Intanto, nel Distretto 13

di Ginny McCartney
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** La monotonia dell'Iris ***
Capitolo 2: *** La Mietitura ***
Capitolo 3: *** Solo l'Inizio ***
Capitolo 4: *** La Rottura del Tabù ***
Capitolo 5: *** Le sfumature del grigio ***
Capitolo 6: *** Il Falò di Colori ***
Capitolo 7: *** Nuove Conoscenze ***
Capitolo 8: *** La verità sulla Prima Resistenza ***
Capitolo 9: *** l'Imboscata ***



Capitolo 1
*** La monotonia dell'Iris ***


Capitolo 1 : La monotonia dell'Iris

Mi pettino i capelli e guardo il riflesso nello specchio che ho di fronte. I capelli rossastri, neri più che altro, mi cadono lunghi sulle spalle formando dei disordinati boccoli. Gli occhi verdi guizzano e si stringono ogni volta che dei nodi hanno difficoltà a districarsi. Quando ho finito, annoto mentalmente la voce "Bagno" dal monotono programma che ci guida ogni giorno. Qui nel Distretto 13 è sempre la stessa storia:
  • Colazione
  • Scuola
  • Pranzo
  • Addestramento
  • Riflessione
  • Cena
  • Bagno
E poi a letto, ed è proprio dove mi dirigo adesso. La mia stanza è la più piccola del nostro appartamento sotterraneo; i miei genitori, Judy e Carl Anderson, hanno la più grande, mentre mio fratello Lux dorme in una stanza di discrete dimensioni. Non che m’importi, in realtà, se non necessitassi di un posto dove dormire e mettere le mie cose la butterei via.
Mi infilo nelle coperte grigie, facendo sogni grigi in prospettiva di un'altra grigia giornata.

*

Sono le 9:57, e fra tre minuti, quando suonerà la campanella, dovrò chiedere al mio prof. di medicina di andare al bagno. In realtà ho intenzione di andare nello sgabuzzino dove, come ogni giorno da quando avevo dodici anni, incontrerò il mio migliore amico Nate.
E' lì che ci siamo incontrati per la prima volta: un mio compagno di classe mi aveva preso in giro perché durante l'ora di educazione fisica (materia obbligatoria fino ai tredici anni, prima di iniziare l'addestramento) non avevo saputo lanciare i coltelli verso i bersagli, allora ero scappata ed ero entrata nello sgabuzzino prima di iniziare a piangere. Lui, di due anni più maturo di me, girovagava per i corridoi nel tentativo di scamparsi il test di "Riconoscimento di piante e bacche" (era, ed è ancora, una frana in questo), finché non ha sentito dei singhiozzi lungo il corridoio.
A quel punto ha aperto la porta ed ha trovato me che inondavo la stanza.
-Ehi, se ti sposti verso il secchio del mocio lo riempi e fai un favore al bidello!- Era una cosa stupida e del tutto inappropriata, ma riuscì a strapparmi un sorriso.
perché piangi?- Avrei voluto mandarlo al diavolo, dirgli che avevo bisogno restare da sola... ma la sua voce era così innocente e sincera che non potei non alzare gli occhi verso di lui e parlargli.
Era più alto di me di almeno 15 cm e non avevo bisogno di alzarmi per poterlo dire; aveva i capelli castani, quasi biondi, e gli occhi profondamente blu.
Adesso posso liberamente dire che è un bel ragazzo, ma non ci pensai a quel tempo. Sono passati quattro anni oramai ed ancora scherziamo sul fatto che i miei capelli somigliavano al mocio che avrei potuto bagnare.
Quando lo vedo entrare noto che ha in mano una brioscina, di quelle che riesce a farsi dare da suo zio quando è di buon umore. Nate non vive con i suoi genitori, dice che sono partiti per una spedizione tanto tempo fa e non sono più tornati. Soffre così tanto quando lo ricorda che preferisco non fare troppe domande: odio vederlo soffrire. Così adesso vive con suo zio, scapolo che lavora nella mensa, da quando aveva cinque anni. Per lui è come un padre e dopo tredici anni non ci fa più molto caso.
In fretta gliela rubo dalle mani e le do un morso. Non abbiamo mai la possibilità di mangiare fuori orario, tantomeno quando si tratta di rarità del genere. Quando almeno metà di quella delizia tace nella mia pancia, gliela restituisco e permetto anche a lui di gustarsela.
-Allora, mancano due giorni ai 74° Hunger Games! Pronta a vedere come la fortuna può non essere mai a favore di 24 ragazzi degli altri distretti ?-
-Beh, in realtà almeno uno ne sopravvive... quindi sono 23 ad essere sfortunati. - Osservo con la testa bassa ed una completa sensazione d’impotenza.
Lui ride, ma è una risata amara, di quelle in cui vorresti piangere. -E credi che dopo lo lascino in pace? Che la sua vita diventi rosa e fiori? Sono tutte marionette di Capitol City: lo sono prima dei giochi, lo sono durante, e lo sono anche dopo. Quei distretti non sono mai liberi. -
Io non ci penso molto a queste cose, specialmente a casa, dove esprimere la mia opinione significa essere irrispettosa verso il mio distretto, ma quando sono con Nate mi si apre la mente. Parliamo spesso di cose così. E siamo della stessa opinione: Capitol City governa crudelmente su 12 distretti impotenti, mentre noi non facciamo nulla, non sanno nemmeno che esistiamo.
Continuo a pensarci fino a cena, quando sono costretta ad ascoltare i discorsi di mio padre. Lui è uno dei più fedeli tirapiedi della Coin, nonché Primo Ministro. Perciò tutte le cene si concentrano su quanto le cose stanno migliorando nel nostro distretto. Anche se noi non vi partecipiamo, ci viene imposto ogni anno di guardare gli Hunger Games dalla Mietitura fino all'incoronazione del vincitore. Perciò, anche noi sentiamo la pressione che solo la prossima scelta dei tributi riesce ad iniettare.
Siamo a cena, giorno prima della Mietitura, e mio padre ci sta narrando che magari riusciremo a far crescere nuove specie di piante qui nei sotterranei. Stanno parlando di iris in questo momento, e la cosa dovrebbe interessarmi perché è proprio questo il mio nome, Iris Anderson, ma non riesco a non pronunciare le prossime parole:
-Già, domani 24 ragazzini saranno mandati ad uccidersi tra di loro e noi qui pensiamo ai fiori!-
Tutta la mia famiglia mi guarda sconvolta, anche perché non parlo mai durante le cene, e quando lo faccio mio padre trova sempre il modo di arrabbiarsi. Ricordo quando a nove anni dissi che era più giusto mandare anche noi del 13 agli Hunger Games, piuttosto che non rivelarci. Poche parole mi bastarono per seguire un'infinita predica di mio padre su quanto quello che avevo detto fosse sbagliato, e un'altra sul fatto che la Coin (allora Ministro) teneva esclusivamente al bene della comunità. Mia madre mi guardava e basta, come lo zio di Nate guarda il didietro delle sue giovani colleghe, e come fa anche adesso, come se avesse sempre saputo che dentro di me celavo dei pensieri simili.
-Cosa credi dovremmo fare? Offrire i nostri figli a Capitol City? Scatenare una guerra nucleare contro di loro? E' questo che credi sia giusto?- Mio padre ha gli occhi ridotti a due fessure.
-No, e... sì. - Gli rispondo calma.
Mio padre non sa cosa dire, e lo vedo così solo quando mamma gli nega il dolce perché "si sta iniziando a formare un po' di pancetta". Anzi forse adesso è peggio.
-Dovremmo informare i distretti, per cominciare. Convincerli tutti portandoli dalla nostra parte, e poi ribellarci tutti contro Capitol City. Sarà difficile, certo. Ma loro non possono combatterci tutti. - Non so quando ho pensato questo piano, forse è frutto di tutte le visite allo sgabuzzino... o forse sono i 15 Hunger Games cui ho assistito, e quello cui sto per assistere. Non lo so, ma mi piace il mio piano.
Mio padre sembrò ritrovare le parole e le seguenti furono le più fredde che mi avesse mai rivolto: - Moriremmo prima di raggiungere il Distretto 12... -
Io e mio fratello capimmo che eravamo stati congedati, ed anche mia madre che si alzò per pulire i piatti nella nostra piccola cucina.
Non volevo credere alle parole di mio padre, possibile che una ribellione potrebbe avere così poche possibilità?
-Ehi, Iris... - Lux mi fermò prima di entrare nella sua stanza - Il tuo piano non è poi così male. -
Strizzò l'occhio destro e chiuse la porta della sua camera. Non m’importa quello che dice mio padre: qualcosa deve cambiare.



