This is the story of a fallen angel

di Amitiel
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** She told him stories he taught her to fly! ***
Capitolo 2: *** Return to House on tiptoe ***
Capitolo 3: *** You to me are endless ... ***



Capitolo 1
*** She told him stories he taught her to fly! ***


 

 

PROLOGO



 
««Remember child».»

 

Siamo una foto in bianco e nero 
con il cielo fermo sopra di noi. 
Siamo un ricordo in bianco e nero.
Quelle notti non finivano mai. 
Persino un dolore ti rende migliore.




 

{In a Distorted reality}

 


Ed era solo una bambina. Una tra tante con il viso da bambola e la pelle di porcellana. Aveva due occhi grandi che riflettevano il colore del cielo e dentro di se quello delle verdi foreste d'Amazzonia, incontaminate e selvagge. Aveva negli occhi i verdi pascoli di Francia. Screziature di un grigio metropolitano che inquinavano quella perfezione gelandola. Occhi freddi come i ghiacci della madre Russia. Lei non sorrideva mai. Lei ti guardava e ti entrava nell'anima. In profondità con quegli occhi di bambina adulta. L'abbandono non lo si augura a nessun bambino. Perché un bambino orfano e' un bimbo sperduto che non avrà mai una casa. Ne amici, ne fortuna, ne futuro. Un bimbo sperduto vive nella rabbia ed il rancore di ciò che non è stato.  Vive alla deriva nel mondo e diventa di solito quell'elemento disturbatore che finisce con l'essere un tossico, un malato mentale o una persona emarginata dalla società. Ma Lei era diversa. Lei danzava sul mondo in punta di piedi e tra le ombre splendeva di una luce potente che aveva dentro di se fin dalla sua nascita. Una forza che nessuno ha mai saputo da dove venisse. Lei era la prima bimba sperduta. Lei era Rea! La bambina non voluta. La figlia di un vero amore gettata tra la candida neve di una notte di Gennaio. Lei era il primo raggio di sole dell'Inverno. Lei era la bambina dallo sguardo attento, vigile. La bambina muta che non amava la paura ne il contatto umano. Lei era quella caparbia. Quella sempre disposta a tirare piccoli pugni contro l'uomo e la società. Contro gli altri bimbi sperduti che la guardavano con timore. Perché una bambina che non sa parlare incute timore agli altri bimbi ma non a Peter … lui le è rimasto vicino passo dopo passo fino ai suoi tre anni.  Lui era l'unico bambino che poteva sfiorarla. Lei era la sua Wendy, che aveva perso le parole ma gli sussurrava, a lui soltanto, ancora quelle belle favole di sempre. Di tutta una vita insieme. favole nate in quella culla divisa in due. In uno spazio angusto dove dormivano. Perché l'orfanotrofio non aveva fondi e li racimolava con canti di beneficenza messi su dai bambini o l'elemosina di ricchi uomini per nulla affidabili. Eppure in mezzo al nulla si stava bene. Lei stava bene tra giardini essiccati e corse di bambini persi nei giochi delle fate. La bambina sperduta che volava più in alto di tutti perché in realtà era un angelo camuffato da infante. I primi passi sono stati la cosa più facile perché ha imparato prima a correre e poi a camminare e questo le ha fatto male. perché era sempre avanti a tutti e isolata dal mondo. Gli angeli sono esseri incompresi mandati sulla terra per portare conoscenza, amore e speranza. Lei era un angelo senza ali destinato a non volare più, per colpa di una madre senza cuore, di un padre che non si era accertato della sua morte e l’aveva abbandonata a una fredda culla. Dentro coperte di lana che non potevano  riscaldarla .

 

 

