che chiudi l’ufficio.»
«Vorrei passare da Ottilia per prendere Thimoty e portarlo a spasso. Ha avuto l’influenza, e non ho potuto vederlo in questi giorni.»
«Preferisci andar via immediatamente?»
«Sono un po’ indeciso, per la verità. Ma credo che me ne starò in ufficio a riflettere ancora un po’ sul fazzoletto. Proprio adesso, avendolo confrontato con un disegno del manuale, mi sembra di vedere in questo fiore qui, - e indicò uno dei ricami, - un’erica anziché un tulipano. Particolare decisamente importante, se consideriamo che l’erica è simbolo di solitudine e rappresenta la voglia di libertà.»
«Assolutamente. Beh, conto su di te, allora. – Rosamund afferrò il manico dell’ombrello nero che teneva in ufficio. – Buona serata, Patrick. Domattina comunicami qualsiasi novità sul fazzoletto.»
«Arrivederci, signorina Jameson.»
La porta si chiuse alle spalle dell’Auror, e il sottoposto di Rosamund si rilassò finalmente sulla sedia, strofinandosi gli occhi e sbadigliando sonoramente. Decise di abbandonare per qualche attimo il proprio lavoro, passeggiando per la stanza e aprendo la finestra.
Una folata penetrò nell'ufficio, e Patrick respirò a pieni polmoni prima di guardare l’orologio con una certa insofferenza. Stava per rimettersi a sedere quando cambiò idea.
«Se non fosse così tediosa l’atmosfera di quest’ufficio, terrei fede al mio proposito.» si disse, scuotendo la testa, mentre la mente andava al figlio Thimoty che aveva una gran voglia di rivedere.
Piegò il fazzoletto accuratamente e lo ripose in un cassetto. Chiuse la finestra, poi si fermò un attimo per mettere a posto i propri pensieri. Aveva promesso di restare fino alle cinque, ma le tre e mezza erano passate da cinque minuti, e nessuno sarebbe venuto in ufficio nell’intervallo di tempo che andava da quel momento all’orario in cui sarebbe potuto andar via. Pregò che Rosamund non lo redarguisse il giorno successivo e, il pensiero fisso su Thimoty, lasciò il Ministero.
Il vento era debole, piuttosto caldo, e sospingeva le nubi con lentezza irritante. La pioggia, se così poteva definirsi lo sporadico cadere delle minuscole stille pallide, non era ancora finita, quantunque durasse da più di un’ora. Oltre un velo appannato si poteva scorgere il disco solare, la cui luce era notevolmente attenuata da un drappo di nuvole scure.
Patrick diede uno sguardo agli uomini che si scontravano o si evitavano sui marciapiedi. Erano tutti molto simili, con giacca, cravatta, bombetta e valigetta, quasi fossero prodotti in un’industria di esseri viventi. Una donna lo guardò dall’alto di un balcone, e quell’occhiata fugace, per qualche motivo, lo mise in apprensione. D’improvviso la vita gli sembrava più cupa, e solo il pensiero del figlio riusciva a quietarlo.
Lasciò la strada trafficata per immettersi in un vicolo cieco e giunse in paese poco più tardi, materializzandosi nei pressi della casa in cui aveva vissuto per diversi anni con Ottilia. L’abitazione sorgeva in piena campagna, inabissata in un’atmosfera tipicamente inglese, a ridosso di una collina verdeggiante i cui pendii ricamavano armoniose curve nel paesaggio. Quella che si scorgeva dalla casa di Ottilia Zurrey sarebbe stata la scena ideale per un paesaggista in cerca di ispirazione, pensò Patrick mentre seguiva il sentiero, riandando con la mente agli stessi giudizi che lo avevano sfiorato quando con l’ex-moglie si era deciso ad acquistare la casa rustica che adesso aveva innanzi. Lungo la facciata correvano reticoli di edera, e un gazebo di piccole dimensioni sorgeva a pochi metri dall’ingresso. Nel complesso, il luogo si presentava come molto accogliente.
Quando ebbe superato il lastricato sinuoso, Patrick bussò ripetutamente alla porta. Attese qualche attimo, fregando la mano destra sul mento, prima che Ottilia, nel consueto abbigliamento domestico, lo facesse accomodare, non senza una punta di apatia, nell’atrio confortevole. Una volta dentro, Patrick lanciò uno sguardo al vecchio trespolo, allo zerbino ed al soggiorno ben areato, col suo tavolo di quercia e gli armadi di una lignea sfumatura che tendeva al rosso scuro.
«Siedi pure sul divano. Faccio scendere Thimoty quando l’avrò cambiato d’abito.» disse Ottilia, risalendo sollecitamente la scala a chiocciola.
Patrick si adagiò sul canapè, rivestito da un copridivano in stoffa lanuginosa straripante di decorazioni nere a pois cui ormai il suo occhio era avvezzo e sul quale tante volte si era seduto insieme con Ottilia prima che i loro rapporti andassero in frantumi.
Il tempo passò così lentamente che Patrick ne perse la cognizione e, quando Thimoty gli gettò le braccia addosso, nel suo completino verde, seguito a ruota da Ottilia, anch’ella abbigliata in modo diverso da quello con cui si era presentata aprendo la porta, non avrebbe saputo dire se fossero trascorsi ore o minuti dall’attimo in cui si era seduto nel soggiorno-cucina.
«Piccolo mio, ti sei ripreso! – esclamò Patrick, allontanando da sé il figlioletto per squadrarlo bene. – La mamma ha detto che hai avuto l’influenza.»
«E’ già passata. – rispose Thimoty, ostentando un sorriso disarmante. – Andiamo al parco come mi avevi promesso?»
«Ma certo che andiamo al parco, Thimoty. – Patrick levò lo sguardo sull’ex-moglie per una frazione di secondo. – Va’ a salutare la mamma, su!»
Thimoty trotterellò allegramente fino alle gambe di Ottilia, prima di cingerle in un tenero abbraccio. La donna scompigliò i capelli del figlio, infine disse a Patrick: «Sarò a casa dopo le otto. Pensi di poter badare a Thimoty fino a quell’orario?»
Il giovane uomo torse gli occhi e corrugò la fronte in un gesto simultaneo.
«Posso badargli senz’altro. – proferì, ma con un tono di voce gelido che fece sussultare persino il bambino. – Stai… uscendo?»
«Sono padrona della mia vita, Patrick, e mi prendo le libertà che desidero. – Fece una pausa. – Vai da papà, Tim. Ci rivediamo questa sera.»
Il bambino, immalinconito dal brevissimo alterco, prese per mano il padre. Con un brusco saluto Patrick si accomiatò da Ottilia, quindi, insieme col figlio, proseguì lungo il sentiero, prima di smaterializzarsi con lui nei pressi dei Giardini di Kensington.
Quando Thimoty ebbe avuto il suo palloncino, padre e figlio passeggiarono per il parco, respirando l’aria fresca del tardo pomeriggio. Il piccolo si guardava intorno con avidità, come se quegli scorci dei Giardini fossero estremamente preziosi e non dovesse lasciarseli sfuggire.
Onde dolci lambivano il terriccio sulla sponda del laghetto Serpentine, circondato da macchie informi di vegetazione, e stettero a contemplarne il moto abbattuto fino a che Thimoty espresse il desiderio di andare a vedere la statua di Peter Pan. Allora si incamminarono nuovamente per i viali alberati, sotto lo sguardo di decine e decine di ragazzi seduti sull’erbetta verde. Thimoty tentò più volte di carezzare le foglie con il palloncino, ma dovette rinunciarvi quando comprese che la sua altezza non glielo permetteva. Nel vederlo giù di morale, Patrick lo prese sulle spalle e corse ridendo fino alla meta vicina.
Sedettero su un panchetto, mentre Thimoty accompagnava il sole con il dito nel suo percorso parabolico.
«Quando tornerai a casa? – domandò al padre allorché il declino del giorno non lo interessò più. – La mamma ha detto che vi siete separati. Però io credo che tu tornerai. Ho ragione, vero, papà?»
Patrick rispose con leggero ritardo, perso com’era negli occhi del figlio.
«Cercherò di venire a trovarti più spesso, se ti fa piacere. Possiamo ritornare quando lo desideri qui ai Giardini.»
Gli occhi di Thimoty si illuminarono. «Verremo anche in inverno, vero, papà?»
«E’ naturale, Tim. Verremo anche in inverno, quando ci sarà la neve.»
«Non ho ancora visto la neve ai Giardini di Kensington. – disse allegramente il bambino. Quindi chinò la testa e ingiunse con le labbra congiunte: - Ma tu non tornerai più dalla mamma. E non andremo al parco tutti e tre insieme. Forse mi ci porterà con il signore che è venuto a pranzo da noi. Ma non sarà certo la stessa cosa.»
«Il signore che è venuto a pranzo? – domandò Patrick. – Di chi si tratta?»
«Voglio dire il maggiordomo della casa in cui abita la zia Lotte. E’ venuto a mangiare da noi, oggi, e stasera la mamma esce di nuovo con lui. Quando è arrivato mi ha fatto tanti complimenti, ma a me non sono piaciuti. La mamma continuava a dirmi che dovevo essere più garbato con il signore che è venuto a pranzo, ma a me non va proprio giù, e non voglio essere garbato.»
Patrick scosse la testa. «Non sapevo che la mamma frequentasse il signor Green.»
«Non stanno insieme da molto tempo. E’ venuto oggi per la prima volta. Speravo che mi portasse nella casa dove fa il maggiordomo, così avrei visto la zia Lotte. E invece se ne è andato senza dirmi neanche una parola.»
«Se continueranno a frequentarsi, sicuramente andrai a Malfoy Manor e vedrai la zia Lotte, Tim.»
«Ma la zia Lotte viene meno spesso di prima. La mamma dice che è impegnata perché fa la tata nella casa dove lavora il maggiordomo. L’ultima volta che è venuta abbiamo costruito una barchetta di carta e mi ha aiutato a colorarla di blu, ma ho dimenticato di portarla al parco. Avrei potuto lasciarla galleggiare sulla superficie del laghetto e vedere se affondava.»
«La porterai la prossima volta, Thimoty. Torneremo ancora ai Giardini di Kensington.»
Thimoty tirò giù il viso. «Tu mi vuoi bene, vero, papà?»
«Ma certo che ti voglio bene! – esclamò in fretta Patrick. – Che domande sono queste, Tim! Se non ti avessi voluto bene non sarei stato così impaziente e desideroso di venire al parco con te.»
«Davvero volevi venire al parco con me?»
«Sicuro!»
«La mamma ha detto che voi vi siete separati perché non vi volevate più bene come prima. Allora ho pensato che magari non volevi bene come prima neanche a me.»
«Assolutamente no. Ti voglio bene molto più di prima, Thimoty. Non dire mai più nulla del genere e soprattutto scaccia tutti i dubbi che ti sorgeranno in proposito!»
Calò di nuovo il silenzio, rotto solo dal fruscio del vento.
«Si è fatto tardi, papà. La mamma ha detto che, se torno a casa per le otto, mi porta a mangiare al ristorante col maggiordomo della casa in cui lavora la zia.»
«Sono le sette e mezza. E’ meglio che ti accompagni in tempo, o la mamma potrebbe fare storie la prossima volta che verrò a prenderti.»
Si ressero in piedi, mentre il sole svaniva dietro le chiome dei larici che svettavano nell’albereto. Una luce fievole, che si rivelava dal manto di nubi ormai lontane, rischiarava il loro cammino, ed i primi lampioni di Londra si accendevano uno ad uno, ravvivando il contorno e i viali alberati dei Giardini di Kensington e annunciando a un tempo la tiepida sera.


Ester Lizzie Hayward si recò a Malfoy Manor dopo l’ora del tè, e i cancelli le furono aperti da Laureen, che vagabondava senza meta per il giardino.
«Tua madre è di sopra con Megan. – disse l’anziana donna, scortandola fino all’ingresso. – Vuoi che ti accompagni da lei?»
«Se non è di troppo disturbo…» rispose Ester.
«Nessun disturbo. Seguimi pure.»
Il vestibolo della grande magione apparve alla ragazza più angusto e tetro di quanto ricordasse. L’odore di polvere che aleggiava dappertutto e l’aspetto maestoso dei corridoi generavano in lei qualcosa di simile a un senso di molestia, mentre incedeva a fatica per gli anditi sulla scia di Laureen. Più guardava le mura scarne, più pensava che la cosa migliore da fare fosse allontanarsi al più presto da quel luogo e non farvi più ritorno. C’era un che di squallido dietro quell’eleganza e quello sfarzo che le faceva rimpiangere persino la stanza d’albergo in cui aveva soggiornato durante il primo periodo di specializzazione in Giappone.
Salirono al primo piano e, già mentre traversava il corridoio, Ester capì che nel salottino estivo stava avvenendo un litigio e che Laureen era andata in giardino per evitare la compagnia di qualcuno. Se fino a quel momento era riuscita a tollerare il disturbo che quell’ambiente le provocava, adesso esplose e, senza rendersene conto, irruppe nella stanza con poco garbo, piantandosi davanti alle panche di vimini prima che Laureen potesse annunciare il suo arrivo.
Quando prese posto ed ebbe salutato la madre e Megan, Ester intuì la cagione del litigio di cui le era parso di avvertire un sentore nel corridoio. La signora Malfoy era più irascibile del consueto e sembrava provare un appagamento patologico nel contraddire gli altri, anche in merito a faccende che non la interessavano minimamente.
Ester notò lo sguardo sprezzante che le fu rivolto da lei quando interruppe il litigio ed esordì con tono pacato: «Sono venuta a porgervi i miei saluti. Fra due giorni parto per il Giappone, e stavolta spero di completare la qualifica e di stabilirmi lì.»
«Hai deciso di continuare gli studi?» chiese Laureen, mentre Juliet annuiva soddisfatta.
«Manca ancora poco prima che li concluda. Abbandonare tutto adesso sarebbe davvero una follia. Non appena sarò a destinazione, riprenderò a studiare regolarmente. E’ mia intenzione trovarmi un impiego al Ministero della Magia di Tokyo, ma ci sono altri sbocchi. Potrei per esempio decidere di insegnare Difesa contro le Arti Oscure alla scuola di Syzugoya. Oltretutto, - continuò, - mi è stato chiesto di scrivere una serie di articoli di giornale su un quotidiano molto importante, e spero di inserirmi nell’ambiente giornalistico.»
«Grandi aspettative! – disse Laureen. – Ho sempre saputo che tua figlia avrebbe fatto strada, Juliet.»
«L’ho sempre saputo anch’io.» rispose la madre di Ester, lanciando un’occhiata di vittoria a Megan.
«Anche Lucius farà strada, vedrete.» ribatté quest’ultima, ingollando un’enorme tazza di tisana e addentando la sua mela.
«Su questo non ho dubbi. – disse Laureen. – Crescerà bene, il piccolo Lucius.»
«Hai già preparato i bagagli?» chiese Juliet alla figlia.
«Devo mettere in valigia solo alcuni effetti personali.»
«Sei sicura di non aver bisogno del mio aiuto?»
«No, mamma. – rispose Ester tempestivamente. – Non scomodarti, so badare a me stessa.»
«Pensi di tornare per le vacanze di Natale?»
«Farò un salto in estate, con molte probabilità, ed uno a Dicembre. – disse Ester. – Ma, come vi ho detto, ho considerato seriamente l’idea di comprare casa lì. – Fece una pausa, traendo fuori dalla tasca un orologio. – Devo passare da Diagon Alley per acquistare dei bottoni e della stoffa e poi far visita a Cordelia. E' meglio che vi saluti. Arrivederci, Laureen. Arrivederci, signora Malfoy. – Si voltò verso la madre e la strinse in un abbraccio. – Arrivederci, mamma. Stammi bene.»
«Li stanerò, Ester, li costringerò a confessare.» sussurrò l'anziana donna all’orecchio della figlia.
Fu l’ultima frase che Juliet disse alla figlia prima che quest'ultima, accompagnata da Laureen, attraversasse nuovamente il giardino e varcasse la soglia di Malfoy Manor.


Una volta che ebbe affidato Thimoty all’ex-moglie, Patrick sentì crescere dentro di sé la depressione, acuita ancor di più dalla sicurezza che quella sera, nel proprio appartamento, non avrebbe pensato che alle incombenze lavorative. Era appena arrivato davanti alla porta di casa, un appartamentino ad angolo che sorgeva nei pressi di un antico palazzo di Londra, quando si rese conto che nell’aria c’era qualcosa di strano e inusuale. Scorse un’ombra che si muoveva alle proprie spalle, e, voltandosi per sincerarsi che nessuno lo stesse spiando, si imbatté in un vecchio che deambulava con aria assonnata ed un cane al guinzaglio. Per qualche motivo, quell’immagine desolante fece scattare nella sua mente una leva ed evocò una sensazione ambigua che aveva provato poche ora prima, ma che non riusciva a inquadrare. Rivisse con la fantasia tutti i giri per il parco col figlio, e solo dopo qualche attimo rammentò l'oggetto di quell'emozione: era la donna che, affacciata al parapetto, lo aveva squadrato quando era uscito dal Ministero.
“Perché mai quella donna dovrebbe farmi paura?” si disse, mentre saliva le scale, diretto nel proprio appartamento.
E più tentava di scacciare quell’immagine, più essa sembrava saldarsi nel suo cervello e continuare a emergere.
Il rumore che produsse la chiave nella serratura del suo appartamento lo fece sospirare di timore. Quando entrò, trovò sullo zerbino dinnanzi a sé una missiva, su cui spiccava una grafia molto simile a quella di Ottilia.
Patrick lesse più volte la breve lettera che gli era stata recapitata senza riuscire a comprenderla fino in fondo.

Caro Patrick,
ti scrivo perché ho bisogno di parlarti. La signorina Jameson ha fatto molte domande ad Abraxas e me, stamattina, alle quali ho trovato saggio non rispondere o replicare in modo vago. Per quanto non ritenga sbagliato rivelare quello che ho scoperto agli Auror, che lavorano per risolvere l'enigma, non mi va di rendere pubblico ciò che so, e sicuramente il caso esploderebbe se venisse arrestato l'assassino. Ma non voglio che lo portino in carcere immediatamente, per motivi che poi ti spiegherò. Quando ho pensato al da farsi mi sono ricordata di te.
Voglio rivelarti l’identità dell’omicida di Rachele, Lysiart e Loreley, ma devi promettermi che non dirai nulla né alla signorina Jameson, né ad Abraxas, né all’assassino, naturalmente. Voglio semplicemente dei consigli sui provvedimenti da adottare, perché mi trovo in una situazione spiacevole. Per motivi che capirai, il segreto di cui sono a conoscenza non posso rivelarlo a nessuno fuorché a te. Sappi soltanto che qualcuno, al Manor, ha organizzato un piano complesso e apparentemente impossibile da realizzare, ma che finora è riuscito alla perfezione. C’è una persona che mente, e credo di essere la sola ad aver capito che dietro le sue spoglie si cela la talpa.
Voglio darti un consiglio che potrai giudicare strano, ma che spero seguirai: stai lontano da Deirdre e Shaun O’Connor e non nominare mai il nome di Adolar Malfoy in loro presenza.
Se tu mostrassi questo documento a qualcuno mi metteresti nei guai, Patrick. E' per questo motivo che ti prego di tenere tutto per te. Qualora mi chiedessero se ho scritto questa lettera, negherò di averlo fatto. Se ammettessi di esserne l'autrice, con molte probabilità, decreterei la mia fine.
Incontriamoci all’una di stanotte in Common Lane, a Nocturn Alley, davanti al numero 18. Non parlare a nessuno della rivelazione che voglio farti. Porta questa lettera con te. Stai chiuso in casa fino a che non ci vedremo.

Charlotte Zurrey

Prima di convincersi che la lettera esistesse realmente e che non fosse frutto di un sogno indecifrabile, Patrick raccolse la busta in cui era stata inserita e cercò il nome del mittente. Sul retro dell’involucro era riportata la sigla “C.Z.”, ma la missiva non era stata affrancata, segno che l’autrice si era preoccupata di imbucarla personalmente. Non c’erano segni caratteristici che meritassero attenzione, oltre ai dettagli di cui si parlava nella missiva stessa. Sedette su uno sgabello e valutò gli accorgimenti da prendere. Non riusciva a capire per quale motivo :D Charlotte volesse tenere segreto il nome dell’assassino. Se temeva di esporre a rischi la propria vita, pensò, lui non avrebbe potuto far altro che incoraggiarla, dirle che il Ministero assicurava una protezione completa a coloro che ne avevano bisogno. Conosceva o credeva di conoscere poco la sorella della sua ex-moglie; nondimeno comprendeva lo stato d’animo confuso in cui versava il suo cuore. Era disposto ad aiutarla, a patto che lei si lasciasse convincere a svelare il nome dell’assassino, qualora ne conoscesse realmente l’identità, al Quartier Generale degli Auror.
Erano le nove meno un quarto quando decise di rifocillarsi ad un ristorante Babbano prima di organizzare la serata. Ordinò un coleslaw e della carne di tacchino e, ripensando alla lettera di Charlotte, che già aveva involontariamente memorizzato, tentò di risalire al colpevole. Quello che maggiormente gli aveva confuso le idee era l’avvertimento riguardante Deirdre e Shaun O’Connor. Non aveva mai pensato di mostrarsi diffidente nei loro confronti, né li aveva in alcuna occasione collegati agli omicidi. E perché il nome di Brigitte era stato omesso?
Patrick si chiese inoltre per quale ragione Charlotte non desiderasse che il colpevole venisse incarcerato. Le possibili risposte a quest’ultimo dubbio erano tre: per prima cosa, avrebbe potuto possedere un legame affettivo con l’assassino; non era tuttavia escluso che la bambinaia lo temesse o non fosse certa della sua colpevolezza.
Inghiottì l’ultimo boccone di tacchino e pagò il conto. Erano già le dieci, e l’ora dell’incontro si avvicinava. Decise di attendere il momento prestabilito passeggiando per le strade di Londra, zeppe di gente ed automobili. Tornò a casa per cambiarsi d’abito, infilò una giacca avana in pelle, più adatta al clima notturno, e partì alla volta di Common Lane.
A quell’orario le strade di Nocturn Alley avevano un aspetto talmente sinistro e oscuro che ci si sarebbe aspettati di veder sbucare all’improvviso dalla prima traversa un ladro o un omicida; e invero certa gente sbucava realmente dalle traverse, avvolta in svolazzanti mantelli scuri il cui tessuto si fondeva col buio della notte. Il suo mestiere aveva spinto Patrick tre o quattro volte a visitare il malfamato quartiere. E in ognuna di queste occasioni era poi tornato a casa con l’impressione che i vicoli dell’acquartieramento fossero quanto di più terribile e spaventoso si possa immaginare. La sagoma delle baracche che si ergevano disordinate lungo le vie era indelebilmente scolpita nella sua memoria e adesso, mentre si avvicinava alla destinazione, il giovane uomo non riusciva a impedire che essa affiorasse dall’ansa del subconscio in cui era stata per lungo tempo rintanata.
Quando mosse il suo primo passo nello stretto cammino che conduceva al cuore di Nocturn Alley e superò una lercia scalinata di marmo, l’ansietà che in parte sentiva nel cuore già dal mattino aumentò in misura esponenziale, tanto che si scoprì a respirare con affanno mentre cercava di leggere le insegne. Non aveva che un’idea vaga riguardo all’ubicazione di Common Lane, ma proseguiva come se sapesse esattamente dove stava andando, angustiato dal terrore che se un malintenzionato avesse notato in lui un benché minimo segno di debolezza l’avrebbe assalito, e non ci sarebbe stato scampo né per lui né per Charlotte.
“Questo non è il posto ideale per una donna perbene!” rifletté Patrick, biasimando in cuor suo la temerarietà di Charlotte e insieme invidiandola.
Finalmente, rischiarata dal bagliore vago di un lampione che si accendeva e si spegneva alternamente, scorse una dicitura scalpellata in bassorilievo su una lastra di marmo. Sbarrò gli occhi per lo stupore quando si accorse di aver trovato in un tempo decisamente breve la via nella quale avrebbe avuto luogo l’incontro con Charlotte Zurrey.
Common Lane era deserto. Nei vicoli adiacenti Patrick aveva adocchiato diversi uomini col capo prono ed un cappuccio atto a coprire il volto, ed una donna di pessimi costumi seduta per terra. Nessuno di loro lo aveva fissato direttamente, fuorché un individuo infagottato in una palandrana sgualcita, il quale aveva tagliato l’aria con lo sguardo e nel cui campo visivo egli era fortuitamente capitato.
Rimase come paralizzato, dando le spalle alla via per cui aveva transitato e osservando il muro alto di granito la cui sommità si perdeva nella caligine notturna. C’erano diversi avvallamenti pieni di mota sul terreno e i resti sbriciolati staccatisi dalla facciata di una catapecchia con una porta lignea semichiusa. Si avvicinò alla casupola con fare titubante e lesse il numero civico con un grande sforzo della vista. Infine realizzò che proprio lì davanti sarebbe avvenuto l’incontro con Charlotte. Quello era il numero 18.
La bambinaia dei Malfoy non c’era ancora. Ogni ente era avvolto nel silenzio e nella nebbia. Patrick sedette su un gradino, e lì attese. Il tempo passava goccia a goccia.
Un attimo dopo il fanale che lampeggiava a tempi alterni si spense definitivamente con un soffio. Common Lane precipitò in un baratro di nero.
“Ma perché non arriva?” pensò, guardandosi intorno, cercando di penetrare il muro di oscurità.
Per quanto tentasse di farsi coraggio, non riusciva a non pensare al peggio.
“Se l’assassino l’avesse rapita? Se fosse già morta e distesa in un vicolo di Nocturn Alley?”
Il timore fu accresciuto all’improvviso da un’ombra scura, completamente statica, che gli parve di vedere in fondo a Common Lane e che associò ad un corpo senza vita. Quando si avvicinò, scoprì che era solo un mucchio d’abiti inzuppati di fango e abbandonati al margine della strada.
Continuò ad attendere. L’una era passata da qualche minuto, ma di Charlotte ancora nessuna traccia.
Patrick riuscì a rasserenarsi solo quando in quel frangente d’ansia e sospetto ravvisò un velo di poeticità. Assaporò il profumo della terra bagnata e tese l’orecchio per ascoltare lo scorrere persistente dell’acqua piovana dalle grondaie.
Infine gli parve di scorgere una sagoma che avanzava verso di lui. Ringraziò tacitamente il Cielo e si appoggiò alla porta del numero 18, che cigolò sui cardini, minacciando di spalancarsi. Ma la sagoma che aveva visto sparì nel buio.
«Charlotte. – mormorò, colto da un timore improvviso. – Charlotte, sono qui.»
Solo quando una lama affilata gli penetrò nel corpo attraverso le spalle ed egli tentò stolidamente di reagire intese il proprio sbaglio. La sua anima volò in cielo insieme alla preghiera che Thimoty non provasse un dolore più grande di quello che il suo cuore di bambino poteva sopportare.


Ecco a voi un altro capitolo! Sappiateci dire cosa pensate! (soprattutto se qualcuno di voi sospetta in particolare di qualcuno dei personaggi)
Un grazie particolare a:

Thiliol: Le annotazioni su Lotte e Abraxas sono più che giuste, a livello psicologico ovviamente (se poi siano o no colpevoli, questo ovviamente è un segreto professionale). Quanto agli elfi, ancora una volta tacciamo. Sappici dire cosa pensi di questo capitolo? La morte di Patrick ti fa sorgere nuovi dubbi e sospetti?

Un grazie alle persone che hanno la storia tra i preferiti e a chi legge soltanto!

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Capitolo 25
*** Capitolo XXV ***


Capitolo XXV

Thimoty era coricato a pancia in giù sul tappeto che ricopriva il pavimento della sua cameretta, intento a lavorare ad un disegno che rappresentava lui e il papà nel parco. Scelse un nuovo colore, un bel verde brillante per colorare un albero. Teneva le labbra leggermente serrate, intento com'era a rendere la sua creazione la più perfetta possibile. Credeva che papà sarebbe stato contento di riceverlo la prossima volta che si sarebbero visti. Alzò il capo solamente quando vide entrare la mamma. Era certo che fosse ormai ora di pranzo, ma c'era qualcosa di strano che la sua mente di bambino non colse subito. Si alzò in piedi, dopo aver lasciato il pastello sul foglio, per poi iniziare ad avviarsi verso la porta. Soltanto quando Ottilia gli fece segno di fermarsi, si preoccupò.
«Mamma, non è ora di andare a mangiare?» domandò con vocina piccola e flebile.
«No, Thimoty - disse la donna, prendendo per mano il figlio e facendolo sedere accanto a sé sul lettino del piccolo - Vedi, è successo qualcosa di molto, molto brutto.»
«Papà sta male?» chiese il bambino, sperando con tutto se stesso che la mamma dicesse che il papà stava benissimo.
Ottilia tacque per qualche istante, portando lo sguardo fuori dalla finestra, osservando il sole che illuminava la campagna, dopo il leggero maltempo del giorno precedente, prima di tornare ad osservare il volto del figlio, accarezzandogli appena i capelli, così simili a quelli di Patrick.
«Sai che papà fa un lavoro pericoloso e…»
«Cosa gli è successo, mamma?» la interruppe Thimoty, ansioso e impaziente.
«Non avrei mai voluto dirti nulla del genere… - la voce della donna si perse per un istante nel silenzio della stanza - Tuo padre è stato aggredito e se n'è andato, per sempre.»
Il bambino rimase a lungo immobile, mentre la sua mente rielaborava lentamente le parole della madre. Gli ci vollero alcuni minuti per comprendere che non avrebbe più visto il padre, che non sarebbe più andato al parco con lui. Una lacrima gli colò lungo la guancia, poi si strinse contro Ottilia, singhiozzando, come mai aveva fatto in vita sua, nemmeno quando aveva capito perché il papà non viveva più in casa. Sentì le mani della donna circondargli la vita e stringerlo maggiormente contro di sé.
Per diverso tempo l'unico rumore che si sentì per tutta la casa fu il singhiozzare continuo del bambino e il suo invocare un padre che non avrebbe più risposto perché qualcuno glielo aveva portato via, uccidendolo. Poi, lentamente, il piccolo riprese contatto con la realtà e con il corpo caldo e rassicurante della madre. Si staccò appena da lei, osservandola in volto.
«Voglio andare dalla zia Lotte.» mormorò, tirando su con il naso. Dagli occhi ancora gli cadevano delle lacrime amare ed il volto, solitamente allegro e vivace, era pallido e triste.
Ottilia annuì, rimanendo però in silenzio. Si alzò lentamente in piedi, afferrando subito dopo la mano del figlio, che si tirò a sua volta su dal letto. Alzò il viso verso di lei e si fece vicinissimo al corpo della madre, cercando quel calore che aveva avvertito poco prima. Insieme scesero le scale, raggiungendo il pianterreno del cottage e di lì uscirono. Soltanto quando furono fuori la donna, tenendo ben salda la mano del figlio, si materializzò davanti al cancello di Malfoy Manor. Thimoty alzò lo sguardo sull'imponente ingresso, la cui cancellata finemente lavorata, gli sembrava troppo grande e importante, opprimente. Il dolore per la perdita del padre gli fece credere che le sbarre di ferro battuto lo potessero avvolgere e soffocare da un momento all'altro. Fu Green a venire ad aprire loro. Sul volto gli comparve un lieve sorriso, quando riconobbe Ottilia, ma scomparve immediatamente, non appena incontrò il volto pallido e gli occhi arrossati per le lacrime di Thimoty. La sua espressione divenne grave, mentre faceva strada alla donna e al figlio, guidandoli lungo il sentiero che portava all'edificio. Il bambino si strinse ancora di più alla madre. Tutto lo inquietava in quel luogo. La siepe che circondava il viale gli pareva volesse cadere da un momento all'altro su di lui, schiacciandolo, la magione dalle pietre scure era qualcosa di spaventoso, troppo grande, troppo cupa. Non riusciva nemmeno a credere che lì dentro vi potessero essere la zia Lotte ed un bambino. Quando entrò il disagio aumentò. Ottilia portò la mano da quella del figlio, alla spalla, per poterlo rincuorare maggiormente, avendo notato che Thimoty tremava. Di certo, si disse, Malfoy Manor non era il luogo ideale per tranquillizzare il piccolo così addolorato per la morte del padre.
«Immagino che tu voglia vedere tua sorella, Ottilia.» disse Green, quando raggiunsero l'imbocco delle scale.
«Esattamente.» disse la donna, tenendo sempre la mano ben ferma sulla spalla di Thimoty.
L'uomo annuì, senza chiedere altro. Era palese che doveva essere accaduto qualcosa che aveva turbato moltissimo il bambino. Lo si notava da come saliva l'ampia scalinata che portava al primo piano, da come osservava ogni singolo oggetto o quadro che incontrava con occhi smarriti e impauriti. Quando si trovarono nel corridoio del piano superiore, Green si fermò un attimo come per meditare su dove potesse trovarsi la giovane. lanciò un'occhiata alle scale che proseguivano, poi alla porta che immetteva negli appartamenti di Abraxas, dirigendosi alla fine verso questi.
Il piccolo e la madre lo seguirono docilmente. Thimoty trovò sempre più cupi gli ambienti, l'anticamera, la stanza da letto del padrone di casa, che attraversarono in silenzio, per poi raggiungere un altro piccolo anticamera, che parve al bambino troppo angusto e cupo, soffocante.
«Tua sorella dovrebbe essere nella camera del bambino. Non mi sembra di averla vista uscire stamane. Se mi dovessi sbagliare, dovrebbe essere nella camera dei giochi con il piccolo Lucius.»
«Ti ringrazio, Laurence. - la donna fece una pausa, mentre notava l'occhiata che il figlio lanciava al maggiordomo, un'occhiata sicuramente non amichevole - Non è necessario che mi aspetti per guidarmi fino alla camera dei giochi. Ricordo dove si trova.»
Green annuì, salutando poi il bambino e la madre, ricevendo un sorriso mesto da parte di Ottilia. Thimoty trasse quasi un sospiro quando vide allontanarsi l'uomo che il giorno prima era venuto a pranzo da loro. Per un solo istante si chiese se la mamma era triste per la morte del padre. Sapeva che i suoi genitori non si volevano più bene e non riusciva a capire se questo volesse dire che alla mamma non interessava se papà non c'era più. I suoi pensieri incerti e confusi, furono annullati dal bussare della madre alla porta davanti a loro.
Avvertì del rumore dietro a questa, passi affrettati e infine qualcuno aprire. Davanti a lui stava la zia Lotte che, senza dire ancora nulla, li fece entrare nella stanza. Thimoty vide che c'era anche il signore biondo che aveva incontrato al mercato, quando aveva visto lì la zia. Ricordava che la mamma gli aveva detto che era il padre del bambino per cui Charlotte faceva la tata. Per un istante il bimbo invidiò il piccolo Lucius che dormiva placido nella sua culla, pensando che lui aveva ancora il suo papà. Non notò, come fece invece Ottilia, le guance leggermente imporporate della zia, i capelli in disordine e lo sguardo della giovane che si portava, mentre li guidava all'interno della stanza, in maniera quasi ossessiva su Abraxas.
Nel momento in cui Charlotte si fermò, prima ancora che potesse chiedere qualcosa alla sorella, dal momento che aveva notato, non appena aveva aperto loro la porta, gli occhi cerchiati di lacrime del nipote, Thimoty le si avvicinò e le abbracciò le gambe, fino a quando la giovane non si chinò per poterlo stringere al petto.
«Il papà, zia Lotte…il papà non c'è più…» mormorò il bambino, scoppiando nuovamente in lacrime, come se il pronunciare quelle parole rendesse più tangibile la perdita.
La giovane accarezzò in maniera meccanica, quasi a scatti, la schiena del nipote, alzando lo sguardo sopra il capo di Thimoty per poter lanciare un'occhiata ad Abraxas, un'occhiata lunga che non sfuggì ad Ottilia.
«Perché proprio il mio papà, zia Lotte?» chiese improvvisamente il bambino, rompendo il silenzio lungo ed estenuante che aveva avvolto la stanza.
«Non lo so, Tim. - mormorò Charlotte, mordicchiandosi con forza il labbro inferiore, portando nuovamente gli occhi a fissare quelli di Abraxas - Molte volte non esistono risposte.»
Il piccolo non disse nulla, limitandosi a stringersi maggiormente contro la zia. Si sentiva al sicuro con lei, più che con la mamma. Credeva che con Lotte non potesse accadergli nulla di male e, in quel momento in cui il mondo gli era crollato improvvisamente addosso, non poteva far altro che cercare protezione dove era certo di trovarla. Non si accorse della maniera strana con cui la zia lo teneva contro di sé, della mano della giovane che si era fermata all'improvviso tra i suoi capelli, della lieve incertezza nella sua voce poco prima. Tutto quello che sentiva era calore e sicurezza.
Abraxas, senza mai distogliere lo sguardo da Charlotte e dal bambino, si avvicinò lentamente ad Ottilia, che era rimasta immobile a scrutare la sorella ed il figlio, senza lasciarsi sfuggire nulla del comportamento della giovane. «Com'è successo?» domandò a voce bassa l'uomo, in modo tale che Thimoty, il cui corpicino era ancora scosso dai singhiozzi, non potesse sentirlo.
«È stato assassinato in una di quelle vie malfamate di Nocturn Alley. - mormorò di rimando Ottilia, voltandosi verso il padrone di casa, che però sembrava prestare ben poca attenzione a lei - Da quel che mi hanno detto gli Auror, si è trattato di un colpo di pugnale o qualcosa del genere. Thimoty non ne sa nulla.»
«Com'è giusto che sia. - commentò l'uomo, portando per qualche istante lo sguardo su Ottilia, prima di farlo confluire di nuovo su Charlotte, che pareva abbracciare il nipote in maniera ben più naturale rispetto a qualche istante prima - Deve essere già abbastanza duro per lui venire a sapere che non vedrà più il padre.»
Ottilia annuì lentamente, nel momento in cui Laureen Mallory entrò rapidamente nella stanza. La nuova venuta fece vagare per qualche istante gli occhi sui presenti, prima di avvicinarsi rapida a loro.
«È appena arrivata la signorina Jameson. - annunciò, mentre la sua attenzione si focalizzava sulla zia e il nipote abbracciati, prima di portarsi sul cugino e Ottilia - Vuole parlare con la signorina Zurrey.»
Charlotte tremò leggermente, un tremito che fu avvertito anche da Thimoty, il quale, scostandosi appena dalla zia, la fissò in volto, ricevendone in cambio un sorriso rassicurante, anche se leggermente tremulo.
«Fa' accomodare la signorina Jameson nel salotto di questo piano…quello sul lato occidentale. Dille che la raggiungeremo subito, Charlotte ed io.» disse Abraxas.
Laureen osservò attentamente il cugino, scuotendo appena il capo, prima di avviarsi a piccoli passetti verso la porta che dalla camera di Lucius portava agli appartamenti del padre. Quando fu uscita, il silenzio tornò a regnare incontrastato su coloro che erano rimasti, interrotto unicamente da un lieve mugolio del piccolo Malfoy, che ancora dormiva placido, ignaro di quanto era accaduto, del dolore di Thimoty e degli sguardi che si lanciavano il genitore e la sua bambinaia.
«Zia. - chiamò improvvisamente il bambino - Perché la signorina Jameson vuole vederti? Non è il capo di papà?»
«Sì, ma non so perché voglia vedermi, Tim. - disse la giovane, deglutendo appena a vuoto, mentre sentiva gli occhi del nipote su di sé - Forse vuole farmi delle domande su qualcosa che è accaduto qua, al Manor.»
«Poi tornerai qui, vero? - chiese il bambino, accettando la parola della zia come se fosse di quanto più logico avesse mai sentito. - Non voglio tornare a casa senza vederti di nuovo.»
«Mi vedrai sicuramente. - Charlotte si interruppe un attimo, mentre si alzava in piedi e, prendendo il nipote per mano, lo portò verso il letto al centro della stanza. Thimoty si sedette sul bordo, mentre la giovane si inginocchiò davanti a lui, per poterlo guardare in volto - Adesso rimani qui con la mamma. Sono certa che tornerò prima che tu ti sia potuto accorgere della mia assenza.»
Il bambino annuì, esibendo un piccolo sorriso, mesto e triste, alla zia. Ricordava che Lotte usava sempre quella frase, quando si allontanava per un poco da lui, ai tempi in cui aveva capito che i suoi genitori si erano separati. In quel momento, quel particolare lo rincuorò. Gli sembrava che la zia fosse rimasta quel punto di riferimento su cui aveva già potuto contare.
Charlotte si rialzò e, dopo aver lanciato un altro sguardo a Thimoty, si avvicinò ad Abraxas e alla sorella. Ottilia lanciò un'occhiata a Lotte, poi, dopo aver mormorato qualche parola di ringraziamento, andò ad avvicinarsi al figlio. Il padrone di casa iniziò ad incamminarsi, seguito dalla bambinaia, verso la porta che immetteva in quello che a Malfoy Manor era sempre stato chiamato piccolo anticamera, un nome quanto mai inappropriato per la stanza che era ben più spaziosa sia dell'anticamera che immetteva negli appartamenti di Abraxas, sia di quello che portava da questi alla camera di Lucius.
Quando l'uomo aprì la porta del salotto al suo interno vi trovò Rosamund Jameson intenta ad osservare una scacchiera in legno, dai pezzi finemente intagliati e caratterizzata da una decorazione lungo i bordi di carattere orientale. Charlotte, tentando di tenere a bada l'agitazione e rimanendo, per quanto lo ammetteva la buona creanza, il più vicino possibile ad Abraxas, fissò a sua volta l'oggetto, notando la foggia dell'abito del re, che pareva uscito da una delle novelle di Sherazade.
«Vedo che è stata colpita da quella scacchiera, signorina Jameson.» commentò l'uomo, palesando in quel modo la propria presenza.
L'Auror si voltò verso di lui, facendo scorrere lo sguardo dalla sua figura a quella di Charlotte che pareva fare di tutto per non guardarla negli occhi.
«Un pezzo di notevole valore, credo, per quanto non mi intenda molto di artigianato babbano. - Rosamund fece una breve pausa, prendendo in mano l'alfiere - Strano il costume di questa pedina.»
«È una scacchiera persiana- spiegò Abraxas, approfittando dell'attenzione che l'Auror pareva avere per la delicata statuetta di legno che teneva in mano, per lanciare un'occhiata a Charlotte - L'acquistò mio fratello in quel paese.»
«Suo fratello è stato in Persia?» domandò Rosamund, posando l'alfiere che, rimesso al suo posto forse con troppo impeto, produsse un rumore sordo che si propagò per l'ampia stanza.
«Vi andò due anni or sono. Ha sempre avuto un'ammirazione incredibile per Omar Khayyam e Amir Mo'ezzi ed era da diverso tempo che sembrava ardere dal desiderio di andare a visitare le terre che hanno ispirato le loro poesie. - Mentre parlava Abraxas si era avvicinato al tavolino dalle decorazioni madreperlacee su cui era poggiata la scacchiera - Comprò questo pezzo proprio per onorare Amir Mo'ezzi. Il venditore gli disse che la decorazione che corre lungo il bordo riporta due versi di una sua poesia. - fece una pausa, lanciando un'occhiata a Charlotte, che era rimasta immobile. Chinò per un istante il capo, come a voler osservare meglio la scritta in parsi a cui aveva fatto cenno, per poi rialzarlo, tornando a fissare per poco più di un istante la bambinaia - Qualcosa come…- si interruppe, corrugando appena le sopracciglia, prima di proseguire - L'amore per te mi uccide, mi brucia il desiderio, Il tormento e la tortura mi annientano.»
Il silenzio calò per alcuni istanti sulla stanza, un silenzio che a Charlotte parve opprimente e fin troppo prolungato. Il calmo parlare di Abraxas, quel suo mascherato cenno di assenso, le avevano dato un certo senso di sicurezza che era stato improvvisamente spazzato via.
«Sembra quasi che questo poeta abbia avuto una certa influenza sulle poesie di suo fratello, signor Malfoy. - commentò Rosamund - Essendo stata anch'io in Persia, immagino che questo meraviglioso paese abbia dovuto produrre un certo fascino sia su Lysiart che su sua moglie.»
«Rachele non andò con lui. - spiegò sbrigativamente Abraxas - Era già piuttosto depressa allora e preferì rimanere in Inghilterra.»
«Capisco. - disse la donna, annuendo, prima di portare di colpo gli occhi sulla bambinaia - Ma non sono venuta per parlare di viaggi in paesi lontani e affascinanti. - aggiunse spiccia - Le risulto troppo maleducata, signor Malfoy, se le chiedo di abbandonare la stanza.»
«Preferirei rimanere, signorina Jameson. - ribatté Abraxas, con un tono di voce ben più vicino al comando che alla richiesta - La signorina Zurrey è una mia dipendente e credo sia mia diritto sapere cosa intende chiederle.»
L'Auror rimase in silenzio per qualche istante. Ancora una volta doveva fare i conti con l'ostinazione di quell'uomo. Scosse appena il capo.
«Può rimanere, signor Malfoy. - disse, chiedendosi se l'uomo sarebbe veramente uscito qualora gli avesse ingiunto di farlo - Pregherei, a questo punto, di sedervi entrambi.»
L'uomo non fece commenti, avvicinandosi, imitato da Charlotte, ad alcune poltrone, che circondavano un basso tavolino, simile a quelli che si trovano in certi locali marocchini. Rosamund attese che la giovane ed Abraxas prendessero posto, una accanto all'altro, prima di andare a sedersi di fronte a loro.
«La signorina Mallory mi ha detto che ha ricevuto la visita di sua sorella, signorina Zurrey. - si interruppe per un istante - Immagino quindi che sia già al corrente del nuovo delitto che… - la voce si spense di colpo. Passarono alcuni lunghi istanti, prima che Rosamund riprendesse a parlare - di quello che è accaduto stanotte.»
«Sì, Ottilia mi ha detto della morte di Patrick.» disse la giovane, rabbrividendo appena.
«Non sarei qui, se accanto al corpo del mio sottoposto, non fossero stati ritrovati alcuni frammenti di una lettera. - si interruppe per frugare nella propria borsetta da cui estrasse una busta su cui campeggiava il timbro dell'Ufficio Auror del Ministero della Magia. Da quella estrasse due pezzi di pergamena bruciacchiati - Se vuole darvi un'occhiata, signorina Zurrey, capirà immediatamente per quale motivo ritengo opportuno scambiare alcune parole con lei.»
Charlotte prese con mano tremante i due frammenti che Rosamund le porse. Deglutì appena a vuoto, prima di chinare il capo sul primo, leggendone rapidamente il contenuto. Al suo fianco Abraxas aveva voltato appena il capo, in modo tale da riuscire a leggere la grafia tondeggiante e ordinata che spiccava sulla pergamena, circondata da segni di bruciatura.

