I'm trapped

di acciosnape
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** File 00 ***
Capitolo 2: *** File 01 ***
Capitolo 3: *** File 02 ***
Capitolo 4: *** File 03 ***
Capitolo 5: *** File 04 ***
Capitolo 6: *** File 05 ***
Capitolo 7: *** File 06 ***
Capitolo 8: *** File 07 ***
Capitolo 9: *** File 08 ***
Capitolo 10: *** File 09 ***
Capitolo 11: *** File 10 ***
Capitolo 12: *** File 11 ***
Capitolo 13: *** File 12 ***
Capitolo 14: *** File 13 ***
Capitolo 15: *** File 14 ***
Capitolo 16: *** File 15 ***
Capitolo 17: *** File 16 ***
Capitolo 18: *** File 17 ***
Capitolo 19: *** File 18 ***



Capitolo 1
*** File 00 ***


File 00, Prologue.

“Ricordava il suo nome.”


Ricordava molto bene la notte in cui lo conobbe e l'intera estate del 2001, la promozione a Detective Ispettore e quell'umidità che gli faceva mancare il respiro ogni notte.

Ricordava la telefonata delle 02.00 e le parole della collega Sally Donovan, ancora semplicissima poliziotta dai capelli ricci, faccia da schiaffi e voglia apparente di svolgere il suo turno di notte: “
Lo strambo è stato ricoverato al Royal Marsden qualche minuto fa, ero di turno, lo abbiamo trovato in Hyde Park.” e, Cristo Santo, non aveva mai sopportato sentir chiamare così il ragazzo riccioluto che si ritrovava a ficcanasare nei suoi casi – molte volte salvandogli il culo –. Il suo nome era Sherlock, Sherlock Holmes; ed era la persona più intelligente mai incontrata finora.

Ricordava la corsa in macchina per raggiungere il Royal Marsden dalla sua casa di Harrington Road e addirittura la stupidissima tuta grigia indossata per non entrare in un ospedale in piena notte in pigiama ed essere scambiato per un paziente.

Ricordava il ragazzo gentile della reception, al quale fece vedere il distintivo chiedendo di Sherlock Holmes e la stanza numero 48, dove era ricoverato al reparto rianimazione e i pensieri che gli divorarono il cervello: quale stronzata avesse mai potuto compiere per finire in quel reparto, se qualcuno avesse avvisato i genitori.

Ricordava la figura maschile dal completo gessato, elegantissimo e probabilmente anche costosissimo seduta al fianco sinistro del letto nel quale riposava un giovane Sherlock stremato dai sedativi e le mille domande, che vennero esaudite non appena la figura si alzò e si presentò.

Ricordava il suo nome; sì, perché difficilmente si scorda un nome così particolare come quello di Mycroft Holmes, fratello maggiore di Sherlock, ma così diverso da lui: poco meno di 185 cm; più in carne, capelli scuri ma più tendenti al castano, occhi blu leggermente più piccoli rispetto a quelli del minore, niente zigomi pronunciati, ma in compenso aveva un naso adunco che non gli stava nemmeno poi così male nell'insieme del suo viso e una bocca che le due volte arricciatasi a formare un sorriso, assunse una forma piuttosto inquietante. A differenza di Sherlock, la sua voce era piuttosto calma, fredda e melliflua. Così come il suo portamento, che lo colpì.

Ricordava la parola "overdose" che gli rimbombava in tutti gli angoli del cervello, dovendosi sedere sulla stessa sedia occupata da Mycroft poco prima; per la stanchezza e per lo shock dovuto alla notizia che un ragazzo di quell'età si trovasse in una stanza del reparto rianimazione per un motivo del genere, domandandosi come avesse fatto a non accorgersi dell'uso di sostanze da parte del ragazzo.

Ricordava gli occhi del maggiore degli Holmes mentre studiava i suoi movimenti e il suo modo di parlare. Si lasciò studiare come un libro aperto, troppo stanco per dirgli di smetterla; suo fratello lo faceva spesso e in fin dei conti, era abituato. Provò anche lui ma non riuscì a dedurre niente, chiedendosi soltanto perché accidenti indossasse un completo così elegante dentro una struttura ospedaliera.

Ricordava quando il groppo in gola fu spazzato via dalle parole che Mycroft pronunciò: « Non è in pericolo di vita. » e il sospiro profondo che lasciò la sua bocca, seguito da un'imprecazione o due.

Ricordava Mycroft battere il suo ombrello nero sul il pavimento, sconcertato dalle parole poco pulite che uscirono dalla bocca del Detective e di come abbandonò la stanza con estrema eleganza; e di come rimase a fissare la porta per alcuni istanti con l'espressione tra lo stupito e l'inquieto per via della persona appena conosciuta.

Ricordò le poche visite a Sherlock nei giorni seguenti e di come venne cacciato via in tutti i modi possibili, perché Sherlock non aveva bisogno di nessuno; fino a quando non uscì definitivamente dall'ospedale cominciando a trovarselo nuovamente sulle sue scene del crimine.

Ricordava la sensazione di essere sempre osservato quando camminava per strada, pensando a coincidenze; le telecamere erano sempre state agli angoli delle strade, ma con la stessa frequenza si chiese che lavoro svolgesse Mycroft Holmes, che non vide più dopo quella notte in ospedale.

Ricordava la berlina scura e la bella ragazza in nero, qualche primavera più tardi ad attendere qualcuno all'uscita di Scotland Yard; scoprendo essere lui quel qualcuno e rifletté seriamente su tutti gli sbagli fatti in vita sua, pensando di essere stato prelevato da qualche banda mafiosa e che lo avrebbero fatto fuori da lì a poco; strinse le labbra, fino a quando la ragazza non gli porse una lettera, seduti fianco a fianco nella spaziosa macchina nera.

Ricordava il messaggio, ovviamente:
Tieni d'occhio Sherlock.

e la grafia precisa e curata della firma che riportava il nome di Mycroft Holmes. Nessun recapito; solo quelle parole ed un nome. Chi mai avrebbe dovuto avvisare, se fosse successo qualcosa? Fissando e tastando la carta pregiata del biglietto, pensò che avrebbe dovuto chiedere qualche spiegazione alla ragazza, e soprattutto perché alle 18.30 di quel mercoledì sera, si trovò su una dannata macchina nera, e non sulla District Line. I continui "bip bip" dei tasti del telefono della signorina in nero accompagnarono i suoi già incasinati pensieri. Optando per infilare la busta in tasca, salutò Anthea, che oltre a scrivere sul suo Blackberry riuscì anche a presentarsi e andò a prendere la metropolitana.
Per quella sera, nella sua testa si insinuò solamente quel biglietto, scritto da Mycroft.

Ricordava gli anni seguenti, passati nel medesimo modo.
Casa-lavoro. Lavoro-casa. Fino a quando non fu lui ad andare da Sherlock a chiedere aiuto per le sue indagini e fino a quando quest'ultimo non si trasferì al 221b di Baker Street con un coinquilino: John Watson, biondo; occhi blu contornati da occhiaie che raccontavano i peggiori momenti passati in guerra, un naso particolare e una zoppia accompagnata da un bastone.

Ricordava, tra le tante retate antidroga a sorpresa, quella in cui trovarono la valigia rosa al 221b e quello che accadde dopo: la chiamata urgente di Watson; la corsa in macchina della polizia fino all'Istituto para-universitario Roland-Kerr, il racconto di Sherlock di un cecchino anonimo e infine una macchina nera, Anthea e Mycroft, chiedendosi se quest'ultimo si fosse ricordato di lui.

Ricordava il caso del "Dinamitardo", cominciato da un'esplosione; il telefono identico a quello del caso di “Uno studio in Rosa” contenente un unico messaggio in segreteria: cinque “bip” d'avvertimento ed una fotografia. Sherlock Holmes, perché sì, il dinamitardo voleva lui, riuscì a risalire al caso mai risolto di Carl Powers, risolvendolo, salvando la vita di una donna rapita ed usata dal Dinamitardo come "voce" per gli indizi; il secondo caso, presentato con una fotografia di una macchina sul cellulare rosa ed una chiamata su un cellulare di New Scotland Yard di una voce "presa in prestito" da un ragazzo. Con un biglietto da visita di Janus Cars e un campione di sangue del signor Monkford, Sherlock riuscì a salvare anche la seconda voce “presa in prestito”; il terzo, purtroppo, non finì bene. Con la morte di Connie Prince, nota presentatrice televisiva, si presentò anche la morte della "voce" del Dinamitardo: una donna anziana cieca, fatta saltare in aria solamente perché aveva iniziato a descrivere il suo aguzzino; il quarto si svolse alla Hickman Gallery; Sherlock riuscì a salvare in extremis un bambino; la "voce" era proprio quella di un bambino. Non aveva davvero scrupoli questa... persona; al quinto ed ultimo "gioco", decise di mostrarsi a Sherlock, usando come l'ultima voce John Watson. James Moriarty, Jim, l'informatico del Bart's, come aveva voluto far credere a quasi tutti.
L'ispettore mandò una squadra di artificieri alla piscina, in modo da disinnescare le bombe piazzate nella giacca di Watson.
Di quel Consulente Criminale, non si seppe più nulla.

Ricordava il primo tradimento di Karen con un direttore di un magazzino, Peter Dave e della loro breve separazione, in cui tornò a casa dei suoi genitori lasciando momentaneamente la sua alla moglie, e del suo perdono, perché era innamorato di lei nonostante tutto. Gli piaceva pensare che le cose sarebbero tornate come all'inizio, di quello che era il loro matrimonio perfetto.

Ricordava quel Natale passato al 221b di Baker Street, annunciando ai presenti di essere tornato con la moglie, e il momento in cui Sherlock gli fece crollare nuovamente il mondo addosso, dicendogli che questa volta si trattava di un insegnante di ginnastica. Holmes non si sbagliava. Preferì far finta di niente, arrestando direttamente l'insegnante Louis Boyle per molestie sessuali verso un'alunna minorenne, facendosi un piccolo regalo di Natale.

Ricordava quella volta a Valencia, tentata riappacificazione con Karen ed al messaggio sul cellulare privato: “
Baskerville. Mio fratello è coinvolto in qualcosa. Indaga. MH.”
Il megalomane risalì anche al suo numero privato, ma tramite Sherlock, scoprì finalmente di cosa si occupasse: aveva accesso a tutto e questo gli bastò a capire che ricorrere al proprio lavoro fu perfettamente inutile con Mycroft. Gli tornarono alla mente anche tutti gli anni in cui si sentiva spesso osservato.
Un piccolo paese della Gran Bretagna aveva un simpatico mastino assassino, fino a che non scoprì ciò che stava facendo Sherlock, lasciandosi sfuggire che era lì per conto di Mycroft. Non ci fu nessun mastino assassino, le persone che avevano avuto a che fare con questa bestia, erano state esposte ad una sostanza allucinogena che trovatasi nella nebbia.

Ricordava il periodo seguente molto bene. Come dimenticarsene? Cominciò con il sistema eluso della Torre di Londra, della Banca d'Inghilterra e perfino quello della prigione di Pentonville. Tutto in un unico, dannatissimo giorno. Il dannatissimo giorno in cui conobbe di persona James Moriarty, seduto con Gioielli della Corona addosso si fece arrestare come se nulla fosse; compresi i processi che vi furono, decretando «James Moriarty, Non colpevole.».

Ricordava il rapimento dei figli dell'Ambasciatore degli Stati Uniti dall'Istituto St. Aldates e il ritrovamento nella fabbrica di Addlestone, di come la bambina gridò alla vista di Sherlock e dei dubbi che Philip Anderson e Sally Donovan avevano su Sherlock. E dei suoi dubbi.

Ricordava le parole di John in centrale.
Sherlock Holmes era morto, buttandosi dal tetto del St. Bartholomew's Hospital per salvare lui, John, e la loro padrona di casa. Necessitò di aria e di una maledetta sigaretta, se non di una stecca intera; la sua mente si rifiutò di credere alle parole dell'amico.

Ricordava il rifiuto di interrogare John Watson, costatogli l'allontanamento da Scotland Yard a tempo indeterminato. Sherlock era una delle persone più importanti della sua vita, come avrebbe potuto interrogarlo su quella faccenda? Non avrebbe mai potuto farlo.

Ricordava il feretro, qualche parola della cerimonia e il cimitero dove li attendeva la tomba in marmo nero, con intagliato sopra il nome "Sherlock Holmes" a caratteri dorati.
Fu tutto così surreale... e fece male. Sherlock si era buttato realmente da quel tetto. Lasciò un piccolo mazzo di fiori colorati non appena la bara fu ricoperta di terra e si allontanò salutando i presenti e John, ricordandogli la sua presenza per qualsiasi evenienza. Rimase per diversi minuti in silenzio nella sua automobile, con solo il rumore del suo battito cardiaco a rimbombargli nelle orecchie. Girò lievemente il capo verso il finestrino sinistro, notando una grande macchina nera dai finestrini scuri.
Mycroft.
Non si era dimenticato di lui. Ora era solo, non aveva più il fratello di cui tanto si preoccupava, a cui chiese perfino all'Ispettore di tenerlo d'occhio. Si accorse della sua mano infilata nella tasca del soprabito di quell'orrendo completo nero, alla ricerca del telefono cellulare; nella memoria, vi era ancora il messaggio di qualche tempo prima, compreso il suo numero di telefono. "Cosa credi di fare? Non essere ridicolo, Cristo." pensò.
Un Holmes, peggio di Sherlock.
A detta degli altri.
Ad uno come Mycroft Holmes, emozioni di questo genere, non toccavano nemmeno.
A detta degli altri.
Un Holmes, ma di fatto, umano anche lui. Posò il telefono nel vano porta oggetti sotto al cruscotto, mettendo in moto la sua vecchia Peugeot 3008 nera.

Ricordava i giorni seguenti al funerale; la volta in cui chiuse la telefonata con la moglie, appena arrivata a Berlino per lavoro. Chiuse gli occhi, fece un respiro e li riaprì, andando nell'archivio dei messaggi. Una fitta allo stomaco lo sorprese, leggendo l'anteprima dell'ultimo messaggio inviatogli da Sherlock e mandò giù il nodo in gola a fatica, cercando il messaggio di suo interesse. Scendendo ancora di un nome o due, trovò l'interessato. Rifletté, mentre i suoi polpastrelli componevano una frase di senso compiuto, né formale, né informale. “
Mi auguro possa riprendersi in fretta
Lo rilesse una, due, tre volte... alla quarta inviò. Conosceva molto bene la sensazione di perdere un familiare. Ovviamente, la risposta non arrivò mai.

Ricordava la chiamata del suo Capo il giorno seguente e il permesso di rientrare al lavoro; i fascicoli dei casi irrisolti che non fecero che aumentare in quel periodo, il troppo lavoro arretrato e le scartoffie con cui si obbligò a rientrare a casa; le poche serate al pub con John, il quale non vide sorridere da... da Sherlock.
E i due anni passati nel medesimo modo.

Ricordava il giorno in cui Sherlock Holmes ripiombò nelle vite di tutti e quando gli si presentò davanti, tamponandosi il lato sinistro della bocca. John gli diede il "bentornato". Il Consulente Investigativo gli regalò un tentato sorriso, cercando di farselo buono ma l'Ispettore lo guardò soltanto con gli occhi sgranati, decidendo quale delle mille emozioni tirare in ballo, accendendosi una sigaretta coprendolo d'insulti e prendendolo per la sua sciarpa, ricambiando il sorriso. Che diavolo era successo? Si era rotto la testa su un cazzo di marciapiede, era dentro una bara. Sottoterra. Chiese di Mycroft, non pensando nemmeno e non essendo nemmeno sicuro di essere stato lui a chiederlo. Sherlock lo guardò attentamente. Ah, Dio. Gli era mancato essere studiato così. Rispose che era stato aiutato da lui in quei due anni. Inarcò entrambe le sopracciglia, facendo un'espressione quantomeno sorpresa e decise di allontanarsi senza nemmeno salutare chi credeva morto fino a poche ore prima. Si preoccupò, per due fottuti anni, di una persona che aiutò a fingere la morte del fratello. "Complimenti, sei il Detective migliore del mondo." Ci era voluto poco per riassestare la sua vita con Sherlock felicemente tra i piedi. Fecero ritorno anche gli ordini del fratello, con qualche parola in più nel testo.

E così, Gregory Lestrade ricordava molto bene il momento esatto in cui Mycroft Holmes entrò prepotentemente nella sua vita.




Note: dunque. Un saluto a chiunque passerà di qua per leggere questa mia prima fan fiction ~ È basata su una role di twitter, iniziata da me medesima nell'ottobre 2013 (e sta ancora andando avanti tutt'ora). Mi ci sono affezionata davvero molto a questi due personaggi e man mano sto imparando a conoscerli e a capirli. Contate che prima non capivo nemmeno il senso della coppia! Btw, volevo ringraziare in modo particolare la mia migliore amica Elisabetta, che mi ha spronata a pubblicare la fan fiction e, ovviamente le altre due bravissime roleplayers, Gloria ed Elisa (♥), senza le quali tutto ciò non sarebbe mai nato. :)
Non mi resta che lasciarvi alla storia, augurandomi che sia di vostro gradimento!

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Capitolo 2
*** File 01 ***


File 01.
Perdonami, da quando comandi tu?


“Il buongiorno si vede dal mattino” recitava il proverbio e a detta dell'Ispettore Gregory Lestrade, lo era se quel giorno portava il nome di “sabato”, il suo giorno libero. Non aveva in programma assolutamente niente da fare, se non quello di perdere tempo dietro alle registrazioni della partita di calcio del suo Arsenal mandata in onda due giorni prima, per poi andare a comprarsi dei pantaloni nuovi come aveva promesso alla moglie, prima di salutarla all'aeroporto.
Dopo la soddisfacente vittoria della sua squadra del cuore e dopo aver indossato quei jeans rattoppati per l'ennesima volta, si diresse con moltissima riluttanza ad Oxford Street – dove era solito fare da schiavo alla moglie, quando aveva quelle incredibili voglie di spendere uno stipendio in shopping –. Quasi si dimenticò di avere un cellulare e per un momento lo scambiò per quello di lavoro, quando gli vibrò in tasca.
Buon pomeriggio, Gregory. Mi chiedevo se avessi già scoperto dell'austriaco e di tua moglie.
M

SMS da M. Holmes – 16.25

Si fermò nel bel mezzo dell'uscita metropolitana di Bond Street. Tra tutti i nomi della sua rubrica, quello di Mycroft Holmes era l'ultimo che potesse mai sperare di leggere. Soprattutto, non un testo del genere. Non si sentivano dal giorno di Pasqua e il loro ultimo incontro – in cui Lestrade gli spifferava clandestinamente gli affari del fratellino minore – risaliva a più di un anno fa. E poi, perché accidenti pensava al loro ultimo incontro e scambio di messaggi? Il testo riportava ben altra informazione.
Buon pomeriggio a te, Mycroft. Io e mia moglie abbiamo chiarito, non c'è nessun austriaco.
SMS da G. Lestrade – 16.31

Scelse una risposta educata, chiara e concisa, nonostante l'assurdità del testo riportato. Semplicemente, la moglie era impegnata per via di un corso d'aggiornamento lavorativo e sarebbe rientrata da lì a giorni. S'infiltrò in uno dei tanti negozi della zona, acquistando due capi assolutamente anonimi ed uscì, confondendosi con il traffico pedonale composto principalmente da turisti.
Ti consiglio di controllare il portagioie in camera da letto.
M

SMS da M. Holmes – 16.38

Non si scompose più di tanto, sapeva che tipo di persona fosse Mycroft Holmes, sapeva cosa gestiva ed essendo abituato con Sherlock, lui non sarebbe stato da meno in fatto di deduzioni. Non che si fidasse di quel messaggio, si chiese soltanto perché. Si stava forse annoiando? Probabile.
Ora non sono a casa.
SMS da G. Lestrade – 16.39

Non sei al lavoro, secondo le mie informazioni.
M

SMS da: M. Holmes – 16.48
O forse aveva semplicemente voglia di socializzare? Decise di stare al gioco, continuando a rispondergli. Fu quasi intenzionato a mandargli una fotografia della strada affollata da ragazzi e ragazze che invadevano i negozi, in modo da indurlo ad indovinare, ma ci sarebbe arrivato in meno di mezzo secondo e non ci sarebbe stato nessun divertimento per entrambi.
Ho semplicemente il giorno libero. Sarebbe gradevole, se smettessi di spiare le persone.
SMS da G. Lestrade – 16.51

Certamente, faceva parte del suo hobby quello di aver il controllo di ogni telecamera della città, se non dell'intera regione, il che lo fece rabbrividire e gli provocò un fastidio che non riuscì a togliersi di dosso, senza sapere nemmeno il perché di tanto astio tutto insieme
.
Le entrate delle stazioni metropolitane avevano almeno una telecamera, in modo da controllare chi entrava e chi usciva. Alzò lo sguardo verso di essa, accennando un sorrisetto sarcastico, mentre tirava fuori dalla tasca il pacchetto con l'ultima sigaretta che fumò velocemente prima di buttarla dentro l'apposito spazio e scendere le scale che portavano ai binari.
Ora potrai controllare il cassetto.
M

SMS da M. Holmes – 18.41

Grazie al cielo era un uomo paziente, grazie anche al fratello di quell'interessante soggetto che in quel pomeriggio era così di buon umore. Si diresse velocemente in camera buttando il cellulare sul letto, così da accontentare i capricci del primogenito Holmes. Prese questo fantomatico portagioie in mano e lo osservò, non trovandovi naturalmente nulla, ma posandolo al suo posto notò un microscopico angolino di un pezzo di carta: sicuramente qualche ricevuta di qualche regalo. Volendosi levare quello sfizio lo tirò, facendone fuoriuscire un biglietto che avrebbe preferito gli mangiasse la vista all'istante:


“Non potrei fare a meno di te nemmeno se lo volessi.
- Christoph Wimmer”

Lo rilesse più e più volte, non essendo ben sicuro delle scritte riportate. Guardò poi il portagioie, decidendo infine di scassinare il cassetto chiuso a chiave da cui era fuoriuscito il bigliettino. Pessima idea; non contento di quanto aveva tra le mani, all'interno di quell'affare vi trovò ciò che Mycroft confermava: l'ennesimo tradimento. Perché aveva deciso di dargli retta? Perché gli aveva scritto? Perché a lui? Ciò che aveva tra le mani era un anello in platino diamantato, costato probabilmente tre stipendi di Lestrade stesso, che in meno di mezzo secondo, si sentì il fallimento più grande della Terra, mentre cercava a tentoni il cellulare abbandonato sul letto.
Dimmi come. Come potevi a saperlo. Come, Mycroft. Ho forzato il cassetto, e ho trovato un bigliettino ed un anello.
SMS da G. Lestrade – 19.01

Si sorresse la fronte con la mano, non riusciva neppure a formulare un pensiero di senso compiuto e si limitò ancora una volta a cacciare il cellulare al suo fianco, evitando di rispondere al messaggio. Non tardò molto la vibrazione che lo disturbò ancora.
Ora potrai stare meglio, non ho ragione?
M

SMS da M. Holmes – 19.05

Era così incazzato con il mondo e con chiunque, che se l'avesse avuto davanti un pugno su quel suo naso non glielo avrebbe tolto nessuno, probabilmente in relazioni umane era messo peggio di Sherlock. Aveva assolutamente bisogno di sfogarsi in qualche modo, era anche intenzionato a chiamare a lavoro e sovraccaricarsi di straordinari, ma poi avrebbe dovuto spiegare il motivo e no, non sarebbe diventato ancora una volta lo zimbello dell'Istituto. Optò per uscire velocemente di casa e imbucarsi nel primo pub di strada.
Non permetterò di lasciarti passare la serata attaccato ad un boccale di birra scadente.
M

SMS da M. Holmes – 19.53
E cos'hai intenzione di fare? Sentiamo.
SMS da G. Lestrade – 19.59
Venirti a prendere.
M

Pensò ad una visita da un neurologo molto bravo, considerando le fitte alla testa che lo stavano prendendo da quando quella conversazione aveva avuto inizio, forse era tutta una lunghissima allucinazione.

Riprese coscienza di sé non appena posò il fondoschiena sulla panchina completamente gelata della piazzola, non accorgendosi minimamente poi della grossa berlina scura appostata qualche metro lontano da essa, decisamente fuori luogo.
« Prima che tu tragga conclusioni affrettate, lo sto facendo per “buona educazione”. »
Si accigliò, alzando lo sguardo e notando la persona che non vedeva da circa un anno di fronte a sé: era esattamente come se lo ricordava, impeccabile ed elegante.
Scosse leggermente la testa e accennò un lieve sorriso, probabilmente sarcastico, neppure lui lo sapeva. Sapeva soltanto che Mycroft non si sarebbe schiodato da lì, se lui non si fosse alzato e lo avesse seguito in macchina. Così come sapeva benissimo che se avesse provato a svignarsela, qualcuno sarebbe uscito dalle pareti di qualche palazzo e lo avrebbe riportato lì di peso. Fu breve lo sguardo che si scambiarono non appena Lestrade si alzò , facendo qualche passo verso la macchina, ma inconsciamente s'impresse nella mente ogni singolo dettaglio del viso di Mycroft che aveva dimenticato.
Una volta preso posto non proferì parola, non chiedendo neppure dove fossero diretti. Di tanto in tanto si sentiva lo sguardo dell'Holmes analizzarlo a fondo, sentendosi un po' il cucciolo di una scimmia allo zoo di fronte ai turisti. Avrebbe dovuto invitarlo a smetterla? In quel momento non gli importava, sarebbe potuto diventare anche una bestia da macello. Le strade notturne di Londra, avevano un interessante spettacolo da offrirgli e decise di farsi catturare l'attenzione da esse.

*

L'attuale casa di Mycroft, si trovava in una zona decisamente tranquilla di Londra: il giardino colmo di verde e due piani dello stabile furono le prime cose che si fecero notare, insieme all'illuminazione. Mycroft ordinò all'autista di fermarsi una volta dinnanzi alla portone d'ingresso e così fece, ed una volta messo piede nel vasto ingresso accorse uno dei domestici a privarli dei loro rispettivi cappotti: in men che non si dica il lusso di Mycroft lo fece sentire volgarmente fuori luogo, così come la prima volte che mise piede in quel luogo per “affari”.
Rimase per un attimo sulla porta, indeciso se entrare nel tutto, o girare i tacchi ed andarsene a gambe levate, poiché le intenzioni di Mycroft ancora non le aveva capite. Optò per la prima scelta, seguendo lentamente il padrone di casa in quella grande sala che già conosceva di sfuggita.
Perché si trovava lì, esattamente? Provò a cercare una risposta, quando la voce di Mycroft interruppe ogni cosa con un velo di noncuranza, con cui probabilmente invitava la propria assistente per un tè pomeridiano.
« Se proprio devi bere alcolici, prego... fallo decentemente. »
Gli porse uno snifter con appena più liquido ambrato del normale e lo invitò a prendere posto dove meglio gli aggradasse. Appena titubante, afferrò quella specie di calice e prese posto sulla poltrona di fronte al camino, poiché il fondoschiena era ancora gelato, nonostante tutto; e lo stesso fece Mycroft, prendendo posto sulla poltrona gemella. La conversazione partì non appena Lestrade portò alle labbra il bicchiere e ne assaporò il contenuto, rimanendo piacevolmente colpito dal gusto, e non ci pensò due volte a riempire di domande Mycroft riguardo gli alcolici, il quale non se lo aspettava di certo.

*
Quando la conversazione terminò, era ormai notte fonda e Lestrade, dirigendosi verso l'ingresso, prese in considerazione l'idea di trascorrere la notte senza dormire e andare direttamente in ufficio a Scotland Yard, ma il suo raziocinio gli ricordò che ormai vent'anni non li aveva più e il suo organismo aveva bisogno almeno di qualche ora di sonno per funzionare correttamente.
« La stanza degli ospiti è sempre libera. Domattina potrai andartene liberamente, ma non questa sera. »
In meno di mezzo secondo Gregory trasalì, passando lo sguardo dalla mobilia costosa, a Mycroft, impassibile. Sicuramente era l'alcool che gli fece pensare “insomma, perché no?”, considerando gli altri due (o forse tre) bicchieri di liquori altrettanto buoni che il maggiore degli Holmes gli fece assaggiare durante la conversazione, in cui aveva scoperto che sapeva tutto, qualunque cosa persino sui liquori, o almeno quelli che gli interessavano.
Non rispose subito, guardando di sottecchi Mycroft. Rispondeva agli ordini di poche persone e quando si rese conto che l'uomo che aveva di fronte era proprio una di quelle, la propria espressione cambiò, cominciando a guardarlo accigliato.
« Perdonami, da quando comandi tu? »
Mycroft fece elegantemente spallucce, accennando perfino un sorrisetto, guardando l'Ispettore dritto in volto.
« Sono abituato a dare ordini, questo dovresti saperlo da un po'. E ora gradirei che andassi a dormire, la stanza ti verrà indicata da uno dei due domestici. »
Lestrade fece una piccola smorfia, in risposta alle parole di Mycroft e pensò di non avere scampo per quella notte, poiché gli tornò in mente di avere la propria auto parcheggiata nel parcheggio di casa propria e l'idea di percorrere a piedi Londra con un grado, lo fece appena rabbrividire.

