Dark Flame

di lucatrab_99
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Parte Prima, il Grande Nord - Jason Lancaster ***
Capitolo 3: *** Parte Prima, il Grande Nord - Rocca degli Orsi ***
Capitolo 4: *** Parte Prima, il Grande Nord - Kevan Redrose ***
Capitolo 5: *** Parte Prima, il Grande Nord - la Dama di Rose ***
Capitolo 6: *** Parte Prima, il Grande Nord - la Spia ***
Capitolo 7: *** Parte Prima, il Grande Nord - sir Robert Deepriver ***
Capitolo 8: *** Parte Seconda, l'Anima dei Boschi - i Ribelli ***
Capitolo 9: *** Parte Seconda, l'Anima dei Boschi - Lacrime e Sangue ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


“Saremmo dovuti tornare indietro, signore – bofonchiò Nat, il fiato che condensava in nuvolette bianche – con questo tempo accamparsi è impossibile” e si alzò il bavero della blusa fin sul mento, imprecando rumorosamente, nel vano tentativo di ripararsi dal vento gelido che soffiava dai monti. “Non dire stronzate Nat” ribatté in tono altezzoso sir Blackbear, il cappuccio di ermellino che svolazzava al vento, rivelando una chioma bionda e fluente, che incorniciava il volto di un ragazzo poco più che ventenne e di bell’aspetto, grandi occhi azzurri, naso all’insù tipico dei nobili – o almeno così sosteneva la vecchia Helen – e labbra sottili e ben disegnate. Portava una pesante cappa di scoiattolo, costata una vera fortuna, sopra una cotta di maglia istoriata d’argento. Alla cintura era appesa una faretra piena di frecce, e il giovane lord stringeva saldamente in mano un arco di agrifoglio, con la presa sicura di chi sa come maneggiare un’arma del genere.
“Se ci sbrighiamo – continuò poi sir Blackbear urlando per farsi sentire sopra il rumore del vento – possiamo trovare riparo oltre la baia delle Streghe”. Nat e gli altri membri della compagnia, Arthur Doyle e Jack Corsair si scambiarono un’occhiata preoccupata. Erano tutti e tre uomini fatti, cinquant’anni e l’esperienza di una vita sulle spalle, veterani della Grande Guerra, alle dipendenze come mastri armaioli del grande lord del Nord. “Signore – azzardò allora Arthur – non è saggio avventurarsi oltre la baia delle Streghe. Ci sono i lupi, in quei boschi, e creature venute dall’inferno”.
Sir Lancel Blackbear scoppiò in una risata spavalda. “E questa chi te l’ha raccontata, la vecchia Helen giù al castello? Andiamo, Arthur, siamo quattro e siamo ben armati, se anche ci fosse un gruppo di briganti nel bosco se ne tornerebbero al loro rifugio con la coda fra le gambe!” e diede di speroni nei fianchi del cavallo, uno splendido stallone maculato, inoltrandosi nel bosco. Gli altri lo seguirono a malincuore, le mani guantate che stringevano gli archi in modo quasi febbrile. Procedevano in fila indiana, Arthur chiudeva la colonna tenendo le briglie dell’asino su cui era poggiato di traverso un grosso cervo, bottino di quella estenuante battuta di caccia. Si addentrarono per poche centinaia di metri nella foresta, e il vento cessò di disturbarli, al riparo com’erano degli alberi. Giravano strane storie sul bosco dei Conigli, come era chiamato ironicamente in paese, perché di fatto conigli non ce n’erano. Perlopiù erano chiacchiere da focolare, ma c’era anche chi giurava di aver visto i fantasmi della Grande Guerra aggirarsi fra gli alberi, fantasmi che alla minima distrazione ghermivano i viandanti per trascinarli nel regno delle Ombre. Magari più che fantasmi erano briganti, ma soprannaturali o no, chiunque si addentrasse nella foresta non ne usciva più, o se riusciva a scappare rimaneva sconvolto a tal punto da diventare pazzo.
Nat apriva la colonna, fiaccola in mano, cercando di non azzoppare il cavallo nelle radici dei pini, imprecando e sputando, sir Blackbear lo seguiva a ruota, con Jack e Arthur dietro. Fu un attimo, e qualcosa si mosse. Un fruscio, e Jack urlò: il cavallo di Arthur li seguiva senza cavaliere. Con l’esperienza di anni di guerra, Nat e Jack capirono che i lunghi archi sarebbero stati solo d’intralcio fra gli alberi, così balzarono giù dal cavallo estraendo due coltelli lunghi da caccia. Sir Blackburn, invece, rimase in sella e sguainò la lunga spada da combattimento che portava appesa alla sella. La foresta taceva, non si udiva un gufo cantare, o il vento stormire tra le fronde dei pini. Un’ombra nera si staccò dalle tenebre e balzò su Jack, che però ebbe la prontezza di girarsi, e quando la sagoma nera lo superò, le appoggiò la daga sulla pancia. Con un disgustoso rumore di tendini lacerati e un grido soffocato, il suo aggressore cadde a terra, morto. Neanche il tempo di vedere chi fosse, e una seconda figura uscì dagli alberi, letteralmente, seguita da una terza, poi da una quarta. Uno di loro si fece avanti, impugnando a due mani una lama argentea, che alla luce della luna mandava un tenue bagliore di morte. Soppesò a lungo i suoi avversari, poi calò un fendente deciso su Nat. L’anziano guerriero, memore delle mille battaglie combattute nei boschi del Sud, deviò la lama del suo avversario contro un albero, nel quale si conficcò saldamente, poi attaccò. L’ombra nera non fu abbastanza svelta da estrarre la sua spada dal tronco in cui era conficcata, che si ritrovò venti centimetri di acciaio che gli spuntavano dietro la schiena.
Nat sfilò il coltello dal corpo del nemico, poi si voltò a fronteggiarne un altro. Lo abbatté con pochi colpi ben piazzati, mentre ne teneva a bada un altro con la fiaccola. Jack non se la cavava altrettanto bene: una lunga linea rossa gli solcava la guancia, che era ridotta ad una maschera di sangue. Stava combattendo contemporaneamente contro tre avversari, ma si rese conto che sarebbe stato presto sopraffatto. Ebbe appena il tempo di urlare “Scappate, sir!”, che una figura incappucciata gli aprì la gola da un orecchio all’altro. Un attimo dopo, Nat inciampava in una radice che affiorava dal terreno, cadendo pesantemente a terra. La spada, sollevata in ultimo gesto di difesa, fu inutile quando uno di quei bruti gli affondò la lama nel petto, fracassando ossa e carne.
Troppo tardi sir Blackburn si decise a scappare, e il suo cavallo fu trafitto nella corsa. Il ragazzo cadde e per una macabra coincidenza rovinò sulla sua stessa arma, la bellissima spada di acciaio delle isole Smeraldo dono di suo padre, che lo trafisse da parte a parte. Poi, come in un incubo, le figure incappucciate sparirono da dove erano arrivate.

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Capitolo 2
*** Parte Prima, il Grande Nord - Jason Lancaster ***


