Un libro di troppo

di Mary CM 93
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Doppiamente fottuta ***
Capitolo 2: *** Che sbatta assurda ***
Capitolo 3: *** Nulla di drammatico ***
Capitolo 4: *** Da crisalide a farfalla ***
Capitolo 5: *** Un semplice schema ad albero ***
Capitolo 6: *** Biancheria intima alle solanaceae ***
Capitolo 7: *** la lettera G ***
Capitolo 8: *** Che stronzio! ***
Capitolo 9: *** Il bagno sempre in fondo a destra ***
Capitolo 10: *** Questione di chimica ***
Capitolo 11: *** Un dolce alla banana ***
Capitolo 12: *** Ouroboros ***



Capitolo 1
*** Doppiamente fottuta ***


Eccomi qui, tra mille formule, qualche pagina svolazzante, la mia preziosa tavola periodica, i capelli arruffati e lo smalto sbeccato, che tento di non sembrare una secchiona mentre bevo litri di caffè, in preda ad una crisi di nervi. No, ecco, le impressioni non sono errate: sono proprio la classica sfigata con gli occhialoni e le occhiaie fino alle ginocchia e non mi trasformerò improvvisamente in una femme fatale che indossa abiti scollati e fa strage di uomini, rimarrò per tutta la storia una tipa buffa ed impacciata. La storia, sì beh, la storia di come sono stata fottuta, e non dico semplicemente “fregata”, no, intendo esattamente “fottuta”, ed aggiungerei doppiamente fottuta, ma arriveremo a tutto questo solo più avanti. Per ora devo cercare di capire quale sia il numero di molecole contenute in 3.25 moli di SO3 e forse iniziare con lo spiegare, per lo meno, chi sono e cosa faccio nella vita: sono al primo anno di università e, come avrete potuto intuire, studio Chimica, precisamente nella facoltà di Parma, inoltre, per concludere, sono, anzi ero, fino a qualche tempo fa, totalmente, irrimediabilmente, estremamente, irrevocabilmente e tremendamente vergine. Vergine proprio nel senso di una alla quale non hanno mai “inzuppato il biscotto”, e non certo per volontà personale, ma piuttosto perché non sono la classica “gnocca” che si aggira per le discoteche in cerca di maschioni sudati pronti a sfoderare le loro armi migliori. Quella, però, è la mia migliore amica, Sara, la tipica biondona, alta un metro ed infinito, fisico stile modella, piacente ed irresistibile, ossessionata dalla moda e dai trucchi, mia compagna sin dalla prima media e mia coinquilina. Ad ogni modo, ero destinata a diventare una “racchia sfigata” sin dalla nascita, quando i miei genitori decisero di chiamarmi Renata: con un nome del genere non potevo certo crescere “novanta- sessanta- novanta”, il mio destino era già segnato. Avrebbero potuto scegliere qualcosa tipo “Francesca”, “Federica” o “Giulia”, uno di quei nomi, insomma, che sono così frequenti da riuscire a farti diventare una ragazza come le altre. Meglio ancora avessero optato per “Vanessa” o “Ginevra”, perché con un nome tale hai un futuro assicurato: sarai una “figa”, ricca ed elegante. E’ una sorta di karma, se così vogliamo chiamarlo, è fondamentale il modo in cui gli altri ti chiamano, perché assoceranno il volto al suono e pronunciare “Renata”, non può che farti pensare a qualcuna di poco attraente, anche questa fosse la ragazza più intrigante del pianeta. Per altro, non mi hanno neppure lasciato una piccola via di fuga quei sadici dei miei genitori, non hanno pensato di mettermi un secondo nome, anche uno casuale, di una nonna, una zia, insomma anche solo un “Margherita”, prima del cognome. Ho dovuto provvedere da sola: da tempo immemore mi faccio chiamare Gabriella, che è stato frutto di un compromesso stipulato alla sola età di otto anni con mio padre. Il soggetto in questione è sempre stato un appassionato lettore, caratteristica che mi ha trasmesso, ma più di tutti, mio padre, ama Gabriele D’Annunzio, il quale scrittore, come qualcuno forse saprà, aveva una figlia, la quale figlia s’era gravemente ammalata, ed una volta guarita, il padre l’aveva ribattezzata “Re-nata”, per l’appunto, volendo sottolineare il fatto che la bambina avesse superato la convalescenza. Così, quando mi ribellai al mio nome assurdo, l’unico accordo accettabile con il mio genitore, fu quello di farmi appellare “Gabriella”, ossia il corrispettivo femminile del suo amato Gabriele. Questa vicenda temo sia noiosa quasi quanto tutta la mia adolescenza, nella quale mi sono sempre comportata come la brava ragazza che colleziona buoni voti a scuola, s’impegna nelle faccende domestiche e va in chiesa ogni domenica mattina. Purtroppo, sono sufficientemente intelligente ed autocritica per poter affermare che questi ultimi anni siano stati una “gran rottura di palle” e che ho effettivamente iniziato a vivere una volta iniziata l’università. Sara ha dato una bella scossa alle mie giornate, dall’arredamento fluo con il quale ha stravolto casa nostra, alle tinte che mi ha obbligato a fare dal suo parrucchiere di fiducia, ai mojito che mi rifila ogni sabato sera. Alla fine dei conti, forse, però, è comunque solo lei a spassarsela: la domenica mattina mi sveglio e trovo sempre un post-it appeso al frigo con scritto “C’è Alex” o “C’è Fabrizio”, o ancora “Oggi Enrico”, o peggio “Tizio di cui non ricordo il nome, ma con pene grosso”. Significa, in poche parole, che devo cucinare la colazione per tre e, magari, che dovrò attaccare un mio foglio con la frase “Regalami un vibratore, ti prego, non lo si deve neppure sfamare!”. Ad ogni modo, mi accontento di essere, per lo meno, intelligente, interessante, acculturata e ben informata sulle vicende di attualità. Sì, perché, so che può sembrare un po’ un clichés la tipa bruttina, ma capace; beh difendo la mia “categoria” e dico che non lo è affatto: ho conosciuto parecchie ragazze brutte oltre che stupide, alcune perfino brutte, stupide ed antipatiche. Non è facile fare l’amplein, ma qualcuna ci riesce, in fondo esistono anche persone belle, intelligenti e simpatiche, tuttavia io mi accontento di avere le ultime due caratteristiche. Non che proprio io sia un “ciospo” ambulante, forse mi sentissi un po’ meno “Bridgett Jones” e un po’ più “Megan Fox”, il mio aspetto potrebbe migliorare notevolmente. Eppure non è questo che m’interessa, anche perché, negli anni, qualche storiella, qualche fidanzato insipido e saccente l’ho persino avuto. Soprattutto, però, perché negli ultimi tempi ho fatto stragi di cuori e sono stata, appunto, “doppiamente fottuta”.

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Capitolo 2
*** Che sbatta assurda ***


