INCUBO

di Maty66
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Cosa è successo? ***
Capitolo 3: *** Prove evidenti ***
Capitolo 4: *** Il movente ***
Capitolo 5: *** Sotto copertura ***
Capitolo 6: *** Decker ***
Capitolo 7: *** Il litigio ***
Capitolo 8: *** La trappola ***
Capitolo 9: *** Ritorno al presente ***
Capitolo 10: *** Scelte irriversibili ***
Capitolo 11: *** Svegliati! ***
Capitolo 12: *** Un ricordo ed un dubbio ***
Capitolo 13: *** Verità ***
Capitolo 14: *** Buone e cattive notizie ***
Capitolo 15: *** Dura realtà ***
Capitolo 16: *** Piccoli aiuti e grandi alleati ***
Capitolo 17: *** Memorie indesiderate ***
Capitolo 18: *** Aspettare e pregare ***
Capitolo 19: *** Vortice ***
Capitolo 20: *** La scelta ***
Capitolo 21: *** Confessione ***
Capitolo 22: *** Segreti ***
Capitolo 23: *** Rischi calcolati ***
Capitolo 24: *** Tutto perduto? ***
Capitolo 25: *** Nemesi ***
Capitolo 26: *** Fidati di me ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


Rieccomi a tormentarvi con le mie storie… non è finita ancora l’ultima che già ve ne propino un’altra…
Se organizzate una petizione per cacciarmi da questo sito non posso darvi torto.
Questa non è una storia della serie “Ben e Laura”.
Ben è infatti single ( e lo resterà per tutta la storia, sempre che resti vivo).
E’ in effetti una storia un po’ cupa, basata molto sui sentimenti (di Semir soprattutto). 
L’ho pensata così e spero vi piaccia comunque.

PS non vi preoccupate, per i fans di Ben e Laura entro la settimana "il sentiero nella sabbia" sarà completata (finalmente);  poi c’è un’ultima storia in programma a coronamento della serie.

 
 
Prologo

Semir sentiva come se tutto il mondo fosse immerso in un immenso acquario.
Vedeva ciò che lo circondava  come avvolto in una nebbiolina acquosa, in cui le  cose oscillavano ed andavano e venivano, si avvicinavano e si allontanavano, roteando vorticosamente.
Luci abbaglianti ondeggiavano davanti a lui,  vedeva  figure muoversi ed udiva  voci lontane che urlavano, una specie di eco.
“Ma sono persone?” si chiese mentre barcollando cercava di andare avanti, verso di loro, ma urtava continuamente contro qualcosa che gli sembrava un muro.
“Butta quella sbarra a  terra!!” ordinò una voce, ma lui la sentiva appena, lontana e confusa.
“Buttala a terra ed allontanati da lui” fece ancora la voce, stavolta più vicina e più forte.
Istintivamente Semir aprì la mano destra e sentì un fioco rumore metallico, come di  qualcosa che cadeva in terra.
“Mani  sulla testa e in ginocchio ”  urlò ancora la voce, ma Semir non capiva cosa volesse… chi era, cosa doveva fare?
Poi si sentì improvvisamente afferrare da mani forti e buttare in terra a pancia in giù;  mani violente lo  spinsero con la guancia a terra.
Finalmente la vista iniziò a schiarirsi… e quello che vide lo gettò nell’incubo.
“NOOOOO”  Semir urlò con quanto fiato aveva in corpo, ma l’urlo gli uscì strozzato.
Accanto a  lui, in un lago di sangue, il viso ridotto ad una maschera irriconoscibile, immobile, c’era il corpo del suo migliore amico.
 
“LASCIATEMI, DEVO ANDARE DA LUI!!” Semir continuava ad urlare e a dimenarsi, ma mani ferree lo tenevano bloccato a terra.
Ora la vista di Ben gli era stata oscurata  da un gruppetto di gente che lo aveva circondato.
Solo allora Semir si rese conto che erano tutti in divisa: erano poliziotti.
Il terrore iniziò a farsi strada in lui, ma riprese ad urlare “Vi prego lasciatemi, fatemi andare da lui… Ben… Ben” provò a chiamare già sapendo che non avrebbe avuto risposta.
 “Stai zitto stronzo!!!” gli disse uno degli uomini, chinandosi fino ad entrare nel suo campo visivo.
Dai gradi  e dalla uniforme Semir capì che era uno della SEC, il capo delle operazioni probabilmente,  anche se non lo conosceva.
“Ti prego, ti prego è il mio partner, fammi andare da lui…” provò a supplicare Semir.
“Certo non ti dò l’occasione di finire il lavoro” gli rispose   irato di rimando  il poliziotto alzandosi.
Cosa voleva dire quello?? Semir iniziò a sudare freddo… no, non potevano davvero credere una cosa del genere.
“Allora dove cazzo è questa ambulanza?  Non resterà vivo per molto se non arriva entro pochi minuti”  chiese concitato uno degli uomini che era chino su Ben.
“Ora mi sveglio  e mi accorgo che è  un incubo, deve essere un incubo” pensò freneticamente Semir mentre cercava di capire almeno dove si trovava.
Un magazzino, ma Semir non ricordava come ci era arrivato.
Finalmente fece irruzione nel locale un gruppo di paramedici con  grossi borsoni ed una barella..
Semir cercava disperatamente di vedere cosa stesse succedendo, ma la vista di Ben gli era completamente impedita.
“Ben… mi senti? Sono qui…. resisti  andrà tutto bene” urlò nel disperato tentativo di incoraggiarlo anche da lontano.
“Ti ho detto di stare zitto stronzo, certo che hai una bella faccia tosta…” fece ancora il capo della SEC tirandolo in piedi in malo modo.
“Ehi!! non c’è bisogno di usare questi modi” Semir sentì la voce della Kruger e mai come  allora provò sollievo nell’udirla.
“O mio Dio…” mormorò inorridita Kim nel vedere  Ben a terra.
Poi si voltò verso Semir, che era tenuto fermo da due agenti.
“Semir ma che è successo???” chiese con gli occhi sbarrati.
“Non lo so commissario lo giuro, non lo so, non mi ricordo nulla, ma vi prego fatemi andare da  Ben, sta male, devo stare con lui…”
Semir ormai era praticamente in lacrime.
Ma lo sguardo atterrito della Kruger su di lui gli gelò il cuore.
Semir abbassò  gli occhi e solo allora se ne accorse.
Aveva tutti gli abiti e le mani coperte di sangue.
Il sangue di Ben.
 

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Capitolo 2
*** Cosa è successo? ***


 
Cosa è successo?
 
“Allora Semir cerchi di calmarsi e di ricordare… come siete arrivati qui?” chiese ancora una volta la Kruger cercando di attirare l’attenzione del suo ispettore, che era ancora tenuto fermo per le braccia dai due colleghi.
Ma Semir a stento la stava a sentire, la sua attenzione era completamente attratta dal lavoro dei medici, chinati poco distante, sul corpo ancora immobile di Ben.
“La prego Commissario mi faccia andare vicino a lui… non lo tocco, voglio solo vedere come sta” ormai la voce era un singhiozzo.
Kim guardò interrogativa il capo della SEC che scosse la testa duro “Non se ne parla, lui resta immobile qui, non gli do l’occasione di finire quello che ha iniziato. E’ già un  miracolo che sia ancora vivo…”
Semir sentì il sangue salirgli alla testa.
“Ma che cazzo stai dicendo? Finirlo? Ben è il mio partner da più di cinque anni.. non potrei mai fargli del male. E’ il mio migliore amico dannazione!!” urlò dimenandosi come un pazzo. I due che lo tenevano fermo colsero l’occasione  per mollargli un pugno nello stomaco.
“Stai fermo stronzo!!” sibilò il picchiatore
“Bell’amico che sei… l’hai praticamente massacrato, hai ancora le mani sporche del suo sangue e quando siamo arrivati avevi ancora in mano la sbarra. Che faccia tosta!!!. Tu resti qui fermo, altrimenti giuro che ti sparo” urlò il capo della SEC guardandolo con odio
“Signori!!! calmiamoci tutti. Semir lei resti fermo qui, vado io ad informarmi su come sta Ben. Lei cerchi di raccogliere le idee, perché ci deve qualche spiegazione” fece imperiosa la Kruger mentre si avviava verso i paramedici.
Semir  trattenne il fiato mentre da lontano  vedeva Kim parlare con il medico e si sentì il cuore stretto in una morsa gelida  a vedere il sanitario scuotere la testa serio.
La Kruger tornò verso di lui con il volto scuro.
“Come sta?” sussurrò  Semir con le lacrime agli occhi
“Non bene Semir, hanno appena chiamato  un elicottero per portarlo  in ospedale…”
“O mio Dio… no no no. Ben… Ben… sono qui non ti arrendere, vedrai che la facciamo anche stavolta…” urlò con la voce strozzata.
Prima che gli uomini della SEC  lo riprendessero a picchiare la Kruger si posizionò davanti al suo ispettore
“Semir ti devi calmare…” disse passando improvvisamente al tu “Devi ragionare e ricordare cosa è successo. Qual è l’ultima cosa che ricordi?”
“Che stavamo in macchina con gli uomini di Decker…  per lo scambio, stavamo andando al vecchio aeroporto per lo scambio della droga…” sussurrò Semir cercando di restare lucido.
“Semir questo è successo due giorni fa. Abbiamo perso le vostre tracce  due giorni fa. Cosa è successo dopo?”
“Come due giorni fa? No no, è stato oggi, dovevamo entrare nell’hangar del vecchio aeroporto per incontrare il compratore… forse ci hanno stordito e siamo rimasti qui…” sussurrò sempre più confuso Semir
“Semir non siamo a Colonia, siamo a Berlino. Come siete arrivati qui?” la voce della Kruger si fece  più dura.
Semir andò nella confusione più assoluta. Immagini sfocate, suoni e frasi si confondevano nella sua mentre.
“Io non mi ricordo nulla Commissario, solo che mi sono ritrovato qui…”
La conversazione fu interrotta dal rumore dei rotori dell’elicottero che si avvicinava.
Il gruppetto dei medici si animò improvvisamente per trasportare la barella fuori.
Nella generale confusione Semir riuscì solo a vedere che i medici avevano intubato Ben e gli avevano fasciato quasi completamente la testa. Ma le bende erano completamente macchiate di sangue.
Mentre gli uomini della SEC lo spostavano di lato per far passare la barella Semir tentò nuovamente di raggiungere l’amico, strattonando i due che lo tenevano per le braccia.
“Ben… ti prego resisti… Ben…” urlò nella vana speranza che l’amico lo potesse sentire, ma rimediò solo una  nuova scarica di pugni nello stomaco.
Ansimando non potè fare altro che stare a guardare dalla porta la barella che veniva caricata sull’elicottero che immediatamente decollò.
“Allora traditore… la galera ti aspetta!!!” fece beffardo il capo della SEC spingendo Semir fuori.
Il piccolo turco non aveva più neppure la forza di ribellarsi.
“Aspetti, Gerkan invece deve andare anche lui in ospedale… potrebbe essere sotto l’effetto di qualche droga” si oppose la Kruger.
“Le analisi le possiamo fare in carcere” rispose  l’altro poliziotto
“Ed invece le facciamo in un centro specializzato. Sono prove importanti e non ripetibili. Non vorrà   che si perdano delle prove importanti…” la Kruger sembrava una tigre dagli occhi di fuoco.
Il capo della SEC la guardò con aria di sfida, ma poi cedette.
“Ok,  ma ci va in manette all’ospedale” rispose irato mentre si avviava fuori.
“Commissario la prego io DEVO sapere come sta Ben…” singhiozzò Semir
 “Calmati, ora andiamo allo stesso ospedale… lì sapremo qualcosa”
“Grazie…” riuscì a dire Semir mentre lo ammanettavano e poi lo trascinavano in auto.


 
Semir strofinò il batuffolo di cotone nell’incavo del braccio, dopo che l’infermiera gli aveva prelevato diverse provette di sangue. Quelli della SEC lo avevano ammanettato al lettino su cui era seduto per cui non poteva muoversi e gli sembrava di impazzire a non sapere nulla di quello che stava succedendo.
Finalmente dopo vari minuti vide entrare una giovane poliziotta in camice bianco, evidentemente una della scientifica.
“Buonasera, mi dia le mani per favore…” gli disse  guardando ostinatamente a terra.
Come un automa Semir obbedì e stette buono a guardare come la ragazza gli prelevava materiale sotto le unghie e il sangue secco che aveva sulle mani, per poi metterlo su dei vetrini. Aveva visto fare queste operazioni tante volte ad Hartmut e probabilmente lo stavano facendo anche con Ben.
 Serviva a vedere se c’erano tracce di pelle o altro materiale organico, tracce che si solito restano  sempre sul colpevole nei tentativi di difesa delle vittime.
“Ora si spogli e metta tutti i vestiti in questa busta per favore….” disse ancora la ragazza porgendogli un sacco trasparente per la raccolta delle prove e una tuta con cui cambiarsi.
“Se vuole può anche fare  una rapida doccia” disse infine la ragazza, mentre un altro agente entrava nella stanza e apriva le manette, rimanendo però di guardia, con la mano  vistosamente ferma sulla fondina della pistola.
Semir andò dietro il paravento e si tolse i vestiti, passandoli alla ragazza. Le lacrime gli salirono di nuovo prepotenti mentre vedeva  il sangue di cui erano quasi interamente ricoperti. Il sangue di Ben? No no non poteva essere, non poteva essere stato lui…
Lentamente si avviò nel bagno  attiguo e  aprì la doccia. Si infilò sotto e lasciò che l’acqua calda lavasse via le macchie. Ma l’acqua non poteva portare via l’angoscia e Semir iniziò a piangere disperatamente, come non ricordava di aver mai fatto in vita sua.


 
“Semir…” si sentì chiamare appena uscito dalla doccia. Era la Kruger.
Rapidamente si asciugò e vestì. Quei bastardi gli avevano già dato la tuta che fungeva da divisa del centro di detenzione, con la scritta bella in vista.
“Allora come sta?” chiese non appena vide la Kruger.
“Deve venire con me….” rispose seria la donna
“Commissario no la prego mi dica che non è…” sussurrò terrorizzato Semir
“No no, ma dobbiamo risolvere un problema”
Semir venne di nuovo ammanettato, questa volta dietro la schiena e seguì la Kruger lungo il corridoio, seguito a sua volta dal poliziotto di guardia.
“Dottor Weiss questo è il sig. Gerkan..” disse  Kim non appena raggiunsero il reparto di neurochirurgia.
Semir fece un cenno di saluto al medico, impossibilitato a dargli la mano.
“Sig Gerkan dovrei parlarle un momento, è importante… possiamo sederci un attimo?”
“Gli tolga subito quelle manette…” sibilò Kim al poliziotto, che però rimase immobile a guardare il suo capo che aspettava poggiato al muro.
“Ho detto gli tolga le manette… me ne assumo io la responsabilità!!” sibilò di nuovo il Commissario furibondo.
Dopo un cenno di assenso del capo, il poliziotto sciolse i polsi di Semir che si sedette con il medico e Kim sulle sedie nel corridoio.
“Sig Gerkan lei è a conoscenza del fatto che il sig. Jager l’ha nominata suo tutore nel caso in cui lui o i suoi familiari fossero impossibilitati a prendere urgenti decisioni mediche?” chiese  il medico.
Semir annuì, era una prassi comune fra i compagni di pattuglia, anche lui aveva fatto lo stesso con Ben.
“Bene, il padre  e la sorella del sig. Jager stanno arrivando da New York, attualmente sono in volo, quindi non possiamo contattarli neppure via telefono e bisogna prendere una decisione urgente…”
 Semir iniziò ad ansimare.
“Attualmente il suo collega ha una massiva emorragia celebrale, dobbiamo operare e fermarla subito se vogliamo assicurargli qualche possibilità di sopravvivenza” disse serio il medico guardando la cartella clinica.
“Bene… allora operate…” sussurrò Semir
“Non è così semplice sig. Gerkan, altrimenti non sarebbe necessario il suo consenso. Il problema è che il sig. Jager ha riportato anche altre lesioni, molto serie, fra cui una contusione polmonare; attualmente il polmone sinistro è collassato, non funziona più in altre parole”
Semir era sempre più pallido ed ansimante.
“In altre condizioni avremmo aspettato che si stabilizzasse prima  di operare. Ma per come è la situazione se aspettiamo le possibilità di sopravvivenza futura si riducono drasticamente. Ma purtroppo devo anche dirle che in queste condizioni difficilmente il sig. Jager supererà l’intervento…”
Semir ascoltava tutto imbambolato. Aveva la gola secca e sentiva la testa girargli vorticosamente.
Rimase così immobile a fissare il medico fino a che questi non lo richiamò alla realtà “Sig Gerkan… ha capito?” chiese.
Semir si risvegliò dal suo torpore “Quante sono le possibilità che ce la faccia se non operate subito?” chiese con un filo di voce.
“Poche, ma  ancor meno sono le possibilità che non riporti danni permanenti. Già operando subito e ammesso che sopravviva all’intervento non sappiamo cosa succederà… potrebbe restare in coma, o avere problemi di deambulazione… “ rispose il medico
“Le lascio qualche minuto per pensarci….” disse poi mentre si alzava per andare al banco della astanteria.
Semir guardò con gli occhi pieni di lacrime Kim.
“Come faccio a decidere? Perché io? Non è proprio possibile raggiungere Konrad o Julia?” chiese disperato
Il commissario scosse la testa attonita; si vedeva che era anche lei sconvolta.

“Sinceramente le ripeto che mi sembra una assurdità questa!! L’assassino che decide del destino della sua vittima…” il capo della SEC si avvicinò al medico, che aveva  di nuovo raggiunto Semir
“Senta… tenente Koln… giusto? Le ho già spiegato che il sig. Gerkan risulta il tutore del paziente. Allo stato non è accusato ufficialmente di nulla. E fino a che un parente o un giudice non dice il contrario spetta a lui decidere…”
“Se non è ancora ufficialmente accusato del tentato omicidio è solo perché non abbiamo ancora raggiunto il giudice per l’emissione del decreto di fermo!!!”
“Bene, comunque sia allo stato questa è la situazione e io ho bisogno di una decisione immediata” sibilò il medico sempre più infastidito

“Che faccio??” chiese sempre più disperato Semir verso la Kruger
“Non lo so Semir, forse bisogna solo pensare a cosa vorrebbe fare Ben…” disse con un filo di voce Kim.
Semir rimase immobile a guardare il medico che gli porgeva i fogli per l‘autorizzazione all’intervento. Cosa vorrebbe Ben? Ben vorrebbe vivere, si disse, e soprattutto vorrebbe vivere bene, non come un vegetale o su di una sedia a rotelle.
“Ok dove devo firmare?”
Con mano tremante mise la sua sigla sulla cartellina che il medico gli porgeva, mentre una lacrima involontariamente bagnava i fogli.


Rieccomi a tormentarvi... come sempre sono graditissime le recensioni...negative, positive neutre.
Grazie ancora per le molte  letture del primo capitolo... sono lusingata ;)

 

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Capitolo 3
*** Prove evidenti ***


Prove evidenti
 
Correva lungo il corridoio buio.
Correva e correva, doveva raggiungerlo, non poteva scappargli.
La sua mano convulsamente stringeva la sbarra su cui aveva inciampato poco prima e che aveva raccolto.
Doveva raggiungerlo, ma  era difficile maledizione, nonostante tutto era ancora molto veloce.
Poi all’improvviso lo perse di vista. Si era nascosto dietro le casse.
Ma lui l‘avrebbe scovato.
Silenzioso avanzò nella semioscurità  quando la sua attenzione fu attratta da un piccolo occhio rosso. Una telecamera.
 No no,  non potevano stare a guardarlo mentre lui portava a termine il suo compito.
Salì su una delle casse per raggiungere la telecamera e con la sbarra, in un sol colpo, la sradicò dal muro.
Ecco ora era solo, poteva agire in pace.
Sempre silenzioso e guardingo si aggirò fra i corridoi creati dalle  pile di casse in giacenza, sino a che lo vide.
Era di spalle, poteva coglierlo di sorpresa.
Si avvicinò con passo felpato, ma lui all’ultimo istante si accorse della sue presenza alle spalle e si girò, proprio mentre stava sollevando la sbarra per colpirlo.
“No Semir che fai!! Sono io, sono Ben, non puoi farlo…” urlò  lui con lo sguardo terrorizzato ed incredulo. 

 

Semir si svegliò urlando e in cerca d’aria. Si sentiva soffocare e l’aria non gli entrava nei polmoni.
Ci mise un po’ a riprendere a respirare regolarmente, mentre il cuore gli batteva a mille.
Mentre si rendeva conto di essere ancora in ospedale, ancora ammanettato alla sedia della piccola stanza dove l’avevano lasciato un paio di ore prima, cercò di scacciare dalla mente le immagini dell’incubo.
“E’ un incubo, non è reale, non è reale, non puoi essere stato tu, tu lo ami come e più di un fratello, non gli faresti mai del male” continuò a ripetere dentro se stesso come un mantra.
Ma la mano gelida del terrore non accennava a lasciarlo.
“Semir…” sentì sussurrare dall’uscio semiaperto.
“Andrea!!!” Semir cercò di alzarsi in piedi, ma rimase bloccato dalle manette che lo legavano alla sedia.
“Oh amore mio,  sono stati i due giorni più brutti della mia vita!” mormorò Andrea mentre gli correva vicino e lo abbracciava.
“Non sapevamo dove eravate, se  vi era successo qualcosa… è stato terribile” singhiozzò la donna sulla spalla del marito.
“Sto bene Andrea, io sto bene. Le bambine?” chiese premuroso
“Bene sono con mia madre… ma  Semir cosa è successo?” Andrea guardò inorridita le manette che legavano Semir alla sedia.
Il marito non riuscì a dire nulla per alcuni secondi, mentre gli occhi si riempivano di lacrime
“Non ti hanno detto nulla?” chiese con un filo di voce
“No, il commissario Kruger mi ha solo detto che vi avevano trovato e di venire qui subito. Poi quando sono arrivata un poliziotto davanti alla porta ha detto che potevo vederti, ma solo per cinque minuti… ma dov’è Ben?” chiese Andrea iniziando a capire che in quella storia c’era qualcosa di tremendamente sbagliato.
Semir iniziò a piangere.
“Sta morendo Andrea, sta morendo e qui  credono che sia stato io…. E non basta, probabilmente poco fa ho anche firmato la sua condanna a morte”

 
 
“Bene Commissario Kruger stavolta voglio vedere cosa si inventerà per difendere il suo uomo…” 
La voce irritante di Bohm, il commissario addetto alla disciplinare, arrivò a Kim  fastidiosa come il rumore delle unghie sulla lavagna.
“Commissario Bohm, non posso dire che sia un piacere vederla” sorrise beffarda Kim senza curarsi di nascondere il disgusto che provava per quell’uomo.
“La cosa è reciproca, ma quando il dovere  chiama…” rispose lui con altrettanta antipatia.
“Dov’è?” chiese ancora con sguardo duro
“Di là, stiamo aspettando i risultati delle analisi”
“Spero che sia sotto buona sorveglianza, non vorrei si ripetessero gli episodi del passato”  fece ancora Bohm con un sorrisetto malvagio.
“Mi creda Bohm, Semir non andrebbe mai via di qui senza sapere  come sta Ben…”
“Questa è proprio bella…” rise l’uomo
“A proposito come sta?” chiese senza tuttavia il minimo reale interesse nella voce
“Male. E’ in sala operatoria”
“Beh io avevo avvisato Jager che Gerkan stava combinando qualcosa di poco chiaro, ma mi ha riso in faccia. Non può dire che non l’avevo messo in guardia”
Kim non si prese la briga di rispondere, anche perché aveva visto Hartmut entrare nel reparto.
 “Buonasera Hartmut… ha recuperato quanto le avevo chiesto?” chiese ansiosa, mentre cercando di non farsi vedere da Bohm lo spingeva da parte.
“Sì ma solo le copie, gli originali li dovuti lasciare alla SEC” disse il tecnico mentre si avviava con il commissario nella stanzetta attigua.
“Come sta Ben?” chiese anche Harty.
“Non bene” rispose triste Kim
“E Semir?” chiese ancora Hartmut poggiando il riproduttore video su di un tavolo
“Sconvolto… non ricorda nulla di quanto è successo. Il problema è che quando l’hanno trovato ancora brandiva la sbarra ed era completamente coperto di sangue. Nel magazzino non c’era nessun altro, nessuno è entrato e nessuno è uscito da quando la SEC lo ha circondato”
“Forse qualche droga…. commissario nessuno sano di mente  può pensare che Semir possa aver fatto del male a Ben” sussurrò Hartmut
 “Crede che non lo sappia?? Speriamo di capire qualcosa dal video delle telecamere di sorveglianza”
Ma la visione del filmato li lasciò sconvolti.
“O Signore non può essere…” sussurrò Hartmut pallido

 
 
“Semir calmati… ti stai suggestionando. Era solo un sogno” Andrea cercò di calmare il marito che sempre più agitato le aveva raccontato l’incubo di poco prima.
“Sì, ma io non mi ricordo nulla, perché ho quelle immagini in mente? Sto impazzendo, sento che sto impazzendo”  Semir quasi urlava
“E poi perché non fanno sapere nulla? Ormai  sono quasi tre ore che è in sala operatoria… Mio Dio Andrea, e se non ce la fa a superare l’operazione? Sono stato io firmare l’autorizzazione…”
“Sono cose lunghe Semir, e poi se fosse successo qualcosa sarebbero venuti ad informarci”
Proprio in quel momento Kim ed Hartmut entrarono nella stanza.
Semir alla loro vista impallidì dal terrore.
“Ben?” singhiozzò
“Non sappiamo ancora nulla, ma il medico ci ha detto che ci vorranno molte ore…” rispose Kim
“Che c’è Commissario?” chiese Andrea vedendo lo sguardo serio di Kim
“Semir abbiamo recuperato una copia del video delle telecamere di sorveglianza del magazzino” fece Hartmut anche lui serio
“E?”
“E’ meglio che guardi  tu stesso”
Hartmut poggiò il riproduttore video sulla sedia accanto a Semir ed avviò la registrazione.
Le immagini leggermente sfocate mostrarono dapprima per alcuni secondi solo il magazzino colmo di casse.
Poi nel campo visivo entrò la figura di un uomo alto, con jeans e felpa con cappuccio, che correva guardandosi indietro. Per un attimo la telecamera inquadrò chiaramente il viso contornato da capelli castani di Ben  che lesto si nascondeva dietro una pila di casse.
Semir sentì che il cuore gli si fermava, mentre continuava a guardare il video e vedeva la figura bassa che entrava subito dopo nel raggio di azione della telecamera.
 Aveva una sbarra in mano e  si aggirava fra le casse con ferocia, era in caccia.
“No!!  Non è possibile…” singhiozzò mentre  si vedeva nel video, inquadrato in pieno viso, mentre balzava  su di una pila di casse ed alzava la sbarra verso la telecamera. Poi le immagini cessarono di colpo.
Nella stanza  calò un silenzio di tomba.
 
“Bene, vedo che l’avete già visionato” La voce di Bohm fece sobbalzare tutti
“Commissario abbiamo anche il risultato delle analisi che lei ha preteso” continuò con la sua vocetta irritante.
Kim rimase in silenzio; dalla espressione di Bohm aveva già capito che non poteva aspettarsi nulla di buono dai risultati.
“A quanto pare il nostro ispettore Gerkan fa uso di cocaina già da un bel po’ di tempo…” rise Bohm porgendo la cartellina alla Kruger.
“Cocaina?? Non ho mai fatto uso di droghe in vita mia!!” urlò Semir cercando di alzarsi anche se era bloccato dalle manette.
“Le analisi del suo sangue, mio caro Gerkan, dicono il contrario. E dicono anche altre cose. Sotto le sue unghie ci sono tracce del tessuto epiteliale del suo amico Jager. A quanto pare ha cercato di difendersi. Ed il  sangue di Jager è su tutti i vestiti che lei indossava…” gli sibilò con cattiveria  Bohm.
Andrea  era rimasta a guardare la scena come imbambolata.
“Ma vi sta dando di volta il cervello a tutti??” urlò contro  Kim ed Hartmut, che erano rimasti attoniti “Come potete solo pensare che Semir abbia fatto una cosa del genere??”
“Quello che i suoi amici pensano è indifferente mia cara signora.  Semir Gerkan è in arresto per il tentato omicidio di Ben Jager, e  a quanto ho potuto capire l’accusa si trasformerà ben presto in omicidio vero e proprio”  disse con studiata cattiveria Bohm, sventolandogli il mandato di arresto in faccia.
“Commissario la prego mi faccia rimanere qui… almeno fino a che  Ben non esce dalla sala operatoria. La prego!!” provò a supplicare Semir, ma inutilmente.
Con modi bruschi venne trascinato da due poliziotti fuori dalla stanza.
 
 
Tutto contro il nostro Semir… povero… ma… se fosse stato davvero lui???
  

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Capitolo 4
*** Il movente ***


 Il movente
 
L’uomo  afferrò con mano tremante la tazza di caffè dal tavolino che aveva accanto alla poltrona e bevve con fatica un  sorso della bevanda calda. Ormai anche solo ingoiare era diventato un tormento. Ogni respiro, ogni parola erano una agonia, nonostante i farmaci.
Ma non si poteva permettere di cedere ora, non prima di aver ottenuto la sua vendetta. Ora che era così vicino.
Con mano tremante rispose al telefono che squillava sul tavolo.
“Tutto procede come previsto” disse la voce dall’altro lato della linea.
 Chiuse la chiamata  senza dire una parola, del resto parlare gli costava molta fatica.
Stava per morire, e sarebbe successo presto. Ma prima avrebbe avuto la sua vendetta.
“Mi prenderò tutto, tutto quello che hai. Prenderò  la tua famiglia, il tuo lavoro, il tuo migliore amico. E soprattutto mi prenderò il tuo onore” pensò accarezzando il gatto che aveva sulle ginocchia
 
 
Semir era seduto nella sala interrogatori del centro di detenzione di Berlino da più di un’ora e ancora nessuno si era fatto vedere. Ormai non riusciva neppure più a piangere. Sentiva solo un grande vuoto dentro l’anima. Ed una mano gelida sul cuore che lo terrorizzava.
“Sta morendo… sta morendo” pensava guardandosi le mani tremanti. Potevano quelle mani aver causato la morte del suo amico? No non può essere, non può essere si disse cercando di convincersi.
Finalmente la porta si aprì ed entrarono la Kruger e Bohm che si sedettero  di fronte a lui.
“Commissario come sta Ben?” chiese subito Semir trattenendo il respiro per paura della risposta.
“Quando ho lasciato l’ospedale era ancora in sala operatoria. Hartmut è rimasto lì con Andrea e ha promesso di chiamare appena sapevano qualcosa”
“Perché ci mettono tanto? Non è un buon segno…” sussurrò Semir con lo sguardo basso.
“Che c’è Gerkan? Ora teme che le imputazioni possano aggravarsi?” fece Bohm sghignazzando
Semir non rispose continuando a fissarsi le mani.
“Vuole rispondere alle domande?” chiese sempre più beffardo
“Semir forse è meglio che aspetti che arrivi l’avvocato. Andrea ha già contattato un legale…”
“Non ho bisogno di aspettare l’avvocato per dire che non ho tentato di uccidere il mio migliore amico- la interruppe urlando Semir- perché avrei dovuto farlo? Mi spiegate perché??”
“Da tempo sapevamo che nella banda di Decker c’era una talpa della polizia. Lei è un poliziotto corrotto Gerkan e quando il suo amico l’ha scoperto ha deciso di farlo fuori…” scandì Bohm con occhi gelidi
“Cosa?? Ma lei è  fuori di testa…”
Bohm aprì la cartellina che aveva davanti con  calma studiata.
“Ispettore Gerkan nega di aver avuto difficoltà economiche negli ultimi tempi? Sbaglio o stava per perdere anche la casa?”
Semir rimase per un attimo sbalordito.
“Certo  ho avuto qualche problema, un investimento sbagliato da parte del mio commercialista. Ma ho risolto, ho avuto un prestito dalla banca….”
Bohm si disegnò sulla bocca un sorriso a trentadue denti.
“Questo non è esatto. La somma che è transitata sul suo conto, circa duecentomila euro, che sono serviti per estinguere l’ipoteca sulla casa non provengono da un prestito della banca, sono transitati da un conto  corrente straniero. Abbiamo già in corso la rogatoria  per scoprirne la intestazione”
Semir guardò Bohm sconvolto.
“Ma che sta dicendo?? Non è vero!!”
“E non è finita qui… dica la verità ha colto l’occasione per ottenere dalla morte  di Jager il massimo profitto, come si suol dire due piccioni con una fava…”
“Che vuol dire??” Semir  era sempre più sconcertato
“Nega di non essere a conoscenza che le sue figlie, Aida e Lily Gerkan,  risultano in caso di morte dell’ispettore Jager, le uniche eredi del suo ingente patrimonio? Un patrimonio di tutto rispetto, a quanto pare, quasi tre milioni di euro in immobili, titoli e azioni, derivante dalla eredità della madre. Patrimonio che sino alla maggiore età delle eredi gestirebbe lei quale esercente la patria potestà…”
Semir lo guardò incredulo e con gli occhi sbarrati. Aveva sempre saputo che Ben non era povero, o meglio che il padre Konrad Jager era un ricco costruttore,  ma non poteva immaginare che il giovane fosse anche personalmente così facoltoso. E soprattutto non sapeva nulla del testamento.
Lacrime di commozione gli salirono agli occhi. “Non sapevo nulla del testamento….Ben non mi ha mai detto nulla..”
“Strano perché, a quanto ci ha riferito poco fa il notaio, il testamento è stato cambiato poche settimane  fa, proprio in coincidenza con le sue difficoltà economiche…”
“Ben non mi ha mai detto niente, altrimenti l’avrei dissuaso certamente, lui è molto giovane, deve sposarsi, avere dei figli suoi cui lasciare il suo patrimonio…” sussurrò Semir mentre iniziava a piangere silenziosamente
“Beh,  a quanto vedo ha fatto in modo che  Jager non avesse più il tempo di sposarsi ed avere figli suoi. Dica la verità si è strafatto di cocaina e poi lo ha massacrato!!” fece crudele Bohm.
La frase fece perdere completamente il controllo a Semir che si alzò dalla sedia, furibondo, cercando  di raggiungere Bohm dall’altro lato del tavolo. “Lurido bastardo..”  urlò
Se non fosse stato per Kim   che lo fermava, tenendolo per un braccio,  gli sarebbe certamente saltato al collo
“Basta così, Semir, penso sia meglio che lei non dica altro senza la presenza dell’avvocato!!” intimò con voce dura come solo lei sapeva fare
“Lei esca di qui Bohm, e non rientri fino a che non è arrivato il legale…” fece ancora con gli occhi fiammeggianti.
Bohm raccolse le carte sul tavolo e si alzò “Stavolta non se la cava Gerkan, passerà la vita in galera”
 
 
Konrad Jager aveva passato tutto il volo da New York macerandosi nell’angoscia più assoluta.
Le poche parole che gli aveva detto Kim Kruger al telefono l’avevano gettato nello sconforto.
Durante il volo più volte aveva ripensato ai mille litigi che avevano sempre caratterizzato il rapporto con quel suo figlio, così volitivo e ribelle. C’erano ancora tante cose da chiarire, tante cose ancora non dette, non poteva credere che non ci fosse più tempo..
“Papà stai bene?” chiese Julia vedendo il padre perso nei suoi pensieri.
“Sì sto bene non preoccuparti…” sussurrò il vecchio imprenditore. “E’ colpa mia sai…”
“Cosa?” chiese la figlia sempre più preoccupata.
“E’ colpa mia se Ben ha deciso di fare il poliziotto. Se non lo avessi sempre contraddetto, se non l’avessi spinto a entrare nella azienda di famiglia, se fossi stato più comprensivo… forse non avrebbe fatto questa scelta, magari avrebbe fatto il musicista e ora non starebbe per morire” sussurrò ancora il vecchio asciugandosi le lacrime
“Questo non è vero papà, lo sai bene che fare il poliziotto era il sogno di Ben sin da ragazzino. Ha sempre voluto fare questo lavoro e niente e nessuno l’avrebbe convinto a fare altro. Tu non c’entri nella sua scelta”  
Il vecchio imprenditore non rispose, rimase in perfetto silenzio sino a che, poco dopo l’aereo non atterrò.
 

Andrea   era sicura di aver percorso più di dieci chilometri a furia di andare avanti ed indietro nel corridoio davanti alla sala operatoria. Guardava incessantemente l’orologio, divisa fra l’angoscia che provava per la sorte del marito e quella per Ben.  Ma aveva promesso a Semir di restare lì fino a che non sapeva qualcosa di preciso sulle condizioni del giovane; così si era limitata a chiamare suo cugino che era avvocato per farlo andare da Semir e si era rassegnata ad aspettare ansiosa notizie dalla sala operatoria, notizie che tuttavia non arrivavano. Quante ore erano passate? Almeno sette, pensò Andrea
Mentre ancora andava avanti ed indietro nel corridoio, vide arrivare Julia e Konrad. La ragazza le corse subito incontro, mentre Konrad veniva invece bloccato da Koln il tenente della SEC.
Andrea vide lo stupore disegnarsi sulla faccia del vecchio imprenditore mentre Koln continuava a parlare fitto.  Evidentemente gli stava raccontando la sua versione dei fatti.
“Non ci credo non è possibile…” sentì dire a Konrad mentre  i due si avvicinavano. Alla vista di Andrea Konrad si bloccò indeciso.
“Sig Jager non creda a quello che le dicono, Semir non farebbe mai del male a Ben, lo ama come un figlio, questo lei lo sa…”
Nessuno fece tempo a reagire perché finalmente dalla sala operatoria spuntò  il dottor Weiss.

 
Il gruppetto  fece immediatamente capannello attorno al medico
“Dottore questi sono il padre e la sorella di Ben, sono appena arrivati” fece Andrea
“Come sta mio figlio?” chiese Konard con un filo di voce
“E’ ancora vivo, ma questa, almeno per ora, è l’unica notizia positiva che posso darvi” rispose il medico serio

 
Kim si era seduta di nuovo davanti a Semir che, ansimando, cercava ancora di riprendere fiato.
“Non ci guadagna nulla ad aggredire Bohm, questo lo capisce vero?” lo rimproverò
“Sì ma si rende conto?? Mi ha accusato di aver tentato di uccidere Ben per i suoi soldi…”
 Il cellulare di Kim squillò all’improvviso facendo sobbalzare Semir.
“Sì… certo ho capito… a dopo Hartmut” mormorò Kim al termine della chiamata.
Semir non aveva il coraggio di chiedere; si limitò a guardare muto e pallidissimo il commissario.
“E’ uscito dalla sala operatoria…” disse Kim guardando a terra.
“Ma…”
“Semir… purtroppo non ci sono buone notizie. Lo tengono in coma farmacologico nella speranza che l’ematoma alla testa si riassorba, ma…il medico dice che sarebbe meglio prepararsi al peggio”  per la prima volta da quando lavorava con lei Semir sentì la voce della Kruger incrinarsi per l’emozione
Semir rimase immobile a fissare il vuoto, incapace di dire o fare e persino pensare qualcosa.
Dopo vari minuti di silenzio la Kruger riprese il controllo di se stessa
“Semir, lo so che è difficile in questo momento, ma è di vitale importanza che lei ricordi quello che è successo  nei due giorni in cui abbiamo perso le vostre tracce … proviamo a ripercorrere tutto con calma…”
 
Tre settimane prima

Ben agitava la testa ritmicamente e canticchiava la melodia che proveniva dalla autoradio, battendo le dita sul volante.
I ColdPlay  erano uno dei suoi gruppi preferiti e ascoltarli lo rilassava sempre. Anche perché ne aveva bisogno visto che il suo partener era ivece nervosissimo, come da molti giorni a questa parte.
Ben guardò dal lato passeggero e istintivamente gli venne da sorridere nel vedere la faccia paonazza di Semir che leggeva e rileggeva la lettera della banca che aveva in mano. Anche se in realtà non c’era nulla da ridere.
“Ma ti rendi conto? Dieci anni, sono dieci anni che sono correntista di quella banca, dieci anni che non ho pagato in ritardo neppure una rata del mutuo e mi rifiutano un prestito!” disse rabbioso l’amico mentre ripiegava la lettera
“Semir te l’ho già detto almeno venti volte, perché non accetti che te li presti io? Me lo posso permettere…”
“E io ti ho già detto che non è necessario. La colpa è tutta di  quello stupido di mio cugino Cem, non mi dovevo fidare… vai dal mio commercialista, diceva, cura gli interessi di tutta la comunità turca, è un investitore eccezionale, gli dai cento e ti restituisce mille… lo dovevo immaginare che sarebbe scappato con tutti i soldi…”
“Che ne potevi sapere? Come te si sono  fidate tante persone… e poi sinceramente sto iniziando ad offendermi per il fatto che non vuoi accettare il mio aiuto… in fondo tu, Andrea e le bambine siete la mia famiglia”
Semir guardò il giovane collega con affetto “Davvero Ben, preferisco cavarmela da solo, chiamalo orgoglio turco. Ma grazie comunque, sei un amico” gli sorrise
“Ok, ma ricordarti che l’offerta è sempre valida…”
I due ispettori arrivati al distretto e parcheggiata l’auto entrarono nel loro ufficio
“Gekan, Jager nel mio ufficio per favore”  fece la Kruger vedendoli entrare

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Capitolo 5
*** Sotto copertura ***


Sotto copertura
 
“Hai fatto qualcosa?” bisbigliò preoccupato Semir mentre si avviavano nell’ufficio del capo.
“Io no, almeno volontariamente… tu?” rispose l’amico.
Semir non rispose e si stampò sul viso il solito sorriso un po’ ebete che adoperava durante le ramanzine della Kruger.
Ma entrando nell’ufficio i due ebbero una sorpresa, il capo non era da sola.
“Signori, vi presento il vice questore Heiss della antidroga” fece Kim presentando l’uomo alto e biondo sulla cinquantina che sedeva al tavolo delle riunioni.
 Semir e Ben si guardarono con aria interrogativa, prima di sedersi anche loro al lungo tavolo.
“Ispettore Gerkan, Ispettore Jager sono lieto di fare la vostra conoscenza. Il Commissario Kruger mi ha assicurato che voi siete il meglio di quanto la Autostradale può offrire” Heiss fece un sorriso di circostanza.
“Dipende  da quello per cui ci offre…” fu la risposta ironica di Ben che si beccò una immediata occhiataccia di Kim.
“Vengo subito al punto. Questi è Harold Decker” disse Heiss mostrando sullo schermo  LED dell’ufficio la foto segnaletica di un uomo sulla sessantina, muscoloso e dallo sguardo di ghiaccio.
“Decker è un noto trafficante di stupefacenti statunitense. Proviene da New Orleans, ma recentemente i suoi affari si sono estesi qui in Europa. I colleghi americani alcuni mesi fa ce lo hanno segnalato  in Germania. A quanto pare sta cercando di immettere sul mercato una nuova droga sintetica, derivata dalla cocaina, chiamata “nightmare”. E’ una sostanza molto pericolosa perchè agisce sui neurorecettori e  annulla qualsiasi freno inibitore della personalità”
“Vale a dire?” chiese Semir
“Vale a dire che  dà una enorme euforia, ma dopo un certo periodo o quantitativo di assunzione rende il soggetto particolarmente vulnerabile alle suggestioni;  la sostanza lo induce a fare cose o azioni di cui non sarebbe mai capace normalmente. Potrebbe rapinare una banca o uccidere una persona come se niente fosse, e alla fine il suo ricordo non sarebbe altro che un incubo”
“Ecco spiegato il nome…” fece Ben
“Comunque venendo a noi, siamo a conoscenza che Decker in questo momento sta cercando investitori europei, gente che gli dia la liquidità necessaria per  acquistare un certo quantitativo di merce e poi rivenderla al miglior prezzo sulla piazza”
“E come può aiutarla l’autostradale in questa indagine?” chiese ancora Ben
“Beh… avremmo intenzione di mettere degli infiltrati nella organizzazione di Decker. Li facciamo passare per dei grossi investitori disposti a mettere grosse somme di denaro nell’affare per partecipare agli utili. Poi appena abbiamo le prove della cessione della droga li incastriamo”
“E dovremo infiltrarci noi? Perché non si rivolge ai  suoi stessi uomini, quelli dell’antidroga?”  chiese  sospettoso Semir.
“Perché purtroppo siamo quasi certi che nel nostro dipartimento ci sia una talpa.  Di questa operazione siamo a conoscenza solo io e il commissario Kruger, la quale mi ha assicurato che siete i suoi migliori uomini. Ovviamente la scelta se aiutarci o meno è rimessa a voi, perché  la cosa presenta notevoli rischi. Decker e la sua banda sono persone spietate, riteniamo che abbiano sulla coscienza almeno venti omicidi commessi  negli Stati Uniti ed in Sudamerica” fece imbarazzato Heiss
“Ma certo che vi diamo una mano” fece entusiasta Ben, beccandosi però una occhiataccia furibonda da parte di Semir
“Sig Jager sono lieto del suo entusiasmo, ma forse prima dovremmo discuterne un po’ fra noi” provò a calmare gli animi Kim
“Sì, ne dovremmo decisamente parlare!” fece preoccupato Semir continuando  a lanciare sguardi di fuoco all’amico.
“Ma certo, mi rendo conto. Allora vi lascio ragionare e magari ci sentiamo nel pomeriggio” disse Heiss uscendo  dalla stanza.