L’aria era satura di fumo, e le risate degli avventori risuonavano in tutta la sala. Decisamente, ai “Tre meli” c’era in quel momento più gente ubriaca che sobria. Jason rimestò un’ultima volta col cucchiaio la sua zuppa di pesce, cercando di capire dove fosse effettivamente il pesce. Sconsolato, lasciò tutto al tavolo e si alzò, avviandosi verso l’uscita. Mentre usciva, però, un grosso signore ubriaco fradicio gli andò a sbattere contro, buttandolo a terra e provocando le risate dell’intera locanda. Jason si alzò senza dire una parola, si spazzolò i vestiti già sgualciti che portava, e continuò verso l’uscita, ignorando le risate. “Ehi ragazzino! Non dovresti chiedere scusa?” chiese l’uomo urlando, affinché tutti lo sentissero, provocando altre risate. Jason ignorò anche questo e tirò dritto. Fu solo quando l’uomo gli si avvicinò e lo spinse nuovamente a terra, che perse la pazienza, e gli piantò un coltello nel cranio. Nella locanda calò un silenzio di tomba. Uscito, il ragazzo continuò per la sua strada, il cappuccio sollevato a ripararlo dal vento, il mantello nero che svolazzava sulle sue spalle. Percorse a grandi passi la salita che da Vecchio Borgo portava al castello dei Blackbear, ma gli ci volle comunque mezz’ora per arrivare. Quando entrò, la neve aveva iniziato a cadere. Lo accolse un rude stalliere, che però lo riconobbe e lo lasciò subito passare. A dire il vero, quasi tutti al castello lo conoscevano, e quando lui passava, un metro e ottanta di muscoli scolpiti, armato fino ai denti, la gente gli lasciava il passo, anche i migliori cavalieri del Nord. Salutò con un cenno del capo Chris, il figlio di sei anni di Lord Blackbear, che lo venerava come un eroe. Entrò nella sala delle udienze ignorando l’araldo che lo annunciava a gran voce, e si inginocchiò in segno di rispetto ai piedi dello scranno del lord del Nord e di sua moglie, lady Gwendoline. Attese rispettosamente in ginocchio, fino a che lord Blackbear non gli fece un cenno con la mano e lui si alzò. Anche in occasioni come questa, il galateo aveva la precedenza su tutto. Jason tolse il cappuccio, e subito una massa di capelli corvini gli cadde sulla fronte, fino a coprire in parte gli occhi neri e vigili del ragazzo. Portava la barba corta, solo il pizzetto, e aveva tratti tipici di chi vive a contatto con la natura e con il freddo: zigomi alti e un naso piccolo, su un volto magro e affilato, ma che tutti ritenevano estremamente affascinante. Jason si schiarì un po’ la voce, poi iniziò: “Non porto buone notizie, mio lord” Lady Gwendoline scoppiò a piangere in un fazzoletto, mentre l’austero signore del Nord si passò una mano sulla fronte, scuotendo il capo con veemenza. “L’hai trovato? – chiese – hai trovato mio figlio?” e Jason annuì debolmente, poi estrasse da sotto il cappuccio un involto di pelle e lo tese all’uomo sullo scranno, che lo prese e lo srotolò. Conteneva una bellissima spada lunga da combattimento, di fattura eccezionale, forse fabbricata sulle isole Smeraldo. Lord Blackbear annuì, come se avesse avuto un’altra conferma, mentre sua moglie continuò a singhiozzare nel suo fazzoletto. “I corpi? – continuò il vecchio signore – dove sono? Ci sono anche Nat, Arthur e Jack?” Jason rispose di si, che si trovavano ancora nella foresta, intatti sotto un sottile velo di neve. Lord Blackbear gli lanciò una sacca di denaro, che lui afferrò al volo e fece sparire sotto il mantello, poi disse, la voce austera adesso si era fatta più insicura: “Un ultimo favore, Jason. Dillo tu ad Anya”. Il ragazzo annuì, poi si congedò e si diresse verso la Torre delle Civette, dove erano gli appartamenti di Anya. Salì le scale piano, quasi temesse di disturbare qualcuno, e arrivato in cima salutò cordialmente la vecchia Helen, che proprio allora usciva dalle stanze della ragazza. Quando anche lei gli chiese se avesse novità sulla scomparsa del giovane erede, Jason abbassò lo sguardo, e la vecchia capì. Bussò alla porta della stanza con delicatezza, sperando di non disturbare. “Avanti, è aperto” disse una voce femminile dall’interno, e Jason entrò con passo felpato, raddrizzandosi i vestiti sporchi e vecchi, cercando di sembrare più signorile. “Jason!” Anya si alzò dal letto e gli andò incontro, sorridendo. Anya era una ragazza di una bellezza straordinaria, alta, magra, il volto affusolato e due grandi occhi azzurri – come li avevano tutti i Blackbear – i capelli biondi a tal punto da sembrare bianchi, la carnagione pallida. Una copia femminile del defunto fratello. Ad un tratto, come colpita da un terribile presentimento, il sorriso sparì dalle belle labbra di lei. “Se tu sei qui vuol dire che…” non finì la frase. Jason non resse il suo sguardo e girò il volto di lato, cercando di ignorare le silenziose lacrime che rigavano le guance rosee dell’amica. “Mi dispiace” disse soltanto, e quando lei lo abbracciò fino a soffocarlo, ricambiò l’abbraccio. Rimasero stretti per un po’, la bellissima lady di Rocca degli Orsi, nel suo vestito elegante, e il cacciatore di taglie senza famiglia, con gli abiti vecchi e consumati, poi Jason si sciolse dall’abbraccio, un po’ in imbarazzo, borbottando un “devo andare”. Anya, gli occhi ancora gonfi, gli chiese: “Andare dove? Non vedi che fuori infuria la tempesta?” e Jason se ne rese conto guardando attraverso la stretta finestra. “Allora? – continuò Anya – che hai intenzione di fare? Non hai nemmeno un pasto caldo per la sera!” Jason cercò di arrampicarsi sugli specchi: “Tornerò alla locanda. Non credo che abbiano ancora stanza disponibili, ma per un paio di monete di bronzo posso dormire nel fienile. Non è poi così male, ci sono stato altre volte”. Anya lo guardò con espressione di rimprovero. Mezz’ora dopo si stava lavando in una tinozza di acqua calda, in una stanza nella torre degli ospiti preparata apposta per lui. Anya entrò poco dopo, adesso indossava un semplice vestito di lana marrone, e anche Jason si era cambiato. “Mio padre ti vuole bene, ma la mensa nel salone è solo per i suoi cavalieri – disse Anya in tono dimesso – scusa. Ho fatto portare la nostra cena qui, però” “Nostra?” Jason era perplesso. Anya arrossì, poi rispose: “Ho pensato che ti potesse far piacere un po’ di compagnia”. Si sorrisero a vicenda. Erano sempre stati molto amici dalla volta in cui, tanti anni prima, un borseggiatore aveva tentato di rapire la ragazza al mercato del paese, uccidendo brutalmente i due soldati della scorta. Jason aveva dieci anni, eppure non ci aveva pensato su due volte a trafiggere l’uomo con uno spiedo, riportando poi la giovane lady al castello. Da allora, ogni volta che Jason capitava al castello per sbrigare qualche affare poco pulito per conto del lord del Nord, passava a salutare la ragazza. Mangiarono l’ottima cucina di Rocca degli Orsi, parlando del più e del meno, ma interrotti dagli improvvisi pianti di Anya, fino a che un urlo arrivò dalla sala grande. Jason, il boccone ancora a metà, infilò il cinturone della spada e corse di sotto. Quando arrivò, la scena che vide era apocalittica. I cavalieri del Nord erano tutti in piedi intorno al tavolo, vestiti a lutto per la scomparsa del giovane lord, armi in pugno, per difendere il loro signore da una decina di figure ammantate di nero. Uno dei soldati più ardimentosi balzò all’attacco, ma senza la sua armatura e in uno spazio ridotto anche un buon cavaliere può essere facilmente sopraffatto. La figura incappucciata gli staccò un braccio con un fendente deciso, e quello urlò in modo disumano, mentre un fiotto di sangue usciva dal moncone. Le sue sofferenze finirono quando l’avversario gli piantò la spada nelle costole. A quel punto Jason decise di intervenire. Balzò con eleganza felina sul suo avversario, che non fece neanche in tempo a rendersi conto di quanto stesse succedendo prima che la testa gli fosse tranciata di netto. Il secondo figuro seguì il primo nel regno delle ombre dopo pochi fendenti, e il terzo provò a fare una debole resistenza a Jason, che adesso impugnava due spade e le usava con un’abilità incredibile. Il ragazzo afferrò un coltello da cucina dal tavolo e lo lanciò attraverso tutta la sala, inchiodandosi nella gola di uno degli incappucciati. Come se qualcuno avesse tirato loro un secchio di acqua gelida in faccia, i cavalieri sembrarono rendersi conto di quello che stava succedendo: un ragazzo stava tenendo a bada una ventina di esseri incappucciati. Mano alle armi, una decina di soldati scelti si lanciarono nella mischia. Erano tutti guerrieri di prim’ordine, ma il loro numero era troppo basso per sperare di riuscire a sopravvivere tutti. Sir Wilfrid morì trafitto al collo, e sir Barry lo seguì a ruota. L’unico davvero padrone della situazione era Jason, abituato a combattimenti ravvicinati di quel genere, e sembrava non avere nessuna difficoltà nell’abbattere avversari molto esperti. Il combattimento si protrasse per più di mezz’ora, lord Blackbear saldamente arroccato sul suo scranno, i suoi cavalieri e Jason impegnati in un duello mortale, il pavimento della sala viscido per di sangue. I cavalieri morivano come cavallette, e ad affiancare Jason alla fine rimase solo sir Royce, il vecchio maestro d’armi di Rocca degli Orsi. Un fendente preciso, e l’anziano guerriero decapitò di netto il suo avversario, mentre il giovane cacciatore di taglie era impegnato in un furioso combattimento in equilibrio sul tavolo contro l’ultimo avversario rimasto. Jason scattò, i muscoli tesi allo spasmo, e si abbassò quel tanto che bastava per schivare un diagonale che altrimenti gli avrebbe staccato la testa di netto, poi rispose all'attacco. Si sbilanciò in avanti, e mulinò un turbine di fendenti, un assalto che sarebbe stato mortale per chiunque, ma che il suo avversario respinse con malcelata noia. Non ci vide più dalla rabbia "Al prossimo colpo sei morto" pensò. Neanche un minuto dopo, ripose la spada ancora sanguinante nel fodero.

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Capitolo 3
*** Parte Prima, il Grande Nord - Rocca degli Orsi ***