Partiamo, però, dal principio, perché il mio racconto inizia a farsi complicato quasi quanto il corso di Metallorganica che dovrò seguire al quinto anno. Come già detto, amo leggere, qualsiasi tipo di libro, in effetti, mi piace la letteratura in generale, tuttavia ho una spiccata preferenza per i gialli, persino i film, alcune volte passo le serate munita pop-corn e coca cola, nel buio più totale della stanza, a guardarmi una stagione intera di Criminal Minds, Ncs, Castle…insomma, amo l’azione, i thriller, la suspense. Inutile dire, però, che la mia serie preferita sia Bones, per chi non l’avesse mai seguita parla…beh, non divaghiamo, concentriamoci sui libri. Ecco, maledetti libri, se solo avessi saputo in tempo a quale tremenda sorte mi avrebbero condotta, certo mi sarei comprata tutti gli episodi di tutte le stagioni di tutti i telefilm possibili ed immaginabili. Invece: l’esordio di un nuovo scrittore, uno di gialli, perbacco, “devo correre in libreria”, mi dissi. Questo “Andrea Selsastra” sembrava aver fatto il boom, d’improvviso: all’età di quarant’anni aveva ereditato da un vecchio zio una piccola casa editrice di Milano e ne aveva subito approfittato per pubblicare uno dei suoi scritti, il quale era incredibilmente piaciuto al pubblico, tanto da vendere più copie degli scrittori italiani esordienti del momento. In libreria, in coda, con un libro dalla copertina rosso sangue, ad annusare le pagine che odoravano di “carta nuova”, indossando un giubbotto verde pisello ed una lunga gonna violacea, io, sei mesi orsono, avevo appena comprato il best seller “La moneta di Giuda” di Andrea Selsastra. E sempre io, mezz’ora dopo, sul mio letto, con il mio bel pigiamone in pail, che avevo già terminato il primo capitolo e mi affrettavo ad iniziare il secondo. “Ancora con questo pigiama antistupro? Sei veramente inguardabile e chiudi quel maledetto libro, vieni ad ubriacarti con me, e fai del sano sesso, tutto questo leggere ha fatto venire male agli occhi persino a me!” – Sara, stretta in un abitino rosa dalla spaccatura vertiginosa, aveva interrotto la mia lettura, sentenziando una delle sue cazzate, che, naturalmente, comprendeva la parola “ubriacarsi” all’interno della frase. Eppure, come aveva avuto ragione quella volta, la sventola che faceva le bolle con la gomma da masticare: avrei dovuto chiudere il mio libro e bruciarlo, invece, avevo declinato il suo invito, lasciandola al “Carlo” o “Lorenzo” di turno, per poi divorare le pagine sino a notte fonda. La mattina seguente Andrea Selsastra era ufficialmente il mio nuovo scrittore preferito: insomma, lui era geniale, il modo in cui teneva il lettore attaccato al romanzo, le figure retoriche, il lessico ponderato, i personaggi ben delineati, la trama incredibilmente complessa, il file rouge di tutta la narrazione…era, era come aver appena avuto un orgasmo. “O per favore, tu non hai idea di cosa sia un orgasmo, magari lo sapresti, se avessi passato la serata con l’amico di…mmm…” – Sara aveva appena proposto una faccia scettica riguardo al mio paragone con l’orgasmo. “Claudio, si chiama Claudio il tizio che hai portato a casa ieri notte” –avevo risposto, mostrandole il post-it ancora appeso al frigo- “E comunque tu non hai idea di cosa significhi arrivare alla fine di un libro, se è per questo, quindi non puoi sapere se il paragone sia esatto o meno!”. La biondina aveva sbuffato ed acceso il pc, pronta per connettersi a facebook, già di prima mattina: “Ehi, guarda, il tuo “libro-orgasmo”, viene presentato ed autografato direttamente dallo scrittore a Milano tra esattamente una settimana, nella libreria del centro…è scritto su di un link che hanno condiviso sulla mia bacheca!”. Mi ero appostata celermente davanti al pc ed avevo letto con attenzione l’articolo. Una settimana dopo, con una tracolla strabordante di vestiti, su di un treno lercio, beh, naturalmente c’ero io, pronta per incontrare, a Milano, il mio idolo: Andrea Selsastra. “Ma che sbatta assurda andare sin lì, tanto il libro lo hai già letto!” – aveva esordito Sara vedendomi preparare la borsa per il viaggio. Ecco, il verbo “sbattere”, cara Sara, è incredibilmente azzeccato per tutto ciò che è accaduto nei sei mesi successivi alla mia partenza.

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Capitolo 3
*** Nulla di drammatico ***


Terrei a sottolineare che tutti gli avvenimenti che verranno narrati da qui in avanti, hanno del drammatico, dell’assurdo e molte ragazze probabilmente, al mio posto, sarebbero andate in psicoanalisi, tuttavia non sono mai stata una di quelle persone che amano i drammi napoletani, le scenate, i pianti isterici, la depressione continua, lo struggimento interiore e l’animo tormentato, quindi poche palle, sono una donna risoluta.
Ebbene, Andrea Selsastra lì, davanti a me che mi prendeva il libro dalle mani e mi domandava: “A chi devo dedicarlo?”.
Pareva una risposta semplice, in apparenza, eppure nella testa per un secondo mi frullò: “E come diavolo mi chiamo?”.
Cioè, Renata, certo, ma è una vita che mi giro se sento il nome “Gabriella”. Avrei potuto dirgli “a Renata Gabrielli” o a “a Gabriella Renati”.
O mio dio, ma perché mai avrei dovuto mentire sul mio cognome?!
In fondo, era pur sempre uno scrittore, un uomo colto e sensibile, indubbiamente, perciò se gli avessi detto il mio vero nome, con tanto di spiegazione letteraria, non l’avrebbe trovato così orrendo come effettivamente è, o forse, forse non gliene sarebbe importato assolutamente nulla, vista la coda infinita dietro le mie spalle, che attendeva spazientita, mentre, nella mia mente, io attraversavo un mare di cosiddette “seghe mentali”.
“A Renata” – dissi titubante – “E’ un nome veramente orribile, ne ho la consapevolezza, ma giuro che c’è la spiegazione a questa scelta di cattivo gusto!”.
Ecco, avevo sproloquiato, come al mio solito, ma Selsastra mi aveva sorriso: “E sarei veramente interessato a sentirla, perciò, se ha voglia di attendere che io finisca di firmare tutti i libri, le offro volentieri un caffè e lei mi racconta tutti gli aneddoti che desidera!”.
Avevo annuito e mi ero fatta da parte. Era geniale, intelligente, galante e disponibile. Non avrei potuto scegliere un idolo migliore.
Dieci minuti dopo, dunque, mi ritrovavo faccia a faccia con lui, Andrea Selsastra, al quale spiegavo la storia del mio nome: “Beh, comunque mi sono sempre detta che quando sarò anziana il nome Renata mi calzerà a pennello, perché ci sono quei nomi che sanno un po’ di vecchio, tipo Ettore o Filippo”.
Il magnifico scrittore aveva abbozzato un sorriso, perciò ripresi in fretta: “O mio dio, non mi dica che ha un bambino di cinque anni che si chiama Ettore o Filippo, perché annegherei nella mia tazzina di caffè!”.
“No, stia tranquilla, comunque mi piace l’analisi sui vari nomi e ti trovo molto interessante” – aveva risposto lui ed emanava un fascino incredibile, dovevo ammetterlo.
Prima che riuscissi ad arrossire completamente per i complimenti, mi era squillato il telefono, che, per estrarre dalla tasca dei jeans, avevo distrattamente fatto cadere a terra. Lui l’aveva subito raccolto, guardando il display, mi aveva detto: “E’ una certa Sara, risponda, prego!”.
Mi aveva porto l’aggeggio ed io avevo rifiutato la chiamata: “E’ solo la mia coinquilina super fissata con la moda che mi cerca per la quinta volta da quando sono partita, per ricordarmi di passare da Armani e poi da Gucci, e dopo ancora da non so quale negozio a me sconosciuto! Mi ha incaricata di comprarle degli abiti delle nuove collezioni che ha visto su internet, ma non ho idea neppure di dove andare, ho ben poco senso dell’orientamento!”.
Inaspettatamente, poco dopo, mi ritrovavo a girare per i negozi più pregiati del centro di Milano, accompagnata dal nuovo scrittore emergente in Italia: doveva essere un sogno!
“Um, no questo capo non era tra le foto che Sara mi ha mandato, quindi non devo prenderlo!” –avevo esclamato io, mentre Andrea afferrava una t- shirt scollata color glicine della Guess.
Non avevo fatto in tempo a voltarmi che me l’aveva appoggiata addosso: “No, infatti, questa la scelgo io ed è un regalo che ti faccio per avermi fatto trascorrere un piacevole pomeriggio!”.
Focalizziamo bene la situazione: Andrea Selsastra mi sta regalando una costosissima maglia perché ha apprezzato la mia compagnia?
Cervello non fare strani scherzi: accettiamo questa maledetta maglia e rendiamoci conto di essere insieme all’uomo più affascinante e seducente di tutta Milano.
Nel viaggio di ritorno, per farla breve, mi trovavo a giocherellare col foglietto sul quale il mio idolo aveva scritto il suo numero di cellulare ed il suo indirizzo mail.
Continuavo a non trovare la logica di tutta la giornata che avevo appena vissuto ed andava benissimo così, non potevo chiedere di meglio che non capire.

