The ordinary life of the american demigods - Il risveglio di Caos.

di Blind Guardian
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo. ***
Capitolo 2: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 3: *** Capitolo 2 ***
Capitolo 4: *** Capitolo 3. ***



Capitolo 1
*** Prologo. ***


Prologo
 Collina Mezzosangue, Farm Road 3141, Long Island, New York 11954 

L'ennesimo tuono sferzò l'aria tesa che opprimeva il Campo Mezzosangue ed alcuni giovani semidei lanciarono un'occhiataccia al cielo plumbeo sopra le loro teste, trattenendo le imprecazioni.
«Oh, per le bacche di Dioniso, piantala, Zeus! Non riesco a pensare!», gridò la voce esasperata di qualcuno, dalla Cabina di Demetra.
Il cielo gorgogliò di nuovo, più forte, avvertendo l'indisciplinato mezzosangue che Zeus l'avrebbe fulminato all'istante, se solo avesse osato aggiungere altro.
«Buffoni», sbuffò un ragazzo tra i figli di Ares, abbozzando una smorfia e tornando a dedicarsi al suo panino.
«Dèì», commentò acidamente la ragazza che sedeva vicino a lui, come se quello fosse il peggior insulto che riuscisse a formulare.
Gli dèi, in quell'ultimo periodo, parevano essere andati completamente fuori di testa.
Zeus, ad esempio, non faceva altro che provocare tempeste devastanti di qui e di là, infuriato per chissà quale motivo. 
Un inatteso uragano si era abbattuto su Kingston proprio quella mattina, accompagnato da una fitta pioggia incessante, lampi terribili e tuoni spaventosi.
Poseidone non era da meno: appena due ore prima, aveva dato origine ad un forte terremoto che aveva interessato l'intera costa orientale dell'America del Nord, causando crolli e distruzione ovunque.
Per non parlare di Ade, che aveva deciso di far riversare nel mondo dei vivi milioni di orrendi mostri, direttamente dagli oscuri abissi del Tartaro.
«Si comportano come delle adolescenti isteriche che non hanno ricevuto il biglietto per il concerto del loro idolo», osservò un biondo figlio di Apollo, inarcando un sopracciglio e sospirando, mentre studiava con attenzione le nubi minacciose che oscuravano il Sole.
«Come te, insomma», lo prese in giro un'altrettando bionda figlia di Ermes.
Qualcuno, lì vicino, sghignazzò.
«Scherzate pure, voi due», sbottò un figlio di Atena, sollevando il naso dalla massa di pagine ingiallite e svolazzanti che stava consultando «intanto, Chirone ed il Signor D. sono rinchiusi nella Casa Grande dall'alba e nessuno dei due è mai uscito neanche per sgridarci quando facevamo casino. Sono sicuro che sta succedendo qualcosa di... insolito».
«Tipo una partita di pinnacolo interessante?», buttò lì il figlio di Apollo, abbozzando un sorrisetto.


Okay, okay, lo so: questo prologo è cortissimo ed abbastanza orribile, non giudicatemi per questa cosa

Prima che cominci a battermi la testa contro il muro in stile Dobby, passiamo alle cose importanti, ovvero le schede dei personaggi dei vostri semidei.
Per il momento, potete crearne uno per ogni utente.
Preferirei che, se qualcuno di voi deciderà di partecipare, me le inviasse tramite messaggio privato.
Nell'eventuale recensione, invece, vorrei che voi scriveste il sesso del vostro personaggio, e, se posso, vi pregherei di non creare tutte ragazze (?)


Le voci segnate con "*", non sono obbligatorie.

Nome:
*Secondo nome:
*Soprannome:
Cognome:
Sesso:
Età e compleanno:
Aspetto fisico:
Carattere:
Orientamento Sessuale:
Figlio del dio o della dea:
*Rapporto col genitore divino:
Famiglia mortale:
*Rapporto con la famiglia mortale:
*Storia prima di arrivare al campo:
Gli-le piace:
Non gli-le piace:
Paure:
Arma:


Non mi viene in mente altro, per adesso.
Se ho dimenticato qualcosa, aggiungerò qualche domanda nel prossimo capitolo ^^

Vi aspetto numerosi,
Blind Guardian.

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Capitolo 2
*** Capitolo 1 ***


Capitolo 1
 
Da quando, tre giorni prima, Chirone ed il Signor D. si erano rinchiusi nella Sala Grande e non si erano più fatti vivi, i mezzosangue avevano un sacco di tempo libero, e nessuno che gli dicesse come come gestirlo. Così, ovviamente, si era scatenato il caos più totale.
Alcuni, soprattutto i figli di Ermes, si erano dati alla pazza gioia, programmando festini illegali ed organizzando scherzi sempre più frequenti, mentre altri - come Isobel Duchannes e Nathan Timeline, ad esempio - si stavano annoiando a morte.
Isobel e Nathan camminavano fianco a fianco, in silenzio, una figlia di Zeus e l'altro un indeterminato, mantenendo le dovute "distanze di sicurezza".
Non erano davvero quello che la gente comune poteva definire "amici".
Il loro era un rapporto strano, di reciproca ammirazione, curiosità e, a volte, anche di sfida, come se dovessero continuamente dimostrare chi tra i due fosse il migliore.
Non che Nathan si prodigasse mai in qualche spettacolino per mettersi in mostra o che Isobel cercasse di attirare l'attenzione in qualunque modo, anzi, spesso non si accorgevano neanche di quella loro muta disputa.
Perché, diciamo, Isobel, in quanto star internazionale, di fama ed attenzione pareva attirarne sin troppa. 
Poche settimane prima, aveva persino beccato un figlio di Afrodite intento a rimirare un suo poster con aria sognante. Cosa che, tra parentesi, stava ancora cercando di dimenticare.
Dal canto suo, Nathan era più il tipo di ragazzo che se ne sta per conto suo in un angolo a leggere o, in alternativa, a gironzolare per il Campo Mezzosangue in cerca di qualcuno che abbia bisogno del suo aiuto.
Insomma, uno buono come il pane, timido e spesso introverso, l'altra una dura dalla lingua velenosa per chiunque osasse disturbarla. 
In tutta onestà, gli altri semidei non avevano idea di come facessero a sopportarsi.
«È ridicolo», sbuffò Isobel, d'un tratto.
Nathan la guardò stranito, e mormorò un "mh?" poco convinto.
«Tutto questo, intendo», riprese la ragazza, alzando gli occhi azzurro elettrico al cielo «mio padre e tutti gli altri dèi che impazziscono, Chirone ed il Signor D. che complottano chissà cosa tra di loro... e a noi non dicono niente. Potremmo aiutarli, magari, e loro ci ignorano».
Nathan continuò a camminare un po' in silenzio, pensieroso.
«Tu che ne pensi?», incalzò Isobel.
«Penso che forse loro il nostro aiuto non lo vogliono», rispose Nathan, calmo «cioè, non l'hanno mai voluto, perché dovrebbero cominciare adesso?».
«Ti riferisci alla guerra coi Titani?», fece lei, arricciando il naso.
Nathan annuì ed incrociò le braccia.
«Anche con Gea si sono comportati in questo modo», disse «il loro silenzio non mi sorprende. Fanno sempre così, quando hanno bisogno di noi e non lo vogliono ammettere».
 