Salve lettori! Ho avuto quest'idea quando ho visto mia sorella con una maglietta grigia. Ho pensato al Distretto 13, a come si sia sviluppata l'idea di una rivolta lì. Spero che piaccia anche a voi come storia perchè ne vado molto fiera U.U 
Ad ogni modo vorrei tanto sapere che ne pensate, magari in una recensione o anche solo in un messaggio personale. Grazie a quelli che lo faranno e...
POSSA LA FORTUNA SEMPRE ESSERE A VOSTRO FAVORE !
-Ginny

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Capitolo 2
*** La Mietitura ***


Capitolo 2: La mietura


C'è un motivo se mi chiamo Iris. A mia madre piace tanto questa storia e la racconta spesso, di solito quando non c'è papà.
-Sapete, vostro padre non è stato sempre così... Da giovane era un vero fuorilegge, odiava gli schemi del distretto. Portava il cibo in camera, violava il coprifuoco, sfruttava delle amicizie nelle cucine per avere pasti migliori, e scappava spesso all'aperto. C'è un bosco qui vicino, anche se non è granché viste le condizioni del terreno. Lui andava sempre lì; dice che dura più di 5 miglia e poi c'è un terreno scoperto verso quello che crede sia il distretto 12. La prima volta che mi vide io ero solo una ragazzina e aspiravo a diventare una guardia del perimetro, sognavo tanto di vedere il cielo e respirare aria pulita. Fatto sta che si innamorò di me appena i nostri giovani sguardi si incrociarono, e pensava a come parlarmi durante le sue escursioni nei boschi. Un giorno si spinse molto in là e, stanco, andò a riposarsi sotto un piccolo albero che gli offriva la sua ombra. Al suo risveglio si accorse di essere tra centinaia di fiori, vi lascio immaginare a quanto siano belli: provate a chiudere gli occhi, e quando li riaprite sognate mille colori pronti ad accogliervi. Non ci dev'essere niente di più bello. Così scelse il suo preferito e lo portò a me in dono. Poco tempo dopo, ci amavamo. Ci sposammo ed io ebbi te, Lux, poi abbandonai il mio sogno di guardia del perimetro perché era un lavoro troppo impegnativo per una mamma. Così vostro padre decise di violare un'ultima volta le regole e portarmi fuori, dritto al campo dei nostri fiori. Cercammo a lungo di capire il nome di quel fiore ma era difficile senza destare sospetti. Quando nascesti tu, invece, tuo padre non c'era. Ma appena venne e ti vide, i suoi occhi si illuminarono e non riuscì a dire nulla finchè il medico non chiese: "Allora, qual'è il nome di questa bella bambina?".
E lui rispose: "Iris, è così che si chiama il nostro fiorellino".-
Adoro questa storia, ma stanotte ho fatto un incubo. Mio padre non veniva affatto a vedermi e mi lasciava sola e senza nome. Crescevo male e giravo nei boschi cercando qualcosa disperatamente, e alla fine lo trovavo: l'iris. Lo estirpavo e lo distruggevo passandoci sopra. Poi mi ritrovavo nel Distretto 4, e venivo chiamata per gli Hunger Games ma, non sapendo il mio nome, vedevo solo la folla spingermi senza capirne il motivo.
Fine. Mi sveglio e sono pronta a soffrire alla chiamata di ciascun tributo per la mietitura.
Per oggi sono previste solo 2 ore di scuola perciò di solito io e Nate anticipiamo il nostro incontro di un'ora. Suona la campanella e corro dal prof. di matematica per chiedergli di uscire.
-Scusi professore... ma non si è mai accorto della puntualità con cui esce ogni giorno Iris? E alla mietitura si anticipa di un'ora...- Lo sapevo, Luke non perde occasione di farmi sfigurare fin dalla 5° elementare, come nella storia dei coltelli.
-Già, signorina Anderson... dov'è che scappa sempre?-
-Beh, seguo l'ordine del nostro perfetto distretto così attentamente che ormai anch'io sono un orologio!- Sapevo che il Sig. Lewis non avrebbe colto il mio sarcasmo e, essendo come mio padre un fan del 13, mi sorrise e mi lasciò andare. Tuttavia prima di chiudere la porta non persi occasione di regalare un gestaccio con la mano destra a Luke, il quale spostò lo sguardo amareggiato.
Arrivo al "Congresso", è così che chiamiamo il nostro sgabuzzino, con il sapore delle risate ancora fresco. Ma Nate è di pessimo umore e la smetto, so già il motivo: la Mietitura.
-Un altro anno: famiglie intere gettate alla deriva, 23 bambini uccisi, 1 costretto a chissà cosa, soldi spesi per "festeggiare"  questo povero ragazzo (o ragazza) invece che darli a gente che muore nei peggiori dei modi. Ma hanno il coraggio di chiamarli GIOCHI.- Di nuovo la sua risata amara, penso al fatto che non l'ho mai visto piangere. Nemmeno quando fui costretta a guardarlo mentre veniva punito da un soldato mezzo-ubriaco che ci aveva scoperti con una focaccina, eppure aveva solo 14 anni... Vorrei tanto essere come lui, che mi ha visto piagnucolare già 3 volte: quando ci siamo conosciuti, dopo la morte di un tributo dodicenne dell'8, e una volta che avevo visto mio padre piangere; non sapevo perché lo faceva, ma divenni davvero triste.
Poi ci incontriamo direttamente prima della Mietitura in diretta. Quando inizia sento crescere il bisogno di distruggere qualcosa e, quasi leggendomi il pensiero, Nate mi prende la mano tranquillizzandomi. E' la prima volta che lo fa, ma è piacevole.
Vedo una ragazza dell'1 offrirsi volontaria e fa lo stesso uno nel 2, si chiama Cato. Tra i tributi c'è ne uno di nome Lux, e vedo mio fratello andare verso il palco. Rabbrividisco.
Tutto secondo i programmi finché non si arriva al distretto più povero ed insignificante.
-Primrose Everdeen- L'annunciatrice sta sorridendo, ma quella ragazza avrà appena 12 anni... morirà subito.
Poi vedo qualcosa di straordinario: un'altra si offre volontaria al suo posto.
-Come ti chiami, cara?-
-Katniss... Katniss Everdeen-






Salve lettori! Ho scritto questo capitolo in fretta e vi chiedo di scusarmi... la prossima volta mi impegnerò di più! Giuro con le tre dita sul cuore!!
Recensite, voglio sapere che ne pensate, mi raccomando!

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Capitolo 3
*** Solo l'Inizio ***


Capitolo 3: Solo l’Inizio

Silenzio totale. Un ragazzo di nome Peeta Mellark viene chiamato, ma nessuno si offre per lui. Siamo ancora tutti sconvolti quando i giovani del 12 alzano la mano sinistra ed uniscono tre dita, non me ne accorgo nemmeno e anche qui stiamo tutti facendo questo gesto. Mio padre mi ha spiegato cosa significa: significa grazie, significa ammirazione, significa dire addio ad una persona a cui vuoi bene. Eppure non l'avevo mai visto fare qui nel 13, io stessa non l'avevo mai utilizzato. E adesso eccoci lì, che finalmente sembriamo un distretto unito. Basta passeggiare lungo i corridoi per rendersi conto, qui sono tutti diffidenti, come se non si potessero fidare di nessuno.  Come se non la pensassimo mai allo stesso modo.
Adesso è diverso, siamo tutti d’accordo che quella ragazza ha più coraggio del nostro intero governo messo assieme. Dopo quelli che mi sembrano 2 minuti buoni, uno strano ragazzo sale sul palco.
Ha indosso una camicia dell’ospedale, di quelle che danno ai pazienti che devono restare a lungo, i capelli neri spettinati, gli occhi rossi e scavati. Evidentemente sotto abuso di morfamina.
-Ma vi rendete conto?- Inizia a ridere e mi sento male alla vista di un’anima persa nella pazzia. –Questa ragazza… ha scelto la morte per salvare sua sorella! E noi? Non ammettiamo nemmeno la nostra esistenza!-
Immagino Nate, con i capelli ancora più in disordine del solito, costretto in un ospedale per le sue idee rivoluzionarie mai ascoltate. Poi noto che lo sguardo del morfaminomane riprende coscienza e cerco di ascoltarlo per bene: -Non possiamo restare così! Continuano a morire persone, ogni giorno! Dobbiamo farci sentire! La Coin non può ignorare tutto questo! NOI non possiamo ignorare tutto questo! Hanno bisogno di noi, dobbiamo combattere Capitol City uniti! Usciamo allo scoperto!- L’intera sala è in subbuglio, non capisco più nulla e mi ritrovo spinta verso la porta. La gente distrugge tutti gli oggetti  che intralciano il loro cammino, vedo il rivoluzionario svenire prima di uscire dalla sala per intraprendere il primo corridoio verso la residenza dei governanti. Quando siamo quasi alla meta arriva un gruppo di guardie, mi aspetto che parlino per placare la folla. E invece tirano fuori bastoni e pistole e scoppia la guerra. Sono paralizzata e mi accorgo che da molto Nate non stringe più la mia mano, sento spari e grida. Un grosso tavolo mi travolge e mi ritrovo bloccata sotto di esso con un dolore lancinante al piede. Magari qui non mi succederà nulla, anche se sento che potrei morire dal dolore. La faccia mi si posa sul pavimento congelato e vedo tutto girato verso sinistra, ma non solo: vedo una ventina di corpi insanguinati. Presto mi raggiunge anche il loro odore ed un conato si unisce alla mia voglia di piangere. Anche i giovani più agguerriti stanno scappando. Penseranno che sono morta e potrò tornare a casa, non sana, ma almeno salva. Il problema è che non riesco proprio a muovere il piede.
Davanti a me si apre una scena orribile: un ragazzo è in ginocchio ed una guardia batte il bastone sulle mani, come per decidere il da farsi; considerata la larghezza del braccio della guardia, il ragazzo potrebbe morire anche con un solo colpo se piazzato nel punto giusto della testa. Devo spostarmi per riuscire a vedere meglio la scena, rinuncerei con piacere a farlo ma, se sta per morire, voglio che quel ragazzo abbia tutto il mio conforto … anche se solo da lontano. Noto che non sta implorando, al contrario sembra stia provocando la guardia.
Quando riesco finalmente a vedere bene il viso del ragazzo, vorrei aver girato la testa e prego che la smetta di fare lo sbruffone. E’ Lux, mio fratello. Solo ieri ho scoperto che non era del tutto un figlio di mio padre, approvava la mia idea, ma non avrei mai immaginato di trovarlo lì davanti a una guardia, pronto a sfidare anche tutto il distretto da solo. Ti prego, posa il bastone, ti prego. Provo ad urlare ma non ho molta forza e loro non mi sentono, tento di liberarmi sforzandomi più che posso, però il risultato è solo un dolore ancora più acuto. Vedo il vigile in procinto di mettere via il bastone, sto per ricominciare a respirare di nuovo. Ma mio fratello parla di nuovo, lentamente, sento la sua freddezza fin qui e vedo la guardia irrigidirsi.
Tira fuori il bastone e si prepara al colpo, come mio fratello si prepara a riceverlo. Urlo un ultima volta, tra le lacrime, impotente. Mio fratello si volta e penso mi abbia sentito, ma invece arriva un uomo e prende il colpo al posto di Lux, che urla a sua volta. La guardia va via e lui corre verso il corpo, tra le lacrime.
L’uomo giace a terra ed ha il viso rivolto verso di me. No, mi sta guardando. E io restituisco lo sguardo ai suoi occhi privi di vita. Quell’uomo si chiama Carl Anderson, ed è mio padre.



