One Last Time

di Hysterisch
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Il giuramento. ***
Capitolo 2: *** La prima perdita ***
Capitolo 3: *** Alla ricerca di David ***



Capitolo 1
*** Il giuramento. ***


«Kaulitz...KAULITZ!» Sbalzai dalla sedia nel sentire la professoressa urlare il mio cognome.

«Si..?» Risposi timidamente

«Quante volte ho detto che NON si dorme a Scuola?!»

«Mi scusi...» La professoressa ritornò al suo lavoro, ma la campanella dell'intervallo suonò prima che potesse finire l'argomento. 

Tutti uscirono dalla classe, a parte quattro ragazzi ed io. Quei quattro ragazzi erano i miei bulli, e ogni volta che era l'intervallo, si avvicinavano a me per prendermi in giro. 

«Hey!
» Esclamò uno di loro, tirandomi via l'auricolare sinistro.

«...cosa volete?
» Avevo una voce timida, ma dentro di me, avevo una grandissima voglia di spaccargli la faccia.

«Gli appunti di matematica. Ora.
»

«Non ci ho capito niente.» Non ero un secchione, ma mio padre ci teneva che io andassi bene a scuola, per questo studiavo, quindi avevo buoni voti.

«Dovrei crederti?!
» Si avvicinò minacciosamente al mio viso, strinse i denti. «Sai cosa succede se non me li dai.» 

Certo che lo sapevo, ne portavo i lividi addosso! Mi arresi, e gli passai gli appunti. Li tirò via dalle mie mani. «Odiosi..»

Ritornarono ai loro posti, scopiazzando per bene tutti gli appunti. Inserii nuovamente gli auricolari, e ripresi ad ascoltare musica. 

Amavo la musica, era la mia passione. Imparai a suonare chitarra quando avevo sei anni, sempre per via di mio padre. Era molto cocciuto!
Cosa dire su mia madre? Non lo so, non l'avevo mai vista 'dal vivo' perché era morta, ma mio padre non mi ha mai detto come. Lui cercava di evitare questo argomento.

Mentre ero perso nei pensieri, il cellulare vibrò. Già, mio padre 'amava' inviarmi sms durante l'intervallo.

'Cosa stai combinando di bello?!'

Sbloccai lo schermo e iniziai a comporre la risposta.

'Sono seduto al mio banco, da solo, ed ascolto musica. Cosa vuoi che faccia?'

'Eh...se ci fosse stata tua madre, quei bulli sarebbero evaporati'

Wow! La prima volta che mi racconta una cosa sulla mamma senza che io glielo chieda.

'Era violenta?!'

'Diciamo di si, ma a fin di bene. 
Sai David, io ero vittima del bullismo, proprio come te, e tua madre era..il mio angelo custode. 
Mi ha salvato la vita tantissime volte, non sai quante!'


Mentre stavo scrivendo, mi arrivò un'altro messaggio.

'Ma tu, fortunatamente, non sei testa calda come lei. Hai preso da me, e da un lato puoi farti schifo....scherzo :P'

Nonostante i suoi 'scherzetti' io rimasi serio, e gli chiesi chiarimenti nei confronti di una cosa che mi stava mangiando il cervello da giorni. 'Posso chiederti una cosa?" Gli scrissi.

'Certo' Ribadì lui

'Per caso, tu e la mamma eravate...parenti? Non so, cugini, ad esempio'

A scuola avevano appena parlato dei rapporti incestuosi, e quest'ultimo confermò tutte le mie teorie, ma forse erano sbagliate.

'No...ne parliamo a casa, okey?'

'Okey :)'

'Buon lavoro amore!'

Giusto in tempo. L'intervallo finì, tutti rientrarono in classe, ed il cretino mi restituì il quaderno buttandomelo in faccia. «Grazie!» Esclamai con apatia.
La professoressa di Inglese entrò in classe, quindi tirai fuori tutto il materiale necessario per la lezione.

-Due ore dopo-

Ed un altro giorno infernale era finito. Wow, che schifo! Mi stavo dirigendo verso la fermata del bus, ma Papà mi frenò proprio davanti.

«Salì su!» Trillò lui.

«Oh, okey.» Salìì in auto senza fare storie. Niente lotte per i posti in Autobus, yay!

«Come mai sei venuto a prendermi?» Domandai. «è inusuale.»

«Perché mi trovavo nelle vicinanze.» Mormorò mentre era impegnato con la sua manovra di retromarcia. «Non sei felice?!> Disse una volta ritornato sul volante.

«Si, certo! Non mi stavo mica lamentando, era solo una domanda...»

Annoiato, cominciai a giocare ai giochetti stupidi che avevo dentro il telefono. Dopo un po' mio padre ruppe il ghiaccio.

«Cosa avete fatto oggi?» La tipica domanda dei genitori. 

«Niente.» La tipica risposta dei figli. Non si arrese, comunque.

«Dai! Niente di interessante? Zero proprio?»

«Beh, a dir la verità, abbiamo parlato di una cosa interessante!» Mi voltai a guardarlo con un certo sorriso, ma lui aveva occhi solo per la strada.

«Cosa?»

«Rapporti incestuosi.»

D'un tratto l'auto sbandò. Non sarà stata colpa mia?!

«I-incesti?» Perché era così turbato dalla cosa? Sembrava impaurito.

«Si. Abbiamo parlato d-» Venni interrotto prima che finissi la frase.

«Tu non sei innamorato di nessuno della nostra famiglia, vero?» Perché quella domanda? Ma sopratutto, perché dovrei?

«...no.» Risposi perplesso.

«Menomale...» Si voltò a guardarmi per qualche istante. «Chiarirò tutto una volta arrivati a casa, te lo prometto.»

Accesi la radio, tanto per sentire una voce nuova a tenerci compagnia. 

«Hai fame?»

«Oh si! Peggio di un Lupo!» Esclamai. Lui ridette per un po'.

«Nei sedili posteriori ti ho lasciato il tuo pranzo!» Mi fece notare.

Oh, McDonalds! Da quanto tempo non mangio hamburgers!...ventiquattro ore, forse. Un uomo ed un ragazzo, da soli, non possono combinare granché, per questo eravamo costretti a mangiare McDonalds di giorno, e ristorante di sera.

«Grazie.» Mormorai. Mi accampai nei sedili posteriori per mangiare, cercando di non lasciare briciole. 


Una volta arrivati a casa, mi fiondai nello studio. Quello era il posto dove io e mio padre 'ragionavamo'.
Lui mi seguì, ma poi si sbatté una mano in fronte. «Diamine, mi sono dimenticato di prendere la pillola! Aspetta, torno subito!»

Anche delle pillole non ne sapevo nulla. Sapevo che ne faceva uso ogni giorno, ma non sapevo per cosa. 
Ritornò nello studio dopo pochissimi secondi, e si sedette sulla sedia in pelle nera.

«Ora hai quindici anni, ed è giusto che tu chieda spiegazioni. Ne hai tutti i diritti» Dondolò un po' sulla sedia, alla ricerca di termini giusti. «Tutti sanno la storia dei propri genitori. Come e quando si sono conosciuti, come erano, eccetera eccetera. Io non te l'ho mai detto per un semplice motivo» Smise di dondolare e mi fissò dritto negli occhi. Io lo ascoltavo in silenzio. «Forse lo stavi sospettando, ma tua madre era la mia gemella.»

Fissai il vuoto per qualche secondo. Le mie teorie erano giuste, dunque!

«A dir la verità, non so neanche come tu sia nato! Fratelli e sorelle non possono avere figli, ma tu sei nato, e non hai nessun problema. Anzi, forse lo so il motivo.»

Mi sentivo un po' spiazzato, e non sapevo cosa dire. Infatti, speravo che continuasse a parlare, senza che aspettasse una mia domanda.

«Ora vuoi sapere come è morta, non è così?»

«Non mi dispiacerebbe saperlo.» Ribattei.

Con l'indice mi fece segno di aspettare. Si alzò dalla sedia, e da un cassetto, tirò fuori un enorme libro pieno di polvere. «Devo spiegarti tutto dall'inizio, David. Capirai, tranquillo.»

Ritornò a sedere ed aprì il libro. Mi invitò ad avvicinarmi per guardare. «Questo vecchissimo libro, è il libro della nostra famiglia. Fù scritto da uno dei nostri antenati, perché la nostra famiglia è un po'...speciale.
» Sfogliò una pagina. C'erano dei disegni fatti malissimo, e poi c'era scritto qualcosa a mano, ma non riuscivo a leggere per bene. «Come è scritto nel libro, uno dei nostri antenati, era...un angelo.»

«Angelo?! ODDIO, RACCONTA» Schiarì la voce. Forse lo avevo infastidito.

«A quei tempi, c'era una minaccia oscura da battere. Il vampirismo. I Vampiri fecero tantissime vittime, ma questo non scoraggiò gli angeli...
» Sfogliò un'altra pagina, sollevando un'altro quintale di polvere. «...che dopo qualche secolo, sconfissero questa minaccia. I pochi vampiri rimasti, comunque, stavano pianificando il loro ritorno. Presero di mira la nostra famiglia, o meglio dire, il futuro primogenito maschile.»

Chiuse il libro sbattendolo.

«Cioè, io. I Vampiri avevano bisogno del sangue del primogenito maschile che nasceva nell'89, quindi mi avrebbero ucciso dopo poco, ma gli Angeli lo sapevano già, per questo mi fu mandata tua madre.
» Si alzò in piedi. Camminava avanti e indietro, con le mani in tasca e l'aria pensierosa. «Lei aveva il compito di difendermi da loro, i vampiri. Nei primi sedici anni della nostra vita, non hanno mai avuto il coraggio di presentarsi, ma dopo...»

«Dopo?!» Domandai incuriosito.

«Ma dopo si fecero vivi. Durante un combattimento, tua madre fu' morsa, quindi divenne un'ibrida, ma combatteva sempre per la sua fazione.
»

«Quindi non è morta per questo?»