Nei dieci giorni che seguirono all'attacco delle Fiamme Nere - come erano chiamati adesso i guerrieri incappucciati, a causa della forma del loro vestito - a Rocca degli Orsi ci fu gran fermento. Lord Blackbear fece richiamare al castello le truppe che aveva dislocato in tutti i forti ai piedi delle montagne. Sir Pickwick portò con se trecento fanti, sir Reynold, che era di stanza ai limiti occidentali del Passo del Gigante impiegò due settimane per tornare al castello, portando con se cinquecento picchieri. Al già profondo fossato fu aggiunta una linea di picche, il castello immagazzinò provviste per due anni, in vista di una possibile guerra. Le austere mura nere di Rocca degli Orsi erano un viavai di soldati, i turni di guardia furono raddoppiati e nella fucina gli armaioli fabbricavano nuove armi, soprattutto frecce e picche. I mastri carpentieri era affaccendati a rinforzare le difese, mettere corde imbevute di pece fra le fessure del muro di cinta, costruire una nuova impalcatura per gli arcieri. Il mastio del castello, una tetra rocca alta cinquanta piedi, di notte si accendeva di mille fiaccole, che illuminavano grottescamente le alte mura di pietra nera. Jason passava la maggior parte del tempo nel cortile degli addestramenti, e alloggiava ancora nella stanza che Anya gli aveva preparato nella torre degli ospiti. In quel momento si stava esercitando con l'arco, trapassando un fantoccio di paglia con tre frecce per volta, dando una sonora batosta agli arcieri di Rocca degli Orsi. Lord Blackbear aveva deciso di farlo restare al castello ancora per un po’, credendo che il suo aiuto potesse essere importante. Il quindicesimo giorno, sir Reynold fece il suo trionfale ingresso nel cortile interno del castello, portando con se il grosso degli uomini del Nord. Neanche un'ora dopo, lord Blackbear e i suoi cavalieri erano riuniti nella sala grande, intorno allo spesso tavolo di quercia, con una mappa di pelle della Bussola su cui erano meticolosamente tracciate strade, ponti e città, persino le molte locande sulla Via delle Lanterne. Lord Blackbear diede precise disposizioni ai suoi uomini: sir Pickwick sarebbe partito con duecento uomini verso il Passo del Gigante, unico accesso ai territori al di là delle montagne, nel Bosco dei Conigli. Avrebbe raggiunto le zone paludose della Baia delle Streghe, poi avrebbe ripiegato fino a Forte Fiammeggiante, avamposto abbandonato dai tempi della Grande Guerra. Qui, i suoi soldati si sarebbero riposati, e una guarnigione di cento uomini sarebbe rimasta a presidiare l’avamposto, mentre sir Pickwick sarebbe tornato indietro dal Passo del Gigante. Sir Reynold, invece, sarebbe partito verso la provincia dell'Ovest, percorrendo la Via delle Lanterne, tagliando poi per la Brughiera Rossa - così chiamata perché al tramonto l'erba dei vasti prati si tingeva di un violento rosso sangue - e arrivando nelle Terre dei Fiumi, fino a Riparo delle Cascate. Jason seguì la riunione in via non del tutto ufficiale, nascosto dietro una balconata. Quel pomeriggio, mentre il piccolo Chris insegnava a Jason il gioco degli scacchi, il giovane cacciatore di taglie fu convocato al cospetto di lord Blackbear. L’imponente uomo ammise Jason alla sua presenza con un’espressione austera dipinta sul volto, e iniziò a parlare senza troppi convenevoli. “Sono certo, signor Lancaster, che tu sia a conoscenza, in un modo o nell’altro, della riunione militare di stamattina e di ciò che io e i miei fedeli cavalieri ci siamo detti. Sir Pickwick è stato mandato ancora più a Nord, nelle Terre di Nessuno, per ripulire i boschi dalla feccia di briganti e, soprattutto, riprendersi Forte Fiammeggiante, prima che un’altra provincia abbia la stessa idea. Sir Reynold, invece, è stato mandato a Ovest dai Deepriver per negoziare un’alleanza commerciale, che in caso di necessità diventerà anche di carattere militare. Lord Edgar Deepriver è un vecchio amico dai tempi della grande guerra, non mi rifiuterà un favore, ne sono sicuro. Ma adesso veniamo a te – si accarezzò la folta barba e un mezzo sorriso gli arricciò i baffi, poi continuò – ho intenzione di affidare un incarico anche a te, Jason. Un incarico che i miei uomini, per quanto validi e fidati, non riuscirebbero a portare a termine. Dovresti percorrere la Via delle Lanterne, precedendo sir Reynold di un paio di giorni, e tirare dritto fino Torre dei Giardini Reali, nel Sud della Bussola” Jason passò una mano nei capelli, scompigliandoli pensieroso, poi soppesò bene le parole prima di pronunciarle: “Una volta arrivato, cosa vi aspettate che faccia, mio signore?” Lord Blackbear sorrise, complice, poi disse: “Darti un’occhiata intorno. Vedere cosa succede a Città delle Spezie e a Torre dei Giardini Reali, dentro la fortezza dei Redrose. Hai un mese di tempo per guadagnarti la paga di un anno” Un’ora dopo, Jason stava scegliendo che vestiti indossare per il viaggio, certamente qualcosa di comodo e leggero, perché il Sud era caldo. Afferrò la fascia di cuoio che portava a tracolla, con infilati dentro cinque coltelli da lancio, e sistemò l’impennaggio delle frecce nella faretra, ma poi decise di lasciarli lì. In un posto dove nessuno lo conosceva, era meglio non farsi notare per l’armamento pesante. Appese invece alla cintura una spada lunga e nascose un pugnale nello stivale, poi arrotolò i provviste e mappe da viaggio in una borsa di cuoio. Anya lo abbracciò forte, poi gli stampò un bacio di buona fortuna sulla fronte, e Jason non poté fare altro che ricambiare il saluto, salendo a cavallo. Secondo i suoi calcoli, arrivare a Città delle Spezie avrebbe richiesto dieci giorni a cavallo, sperando di poter barattare il suo animale con uno riposato a ogni stazione postale che avrebbe incontrato. Altrettanti ce ne avrebbe messi per tornare, il che gli avrebbe lasciato poco più di una settimana per svolgere il suo lavoro. “Meglio – si disse – non mi va di stare a lungo in un luogo che non conosco e dove non ho amici” Afferrò saldamente le redini della sua cavalcatura e partì, incurante della neve che scendeva fittamente, sicuro che arrivato Quattro Bastioni, roccaforte centrale sulla Via delle Lanterne, si sarebbe lasciato il cattivo tempo alle spalle. Cavalcò per poche centinaia di metri, arrivando al villaggio. Percorrendo la strada principale del paesino, si fermò dalla vecchia Helen a comprare uno dei suoi panini all’uva ancora caldi, e lo mangiò risalendo in sella. Un altro miglio, e si fermò per guardarsi indietro. Sullo sfondo delle montagne innevate, una fitta fascia di boschi disegnava una linea continua verde, sulla quale si stagliava il profilo nero minaccioso di Rocca degli Orsi, le torri che svettavano alte nel cielo plumbeo. E Jason ebbe la triste sensazione che non avrebbe rivisto il Nord per molto, molto tempo.

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Capitolo 4
*** Parte Prima, il Grande Nord - Kevan Redrose ***


Ci mise cinque giorni ad arrivare a Quattro bastioni, cambiando tre diversi cavalli durante il percorso, accampandosi per terra, nei boschi, e do le misere provviste di carne secca e gallette che aveva con se.
La sera del quarto giorno, si sedette soddisfatto davanti ad una fumante zuppa di coniglio con noci e miele, nella grande locanda di Quattro Bastioni, come sempre gremita di viandanti. Trangugiò la zuppa in pochi secondi, poi si alzò per bere un boccale di birra. Accanto a lui, sul lungo bancone del locale, c’erano un ragazzo ammantato di rosso, con dieci soldati al seguito, anch’essi con una blusa rossa, su cui campeggiava la sagoma dorata dei Redrose. In un attimo Jason capì: il ventenne che aveva di fronte non era altri che sir Kevan Redrose, il miglior spadaccino della Bussola, figlio di lord Percival Redrose, e diretto erede al trono del Sud.
Facendo bene attenzione a mantenere un profilo molto basso, Jason si calò il pesante cappuccio sul volto e si allontanò con discrezione, camminando all’indietro. La fortuna doveva averlo salutato da un pezzo, però, pensò Jason quando inciampò nel mantello e rovinò addosso ad uno dei soldati di sir Kevan, che puntualmente gli diede uno spintone.
Il ragazzo si scusò e si allontanò di fretta, ma quello che era stato solo un incidente, per un soldato mezzo ubriaco, poteva essere motivo di rissa. L’uomo estrasse dalla cintura un metro di acciaio, e si avvicinò a Jason, l’alito che puzzava di alcool. Gli puntò la daga alla gola, poi biascicò: “Non hai niente da dire, pezzente?”
“Chiedo perdono, mio signore” rispose Jason i tono dimesso, cercando di evitare di finire alle mani. “Non è abbastanza!” sbraitò il soldato, sottraendogli la sua borsa da viaggio, con tutti i soldi che lord Blackbear gli aveva dato per la missione. Jason si trattenne, chiese che gli venisse restituita, e al diniego dell’altro se la riprese con uno strattone.
Sir Kevan, intanto, si era avvicinato, e ora seguiva quasi divertito la scena. Il soldato, incitato dalle grida dei compagni, diede un pugno sul mento del ragazzo, che sentì subito in bocca il sapore ferroso del sangue. Jason si alzò, fece per andarsene, ma un altro uomo gli si parò davanti, assestandogli un pugno nello stomaco, con il guanto di cotta di ferro. Il dolore gli tolse il respiro, ma il ragazzo riuscì ad evitare un terzo colpo, stavolta sferrato con un pugnale, diretto alla gamba.
Poi si tolse il mantello, rivelando un giubbotto di cuoio aderente con appesi una decina di coltelli da lancio, due sciabole sulla schiena, una spada lunga appesa al fianco e un pugnale nello stivale. Alla fine l’idea di passare inosservato era venuta meno quando aveva fatto i bagagli per il viaggio, si disse. Estrasse un coltello e, con una torsione del busto velocissima, lo conficcò nella mano del suo aggressore, inchiodandola al tavolo. All’urlo di dolore che ne seguì, successe un silenzio tombale nella locanda. Poi tutto precipitò, e prima che lord Kevan dicesse qualcosa per fermare i suoi soldati, Jason dovette mozzare un orecchio e due dita al secondo soldato. Sir Kevan si avvicinò al suo uomo, a terra che si contorceva per il dolore delle ferite, e gli sussurrò ad un orecchio: “Mai più”. Poi gli ficcò la sua spada nello sterno, con un raccapricciante rumore di ossa in frantumi, e girò la spada più volte nella ferita, finché l’ultimo lamento del suo scagnozzo non si spense, e i suoi occhi si chiusero. Poi fece un cenno con la mano, e i suoi soldati lo seguirono fuori, lasciando il cadavere del compagno in una pozza purpurea.
Quella notte, Jason non dormì, pensando alla crudeltà inaudita che sir Kevan Redrose aveva dimostrato, e alla facilità con cui aveva sacrificato uno dei suoi uomini. Certo, non si poteva dire che fosse un uomo senza onore, anzi. Aveva dimostrato grande senso della giustizia, in quel suo atto di ferocia. Jason annotò un’altra nota nella sua mente: se uccidere un soldato aveva così poco peso, evidentemente giù a Sud avevano reclute in abbondanza.
Il mattino successivo il ragazzo si alzò all’alba, reduce di una notte insonne, e si vestì in fretta. Pagò il conto della stanza alla locandiera, poi inforcò un cavallo e in meno di un’ora stava galoppando lungo l’ultimo tratto della Via delle Lanterne, che adesso si faceva più stretta e impervia, man mano che si addentrava sul massiccio di montagne nel centro della Bussola. Il panorama non era mai monotono: alle brulle campagne si alternavano tratti di fitta vegetazione, foreste di pini, per poi lasciare il passo all’ultima neve sulle vette dei monti. Di lì in avanti, infatti, il caldo del Sud avrebbe reso le nevicate un evento più unico che raro. Si fermò un paio di volte durante il tragitto, una per mangiare, l’altra per scambiare il cavallo con uno fresco ad una stazione postale.
Proseguì a cavallo fino alle Terre dei Fiumi, poi smontò e condusse la bestia per le redini, attraverso incerti guadi sui molti torrenti della zona. Verso il settimo giorno di viaggio, il caldo cominciò a farsi intollerante, e Jason si tolse i pesanti vestiti di lana, concepiti per il freddo Nord, e rimase con addosso solo una sacca di tela grezza senza maniche.
L’ultima parte del viaggio fu un tormento, ma dopo undici giorni avvistò Città delle Spezie, su cui si stagliava, alta e bianca sul mare cristallino, Torre dei Giardini. Arrancò faticosamente fino in città, dove vendette per una buona cifra il suo cavallo, promettendosi di comprarne uno nuovo al ritorno. Prese una stanza – più che stanza era un buco nel muro, ma si accontentò – in una albergo di dubbia moralità. Si lavò e mise abiti freschi, poi decise di uscire a fare un primo giro di ispezione per la città.
Città delle Spezie era da secoli il porto più importante della Bussola, e a bordo di eleganti vascelli o misere bagnarole ogni genere di mercanzia approdava nel caldo Sud. Jason riconobbe un galeone della Compagnia delle Sette Lame, un gruppo di mercenari pronti a vendere il compagno di avventure per mezza moneta di bronzo, salvo poi sperperare tutto in lussi sfrenati. Più avanti una bizzarra ciurma poliglotta cercava di calare con un argano un pesante carico di legname, mentre un ragazzino dietro un carretto strillava per vendere le sue ostriche. Jason ne comprò un pugno, poi lasciò il porto per addentrarsi nel quartiere degli artigiani, prendendo mentalmente nota di ogni dettaglio gli sembrasse rilevante. La sua ipotesi sul gran numero di soldati disponibili si rivelò esatta, dal momento che in ogni quartiere una piccola ronda di tre uomini in calzamaglia rossa faceva il suo monotono giro. Jason calcolò che dovessero esserci all’incirca mille cinquecento uomini assegnati al servizio di polizia cittadina. Tornò verso la locanda verso cena, e quando tornò trovò che le giovani ragazze della cucina arrotondavano la paga tenendo compagnia agli avventori.
Rifiutò bruscamente le avances di una cameriera, poi si girò quando qualcuno lo chiamò a gran voce: “Ragazzo! Ragazzo!”
Gli si gelò il sangue nelle vene.
Aveva riconosciuto immediatamente il tono di voce freddo e deciso, e quando si girò ebbe la sua conferma: seduto su una panca, con una ragazza sulle gambe, c’era sir Kevan Redrose, che proruppe in una risata divertita nel vedere lo stupore sugli occhi di Jason.
“Anche tu in cerca di dolce compagnia?” chiese scherzosamente l’altro, ma un lampo di malizia gli balenò per gli occhi. “No” rispose soltanto Jason, e si girò, come per andarsene.
“Quanta fretta! – lo apostrofò ridendo sir Kevan – sembra che tu abbia qualcosa da nascondere”
Jason rimase voltato di spalle, e non rispose. L’altro continuò, imperterrito, sfilando un foglio ripiegato dal sottopancia, e scoppiando in una sonora risata. “Questa ti dice niente?”
Un brivido premonitore corse lungo la schiena del ragazzo, che mise la mano nella tasca del gilet, trovandola vuota. Un rumore stridulo di ferro graffiato percorse tutta la sala, seguito da sir Kevan che si alzava, esclamando: “Niente da confessare, Jason?”
Per tutta risposta, il ragazzo estrasse la spada lunga, tolse la giacca e si preparò ad affrontare il miglior spadaccino della Bussola.