Una volta in stanza, continuò a sentirsi fuori luogo nonostante la solitudine della stanza, per di più nudo dei suoi vestiti, poiché il domestico, gli aveva quasi intimato di lasciare i vestiti fuori dalla porta e glieli avrebbe fatti trovare fuori dalla porta il mattino seguente, perfettamente puliti e stirati.
Santo cielo, che strana accoglienza.

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Capitolo 3
*** File 02 ***


File 02.

“ Mi disprezzi così tanto? ”


La luce e gli odori di quella stanza non gli erano familiari, tanto meno gli arredi e dovette fare mente locale appena sveglio, domandandosi dove si trovasse. Un forte mal di testa gli diede il buongiorno, ricordandogli il motivo di tutto quel lusso così estraneo.
Dopo una veloce sistemata, speranzoso di levarsi non solo il mal di testa, ma anche il motivo della sua presenza in quel luogo, uscì dalla stanza degli ospiti, non prima di essersi premurato di aver riassettato il letto, come lo aveva trovato la notte appena trascorsa. Alcuni istanti più tardi, si avvicinò la domestica con un bicchiere e una pastiglia antidolorifica su di un piccolo vassoio; non solo non era abituato al lusso, ma non era nemmeno abituato ad essere servito e riverito.
Mycroft non tardò a farsi vivo e d'improvviso Lestrade non sapeva più come comportarsi, complice il mal di testa che stava diventando sempre più forte e sperò con tutto sé stesso che l'antidolorifico facesse effetto più in fretta possibile. L'ispettore non fece comunque in tempo a dire, né a fare niente, poiché qualche attimo più tardi si ritrovarono dentro la berlina di servizio di Mycroft, in direzione di Scotland Yard.
I colleghi di Lestrade non fecero domande, poiché sapevano che a volte il loro collega sbucasse da una berlina scura, chiaramente non sua.

*

« Puoi restare nella mia tenuta finché non troverai un'altra sistemazione. »
Troppe informazioni tutte insieme per quel mal di testa che stava lentamente abbandonandolo: punto primo, da dove era uscita quella cordialità? Aveva paura che avrebbe potuto ferirsi in qualche modo e non essere più in grado di tenere d'occhio il fratello? Sicuramente. Punto secondo, perché era di nuovo lì? Era sicurissimo di aver visto e sentito la macchina andare via, la stessa mattina.
« Ti ringrazio per l'offerta, ma direi che dispongo di una casa tutta mia. »
Si lasciò sfuggire una risatina, prima di voltarsi e allontanarsi di qualche passo dall'auto scura, la gentilezza di Mycroft stava quasi sfociando nello stalking, considerando la velata richiesta. Lestrade però non sapeva che Mycroft sapeva perfettamente come giocare quella partita, lanciando in campo la prossima carta.
« Posso procurarti degli ottimi avvocati, Gregory »
Si fermò di colpo, Greg, sgranando gli occhi e rimanendo immobile nella sua posizione, con la schiena rivolta verso Mycroft, comodamente seduto all'interno dell'auto. Quest'ultimo non lo vedeva, ma poteva benissimo percepirne le emozioni: fitte allo stomaco, dolore ai palmi delle mani, ree le unghie, che seppur corte, erano ben strette a pugno ed un misto di inconfutabile rabbia e disprezzo. Ed aveva ragione, alla parola “avvocati”, il suo stomaco gli si ritorse, procurandogli una terribile nausea, insieme ad una fitta allo stomaco e al cuore, tanto che per calmarsi strinse molto forte i palmi della mano, prendendo poi un lungo respiro, ricacciando indietro i pensieri negativi. Lestrade nel bene e nel male, aveva una minima idea delle conoscenze di Mycroft e non nascose neppure a sé stesso che quella proposta fu veramente allettante, seppur spaventosa. La parola “fine”, lo terrorizzava a morte. Ma nonostante la paura, quando alzò lo sguardo, era nuovamente al fianco di Mycroft, in macchina.
Non parlano poi più molto durante il viaggio, anzi, non parlarono affatto: Mycroft aveva gli occhi puntati sul portatile, mentre Gregory sul proprio cellulare di lavoro, occupato a rispondere ai vari SMS dei colleghi.
Lestrade non fece domande, quando Mycroft fece fermare la macchina e scese, non ne aveva bisogno, sapeva perfettamente dove si trovavano: il logo del più
rinomato negozio di ombrelli di Londra era inconfondibile, la storia del James Smith & Sons
la si poteva leggere perfino nel legno dell'insegna.
Senza che neppure se ne accorgesse, il maggiore degli Holmes tornò, con al polso un ombrello nuovo di zecca.
Questa volta, però, di colore blu scuro.
« Sta a te decidere adesso, Gregory. D'altronde, la vita è la tua. »
La via di casa propria era inconfondibile, così come le luci e addirittura gli odori. Impiegò un attimo ad uscire quando l'autista gli aprì la portiera, pensando alle parole di Mycroft, pensando a quella, anzi, a
quelle proposte, una più allettante dell'altra, se solo fosse stato pronto a chiudere un capitolo.
« Sì, certo. »
Si limitò a rispondere, una volta fuori. Benché mancasse da una notte, il portone di casa propria gli era già estraneo. Cercò di scacciare i pensieri negativi, e Mycroft aiutò, chiamando ancora una volta il suo nome di battesimo: con la voce di Mycroft non era poi così ridicolo, si ritrovò a pensare quando si voltò.
« Questo è per te, in caso cambiassi idea. »
Gli porse il nuovo ombrello, che fino a quel momento Greg pensò fosse un pezzo nuovo della sua collezione, il suo nuovo compagno di avventure – poté giurare di non averlo mai visto una volta senza l'ombrello.
« Sono piuttosto sicuro che potrebbe piovere a breve e so per certo che tu ne sia sprovvisto. »
Chiaramente Lestrade non fece in tempo a ribattere, che l'autista gli porse l'ombrello, chiuse la portiera del passeggero, ed una volta in macchina, partì.
Le dita di Lestrade non poterono fare a meno di tastare inconsciamente il prezioso tessuto di quell'oggetto nuovo di zecca.

*

Mycroft era un ottimo calcolatore, benché fosse un vero fallimento a decifrare i sentimenti, specialmente quelli altrui. Soprattutto quelli altrui. Seduto di fronte al camino si trovò a ripensare alla discussione sui liquori avvenuta soltanto qualche notte prima, e riflettendo se alzarsi e andare a degustare qualcosa, il campanello suonò. Fece un sorriso, anche piuttosto inquietante, perché d'altronde, lui non sbagliava e a piazzare le esche, era magistrale.
« Questa sera mi andrebbe una birra, una di quelle buone, e vorrei sdebitarmi per questo. Ti va di unirti a me? »
Quei momenti erano surreali, per Lestrade. Da qualche giorno gli sembrava di camminare letteralmente su di una nuvola, tanto gli sembrasse difficile mettere un piede di fronte all'altro, e i suoi pensieri erano spesso annebbiati dalla rabbia e delusione della sua persona, perché ancora una volta si era fatto mettere i piedi in testa da chi credeva lo amasse incondizionatamente. La cosa più assurda poi, era il fatto che Mycroft Holmes gli avesse offerto il suo aiuto.
Mycroft Holmes, ripeté tra i suoi pensieri. Quanta pena che doveva fare.
« Non vedo perché dovrei mettere piede in un pub, possiamo parlare di avvocati anche senza alcolici davanti, Gregory. »
Si era quasi dimenticato chi avesse di fronte, l'Ispettore di Scotland Yard, si sentì ancora una volta un coglione, anche solo per aver tentato di invitare un sociopatico – e a tratti anche socio-fobico, ne era abbastanza sicuro – in luogo come un pub.
Mycroft dal canto suo, leggendo un filo di delusione sul volto di Lestrade, sospirò seccato, prendendo l'orologio da taschino e guardò l'ora, per poi rimetterlo al proprio posto; si era stufato di vedere espressioni deluse, lo infastidiva ed infatti il suo sguardo mutò, facendo trasparire la sua nota di completo fastidio.
« Entra, piuttosto, fuori fa freddo. »
E così Gregory fece, sentendosi ancora una volta fuori luogo in casa altrui. Il padrone di quella che agli occhi di Lestrade era una maestosa reggia, sparì per qualche attimo, per poi ritornare con in mano un piccolo taccuino, che gli porse gentilmente una volta fatto accomodare in salone. Quando Gregory lo aprì, strinse forte le labbra, leggendo uno per uno tutti quei nomi altisonanti; lo chiuse e, tastandosi nella giacca alla ricerca dell'immancabile pacchetto di sigarette si alzò, uscendo nuovamente dalla porta d'ingresso.
« Tua moglie non ti risponderà prima di domani. »
Non ci mise molto Mycroft a raggiungerlo, anch'esso con un pacchetto di sigarette alla mano, il quale ne estrasse una, portandola delicatamente alla bocca. Lestrade lo guardò per un istante vagamente accigliato, per poi abbassare lo sguardo sulle proprie scarpe, pensieroso. Si chiese come facesse a saperlo, come avesse fatto a scoprire tutto, e soprattutto perché lo avesse avvisato, avrebbe potuto certamente chiederglielo, ma probabilmente avrebbe ignorato tutte le domande. Così Lestrade desisté, sia con le domande nella propria mente – mai stata così ingarbugliata come lo era in quel periodo, sia con la telefonata; non l'aveva ancora sentita dal fattaccio, nonostante lei avesse provato a telefonargli almeno un paio di volte invano, quindi lei non sospettava di niente, né che lo sciocco marito avesse scoperto tutto, né che una volta tornata oltre a Greg, avrebbe visto anche gli avvocati.
« Mi domandavo... »
La voce uscì da sola, poco dopo una delle ultime sbuffate alla sigaretta; da quando era diventato così lunatico? Insomma, fino ad un attimo prima aveva troncato sul nascere ogni possibile conversazione, ogni domanda che aveva da porgli.
« ...come facessi a sapere che fino a domani sarà impegnata. »
« Ciò che voglio sapere lo ottengo e basta, Gregory. Ti basti sapere questo. »
Rispose Mycroft, stizzito ed impettito, con un tono che non ammetteva repliche e lo sguardo dritto di fronte a sé, ben oltre l'ingresso della residenza. Lestrade forse aveva appena messo il piede su di una mina, ed ora non sapeva come fare per evitare che questa lo facesse saltare per aria. D'altro canto per lavoro lui di queste situazioni ne vedeva, se non ogni giorno, quasi. Curvò le labbra come in un sorriso, prima di sospirare e gettare la sigaretta spenta nel pacchetto ormai vuoto.
« Questo lo so e talvolta mi innervosisce. »
A quelle parole, Mycroft inarcò un sopracciglio, accennando un vago sorriso, naturalmente sarcastico. Fece lo stesso con la sigaretta, la spense, ma la gettò nell'apposito spazio del proprio porta pacchetto, senza degnare di uno sguardo il proprio interlocutore.
« Mi disprezzi così tanto? »
Per un attimo – anche per più di un attimo, se vogliamo tutta la sincerità, Lestrade si era dimenticato di chi fosse fratello, e se uno era la regina del dramma, l'altro lo era almeno due o tre volte tanto. Neppure gli diede il tempo di parlare, che con un passo, Mycroft si ritrovò dentro casa, chiudendo la porta in faccia a Lestrade.
In un modo o nell'altro, Mycroft riusciva a stupirlo nel bene o nel male che fosse semplicemente aprendo la bocca. Si chiese cosa avesse trovato John in Sherlock in un solo giorno di convivenza e probabilmente la risposta la stava scoprendo proprio in quel periodo.
Dopo pochi istanti, rivide riapparire Mycroft con addosso un cappotto e pochi attimi più tardi era nuovamente di fronte a sé.
« Non ho detto di no per il pub, ma alle mie condizioni: poche persone e soprattutto
silenzio. »
Lestrade rimase naturalmente basito e con la bocca appena aperta, prima di aprirla per parlare... anche se non sapeva bene come e soprattutto cosa rispondere. Fece una cernita mentale di tutti pub nella zona, fino a quando non ne trovò uno perfetto per le esigenze della la regina del dramma numero due (o uno, a seconda dei casi). Quando tornò alla realtà, Mycroft lo stava aspettando di fronte alla sua solita berlina nera.
« Dai, facciamo una passeggiata, non dista tanto da qui, te lo assicuro. »

L'occhiataccia del maggiore degli Holmes gli fece passare ogni qualsivoglia intenzione di farsi un quarto d'ora di camminata.
« Sai cosa talvolta innervosisce me, Gregory? Il tuo essere così orso in questo periodo. –
Aprì la portiera dell'automobile ed entrò, richiudendola al suo fianco, mascherando ciò che disse dopo – Queste mura sono già abbastanza tristi di loro. »
Limitandosi ad entrare in macchina, Lestrade non rispose, malgrado avesse chiaramente sentito ciò che disse, nonostante l'altro fosse sicuro di avere nascosto il sibilo di parole con il rumore della portiera. Non parlarono molto fino a quando Mycroft non ruppe il silenzio.
« Presumo sia questa situazione che ti faccia essere così, ultimamente. Possibile che, dopo tutto questo tempo tu non ti sia accorto di nulla? Non ti sei mai neppure accorto del profumo maschile che portava e, permettimi, tu quel profumo non lo indossi mai. »
Se fosse stato qualcun altro, una persona comune a fargli una domanda del genere, Greg Lestrade avrebbe sicuramente perso l'uso della ragione e avrebbe cominciato ad gridare contro tutti. Ma siccome di trattava di Mycroft e sapeva benissimo che lui e le relazioni normali erano l'uno opposto dell'altro, cercò di trattenersi, limitandosi a guardarlo, con espressione più che esterrefatta. Dedusse però che per una volta, le sue parole non contenevano la vena sarcastica che lo contraddistingueva spesso.
Si passò una mano sul viso, massaggiandosi infine il mento, prima di rispondere, insomma, lo schiaffo morale aveva fatto comunque male.
« Accidenti. Non ti facevo così realista. »
Infine mascherò un sorriso mesto, sempre dietro al palmo della mano, mentre l'altro inarcò le sopracciglia, velatamente soddisfatto di non ave scatenato una guerra all'interno dell'abitacolo, né di aver ricevuto insulto alcuno.
« Realista, sì. – si schiarì la voce, poco dopo – Mia moglie mi diceva che fossi perfido, direi che con te mi è andata anche bene. »
Lestrade non era poi così sicuro di aver sentito bene. Adottò una posizione più comoda su quei sedili in pelle e poi, voltandosi verso Mycroft, lo guardò accigliato per diversi istanti prima di parlare, ma prima la sua voce la schiarì.
« ...tua moglie? »
L'orologio da taschino era tra le mani guantate di Mycroft, pronto per essere aperto; chiaramente stava evitando lo sguardo di Lestrade di proposito, neppure aveva voglia di rispondere alle molteplici domande che poteva benissimo vedere comparire nella mente dello yarder.

« Sì, abbiamo divorziato ed è successo talmente tanto tempo fa che nemmeno lo ricordo. Non farmi parlare di queste cose, Gregory. Ti assicuro che non accadrà più. »
Come previsto, l'arrivo a questo fantomatico pub non tardò ad arrivare ed una volta dentro, Lestrade chiese ad un cameriere un tavolo un po' appartato e tranquillo, lontano da occhi ed orecchie indiscrete.
La situazione era leggermente surreale, poiché l'uomo di fronte a sé, fasciato in un completo grigio scuro che sicuramente costava tanto quanto quattro affitti del locale, era teso, nonostante lo nascondesse perfettamente e Greg non riuscì a dedurne il motivo: luogo troppo inusuale per lui, o per via delle persone?
« La tua fama da uomo di ghiaccio ti precede, comunque. Mi sono sorpreso quando hai nominato questa moglie. Sei conosciuto come uno che non ha la minima compassione per il prossimo e tante altre dicerie. Potrai anche esserlo, non lo metto in dubbio, solo... non sempre. »
Mycroft lo guardò, ascoltando attentamente ogni singola parola, mentre faceva scendere quel sorso di liquore giù per la gola, facendo poi roteare il liquido nel bicchiere. Abbassò lo sguardo su di esso, guardandone il liquido ambrato fermarsi.
Lo stava aiutando in qualche modo, Gregory pensò, tanto merda come lo descrivevano, non doveva esserlo.
« Solo questo bicchiere, Gregory, poi torniamo a casa. »
E così fecero, non appena terminati i drink. L'aria si era fatta un po' più tesa di quel che era e a Gregory dispiacque, perché probabilmente aveva osato un po' troppo e ne ebbe la conferma notando la reazione di Mycroft, che veloce come una scheggia, raggiunse l'auto nera, precipitandosi dentro.
Lestrade lo raggiunse, cercando poi scaldare quell'aria che era ancora più gelida del normale.
« Questa serata è assurda. »
Sussurrò Mycroft aggiustandosi al cappotto ed infilandosi nuovamente i guanti. Si domandò perché diavolo aveva deciso di accettare quello stupido invito, poiché sapeva benissimo come sarebbe finita. Aveva cominciato, molto lentamente a giocare col fuoco e stava lentamente scoprendone le sfaccettature.
« Dai, rilassati. Volevo solo contraccambiare il favore, considerando che stai già facendo troppo. »
L'autista aprì la portiera una volta di fronte alla residenza e Mycroft sguazzò fuori come un'anguilla, rientrando sulla soglia di casa e facendosi seguire da un Gregory perplesso, accigliato. Come ne sarebbe uscito da questa situazione? Si era aperto un po' troppo coi suoi pensieri e questo gli stava rimbalzando contro in un modo del tutto inaspettato. Si avvicinò alla casa, ma Mycroft lo bloccò, tendendo il palmo della mano.
« Esci da casa mia, Gregory. Per favore. »
L'ispettore non avrebbe dovuto sentirsi
così ferito, ma lo fece. Ancora una volta, la delusione, che era riuscita ad accantonare per un po', si impadronì di lui, togliendogli la parola. Perché voleva cacciarlo? Si sforzò di capire, così come si sforzava anche di capire il fratello minore quando serviva, ma non giunse a nessuna conclusione.
« Quelli come me vanno lasciati soli, sono in un certo senso “pericoloso”. »
Oh, che fosse pericoloso lo sapeva benissimo da anni. Corrucciò appena lo sguardo, ma l'espressione era quasi divertita, se fosse stata un'altra circostanza ed il sorriso che aveva stampato sul volto era sarcastico. Incrociò le braccia, mentre Mycroft tirò giù il suo, seguendone poi ogni movimento con lo sguardo.
« No, se devo essere sincero, non capisco. Sono solo convinto che tu stia dicendo un mucchio di stronzate. »
Mycroft era oltraggiato dall'ultima parola dello yarder e non si premurò neppure di nasconderne l'espressione: sorpreso, basito, la bocca fece per dire qualcosa, ma si richiuse quasi subito, schiarendosi poi la voce, cercando una risposta più consona.
« Ma non lo vedi come sono? Non capisco perché tu sia ancora qua, e perché questo mi faccia piacere. »
Non ne coglieva appieno tutte le sfumature, non le capiva e probabilmente mai avrebbe potuto farlo, e neppure gli andavano a genio i suoi modi fare molte volte, ma sì, lo vedeva come era, ed anche chiaramente: un uomo circondato da nient'altro che solitudine.

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Capitolo 4
*** File 03 ***


File 03.
“ Lasciati conoscere. ”


£1500 d'affitto per quella catapecchia che stai guardando, mi pare eccessivo per le tue finanze.
M
SMS da Mycroft – 11.50
Era vero. Ma nonostante il fatto che Greg fosse il proprietario della casa in cui abitava, era più che deciso ad allontanarsi per un po', almeno fino a quando quella che sarebbe diventata ex moglie da lì a poco, non avesse trovato una nuova sistemazione. Prese un lungo respiro non appena lesse il mittente del messaggio, ed alzò gli occhi dallo schermo del computer guardando se chi gli aveva scritto era nei paraggi o meno, ricordandosi di punto in bianco con chi aveva a che fare, che probabilmente lo stava spiando da dentro il PC.
Stai attento, potrei farti arrestare: questa è violazione della privacy.
SMS da Gregory – 12.11
Vorrei vederti provare.
M

SMS da Mycroft – 12.15

Non fece in tempo ad appoggiarlo sulla scrivania, che il cellulare lo informò di una telefonata in arrivo e leggendo il nome della persona che lo stava chiamando in quel momento gli tornò in mente quanto stava facendo prima di tutta quella faccenda con la moglie: il caso tremendamente difficile per lui e tremendamente facile per Sherlock, tanto che dovette letteralmente implorare il suo aiuto.
« Ho risolto il caso. Posso passare adesso in ufficio o sei troppo impegnato a perdere tempo? »

Si diedero infine appuntamento al 221b di Baker Street l'ora più tardi e discussero del caso, delle prove e del verbale da consegnare; non mancarono gli insulti al suo collega Anderson ed ai colleghi della squadra scientifica con cui aveva avuto il “piacere” di lavorare. Quando Sherlock cominciò a raccontare i fatti, il suo sguardo era inchiodato su Greg, tanto che persino John si insospettì, ma non disse nulla e non appena terminò di raccontare del gestore della lavanderia che sperava di cancellare le prove buttando tutto in lavatrice, si alzò dalla poltrona uscendo di casa il più velocemente possibile, lasciando lì John e Greg senza una spiegazione, basiti. Nemmeno dieci minuti dopo, tempo di uscire dallo stabile, il telefono di Gregory lo informò di un messaggio in arrivo.
Cos'hai detto a Sherlock
M

SMS da Mycroft – 14.20
Abbiamo parlato di lavoro, fin quando non è scappato via di corsa.
SMS da Gregory – 14.24

Soltanto pochi istanti dopo capì. Sospirò con il cellulare ancora tra le mani: sicuramente Sherlock aveva scoperto tutto: dal modo in cui Lestrade indossava i vestisti, agli schizzi di fango del giardino di Mycroft sulla punta delle scarpe. Non che ci fosse chissà cosa da nascondere, specialmente a Sherlock; Mycroft, molto semplicemente si era alterato per la solita faida scatenata dal fratello minore, che chissà cosa gli aveva mai spifferato di così tremendamente sconvolgente. Dal canto suo, il maggiore degli Holmes avrebbe preferito che Sherlock fosse l'ultima persona al mondo a scoprire che Lestrade fosse entrato in casa sua più volte del dovuto. Questo fatto, lo mandò letteralmente in bestia, tanto da sparire per giorni dalla circolazione.

*

Era da parecchio tempo che l'Ispettore non vedeva la bella assistente dell'uomo politico che stava fiancheggiando, mentre si avvicinava con passo deciso all'ufficio dello yarder; Blackberry in una mano ed una piccola agendina nera nell'altra. Non tardò a raggiungere l'ufficio e presero entrambi posizione di fronte alla scrivania di Lestrade.
« Sei al corrente, Gregory, che hai lasciato il taccuino a casa mia, l'altro pomeriggio? »
Lestrade, che stava giocherellando con la penna, dissimulando quel poco di nervosismo che lo stava pervadendo, passò lo sguardo da Mycroft alla piccola agenda nera, che Anthea si premurò di poggiare sulla scrivania.
« Non pensavo dovessi portarmela via, mi sono solo segnato alcuni nomi sul cellulare e basta. »
Con la sua solita punta di fastidio, Mycroft sbuffò e, alzandosi, invitò Anthea ad aspettarlo in macchina, dicendole che l'avrebbe raggiunta da lì a brevissimo, e così lei fece.
« No, Ispettore, l'avevo presa apposta per te, pensando bene di segnarci sopra qualcosa di utile, sperando addirittura che fosse di tuo gradimento. »
Come un banalissimo cliché, la penna cadde dalle mani di Lestrade, che passò lo sguardo da Mycroft all'agenda e dall'agenda a Mycroft. Sicuramente doveva essersi perso un passaggio e probabilmente il più fondamentale: cosa aveva indotto Mycroft a regalargli un'agenda, taccuino, o come accidenti si chiamasse?
« Come puoi non possedere un'agenda, Gregory? E ad avere tutto annotato su di un telefono senza un'assistente che lo fa al posto tuo? O ancora peggio, guarda la tua scrivania! »
Non si poteva certo negare che quel tavolo non fosse un cimitero di cartacce, post-it ed altre cose inutili ed insignificanti. In effetti, non ne possedeva una dai tempi dell'accademia, gli avrebbe fatto comodo e non avrebbe più dovuto appuntare nulla sul telefonino. Cominciò a scribacchiarci sopra non appena il telefono lo informò di un omicidio avvenuto qualche ora prima; fu un fulmine ad infilare il cappotto e a balzare al di là della scrivania, pronto a scendere in campo. Salutò Mycroft alla velocità della luce, dandogli perfino una cordiale pacca sul braccio.
« Ti offrirò la cena uno di questi giorni, okay? »