Lizanne Collins ed Elizabeth Evans, figlie di Afrodite, parlottavano tra loro, intente a riordinare la Casa 10 insieme ai loro fratelli, come da ordine della capocabina.
Ovviamente, la tipa in questione si era rinchiusa in bagno e non sembrava affatto intenzionata a dare il suo contributo per la pulizia della Cabina.
Niente di nuovo, comunque, tutti erano abituati agli scatti di pigrizia di Fawn McCollought ed ormai nessuno ci faceva più caso, anche se, talvolta, la faccenda diventava piuttosto fastidiosa. 
Fawn era una buona capocabina, ma, spesso, i suoi fratellastri finivano per sperare che un mostro la rapasse a zero.
«Grisam pensa che ci sia sotto qualcosa di grosso», osservò distrattamente Lizanne, accartocciando delle vecchie cartacce e gettandole nel cestino.
Elizabeth le lanciò una timida occhiata divertita, ma i suoi grandi occhi color lapislazzuli lasciavano trasparire una vaga preoccupazione.
«Grisam dice un sacco di cose, Liz», rispose «lo sai com'è».
«Carino», s'intromise Margaret Stevens, loro sorellastra e cara amica di Lizanne «molto carino».
Qualcuno - Mark Hurries -, ridacchiò.
Lizanne abbozzò un sorrisetto e si spostò una ciocca di capelli rosa pallido, freschi freschi di tinta, dal viso.
«A volte è un po' nevrotico», commentò, inclinando il capo di lato «però è raro che si sbagli... e poi lo dice anche Geneviére, e lei è figlia di Apollo. Ci azzecca sempre».
Elizabeth si esibì in una piccola smorfia agitata, cercando di sistemare le tendine color pastello che incorniciavano le piccole finestre rosa.
«Okay, questa non l'avevo sentita», ammise «ha detto esattamente "sta per succedere qualcosa di grosso"? Perchè "qualcosa di grosso", potrebbe anche essere qualcosa di positivo, no?».
Lizanne si strinse nelle spalle e corrucciò le labbra, come se si sentisse in colpa per ciò che stava per dire.
«Ehm... credo che abbia detto "qualcosa di terribile", in realtà» disse «e, comunque, non credo che gli dèi si comporterebbero come delle primedonne isteriche, se non stesse per accadere qualcosa di... beh, terribile».
Elizabeth avrebbe voluto ribattere che gli dèi si comportavano sempre come primedonne isteriche, ma, in quel momento, Fawn McCollought comparve sulla soglia del bagno.
Margaret quasi gemette, quando Fawn si avvicinò a lei stringendo una spazzola per capelli in una mano ed uno specchio rosa nell'altra.
«È finito lo shampoo al gelsomino», disse poi Fawn, in un sorrisino colpevole «scusate».
Margaret si lasciò sfuggire un sospiro di sollievo, ma il gridolino disperato di Mark fu ben udibile in tutto il campo.
 