Non si è mai spiegata perché la sua mamma non l'avesse mai voluta. In fondo non era mai stata una bambina cattiva. E i bambini presero ad indicarla , deriderla dopo che lei aveva detto a tutti che la sua mamma sarebbe tornata. P overo Angelo lei ci credeva ancora. Credeva, all'epoca, in una donna senza cuore che aveva preferito abbandonarla che a prenderla con se. Una donna senza volto di cui aveva solo mezza foto che non era stata donata a lei ma era semplicemente caduta dal cappotto di Claudia sotto la copertina. Un indizio, una donna tagliata a metà da mani esperte che avevano strappato la foto in due. E cosi lei continuava a sognare persa nel mondo dei suoi lunghi silenzi e sospiri . Una notte la superiora la trovò d'avanti la porta di casa , me lo ricordo come fosse ieri, lei seduta su una piccola valigia con l'orsetto che le avevo regalato in mano. Stretto al piccolo petto con forza. Perché aveva il timore che anche lui l'avrebbe abbandonata. Indossava la piccola vestaglia da notte per bambine che era solo un uniforme notturna dell'orfanotrofio tanto per cambiare. Lei era cosi minuta e fragile che le faceva da vestito, aveva i piedini pallidi nudi sul parquet freddo .Si era infilata il cappottino logoro e color pelle scura aperto con una piccola sciarpa  messa come capita in torno all'esile e fine collo. I capelli biondissimi sciolti e scompigliati, legati in un mezzo codino laterale fatto male per via del fatto che la sua presenza era merito delle mani di una bambina.
E tu ci fissavi con quegli occhi grandi, la valigetta sotto di te piena dei tuoi due stracci e un Block note da disegno ben chiusa. E io ti ho guardato con il cuore che si stringeva in una morsa ferrea. Guardavo  te Rea e nei tuoi occhi leggevo l'attesa di una bambina. L'attesa che in te sarebbe durata per sempre. Un Angelo in attesa della sua piccola e unica opportunità di entrare nel mondo. Volevi una mamma Rea, qualcuno che si prendesse cura di te senza fartelo pesare. Volevi addormentarti la notte tra calde braccia di donna che ti cullavano lentamente raccontandoti dolci favole  e sussurrandoti che per te ci sarebbe sempre stata. Qualcuno che ti avrebbe aiutato e consigliato al tuo primo amore, cullato e abbracciato forte senza dire nulla al primo cuore spezzato. Volevi due braccia forti pronte a prenderti quando inciampavi cosi da evitare di cadere e salvarti sollevandoti in aria. Ed eri cosi maledettamente piccola su quella mezza valigia piena di aspettative e di farfalle incorporee. Piena di sogni infranti, quando mi sono inginocchiata accanto a te. E tu mi hai guardato con quegli occhi tristi da bambina intelligente che aveva capito che nessuno l'avrebbe mai voluta. Che era sola. Privata dell'amore di una famiglia.
«Lei non verrà vero?Lei non verrà mai. Non mi vuole. Non mi vuole bene. » E parlavi con una voce da bambina ferita . Seria con gli occhi tristi di chi aveva appena capito che la vita era dura.« Ascoltami Rea. Ascoltami bene...La tua mamma non tornerà. E tu lo sai. Ma non vuol dire che li in mezzo nel mondo non ci sia una mamma anche per te. Non è il sangue che ti lega a una persona. E' il bene che gli vuoi .E' l'amore che ti porterà una mamma. Non smette di credere bambina mia .Non smettere mai ok?Me lo prometti Rea?» E lei annui poco convinta chiedendo con quelle esili braccia protese verso il cielo e me di prenderla in braccio.E la riportai a letto raccontandogli la favola di un Angelo che presto o tardi avrebbe riavuto le sue ali. E tutto questo perché non aveva mai smesso di sperare.  I giochi non avevano più colore ai suoi occhi, era arrivata quasi al suo quarto anni di vita. Emarginata e seguita solo da Peter .Quel bambino era come un fratello maggiore la proteggeva da tutto per quel che poteva e lei faceva lo stesso per lui.Due custodi silenziosi l’uno per l’altro. Ecco cosa erano quei due bambini.


 


 