*

Qualcosa scattò.
Lestrade non era stupido, a differenza di quanto pensassero le persone altolocate della sua cerchia di conoscenze e ne capiva senza ombra di dubbio alcuno, più della persona che aveva fatto muovere gli ingranaggi. Non se ne premurò più di tanto, considerando che in quel periodo Lestrade era un agglomerato di sentimenti, anche se per lo più negativi.
Dopo il rientro della moglie dal suo “viaggio di lavoro”, avevano parlato, avevano litigato, discusso più e più volte; aveva pensato altrettante volte di andare ad occupare ancora una volta la camera degli ospiti di Pall Mall, di avere ancora conversazioni sugli alcolici o chissà su che altro, ma qualcosa lo frenava, fin quando non si ricordò di quell'invito a cena, che ancora aveva lasciato in sospeso.
Si chiese almeno una ventina di volte cosa stesse facendo, se era una saggia decisione presentarsi senza neppure un avviso a Pall Mall, bussare alla porta e dire “ehi, hai una cena offerta, ti ricordi?” Sicuramente non lo era, ma ormai era troppo tardi per i ripensamenti, era fuori dalla casa di Mycroft da venti minuti e qualcuno dei suoi domestici senza dubbio lo aveva già avvertito. Quando si trovò di fronte alla porta, non ebbe neppure il tempo di suonare il campanello.
« Suppongo che questa sera mi aspetti un tristissimo hamburger per cena, non è vero, Ispettore? »
Il completo che indossava Mycroft, questa volta era di un velluto verde scuro, contornato dal cappotto nero, nel quale stava infilando nel taschino interno il proprio cellulare: era impeccabile come sempre, con il suo ombrello agganciato al polso.
Lestrade, con ancora la mano tesa verso il campanello, umettò appena le labbra prima di proferir parola e sorrise.
« Triste? Vedrai, ti porterò in uno dei posti migliori di Londra. »
Invitò Mycroft a precederlo, notando che come al solito, preferì usare una delle sue Jaguar con autista. Sperò con tutto sé stesso che prima o poi avrebbero potuto usare la macchina di Lestrade, benché non fosse ineccepibile come quelle: dipendere da qualcuno lui era terribile.
Ci furono diversi attimi di silenzio in auto, entrambi avrebbero voluto far smettere pur non sapendo in che modo. Gregory pensò a che cosa potesse passargli per la sua brillante mente, ancor di più di quella di Sherlock, fin quando Mycroft stesso non gli impose di smettere quei pensieri con la sua voce.
« È assurdo che tua moglie ti abbia tradito con un banchiere. È assurdo che io ti abbia accolto in casa mia, nemmeno fossi un randagio, così come tu sei assurdo. Credi di riuscire a farmi cambiare idea, riguardo a qualcosa, Gregory? »
Da quando aveva imparato a dar voce ai propri pensieri? Lestrade si stupì, e incrociando le braccia ponderò diversi istanti alla risposta adatta da dargli, senza rovinare tutto, come la scorsa volta.
« Affatto, non mi aspetto che tu cambi idea. Su cosa, poi? Ho soltanto la mia, di idea, che non puoi essere sempre stato un pezzo di ghiaccio. Perché ti saresti sposato con Daisy, altrimenti? »
Si strinse nelle spalle, mentre lentamente voltò lo sguardo in cerca di quello di Mycroft, che prontamente non tardò ad arrivare.
« Perché anche lei era assurda. »
Lo sguardo di Mycroft, incatenato a quello di Lestrade, non appena terminò la frase erano scrutatori. Per un attimo, un solo, folle attimo, l'Ispettore sentì un battito in più guardando Mycroft, ma l'autista fece distogliere l'attenzione l'uno dall'altro annunciando l'arrivo a destinazione.
« A quanto vedo, ti piace frequentare persone assurde. »
La cameriera li invitò ad avvicinarsi ad uno dei tavoli e presero posto; Mycroft non poté non essere silenziosamente grato del fatto che ancora una volta Gregory scelse un posto privo di persone e trambusto inutile. Le ordinazioni richieste poco prima, non tardarono ad arrivare.
« Quindi, come ti sembra? »
Chiese Lestrade accennando un sorriso, senza guardare Mycroft direttamente, versando un poco di vino in entrambi i bicchieri.
« Accettabile, Gregory. Nonostante non sia uno dei ristoranti che sono solito frequentare. »
Nascose un sorriso dietro il tovagliolo in stoffa. Lestrade se avesse potuto, avrebbe impresso quel momento nella memoria del proprio cellulare, ma se lo avesse fatto sul serio, Mycroft lo avrebbe fatto spedire chissà dove.
La cena continuò tranquillamente tra parole, sorrisi e sguardi celati a loro stessi e a ciò che li circondava. Gregory dopo un sorso di vino si alzò, sfiorando la spalla del suo accompagnatore che lo guardò inarcando leggermente un sopracciglio, tornando a guardare le azioni degli altri commensali. Non tardò a tornare al tavolo, portando con sé una piccola scatola che appoggiò sul tavolo, a fianco del polso di Mycroft, che quest'ultimo guardò con espressione interrogativa.
« Prego, aprila. »
Riprese il suo posto e Mycroft alternò lo sguardo dalla scatola, all'Ispettore ed infine rimosse con estrema titubanza il coperchio dalla scatolina ed una volta aperta del tutto, la sua espressione si fece totalmente seria; per un attimo Greg pensò di aver commesso l'infrazione del secolo con il suo gesto.
« Gregory. Non so cosa dire. »
L'Ispettore sapeva che quell'uomo tenesse alla propria nutrizione quasi quanto tenesse alla Gran Bretagna stessa, ma era sicuro che quel piccolo pensiero, non avrebbe mai ammazzato nessuno. O almeno così pensò. Biscotti al burro ricoperti di glassa alloggiavano dentro la scatolina e ciò che li distingueva, era la loro particolare forma ad ombrello, che Mycroft avrebbe sicuramente apprezzato notevolmente. Chissà perché, poi. Ciò che quest'ultimo fece, oltre che far piombare un silenzio tombale su quel tavolo, fu levarsi di scatto il tovagliolo dalle gambe, alzarsi, prendere i suoi averi – compresi i biscotti, ed allontanarsi dal locale.
Greg fece lo stesso, domandando al Creatore cosa avesse fatto di male questa volta, pensando anche che forse non si era poi così sbagliato sull'infrazione del secolo. Mycroft, che lo distanziava di qualche passo in più, si diresse verso la berlina nera che era lì ad attenderli. Pochi metri li separavano dalla macchina, quando Mycroft si fermò in mezzo al marciapiede e si voltò verso Greg con espressione piuttosto grave in volto. Quest'ultimo fece un passo verso di lui, ma lo bloccò istintivamente alzando il braccio in sua direzione. Lestrade aveva osato troppo anche questa volta.
« Ti chiedo di starmi lontano, Greg. Santo cielo, sei impossibile. »
Abbassò nuovamente la mano e si avviò finalmente alla macchina entrando per primo e sbattendo la portiera. Lestrade restò per qualche attimo fermo nella sua posizione, stringendo le labbra contemporaneamente ai pugni prima di salire anch'egli nella berlina nera. L'aria era satura di tensione nell'auto: Mycroft era visibilmente a disagio e Gregory si sentì terribilmente in colpa per avergli regalato degli stupidi biscotti, portandosi una mano alla bocca, indeciso se mordersi le nocche o uscire dalla macchina e andarsene direttamente nel suo appartamento, sperando di non fare spiacevoli incontri.
« Io non ricevo questo tipo di cose, Gregory. Ti chiedo di evitare di farlo ancora. »
Non appena Mycroft mise piede fuori dall'auto, la porta di casa si aprì e si fiondò all'interno, poggiando delicatamente i biscotti sul mobile dell'ingresso e dirigendosi poi verso la vetrina dei liquori in salone. Lestrade, fermo sulla soglia dell'arcata della sala si preoccupò, chiedendosi cosa gli stesse prendendo e sentendosi colpevole di quelle specie di crisi di panico. Fece un passo avanti, poggiando la suola della scarpa sul tappeto, fermandosi non appena sentì il rumore attutito di qualcosa in frantumi: qualsiasi cosa avesse calpestato, quanto stava accadendo aveva la precedenza. Mycroft deglutì, facendosi morire un gemito in gola, cominciando a parlare con un fil di voce, nonostante la lontananza con l'Ispettore era ormai minima.
« Stupide crisi. »
Lestrade, ancora sulla soglia dell'arco del salone, collegò immediatamente quel rumore sentito poco prima, alla frase di Mycroft e si allarmò considerevolmente, tanto che una fitta si impadronì dello stomaco e non si trattava né degli avvocati, né del tradimento, ma bensì di quanto stava accadendo lì. Per la prima volta, da quando lo aveva visto in quella stanza d'ospedale, gli sembrò fragile, indifeso. Pronunciò la prima cosa che gli venne in mente, nonostante fosse terrorizzato dalla sua reazione: sicuramente avrebbe voluto cacciarlo direttamente fuori di casa.
« Parlamene. »
Avvicinandosi, la macchia che bagnava il bracciolo della poltrona diventava sempre più nitida e ben visibile, anche se a causa della luce fioca dell'abat-jour non era in grado di distinguere il sangue dall'alcolico.
« È una cosa cronica e non c'è motivo di allarmarsi, tanto meno per me. »
Lestrade si premurò di raccogliere tutti i cocci dal pavimento, almeno quelli visibili ad occhio nudo e li poggiò sul lungo tavolo che padroneggiava nel salone.
« Stanne fuori, Gregory. Questa volta te lo sto ordinando. »
Ormai era troppo tardi per tenere Gregory dai suoi affari, dalle sue crisi e certamente quest'ultimo non se ne sarebbe mai andato, mollandolo lì con dei cocci piantati nel palmo della mano. Con un ultimo passo fu finalmente davanti a lui: la mano sinistra di Mycroft con i resti dello snifter era ancora lì, poggiata sul bracciolo logoro; mentre l'altro gli reggeva pigramente il viso osservatore dell'orrendo spettacolo. L'Ispettore mantenne la sua freddezza come meglio poté e prese la situazione in mano, andando a chiedere gentilmente ai domestici, i quali non fecero nessuna domanda per fortuna, la cassetta del pronto soccorso, intimando a Mycroft di non muoversi.
« Dammi la mano. »
Per diversi istanti Mycroft lo guardò incerto, tanto che Greg dovette invitarlo un'altra volta a porgergliela. Controllò la profondità dei tagli e notando delle piccole schegge al suo interno, prese le pinzette disinfettate per estrarle.
« Ti farò male, non ho la qualifica da medico. »
Lestrade cercò di sdrammatizzare un po' la situazione, cercando anche di immaginarsi nei panni di dottore al posto di quello da Ispettore di polizia. Mycroft ne seguì attentamente ogni movimento con la sua pressione impassibile, tanto da non riuscire a capire se gli stesse procurando dolore oppure no.
« Gregory. »
Disse, facendo alzare per un attimo la testa di Lestrade, per poi tornare a dedicarsi alla mano. Chiuse per un attimo gli occhi, cercando di trattenere una smorfia per il dolore e li riaprì, posando lo sguardo sulla finestra ormai scura per via della notte. Ciò che vide erano solamente le loro figure riflesse nel vetro.
« Ti piace così tanto il mio nome di battesimo? Lo pronunci sempre. »
« No, ma è tuo. Ti sta bene. »
Accennò un sorriso, con gli occhi sulla mano, intento ancora ad operare ed una volta finito, prese il flaconcino dell'acqua ossigenata.
« A me è sempre piaciuto il tuo. È insolito. »
« Ricorda un software. »
« Non lo nego. »
Si scambiarono un velato sorriso; ormai le ferite erano disinfettate, così passò a cercare dei cerotti idonei, sicuro di allentargli il dolore una volta per tutte.
« Ti sto facendo male? – chiese per sicurezza. »
« Prego? No, è solo strano, insomma, mi stai toccando la mano. »
Certamente non serviva la sua conferma, ma sì, gli stava toccando la mano e cercò di trattarle come il più prezioso dei tesori. Come aveva sempre presupposto erano ben curate e morbide, neppure quelle avevano nulla fuori posto, eccetto quei tagli.
« L'ultima volta che è capitato eri con qualcuno? »
Mycroft non rispose, mentre lo sguardo di Greg rimase fisso sulla sua persona, mentre quello del maggiore degli Holmes vagò ancora una volta nel buio del suo giardino, poi sospirò profondamente, guardandosi infine le ginocchia, notando qualche piccola macchia di sangue sui pantaloni del completo.
« Greg. Tu non mi conosci. »
« Lasciati conoscere. »
La voce di Lestrade era ridotta ad un filo, quando finalmente i loro sguardi si incrociarono per un attimo, Mycroft negò con il capo, stringendosi gli occhi con la mano libera.
« Non posso lasciartelo fare. Dimenticati delle mie offerte e allontanati al più presto da uno come me. »
Lentamente e impercettibilmente, la mano di Lestrade scivolò cercando di intrecciare le dita con quelle di Mycroft.
« Non mi succedeva da tempo. Essere invitato, cenare con qualcuno e avere un contatto. Normalmente non voglio avere a che fare con le persone ordinarie, ma tu... sai fare del sarcasmo, indossi dei vestiti che sugli altri troverei orrendi e scadenti, mi compri degli stupidi biscotti e mi stai ancora tenendo questa dannatissima mano. »
Accennò sarcasticamente un sorriso verso il proprio riflesso sulla finestra, ma distolse lo sguardo anche da quello, puntandolo su Lestrade, che lo stava guardando, senza sapere bene che cosa dire o fare, se non accarezzargli il dorso con il pollice, molto lentamente. Si trovava mano nella mano con uno dei pilastri del Regno Unito, uno dei più freddi, inginocchiato sul tappeto della sua sala e stava ascoltando parole che probabilmente non pronunciava da anni. Per la prima volta in tanti anni gli parve tremendamente
umano.
« Capisci però che non posso andarmene
ora? »
Lestrade si sorprese un po' delle sue stesse parole, e l'espressione seriosa sul viso dell'Holmes lasciò il posto ad una poco più che sorpresa. Stavano cominciando a preoccuparsi l'uno per l'altro, forse? Per Mycroft fu tutto irreale, tanto che si soffermò a studiargli ogni singola espressione sul viso: dagli occhi stanchi e preoccupati, alle labbra serrate e bisognose di dire di più.
« Greg. – pronunciò il suo nome, per poi guardarlo – Voglio che tu mi baci. Poi potrai andartene... »
L'Ispettore cominciò a sentire il battito del suo cuore ovattato e si sentì scendere le viscere dello stomaco fino ai piedi e gli riuscì difficile perfino deglutire. Si guardarono soltanto, nessuno dei due aveva niente da perdere, se non loro stessi e loro stessi esistevano soltanto in quel momento. Greg rizzò la schiena di fronte a Mycroft, continuando ad accarezzargli la mano e non fecero che guardarsi, mentre avvicinava il viso a quello del maggiore degli Holmes e dovette reprimere l'istinto di alzare la mano per poggiarla sulla guancia perché quel momento non l'avrebbe rovinato nessuno. In pochi istanti, le sue labbra erano poggiate su quelle di Mycroft Holmes e chiuse gli occhi mentre quest'ultimo si spingeva sulle sue ricambiando castamente quel bacio, in cerca di quel contatto che aveva tenuto nascosto per anni. Sicuramente un attacco cardiaco, avrebbe preso Lestrade da lì a poco, considerando quanto il suo cuore batteva veloce.
« Sai di brandy. »
Strinse le labbra, passandovi la lingua sopra e assaporando ancora il gusto di Mycroft impresso su di esse. Non rispose, limitandosi ad alzarsi dalla poltrona, sciogliendo ogni contatto con Lestrade e lo superò senza voltarsi.
« Buonanotte, Gregory. Il Governo Britannico è ubriaco e ha bisogno di dormire. »
Greg, ancora inginocchiato di fronte alla poltrona, rimase a guardarlo fin quando non sparì dietro al muro. Mise a posto la cassetta del pronto intervento e ripulì la poltrona del brandy e dal sangue; infine, raccattò la giacca dall'ingresso dove l'aveva buttata e, una volta fuori dalla tenuta, accese la sigaretta. Lo aspettava una lunga camminata verso casa, dove avrebbe potuto schiarirsi bene le idee.





Note: durante la role, questa parte mi ha fatto dare di matto e non poco, piccoli. çwç Come sempre grazie per le recensioni e i seguiti, mi auguro che la storia sia di vostro gradimento. uwu

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Capitolo 5
*** File 04 ***


File 04.

“ Se solo non fossimo qui, ti farei chiudere la bocca. ”


Ricevere una telefonata di Sally Donovan di prima mattina era segno di terribili notizie: il caso era ancora quello che si stavano portando appresso da quasi una settimana, senza però risultati concreti, ma appuntò sull'agenda nuova quanto riportato dalla collega.
Solo una persona avrebbe potuto ritenere interessante un omicidio del genere e certamente non lo avrebbe sorpreso, una volta presentatosi al suo cospetto per un aiuto.
Salendo le scale che portavano all'appartamento sentì Sherlock alzare la voce, immaginando si trattasse di un cliente decisamente troppo noioso, oppure una discussione con il coinquilino: non immaginò nemmeno lontanamente di potervi trovare il fratello maggiore, né tanto meno di trovarli entrambi in una di quelle famosissime “faide fraterne”, in cui c'entrava anche Lestrade stesso, quello che era successo e quello che Sherlock era riuscito a leggere soltanto dalla mano fasciata di Mycroft: aveva scoperto del bacio e Mycroft non si era nemmeno premurato di nasconderlo, iniziando così una discussione senza un senso logico, fin quando Mycroft stesso non tirò in ballo i problemi con la droga di Sherlock, annunciando a John le sue abitudini, che credeva avesse abbandonato nel loro periodo di convivenza. Prese poi il suo cappotto, accompagnato dall'ombrello, dirigendosi verso le scale senza nemmeno degnarsi di un saluto, né uno sguardo all'Ispettore. Greg rimase fermo, impietrito davanti al divano guardando la sua figura sparire dalla sua vista. Non rimase molto sorpreso di quel comportamento, o almeno non del tutto; era risaputo che per i fratelli Holmes servisse molta, molta pazienza. Guardò John non appena sentì la porta richiudersi e si dimenticò perfino il motivo per cui si trovasse lì e quando se ne ricordò, ormai Sherlock era chissà dove, giungendo alla conclusione che a quel caso, ci avrebbe pensato in ufficio da solo, in quel momento la sua testa era completamente altrove: aveva bisogno di schiarirsi le idee, se non addirittura dimenticare il motivo di quella discussione fraterna.
Una volta a casa, per fortuna senza quella che era ancora la moglie tra i piedi prese il portatile segnando sull'agenda alcuni dei più interessanti alloggi trovati in rete, aveva bisogno di rifarsi una nuova vita al più presto, peccato che i prezzi e le locazioni degli appartamenti, non erano per niente di aiuto, nonostante il buon stipendio lavorativo; il tempo restante lo passò attaccato alle documentazione riguardanti la separazione e non appena aprì il fascicolo gli venne il senso di nausea; cacciò malamente i fogli sul portatile chiuso e lo spinse in avanti. Nello stesso momento il campanello della porta suonò e Greg prima di alzarsi fece mente locale su chi potesse essere, dal momento che non stava aspettando nessuno. Quando aprì, con indosso una tuta smessa ed una maglietta di una delle sue band preferite, si irrigidì un poco. Restarono per diversi istanti a fissarsi sulla porta perché insomma, non si vedevano decentemente da... beh, da quando si baciarono in mezzo ad un dramma e chiaramente la mattina stessa non contava. Mycroft batté piano la punta dell'ombrello sul pavimento e schiarì la voce, guardando Greg dritto in volto.
« Al martedì sera sono solito andare all'Opera, quando c'è uno spettacolo che mi aggrada. »
Abbassò appena lo sguardo passando la lingua sulle labbra, mentre Lestrade continuò a guardarlo, al pensiero di quelle rare volte in cui partecipò ad Opere teatrali, quando la moglie lo degnava della sua piacevole presenza.
« Ho prenotato in prima fila per due, mi auguro sia di tuo gradimento lo spettacolo da me scelto, Gregory. »
Si affrettò ad aggiungere evitando però di guardarlo in faccia, trafficando nelle tasche interne della giacca. Tra tutte le cose che poteva aspettarsi per scusarsi dell'orribile scenata all'appartamento di Baker Street dal fratello, questa non gli passò nemmeno per l'anticamera del cervello; si passò una mano trai capelli, cercando invano di sistemarli, visibilmente in imbarazzo.
« Sì, d'accordo. Grazie. »
Rispose cercando di non balbettare. Più cercava di omettere i pensieri dell'ultima volta a casa di Mycroft, più quelli si facevano prepotentemente strada nella sua mente. Finalmente, dopo essersi reso conto di averlo lasciato sulla porta, Greg invitò Mycroft ad entrare, ma questo declinò l'invito, rimanendo nella sua posizione, con l'ombrello alla mano, ed una busta nell'altra.
« Suppongo di dovermi scusare per questa mattina. Non ero degli umori migliori. »
Cristo santo se non era degli umori migliori! Neppure lo guardò in faccia quando entrò nell'appartamento di Sherlock, e okay che erano maggiori le volte in cui non andavano d'accordo che quelle in cui lo facevano, ma quella mattina aveva un tantino esagerato, pensò Lestrade, mentre trattene una risata sarcastica, attirandosi lo sguardo di rimprovero di Mycroft.
« Scusa, scusa. Spero che i tuoi umori migliorino presto. »
« Non capisco perché ti soffermi tanto su questo discorso. »
Tagliò corto Mycroft, visibilmente spazientito: odiava parlare, e addirittura pensare, alle litigate col fratello, specialmente se quelle erano belle fresche di giornata, come quella appena avvenuta.
« Perché sto cercando di conoscerti. »
Le parole uscirono da sole dalla bocca di Gregory, senza che questo poté fare nulla per fermarle; da sempre aveva ritenuto una persona interessante, al di là di quanto dicevano tutti, fin dalla prima volta in quella stanza d'ospedale, dai modi di fare, ai modi di parlare e all'abbigliamento: aveva sempre indossato completi da far invidia a chiunque, lasciando senza parole perfino un eterosessuale come lui, malgrado il termine “eterosessuale” in quel periodo stonasse leggermente, ma cercò per l'ennesima volta di ricacciare quel pensiero nei meandri della sua mente. Mycroft non rispose e distolse lo sguardo da quello di Gregory, allungando la mano che reggeva la busta verso l'Ispettore.
« Non sono così interessante come credi, Gregory. Questa sera alle otto in punto, fatti trovare pronto. »
E prima che quest'ultimo potesse anche solo ribattere, Mycroft sparì dalla sua vista.
Quando si rese conto che lo aveva appena invitato ad un appuntamento, stava fumando la sua ultima sigaretta prima dell'inizio serata. L'inconfondibile berlina nera, puntuale come un orologio svizzero, accostò sotto il portone di Lestrade che, per non fare brutte figure con eventuali ritardi, si fece trovare pronto ben mezz'ora prima; il completo, che Mycroft gli lasciò nella busta, gli calzava a pennello. Lestrade restò al fianco di Mycroft una volta all'ingresso del teatro; c'erano benestanti di ogni fazione, dagli imprenditori di varie aziende a qualche presentatore televisivo e dovette reprimere l'impulso di andare a stringergli la mano, restando fermo al fianco di Mycroft.
« Mi sento un pinguino vestito così. »
Gli prestò attenzione per un istante, prima di rivolgersi verso qualsiasi persona gli si avvicinasse per scambiarsi un saluto; inaspettatamente e molto cordialmente Mycroft lo presentò a loro, come “Detective Ispettore di Scotland Yard”. Dopo tutte quelle formalità si diressero finalmente nella Hall del teatro, dove vennero indirizzati verso le loro postazioni in prima fila di quella che scoprì essere un'enorme sala rossa e dorata; presero posto nei loro posti centrali di fronte ai musicisti, separati solamente da un separé rosso come le tendone del palco.
« Anche Daisy veniva all'Opera? »
« Era una delle Soprane, l'avevo conosciuta così, con la sua voce cristallina. Credo non ne incontrerò altre così. Rare. Ma Lo spettacolo è più interessante, Gregory. Goditelo. »
Si soffermò ad ascoltare per diversi minuti gli assoli di violino e violoncello di quell'opera musicale, ammettendo silenziosamente che quelle composizioni fossero piacevoli e rilassanti. Si accomodò meglio sulla poltrona, sfiorando il gomito con quello di Mycroft.
« È vero, è interessante, solo che parlare con te lo è di più. »
« Se ti piace, potremmo tornarci ancora. »
Non gli dispiaceva l'idea. Soprattutto non gli dispiaceva per nulla vedere Mycroft rilassato una volta tanto. Pensò alle volte scorse, in cui finirono in modo disastroso e sperò con tutto sé stesso che almeno quella volta andasse bene. Annuì appena.
« Sto cercando soltanto di fare quello che posso per... »
Non riuscì a terminare la frase, abbassando lo sguardo sulle sue ginocchia e strinse le labbra, pentendosi di aver cominciato quel discorso; si sentì lo sguardo di Mycroft piantato addosso, bramoso di sapere, studiare quanto più poteva.
« Finisci la frase. »
« Non ho altro da aggiungere. »
« Bugiardo. »
Lo era. Si portò una mano alla bocca distogliendo lo sguardo dal palco, l'altra ancora salda sul bracciolo. Aveva un fastidioso nodo allo stomaco per colpa di quella conversazione che aveva cominciato lui stesso e lo fece sentire a disagio, più del necessario.
« Domani ho un paio di appuntamenti per vedere alcuni alloggi. »
Cercò disperatamente di cambiare discorso, facendo mente locale su qualcosa di non troppo tragico; il suo tono vocale era ridotto ad un filo, tanto che dovette schiarirsi la voce per farsi sentire
« Non vai da nessuna parte, Gregory. Non senza il mio permesso. »
Quel nodo allo stomaco, decise di diventare ancora più saldo riuscendo a compromettergli perfino la deglutizione. Voltando direttamente il capo verso il giovane accanto a sé; al momento la sua testa era da tutt'altra parte, tanto che gli permise di ascoltare quei violini a stento, se non quando stridevano delle noti acute.
« E me lo impediresti? »
Certo che lo impedirebbe, che domande, pensò. Nascose il sorriso velato con la mano: la situazione era talmente assurda che avrebbe tanto voluto essere risucchiato dalla sedia rossa fuoco di quel teatro. Aveva bisogno di una sigaretta.
« Se solo non fossimo qui, ti farei chiudere la bocca, Gregory. »
Se non di una stecca intera, di una bombola d'ossigeno e di un defibrillatore: il suo cuore aveva perso più di un battito e si sorprese di essere ancora in grado di muovere qualche muscolo del viso per bagnarsi le labbra con la punta della lingua.
« Dopo a casa, resisterai come sto facendo io. »
« Certamente, mi stai solo stritolando il polso. »
Dopo alcuni istanti di incertezza, impose a sé stesso di abbassare lo sguardo su quella sua dannata mano, cercando la conferma dell'ovvio: la sua mano era intorno al polso di Mycroft in cerca di contatto. La sua voce tremava e il suo battito cardiaco era accelerato: forse la scoperta del tradimento lo stava facendo uscire di testa sul serio, ma non gli importava; soffocò una risata, sperando di non risultare eccessivamente fuori di testa più di quanto si sentisse.
« Non voglio il tuo polso, Mycroft. Voglio la tua mano. »
Si aspettò un insulto, un rifiuto, una smerdata plateale in stile Holmes davanti a tutto il teatro, invece sentì solamente Mycroft muovere il polso, chiedendo silenziosamente di allentarne la presa, in modo da poter prendergli delicatamente la sua ed intrecciarne le dita.
« Manca un minuto alla fine e non ho nessuna voglia di salutare né i politici, né i benestanti presenti. »
Abbandonarono la sala buia, il momento in cui calarono le luci e i tendoni, per poi rialzarsi per i ringraziamenti e gli applausi; quel contatto era decisamente diverso da quello precedente: ora era Mycroft a guidare Greg. La macchina era lì fuori ad aspettarli e una volta dentro cercarono di nuovo uno la mano dell'altro, senza dire una parola, limitandosi a bearsi di quel calore.
Lestrade si chiese cosa stesse pensando Mycroft di quel momento senza azzardarsi a levare gli occhi da fuori il finestrino chiuso.

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Capitolo 6
*** File 05 ***


File 05.
“ Niente. Niente di importante. ”


L'Opera, il rientro a casa, la discussione sulla nottata trascorsa che si prolungò ad un orario improponibile e l'invito di Mycroft di passare la notte in camera con lui. Gli piaceva molto ascoltarlo, assimilare quanto aveva da dirgli riguardo a discorsi di cui ignorava praticamente tutto.
Quando aprì gli occhi e fece mente locale, riconobbe quella che era la stanza di Mycroft. Si prese quale minuto per ammirarne i dettagli sfuggiti la sera prima, per giocherellare su quanto quel dettaglio o l'altro ancora fosse inerente con il padrone di casa. Per la prima volta da quando si era avvicinato al maggiore degli Holmes per causa di forze maggiori, Lestrade riuscì a passare un sonno tranquillo senza troppi pensieri, se non quelli sulla stanza in cui si era ritrovato a passare la notte: la stanza dalle pareti blu. Ma la tranquillità ben presto, lasciò spazio allo stress: la successiva ora non fu delle più piacevoli, le telefonate della moglie si fecero via via sempre più insistenti, nonostante avessero parlato molto e fossero quasi giunti ad un punto di incontro.
Passò la pausa pranzo passeggiando per St. James's Park, aveva bisogno di aria fresca per potersi calmare dopo quella telefonata non gradita. Con una bella tazza di caffè bollente, andò a prendere posto su di una panchina di fronte al lago; non era particolarmente affollato, fatta eccezione per i turisti. A Greg piaceva perdere tempo lì nei parchi, era uno dei luoghi che più amava di Londra. Finì il suo caffè e andò a buttare il bicchiere nel contenitore dei rifiuti, pensando e ripensando alla telefonata e alle sue stesse parole poiché alla fine, si era accordato per un appuntamento. L'unica cosa di cui era sicuro in quel momento di tormento interiore, era che non sarebbe mai più tornato con lei.
Il pomeriggio lo passò appresso ad una donna che gli parlò per due ore dei tradimenti del marito e ma non ci volle poi molto a capire che ogni volta che lui decideva di andare al supermercato di notte, e per di più a giorni alterni ed alla stessa ora, la tradiva con la commessa vent'anni più giovane. Per professionalità non poteva permettersi di dare a vedere la sua irritazione, perciò dileguò la signora educatamente con le sue deduzioni, dedicando così le restanti ore del pomeriggio a quel caso irrisolto: aveva necessità di impegnare la mente e voleva venirne a capo da solo senza l'aiuto di Sherlock. Pensò e ripensò guardando le fotografie, appuntando e rileggendo gli appunti, i fascicoli e facendo una serie di telefonate nei vari obitori non venendo a capo di assolutamente nulla. Infine si accasciò sullo schienale della sedia dopo aver perso due ore e mezza.
Chiuse la porta alle sue spalle con stizza, dopo aver preso la giacca ed essere uscito da Scotland Yard.