Altair Ibdan-La scorse, per la seconda volta quella mattina, la lista delle canzoni sul suo Ipod, cercando qualcosa con cui riempire le orecchie e che non somigliasse neanche lontanamente alle noiosissime chiacchiere che si stavano diffondendo per il Campo Mezzosangue da tre giorni a quella parte.
Insomma, non gliene poteva importare di meno se Zeus e Poseidone stavano avendo la loro ennesima discussione su chi dei due fosse il più figo o se Ade stesse di nuovo protestando perché non veniva mai invitato alle festicciole che gli altri dèi tenevano sull'Olimpo - o meglio, sull'Empire State Building, ma questa è una lunga storia -.
Scorse nuovamente tutta la playlist, per poi infilarsi le cuffie nelle orecchie ed attaccare "Back in Black" degli AC\DC a tutto volume.
Se fosse stato un normale essere umano, si disse distrattamente, i suoi timpani sarebbero di sicuro esplosi. 
Beh, se fosse stato un normale essere umano, di certo non si sarebbe potuto arrampicare sul tetto della Casa 1 come se niente fosse, e non solo perché Zeus l'avrebbe fulminato.
Ad Altair piaceva stare in alto, forse a causa della sua discendenza divina.
Zeus, suo padre, era il dio del cielo. Il cielo stava in alto. Aveva una certa logica.
Altair arricciò il naso, mentre Back in Black si trasformava improvvisamente nella nona sinfonia di Beethoven.
«Cosa?!», esclamò il ragazzo, strappandosi le cuffie e guardandole stranito «ma chi...».
Una risata acuta e sospettosamente compiaciuta giunse da terra, ed Altair lanciò un'occhiata al di sotto del tetto della sua Cabina.
Una ragazzetta dai tratti quasi elfici si stava godendo lo spettacolo, coi capelli color miele raccolti in una disordinata mezza coda.
«Ermione Makayla Cooper!», sillabò Altair, assottigliando lo sguardo verde foglia e trattenendosi dall'imprecare «si può sapere che Ade hai fatto al mio Ipod?!».
«Ops!», gridò la ragazzina, senza smettere di sorridere furbamente «colpa mia, scusa!».
«Ma era il mio Ipod!», ripetè lui, avvicinandosi al bordo del tetto con aria minacciosa.
In tutta risposta, Ermione nascose le braccia dietro la schiena e sbatté angelicamente le folte ciglia scure, come a voler sottolineare la sua furbizia. 
Fregare un figlio di Zeus, diciamolo, era un gran bel colpo.
Poi, il volto di Altair fu attraversato da un lampo di sorpresa, ed Ermione alzò il mento verso di lui, in un gesto di sfida e curiosità insieme.
«Come hai fatto a prenderlo?», domandò il ragazzo, passandosi energicamente una mano tra i capelli scuri «non lo lascio mai incustodito. Hai chiesto aiuto ai figli di Ecate?».
Negli occhi color nocciola di Ermione guizzò una certa offesa, e la ragazzina sollevò le sopracciglia.
«Davvero credi che io abbia bisogno della magia per rubarti un Ipod?» disse, muovendo un indice a mo' di "no" verso il ragazzo «stai di nuovo sottovalutando noi figli di Ermes».
 
«Chi pensi che vincerebbe, se si sfidassero in un duello, tra Albus Silente di Harry Potter e Jadis delle Cronache di Narnia?», chiese Geneviére Doherty, sollevando improvvisamente lo sguardo dal nuovo libro su cui era riuscita a mettere le mani grazie all'aiuto di Ermione, degna ed indiscussa figlia di Ermes.
I suoi occhi del colore del petrolio si piantarono poi sul ragazzo dai capelli dorati e le iridi ambrate che lei aveva interpellato, anche lui immerso nella lettura.
A volte, Geneviéve sospettava che William James Finnigan fosse figlio di Apollo come lei, invece che di Efesto. 
Insomma, Will non aveva niente a che vedere con suo padre, erano l'uno l'opposto dell'altro.
Se il dio dei fabbri era brutto, con le mani callose ed incapace nelle relazioni umane, Will era indiscutibilmente bello, divertente e persino un gran oratore.
Poi, ogni tanto, il ragazzo inventava qualcosa di sensazionale, e Geneviéve si ricordava con chi aveva a che fare.
«Silente non sfiderebbe mai nessuno, è troppo saggio per farlo», rispose Will, per poi arricciare il naso «Jadis, poi... figuriamoci, è una tipa tosta».
Geneviére chiuse il libro e si voltò verso l'amico, incrociando le gambe.
«Questo è ovvio, ma metti che siano costretti da... che so, dal presidente Snow», disse, seria.
Will abbassò il suo libro, "Hunger Games", e le puntò l'indice contro.
«Ah-ah», disse, con fare accusatorio «non spoilerarmi il finale».
Geneviére scoppiò a ridere, e gli tirò un lieve pugno contro una spalla.
«E dai!», disse «fai il serio».
Will finse di riprendere contegno, poi s'infilò in bocca una delle fragole del Signor D. e la ingoiò.
«Vincerebbe Silente», disse poi, tornando a leggere «senza dubbio. La trasformerebbe in un sorbetto al limone e se la mangerebbe».
Geneviére annuì, soddisfatta.
«Sì, hai ragione», disse, scostandosi i capelli biondo scuro dagli occhi ed infilandoseli dietro un orecchio «però non credo che se la mangerebbe. Pensaci: "sorbetto al limone con morbido ripieno all'essenza di Jadis". Disgustoso».
Questa volta, fu Will a ridere.
«Oh, dai», fece il figlio di Efesto «il ripieno non sarebbe affatto morbido, al massimo di pietra, come tutto ciò che ha a che vedere con Jadis».
 