«No. Lei morì a diciannove anni, nel 2008. Tu eri appena nato.» Sorridé amaramente. «Dei demoni, o vampiri, spuntarono dentro casa, cogliendoci impreparati. Io e te eravamo nascosti in un armadio, ma fummo trovati. Lei, ovviamente, mi difese.» Chiuse gli occhi. «Venne colpita in gola, ventre e petto, e dopo il demone sparì senza dire o fare altro. Era troppo debole per combattere contro la morte, ebbe solamente il tempo di fare il suo ultimo discorso, e poi cadde nel sonno eterno.»

Forse era meglio se non avessi mai chiesto nessuna spiegazione. Ero..terrorizzato.

«..E la band?
»

«Il giorno seguente registrammo un video dove annunciavamo la sua morta, e il conseguente scioglimento della band. Non sai quante lettere ricevetti! Le fans cercavano di farmi forza, ma purtroppo, mi affidai ad uno Psicologo.» Sospirò.

Era tutto così dannatamente irreale. Non riuscivo a crederci.

«Le lettere mi facevano forza, ma non fermavano le mie continue allucinazioni. La vedevo sempre davanti a me, peggio di una ossessione. Tutt'oggi continuo a fare uso di quei medicinali, non per addizione, ma per bisogno. Se smetto, le allucinazioni ritornano.
» Dopo poco, mi strinse tra le sue braccia «Scusami per averti terrorizzato così tanto, ma la storia, purtroppo, è questa.»

Mi baciò in fronte, poi mi lasciò andare via.  

«Google, vieni a me!» Esclamai mentre salivo le scale di Parquet che conducevano al piano superiore.

Entrai in camera e presi in mano il Computer portatile. 
« Se abbiamo tutte queste stranezze in famiglia, allora anche io posso diventare un Vampiro! » Anche se non ero sicuro di volerlo diventare. 

Mi informai un po' su Google, avevo trovato anche un tutorial su un 'rito', ma non ci credevo molto.


«Uff...è meglio se mi metta a fare i compiti per domani, piuttosto.» Pensai. Lasciai il computer sulla scrivania per andare a prendere il diario ed il materiale per i compiti.

Nel resto del pomeriggio, e della sera, non accadde nulla di speciale, a parte la solita routine. Solo di notte accadde qualcosa di speciale.

Ero a letto, ma ero sveglio. D'un tratto sentii un rumore dietro la porta.

«Papà?
» Nessuno rispose.
Scossi la testa, ed entrai nuovamente sotto le coperte.

«Dave?
» Sentii una voce femminile pronunciare il mio nome.
Uscii la testa dalle coperte per vedere chi fossa.

«Hm...aspetta. COSA DIAMINE CI FA' UNA RAGAZZA DENTRO LA MIA CAMERA, DI NOTTE?!
» Ovviamente ero spaventato, ed dissi ad alta voce quello che stavo pensando.

«Shhhh! Sveglierai Bill!
» La ragazza venne fuori dall'ombra.

«Sono io, non mi riconosci?!
» Non potevo credere ai miei occhi. Allora i morti apparivano davvero.

«Mamma?
»

Lei annuì con un sorriso stampato in faccia, ma non durò molto.

«Ho sentito che papà ti ha raccontato tutto.
» Mormorò. 

Si sedette sul letto, accanto a me, ma non riuscivo a sentire il suo peso.

«Si. Non volevi?
»

Chiesi intimorito.

«No, cucciolo. Non sono qui per rimproverarvi.
» Mi passò una mano sul viso, ma sentivo solamente del vento passarmi sulla guancia.

«Sono venuta qui per parlarti di qualcosa di serio, riguardante alla storia che hai saputo questo pomeriggio.
»
La sua espressione era seria, cupa. Mi faceva paura.

«La verità è che...ho fallito come Angelo custode-
»

«Non è vero! Hai fatto così tanto per papà, e-»

«Amore, sono morta.»

«Sei morta per difenderlo!»

«Sono morta prima di lui. E poi, io ho compiuto il peccato più grande.»

«..quale?» Inarcai le ciglia.

«Mi sono innamorata della persona che difendevo, e questo non doveva accadere. Come se non bastasse, assieme a lui, ho anche dato vita a te.
» Non sapevo cosa dirgli per tirarla su di morale. Ero così...rigido, freddo. «Ma non ho nessun rimorso. Quello che ho fatto, lo rifarei. Sempre.»

Guardò verso la finestra. C'era la luna piena, e la stanza era ben illuminata.

«Cercherò di non girarci troppo attorno. Tuo padre ha bisogno di una nuova difesa, perché Lestat...è ancora vivo.
»

«Lestat? Chi è?» Domandai confuso.

«Il vampiro che da' la caccia a tuo padre.» Si portò una mano in fronte, chiuse gli occhi per qualche istante, poi li riaprì. «Io..non avrei mai voluto arrivare a questo, ma tu sei l'unico della famiglia ad avere un'anima pura, bianca.
»

Non credevo di essere stato così 'angelico' nella mia vita.

«D-dove vuoi arrivare?
» Mi poggiò una mano sul ginocchio destro. 

«Tu sei l'unico che può prendere il mio posto.
»

«Vuoi che...diventi un'angelo?!» Mi sentivo già tutte le responsabilità addosso, era incredibile.

«Esatto. Stasera c'è la luna piena, possiamo fare il rito di conversione senza nessun problema.
» Dal suo sguardo capivo quanto ci tenesse al mio 'si'. Aveva bisogno di sapere che papà fosse protetto da qualcuno. «Ti prego, David. Non posso permettermi di darlo in pasto a quei mostri! Lo amo troppo, e odio vederlo così indifeso.» Dai suoi occhi iniziarono a scendere delle lacrime. «Ha sofferto tanto per colpa mia, e della mia assenza. Non farlo soffrire ancora, Dave.»

Certo che dovevano amarsi davvero tanto. Vederla piangere mi fece capire quanto lo amasse, e quanto si sentisse in colpa. Non potevo rifiutare.

«Io amo anche te, cucciolo.
» Poggiò la sua fronte sulla mia. «Ho combattuto con le unghia e con i denti per poter continuare a portarti in grembo. Ho combattuto contro tutti e tutto, per te.» Si fermò un attimo. «Non metterei MAI a rischio la tua vita, ma è una questione importantissima.»

Feci un gran respiro. Qui ci andava di mezzo la mia vita, e forse, anche quella di mio padre.

«...mi guiderai?
» Le domandai.

«Sempre.
» Affermò lei.

«Okey, credo di poterlo fare.
» La verità è che stavo morendo dalla paura. E se fallissi anche io?

«Chiudi gli occhi, Dave.
» Obbedii al suo ordine. 

Venni 'teleportato' in un posto che neanche conoscevo! Forse era un po' bianco. Un po' troppo.

«Chi va la'?!
» Esclamò una voce anziana.

«Sono io, Rudi.
» Ribadì mia madre.

«Chi è quel ragazzo?!
»

«È mio figlio. Devo convertirlo.»

All'improvviso, Rudi apparve di fronte a noi.

«Sei pazza?! Non posso fare conversioni senza l'autorizzazione del Capo. Lo sai bene!
»

«DEVI farlo, Rudi! Bill è senza difese laggiù-»

«Ancora ci pensi?! Devi dimenticare quell'uomo! Ora non sei più un angelo custode, non hai nessun compito nei suoi confronti!»

Quel silenzio da parte di mia madre non era positivo, sapendo che fosse violenta. Mi lasciò la mano, e si alzò le maniche. 

«Ascoltami, nonnetto. Quell'uomo, come lo definisci tu, è MIO FRATELLO, MIO MARITO, E PADRE DI MIO FIGLIO.
» Si avvicinò minacciosa puntandogli un dito in faccia. «Se non lo fai, te la faccio pagare. Sai che sono anche un vampiro...»

Emettè un ringhio, facendo fuoriuscire le zanne. Rudi cadde per terra, portandosi le mani sugli occhi.

«AHHH, UN VAMPIRO. VAI VIA, VAI VIA DI QUI!
»

«Andrò via da qui solo quando convertirai mio figlio!»

Dentro di me speravo che si sapesse controllare, perché io odiavo il sangue, e non avevo intenzione di vederlo.

«Va bene, va bene!
» Rudi mi prese per mano, e mi trascinò dentro un'altra stanza.

«Non aver paura, Dave! Andrà tutto bene!
» Sentii dire da mia madre, in lontananza.

Rudi chiuse la porta della stanza, rigorosamente bianca, e..vuota.

«Cerca di non fare troppo baccano, okey?!
»

«P-perché dovrei?» Non rispose alla mia domanda. Portò il suo palmo della mano sulla mia fronte.

«Hm...la tua anima è pulita, bene. Adesso ripeti le mie parole.
» Mi fece segnò di poggiare la mia mano destra sul cuore.

«Io, Kaulitz David...
»

«Ahm..Io, kaulitz David.» La mia voce tremava, così come le mie mani, e le mie gambe. 

«...Giuro solennemente a Dio, di prendere Kaulitz Bill sotto la mia custodia...
»

«G-giuro solennemente a Dio, di prendere Kaulitz Bill sotto la mia custodia.»

«...e di quindi diventare il suo nuovo Angelo custode. Amen.»

«E di quindi diventare il suo nuovo Angelo custode, Amen.»

Fece il segno della croce, e iniziò a recitare una preghiera in latino.

«Pàter nòster, qui es in caelis,
sanctificètur nomen tùum, advèniat regnum tùum,
fiat volùntas tua sìcut in caelo et in terra;
panem nostrum cotidiànum dà nobis hòdie,
et dimìtte nobis dèbita nostra
sìcut et nos dimìttimus debitòribus nostris,
et ne nos indùcas in tentatiònem,
sed lìbera nos a malo...
»

Estrasse una bottiglietta dalla tunica. Il liquido all'interno era trasparente, come l'acqua.

