A Call from the Ocean.

di firstmarch
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** L'incoronazione. ***
Capitolo 2: *** Oltre i confini. ***



Capitolo 1
*** L'incoronazione. ***


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L'incoronazione.




La regina era appena tornata dalla cerimonia di incoronazione, trionfante, gloriosa, piena di sé.
Dopotutto era riuscita finalmente a salire al trono, a ottenere quel potere tanto agognato, quel potere strappatole dalla sorella perché nata pochi anni prima di lei.
Ma questo era il passato, ormai. Ora era Kendall la nuova regina, era lei l'unica in grado di decidere il destino di ogni creatura marina nel raggio di leghe e leghe.
Un sorriso pieno di soddisfazione si fece strada sul viso di Kendall, donandole un'aria ambiziosa e furba.
Un'aria che le si addiceva, un'aria degna di una regina, quale era.
   “Beiral, figlio mio”, disse percependo la presenza del figlio nella stanza.
   “Mi avete fatto chiamare, madre?”, rispose lui in tono formale, come sempre. Non si era mai preso la confidenza di darle anche solo del “tu”, ma era stata lei stessa a non correggerlo quando le si rivolgeva come un suo suddito, perciò non si era mai concesso di entrare in confidenza con lei.
   “Sì, Beiral. Voglio che tu mi faccia un favore. Faresti qualunque cosa per tua madre, vero?”
Kendall sapeva qual'era la risposta, non temeva un rifiuto da suo figlio.
   “Certo, madre.”
   “Bravo ragazzo. Voglio che mio nipote, tuo cugino, venga cacciato dal regno.”
Ne seguì una pausa più lunga di quanto si fosse aspettata.
   “Beiral? Mi hai sentito?”
Kendall si girò verso il figlio, impallidito. Notando come si raddrizzò, tornò a concentrarsi sullo specchio che aveva di fronte a sé.
   “Sì, madre, ma non credete che cacciarlo sia un po' eccessivo?”
   “No, figlio. So quello che faccio. Da sempre è vietato andare in superficie e lui non solo ha continuato a farlo dopo che quella svergognata di mia sorella è morta, ma ha portato con sé sua sorella. Entrambi sanno che la terra ferma non è fatale per le sirene e questo non posso accettarlo.”
Quella sciocca di Vera. Sapeva il segreto custodito a corte, sapeva che se una sirena fosse uscita dall'acqua non sarebbe morta, ma sarebbe semplicemente mutata in un umano. Ma il popolo non poteva saperlo. No, loro dovevano temere la terra, dovevano avere paura di cosa potessero fare gli umani. Se fosse stato per il popolo, a quest'ora le sirene andrebbero in giro a braccetto con gli umani, pronti a pugnalarle alle spalle. La terra è sempre stata la condanna ai crimini più gravi. Chi veniva cacciato non poteva più far ritorno al regno, doveva imparare a vivere da umano, doveva accettare di essere creduto morto da tutta la società. Se era abbastanza forte sopravviveva, se no sarebbe morto sulla spiaggia, agonizzante.
Essere cacciati era essere la vergogna del popolo, era essere dimenticati, disonorati.
E suo nipote stava per fare quella fine.
Ma Kendall sapeva che Medhan non era come gli altri, che era stato portato dalla madre diverse volte sulla terra ferma. Aveva esplorato quei luoghi ai più sconosciuti. Medhan non sarebbe morto e lei avrebbe preservato il segreto, lasciando che il terrore della terra continuasse a corrodere le anime dei suoi sudditi.
   “Cosa ne sarà di Seela, madre?”, chiese Beiral con una nota di preoccupazione nella voce.
   “Seela resterà qui. Non la voglio insieme a suo fratello, potrebbero essere pericolosi. Dimenticherà i segreti della terra, che lo voglia o no, e non ci farà più ritorno. Tu ti assicurerai che non lo faccia, Beiral. Mi fido di te.”
Kendall concluse il discorso congedando il figlio, il quale fece una riverenza e lasciò la stanza.
Seela resterà qui, potrà essere mia.
Un sorriso malizioso gli increspò le labbra mentre si lasciava le stanze della madre alle spalle, le stanze della regina. Kendall, la sovrana. E lui, Beiral, il principe. Era l'inizio di una nuova era.