 
“Beh che c’è?” chiese stupito Ben.
“Come cosa c’è? E’ una cosa pericolosissima, ecco cosa c’è…  è meglio  che ci vada da solo” disse  sicuro Semir
“Cosa??? Tu hai famiglia, se è pericoloso semmai ci vado io da solo!!!” sibilò offeso Ben.
“Non se ne parla, io ho più esperienza, ho già fatto tante di queste operazioni e….”
“Guarda che anche io ho fatto operazioni sotto copertura, non ti scordare che prima ero all’LKA” fece sempre più offeso il giovane
“Signori!! Non mi pare il caso di litigare… siete entrambi poliziotti di esperienza ed in grado di portare a termine l’operazione. Ma vi invito a ragionare sui pericoli. Quando sarete infiltrati  sarete praticamente soli, ve la dovrete cavare senza il nostro aiuto, i contatti saranno limitati…”
“Questo lo sappiamo benissimo, ma mi pare che sia il nostro lavoro affrontare anche questi pericoli…” fece Ben. Anche Semir annuì.
“Ok, allora mi pare che siamo d’accordo, ci rivediamo nel pomeriggio per concordare con Heiss i particolari” chiuse la discussione Kim ,congedando i due.
Appena Ben si fu allontanato però Semir rientrò nell’ufficio di Kim
“Commissario, la prego non c’è modo di tenere Ben fuori da questa storia? Vado io da solo, lui è giovane…”
Kim lo guardò perplessa.
“Gerkan, capisco il suo desiderio di proteggere Jager, ma lui è un adulto ed un poliziotto molto capace, questo  lo sa anche lei. Non ha certo bisogno che lei gli faccia da balia in continuazione” fece severa
“Sì certo è un ottimo poliziotto ma… commissario, sento che qualcosa andrà storto in questa storia, la prego trovi una scusa e tenga  Ben fuori”
“Questo non  posso farlo e non posso mandare lei da solo, sarebbe troppo pericoloso. Quindi mi dispiace ma deve rassegnarsi…”
La discussione era chiusa e Semir uscì mogio dalla stanza.
“Allora ce ne andiamo al bar qui di fronte? Ti offro un ricco panino da  poliziotto prima che per un po’ di tempo non siamo più ufficialmente tali” fece allegramente Ben ad ora di pranzo.
Semir sorrise triste.
“Semir ma si può sapere cosa hai? Non è mica la prima volta che facciamo questo tipo di operazione. Non vedo perché stavolta devi essere così agitato…”
“E’ solo che ho un brutto presentimento. E poi dobbiamo lasciare tutto per chissà quanto tempo. Non era proprio il momento di lasciare Andrea da sola  ad affrontare i problemi con la banca…  te lo ripeto, tu dovresti restare qui, dovrei andare io da solo, sono il più esperto”
“Ricominciamo con questa storia?? Guarda che non ho bisogno che tu mi faccia da balia in continuazione…” Gli occhi di Ben ebbero lampi di risentimento.
“Ok, ok non c’è bisogno di offenderti…” Semir cercò di sdrammatizzare “Allora questo panino?? Lo voglio super completo, e voglio anche una birra” fece  mentre si alzava dalla sedia.
“Sì avviati tu, io ti raggiungo fra un minuto, mi sono appena ricordato che devo fare una chiamata…” fece il giovane
Appena Semir fu uscito dalla stanza Ben prese il telefono
“Sì ciao papà, sono io. Ho bisogno che tu mi faccia un grande favore…” disse mentre si girava dall’altra parte per non farsi vedere dall’amico.
 

Il pomeriggio passò in fretta, mentre i due ispettori concordavano con Heiss tutti i particolari della operazione.
“Allora Hartmut da stasera inserirà nella banca dati dell’Interpol i vostri falsi profili da criminali, così sarete coperti quando controlleranno” disse Kim mentre mostrava sullo schermo le loro foto segnaletiche
“Semir Hakan… sembra il nome di uno dei quaranta ladroni di Alì Babà” scherzò Ben guardando la foto dell’amico
“E perché il tuo? Ben  Stolman, sembra il nome di un attore di film porno…” rise Semir
“Signori non mi pare il momento di scherzare. Da domani vi trasferirete nell’albergo che abbiamo concordato. Ricordate: siete appena arrivati da Berlino ed avete molti soldi da investire. Poi nella serata vi recherete alla discoteca dove, secondo i nostri informatori, potrete prendere contatti con Decker” disse Heiss mentre richiudeva la valigetta
“Allora signori questo è il cellulare protetto per tenere i contatti. Mi raccomando tenetelo sempre con voi visto che funziona anche da microspia per stabilire dove siete. Ci sentiamo ogni sera alle 1,30. Siate molto prudenti e buona fortuna” disse Kim stringendo loro la mano.


 
Semir entrò in casa, mentre già da fuori sentiva l’odore dell’arrosto che Andrea stava cucinando. Peccato che  Ben non era voluto restare a cena.
“Tesoro…” lo accolse Andrea con il solito sorriso che faceva sentire Semir a casa dovunque fosse.
“Ciao amore, ti devo parlare…” fece Semir. Era meglio togliersi subito il pensiero di informare la moglie; anche se cercava di non darlo a vedere, Andrea era sempre terrorizzata quando il marito era impegnato in questo tipo di operazione.
“E quanto durerà?” chiese alla fine Andrea con sguardo triste
“Non lo so amore, forse un paio di settimane….”
Andrea sorrise “Ce la caveremo non ti preoccupare”
“Sì ma mi dispiace lasciare tutto così, con i problemi che abbiamo con la banca, l’ipoteca sulla casa…” dise sommessamente Semir
“Ma la banca non ti ha chiamato?” chiese sorpresa la moglie
“No..,.perchè?”
“Perché oggi pomeriggio  ha chiamato il direttore… ci hanno concesso il prestito, domani mattina ho appuntamento con lui per concordare tutto. Potremo estinguere e rinnovare l’ipoteca alle stesse condizioni” fece Andrea
“Davvero??  Meno male!! Sembravano così intransigenti.  Sono sollevato… ora vado più tranquillo…” Semir tirò un grosso sospiro di sollievo.
 

Semir giaceva nel letto senza però riuscire a dormire. Ai piedi del letto c’era la piccola valigia che Andrea aveva preparato con lo stretto necessario.
A Semir salì di nuovo il magone al pensiero di non poter vedere le sue bimbe per tanti giorni.
Continuò ad agitarsi nel letto fino a che Andrea non si girò verso di lui
“Cosa c’è tesoro, sei preoccupato? Con la banca è tutto a posto… noi staremo bene…”
“Sì si lo so ma… non sono tranquillo su questa operazione, ho un brutto presentimento. Avrei preferito che Ben ne stesse fuori…”
Andrea abbracciò il marito.
“Semir Ben è un adulto ed è il tuo partner di lavoro, e sul lavoro non devi considerarlo tuo figlio o  tuo fratello minore… non è necessario che tu lo protegga da tutto e tutti…”
“Questo lo so bene, mi ha salvato la vita molte volte. E’ un bravissimo poliziotto”
“E allora? Andrà bene e poi siete insieme, lo dici sempre anche tu, quando siete insieme  potete fare tutto” cercò di tranquillizzarlo la moglie
“Sì hai ragione…” fece il marito cercando di chiudere gli occhi e dormire.
Ma fu una notte agitata, in cui Semir non chiuse occhio.

 

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Capitolo 6
*** Decker ***


Decker

Ben si svegliò all’improvviso al suono stridulo della  sveglia digitale.
Era  ancora stanchissimo, aveva fatto molto tardi la sera prima allo studio del notaio.
Il vecchio funzionario, un amico di famiglia che da bambino Ben chiamava affettuosamente zio Nicholas,  aveva cercato di dissuaderlo in tutti i modi, senza risultato. Ci pensava già da un bel po’ d tempo, ed ora gli sembrava giusto il momento, senza rimandare ulteriormente.
“Il tuo amico ne è a conoscenza?” aveva chiesto Nicholas mentre porgeva a Ben i fogli da firmare.
“No e non ho intenzione di avvisarlo…”
“Ben sei sicuro? Non ti sembra una mossa avventata?”
“Assolutamente no, loro sono la mia famiglia  almeno fino a che non ne avrò una mia”
“Ma tuo padre e tua sorella? Anche lei potrebbe avere dei figli”
“I miei eventuali nipoti  saranno già ricchi e al sicuro grazie al patrimonio di mia sorella e di mio padre, non tolgo loro nulla”  aveva risposto alla fine sempre più seccato Ben
E ripensandoci gli sembrava sempre più la scelta giusta. Il pensiero lo faceva sentire più sicuro e sereno.

 
Sbadigliando Ben si infilò sotto la doccia e dopo una rapida colazione mise il borsone con i vestiti in macchina e passò a prendere Semir.
“Giorno sig. Hakan… come va sig. Hakan? Ha già salutato il suo capo Alì Babà? Ma quando deve aprire la porta di casa dice la famosa frase “apriti sesamo”?” lo accolse appena entrò nell’auto
Ma Semir non era di buon umore.
“Smettila di dire stupidaggini e andiamo a prendere l’auto” fece stizzito
“Ohi… siamo ancora di cattivo umore? Non è da lei sig. Hakan” rise Ben
Il socio si limitò a fargli una occhiata storta “Non sono di cattivo umore, sono solo serio e conscio dei pericoli che si corrono, non come te infantile ed incosciente”
Il sorriso si smorzò sulla bocca di Ben “Decisamente di cattivo umore…” sussurrò mentre avviava il motore della Mercedes.
Semir lo guardò di nuovo con un mezzo sorriso “Scusa… non sono di cattivo umore, solo un po’ preoccupato. E poi ho una buona notizia, ieri la banca ha chiamato e il direttore ha detto ad Andrea che ci concedono il prestito”
“Bene… è magnifico…”
“Già, non ci speravo proprio dopo l’ultima conversazione, chissà cosa ha fatto cambiare idea a quel pallone gonfiato”
“Beh come hai detto tu sei sempre stato un ottimo cliente…”
"Non credo, quelli se ne fregano dei  piccoli correntisti come me, chissà cosa è successo, ma ora come ora non ci voglio pensare. Dobbiamo concentrarci sull’operazione”
“Già… e soprattutto dobbiamo concentrarci sulla nostra piccoletta” sorrise a trentadue denti Ben parcheggiando la Mercedes proprio vicino alla Ferrari rossa che stazionava davanti al laboratorio di Hartmut. Era l’autovettura  che di solito usavano per le operazioni sotto copertura
“Ciao piccola mia… ti sono mancato? Tu mi sei mancata tanto…” fece il ragazzo accarezzando la carrozzeria
 “Ben la vuoi finire? Sembri un maniaco. E poi la guido io”  sghignazzò Semir
“Cosa?? Non se ne parla proprio. Il sedile non si sposta tanto avanti da permetterti di guidare bene. Questa piccola è fatta per gente alta, non per i nanetti”
Hartmut, che era già fuori ad aspettarli, tossì violentemente per far notare la sua presenza ai due ispettori che sembravano incantati a guardare la Ferrari
“Buongiorno… chiunque la guidi vedete di restituirla integra, non come l’altra volta che ci solo voluti più di cinquemila euro per le riparazioni”
“Ecco vedi, l’altra volta ti ha guidato lui e poiché non riusciva ad arrivare bene ai pedali non ha frenato a tempo, e tu ti sei fatta tanto male…” fece Ben con voce infantile, riprendendo ad accarezzare l’auto come se fosse una donna
“Ben, ora smetti di fare il cretino però, abbiamo altro a cui pensare”  lo richiamò Semir
“Allora ieri ho inserito i vostri falsi profili nel data base dell’Interpol. E questi sono i vostri nuovi documenti. Mi raccomando, vedete di non farvi beccare dai colleghi perché finireste in galera con il curriculum che vi ho confezionato” disse Harty porgendo loro i documenti
“Con questa faccia sembro un vero criminale…” disse Semir guardando la foto sulla patente falsa
“Perché?  In fondo è la tua solita faccia…” rispose Ben sbirciando da sopra la spalla dell’amico
“La volete finire?? Allora ricordate i soldi sono depositati presso la Bank of Colonia, il numero di conto lo sapete già.  E questi sono i vostri falsi biglietti per il volo di stamattina da Berlino. Non combinate guai e restate in contatto” fece Hartmut con aria seria e compassata.
Ben strappò di mano ad Hartmut le chiavi della Ferrari.
“Mia!!!” urlò felice mentre correva verso il posto di guida.
“E’ come avere a che fare con un bambino di dieci anni…” mormorò fra sé e sé Semir mentre si sedeva al posto passeggero.
“E vedi di andare piano, ho un’età ed il cuore inizia ad indebolirsi…” ordinò mentre Ben faceva rombare il potente motore della sua piccolina.

 
Il pomeriggio passò tranquillo nella suite dell’albergo che  avevano prenotato, con Ben attaccato ai video giochi che aveva trovato sul televisore della stanza e Semir a macerarsi nei suoi brutti presentimenti.
“Preparati forza, che fra un po’ dobbiamo uscire. E vedi di mettere in ordine questo casino”  borbottò Semir guardando i vestiti di Ben sparsi su tutto il pavimento della stanza.
“Sei peggio di Helga, la governante che avevo da piccolo. Sai, lei aveva prestato servizio per la famiglia Hitler prima…” scherzò Ben.
“Spiritoso, guarda che io l’ho conosciuta Helga, ed è una donna dolcissima, anche se non capisco come abbia fatto a restare tale dopo aver cresciuto te”
Ben mugugnò e borbottò mentre raccoglieva confusamente i vestiti e li appallottolava nella valigia.
“E questo lo chiami mettere in ordine?” fece Semir guardando la valigia da cui spuntavano confusamente magliette e pantaloni.
“Ohhh basta, fortuna che non siamo sposati” rispose Ben chiudendo a fatica la cerniera della valigia
“Già, che fortuna!!”
“E sappi che quando un giorno me lo chiederai, di sposarti, anche se ti metterai in ginocchio ti risponderò di no” fece alla fine Ben sparendo nel bagno
Semir sorrise; anche se  un po’ irritante l’allegria dell’amico era coinvolgente. Ma ci volle poco perché la sua mente si rabbuiasse di nuovo, invasa dai cattivi pensieri.

 
 La discoteca era fumosa e invasa da rumori assordanti.
Semir rimase per un attimo stordito dalle luci e dai suoni ed entrando si rese conto di quanto erano cambiate le cose da quando anche lui frequentava quei posti. Ragazzi con le più strane capigliature  e ragazze semisvestite si agitavano sulla pista al ritmo della musica assordante. Ben  invece era perfettamente a  suo agio in quella confusione. A Semir non sfuggirono gli sguardi più o meno espliciti di ammirazione che  il giovane collega suscitava al suo passaggio fra le ragazze
“Ah beata gioventù” pensò arrampicandosi sullo sgabello del bar mentre Ben prendeva posto accanto a lui.
“Cosa vi servo?” chiese la barista lanciando uno sguardo languido al più giovane.
“Due birre ed una piccola informazione” rispose Ben con un sorriso seducente
 La barista divenne improvvisamente sospettosa
“Stiamo cercando Harold, Harold Decker il tuo capo…”
“E perché lo cercate?”
“Questi sono affari nostri, tu digli solo che lo stiamo cercando e portagli i nostri biglietti da visita per favore dolcezza” fece Ben porgendo i bigliettini alla ragazza
“Lui non è qui” La ragazza era sempre più sospettosa
“Tu fagli arrivare i nostri biglietti da visita, noi aspettiamo qui che arrivi, dovunque lui sia…”  rispose Ben con un sorriso ironico
Ormai erano passate quasi due ore e nessuno si era fatto vedere.
Semir aveva la testa che gli scoppiava, non ce la faceva più a sentire la musica assordante, mentre la discoteca si era riempita all’inverosimile rendendo l’aria irrespirabile.
“Ben… fra un po’ è l’orario in cui dobbiamo chiamare la Kruger…” disse Semir all’orecchio dell’amico, nella speranza di farsi sentire in tutto quel chiasso.
“Aspetterà un po’, tanto cosa  vuoi che sia successo il primo giorno, non si impensierirà”
“No no abbiamo giurato e stragiurato di farci sentire tutti i giorni…”
Semir non riuscì a finire la frase; si zittì non appena vide due energumeni avvicinarsi.
“Buonasera signori” disse con esagerata gentilezza Ben.
“Perché volete vedere Decker?” chiese uno dei due.   
“Il perché sono fatti nostri e di Decker, non certo tuoi. Gli hai detto che lo stiamo aspettando?” disse duro Semir
I due si guardarono per qualche momento indecisi
“Ok, ha accettato di sentire cosa avete da dire” fece alla fine uno  dei due
Ben e Semir si alzarono dagli sgabelli.
“Tu no, solo lui” fece uno dei due uomini indicando Ben.
Semir si tese subito come una  corda di violino. “Non se ne parla proprio, o insieme o niente”
Ma Ben gli lanciò una occhiata di fuoco
“Ho detto solo lui!” intimò sempre più irato l’uomo di Decker
“Ok ok, solo io, andiamo, lui aspetterà qui buono” disse Ben lanciando ancora una volta uno sguardo severo a Semir.
Al piccolo turco non restò altro che rimettersi a sedere, mentre tutte le sue più fosche previsioni tornavano a tormentarlo.

 
Ben venne spinto con modi non troppo gentili  in un ambiente al piano di sopra rispetto alla pista da ballo.
La stanza era illuminata da forti luci al neon e Ben strizzò gli occhi  feriti dal brusco passaggio dalla semioscurità della discoteca.
All’ingresso uno degli uomini di Decker lo perquisì  e gli tolse la pistola che portava nella fondina sotto il giubbotto di pelle.
“Ehi, quella dopo la rivoglio” disse Ben guardando con aria di sfida gli uomini
Entrando nella stanza Ben  riconobbe subito Decker seduto ad una ampia scrivania al centro della stanza.
“Buonasera sig. Stolman, prego si accomodi” disse l’uomo in perfetto tedesco, sia pure con un leggero accento yankee
“Buonasera” fece Ben rimanendo in attesa
“Siete un po’ fuori zona per i vostri affari…” disse Decker guardandolo negli occhi e rigirando fra le dita i loro biglietti da visita
“Beh, il segreto di una buona impresa commerciale è estendere i propri confini…”
Decker gli fece un sorriso enigmatico.
 

 
L’uomo guardò il giovane dalla spessa tenda che fungeva da  separazione con  l’ufficio di Decker.
Jager. Se c’era lui ci doveva essere anche l’altro.
Non riusciva a credere alla fortuna che aveva avuto.
Dopo tanti anni,  alla fine dei suoi giorni, gli veniva data l’occasione di vendicarsi.
Anni di umiliazioni e sofferenze fisiche e mentali potevano finalmente essere ripagati.
Pensò al da farsi.
Certo poteva far ritrovare i due compari uccisi in un vicolo, sarebbe stato così facile.
Ma lui voleva la sua vedetta piena.
Gerkan non se la sarebbe cavata così  facilmente. La morte  era niente a confronto di quello che aveva in mente.
“Mi prenderò tutto quello che hai. Tutto” pensò provando per la prima volta da mesi una gioia profonda. 

 

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Capitolo 7
*** Il litigio ***


Il litigio
 
Semir stava iniziando a sudare freddo anche se la temperatura all’interno della discoteca era di almeno 30 gradi.
In più occasioni aveva vinto a stento la tentazione si alzarsi e precipitarsi nella direzione in cui aveva visto sparire Ben con i due scagnozzi, ma poi  il desiderio di non compromettere l’operazione aveva prevalso.
Agitatissimo guardò per  l’ennesima volta l’orologio solo per accorgersi che erano passati sì e no cinque minuti dall’ultima volta che l’aveva guardato.
Quasi un’ora. Era passata quasi un’ora.
"Ancora dieci minuti e poi vado a cercarlo” si ripromise Semir guardando nervosamente la porta in cui era sparito il suo partner.
 

Dieci minuti dopo stava per alzarsi dallo sgabello quando finalmente lo vide spuntare e venirgli incontro.
“Cazzo Ben… ma dove sei stato,  stavo diventando pazzo qui ad aspettare. Ancora due minuti e sarei venuto  a cercarti”
“E così mandavi a rotoli l’operazione. Sinceramente Semir dovremmo parlare un attimo del modo di rapportarci. Sono un adulto e perfettamente in grado di difendermi. Sono un poliziotto, maledizione, e non ho bisogno di un angelo custode ventiquattrore su ventiquattro”
“Ok, possiamo parlarne dopo?  Che ti ha detto? L’hai visto?”
“Usciamo, così parliamo con calma” fece Ben avviandosi verso l’uscita
Una volta all’esterno i due salirono in macchina.
“Allora l’ho visto e gli ho parlato dell’affare, della nostra intenzione di investire molti soldi nel suo business”
“E?”
“E niente, ha detto che  ci contatterà lui se ha qualcosa da proporci…”
“E tu non hai insistito? Dovevi farlo scoprire…”
“No non ho insistito più di tanto, non volevo farlo insospettire…”
“Ma come non volevi farlo insospettire??? E ora che facciamo aspettiamo? e se non ci chiama?” Semir era irritato per la gestione della cosa da parte del giovane collega
“E che dovevo fare? Costringerlo a farci entrare subito nell’affare? Avrebbe mangiato la foglia…” Anche Ben stava iniziando ad irritarsi.
“Sì ma…” provò a ribattere Semir.
“Sì ma cosa? Avanti dillo, dì quello che pensi: che se ci fossi stato tu a gestire la cosa…”. Ora Ben era davvero incazzato.
“E’ solo che ho più esperienza…” Semir  nell’istante in cui pronunciava le parole se ne pentì; era la classica cosa che faceva andare  il suo giovane collega in bestia.
“Perfetto, siamo al solito discorso. Tu non ti fidi di me e delle mie capacità. Sinceramente a volte non capisco come possiamo essere partner, se non ti fidi di me”
Ben scese dall’auto sbattendo la portiera.
“Ben!! Dove vai, torna qui!!” lo richiamò Semir
“Torna in albergo, io ti raggiungo dopo. Ho bisogno di un po’ d’aria!” gli urlò dietro il ragazzo mentre si avviava a passo svelto.
 “Ben!! Ben!!” provò ancora a richiamarlo il partner, senza risultato
“Maledizione!!” fece alla fine Semir sbattendo la mano sul volante e mettendo in moto.
 

Ben camminava ormai da un bel po’. Dovevano essere almeno le quattro del mattino e nell’aria fredda non c’era anima viva sulla strada.
A Ben era sempre piaciuto camminare da solo di notte.  Lo aiutava a chiarirsi le idee.
Anche quando era ragazzino, dopo i furibondi litigi con suo padre, appena poteva scappava via e passeggiava per ore lungo le vie adiacenti alla villa, fino a che Helga la governante non veniva a cercarlo terrorizzata.
Passato il tumulto interiore cercò di calmarsi e soprattutto di calmare il  leggero senso di colpa che lo afferrava ogni volta che litigava con Semir.
Ben non ne capiva bene la ragione, ma ogni volta che discuteva con il collega,  poi si sentiva in colpa; in colpa per averlo offeso, in colpa per averlo fatto stare male.
“Ammettilo Ben, tu in realtà vuoi solo che lui sia orgoglioso di te. E se continui a consideralo come tuo  padre poi non ti meravigliare se  lui ti tratta come se fossi suo figlio” si disse mentre lentamente prendeva la via dell’albergo.
Era quasi giunto  all’ingresso quando sobbalzò al rumore di una forte frenata alle sue spalle.
Allarmato, mise la mano sulla fondina della pistola e si girò di scatto.
“Buonasera Ispettore Jager”  disse  nella oscurità una voce a lui ben nota.
 
 
Semir era tornato in albergo e si era gettato sul divano senza nemmeno togliersi il giubbotto.
Più volte aveva preso il cellulare in mano per chiamare l’amico, ma lo conosceva bene; era meglio lasciarlo stare per un po’.
Ora si pentiva della scarsa fiducia che gli aveva dimostrato; era ovvio che all’inizio non poteva scoprirsi troppo.  Ma lui si era innervosito per la tensione provata nei minuti precedenti. E poi c’era quella strana orribile sensazione che provava dall’inizio della storia.
Guardò l’orologio. Ormai Ben era fuori da almeno due ore. E faceva freddo.  Prese di nuovo il telefono per chiamarlo, ma ancora una volta si bloccò.
“Lascialo stare ancora un po’… non è successo nulla” si disse mentre si avviava in bagno.

 
“Commissario Bohm” disse Ben, a metà fra il sorpreso ed il disgustato, nel vedere l’alta figura davanti a lui.
“Possiamo scambiare due chiacchiere?” Anche nella oscurità Ben poteva scorgere il sorriso beffardo che l’uomo aveva sul volto.
Fu seriamente tentato dal rifiutare, ma era un poliziotto e Bohm era tecnicamente un suo superiore, così Ben annuì.
“Cosa ci fa qui?” chiese però sospettoso
“ Le sarà stato detto che abbiamo fondati sospetti che nella banda di Decker ci sia una talpa…”
“Ed ecco che magicamente apparite voi della disciplinare…” rispose Ben ironico
“Già.”
“Come posso evitare di aiutarla?” disse ancora Ben sempre più beffardo
“La smetta di fare lo spiritoso e si guardi le spalle piuttosto…” fece ancora più beffardo Bohm
Ben rimase a guardarlo interdetto.
“Il suo amico Gerkan… lo stiamo tenendo d’occhio.” Continuò Bohm
“Cosa?? Ma lei deve essere fuori di testa!!!”
“Sapevo che avrebbe avuto questa reazione, ma era mio dovere informarla. Stia attento, Gerkan è implicato in cose poco chiare, mi creda”
“E cosa l’ha fatta giungere a questa illuminante considerazione?” Ben quasi rideva in faccia a Bohm
“E’ a conoscenza che questa mattina c’è stato un grosso trasferimento di denaro sul conto del suo amico? Che guarda caso è arrivato giusto in tempo per impedire che la casa dove vive e su cui c’è una ipoteca venisse messa in vendita.”
“La smetta, è stato un prestito della banca”
“Apparentemente, ma in realtà il denaro proviene da un conto estero  ed è solo transitato attraverso la banca”
Ben guardò in faccia Bohm “Commissario mi creda lei invece… sta prendendo un colossale granchio e si renderà di nuovo ridicolo…”
Bohm non reagì, anche se divenne paonazzo.
“E si è chiesto come mai il suo compare stavolta ha cercato in tutti i modi di tenerla fuori dall’operazione? In fondo fate tutto insieme voi due…”
“Basta ora mi ha stancato. Lei è ridicolo come al solito. Se vuole correre appresso alle sue fantasie faccia pure, tanto farà come al solito in grosso buco nell’acqua e spero solo che questa sia la volta buona  per farla cacciare” fece Ben girandosi ed entrando nell’albergo.
“Non dica che non l‘avevo avvertita!!” gli gridò dietro Bohm

 
Semir tirò un sospiro di sollievo sentendo la porta della camera  aprirsi.
Svelto chiuse gli occhi, facendo finta di dormire mentre sentiva Ben che entrava in bagno.
Appena uscì però richiamò l’amico.
“Ben…”
“Ti ho svegliato, mi spiace” fece l’amico
“Tutto a posto?” chiese Semir
“Sì certo ho solo fatto una passeggiata” Ben era sul punto di raccontare del suo incontro con Bohm, ma poi si trattenne. Non sarebbe servito a nulla, solo a farlo preoccupare per la paranoia inutile di quel deficiente.
“Ben senti io non volevo…” iniziò Semir
“Sì lo so…” rispose l’amico.
Era sempre così fra i due dopo un litigio.
Uno iniziava il discorso di scuse che però non veniva mai portato a termine, perché l’altro lo bloccava. In fondo non c’era bisogno di usare molte parole, erano come una vecchia coppia di coniugi  in cui uno sa già cosa vuole dire l’altro prima ancora che le parole vengano pronunciate.
“Ok” fece Semir
“Ok” fece Ben
“Hai chiamato la Kruger?” chiese Ben
“Sì. tutto a posto. Ho chiamato anche casa, sai, in banca è andato tutto bene… potrai ancora venire a cena nella nostra vecchia dimora”
“Magnifico”
“Dormiamo?” chiese Semir
“Sì, ma per favore cerca di non russare come al solito… sembri un escavatore”
 
 
 “Allora capo quando agiamo?” chiese Decker all’uomo  seduto sul divano.
“Calma Harold, ci vuole calma, la vendetta è un piatto che va servito freddo” rispose l’uomo, ben felice di spendere il poco tempo che gli rimaneva a preparare  la  sua vendetta

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Capitolo 8
*** La trappola ***


La trappola

Ormai erano passate quasi tre settimane da quando  avevano contattato Decker, senza che l’uomo si facesse più sentire.
Lo sconforto si era impadronito dell’animo dei due poliziotti ed i rapporti si erano fatti sempre più tesi,come quelli di due animali costretti a condividere una gabbia troppo stretta.
Per un paio di volte erano tornati alla discoteca, ma gli scagnozzi di Decker si erano limitati a riferire che non c’erano novità per loro.
Ben passava le giornate a giocare ai videogiochi o a strimpellare alla chitarra che aveva furtivamente recuperato dal suo appartamento, mentre Semir si limitava a ciondolare nella stanza di albergo e a cercare di mettere in ordine quello che Ben metteva in disordine due minuti dopo.
Mentre  si preparavano alla ennesima serata noiosa a base di tv e pizza, finalmente il cellulare di Ben squillò.
Il giovane guardò il numero e immediatamente si raddirizzò dal divano su cui era steso.
“Sono loro” disse guardando Semir,  che era uscito di corsa dal bagno.
“Finalmente” sospirò  lui anche se la solita sensazione, mista fra paura e inquietudine, tornava a salire sin quasi a soffocarlo.
“Certo, allora a domani” disse Ben chiudendo la breve telefonata.
Semir lo guardò subito con aria interrogativa.
“Domani pomeriggio alle cinque alla discoteca, con cinquecentomila euro da investire nell’affare”  lo informò Ben.
“Ok avverto la Kruger” rispose Semir mentre prendeva il cellulare con la linea protetta.
 

“Senti Ben…” mormorò Semir quando erano già a letto, dopo aver organizzato tutto per il giorno dopo.
“Mmmm” mormorò l’altro mezzo addormentato.
“Che ne dici se domani vado solo io? Sarebbe meglio se tu seguissi l’operazione dall’esterno, così fai anche le registrazioni…”
“La registrazione la fa Hartmut appena gli segnaliamo il posto… mi spieghi cosa ti piglia? Perché stai cercando di tenermi a tutti i costi fuori da questa operazione??” fece Ben balzando a sedere sul letto, completamente sveglio.
“Non ti voglio tenere fuori… è solo che….” Semir era imbarazzato a spiegare le sue sensazioni.
“Solo cosa Semir??  Sto iniziando a seccarmi sai, sembra quasi che  tu non mi ritenga in grado di fronteggiare la situazione….” La voce di Ben ora era irata.
“Non dire sciocchezze. E’ solo che… ho un strana sensazione… è come se sapessi che in questa storia qualcosa andrà storto”
 “Secondo me stai diventando un po’ paranoico. Abbiamo già fatto questo tipo di operazione. E se qualcosa deve andare storto è meglio che stiamo insieme”
Semir rimase in silenzio.
“Sì lo so che hai ragione, ma… ho paura” sussurrò alla fine.
“Beh anche io ho un po’ di paura. Ma se stiamo insieme ne ho di meno, credimi”
“Ok…” si rassegnò alla fine Semir
“Ora dormiamo dai…” sbadigliò Ben rimettendosi giù
Ma Semir passò l’ennesima notte insonne.

 
“Allora mi raccomando signori, tenete sempre il cellulare acceso, servirà per rintracciarvi. Appena vi muovete verso il luogo dell’incontro con i compratori vi seguiremo,  seguendo il segnale GPS, a distanza di sicurezza e ci posizioneremo per registrare il tutto”. La Kruger era efficiente come al solito.  
  “Ok capo siamo d’accordo” disse Semir al telefono mentre usciva dalla banca con la valigetta del denaro e  saliva in macchina.
“Semir… mi raccomando prudenza” fece ancora la Kruger con voce seria, chiudendo la chiamata.
“Tutto a posto?” chiese Ben all’amico seduto a fianco del posto guidatore
“Sì , solo che la Kruger è nervosa” sorrise Semir.
“Senti chi parla…” rispose ironico Ben.
Semir aprì la valigetta, scoprendo le fila di banconote da cinquecento euro, ordinate in mazzette
“Wow”, esclamò, “Mai visti tanti soldi tutti insieme”
“Sì, e vediamo di non perderli di vista, altrimenti la Kruger ci scotenna”
 Semir continuava a guardare le banconote come incantato “Cinquecentomila euro… pensa a quante cose si possono comprare con tutti questi soldi…”
“Sono solo soldi Semir” rispose Ben pensieroso
“E’ facile per te, che sei cresciuto  mangiando con le posate d’oro. Io cinquecentomila euro non li guadagnerò neppure in tutta la mia vita. Probabilmente alle mie figlie non potrò neppure comprare una casa dove vivere quando si sposeranno…”
“Credimi socio,  probabilmente hai avuto più tu nella mia infanzia di quanto possa mai avere avuto io. I soldi non comprano la serenità. E quello che tu lascerai un domani alle tue figlie è molto più che una casa o somma qualsiasi”
Semir sorrise e richiuse la valigetta.

 
L’uomo guardò Decker che si stava preparando  all’incontro nella discoteca deserta a quell’ora del pomeriggio.
Stava per iniziare la sua vendetta e lui se la sarebbe goduta in ogni aspetto sino alla fine.
“Io sono pronta, zio” fece la voce femminile alle sue spalle.
L’uomo si voltò a guardare la giovane donna bionda. Era così bella, il ritratto di sua madre, ed era l’unica persona della famiglia che gli era rimasta, l’unica che forse avrebbe pianto sulla sua tomba.
“Grazie Elli, hai fatto un buon lavoro” rispose prendendo dalle mani della ragazza la valigetta con le provette.
“Zio, ma lo sai vero quanto può essere pericolosa  la sostanza che ho sintetizzato? Perché non mi dici a cosa ti serve?”
 “Elli bambina mia… mi hai già aiutato tanto, e avrò ancora bisogno del tuo aiuto, ma sai già che non posso dirti tutto. E’ per il tuo bene. Ma sappi che dopo questa storia morirò finalmente in pace…”
La ragazza abbassò gli occhi e non fece altre domande.

 
“Ok ci siamo…”  Semir sospirò cercando di dominare la sensazione di paura che ormai si stava facendo insopportabile
Ben scese dalla macchina e con fare sicuro si diresse verso l’entrata della discoteca.
Lui e Semir vennero immediatamente bloccati dagli scagnozzi di Decker.
Spontaneamente consegnarono loro le pistole, ben consci che comunque gliele avrebbero tolte.
Entrando nella discoteca notarono subito  quanto fosse ampia quando non c’era quella marea di gente che ballava e beveva.
Decker li stava aspettando seduto al bancone del bar.
Sorrise enigmatico quando Semir posò la valigetta sul bancone.
“Lei deve essere il sig. Hakan…” disse guardando Semir negli occhi.
Semir annuì ed aprì la valigetta girandola verso Decker.
“Noi abbiamo fatto la nostra parte, ora ci aspettiamo  un riscontro…”
“Come ho detto al suo socio la percentuale è del 10% di quello che riusciamo a piazzare, il che significa che in meno di due mesi recupererete l’investimento ed in sei lo raddoppierete”
“Molto bene, ma noi vorremmo partecipare  alle vendite…”
Decker fissò Semir duro
“Non vi fidate?”
“Beh… vi abbiamo dato un mucchio di soldi; mi pare giusto sapere con chi abbiamo a che fare”  
Decker guardò Semir negli occhi
“Mi sembra giusto, fra poco abbiamo il primo incontro con uno degli acquirenti. Se volete potete venire all’incontro”
Semir e Ben annuirono e seguirono gli uomini di Decker fuori dalla discoteca.
“Tutto troppo facile” pensò tuttavia Semir mentre azionava il cellulare per farsi rintracciare dalla Kruger
 
 
“Dove stiamo andando?” chiese Ben  salendo sul piccolo minivan con Decker e  tre dei suoi scagnozzi
“Al vecchio aeroporto” rispose Decker con aria indifferente
“E chi sono questi compratori?” chiese invece Semir
“Stranieri….” rispose laconico Decker.
Mentre il minivan percorreva la strada  l’ansia di Semir iniziò a crescere sempre più.
“Ehi…ma questa non è la strada per il vecchio aeroporto…” disse mentre il minivan usciva da un varco della autostrada e si avviava per uno stretto viottolo
“Già…” sorrise Decker
“A che gioco vogliamo giocare??” disse Ben.
“Vi consiglio di stare buoni signori” rispose Decker puntando loro la pistola, contemporaneamente ai suoi uomini. Uno di loro afferrò Semir per la giacca e gli tolse dalla tasca dei pantaloni il cellulare che subito schiacciò con lo stivale, distruggendolo.
Ben e Semir si guardarono: erano stati scoperti.

 
Dopo pochi chilometri il minivan rallentò ed entrò in un piccolo magazzino. Subito dopo l’ingresso la pesante porta venne chiusa da due uomini in attesa
Ben e Semir vennero prelevati dal minivan e scaraventati a terra.
L’ambiente era, tranne una piccola luce al soffitto,  quasi completamente  buio, ma Semir cercò di tenere comunque il contatto visivo con il suo partner.
Cercò anche di dirgli con gli occhi di non muoversi, ma Ben -impulsivo come al solito- cercò di rialzarsi.
Uno degli scagnozzi di Decker colpì il giovane con il calcio della pistola alla testa, facendolo stramazzare a terra privo di sensi.
Semir andò nel panico.
“Ehi voi lasciatelo stare” urlò mentre altri due uomini trascinavano via Ben esamine.
Cercò di alzarsi ed bloccare gli uomini per difendere il giovane collega, solo per essere colpito anche lui da un forte pugno sul volto.
Ancora intontito e con il naso sanguinante Semir cercò ancora una volta di alzarsi, ma venne bloccato per le braccia, in ginocchio.

“Buonasera ispettore Gerkan… che piacere rivederla. Ma a quanto pare ogni volta che ci vediamo  succede qualcosa al suo partner…” fece una voce uscendo dalla oscurità.
Alla fioca luce della lampada sul soffitto Semir alzò la testa e quello che vide lo lasciò di stucco e senza fiato.

“No… non è possibile tu sei morto!!” sussurrò incredulo.

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Capitolo 9
*** Ritorno al presente ***


 
A grande richiesta eccovi subito un altro capitolo. Ma chi era preoccupato per la salute di Ben non sarà  purtroppo rassicurato. 
Come  noterete in questa storia ci sono un po’ di salti temporali (o flash-back). Mi scuso se la cosa rende la lettura un po’ difficile, soprattutto per chi non legge tutti i capitoli in  sequenza 

 
Ritorno al presente
 
Kim Kruger balzò in piedi  spaventata nel vedere Semir dall’altro lato del tavolo sbiancare e ansimare in cerca d’aria.
Fece il giro del tavolo e si avvicinò all’ispettore, scuotendolo per le spalle, ma l’uomo sembrava quasi catatonico
“Semir… Semir che ha?? Che cosa ha ricordato? Chi era quell’uomo?”
Il piccolo turco guardò il Commissario con occhi sbarrati.
“Non è possibile, non può essere lui…”
“Lui chi? Chi c’era nel magazzino?” chiese sempre più ansiosa Kim.
“S… Sander Kalvus…Commissario c’era Sander Kalvus”  balbettò Semir tremando come una foglia.
“Sander Kalvus??? Non è possibile Semir. Sander Kalvus è morto. E’ morto quasi un anno fa nel centro di detenzione di Norimberga.”
“Sì lo so…ma io l’ho visto Commissario…”
“Semir abbiamo visto il suo cadavere. Siamo andati all’obitorio, io e lei, proprio per sincerarci che fosse morto. E’ stato sepolto davanti ai nostri occhi”
Kim ripercorse mentalmente quel giorno, quando avevano saputo della morte in carcere di Kalvus, l’assassino di Chris Ritter, il precedente compagno di Semir. Lui aveva talmente insistito per andare a controllare che il criminale olandese fosse effettivamente morto che alla fine aveva ceduto.
Già una volta Kalvus era riuscito ad uscire di galera, e Ben e Semir avevano rischiato la vita nel loro primo caso insieme per riacciuffarlo.
Kim aveva ancora vivida l’immagine di Semir che fissava sul tavolo dell’obitorio, immobile, il viso di Kalvus, segnato dalle cicatrici provocate dall’incendio dell’elicottero sui cui il criminale aveva tentato di scappare e che Semir aveva abbattuto, subito dopo aver assistito alla morte del suo partner.
L’ispettore era rimasto immobile ed impassibile anche mentre la bara veniva calata nella tomba del piccolo cimitero del carcere, dopo che nessuno aveva reclamato il cadavere.
 
“Sì lo so che abbiamo visto il cadavere, ma….” Semir continuava a tremare come una foglia
“Si calmi Semir… e mi dica cosa altro ricorda, cosa è successo dopo??”
L’uomo la guardò con occhi colmi di paura e ansia.
“Nulla, non mi ricordo più nulla, già la presenza di Kalvus è emersa a fatica nella mia mente… dopo è il nulla assoluto, una lavagna nera” sussurrò con voce rotta dall’emozione. Nella sua mente ritornarono però prepotenti le immagini dell’incubo avuto in ospedale
“Semir… ma ne è sicuro? Non può essere un suggestione?”
“No non ne sono sicuro, era lui… ma quello che è successo dopo non me lo ricordo proprio. Almeno lei mi deve credere Commissario, la prego…”
Kim si sedette sospirando sulla sedia.
“La situazione non è per  niente facile Semir. C’è la registrazione in cui si vede chiaramente lei che insegue Ben nel magazzino, le tracce sotto le sue unghie, il sangue di Ben sui suoi vestiti. Nessuno è entrato o uscito dal magazzino da quando è arrivata la SEC e quando sono entrati l’hanno trovata con ancora in mano la sbarra con cui è stato colpito Ben; e poi ci sono i soldi sul suo conto arrivati chissà da dove, il testamento e neppure le  analisi del sangue hanno dato i risultati sperati. Credevo che avremmo trovato traccia di quella droga allucinogena ed invece  ci sono solo tracce di cocaina…”
“Lei mi deve credere Commissario, io non potrei mai fare del male a Ben, neppure se ne andasse della mia stessa vita…” sussurrò Semir
“Certo lo so, ma io non posso andare da Bohm e dirgli come unica giustificazione che lei ha visto  un uomo morto e sepolto da più di un anno…”
Proprio in quel momento entrò nella stanza una delle guardie carcerarie.
“Il giudice ha rinviato l’interrogatorio a domani, quando saranno arrivate le informazioni bancarie… dobbiamo portare il detenuto in cella” disse l’uomo senza alcuna emozione nella voce.
Kim si alzò.
“Ora  si riposi Semir, e cerchi di ricordare quello è successo. Io cercherò di avere informazioni da Heiss, il commissario dell’antidroga, in fondo è lui che ci ha cacciato in questo pasticcio. Sarebbe preferibile che per ora non parlasse con nessuno di quello che ha ricordato”
Semir annuì e si alzò con le spalle ingobbite.
“Commissario… non posso vedere Ben? Per favore…” supplicò prima di uscire.
“Cercherò di fare il possibile. Ci vediamo domani”  lo salutò Kim mentre l’agente lo spingeva fuori.
 