«Amen.
»

L'aprì, e mi lanciò addosso quel liquido. All'inizio non sentivo niente, ma poi sentii un dolore allucinante dietro la mia schiena, all'altezza dei polmoni.

«Cosa...?!
» Caddi in ginocchio dal dolore. Era come se qualcosa, all'interno della pelle, stesse crescendo e volesse uscire fuori.

«Non preoccuparti, figliuolo. È normale.
»

E menomale che doveva andare tutto bene!

«Ugh...
» Stringevo i denti ed entrambi i pugni. Dopo poco, due ali spuntarono dietro di me.

«Eccole qui! Adesso puoi andare.
»

Erano le mie?! Non riuscivo a controllarle perfettamente, ma riuscivo a vederle. Erano bianche, molto folte.
Uscii dalla stanza, mia madre era li' ad aspettare con ansia.

«Sono qui!
» Esclamai. Mi venne subito incontro.

«Oddio, sei bellissimo!
»

Non so perché, ma in quel momento riuscivo a sentire il suo contatto. Era in carne ed ossa!

«Uhm, grazie.
» Mi guardava con orgoglio. I suoi occhi erano lucidi.

«...sei così identico a lui..
» Si portò una mano sulla bocca. Non la facevo così fragile dopotutto.

«Vieni qui.
» Mi strinse in un caloroso abbraccio, però aveva dimenticato delle mie ali.

«Mamma, mi stai pressando sulla schiena!
»

Allentò la presa.

«Scusami, avevo dimenticato!...hai sentito tanto dolore?»

«Se me lo avessi detto prima, avrei sentito meno dolore.
»

Mi accarezzò i capelli.

«Non volevo spaventarti, cucciolo.
»

Mi baciò sulla fronte. Papà era molto premuroso nei miei confronti, ma lei...era speciale. Ero felice di avere una madre.

«Ora torniamo a casa, altrimenti si fa' tardi.
»

Chiusi di nuovo gli occhi e mi ritrovai di nuovo nella mia stanza, tra le mie lenzuola. Non sentivo nessuna differenza, a parte le spalle indolenzite.

«Dove vai?!
» Gli chiesi nel momento in cui aprì la porta.

«Vado...vado a 'salutare' papà.
» Non la fermai, ma speravo solo che non si svegliasse, altrimenti non avrebbe più smesso con quelle pillole.
Io mi addormentai non appena chiusi gli occhi. Fu' un giorno molto pieno e speciale per me.

-Tomja's Pov-

Attraversai il corridoio cercando di non far rumore, ma poi ricordai che uno spirito non può far rumore. Ogni volta che ero dentro quella casa, mi scordavo di essere uno spirito che girovagava per io mondo.

Aprii lentamente la porta della camera da letto, ed ecco che lo vidi. Stava dormendo abbracciato al cuscino. 
Entrai furtivamente nelle coperte. Avevo il suo bel faccino davanti al mio, proprio come quando mi svegliavo al mattino, cinque anni fa'.

I suoi capelli erano biondi e corti, le sue braccia erano più muscolose, e le sue guance erano barbute, ma lui non era mai cresciuto in realtà. Per me era sempre quel diciannovenne androgino che vestiva di nero, e che di palestra non voleva neanche sentirne. 

Gli odorai i capelli per sentire se avevano ancora quel profumo speciale di cui io andavo matta. Si, lo avevano ancora. 

Dopo poco, notai che non aveva cambiato niente da quando morii. L'arredamento era sempre quello, quindi, non potevo fare altro che annegare nei ricordi. 

Mi tornò in mente la notte in cui concepimmo David. 
Eravamo così vicini, così uniti. Eravamo una cosa sola. Sussurrava al mio orecchio, diceva di amarmi più di qualsiasi altra cosa, ed io potevo solamente soffocare le urla. 
Quelle gocce che mi cadevano addosso, non erano solamente gocce di sudore. Erano anche lacrime. Si, lacrime! perché lui piangeva, ed anche io piangevo. I nostri sentimenti erano troppo forti, e nessun gemito avrebbe mai reso loro giustizia. A nessuno dei due importava del piacere in quel momento, volevamo solamente mostrarci i nostri sentimenti, e rendere più forte il nostro legame.
Mi aveva bloccato entrambi le mani e i piedi, perché diceva di temere che io 'volassi via'. Io gli promisi che non lo avrei mai fatto, ma neanche io sapevo mantenere le mie promesse.

«Scusami...
» Sussurrai al suo orecchio.

Mi accorsi che si era fatto davvero tardi, dovevo andare. Lo baciai delicatamente sulle labbra, in modo che non si svegliasse dal suo dolce sonno.

Ritornai in camera di David, ma si era già addormentato, e non avevo intenzione di svegliarlo un'altra volta.

«Beh, buonanotte a tutti, allora!
» Esclamai prima di andare via. «Alla prossima, vecchia casetta adorata.»

Con uno schiocco delle dita, aprii le mie ali, e volai via da 'casa'.

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Capitolo 2
*** La prima perdita ***


«Era già arrivato il mattino, ed io ero ancora assonnato e indolenzito.

«Hm...perché non posso ritirarmi?!» Brontolai.

Diedi un'occhiata alla sveglia. Non era tardi, ma non avevo neanche tantissimo tempo a disposizione. Riluttante, mi alzai dal letto e mi diressi in cucina per fare colazione con mio padre, ma non sembrava esserci nessuno.

«...Papà?» Lo chiamai, ma non ci fu risposta.

Provai a cercarlo in camera da letto, in bagno, nello studio, e persino in garage.
Non avendolo trovato, ritornai di nuovo in cucina.

«Mah...sarà sicuramente andato al cimitero.»

Mi avvicinai al frigorifero, e notai un nuovo post-it. Lo presi tra le mani.

'Scusami David se non ti ho avvertito, ma non volevo svegliarti prima del solito. Sono andato a trovare due vecchi amici, vivono lontano da noi, e quindi mi sono dovuto mettere in viaggio molto presto...'

Voltai il fogliettino per continuare a leggere il messaggio.

'Ma non preoccuparti, sarò di ritorno nel pomeriggio. Comunque, oggi si congela fuori, quindi ritorna pure sotto le coperte!'

Sorrisi a trentadue denti dopo aver letto le ultime righe. Erano mesi che non saltavo un giorno di scuola!

Rientrai nelle coperte. Sapevo che non avrei più preso sonno, ma almeno ero al caldo.

«È inusuale che papà vada a fare visita a qualcuno.» Mormorai.

Negli ultimi anni, si era 'chiuso'. Non andava mai fuori con qualcuno, ed era un miracolo se partecipasse a qualche festa/evento ad invito. Credevo fermamente che tutto questo allontanamento era stato procurato dalla scomparsa della mamma.

«A proposito...»

Pensando a lei, mi ritornò in mente l'accaduto del giorno precedente. A fatica, mi toccai la schiena, e le ferite non c'erano più.

«Uh?! Sono già andate via?!» Esclamai incredulo.

«Si, vanno via dopo poco, ma adesso non dovresti pensare a questo!» Venni sgridato all'interno della mia testa. Era mia madre.

«C-cosa dovrei fare allora?» Le domandai.

«Andare a vedere cosa sta combinando tuo padre, forse?»

«Ma ha detto che è andato da degli amici...»

«Certo, alle cinque del mattino.» A quello non ci avevo pensato.

«...merda.»

«Non so dove sia andato, ma se è vero che è andato a casa di Georg e Gustav, allora dovresti trovarlo nel tragitto per Amburgo.»

Come se fosse facile trovare un'auto su un'autostrada! Mi stavo pentendo di aver effettuato la conversione. Ritornai in piedi, e mi preparai il più velocemente possibile.

«Tu dove sei, piuttosto?»

«A casa.»
 
Mi venne spontaneo girarmi dietro, ma era ovvio che intendesse la sua nuova 'casa'.

«Non perdere altro tempo, Dave. Sbrigati!»

Infilai una delle tante vecchie giacche di pelle di mio padre, ed uscii fuori casa.

Fortunatamente per me, a tredici anni presi il patentino, quindi avevo uno Scooter per aiutarmi nella ricerca. Era a 150 cc, quindi potevo entrare in autostrada.

«Speriamo che ci sia abbastanza benzina...»

Allacciai il casco, ed accesi il motore. Una volta che la porta del garage si aprii, sfrecciai a massima velocità verso la famosa 'Autobahn'.

--Tomja's Pov--

«Spero che vada tutto bene.»

Mi passai una mano sul viso, tentando di diminuire lo stress.
Ero seduta in quella che era diventata la mia camera, o meglio dire, la mia dimora. Non avevo la possibilità di vedere il sole, o prendere aria, avevo solamente una piccola lampada da accendere solo in casi di bisogno.
Si, ero in Carcere per aver strappato troppe regole durante il mio periodo da angelo custode. Ogni tanto, riuscivo a scappare con l'aiuto di un mio amico, che era una guardia.

«Tomja, vogliono vederti i giudici.» Fu proprio il mio amico a parlare.

Inserì la chiave per aprire la porta di ferro.

«Cosa ho fatto?!» Domandai stupita.

«Non lo so...» Aprii la porta e fece segno di avvicinarmi a lui. «Spero non riguardi le piccole uscite 'illegali', altrimenti sono rovinato anche io.»

Evitò di mettermi anche le manette, perché, appunto, mi conosceva. Mi portò d'innanzi alle enormi porte del Tribunale, o una cosa più o meno simile.
Bussò e poi apri la porta in legno robusto.

«Ho portato la detenuta.» Affermò. Si dileguò dopo pochi istanti, ed i Giudici presero la parola. «Non ti è bastato finire in gattabuia per capire che le regole vanno rispettate?» Mi domandò con severità.

«Almeno ho avuto esperienze diverse da tutti voi. Ho vissuto, al contrario di voi.» Ribattei con aggressività. Il Giudice prese un po' di tempo per recuperare.