di parlarti. La signorina Jameson ha fatto molte domande ad Abraxas e me, stamattina, alle quali ho trovato saggio non

Charlotte azzardò una rapida occhiata all'uomo, prima di appoggiare, facendo uno sforzo tremendo su stessa per non rendere il tremito delle mani troppo evidente, il primo pezzo sul tavolino e dedicarsi alla lettura del secondo.

morte. Incontriamoci all’una di stanotte in Common Lane, a Nocturn Alley, davanti al num

Muovendosi come una specie di automa rotto, Charlotte poggiò anche il secondo frammento sul tavolino, riportando rapidamente le mani in grembo e intrecciandole tra loro strettamente.
«Può capire lei stessa, signorina Zurrey, che sono costretta a farle alcune domande. - disse l'Auror, riprendendo il filo del discorso che aveva interrotto per porgere quel che rimaneva di un foglio di pergamena a Charlotte- Quando ho letto questi due frammenti ho immediatamente pensato a lei. Certo, avrei potuto credere che a scrivere quella lettera fosse stata Megan, che avevo interrogato immediatamente dopo aver sentito la deposizione del signor Malfoy, ma di certo lei non conosce Patrick al punto tale da chiedergli in maniera così confidenziale di incontrarlo. Lei, invece, signorina Zurrey è la sorella dell'ex moglie della vittima e di certo ha avuto a che fare con lui per diversi anni. - una brevissima pausa - Questo ragionamento mi ha portato ad osservare con attenzione la firma che ha apposto alla sua deposizione e le grafie sono uguali. Uno degli esperti calligrafici del ministero l'ha confermato. - Rosamund si interruppe, osservando attentamente ogni singolo movimento di Charlotte e di Abraxas, ma, mentre la giovane appariva una corda di violino troppo tesa, l'uomo mostrava unicamente una forte impassibilità - Cosa voleva dire di preciso a Patrick, scrivendo questa lettera?»
«Non ho scritto nessuna lettera, signorina Jameson - protestò la giovane, stringendo ancora di più le mani in grembo - Glielo posso giurare…non avrei, anche se mai avessi avuto un motivo per mandare una lettera a Patrick, scelto Nocturn Alley come luogo di incontro.»
«Eppure, signorina Zurrey, questa è la sua grafia.»
ribatté la donna, fissando gli occhi verdi su di lei. Il silenzio calò rapidamente su di loro. Pareva che anche i pezzi sulla scacchiera si fossero messi in ascolto. A Charlotte sembrò quasi di vedere il re scuotere il capo con una certa riprovazione, ricordandosi solo in un secondo momento che quelli erano scacchi babbani e non magici.
«Se mi permette, signorina Jameson - intervenne improvvisamente Abraxas - non potrebbe essere stato compiuto un incantesimo che imitasse la grafia di Charlotte?»
«Il calligrafo ha già controllato e non risulta nulla del genere, signor Malfoy - rispose Rosamund, scuotendo leggermente il capo, come se la risposta fosse assolutamente ovvia - Quindi, signorina Zurrey, le ripeto, cosa ha scritto in questa lettera a Patrick?»
Le mani di Charlotte tremarono leggermente in grembo. Doveva vincere la tentazione sempre più forte di allungarne una verso Abraxas per poter sentire sicurezza e calore. Scosse appena il capo.
«Non ho scritto quella lettera. - ribadì con voce strozzata - Io…io non riesco a capire…signorina Jameson, non ho scritto nulla del genere…mai, tanto meno ieri…»
«Immagino lei si renda conto, signorina Zurrey che il ritrovamento di una lettera di suo pugno accanto al luogo del delitto, una lettera dove è indicata l'ora in cui, secondo i medimaghi legali, è stato commesso l'omicidio, la mette in una situazione quanto mai difficile. - l'Auror fece una pausa, gli occhi verdi, enormi, sembravano voler perforare il volto pallido della bambinaia - Continua a ribadire di non aver scritto la lettera?»
«Sì.» mormorò Charlotte con voce a malapena udibile.
«So che le sembrerà una domanda scontata…dove si trovava ieri notte, all'una?»
La giovane deglutì per un istante a vuoto, facendo vagare gli occhi per la stanza. Ogni parte del suo corpo le urlava di cercare riparo tra le braccia di Abraxas o di fuggire da quel luogo.
«Era con me, signorina Jameson.» affermò sicuro l'uomo.
«È certo dell'ora, signor Malfoy?» domandò Rosamund, distogliendo l'attenzione dalla giovane per portarla sul padrone di casa.
«Assolutamente. Ricordo con precisione di aver lasciato il mio studio a mezzanotte e mezza. - l'uomo si interruppe per un brevissimo istante, mentre spostava leggermente una gamba, sfiorando, in un gesto apparentemente inavvertito, quella di Charlotte - Dovevo occuparmi di un nuovo ritrovato che sto studiando e ricordo di aver annotato sul mio taccuino proprio quell'ora. Se vuole le farò controllare. Quando sono sceso al piano inferiore, subito dopo aver raggiunto la mia camera, mi è parso di udire piangere mio figlio. Sono andato a vedere ed ho trovato la signorina Zurrey che tentava di calmarlo. Mi sono fermato diverso tempo con loro, fino a quando Lucius non si è quietato e riaddormentato. - una nuova breve interruzione -Sono certo di aver udito la pendola che si trova in questo salotto battere l'una e trenta,quando ho adagiato io stesso mio figlio nella sua culla.»
Rosamund corrugò appena le sopracciglia, pensosa, come per valutare al meglio la fondatezza delle parole dell'uomo.
«Patrick è stato ucciso con un'arma Babbana, particolare che ha dato molto da pensare agli Auror che sono stati chiamati sul posto, e a me, in seguito. È qualcosa di insolito, soprattutto se si considera il luogo in cui è stato commesso l'omicidio. - la donna fece una breve pausa, spostando lo sguardo da Abraxas a Charlotte che pareva essersi leggermente calmata - Ancora più insolita è l'arma utilizzata. I medimaghi sostengono, dalla tipologia di ferita inferta a Patrick che si tratti di un kriss malese. - Rosamund portò le mani a massaggiarsi appena le tempie, prima di riprendere a parlare - Mi chiedevo, signor Malfoy, se tra le armi che custodite al piano superiore, non vi sia un kriss.»
«Credo di no, signorina Jameson, a meno che non l'abbia acquistato mio nonno. Aveva una certa passione per le armi orientali.»
«Le dispiacerebbe accompagnarmi al piano di sopra, in modo tale che possa controllare io stessa? -domandò la donna,. Abraxas annuì immediatamente, alzandosi in piedi, imitato da Charlotte, verso la quale si voltò, congedandola con un gesto del capo - Signorina Zurrey, credo che debba venire anche lei.»
La bambinaia sobbalzò leggermente, nervosa, per poi seguire a ruota l'amante che si stava dirigendo verso la porta opposta a quella da cui erano entrati. L'Auror alle loro spalle non perdeva un solo minimo movimento dei due, notando ancora una volta quanto risultasse abissalmente differente il loro atteggiamento in un momento come quello. Non occorse molto tempo per attraversare il secondo anticamera degli appartamenti di Lysiart, giungendo alle scale di servizio che li condussero al secondo piano della magione e di lì alla stanza delle armi. Rosamund, una volta all'interno dell'ampio locale, sorpassò Charlotte ed Abraxas per iniziare a scrutare attentamente i pezzi della collezione, fermandosi di fronte ad un mobile-bacheca in cui spiccavano alcune piccole armi da taglio, deposte con cura maniacale su dei cuscini porpora.
«Credo che suo nonno, signor Malfoy, abbia soddisfatto la sua passione per le armi orientali. - disse la donna, richiamando l'attenzione dell'uomo che le si avvicinò, seguito da una titubante Charlotte - Su questo cuscino - aggiunse, indicando con la mano il secondo ripiano del mobile - c'è un kriss, ma mi risulta chiaro, se lo osserva bene, che ne manca un altro. Ho notato che tutte le armi presenti sono sempre in coppia - Nella vetrina spiccavano due stiletti, due pugnali da caccia dall'elsa impreziosita da placche d'oro e d'argento, due coltelli cerimoniali indiani dal manico in avorio e un solo kriss malese - e il cuscino ha il segno chiaro e preciso di qualcosa che vi è stato poggiato per lungo tempo.»
«Immagino ritenga che qualcuno della casa abbia trafugato il kriss e assassinato il suo assistente.» commentò Abraxas perfettamente calmo.
«Esattamente, signor Malfoy. Mi chiedo chi… - fece una pausa, mentre esaminava attentamente la vetrinetta, agitando più volte la bacchetta, mormorando formule a bassa voce -…nessuna impronta che possa dirci qualcosa…pare che soltanto gli elfi domestici abbiano toccato qualcosa…»
«Forse chi ha preso l'arma ha aperto l'anta con un alohomora e poi appellato a sé il kriss mancante. - ipotizzò Abraxas - sempre che l'arma non sia stata semplicemente rimossa per essere ripulita.»
«Lo ritengo improbabile, signor Malfoy. - rispose l'Auror, facendo convergere la propria attenzione sull'uomo - E devo ammettere che sembra essere molto sicuro di quello che ha detto in precedenza.»
«Non ritengo di aver azzardato un'ipotesi così difficile da formulare, signorina Jameson.»
«E lei, signorina Zurrey, cosa ne pensa?» chiese a bruciapelo Rosamund, voltandosi verso Charlotte che era rimasta, fino a quel momento leggermente in disparte.
«Io… - iniziò a giovane, la voce tremendamente insicura - …credo che l'ipotesi del signor Malfoy sia più che sensata.»
Il silenzio calò nuovamente nella stanza, pesante come certi manti regali, opprimente come la rete di un pescatore che ha intrappolato un pesce guizzante. Gli occhi di Rosamund vagarono sul volto di Charlotte, poi su quello di Abraxas, annuendo appena infine.
«Immagino sia una spiegazione più che logica. - una pausa - Questo non vuol dire, signorina Zurrey che io non ritenga strano il suo negare di aver scritto una lettera così palesemente di suo pugno. - la donna interruppe il flusso delle sue parole, squadrando significativamente la bambinaia - Ho finito per il momento con entrambi… - una nuova breve interruzione - …non occorre che mi accompagni, signor Malfoy. Credo di aver ormai memorizzato la strada per raggiungere il pian terreno.»
Charlotte seguì con lo sguardo l'Auror, fino a quando non la vide scomparire oltre la porta da cui erano entrati. Soltanto in quel momento si lasciò andare ad un pianto isterico, fatto più di singhiozzi che di lacrime, aggrappandosi, pochi istanti dopo, alla camicia di Abraxas che le cinse la vita con un braccio, lo sguardo ancora fisso sull'uscio da cui era uscita la signorina Jameson, prima di abbassare il capo per depositare un bacio sulla fronte della giovane.
La bambinaia si strinse maggiormente contro Abraxas, mentre i singhiozzi lentamente si quietavano. Quando cessarono del tutto, aveva ancora le mani strette intorno alla stoffa pregiata della camicia dell'uomo. Allontanò appena il capo dal petto di lui e, non appena mise a fuoco la stanza in cui si trovavano, sobbalzò appena.
«Andiamocene di qua, Abraxas…ti prego…» mormorò Charlotte, la voce che ancora portava gli ultimi segni di isteria. L'uomo annuì appena, sciogliendo delicatamente l'abbraccio e, tenendola per mano, si incamminò verso l'uscio che li avrebbe portati alle scale di servizio, attraverso le quali raggiunsero il primo piano. Fu a questo punto che entrambi avvertirono un certo trambusto proveniente dal piano di sotto. Charlotte si irrigidì leggermente, nervosa, mentre un sopracciglio di Abraxas schizzava verso l'alto.
«Torna da tuo nipote, Lotte. - disse infine l'uomo, fissando l'amante negli occhi - Deve essere Juliet che abbandona il Manor. I miei impegni di padrone di casa mi obbligano ad andare a salutarla. - una pausa, durante la quale sfiorò appena le labbra della giovane - Non ci vorrà molto.»
Charlotte chinò il capo in segno di assenso, voltandosi rapidamente, in maniera fin troppo meccanica, e aprendo l'uscio che l'avrebbe portata, dopo aver attraversato il secondo anticamera, al salotto dove Rosamund l'aveva interrogata e di lì alla stanza di Lucius. Abraxas si allontanò soltanto quando Charlotte fu oltre la porta, scendendo rapidamente le scale di servizio, raggiungendo il pian terreno. Attraversò rapido la sala da pranzo e il salotto di anticamera, procedendo da questo fino all'ingresso, dove la Hayward stava ferma immobile, con la sua espressione grifagna, appoggiata al bastone, con un baule al fianco. Megan e Rosamund Jameson stavano parlottando in un angolo del'ampio locale, mentre Laureen sembrava essere intenta a salutare la vecchia.
Fu Juliet la prima ad accorgersi del suo ingresso, puntando su di lui i suoi occhi perennemente acidi. Mosse appena il bastone sul pavimento di pietra, richiamando l'attenzione delle altre donne.
«Finalmente ti sei degnato di presentarti, Abraxas - proruppe Megan facendo quasi a gara nella voce con l'acidità dello sguardo di Juliet - Mi chiedevo quanto tempo avresti avuto il coraggio di far attendere una nostra ospite che si sta congedando.»
«Sono sceso appena ho potuto. - ribatté calmo l'uomo, avvicinandosi alla Hayward - Non avrei mai fatto attendere di proposito una madre che sta tornando a casa per poter salutare la figlia. - una breve pausa, prima di proseguire con un tono che non ammetteva repliche - Immagino che capirà, Juliet, che quanto è avvenuto aveva la precedenza.»
«Ovviamente. - rispose con voce fin troppo melliflua l'anziana donna, mentre faceva un cenno con il capo ad alcuni elfi domestici che si trovavano in disparte. Le creature raggiunsero rapidamente il baule e altrettanto rapidamente lo portarono fino al portone e di lì all'esterno - Devo ammettere che è stato un soggiorno interessante e costruttivo. - una pausa, durante la quale si mosse appena verso il portone spalancato - Megan, Laureen, signorina Jameson, Abraxas.» salutò uscendo con passo lento e il più impettito possibile dalla magione, non prima di aver ricevuto il saluto di chi si trovava nell'andito di ingresso.
«Credo di potermi congedare anch'io. - disse Rosamund, rompendo il silenzio e l'immobilità che si era venuta a creare dopo l'uscita di scena di Juliet - Immagino, signor Malfoy, che lei capisca che dovrò venire nuovamente a farle visita, come dovrò porre altre domande a lei e alla signorina Zurrey, ma per oggi ho decisamente fini…» La voce le morì improvvisamente in gola, quando una nuova figura si palesò all'ingresso della magione.
Deirdre O'Connor sentì lo sguardo di tutti su di lei e improvvisamente si chiese se non avesse fatto meglio a non approfittare del cancello lasciato aperto per permettere il passaggio di una carrozza e del portone di ingresso ancora non del tutto chiuso, quando l'aveva raggiunto, vedendo allontanarsi da questo un'anziana signora. Chinò appena il capo al suolo, risollevandolo unicamente quando sentì la voce del padrone di casa.
«Immagino sia venuta per le ricerche per il suo nuovo libro, signorina. Sinceramente non l'aspettavo così presto.»
«La mancanza di attività mi manda tremendamente in crisi, signor Malfoy - disse rapidamente la giovane, osservando attentamente, ora che lo smarrimento iniziale era passato, l'imponenza dell'andito d'ingresso - e l'argomento del mio nuovo saggio mi affascina tremendamente.»
Rosamund si avvicinò lentamente alla nuova venuta, una figura totalmente sconosciuta per lei, lanciò un'occhiata al padrone di casa, per poi fermarsi ad osservare meglio la giovane donna.
«Capisco, signorina O'Connor. Sono certo che mia moglie sarà lieta di mostrarle dove si trova la biblioteca.»
«Perché non lo fai tu, Abraxas?» domandò Megan irruentemente, provocando una leggera smorfia sul volto di Laureen.
«Sto seguendo una pozione piuttosto delicata e non ho il tempo, purtroppo, per fare gli onori di casa come la buona creanza vorrebbe.» rispose l'uomo, senza celare una certa seccatura.
«Certo, una pozione.» sibilò la moglie, scuotendo leggermente il capo.
Deirdre passava gli occhi dall'uomo alla donna, percependo la tensione palpabile, quasi visibile, che li divideva, chiedendosi dove ne risiedesse il motivo, ma ogni suo pensiero fu interrotto dalle parole della donna dagli occhi verdi che le si era avvicinata.
«Credo che sua madre le abbia parlato di me, signorina O'Connor. Sono Rosamund Eustacia Jameson, l'Auror che indaga sulla morte di sua sorella… - la donna fece una pausa - Se mai avesse qualcosa da dirmi che, secondo lei, può essere fondamentale per le indagini, non si faccia scrupolo di contattarmi.»
«Naturalmente, signorina Jameson.» disse in un rapido mormorio Deirdre.


La biblioteca si aprì davanti agli occhi dell'irlandese in tutta la sua magnificenza e il suo carico di sapere. Fece alcuni passi tra le alte scaffalature, scrollandosi di dosso la tensione che aveva lasciato nell'andito di ingresso. Dopo la partenza dell'Auror, erano volate altre frecciatine caustiche tra marito e moglie, poi, con lo scomparire dell'uomo per un'ampia scalinata che portava ai piani superiori, tutto si era limitato ad uno sbuffo irritato della donna e al percorso che la divideva da quei tomi antichi. Megan Malfoy non le aveva quasi rivolto parola per tutto il tragitto, continuando piuttosto a sbuffare e borbottare, contrariata, tra sé.
Per Deirdre fu quasi un sollievo ritrovarsi da sola nell'ampia stanza, illuminata da grandi finestre, da cui entrava la luce calda del sole di quel primo giorno di luglio, creando uno strano gioco di luci ed ombre tra i volumi e gli scaffali. La donna si avvicinò ad uno di questi, rimproverandosi per non aver chiesto alla padrona di casa dove tenessero i libri riguardanti Svenson. Con occhio curioso lesse alcuni titoli, scuotendo poi leggermente il capo. Di certo quei tomi preziosi di erbologia non facevano al caso suo. Stava per fare qualche altro passo, quando una voce alle sue spalle la fece sobbalzare spaventata.
«Non mi aspettavo di rivederti tanto presto, Deirdre.»
La donna si voltò verso Zephyrus che la stava osservando con uno strano brillio negli occhi. Si diede mentalmente della stupida per essersi impaurita ad udire la sua voce. Sapeva che l'uomo lavorava come bibliotecario a Malfoy Manor e poteva immaginare benissimo di poterlo incontrare.
«Il signor Malfoy non ti ha avvertito che sarei venuta per condurre una ricerca?» domandò, mantenendosi sulle difensive.
«Ha accennato a qualcosa di piuttosto vago, a dire il vero. - disse Zephyrus, con una nota di rancore nella voce che lasciò leggermente interdetta Deirdre - Su cosa verte la tua ricerca?» aggiunse dopo un breve istante di silenzio l'uomo, ben più accomodante di alcuni attimi prima.
«Sto scrivendo un libro sull'alchimia in Gran Bretragna tra il XV e il XVI secolo. Una delle figure centrali dell'intero saggio sarà Svenson, il proprietario della magione prima che l'acquistassero i Malfoy poco dopo la sua morte, avvenuta nel 1527. Il signor Malfoy è stato così gentile da permettermi di consultare la biblioteca della magione.» spiegò calma la donna.
«Gentile…» borbottò l'uomo, scuotendo il capo, come a voler dire che la gentilezza non era una delle prerogative del padrone di casa.
Poi, senza dire una parola, iniziò a camminare tra gli scaffali, fino a quando non ne raggiunse uno, piuttosto vicino alla finestra, stracarico di volumi dalle grosse dimensioni.
«Questi manoscritti - disse, indicando una serie di tomi dalle coperte vecchie e usurate dal tempo - parlano tutti del misterioso Svenson. Questo, in particolare, - aggiunse, estraendo un volume di medie dimensioni, dalla coperta di pelle con sopra inciso un titolo quasi illeggibile in latino - si dice sia stato scritto di suo pugno.»
«Ti ringrazio, Zephyrus.» disse Deirdre, prendendo il libro dalle mani dell'uomo e portandosi verso il tavolo di lettura più vicino, posto al di sotto di una delle finestre, che dava sulla parte occidentale del parco. Ebbe appena il tempo di posare il libro, prima di essere raggiunta nuovamente dalla voce del bibliotecario.
«Dobbiamo parlare, Deirdre.»
«Ho già avuto modo di dirti che tutto quello che c'era da dire è già stato detto tempo fa, Zephyrus. - ribatté la donna, voltandosi verso di lui - Ritengo inutile parlare di qualcosa di cui si è già detto tutto.»
«Non lo credi davvero, Deirdre…so che non lo credi davvero. - affermò l'uomo, muovendo freneticamente le mani - Tu non volevi comportarti in quel modo in Irlanda.» «Non riesco a comprendere come tu abbia potuto immaginare una cosa del genere. - disse la donna, scuotendo appena il capo - Ho agito unicamente come ritenevo giusto.»
Il silenzio calò pesante tra di loro. La donna tornò a voltarsi verso il tavolo di lettura, afferrando con entrambe le mani la sedia, scostandola appena dal ripiano su cui aveva posato il volume. Fece per sedersi, ma venne bloccata dalla presa salda del bibliotecario sul suo braccio.
«Non riuscirai a sbrigartela così alla svelta, Deirdre. - l'uomo si interruppe, prendendo fiato - Voglio che tu mi stia a sentire.»
«Perché dovrei farlo? - domandò irritata la donna, liberandosi con uno strattone della mano di Zephyrus e voltandosi verso di lui - Non intendo udire nulla.» «Dannazione, Deirdre devi…non c'è…»
«Non aggiungere un'altra parola, Zephyrus. - lo interruppe Deirdre secca. Lasciò trascorrere diversi lunghi istanti, durante i quali l'uomo la fissò con sguardo perso e allucinato, per poi chinare improvvisamente il capo - Sono venuta qui per compiere una ricerca. - disse la donna, rompendo improvvisamente il silenzio - Ed è l'unica cosa che intendo fare.»
Senza aspettare che l'uomo rispondesse, Deirdre tornò a voltarsi, sedendosi e posando per terra la borsa che portava con sé, da cui estrasse diversi fogli di pergamena, un calamaio e una penna. Alle sue spalle Zephyrus rimase ad osservarla ancora per lunghi istanti, mentre apriva con delicatezza il manoscritto, per poi allontanarsi da lei quasi incespicando.



Ecco a voi un altro capitolo!! (per chi non lo sapesse un kriss è una sorta di coltello usato in Malesia dalla lama ondulata) Sappiateci dire cosa ne pensate!!

Un grazie particolare a:

Thiliol: Eccoti un nuovo capitolo! Sappici dire che ne pensi, come ti orienti adesso nei tuoi dubbi? Grazie mille per i complimenti!

Vekra: Innanzitutto grazie per la bellissima recensione (e non ti preoccupare per i capitoli scorsi)! Siamo contenti di leggere le tue ipotesi; ovviamente ci fa piacere seguire i ragionamenti dei lettori (e dopo questa frase tacciamo.) Siamo felici che ti piaccia il piccolo Timothy, che ricompare in questo capitolo (sappici dire cosa ne pensi della sua reazione alla morte del padre). Siamo felicissimi che la storia ti stia appassionando e attendiamo con ansia di leggere le tue idee!

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Capitolo 26
*** Capitolo XXVI ***


CAPITOLO XXVI


Margot, la governante di casa Hayward, rimase per qualche minuto interdetta davanti alla porta d’ingresso mentre la figura snella di Ester si smaterializzava fra i tronchi del boschetto vicino. La madre della ragazza, affondando il volto in un fazzoletto grigio slavato, inghiottì i propri singhiozzi con gemiti cavernosi.
«Su, su, signora Hayward, non è certo il caso di abbattersi. – la consolò Margot, mentre la sua sagoma di stazza enorme avanzava a piccoli passi verso quella della padrona di casa. – Ha già trascorso molto tempo senza Ester e, suo malgrado, è riuscita a sopravvivere. Non desiderava che sua figlia si realizzasse? Ecco qua, è andata come doveva andare! Si faccia forza, ora, e accetti la realtà.»
«Questo è un addio, Margot. – rispose Juliet, ripiegando il fazzoletto in quattro parti e infilandoselo in tasca prima di volgere le spalle all’albereto. – Quando avrà ottenuto la qualifica si stabilirà definitivamente in Giappone. Sono sicura che, a dispetto dell’affetto che nutre nei miei confronti, verrà a trovarmi progressivamente con maggiore sporadicità, fin a quando non dimenticherà che la sua povera, vecchia madre vivacchia tutta sola in una casa in rovina.»
Strusciando le scarpe sull’erba secca, avanzarono fino all’ingresso di casa Hayward, ne varcarono la soglia e raggiunsero poi un salotto rivestito di broccati, passando attraverso un arco di pietra arancio.
«Si è forse scordata di me, signora Hayward? - disse la governante con fare suasivo, arrancando sulla scia di Juliet non senza fatica. - Ci consoleremo a vicenda, glielo prometto.»
«Mia buona Margot, ho patito troppo dolore da quando è morta la piccola Rachele, e non hai idea di quanto mi costi, adesso, separarmi da Ester. Il mio cuore trabocca di angoscia: sento di essere sola, perennemente invasa da una sensazione molto forte di desuetudine che non ho provato in tutta una vita. E poi, - ingiunse pensosamente, - sebbene disprezzassi Malfoy Manor e i suoi abitanti, ho sentito nel periodo in cui vi ho soggiornato che quell’atmosfera apparentemente spenta che ne permea le abitudini ha qualcosa di esaltante e particolare. Ti chiedi come una simile frase possa sfiorare le mie labbra, Margot? Beh, inutile negarlo. Malfoy Manor, con tutte le sue magagne, mi manca terribilmente.»
La governante si lasciò cadere sulla poltrona, osservando e spolverandosi la veste con le dita tozze, socchiudendo le labbra, preferendo infine il silenzio alle parole che era pronta ad articolare.
Le rughe sul volto di Juliet si aggrottavano, mentre la donna, passeggiando davanti alla finestra, occhieggiava ripetutamente il prato e le viuzze che costellavano il circondario.
«Non ti ho ancora raccontato nulla della mia permanenza al Manor.» riprese poi, ruotando la testa per osservare Margot.
«No, signora. Voleva parlarmene ieri mattina, quando è venuta, ma le è sfuggito di mente.»
«Si respira un’aria greve di menzogne, in quella casaccia. Il padrone di casa tradisce la moglie con la bambinaia, e di questa situazione sono consapevoli perfino gli elfi! Quando è con gli altri, Abraxas Malfoy ritorna improvvisamente il tipo decoroso e distinto che tutti conoscono, come a voler smentire le dicerie sul suo conto. E quella Zurrey, la bambinaia, è un essere tanto, ma tanto patetico e fragile! Parla con una voce lamentosa che si percepisce appena e il suo visetto ha un’aria da bambina afflitta. – spiegò Juliet, scimmiottando pessimamente le movenze di Charlotte. – Il maggiordomo allampanato che vive nella magione sta frequentando la sorella della bambinaia, ovvero la moglie del tizio che è stato ucciso l’altra notte. Vive a St. Martin e si chiama Ottoline, o qualcosa di simile. Pessima coppia anche quella, così penso io. E Adolar Malfoy... Bah, quell'uomo è un parassita vegetale che crea unicamente problemi. Solo Laureen Mallory conserva la sua lucidità, da quando quel matto del bibliotecario è caduto in depressione, così come la moglie di Abraxas, che, malgrado la sua ottusità, ha scoperto la tresca del marito e lo tiene d’occhio. Come se lui fosse anche minimamente influenzato dall’atteggiamento di Megan! Quando mai si è visto un uomo come il signor Malfoy che bada al giudizio di una figlia d'Eva! Ed è qui che ravviso la sua ineguagliabile stupidità, mia cara. Se solo ignorasse il comportamento del marito, sicuramente non si renderebbe ridicola agli occhi di tutti. E c’è dell’altro, Margot. - Una breve pausa teatrale. – Stando a contatto con quella gentaglia, ho scoperto chi è l’assassino di mia figlia Rachele. Nel corso del mio resoconto ne ho accennato. – Un’esclamazione di stupore proruppe dalle labbra della governante. – Non immagineresti mai di chi si tratta. Beh, ti sfido a indovinarlo.»


«E’ stato trafugato un kriss malese dalla stanza delle armi ed io non ne sapevo niente! – sbottò Megan, lasciando cadere il quotidiano sul tavolo di vimini del salottino estivo. – Possibile che non venga informata di quel avvenga nella mia casa?»
«Non ti crucciare, mia cara. A dire il vero neanch’io l’avrei saputo se non avessi accidentalmente ascoltato una parte dell’interrogatorio che la Jameson ha fatto a Charlotte Zurrey.»
Gli occhietti di Megan saettarono fulmineamente per le pareti della stanza, portandosi su quelli chiari e vivi dell’anziana cugina di famiglia che sedeva innanzi a lei. L’unico dialogo completamente pacifico che fosse mai avvenuto tra le due donne sfociò in un lunghissimo momento di tensione quando Laureen ebbe pronunciato il nome dell’amante di Abraxas.
«Rosamund mi aveva detto che il suo sottoposto era stato assassinato con un coltello invece che con una semplice maledizione. Deve esserci un motivo particolare se è stato usato un kriss malese.» disse Megan all’improvviso, seppellendo il senso di molestia che il ricordo di Charlotte suscitava in lei.
«Il kriss è un’arma orientale, una sorta di pugnale con la lama ricurva. Penetra nel corpo e incide un taglio ondulato, di modo che non risulti possibile ricongiungere i brandelli di carne di colui che ne è stato colpito coi punti di sutura.» spiegò Laureen saccentemente.
«Sei molto informata a riguardo.» replicò Megan, mostrando una fila di denti storti e giallognoli.
La frecciatina non scalfì per niente la compostezza di Laureen.
«Non lo nego. – rispose. – Da giovane ho letto diversi libri di un autore italiano ambientati sulle rive del Gange e tra i mari della Malesia. E lì i kriss sono molto più popolari che da noi. In questa serie orrenda di omicidi, mia cara Megan, c’è solo un particolare deducibile e certo. L’assassino ha utilizzato tipologie di omicidio orientale. Prima l’harakiri, ora il kriss.»
«L’omicidio di Hilda è avvenuto invece nel padiglione cinese. – meditò Megan. – Ma l’arma utilizzata è un Avada Kedavra, dettaglio alquanto strano.»
«Quello è un delitto che fa pensare! La morte di Patrick McFire è avvenuta quasi in sordina, invece. Il che mi ha dato grande dispiacere. Era solo un ragazzo, dopotutto.»
«Non fingerti addolorata, Laureen. Neanche lo conoscevi.»
«Io non mi fingo addolorata. – rispose l’anziana cugina, inarcando le sopracciglia. – Magari per te non è così, ma quando muoiono dei giovani vengo realmente colta da una strana sensazione di angoscia. Non dirmi che covavi rancore nei confronti di Patrick perché era il cognato di Charlotte Zurrey. Sarebbe a dir poco… ridicolo!»
Il volto di Megan avvampò, assumendo una sfumatura amaranto. La donna si lisciò i capelli con le dita, annodando alcune ciocche spasmodicamente.
«Provi un piacere sadico nel pronunciare il nome di lei e nel vedere la mia reazione. Ammettilo, Laureen!»
L’interlocutrice ribatté con maggior freddezza del previsto. «Assolutamente no. Se nomino Charlotte Zurrey, lo faccio involontariamente. Solo una mente cattiva come la tua può concepire l’idea che lo faccia di proposito.»
«Beh, volontariamente o non volontariamente, mi vedo costretta a chiederti, per ora in maniera pacata, di non tirarla più in ballo. Quella facile donnaccia mi irrita in maniera indicibile. E’ già tanto che riesca a tollerare la sua presenza a tavola. – sbottò Megan. – Mi chiedo perché Abraxas accetti che stia con noi! Dopotutto è una bambinaia, una serva! – Imprecò sottovoce, battendo con insistenza i piedi sul pavimento e palesando una nota di repressa isteria. – Lasciamo da parte quella svergognata. La rabbia e il disgusto che provo sono mitigati da una sorta di piacevole sollievo. Era ora che quella racchia di Juliet Gena se ne andasse, Laureen. Sembrava che stesse qui solo per spiarci e tramare insidie.»
«Come puoi parlare così di una povera sventurata, Megan! – controbatté Laureen con la mano dinnanzi alla bocca spalancata, simulando un atteggiamento stupefatto. – Non ti facevo tanto malvagia. Juliet ha perso il marito e la figlia… è una donna molto triste.»
«Ciò non toglie il fatto che sembrava spiarci e tramare insidie! – esclamò di getto Megan, visibilmente indispettita dal rimprovero di Laureen. – Non voglio estranei per la casa. Questo è quanto.»
Si alzò di scatto, incedendo a passi rapidi per il salottino prima di raggiungere l’andito, squadrando bene Laureen come a voler sottolineare le sue ultime parole. Mai come in quel momento l’anziana cugina dei Malfoy si era sentita fuori posto tra le mura della vecchia magione.


Poco dopo le cinque di quel caldo due di luglio, due figure procedevano in senso opposto lungo il sentiero arenoso che conduceva ai portali del Manor. La prima si avvicinava con speditezza alla magione, incurante, almeno in apparenza, della morsa di calura che sembrava attanagliare il luogo; la seconda, al contrario, se ne allontanava, traversando il sentiero appena definito verso una destinazione ignota.
Quando l’uomo e la donna si imbatterono l'uno nell'altra, a metà strada, volsero in basso il capo in un cenno cordiale di saluto. Con visibile impellenza Deirdre superò il maggiordomo Green, esibendo un sorriso frettoloso e gesticolando con l’aria di chi è spiacente perché deve licenziarsi all’istante.
Deirdre aveva impiegato le ore mattutine nelle biblioteche delle città limitrofe, fra volute di polvere e pagine consunte. L’odore opprimente del pulviscolo le aveva annebbiato il cervello, permettendole ad ogni modo di estraniarsi dal mondo e di convogliare tutte le attenzioni su ciò che le premeva. Aveva consultato volumi antichissimi, taluni addirittura scritti a mano con una grafia angolosa e non perfettamente decifrabile, ottenendo l’autorizzazione dal comune per esaminare notevoli relazioni accessibili unicamente agli studiosi di professione. Non ancora sazia di dati e curiosità sull’argomento di suo interesse, era disposta a visitare Londra ancor prima di tornare nel Devon, dove viveva stabilmente, per completare la fase euristica dopo la quale avrebbe elaborato lo scheletro del suo nuovo saggio. Da quando Shaun e Brigitte erano andati via, sentiva di aver riacquisito la libertà e la spensieratezza perdute.
In seguito all’accordo preso con Abraxas Malfoy e in cagione della sua grandissima voglia di conoscenza, visitare Malfoy Manor non la imbarazzava minimamente. La longeva dimora, che, seppur antichissima, manteneva lo splendore e la magnificenza che l’avevano caratterizzata in piena epoca rinascimentale, esercitava su di lei un fascino inesprimibile. Brividi freddi le correvano lungo la schiena al pensiero che fra i muri di quella magione Elwood Bartholomew Svenson, mago alchimista del sedicesimo secolo nonché possessore del Manor prima che i Malfoy lo acquistassero dai suoi eredi, aveva dato atto alle pratiche misteriche che il suo lavoro prevedeva.
Quando Laureen la accompagnò fino all’atrio, affidandola poi a Megan Malfoy, Deirdre stava annegando in un oceano di meditazioni e ragionamenti. Non prestò ascolto ai convenevoli della padrona di casa, ma preferì guardarsi intorno, la lingua fra i denti, alla ricerca di particolari degni d’interesse.
«Mi piacerebbe avere una piantina della casa. – disse infine, interrompendo il fiume di parole che Megan era intenta a proferire. – Vorrei chiederle inoltre se mi è concesso esplorare le stanze, le pareti, il soffitto e il pavimento. Potrei trovarvi qualcosa di interessante.»
«Sarà un piacere contribuire in qualche modo alla stesura del suo nuovo saggio. Abraxas mi ha spiegato che il Manor è stato ampliato dopo la morte di Svenson. Glielo dico perché potrebbe compromettere le sue ricerche.» spiegò Megan.
«Mi sarei informata a tempo debito, ma la ringrazio per l’informazione. – disse la saggista. – Ci sono, per caso, stanze che dal 1500 nessuno ha modificato?»
«Ne dubito. – replicò Megan, scuotendo la testolina zazzeruta. E continuò, con un certo autocompiacimento: – Comunque sia, posso chiedere a mio marito. Solo lui conosce fino in fondo i dettagli della magione.»
«Gliene sarei grata, signora Malfoy.»
Cinque minuti più tardi, Abraxas giungeva alle spalle di Deirdre, la quale pareva impegnata a saggiare la superficie scabra delle pareti con evidente attenzione. Si voltò di scatto quando il padrone di casa riguadagnò il distacco che li divideva. A quel punto afferrò vigorosamente la mano dell’uomo e, senza esitare, esordì dicendo: «Vorrei chiederle in privato un’informazione sulla casa, signor Malfoy.»
Abraxas acconsentì seriamente. «Sarò felice di aiutarla, se il campo di suo interesse è abbracciato dalle mie conoscenze del Manor. – Tese la mano in direzione della stanza vicina. – Accomodiamoci pure in salotto.»
Deirdre fu restia a sedersi sulla poltrona che le venne offerta. Sembrava non volesse perder tempo, e Abraxas, quand’ebbe chiuso la porta alle sue spalle, la vide interrogare gli oggetti della camera come nell’intenzione di captare le informazioni su Svenson che essi probabilmente occultavano.
«Non mi giudichi maleducata se vado subito al dunque. – cominciò sbrigativamente, e assunse un’aria teatrale e cupa. – Signor Malfoy, durante la sua permanenza in questa casa ha avuto notizia di passaggi segreti nascosti nelle pareti?»
Prima di ribattere, Abraxas fissò attentamente la studiosa, poi, adagiandosi compostamente sul divano, rispose: «No.»
«Intenderà che si tratta di una questione molto delicata. Ho pensato che il Manor celasse dei passaggi segreti semplicemente osservandone la struttura. I muri sono imponenti e spessi e non è difficile supporre che un alchimista avesse oggetti da nascondere. Da qui alla deduzione che ci fossero dei passaggi il passo è breve.»
«E' probabile, - disse Abraxas, - che io non ne sia a conoscenza. Quando ereditai la casa, mio padre non fece accenno a passaggi.»
«D'accordo. – rispose Deirdre. – Ha idea di dove siano finiti gli oggetti, appartenuti a Svenson, che si trovavano nella casa?»
«Stando a ciò che mi disse mio padre, furono venduti poco tempo dopo la morte dell'alchimista. Un mio avo, Julius Malfoy, li mise all’asta perché temeva che fossero stati usati in occasione di attività sataniche.»
Deirdre abbassò la testa con aria sconfitta. «E non ci sono stanze, - soggiunse, - in cui vengono conservati cimeli di antica data?»
«La stanza delle armi. – disse Abraxas. – Contiene tre o quattro bombarde usate dall’esercito lancasteriano a Ludford Bridge, nel 1459. Ah, dimenticavo! Mio padre mi mostrò, quand’era lucido, una spada affilatissima e insanguinata appartenente ai crociati e la cui data di produzione si può far risalire al 1100. E’ l’oggetto più antico conservato al Manor.»
«Molto interessante. – commentò Deirdre. – Mentre, suppongo, non avete notizia di articoli che riguardano Svenson.»
«Non direttamente, per la verità. – disse Abraxas strizzando gli occhi. – Come le ho spiegato, tutti gli oggetti che avevano a che fare con l’alchimista eremita, indiavolato secondo la maggior parte del popolo di allora, furono allontanati dal Manor. Però, - riprese, - c’è un oggetto che mio nonno, il padre di mio padre, rinvenne nel giardino, vicino ai ruderi. Stava passeggiando per le aiuole quando scorse un pezzo di stoffa che emergeva dal terriccio. Lo esumò, scoprendo che si trattava di una scatola rovinata, coperta di velluto, e impossibile da aprire, con strani segni sulla parte superiore ricollegabili all'alchimia. Si pensa che la scatola non fosse stata venduta perché completamente inutilizzabile. Oggi la tengo gelosamente conservata nella stanza delle armi. Non so dirle se apparteneva o meno a Svenson. Mio padre la fece esaminare, e gli venne detto che era stato prodotta in età successiva, intorno al 1650.»
«E’ comunque qualcosa. Sarei molto contenta se potessi vederla.»
«Vedrò di accontentarla. – disse Abraxas, alzandosi. – Mi segua, signorina O'Connor. La conduco alla stanza.»
Raggiunsero il secondo piano percorrendo due rampe della scala di servizio. Mentre Abraxas fissava con salda impassibilità il luogo verso cui erano diretti, gli occhi di Deirdre trovavano riposo unicamente nei dettagli apparentemente marginali che tempestavano le pareti e il soffitto imponente. Sembrava voler addentrarsi nei meandri delle crepe e delle fessure che di tanto in tanto incrociavano il loro cammino, o esplorarle fino a riesumare dalla polvere anche l’ultima traccia dei secoli remoti.
Quando Abraxas abbassò la maniglia della porta, che cigolò sui cardini, Deirdre non riuscì a trattenere un grido di stupore.
Ai suoi occhi avidi, la stanza delle armi si esibì di sorpresa in tutta la propria magnificenza. Ma c’era qualcosa di strano, adesso: non era più lei ad osservare gli oggetti che costellavano la camera, ma gli arazzi, gli stemmi, le spade, le sciabole, i fucili, le spingarde, gli archibugi, le carabine, i moschetti ad osservare lei, e con interesse, tanto che in pochi secondi la tensione creatasi nell’ampio locale rasentò il parossismo. In mezzo a quell’oceano ricolmo di tesori, Deirdre non riuscì a orientarsi. Come la vittima di un miracoloso prodigio, congiunse le palpebre e schiuse impercettibilmente le labbra, mentre nel suo cervello turbinava un vocio che sembrava provenire dagli uomini redivivi degli affreschi parietali, e si udivano schiocchi di pistole che evocavano i tempi andati.
Abraxas si avvicinò al camino, lanciando uno sguardo di sfuggita al signore di Mictlan, e guadagnò la distanza che lo separava da un baule sontuosamente ornato. Chinatosi, lo aprì senza sforzo e delicatamente trasse dalla congerie informe di oggetti contenutavi una grande scatola felpata, che passò alla studiosa.
Quando si ritrovò fra le mani il preziosissimo oggetto, Deirdre ne osservò dapprima la struttura. La cura dei particolari e le decorazioni che ne ornavano i contorni sembravano riportare all'epoca barocca. In apparenza la scatola era impossibile da aprire. L’interno non scivolava sul basamento, né il coperchio si sollevava. Non era nient'altro, insomma, che un blocco di materiale duro ricoperto di velluto.
Sopra un foro piccolissimo c’erano cinque targhette, incastonate sul velluto del cofanetto: le prime quattro erano simboli alchemici, inseriti su una sorta di minuscolo binario su cui si potevano far slittare in modo che la loro posizione cambiasse; l’ultimo talloncino era una placca con una dicitura in bassorilievo. Diversamente dalle altre, quest'ultima placca era impossibile da spostare si trovava leggermente discosta dal binario.
Prima di esaminare i simboli delle prime quattro targhette, Deirdre focalizzò l’attenzione sul testo, scritto con caratteri sottilissimi, riportato sulla quinta.