Grisam Lightway chiuse di nuovo gli occhi, abbandonandosi al caldo tepore del suo letto.
Che fosse mezzogiorno e lui fosse ancora mollemente abbandonato all'interno della cabina di Atena, sembrava non averci fatto caso nessuno, nemmeno i suoi migliori amici.
O forse se ne erano accorti, ma avevano deciso di lasciarlo fare.
Cosa fantastica, a parer suo, perché lui adorava non essere disturbato, soprattutto quando l'alternativa era gironzolare per il Campo Mezzosangue ad ascoltare decine di semidei intenti a spettegolare sui probabili litigi interfamigliari tra gli dèi.
Un tuono più rumoroso degli altri rimbombò in tutta la Casa 6, ma il ragazzo si limitò a coprirsi le orecchie con un cuscino, sbuffando lievemente.
Sarebbe rimasto rintanato sotto le coperte per ancora molto, molto tempo, se solo, d'un tratto, qualcuno non avesse cominciato a gridare il suo nome come un ossesso.
Anzi, come un'ossessa. Si trattava chiaramente di una voce femminile, e si trovava esattamente di fianco a lui.
Jane Evans, figlia di Apollo ed una delle sue più care amiche, l'osservava con una buffa espressione ad illuminarle gli occhi del colore dell'oceano.
I capelli castano chiaro erano legati in una morbida treccia laterale, che le ricadeva delicatamente su una spalla e terminava nel piccolo e familiare pennacchio rosso rame di cui era solita tingere le punte delle ciocche.
Jane arricciò il naso ed aggrottò le sopracciglia, e Grisam sbuffò di nuovo, tirandosi finalmente a sedere sul materasso, rassegnato.
«Che c'è, Jane?», chiese, stropicciandosi gli occhi.
«Sei sicuro di discendere da Atena?», gli domandò lei, puntellandosi le braccia ai fianchi «dormi quanto un figlio di Morfeo... o di Ipno».
«Ho passato la notte su un libro», si giustificò lui, facendo spallucce ed abbozzando un sorrisetto gentile.
«Nuova», fece Jane, in risposta, ma un sorriso affiorò sulle sue labbra.
«Beh? È successo qualcosa?», incalzò Grisam, decidendosi ad alzarsi dal letto.
Indossava ancora il pigiama ed i capelli biondo sabbia erano più arruffati del solito, ma i suoi pigri occhi grigi, adesso, scintillavano di curiosità.
«Chirone è uscito dalla Casa Grande», riprese la ragazza «ho pensato che avresti voluto saperlo, quando sarebbe accaduto».
Lo sguardo del ragazzo si animò, ed il suo intero corpo parve perdere tutta la stanchezza.
«Andiamo a sentire come giustifica l'assenza sua e del Signor D. negli ultimi giorni, avanti, che ci facciamo ancora qui?», fece Grisam, avviandosi verso la porta, quasi saltellando.
Grisam Lightway passava da un umore all'altro con la stessa facilità con cui maneggiava le armi.
Jane dovette reprimere una risatina.
«Vuoi davvero farti vedere dai figli di Ares e di Afrodite in pigiama, Gris?».
 
Angolo Blind:
 
Ciao, gente! :3
Dèi, è la prima storia che scrivo - o che pubblico, per meglio dire -, e diciamo pure che sono in preda al panico (?)
Insomma, per quanto questo capitolo sia breve, spero di aver reso i vostri OC nella maniera "meno peggiore" possibile.
Aggiungo che, all'interno della storia, ho inserito anche il mio semidio. 
 
Ebbene, domandine aggiuntive:
1. Come si veste, di solito, il vostro semidio?
2. La sua arma\le sue armi hanno un nome? Se sì, quale?
 
Domandine inutili: 
1. Quale tra questi personaggi vi piace di più?
2. Sono molto... orribile? 

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Capitolo 3
*** Capitolo 2 ***


 
Capitolo 2: Muffin mette su qualche chilo di troppo.


Silvia Summer, figlia di Poseidone, era giunta al Campo Mezzosangue solo quella sera stessa, dopo aver trascorso un pessimo semestre in una scuola italiana.
Non che l'avesse fatto per dovere o per imparare qualcosa, intendiamoci: era là sotto copertura, come supporto del giovane satiro Chadwick, per tenere sotto controllo un ragazzetto sospettato di essere un semidio.
Un ragazzetto sospettato di essere un semidio che l'aveva minacciata con un righello ed un lapis, tra parentesi, ma, forse, questo perché lei era stata un pochettino brusca con lui.
Agguantarlo per la camicia e sbatterlo dietro la lavagna nel bel mezzo di una tranquilla chiacchierata poteva essere definito "brusco"?
Non poteva di certo biasimarlo se, una volta raddrizzatosi, aveva afferrato le prime cose che gli erano capitate a tiro e gliele aveva puntate contro.
Il fatto che stesse cercando di salvarlo dall'attacco di una Manticora, non sembrava aver contato molto per il ragazzino, che aveva gridato dietro a lei e a Chadwick le peggiori ingiurie che conosceva. E ne conosceva parecchie, a dirla tutta.
"Pazienza", si disse Silvia, raccogliendo i pezzi della sua armatura da guerriera greca e cominciando ad infilarseli.
Muffin, l'unico gatto del Campo, le si strusciò contro uno stinco facendo le fusa, e Silvia si chinò per accarezzargli la testolina rossa.
«Senti anche tu una brutta aria, eh?».
«Miau?», rispose Muffin, inclinando il capo.
E Silvia uscì dalla Casa 3, diretta al falò.

 
Ψ Ψ Ψ


«Semidei!».
Il richiamo del centauro Chirone mise a tacere le chiacchiere dei suoi allievi, radunati attorno al grande falò del Campo Mezzosangue.
Le fiamme non erano mai state tanto alte, rosse, scoppiettanti ed eccitate.
Will alzò il mento verso il suo mentore, incuriosito e al contempo preoccupato, posando una mano sulla spalla di Ermione, come a sottolinearle di ascoltare.
Stizzita da quel gesto, la ragazzina gli mollò un pugno - molto meno gentile di quello che gli aveva dato Geneviére, quella mattina - contro la spalla.
«Non invadere il mio spazio personale, William James Finnigan», intimò.
Qualcuno ridacchiò.
D'altronde, detta da Ermione - una che frugava tra la biancheria intima degli altri semidei un giorno sì e l'altro pure -, quella frase non suonava affatto bene.
«Shh!», fece Altair, portandosi l'indice davanti alle labbra «sembra importante!».
Chirone si schiarì la voce, e il figlio di Zeus si sporse verso di lui, curioso, e gli altri lo imitarono.
Tutti i semidei se ne stavano lì, col fiato sospeso ed i colli allungati verso il centauro, aspettando che si decidesse a rivelare il motivo di tanta agitazione tra gli dèi.
«Siete pronti per una partita di Caccia alla Bandiera?» domandò, invece, Chirone.
Le fiamme del falò, improvvisamente, si scaricarono.
Jane poté giurare aver visto le braccia di Geneviére cadere e la mascella di Isobel quasi sfiorare il pavimento dalla sorpresa.
«Cosa?!», esclamò Grisam Lightway, attonito «sta scherzando! Chirone...».
Il centauro lo fissò per un istante, con un sopracciglio sollevato e le labbra strette in una sottile linea bianca.
"Non una parola", sembrava dire il suo sguardo “non adesso. Non qui”.
Grisam decise saggiamente, seppur controvoglia, di non discutere.
Lizanne ed Elizabeth si scambiarono un'occhiata confusa.
«Credevo che...», cominciò a dire Lizanne, piano.
«È impazzito», dichiarò Elizabeth, incredula.
«Completamente», assentì Silvia, aggregandosi agli amici.
«Lo sapevo», commentò Isobel, scuotendo il capo «gli dèi ci snobbano».
Nathan, di fianco a lei, si strinse nelle spalle ed inclinò un sopracciglio.
«Io l'avevo detto», bofonchiò sottovoce, come se non volesse davvero farsi sentire.