«Credi che nessuno ti abbia vista 'scappare' di notte?» Spalancai gli occhi, ma non risposi. «Sappiamo anche che è stato proprio il ragazzo che ti ha portata qui ad aiutarti.» Continuò.

«Ho una famiglia, e intendo proteggerla.»

«Rudi ci ha parlato di quello che hai fatto ieri notte.» Prese la parola un'altro Giudice. «Se tu volessi, davvero, proteggere la tua famiglia, non metteresti tuo figlio in pericolo.»

«DOVEVO PUR TROVARE UN MODO PER DIFENDERE MIO FRATELLO!» Urlai sbattendo la mano sul tavolo in mogano.

I Giudici decisero di chiudere immediatamente la conversazione.

«La guardia che ti ha aiutato verrà arrestata, e tu verrai messa in una delle celle blindate.» Un'altra guardia entrò nella stanza, portandomi via.


Eravamo diretti verso le celle blindate, dove solamente i peggiori ci finivano. Cella numero 483, mi venne da ridere non appena lessi il numero.

«Non c'è molto da ridere.» Affermò con acidità la guardia.

La cella era già aperta, la guardia mi spinse dentro con aggressività e poi, chiuse la porta a chiave.
Non era la solita porta a sbarre, era un pezzo intero di metallo. Non potevo vedere niente di tutto ciò che accadeva fuori, e neanche qui c'era l'ombra di una finestra, ma solamente la solita lampada.

Mi sdraiai sul letto pensando a David e alla sua ricerca in autostrada. 'Speriamo bene' pensai.

-David's Pov-

Ero ormai arrivato ad Amburgo, e non avevo ancora trovato mio padre. Chiedevo in giro di Georg e Gustav ma nessuno sapeva dirmi dove vivevano esattamente, o magari non volevano dirmelo.

Mi fermai di fronte ad un negozio di strumenti musicali. 'Deve conoscerli, sicuramente'.
Dopo essere sceso dallo scooter, mi avvicinai alla porta di vetro, tirai la porta ed entrai nel negozio. Non c'era nessuno alla cassa, ma intravedevo una luce in lontanza. Toccai il campanello sul bancone, ed immediatamente un uomo di mezza età apparì.

«Buongiorno! Desidera?» Esclamò lui.

«Ahm, a dir la verità non sono qui per fare compere, ma per una ricerca.»

«Cosa cerchi, allora?» Mi domandò con gentilezza.

«Due persone. Georg Listing e Gustav Schäfer. Erano due componenti de-» Mi interruppe.

«Certo che li conosco! Erano i miei clienti di fiducia, assieme al resto della band.» Sorrise. «E tu devi essere il figlio dei gemelli, vero?»

«....è così evidente?» Domandai imbarazzato.

«Certo che lo è! Comunque, aspetta qui. Vado a trovare i loro indirizzi.»

Ritornò in quella piccola stanzetta dove era prima, e sentii un po' di strani rumori.

«Serve aiuto?» Chiesi.

«Nono! Ho fatto.» Si spolverò il maglione beige ed i suoi Jeans, poi ritorno dietro al bancone. «Tieni. Ci sono scritti entrambi gli indirizzi, sono recenti, quindi dubito credo che si siano trasferiti.» Mi tese i due foglietti, ed io li presi senza esitazione.

«Grazie mille!» Esclamai.

«Non c'è di che!...ah, devo dirti una cosa!» Mi fermai sull'orlo della porta.

«Mi dica.»

«Puoi salutare tuo padre e tua madre da parte mia?»

«Beh si, con mio padre posso farlo, ma non con mia madre.» Strinsi le spalle. «È morta.»

«Perbacco, non lo sapevo! Quando è successo?!» Era molto colpito dalla notizia, e lo si leggeva in faccia.

«Nel 2008, a quanto pare. Può cercare su internet, troverà tutto ciò che cerca.» Stavo per uscire, ma l'uomo mi fermò un'altra volta. Cercai di mantenere la pazienza.

«Aspetta! C'è una cosa che devi avere.» Sparì di nuovo, e riapparì dopo pochissimi istanti. «Questa era di tua madre.» Poggiò un hard case sul bancone. L'aprì ed all'interno c'era una chitarra. Sembrava essere fatta a mano. «Era un nostro progetto. Voleva avere una chitarra che fosse sua, unica. È finita, ma non è mai più venuta a ritirarla, ed ora ho capito il perché...»

«L'ha costruita lei?» Mi riferii a lui.

«Si, con le mie mani!» Sembrava esserne fiero. Era un lavoro fatto davvero bene, quindi, aveva tutte le ragioni per esserlo.

«È molto bella, davvero.» Affermai. Chiusi il case e lo presi in mano.  «Deve dirmi altro?» Non intendevo essere fermato un'altra volta.

«No, adesso puoi andare! Ci rivedremo, qualche volta?»

«Cercherò di portare anche mio padre con me, promesso!» Lo salutai, ed andai fuori dal negozio.

I due indirizzi non erano lontani da dove mi trovavo, per questo decisi di andare in piedi.

Dopo una decina di minuti, arrivai a casa di Gustav. Suonai il campanello un paio di volte, ma nessuno venne ad aprire. «Mi tocca andare a casa di Georg quindi...» Sbuffai.
Controvoglia, mi misi in cammino verso casa del bassista, che non era molto distante da quella di Gustav, infatti ci arrivai in meno di cinque minuti.

Suonai il campanello. Anche qui sembrava non esserci nessuno, ma nel momento in cui stavo andando via, qualcuno aprì la porta.

«Si?» Esclamò il moro dai capelli lunghi, non riconoscendomi.

«Ciao Georg, io sono David.» Gli tesi la mano, ma lui, incredulo, non ricambiò la stretta.

«David?! Oh mio dio, come sei cresciuto!» Mi strinse in un'abbraccio caloroso. «Cosa ci fai qui, da queste parti?» Da quella sua domanda, intuii che mio padre non fosse lì.

«Sono alla ricerca di mio padre. Pensavo fosse qui, da te.»

«No. L'ultima volta che l'ho visto è stata due settimane fa.» Mi invitò ad entrare dentro casa sua. «Accomodati pure, io vado a cercare una cosa.» Mi sedetti sul sofà di pelle bianca, in soggiorno. Era una casa moderna, con pavimento in parquet e finestre molto grandi, c'era una temperatura tiepida, e in sottofondo si poteva sentire una canzone jazz, a volume basso.

«Scusa se ti ho fatto aspettare. Vuoi qualcosa? Un caffè, bicchiere d'acqua...» Poggiò un paio di fogli sul tavolino in vetro.

«Un bicchiere d'acqua, grazie.»

«Liscia, vero?» Sembrava essere sicuro della mia scelta.

«Come fai a saperlo?» Gli domandai con un sorriso.

«I gemelli odiavano l'acqua frizzante» Mi sorrise. Velocemente entrò in cucina, che si trovava proprio di fronte al salone. Lo vidi mentre versava l'acqua nel bicchiere con molta fretta.

«Ecco!» Poggiò il bicchiere sul tavolino, e si sedette di fronte a me. Bevetti tutto fino all'ultimo sorso.

«Non so se questi possono aiutarti nella ricerca. Da un'occhiata.» Fece scivolare i fogli nella mia direzione. Li presi in mano, ed erano referti sulla salute mentale di mio padre risalenti al 2008.

«Perché hai questi documenti?» Mormorai mentre leggevo.

«Perché eravamo io e Gustav a badare a tuo padre. La tua famiglia non si è neanche presentata al funerale di Tomja, immagina!» Sbuffò disgustato. «Eravamo solamente Io, Bill, Gustav...e tu.»

«Ero presente al funerale?» Non potevo ricordare niente ovviamente.

«Si. Certo, ci sarebbero stati anche i fan se avessero saputo il posto, ma è stato Bill a non volerlo rivelare. Si uccise di pianti quel giorno.» Guardò il niente, perso nei suoi ricordi. «Tu eri in braccio a me. Eri molto nervoso, perché eri sensibile, e sentivi il dolore attorno a te.»  Continuavo ad ascoltare in silenzio. «Quando fu costretto ad andare da uno psicologo, si rivoltò contro tutti, e non parlò più con nessuno. Fortunatamente, conoscevo lo psicologo che lui frequentava, e gli chiesi di darmi delle copie dei referti.»

«Ma è vietato!» Esclamai.

«Lo so, ma era per il suo bene. Tutti i suoi amici volevano avere delle notizie, e sopratutto, eravamo molto preoccupati per te.»

D'un tratto , mentre io ero impegnato a leggere i vari documenti, qualcuno suonò il campanello. Georg si diresse subito verso l'ingresso. Riconobbi la voce dell'ospite, ma evitai di dire niente per continuare a sentire il loro discorso.

«Bill?»

«Georg, ho bisogno di aiuto! Sto vedendo di nuovo quelle cose.» Il tono della sua voce era terrorizzato e tremante. «È da ieri notte che mi perseguitano!»

«Cerca di calmarti. Prima di farti entrare, devo sistemare una cosa. Aspetta.»

Stava ritornando nel salone, ma io avevo sentito tutto, nonostante avessero parlato sottovoce.

«Papà?!» Mi alzai di scatto dal sofà e mi presentai davanti alla porta. Quando lo vidi, non sembrava lui. Era pallido, ed i suoi occhi erano stanchi, pieni di sangue.

«D-david?! Perché sei qui?» Lo colsi di sorpresa.

«Potrei farti la stessa domanda.» Non volevo sembrare arrabbiato nei suoi confronti, ma lo sembravo.

«Uff...» Si portò le mani tra i capelli, ed era quasi sul punto di avere una crisi di pianto.

«Vieni qui.» Lo afferrai per braccio, in modo che non cadesse per terra. Lo feci sedere al mio posto.

«Vuoi che ti porti dell'acqua?» Domandò Georg.

«No, sto bene così. G-grazie.» La paura sembrava non essere ancora svanita del tutto.

