{ Una Notte d'Inverno }

di Amitiel
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Il primo battito dell'aurora ***
Capitolo 2: *** ° People Save The people ***
Capitolo 3: *** Controvento; ***
Capitolo 4: *** UNCONDIZIONALITY ***



Capitolo 1
*** Il primo battito dell'aurora ***




 
Il tuo è quel genere di amore che  rende il mondo caldo e luminoso …
Un amore che la potrebbe salvare …Ma tu non salverai nessuno!?
 
 



Un passo. Due passi. Tre… Era una fredda mattina d’autunno a Beacon Hills.
Una di quelle mattine dove la gente comune decise di rintanarsi a casa. Gettare la chiave e infilarsi sotto il piumone d’avanti a un camino con la propria tazza calda di cioccolata. Ma non era lo stesso per lei. Per quella pallida figura celata sotto strati di maglioni troppo grandi per lei e una sciarpa  che nascondeva una parte del naso e delle labbra. La riparava come meglio poteva dal rigido freddo della mattina.  Era arrivata troppo presto, come sempre. Prima del suono di quella maledetta campanella.
Alex sarebbe uscito da scuola a momenti e lei doveva riportarlo a casa, niente di più. Doveva prendere il fratello acquisito fare dietro front e tornare alla casa famiglia. Li dove gli altri bambini attendevano il suo ritorno per mangiare. Lei era appoggiata all’albero sul limitare del bosco accanto alla scuola. Fissava le finestre opache dietro cui c’erano molti volti .
Alcuni erano seri… Altri erano arrabbiati, tristi, annoiati ,stanchi. E tra di loro individuò suo fratello, l’attaccabrighe di casa. Sorride con dolcezza osservandolo. Come lo capiva. La sua voglia continua di scontrarsi contro un mondo ottuso e impositore. Sorrise mentre  decise di dare un morso a quella mela che aveva in mano. Esili dita la circondavano, da musicista e si vedeva. Delicate e piene di lividi in alcuni punti.
Vago con gli occhi per lo spiazzale e lui era li. I denti rimasero incastrati, affondati, dentro la mela.
Immobile come una statua le sue labbra rosee rimasero contro la buccia verde, il corpo si paralizzò.
Lui era li. E il suo cuore prese a battere cosi forte che posò una mano sul petto, strinse le dita in torno a quel maglione sbrillentato, torturandone i buchi della lana intrecciata.
E non sa come fare  a fermare il proprio cuore, che batte, rapido  come se fosse pronto a dilaniare il petto e correre verso di lui .Perché è a lui che appartiene.
E il respiro viene meno, si fa corto, dischiude le sue labbra. Lo guarda mentre bacia quella ragazza, e si chiede  se le sue labbra abbiamo ancora quel sapore  particolare. E il ricordo dei suoi baci fanno tremare le sue gambe. Piccola ragazza, ora sei donna , e il ricordo di lui ti fa sentire ancora bambina.
Fissi il suo viso. Derek ride, ha quell’adorabile fossetta che ora si cela sotto una spessa barba nera che lo fa apparire un po’ un barbone trasandato…Uomo.
E muovi i piedi, senza guardare dove vai. Ti muovi verso loro due. La ragazza  non sembra vederti, ne si scosta da lui.
«Dove sei stato?»
«Avevo bisogno di stare da solo»
«La solita frase….» Lei lo guardò e lo comprese .Comprese quel giovane uomo come solo tu sapevi fare e allora caddi in ginocchio. Caddi nel vuoto perché lui si era aperto a lei. Lui aveva dimenticato ogni singola promessa.
Aveva dimenticato quei sussurri alla notte, le speranze infrante, ogni singolo sogno e bacio.
Si chiudono gli occhi con forza mentre il cuore si stringe in una morsa di dolore profonda. Che dilania la ragione e annebbia la tua volontà. «Avevi d’avvero bisogno di stare da solo….» Lei sorrise e tu lo sapevi. Sapevi che lui le stava rivolgendo quel sorriso. Il tuo sorriso. Ma cosa potevi fare o pretendere ?Non era più legato a te. Tu eri solo una foto sbiadita nella memoria del cuore.
E celata dietro quel tronco con le ginocchia nel fango continuavi a guardarli. Il tuo cuore stava urlando il suo nome, ma lui non poteva più udirlo. Ora mai tu eri un cuore tra tanti altri. Un battito che aveva assunto una melodia uniforme.
I tuoi occhi seguivano il suo profilo, quelle labbra che cercavano quelle della dona per un ultima volta prima che la campanella ti riportasse indietro. Le tue labbra si dischiusero in un singulto e vidi i suoi muscoli contrarsi .Era rimasto da solo e il busto si stava girando verso di te.
Lentamente, come la scena di un film a rallentatore  tu ti alzassi e iniziò quella corsa nel bosco verso il parcheggio.Salire in macchina, sbattere lo sportello, chiudere gli occhi con la testa sul volante.Il cuore batteva cosi forte che strapparlo dal petto sarebbe stata la tua unica salvezza.. E non hai mai desiderato quello che ora desideravi:Essere morta quel giorno, tra le mani di un Erris. Morta e sepolta lontano da lui, dalla sua nuova vita. Lui non poteva capire cosa era stato per te vivere fingendo di essere chi non sei.
E immobile le lacrime uscirono sul volante, le braccia e il tessuto consumato. Piangere era e sarà sempre liberatorio per molti ma non per lei.Lei che stava versando lacrime dal cuore.
«Derek….Perchè Dio? Perchè oggi ?Ora ?Qui ?Ho vissuto fino ad adesso senza mai incontrarlo e tu mi  hai maledetto a una vita senza di lui. A una vita senza amore…» Scosse la testa con violenza sbattendola sul sedile, con quelle lacrime che rigavano il suo volto dai lineamenti delicati. «A una vita senza di lui…Perché….Perchè io non posso amarlo….Ho fatto di tutto Dio. Di tutto, stargli lontana. Piangere di notte. Gridare il suo nome con la testa nel cuscino. Tutto purché fosse salvo. Ho fatto tutto quello che Deaton mi ha detto e ora tu ….Derek…..Derek… » Ed era un martello nel cuore, nella testa, il suo nome. Si strinse a guscio versando lacrime calde. Perché l’amore piccola ragazzina fa male .Lei lo amava come nessun’altro aveva mai fatto. Lei aveva sfidato la morte per diventare il suo angelo custode. Quell’angelo che avrebbe un giorno sacrificato , definitivamente, la sua vita per lui. Quell’angelo raggomitolato come una bambina  in posizione fetale a sfogarsi  da anni di frustrazione, assenza, rabbia repressa. Anni di lotta, fisica e mentale. Anni d’inferno. Perché Derek il tuo angelo ha perduto le ali nell’attimo esatto in cui il tuo cuore non è stato più la sua casa.
Ma la campanella è già suonata  elei nota con la coda dell’occhio lucido l’ombra indistinta di Alex che corre da lei…rapida, come una ladra, si asciuga gli occhi e il naso. Mette su il suo bel sorriso pallido di sempre e lo sportello si apre.
« Giao Pidge. Come è andata la giornata a casa?» E sorrise a suo fratello, anche lui era uno dei bambini della casa famiglia con cui viveva.
« Tutto come sempre Alex. » Girò la chiave e mise in moto, con il cuore in gola e lo sguardo spento girò per il parcheggio. Incrociò lo sceriffo che  non la vide nemmeno. Meglio cosi. Lei non esisteva per nessuno.
« Madison ?Oggi è…? » Alex la guardò con un po’ di speranza negli occhi. Ma lei scosse la testa sospirando e lo guardò confusa.
« Sempre la solita tossica…Che cosa hai combinato ora? Alex! Non ti sei rimesso di nuovo nei guai. Vero? »
Lui abbassò gli occhi e si strinse nelle spalle guardando fuori dal finestrino.
«  Ho chiuso il braccio di Mike, ripetutamente, nel suo armadietto.» E finì con il frenare di botto sul ciglio della strada. Gli occhi persi d’avanti a se, ancora rossi per il pianto appena passato. Rapido che ha lasciato una cicatrice ancora più profonda nel suo animo.
«Perché lo hai fatto? » Domandò con aria stanca.
« Perché ha detto che tu sei una…una che apre le gambe … insomma…»
E sorrise con una dolcezza leggera al fratello che l’aveva difesa come un vero ometto…
E le sue dita da pianista esili scivolarono nei capelli di lui che l’abbracciò di getto.
« Quando arrivammo a casa  tu Sali di corsa in camera mia. Non fermati a lei penso io…»  lui la guardò come sempre annuendo. «Non gli permetterò nemmeno di toccarti.Chiaro? » E lui annui.Solo dopo lei rimise in moto partendo verso casa. Con la mente rivolta a lui, allo spettro di un sorriso. Svuotata, priva della voglia di esistere ancora e si dava della stupida da sola.Perchè l’amore la stava rendendo debole. Si può amare una sola persona per tutta la vita?Si si può angelo.
 
 
 
 
 
 
 

 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 

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Capitolo 2
*** ° People Save The people ***


People Save The People




 
Incubi. Il silenzio  era palpabile, la stanza sembrava caduta in uno stato di oscurità tale da dare vita a tante ombre. Cosi tante che non sarebbe stato nemmeno possibile  contarle. Il sonno placido della ragazza era corrotto da quella naturale e malsana sensazione di malessere fisico, pungente come se tante lame colpissero i suoi organi. Reale come se qualcuno la stesse di nuovo colpendo. Fugge. Ma nemmeno nei suoi sogni lei sarà mai lontanamente più veloce di lui ….
 