Salve a tutti! :) ho deciso di prendermi un angolo della storia (che dopotutto è mia). Mi auguro che non sia troppo illegibile, è solo la seconda che scrivo D: spero che troverete anche un minuto libero per recensire, voglio sapere che ne pensate. A breve (quando capirò come si faccia lol)aggiungerò anche una mappa della Bussola. Un abbraccio
- Luca

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Capitolo 5
*** Parte Prima, il Grande Nord - la Dama di Rose ***


La brocca andò in frantumi, tagliata a metà da un fendente di sir Kevan, che subito si girò e tentò un diagonale impossibile verso il volto di Jason, che saltò all’indietro per evitarlo, atterrando sul tavolo.
“Adesso ho un leggero vantaggio” pensò il ragazzo, ricomponendosi, in vista di un nuovo assalto. Sir Kevan Redrose stava dimostrando che la sua fama di guerriero era più che meritata, tenendo costantemente sotto scacco Jason, che pure era un eccezionale spadaccino. Un nuovo turbine di fendenti da entrambe le parti si risolse con un assordante clangore metallico, poi sir Kevan balzò sull’altra estremità del tavolo, bilanciando la sfida.
Jason attese, girato di tre quarti verso il nemico, che quello facesse una mossa falsa. Anche i migliori spadaccini commettono degli errori, ogni tanto, e con la pazienza Jason aveva sconfitto avversari anche molto più bravi di lui. Ma lo stile di sir Redrose sembrava impeccabile: ad ogni attacco, studiato e calibrato bene, seguiva una pausa per riprendere fiato, durante la quale il guerriero non abbassava la guardia neanche di mezza spanna. Un affondo da fermo colse Jason alla sprovvista, che fece appena in tempo a deviarlo con l’elsa per evitare di finire allo spiedo. Il tessuto della casacca si lacerò, lasciando la nuda pelle in vista.
“Maledizione! – imprecò Jason – se va avanti così mi ammazza!” e indietreggiò di un paio di metri, saltando all’indietro di un paio di passi, e scendendo dal tavolo, unica posizione favorevole che avesse conquistato. Poi un’idea gli balenò per la testa: usare qualcuno dei suoi trucchi da cacciatore di taglie, anche se non sarebbe stato leale, almeno non sarebbe morto ammazzato. E soprattutto, non poteva permettere che sir Kevan sbandierasse in giro la lettera che gli aveva sottratto, oppure il suo soggiorno a Città delle Spezie sarebbe terminato in modo tutt’altro che piacevole.
Mentre teneva impegnato l’avversario con un fendente abbastanza innocuo, sfilò da dietro la schiena un sottile coltello da lancio, lungo una decina di pollici, e lo lanciò con la sinistra. Con una rapidità che quasi non sembrava umana, sir Kevan ruotò su se stesso, facendo perno su un piede, e il coltello si conficcò fino all’elsa nel muro alle sue spalle, a meno di un pollice di distanza dal suo volto. Un secondo coltello venne intercettato, il terzo si perse alle spalle dell’uomo, il quarto fu addirittura bloccato al volo e rispedito al mittente, e Jason dovette torcere il busto per evitarlo. La quinta lama centrò il bersaglio con precisione chirurgica, conficcandosi per intero nella spalla dell’uomo, nella sottile giuntura fra i pezzi dell’armatura.
Un sangue nero e denso cominciò a uscire dalla ferita, e sir Kevan storse il naso, appena infastidito da quell’inconveniente. Poi si girò e assestò un calcio alla bocca dello stomaco di Jason, che fece un volo all’indietro di almeno quattro passi, per poi rovinare pesantemente su una sedia, la spada che si perse sul pavimento. La gente nelle locanda era ammutolita dallo spavento.
Sir Kevan si avvicinò con passo baldanzoso a Jason, la lama lucente che gli scintillava fra le mani. Alzò il braccio, preparandosi a calare l’ultimo fendente, e disse: “Sei stato un valido avversario, ma ci vuole ben altro per fregarmi” poi sputò a terra, in segno di disprezzo.
Jason sorrise, il sorriso furbo di chi ha girato il mondo e si è già trovato in situazioni simili, poi rispose: “Non sono io quello con un coltello avvelenato nella spalla”
Sir Kevan sbiancò, lasciando cadere la spada, che tintinnò rimbalzando sul pavimento, prima che l’attenta mano di Jason la afferrasse. Adesso i ruoli erano ribaltati. Jason soppesò la spada dell’avversario, troppo intento a slacciarsi l’armatura. Quando la piastra frontale della pesante corazza si sganciò, la ferita apparve per la prima volta. Un taglio sottile, con ancora innestato il pugnale, da cui usciva un rivolo di sangue rosso, misto a pus. Su tutta la spalla un alone verde aveva iniziato a diffondersi. Sir Kevan guardò negli occhi Jason, quell’avversario, il primo, forse, che era riuscito a batterlo, seppur giocando sporco. Poi si portò due dita alla bocca e fischiò.
La porta della locanda fu schiantata pesantemente, e dalle finestre entrarono arcieri con le armi in resta, disponendosi poi in cerchio intorno a Jason. “Forse io morirò – il tono di voce di sir Kevan era ora un ringhio sommesso – ma tu soffrirai a tal punto da desiderare una morte veloce. Prendetelo”
Jason non ebbe, in seguito, che un ricordo sfocato di quello che successe. I soldati lo spogliarono delle sue armi, lo ammanettarono e lo portarono, legato su un cavallo, a Torre dei Giardini. I giorni di prigionia furono un tormento. La cella era piccola e buia, umida, un pagliericcio per dormire e un secchio per i suoi bisogni. L’aria era stantia e puzzava di sporco e urina. Due pasti al giorno, di solito solo pane e vino, ogni tanto una misera zuppa.
Jason perse la concezione del tempo che passava, la barba crebbe fino a coprirgli tutto il volto. Il pensiero fisso che aveva in testa era solo uno: sir Kevan agonizzante nel suo letto, la ferita infetta e inguaribile. Come aveva fatto a rubargli quella lettera? La portava nella tasca interna della giacca, proprio per tenerla quanto più al sicuro fosse possibile. Era infatti un lasciapassare che lord Blackbear gli aveva scritto, nel quale spiegava il motivo della sua missione, che avrebbe dovuto mostrare agli uomini a nord di Quattro Bastioni, se avessero tentato di fermarlo, dicendo di avere il permesso di passare del lord del Nord.
Avrebbe dovuto disfarsene prima di arrivare nel Sud, dove chiunque la avrebbe usata contro di lui, come era puntualmente successo. Ma quando gli era stata sottratta? Poi ricordò che, nella locanda di Quattro Bastioni, si era sfilato la giacca, gettandola a terra, per fronteggiare i due soldati. Allora sir Redrose gliela aveva rubata, ne fu certo. Si maledisse mentalmente, prima di sprofondare nel tetro buoi solitario della sua prigionia.
Non seppe dire quanto tempo passò prima che qualcuno venisse a cercarlo, se ore, settimane o addirittura anni. Un servo dai modi bruschi lo fece uscire, pungolandolo con una lancia, e lo ficcò a forza in una vasca di acqua calda, per farlo lavare. Poi gli consegnò addirittura dei vestiti puliti, roba molto più costosa di quanto Jason avesse mai potuto permettersi. Così conciato, e con la barba tagliata, sembrava quasi un giovane principe. Due armigeri lo scortarono lungo i corridoi di Torre dei Giardini, prima quelli angusti e neri delle prigioni, poi quelli di lucente marmo bianco della reggia.
Quando entrò nella sala delle udienze, Jason rimase abbagliato da tanto splendore: la sala era lunga il doppio di quella spartana di Rocca degli Orsi, e una parte era interamente ricoperta da una vetrata, che si affacciava sugli splendidi giardini pensili del terrazzo. Il pavimento, di marmo bianco con eleganti motivi floreali disegnati sopra, era così pulito che si sarebbe tranquillamente potuto fare la barba, pensò.
Arazzi grandi quanto la facciata di una casa abbellivano le pareti, e due scranni di lamina argentea su una piattaforma dominavano la sala. Sul quello di sinistra, sedeva un uomo alto, atletico ed elegante, nonostante i capelli canuti dimostrassero un’età piuttosto veneranda. Su quello a destra, la donna più bella che Jason avesse mai visto. “Sembra un po’ Anya”, pensò, ma subito scacciò quel pensiero sciocco. Lord Redrose e sua moglie, conosciuta come la Dama delle Rose per la sua mania di vestire di rosso, erano certamente due figure importanti. Gli altri cortigiani sembravano piccoli e inadeguati, persino sir Kevan, che a quanto pareva era tutt’altro che morto, sembrava impotente in confronto ai genitori. O meglio, in confronto al padre, che aveva perso poi la moglie durante il parto del suo secondogenito, e che poi aveva sposato una donna venticinque anni più giovane di lui. Lord Redrose aveva infatti poco più di sessant’anni, mentre la Dama delle Rose neanche trentacinque.
Jason avanzò, con passo incerto, fino alla piattaforma dei regnanti del Sud, e fu costretto a inginocchiarsi. Quando gli fu concesso di alzarsi, lord Redrose lo squadrò con aria truce, poi chiese, a bruciapelo: “Dunque lord Blackbear si fida così poco di me da dover mandare una spia a controllarmi?”
Jason non rispose subito, sia perché era intimorito dalle parole dell’uomo, sia perché un minimo passo falso avrebbe ulteriormente aggravato la sua posizione già precaria. Deglutì a fatica, poi rispose: “Non sono una spia, mio lord. Sono un cacciatore di taglie del Nord”. Jason decise di non mentire spudoratamente, ma di cercare di essere quanto più sincero possibile, sempre cercando di non tradire lord Blackbear. Lord Redrose lo fissò da sotto le folte sopracciglia bianche, poi la bocca assunse un'espressione perfida. “Hai quasi ammazzato mio figlio – continuò – non sei un uomo comune”
"Chi ti ha addestrato?"
"Nessuno, mio signore - rispose Jason in tono dimesso - è solo esperienza sul campo". Poi prese fiato e, attento a misurare le parole, chiese: "Quanto tempo sono rimasto là sotto?"
Lord Redrose esplose di collera, urlando scompostamente di come solo lui avesse il diritto di fare domande, ma fu zittito con un cenno severo del capo dalla moglie, che poi sorrise e rispose accondiscendente: "Un anno"
Lord Redrose sbuffò, ricomponendosi, mentre Jason ringraziò annuendo. "Un anno - pensò con rabbia - questi bastardi mi hanno tenuto un anno lì dentro!" ma non disse niente. L'unico pensiero che gli frullava per la testa era il perché aspettare così a lungo per riceverlo.
Come se gli stesse leggendo nei pensieri, la Dama delle Rose parlò, sorridendo calorosamente: "Ti starai chiedendo come mai ti abbiamo fatto aspettare così a lungo - attese un cenno di assenso da parte di Jason, poi proseguì - ebbene, mio caro, non eravamo pronti abbastanza. Vedi, noi sappiamo perché sei qui, e vogliamo venirti incontro. Ti daremo tutte le informazioni di cui avrai bisogno, poi sarai tu a decidere se andartene, tornare a Rocca degli Orsi, o restare ad aiutarci. Abbiamo bisogno di gente come te"
"Aiutarvi? - Jason era perplesso - aiutarvi a fare cosa?"
La Dama delle Rose lo guardò deliziata, poi cinguettò: "La guerra, tesoro mio, la guerra"