«Hai sognato i vampiri?»  Chiesi.

«Si. Ma quando mi sono svegliato, continuavo a vederli ovunque. Ho paura.» Nei referti, infatti, era stato detto di questo trauma permanente.

«Hai preso le pillole?»

«Non funzionano più ormai! Ne ho prese a palate, ma continuo a vedere queste dannate cose!» Si strinse la testa tra le braccia. «Mi parlavano, e mi dicevano che distruggeranno la mia vita pezzo per pezzo, partendo dalle cose più care. Gli amici e la famiglia.»

Lui mi abbracciò, ma quando sentii che avevano intenzione di attaccare gli amici e la famiglia, mi sorse un dubbio.

«Cos'hai?» Mi domandò lui, preoccupato.

«Ho..ho un dubbio, ma forse è solo una stupidaggine.» Finsi un sorriso, ma non funzionò.

«Dimmelo, ti prego!» Mi scosse leggermente.

«...non voglio che tu vada in panico.»

«Non accadrà, te lo prometto.» Ridotto in quello stato, era difficile credergli.

«...d'accordo.» Sospirai. «Prima di venire qui, a casa di Georg, ero passato a casa di Gustav, ma non ha aperto la porta.»

«È molto strano. Gustav è mattiniero, quindi era di sicuro sveglio.» Affermò Georg.

«Forse...forse è partito!» Esclamò mio padre.

«No. Mi aveva detto che stava restaurando casa, è improbabile che sia andato via.»

Dopo di che, nessuno aggiunse altro per alcuni minuti.

«È meglio se entriamo dentro casa sua.» Papà parlò per primo.

«Papà, non credo sia una buona idea.»

«Allora non sapremo mai cosa gli è accaduto! Ho paura...» Gli portai una mano sulla schiena.

«Non preoccuparti, sono sicuro che sta bene!» Nel frattempo, Georg si alzò dalla sua sedia.

«Sono d'accordo con Bill. Dobbiamo entrare nella sua casa.» Scossi la testa, ed abbassai lo sguardo verso l'hard case.

«Perché hai portato la chitarra?» Chiese mio padre.

«Uh?...ah, no. Non è la mia, mi è stata data dall'uomo che lavora in quel negozio di strumenti.»  Aprii il case per mostrare loro lo strumento.
Mio padre la prese in mano.

«Era il suo progetto...» La strinse tra le sue braccia. «Era per il nuovo tour.»

«Andiamo?» Georg interruppe la nostra conversazione.

«Si..non perdiamo altro tempo.» Rimise la chitarra nel case, e si alzò in temporanea con me.

Uscimmo di casa. Ero abbastanza impaurito, e speravo che non fosse accaduto niente di male. Vagammo per pochi minuti, perché, come avevo già detto, le due case non erano lontane.

«Controllate se ci sono entrate secondarie. Io controllo se c'è qualche finestra aperta.» Georg andò verso destra, io e mio padre verso sinistra.

Una volta arrivati sul retro, notammo che la porta del garage era aperta. Ci guardammo negli occhi.

«Chiamiamo Georg?»  

«Ovvio.»

Papà corse ad avvertirlo, io mi avvicinai lentamente alla porta socchiusa. Non sembrava esserci nessuno dentro. Sentii i loro passi avvicinarsi, quindi mi allontanai.

«Ecco. La porta era già così quando l'avevamo vista.» Disse con affanno il trentaquattrenne.

«Fate attenzione a dove mettete i piedi.»

Georg spalancò la porta. Io ero dietro tutti, ma comunque riuscivo a vedere il garage.
A parte due auto, e svariati attrezzi, non c'era nient'altro. Georg aprii un'altra porta, e questa ci portò dentro casa, nel salone. Sembrava esserci stata una lite.

«Chi ha fatto tutto questo casino?»  Disse Georg.

«Spero che non sia successo niente di grave.» Chiaramente lui vedeva sempre le cose in negativo.

«Magari sono entrati dei ladri!» Aggiunsi io.

«Ma Gustav non è andato via. Le sue auto sono tutte e due qui.» Ribatté Georg. «Dividiamoci. Io vado in cucina e in studio, voi controllate le camere superiori.»

Seguimmo i suoi ordini. Appena arrivati sul pianerottolo tutto sembrava essere calmo.

«Io vado in camera da letto.» Interruppi il silenzio.

«Allora io vado nell'altra camera.» Rispose lui.

Svoltai alla mia sinistra, e percorsi tutto il corridoio, fino a quando mi trovai faccia a faccia con la porta.

'Spero di non trovare nessun cadavere.' Pensai.

Aprii la porta, e una volta dentro la camera, le mie scarpe entrarono in una pozza di sangue. Alzai lentamente la testa, e vidi l'orribile scena.

«Lo avevo detto, io.»

Gustav era nel letto, privo di vita, e privo di testa. Non strillai, o cose del genere. Tentai di mantenere la calma.

«Deve esserci qualcosa...» Mormorai mentre cercavo qualcosa per provare che non fossero stati i vampiri. Solo dopo mi accorsi di una scritta sul suo avambraccio, incisa, molto a fondo, sulla sua pelle con un qualcosa di tagliente.

'Mortem tuam prope est'

«La tua morte è vicina. Chi userebbe una lingua così vecchia come il Latino?» Riflettei ad alta voce. A chi era destinato quel messaggio?

«David, hai trovato nien-» Mio padre spuntò in camera dal nulla, prima che io potessi nascondere il corpo per evitare che vomitasse o svenisse.

«Si. Sono proprio sicuro di aver trovato qualcosa...» Risposi.

Anche Georg ci raggiunse, e anche lui rimase a bocca aperta.

«Lo so che è il momento meno adatto per parlare, ma sul suo avambraccio è stato inciso un messaggio.» Pensavo che almeno Georg mi avesse dato ascolto, ma mi sbagliavo.

«D-dobbiamo chiamare la polizia. Immediatamente.» Affermò lui.

«Hey!» Grazie ai miei riflessi felini, riuscii ad afferrare mio padre prima che svenisse sul pavimento.  «Credo che prima di tutto dobbiamo stenderlo da qualche parte.»

Georg mi aiutò ad alzarlo. Lui dalle spalle, io dai piedi.

«Unf...lo poggiamo su quella poltrona?» Domandai a fatica mentre scendevamo per le scale.

«Si.»

Fortunatamente non era pesantissimo. Lo sdraiammo delicatamente sulla poltrona, ancora incelophanata, di Gustav.
Presi un po' di fiato per poi riprendere a parlare.

«Stavo dicendo, sull'avambraccio di Gustav è stato inciso un messaggio in Latino.» Georg inarcò un ciglio,

«In latino? Cosa c'è scritto?»

«Tradotto dice: La tua morte è vicina. Non so a chi si riferisse.»  

Georg scosse la testa, e si allontanò momentaneamente. Io mi sdraiai accanto a papà, in attesa del suo risveglio. Alla fine, mi addormentai anche io.


«Georg, ho ragione! Sono stati loro, lo avevano detto.» Mi risvegliai grazie al loro mormorio. Mio padre stava discutendo con Georg sulle sue 'visioni'.

«Cerca di calmarti, Bill. è solo una coincidenza.» Mantenne la calma.

« Anche il messaggio in latino è una coincidenza, secondo te?!» Alzò la voce.

Decisi di entrare nel mezzo del discorso, per evitare che partisse una lite.

«Datti una calmata, pa'. Magari Gustav aveva dei conti in sospeso con qualcuno.» Georg scosse la testa.

«Gustav? No, era un ragazzo calmo e molto introverso.»

«Mai dire mai...» Mi stavo arrampicando sugli specchi, è vero. Stavo solamente cercando di non mettere pressione.

«Cos'hai..negli occhi?» Mi domandò mio padre, mentre si avvicinava lentamente ai miei occhi.

«Ehm...dovresti chiederlo ad un oculista. Non sono molto esperto nell'anatomia dell'occhio» Tentai, invano, di sdrammatizzare la situazione.

«Hai quella...strana luce.» Osservava attentamente ogni minimo dettaglio, e mi teneva ferma la testa, per evitare che mi muovessi.

«Non ho idea.» Affermai.

«...i suoi occhi. Hai i suoi stessi occhi, la sua stessa luce.» Parlava lentamente, sempre con quel tremore nella voce. «Dimmi che non sei come lei, ti prego!»

«L-lei chi?»

«Non fare il finto tonto, David» Sembrava volesse aggredirmi, ma non intendeva farlo. «Non voglio perdere anche te!»

«Io non so di cosa tu stia parlando.» Lo allontanai con una spinta, e finsi di essere stranito.

«Scusami...» Mormorò lui.

«Non preoccuparti.» Gli sorrisi, accettando le sue scuse.


Dopo poco, decidemmo di chiamare la polizia e di lasciare tutto nelle loro mani, però ci fu detto di non abbandonare il luogo.
La polizia scientifica arrivò dopo un'oretta, ed insieme a loro, arrivò anche una autoambulanza.

«Perchè siete entrati dentro la casa della vittima?» Ci domandò il poliziotto, con una penna e un blocknotes in mano, pronto a scrivere.

«Questa mattina, verso le otto, ero venuto a bussare dietro la sua porta, ma non aveva aperto. Dopo sono andato a casa di Georg...» Puntai il bassista «...per motivi personali, e gli ho detto che Gustav, probabilmente, era fuori casa.»

«Mi sono subito allarmato perchè conoscevo bene la vittima, era un tipo mattiniero. Sapevo che stava lavorando dentro casa, come potete vedere...» Puntò le mura, che non erano completamente pitturate. «Qundi mi sembrava strano che fosse andato via, lasciando il lavoro a metà.»

Il poliziotto appuntò tutte le nostre risposte.

«Che rapporti avevate con la vittima?» Domando il giovane agente.

«Era un nostro caro amico.» Rispose mio padre. «Era il batterista della nostra band. Siamo stati tantissimi anni assieme, era come un fratello per noi.»