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Capitolo 4
*** Da crisalide a farfalla ***


“Bella, non te l’avevo chiesta, ma hai avuto buon gusto, grazie Gabri!” – Sara stava ammirando i vestiti che le avevo comprato, sotto suo incarico, a Milano.
“Infatti, questa non è per te…è mia!” – avevo esclamato, sottraendole la maglia color glicine.
Sara pareva poco convinta: “Scusa, ma non eri tu quella che sostenevi fosse folle spendere una cinquantina di euro per una t-shirt? Ed ora te ne arrivi con un capo firmato “Guess”?”.
Colpita ed affondata: “Beh, in effetti è un regalo…”
“E di chi?” – Sara pareva davvero incredula, ma dalla sua aveva il pregio di essere perspicace – “Aspetta…te l’ha presa lui, lo scrittore! Signorina, tu mi devi raccontare tutto!”.
“Se invece di correre dai tuoi amati vestiti, mi avessi degnato di uno sguardo, ora sapresti ogni dettaglio!” – l’avevo ripresa io.
La biondina mi aveva trascinato sul divano e si era fatta raccontare per filo e per segno tutto ciò che era successo il pomeriggio precedente, di tanto in tanto batteva le mani come un’oca e mostrava un’espressione esterrefatta: “E quindi l’hai già cercato?”.
“No, ma sei matta? Non disturbo un uomo in carriera, avrà mille pensieri per la testa, non certo una ragazzina vent’enne a cui scrivere messaggini!” – avevo ribattuto io.
“Perdonami” – Sara aveva sempre la risposta pronta – “Sarai anche un grande genio che chiama il sale da cucina “cloruro sodato”, ma proprio non capisci nulla sugli uomini!”
L’avevo ripresa immediatamente: “Si dice cloruro di sodio”.
“Per esempio non sai” – Sara purtroppo non era propriamente quella che si dice “una cima”, ma aveva molti altri pregi – “Che il maschio medio detesta la donna saccente che lo sminuisce con la sua elevata intelligenza, quindi il maschio medio detesta te, ma non lasciarti scoraggiare, perché lo scrittore ti ha lasciato il numero proprio perché desidera essere disturbato. Insomma, scrivigli, non aspettare altro. Magari inviagli una poesia che ti piace!”.
Sara era intraprendente ed i suoi consigli non erano sconsiderati come la sua grammatica, per fortuna, perciò la sera, prima di andare a dormire, gli avevo inviato un sms con una poesia di Prevert: ero certa gli sarebbe piaciuta, perché avevamo parlato riguardo i nostri gusti letterari e ci trovavamo incredibilmente d’accordo quasi su tutto.
Inutile dire che da quella sera in avanti, ci scrivevamo la buona notte con una poesia che parlasse d’amore.
Gli sms notturni, poi, erano diventati lunghissime mail riguardo il senso della vita, della morte, la religione in generale, l’esistenza di Dio, la filosofia e la storia dell’arte.
Le lunghissime mail si erano trasformate in brevi telefonate tra una mia lezione all’università ed un suo incontro per la pubblicazione di un nuovo libro.
Le brevi telefonate, in seguito, erano divenute foto di momenti quotidiani che volevamo condividere l’uno con l’altra.
Le foto magicamente si plasmavano in un “Quando potrò finalmente rivederti?”.
Era un po’ come se…
“E’ un po’ come l’evoluzione di un bruco” – aveva analizzato Sara, acconciandosi i capelli allo specchio – “da crisalide il vostro rapporto diventerà farfalla!”.
Mi aveva lasciata un po’ perplessa quel paragone: “Tu davvero conosci il termine “crisalide”?”.
La mia migliore amica aveva sorriso radiosa: “Certo, ad ogni modo il momento “farfalla” avverrà quando ti sarai fatta scopare!”.
Mi sembrava che avesse detto troppe cose furbe in una sola frase, ma in effetti, era innegabile che pensassi a lui anche sotto un altro aspetto.
“Tutte palle la storia delle poesie e della filosofia e cazzi e mazzi” – aveva insistito Sara, mettendosi i tacchi – “Tu hai in testa solo la parte dei cazzi, mia cara, inutile negarlo e lui sa di essere un piacente e ricco uomo sulla quarantina, che non vede l’ora di portarsi a letto una ventenne. Io sarò “terra- terra”, ignorante e tutto ciò che vuoi, ma il mondo si regge sempre su alcuni principi basilari, è un po’ come la tua amata chimica!”.
Sara, sei una bionda senza cervello, sei il tipico cliché di gnocca poco intelligente, ma sei la mia migliore amica ed a volte hai maledettamente ragione.
Andrò da lui, gli farò inzuppare il biscotto, parleremo di poesie e poi ti appiccicherò un foglio enorme sul frigo con scritto “C’è l’affascinante scrittore quarantenne”.
In seguito, però, ne attaccherò un secondo: “Ti prego, non cucinare la colazione: vorrei che continuasse a vivere”.
Nella lista “pregi di Sara” decisamente non inserirei la dote culinaria.

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Capitolo 5
*** Un semplice schema ad albero ***