Seela vagava tra i corridoi del palazzo in cerca di un'uscita che le avrebbe permesso di allontanarsi dai festeggiamenti che si stavano per compiere.
Il giorno prima sua zia Kendall era salita al trono, neanche dopo cinque giorni dalla morte della sorella Vera.
Tutti erano stati felici di festeggiare la nuova regina e di dimenticare quella passata, tutti tranne Seela e Medhan. Ah, Medhan. Era rimasto nella sua camera, troppo abbattuto, troppo arrabbiato e troppo indignato per partecipare anche solo all'incoronazione.
Non solo aveva perso la madre, ma aveva visto la zia che da sempre odiava salire al trono al suo posto, per il solo motivo che non aveva ancora diciotto anni. Li avrebbe compiuti in un mese.
Seela, invece, era stata letteralmente trascinata alla cerimonia, non aveva potuto ribellarsi al potere della zia, non quando ti si presentano in camera tre servitrici pronte ad agghindarti secondo ogni tua richiesta. In questo caso, beh, secondo le richieste di Kendall.
E ora era lì, in cerca di un'uscita da quel castello di rigidità, regole e sorrisi falsi. Quando finalmente trovò una guardia disposta a lasciarla uscire “soltanto per qualche minuto”, lascio che l'oscurità la inghiottisse.
A quest'ora nemmeno i raggi più potenti del sole riuscivano a illuminare tanto in profondità, ma per lei non era un problema. Ogni sirena vedeva al buio, ma ciò non implicava che lo amassero.
La città, infatti, che si espandeva sotto il sguardo a un centinaio di metri più in basso, era costantemente illuminata. Seela non si era mai spiegata come gli umani non li avessero ancora trovati, eppure non ne aveva mai visto uno nei dintorni. Nessuna nave, nessun segno di vita.
Ogni sirena si era chiesta almeno una volta che aspetto avessero gli umani: avevano provato ad immaginarli, a disegnarli, a raccontarne le storie, ma non avrebbero mai saputo come fossero davvero. Solo Seela e Medhan ne erano a conoscenza. I viaggi verso la terra erano sempre lunghi, perciò era raro che Vera vi ci portasse i figli, ma quelle poche volte che erano riusciti a raggiungerla avevano passato le giornate migliori della loro vita.
Gli umani erano come loro per la parte superiore del corpo, mentre in quella inferiore avevano le gambe al posto della coda e delle pinne.
Così avevano scoperto che l'unica conseguenza dell'uscire dall'acqua era quella di diventare umani. Certo, si erano dovuti abituare a stare in piedi, a camminare, ma non ci era voluto molto. Vera sembrava farlo da una vita...sicuramente non era la prima volta che emergeva dall'oceano.
Seela scosse la testa cercando di ricacciare indietro i ricordi che la tormentavano, ma con scarsi risultati. I capelli neri ondeggiarono sinuosi nell'acqua mentre il movimento si concludeva. Rimase parecchi minuti a fissare il vuoto, sperando di poter rimanere immobile per sempre, sperando di poter diventare un corallo, uno scoglio, qualunque cosa fosse fermo e insensibile.
Delle urla risuonarono intorno a lei, distraendola dai suoi pensieri. Si girò di scatto, ma non vide altro che la porta chiusa dalla quale era uscita. Solo quando chi aveva gridato le fu vicino capì di chi si trattasse: suo fratello. Veniva trascinato verso la fine del giardino, verso la rupe oltre la quale si estendeva la città, da tre tritoni molto più robusti di lui.