Semir cercò di non fare caso alle grida di scherno che provenivano dalle varie celle al suo passaggio.
Una buona parte degli ospiti della struttura era tale perché o lui o Ben ce li avevano spediti.
“Ehi sbirro… è un piacere averti qui… ci vediamo domattina alle docce… stanotte vengo a trovarti…”
Le risate e le urla erano insopportabili, ma Semir non se ne curava, pur conoscendo perfettamente il trattamento riservato di solito ai poliziotti in carcere.
“Il direttore ha ordinato di metterti in isolamento, per il tuo bene” disse la guardia mentre lo conduceva in una zona separata del reparto di detenzione.
 Appena la pesante porta in ferro si chiuse davanti a lui si buttò sulla piccola brandina sistemata lungo il muro della cella squallida.
A parte la branda ed un tavolo e la latrina, separata da un piccolo muro, non c’era altro nella cella.
Il televisore non era ammesso nelle celle di isolamento ed anche la piccola finestra non dava sull’esterno.
Semir cercò di sistemarsi e coprirsi  con la coperta ruvida. Sentiva un freddo terribile, ma si rendeva conto che neppure cento coperte  sarebbero riuscite a scaldarlo.
Perché sentiva freddo nell’anima.
 

 
Konrad Jager entrò silenziosamente nella stanza di ospedale, cercando di fare meno rumore possibile.
Anche se non sapeva perché, visto che il ragazzo steso sul lettino d’ospedale, circondato da una miriade di macchinari e tubi, non poteva sentirlo comunque.
Si sedette di nuovo sulla scomoda sedia a fianco al letto e prese la mano gelida ed inerte di suo figlio  nella sua.
Erano già passate diverse ore da quando l’aveva visto alla uscita della sala operatoria, ma ancora non riusciva a credere che quella figura immobile nel letto, la testa completamente fasciata, fosse  davvero suo figlio. Il vulcanico, irruento, allegro, gioioso ragazzo che aveva messo al mondo.
Pensò a tutto il  tempo sprecato a litigare su cose inutili, a tutte le cose non dette,  agli abbracci e baci non dati.
Rimase in silenzio ad ascoltare il rumore  regolare del cardio-frequenzimetro e quello della macchina che ritmicamente immetteva attraverso il tubo aria nei polmoni di Ben, facendogli  alzare in corrispondenza il torace.
Gli unici segni che era ancora vivo.
Perché Ben era ancora vivo.
Nonostante quello che  gli aveva appena ripetuto il medico, il pessimismo che leggeva negli occhi delle infermiere,  suo figlio era ancora vivo.
“Ti prego Beth… ti prego aiutalo, lascialo  ancora qui con me…”Konrad pregò mentalmente la moglie morta.
Era così immerso nei suoi pensieri che a stento si accorse che Julia era entrata e gli aveva toccato la spalla.
La ragazza aveva gli occhi gonfi di pianto.
“Papà… dovresti andare a riposare. Resto io…”
“No no cara, voglio stare qui…”
“Ma papà…”
“Niente ma… voglio stare qui. E’ l’unica cosa che posso fare per lui ora: stare qui e pregare” disse il vecchio deciso.
 
Una infermiera fece capolino dalla porta
“Sig Jager… c’è un poliziotto fuori, dice che vorrebbe  parlare con lei” sussurrò la giovane
Meccanicamente Konrad si alzò ed uscì,  malfermo sulle gambe.
Fuori lo stava aspettando un uomo alto.
“Buonasera Sig. Jager, sono il Commissario Bohm…”
“So chi è lei” rispose gelido Konrad. Conosceva la storia di Bohm ed il fatto che anni prima aveva fatto arrestare Ben e Semir sulla base di una accusa ridicola.
“Innanzitutto volevo dirle quanto mi dispiace per suo figlio e che faremo di tutto per incastrare Gerkan. Quel bastardo non uscirà più di prigione, mi creda”
Konrad rimase in silenzio. Era troppo stanco per rispondere a quell’uomo come doveva.
“Commissario, per quanto io possa sapere, non credo proprio che Semir Gerkan farebbe mai del male a Ben. Sono molto legati, è il migliore amico di mio figlio. Probabilmente è la persona che gli è più vicina, più vicina anche di me” sussurrò il vecchio, malinconico.
“Lo so che può sembrare assurdo, ma le prove che abbiamo sono schiaccianti. E per soldi  spesso si è disposti a tradire anche il migliore amico”
“Ma come fa a dire una cosa del genere… io non credo…”
“Beh in primo luogo Gerkan si è procurato da un momento all’altro una notevole somma di denaro, mentre aveva delle difficoltà economiche. Si è fatto accreditare duecentomila euro da un conto estero..”
“E’ solo questo che avete in mano? Allora state proprio prendendo un granchio”  disse sorpreso Konrad
Bohm lo guardò perplesso.
“Quei soldi, Commissario, provengono dal mio conto personale in Svizzera”  continuò Konrad


 
Silenzioso e guardingo si aggirava fra i corridoi creati dalle  pile di casse in giacenza, sino a che lo vide.
Era di spalle, poteva coglierlo di sorpresa.
Si avvicinò con passo felpato, ma lui all’ultimo istante si accorse della sua presenza alle spalle e si girò, proprio mentre stava sollevando la sbarra per colpirlo.
“No Semir che fai!! Sono io, sono Ben, non puoi farlo…” urlò  con lo sguardo terrorizzato ed incredulo. 
 
Semir si svegliò ancora una volta urlando terrorizzato. Lo stesso sogno, aveva fatto di nuovo lo stesso sogno e stavolta la sensazione era stata ancor più sconvolgente.
Ansimando Semir andò verso il piccolo lavandino della cella e si bagnò il viso. Guardandosi nel piccolo specchio incassato nel muro  sentì le lacrime che ancora una volta prepotenti salivano agli occhi.
“Gerkan… hai una visita in parlatorio. Tua moglie.” gli urlò il secondino mentre apriva la cella.
Semir cercò di mettersi il più possibile in ordine ed uscì dalla cella, accolto nuovamente dalle urla ed i fischi di scherno degli altri detenuti.
Andrea lo stava aspettando seduta da un lato del grande tavolo diviso da uno spesso vetro.
“Amore…” Andrea balzò in piedi appena vide il marito entrare.
I due cercarono di abbracciarsi, immediatamente bloccati dal secondino nella stanza.
“Nessun contatto fisico!!” urlò sgarbato.
I due si sedettero obbedienti
“Come stai?” chiese ansiosa Andrea vedendo le condizioni del marito. Era pallidissimo, con enormi occhiaie, invecchiato di almeno dieci anni.
Semir si strinse nelle spalle.
“Ben?” chiese in un sussurro
Andrea non ebbe il coraggio di guardarlo in faccia. “Sempre uguale… in coma… non risponde agli stimoli esterni. Non sappiamo se e quando si sveglierà”
Se possibile Semir si strinse ancora più nelle spalle. “Se almeno potessi vederlo, stare un po’ con lui…”
“La Kruger sta cercando di ottenere un permesso, ma non è facile…”
“Certo, l’assassino che chiede di andare a trovare la sua vittima” fece amaro Semir
“Semir, anche se ancora non ricordi cosa è successo davvero devi esserne certo, tu non puoi aver fatto quello che dicono, non puoi” Andrea cercò di infondere più sicurezza possibile nella voce.
Ma il marito la guardò con gli occhi tristi.
“Ho avuto di nuovo quell’incubo…”
“E’ solo un incubo Semir”
“Sì, ma corrisponde a quello che è stato registrato dalla telecamera di sorveglianza” obiettò Semir
“Non sappiamo cosa è successo dopo” Andrea cercava disperatamente di tenere il marito fuori dalla depressione che incombeva minacciosa
Semir rimase per un po’ in silenzio
“La cosa che mi sconvolge di più è la sensazione che provo in quel sogno. Io sento di odiarlo, Andrea, non so perché ma io voglio ucciderlo…” Semir confessò tutto in un soffio con lo sguardo fisso a terra.
“Tu non odi Ben. E’ una suggestione, un incubo. Non devi pensarci”
La conversazione venne interrotta dalla entrata della Kruger.
“Buongiorno Semir, Andrea” salutò la donna “Ho buone notizie, il giudice le ha concesso gli arresti domiciliari”
Semir ed Andrea guardarono perplessi il Commissario
“Il quadro delle prove si è alleggerito. Il notaio ha confermato  di aver più volte invitato Ben ad informarla del testamento, ottenendo un netto rifiuto. E poi abbiamo capito da dove vengono i soldi accreditati sul suo conto corrente”
“Ho già detto e ripetuto a Bohm che il direttore della banca mi aveva assicurato…” provò a giustificare Andrea.
Kim la interruppe “In realtà la somma proviene dal conto svizzero di Konrad Jager. Ben aveva chiesto al padre di convincere il direttore a fingere che fosse un prestito dalla banca.”
 Semir sospirò triste. In fondo era colpa sua, se  non fosse stato così orgoglioso, se avesse accettato da subito l’aiuto che gli veniva offerto…
“E ora?”
“E ora continueremo ad indagare e troveremo la verità. Dopo l’interrogatorio la riaccompagniamo a casa a Colonia.”
“E non posso vederlo? Solo cinque minuti…” chiese sempre più sconsolato Semir.
“Ci sto provando, Semir, ci sto provando.  Ho anche avuto il consenso di Konrad Jager, ma Bohm è irremovibile. E senza il suo assenso difficilmente il giudice concederà il permesso di visita”
“La prego Commissario, io devo vederlo… se lui…non ce la fa….” La voce di Semir si trasformò in un singhiozzo.
“Questo non deve nemmeno pensarlo. Ben ce la farà, si sveglierà e ci dirà cosa è successo veramente” disse Kim sicura, sfoderando un sorriso comprensivo
Semir annuì triste. Desiderava più di ogni altra cosa che Ben si svegliasse, ma aveva anche paura di quello che il ragazzo ricordava e di sapere cosa effettivamente era successo.
 
“Zio, è ora della tua medicina”
La voce di Elli fece sobbalzare Sander Kalvus; ormai gli capitava sempre più spesso di appisolarsi stanco sulla poltrona. Sentiva che le forze gli venivano meno giorno per giorno, ma non gli importava di morire. Ormai tutte le sue forse erano concentrate sulla vendetta. L’avrebbe avuta e poi poteva tranquillamente lasciare questo mondo.
Prese con mano tremante le pillole che la nipote gli porgeva e le ingoiò a fatica con un sorso d’acqua.
“C’è Harold che vuole vederti” disse ancora la ragazza riprendendo il bicchiere dalle mani instabili dello zio.
Poco dopo Decker entrò nell’ampio salone.
“Ci sono novità… gli hanno concesso i domiciliari”
Kalvus guardò  irato il suo uomo senza dire nulla.
“Hanno scoperto da dove provenivano i soldi accreditati sul conto. Ma non ti preoccupare,  con le prove che ci sono  non se la cava comunque”
“E Jager?” chiese Kalvus con voce ancora irata
“Non credo che si sveglierà mai più”  rispose con un sorriso l’altro.
 


E tadaaaa.. sorpresa.... ecco a voi Sander Kalvus (ovvero per  i pochi che non lo sanno, l'assassino di Chris Ritter).

Dunque… una parte degli indizi contro Semir cade… ma  il suo peggiore accusatore è proprio il suo inconscio, a quanto pare. Nel sogno Semir sente di “odiare” Ben…

Che storia complicata… perdonatemi.
Grazie a tutti i lettori ed i recensori. Fortuna che ci siete voi a seguire le mie farneticazioni notturne 

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Capitolo 10
*** Scelte irriversibili ***


Scelte irreversibili

Semir guardava distratto ed apatico fuori dal finestrino dell'auto il paesaggio che gli scorreva davanti.
Da quando erano partiti dopo l’interrogatorio non aveva pronunciato neppure una parola.
Kim, che era alla guida, lanciava sguardi preoccupati attraverso lo specchietto retrovisore ad Andrea, che era seduta sul sedile posteriore.
La depressione in cui stava cadendo il poliziotto era ormai evidente a tutti.
“Le bambine ci stanno aspettando a casa” annunciò Andrea nella vana speranza di svegliare il marito dal suo torpore.
Ma Semir si limitò ad un triste sorriso, subito smorzato dal pensiero che probabilmente le bambine avrebbero chiesto dove era lo zio: non passava mai molto tempo prima che Ben si presentasse alla porta di casa con dolci o giocattoli per le  piccole.
Il viaggio continuò nel più assoluto silenzio sino a che Kim non parcheggiò l’auto davanti alla villetta dei Gerkan.
“Allora Semir non faccia sciocchezze, non esca di casa e non contatti nessuno tranne  che i suoi familiari e l’avvocato” intimò seria il commissario  mentre accompagnava la coppia sino all’ingresso
“Commissario farà di tutto perché io possa vedere Ben?” sussurrò Semir
“Certo, proverò ancora. Ora devo andare, ho appuntamento con Heiss” Kim salutò i due e risalì svelta in auto.

Sulla porta di casa  c’erano la madre di Andrea e Lily.
La bambina appena vide il padre fece un gridolino di gioia correndogli incontro felice “Papi, papi” strillò piombando nelle sue braccia.
“La mia piccola…” per la prima volta da giorni Semir sorrise davvero.
“Dov’è Aida?” chiese Andrea alla madre, stupita di non vedere la primogenita ad accogliere il padre.
“In camera sua, c’è stato un piccolo incidente…” rispose la nonna.
“Aida ha picchiato Martin a scuola” informò, tutta soddisfatta, la sorellina.
“Ci penso io” disse Semir salendo le scale verso la camera della bambina.
Arrivato alla porta il padre vinse l’impulso di entrare direttamente e bussò discreto, aspettando il timido “avanti” della bambina.
La stanza era quasi completamente al buio, tranne la piccola lampada sul comodino che disegnava le stelline sul soffitto.
Gliela aveva regalata Ben quella lampada,  Semir ancora ricordava quando la piccina, che all’epoca aveva meno di quattro anni, si era incantata a guardarla in una vetrina, cosa che era bastata perché lo zio Ben si precipitasse dentro a comprare l’oggetto dei desideri. E da allora non c’era notte che, prima di addormentarsi, la bambina non passasse alcuni minuti a contemplare le minuscole stelline  dorate che proiettava sul soffitto della sua stanza.
“Aida…” chiamò il padre
La bambina si tirò a sedere  sul letto dove era stesa, tirando su con il naso.
“Ciao papà, stai bene?” chiese con la vocina ancora rotta dal pianto
“Sì piccola sto bene, ma tu perché stai piangendo?” chiese preoccupato Semir
“Niente, non ti preoccupare” cercò di mentire la bambina, nascondendo il viso in grembo al padre che si era seduto anche lui sul letto.
Anche alla luce fioca della lampada Semir notò il graffio che adornava la guancia della bambina
“Ma Aida cosa hai fatto al viso?” chiese preoccupato
“Niente papà…”
“Come niente, Lily dice che hai litigato a scuola….” disse ancora il padre prendendo il visino della bimba fra le mani per vedere meglio il graffio
“No, non è niente papà” sussurrò la bimba, ma si vedeva che tratteneva a stento le lacrime.
“Non vuoi parlarmene? Tu mi dici sempre tutto…”
“Niente non è successo niente…
“Aida… forza dimmi perché hai litigato con Martin” la rimproverò dolcemente il padre
La bambina trovò finalmente il coraggio
“E’ solo che Martin diceva… diceva… che tu hai tentato di uccidere zio Ben, che la  notizia era su tutti i giornali, che hai tentato di uccidere zio Ben per i suoi soldi…”
Semir impallidì al pensiero di quello che doveva aver provato la bambina. Lo zio Ben era il suo mito, l’uomo ideale, una specie di supereroe con la chitarra.
“E.. e io gli ho detto che non era vero, ma lui continuava  a dire che se era scritto sui giornali era vero, ed io io… così gli ho dato un pugno…”
Semir per un momento sorrise; decisamente la bambina aveva ereditato il carattere sanguigno dalla sua origine turca. Ma subito si rifece serio.
“Aida sai bene che non si deve mai picchiare nessuno…” provò a rimproverarla ancora il padre
“Ma anche lui mi ha graffiato”
“Sì ma le cose non si risolvono mai con la violenza, questo lo sai”
“Ma Martin diceva una bugia grossa, perché ha detto una bugia vero?” chiese esitante la piccina in cerca di rassicurazioni.
“Certo che ha detto una bugia, ma questo non significa che tu potevi picchiarlo…”
Un lampo di gioia passò negli occhi scuri di Aida.
“Lo sapevo… allora zio Ben è giù?” chiese eccitata scendendo dal letto
“No aspetta Aida, zio Ben non è qui…” sussurrò Semir cercando affannosamente di pensare a cosa poteva dire ora alla bambina.
“E dove è?” chiese esitante la piccola
“Aida... zio Ben ha avuto un incidente mentre stavamo lavorando e dovrà stare per un po’ in ospedale” fece calmo il padre  cercando di trovare un accettabile compromesso fra la dura verità e le esigenze di protezione della bambina.
Aida rimase pensierosa a guardare il padre in cerca di rassicurazione.
“Ma non sei stato tu vero?” chiese poi esitante
“Ma no, bambina, certo che no!!” Semir si augurò disperatamente che almeno la piccola credesse alle sue parole, visto che neppure lui ci credeva fino in fondo.
Alla fine la fiducia che Aida provava verso il padre prevalse.
“Ok… e quando andiamo a trovare zio Ben in ospedale?” chiese fiduciosa mentre saliva sulle ginocchia del padre
“Appena possibile, per ora deve riposare un po’…” rispose il padre accarezzando la testa della figlia
Andrea che aveva assistito a tutta la scena dalla porta semiaperta entrò anche lei nella stanza.
“Aida forza vieni con me in bagno, dobbiamo disinfettare quel graffio” disse tendendo la mano alla bambina che la  prese subito.
Una volta in bagno Andrea non si trattenne. “Ma gli hai dato proprio un pugno?” chiese cercando di non far trasparire la soddisfazione.
“Sì… sul naso” fece indecisa la piccola temendo un nuovo rimprovero.
Ma la madre si limitò a baciarla sulla fronte, sorridendo di nascosto orgogliosa.
 

 
Kim Kruger entrò in ufficio e stancamente guardò la pila di cartacce che si erano accumulate sulla scrivania.
Ma non ebbe neppure il tempo di sedersi che, senza bussare entrarono in ufficio Susanne, Jenni e Dieter
“Commissario come sta Ben?” chiese subito Susanne
“Non bene Susanne, purtroppo non bene. E’ in coma e almeno per ora non risponde ad alcun stimolo esterno” disse triste la donna
I tre si guardarono sconvolti
“E Semir?” fece con un filo di voce Dieter
“Semir è a casa, l’ho appena accompagnato, resterà lì agli arresti domiciliari”
“Ma come possono anche solo pensare che…” obiettò Dieter
“Purtroppo non si tratta solo di pensare, loro non conoscono come noi Semir. E come sapete hanno degli elementi oggettivi su cui basare l’accusa”
Dalla porta a vetri Kim scorse il Commissario Heiss che entrava in ufficio.
“Ora scusatemi, ma devo parlare con il Commissario Heiss” disse congedando i suoi uomini per far entrare il collega
“Buonasera Commissario” fece Heiss entrando
I due i sedettero alla scrivania
“Mi spiace molto per quello che è successo a Jager” disse contrito Heiss
“Sì, ma io devo ancora capire cosa in realtà è successo…”
“Ma Bohm mi ha detto..”
“Quello che dice Bohm va sempre preso con le molle. E se c’è una cosa su cui potrei scommettere anche la mia testa è che Semir Gerkan non ha cercato di uccidere Jager e  che non è lui la talpa nella banda di Decker”
Heiss la guardò senza espressione. “Beh lei conosce i suoi uomini”
“Certo che li conosco. Ma ci sono anche un sacco di cose in questa storia che proprio non tornano. Ad esempio chi ha avvisato la SEC che Gerkan e Jager erano in quel magazzino vicino Berlino?”
“Lo sa già, è arrivata una telefonata  anonima di una donna che diceva di aver sentito delle urla…”
“Sì ma la cabina pubblica da cui è partita la chiamata è distante almeno  trenta chilometri dal magazzino. E si può sapere perché Semir sarebbe rimasto lì per tutto quel tempo con i vestiti macchiati di sangue e la sbarra ancora in pugno?”
“Non  lo so Commissario, forse l’effetto della cocaina…”
“La concentrazione non era tale da determinare quegli effetti. Piuttosto che a lei risulti Decker  ha mai avuto rapporti con la mafia olandese?”
Heiss la guardò perplesso
“No non mi risulta… perché mi fa questa domanda?”
“Nulla solo una curiosità”
Kim cercò di non farsi scoprire cogliendo uno sguardo ansioso nel suo interlocutore. Una strana sensazione si era impadronita della donna non appena aveva visto la reazione di Heiss alla domanda
Cercò di concludere in fretta la conversazione e appena Heisss fu uscito Kim si attaccò al telefono per chiamare Hartmut

“Hartmut che le risulti è possibile fingere un arresto cardiaco  e per quanto tempo?” chiese senza convenevoli al giovane scienziato
“Che strana domanda Commissario… comunque sì, esistono delle sostanze chimiche che possono indurre un finto arresto cardiaco e ridurre l’attività cardiaca a livelli tali da far credere che il soggetto sia morto. Ma sono sostanze molto pericolose se non adoperate bene, ci vuole un chimico esperto per dosarle” rispose sorpreso  Harty.
“Ok grazie” fece Kim riagganciando.
Poi subito dopo compose un altro numero.
“Salve procuratore, le devo chiedere un grande favore. Ho bisogno di un ordine di riesumazione di un  cadavere”

 
 
“Ora basta papà, devi andare a riposare un po’, non serve a nulla se ti senti male” la voce preoccupata di Julia raggiunse Konrad da lontano, mentre  si era quasi appisolato sulla sedia accanto al letto.
“Io sto bene” mormorò il vecchio stropicciandosi gli occhi e stiracchiandosi.
“Papà, ti prego, almeno vai a mangiare o bere qualcosa… sto un po’ io con Ben”
Alla fine Konrad cedette e lasciò il posto accanto al letto alla figlia.  
Uscì con passo stanco dalla stanza e appena fuori vide il dottor Weiss.
“Buongiorno Sig. Jager, la stavo cercando, dovrei parlarle un attimo” disse il medico guardandolo  da sopra gli occhiali da vista
“Sediamoci un attimo” disse il medico avviandosi verso le poltroncine della sala antistante.
Konrad obbedì automaticamente, senza poter fare a meno di trattenere il respiro; il medico era stato sempre molto sincero con lui in quei giorni sulle condizioni di Ben e  ad ogni colloquio la sua fiducia  era diminuita.
“Sig. Jager abbiamo i risultati dell’ultima risonanza magnetica che abbiamo fatto a Ben…”
Konrad iniziò involontariamente a tremare.
“Purtroppo l’ematoma celebrale non si sta riassorbendo come speravamo…” proseguì il medico con aria seria.
Konrad annuì guardando nel vuoto.
“Sig. Jager lei per caso sa se Ben ha lasciato un testamento biologico? Delle  indicazioni sui suoi desideri in questi casi…”
“Cosa vuole dire?” sussurrò Konrad
Il medico prese un sospiro cercando di spiegare con più calma possibile la situazione. Questa era la parte del suo lavoro che detestava.
“Sig. Jager il fatto che l’ematoma non accenni a ridursi non è purtroppo un buon segno… più la situazione rimane così, più diminuiscono le possibilità che Ben si risvegli. Attualmente le sue funzioni vitali non sono autonome e non risponde a nessuno stimolo esterno. Più resta in queste condizioni più diminuiscono le possibilità che si svegli e se anche dovesse succedere  che non riporti dei serissimi danni celebrali…”
Konrad guardò del tutto spaesato il medico.
“No… non lo so… ma che vuol dire dottore?” chiese in un soffio
“Mi spiace Sig Jager ma dobbiamo iniziare a considerare l’idea che probabilmente Ben non si sveglierà più. Ed in questo caso spetta a lei, se suo figlio non ha lasciato delle indicazioni specifiche, decidere cosa fare”
“Vuole dire che devo decidere se spegnere le macchine?” la voce di Konrad era disperata. Mai avrebbe creduto che nella sua vita poteva dover prendere una decisione del genere.
“Deve decidere cosa vorrebbe Ben, lei è suo padre…”
Konrad si mise la mano sulla bocca cercando di reprimere i singhiozzi.
“Non deve decidere subito Sig. Jager, abbiamo ancora qualche speranza” disse comprensivo il medico mettendogli una mano sulla spalla ed alzandosi.
 

Semir si svegliò per l’ennesima volta urlando e sudato fradicio.
Nella settimana che era passata da quando era tornato a casa aveva fatto lo stesso sogno ogni notte, ed ogni notte la sensazione provata era più spaventosa.
“Di nuovo l’incubo?” chiese Andrea cingendo le spalle del marito da dietro.
“Ho bisogno di un bicchiere d’acqua…” Semir si alzò senza neppure guardare la moglie.
Andrea sospirò triste. Giorno per giorno vedeva il marito scivolare nella depressione e non riusciva a fare nulla per alleviare il suo dolore. Ormai non si curava più neppure della sua persona e girava per la casa con la barba incolta e i vestiti in disordine.

La donna sobbalzò nel sentire  lo squillo del telefono sul comodino.
“Sì certo ho capito… allora ci vediamo oggi pomeriggio alle due. Cercherò di prepararlo, ma non sarà facile. Grazie Commissario” Andrea riattaccò il telefono e rimase per diversi attimi a guardare nel vuoto mentre cercava di regolarizzare il respiro.
“Chi era?” chiese Semir dall’uscio
“Il Commissario Kruger. Ha ottenuto il permesso per farti vedere Ben. Viene a prenderci oggi pomeriggio alle due con Dieter per accompagnarci a Berlino”
“Bene, finalmente” per la prima volta Andrea vide un lampo di vivacità negli occhi del marito
“Sarà meglio che mi faccia una doccia e mi metta in ordine” disse Semir  cercando con energia nei cassetti la biancheria pulita.
“Semir… io dovrei dirti una cosa…” sussurrò Andrea, ma le parole le morirono sulla bocca trasformandosi in un singhiozzo.
 
 “Prendo la giacca e  possiamo andare” disse Semir quasi allegro, accogliendo Kim e Dieter in casa.
I due entrarono in casa guardando Andrea, stupiti dal vedere la reazione di Semir.
“Non glielo hai detto?” sussurrò Dieter mentre Semir saliva le scale per andare in camera da letto
Andrea lo guardò sconsolata, asciugandosi una lacrima “Non ne ho avuto il coraggio… non lo accetterà mai, del resto non riesco ad accettarlo neppure io…”
“Ma…” obiettò la Kruger
“Quando saremo lì forse sarà più facile, se vede come sta male, forse riuscirà a capire meglio…” sussurrò Andrea mentre Semir scendeva le scale.
“Allora andiamo?” chiese ansioso l’ispettore
Kim lo trattenne per un braccio. “Semir le volevo dire che ho appena ottenuto il permesso per riesumare la salma di Sander Kalvus”
“Bene, ma ne parliamo dopo. Ora voglio solo vedere Ben” rispose Semir avviandosi verso l’auto della Kruger.


Per il prossimo capitolo fazzoletti pronti... ambientazione a metà fra ER e Beautiful
Grazie ancora a tutti i lettori e ai recensori

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Capitolo 11
*** Svegliati! ***


Svegliati!

Semir entrò con passo esitante nella stanza di ospedale, tremando come una foglia.
Per  tutta la giornata si era preparato su quello che avrebbe fatto e cosa avrebbe detto, anche se sapeva che forse Ben poteva non sentire le sue parole.
Ma lui era sicuro che avrebbe comunque sentito la sua presenza, che insieme sarebbero riusciti a  superare  anche questo.
Era così concentrato che non fece caso, durante il viaggio verso l’ospedale di Berlino, agli sguardi tristi che si lanciavano Andrea e la Kruger e non fece caso neppure alla presenza di Bohm davanti alla stanza, o alla frase perfida che gli rivolse “Ti tengo d’occhio Gerkan”
 
“Buonasera Semir” sussurrò Konrad alzandosi dalla sedia vicino al letto nel vederlo entrare.
Semir rimase sconvolto alla vista del vecchio: la barba incolta, gli occhi rossi, i vestiti tutti in disordine.
“La lascio un po’ da solo con lui” disse uscendo dalla stanza trascinando i piedi.
Solo dopo diversi secondi Semir riuscì a guardare verso il letto.
Ma subito dopo richiuse gli occhi cercando di metabolizzare l’immagine che aveva davanti.
“Non è possibile… perché… perché…” pensò mentre  fra i singhiozzi si costringeva a riaprire gli occhi e guardare il corpo stesso sul letto.
 
Semir ansimando si costrinse poi a sedere sulla sedia accanto al letto.
“Smettila, non farti vedere piangere. Sei qui per fargli coraggio, non per piagnucolare come un bambino” intimò a se stesso, asciugandosi le lacrime.
I rumori ritmici dell’elettrocardiogramma e della macchina per la respirazione  gli penetravano nelle orecchie come delle lance.
Prese la mano del suo amico nella sua e trasalì sentendola gelida.
“Ehi ciao socio… sono qui finalmente” sussurrò accarezzandogli il dorso della mano.
 
“Ho una brutta notizia per te… ti hanno tagliato tutti i capelli e anche la barba… quindi cerca di non arrabbiarti quando ti vedrai allo specchio”
Semir cercava di imprimere alla discussione unilaterale un tono sciolto e llegro, ma proprio non ci riusciva.
Aveva voglia di mettersi ad urlare e soprattutto aveva voglia di piangere disperato.
“Ti prego Ben, svegliati, ti prego. Io non mi ricordo quello che è successo dopo che è arrivato Kalvus… ti prego dimmi che non sono stato io. Perché se sono stato io… se sono stato io a fare questo…” sussurrò disperato, mentre scrutava il viso immobile e cereo dell’amico in  cerca di un qualsiasi segno che Ben l’avesse sentito. Ma il viso ed il corpo del suo socio continuavano a rimanere freddi ed immobili.
“Ti prego Ben… dai apri gli occhi. Perché se non ti svegli subito credo che finirò diritto diritto in un manicomio. Faccio in continuazione quel sogno, ma io so che non può essere vero…”
Le immagini dell’incubo gli tornarono prepotenti in mente: la corsa disperata, gli occhi stupiti e terrorizzati di Ben che lo guardavano mentre sollevava la sbarra e poi il nero assoluto. Il sogno terminava sempre prima che lui si rendesse conto se aveva colpito o no.
“Ben  svegliati, io non ce la faccio senza di te… proprio non ce la faccio, ho bisogno di te” sussurrò sempre più desolato.
Ormai era seduto accanto al letto da più di un’ora e Ben non aveva dato il benchè minimo segno di averlo sentito
“Prometto che scriverò tutti i rapporti, metterò in ordine  la tua scrivania tutte le mattine, ma ti prego apri gli occhi” pregò disperatamente stringendo la mano dell’amico.
E  all’improvviso sentì una leggera pressione, come  un fruscio o tremore delle dita fra le sue.
Eccitatissimo, con il cuore che gli batteva a mille guardò la linea dell’elettrocardiogramma che lanciava segnali più ravvicinati.
“Ben… mi senti?” chiamò piano
E di nuovo avvertì il tremore della mano di Ben, stavolta un po’ più forte.
“O porca…” quasi urlò mentre eccitatissimo, gli occhi che gli brillavano, si precipitava fuori dalla stanza.
 
 
“Bisogna dirglielo.” disse triste la Kruger  ad Andrea era seduta su una delle poltroncine della sala di attesa. Dieter era seduto sconsolato in un angolo e cercava di non far vedere le lacrime.
“Io non ce la faccio Commissario, proprio non ne ho il coraggio. Non lo accetterà,  non si arrenderà mai. Non è una notizia che può sopportare in questo momento” Andrea si asciugò le lacrime che le scendevano sul viso.
“Sì, ma bisogna dirglielo comunque. Se vuole gli parlo io” disse la Kruger; anche lei aveva la voce rotta dall’emozione.
“No, devo farlo io, anche se non so proprio come  fare….” rispose Andrea
 
“Fare cosa? Cosa non avete il coraggio di dirmi??”
La voce di Semir fece sobbalzare tutti.
Tutti i presenti nella stanza lo guardarono ammutoliti e tristi.
“Perché mi guardate tutti così? Che mi dovete dire??”
“Semir vieni a sederti qui…” mormorò Andrea
“Cosa mi dovete dire??” ora la voce di Semir era irata, ma si sedette comunque accanto alla moglie.
Una orribile sensazione si era impadronita del piccolo turco già quando era uscito dalla stanza di Ben ed aveva visto il gruppetto parlottare riunito nella sala di attesa.
“Semir… i medici dicono che Ben sta molto male, che l’ematoma alla testa non si sta riassorbendo come loro speravano” iniziò Andrea
“E quindi? Significa solo che ci vuole solo un po’ più di tempo…”
“No Semir, purtroppo non è  così; più tempo resta in coma minori sono le probabilità che si svegli…”
“E quindi che fanno? Operano di nuovo?” chiese Semir iniziando ad intuire dove andava a parare il discorso. Ma lui non voleva sentirlo.
“No Semir, non è possibile operare di nuovo, non supererebbe l’intervento…”
 “E allora?”
“Semir oramai ci sono pochissime speranze che si svegli e anche se succedesse  il cervello sarebbe già gravemente danneggiato… Semir… Ben non vorrebbe questo, lo sai anche tu….”
Semir  guardò la moglie con gli occhi sbarrati “Che stai dicendo?”
“Amore dobbiamo  rassegnarci all’idea che probabilmente Ben non si sveglierà mai più”
“No no, questo non è vero, prima mentre gli parlavo mi ha stretto la mano…”
Andrea guardò il marito con gli occhi pieni di lacrime.
“Amore, so che è difficile ma dobbiamo accettare la realtà…”
“Che vuoi dire.. parla chiaro!” ora Semir urlava
“Konrad ha appena firmato l’autorizzazione. Da domani inizia il periodo di osservazione e se non ci sono novità… spegneranno le macchine” mormorò la moglie
 
 
Il panico si impadronì di Semir
“NO!! Non possono farlo… non possono farlo!!” urlò alzandosi come una furia dalla sedia e precipitandosi fuori.
Come un demonio si precipitò verso Konrad appena lo vide nel corridoio appoggiato al muro.
“Come può fare una cosa del genere?? Come può farlo?? E’ suo figlio maledizione, non può lasciare che spengano le macchine, non può lasciare che muoia così”
Konrad lo guardò con occhi disperati.
“Semir… non c’è più niente da fare. Lei conosce Ben… non vorrebbe restare così, non vorrebbe  essere solo un vegetale in un letto” il vecchio singhiozzava silenziosamente
“Ma non è così, prima mi ha stretto la mano mentre gli parlavo, ce la può fare mi creda…”
Konrad guardò il medico che gli era accanto con aria interrogativa
“Non sono dei movimenti volontari sig. Gerkan, a volte i muscoli si contraggono involontariamente” rispose il sanitario
“Non è così, vi dico, io gli parlavo e lui mi ha sentito. Mi ha stretto la mano due volte” Semir era totalmente disperato, ma cercava di apparire il più razionale possibile per tentare di farsi credere.
“Faremo dei controlli… ma non credo che la situazione sia cambiata” disse il medico e Semir intuì chiaramente nella voce solo il desiderio di tenerlo calmo
La cosa lo fece andare in bestia.
“Come potete farlo? Come potete ucciderlo così freddamente??” urlò contro tutti
“Crede che per me sia facile? E’ il mio bambino maledizione…” Konrad alzò improvvisamente la voce
Ma ormai la rabbia ed il dolore di Semir erano incontrollabili.
“Stia zitto lei…  lei non si può definire certo un padre per Ben. Cosa ha fatto per lui? E stato solo capace  di mettergli i bastoni fra le ruote, lo ha ostacolato su qualsiasi cosa volesse fare. Per quanto io ne sappia Ben è come se fosse orfano!!”  Semir urlò ancora più forte.
Konrad rimase impietrito ed incapace di rispondere.
“Semir.. ora basta!! Non hai il diritto di dire queste cose”  disse dura Andrea mentre prendeva il marito per un braccio.
Ma  la razionalità stava abbandonando la mente del marito.
L’uomo si divincolò in malo modo dalla presa della mogie e guardò  con astio lei e la Kruger che nel frattempo si era avvicinata.
“E’ per questo che ho ottenuto il permesso di vederlo vero?? Perché sarebbe stata l’ultima volta… e non avete  avuto neppure la decenza di dirmelo…”
Furibondo e disperato iniziò a prendere a pugni il muro.

 
Semir era rimasto più di mezz’ora seduto con la schiena poggiata al muro, dopo essersi quasi spellato le nocche a furia di colpirlo, senza che tuttavia nessuno provasse neppure a fermarlo.
Poco prima aveva visto il medico uscire dalla stanza di Ben e scuotere la testa sussurrando a Konrad “Purtroppo la situazione non è cambiata”
Ora si pentiva di aver aggredito così il vecchio, ma lui era sicuro di quello che aveva visto  e il fatto che neppure il padre di Ben fosse disposto a credergli lo faceva andare in bestia.
Senza più forze stette a guardare Andrea, che era entrata nella stanza, mentre accarezzava Ben leggermente sulla fronte e poi lo baciava sulle guance; lo stava salutando.
Ma lui non poteva salutarlo, non era disposto a farlo, non riusciva a farlo.
 
A stento si accorse che Julia si era seduta anche lei a  terra accanto a lui.
“Sai Semir, quando la mamma morì papà non ebbe il coraggio di dirmelo. Lo  disse solo a Ben che era più grande, a me disse che era partita per un viaggio e che sarebbe tornata presto. Ma i giorni passavano e lei non tornava,  ed io non facevo altro che chiedere a Ben quando  l’avrei rivista. Così alla fine lui si decise a dirmi la verità. Mi disse che era andata in cielo, ma che io potevo rivederla se volevo, bastava chiudere gli occhi e lei sarebbe apparsa nella mia mente, dove potevo parlarle, ridere e giocare con lei. E poi mi disse che la mamma ci guardava dal cielo e che avrebbe trovato il modo di farci sapere che era con noi. Da quel giorno dovunque andassi iniziai a trovare delle margherite, che erano il fiore preferito di mamma; le trovavo dovunque, anche in pieno inverno,  oppure nelle forme più varie, disegnate, su un cartellone pubblicitario, dovunque. Per molto tempo, diventata grande, ho creduto che fosse stato Ben a piazzarle dove io passavo, per consolarmi e farmi credere alla storia che mi aveva raccontato. Poi un paio di anni  glielo ho chiesto e lui ha negato in modo talmente deciso che ho  capito che  non mentiva. Questa l’ho appena trovata qui fuori, nel giardino.  Semir, qualunque cosa succeda, Ben non ci lascerà mai”
Julia con il volto rigato dalle lacrime porse a Semir una piccola margherita, fuori stagione, visto che erano in novembre.
Semir prese il piccolo fiore fra le dita.
“Non ce la faccio Julia, non posso dirgli addio, lui non è morto, non è morto e se è come dici, vostra madre mi deve aiutare…” sussurrò.
“Semir fra un po’ scade l’orario del permesso di visita…” Andrea si era avvicinata e si era accovacciata accanto al marito.
Semir rimase immobile.
“Vieni Semir è ora di salutare” disse dolce la moglie, aiutandolo ad alzarsi.
 
Semir entrò di nuovo nella stanza.
Mentre si avvicinava al letto non riusciva ad articolare pensieri reali. Gli passavano in mente solo le mille immagini dei cinque anni che aveva passato con quel ragazzo, vivendo quasi in simbiosi.
E ogni residua traccia di razionalità che gli era rimasta lo abbandonò.
Con gesto deciso afferrò l’infermiera che era nella stanza e la spinse fuori, richiudendo a chiave la porta a vetri.
 
L’infermiera atterrò sul pavimento  davanti alla porta con un gemito.
“Ma cosa…” balbettò Andrea vedendo la porta della stanza richiudersi di botto.
Stupefatta provò ad aprirla, trovandola sbarrata.
“Semir… Semir apri la porta che stai facendo!!” urlò battendo i pugni sullo spesso vetro.
 
“Che sta succedendo?” chiese il dottor Weiss avvicinandosi
“Mi ha spinto fuori e si è chiuso dentro…”rispose l’infermiera massaggiandosi il fianco su cui era caduta.
“Vada in direzione e cerchi le seconde chiavi…” ordinò il medico sospirando.
Ormai anche la Kruger, Dieter Konrad e Julia si era accorti di quello che stava succedendo.
“Semir… avanti apri la porta, ti prego, non serve a nulla fare così…” Andrea continuava a battere sulla porta
“Semir avanti apra…” provò anche la Kruger senza risultato
 
All’interno Semir si era seduto accanto a Ben cercando di non fare caso al trambusto che si stava scatenando fuori.
“Avanti socio questo è il momento per la grande entrata in scena… stringimi la mano… dai ti prego… facciamo vedere a tutti di cosa siamo capaci”
    
“Cosa sta succedendo?” chiese Bohm avvicinandosi al gruppetto di persone che si agitava davanti alla porta chiusa
“Niente si è solo chiuso dentro…” rispose laconica Kim.
“Ma chi Gerkan? Lo sapevo che non avrebbe perso l’occasione per combinare qualcosa… e perché mai?”
“Ha saputo che stanno per staccare le macchine e non vuole…”
“Vede che avevo ragione a non permettergli di vederlo?”
Bohm si avvicinò anche lui alla porta e iniziò a battere i pugni
“Avanti Gerkan esca di lì, così non migliorerà la sua situazione e non eviterà l’accusa di omicidio… dica la verità, lei ha solo paura che l’accusa diventi più grave”
Kim rimase di stucco per il disgusto.
“Commissario Kruger la prego mi faccia dare un pugno in faccia a questo stronzo” sibilò Dieter a voce abbastanza alta da farsi sentire.
“Bohm stia fuori da questa storia,  ci pensiamo noi. Stia in disparte, altrimenti giuro che le faccio ingoiare a pezzi quella lingua biforcuta che si ritrova” urlò Kim paonazza.
Bohm sorrise beffardo.
“Ok ok, ma fatelo uscire di lì entro cinque minuti, l’orario del permesso sta scadendo”
 
“Ben, ti prego…  non c’è più tempo, stanno per entrare e mi porteranno via… ti prego dai stringimi di nuovo la mano… dai lo so che lo puoi fare” la voce di Semir ora era a metà fra il disperato e l’arrabbiato.
Sentiva il trambusto fuori aumentare sempre più e ormai stavano armeggiando alla serratura.
“Ben ti prego….” Semir quasi urlò sentendo la porta che si  apriva di colpo.
Nella stanza entrò di corsa il medico, seguito da Andrea Kim e Dieter.
“State lontani… vi prego… se gli date un po’ di tempo vi faccio vedere… dategli solo un altro po’ di tempo” urlò il piccolo ispettore stringendo convulsamente la mano dell’amico.
Andrea si avvicinò con le lacrime agli occhi
“Semir ti prego calmati, vieni qui” disse calma cercando di toccare il marito.
“Andrea perché non mi credi? Ti dico che prima mi ha stretto la mano, sta reagendo…”
  “Cerca di tornare razionale Semir, è terribile lo so ma dobbiamo accettare la realtà..”
“No… state lontani, ha bisogno solo di un po’ di tempo”
 Semir era talmente disperato che non si accorse che Dieter l’aveva avvicinato alle spalle.
“Vieni Semir dai, usciamo…” disse piano l’uomo mentre lo cingeva con le braccia spingendolo via dal letto.
“Lasciami!!! Ben ti prego, ti prego svegliati!!” urlò in lacrime e  completamente disperato Semir cercando di resistere alla stretta di Dieter che voleva portarlo via.
 