Mi ero svegliata di soprassalto, avendo sentito un terribile urlo provenire dal bagno, mi ero infilata frettolosamente le pantofole, avevo afferrato decisa la scopa e mi ero diretta in corridoio, esclamando: “Sta’ calma Sara, dov’è questo insetto? Cos’è oggi che ti spaventa? Un ragno, una cavalletta o una foglia che hai scambiato per una rana, come la scorsa settimana?”.
Di tutta risposta, la bionda aveva ammiccato, venendomi incontro: “Direi più un grosso serpente!”.
Mi ero immobilizzata con un’espressione terrorizzata in volto: “Un serpente? Un serpente? Stai scherzando? E com’è entrato nel nostro bagno? E’ tanto grosso?”
Sara, seraficamente, mi aveva preso a braccetto e mi aveva condotto fino all’entrata del bagno, spalancando la porta: “Credo l’abbia fatto entrare tu e sì, molto, molto grosso!”.
Mi ero voltata di scatto, coprendomi gli occhi con le mani, e le guance paonazze, mentre la mia maliziosa coinquilina aveva emesso una stridula risatina: “Io, però, te li lascio i post-it, a me invece capita di aprire la porta del bagno e ritrovarmi un tizio nudo che fa la doccia…indubbiamente un bel risveglio, comunque eh!”.
L’avevo strattonata e spintonata fino in cucina, sussurrando: “Sta’ zitta, che magari ci sente! E smettila di fare apprezzamenti sul suo…coso!”.
Diretta e sfacciata come sempre, Sara aveva esclamato: “E quindi te lo sei scopato? E dove: sul divano o nel letto? Classica posizione del missionario? Nah, mi sa di uno originale!”.
Le avevo immediatamente tappato la bocca con una mano: “Ma sei impazzita? Sul divano, sì, ci ha dormito…ieri è dovuto venire fino a Parma per motivi di lavoro e, così, il pomeriggio siamo andati al Glauco Lombardi per…”.
“Al che?” – la biondina sembrava essere caduta dalle nuvole – “E’ un nuovo pub?”.
Avevo acceso un fornello, mettendo a scaldare del latte in un pentolino: “E’ un maledetto museo, tesoro, fatto è che l’ho ospitato una notte, così non avrebbe dovuto pagare un albergo e beh…per stare un po’ insieme, naturalmente!”.
Sara aveva tirato fuori un pacchetto di chewingum dalla sua pochette leopardata e, ruminando rumorosamente, mi aveva indicato il divano-letto con le lenzuola sfatte: “E l’hai fatto dormire lì? Tu sei completamente pazza, cara mia, lasciatelo dire!”.
“No, quella sei tu”- avevo ripreso io- buttando la cartaccia della gomma da masticare che aveva abbandonato sulla mensola- “Che alle nove di mattina già mastichi questa robaccia! Ma lo sai che dentro ci mettono dentro l’aspartame? A lungo andare potrebbe portarti un cancro allo stomaco!”.
Sara aveva poggiato sulla tavola un paio di tazze colorate: “Pensa alla tua vagina e ai torti che le fai, prima di preoccuparti del mio stomaco!”.
Dopo questa sua perla di saggezza, si era defilata ancheggiando verso camera sua, per lasciarmi alla compagnia di Andrea, e dio, quant’era bello con quella camicia azzurra: “Buongiorno splendore, purtroppo devo fare una rapida colazione e poi rimettermi alla guida, perché oggi pomeriggio ho un importante incontro di lavoro a Milano!”.
Mi aspettavo che avrebbe detto qualcosa di più dolce dopo la serata passata insieme a leggere poesie sorseggiando vino, ma come biasimarlo, probabilmente la carriera era la prima cosa alla quale dare importanza in quel momento della sua vita, non volevo certo sembrare una ragazzina immatura che pretende un bacio o qualche simile smanceria, d’altronde il nostro non era un rapporto chiaro a nessuno dei due, non a me di certo, per lo meno. Ma, mentre lo fissavo sorseggiare il caffè in tutta la sua magnificenza, pensai che forse Sara, la ruminatrice accanita, potesse avere in qualche modo ragione, forse lui si aspettava qualcosa di più, un uomo ha le sue necessità insomma, magari averlo fatto dormire sul divano poteva essere sembrata una scortesia, od addirittura disinteresse, ma, ad interrompere il mio flusso di pensieri in stile Joyce, fu proprio lui: “Ieri sera, comunque sono stato proprio bene, sai, sei una ragazza sorprendente, abbiamo passato dei momenti speciali, e per ora mi piace questo nostro rapporto, forse quasi platonico…insomma, dopo il divorzio da mia moglie, beh, ecco ho qualche difficoltà ad approcciarmi alle donne, ma con te è tutto diverso”.
Ottimo, le informazioni importanti erano due, ed una terza, una quarta e forse una quinta che avrei potuto desumere per conseguenza logica: la prima era che Andrea fosse un uomo con un divorzio alle spalle, il che, da un lato portava ad una prima ipotesi secondo la quale, almeno adesso avevo la certezza del fatto che fosse un uomo libero e non stessi attentando alla vita matrimoniale di alcuna donna; un’altra, però, era quella in cui c’era la possibilità che la causa di divorzio fosse ancora in corso, magari con qualche questione spinosa, una moglie isterica e vendicativa, bambini sballottati da un genitore all’altro, il che, come situazione generale, non avrebbe fatto altro che minare una nostra possibile relazione.
L’altra frase fondamentale era quella in cui mi diceva che ero una ragazza sorprendente. Mentre quelle desumibili tramite ragionamento erano punto numero uno che non aveva mille amanti o flirt in tutte le regioni italiane, in stile Don Giovanni che ne collezionava mille e tre solo in Spagna; punto numero due, Sara aveva torto, perché da me non voleva solo sesso ed al momento leggere sonetti gli bastava, la terza era che mi considerasse a tutti gli effetti una donna, e la quarta, però, era il “rapporto platonico per ora”, che avrebbe portato a due correnti di pensiero, la prima per cui con l’avverbio temporale “ora” intendeva che in seguito avrebbe voluto fare del sano sesso; la seconda, decisamente più triste, era che il suo “ora” presupponeva che, col passare del tempo, invece, si sarebbe stancato di me.
Tutto questo poteva essere facilmente risolto attraverso un semplice schema ad albero, dal quale far partire una sorta di primo ramo con la frase…
“Ti va se una volta a settimana vengo qui e mi fermo a dormire? Sempre che alla tua coinquilina la cosa non crei problemi!”.
Oh, no alla mia coinquilina piace da matti il tuo biscione che ha visto questa mattina in bagno, al quale io stavo per tirare addosso una scopa con brutale violenza, perciò…
“Vieni pure quando vuoi…io ti aspetto, sai che amo trascorrere il mio tempo in tua compagnia!”.
Era sbucata Sara dal nulla proprio in quel momento magico, già agghindata per uscire chi sa dove, in tiro, con un tacco dodici: “Ma viene in che senso?”.
Ed il mio secondo incontro con l’uomo di cui ero innamorata persa era terminato con la risatina fastidiosa di una cavallona bionda.

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Capitolo 6
*** Biancheria intima alle solanaceae ***


Le cose stavano andando esattamente come sperato: tutte le settimane per tre settimane di seguito, Andrea era venuto da me, arrivava sempre la mattina, verso ora di pranzo, ed io, ogni volta avevo programmato qualcosa di particolare, da un pic-nic, ad un pasto con cucina indiana, ed, infine, il ristorante giapponese. I pomeriggi li dedicavamo interamente alla cultura, visitando musei di ogni genere nei dintorni, mentre la sera affittavamo un cult e lo guardavamo in camera mia, sorseggiando una tisana alle erbe.
“Due nonnetti, in pratica!” – aveva esclamato annoiata Sara, arricciandosi una lunghissima ciocca di capelli color oro sull’indice affusolato.
“Anche se tu non lo concepisci, ci sono molte altre cose belle ed interessanti oltre al sesso ed agli alcolici!” – avevo sbuffato io, mentre le tenevo la mano sotto le labbra nell’intendo di farle sputare l’ennesimo chewingum.
“Sì, i vestiti, ad esempio, ed anche i coniglietti…ce lo prendiamo un coniglio insieme?” – aveva cambiato discorso lei, senza cogliere il senso delle mie parole.
“Ma quale coniglio, che animale inutile, e poi tu non saresti in grado di occupartene, gli rifileresti gomme da masticare per cibo!”
Risatina fastidiosa e poi: “E perché non vai un po’ tu a Milano a trovarlo, scusa? Magari c’è qualcosa di un po’ più interessante da fare!”.
Riusciva a spazientirmi ogni volta: “Guarda che anche qui ci sono posti bellissimi, e poi noi ci divertiamo così. Oltre al fatto che un paio di volte sono andata fino da lui, ma purtroppo è sempre preso con il lavoro e non possiamo nemmeno stare tranquilli a casa sua, dato che ci vive anche la madre anziana, che è malata”.
“E prendetevi una stanza in un hotel, per una volta, con tutti i soldi che ha! E poi dagliela, sarebbe proprio ora!” – aveva sentenziato, mentre guardava immagini di conigli nani su Google.
“Fa’ tanto escort la stanza d’albergo, e poi qualche preliminare l’abbiamo anche fatto, andiamo per gradi”.
Risatina stridula e, a seguire, bolla gigante con una nuova gomma da masticare. Le avevo chiuso lo schermo del portatile: “Non basta guardare le immagini se vuoi un coniglio, devi prendere informazioni su come occupartene, devi leggere, Sara!”.
E mi ero diretta verso camera mia, con la voce acuta della biondina che dal salotto mi gridava: “Stanza d’albergo, ricorda!”
Avevo sbattuto la porta di tutta risposta.
Qualche sera dopo mi trovavo nella stanza di un hotel cinque stelle di Milano con l’incantevole scrittore Andrea Selsastra che mi porgeva dello champagne in un calice, mentre mi carezza la guancia con tutto il savoir faire che possedeva.
Mi aveva scostato i capelli sciolti con le dita e mi aveva baciato il collo, sussurrandomi: “Sei stupenda con questo vestito, fai intravvedere più del dovuto e non mi dispiace affatto!”.
Mi sfiorava la schiena con i polpastrelli fino ad arrivare al sedere: “Mi piaci da impazzire!” – aveva esclamato con voce suadente.
Poi c’erano stati i baci, quelli passionali, quelli delle poesie e dei film d’amore, e poi le sue mani ovunque sul mio corpo, i suoi occhi color ghiaccio che mi desideravano bramosi ed infine…infine io che scappavo in bagno improvvisamente: “Sara, ti prego aiutami!”
“Perché mi chiami a quest’ora? Non sei con il tuo scrittore preferito?”.
Silenzio: “E tu perché rispondi? Non dovresti essere con gente dal pene enorme e l’identità sconosciuta, completamente ubriaca e mezza svestita?”.
Sara mi aveva lasciata un po’ perplessa: “No, ho deciso che voglio innamorarmi, ho riflettuto, sai? Ho capito che hai ragione, voglio cambiare e raffinare la mia cultura!”.
“Si dice affinare, ma comunque, prima di cambiare, aspetta un secondo e dammi un consiglio da pazza ninfomane quale sei sempre stata…vuole fare sesso, come mi comporto? Glielo faccio presente che sono vergine? E se mi farà male? Sono in crisi e ho bisogno di te!”.
“Ok, fai un grosso respiro e dimmi: che mutande hai addosso?”.
“Umm…” – avevo tentennato, mentre mi alzavo goffamente l’abito nero – “Brutte, molto brutte…”.
“Hanno cose come dei pois colorati?”
“Dei pomodori”
“Almeno sono abbinate al reggiseno?”
Avevo scosso la testa: “Ma secondo te vendono delle mutande con delle solanaceae e ne fanno anche un completino intimo?”.
“Sola che? Lasciamo stare, piano di riserva: esci dal bagno senza la biancheria, fagli una sorpresa, così quando ti leva il vestito si stupisce dell’azzardo e si eccita!”.
“Oddio, dai non dirlo!”
“E tu impara a dire semplicemente pomodoro, come tutti noi comuni mortali ignoranti!”
Un respiro profondo: “Che devo fare dopo?” – ero riuscita a sussurrare mentre mi sfilavo mutande e reggiseno chiusa nel bagno di un hotel.
“Cerca di essere dinisini…insomma, hai capito, sii aggressiva, provocante…”.
Ero nel panico più totale: “Disinibita…e come tu non riesci a pronunciarlo, io non riesco ad esserlo…ho paura di non riuscire a far funzionare le cose…”
Sara aveva la voce ferma: “Ti ricordi quando studiavi che il sodio reagisce con l’acqua, creando un prodotto che prende fuoco e brucia? L’idrogeno prende fuoco e brucia…accade per forza, tanto la reazione è esotermica…è lo stesso: tu sei il sodio e lui è l’acqua, l’idrogeno è la vostra passione, accade per forza che prenda fuoco, è così naturalmente, perché vi desiderate vicendevolmente.”
Silenzio. Tanto silenzio.
“Si dice vicendevolmente, vero?”- la voce acuta della mia migliore amica mi aveva perforato il timpano.
“Sara, non cambiare, non raffinarti, come dici tu, perché sei perfetta così come già sei!” – avevo esclamato io ed avevo attaccato, nascondendo le mutande coi pomodori nella borsetta.