 
 
˜ Lui era l’unico motivo che poteva condurmi fuori casa dopo le lezioni. Odiavo questa scuola, piena di cosi tanti adolescenti confusi e poco inclini ad avere un po’ di Umanità verso i propri simili e compagni. Con il passare del tempo sarebbero diventati dei mostri. Non mi riferisco ai classici mostri di Steven King o Dario Argento. No, non quelli mitologici o nati dalle leggende Folkloristiche di chissà quale paese. Io mi riferisco a persone vere. Ai mostri che siedono al governo, che vanno in giro vestiti bene, snobbando la vita.  Snobbando le persone comuni che finiscono con il farsi del male a causa loro. Finiscono con il decidere che vivere non gli riesce più cosi bene non potendo sfamare i propri figli. E prima che giunga l’ennesima busta paga scadente si tolgono la vita. Perdono la speranza. Io non l’avevo mai persa. Non potevo permettermi di perderla, ne andava della vita di mio padre. Lui era un soldato, il maggiore Stevenson  Berretti Rossi. Anche adesso mentre io entravo nella scuola, buia e silenziosa, il mio pensiero correva a lui. Immaginavo l’espressione di mio padre se solo fosse venuto a conoscenza delle mie fughe amorose. Povero Derek, avrebbe di sicuro subito  il più imbarazzante terzo grado che un padre può fare al fidanzato della figlia. “FIdanzato?” Mi faceva strano pronunciare quella parola. Brividi leggere mi diedero la pelle d’oca. Era d’avvero il Mio ragazzo?Come potevo esserne certa?Forse perché mi ripeteva in continuazione che non avrebbe mai smesso di amarmi. Un nodo alla bocca dello stomaco rese amaro il gusto sul palato. Guardi in basso cercando di vedere dove stavo mettendo i piedi. Più lui me lo ripeteva più io mi convincevo che era cosi e poi bastava un ora senza di lui per tornare  a credere che non fosse tale. Non avevo mai amato nessuno prima,come lui. Nessuno. Prima c’era solo la Musica e ora lui competeva con essa per il dominio assoluto sul mio cuore. Il mio riflesso mi fissò di rimando da uno degli specchi del bagno, sistemai i capelli e ripresi la sua ricerca. Derek non era li. Perchè? «Derek?Derek dove sei?Sono Paige!»
Lo cercai lasciando vagare i miei occhi tra le ombre. Il nodo alla bocca del mio stomaco aumentò. Lui non mi rispondeva. Forse non era ancora li?Che stupida, che fosse arrivato il giorno in cui avrei scoperto che io per lui non avevo nessun valore? Che altro  non ero che una ragazza tra tante altre che poteva avere schioccando  le dita? Sospirai fino a che un ombra mi si parò d’avanti. Era alta, dotata di una muscolatura ben definita  e piazzata, si tendeva in una posizione che mi fece ricordare un predatore prima dell’attacco,ricurvo in avanti sollevo il suo viso su di me e io smisi di respirare.
I suoi occhi erano d’un rosso accesso, dardeggiavano nell’oscurità.  Come il candore di denti divenute zanne che non erano in grado di trattenere quel ringhio gruttale che gli usciva dalla gola.  Che si spargeva nel corridoio con un eco potente. Il suo viso non era umano. E in quel momento io compresi che i Mostri esistevano d’avvero. E iniziai a correre, il cuore martellava forte nella gola. Il respiro ansante aveva ormai perso il suo ritmo. Io correvo ma lui era sempre dietro di me. «Derek!!! » ma lui non c’era, in mezzo a tutta quella oscurità, lui non c’era. E per un attimo, il frangente prima che una mano artigliasse afferrasse la mia esile gola , io fui felice che Derek non fosse stato li. Se dovevo morire io mi andava anche bene. Ma il solo pensiero di lui morente scatenava un forte dolore al cuore .Io non volevo esistere in un mondo dove lui non esisteva. E sorrisi, un attimo prima che il suo morso dilaniasse il mio fianco io sorrisi.Chiusi gli occhi urlando. Un ultimo urlo …Dio fa che finisca in fretta. Dio proteggilo…Lo amo…lo amerò sempre…Lui è diverso, lui è ….Silenzio. ˜
 

 
Urlò squarciando il silenzio della notte. Urlò mentre il suo corpo si contorceva nel dolore languido di un incubo divenuto realtà. Piccolo angelo il dolore ti trafisse il fianco, lo spettro delle zanne di Erris che erano la tua personale condanna. Tu eri immune. Come può un angelo contaminarsi quando la sua natura, la sua purezza la protegge?! Urli alla notte il tuo dolore, le esili dita piene di lividi stringono le coperte, le artigliano e tutti i muscoli del tuo corpo si contraggono sotto il peso di quell’incubo. Le lacrime escono e hai il fiato corto, che si spezza,mozzato … Ansimi e non riesci a respirare dietro quelle urla che dilatano i polmoni inglobando più aria di quanta gli sia mai stata conferita.
Urli e ti dimeni nella tua personale crociata fino a che mani caldi non afferrano le tue braccia e ti attirano in un abbraccio silenzioso, forte e stretto.
« Pidge!Pidge calmati è solo un sogno. Solamente l’ennesimo Incubo. Pidge sono Max, apri gli occhi. » Il calore di quel corpo però non ti abbandona .Il ricordo di lui. E riapri gli occhi nell’attimo esatto in cui nella tua testa echeggia l’ultima confessione di una ragazza morente. 
 Lo sapevo”
E ti piacevo comunque?”
Ti amavo.”
E riapri i tuoi occhi umidi e arrossati da quel pianto isterico che scuoteva il petto .Fissando il nulla si spengono, si richiudono sconfitti dalla morte stessa.
« Pidge?!Era un incubo sei al sicuro Dai non fare cos, ormai ci sei abituata no?!. »Il fratello la stringeva con forza, la cullava contro di se inspirando il profumo dolce dei suoi capelli. La teneva stretta,al sicuro da tutto e tutti. Ma lei non si sentiva tale. Si sentiva vuota, dopo l’ennesima battaglia si accasciava di nuovo nella cruda realtà. «Pidge?Cosa c’è?» Max la chiamava curioso da tanto abbattimento. Non comprendeva perché lei sembrasse triste di quel risveglio.
«Era solo un sogno Max … Solo un dannatissimo sogno … Lo stesso incubo di sempre. E come sempre avrei desiderato che fosse vero. Che fosse finita li. » Il fratello la strinse maggiormente chiudendo gli occhi .Con forza la tenne contro di se mentre la rabbia verso quel ragazzo gli ribolliva sotto la pelle. «E’ colpa sua non è vero Pidge?E’ colpa di quel ragazzo che vorresti essere morta?Perchè sei costretta qui con noi?Ti fa cosi tanto schifo questa vita?la nostra compagnia da pensarti sotto terra?  E la lasciò andare alzandosi,stringendo i pugni e respirando a fondo. Una vena sul collo pulsava con più forza delle altre. Lui non poteva capirla, o forse lei non gli aveva mai detto la verità. « Non fare l’idiota Max.» Lo ammonì uscendo lentamente dal letto, come fosse già priva di forze dal risveglio. Quel sogno le prosciugava sempre tante energie. « Io vi amo .Siete i miei fratelli e le mie sorelle. Non potrei mai desiderare di non avervi incontrato .Di non avervi in torno sempre. Voi siete stata l’unica cosa bella di una vita d’abbandoni. » Scuote la testa mentre  gli occhi brillano. Abbassa la testa sospirando e si alza in piedi andando ad abbracciare suo fratello.  «  A volte dico sciocchezze … Io non volevo far si che tu ci rimanessi male. Ma andiamo Max?! Questa la chiami vita? Jo si droga in continuazione, quello che dovrebbe farci da padre se ne sbatte e sta sempre fuori.  » Si stringe nelle spalle e sospira esausta. Esausta per via di una vita di lotte, rinunce e casini. Sempre a badare ai fratelli minori, acquisiti nella casa famiglia, ma che per lei sono come consanguinei. Si avvicina e con dolcezza si chiude nella t-shirt enorme nascondendo il viso nella folta chioma mossa. Osserva suo fratello che si volta e non può non sorridere. Perché l’amore ha molte forme. E l’amore che lega quei bambini sventurati ormai cresciuti è forte. L’abbraccia di slancio sollevandola e facendola ridere. E il suono della sua risata attira gli altri ragazzini della casa che corrono in camera gettandosi con loro sul lettone. Max, Asia, Alex, Clary e lei. Pidge! La ragazza sopravvissuta. La sorella, l’amica. Era tutto per loro e loro erano tutto per lei. E tra risate, spinte e pizzicotti si rannicchiarono sotto l’enorme piumone. Era la parte migliore degli incubi e lo sarebbe sempre stata. Perchè dopo loro erano tutti li,insieme sotto enormi coperte a ripararsi dal freddo e dal dolore del mondo.
 