Ciao a tutti, rieccomi a fine pagina :) mi sto divertendo un mondo a scrivere questa storia, e adesso siamo ancora nella parte 'introduttiva'. Spero che vi piaccia, ma anche se non vi dovesse piacere, sarei contento di ricevere una recensione :) un saluto a tutti
- Luca

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Capitolo 6
*** Parte Prima, il Grande Nord - la Spia ***


Fu come risvegliarsi da un incubo, per Jason. Quella notte dormì su un comodo letto di piume, in una stanza grande quanto la sala grande di Rocca degli Orsi, con una fontana in un angolo e un terrazzo meraviglioso, che si affacciava sul mare del Sud.
Jason stava appoggiato al parapetto del terrazzo, il vento caldo che gli scompigliava i capelli, a guardare il tramonto sul mare. Un semicerchio rosso infuocava tutto l’orizzonte, a perdita d’occhio, e da lassù le navi nel porto sembravano minuscole. I grandi velieri della marina del Sud facevano vela verso posti sconosciuti. Tutto sembrava identico al giorno in cui aveva ferito sir Kevan. “Non essere sciocco – si disse – è passato un anno”
Un anno della sue giovinezza sprecato, trascorso lontano dal mondo, isolato in una buia cella. Gli mancava Rocca degli Orsi, i racconti della vecchia Helen, persino la zuppa di pesce senza pesce dei Tre Meli, la sua locanda preferita. Ma soprattutto gli mancava Anya, col suo sorriso meraviglioso. Allontanò il pensiero, maledicendosi per i suoi sentimentalismi. Un cacciatore di taglie si affeziona ai soldi, non a luoghi o persone, e di soldi lord Redrose gliene offriva molti. Troppi, in verità, più di quanto sarebbe stato in grado di spendere, e l’incarico era facile: tornare al Nord e fare il doppiogioco per Torre dei Giardini. Tradire Anya, e lord Blackbear, che gli aveva offerto il suo pane e il suo tetto. Tradire il piccolo Chris, che forse pensava ancora che suo fratello fosse a caccia nei boschi.
Ma la somma che gli veniva offerta era spropositata, oltre alla promozione al rango di cavaliere a guerra finita. “Sir Lancaster – pensò – suona bene, accidenti”. Era più di quanto avesse potuto sperare di chiedere, un misero orfano senza casa, che nella sua vita aveva vissuto di imbrogli e assassini, di sangue e di violenza, dispensata senza pensarci troppo. Farsi un esame di coscienza lo avrebbe fatto sentire ancora peggio, pensò, guardando la città che risplendeva all’ultima luce del sole. Uno spettacolo meraviglioso, dopo un anno di buia prigionia.
Il mattino dopo un servo lo svegliò, portandogli una colazione abbondante. Mangiò avidamente, dopo un anno passato a pane e acqua doveva recuperare le forze, poi si vestì con abiti comodi di cuoio e scese nel cortile del castello. L’aria fresca del mattino gli schiarì le idee, e gli ricordò che aveva promesso alla Dama di Rose un incontro nella sala grande. Quando arrivò, la sala era vuota, e la bella donna stava guardando fuori dall’immensa vetrata, rapita dal paesaggio. Jason dovette schiarirsi la voce un paio di volte, prima che lei si accorgesse della sua presenza. Si girò e gli sorrise, prendendolo sottobraccio. Camminarono così per un po’, Jason in imbarazzo mortale, lei tranquilla e sorridente.
“Cos’è che volevi sapere, Jason? – chiese melliflua lei – quanti soldati abbiamo qui a Sud? Quante scorte ci sono nei nostri magazzini? Quante navi compongono la nostra flotta? Chiedi e avrai risposta”. Sorrise, e lo strinse a sé con fare materno.
A fine giornata, Jason aveva un rapporto dettagliato sullo spiegamento di forze che Torre dei Giardini aveva intenzione di mobilitare nell’attaccare il Nord. Una domanda era ancora irrisolta, e domandò alla Dama di Rose: “Dunque siete stati voi a mandare i guerrieri incappucciati a Nord, per dividere le nostre forze!”
La bella donna parve sinceramente stupita, e rispose, corrucciata: “Non so di cosa tu stia parlando, caro”
Quella notte, steso nel suo letto,  la finestra del terrazzo spalancata per far entrare la brezza tiepida del mare, Jason rifletté su quanto avrebbe potuto fare. In particolare, le Fiamme Nere non gli davano pace: se non era stato il governo del Sud a mandarle, chi altro avrebbe potuto? E che vantaggio ne avrebbe tratto? Gli incubi affollarono i suoi sogni, e si svegliò all’alba, all’improvviso, la fronte madida di sudore.
Nel pomeriggio, prese la sua decisione: accettare l’incarico di lord Redrose, che fece un cenno col capo di burbera approvazione, e diede ordine che partisse subito per il Nord. Arrivato, avrebbe dovuto inviare un messaggio al mese, tramite un corriere che egli stesso gli avrebbe mandato ogni tanto. Era del tutto necessario che lord Blackbear non nutrisse sospetti, quindi Jason avrebbe dichiarato di essere stato catturato dai briganti sulla Via delle Lanterne. Sarebbe poi riuscito a sfuggire ai briganti, arrivando nel Sud con sei mesi di ritardo, e al ritorno avrebbe costeggiato i territori della Cava, per non imbattersi di nuovo nei fuorilegge della Via delle Lanterne.
Il viaggio di ritorno durò meno di dieci giorni, e quando Jason rivide le montagne del Nord, perennemente innevate, ebbe un tuffo al cuore. Tutto era rimasto come lo aveva lasciato. Entrò al galoppo nel cortile di Rocca degli Orsi, dove il piccolo Chris stava giocando col suo gatto. Il ragazzino abbandonò l’animale per correre incontro a Jason, che lo sollevò di peso e lo abbracciò stretto.
Quando vide Anya, dopo un anno di lontananza, quasi si mise a piangere. Stava per correrle incontro ad abbracciarla, quando al suo fianco si materializzò un giovane uomo, poco più che trentenne, e le pose una mano sulla spalla, protettivo. Anya rivolse a Jason un sorriso di circostanza, poi disse: “Jason, lui è sir Robert Deepriver, erede al trono dell’Ovest. Ed è mio marito”
Jason provò la stessa sensazione di quando sir Kevan gli aveva sferrato un calcio nello stomaco. Ci mise qualche secondo a metabolizzare l’informazione, poi tese la mano al giovane, vestito in modo impeccabile, giacca e farsetto blu bordati d’oro, che lo guardò con disprezzo.
Lord Blackbear accolse Jason calorosamente, ma lesse urgenza negli occhi del ragazzo, e quando questi gli chiese di parlare in privato, fece uscire tutti dalla sala grande. In breve, Jason raccontò di come fosse stato catturato dai soldati del Sud, e di come avesse passato un anno di prigionia, salvo poi essere liberato dalla Dama di Rose. Parlò anche della richiesta di fare il doppiogioco, e di come lui l’avesse apparentemente accettata, per poi rimanere fedele al Nord. Lord Blackbear assunse un’espressione grave quando Jason gli riferì delle armate che il Sud aveva a disposizione: quindicimila fra fanti, cavalieri e marinai, pronti a partire in qualsiasi momento. Parlarono di come fosse necessario continuare la farsa del doppio gioco, inviando come richiesto i messaggi mensili a Torre dei Giardini. Dopo due ore di pianificazione, lord Blackbear fece una cosa assai insolita per un lord della Bussola: scese con grande senso si umiltà dal suo scranno, e strinse la mano a Jason, che ricambiò la stretta e annuì deciso.
Riprese possesso della sua stanza nella torre degli ospiti, e qui Anya venne a trovarlo, un pomeriggio.
Bussò elegantemente alla porta e Jason, riconoscendo la sua voce, la fece entrare. Anya era un po’ imbarazzo, ed esordì dicendo: “Sono qui in veste non del tutto ufficiale. Mio marito non ne sarebbe felice, ma volevo parlarti, è da un anno che non ti vedo”
Si sedette su una sedia, a debita di stanza dal ragazzo, quando solitamente si sarebbe andata a sedere accanto a lui, facendosi abbracciare. Questo a Jason non sfuggì. “Matrimonio d’amore?” chiese Jason, con la chiara intenzione di fare una battuta cattiva.
Anya si incupì, poi rispose: “Già da prima che tu tornassi, mio padre credeva che il Sud sarebbe sceso in guerra. Ho sposato sir Robert per stringere alleanza con la provincia dell’Ovest. Jason, tu più di chiunque altro mi dovresti capire, non l’ho scelto io. Era – ci pensò su un attimo – era la cosa giusta da fare”
Il ragazzo annuì lentamente, conscio del fatto che Anya avesse ragione. La ragazza che lui aveva amato come una sorella uscì, salutandolo freddamente, e da allora non si parlarono più. Forse, si disse Jason, faceva ancora in tempo ad allearsi col Sud.