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Capitolo 7
*** la lettera G ***


Ti prego, Dio, con tutte quelle volte che ho acceso ceri alla madonna, ho pregato e ho praticato, graziami dall’alto dei cieli e non farmi fare una colossale figura di merda, fa’, ti prego, che la mia vagina si apra con facilità, che si bagni, che io non provi dolore, me lo merito per la mia buona condotta in vent’anni di vita…beh, sì, ho ucciso dei ragni a casa mia, ma è stato per una giusta causa, era Sara che ne aveva timore, non credo che per questo tu debba punirmi proprio la notte in cui perderò la verginità, ecco…carina, però, questa cosa che fa con la lingua, mi piace…
“Entro?”
Ha detto entro o dentro? Non si è capito…ha biascicato un po’…no, no ha decisamente detto entro, o santa miseria, Sara pazza ninfomane, sfacciata, volgare e pervertita, impossessati momentaneamente del mio corpo e fammi diventare improvvisamente una panterona focosa, poi, però, torna in te per quando Andrea vorrà di nuovo parlare della Ginestra o di quanto la vita secondo Schopenhauer fosse un pendolo che oscilla tra…ah…
 
“E quindi?” – aveva squittito Sara in estasi, appena aperta la porta di casa.
“Quindi mi ha…” – avevo sospeso la frase un po’ imbarazzata.
“Fottuta?”.
La finezza della mia migliore amica: “Abbiamo fatto l’amore, direi così, e l’abbiamo fatto tanto e più volte, e un po’ ovunque, e mi ha detto che mi ama ed io anche lo amo ed è tutto così perfetto, fantastico, sublime!”
La bionda mi aveva passato un biscotto al cioccolato e, con la bocca piena, se la rideva: “Beh, l’avevo anche intuito, visto che ti sei fermata due giorni in più da lui!”.
Avevo abbassato lo sguardo: “Da lui…in un hotel, insomma, per di più ogni volta che sono lì a Milano, non possiamo fare grandi cose, perché non vuole essere paparazzato, cioè non che si vergogni di me, ma dice che non vuole che la stampa si occupi della sua vita personale, insomma…quelli sono degli sciacalli, non vedono l’ora di trovare lo scoop! Chi sa cosa troverebbero da ridire se si venisse a scoprire che la sua fidanzata ha vent’anni in meno rispetto a lui…certo, sono maggiorenne, ma indubbiamente a livello etico, sai…”.
“Oh, quanto sproloqui!” – aveva esclamato Sara, mettendosi uno smalto fuscia all’alluce – “Piuttosto, aiutami a cercare un fidanzato, visto che a quanto pare tu ne hai già uno!”.
“Beh, Andrea ha un figlio della nostra età, se vuoi” – le avevo risposto io, con tono ironico.
“Ha un figlio?” – aveva domandato lei incredula.
“Già, così come tu hai appena rovesciato la boccetta dello smalto sul cuscino del divano e sarò io a dover pulire!”.
“Oh, merda! Di nuovo…”.
“Di nuovo? Cos’altro hai sporcato? Un giorno me ne andrò a vivere la sola, sappilo!” – avevo ridacchiato io, mentre brandivo la spugna, pronta a rimediare ad uno dei suoi tanti disastri.
“Comunque, come si chiama il figlio di Andrea?” – aveva proseguito la biondona, continuando a pitturarsi le unghie, incurate del cuscino macchiato.
“Non ricordo…l’ha nominato solo una volta, sai, non gli va di parlarmi della sua famiglia ovviamente, comunque un nome con la “G”, mi pare!”.
“No, quelli i cui nomi iniziano per “G” a letto non ci sanno fare, eccezion fatta per i “Guido”…loro sì…”- aveva ammiccato Sara.
“Io ho sempre creduto, invece, che i nomi con la “G” fossero per gente importante, tipo Giacomo Leopadri, Giovanni Verga, Giuseppe Mazzini, Giuseppe Verdi, Giacomo Puccini, Giovanni Pascoli, George Orwell, Gustav Klimt…”.
“Ma hai finito di fare l’intelligente ed acculturata?” – aveva sbuffato Sara.
“Ad Andrea piace quando mi comporto così”.
La mia migliore amica mi aveva guardata scettica: “Sì, ma poi ad Andrea non piace far sapere al mondo della tua esistenza…se ti ama davvero, non si fa tanti problemi, e lo sai anche tu che patisci per questa situazione, forse dovresti parlargliene, ora che il vostro rapporto ha preso una direzione chiara e precisa!”.

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Capitolo 8
*** Che stronzio! ***


“Beh forse potremmo andare a casa tua, non credi?” – avevo proposto io, un po’ titubante, ipotizzando una sua possibile risposta.
“No, te l’ho già spiegato, mia madre è una donna anziana e non sta bene, per di più come credi che reagirebbe mio figlio vedendo che esco con una sua coetanea?” – aveva risposto secco lui.
“Beh, esci…sono la tua ragazza, no? E’ una cosa ufficiale!” – avevo ribattuto fredda.
“Ufficiale per noi due, piccola mia, ma per il resto del mondo, io sono uno scrittore, cerca di comprendere, devo dare una certa immagine…” – aveva usato una di quelle sue fastidiose frasi fatte ed io non potevo più tollerare di rimanere nascosta ancora per molto: “Io dico solo che questa è la mia prima relazione seria e vorrei godermela appieno, non chiudermi in una casa o stare solo a Parma per evitare fotografi e giornalisti, anche perché, non offenderti, non sei il Jhonny Depp di turno!”.
Mi aveva dato un bacio sulla fronte: “Dai, amore, tra noi va tutto bene, non litighiamo, sono poi solo due mesi che stiamo insieme, andiamo con calma…quando sarà ora, io ti sposerò anche, lo sai che ti amo, Renata!”.
Quando faceva il romantico non riuscivo a resistergli, era un grande oratore, aveva fascino e carisma ed era un ottimo affabulatore, lo ammetto: “E va bene, ma tra qualche anno ti ricorderò di questa tua frase e mi dovrai sposare, nel caso non fossi ancora tua moglie…ora, però, vado a prendere il treno e torno a casa, ci vediamo nel week-end, ciao amore, ti amo!” – l’avevo baciato ed ero uscita dalla solita camera d’albergo.
 