E poi accade il tuo personale miracolo. Una coppia Italiana arrivò all’orfanotrofio di Beacon Hill’s. Li dove piccola la tua vita si era arrestata .Li dove osservavi attraverso le sbarre gli altri bambini giocare accompagnati da madri amorevoli e padri burberi ed attenti. Li dove i tuoi sogni avevano pian piano preso forma diventando desideri troppo grandi e irrealizzabili. E per quanto tu abbia pregato di vederla arrivare al suo posto è arrivata Rebecca. Lei non era la tua vera mamma, non c’era un unione di sangue tra voi due eppure ti voleva e ti avrebbe amato alla follia.  Era la mamma , la donna, che aspettavi da sempre. Te lo ricordi? Ti ho vista scendere lentamente le scale con il cuore a pezzi, diviso in due in una profonda lotta che mi stupì. Una bambina della tua età non poteva pensare come un adulto, ma tu lo facevi e ci stupivi ogni giorno. Eri cosi diversa … Cosi speciale Rea. Eri arrivata come un uragano nelle nostre vite e ora come una brezza leggera di primavera ci accarezzavi con il tuo sguardo prima di andare via. E sapevamo,per certo,che un giorno saresti tornata,ma per cosa?magari per quella donna che avresti voluto chiamare mamma ma che per te non era altro che un volto sconosciuto. Un nome tra tanti altri. Quel giorno,quando Rebecca Grimaldi venne a prenderti tu piangesti. Lacrime di gioia e dolore. Peter non poteva venire con te e Rebecca fu costretta a prenderti in braccio mentre tu ti dimenavi verso di lui che era stretto tra le mie braccia ed urlava il tuo nome. “Wendy” .Oh piccola bimba sperduta li,qui,tu hai lasciato il tuo cuore. Nessuno avrebbe mai compreso il vostro legame, e alla fine anche lui dopo pochi anni se ne andò. Come te. I miei due angeli presero il volo verso una nuova vita. Se stai leggendo questa lettera Rea allora sappi che io non ci sono più. Sono andata sull’Isola che non c’è li dove vi attenderò tutti. Ma per te non è ancora tempo di volare. Devi combattere. Perché se ti scrivo questa lettera è per dirti che so chi sei. Ora lo so e vorrei averlo saputo prima della morte di Rebecca. Prima che tu cadessi nel baratro della solitudine. Sei solo una bambina e nessuno si prenderà mai cura di te. Tu badi a te stessa da sola. Perché è la tua eterna condizione. Hai solo quattordici anni e del mondo ancora non sai nulla, ma se ti conosco bene una cosa la so per certo. Il mondo non può batterti piccolo Genio perché tu sarai sempre un passo avanti a lui. Perché non lasci niente al caso, nemmeno alla morte dai il consenso di trovarti impreparata.  L’oscurità ti circonda piccolo Angelo, tenta di soffocarti ma non può e sai perché? Tu sei fatta di luce pura. E risplendi di luce propria li dove le stelle muoiono e ardono un ultima volta. Buona notte mia piccola bimba sperduta….Ben tornata a casa….

Con amore,

 Eleonore White.

 
 Non importa dove andiamo, con chi andiamo o perché lo facciamo.
Importa che noi non dimenticheremo mai le persone che amiamo.
Io non ti dimenticherò mai...Sarai sempre il bel ricordo sbiadito di una favola...
Good Bye My Peter Pan... Good Bye My Little Wendy... 

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Capitolo 2
*** Return to House on tiptoe ***



The song of rebellion

Dicono che gli angeli abbiamo perso le ali nell'attimo esatto in cui conobbero l'Amor mortale.