L'agente annuiva mentre scriveva la risposta.

«Per ora è tutto, ma non potete assolutamente lasciare la città fino alla chiusura. Dovete rimanere a completa disposizione del commissario, che vi contatterà a breve ai contatti che ci avete fornito.»

«Va bene.» Ci strinse la mano. Lui rimase sul luogo, mentre noi venimmo accompagnati fuori casa da un suo collega.


«Sei venuto qui con lo scooter?» Mi domandò mio padre mentre camminavamo sul marciapiede, diretti a casa di Georg.

«Si. Tu vai a casa con l'auto, e io ti seguo dietro.»

«Ma io non ti ho visto arrivare in scooter.» Georg prese parte alla conversazione.

«No, infatti l'ho parcheggiato di fronte al vostro negozio di fiducia.»

Dopo qualche metro di strada, eravamo di nuovo a casa di Georg. Decidemmo di non entrare.

«Non rimanete a mangiare?» Ci chiese lui.

«Il mio stomaco si è chiuso. Grazie, ma preferisco ritornare a casa e cercare di dormire un pò.» Dubitavo che ci riuscisse, però.

«Va bene. Ci sentiamo più tardi!» Alzò la mano in segno di saluto, ed entrò dentro casa.

Mi voltai verso mio padre.

«Beh, io ho un pò di strada da fare. Mi aspetti?» Gli chiesi.

«Certo!.» Esclamò lui.

«Non fare stupidaggini in mia assenza, mi raccomando.» Sorrise nel sentirmi così autoritario nei suoi confronti.

Corsi per arrivare al mio scooter in poco tempo. Involontariamente, mi scontrai con un paio di persone per strada. «Guarda dove metti i piedi!» Non mi fermai, ma mi voltai indietro. «Scusa!»


Una volta arrivato vicino al mio scooter, non persi altro tempo, ci montai su e mi avviai subito. Quando ritornai al posto, mio padre non era nell'auto. 'Dove si è cacciato?' Pensai.

Lo vidi sbucare fuori dalla casa di Georg, con il case in mano.

«Avevamo dimenticato questa!» Esclamò in lontananza.

Entrò in auto, ed aspettai che fosse lui a partire per primo, per evitare che facesse degli scherzi.

Ci fu del traffico sull'autostrada, e perdemmo tantissimo tempo dietro le code che sembravano essere infinite. Solo dopo un paio d'ore arrivammo a casa.

Non ebbi neanche un secondo per parlargli, visto che tirò dritto verso la camera da letto.
Scossi la testa, ed anche io entrai in camera mia. Lasciai cadere l'hard case per terra, e mi lanciai a peso morto sulla mia sedia da ufficio.

«Mio dio, che giornata.» Poggiai due mani sulla mia faccia.

«Devi farci abitudine...» Mi sussurrò lei, nella mia testa. «Questo è solo l'inizio, sfortunatamente. Vivrai le cose più strane di questo mondo, vedrai cose e persone soprannaturali. Alla fine diventerà una cosa normale per te.»

Lasciai scappare un sospiro.

«Cos'altro mi toccherà vedere?»

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Capitolo 3
*** Alla ricerca di David ***


-Da qualche parte, nell'oscurità-
 
«Hai fatto ciò che ti ho richiesto?» Domandò un uomo, seduto nell'ombra.
 
«Sissignore. Ho fatto tutto ciò che mi ha detto» Mormorò l'assassino. Fece un piccolo inchino e poggiò la spada, ancora sporca di sangue, sul tavolo.
 
«Molto bene» L'uomo prese in mano il suo calice. Il liquido all'interno non era vino, ma sangue. «La famiglia Lestat rinascerà, e sarà più forte di prima» Fece un sorriso malevolo, e bevette un sorso dal suo calice.
 
«Posso avere la mia ricompensa adesso?» Nella voce dell'assassino si poteva sentire della paura.
 
«Tieni» Lanciò addosso al ragazzo un piccolo sacco pieno di monete all'interno. «Ora va' via. Non posso stare a lungo contatto con gli umani» Fece un gesto con la mano per cacciarlo via, ma il ragazzo restò per qualche altro minuto.
 
«...lei mi risparmierà, vero?»
 
«Sei un traditore» Poggiò il calice sulla scrivania. Il tono della sua voce diventò più freddo del solito. "Solo perché tu mi aiuterai a sterminare i Kaulitz non vuol dire che io non possa ucciderti» Rise malvagiamente. «Potrei farlo anche qui, in questo preciso istante, sai?» Si avvicinò al ragazzo. «Vai via, ora»
 
Questa volta l'assassino ascoltò le parole del suo capo, ed andò via.
 

-David's Pov-
 
«Ngh!» Mi alzai di scatto dal letto. Ebbi un incubo, ma fortunatamente era finito. «Uff..accipicchia!» Afferrai la sveglia sul comodino, che segnava le sei del mattino. «Chi dorme più, adesso?» Abbandonai il letto per andare giù in cucina a farmi un caffè.
 
«Spero che si sia ricordato di prendere il latte...» Aprii il frigorifero. «Ovvio che no, Dave! Secondo te tuo padre farà mai una spesa senza aver dimenticato nulla?!» Mormorai con un po' di nervosismo. Non potevo dipendere molto da lui, comunque. «Va beh, farò a meno» Chiusi il frigo.
 
Dopo aver riempito la caffettiera col caffè e l’acqua, la chiusi e la poggiai sul fornello. In quel momento, sentii una strana melodia provenire da qualche parte in casa.
 
«Pa’?» Mi guardai attorno. A parte quelle della cucina, tutte le altre luci erano spente. «...boh» Sbadigliai, poi accesi la fiamma, ma la melodia si ripeté.
 
Spensi la fiamma, ed andai a controllare in camera sua. Non era a letto. «Non dirmi che è fuggito di nuovo»
 
Allora scesi giù in studio, ed è lì che lo trovai. Entrai nella stanza, ma non si accorse della mia presenza.
Lo lasciai cantare, senza interrompere.
 
«Tage gehn vorbei, ohne da zu sein. Alles war so gut, alles Ich und Du. Geh, Geh…»
 
Non so come si chiamasse quella canzone, e sono sicuro che non fosse stata mai rilasciata al pubblico. Sono comunque sicuro che la scrisse per mia madre, lo capivo dalla malinconia della melodia, e dal testo, ovviamente.
Restai in silenzio, ad ascoltare il resto.
 
«...Tage gehn vorbei, ohne da zu sein. Deine Spuren führn zu mir, soweit weg von dir. Geh...Geh…»
 
Non sono mai stato così ‘profondo’ ed era difficile capire il significato dietro certe frasi, ma non so perché lasciavano questa angoscia dentro di me. Forse era la sua depressione a mettermi…paura?
 
«…Ich brech das Licht, die schatten falln auf mich. Ich seh uns nicht, alle Schatten falln auf mich. Auf mich, schatten falln auf mich…»
 
Le ombre? Cosa intendeva per ombre? Inarcai un ciglio.
 
«…Tage gehn vorbei, ohne da zu sein. Bleib»
 
“Resta”. Quella singola parola mi colpì più del resto, forse perché sapevo bene che lei non poteva restare. Lo sapevo meglio di lui, in un senso.
 
«…Quando l’hai scritta?» Gli chiesi una volta che smise di cantare.
 
«Dave?» Si voltò a guardarmi, sorpreso. «Pensavo che tu stessi dormendo!»
 
«Si, ma ho avuto un incubo» Sbuffai a ridere. «Mi sono alzato per farmi un caffè e poi ti ho sentito cantare» Gli sorrisi, ma lui aveva sempre la sua stessa espressione cupa.
 
«Comunque…» Mise il testo in un cassetto. «Credo di averla scritta poco dopo la sua morte. È l’ultima canzone che scritto»
 
«Dovresti riprendere a cantare, o almeno, a scrivere» Gesticolai un po’. «Non a scrivere per…te. Per qualche altro artista, o band»
 
«No» Esclamò fermamente. «Non posso fare finta di niente. Non posso ricominciare da zero, soprattutto nel mondo della musica» Scosse la testa. «Non posso lasciare il passato alle spalle, e soprattutto…Gustav…»
 
Gli strofinai la schiena. «È in un posto migliore, adesso» 
 
«Lentamente tutti i miei…ricordi si stanno dissolvendo» Singhiozzò. «Eravamo quattro ragazzi con la stessa passione. Siamo sempre stati insieme, nei belli o brutti periodi.» Prese una piccola pausa prima di ricominciare a parlare. «Insieme abbiamo lavorato, scherzato, pianto, e litigato. C’eravamo promessi di rimanere impressi nell’eternità, ma guarda cosa è rimasto, invece!»
 
Mi rattristai un po’ nel vederlo piangere, ma alla fine ti ci abitui. Accadeva quasi ogni giorno.
 
«Sono vivi nei tuoi ricordi, ed è quello che conta. Basta essere vivi nei ricordi altrui, per essere…vivi» Sorrisi un po’ per il gioco di parole. «Lo so che nessuno si aspettava di vedere Gustav morto, ma la vita è fatta di sorprese»
 
«Perché non capita a me, allora?!» Esclamò.
 
Feci spallucce. «Desiderare la morte non risolve niente, comunque»
 
«Smetterei di soffrire, almeno» Mormorò amaramente.
 
Lo avvolsi in un abbraccio. «Ma poi faresti soffrire me, pensaci»

Ricambiò l’abbraccio, mettendo le sue mani dietro la mia schiena. «Sei tu che mi tieni qui, Dave» Mi diede un bacio tra i capelli. «Non voglio che ti accada niente»
 
«Non mi accadrà niente. Lo sai che sono in gamba!»
 
«Non hai mai avuto a che fare con queste cose sovrannaturali. Se hanno ucciso tua madre, possono uccidere chiunque»
 
Anche questo era vero, non avevo paura però. Sapevo di averla vicino a me, anche nei momenti più difficili.
 