“Cioè seriamente ti sei fatta abbindolare con le solite frasette? Ma dai, Gabri!”-aveva esclamato Sara, mentre risucchiava con la cannuccia le ultime gocce del suo sex on the beach, quella stessa sera.
“Puoi non fare questo disgustoso rumore quando sorseggi i cocktail, per cortesia?” –l’avevo ripresa io, ignorando volutamente la sua considerazione riguardo Andrea.
“E tu puoi non berti come una fessa tutte le cazzate che ti rifila quel montato? Ti voglio bene Gabri, solo per questo cerco di farti capire che c’è qualcosa di sbagliato! Cavolo, alla fine cosa ne sai di lui? Lo conosci da un paio di mesi, ti racconta poco-nulla di sé o della sua vita e tu ti fidi a priori, solo perché ti dice qualche bella parola, che poi…fossero almeno sue, ti riporta quelle dei poeti, eh le hanno già scritte, sai che ci vuole!” – aveva sproloquiato convinta Sara.
Avevo rumorosamente sbuffato ed, involontariamente, avevo alzato il tono di voce, gesticolando enfaticamente: “Sara, ma che dovrei fare? La spia dei servizi segreti? La stalker? Non ho un telefono ultimo modello, con il quale attivare chi sa quale applicazione “i-cerca fidanzato traditore”. Non ho neppure un account facebook e non ne creerò uno falso, spacciandomi per una fotomodella che tenta di adescarlo! Amare significa darsi fiducia, che poi è questione di rispetto, molto semplicemente!”.
Sara aveva estratto il suo smartphone dalla tasca dei jeans, e stranamente indossava qualcosa che le copriva le gambe: “Non ti dico di fare nulla di tutto ciò, ma almeno fai una piccola ricerca, anche solo banalmente su wikipedia, guardi sulla biografica e scopri se, per caso, sua madre è un’ex alcolista, sua padre un cantante rock morto per overdose e lui è stato dato in adozione ad una famiglia di cannibali, scampando miracolosamente alla morte…toh’, prendi e guarda!”.
Avevo scosso vigorosamente la testa, ridandole il cellulare: “Mi dispiace, ma non guarderò, sono curiosa di scoprire se è nato nel regno di Oz e la sua ex moglie è la strega malvagia dell’Ovest, lo ammetto, tuttavia non mi permetterò di compiere un gesto così scorretto nei suoi confronti!”.
“Bene”- aveva esclamato decisa Sara- “Lo farò io allora e magari scoprirai che è lui quello scorretto…Google...Andrea Selsastra, wikipedia…biografia…saltiamo pure tutta la parte sulla sua infanzia passata ad Oz, tanto la storia la conosci già e andiamo a…si sposa alla giovane età di vent’anni nel 1994 con Cristina Passamilli, più vecchia di lui di quattro anni ed incinta del loro bambino che dà alla nascita dopo pochi mesi di matrimonio…bla, bla…parla del figlio…nel 2007 muore sua madre, figura che lo aveva ispirato sin dall’infanzia…”.
“Ma no, la madre non è affatto morta, è a casa malata che…” – avevo ribattuto io, che, però, iniziavo a nutrire qualche dubbio a riguardo.
“E siamo già ad un qualcosa che non quadra, ma andiamo avanti…oltre alla “Moneta di Giuda”, Selsastra nel 2013 ha esordito con un romanzo di poco successo dedicato alla moglie Cristina…”.
“Ex moglie, vorrai dire…ma poi perché avrebbe dovuto dedicarle un libro poco tempo fa se ormai sono anni che il loro matrimonio è finito…” – avevo balbettato, ormai sconfortata e pronta al peggio.
Sara mi aveva passato il telefono: “Guarda, qui non dice assolutamente nulla riguardo il divorzio, anzi…poche righe più giù dice che attualmente vive a Milano con la moglie ed il figlio…non lo so, wiki a volte sbaglia, non sai quante volte alle superiori ho portato le ricerche piene di errori, però…”.
Avevo sbattuto con forza il pugno sul tavolo: “Ma che stronzio!”.
“T’ho detto di non farla più questa battuta sulla chimica se siamo in un luogo pubblico” – Sara mi aveva passato due bicchierini con rum e pera.

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Capitolo 9
*** Il bagno sempre in fondo a destra ***


“E l’ho mollato…sì…sì, esatto, Sara, nessuno si deve permette di farmi una cosa del genere…” – stavo ripetendo da circa venti minuti al telefono con Sara, mentre tentavo di non finire in una delle mille pozzanghere che trovavo lungo la strada – “Ma poi proprio sta pioggia di merda mi doveva capitare? Proprio oggi? Ma sì, non sai che nervoso…il modo in cui mi ha detto che era tutto una bugia, che sua moglie vive a casa e bla bla bla…beh, sì ha chiesto scusa, ha anche ribadito che mi ama alla follia, che ha detto bugie a fin di bene, che magari prima o poi avrebbe avuto il coraggio di raccontarmi la verità…oh, sì…ho lanciato ben più di un oggetto, e gli ho detto che era uno stronzio…eh lo so, lo so, orribile, ma non ho potuto resistere…e quando gli ho detto che gli avrei spaccato il culo…ah beh, il “maledetto bastardo” ovviamente è stato d’apertura…ah, beh chiaramente…urlavo…una scenata, certo, di quelle eclatanti, avrei distrutto l’intera camera d’hotel…ovviamente…mi sono sfogata almeno…ma no, no di lacrime ne ho già versate abbastanza…sì, sono in stazione che sto per prendere il treno…oh, dannata pioggia, se solo trovassi il mio maledettissimo biglietto…eppure era...o cavolo, l’ombrello…”.
 
“Ma porca miseria che botta…” – avevo mormorato, sfregandomi la fronte, mentre davanti a me vedevo una mano tesa.
“Tutto bene? Ti do una mano, aspetta…”.
Il cellulare, cazzo. Lo cercavo attorno a me, nella speranza che non fosse annegato in una pozzanghera: “Sara, ci sei? Ah…eh, ho sbattuto la testa contro un palo, lascia perdere, sono proprio idiota, mentre cercavo il biglietto e mi sono anche cadute dalla borsa…” – il mio sguardo, mentre parlavo, si era posato sul ragazzo accanto a me, il quale, tra una risata e l’altra, con aria divertita, aveva raccattato tutta la mia roba sparsa a terra e l’aveva rimessa nella borsa – “E Sara, ti richiamo più tardi, ciao…”.
Era bello, ora che l’osservavo meglio, aveva un’espressione dolcissima, era un ragazzo curato e a modo, sembrava simpatico e gentile, così a primo impatto.
“Piacere, Giorgio” – mi disse una volta che mi fui rialzata.
“Gabriella, piacere mio e grazie eh!” – gli tesi la mano e strinsi la sua vigorosamente.
“Figurati, eri buffissima e goffa, sei riuscita a cilindrare il palo con una grazia infinita” – ridacchiò lui.
“Mi fa piacere essere uno spasso per i passanti, peccato per la pioggia, sono completamente zuppa e devo ancora fare un viaggio fino a Parma!”.
“Non vorrei sembrarti un pazzo maniaco, ma a casa mia non c’è nessuno fino a questa sera, se ti va vieni da me, ti presto qualcosa di mia madre, magari di quando era ragazza che non usa più, così sei asciutta…” – mi aveva proposto Giorgio.
“Oddio, ma sei matto? Cioè grazie mille, ma non posso accettare, che direbbe tua madre? Come le spieghi che le hai rubato i vestiti per darli ad una perfetta sconosciuta?”. – avevo declinato il suo invito.
Mi aveva sorriso dolcemente: “Dai perfetta sconosciuta, vieni, è a due passi da qui, non ti mangio mica e nemmeno mia madre…ti offro anche una cioccolata calda e poi, hai la tavola periodica completamente fradicia, io fossi in te la farei asciugare su di un termosifone prima di arrivare a Parma…”.
Avevo strabuzzato gli occhi: “La mia tavola  periodica? La mia ragione di vita? Presto, dammi le chiavi di casa tua, perfetto sconosciuto!”.
Avevamo riso insieme ed aveva un sorriso incantevole.
“Eccoci arrivati, scusa il casino, ma stiamo dando il bianco in tutta la casa proprio ora, perciò i mobili sono ovunque, i quadri per terra…insomma…”.
“Tranquillo, ho dato il bianco anche io con la mia coinquilina a casa nostra, non immagini che delirio! E poi sei già stato gentilissimo!”.
Giorgio mi aveva subito portato una tuta blu cielo stinta di sua madre: “Tieni, dovrebbe andarti, se vuoi darmi la tavola mentre ti cambi, io la metto ad asciugare! Il bagno comunque, come diceva Gaber, è in fondo a destra!”.
Avevo appena chiuso con Andrea Selsastra e la provvidenza mi mandava un gran pezzo di figo, gentile e simpatico, che cita Gaber? Ora capivo che il destino mi aveva fatto torti per anni, per tenersi le sorprese migliori tutte al momento propizio!
Dopo un paio d’ore, una cioccolata calda e mille chiacchiere sugli argomenti più svariati, ero in procinto di ripartire con la mia tavola periodica, un po’ rovinata, ma asciutta ed il numero di un ragazzo meraviglioso, pronto a rimettere insieme i pezzi del mio cuore infranto: “E dato che hai i vestiti di mia madre, sappi che ti cercherò e ti starò col fiato sul collo, non perché io ti trovi carina, simpatica ed intelligente, ma soltanto perché hai appena rubato i vestiti a mia madre, cerca di comprendere che ci tiene moltissimo ad una vecchia tuta che non usa da anni!”.