*

Con Mycroft erano giunti all'accordo che sarebbe potuto rimanere a Pall Mall, e anzi, più che un accordo, era un vero e proprio un ordine: dopo il teatro, Mycroft lo ribadì ancora una volta, in modo che potesse sentirlo meglio, una volta in macchina. Per Gregory fu più un sollievo che altro, poiché si era quasi stufato di dormire su un divano in casa propria, e quando era nei dintorni notava addirittura Mycroft più tranquillo del solito. Si sentiva bene, nonostante tutto, nonostante il trambusto che stava vivendo, nonostante le novità a cui Mycroft lo stava sottoponendo involontariamente.
Quando Lestrade rientrò, nell'aria vi erano le note di qualche autore classico, a cui chiaramente non riuscì a dare un nome, vista la sua ignoranza in materia e prepotentemente, ree le note in sottofondo e la figura di Mycroft completamente rilassato sulla propria poltrona, tornò tra i suoi pensieri il discorso mozzato la sera dell'Opera. Si avvicinò, annunciando il ritorno sfiorandogli la spalla con una mano.
« Faccio quello che posso per renderti felice, almeno un po'. La fine di quella frase. »
Rimase immobile, Mycroft, nella sua posizione con gli occhi chiusi e le mani congiunte sotto al mento, immerso completamente nei suoi pensieri. Non uscì nient'altro che un sospiro da lui, per diversi minuti.
« Non mi dispiace. »
Quando finalmente aprì gli occhi, Lestrade non era più nella stanza, vide la sua ombra dirigersi verso la cucina e seguendolo, lo trovò al lavandino intento a lavare un bicchiere. Si fermò sulla porta, poggiandosi con una spalla allo stipite, limitandosi a guardarne i movimenti per alcuni istanti.
« Sei veramente assurdo, Gregory. »
Lestrade, che ne aveva sentito i passi e si sentì il suo sguardo addosso non rispose, sorridendo genuinamente senza darlo a vedere; una volta poggiato il bicchiere sul ripiano del lavandino, asciugò le mani con uno strofinaccio, voltandosi, con il sorriso ancora sul volto.
« Sono tutto: assurdo, “sentimentale” e qualcos'altro che sicuramente mi è sfuggito. »
Finalmente alzarono lo sguardo l'uno sull'altro e Gregory trovò il coraggio di ringraziarlo una volta per tutte e Mycroft capì, e d'altronde come poteva essere altrimenti? Se ora avevano un sorriso sul volto, era merito del maggiore degli Holmes, pensò Gregory.
Quando abbassò lo sguardo, sentì un battito in meno partirgli da quel suo cuore malandato, ed incolpò anche la stanchezza che stava giocandogli brutti, bruttissimi scherzi; prese in considerazione di farsi un bagno veloce dopo cena e poi fiondarsi sotto le coperte, cercando di addormentarsi il prima possibile, cercando di soffocare quanto stava pensando e che non aveva nemmeno il coraggio di ammettere a sé stesso.
« Mycroft. »
Lasciò sfuggire, con l'attenzione di quest'ultimo ancora tutta su di lui.
« Niente. Niente di importante. »
Scosse il capo, pentendosi di aver innescato una piccola bomba; Mycroft lo guardò ancora, facendo un passo verso di lui, mentre Greg si lasciò studiare, benché stesse cerando di nascondere quanto voleva... e provava, accostandosi al tavolo, poggiando il palmo della mano sul ripiano.
« Dimmelo, Greg. »
Negò ancora, mordendo l'interno della bocca evitando di guardarlo in faccia: lo avrebbe cacciato di lì a calci – ovviamente non lui di persona, non si sarebbe abbassato a fare una cosa così barbara, se lo avesse guardato e capito. In quel momento il pavimento in ceramica gli parve più interessante perfino della sua prima indagine sotto il nome di Ispettore, pur di evitare ogni contatto visivo con Mycroft. Si era cacciato in un grosso pasticcio senza fine, poiché qualsiasi cosa avesse detto pur di scampare alla verità, si sarebbe accorto della palla enorme. Ciò che voleva, spaventava perfino Lestrade stesso, tanto da rendergli difficile deglutire: riceveva minacce di morte quasi ogni giorno e non erano quasi nulla in confronto a quel momento.
« Baciami. »
Strinse con forza il piano del tavolo, talmente forte da farsi sbiancare visibilmente le nocche; era pronto a ricevere ogni cosa: rifiuti, parole, insulti... Mycroft con un passo era ancora più vicino a lui e Greg se ne accorse grazie all'intenso odore improvviso dell'acqua di colonia, costringendosi a guardarlo; le loro gambe si sfioravano e Mycroft lo guardò ancora nei suoi occhi scuri, serio come solo uno come lui sapeva essere. Senza preavviso abbasso il viso sul suo, baciandolo. Di nuovo il suo sapore, di nuovo quelle sensazioni, che questa volta furono più intense: le labbra di Mycroft premevano poco più su quelle di Lestrade e lui si appropriò per qualche attimo del suo labbro inferiore, rimanendo leggermente deluso quando quel contatto finì; ma almeno non lo aveva espulso dal globo, né rifiutato nonostante non dissero più una parola, fin dopo cena, quando Mycroft si diresse in camera da letto.
« Questa sera dormirai in camera mia, il letto è più grande. »

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Capitolo 7
*** File 06 ***


File 06.
“ Niente sentimentalismi. ”


Prese posizione dietro la scrivania, dove passava la maggior parte delle giornate quando non aveva indagini in corso, accorgendosi dal freddo che faceva nello stabile, che avrebbe fatto meglio ad andare a prendere indumenti più caldi in casa sua, in cui raramente ormai metteva piede, se non per prendere alcuni effetti personali o, appunto, indumenti che fossero. Pregò di non trovarci nessuno di inopportuno, l'esser riuscito a concordare un incontro nei giorni seguenti era già stato uno sforzo immane da parte sua.
Con quei pensieri, si sarebbe sicuramente rovinato la giornata, quindi si dedicò al caso che si presentò: aggressione a mano armata e sequestro di persona in banca, che gli occupò tutta la mattinata e anche parte del primo pomeriggio, quando riuscirono a prendere il rapinatore e a liberare la donna e l'anziata signora sequestrate. L'impresa non fu quella di portare il pregiudicato trentasettenne in centrale, ma quella di far smettere l'anziana signora di piangere, che rischiò ben due infarti e furono costretti a ricoverarla in ospedale. Cominciò a scrivere un verbale dell'indagine, ma che accantonò non appena il suo stomaco aveva iniziato a brontolare.
Fu più una merenda, che un pranzo; si diresse al St. James's Park per una decina di minuti, voleva rilassarsi vista la mattinata appena trascorsa; scartò il panino e diede un morso, accendendo la schermata del cellulare e scoprendola pulita: nessun messaggio. Scacciò l'idea di mandare un messaggio a Mycroft; se non aveva scritto per tutta la mattina, significava che era occupato.
Passò un pomeriggio fiacco e al freddo, così si concentrò sul caso mandatogli da un collega, riuscendo a risolverlo completamente da solo, facendo quattro o cinque chiamate e mettendo insieme le fotografie.
L'arrivo a casa sua, in Harrington Road fu... Fu. Non vi erano parole per descriverlo, tranne forse “Malinconico”; si morse internamente la guancia dirigendosi in camera da letto con lo sguardo basso, prendendo qualche cambio d'abito più pesante, cappotto compreso. Diede un ultimo sguardo a quella casa, chiedendosi quando avrebbe potuto tornare a viverci; si affrettò ad uscire dalla sua palazzina, avviandosi verso la macchina e posando la borsa sul sedile posteriore, ma non salì, facendo distrattamente un giro per la sua via.
Il telefono non vibrò per tutto il giorno, neppure quando lo tirò fuori per controllare le chiamate, lo fece roteare tra le mani pensando di contattare John Watson: era veramente da troppo tempo che non andavano a bere qualcosa insieme, non gli avrebbe fatto male passare un po' di tempo col dottore.
Buonasera, John. Finito il turno in ambulatorio?
SMS da Greg Lestrade – 18.14
Ciao Greg! Sì.
SMS da John Watson. – 18.19
Mi chiedevo se ti andasse di andare a bere una birra insieme. È da un po' che non lo facciamo.
SMS da Greg Lestrade – 18.21
Certo, nessun problema. :)
SMS da John Watson – 18.22
Si diedero appuntamento in un pub poco distante da Baker Street, dopodiché infilò il cellulare nella tasca, buttando il cappotto al posto del viaggiatore ed entrò in macchina, diretto all'appuntamento al pub con il dottor Watson, che trovò di gran lunga giù di tono una volta insieme al bancone del locale.
« Hai avuto una discussione con Sherlock? »
« Non lo so, non credo. Sai com'è fatto, lo conosci più di me. »
Bevendo un sorso della sua birra preferita, Greg pensò alla bravura di Sherlock, alle volte in cui lo aiutava non poco durante le indagini e alle sue perspicaci deduzioni, che riusciva a trarre soltanto da una macchia sulla pelle della vittima in obitorio. Era vero, lo conosceva da molto più tempo di John e sapeva che basta un niente per imbronciarlo per giorni.
« Greg. Posso farti una domanda? »
Lestrade annuì con un lieve cenno del capo mentre degustava la sua birra e guardava l'ex medico militare, in attesa, nonostante sapesse perfettamente chi sarebbe stato il soggetto di quella domanda.
« Che intenzioni hai? Insomma, con Mycroft. »
L'Ispettore lo guardò fin quando non abbassò lo sguardo sulla schiuma bianca rimasta nel boccale: bingo. Grazie all'intuito di Sherlock Holmes, anche John sapeva cosa stava succedendo al fratello maggiore e di conseguenza a Lestrade. Restò in silenzio, rifacendo quella domanda anche a sé stesso.
« Non lo so, John. Sono abbastanza confuso: sto bene quando c'è e a malapena ho il tempo per pensare al divorzio, Dio solo sa come, poi. »
Lo ammise più a sé stesso che a Watson: stava imparando a conoscerlo, andando oltre a quanto Mycroft stesso facesse vedere e non gli dispiaceva come persona, nonostante tutto, nonostante le azioni poco pulite che ogni tanto commetteva. John annuì lentamente guardandolo e raschiandosi la voce.
« Non vorrei che ti coinvolgesse troppo sentimentalmente, ne stai appena uscendo e mi è parso di capire in maniera definitiva. »
« John, – sospirò, poggiando la schiena allo schienale della sedia – so quello che faccio. Sto bene, sul serio. »
Non voleva apparire brusco, ma lo sguardo quasi mortificato di John gli fece capire di esserlo stato; in fondo stava soltanto preoccupandosi per Greg; lui, che conviveva con un Holmes, ne sapeva certamente di più. Non che gli dispiacesse la sua vita con Sherlock, anzi. Farsi “coinvolgere sentimentalmente” era l'ultimo dei pensieri di Lestrade e a dirla tutta, quella frase non dovette nemmeno insinuarsi, ma era lì, pronta a tormentarlo. Si scusò con John e si alzò, andando a pagare il contro per entrambi ed uscirono dal locale estraendo il cellulare, trovandolo ancora una volta sgombero di messaggi. Lo rimise in tasca nascondendo la stizza e al suo posto estrasse il pacchetto accendendo una sigaretta, borbottando qualcosa a John riguardo i giovani che popolavano l'ingresso del pub, provocando al Dottore una risata, che sparì dal suo volto non appena lesse il messaggio arrivatogli sul suo cellulare.
« John? Tutto a posto? »
« Cosa? Sì... sì. – sorrise sarcastico, mettendo il cellulare il tasca – È solo Sherlock, gli servo per passargli qualcosa dal tavolo al divano. Ultimamente gli servo solo a questo. »
Sbuffò chiudendosi la giacca; scambiarono ancora qualche parola in cui Gregory gli offrì un passaggio a casa, che John declinò abitando a due passi da essa. Greg finì la sigaretta, buttando il mozzicone nell'apposito spazio, dirigendosi poi verso la macchina, intento a riflettere ancora e ancora.
C'erano delle persone importanti che ancora non sapevano niente di quanto gli fosse capitato negli ultimi tempi e in effetti non aveva avuto neppure il tempo di pensare a loro. Erano le dieci e, non curante dell'ora, prese il telefono, componendo il numero della casa dove era nato e cresciuto.
«
Ciao, Mamma. »
Il suo cuore si strinse non appena la donna rispose all'altro capo del telefono: avrebbe voluto averla lì con sé e abbracciarla forte, dovette anche combattere con l'impulso di piangere e sfogarsi. La sua famiglia abitava a Birmingham, andare dai suoi genitori in quel momento, purtroppo per lui era fuori discussione. C'erano voluti pochi secondi a Lydia Lestrade per capire cosa gli fosse nuovamente capitato, conosceva alla perfezione il tono vocale del figlio e si preoccupò, forse anche più del dovuto, chiedendogli di che cosa avesse bisogno. Parlò di Mycroft Holmes, che conoscevano entrambi i genitori, sia come «
fratello maggiore del ragazzino che ti aiuta con le indagini al lavoro », sia come "Governo Britannico"; rimasero al telefono per una buona ora e mezza, parlando di ciò che aveva intenzione di fare con Karen, e Lydia non poté che concordare con le decisioni del figlio.
«
Grandissima battona, ma non la puoi arrestare? »
«
No mamma, non posso. »
Rise di gusto, appoggiato al cofano della macchina; la voce di sua madre era un toccasana, si sentì decisamente meglio anche solo sentendola per telefono. Non mancò di parlare anche con il padre, dicendogli soltanto che stava bene e non aveva bisogno di nulla, se non del loro supporto e della comprensione della mamma. Si maledì per non averli pensato prima quando chiuse la telefonata e promise che li avrebbe richiamati non appena quella «
grandissima battona » si fosse tolta dai piedi, una volta per tutte.
Rientrerò domani nel tardo pomeriggio, Gregory, avrei voluto avvisarti prima. C'è una falla nel Governo per le nuove elezioni, credo di aver sentito troppi insulti, nonostante fossi io il santificato.
M

SMS da Mycroft – 01.35
Quando fece per suonare il campanello della casa di Pall Mall, il telefono lo avvisò di un messaggio in arrivo, finalmente e nello stesso momento, il domestico di turno gli aprì la porta, e gli offrì di portare la borsa con i vestiti, ma Greg declinò, facendolo lui stesso. Leggendo il messaggio e dando una veloce occhiata dentro casa, rimase deluso, scoprendola vuota fino all'indomani. Dopo una bella e calda doccia, si diresse poi a letto, nella stanza dalle pareti blu. Gli insulti facevano parte del lavoro di Mycroft, così come facevano parte di quello di Gregory. Non era piacevole, Greg lo sapeva meglio di chiunque altro. Avrebbe voluto avere Mycroft lì con sé ad occupare il suo posto accanto a lui, come la nottata precedente. Spense la luce dell'abat-jour e si sdraiò completamente, poggiando la testa sul cuscino.
Mi dispiace. Ora cerca di riposarti.
SMS sa Gregory – 01.48

Temo di aver sentito un po' la tua mancanza oggi. Ecco, l'ho detto.
M
SMS da Mycroft – 02.25
Merdamerdamerda: Mycroft e le sue confessioni notturne non lo aiutavano per niente con quel suo cuore impazzito che per un attimo aveva battuto più del normale. Era proprio lui l'artefice di quello scombussolamento emotivo che si stava appropriando del cuore di Lestrade.
Anche tu comunque, inutile negarlo.
Buonanotte.

SMS da Gregory – 00.52
Posò il telefono sul comodino di fianco al letto, dopo aver puntato la sveglia e si addormentò pochi minuti dopo, non dando nemmeno tempo al cervello di elaborare i pochi messaggi scambiatosi con Mycroft. Per fortuna.

*

Per quanto gli dispiacesse per la povera sedicenne squartata, non vedeva l'ora di chiudere ed archiviare quell'indagine a cui stava lavorando quella mattina, avendo già messo in carcere l'assassino. La sua pausa pranzo era cominciata, così come la sua routine che andava avanti da anni ed anni: panino e passeggiata al parco in tranquillità, in cui non fece neppure caso alla donna in nero che gli si accostò. Anthea non ci mise poi molto a farsi notare, bloccandosi di fronte a lui e solo allora l'Ispettore notò effettivamente quanto fosse minuta quella donna e di fatti, di primo acchito, la scambiò per una ragazzina e notò che la mano guantata della donna reggeva elegantemente una piccola busta bianca, che porse a Lestrade.

« Il Signor Holmes mi ha incaricato di darle questo biglietto, Ispettore. »
Gregory ringraziò un po' impacciato e prese quanto più delicatamente possibile il biglietto, ma non fece in tempo a salutarla, che Anthea era già sparita dal suo raggio visivo. Si guardò intorno, cercandola ancora con lo sguardo per diversi istanti, perché dove c'era lei, c'era anche lui. Invano. Prese posto su di una panchina libera vicino alla staccionata che contornava l'aiuola, e aprì la piccola busta, estraendone un bigliettino ruvido di qualità pregiata.
Questa sera andremo al museo.
M

Con quel gesto che lo fece sorridere, Gregory pensò che Mycroft avrebbe senza ombra di dubbio fatto prima con un messaggio, una telefonata, ma quella volta optò per un costoso biglietto. Un museo, non ne vedeva uno dal quarto anno del liceo forse; era sorpreso. Sapeva perfettamente come sarebbe continuata la giornata da lì in poi, ormai: ancora qualche ora dietro la scrivania e poi avrebbe fatto capolino la berlina nera di fronte all'ingresso dell'istituto. Si maledì un po' per essersi vestito alla bell'e meglio quella mattina.
Non appena finito il turno ed ovviamente la pausa sigaretta, a
veva cominciato a piovere e l'ombrello lo aveva lasciato a casa perché non voleva portarlo al lavoro: tra un caso e l'altro sulle scene del crimine lo avrebbe rovinato ed era risaputo che gli ombrelli in mano sua duravano poco e niente. La macchina non tardò ad arrivare ed una volta dentro, l'imbarazzo lasciò ben presto spazio alla serietà del volto di Mycroft, il quale sembrava dovesse andare al patibolo da un momento all'altro. Lestrade schiarì la voce, ma appena prima che facesse uscire la voce, Mycroft lo precedé.
« Gregory. Suppongo di doverti parlare. Nell'ultimo periodo, mi sto ricordando di cosa voglia dire essere una persona, e non solo il Governo Britannico. Prima mi disgustava l'idea di rientrare e non trovare nessuno in casa ad aspettarmi, o anche solo a chiedermi come possa stare. »
Tutta quella sincerità lo spiazzò e non poco, preferì guardare Mycroft dritto negli occhi in silenzio per qualche istante, piuttosto che le proprie ginocchia, assimilare di nuovo i suoi tratti, rendendosi conto quando gli fosse effettivamente mancato. Mycroft lo squadrò di rimando in silenzio.
« Tu sei una persona, ficcatelo in quella testa una buona volta. »
Holmes non rispose.
Erano diretti al Victoria & Albert Museum e la macchina li lasciò di fronte all'ingresso. Greg seguì Mycroft, restando visibilmente affascinato dall'entrata; quel museo conteneva vastissime aree, che spaziavano dall'Architettura, alle documentazioni dei teatri; dalle fotografie, alle ricchezze dell'Asia Meridionale. Rimasero impressi nella mente di Gregory svariati dipinti e numerose sculture come i busti degli antichi Re, Regine e Conti d'Inghilterra e le svariate statue degli angeli. Ascoltò tutto ciò che Mycroft aveva da dirgli su ogni determinata opera, restando altrettanto affascinato dal suo sapere. Passarono piacevolmente le ore in compagnia l'uno dell'altro, Gregory non fece altro che incanalare tutte le informazioni che sentiva pronunciare da Mycroft, fin quando il suo stomaco brontolò, interrompendoli. Lo maledisse, anche se era davvero affamato e non se ne accorse fino a quel momento. Ad un cenno di Mycroft, un addetto alla sicurezza del museo si avvicinò, facendo segno di seguirlo e così fecero entrambi; Greg cominciò a domandarsi dove li stesse conducendo ed ebbe la risposta pochi istanti dopo, non appena entrarono in una vasta sala caffè/ristorante. L'odore delle pietanze lo inebriò leggermente e gli venne ancora più fame, pregò il suo stomaco di non fare ulteriori rumori imbarazzanti mentre un cameriere li scortò al loro tavolo. Mycroft, non appena seduto, si pulì le mani con una delle salviette umidificate riposte al centro del tavolo, e così fece Gregory, cercando di essere il più garbato possibile. Dio, quella era una cena in un ristorante e, a giudicare dagli archivolti dalle colonne dorate, un ristorante di lusso; Lestrade era vestito da lavoro, praticamente un pugno in un occhio in confronto a Mycroft, il quale stava indossando uno dei suoi bei completi chiari, perfettamente stirati e privi di difetti. Da dietro il menù, Gregory pensò al fatto che nessuno fosse né lì, né nelle varie aree del museo. Mycroft non avrebbe mai potuto fare una cosa come far sgomberare l'intero edificio dai visitatori. O forse sì, in fondo, non amava essere circondato dalle persone.
Il cameriere non tardò ad arrivare a prendere le ordinazioni, segnandole sul suo blocco note digitale. Parlarono, intavolando un discorso sul lavoro e Mycroft spiegò a grandi linee che cosa era successo il giorno precedente. Passarono una buona ed inaspettata serata: il carpaccio fu il più buono mai assaggiato prima, così come il vino, annata 2001; la visita al museo aveva distratto Lestrade, facendogli dimenticare l'incontro con la moglie. Si dimenticò un po' troppo spesso di quanto accaduto, quando Mycroft era intorno a lui. Ma andava bene così. Dopo un breve giro nel giardino esterno, Quest'ultimo fece richiamare la macchina, il museo stava per chiudere. Non riuscì a vedere tutte le aree e si promise di ritornarci. Si domandò perché non fosse più andato nei musei, dopo il liceo. Forse perché alla cara Karen non piacevano, erano insulsi e senza senso, per lei.
« Ti manca casa? »
In macchina nel completo silenzio, lo sguardo di Mycroft era posato sul manico curvato dell'ombrello nero, poggiato alla sua sinistra; all'Ispettore servirono pochi secondi per formulare una risposta; si passò una mano sulla fronte sospirando e stendendo le ginocchia, le quali sfiorarono il sedile di fronte al suo.
« Mi mancava di più avere qualcuno con cui intavolare dei discorsi. »
« Niente sentimentalismi, per favore. »

Mycroft passò il dito su tutto il profilo del manico, ascoltandolo. Greg si guardò le mani, aveva azzardato troppo con qualche frase in più. Gli mancava avere qualcuno con cui parlare, discutere dopo il lavoro, qualcuno che gli facesse scoprire cose nuove e riaffiorare piacevoli ricordi. Restarono in silenzio per altri interminabili minuti, fino a quando non rientrarono a casa, dove Gregory spezzò a sua volta il silenzio, non gli andava di star zitto, era come restare da soli, intrappolati nei propri pensieri e aveva bisogno mentale e quasi fisico di distogliere l'attenzione da essi; seduto su una delle poltrone, osservò i movimenti di Mycroft mentre quest'ultimo prese posto sulla poltrona di fianco la sua. Aveva cominciato a farsi una decina di domande, riguardo a quanto faceva prima di raccattare Lestrade con sé e anche come e perché mai avesse deciso di parlargli, seppur con riluttanza, di sua moglie, perché aveva deciso di... di lasciarsi conoscere, almeno un po', da lui.
«Perché – si schiarì meglio la voce – perché avete divorziato?»
Mycroft bevve un sorso di liquore, facendo roteare il restante liquido nel bicchiere nella mano sinistra. Accennò un sorriso, sarcastico. Non si aspettava una domanda come quella, così come Greg non si aspettò una risposta per quella domanda particolarmente intima, anzi, a dirla tutta Greg si aspettava qualche insulto.
«Sei curioso. – sospirò, mordendosi internamente l'angolo del labbro, ed inarcò le sopracciglia – Mia moglie diceva che passassi troppo tempo con il Governo e la stessi trascurando. Agli inizi non ero un riccone, perciò, tutto quello che possiedo l'ho guadagnato con il tempo. – sorrise, e questa volta fu un sorriso forzato – Dopo i vari squilibri, abbiamo pensato che un bambino potesse rimediare alla situazione. »
Mycroft con un bambino, a Greg venne quasi da ridere, se non fosse stato per la situazione particolarmente delicata. Rifletté guardandosi intorno: in casa non aveva mai visto fotografie che ritraevano bambini, così come non aveva mai sentito parlare di una sua presunta paternità.
« ...e lo avete perso. »
« Sembrava la stressassi troppo per concepire, e quando ho iniziato con il brandy, non mi ha più rivolto la parola. »
Lestrade annuì, semplicemente, cercando una risposta nella sua mente, ma non fece in tempo, poiché Mycroft si alzò dirigendosi in camera da letto al piano di sopra, Greg lo seguì poco dopo, avendo così il tempo materiale per riflettere su quanto gli aveva raccontato. Una volta in camera trovò Mycroft a leggere, andando poi a prendere posto al lato libero.
« Semplicemente, non era la persona giusta. »
Il libro, o il saggio che stava leggendo, Mycroft lo chiuse di scatto e l'appoggiò sul comodino, rivolgendo la propria, seria attenzione verso lo yarder.
« Non esiste per me. Non credo a queste sciocchezze. E poi chi starebbe mai con uno come me? »
Per qual motivo pensava sempre che fosse giusto per lui, rimanere solo? La storia dell'Uomo di Ghiaccio, con Greg, durò ben poco; Mycroft ne aveva di sentimenti, a differenza di quello che pensavano gli altri e addirittura Mycroft stesso.

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Capitolo 8
*** File 07 ***


File 07.
Voglio finirla dove abbiamo iniziato. ”


Da quanto aveva potuto notare in quei giorni di convivenza, Mycroft Holmes era un uomo tutto casa-lavoro e per lui non esisteva nient'altro, eccezion fatta per il fratello e per le poche ore passate all'Opera alcuni martedì; non si stupì quindi una volta sveglio, di non trovarlo in casa. Non che la sua vita fosse poi tanto diversa da quella di Holmes, anzi, lui non aveva più nemmeno uno svago, nessun nuovo stimolo, fino ad allora, quel periodo così frenetico: qualcosa di nuovo. Era piuttosto nervoso, tranne quando il Governo Britannico gli occupava la mente e questo succedeva la maggior parte del tempo.
Il suo giorno libero dal lavoro,
lo dedicò completamente alla documentazione della separazione in vista dell'ennesimo incontro con quella che ormai stava imparando a considerarla ex moglie, il giorno seguente. Era incazzato, ma anche spaventato: lo scopo della sua vita non era di certo quello di passare la mezza età da solo come un cane. Nessuno meritava la solitudine e Gregory meno di tutti; lui, che era sempre stato troppo buono con le persone che amava davvero e probabilmente fu proprio questo a fotterlo così. Quando tirò su lo sguardo da tutte le documentazioni, notò che erano quasi le cinque e, da buon cittadino britannico qual era, chiese molto gentilmente ai domestici di preparargli una deliziosa tazza di tè. Ci mise quasi un'ora per berlo e degustarlo con piacere; avrebbe dovuto chiedere a Mycroft delucidazioni sull'infuso e sicuramente la sua spiegazione, non lo avrebbe deluso; e infatti, una volta che Mycroft tornò a casa un'ora più tardi, passarono quella che si poté chiamare una serata tranquilla. Controllando entrambi documenti di lavoro e posta elettronica, e tra una chiacchiera e l'altra, Lestrade intavolò il discorso sui tè, scoprendo che ciò che aveva bevuto quel pomeriggio, erano foglie provenienti direttamente dalla Cina, scoprendo inoltre le proprietà e gli effetti benefici di quello e di altri tipi di infusi. Non mancò neppure di raccontagli di quando lui e la sua famiglia, complice il lavoro della madre, andarono in Oriente, senza però assaggiare nulla che non avesse una minima parvenza occidentale, facendo così sorridere Mycroft di gusto.
« Sei una bella persona, Gregory. »
Si lasciò sfuggire Mycroft, dalla poltrona della sala, mentre congiungeva le mani al mento. Greg, vicino alla finestra della grande sala intento a perdersi nell'oscurità del giardino, voltò leggermente il capo in direzione del maggiore degli Holmes, guardandolo con la coda dell'occhio. Rimase visibilmente sorpreso da quella frase, ed infilando le mani in tasca, nascose un impacciato sorriso con il viso rivolto verso la grande finestra.
« Ti ringrazio, solo che io mi reputo nella norma. »
« Le altre persone sono nella norma, Greg. »
« Anche tu sei una bella persona, o almeno, quella che mi stai mostrando. »
Mycroft inchiodò gli occhi su Lestrade e quest'ultimo abbassò lo sguardo sulle proprie scarpe. Lo era, una bella persona? Lo era. Gli stava dando l'opportunità di conoscerlo, non solo come "Uomo di Ghiaccio", ma come uomo. Mycroft si bloccò nella sua posizione, con il bicchiere tra le mani e quando Greg si voltò ad osservarlo, sperò di non vedere ciò che temeva di più.
« Non dirlo, non è reale. »
Posò il bicchiere sul tavolo con stizza, tanto da fare rimbombare il rumore del vetro in tutta la sala ed uscì, dirigendosi al piano di sopra. D'istinto, Gregory lo seguì fin quando non si fermò con la mano sulla maniglia e guardò l'Ispettore negli occhi, il quale deglutì, ma tenne lo sguardo mentre cercava le parole; Mycroft aprì la porta di scatto ed entrò, seguito dall'Ispettore, che rimase sull'uscio, in piedi.
« Perché non dovrebbero esserle? »
« Perché non lo sono mai state. »
« Hai i tuoi buoni motivi per non fidarti delle persone, Ma prova, a fidarti di me. »
« Forse non hai capito che il problema è che mi sto fidando, – si voltò di scatto, guardandolo serio – di te. Io non mi fido di me, Gregory. Basta scambiarmi per quello che non sono. »
« Scambiarti per cosa? – sorrise sarcastico – Una persona? »
Fece qualche passo avanti e Mycroft prese il suo pigiama e la vestaglia da camera, sospirando pesantemente, quella discussione lo stava visibilmente infastidendo, ma Greg stava solo cercando di capire e soprattutto, capirlo.
« A reputarmi una “bella” persona. »
« Non mi hai mai fatto niente di male! »
«Dannazione, Gregory! – rispose stizzito – Solo perché tu mi piaci! »
Si guardarono, Greg spalancò gli occhi, mentre l'altro si rese immediatamente conto di quanto detto. Il termine piacere, si può interpretare in talmente tanti modi che Lestrade prese in considerazione l'unico e il solo che gli venne in mente: lo stava incuriosendo come persona totalmente ordinaria e noiosa.
« Non era quello che intendevo dire. »
Mycroft si massaggiò le tempie con la mano libera ed uscì dalla stanza, mentre Lestrade rimase lì, fermo, non sapendo cosa fare, se non guardare con un'espressione da completo idiota l'ombra di una persona che ormai aveva abbandonato la stanza.