«Non possono uccidere me, sono troppo furbo per loro!» Risi.
 
«Hai ragione» Sciolse l’abbraccio, poi mi guardò sorridente. «Vuoi andare a scuola oggi?»
 
«Ovvio che no, ma se non ci vado mi abbassano la media, quindi…» Sbuffai.
 
«Ma sei stanco, ti sei svegliato presto!» Esclamò.
 
«Non voglio essere rimandato» Scoppiai in una fragorosa risata. «Beh, vuoi un caffè? Visto che me lo stavo preparando…»
 
Annuì. «Va bene»
 
Si alzò dalla sedia dov’era seduto per seguirmi in cucina. Si chiuse dietro la porta dello studio, sbattendola un po’.
 
 
-Tomja’s Pov-
 
Ero sdraiata su quella scomoda brandina, ma non stavo dormendo. A dir la verità, non dormivo mai.
Ero pronta a scattare alla minima richiesta d’aiuto da parte di Dave, o Bill.
 
In poche ore, avevo ricoperto le mura di scritte. Sembravo una adolescente innamorata! Anzi…forse lo ero ancora.
 
«Oggi è il tuo giorno fortunato!» Esclamò una guardia mentre mi aprì la porta della cella. «Vieni»
 
Mi alzai immediatamente dalla brandina, e seguii quell’antipatico uomo.
 
«Posso sapere il perché di questa…”scarcerazione”?» Chiesi spiegazioni.
 
«Non lo so. Devo solamente portarti in un posto» Affermò freddamente.
 
«Okay…» A dir la verità avevo una idea, ma non ero sicura che fossi stata chiamata per quello.
 
No, il “paradiso” non era così diverso dalla terra. C’erano palazzi, alberi, sole, nuvole...insomma, tutto quello che avevate anche voi.
 
Uscimmo da quell’edificio per recarci a quello di fronte, che viaggio emozionante.
 
«Ah, finalmente un po' d'aria fresca» Esclamai apatica.
 
«E neanche la meriteresti» La guardia lo disse sottovoce, ma lo sentii lo stesso.
 
«Neanche tu» Ribadii con un sorrisetto. «Ricorda che legare le mani ad un vampiro non basta per fermarlo»
 
L'uomo si impaurì un po' ma non mi disse niente altro, fino all'arrivo nell'altro edificio.
 
«Vi ho portato ciò che avete richiesto!» Esclamò la guardia, poi mi lasciò lì, senza dirmi niente.
 
«Okaaay...?» Mi guardai attorno, ma non sapevo davvero dove andare, o cosa fare.
 
«Tomja!» Esclamò quello stronzo di un capo. Si, quello che mi sbatté in cella. «Menomale che sei qui»
 
«Ti potessero tagliare una gamba» Mormorai sottovoce prima che si avvicinasse a me.
 
«Ho bisogno di te per una cosa importante!» Poggiò una mano sulla mia spalla.
 
«Oh, davvero?» Domandai scocciata.
 
«Si» Prese in mano una cartella, e me la passò. «Dai una occhiata a queste»
 
All'interno c'erano delle foto scattate nell'appartamento di Gustav, o meglio dire, del suo cadavere senza testa.
 
«È disgustoso...» Continuavo a cambiare foto, ma era così strano, e doloroso vedere Gustav in quelle condizione. «Chi ha fatto tutto questo?»
 
«Non lo sappiamo, ma certamente abbiamo dei sospetti» Incrociò le braccia. «Vedi, Gustav è qui. Lo assisterai un po', visto che questa sarà la sua nuova casa, ma devi anche cercare di cavare informazioni sui suoi assassini»
 
«E se è stato ammazzato mentre dormiva?» Restituii la cartella al capo.
 
«Beh, lo scoprirai!» Mi diede un'altra pacca, e si allontanò.
 
«Okay, bene. Dov'è Gustav?» Mormorai a me stessa. «Non credo che tocchi a me cercarlo...»
 
No. Infatti arrivò dopo poco, accompagnato da una guardia differente.
 
«Tomi?» Restò fermo a guardarmi. «Sei tu?!»
 
«In carne ed ossa, baby!» Risi, e corsi ad abbracciarlo. «Quanto mi sei mancato!»
 
«Anche tu!» Mi strinse forte. «Manchi a tutti»
 
«Lo so...» Sciolsi l'abbraccio. «Anche tu mancherai a tutti, adesso»
 
«Lo so, e mi dispiace molto» Abbassò la testa. «Questo non aiuta la condizione mentale di Bill»
 
Wait, what? Condizione mentale? Quanti capitoli mi sono persa?
 
«Condizione mentale?» Inarcai un ciglio. «Cosa ha?»
 
«Ne parliamo fuori?» Mi chiese, facendomi capire che qualcuno ci stava guardando.
 
«Oh, sì! Certo»
 
Lo accompagnai fuori dall'edificio. Prima avevo detto che c'era tutto ciò che c'era in terra, vero? Beh, mancavano le panchine.
 
«Cosa mi stavi dicendo?» Gli domandai una volta fuori, all'aperto.
 
«È da quando sei morta che lui assume antidepressivi» Affermò mentre calciava via la ghiaia. «È stato sotto cura da i migliori psicologi di tutta la Germania, e anche degli Stati Uniti»
 
«Si, ma ora sta meglio...vero?» Mi voltai a guardarlo al mio fianco.
 
«Credo che la depressione ormai sia parte di lui» Fece spallucce. «Poi Georg continua a fargli prendere quei forti antidepressivi, e non lo aiutano per niente!»
 
Sbuffai. «Georg ama la psicologia, lo sai»
 
«Si, ma gli antidepressivi portano dipendenza» Si fermò un attimo, poi riprese a camminare. «Bill non può continuare a rincitrullirsi con quei medicinali, deve badare a Dave!»
 
«Dannazione» Strinsi i denti. «È vero…»
 
«Devi trovare un modo per ritornare» Mi afferrò una mano. «Devi tornare sulla terra perché...Lestat e suoi scagnozzi lo hanno fatto»
 
«COSA?!» Sbarrai gli occhi.
 
Insomma, sapevo che sarebbero ritornati, ma era un po' presto.
 
«Sono stati loro ad uccidermi, anzi no» Si fermò a pensare. «Sono sicuro che fosse un umano, ma ovviamente lavorava per loro»
 
«Come fai a saperlo?» Gli domandai con un mezzo sorriso.
 
«Perché addosso aveva lo stesso simbolo del demone che aveva ucciso te» Frugò nelle sue tasche. «Leggi questo»
 
Presi in mano il pezzo di carta che mi aveva dato. Era ricoperto di sangue. «È il tuo sangue questo?»
 
«No, è quello di Bill»
 
«Bill? Cosa c'entra lui adesso, e cosa ci fa il suo sangue sulla carta?»
 
«È una lettera che ti ha scritto anni fa» Dalla stessa tasca tirò fuori una sigaretta e un accendino. «Era anche un autolesionista ai tempi» Iniziò a fumare.
 
«Oh...» Era orribile non sapere tutte queste cose. «Ho davvero lasciato accadere tutto questo?» Scossi la testa, e lessi la lettera.
 
 
8-9-2008
 
È da un po' che non ti scrivo, ma tranquilla, ero solo un po' triste.
 
Scusa per il sangue sulla carta, lo sai che sono sbadato.
 
Georg e lo psicologo mi forzano a prendere dei medicinali, ma non mi aiutano.
 
Loro continuano a chiedermi di quando sei morta, e fa male ricordarlo, perché ti amo ancora.
 
Ti amo, e mi manchi tanto, più di quello che credi.
 
È difficile continuare a scrivere, perché c'è sangue dappertutto...
 
Per favore, aprimi la porta. Sto venendo a trovarti.”
 
«Oddio» Mi portai una mano tra i capelli. «Devo assolutamente fare qualcosa...»
 
«Si, devi» Concordò lui. «Sono pronto ad aiutarti, se ne hai bisogno»
 
«È davvero tanto vicino Lestat?»
 
«Più di quello che credi»
 
Misi la lettera in tasca. «Andiamo, dobbiamo fare un paio di chiacchiere con qualcuno»
 
Rientrammo nell'edificio, alla ricerca del capo.
 
 
-David's Pov-
 
Anche se mio padre mi pregò di rimanere, andai lo stesso a scuola. Trovavo difficile concentrarmi quel giorno, non so per quale strana ragione.
 
«È l'ultim'ora, fortunatamente...» Mi stropicciai la faccia.
 
I bulli erano sempre lì, come al solito, ma non gli davo importanza. Sapevo bene di cosa ero capace di fare a pazienza finita.
 
«Oh, cosa c'è piccolo principe? Non ti senti bene?»
 
Vennero a sfottermi, come al solito.
 
«Vuoi andare a casa a piangere nelle braccia della mammina? Ops» Loro risero, mentre io strinsi i pugni dal nervoso. «Papiiino, a scuola mi prendono in giro!» Il gruppo scoppiò in un'altra risata. «Era così frocio ai tempi dei Tokio Hotel!»
 
«Era così "frocio" che ha concepito un figlio ai tempi dei Tokio Hotel, testa di cazzo» Ecco, avevo finito la pazienza.
 
Il gruppo rimase sorpreso dalla mia risposta, ma loro non si fermarono, e neanche io.
 
«Si, mia madre è morta. Non sai come, però» Sorrisi. «Questo le fa onore. Mio padre, invece, è riuscito a crescermi durante un orribile periodo per lui» Feci una smorfia. «I miei genitori, al contrario dei vostri, erano dei grandi musicisti conosciuti in tutto il mondo. Fatevene una fottuta ragione»
 
La campanella suonò. Il tempo era finito.
 
«E con questo vi saluto, stronzi!» Mi portai la tracolla sulla spalla, ed uscii da scuola.
 
Fuori, come al solito, c'era del caos. Non sempre, ma spesso, avevo delle donne che volevano parlarmi o fare foto con me. Quel giorno era un giorno di quelli.
 