 
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[Venerdì 9-00 A.M. ]
La solita colazione di corsa, in mezzo a un branco di affamati ragazzini che correvano a destra e sinistra non ritrovando calcini,libri,matite e per poco la testa. La solita mattinata  caotica in casa Wilde. Per questo era il nome della famiglia, anche se lei avrebbe mantenuto volentieri il suo “Stevenson” Ma non le era concesso dal giudice. Non doveva comparire tra i vivi?Non se lo era mai chiesto. Ci volle più di un  quarto d’ora per farli uscire e salire in auto. I bambini sapevano essere molto testardi se volevano. E quelli di casa Wilde, non erano di meno. Forse erano piccoli demoni vestiti da angeli.
Ma che fossero Angeli o Demoni a lei non importava li avrebbe amati lo stesso. Gli avrebbe dato amore e protezione. Le stesse cose che a lei erano mancate per undici anni. Il caos nell’auto era al limite del sopportabile,ma la sua calma le concesse di resistere .Uno ad uno furono accompagnati a scuola, per ultimo ,come sempre, mancava Alex. Lui continuava a fissarla, cuffie a palla e la faccia da schiaffi tipica di chi vuol passare per il cattivo ragazzo di turno. Lei lo fissava divertita perché invece conosceva il suo lato tenero.
Lo aveva visto fingere per tutta la sua vita, o da quando le loro strade si erano incrociate. « Che cosa ti turba campione?» Gli chiese parcheggiando d’avanti alla scuola. I suoi occhi vagavano, irrequiete fissavano il cortile come se si aspettasse di vederlo uscire fuori all’ultimo. Li in mezzo a tanti volti la sua ansia crebbe a dismisura. «Niente.» Sorrise alle parole di Alex, e tornò a concentrarsi su di lui.Su suo fratello minore. Inspirò a fondo inumidendo le labbra. «Il niente non è mai un niente reale. E soltanto il tutto camuffato sotto mentite spoglie.» Gli disse sorridendo .Allungando una mano scompigliò i suoi capelli. «E che mi sento strano da un po’ di giorni.»
Inarcò un sopracciglio fissandolo .Era preoccupata dopo l’incidente in montagna aveva pregato che fosse tutto normale. Che lui si sarebbe ripreso come lei. Alex aveva sostenuto che era stato un leone di montagna ad aggredirlo nel vecchio sentiero dietro il colle tortuoso. E tutta la famiglia, polizia e medici compresi, gli avevano creduto. Ma dopo quello che le era accaduto lei dubitava sempre. Di ogni cosa, che fosse piccola e insignificante oppure no. Arricciò le labbra sospirando più forte. «In che senso strano?Hai la febbre?L’influenza?vuoi stare a casa oggi?» Chiese con ansia e premura tastandogli la fronte.Alex scansò la sua mano divertito. «No,oggi ci sono gli allenamenti di Lacrosse. Vieni a vedermi?» Scosse la testa, lui riusciva sempre a far passare il tutto per un niente. A volte avrebbe voluto avere la sua stessa abilità. «Certo che si. Anche se il tuo Coach non gradirà la mia presenza. Quel tizio era irritante anche da ragazzo.» Risi di gusto poggiando la testa sul sedile, lasciandola dondolare verso di lui con un sorriso dolce. «Fa attenzione … Buona giornata Alex.» Solo un bacio. Il tempo di osservarlo scendere per poi ripartire.
 
 
 
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[Venerdì 16-00 P.M. ]
 
E la prima parte della mattinata passò rapida. Alex vagò da una lezione a un'altra fino al pomeriggio dove deviò i suoi passi verso il campo di Lacrosse. Gli altri si erano già cambiati. Pronti per iniziare un duro allenamento. Cosa che lui non temeva di certo. Negli ultimi mesi, dopo l’incidente in montagna stava cambiando .Era sempre più forte, più agile con i sensi  che ora sembravano perennemente sull’attenti. Vigile e anche paranoico. Sospirando si immerse nel gruppo di ragazzi che ridevano e scherzavano del più e del meno. Riusciva a percepire i loro battiti  cardiaci. Tanti tamburi in defibrillazione che lo confondevano andando a provocargli una forte emicrania. Si sentiva irrequieto e irascibile. Sul campo,oggi,mancava il capitano McCall. Non si erano mai presi a botte, ne a parole, tra di loro c’era una cooperazione neutra tipica del gioco di squadra. Un respiro profondo,ma non gli serve. Qualcuno lo tampona e lui si sbilancia girandosi per fissare il volto del colpevole. Stiles Stilinski lo stava fissando. Occhi grandi e di un marrone scuro, molto più di quelli che aveva sua sorella Pidge. Occhi che lo guardavano con ironia e curiosità.
« Scusami. Non ti avevo visto. Ero un po’ di corsa … Sei nuovo?» Lo fissava inarcando le sopraciglia confuso,, accigliato e contraddetto dal fatto stesso che gli era sfuggita la sua presenza. Alex si limitò a fissarlo, assaporando il suo profumo. Lo investì in pieno facendogli arricciare il naso e poi sospirare. « … Fa niente. Sono cose che capitano. No! Frequento la scuola da sempre. Ma mi hanno preso da poco in squadra se è questo che intendi Stiles.» Stiles lo fissò corrugando la fronte. « Sai chi sono ma io non so chi sei ..tu? » Alex finì con il sospirare seccato e pesantemente. Alzando anche gli occhi al cielo. «Alex Wilde. Ultimo Anno. » Ora il figlio dello sceriffo sembrava,almeno in  parte, soddisfatto dalle sue risposte. « Ah, benvenuto tra di noi allora.» Gli diede una pacca giocosa sulle spalle finendo come sempre per farsi male da solo. Alex avvertì improvvisamente un odore famigliare, quella nuova capacità lo straniva e allo stesso tempo incuriosiva. Alzò lentamente il viso puntando i suoi occhi  grigio fumo su sua sorella maggiore che lo fissava mentre tentava di prendere posto tra gli spalti. Pidge aveva la mano sollevata in un gesto muto di saluto. Ma il suo silenzio,cosa che il fratello sapeva bene, avrebbe avuto vita breve.
« Forza Alex. Dacci dentro!» Pidge alzò un pugno verso il cielo ridendo divertita. Si divertiva ogni tanto a far si che suo fratello finisse in imbarazzo. Non era cattiva Paige, quello era il loro modo di dimostrarsi affetto. Alex sorrise scuotendo la testa. « Dio, ma la smetterà mai di farmi fare figure del cavolo?»
Stiles sorrise vedendo Alex imprecare divertito sotto voce. Quella voce armonica e calda attirò la sua attenzione. Gli occhi color chioccolato incontrarono occhi gemelli intrisi di sfumature color miele che lo ricambiavano. Il cuore rallentò di un battito e fu lo stesso per Paige che guardandolo , non sapeva come, sentì di conoscerlo.  Cercò di focalizzare la sua immagine cercandone il viso nella propria memoria. Frugò a lungo dentro gli spazzi  nascosti di una mente dilaniata dal troppo peso e da diverse scelte. Inspirò a fondo  l’aria gelida della prima primavera avanzando di qualche passo senza rendersene minimamente conto. Ma qualcosa era scattato in Stiles, un sentore, una delle sue solite sensazioni .SI mosse verso di lei con passo spedito puntando l’indice. «Pigeon Wilde. » Lei sobbalzo di scatto sentendo il suo secondo nome , ma anche nuovo, uscire dalle labbra carnose del ragazzo .Lui la conosceva? « Si, sono io … ma tu sei?»
Ovvio che non ne aveva più la ben che minima idea. SI notava dallo sguardo smarrito, confuso e preoccupato che gli rivolgeva. Lui sorride e lei rimase di sasso. Lui rise e il suo cuore si fermo di un passo. Lui la guardò e la mente si apri come un fiore di luna in una notte argentata. « Stiles …. Sono Stiles. Il bambino a cui facevi da baby-sitter … Si insomma non sono più un bambino. Ma sono io ….Non ti ricordi? Il piccolo detective?»
Più lui le parlava più lei lo guardava lasciando sfumare la sua espressione contraddetta in una divertita. Se lo ricordava, ovvio anche lei era una ragazzina all’epoca. Ma lui era l’unico bambino che non avrebbe mai voluto abbandonare. Ma aveva trovato lavoro come cameriera e alla fine aveva mollato l’altro dopo la morte di Claudia. « Holmes. Come dimenticarmi del piccolo logorroico Detective.» Scoppiarono entrambi in una risata commemorativa mentre i loro sguardi non facevano altro che incrociarsi. « Cosa ci fai qui? » Domandò Stiles fissandola sorpreso e contento.
« Mio fratello Alex è entrato in squadra sono qui a guardarlo. Poi lo riaccompagno a casa. »
«Lui è tuo fratello?Non sapevo che tu avessi dei fratelli. » Sembrò stupito.
« Quando mi hai conosciuto a casa c’era solo Max. Loro sono stati adottati dopo. »
« Max?o cielo l’energumeno antipatico?Io pensavo fosse il tuo ragazzo, lo odiavo per questo..No cioè lo odiavo e basta … si insomma..» Deglutì rumorosamente facendola ridere a bassa voce. Stupita dal suo commento. Era solo un bambino erano normali delle cotte a quella età.
« Chiaro! Allora…Come stai?» Sorride, timida come sempre da alcuni punti di vista.
« Bene. E’ bello rivederti….Senti…» Il Coach si mise a gridare.Ovvio quando mai non lo faceva?Inutile dire che anche lei lo aveva odiato a suo tempo. Sorrise e  mosse appena le dita della mano destra in un segno di saluto. «Corri prima che gli esploda la giugulare. Ci si vede….. ?!»
Era strano che provasse quella profonda malinconia a causa del discorso interrotto. Lui la fissa sbuffando visibilmente irritato dal Coach.Non lo amava, ed era ovvio. «Fosse per me possono scoppiargli anche le tonsille. Certo. Ti…ti chiamo? » Chiese deglutendo e lei si ritrovò a fissarlo in silenzio prima di riprendersi. « Certo fatti dare il numero da Alex…. » Gli sorrise di rimando al sorriso di lui. Stiles si allontanò,il cuore che martellava al ricordo che aveva di lei. Lui le insegnò a volare e lei gli raccontava le favole. Citazione non fu mai più giusta. Perché dopo essere diventata Pidge lei aveva perso ogni speranza e voglia di esistere senza Derek. Stiles, quel bambino chiassoso e dolce allo stesso tempo era stata la sua ancora. Un fischio diede inizio agli allenamenti. E ci furono solo grida,schianti e imprecazioni.

Ed eccomi qui a chiedermi se le mie storie vi piacciano oppure no.Non ricevendo recensioni deduco di no.Ma continuerò a scrivere con piacere.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 

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Capitolo 3
*** Controvento; ***


Controvento
 



 
 La pioggia picchiettava leggera contro il vetro della sua stanza. Lei fissava il mondo con l’aria assorta di chi aveva mille pensieri. Fissava il mondo  ricoperto da strati d’acqua che ne distorcevano la realtà. E dischiuse le sue morbide labbra in un sospiro  leggero. Oggi non ci sarebbero stati allenamenti. Oggi non c’era proprio scuola per loro e lei si limitava a stare a casa non avendo nessun turno a lavoro. Scende di slancio dalla sedia. Occhi attenti che fissano ogni cosa. Occhi che fissano  il proprio cellullare sopra la scrivania mezza rotta. Il cuore aumenta il suo ritmo. Nessuna chiamata. Ecco cosa le comunica il display quando lei lo accende. Gli comunica che nessuno ha chiamato. Nessun squillo e si da della matta da sola sollevando gli occhi al cielo e sbruffando con forza.  Era il suo modo di darsi la stupida da sola. Sorride, abbozza quel sorriso e scende le scale. Esce dalla porta della sua stanza con indosso un maglione beige e un paio di pantacalze che finisco dento un paio di stivaletti neri che aderiscono alle caviglie. I capelli li tiene raccolti sopra alla nuca, lasciando qualche boccolo libero, in caduta. Scende le scale due a due correndo di sotto ed evitando i gemelli che andavano più veloci di lei. Ride scuotendo la testa.