*

Neppure il tempo fu dalla sua quel giorno: i nuvoloni grigi minacciavano pioggia da un momento all'altro. Finì la sua tazza di caffè, prima di andarsi a preparare per una nuova ed entusiasmante giornata di lavoro ed un pomeriggio altrettanto interessante.
« Perché proprio il parco? »
Chiese Mycroft, prima che Lestrade infilasse il cappotto. Non rispose subito, poiché stava evitando di proposito di parlare della ex moglie, ma naturalmente, nonostante questo, Mycroft sapeva la maggior parte degli appuntamenti dell'Ispettore.
« Perché voglio finirla dove abbiamo iniziato. »
Come era ormai risaputo a Gregory Lestrade piacevano moltissimo i parchi di Londra e Hyde Park fino a qualche tempo prima era il loro luogo piano di ricordi, ormai dolenti. Non appena Karen arrivò e si salutarono, Greg serrò la mascella, senza neppure un sorriso. Le parlò, con tutta la calma e la sicurezza di cui era capace, fingendo di avere davanti a sé un cliente e non la donna con cui aveva condiviso più di vent'anni della sua vita. Stava facendo sul serio, non ci sarebbero state vacanze per cercare di riallacciare il rapporto; tirò fuori dalla propria cartelletta i documenti relativi alla separazione, mostrandoglieli. Non vi fu chissà quale conversazione, se non quelle occasionali inerenti agli avvocati ed una volta in macchina, tirò un sospiro di sollievo, avendo con sé tutte le firme che gli servivano: da lì in poi, gli avrebbe anche lasciato libera la casa. L'unico fatto veramente elettrizzante della giornata era che non si sentiva in colpa nemmeno un po', ma nonostante questo, si sentì la testa vuota e lo stomaco chiuso e l'unica cosa che voleva, era raggiungere Pall Mall il più in fretta possibile, le temperature fuori erano glaciali.

*

« Io non sono la tua persona, Gregory. Mi auguro che tu te ne renda conto. »
Da quella breve convivenza, Greg stava imparando che Mycroft poteva tranquillamente stare anche più di due ore senza proferire parola, intento a vagare nel proprio Mind Palace, ma quando usciva, riusciva ad ottenere la sua attenzione in un baleno. Da tempo lasciare Pall Mall era nei suoi pensieri una volta aver riottenuto la casa e questo Mycroft lo sapeva ed ora la cosa si stava per concretizzare. Non rispose, prendendo posto sul divano al fianco di Mycroft, il quale posò il giornale che stava leggendo sul tavolino.
« Sta succedendo troppo in fretta, tutto. – lo vide voltare lo sguardo su di lui, infastidito, perché non capiva ciò che stava succedendo, né a Greg, né tanto meno a sé stesso – Sono confuso, Mycroft. La separazione e... poi quello che facciamo. »
« Baciarsi? Scambiarsi parole? Condividere lo stesso letto? »
L'effetto di quelle parole fu peggio di una secchiata di acqua gelida dritta in faccia, perché sì, il “problema” era proprio quello, perché non riusciva, né voleva riuscirci, a toglierselo dalla testa.
« Sì, proprio questo. Mi manda in confusione il fatto che... mi faccia stare bene, non facendomi pensare al resto. Da quant'era che lo sapevi? »
Mycroft, chiaramente intenzionato a chiudere la prima parte del discorso , inumidì le labbra prima di parlare, prendendosi qualche attimo per sé, cercando le parole giuste da esporre.
« Mi sono insospettito quando ha cominciato ad uscire così spesso nei giorni in cui lavoravi, circa un anno fa. »
Lestrade strinse le labbra ed inchiodò lo sguardo nel fuoco del camino; la sua espressione era un misto tra l'incredulo e il furibondo. Un anno fa. Un intero anno, senza sapere nulla; non si trattenne dall'interromperlo, sorrise sarcastico, strofinando le mani sui jeans
« E hai deciso di dirmelo soltanto adesso. »
« Stavo solo aspettando il momento adatto per dirtelo. L'ho seguita, prima indirettamente e poi, personalmente. Ti seguo da tanto tempo, Gregory. »
L'espressione del viso di Lestrade cambiò. Non che non sapesse che lo seguisse da tempo, e anzi, la cosa lo aveva sempre incuriosito, ma aveva soltanto avuto una conferma. Ciò che lo stupì era il fatto che si era adoperato personalmente per lui.
« E forse non avrei dovuto dirti nulla, per la confusione che mi stai procurando qui, – si picchiettò una tempia – nella mia testa. Non sentivo il letto occupato dall'altro lato da cinque anni, né sono abituato a parlare o altro con qualcuno in casa, non scelgo pasti per due, non esco con qualcuno per compagnia. E ora, basta, finiamola qui. »
Mycroft si alzò dal divano visibilmente irritato; l'esporsi in quel modo lo faceva sentire terribilmente debole, nonostante si stesse lentamente aprendo con Lestrade. Non diede neppure il tempo allo yarder di rispondere, poiché si dileguò nel suo studio.

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Capitolo 9
*** File 08 ***


File 08.

“ Dammi quelle mani, per favore. ”


Un inseguimento.
Uno sparo.
Un'ambulanza.
Freddo.
Ciò che ricordava da quando si era risvegliato nella stanza dell'ospedale, fu solo il dolore acuto ed improvviso al fianco sinistro, i rumori sordi dello sparo e le sirene dell'ambulanza. Provò a muoversi, ma una fitta gli percorse tutto il corpo, convenendo che avrebbe fatto meglio a restare immobile; alzò piano lo sguardo e vide una sacca di sangue appesa all'asta porta-flebo sulla sua sinistra: trasfusione, dunque.
Si passò una mano sul viso quando entrò il primario del reparto di chirurgia, stando alle sue parole perse conoscenza non appena cadde in quella piazzetta, facendosi così scappare l'uomo che stava inseguendo. Si rilassò quanto meglio poté, addormentandosi senza nemmeno accorgersene pochi istanti dopo che il primario lasciò la stanza, svegliato qualche ora più tardi dalle voci basse di John e Sherlock. Che accidenti ci facevano lì?
« Hai provato a telefonargli? Ma dove è finito?! »
« Non è in città. »
L'Ispettore sentì i passi di John avvicinarsi al letto, prendere e leggere la cartella clinica, poggiata sul comodino. Dischiuse gli occhi, e vedendo la figura dell'amico sfocata, provò a sbattere le palpebre più volte: lo vide voltarsi serioso verso il Consulente Investigativo, continuando a tenere gli occhi sulla cartella. Gregory prese un lungo respiro per proferir parola, poiché la ferita faceva male anche per parlare.
« Sherlock. Non mi piace quest'infezione. Mycroft farebbe bene a farsi vivo. »
« Sto bene, è solo un buco di proiettile. »
John spostò velocemente lo sguardo dalla cartella clinica, voltandosi nuovamente verso l'Ispettore e lo guardò bene in faccia. Non sorrise vedendolo sveglio, era serio, serio come quando eseguiva autopsie sui cadaveri sulle scene del crimine, oppure durante le testimonianze sulle indagini risolte da Sherlock. Non sorrise neppure quest'ultimo, si limitò a rivolgergli un'occhiata, facendo il suo giochetto di deduzioni, ma non disse una parola.
« Non è “solo un buco”, Greg. È una dannata ferita d'arma da fuoco, il che equivale al dolore di mille lame in un punto, so cosa significa. »
Il dottor Watson si umidificò le labbra con la punta della lingua. Gregory, stringendo le labbra, voltò il viso fuori dalla finestra, sui nuvoloni grigi del cielo della sua Londra. Poco dopo, il telefono di Sherlock squillò ed uscì dalla stanza, rientrando qualche minuto più tardi informando John, a bassa voce, che il fratello si era messo in contatto con lui e la loro presenza non sarebbe più stata necessaria da lì a breve.
Arrivarono anche i colleghi e i superiori, chiedendo di una testimonianza su quando accaduto e delle sue non ottimali condizioni fisiche.
Perché diamine non mi hai avvertito? Avevo lasciato detto che le uniche telefonate a cui avrei risposto, erano le tue.
SMS da Mycroft – 16.01

Il primo ed unico messaggio che quella mattina i domestici gli riferirono, era quello lasciatogli da Mycroft; la sera precedente gli aveva detto che avrebbe avuto del lavoro da svolgere e per di più, fuori Londra, gli sembrò inopportuno chiamarlo, qualsiasi cosa fosse accaduta.
Torno a Londra, resto in ospedale con te.
SMS da Mycroft – 16.05

Nonostante gli antidolorifici la ferita doleva, talmente tanto da rendergli difficile persino la stesura e la lettura di un semplice messaggio, tanto che dovette rileggere e riscrivere più volte gli SMS con Mycroft.
Prima finisci di lavorare. Ti sto già causando fin troppi disturbi.
SMS da Gregory – 16.18
Ho già disdetto tutto, impegni compresi.
SMS da Mycroft – 16.22

Era preoccupato a tal punto da disdire i suoi impegni? Impossibile, doveva aver letto male. Chiuse un attimo gli occhi, la luce bianca e forte di quella stanza gli procurò un fastidio quasi doloroso. Fu risvegliato dalla stessa voce di Mycroft che chiamò il suo nome; aprendo a fatica gli occhi lo trovò rigido, ai piedi del letto con lo sguardo più preoccupato che severo. Greg si tirò lentamente su, facendo pressione sulle braccia e stringendo le labbra per la fitta dolorosissima al fianco. Fece di nuovo mente locale, ricordando per la seconda volta il perché di quel male. Quegli antidolorifici dovevano essere molto forti, per risvegliarlo più intontito che mai; si massaggiò le tempie con la mano e sospirò senza dire una parola e guardò Mycroft in faccia, notando che stava studiando ciò che aveva sotto quello stupido pigiama ospedaliero: la ferita da cui continuava a perdere sangue, necessitando di continue medicazioni. Dopo i risultati negativi di una TAC, informarono entrambi che il proiettile, ancora conficcato nel suo fianco sinistro, era in una posizione sfavorevole all'operazione immediata, poiché si trovava a pochi millimetri dal rene; operandolo in quel momento, avrebbe rischiato l'emorragia interna, il suo fisico in quel momento non avrebbe retto: era senza un briciolo di forze; almeno per quella notte, avrebbe dovuto continuare con gli antidolorifici, o, in casi estremi, iniziare con la morfina. Una volta in stanza, chiuse gli occhi e, per la terza volta consecutiva, si riaddormentò.
« Questa situazione è assurda. – scosse lievemente il capo, in direzione dell'Ispettore – Tu dovresti essere a casa mia a rilassarti, a quest'ora. – fece una breve pausa, guardandolo negli occhi – Mi dispiace, Gregory. »
Disse Mycroft quando rientrò in stanza e prese posto sulla sedia della stanza. Lestrade si voltò verso di lui, non capendo bene le parole di Holmes, ma da quello che capì ne rimase sorpreso Gregory, dal tono vocale e dall'espressione del suo viso: Mycroft era seriamente preoccupato. Avrebbe dato qualsiasi cosa per trovarsi a casa Holmes in quel momento, al posto di essere su un letto d'ospedale con un buco nel fianco che faceva sempre più male. Mycroft, dal canto suo, cercò una soluzione nel suo Palazzo Mentale, scuotendo leggermente il capo.
«Ti riporto a casa il prima possibile. Non ti lascio in ospedale, chiamo i miei medici.»
Greg annuì, non gli sarebbe dispiaciuto ritornare immediatamente a casa, riprendere i suoi ritmi e piantarla di disturbare Mycroft con la sua stupidità.
« Voglio tornare anche al lavor – »
« Non se ne parla. – lo interruppe, senza troppe cerimonie con il suo tono autoritario – Farai esclusivamente ciò che ti diranno i miei medici. »
Si arrese ancor prima di cominciare: non era facile ottenere vittorie su Mycroft e per di più era ferito, non avrebbe mai potuto vincere in quelle condizioni. Provò a rilassarsi di nuovo, evitando di chiudere gli occhi e sospirò, guardandolo. Restò in silenzio per qualche minuto ad osservarne l'espressione che non riuscì a decifrare. Mycroft era il suo più grande enigma e lo sarebbe rimasto per il resto della sua vita, si ritrovò a pensare mentre l'altro congiunse le mani, portandole sotto al mento. Non sapeva neppure che ora fosse, ma notò che il sole era già andato via da un pezzo, dando uno sguardo fuori dalla finestra.
« Sei stanco, dovresti andare a riposare. »
Sibilò Gregory, con la testa ben appoggiata contro il cuscino ed il braccio ben teso per via dell'ago infilato nel braccio; vide Mycroft negare con la testa in sui direzione.
« Sono stranito. Da come mi sento. – abbassò lo sguardo, scostando le mani – Vorrei far cadere uno dei tanti Governi, i parlamentari sono degli idioti e non valgono la metà di... – si bloccò di scatto, riportando gli occhi su Gregory – niente.»
Avrebbe voluto confortarlo, se solo non si fosse trovato immobile su un letto. Sembrava turbato da quella situazione, molto più del dovuto. Possibile che si stava lasciando prendere così tanto da uno come Lestrade? Lo vide alzarsi e gli si avvicinò, sistemandogli le coperte come meglio poté. Gregory accennò un sorriso, gradendo quel piccolo gesto, così insolito per uno come il maggiore degli Holmes.
« Mycroft. – si guardarono, Greg con lo sguardo stanco e Mycroft con lo sguardo che tradì preoccupazione – Ti siedi qui? »
Batté il palmo della mano sul letto due o tre volte. Necessitava di sentirlo vicino a sé, di riuscire in qualche modo a tranquillizzarlo, fargli capire che stava bene, nonostante tutto, ma Mycroft scosse la testa tornando a sedersi al suo posto.
« No, devi stenderti bene, io resto qui, sulla sedia. »
Continuarono a guardarsi, riuscendo a reggersi lo sguardo a vicenda, nonostante la stanchezza, e infine Mycroft si arrese, alzandosi e sistemandosi i pantaloni del suo bel completo, facendo qualche passo nella direzione della finestra, dando uno sguardo veloce fuori da essa.
« Sul lato destro. Il sinistro non voglio sfiorarlo. »
Regalò a Mycroft un sorriso trionfante, il quale però non ricambiò, rimanendo serioso e continuando a studiare ogni singola espressione, respiro affannato e movimenti inibiti di Lestrade, che non gli staccò gli occhi di dosso.
« Appena ho saputo, sono corso qui e non voglio pensare al fatto che tu non mi abbia avvertito. »
« Eri occupato. – abbassò lo sguardo – non ti ho avvisato per questo. »
« Le mie occupazioni non contano. Non su questo. »
Gregory non rispose, sentendosi abbastanza uno stronzo per non averlo avvertito lui stesso. Erano le dieci e trenta di sera; le medicine dovevano essere una sottospecie di droga, tanto da stordirlo e fargli perdere addirittura la cognizione del tempo, oppure era la febbre che si sentiva a causa della ferita. John aveva ragione, mille spilli in un punto soltanto. Sentì la mano di Mycroft sfiorare la sua, ma la ritrasse immediatamente.
« Non voglio toccarti, ho le mani ghiacciate. »
Le nascose in fretta sotto la coperta, dal momento che sentiva freddo in tutto il corpo, da quando riprese conoscenza quella mattina, ma non lo diede a vedere; Mycroft non era stupido, sapeva perfettamente il perché di quel freddo, meglio di Gregory e, molto probabilmente, meglio dei medici dell'intero ospedale.
« Dammele. Le scaldo io. »
Lestrade non mosse un muscolo, tranne le labbra che strinse. Mycroft rimase in silenzio per qualche secondo, dopodiché, si schiarì la voce, rizzando bene la schiena e inumidendosi le labbra con la punta della lingua.
« Greg. Io non sono un sentimentale, come ben sai, né sono sicuro di avere dei sentimenti, come tu tanto sostieni. Ma oggi, quando ho saputo di... questo, di te... ecco, ho avuto freddo. Ho avuto paura, – corrucciò lo sguardo e Lestrade lo guardò in volto – e per un attimo, un solo attimo, ho perso il controllo. Ho abbandonato la conferenza senza dire nulla, non mi importava, volevo soltanto sapere dove fossi e se in qualche modo, fossi al sicuro. Quindi, dammi quelle mani, per favore. »
Gregory deglutì, strinse sempre di più le mani sotto le coperte e le rilassò qualche istante prima di tirarle fuori, avvicinandole a quelle di Mycroft che le afferrò delicatamente, sfregandole lentamente con le sue. Il calore di quelle mani ben curate, in confronto alle proprie, gli sembrò così intimo, confortevole; come se facesse parte di quella normalità che stava nascendo tra i due da sempre. Che cosa erano, esattamente, le parole appena udite dalla voce di Mycroft? Una dichiarazione? Una confidenza? Sicuramente qualcosa che gli entrò nel cervello e nel cuore, facendogli perdere un battito, o forse due. Non si premurò nemmeno più di nasconderlo, perché sì, stava cominciando provare affetto per quell'uomo, che tanto si ostinava di apparire distaccato da tutto ciò che riguardava i sentimenti.
« Sto bene. – accennò un sorriso, guardandolo e si sistemò meglio sul cuscino – Poteva andarmi peggio. »
« No, non stai bene. – continuò a guardarlo e strinse leggermente gli occhi – Ho controllato il tuo battito, minuto per minuto, è scompensato. Le tue mani sono così fredde perché il sangue si coagula partendo dal fianco e hai le occhiaie, chiaro sintomo di spossatezza. Ascoltami, una buona volta e dormi. »
Dannato proiettile, una volta fuori dal suo corpo, lo avrebbe maledetto per sempre per ciò che stava facendo passare ad entrambi. Strinse le labbra, rilassandole poco dopo e abbassò lo sguardo, restando qualche attimo in silenzio.
« Come farai con la conferenza? Troveranno da dire. »
« Per favore. Non hanno il diritto di parlare, ho il grado più alto, mi rispetterebbero anche se minassi il Parlamento. – usò il suo solito tono di superiorità e fece una breve pausa – Ho altre priorità a cui badare. »
L'Ispettore fece l'unica cosa in grado di fare in quel momento: strinse a sua volta le mani di Mycroft restando in completo silenzio, perché, come aveva appena udito, le priorità erano le cose a cui badare.

*

Mycroft non si trovava più lì quando Greg si svegliò il mattino seguente. Non aveva avuto nemmeno il tempo di mandargli alcun SMS, poiché lo portarono quasi subito nella sala operatoria. Dopo i vari accertamenti sulle condizioni fisiche di Lestrade, lo aspettò la piccola operazione. L'intervento durò relativamente poco e cambiò altrettanto poco, poiché nell'arco della mattinata dovettero cambiargli le fasciature altre due volte, ma almeno il proiettile non era più piantato nel suo fianco, non aveva più bisogno di antidolorifici e non si sarebbe più addormentato dal nulla, come il giorno precedente. Fecero visita i suoi genitori quella mattina; Lydia, una signora alta e magra, dall'aspetto di una madre amorevole, con i tratti somatici del figlio, seguita dal marito Hank, un ometto poco più basso e dal volto segnato da anni ed anni di lavoro. L'anziana donna si accucciò, sfiorandogli la fronte con un bacio, provocandogli una smorfia. Accertatasi della salute del figlio, non mancarono le domande su Karen, né tanto meno quelle su Mycroft, le cui risposte gli fecero guadagnare alcune occhiatacce storte da parte del padre: avrebbe voluto che tornasse nella sua casa perché gli sembrò eccessivo, se non addirittura strano ed inappropriato, alloggiare in casa di una persona di alto rango come il maggiore degli Holmes per così tanto tempo per un motivo come il divorzio. Erano tre adulti, in quella stanza e Greg tagliò corto senza entrare nei più vividi particolari, spiegando che non sarebbe potuto tornare in quella casa, non in quel momento. Senza nemmeno un saluto, il padre lasciò la stanza. Greg serrò la mascella, con le parole morte in gola. Non aveva detto niente di male, niente di sentimentalmente eccessivo. Suo padre non avrebbe mai accettato quella sottospecie di amicizia che stava nascendo tra i due. A differenza del padre, la madre sembrò rincuorata dal rapporto che stava instaurando con Mycroft, poiché lo aveva trovato sereno, mentre parlava di lui. Non era stupida, ma tenne le sue conclusioni per sé, ora la cosa che desiderava maggiormente era rivedere il figlio in perfetta forma. Si lasciarono con un largo e caloroso sorriso e con una promessa di rivedersi presto.
Non vedeva l'ora di tornare nel suo ufficio di Scotland Yard. Voleva lavorare, non stare sdraiato a perdere tempo su di un letto bloccato dalle emorragie. Doveva trovare chi l'aveva spedito lì e spedirlo a sua volta in carcere. Cercò di fare un identikit mentale di quella persona, ma la vibrazione del cellulare lo distrasse.

«Gregory? Sto dando qualche appunto a coloro che avrebbero dovuto avvisarmi subito, dopodiché ti porterò qualcosa con cui impegnare il tuo tempo »
Nemmeno il tempo di appoggiare il telefono sul letto, o su qualche altra superficie, che il numero di Mycroft apparve sullo schermo. Non gli diede nemmeno il tempo di rispondere, parlò non appena poggiò il dispositivo vicino all'orecchio; gli risollevò l'umore, avrebbe avuto qualcosa da fare, si sarebbe accontentato di qualsiasi cosa, anche solo di guardarlo. Era sicuramente andato a parlare con i medici, sperando che il tutto si fosse svolto senza minacce. Entrò nella stanza circa un'ora dopo la telefonata, porgendogli i piccoli presenti. Lestrade prese con entusiasmo la scatola con le due ciambelle glassate, posando le documentazioni del lavoro sul comodino adiacente e ne mangiò una, tentando inutilmente di condividere l'altra con Mycroft. Entrò un'infermiera pochi minuti più tardi, cambiandogli l'ennesima fasciatura, imbevuta di sangue e gli controllò inoltre il respiro ancora irregolare. A giudicare dal suo stato, sarebbe rimasto lì fino a chissà quando. Maledetta infezione.
Senza neppure accorgersene, si fece tardo pomeriggio. Mycroft, tramite il suo portatile, sbrigò alcune faccende politiche e Greg si occupò dei fascicoli di lavoro. Ah, grazie al cielo, poteva tenere la mente occupata per almeno qualche ora, fin tanto che non gli venne voglia di qualcosa di caldo.
«Ho voglia di un caffè. Mi accompagni a prenderlo?»
Posò gli scritti sul comodino e si stiracchiò, attirando su di sé l'attenzione di Mycroft, il quale lo guardò infastidito, studiandogli ancora una volta le espressioni. Sapeva perfettamente che avrebbe fatto ogni tipo di storia, pur di persuadere Greg a rimanere inchiodato a letto. Non lo avrebbe dissuaso ricordandogli i due piani da fare, poiché esistevano gli ascensori. Infatti si mise seduto, guardandosi i piedi e stringendo le labbra. Le sue gambe lo avrebbero retto dopo la perdita di tutto quel sangue? Scese lentamente e silenziosamente dal letto, sperando di non collassare sul pavimento davanti a Mycroft; non aveva voglia di sorbirsi le sue saccenti parole. Restò saldamente fermo sulle proprie gambe per qualche secondo, prima di provare a fare qualche passo in direzione della porta della stanza. Mycroft lo squadrò, cercando di capire se gli stesse mentendo o meno.
« Questa cosa della testardaggine proprio non vuoi abbatterla. »
Sospirò, dandogli le spalle e aprendo la porta. Greg fece una smorfia di fastidio e ringraziò mentalmente Mycroft di essere di spalle, lo avrebbe spedito a letto ancora prima che fiatasse, altrimenti. Dovette mascherare le continue smorfie di fastidio che la ferita continuava a procurargli; abbassò lo sguardo e lo corrucciò nel vedere una macchia di sangue sul proprio pigiama espandersi e sporcargli anche i pantaloni. Stupida ferita. Stupido ospedale. Stupido Gregory. Fece in modo di non far accorgere Mycroft di nulla, mettendo davanti ad essa la mano, inutilmente. Si ritrovò a pensare che fosse stato abbastanza stupido alzarsi poche ore dopo un'operazione delicata come quella avvenuta la mattina stessa, con le sue continue emorragie. Avrebbe mai fatto una scelta giusta nella sua vita, Lestrade?
« Andiamo in camera. Per favore. »
Parlò con tono deciso, cercando di apparire tranquillo da quella situazione, serrando poi la mascella. Non era pronto per la lavata di testa di Mycroft, ma non poteva rischiare di continuare a perdere sangue, che non accennò a fermarsi, anzi, lo sentì sempre più scendere. Mycroft si voltò verso di lui, vedendolo pallido appoggiarsi di scatto con una mano al muro e a sua volta, Greg lo vide di nuovo irrigidirsi e provò a sorridergli, cercando di calmarlo quanto meglio poté, provando anche a sdrammatizzare la situazione.
« Credo ci siano le fasciature da cambiare. »
« Sì, lo vedo. – si avvicinò all'Ispettore e gli cinse la vita con una mano – Appoggiati a me e torniamo in camera. »
Strinse gli occhi; stava cominciando anche a girargli la testa per via di quella emorragia inaspettata. Appoggiato a Mycroft, cercò di non gravargli troppo addosso e si diressero nuovamente verso la propria stanza. Restarono in silenzio per tutto il tragitto, che consisteva in una trentina di passi. Gregory si sentì un vero imbecille, poiché come sempre, aveva voluto fare di testa sua. Lo aiutò anche a sdraiarsi e chiamò un'infermiera per le fasciature, senza però rivolgergli la parola. Borbottò qualcosa con il suo tono stanco ed assonnato; Mycroft lo guardò dal riflesso della finestra di fronte a cui era, con le mani in tasca e sospirò, senza nemmeno voltarsi a guardarlo negli occhi; si guardò per un momento le scarpe, per poi tornare a guardare fuori.
« Dove e quando ti hanno sparato, esattamente? »
Non fu solo serio, questa volta; si voltò verso Lestrade, e questi notò qualcosa che non aveva mai colto prima, qualcosa di molto simile all'oscuro. Sapeva che Mycroft non fosse poi tutta questa santità, ma stava cercando di abbandonare quelle idee da qualche parte. Non rispose subito, ma continuò a guardarlo: era fermo, immobile nella sua posizione rigida e severa quale aveva assunto.
« Di fronte alla stazione di Vauxhall, alle nove di ieri mattina. – per un momento esitò – Perché?»
Mycroft gli regalò uno dei suoi sorrisi sarcastici e cupi. Stava per sputargli addosso veleno e cattiverie e Greg strinse le mani sotto le coperte, sospirando.
« Non ne sapevo nulla, Gregory. Ma non importa, dopotutto non sono nessuno per avvertirmi, sono solo quello che ti offre la residenza per un po'. »
« Lo sai perché non ti ho avvertito. Mi dispiace, va bene? Credevo di fare la cosa giusta, per non farti preoccupare. »
Tirò fuori dal taschino interno il cellulare, avvicinandosi alla porta e Greg lo seguì con lo sguardo; si alterò. Non era solo quello, per lui. Era... stava diventando un amico, anche se forse non era la definizione più corretta.
« Non dire più che non sei nessuno. »
Lo lasciò lì, da solo in quel letto troppo scomodo. Rimase a fissare la porta per qualche attimo, ripensando a quello sguardo. Stanchezza, forse? No, quella era vera e propria cattiveria. Ovviamente, Mycroft non gli disse dove andò, ma non tanto distante dedusse, notando l'ombrello nero appoggiato alla sedia vicino al letto, il portatile ancora acceso sul tavolo della stanza e il cappotto nell'armadietto. Cercò di rilassarsi e gli occhi gli si chiusero da soli, per colpa di quel dannato sangue.
Con la ferita per l'ennesima volta pulita e rifasciata a dovere, Lestrade era di nuovo bloccato a letto, senza neppure Mycroft a fargli compagnia; ma quando questo rientrò, gli porse la tazza di caffè. Estrasse il cellulare dalla tasca dei pantaloni e leggendo il contenuto di un messaggio che conteneva qualche decodifica di due o tre parole, sul suo volto si dipinse un sorriso inquietante, ma Greg non ci badò molto, poiché qualche istante più tardi, il telefono di Lestrade vibrò e cercò a tentoni di prenderlo dal comodino: uno dei suoi colleghi lo avvertì che l'uomo della sparatoria, era stato preso.
« Lo hanno preso. – fece un attimo di pausa, scorrendo l'archivio dei messaggi e infine accennò un sorriso – Mi stavo quasi dimenticando chi ho di fianco. »
Sicuramente Mycroft già lo sapeva, probabilmente quella codifica del suo messaggio voleva dire che Scotland Yard lo aveva preso e sbattuto in cella. Anche se Lestrade avrebbe voluto prenderlo lui stesso. Mycroft restò in silenzio e immobile per qualche istante.
« Quando sono con te, non sono il Governo Britannico. »
Certo che non lo era, non era nemmeno “l'Uomo di Ghiaccio”. Era un uomo capace di fargli provare mille sentimenti altamente contrastanti tra loro e mille emozioni, come in quel momento, in cui avrebbe voluto stringerlo a sé e baciarlo. Il cellulare di Greg vibrò ancora una volta e allungò una mano infastidito per riprenderlo. Lo stesso collega lo avvisò del fatto che non era stata Scotland Yard ad aver preso quell'uomo e Lestrade alzò un sopracciglio leggendo, mentre Mycroft sorrise, in un modo tutt'altro che piacevole. Quando l'ispettore se accorse corrucciò lo sguardo, capì. Capì il motivo di quel sorriso.
« Cos'hai fatto? »
« Il mio lavoro. Ho solo messo mano dove i tuoi uomini avrebbero impiegato settimane. »
« Lo avrebbero preso comunque. »
« Non per mano mia. »
Greg strinse le labbra e non rispose. Si massaggiò una tempia; non poteva credere che Mycroft era arrivato a tanto, da far prendere quell'uomo, di cui ancora non sapeva il nome, dai suoi uomini… solo perché gli aveva sparato. Tirò su le coperte, evitando di pensare ulteriormente e si coprì come meglio poté. Le sue mani così come il corpo, erano ancora molto freddi e, lentamente sentì le mani di Mycroft sulle proprie, cercare di scaldarlo. E a sua volta cercò di dimenticare quello che stava capitando al suo quasi assassino.