 
Una lettera. Tutto quello che mi rimaneva di Eleonore era una stupida lettera tra le mani inondata di quelle poche lacrime che riservavo alle  poche persone che amavo .Io ero un Angelo per lei. Ma non sapeva quanto si sbagliava. Ero l'ombra perfetta di una luna, maledetta dalla nascita alla follia. Io ero quella strana, allontanata da tutti,con troppo mascara in torno agli occhi per i suoi quattordici anni. Con quel rossetto vistoso nascondevo la mia età dentro un corpo fragile e fin troppo snello. Sembravo anoressica, sul punto di rompermi. Spaccarmi in tante piccole ossa, polvere alla polvere. Uno scricciolo per l'esattezza, mia madre mi chiamava cosi. Io ero il suo piccolo scricciolo, il suo genio personale. La ragazza dei libri. La bambina dai sogni impossibili. Io ero cosi tante cose e ora ero stanca di esserlo. Volevo solo chiudere gli occhi ed abbandonarmi dentro lenzuola troppo fredde per potere avere la capacità di riscaldarmi. 
Mi madre era morta  tre giorni fa. Stava venendo a vedere il mio saggio di danza a scuola. Correva perchè non voleva perdersi uno dei miei tanti stupidi ed idioti saggi di ballo. Voleva sempre esserci,presente in ogni cosa della mia vita. Dalla più insulsa alla più importante. Dal primo starnuto e raffreddore al primo capriccio insensato. Al primo balletto all'asilo quando scoprì di amare la danza più di ogni cosa .Niente attirava la mia attenzione o mi faceva sorridere realmente come ballare.  Essere in punta di piedi, in perfetto equilibrio ed armonia era come respirare di nuovo dopo aver trattenuto il fiato per ore. Io trattengo il fiato da tutta una vita in attesa di qualcosa. In attesa di qualcuno che ormai non ha più importanza. Non per me. Mamma è morta. Correva sulla strada nell’unica giornata piovosa di un estate tormentata da un ex marito violento da cui eravamo fuggite entrambe. Lui i soldi se li sniffava, lei se li sudava. E mentre compievo la mia ultima piroetta io la cercavo con i miei occhi in mezzo a tante madri e genitori estasiati. Lei non c’era .Io per un attimo l’ho odiata. Ho odiato mia madre perché non c’era. Perché aveva fatto una promessa e non l’aveva mantenuta. Mentre io la odiavo il suo cuore rallentava di battito in battito sopra una strada asfaltata piena d’acqua. Mia madre fissava il cielo e io non saprò mai a cosa stesse pensando.
Il poliziotto si avvicinò a me fuori dagli spogliatoio con quella faccia triste di chi di sicuro ti porta solo brutte notizie.
E con voce fredda e distaccata mi disse l’unica cosa che non  volevo sentire. A cui non volevo credere.
“Signorina Grimaldi?Sua madre ha avuto un incidente. Purtroppo non c’è l’ha fatta … Mi dispiace … deve venire con noi all’ospedale”
“Cosa?No … No mia madre sta arrivando è solo come sempre negli ultimi tempi in ritardo. Non mi dica fesserie!”
Ma lui non sorrideva, ne aveva un espressione triste .Mi portarono all’ospedale. Mi portarono all’obitorio dove lei immobile giaceva su un lettino di metallo .I suoi occhi color  autunno erano chiusi per sempre.
“Mamma …? Mamma … MAMMA!” E scossi quel corpo asciutto e formoso della donna che mi aveva adottato e cresciuto come fossi frutto del suo grembo. Quella donna minuta e straordinaria che tra una risata e un pianto mi aveva stretto sempre a se dicendomi che tutto sarebbe andato bene. Che Un Inverno non poteva mai durare per sempre.
Mi gettai sul suo corpo,freddo come marmo. La scossi piangendo ,urlando ed imprecando contro tutto e tutti. Ordendo e graffiando i medici e i poliziotti che mi volevano staccare da lei. Solo un calmante frenò il mio corpo dalla ribellione ma il mio cuore e la mia mente urlavano e si spaccavano in mille pezzi.
Lei ora non c’era più e tutto quello che avevo era un vecchio album di foto e la lettera dell’ultima persona al mondo a considerarmi un essere vivo,parlante, con una mente propria.
Non una ragazzina piena di problemi e di perdite. L’unica persona che mi abbia mai voluta ora era sotto terra e io l’avevo seppellita.
Cosi dopo il funerale venni a conoscenza che il mio padre adottivo non mi voleva. Aveva rifiutato la custodia e cosi gli assistenti sociali avevano di nuovo bussato alla mia porta. Di nuovo un mare di valigie vuote. Libri, abiti, ricordi.
Mi avevano messo sul primo aereo per Beacon Hills e stavo tornando all’orfanotrofio come aveva deciso il giudice minorile. Tornavo a casa. All’origine di tutto.
Tornavo ad essere Rea, la bambina senza un passato. La ragazzina di tre anni che aspettava genitori invisibili dietro sbarre di ottone e sospiri troppo profondi, con rughe d’espressione che stonavano sul viso infantile.