«Dave!» Esclamò una voce femminile dietro di me.
 
«Si?» Mi voltai, e lei mi raggiunse.
 
«Guarda, non voglio farti paura» Sorrise. «È solo che...ero una grande fan dei Tokio Hotel in passato e..»
 
«Tranquilla, mi accade quasi ogni giorno!» Feci spallucce. «Ci ho fatto l'abitudine»
 
Poggiai il mio braccio dietro di lei, e scattammo una foto insieme.
 
«Come sta tuo padre?» Mi domandò mentre riponeva l'iPhone in tasca.
 
«Insomma...hai saputo di Gustav?»
 
«Si, per questo lo chiedevo» Scosse la testa. «Povero Gustav...»
 
«Già»
 
La ragazza scosse la testa. «Guarda, non voglio rubarti altro tempo. Sei sicuramente stanco»
 
Risi un po' «Diciamo»
 
«Sei stato gentilissimo, grazie» Mi abbracciò. «Ciao!»
 
«Ciao!» Lei si allontanò, io uscii dal cortile.
 
Camminai verso il parcheggio della scuola, dove avevo messo il mio Scooter. Il posto era stranamente vuoto.
 
«Mah...sarà una mia impressione» O forse no.
 
C'erano parcheggiati tanti motorini, ma non c'era anima viva al parcheggio. Non ero impaurito, comunque.
 
«Hey, David!» Sentii una voce maschile dietro di me. Mi voltai a guardare, e venni colpito alle spalle da qualcuno. Persi i sensi.
 

-Tomja's Pov-
 
«Oh, andiamo!» Tirai un pugno sulla scrivania nell'ufficio del capo. «Che prove le servono più di queste?!» Esclamai.
 
«Tomja, non posso rimandarti sulla terra. Faresti più danni che altro!» Si sedette sulla sua sedia in pelle nera. «E soprattutto, metti quei canini a posto»
 
«Canini a post- ah, già» I canini mi si allungavano da soli quando ero nervosa. «È un meccanismo di autodifesa, non posso farci nulla» Ed era anche difficile parlare con quei cosi in bocca.
 
L'uomo si schiarì la voce. «Sei comunque un pericolo per noi. Hai mandato tutto all'aria nella tua famiglia!»
 
«Certo, mio fratello si vedeva circondato da vampiri e io dovevo dirgli "Oh guarda, sono nostri amici!"» Gustav ridacchiò in sottofondo. «Che cosa dovevo dirgli, eh? Loro hanno mandato la mia copertura all'aria, non io»
 
«A dir la verità...» Si aggiunse anche Gustav alla conversazione. «Con lei vicino avevamo tutti meno paura. Vedevamo tutte queste cose sovrannaturali accadere, e lei era come il nostro punto di riferimento. Non ha fatto male nel rivelarci la sua vera natura»
 
«Grazie per la difesa» Dissi al mio ex-compagno di band.
 
L'uomo sulla sedia sospirò. «Sei diventata un mezzosangue!» Esclamò.
 
«Ma perché continua ad arrampicarsi sugli specchi?!» Poggiai le mani sulla scrivania. «Sono un mezzosangue, si. Ho ucciso della gente, vero. Ma ho fatto il mio compito!»
 
«Va bene, va bene! Su questo hai-»
 
Feci segno con la mano di fare silenzio, perché sentii qualcosa nelle mie orecchie. Era la voce di David.
 
«Dave...DAVE È IN PERICOLO, CAZZO!» Mi avvicinai faccia a faccia con quella testa di cazzo. «DEVE LASCIARMI ANDARE, ADESSO!»
 
«Cosa sta succedendo?!» Esclamò mezzo preoccupato.
 
«DAVE È IN MANO A QUEI BASTARDI!»
 
«Okay, va bene» Firmò su un documento. «Potete ritornare sulla terra, ma ad una condizione!»
 
«Quale?» Chiedemmo entrambi.
 
«Sarete come adesso, cioè, invisibili a tutti. A parte per David, ovviamente»
 
«Non mi interessa di essere visibile, m'interessa solo di salvare la mia famiglia!»
 
Lasciai l'ufficio in fuga, e Gustav mi seguì dopo poco.
 
«Sai come ritornare sulla terra, almeno?» Mi domandò mentre teneva il passo accelerato.
 
«Conosco un metodo divertente, ma siccome dobbiamo arrivare in un punto preciso, dobbiamo usare il vecchio metodo» Mormorai mentre svoltavo a destra e a sinistra.
 
Eravamo fuori, di nuovo, ma dall'altra parte.
 
«Vedi quella porta? Quella è il nostro passaggio» Strinsi la maniglia della porta nella mia mano. «Sei pronto, Gunther?»
 
«Gunther è sempre pronto!» Ironizzò.
 
Aprii la porta, e ci lanciammo nel vuoto.
 
Ci ritrovammo sulla terra dopo pochi secondi, stesi sull'asfalto.
 
«Ugh, la mia testa...» Mormorai, portandoci una mano su, mentre mi rialzavo dall'asfalto
 
«A chi lo dici!» Esclamò anche Gustav.
 
Dopo essermi ripresa un po’, tentai di mettermi in contatto con Dave.
 
«Dave...Dave, dannazione rispondi!» Non dava nessun segno.
 
«Forse gli hanno fatto perdere i sensi» Mormorò Gustav.
 
«Si, è più che probabile» Affermai scoraggiata.
 
Mentre stavo per 'arrendermi' sentii qualcosa. «Dave! Dove sei?»
 
«Non lo so...» Rispose confuso.
 
«Cosa è successo? Devi spiegarmelo, altrimenti non posso aiutarti!»
 
«Sono stato colpito alle spalle, e sono svenuto. Adesso sono in uno strano posto, legato su una sedia»
 
Sospirai. «Sei stato rapito, quindi...» Mi portai una mano sulla fronte. «Appena senti una cosa, qualsiasi cosa, che possa aiutarmi a trovarti, devi dirmela. Okay, amore?»
 
«Si, mamma»
 
«Ci vediamo presto. Tieni duro!»
 
'Chiusi' la conversazione a malincuore.
 
«L'hanno rapito» Dissi a Gustav. «Non ha la minima idea di dove si trovi» Mi sedetti su un marciapiede, tanto nessuno poteva vedermi!
 
«Siamo arrivati tardi per colpa di quella testa di cazzo!» Esclamò Gustav.
 
«Esatto! Non possiamo fare niente fino a quando David non scopre qualcosa» Scossi la testa preoccupata.
 
«È un ragazzo in gamba, se la caverà» Mi consolò.
 
Il mio istinto era ancora 'attivo'. Questo voleva dire che qualcun altro era in pericolo.
 
«Dobbiamo andare a casa sua!»
 
«A casa di Bill, intendi»
 
«A casa mia, per essere chiari» Affermai scocciata. «Sai come volare?»
 
«N-no»
 
«Oh mio dio» Lo strinsi a me. «Per questa volta usi Tomja Airlines» Mi alzai in volo verso casa. Con un peso come Gustav era difficile volare bene, però.
 
Arrivammo, distrutti, dopo cinque minuti. Atterrai nel giardino. «Quanto cazzo pesi, Gus!»
 
«Scusami» Anche lui era affannato come me.
 
«Fa' niente» Lasciai perdere queste stupidaggini per concentrarmi sulle cose serie.
 
La porta di casa era socchiusa, e questo facilitò il nostro accesso in casa.
 
«Basta con queste iniezioni, Georg! Io non ne ho bisogno!» Esclamò Bill.
 
«Shhh...»
 
Georg stava per iniettare uno strano liquido nel braccio di Bill, ma lo afferrai per collo prima che potesse farlo. Ah già, lui non poteva vedermi, o sentirmi.
 
«Piccolo stronzetto!» Strinsi di più le mie mani attorno al suo collo. «Lo so che non puoi sentirmi, ma tu non puoi far rincoglionire mio fratello!»
 
«Lascialo, lo stai per uccidere!» Gustav mi staccò da Georg. «Adesso si sarà cagato addosso abbastanza per smetterla!»
 
«Coff, coff!» Georg tossì sul pavimento. «Ancora hai 'sti demoni addosso!» Esclamò a Bill.
 
«Se mi proteggono, non mi disturba» Spuntò un sorriso sulla sua faccia. «Vai via, Georg! Neanche ai miei ospiti piaci!»
 
Il bassista andò via da casa fuggendo. Bill si stese, tranquillo, sul sofà.
 
«Sei stata tu, non è così?»
 
Lo so che era riferito a me, ma lui non poteva sentire le mie risposte. Poteva sentire solo il mio tocco.
 
«Mi piace illudermi che tu sia ancora qui con me, e David. Ci guardi, ci parli, e ci proteggi! Lo so che ci sei»
 
«Si, ci sono» Mi avvicinai a lui, e passai una mano tra i suoi capelli. Per lui era come del vento nei capelli.
 
«Questo è il tuo tocco, vero? Mi stai accarezzando?» Chiuse gli occhi, e si lasciò accarezzare da me.
 
«Si...» Gli rispondevo, pur sapendo che non avrebbe sentito nessuna delle mie parole.
 
Dopo poco si accorse dell'orario, e si preoccupò nel vedere che Dave non era ancora a casa.
 
«Dave?» Prese in mano il suo cellulare, e compose il numero di David. Ovviamente non rispose. «Oh dio, spero solo che ci sia traffico per strada» Si portò una mano sulla fronte.
 
Non era il traffico, purtroppo.
 
«Dobbiamo trovarlo, Gustav» Strinsi un pugno.
 
«Lo faremo, puoi scommetterci» Poggiò la sua mano sul mio pugno stretto.
 
«Andiamo al parcheggio, forse troveremo qualcosa li» Gustav era d’accordo con me.
 
Baciai la fronte di Bill, poi lasciai la casa in compagnia del mio nuovo collega.

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