Salve :) rieccomi con il capitolo 6, spero che vi piaccia. Ormai ne scrivo uno al giorno, mentre ehm...studio. Grazie a chiunque volesse recensire, sia in modo positivo, sia dando un giudizio negativo (se non vi piace non avete che da dirlo lol). Ciaooo :)
- Luca

 

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Capitolo 7
*** Parte Prima, il Grande Nord - sir Robert Deepriver ***


Passarono i giorni, le settimane, i mesi. Rocca degli Orsi continuava a reclutare uomini in vista dell’imminente guerra, mettendo una lancia in mano a gente che nella propria vita aveva impugnato solo un forcone da paglia. Ragazzi, contadini, taglialegna, persino borseggiatori e tagliagole erano ben accetti nelle file del Nord. Dopo sei mesi dal ritorno dal Sud, Rocca degli Orsi contava poco più di cinquemila soldati poco addestrati, male in arnese e del tutto impreparati a fronteggiare l’immensa armata di quindicimila uomini che Torre dei Giardini avrebbe schierato. Sembrava però che qualcosa rallentasse l’avanzata dei soldati del Sud, che ancora non si decidevano ad attaccare.
Jason continuò ad inviare lettere a lord Redrose come gli era stato chiesto, ma scriveva solo ciò che lord Blackbear riteneva opportuno, senza però far insospettire il signore del Sud. Riparo delle Cascate, la capitale dell’Ovest, si stava impegnando a radunare truppe, ma gli uomini delle Terre dei Fiumi erano prevalentemente pescatori e agricoltori, non soldati. In tutte le guerre che la Bussola aveva conosciuto, esclusa la Grande Guerra, non una volta l’Ovest si era schierato in campo. Durante la Grande Guerra, in origine scoppiata fra Sud ed Est, il Nord aveva appoggiato il Sud, e l’Ovest si era unito in un secondo momento alla parte vincente, ovvero quella dell’asse Nord-Sud.
Da allora erano passati meno di cinquant'anni, e l’Est era diventata una provincia povera, schiacciata dalle pesanti tasse di guerra, ignorata dal mondo, mentre Nord e Sud avevano prosperato, mantenendo buoni rapporti. Fino a che lord Redrose, nipote del grande Nash Redrose, vincitore della Grande Guerra, aveva deciso di interrompere quel periodo di pace e prosperità.
L’Ovest, da quando sir Robert Deepriver aveva sposato lady Anya, si era impegnato ad arruolare nuove truppe, con risultati assolutamente insufficienti: al corpo fisso di cinquecento veterani si erano aggiunti appena mille volontari, senza nessun reparto di cavalleria.
Jason era perso nei suoi pensieri quando, un pomeriggio di aprile, una freccia gli passò a poche dita dal volto. Si girò, allarmato, e vide che sir Robert con alcuni dei suoi uomini si stava sbellicando dalle risate. Jason ignorò l’affronto e si sedette nuovamente nel suo angolo del cortile di addestramenti. Neanche un minuto dopo, una seconda freccia si conficcò nel muro alle sue spalle. Jason alzò lo sguardo, e vide che a lanciarla era stato lo stesso sir Deepriver, che ora lo guardava con un sorriso strafottente di sfida. Jason lo fissò a lungo negli occhi, senza però far scomparire dal suo volto il beffardo ghigno provocatorio. Alla terza freccia si alzò in piedi, per andarsene. La quarta si conficcò giusto davanti a lui, come per impedirgli di passare. Jason decise che non ce ne sarebbe stata una quinta.
Si avvicinò con passo tranquillo al giovane sir Robert, che adesso ammiccava con i suoi compagni, e lo apostrofò con gentilezza: “State attento con quelle frecce, mio signore – adesso era lui a ridere – o con la vostra infallibile mira finirete per ficcarvene una in mezzo alle gambe”
Sir Robert diventò paonazzo: “Come hai detto, verme? Come osi rivolgerti così a me!”
Jason rimase lì, fermo, a guardarlo. Poi l’altro estrasse la spada e gliela puntò alla gola: “Se adesso io ti uccidessi – sibilò – la tua morte non farebbe più rumore di un paio di cani caduti in un pozzo”
“Provateci, mio signore – Jason allontanò con due dita la spada – scoprireste a vostre spese che non è affatto facile farmi fuori. Invece voi finireste allo spiedo prima di riuscire a pronunciare il vostro ridicolo cognome”. A quel punto estrasse la spada anche lui, e balzò indietro.
Prima che sir Robert potesse attaccare, una voce acuta ma decisa gridò: “Fermi!”. Anya si mise in mezzo ai due sfidanti, dando le spalle a Jason e rivolgendosi al marito: “Sta’ fermo Rob – disse – finiresti solo per farti uccidere”
Sir Robert la guardò con disprezzo, poi le diede uno schiaffo così forte che la ragazza cadde a terra, un denso rivolo di sangue che le usciva dalle labbra. Jason la sollevò delicatamente, pulendole il viso con un lembo della sua giacca, poi si girò e disse: “Avrei tollerato qualsiasi affronto alla mia persona. Ma lei non si tocca, bastardo”
Sir Robert era un bravo spadaccino, probabilmente da ragazzino aveva avuto un maestro d’armi che lo allenava tutti i giorni, ma il suo era uno stile da competizione, con tanti fronzoli e pochi attacchi davvero pericolosi. Jason aveva imparato a combattere per strada, e aveva sulla coscienza tanti morti e mutilati da averne perso il conto. La difesa di sir Robert resse poco più di un paio di minuti, nonostante i suoi uomini lo stessero aiutando. Poi Jason, deciso a punirlo senza ucciderlo, ruotò la spada di velocemente. La mano sinistra del giovane avversario cadde a terra, ancora avvolta dal guanto di morbida pelle. Un urlo disumano e un’esplosione di sangue e tendini seguirono alla scena, e sir Robert fu portato di corsa nell’infermeria del castello. Anya era pallida in volto.
Quello che seguì fu ancora peggiore. Sir Deepriver raccontò di come Jason avesse violentato Anya, e lui fosse stato costretto a intervenire, perdendo poi la mano, e tutta la storia fu supportata dai suoi uomini. A nulla valsero le spiegazioni di Jason e le urla di Anya, quando lord Blackbear condannò il ragazzo a morte.
Nella sua cella, Jason ripensò alla sua vita, conscio del fatto che l’indomani lo stesso lord Blackbear avrebbe eseguito la sentenza. Nella Bussola, infatti, c’era usanza che il lord protettore di una provincia adempisse al ruolo di boia per le pene capitali. Non seppe dire che ore fossero quando la porta della cella si aprì, rivelando un debole fascio di luce. “Vengono a prendermi – pensò rammaricato – ecco l’indegna conclusione della mia misera vita”
Una sola figura entrò nella cella, togliendosi il cappuccio e accendendo una candela. Jason quasi urlò, quando vide che si trattava di Anya. La ragazza gli si inginocchiò accanto, passandogli una cintura a cui era appesa una corta spada. Poi disse, bisbigliando: “Non ti sarò mai grata abbastanza per quello che hai fatto per me. Mi hai salvato la vita già due volte, hai salvato il Nord facendo la spia per noi. E ti abbiamo ringraziato sbattendoti qua dentro, per poi ucciderti. Meriti di meglio, Jason. Meriti una casa, una donna, una famiglia, meriti di andartene di qua, stasera”
Jason si alzò, appese la cintura alla vita e prese Anya per i fianchi, come faceva quando erano bambini, stringendola a se. Lei ricambiò l’abbraccio, poi gli sussurrò dell’esistenza di un passaggio segreto che portava dalle dispense del castello direttamente al secondo avamposto della Via delle Lanterne. “Grazie mille Jason – adesso Anya stava piangendo – grazie mille”
Poi lo baciò.