Spero di essere riuscita a farvi salire almeno un po' d'ansia, ma di non avervi fatto deprimere. So che ho scritto davvero male... ma mi sento in dovere di continuare. Credo comunque che ve lo meritiate, visto che vi sorbite quest'obbrobrio di fan fiction :*

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Capitolo 4
*** La Rottura del Tabù ***


Capitolo 4: La rottura del Tabù


Le lacrime inondano il mio viso e quello di mio fratello. Si sente uno sparo e lui si gira, deve andare. Guarda un’ultima volta mio padre, gli chiude gli occhi e lo appoggia lentamente a terra. Un altro sparo, si asciuga il viso alzandosi e se ne va; io rimango lì, ho visto mio padre morire e probabilmente morirò anch’io. La guardia passa, è un amico di mio padre ma non si accorge che a terra c’è un compagno che annega nel suo stesso sangue. Mi passa d'avanti, con la pistola pronta a sparare, ed io non sto provando a chiamarlo: ho paura, non so nulla dell’affidabilità di quell’uomo. Mi aiuterebbe, soprattutto se gli mostrassi mio padre? Mi ucciderebbe, da bravo tirapiedi della Coin, molto probabilmente. Si allontana, poi sento sparare. Ho fatto bene a non chiamarlo, ma chi avrà ucciso? Prego che mio fratello non sia tornato indietro ma orribili immagini mi passano per la mente, spero che abbia fatto la cosa giusta cercando mia madre. Tuttavia pochi secondi dopo, un ragazzo di grossa stazza e capelli di un biondo sporco si aggira tra i cadaveri.
-Iris!- Lo sento sussurrare, e capisco che è il mio migliore amico. –Iris!- Aumenta il volume del sussurro.
-Nate!- Tento di urlare ma la gola mi brucia e tra lacrime e dolore, il mio risulta più un lamento. Ma lui mi sente e mi si avvicina, con un solo tentativo tira via il tavolo e mi aiuta a sedermi. Lo guardo negli occhi blu, e scoppio a piangere tra le sue grandi braccia, Nate inizia ad accarezzarmi i capelli senza fare domande.
-Mio… mio padre…- Piango e non riesco a parlare –Lui, ha salvato Lux. E…- So che lui ha già capito, ma sento di doverlo dire, o non riuscirò mai ad accettarlo –E’ morto- Nate mi stringe più forte e rimaniamo così per un po’.
-E’ colpa mia- Dice. Non vedo cosa avrebbe potuto mai fare, e lo guardo interrogativa prima di iniziare a scuotere la testa.
-Si, invece. Dopo il discorso del ragazzo, una signora mi ha spinto e ho perso la tua mano. Ho cercato di recuperarla ma proprio non riuscivo a trovarti; quando sono arrivati i vigili ho intensificato la mia ricerca, finché … Finché non è arrivato tuo padre. Mi ha detto di correre da mio zio, che ti avrebbe cercato lui, e che ci saremmo dovuti vedere tutti all’entrata del bosco perché avremmo dovuto scappare via. Avrei dovuto aiutarlo, ma lui mi diceva che sapeva dove saremmo dovuti andare e non ho fatto domande, mi dispiace. -
Non è colpa sua, non lo è per nulla. Quella, però, non è la parte del racconto che mi interessa: mio padre aveva un piano, e sono decisa a rispettarlo. –Hai fatto la cosa giusta. Adesso devi dirmi un po’ di cose: mio fratello sa dell’incontro? Dov’è mia madre? Com’è la situazione? Cosa succede?- Nate sembrò riscuotersi, pronto a rispondere alle mie domande.
-Ho incontrato tuo fratello, mi ha chiesto di te e tuo padre così l’ho indirizzato qui e gli ho detto del piano. Tuttavia non ho idea di dove sia tua madre. Sono andato da mio zio e mi ha detto che ci saremmo visti lì, ho tentato di convincerlo in tutti i modi ma la cucina è stata incendiata e lui voleva ad ogni costo tornare per salvare due persone bloccate, per quanto avessi voluto aiutarlo, mi è stato impedito. Così sono venuto di nuovo a cercarti, ho trovato una pistola dal corpo di una guardia e poi … ho ucciso un uomo. – Mi sembra di vederlo morire mentre pronuncia queste parole – Capisci? Sono una persona orribile … -
-No, non lo sei … - Gli accarezzo il volto e spero che basti per farlo stare meglio.
-Ci sono corpi ovunque. Ovunque. Immagino che sapevo quello che sarebbe successo già quando ho impugnato la pistola, ho guardato quell’uomo negli occhi ed era lui o io. Non potevamo sopravvivere entrambi, sono stato solo più veloce, spaventato e fortunato.  Adesso dobbiamo andare, dobbiamo seguire il suo piano. -
Era distrutto, pochi secondi fa. Adesso è serissimo e mi aiuta ad alzarmi (cosa che mi è difficilissima a causa della mia gamba, provo un forte dolore), proprio non capisco come faccia. Giriamo per il distretto, mi appoggio al suo braccio e lui con l’altro tiene pronta la pistola: so che sarebbe capace di sparare di nuovo, ma so anche che tenterà in tutti i modi di evitarlo. Infatti, non prendiamo la strada principale, passiamo per due rampe di scale e ci nascondiamo dietro un vicolo mentre passano due vigili; riprendiamo a camminare (zoppicare, nel mio caso) e procediamo per un lunghissimo corridoio. Attraversiamo una porta, che è evidentemente stata forzata, ed usciamo fuori. Abbiamo immaginato a lungo l’esterno, ma è molto diverso: una recinzione circonda il nostro distretto sotterraneo per circa 60 metri quadrati oltre di esso, la terra è arida e grigia come le nostre vesti, a circa 100 metri di lontananza c’è il bosco. Bene: riesco a vedere la nostra meta. Ma come attraverseremo il perimetro, pieno zeppo di guardie? Leggo nel viso corrucciato di Nate il mio stesso pensiero. Dopo una decina di minuti passati a condividere dei piani, quattro persone – due uomini, una donna ed un bambino – escono dall’entrata principale e quasi tutte le guardie corrono a bloccarli.
-Sono un po’ stupidi, non trovi? ORA!- Mi chiama Nate e scappiamo veloce quanto ce lo permettono le nostre ferite (Nate ne ha una sul fianco sinistro ed un grosso taglio sulla tempia), stiamo per sotto passare la recinzione giusto quando i vigili sparano agli altri ribelli. Il bambino si accascia a terra ancora stretto alla mano di sua madre.
Annoto anche loro ai morti di questa ribellione e risento le parole di mio padre: “Non arriveremmo nemmeno al Distretto 12”. Mi rigiro verso Nate e lo vedo sparare a un’altra guardia. Ormai il suo tabù dell’uccisione è stato rotto, mi chiedo quando e se capiterà a me. Entriamo nel bosco e mi getto a terra incapace di continuare oltre, la gamba mi sta distruggendo. Ma il mio migliore amico scuote la testa, mi ritira su e mi trascina per un’altra trentina di metri. Poi il bosco si apre dove gli alberi sono stati brutalmente tagliati, e vedo tantissime tende e persone che camminano ovunque: nel 13 siamo stati così occupati a nasconderci dagli altri, che ci siamo fatti nascondere la nascita di una rivoluzione.



Eccomi con il 4° capitolo! Ormai siamo entrati nella storia e dal prossimo capitolo si conosceranno i nuovi importanti personaggi, si metteranno apposto i tasselli mancanti e si faranno nuove scoperte. Grazie per leggere!

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Capitolo 5
*** Le sfumature del grigio ***