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Capitolo 10
*** File 09 ***


File 09.

“ Potrebbe infastidirti, e non poco. ”


Guardandosi le fasciature restò meravigliato: vide che non erano impregnate di sangue, come il giorno precedente; sentendosi fisicamente meglio e riuscì a mettersi seduto sul bordo del letto senza alcuna difficoltà; voleva addirittura provare a fare qualche passo, ma non appena poggiò il piede sul pavimento l'infermiere bussò alla porta ed entrò.
La ferita non richiedeva più bende, ma soltanto un cerotto di modeste dimensioni; stava guarendo, anche se gli fu raccomandato il massimo riposo.
Accertatosi delle condizioni fisiche di Lestrade, prima di persona e poi tramite l'ospedale, Mycroft decise le dimissioni dell'Ispettore; l'importanza della sua persona e del suo titolo, prevaleva anche sul Capo Reparto di un ospedale. Greg stava ritenendosi fortunato ad avere il maggiore degli Holmes tra le proprie conoscenze... e amicizie. Finalmente avrebbe rivisto un ambiente familiare e non impregnato di odori chimici. Riuscì a reggersi con le proprie gambe mentre si alzava dal letto, senza provare alcun tipo di fastidio. Prima di rivestirsi, si diede una lunga rinfrescata nel bagno privato della stanza, guardando per diversi istanti, la camicia indossata durante la sparatoria: studiò i contorni dello strappo provocato dal proiettile, passandovi l'indice. Ripensò alla sua carriera e alle altre rare volte in cui un proiettile gli fece visita in corpo. Prima poliziotto ed ora Detective, da sempre attento e preparato a qualsiasi situazione, rispettato da quasi tutti e ritenuto "il meglio che Scotland Yard ha da offrire". Ripiegandola, mise la camicia nella borsa che quella mattina trovò sul tavolo della stanza: Mycroft gli aveva fatto reperire uno dei completi che aveva portato con sé, perfettamente stirato e piegato.
La berlina nera era lì, pronta ad aspettarlo: Greg cercò una posizione più confortevole per lui, allungando la gamba sinistra, ringraziando silenziosamente lo spazio che la macchina era in grado di dare; si appoggiò bene allo schienale guardando Mycroft silente con la coda dell'occhio: era impassibile mentre guardava un punto non ben definito davanti a sé e a malapena si salutarono quando l'autista gli aprì la portiera dell'auto, ma andava bene così. Accennò un sorriso, unendo le mani in grembo e giocherellando con le dita.
« Posso farti una domanda? – uscendo dai suoi molteplici pensieri, Mycroft annuì senza guardarlo – Perché stai facendo tutto questo, per me? »
« Non sto facendo niente di anomalo. »
« Già il solo fatto di essertene andato dalla conferenza è stato "anomalo" da parte tua. »
Accigliandosi, Mycroft alzò leggermente il mento, zittendo Greg con un gesto della mano. Guardando fuori dal finestrino dell'auto scura, Lestrade riconobbe il viale, riconobbe il cancello e riconobbe il portone della residenza Holmes: qualcosa di familiare, finalmente; poteva respirare dell'aria che non sapeva di ospedale e medicazioni, beandosi dell'aria fresca che gli solleticava le poche parti del corpo scoperte, fin quando Mycroft gli intimò di entrare in casa, conducendolo verso la stanza degli ospiti, e lì sarebbe rimasto fino all'arrivo della equipe di medici a prestargli le dovute cure.
Se gli sembrarono eccessive le attenzioni dei domestici, non aveva ancora avuto a che fare con i tre uomini che entrarono con Mycroft nella stanza: completi dall'aria costosa, così come le valigette in pelle che uno di loro appoggiò prontamente sul mobiletto fondo-letto, estraendone lo stetoscopio, mentre un altro appuntò parole poco più che comprensibili su di una cartelletta clinica e un altro ancora gli lanciava occhiatacce, parlando sottovoce con il collega. Il tutto, mentre Mycroft, appoggiato a braccia conserte contro lo stipite della porta, guardava la scena sogghignando. Le condizioni di Lestrade rientravano nella norma, anche se, come gli era stato detto in ospedale, necessitava di massimo riposo, per almeno diversi giorni; non lo entusiasmò, per quanto gli piacesse casa di Mycroft, stare rinchiuso notte e giorno sarebbe stata un'agonia.
Dopo alcune raccomandazioni, che assomigliavano più a delle minacce, i medici uscirono dalla stanza, accompagnati dal padrone di casa. Rimembrò la visita dei genitori e la reazione eccessiva del padre, che non aveva più sentito da allora; qualsiasi cosa stesse cominciando a provare per Mycroft erano affar suo e suo soltanto, difficilmente stava capendo ed accettando lui stesso, ma che piano piano stava facendo: stava bene con lui e, con il passare del tempo e degli avvenimenti, scoprì di provare affetto verso quella persona dall'orribile carattere quale era Mycroft. In qualche strano modo, si era ritrovato a volergli bene.
Non avendo più nulla di costruttivo da fare, nonostante gli avvertimenti, decise di alzarsi da quel letto su cui era stato costretto da ore e di raggiungerlo. Non prese nemmeno in considerazione il fatto che Mycroft potesse essere occupato in qualche chiamata importante con qualche Capo di Stato; facendo meno fatica di quanto credesse, uscì dalla stanza tenendosi ben saldo al muro.
Dal salone provenne un tonfo sordo di alcune scartoffie buttate sulla superficie del tavolo. Fermatosi qualche attimo per lo sforzo abbastanza considerevole, Lestrade prese un respiro. Mycroft trasalì leggermente vedendolo avvicinarsi e gli lanciò un'occhiataccia: si erano raccomandati in quattro di rimanere a letto.
« Tanto faresti comunque di testa tua; usa almeno il divano. »
Gli indicò distrattamente il sofà con una mano, mentre con l'altra resse il portatile. Greg sorrise evitando di farsi vedere, prendendo posto sulla poltrona di Mycroft, ammirando meglio i dettagli di quel camino, che fino ad allora aveva osservato distrattamente. In quel silenzio creatosi, nella sua mente si presentarono i pensieri di quel pomeriggio. Avrebbe dovuto dirglielo? Sì, e anche al più presto, prima che Mycroft stesso ci arrivasse.
« Immagino che tu debba sapere una cosa. »
« Riguardo? »
« Quando avrai finito, te ne parlerò. Potrebbe infastidirti, e non poco. »
« Tutto m'infastidisce, lo sai. »
Appoggiò meglio la schiena contro lo schienale, assumendo una posizione più composta e voltò il capo in direzione di Mycroft: non lo stava guardando direttamente, ma l'attenzione era tutta sua; gli venne da ridere, aveva quasi paura della reazione dell'altro; abbassò lo sguardo, socchiudendo gli occhi, inumidendosi le labbra con la punta della lingua.
« Mi sono accorto di volerti bene. »
Tutto ciò che sentì dopo, fu solamente il gelido silenzio creatosi, smettendo perfino di ascoltare il ticchettio delle lancette dell'orologio a pendolo che costeggiava il camino. Passarono diversi istanti prima che Mycroft aprisse bocca.
« Continua. »
« Mi sento bene con te. – annuì piano, cercando il coraggio di alzare lo sguardo nella sua direzione – Fin troppo. »
Mycroft chiuse di scatto il portatile e Greg, non ricevendo risposta ed avendo terribilmente paura della reazione dell'altro si alzò, voltandosi verso il corridoio, limitandosi a fare qualche passo, per poi fermarsi e fare una piccola smorfia di fastidio dovuta alla ferita.
« Gregory. Non volevo che arrivassi a questo. Ti sei... infatuato, innamorato di me? »
Spalancò gli occhi, voltandosi di scatto verso Mycroft, scoprendogli sul volto un'espressione poco più che confusa. Lo guardò a bocca semi aperta, non sapendo bene cosa dire né fare: quel momento era diventato assurdo nell'istante in cui Lestrade aveva cominciato quello stupido discorso. Lo amava? Certo che no. L'amore era ben diverso da ciò che provava per lui.
« Ho solo detto, – parlò a bassa voce, inarcando lievemente le sopracciglia e agitando lentamente la mano – che sto bene con te. »
Volendosi tirare fuori al più presto dall'ennesima stupida situazione che aveva creato, si diresse definitivamente verso la stanza al piano inferiore, sentendo provenire dalla sala la voce di Mycroft: si bloccò con la mano sulla maniglia della porta al suono di una, sola parola ed infine entrò nella camera. Curioso come il silenzio scandisca così bene i rumori e le parole della notte. Si coricò e poco prima di addormentarsi, lasciò elaborare alla propria mente l'unica parola che Greg sentì e che lo interdette:
« Grazie. ».

*

Mattinata passata nel letto per via dello sforzo fatto la sera precedente ed e-mail di New Scotland Yard fuori uso: qualcuno non voleva farlo lavorare. Sospirò, posando al proprio fianco il vecchio portatile. Con molta, moltissima riluttanza, chiamò la servitù, richiedendo alcuni titoli da leggere e scusandosi non appena questi uscirono dalla stanza. Si chiese se, prima o poi si sarebbe abituato alla loro perenne presenza e quanto ci avrebbe messo a capire che servire le persone era il loro mestiere principale. Aprendo il libro, si chiese anche se avessero qualche tipo di addestramento speciale, essendo la servitù di uno degli uomini più potenti del Paese. Quando alzò gli occhi dal libro, il sole stava ormai tramontando; si accigliò quando, posando il testo sul comodino, notò il piccolo vassoio con il pranzo ormai freddo poggiatovi sopra; la lettura dovette averlo preso parecchio, tanto da dimenticarsi perfino di pranzare.
Quando Mycroft rientrò a casa, gli portò il suo taccuino che aveva lasciato in ufficio la mattina della sparatoria, almeno così si sarebbe gestito meglio gli appuntamenti di lavoro, o almeno quelli risolvibili via cellulare o computer. Holmes passò tutta la serata insieme a lui, cena compresa. Si portò perfino il portatile nella stanza degli ospiti in modo da sbrigare le sue faccende da uomo politico direttamente da lì, nonostante la presenza di Gregory, che fece lo stesso con il suo. Quando lo ripose, notò che Mycroft era seduto poco più distante.
« Posso avvicinarmi? »
Mycroft acconsentì con un cenno del capo.
Avevano bisogno di sentirsi leggermente più vicini, sia mentalmente, che fisicamente. Lestrade strisciò, quanto più elegantemente le forze glielo permisero accanto all'altro, che girò la testa verso la finestra della camera degli ospiti, divenuta di Lestrade. Assaporò il profumo: l'acqua di colonia pregiata utilizzata da Mycroft, mischiato ad un leggero aroma di brandy.
« Mi piacerebbe un po' del tuo brandy. »
« Per ora puoi accontentarti di me, ho bevuto il solito, poco fa. »
Greg accennando un sorriso, colse il suo goffo, ma ben riuscito tentativo di flirtare di Mycroft, mentre quest'ultimo assunse la medesima pozione di Lestrade, sdraiandosi al suo fianco con tutta la sua eleganza.
« Posso baciarti? »
« Era chiaramente un invito. »
In pochi secondi, Gregory fece leva sul braccio, in modo da non gravare sulla sua stessa ferita, per raggiungere le labbra di Mycroft: il suo costosissimo profumo, l'aroma e il gusto di brandy mischiato al sapore di Mycroft, fecero approfondire quel bacio, quel tanto che bastava da renderlo più intimo del precedente. Fu Mycroft stesso a porre fine a quel contatto, poggiando per qualche istante la fronte contro quella di Lestrade e deglutì, per poi girarsi interrompendo ogni singolo contatto, coprendosi. Gregory rimase a fissarlo per diversi minuti, provando ad immaginare cosa gli passasse per quella brillante mente che tanto lo affascinava: paura? Forse. Paura di scoprire che cosa erano in realtà i sentimenti.

*

Aprendo lentamente un occhio e, accigliandosi non poco vedendo una figura scura a fianco a sé, rimase molto sorpreso riconoscendola come quella dell'Holmes. Domandandosi se si fosse mosso durante la notte, poiché era ancora nella stessa posizione in cui l'aveva lasciato, si mise a sedere, provando a capire se fosse sveglio o no, prendendo anche quella manciata di minuti per apprezzarne il momento, senza rendersi conto però, che Mycroft fosse sveglio.
« Rimani, per una volta che siamo a casa a quest'ora. »
Replicò, poggiando la schiena contro i cuscini, e guardando l'Ispettore per un attimo, il quale rimase rigido per diversi istanti seduto sul letto e infine si rilassò, sdraiandosi e appoggiando una mano sulla fasciatura. Gregory guardandolo era contento, finalmente, di non vederlo al lavoro.
« Credo non capiti da anni, perdere tempo così, a letto. »
« Meglio approfittarne. »
Lestrade gli regalò un sorriso, che Mycroft non ricambiò, non cogliendone il significato: lo guardò accigliato e con aria piuttosto confusa. Piano piano, Greg scivolò, fino a far toccare la spalla con la sua. Tutto ciò che voleva, era passare ancora qualche minuto con il maggiore degli Holmes così, senza fare assolutamente nulla, se non scambiarsi sguardi e stupide parole. Quando finalmente quest'ultimo capì, si sporse leggermente, cercando, titubante le labbra dell'altro, che gli porse senza alcun indugio. Un piccolo ed innocuo bacio che nascondeva un ringraziamento: quello di essere lì.
« Perché lo fai e mi permetti di farlo? »
Si alzò dal letto, distogliendo lo sguardo infastidito da quello di Greg, cercando la sua vestaglia da camera per poi dirigersi verso la porta. Si aspettava veramente una risposta? Probabilmente sì, perché non c'era domanda a cui Mycroft non sapesse la risposta. Eccetto, forse, quella.
« Lo faccio perché non mi dispiace farlo. Con te, temo di aver perso un po' la ragione. »
E con questo, siccome Mycroft non ammetteva repliche, perché gli costò
tutto ammetterlo, uscì dalla stanza, obbligando Lestrade al riposo e quando quest'ultimo provò ad alzarsi, l'altro lo bloccò con un semplice gesto della mano, piazzandogliela ad un palmo dal naso.
« Non avrei dovuto lasciare che tu leggessi Rimbaud. »

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Capitolo 11
*** File 10 ***


File 10.

“ Usa l'immaginazione e non annoiarmi. ”


Si era rimesso completamente dalla vicenda della sparatoria; dopo i giorni prescritti di riposo assoluto aveva riottenuto la propria scrivania, le proprie indagini e perfino le telefonate della moglie, la quale era venuta a sapere dell'incidente e Lestrade decise di incontrare un'altra volta. Vivevano ormai separati e la sua vita stava cominciando ad avere nuovamente degli stimoli, nonostante tutto, nonostante i dubbi, nonostante i pensieri di voler rifarsi una vita e di ricominciare da capo, come avrebbe dovuto fare molto tempo addietro. E lo sapeva bene, così come sapeva che, alla sua età era un po' tardi tentare di ricominciare tutto da capo; nonostante Mycroft Holmes, con cui si trovava spesso a passare cene e serate insieme, in casa e non; condividendo talvolta lo stesso letto, anche se ci furono nottate in cui il letto, nemmeno lo vedeva: costretto a pericolosi appostamenti notturni, inseguimenti e nottate che parevano durare un'eternità; ma malgrado le difficoltà costanti che comportava, il suo mestiere lo amava, così come amava restare sull'attenti come se ne dipendesse la sua stessa vita e la sensazione adrenalinica che ne conseguiva, la soddisfazione di prendere con le proprie mani i criminali, i sensi perennemente allerta, e infine la calma assoluta guardando l'alba londinese, con una bella tazza di caffè caldo in cima ad una collina. C'erano sensazioni che solo la notte sapeva donare.
Talvolta il letto di casa, non lo vedeva nemmeno Mycroft: costretto a riunioni di massima importanza e segretezza fuori Londra. Era lui a controllare il tutto, a mantenere la pace e a far sì che crollassero Governi, eccetto il suo. Un lavoro, se così si poteva chiamare, al di fuori della normalità: sangue freddo, deduzione, nessuna compassione. C'erano sensazioni che solo il potere sapeva donare.
Arrivò il freddo pungente e la conseguente nostalgia natalizia che quell'anno precedeva le festività;. dalla casa dei genitori a Birmingham dove si trovava quel Natale, Gregory poté sentire le lamentele di Mycroft, costretto al pranzo natalizio in famiglia Holmes, nel Sussex: odiava quel periodo e glielo fece imprimere in ogni singolo angolo della propria mente, vietandogli perfino di parlarne di fronte a lui, così come gli vietò definitivamente ogni tipo di decorazione, fatta eccezione per alcune piccole candele decorative sul camino, promesse quando era inchiodato in quel letto d'ospedale, ed una volta tornato gliele fece togliere tutte quante, complice il suo silenzio che pareva più melodrammatico delle parole. Successivamente, si dedicò mestamente al lavoro, risolvendo casi completamente da solo, consultando Sherlock soltanto per tenerlo sotto controllo; anche se era sicuro che John Watson lo facesse meglio di chiunque altro; lui doveva occuparsi della propria vita, evitando di cascare in quel baratro denominato “solitudine”, nonostante i sentimenti, nonostante i dubbi su questi ultimi che divenivano sempre più certezze e ne era quasi spaventato, tanto da decidere di rientrare per un brevissimo periodo a casa propria, allontanandosi e scoprendo che non era servito a nulla, se non sentirsi ancora più solo: troppi ricordi, troppo amore sprecato a cui avrebbe potuto dedicarlo a qualcun altro e che già, inconsciamente e flebilmente, stava facendo. Capì che per vivere, aveva bisogno di distrazioni, concentrarsi su ciò che gli stava accadendo, senza alcun rimorso verso nessuno, imponendosi di non averne paura, perché non c'era nulla di più giusto di quello che stava provando, verso una persona che scopriva essere sempre più umana cena dopo cena, invito dopo invito.
Stava diventando naturale, per Greg, compiere gesti quotidiani come salutarlo le poche mattine in cui lo trovava in casa, prima di recarsi a Scotland Yard; addormentarsi e stringerlo, circondandolo con un braccio alla fine di giornate spossanti, come se quel gesto spazzasse via tutto, lasciando spazio a piacevoli sensazioni.
Stava diventando quasi naturale, per Mycroft, permettergli di trattarlo come una persona, la stessa che Lestrade stava cogliendo, conoscendo; nascondere la maschera, essere l'uomo che era e che aveva imparato a occultare perfino a sé stesso, tagliando fuori dal suo stesso essere la parte più umana di lui, fino ad allora, fin quando non aveva deciso la presenza di Gregory nella sua vita; forse per gioco o forse no, ma quello non era più un gioco e se ne rese contro troppo tardi, prendendo lentamente coscienza di quanto stava provando. Raggiunsero quella stabilità che mese dopo mese, diventava sempre più ordinaria, come se avessero sempre fatto parte uno nella vita nell'altro, come amici, come complici.
Lestrade non si stupì più di tanto la mattina in cui uno dei domestici gli diede un biglietto che riportava l'elegante e precisa grafia di Mycroft, in cui aveva scritto che dal quel giorno avrebbe avuto un paio di chiavi tutto suo della residenza. Da quel giorno, sarebbe potuto entrare e uscire dalla sua casa, dalla sua vita, a proprio piacimento; ma stava rendendosi conto, di giorno in giorno, che non sarebbe più voluto uscire di lì, ritornare alla sua stupida vita, senza Mycroft.
Le serate passate all'Opera, le ricordava tutte; i momenti in cui si sfioravano le mani con delicate carezze solo per dirsi silenziosamente “sono qui”, per avere quel contatto di cui avevano bisogno entrambi. Lestrade ricordava anche il momento esatto in cui, guardandolo con tutta la discrezione di cui era capace, si soffermò ad ammirarne l'intera figura, mentre stava parlando con alcuni colleghi o chiunque fossero: spalle fasciate da quel completo scuro, braccia composte, schiena elegantemente dritta, un fondoschiena che fino ad allora non aveva mai notato e fece un po' di fatica a scendere su quelle gambe altrettanto dritte, lunghe e magre. Se la gente lo avesse visto o soltanto avesse intuito cosa stava facendo, avrebbe sicuramente parlato e la propria testa lo stava già facendo per conto di tutti, regalandogli alcune visioni che non furono del tutto d'aiuto a quanto stava accadendo al suo cuore. Si presentarono altre mille occasioni per concentrarsi su quei piccoli particolari fasciati dalla stoffa dei suoi completi, o semplicemente ammirarlo mentre compiva gesti semplici ed ordinari come il nodo alla cravatta, con quelle dita maestre; le stesse dita che talvolta gli sfioravano la pelle, trasmettendogli quel calore che prima di allora, stava lentamente dimenticando.