Sono tornata a fissare il mondo da dietro una finestra appannata da occhi pieni di lacrime che mai avrei buttato fuori.
Ero la non voluta in questa cittadina ridente che non mi aveva mai rivolto un sorriso.
Disfai le valigie dopo aver letto e riletto la lettera di Eleonore ed averla ripiegata con cura infilandola dentro il cassetto delle mutande.
Avevo celato li dentro il mio tesoro. Per me quella lettera era l’ultima di una infinità. In tutti quegli anni lei e la mamma erano le uniche ad aver mostrato quella forma d’amore verso di me. 
Sospirai tornando a fissarmi nello specchio. Tornai a fissare quella foto dove una donna dai tratti ispanici mi fissava sorridendo. Avevamo lo stesso modo di sorridere, le stesse fossette laterali Ma i miei occhi erano  freddi, chiari .
I suoi erano caldi e scuri. I capelli  anche, in confronto a lei io ero biondo  miele scuro.
E mi ritrovai a pensare a che volto potesse avere mio padre. Come si incurvassero le sue labbra dentro i sorrisi che compieva?Era una persona buona oppure no?Chi era?Chi erano?L’orfanotrofio mi stava stretto e cosi decisi di uscire.
Di seguire l’istinto che mi diceva che dovevo andare a prendere un po’ d’aria e cosi feci.
Camminai per un oretta fino ad arrivare al centro cittadino. La foto era ancora con me,nella tasca dei jeans skin stretti che fasciavano il mio corpo esile.
La portavo sempre con me, da quando ero piccola avevo fatto si che diventasse un abitudine.
Come se sperassi , un giorno, di inciamparci per caso contro. A quella donna intendo.
Un gelato, l’ennesima occhiata storta all’ennesimo vecchio beone.
Essere sola significava anche badare a me stessa, i pericoli nel mondo erano tanti, ma io potevo farcela. Oppure era quello che credevo.
Usci dal centro commerciale dove mi ero rifugiata. Passi lenti sull’asfalto caldo. Il sole della California stava già tramontando. In torno a me sentivo gli echi di risate divertite. Qualcuno scherzava, sembrava una donna con un ragazzo. Alzai il viso e la fissai. Fissai quella coppia che mi dava le spalle e sospirai. Invidiavo il ragazzo dalla mascella squadrata e gli occhi nocciola. Lui aveva qualcuno con cui ridere. Io avevo un Hot Dog e un peluche, patetica. Eppure mi ritrovai a sorridere quando lui incrociò il mio sguardo e mi salutò distratto, forse per cortesia, con un cenno del mento. La donna, forse sua madre, si girò verso di me ridendo ancora con suo figlio.
Il mio cuore si fermò, nell’attimo in cui i suoi occhi incrociarono i miei. Il mondo vorticò come se sotto di me non ci fosse terra ma aria. Tutto vorticava e io immobile fissavo le sue labbra piene, quelle fossette che avevo osservato per tutta una vita chiedendomi se fossero reali.  I capelli ricci che incorniciavano il suo viso dai lineamenti decisi e anche dolci. E poi i suoi occhi passarono dentro quel cioccolato fuso dal divertimento alla preoccupazione.  
Il mio viso doveva essere pallido, l’espressione tipica di chi vede un fantasma.
La fissai, con il cuore in gola che martellava un ritmo frenetico. Era lei. La donna della foto che teneva la neonata, cioè me, in braccio. Quella che ora mi si palesava d’avanti altro non era che mia madre. Tremai compiendo un passo avanti ma un auto svoltò suonando con due persone dentro, un ragazzo e un uomo.
La donna mora si girò quando qualcuno la chiamò.
«Melissa ?Scooooottt!»
Urlò il ragazzo affacciandosi dal finestrino in stile Labrador.
«Abbiamo la partita di Lacrosse .Andiamo dai che è l’ultima della stagione .Papà stai guidando come una lumaca … Melissa vieni anche tu?Su e dai che facciamo tardi. Ci manca solo questo e il Coach ci butta fuori. »
La donna,Melissa, rise divertita. Forse era abituata a queste scene di quotidianità.
«Mi dispiace Stiles .Ma ho il turno in ospedale.  »
« Ti accompagno io. I ragazzi possono andare con la tua auto.» L’uomo nella Jeep le sorrise affabile.E nei suoi occhi, freddi e penetranti io vidi qualcosa…lui provava qualcosa per lei?Strinsi i pugni.Si erano dimenticati di me. Indietreggiai.Mi sentivo estranea…quella donna lavorava all’ospedale?Sapevo come trovarla…Dovevo capire chi fossero. E se ero nata nell’ospedale della città allora li c’erano le mie risposte. Diedi le spalle ad entrambi e corsi verso l’orfanotrofio mentre la notte scendeva.Nel cuore un battito diverso,la paura,la confusione,la gioia,il timore. Melissa...Melissa...Era questo ,dunque,il nome della mia vera mamma?E con gli incubi del poi io mi rifuggiai oltre il vialetto secco e il cancello in ottone arruginito.Dentro una stanza di sogni infranti e paure. 