Capitolo 5: Le sfumature del grigio

Il via vai è continuo: ci sono barelle trasportanti feriti, gente che discute piani, armieri che vanno evidentemente di fretta, alcune persone che semplicemente trottano per il campo.
Io e Nate rimaniamo spaesati e non abbiamo idea né di dove andare né di chi cercare, non conosciamo nemmeno l’aria che stiamo respirando a pieni polmoni. Si avvicina poi a noi un ragazzo alto e robusto, ha i capelli biondi e gli occhi verdemare, indossa una canottiera scura e dei pantaloni neri che sorreggono due pistole grazie alla cintura, poi un fucile agganciato alla schiena. La circonferenza del suo braccio è maggiore a quella del mio e di Nate messi insieme: sinceramente, m’incute molta paura. Ma sono sollevata che qualcuno sembra interessarsi a noi.
-13, da chi siete accompagnati?- Ci chiede e la sua voce è molto calda, ma così dura e diretta da venire considerata fredda. Io e Nate ci scambiamo uno sguardo che non scappa al ragazzo, e capisce così in fretta che mi fa sperare in una sua spiccata intelligenza sotto quei muscoli.
-Ah, abbiamo dei veri e propri sopravvissuti qui. Nessuno dei nostri vi ha salvato, avete raggiunto la divisione da soli, non è così?- Adesso che sorride e sembra ammirarci mi fa meno paura, ma solo un po’. Nostri? Divisione? Ho bisogno di mettere le cose in chiaro, quindi prendo coraggio e inizio a parlare:
-Si… cioè, no… cioè…- Ma che mi prende? –Noi… mio padre conosceva questo posto, ci ha detto di venire qui. -
-Oh, figlia di una spia immagino… Qual è il suo nome?- Figurare mio padre come una spia mi fa venire da ridere ma provo a trattenermi.
-Carl Anderson.- Il ragazzo s’irrigidisce.
-Oh, il Primo Ministro in persona. E come faceva un Grigio come lui a sapere della nostra divisione? Ti conviene trovare una scusa migliore ragazzina, perché ti assicuro che tuo padre è l’ultima faccia che vorrei avere davanti nella mia divisione…-.
Mi gira la testa: Grigio? E’ così che ci chiamano? Mia divisione? Immagino che lui sia tipo il capo di questo posto, di questa divisione… Non ho idea del perché mio padre conoscesse un posto del genere! Come potrei spiegarlo ad un tipo che non conosco e, per di più, m’inquieta non poco?
-Siete voi i ribelli, non è così? Se non ve ne foste accorti, siamo appena scappati dalle persone che combattete, non immaginavo che per prendere parte ad una rivolta si dovessero dare spiegazioni.- Adesso è Nate a fronteggiare il capo.
-Voi? Vorreste prendere parte alla rivolta? Non sembrate molto in forma…-
-Di sicuro la mia gamba ha visto tempi migliori…- Senza il suo viso di fronte al mio avevo ripreso a provare dolore, e questa frase mi è uscita più forte di quanto volessi. Lui sembra accorgersene solo ora ma quella vista non lo scompone per niente, anzi, m’ignora del tutto.
-Qual è il tuo nome?-
-Nate Stafford.-
-Uhm, strano nome per uno del 13. E’ molto usato nel…- S’interrompe perché un ragazzo arriva urlando e chiedendo aiuto, più che altro per la ragazza gravemente ferita che porta sulle spalle.
-Lux!- Alza lo sguardo stralunato e quando mi vede s’illumina, prima di rabbuiarsi nuovamente. Nate e il ragazzo corrono ad aiutarlo e quest’ultimo guida tutti nel capannone più grande, è beige e dall’odore che si sente sin da fuori la porta, è facile capire che è l’ospedale della divisione. Entriamo e la vista è orribile: ci sono feriti ovunque ed i letti, gli attrezzi, i medici stessi, sembrano tutti molto arrangiati. La ragazza viene messa su un lenzuolo avente due bastoni ai lati, per poterlo trasportare, e portata in fondo alla camerata dove non ci permettono di andare. A giudicare della sua condizione di probabile dissanguamento e dal caos che regna laggiù, direi che è dove portano i feriti più gravi. Rimaniamo fermi qualche secondo prima dell’invito per niente gentile di un’infermiera a toglierci dai piedi. Tutti, tranne me. Mentre gli altri sono costretti ad andarsene in fretta, l’infermiera mi ha già fatto sedere a terra e sta già armeggiando con la mia gamba. Fa molto male ma quando alzo lo sguardo e vedo persone strepitare dal dolore, feriti così gravi da non avere alcuna speranza, medici che chiudono gli occhi di cadaveri e li portano fuori, tutto il dolore fisico si allevia e si getta in quello morale. Passano un po’ di tempo e parecchi punti  prima che l’infermiera (che mi ha detto di chiamarsi Climpsy, a mio parere un po’ troppo giovane per un lavoro del genere) mi possa dare un bastone e portarmi fuori, dove incontro Lux, che subito abbraccio, e Nate. Mi basta guardarlo per far capire a mio fratello che ha molte cose da spiegarmi, ho troppi pezzi di un puzzle che non so comporre e lui può aiutarmi, proprio come facevamo da piccoli.
-Beh, Nate mi ha detto che sai di papà quindi… una cosa in meno da spiegare. Quando mi sono allontanato dal suo corpo, la prima persona che dovevo trovare era mamma. Non ci crederai mai, ma l’ho trovata al campo di addestramento: distribuiva armi a delle persone vestite con abiti scuri e impartiva ordini a tutti loro. Non sembrava lei: la sua voce era sicura e decisa, sapeva davvero quello che faceva mentre tastava e selezionava le armi, non la smetteva di parlare. Vedendomi mi è venuta incontro e mi ha preso il viso tra le mani, ma io l’ho fermata e le ho detto di papà. Non so cosa mi aspettavo di preciso, ma ero stranito dal fatto che lei avesse solo scosso la testa prima di iniziare a parlare, dicendomi di prendere delle armi e venire a cercarti. Mi ha ordinato di stare calmo e venire qui nel bosco, come aveva già fatto Nate. Le ho chiesto quando sarebbe venuta ma… non lo farà. Non ha avuto tempo di spiegare o di sentire le mie contraddizioni, mi ha solo detto che è lì che serve il suo contributo. Oh, e che dovevo ricordarmi di salutarle il suo fiorellino, Iris.- Abbiamo entrambi le lacrime agli occhi, Nate ascolta attento e addolorato. –A quel punto sono dovuto davvero andare via e ti ho cercato ovunque, ma c’erano sparatorie tra Guardie e ribelli ad ogni angolo. Invece di te, ho trovato Galen. Te la ricordi? La mia amica della prima scuola! Aveva una grave ferita alla testa, probabilmente una sprangata, ed una pallottola conficcata poco sotto il ginocchio, aveva già perso molto sangue quando sono arrivato così l’ho presa in spalla e mi sono diretto in fretta quanto potevo verso la Terza Uscita.- Così la ragazza ferita è Galen, è irriconoscibile in quello stato. Ma anche in una situazione del genere, solo un pazzo prenderebbe la Terza Uscita. Nel nostro Distretto ci sono tre modi per arrivare all’esterno: l’entrata principale, le secondarie (più piccole, usate solo in caso di emergenza) e la Terza uscita. Consiste in un’incavatura nel terreno che fece molto tempo fa qualcuno, ma passa per l’impianto elettrico e si rischia di morire, più o meno succede il 60% delle volte. Lo so bene perché ogni anno qualcuno decide di tentare e ci rimane secco, perciò la conoscono tutti; eppure nessuna autorità ha mai provato a coprirla, forse perché è così pericolosa che risulta il modo più semplice e legale di uccidere dei ribelli che cercano la fuga.
-Cosa? Sei impazzito?-
-Non avevo scelta! E poi… adesso sono qui, no? Che importa?- Ho così tante domande, dolore e stanchezza che litigare con mio fratello è l’ultima cosa che voglio.
-Hey Lux, non è che per caso hai visto mio zio?- Ma Nate riceve una negazione a testa bassa come risposta –D’accordo, non mi resta che sperare che arrivi per la riunione-.
-La riunione?- Evidentemente mentre venivo curata mi sono persa qualcosa.
-Si, l’ha detto il Comandante Seger, quel ragazzo con cui abbiamo parlato prima. Stasera si terrà una riunione con tutti noi del 13, si decideranno i compiti di ognuno e il luogo del prossimo spostamento. Non fare quella faccia sorpresa! Non immaginavi mica che dopo tutto quello che è successo, saremmo rimasti così vicini al 13?- Nate ha ragione, tuttavia io non ci avevo pensato. Siamo già più lontani da casa nostra di quanto siamo mai stati, quanto arriveremo lontano?
-Hey, biondino! Si sono liberati dei posti, vieni a farti controllare le ferite. E dopo voglio anche te, rosso, quella scottatura sulla spalla non è una cosetta da niente.- Climpsy mi sta davvero simpatica, cercava di tenermi allegra mentre mi metteva i punti e trovava il modo di farmi distrarre. Nate entra dentro il tendone ed io fisso la spalla di mio fratello: -Non avresti dovuto…-.
-Credo che sia stato lui a scavarla, sai?- Penso a mio padre che scava nel terreno creando la Terza Uscita, penso alla sua cicatrice da bruciatura sulla gamba, e trovo l’ipotesi di Lux molto probabile. Poi ricordo il Carl Anderson Primo Ministro e mi rendo conto di una cosa, non ho idea di chi fosse mio padre. Pensavo solo che fosse grigio, come mia madre, un po’ come mio fratello, come tutto il mio Distretto. Avevo così torto?
-Iris…- Ricomincia Lux –Nel bosco, ho visto il loro campo di fiori. E sono bellissimi…-
Guardiamo entrambi indietro, e capiamo che laggiù ce n’erano di diverse, di sfumature di grigio.