*

Non era mai stato un cuoco provetto, ma comunque se la cavava e nel corso del tempo si era fatto anche insegnare qualche trucco culinario dai domestici quando il maggiore degli Holmes non era presente, riscoprendo così il piacere di cucinare, per sé stesso e per qualcun altro. Mycroft era fuori dal Regno Unito da due settimane, aveva ancora qualche ora prima che tornasse, decise così di mettersi all'opera, creando da zero una semplicissimo dolce, cogliendo l'occasione anche per festeggiare il suo compleanno, avvenuto qualche tempo prima.
Fu molto difficile per Lestrade ammettere a sé stesso che gli stava mancando (e anche tanto), e per di più non era semplice sentirsi, né con le telefonate, né via SMS a causa del fuso orario. Era la prima volta da quando era iniziata la loro convivenza che Mycroft si assentasse per così tanto tempo e andasse così lontano per lavoro, Greg si sarebbe certamente abituato, gli fece solamente strano stare in una casa così grande da solo. Se lo avesse accolto come avrebbe voluto, sicuramente l'altro si sarebbe letteralmente chiuso in camera per un'altra settimana, perciò optò per la seconda opzione, ovvero il dolce.
Non appena sentì la porta richiudersi mise da parte i documenti di lavoro su cui stava lavorando da casa, andandogli incontro; inutile negare che erano contenti di rivedersi, Mycroft compreso e quando quest'ultimo si sistemò Greg lo chiamò, invitandolo in cucina e facendogli trovare il piccolo piattino di ceramica al centro del tavolo.
« È un piccolo pensiero per il tuo ritorno. E per il tuo compleanno, la data l'ho tenuta a mente leggendola su un documento. »
Mycroft corrucciò lo sguardo, continuando a guardare il dolce con la medesima espressione, pensando che forse avrebbe dovuto evitare di lasciare l'Ispettore a piede libero in casa propria. Sentendosi improvvisamente invaso nei suoi spazi più intimi, diventò spaventosamente serio, passando lentamente lo sguardo dal dolce a Greg.
« Chi ti ha dato il permesso di curiosare dove non dovevi, sei diventato una spia? »
Con l'espressione più stupita che altro, Lestrade non seppe come ribattere, considerando che la predica proveniva dalla stessa persona che aveva il dominio di ogni telecamera di sicurezza e non, di ogni dispositivo di Londra, se non dell'intero Paese; dalla stessa persona che aveva spiato la sua vita da anni e sapeva più cose lui di Lestrade stesso; inarcò entrambe le sopracciglia al suono di quelle parole ed infine scoppiò a ridere, di gusto.
« Da che pulpito. »
Mycroft rizzò la schiena, sempre con la sua espressione seria dipinta in volto, sentendosi punto sul vivo, perché in fondo, Lestrade aveva perfettamente ragione e lui lo sapeva meglio di chiunque altro; detestava quando qualcuno cercava di tenergli testa, ma in quel momento era diverso, ormai Lestrade non era più uno qualunque da un pezzo.
« Io spio privatamente solo le persone che mi interessano, questo ormai dovresti saperlo bene, Gregory. »
L'espressione seriosa sul suo volto svanì, e prima che lo yarder potesse anche solo ribattere, se lo trovò di fronte, reo il fatto di essere di fronte al porta posate; quest'ultimo naturalmente perse un battito o due, perché erano settimane che non lo aveva così vicino, tanto da poterne sentire il profumo. Si irrigidì per un secondo, sentendo le dita dell'altro sfiorargli le sue, involontariamente – o forse no. Impiegò pochi istanti a prendere posto al tavolo, pronto a degustarsi il dolce preparato da lui stesso, ma non prima di aver essersi tolto la giacca del completo ed essersi tirato su le maniche, con gli occhi di Lestrade che non lo mollarono per un secondo, fin quando non prese posto di fronte a lui, aspettando un riscontro. Fu un attimo che
Lestrade si sentì lentamente sfiorare la caviglia, chiaramente del tutto involontario, pensò col senno di poi; i curiosi e soprattutto impacciati tentativi di flirtare di Mycroft bene o male aveva imparato a conoscerli, questa cosa era del tutto inaspettata, sentendosi trasalire. Dove diavolo stava andando a parare, considerando il tocco che si faceva via a via più intimo?
« Dovresti smetterla. »
« Prego? Dici che dovrei smetterla di spiare le persone? »
Il dolce terminò, e Mycroft alzandosi dalla sedia smorzò quel contatto, dirigendosi verso le scale con la giacca del completo agganciata al braccio; una volta in camera da letto, sicuro come non mai che Lestrade lo avesse seguito, slacciò i bottoni del gilet grigio. Lo yarder scosse lentamente il capo in risposta alla stupida affermazione di poco prima e si appoggiò con la schiena contro la parete adiacente alla porta e chiedendo mentalmente a sé stesso perché stesse cominciando ad immaginarsi dell'altro coperto con nient'altro che la pelle.
« Trovati altro da fare. »
Mycroft si voltò di scatto al suono della voce di Lestrade, costringendolo a spostare velocemente lo sguardo dal suo fondoschiena e ad abbandonare i pensieri che stava cominciando a farsi, facendosi così scoprire come un vero imbecille, mentre il maggiore degli Holmes gli regalò uno dei suoi sorrisi compiaciuti, di chi ha sempre saputo tutto ciò che passasse per la testa dell'interlocutore; lo guardò avvicinarsi, continuando a seguire i movimenti di quelle mani a lui perfette slacciarsi elegantemente i polsini della camicia bianca che avrebbe voluto strappargliela di dosso in quell'esatto momento e rendere una delle sue fantasie reali.
« Lo sto già facendo, Gregory. Usa l'immaginazione e non annoiarmi. »
Gli piaceva essere messo così sotto pressione da uno come Mycroft e Mycroft lo sapeva bene... eccome se lo sapeva. Aveva avuto a disposizione mesi per imparare a studiarlo, a conoscerlo, a interpretare ogni suo gesto, ogni suo pensiero. L'immaginazione la stava usando che fin troppo e stava andando fin troppo oltre. E Questo Mycroft lo sapeva benissimo.
« No, dimmelo. Voglio sentirtelo dire. »
Così come Greg aveva avuto a disposizione mesi per fare lo stesso identico processo di assimilazione, seppur acquisendo meno informazioni di quante volesse, da quell'enigma vivente quale era Mycroft. Non era sicuro di essere tra le più fervide fantasie dell'Holmes, ma dopo il primo mese di convivenza, aveva capito certamente di non essergli indifferente.
Tutto ciò che Mycroft stava facendo in quel momento, giunse alla conclusione lo stesse facendo apposta, così come era sicuro del fatto che i suoi sguardi ormai andavano oltre la benevola amicizia; sapeva benissimo che piuttosto che ammettere una cosa come quella, Mycroft avrebbe preferito sparire dal Paese. Non stavano più giocando, il gioco era finito da un pezzo e lo sapevano benissimo entrambi.
« Non otterrai questo da me. »
Fermo immobile, sempre appoggiato contro la parete, Greg guardò intensamente il viso di Mycroft, scendendo poi su quel collo che soltanto una volta gli fu permesso di sfiorare con un bacio: il ricordo del profumo dell'altro così intenso lo fece deglutire, poi lo sguardo passò nuovamente sulle mani, intente ad allentare il nodo della cravatta blu notte. Distante qualche passo, Mycroft mantenne la sua espressione impassibile, che ogni altro essere umano, in un momento come quello avrebbe sicuramente odiato, ma non Lestrade.
« Dai, – fece una smorfia, alzando il viso in segno di sfida – fai quello che vuoi. »
« Mi stai dando carta bianca per fare cosa, esattamente? »
la cravatta andò a far compagnia al gilet e alla giacca del completo sulla poltroncina a fianco alla scrivania, ma nessuno distolse lo sguardo dall'altro.
“Per farmi quello che io ti sto facendo nella mia schifosissima mente.”
Deglutì ancora, sapendo che Mycroft era in grado di cogliere quel silenzioso messaggio. Come poteva sperare di tenergli nascosto qualcosa, quando le intenzioni erano ormai così limpide?
« Qualcosa nel limiti della decenza. »
« Decenza? Noia, Ispettore. Per chiederti di avere un rapporto con me, devo toglierti il distintivo dalle tasche? »
Lestrade cercò di mantenere il controllo, per evitare di prenderlo e finire di spogliarlo malamente, facendogli saltare bottoni dalla camicia perfettamente stirata che gli fasciava il corpo. Si avvicinò di un altro passo, sciogliendo definitivamente il nodo della cravatta, facendola ricadere sul petto.
« No, devi togliermi i vestiti di dosso. »
« Prima il distintivo. »
Gli occhi di Mycroft erano legati ai suoi, anche quando Greg estrasse il distintivo e tutto ciò che riguardava Scotland Yard dalle tasche dei pantaloni, lanciandolo distrattamente assieme a parte del completo di Mycroft sulla poltrona.
« Così non ti porti il lavoro anche a letto. »
« Solo una cosa voglio portarmi a letto, ora come ora. »
« Dillo, che cosa. »
Ringhiò a bassa voce, era in grado di impartire ordini anche in un momento come quello, facendo aumentare l'eccitazione in Lestrade che a stento riusciva a trattenere; non gli avrebbe mai e poi mai risposto; ciò che voleva portarsi a letto era ad un palmo di naso da lui e suddetta persona lo sapeva bene di essere l'oggetto dei suoi desideri. Mycroft, dopo anni ed anni, si sentiva desiderato da giorni, se non da mesi e gli pareva così stupido e insensato che lasciò perdere non appena l'occasione si presentava di fronte al suo naso, pronta per essere studiata e capita. Non aveva bisogno di provare piacere fisico quando poteva ottenere quello mentale soltanto tramite il suo lavoro, attuando piani che facevano mettere in ginocchio intere nazioni. Fin quando non prese Lestrade con sé, il suo piccolo enigma che sempre lo sorprendeva, nel modo in cui cercava e di tanto in tanto riusciva a tenergli testa come nessuno aveva mai osato fare, perché era Mycroft Holmes.
Perché uno come Gregory gli stava accanto, a tal punto da desiderarlo? E perché, ogni pensiero riguardante l'affetto verso quest'ultimo lo mandavano fuori controllo a tal punto da chiuderli a chiave in una stanza del suo Mind Palace? In quel momento stava aprendo inconsciamente ogni stanza riguardante quell'Ispettore insolente che aveva di fronte. Era tutto inaspettato, imprevedibile e, Dio se gli piaceva quell'idiota seppur meno idiota di tutti gli altri con cui aveva sempre avuto a che fare; quell'idiota che si era premurato di preparargli un dolce super calorico, fregandosene della dieta che stava maniacalmente seguendo, solo per vederlo contento; quell'idiota che lo stava bramando con gli occhi, come un animale feroce faceva con la propria preda. Ma da quando era diventato lui, la preda? Lui, che aveva sotto controllo qualunque cosa.
« “Non otterrai questo da me”, “Usa l'immaginazione e non annoiarmi”. »
Il loro respiro si confondeva ed il ghigno sul viso di Lestrade fece da padrone, tanto da usare le parole di Mycroft contro di lui, con il mento alzato e il sorriso sornione, pronto ad attirarlo a sé, a baciarlo, a fargli tutto ciò che gli stesse passando nella testa da un momento all'altro.
« Sei assurdo e io credo di amarti. »
Gregory rimase fermo immobile, stringendosi il muscolo del braccio conficcandosi le unghie nella carne e smettendo perfino di respirare a causa delle parole di Mycroft. Aprì la bocca dopo qualche istante prendendo un respiro, come se fosse stato in apnea per giorni e sentendo le proprie viscere decomporsi all'interno del proprio corpo. Capì chiaramente, non aveva avuto nemmeno il bisogno di ripetersele mentalmente, gli sarebbero rimaste impresse per il resto della sua vita, assieme alla data del compleanno.
Da quanto non se lo sentiva dire? Provò un senso di confusione mentale talmente forte, che a stento riuscì a restare fermo immobile, a non scappare in qualche angolo buio di quella casa che ormai gli era così familiare.
« Dannazione, Mycroft. »
“Baciami.”
Senza che nemmeno aprisse bocca per parlare e formulare la frase, Mycroft si era appropriato delle labbra dell'Ispettore, con quell'urgenza che gli fece quasi male: fu più un bisogno, che una silenziosa richiesta, aveva bisogno di quell'ordine che solo Mycroft era in grado di dargli; in pochi istanti il corpo del maggiore degli Holmes premeva su quello di Lestrade, appiattendolo contro il muro, facendogli sentire ancora di più quel calore che se ne stava andando; respirò, sentendo il profumo dell'acqua di colonia dell'altro dritto nelle narici, e istintivamente poggiò le mani sulla schiena di Mycroft circondandolo lentamente in un abbraccio, fino a raggiungere la nuca, che cominciò ad accarezzare, poggiando poi la fronte contro quella dell'altro. Si arrese, accettando che tutti i sentimenti contrastanti gli uni contro gli altri non erano altro che amore; amore che non poteva permettersi di provare a causa delle pressioni della moglie, ma che provava e non c'era nulla di più giusto, nulla che lo facesse sentire più in pace di quando era con lo stesso uomo che stava accarezzando, l'uomo che manovrava il Paese in cui viveva, senza un briciolo di sentimenti; l'uomo che, in quel momento era l'essere umano più umano di tutti. Socchiuse gli occhi, restando a contatto con la fronte di Mycroft, assaporandone il sapore che aveva ancora sulle proprie labbra.
« È passato troppo poco tempo, lo so. Ed è troppo presto... »
« Basta, non dire niente per favore. »
Sciolse l'abbraccio, distaccandosi da Lestrade, il quale si passò una mano tra i capelli facendo pochi passi nonostante si sentisse le gambe molli. D'improvviso, il cellulare di Mycroft squillò e dovette riacquistare il tono vocale impassibile, non potendo permettersi di mostrare alcun tipo di debolezza, perché quella a cui Greg aveva appena assistito Mycroft l'avrebbe decantata come la più grande fragilità umana.
Uscendo dalla stanza e facendo segno a Lestrade di restare immobile lì, scese al piano di sotto parlando al telefono con il fratello minore con il tono più irritato del solito. Quando Gregory decise di raggiungerlo poco dopo, lo sentì sospirare e posare malamente il dispositivo sul lungo tavolo di fronte alla vetrata: probabilmente aveva appena terminato l'ennesimo litigio con Sherlock.
« Vorrei soltanto sbattere la testa contro un muro. »
« Se proprio vuoi, sbattila contro di me. »
Mycroft guardò Gregory accigliato e quest'ultimo con l'espressione più seria che poteva, si avvicinò, mantenendo quell'autocontrollo che quella sera a Mycroft sembrava essersene andato a farsi benedire. Lentamente però, l'Ispettore lo vide avvicinarsi e appoggiare lentamente la testa contro la propria spalla, titubante. Quest'ultimo gli appoggiò una mano sulla schiena e cominciò ad accarezzargliela.
« È sbagliato. – Lestrade lo sentì scuotere lentamente il capo – È tutto sbagliato. Non saresti mai dovuto venire qui; io non avrei
mai dovuto permettere che accadesse questo. »
« Non c'è niente di sbagliato in questo. »
La voce di Lestrade era un soffio e a malapena si udiva in quel momento. In tutto quel misto di sentimenti che stava provando, affetto, rimorso, confusione, l'unica cosa di cui era sempre stato sicuro, era che fosse giusto, provare quella parte di sentimenti per Mycroft.
« È colpa tua, – sbottò, con ancora la testa poggiata su Greg – mi fai sentire ancora una volta completo! È assurdo, ho detto di amarti, Gregory. Io. »
Sul volto dell'Ispettore, l'angolo destro della bocca si inarcò formando un piccolo sorriso; per Mycroft invece fu una sottospecie di condanna a morte, quello che era successo in camera da letto. Annuì lentamente, continuando ad accarezzargli la schiena. Era colpa sua, sì, se aveva cominciato a trattarlo da persona e non da macchina cervellona come erano abituate a fare tutte le persone con cui aveva a che fare ogni singolo giorno della sua vita. Quando Mycroft rialzò il capo, guardò in silenzio Lestrade dritto in volto, fin quanto non avvicinò il suo e senza più titubanze e senza più permessi, lo baciò castamente, premendo solamente le labbra su quelle di Greg, che parve apprezzare tutto ciò che Mycroft stava donandogli. Questa fu più un silenzioso ringraziamento da parte di entrambi di essere lì, di essersi aiutati in un modo completamente loro; di essersi aiutati a mettere in ordine quei maledetti pensieri che da mesi gli stavano logorando il cuore e il cervello.
« Greg. »
« Mh? »
« Dimmelo. »
Questa volta, aveva il sentore che se finalmente lo avesse detto, si sarebbe lasciato completamente andare, i pensieri che lo legavano al passato, sarebbero finalmente svaniti dopo tanto, tanto tempo. Avrebbe smesso di essere in trappola ed essere finalmente libero. Dopo pochi istanti, guardando Mycroft negli occhi, si sentì logorare lo stomaco e fu una sensazione piacevole, liberatoria.
« Ti amo. »
Mycroft rimase fermo immobile a guardarlo negli occhi e così fece anche Gregory con lui.
Entrambi mantennero l'espressione seria, come se avessero aspettato quel momento da mesi; e probabilmente fu così. Avevano soltanto bisogno di ordine. Mycroft gli porse la mano, continuando a guardarlo con un'espressione che trasmetteva tutto il calore di cui fosse capace, quanto bastò a Greg per afferrarla con la propria, rude, delicatezza e stringerla.

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Capitolo 12
*** File 11 ***


File 11.
“ Prendilo come un ordine e non come un favore. ”


Le mani, congiunte poco prima a quelle di Mycroft, scivolarono sul tessuto pregiato della camicia, pronte a toccare e accarezzare ciò che fasciava: petto, schiena, braccia; facendosi strada sotto i pantaloni slacciati in precedenza, e strinsero delicatamente le natiche, lasciando sfuggire a Mycroft un gemito di disappunto e un sorriso a Lestrade, che non faceva altro che baciare, leccare e mordere le labbra dell'Holmes.
Finì di sbottonargli la camicia con tutta la delicatezza di cui era capace, a differenza dei pensieri poco casti di qualche ora prima e si abbassò lentamente, baciandogli il mento, la mascella; scendendo sino al collo che Mycroft inarcava sempre di più, in cerca di contatto, così come faceva con il corpo, comprimendolo contro quello dell'Ispettore, che in risposta, fece sedere sul letto sfilandogli e sfilandosi a sua volta gli abiti rimasti.
Gregory gli appoggiò una mano sul petto, invitandolo a sdraiarsi: poteva sentire il suo battito cardiaco, leggermente accelerato e lo spinse delicatamente, facendolo appoggiare contro i cuscini, non smettendo nemmeno per un istante di baciargli ogni centimetro di pelle. Era inebriato da quel profumo così intimo di bagnoschiuma, acqua di colonia e di Mycroft, che in quell'esatto momento era suo, completamente suo. Quest'ultimo registrò mentalmente ogni movimento e sensazione che l'Ispettore stava procurandogli: brividi percorsero entrambi, poiché quello che stava accanendo non era una richiesta, né un controllo... era semplicemente istinto e amore. A Greg faceva strano ammetterlo, così come gli era strana quella sensazione di leggerezza, come se ogni problema della sua vita fosse spirato non appena avevano cominciato a baciarsi, toccarsi, in quella camera da letto.
Marchiò il suo corpo con una serie di piccoli baci e morsi che partivano dal petto fino all'ombelico: come aveva sempre teorizzato, il corpo di Mycroft non aveva bisogno di nessun tipo di dieta e quel momento lo confermò, nonostante stesse ritraendo la pancia, non essendo abituato al tocco delle labbra sulla pelle.
Passò a baciargli la fronte, accarezzandogli una guancia velata di sudore, mentre guardava ogni singola espressione del volto di Mycroft, che aprì lievemente le palpebre, riuscendo ad incatenare lo sguardo con quello di Lestrade. Gregory sorrise genuinamente, dicendogli grazie, di essere entrato nella propria vita, di avergliela rivoltata e di permettergli di fare altrettanto; la sua voce, roca a causa degli anni passati attaccato alle sigarette, tremava per via dell'emozione e l'intensità di quel momento.
Si abbassò nuovamente, facendo aderire completamente i loro corpi e lo baciò, sempre con più veemenza, fin quando entrambi non gemettero l'uno nella bocca dell'altro, accorgendosi anche delle loro eccitazioni, bisognose di attenzioni.
Deglutì guardando Mycroft: stava dandogli il permesso di fare molto di più, stava dandogli il permesso di essere dominato e non di dominare come era solito fare con il Paese, solo perché era lui, Gregory Lestrade.
Cerò istintivamente con lo sguardo qualsiasi cosa avrebbe potuto utilizzare come lubrificante, in modo da rendergli tutto meno doloroso possibile, e gli balzò alla vista un piccolo vasetto di crema per le mani sul comodino e una volta afferrato, se ne spalmò un'abbondante quantità sulle dita e abbandonò la piccola vaschetta sul lenzuolo; posando nuovamente il suo sguardo su Mycroft, trovandolo riversato su un fianco. Allineò nuovamente il corpo contro il suo, continuando a baciargli la spalla e il collo, provocandogli dei mugolii che non fecero che aumentare l'eccitazione in entrambi. Gli diede sollievo cominciando con delle carezze che partivano dal basso ventre, e che ben presto si trasformarono in una presa salda e decisa sul suo membro eretto.
Mycroft, cercando di trattenersi in tutti i modi possibili per non apparire debole di fronte al piacere sessuale, ansimò mordendosi una mano chiusa a pugno, spingendo lentamente il bacino, seguendo i movimenti della mano di Gregory che, poggiandogli la fronte contro la spalla, pregò di non venire prima del previsto; dando ascolto ai suggerimenti che stava dandogli il proprio istinto, cercò di prepararlo insinuando lentamente le dita precedentemente lubrificate tra le natiche.
Mycroft voltò il capo in sua direzione, obbligandolo ad alzare il suo e guardarlo. Era meraviglioso: quel momento, quella persona e quanto stavano provando. Greg prese tra le sue labbra il lobo dell'orecchio, sorridendo e rendendolo ancora una volta partecipe dei suoi pensieri, di quella felicità di essere lì, con lui e delle sensazioni che lo stavano inebriando sempre di più; si appropriò poi delle sue labbra, cercando di rilassarlo con parole spezzate dai baci, carezze e piacere.
Mycroft, ansimando, gli afferrò il braccio, trascinandosi prepotentemente sotto il corpo di Lestrade, obbligandolo a cambiare posizione. Passò forzatamente lo sguardo dai loro corpi al suo sguardo, perdendosi in quegli occhi mai stati così ricchi di desiderio da quando tutto era cominciato.
Il sol pensiero di entrare in lui, lo fece rabbrividire di piacere, mentre cercava a tentoni il vasetto per lubrificarsi ancora; Mycroft stringeva con forza la stoffa del lenzuolo, non appena gli divaricò le gambe e avvicinò il proprio membro verso l'apertura: i suoi gemiti non erano altro che un invito ad entrare ancora. Greg spinse, entrando sempre di più, ansimando all'unisono; si piegò su di lui, poggiando una mano sul cuscino e stringendone a sua volta la stoffa della federa: voleva guardarlo bene, imprimersi nella mente quella visione, quei mugolii che uscivano dalla bocca semi chiusa di Mycroft.
Biascicarono uno il nome dell'altro, insieme a qualche altra parola indefinita ad ogni spinta, e l'Ispettore sperò di non fargli eccessivamente male, perché lo amava, amava Mycroft, in un modo del tutto nuovo ed inaspettato: la persona meravigliosa che era, nonostante tutto; la persona che anno dopo anno, da quando lo aveva conosciuto in quella stanza d'ospedale, stava provando a regalargli una nuova vita.
Strinse gli occhi, accucciandosi contro il corpo dell'altro e gli appoggiò la fronte umida sulla spalla.
Sentì le mani delicate dell'Holmes sulla schiena, pronte a tastare ogni muscolo contratto ad ogni spinta, stringere e accarezzare a sua volta ogni parte del corpo di Lestrade, scoprendo a sua volta il piacere di toccare; spinse poi il bacino contro il ventre di Greg in cerca di altro sollievo e quest'ultimo infilò la mano in mezzo a loro, salda e decisa come prima, masturbandolo a ritmo delle sue spinte che non facevano che aumentare di intensità e voglia.
Senza che ne nemmeno se ne accorgesse, Mycroft fece scivolare le mani sui suoi glutei contratti e Greg ringhiò contro la sua spalla più che soddisfatto; spostò leggermente il viso, in modo da poterlo guardare ancora, scoprendogli le pupille ben più che dilatate. Si scambiarono uno stupido sorriso che sparì in meno di un secondo dalla faccia dell'Holmes, il quale inarcò più che poté la schiena alzando il bacino contro la mano di Lestrade, la fonte di quel piacere che aveva raggiunto il culmine, accantonato da anni, come ogni altro sentimento, e non facevano che traboccare, senza controllo. Sputò fuori un gemito, mozzato dalle labbra di Gregory, costringendo a baciarlo mentre veniva.
Lestrade venne a sua volta, complice quel bacio, quelle lingue che non facevano altro che esplorarsi, toccarsi; il tocco di Mycroft provocatore di brividi in ogni parte del corpo e le care e vecchie endorfine, che stavano facendo il loro corso.
Uscì da Mycroft, abbandonandosi contro il suo corpo appiccicoso, poggiandogli la tempia contro petto, chiudendo gli occhi e beandosi di quel contatto e calore e il suono irregolare del suo cuore. Fu inevitabile per Greg, ripensare ai tempi in cui al posto di Mycroft vi era la moglie, ma quel pensiero di troppo, venne spazzato via dal lieve tocco del maggiore degli Holmes contro la sua nuca.
In risposta alzò il viso, cominciando a baciargli il mento e la mascella, spostando poi il proprio peso sul materasso, trovando una posizione decisamente più comoda per entrambi.
Mycroft chiuse gli occhi dopo alcuni minuti e, senza pronunciare parola, si voltò su un fianco, dando la schiena a Lestrade, che dopo qualche istante raggiunse con la medesima posizione, comprimendogli la schiena contro il suo petto, che si alzava e abbassava ancora irregolarmente e lasciandogli dei piccoli baci sulla nuca velata di sudore, ringraziando silenziosamente le endorfine del maggiore degli Holmes, che gli permisero di baciarlo e accarezzarlo più del dovuto. Infine, insinuò una gamba in mezzo alle sue, sfregando la caviglia, fin quando non si addormentò, sussurrandogli quanto fosse stato magnifico quanto era appena accaduto tra di loro.

*

Mycroft non aveva bisogno di sveglie, l'orologio biologico lavorava per lui, così come il cervello e il fisico. L'Ispettore, sdraiato a pancia in giù, sul lato destro di quel letto bianco in cui avevano consumato una notte non di sesso, ma di amore: allungò una mano verso il suo nuovo amante seduto sul bordo del letto con solo addosso la sua vestaglia da camera, e gli afferrò delicatamente il polso, facendo scivolare la mano sulle sue lunghe dita e portandola alla bocca, dove vi posò un leggero un bacio, lasciandola subito dopo e seguendo ogni singolo movimento di Mycroft.
Dopodiché sedendosi, diede uno sguardo alle lenzuola e gli tornò alla mente anche la presenza dei domestici. Inevitabilmente, si chiese se avessero sentito oppure no, quanto era accaduto la notte scorsa con una punta di orgoglio.
Si alzò in piedi, andando ad aprire la porta-finestra; estrasse una sigaretta dal pacchetto sul comodino, andando poi a fumare sul balcone, coprendosi anch'egli con la vestaglia che trovò sulla poltrona, soddisfatto come non gli capitava da mesi.
L'aria novembrina era fredda e pungente, dovevano essere circa le 6.30 del mattino a giudicare dal colori albini del cielo. Quanto stava provando in quegli attimi, era molto simile alle sensazioni provate alla fine di quei pericolosi inseguimenti notturni, quando tutta l'adrenalina ha smesso di fare il suo corso, su una di quelle alture londinesi.
Dopo qualche pensieroso tiro alla sigaretta, sentì Mycroft uscire dal bagno privato: silenzioso ed affascinante come lo era sempre stato e solo allora aveva deciso di ammettere a sé stesso. Si scambiarono uno sguardo, mentre Mycroft, si stirò elegantemente la cravatta con una mano, pronto in uno dei suoi completi lavorativi.
Poggiando la sigaretta sulla ringhiera del balconcino, Greg si avvicinò, dandogli il buongiorno verbalmente e poi a fior di labbra con un bacio. Dovette trattenersi dal prenderlo e appiattirlo contro di lui e rifare l'amore come la notte appena trascorsa, ma il lavoro di entrambi non lo avrebbe permesso. Rimasero in silenzio, con solo il rumore delle loro bocche che si incontravano ed esploravano ancora una volta, fin quando Mycroft, con un cenno del capo, gli diede il permesso di utilizzare il suo bagno privato per riassestarsi e prepararsi.
Poi, dalla sua scrivania di New Scotland Yard, la giornata era cominciata proprio come tutte le altre, a parte per il fatto che fosse molto più rilassato e se ne accorsero la maggior parte dei colleghi in tutto il dipartimento.
Sally Donovan, con cui aveva un caso tra le mani, preferì non indagare, mantenendo la sua solita rigidità lavorativa, cosa che non fece però Sherlock Holmes, lanciandogli occhiate durante il caso in corso e l'Ispettore non si premunì nemmeno di fingere, non con Sherlock.
Tra una piccola pausa caffè e l'altra, pensò e ripensò a quanto accaduto, da quando Mycroft aveva rimesso piede in casa, alla bomba innescata con quel dolce e, Dio, ringraziò la sua maledetta vena culinaria, tornata utile in quel periodo della sua vita, che stava lentamente cominciando ad avere un senso. Si ritrovò a pensare per tutto il pomeriggio alle attenzioni che riservavano l'uno per l'altro, ammettendo a sé stesso che andavano ben oltre l'amicizia, sentendosi un perfetto coglione ad essersene accorto soltanto la sera precedente dopo tanto tempo, ma anche enormemente sollevato, perché ciò che provava per Mycroft, a modo suo lui lo ricambiava.
Ripensò alla giornata completa, da quando lo baciò per dargli il buongiorno, alla doccia veloce nel suo bagno privato nella stanza e al doppio caso giornaliero, in cui riuscirono a cogliere in flagrante una banda di falsari, ad interrogarli ed arrestarli, scortandoli lui stesso in cella, guadagnandosi ancora una volta i meriti del completo dipartimento e perfino quelli del Commissario. Tornando a casa, dopo essere entrato nel viale della residenza Holmes, si accorse di tutta la stanchezza accumulata in giornata e una volta uscito dalla macchina si stiracchiò, prima di far scoccare la chiave nella serratura aprendo la porta, declinando ancora un volta l'aiuto dei domestici, e andò in sala, dove si prese qualche istante rilassandosi sulla poltrona, prendendosi il calore del camino acceso.
Ti aspetto per cena.
SMS da: Gregory – 20.19
Mi stai dando un ordine?
SMS da: Mycroft – 20.37
No, è più che altro una richiesta.
SMS da: Gregory – 20.38
Sarebbe stato l'unico ordine che avrei rispettato.
SMS da: Mycroft – 20.40
Prendilo come un ordine e non come un favore, allora.
SMS da: Gregory – 20.41
Alcuni secondi più tardi, sentì la serratura scattare: prontamente, si alzò in piedi, aspettandolo appoggiato contro la spalliera del divano. Avrebbe dovuto sentirsi in imbarazzo? O avrebbe dovuto aspettarsi qualche cosa? D'altronde, non si erano ancora parlati decentemente, poiché la stessa mattina, Mycroft si dileguò non appena Greg entrò in bagno. Improvvisamente, si sentì completamente fuori luogo: se Mycroft fosse stata un altra persona, Greg sarebbe scattato e lo avrebbe baciato, abbracciato e coccolato fin quando la forza glielo avrebbero permesso, ma non con uno come Mycroft, e questo non fece che aumentare la voglia di averlo con sé, perché ogni sua reazione era inaspettata.
Infine si avvicinò, senza nemmeno riflettere, facendolo voltare e aiutandolo a sfilarsi il cappotto blu notte, passandogli le mani sulle braccia un una sorta di carezza, sussurrandogli il bentornato a casa e di prepararsi per l'imminente cena, durante la quale, gli raccontò ciò che lui riteneva “la sua straordinaria giornata”, grazie al caso con Sherlock e a quello dei falsari, ricevendo in tutta risposta soltanto un'espressione accigliata, senza nemmeno un complimento, non rimanendoci nemmeno poi troppo male: Mycroft era sempre stato molto più deduttivo del fratello e questo era uno dei molteplici motivi per cui lo aveva sempre ritenuto tanto affascinante. Nessuno dei due però accennò alla loro notte. Già il solo fatto di essere lì, insieme era una risposta per entrambi.