 
E poi avvenne l’impossibile.
Proprio mentre stava per lasciare la presa Semir sentì chiaramente la mano di Ben stringere forte la sua. La stretta fu talmente forte  da non mollare neppure quando il braccio di Semir iniziò ad allontanarsi.

Con un sussulto Ben mosse la testa fasciata sul cuscino ed iniziò a tossire  debolmente.
 

Ehm...prima che qualcuno mi neghi per sempre lettura e recensione, lo so... sembra un capitolo di una pessima soap opera, in cui il protagonista in coma si sveglia magicamente dopo anni, fra sviolinate e facce attonite e lacrimose dei presenti.
A mia difesa: non sono anni che Ben è in coma, ma solo giorni.
E non se la caverà facilmente, nel senso che non è che si metterà a zompettare felice sul letto come se si fosse fatto solo un sonnellino.
Comunque siete liberi di insultarmi nelle recensioni, che sono sempre gradite, anche per farmi capire se scrivo enormi sciocchezze ( e mi sa che se volete questo è l'unico modo per farmi smettere di infestare questa sezione del sito)
Grazie sempre di tutto 

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Capitolo 12
*** Un ricordo ed un dubbio ***


Un ricordo e un dubbio

Semir si sentiva completamente svuotato.
Subito dopo che Ben si era mosso ed aveva iniziato a tossire, era stato letteralmente trascinato via dal letto dell’amico, mentre uno stuolo di medici prendeva possesso dalla stanza.
E subito dopo Semir aveva avuto una specie di crollo emotivo.
Appena fuori si era lasciato cadere seduto su di una sedia, tremante e  con lo sguardo fisso nel vuoto, ed era rimasto così per molti minuti sino a che Andrea non aveva iniziato a preoccuparsi e aveva chiamato un medico per farlo controllare.
Il leggero calmante che gli avevano dato aveva fatto il suo effetto e Semir si era appisolato per un po’ sulla sedia.
 

“Gerkan, è  ancora qui? L’orario della visita è scaduto da un pezzo. Se non torna subito agli arresti domiciliari la faccio arrestare per evasione” urlò  Bohm vedendolo seduto  nella sala di attesa.
 Minaccioso gli si avvicinò, ma trovò sulla strada una fredda e combattiva Kim.
“Bohm le ho già detto di tenersi fuori da questa storia. Gerkan è sotto la mia responsabilità e spetta a me riaccompagnarlo a casa. Per ora lui resta qui, sino a quando non abbiamo notizie di Jager”
L’uomo le rivolse il suo solito sorrisetto.
“Gerkan sarà anche affare suo, ma non pensi neppure di parlare con Jager prima di  me. Devo interrogarlo io per primo, sempre che riesca ancora ad articolare pensieri coerenti…”
La soddisfazione con cui pronunciò le ultime parole mandò Semir in tilt.
“Bastardo… che vuoi dire eh? Lui tornerà perfettamente sano e dirà quello che effettivamente è successo…” urlò alzandosi ed andando minaccioso contro  Bohm.
Immediatamente Kim si mise di nuovo fra i due.
“ Pensaci bene Gerkan. Forse non ti conviene che il tuo amichetto torni normale, forse ti conviene che il cervello gli  rimanga talmente bacato da non ricordare o da non riucire a dire come tu l’hai massacrato…”
“Maledetto bastardo!!” urlò sempre più furioso Semir cercando di  saltare al collo di Bohm.
Kim e Dieter, che nel frattempo si era avvicinato, lo tennero bloccato.
“Bohm esca immediatamente da questa stanza!!” urlò Kim livida
Ma l’uomo restava immobile sorridendo malefico.
“Dieter accompagni fuori il commissario Bohm” intimò Kim e subito l’agente prese Bohm per un braccio spingendolo fuori.
“Semir si calmi ora!!” intimò all’ispettore che si divincolava.
“Maledetto bastardo” imprecò ancora Semir mentre picchiava  i pugni contro il muro.
“Non deve reagire alle sue provocazioni”
“Ma l’ha sentito? Ha sentito cosa ha detto di Ben? Quel maledetto….”
“Semir quel che dice Bohm non importa. Ben starà bene, ha appena dimostrato che insieme siete capaci di tutto…”
Semir annuì, ma in fondo al suo cuore rabbrividì al pensiero di cosa Ben poteva ricordare.

  
“Domani mattina procederemo alla riesumazione del cadavere di Kalvus” disse calma Kim cercando di calmare e portare a sedere Semir, che continuava a guardare con occhi fuoco Bohm che nel frattempo passeggiava davanti alla stanza di Ben.
“Semir ha sentito quello che le ho detto?”
“Sì sì… ho sentito. Allora mi crede…” mormorò grato l’uomo, continuando però a guardare fuori, anche nell’attesa di vedere finalmente uscire i medici.
“Bisogna controllare tutto. E Hartmut dice che è anche possibile simulare la morte…”
“Quindi lei crede che Kalvus si sia finto morto per uscire di prigione”
“E’ possibile, anzi è l’unica spiegazione se corrisponde al vero quello che lei ricorda”
“Certo che corrisponde al vero, è l’unica cosa di cui mi ricordo sicuramente..”
“Ancora nulla per la memoria?” chiese Kim guardandolo negli occhi
Semir era fortemente tentato dal raccontarle del sogno. In fondo era una delle poche persone di cui poteva fidarsi in quel momento.
Ma alla fine la vergogna e la paura prevalsero.
“Niente, il buio assoluto”
 “I ricordi torneranno E poi sarà Ben a dirci quello che è successo” sorrise Kim
“Sì, sarà Ben a dirci tutto” mormorò Semir, tremando all’improvviso di paura.

 
Dopo quasi un’ora di attesa finalmente i medici uscirono e il dottor Weiss si avvicinò a Konrad e Julia che erano in attesa fuori.
“Respira autonomamente e risponde agli stimoli dolorosi” disse sorridendo mentre anche gli altri si avvicinavano.
“O Signore Iddio, grazie!” sospirò Konrad accasciandosi su di una sedia.
“Quindi sta bene, è sveglio?” chiese eccitatissimo Semir.
“Calma…” fece il medico. Immediatamente l’entusiasmo di tutti si smorzò.
“Certo questi sono buoni segni, vuol dire che l’ematoma si sta finalmente riassorbendo ma…”
“Ma cosa dottore?” chiese Semir.
Appena vedeva accendersi una luce subito dopo rimpiombava nel buio assoluto.
“Svegliarsi dopo un coma non è come svegliarsi dopo un sonnellino. La cosa avviene sempre gradualmente e spesso ci vogliono molti giorni prima che il paziente ritorni cosciente. E poi dobbiamo fare i conti con i possibili danni celebrali…”
Semir sentì le gambe farsi molli.
Si appoggiò al muro cercando di restare in piedi.
“Che tipo di danni?” chiese con un filo di voce Konrad.
“Come le ho sempre detto l’ematoma conseguente ai colpi ricevuti era molto vasto. Molto dipende da come e se si riassorbe del tutto. Per ora non possiamo fare previsioni” rispose il medico
“Ma cosa potrebbe succedere?” chiese sempre più terrorizzato Semir.
“Da come è posizionato l’ematoma potrebbero restare coinvolti i centri motori, oppure quelli linguistici, ma è troppo presto per fare previsioni. Per ora teniamoci il piccolo miracolo a cui abbiamo assistito poco fa” sorrise il medico cercando di tirare su di morale il gruppetto che lo guardava sconvolto.

 
“E’ sveglio?” chiese la voce fastidiosa di Bohm alle spalle del medico
Il sanitario si voltò a guardarlo infastidito.
“No, e come  ho detto per il ritorno alla coscienza potrebbero volerci anche molti giorni”
“Lei ha l’ordine tassativo che nessuno parli con Jager quando si sveglia, prima che arrivi io. Mi ha capito?” disse duro al medico
Il dottor Weiss si limitò a guardarlo con aria disgustata.
“Sempre che riesca ancora a parlare” continuò beffardo Bohm allontanandosi.
All’improvviso però  l'uomo si ritrovò faccia a terra.
“E’ caduto? Quanto mi dispiace…” fece Dieter tirando indietro il piede che gli aveva messo davanti per farlo inciampare.
“Ma è impazzito? Mi ha fatto cadere lei. Questa me la paga, è insubordinazione verso un superiore” fece furioso Bohm alzandosi e toccandosi il naso su cui era sbattuto
“Non sia ridicolo Bohm, qui tutti hanno visto che è scivolato. Non dia la colpa a nessuno se è così imbranato da cadere su di un pavimento liscio” sorrise Kim con sguardo di sfida.
L’uomo si allontanò mormorando imprecazioni furibonde.
Pur nella drammaticità della situazione Semir sorrise brevemente.
Ma l’allegria gli morì sulle labbra al pensiero della possibilità del suo giovane compagno ridotto su  di una sedia a rotelle o incapace di parlare.
“E se sono stato io? Come faccio a continuare a vivere se sono stato io?” si chiese prendendosi la testa fra le mani.

    
“Se volete ora potete vedere Ben, ma uno solo  di voi e solo per pochi minuti. E’ stata una giornata particolare” sorrise il dottor Weiss.
Prima di allontanarsi il medico guardò Semir.
“Signor Gerkan… sinceramente io non mi so spiegare cosa sia successo prima. E’ la prima volta che mi capita nella mia carriera. A volte anche noi medici dobbiamo arrenderci al fatto che ci sono sentimenti e legami  che vanno al di là della scienza” disse poggiandogli la mano sulla spalla.
“Ora però dobbiamo proprio andare” disse Kim dispiaciuta.
“Coraggio entri lei Semir. Vada a salutarlo” offrì Konrad.
Semir lo ringraziò con  un mezzo sorriso.
“Sig Jager mi spiace davvero tanto per quello che le ho detto prima…” sussurrò prima di avviarsi verso la stanza
“Non deve dispiacersi. In fondo quello che ha detto è la verità. Io ho saputo solo ostacolare Ben, gli è stato molto più vicino lei in questi ultimi cinque anni che io in tutta la sua vita” mormorò il vecchio
“No questo non è vero. Ben le vuole bene…”
“Va bene così Semir, io sono contento che mio figlio abbia un amico come lei”
Semir non trovò il coraggio di replicare e  a passo lento andò verso la stanza di Ben

 
“Commissario ancora non si sa nulla su cosa è successo in quel magazzino?” chiese Konrad mentre guardava dal vetro nella stanza del figlio.
“Purtroppo no, Sig.Jager, ma se sono sicura di una cosa è che Semir non farebbe mai volontariamente del male a Ben”
“Questo lo so anche io. Quello che è  accaduto prima ne è la dimostrazione.  E poi basta guardarli per capire che certo quello di Semir non è l’atteggiamento di un carnefice verso la sua vittima” disse il vecchio imprenditore guardando intenerito dal vetro.
Semir accarezzava la guancia di Ben con il dorso della mano e gli parlava piano.
“Ma io ho bisogno di sapere chi ha fatto questo al mio ragazzo. Ho bisogno di sapere cosa è realmente successo” continuò il vecchio imprenditore.
“Tutti vogliamo saperlo sig Jager e le posso assicurare che riusciremo a capire quello che è successo, costi quel che costi” rispose sicura il Commissario.

 
“Ora devo proprio andare, socio. Cercherò di avere di nuovo un permesso per venirti a trovare presto. Ma tu devi essere sveglio per allora… Prometti?” chiese Semir,  pur sapendo che non avrebbe avuto risposta dall’amico.
Il fatto che non fosse più attaccato alla macchina per la respirazione gli faceva già sembrare la situazione migliorata, ma il piccolo ispettore avrebbe pagato qualsiasi cifra per rivedere gli occhi marroni di Ben di nuovo aperti.
“Ehi… che ne dici di stringermi di nuovo la mano? Giusto così per salutarmi…” disse speranzoso Semir. Ma la mano del ragazzo che lui stringeva stavolta rimase immobile.
“Dai Ben fai un piccolo sforzo, solo per salutarmi, sto andando via…” provò ancora Semir. Stava già per desistere quando sentì un piccolo  movimento della mano nella sua.
Un sorriso enorme gli si dipinse sul volto
“Allora mi senti… lo sapevo… quelli lì non sanno di cosa siamo capaci noi due. Ce la faremo, vedrai, ce la faremo anche stavolta” sussurrò felice mentre gli baciava piano la fronte.
Uscendo dalla stanza si sentì sereno come non gli capitava da molti giorni.

 
Il gruppetto composto da Semir Andrea Kim e Dieter stava avviandosi alla uscita.
Semir ignorò volutamente di guardare Bohm che  fissava tutti con aria inviperita, tenendosi sul naso, rosso come un peperone,  una grossa borsa di ghiaccio,  temendo che voltando lo sguardo verso di lui sarebbe scoppiato a ridere.
Erano quasi usciti all’aperto quando l’attenzione di Semir venne attirata da una giovane donna bionda che, dopo essere passata davanti a loro si dirigeva a passo svelto verso il parcheggio. L’ondeggiare della lunga coda di capelli gli fece immediatamente venire una sensazione di ansia e paura.
Poi quando la ragazza si voltò per un attimo, guardandolo  con  grandi occhi scuri, Il ricordo lo colpì con la forza di un pugno sferrato nello stomaco.
 

“Dov’è Ben? Maledetti dove l’avete portato? Che gli avete fatto?” Semir urlò contro Kalvus ed i suoi uomini, che l’avevano trascinato in una piccola stanza senza finestre e legato mani e piedi su di un tavolo.
Una giovane donna si aggirava nella stanza, muovendosi sinuosa attorno ad un tavolino. Ogni volta che si girava faceva ondeggiare la bellissima coda di capelli biondi che adornava il viso
“Ma che carino si preoccupa per il suo partner”   rise  beffardo Kalvus
“Cosa gli hai fatto?? Bastardo, prenditela con me, vuoi me no? Uccidimi e falla finita, ma lui lascialo stare” Semir era completamente disperato.
“Hai ragione io voglio te… ma non voglio la tua morte, sarebbe troppo facile. Devi soffrire come ho sofferto io. Devi vedere tutto il tuo mondo sgretolarsi come un castello di sabbia”
“Dov’è Ben?? Che gli hai fatto??”  Semir urlò con quanto fiato aveva in gola.
“Io non gli ho fatto proprio nulla, e non gli farò nulla, sarai solo tu a decidere del destino del tuo migliore amico”        
 

Semir si accasciò ansimando e con le lacrime agli occhi.
“Semir!! Che hai??” urlò spaventata Andrea cercando di tenerlo in piedi
Dieter si precipitò ad aiutare Andrea e entrambi trascinarono Semir su di una panchina.
“Vado a chiamare un medico” fece preoccupata Kim vedendo  Semir fissare nel vuoto.
Mentre Kim si allontanava di corsa, Semir iniziò a dondolarsi avanti ed indietro balbettando.
“Non posso essere stato io, non posso essere stato io…”     
 

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Capitolo 13
*** Verità ***


Verità

Kim si mise il fazzoletto sulla bocca ed istintivamente chiuse gli occhi mentre i necrofori  aprivano la cassa, appena tirata fuori dal terreno.
Non ebbe il coraggio di guardare all’interno e ammirò la forza di Hartmut che invece, con sguardo freddo e passo deciso si avvicinava e prendeva i campioni che gli servivano per l’analisi del DNA.
“Quanto tempo ci vorrà?” chiese sollevata mentre si allontanavano a passo svelto dal piccolo cimitero del carcere.
“Forse ce la faccio per dopodomani”  rispose Hartmut mettendo la valigetta nel portabagagli della propria auto.
“Mi raccomando Hartmut, acqua in bocca con tutti, anche con l’antidroga” disse Kim seria mentre il tecnico metteva in moto. Non c’era bisogno di conferme, Harty si limitò ad annuire e poi si avviò.

Kim rimase per un po’ a guardare la Skoda di Hartmut che si allontanava.
Poi prese il telefono e compose il numero di casa Gerkan.
Aveva ancora in mente lo spavento della notte prima; per un momento aveva davvero temuto che a Semir fosse venuto un attacco cardiaco, talmente era diventato pallido  e tremante. Per fortuna il medico li aveva rassicurati tutti, parlando di un attacco di ansia e limitandosi a somministrare al poliziotto un forte calmante.
Ma Kim aveva capito che c’era qualcosa altro.
Conosceva fin troppo bene Semir e l’aveva visto uscire dalla stanza di Ben visibilmente sollevato. Era successo qualcosa dopo,  e lei era quasi certa che avesse a che fare con la memoria perduta delle ore immediatamente prima che lui e Ben venissero trovati in quel magazzino.
Ma Semir sembrava terrorizzato da quei ricordi e si era chiuso in un mutismo assoluto mentre tornavano a casa; a stento le aveva rivolto un saluto mentre rientrava in casa, curvo e stanco esattamente come quando ce l’aveva accompagnato la settimana prima da Berlino.

 
“Buongiorno Andrea, come sta Semir?” chiese  quando la moglie di Semir rispose alla chiamata.
“Buongiorno Commissario… in realtà non lo so come sta. Non ha profferito neppure una parola da quando siamo tornati ieri sera. L’unica cosa che mi ha chiesto è di chiamare l’ospedale per  chiedere come sta Ben, poi più nulla. Si rifiuta di parlare e vedere persino le bambine” la voce di Andrea era piena di preoccupazione.
“Andrea ho la sensazione che la cosa abbia a che fare con il ritorno della memoria. Ieri sera stava bene, sembrava contento quando è uscito dalla stanza di Ben. Poi all’improvviso si è messo a tremare e balbettare… lei è sicura che non abbia ricordato ancora nulla?”
Dall’altro lato della linea telefonica Andrea rimase in un silenzio prolungato, indecisa sul da farsi.
“Andrea io non posso aiutare Semir se non so cosa ricorda. Devo sapere davanti a cosa posso trovarmi” continuò Kim percependo l’imbarazzo della donna.
“Non sono proprio ricordi, piuttosto sogni, incubi, ma corrispondono in parte a quanto si è visto nelle registrazioni delle telecamere. E sono sogni terribili.” E così Andrea raccontò tutto al Commissario.

 
Semir aveva passato la notte con gli occhi sbarrati, temendo anche solo di appisolarsi. Non avrebbe retto al sogno, non avrebbe retto alla possibilità che chiudendo gli occhi il puzzle del suo incubo si completasse con la scena che più temeva.
Stremato e con gli occhi arrossati si alzò ed entrò in bagno.
Guardandosi nello specchio quasi non si riconobbe tanto sembrava vecchio e stanco.

Devi soffrire come ho sofferto io. Devi vedere tutto il tuo mondo sgretolarsi come un castello di sabbia”
Le parole di Kalvus  echeggiavano nella sua mente come una condanna a morte.
Kalvus aveva raggiunto il suo scopo; la sua vita si stava sgretolando davanti ai suoi occhi.
Non riusciva a togliersi dalla testa che in fondo il responsabile di tutto era comunque lui stesso. E soprattutto non  riusciva a resistere al sospetto che in un modo o nell’altro  quel bastardo l’aveva spinto a fare del male ad una delle persone che  amava di più al mondo.
La visione di Ben in sedia a rotelle, paralizzato e magari anche incapace di parlare o esprimersi lo colpì di nuovo come una mazzata, costringendolo ad aggrapparsi al lavandino per non cadere
“Non è possibile, non sei stato tu. Tu lo ami non gli faresti mai del male” gli disse la sua parte razionale. 
Ma le sensazioni del sogno, l’odio inspiegabile che provava mentre  inseguiva Ben lungo i corridoi del magazzino gli dissero che poteva non essere vero
Sfinito bevve un sorso d’acqua, e tornò a letto, incapace di tenersi in piedi.
E suo malgrado si addormentò.
 
“Lurido schifoso dove scappi? Tanto non puoi fuggire, vieni qui.”
Semir sentiva di non aver mai odiato nessuno come  lui in quel momento. Il suo unico pensiero, la sua unica ragione di vita in quel momento era porre fine alla sua vita.
“Uccidilo uccidilo uccidilo” gli diceva la voce nella sua testa mentre correva lungo i corridoi cercando tracce di dove si era nascosto.
“E’ inutile che ti nascondi bastardo, tanto non esci  vivo di qui. Fosse l’ultima cosa che faccio ti ammazzo!”
 
Per l’ennesima volta Semir si svegliò urlando.
Disperato, prima che Andrea entrasse nella stanza richiamata dalle urla disperate che aveva lanciato, corse a chiudersi in bagno.
“Sto impazzendo. Signore, Allah, aiutami, io non ce la faccio ad andare avanti così” pensò mentre si accucciava sul pavimento freddo.

 
Kim Kruger scese dalla sua auto e a passo deciso di avviò nello studio di Hartmut.
Gli ultimi giorni ed il racconto di Andrea l’avevano spossata.
Le sue granitiche certezze su quello che “non” era accaduto in quel magazzino iniziavano a vacillare dopo aver saputo del sogno di Semir. E purtroppo lei era sicuro che stava nascondendo anche qualcos’altro.
“Allora?” chiese direttamente appena vide il tecnico, ancora chino sul suo microscopio.
“Non è Kalvus, non mi chieda come hanno fatto a sostituire il corpo, ma effettivamente non è lui” disse Hartmut sollevando gli occhi dal microscopio.
“Ma… noi l’abbiamo visto morto. Era sul tavolo dell’obitorio e sembrava senza alcun dubbio morto. Freddo e senza polso.” fece stupita Kim.  Anche se ci aveva sperato la notizia le comunque aveva fatto effetto.
 “Beh come le ho già detto che esistono parecchie sostanze che possono indurre una morte apparente. Ricorda la storia di Romeo e Giulietta? Giulietta beve la pozione viene creduta morta e portata nella cripta…”
“Sì grazie Hartmut conosco la storia” lo bloccò Kim “Ma è necessario avere una specifica conoscenza per creare quelle sostanze, a quanto ho potuto capire”
“Sì bisogna essere ottimi chimici e biologi, altrimenti ci si rimette la pelle” concordò Hartmut “Quindi lei pensa che Kalvus sia stato aiutato dall’esterno?”
“Non lo so credo, che sia probabile, ma potrebbe essere stato anche aiutato dall’esterno. Bisogna farsi dare l’elenco di tutti quelli che lo hanno visitato mentre era in galera. E poi capire come hanno fatto a sostituire il corpo nella bara e a farlo scappare dal carcere”
“Ne parlerà con Heiss?” chiese Hartmut
“Assolutamente no e neppure lei deve farlo, Quell’uomo non mi convince. E se c’è una talpa dobbiamo tenere tutto fra noi. Non mi fido di nessuno a questo punto”
Hartmut annuì.
“Novità su Semir?”
 “No purtroppo no. Dice di non ricordare ancora nulla…”
 

L’attenzione dei due fu distratta dallo squillo del cellulare della Kruger.
“Sì certo ho capito. Cercate di trattenere Bohm sino a che non sono arrivata. Non mi fido che ci parli da solo” disse concitata  mentre chiudeva la chiamata.
“Era l’ospedale di Berlino. Ben si  è svegliato. Vado lì, non mi fido che  Bohm ci parli da solo, può inventarsi di tutto…”
 

 
Sprazzi di luci e di suoni bucarono il buio in cui era caduto Ben.
Erano fastidiosi, quasi insopportabili.
Sentiva voci, ma non riusciva a capire il significato delle parole.
Nella sua mente c’era una confusione terribile. Le immagini di tutto quello che gli era successo nella vita, delle persone che conosceva si alternavano senza un senso e senza continuità logica.
“Corri corri prendimi, sono qui” la voce di sua madre che rideva felice giocando a nascondino si confondeva con le immagini di suo padre che gli urlava contro la sera che era partito per l’Accademia di Polizia.
E poi Julia che si faceva portare sulle spalle per arrivare  alla marmellata sullo scaffale più alto della cucina, Helga che strillava perché aveva lasciato la stanza in disordine, Saschia che lo baciava appassionatamente, Aida che gli chiedeva le favole della buonanotte, Lily che succhiava il biberon mentre la teneva in braccio.
E Semir… dove sei Semir…
 
“Ben, Ben mi sente?”
Di nuovo quella voce e quella luce gialla sparata negli occhi. Lui voleva solo tornare nel buio rassicurante, lì stava bene, senza dolore ma… le voci, i pensieri delle persone che amava lo spingevano verso quella fredda luce, nonostante il dolore che iniziava a sentire, un dolore spaventoso.
Ogni respiro era come fuoco che entrava nei polmoni, nella gola sembrava avere asfalto rovente e la testa… sentiva di non poterla neppure di un millimetro. E poi faceva così freddo. Perché faceva così freddo? E perché c’erano quei fastidiosi rumori ritmici?

“Ben, ragazzo, ti prego amore mio apri gli occhi…” la supplica di suo padre lo scosse.
Lentamente chiese alle sue palpebre di aprirsi, ma sembravano di piombo.
Alla fine dopo uno sforzo terribile ci riuscì, mentre un gemito gli sfuggiva dalle labbra.
“Oh piccolo mio, finalmente, bentornato” la voce commossa di suo padre penetrò nei sui pensieri confusi.
La persona che entrò nel suo campo visivo però non gli sembrò neppure suo padre. Barba lunga, occhi infossati, colorito grigiastro, sembrava così vecchio.
“Ben mi sente? Mi capisce? Riesce a  parlare?” chiese un’altra persona, del tutto sconosciuta
“S…sì” gracchiò, ma quella semplice sillaba pronunciata gli provocò un violento attacco di tosse ed ad  ogni colpo dolori insopportabili.
Poco a poco, come se qualcosa fosse entrata in circolo i dolori si calmarono.
Ben cercò di sbattere le palpebre e capire dove si trovava… dove era? Che cosa era successo?
Frammenti delle immagini dei giorni precedenti lo travolsero all’improvviso.
La paura e l’ansia presero possesso di lui come una ondata gigantesca, mentre i rumori intorno a lui si facevano frenetici.
“S..Se… Semir.. d.. dov… dov’è…” chiese in un soffio appena percettibile.
     


Bohm arrivò nel corridoio dell’ospedale come un generale che entra nel quartier generale.
Dietro di lui c’era il procuratore, un uomo piccolo di mezza età, dall’aria assolutamente pacifica, che lo seguiva con tutta calma e anche in apparenza leggermente infastidito.
“Commissario Bohm, le ripeto,  le pare il caso di trascinarmi qui per interrogare un povero ragazzo appena uscito dal coma? Non mi pare che ci sia nessuna fretta, Gerkan è agli arresti domiciliari e nulla ci fa pensare che possa fuggire…”
“E’ necessario, le assicuro procuratore, è necessario parlare con Jager prima degli altri. Chissà come  possono influenzarlo  se gli parlano prima di noi… sono una specie di casta, si proteggono l’un l’altro…” rispose  inviperito Bohm. Sul naso aveva ancora ben visibili i segni della caduta.
“E va bene, ma solo se il medico ci dà l’autorizzazione”  sospirò con aria di sopportazione il procuratore.
Bohm si avvicinò al dottor Weiss e a Konrad con aria sicura.
“Allora possiamo entrare?” chiese senza salutare
“Commissario Bohm mio figlio si è appena svegliato, sta molto male, è confuso e ha dolori dappertutto. Non mi sembra il caso…”
 “Lei non vuole sapere cosa è successo a suo figlio? Non vuole sapere la verità? Ci pensa che può essere stato effettivamente Gerkan? E se torna a trovarlo e mentre è nella stanza ci riprova?”
“Certo che voglio sapere la verità, ma  sono anche sicuro che non è stato Semir.  E comunque qualunque cosa sia successo  non voglio mettere a rischio la sua salute” Ormai Konrad sentiva di detestare quell’uomo come e più dei colleghi di suo figlio.
“Bene chiediamo al medico allora. Possiamo entrare? Anche con la sua presenza se necessario”
 Weiss esitò un attimo.
“Solo per pochi minuti. E se vi dico di uscire, uscite immediatamente” disse alla fine
I tre entrarono nella stanza, poco prima che Kim arrivasse anche lei trafelata.
“Lei deve aspettare fuori!” le disse sgarbato il poliziotto che faceva da autista a Bohm
A Kim non restò altro che rimanere a guardare dal vetro della stanza.

 
Semir stava seduto immobile sul divano ormai da ore.
Da tre giorni non parlava se non per monosillabi, a stento rivolgeva un sorriso stanco alle figlie quando si avvicinavano. Non aveva mangiato praticamente nulla e se non fosse stato per la presenza di Andrea si sarebbe attaccato alla bottiglia in cerca di conforto nell’alcool.
L’unica cosa che percepiva era dolore, un dolore immenso, che soffocava qualsiasi altra sensazione, anche il desiderio di vendetta nei confronti di Kalvus.
L’incertezza era ancora più terribile del dolore, almeno si fosse ricordato di essere stato lui poteva incominciare a metabolizzare nel bene e nel male la cosa.
 Ma non sapere…

Sussultò quando sentì il campanello di casa.
Quando Andrea aprì la porta si vide davanti Kim e Dieter.

“Semir… Ben si è svegliato… e ha ricordato…”


Ehm... cosa ha ricordato Ben? Kim e Dieter sono venuti ad arrestare di nuovo Semir o a dargli una buona notizia? Che cattiva a lasciarvi sempre in sospeso... 
Vi ho già detto grazie? Sì mi pare di sì, ma lo ripeto, grazie a tutti, a chi legge e soprattutto a chi recensisce.

 

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Capitolo 14
*** Buone e cattive notizie ***


Buone e cattive notizie


“Cosa… quindi si è svegliato, sta bene?” balbettò Semir non avendo il coraggio di chiedere altro. E in fondo la cosa che gli importava di più era che il giovane  stesse bene.
“Le condizioni sono stazionarie, e sì, si è svegliato ed è riuscito a parlare, o meglio a balbettare…”
“Quindi parla… riesce a parlare” Semir tirò un piccolo sospiro di sollievo.
Alla fine fu Andrea che pose la domanda fatale.

“Che ha ricordato?” chiese con un filo di voce
“Non molto, ma la prima cosa che ha escluso è che sia stato Semir a colpirlo. Ha solo detto di ricordare di aver cercato di scappare e che uno degli scagnozzi di Decker l’ha colpito” disse Kim.
“Lo sapevo, lo sapevo” esultò Andrea con gli occhi che si riempivano di lacrime di sollievo.
Semir invece rimase immobile a fissare la Kruger.
“Semir, ha capito quello che ho detto? Ben l’ha completamente scagionata, il procuratore ha già revocato gli arresti domiciliari…”
Ma lui continuava a restare immobile, incredulo alle parole che aveva desiderato sentire per tanti giorni

“Semir…” lo richiamò anche la moglie
“Sì ho capito” mormorò alla fine il poliziotto
“Non sei felice?”  chiese sempre più stupita Andrea.
“Sì… commissario ma che dice il dottore, come sta Ben? Le conseguenze dell’ematoma? Si riprenderà?” Semir sembrava aver ritrovato un minimo di lucidità,  ma continuava ad ignorare volutamente la notizia più importante che gli avevano dato.
“Questo è troppo presto per dirlo, comunque per ora almeno si sa che riesce a parlare… Semir ma si sente bene?” La Kruger iniziava a preoccuparsi anche lei per lo strano atteggiamento del suo poliziotto.
“Sì … sto bene… ora posso andare da lui?” mormorò Semir sempre guardando nel vuoto
“Certo, non ci sono più difficoltà…” Kim ed Andrea si guardavano sconcertate.
“Ok, allora vado a fare una doccia e poi esco…” disse alla fine lui avviandosi al piano di sopra

“Ma che ha?” chiese Kim quando Semir fu sparito  dalla sua vista.
“Non lo so sinceramente non lo so, negli ultimi giorni è stato sempre più depresso ma credevo che sapendo questa notizia tutto sarebbe passato in un attimo”
“Forse bisogna dargli solo un po’ di tempo per superare il trauma. Vedere Ben e parlare con lui sicuramente gli farà bene” si intromise Dieter.
Ma Andrea sapeva che c’era qualcosa d’altro.
“Allora ci vediamo in ospedale oggi pomeriggio, anche io voglio parlare con Ben, vedere come sta…” disse la Kruger con una punta di affetto nella voce.
Dieter sorrise; in fondo non era proprio la donna fredda che cercava di mostrare all’esterno.


 
Semir si era piazzato sotto la doccia lasciando che l’acqua calda scorresse sul corpo immobile.
La sua mente  era divisa fra il pensiero che Ben l’aveva scagionato e le immagini dell’incubo che gli tornavano sempre in mente, sempre le stesse, sempre più terribili.
“Smettila, non sei stato tu, ti sei suggestionato, te lo sei immaginato… chissà cosa è successo, non inseguivi lui quando ti sei visto nella registrazione della telecamera” pensò freneticamente mentre usciva dalla doccia.
Con la mano  pulì dal  vapore lo specchio sul lavandino e l’immagine che gli arrivò   fu quella di un vecchio, un vecchio sconvolto e stanco.
“Rimettiti in ordine, non vorrai mica farti vedere così, si spaventa se ti vede così…” disse a se steso mentre prendeva la schiuma da barba.

Un leggero tocco alla porta  del bagno lo tirò fuori dai suoi pensieri.
“Stai bene?” chiese dolce Andrea facendo capolino.
“Sì sto bene” mentì il marito
“Semir cosa hai? Non sei felice? Le cose si stanno aggiustando, Ben si è svegliato e ha detto che non sei stato tu… Non sei più agli arresti domiciliari”
L’uomo si girò a guardarla; negli occhi aveva la solita tristezza.
“Certo… ma…”
Andrea si avvicinò ad abbracciò il marito.
“Andrà tutto bene, Ben starà bene, e si capirà tutto quello che è successo. Il necessario è che si sa che non sei stato tu a colpirlo.”
“Fosse così facile… non riesco a togliermi dalla mente le immagini dell’incubo” sussurrò lui tenendo la testa nell’incavo della spalla della donna.
“Semir mi sembra  ormai chiaro che si tratta di una suggestione, nulla di più….”
“Ma io continuo a ricordare altre cose,  e sono sensazioni bruttissime. Io sento di odiarlo, perché sento di odiarlo?? Lui è parte della mia vita, del mio cuore, è mio fratello…”  
“Semir basta!! Tu non lo odi, sono suggestioni, chissà cosa è successo in quel magazzino, probabilmente ti hanno drogato, e ricordi cose non vere” Andrea prese  il viso del marito fra le mani e lo guardò fisso negli occhi.
“Ora finisci di vestirti, mi preparo anche io ed andiamo da Ben” disse sicura mentre usciva dal bagno
 


Ben stava malissimo.
Sentiva come se ogni muscolo, ogni osso del corpo gli rimandasse dolori insopportabili al minimo movimento.
Anche respirare era un tormento, l’aria che entrava sembrava fuoco.
Parlare con Bohm e l’uomo piccoletto che gli stava a fianco l’aveva derubato delle poche energie di cui disponeva. Ci era riuscito solo perché se lo era imposto e perché doveva assolutamente difendere Semir.
Ma l’unica cosa che voleva era dormire, dormire per tutta la vita magari.
“Ben…  mi sente? Ha molto dolore?” chiese la voce del solito medico.
Il ragazzo riuscì solo ad annuire leggermente
“Qua… quando respiro…” balbettò con uno sforzo enorme
“Capisco, ma dipende dalla contusione polmonare, abbiamo dovuto mettere un drenaggio. Appena possibile lo togliamo” spiegò il medico.
“Più tardi dobbiamo fare una TAC ed una risonanza magnetica, quindi avremo la necessità di spostarla… mi spiace ma sarà un po’ doloroso anche quello…” spiegò ancora il medico, mentre Konrad entrava nella stanza.

“Ben, ragazzo mio, come ti senti? Che spavento che ci hai fatto prendere…” sussurrò il vecchio imprenditore carezzandogli piano la guancia.
Ben cercò di mettere a fuoco l’immagine che aveva davanti
“Papà…” sussurrò
“Qui fuori c’è Julia  ora la faccio entrare, ma possiamo farlo solo uno per volta…”
“S… Semir… dov’è…” chiese ancora il figlio con il filo di voce
Konrad sorrise “Sta arrivando, sta arrivando non ti preoccupare”
Il vecchio prese la mano del figlio nella sua “Andrà tutto bene, passerà tutto…” cercò di consolarlo.

Stava quasi per uscire quando Konrad sentì uno spasmo forte della mano di Ben che iniziò a stringere la sua convulsamente.
Immediatamente tutti gli allarmi iniziarono a mandare segnali frenetici, mentre il corpo sul letto si irrigidiva in continui spasmi.
Sconvolto Konrad vide Ben  rovesciare con un gemito gli occhi all’indietro.
“Ha una crisi convulsiva. Cinque mg di diazepam.” ordinò immediatamente il medico alla infermiera che gli era accanto.
“Lei esca subito” intimò a Konrad.
“Ma, ma… che…” balbettò Konrad prima che un’altra infermiera lo prendesse per un braccio e lo trascinasse fuori.



 
Andrea aveva insistito per guidare lei la BMW di Semir sino all’ospedale e lui  le era stato molto grato, effettivamente non sarebbe riuscito a concentrarsi sulla  strada, perso com’era nei suoi pensieri.
Ringraziò Dio quando parcheggiarono nell’ampio spiazzo davanti all’ospedale di Berlino; finalmente il viaggio era finito, gli era sembrato una eternità.
A passo svelto salì a piedi al terzo piano, al reparto  di neurochirurgia, ma appena entrato venne colpito da una brutta sensazione allo stomaco, prima ancora di vedere Konrad seduto su una della poltroncine, praticamente sepolto nelle braccia della figlia Julia che lo stringeva dondolandolo.
“Che è successo??” chiese terrorizzato.


 
Kalvus stava immobile a guardare il paesaggio fuori dalla finestra. Era novembre; presto sarebbe nevicato, e l’aria all’improvviso avrebbe rimandato le tipiche atmosfere natalizie del periodo.
Ma con tutta probabilità lui quel Natale non l’avrebbe visto.
Sentiva che mancava poco, ma non gli importava. Aveva messo tutti i suoi affari in ordine, assicurato il futuro di Elli.
L’unica cosa che aveva in sospeso e che voleva assolutamente vedere era la sua vendetta portata a termine.
“Capo…”  salutò Decker entrando nella stanza.
“Dalla tua faccia già vedo che non porti buone notizie” disse ironico Kalvus.
“Beh… Jager si è svegliato. E ha scagionato Gerkan…”
Kalvus rimase totalmente immobile.
“Davvero non lo credevo possibile, né che si sarebbe svegliato, né soprattutto che sarebbe arrivato a dire che non era stato Gerkan” continuò in tono di scusa Decker
“Ti avevo detto di non sottovalutare il legame fra quei due…”
“Sì, ma non potevamo sapere che addirittura…”
“Non c’è da preoccuparsi, bisogna solo rivedere un po’ i nostri piani. Sarà solo un po’ più complicato” Inaspettatamente Kalvus sembrava tranquillo

“C’è un’altra cosa…” disse ancora Decker
Kalvus lo guardò con aria interrogativa.
“Hanno scoperto che non sei tu quello sepolto nel cimitero del carcere”
Anche questa volta Kalvus rimase calmo.
“A questo punto forse è un bene, lasciamo che Gerkan mi trovi, farà solo il nostro gioco” rise beffardo  


 
“Che è successo??” urlò ancora Semir rivolto a Julia e Konrad.
“Non… non lo so, stava  meglio, era sveglio e mi ha parlato, mi ha riconosciuto e poi…” singhiozzò Konrad fra le braccia della figlia.
“Poi cosa?” urlò di nuovo Semir in preda al panico.
“Il medico dice che Ben ha avuto una crisi convulsiva, che sono  abbastanza frequenti dopo una emorragia celebrale, ma che complicano notevolmente la situazione…”
Semir si accasciò su di una sedia prendendosi la testa fra le mani.
“Che significa che complicano la situazione?” chiese
“Non lo so, ci hanno solo detto che saranno più chiari dopo la TAC e la risonanza. Hanno appena portato via Ben per fare gli esami” sussurrò Julia
 
I minuti a Semir sembravano ore intere.
Da quanto tempo era arrivato? Non più di un’ora, al massimo un’ora e mezza, eppure gli sembravano giorni interi.
La montagna russa delle emozioni che aveva subito in quei giorni lo stava consumando e l’uomo iniziava seriamente a pensare che non sarebbe comunque uscito  sano di mente da  tutta questa storia.
Si alzava e sedeva in continuazione dalla sedia, mentre Andrea cercava di tenerlo calmo, senza alcun risultato.
Aveva chiesto notizie almeno cinque o sei volte alla infermiera del banco accettazione, ottenendo risposte e sguardi sempre più  spazientiti.
“Perché non tornano? Perché non lo riportano in stanza? Che stanno facendo?” chiese per l’ennesima volta.
“Stai calmo Semir, fallo almeno per Konrad, guarda in che stato è, se ti agiti lo impressioni ancora di più” fece Andrea.
“Sì, ma quanto ci vuole a fare questi esami? E’ successo qualcosa, lo so che è successo qualcosa…”  sussurrò sempre più disperato.
 

Finalmente dall’angolo del corridoio spuntò il gruppetto di medici ed infermieri che trascinava la barella
Semir balzò in piedi come punto da una tarantola e si precipitò dall’amico.
“Ben…” disse con la voce rotta dal pianto mentre gli prendeva la mano
“Posso entrare con lui? La prego per favore…” supplicò verso il medico.
Il dottor Weiss lo guardò; teoricamente avrebbe dovuto rifiutare ogni  visita, ma dopo quello che era successo nei giorni precedenti non se la sentì proprio di negare il permesso.
Acconsentì con un cenno del capo.
 
“Ben mi senti?” chiese Semir cercando di mettersi in contatto con l’amico.
Aveva un aspetto terribilmente sofferente, paradossalmente peggiore di quello che aveva quando l’aveva visto in coma.
I medici e le infermiere erano indaffarati a risistemare tutti i fili ed i macchinari intorno al letto.
Piano piano Ben aprì gli occhi.
“Ehi socio… che bello vederti sveglio, sono qui, sono qui ora e non ti lascio…” fece frenetico Semir guardando il suo compagno negli occhi, mentre gli stringeva la mano.
“Semir…” sussurrò Ben
“Sì sono qui…”
“S.. Semir non sento le gambe… non… non riesco muoverle… perché non ci riesco?”




Dunque dunque... già vi vedo a rallegrarvi ( non è stato Semir, non è stato Semir...) e a piangere ( povero Ben, povero Ben...).
Attenzione la storia è mooolto lunga, come mio solito.
Tutto quello che è scritto in questo capitolo può cambiare, e da un momento all'altro.
Se vi sto annoiando ditemelo, non temete.
Grazie e bacioni

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Capitolo 15
*** Dura realtà ***


Dura realtà
 
Semir sentì il sangue gelarsi letteralmente nelle vene.
Si aggrappò alle barre del letto per non cadere e volse uno sguardo attonito al medico che gli stava di fronte, dall’altro lato del letto, controllando i parametri vitali.
Il dottor Weiss ricambiò lo sguardo con un piccolo cenno negativo della testa, facendogli capire che era meglio soprassedere.
“Shhh... sarà l’effetto degli anestetici… va tutto bene… ora dormi…” Semir si costrinse ad un tono di voce tranquillo accarezzando la guancia dell’amico fino a che Ben non chiuse gli occhi ed iniziò a respirare tranquillo, anche se molto affannato. Semir si impaurì ancora di più sentendo la pelle del viso molto accaldata e secca.
“Dormirà per un po’” disse il medico mentre pigiava altri pulsanti sui macchinari.
“Ma che…” sussurrò Semir
“E’ meglio parlare fuori” disse il medico invitandolo ad uscire.