Oinegni ongam muc retivaus, ossips a elitbus, engi ba marret sibarapes

«Come vede, signorina O’Connor, la scatola è chiusa ermeticamente.»
«In questo caso l’espressione “chiusura ermetica” è ambivalente. – sorrise Deirdre. – L’enigma celato in questa frase a prima vista sfornita di significato è limpido, direi. Non ho neanche bisogno di ragionarci su per capire cosa voglia comunicarci. – Fece una pausa. – Questo messaggio è scritto in latino, ma va letto da destra a sinistra.»
Passò il dito sotto la dicitura e recitò: «Separabis terram ab igne, subtile a spisso, suaviter cum magno ingenio. Il pezzo è tratto dal testo alchemico per eccellenza: la Tavola Smeraldina, scritta da Ermes Trismegisto e poi tradotta in latino dall’arabo nel 1250.»
«Se il ricordo dei miei studi non m’inganna, - disse Abraxas, evidentemente incuriosito, - significa: Separerai la terra dal fuoco, il sottile dallo spesso, dolcemente e con grande avvedutezza
«E’ corretto. – confermò la saggista. – Questo pezzo brevissimo contiene una quantità sterminata di verità nascoste, molte delle quali non sono state sicuramente scoperte. Il primo significato, però, è quello che ci interessa. Non guarderemo oltre il velo allegorico.»
Deirdre indicò la prima delle quattro targhette coi simboli alchemici. Rappresentava un triangolo rovesciato e tagliato orizzontalmente da un segmento. Accanto a questa placca, se ne trovava un’altra con un semplice triangolo inciso in bassorilievo. La terza e l’ultima targhetta rappresentavano invece due cerchi: il primo con una freccia minuscola che puntava verso l’alto, il secondo con il punto centrale, quello in cui convergono i raggi, leggermente rilevato.
«Questo cofanetto è uno dei modelli più semplici che possano esistere. – spiegò Deirdre. – I simboli alchemici sono facilmente interpretabili. Il primo è quello della terra, il secondo quello del fuoco, il terzo quello di Marte e, indirettamente, del ferro, il quarto quello dell’oro.»
Abraxas annuì, osservando i segni con attenzione e attendendo che Deirdre continuasse il discorso.
«La scritta in latino chiede letteralmente di separare la terra dal fuoco e lo spesso dal sottile, un’operazione veramente molto semplice, se consideriamo che lo spesso è rappresentato dal simbolo del ferro e il sottile da quello dell’oro.»
Fece scorrere sul binario i simboli, sovrapponendo quello del fuoco a quello del ferro, portandoli a destra, e quello dell’oro a quello della terra, portandoli a sinistra. Frattanto accompagnò il gesto con un sussurro: «Separabis terram ab igne, subtile a spisso, suaviter cum magno ingenio
Quand’ebbe separato gli elementi, si udì uno scatto sonoro, ma la scatola rimase chiusa. Si rivelò invece sulla destra un cassetto piuttosto piccolo, che Deirdre aprì lentamente. All’interno del vano segreto trovò un filo rigido, sottile come uno stecchino, di una sostanza molto simile al ferro e con la punta incurvata.
Cercò di nuovo con lo sguardo il foro che aveva notato poco prima sotto le targhette movibili. Trovatolo, vi inserì il filo rigido. Stavolta lo scatto fu più flebile, anche se più lungo. Ad Abraxas e Deirdre parve che una serie di ingranaggi si stesse muovendo lentamente dentro la scatola, il cui coperchio, infine, si spalancò meccanicamente.
Lo stupore della saggista affiorò nel rossore che le chiazzò il viso. Abraxas squadrò la studiosa con disorientamento, chiedendosi come avesse fatto a capire le indicazioni riportate sulla scatola. La donna ricambiò l’occhiata cercando di tenere salda la modestia, ma con un certo autocompiacimento che trapelava dai gesti convulsi.
L’interno della scatola era un insieme inestricabile di meccanismi rudimentali atti a sigillarla ermeticamente: un insieme di piccole serrature e complessi congegni a leva. Adesso che poteva osservare la scatola dall’interno, Deirdre notò che sotto il velluto si trovava uno strato lucido, come diamante, praticamente infrangibile. Solo in un secondo momento si accorse che fra gli ingranaggi si trovava un tomo dalla copertina sciupata, ricca di pieghe e segni d’inchiostro nero. Il volumetto, rispetto agli ingranaggi, occupava un’esigua parte della grande scatola.
Deirdre lo trasse con accortezza, se lo rigirò fra le mani e lo mostrò ad Abraxas.
«Memorie di Elwood Svenson. – lesse l’uomo. – Sbaglio, forse, o si tratta di una forma arcaica di lingua inglese?»
«Neanche tanto arcaica. – rispose la saggista, ancora infervorata per il ritrovamento. – E’ in medio inglese, lingua parlata convenzionalmente dal 1066, anno della battaglia di Hastings, fino al tardo rinascimento, 1500 circa.»
«Dunque è un cimelio appartenuto a Svenson. Non si spiega per quale motivo il cofanetto è stato prodotto dopo il 1600.»
«E’ probabile che le memorie dell’alchimista siano state conservate a Malfoy Manor e poi sigillate in età successiva. Mi permetterà, signor Malfoy, di portarle nel mio studio, di modo che mi possa occupare della trascrizione e della traduzione?»
«Naturalmente. – disse Abraxas. – Senza di lei questo libro sarebbe rimasto dentro la scatola per anni; le attribuisco il merito, ed è giusto che sia lei ad occuparsene. Sono sicuro che non renderà peggiori le condizioni di questo tomo.»
«Assolutamente. Riconosco l’importanza delle anticaglie, avendoci a che fare un giorno sì ed uno no. Fra l’altro possiedo le attrezzature necessarie per studiarlo. Le ho acquistate lo scorso anno. – Infilò in uno scompartimento della borsa a tracolla le Memorie di Svenson. – Adesso la saluto, signor Malfoy. Sono certa che capirà quanto il suo aiuto è stato prezioso per me. Gli studi sull’alchimia mi hanno preso molto, in questo periodo, e avere a disposizione un pezzo importante come un diario risalente al 1500 è qualcosa di eccezionale che non tutti possono permettersi.»
«Mi stupisce che questo tomo sia venuto fuori proprio oggi. Torni pure quando vuole, signorina O’Connor.»
Si strinsero la mano, poco prima che la saggista, varcato ancora una volta l’ingresso della magione, si avviasse lungo il sentiero.
Gli ultimi raggi del sole morente tingevano l’acquedotto ed i campi con una luce livida, mentre un’ombra scura accompagnava Deirdre nel suo lesto cammino.


Quando la porta si schiuse, un volto spettrale e coperto di lacrime venne fuori a rilento dallo spiraglio. Nello stringere a sé l’amica, che gli si era letteralmente gettata fra le braccia, Green sentì un calore febbrile invaderlo dalla radice dei capelli fino alla punta dei piedi. Non aveva mai visto Ottilia in quello stato pietoso e l’immagine statica di lei che aveva conservato fino a quel momento nel proprio cervello fu avvelenata dalla triste visione cui adesso era obbligato ad assistere.
«Oh, Laurence. – gemette la giovane donna, soffocando la voce sulle spalle del compagno. – Il destino è ingiusto con mio figlio! Dovresti vedere… dovresti vedere come sta soffrendo.»
«Sono venuto qui per fornirti il mio aiuto, Ottilia. – disse Green, battendole sulla schiena. – Lasciami entrare. Forse possiamo fare qualcosa per lui.»
Attraversarono il vestibolo dopo che Green ebbe appeso la giacca sul trespolo. All’interno di casa Zurrey regnava una quiete sepolcrale. Probabilmente, venne loro da pensare, Thimoty si era addormentato al piano superiore.
«Non hai idea di quanta importanza abbia per me e Tim la tua presenza in questo momento, Laurence. – disse Ottilia asciugandosi le lacrime. Sollevò lo sguardo, facendo cenno alla camera del figlio. – Gli ho somministrato una camomilla, pregandolo di dormire. Dio solo sa quante parole ho dovuto dirgli prima che si infilasse nel letto!»
«Immagino, credimi, immagino quanto sia inquieto. E’ ancora piccolo, e percepisce la situazione in maniera molto diversa dalla tua.»
«Per la verità non estrinseca la sua inquietudine totalmente. Ed è questo ciò che mi preoccupa, Laurence. Il dolore lo sta lentamente corrodendo e non so fino a quando resisterà senza uno sfogo.»
«Sono appena le cinque e venti. – disse Green, chinando il capo. – Potrei portarlo un po’ a Londra, in giro per i negozi di giocattoli, provare ad acquietarlo, offrigli un’opportunità di svago. Tu… tu credi che accetterebbe?»
«Oh no, ne dubito. – disse Ottilia. – Ama andare per i negozi di giocattoli a Londra, ma non gradirebbe farlo adesso. E a che gioverebbe poi, se non a fargli rivivere i momenti più belli che ha trascorso con Patrick e ad acuire la sua angoscia? Posso provare a chiederglielo, ma non ti assicuro che si mostrerà acconsenziente.»
Laurence Green annuì con mestizia, mentre Ottilia si alzava, per poi salire in fretta le scale e spingere la porta della camera del figlio.
Il maggiordomo di Malfoy Manor rimase ad attendere, muovendo con frenesia le ginocchia e traendo sospiri affannosi. Persino l’atmosfera della casa sembrava inusualmente spenta e triste, adesso che gli abitanti affrontavano una difficile situazione. Gli oggetti rustici di legno disseminati qua e là parevano aver assunto tinte slavate.
Il vento si insinuava dalla finestra socchiusa, fischiando minacciosamente, scompigliando i capelli dell’uomo e producendo un triste rumore di sottofondo. Sospinte dai sospiri di quello zefiro, le nuvole danzavano nel cielo con placidità soave.
«Non voglio andare con lui! Non è mio papà! Non voglio andare con lui!» si udì gridare all’improvviso.
Immediatamente dopo, una porta si chiuse. Quando ridiscese al piano inferiore, Ottilia scrollò la testa con aria affranta.
«Niente da fare. – disse, trattenendo le lacrime. – Mi dispiace, Laurence. Non ha accettato.»
«Troveremo il modo di tirarlo su, vedrai.»
Calò il silenzio fra i due, rotto solo dai gemiti del bambino che singhiozzava a tempi alterni, forse mentre si rigirava fra le coperte nel suo sonno smanioso e malinconico.


La stanza male illuminata pullulava di fogli sparsi e tomi antichi. Sembrava che il tetto dovesse crollare da un secondo all’altro e che la carta da parati giallognola fosse lì lì per scollarsi dalla parete cadente. Quadri dalle cornici annose erano disposti senza troppa cura simmetrica sulle pareti, e in alcuni punti, indubbiamente quelli che prima erano stati coperti da pitture ora rimosse, si poteva notare il primigenio colore della tappezzeria: un bianco candido, quasi accecante. Nelle raffigurazioni dello studio erano distinguibili Geoffrey Chaucer, San Bernardo da Chiaravalle, un vassallo nell’atto di baciare il proprio feudatario e diversi fantasmi dipinti sui modelli di Hieronymus Bosch. Il lampadario, ridotto in pietose condizioni, oscillava tetramente ad ogni scossa, senza però distrarre la donna seduta alla scrivania, china su un libro sgualcito che sembrava averle offuscato la ragione.
“Non c’è dubbio che sia stregato!” si diceva Deirdre, quando, nel tentativo di allontanare gli occhi dalle pagine, si sentiva costretta a proseguire la lettura da forze incorporee. “Eppure è così interessante… Così affascinante…”
Aveva accanto a sé efficienti dizionari di cui si sarebbe potuta servire per trasporre il Medio Inglese in Inglese Moderno; ma la grafia a schizzi di Elwood Bartholomew Svenson scorreva fluidamente sotto i suoi occhi, e Deirdre intendeva tutte le parole pur non conoscendo diversi vocaboli. Non riusciva a capacitarsi di come stesse riuscendo ad assimilare una lingua che non aveva mai approfonditamente studiato.
Delle frasi enigmatiche che Svenson aveva riportato nelle sue memorie, Deirdre afferrava anche i significati allegorici. Si ritrovava a leggere di pratiche orrende e disumane, che pure le risultavano avvincenti.

Il dì successivo un sacerdote del paese mi consegnò un uomo, canuto e appena cinquantenne, il quale pareva impossessato da qualche demonio, giacché si dimenava come un ossesso, volendo svincolarsi da catene invisibili. A me spettava il compito di allontanare la sostanza infetta dal suo cuore, di respingere il demonio o chiunque dimorasse in lui, di svolgere, adunque, la funzione per cui quell’uomo era stato condotto al mio cospetto; ciò nondimeno, nel momento in cui i miei occhi si specchiarono nei suoi, la furia dell’assatanato aumentò pazzescamente. E seppi in quel tempo che il demone risiedente nel suo cuore malato ed io avevamo grandi cose in comune, e che la nostra unione sarebbe stata per entrambi cagione di forza e indiscusso potere. Recitai la consueta preghiera in latino, lingua che il sacerdote per sorte sconosceva, storpiandone talune parole, incitando alla violenza quel demone impazzito senza quasi rendermene conto. Ed egli trapassò il corpo dell’uomo e trovò la sua dimora in me, che lo accolsi con benevolenza.

“Diabole, relinque ab imo pectore, ego impero ut ad meum cordem venias.”

All’imbrunire si vociferò nel villaggio che il vecchio e il sacerdote si erano smarriti nel bosco, mentre cercavano un contravveleno vegetale. Le loro teste giacciono ancora, mentre stendo queste parole, dinnanzi ai miei occhi bramosi di ingiustizia. Alla luce fievole del maniero le ho viste precipitare sul pavimento, con gli occhi strabuzzati, ancora fresche di taglio, ancora contorte per il dolore e l’angoscia. Pozze di sangue rosso macchiano le pareti della stanza, e la voce del demone Necraha vibra con potenza nel mio cervello farneticante. Direbbe Agostino che sono un corruttore della sostanza pura e invero seduta stante giuro fedeltà eterna al signore delle tenebre. E in questa casa sempre alloggerà lo spirito di Necraha, tormentando gli abitanti, o sopprimendoli, qualora si dimostrassero retti e non seguissero il buio perpetuo. Si impossesserà degli uomini deboli, li farà impazzire, li scuoterà con convulsioni e spasmi, e attraverso di loro eserciterà il proprio potere.


Il volto della studiosa si contrasse e si irrigidì, mentre rifletteva sulle parole terribili di quell’uomo che si era dato al culto del demone Necraha.
E in questa casa sempre alloggerà lo spirito di Necraha, tormentando gli abitanti, o sopprimendoli, qualora si dimostrassero retti e non seguissero il buio perpetuo…
La casa di Svenson… Malfoy Manor…
Ed egli trapassò il corpo dell’uomo e trovò la sua dimora in me, che lo accolsi con benevolenza.
Elwood Svenson aveva un demone in corpo. Un uomo invasato aveva vissuto nella casa dei Malfoy!
Si impossesserà degli uomini deboli, li farà impazzire, li scuoterà con convulsioni e spasmi, e attraverso di loro eserciterà il proprio potere.
«Abraxas Malfoy ha un demone in corpo…» stava dicendo Shaun O’Connor.
«Contiene tre o quattro bombarde usate dall’esercito lancasteriano a Ludford Bridge, nel 1459.»
«Questi manoscritti parlano tutti del misterioso Svenson. Questo, in particolare, si dice sia stato scritto di suo pugno.»
Voci... Si amalgamavano in un impasto confuso, sempre scandito da un ritmo cantilenante.
Diabole, relinque ab imo pectore, ego impero ut ad meum cordem venias...
“Orribili favelle!” veniva da pensare a Deirdre nel suo affannoso dormiveglia. “Orribili favelle! Dove ho già sentito quest’espressione?”
Ancora voci, e immagini sfocate. Poi il buio.


Era una sera nebbiosa e fredda. Gocce d’acqua piovana scendevano tuttora giù dal tetto di Malfoy Manor. A ben guardare, però, si sarebbe detto che quella non era Malfoy Manor, ma una grande casa rinascimentale che pure somigliava molto all’odierna abitazione del dottor Abraxas. Sembrava di costruzione più recente, e ben si abbinava all’ambiente naturale sullo sfondo, ai filari di platani che si innalzavano alle sue spalle, alle colline sterminate, al cielo plumbeo.
Una figura si muoveva nella foschia. Si era chiusa la porta alle spalle, Deirdre l’aveva vista sgusciare dall’entrata del Manor per raggiungere l’ampio giardino. C’erano moltissimi fiori, forse eriche, ma rinsecchiti e piegati sotto la forza bruta di un fragoroso ventaccio. Perché quell’individuo si sentiva a proprio agio? Coperto fin sotto al mento da un cappuccio nero, camminava sradicando i fili d’erba e le pianticelle che gli impedivano il cammino. Teneva fra le braccia un alambicco di grosse dimensioni, o perlomeno così parve a Deirdre. Non appena giunse al centro del giardino, la studiosa si avvicinò all’uomo. Fissò i suoi occhi incavati, la sua testa calva, le innumerevoli screpolature che strappavano il tessuto del suo viso. Non lo aveva mai visto, ma seppe che era Svenson. Fu allora che provò a chiamarlo; ma il monaco eremita non rispose. Forse non si era accorto di lei, forse non poteva udirla. Quando spostò l’attenzione sulle sue dita, la donna notò che gli mancava l’indice della mano destra, e che al suo posto si trovava una sorta di bitorzolo con la punta incenerita.
«Necrahae maximas gratias ago, quod magnus ac omni laude dignus est.»
L’eremita sedette sull’erba, mentre il vento lo spogliava del cappuccio nero facendolo ciondolare sulle sue spalle. Pose l’alambicco dinnanzi a sé, preparandosi a filtrare una sostanza che teneva in un involucro.
Deirdre lo sentì sussurrare in Medio Inglese: «La sostanza pura deve essere corrotta. La transustanziazione deturpa l’essere, rendendolo perverso e maligno. Mediante i processi di Rubedo, Albedo e Nigredo, l’oro verrà convertito in metallo grezzo, le fiamme del sole si estingueranno e la potenza di Necraha, re dell’oscurità, prevarrà sulla luce.»
Le sfuggirono diverse parole in lingua latina, ma poté comprendere che Svenson riproponeva di continuo il nome del demone.
Accese un fuoco, versò nel paiolo dell’alambicco scaglie auree che luccicarono nella caligine serale, vi sputò sopra e il contenuto della caldaia fu filtrato dalla serpentina di raffreddamento. Un fumo denso scaturì dall’alambicco, inondando il circondario e facendo tossire Deirdre.
«Necrahae maximas gratias ago, quod magnus ac omni laude dignus est. – ripeté Svenson, le mani rigorosamente giunte. –Necrahae maximas gratias ago, quod magnus ac omni laude dignus est.»
Aveva la testa china, ma la sollevò d’improvviso. L’occhiata con cui l’alchimista perforò il volto di Deirdre avrebbe incenerito e annientato persino il diavolo.
Un rumore fortissimo, un effluvio tossico di materiali in combustione. Ancora voci, e immagini sfocate. Un vortice di tenebre, seguito dal nulla e dal silenzio.


Deirdre si svegliò di soprassalto nel suo studio.
Una folata di vento era penetrata dalla finestra semiaperta, scompigliandole i capelli e gelandole le vene. Era ancora buio pesto e, come ebbe modo di intendere, si era assopita nel bel mezzo della lettura. Le pagine delle Memorie si muovevano sotto l’effetto del vento, come per richiamare la sua attenzione.
Nella semioscurità notturna, le grottesche ombre dei mobili e del lampadario sembravano richiamare la figura di un vecchio che rideva.


Ecco a voi un altro capitolo!

Un grazie particolare a:

Thiliol: Grazie mille! Non ti preoccupare per la recensione rapidissima. Ci fa comunque piacere sapere che tu hai trovato il capitolo splendido!

Vekra: Grazie mille per i complimenti! Ci fa ovviamente molto piacere leggere tutte le tue ipotesi e supposizioni (è qualcosa che qualsiasi giallista apprezza!). Ovviamente non possiamo dire nulla in proposito, ma unicamente ringraziarti sentitamente e chiederti cosa ne pensi di questo nuovo capitolo.

Un grazie a chi ha messo la storia tra i preferiti e a chi legge soltanto!

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Capitolo 27
*** Capitolo XXVII ***


Capitolo XXVII

La fioca luce dell'alba, venne annerita dopo poco meno di un'ora da spesse nubi, scure e cupe, tanto cupe da poter far credere che fosse tornata la notte. Per diversi minuti nulla accade, il cielo, agli occhi di chi era già desto o dei pochi animali che si aggiravano per la campagna, sembrava essere gravido di pioggia e di elettricità. Poi i primi lampi squarciarono l'oscurità, illuminando a sprazzi intorno a loro. La loro luce spettrale penetrava attraverso le finestre sgualcite e scolorite dello studio di Deirdre, facendo sobbalzare appena la giovane donna che non aveva più chiuso occhio, da quando si era destata dall'incubo. Aveva preso di nuovo in mano le Memorie, ritrovando immediatamente il punto che tanto l'aveva impressionata, cercando di analizzarlo, invano, con l'occhio della storiografa. Mentre le ore notturne passavano lente e silenziose, si era vista costretta a posare nuovamente il manoscritto, forse perché da ogni angolo della stanza pareva emergere una figura simile a Svenson. Infine quei lampi, forti, inquietanti, seguiti da tuoni che parevano voler distruggere le case e la terra.
Un corvo, appollaiato su una quercia, fu illuminato dall'ennesimo chiarore, poi spiccò il volo, sfidando la tempesta. Un altro corvo, lo stesso forse, od un suo fratello altrettanto temerario, si posò su un ramo nel giardino che circondava il Manor. I lampi parevano scaricarsi con maggior intensità intorno all'antica magione, accanto alle rovine gotiche, su cui erano fissi gli occhi di Green, il quale le osservava dalla finestra rivolta a settentrione della sua stanza. Si chiese se la furia che si stava riversando dal cielo, non avrebbe potuto distruggere quell'ultimo rimasuglio di chissà quale antico palazzo o convento. Il maggiordomo scosse appena il capo, mentre tornava lentamente verso il letto, chiedendosi come potesse sentirsi il piccolo Timothy in un momento come quello, con una tempesta in cielo, a così pochi giorni dall'omicidio del padre.
Un nuovo e più violento lampo illuminò il cielo cupo, colpendo un vecchio salice presente nel parco del Manor, spezzando la pianta secolare in due. Laureen, che era stata destata dai primi tuoni, vide la scena dalla propria finestra. Rabbrividì appena, stringendosi nella vestaglia che aveva indossato sopra la vecchia camicia da notte. Era incredibile come in poco tempo qualunque cosa potesse venire spazzata via. Non ricordava dove avesse sentito la frase una tempesta in cielo, in terra un omicidio, ma era certa che, mai come in quel momento, le sembrasse acquistare una sua veridicità.
Sullo stesso piano, Zephyrus Macniemand era sveglio, raggomitolato sul suo letto. Digrignava appena i denti, mentre si copriva le orecchie con le mani, come per rendere meno forti i tuoni che echeggiavano intorno e rimbombavano, amplificati, tra le mura spesse della magione. Di tanto in tanto borbottava parole senza senso, per poi rabbrividire.
Una luce chiarissima, di un lampo che pareva occupare quasi tutto il cielo, illuminò la stanza del vecchio Adolar Malfoy, che si agitava, solo, nel suo ampio letto, ancora addormentato, come se la sua agitazione non fosse dovuta alla tempesta che imperversava intorno alla magione. Megan, poco più in là, stava accanto alla finestra della propria stanza, avviluppata in uno scialle scuro che aveva la capacità di rendere grottesca la sua figura, ogni qualvolta, illuminata da un lampo, proiettasse la sua ombra sul letto vuoto. Gli occhietti neri parevano bearsi della tempesta e seguivano con attenzione la direzione di ogni lampo, quasi sperasse che uno di questi raggiungesse la camera del figlio per poter incenerire la Zurrey.
I lampi illuminavano a sprazzi la culla di Lucius, dove il bambino dormiva ancora con il pollice in bocca e l'orsacchiotto di pezza stretto nell'altra mano, quasi non si fosse ancora reso conto del rumore assordante dei tuoni. I lampi illuminavano le due figure che giacevano abbracciate nel letto accanto la culla, rendendo ben visibili i capelli biondi di Abraxas e il volto di Charlotte, appoggiato sul suo petto. Entrambi vegliavano. La giovane lanciava di tanto in tanto delle occhiate alla culla, come per accertarsi che il bambino stesse bene, mentre l'uomo teneva gli occhi fissi sulla finestra e sulla tempesta all'esterno.
«È strano che tuo figlio non si sia ancora svegliato. - disse la bambinaia, approfittando di un momento di apparente calma in cielo, per potersi far udire senza dover gridare - Ricordo che Timothy si svegliava piangendo ogni volta che si avvertiva anche un semplice tuono lontano.»
«Stupisce anche me. - affermò l'uomo, voltandosi per poter osservare il volto dell'amante - Forse la sua mente infantile è troppo impegnata a sognare la fiaba che gli hai narrato ieri sera per farlo addormentare.»
Un lampo seguito da un tuono, meno violento dei precedenti e più lontano, li zittì. Charlotte si strinse maggiormente contro l'uomo, come per godere meglio del calore del suo corpo.
«Credo che tra poco si sveglierà comunque, tuoni o non tuoni.» commentò la giovane, quando la stanza ripiombò nell'oscurità.
Quasi a voler confermare le sue parole un leggero pianto di levò dalla culla di Lucius. Un sorriso incurvò per qualche breve istante le labbra di Abraxas, mentre Lotte prendeva la bacchetta dal comodino ed appellava una vestaglia in cui si avvolse, staccandosi dall'abbraccio dell'amante, per poter avvicinarsi al bambino. Lo prese in braccio e, alla luce di una candela, accesa dall'uomo, si recò in un angolo della stanza, prendendo il biberon e, riempendolo di latte a malapena tiepido, lo accostò al volto di Lucius che prese a bere voracemente.
Al di fuori si sentì improvvisamente il rumore dalla pioggia che cadeva scrosciante, rovesciata dalle nubi ancora cupe, ma meno minacciose rispetto a pochi minuti prima. Ancora qualche lampo illuminava il cielo, tenuamente, ed il tuono si faceva più lontano. Quando il bambino fu sazio, si sentiva quasi unicamente il rumore dell'acqua che cadeva violenta sul terreno. Charlotte posò il biberon e, cullando il bambino che, vivacemente, le tirava appena i capelli, tornò verso la culla, presso la quale trovò Abraxas perfettamente vestito.
Mentre gli passava il bambino e mentre, all'esterno, si diffondeva una luminosità grigiastra, sentiva un leggero timore premere in un angolo della sua mente, provocato dall'arrivo del nuovo giorno e di una possibile visita di Rosamund Jameson alla magione. Era lo stesso timore che l'aveva presa la sera precedente e che forse aveva convinto Abraxas a fermarsi con lei per l'intera nottata. Scosse appena il capo, scacciando quei pensieri dalla mente, o, almeno, provandoci, focalizzando poi la sua attenzione sul piccolo Lucius che pareva essere particolarmente vivace quella mattina, mentre muoveva le mani paffute, nel tentativo di afferrare chissà cosa nell'aria.
Abraxas e Charlotte erano troppo intenti a fissare il bambino per accorgersi dell'ingresso improvviso di qualcuno nella stanza.
«Non ho nemmeno fatto la fatica di chiedermi dove potessi essere, marito. - la voce acida e irritata di Megan fece sobbalzare la bambinaia che lanciò un'occhiata all'amante. L'uomo con un movimento misurato depositò il figlioletto nella culla, per poi ricambiare lo sguardo di Charlotte, prima di puntare la propria attenzione sulla moglie - Non pensavo che potessi cadere così in basso, più in basso di quanto tu non sia già caduto, s'intende.»
«Credo di aver già avuto modo di dirti, Megan, che questo argomento è chiuso. - si interruppe per un breve istante. Sapeva lui stesso di aver compiuto un gesto azzardato la sera precedente, decidendo di rimanere con Lotte, ma era qualcosa di cui, in fondo, non si pentiva. - Torna in camera.»
«Non è chiuso per nulla. - ribatté la donna, fissando con astio la bambinaia che si teneva, anche in quel momento, troppo vicina a suo marito. - Sono stanca di essere continuamente umiliata, Abraxas. Sono stanca di dover immaginare che tu mi lasci sola per correre da quella svergognata che hai assunto com…»
«Non aggiungere un'altra parola, Megan. - la interruppe gelido l'uomo. Soltanto le mani strette leggermente a pugno davano segno palese che quella freddezza poteva spezzarsi da un momento all'altro - Abbiamo già discusso, a lungo, e non voglio discutere oltre. Torna in camera ed evita di renderti ridicola.»
Al fianco di Abraxas, Charlotte desiderava con tutta se stessa diventare invisibile. Sentiva lo sguardo della donna proiettarsi sempre più sovente su di lei, malvagio e astioso. Provava un assoluto senso di inadeguatezza in quel momento, coperta unicamente dalla vestaglia che aveva indossato per poter dare il latte a Lucius. Era come se Megan potesse colpirla e umiliarla maggiormente. Senza nemmeno rendersene conto fece un passo verso l'uomo, come a cercare protezione, o un nascondiglio.
«Sei tu che ti rendi ridicolo, Abraxas. - affermò la donna, avvicinandosi a loro, squadrando con maggior attenzione quella svergognata e il suo abbigliamento così poco consono alla sua posizione - Come minimo quella vecchia acida di Juliet avrà detto o dirà a chiunque le capiti a tiro di come tu stia intrattenendo una tresca con una serva. - l'ultima parola quasi la sputò con disprezzo, facendo indurire maggiormente il volto del marito - Non solo, ma tutti sapranno che intrattieni questa tua relazione alla luce del giorno. Cosa penseranno allora tutti dell'irreprensibile Abraxas Malfoy che si è fatto incastrare dalle manovre di una sgualdrina che ha agito, da quando è entrata in questa casa, con il solo intento di sedurti?»
«La smetta, signora Malfoy.» sbottò Charlotte, senza dare tempo ad Abraxas di rispondere.
«Con che diritto me lo dici? Tu, una serva, una meretric…»
«Adesso basta, Megan. - la interruppe palesemente irritato l'uomo. Accanto a lui, dopo quel breve lampo di orgoglio, Charlotte era tornata a piegare il capo. Sentiva le lacrime pungerle gli occhi, ma, con un certo sforzo, riuscì a ricacciarle indietro, forse grazie anche alla mano di Abraxas che afferrò la sua. - Stai diventando volgare e questo non ti si addice. Lo ribadisco per l'ultima volta, Megan, torna in camera.»
«Altrimenti che fai, prendi esempio da tuo padre?» domandò beffarda e maligna Megan.
Il silenzio calò pesante sulla stanza, interrotto unicamente dalla pioggia che cadeva al di fuori, violenta. Charlotte sentì la mano di Abraxas serrarsi intorno alla sua, fino quasi a farle male. Alzò il capo, preoccupata per fissarne il volto pallido e teso.
«Non sono mio padre, Megan.» rispose sordo, lasciando andare la mano dell'amante, per poter fare qualche passo avanti. Si fermò solo a pochi passi dalla moglie, sovrastandola.
«No, hai ragione, sei ben peggiore di lui.» biascicò la donna.
Uno schiaffo ruppe improvvisamente il silenzio che le parole della padrona di casa avevano fatto calare sulla stanza. Lucius si mise a piangere immediatamente, subito preso in braccio da Charlotte, che non abbandonava con lo sguardo Abraxas, il quale era rimasto immobile, come pietrificato, con la mano alzata, come se fosse pronto a dare un altro schiaffo alla moglie. Megan aveva fatto un passo indietro, una mano sulla guancia, un'altra che cercava un fazzoletto per fermare il sangue che le usciva dal naso. La tensione era palpabile, sembrava prendere forma intorno a loro. La bambinaia, cullando il bambino con dolcezza, fece un passo verso l'amante, nel momento in cui questi iniziava ad abbassare lentamente il braccio.
«Vattene, Megan.» sillabò subito dopo, quasi con fatica.
«Vedi, non mi sbagliavo. - disse ugualmente la donna, dopo aver fatto qualche passo verso la porta dell'anticamera che immetteva negli appartamenti suoi e del marito. Teneva un fazzoletto premuto sul naso, mentre fissava con una strano sfavillio negli occhi Abraxas - Immagino che tuo padre non abbia mai picchiato tua madre. Povera donna. Sembra quasi che essere tradite sia una condizione necessaria per essere moglie di un Malfoy, ma almeno tuo padre era discreto. Chissà come avrebbe sofferto Nadine se ti avesse visto in…»
«Vattene.» sibilò l'uomo, i lineamenti del volto tremendamente rigidi. Charlotte, che era appena giunta al suo fianco, lo notò chiaramente.
Megan rimase per qualche istante immobile, portando lo sguardo dal marito all'amante e viceversa. Odiava doverlo ammetterlo, ma era stata sconfitta. Aveva tentato di far leva su ogni cosa per ridurre alla ragione Abraxas, ma nulla, né il richiamo al buon nome della famiglia, né ricordargli che l'aveva sposata per coprire le spalle al padre, né evocare la suocera che lei non aveva mai conosciuto, era servito a qualcosa. Chinò il capo, allontanandosi rapidamente dalla stanza, con passi malfermi e isterici.
Soltanto quando fu uscita, Charlotte, continuando a reggere Lucius, poggiò delicatamente una mano sul braccio dell'uomo. Il tocco leggero dell'amante sembrò ridestare Abraxas da una specie di trance. Si voltò verso di lei e ne osservò il volto teso e preoccupato. Chinò per un istante il capo, sospirando, prima di alzare una mano e accarezzare lievemente il volto della giovane, in un gesto così in contrasto con lo schiaffo violento che aveva assestato da poco a Megan. Il bambino, come percependo che la situazione si stava calmando, smise di piangere ed agitarsi. Insieme tornarono verso la culla e la bambinaia vi depositò con delicatezza il piccolo, mettendogli accanto l'orsacchiotto di pezza.
Con un gesto impulsivo e improvviso, Abraxas attirò Charlotte contro di sé abbracciandola con forza, prima di chinare il capo e baciarla.


Laureen entrò nel salotto utilizzato per la colazione. Stranamente, si disse, non vide Megan che, da che era giunta come sposa a Malfoy Manor, era sempre stata la prima a fare il suo ingresso nella stanza. Stringendosi appena nelle spalle, si avvicinò alla finestra, osservando il parco bagnato dalla pioggia che, dopo la tempesta dell'alba, pareva non voler cessare. Le nuvole grigie, basse, parevano avvolgere ogni singola pianta, animale, essere umano e abitazione, in una strana forma di isolamento.
La donna stava per perdere qualsiasi speranza di veder entrare qualcuno nella stanza, quando udì aprirsi la porta. Si voltò il più rapidamente possibile, notando la figura di Megan. Le ci vollero alcuni istanti per notare che pareva versare in uno stato pietoso, qualche altro attimo per osservarle meglio il volto e individuare un livido sulla guancia.
«Cos'è accaduto?» domandò Laureen, nascondendo la curiosità, dietro un'espressione neutra.
«Niente.» disse soltanto Megan, scuotendo appena il capo.
Non aveva nessuna intenzione di raccontare quello che era accaduto. Non voleva subire l'umiliazione ulteriore di vedere la donna corrugare le sopracciglia con biasimo o peggio sentirle dire qualcosa come te l'avevo detto, magari con una nota di sarcasmo. Aveva già dovuto sostenere una lotta con se stessa per uscire dalla propria camera. Forse possedeva ancora un briciolo di orgoglio che le impediva di mostrarsi troppo debole agli occhi del marito o, con ogni probabilità, la consapevolezza che lui non avrebbe mai potuto sciogliere il loro matrimonio le dava un misero senso di potere.
«Ne sei certa, Megan? - domandò Laureen, mentre, imitando la donna, si sedeva a tavola - Sembri a pezzi.»
«Non si ha nemmeno più la libertà di essere stanchi, adesso, Laureen?» domandò con fin troppa isteria la donna, detestandosi per la sua incapacità di mantenere il controllo, ma, in fondo, dopo quello che era accaduto nella camera del figlio, doveva ammettere con se stessa che era pressoché impossibile.
«Suvvia, Megan, non fare finta di non capire. - disse l'altra donna, mentre prendeva in mano una fetta di pane perfettamente tostato - Essere stanchi è un conto avere dei lividi un altro.»
«Immagino che tu non sarai contenta fino a quando non avrai soddisfatto la tua morbosa curiosità. - affermò Megan, agitando appena le mani. Laureen addentò il pane, imburrato, per evitarsi di rispondere sarcasticamente alla padrona di casa. - È stato Abraxas.»
«Abraxas?» domandò l'altra donna, posando sul piatto di porcellana di Meissen il tocco di pane.
«Esattamente, Laureen.» ribadì Megan, fissando di sottecchi la cugina di suo marito.
Quest'ultima scosse appena il capo, troppo stupita, forse, per parlare. Le sembrava assurdo sentir dire che il cugino aveva alzato le mani su sua moglie. Sapeva essere duro e intransigente, ma mai, da che lo conosceva, era stato violento.
«Com'è successo?» domandò infine, mantenendo un tono di voce neutro.
«A causa di quella donnaccia.» sibilò Megan, facendo girare con violenza il cucchiaino nella tazza da tè, al punto che il liquido ambrato si sparse sul piattino.
«Era presente anche la Zurrey? - domandò Laureen, cercando di trovare un briciolo di logica nelle risposte scarne della padrone di casa - Come può essere che la bambinaia di tuo figlio fosse presente in camera tua?»
«Non ci arrivi da sola, Laureen? - domandò con un certo compiacimento maligno Megan. Era come se sfogarsi sulla donna potesse farle dimenticare la sconfitta che aveva ricevuto poc'anzi - Non era la bambinaia ad essere nella mia camera, ma mio marito ad essere nella sua camera.»
«Non mi dirai che hai fatto un'altra scenata, Megan?» domandò Laureen, arcuando appena le sopracciglia.
«Cosa avrei dovuto fare secondo te? Dare il mio beneplacito ad Abraxas? Dirgli che fa bene a passare la notte con quella…con quella ragazzetta?» chiese Megan istericamente. Il senso di potenza che l'aveva pervasa poco prima, si stava lentamente affievolendo.
«Non ho mai detto questo. Abraxas tiene un comportamento effettivamente riprovevole, ma tu non dovresti far scenate. Ho già avuto modo di dirtelo…ignorarlo sarebbe di gran lunga più efficace.»
Megan non rispose, ammutolendosi. Avrebbe dovuto tacere, come si era ripromessa, invece di parlare fin troppo con Laureen. Afferrò con forza la delicata tazza da tè e bevve quasi violentemente la bevanda calda e aromatica, come se non potesse far altro che sfogare la rabbia repressa su uno dei preziosi oggetti della magione.


Charlotte ed Abraxas rimasero a lungo abbracciati, accanto alla culla di Lucius. Si separano soltanto quando il bimbo mugolò qualcosa di incomprensibile, richiamando la loro attenzione. L'uomo prese il figlio in braccio, mentre manteneva gli occhi fissi sull'amante, come se questo potesse allontanare da lui i pensieri indesiderati che avevano preso possesso della sua mente. La giovane ricambiò lo sguardo, mentre sentiva crescere in lei una certa ansia. Sapeva che tra pochi istanti sarebbero dovuti uscire per raggiungere gli altri a colazione, il che avrebbe comportato vedere Megan. Un tremito le attraversò il corpo. Dopo quello che era avvenuto, le parole che la donna aveva pronunciato, lo schiaffo che Abraxas le aveva assestato, incontrare la moglie dell'uomo era l'ultima cosa che desiderava.
«Immagino tu non voglia uscire ancora dalla stanza. - disse improvvisamente l'amante, quasi le avesse letto nella mente - E sinceramente, nemmeno io desidero incontrare Megan, non così presto per lo meno.» scosse appena il capo, come per scacciare qualcosa di fastidioso.
Charlotte annuì piano, mentre osservava con attenzione i movimenti di Abraxas e il modo forse un po' troppo rigido con cui teneva il figlioletto. Si morse appena il labbro inferiore, incerta, prima di parlare.
«C'è qualcosa che ti preoccupa?»
Abraxas rimase a lungo in silenzio, fissando la giovane che aveva il volto alzato verso di lui, velato da una leggera preoccupazione. Le si avvicinò, tenendo il bambino in braccio, e le sfiorò appena le labbra con le sue.
«No, Lotte. - disse soltanto, senza riuscire a convincerla del tutto. Rimasero a lungo in silenzio, poi l'uomo parve riscuotersi - Credo sia meglio se vado in cucina ad ordinare di servirci la colazione qui, in camera di Lucius.»
Il bambino finì tra le braccia di Charlotte che prese a cullarlo appena, mentre il piccolo giocava con i suoi capelli. Era qualcosa che ultimamente faceva spesso, notò Abraxas, accarezzando appena la testolina del figlio, prima di uscire dalla stanza, in direzione del piccolo anticamera.
Camminava rapido, attraversando il salotto del lato occidentale, vuoto e immenso. La suola delle sue scarpe echeggiava quasi sinistra all'interno della stanza e così avvenne anche quando si trovò nell'anticamera che portava agli appartamenti di Lysiart. Imboccò poco dopo le scale di servizio, ritrovandosi al più presto al primo piano. A passo veloce entrò nella sala da pranzo, raggiungendo infine il salotto di anticamera.
Si bloccò di colpo sulla soglia. Rosamund Jameson stava parlando con Hatty. La voce della donna arrivò a lui come un bisbiglio confuso. Attese di udire parlare l'elfa domestica, ma in un qualche modo l'Auror doveva essersi accorta della sua presenza, dal momento che, improvvisamente, si rivolse a lui.
«Signor Malfoy, - disse cortesemente Rosamund, scrutandolo con attenzione - Stavo giusto per mandare l'elfa a cercare lei e la signorina Zurrey. Devo rivolgervi ancora delle domande.»
«Ovviamente, signorina Jameson. - rispose l'uomo, facendo vagare gli occhi dalla donna a Hatty e viceversa - Immagino non le dispiaccia attendere per qualche istante nel salottino estivo del primo piano. - una breve pausa - Sono certo che ricorderà la strada per raggiungerlo. - Andrò avvisare personalmente la signorina Zurrey.»
«La ringrazio, signor Malfoy.» rispose la donna, lanciando un'occhiata a Hatty, prima di uscire dal salotto, utilizzando la porta che dava sull'andito di ingresso.
«Di cosa stavi parlando con la signorina Jameson?» domandò Abraxas, non appena l'Auror ebbe lasciato la stanza.
«Signorina ha già detto cosa stavamo dicendo, signor Malfoy.» rispose l'elfa esibendo la sua vocetta acuta e fastidiosa.
«Non prendermi per un idiota. - ribatté duramente l'uomo - Ti ordino di dirmi di cosa stavi parlando con l'Auror.»
«Signor Malfoy non può ordinare nulla a Hatty. Hatty è un'elfa libera, signore.» affermò la creatura, sebbene in maniera piuttosto tremula.
L'uomo strinse le mani a pugno, come per soffocare la rabbia, una rabbia che andava in egual misura in direzione di Hatty e di se stesso.
«Sparisci di qui, immediatamente.» sbottò infine, squadrando con attenzione la creatura fino a quando questa non scomparve con un leggero pop.
Abraxas rimase a lungo immobile, scuotendo appena il capo, maledicendosi più e più volte mentalmente. Doveva trovare assolutamente un modo per capire cosa avesse detto Hatty a Rosamund, si disse, mentre tornava sui propri passi per raggiungere Charlotte e poi andare con lei dall'Auror.


Deirdre O'Connor raggiunse Malfoy Manor a metà mattinata, avvolta in un mantello, con il cappuccio tirato sui capelli per difendersi dalla pioggia battente. Fu Green a venirle ad aprirle, guardandola per qualche istante interrogativo, fino a che lei non spiegò che doveva consultare un volume in biblioteca.
Ritrovarsi in quell'abitazione dopo quello che aveva letto la sera precedente e, ancora di più, avendo ben presente l'incubo che le aveva tormentato la mente, la inquietava e la eccitava allo stesso tempo. Non riusciva più a capire se la stesse guidando il suo spirito di studiosa o un'insana fascinazione per Svenson. Scosse appena il capo, nel momento in cui entrò nel grande locale stracolmo di libri. Si guardò più volte intorno, come per accertarsi che Zephyrus non fosse presente, poi si avvicinò alla scaffalatura che le era stata mostrata quando era entrata nella stanza la prima volta. Scorse con attenzione i titoli dei volumi, fino a quando non ne trovò uno promettente, intagliato sulla coperta di marocchino rosso. Lo portò al tavolo di lettura e lo iniziò a sfogliare, facendo sfrigolare la pergamena ingiallita ai bordi, ma ancora in buono stato all'interno del libro. Giunta ad una pagina, la tenne ferma con una mano, mentre con l'altra frugava nella propria borsa, fino a quando non estrasse le Memorie di Svenson. Facendo forza su se stessa per non essere nuovamente avvinta da quello scritto, sfogliò rapidamente le pagine, fino a quando non trovò un passo che confrontò con la pagina del volume preso dalla biblioteca di Malfoy Manor.
Dopo quella sensazione di riuscire a comprendere tutto, sentiva comunque la necessità di avere delle risposte assolutamente certe ed una l'aveva appena trovata. Portò indietro alcune ciocche di capelli, prima di ritornare all'inizio del volume scritto dalla mano dell'alchimista. Trasse un sospiro, mentre tentava di concentrarsi unicamente su quello che doveva fare come studiosa. Analizzò con una certa attenzione la pergamena, il tipo di scrittura utilizzato, il modo in cui erano tracciate le singole parole, piuttosto inusuale, fatto dovuto con ogni probabilità al mancinismo di Svenson, il colore dell'inchiostro, poi passò alla rilegatura. Mentre passava una mano nell'interno della coperta del libro, le parve di trovarvi delle anomalie. Si bloccò e tastò meglio, avvicinando al contempo gli occhi al libro.
C'era un piccolo rigonfiamento, talmente sottile, da non essere subito percepibile. Frugò nella sua borsa e ne estrasse un piccolo tagliacarte, per poter poi avvicinarlo alla coperta del libro. Lo fece scorrere tra la pelle all'esterno e l'interno, sciogliendo la cucitura di una piccola tasca. Con una certa eccitazione riuscì ad estrarre un foglio di carta, di una carta di buona fattura piuttosto sottile. Prima di analizzarne il contenuto la portò verso la luce della finestra, riscontrandone immediatamente la filigrana che, dal disegno piuttosto complesso, poteva essere fatta risalire ad una qualche cartiera di Fabriano, il che poteva gettare luce su una parte piuttosto oscura della biografia di Svenson, facendole ipotizzare un viaggio in Italia durante la sua gioventù.
Scosse il capo, allontanando da sé questo pensiero, per poi stendere meglio sul tavolo il foglio. Quasi sobbalzò quando si rese conto che quella era una piantina completa di Malfoy Manor, come doveva essere ai tempi di Svenson. Notò alcune differenze nell'assetto del pianterreno, ma quello che colpì fu ben altro.
Come aveva immaginato fin da principio erano presenti dei passaggi e delle stanze segreti. Alcuni forse erano andati persi con i cambiamenti apportati dai Malfoy alla magione. Sicuramente quella era stata la sorte del passaggio che si apriva in una parete divisoria ben più spessa del dovuto, che attraversava quello che successivamente era divenuto il salone dei ricevimenti, prima di essere abbattuta. Eppure era certa che due dei passaggi fossero ancora utilizzabili nella casa.
Sentiva dentro di sé crescere la curiosità e la volontà di andare a vedere di persona e forse l'avrebbe fatto in quel momento stesso se qualcuno non si fosse avvicinato a lei.
«Signorina O'Connor. - la giovane donna si voltò verso il maggiordomo che stava alle sue spalle, troppo lontano fortunatamente per notare cosa stava esaminando - il signor Malfoy la prega di voler condividere il pranzo con gli abitanti del Manor.»
«Si è fatto così tardi?» domandò Deirdre, mentre sistemava i libri, stando ben attenta a non mostrare a Green la mappa della magione.
«È l'ora del pranzo, effettivamente, signorina.»
La giovane donna annuì, levandosi in piedi e seguendo Laurence fuori dalla stanza, raggiungendo ben presto la sala da pranzo. Con suo grande sollievo le era stato riservato un posto dalla parte opposta del tavolo rispetto a dove si trovava Zephyrus. Prima di sedersi ringraziò cortesemente il padrone di casa, poi iniziò, imitando gli altri, a mangiare lo sformato di verdure estive che aveva davanti.
Di tanto in tanto lanciava un'occhiata agli altri commensali, chiedendosi il motivo di tutto quel silenzio. Nessuno pareva disposto a scambiare una sola parola con uno degli altri. Megan Malfoy pareva voler perforare con lo sguardo la bambinaia. Poco distante Laureen Mallory era intenta a mangiare con gusto, forse l'unica di tutta la tavolata. Deirdre sorvolò la figura di Zephyrus. Sentiva i suoi occhi addosso, anche senza doversene accertare, preferendo concentrarsi sulla giovane Zurrey che sedeva giusto accanto ad Abraxas. Ma più di tutti fu l'uomo ad attrarre la sua attenzione e non perché pareva evitare di guardare la moglie, preferendo focalizzare la sua attenzione su Charlotte, ma per un particolare che la fece quasi sobbalzare. Tagliava con la sinistra, chiaro segno di mancinismo.
Scosse appena il capo, scacciando quell'immagine dalla mente, mentre si concentrava su una nuova portata, senza più scrutare nessuno degli altri commensali.
Dal suo posto Charlotte mangiucchiava con fare nervoso. Il nuovo interrogatorio che aveva sostenuto l'aveva lasciata spossata e allo stesso tempo priva di appetito. Probabilmente se non fosse stata per la vicinanza di Abraxas non sarebbe riuscita nemmeno a portare alle labbra quel poco cibo che riusciva ad inghiottire.
Mentre tutti attendevano che comparisse la frutta, la tensione già palpabile precedentemente si fece sempre più forte. A Charlotte parve che oltre ad avvolgere lei, Abraxas e Megan, schiacciasse anche Zephyrus e Deirdre, ma quello che accadde subito dopo le impedì di pensare alla cosa.
Aveva portato, come per quasi tutta la durata del pranzo, lo sguardo su Abraxas e aveva notato che i suoi lineamenti si stavano facendo contratti. Deglutì appena a vuoto, giusto pochi istanti prima che l'uomo scivolasse dalla sedia sul pavimento in preda alle convulsioni. Senza riflettere si alzò in piedi e si inginocchiò accanto a lui, spostando con un colpo di bacchetta qualsiasi oggetto l'uomo potesse urtare con la testa. Intorno al tavolo si era scatenato un certo panico. Megan si era alzata, osservando disgustata il comportamento della Zurrey, così svergognato, anche in un momento come quello, Zephyrus pareva come fuori di sé e Deirdre era scattata in piedi e repentinamente impallidita, non appena aveva visto meglio il modo in cui Abraxas si dimenava in quel momento.
« E in questa casa sempre alloggerà lo spirito di Necraha. Si impossesserà degli uomini deboli, li farà impazzire, li scuoterà con convulsioni e spasmi.»
«Cosa sta dicendo, signorina O'Connor?» domandò Megan, puntando gli occhietti neri sull'irlandese, curiosa e inquieta.
«Niente…io pensavo ad alta voce…» mormorò la giovane, scuotendo appena il capo.
«Forse ti stai riferendo a qualche scritto che hai consultato in questi giorni?» domandò Zephyrus come se si fosse ridestato da un lungo torpore.
«Svenson, uno scritto di Svenson.» disse Deirdre in un soffio.
«È noto che chi soffre del male da cui è stato colpito il signor Malfoy è indemoniato.» biascicò il bibliotecario.
«Sono tutte sciocchezze, signor Macniemand. - sbottò nervosamente Charlotte, che ancora era inginocchiata accanto ad Abraxas, le cui convulsioni stavano lentamente attenuandosi - L'epilessia non ha nulla di diverso dalle altre malattie.»
Tutto quello che ottenne con quella frase fu uno sguardo sprezzante da parte di Megan e le occhiate incredule di Deirdre e Zephyrus.