I gemelli corsero ignorando la sua presenza come sempre verso il salotto. Passo dopo passo giunse all’ultimo scalino .Si guardò in torno con il solito sorrisetto divertito e un po’ affranto. Le cose dentro quella casa non sarebbero cambiate mai. Sembrava un campo di battaglia, tra le stoviglie sporche e i panni sparsi ovunque. Bottiglie di birra poste a portata di bambino che le facevano sempre attorcigliare le budella. Era cresciuta in uno schifo ed era cresciuta bene perché al contrario degli altri lei prima una famiglia c’è l’aveva. Prima di tutta la tragica conclusione della giovane vita di Paige Stevenson. A volte era tentata di scriverci un romanzo sopra, ma desisteva quando al ricordo dei suoi sentiva un profondo dolore al cuore. Sembrava una voragine dai margini sconnessi e aguzzi che impedivano al tessuto di cicatrizzarsi bene. Avanzò come poteva tra i giocattoli dei bambini e gli avanzi di un pranzo non databile.
Sbuffo aria con forza dalle narici e in quel momento inciampò su una vecchia felpa gettata da Alex contro il fratello maggiore. Max.
Il corpo si sbilanciò in avanti perdendo la sua stabilità, disse addio al suo equilibrio nel mentre  allungava le braccia preparandosi all’impatto con la porta che però non arrivò. «Ah!» Un suono smorzato e  secco le nasce dallo stomaco quando mezzo corpo maschile e  un braccio dalla muscolatura notevole bloccano la caduta attirandola in un abbraccio.
«Alex ti stacco la testa se lo fai di nuovo chiaro?Pidge stai bene piccola?» lei alzò gli occhi cercando di focalizzare Max che la fissava preoccupato e un po’ divertito dalla sua imbranataggine. «Se Alex non continuasse a scordarsi che è dentro casa e non sul campo stare meglio!» Disse tutto d’un fiato accennando una risata. Max scosse la testa mentre lei lo guardava con attenzione. Era tornato da poco dalla Florida, lui era quello che dentro casa resisteva un mese e poi se ne andava in giro. Facendo l’autostop si spostava in giro per l’America. Racimolava qualche soldo lavorando nei bar, o suonando sul bordo della strada. “Take it Easy” Era il suo motto. E forse anche “Hakuna Matata!”.
«Il giorno in cui tuo fratello inizierà a pensare come una persona normale io penso che non sopravvivrò .» Max la fisso indugiando nei suoi occhi. Come quando erano ragazzini e l’una era  la base solida dell’altro. Si ritrovò a sospirare Pidge, mentre lo fissava con quegli occhi dolci beandosi del mezzo abbraccio fraterno che gli era mancato. Non sapeva nemmeno che fosse tornato a casa. «Sorpresa …» Sussurro lui verso di lei sorridendole con gioia come se gli avesse letto nella testa. Getto le braccia al collo del fratello  sorridendogli con gli occhi lucidi. «Mi sei mancato Max»
«Anche tu Pidge.» Ma se c’era una cosa in quella casa che rimaneva immutata era il fatto che se c’era un abbraccio doveva almeno essere di gruppo e si ritrovarono  circondati da braccia entusiaste e iperattive. In quell’abbraccio, nel calore che gli procurava lei sorrideva beata.
Abbraccio appiccicoso per via dei dolci appena mangiati, sudato per via delle corse per le stanze. Accogliente perché era famigliare, abituale, invariabile nel tempo. Potevano crescere, trasferirsi altrove ma nulla sarebbe mai cambiato.
Il capannello squillò e sobbalzavano tutti fissandosi. Nessuno suonava mai a quella casa. Visto il quartiere mal frequentato era raro che qualcuno dei loro amici si avventurasse fin li.
Il cuore sobbalza mentre Max li fissa, portandosi un dito sulle labbra inciti tutti al silenzio. Gli assistenti sociali?Lei sperava di no e nel mentre lo pensava il cuore si accartocciava come un pezzo di carta. Un ritmo frenetico che gli toglieva il respiro. Max si avvicinò alla porta aprendola lentamente con l’espressione corrugata da duro fisso l’individuo che mani in tasca e felpa rossa annessa di cappuccio che cadeva sulla sua testa fissava il circondato in un evidente stato di ansia. Il maggiore dei Wilde socchiuse lo sguardo fissandolo. Tirò su col naso e porto i gomiti uno contro la porta e uno sullo stipite. Fece da scudo a quel mondo caotico che aveva dietro le spalle. Lei non riusciva a vedere altro che un paio di converse nere. 
«Che vuoi?» Il ragazzo che fino ad allora aveva mantenuto una postura reclinata e incurvata delle spalle le risollevò alzando il mento. Occhi color cioccolato si posarono su quelli di Max. Che riflettevano quella figura all’apparenza smilza che lo fissava con un sopracciglio alzato e  un espressione infastidita.
«Ma non eri partito?»
«Come scusa?» Max lo guardò male arricciando di poco le labbra seccato. «Anche fosse tu chi cavolo sei?Che diavolo vuoi?E soprattutto fatti i cazzi tuoi ok?!E cappuccetto hai sbagliato casa…»
«Stronzo eri e tale rimani …» Disse Stiles con evidente ironia che andava incurvando le labbra rosee del ragazzo .Max si scosto dalla porta muovendo un passo verso di lui che si ritrasse istintivo .Non era mai stato uno da rissa. Stiles si rendeva conto da solo che Max poteva farlo a  fettine e da un punto di vista gli ricordava Derek. Solo che Derek faceva minacce a vuoto e Max andava diretto al punto. Deglutì fissandolo con un sospiro. Stava per ribattere quando una cascata di capelli castani  entrò nella sua visuale. Paige lo fissava oltre il busto di suo fratello. Piegata sotto il suo braccio lo stava fissando con un ampio sorriso.
Il giovane sentì il cuore singhiozzare quando riuscì finalmente a guardarla negli occhi.
Occhi gemelli ai propri dove specchiarsi metteva in pace i suoi sensi. Li dentro  foreste proibite attraversate da lampi verdi lui si perdeva, si sentiva a casa.
Attratto follemente da quella figura minuta con cui era cresciuto fin da ragazzino. La ragazza della porta accanto con la coda alta e il naso all’insù pieno di lentiggini. Con gli occhi dolci di chi si portava dentro una profonda malinconia e  un sole immenso nell’anima. La ragazza che mordicchiava le matite e le unghie , che soffriva di attacchi di panico notturni  e che lo rimpinzava di merendine e abbracci. Che quando lo stringeva a se profumava sempre di vaniglia e cannella e gli lasciava addosso quel profumo sul pigiama. Un profumo che quando si svegliava agitato inspirava stringendosi l’orsacchiotto di Stich che lei gli aveva regalato. Quella ragazza che  aveva una dolcezza infinita e la trasmetteva dentro ogni azione, parola , sorriso.
Lo stava guardando con quel sorriso che da ragazzino lo faceva rimanere imbambolato come adesso?! Solo che le sue labbra si incurvarono in un ampio sorriso di sorpresa e piacere nel vederla li. E immagina, come giusto che fosse, che lo avrebbe protetto da Max. Cosa che lo metteva in imbarazzo.
Ma da quando voleva aprire maturo ai suoi occhi?! Non lo sapeva.
L’aveva rivista al campo di Lacrosse e il cuore si era fermato. La voglia di stringerla e  affondare il viso nei suoi capelli era stato forte. Lo aveva perseguitato tutta la notte. Una notte passata in bianco a chiedersi se doveva chiamarla oppure no.
Sentendosi un idiota perché l’affetto che aveva per lei non era mai sparito ma lei poteva benissimo considerarlo ancora un ragazzino .Ma non ci riusciva.. anche solo pensarla lo faceva sorridere dentro un sospiro divertito. Stiles Stilinski non si capiva da solo.
«Stiles!» La sua voce morbida e gioiosa lo riportò indietro con un forte strattone. Alzò il viso su di lei. Occhi confusi, labbra che sorridevano a lei. Mani nelle tasche dei jeans. Immobile la fissava in attesa. «Sono io!» Rispose accentuando il sorriso .Lei incurvò la testa sorridendo come se volesse dire “Ma dai. Lo vedo” E lui sorrise di più.
Paige scivolò da dietro Max per portarsi d’avanti a Stiles.Strinse le braccia sotto il seno sospirando a fondo e mordendosi il labbro inferiore si voltò verso il fratello che in silenzio fulminava il povero Stiles. «… Alex ha bisogno di te dentro.» Le disse lei alzando entrambe le sopracciglia ed indicandogli con il mento l’interno della casa. Suo fratello spostò lentamente i  propri occhi da Stiles a lei. «Alex si arrangia.»
«No. Ha bisogno di te .Fa il fratello maggiore almeno quando ci sei. »
«Lei ha ragione…ma sa farlo?»
«Ehi idiota ma ti senti spiritoso oggi?Se non la smetti pulirò la mia macchina con la tua lingua.» Paige alzò gli occhi al cielo spazientita .Quei due erano cosi da sempre.
«Andiamo quale auto?»
«Quella sotto cui stai per finire…»
«Mi piace stare sotto solo in alcune occasioni..»
Paige lo fissò di scatto mentre Max rideva prendendolo in giro. Le gote di lei divennero porpora.
«Tu non sai nemmeno come è fatta una…»
«MAX!fila dentro o ti ritroverai a pulire tutta casa. Dentro Ora!»
La giovane artista fece scattare l’indice allungano il braccio verso l’interno. Rossa in viso d’imbarazzo e vergogna. Lei e il sesso erano qualcosa che viaggiavano su poli differenti.
Non aveva mai avuto tempo per pensare ai ragazzi che poi si avvicinavano a lei solo perché sembrava una bambola non perché l’amassero per quello che era d’avvero. Max la fissa contrariato mantenendo lo sguardo su di lei.
«Io non vado da nessuna parte questa è casa Mia. Chiaro?» E il tono di lui, Max, si fa minaccioso mentre si ripiega su di lei che mantiene il mento sollevato senza abbassare lo sguardo. «Non te lo sto imponendo .Te lo sto chiedendo idiota!»
«Senti… sentite..Il problema sono io?Ok me ne vado..Non sono bravo a interagire con un quoziente minimo ed infantile … Ciao Pidge. »
Lei si girò di scatto verso il ragazzo dalla felpa rossa che gli stava dando le spalle iniziando a scendere quei pochi gradini diroccati che lo separavano dal vialetto e poi dalla sua auto. Negli occhi passò un lampo di tristezza e di dispiacere. Aveva atteso, anche se scansava quella rivelazione, tutta la notte un suo messaggio.
Ed adesso che lui era li andava via perché suo fratello maggiore era un deficiente. Si mosse  spinta da una mano invisibile verso i gradini ma una mano materiale, quella di Max, la fermò.
«Dove stai andando Pidge?!Ma ti sei fumata il cervello?» Lei strattonò il braccio liberandolo dalla presa forte lo fissò. Un segno rosso si stava formando aveva la pelle cosi pallida che bastava sfiorarla per arrossarla. Fisso suo fratello con aria di sfida. «Dove mi pare. Ho l’età giusta per non doverti dire sempre dove vado o con chi. »
Sorride divertito ed irritato al suo indirizzo. «Ma ti senti quando parli?Sembri una ragazzina. »
«E tu cosa sei il genio della situazione?ma che vuoi…?!» Era al quanto irritata, Stiles non aveva mai sentito la sua morbida voce incurvarsi in quelle tonalità esasperate e irritate. Eppure si rese conto che la sua voce suonava calda e dolce lo stesso. Per quanto s’impuntasse Pidge non era una ragazza cattiva. Ma suo fratello si. Lui lo odiava a prescindere. Si incamminò verso l’auto mentre lei indietreggiava fissando il fratello che curvandosi in avanti gli disse una cosa sola prima di sbatterle la porta in faccia. «Sta dallo sfigato qui non ci tornare Stevenson.» Aveva usato il suo vero cognome. Sapeva come darle una pugnalata al cuore e lo aveva appena fatto. «Va all’inferno.» Sussurrò stringendo i pugni come una ragazzina con gli occhi che gli pungevano per le lacrime. Max non aveva mai sopportato Stiles, per lui era solo un bambino logorroico e inutile. Per lei era adorabile. O almeno cosi era da piccolo.
Diede le spalle alla casa fissando i propri vestiti, sospiro. Non poteva rientrare per cambiarsi non glielo avrebbe concesso e non aveva nemmeno il giubbotto. Fisso la schiena di Stiles che stava aprendo l’auto senza che avesse sentito la fine della  lite. Ormai troppo lontano.
Sospiro sbruffando e scese di corsa gli scalini che la separavano dal vialetto e da lui. Fiancheggiò la Jeep poggiando le mani sullo sportello, visto che teneva il finestrino aperto a causa della calura. Entrambi si scambiarono un lungo sguardo in silenzio. Lui di stupore e sorpresa e lei di  imbarazzo e  una richiesta muta.
«Vai da qualche parte?»
«Ti va una passeggiata al laghetto?»
Le due voci si scontrarono. Lei che gli chiedeva i suoi programmi e lui che la invitava a passeggiare. E fu l’eco di due risate in armonia ad arrivare agli occhi di Alex che li fissava dalla finestra.
Quel  ragazzo puzzava di Lupo. Lo aveva sentito con la prima folata d’aria all’apertura della porta. Quel ragazzo sapeva di tante persone. A scuola quell’odore si confondeva tra tanti altri e lui non era mai riuscito a capire da chi arrivasse. Ma ora lo sapeva. Fisso Stiles e sua sorella ridere e l’unico desiderio che provò fu di volere azzannare il collo del ragazzo.
Lo vedeva come una minaccia per la sua famiglia, dopo la lite, che erano poi sempre all’ordine del giorno, tra Pidge e Max. Cosa c’era di diverso ora?Che suo fratello stava gettando dalla finestra della camera di sua sorella, che dava sul retro della casa, tutte le sue cose. Sta volta era diverso … Sta volta era per sempre.
E la colpa era di quel ragazzo, almeno per lui che stava cambiando. Che era più simile a una bestia che a un essere umano.
I suoi occhi ,fissi su Stiles, mutarono colore fino a diventare di un oro liquido. Durò un istante ma quell’istante avrebbe cambiato tutta la sua vita.
«Sono secoli che non ci andiamo insieme …l’ultima volta eri piccolo!»
Disse sorridendo nel mentre era già salita in auto e ora mai percorrevano la stradina che gli ricordava di non essere più nel suo quartiere.
Lui la fissò con quel sorriso a metà che esprimeva a pelle la sua ironia ma alla fin fine non faceva che nascondere l’oscurità che aveva dentro di se.
«Io non sono mai stato piccolo.» Le rispose con un sorriso che scateno la risata di lei.
«Ma sentitelo. Signori e signori Stiles è nato uomo.» Rideva di gusto. Rideva di cuore, e lo si notava perché la sua risata dava i brividi.
«Shh!Non dirlo troppo in giro meglio che non sentano.»
Disse lui con l’aria divertita e un po’ persa mentre la fissava. La guardava e ricordava ogni cosa. Quel sorriso invariato solo che al posto degli occhi di un bambino adorante c’erano gli occhi di un ragazzo innamorato che non lo avrebbe mai confessato.
E lei era l’ambrosia ai suoi occhi, quella proibita ai mortali.
«Ok.Ok…» Gli sorrise guardandolo e il cuore di Stiles compi un salto. Dritto in gola poi giù nello stomaco.
Parcheggiò l’auto scendendo di corsa come avesse il diavolo alle calcagna inciampo rotolando nella terra, si sollevò e corse ad aprirle lo sportello.
«Oddio stai bene?»
«Ehm… si. Niente di che.» Ammicco lui ridendo a bassa voce e dandosi dello stupido imbranato. Si grattò la nuca come se niente fosse successo. Per nascondere l’imbarazzo crescente che aleggiava in torno a loro.
Ma lei lo spezzò come sempre con quel sorriso dolce di chi ti adora e non ti prende in giro neanche se stessi rotolando dentro una balla di fieno piena di gatti. Che esempio stupido ,ma è cosi. Lei gli sorrise e lui si illuminò.
Nell’aria c’era qualcosa di diverso che la fece arrossire, nei suoi occhi, quelli di Stiles c’erano cosi tante parole inespresse che con il loro rumore sordo la confondevano.
Scese dall’auto e venne chiusa. Lo seguì per quei pendii sconnessi del bosco fino al Lago.
Li dove da ragazzini ci facevano il bagno tra risate e scherzi assurdi erano anche cresciuti.
Il ricordo di Max la fece rabbuiare ma lei non disse nulla fu lui a farlo fissandola.
«Lascialo perdere è il solito idiota gli passerà.» E lei sorrise mentre lui intrecciava le dita alla sua mano. Si lasciò guidare alla riva e distesero il telo da mare sopra la sponda sedendosi.
«Lo so .Ma continuo a non capirlo. » Lui lo sapeva invece. L’aveva compreso. Max aveva capito il perché era li  cosa che a Paige,  come sempre, sfuggiva. La sua innocenza a volte lo faceva sorridere.
Intrecciò le sue dita a quelle di lui, esili sfioravano la pelle calda in contrasto con il freddo della propria visto e considerando che era ancora scossa da brividi di nervoso e adrenalina.
Si dom,andava cosa ne sarebbe stato del suo ritorno a casa. Max l''aveva d'avvero cacciata?
Abbassò gli occhi a fissare la riva del lago e dentro quello specchio verde perse di nuovo se stessa. E il mondo sfumò dentro il ricordo celato i n un battito di ciglio.
 