Ciao a tutti, ecco il settimo capitolo, che dovrebbe anche essere l'ultimo della Parte Prima :) spero che vi piaccia almeno un po', e che avrete anche un minuto per recensire, se ne avete voglia
Ciaooo :)
- Luca

 

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Capitolo 8
*** Parte Seconda, l'Anima dei Boschi - i Ribelli ***


A Jason era capitato altre volte di dover dormire nei boschi, accampandosi in una grotta o salendo su un pino, ma mai aveva dovuto viverci, scappando dai soldati che sir Robert gli aveva sguinzagliato dietro. Affrontarli sarebbe stato un suicidio bello e buono, un solo uomo non può fronteggiare dieci soldati a cavallo, arco alla mano e coperti da una pesante cotta di maglia. Scelse allora la via più prudente: proseguire verso Nord, superare il Passo del Gigante e avventurarsi nel Bosco dei Conigli, dove quasi due anni prima aveva trovato il corpo senza vita di sir Blackbear, insieme col vecchio Nat, Arthur e Jack. Pensarci gli provocò una fitta di dolore e nostalgia, ma decise di ignorare i sentimenti contrastanti che gli turbinavano dentro e proseguire. Ora l’obbiettivo primario era sopravvivere e decidere sul da farsi.
Quando ritenne di aver fatto abbastanza strada, Jason si fermò, valutando di essere più o meno ad un giorno di cavallo dalla Baia delle Streghe. Si costruì un arco dalla corteccia di un agrifoglio, il legno più flessibile che riuscì a trovare, visto che l’unica arma che aveva con se era la daga che Anya gli aveva lasciato.
Anya. Sospirò, piallando con la lama della spada il legno dell’agrifoglio. Nella sua vita aveva avuto poche occasioni per essere felice, viveva di stenti, guadagnandosi il pane con inganni e assassini, ma i pochi ricordi felici che aveva erano tutti in compagnia di Anya. Non aveva mai pensato ad Anya dal punto di vista sentimentale, nonostante fossero molto amici e lei fosse una ragazza di eccezionale bellezza. Dopotutto, che pretese avrebbe potuto avanzare un tagliagole sulla lady di Rocca degli Orsi. “Proprio nessuna” si disse Jason sbuffando. Immerso nei suoi pensieri, neanche si accorse che di colpo la foresta era zittita.
Il sole caldo di aprile filtrava nel sottobosco di felci e arbusti, fra le chiome dei folti abeti, ma la natura era come in trance. Gli uccellini avevano smesso di cantare, il vento si era quasi fermato. Un attimo, e al rumore metallico di una spada sguainata seguì un’intimidazione: “Non ti muovere”
A parlare era stato un uomo, interamente vestito di nero, il lungo cappuccio che gli faceva ombra sul volto. Una Fiamma Nera. Jason ascoltò il consiglio dell’altro, abbassando l’arco senza frecce e portando le mani dietro la nuca. “Chi sei? – chiese l’altro con fare inquisitorio, camminandogli intorno – da dove vieni?”
“Troppe domande in una sola volta, amico” Jason ebbe il coraggio di scherzare anche con una lama a venti centimetri dal viso. “Ascoltami – disse il ragazzo, indietreggiando di un passo, sotto la costante minaccia della spada – potrei decidere di farti fuori in qualsiasi momento. Tu sei un disperato con una lama arrugginita in mano, io uno dei migliori spadaccini della Bussola con un acciaio di prim’ordine. Tuttavia, mi rendo conto di essere io l’ospite indesiderato e non ho intenzione di torcerti un capello, anche perché probabilmente non sei da solo”
L’uomo, in evidente difficoltà, fece un gesto nervoso con il braccio libero, e cinque figure ammantate sbucarono fuori dagli alberi e dal terreno, dando l’impressione di essere rocce che prendevano vita all’improvviso. Jason si convinse definitivamente a non usare la violenza, erano troppi, e decise di adottare la strategia più pacifista, rispondere alle loro domande.
“Ok, stiamo tutti calmi – Jason assunse un tono di voce rilassato, e sorrise ai suoi interlocutori – inizio io, va bene? Mi chiamo Jason Lancaster, ho ventuno anni e sono ricercato per evasione dalla provincia del Nord, per tradimento da quella del Sud e per regia mutilazione dal quella dell’Ovest. Ho tutte le intenzioni di tenere un profilo molto basso e trasferirmi al più presto nell’Est, anche se so che non durerei più di un paio di giorni senza condanne sulla testa. Non c’è altro. Voi chi siete?”
L’uomo che gli stava di fronte lo squadrò dalla testa ai piedi con circospezione, poi si tolse il cappuccio, rivelando un volto rugoso segnato dalle intemperie, occhi di un verde cupo sotto spesse sopracciglia canute. I capelli erano bianchi, con qualche venatura grigia, e l’uomo era molto stempiato, il mento coperto da una rada barba mal tagliata. Sputò per terra, poi scambiò un paio di occhiate con i suoi compagni, valutando se fidarsi sarebbe stato saggio. Dopo un po’, fece scomparire la spada fra le pieghe della tunica, che a ben guardarla era vecchia, lisa e stinta. Non dovevano passarsela molto bene, nei boschi.
“Conan Fletcher” mugugnò indeciso, poi gli fece cenno di seguirlo, e il bizzarro gruppo di uomini si avventurò per la foresta, fermandosi ogni tanto a guardarsi indietro, come temendo di essere seguiti.
Conan guardava Jason con timore, ma quando il ragazzo gli porse la sua spada la rifiutò, capendo finalmente di potersi fidare. “Hai mezza Bussola che ti vorrebbe morto, ragazzo – Conan ridacchiò – devi averla fatta proprio grossa”
Jason decise di fidarsi di quella gente, dopotutto avrebbero potuto ucciderlo in qualsiasi momento, ma non l’avevano fatto, e raccontò a Conan l’ultimo anno e mezzo della sua vita, omettendo l’aiuto di Anya a scappare, per non metterla nei guai. Conan fu sorpreso dal racconto, ma non diede segno di dubitare dell’onestà del ragazzo, e annuì in modo burbero, approvando. Quando però Jason gli chiese chi lui fosse, esitò un attimo prima di rispondere.
“Vedi, ragazzo, io in altra vita ero conosciuto come sir Conan Rockshield, la Lama di Pietra – sorrise bonariamente – tornando alle minacce che prima mi facevi, credo che per quanto tu sia bravo e io sia ormai solo un vecchio, le avresti prese di santa ragione”
Scoppiò in una fragorosa risata, estraendo la sua misera spada e facendola roteare in entrambe le mani con l’abilità di chi nella sua vita non ha fatto altro che combattere, poi la lanciò contro un tronco a dieci passi di distanza: l’arma si conficcò per una buona metà nella corteccia. Jason impallidì, poi ricordò le storie della vecchia Helen che lui ascoltava al castello insieme ad Anya. La Lama di Pietra era un leggendario cavaliere dell’Est, figlio di lord Rockshield, protagonista della Grande Guerra, quando l’Est aveva attaccato il Sud. Dopo poche vittorie, però, il Nord era entrato in guerra al fianco del Sud, ribaltando le sorti del conflitto. Tutti davano per morto sir Conan Rockshield nella battaglia della Cava, e vederlo ancora vivo fu un vero shock.
“Ti starai chiedendo come sono arrivato qui, vero? – l’anziano guerriero sembrava leggergli nel pensiero, e Jason annuì flebilmente – bè, ragazzo, nella battaglia della Cava fui ferito da una freccia alla gamba e dalla carica di un cavaliere al braccio sinistro” prese fiato, estraendo la spada dall’albero, poi continuò.
“Incurante del dolore, estrassi la freccia dalla ferita e uccisi il cavaliere che mi aveva disarcionato. Rimontai a cavallo e condussi personalmente l’ultimo, disperato attacco frontale – gli occhi di Conan brillavano, come se stesse conducendo l’attacco proprio in quel momento, poi si spensero di colpo – fummo respinti dai picchieri del Nord, e io fui nuovamente ferito, stavolta rischiavo di morire. Come ultima difesa, mi buttai nel fiume che scorreva là vicino e mi lasciai trasportare dalla corrente. Arrivai nel Nord, vicino a Rocca degli Orsi, e una ragazza mi trovò. Mi portò a casa sua, incurante del fatto che io fossi un nemico con ancora la divisa dell’Est indosso e mi guarì. Diede fondo a tutti i suoi risparmi per salvarmi la vita”
Si asciugò un occhio, poi riprese, la voce rotta dall’emozione: “Non avevo più nulla: non avevo una casa, la mia era stata distrutta, non avevo una famiglia, era stata uccisa, non avevo niente. L’unica cosa che mi rimaneva era Leinda, così si chiamava la ragazza che mi aveva salvato la vita. Ci sposammo, io avevo trent’anni, lei venticinque, e venimmo ad abitare qui, nei boschi, insieme a molta altra gente. Sono perlopiù ricercati e criminali, ma è gente semplice, che si accontenta di un pasto caldo e un tetto di paglia sulla testa. Da qualche tempo – qui si fece incredibilmente serio – abbiamo saputo che il Sud si prepara alla guerra”
Jason cominciò allora a fare due più due, ma tacque, aspettando che l’altro finisse di dire la sua.
“Abbiamo organizzato un piccolo esercito, io e gli altri sopravvissuti dalla Grande Guerra, o come la chiamiamo noi, la Grande Rovina, per sabotare gli eserciti di tutte le fazioni. Non vogliamo che ci sia una nuova Grande Guerra, non possiamo permettere che altra gente soffra come abbiamo sofferto noi. Abbiamo radunato gruppi di volontari, sapendo di mandarli a morire, e abbiamo organizzato attacchi mirati al consiglio di cavalieri del Sud, del Nord e dell’Ovest. L’Est è ancora troppo debole e stanco per entrare in guerra. Voi ci chiamate Fiamme Nere, disprezzandoci, ma noi agiamo per il bene della Bussola, credimi”
“Così anche gli altri governi sono stati attaccati, ma hanno taciuto per non mostrarsi deboli” pensò Jason, e sorrise all’astuzia del vecchio guerriero. Il filo dei suoi pensieri fu però interrotto dalla voce burbera di Conan: “Siamo arrivati, ragazzo”
“Arrivati dove?” Jason si sporse in avanti, e vide che il sentiero sfociava in una grande vallata di conifere, ai piedi delle quali erano state mal allineate una cinquantina di capanne di legna e paglia, alcune abbarbicate sugli alberi, collegate da stretti ponti di corda. Uomini vestiti di grezza tela nera tornavano al villaggio con gli archi in spalla e i frutti della caccia appesi ad un bastone, donne conciavano pelli e riempivano brocche d’acqua al lago, bambini nudi giocavano a rincorrersi fra gli alberi, ridendo. “Arrivati dove?” ripeté Jason, meravigliato.
“A Verde Germoglio, ragazzo, terra di tutti e di nessuno, terra di gente semplice e libera”