Lettori, mi inginocchio e imploro il vostro perdono... So che era tantissimo che non aggiornavo ma tra la scuola, il blocco dello scrittore e tante altre cose, non ho proprio potuto. Però adesso mi sento molto ispirata ed ho già il prossimo capitolo pronto, prometto che farò del mio meglio.
Dopo tutto questo tempo ho deciso di mettere le cose in chiaro con questo capitolo particolarmente lungo, ma non vi ci abbituate ;) Spero che vi piaccia. Il prossimo sarà decisamente più calmo e sarà dedicato alla spiegazione di come è nata la prima divisione. Grazie per leggere :D

 

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Capitolo 6
*** Il Falò di Colori ***


Capitolo 6: Il falò di colori

Climpsy mi ha direzionato verso una tenda verde, dove avrei potuto trovare dei vestiti puliti ed un laghetto a 50 metri dalla divisione dove lavarmi. Appena entrata, mi guardo intorno ed inizio a ridere: ci sono vestiti diversissimi tra loro e di colori diversi.
Il mio armadio nel 13 comprendeva: camicie grigie, top grigi, pantaloni larghi grigi e da addestramento (grigi), scarponi grigi e scarpette grigie … bianche alla punta. Qui non so come muovermi e, anche se la cosa non è molto divertente, continuo a ridere perché è la prima frivolezza che mi concedo oggi. Prendo una maglietta blu, una camicetta rossa, un paio di pantaloni neri e decido di tenere le mie scarpe grigie. Poi, tenendo l’asciugamano e tutti questi vestiti stretti al petto, mi addentro nel bosco.
La luce del sole filtra nel verde degli alberi e cade a terra fioca, risplendendo tra sassi e folti cespugli. Inoltre è bello vedere la mia vera ombra, con le luci artificiali del 13 ho sempre avuto l’impressione che fosse qualcosa da cui guardarsi, adesso sento che, al sole, l’ombra mi è amica ed è qui per proteggermi.
Finalmente trovo il laghetto, tutto intorno crescono piante verdi e fiori bianchi, l’acqua gioca coi raggi del sole mentre m’immergo nell’acqua e nei pensieri, ricordi più che altro. C’è una cosa che in realtà sto facendo e non mi era mai capitata di fare: sto rimuginando. Rimugino, sì, rimugino su questa giornata, sulle cose che sono successe, sulla morte di mio padre, sull’allontanamento dalla mia casa e da mia madre, dalla morte di tutte quelle persone, sul mio piano.
Il bambino viene ucciso con un solo sparo mentre ancora stringe la mano della madre e mio padre sussurra “Moriremmo prima di raggiungere il Distretto 12”. Ma lui sapeva della divisione dei ribelli, conosceva tutto di questi boschi, dove trascorreva le giornate, lui ci ha guidati qui. Allora, almeno per un po’, ha creduto nel mio piano? O forse voleva solo tenerci al sicuro? No, altrimenti ci avrebbe presi e (considerata la sua carica) ci avrebbe raccomandati per salvarci nel suo amato Distretto 13. Non lo so, non lo so, non so nulla. Anzi una cosa si: vorrei che fosse qui, per spiegarmi tutto e dirmi cosa devo fare. Perché questa, cioè il mio futuro operato, si aggiunge alla lista delle cose cui proprio non so dare risposta.
La mia ombra si fa sempre più irriconoscibile perché il sole sta calando, e tornerò nel buio; ed il problema è che ho scoperto di preferire il grigio al nero perché, lo ammetto, questo mi spaventa.
Indosso i miei vestiti colorati e m’incammino verso le tende perché il cielo è rosso e, come mi ha spiegato Climpsy, questo è il segno che devo tornare.
La riunione si terrà intorno a quell’ammasso di legna che immagino accenderanno, vedo già Lux seduto che conversa con un anziano signore che sono sicura di aver già visto nel 13. Vado alla tenda verde per posare i miei vestiti ma una signora bassina e cicciottella interviene e mi prende il tutto dalle mani, dice che li vuole bruciare perché sporchi e anonimi e io la lascio fare anche se l’idea m’infastidisce. Prima di andarsene, però, mi squadra bene e scuote la testa; credo che sia per i vestiti, non sono ancora brava ad abbinare i colori. Nel tragitto verso la riunione mi raggiunge Nate: indossa una camicia blu elettrico (non come la mia maglietta che è scura) con le maniche tirate su che gli risalta occhi e muscoli, un paio di jeans neri e delle scarpe a stivaletto marrone chiaro. A quanto pare se ne intende più di me…
-Tuo zio?- Ma lui scuote la testa e, anche se non ne sono per niente sicura, mi pare di intravedere un luccichio nei suoi occhi, ma scaccio il pensiero. – Credo che tu sia più bravo di me nella scelta del vestiario, ti guardano tutti come un dio!- Gli sorrido.
-Eh già. Gelosa?- Lo guardo, i capelli disordinati perché asciugati all’aria e un bellissimo sorriso stampato in faccia, sciolto come se la sua fosse la frase più naturale del modo, ed io, che prendo sempre tutto troppo sul serio. Immaginarci insieme è come immaginare di stringere la mano a Snow: la cosa più assurda del mondo. Però capisco che sta solo giocando così gli regalo una delle mie risate migliori.
-Oh sì, tantissimo. Ti ricordi quando fingesti di essere il mio ragazzo per far smettere Finning di provarci con me? Lo facesti morire dalla paura!-
Ridiamo entrambi a lungo e continuiamo a scherzare finché non arriviamo a quello che, come avevo predetto, non è più un ammasso di legname ma un falò.
Il fuoco rosso vivo scoppietta felice alternandosi a sfumature di giallo e arancione, quando arriva il ragazzo inquietante, molto meno spaventoso e serio del solito.
-Buonasera a tutti, 13. Io sono il comandante Seger, capo di questa divisione. So che siete tutti spaesati, feriti e spaventati, lo comprendo. Vedete, sono qui per darvi spiegazioni e rispondere alle vostre domande. E' nato tutto da una donna: coraggiosa, combattiva, intelligente e brava con le armi. Lei, i suoi fratelli, i suoi amici, cresciuti col sogno di rovesciare la capitale che li aveva imprigionati, segregati al loro destino. Così scavarono nel terreno creando la Terza Uscita e anche se a lungo non vennero scoperti, uno di loro morì perché aveva scavato tra i generatori d’energia. Era suo fratello il ragazzo deceduto, così non volle mai più passare per di lì e decise di diventare guardia del perimetro e sfruttare il lavoro a suo vantaggio. Tuttavia il percorso da fare era lungo e lei, nel frattempo, poteva solo dispensare ordini agli amici che usavano ancora “l’uscita della morte”, e così si formò il primo nucleo di ribellione. Questi avevano mille piani e spesso provano incursioni verso gli altri distretti, tuttavia vivere come nomadi ed oltrepassare confini lontani migliaia di chilometri era impossibile. Allora ebbero una grande idea, formare dei ripari stabili lungo la strada verso i distretti. La preparazione fu lunga e le sperimentazioni tante: gli servivano ripari (optarono per le tende, facili da spostare), servivano cibo e acqua (perciò si evitarono deserti e aride distese), servivano armi (alcuni di loro si arruolarono nell’esercito o iniziarono ad addestrare ragazzi nelle scuole, potendo così rubare il necessario), e servivano molte persone. Perché i morti nell’uscita, nelle incursioni e nelle esecuzioni per frode erano molti e frequenti; però non mancavano nemmeno i nuovi ribelli, anche se non erano abbastanza per fare davvero qualcosa d’importante. A quel punto si decise, dopo un lunghissimo posteggiamento lungo le coste, di entrare nel Distretto 4, favorito nei giochi ma non un grande estimatore di Capitol City come l’1 e il 2. Il piano era di costruire una barca ed arrivare presentandosi come commercianti del 9 che avevano deciso di arrivare per mare, una volta insediati avrebbero potuto portare alleati e beni. Questa spedizione viene ricordata come l’Incursione della Rete, ed è anche il momento in cui io sono entrato nei vostri. Sì, sono del Distretto 4 e quando mi trovarono ero solo un bambino di 10 anni che aveva visto la sorella morire da uno schermo gigante, seguito da un colpo di cannone e la sua faccia sparata in cielo nell’arena dei sessantacinquesimi Hunger Games. Sono passati nove anni e le divisioni sono 3: la Prima Divisione è quella in cui vi trovate, noi operiamo in tutta la zona est, la Seconda si trova a sud ancora vicina al Distretto 4, e la Terza è la più pericolosa che opera all’interno ed ha rischiato più volte di essere distrutta dalle forze armate di Capitol City. Ogni divisione ha un compito cui mira maggiormente, il nostro è il Distretto 13 e subito dopo quello del 12. Oggi, senza alcun preavviso, la vostra gente si è rivoltata e noi ci siamo trovati impreparati per aiutarvi poiché stavamo anche ricevendo superstiti dalla Terza Divisione che ha mancato il colpo nel Distretto 10, per questo siamo arrivati tardi e siamo stati poco efficaci. Tuttavia manca poco, vedrete, avremo il 13… Qualche domanda?-.
Siamo tutti immobili e rimuginanti, non sappiamo cosa dire, c’è il vuoto nelle nostre menti, abbiamo pensieri bianchi: non è un racconto da poco questo. Dopo parecchi secondi si alza una mano:-Scusi, e la donna che ha dato inizio a tutto dov’è? E chi è?-
-Abbandonò gli studi da guardia del perimetro per concentrarsi sulla sua famiglia, a lungo nessuno ha saputo niente su di lei. Oggi è stata rivista ed ha aiutato molto le nostre truppe e tutti i ribelli del 13, ma ha preferito rimanere lì per agire da spia.-
-Ma chi è? Qual è il suo nome?- La folla strepita ma io non voglio sentire quel nome, non voglio.
-Judy Mod-
Ecco: mia madre, la donna che ha dato inizio alla ribellione. Mio fratello si alza e sia allontana, ma io rimango immobile con le braccia che tengono strette le gambe piegate e lo sguardo fisso in avanti. Ho passato tutta la vita a cercare di capire mia madre: grigia nel silenzio che aveva nei discorsi di mio padre e nella sua tranquillità, blu nel suo sguardo di ammirazione quando esprimevo i miei pensieri, verde nei suoi meravigliosi racconti.  Adesso guardo avanti a me e capisco che lei è sempre stata rossa, ardente come il fuoco che mi riscalda il viso.
 