 
«Paige dove corri?» Stiles correva dietro di lei, verso la riva troppo piccolo per tenere il passo dell'adolescente che era il suo miraggio nel deserto. Non aveva mai capito cosa provasse per lei.Sapeva solo che starle vicino lo rendeva felice in una maniera incondizionata e lo stesso valeva per lei.
Lei che correva con i capelli color miele liberi nel vento che le frustavano la schiena. Candida e ricoperta solo da lieve lentiggini che comparivano al primo sole dell'estate anche sul suo naso. Aveva il sole negli occhi Paige, aveva distese verdi di alberi alti fusi nel cioccolato. Aveva la passione e la forza nel suo sorriso da ragazzina roseo. E correva, libera da ogni catena, seguendo la musica creata dalla natura che defluiva attraverso lei nel mondo a portare un pò di speranza.
Lei che sembrava figlia del sole stesso e di una notte burrascosa si voltava a fissarlo. Sorridendogli. «Andiamo Stiles, muoviti. » E il sorriso aumentava.Dove stava correndo? Da lui ovvio. Derek. Anche lui era al Lago con i suoi amici. Di certo lei non era invitata ma questo non la fermava mai. Quando andavano tutti e due nella stessa direzione il cuore di lei sobbalzava. Cosa che irritava il Piccolo Stilinski, perchè a quel punto l'attenzione di lei era divisa in due.
«Paige...Aspettami!!» E a quel grido di protesta e muto soccorso molte persone avrebbero sbuffato, alzato gli occhi al cielo maledicendosi per essersi portati dietro un bambino. Ma non Paige. Non lei che si limitò a frenare di botto, tornare in dietro e prenderlo in braccio caricandolo insieme al cestino, e le borse per poi riprendere a camminare veloce fino a giungere al lago.
E lui era li. Tra tanti volti il suo era li e spiccava con forza tra tutti gli altri.
Rideva, scherzava con quel pallone da basket sempre  tra le mani. Le ragazzine lo avevano già circondato. Il cuore di lei sobbalzò d'avanti all'ennesima evidenza. Non appartenevano allo stesso mondo. Lei non era popolare, ne bella, ne coraggiosa. E il cuore rallentò quando gli occhi di lui scattarono dentro i suoi. Come se avesse percepito il suo arrivo. E diede vita a un battito nuovo e più forte. Dopo l'incontro fuori l'aula di musica lei ci aveva sperato con tutta se stessa in un altro sorriso o Ciao. Ma non era giunto nulla e si era arresa all'evidenza. Era stata la distrazione di un attimo per il giovane Derek Hale, che ora la guardava con quello sguardo che gli toglieva il respiro, occhi che vedevano solo lei. Ma che lei sapeva essere ingannatore eppure sorrise  e lui fece  lo stesso di rimando.
Stiles che fissava la scena si indispettì e iniziò a strattonarla per la maglia,per i capelli comportandosi da bambino capriccioso e offeso quando non lo era mai stato. Lei distolse lo sguardo e Derek si accorse del bambino storcendo la bocca e sparendo tra i suoi compagni, il suo cuore si fermò. Ferito.
No, non poteva credergli nemmeno un attimo. E cosi si mosse incurante dei suoni che la circondavano, con il cuore incrinato di chi viene colpito anche da un semplice respiro fatto male. Sospirando  preparò  asciugamani e campeggio deponendo Stiles tra i suoi giochi si tolse l'abito color del cielo e si sede accanto a lui con il solito libro a fargli compagnia.
Gli occhi vagarono per un pò sulla stessa pagina fino a che Stiles non reclamò di voler fare un bagno e lei acconsentì.
«Sta attento Stiles. O cielo...Vieni qui...Qui!» E rideva ora cercando di inseguire quel bambino che sembrava un anguilla. Li sotto la roccia a forma di gabbiano nuotavano tranquilli lontano dalle grida frenetiche dei giocatori di Baskett. Lei indossava solo un costume nero, semplice, come il suo carattere. E stile indossava quello da supereroe come tutti i bambini. Si lanciava e risaliva ripetendo l'operazione dalla roccia.
«Sei troppo apprensiva Pidge.»
Lei lo guardava il suo nome lo modificava sempre. E ora la chiamava Pidge. Diminutivo di uccellino. anche se tra i due lui era il più piccolo.Allargò le braccia al suo ennesimo tuffo e lo recuperò dopo qualche bracciata.
«Non è vero non sono apprensiva, è che ti voglio bene e mi preoccupo. »
Sorrise al sorriso di Stiles che l'abbracciò prima di tornare a tuffarsi.
Tranquilla dentro l'acqua si lasciò andare. Galleggiava libera dal peso e dalla materia nella quiete.Qualcosa l'afferrò per una caviglia e lei scivolò giù nella profondità delle acque. Apri gli occhi dimenandosi e li sotto. Dove il mondo non poteva vederli, lei incontro due occhi verdi che misero fine ad ogni lotta.
Derek Hale la stava trascinando sotto la superficie dell'acqua. Si agitò verso l'alto ma lui l'attirò contro di se e la baciò.
Fu il suo primo bacio ed era al gusto di acqua dolce e cioccolato. Come se lui avesse mangiato i suoi biscotti preferiti prima di tuffarsi.
Le mani scivolarono sulle sue spalle aggrappandosi e lui la tenne contro di se. Saldo. Deciso. Sentìì il suo cuore contro il proprio e poi di nuovo freddo, lui la lasciò andare e l'acqua la spinse in alto mentre lei osservava il suo sorriso e sorrideva a sua volta.
 