Sono la figlia di Nessuno.Ma ora nessuno ha un nome.E le mie labbra si baciano alla parola Mamma...

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Capitolo 3
*** You to me are endless ... ***


 



 
Era una notte fredda a Beacon Hill’s. Una di quelle notti che sembrano eterne, senza una fine ben precisa. Una di quelle notti dove ogni cosa può accadere e tutto può cambiare. Era la notte di natale in fin dei conti. Una notte dove un bambino molti secoli prima, definito il profeta, nacque portando gioia nel mondo. Un bambino innocente racchiuso in fagotto come quella neonata di pochi mesi che venne abbandonata d'avanti le scalette dell'orfanotrofio di Beacon Hill’s. Un edificio in stile antico, dalle tegole spioventi e mal ridotte, con le verande dipinte di nero e verde. Le assi dei muri esterni logorati dal ghiaccio e dal tempo. All'ombra di un giardino spoglio a causa del perenne freddo sorgeva la sua struttura. Immobile si stagliava con due  torri laterali verso il cielo grigio e tempestoso. Imponente e austero come ogni edificio che abbia in se un Po di architettura Gotica. Tirava un forte vento che annunciava già l'arrivo di una tempesta di neve abbastanza forte da mettere in ginocchio la cittadina per diversi giorni. In mezzo alle raffiche di vento un cappotto nero pesante si apriva  sferzato da esso. Si muoveva e sbatteva contro i fianchi snelli e sinuosi di Claudia .Aveva celato i lunghi capelli biondi dentro un cappuccio. Una sciarpa  copriva le sue rosee labbra a cuore .Di lei erano visibili solo gli occhi. Smeraldini e vuoti. Dentro di loro c'era un vuoto profondo che inglobava ogni altra cosa. Erano bellissimi, gemme verdi incastonate nel nero, d'un colore cosi vivido e freddo da spiccare nel loro taglio felino. E ben nove mesi prima, lei aveva scoperto qualcosa che aveva fatto si che compiesse l’ultimo passo verso il baratro della sua follia. Nove mesi prima aveva scoperto che suo marito John Stilinski l’aveva tradita con la sua migliore amica. Con quella donna con cui era cresciuta e con cui aveva condiviso metà della sua vita. Melissa MCcall,seppur fu cosa di una notte,portava in grembo la distruzione di Claudia. Una bambina nata da quell’amore fuori controllo che aveva fatto ardere i due giovani dal primo giorno del loro incontro....

 
«A gift  for Christmas. Hope.


Tutte le storie hanno un loro inizio.La loro era iniziata ancora prima che lo capissero.
Prima ancora diuna carezza, dell'eco di una risata, di un bacio salato.

 