Ecco a voi un altro capitolo!! Speriamo che vi possa piacere.

Un grazie particolare a:

Vekra: Siamo contenti per le parole che spendi su Thimoty! Così come siamo contenti di leggere tutte le tue annotazioni, il modo in cui trovi interessanti i fatti del capitolo scorso. Sappici dire cosa pensi di questo! Grazie mille per i complimenti!!!

Thiliol: Come puoi notare non sei l'unica a pensare che il demone combaci con le crisi epilettiche di Abraxas. Siamo contenti che il capitolo scorso ti sia piaciuto. Sappici dire cosa pensi di questo! Grazie per i complimenti!

Un grazie alle persone che hanno posto la storia tra i preferiti e a chi legge soltanto!

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Capitolo 28
*** Capitolo XXVIII ***


Capitolo XXVIII

Gli attimi che succedettero la crisi epilettica furono saturi di una generale tensione che, per una causa inspiegabile, nessun volto lasciò trasparire. Si consumarono lunghi minuti insopportabili e soffocanti prima che le pupille grigio-azzurre di Abraxas si rimettessero a posto di scatto. Senza preavviso l’uomo, nel tentativo di occultare il proprio imbarazzo e recuperare il contegno perduto, cosa che gli riuscì in maniera esemplare, si resse in piedi e, chiesto il permesso ai banchettanti, andò ai lavandini per sciacquarsi il volto. Charlotte restò interdetta, coi piedi incollati per terra a pochi metri dall’entrata, ma la sua mente non fu capace di prendere alcuna decisione, malgrado, o forse proprio a cagione, di quella forza pressante che ribolliva nel suo animo in attesa di essere sfogata. Sapeva solo che il cuore le batteva con velocità inaudita, che non le importava un bel niente di Megan, di quegli occhi indiscreti e maligni intenti a sondarle il viso, dell’onore della famiglia Malfoy, del suo stesso senso di dignità; in quell’istante di massima confusione, tutto, ma proprio tutto, ruotava intorno ad Abraxas, e il resto occupava una posizione marginale e secondaria nell’universo dell’uomo verso cui nutriva un amore sconfinato e inesprimibile. Lanciò uno sguardo alle pietanze, ai volti seri e tranquilli dei commensali, che sembravano molto, forse troppo distanti da lei, poi ad Abraxas che andava via dalla sala, quindi nuovamente agli uomini e alle donne assiepati intorno al tavolo di ciliegio. Allora la strada giusta le si mostrò con una chiarezza tale da non lasciar adito a tentennamenti. Dimenticò l’ambiente avverso in cui aveva pranzato e, gettando alle ortiche il proprio decoro, emise un’imprecazione di accusa contro i commensali, ignorando tutto e tutti, dando le spalle alla tavola, seguendo poi l’amante con risolutezza fin troppo eccessiva mentre Megan si divertiva a pungolarla con occhiate bieche.
Laureen tirò su col naso, contraendo i muscoli del volto per partecipare adeguatamente al quadro di amarezza venutosi a creare e, nel contempo, distogliere l’attenzione dall’improperio di Charlotte.
«E’ uno spettacolo agghiacciante… Oh, povero Abraxas, in quelle tremende condizioni! Che dramma deve essere, per lui, vivere con la consapevolezza che da un attimo all’altro può coglierlo una delle sue crisi, producendo irreparabili conseguenze. – Si girò verso Megan, che le sedeva accanto. – Non è forse vero ciò che dico, mia cara? Tuo marito è proprio un uomo coraggioso.»
«Proprio coraggioso!» biascicò la donna, scattando in piedi immediatamente e cominciando a martellare il pavimento col tacco dei sandali, per poi seguire la scia del marito lasciandosi dietro un’ondata di palpabile stizza.
Deirdre cercò conforto occhieggiando tutto quello che le stava attorno, ma gli unici occhi pronti a consolarla appartenevano a Zephyrus, il quale la stava fissando con interesse morboso e doppi fini a lei ignoti. La saggista ricusò quello sguardo persistente e si smarrì con l’immaginazione nel cielo plumbeo, che aveva ripreso, dopo una precaria stasi, a rilasciare gocce d’acqua taglienti come lame.
“Un cielo tanto simile a quello che faceva da sfondo nell’incubo di stanotte!” pensò, mentre le parole di Svenson ancora le carezzavano il cervello con la delicatezza di demoni bugiardi.
“E in questa casa sempre alloggerà lo spirito di Necraha. Si impossesserà degli uomini deboli, li farà impazzire, li scuoterà con convulsioni e spasmi.” le disse una voce, rimpiazzata presto da un pensiero che affiorò nella sua mente all’improvviso.
Si era quasi dimenticata le parole di Abraxas Malfoy relative ai passaggi segreti del Manor.
«E' probabile che io non ne sia a conoscenza. Quando ereditai la casa, mio padre non fece accenno a passaggi.»
Era senza dubbio possibile, ed anzi molto verosimile, che il padrone di casa non avesse avuto notizia, in vita sua, degli accessi nascosti presenti nella vecchia magione, dei varchi e dei cammini segreti che le mura camuffavano e di cui si parlava nella piantina che lei aveva scovato all’interno della coperta di marocchino rosso giusto pochi minuti prima. Ciononostante, forse a causa della strana sensazione che la crisi epilettica aveva suscitato in lei, Deirdre si sentì portata a dubitare delle parole, prima giudicate veritiere, di Abraxas Malfoy. Si ripromise di chiedere il permesso, allorquando si fosse ristabilita la calma e dimenticata la crisi epilettica, di visitare il Manor parte a parte nella speranza di individuare i passaggi segreti cui la piantina accennava. Non era da escludere che presto sarebbe potuta spingersi fino a una scoperta sorprendente.


Quando passò dinnanzi ai bagni, Megan scorse Abraxas e Charlotte stretti l’un l’altro in un tenero abbraccio. In quell’istante, la sua vista si oscurò.
Le venne voglia di entrare, di restituire lo schiaffo a suo marito e alla bambinaia, di porre fine alle ingiustizie di cui era vittima e, se necessario, di urlare a squarciagola per esternare tutto quel dolore e tutta quella rabbia che teneva ingabbiati nell’angolo più recondito del suo cuore. Ma quando studiò gli occhi di Abraxas e per la prima volta sentì di essergli lontana, rimase ferma sulla soglia, a spiarli come un’infante triste cui è stato portato via il giocattolo più prezioso. La verità si presentava lucidamente agli occhi della signora Malfoy: quell’uomo attraente da cui era stato condotta all’altare non l’aveva mai amata, ed era inutile continuare a ingannarsi, fingendo che la situazione potesse essere ricucita se solo Charlotte si fosse allontanata dalla magione. Non era lei, non era la bambinaia che aveva fatto disamorare Abraxas, né la donna su cui avrebbe dovuto riversare il suo disprezzo; i colpevoli erano la vita stessa e, soprattutto, quel dio in cui da bambina aveva stolidamente creduto, quel dio che l’aveva fatta così brutta, misera e infelice. Le vennero in mente le frecciate di Laureen, le proprie invettive contro Abraxas e quel suo attaccamento adultero, le scene ridicole di cui si era resa protagonista per colpa di qualcuno che non le aveva mai voluto bene, nel vano tentativo di medicare una ferita insanabile.
“Megan, cosa hai avuto da questa vita?” si chiese.
Il sorriso di Lucius le balenò, come un raggio di luce, nella mente ottenebrata dal dolore, ma automaticamente vide il figlio piangere tra le braccia della bambinaia, con il suo pupazzo prediletto in mano.
«Credo di aver già avuto modo di dirti, Megan, che questo argomento è chiuso. Torna in camera.» E dopo un lungo periodo in cui la donna era andata alla deriva nell’oceano della disperazione, il suo odio le si ritorse contro, dilaniandole il cuore. Sentì la gola arsa, come chi ha urlato e soffocato le lacrime per ore intere.
Abraxas e Charlotte Zurrey si scambiarono un bacio. Correndo per gli anditi, con le lacrime che le rigavano il viso screpolato, piovendo giù sul pavimento levigato, Megan raggiunse il salottino estivo, chiuse la porta a chiave e si gettò sconsolatamente sulla panca di vimini.
“Voglio andare via! – si disse. – Il mondo è falso, crudele, cupido, ed io inutile, illusa e malvagia. Portami via con te, se esisti! Adesso! Adesso!”
Percepiva, nel dirsi queste parole, una forte pressione alle tempie che le faceva mormorare gioiosamente: «E’ finita, sto per morire. – Subentrava quindi la spiacevole consapevolezza di trovarsi ancora in quel mondo tanto abietto. – E anche se morissi? Nessuno piangerebbe per me, per l’inutile, illusa e malvagia Megan Dippet, tradita dal marito, scordata dagli amici.»
Più pensava alla propria vita, più sentiva di essere inutile, illusa e malvagia. Ad un tratto si ricordò di Lysiart, forse l’unico Malfoy che non si era comportato in modo spregevole nei suoi confronti. E che ne era di Lysiart? Marciva nella sua tomba, ridotto a una futile salma sbrindellata.
“Che vita magnifica ci hai donato! Oh, Dio, come potrei esserti grata? Non mi hai dato niente, preferendo gli altri a me.”
La bufera impazzava fuori dal Manor. Megan udì la voce di Abraxas che diceva: «Non può andarsene proprio ora, signorina O’Connor. Parola mia, è forse il temporale più spaventoso cui mi sia capitato di assistere in tutta una vita.»
Megan lasciò che il silenzio interiore la avvolgesse. Aveva trovato una poesia nel cassetto di Abraxas, qualche giorno prima. Lysiart doveva averla scritta in un momento di angoscia esistenziale. L’aveva letta tante volte che era riuscita a impararla a memoria. Cosa diceva?

«Come un topolino in gabbia,
Come un prigioniero ad Azkaban,
Così è il viver mio.
Soltanto oppressione
Anche là dove speravo di trovare libertà.
Oppressione.
Catene
Schiavitù.
Cos'altro è la mia vita se non un cadere da una prigione ad un'altra?
»

“Oppressione, catene, schiavitù.” rifletté Megan. “Non è forse anche la mia vita un soffocamento continuo?”
Ripensò all’altra poesia di Lysiart che conosceva.

L’infausta rovina,
il triste segreto.
La Burattinaia
si cela qui dietro.


Megan chiuse gli occhi. Nel buio della mente le si affacciarono immagini confuse. Charlotte… Ottilia… Patrick… Un quarto ricordo la spiazzò totalmente. Spalancò la bocca estasiata e saltò giù dal divanetto di vimini.
«E’ assurdo, impossibile! Eppure…»
Cinque minuti dopo, in camera propria, scriveva:

Cara Rosamund,
ho bisogno di parlarti al più presto ed in privato. Lascia che la tempesta si plachi, poi raggiungimi al Manor. Credo di aver capito cosa è successo a Lysiart. Ti spiegherò come ho fatto a tempo debito.

Tua affezionatissima,
Megan Malfoy.


Ripose frettolosamente penna e lettera in un cassetto, riuscendo, per fortuna, a non farsi scorgere da Abraxas, che avanzava nella sua direzione. Avrebbe mandato al più presto un gufo all’Auror.
Il caso, ne era certa, stava per essere risolto.


Abraxas, stremato dalla crisi epilettica, scelse di affondare sotto le coperte la propria stanchezza. Entrato in camera, vi trovò la moglie seduta allo scrittoio e rispettò il silenzio religioso in cui ogni oggetto pareva ravvolto, focalizzando la concentrazione su Megan con una sorta di fittizia noncuranza, prima di sdraiarsi, dimenticando poco dopo che gli sembrava di aver visto compiere alla moglie un gesto sbrigativo proprio nell’attimo in cui egli aveva oltrepassato la soglia.
Non per molto Megan fu in grado sopportare l’assenza di rumori in cui la stanza da letto sembrava assopita. Dapprima si alzò, scalpicciando seccamente ed espirando inquieta; poi, non contenta, sentì la voglia di instaurare un seppur banale dialogo col marito, malgrado l’incrollabile muro di inimicizia che si frapponeva nei loro rapporti quando uno dei due apriva bocca per fiatare, sentì la voglia di rompere quell’inerzia molesta, probabilmente allo scopo di convincere se stessa che la circostanza per cui soffriva non era destinata a protrarsi in eterno. Stavolta c’era un elemento ulteriore, qualcosa di fondamentale che avrebbe dovuto rivelare al marito. Sapeva chi era l’assassino di Lysiart e, ora come mai, le premeva annunciare a qualcuno la sua identità. Rosamund sarebbe arrivata solo qualche ora più tardi, forse nel tardo pomeriggio, e non era disposta ad attendere troppo tempo, poiché tanto più i segreti sono interessanti, tanto più, com’è ovvio, si vuole comunicarli. E Megan giudicava più che interessante il segreto che aveva scoperto. Quanto forte sarebbe stata la sensazione di appagamento allorché Abraxas le avesse detto che era nella giusta strada, che aveva scoperto l’assassino ed era stata sagace, non come quell’insolente di Charlotte Zurrey, sempre lì a balbettare frasi di difesa con quella sua manierosa e vomitevole dolcezza, a profondersi in gesti zuccherosi e parole adulanti, con l’aria fastidiosissima di un’innocente condotta al patibolo.
Suo marito stava nervosamente dormicchiando e si volgeva di continuo fra le coperte, sopraffatto ora ondate di calore, ora da brividi freddi. Megan ne fissò i lineamenti netti ma non grossolani, sognando ancora, e per l’ennesima volta, che quell’uomo avvenente la amasse e tagliasse i rapporti affettivi con l’estranea approfittatrice che lo aveva irretito.
«Abraxas…» disse Megan, ma ebbe paura della propria voce e sperò che il marito non l’avesse udita.
Scosse dunque la testa, di modo che, se Abraxas si fosse voltato verso di lei in quel momento, non avrebbe avuto cura di ciò che gli sembrava di aver udito, concludendo che si trattava di una faccenda futile per cui non valeva la pena di spendere energie.
“Ne parlerò a Laureen” pensò Megan, mordicchiandosi il labbro. Ma il ricordo delle parole crudeli che erano uscite dalle labbra della vecchia cugina dopo il pranzo la indussero a mutare proposito. Passò in rassegna tutti gli abitanti del Manor, ponderando da ogni lato la sua scelta. Nessuno le sembrava adatto ad ascoltare ciò che aveva intuito. E, in fondo, sentiva un bisogno bizzarro di tenere per sé quella verità svelata. Il piacere del rischio la convinse che per un po’ non avrebbe condiviso la sua scoperta.
“Se sapesse che so, mi ucciderebbe. Ma sarò abbastanza accorta da non farglielo intuire immediatamente.” si disse, guardando fuori dalla finestra chiusa.
Battaglioni di nubi guerreggiavano senza tregua nella volta plumbea, somigliante a un nero calice rovesciato. Si udiva il frullare di corvi e cornacchie nell’aria refrigerata di quell’infausta estate. Pioveva a dirotto e Megan, ferma, di fronte alla finestra, a meditare, non era affatto sicura che il gufo sarebbe arrivato dall’Auror sano e salvo. Decise comunque di provare a inviarlo, dato che il pensiero di riferire i suoi timori a Rosamund in parte la tranquillizzava, in parte la scuoteva con uno stimolo adrenalinico.
Cinque minuti dopo il gufo partì di volata, con la meta del tutto chiara in mente ed il fatidico biglietto legato alle zampe.


Al secondo piano, Deirdre deambulava lentamente con la cartina del Manor fra le mani. Sollevò la testa quando scorse, attraverso i vetri, le ali di un gufo che si affannava in mezzo alla bufera e non poté fare a meno di chiedersi chi l’avesse mandato. Per un attimo la paura che Abraxas fosse sveglio la assalì, insinuandole nell'animo l’intenzione di tornare indietro.
«Non posso. – proferì ad alta voce, per spronarsi a seguitare nella missione. – Sono in ballo, ormai…»
Sicuramente Abraxas l’avrebbe rimproverata, anche in maniera piuttosto aspra, se avesse scoperto quello che stava per fare.
Deirdre camminò a passo svelto fino a che non giunse davanti all’entrata del laboratorio.
La scritta “Vietato l’ingresso” campeggiava al centro della porta, con un’aria austera che conferiva all’ordine riportato una nota di perentorietà. Nondimeno la mano di Deirdre si posò sulla maniglia, che emise uno scatto secco, rivelando l’interno dello studio chimico.
Non aveva sperato di essere tanto fortunata. Abraxas, evidentemente con l’idea di tornare al laboratorio dopo pranzo, non aveva chiuso la camera e se n’era andato a dormire. Deirdre doveva approfittarne, risoluta com’era a far luce sul dubbio che la tormentava da tempo.
Non appena fu entrata, si chiuse la porta alle spalle e proseguì fra le volute di miasma che aleggiavano ovunque. Secondo la piantina, a pochi metri da lei si nascondeva un passaggio segreto.
Fece qualche passo, nel continuo timore di essere sorpresa. Infine arrestò la sua inquieta marcia dinnanzi al diploma da medimago del padrone di casa, appeso sopra un pezzo vuoto di parete, dietro cui, stando alla mappa che aveva snidato dalla coperta di marocchino, si celava un varco risalente ai tempi di Svenson.
Il muro, come Deirdre ebbe modo di notare, non presentava dei segni distintivi. Le mattonelle erano incastrate fra loro in modo assolutamente ordinario e non c’erano dettagli capaci di richiamare in maniera speciale la sua attenzione. Deirdre sapeva perfettamente che l’apparenza, specie in case misteriose come Svenson Manor, taceva il più delle volte segreti ed arcani.
Diede quattro colpi sul muro con il pugno chiuso, quindi attese, ma non accadde niente. Provò allora ad articolare la formula di un sortilegio, ed ebbe la sensazione che qualcosa si fosse mosso nella parete. Infine, ricordando il metodo che aveva utilizzato in altre circostanze affini per schiudere varchi magici, fece scorrere la punta della bacchetta lungo le scanalature del muro, le quali, in pochi attimi, rifulsero di una luce azzurrina.
La porta dell’accesso si spalancò senza produrre nemmeno il più fiacco rumore.
«Signor Malfoy, durante la sua permanenza in questa casa ha avuto notizia di passaggi segreti nascosti nelle pareti?»
«No. Quando ereditai la casa, mio padre non fece accenno a passaggi.»

“Bugie!” pensò Deirdre. “Indubbiamente il dottor Malfoy conosce questo passaggio, ed anche bene.”
Nella camera nascosta si trovava infatti una quantità spaventosa di ampolle, recipienti, boccette, fiale, vasi comunicanti, calderoni, scaffalature traboccanti di involucri in plastica. Ma ciò che più attirò l’attenzione di Deirdre furono quegli strani frutti verdi-giallasti, molto simili a mele, che si scorgevano in fondo alla stanza, appesi ad un uncino.
“Non dovrei essere qui!” ponderò con rammarico, urtando una grossa boccetta contenente un liquido denso e profumato, forse un'essenza di rose, che le inebriò il cervello e la paralizzò per diversi istanti. “Ma non importa! Se il dottor Malfoy voleva tenere nascosto questo passaggio, avrà mentito anche sugli altri. Ciò significa che…”
Accigliata, indicò con la bacchetta un accesso che, secondo la mappa, si apriva in una zona poco distante del secondo piano.
“…anche questo passaggio è certamente in funzione. Devo parlare con i padroni di casa stasera stessa.”


Il nubifragio ormai declinava, e le ombrose nubi, in un danza soave, migravano verso Oriente, simili a fenici dalle ali plumbee che seguano una melodia esotica, talvolta lacerate da morbide lame che aprivano finestre sullo sfondo. Macchie di forma mutevole, affrescate con la vernice di un cielo crepuscolare, si dilatavano e ramificavano in ogni direzione: le tonalità bluastre andavano a morire felicemente in laghi di nero pastoso e il connubio di diversi colori acquerellava ritratti paesaggistici di somma bellezza. A rilento le gocce d’acqua piovana colavano dal tetto della magione, infangando l’erba fresca del giardino, mentre impasti di terra ed acqua si spandevano a macchia d’olio sul terriccio inumidito. Pur essendosi quietata, l’atmosfera giurava un nuovo acquazzone estivo. Non si percepiva il minimo sentore d’afa, e ogni luogo era immerso in una dolce freschezza primaverile.
Megan Malfoy attraversò il giardino in direzione della cancellata; i suoi sandali lasciarono impronte ben definite sul terriccio, malleabile come cera fusa.
Rosamund Jameson l’attendeva oltre il muro di cinta, guardandosi intorno con palese trepidazione. Adesso che aveva scoperto ogni cosa sull’omicidio, Megan guardava l’Auror con occhi nuovi, sentendosi più sagace e ingegnosa di lei e non vedeva l’ora di comunicarle i dettagli sugli omicidi, i quali, ne era certa, l’avrebbero sconvolta. L’Auror salutò l’amica con calore, camminando sveltamente per il giardino. Percorsero un sentiero che serpeggiava lungo i margini del cortile e raggiunsero infine una radura fuori mano, attorniata da un miscuglio inestricabile di platani e ontani, molto discosta dall’entrata della magione. Mentre si appartavano, qualcuno, da una finestra del secondo piano, le scrutava col terribile sospetto che il suo piano stesse per essere sventato. Nel vedere Megan che scendeva con velocità inusitata per accogliere l’Auror, aveva intuito subito che qualcosa di strano era accaduto. Di lì a sospettare che la donna avesse compreso quanto c'era da comprendere il passo era stato breve.
«Ti sconcerterà, Rosamund. – esordì Megan, cogliendo l’occasione per esibire le sue encomiabili doti teatrali. – Voglio che nessuno ci senta, ed è per questo che ti ho condotta qui. Ho intenzione di non rivelare al mondo intero l’identità del colpevole, perlomeno non adesso. Sono riuscita a capire ogni cosa dopo una crisi epilettica di Abraxas. Mi ero rintanata nel salottino estivo. Dapprima la verità mi è sembrata fin troppo assurda. Quando ho avuto la certezza di essere approdata alla soluzione del mistero di cui tu ti stai occupando, mia cara Rosamund, non stavo più nella pelle.»
L’Auror annuì, esortando l’amica a rivelare il nome dell’assassino. Megan lo pronunziò molto in fretta, passando subito all’argomentazione della sua tesi. Proprio mentre la stava esponendo, sentì un ramo spezzarsi fra i cespugli, un’imprecazione sorda e uno scalpiccio. Si voltò appena in tempo per vedere una figura misteriosa che sgusciava nell’albereto della magione. I suoi gesti furono immediati, ma non giovarono a granché. Quando si aprì una breccia tra i cespugli, Megan dinnanzi a lei non vide che il profilo bieco della magione. La figura, chiunque fosse, si era dileguata.
«Torno subito.» disse all’Auror, che era rimasta nella radura col volto sbiancato, sconvolta dalla rivelazione di Megan.
Mentre la padrona si allontanava, Rosamund sentì affluire il sangue alla testa. Aveva il timore che qualcuno avesse udito la loro discussione. Era certa che un abitante del Manor si fosse nascosto per origliare e poi fosse fuggito.
Anche Megan era in ansia. Alzò gli occhi verso le finestre del secondo piano. Le tendine erano tutte chiuse. La figura che poco prima aveva osservato dall’alto Megan e Rosamund che si appartavano si era precipitata al pianterreno il più velocemente possibile, aveva attraversato il giardino, ascoltando parte della discussione fra le due donne. Accidentalmente aveva urtato una pietra, rovinando per terra e schiacciando un gruppo di sterpi con le ginocchia. La figura misteriosa era certa che Megan fosse partita subito per inseguirla; tuttavia la padrona di casa non l’aveva vista in faccia, su questo non c’era dubbio. Era sgattaiolata via dalla donna, entrando nel Manor prima che potesse ripercorrere il sentiero.
Dieci minuti più tardi, Rosamund, non vedendo tornare l’amica nella radura, entrò in apprensione. Si guardò intorno, cercandola con rapide occhiate, ma non riuscì a trovarla. Il nervosismo del suo animo sfociò in un gesto che denotava una sentita paura. Corse fino all’ingresso della magione, credendo di trovarvi l’amica. Non si ingannò. La signora Malfoy se ne stava dinnanzi all’ingresso, con gli occhi che saettavano sulla figura di Charlotte, quanto mai tranquilla e serena nella sua giacca felpata, portando Lucius in braccio.
«Che ci fa lei qui, signorina Zurrey?» aveva chiesto Megan accigliata.
«Ho portato in giardino Lucius come di consueto, signora Malfoy.»
«Sa che è vietato ascoltare le discussioni private.»
«Vuole forse accusarmi di un reato che non ho commesso? Non ho idea, realmente, della discussione alla quale si sta riferendo. Come ho avuto modo di dirle or ora, portavo a spasso Lucius.»
Rosamund giunse in quell’istante vicino all’amica, esclamando: «Credevo di non trovarti, Megan! Mi sono preoccupata.»
«Forse ho trovato la persona che abbiamo visto fuggire dalla radura, mia cara. Tanto per cambiare, è Charlotte Zurrey la ficcanasa.»
Rosamund si mostrò piuttosto imbarazzata. Charlotte Zurrey squadrò l’Auror dalla testa ai piedi e con estrema curiosità, mentre Lucius si dibatteva fra le sue mani.
Quel greve silenzio finì con l'ingresso in scena di Deirdre, che, dopo il temporale, andava via dal Manor. Megan si voltò per fulminare Charlotte, mentre Rosamund salutò cordialmente la bambinaia e la saggista. Il segreto nascosto sembrava aleggiare sulle quattro donne.


Ecco a voi un altro capitolo!
Un grazie particolare a Vekra e Thiliol per le loro spettacolari recensioni. Purtroppo non abbiamo il tempo necessario per rispondere come si dece alle vostre recensioni.
Un grazie a chi legge soltanto e a chi ha messo la storia tra i preferiti.

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Capitolo 29
*** Capitolo XXIX ***


Capitolo XXIX

Il silenzio continuò a pesare sulle quattro donne. Deirdre pareva non riuscire a trovare la forza di iniziare ad incamminarsi verso il cancello della magione. Charlotte sembrava essersi concentrata unicamente sul piccolo Lucius, il quale, incurante di quello che accadeva intorno a lui, giocava con i capelli della bambinaia. Megan, distolto lo sguardo astioso dalla giovane, l'aveva riportato su Rosamund, fissandola con i piccoli occhietti neri, ancora più piccoli se paragonati a quelli enormi dell'Auror.
«Credo che sia tempo per me di lasciarvi - disse la storiografa, rompendo il silenzio - Le mie ricerche mi sono state veramente molto utili.»
«Quali ricerche, se non sono indiscreta? L'ultima volta che l'ho vista ho unicamente colto che sta scrivendo un nuovo libro.» domandò l'Auror, fissando incuriosita Deirdre.
«Esattamente, signorina Jameson. Si tratta di un saggio sull'alchimia tra i secoli XV e XVI. Immagino saprà che prima che i Malfoy acquistassero il Manor, questo fu di proprietà di Elwood Svenson, uno dei più importanti alchimisti inglesi del suo tempo. Una figura sicuramente affascinante, per quanto vi sia un che di agghiacciante che lo circonda. - la giovane donna fece una pausa, abbozzando un sorriso a mo' di scusa - Mi perdoni, signorina Jameson. Ogni volta che parlo dei miei studi parlo troppo. Margie la chiamava esaltazione da vicende vecchie e dimenticate.»
«Margie?» domandò l'Auror.
«Hilda, intendevo dire. Quando arrivò a casa nostra ero troppo piccola per pronunciare bene il suo nome, così iniziai a chiamarla Margie, utilizzando il suo secondo nome, e da allora non ho smesso di utilizzare questo nomignolo.»
Charlotte, che, da quando Deirdre aveva iniziato a parlare, seguiva con attenzione la conversazione, notò la tristezza che si era fatta lentamente strada nella voce della storiografa. Con un gesto impulsivo strinse maggiormente a sé Lucius.
«Non voglio trattenerla oltre, signorina O'Connor. - disse l'Auror, gentilmente - Spero unicamente di poter leggere quanto prima il suo saggio. Deve essere veramente un argomento affascinante.»
Deirdre arrossì leggermente, per modestia, poi fece qualche passo, bloccandosi quasi subito, scuotendo appena il capo.
«Sono un'incredibile sbadata. Sento la borsa stranamente più leggera. - una lieve pausa e un sorriso di scuse - Sono certa di aver scordato qualcuno dei libri che ho portato con me in biblioteca.»
Rosamund annuì leggermente, anche a nome della padrona di casa, che pareva essere terribilmente tesa in quel momento, mentre faceva girare lo sguardo sulle altre tre donne, come se non riuscisse a fermare mai la propria attenzione su nessuna di loro. La storiografa mormorò qualche parola di congedo e rientrò all'interno della magione.
Questo sembrò dare il via alle altre tre donne per muoversi. Con una sola occhiata Megan invitò Rosamund a seguirla. L'Auror salutò cortesemente la bambinaia, facendo un piccolo complimento, malgradito dal bambino, a Lucius, accarezzandogli appena, in maniera giocosa, il braccio e la manina. Lasciando Charlotte all'estero, l'Auror e la padrona di casa entrarono nell'ampio ingresso, il cui lampadario in vetro di Murano, spandeva una fioca luce, forse troppo fioca per il cielo grigio che si vedeva all'esterno. Due persone stavano parlando a voce piuttosto alta nei pressi della porta che immetteva nell'anticamera alla loro sinistra.
«Non c'è nulla da dire, Zephyrus. - stava dicendo decisamente seccata Deirdre - Te l'ho già detto e già ripetuto. Sono passati sei anni da allora. Perché devi assillarmi a questo modo?»
«Possibile che tu non capisca, Deirdre?» ribatté l'altro.
Entrambi erano ignari della presenza di Rosamund e Megan che, vinte da una dose naturale di curiosità, si erano poste in ascolto, fermandosi sulla soglia dell'ingresso, cercando di dare un senso alle parole del bibliotecario e della storiografa.
«Cosa dovrei capire, Zephyrus? - sbottò la giovane donna - Ti ho pregato di chiudere l'argomento, ti ho detto e ripetuto che ti ho già detto tutto quello che c'era da dire sei anni fa. Mi stai rendendo impossibile la vita, spero che tu te ne renda conto.» concluse leggermente più calma e pacata.
«Dannazione, Deirdre, adesso non ci sono più os…» l'uomo si interruppe di colpo, scuotendo il capo, sconvolto.
«Cosa vuoi dire, Zephyrus?» domandò l'irlandese.
Megan percepì perfettamente che la voce della storiografa si era fatta improvvisamente tesa, affilata quasi. E pareva che l'intero andito d'ingresso fosse come colpito da questo cambiamento di tono.
«Nulla….nulla…» disse l'altro, freneticamente, scuotendo più volte il capo.
Per diversi istanti Deirdre e Zephyrus rimasero immobili, poi la giovane donna, approfittando forse del silenzio dell'uomo, si voltò e scomparve oltre alla porta dell'anticamera. Il bibliotecario sembrava essersi ancorato al pavimento di pietra, dal momento che, anche quando Rosamund e Megan ripresero a camminare, facendo rimbombare il tacchettio delle loro scarpe per l'ampio locale, si mosse o disse qualcosa.
Le due amiche raggiunsero la scalinata e la salirono rapidamente, raggiungendo il primo piano. La padrona di casa si guardò intorno con fare leggermente furtivo, poi svoltò a sinistra, raggiungendo il salotto dove prendevano la colazione, vuoto a quell'ora del giorno.
«Credi che qui nessuno ci possa sentire, Megan? - domandò l'Auror - È già stato piuttosto increscioso che qualcuno ci stesse spiando presso gli alberi.»
«In questa stanza, forse. - disse l'altra donna, lanciando un'occhiata all'amica, prima di proseguire - Ma nessuno penserà che noi potremo essere in quella. - con un gesto della mano indicò una porta sulla parete settentrionale del salotto - Nessuno vi entra mai. È tenuta chiusa a chiave. So che non ci sono allarmi per determinare se qualcuno vi metta piede, perché una volta, vinta dalla curiosità, lo ammetto, l'ho vista.»
«Perché mai una stanza è tenuta chiusa a chiave, nel Manor?» domandò Rosamund, sgranando appena i grandi occhi verdi.
«Non lo so. È una decisione che è stata presa prima che io giungessi qui. Una volta ho chiesto ad Abraxas, ma ha soltanto scosso la testa, quanto a Lysiart è impallidito.» spiegò rapidamente la padrona di casa, mentre si avvicinava all'uscio, aprendolo con un semplice alohomora.
Oltre la porta si apriva un locale confortevole, una piccola libreria che scorreva ai lati delle pareti, con al centro alcune comode poltrone. Le due donne entrarono, chiudendosi rapidamente la porta alle spalle.


Deirdre raggiunse la biblioteca, quasi correndo, stringendo, poi, con le mani, come a volersi sostenere, uno dei tavoli di lettura. Sentiva ancora la rabbia, il fastidio, soprattutto, per quello che era avvenuto poc'anzi. Scosse appena il capo. Non riusciva a credere che Zephyrus potesse essere così tremendamente insistente, così pronto a opprimerla con domande di cui conosceva già la risposta.
Trasse uno o due sospiri fino a che non si calmò. Aveva cose ben più importanti da fare che non pensare al bibliotecario. Era tornata all'interno della magione con una misera scusa che, a quel che pareva, Megan Malfoy aveva preso per buona. Chi l'avesse conosciuta avrebbe sicuramente compreso che lei non avrebbe mai scordato uno dei suoi preziosi libri. Con uno scatto si recò fino alle scale di servizio che portavano al primo piano. Appena fu giunta sul pianerottolo, incappò nel maggiordomo.
Per un qualche miracolo non lasciò fluire dalle labbra il sospiro che aveva trattenuto, quando aveva notato una sagoma ed aveva capito che era troppo tardi per nascondersi. Temeva di incontrare una delle tre donne a cui aveva mentito. Non aveva nessuna scusa da propinare loro, nessuna che fosse plausibile. Scosse appena il capo, affrettandosi a rispondere alla domanda che Green le aveva rivolto gentilmente.
«Avrei necessità di vedere il signor Malfoy.»
«Credo che si trovi nel suo studio. È dove va di solito dopo aver superato una crisi epilettica. L'ho sentito, una volta, dire al suo defunto fratello, che riflettere su qualche oscuro ritrovato medico l'aiuta a tornar del tutto cosciente di se stesso.»
Deirdre sorrise appena alla cortesia del maggiordomo, annuendo, aggiungendo che non era necessario che l'accompagnasse.
Mentre saliva le scale che portavano al secondo piano pensava a come avesse potuto meditare un modo così contrario alle sue abitudini. In un'altra occasione avrebbe agito in maniera diretta. Sarebbe andata a cercare il padrone di casa e gli avrebbe parlato. Invece in quel frangente aveva preferito fingere di uscire, per poi rientrare nella magione con una scusa e poter così raggiungere il signor Malfoy, nella speranza che il tempo che le era occorso fosse stato sufficiente per far sì che l'uomo tornasse nel suo studio.
Percorse in fretta il corridoio del secondo piano, fino a raggiungere la porta che immetteva nello studio di Abraxas Malfoy, che pareva, per uno strano scherzo ottico, chiudere il corridoio orientale, il quale, ci si accorgeva in seguito, proseguiva in una stretta curva, circondando la parete della stanza, palesemente asimmetrica rispetto al resto della magione, ma la cartina che aveva trovato le rendeva noto il motivo di tale stranezza.
Si bloccò davanti alla porta, poi, con fare più deciso di quanto credesse veramente possibile, bussò alla porta. Non ci volle molto prima che qualcuno venisse ad aprire. Abraxas Malfoy sembrava corrucciato nell'incontrare il suo volto, ma la fece accomodare ugualmente.
«In cosa posso esserle utile, signorina O'Connor?» domandò, dopo che la giovane donna fu entrata.
«Si ricorda che le ho fatto delle domande sulla presenza di passaggi segreti nella magione…- lasciò la frase in sospeso, mentre frugava appena nella borsa, estraendone la mappa, tenendola piuttosto vicina al corpo - All'interno della coperta delle memorie di Svenson ho trovato una planimetria del Manor com'era all'epoca dell'alchimista. Vi sono segnati per lo meno due passaggi. Quando ho notato la cosa…beh…io non pensavo di fare nulla di sbagliato, dato che lei mi aveva detto che non era a conoscenza di nessun passaggio segreto all'interno della casa.»
«Dove vuole arrivare, signorina O'Connor?» domandò con una certa secchezza l'uomo, squadrando con attenzione il volto lievemente lentigginoso di Deirdre.
«Io… - la studiosa si umettò appena le labbra, prima di proseguire speditamente - ho scoperto che lei conosce perfettamente l'ubicazione di uno dei due passaggi…intendo quello che si trova in questa stanza.»
Entrambe le sopracciglia di Abraxas schizzarono verso l'alto, mentre il suo volto si faceva palesemente teso. Avrebbe volentieri maledetto quella storiografa ficcanaso, ma di certo, si disse, risponderle malamente o scacciarla di casa, non era il modo ideale per impedirle di spifferare ai quattro venti l'esistenza del laboratorio.
«Forse sarebbe stato meglio se avesse chiesto il permesso di vagare nella magione alla ricerca di vecchi passaggi.» decise di dire infine con tono neutro.
«Me ne rendo conto, signor Malfoy, e per questo le chiedo di perdonarmi. - Deirdre fece una pausa. Sembrava che la su buona stella per il momento la proteggesse. Si era aspettata una reazione ben diversa dal padrone di casa. Trasse comunque un leggero sospiro prima di continuare. - Però non riesco a capire perché mi abbia nascosto la presenza di questa stanza.» con il capo indicò la nuda parete sotto il diploma in medimagia.
«Non ritenevo che fosse di fondamentale importanza per lei conoscere una stanza del genere, piena di alambicchi medici e niente di più.»
«Eccetto delle sostanze proibite.» intervenne con una certa sfacciataggine Deirdre, pentendosi quasi subito delle sue parole, sotto lo sguardo improvvisamente cupo di Abraxas.
«Sono soltanto dei farmaci, signorina O'Connor. Credo che lei sappia cosa significhi farmaco in greco antico.» affermò l'uomo con una calma così contrastante con lo sguardo tempestoso che fece rabbrividire Deirdre.
«Sì. Un farmaco può essere sia salvare la vita che toglierla.» mormorò la giovane donna.
«Può ben capire però, signorina O'Connor, che, qualora entrasse nel laboratorio una persona non addentro alla medimagia, potrebbe accadergli anche qualcosa di grave. Basta inalare il contenuto di alcune sostanze per morire. - l'uomo fece una pausa, continuando a fissare con attenzione la storiografa - Per questo nessuno dovrà conoscere l'ubicazione del laboratorio. Nemmeno gli altri abitanti del Manor ne sono a conoscenza. Soltanto Lysiart, quand'era ancora in vita. Mi vedo costretto a chiederle di non farne parola nel suo saggio. - fece una breve pausa - Le posso assicurare che non v'era nulla, quando ho scoperto casualmente il passaggio. Soltanto una stanza ampia, vuota e polverosa.»
La donna annuì piano, senza parlare. Era certa che Abraxas Malfoy avesse ben altri motivi per tenere nascosta l'ubicazione del laboratorio. In fondo vi teneva sostanze proibite a norma di legge e questo non poteva far di certo piacere alle autorità. D'altro canto, però, non credeva nemmeno che il padrone di casa le utilizzasse per altro che non fosse la ricerca medica e, forse, fu questo a farla acconsentire.
«Poco fa ha parlato di un altro passaggio, signorina O'Connor.»
«Sì.» confermò Deirdre, mettendo a tacere qualsiasi altro pensiero.
«Dov'è ubicato?» domandò improvvisamente incuriosito l'uomo.
La giovane rimase per qualche istante immobile, poi poggiò la mappa sulla scrivania ordinatissima dell'uomo, mostrandogliela nella sua interezza.


Ottilia giunse al Manor il giorno successivo, un luminoso venerdì di luglio, che tanto contrastava con il giovedì precedente così colmo di lampi e fulmini, e pioggia. Teneva per mano il piccolo Timothy, il quale, ardeva dal desiderio di vedere la zia. Pareva quasi che stare accanto a Lotte fosse diventato un suo chiodo fisso e la madre, notando che soltanto quello pareva rendere il figlio più vivo, meno rattrappito nel suo dolore incolmabile, aveva deciso di accontentarlo.
Come l'altra volta fu Green a venire ad aprire loro. Il maggiordomo sorrise mestamente alla donna, mentre li faceva entrare dal cancello e li guidava lungo il sentiero. Timothy lo fissava arrabbiato e stranito. Non riusciva a capire cosa volesse dalla mamma quell'uomo allampanato e con il mento troppo lungo, tanto che nei momenti di rabbia, in cui pensava che volesse sostituire il padre, lo chiamava Mento-Lungo. Aveva sorriso alla mamma e quel sorriso non gli era piaciuto, però, forse alla mamma faceva piacere. Però se alla mamma faceva piacere, voleva forse dire che alla mamma non dispiaceva della morte di papà?
Il bimbo scosse il capo. Non poteva pensare una cosa del genere. La mamma aveva pianto tanto. La sua unica vera paura era che la mamma scordasse il papà per Mento-Lungo e lui non voleva che Mento-Lungo prendesse il posto di papà. Forse zia Lotte sarebbe riuscita a rassicurarlo, zia Lotte riusciva sempre a rassicurarlo, si disse.
Il maggiordomo confabulò appena con Ottilia, quando raggiunsero l'andito d'ingresso. Annuì e la condusse su per le scale, fino al secondo piano.
«Tua sorella dovrebbe essere nella stanza dei giochi. - disse, indicando la porta corrispettiva - Se non dovesse trovarsi lì, vienimi a cercare. Sono sul corridoio settentrionale di questo piano a controllare che gli elfi non facciano disastri nel pulirlo.»
«Ti ringrazio, Laurence. Per tutto.» mormorò rapidamente Ottilia, avvicinandosi all'uscio in noce, lucido, tanto lucido, da potercisi quasi specchiare. Si bloccò di colpo, quando sentì delle voci, attraverso il legno. Non fu tanto udire Charlotte parlare con Abraxas a stupirla, quanto le frasi che captò. Thimoty al suo fianco la guardava stranito, chiedendosi perché la mamma non bussasse alla porta.
«Sì…tua moglie ha detto chiaramente che non è educato ascoltare le conversazioni private…e proprio in quel momento è arrivata la Jameson.»
«Dannazione…- Ottilia accostò meglio l'orecchio alla porta. Al contrario dell'altra volta che aveva origliato la sorella non si sentiva così tanto in colpa. - …dobbiamo… - la voce si allontanò troppo dall'uscio per permettere alla donna di udire - …andrà tutto per il verso giusto, Lotte.»
«Lo spero, Abraxas. Mi sembra tutto così incerto, come se mi trovassi su un pavimento che sta per crollare.»
«Credo sia una sensazione comune, ad entrambi.» rispose di rimando l'uomo.
«Mamma, perché non entriamo?» mormorò Thimoty a voce bassa, per fortuna, si disse Ottilia.
La donna si voltò verso il figlio e si accucciò davanti a lui.
«La zia sta parlando e non è educato disturbarla. - fece una pausa - Ancora pochi istanti e la potrai vedere.»
Il bambino, nella sua ingenuità, o forse nel suo desiderio impellente di vedere zia Lotte, annuì, mentre la madre tornava a prestare attenzione alla conversazione oltre l'uscio.
«Ho trovato poco al riguardo. - stava dicendo in quel momento la sorella. Ad Ottilia parve che i due avessero cambiato improvvisamente argomento. - Pare che gli autori di storia babbana siano parchi di queste informazioni, o per lo meno lo siano quelli che ho consultato. E comunque nessun nome mi dice nulla.»
Ottilia scosse appena il capo, chiedendosi di cosa stessero parlando in quell'istante Charlotte e Abraxas Malfoy. Trasse un sospiro, ma prima che potesse bussare, un impaziente Thimoty aprì la porta di scatto. La donna lo seguì all'interno, chinando il capo, con fare di scusa, di fronte allo sguardo leggermente corrucciato del padrone di casa, o forse, si disse, la verità era che non voleva vedere la sorella in faccia.
«Tim! - esclamò Lotte, inginocchiandosi, poco istanti prima che il nipote l'abbracciasse forte - Non mi aspettavo di vederti così presto.»
«Volevo stare un po' con te, zia.» biascicò piano il piccolo, mentre la giovane gli accarezzava piano i capelli. Durante questo breve scambio di battute, Abraxas si ricompose e salutò cortesemente Ottilia, mentre il figlioletto, tra le sue braccia, osservava incuriosito Thimoty, la testolina voltata verso di lui.