Ciao a tutti! :) ecco il primo capitolo della seconda parte, spero che sia scorrevole, anche se è molto più lungo del normale. Se avete un attimo libero, recensite anche, sia positivamente sia negativamente. Un saluto a tutti i lettori :)
- Luca

 

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Capitolo 9
*** Parte Seconda, l'Anima dei Boschi - Lacrime e Sangue ***


Jason passò le successive tre settimane a Verde Germoglio, senza avere il permesso di andarsene. Nessuno lo considerava come un prigioniero, anzi tutti lo chiamavano ‘onorevole ospite’. Dormiva in una piccola capanna di foglie e fango, pranzava insieme al resto degli abitanti di quel luogo, all’apparenza così idilliaco, ma che portava con se una storia triste e di sofferenze. Gli uomini, una cinquantina in tutto, si prodigavano per cacciare, costruire nuove armi e tendere agguati a chiunque osasse entrare nella foresta, e questo spiegava anche tutte le strane voci che circolavano su Bosco dei Conigli. Il perché conigli non ce ne fossero, invece, era il vero mistero, e quando Jason lo chiese a Conan questi scoppiò in una fragorosa risata.
Con il tempo, Jason cominciò a familiarizzare con tutti gli abitanti di quella piccola comunità, e decise di darsi da fare per aiutare chi viveva lì. Dopotutto non poteva restare in eterno a spese di quei poveri disgraziati. Andando a caccia con gli uomini del villaggio si guadagnò subito i favori di tutti, e in breve tutti lo additavano come il miglior arciere della Bussola, cosa che non era affatto così lontana dalla realtà. Strinse amicizia con Conan e sua moglie, che subito lo prese in simpatia, tanto che Jason era gradito ospite dei due vecchi signori ogni qualvolta volesse fermarsi a pranzo. Passarono i giorni, le settimane, i mesi, e Jason perse la cognizione del tempo. Fermandosi a riflettere, stimò che fossero passati quasi nove mesi, tempo in cui sir Deepriver doveva aver rinunciato a catturarlo, credendolo morto nei boschi. Non aveva rimpianti, la vita semplice di quella gente era di gran lunga migliore dei sotterfugi e complotti di corte. L’unico pensiero fisso che gli martellava in testa era Anya. Perché lo aveva baciato? Che si fosse innamorata di lui? Jason si diede dello sciocco, pensando al suo ruolo sociale e al fatto che Anya fosse già sposata. Eppure, dopo quella notte, qualcosa in lui era cambiato impercettibilmente. Ora, dopo tutto quel tempo che non la vedeva, cominciava a ricordare con malinconia i bei momenti passati insieme, a Rocca degli Orsi, ad ascoltare i racconti della vecchia Helen, a rincorrersi per i prati a cavallo, ad ascoltare la pioggia che picchiettava insistente sul tetto della guferia.
Le notizie arrivavano a Verde germoglio sempre con una settimana o più di ritardo, ma un giorno successe un evento tanto tragico e importante che l’informatore che i banditi di Verde Germoglio avevano in città corse ad avvisarli di corsa.
Jason stava tornando dalla caccia, a tracolla portava l’arco con la faretra ormai semivuota, due grossi fagiani e un tacchino appesi alla cintura, ricco bottino di quella battuta di caccia. Vestiva non più i suoi abiti lisi e stinti, ma un corpetto nero col cappuccio, una calzamaglia nera e stivali in morbida pelle, sempre neri, la divisa delle Fiamme Nere. Giunto in villaggio insieme ad Ivory e Will, i suoi compagni di caccia, si accorse subito che qualcosa non andava. Conan gli si avvicinò con un’espressione indecifrabile sul volto, e gli parlò, grave: “Un drappello di cento uomini è partito ieri da Rocca degli Orsi, capitanato dal tuo amico sir Deepriver. Stanno venendo a prenderci”
“Cosa? –  Jason sbiancò – ma Verde Germoglio è un nascondiglio introvabile per chiunque non conosca la strada per raggiungerlo! Non possono aver semplicemente tirato a indovinare!”
“No, infatti – l’anziano soldato assunse un’espressione grave – qualcuno ha fatto la spi…”
Il discorso gli morì sulle labbra, poi si sentì un suono sordo, e venti centimetri di una freccia sbucarono fuori dal ventre della Lama di Pietra, che afferrò il dardo fra le mani tremante, incredulo, poi rivolse un ultimo sguardo a Jason, un’espressione carica di cose non dette, cose che avrebbe dovuto capire da se.
“No!” l’urlo di Jason squarciò la quiete dei boschi, seguito dal grido di sgomento di tutti gli abitanti del villaggio, che vedevano il loro mentore morire. Poi, un urlo ancora più forte sovrastò ogni altro rumore, e una carica di soldati uscì correndo dagli alberi. Jason non perse tempo: poggiò delicatamente a terra il cadavere di Conan, e fece un cenno a Will e Ivory, che capirono al volo. La prima fila di soldati cadde sotto un nugolo di frecce, ma una seconda fila era pronta a prendere il suo posto. Scoppiò l’inferno: donne e bambini correvano qua e là, disperati, gli uomini impugnavano le armi per tentare una misera difesa.
Jason svuotò la sua faretra di sette frecce, facendo altrettanti morti, poi estrasse la spada e si avventò contro i soldati, seguito a ruota dagli altri uomini, che brandivano mazze e picche, senza nessuna armatura. In breve la valle diventò un lago di sangue, l’acqua del torrente si tinse di rosso, e gli abitanti del villaggio erano sopraffatti numericamente dai soldati, che uccidevano senza remore uomini, donne e bambini.
Quando Jason vide il cranio del piccolo Ted fracassato da un pugno di ferro, perse quell’ultimo barlume di saggezza che ancora gli rimaneva, e si tramutò nella macchina da guerra che due anni prima aveva fatto strage di Fiamme Nere a Rocca degli Orsi. Adesso combatteva per vendicare quella gente, gente umile e onesta, pronta a sacrificare la vita per impedire che scoppiasse una nuova Grande Guerra.
Afferrò una lancia spuntata di un guerriero e impalò il primo avversario che gli capitò davanti, attaccandone un altro subito dopo. Con orrore, Jason si rese conto che coloro che stava uccidendo erano giovani reclute, ragazzi di poco più di vent’anni. Ma l’immagine del piccolo Ted ucciso brutalmente cancellò qualsiasi sentimento dalla sua mente, lasciando spazio solo all’odio e alla rabbia, che mossero la spada al posto suo, falciando gli avversari come spighe di grano. Un gruppo di quaranta disperati stava facendo retrocedere un esercito organizzato di un centinaio di picchieri addestrati. Quando vide sir Robert sul suo cavallo, circondato dalle sue guardie del corpo, Jason si staccò dalla mischia per dirigersi verso il bastardo che gli aveva tolto tutto. “Mi ha privato della mia vita, dei miei averi, della mia dignità. Mi ha privato di Anya” l’ultimo pensiero lo fece imbestialire, e rinsaldando la presa sulla spada, macellò la guardia che sir Robert gli aveva mandato contro, nonostante quella fosse a cavallo. E dopo averla disarcionata, uccise lei e il cavallo. La seconda non ebbe miglior fortuna, la terza neanche provò a difendersi. La quarta ebbe l’ordine di intrattenere Jason quanto più a lungo possibile. “Sta scappando – capì all’improvviso il ragazzo – mi sta scappando di nuovo”
Impeccabile nella sua armatura argento e blu, il farsetto che svolazzava al vento, sir Robert fece un elegante saluto con la mano destra. La sinistra, invece, la mano che gli era stata mozzata, era stata sostituita da una mano metallica, che risplendeva sotto il sole. Il cavallo maculato su cui l’erede dell’Ovest montava nitrì, poi scomparve nella boscaglia. Jason imprecò e sputò a terra, poi si voltò, e assistette allo spettacolo più orrendo e sconvolgente della sua vita.
Quel posto paradisiaco, la bella valle lussureggiante nel mezzo della foresta, era tinto di rosso. Gli uomini di Verde Germoglio avevano vinto, ma a carissimo prezzo. L’erba smeraldo era cosparsa di cadaveri, macchie rossastre di carne macellata, il ruscello era ormai stagnante di sangue, i pini guardavano austeri quella scena apocalittica, saggi e silenti. Il piccolo Ted era ancora lì, sua madre che piangeva disperata abbracciando ciò che restava del figlio. Un odio profondo pervase tutte le membra di Jason, come un liquore troppo forte, dandogli disgusto e senso di impotenza. Un odio che nessuna vendetta avrebbe potuto placare, che nessuna guerra avrebbe potuto cancellare. Ma di una cosa Jason era certo.
Sir Deepriver avrebbe fatto meglio a godersi i pochi giorni di vita che gli restavano.


ciao a tutti! Sono un po' in ritardo, ma questo capitolo mi ha tenuto impegnato per parecchio tempo. Spero che vi piaccia, e che lascerete anche una recensione, positiva o negativa, dopotutto sono solo dieci parole ;) aggiornerò appena possibile, ciao!
- Luca

 

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