   “Medhan!”
Seela si precipitò verso i tre, ma non appena fu abbastanza vicina da poter toccare suo fratello, uno dei tre si allontanò da lui e spinse la sirena lontano da loro, tenendola ferma al terreno con un tridente conficcato in una pinna. Seela urlò dal dolore, cercando poi di estrarre l'arma dalla coda, ma faceva troppo male. Il tempo di sollevare lo sguardo e i quattro erano spariti.
Il dolore continuava ad aumentare, ma la priorità era suo fratello.
   “Guardie! Guardie!”
Ma nessuno rispose.
Seela si guardò intorno devastata dalla paura. Perché nessuno era arrivato ad aiutarla? Era la principessa e questi erano ordini! Suo fratello era appena stato rapito e lei ferita, dove diavolo erano tutti?
Gridò ancora fino ad avere la gola dolorante. L'acqua intorno a lei aveva perso il colore rosso intenso dei primi minuti, ma la ferita non smetteva comunque di sanguinare. Iniziò a singhiozzare, ma, come sempre, era come non farlo, le lacrime si disperdevano nell'acqua, senza lasciare traccia di sé.
Non poteva più indugiare, strinse le mani intorno al tridente e tirò più forte che poteva, non riuscendo a trattenere un altro urlo. Era libera, ma riusciva a malapena a muoversi. Avanzò nell'acqua nuotando con le braccia, fino a quando non raggiunse l'entrata del palazzo.
La porta dalla quale era entrata era chiusa dall'interno, oltre di essa non intravedeva nessuno. Le guardie non erano più presenti. Forse i festeggiamenti erano iniziati, forse erano tutti nella Sala del Trono. Ma questo non implicava che le guardie potessero prendersi qualche ora di pausa. No, c'era qualcosa che non andava.
Seela lasciò che l'acqua la portasse più in basso, si abbandonò sul fondale, davanti alla porta chiusa, aspettando che qualcuno arrivasse in suo soccorso, aspettando forse l'impossibile?
Aveva perso la cognizione del tempo da un bel po', quando qualcuno la sollevò da lì e la riscosse, risvegliandola da quello stato di trance.
   “Seela, svegliati! Chi è stato a farti questo? Forza, dobbiamo farti vedere da uno specialista.”
Beiral, suo cugino, la teneva stretta tra le braccia, impedendole di scivolare lentamente verso l'abisso che le aveva imprigionato i sensi.
   “Tre uomini, Beiral...hanno preso Medhan...bisogna fermarli.”
   “Non avrebbero dovuto farti del male, Seela, se la vedranno con me una volta fatto ritorno.”
   “Beiral, cosa stai dicendo?”, chiese la sirena mentre il cugino la portava velocemente verso la sua camera.
   “Sto dicendo che tuo fratello è stato appena cacciato dal Regno. Ma non devi preoccupartene, non adesso.”
   “Cacciato?! Ma cosa stai dicendo, Beiral? Perché?!”
   “Ti ho detto di non preoccupartene, cugina.”
   “Di non preoccuparmene o di non intromettermi?”
Beiral guardò Seela con ammirazione, ma anche come se fosse un gioiello prezioso appena entrato in suo possesso.
   “Vedila così: non sono io a chiedertelo, è mia madre. Sai che non ti ferirei mai, Seela.”
“Quindi dovrò vedermela con lei per riavere Medhan a casa? Mi stai giurando che non c'entri niente?”
   “Sì, esatto.”
Le parole di Beiral sembravano più un sibilo, una menzogna.
Per la prima volta nella sua vita, Seela ebbe paura di lui.