 
E qui c’è anche il capitolo 6. Chiedo scusa, probabilmente vi risulta noiosissimo e vi capisco considerato che mi sono persa nella filosofia e in questo mio ripetitivo parlare dei colori, ma ditemi che non vi piace e giuro che la smetto xD Ad ogni modo vorrei davvero sapere cosa ne pensate perché ho l’impressione di perdervi totalmente in quest’orribile storia. :( e se c'è qualcosa che non capite chiedete pure! ;)

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Capitolo 7
*** Nuove Conoscenze ***


Capitolo 7: Nuove Conoscenze
-Sarebbe bello sapere che ne pensa suo marito, di queste informazioni!-
-Non capisco, era una persona importante?-
-La moglie del Sig. Anderson, la prima ribelle, questa sì che è tutta da ridere!-
-Non riesco a crederci! Siete sicuri che sia lei?-
-Silenzio, per favore. Vi sconvolge tanto questo nome?- La voce calda e dura del comandante zittisce il grosso del vociare, pronto a rispondergli: -Eccome! Era la moglie del Primo Ministro!-
-Cosa? No, non è possibile. La grande Judy Mod non sposerebbe mai un grigio come Carl Anderson!- Seger, sbigottito e sconcertato, aggrotta la fronte cercando una spiegazione plausibile. Poi lascia perdere la curiosità e acquieta la folla: -Ascoltatemi, non ha importa che voi conosciate Judy Mod o no. Ha invece grande rilevanza quello che sto per dirvi.-
Il vecchio che parlava con Lux prima del falò (che si era alzato con lui dopo la scoperta di mamma-ribelle) lo riporta nel gruppo per sedersi al mio fianco, lo guardo e la sua espressione è indecifrabile come i suoi occhi persi nel fuoco. Seger continua: -Questa è una rivoluzione. Non abbiamo né spazio né tempo per i deboli di cuore o per i traditori, non voglio volta-faccia nella mia divisione. Domani mattina partiremo ai primi raggi del sole per spostare il nostro punto di riferimento: credo abbiate immaginato tutti che rimanere qui significa aspettare che il gatto ci stani. A quel punto verrete sottoposti ad un test per valutare le vostre condizioni fisiche, mediche e psicologiche; poi ci divideremo: molti di voi entreranno nella mia truppa, agli altri verrà trovato un impiego nel nuovo punto di riferimento. Non voglio che qualcuno si ritenga offeso per essere stato ritenuto inadatto per essere mio soldato, e questo per due motivi: primo, non è un gioco o una prova quello che stiamo facendo e non solo io vi spremerò sino all’ultimo durante l’addestramento che si terrà ma soprattutto fuori c’è la guerra vera, si rischia di morire! Secondo motivo: non è mai da sottovalutare un buon pasto o una ferita guarita perché anche questi che potrebbero sembrarvi piccoli aiuti faranno la differenza tra la vita e la morte. Non siete più nel 13, dovete rendervene conto adesso, avete ancora la possibilità di tornare nel vostro grigio e non sarete mal giudicati, ma ricordate: se sarete ancora qui quando questo fuoco verrà spento, allora non tornerete più indietro.-
Nessuno si alza ma tutti si guardano intorno. Devo dire che Seger è strano: ci scruta con un’indifferenza tale da far pensare che questo sia solo un festino intorno al falò scoppiettante, ma quando parla è così arrabbiato e diretto da farti capire che crede davvero in quello che dice e te lo fa credere anche a te, eppure un minimo di umanità si intravede ancora in lui come quando ha menzionato la morte della sorella o quando non riusciva a figurare mia madre con il Primo Ministro del Distretto 13, uomo da lui tanto odiato, nonché mio padre. Ed è quel poco d’umanità, misto alla convinzione nei suoi ideali, che non mi fa dubitare neanche un secondo sul mio rimare qui. Mentre ancora le teste delle persone si spostano di qua e di là, io lo fisso negli occhi verdemare e presto il suo sguardo trova il mio, avvicina le sopracciglia e (anche se forse lo immagino solo) intravedo un leggero movimento all’angolo della sua bocca. E’ inaspettatamente compiaciuto, perché probabilmente non pensava di trovare noi “grigi” così determinati.
Arriva un altro uomo con la stessa divisa del comandante a meno della striscia gialla sul cuore, ha un grosso secchio in mano e sembra vuoto da come lo mantiene. Ci scruta qualche secondo, prima di spegnere il falò con dell’acqua che doveva aver riempito tutto il secchio; a quanto pare questi ribelli sono tutti super forzuti: non devo metterci neanche il pensiero di entrare tra i soldati. – Adesso tutti a letto, ricordate che si parte prestissimo e il viaggio non sarà facile come pensate. Per informazioni sulle vostre tende, chiedete a Climpsy che è quella donna bassina sulla destra.-
-Sempre gentile a far notare la mia altezza, Seger!- Climpsy sorride mentre il ragazzo si limita a farle un inchino ironico e ad andarsene. –E anche sorridente, devo dire! D’accordo, mettetevi in fila che vi registro.-
Uno ad uno ci avviciniamo alla giovane infermiera, dicendo i nostri nomi e la nostra età: -Iris Anderson, 16 anni-
-Sai, ho immaginato a lungo come tua madre sarebbe potuta essere e, nella mia mente, l’ho sempre vista come sei tu adesso. Le assomigli?- E’ una cosa davvero strana da sentirsi dire, mia madre qui è un’eroina, nel 13 era solo… mia madre.
-Ehm… credo di sì, cioè, un po’.- Penso a quando i miei incontravano dei vecchi amici a me sconosciuti, quelle persone che non fanno che ripetere “E’ tutta sua madre” o “Ha il naso esattamente identico a quello del padre”, e cose così. A mio fratello sono sempre stati chiari: occhi castani e corporatura forte di papà, carattere particolare tutto del nonno, viso e capelli rossi ereditati palesemente da mamma. A me hanno sempre avuto tutti opinioni molto contrastanti, è come se avessi creato un miscuglio così strano da sembrare tutto mio. Solo su una cosa sono sicura io come quelli che mi vedono: -Gli occhi, ho gli occhi di mia madre.-
-Beh, hai davvero degli occhi splendidi, Iris. La tua tenda è quella rossa, a righe gialle, contrassegnata dal numero 7.- Climpsy mi regala un ultimo sorriso prima di lasciarmi andare verso la tenda indicata.
Saluto Nate e cerco mio fratello con lo sguardo, non trovandolo, mi dirigo alla tenda numero 7. Scosto la seta dell’entrata e una stanza di discrete dimensioni mi si apre davanti: una forte luce dorata illumina un pavimento d’erba con quattro letti costruiti grossolanamente e un piccolo tavolino. Sul letto più a destra trovo stesa con le gambe incrociate una ragazza dal colorito scuro, molto robusta, con addosso una canotta bianco sporco e i classici pantaloni neri che hanno tutti in questo posto. Quando mi vede sorride e si alza, scuotendo i capelli ricci: -Oh, immagino che tu sia una delle mie nuove compagne di tenda, mi chiamo Moed Aversee.-
-Iris Anderson- Mi aspetto una reazione al mio cognome, tuttavia essa non arriva. Forse ho trovato qualcuno con cui posso cominciare senza pregiudizi. Moed si ristende sul suo letto e mi invita a sceglierne uno, così prendo quello affianco al suo. Pochi secondi senza parole e mi sento già in imbarazzo: odio il silenzio. Perciò provo subito ad abbozzare un discorso:- Allora, ehm … Sei qui da molto?-
-Da stamattina, ho portato i feriti dalla Terza Divisione, è lì che stavo.-
-Oh, wow. E sei da sola?-
-No, è venuta anche mia sorella. –
-Ah, e come si chiama?- Non riesco più a fermarmi dal parlare, anche se lei di sicuro non mi aiuta, non credo sia una ragazza molto loquace.
-Celestix, anche se nessuno la chiama così. Quando ha iniziato a lavorare nei campi l’hanno messa subito sugli alberi e spettava a lei dare i vari avvisi, dopo il suo primo giorno era già famosa fra gli agricoltori: all’orario di chiusura sfrecciava tra gli alberi gridando “Hoop, Hoop, Hoop”. E da lì non si è più tolta il soprannome.-  Ridiamo entrambe, e sono vittoriosa perché mi ha raccontato una storia al posto delle sue risposte secche.
-Però non capisco, perché continuava a ripetere “Hoop”?-
-Già, beh, aveva solo due anni…-
Cavolo! Due anni e già quella povera bambina lavorava? Ma è assurdo! Faccio per riaprire la bocca, quando  un’altra ragazza entra spostando la mia attenzione su di lei. La prima cosa che noto è il gesso al braccio, poi vedo i capelli bruni che cadono lunghi su un bel viso, paonazzo e affaticato. - Ciao. – La ragazza si fa strada e si siede sul terzo letto, in fondo a sinistra.
-Ciao!- Rispondiamo in coro io e Moed. La nuova arrivata stende la mano del braccio buono verso di noi, che a turno la stringiamo, e si presenta:- Seule Chuma, dal Distretto 2 in Seconda Divisione.-
-Moed Aversee, dal Distretto 11 in Terza Divisione.-
-Iris Anderson, io … io vengo dal 13.- Entrambe mi guardano, poi s’incrociano in un unico sguardo e iniziano a ridere. Sinceramente non so perché lo fanno ma nel vederle inizio a ridere anch’io come se le avessi capite. Pian piano, la serata passa e posso dire che non sono affatto male. Insomma, mi ci potrei abituare a questa vita; eppure quando le luci si spengono e mi sistemo le coperte, una fortissima nostalgia mi colpisce e il sonno proprio non arriva. Mi rigiro più volte e concludo che il sonno non arriverà, perciò sguscio fuori dal letto e esco dalla tenda il più silenziosamente possibile, Moed e Seule continuano a dormire. Da bambina lo facevo spesso: sgattaiolavo via e sparivo per ore senza farmi trovare, tornavo solo perché dopo un po’ mi annoiavo ma mi è sempre piaciuto pensare che avrebbero potuto cercarmi per giorni senza successo, a quanto pare la segretezza è ancora il mio forte.
Appena uscita una leggera brezza m’investe e sento l’erba soffice e umida sotto ogni passo. La luna attraversa fioca i rami degli alberi intorno l’accampamento e mi permette di vedere l’ombra di qualcuno seduto sull’erba.