 
Ψ Ψ Ψ
 

Nessuno dei semidei era soddisfatto.
C'era palesemente qualcosa che non quadrava, e Chirone cosa faceva invece di metterli al corrente del probabile pericolo...?
Organizzava una partita di Caccia alla Bandiera fuori programma.
William si sentì avvampare dall'esasperazione.
Letteralmente: la sua mano destra prese fuoco.
Geneviére, vicina a lui, gli rivolse un'occhiata a metà tra lo scherno e il divertimento, in un tentativo di sdrammatizzare.
«Non c'è che dire», osservò la ragazza «anche con l'armatura addosso e una fiamma in una mano, mantieni la solita faccia ebete del bravo ragazzo che va a casa di qualcuno e fa i complimenti a sua madre».
Will stava per replicare qualcosa, ma Grisam sbuffò sonoramente, visibilmente scocciato.
«Ecco, prendi esempio da Grisam», fece Lizanne, vicino a Geneviére, indicando il figlio di Atena «lui sì che ha la faccia del bravo ragazzo che va a casa di qualcuno e le da fuoco».
«Con la madre di quel qualcuno dentro, aggiungerei», concordò Isobel.
Ma nessuno poteva dare torto a Grisam.
Probabilmente, era quello che era rimasto più interdetto dal silenzio di Chirone.
Viveva al Campo da quando aveva appena cinque anni, quando aveva cambiato famiglia adottiva per la quarta volta, ed era stato Chirone stesso a crescerlo e ad addestrarlo.
Grisam lo considerava come un padre – e persino una madre, a volte, quando gli ripeteva decine di volte di fare attenzione, prima di lasciarlo partire in santa pace per un'impresa -.
E adesso non gli aveva voluto dire niente.
Bell'affare.
«Beh, ragazzi», intervenne Altair, storcendo il naso «credo che sarebbe bene dividerci, adesso... la Caccia alla Bandiera sta per cominciare».
«...e nessuno di noi ha un piano», osservò Elizabeth, pensierosa.
Gli occhi di Ermione s'illuminarono.
«Parla per te, Effy», sorrise furbamente, per poi allontanarsi dal gruppo e raggiungere i suoi compagni di battaglia.
La figlia di Ermes cominciò immediatamente a confabulare con i figli di Ares, che l'ascoltavano attentamente, quasi senza sbattere le palpebre dalla concentrazione.
Se avevano qualcosa in comune, Ermione e la progenie di Ares, era l'incapacità di accettare di perdere una sfida.
Will si batté un paio di volte l'indice contro la tempia e scosse il capo biondissimo.
«Voi avete bisogno di rivedere le vostre priorità», osservò.
Grisam mormorò qualcosa, a voce talmente bassa che neanche Jane, a pochi centimetri da lui, riuscì a sentirlo.
«Dove va?», domandò Lizanne, inarcando un sopracciglio, quando anche il figlio di Atena si staccò dal gruppo.
«A parlare con Chirone, direi», rispose Jane, osservando l'amico dirigersi verso il centauro tenendo le mani nelle tasche della tuta.
«È inutile», osservò Silvia «non gli dirà niente di più di quello che ha detto a noi».
«A noi non ha detto nulla», le fece notare Altair «ma proprio nulla».
«È qui da molto più tempo di chiunque altro», fece Isobel, incerta delle sue stesse parole «forse, con lui parlerà».
«Ha avuto l'intero pomeriggio per farlo...», commentò Elizabeth, tormentandosi il bordo della coloratissima maglia in stile pop-art che le sporgeva da sotto l'armatura «non dirà niente».
Fu allora che accadde.
Un acuto grido di terrore fece quasi prendere un infarto a tutti i semidei.
Altair si voltò in direzione del verso, imprecando in arabo.
«Dèi dell'Olimpo!», esclamò Silvia, sgranando i suoi grandi occhi del colore del mare.
Nathan, che fino a quel momento se ne era rimasto in silenzio ad ascoltare la conversazione, indicò verso la porta del Campo, arretrando di un passo.
«Un mostro...!», esclamò, perplesso «ma... è all'interno del confine?!».
«Come Ade ha fatto ad entrare?!», sbottò Will, portandosi una mano alla tasca posteriore dei jeans, dove teneva sempre la sua arma.
I semidei si scambiarono un'occhiata, mentre Chirone li superava al galoppo inforcando una lunga spada scintillante.
Grisam li raggiunse in un attimo, trafelato e visibilmente scosso.
«Qualcuno deve averlo evocato dall'interno», disse, lanciando rapide occhiate dai suoi amici a Chirone e viceversa «andiamo!».
Raggiunsero il luogo del combattimento in meno di cinque secondi, e ciò che videro fu ancora peggiore di quanto si aspettassero.
Vicino alla porta d'entrata, un'enorme figura a quattro zampe torreggiava al centro di un manipolo di mezzosangue armati che gridavano e provavano a colpirla.
E forse ci riuscivano persino, ma il mostro pareva non sentirli neanche.
Quando lo misero meglio a fuoco, i cuori dei ragazzi persero il secondo battito della giornata.
Il Leone Nemeo, in tutta la sua furia e grandezza, si trovava all'interno dei confini magici del Campo Mezzosangue. E non sembrava affatto pacifico.
«Okay, questo qua piacerebbe un sacco ad Hagrid», fece Geneviére.
Il leone ringhiò; ed i ragazzi sfoderarono simultaneamente le loro armi.
«Non è divertente!», esclamò Silvia, puntando Atlantas, la sua spada, contro a Nemeo.
Per tutta risposta, il leone ruggì di nuovo e menò una zampata tra la mischia, colpendo un giovane semidio dai capelli corvini, che schizzò in aria.
Fortunatamente, Altair e William l'afferrarono al volo e l'aiutarono a rimettersi in piedi, mentre una pioggia di dardi infuocati cadeva sulla pelliccia indistruttibile del mostro.
«Che è successo?! Tu ne sai qualcosa?!», gridò Altair al ragazzino.
«Muffin!», esclamò il moretto, terrorizzato.
Nemeo soffiò e tentò di addentare qualche altro semidio.
«Muffin?!», chiese in un urlo Will, perplesso ed inquieto «che diamine te ne fai dei Muffin in un momento come questo?!».
Il ragazzino gli rivolse un'occhiataccia, abbassandosi per evitare una lancia rimbalzata sulla pelliccia di Nemeo.
«Dèi, Will!», sbottò Ermione, passandogli accanto «se avessi un centesimo per ogni volta che ti ho sentito dire qualcosa di stupido, adesso avrei un sacco pieno di centesimi con cui picchiarti!».
«Muffin», ansimò Jane, avvicinandosi «il nostro gatto. Beh, non era proprio un gatto».
«Ma non è possibile!», esclamò Nathan, incuriosito e spaventato al contempo «Muffin vive con noi da mesi! I satiri se ne sarebbero accorti!».
«Ho sempre sospettato di non piacergli», commentò Elizabeth, reprimendo un brivido.
Nemeo – o Muffin, come preferite -, si lanciò su di loro.
Lizanne emise un gridolino terrorizzato, ma, d'un tratto, Muffin si fermò, soffiò e si acquattò a terra, miagolando come il più innocuo dei felini.
Un attimo dopo, di lui non rimase altro che una sottile nebbiolina dorata, che si disperse in fretta.
«Che orrore», commentò chiaramente una voce, alle spalle dei semidei.
Simultaneamente e continuando a brandire ognuno le proprie armi, si voltarono tutti a guardare il Signor D. che avanzava verso di loro con la sua camicia hawaiana sbottonata ed un paio di ridicole pantofole rosa ai pedi.
Sembrava annoiato.
«Vi pare questo il modo di disturbare il regale sonno di un dio?», brontolò, calcando sulla parola "regale".
Grisam si lasciò sfuggire una smorfia: non era mai corso buon sangue, tra i due.
Jane, di fianco a lui, gli diede una spinta leggera e Lizanne gli mollò un calcetto negli stinchi.
«Gregory Wayne, mh? Il sindacalista del campo».
Gli occhi di decine di mezzosangue, svariati satiri, quelli di un centauro e persino quelli di un dio si posarono all'unisono su Grisam, che ancora impugnava il suo boomerang da combattimento.