 


SPAZIO AUTRICE.
Sono di nuovo qui con una una nuova fanfiction, yeaaah
Questo è il prologo, più corto dei capitoli normali.
Spero che vi incuriosisca, perché vi assicuro che non sarà la solita storia che si trova sotto la categoria "Justin Bieber" e che non sarà la copia della Sirenetta, lol
Chi ha letto le mie altre fanfiction lo sa.
Vi lascio i link con le foto degli attori che ho scelto per i personaggi e quello del trailer.
Justin entrerà in scena nel prossimo capitolo o, al massimo, al terzo.
Ora vorrei spendere due righe per ringraziare le quarantanove persone che hanno scaricato il pdf della mia precedente fanfiction "Lennox - 0127" e le 171 che l'hanno messa tra le preferite. Significa molto per me, grazie mille♥
 


Seela Astrid. Medhan Astrid. Beiral, il principe. Kendall, la regina. Trailer

((Seela: Àstrid Bergès- Frisbey, Medhan: Jannis Niewöhner, Beiral: Max Irons, Kendall: Charlize Theron))

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Capitolo 2
*** Oltre i confini. ***


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O
ltre i confini.




Erano passati più di venti giorni da quando Medhan era stato portato via, da quando era stato cacciato da nostra zia, la regina.
Passai la maggior parte del tempo nella mia camera, scrutando l'orizzonte oltre l'ampia apertura che dava sull'esterno o, come la chiamava mamma, finestra: se Medhan fosse ritornato, lo avrei subito riconosciuto.
Era il ventunesimo giorno di sciocca attesa, quando un'idea folle s'impossessò dei miei pensieri, tormentandomi.
E se io, con una scusa qualunque, fossi riuscita a tornare sulla terraferma? Avrei potuto cercare mio fratello e se lo avessi trovato...
Ma una volta realizzato questo utopico sogno, che ne sarebbe stato di noi? Non saremmo di certo potuti tornare alla corte di Kendall, ci avrebbe fatti uccidere non appena attraversato il confine. Eppure non potevo restarmene con le mani in mano, non potevo continuare a restare a fissare il vuoto nella vana speranza che Medhan tornasse.
Ma ce l'avrei fatta a fare il viaggio da sola? L'ultima volta che ero stata sulla terraferma era stato due giorni dopo la morte di nostra madre, una sorte di fuga dalla realtà, e mi ci aveva portato mio fratello; ma affrontare un viaggio di ore e ore, da sola, illegalmente e nel bel mezzo dell'oceano, mi spaventava.
È tuo fratello, idiota, e non puoi aver paura dell'oceano, ci sei cresciuta, pensai.
D'altra parte Beiral si faceva sempre più insistente: veniva a trovarmi tre volte al giorno, mi proponeva passeggiate e cene private, ma io non riuscivo ad accettare, non volevo fare altro che piangermi addosso. Nonostante mi avesse garantito la sua estraneità all'espulsione di mio fratello, non potevo non pensare che non ne soffrisse così tanto come diceva.
Decisi di sfruttare la sua insistenza a mio vantaggio il giorno seguente.
Quando mi chiese se avrei gradito fare un giro in città, risposi che sì, mi sarebbe piaciuto, che non ce la facevo più a rimanere rinchiusa a palazzo.
E così uscii, Beiral al mio fianco insieme ad altre due guardie reali. Scendemmo fino alla città quasi in silenzio, ma non per colpa di Beiral, anzi, lui mi incoraggiava a parlare come meglio poteva, ma non riuscivo a non rispondere a monosillabi.
Alle porte della città vi erano già molte sirene, le quali si inchinarono profondamente al nostro passaggio. La cosa mi mise così a disagio che pregai Beiral di mandar via le guardie e di non addentrarci nelle vie principali. Per fortuna mi ascoltò e così, dopo poco, la gente non faceva più caso a noi, ci bastava non alzare troppo la testa e non fissare nessuno negli occhi. Passavamo molto più inosservati e questo mi agevolava soltanto.
Mi fermai così tante volte davanti alle bancarelle che persi il conto e intravidi una nota di irritazione nel volto di Beiral crescere ad ogni fermata.
Decisi di non far durare questa farsa ancora a lungo.
   “Beiral, ti sto annoiando, lo vedo. Mi dispiace”, gli sussurrai all'orecchio per non farmi sentire da altri. Assunsi un falso tono melodrammatico, come se mi sentissi in colpa. Forse così me ne sarei liberata più facilmente.
   “Cugina, non ti preoccupare. Siamo qui solo per il tuo divertimento.”
Mi sorrise mascherando l'irritazione, e la mia pazienza vacillò.
Avanzammo tra le file di bancarelle ancora per poco, perché io annunciai con tono sorpreso a Beiral di aver visto una mia cara amica in mezzo alla folla.
   “Resta qui, il tempo di salutarla e sono di nuovo da te.”
Non aspettai una risposta e mi allontanai velocemente da mio cugino, sperando con tutte le mie forze che non avesse la magnifica idea di seguirmi. Forse lo avevo spiazzato, perché quando mi voltai, qualche minuto più tardi, non riconobbi alcuna faccia famigliare. Mi confusi tra la folla, lasciando che le mie tracce venissero perse, fino a quando non raggiunsi il confine della città, segnato da una porta uguale a quella che avevamo trovato all'entrata. Mi guardai un'ultima volta indietro, poi oltrepassai il confine e nuotai veloce, nuotai come mai avevo fatto in vita mia, nuotai verso la terraferma.