 
 
«A cosa pensi?A Derek?» La voce incrinata di Stiles la riportò alla realtà.
Si chiese come facesse sempre a sapere cosa stesse pensando. Lei lo guardò confusa e lui rispose con una scrollata di spalle.
«Hai sempre quello sguardo quando pensi a lui. Come se il cielo avesse perso tutte le sue stelle nei tuoi occhi. » Ammise abbozzando un sorriso con  la tristezza negli occhi.
«Mi dispiace...» Sussurrò con un filo di voce.
Lui la guardò, scrollò di nuovo le spalle abbozzando un altro sorriso, forse pi convinto del primo.
«Il primo  bacio non si dimentica no? Ed è stato proprio li. Vi ho visti .... Quando mi sono tuffato tu non c'eri a riprendermi e vi ho visti... »
la sua voce era stanca, lontana come se soffrisse di quel ricordo e lei con lui.
Si appoggiò contro il suo braccio sorridendo appena.
«A volte la malinconia è d'obbligo in alcuni posti. Perchè essi contengono la nostra storia.Primi attimi, primi baci, prime vere emozioni...»
Lui la fissò intensamente e afferrò la sua mano.La trascinò in piedi e la condusse con se tra le foglie e i rami spioventi. Accellerò il passo fino a portarla in una raduna dove sfociava una piccola cascata.
La guardò sorridendo e la baciò.
Le sue mani scivolarono in quelle di lei, dita intrecciate. E la baciò.
C'è sempre un primo posto per ogni cosa. C'è sempre una prima emozione che ci appartiene e quella era la loro. Fu solo un bacio che la stordì con la forza di un uragano. Lo guardò sbattendo le lunghe ciglia color miele scuro.
Lui sorrisi mentre il rossere imporporava le loro gote.
«Questo è il nostro posto Pidge.» E il cuore sussultò. Perchè se aveva scelto quel nome per la sua nuova identità era per lui. Per il bambino che piangeva sulla sua tomba  gridandole di tornare in dietro. Per il ragazzo che era diventato. Il cuore martellava in gola. Sulle labbra c'era sapore di Sole e caramello.
Sbatte gli occhi... «Stiles..?!»
Lui la fermò con una mezza risata nervosa. «No Pidge.Puoi andartene.Fuggire. Puoi dirmi che sono solo un bambino ma non lo sono.Non più....Puoi fare e dire quello che vuoi ma prima ascoltami!» Supplicò la sua attenzione e lei annui fissandolo senza riuscire a respirare bene.
«Quando sei morta ho perso un pezzo di me. Prima la mamma e poi anche tu. Entrambe mi avete abbandonato e ho pregato ogni sera di rivedervi anche solo in un sogno. Ma non siete mai comparse. E quando ti ho rivista al campo, ho pensato oddio no è viva. Chi hanno seppellito?Perchè?Non mi importa lei è qui!Una seconda occasione è Pidge. E non posso farti andare via senza che tu sappia che non posso perderti di nuovo. Ne morirei sta volta.  » E scosse la testa con violenza. Lei lo abbracciò di getto. «Io non sono morta e sono qui! Smettila di avere paura. Non puoi temere l'alba per sempre. »
Lui sorrise, rise, e scosse la testa sospirando tornò mano nella mano con lei nella macchina. Occhi persi nei suoi e con un unico pensiero doveva dirgli che l'amava.Prima o poi.
E quella sera, magari dopo cena ci sarebbe riuscito. Tolse il freno a mano e si diresse a casa.Lontano da quella breve passeggiata verso un posto fatto di ricordi solo loro.
 
 

 
 

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Capitolo 4
*** UNCONDIZIONALITY ***


UNCONDIZIONALITY



 

L'aria si era rinfrescata in attesa delle ombre giunse prima la notte. Cosa rara. Ma la primavera non era distante era cosi vicina. Che poteva sentirla sulla pelle come una carezza leggera. Era tornata a casa e aveva promesso a Stiles di fare presto. Cosi si era intrufolata nella propria stanza passando dalla finestra e aveva recuperato qualche vestito l'mp3 e un libro o due ed era fuggita di nuovo come una rinnegata nella notte.Ed eccola di nuovo correre nel bosco, per quel tratto di strada che collega le due case. Che accorcia le distanze che di solito percorreva con Derek per fuggire fino al fienile lo stesso che arresta i suoi passi.
Lo fissa con aria sofferente. Chiude gli occhi e porta una mano alla gola, dita che ne sfiorano la pelle con delicatezza, leggere. Li dove un ciondolo a forma di lupo dondola nel vuoto verso l'incanalatura del seno. Un regalo. Il Suo regalo. Per quel compleanno che non è mai arrivato. Chiude con forza gli occhi e l amano si stringe a pungo sul cuore illividendo.
Fissa il fienile e la mente torna indietro a quei baci rubati.
«Dove sei??Avevi detto per sempre e ti sei arreso a una morte non veritiera? E' questo l'amore Derek Hale?!Che valore davi a un Noi?» E' il sussurro che si perde fino al capanno nella sera. Un ululato la desta dai suoi ricordi, da ragionamenti che tagliano più di una lama.
Fissa il bosco alle sue spalle. Una ragazza la sta fissando. Impugna un arco e punta la freccia contro di lei. Una freccia che scocca e un urlo squarcia la notte. Qualcosa dietro di lei inumano cado al suolo.
Si volta Pidge e fissa il lupo che torna man mano umano imprecando. Un Alpha che la guarda come se la vedesse per la prima volta e si sdoppia diventando due persone invece che una. Eppure si rende anche conto che lei è in mezzo a una battaglia e sente il sapore della morte sulle proprie labbra.
«Spostati!» E lei lo fece. Si buttò nel cespuglio raggomitolandosi rotolò su se stessa.
Il suo corpo acquistò velocità fino a ferirsi. Si rialzò la camicetta strappata e il fiatone in gola lontana dalla lotta e più vicina di quanto credesse alla casa di Stiles.Ma dall'interno non proveniva nessuna luce.
 