 

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Capitolo 10
*** Questione di chimica ***


“Quindi, se ho ben capito, tu, circa mezz’ora dopo aver lasciato un affascinante scrittore famoso, sbattendo contro un palo, hai fatto colpo su una specie di principe azzurro?” – aveva squittito Sara, un po’ incredula, dopo aver ascoltato il mio racconto.
Avevo fatto “spallucce” e, nel contempo, un cenno affermativo con la testa.
La biondina aveva proposto un’espressione scettica, inarcando le sopracciglia: “E non è scappato quando ha visto la tavola periodica?”.
Mentre scolavo la pasta, le avevo rivolto uno sguardo imbarazzato: “No...e questo week-end viene da noi a dormire…”.
Sara aveva spento il fuoco del fornello sotto il sugo: “Secondo me ci hanno scambiato i cervelli mentre dormivamo!”.
Avevo fatto una smorfia: “Ne dubito, piuttosto…tu cerca di non fare la gatta morta, come con altri ragazzi che piacevano a me, non con questo, almeno, perché ci tengo davvero!”.
“Oh no, ormai non ci riuscirei più, sai, dopo lo scambio improvviso di cervelli!” – si era portata la forchetta alla bocca ed aveva aggiunto: “Comunque mi sembra normale aver conosciuto un tizio per un paio d’ore e sostenere di tenerci davvero, io per lo meno me li porto solo a letto, non mi faccio castelli in aria!” – aveva bevuto un sorso d’acqua e poi ripreso il suo monologo: “Se Andrea, pur essendo famoso, è riuscito a nascondere la sua identità così bene, figurati un normalissimo ragazzo…magari il padre è uno stupratore seriale che ha insegnato al figlio la sua “arte”!”.
Dopo la sua frase assurda, mi era andato di traverso un fusillo: “Ma di che cavolo stai parlando?”
Sara aveva agitato in aria la forchetta: “Ah, nulla…ho iniziato a guardare su screaming “Criminal Minds”, come fai tu!”.
Ero scoppiata in una fragorosa risata: “Si dice streaming, lo screaming è quello che fanno all’interno dell’Unione Eur…lascia perdere, apprezzo il fatto che tu almeno ti sia dedicata a qualcosa di più impegnativo oltre “Sex and the City”!
La biondina aveva sorriso compiaciuta: “Beh, comunque, vedila così: si chiama Giorgio, quindi, seguendo la tua regola riguardo i nomi, è destinato a diventare qualcuno d’importante!”.
 
Ed ancora una volta Sara, chi sa come, aveva avuto ragione: Giorgio era diventato incredibilmente importante per me, ed io per lui! Ci vedevamo spessissimo e c’eravamo fidanzati un paio di settimane dopo il nostro primo incontro. Era quasi sempre lui a venire fino a Parma, essendo così cavaliere da volermi risparmiare le tremende ore di viaggio. Non so dire se fossi davvero innamorata di lui come lo ero stata di Andrea, erano così diversi l’uno dall’altro, non si somigliavano in nulla, ma avevo la certezza che Giorgio in poco tempo fosse riuscito a darmi molto più affetto di quanto non avesse fatto Andrea tra un incontro di lavoro e una bugia. Tra noi c’erano complicità, affinità ed avevamo qualche passione in comune; infatti lui studiava fotografia e, perciò, in parte si occupava, come me, di…
“Chimica! L’hai capita, amore? Tra di noi c’è una certa chimica!” – avevo ridacchiato io, mentre bevevamo una bibita sul balcone di casa mia.
“A me non avrebbe fatto ridere per niente!” – Sara era appena passata ed aveva bofonchiato qualcosa, mentre si passava lo spazzolino da denti e dalla bocca le schiumava il dentifricio.
“E’ sempre in mezzo, vero?” – aveva esordito Giorgio, ironico.
La testa di Sara era risbucata all’improvviso: “Tanto lo so che mi amate!”.
“Sara, che schifo, stai gocciolando sul pavimento con il dentifricio, vai in bagno!” – le avevo urlato, gesticolando in segno di disappunto.
“Amore, però, ora che ci penso meglio…non devi fare un book fotografico ad una modella per ottenere quel lavoro a Milano?” – avevo domandato a Giorgio, mentre posava il bicchiere sul tavolino in legno.
“Sì, ed ho anche ben poco tempo per farlo, poi vorrei creare qualcosa d’innovativo, non voglio il solito sfondo bianco ed un uso smodato di photoshop, sai cosa ne penso!” – aveva asserito lui, un po’ pensieroso.
“Beh, ma scusa….Parma ha dei posti incantevoli, almeno non dovresti scattare foto a Milano, chi sa quante persone già si piazzeranno sotto il Duomo, saresti molto più originale e Sara potrebbe farti da modella, insomma, non ha proprio nulla da invidiare ad una professionista, per di più, al momento, non ha un lavoro, è libera tutto il tempo…uno dei giorni in cui sei qui, potrebbe darti una mano, no?”.
“Oh sì, dai ti prego, posso farti da modella, ti preeeeego!” – la bionda era riapparsa con tanto di vocetta lagnosa, in canotta e mutande, sfoggiando tutte le sue magnifiche curve.
Giorgio l’aveva osservata per qualche istante con un sorriso inebetito stampato in faccia: “Ma sì, mi sembra un’ottima idea, tutto sommato, si potrebbe fare la prossima settimana, visto che ho i minuti contati ormai!”.
“E perché non già questo fine settimana?” – avevo domandato io – “Tanto sei qui da noi come al solito!”.
“Veramente, amore, dato che facciamo quattro mesi, beh…ecco, non te lo avevo ancora chiesto, ma mi è sembrato ragionevole, siccome la nostra è una storia seria, presentarti ai miei…ti ho parlato così poco di loro, e a loro ho parlato poco di te, ma sai, aspettavo il momento migliore e secondo me è ora, di te conoscono giusto il tuo nome, ho voluto tenerti come sorpresa finale…insomma…che ne dici?”.
L’avevo abbracciato e baciato, ero al settimo cielo: “Ma certo che mi va, significherebbe forse dare una svolta al nostro rapporto!”.
“E magari scoprire se suo padre è uno stupratore seriale…” – Sara non era rientrata in casa ed aveva sempre qualche perla di saggezza da propinarci nei momenti meno opportuni.