Gli uomini. Persa fissava un quadro di un artista poco noto che dipingeva l'amore attraverso una scena poco idilliaca in un campo di battaglia. Uomini sporchi di sangue dagli abiti bruciati e logori. Uomini che cadevano calpestati da altri e lei pallida figura al di sopra del fuoco nemico , tra il fumo della polvere da sparo e il sangue dei caduti , immobile fissava lui. E in quello sguardo c'era un amore cosi puro e profondo che l'aveva colpita. Come si poteva dipingere l'amore(?)Come si poteva catturare un sentimento cosi ampio e chiuderlo in una bozza di colori(?) Non riusciva a spiegarlo, eppure era ferma li. Immobile come quella donna dal viso coperto di lacrime, fuliggine in piedi con una fierezza e forza che solo l'amore donava. Lei aveva sempre creduto che un giorno avrebbe trovato un uomo in grado di farla tremare con un bacio solo. Per lei l'amore era qualcosa di cosi profondo e potente che ti faceva uscire di testa, sorridere come un imbecille, era una ragione di vita. Era una sognatrice Melissa. Una di quelle che poi si son perse per strada. Lui la osservava da lontano, lo fece per tutta  la sera. La guardò ridere, scherzare e si accorse di amare profondamente quella fossetta adorabile che le compariva sull'angolo destro della bocca ogni qual volta sorrideva divertita. Si accorse che i suoi occhi emanavano una dolcezza e che erano come una calamita per lui. Si accorse di amarla prima ancora di sapere chi fosse. E cosi con un bicchiere di Punch si fece coraggio e si avvicinò a lei offrendoglielo .Come un calice di vino in dono. Come un invito muto a passare il resto della serata con lui. Le sorrise e le sfiorò delicatamente il braccio aumentando il battito cardiaco della ragazza, che si chiese cosa sarebbe accaduto se l'avesse baciata(?) Se con la sua presenza  la metteva cosi in ansia, con il suo tocco le scuoteva l'anima e la sua sola vicinanza la faceva diventare imbranata e la metteva in confusione? Fu una serata lunga e quando giunse al termine lui la riaccompagno a piedi in Albergo. Nevicava anche quella notte. Una notte fredda, riscaldata dalla vicinanza dei due che insieme ardevano come un sole di mezzanotte. Ma lei non era cenerentola e lui non era il principe azzurro. Lui la guardava con la coda dell’occhio e lei si sentiva sospesa, come fosse perennemente su una montagna russa.
E più lui la guardava più la vedeva cosi : semplice, piena di calore e di vita. Lei voleva rimanere li, ma farlo sarebbe stato un affronto troppo grande nei confronti della sua migliore amica, Claudia .Che da anni ormai era innamorata del giovane Stilinski. Un amore che aveva costretto Melissa a tacere,rimanere muta d’avanti quegli occhi color cielo che le fermavano il cuore. Anche il loro solo ricordo era per lei un emozione.
La strada per il ritorno fu lunga, ma le parve troppo breve. Lui deviò il percorso portandola dentro il parco a prendere una cioccolata calda su quel chioschetto che sotto Natale puntualmente usciva in città .La neve sferzava sui loro visi e arrossava la sua candida pelle. Chiazzandola di quel rosso cosi candido che impediva a John di distogliere lo sguardo da lei .Lui all'amore non ci aveva mai creduto. Era uno di quelli che aveva una donna diversa a sera, seppur aveva un suo codice d'onore..Ma in verità non gli era mai importato di ferirle. Erano tutte superficiali, vuote, prive di colore o di intelletto. Prive di attrattiva, solo corpi buoni per una cosa. E di certo non il metter su famiglia. Lui che era il figlio dello sceriffo locale. Che aveva un padre duro e distante. Ma più la guardava e più sentiva una voce nella testa dirgli. *Lei è diversa John. Lei è quella giusta. Combatti * .
Jhon: «Ti piace qui?Insomma è tutta la sera che parliamo. Ci conosciamo di vista ...ma non mi hai ancora detto il tuo nome. Insomma tu sei quella brava in biologia vero?»
Lei  lo guardò con quel sorriso misto a un ironia sprezzante che gli rallentava il battito e accendeva voglie segrete che mai avrebbe provato con altre. 
«Mi chiamo Melissa.» Parlava e inciampava nelle sue parole cosa che lo faceva sorridere di più. Addolciva ogni sua parola quella sua timidezza verso di lui e lo attirava verso quella morsa glaciale che l'avrebbe condotto alla morte del cuore. Perchè il semplice fatto di non poterla mai avere lo avrebbe reso più solo di quanto pensasse. «Piacere Melissa, io sono John .E' un bellissimo nome…» Sussurrava verso la sua direzione.Ogni singola parola di lei aveva la sua piena attenzione.E cosi presero la cioccolata calda e discussero di diverse cose fino a quel portone. Lui si chinò su di lei, voleva solo baciargli una guancia,ma Melissa si girò troppo in fretta sorridendogli e impattando contro le sue labbra. 
 «...»  A volte non servono le parole per capire o dire ciò che vogliamo realmente. A volte basta che due labbra si sfiorino e il mondo intero vortica in quel punto. Nel centro esatto del tuo IO li dove l'universo converge e ti strappa via dal corpo gettandoti dentro di lei o di lui. Ecco cosa accadde quella notte.Lui sfiorò le sue labbra, la sua mano scivolò sul suo collo e la baciò.Un bacio intenso,profondo,vero. Un bacio che la fece ardere dal basso all'alto e dall'alto al basso come se una scossa elettrica potente l'avesse pervasa. Tremarono sotto la pressione incandescente di quel fuoco che lui con un bacio aveva accesso. E anche lei comprese di essere perduta .Condannata ad aver trovato l'altra parte di se stessa ed ad averla persa prima di poterla amare. John era l'unico destino  che poteva seguire. Per il bene di entrambi penso di non cercarlo più. Perché Claudia l’avrebbe odiata, visto che lui usciva con lei. Ma d'avanti al suo sguardo pieno d'amore le sue buone intenzioni morirono. Lui la guardava come l'uomo guardava la donna del dipinto ed era certa di raffigurare in carne ora, sia nello sguardo che nel cuore, quella donna dipinta tra sangue e corpi bruciati. Non l'avrebbe perso senza combattere,lei era una combattiva nata.No,sarebbe andata ovunque lui avesse voluto.Convinta ora e percossa dalla forza di quell'amore nato nel nulla già aveva scelto di dire tutto a Claudia e chiederle scusa… oppure fuggire e cambiare vita con lui. Ma più lui la baciava e più la sua mente si acquietava e spinti dal fuoco di una notte di passione si spinsero nella camera. Una notte che le è rimasta nell'anima. La strinse a se, entrò in lei, trovo in lei quella catena che non era mai esistita prima. La sua pelle sapeva di vaniglia, fredda contro la propria si riscaldò  lentamente ad ogni gemito,ogni sospiro, ogni promessa sussurrata in quella notte.