Il foyer del teatro era pieno di donne abbigliate con ricercati abiti da pomeriggio, per quanto alcuni risultassero leggermente pacchiani, di uomini in perfetti vestiti tendenti al blu o al grigio. Alcuni raggi del sole di quella domenica di luglio illuminavano gli stucchi e gli affreschi. Il fumoir era già semipieno di gentiluomini che discutevano tra di loro, in mezzo alla lieve foschia grigiastra che le loro sigarette producevano. Solo qualche rara donna stava in loro compagnia, munita di bocchino.
Abraxas Malfoy, entrando nel fastoso ingresso di quel teatro di provincia, addobbato a festa, storse appena il naso di fronte a certe usanze babbane che riteneva di assoluto cattivo gusto. Eppure, doveva ammettere, che vi passava sopra pur di poter godere di qualche ora di buona musica. Ed in fondo chi lo avesse visto in quel momento non avrebbe mai potuto pensare di riconoscere in lui un mago. Sicuramente qualcuno di quegli azzimati gentiluomini di campagna o qualcuna delle loro spose, fin troppo imbellettate, sarebbe svenuto se lo avesse visto materializzarsi solo poco tempo prima in un boschetto che si trovava non troppo distante dalla piccola cittadina. Al suo fianco Charlotte, abbigliata con un vestito blu, l'unico vestito elegante da pomeriggio che possedesse, si teneva accanto all'amante, osservando attentamente quella moltitudine di volti. Le sembrava lontanissimo il momento in cui l'uomo aveva annunciato la mattina stessa che quel pomeriggio si sarebbe recato a teatro con lei, lo sguardo tagliente di Megan e il suo strano silenzio, gli occhi tra l'incredulo e il sorpreso di Laureen, lo stupore di Green, quel costante sentimento allucinato di Zephyrus. In quell'istante, mentre avanzavano all'interno del foyer illuminato da mille luci elettriche, così più violente delle candele a cui era abituata, le sembrava che l'atmosfera cupa e opprimente di Malfoy Manor fosse distante mille miglia, che tutto potesse andare veramente per il verso giusto.
Stavano quasi per raggiungere le scale, a sinistra dell'ingresso della platea, che li avrebbero portati nel palco che Abraxas aveva ereditato da una vecchia zia da parte di madre che aveva un amore pari al suo per la musica e l'opera, quando una voce li bloccò di colpo.
«Signor Malfoy! - disse un uomo sulla mezza età, con radi capelli grigi e due occhi di un incredibile blu scuro - Non avrei mai pensato di trovarla qui.»
«Signor Tovey, - rispose Abraxas, celando perfettamente i sentimenti che provava in quel momento, di certo non favorevoli a colui che lo aveva salutato - nemmeno io pensavo di trovarla lontana dal suo ufficio.»
Tutto dentro l'animo di Malfoy pareva prendere fuoco. Aveva pensato di non incontrare nessuno all'infuori di poco più di settecento babbani, quando aveva parlato con Charlotte di quella rappresentazione pomeridiana. Sembrava quasi che un demone maligno stesse volutamente giocando una qualche partita in suo sfavore.
«Sinceramente non sarei mai venuto se mia sorella, Iridia, non so se se la ricorda, non avesse insistito per portarmi con sé, dal momento che mio cognato si è preso una bruttissima febbre. Sa, con la tempesta di ieri… - l'uomo fece una pausa per trarre fiato, mentre la sua attenzione si focalizzava sulla giovane accanto al mago. Aggrottò appena le sopracciglia. Per quanto i coniugi Malfoy frequentassero raramente l'alta società magica, era pronto a mettere la mano sul fuoco che quella donna non era la moglie di Abraxas. - Temo di non conoscere la signorina.» aggiunse con un fare cortese che nascondeva la curiosità impellente.
«Charlotte Zurrey. - disse forse troppo rigidamente l'altro uomo, presentando la bambinaia - Edgar Tovey.»
«Piacere di conoscerla, signorina Zurrey. - disse affabilmente Tovey - Immagino di vedere nei paraggi, molto presto, anche sua moglie, signor Malfoy.»
Fu per un forte senso di controllo che Abraxas non congedò in malo modo quel maledetto ficcanaso. Rimase per qualche istante in silenzio, facendo uno sforzo su se stesso per non voltarsi verso Charlotte e sorriderle rassicurante.
«Mia moglie non è potuta venire, purtroppo. - rispose infine, tentando di dare alla voce un tono assolutamente mondano - Ma non potevo per alcun motivo perdermi questa rappresentazione di The Turn of the screw e non solo perché non ho mai avuto il piacere di assistervi prima, per quanto avessi progettato di andarla a vedere a Venezia alla sua prima assoluta l'anno scorso, ma per la presenza del compositore stesso sul podio.»
«E lei, signorina Zurrey? Per quale motivo si trova qui?» domandò Tovey, lasciando perdere per qualche istante la cortesia in nome della curiosità. Se vi fosse stata Iridia, che era andata in bagno a sistemarsi per l'ennesima volta il trucco, avrebbe potuto fare una domanda più sensata, ma era troppo interessato a conoscere che scusa si sarebbe inventata quella che aveva già etichettato come la giovane amante di Abraxas Malfoy.
«Ho avuto già modo di ascoltare altri lavori del signor Britten e li ho trovati tutti assolutamente interessanti.» affermò Charlotte con voce più sicura di quanto non si credesse capace.
«Capisco. Entrambi amanti della musica, a quanto pare.» commentò l'uomo, chiedendosi cosa avesse potuto attrarre un uomo come Malfoy verso quella giovane così ordinaria e sicuramente di famiglia decaduta, considerando quanto il vestito che indossava fosse assolutamente fuori moda. Soltanto in un secondo momento gli tornò in mente il rovescio che aveva subito la famiglia Zurrey poco più di trent'anni prima. Proprio un modo strano, con una donna assolutamente non della sua altezza, quello con cui Abraxas decideva di tradire per la prima volta la moglie, ancor più bizzarro se si considerava che stava portando l'amante a teatro, come se questa fosse la cosa più naturale del mondo.
«Esattamente.» rispose stringatamente Abraxas.
«Non vi trattengo oltre. - disse Tovey - Noto che la massa ha quasi del tutto abbandonato il foyer. È stato un piacere incontrarla signor Malfoy, signorina Zurrey.»
Charlotte trattenne a stento un sospiro di sollievo, quando ripresero a camminare, raggiungendo ben presto la porta del palco sedici di primo ordine, che Abraxas le aprì, facendola entrare. La giovane si accomodò su una delle due poltrone accanto al parapetto, mentre l'uomo si poneva a sedere sul divanetto alle sue spalle, come altri dei gentiluomini presenti in sala.
«Abraxas… - mormorò Lotte, voltandosi verso l'amante, osservandolo negli occhi - …io…sento…»
«Lo so. - la interruppe con un bisbiglio l'uomo, leggendone l'espressione - È un'altra cosa che condividiamo, ma ormai, lo sai….ne abbiamo già parlato.»
«Sì.» riuscì a dire la giovane, prima che si spegnessero le luci.
Non appena ciò accadde, subito dopo che Benjamin Britten fu accolto da degli scroscianti applausi, sentì una mano di Abraxas stringere la sua con forza e decisione.


Ottilia arrivò a Malfoy Manor quella stessa domenica pomeriggio verso le tre e mezza. Non teneva il figlio per mano, quel giorno. Era sola ed il suo unico desiderio era poter parlare al più presto con la sorella.
Fu sorpresa quando vide Laureen Mallory avvicinarsi al cancello della magione. La cugina dei Malfoy scrutò per qualche istante la donna più giovane, mentre la faceva entrare. Era soltanto una casualità se si trovava così accanto all'ingresso principale al parco della villa. Forse voleva unicamente rimanere sola a riflettere, in mezzo alla natura, nella solitudine del prato soleggiato, sugli ultimi avvenimenti.
«Immagino sia venuta per vedere sua sorella, signora Zurrey?» domandò Laureen, osservando accuratamente il volto pallido, gli occhi leggermente cerchiati da occhiaie di Ottilia.
«Esattamente, signorina Mallory.» confermò la giovane donna.
«Allora, credo che rimarrà delusa dall'apprendere che sua sorella non si trova a Malfoy Manor in questo momento.» commentò Laureen, continuando a studiare la Zurrey e le sue reazioni.
Ottilia per diverso tempo, mentre avanza lungo il viale al fianco dell'altra donna, non disse nulla. Il suo volto mostrava la più viva sorpresa e una certa inquietudine.
«Dove è andata mia sorella?» domandò infine.
«All'opera. - rispose lapidaria Laureen, prima di aggiungere, parlando in maniera più sciolta - È uscita poco dopo le due, insieme ad Abraxas.»
«Sono andati solo loro due?» domandò Ottilia faticosamente.
«Sì. Può ben immaginare la tensione che l'annuncio di una tale decisione ha scatenato a tavola. - la donna fece una breve pausa, fermandosi davanti all'ingresso della magione, quando lo raggiunsero - Un comportamento effettivamente non esemplare da parte di mio cugino e sua sorella, ma non vorrei sembrare una persona che giudica troppo duramente le debolezze dell'animo umano… - Laureen si interruppe, mentre continuava a scrutare con attenzione il volto di Ottilia che pareva farsi sempre più pallido - Però le suggerirei di parlare anche di questo con sua sorella. Provare a ragionare con mio cugino, quando si è messo in testa una cosa che gli sta particolarmente a cuore è pressoché impossibile, ma forse la giovane Charlotte potrà dare retta a lei.»
«Ne dubito, signorina Mallory. Forse un tempo le avrei detto il contrario, ma ormai faccio fatica a crederlo.» mormorò quietamente Ottilia, quasi con rassegnazione.
«Cosa intende fare, adesso, signora Zurrey? Tornare a casa o attendere il ritorno di sua sorella?» domandò Laureen, ponendo una mano sulla spalla dell'altra donna, quasi la volesse sostenere in un momento così palesemente difficile per lei.
«La attenderò, sempre che non rechi disturbo.»
«A me no di sicuro. - rispose affabile Laureen - Ma le consiglierei di non farsi vedere da Megan. Credo che, per quanto lei non abbia nulla a che fare con le decisioni di sua sorella, potrebbe trovare assolutamente sgradevole e odioso incontrare una qualche componente della famiglia Zurrey. - la donna fece una breve pausa, riprendendo ad avanzare, salendo il primo dei quattro gradini che portavano al portone d'ingresso, subito imitata da Ottilia - Immagino le farebbe piacere scambiare quattro chiacchiere con Green, oppure con Deirdre O'Connor che è ancora qui a fare le sue ricerche. È veramente instancabile, signora Zurrey.»
Mentre Laureen parlava le due donne avevano raggiunto l'ampio andito d'ingresso. Ottilia rimase per qualche istante in silenzio, prima di chiedere il più neutralmente possibile di essere condotta nel luogo in cui poteva trovare il maggiordomo.


Megan Malfoy vagava senza una meta precisa per la grande magione. Di tanto in tanto i suoi occhietti piccoli e neri si puntavano su uno dei quadri appesi alle pareti, distogliendoli però immediatamente. I volti degli antenati del marito le davano uno strano senso di disagio e di indignazione. Le sembrava che gli occhi chiari, i capelli biondi di quei Malfoy vissuti secoli prima fossero quelli di Abraxas. Era come se quei volti vorticassero rapidamente intorno a lei, facendole provare un senso di oppressione talmente forte da farle poggiare una mano alla parete del corridoio del secondo piano.
Scosse di colpo il capo, mentre fissava lo sguardo sulla parte di parco che si vedeva dalla finestra posta nelle sue vicinanze. Il sole illuminava ancora ogni cosa, in una maniera che alla donna parve assolutamente beffarda nei suoi confronti. Tentò di valutare a occhio quanto tempo fosse trascorso da quando aveva iniziato a vagare per l'abitazione. Furono i cinque rintocchi di una campana in lontananza, nella campagna, a renderla cosciente dell'ora che aveva passato a camminare piegata sotto il fardello dei pensieri che occupavano la sua mente.
Si staccò, con un gesto repentino, dalla parete, iniziando a camminare più rapida, più decisa, fino alla scalinata che portava al primo piano. Raggiuntolo, svoltò a destra, entrando nel salottino estivo. Quasi sospirò quando si ritrovò nella stanza, forse quella che preferiva dell'intero Manor, forse l'unico luogo, in quel momento, dove poteva trovare un po' di tranquillità.
Si lasciò sprofondare in una delle poltrone, passandosi una mano sulla fronte, massaggiandosi subito dopo le tempie. Soltanto in quel momento si rendeva conto di quanto le dolesse la testa, di un dolore persistente e pulsante. Rimase a lungo immobile prima di alzarsi. Su un tavolinetto stavano, come ogni giorno da che lei era arrivata a Malfoy Manor, la brocca con la tisana, una tazza e un cestino con dentro una mela, una mela, quel giorno, di piccole dimensioni dal colore verde-giallastro.
La donna si avvicinò al ripiano di legno e si versò un'abbondante tazza di tisana. Fuori dalla finestra un vento leggero mosse appena le fronde di un albero, ma Megan vi prestò poca attenzione, mentre sorseggiava in maniera assente la sua bevanda. Posò la tazza con un moto deciso, facendola picchiettare appena sul piattino dalle leziose decorazioni a fiori rosa. La donna scosse il capo, concentrandosi quasi volutamente su questo particolare irrisorio, rispetto a ciò che la preoccupava e le impegnava realmente la mente.
Allungò una mano verso la mela e se la rigirò appena tra le mani, pregustando il momento in cui l'avrebbe addentata. La passò da una mano all'altra, poi la portò alla bocca staccandone un morso, che inghiottì poco dopo.
La mela cadde sul pavimento, con un tonfo che a Megan parve tremendamente sordo. Sentiva un fastidioso sapore acido per tutta la bocca. La gola era in fiamme. Il primo pensiero fu di andare in cucina a ordinare una qualche punizione per l'elfo sventato che le aveva dato una mela avariata. Si alzò in piedi, ma un improvviso bruciore allo stomaco la bloccò.
Con un gesto istintivo si portò una mano alla gola, come per far cessare quel fuoco che, partendo da essa, sembrava divorarla all'interno. Tossì forzatamente, ma la sensazione aumentò. Si chinò per raccattare la mela dal suolo, ma il dolore divenne così intenso da farla cadere per terra e da farle venire le lacrime agli occhi.
Improvvisamente un lampo di consapevolezza le illuminò il volto, improvvisamente sentì la paura montare dentro di lei, una paura che tanto somigliava ad un terrore profondo, sordo, sovrastante. Rimase paralizzata per alcuni minuti, scanditi dal ticchettare di una pendola, poi poggiò le mani sul pavimento, riuscendo ad alzarsi a fatica in piedi, mentre quella sensazione di star lentamente bruciando dall'interno aumentava.
Una sola cosa le rimaneva da fare: cercare qualcuno.
Fece qualche passo, ma avanzare ancora le fu impossibile. Con una mano si afferrò al ripiano di uno stipo. Tutto intorno a lei iniziò a diventare confuso. Sbatté gli occhi, fino a quando non riuscì a rimettere nuovamente a fuoco la stanza.
Una figura stava in piedi sulla soglia, immobile.
«Aiuto…» riuscì a biascicare Megan, prima di cadere nuovamente in ginocchio.
La sagoma incorniciata sulla porta non si mosse per qualche breve istante, che alla padrona di casa parve pari ad una lunga ed estenuante ora. Poi si avvicinò rapida, inginocchiandosi accanto alla donna.
«Megan, cosa ti succede?» chiese con voce soffocata quella che a fatica l'interpellata riconobbe come Laureen.
«La… - la voce le si bloccò di colpo. Anche parlare era diventato difficoltoso. Le fiamme interne, quel bruciore che la faceva piangere lacrime di dolore, pareva bloccarle il fluire delle parole dalle labbra. Con un gesto convulso e faticoso allo stesso tempo, riuscì ad indicare la mela - …aiuta…mi…»
«Sì, Megan. - mormorò l'altra donna, facendo per alzarsi, ma una mano gelida e tremante le afferrò malamente il braccio - Lasciami andare, Megan, sto andando a chiamare aiuto.»
Quelle parole parvero come risvegliare la padrona di casa, che scosse il capo più e più volte, sotto lo sguardo di Laureen che tentava di comprendere come una mela potesse far stare così male la donna. Il colorito cadaverico di Megan non prometteva nulla di buono e così anche il tremito della sua mano. Un brivido percorse il corpo della cugina dei Malfoy.
«Nes…aiuto…Laury.»
Un improvviso attacco di tosse scosse il corpo di Megan, una tosse che le era sorta dal profondo del suo essere. Il bruciore aumentò di intensità al punto da far precipitare il corpo della donna al suolo. Altro dolore si aggiunse a quello, estenuante. Con un gesto disperato riuscì a puntellarsi sulle mani e, aiutata da Laureen, a mettersi dritta. Aprì la bocca per parlare, ma nessuna parola uscì dalle labbra secche e bluastre.
Trovando una forza che la sua mente ormai affaticata e lontana non sapeva da dove le uscisse, scansò Laureen e prese a strisciare sul pavimento, allungando una mano verso una piccola scrivania, poggiata alla parete su cui stava una statuetta in porcellana, raffigurante una donna dai capelli più lunghi del suo stesso corpo, in abiti medievali, con un'espressione a metà strada tra l'estasi più assoluta e l'orrore più nero, che dava all'insieme un che di perverso, forse acuito dalla posa languida della fanciulla. Megan allungò una mano verso di essa, sotto gli occhi sconvolti di Laureen, poi cadde al suolo, il volto piegato di lato, il braccio ancora proteso verso la statuetta.
L'ultima cosa che vide prima di morire, fu il volto dell'altra donna chino su di lei e una lacrima solitaria solcarlo.


Ecco a voi un nuovo capitolo! Invitiamo tutti coloro che leggono a proporre un qualche sospettato (saperlo è una cosa che ci farebbe veramente piacere)
Un grazie particolare a:

Vekra: Speriamo che questo capitolo abbia portato più ordine e più chiarezza. Sappici dire cosa ne pensi e se la morte di Megan ti porta a fare nuove ipotesi.

Thiliol: Grazie mille per la tua recensione! Sappici dire cosa pensi di questo capitolo e della morte di Megan. Qualche sospetto?

Un grazie alle persone che hanno messo la storia tra i preferiti e a chi legge soltanto.

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Capitolo 30
*** Capitolo XXX ***


Capitolo XXX


Abraxas e Charlotte schivarono volutamente la folla di uomini e donne che si riversava a frotte sulla caotica strada del paese, ancora rischiarata dai raggi obliqui del sole, che sembrava aver esaurito, dopo un giorno di radiosità, gli ultimi residui della propria energia, sfavillando incerto e timoroso o celandosi di quando in quando dietro stracci di nubi chiare.
«Ho avuto modo di leggere il libro di Henry James, quattro anni fa. Britten ha reso sulla scena tutta la genialità dell’atmosfera che permea il romanzo. – stava dicendo Charlotte, mano nella mano con un Abraxas che ricusava severamente gli sguardi della massa. – Ho ancora le lacrime agli occhi per la morte di Miles. E quella lotta tra l'istitutrice e Quint per il possesso dell'anima del bambino ha avuto su di me un...»
Ammutolì, incespicò sui tacchi e strinse con vigore la mano di Abraxas.
«C’è qualcosa che non va?»
«Molte cose non vanno, Lotte. – rispose Abraxas, scuotendo appena la testa. – Non va, per esempio, la folla di pettegoli che ci scruta da lunghi minuti con occhio svilente. Ti basterebbe voltarti per capire che Tovey ha messo sulla bocca di mezzo teatro la storia della nostra uscita, e le malelingue sguazzano in quella che ritengono una circostanza disdicevole per me e per te. Che pratichino il mestiere al quale sono stati educati, come se ne traessero dei benefici! E vedessi, Lotte, da qual pulpito provengono i sermoni moraleggianti a cui alludo!»
Con fare esitante la bambinaia osservò la gente appena uscita dal teatro. Un uomo dal fine cappello nero, impegnato in una discussione senz’altro interessante con una grassa signora scozzese, celò gli occhi dietro la falda non appena realizzò di essere stato scoperto, per poi sussurrare qualcosa di sfuggita e riprendere, a voce inusitatamente alta, i commenti sull’opera di Britten che, come voleva lasciar intendere, stava esponendo poco prima alla consorte. Il suo volto placido sembrava urlare al mondo: «Non stavamo certo parlando del signor Malfoy e della sua nuova compagna: certe discussioni non ci riguardano minimamente.»
I due amanti stettero in silenzio fino a che le voci degli spettatori in lontananza non si mescolarono, divenendo pressoché indistinguibili fra i segnali dei clacson Babbani e i rumori urbani di quello spento pomeriggio estivo. Tra i muri umidi e scuri di una lercia traversa secondaria, Abraxas e Charlotte, dopo ogni dovuta precauzione, si Materializzarono nei pressi della vecchia magione.
L’atmosfera cittadina fu annullata violentemente dalla cupezza del nuovo paesaggio. Paziente nel vallone, il borgo di St. Martin Abbey pareva sospirare mentre le zappe dei campagnoli si accatastavano nei depositi, e le donne, intonando canzoni nazionalistiche per le vie polverose, si scambiavano fugaci saluti. Ma questi minimi segnali di tumulto agreste non arrivavano alle orecchie di Abraxas e della bambinaia, che davano le spalle al villaggio. Ad accoglierli, nei pressi del Manor, furono le chiome degli alberi, su cui la luce del sole scivolava bagnando l’erbetta, i campi e i maggesi. Lo sciabordare della falda acquifera che corrodeva le fondamenta dell’acquedotto abbandonato si spandeva, come una nota scura, nel pallido crepuscolo.
La cancellata di Malfoy Manor fu schiusa dal maggiordomo Green. Abraxas non lo vedeva tanto scosso da parecchio tempo, e il suo atteggiamento lo sorprese al punto da fargli presentire una catastrofe. La notizia della morte di Megan si abbatté sul cervello dell’uomo con una forza spaventosa. Non era pronto a reggere l’urto, e subito il suo viso lasciò trapelare una nota di meraviglia, smarrimento, timore, curiosità. Si sentì incapace di prendere un’immediata deliberazione od eventuali provvedimenti sul da farsi. La velocità con cui tutti quei sentimenti si erano palesati fu la stessa con cui scomparvero dal viso di Abraxas. Charlotte, portatasi una mano dinnanzi alla bocca, era squassata dal tremore.
«Morta?» ripeté incredulo all’annuncio di Green, ancor prima che l’amante potesse proferire alcunché.
«Il suo cuore ha smesso di battere pochi minuti fa. Si trovavano nel salottino estivo, signore, al secondo piano. – aggiunse rivolto al padrone di casa. – La signorina Mallory, dopo aver assistito alla morte, ha colto uno strano odore nell’aria ed è corsa immediatamente giù, onde avvisare gli altri abitanti di non mettere piede nelle vicinanze del salottino prima del suo ritorno, signore. Hanno tutti rispettato il consiglio. La signora Zurrey, arrivata poco fa, è sconvolta dalla paura.»
«Mia sorella è qui?» domandò Lotte, preoccupata.
«Chiedeva di lei, le è stato detto che non era in casa. L’ho intrattenuta, e adesso siede al pianterreno. Le abbiamo offerto un bicchiere d’acqua, ma le sue pulsazioni sono aumentate in maniera progressiva, tanto da farci temere il peggio. Non ci ha detto cosa le sia successo, signorina Zurrey. – rispose alle persistenti occhiate della bambinaia. – La morte di Megan Malfoy deve averla scossa, e in modo alquanto preoccupante.»
Abraxas si fece spazio nel giardino, allontanandosi da Charlotte senza rivolgerle uno sguardo. Superò il viottolo e piombò nell’atrio, dove Laureen singhiozzava, mordendosi le dita, adagiata sul primo gradino della scalinata.
«Oh, Megan, Megan, Megan…- si lamentava innalzando il suo compianto funebre come una prefica dietro un lauto compenso. –Oh, Megan!»
«Smettila di cianciare, Laureen! – sbottò Abraxas, spezzando con decisione la lenta nenia che fino a un attimo prima riempiva l’atmosfera già greve. - Cos’è successo? Desidero che mi venga raccontata la vicenda nei minimi dettagli.»
«Oh, Abraxas, sei tornato! Tutto ciò che ho visto è Megan agonizzante con una mela muffita fra le mani, che rovinava sul pavimento simile ad una preda trafitta al cuore. – riuscì a dire Laureen fra i singulti. – Quando le ho prestato soccorso, ho capito che non c’era nulla da fare. Era già morta. Oh, povera Megan!»
Nell’apprendere la faccenda della mela muffita, Abraxas si era fatto bianco come un cencio lavato.
«Dov’è adesso?»
«Lì dove l’ho lasciata. Al secondo piano, dinnanzi alla porta d’ingresso del salottino estivo. Megan, povera Megan!»
«Di’ agli altri di non muoversi. L’hanno assassinata con un oggetto pericolosissimo il cui effluvio potrebbe sterminare metà degli abitanti.»
Laureen chinò la testa e riprese il suo lamento di morte, nel momento esatto in cui Abraxas, dalle scale di servizio, si avviava al secondo piano. Una volta lì, spalancò la porta della stanza delle armi e la traversò, senza prestare molta attenzione al signore di Mictlan che aveva cambiato posizione sulla parete.
Superò quindi il disimpegno per immettersi nello stretto corridoio per il quale transitò prima di giungere al proprio laboratorio. Varcò la soglia, indossò una mascherina ed i guanti, quindi si richiuse la porta alle spalle.
Qualche istante dopo, rabbrividiva davanti al cadavere della propria moglie, stesa per terra in una posizione scomoda e con un dito puntato verso una statuetta dallo sguardo perverso posta nel corridoio. Una mela apparentemente poco matura era rotolata via dalle mani di quell’orrenda Biancaneve, urtando il muro e finendo sulla soglia della stanza, dove aveva arrestato la propria marcia. Abraxas si chinò per raccogliere il frutto, riconoscendolo senza dubbio come un manzanillo. Come quella mela avvelenata fosse stata portata via dal laboratorio segreto, come fosse finita nelle mani di Megan, come mai l’indice destro della donna tendesse a quella statuetta, quasi nel tentativo di attrarla a sé, erano considerazioni su cui avrebbe meditato in momenti migliori. La prima cosa che la sua prudenza lo spinse a fare fu prendere il manzanillo, portarlo nel laboratorio al piano di sopra e diluirlo in un acido, facendone sparire ogni traccia.
Fu chiamato Green affinché scrivesse una missiva da indirizzare all’Ufficio Auror, mentre Ottilia, malgrado le pressioni di Charlotte, si rifiutava di sciorinare il motivo della propria angoscia.
Quando Rosamund Jameson giunse al Manor, ci si sarebbe aspettato di vedere dispiacere o confusione sul suo volto, che invece rivelava unicamente paura: una paura atroce, inarrestabile e travolgente, che sembrò impadronirsi della sua mente ancora di più quando la salma di Megan le fu mostrata da Abraxas. Tutti gli abitanti erano al pianterreno, sotto consiglio del padrone, che riteneva l’ambiente potenzialmente contaminato. Rosamund si chinò per osservare gli occhi traumatizzati e stravolti, la bocca storta e i capelli scarmigliati di Megan, prima di soffermarsi sulle mani, la sinistra puntata, come detto, sulla scultura della dama perversa, la destra stretta allo stomaco.
«Ho controllato il corridoio, rinvenendo vicino al cadavere un frutto di manzanillo.» spiegò Abraxas.
«Manzanillo? – ripeté Rosamund, distogliendo lo sguardo dalla donna morta. – Se la memoria non mi inganna, è un frutto fortemente tossico.»
«Un frutto esotico, per la precisione. Si trovava nel mio laboratorio, era oggetto dei miei studi. – volle puntualizzare Abraxas, sotto gli sguardi terrorizzati dell’Auror. Quindi riprese: - C’è qualcosa che non va nel suo viso, signorina Jameson. Crede di dovermi dire qualcosa?»
Rosamund si guardò intorno, abbassando il tono.
«Appena ieri, forse non lo sa, Megan mi ha convocato, tutta infervorata, con la convinzione di aver scoperto il nome dell’assassino. Sono assolutamente certa che questa persona, di cui non farò il nome per una questione che non mi è dato spiegarle, sta attuando un piano altamente complicato per restare nell’ombra; un piano che avevo scartato molto tempo fa, perché ritenevo improbabile o semplicemente assurdo. Il mio cervello è in subbuglio perché, francamente, non mi aspettavo una simile mossa. Qualcuno ha origliato, senza dubbio, la discussione che ho avuto con sua moglie, signor Malfoy. L'assassino sa che so, e corro un terribile pericolo. Ma proprio come ha fatto Megan, è meglio che non dica nulla, sia perché potrei essere in errore, il che è alquanto improbabile, visto che la pista che sto seguendo è convincente, sia perché ho intenzione di attuare un piano. Mi occuperò domattina degli interrogatori, che, come capirà, sono essenziali. Se è possibile, vorrei vedere la signora Zurrey qui, domattina. Mi informi a proposito della data dei funerali. Le chiedo inoltre di comportarsi in maniera del tutto normale, come se io non sapessi nulla, come se la morte di Megan mi avesse spiazzato del tutto e non stessi seguendo alcuna linea d'indagine. - Si zittì, poi scosse la testa. - Passi tutto, ma quest'omicidio non glielo perdonerò mai. E' arrivato il momento di mostrare le reali doti di Rosamund Jameson. Arrivederci, signor Malfoy. Dorma sonni tranquilli, ma diffidi di quelle persone che le sembrano sincere.»
L'Auror si allontanò prima che Abraxas avesse il tempo di ribattere.


Il pomeriggio si trascinò sonnacchioso e lento fino all’ora di cena. A tavola, Abraxas e Charlotte sedettero distanti, preferirono non rivolgersi la parola e scelsero di comunicare per mezzo di occhiate compunte. Laureen, nel suo abito nero, chiaramente addolorata per la morte di Megan, non smetteva di piangere e lamentarsi, richiamando l’immagine di un corvo che, nel precipitare dal cielo, pigola per un dolore acuto e improvviso.
La notte trapunse il cielo di stelle. A dispetto dell’ostilità e dell’inimicizia che gli abitanti covavano verso la padrona defunta, all’interno della magione qualcosa di simile alla malinconia si propagò a macchia d’olio, avvelenando l’atmosfera già soffocante. Alle dieci di quella stessa sera, gli occhi rivolti al soffitto del Manor, su cui macchie d’ombra nereggiavano alternamente, una figura mugolava per la paura.
“Se l’Auror risalisse al mio passato, non sentirebbe ragioni e mi arresterebbe, avendo a disposizione un valido movente e forse delle prove. Allora non troverei via di fuga: cosa attende un pluriomicida, se non anni e anni di prigione? Vivrò nei tormenti in una cella buia, e forse morirò senza aver coronato il mio sogno.”
Simili parole di sconforto erano suggerite dalla bocca di una coscienza inquinata, irrimediabilmente corrotta dal più grave dei delitti.


La mattina di Lunedì 11 Luglio 1955, il sole splendeva radioso nel cielo turchino, sopprimendo in parte l’alone di mistero che circondava l’omicidio di Megan, ma non la sensazione, ormai largamente diffusa, che una talpa tramasse nell’ombra, destinata a perdurare per molti altri giorni. La sconvolgente notizia dell’assassinio non passò oltre le mura di Malfoy Manor. Nessuno fra gli abitanti era così ardito e pettegolo da spifferare ai quattro venti il triste accaduto. Laureen, chiamata più volte a colazione, si rifiutò di uscire dalla propria camera, sostenendo che voleva «piangere in pace la morte della cugina e osservare un digiuno rigoroso per i giorni a venire.» Ottilia Zurrey era rimasta a dormire nella stanza degli ospiti e, nel destarsi, fu colta da un improvviso dolore alla tempia. Doveva aver sognato qualcosa di inquietante, poiché le sembrava che forti grida sgorgassero dal suo inconscio e immagini spettrali, come teschi, danzassero briosamente per solennizzare il trapasso di Megan. Scostò le tendine, cercando pace nel cavedio su cui davano le finestre interne, ma provò tanta repulsione verso la natura ed in particolare verso il sole, che si gettò ancora fra le coperte, pensando degli uomini che fossero ipocriti e menzogneri. Ciò che era successo il giorno prima – si trattava di qualcosa di diverso dall’omicidio di Megan – le aveva infuso tale convinzione.
Agghindata a lutto, con un monile nero al collo ed una nappa di seta corvina a legare i capelli fluenti, una Rosamund Jameson del tutto differente dall’Auror che aveva lavorato al caso nei mesi precedenti oltrepassò la cancellata. La fronte severa e le labbra congiunte lasciavano trasparire fierezza e risoluzione. Abraxas chiamò a raccolta gli abitanti, affinché si desse il via al più presto agli interrogatori. Erano appena le otto e mezzo quando lo stesso padrone di casa inaugurò la mattinata di lavoro dell’Auror con la propria deposizione.
«Abbiamo avuto modo di parlare ieri sera, signor Malfoy. – esordì Rosamund con l’atteggiamento di chi s’accinge ad ascoltare attentamente. – Mi ha spiegato che il manzanillo si trovava nel suo laboratorio, cui, immagino, hanno accesso tutti gli abitanti.»
«Confermo ciò che le ho detto ieri sera.» disse Abraxas. «Dunque sostiene che ogni abitante, persino gli elfi, avessero la possibilità di impossessarsi del pericoloso frutto?»
Si udì la pendola ticchettare e qualche sordo singulto di Laureen.
«Non le ho detto questo. – disse Abraxas. – Spesso chiudo il mio laboratorio. Ieri non l’ho fatto.»
«Dove era posto esattamente il manzanillo, all’interno del suo studio chimico?»
Abraxas si alzò, sincerandosi che la porta fosse ben chiusa e nessuno stesse ascoltando, quindi tornò a sedere, sfiorandosi la fronte con le dita.
«E’ giusto che le riferisca ogni dettaglio nei minimi particolari. Immagino che non vorrà rivelare ciò le sto per dire, poiché mi metterebbe nei guai. – Abraxas fece una pausa. – All’interno del laboratorio, si trova una stanza segreta che uso per la produzione di particolari veleni e cosmetici. Non ho l’autorizzazione per lavorare a tale progetto, ma non arreco danni a nessuno, tranne a me stesso. Il manzanillo si trovava nella stanza segreta del laboratorio, cui è possibile accedere attraverso il muro. Alcune proprietà di questo frutto erano oggetto della mia attenzione. Sono pronto a giurarle che nessuno conosce l’ubicazione della camera occulta, fuorché io stesso, mio padre, il mio fratello defunto e Deirdre O’Connor, la quale, come avrà saputo, sta scrivendo un saggio sulla storia del precedente inquilino di Malfoy Manor.»
Rosamund annuì. «Utilizza, insomma, sostanze proibite all’interno di questa camera?»
«Sarebbe inutile negarlo. Se glielo dico, è perché lo ritengo giusto. Una scoperta successiva della stanza da parte degli Auror mi potrebbe mettere nei guai. Non sarebbe saggio nasconderle l’esatta posizione del manzanillo, dettaglio importantissimo per le indagini.»
«E’ sicuro che questa stanza sia conosciuta solo dalle persone che ha citato?»
«Non c’è cosa più certa. Escludo anche la possibilità che qualcuno abbia scoperto il passaggio. Lo utilizzo solo quando ho chiuso la porta del laboratorio, adotto ogni volta tutte le precauzioni necessarie al fine che nessuno mi scopra e posso davvero affermare con tutta la sicurezza del mondo che la stanza segreta è conosciuta soltanto da me, da mio padre, dalla signorina O’Connor e da Lysiart.»
«Quand’è così, una delle tre persone in vita che conoscono il passaggio deve avere preso il manzanillo.»
«Vorrei poterle dire il contrario, signorina Jameson, ma so che mentirei. Una di queste tre persone deve aver preso il manzanillo. Mio padre non sarebbe capace di aprire il passaggio nelle condizioni in cui si trova attualmente. Senza contare che, dalla morte di Hilda, è perennemente sotto controllo: rispettiamo dei turni per badare a lui. Quanto a Deirdre O’Connor, non avrebbe avuto alcun motivo di prendere il manzanillo. Se l’avesse fatto, ciò sarebbe dovuto accadere tra avantieri sera e ieri a mezzogiorno. Si dà il caso che io abbia però controllato ieri mattina la stanza segreta. Il manzanillo era al suo posto. Deirdre non è venuta ieri mattina, per cui non vedo come potesse prenderlo. Anche se…»
Rosamund intercettò lo strano sguardo di Abraxas e cercò di interpretare il suo silenzio. «C’è qualcos’altro di cui vorrebbe parlarmi?»
Abraxas meditò un istante. «Una riflessione insignificante, indegna di essere spiegata. No, non c’è nient’altro.»
«Bene! – disse Rosamund, finendo di appuntare. – Posso ora chiederle un resoconto dei suoi spostamenti nella giornata di ieri, 10 Luglio?»
«Certamente. – fu la risposta di Abraxas. – Tuttavia, non credo possa giovarle molto, se non per aggiungerlo agli altri resoconti. Ieri mattina, dopo essermi svegliato, sono andato al laboratorio. Dovevano essere più o meno le sette del mattino, perché ho guardato l’orologio a cipolla che porto con me poco prima di cominciare a lavorare.»
«Posso sapere quello che ha fatto in laboratorio?»
«Fino alle dieci ho lavorato nella stanza segreta ad un potente profumo, un preparato altamente complesso che ho messo a punto già lo scorso anno. E’ una fragranza di rose molto forte, come le dicevo, capace di stregare i sensi per alcuni istanti. Una sorta di droga non nociva, insomma… – Fece una pausa. – Ho tenuto sott’occhio i manzanilli per tutto il corso della mattinata. Quando sono uscito dalla stanza ero stanco. Sono andato nella camera dei giochi, dove si trovava la signorina Zurrey con Lucius. Ho discusso un po’ con la bambinaia, ho letto alcune pagine delle Storie di Erodoto in biblioteca e sono andato in giardino. All’ora di pranzo, ho annunciato che dovevo recarmi al teatro con la signorina Zurrey. Sono stato a vedere The turn of the screw fino alle sei. Quando sono tornato, Megan era morta.»
«E in biblioteca, qualcuno è stato con lei?»
«Zephyrus MacNiemand ha letto per tutta la mattinata al tavolo accanto.»
«Quanto tempo ha trascorso in giardino?»
«Pochissimi minuti. – disse Abraxas. – Ho fatto una passeggiata rapida, dapprima solo, poi con mia cugina Laureen, che mi ha raggiunto.»
«C’è qualcuno che può testimoniare la presenza sua e della signorina Zurrey a teatro? Un conoscente, o anche uno spettatore qualsiasi…»
«Ho incontrato Tovey, un suo collega Auror, nel foyer, prima dell'inizio.»
«Edgar Tovey? – ripeté Rosamund, e Abraxas assentì. – E’ sicuro che lui vi abbia notato?»
«Ci siamo salutati, dunque può testimoniarlo.»
«Sta bene, chiederò a lui. – Poggiò la penna sul tavolo e tese la mano al suo interlocutore. – Non ho nient’altro da chiederle, signor Malfoy. La ringrazio per l’aiuto.»
«Dovere.» rispose l’uomo, stringendo la mano dell’Auror, alzandosi, varcando poi la soglia della stanza per lasciare il posto a Laureen.


Interrogando la vecchia cugina dei Malfoy, Rosamund ricavò da parte sua pochi e irrilevanti indizi, oltre ad un alibi efficace e alla riprova che Abraxas era stato in giardino prima dell’ora di pranzo. Dettaglio del tutto ininfluente, cui l’Auror destinò un appunto marginale: l’uomo sarebbe stato in grado di portare via il manzanillo ancor prima di abbandonare il laboratorio – certo di non essere visto da nessun abitante –, con la stessa facilità con cui avrebbe potuto, in seguito, sostituire il frutto dalla cesta di Megan, vagare a zonzo per la magione e recarsi a teatro protetto da un alibi di ferro.
Seguì l’interrogatorio del bibliotecario, Zephyrus MacNiemand, il quale, non appena fu immesso nel salone, si guardò intorno con l’aria di un ladro braccato. Rosamund lo invitò a sedersi, scrutandolo dapprima con sospetto. La diffidenza dell’Auror lo piegò definitivamente al suo volere.
«Mi creda, sono innocente, e non caverà informazioni utili dalla mia bocca.»
L’Auror si umettò le labbra. «Signor MacNiemand, nessuno la sta accusando di aver ucciso la signora Malfoy. Avrà inteso che ogni singolo abitante del Manor viene sottoposto alla medesima procedura formale, affinché il Ministero abbia prove a sufficienza, versioni e testimonianze per risolvere il caso. Se ha la coscienza pulita, non v’è nulla da temere. Una semplice domanda potrà giovarle a sopprimere l’emotività. Ricorda cosa ha fatto nella giornata di ieri, 10 Luglio, dall’alba all’ora della morte di Megan Malfoy?»
«Naturalmente. – assentì Zephyrus. – Sono stato in biblioteca tutto il giorno, signorina Jameson, e, lo giuro, non mi sono mosso di lì. Nel mattino, ho sfogliato per un po’ le Lettere di Abelardo a Eloisa… Quando mi sono stancato, ho leggiucchiato diversi brani tratti da I Promessi sposi e frammenti del De Amore di Andrea Cappellano. Nessuno può assicurarlo, fuorché il signor Malfoy e la signorina Mallory, che sono stati con me in periodi differenti della giornata. Può… può chiedere a loro, sperando che ricordino.»
“Quest’uomo nasconde qualcosa!” pensava Rosamund, mentre appuntava, da brava Auror, non solo le parole, ma persino gli indugi del bibliotecario. “Se sia perdita di controllo o altro, non riesco a capirlo. Ma è giusto che vada a fondo.”
«Credo di non averle mai chiesto, per sventatezza, da quanto tempo lavora qui, signor MacNiemand.»
«E io credo di aver perso il conto esatto, signorina Jameson. Saranno sei, sette anni al massimo.»
«Operava nei paraggi prima di stabilirsi a Malfoy Manor?»
«Non esattamente. Nella mia vita ho gestito due biblioteche. La prima in Irlanda, molti anni or sono, la seconda in Inghilterra, a trecento chilometri da qui.»
«Ho avuto modo di notare che conosce la signorina O’Connor. – disse Rosamund. – Posso sapere come mai?»
«Naturalmente. – disse Zephyrus, facendosi paonazzo. – Come le dicevo, ho lavorato in Irlanda. Deirdre era un’assidua frequentatrice della mia biblioteca. Spesso la aiutavo nella stesura dei suoi saggi.»
Rosamund si accigliò. “Un fatto curioso!” le venne da pensare.
«Immagino conoscesse anche la sorella di Deirdre, allora. Mi riferisco a Loreley O’Connor.»
«Oh, no, non l’avevo mai incontrata, ed è stato un fatto assai singolare scoprire che era qui tra noi al Manor. – rispose l’interrogato. – Non mi guardi a quel modo, signorina Jameson. Questa coincidenza l’ha forse insospettita? E perché, poi? Esistono dei collegamenti con la morte di Megan?»
«Non si bagni prima che piova, signor MacNiemand. Non mi sognerei mai di accusare qualcuno di omicidio sulla base di una combinazione simile. Sapesse con quanti concorsi d’eventi ho a che fare ogni anno, lavorando nell’Ufficio Auror! Ma dunque, lei e la signorina O’Connor eravate degli ottimi amici? Perdoni l’indiscrezione. E’ dettata da un fatto che, a torto o a ragione, ho ritenuto singolare: l’altro giorno, assistendo a un vostro dialogo, la signorina O’Connor mi è sembrata quanto mai fredda, direi quasi indignata, nel rivolgersi a lei.»
«Ottimi amici? Signorina Jameson, davvero non immagina quanto alto fosse il numero di ragazze e ragazzi che venivano a consultare la biblioteca di giorno in giorno. Decine su decine! Non eravamo più che conoscenti. Quanto alla freddezza e all’indignazione cui allude, non credo di saperne alcunché. Si sarà trattato di una sua impressione.»
“Sempre più strano!” meditò l’Auror, fissando sulla carta le reazioni del bibliotecario, mentre, nel suo cervello, ribollivano idee strane che si andavano tra loro concatenando.
«Tra lei e il signor Lysiart Malfoy i rapporti erano pacifici? Glielo chiedo anche se, con tutte le probabilità, mi è stato da lei riferito al primo interrogatorio.»
«Se erano pacifici? Beh, naturalmente. Lysiart Malfoy era un brav’uomo, molto fortunato e intelligente, e lo apprezzavo per il suo carattere e per la sua cultura.»
Il viso di Rosamund assunse una strana espressione, un misto di incertezza e desiderio di rimanere impassibile.
«Quanto all’ubicazione del manzanillo, la conosceva?»
«Non sono mai entrato nel laboratorio del padrone di casa. Dal momento in cui mi ha assunto, l’avrà notato, parlo pochissimo, trascorro il mio tempo in camera o in biblioteca e cerco di vivere una vita dimessa e riservata. Ne sono un esempio i due o tre discorsi di poche parole che ho intavolato con la signora Malfoy in tutta una vita.»
«Va benissimo. – Rosamund cancellò qualcosa sul taccuino. – Può andare, signor MacNiemand. Non ho nient’altro da chiederle.»
«Spero di esserle stato d’aiuto, – disse il bibliotecario, – pur non sapendo nulla.»
«Oh, mi è stato utilissimo, davvero.» sorrise Rosamund, per poi annuire ripetutamente.
Quando Ottilia Zurrey sostituì il bibliotecario e si accinse ad esporre i propri spostamenti del giorno precedente, Abraxas aveva da tempo abbandonato l’ingresso della magione per recarsi nella stanza delle armi al secondo piano.
Abraxas esaminò l’esatta posizione della scultura vicino al camino da ogni prospettiva immaginabile. Delicatamente e con svogliatezza passò un dito attorno al cranio di Mictlantecuhtli, ritrovandoselo imbrattato di una polvere grigiastra.
«Come pensavo…» sospirò scuotendo la testa.
Si voltò intanto verso la stampa cinese attorno alla quale l’indecifrabile rebus della morte di Lysiart sembrava ruotare. Abraxas non guardava il gelsomino da così tanto tempo che adesso gli apparve più cupo e inquietante di prima, quasi che nella notte, mentre il Manor dormiva, si fosse rinsecchito. Una macchia di sangue grande quanto una mano tinteggiava una parte esigua della grande illustrazione.
Abraxas abbreviò la distanza che lo teneva lontano dalla stampa, saggiandone la superficie e provando a schiodarne l’estremità. Nell’attimo in cui la stampa venne via dal muro con sbalorditiva celerità, l’uomo capì di aver scoperto uno scompartimento nascosto. Scollò dalla parete l’illustrazione; allora notò che la stampa era atta a celare qualcosa: un quadro ingentilito dalla cornice argentata e fregiata aveva trovato il suo rifugio sotto il gelsomino in fiore.
Con mano tremante, quasi fosse scosso da una crisi epilettica, Abraxas lo prelevò dal suo nascondiglio e osservò la donna affacciata alla finestra che vi era dipinta sopra. Si girò fra le mani il prezioso reperto e ne analizzò il retro, su cui campeggiava una dicitura in inchiostro nero: «Commissionato da Lysiart Malfoy, addì 15 Settembre 1954. Riproduzione ad opera di Jonathan Crimes.» L’ennesimo tassello cercava il suo posto nel grande mosaico dell’enigma.