 
Elli Von Tiere  si era sempre considerata, sino all’età di venti anni, una ragazza semplice e normale.
Era cresciuta serena, anche se lontano dai genitori, chiusa a studiare in collegi svizzeri.
L’agiatezza economica e la presenza degli amici l’avevano aiutata a superare la solitudine  derivante dalla mancanza della famiglia.
E lei aveva sempre creduto di avere una famiglia normale, forse più agiata e ricca delle altre, ma normale. Non si era mai chiesta che lavoro facesse il padre, né come poteva permettersi di farla studiare nelle più prestigiose università, di aiutarla a coltivare la sua passione di sempre: la biologia.
Elli era una ragazza semplice e normale.
Fino a quel giorno.
Il giorno in cui aveva ricevuto al telefonata, mentre era in aula universitaria a Yale.
Un poliziotto tedesco le aveva detto, con voce gentile ma fredda, che suo padre e sua madre erano morti. Uccisi dalla polizia in un conflitto a fuoco, mentre cercavano di far entrare in Germania un carico di cocaina.
Ed Elli aveva scoperto, a venti anni, di non essere una ragazza semplice e normale. Era la figlia dei più noti trafficanti di armi e droga dell’Olanda.

Al funerale aveva rivisto dopo moltissimi anni lo zio materno.
Dello zio Sander aveva un ricordo sbiadito, di quando era bambina e qualche volta veniva con la mamma a trovarla in collegio.
E ora lui era l’unica persona della famiglia che le rimaneva. Il suo unico familiare.
Lo zio l’aveva accolta e protetta; le aveva consentito di finire gli studi di biologia come desiderava e probabilmente le avrebbe garantito, se lei avesse voluto, una vita normale.
Ma lei non era più una ragazza normale, era una ragazza in cerca di vendetta.
Non aveva esitato un minuto ad aiutare lo zio ad uscire dalla quella lurida galera dove l’avevano rinchiuso gli schifosi poliziotti tedeschi.
Ed non avrebbe esitato un minuto ad aiutarlo ancora; l’avrebbe aiutato nella sua vendetta, che poi era una vendetta comune, e poi l’avrebbe aiutato a morire.
E poi forse Elli sarebbe tornata una ragazza normale.

“Elli, bambina, puoi venire per favore? Ho bisogno di nuovo del tuo aiuto” la voce dello zio nell’interfono la fece sobbalzare.
Lentamente la ragazza si alzò dalla comoda poltrona e con un gesto delicato si aggiustò la lunga coda di capelli biondi allo specchio, prima di uscire dalla stanza ed andare dallo zio.


 
“Cosa ha? Lei aveva detto che stava meglio… Perché sta così?” Semir praticamente aggredì il medico appena uscito dalla stanza.
“E’ meglio sedersi” disse il medico mentre il resto del gruppetto si avvicinava.
Con la coda dell’occhio Semir vide che era arrivata anche la Kruger con Jenni, ma che si teneva discretamente a distanza.
“Che succede?” chiese con un soffio di voce Konrad.
“Dunque… ci sono delle complicazioni purtroppo. Ben ha avuto due crisi convulsive, una cui era presente sig. Jager e l’altra mentre facevamo la TAC. Sono piuttosto comuni dopo una emorragia celebrale, ma certo non aiutano a migliorare il quadro clinico. Cerchiamo di tenerle sotto controllo con degli anticonvulsivanti. Inoltre purtroppo Ben ha sviluppato una infezione polmonare abbastanza seria, per questo non riesce a respirare, ha la febbre alta e ha dolore…”
Nessuno dei presenti riuscì a profferire parola.
A Semir salì un forte senso di nausea, come se lo stomaco gli fosse stretto in una morsa fortissima.
“Ha detto che non muove le gambe, che non le sente…” sussurrò
“Questo dipende dall’ematoma. Non si sta riassorbendo come speravamo…”
“E quindi?” chiese ansioso Semir
“Potremo valutare la possibilità di operare di nuovo. Ma questa non è la cosa più urgente ora. Ora dobbiamo far scendere la febbre e tenere sotto controllo le convulsioni. E’ la cosa più importante…”
“Che facciamo?” chiese Julia
“Somministriamo antibiotici e speriamo che funzionino per quel ceppo di polmonite… E speriamo che le crisi convulsive non si ripetano. Consiglio di andare tutti a riposare. Ben dormirà per un po’ e deve stare tranquillo. Nessuna emozione o stress”

Aspettare e pregare.
A Semir sembrava di non aver fatto altro negli ultimi giorni.
“Voi andate a riposare. Io resto qui” disse con aria sicura.
“Ma Semir…” obiettò Andrea
“Niente ma, Andrea, tu torna a casa dalle bambine. Il Commissario Kruger ti  potrà dare un passaggio. Io resto qui. Fuori o dentro la stanza di Ben, io resto qui” Il tono di Semir non ammetteva repliche.
“Papà vieni  torniamo per qualche ora in albergo. Stai per crollare” disse Julia aiutando il padre ad alzarsi.
“Ma io voglio..” provò ad opporsi il padre
“C’è Semir con Ben…” fece la figlia mentre conduceva per un braccio il padre verso l’uscita.


 
“Elli piccola siediti qui vicino a me…” disse Sander Kalvus appena vide la ragazza entrare
Obbediente Elli si accucciò vicino allo zio
“Piccola, come sei bella, bella come tua madre. Mia sorella era la ragazza più bella di Amsterdam e tu sei come lei…” sussurrò con voce roca l’uomo accarezzando i capelli biondi della nipote
Elli sorrise con affetto.
“Bambina, tu sai quanto è importante portare a termine quello che abbiamo iniziato vero?”
“Sì zio, lo so”
“C’è stato qualche imprevisto, ma noi avevamo  pensato che qualcosa poteva andare storto giusto?”
Elli annuì.
“E’ giunto il momento di prepararci a portare a termine la nostra vendetta. Vuoi ancora punire chi mi ha ridotto così giusto? Chi  ti sta portando via l’ultimo membro della famiglia? Vuoi ancora farla pagare ai poliziotti, alla polizia tedesca, a quelli che hanno ucciso i tuoi genitori?”
“Certo zio…” disse sicura Elli.
“Bene allora preparati a fare quello che abbiamo stabilito”


 
Le ore passavano lente.
La corsia era diventata silenziosa durante la notte e alla fine Semir, pregando e supplicando era riuscito a convincere la capo-infermiera a farlo stare nella stanza di Ben, previo giuramento di non fiatare e senza toccarlo.
La cosa costava molto a Semir che provava in continuazione l’impulso di prendere la mano dell’amico nella sua o accarezzarlo per fargli sentire la sua presenza.
Alla fine la stanchezza aveva prevalso sulla sua volontà di restare vigile e Semir si era appisolato sulla scomoda poltrona a fianco al letto.

Sobbalzò al colpo di tosse e aprendo gli occhi vide quelli castani di Ben che lo fissavano con aria stanca.
A Semir si strinse il cuore, sembrava così sofferente e malato.
“Ehi… socio sei sveglio. Hai dolore, vuoi che chiami l’infermiera?”
“No, no…” sussurrò l’amico cercando di fare un sorriso.
“Neppure tu hai un bell’aspetto…” sussurrò  ancora più piano Ben.
“Io sto bene… non ti preoccupare”
Semir vinse tutte gli ultimi scrupoli e si avvicinò afferrando la mano dell’amico. Era ancora tremendamente calda.

“Semir… ma che è successo di preciso?”
La domanda, sospirata piano, colpì il piccolo turco come una valanga da cui si sentì sepolto.
Sapeva di non doverlo agitare, ma l’impulsività prevalse.
“Tu… tu che ti ricordi?” chiese Semir terrorizzato dalla possibile risposta.
Ben rimase in silenzio, affannando come un mantice.
“No no, scusa, non fare così, non ne dobbiamo  parlare ora. Devi stare calmo”  Semir cercò di calmare l’amico
“Io.. io.. mi ricordo che ci hanno diviso… che poi un viaggio in un portabagagli credo…. ma è tutto così sfocato… e poi che stavo in una stanza piccola, avevo tanta sete…”
I  bip dell’elettrocardiogramma si facevano sempre più frequenti.
“Ben calmati, dai basta, devi stare calmo…” Semir cercava disperatamente con gli occhi l’infermiera nel corridoio, ma non la vedeva e non aveva il coraggio di lasciare l’amico per chiamarla.
E Ben non accennava a fermarsi.
“E poi.. poi ho visto la porta aperta… ero così stanco, avevo sete e sono uscito e poi… qualcuno mi inseguiva nei corridoi…”

Il gelo si impadronì dell’animo di Semir. Il sogno… l’incubo tornò come una mannaia nella sua mente.
La sua parte razionale gli diceva di uscire subito e chiamare l‘infermiera per sedare Ben, farlo stare calmo, ma la sua parte emotiva voleva sapere, doveva sapere.
“E poi qualcuno che mi urlava contro… che diceva di odiarmi….” continuò Ben sempre più affannato
“Hai visto chi ti ha colpito?? Lo hai visto??” Semir neppure si accorse di stare urlando.
Ben lo guardò con aria sempre più sofferente. Ormai le labbra gli erano diventate blu e gli allarmi sullo schermo lanciavano bip sempre più acuti.

“Io… io non me lo ricordo… non mi ricordo niente” sussurrò alla fine.
Semir rimase come folgorato e guardò Ben con occhi sbarrati.
“Quindi hai mentito… hai mentito quando hai detto a Bohm che era stato un uomo di Decker!! Perché? Perché hai detto che non sono stato io??” urlò  senza rendersi conto di quello che stava succedendo.

“Perché non sei stato tu, qualunque cosa sia successa non sei stato tu… io lo so che non sei stato tu… non puoi essere stato tu…” la voce di Ben si strozzò in un violento attacco di tosse.
Poi il ragazzo rovesciò gli occhi all’indietro e tutto il corpo si contrasse in continui spasmi.

Finalmente Semir si rese conto di quello che stava succedendo, subito prima che le luci si accendessero ed uno stuolo di sanitari entrasse nella stanza.
“No!!  Ben che sta succedendo? Aiuto…” urlò ai medici terrorizzato
“Fuori di qui” urlò a sua volta Weiss furibondo

Semir uscì barcollando e appena fuori si accasciò contro il muro
Terrorizzato realizzò quello che era appena successo.
Stava per uccidere di nuovo il suo migliore amico, forse l’aveva ucciso davvero stavolta.
“Che ho fatto? O mio Dio che ho fatto?” urlò disperato battendo la testa contro il muro.



Ehm... ambientazione dcisamente da ER. E Semir sempre più sclerato... Ma non temete fra un po' tornerà l'azione.
Sicure che non vi annoio???
Grazie e baci 

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Capitolo 16
*** Piccoli aiuti e grandi alleati ***


Piccoli aiuti e grandi alleati
 

“Posso sapere cosa è successo?”
La voce del dottor Weiss bucò la coltre oscura di disperazione in cui si era rinchiuso Semir.
“C… come sta?” chiese con un filo di voce, senza avere il coraggio di guardare il medico.
“Lo  abbiamo stabilizzato,  ora sta dormendo, ma le avevo espressamente detto che non doveva avere emozioni, che doveva restare tranquillo. Se non riusciamo  a far diminuire le crisi convulsive  la situazione può diventare estremamente pericolosa…”
“Mi dispiace, davvero, io… io non lo so… lui ha iniziato a ricordare ed io…” Semir non ebbe il coraggio di continuare.
“Sig. Gerkan  purtroppo la situazione clinica di Ben è molto critica, questo non posso nasconderlo. Per questo è importante che non abbia emozioni. Dobbiamo stabilizzarlo al più presto e poi tentare di eliminare l’ematoma intracranico, altrimenti la paralisi agli arti inferiori può diventare definitiva. O peggio ancora può comprimere ancor più il cervello e ucciderlo. Se ricordare quello che è successo lo fa agitare allora è meglio…”
“Che io non lo veda? Che non stia con lui, giusto?” Semir completò la frase con voce triste.
“No questo no, dopo aver visto quello che è successo nei giorni scorsi non  penserei mai che a Ben faccia male stare con lei…”
“Ed invece sembra che qualsiasi cosa faccia, per quanto io non voglia, finisce sempre per fargli del male”
Il dottor Weiss si era  seduto anche  lui sul pavimento accanto a Semir.
Solo allora il poliziotto si accorse dell’aria bonaria che aveva  il medico; gli occhi di un azzurro profondo gli ispiravano fiducia e sicurezza: una di quelle persone che ti infondono simpatia a prima vista.
“Questo non è vero, lei lo ha fatto svegliare dal coma quando avevamo tutti già perso le speranze, gli ha salvato la vita in fondo” disse il sanitario sorridendo mentre gli poggiava una mano sul braccio.
“Salvato la vita… salvato la vita… potrei essere stato proprio io a ridurlo così invece…” sussurrò amaro Semir.
Weiss  lo guardò negli occhi. Conosceva la storia.
“Ma Ben ha detto al Commissario Bohm…” fece sorpreso.
Semir  si chiese cosa doveva fare; aveva un disperato bisogno di confidarsi con qualcuno altrimenti impazziva.
“Ben ha mentito, ha mentito a Bohm per salvarmi”
E così si ritrovò a raccontare tutto al medico.


 
“E non ricorda assolutamente nulla? Solo il sogno?” chiese ancora  Weiss alla fine del racconto
“Nulla per quanto mi sforzi, per quanto voglia disperatamente ricordare, nulla… il buio assoluto ed il sogno si interrompe sempre  nello stesso momento”
“Evidentemente c’è un blocco emotivo, lei non vuole ricordare” concluse il medico
“E’ proprio questo che mi fa  ancora più paura. Questo, ed il fatto che nel sogno provo delle sensazioni, dei sentimenti che mi sono estranei… una sensazione spaventosa, io sento di odiarlo, ma non so perchè…” Le lacrime scendevano lungo le guance di Semir ormai irrefrenabili.
“E’ una  questione di subinconscio…”
“Ma io amo quel ragazzo, gli voglio bene più che a un  fratello,  con la mia famiglia è una delle persone che amo di più al mondo…” la voce di Semir era colma di dolore.
Weiss rimase pensieroso.
“Mi ha detto che siete stati catturati e che questo Kalvus le diceva che sarebbe stato lei a decidere del destino di Ben…” ragionò il medico
“Cosa sta pensando?” chiese Semir asciugandosi le lacrime.
“Ad un progetto che abbiamo sviluppato l’anno scorso qui nel nostro laboratorio, in collaborazione con Università di Yale. La sperimentazione di una sostanza derivata dalla cocaina per la terapia del dolore… gli effetti sperati erano quelli di indurre il soggetto a credere di essere in altre situazioni, una suggestione tale da condizionare la mente e da non fargli sentire dolore.”
Semir  si allertò subito.
“In effetti questi sembrano  gli stessi sintomi provocati dalla droga spacciata dalla banda di delinquenti in cui abbiamo cercato di infiltrarci; ma  se me l’avessero somministrata ne sarebbero restate tracce nel mio sangue… e poi gli effetti della droga  non  sono tali da poter pensare di indurre una  persona a fare cose del genere”
“In realtà la sostanza che noi  siamo riusciti a sintetizzare non funzionava proprio perché spariva velocemente dalla circolazione, gli effetti erano troppo brevi, ma per quanto riguarda  le conseguenze nulla posso dire visto che l’abbiamo sempre sperimentata  per fini leciti”
“Vuole dire che qualcuno potrebbe averla modificata?”
“Non lo so… potrebbe essere…”
“Chi lavorava a quel progetto?” Ormai l’istinto di poliziotto che fiuta la pista di Semir era tornato.
“Le procuro l’elenco  appena apre l’ufficio personale. E poi penso che potremmo anche darci del tu. Chiamami Max” Weiss sorrise porgendo la mano al poliziotto che la prese grato di aver trovato finalmente un alleato.
“Semir” disse stringendola con forza.
“Max…  ti prego dimmi che Ben ce la farà…” sussurrò tornando al suo  pensiero più disperato.
“Vorrei potertelo assicurare Semir, ma al momento non posso. E’ giovane  e forte e questo aiuta, ma la strada è lunga ed in salita…”
Max si  alzò e poggiò la mano sulla spalla di Semir.
“Se vuoi, puoi stare ancora un po’ con lui, ma non svegliarlo” disse prima di allontanarsi.
Ma Semir rimase fuori dalla stanza a guardare il sonno dell’amico dal vetro della finestra.
Ormai aveva paura, paura di quello che poteva fargli anche soltanto a stagli  vicino.


 
“Susanne… sono io Semir… no Ben sta sempre uguale. Ho bisogno  che mi controlli una lista di nomi, te la sto mandando ora via fax. Sì, ok, vedi se trovi collegamenti con questa faccenda, grazie. Sì certo, grazie”
Semir chiuse la telefonata e pigiò il tasto del fax dell’ufficio di Max Weiss, spedendo alla bionda segretaria la lista di nomi che il medico gli aveva dato poco prima.
Ormai  era giorno e le corsie si erano animate di personale e parenti che si recavano a trovare i malati.
Uscendo dall’ufficio il poliziotto si stirò le membra stanche; era esausto per la notte passata insonne e aveva ancora addosso l’adrenalina dello shock provato per le parole di Ben e la crisi successiva.
Appena fuori vide entrare nel corridoio del reparto Konrad accompagnato da Max Weiss.
“Sig Jager le volevo dire che mi dispiace davvero per quello che è successo stanotte, io non volevo fare agitare Ben, io non volevo…” balbettò verso il vecchio imprenditore.
“Non si preoccupi Semir, lo so che lei vuole bene a mio figlio. Di questo io non ho mai dubitato, neppure per un istante” la voce di Konrad era triste, ma rassicurante.
Entrambi si avviarono verso la stanza di Ben e rimasero fuori a guardare dalla finestra le infermiere che facevano i controlli di ruotine.
Konrad si appoggiò al muro con aria sconsolata.
“Semir… cosa facciamo se lui non ce la fa? Come facciamo ad andare avanti?” chiese con voce tremula.
“Non ci voglio neppure pensare, non riesco a pensare a questa eventualità, non succederà…” rispose Semir cercando di autoconvincersi.
“Lei deve prendere il bastardo che ha  fatto questo, lo deve prendere…”  fece ancora Konrad mentre, uscite le infermiere, entrava nella stanza di ospedale.
Semir rimase invece fuori.
“Prendere chi ha fatto questo…  e se sono io quello che gli ha fatto questo?” si chiese amaro.
Ma guardando Ben immobile, addormentato nel letto di ospedale, così fragile e debole la rabbia iniziò a montare incontrollabile.
“Ora basta, non puoi restare qui a macerarti nel dubbio e nel dolore. Devi trovare quel lurido bastardo di Kalvus”.
Poggiò brevemente la mano sul vetro della finestra, accarezzando la figura di Ben sul letto.
“Io ora vado socio, vado e, fosse l’ultima cosa che faccio in vita mia, prenderò il bastardo schifoso che ha dato inizio a tutto questo ” mormorò con voce rabbiosa.
A passo svelto uscì dal reparto con l’odio che gli montava dentro minuto per minuto.
Ora lui non voleva arrestare Kalvus, non voleva vederlo in galera.
Lo voleva vedere morto.


 
Arrivò al grande magazzino alla periferia di Berlino che il sole era alto nel cielo terso.
Era una giornata bellissima, fredda e luminosa.
Parcheggiò la BMW argento proprio di fronte all’ingresso e entrò scavalcando i nastri bicolori apposti dalla polizia per segnalare la scena del crimine.
Entrando all’interno il cuore iniziò a battere a mille.
Le immagini di quella notte, la confusione, quelli della SEC che gli urlavano contro, Ben steso a terra in un lago di sangue, tornarono con prepotenza nella sua mente.
Il respiro gli si bloccò mentre vedeva l’enorme macchia scura sul pavimento in tavolato.
Il sangue, il sangue di Ben.
Ansimando cercò di distogliere lo sguardo e iniziò  girare nei corridoi creati dalle enormi casse in giacenza.
Girava già da cinque  sei minuti quando la sua attenzione fu attirata da una porta seminascosta.
Con passo esitante aprì e si ritrovò in una stanza piccola, con un tavolo rettangolare al centro.
In alto una piccola finestra, con  l’anta che sbatteva al vento gelido di novembre.

E all’improvviso i ricordi piombarono su Semir.
 
Capitolo un po’ di transizione… ma mi serviva  per la scaletta della storia.
Vista la mia cronica insicurezza…. sicure sicure che non vi annoio?
Grazie sempre e bacioni

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Capitolo 17
*** Memorie indesiderate ***


Memorie indesiderate
 
Ben si sentiva come precipitato in una specie di buco nero.
Aveva pochi momenti di lucidità, in cui a stento ricordava di aver parlato con suo padre, con Semir o con i medici, ma poi all’improvviso ripiombava in un pozzo nero profondissimo perdendo la cognizione del tempo.
L’unica cosa che ricordava con precisione era di aver parlato, prima che iniziassero i black-out,  con Bohm.
Anche se “parlato” non era proprio la definizione esatta.
Per lo più  quel pallone gonfiato di Bohm gli aveva sibilato contro, cercando di spingerlo a dire che era stato Semir. E anche se Ben  all’inizio non comprendeva neppure bene cosa voleva dire e di che cosa accusava il suo partner, si era messo sulla difensiva e negato tutto.
Solo quando erano quasi alla fine della conversazione aveva capito cosa voleva dire quel folle: Semir… non poteva assolutamente essere stato lui, qualunque cosa fosse successa nel magazzino, Ben era matematicamente certo che non era stato Semir a colpirlo.
E così anche se in realtà non ricordava nulla dal momento in cui aveva cercato di scappare, aveva detto a Bohm la prima cosa che gli veniva in mente, che poi era anche la più probabile, ovvero che era stato un uomo di Decker a colpirlo.
Pur se confuso e sofferente aveva letto sul volto di Bohm la delusione e ne era stato felice.
Qualunque cosa  era successa nel magazzino, non era stato Semir. Di questo Ben era certo come del fatto che la mattina seguente il sole sarebbe sorto.
 

Bohm entrò con il solito passo di carica nel reparto di neurochirurgia.
Non era mai stato così furibondo e frustrato in vita sua.
Provava una rabbia incontrollabile contro quei due, soprattutto contro Jager.
Era incredibile che, pur quasi moribondo, avesse deciso di comunque coprire quello che credeva  l’amico perfetto. Aveva mentito, lui glielo aveva letto negli occhi, ma non aveva potuto fare nulla, stretto quel giorno fra il medico che gli imponeva di uscire immediatamente dalla stanza ed il procuratore sempre più adirato  che lo accusava  di tormentare un povero malato.
E così si era dovuto arrendere ed assistere con rabbia crescente alla revoca degli arresti domiciliari per il turco. Fortuna che almeno non lo avevano riammesso  in servizio.
Ora Bohm era però deciso a cavare dalla bocca di Jager la verità, costasse quel che costasse.
“Buongiorno commissario Bohm, a cosa dobbiamo la sua visita?”
La voce dura del medico raggiunse Bohm appena prima che lui varcasse la porta della stanza di Jager.
“Buongiorno dottore, devo interrogare di nuovo Jager”  rispose con voce ancora più dura.
“Questo è  escluso al momento, il paziente non è in grado di  essere interrogato e può ricevere visite solo dai familiari stretti…”
“Ed in questi ovviamente è incluso Gerkan… dica la verità, si è già precipitato qui a  parlargli”
A conversazione fra i due assumeva toni sempre più accesi.
“Questi non penso siano affari che la riguardano, non mi risulta che l’ispettore Gerkan abbia qualche limitazione nel venire qui”
“Ma io sono in veste ufficiale, devo interrogare Jager su un reato molto grave, lei non può impedirmi di entrare. E poi non mi sembra che stia così male da non riuscire neppure a parlare”
Bohm indicò la finestra  da cui si vedeva Ben che parlava debolmente con il padre seduto accanto a lui.
“Le ripeto che il paziente non può avere alcun tipo di emozione, quindi è totalmente escluso che lei gli parli ora. Non ho altro da aggiungere”
Bohm diventò furioso.
“Forse non ha capito che io sono un commissario della polizia tedesca” sibilò.
“Quello che lei è o non è fuori di qui non mi interessa. All’interno di questo reparto sono io che  stabilisco se lei può parlare con il paziente. E se non sparisce  di qui entro cinque minuti, faccio chiamare la sorveglianza” Weiss non era tipo da farsi intimidire.
Bohm lo guardò con aria irata e rosso in volto.
“E va bene, ma se scopro che sta in qualche modo coprendo Gerkan me la paga.  Lei è tenuto ad avvisarmi appena Jager è in grado di parlare” sibilò furibondo prima di allontanarsi a passo svelto.
Weiss rimase a guardarlo con aria disgustata, ma non aveva intenzione di pensarci più di tanto.
Entrando con i risultati degli ultimi esami nella stanza di Ben incrociò il padre che stava uscendo.
“Mi pare stia un po’ meglio, mi sembra più lucido e dice di avere meno dolore quando respira” disse Konrad guardando speranzoso verso il medico.
“Beh in effetti non ha più crisi convulsive da quasi dieci ore e questo è un buon segno. E anche gli antibiotici stanno funzionando…”  rispose Weiss guardando la cartella clinica.
Ma gli occhi del medico tradirono subito la sua apprensione.
“Che c’è dottore? Perché c’è qualcos’altro giusto?” chiese  preoccupato.
“Mi preoccupa l’ematoma, non si sta riassorbendo e sta comprimendo il cervello, per questo Ben non  ha sensibilità alle gambe. E purtroppo la cosa che più mi impensierisce è la possibilità che riprenda a sanguinare. A questo punto non abbiamo più scelta, dobbiamo operare di nuovo” disse il medico con sincerità.
Konrad impallidì “Questo è sempre più un incubo senza  fine…” mormorò appoggiandosi al muro.
“Per ora possiamo solo aspettare e sperare che Ben si stabilizzi definitivamente quanto prima; prima interveniamo meglio è” disse  infine il medico mettendo una mano sul braccio del vecchio e cercando di confortarlo.
 
 
“Ora vedrai cosa si prova… cosa si prova a vedere la propria vita, tutto quello che hai costruito, distrutto in un minuto…”
La voce di Kalvus giunse a Semir da lontano.
Ricordava a stento di essere trascinato in un portabagagli, dopo che una ragazza bionda gli aveva iniettato qualcosa e poi un viaggio che gli era sembrato lunghissimo. Ad un certo punto gli era sembrato anche di sentire Ben, ma pur se aveva chiamato e urlato non aveva ottenuto risposta.
 Ora si trovava in una stanza piccola,  steso su di un tavolo, legato mani e piedi.
Una finestrella in alto rimandava un fascio di luce debole, mentre  l’anta continuava a  battere, spinta dal vento freddo.
Semir cercò di recuperare lucidità.
“Bastardo, dov’è Ben?” chiese con voce roca mentre Kalvus si avvicinava con il solito ghigno beffardo sul viso.
Kalvus rise istericamente.
“Ma quanto siamo affezionati… fra poco non gli sarai così affezionato, te lo assicuro. Ed io mi divertirò, mi divertirò a  guardare mentre uccidi con le tue mani il tuo caro amico. E poi perderai tutto, la tua famiglia, il tuo onore e dovrai vivere per sempre con il pensiero di averlo ucciso…”
“Tu sei pazzo… io non farò mai una cosa del genere…”
Kalvus si limitò a ridere ancora una volta.
“Ed invece ti assicuro che fra un po’ non vorrai altro”
 
I ricordi piombarono su Semir come una slavina che lo soffocò, facendogli perdere l’equilibrio.
Si accasciò  sul pavimento sporco cercando di far entrare l’aria nei polmoni. Provava sensazioni spaventose, paura, ansia, senso di frustrazione. E odio.
Neppure si accorse del rumore alle sue spalle, sino a che una voce familiare non lo scosse.
“Semir… cosa ci fai qui?” chiese Hartmut entrando nella stanza e precipitandosi verso il poliziotto inginocchiato in terra.
“Stai bene?” chiese ancora il tecnico cercando di rialzarlo da terra
“Sì.. sì… sono stato tenuto in questa stanza Hartmut, mi hanno fatto qualcosa in questa stanza…” balbettò  Semir mettendosi faticosamente in piedi.
“Stai iniziando a ricordare?” Hartmut era eccitato
“Qualcosa… ma quello che ricordo non mi piace Hartmut, te lo assicuro…”
Semir uscì dalla stanza con passo malfermo
 
 

“Dottore ha visto Semir?” chiese con voce debole Ben mentre Weiss era impegnato a controllare i parametri sui monitor.
“No, mi spiace, non lo vedo da stamattina presto” rispose il medico.
La  delusione si dipinse sul volto di Ben.
“Non si preoccupi, vedrà che sarà  qui presto”  fece  ancora il medico con simpatia.
“Già, sempre che non sia troppo arrabbiato con me….” sussurrò ancora il giovane.
“Per aver mentito a Bohm? Semir non è arrabbiato è solo preoccupato”
Ben guardò il medico sorpreso.
“Stanotte si è preso uno spavento terribile… era talmente preoccupato che mi ha raccontato tutto” giustificò il medico.
“Non è colpa sua quello che sta succedendo, non è stato lui…” disse ancora debolmente Ben.
“Beh… a quanto mi ha raccontato Semir nessuno di voi due può essere sicuro di quello che è successo. Lui teme di averle fatto del male anche non volendo.”
“Non si conosce bene, almeno non si conosce quanto lo conosco io. Lui non riuscirebbe mai a fare cosa del genere. Mai, neppure sotto l’influsso di qualche sostanza o droga…” la voce di Ben anche se debole,  era decisa.
“Purtroppo  lui non ne è così sicuro, è tormentato e teme di poterle fare ancora del male…”
“Per questo non c’è? Che vuole fare, starmi per sempre lontano?”  fece sempre più triste il ragazzo.
“Semir ha solo bisogno di un po’ di tempo e di ricordare. E poi forse abbiamo una pista. Ora però è importante stare calmi. Dobbiamo evitare altre crisi convulsive ed affrontare al meglio  le fasi successive…”
“Vuol dire affrontare la paralisi? Perché l’ho capito che non è l’effetto degli anestetici…”


 
Lo squillo del cellulare  fece sobbalzare Semir come un colpo di pistola.
“Semir sono Susanne, ho le informazioni che mi hai chiesto” fece la voce dolce dall’altro lato della linea.
“Dimmi Susanne”
“Allora del gruppo dei ricercatori che sperimentava la sostanza faceva parte una certa Elli Von Tiere e indovina un po’…   è una biologa molto esperta ed è la figlia di Martha Kalvus la sorella di Sander Kalvus”
L’informazione lasciò Semir senza fiato.
“Hai un indirizzo? Un recapito qualsiasi?”
“Purtroppo no, dopo la conclusione del progetto di ricerca è come se fosse sparita dalla faccia della terra. L’ultima notizia ufficiale è la visita che ha fatto allo  zio in carcere il giorno prima che morisse. Ti mando la foto della patente sullo smartphone”
Semir riattaccò la telefonata ed attese con impazienza il segnale di arrivo del messaggio.
E appena vide la foto della giovane bionda tornarono ancora i ricordi.
 
“Che stai facendo…” Semir urlò contro la ragazza che con aria assolutamente indifferente si avvicinava con una siringa fra le mani.
Fredda alle sue grida la ragazza bloccò il braccio di Semir che, anche se legato cercava disperatamente di dimenarsi.
Poi con gesto deciso infilò l’ago nella vena.
 
“Lo odi, non desideri altro che ucciderlo. Lui ti ha preso tutto. Ora lo devi uccidere…”
La voce era ossessiva e gli rendeva i pensieri confusi. Sentiva che le immagini felici dei giorni trascorsi con il suo giovane partner sfumavano lasciando il posto ad un  furore ad una rabbia ed un odio senza ragione.
Non sapeva perché ma l’istinto gli diceva che lo odiava.
“Resisti Semir, resisti, tu non lo odi,  lo ami e non gli farai del male…” si disse ma ogni volta la sua volontà era più debole ed il suo odio, freddo incontrollabile, più forte”
“Lo odi e lo devi uccidere. Lo vuoi uccidere” disse forte e ormai padrona la   voce nella sua testa.
Semir sentì che aveva mani e gambe libere.
La porta era aperta.
Si alzò dal tavolo ed uscì per cacciare ed uccidere.



Elli era seduta nell’auto parcheggiata proprio di fronte alla villetta della ordinata zona residenziale.
Intorno a lei la normale vita familiare di un quartiere borghese. Mamme che spingevano carrozzini o portavano i bambini a casa per mano, gruppetti di piccoli che giocavano felici nella fredda aria del primo pomeriggio, capannelli di donne e uomini che chiacchieravano fra loro approfittando del  giorno festivo.
“Ci siamo” fece Decker che era seduto accanto a lei mentre vedeva la piccola Audi blu arrivare e fermarsi dall’altro lato della strada.
Impugnò la macchina fotografica e scattò diverse foto alla donna e alle due  bambine che scendevano dall’auto, avviandosi verso l’ingresso della casa, subito accolte da una signora più anziana.
“Allora io vado mamma, penso di tornare verso le nove se tutto va bene” disse la donna più giovane dopo aver fatto entrare le bambine in casa, avviandosi di nuovo verso l’auto.
“Va bene Andrea, stai tranquilla” rispose la donna più anziana chiudendo l’uscio.
Elli e Decker restarono a guardare l’Audi che si allontanava.
“Possiamo andare, abbiamo tutto quello che ci serve” disse Elli e subito Decker mise in moto e ripartì.
 

 
 “Posso entrare?” chiese Andrea facendo capolino dalla porta
“Andrea… certo entra pure” disse Julia alzandosi dalla sedia accanto al letto.
“Sta dormendo?” chiese piano la donna vedendo Ben con gli occhi chiusi
“Ogni tanto si addormenta, ma dopo un po’ si sveglia…”
Ed infatti dopo poco il giovane aprì gli occhi
“Andrea…” sorrise
“Ben, tesoro, che bello vederti con gli occhi aperti”  Andrea ricambiò il sorriso.
“Qui possiamo stare solo uno per volta. Vi lascio parlare  un po’” disse Julia uscendo dalla stanza
“Le bambine?” chiese debole il ragazzo
“Bene, ma non fanno altro che chiedere dello zietto”
“Andrea dov’è Semir?” La voce di Ben era triste. La notizia che gli aveva dato il medico sulla nuova operazione l’aveva spossato e ora più che mai desiderava disperatamente la vicinanza dell’amico.
“Non lo so Ben, mi ha chiamato stamattina dicendo che aveva una cosa importante da fare e di non preoccuparmi. Poi mi ha mandato un messaggio che diceva che stava bene. Ma ora non risponde più al telefono”
“Non mi vuole vedere…”
“Ma che stai dicendo?”
“Non mi vuole vedere… stamattina è corso via senza n.. neppure s.. salutare”. La voce di Ben si fece lenta e biascicata
“Questa è una sciocchezza bella e buona. Fra poco Semir arriva” disse Andrea, ma poi si accorse che  il ragazzo aveva chiuso gli occhi.
Stava per uscire credendolo addormentato, per chiamare di nuovo il marito, ma poi una brutta sensazione si impadronì di lei.
Fermò il dottor Weiss che proprio in quel momento  passava davanti alla stanza.
“Dottore, stavo parlando con Ben… ma è normale che si  sia addormentato mentre stava parlando?”
Weiss si allarmò immediatamente.
Corse vicino al letto e cercò senza risultati di svegliare Ben con schiaffetti e pizzicotti sulle guance.
Con la piccola torcia che tirò fuori dalla tasca del camice illuminò le pupille del ragazzo.
“Maledizione” mormorò
Poi con mano ferma  pigiò il pulsante delle emergenze sull’interfono.

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Capitolo 18
*** Aspettare e pregare ***


Aspettare e pregare


“Semir, Semir, ti senti bene?” Hartmut cercava di scuotere l’amico che era fermo immobile in ginocchio al centro di uno dei corridoi
“Semir!!” Hartmut quasi urlò per cercare di raggiungere l’uomo nell’oscuro posto in cui si era rifugiata la sua mente
Finalmente Semir tirò un respiro profondo e guardò il tecnico con sguardo perso e disperato.
“Mio Dio Harty… sono stato io, ora ne sono certo. Sono stato io…” balbettò
“Ma che vuoi dire?? Ben ha detto che è stato uno degli uomini di Decker. Perché dici questo?”
“Invece sono stato io…” singhiozzò Semir cercando di rimettersi in piedi
Il tecnico lo guardò smarrito “Vuoi dire che Ben ha mentito?”
Semir riuscì solo a annuire
“Cavolo, ma ti sei ricordato qualcosa?”
Ed ancora una volta Semir annuì triste, prima di raccontare all’amico i suoi ricordi.
 
“Ma anche se fosse come dici, allora non saresti stato davvero tu, ti hanno drogato, suggestionato…” Hartmut aveva assunto di nuovo la sua aria professionale
“E’ quello che crede anche il dottor Weiss…”
“Ma certo, deve essere  stata la nipote di Kalvus. Sono sicuro che è stata lei sia a sintetizzare la sostanza che  ti hanno iniettato che a  indurre la morte apparente dello zio per farlo scappare dalla prigione” fece Hartmut
Ma Semir rimase in silenzio.
“Harty…  ma tu credi davvero che una qualsiasi droga possa avere questi effetti? Davvero credi che quella droga possa aver completamente annullato i miei sentimenti, le mie inibizioni? Kalvus continuava a dire che in realtà io avrei “voluto” farlo…”
“E tu credi davvero possibile  aver dimenticato l’affetto per Ben volontariamente? Credi possibile che anche solo lontanamente tu abbia “voluto” ucciderlo?”
“No ma…”
“Basta Semir, ora dobbiamo solo trovare Kalvus e la sua banda e farci dare un campione di quella droga. E tutto sarà chiarito”
Semir rimase in assoluto silenzio mentre Hartmut si aggirava per il magazzino facendo i suoi rilievi.
Sino a che il cellulare non vibrò nella sua tasca.
Guardò il numero e pensò di non rispondere alla moglie, come aveva fatto per le altre tre o quattro telefonate precedenti.
Non sapeva cosa dire ad Andrea e stava per rimettersi il telefono in tasca, quando il suo istinto gli disse di ascoltare almeno se Andrea aveva lasciato un messaggio in segreteria.
La voce registrata di Andrea gli fece saltare il cuore in gola.
“Semir… ma dove sei? Devi venire subito in ospedale… Semir… fa’ presto”

 
 
Aveva guidato come in trance, ad una velocità da ritiro immediato della patente ed evitando per un pelo almeno due incidenti e maledicendosi per non aver accettato l’aiuto di Hartmut che voleva accompagnarlo.
 Ma in quel momento non voleva farsi vedere piangere come un bambino.
Parcheggiò l’auto su di un marciapiede incurante della multa certa che avrebbe trovato sul cruscotto e salì di corsa le scale.
Mentre si avvicinava alla stanza di Ben  cercò di darsi un contegno, conscio di non riuscirci per nulla. Era stravolto dall’ansia.
Quello che vide all’interno lo mandò nel panico più assoluto.
Il letto era vuoto e tutti i segnali dei monitor erano spenti.
I pensieri più orribili gli riempirono la mente.
“Dov’è?” urlò disperato appena vide Andrea che gli andava incontro.
“In sala operatoria, ha avuto un’altra emorragia celebrale”


 
 
“Zio siamo tornati, abbiamo fatto quello che ci hai chiesto. Siamo pronti”
“Bene bambina, bene, vieni a sederti un po’ qui, vicino a me…”
Kalvus tese la mano a Elli che immediatamente la prese e si sedette a terra accanto alla poltrona dello zio.
“Promettimi che quando non ci sarò più, quando tutto questo sarà finito ti rifarai una vita, avrai un marito e dei bambini” disse Kalvus carezzandole la testa.
“Sì zio… ci proverò” rispose la ragazza senza troppa convinzione.
Una famiglia… lei non poteva avere una famiglia. Non l’aveva mai avuta in passato e non l’avrebbe avuta in futuro. Era il suo destino e si era rassegnata molto tempo prima.
“E Jager?”
“Ancora ricoverato… e la nostra fonte ci dice che non va per nulla bene…”
Kalvus sorrise freddo e perfido.
“A questo punto mi dispiacerebbe che morisse, guasterebbe la festa che sto preparando per il suo amico” sussurrò.

 
 
“Che ore sono?” chiese Semir ad Andrea per l’ennesima volta.
“Cinque minuti da che l’hai chiesto l’ultima volta” rispose paziente la moglie, evitando di fargli notare che anche lui aveva un orologio al polso.
La donna non sapeva proprio come comportarsi e cosa dire al marito; sembrava  dominare a stento le lacrime e mai nella  sua vita l’aveva visto così esaurito.
“Faccio un giro, se sto qui fermo va’ a finire che do di matto” disse il poliziotto alzandosi dalle scomode sedie in plastica davanti alla sala operatoria.
Iniziò a girare senza meta fra i corridoi fino a che la sua attenzione non fu attirata da un cartello con la scritta “cappella”; senza neppure pensarci si ritrovò a seguire le indicazioni sino a che non arrivò  davanti alla vasta sala, con due file di panche ai lati.
Era una cappella come quelle che si trovano negli aeroporti, senza simboli religiosi definiti.
Non c’erano Croci, statue di divinità o Rotoli della Torah, solo panche e due tappeti rivolti verso la Mecca, così ognuno poteva sedersi e pregare il suo Dio.
“Ideale per la mia situazione” pensò Semir.
Suo padre era turco e musulmano, ma sua madre era tedesca e cattolica praticante, così come Andrea, che aveva fatto battezzare entrambe le bambine  da cattoliche.
Semir si era sempre ritrovato a metà fra due religioni, cresciuto da genitori che non avevano inteso imporgli nulla in materia, lasciandolo perfettamente libero di decidere.
E lui era rimasto a metà fra le due religioni: credeva fermamente nella presenza di una entità superiore, ma si ritrovava a chiamarla indifferentemente Dio o Allah.
 Semir non pregava molto spesso.
Per questo quella sera si ritrovò a fare una cosa che non faceva da tempo.
Entrò nella cappella e pregò Dio o Allah di salvare la vita del suo migliore amico.

 
 
Neppure si accorse che Konrad era entrato e si era seduto discretamente accanto a lui.
“Sig. Jager non l’avevo vista… ci sono novità?” chiese ansioso voltando la testa
“No niente ancora, ma mi sembrava di impazzire a stare lì seduto senza fare nulla…” fece il vecchio.
I due rimasero in silenzio per un po’.
“Solo chi ha figli può capire cosa non si arriverebbe a fare per loro…”  disse poi all’improvviso il vecchio.
“Il minuto prima sono appena nati, li puoi tenere  con un mano sola… e il minuto dopo si ribellano, ti urlano contro, sono pronti a fare di tutto per seguire la loro strada…pronti a rifiutare quello che con tanto sacrificio hai preparato per loro, una vita agiata, sicura, senza pericoli. In tutti questi anni non sono mai riuscito a chiarire con Ben la ragione per cui non volevo facesse il poliziotto… era per non vivere momenti come questi, non certo perché lo volevo nella azienda di famiglia”
Semir lo guardò in silenzio e per la prima volta provò empatia per quell’uomo. Pensò a cosa avrebbe provato lui se Aida o Lily un giorno gli avessero detto che volevano  entrare in Polizia; forse la sua reazione non sarebbe stata così diversa da quella del vecchio costruttore.  
“Ho provato di tutto, con le lusinghe e con le minacce, con mezzi leciti ed illeciti,  ho persino cercato di corrompere il suo esaminatore alla Accademia di Polizia, ho fatto di tutto… ma non è stato abbastanza. Forse dovevo spingerlo  fare il musicista o l’artista, una qualsiasi altra cosa. E soprattutto sono stato un padre assente. Sono un padre che perderà il proprio figlio senza avergli mai detto quanto lo ami davvero”
Konrad scoppiò in un pianto a dirotto.
“Sig. Jager Ben è nato poliziotto, mi creda, la sua è una vocazione che si prova dentro, e lei non sarebbe mai riuscito a fargli cambiare idea. Ben starà bene, vedrà… avrete tutto il tempo per chiarirvi”
Ma anche Semir aveva un groppo alla gola; pensò alle sue figlie, e a cosa avrebbe provato se qualcuno avesse fatto loro del male, a cosa avrebbe fatto al responsabile.
Come poteva dire a Konrad che forse era lui quello che aveva ridotto in fin di vita il figlio?