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Capitolo 11
*** Un dolce alla banana ***


“Che ansia, che ansia conoscere i tuoi, sto bene o sembro una barbona scappata di casa?” – ripetevo agitatissima sul pianerottolo dell’appartamento di Giorgio.
Ma prima che potessi proferire altre sciocchezze, la porta di casa sua si era spalancata e davanti mi si era parata una bellissima donna, molto curata: “Che piacere conoscerti, Gabriella, finalmente Giorgio ci svela questo mistero, è mesi che lo vediamo tra le nuvole…e adesso capisco il perché! Dai, vieni, entra!”.
Mi ero voltata verso Giorgio, sussurrando entusiasta: “Che carina, tua madre!”.
“Mio marito arriva subito” – aveva aggiunto la signora – “Andrea, vieni, dai, che Gabriella è qui!”.
Andrea, ma proprio Andrea si doveva chiamare suo padre?! Maledizione! Ogni volta, sentendo quel nome, mi veniva in mente…
“Andrea…”
“Andrea? Sai già come si chiama mio padre, amore?” – aveva domandato Giorgio, visibilmente perplesso.
Calma e sangue freddo, dai, cervello ragiona, ne possiamo uscire degnamente, non per forza devo sembrata una completa imbecille: “Andrea Selsastra, wow…cioè sono piacevolmente stupita che sia tuo padre…è un onore conoscere il mio scrittore preferito!”.
“Ecco, mamma, è una che adora papà, ho fatto bene a non dire chi fosse realmente mio padre, altrimenti magari si sarebbe fidanzata con me solo per la sua fama!” – aveva sghignazzato Giorgio alla madre.
Oh, no. Credimi, è esattamente il contrario.
“Renata…”
“No pa’, si chiama Gabriella, non Renata, dai, ma che razza di nomi tiri fuori?!” – aveva ridacchiato Giorgio.
E la moglie aveva rincarato la dose: “Ma questo nome lo ripeteva anche nel letto una notte nel sonno, avrei mica un’amante con un nome tanto orribile, Andrea?!”.
E’ un incubo, ditemi che è solo un incubo.
 “Piacere, Andrea…felice che il mio libro ti sia piaciuto!” – mi aveva stretto la mano.
Sì, il piacere, in effetti, l’abbiamo reciprocamente provato ed il libro non è l’unica cosa che mi sia piaciuta. Dio, ma perché penso queste cose.
“Amore, siediti vicino a mio padre allora, sarai eccitatissima all’idea di conoscerlo dal vivo!” – Giorgio mi aveva indicato una sedia.
Eccitatissima, sì, indubbiamente fino a qualche mese fa era il termine più appropriato.
“Hai proprio un bel nome!” – aveva esclamato Cristina, rivolgendomi uno sguardo amichevole.
Quello vero, lo trovi orribile, ma grazie. Tu invece hai proprio un bel marito.
“Ah…ehm, grazie…cosa si mangia di buono? Mi ha detto Giorgio che lei è un’ottima cuoca!” – avevo cercato di reprimere i miei pensieri più idioti.
“Cena a base di pesce, in realtà oggi ha cucinato Andrea, se la cava benissimo col pesce, un vero esperto!” – aveva risposto la donna alla quale avevo quasi rubato il marito.
Sì, già le conosco le sue abilità con il pesce. O santo cielo, ma perché non riesco ad essere normale. Dai, devo dire qualcosa d’intelligente, almeno d’interessante.
“Ho sentito che Andrea le ha dedicato il primo libro che ha scritto!” – avevo sfoderato uno dei miei migliori sorrisi.
“Sì, purtroppo ho avuto un tumore per alcuni anni e Andrea, durante la mia lenta guarigione, mi ha fatto questo immenso regalo!”.
Anche a me ha fatto un immenso regalo, proprio un bel pacco. Bene, andrò a confessarmi prima possibile.
“Ah…mi dispiace, spero che ora lei stia meglio!” – avevo risposto, un po’ imbarazzata.
“Sì, grazie, cara, un paio di mesi fa ho fatto l’ultimo intervento e, a quanto pare, sto benone!”.
Ottimo, perciò ti ho fottuto il marito, mentre tu rischiavi di morire. C’era una madre ammalata, in effetti, ma era quella di Giorgio. Ma che razza di persona…Sara ci aveva quasi preso con la storia dello stupratore seriale, mentalmente lo è.
“Hai visto come somiglio a mio padre, Gabri?” – Giorgio mi aveva interpellato, qual gaudio.
Spero tu non sia infame come lui, ma certamente hai il pene più piccolo. Sto veramente confrontando i loro peni? E beh, pene senior e pene junior, per forza.
Cristina era intervenuta al posto mio, ma non aveva affatto migliorato la situazione: “Sì, hanno tutti e due una lingua lunga da tanto parlano!”.
Ecco, la lingua sì…quell’abilità è decisamente una dote di famiglia! Famiglia, famiglia, quella che io stavo per distruggere, inconsapevolmente, certo, ma è pur sempre un gesto poco garbato.
“E cosa fai nella vita, Gabriella?” – Andrea si era finalmente deciso a rivolgermi la parola, forse per evitare di sembrare esageratamente taciturno e destare, così, qualche sospetto.
Ah, beh, vediamo…nella vita io, ah, giusto: mi faccio sverginare da un uomo che potrebbe essere mio padre, il quale mi mente spudoratamente, poi il caso vuole che io mi porti a letto pure il figlio, il quale mi fa indossare gli abiti di una donna scampata alla morte alla qualche io ho quasi mandato a rotoli il matrimonio.
“Chimica, studio chimica a Parma!”
“Ma che coincidenza! Anche Andrea mesi fa ha spesso fatto viaggi a Parma per lavoro, magari vi siete persino incontrati!” – l’entusiasmo di Cristina era imbarazzante.
Eh già, ha girato nudo in casa mia, dove poco tempo più tardi ha fatto lo stesso pure suo figlio! Vedi, a volte, le coincidenze! Ti prego, signor dolce, arriva in fretta, voglio solo terminare questa serata.
 
Ed il dolce che credevo sarebbe venuto in mio soccorso, segnando il termine di quell’agonia, in realtà, si era trasformato in un incubo: “Gabriella, ho fatto un dolce alla banana, ti piace la banana?” – mi aveva domandato Cristina.
Oh sì, che mi piace, sia quella di tuo marito che quella di tuo figlio. Quella di tuo marito, certo, però, è bella grande!
“Grande!” – l’ho detto davvero, aggiustiamo, aggiustiamo l’irreparabile – “Cioè…grande! Evviva, il mio frutto preferito!”.
Andrea e Cristina si erano alzati da tavola, per andare in cucina a prendere il famigerato dolce alla banana e Giorgio mi aveva subito sorriso soddisfatto: “Credo che mia madre ti adori!”.
Eh, già, chi non mi adora in questa famiglia?!
“Sai, lei è una donna sensibile, riesce a toccare le persone proprio nel profondo!” – aveva proseguito lui.
“Ah, credo anche tuo padre, così a pelle, me lo sento!”.
Comprende così bene la gente, che non si è accorta di avere a cena una ventenne che ha condiviso con lei più del dovuto, ed un marito che in vent’anni ha condiviso con lei molto poco di quello che avrebbe dovuto.

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Capitolo 12
*** Ouroboros ***


Avevo ragione: sarebbe stata una svolta per il nostro rapporto quella cena.
Due settimane più tardi, all’incirca, ho lasciato Giorgio, senza neppure riuscire a dare una valida spiegazione riguardo la mia scelta, per di più proprio dopo che mi aveva presentato i suoi genitori. Il padre, invece, mi aveva mostrato i genitali, ma sono poi dettagli, non piccoli, ma pur sempre dettagli.
Giorgio è poi stato preso per quel lavoro da fotografo a Milano, grazie ai meravigliosi scatti creati con Sara, la quale ormai lavora come sua modella e non solo.
Lei, improvvisamente cambiata e desiderosa di innamorarsi, ha preso alla lettera il mio consiglio di qualche mese prima sul fatto di fidanzarsi con il figlio di Andrea.
Esatto, ormai è già un po' che stanno insieme. Inutile dire che mi sono dovuta trasferire: Giorgio era sempre più frequentemente a casa nostra, il che, come situazione, per l’ennesima volta, era tremendamente imbarazzante, sia per lui, che per la sottoscritta. Certo, sarebbe dovuto esserlo anche per Sara, ma, per sua fortuna, non è mai stata dotata di grande sensibilità, compensa, però, con una terza abbondante di seno e questo è sufficiente, sotto alcuni punti di vista, forse, anche necessario.
Insomma, ora abito in un monolocale, non ho più contatti con Sara e Giorgio da qualche tempo, saltuariamente ricevo sms o mail d’amore di Andrea, alle quali non ho mai risposto, tuttavia ho letto la trama del suo nuovo romanzo: “G.: l’amante che cambiava nome”. Non l’ho comprato e mai lo farò.
Eccomi qui, dunque, tra mille formule, qualche pagina svolazzante, la mia preziosa tavola periodica, i capelli arruffati e lo smalto sbeccato, che ho appena raccontato come sono stata “doppiamente fottuta”.
Ah, ho acquistato un coniglio nano: l’ho chiamato Stronzio.

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