Rieccomi, lunga attesa? Mi dispiace, me ne prendo tutte le responsabilità. Ad ogni modo non ho granchè da dire quindi... un saluto a tutti !! ;D

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Capitolo 8
*** La verità sulla Prima Resistenza ***


Capitolo 8: Il Progetto, Il Segugio e le Conseguenze

(La verità sulla Prima Resistenza)

 
Quando rientro nella tenda mi addormento appena posato il viso sul cuscino. Avevo bisogno di quella conversazione, avevo bisogno di sapere e di capire. Leiden Vobis mi aveva dato la possibilità di dormire tranquilla, almeno per questa sera.
-Anche tu hai litigato col cuscino?-
Non mi aveva nemmeno visto, eppure sembrava sapere perfettamente chi fossi. Dopo avermi invitata a sedere, iniziò a rispondere alle domande che mi tormentavano senza nemmeno chiedermi quali esse fossero.
-Ero un grande amico dei tuoi genitori … ma ne è passato di tempo dall’ultima volta in cui ho avuto il piacere di parlargli. Dieci anni per essere precisi. Vedi, tuo padre non era per niente come voleva far credere, non lo è mai stato. Immagino, tuttavia, di doverti narrare la storia dal principio.
I tuoi nonni, come saprai, erano importantissimi membri del Consiglio, orgoglio del Distretto 13 sotto ogni aspetto e persone dal carisma innato. Tuo padre… beh, almeno l’ultima capacità l’aveva ereditata appieno. Lui era quel ragazzo che tutti conoscevano, di quelli che non pranzavano mai da soli; era il racconta storie dalle mille esperienze e idee, il primo della classe ed il casinista per eccellenza. In qualsiasi cosa si potesse essere famosi, lì trovavi tuo padre al primo posto. Anche gli adulti trovavano quell’animo ribelle qualcosa da ammirare, tutti tranne uno. Suo padre.
Il Sig. Anderson non ha mai badato a cose passeggere come popolarità ed ammirazione. No, lui vedeva solo “il progetto”. Ricordo ancora l’amarezza con cui ne parlava tuo padre: seguire le sue orme ed entrare a far parte del Consiglio. Carl, però, era di tutt’altro avviso … Vedi, ormai sono parecchi anni che è stato rimosso, ma prima c’era la possibilità di lavorare come esploratori incaricati: in pratica ti erano assegnate delle missioni da andare a svolgere fuori dal Perimetro. Ti lascio immaginare il motivo per cui è un ruolo ormai estinto: la gente non tornava. Eh sì, e non perché ci fossero chissà quali pericoli, ma perché una volta respirato il profumo della libertà non se ne può più fare a meno. Ed era proprio questo che era capitato a tuo padre, lui era riuscito con le sue amicizie a trovare diversi modi per uscire dal Perimetro, anche se solo per poco, e presto non poté più farne a meno. Nel suo gruppo di amici più stretti c’erano: Clark Bakery (detto “il Pazzo”), Siirry Framat (la Fredda), e Hur Vacker (che chiamavano Eros perché piaceva a tutte le ragazze). Ed io… ero lì che guardavo da lontano, nel tavolo sempre vuoto, con le spalle curve e lo sguardo basso.
Un giorno tuo padre mi si avvicinò e si sedette accanto a me. Provò ad instaurare una conversazione ma io ero troppo chiuso, così, alla fine, mi disse solo: “Senti, se continui a chiuderti fuori da tutto e tutti nessuno saprà mai quanto puoi essere utile. Ti ho visto a lezione, oggi, hai costruito un automa in meno di un’ora… Ascolta, ho dei progetti, io. E i miei amici sono con me. Ma uno come te, beh, non si trova da nessuna parte. Hai tanto da offrire, devi solo provare a portarlo agli altri.”. Mi fece l’occhiolino e mi lasciò lì. Per tutta la mia vita da quel momento, il mio unico scopo è sempre stato portare agli altri tutto ciò che potevo ed è essere utile a chiunque ne avesse bisogno. Sono fiero di aver conosciuto tuo padre.-
Ero confusa, mio padre sembrava fantastico da quello che diceva il vecchio, allora come poteva essere cambiato tanto?
-Scusi…-
-Leiden, Leiden Vobis.-
-Scusi Sig. Vobis, non capisco. Io non ho questa immagine di mio padre, quando…-.
-Quando è diventato il secondo della Coin, sempre fedele al Distretto 13?-
-Già. -
-Credo sia iniziato tutto dal “progetto”. Quello di tuo padre e quello di tuo nonno; ti assicuro, cara, che tua madre non faceva parte di nessuno dei due. Judy aveva perso i genitori a soli cinque anni e da lì aveva imparato a badare a se stessa e al fratello minore. Nel periodo in cui incontrò tuo padre, aveva ottenuto un lavoro temporaneo al bancone della mensa, giusto per racimolare un po’ di soldi dopo la scuola. Ricordo la storia alla perfezione, tuo padre non faceva che ripeterla con lo sguardo perso.
Non riusciva a decidere cosa prendere così, tenendo gli occhi fissi sulle schifezze che ci rifilavano, chiese: “Cosa mi consiglia?”. Ma non era stata la voce della vecchia e grassa Sig. Strogen, la cuoca che era solita servirci, a rispondergli “Non saprei, se trovi qualcosa che non sembra stare per prendere vita o appena uscita dallo stomaco di qualcun altro... ”. Davanti a lui c’era una ragazza bellissima dagli occhi del colore del bosco, era come guardare tutto ciò che amava attraverso il viso angelico che aveva davanti. Rimasero un po’ così, fermi a sorridersi, finché la gente dietro di loro non iniziò a mormorare affamata. Da quel giorno, tua madre diventò il progetto di Carl. Trascurava noi della banda per andare ai corsi che seguiva lei, ed era sempre distratto. Alla fine, io andai da lei e la invitai a venire a una nostra riunione. Da quel giorno, ho conosciuto la vera Judy Mod. Era determinata, coraggiosa e incredibilmente intelligente. Entrò subito nella banda: era “la Mina”. Poi, un giorno, suo fratello spiò una nostra riunione e ci supplicò di entrare anche lui. Stavamo diventando troppi, dicevano alcuni di noi, ma Carl non era di quel parere: sapeva che stavamo per iniziare qualcosa di grande e ci serviva ogni genere di talento. E fu così che noi, sette ragazzi dalla vita sottosopra, fondammo la Prima Resistenza. Il Pazzo, la Fredda, l’Eros, il Segugio (Eric Mod), la Mina, il Comandante e… l’Automa. Già, non avevo un bel soprannome, tuo padre lo detestava. Diceva che non mi si poteva chiamare “burattino”, ma gli automi erano la mia specialità ed io non sono mai stato uno che se la prende. Lavoravo per gli altri, svolgevo i compiti utili, insomma era un soprannome abbastanza corretto.
Ad ogni modo, la cosa più importante che avvenne in quegli anni fu la creazione della Terza Uscita. L’idea fu di tua madre, io la aiutai nei progetti, a tuo padre toccò l’arte di costruirla, io lo aiutai a farlo. Ma avevamo clamorosamente sbagliato calcoli: avevamo scavato affianco al percorso elettrico, cosa che procurò un bel segno alla gamba di tuo padre. Così iniziammo un nuovo progetto, più lungo e accurato, un progetto che non ha mai visto la luce. Il Segugio aveva fame, si era sempre nutrito con le storie sull’esterno, con la visione della libertà, e adesso non riusciva più a farsele bastare: non si accontentava più degli avanzi, voleva il piatto principale. Un giorno, senza avvisare nessuno di noi della banda, uscì dalla Terza Uscita. Divorò tutta la libertà che riusciva a sentire e tornò indietro, solo che al ritorno, inebriato dalla felicità, fu poco cauto e la fortuna non gli sorrise. Eric morì avendo ancora l’odore della libertà sotto il naso, come il migliore dei segugi.
Tua madre non riuscì a reggere la cosa e passò davvero un periodo terribile. Nel frattempo, al Consiglio, un tentativo di fuga non passò inosservato. Tuo nonno fu incaricato di andare a fondo della storia, e il Sig. Anderson non prendeva mai un compito alla leggera. Trovò subito la nostra banda.
Disse a Carl che, in quanto minorenne, sarebbe solo stato incarcerato e non giustiziato. A tuo padre non importava nemmeno un po’, non finché gli fu nominata Judy. A quel punto cedette e implorò il padre con il quale strinse un patto: avrebbe coperto la faccenda se lui avesse messo la testa apposto e avesse seguito il progetto. Tuttavia, noi altri non potevamo essere inclusi nell’accordo, e prendemmo anche noi per la prima volta la Terza Uscita: scappammo dal Distretto 13, senza conseguenze per fortuna.
Carl mantenne la promessa, fece tutto secondo i piani: trovò il lavoro raccomandato dal padre, sposò Judy ed ebbe due meravigliosi figli. Ma vivere secondo uno schema del genere equivale ad un lavaggio del cervello, se ti ritrovi nel Consiglio ti vengono mostrati i fatti solo da un punto di vista… il loro.
Tuo padre finì per credere in quello che gli veniva detto, anche se non senza qualche ripensamento. Forse tu non lo sai, ma tuo padre soffriva di profonde crisi d’identità. Lo so perché quando formammo la Prima Divisione e tornammo vittoriosi dall’Incursione della Rete, io mi accorsi di non essere più utile lì e tornai, insieme a Clark e ad altri tre miei coetanei provenienti dal Distretto 4, nel 13.
Carl veniva sempre da me quando stava male. Anche quando gli fu chiesto di diventare Primo Ministro. Poi tuttavia, dalla tua nascita, le crisi diminuirono sempre più, fino a quella di dieci anni fa.
Tuo padre mi raccontò che eravate tutti a cena, nella terza giornata dei 64° Hunger Games. In un momento di silenzio, tu avevi affermato: “Papà, perché quei bambini si uccidono? Perché non gli dici di fare la pace?”.
Lui non aveva saputo cosa risponderti e quella sera stessa, iniziò a piangere inginocchiato davanti al letto. Tu avevi sentito che piangeva e ti eri avvicinata per confortarlo ma, ti assicuro, in quei momenti non era in sé. Ti spinse via e ti chiuse la porta dietro, poi venne da me.-
Ricordavo quel giorno, ero corsa via piangendo ed ero passata per un corridoio dove, come ho scoperto solo un anno fa, Nate mi aveva visto per la prima vera volta.
-Non abbiamo più parlato da quel giorno. Questo è il mio più grande rimpianto. Sono davvero un semplice automa, non ho mai fatto più di quello che mi veniva chiesto. -
-Beh, io non le ho chiesto nulla, eppure le sono infinitamente grata. Avevo bisogno di sapere, grazie. -
-Forse è questo che intendeva tuo padre: devo essere utile, ma non perché mi viene chiesto, perché ho qualcosa da dare…-
Non ce l’aveva con nessuno in particolare, parlava con uno sguardo perso ed intanto si alzava, lasciando quella frase ferma, come se ci fosse ancora qualcos’altro da aggiungere.
Per il momento, mi bastava quello che sapevo.
-Credo sia inutile augurarti buonanotte, l’alba sta per mostrarsi e il tempo per fare pace col cuscino è decisamente poco prima che ci sveglino. - Mi regalò un ultimo sorriso, increspando la pelle irruvidita dagli anni, e notai una cicatrice ampia che il lume della luna metteva in risalto solo ora. Poi, con un cenno ci congedammo.
Entrai furtiva nella tenda e sprofondai in sogni stranamente quieti. Il problema è che non ebbi nemmeno il tempo di capirli, perché Seule era già lì a scuotermi. –Andiamo, Iris, sono già tutti in piedi!-
Mi sembrava di aver dormito circa cinque minuti, ma non contestavo una che nonostante il gesso al braccio si stava allenando con i coltelli in modo maestrale.