 
 
 “No mamma, non so se ce la faccio a tornare per stanotte. Ok nel caso accompagna tu le bambine a scuola domani mattina. Un bacio… ti faccio sapere“
Andrea chiuse la chiamata appena vide  Semir tornare verso di lei con Konrad.
“Due anime in pena..” pensò la donna
“Ancora nulla?” chiese con un filo di voce il marito
“No nulla ancora…”
“Dovresti tornare a casa dalla bambine…”
“Non se ne parla proprio, io non ti lascio qui da solo. E poi anche io amo Ben come un fratello, voglio sapere anche io come sta… non riuscirei a stare a casa”
I tre tornarono a sedersi sulle scomode panche, contando i minuti che sembravano infiniti.


 
“Hai fatto quello che ti ho detto?” chiese Kalvus a  Decker vedendolo sull’uscio.
“Sì certo, non c’era nessuno in casa, anche la moglie è in ospedale, è stato facilissimo…”
“Bene, allora  forse è meglio aspettare. Vediamo come si evolvono gli eventi a Berlino. A questo punto mi dispiacerebbe davvero molto che la mia vendetta finisse così, senza darmi piena soddisfazione…”


 
Hartmut aveva finito i suoi rilievi all’interno del  magazzino, scattato quante più foto possibile e ora stava tornando verso Colonia.
Per un attimo aveva pensato di fermarsi all’ospedale per vedere Ben, ma viste le circostanze si sarebbe sentito un estraneo, fuori posto.
Così mestamente aveva imboccato l’autostrada verso Colonia con un crescente senso di frustrazione.
Era andato al magazzino sicuro di trovare una soluzione per il rompicapo che lo assillava; come avevano fatto gli uomini di Decker a lasciare il posto senza farsi vedere dalla SEC? Quando gli uomini delle forse speciali avevano fatto irruzione c’erano solo Semir e Ben e avevano circondato il magazzino più di un’ora prima. La droga che avevano iniettato a Semir non poteva fare effetto così a lungo, quindi i bastardi avevano lasciato il posto senza essere visti quando la SEC era già arrivata o stava arrivando.
Ma come? Per quanto avesse girato ed ispezionato ogni singolo metro di quel dannato magazzino non aveva trovato il benchè minimo segno di passaggi segreti, botole o altro.
E poi dove erano finiti Kalvus e Decker? Non potevano essere spariti  dalla faccia della terra… e dove erano finiti i soldi che Ben e Semir avevano portato loro? Si maledisse per aver dato ascolto a quelli dell’antidroga e non aver piazzato un rilevatore nella valigetta. E la donna che aveva chiamato per avvisare la SEC?
Hartmut aveva mille pensieri in testa, ma come gli aveva detto la Kruger purtroppo le indagini erano di competenza della antidroga. E Kim Kruger non si fidava del Commissario Heiss, per cui Hartmut se la doveva cavare da solo.
Ma lo doveva ai suoi amici e quindi avrebbe trovato il bandolo di questa matassa. A qualsiasi costo.


 
 
“Max… la pressione incomincia a scendere troppo…” disse l’anestesista guardando preoccupato verso Weiss.
“Ho quasi finito… ancora un po’…” rispose  il medico senza alzare  gli occhi dal tavolo operatorio.
L’anestesista però continuò a lanciare sguardi preoccupati alle apparecchiature sino  che queste non iniziarono  emettere allarmi di tutti i tipi.
“E’ entrato in fibrillazione ventricolare. Adreanalina”
“Merda…” sussurrò fra sé e sé Weiss mentre mollava il bisturi elettronico e si avvicinava alla apparecchiatura per la defribrillazione.
“Niente… l’adrenalina non funziona… carica a 200 joule”  ordinò mentre prendeva dalla infermiera le piastre e guardava preoccupato le linee sempre più irregolari del battito cardiaco sui monitor.
“Libera!” ordinò ancora mentre dava la prima scarica.
“Niente… riproviamo, carica a 300” fece concitato mentre si preparava a dare la seconda scarica
“Avanti ragazzo, forza, non mi morire sul tavolo operatorio, c’è un mucchio di gente là fuori che ti  aspetta, non vorrai deluderli”  Weiss incitò Ben, come se potesse sentirlo.
“Libera!” ordinò ancora mentre faceva correre la corrente nel corpo.
 

  
“Quanto tempo è passato?” chiese per l’ennesima volta Semir guardando le porte automatiche della sala operatoria che continuavano a restare inesorabilmente chiuse.
“Credo  più o meno cinque ore…” rispose sommessamente Andrea.
“E’ un infinità…  qualcosa sta andando male… lo sento”
“Semir non ci si guadagna nulla ad essere pessimisti, cerchiamo invece di pensare positivo” rispose la moglie prendendogli la mano.
E proprio in quel momento le porte della sala operatoria si aprirono e ne uscì Max Weiss che, con aria scura in volto, si avvicinò al gruppetto in attesa.
 
 
Ve lo avevo detto che questa storia poteva sembrare  un crossover con ER.
Domande per il prossimo capitolo
Ben ce la farà?
E se  ne esce vivo in che condizioni?
Dovranno chiudere Semir in un centro di igiene mentale?
Cosa intende Kalvus quando dice  che a questo punto gli “dispiacerebbe” se Ben morisse?
Cosa ha fatto Decker a casa di Semir?
E Hartmut troverà spiegazioni?

E poi la  solita domanda ( da insicura patologica…) Ma siete proprio certe che non vi sto annoiando? Ma proprio sicure? ;)
Grazie sempre e recensioni supergradite

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Capitolo 19
*** Vortice ***


 Vortice
 
Semir strinse istintivamente la mano di Andrea sin quasi a farle male ed ebbe nettissima la sensazione che il cuore stava per fermarsi.
Konrad e Julia balzarono invece in piedi.
“Dunque… l’operazione è tecnicamente riuscita bene. Abbiamo drenato l’ematoma e fermato l’emorragia” disse il medico guardandoli con simpatia.
Ma i suoi occhi non facevano trapelare sollievo, appena lo guardò Semir capì all’istante che qualcosa non andava per il verso giusto.
Si alzò dalla sedia ed andò verso il medico
“Ma? Perché c’è un ma, vero?” chiese guardando Max negli occhi
“Purtroppo ci sono state delle complicazioni, poco prima della fine dell’intervento Ben è andato in arresto cardiaco…”
Tutti i presenti sbiancarono all’istante.
“Per fortuna siamo riusciti a far ripartire il normale ritmo cardiaco in poco tempo e non dovrebbero esserci danni. Ma questo non possiamo saperlo con certezza sino a che non si sveglia. Dobbiamo aspettare per questo e anche per scoprire gli eventuali danni cagionati dalla pressione dell’ematoma sul cervello”
 “Vuole dire che la paralisi potrebbe essere permanente?” Konrad aveva la voce strozzata.
“Non possiamo dirlo ora, ma pensiamo che Ben è vivo, è vivo e respira da solo, questo è un ottimo segno, tutto il resto verrà…”
Ma la notizia non contribuì a tirare su di morale il gruppetto; avevano tutti l’aria sconvolta.
“Perché non andate tutti a riposarvi? Ben dormirà per almeno altre dieci o dodici ore” propose Weiss.
“No no, io resto qui, guarda che è successo appena me ne sono andato” mormorò Semir anche se si sentiva davvero esausto.
  “Forse riesco a procurarti un letto…” sussurrò il medico
“ Devo essere qui quando apre gli occhi” propose speranzoso il piccolo turco
“Ci provo…” Max si stava dimostrando un vero amico
“Noi portiamo Andrea con noi in albergo, è troppo tardi per tornare a Colonia” disse Julia avviandosi verso l’uscita.
Semir baciò la moglie e poi si avviò con Max verso la stanza di Ben.
 

 
Semir entrò nella stanza dopo aver atteso pazientemente per più di un’ora che Max e gli altri medici sistemassero Ben e facessero i dovuti controlli.
Finalmente con un gesto della mano Max gli fece cenno di entrare.
Semir  si avvicinò timoroso al letto dove giaceva l’amico e  sentì di nuovo un groppo alla gola.
Ben era tremendamente pallido, quasi più bianco delle fasce che avvolgevano completamente la testa. I monitor  continuavano a lanciare i loro monotoni segnali e  per la prima volta Semir trovò quei rumori rassicuranti; sino a che non risuonavano gli allarmi la situazione era stabile.
Prese la mano inerte del suo amico  nella sua, con un gesto che ormai gli era diventato familiare.
“Va meglio sai, non ti devi preoccupare, i valori sono stabili” Max sorrise incoraggiante vedendo la faccia spaesata del poliziotto.
 “Mi fa sempre prendere spaventi, anche sul lavoro, sembra che lo faccia apposta a  cercare di farmi venire un infarto…” Semir sorrise lievemente, mentre carezzava Ben sulla guancia.
“E’ da molto che lavorate insieme?” chiese Max sedendosi anche lui a fianco al letto
“Cinque anni…all’inizio non è stato facile. Avevo perso l’anno prima il mio precedente partner, l’aveva ucciso proprio Sander Kalvus, ed io vivevo da molti mesi sotto protezione con la mia famiglia. Non è stato facile, ma lui è riuscito a tirarmi fuori dalla depressione in cui stavo cadendo, mi ha restituito il piacere di fare il mio lavoro” Mentre parlava Semir continuava ad accarezzare la guancia  di Ben
“Siete molto legati…”
“Siamo anche più che legati, ormai lui è come se fosse mio fratello, è un membro della mia famiglia esattamente come mia moglie e le mie due figlie. Per questo non riesco a pensare di aver potuto fargli del male… anche  se ero sotto l‘affetto di qualche sostanza non riesco a capire come possa aver dimenticato chi è e cosa provo per lui”
“Quei tipi di sostanze sono molto potenti, soprattutto se modificate…”
“Talmente forti da farmi superare ogni inibizione? La cosa che più mi spaventa è  la possibilità che l’affetto che provo per lui non è stato così forte da superare l’effetto di una semplice droga”
In quel momento l’attenzione dei due venne attirato dai lamenti di Ben che iniziò ad agitarsi debolmente muovendo la testa sul cuscino.
Semir guardò spaventato Max mentre il medico pigiava alcuni pulsanti sul display dei monitor accanto al letto. Immediatamente Ben si calmò.
“Deve dormire ancora per un po’, cerchiamo di svegliarlo il più tardi possibile, così il suo corpo può recuperare” spiegò Max  vedendo l’aria spaurita dell’amico.
Semir accarezzò di nuovo la guancia di Ben delicatamente.
“Sai… se dovessi pensare ad un solo aggettivo per definire Ben penserei a “vitale”. Per questo non riesco a pensare che potrebbe dover passare la sua vita su di una sedia a rotelle, non riesco a pensare che posso essere stato io a fargli questo… come faccio a guardarlo ancora negli occhi??” una lacrima scese sulla guancia di Semir.
“Non bisogna mai fasciarsi la testa prima che si sia rotta. Io sono ottimista. Ora però dovresti andare a dormire. Ti ho fatto preparare un letto nella stanza qui a fianco…”
“Ancora cinque minuti…”
“Semir… stai per crollare, ti si legge in faccia. Se ti senti male anche tu non puoi essere di aiuto quando si sveglia. Forza, vai a dormire” il medico lo prese per un braccio e lo spinse delicatamente fuori dalla stanza.
A malincuore il piccolo turco lasciò  la mano dell’amico.
Non si accorse di quanto era stanco fino a che non poggiò la testa sul cuscino e si addormentò quasi immediatamente.


 
Kim Kruger si stropicciò gli occhi stanchi.
Guardò l’orologio… l’una e mezza della notte.
Aveva atteso in ufficio notizie sulle condizioni del suo ispettore e ora era stanca morta.
La voce tormentata di Andrea l’aveva sconvolta: il pensiero di Jager, quel ragazzone allegro e scanzonato, sempre in ritardo, sempre di corsa, costretto su di una sedia a rotelle le era insopportabile.
Con sorpresa vide  dalla porta a vetri Bohm entrare nell’ufficio.
Quell’uomo era un vero strazio.
“Bohm… a quest’ora  della notte… che piacere vederla…” disse ironica verso l’uomo che senza neppure bussare era entrato nel suo ufficio.
“Quando si ha un obiettivo non importa l’orario di lavoro” rispose  gelido
“Dipende dall’obiettivo… cosa vuole?” Kim era sempre più irritata
“Sapere se Gerkan è riuscito nel suo intento…”
“Che cavolo vuole dire?”
“Se è riuscito ad ammazzare Jager… mi hanno detto che ha avuto un’altra crisi, guarda caso dopo che Gerkan era andato da lui senza controlli…”
“Bohm non le rispondo nemmeno  guardi… e le ricordo che Jager ha scagionato Gerkan in modo pieno. Ha preso lei la sua deposizione”
“Jager ha mentito, questo lo sa anche lei, ha platealmente mentito, non me lo so spiegare la ragione, ma sono certo che ha mentito” Bohm si avvicinò a Kim parlandole letteralmente sul viso
“Bohm io non vado dietro ai suoi vaneggiamenti, lei è completamente fuori di testa ormai…” Kim era spaventata per l’odio che leggeva negli occhi di quell’uomo.
“Si è chiesta che fine hanno fatto i soldi che Jager e Gerkan dovevano dare alla banda di Decker? E come avrebbero fatto quelli della banda a lasciare il magazzino prima che arrivasse la SEC? Cosa hanno fatto quei due nei due giorni in cui avete perso le loro tracce??”
“Bohm lei vaneggia, ormai è chiaro. E a queste domande dovete rispondere lei e Heiss che avete le indagini in mano…”
“Jager ha mentito… sa, prima credevo che Gerkan fosse solo in questa faccenda, ora inizio a pensare che quei due abbiano agito insieme… forse è stata solo una questione di come spartirsi il denaro…”
“Bohm lei vaneggia… Jager ha bisogno di tutto nella vita fuorchè di denaro…” Kim rise in faccia all’uomo.
“Non si può mai dire… è che sto cercando una spiegazione al fatto che qualcuno dopo essere stato massacrato in quel modo decida di proteggere e coprire il suo assassino…” fece Bohm ancora più beffardo.
“E non le viene in mente  che forse Jager ha detto la verità? Che non è stato Semir  colpirlo?”
“Ma per favore…e dove sarebbe sparito questo fantomatico uomo di Decker che ha colpito Jager mentre tentava di fuggire? Perché non c’è traccia di loro in quel magazzino: nessuno è entrato e nessuno è uscito, c’era solo Gerkan  con Jager “
“Basta lei ora mi ha stancato. E’ tardi e sono stanca, è meglio che se ne vada” Kim si alzò dalla sedi prendendo la giacca.
“In realtà sono venuto qui per avvertirla. Io non ho intenzione di mollare e se scopro che qualcuno di voi, lei o qualcuno dei suoi uomini, sta aiutando Gerkan in qualche modo, la pagherete cara, siete avvisati”
Kim non gli rispose, lo invitò semplicemente con la mano ad uscire dall’ufficio sbattendo la porta appena fu uscito.
 

 
Semir si svegliò con la luce del giorno che filtrava dalle tende.
Per la prima volta aveva dormito senza incubi, ma appena guardò l’orologio sulla parete ebbe un balzo. Le otto e mezza… era tardissimo. Dall’esterno si sentivano i rumori dei medici e degli infermieri che andavano e venivano trascinando i carrelli con i medicinali.
Semir si buttò dal letto ma immediatamente ebbe un capogiro. Da quanto non mangiava qualcosa? Almeno ventiquattrore…
Come se gli avesse letto il pensiero Andrea entrò  sorridente dalla porta, con in mano un sacchetto di pasticceria e una busta dell’emporio.
“Giorno amore, ho portato la colazione e qualcosa per cambiarti” gli disse avvicinandosi e baciandolo.
La vista di sua moglie era sempre in grado di rallegrare Semir.
“Grazie cara… le bambine?”
“Bene, mia madre le porta lei a scuola stamattina…”
“Dovresti tornare  a casa…”
“Non se ne parla proprio, aspetto qui con te che Ben si svegli e poi andiamo a casa insieme, appena abbiamo avuto buone notizie”
Semir si rabbuiò immediatamente al pensiero che forse quelle buone notizie potevano non arrivare.
Ancora una volta Andrea sembrò leggergli il pensiero
“Andrà tutto bene, vedrai, ora mangia” disse porgendogli il sacchetto.

 
 
Max accolse Semir con un sorriso.
“Ti vedo decisamente meglio…”
“Una buona notte di sonno fa miracoli avevi ragione. Come sta?” chiese  il piccolo turco riprendendo il suo posto accanto all’amico
“E’ stabile ed in fase di risveglio”
In realtà passarono ancora due ore prima che Ben aprisse gli occhi lentamente.
“Ben… Ben mi senti? Sono io Semir,  sono qui socio, va tutto bene…” disse dolcemente l’amico carezzandogli piano la fronte
“Che… che è s.. successo?” Ben  sbatté le palpebre cercando di mettere a fuoco
“Niente, sei stato di nuovo operato ma è andato tutto bene..”
Max iniziò i suoi controlli
“Buongiorno Ben, bentornato, facciamo un po’ di controlli, ok? Segui con lo sguardo la luce… molto bene… ci vedi bene?”
Max continuò i suoi controlli per un po’ fino a che non venne il momento più tenuto da Semir.
“Ora prova a muovere le dita dei piedi…” disse alzando le coperte
Semir trattenne inconsciamente il respiro
“E’ come se fossero di piombo…” sussurrò Ben
La frase mandò Semir nel panico.
“Sì, ma fai uno sforzo, prova concentrarti…” lo esortò il medico
I secondi passavano mentre Max e Semir fissavano le dita dei piedi del ragazzo
E finalmente l’alluce si mosse sia pure quasi impercettibilmente.
A Semir venne quasi da piangere per il sollievo.
“Questo lo senti?” chiese ancora Max passando la penna sotto la pianta dei piedi.
“S.. sì, ma perché riesco a muovere così poco le gambe… è come se fossero di piombo…”
Max sorrise.
“Va tutto bene non ti devi preoccupare. E’ ancora l’effetto dell’ematoma e della infiammazione al cervello. Ci vorrà molta pazienza e molta fisioterapia, ma poi tornerai a correre dietro ai criminali”
Semir non si trattenne più e scoppiò in lacrime di gioia.
“Hai sentito? Sei stato bravissimo socio, sei stato bravissimo e tutto tornerà come prima…” disse mentre gli carezzava il braccio


 
Helena Schaefer era molto indaffarata.
Era sempre  felice di tenere le sue nipotine e spesso sollecitava sua figlia Andrea a lasciarle da lei anche per la notte. Ma era anche preoccupata quando succedeva perché la maggior parte delle volte voleva dire che sua figlia era impicciata dietro uno dei guai in cui si era cacciato Semir  o il socio di lavoro.
Ed aveva imparato a non chiedere più di tanto, visto che la figlia non si sbottonava mai sul punto.
Così quella mattina aveva accompagnato Aida alla scuola elementare e Lily all’asilo e poi era andata a fare la spesa. Come al solito aveva cucinato, in abbondanza visto che sicuramente  Andrea non avrebbe potuto preparare nulla né per cena né per pranzo e poi si era preparata per andare a riprendere le piccole.
Uscendo di casa però ebbe una amara sorpresa.
“Porca miseria” imprecò guardando le due gomme  dell’auto completamente sgonfie e a terra.
Sbuffando chiamò il suo meccanico di fiducia e poi qualcuno che poteva aiutarla.


 
“Aida…Aida” chiamò la giovane donna bionda cercando di attirare l’attenzione della   bambina che usciva da scuola, correndo insieme agli altri compagni
“Tua nonna mi ha mandato a prenderti, purtroppo ha l’auto guasta… devo portarti  dalla tua mamma” disse sorridendo la giovane
Aida si fermò a guardarla sospettosa. I genitori le avevano insegnato a non fidarsi degli sconosciuti e a non salire in auto con loro.
“Chi sei tu?” chiese
“Sono una amica della tua mamma. Mi chiamo Elisabeth…”
“Io non ti conosco, non ti ho mai vista…” disse sempre sospettosa la bambina
“No, perché sono tornata a Colonia da poco, ma io ti conosco e conosco tutta la tua famiglia. Tuo padre Semir,  la  tua sorellina Lily e conosco anche tuo zio Ben…”
Aida ci pensò su… se quella donna conosceva tutta la famiglia e perfino lo zio Ben voleva dire che era davvero una amica.
“Sai in realtà la tua mamma mi ha chiesto di portarti da lei in ospedale a trovare lo zio Ben…”
Aida vinse le sue ultime resistenze. Se  sapeva che lo zio Ben stava in ospedale era davvero una amica di famiglia, e poi la sua voglia di rivedere lo zio era troppo forte.
“Davvero andiamo da zio Ben? Sta meglio?”
“Sì, sta molto meglio e non vede l’ora di vederti” disse la donna bionda porgendo la mano alla bambina.
Ed Aida fiduciosa prese la mano e si avviò con la donna verso l’auto.   



“Semir… stai bene?” chiese piano Ben guardando verso l’amico
“Sì… che razza di domanda, dovrei essere io a chiederti come stai…” Semir sorrise
“Non hai un bell’aspetto…”
“Beh… neppure tu se è per questo…” Semir cercò di scherzare, ma sapeva di non poter ingannare l’amico.
Il sollievo e la gioia provati poco prima, quando aveva visto le dita del piede di Ben muoversi, avevano già asciato il posto all’angoscia dei ricordi ritrovati nel magazzino.
“Sei ancora arrabbiato con me?” chiese il ragazzo
“Io non sono mai stato arrabbiato con te… solo che non avresti dovuto mentire…”
“Io non ho mentito, perchè io lo so che non sei stato tu, lo so meglio di te evidentemente”
“Tu non puoi saperlo, perché non te lo ricordi, mentre io invece ho iniziato a ricordare purtroppo…”
“Che vuoi dire?” chiese ansioso Ben
Ma Semir non fece a tempo a rispondere.
Sentì il cellulare vibrare nella sua tasca e quando aprì il messaggio che gli era arrivato sentì tutto il suo mondo crollargli addosso.

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Capitolo 20
*** La scelta ***


La scelta
 
Helena Schaefer arrivò trafelata in taxi alla scuola di Aida dopo aver recuperato Lily all’asilo; pensò che il quartiere in cui abitava non era più lo stesso, negli anni passati nessuno si sarebbe permesso atti di vandalismo come quello che le avevano fatto alla macchina. Probabilmente doveva avvisare Semir e cercare di ottenere una maggiore presenza della polizia in zona.
“Aspetti qui” disse all’autista avviandosi con Lily in braccio verso la scuola. Subito rimase stupita. Era tutto sbarrato e nessuno era in vista; eppure tutte le volte che faceva tardi trovava sempre una delle maestre ad aspettare con Aida il suo arrivo.
Con crescente preoccupazione bussò al cancello più volte prima che arrivasse il bidello.
“Mia nipote… dovrebbe essere qui ad aspettarmi, ho fatto un po’ tardi, ma lei sa che deve aspettarmi nel cortile…” spiegò all’uomo
“Signora qui non c’è più nessuno…” rispose il bidello
Helena sentì il sangue raggelarsi. Immediatamente iniziò a correre avanti ed indietro davanti alla strada,  chiamando la nipote.
Era ormai del tutto disperata quando sentì una vocina chiamarla
“Signora… Aida è andata via con una  donna bionda”
Helena si voltò e vide un  ragazzino dell’età di Aida che la guardava; subito riconobbe uno dei compagni di classe della nipote
“Mathias… come sarebbe a dire che è andata via con una donna bionda?”
“Sì l’ho vista io, è salita in macchina con una ragazza bionda…”
Helena sentì il cuore andare a mille.
“Sei sicuro Mathias? Sei davvero sicuro?” chiese quasi in lacrime
Quando il bambino annuì non le restò altro che chiamare con mano tremante la figlia.
 


“Come sarebbe a dire che non l’hai trovata fuori scuola??” Andrea urlava nel telefono mentre andava nervosamente avanti ed indietro davanti al reparto di neurochirurgia.
“O mio Dio… va bene non  ti muovere e non far muovere neppure Mathias. Io e Semir stiamo arrivando…” Piangendo istericamente chiuse la telefonata con la madre e stava per avviarsi all’interno del reparto, quando vide Semir uscire, pallido come un cencio.
“Semir… Semir…” riuscì solo a balbettare correndogli incontro.
Appena la vide Semir capì che anche lei sapeva la verità.
Con gesto deciso le mise una mano sulla bocca per reprimere i singhiozzi, mentre per un braccio la conduceva fuori  
“Andrea, Andrea calmati… è importante che stiamo calmi”
“Semir… Aida… la mia bambina… la mia bambina non c’è più…” singhiozzò la moglie
“Shhh lo so, ma dobbiamo stare calmi, ne va della vita di Aida”


 
 “Dottor Weiss…” bisbigliò stanco Ben  vedendo il dottore entrare nella sua stanza
“Non avevamo deciso che mi chiamavi Max?” rispose con un sorriso  il medico
“Sì certo Max… hai visto dove è andato Semir?”
“Che c’è non riuscite a stare cinque minuti lontani l’uno dall’altro?” sorrise ancora Max mentre controllava i valori sui display.  
“No è che… è uscito all’improvviso senza dire nulla … e aveva un’aria strana dopo aver letto un messaggio…”
“Non sarà nulla, dopo lo vado a cercare. Ora ci sono due persone che muoiono dalla voglia di vederti…”  rispose alla fine Max  facendo entrare Konrad e Julia.
Ben non fece molto caso alle mille moine che gli facevano i familiari; il suo pensiero era troppo distratto dalla scena di poco prima.
Aveva visto Semir sbiancare letteralmente mentre leggeva il messaggio ed uscire barcollando dalla stanza senza dire una parola. Era certo che era successo qualcosa e qualcosa di grave.
Maledisse la propria impotenza fisica, chissà cosa era successo e lui era bloccato in quel letto e chissà per quanto tempo vi sarebbe rimasto senza neppure riuscire ad alzarsi e dare un passo.
“Papà per favore puoi andare a vedere dov’è andato a finire Semir? Ti prego è importante…”
La delusione e la gelosia si dipinsero per un momento sul volto di Konrad.
“L’ho visto prima uscire  di corsa con Andrea…” rispose senza fare caso  alla agitazione che con quella frase creava nell’animo del figlio.
“Maledizione” imprecò Ben stringendo la coperta.
 

 
“Ma che significa stare calmi? Aida è sparita… hai capito quello che ti ho detto?” urlò Andrea appena  arrivarono fuori
“Shhh parla piano, parla piano… lo so, lo so… ti prometto che te la riporto, riporto la nostra bambina a casa…” ora anche Semir singhiozzava
“Ma… Ma…” balbettò Andrea
“Devi chiamare tua madre e dirle di tornare a casa… e di non dire niente a nessuno” Semir mise in mano alla moglie il cellulare e aspettò che Andrea obbedisse e con voce tremante dicesse alla madre, stupefatta, di tornare a casa
“La mia bambina… la mia bambina… e se le hanno già fatto del male??” urlò Andrea disperata
“Per ora sta bene, ed io te la riporterò a casa. Ora vai lì ed aspettami”
“Ma come fai a dirlo??”
“Andrea ti prego ti devi  fidare di me… io ti riporterò  nostra figlia a casa sana e salva, te lo giuro. Ma ora devi andare a casa e non parlare con nessuno di questa storia… mi hai capito??”
Andrea guardò il marito negli occhi; vi lesse disperazione ma anche decisione.
Piangendo baciò il marito e poi salì in macchina per tornare a casa.
Guardandola andare via Semir provò fortissima la  tentazione  di lasciarsi andare anche lui  alla disperazione.  La sua piccola, quel bastardo aveva preso la sua bambina.  Ma non poteva lasciarsi andare, doveva salvarla.
Con mano tremante  prese in mano il cellulare e guardò ancora una volta il messaggio e la foto allegata.
Mostrava Aida che giocava in una cameretta da bambina… almeno sembrava serena e per nulla spaventata.
Sotto il messaggio “Vieni in Market Strasse 21 alle tre. Vieni da solo e non parlare con nessuno. Altrimenti  faccio a pezzi tua figlia”
 

 
Semir arrivò con dieci minuti di anticipo all’appuntamento. Più  volte  era stato tentato di chiamare la Kruger o uno degli altri colleghi per farsi aiutare, ma conosceva molto bene  la banda di Decker e Sander Kalvus… non poteva rischiare la vita di Aida.
La casa era una  vecchia villa ampia circondata da un giardino, non molto distante dal magazzino.  Sin da fuori Semir notò  uomini di guardia dappertutto. Avrebbero visto arrivare la polizia da miglia lontano.
Bussò ed immediatamente il cancello della villa si aprì, mentre due scagnozzi gli venivano incontro. I due lo perquisirono da cima a fondo e poi lo spinsero in malo modo all’interno.
“Sig. Gerkan, che piacere rivederla” gli fece beffardo Deker vedendolo entrare
“Dov’è mia figlia??” urlò Semir paonazzo
“La bambina sta bene, per ora. E’ una ragazzina veramente intelligente sai… quindi sta a te non farle capire niente, se vuoi che esca di qui libera e felice…”
“Che vuoi dire?” Semir guardò l’uomo con disprezzo.
“Te lo spiegherà il capo dopo” fece Decker avviandolo verso il piano di sopra.
“Ora entri nella stanza e tieni calma tua figlia, le dici che deve stare con Elli, che è una vostra amica e che stasera lei la accompagnerà dalla mamma in ospedale dallo zio Ben. Attento a non farti scoprire,  se capisce qualcosa la bimba non torna a casa” disse duro aprendo una porta
 
“Papà!!!!” strillò Aida appena lo vide entrare.
Era in una stanza ben arredata e stava giocando con la nipote di Kalvus.
Semir ebbe comunque un sospiro di sollievo vedendo la bimba sana ed apparentemente serena.
“Aida tesoro mio…” Semir abbracciò la figlia con le lacrime agli occhi.
“Papà… Elli dice che non posso andare dallo zio Ben prima di stasera… che devo aspettare qui sino a stasera…” la bambina era leggermente insospettita.
Semir provò a rassicurarla.
“E' così Aida, devi restare un po’ qui a giocare con la nostra amica Elli, poi stasera lei ti accompagnerà da zio Ben dove ti aspettiamo io e la mamma…”
“E perché non posso andarci subito dallo zio  Ben?”
“Perché… perché lo zio sta facendo degli esami medici e finisce stasera… e io e la mamma lo dobbiamo aiutare” Semir cercò di sembrare convincente
 “Ma lo zio sta meglio?”
“Sì piccola sta meglio e stasera Elli ti porta da lui. Ma ora devi stare  qui buona a giocare…”
“Ok…” fece leggermente dubbiosa la bambina
“Ci vediamo stasera va bene?” Semir abbracciò forte la figlia mentre la baciava sulla fronte.
Poi con il cuore a pezzi uscì dalla stanza.

Decker e i due scagnozzi spinsero Semir nella stanza attigua.
“Gerkan… a quanto pare ci si rivede nella vita…” lo accolse Kalvus


 
Hartmut si stropicciò gli occhi. Ormai se li era consumati a furia di guardare le fotografie del magazzino, senza risultato.
“Come cavolo hanno fatto ad uscire senza farsi vedere dalla SEC?” si chiese ancora una volta il tecnico massaggiandosi le tempie.
“Guarda, devi trovare qualcosa, scruta Hartmut, scruta” si disse mentre guardava le foto scattate, analizzandole al computer.
Stava quasi per desistere quando la sua attenzione fu attirata da un particolare
Analizzò la foto sotto le diverse prospettive.
Mostrava una grossa cassa in deposito.  Ma quello che attirò l’attenzione di Hartmut non fu la cassa in sé, ma il pavimento. Era perfettamente pulito in un preciso punto, appena visibile sul tavolato coperto di polvere.
“Bingo…” si disse mentre prendeva a giacca e si precipitava verso la sua auto  
 


Semir cercò di restare calmo, mentre vedeva Kalvus seduto tranquillo sulla poltrona. Cercò di cancellare dalla sua mente il pensiero della sua piccola in pericolo o l’immagine di Ben morente sul pavimento del magazzino. Doveva restare lucido.
“Bastardo cosa vuoi da mia figlia? Lasciala stare”  disse duro
“Tua figlia come hai visto sta bene… almeno per ora… ma il fatto che resti in salute è ancora una volta rimesso a te…”
“Lurido porco che cosa vuoi? Lascia stare mia figlia è una bambina. Sono qui, uccidimi e facciamola finita…” Semir era disperato
“Gerkan, te l’ho già detto, io non voglio la tua morte, anzi. Io voglio  che tu vivi, voglio vederti vivere e soffrire ogni singolo attimo della tua esistenza, così come ha costretto me a soffrire…” Istintivamente Kalvus si accarezzò la guancia sfigurata dalle ustioni.
“Sei stato tu  l’artefice delle tue sofferenze, sei un lurido assassino” rispose il poliziotto.
Kalvus rimase  per un attimo in silenzio e poi iniziò a  ridere sommessamente.
“Bah, allora diciamo che questa è una perfetta nemesi, anche tu sarai un perfetto assassino…”
“Bastardo… che vuoi dire?” la voce di Semir tremò
“ Vedi anche se non sei stato abbastanza bravo ad uccidere il tuo amico con l’iauto della droga, ti darò l’occasione di riparare anche senza l‘uso della sostanza…”
Semir sentì il sangue gelare.
“Io non farò mai una cosa del genere, se non fosse stato per la droga che mi avete iniettato…”
“Ti vuoi illudere vero? Ti vuoi illudere che quello che hai fatto al tuo socio sia solo la conseguenza della droga che ti abbiamo dato. Certo la droga può avere aiutato, ma ti assicuro se tu avessi voluto ti saresti fermato prima di colpirlo. Nessuna droga poteva indurti ad uccidere chi ami tanto…”
Semir sentì le gambe che gli cedevano; ora era davanti alla verità che tanto aveva temuto.
“Comunque  a questo punto la cosa ha poca importanza. Ora farai la tua scelta volontariamente, senza droghe né altro…” continuò Kalvus.
Semir sbiancò capendo immediatamente dove andava a parare il discorso
“Ora tu ucciderai il tuo amico… o faccio tua figlia a pezzi e te la rimando a casa un pezzo per volta”
 

Quattro ore dopo
 
Semir stava seduto sul pavimento del reparto di neurochirurgia, poggiato al muro esterno della stanza di Ben, guardando fisso nel vuoto.
Attorno a lui c’era il delirio, con i  medici che entravano ed uscivano frenetici dalla stanza.
“Semir, Semir ma che succede?? Eravamo appeno tornati in albergo quando l’infermiera ci ha chiamato dicendo di tornare subito qui” Julia si avvicinò al piccolo turco cercando di attirare la sua attenzione.
Konrad guardava terrorizzato l’andirivieni dei medici. Dall’interno della stanza chiusa si sentivano voci  concitate.
“Che sta succedendo??? Stava bene quando siamo andati via… che è successo???” urlò il vecchio verso Semir, senza risultato alcuno.
Il poliziotto sembrava catatonico, quasi pietrificato.
“Semir!!! Che è successo a Ben??” Ora anche Julia urlava terrorizzata scuotendolo per le spalle.

Poi  all’improvviso le voci all’interno della stanza si calmarono.
Max Weiss uscì con aria contrita.
“Sig. Jager… mi spiace davvero tanto… abbiamo fatto tutto il possibile” sussurrò guardando Konrad e Julia.
 
 
 
 
Ehmmm come vedete alla fine ho deciso di smettere di far soffrire Ben…
Il capitolo è liberamente ( ma molto liberamente) ispirato ad un episodio andato in onda in Germania. Ma le conseguenze finali sono molto diverse…
Grazie sempre a tutti. E non odiatemi troppo.

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Capitolo 21
*** Confessione ***


Volevate un aggiornamento veloce?? Eccolo... ma poi non dite che sono cattiva
 
Confessione
 
L’urlo di dolore di Julia penetrò nel cervello di Semir come una spada tagliente, risvegliandolo per un attimo dal suo torpore.
“No, non è vero, ditemi che non è vero, per favore ditemi che non è vero..” mormorò Konrad sbiancando e tenendosi una mano sul petto.
Immediatamente Max si avvicinò al vecchio imprenditore e lo trascinò verso la sedia.
“Calmo, respiri con calma…” gli disse mentre gli sentiva il polso.
Ma Konrad continuava ad ansimare, guardando nel vuoto. “Il mio bambino, perché… stava meglio lei ha detto che stava meglio…” balbettava incredulo.
“Ma che succede?” La voce di Kim fece voltare tutti.
Il Commissario era appena entrata nel reparto seguita da Dieter e Jenny.
“Che succede?” ripetè Kim guardando la scena sconvolta
“Mi spiace Commissario, ma l‘ispettore Jager non ce l’ha fatta…” spiegò con voce debole Max.
“Come sarebbe a dire che non ce l’ha fatta? Quando l’ho chiamata poche ore lei fa mi ha detto che stava bene, che era fuori pericolo…” Kim guardò incredula e sconvolta il medico.
“Sì, ma all’improvviso ha avuto un nuovo arresto cardiaco….” spiegò Max guardando Semir. Era evidente che anche  il medico era sconvolto.
Kim sbiancò del tutto. Il pensiero della morte del giovane poliziotto la colpì come una mazzata. Sentì una lacrima involontaria che le scendeva sulla guancia. Jenny scoppiò in lacrime nella braccia di Dieter.
“Ma… dopo tutto quello che aveva superato… come è possibile… cosa è successo…”
“Non lo so con precisione, a me sembrano i sintomi di una embolia, ma non possiamo esserne sicuri senza l’autopsia” rispose a bassa voce Max guardando ancora Semir.
Ormai la stanza era piena dei singhiozzi di Konrad e Julia, abbracciati a vicenda.
“Embolia? Ma cosa può averla provocata?” nonostante il dolore l’istinto di poliziotta dii Kim non si sopiva mai.
“Non  lo so, Commissario, non lo so, sembra strano anche a me. Io so solo che quando sono entrato a controllarlo, poco prima della crisi, nella stanza c’era l’ispettore Gerkan…” sussurrò a bassa voce il medico, senza farsi sentire da nessuno.
Il terrore e lo stupore si dipinsero sulla faccia di Kim
“No non è possibile, non lo pensi neppure per un istante” disse con decisione.
Poi il Commissario si avvicinò a Semir che continuava a restare con lo sguardo fisso nel vuoto, seduto  a terra, dondolandosi avanti ed indietro in modo meccanico.
Più volte in quei giorni Kim aveva pensato alla possibile reazione di Semir ad una notizia del genere, e l’apatia che mostrava in quel momento la sconvolse.
“Semir… Semir che è successo?” chiese dolcemente poggiandogli una mano sul braccio.
Ma Semir non rispose, continuando a fissare il vuoto.

Proprio in quel momento fece la sua grande entrata in scena Bohm, accompagnato da Heiss il Commissario della antidroga
“Siamo qui per interrogare di nuovo Jager…” esordì ad alta voce,  ma le parole gli morirono in bocca ala scena che gli si parò davanti
“Ma che sta succedendo?” chiese senza la minima emozione.
“Jager è morto” sussurrò Kim con voce rotta dal pianto.
“Morto??” stavolta anche Bohm ebbe un moto di sorpresa “La direzione dell’ospedale ci aveva detto che era fuori pericolo…”
“Improvvise complicazioni…” giustificò subito Max cercando di sviare l’attenzione da Semir.
“Complicazioni? Che tipo di complicazioni?? Scommetto che c’entra lei in queste complicazioni, dica la verità Gerkan!!”
Bohm si avvicinò minaccioso verso Semir, che continuava a restare seduto immobile, senza degnarlo di uno sguardo.  Heiss continuava invece a rimanere in disparte a godersi la scena
“L’hai ucciso tu, dì la verità… scommetto che c’eri solo tu quando ci sono state queste complicazioni…”  Bohm urlò in faccia al piccolo ispettore turco.
“Signori, vi prego… lì ci sono i parenti di Jager… abbiate un po’ di rispetto” la voce di Kim era durissima.
“Possiamo vederlo?” chiese con un filo di voce Julia rivolta a Max,  che acconsentì con un cenno del capo.
Bohm aspettò che Julia e Konrad entrassero nella stanza e poi riprese il suo attacco.
“Voglio una autopsia immediata, vediamo a cosa sono dovute queste complicazioni…”  sibilò in faccia alla Kruger.
“Ma cosa vuole insinuare Bohm? Gerkan non c’entra nulla in questa cosa, è stata una fatalità” Kim difendeva il suo uomo con le unghie e con i denti.
“Vedremo cosa dirà l’autopsia…”
“NO!! niente autopsia… lasciatelo in pace… non lo toccate… sono stato io” fece all’improvviso Semir.


 
Julia e Konrad entrarono, tremando e cercando di farsi forza a vicenda,  nella stanza di ospedale.
Il pensiero di Konrad volò alla analoga scena vissuta molti anni prima, quando era entrato  in un’altra stanza di ospedale, dove era morta la moglie, dopo un tremendo incidente stradale.
Anche allora lui non c’era, era arrivato troppo tardi…
A quei tempi il dolore provato era stato così forte che lui si era chiuso, quasi annullato in se stesso, e così aveva privato i suoi figli anche del padre. Se ne era reso conto solo molti anni dopo, quando era ormai troppo tardi, quando soprattutto per Ben, più grande e legatissimo a sua madre, era diventato ormai solo un estraneo contro cui lottare.
Si era sempre detto che c’era tempo per rimediare, che quando Ben fosse diventato anche lui padre avrebbe capito meglio le lotte che gli aveva fatto, la ragione,  la paura che l’aveva spinto.
Ma ora il tempo era finito, inesorabilmente finito, senza che quei chiarimenti, troppo spesso rimandati, ci fossero mai stati.
La punizione per essere stato un cattivo padre… questa era la sua punizione, la peggiore che si potesse aspettare. Era stato un cattivo padre e ora quel figlio, contrastato ma anche tanto amato, gli veniva tolto.
Tutto gli sembrava come un sogno irreale… sentiva solo la mano di Julia che stringeva convulsamente la sua ed i singhiozzi sommessi della ragazza.
“Mi raccomando non toccatelo, per ora la salma è a disposizione della autorità giudiziaria” disse con voce gentile, ma ferma l’infermiera che era nella stanza
“Salma” suo figlio ora era una “salma”
Konrad sentì il respiro boccato mentre guardava verso il letto.
Si vedeva solo il viso e sembrava che dormisse, ma Ben non era mai stato così immobile durante il sonno.
Il silenzio nella stanza era irreale, confrontato alla miriade di suoni che provenivano dai macchinari l’ultima volta che c’era entrato poche ore prima.
Tutto silenzioso, tutto immobile, come suo figlio  in quel letto.
“Se esci da quella porta non sei più mio figlio” La frase che gli aveva rivolto rabbioso il giorno in cui Ben era partito  per l’Accademia di Polizia, i mille litigi, le urla che si erano reciprocamente rivolte risuonarono furiose nella testa di Konrad
Ma ora era tutto silenzioso, era tutto immobile, e lui non poteva neppure toccare o accarezzare suo figlio per l’ultima volta.
“Perdonami… figlio mio, ti prego perdonami” sussurrò Konrad prima di uscire precipitosamente dalla stanza.
 