 

E passarono i giorni, e anche  l'inverno. E qualcosa li allontanò l’uno dall’altra. Claudia che si mise in mezzo con forza e fu cosi che Melissa sposò MCcall e lui perse un pezzo di se dentro quegli occhi color cioccolato  che ora lasciavano cadere una lacrima nel vuoto.
E nessuno dei due riuscì mai ad amare appieno quel compagno che il destino gli aveva dato. Perché lei tenne dentro di se l’amore per Jhon, nel silenzio di urla notturne nell’anima.
Lui pensando che lei non lo amasse più si abbandonò a Claudia.
Gli inverni passarono e nacquero Scott e Stiles. L’uno la gioia dell’altro.  Claudia si ammalò, perse la ragione e fu la loro rovina. Perchè mentre lei stava morendo loro si ritrovarono fuori quella stanza d’ospedale. Lui in lacrime e lei col cuore infranto nel vederlo cosi. Un abbraccio , uno sguardo e iniziò una lunga convivenza fatta di notti bollenti, di risate  squillanti, di carezze e sguardi. Di un amore che ora mai li aveva rapiti completamente. Ma il destino fu nefasto. Era  a fine gennaio che lei andò all'ospedale. Stava male e vomitava da giorni. Durante la visita era affetta da un ansia profonda fino a che il medico stesso non gli disse che era incinta. In quel momento si illuminò,credeva di poter essere felice. Ma dopo l'annuncio sulle condizioni di sua moglie sembrava sempre più agitato. irrequieto e ansioso. Distante.  E ogni volta che gli chiedeva cosa non andasse  lui la baciava sorridendo e tra le sue braccia ripeteva che era tutto nella norma. E cosi arrivò l'ultimo mese di gravidanza, la bambina stava bene. E loro non avevano ancora deciso il suo nome. 
«Dai John non fare lo scemo  non la chiamo Rosalinda nemmeno se mi paghi  in oro massiccio.» John se la rideva notevolmente divertito. Scuoteva la testa dalla cucina prendendola in giro.«E come vorresti chiamarla amore?Nemmeno Anya mi piace sinceramente. E poi se me la immagino io la vedo bella come te. Una piccola bambola rompi scatole dagli occhi caldi ,le labbra a cuore...» E si avvicinò a lei sedendosi sul divano baciando ogni parte espressa a voce con dolcezza e un sorriso. «il collo pallido, gli occhi da gatta, il naso all'insù impertinente.» Melissa rideva scuotendo la testa e attirandolo a se.Lo guardò con dolcezza, con amore. Quell'amore che ti toglie il fiato solamente avvicinandoti ad esso. Scosse la testa seria fissandolo negli occhi. «No.Ti sbagli.Avrà i tuoi occhi azzurri.Il tuo sorriso irriverente e dolce.Avrà il tuo cuore amore mio.Cosi forte,indipendente e battagliero. Cosi testardo e allo stesso tempo  buono e amorevole con chi è  nel giusto.Avrà ideali forti e una caparbietà mai vista prima.» Rideva leggermente, gli occhi che brillavano di una luce pura. « Avrà una forza sua, un suo ideale, un suo amore e sarà una bambina amata. Noi la proteggeremo da ogni cosa. Insieme. Avrà giochi, libri, e tu la porterai a scuola insegnandole la vita. Io le racconterò le favole. Cambierò i pannolini,farò nottata. Giocherò con lei, sognerò con lei. Stile e Scott l’aiuteranno a crescere, la proteggeranno come solo due fratelli potrebbero fare. E saremo una famiglia. » E lui la fissava come se fosse un angelo. Il suo angelo,sorridendo beato dall'intensità delle sue parole. «Sposami Melissa.»  Pianse lacrime di gioia annuendo e baciando quell'uomo  che il giorno prima delle nozze le disse addio. Ma quel matrimonio non arrivò mai. Claudia era peggiorata e lui non poteva lasciarla. Melissa continuò la gravidanza persa nel suo personale oblio. Scott le girava sempre in torno in attesa di quella sorellina che non sarebbe mai arrivata.Già pronto a tenerla al sicuro. Perché già amava quella sorella che non aveva mai visto. Il detective MCcall tornò a casa e scoprendola incinta seppur avessero divorziato sfociò la sua frustrazione in una litigata in cui involontariamente spinse Melissa dalle scale. Lei cadde e il suo unico pensiero fu “Dio..la mia bambina,no.” E poi ci fu solo il buio mia piccola Rea. Tu eri nati,tra urla e incoscienza. E Claudia ti ha rubato dalla culla, falsificò il tuo certificato e ti abbandonò sui gelidi scalini di una chiesa.Pochi giorni dopo morì. E per orgoglio, per egoismo privò una madre di sua figlia.Divise due persone che erano state destinate l’un all’altra.Questo è il loro segreto. Tu sei il loro segreto….Quanto vorrei che tu potessi vedermi. Ma sono solo un fantasma che ti segue ed osserva la tua vita invisibile ai tuoi occhi… Non piangere.Ora almeno sai il suo nome…
 

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