Mamma ci ripeteva sempre di avvicinarci alla superficie dell'acqua per orientarci, nonostante le leggi più severe del nostro regno ci imponessero di non mettere neanche un dito fuori dall'acqua. Per diverso tempo mi limitai a nuotare dritto, davanti a me, come facevamo sempre, ma fui costretta a risalire quando l'oceano si fece più oscuro: la notte stava avanzando velocemente e io avrei potuto orientarmi con le stelle.
Nuotai verso l'alto, desiderosa di sentire ancora una volta l'aria fresca sulla pelle, il freddo pungente su di essa, bagnata, e di vedere il cielo notturno.
Man mano che mi avvicinavo alla superficie aumentavo la velocità, fino a quando non mi ritrovai completamente fuori dall'acqua, in un salto quasi teatrale. Per un attimo vidi solo la luna e le stelle, poi ripiombai nell'oceano, ancora desiderosa di respirare a pieni polmoni quell'aria così pulita, così leggera...così riemersi, questa volta senza spingermi con troppa forza, in modo da lasciare fuori dall'acqua solo la testa. Rimasi qualche minuto a godermi l'aria sul viso, sulle mani e sulle braccia e persino sulla coda, che feci emergere solo per pochi centimetri, sdraiandomi sulla superficie dell'acqua.
Così vidi le stelle, così trovai il nord, la mia meta.
Per la prima volta da quando mamma era morta mi sentii libera e forse anche più di quanto mi fossi sentita durante i precedenti viaggi verso la terra. Mi concessi il lusso di ridere a pieni polmoni, come se avessi sentito la barzelletta più divertente del mondo, ma ben presto dovetti tornare alla dura realtà: ero una fuggitiva, Beiral mi stava probabilmente già cercando con ogni guardia reale possibile e mio fratello era ancora lontano.
Ripresi il mio viaggio lasciando sempre la testa fuori dall'acqua, mentre la luna si alzava e la notte avanzava.
Persi la cognizione del tempo, non so per quanto viaggiai, potevano essere cinque ore come dieci, ma alla fine la raggiunsi, raggiunsi la terra, così solida e così sicura.
La coda mi faceva male dallo sforzo, non mi ero fermata più da quando ero emersa dall'acqua, perciò rallentai la mia corsa non appena fui discretamente vicina alla spiaggia.
Le palpebre erano così pesanti...sarebbe stato bello lasciarsi andare ad un sonno profondo, lasciarsi cullare dall'oceano, ma ero così dannatamente vicina da non poter mollare. Avanzai ancora, fermandomi solo quando il fondale divenne troppo basso per i miei gusti. Avrei dovuto trascinarmi fuori dall'acqua fino a quando non sarei stata fuori dalla sua portata. A quel punto mi sarebbero spuntate un bel paio di gambe e avrei potuto camminare fino al nascondiglio di nostra madre, dove teneva dei vestiti, giusto per evitare di girare nudi, così disse, in mezzo agli umani.
Mi accorsi in tempo di due ragazzi che si avvicinavano pericolosamente al punto nel quale avevo deciso di uscire, perciò mi abbassai istintivamente nell'acqua, lasciando volutamente solo gli occhi fuori da essa. Ero a circa quindici metri da loro, un ragazzo e una ragazza, ma riuscii a vedere la scena.
Lei rideva spensierata e aveva una nota di malizia nella voce, mentre lui la avvicinava a sé per poi baciarle il collo con foga, facendole portare la testa all'indietro. Non riuscii a staccare lo sguardo dai due, finché non mi resi conto che si stavano addentrando nell'oceano. Lui la prese in braccio e la buttò nell'acqua nonostante le sue lamentele e io non osai muovermi per attirare l'attenzione.
Ferma, Seela, non ti vedranno.
In quel momento ricordai un avvertimento di mamma: mai stare in acqua insieme ad un essere umano. Non mi aveva mai voluto spiegare il perché, ma l'avvertimento fece presa sulla mia coscienza, mentre una vocina interiore mi ripeteva di allontanarmi da lì.
Ma i due non avevano intenzione di staccarsi, dato che lui l'aveva raggiunta e la stava baciando con passione.
Dio, vattene, stupida!
La situazione divenne più imbarazzante: lui iniziò a toccarle il seno e a slacciarle il costume, ma lei, stranamente, si oppose, come se avesse sentito la mia protesta silenziosa.
   “Justin...non posso, mi dispiace”, gli disse sinceramente pentita, sistemandosi il costume.