Durante l’interrogatorio di Ottilia, gli abitanti furono meravigliati nel vedere la porta del salotto aprirsi assai prima del tempo e l’Auror chiamare Charlotte Zurrey a gran voce.
«Ho bisogno di parlare con lei mentre sua sorella è presente, signorina.» furono le testuali parole di Rosamund, subito commentate da Laureen e Green.
La bambinaia, prima seduta sulla scalinata, con i gomiti sulle ginocchia e il viso fra le mani, in attesa del ritorno di Abraxas, si resse in piedi dispnoica e avanzò verso il salotto non senza palesare il proprio timore per l’evento curioso che stava avvenendo. La porta fu chiusa alle sue spalle, e lei sedette accanto alla sorella, prendendole la mano, che trovò fredda come un pezzo di ghiaccio.
Rosamund, intrecciando le dita: «Ci troviamo di fronte a un’incoerenza nelle deposizioni. – disse. – Da quando mi occupo del caso, non era mai successo.»
Charlotte cercò gli occhi di Ottilia, che continuavano a fuggirla.
«Si dà il caso, - riprese l’Auror, - che Abraxas Malfoy mi abbia riferito ciò che è successo ieri pomeriggio. Stando alle sue parole, signorina Zurrey, lei è stata col padrone di casa a vedere un’opera in un teatro di provincia.»
«E’ così. – si affrettò a confermare Charlotte, per niente imbarazzata dall’asserzione dell’Auror, in quanto troppo colta dal terrore. – E’ stato… è stato messo in dubbio?» «Sua sorella lo ha negato.»
Charlotte spalancò la bocca e gli occhi, scosse la testa e fissò un’Ottilia indocile e accipigliata, con lo sguardo al pavimento, nella direzione opposta a quella in cui sedeva la sorella.
«Ottilia sa benissimo che ero al teatro.» esclamò Charlotte, evidentemente alla ricerca di immediate spiegazioni.
«Ma ci sei stata tutto il tempo?»
Per la prima volta in quella mattina la sorella le aveva rivolto la parola, volgendosi verso di lei e mostrando un volto appannato dalle lacrime.
«Certo che sono stata tutto il tempo a teatro, Ottilia! Gli altri spettatori possono confermarlo!»
«Sua sorella sostiene, signorina Zurrey, di averla vista intorno alle sedici nel salottino estivo, mentre trafficava con la cesta di mele di Megan Malfoy.»
La bambinaia strinse forte la mano della sorella, ancora troppo scossa per parlare.
«Non voglio mettermi contro di te, Charlotte. Ma sono certa di aver visto bene, perché mi sono avvicinata mentre mi davi le spalle: eri tu.»
Charlotte si passò una mano fra i capelli. «Oh, no! Questo è impossibile! – Portò i propri occhi su quelli della sorella, non riuscendo tuttavia a fissarli. – Ottilia…Tu… Devi esserti sbagliata.»
«No. – disse Ottilia, ancora piangendo. – Tu menti, Charlotte. Non voglio ferirti, non ne avrei motivo. Eppure ti ho visto. Eri nel salottino estivo alle quattro del pomeriggio.»
Persa d’animo, Charlotte si rivolse all’Auror, che intervenne: «Cosa stava facendo a quell’orario, signorina Zurrey?»
«Gliel’ho già spiegato. – risolse Charlotte, tentando di mantenere la calma. – Ero a teatro con Abraxas… Tovey può testimoniarlo.»
«Ma alle quattro del pomeriggio era appena cominciato l’intervallo di The turn of the screw. – disse Ottilia. – Avresti avuto tutto il tempo di uscire dall’auditorio, ritornare in strada, smaterializzarti, entrare nel Manor con le chiavi di Abraxas, sostituire una mela dal cesto di Megan con il manzanillo per far sì che lo ingerisse, e poi tornartene a teatro in tempo per il secondo atto.»
Charlotte si sentì precipitare in un baratro di orrore. Fantasmi e voci concitate turbinavano attorno a lei, mentre le fauci di quel buio pozzo senza fondo la attiravano a sé con spaventosa forza. Le parole di Ottilia, in quell’universo caotico di suoni, si spandevano forti come squilli di tromba. Per una qualche bizzarra ragione, a Charlotte parve di riconoscere nel baratro in cui stava precipitando l’inferno dantesco e, sul fondo, il Cocito, con Ottilia che strisciava sul ghiaccio fra i traditori dei parenti.
«E’ un complotto. – disse infine, e vide che le sue parole sortivano un effetto dolorosissimo sul viso di Ottilia. – Io non capisco perché tu stia mentendo.»
«Di’ la verità, ti prego. – rispose Ottilia. – Ogni tua bugia è una sferzata al mio povero cuore. Ti sei sbarazzata di Megan Malfoy. Oh, mio Dio, Charlotte! Ti avevo già chiesto di abbandonare la pericolosa relazione con Abraxas, di badare perché non ti corrodesse l’anima. Dimmi almeno perché l’hai fatto: non riesco a credere che sia stata spinta dalla cupidigia. Perché? Perché hai ucciso Megan Malfoy?»
« E’ una falsità! – gridò Charlotte, sperando di svegliarsi al più presto o di scoprirsi vittima di un brutto scherzo. – Non ho sostituito la mela col manzanillo! Non conosco nemmeno il laboratorio di Abraxas!»
«Qualcuno può assicurare che lei è rimasta a teatro anche durante l’intervallo?» chiese Rosamund, alleviando la tensione.
«Oh, no, non sono rimasta a teatro! Durante l’intervallo io e Abraxas siamo usciti per prendere un tè, mentre gli altri spettatori sono rimasti nel foyer o sul marciapiede. La prego di credermi, è la verità. – Il tono di Charlotte, a Ottilia e all’Auror, parve tutt’altro che suasivo. – Potrebbe chiedere all’inserviente che ci ha servito, ma non si ricorderà certo di noi. – Fece una lunga pausa, colpita da un’asma inattesa. – Non ho ucciso Megan Malfoy. Non ne avrei avuto motivo.»
«E’ proprio questo il punto. – disse Ottilia, serrando la mascella, come se le parole che stava per pronunciare già la stessero martoriando. – Vorrei non doverlo dire, ma c’è forse un’altra spiegazione? Tu, Charlotte, avevi un valido movente per assassinare Megan. Hai conosciuto Abraxas durante un corso, lì avete imbastito una tresca, avete ucciso insieme gli eredi del vecchio Malfoy per intascarne il patrimonio. E adesso vi sposerete e abiterete qui a Malfoy Manor, ricchi, paghi e felici, ma con quattro omicidi sulle spalle.»
Sarebbe inutile provare a descrivere lo strano sentimento di angoscia e terrore che passò sul volto della bambinaia in quell’istante.


Ecco a voi un altro capitolo! La vicenda si sta avviando alla conclusione. Ci farebbe piacere sapere se avete una qualche idee sull'identità dell'assassino.

Un grazie particolare a:

Vekra: le tue parole sono molto interessanti (per noi è importante vedere che ipotesi fate e cosa colpisce di più il lettore), così come le tue domande (che troveranno tutte risposta nei prossimi capitoli ovviamente. Speriamo che questo capitolo ti possa piacere! (vorremmo rispondere più lungamente, ma non possiamo dire assolutamente nulla)

Thiliol: Interessantissima anche la tua recensione! Ci fa molto piacere leggere il tuo pensiero sulla fic! Sappici dire cosa pensi di questo capitolo! (ovviamente abbiamo le bocche cucite su ogni cosa)

Un grazie a chi recensisce e a chi legge soltanto!

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Capitolo 31
*** Capitolo XXXI ***


Capitolo XXXI

Non appena Rosamund congedò le sorelle Zurrey, gli sguardi indiscreti di Laureen e di due elfi, Hatty e Maky, che apparentemente si stavano affaccendando in un angolo dell'ingresso della magione, le seguirono attentamente. Soltanto sul volto di Green apparve un'espressione di pura partecipazione, quando fissò il corpo tremante di Ottilia che, a passo lento, con la schiena curva, come piegata da un peso, si stava avviando verso il portone della magione. Il maggiordomo si affrettò a seguirla e ad aprire l'uscio, per poi uscire con lei.
Charlotte, rimasta come immobilizzata in mezzo all'andito, gli occhi leggermente vacui fissi sulla sorella, sembrò riscuotersi unicamente quando la vide andarsene. Sospirò pesantemente e, sempre sotto l'occhio vigile di Laureen, iniziò a salire le scale che portavano al piano superiore. Tutti i suoni della vecchia magione le giungevano lontani e ovattati, ogni rumore esterno era lontano mille miglia dalla sua mente e non riusciva nemmeno a comprendere dove si stesse recando. Non era nemmeno in grado di piangere, tremava soltanto, a scatti, come se dovesse mettersi a singhiozzare da un momento all'altro, ma nulla accadeva. Nulla successe nemmeno quando raggiunse la camera di Lucius e si lasciò cadere sul letto. Il bambino che al suo ingresso aveva lanciato un piccolo gridolino, agitando appena le manine, si calmò immediatamente, come se percepisse che la giovane era troppo tesa e terrorizzata per potersi accorgere di lui.
Charlotte si raggomitolò su se stessa stringendo con le mani la coperta, tentando di dare un senso a quello che stava avvenendo, ma l'unica cosa che riusciva a fare era sentire quel terrore sordo che già l'aveva presa nella stanza con la sorella e la Jameson. Uscendo da quel locale non si era nemmeno accorta se l'Auror avesse chiamato qualcun altro a testimoniare, né se avesse aggiunto qualcosa d'altro oltre al loro congedo. Tutto era ottenebrato da quello che era accaduto.
Si raggomitolò ancora di più, mentre fuori dalla finestra un vento improvviso iniziava a muovere gli alberi colmi di frutti. Non se ne accorse, non si accorse del tempo che passava, di nulla.
Fu così che la trovò Abraxas quando entrò nella camera del figlio. Si avvicinò al letto e si sedette accanto a lei, portando una mano ad accarezzarle appena la fronte, rompendo quella lontananza che avevano tacitamente accordato dopo la morte di Megan.
«L'interrogatorio…» mormorò con voce strozzata Charlotte, mettendosi lentamente a sedere.
«Lo so. La Jameson mi ha interrogato di nuovo.» rispose brevemente l'uomo, attirando a sé la giovane.
Quel gesto sembrò sbloccare qualcosa nell'animo della bambinaia che iniziò a singhiozzare, aggrappandosi ad Abraxas con forza, come se l'uomo fosse la sua unica speranza di salvezza. Per diverso tempo all'interno della stanza non si sentì altro che il rumore del vento all'esterno ed il piangere di Charlotte, che si placò lentamente, insieme alla morsa di terrore che la pervadeva all'interno.
«Domani tornerà. Credo che farà altre domande, dopo il funerale di Megan. - la informò pacatamente l'uomo, sentendola rabbrividire immediatamente tra le sue braccia - Fosse l'ultima cosa che faccio, convincerò la Jameson ad interrogarci insieme.»
«Abraxas… - iniziò a dire la giovane, interrompendosi subito -…è tutto così enorme, gigante…se non sapessi che tu mi sei accanto, non credo che riuscirei ancora per molto…»
Il silenzio cadde tra i due amanti, interrotto unicamente da un mugolio di Lucius che si stava lentamente addormentando. L'uomo fissava qualcosa di invisibile oltre il capo di Charlotte, come se stesse cercando una risposta o, forse, un modo per mettere a tacere i fantasmi che si agitavano nella sua mente.
«Mi sento improvvisamente invecchiata di colpo. È come se le ultime ore, gli ultimi minuti, forse, fossero durati secoli. - mormorò nuovamente la giovane, alzando appena il capo per incontrare gli occhi dell'amante. - Tutto sta avvenendo così velocemente…tutto si sta sgretolando intorno a noi…e…» si interruppe di colpo, mordicchiandosi appena il labbro inferiore.
«Sì…sembra che tutto si sgretoli, Lotte…che non rimanga nulla se non una sottilissima mattonella di porcellana che può rompersi da un momento all'altro sotto di noi…Ho sempre sperato che non accadesse di nuovo.» borbottò infine più a se stesso che a lei, scuotendo subito dopo il capo, mentre una rapida ombra passava sul suo volto.
«Cosa…?» domandò incerta e titubante Charlotte.
«Niente, solo dei ricordi che credevo sepolti da tempo…- le accarezzò affettuosamente il volto ancora rigato dalle lacrime che aveva versato pochi istanti prima - Avrei voluto che tu non dovessi provare quello che stai provando adesso.»
«Sarebbe stato impossibile. - rispose di rimando la giovane - Impossibile dopo aver compiuto certe scelte…- si interruppe, continuando a fissarlo - Quello che non mi riesco ad impedire è provare una paura così grande e immensa. È come se avessi la certezza tremenda che tutto finirà male.»
«Forse. - convenne Abraxas, stringendo maggiormente contro sé l'amante - Eppure sono certo che ogni cosa alla fine andrà per il verso giusto.»
La giovane annuì appena, anche se all'uomo parve chiaro che non era per nulla convinta della cosa e, a dover essere sincero, non ne era convinto nemmeno lui.


La notte scese come un manto su Malfoy Manor, facendo cadere ogni cosa nel silenzio, dopo gli eventi di quel lunedì di luglio. Tutto pareva addormentato e sicuramente il piccolo Lucius riposava tranquillo nella sua culla, ignaro di aver appena perso la madre, troppo piccolo anche solo per poterla ricordare una volta cresciuto. Stringeva il suo orsacchiotto con un manina paffuta, mentre l'altra era stretta a pugnetto, accanto al volto.
Ben diverso era il sonno di Charlotte che si agitava e rivoltava nel letto, la mente tormentata da incubi e da paure così enormi che parevano schiacciarla e sovrastarla. Di tanto in tanto si svegliava di colpo e si alzava per andare a controllare il bambino, come se la serenità che il piccolo mostrava nel sonno, potesse esserle in un qualche modo trasmessa, ma appena tornava a chiudere gli occhi, gli incubi la investivano immensi e giganti. Altre persone nell'immensa magione erano al pari tormentate e si rigiravano più e più volte nei loro letti, destandosi all'improvviso e ripiombando subito dopo nel mondo dei loro personali fantasmi.
La notte passò lentissima, per tutti gli abitanti del Manor. La luce fioca dell'alba iniziò a farsi strada attraverso i tendaggi, illuminando appena le stanze. Gli elfi domestici nelle cucine iniziarono lentamente a svegliarsi e ad affaccendarsi per preparare la colazione e il rinfresco che avrebbe seguito il funerale della padrona defunta.
In un angolo dell'ampio locale due di loro stavano parlando, mentre mescolavano il contenuto di una grossa pentola.
«Perché Hatty non parla con Maky? Maky è molto preoccupato per Hatty.»
«Hatty deve tacere. Hatty non deve dire nulla a Maky e Maky non deve preoccuparsi per Hatty.» ribatté l'elfa, senza voltarsi verso l'altra creatura.
I due elfi domestici rimasero in silenzio a lungo, continuando a lavorare. Hatty di tanto in tanto si fermava, come se si perdesse improvvisamente in chissà quali pensieri, poi riprendeva a lavorare, seppur meno alacremente del compagno.
«Maky vuole che Hatty vada via dal Manor.» disse improvvisamente Maky.
«Hatty non lascia la casa, fino a quando Hatty ha un motivo per rimanere nella casa.»
Un sorriso apparve sul volto dell'elfo che parve essere totalmente soddisfatto della risposta della compagna. Anche ai piani superiori, man mano che passavano le ore, la vita riprendeva il suo corso, sebbene una cappa di silenzio, paura e tensione sovrastasse gli abitanti della magione. Nessuno sembrava aver voglia di parlare con gli altri a colazione, né quando si incrociavano nel corridoio. I volti di alcuni mostravano i segni della nottata trascorsa tra incubi e fantasmi, altri ostentavano calma.
Nulla cambiò nemmeno quando giunse l'ora di scendere in giardino e raggiungere le tombe di famiglia, dove Megan avrebbe ricevuto sepoltura. Sulla soglia della magione, trovarono Rosamund Jameson ad attenderli, insieme ad Ottilia Zurrey. La presenza della sorella maggiore fece incespicare Charlotte che si appoggiò allo stipite del portone. Non si rese conto, al contrario di quanto fece Laureen, della presenza di Deirdre O'Connor, appena arretrata rispetto alle altre due donne.
Fu Abraxas a informarsi sbrigativamente circa la presenza della storiografa, la quale spiegò di essere venuta per rispetto nei confronti della defunta signora Malfoy che, insieme al marito, aveva avuto la gentilezza di permetterle di compiere le sue ricerche nei giorni precedenti. L'uomo non fece commenti, anche se scosse appena il capo e un sopracciglio schizzò verso l'alto.
In un nero corteo si avviarono verso il piccolo camposanto, dove già tutto era pronto per le esequie. Abraxas teneva in braccio il figlioletto che giocava indifferente con il mantello del padre. Laureen, poco discosta dal cugino, con davanti la carrozzina del vecchio Adolar, tirava su con il naso, scrutando il padrone di casa ed il suo volto così perfettamente freddo e calmo. L'anziano padre di questi pareva essersi assopito, dopo che quella mattina aveva borbottato qualcosa di insensato per poi urlare il cognome da nubile di Megan, cosa che aveva fatto decidere la donna a portarlo ad assistere alle esequie, nonostante l'espressione contrariata di Abraxas.
Scostando gli occhi dal cugino, Laureen li portò su Charlotte Zurrey che era rimasta in disparte, lontana dal padrone di casa. L'occhio acuto della donna notò come la giovane tremasse leggermente e tenesse il capo chino, come se tirasse ancora il vento che aveva imperversato nel pomeriggio del giorno precedente, e fosse un fiorellino che non era riuscito a rialzarsi. Soltanto a volte tirava su di scatto la testa, ma appena incrociava la sagoma della sorella maggiore la riportava verso il basso. Al fianco della bambinaia Zephyrus teneva gli occhi costantemente puntati su Deirdre O'Connor che, insieme ad Ottilia, si trovava nei pressi di Rosamund Jameson. Lo sguardo del bibliotecario aveva un che di allucinato ed insicuro che lo rendeva tanto simile ad una sorta di spauracchio con quelle sue lenti enormi che, se da un lato rendevano i suoi occhi più piccoli, dall'altro ne aumentavano l'espressione.
Green attendeva, impeccabile nella sua livrea listata a lutto, presso la tavola dov'era stato allestito un rinfresco di cui nessuno sembrava sentire veramente l'esigenza, tanto che, appena terminato il rito funebre, nessuno si avvicinò al tavolo. Deirdre e Rosamund Jameson iniziarono a parlottare tra di loro, coinvolgendo in un primo momento anche Ottilia, il cui sguardo era però assente e perso. Parve riscuotersi soltanto quando incrociò il volto pallido della sorella minore, indietreggiò di un passo e le diede le spalle andando a raggiungere la tavola ed il maggiordomo. Con un gesto meccanico prese in mano un canapè, mangiandolo senza nemmeno sentirne il sapore.
Laureen fissava costantemente le mosse dell'Auror, lanciando di tanto in tanto uno sguardo intorno, alla ricerca del cugino che, a quel che pareva, era rimasto accanto alla tomba della moglie. Era qualcosa che non si era aspettata da parte di Abraxas, non quando le era chiaro che tra lui e Charlotte Zurrey vi fosse ancora un legame. Per quanto i due amanti tenessero un comportamento più che corretto dopo la morte di Megan, non mancavano sguardi, occhiate che alla mente acuta della donna permettevano di comprendere che nulla era veramente finito tra loro. Anzi, forse, lo permettevano meglio che se li avesse colti ancora una volta a baciarsi, com'era avvenuto una sera di quello che sembrava un tempo infinitamente lontano. Scosse appena il capo, mentre metteva da parte quei pensieri futili, e tornava a prestare attenzione a quel che faceva l'Auror, che veniva raggiunta proprio in quel momento da Zephyrus. Forse, con ogni probabilità, si sarebbero messi a parlare di una qualche assurda ricerca storiografica, nonostante lo scopo che li portava in quel momento in giardino, nei pressi del bersò.
Abraxas raggiunse gli altri, con il figlioletto ancora vivacemente intento a giocare con il suo mantello, quando Rosamund Jameson si avvicinò al maggiordomo, chiedendogli qualcosa, che portò Green a condurre l'Auror verso la casa. Gli occhi di tutti i presenti parvero confluire in un sol momento sulla donna e su Laurence, facendo raggiungere la tensione che li aveva circondati fin a quel momento ad un'intensità che parve soffocarli e inghiottirli.


I minuti passarono lentamente nei pressi del bersò. Nessuno pareva aver voglia di parlare in quel momento. Tutti si chiedevano dove si fosse recata l'Auror ed ognuno si comportava in maniera diversa. Zephyrus pareva aver avuto improvvisamente fame e stava fagocitando una tartina. Laureen continuava a singhiozzare di tanto in tanto, ma il suo sguardo era fisso sulla villa, come se si aspettasse, o temesse, il ritorno di Rosamund. Ottilia si era rifugiata presso un albero e sembrava tentasse in tutti i modi di confondere l'abito a lutto con il tronco. La sorella era scossa da un lieve tremore e scambiava alcune occhiate con Abraxas a tratti irregolari, cosa che portò Ottilia a scuotere con forza il capo. Il padrone di casa ostentava la più assoluta calma, ma il modo in cui occhieggiava la magione, quando non stava guardando Charlotte o il figlioletto, indicava una certa tensione nervosa. Deirdre faceva di tutto per evitare anche solo di incontrare la figura del bibliotecario, preferendo fermare la sua attenzione sulle rovine gotiche che si intravedevano a poca distanza dal bersò.
Gli occhi di tutti, a turno, si fissavano sulle finestre della magione che davano su quella parte del giardino, ma nessuno notò le sagome di Green e Rosamund presso una delle finestre del secondo piano, forse a causa del tendaggio tirato. Dal canto suo l'Auror stava perquisendo con metodo la stanza in cui si era fatta guidare dal maggiordomo e non prestava caso a quel che avveniva oltre i vetri, cosa che invece fece per un solo breve istante l'uomo. La donna prese in mano un volume che giaceva in uno dei cassetti della scrivania e prese a sfogliarlo rapidamente, aggrottando appena le sopracciglia.
«Guardi qui, signorina Jameson.» la interruppe Green, indicandole qualcosa sul tavolo.
Rosamund si avvicinò rapidamente e chinò il capo, strizzando i grandi occhi per poter metter a fuoco il piccolo filamento che il maggiordomo aveva indicato. Lo prese in mano e lo osservò meglio, annuendo con fare meditabondo. Tenne il filamento con cura, poi estrasse un fazzoletto immacolato e ve lo avvolse, tornando poi ad occuparsi del libro, che pareva aver focalizzato la sua attenzione. Sentiva chiaramente i passi del maggiordomo che si aggiravano nella stanza. Improvvisamente non udì più nulla. Alzò il capo e notò l'uomo chino, accanto all'armadio presente nella stanza.
«Mi sembra di aver trovato qualcos'altro, signorina Jameson.» annunciò Green, facendole segno di avvicinarsi.
L'Auror si alzò e si fermò al suo fianco. Accanto all'armadio stava un foglio appallottolato, come se fosse stato gettato lì in fretta o magari fosse caduto da uno dei cassetti aperti dell'armadio. Rosamund fece per chinarsi e raccoglierlo, ma il maggiordomo fu più veloce di lei. Prese in mano il foglio stropicciato di pergamena e lo passò alla donna, che sgranò gli occhi, leggendone il contenuto. Poi, con un gesto del capo, indicò la porta a Green e, insieme a lui, dopo aver preso con sé anche il libro, lasciò la stanza.
All'esterno della magione, mentre il tempo passava ogni singola persona, e apparentemente persino la natura intorno a loro, sembrava essersi bloccata in una sorta di continua e ansiosa attesa. Nulla mutò nel loro atteggiamento per diverso tempo. Le occhiate di tutti continuavano a saettare tra di loro e poi verso la casa. Sarebbero potute trascorrere anche ore prima che qualcosa avvenisse e tutto sarebbe stato immobilizzato.
Fu soltanto il ritorno di Green a far improvvisamente confluire l'attenzione di tutti su di lui. Il maggiordomo si avvicinò piuttosto rigidamente al padrone di casa e biascicò qualcosa. Abraxas annuì e, affidando il figlioletto a Laurence, si avvicinò a Charlotte, facendole un silenzioso cenno con il capo in modo tale che lo seguisse. La bambinaia impallidì di botto e incespicò sui suoi passi, mentre avanzava alle spalle dell'amante. Quell'improvviso movimento fece muovere anche gli altri. Zephyrus si avvicinò a Deirdre, che gli sfuggì, raggiungendo Ottilia, la quale stava ancora immobile contro l'albero, pallida e prossima alle lacrime, mentre osservava il punto in cui, fino a pochi istanti prima, era presente la sorella.
«Signora Zurrey.» la salutò l'irlandese con voce bassa e fioca, quasi temesse di disturbare l'altra donna.
«Signorina O'Connor. - ricambiò Ottilia, ricacciando indietro le lacrime che le pungevano gli occhi, mentre fissava attentamente la storiografa - Ammetto di non essermi aspettata la sua presenza al funerale della signora Malfoy.»
«Anche la sua presenza, signora Zurrey, è motivo di stupore per qualcuno, forse. - rispose affabilmente Deirdre - Ma credo che ognuno di noi abbia i suoi buoni motivi per essere presente.»
Ottilia annuì, solamente, mentre occhieggiava con sempre maggior insistenza la magione e le sue mura scure e cupe. La storiografa non interruppe più il silenzio, limitandosi a rimanere nei pressi della Zurrey, con il solo scopo di evitare che Zephyrus le si avvicinasse, credendola occupata in una qualche conversazione. Da dove si trovava, Green, tenendo impacciatamente in spalla il piccolo Lucius, osservava con attenzione i movimenti di Ottilia, chiedendosi cosa la rendesse così depressa. Il giorno prima, mentre l'accompagnava al cancello, non era riuscito a sapere nulla. Unicamente aveva tentato di trovare qualche parola che potesse risollevarla appena, ma non ne era stato in grado.
«Cosa credi che stia chiedendo la signorina Jameson ad Abraxas e alla signorina Zurrey?» domandò improvvisamente Laureen che gli si era avvicinata silenziosamente, nonostante spingesse la carrozzina del vecchio Adolar.
«In tutta sincerità non ne ho idea, signorina Mallory. - l'uomo fece una pausa - O meglio è chiaro che debbano parlare della morte della povera signora Malfoy, ma il motivo per cui l'Auror abbia convocato proprio loro, mi sfugge. Forse, però, vorrà sentire nuovamente tutti noi.»
«Sinceramente non riesco a crederlo. - rispose la donna - Sai, Green, temo che se ha chiamato Abraxas e la bambinaia, sia per ben altro.»
«Ritiene che la signorina Jameson possa credere il signor Malfoy e la signorina Zurrey colpevoli?» domandò sconcertato Laurence.
«Perché non dovrebbe? - ribatté argutamente Laureen - Se ci riflette bene mio cugino e la sua amante hanno più di un movente per aver ucciso tutta quella povera gente, per quanto mi costi difficile pensare che Abraxas possa esser giunto fino al fratricidio e all'uxoricidio.»
«Cosa avverrà del bambino, se tutto questo fosse vero?» domandò il maggiordomo, rabbrividendo appena.
«Non lo so. Forse rimarrebbe qui al Manor affidato ad un tutore. - sul volto di Green apparve un'espressione che Laureen non seppe definire. Stupore, forse. O intuizione. - Di certo sarebbe qualcosa di tremendo per il piccolo Lucius. Non poter conoscere la madre perché morta assassinata ed il padre perché ne è l'omicida.»
Il maggiordomo sospirò, fissando il volto tranquillo e sereno del bambino. Ogni sua riflessione fu però bloccata dall'arrivo di Charlotte, sola, che pareva leggermente più calma rispetto al momento in cui si era allontana verso la villa. L'uomo le affidò più che volentieri il piccolo. La bambinaia, dopo aver avvisato due delle persone riunite in giardino che l'Auror li stava aspettando, si avvicinò rapidamente alla sorella.
Ottilia, persa forse nei suoi pensieri, non si accorse dell'arrivo di Lotte fino a quando questa non la chiamò, dicendole che doveva parlarle.
«Lasciami in pace, Charlotte. - disse fiocamente la maggiore - Cos'altro hai da dirmi, se non ulteriori menzogne?»
«Non ti ho mai mentito, Tilia. - ribatté la giovane - Ti prego, credimi, non avrei avuto nessuna ragione per mentirti.»
«Nessuna? Soltanto nascondermi l'assassinio di quattro persone? Anche il mio ex-marito…fino a questo sei giunta con Malfoy…uccidere il padre di Timothy. E mio figlio non fa altro che chiedere di te. Voleva venire qui oggi, perché c'era zia Lotte. Ed io non sapevo come dirgli che era meglio per lui non venire. Cosa pensi che proverà Tim quando saprà che la sua amata zia gli ha ucciso il padre…ed anche se ad agire fosse stato Abraxas cosa cambierebbe per la mente di tuo nipote?» le parole uscirono tutto d'un fiato dalle labbra di Ottilia, rapide, mentre colpivano Charlotte che chinò appena il capo.
«Né io, né Abraxas abbiamo ucciso qualcuno. - si difese la bambinaia - Come puoi credere che io possa anche solo condannare qualcuno ad una morte atroce? Mi dovresti conoscere Tilia.»
«Ti conoscevo, un tempo, forse. - rispose affranta l'altra donna - Ma da quando sei venuta in questa casa maledetta non ti riconosco più. La Charlotte che conoscevo io non sarebbe mai diventata l'amante di un uomo sposato, non si sarebbe mai mostrata pubblicamente come tale.»
«Lo amo, Tilia, lo amo immensamente, così tanto che ogni cosa è passata in secondo piano. - mormorò Lotte, chinando ancora d più il capo, colpevolmente - Ho lottato contro l'amore, ho lottato ed ho fallito. Ma nemmeno l'amore per Abraxas mi avrebbe portato a togliere una vita.»
«Sicura? Hai appena detto che la tua ossessione per quell'uomo ti ha fatto mettere ogni cosa in secondo piano. Perché oltre alla tua dignità, non avrebbe dovuto eclissare anche la tua coscienza?» chiese sferzante Ottilia, tenendo a bada le lacrime che erano tornate a pungerle gli occhi.
Charlotte non poté rispondere, né difendersi. Lucius improvvisamente si mise a piangere. Sia Tilia che la sorella minore capirono che quello era un pianto di fame. La bambinaia temporeggiò un poco, ma l'altra donna approfittò del piagnucolare del piccolo per allontanarsi rapidamente da Lotte. Quest'ultima, stringendo maggiormente a sé Lucius, accarezzandogli con una mano il capo, si diresse rapida verso la magione, entrandovi. Passando dall'andito, notò che la porta del salotto di anticamera era socchiusa.
Dall'interno della stanza, i quattro occupanti sentirono il pianto del bambino avvicinarsi, crescendo di intensità, per poi allontanarsi e sperdersi ai piani superiori del Manor. Rosamund lanciò un'occhiata ad Abraxas che aveva voltato appena il capo verso la porta. In quegli ultimi quattro giorni Lotte aveva iniziato a svezzare Lucius ed ingaggiava ogni volta una sorta di lotta con il bambino per non fargli spargere la pappa in ogni singolo angolo della stanza. Scosse appena il capo, mentre la voce dell'Auror lo riportava alla realtà.
«Signorina O'Connor, come le stavo per chiedere prima che il pianto del piccolo Lucius ci distraesse, vorrei sapere se lei avesse già avuto modo di conoscere il signor MacNiemand.»
«Sì, in Irlanda, nel 1948.» rispose con calma l'irlandese, occhieggiando il bibliotecario che sedeva nervoso a poca distanza da lei.
«Il signor MacNiemand ha sostenuto che la vostra era una conoscenza superficiale, come quella che aveva coinvolto altri ragazze e ragazzi che frequentavano la biblioteca in cui lavorava il signor MacNiemand. Lo conferma?»
«No. - la voce di Deirdre si perdette nell'ampia sala. Abraxas notò immediatamente un leggero tremito in Zephyrus. - In un primo momento probabilmente fu così, ma verso l'autunno di quell'anno io e Zeph iniziammo a frequentarci anche al di fuori delle mura della biblioteca di Wexford. Ammetto che fui affascinata dalla profonda conoscenza che Zephyrus aveva di ogni singolo libro presente nella biblioteca. Credo che mi innamorai della sua mente e dei suoi modi gentili. - fece una pausa, umettandosi appena le labbra. Gli occhi del padrone di casa e dell'Auror erano fissi su di lei, indagatori quelli dell'uomo, intenti quelli della donna. Soltanto il bibliotecario evitava di guardarla. - Le intenzioni di entrambi erano più che serie e di tanto in tanto, sempre più frequentemente man mano che avanzavano le settimane, ne parlavo a casa, soprattutto con Hilda.»
«E sua sorella, signorina O'Connor, che cosa le disse in proposito?» domandò Rosamund, approfittando di una pausa di Deirdre.
«In un primo momento non commentò la cosa, ma sapevo che avrebbe cercato informazioni su Zephyrus. Era iperprotettiva nei miei confronti, come deve averle già avuto modo di dire mia madre. Non voleva che io soffrissi. E sono certa che fu per questo motivo che iniziò a mettermi in guardia da Zephyrus. Non so se scoprì qualcosa di discutibile nel suo passato o se ci spiò, o se più semplicemente lo studiò mentre era in biblioteca…iniziò a dirmi che non era l'uomo adatto a me. Forse sarei giunta da sola a questa conclusione. Frequentandolo mi accorsi che alle volte era troppo opprimente, troppo ossessivo nelle sue manie, ma nella mia ingenuità lo giudicavo qualcosa di non grave, qualcosa dettato dall'amore per me. Le parole di Hilda mi aprirono gli occhi. Era il tre dicembre del 1948 quando lo lasciai.»
Abraxas lanciò un'occhiata al bibliotecario e notò che stava tremando in maniera sconsiderata, tormentandosi le mani.
«Lei, signor MacNiemand, cosa ha da dire adesso?»
«È tutto vero, ogni singola parola, ma io, glielo posso giurare, signorina Jameson, non sapevo dell'intervento di Margie.» disse tutto d'un fiato l'uomo, lo sguardo allucinato fisso su uno dei tanti soprammobili presenti nella stanza.
«Perché sembra essere così spaventato dall'idea che io possa pensare che lei sia stato al corrente dell'intervento di Hilda Margaret O'Connor ovvero di Loreley Malfoy?» domandò Rosamund, portando la parte superiore del corpo leggermente in avanti in modo tale da poter scrutare meglio l'uomo.
«Io…mi sembrava ovvio che lei facesse tutte queste domande a Deirdre per via di Hilda O'Connor.» spiegò l'uomo in maniera tutt'altro che persuasiva.
«Lei prima ha chiamato Hilda con un altro nome…Margie. Ci può spiegare per quale motivo?» lo incalzò l'Auror, implacabile.
«Deirdre la chiamava sempre così.» biascicò Zephyrus, facendo girare rapidamente gli occhi tutt'intorno per la stanza.
«Quindi lei non sapeva che quella che la sua fidanzata chiamava Margie, di nome facesse in realtà Hilda?»
La domanda di Rosamund rimase senza risposta. Tutto nell'atteggiamento di Zephyrus richiamava un animale selvatico che cercasse di fuggire dai cacciatori che l'avevano ormai intrappolato.
«Se mi permette, signorina Jamenson, credo che il mio bibliotecario conoscesse il nome utilizzato dalla mia sorellastra in Irlanda e poi qui al Manor. Forse la signorina O'Connor l'avrà nominato una qualche volta durante la loro relazione, riferendosi però a lei sempre come a Margie. - Abraxas Malfoy fece una pausa, gli occhi erano fissi su Zephyrus - Ricordo che, poco dopo la morte di Lysiart, dopo una crisi di mio padre, lei, signor MacNiemand ha esclamato in maniera forsennata Hilda O'Connor
«Era presente qualcun altro, oltre a lei, signor Malfoy?» domandò Rosamund, i grandi occhi verdi ancora fissi su Zephyrus.
«La defunta Loreley Malfoy e Laureen Mallory.» rispose semplicemente Abraxas.
«Signor MacNiemand, come spiega questa cosa?» domandò l'Auror.
«Non c'è nulla da spiegare, signorina Jameson. È tutto un complotto, una montatura. - disse freneticamente l'uomo - Il signor Malfoy vuole soltanto parare le spalle alla sua amante e a se stesso…io non avevo movente per ucciderli…lui sì…»
«Però lei, signor MacNiemand, aveva un movente per uccidere Hilda O'Connor. Ha distrutto il suo sogno d'amore.» commentò Rosamund con sagacia.
Dal posto in cui era seduta Deirdre si tormentava appena le mani. Non riusciva a comprendere se avesse ragione Zephyrus o il signor Malfoy. Nel mondo magico si era iniziato, dal giorno precedente, a fare un gran parlare della relazione tra Abraxas e Charlotte Zurrey. Tutte le pettegole erano intente a chiacchierare dello scandalo, come se non vi fosse altro argomento più importante. Anche lei poteva ipotizzare un movente per i due amanti, ma poteva ipotizzarne uno anche per Zephyrus.
«Questo…questo non vuol dir nulla…è una cosa passata.» si difese debolmente l'uomo.
«Eppure alcuni giorni or sono, giovedì sette per la precisione, l'ho sentita litigare con la signorina O'Connor e l'ha sentita anche la defunta signora Malfoy. E sembrava che per lei la cosa non fosse per nulla passata. Ricordo con perfezione che ha detto che non v'erano più ostacoli, o per lo meno lo stava per dire.»
Le parole dell'Auror ottennero unicamente un ostinato silenzio da parte di Zephyrus e un leggero tremito in Deirdre. La giovane donna deglutì appena a vuoto, prima di dire, agitata:
«Quindi era questo che intendevi? Margie…cielo, Zephyrus, tu intendevi che non v'erano più ostacoli…che non essendoci più mia sorella…noi…come hai potuto pensare qualcosa di così assurdo? - la voce della storiografa si ruppe, mentre si rendeva conto che con ogni probabilità davanti a lei stava l'assassino di sua sorella - Io ti ho amato, un tempo, ma è tutto passato, tutto. E come facevi a sapere che era stata Margie a convincermi? Io non te l'ho mai detto.»
Zephyrus non rispose nemmeno in quel momento. Continuava unicamente a guardarsi intorno, come a cercare una qualsiasi via di fuga. Respirava a fatica e si sfregava sempre più frequentemente le mani.
«Signor MacNiemand, come faceva a sapere che Hilda O'Connor era a monte della rottura tra lei e Deirdre?» domandò l'Auror.
L'uomo semplicemente scosse più e più volte il capo, prorompendo in una specie di singulto soffocato. Abraxas arcuò le sopracciglia. Il comportamento di MacNiemand era quanto di più irrazionale vi potesse essere in un momento come quello. Deirdre teneva il capo chino al suolo, quasi non volesse incontrare gli occhi di chi, ormai ne era certa, aveva ucciso sua sorella.
«Signor MacNiemand, riconosce questo? - lo incalzò Rosamund, spingendo avanti un album fotografico. Al diniego di Zephyrus aprì il volumetto e mostrò delle foto di Hilda O'Connor insieme alla sorella e ai genitori adottivi - Ne è certo? - chiese. L'uomo negò ancora. L'Auror sospirò leggermente e puntò la propria bacchetta sull'album - Imaginem Revelo. - pronunciò con calma. Tre nomi affiorarono sull'album: Loreley Malfoy, Rosamund Jameson e Zephyrus MacNiemand. - Come può notare le sue impronte sono sull'album. Può ancora dire di non conoscerlo?»
Il bibliotecario si guardò ancora intorno. Gli occhi di Abraxas, Deirdre, che aveva sollevato il capo qualche istante prima, e Rosamund erano fissi su di lui, come tre divinità pronte a giudicarlo e a scegliere quale angolo dell'Ade fosse più consono alle sue colpe. Un nuovo singulto proruppe dalle sue labbra.
«Lo conosco. - disse fiocamente - Sono andato a sfogliarlo quando ho capito che l'infermiera del vecchio Malfoy era la stessa donna che mi aveva impedito di sposare Deirdre.»
La dichiarazione di Zephyrus fece cadere la stanza nel più assoluto e totale silenzio. La storiografa chinò nuovamente il capo, mentre Abraxas manteneva lo sguardo fisso sul bibliotecario, attendendo, con una certa impazienza, che l'Auror rivolgesse altre domande all'uomo.
«Quindi lei sapeva che Hilda O'Connor era colei che aveva impedito a lei e Deirdre di vivere insieme.» constatò Rosamund calma.
«Sì, ma questo non vuol dire nulla, signorina Jameson. Non sono un assassino, non io…in questa stanza c'è un assassino ed ha un nome ben più altisonante del mio.» disse l'uomo, puntando un dito contro Abraxas.
«Può essere, come può non essere, signor MacNiemand. - constatò l'Auror. Il padrone di casa contrasse leggermente il volto, ma fu questione di pochi istanti, prima che tornasse alla solita compostezza - Quello che vorrei sapere è come mai lei sapesse che Hilda O'Connor era alla fonte della sua rottura con Deirdre e soprattutto cosa l'ha portata a riconoscere in lei l'infermiera assunta al Manor.»
«Dopo che Deirdre mi lasciò divenni quasi folle. Presi a seguirla e un giorno la vidi entrare in una sala da tè, accompagnata da un'altra donna. - fece una pausa - Era fine dicembre e la donna aveva il capo coperto. Quando entrai mi posizionai in un tavolo dal quale non potevo essere visto e di conseguenza non potevo vedere Deirdre e la sua accompagnatrice. - si interruppe per un attimo, ogni suo gesto, il modo di parlare, leggermente a scatti, mostrava una tensione malamente repressa - Le sentii parlare e udii chiaramente Deirdre chiamare l'altra donna Margie.
«Parlavano di me e dal loro dialogo compresi che la sorella maggiore aveva agito, aveva plagiato Deirdre perché mi lasciasse. Poi si misero a parlare di altro. Ad un certo punto, parlando di un possidente locale, Margie disse esattamente Sembra così duro, ma in fondo ha bisogno di amore e affetto. Hilda O'Connor lo disse nuovamente poco dopo che la signorina Malloty sedò Adolar Malfoy. Questo mi fece tornare in mente che la sorella maggiore di Deirdre si chiamava Hilda e non Margie come avevo memorizzato.»
«Poi cercò conferma che fosse veramente lei, giusto?» domandò Rosamund, fissando con attenzione l'uomo.
«Esattamente.» rispose Zephyrus tremante.
«E poi tentò di parlarle? Cosa fece dopo?» lo incalzò l'Auror.
Il bibliotecario non rispose, scuotendo il capo forsennato. Deirdre rabbrividì. Per un attimo aveva sperato che l'uomo di cui un tempo si era innamorata dicesse che aveva litigato con Hilda, che aveva tentando di parlarle, invece taceva.
«Si rintanò nella sua stanza, uscendone solo se obbligato. - rispose Abraxas al suo posto, la voce fin troppo dura - Ed era sempre tremebondo e allucinato, come adesso.»
«Questo non vuol dir nulla…io non ho u-ucciso nessuno.» biascicò l'uomo, la fronte imperlata dal sudore e gli occhi sempre più allucinati.
«Vede, signor MacNiemand - iniziò a dire l'Auror - Ci sono molti elementi a suo sfavore. Lei ha un movente.»
«Anche lui. - disse l'uomo, indicando ancora una volta Abraxas - Lui e la sua amante. Hilda O'Connor era sua sorella, per quanto illegittima.»
«Signor Malfoy, da quanto è a conoscenza del suo legame di parentela con la defunta Loreley?» domandò la donna.
«Da dopo la sua morte.» rispose laconico il padrone di casa.
«E sarebbe disposto a giurarlo di fronte ad un tribunale, a provarlo?» domandò l'Auror, aggrottando appena le sopracciglia.
«Precisamente, signorina Jameson.»
«Signor MacNiemand…»
«Non può accusare me… - la interruppe Zephyrus la massimo dell'isteria - …io non avevo motivo per uccidere anche gli altri…lui…quel tiranno…lui sì…»
«Ne è sicuro, signor MacNiemand? Ieri mi è sembrato piuttosto invidioso di Lysiart Malfoy. - la donna prese in mano un plico di pergamene che stavano su un angolo del tavolo - Cito le sue parole dal verbale dell'interrogatorio di ieri: Lysiart Malfoy era un brav’uomo, molto fortunato e intelligente, e lo apprezzavo per il suo carattere e per la sua cultura. - fece una pausa - Lei, signor Malfoy, definirebbe suo fratello un uomo fortunato?»
«Non avrei mai affibbiato a Lysiart un tale aggettivo. - l'uomo fece una pausa - Ho già avuto modo di dirle come trovavo mio fratello. E credo che anche lei, dalle sue poesie, si sia fatta l'idea di un uomo oppresso e tormentato.»
Deirdre seguiva quello scambio di parole in maniera passiva. L'unica cosa che voleva sapere in quel momento era se Zephyrus avesse ucciso veramente sua sorella. Non le importava nulla di Lysiart Malfoy, di Megan e di quel pover'uomo di Patrick, non in quel momento per lo meno.
«Perché pensava che Lysiart Malfoy fosse un uomo fortunato?» domandò Rosamund.
«Così mi…mi sembrava. Non potevo di certo conoscerlo molto approfonditamente.» disse l'uomo.
«Forse, signor MacNiemand. - la donna fece una pausa, corrugando appena le sopracciglia - Signorina O'Connor, nelle sue lettere Hilda le parlava mai di Lysiart Malfoy?»
«Sì, diverse volte. Mi dava notizie di entrambi i fratelli. - fece una breve pausa, mentre un brivido le attraversò le membra - Parlava più spesso di Lysiart però, soprattutto dopo che era rimasto vedovo. Credo che pensasse che avrei potuto conoscerlo, venire al Manor. Una volta, fu all'incirca una quindicina di giorni prima dell'omicidio di Lysiart, mi disse che credeva che suo fratello avesse bisogno di una nuova donna al suo fianco. Non so se si riferisse a me o meno.»
«Ad un occhio esterno, signorina O'Connor, che impressione avrebbe fatto?»
«Credo che si sarebbe potuto pensare che Hilda voleva che io e il suo fratello di sangue potessimo frequentarci.» mormorò la giovane donna, continuando a rabbrividire.
«Signor MacNiemand, lei ha per caso sentito una qualche conversazione tra Hilda e Lysiart riguardanti l'argomento? O tra Lysiart ed un qualche altro componente della casa?» domandò Rosamund, fissando più intensamente l'uomo.
«No…che ragione avrei avuto di spiare le conversazioni di Lysiart Malfoy? E all'epoca non sapevo che l'infermiera era la sorella di Deirdre.» rispose meccanicalmente Zephyrus.
«Eppure ho trovato questo libro nella sua camera, signor MacNiemand - disse l'Auror spingendo in avanti un volume dalla coperta in pelle su cui spiccava il titolo Tradizioni magiche dell’Estremo Oriente - L'ultima sezione è dedicata ad alcune usanze Babbane. C'è una sola parte sottolineata in tutto il libro e riguarda la pratica dell'harakiri.» Sfogliò il libro e lo voltò verso gli altri tre.
«I…io non sottolineerei mai un libro. - balbettò Zephyrus - Deve essere stato il signor Malfoy…soltanto lui.»
«Signor Malfoy?» domandò unicamente Rosamund, portando gli occhi sul padrone di casa.
«Non ricordo se ho mai preso in mano quel libro, ma di certo non sarei così imbecille da sottolinearne la parte riguardante un delitto che stando alle parole deliranti di MacNiemand avrei commesso.» rispose l'uomo fin troppo rapidamente per i suoi gusti.
«C'è un solo modo per saperlo. - borbottò l'Auror, puntando la bacchetta sul libro. L' Imaginem Revelo mostrò due soli nomi: quello della donna e quello del bibliotecario - A quanto pare, il signor Malfoy, non ha messo le mani su questo libro negli ultimi sei mesi, quindi diverso tempo prima l'omicidio di Lysiart Malfoy. Mentre lei sicuramente l'ha usato e sicuramente ha sottolineato la parte sull'harakiri.
«Questo mi dà molto da riflettere, signor MacNiemand. Ci sono troppe prove a suo carico, ben più di quante siano a carico del signor Malfoy. Lei deve aver sentito Lysiart fare il nome di Deirdre O'Connor, magari sentirgli dire che qualcuno gli aveva detto quale dolce ragazza fosse, magari ha detto che voleva incontrarla. Lei ha perso la testa e ha cercato un modo per ucciderlo, un modo brutale. Poi ha scoperto che la donna che aveva causato la sua infelicità abitava nella sua stessa casa e l'ha uccisa. Un Avada Kedavra, scagliato nel padiglione cinese, quasi che l'Oriente sia una sorta di sua firma.»
Zephyrus iniziò nuovamente a respirare a fatica. Strinse con forza le mani tra loro, facendo roteare lo sguardo, posandolo sulla finestra più vicina a lui, come se stesse valutando le possibilità di fuggire da quella parte. Si girò anche verso la porta socchiusa. Tremava in ogni parte del suo corpo e sudava, ora più che mai.
«Ho ucciso…ho ucciso…» proruppe infine in un balbettio isterico.
Abraxas lo fissò attentamente, Deirdre sobbalzò scuotendo il capo. Rosamund rimase immobile, come se stesse attendendo che l'uomo dicesse altro, ma il corpo del bibliotecario si era come immobilizzato, forse cosciente di quello che aveva detto, forse sommerso dalla colpa dei delitti commessi, o almeno quello fu ciò che pensò la storiografa.
«Lei è un uomo intelligente e colto, signor MacNiemand. - riprese la donna, implacabile - Ha compreso, probabilmente dopo che si è venuto a sapere che Hilda O'Connor era in realtà Loreley Malfoy che i delitti potevano essere fatti ricadere su Abraxas Malfoy.
«In un primo momento non aveva nulla da temere in realtà. Nessuno, nemmeno io, poteva sospettare di lei. Tutti pensavano ad una faccenda di soldi…poi Patrick deve aver scoperto qualcosa. Forse ha tentato di dirmelo, forse mi ha cercata e non mi ha trovata e questo non potrò mai perdonarmelo. - l'Auror fece una pausa, sospirando appena - Megan, anche lei ha scoperto la verità, come ha avuto modo dirmi, signor MacNiemand. E mi ha fatto il suo nome, proprio pochi istanti prima che ci accorgessimo di essere spiate. E da come si sono svolte le cose, spiate sicuramente da lei. Avrei dovuto agire più rapidamente, allora, ma non avevo abbastanza prove, non ne avevo nemmeno una. Megan stessa non era riuscita a comprendere del tutto il suo movente e il suo poteva essere anche solo un sospetto. Il cielo sa che non potrò mai perdonarmi la sua morte. Era una cara amica.
«Se avessi perquisito prima la sua camera, signor MacNiemand, avrei potuto evitare la sua morte. C'è qualcosa che Green ha trovato sul pavimento accanto all'armadio che non so spiegarmi...il mio intuito mi dice che potrebbe essere qualcosa di importante... - Si interruppe, facendo scorrere avanti un foglio di pergamena stropicciato. Abraxas e Deirdre si fecero avanti per poter meglio vedere. Era una pagina di libro, un libro a stampa piuttosto antico, su cui era riportato un semplice elenco.- Mi saprebbe dire cos'è signor MacNiemand?»
L'uomo non rispose, scuotendo più volte il capo, come se fosse incapace di dire alcunché.
«Le posso rispondere io. - intervenne Deirdre - Saprei riconoscere questo libro ovunque. Mi sono occupata dei pigmenti per i manoscritti medievali in una delle mie ricerche. Una comparazione tra le sostanze usate in Europa e quelle usate in Oriente. Ho consultato molte volte questo libro. Si tratta di uno scritto del 1715, dal titolo Pigmenti e miniatori in Oriente. Ce n'è una coppia qua al Manor. L'ho vista nei giorni scorsi. Per l'esattezza questo è un elenco di sostanze naturali, vegetali, soprattutto usato nella Cina del XII secolo.» Abraxas si avvicinò maggiormente al foglio e corrugò appena le sopracciglia.
«Possono servire per dei pigmenti...oppure essere anche degli ottimi ingredienti per un veleno. - affermò con una calma, che fece quasi sobbalzare la storiografa - Queste sostanze - disse indicando due dei nomi riportati nell'elenco - sono sicuramente fortemente tossiche, ancor più se mescolate. - fece una pausa - E qui, in quest'angolo, signorina Jameson...la pregherei di osservare.»
Gli occhi di Rosamund e Deirdre si puntarono su una piccola scritta a mano, posta in un angolo della pergamena che riportava le lettere RJ. Immediatamente gli occhi di tutti e tre si puntarono su Zephyrus che durante quello scambio di battute era rimasto muto, tremante.
«RJ...Rosamund Jameson...Dio, Zeph, volevi uccidere anche lei! Perché...?» esclamò all'improvviso Deirdre rompendo il silenzio.
«Io...io...» balbettò senza senso l'uomo.
«È qualcosa di logico se ci pensa, signorina O'Connor. - disse l'Auror, senza impedirsi di rabbrividire appena - Il signor MacNiemand sapeva che io ero a conoscenza dei sospetti di Megan. - l'affermazione della donna fece cadere ogni cosa nel silenzio - Questa, signor MacNiemand è soltanto un'altra prova a suo carico. E dimostra astuzia a sua volta. Credo che avesse trovato un modo per far poi ricadere ogni cosa sul signor Malfoy, come ha fatto nei due casi precedenti.
«In entrambi i casi, infatti, lei, signor MacNiemand, ha agito d'astuzia. - riprese a dire la donna, dopo una lunga paura di silenzio - Come ho già detto il suo scopo era far ricadere ogni delitto su Abraxas Malfoy, per il quale nutre una profonda antipatia, astio forse. Ma non ha colpito direttamente il padrone di casa, bensì una persona a lui particolarmente cara e in una posizione difficile all'interno della magione. Ha fatto in modo di incastrare Charlotte Zurrey. - Rosamund fece una pausa, facendo scorrere sul tavolo i frammenti della lettera ritrovata accanto a Patrick e un filamento posto su un fazzoletto bianco, riconoscibile come un capello - Con una falsa missiva per quel che riguarda Patrick e utilizzando poi una polisucco, in modo tale da non farsi vedere nel momento in cui poneva il manzanillo al posto della mela. Se qualcuno l'avesse notata, avrebbe avuto l'impressione di stare guardando Charlotte Zurrey e non già lei.»
«U-una polisucco…- biascicò Zephyrus - I-io non avrei mai potuto…come…ci vuole tempo per prepararla…»
«Signor Malfoy, per caso nel suo laboratorio conserva anche questa pozione?» domandò Rosamund.
«No, mi occupo di medicine, sperimento sui profumi, ma non ho nessun interesse a tenere pozioni illegali. - fece una pausa - Ma credo che per chiunque sia facile procurarsi qualcosa del genere a Nocturn Alley. Lo stesso negozio in cui vado per comprare alcuni veleni, commercia in pozioni illegali.»
«Quindi lei, signor MacNiemand, può essersi procurato ciò che le occorreva la stessa notte in cui è andato ad uccidere Patrick. - constatò Rosamund. - La signorina Zurrey non ricorda di essere mai stata urtata accidentalmente da lei, ma le cose devono essere per forza andate così, considerando che questo capello, appartenente alla signorina Zurrey, come ho avuto modo di verificare alcuni minuti fa, è stato ritrovato dal sigonr Green nella sua stanza, quando l'ho perquisita oggi stesso. Era finito sul suo scrittoio, signor MacNiemand, nel cui cassetto ho trovato il libro dove ha sottolineato le informazioni sulla pratica dell'harakiri.»
«Lui…è stato lui…ha messo il capello della sua amante…per incastrarmi…» biascicò istericamente il bibliotecario.
«Più probabile sia stato lei a fare tutto, signor MacNiemand. E anche questa volta si è rivelato sagace. - fece una breve pausa - Signor Malfoy, so di averle promesso di non dire nulla, ma capirà anche lei che è necessario mettere tutte le carte in tavola e lei stesso ha fatto un cenno indiretto alla questione, pochi istanti fa. - la donna si interruppe brevemente, giusto il tempo per notare Abraxas annuire. - Lei, signor MacNiemand deve aver scoperto l'esistenza di un laboratorio segreto all'interno dello studio del signor Malfoy. Una stanza celata da tempo. Forse ha visto il signor Malfoy uscirne o entrarvi o più semplicemente ha ipotizzato l'esistenza di passaggi e stanze segrete nella magione. Magari in un primo momento il suo interesse può essere stato puramente da studioso, poi, quando ha iniziato ad uccidere, quando ha iniziato a metere in atto il piano di far andare ad Azkaban al suo posto il padrone di casa, deve aver pensato che prelevare un veleno dal laboratorio nascosto di Abraxas Malfoy avrebbe fatto al caso suo.
«Quindi, dopo aver udito la conversazione tra me e Megan lei deve esservi entrato per cercare un veleno, aver visto il manzanillo. Riconosciutolo ha pensato che sarebbe stato un piano perfetto sostituirlo alla mela che Megan era solita mangiare ogni pomeriggio.» constatò la donna perfettamente calma.
«Io…io…Abaxas Malfoy…non io…il laboratorio segreto...non ne sapevo nulla...è stato Abraxas Malfoy...lui...quel tiranno...» balbettò in un estremo gesto di difesa l'uomo.
«Tu stesso hai detto che hai ucciso, Zeph. - proruppe Deirdre - Hai confessato. Quando la signorina Jameson ha parlato con te…poco fa, hai detto di essere una assassino. …e la signora Malfoy aveva capito che eri tu… Dio, hai tolto la vita a quattro persone …per cosa, Zephyrus, per cosa?»
Il bibliotecario biascicò frasi sconnesse, senza senso, scuotendo più volte il capo. Abraxas Malfoy si alzò lentamente in piedi e si avvicinò ad una delle finestre, come se avesse bisogno di allontanarsi da quell'assassino. A Rosamund Jameson non rimase altro da fare che chiedere a Deirdre O'Connor di mandare un gufo a Londra per chiamare una squadra di Auror.