«È Grisam Lightway, signore», replicò il semidio, muovendo un passo avanti.
Dal suo tono di voce, si poteva intuire l'enorme sforzo che stava facendo per tenere a freno la lingua.
«Sì, sì, come ti pare» sbuffò il Signor D., agitando una mano all'aria «hai qualcosa da dire?».
L'espressione del ragazzo, in realtà, diceva tutto.
«Potrei fare a lei e a Chirone la stessa domanda», disse, serio come poche altre volte era stato in vita sua «ma suppongo che non riceverei la risposta che vorrei».
Il signor D. si grattò il mento, poi annuì: «esatto».
Il gruppo dei semidei venne percorso da un mormorio.
«Fantastico», rispose Grisam, raddrizzando le spalle «quando smetterete di cercare disperatamente di convincervi che tutto stia andando bene, fatecelo sapere».
Detto questo, voltò le spalle al dio e se ne andò, seguito dal resto del Campo.


 
Ψ Ψ Ψ
 
Angolo Blind:

Ciao a tutti - muahahahah - :3
Ecco qua il secondo capitolo, in tempi record (?) xD
Non è una gran cosa e non ha neanche un vero senso, ma spero che vi sia piaciuto lo stesso u.u
Oggi sono di poche parole - ma non vi abituate -, quindi mi limito a ringraziare tutte le persone che leggono e quelle che recensiscono - e quelle che hanno aggiunto questa storia tra le preferite, le seguite e le ricordate -.

Ci si legge... uhm... martedì o mercoledì,
Blind♥







 

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Capitolo 4
*** Capitolo 3. ***


Capitolo 3: I semidei giocano a nascondino.

CLING. CLANG.
La lama della spada di Will cozzò rapidamente contro quella di Geneviére, che venne disarmata immediatamente.
«Hey!», fece lei, alzando le braccia in segno di resa «mi arrendo!».
«Combatti come mia nonna!», la prese in giro Will «e non è un complimento. Non per mia nonna, almeno».
«Sai, in genere io uso una cerbottana per questo genere di cose», fece Geneviére, mettendo su una buffa smorfia di finta offesa «sono una ragazza modernizzata, io».
Will rise di più.
«Le spade non sono neanche il mio forte, no? », rispose lui, in un sorriso luminoso «però ti ho battuta lo stesso».
Geneviére alzò al cielo gli scuri occhi color petrolio.
«Hai più fortuna di Harry Potter, tutto qua» rispose, infilandosi le mani nelle tasche della salopette di jeans «e stiamo parlando di un tizio che ha più fortuna che anima. Considerando che possiede pure un pezzo di quella di colui-che-non-deve-essere-nominato-ma-che-nominano-tutti...».
«Ma piantala», sorrise Will, mollandole una lieve spintarella contro la spalla «piuttosto, Lizanne mi ha detto che Chirone ha chiamato a rapporto Grisam».
«Uh, forse allora riuscirà a cavargli di bocca qualcosa» rispose lei, mentre i due si avvicinavano all'armeria «a proposito, questa notte ho fatto un sogno».
«Un sogno? Un sogno come?», incalzò Will, agitandosi «devo preoccuparmi?».
«Dipende», rispose lei, corrucciando le labbra «quanto ti piacciono il buio, le voragini e le voci maligne che ti incitano a tradire il tuo campo per risvegliare una chissà quale divinità assopita da miliardi di anni?».
Will parve pensarci.
«Neanche un po'».