   “Ma che ti prende?”
Sembrava parecchio su di giri.
   “I-io...scusami.”
Uscì dall'acqua correndo e dopo pochi istanti scomparve dalla mia vista.
Ma il problema non era più lei, era la crescente sensazione che si faceva strada dentro di me a preoccuparmi, la sensazione di dover cantare, cosa che quasi mai avevo fatto in vita mia. Ed ero stata pure rimproverata per questo. Fu come se qualcosa chiedesse di uscire dalla mia gola, come se qualcuno mi facesse il solletico proprio tra il collo e le clavicole.
Il ragazzo si guardò intorno con aria smarrita e arrabbiata e io non potei evitare il suo sguardo quando incontrò il mio.
Fu la scintilla, la goccia che fece traboccare il vaso. Iniziai a cantare, inizialmente piano, poi sempre più forte, acquistando sicurezza. Lui non staccava lo sguardo da me, mi guardava come se fossi una dea emersa dalle acque. Avanzò nell'acqua, avvicinandosi sempre di più e questo non fece altro che aumentare il mio desiderio di cantare e di averlo accanto, di toccarlo e di portarlo con me nelle profondità dell'oceano.
Più si avvicinava e più mi sembrava bello, con i suoi occhi grandi e le labbra carnose, adesso socchiuse, facendolo sembrare incantato e in un altro mondo.
Non avevo solo la testa in superficie, ma pure il busto, proteso in avanti verso di lui, fino a quando il mio petto toccò il suo. E allora non potei fare altro che chiamarlo come lo aveva chiamato la ragazza di poco prima.
   “Justin, vieni con me”, sussurrai prima di riprendere a cantare.
   “Ovunque tu vorrai.”
Lui si abbassò su di me mentre io tornai lentamente in acqua, immergendomi sempre di più. Le nostre labbra si incontrarono quando ormai ero completamente immersa, solo il viso rimase in superficie.
Non avevo mai baciato nessuno e mai ne avevo avuto l'impellente desiderio. Ma ora era più forte che mai, un fuoco che divampava dentro di me mentre il ragazzo mi posava le mani sulle guance e poi dietro la nuca, attirandomi a sé.
Ma era lui a dovermi seguire...
Mi staccai da lui rimanendo a pochi centimetri dalle sue labbra, assaporai il suo sguardo pieno di desiderio.
   “Justin...”
Non indugiò oltre e mi seguì sott'acqua con il viso, toccando di nuovo le mie labbra con le sue.
Non gli permisi di rendere il bacio più profondo, continuavo ad allontanarmi leggermente da lui per poi riavvicinarmi, trascinandolo sempre più giù, nelle profondità dell'oceano.
Alla fine vinse lui e io non riuscii più a oppormi alle sue labbra. Sentii la sua lingua esplorare la mia bocca, le sue mani stringermi più forte a lui, e nonostante l'acqua fredda dovesse fargli venire i brividi, non diede segno di voler tornare in superficie.
Ma l'ossigeno non era infinito, non per lui...ma non era un mio problema. Volevo che morisse desiderandomi, che inseguisse la sua morte con felicità, volevo ucciderlo.
   “Justin!”
Una voce maschile mi riscosse dal torpore che si era impossessato di me e così pure Justin. Mi accorsi di essere solo qualche metro sotto la superficie dell'acqua e mi accorsi anche di poter sentire meglio di quel che credessi. Il ragazzo che aveva gridato doveva essere sulla spiaggia e noi eravamo a più di venti metri da essa, in acqua.
Fu come se Justin si risvegliasse insieme a me, perciò mi staccai da lui e lo spinsi in superficie, allontanandomi il più possibile da lì, sperando che non si fosse accorto della mia coda.
Cosa mi stava succedendo? Perché avevo provato il desiderio di uccidere quel ragazzo?


 
SPAZIO AUTRICE.
Eccomi con il secondo capitolo.
Che dire, vi piace l'entrata in scena di Justin?
Un po' particolare, eh? LOL
Non svelo ancora quale sia la località in cui adesso si trova Seela e neanche perché abbia voluto uccidere Justin, si scoprirà tutto man mano che la storia va avanti.

Grazie per le oltre 4400 visualizzazioni al primo capitolo di "Lennox - 0127" e hai 61 downloads della storia, grazie a chi ha recensito il primo capitolo di questa fanfiction e grazie a chi lo ha messo tra le preferite/seguite/ricordate.♥

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