“Sono stato io”
La frase di Semir bloccò tutti all’istante.
“Che.. che… stai dicendo??” balbettò Dieter.
“Sono stato io… non c’è bisogno di alcuna autopsia” disse ancora Semir mostrando una siringa che aveva preso dalla tasca del giubbotto.
“Ma non è possibile…” balbettò anche Kim con gli occhi sbarrati.
“Ve lo avevo detto… ora vi porterete la morte di Jager sulla coscienza, tutti, tutti voi che non mi avete creduto” urlò con un certo spirito di trionfo Bohm.
“Aspettate un momento… Semir guardami… dimmi la verità… non puoi essere stato tu… non ci credo… hai tanto lottato per non far spegnere le macchine quando Ben era in coma… non è possibile…” Kim era passata di nuovo al tu come quella sera nel magazzino.
La voce di Semir era totalmente atona e lui continuò a guardare fisso davanti a sé.
“Sono stato io, come sono stato io quella sera nel magazzino. L’ho ucciso io”  
“Ma non è possibile… perché???” urlò Kim.
“La ragione ora non ha importanza… Ho confessato, l’unica cosa che vi chiedo è di aspettare qui una notizia, poi potrete fare di me quello che volete, tanto la mia vita non ha più alcun valore” sussurrò lui.
“Quale notizia? Ma che stai dicendo??” Kim era totalmente sconvolta, mentre Jenny non smetteva di singhiozzare alla sue spalle
“Semir Gerkan la dichiaro in arresto per l’omicidio di Ben Jager. Ora andiamo…” fece brusco Bohm trascinando in piedi per un braccio Semir.
E stavolta lui reagì.
“La prego Commissario Kruger, devo solo aspettare per qualche ora che mi arrivi una notizia… poi potete fare di me quello che volete”  Semir si animò improvvisamente divincolandosi dalla stretta di Bohm.
“Bohm aspetti un attimo…” provò ad opporsi Kim.
“Aspettare? E cosa dobbiamo aspettare? Se mi avesse dato ascolto forse a quest’ora Jager sarebbe vivo… lo ripeto, ve lo porterete tutti sulla coscienza” urlò perfido Bohm mentre prendeva le manette per metterle ai polsi di Semir.

E poi avvenne l’imprevedibile.
Con uno scatto felino Semir spinse Bohm indietro e l’uomo finì in terra, trascinandosi  dietro Heiss che gli stava di spalle.
Semir superò con un balzo i due uomini  a terra e corse verso il corridoio.
“Fermo!! Fermo o sparo!!” urlò Bohm rimettendosi in piedi e prendendo la pistola dalla fondina, subito imitato da Heiss.
Entrambi corsero nel corridoio dove Semir stava già raggiungendo la porta dell’ascensore.
La vista dei due poliziotti  con le armi in pugno provocò un fuggi-fuggi generale di pazienti e personale medico che urlando isterici cercavano di ripararsi dietro mura o mobili, con ciò ostacolando la corsa di Bohm e Heiss.
“Fermo!!” Urlò ancora una volta Bohm vedendo Semir entrare nell’ascensore.
Puntò la pistola, ma poi si trattenne, troppa gente in  giro, rischiava di colpire qualcuno e compromettersi per sempre la carriera.
 “Maledizione” imprecò correndo anche lui verso l’ascensore.
“Tu per le scale” intimò ad Heiss che si precipitò anche lui all’inseguimento.
“Avvertite il piano terra, devono bloccarlo..” urlò Bohm alla guardia di sorveglianza mentre le porte dell’ascensore si chiudevano su di lui.
 
“Ma che sta…” Dieter e Jenny erano completamente stupefatti.
“Seguitemi..  quello è capace di ammazzarlo a sangue freddo…” urlò Kim buttandosi anche lei all’inseguimento.
 
A Semir  l’ascensore, fortunatamente vuoto, sembrava andasse al rallentatore.
Mentre scendeva non riusciva altro che a pensare alla sua piccola… doveva salvare la sua piccola, l’unica cosa importante era questa, poi poteva anche morire, andare in galera, non gli importava nulla.
Cercò di cancellare dalla mente le urla di dolore di Julia, il viso cereo e terrorizzato di Konrad, le facce sconvolte dei suoi amici e colleghi.
“Resta lucido Semir, devi salvare tua figlia” si disse uscendo di corsa dall’ascensore appena arrivò a piano terra.
Buttò a terra la guardia giurata che, mollato il telefono cercava di bloccarlo, ed uscì verso il parcheggio.
 
Bohm uscì  anche lui di corsa dall’ascensore appena in tempo per vedere la figura di Semir che  correva nel parcheggio verso la sua BMV
Appena all’aperto prese accuratamente la mira… stavolta al fuggitivo non era dovuto alcun avvertimento…

Bohm prese la mira e le sue dita si tesero sul grilletto…



Ripeto... cercate di non odiarmi troppo.
Grazie sempre per tutti i complimenti, assolutamente non meritati.  

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Capitolo 22
*** Segreti ***


 
Segreti

Bohm sentì crescere dentro di sé l’eccitazione, la stessa che provava ogni volta che aveva la certezza di sparare e colpire.
Tirò il grilletto, ma un secondo prima che lo facesse sentì che qualcuno gli tirava violentemente il braccio in alto. 
Con la coda dell’occhio vide anche Heiss, che era arrivato anche lui di corsa, bloccato da due persone.
Il colpo partì ma finì in aria, mentre Semir saliva in auto e si allontanava velocemente sgommando.
“Cosa ca…” urlò Bohm voltandosi verso chi aveva deviato il colpo; appena vide la Kruger, ancora ansimante, divenne paonazzo dalla rabbia.
Jenny e Dieter tenevano ancora a bada Heiss che si divincolava come un matto.
“Kruger cosa caz.. ha fatto??” urlò
“Lei lo stava colpendo alle spalle, doveva prima avvisarlo di fermarsi…” urlò di rimando Kim.
“Avvisarlo??? Dopo due avvertimenti non è più dovuto alcun avviso, si spara e basta… lei ha appena fatto scappare un assassino reo confesso!!”
“Io non consento e non consentirò mai che si uccida qualcuno sparando alle spalle senza averlo prima avvisato di fermarsi” la voce di Kim era dura, ma anche lei sapeva che legalmente Bohm aveva ragione
“Bohm questi due mi hanno impedito di prendere la mira…” fece Heiss strattonando Dieter che ancora cercava di bloccarlo.
“Voi tre… siete accusati di favoreggiamento…. siete tutti e tre agli arresti… consegnatemi le pistole ed il tesserino. Questa storia non finisce certo qui, la pagherete molto molto cara” disse  con visibile soddisfazione Bohm spingendo la Kruger dentro
 

Andrea aveva passato le ore in assoluto più brutte della sua vita.
Neppure quando aveva creduto di morire, quella volta che era stata rapita con Aida appena nata e la figlia di Chris, aveva passato ore così brutte. Perché nel bene o nel male quella volta lei era stata certa di salvare almeno sua figlia, ed il pensiero di morire era stato niente a confronto del sollievo di poter salvare la sua bambina.
Stava seduta sul divano, ficcandosi le unghie nella pelle delle mani, cercando di nascondere il suo stato d’animo alla madre e alla figlia più piccola che giocavano nell’altra stanza.
Aveva mentito a sua madre, dicendole che Aida era stata presa da scuola da una amica di Semir che l’aveva portata a conoscere i suoi bambini e non era neppure certa che sua madre le avesse creduto. Ma Helena era abituata a queste situazioni e al momento non aveva fatto molte domande, anche se Andrea era sicura che appena finita la storia  avrebbe ripreso la solita ramanzina su quanto era pericoloso essere sposata con Semir.
Sobbalzò allo squillo del cellulare che segnalava l’arrivo di un messaggio.
“Mi verranno a cercare a casa. Non parlare con nessuno. Qualsiasi cosa succeda non parlare con nessuno”
Andrea lesse il messaggio e si raggelò. Provò a chiamare il numero del marito ma era già staccato. Sentì fortissimo l‘impulso di mettersi a piangere disperatamente, ma subito sentì uno sgommare di ruote nella strada e poi colpi impetuosi alla porta.
Erano già qui.
Velocemente si asciugò le lacrime e andò ad aprire.
Neppure il tempo di schiudere l’uscio che una marea di agenti si precipitò dentro casa.

“Andrea Gerkan, abbiamo un mandato di perquisizione per questa casa…” gli disse uno degli agenti, che tra l’altro Andrea  aveva conosciuto benissimo negli anni in cui era stata la segretaria del distretto.
“Prego accomodatevi” disse con finta gentilezza facendosi da parte.
“Dov’è suo marito??” chiese sempre più duro e spazientito l’agente.
“Non lo so… l’ho lasciato stamattina all’ospedale di Berlino, in visita al suo collega Ben Jager…”
L’uomo la guardò  cercando di scrutare le sue reazioni.
“Bella visita che gli ha fatto..” fece  ironico
Senza capire bene la ragione Andrea rabbrividì.
“Cosa volete dire?”
 “Che suo marito circa  un’ora fa  ha ucciso Ben Jager”
Andrea sentì la testa  girarle intorno alla stanza.
“No non è vero!!! Ben sta bene, non è morto, sta bene…” bisbigliò incredula.
“Beh forse stava bene sino a che suo marito non ha deciso di ucciderlo iniettandogli dell’aria in vena”
“Non è vero!!!” urlò Andrea con quanto fiato aveva in corpo.
“Oh sì che è vero… Gerkan ha reso una piena confessione prima di dileguarsi dall’ospedale”
 
Andrea ora era seduta sul divano di casa e stava apatica a guardare come gli agenti mettevano a soqquadro la casa, praticamente distruggendo tutto quello che toccavano.
Sentiva ancora il pianto di Lily al piano di sopra, consolato dalle parole dolci di sua madre che cercava di distrarla.
Prima aveva chiamato Susanne, non riuscendo a mettersi in contatto con la Kruger e quel poco che aveva potuto riferirle la segretaria, le aveva tolto dieci anni di vita.
Morto. Ben era morto.
Il pensiero già di per sé era insopportabile, ma che Semir avesse confessato di essere stato lui lo era ancor di più.
Rimase a guardare con le lacrime agli occhi per molti minuti le foto appese alla parete della stanza da pranzo, foto di giorni felici: in quasi tutte c’era Ben.
Molte erano di Ben con  Aida… Aida la sua bambina… chissà dov’era, se stava bene.
Andrea si sentì disperata come mai nella sua vita. Sua figlia rapita, suo marito ricercato e Ben… il suo amico, il padrino delle sue figlie, il suo figlio maggiore, morto.
E lei  non poteva parlare con nessuno.
“Capo guardi cosa abbiamo trovato in cantina…” disse uno degli agenti, salendo dalle scale della cantina con in mano una valigetta.
Andrea si allarmò immediatamente. Non aveva mai visto quella valigetta.
L’agente la posò sul tavolo e l’aprì. Entro c’erano molte mazzette di soldi, tutte ordinate in file  con banconote da cinquecento euro.
Ad occhio e croce dovevano essere più di trecentomila euro, fece il conto Andrea guardandole con occhi sbarrati
“E questi cosa sono? I risparmi di famiglia?” chiese il capo
“Non ho mai visto questa valigetta in vita mia…” balbettò Andrea.
“Signora Gerkan... le ripeto la domanda… lei sa dov’è suo marito?”
“Le ripeto la risposta: NO”
“Mi dia il suo cellulare” ordinò il poliziotto.
Andrea lo guardò sconvolta, maledicendosi per non aver cancellato l’ultimo messaggio di Semir. Il poliziotto glielo strappò praticamente di mano.
“Bene signora Gerkan… di cosa non deve parlare con nessuno?” chiese ancora duro
Andrea rimase in silenzio.
“Mi segua al distretto” fece alla fine l’uomo alzandola di peso dal divano.
 


 
“Chi sono?” chiese Elli prendendo il foglio che orgogliosa  le mostrava Aida.
Lo zio e gli altri l’avevano lasciata a fare da baby-sitter alla bambina e la cosa iniziava a darle fastidio; solo perché era l’unica donna non voleva dire che doveva necessariamente occuparsi lei della mocciosa.
Aida la guardò sospettosa; se conosceva tutta la famiglia come faceva a non capire che quelli erano papà, mamma, lei, Lily e lo zio Ben?
La bambina scrutò fisso la donna… aveva ereditato lo spirito di osservazione del padre e qualcosa dentro di lei diceva che quella storia era sbagliata, nonostante quello che le aveva detto Semir qualche ora prima.
“Sono la mia famiglia….” rispose indispettita.
“Bellissimo” disse con noncuranza Elli restituendole il foglio e rimettendosi a leggere il giornale che aveva in grembo
La ragazzina riprese a disegnare su tavolino basso accanto al divano, ben attenta a non farsi vedere.
Elli le buttò una occhiata veloce. Il contatto con quella bambina le dava fastidio. Non sapeva spiegarsene bene la ragione. Forse perché aveva parlato incessantemente per tutto il tempo di quanto era bella la sua famiglia, di quanto volesse bene a tutti, anche a sua sorella Lily, anche se  le rubava sempre i giocattoli, di quanto cantasse bene zio Ben ecc. ecc.
Una vita familiare che lei non aveva mai conosciuto; Elli non aveva mai avuto realmente una mamma ed un papà, i suoi erano solo delle persone che qualche volta venivano  in collegio portando regali, non aveva mai avuto una sorella, non aveva mai avuto dei veri zii.
Fino a che non aveva conosciuto Sander… nonostante quello che le aveva fatto fare lui era il primo vero parente, l'unico che si era dimostrato realmente interessato a lei, le aveva garantito una vita agiata e di continuare gli studi che amava, anche quando lui non ci fosse stato più.
E quello che aveva fatto, e che avrebbe fatto anche in futuro, era il minimo per ringraziarlo.
Elli guardò ancora una volta la bambina e confessò a se stessa: era decisamente gelosa di quella bambina.


 
 
Semir guidò fuori dal parcheggio, evitando per un pelo di investire almeno tre persone; non era la prima volta che si trovava in questa situazione, inseguito da quel deficiente di Bohm per accuse inverosimili; ma le altre volte  a fianco a lui c’era Ben.
Ben… Semir cercò di non pensare al giovane collega, anche se gli pareva di vederlo lì seduto a fianco a lui ad ingozzarsi di patatine, a ridere, o cantare a squarciagola sulle note della radio.
“Signore perdonami….” pensò mentre guidava veloce.
Mandò un messaggio alla moglie e poi buttò il cellulare attraverso il finestrino dell’auto per non essere rintracciato.
 
Arrivato nei pressi della villa Semir parcheggiò la BMW abbastanza lontano dal cancello da non essere vista.
“Ma cosa stai facendo? Dovevi avvisare qualcuno, dovevi dire qualcosa almeno alla Kruger” pensò cercando di reprimere l’ansia. Ma sapeva che Kalvus aveva le sue spie ovunque, che uno qualsiasi dei suoi colleghi poteva essere a talpa e ascoltare quello che rivelava al commissario.
Così aveva desistito, aspettando il messaggio salvifico che Kalvus aveva giurato di mandare appena saputo della morte di Ben, messaggio che non era mai arrivato.
Ora non gli restava altra scelta: doveva agire e  vedere cosa stava succedendo… era del tutto disarmato e probabilmente sarebbe morto, ma la cosa non gli importava più nulla. Doveva almeno cercare di salvare la sua bambina…
Silenzioso come un felino, approfittando del buio della sera che ormai avanzava, si avvicinò al muro di cinta.
Mentre  cercava il punto migliore per scavalcare, sentì dietro di lui uno scricchiolio, di rami spezzati.
C’era qualcuno dietro di lui.
Disperato afferrò una pietra a terra e si girò…
 
 

Andrea fu brutalmente spinta nella sala interrogatori del Distretto.
Inaspettatamente vi trovò la Kruger seduta al tavolo. Durante il tragitto i poliziotti le avevano detto che lei, Dieter e Jenny erano stati arrestati per aver aiutato Semir a scappare.
“Commissario è vero quello che dicono? Che Ben è morto? E che…  Semir ha detto di essere stato lui??”
Kim Kruger non ebbe il coraggio  di rispondere alla donna. Si limitò a guardarla ed annuire.
“Non possibile, non è vero… Semir ama quel ragazzo come un figlio, non può essere stato lui…” Andrea iniziò a singhiozzare disperatamente.
“Neppure io riuscivo a crederci, ma l’ho sentito io confessare: ha  confessato di avergli provocato una embolia, ci ha mostrato anche la siringa che aveva ancora con sè… io lo trovo inspiegabile, non riesco a spiegarmelo, dopo che aveva fatto tanto per non far spegnere le macchine quando Ben era in coma….”
Andrea continuava a singhiozzare in silenzio.
“Andrea… ho chiesto io di parlarle anche se tecnicamente sono agli arresti… lei mi deve dire la verità… è successo qualcosa?? Ne va della vita di Semir, mi deve dire la verità”
La donna iniziò a tremare, scossa da mille pensieri. Cosa doveva fare?? Ormai la situazione era degenerata, Ben era morto, Semir in fuga e ricercato, Aida non era ancora tornata a casa… ma aveva giurato al marito di non parlare.
“Andrea la prego!!” sollecitò di nuovo Kim.
E alla fine Andrea cedette e raccontò quello che sapeva.
 

 
Max Weiss si guardò allo specchio della toilette. Nonostante l’acqua fresca che si era buttato sul viso si sentiva ancora terribilmente stanco.
Mai, prima delle settimane che aveva appena vissuto, avrebbe mai pensato di arrivare a fare quello che aveva fatto.
Ormai era un medico di mezza età, primario di un reparto abbastanza prestigioso da dargli serenità e soddisfazioni, ma anche sicurezza e vita sufficientemente sedentaria.
Non che quando era più giovane non avesse inseguito le emozioni; come membro di “Medici senza Frontiere” aveva girato il mondo e visto il peggio di quello che l’umanità riusciva a fare. Aveva curato soldati dilaniati dalle bombe e dai proiettili e bambini saltati sulle mine nascoste nel terreno; così come aveva curato poveri homeless lasciati a morire nei ricchi ospedali del mondo civile solo perché privi di assicurazione sanitaria.
Ma ora era vecchio e mai avrebbe pensato di riuscire a fare quello che aveva fatto quel giorno.
Sapeva bene di rischiare la sua carriera e forse la stessa licenza di medico, ma non aveva avuto altra scelta. Non era tipo da  far finta da non sentire quando gli altri chiedevano il suo aiuto, era un medico anche in questo. E l’aiuto che gli era stato chiesto era davvero disperato.
Si aggiustò i capelli e uscì dal bagno.
Salutò i suoi colleghi che lo incrociavano nei corridoi e si chiese che fine aveva fatto Konrad Jager: non lo aveva più visto da quando era scappato via dalla stanza del figlio. Povero vecchio non era riuscito a risparmiargli  questo dolore.
Anche se non  aveva figli capiva quanto terribilmente doloroso doveva essere per quel povero uomo; il minuto prima tuo figlio è finalmente fuori pericolo ed il minuto dopo ti dicono che è morto. E anche di questo era lui il colpevole, almeno in  parte.
Guardandosi intorno prese senza farsi vedere da nessuno le scale e aprì la porta del secondo piano.
Era il reparto malattie infettive e grazie a Dio era quasi  praticamente vuoto: le vere e proprie malattie infettive erano sempre più rare ormai, tanto che ben presto il reparto avrebbe smantellato e sarebbe stato riconvertito in un reparto di lungo degenza.
Sempre guardandosi indietro si avviò verso la stanza del suo paziente.

Prima di entrare incrociò sulla porta la sua collega.
Era una bella donna, alta e castana, il primario di quel reparto. A Max, divorziato e single, non sarebbe certo dispiaciuto una amicizia più approfondita, ma lei sembrava del tutto immune al suo fascino, che invece aveva colpito la maggior parte delle infermiere dell’ospedale.
Ma era comunque una amica, la più  fidata e l’unica a cui  aveva potuto rivolgersi in quella situazione.
“Maria… allora come andiamo?” chiese Max vedendola uscire con la cartellina in mano.
“E’ stabile, ma ancora non si è svegliato” rispose la donna porgendogli la cartellina.
Ancora una volta Max lesse negli occhi della donna un muto rimprovero.
“Beh… diamogli ancora un po’ di tempo… è ancora presto” Max cercò di convincere anche se stesso con quelle parole.
“Max… non voglio ripetermi, ma ti rendi conto di quello che hai fatto??? Un paziente in quelle condizioni…”
“Sì lo so  Maria, non c’è bisogno che tu  me lo dica di nuovo. Lo so anche io che c’è qualche pericolo, ma ti assicuro che se ci fosse stata altra scelta…”
“Non voglio sapere perché ti sei immischiato in questa storia, ma se succede qualcosa, se non si sveglia o riporta qualche danno… ne risponderai alla tua coscienza oltre che alla legge…”  la voce di Maria era molto dura.
“Credi che non lo sappia? Anche il paziente era ben conscio dei rischi, credimi non  c’era altra scelta. E poi sono certo che andrà tutto bene.  Ne sono certo altrimenti non l’avrei permesso” provò ad opporsi Max, pur sapendo che la collega aveva ragione.   
Maria sospirò tesa “Spero solo che tu abbia ragione e che questa storia finisca presto, anche perché non possiamo nasconderlo per molto”
“Grazie Maria, grazie a te e anche ad Herbert che ci ha aiutato” Herbert era l’infermiere di fiducia di Maria.
“Speriamo bene” disse la dottoressa  imboccando il corridoio
“Maria…” la richiamò Max “ Lo sai vero quanto è importante tenere l’assoluto segreto?  Ne va della vita del paziente e di quella di molte altre persone…”
Maria annuì “Certo lo so.  Da me e da Herbert non uscirà una parola, ma fa’ che questa storia finisca presto” disse mentre si allontanava.     

Pensieroso Max entrò nella stanza.
Guardò il suo paziente nel letto, circondato dai monitor di sorveglianza che lanciavano i soliti segnali.
Controllò i parametri e poi guardò l’orologio.
Un brivido di preoccupazione gli attraversò la mente.
“Maledizione Ben… avresti già dovuto svegliarti” disse accarezzando piano la guancia del giovane poliziotto.


Ehm.. diciamo che è stato un pesce d'aprile anticipato.
Ma... Ben non si sveglia...
Saluti a tutti e grazie grazie di tutto

 

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Capitolo 23
*** Rischi calcolati ***


 
Rischi calcolati

Sander Kalvus accese la televisione a schermo piatto che aveva davanti. Era quasi l’ora del telegiornale e voleva godersi ogni minuto del suo trionfo .
Aveva già ricevuto la notizia dall’ospedale, dal suo informatore, ma ora voleva godersi la gogna pubblica cui veniva sottoposto Gerkan. Quella era la sua vera vendetta.
E fu subito accontentato.
Il telegiornale aveva la notizia come apertura.
“Proseguono in tutto il territorio le ricerche dell’ispettore della CID di Colonia Semir Gerkan che, dopo aver confessato di aver ucciso il suo collega Ben Jager,  mentre questi era ricoverato presso l’Ospedale Universitario di Berlino, si è sottratto all’arresto con una rocambolesca fuga”.
Lo speaker leggeva la notizia mentre sullo schermo veniva proiettata una foto di Semir.
Poi partì un filmato con una intervista a Bohm.
Kalvus non degnò di molta attenzione quello sbirro che gli pareva deficiente, ma comunque  aveva avuto un sussulto alla notizia  il turco se l’era svignata.
Chiamò Decker con l’interfono.
“E’ fuggito…” disse freddo quando l’uomo comparve sulla porta.
“Sì lo so… il contatto mi ha appena telefonato.  Credi che stia venendo qui?” chiese di rimando l’americano
“Mi pare ovvio, rivuole la figlia”
“E che facciamo?”
“Prepara tutto ce ne andiamo, ormai non abbiamo  più nulla da fare qui”
“E la bambina?”
Kalvus sorrise.
“Gerkan deve soffrire fino in fondo… ma non lo facciamo qui. Lo faremo quando saremo arrivati a Colonia, davanti alla casa del padre” disse ormai ubriaco di vendetta.

 
 
Max prese una sedia e si sedette accanto al letto di Ben. Ormai era terrorizzato,  la droga che gli aveva somministrato per abbassare al minimo le pulsazioni ed il respiro aveva esaurito i suoi effetti da ore, i valori erano risaliti nel range di normalità, ma Ben non si svegliava e non rispondeva agli stimoli esterni.
La mente di Max tornò agli eventi del pomeriggio prima, quando  era entrato nella stanza di Ben e l’aveva trovato in preda ad una vera e propria crisi isterica.
 
“Ben…Ben calmati, che ti succede??”
Le pulsazioni e la pressione indicate dai monitor di sorveglianza erano pericolosamente alte.
“Devi  trovare Semir… lo devi trovare, sta per fare una sciocchezza, ti prego, ti prego, aiutami…”
“Ora ti calmi, altrimenti ti devo sedare… calmati e dimmi che sta succedendo”
Ben scoppiò in un pianto disperato.
“Era qui prima, era qui e piangeva, mi ha  detto che hanno preso sua figlia Aida e che l’unica soluzione è che lui la faccia  finita da solo, che si deve uccidere per non fare male alle persone che ama… ti prego Max aiutami, lo devi trovare… ti prego…”
Il ragazzo ormai era in piena crisi di nervi, con  i valori sui monitor tutti sballati. Cercò di buttarsi dal letto, ma per Max fu facile bloccarlo.
“Stammi a sentire… se non ti calmi ti sentirai male, e mi costringi a sedarti. Calmati e spiegami. Chi ha preso la figlia di Semir?”  
Ben spiegò con la poca lucidità che gli era rimasta quello che aveva saputo dall’amico.
“Ok… ora lo vado a cercare e lo porto qui. Troveremo una soluzione. Ma tu devi stare calmo…”
Ben ansimando cercò di calmarsi.
Dopo aver chiamato una infermiera che lo sorvegliasse, Max partì per la sua ricerca.
Era fortemente tentato di chiamare la sorveglianza, ma capiva che un poliziotto che tenta il suicidio sarebbe stato immediatamente sospeso dal servizio, se non congedato.
No, doveva capire cosa stava succedendo, così chiamò la sorveglianza solo per controllare che la macchina  di Semir fosse ancora nel parcheggio. E per fortuna ebbe risposta positiva, almeno non doveva essere lontano.
Pensò rapidamente a doveva poteva essere andato e ovviamente gli venne in mente il primo posto dove si poteva recare un aspirante suicida. Non aveva la pistola quindi il posto più logico era il tetto.
Arrivò sul terrazzo quasi trafelato, nonostante avesse usato l’ascensore.
Faceva dannatamente freddo lassù con il vento che sferzava impetuoso. Si strinse nel camice bianco e cercò con gli occhi la  figura del piccolo ispettore fino a che non lo scorse. Era in piedi vicino alla balaustra e fissava nel vuoto.
Max si avvicinò con  cautela.
“Semir… Semir che stai facendo?” chiese con voce calma
 Il poliziotto neppure si girò a guardarlo.
“Semir…” chiamò di nuovo Max avvicinandosi con calma. Mai far spaventare o innervosire un aspirante suicida.
Ma il  piccolo ispettore sembrava non essere in contatto con il mondo.
Solo al terzo richiamo si girò lentamente.
“Va’ via Max… ti prego vai via” sussurrò
“No che non me ne vado…. Ben mi ha detto tutto… che cosa vuoi fare?” rispose Max sempre imponendosi una voce calma. Prima regola: convincere il suicida a desistere da solo, altrimenti ci riprova.
“Non posso… loro hanno la mia bambina, la mia piccola… ma io non posso non ce la faccio…”
“A fare cosa? Ad uccidere Ben?” intuì Max. Una rabbia enorme si impadronì del medico. Come poteva una persona essere così follemente crudele da mettere un padre di fronte a questa scelta?
Semir lo guardò con gli occhi pieni di lacrime.
“Non ce la faccio, non ce la faccio a scegliere… è come scegliere  quale dei miei due figli uccidere… io non ce la faccio… la devo fare finita. Ora!!” sussurrò Semir  mentre le lacrime gli scendevano sul volto.
“E credi che questo lo fermerà? Cosa vuoi fare privare, le tue figlie di un padre e tua moglie del marito?  Far sopportare a Ben questo rimorso per tutta la vita? Quell’uomo è folle Semir e qualsiasi cosa tu faccia non fermerà la sua vendetta. Se voleva solo la tua morte ti avrebbe ucciso subito. Dobbiamo trovare un’ altra soluzione”
“Quale?? Io non ne trovo altre… ha talpe dappertutto, forse anche qui in ospedale… e se non gli giunge la notizia della morte di Ben entro stasera.. lui… lui…” Semir non riuscì a finire la frase.
“Semir credimi c’è sempre un’altra soluzione. E forse so anche quale… vieni via di lì e scendiamo da Ben…” ragionò Max.
“Soluzione? Quale soluzione?”
“Vuole la morte di Ben? E noi gliela daremo” fece Max tirando per un braccio Semir lontano dalla balaustra.
 
“Assolutamente NO” urlò Semir contro Ben e Max.
“Invece SI, mi pare l’unica via di uscita” rispose con le poche forze che aveva a disposizione Ben.
“Io non permetterò mai una cosa del genere, mi hai capito? Scordatelo…” il piccolo ispettore turco era paonazzo di rabbia e di dolore.
“Non sei tu  dover decidere… la cosa riguarda me ed io la voglio fare” lo spirito ribelle di  Ben veniva sempre fuori in un modo o nell’altro.
“Invece no… Max ma come ti è venuto in mente… è stato due settimane in coma, ha avuto due operazioni al cervello e tu te ne vieni fuori con questa idea… “ ormai Semir se la prendeva con tutti.
“Semir non credere che non ci abbia pensato. Effettivamente le condizioni di Ben non sono ottimali, ma i rischi sono pochi…”
“Pochi? Che significa pochi? E’ appena uscito da una operazione al cervello, che razza di medico sei a proporre una cosa del genere?”
 La frase colpì Max nel profondo e Semir se ne rese subito conto
“Scusa Max non volevo…” disse contrito
“Ora basta… devo decidere io, e io lo voglio fare!!” disse Ben con voce debolissima ma in cui si sentiva l’ira.
“Invece non lo farai… è troppo pericoloso, io non te lo faccio fare…”
“E cosa vuoi che faccia?? Che stia qui  ad aspettare che uccidano Aida? O che ti uccidi tu? Credi che poi io possa vivere con  questa cosa? E’ l’unica soluzione, è un rischio calcolato che dobbiamo correre, che io sono disposto a correre… perché l’alternativa è insopportabile”
Semir iniziò a piangere “E cosa faccio io se ti succede qualcosa?”
“Non succederà nulla… andrà tutto bene, mi faccio un sonnellino e quando mi sveglio è tutto finito… giusto Max?”  Ben sorrise debolmente
Max annuì; il medico provò suo malgrado un forte senso di invidia per il legame che c’era fra quelle due persone… poco prima, mentre Semir era in bagno a rimettersi un po’ in ordine, aveva parlato con Ben dei rischi e quindi sapeva che il ragazzo era  conscio che qualcosa poteva andare storto.
E con stupore si rese conto di  essere un medico disposto a mettere a rischio la vita di un paziente, ma non vedeva altra scelta, era sicuro che in mancanza uno dei due avrebbe sicuramente fatto uno sproposito.
“Come facciamo con i tuoi?” chiese Max
“Non possiamo dirglielo, mio padre e soprattutto mia sorella non sarebbero capaci di fingere…”
“Ma…” obiettò Semir
“Sarà per poco tempo…” chiuse il discorso Ben
“Allora vado ad organizzare il tutto” fece con un groppo alla gola Max mentre usciva dalla stanza.
Quanto furono soli Semir prese la mano di Ben nella sua.
“Vedi di svegliarti e di stare bene, perché se ti succede qualcosa io… io non riuscirei più a vivere…” disse scoppiando in un pianto dirotto.
“Andrà tutto benissimo, troverai Aida e metteremo in galera quel porco che ci sta facendo passare quest’incubo”
Semir provò sempre più forte l’istinto omicida… lui non voleva Kalvus in galera. Lo voleva morto e lo voleva uccidere con le sue mani.
 
“Forza Ben, dai ti prego, svegliati… non farmi questo, non fare questo a Semir…”
Max provò ancora una volta a svegliare  il ragazzo dandogli schiaffetti sulle guance.
Ma gli occhi di Ben restarono inesorabilmente chiusi.
 


 
“Voglio parlare con la procuratrice Schrackmann” disse a muso duro al Kruger rivolta Bohm.
Kim ci aveva pensato a lungo e  aveva concluso che, nonostante tutto, l’unica di cui poteva fidarsi era la procuratrice. Poteva essere odiosa, rigida o bacchettona, ma Kim era matematicamente sicura che non poteva essere corrotta o complice di Kalvus.
“E di cosa vorrebbe parlare con la procuratrice?” Bohm mostrava un’aria divertita, sembrava un gatto che ha ingoiato l’uccellino.
“Non sono cose che la riguardano. Ogni arrestato ha diritto di parlare direttamente con il PM”
“Forse per confessare?” continuò con aria divertita Bohm
Ma Kim non gli rispose. “Vada a chiamare la procuratrice, altrimenti sarà il mio avvocato a fargliela pagare cara”
“Ok vado… tanto non otterrà nulla dalla Schrackmann”
Bohm uscì dalla stanza.
Mentre si chiudeva la porta Kim lo sentì cercare inutilmente Heiss al telefono. “Chissà che fine ha fatto quest’altro deficiente” borbottò chiedendo la chiamata.
Per Kim ora restava un’unica speranza: che la procuratrice credesse alla storia vera, ma sinceramente poco  plausibile, che aveva da raccontarle.


 
Semir si voltò di scatto pronto a colpire… ma poi si fermò di botto.
“Hartmut!!! Che cavolo ci fai qui??” fece sorpreso
“Che ci fai tu piuttosto…” rispose Hartmut ancora terrorizzato
Brevemente Semir raccontò del rapimento di Aida.
“O mio Dio ed  Aida è lì dentro?”
“Sì, se non l’hanno spostata, ma tu come sei arrivato qui?” Semir era incredibilmente sollevato di aver trovato l’amico.
“Beh… ho trovato come  hanno fatto ad uscire  gli uomini di Decker dal magazzino prima dell’arrivo della SEC. Sotto una delle casse c’è un cunicolo, lungo più di un chilometro che porta all’esterno. L’ho percorso e mi è bastato seguire le tacce dei veicoli alla fine per arrivare qui. Sai come l’ho capito? L’ho capito risalendo all’epoca di costruzione del magazzino, ai tempi della  seconda guerra mondiale era frequente che si creassero vie di fuga in caso di bombardamenti. E poi ho visto la fotografie e facendo la proiezione ortogonale delle tracce di polvere…” Il tecnico non poteva proprio fare a meno di dilungarsi sempre, in qualsiasi situazione, nelle spiegazioni sulle sue scoperte
“Hartmut!!!” lo richiamò Semir “Per favore dimmi che ti sei portato la pistola…”
“Sì certo…”
“Bene, dammela…” lo incitò Semir
Hartmut provò ad opporsi. Lui non cedeva mai la sua “lucy” ad altri
“No no, è mia”
“Hartmut, sparo meglio di te, questo lo sai. E poi io entro e tu resti qui….”
“Ma no voglio venire con te…” disse Harty mentre porgeva la pistola di grosso calibro al suo collega.
“Shhhh” intimò Semir vedendo i fari di una autovettura che si avvicinavano.
Poco dopo una Audi nera si fermò davanti al cancello e ne scese un uomo che bussò al cancello che subito si aprì.
“Maledizione ma quello è Heiss… è lui la talpa di Kalvus…” sussurrò Hartmut
 
Semir e Hartmut guardarono stupiti l’auto che entrava nel cortile.
Fulmineo Semir, approfittando dell’oscurità, corse attraverso il cancello  automatico che si stava richiudendo. Neppure si accorse che Hartmut l’aveva seguito sino a che non si nascose dietro un muro e per poco Hartmut non gli cadde addosso nel tentativo di nascondersi anche lui.
“Harty ti avevo detto di aspettare fuori” sussurrò Semir
“Non se ne parla, io vengo con te…” fece il tecnico
Mentre  cercavano il modo migliore per entrare in casa senza essere visti, la porta di ingresso si aprì e ne uscirono gli uomini di Kalvus, Heiss e Kalvus stesso, sorretto da Decker.
Poi dietro di loro Elli e… Aida!!! La bambina era praticamente trascinata dalla ragazza.
“Lasciami, non voglio venire con te… dov’è il mio papà??” urlava dimenandosi
Semir dovette vincere con tutta la sua forza di volontà l’istinto di correrle intorno.
“Aprite il cancello…” ordinò Decker mentre si avviava ad una delle auto parcheggiate davanti all’ingresso.
 “Qualsiasi cosa succeda prendi Aida e scappa più veloce che puoi…” ordinò ad Hartmut Semir,  prima di prendere un respiro ed uscire pistola in pugno dal suo nascondiglio.
“KALVUS!!” urlò puntandogli la pistola contro.


Anche se forse è  già chiaro, vorrei evidenziare che la parte scritta in corsivo è la descrizione di  quanto è successo subito prima della "morte apparente" di Ben 

Grazie sempre a tutti

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Capitolo 24
*** Tutto perduto? ***


 Tutto perduto? 
 
“KALVUS” urlò Semir uscendo dal nascondiglio e puntando la pistola direttamente  sull’uomo.
Tutti gli uomini dell’olandese si bloccarono all’istante, mani sulle fondine delle pistole, mentre Elli stringeva  il braccio di Aida, che alla vista del padre iniziò ad urlare e dimenarsi per raggiungerlo.
“Cosa credi di fare?? Sei solo e noi siamo dodici…” disse Decekr puntandogli a sua volta la pistola contro.
“Lasciate andare la bambina altrimenti ti posso assicurare che prima che  tu premi il grilletto il cervello del tuo capo  è già esploso” Semir parlava in tono durissimo senza distogliere gli occhi da Kalvus.
Passarono alcuni secondi di assoluto silenzio in cui tutti sembravano congelati ad eccezione di Aida, che continuava a dimenarsi cercando di svicolarsi dalla stretta di Elli.
“Ho detto lascia andare la bambina, conto sino a tre poi sparo a questo bastardo” urlò  ancora Semir
L’urlo ebbe l’effetto di far mollare ad Elli la presa per un attimo; Aida ne approfittò subito e dopo aver assestato una pestata sui piedi della ragazza si divincolò e corse verso il padre.
“Fermi non vi muovete!!” urlò ancora una volta Semir, sempre tenendo la pistola puntata contro Kalvus
“Hartmut… prendi la bambina e vai!!” urlò al tecnico che nel frattempo era uscito anche lui dal suo nascondiglio.
Tutto avvenne molto velocemente; Harty ebbe solo un attimo di esitazione poi afferrò al volo Aida che correva incontro al padre e corse via verso il cancello.
“Ho detto non vi muovete!!!” urlò Semir tenendo sempre la pistola puntata, nel tentativo di coprire la fuga dei due mentre sentiva le urla disperate di Aida “Lasciami…. lasciami voglio andare da papà”
 Semir trattenne il fiato fino a che non sentì le urla di Aida farsi più lontane,  e anche se si rendeva conto che la situazione  per lui era disperata,  aveva comunque ottenuto quello che voleva.
Preso a tenere sotto tiro Kalvus non si accorse dei due uomini che lo aggiravano e lo prendevano di spalle; il colpo alla nuca lo spedì immediatamente nel modo dei sogni.
“Fermo, non ancora!” ordinò Kalvus all’uomo che aveva già puntato la pistola contro la testa di Semir.
“Voi inseguite quei due…” ordinò ad alcuni uomini, che immediatamente si lanciarono all’inseguimento di Hartmut ed Aida.
“Portatelo dentro…” disse poi Kalvus mentre rientrava nella villa.
 

 
Max era ormai da ore seduto accanto al letto di Ben, sempre più angosciato.
“Maledizione…” bisbigliò controllando ancora una volta le reazioni pupillari del giovane.
“Perché non ti svegli? Cosa dico ora a Semir?” bisbigliò a se stesso controllando e ricontrollando i valori sui monitor.
Aveva rischiato molto nel somministrare quella sostanza ad un paziente reduce da una emorragia celebrale, ne era cosciente e ne era cosciente anche Ben; ma come medico aveva compiuto una scelta ragionata, valutando i rischi ed i benefici, e nel suo pensiero  era sempre stato certo che la cosa sarebbe filata liscia, altrimenti non avrebbe mai messo a rischio la salute del giovane.
Ma ora le sue certezze iniziavano a vacillare.
 Compose sul telefono il numero del reparto di radiologia.
“Sì sono il dottor Weiss, ho bisogno di una TAC urgente” disse all’infermiera che rispose alla chiamata.
Si rendeva conto che così usciva allo scoperto, che trasportando Ben al reparto radiologia  in molti l’avrebbero visto, anche forse la talpa che Kalvus aveva all’interno dell’ospedale. Ma non aveva scelta, doveva capire cosa c’era che non andava.
“Herbert… dammi una mano a portare il paziente al reparto radiologia” fece all’infermiere che passava davanti alla stanza.
 
"Io non riscontro anomalie…  l’emorragia non è ripresa”  disse il tecnico porgendo a Max  le lastre della TAC.
Il medico tirò un sospiro di sollievo, ma subito dopo si rabbuiò. Ancora non aveva una spiegazione sul perché Ben era incosciente  
“Max… io sono certo di aver saputo che il paziente era morto…” disse ancora una volta il radiologo; Max ancora si rivedeva davanti la faccia stupita del collega quando aveva visto  l’uomo sulla barella.
“C’è una spiegazione Robert… ma ora non posso dirtela, ti devi fidare di me, ti prego di mantenere il segreto, è…. una operazione di polizia…”  rispose cercando di apparire convincente. “Ed è essenziale tenere il segreto” ribadì
  “Ma come mai è di nuovo in coma?” chiese ancora il radiologo, lo stesso che aveva esaminato Ben nelle settimane precedenti.
Max si limitò a scrollare le spalle mentre con Herbert spingeva fuori la barella.
Appena il gruppetto fu sparito nel corridoio Robert prese dalla tasca il cellulare.
“Sì abbiamo un problema…” disse a chi rispondeva dall’altro lato della linea.


 
Hartmut correva più veloce che poteva nel boschetto che circondava la villa, ma la sua corsa era rallentata da Aida che  continuava a fare resistenza.  Il rosso si maledisse più volte per aver lasciato il cellulare in auto.
“Lasciami Hartmut io voglio tornare da papà” strillò ancora una volta la bimba
“Shhh Aida ti prego… dobbiamo nasconderci e stare in silenzio… e cercare di raggiungere la mia auto” provò a calmarla Hartmut. Non aveva esperienza con i bambini, non sapeva parlarci e non sapeva calmarli.
“Ma io voglio andare da papà…” protestò ancora la bimba con le lacrime agli occhi
“Ti prego Aida, dobbiamo correre verso l’auto…” disse sempre più preoccupato Hartmut vedendo i fasci di luce delle torce degli inseguitori ondeggiare fra i rami degli alberi.
Finalmente la bambina si convinse e prese la mano di Hartmut. Entrambi silenziosi corsero verso l’auto.
Erano quasi giunti in vista della strada quando Hartmut sentì il rumore di rami spezzati dietro di sé.
Terrorizzato si voltò, mettendo protettivo Aida dietro le sue gambe.

 
 
Semir riprese lentamente conoscenza e subito si accorse che l’avevano legato  mani e piedi ad una sedia.
Si schiarì gli occhi e vide la figura di Kalvus che lo fissava con la solita aria di sfida.
“Bene, finalmente sveglio…” rise.
Semir si guardò intorno e sospirò di sollievo non vedendo Aida ed Hartmut, forse ce l’avevano fatta a scappare. Nella stanza c’erano solo Decker ed Elli.
“Ti credi furbo vero??” continuò Kalvus sibilandogli in faccia.
“Ti credi così furbo da potermi ingannare??” ora Kalvus urlava furibondo
Semir rimase in silenzio. Fredda gli salì l’orrenda sensazione che Kalvus avesse scoperto che Ben era ancora vivo.
“Il trucco è vecchio Gerkan, l’ho usato anche io…”
Semir continuò a rimanere in silenzio.
“Credi aver salvato il tuo  amico? Invece morirà lo stesso, il mio uomo lo ucciderà nel modo più atroce. E appena i miei trovano tua figlia, e stai certo che la trovano, la sgozzo davanti ai tuoi occhi” urlò alla fine Kalvus, con occhi folli.

 
 
Max provò ancora a svegliare Ben chiamandolo e stimolandolo.
La mancanza di coscienza era per lui inspiegabile; tutti i valori del giovane erano nella normalità, considerato quanto aveva passato nei giorni scorsi.
 Da neurochirurgo sapeva che il corpo e soprattutto il cervello hanno i loro tempi di recupero per superare i traumi, ma era sempre più terrorizzato dall’idea di ritrovarsi Semir davanti e dovergli dire la verità.
“Maledizione Ben, cosa hai nella testa che non ti fa svegliare?” si chiese
Ed effettivamente Max non poteva immaginare cosa aveva Ben nella testa ed i ricordi che erano tornati a tormentarlo.
 