[BATTAGLIA - DEREK ]

 

La battaglia tra gli Alpha e il branco di Scott era ormai iniziata l'ennesimo scontro , il primo di molti, per la solita ingordigia di Deucalion. Per la sua sete di potere li avrebbe distrutti tutti. Dal primo all'ultimo. E dunque erano di nuovo , li. Su un campo di battaglia tra sudore, fango e sangue.
Aveva il respiro affannato e la rabbia nel cuore. Un ringhio sommesso e i muscoli tutti tesi per l'ultimo scatto lasciarono andare il corpo come fosse una molla e si scontrò contro il gemello denominato Aiden.
Il corpo impattò contro il suo scaraventandolo oltre gli alberi. Alzò gli occhi e fu distratto dal fienile alle sue spalle.
Ma per lui i ricordi ora mai erano solo carezze nella mente, nessun dolore?
Non in battaglia e riprese la lotta con la scia di Lei nella mente. Ora c'era un altra donna nella sua vita e l'avrebbe protetta a qualunque costo.
Jennifer, lei gli era entrata dentro con la rapidità di un veleno e lo aveva seduto, attratto e ammaliato. L'amava? Si.
Non pensava di poter mai amare di nuovo qualcuno. Anche se sapeva con certezza, dentro di se, che non avrebbe mai e poi mai amato qualcuno come aveva amato lei. Paige. Il primo amore non si scorda ti resta dentro nel cuore.Una cicatrice nell'anima. Nel blu accesso degli occhi di un lupo che aveva perso se stesso dentro un ultimo sospiro. Un ultimo Ti amo.
E si rialza con rabbia funesta scaraventando Aiden contro il fratello spinto e  infervorato da quei ricordi, li in quel luogo che gli era sacro ed era maledetto.
Il loro rifugio segreto quando la notte scendeva e non potevano rischiare di andare al Lago. Quando il resto del mondo li braccava e cercava loro erano insieme in quegli spazzi di oasi e di paradiso. Li dove ogni volta l'attendeva con ansia.
«Derek! Derek dove sei?!»
Scott lo stava chiamando e lui si volse nella sua direzione respirando a fondo, profondamente con il battito accelerato. Se fosse stato umano avrebbe rischiato un collasso cardiaco ma non lo era e le ferite subite stavano già guarendo.
Buon per lui.Scott si avvicino e ansante anche lui gli sorrise appena. «Gli abbiamo respinti ma per quanto? Tutto a posto?» Derek annuì nel suo più cupo dei silenzi, reclinò la testa all'indietro e inspirò a fondo l'aria gelida della notte per captare odori e suoni. Per capire se qualcuno fosse ancora li in ascolto.
«Si! Se ne sono andati!» Questo era vero.lo sapeva con certezza grazie ai suoi sensi ma qualcosa si era fuso con quegli odori.Tra tanto sangue una scia dolce e aromatizzata. Sapeva di gelsomino notturno, sapeva di altro qualcosa che non si può descrivere e che risveglia tutti i sensi, cervello, corpo. Inspirò ancora quel profumo di sangue che aveva impiegato giorni, mesi a togliersi di dosso.
L'odore ed il profumo naturale di Paige. Cosa ci faceva li?Erano lontani dal rifugio lui stesso non si avvicinava a quel posto. Per timore. Per non sentire ancora quel dolore profondo che gli dilaniava il petto. E ora lei aleggiava in torno a lui.
«Derek?» Scott lo chiamava e lui fissava il buio della notte. Con il timore nel cuore di esser appena diventato folle. O forse era solo la presenza imponente e pesante alle sue spalle, il fienile, farlo sentire cosi?! Non lo sapeva sentiva solo un peso alla bocca dello stomaco e il ricordo di lei di quel bacio nel fienile era un pugno che uccideva ogni altro pensiero.
«Si, sto bene. Devo solo andare. Voi tornate a casa qui non è sicuro.» Deglutì sentendo  il sapore del sangue in bocca, amaro e pungente. Inspirò con forza guardando negli occhi Scott con quello sguardo freddo che cela il calore perduto. Perchè teme che da un momento all'altro di perdere di nuovo tutto ciò che gli è caro.
E non potrebbe reggere altre perdite. Non per colpa sua. Ne per mano sua. E ora c'è lei, Jennifer. Perchè allora Paige inciampa nei suoi pensieri?!
Si muove come farebbe un predatore con la sensibilità di una macchina. Immobile nella foschia della notte segue la scia di sangue fino a trovare un piccolo pezzo di stoffa intrecciato dentro un cespuglio di rose selvatiche spinate.
Allungò la mano tremante nell'oscurità frammentando la luce della luna che colpisce il tessuto rivelando che li dentro c'è altro .Non solo sangue e cotone.
le dita si chiudono in torno al pezzo d'indumento e lo attirano con lentezza verso di se. Chiudendo gli occhi pensava che una volta riaperti sarebbe tutto finito.
Si sarebbe ritrovato in mezzo alla battaglia semi incosciente e avrebbe affrontato Aiden di nuovo.
Ma non era un sogno e i suoi sensi di mannaro glielo rivelavano e cosi aprendo di nuovo gli occhi con il palmo della mano rivolto aperto verso l'alto.
Li in mezzo a una piccola chiazza di sangue sulla pelle giaceva un lupo d'argento che ululava alla sua Luna. La sua Luna...
Il cuore gli si mozzò in petto e lui cadde in ginocchio… non era possibile.
Cosa avevano scatenato quegli adolescenti idioti? Era solo uno stupido scherzo? Lei non poteva essere stata li e ...oddio il solo pensiero di lei viva in mezzo alla battaglia e ferita chissà dove gli mozzava il respiro.
Come poteva un fantasma avere ancora cosi tanto potere? No era qualcosa di diverso? Affetto? Egoismo? Non lo sapeva ma quel lupo era lo stesso che gli aveva regalato lui il giorno prima che morisse.
Lo girò con la mano tremante prendendo un profondo respiro. Dietro c’era inciso a lettere classiche una promessa "Per sempre tuo Mia Luna" D & P.
Il cuore tremò e il mondo vortico dentro il ringhio che irruppe dal suo petto squarciando l'aria .Rivolto alla stessa Luna che gli era stata strappata e che ora lo tormentava.
La vita era ingiusta. Avrebbe trovato il bastardo che aveva disseppellito la sua Paige, preso il loro amore e usato per ferirlo. Chiunque si era fatto beffa di loro... di lei... avrebbe pagato con la vita. Lo giurò su quel piccolo lupo che aveva nel palmo.
E lo fissò ricordando per la prima volta quanto lei gli mancasse.
E una lacrima cadde sul lato destro del viso mentre gli occhi si chiusero e nella sua mente c'era solo lei. Lei ferma immobile fuori dal fienile che lo fissava con quel sorriso di una ragazza che non sarebbe mai divenuta donna. Non sarebbe mai sbocciato il suo piccolo fiore. Il cuore tremò spezzandogli il respiro.
Tremava  invocando il suo nome come un sussurro.
«I miei occhi...sono diversi....»
Sua madre nella sua mente era ancora li. Il suo tocco caldo sulla pelle, sotto il mento e la dolcezza di uno sguardo in cui sarebbe sempre caduto. Al sicuro, lei che gli trasmetteva valori e forza. Lei che gli aveva insegnato il coraggio di essere ciò che è. Il valore delle persone che ti circondano e lui lo aveva tradito quando per diventare Alpha si era abbassato alla pari di suo Zio.
E lei era li chiara, cristallina, trasparente come la luna con quel tocco cosi caldo e reale da fare male.
«Apri gli occhi Derek...» E lui lo fece come quando da bambino cercava nei suoi il coraggio di vivere senza di lei. Senza la sua Luna. Che era morta tra le sue braccia a causa sua e si era librata di nuovo in cielo .Al sicuro. Anche da lui.
«Sono bellissimi...» E la sua immagine sfumo al primo soffio di vento disperdendosi nel nulla dentro quella lacrima.
La lacrima di un figlio che muore due volte. In una sola notte.
Volge il viso alla collina e Paige, il suo fantasma è ancora li che lo fissa e con quel passo di danza leggero svanisce tornando ad essere semplicemente la Luna.
Fissando quel vuoto si accorse di averlo dentro. Lei gli sarebbe rimasta sempre dentro. E la sua preghiera muta divenne il grido di un ragazzo che giurava vendetta. Di nuovo.


 

[CASA STILINSKI - PAIGE ]