La pioggia scrosciava violenta, bagnando i vetri del salotto buono di Hayward House. Juliet fissava con espressione stranamente malinconica le gocce che scorrevano a rivoli, impedendole di osservare il giardino che circondava la casa. Accanto alla poltrona dove sedeva era appoggiato il bastone, comodo per essere afferrato e, forse, l'avrebbe prso in mano in quel momento se non fosse entrata rapidamente, per quanto le consentisse la sua mole, Margot, reggendo in mano una coppia della Gazzetta del Profeta fresca di stampa.
«Immagino che lei non sappia ancora nulla, signora.» disse la vecchia governante.
«Nulla di cosa?» chiese incuriosita Juliet.
«È stato trovato l'omicida di Malfoy Manor. - rispose Margot, sedendosi, respirando pesantemente, su una delle poltrone - La notizia campeggia in prima pagina.»
«E c'è anche la foto di Abraxas Malfoy pronto per avere la sorte che si merita?» domandò acidamente Juliet, mentre una strana luce soddisfatta luccicava nel suo sguardo. Margot non rispose per qualche istante, forse spaventata da quello che vide negli occhi della padrona di casa, forse persa in altri pensieri.
«Non è stato il signor Malfoy, come ha sempre creduto lei, signora. - la vecchia governante fece una pausa, evitando di dar peso alla profonda e cocente delusione che apparve negli occhi dell'altra donna - Il giornale dice che è stato arrestato il bibliotecario, Zephyrus MacNiemand, e che le prove conto di lui sono inconfutabili.»
Juliet allungò una mano verso Margot e artigliò il giornale. Gli occhi scorsero avidamente le righe in prima pagina, per poi raggiungere quella interna dove proseguiva l'articolo. A quel che pareva l'uomo era stato arrestato il giorno precedente, subito dopo i funerali di Megan. La donna sbuffò contrariata. Aveva creduto, fin da che aveva appreso della morte di Lysiart Malfoy, che l'omicida fosse il fratello dell'ucciso. Dal suo punto di vista, soltanto qualcuno che aveva lo stesso sangue di chi aveva in un qualche modo portato Rachele alla morte poteva aver ammazzato un uomo in quel modo brutale. Mai avrebbe creduto il bibliotecario in grado di commettere qualcosa di tanto orrendo.
Non dovette riflettere nemmeno per dirsi che quello che la contrariava di più era il fatto che quella vicenda non avesse portato alla rovina, alla distruzione quella maledetta famiglia che in un modo o nell'altro aveva distrutto la vita di sua figlia.


La notizia diffusa ai quattro venti dal giornale più letto dell'intero mondo magico contrariò non poco Abraxas. Tutti se ne resero conto il giorno successivo all'arresto, quando si ritrovarono nella fin troppo ampia sala da pranzo a mezzogiorno. Il padrone di casa appariva più brusco del solito e ancora meno dedito a dire alcunché a tavola. L'unica persona in tutta la casa che pareva addolcirlo leggermente era il figlioletto, presente, come molte altre volte, nella sua culla, posta alle spalle della bambinaia.
Il clima al Manor, dopo la risoluzione del caso, rimaneva ancora teso. Nessuno riusciva a darsi una risposta in proposito. Forse era dovuto al numero incredibile di perdite che avevano dovuto affrontare in così poco tempo, cosa che aveva quasi spopolato la magione; forse l'umore cupo di Abraxas rendeva, per una strana empatia, più cupi anche gli altri. L'unica cosa di cui tutti erano certi era che l'antica abitazione pareva ancora sovrastata da una nube, così simile a quelle che all'esterno scaricavano pioggia a non finire, pronta ad inghiottirla.
Il passare della giornata e della notte subito successiva, non parve diminuire questa sensazione. Non vi era un solo abitante del Manor che, il mattino del giovedì, non si muovesse in maniera stranamente tesa. Si verificava la reazione esattamente opposta a quella che ci si sarebbe dovuto aspettare dopo che era stata posta la parola fine alla tragedia che aveva investito la famiglia Malfoy. Laureen si era rintanata subito dopo colazione nella propria stanza, dove stava presso la finestra a fissare meditabonda la pioggia che ancora scendeva, seppur più lentamente rispetto al giorno precedente. Green vagava per casa controllando che gli elfi domestici facessero il proprio lavoro, ma la sua mente pareva essere persa in pensieri lontani. Hatty si rifiutava ostinatamente di compiere qualsiasi azione, accampando come spiegazione il suo essere un'elfa libera, quindi non soggetta agli ordini del padrone di casa, fatto che stava portando quasi sull'orlo dell'isteria Maky.
Il piccolo Lucius dormiva tranquillo in braccio a Charlotte, la quale si trovava insieme ad Abraxas in quello che era stato lo studio di Lysiart. L'uomo stava chino su delle carte su cui spiccava la grafia del fratello. Teneva una penna nella mano sinistra ed ogni tanto segnava qualcosa a margine di quelle che erano senza ombra di dubbio delle poesie di Lysiart. La bambinaia, teneva un libro in precario equilibrio sulle ginocchia e lo sfogliava rapidamente, fermandosi di scatto quando i suoi occhi intercettarono un nome, lo stesso nome che le era sorto alla mente poco tempo prima, quando Abraxas le aveva mostrato uno degli oggetti sparsi sullo scrittoio. Sobbalzò leggermente, lanciando un'occhiata all'amante. L'uomo la stava osservando a sua volta, attentamente.
«Hai trovato qualcosa?» chiese per primo, ponendo la stessa domanda che era sulle labbra di Charlotte.
«Sì. - disse la giovane, indicando con il capo il volume. Abraxas si alzò dalla sedia e andò a prenderlo, permettendo alla bambinaia di tenere meglio il piccolo addormentato. Charlotte si levò in piedi e seguì il padrone di casa, fino a quando non raggiunsero la scrivania. L'uomo poggiò il volume sul ripiano di legno, coprendo i fogli su cui stava lavorando. - Ecco…qui… - Lotte indicò un paragrafo piuttosto corposo, che proseguiva nella pagina successiva - …lo stesso nome…»
Abraxas annuì, spostando il volume con delicatezza, tenendolo aperto, poi fece segno all'amante di avvicinarsi ai fogli di pergamena che giacevano sul tavolo.
«Osserva….anche qui…il nome…»
«Credi che…» mormorò Charlotte, lasciando la frase in sospeso.
«Sì. È da ieri che mi rodo con questa idea fissa e quello che abbiamo trovato non può che confermarlo. - l'uomo fece una pausa - Ogni cosa porta a questo nome…tutto…e ne abbiamo parlato anche poco fa, ci sono fatti, fatti che ora mi risultano più chiari, che indicano che la persona che porta questo nome sia ben più colpevole di Zephyrus.»
La bambinaia rabbrividì appena. Aveva respirato una certa pace il giorno precedente, nonostante si fosse accorta che qualcosa preoccupava Abraxas. Ogni volta che avevano parlato pareva che fosse distante, come perso in pensieri profondi e inquietanti. Soltanto quando Lucius l'aveva impiastricciato di pappa, durante il pasto serale, aveva abbandonato quello che Lotte aveva creduto, a ragione, fosse un chiodo fisso. Ed in quel momento, tutto le risultava drammaticamente chiaro: nulla era stato veramente risolto martedì, o, forse, se una delle ipotesi, che avevano formulato in quelle ore in cui erano rimasti a discutere nello studio di Lysiart, era vera, soltanto in maniera quanto mai parziale.
«Come intendi agire, Abraxas?» domandò la giovane, senza celare una nota di preoccupazione.
«Non lo so ancora, ma non posso permettere che…»
Le parole morirono sulle labbra dell'uomo, nel momento in cui la maniglia della porta iniziò ad abbassarsi lentamente. Charlotte sobbalzò di colpo, impallidendo. Abraxas allungò una mano verso la giovane, spingendola alle sue spalle. L'uscio si aprì per metà, mostrando a malapena la figura che stava al di là della porta.
Un «Maledizione» appena borbottato giunse chiaro alle orecchie dei due amanti, facendo rabbrividire Charlotte e sbiancare Abraxas che aveva riconosciuto la voce del padre. Pochi istanti dopo l'uscio tornò a chiudersi di colpo.


Ecco a voi un nuovo capitolo! Sappiateci dire cosa ne pensate!

Un grazie particolare a:

Thiliol: Eccoti qui un nuovo capitolo! Ti ringraziamo per la tua recensione e per le tue ipotesi (su cui ancora tacciamo)! Cosa pensi di questo nuovo chap?

Vekra: La tua recensione è bellissima e ti ringraziamo tantissimo! Putroppo come puoi ben immaginare non possiamo rispondere a nessuna delle tue interessantissime domande. Siamo curiosissimi di sapere cosa pensi di questo capitolo!

Moony Potter: Grazie mille per la tua splendida recensione! (capiamo perfettamente la mancanza di tempo). Abbiamo letto con molto interesse tutte le tue annotazioni e le tue domande, alle quali non possiamo rispondere, come puoi ben capire. Speriamo che questo capitolo ti piaccia. Sappici dire!

Un grazie a chi ha messo la storia tra i preferiti e a chi legge soltanto!

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Capitolo 32
*** Capitolo XXXII ***


Capitolo XXXII

Come aquile in picchiata, le pupille di Abraxas saettarono per la camera, sondandola in tutta la sua ampiezza, piantandosi poi come frecce sulla porta chiusa attraverso il cui spiraglio avevano scorto di sfuggita il viso di Adolar Malfoy. Passarono appena due secondi, tanto carichi di tensione che l’aria sembrò rarefarsi, e nella loro memoria l’immagine del vecchio degente, che ambulava senza sedia a rotelle manifestando una lucidità spiazzante, prima di sparire nell’andito debolmente illuminato, riemerse all’improvviso. Nella mente di Charlotte, quell’immagine vorticò con una tanto folle vivacità da mutarsi rabbiosamente in una visione onirica.
«Aspettami qui.» proferì Abraxas, mentre la bambinaia, col cuore in gola per effetto della sorpresa, stringeva l’indice fra le pagine del libro fin quasi a farsi male, e teneva fermo il piccolo Lucius, che, ormai mezzo sveglio, voleva ribaltarsi fra le sue braccia.
Non riusciva a raccogliere le idee in maniera coerente e, anche quando il suo amante fu uscito e si ritrovò da sola a pensare all’accaduto, ebbe come l’impressione di essere precipitata da un mondo di illusioni nella realtà, e l’impatto era stato molto violento. Senz’altro l’assurdità di quel momento era acuita dalla recente scoperta che aveva fatto in compagnia di Abraxas, ma solo in una certa misura.
Nell’attesa dell’amante, la bambinaia poggiò fra le gambe un giornale locale da poco uscito. Quello che la stampa aveva definito il “caso dei delitti orientali” era ancora l’argomento prediletto dai reporter, che adesso si riferivano a Zephyrus MacNiemand come a un assassino sadico e astuto.
Si accennava al movente degli omicidi nelle prime righe, inevitabilmente ornate con iperboli, su cui di tanto in tanto spiccava la dicitura “ragazza irlandese”, descritta con connotati, pensava Charlotte, alquanto caricaturali e irrealistici.
Per un attimo trasalì quando, ad un’attenta lettura, si concentrò sul nome del giudice. Se la memoria non la ingannava, era il fratello del notaio Further, nonché lo zio di Cordelia.
Charlotte aveva sentito parlare innumerevoli volte di Marcus Further. Un individuo duro, privo di scrupoli, con un concetto di giustizia alquanto peculiare che non di rado lo portava a vagliare troppo inflessibilmente la reità della gente.
“Potrebbe ricevere il bacio dei Dissennatori.” rifletté con angoscia. “Come compatisco quel pover’uomo, che si spegnerebbe con l’accusa di aver perpetrato quattro omicidi di cui non è pienamente colpevole!”
Anche adesso, pur essendo ogni cosa limpida come un lago di cristallo, la mente di Charlotte, forse fin troppo radicata nel caos, era inabissata in un oceano di pensieri che, come onde impetuose, si scavalcavano tra loro, caparbiamente restii a instaurare un legame.
Rammentò le parole di Deirdre, la storia di Svenson, la sua maledizione. Sempre più si convinse che risolvere il caso non era stato semplice. Ma Rosamund Jameson aveva arrestato la persona sbagliata, e presto, molto presto, il mondo l’avrebbe saputo.
Abraxas tornò con la notizia che suo padre era riuscito, per ragioni inspiegabili, a lasciare la sedia. Quanto all’imprecazione, ne aveva parlato con Laureen, che si era detta scettica sulla sua veridicità. Abraxas concluse il discorso in maniera laconica, promettendo a Charlotte delle imminenti delucidazioni.
L’angelo del silenzio passò sul Manor mentre i raggi del sole inutilmente provavano a squarciare le nuvole. Le mani intrecciate dietro la schiena, il padrone di casa diede uno sguardo oltre la finestra, mentre Charlotte, ancora seduta, sentì un tremore scuoterla da capo a piedi e trasmettersi anche a Lucius.
«Se ogni cosa andrà secondo i miei piani, stanotte, appostati nella stanza delle armi, vedremo il vero assassino, e dimostreremo a Rosamund che Zephyrus è innocente. – disse Abraxas, lo sguardo fiero e inflessibile, voltandosi verso l’amante. – Abbi fiducia in me, Lotte.»


A notte fonda, il campanile di St. Martin Abbey lanciò tre rintocchi sottili che raggelarono il sangue nelle vene degli abitanti. Una falce di luna risplendette nel cielo, offrendo uno spettacolo di memorabile bellezza mentre le nuvole panciute sembravano dissolversi. Erano le tangibili avvisaglie della sospirata stagione calda. Le ultime tracce del temporale che si era abbattuto sul borgo e sui luoghi vicini scomparivano inghiottite da una bruma inconsistente. Il clima, non del tutto freddo, ma velato da una nota di calore, favoriva finalmente il sonno. Più d’un uomo era scivolato in un quieto dormiveglia, quella buia sera d’estate, senza quasi rendersene conto. Ma il Manor non dormiva. Due figure, nascoste nell’ampia stanza delle armi, al secondo piano, vegliavano chete, in attesa che il vero assassino si mostrasse ai loro occhi, dopo essere caduto nella trappola che Abraxas aveva tessuto con molta astuzia. Il tempo passava, tanto lentamente che Charlotte sentiva a volte la testa ciondolare per la noia e la sonnolenza. Ma la curiosità e una strana tensione avevano sempre la meglio in lei. Sapeva perfettamente chi avrebbe visto in quella stanza, e non si trattava di Zephyrus MacNiemand, arrestato per un tragico concorso d’eventi, seppur colpevole di uno dei quattro omicidi, quello di Loreley. Gli assassini erano due, l’uno sciocco e pavido, l’altro sagace e furbo.
Proprio quest’ultimo, a quell’ora, gioiva nell’ombra, ignaro del piano che in quel momento si attuava a sua insaputa.
Suonarono le tre della notte. Sfilacci di nebbia danzarono dietro la feritoia, avvolgendo gli alberi ed il prato attorno al Manor.
«Sei sveglia, Lotte?»
Quella voce non era più forte di un sussurro. Ed un mormorio altrettanto sommesso fece eco al primo.
«Sì.»
«Non uscire allo scoperto prima del segnale.»
Charlotte annuì nella penombra, ma Abraxas non poté vederla. Solo i fregi dorati di qualche arazzo luccicavano fra le tenebre a tempi alterni, sfiorati da un raggio di stelle.
Cinque, dieci, quindici minuti ancora trascorsero senza che nulla accadesse. Charlotte sentì il cuore battere con crescente rapidità. Le stava a cuore la sorte di Zephyrus, benché fosse consapevole della sua natura crudele. “Il bibliotecario ha ucciso Loreley perché mosso da un folle impulso.” pensò, umettandosi le labbra. E quando ripensò al vero assassino, sentì nel profondo del cuore un dolore lacerante. La cattiveria è tanto più potente quando si annida nell’animo delle persone intelligenti, poiché lì viene acuita dall’ingegno. Non era certo quello il caso di Zephyrus MacNiemand, un uomo senz’altro spregevole, ma quanto mai sciocco, di cui la bambinaia aveva pietà. Simili pensieri turbinavano nella mente di Abraxas, che li scacciava infastidito. Era stato arduo capire che, nel “caso dei delitti orientali”, gli omicidi erano due, e non uno solo. Era stato arduo capire che Zephyrus aveva uccise Loreley, la sua sorellastra, perché l’aveva ostacolato in amore. Era stato arduo capire che, in quella faccenda, a nessuno importava l’eredità di Adolar Malfoy. Alle quattro, non era ancora successo niente. Si respirava un’aria molliccia e greve, e insetti viscidi s’erano insinuati dalle fessure per posarsi sulle armi della stanza. Era ancora buio pesto, qualche cicala sbatteva le ali, tutti dormivano. Charlotte stringeva i pugni, decisa a non addormentarsi. Abraxas attendeva freddamente che l’assassino gli si rivelasse.
Le quattro e un quarto. Si udì un leggero scricchiolio. I due amanti, avvezzi al silenzio, smisero di respirare, guardando in direzione del camino, mentre l’uno sentiva il cuore dell’altro battere e temeva, più d’ogni cosa, per la sua salute piuttosto che per la propria. Lo scricchiolio si ripeté, stavolta più forte e chiaro, e se in un primo momento Abraxas e Charlotte avevano avuto dei dubbi, essi furono parossisticamente spazzati via. Scattarono dei meccanismi all’interno della parete, il signore di Mictlan si inchinò grottescamente di scatto, rivolgendo le dita al pavimento levigato. E poi, rumore di dischi dentati rudimentali, e passi ovattati. Né Abraxas né Charlotte ebbero bisogno di dire che quello era il momento che stavano aspettando.
La cappa del camino scomparve, rimpiazzata da un quadrato di nero. Una figura china aveva azionato il passaggio segreto, e adesso entrava, a passi felpati, nella stanza delle armi.
La prima cosa che i due amanti percepirono fu un’ondata di profumo, intenso e stordente come una droga. Quindi, videro sullo sfondo buio un’ombra che si muoveva in direzione del gelsomino in fiore. Era l’omicida di Lysiart, Patrick e Megan. Era la talpa. Abraxas sentì una scarica di adrenalina, fredda come ghiaccio, percorrergli la schiena e poi le braccia. Le gambe gli cedettero e riconobbe le avvisaglie di una crisi epilettica. Si frenò, costringendosi a rimanere alzato. Nessuna crisi epilettica. Solo molta, troppa tensione.
Charlotte guardava l’omicida con sguardo compunto. Non riusciva a vederne i lineamenti, ma le sembrava di coglierli ugualmente con l’immaginazione. Il filo di un arazzo collegava il nascondiglio di Abraxas da quello di Charlotte, a tre metri da lui. Il padrone di casa lo scosse leggermente. Era il segnale.
Due bacchette si illuminarono, annullando il buio, e quando Abraxas e Charlotte fecero un passo, sul volto dell’omicida, a tre metri di distanza, si dipinse un sorriso strambo e capriccioso.
«Sapevo già tutto. – disse Abraxas. – E’ inutile continuare a fingere.»
«Deponga la bacchetta. – disse Charlotte. – Siamo due, e la circondiamo. Faccia una mossa affrettata, e la precipiteremo a terra.»
Una risata sguaiata proruppe dalle labbra della figura incappucciata che odorava di rose e gelsomino. Non si mostrava impaurita, ma più tenace di quanto non lo fosse stata durante la fase delle indagini.
«Avevo immaginato che mi si tendeva una trappola. – disse. – Ma non sono pentita d’essere venuta.»
Il cappuccio scivolò via dalla testa, scoprendo il volto vispo di Rosamund Eustacia Jameson.
«Sapevo che avrebbe abboccato. Era un piano sciocco, ma, lo avevo detto a Lotte, sicuramente efficace.» esclamò Abraxas, tra gli sguardi interrogativi della bambinaia. Ci fu un attimo di silenzio.
«Non ho creduto a tutte le parole della missiva. – disse Rosamund. – Ma per precauzione, sono dovuta venire.»
«Ha portato la lettera con sé? Non ho ancora detto a Charlotte cosa c’era scritto.»
«L’ho portata.» disse Rosamund, annuendo, per poi trarre da una tasca del mantello un pezzo di carta stropicciato che gettò ai piedi della bambinaia.
Charlotte lo colse e lesse a voce alta la grafia di Abraxas:

Signorina Jameson,
le scrivo per comunicarle che ho trovato una poesia di Lysiart, in cui si dice di guardare oltre l’eleganza. Non riesco a decifrarla, ma indagherò. Le sarei grato se volesse aiutarmi a risolvere quest’ultimo enigma.