Ben era rinchiuso da ore ormai nella piccola stanza dove l’avevano scaricato dopo il lunghissimo viaggio nel bagagliaio di un’auto.
Aveva sete e fame e la testa gli  faceva ancora male per il colpo ricevuto. Lentamente si toccò la nuca sentendo ancora il sangue raggrumito.
Ormai non aveva neppure più la forza di cercare di forzare la porta, del resto ermeticamente chiusa. E si macerava nella preoccupazione per Semir. Non lo vedeva da quando li avevano separati.
Dopo un ulteriore tentativo di forzare la porta si appisolò e quando riaprì gli occhi si accorse che la porta era socchiusa.
La debolezza fisica non lo faceva ragionare bene,  ma si rendeva conto che probabilmente era una trappola. Non si poteva permettere di non tentare, doveva cercare di uscire e soprattutto cercare di sapere dove era Semir.
Barcollando si mise faticosamente in piedi e uscì con circospezione dalla piccola stanza.
La mancanza di cibo ed acqua lo rendeva debole.
Guardandosi intorno vide che era in un magazzino; i corridoi creati dalle grosse casse in deposito erano  poco illuminati e lui si  incamminò cercando l’uscita.
Camminava circospetto, quando sentì un rumore molto vicino… c’era qualcun altro.
Lesto si nascose dietro una delle casse fino a che non vide passare un’ombra… subito gli sembrò familiare. Cauto mise la testa fuori appena in tempo per vedere la figura di spalle. Camminava imperioso ed aveva una sbarra in mano.
Semir!!! A Ben bastò una occhiata per riconoscere il compagno e stava quasi per chiamarlo quando la voce gli si strozzò in gola. C’era qualcosa di tremendamente sbagliato, anche se non sapeva dire cosa.
 Più veloce che poteva, tenendosi nascosto cercò di intercettare il cammino del suo partner per vederlo di faccia e chiamarlo  silenziosamente.
Appena lo vide sbucare dall’angolo del corridoio lo chiamò bisbigliando “Semir..Semir sono qui!!”
Ma quando l’amico si volltò a guardarlo il suo sguardo lo sconvolse… vi lesse solo odio.
“Semir sono io” disse ancora  verso l’amico e per un attimo credette di avere le allucinazioni quando lo vide avventarsi verso di lui brandendo la sbarra che aveva in mano.
Fece appena in tempo a  scansare il tremendo colpo che Semir cercò di sferrargli.
Terrorizzato e confuso si mise a correre lungo i corridoi. Il cuore gli batteva forte e non riusciva  a razionalizzare quello che era successo.  
Si mise a correre senza meta attraverso i vari corridoi e sentiva che Semir lo inseguiva urlando frasi di odio senza senso; cosa aveva, perchè si comportava così??.
Con la coda dell’occhio vide l’amico salire su di un pila di casse e sradicare dal muro quella che gli sembrò  una telecamera.
Disperato senza sapere cosa fare si  nascose accucciato dietro ad una grossa cassa.
Non si accorse che gli stava alle spalle sino a che non vide l’ombra alla luce fioca della lampada sul soffitto
Si girò di scatto e vide Semir troneggiare su di lui con la sbarra alzata, pronto a colpire. Nei suoi occhi solo odio
“No Semir che fai!! Sono io, sono Ben, non puoi farlo…” urlò terrorizzato ed incredulo. 
Poi l’ultima cosa che vide fu la sbarra che gli piombava sul viso.
 

Ben si svegliò di colpo urlando e ansimando.
“NO NO!! Non è possibile, non è vero!!!” urlò disperato senza neppure rendersi conto di  dove era.
Immediatamente nel suo campo visivo entrò Max.
“Ben… grazie a Dio… calmati, calma, va tutto bene” gli disse il medico cercando di tranquillizzarlo
Ci vollero  alcuni  secondi prima che Ben si rendesse conto di dove si trovava.
“Finalmente ti sei svegliato, mi hai fatto prendere uno spavento terribile…” Max cercò di tranquillizzare Ben che tuttavia continuava ad agitarsi piangendo disperato.
“Ben calmati dai, che c’è? Va tutto bene… che c’è?” Max iniziò a preoccuparsi per lo stato di agitazione del giovane.
Ma Ben non rispondeva continuando ad agitarsi in lacrime “No no, non può essere stato  lui!!" Continuava a ripetere meccanicamente.
Max si vide costretto a sedarlo leggermente. “Shhh sta’ calmo va tutto bene…” disse in tono rassicurante, pigiando alcuni pulsanti sul display collegato alla flebo.
Piano piano Ben si calmò, ma continuava a piangere disperato
“Ben che c’è? Hai dolore?”
“No no…” balbettò il giovane
“Allora che c’è?” chiese ancora il medico.
Ma Ben non ebbe il tempo di rispondere.
Dopo un leggero colpo alla porta, nella stanza entrò il radiologo Robert.



Ebbene sì... è stato proprio Semir a colpire Ben nel magazzino...
Grazie sempre a tutti e recensioni (belle e brutte) sempre gradite

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Capitolo 25
*** Nemesi ***


Nemesi
 
Hartmut spinse Aida ancora più indietro cercando di proteggerla con il proprio corpo.
“Aida… appena te lo dico io scappa più veloce che puoi” le sussurrò
“Ma io…” provò ad opporsi la bimba
“Devi fare come ti ho detto, appena te lo dico tu scappa verso la strada e ferma la prima auto che trovi… fatti portare dalla polizia…”
Terrorizzato Hartmut cercò di nascondersi con Aida il più possibile, guardandosi intorno in attesa di veder spuntare da un momento all’altro gli uomini di Kalvus.
Ma quello che vide spuntare  dagli alberi davanti a lui lo lasciò senza fiato
“Commissario Kruger!!” disse incredulo.


 
“Beh.. che c’è hai perso la parola??”   fece Kalvus tirando su il mento di Semir in malo modo
Semir lo guardò fiero negli occhi e poi… gli sputò in faccia.
Gli occhi di Kalvus lanciarono fiamme… si asciugò sprezzante il viso e poi gli mollò un violentissimo pugno in faccia; immediatamente  il labbro del poliziotto iniziò a sanguinare.
“Ma si può sapere che vuoi?? Questa tua vendetta insensata? Tu sei un folle…” bisbigliò Semir  scuotendo la testa per riprendere lucidità.
“Folle?? Sì sono folle e mi hai reso tu folle…” fece Kalvus mentre iniziava a tossire violentemente.
Immediatamente Elli si avvicinò con un bicchiere d’acque e delle pillole che Kalvus ingoiò.
“Sono folle, folle per aver visto metà del proprio corpo bruciare in quell’elicottero, folle per non potermi più guardare allo specchio, folle per aver preso questa malattia che mi porterà  alla morte per i fumi respirati durante l’incendio dell’elicottero. E folle perché tutto questo lo devo a te…” Kalvus aveva gli occhi spiritati.
“E’ sempre nulla a confronto di quanto hai fatto tu… sei un lurido assassino, hai ucciso Chirs e decine di altre persone… sei solo un criminale…”
“Assassino… credi di essere così diverso da me? Chiunque nelle giuste condizioni può diventare un assassino… anche tu, te l’ho dimostrato… e comunque per quanti sforzi  tu abbia  fatto  a quest’ora il tuo amico è già morto e presto lo sarà anche tua figlia…”
Semir sentì  brividi freddi lungo la schiena… era stato tutto inutile? Aveva fatto tutto per nulla? Davvero Ben era già morto?  E Aida?  Dov’era ora la sua piccina?


 
“Robert… come mi hai trovato?” chiese sorpreso Max vedendo entrare il collega nella stanza.
“Anche io ho i miei contatti qui dentro” sorrise  il radiologo guardando fisso Ben nel letto.
“Qualcosa non va? Perché sei venuto?”   Ora Max  era un po’ sospettoso.
“Ho riguardato i risultati della TAC e volevo dirti una cosa” rispose il tecnico  porgendogli la lastra. “Andiamo a parlarne fuori”
Max si allarmò, le complicazioni dopo una operazione come quella che aveva subito Ben erano sempre in agguato.
Si alzò e fece per uscire dalla stanza, ma appena diede le spalle a Robert questi con un colpo secco lo fece stramazzare al suolo.
Poi svelto si avvicinò al letto di Ben tirando fuori dalla tasca una siringa.
“Con i saluti di Sander Kalvus… la tua sarà una morte molto dolorosa” disse mentre iniettava il contenuto della siringa nella flebo.     
 


Kalvus era sempre più agitato non vedendo tornare gli uomini che aveva mandato all’inseguimento della bambina e dell’altro uomo.
Non faceva altro che guardare dalla finestra, mentre Elli e Decker si aggiravano lugubri e silenziosi nella stanza.
Semir cercò  di trovare una via di fuga, ma non gli veniva in mente nulla; il pensiero di Ben morto lo tormentava, così come lo tormentava l’idea di Hartmut ed Aida inseguiti dagli uomini di Kalvus.
Si scosse solo quando vide Kalvus agitarsi ancora di più
“Maledizione… ci hanno scoperto!!” urlò quasi isterico.
Subito dopo Semir sentì una serie di colpi di pistola e grida concitate provenire dall’esterno.
 
“Ci sono gli sbirri!!” urlò Decker guardando anche lui fuori.
“Usciamo di qui. Slegalo ci può servire come ostaggio” disse Kalvus mentre  rendeva la pistola dalla fondina e spingeva Elli per un braccio.
Fuori continuavano a sentirsi spari ed urla.
Con la coda dell’occhio, mentre veniva trascinato in piedi Semir ebbe l’impressione di vedere gli uomini della SEC entrare in casa dal portone principale.
Poi in meno di un secondo con un grande rumore di vetri Semir vide due figure nere  rompere le grandi finestre ed atterrare nella stanza, puntando i loro fucili.
“Fermi.  Polizia!!” urlarono quasi all’unisono  i due agenti della SEC.
Subito dopo nella stanza entrarono pistole in pugno la Kruger, seguita da Jenni e Dieter
 
Ma Kalvus fu più svelto.
Afferrò Semir per la gola e puntandogli la pistola alla tempia guardò con aria di sfida gli agenti. “Giù le armi e fateci uscire, altrimenti lo ammazzo!!”
 


 
Ben era intontito dai medicinali, il calmante che gli aveva dato Max non lo faceva ragionare bene.
Aveva assistito alla scena in cui un tizio in camice bianco colpiva Max mandandolo al suolo come se fosse un film, del tutto incredulo e senza neppure essere sicuro che non fosse una allucinazione.
E allo stesso modo ora stava a guardare il tizio che iniettava qualcosa nel tubo della flebo.
“Con i saluti di Sander Kalvus… la tua sarà una morte molto dolorosa” sentì come un’eco lontana.
“NO!! Ben… non lasciarglielo fare…” gli disse il suo  istinto di autoconservazione.
Debolmente cercò di strappare l’ago della flebo dal braccio,  ma l’uomo in camice bianco gli tenne ferme le mani in una morsa ferrea. Tentò disperatamente di dire alle sue gambe di muoversi, ma tranne qualche impercettibile movimento, quelle rimanevano immobili.
“No NO NO…” pensò Ben freneticamente  senza avere più neppure la forza di urlare.
 
 

“Fermi o lo ammazzo. Giù le armi!!” disse ancora Kalvus tirando la  sicura della pistola e schiacciandola contro la testa di Semir.
“Kalvus… è finita ormai.. lo lasci andare…” disse con calma Kim, facendo però segno agli agenti della SEC di stare lontani.
“Finita? Non è finita… non è finita fino a che non vedrò questo bastardo morire” urlò sempre più allucinato Kalvus.
Ed in quel momento Semir ebbe chiara la sensazione che Kalvus stava per sparare.
Gli passarono davanti le immagini della sua vita… e per un microsecondo ebbe la tentazione di arrendersi. Tutto quello che era successo, Ben era morto, Aida chissà dove era…. ma no, non poteva farlo, doveva salvare se stesso per salvare  i suoi figli, Ben compreso.
Afferrò con la forza della disperazione  il braccio di Kalvus cercando di fargli mollare la presa, ma Kalvus nonostante la malattia e l’età era un duro.
I due uomini lottarono al centro della stanza, mentre gli altri erano impossibilitati ad intervenire.
E poi si sentì un colpo risuonare secco nella stanza.  
Nessuno si rese conto di quello che era successo e di dove era finito il colpo sino a che Elli non emise un gemito, guardandosi con orrore il petto, dove si  stava allargando una macchia di sangue. Subito dopo la ragazza crollò a terra.
“NOOOOO” urlò Kalvus mollando la pistola e precipitandosi verso la nipote.
A tutti bastò una occhiata agli occhi sbarrati al cielo della giovane donna per capire che era morta all’istante, uccisa dal colpo partito dalla pistola dello zio.
“NOOOO” urlò ancora Kalvus in lacrime, prendendo il corpo esamine della ragazza fra le braccia e cullandolo come una bambina.

Nonostante tutto Semir ebbe un moto di compassione per il dolore del vecchio.
Ansimando si lasciò cadere in ginocchio mentre Kim gli si avvicinava.
“Semir… Semir… tutto bene?? Come sta?” chiese ansiosa.
“B.. bene… Aida? Dov’è Aida?”  rispose lui con il cuore in gola.
Kim sorrise “E’ già sulla strada di casa. Sia lei che Hartmut stanno bene…”
Semir sentì come se qualcuno gli avesse tolto un macigno dal cuore
“E Ben??” chiese ancora ansioso
“Ben?? Ma…” Kim era stupefatta non conoscendo la verità.
“O mio Dio, dobbiamo correre più veloce che possiamo in ospedale…” fece Semir alzandosi come una furia e correndo verso l’uscita.
Mentre scendeva di corsa le scale sentiva ancora le urla disperate di dolore di Kalvus ed ancora una volta, suo malgrado, provò pietà per lui.
 
 
 
Ben era ormai rassegnato alla sua sorte, quando vide la figura barcollante di Max comparire dietro quella del medico in camice bianco.
Max afferrò Robert per la gola e lo spinse lontano dal letto con tutta la forza che aveva, mandando l’uomo a sbattere con un gran fragore contro un tavolino.
Fulmineo e senza curarsi del sangue,  Max strappò la flebo dal braccio di Ben ed iniziò ad urlare come un matto chiedendo aiuto. Ma si rendeva conto che il reparto era quasi completamente deserto.
Non ci volle molto prima che Robert si riprendesse dalla caduta.
Afferrò Max per le spalle e lo spinse indietro, poi con un manrovescio tremendo lo mandò a gambe all’aria facendogli quasi perdere i sensi.
Ben stava a guardare la scena sempre intontito e debolissimo.
Cercò di urlare per chiamare aiuto ma  dalla bocca gli uscì solo un suono strozzato. Ancora una volta cercò di imporre alle sue gambe di muoversi, ma a parte leggerissimi movimenti la situazione non cambiava e la gambe continuavano a rimanere praticamente immobili.
Con la forza della disperazione si girò buttandosi dal letto e trascinando con sé tutti i fili ed i tubi a cui era attaccato.
Finì a terra atterrando sulla spalla che immediatamente protestò. Si sentiva allo stremo delle forze, con la testa che gli scoppiava per il dolore.
Ansimando cercò di mettersi seduto e chiamare Max o vedere come stava, ma subito vide l’uomo in camice bianco che troneggiava su di lui brandendo un bisturi.
“Maledetto stronzo, proprio non vuoi morire…” sibilò l’uomo prima di sferrare il colpo.
 

 
Semir guidò come un folle percorrendo la strada fra la villa e l’ospedale  in metà del tempo necessario. Dietro di lui, ma lontane vedeva le luci delle auto della polizia che cercavano di stargli dietro, ma li aveva seminate da tempo
Aveva mille pensieri in mente, ma cercò con ostinazione di non pensare alla possibilità che Ben fosse già morto. Non poteva essere, non dopo tutto quello che era successo, dopo tutto quello che avevano passato.
Inutilmente con una mano  compose più volte il numero del cellulare di Max  che però squillava senza risposta.
“Ti prego Signore, Allah ti prego…” pregò e ripregò mentre arrivava nel parcheggio e lasciava l’auto con la portiera aperta precipitandosi all’interno dell’ospedale.

 
 
Ben cercò con tutte le sue forse di fermare l’uomo in camice bianco, ma con la forza delle sole braccia non riuscì a fare altro che a deviare il colpo.
Sentì un dolore lancinante alla spalla sinistra. Con gli occhi appannati ed il respiro mozzato vide Robert ritirare il bisturi sanguinante e alzarlo pronto a sferrare il colpo fatale.
Chiuse gli occhi aspettando l’inevitabile, ma sentì solo le urla strozzate di un combattimento.
Riaperti gli occhi, mentre era steso in terra, impotente, cercando disperatamente di rimanere cosciente, Ben vide Max e Robert che lottavano furiosamente.


 
“Polizia… dov’è il dottor Weiss?” urlò Semir agli infermieri che gli venivano incontro
“Ha finito il suo turno…”  rispose indecisa ed incredula la caposala che aveva assistito alla fuga del giorno prima.
“No è ancora qui!!!” urlò disperato Semir. Non sapeva dove Max aveva nascosto Ben e non poteva permettersi di cercare in tutto l’ospedale.
Tutti i  presenti nel reparto di neurochirurgia erano congelati, terrorizzati dalla vista di Semir, che per loro era un assassino fuggitivo, che si agitava nel corridoio pistola in mano
“Dov’è??? E’ con Ben… dove l’ha nascosto??? Vi prego ne va della vita del mio collega!!! Vi prego ucciderà Ben!!” urlò ancora Semir sempre più disperato
Ma tutti rimanevano attoniti a guardarlo.
Fino a che una debole voce non disse “Al piano di sotto, stanza 213!”
“Grazie!!” sussurrò Semir a Maria che gli stava di fronte, mentre correva verso le scale
 
Semir corse lungo il corridoio subito dopo le scale come mai in vita sua
211, 212 213!!!
Cercò disperatamente di calmarsi per affrontare l’azione.
Uno, due, tre… e sfondò la porta con un calcio.
Non razionalizzò subito la scena… Max ed un altro uomo, che brandiva qualcosa di metallico in una mano, che lottavano… Ben non era nel letto… ma a terra!! Ed in un lago di sangue!!!
 
Sia Max che Robert vennero colti di sorpresa dal botto con cui si spalancò la porta, ma Robert fu più lesto, afferrò Max  da dietro e gli puntò il bisturi alla carotide.
 “Lascialo” intimò freddo Semir puntando la pistola contro Robert.
“No butta tu la pistola altrimenti lo ammazzo” rispose l’altro guardandolo duro.
“Ho detto lascialo” ordinò di nuovo Semir ma Robert non si mosse di un millimetro
Semir valutò velocemente la situazione.
Guardò Max ed i suoi occhi che nonostante tutto esprimevano terrore, guardò la mano tremante dell’uomo che puntava il bisturi alla gola di Max e premeva sempre più forte, al punto che già aveva rotto la pelle e provocato una piccola ferita. E soprattutto guardò Ben, steso a terra, esamine, con gli occhi chiusi ed una grossa macchia  rossa sul camice ospedaliero. La pozza di sangue sotto il corpo del ragazzo si ingrandiva a vista d’occhio. Doveva far presto.
“Lascialo”  disse Semir per l’ultima volta, ma Robert  non mollò la presa.
E Semir prese la sua decisione.
Sparò.
 
Max era spaventato come mai in vita sua. Gli sembrava di vivere una sorta di sogno orribile o di essere il protagonista di un film mentre sentiva la lama fredda del bisturi sulla gola.
“Bene Max, questo è il risultato… non sei un poliziotto tu… cosa credevi di fare?” si disse mentre assisteva impotente allo scambio di battute fra Semir e Robert.
“Lascialo!!” urlò ancora una volta Semir e a Max bastò guardare gli occhi del piccolo ispettore per capire all’istante che avrebbe sparato.
Chiuse gli occhi appena prima dello scoppio fragoroso del colpo e poi sentì che la pressione fredda del bisturi non c’era più.
Robert era a terra  e si teneva la spalla sanguinante.
 
Appena sparato Semir  si rimise l’arma nella cintola dei pantaloni e si precipitò  da Ben…
“Ehi… Ehi… Ben…” lo chiamò disperato inginocchiandosi vicino a lui.
Lo sollevò facendo attenzione alla testa fasciata.
La situazione gli sembrò disperata. Il suo amico era bianco come un cadavere… e la ferita alla spalla sanguinava in modo incredibile
“Oddio ti prego Ben… rispondimi” chiamò ancora mentre si sedeva in terra e tirava Ben in grembo come faceva con Aida o Lily dopo una brutta caduta dalla bicicletta. Con la mano cercò di spingere sulla ferita per fermare l’emorragia.
 “Max Max…”  fece terrorizzato, ma il medico era già accanto a lui.
“Ben!!” urlò sempre più  disperato Semir scuotendo il giovane  e finalmente ottenne un gemito come risposta.
“Vado a cercare una barella tu tienilo sveglio, altrimenti può andare in choc emorragico” disse Max mentre usciva di corsa.
Nel corridoio si sentiva un gran trambusto e di corsa entrarono nella stanza le guardie della vigilanza interna, seguite a ruota dalla Kruger.

Ma Semir non fece caso alla loro presenza.
“Ben dai apri gli occhi, dai parlami…” disse mentre toccava sulle guance il partner. “Bennn!!”
E finalmente fu ripagato dalla vista degli occhi castani che si aprivano lentamente
“Eh… sto bene, sto bene mi gira solo un po’ la testa…” sussurrò Ben cercando di aggrapparsi alla giacca di Semir per alzarsi un po’.
“Che fai, stai giù, ma non dormire ti prego…” lo supplicò Semir tenendolo sempre fra le braccia. Ma quanto cavolo metteva Max a tornare?? Ben era sempre più pallido.
“Semir…” chiamò piano il ragazzo, mentre gli occhi si chiudevano.
“Sì… dimmi… Ben non dormire!!” urlò l’amico vedendo le palpebre  abbassarsi.
“Semir… non… non è colpa t… tua…” sussurrò Ben accasciandosi completamente fra le braccia dell’amico.



Siamo quasi alla fine come vedete...
Ci sono ancora delle cose in sospeso... che forse non verranno chiarite in questa storia...
Grazie sempre, non mi stancherò mai di ringraziare chi mi legge e chi recensisce queste sciocchezze. Mi diverto a scriverle e se vedo che divertono anche voi... beh è il massimo!

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Capitolo 26
*** Fidati di me ***


Fidati di me

“Semir… non… non è colpa t… tua…”
Semir si sentì gelare alla frase sussurrata da Ben, ma lo spavento per lo svenimento dell’amico e la preoccupazione  per la sua salute presero il sopravvento.
Iniziò a chiamarlo freneticamente senza risposta sino a che finalmente piombarono nella stanza Max e due paramedici che spingevano una barella, strappandogli  quasi con la forza Ben dalle braccia per portarlo via di corsa.
Semir rimase seduto a terra, circondato dal sangue del suo amico che ormai gli aveva inzuppato i jeans, più senza forze neppure per alzarsi.

 
“Semir…” la voce della Kruger sembrava arrivare da lontano.
Semir alzò gli occhi e vide il Commissario che gli porgeva una tazza fumante. “Qualcosa di caldo le farà bene…” gli disse sorridendo.
Ormai erano almeno due ore che Semir era seduto sulla panchina fuori la sala operatoria, per l‘ennesima volta in pochi giorni a chiedersi cosa stava succedendo dietro quelle porte ermeticamente chiuse.
Kim Kruger riprese il suo posto, seduta accanto al suo poliziotto e Semir la guardò con gratitudine; mai come in quella occasione le era immensamente grato.
Poco prima aveva sentito al telefono la sua piccola Aida che al posto di essere spaventata sembrava addirittura eccitata per l’avventura vissuta.
Andrea era fermamente intenzionata a portarla comunque da una psicologa, ma per questo c’era tempo… il necessario era che la bimba stesse bene, e Semir sapeva che in quella piccola donna c’era più forza di quanto gli altri potessero aspettarsi.
Ma in ogni caso non aveva saputo e potuto rispondere all’ultima domanda che gli aveva rivolto alla piccola “Quando torna a casa zio Ben?”
Già, quando torna a casa? Si chiese anche Semir, che non desiderava altro che un po’ di normalità. Tornare a  casa da sua moglie e dalle sue figlie, tornare a lavorare con Ben, tornare  a quello che era il suo mondo.
“Heiss e Decker stanno spifferando tutto, è bastata la prospettiva di passare tutta la vita in galera e stanno facendo a gara a chi parla per primo.  Poco fa mi ha chiamato Dieter, dice che entrambi hanno confermato che lei è stato drogato in quel magazzino e che il denaro che hanno ritrovato a casa sua l’hanno messo loro per incastrarla…”
“Bene” si  limitò a sussurrare Semir che continuava a guardare nel vuoto
“Come  ci avete trovati?” sussurrò alla fine Semir.
“Beh le sembrerà strano ma deve ringraziare “gonna di acciaio” che mi ha creduto e mi scarcerato dopo che Bohm mi aveva arrestato. Quando siamo arrivati al magazzino abbiamo trovato la cassa che Hartmut aveva spostato ed il passaggio sotto la stessa ancora aperto. L’abbiamo seguito e ci siamo trovati all’aperto a circa trecento metri dall’entrata del magazzino. Poi  è  bastato seguire le tracce dei veicoli…”
 “E Kalvus?”
“Si è chiuso in un mutismo assoluto, l’unica cosa che chiede è di vedere per l’ultima volta la nipote”
Semir sospirò. In fondo quella era una perfetta nemesi, l’uomo che voleva colpirlo negli affetti più cari, che voleva indurlo ad essere il carnefice di uno dei suoi figli, era rimasto vittima del suo stesso gioco ed era  diventato carnefice della nipote, l’unico affetto che gli era rimasto.
“Semir… perchè non sembra sollevato? Mi sembra che si stia chiarendo tutto…” chiese la Kruger guardandolo negli occhi.
“Non posso essere sollevato fino a che non vedo Ben uscire da quella porta e Max  non mi dice che sta bene…”
“Ben è forte, ha superato tanto, starà bene e finalmente tutti potremo buttarci alle spalle questa storia”
Kim gli sorrise, ma Semir aveva il cuore pesante al pensiero della frase  sussurrata dall’amico prima di svenire.
“Non è colpa tua… non è colpa tua…” Semir non riusciva a pensare ad altro che a quella frase mentre fissava immobile le mattonelle del pavimento

 
Quando alzò finalmente gli occhi Semir vide Konrad Jager che gli stava di fronte, in piedi ed immobile. Il vecchio aveva un aspetto orrendo, la barba incolta e i vestiti sporchi, l’ombra della persona raffinata che aveva sempre conosciuto.
“Come ha potuto farlo?? Come ha potuto?” gli disse con voce risentita.
Semir lo guardò in silenzio.
“Mi sono sempre fidato di lei… ho sempre creduto all’affetto che portava verso mio figlio…” bisbigliò Knrad con occhi che esprimevano rabbia
Semir lo guardò senza capire bene a cosa si voleva riferire….
“Come ha potuto permettere che mio figlio, nelle condizioni in cui era, dopo tutto quello che aveva già passato, mettesse di nuovo a rischio la sua vita?? Si è almeno preoccupato d stabilire quanto fosse pericolosa quella sostanza che gli avete iniettato???” Konrad era furioso
“Mi scusi sig. Jager, lei ha ragione ma Ben ha insistito e Max Weiss mi aveva assicurato…”
“Ben??? Ben farebbe qualsiasi cosa per lei, e questo lei lo sa bene e se n’è approfittato, Quanto a Weiss vedremo cosa ne dirà la commissione medica di controllo di quello che ha fatto”
“Papà smettila, calmati, non puoi dubitare dell’affetto che Semir prova per Ben” intervenne Julia, mentre  arrivava alle spalle del padre.
“Io… io non farei mai del male a Ben… avevano preso Aida…” balbettò Semir  con le lacrime che gli salivano agli occhi
“Già me l’hanno detto. Ma lei ha scelto di mettere in pericolo volontariamente la vita di Ben… lasci perdere il dolore che ci avete procurato, ma questo non glielo perdonerò mai…” fece alla fine Konrad mentre veniva praticamente trascinato via dalla figlia.
Semir tornò a fissare le mattonelle.
Il vecchio Jager aveva ragione: quanto profondo poteva essere il suo affetto per Ben se aveva consentito che  gli iniettassero una sostanza potenzialmente letale? Quanto profondo poteva essere il suo affetto per quel ragazzo se l’aveva colpito, quasi massacrato in quel magazzino?

 
I minuti passavano silenziosi e sempre più angoscianti per Semir.
Era completamente apatico e senza forze, non si interessava neppure al fatto che era arrivato Bohm, che meno tracotante del solito, stava parlando fitto con la Kruger.
Frammenti di conversazione gli arrivavano
“Bohm lei non è testardo è decisamente stupido… cosa altro vuole ancora? Jager le ha già detto che non è stato Gerkan a colpirlo, e se anche fosse così lui non ne ha alcuna colpa, ha agito sotto l’influenza della droga…”
“Di cui non abbiamo trovato traccia nel sangue però…” provò a obiettare Bohm, ma si vedeva che era ben conscio che la storia gli era sfuggita dalle mani; era un ultimo disperato tentativo.
“Anche questo le è stato spiegato, è una sostanza diversa rispetto a quella che spacciavano abitualmente, la nipote di Kalvus l’aveva modificata per farla sparire in breve tempo dal sangue. Abbiamo anche trovato i campioni nella valigetta della ragazza…”
“Sarà… ma voglio  parlare di nuovo con Jager appena possibile…” fece stizzito Bohm
Kim vinse la tentazione di mandarlo a quel paese e pensò solo alla scena che si sarebbe goduta  nel momento in cui Ben confermava la sua versione dei fatti.
Aveva  tutta l’ intenzione di fare rapporto a quel cretino e farlo relegare alla unità cinofila, fosse l’ultima cosa che faceva nella sua carriera.

 
Finalmente un esausto e sudato Max uscì dalla sala operatoria togliendosi la cuffietta verde dai capelli.
Semir lo guardò con aria smarrita e terrorizzata, ma subito Max gli  fece un gran sorriso.
“Tutto bene, il colpo non ha leso i tendini né i vasi sanguigni… sta bene si è anche svegliato e fra un po’ lo portiamo in stanza…”
Tutti i presenti tirarono un sospiro di sollievo.
“Fra un po’ ti faccio andare da lui, appena lo sistemano, non fa altro che chiedere di te…” fece poi Max ed ancora una volta Semir notò uno sguardo di risentimento in Konrad.
Chissà se con il tempo sarebbe riuscito a ricucire i rapporti con l’anziano imprenditore.

“Max… dirti grazie è poco. Io non so… davvero non so cosa sarebbe successo se non ci fossi stato tu….” Semir aveva le lacrime agli occhi.
“Io l’ho fatto volentieri Semir e ho fatto il mio dovere di medico, che non significa solo curare le malattie” e Max dicendo queste parole guardò intensamente Konrad.
“Di questo dovremo discutere un attimo Gerkan, i civili non vanno coinvolti in operazioni che possono mettere a rischio la loro vita. Lei ha rischiato molto dottor Weiss..” fece la Kruger
“Ma no Commissario, è stato tutto molto… eccitante!!” rise Max e a Semir non sfuggirono gli sguardi  che il medico lanciava a Kim.


“Allora andiamo da Ben?” fece Max facendo strada a Semir verso il corridoio
“Dì un po’ Semir… che tu sappia il Commisario Kruger ha un fidanzato? Un compagno?”
Semir sorrise. “Chi? Manico di scopa? No No non mi risulta” rise piano ma poi si pentì
“Scherzo Max…  Kim Kruger è una donna eccezionale, anche se forse un po’ autoritaria”
“A me piacciono le donne forti, di potere…”
“Bene, allora è perfetta” rise ancora Semir.

 
L’allegria  di Semir scemò immediatamente non appena arrivarono alla stanza di Ben.
Entrando l’angoscia prese possesso della sua anima nel vedere il giovane, sempre pallidissimo, steso nel letto.
“Ehi….” gli fece Ben appena lo vide.
“Tu la devi smettere, sono vecchio ormai e tu mi farai morire di paura un giorno o l’altro”  disse Semir avvicinandosi e prendendo la mano dell’amico.
“Esagerato… mica sei così decrepito” sorrise Ben
“Aida?” chiese poi
“Tutto a posto, si sente una specie di eroina e non vede l’ora di raccontare quello che è successo alle sue amiche…”
I due rimasero a conversare per un po’ e Semir informò Ben di tutto quello che era successo.
“Hartmut… il nostro genio non si smentisce mai….” disse alla fine Ben
“Già, ma devo ringraziare tutti  quelli del Distretto, se non fosse stato per loro…”
“Noi siamo una famiglia…”
Improvvisamente però Semir divenne serio.
“Ben… qui fuori c’è di nuovo Bohm, insiste nel parlarti…”
Il ragazzo sbuffò infastidito, ma un senso di inquietudine lo prese.
“Ben… ti prego mi devi dire la verità, se te la ricordi, su quello che è accaduto nel magazzino, io lo devo sapere” fece Semir sentendo di nuovo le lacrime che gli salivano agli occhi.
Ben guardò con aria interrogativa l’amico, facendo con gli occhi cenno verso Max
“Max sa tutto, non ti devi preoccupare. Ma  non devi più mentire, neppure a Bohm. Ti prego, io devo sapere la verità…” Semir ormai era in lacrime, devastato dallo stress e dalla fatica
Ben guardò il suo amico e ripensò a quello che aveva ricordato.
“Ti prego… io devo sapere cosa ho fatto n quel magazzino… e perché… perché prima mi hai detto che non è colpa mia…”  singhiozzò ancora Semir
Ben non ricordava bene cosa aveva detto prima di svenire, ma aveva ben chiaro quello che ora doveva fare.
“Prima di svegliarmi ho ricordato sai…non sei stato tu. E’ stato un uomo di Decker. Poco prima di colpirmi ti sei fermato, ma l’uomo di Decker che era dietro di te ha preso lui la sbarra e…. e…”
I bip dei monitor di sorveglianza si fecero frenetici.
"Ok ok… stai calmo ragazzo…” disse subito Max
“Davvero?” sussurrò Semir
E  Ben si ricordò di guardalo negli occhi; Semir diceva sempre che capiva all’istante se lui gli stava mentendo perché non lo guardava negli occhi.
“Sì davvero” fece con aria sicura fissandolo negli occhi.
“Ok… ora Ben deve riposare” intervenne Max.
Semir si alzò dalla sedia per uscire, ma l’ansia, lo stress, il calo di zuccheri per non aver mangiato nulla in  quei giorni richiesero il loro tributo.
Il mondo iniziò a girare in tondo sino a che il buio non si impossessò della mente del piccolo ispettore che piombò a terra svenuto.
 


 
“Semir…. Semir…” la voce di Andrea svegliò Semir dal piacevole senso di torpore in cui si trovava
Aprì lentamente gli occhi e vide il dolce viso della sua donna che gli sorrideva
“Come ti senti?” chiese la donna
“B… bene ma che è successo?” fece lui cercando di mettersi seduto. Ora si rendeva conto di essere steso a letto in una stanza d’spedale. Qualcuno gli aveva attaccato una flebo al braccio.
“Stai giù, sei svenuto e Max dice che devi restare qui almeno per stanotte  perchè sei completamente disidrato” fece Andrea spingendolo  di nuovo supino.
“Le bambine? Ben?” chiese preoccupato il marito
“Tutti bene,  ora devi stare solo tranquillo e riposarti”
Semir si appoggiò sui cuscini, effettivamente era stanchissimo.
Dall’esterno sentiva Kim e Bohm che discutevano nei corridoio.
“Non creda che sia finita… avete vinto una battaglia, ma io non mi arrendo…” diceva Bohm con voce isterica
“Mi creda Bohm quanto è vero che mi chiamo Kim Kruger la vedrò a condurre i cani antidroga all’aeroporto” rispose beffarda il Commissario.
Semir sorrise al pensiero di Bohm alla polizia cinofila.
Si sentiva sereno.
Ben lo aveva guardato negli occhi e gli aveva detto che non era stato lui.


 
Max aspettò che Konrad Jager uscisse dalla stanza di Ben prima di rientrare, ma non potè fare a meno di incrociarlo sulla porta.
“Se non la denuncio è solo per esaudire il desiderio di mio figlio, ma quello che ha fatto è inqualificabile…” gli disse stizzito mentre si allontanava appoggiato alla figlia.
“Tuo padre è  decisamente incazzato…” fece  Max entrando nella stanza
“Gli passerà, gli passa sempre ormai è abituato… Come sta Semir?” rispose Ben
“Sta bene non ti preoccupare, è stato solo lo stress e la mancanza di zuccheri”   
Max controllò di nuovo i parametri sui display.
“La settimana prossima puoi iniziare la riabilitazione, ti metteremo in piedi presto vedrai”
Ben sorrise, ma Max negli occhi gli leggeva il tormento.
“Ben… posso sapere perché hai mentito a Semir?” chiese il medico a bruciapelo.
Il giovane lo guardò stupito.
“Ma no…”
“Non provare ad ingannarmi… Semir ti ha creduto perché vuole disperatamente credere di non essere stato lui a colpirti in quel magazzino, ma noi sappiamo che non è così…”
Ben lo guardò incredulo mentre una lacrima gli scendeva sulla guancia.
“Io… non posso dirglielo, non posso, non potrebbe sopportarlo, hai visto anche tu  la reazione che ha avuto prima. E poi non è colpa sua quello che è successo, era sotto l’effetto di quella droga”
“Proprio per questo dovresti dirgli la verità” si oppose il medico
“Tu non lo conosci come lo conosco io, si farebbe prendere da assurdi sensi di colpa, non se lo perdonerebbe mai, non riuscirebbe a superarlo, non riuscirebbe più ad avere fiducia in se stesso… e soprattutto non riuscirebbe più a lavorare con me, probabilmente non riuscirebbe più nemmeno a guardarmi…”
“E tu? Tu riuscirai a lavorare ancora con lui con questo peso? Io sono un profano in materia ma so che per andare di pattuglia insieme bisogna avere una fiducia piena l’uno nell’altro,  e per quanto tu voglia o faccia questi traumi non si superano facilmente. C’è spesso bisogno di un aiuto professionale”
“L’unica cosa che voglio è non perderlo, né come partner né come amico, come invece succederebbe se gli dicessi la verità. Ed in ogni caso stavolta tocca a me proteggerlo, io me la caverò in un modo o nell’altro”
Max sospirò.
“Io sono solo il tuo medico, è mio compito invitarti a valutare la situazione, poi la scelta è tua ed io sono tenuto al segreto professionale, ma pensaci bene…”
Ben continuava a piangere silenziosamente.
“Ora preparati alla tua lauta cena… minestrina senza sale…” fece Max sorridendo per  risollevare il clima.
“Che schifo…” fece Ben asciugandosi le lacrime, con un smorfia disgustata “Non si potrebbe avere un panino?” 
 

Quattro mesi dopo


Tutto il Distretto era in fermento.
Era il primo giorno in cui Ben tornava di pattuglia ed in servizio attivo e tutti, dalla Kruger all’ultimo degli agenti, avevano tirato un sospiro di sollievo al pensiero di non dover più sopportare le paturnie del giovane, già tornato in servizio, ma per il solo lavoro di ufficio, una ventina di giorni prima.
Nessuno ce la faceva più a sopportare il suo cattivo  umore nell’essere relegato alla scrivania o lo sguardo da lupo affamato con cui guardava i colleghi che salivano in macchina per  l’inizio del servizio.
La Kruger si era ritrovata, senza neppure immaginarlo prima, a rimpiangere le auto distrutte e a desiderare che l’ispettore tornasse presto a  far danni sull’autostrada.
Solo Semir sopportava i capricci di Ben con infinita pazienza, come del resto aveva fatto in tutti quei mesi lunghi ed a volte difficili di riabilitazione.
“Bene ecco gli ordini di servizio… sparisca da quest’ufficio Jager… e non si faccia vedere sino alla fine del turno. Dobbiamo disintossicarci tutti” fece la Kruger passando la cartellina al giovane.
“Sì grazie capo” Ben era letteralmente entusiasta e si precipitò nel parcheggio dove l’aspettava Semir.
“Perché hai preso la BMW? Prendiamo la mia…” fece subito il ragazzo appena lo vide.
“No no, almeno per un’altra settimana guido io”
Ben non fece storie più di tanto, salendo in macchina eccitato.
Mentre guidava tranquillo lungo l’autostrada Semir sorrise nel vedere Ben che per l’ennesima volta si guardava  nello specchietto i capelli ancora cortissimi. Quelli e la cicatrice sulla tempia, appena sotto l’attaccatura dei capelli erano gli unici segni visibili di quanto erano successo nei mesi precedenti. Almeno dall’esterno.
“Max ti ha detto come è andata ieri era la cena con il colonnello dei marines ?” chiese il ragazzo richiudendo il parasole.
“E smettila… in fondo la Kruger è una bella donna… e a Max piace molto”
“Guarda che eri tu quello che diceva che aveva il fascino di un manico di scopa… beh come è andata?”
“Bene, a quanto mi ha detto, ma non si è sbottonato molto. Comunque ho invitato anche lui al barbecue  di domenica, così si rivedono”
“Semir calzette rosse…” rise Ben
“Appena finiamo il servizio passiamo a prendere le mie cose ok?” fece  poi il ragazzo
“Sinceramente non capisco questa fretta di tornare a casa tua… puoi restare ancora da noi… che male c’è? Andrea non sta tranquilla sapendoti da solo…” fece Semir, anche se in realtà era lui a non stare tranquillo.
Ben aveva passato tutta la convalescenza, dopo le dimissioni, a casa di Semir accudito dai coniugi Gerkan come un bimbo piccolo.
“Io sto bene e dobbiamo tornare alla normalità, mica posso stare in eterno a casa tua… anche perché la cucina di Andrea è ottima  ma porta problemi alla linea..” rispose Ben toccandosi lo stomaco. In realtà era ancora magrissimo.
“Anche per questo… lei mi tiene sempre a dieta se non ci sei tu.. ha la fissa del colesterolo”  
“Ha ragione, sei vecchio, devi riguardarti…” rise il giovane
“Comando a Cobra 11” gracchiò la radio.
“Dimmi Susanne…” Ben rispose alla chiamata
“C’è un bentornato in servizio per te. Rapina al distributore di benzina al km 230.  Copertura sino all’arrivo delle altre pattuglie”  disse Susanne
“Ok interveniamo” fece Ben mentre Semir accelerava verso il luogo indicato
 

Arrivati al distributore trovarono l’inferno.
I malviventi si erano asserragliati nel gabbiotto del benzinaio e sparavano all’impazzata verso chiunque gli arrivasse a tiro.
Fulmineo Semir bloccò la macchina ed i due scesero pistola in pugno, riparandosi dietro le portiere aperte.
“C’è una porta sul di dietro… Proviamo a prenderli alle spalle. Vai ti copro io…” disse Semir iniziando a sparare.
Ma Ben rimase bloccato.
“Ben!!! Vai!! ti copro io… fidati di me…” gli urlò l’amico
“Fidati di lui… Fidati di lui…” pensò freneticamente Ben.
 
FINE
 


Ecco la storia finisce così… in sospeso. Riuscirà Ben a fidarsi completamente di nuovo di Semir? O il suo inconscio non riuscirà a ricostruire il rapporto, pur sapendo Ben che non è stato distrutto per colpa dell’amico?  Gli dirà mai la verità?
Sono interrogativi che non troveranno risposte in questa storia. Forse nel seguito se lo scriverò, e se  voi volete che lo scriva.
Mi scuso ancora una volta per gli errori di battitura, per la prossima storia mi sono trovata un’ottima lettrice beta.
Non mi stancherò mai di ringraziarvi, chi legge in silenzio e chi recensisce. Grazie grazie e spero di non avervi annoiato troppo.

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