Un ringhio scosse la notte e i vetri della camera da letto di Stiles tremarono. Lei rabbrividì dentro mentre nel suo bagno cercava  delle bende e un disinfettante. Era rimasta in canotta bianca e jeans. Aveva tolto anche le converse per non sporcare i suoi tappetti con il fango fresco che le era rimasto incollato sotto le suole nel bosco.
La maglia non poteva ripararla e l'aveva gettata nei cassonetti esterni cosi che lui non si preoccupasse. Si chiedeva dove fosse. Nessun messaggio per avvisarla e ne un biglietto. Si era scordato la loro cena insieme? Probabile. In fondo lei era solo una sua vecchia cotta. Come dargli torto se avesse avuto altro da fare.
Alla fine era solo una ragazza che era morta e tornata indietro in un breve lasso di tempo nella sua vita. Anche se quel lasso di tempo erano anni.
Sospira dopo aver trovato l'occorrente aveva medicato la ferita e aveva riposto tutto al loro posto.
Se ne stava seduta sopra quel letto troppo freddo e disordinato fissava le ombre come se potessero da un momento all'altro prendere vita.
Stiles non arrivava e le due scoccarono. Un suono secco nel silenzio della notte che preannunciò lo scricchiolio della sua porta.
IL cuore le sobbalzò in gola quando lui entrò livido con il labbro spaccato e lo sguardo assente che si focalizzò dentro il proprio riprendendo vita nello stupore di un attimo.
«Oddio Stiles cosa hai fatto?» E si alzò allungandosi verso di lui e  sfiorando il suo viso con le dita fredde. Lui rabbrividì.Cosa doveva dirle?Quale ennesima bugia doveva raccontare a qualcuno che amava?
Non era già a bastanza snervante farlo con suo padre?Ma lei sapeva. Era morta a causa di un morso di licantropo che aveva sortito l'effetto contrario a quello previsto. "Il morso è un dono. O si vive o si muore" Il sapore di sangue in bocca gli dava la nausea.
Rimase immobile come un bambino colto con il dito nella marmellata. Occhi spenti e cuore in gola.
«Uno scontro. La mia mazza ha avuto la meglio però..» Ammiccò verso di lei con ironia mentre il suo passo lo guida in bagno .Lei lo segue, prende il kit e si adopera a curarlo, disinfettando le sue ferite come quando da bambino cadeva in giardino. Era sempre la prima a correre per lui. E la guardava con gli occhi di chi capisce il valore di una persona solo vivendola.
E dentro quelle iridi , gemelle delle sue, color del cioccolato intriso di foglie verdi lui la fissava e  comprendeva che non avrebbe mai permesso a quel nuovo mondo di ucciderla di nuovo. E sorrise.
«Guarda come ti sei conciato. Dannazione tu e la tua mazza... Perchè sorridi?»
«Perchè non ti ho lasciato nemmeno un messaggio e tu mi hai aspettato lo stesso...Ehi?Quella è la mia maglia preferita?» Domandò notando quella maglia blu su di lei che le rimaneva larga seppur fosse dotata di curve. E sorrise di più, con quella punta di possessività che nasce prima di tutto il resto.
«Ehm... Si. Poi la lavo ,promesso. Ma la mia si era macchiata di fango irrimediabilmente. » Si strinse nelle spalle con quell'aria innocente. Se avesse potuto sentire il suo cuore avrebbe capito che stava mentendo.
«Fa niente, hai un buon profumo...insomma. Che usi? No ..cioè.. Ok.» Sospirò in imbarazzo come sempre.Lei rise, un suono cristallino che gli fece alzare la testa e ricambiare quello sguardo divertito che aveva in se cosi tante stelle che Stile pensò che l'universo ora doveva essere un luogo terribilmente buio e triste.
« Non uso profumi. Mai usati! » Sorrise. Era il suo odore naturale. E gli piaceva. Perchè lei non era finta nemmeno un pò. Lei era sempre come la si vedeva.
«ovvio che lo sapessi, ti mettevo alla prova...Perchè mi hai aspettato?»
«Ero preoccupata....Ho sentito che ci sono dei lupi nel bosco.»
«Si, molti. Dovresti starne alla larga...Paige?»
«Si?»
«Rimani con me sta notte?Non dormirei tranquillo sapendoti li fuori diretta a casa da sola.»
Sorrise seduta sul suo letto.Lo guardava armeggiare con le bende già messe come un bambino che tortura una crosticina.
«Va bene, ma che ne dici di dormire?» Gli indicò il cuscino prima che l'idea balenasse nella sua mente. «E tuo padre?» Domandò con ansia.
«Torna domani in mattinata, tranquilla.» Si infilò sotto le coperte scivolarono l'uno accanto all'altro solo che non erano più bambini e i cuori tremavano come le parole.
«Tutto bene?» Lui la guardò curioso mentre lei sedendosi sul letto fissava il display del suo telefono. «Si,spero solo che i ragazzi stiano bene.»
Stiles annuì sapendo bene che  la famiglia adottiva di Pidge non era mai stata  cosi autonoma in sua assenza. «Paige…Per una notte faranno a meno di te…Io ho bisogno di te.Ora.»
E gli ci volle tutto il coraggio di cui disponeva per ammetterlo e dirglielo. E lei lo guardò a bocca aperta, confusa dalla sua rivelazione. Storse appena le labbra finendo con il mordere quello inferiore.
«Hai bisogno di me?Sei grande ormai. Non sono più una Bay-Sitter Stiles.» Si sedé vicino a lei con  quel mezzo sorriso a metà tra l’essere ancora un ragazzo ed essere diretto all’età dell’uomo.
Con la mano destra accarezzò il profilo delicato di Pidge e la guardò negli occhi .Il cuore in gole che scalpitava.Per dire ciò che aveva detto aveva anche prosciugato la sua dose di coraggio. Ma non poteva  tirarsi indietro. Ora occhi negli occhi si accorse che le iridi di lei avevano sfumature verdognole dentro quell’ambra cosi profonda in cui annego. Un istante. Un bacio .Il mondo che crolla e lui che cade in lei, sopra di lei su quel letto dalle coperte disfatte.
E lui la guardava con timore, gli occhi colmi di un amore celato male. Occhi negli occhi le chiedeva una conferma .Il petto di Pidge si alzava e abbassava a un ritmo rapido, frenetico, come il suo respiro. Sentiva il corpo di lui contro il proprio e soffocava dentro un mare di emozioni troppo forti. Contrastanti. Lo amava? Lo voleva? Voleva che fosse il primo?
E fu cosi che la sua mente corse a Lui, ovunque fosse. Derek.  E dentro il cuore uno spillo si puntò in profondità. Dilaniando il muscolo  dentro gli occhi verdi del Lupo perduto. E la mente corse ancora indietro nel tempo. Quando lui le rubava un bacio tra corridoi mezzi vuoti tra una lezione e un'altra. Il suo tocco caldo sulla pelle ,tra i capelli, corpo contro corpo e tante promesse. Bisbigli come un eco che si diffondevano nella sua anima. Derek, lui che ancora riusciva a spegnergli l’anima.

E dentro quegli occhi di cerbiatta si entrava in un mondo in cui lui era li.All’angolo tra gli armadietti.Viso rivolto al soffitto e occhi socchiusi.Quel profilo scolpito che le creava sempre nell’osservarlo, delle farfalle nello stomaco. Mani in tasca e  un sorriso per cui sarebbe morta. Per cui è morta. E lui volgeva sempre il viso verso di lei,perché la sentiva prima ancora di vederla, ne sentiva il battito cardiaco e la riconosceva tra tante anime.
«Paige…» Lui allungò la sua mano verso di lei richiedendo quel contatto che solo poteva calmarlo dalle giornate no. E che fermava il cuore di lei. Lei che con lentezza si avvicinava intrecciando le dita, ricercando il suo bacio e il suo abbraccio. In quell’abbraccio si sentiva forte, al sicuro, viva. Amata. «Mi sei mancata.» Rideva Lei rise scuotendo la testa. «Non è passato poi cosi tanto tempo. Lo sai?» Scosse al testa Derek fissando la sua Luna e le accarezzò con delicatezza il viso, scansando le ciocche castane dalla pallida pelle. «Ho un regalo per te. E’ il tuo compleanno oggi vero?»
Paige alzò gli occhi al cielo pizzicandogli il braccio. «No è domani.» Sentenziò.
Lui sorrise scuotendo le spalle perché non gli importava. Amava quel broncio, amava tutto di lei.
«Non ha importanza. Che sia oggi o domani. Non resisto e devo dartelo.»
«Cosa?» Ed era figlia della curiosità stessa, lo guardava con quel bagliore negli occhi che lo incantava. Come poteva un corpo cosi gracile contenere tanta vita?! Non lo capiva, ne era affascinato. Tirò fuori una scatoletta nera di velluto e gliela porse, lei l’aprì esitante.
Un piccolo Lupo d’argento brillava contro il tessuto nero e la guardava. Forte, fiero con quei due svaroscky verdi. Il cuore le si fermò quando lesse cosa c’era al suo interno .Una lacrima scese e lei lo guardò, salto al suo collo baciandolo. E in quel bacio lei ci buttò dentro la sua anima ,il suo cuore ,l’amore che provava per lui cosi forte da farla morire di paura ogni giorno senza di lui.
«La tua Luna?» Chiese lei con quel tono infantile di chi ci crede d’avvero.
«Per sempre.» E le sue labbra toccarono quelle di lei con la stessa passione lui la baciò e giurò a se stesso che nessuno gliel’avrebbe mai portata via.Mai. Non sapeva il giovane Lupo che era ben lontano dalla realizzazione di quella promessa. Perché se lui pensava di proteggerla da ogni cosa lei pensava che lui sarebbe stato l’unico, per sempre.Il primo amore, la prima volta,il primo bacio. Si immaginò con l’innocenza tipica delle ragazzine della sua età ad attenderlo con i capelli che tendevano al grigio sull’uscio di casa, in quella veranda li dove i loro figli avrebbero corso, giocato e imparato a muovere i primi passi nella vita.Un sogno…macchiato di sangue.

E guardò Stiles negli occhi con quel timore nel cuore.
Un cuore diviso in due. Che amava e odiava se stesso. Le mani di lui scivolano sulla sua pelle e lei si arrese, a quegli occhi color cioccolato.Sinceri. Si arrese a quel sentimento che gli accendeva il cuore, mise a tacere le grida di una mente danneggiata dall’oscurità e la morte stessa.
E con timore annuì baciandolo. Le mani scivolarono sul suo corpo, i vestiti caddero lasciando la pelle candida in contrasto con quella di lui nuda.
E la guardò ancora, tra un bacio e un altro al sapore di Vaniglia e altro. Alla ricerca, forse,di un rimosso o un no da parte della giovane che non arrivò. Avrebbe riso per il nervoso. Pianto per il timore. Urlato per la guerra che era nata dentro di lei.Il rimorso. No,non avrebbe rinunciato a Lui.Il suo cuore che con gli anni aveva imparato a riconoscere quello di lui ora si fidava. Ora lo amava.Un amore diverso da quello che l’aveva distrutta da ragazza. Un amore che sapeva di promesse. Di  guerra e pace. E lo baciò mentre lui entrò in lei.
Dicono che la prima cosa si provi in quel caso sia il dolore ed è vero, ma nessuno ti dice che fare l’amore…farlo per amore…era come fondersi. Come una scarica sulla pelle la stessa che  lasciava lui ogni volta che la sfiorava. Un bacio può condannarti….Uno può ridarti la vita.
Eppure lei sentiva il cuore esplodere di gioia e allo stesso tempo morire.
Non era destinata ad amare o ad essere amata era destinata a cadere su un campo di battaglia per amore. E aveva paura, una paura profonda che lui  a causa sua finisse nei guai.Beacon hills non è n luogo dove si può vivere tranquilli perché è il parco giochi della morte. E mentre lui era sopra di lei il suo unico pensiero fu solamente quello di proteggerlo.Ad ogni costo.








 

 

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