Ed eccomi qui, sono tornata, spero di non avervi perso del tutto! Sto facendo del mio meglio perciò fatemi sapere che ne pensate, se c’è qualcosa che non quadra, se non capite qualcosa … qualsiasi siano i vostri pensieri. Potete inviarmi un messaggio privato o recensire, per me è uguale. Grazie sempre di leggere ;)
-Ginny

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Capitolo 9
*** l'Imboscata ***


Capitolo 9 : L’imboscata

 
Dopo essermi vestita alla meglio (ovvero terribilmente) ed essere uscita dalla tenda abulicamente, mi vado a sedere accanto alle mie compagne di tenda di fronte al focolare spento. Cerco con lo sguardo le altre tre persone che conosco –Lux, Nate e Leiden- ma non li trovo.
Poco dopo arriva Seger, senza il minimo segno di stanchezza e totalmente privo dell’aria da morto vivente che abbiano noi del 13 (ed io soprattutto). Mi viene spontaneo il paragone, accompagnato da una risata, quando poco dopo Nate mi si siede accanto. Ha i capelli tutti scompigliati, una camicia bianca abbottonata male –i bottoni sono chiusi l’uno al corrispettivo foro superiore- e lo sguardo perso nel vuoto.
-‘Giorno- Mi farfuglia ed io sorrido di nuovo. Non credo di essere in condizioni migliori ma non posso fare a meno di trovare divertente che per una volta anche lui è fuori posto.
-‘Giorno-
Il Comandante ci fa segno, forse inutilmente, di fare silenzio e ci prepariamo ad ascoltarlo.
-Allora, mi dispiace ma a causa della lentezza che alcuni di voi hanno avuto nello svegliarsi, dovremmo rimandare la colazione all’arrivo dell’accampamento. La buona notizia è che il luogo non è molto lontano, la pessima conoscenza del 13 rispetto il territorio esterno ci favorisce sicuramente. Lì vi spiegherò meglio il nostro lavoro e nel pomeriggio inizieremo il primo smistamento verso quello che sarà il vostro compito per questa Divisione. Bene, assicuratevi di aver preso tutto e mettiamoci in marcia.-.
Nate mi aiuta ad alzarmi (la gamba si fa ancora sentire) e ci incamminiamo.
-Sembrate appena usciti da una battaglia voi del 13...- Scherza Moed e Seule ride con lei.
-Già, beh, non è semplice rompere sedici anni di vita schematica.-
-Voi non cambiavate mai, nemmeno ogni tanto?-
-Oh, sì che cambiavamo. Per vedere come morivano i ragazzi agli Hunger Games avevamo il permesso di restare svegli anche tutta la notte.- Ovviamente, Nate non poteva lasciar cadere l’argomento “Lamentiamoci del Distretto” standosene zitto. Poi, con gli occhi delle mie nuove amiche puntati addosso, si decise anche ad aggiungere: -Sono Nate, ad ogni modo. -
-Seule Chuma. -
-Moed Aversee. –
Per fortuna, l’argomento cade e riusciamo a discutere di cose più allegre. Addirittura arriviamo a un punto in cui, siccome non riusciva a smettere di ridere per una battuta di Nate, Seule finisce quasi contro un albero.
-E a quel punto mia sorella ha …- Moed smette immediatamente di parlare. E’ stato un rumore ad interromperla, a gelare il sangue di tutti noi: uno sparo.
-IMBOSCATA! SCHEMA D’EMERGENZA 4! AL RIPARO!- La voce del comandante risuona in tutto il bosco, eppure non ci è particolarmente d’aiuto, non a noi del 13 perlomeno. Perché Moed e Seule sanno perfettamente di cosa parlava Seger, prendono me e Nate per mano e ci trascinano in direzione Nord-Ovest del bosco.
-Lì va bene!- Urla Seule a Moed e ci prepariamo per appostarci sotto un grande albero fornito di folti cespugli. Io, tuttavia, m’immobilizzo.
Vedo mio fratello in piedi. Uno sparo. Vedo mio fratello a terra. Mi libero, tirando con vigore, della stretta di Seule e corro verso Lux; quando arrivo, mi aspetto di trovarlo lancinante dal dolore, e invece sta ridendo.
-E’ solo è pittura Iris! Guarda!- Mi mostra la mano che si era portato alla spalla (sì, è stato colpito nel punto in cui si era scottato) e lo vedo anch’io, è solo pittura rossa.
-Pittura… è…- Mi scappa, incontrollabile, un sorriso. Come se tutta la tensione concentrata in quella manciata di secondi si riunisse lasciandosi andare attraverso questo gesto.
-E’ SOLO PITTURA!- Urlo affinché la mia voce possa raggiungere i cespugli ad una decina di metri da me. Nate esce dal cespuglio con uno scatto, come se fosse stato trattenuto fino a quel momento. Dopo aver abbracciato mio fratello e mentre vedo anche le ragazze in procinto di uscire, qualcuno si rivolge a me:
-Sarebbe questo il senso, 13… -
La figura del comandante mi si impone davanti, prima di colpirmi poco sotto le costole. Poi spara anche Nate e Seule, Moed invece riesce a scansare il colpo. Sarà anche solo pittura, ma il colpo fa davvero male.
-Siete fuori. - Dice. Poi va via, lasciandoci tutti incredibilmente perplessi e con tanto di cui discutere per il resto del viaggio.
-Credo fosse una prova, per vedere chi sarebbe riuscito a sopravvivere nel caso di un’imboscata.- Presuppone Lux.
-Già…- Conveniamo tutti, consapevoli che, se Lux ha ragione, non abbiamo fatto una gran figura.
-Tu però sei riuscita a non farti colpire!- Ricordiamo a Moed.
-Sarà, ma ero vulnerabile ed esposta. A Seger importerà solo aver avuto l’occasione di sparare, se fosse stata una vera imboscata nessuno si sarebbe limitato ad un colpo.- E così torniamo di nuovo tutti depressi.
Quando arriviamo, il Sole è già alto e penso al caldo che avremmo senza il fresco e l’ombra che ci concedono gli alberi. Ci fermiamo accanto ad un piccolo ruscello, dove corriamo a rinfrescarci. Lux mi chiede di aiutarlo perché vuole mettere un po’ d’acqua sulla ferita ed io mi appresto a farlo, prima di venire fermata da Climpsy.
-Tieni, questa è calendula. Dopotutto è stato utile questo viaggio.- Dalla faccia di mio fratello, capisco che questa cosa dev’essere miracolosa e mi rimangio tutti i dubbi che avevo avuto sull’età troppo acerba di Climpsy, che entrambi ringraziamo.
-Climpsy, scusa, hai notizie della ragazza che è venuta con me?-
-E’ stata portata insieme a tutti i feriti direttamente al rifugio.- Risponde con un sorriso dolce.
-Rifugio? Vuol dire che non siamo ancora arrivati?- Non potrei sopportare di camminare ancora.
-No, ma manca poco. Godetevi questa breve sosta, ho dovuto lottare parecchio con Lewis per ottenerla... -.
Non ho idea di chi sia Lewis, ma sono felice che abbia ceduto. Andiamo tutti a sederci sull’erba mentre ci viene distribuito del cibo. Inutile dire che il tempo prima di rimetterci in marcia è stato ben poco.
Tuttavia, avendo perso la capacità di sentirmi piedi e con le gambe incredibilmente doloranti, arriviamo a destinazione dopo un'ora o poco più.
Dire che la la vista al nostro arrivo ci lasciò sbalorditi era dir poco.
 
Ecco un capitolo corto, di stallo. Non ne scriverò più di così corti, non c’è dubbio ;)

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