Abraxas Malfoy

«Oltre l’eleganza?» ripeté Charlotte, senza capire.
«Come ti ho spiegato, Lotte, era tutto un piano. Ho scritto stamattina questa missiva. Lysiart aveva disseminato il nome della signorina Jameson da per tutto, nella magione. E la signorina Jameson sapeva che il gelsomino è simbolo di eleganza, mentre credeva che io non lo sapessi. Ho finto di aver scovato questa fantomatica poesia perché sapevo che lei si sarebbe precipitata a controllare che non ci fosse nessun indizio che potesse andare a suo discapito dietro la stampa del gelsomino in fiore, oltre l’eleganza, appunto.»
«Ebbene, mi sono fatta in parte cogliere di sprovvista. Ma non del tutto. Ho pensato che il rischio era troppo grande. Lysiart poteva aver nascosto qualcosa dietro il gelsomino che parlasse di me. Dovevo controllare.» ammise Rosamund.
«Allora, non c’è più dubbio. Lei era l’amante di mio fratello Lysiart.»
«Proprio così. – Rosamund sorrise. – Quel povero disgraziato di Lysiart. È forse meglio che non pensi a quello che gli ho fatto. Provo un misto di ribrezzo e cinico piacere. Una pratica affascinante e insieme truce, quella dell’harakiri. Rifarei ciò che ho fatto, se potessi. E’ stato esaltante, ed inebriante. »
Abraxas rispose a quell’asserzione con atteggiamento impassibile, mentre Charlotte chiuse gli occhi.
«Non sono riuscito a ricostruire la faccenda nei minimi dettagli. – disse Abraxas. – Di certo non le dispiacerà spiegarmi come sono andate le cose.»
«Sarà un piacere rievocare i momenti più belli della mia vita, signor Malfoy. Lo faccio senza remore e tristezza, poiché, come le ho detto, provo tutto fuorché rimorso. E poi, ha dimostrato, incastrandomi con quella missiva, di meritare le mie spiegazioni. Vorrei nondimeno sapere quali indizi l’hanno portata a scoprire che c’ero io, sotto ogni assassinio.»
«Ne parleremo a tempo debito.»
L’Auror annuì, assumendo un’aria posata, riflessiva.
«Mi accingo dunque a spiegarvi quello che è successo, ma dovreste averlo intuito. Una mente che riesce a beffare Rosamund Jameson sicuramente rimetterà in piedi con facilità la dinamica di un delitto. Non avevo mai incontrato, dal momento in cui nacqui, una persona più profonda e interessante di suo fratello, signor Malfoy. – esordì l’assassina sorridendo. – Fu in occasione di un viaggio in Persia - gliene avevo accennato – che le nostre vite si incrociarono. Io ero partita per diletto, così, perché la vita mi annoiava. Eh, sì, la vita è noiosa, signor Malfoy. E lui, Lysiart, era venuto solo, senza la moglie tra i piedi. Per uno scherzo della sorte, ci incontrammo in un bazar, sedemmo insieme all’ombra di un bersò e bevemmo fino alla mezzanotte. La prima cosa a colpirmi di lui furono gli occhi. Capii dalla loro debolezza che erano stanchi, ma desiderosi di splendere. Indagando, scoprii che era un Malfoy. Dapprima fummo sorpresi di provenire dallo stesso luogo. Dicemmo che il mondo è piccolo, per poi ridere di questo mediocre luogo comune, e riconoscere una reciproca affinità di sentimenti. Solo dopo quella risata capimmo che il Fato ci aveva fatti incontrare.
«Mentre mille voci di mercanti si miscelavano tra loro e noi eravamo uniti dal linguaggio comune, Lysiart mi parlò di Rachele, della propria frustrazione, delle poesie, di ciò che pensava a proposito della vita, dell’uomo, della natura, dell’arte. Io gli dissi che facevo l’Auror, che ero una cara amica di Megan – cosa che lo stupì –, che la mia vita era cambiata molto, negli ultimi tempi, e che andavo alla ricerca del brivido. Ci dovemmo salutare per quella sera, ripromettendo di vederci per la colazione. Tornai in albergo, dove alloggiavo in quel periodo, con una nuova sensazione in corpo. Si respirava un’aria satura di profumi orientali, balsami freschi e frutti esotici. Il letto aveva un lenzuolo leggero e ruvido, in cui mi avvolsi, sognando orizzonti lontani di avventura e romanticismo. Dalla finestra giungevano canti in una lingua strana, e guardando la strada mi sembrava di scorgervi Lysiart. Era dappertutto, specie in quelle stelle luminose che in Persia paiono sfolgorare più luminose che in Inghilterra, dove l’ambiente è poco selvaggio, piatto e banale.
«Lessi Verlaine e Rimbaud, prima di addormentarmi, e diversi componimenti trobadorici che portavo sempre in valigia. Ma non smettevo di pensare all’uomo che quel giorno avevo conosciuto. Seppi che avevo aperto il mio cuore per accogliere Lysiart, la prima e l’unica persona che mi avesse mostrato luoghi immaginari tanto fascinosi. Ma era un amore strano e indefinibile, fatto di passione e possessione. Andai da lui, quella notte, e gli chiesi di lasciare sua moglie, di stabilirsi con me a Venezia, città che mi ha da sempre affascinato. Rifiutò, sebbene, notai, avesse lottato come un matto prima di deliberare. Ciononostante, ebbe inizio una lunga storia tra noi.
«Tornammo in Inghilterra dalla Persia, e cominciammo a vederci sempre più spesso. Dato che Lysiart non aveva voglia di scandali, il nostro rapporto doveva rimanere segreto. “Segreto”, una parola così affascinante per una donna che cerca l’avventura…
«Eppure, egli voleva mostrarmi Malfoy Manor, le sue poesie, i profumi cui lei, signor Malfoy, lavorava nella stanza segreta del laboratorio, e farmi vedere qualche abitante di nascosto. Mi disse, allora, che suo padre, Adolar Malfoy, gli aveva rivelato un tempo l’esistenza di un passaggio segreto che si apriva qui, nella stanza delle armi, e collegava all’esterno. E’ lo stesso varco per cui adesso sono passata. Lysiart mi stava dicendo, con un giro di parole, di entrare nella sua abitazione quando e se lo avessi voluto, all’insaputa di tutti, per incontrarlo.
«Quando seppi dell’esistenza di questo passaggio, divenni incontenibilmente felice, perché la nostra tresca amorosa, oltre che ardente, si faceva affascinante. Il passaggio segreto, dicevo, collega la parte esterna del Manor con la stanza delle armi. Basta premere un pulsante nascosto fra le scanalature della parete di fuori, e si apre un percorso ripido che conduce qui. Naturalmente anche questa è opera di Svenson. Quanto mi fu utile, senza saperlo, quel povero matto!
«Venivo sempre con maggiore assiduità qui al Manor, utilizzando il passaggio che porta al camino. Io e Lysiart ci mettevamo d’accordo sugli orari. Alle due di notte, lasciava il suo letto matrimoniale e veniva qui, ad accogliermi. Scattavano gli ingranaggi, uscivo fuori dal camino, gli gettavo le braccia al collo e indugiavamo un po’ assieme, lontani da tutti. A volte stavamo ore e ore coricati sotto la stampa del gelsomino in fiore, sullo stesso tappeto su cui adesso cammino. Altre volte, riutilizzando il passaggio segreto, uscivamo in giardino e vagavamo senza meta, o ci inoltravamo nelle radure.
«Vi ho detto che il nostro era un amore indefinibile, fatto di passione e possessione. Quest’ultimo elemento era senz’altro quello predominante. Forse aveva capito che ero pericolosa. E infatti, al mio cospetto Lysiart si fece d’improvviso timoroso e incerto. Un atteggiamento che inizialmente mi diede sui nervi, ma da cui, più tardi, trassi dei benefici. Cominciai a chiedere a Lysiart di favori, appellandomi alla sua gentilezza. Piano piano, lo schiavizzai.»
«Lo schiavizzò? – ripeté Abraxas. – Che significa?»
«Significa che lo costrinsi più volte a fare ciò che desideravo. – ribatté Rosamund, rivolta più a Charlotte, che a suo giudizio poteva capire meglio faccende di quel tipo, che al padrone di casa. – Arrivai a dirgli di trattar male Rachele, solo per vedere se era disposto a farlo. Ovviamente rispettò il mio ordine.
«Quella scalognata di Rachele aveva gli occhi bendati, ma infine capì che Lysiart aveva un’amante. Forse glielo disse lui, sta di fatto che il 14 novembre dello scorso anno, appresi da Lysiart che sua moglie si era tolta la vita.
«“E’ salita sul balcone, l’ho sentita gemere, poi si è lasciata cadere. Ho provato rimorso, Rosamund” mi disse lui due giorni dopo.
«“Rimorso?” gli risposi. “Tu non sai cos’è il rimorso, Lysiart. Non l’hai mai saputo. Per te esiste solo l’amore. E allora amami, Lysiart, amami con tutto te stesso, perché non ti rimango che io.”
«Riuscii a vincere anche in quell’occasione. Sebbene Rachele fosse morta, ci incontravamo, e sempre più spesso. Lysiart cominciò a sentirsi oppresso da me, considerandomi la causa della morte di sua moglie, e più me ne rendevo conto, più lo opprimevo. Non chiedetemi perché. Sapevo solo che dovevo farlo, e che difatti lo feci.»
«Ecco il significato delle sue poesie. – intervenne Charlotte. – L’oppressione, le catene invisibili, la prigione. Tutto per causa sua.»
«Tutto per merito mio. – disse Rosamund. – Non si crucci, Charlotte. Non c’è ragione per farlo. Di Lysiart non resta che una futile salma.»
«Ma perché lo uccise?» domandò Abraxas con freddezza.
«Per cinismo, e perché non voleva più obbedirmi. Dopo la morte di Rachele, Lysiart era diventato inutile. L’omicidio accadde, come sapete, il 12 Aprile di questo stesso anno. Era sera, e avevo usato il passaggio segreto per trovarmi qui, nella stanza delle armi, assieme a lui. Stavano tutti cercando il vecchio Adolar Malfoy, ed era rischioso, per me, rimanere con lui e mantenere la segretezza. Lysiart sembrava molto agitato, forse per paura che suo padre non venisse trovato, quando mi disse: “Non ti amo più, Rosamund, ed anzi nego di averti mai amato.”
«“Non è vero.” replicai con calma apparente, ma nel mio cuore si agitava un mostro, direi quasi un angelo nero. Il rumore dei passi che si spandevano nella magione arrivava alle mie orecchie. “Tu sei perdutamente innamorato di me. Su, dimostramelo.”
«Lo vidi tremare, e all’improvviso mi scacciò e mi disse che non voleva più saperne di me. Non tollerai quello sgarbo.
«Nella mia mente si fece spazio un pensiero allettante. Mi ricordai all’improvviso delle daghe del trisavolo. Lysiart me le aveva mostrate, dicendo che erano un importante cimelio di famiglia. Aprii in un attimo il compartimento segreto, prelevai una daga e lo uccisi, praticando l’harakiri. Una prassi affascinante, eseguita dai samurai che dovevano espiare una colpa. E Lysiart aveva la sua colpa da espiare.
«Adesso dovevo ripulire le impronte, ma non ne avevo il tempo. Il sistema di allarme impediva che la daga rimanesse per tre minuti lontana dal compartimento segreto. Oltretutto sentivo delle voci sempre più vicine alla stanza delle armi. Vivamente terrorizzata, riposi la daga e mi nascosi nel camino. Speravo di poter ripulire la daga in futuro. Non l’avrebbero presa immediatamente, o almeno così pensavo.
«In quel momento, la porta di destra, non quella che dà sulle scale, ma quella rivolta al disimpegno, si aprì. Entro lei, signor Malfoy, tutto trafelato. Vide suo fratello morto e fu colto da una crisi epilettica. Quasi simultaneamente, tutti gli altri abitanti erano qui. A quel punto, al mio terrore si sostituì l’esaltazione.
«Ascoltai parte della vostra disamina sul cadavere, poi ebbi nuovamente paura ed essendo già nel camino azionai il passaggio segreto e fui fuori dal Manor, dicendomi che avrei trovato il modo di lavare via le impronte se e quando fossi stata chiamata per indagare. Nessuno avrebbe toccato niente prima dell’arrivo degli Auror. Era la prassi.»
«La parte di discussione che udì, signorina Jameson, la indusse a commettere uno sbaglio in seguito. Uno sbaglio che le costò caro. – disse Abraxas. – In occasione di un nostro incontro, ricorda?, mi disse qualcosa che non poteva sapere se non fosse stata presente nella stanza delle armi subito dopo il delitto. Mi disse, precisamente, che Hilda mi aveva chiamato per nome, sostenendo che ero stato io a rivelarglielo.
«Errore! Io non le avevo mai detto nulla in proposito. E che motivo avrei avuto? A dire il vero, avevo quasi dimenticato quel dettaglio. Mi chiesi come lei facesse a saperlo, e alla fine dovetti concludere che, evidentemente, ero stato io a dirglielo. Guardavo a lei solo come a un’Auror, lo capirà. Ma mi restò comunque un dubbio.
«Inoltre, signorina Jameson, quando veniva al Manor per indagare, non di rado mi dava motivo di pensare che conoscesse fin troppo bene l’abitazione. A volte accelerava il passo, e mi superava addirittura, perfettamente cosciente del luogo in cui stava recandosi.»
Rosamund annuì.
«Ho commesso i miei errori. – fu la sua risposta. – Comunque, per molto tempo seppi come giostrare il mio ruolo. Quando rilevammo le impronte della daga, non c’erano che le mie e le sue.
«Fui io a lanciare l’incantesimo Obscurus. Fui io a ridurre al silenzio Adolar Malfoy, quando, tutti assieme, ci trovavamo nella sua camera. E lo feci perché, nel suo delirio, Adolar era lì lì per pronunciare qualcosa di compromettente. Non potevo certo essere sicura che Adolar non avesse inteso, per caso, la mia colpevolezza. Nonostante la sua follia, aveva sprazzi di lucidità. E se in uno di quei momenti mi avesse visto e avesse sospettato di me? Dovetti per forza addormentarlo.
«Se non sbaglio, fu quello stesso giorno che venne rinvenuto, in camera di Lysiart, un fazzoletto femminile. Avrete capito che apparteneva a me. Lo avevo donato a Lysiart, che voleva avere sempre a portata di naso il mio profumo. Fu così sventato da lasciarlo incustodito, e voi lo trovaste.
«C’erano quattro fiori sul fazzoletto. Una rosa, un’orchidea, una salvia e un’erica. Patrick non riuscì mai a identificarli. Le iniziali di questi quattro fiori davano l’abbreviazione del mio nome, “Rose”.»
Abraxas arcuò le sopracciglia, mentre Charlotte ascoltava con attenzione le parole dell’assassina.
«Le cose si complicarono quando lei, signor Malfoy, trovò il diario di Lysiart. – continuò quest’ultima. – Lysiart non faceva mai il mio nome, ma le righe erano piene di rischiose allusioni. Fu una fortuna che quella gazza, attratta dal dorsetto dorato, provò a rubarlo senza esito. Lavorò a suo modo per non far ricadere i sospetti su di me, collaborò, certo senza saperlo, a mantenere segreto l’omicidio. Non era un Animagus, ma ne approfittai per farlo credere. Per il suo aiuto sono grata a quella gazza.
«A casa, lessi tutto il diario di Lysiart. Impiegai diverse ore, ma fu piacevolissimo, e non solo perché seppi che Lysiart aveva davvero sofferto per causa mia. Avevo fatto bene a prenderlo. C’erano numerosi accenni a una tresca, e molte altre informazioni di cui le parlerò tra poco.
«Poiché lei avrebbe potuto reclamarlo, signor Malfoy, inscenai la storia dell’individuo misterioso che lo aveva rubato in mia assenza. In realtà, nascosi il diario nel mio armadietto, al Quartier Generale degli Auror. E rimase lì per tutto il tempo.
«Nascosto il diario, per sviare ancora un po’, come se ce ne fosse bisogno!, inventai la storia della lettera che mi era stata recapitata, in cui mi si diceva che l’assassino si nascondeva al Manor. La lettera l’avevo redatta personalmente, prima di mostrargliela.»
«Sappiamo anche che lei non ha ucciso Loreley.» disse Abraxas, compunto.
«Certo che no! E perché avrei dovuto farlo? – disse Rosamund. – E’ stato Zephyrus MacNiemand a uccidere la sua sorellastra, per i motivi che ho addotto prima di arrestarlo. Era vera la storia d’amore con Deirdre, era vera l’opposizione di Loreley.»
«Quanto al certificato di nascita, avrà capito perché lo nascosi. In primo luogo temevo di essere incastrato. Fu un atto un po' vigliacco, lo ammetto. Ma soprattutto, volevo vederci chiaro nella faccenda, senza spargere subito la voce a proposito della vera identità della mia sorellastra. A quel tempo seguivo la pista dell'eredità.»
«La capisco perfettamente. E posso spiegarmi perché Zephyrus uccise Loreley in quel periodo. Aveva meno possibilità di essere scoperto, perché tutti avrebbero addebitato allo stesso omicida sia il delitto di Lysiart, sia il suo. Lo compì nel padiglione cinese per una straordinaria coincidenza. Anche il secondo omicidio aveva dunque un elemento orientale. Lysiart era morto con l’harakiri. Loreley in un contesto pure orientale.
«L’elemento levantino giocò a mio favore. Anche a me conveniva che tutti gli omicidi venissero addebitati a una stessa persona. Avevo finalmente un compito, oltre che mentire: dovevo scoprire chi aveva ucciso Loreley e incastrarlo, farlo arrestare al posto mio. Compii anche gli altri delitti con armi orientali: il kriss, ed il manzanillo. Infine, come avete visto, ho sbattuto Zephyrus in prigione, facendo credere che fosse colpevole di tutti gli omicidi.»
La macchia di sangue sulla stampa del gelsomino sembrò rifulgere.
«Non ci ha ancora spiegato come e perché uccise Patrick.» disse Abraxas.
«Sapete dunque pochissimi dettagli. – disse Rosamund. – Sarò contenta di rivelarveli.
«Patrick cominciò a capire che dietro gli omicidi c’ero io. Forse risolse la faccenda del fazzoletto, forse riconobbe il mio profumo. Fatto sta che gli venne in mente di aprire il mio armadio per cercare indizi. Nel mio armadio trovò il diario di Lysiart (vi avevo detto che l’aveva nascosto lì). Stando a ciò che avevo detto io, il diario doveva essere stato trafugato. Se Patrick lo aveva trovato, senz’altro era stato capace di ricostruire ogni cosa, di comprendere che avevo mentito.
«Quando mi accorsi che il diario non era più nel mio armadietto, fui colta dal panico. Ebbi uno scatto di paura e dissi che, a causa della stanchezza, dovevo lasciare assolutamente il Quartier Generale. Patrick acconsentì, e permisi anche a lui di andarsene via.
«Avevo chiesto, durante le deposizioni del giorno precedente, che apponesse la sua firma, signorina Zurrey. La sua grafia poteva sempre tornarmi utile. E infatti fu così.
«Il giorno in cui Patrick scoprì la storia del diario, decisi di rivolgermi a un calligrafo, che scrisse una lettera firmandosi “Charlotte Zurrey”. La grafia era identica alla sua, signorina Zurrey. Se avessi usato un incantesimo per copiarla, sarebbe forse stato scoperto. Ma col calligrafo la faccenda era diversa.
«Allora credevo che lei, signorina Zurrey, avesse ucciso Loreley Malfoy, per sposare Abraxas e prendere poi l’eredità del vecchio Malfoy. E proprio su di lei volevo far ricadere i sospetti. Era sicuramente più giusto che venisse arrestato l’omicida di Loreley, piuttosto che un innocente.
«Recapitai la missiva firmata “Charlotte” a Patrick, chiedendogli un incontro a Nocturn Alley. Lo stolto ci cascò in pieno. Ero stata previamente nella stanza delle armi, passando per il camino, e avevo rubato il kriss malese (vi sarete accorti che tutte le armi venivano dal Manor). Patrick giunse nel quartiere malfamato, credendo che Charlotte sarebbe arrivata, e lì lo assassinai.
«Dopodiché, mi infiltrai in casa sua e ripresi il diario di Lysiart. Lo aveva portato con sé dopo averlo scovato nello stipo.»
Charlotte trattenne a stento un singulto. Rosamund intercettò il segnale e rise crudelmente.
«Poi, ci fu la storia di Megan, che voleva parlarmi. – continuò imperterrita. – Aveva capito, in base ad alcuni miei atteggiamenti e ad una particolare poesia di Lysiart, che ero l’amante di suo cognato, e voleva spiegazioni. «Non sarebbe servito negare l’evidenza. Aveva prove schiaccianti. Così ammisi di essere l’omicida. Megan mi conosceva benissimo dai tempi di Hogwarts. Capiva se e quando mentivo. Mentre discutevo con lei nella radura, Zephyrus venne a spiarci, temendo che sua moglie, signor Malfoy, facesse il nome di lui. Comunque non credo che riuscì ad udire Megan che pronunciava il mio nome. Ero al sicuro. Senza contare che quel suo spiare poteva tornarmi utile. Restai ancora nell’ombra.
«Adesso dovevo uccidere Megan prima che mi denunciasse. Innanzitutto le dissi che, se fosse stata mia complice, avrei fatto incastrare lei, signorina Zurrey. Megan avrebbe riavuto suo marito. Divenne allegra come una Pasqua e subito accettò.
«“Farei di tutto pur di liberarmi di Charlotte” mi disse.
«Povera illusa! Come potevo fidarmi delle sue parole? Se per esempio lei, signorina Zurrey, se ne fosse andata di sua libera scelta, Megan avrebbe avuto tutte le buone ragioni per denunziarmi. In breve, Megan non poteva rimanere viva.
«“Trova il modo di strappare due capelli alla Zurrey.” le dissi. “Con una Polisucco, potrò incastrarla facilmente.” Megan me li fece avere quasi subito.
«Invece di rispettare la promessa, il giorno dopo, la uccisi. Potete immaginare come. Certo non sapevo che voi sareste andati a teatro, o avrei scelto un momento più opportuno. Lei, signorina Zurrey, aveva indubitabilmente un alibi di ferro. E io dovevo utilizzare la Polisucco per prendere le sue sembianze in un momento in cui era potenzialmente dentro la magione. Ma non c’era tempo di organizzarsi. Comprai la Polisucco a Nocturn Alley, ci misi dentro il capello che Megan aveva rubato per me e divenni un’ineccepibile Charlotte Zurrey. Azionai allora il passaggio segreto nel pomeriggio, mi infiltrai nella magione e, non vista, sgattaiolai fino al laboratorio.
«Lysiart stesso mi aveva mostrato la stanza segreta del laboratorio, ve lo avevo detto. La conoscevo prima che lei me ne parlasse, signor Malfoy. Certo dovevo assaporare i profumi a cui lì dentro lei lavorava. Quando Lysiart me ne accennò, volli sperimentarli. Io adoro i profumi. Sono la mia vita, la mia droga.
«Mi facevo accompagnare da lui nella stanza segreta una volta tanto. Lì godevo dell’effluvio di rose, freschissimo e ottundente, che si trovava nelle boccette. Avevo già visto, una di quelle volte, i manzanilli.
«In occasione dell’omicidio di Megan, sapevo quindi cosa fare. Colsi con l’equipaggiamento adatto un frutto velenoso – ce n’erano molti – e mi richiusi alle spalle la porta della stanza segreta. Nessuno dovette vedermi. Ma se anche qualcuno intercettò la mia figura, sicuramente non le prestò la dovuta attenzione.
«Col manzanillo in mano, fu semplicissimo poi utilizzare le scale di servizio per raggiungere il primo piano, dove, nascostamente, prima feci rumore per attirare gente, dopo sostituii una mela col frutto mortifero.
«Ottilia Zurrey, che mi vide di spalle, fu meravigliata, e stava per raggiungermi. Credeva naturalmente che fossi a teatro. Prevenendola, uscii nel balcone e disparvi. Ottilia dovette cercarmi, per poi credere d’essersi sbagliata. Al momento opportuno ritornai nella stanza delle armi, dove misi in moto il passaggio segreto ancora una volta. E il gioco era fatto. Quando Megan avesse mangiato la sua mela, fissa che coltivava dai tempi di Hogwarts, sarebbe morta.»
«E’ stata lei! – esclamò Charlotte. – Lei ha utilizzato la Polisucco, non il bibliotecario! E ha finto durante tutto l’interrogatorio, mentre io e mia sorella soffrivamo sotto i suoi occhi.»
«Cos’altro dovevo fare, signorina? Rivelare tutto? Sarebbe stato da sciocchi, vista la lunga strada che avevo percorso. Non potevo tirarmi indietro. Stetti dunque al gioco. Si starà chiedendo allora che ci faceva il suo capello nella stanza di Zephyrus, e cosa il foglio con i pigmenti e la sigla del mio nome! La risposta è semplice. Glieli collocai personalmente.
«Era il giorno del funerale di Megan. Chiamai Green per farmi scortare nella camera di Zephyrus. Avevo deciso di incastrarlo, e di porre fine alla mia lunga attività di attrice. Avevo con me sia un suo capello, signorina Charlotte, che il foglio coi pigmenti, preparato a casa con grande cura. Conoscendo la casa, precedetti il maggiordomo, entrai nella stanza del bibliotecario, lasciai cadere in un attimo il foglio di carta appallottolato con l’elenco dei pigmenti. Quando entrò il maggiordomo, che mi seguiva, finsi di prestare la mia attenzione al libro che stava sullo scrittoio e inscenai il ritrovamento del capello, che in realtà avevo portato con me da casa. Avevo intenzione di allestire una messinscena per il rinvenimento del foglio appallottolato, ma non ce ne fu bisogno. Quel tonto di Green lo vide e me lo passò. Fui molto fortunata, lo ammetto.»
«E l’harakiri? – domandò Charlotte. – La parola “harakiri” era sottolineata sul libro di Zephyrus. E’ stata lei a evidenziarla, dico bene?»
«No. – replicò placidamente l’assassina. – Non sono stata io. Lo stesso Zephyrus, dopo la morte di Lysiart, doveva essersi documentato, mettendo in risalto sul libro il termine “harakiri”. Fu una coincidenza. Un altro punto a mio favore!»
«Così, arrestare Zephyrus non fu per lei un problema.» interloquì Abraxas.
«Al contrario, potrei definirlo un vero divertimento. Questo è stato il caso più esaltante dell’intera mia vita. Come un serpente che insegua la sua coda, sono andata alla ricerca di me stessa. Ma non potevo mai trovarmi. O meglio, non volevo farlo.
«E se non fosse stato per la sua intelligenza, signor Malfoy, per la trappola che mi ha teso, astuta, non c’è che dire, sarei ancora un’assassina nell’ombra. Ripeto, Lysiart poteva benissimo aver nascosto tracce sulla mia colpevolezza dietro il gelsomino. Sarebbe stato sciocco non venire a controllare, con un passaggio segreto che dava direttamente dinnanzi alla stampa. Con quella sua missiva ha fatto un ottimo lavoro, signor Malfoy. Una tagliola esemplare, lo ammetto, benché l’animale braccato sia io.»
«A sua insaputa, - disse Abraxas, - Lysiart aveva disseminato nelle sue poesie la traccia di un amore adulterino. Ricostruendo i pezzi del mosaico, sono riuscito ad arrivare a lei, signorina Jameson.»
«Questo vorrei capirlo meglio. Cos’è successo esattamente?» disse Rosamund, accigliata per la prima volta.
«Ho decifrato due delle sue poesie. Erano giochi di parole che davano il suo nome.»
Abraxas trasse di tasca un pezzo di carta, e lo mostrò all’omicida.

«Distrutta riposa
Nella mia oscura prigione
Umida e sotterranea
Mortale e avvelenata
Solitaria
Opprimente
Nostalgia dell'eterna
Mia assoluta
Illusione.»


«Ebbene?» domandò Rosamund.
«Ebbene, - ripeté Abraxas, - sembra che un serpente di lettere si snodi per la poesia. Legga le parole in quest’ordine: Riposa, Oscura, Sotterranea, Avvelenata, Mortale, Umida, Nella, Distrutta. La successione delle iniziali dà Rosamund. Ma il genio di Lysiart non si fermò qui. Legga, ancora, Illusione, Assoluta, Mia, Eterna, Solitaria, Opprimente, Nostalgia. Iameson. E’ il suo cognome.»
«Geniale! – Rosamund prese a ridere. – Non ci avevo fatto caso, benché avessi notato qualche anomalia. Erano così tante le poesie di Lysiart! Come avrei fatto a capire?»
«C’è dell’altro.» la interruppe Abraxas, traendo dalla tasca una seconda poesia.

11 Aprile 1955

Audace saturnismo

L’infausta rovina,
il triste segreto.
La Burattinaia
si cela qui dietro


«La data è indicativa: il giorno prima dell’omicidio. Lysiart temeva ormai qualche gesto avventato da parte sua, e disperdeva il suo nome ovunque, signorina Jameson. Chiaramente è lei la Burattinaia. Ma “Audace saturnismo” altro non è che “Rosamund Eustacia” anagrammato. La Burattianaia si celava letteralmente dietro le righe.»
«L’avevo già intuito! – disse Rosamund. – Lysiart ci sapeva fare coi giochi di parole. Straordinario!»
Abraxas strizzò gli occhi. Calò il silenzio nella stanza delle armi.
«In vari altri scritti, Lysiart accennava alla rivale della regina. Cercai su Notizie aneddotiche dei re d'Inghilterra, da Enrico II a Enrico VIII, ed anche su altri libri storici, delle informazioni dettagliate su questa figura misteriosa. Ne venne fuori che l’amante di Enrico II d’Inghilterra si chiamava Rosamund Clifford, particolare che vagamente ricordavo dai tempi in cui seguivo un corso di Storia Babbana. Stamattina ho mostrato questo nome, riportato sul libro, a Charlotte.
«L’altro giorno, dietro la stampa del gelsomino in fiore, ho trovato un quadro rappresentante Rosamund Clifford che si affacciava alla finestra. Non ho avuto più alcun dubbio. Lysiart l’aveva forse commissionato per donarglielo. Quel quadro fu la riprova.
«Ci fu anche il caso della scultura. Le dita di Megan, dopo che era stata uccisa, puntavano a una statuetta che, lo ricordai, le era stata donata da lei, signorina Jameson, in occasione del diploma di mia moglie. E perché Megan aveva indicato la statuetta, se non per puntare contro di lei il dito accusatore?
«Quanto al passaggio segreto nella stanza delle armi, - disse Malfoy, - non lo conoscevo. Ma la signorina O’Connor, studiando la casa, ne scoprì l’esistenza, e me lo mostrò. Allora mi sorse un dubbio: avrebbe potuto, qualcuno estraneo alla famiglia, entrare nel Manor attraverso il passaggio e uccidere gli abitanti? Evidentemente sì.»
Nessuno osò fiatare. Rosamund Jameson aveva detto tutto il necessario. Ogni cosa era finalmente al proprio posto. Charlotte pensava al potenziale pericolo delle relazioni extraconiugali, ma era talmente sicura che Abraxas la amasse che sentì un brivido di calore lungo la schiena. Stettero in attesa, tutti immersi nei propri pensieri. Due minuti più tardi, fu il padrone di casa a rompere il silenzio.
«Siamo alla resa dei conti, signorina Jameson. Com’è naturale, offrirò agli Auror le prove necessarie per farla arrestare. Ce n’è abbastanza per il bacio del Dissennatore.»
«No.» disse Rosamund, scuotendo la testa, poi sorridendo.
Charlotte guardò Abraxas con una nota di preoccupazione.
«No?»
«Non verrò arrestata, non verrò processata. Perlomeno, non da sola.» disse Rosamund.
«Mi sembra di non capire.» rispose Abraxas pacatamente.
Rosamund, le mani dietro la schiena, camminò un po’ per la stanza, fischiettando un’aria inquietante.
«Ho scoperto qualcosa sul suo conto che farebbe esplodere la stampa, signor Malfoy. Il “caso dei delitti orientali” verrebbe confinato in seconda pagina, e il suo nome campeggerebbe nella prima.»
Abraxas alzò un sopracciglio.
«Lei, signor Malfoy, - continuò Rosamund tra gli sguardi attoniti di Lotte, - è responsabile di un omicidio e di un’aggressione.»
Mai nessuno aveva visto tremare a quel modo Abraxas. Il suo viso si era contratto. Aveva portato le mani alla fronte e si sarebbe detto che era sull’orlo del pianto. L’Auror rimaneva impassibile a quelle manifestazioni di sgomento.
«Cosa sta dicendo? – gridò Charlotte, sfoderando la bacchetta. – Lei mente! Vuole mettere nei pasticci Abraxas!»
«Le risponda lei, signor Malfoy.» disse Rosamund tranquillamente.
Dopo una breve pausa, il padrone replicò: «E’ tutto vero.»
Charlotte scosse la testa, come un animale selvaggio colpito al cuore da una freccia. «Tu… sei un assassino?»
«Vorrei dirti di no, Lotte. Sono un uomo che ha commesso degli sbagli irreparabili, e che ha dato la sua vita per espiare la sua colpa.»
«Non posso crederci! Di cosa stai parlando?» chiese Charlotte.
«Io ho aggredito mio padre, costringendolo sulla sedia a rotelle. E mia madre non è deceduta per vecchiaia. L’ho uccisa io. – rispose Abraxas. – E’ stato tutto un tragico sbaglio. Quattro anni fa, avevo avuto una discussione con mio padre. Poco tempo prima ero venuto a sapere che lui aveva collaborato all'aggressione al Ministro, atto che ritenevo ingiusto e turpe. Mi ero opposto a lui, dapprima in modo pacato, poi sempre più violentemente. Non so nemmeno io dove volessi arrivare. Forse intendevo fargli ammettere la sua colpevolezza. Tentava di giustificarsi in ogni maniera, e il suo comportamento falso mi irritava. Come poteva giustificare un attentato alla salute del Ministro? La nostra lite sfociò in un’aggressione.
«Ci trovavamo nella piccola libreria del primo piano. Lui era debole, quantunque coloro che lo conoscevano non si sarebbero meravigliati di vederlo capeggiare un battaglione. Urlammo entrambi come matti, io dicendo che era un delinquente, lui affermando che dovevo pensare agli affari miei. Nella stanza accorsero mia madre e l’elfa Hatty.
«Tentarono di farmi ragionare, ma la mia collera esplose, dato che mia madre non poteva capire la questione, e sembrava sostenere la causa di mio padre. Mi scagliai fisicamente contro di lui, ma Nadine Malfoy si frappose, con l’intento di sedare la mia ira. Dopo la caduta, mia madre morì, e a causa del terrore Adolar Malfoy rimase invalido per la vita. Tutto ciò avvenne in un contesto di totale caos, tra gli strilli di Hatty e le urla di mio padre.»
Rosamund annuì. «Sono belle parole per descrivere un brutto assassinio. – rispose. – Si chiederà come ho fatto a scoprire tutto. Semplicemente ho letto la storia sul diario di Lysiart, cui era stata raccontata da lei, signor Malfoy. Poi, non so se ricorda, ho interrogato l’elfa Hatty, chiedendole un resoconto di ciò che era accaduto quel giorno nella piccola libreria. La creaturina non si è opposta. Mi conosceva di vista, perché sapeva del rapporto adulterino che Lysiart aveva instaurato con me.»
Abraxas sbarrò gli occhi. «Ma certo! – si zittì all’improvviso, poi, evidentemente sotto l’effetto di un ricordo, ripeté: «“Hatty non voleva dissobedire, signor Malfoy, signore. Padron Lysiart ordinava ad Hatty di venir ad aspettare che persona uscisse dal muro, signore.”»
«Temo di non capire» disse Rosamund.
«Queste parole esatte mi furono dette da Hatty tempo fa. Le ho segnate su un taccuino, senza riuscire mai a capirle. La persona che usciva dal muro, quindi, era lei, signorina Jameson, quando utilizzava il passaggio segreto.»
«E chi altri? Spesso Hatty si faceva trovare insieme con Lysiart nella stanza delle armi. Conosceva la mia identità, ma non penso mi abbia mai collegato agli omicidi. La mente degli elfi è così ristretta!»
Mentre l’assassina pronunciava queste parole, Abraxas cinse la vita di Charlotte.
«Te l’avrei detto. – sussurrò. – Non potevo nascondertelo per troppo tempo.»
«Patetico! – commentò Rosamund, scrollando la testa. – “Te l’avrei detto! Non potevo nascondertelo per troppo tempo.” Che scuse accorate! Frattanto, signor Malfoy, suo padre è irrecuperabilmente malato e sua madre morta.»
«La demenza di mio padre non è irrecuperabile. – disse Abraxas. – Si tratta di una malattia psicologica piuttosto che fisica. Tante volte lo abbiamo visto vagabondare per la magione, persino stamattina. Ciò è avvenuto perché i suoi arti funzionano alla perfezione, ma la sua mente crede che il corpo non sia capace di reggersi in piedi. Inoltre, tante volte ha sprazzi di lucidità, come nei primi tempi, quelli in cui riconobbe Loreley, e in cui le disse di nascondere il certificato di nascita per evitare uno scandalo.»
«Sta giustificando l’aggressione.» disse Rosamund, rivolta a Charlotte.
«Non tutti gli assassini sono crudeli, disumani, insensibili, spietati come lei, signorina Jameson. Sono pentito dei miei sbagli. Lei non lo è.»
Ancora una volta, Rosamund soffocò una risata.
«Signor Malfoy, cosa è il pentimento? Su, risponda! I deboli si pentono, i veri uomini perseverano. Quando scegli una strada, guai a tornare indietro!»
«Molte cose della vita non le sono chiare, signorina Jameson. Lei sconosce il Bene, e mi dispiace. Ha commesso tre omicidi, ha ferito tanti cuori. Ma immagino non le importi di veder soffrire gente che le aveva dato fiducia. Questa non è malignità! Questa è pazzia!»
«Pazzia, pazzia, pazzia! – disse Rosamund, quasi canticchiando. – Sta di fatto che se lei osasse denunziarmi, io farei lo stesso. Potrei parlare agli Auror non solo dell’aggressione e dell’omicidio, ma anche delle sostanze tossiche e illegali che utilizza nella stanza segreta. Passerebbe tutta la vita ad Azkaban, lontano da Charlotte Zurrey.»
«E’ un ricatto!» sbottò Abraxas, imporporandosi.
«E’ un compromesso. – rispose Rosamund serenamente. – Se lei non mi denunzierà, me ne andrò via da qui, comprerò una casa a Venezia e vi starò per sempre. In caso contrario, dica addio alla sua amante.» E indicò con la punta del naso Charlotte.
«Non posso accettarlo. – disse Abraxas. – E’ qualcosa di spregevole.»
«Insisto. Non si possono richiamare in vita i morti, signor Malfoy. Ma si può salvare un amore.»
Gli occhi di Charlotte luccicarono, e stille di pianto corsero lungo le guance. La bambinaia si gettò fra le braccia dell’amante, affondando il viso sulle sue spalle, singhiozzando poi come un animale in fin di vita. Nello stesso momento, il viso di Abraxas si irrigidì. Le lacrime lo ferirono alle palpebre, scorsero dagli occhi, prima di perdersi fra i capelli della giovane donna. Rosamund osservò impassibile la scena melodrammatica.
«E lei mi assicura che se ne andrebbe a Venezia per sempre?» disse Abraxas, col viso in fiamme.
«Non avrei motivo di restare. Questa vita è pesante. E sappiamo che il peccato nasce dall’eterna monotonia dell’essere.»
«Quand’è così, se ne vada immediatamente, e non metta più piede in questa casa.»
Rosamund rise a fior di labbra. «Questo è un addio, signor Malfoy. Le auguro una vita molto felice, benché dubito che l’avrà. Io gliel’ho rovinata, e ne sono fiera.»
Né Abraxas né Charlotte risposero. Scoccarono un’ultima occhiata all’assassina che dava loro le spalle ed entrava nel camino, per poi azionare gli ingranaggi. I due amanti rimasero abbracciati fino a che non videro sparire Rosamund Jameson, ed altri minuti ancora. I loro cuori battevano all’unisono. Mai come adesso Charlotte aveva dato prova del suo amore.
Sulla strada sterrata, vicino all’antico acquedotto, l’omicida camminava a passo tardo, respirando l’aria salubre dei primi albori, lasciandosi dietro non solo Malfoy Manor, ma anche il suo passato di orrori, passioni e follie. La testa reclinata non le conferiva un’aria trionfante: Rosamund Eustacia Jameson appariva, al contrario, come una donna senza speranze o gioie nel cuore, distrutta, stanca e sfiancata; come una donna che, capitolando, ha perso la lotta con la vita.


Ecco a voi un altro capitolo. L'ultimo, come credo immaginerete. A questo seguirà un epilogo che chiuderà la fic. Ma, probabilmente, troverete qualcosa di nuovo di nostro sul sito. Stiamo lavorando infatti ad un nuovo progetto.

Un grazie particolare a:

Thiliol: Ti ringraziamo per la tua recensione! Cosa pensi di questo chap! Come vedi Zeph è stato colpevole di un solo delitto. Mentre vi erano altri assassini in giro per il Manor. Cosa pensi del vero colpevole? E di Abraxas?

Vekra: Bellissima la tua recensione come sempre. Come vedi tutte le tue domande trovano risposta nel capitolo e sai finalmente chi sia il colpevole (per lo meno il colpevole di tre dei quattro delitti...Zeph uno l'ha commesso comunque). Sappici dire cosa ne pensi. Ti è piaciuta come soluzione? O qualcosa ti ha deluso?

Moony Potter: Speriamo di non deluderti con la rivelazione finale, con la scoperta dell'omicida di Lysiart, Patrick e Megan. Ti ringraziamo ovviamente per la tua spledida recensione! Sappici dire cosa pensi di questo capitolo!


Un grazie a chi ha messo la storia tra i preferiti e a chi legge soltanto.

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Capitolo 33
*** Epilogo ***


Epilogo

L’aria odorava di salsedine e gelo nella nebbiosa Calle del Vin. Inargentato dai tremuli barbagli lunari che, di quando in quando, penetravano la foschia e ne carezzavano la superficie, l’asfalto splendeva come il pelo di un fiume cristallino. Mai come adesso Venezia era stata maestosa e somigliante ad una Bella di notte che si chiuda, temendo d’essere accecata dal sole, nei propri petali screziati, mentre nelle troppo oscure tenebre riposava fra la quiete surreale che solo le notti di pioggia e di nebbia portano con sé. E dalla lontana musica che le gondole e i vaporetti intonavano solcando le acque, gli abitanti in balia di Morfeo erano dolcemente cullati, e i loro animi riempiti d’una dolce e soave malinconia.
La figura nel mantello rosso camminava a passo tardo nella calle, talora poggiandosi ai muri di granito o gettandosi a terra per soffocare un pianto di dolore. Sformati dal velo di pioggia, i contorni della sagoma apparivano vaghi e fumosi ogniqualvolta intercettavano un filo di luce. Il camminare lento e strascicato dell’ombra lasciava trapelare, in maniera evidente, l’indole tormentata e scossa che fra le pieghe del mantello si celava. Apparentemente condannata a una vita raminga ed errante, simile ad uno spirito che eternamente insegua l’ispirazione, o ad un troviere con una storia che nessuno vuol sentire, girovagava respirando con fatica e versando lacrime velenose e aspre. Se Monet l’avesse per caso scorta, ne avrebbe fatto un ritratto di somma magnificenza; un poeta romantico sarebbe rimasto incantato dai suoi occhi, e per inneggiare alla sua decadente bellezza avrebbe composto una dolce poesia; nei suoi occhi un musicista avrebbe trovato le note per una pavane; ma ognuna di queste opere avrebbe nascosto un cuore di sofferenza, caldo al modo d’un fuoco che, pur crepitando, non voglia spegnersi, ed anzi brami d’ardere con rinnovata forza.
Come una rosa senza petali che danza al ritmo del vento autunnale, la donna vagava per le calli, contemplando le acque, ingannata da vecchi ricordi, unico nutrimento per il suo animo affranto.
Solo nelle notti più nere la si sarebbe vista peregrinare sulle banchine, come alla ricerca della via perduta. La sua figura, mitizzata dai pochi abitanti che l’avevano scorta, era ormai divenuta leggenda, e nessuno si chiedeva da dove quella donna fosse giunta. Qualcuno la identificava con la distillatrice di profumi che lavorava in un’antica residenza patrizia in prossimità di Calle dei Preti. Quella donna parlava una lingua che nessuno comprendeva, fatta di sospiri, gemiti e lamenti.
Sulla bordatura del suo mantello rosso correva, a detta di molti, una strana citazione:
“L’amour rassemble fort à une torture ou à une opéeration chirurgicale. Mais cette idée peut être développée de la manière la plus amère. Quand même les deux amants seraient très épris et très pleins de désirs réciproques, l’un des deux sera toujours plus calme ou moins possédé que l’autre. Celui-là, ou celle-là, c’est l’opérateur, ou le bourreau, l’autre, c’est le sujet, la victime.”
Perché andasse in giro con quelle frasi di Baudelaire sulla schiena era un mistero destinato a rimanere sepolto nel suo oscuro passato.


Laureen fissava il parco all'esterno del Manor dalla finestra della sua camera. Alcuni fiocchi di neve svolazzavano pigramente fino al suolo imbiancato da giorni. Anche quel nuovo anno aveva portato la neve e il compleanno di Abraxas che cadeva proprio in quel giorno. La donna sospirò. Per quanto fosse passato un anno e mezzo da che era stato arrestato Zephyrus MacNiemand alle volte la sua mente si sentiva ancora oppressa. Ed era certa che la stessa cosa accadesse anche agli altri abitanti del Manor, a quelli che erano rimasti per lo meno.
C'era un nuovo maggiordomo da quando Green aveva sposato Ottilia Zurrey quattro mesi prima e di certo la donna dall'aria solare che badava ad Adolar non poteva capire per quale motivo lei fosse presa da improvvisi attacchi di tristezza. Il vecchio capofamiglia viveva nella sua demenza. Sempre più raramente ritrovava se stesso, sempre più raramente lo si vedeva vagare improvvisamente per il Manor. La sua mente se ne stava sempre più andando e questo angustiava Laureen che era certa che la morte di Lysiart e Loreley avesse avuto un peso rilevante sul vecchio Malfoy.
In fondo era impossibile dimenticare le morti di Lysiart e Megan, di Loreley e Patrick.
Forse anche alcuni degli elfi domestici ne avevano ancora memoria. Forse rammentavano quel periodo Hatty e Maky che lavoravano ancora nelle cucine della magione con l'ordine tassativo, che anche l'elfa libera seguiva, di non farsi mai vedere da Abraxas, una cosa che Laureen doveva ancora spiegarsi del tutto. Probabilmente vi erano questioni della tragedia che aveva colpito il Manor che a lei sfuggivano e una di queste era legata ai due elfi.
Scosse appena il capo. Tutto quel pensare agli elfi non toglieva il fatto che lei non potesse dimenticare. E sapeva che anche Abraxas, per quanto lo celasse abilmente, e Charlotte erano tormentati dai ricordi.
Forse nessuno l'avrebbe pensato in quel momento, vedendoli passeggiare sotto la neve, a braccetto, con il piccolo Lucius che zampettava qua e là ridendo. Un sorriso apparve sulle labbra di Laureen. Il figlio del cugino era una presenza che rallegrava la vecchia magione con le sue risate e i suoi giochi. Si disse certa che sarebbe diventato un'ottima persona una volta cresciuto.
Un gridolino più forte del bimbo ruppe del tutto il silenzio di quel dodici gennaio 1957. Charlotte sorrise, mentre si voltava verso Abraxas.
«Lucius sembra incantato dalla neve - commentò - Sono certa che l'anno prossimo potremo fare un bel pupazzo di neve per il tuo compleanno. Sarebbe bello farlo per il suo, a febbraio, ma non sempre c'è la neve in quel periodo.»
«Credo che nessuno abbia mai visto nulla del genere intorno al Manor, ma sono certo che si divertirà. - l'uomo fece una pausa, mentre toglieva dalla fronte di Charlotte un fiocco di neve - E mi piace sentire nostro figlio ridere.»
La giovane arrossì appena, mentre poggiava il capo contro la spalla di Abraxas. La imbarazzava sempre quando l'uomo si riferiva a Lucius come ad una loro creatura, anche se sapeva che lo faceva per il bambino. Lucius era troppo piccolo per poter capire che la sua vera mamma era morta e che Charlotte era stata un tempo la sua bambinaia. La giovane sorrise appena, mentre osservava il bimbo. Si sentiva così serena in quei momenti, quando era con Lucius e Abraxas, da riuscire a scordare tutto quello che era avvenuto un anno e mezzo prima in quella notte terribile nella stanza delle armi. Il solo ricordo la fece rabbrividire e stringere maggiormente ad Abraxas. Sentì lo sguardo dell'uomo su di sé e subito dopo le sue labbra sulla fronte. Sembrava quasi che fra loro non vi fosse più bisogno di parole, non in momenti come quello per lo meno. Continuarono a camminare, seguendo Lucius che sembrava voler afferrare un qualche fiocco di neve, allungando la manina aperta davanti a lui. L'immagine fece sorridere Charlotte. Il bimbo si muoveva ancora goffamente, ancor più considerando quant'era infagottato, e le ricordava in maniera incredibile il modo buffo in cui camminava il giorno di maggio in cui aveva sposato Abraxas.
«Papà, mamma! - esclamò improvvisamente il bambino, tornando verso di loro correndo - Preso uno.» aprì la manina e mostrò quello che rimaneva di un fiocco di neve che si stava pian piano sciogliendo a contatto con la sua pelle.
Abraxas scompigliò con una mano i capelli del figlio, in segno di congratulazione, e Charlotte gli sorrise solare, poi ripresero a camminare. Lucius rimase al loro fianco probabilmente stanco dopo tutto quel correre.
La mente di Lotte tornò a vagare nei ricordi. Abraxas le aveva chiesto di diventare sua moglie pochi giorni dopo la notte nella stanza delle armi, per poi giungere di comune accordo a lasciare scorrere diversi mesi per rispetto, seppur tardivo - e quello la faceva sentire ancora in colpa alle volte - verso Megan. La cerimonia stessa era stata quanto di più intimo vi potesse essere, al punto che i giornali non se n'erano quasi accorti. Soltanto Laureen, Green e Ottilia, con Timothy, avevano partecipato. La giovane sospirò pensando alla sorella. C'erano stati giorni, dopo la fine di tutto, che aveva disperato di poter realmente ricucire il legame con lei. Da parte sua era ancora ferita dalle accuse di Ottilia, dall'altra parte sua sorella provava ancora diffidenza per il suo rapporto con Abraxas. Era stato un processo lento, favorito soprattutto da Timothy, ed il giorno in cui si erano abbracciate di nuovo erano entrambe colme di imbarazzo. Poi Ottilia si era fidanzata con Green, quando il figlio aveva accettato la presenza dell'uomo, ed infine anche lei si era sposata nuovamente.
«Papà, stanco.» biascicò Lucius, sbadigliando al loro fianco.
Abraxas si chinò e prese in braccio il figlio. Si voltò verso Charlotte che stava al suo fianco e ripresero a camminare. Rimasero in silenzio a lungo. L'uomo osservava di tanto in tanto la moglie. Alle volte non riusciva ancora a credere di essere al fianco della giovane che amava, di poter vivere il resto della sua vita con lei, di essere lì con suo figlio e non ad Azkaban a pagare per gli errori tremendi che aveva commesso. Sapeva che il senso di colpa non l'avrebbe mai abbandonato, che avrebbe rivisto nei suoi incubi il volto della madre morta a causa sua e il padre che cadeva nella demenza. Ed in fondo non voleva che lo abbandonasse. Era l'unico modo che aveva per scontare i suoi peccati, per pagare quel debito con il padre che gli aveva fatto sposare Megan, per riparare forse a tutti gli altri errori che aveva commesso in vita sua, ed uno era stato sicuramente legare a sé una donna che non amava.
La salute di suo padre peggiorava di giorno in giorno. Alle volte aveva temuto che potesse morire da un momento all'altro. La morte del genitore era qualcosa che aveva sempre temuto, che aveva sempre riposto nell'angolo più remoto della sua mente. Forse desiderava il suo perdono, forse desiderava potergli dire che aveva vissuto e sarebbe sempre vissuto con il senso di colpa per quello che aveva fatto. Riteneva che l'ultimo vero sprazzo di lucidità risalisse a quella mattina, la mattina che aveva preceduto la notte nella stanza delle armi, quando aveva spiato lui e Lotte e aveva gridato quel Maledizione, che per Abraxas rimaneva ancora inspiegabile. Forse aveva semplicemente ricordato ogni cosa di quel giorno nella piccola libreria.
«Si è addormentato.» disse improvvisamente Charlotte, rompendo i pensieri del marito, indicando il bambino.
«Si è stancato a correre così tanto.» commentò Abraxas.
«Ed ha mangiato troppa torta a pranzo. - aggiunse Lotte con un sorriso - È goloso.»
L'uomo annuì appena, mentre con la sua famiglia raggiungeva il padiglione rococò. Entrati, andarono in una delle sale e Abraxas depositò Lucius su un divano, coprendolo con alcune coperte che trovò in uno stipo.
«Stamane ho ricevuto una lettera da Deirdre O'Connor. - disse la giovane, che si era andata a portare accanto al camino, che spandeva il suo calore tutt'intorno - Non ho fatto in tempo a dirtelo, con tute le disposizioni da dare agli elfi per il pranzo e Lucius che scalpitava per andare nel parco…Dice che ha presentato il libro sull'alchimia, quello a cui ha iniziato a lavorare qua al Manor, in Giappone. Ha incontrato Ester Hayward per puro caso. È diventata un'Auror di una certa importanza presso gli uffici ministeriali di Kyoto… - la giovane fece una nuova pausa, mentre pensava alle poche volte in cui aveva visto la figlia di Juliet, la quale ancora viveva ad Hayward House pronta a spargere zizzania su chi le capitava a tiro - Mi sembra incredibile che Deirdre ancora ci scriva di tanto in tanto.»
«Sì, risulta strano anche a me.» confermò l'uomo, che si era avvicinato alla giovane moglie, ponendosi al suo fianco.
Poi l'abbracciò, stringendola contro di sé. Entrambi stavano ricordando i drammi di un anno e mezzo prima. Erano fatti impossibili da dimenticare, da scacciare dal cuore e dalla mente. Condividevano il fardello di quei giorni e, forse, se non fossero stati uniti questo li avrebbe schiacciati, distrutti. Nessuno poteva passare indenne attraverso quella tragedia e nessuno poteva passare indenne attraverso le proprie colpe, pensò l'uomo, mentre baciava dolcemente la moglie. E Charlotte, accettando di dividere la vita con lui, fin da quella fatale sera nella stanza delle armi, aveva preso su di sé parte del peso delle sue colpe. Sicuramente condividevano le ferite di quei mesi del 1955, quelle ferite che avevano lasciato cicatrici che mai sarebbero scomparse.
Eppure, stretti in quell'abbraccio, nel loro amore, riuscivano entrambi a vedere davanti a sé giorni a venire colmi delle piccole gioie della vita quotidiana, un futuro sereno da vivere insieme al piccolo Lucius, un futuro sgombro di nubi.


Le parole di Baudelaire sul mantello di Rosamund significano:"L'amore assomiglia assai ad una tortura o ad una operazione chirurgica. Ma quest'idea può essere sviluppata nella maniera più amara. Anche quando i due amanti saranno assai presi e pieni di desiderio reciproco, uno dei due sarà sempre più calmo e meno ossessionato dell'altro. Questo qui, o questa qui, è il chirurgo o il boia, l'altro è il suddito, la vittima."

Ecco a voi l'epilogo! Giungere alla fine di tutto è qualcosa di sconvolgente, accorgersi di non aver più da scrivere su Abraxas, Rosamund, Charlotte, Laureen e tutti gli altri (citarli tutti sarebbe troppo lungo).
Abbiamo però iniziato a lavorare ad un nuovo progetto che comparirà (non sappiamo ancora bene tra quante settimane) sul sito. Conosciamo però già il titolo "...hoc quod volo me nolle". L'ambientazione, come scoprirete, sarà totalmente diversa da quella di "Sotto il gelsomino in fiore", per quanto rimanga nel mondo immaginato dalla Rowling.

Un grazie enorme a:

Vekra: Siamo lusingati della tua recensione! E siamo contentissimi che ti sia piaciuta la risoluzione del giallo, che ti abbia sorpreso favorevolmente. Scadere nel banale era la nostra più grande paura. Eccoti qua l'epilogo. Speriamo sinceramente che ti piaccia e che possa rispondere alla tua ultima domanda.

Thiliol: Grazie mille per la tua recensione! Siamo contenti di averti stupita con Rosamund! Sappici dire cosa pensi dell'epilogo!

Un grazie alle 15 persone che hanno inserito la storia tra i preferiti e a chi l'ha letta soltanto!

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