Silvia sbuffò per l'ennesima volta ed incrociò le braccia.
Il pegaso palomino la fronteggiava con aria di sfida.
«Torna nel tuo box, Stardust!», gli gridò la ragazza, al limite della sopportazione.
Stardust nitrì fieramente e raschiò il pavimento con uno zoccolo, per poi scuotere teatralmente la criniera dorata.
"Neanche per idea, dolcezza!", le rispose la voce mentale del cavallo alato.
Parlava come Grisam durante uno dei suoi scatti di antipatia gratuita.
Probabilmente era proprio colpa del figlio di Atena se i pegasi erano diventati tutti delle irritanti checche isteriche - con un dizionario ben forbito di imprecazioni in greco antico, per giunta -, visto che la maggior parte delle volte era lui che se ne occupava.
Silvia avrebbe voluto strozzarlo, e Stardust insieme a lui.
«Silvia, che stai facendo?».
La voce di Jane Stevens la colse totalmente impreparata, facendola sobbalzare.
«Jane!», esclamò Silvia, portandosi una mano al cuore «mi hai fatto prendere un colpo!».
Jane sorrise colpevole.
«Scusa», disse, in un sorriso allegro «solo non mi sembrava che tu stessi facendo grandi progressi con questo pegaso, vuoi una mano?».
"Questo pegaso!", ripetè Stardust, nitrendo nervosamente e battendo a terra uno zoccolo "questo pegaso ha un nome, prego!".
Silvia sorrise, ma solo per poi sbuffare di nuovo.
«Cos'ha detto?» domandò Jane, incuriosita.
«Che preferisce essere chiamato col suo nome», rispose la figlia di Poseidone, per poi rivorgersi direttamente a Stardust «anche io preferirei essere lontana da te, ma non si può avere tutto ciò che si desidera».
Jane trattenne una risata allegra.
«Dai, ti aiuto», disse poi «conosco qualche trucco infallibile».
«Stardust, la vuoi una zolletta di zucchero?», aggiunse la figlia di Apollo, rivolta al pegaso.

«Non posso credere che Muffin fosse il Leone Nemeo», disse Lizanne, scuotendo il capo rosato «era così carino!».
Elizabeth fece spallucce e represse il solito brivido che la colpiva ogni volta che veniva nominato qualche gatto.
Creature inquietanti, i gatti.
«Almeno ce ne siamo liberati», commentò, col sollievo nella voce «mi guardava strano».
Lizanne le lanciò un'occhiata divertita.
«Sì Effy, certo», rispose «a me sembrava un normalissimo gatto prima di... beh, prima di trasformarsi in un leone, chiaramente».
«Sai chi ha affrontato Nemeo, una volta?», fece Elizabeth, seduta sul suo letto a gambe incrociate, intenta a rimirare il suo pugnale.
«Chi?», domandò Lizanne, scettica.
«Percy Jackson!».
«Ma Percy Jackson è una leggenda!», sbuffò Lizanne, infilando un coltellino dalla lama piatta sotto la suola degli anfibi che portava ai piedi «non si sa neanche se sia mai esistito davvero».
«Io ci credo», disse Elizabeth «Chirone l'ha addestrato, lo dice lui stesso».
Lizanne agitò una mano in aria con fare sbrigativo.
«Chirone dice un sacco di cose» rispose la ragazza, per poi assottigliare lo sguardo «a pensarci bene, parla sempre di cose inutili e quando c'è bisogno di sapere davvero qualcosa comincia ad essere più incomprensibile dell'Oracolo. E Rachel si dà decisamente da fare per essere più criptica possibile».
Elizabeth sospirò.
«Resto della mia idea», disse «prima o poi troverò la prova e tu sarai costretta a dire che ho ragione io».
Lizanne, per tutta risposta, afferrò uno dei morbidi cuscini piumati che tappezzavano la Casa di Afrodite e lo lanciò contro l'amica, che l'afferrò al volo.
«Andiamo, che è meglio!».

Quando Jane e Silvia raggiunsero il padiglione, Altair ed Ermione stavano ancora discutendo.
«Non puoi fare così», stava dicendo Altair, calmo, ma con una nota di esasperazione nella voce.
«In teoria, forse», rispose Ermione, in un sorrisetto scaltro «ma la pratica è tutta un'altra cosa».
Altair sbuffò lievemente, per poi lasciarsi cadere contro lo schienale della sedia.
Sembrava sul punto di balzare in piedi e strozzare la ragazza.
«Sei insopportabile», commentò «non mi sorprenderebbe se mio padre ti fulminasse».
«Pff», ridacchiò Ermione, visibilmente compiaciuta «io sono adorabile».
Altair trattenne una risatina e scosse il capo, indeciso tra l'infilarsi un paio di cuffie nelle orecchie e l'infilare una spada in gola alla figlia di Ermes.
«Si vede proprio che sei figlia del dio degli inganni», bofonchiò poi.
Ermione rise ancora.
«Sì, degli inganni, dei ladri e di tante altre cose fiche» rispose lei, avvicinandosi un po' a lui, senza smettere di sorridere «adesso puoi smettere di essere arrabbiato con me?».
Il figlio di Zeus le mostrò un piede scalzo.
«Mi hai rubato le scarpe», fece poi, indicandosi il calzino bucato «e hai dato la colpa a Jane!».
«Hey!», fece la figlia di Apollo, inarcando un sopracciglio.
Ermione le rivolse un sorriso di scuse.
«Oh, avanti», disse «non avevo niente da fare!».
«Perché te la prendi sempre con me?», sbuffò Altair, a braccia incrociate.
Ermione gli regalò un buffetto contro la guancia ed il ragazzo mise su una smorfia.
«Perché ti infervori molto più degli altri», rispose la figlia di Ermes «...e poi sei incredibilmente carino quando ti arrabbi».
Così dicendo, la ragazza si alzò e se ne andò, lasciando Altair a meditare sulle sue parole.
«È proprio figlia del dio delle menzogne», annuì Silvia, ridendo insieme a Jane.

Isobel e Nathan, chinati sopra un ammasso di libri e scartoffie varie, stavano cominciando seriamente ad averne abbastanza.
«Ricordami perché lo stiamo facendo?», brontolò Isobel, alzando gli occhi da un grosso tomo polveroso.
A quel punto, Isobel avrebbe preferito autografare miliardi di sue foto per i suoi fan, piuttosto che rimanere lì, sommersa da libri e libri, senza neanche sapere che cosa fare esattamente.
E lei odiava autografare le fotografie.
Nathan infilò il foglio che teneva nella mano destra all'interno di un grosso registro violaceo e sospirò, abbattuto.
«Ce l'ha chiesto Chirone», rispose, stringendosi nelle spalle.
Isobel non parve soddisfatta.
«E da quando, io, faccio quello che mi ordina Chirone?» buttò lì la figlia di Zeus, chiudendo di scatto il libro.
Nathan le rivolse un'occhiata divertita, per poi scuotere il capo e tornare al suo lavoro.
«Da sempre», rispose lui «tutti danno retta a Chirone, lo sai».
Isobel si sporse verso di lui.
«Non proprio tutti», commentò, alludendo all'accaduto di due giorni prima «Grisam non lo fa».
Nathan si mosse a disagio sulla sua poltroncina ed aprì un nuovo libro.
«Solo perché è molto impulsivo», rispose «un po' troppo, a dirla tutta».
«Tu, invece, sei una noia mortale», fece Isobel, tornando a dedicarsi al suo tomo polveroso.
Nathan sbuffò appena, brontolando qualcosa che suonò molto come un "però adesso sei con me, no?".

Quando Grisam Lightway raggiunse gli altri, aveva quella faccia.
Quella faccia che diceva "ho una notizia buona e tre cattive. Quale volete sentire per prima?".
«Sei riuscito a parlargli», domandò Lizanne, appena lo scorse, alludendo a Chirone.
Grisam annuì, in silenzio.
«Che ti ha detto?», fece eco Jane, curiosa.
«Niente di buono», rispose lui, sedendosi sopra al tavolo del padiglione «un ragazzo del campo è sparito durante l'attacco di Nemeo».
Nathan sgranò gli occhi.
«Chi?», domandò Altair, perplesso.
«Thomas McCollought» rispose l'altro «non riconosciuto».
Tra gli altri semidei, vi fu un rapido scambio di sguardi confusi.
«Chi?» ripeté Isobel, dando voce al gruppo.
«Secondo me è per questo che se ne è andato», sospirò Grisam «nessuno si ricordava mai di lui, deve essere deprimente...».
«...ma?» fece Geneviére, pronta al peggio.
«Ma Chirone ha un'altra teoria», terminò Grisam «e non vi piacerà».
«Hai intenzione di dircela oppure ripassiamo più tardi?», incalzò Ermione, inarcando un sopracciglio.
Grisam la scrutò in volto.
Will, per un momento, pensò che Grisam avrebbe risposto di no.
«Crede che qualcuno - o qualcosa - l'abbia costretto», rispose invece il figlio di Atena, per poi stringersi nelle spalle «e non è l'unico ad essere scomparso, ce ne sono altri due: un figlio di Ermes ed uno di Ipno. Nessuno li ha più visti».
«E perché mai qualcuno dovrebbe averli costretti ad andarsene?», domandò Elizabeth, sobbalzando «che bisogno c'è di allontanare dei semidei dal Campo Mezzosangue?».
«Non lo so, questo non...», bofonchiò Grisam, lasciando la frase in sospeso, come se si fosse improvvisamente ricordato di qualcosa di importante «ma c'è dell'altro».
«Tipo?», chiese cauamente Jane.
«Una profezia», rispose l'altro, mentre un lampo guizzava nelle sue iridi grige «Chirone la renderà pubblica questa sera al falò. Credo che annunci un'impresa, e suppongo che Chirone pensi che riguardi il disastro sull'Olimpo che...».
«Quale disastro?».
La domanda fu univoca.
«Non l'ho detto?».
«No».
«Gli dèi sono convinti che uno di loro li stia tradendo e che stia cercando di spodestarli tutti», Grisam si bloccò, osservando i compagni «con l'aiuto di noi semidei».

 
Angolo dell'autrice:

Ta-daaa (?)
Eccoci al terzo capitolo u.u
I capitoli introduttivi stanno andando un po' per le lunghe, forse (?), ma spero che non mi odierete per questo.
Per il resto abbiamo un sacco di tempo, no? E un po' di mistero non fa mai male (??) 
Vabbé, adesso vado a cercarmi qualche rima per la profezia.
Fatemi sapere cosa ne pensate, e, se volete precisare qualcosa o aggiunge dettagli, togllierli o modificarli basta che me lo dite!

Ci si legge... sabato o domenica!
Blind♥

Ps: come al solito, ringrazio tutti u.u

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