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Capitolo 13
*** File 12 ***


File 12.
“ Gli altri parlano sempre troppo. ”


L'inizio di quella strana relazione, sembrava proseguire al meglio, giorno dopo giorno.
A distanza di mesi, l'Ispettore Lestrade poteva ritenersi soddisfatto della sua vita, sentimentale e lavorativa, la quale stava andando a gonfie vele.
Con Mycroft era tutto nuovo, compresi alcuni episodi spiacevoli come le malelingue su chi avessero cominciato a frequentare l'un l'altro, poiché avevano cominciato a circolare da un po' di tempo e a cui cercò di badare il meno possibile per il quieto vivere di entrambi.
Anche pronunciare alcune semplici parole, ripetute e ripetute per anni, era nuovo per Greg; nonostante Mycroft detestasse i sentimentalismi e nonostante gli sforzi che stava facendo per Greg. Al sol pensiero di questo, durante uno degli assoli di violoncello di quella piacevole serata passata all'Opera, l'Ispettore dovette reprimere l'impulso di proferirle quelle semplicissime parole. A Mycroft, non sfuggirono le sue intenzioni; reo il suo ripetuto ticchettio con l'indice e il medio sul bracciolo della poltrona e il suo continuo massaggiarsi le labbra, accompagnate da deglutizione continua.
« Temi di dire cosa provi per me in pubblico? »
« Temo che la gente possa parlare troppo, – si schiarì la voce, volgendo poi lo sguardo verso Holmes, sfiorando quasi il proprio naso con il suo – per te e la tua posizione. »
« Gli altri parlano sempre troppo, Gregory. »
« Sì, ma ora è diverso. »
Non che ci fosse nulla da nascondere, ma preferì andarci con i piedi di piombo, senza forzare niente, dando il tempo al tempo, poiché quei sentimenti erano soltanto la base di un qualcosa che stava piano piano nascendo.
Mycroft lo guardò negli occhi diversi istanti e poco dopo abbassò lo sguardo, tornando nella posizione in cui era, mentre Lestrade continuò a guardarlo ancora, chiedendosi che cosa gli stesse passando per la testa; testa che si massaggiò per qualche minuto, le cui gesta, non passarono inosservate agli occhi di Greg, così come Mycroft, naturalmente si accorse di quegli sguardi e, con molta nonchalance, afferrò la mano dell'Ispettore, intrecciandone lentamente le dita: sapeva che lo avrebbe certamente distratto dalle mille domande che stava per porgli, rimanendo così fin quando non furono dentro la berlina privata di Mycroft. I sentimenti contrastanti di Gregory, gli regalarono un'espressione sconcertata, poiché era sì contento, ma anche molto stranito dalla sua audacia: l'ultima ed unica volta in cui erano usciti mano nella mano non era stato sotto gli occhi di tutti, come questa volta.
« Uscire dalla hall del teatro in questo modo è stato carino, anche se strano e non da me. »
« Esatto, non è da te e avrei preferito non lo avessi fatto. »
Mycroft accennò un sorriso, probabilmente di circostanza, posando il suo sguardo sulle luci della sua città al di fuori del finestrino, non lasciando nemmeno per un istante la mano dell'Ispettore e prima che quest'ultimo potesse ribattere diversi minuti dopo, Mycroft lo interruppe ancor prima che prendesse aria per parlare.
« Anche se parlassero? Mycroft Holmes ha avuto una piacevole compagnia a teatro questa sera. Qual è il problema, Gregory? »
Una volta rientrati in casa, Mycroft si avvicinò al domestico, parlandogli con un tono talmente flebile, che Lestrade non riuscì ad ascoltare nulla.

*

Nel momento in cui aprì la porta per uscire per dirigersi nella City in cui lo attendeva un'altra mattinata su di una scena del crimine o col fondoschiena posato sulla sedia, non si aspettava di certo di vedere la donna col Blackberry, sempre impeccabile con il suo tailleur nero pronta a pianificare impegni governativi.
Non la vedeva da mesi e tutto ciò che riuscì a fare fu soltanto salutarla e porgerle la mano, invitandola ad entrare, sarebbe stato scortese lasciarla all'ingresso, ma le sue intenzioni, vennero bloccate direttamente da Mycroft stesso che uscì fasciato dal suo completo, ombrello e cappotto, rivolgendogli un saluto per poi dedicare le sue attenzioni alla propria assistente, Anthea.
« Allora mia cara, i piani di oggi quali sono? »
« Riunione con i Capi di Stato tedeschi, Sir. »
Non era la prima volta che passava a prelevarlo a casa, era soltanto la prima volta da quando tutto era cominciato, da quando avevano deciso inconsciamente che avrebbero consumato la prima colazione insieme, per poi affrontare le giornate lavorative con più leggerezza. Si chiese quanto e cosa sapesse Anthea della loro situazione, poiché non era affatto stupida, era piuttosto contento che Mycroft riuscisse a tollerare un altro essere umano.
Dopo l'estenuante mattinata passata appiccicato alla cornetta del telefono con alcuni dirigenti bancari che richiesero, o meglio, pretesero indagini su indagini per la sparizione di ingenti somme di denaro dalle loro casseforti
, decise che per lui la giornata di lavoro sarebbe terminata nel momento cui richiuse la telefonata. Una volta rientrato a casa, scoprì che quella sera avrebbero avuto un'ospite a cena, cena prettamente lavorativa, come la decantò Mycroft. Una cosa nuova per Lestrade: non gli era mai capitato di averla come tale, con lei non aveva passato mai più di dieci minuti. Ovviamente non mancarono alcuni pensieri che lo fecero sentire già il terzo incomodo della situazione ancor prima che la cena iniziasse: andava bene che lui ascoltasse quanto avevano da dirsi? L'idea di andare a mangiarsi un panino in un fast food in perfetta solitudine la prese per buona. Scese in direzione del salotto, abbottonandosi la giacca del completo.
« È interessante vederti ingelosire e non ammetterlo nemmeno a te stesso. »
La voce di Mycroft lo fece rinsavire: inarcò le sopracciglia indicandosi e dovette trattenere a forza una risata. Lui stesso non sapeva nemmeno dare un nome a quello che stava provando, a dirla tutta. Mycroft distolse lo sguardo da Lestrade, andando verso l'ingresso per aprirle personalmente la porta. Anthea era impeccabile e sapeva bene quanto Mycroft apprezzasse la perfezione, arrivando precisamente in orario. La serata era appena iniziata e Lestrade cominciava già a sentirsi di troppo: li trovò perfettamente in sintonia già solo all'ingresso e gli ritornò in mente l'idea di mandare al diavolo la cena per andarsene all'appuntamento col panino. Si maledì per non aver mai preso in considerazione quel rapporto. Come aveva fatto a non rendersi conto dell'importanza di quella donna in quel periodo di convivenza, a non conoscere il loro livello di complicità?
Anthea si avvicinò all'ispettore, salutandolo cordialmente e così fece lui, aggiungendovi un complimento, poiché nonostante i pensieri contrastanti, era una bellissima donna. Il suo profumo all'acqua di rosa gli penetrò talmente a fondo, da fargli venire una fitta allo stomaco. Riuscì appena a sentire la voce di Mycroft che invitava entrambi nella sala da pranzo adibita per l'occasione e una volta seduti a tavola, ascoltò con vago interesse i loro improrogabili impegni futuri, e talvolta partecipò alla conversazione, quando trattavano argomentazioni sulla difesa del Paese o quantomeno sul suo lavoro. Non si sentì nemmeno lo sguardo dell'Holmes addosso, poiché era preso dalla donna che sedeva di fianco a lui. Bacchettò con le dita sul tavolo di tanto in tanto, sperando che quella cena finisse al più presto, attirando su di sé l'attenzione di Anthea.
« Ispettore, tutto bene? »
Lestrade balzò sulla sedia sentendosi chiamato in causa, rizzando la schiena di soprassalto e ritraendo la mano, portandola sotto al mento, maledicendo le regole del galateo che vietavano quel gesto, sforzando un sorriso tirato in direzione dell'assistente.
« Certo, – si schiarì la voce – sì. Non badate a me, prego. »
Cristo Santo, ma cosa diavolo stava prendendo alla propria testa? Non era più nemmeno in grado di capire quanto stava provando per via dei mille “e se...” che lo stavano opprimendo, testa, cuore, respiro. Riuscì soltanto a capire che si sentiva di gran lunga di troppo a quel tavolo, incolpando ancora una volta la stanchezza e quei maledetti banchieri dalle richieste assurde che gli avevano quasi rivoltato i nervi.
« È proprio sicuro di stare bene? Non parla da un po', – »
« Sto bene. – la interruppe – Sarebbe così gentile da evitare di chiedermelo ancora? »
Sbottò senza volerlo, facendo cadere un silenzio glaciale. Abbassò velocemente lo sguardo, non riuscendo nemmeno a scusarsi come avrebbe voluto e dovuto: voleva sparire, smettere di sentirsi di troppo e piantarli lì, da soli a elogiarsi a vicenda.
« Scusatemi, questa non è serata. »
Si alzò di scatto, togliendosi il tovagliolo dal grembo e lo abbandonò distrattamente sul tavolo, a fianco al piatto semi vuoto. Andò al piano di sopra, intenzionato a prendere il suo fidato pacchetto di sigarette che teneva nel comodino e chiudersi sul balcone a fumare e così fece, raggiungendo il cassetto e poi il balcone con un paio di semplici e veloci gesti, cominciando a rilassarsi inspirando l'aria fresca che accompagnava quella notte. Non passarono molti minuti, prima di sentir bussare alla porta, e di conseguenza la voce di Mycroft, ovattata dalla porta stessa e dal leggero vento che tirava.
« Posso sapere cosa ti è preso, Gregory? Detesto questi comportamenti. »
Restò fermo sul balcone, evitando perfino di rispondere: si passò una mano sul viso, ricercando tutta la pazienza che aveva appena perso, facendo un'orrenda figura, sia con lei, che con la persona che amava. Rientrò in stanza, abbandonando la sigaretta e si sedé sul letto, prendendosi la testa tra le mani. Solo al secondo richiamo, si degnò di rispondere.
« Greg, non è stato per niente educato. Anzi, direi che sembrassi fuori di te. »
« Credo che andrò a farmene un giro per schiarirmi le idee. »
« Oh, finiscila. Non permetterò che tu esca da questa casa, senza il mio permesso. »
« Per evitare di rovinarti ulteriormente la serata, ti consiglio di lasciarmi uscire. »
Si sentì un coglione dopo solo aver pronunciato l'inizio di quella frase. Calò nuovamente il silenzio e prima che Greg potesse dire dell'altro, Mycroft gli interruppe perfino i pensieri, provando a tirare giù la maniglia per entrare. Nemmeno si accorse di averla chiusa a chiave.
« Ma che cosa ti passa per la testa? Non passo di certo il tempo a fare ingelosire le persone, Gregory. »
Strinse forte le labbra assieme ai capelli grigi tra le dita e li scompigliò un po' prima di alzarsi, dopo quella stupida dichiarazione ed aprì la porta di scatto, facendogli fare un piccolo passo indietro.
« Non so nemmeno io che cosa mi sia preso. »
«Non ti tradirei nemmeno per la Regina. Vali più di chiunque altro, Greg. »
« So che non abbiamo fatto patti – »
Mycroft sospirò e questa volta sonoramente, spazientito; sperò in qualche modo col tempo, di riuscire a trasmettergli anche un po' della sua innata pazienza, nonostante alcune volte gli sfuggiva e dava di matto anche lui, come quella stessa sera.
« E va bene, facciamone uno. Non sono bravo con queste cose e le ritengo perfino insulse, ma visto che mi ritrovo ad implorare un Ispettore poco furbo... – fece una lunga pausa, in silenzio, cercando delle parole che mai si sarebbe aspettato di pronunciare – mi vedo costretto a chiederti se tu voglia diventare il mio compagno. »
« Cristo, sì che lo voglio. »
Si strinse gli occhi con l'indice e il pollice, che si portò velocemente sul viso
« E non sono poco furbo... credo di essere solo un po' geloso della vostra complicità. E oggi ho avuto una terribile giornata al lavoro. »
« Io ho sempre rag – »
Dopodiché, gli tappò quel tono saccente che tanto amava e detestava alternamente con un bacio, spingendolo delicatamente contro il muro del corridoio, spostando il volto poco dopo, procurando un'espressione di disappunto sul volto di Mycroft.
« Temo di aver fatto una figura terribile con la tua assistente, dovrei chiederle scusa. »
« Corretto, hai fatto una pessima figura, ma mi sono scusato. Sarebbe carino se lo facessi anche tu di persona. »
Lo guardò, accennando uno di quei suoi sorrisi sarcastici, per poi tornare serio improvvisamente, scostandolo delicatamente dopo la vibrazione del cellulare che estrasse dal taschino, leggendo il messaggio appena arrivato, probabilmente dai suoi sottoposti. Prese un lungo respiro, prima di guardare ancora Lestrade.
« Sherlock. »

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Capitolo 14
*** File 13 ***


File 13.

“ … tu puoi tutto, no? ”

Lestrade era un tipo sveglio, a discapito di quanto pensassero le persone e difatti, non passò inosservata la stanchezza che in quell'ultimo periodo accompagnava Mycroft: qualche antidolorifico in più e movimenti impercettibilmente svogliati; anche il sonno era particolarmente irrequieto, ma si premurò comunque di chiedergli il minimo indispensabile, deducendo soltanto quel mal di testa un po' troppo persistente.
La presenza del fratello in casa, sicuramente non poté giovare più di tanto alla sua salute, considerando il suo comportamento scapestrato: l'incendio doloso causato da un esperimento uscito malissimo al 221b di Baker Street gli era costato infatti una denuncia – subito ritirata grazie a Lestrade stesso ed uno schiaffone dritto in volto da Mrs. Hudson (come biasimarla?).
Tutta questa rabbia aveva un nome: John Watson. Sherlock non prese poi così bene la presenza di Mary Morstan nella vita del medico, i conseguenti sentimenti e le decisioni prese, e questo si ripercosse in modo tutt'altro che positivo in ogni suo esperimento.
Mycroft stesso gli impose di passare qualche giorno in casa sua – in casa loro –, in modo da averlo sempre sotto gli occhi, con la certezza che non riprendesse cattive abitudini da cui, con molta fatica, erano riusciti a tirarlo fuori; era risaputo, ormai che il controllo era una delle sue migliori armi, e non si sorprese più di tanto in quei giorni, a vederlo soltanto la sera in camera da letto, e andava bene così, poiché sapeva di essere secondo al fratello.

*

« Ho bisogno di un t
é e di una dormita. »
La voce pigra di Mycroft proveniva dalla poltrona in cui aveva preso posizione e voltandosi, Lestrade lo vide massaggiarsi urgentemente la fronte: non aveva nemmeno la voglia di prendere il portatile e controllare le mail, come era suo solito fare una volta terminata la cena – probabilmente Anthea avrebbe avuto doppiamente da fare quella sera.
Greg dal canto suo non poté che dedurre ancora una volta una lunghissima e pesante giornata e, posando il documento che stava leggendo, lo guardò, corrucciando l'espressione.

« Posso sapere cos'è successo? – chiese con tono docile, avvicinandosi – Non voglio sapere cose che non mi riguardano, voglio solo sapere come stai, fisicamente; ultimamente sei sempre svogliato e insomma... non è da te. »
« Sto bene, Gregory. – sospirò appena, rimettendosi in una posizione composta – Sono solo stanco. »
Evitò di guardare il compagno in volto, guardandosi per diversi istanti la mano destra e Gregory seguì con lo sguardo ogni sua mossa, cercando di leggere come meglio poté quel “sto bene”, palesemente campato in aria.
« D'accordo. – si arrese, restando fermo per diverso tempo e schiarì appena la voce – Lo sai, che se hai bisogno di me sono qui, no? »
« Perché dovrei, aver bisogno? »
Mycroft dalla sua posizione alzò lo sguardo, incatenandolo a quello dello yarder restando in silenzio, osservandone solo l'espressione; anche per lui, quella relazione, quelle premure erano nuove, pensò Gregory col senno di poi, non se la prese più di tanto per quella domanda, che suonava molto di più come affermazione: avevano bisogno di molta pazienza.
« Perché sono il tuo compagno. »
Restò immobile sulla poltrona, continuando ad osservare la sua figura, fin quando non prese un respiro e si alzò, distogliendo quasi a forza lo sguardo da quello di Greg.
« Voglio stare da solo adesso, Gregory. Per un po'. Scusami. »

*

« Devo parlarti, fratello. »
Esordì, entrando nella stanza in cui il minore era ospite, lontano dagli occhi e dalle orecchie di Gregory, ormai dormiente. Sherlock gli lanciò un'occhiata torva, sentendosi completamente invaso nei suoi spazi; Mycroft restò in piedi per qualche istante di fronte alla porta chiusa alle sue spalle, sedendosi poi sull'unica poltrona della stanza.
Sherlock chiuse il portatile, osservando il maggiore socchiudendo gli occhi, cercando di fare ciò che meglio gli riusciva: dedurre. Ma con Mycroft era difficile, se non addirittura impossibile.
Silenzio, muscoli del viso e del corpo troppo rigidi, pause verbali non programmate: preoccupazione.
« Non riesco a capire i tuoi silenzi. Parla. »
Probabilmente gli costò molto ammetterlo, ma l'espressione seria del maggiore fece capire che non era il momento di competere con le solite, stupide gare di furbizia.
Inumidì le labbra con la punta della lingua, ponderando attentamente alle parole da esporgli.
« Oggi ho dovuto interrompere una conferenza, i motivi sono stati problemi di vista, udito e tatto. È durato molto poco, all'incirca un minuto. Non voglio apparire preoccupato, ma sai a che sintomi corrispondono. – fece una pausa, sentendo a malapena il respiro del fratello minore – Non è la prima volta che capita, ma le altre volte non ho mai dovuto interrompermi. »
Silenzio, muscoli del viso e del corpo troppo rigidi, pause verbali non programmate: preoccupazione.
« Mycroft. – lo interruppe, nascondendo preoccupazione – Vai –.»
« Non posso. – fece una smorfia – Nel mio lavoro ogni visita medica viene annotata, non vorrei che annotassero anche questa cosa da poco, così che arrivi alle orecchie di Gregory e possa chiedermi altre dieci volte cosa ho che non va. »
« John, pur non essendo uno specialista, è comunque un dottore. Pensaci. »
Quanto gli era costato a Sherlock, tirare in ballo John in quel momento? Non volle pensarci più di tanto, concentrandosi su quanto grave fosse ciò che stava capitando al fratello.
Quanto invece erano vere le parole del fratellino? John Watson era da sempre un ottimo dottore, sprecato per le cliniche ed ambulatori da quattro soldi in cui era solito farsi assumere.
In un fascicolo nel suo studio, Mycroft aveva un vasto curriculum sulle capacità del Dottore e pur di non far sapere al mondo intero della propria situazione, Mycroft Holmes era disposto ad abbassarsi al livello del Dottor Watson, piombando nell'appartamento di Mary Morstan il giorno dopo, minacciando entrambi di non farne parola con nessuno.

*

« Sei uno straccio. »
Alzò per diversi istanti lo sguardo visibilmente infastidito verso la voce di Lestrade, seduto accanto a lui sul divano in pelle, forzando un sorriso sarcastico e passandosi per l'ennesima volta una mano sul viso.
Non gli faceva poi così piacere nascondere quel tipo di informazioni a Gregory, ma in quei pochi mesi di convivenza, aveva forse capito cosa fosse conveniente dire e cosa no, anche sui gravi problemi di salute.
« Grazie per avermelo fatto notare. Ho voglia di brandy, ne vuoi? »
Mentre provò a far leva sulle braccia per alzarsi, Lestrade lo anticipò, poggiandogli delicatamente una mano sulla spalla, invitandolo a non alzarsi inutilmente.
Quest'ultimo doveva ancora imparare a tenere a freno quella sua premurosità che il più delle volte mostrava senza nemmeno volerlo.
Andò dalla vetrinetta, prendendo ormai per abitudine due bicchieri in cui versò il liquido ambrato, per poi passarglielo e riprendere posizione sul divano. Mycroft afferrò pigramente il bicchiere, portandoselo alla bocca, finendo in un sol sorso il brandy, lasciando Greg con un'espressione pressapoco scettica.
« Gregory. – sospirò, evitando ancora quello sguardo che l'Ispettore cercava quasi disperatamente – Ho solo avuto una giornata pesante a lavoro. Non è sempre facile muovere le pedine. »
« Non sono stupido, sai? »
Ed era vero, non era stupido.
Solo, non riusciva a comprendere il perché di quel silenzio; in fondo era della salute che si stava parlando, non di lavoro o missioni segrete.
Mycroft, come Greg immaginò, sviò il discorso con il tono di chi non ammetteva repliche e si alzò, nascondendo lo sforzo e si diresse verso la camera da letto.
« Ti amo, Mycroft. Buonanotte. »
Lasciò sfuggire Gregory, una volta presa posizione in quello che era diventato il suo posto, ricevendo un'occhiata torva dal compagno; ma lentamente si avvicinò in silenzio, fino a toccarlo con tutto il corpo, sfiorandogli uno zigomo con la mano, fin quando non posò le labbra sulle sue, provando a rassicurarlo come meglio poté. Era questo che facevano le persone comuni, no?
« Lo so. – sospirò coprendosi, e trovando una posizione migliore per entrambi – Anche io, nonostante creda di non esserne in grado. »

*

Nei giorni seguenti le condizioni di Mycroft non cambiarono poi molto, anzi: a volte rientrava ad orari davvero improponibili e la sola e unica voglia di Gregory era quella di vederlo riposare; vi fu una sera in cui arrivò a malapena al letto, in cui si costrinse ad appoggiarsi di tanto in tanto al muro del corridoio, e non passò inosservato agli occhi di Lestrade, che ormai era tranquillo solamente quando Mycroft si trovava tra le sue braccia sotto le lenzuola, e poteva controllarlo personalmente per qualche istante senza premurarsi di nasconderlo.
Si chiese perfino se avesse fatto dei controlli in ospedale, dal suo medico o da qualcuno con uno straccio di qualifica in grado di tirarlo fuori dallo stato in cui si trovava.

*


Ci sono possibilità di non vederti uno straccio questa sera?
SMS da Gregory – 09.29
Gregory, da qualche tempo a questa parte, soffro di una forte emicrania.
SMS da Mycroft – 11.06
Ci voleva così tanto a dirmelo?
SMS da Gregory – 11.07
Non era rilevante.
SMS da Mycroft – 11.26
E il motivo è? Immagino sia perfettamente normale rientrare in casa ad orari impossibili e nelle tue condizioni. Non sono stupido, te lo ripeto.
SMS da Gregory – 11.32

*


La sua giornata era iniziata male, ed aveva quasi paura di sapere coma sarebbe continuata; le risposte del suo Consulente Investigativo sul caso a cui stavano lavorando non arrivarono e quei silenzi per niente da lui per un caso da 7, non fecero che dargli la conferma di quanto stava pensando e ripensando da giorni. Era il re della pazienza, e a New Scotland Yard lo sapevano tutti... peccato che l'avesse persa tutta in una giornata.
Dulcis in fundo, il superiore gli rese il tutto ancora più un inferno per via delle lamentele ricevute dai sottoposti novellini. Insomma, non era colpa sua se era circondato da un branco di incapaci. E una volta fuori dall'ufficio dell'idiota del superiore, salì in macchina prendendo malamente il cellulare dalla tasca.
Te lo chiedo una sola volta. Dove accidenti sei adesso?
SMS da Gregory – 18.02

Per la prima volta da quando era diventato “il freddo e calcolatore Mr Holmes”, “il Grande Fratello che aveva occhi e orecchie ovunque”, non sapeva più come tenere lontano Gregory da quanto gli stava succedendo, e il non sapere lo mandava in paranoia. Immaginò, dedusse la giornata di Lestrade soltanto tramite quel messaggio, capendo che non poteva più nascondere come avrebbe dovuto e soprattutto voluto quella situazione a Gregory.
Prese diversi minuti prima di rispondere; poche parole, ma concise.
Sono in clinica. Ho fatto una TAC.
SMS da Mycroft – 18.25
E..?
SMS da Gregory – 18.48
Neoplasia T3.
SMS da Mycroft – 18.49
In parole da comuni, di cosa si tratta?
SMS da Gregory – 18.52

Nessuna risposta.
Improvvisamente sentì un peso sulle spalle, sul cuore e un groppo in gola che non riuscì a togliersi nemmeno fumando in meno di tre minuti una sigaretta e anzi, non faceva che aumentare.
Amava quando Mycroft mostrava tutto il suo intelletto, ma odiava quando lo faceva con lui, usando terminologie spaventose e a lui sconosciute, come in quel momento.
Era già sulla via della clinica e non si premurò neppure di chiedere quale fosse, perché le persone come Mycroft non potevano permettersi il “lusso” della via pubblica, agendo all'oscuro di tutto e tutti. Soltanto una volta gli permise di sapere quale fosse ed era lì che era diretto. Non tardò ad arrivare e grazie al distintivo riuscì ad entrare senza problemi.
Il peso non faceva che aumentare passo dopo passo mentre raggiungeva il reparto neurologico e ad aspettarlo fuori dal reparto c'era l'assistente personale del politico, che questa volta non stava digitando sul Blackberry; nessuno dei due proferì parola e la donna lo accompagnò soltanto nella hall del reparto.
Prima che formulasse anche solo un pensiero di senso compiuto, la figura scura del minore degli Holmes si mosse, seduto sulla poltrona in cui era.
« Tumore al lobo temporale di terzo stadio. »
Silenzio.
Greg mancarono sia il respiro che le forze, e dovette reggersi con forza alla prima superficie rigida disponibile; quella sorta di apnea durò più del dovuto, tanto che prese un rumoroso respiro, prima di proferire, finalmente parola, accompagnato da un sorriso più che sarcastico.
« Bugiardi. – scosse la testa – mi state prendendo per il culo tutti e due. »
Il suo sguardo, infine si posò sulla figura di Mycroft, in disperata ricerca di una qualsiasi smentita, dalla quale però non ricevette nulla, neppure il suo sguardo.
Perfino il Dottor Watson li raggiunse, e poco dopo si ritrovò a parlare con l'Ispettore fuori sul balcone del reparto, mentre quest'ultimo fumò l'ennesima sigaretta e vista la gravità della situazione, questa volta il Dottore tenne per sé il fatto che se avesse continuato così, i suoi polmoni ne avrebbero sicuramente risentito.
Raschiò la voce, prima di parlare ed ottenne l'attenzione di Greg: ammise di essere stato proprio lui a consigliargli uno specialista, raccontandogli anche le molteplici storie che Mycroft aveva fatto al riguardo e anche i rischi che comportava ogni azione scelta, le minacce che non mancarono, se soltanto gli fosse scappata una singola parola e al suo riavvicinamento con Sherlock, il quale li raggiunse, facendo soltanto cenno a Lestrade di entrare.
Rimase in piedi di fronte a Mycroft, prendendo posto molto lentamente al suo fianco, parlando poi con un fil di voce, nonostante fossero completamente soli.
« Guarisci. – cercò silenziosamente la sua mano – tu puoi tutto, no? – lo guardò con un'espressione più che distrutta – Quindi guarisci. Ti prego. »
« Santo cielo. Non sei sensato. »
Parlò, per la prima volta dall'arrivo dello yarder, come se lo avesse destato dal suo Mind Palace per l'ennesima volta; il tono era lo stesso, composto e deciso. A stento probabilmente capiva cosa provasse Gregory in quegli instanti e finalmente voltò il capo, guardandolo.
Avvicinò la mano a quella del compagno e lentamente la strinse, distogliendo poi lo sguardo.
« Non vedo – ammutolì per un attimo, cercando le parole adatte massaggiandosi la fronte –, non vedo molto bene alla mia destra. »
Sentire quella terribile conferma dalla voce del suo Holmes, lo rese tremendamente reale e fece male, peggio delle sparatorie in cui talvolta era protagonista. Lasciò la mano di Mycroft alzandosi e prese posto dall'altro lato della poltrona.
« È un incubo, non è vero? Insomma – »
E la sua voce si ruppe senza poterlo controllare; prese un respiro profondo, riprendendo il controllo delle emozioni.
« Perché non me ne hai parlato subito, dall'inizio? Cristo, Mycroft, mi sarei preso cura di te, come hai fatto tu con me e – »
« Perché era troppo, per te. – lo guardò, interrompendolo – E infatti lo è, a stento trattieni le lacrime. »
Questa volta fu Greg a distogliere lo sguardo e prese un altro respiro: non avrebbe permesso alle lacrime di rigargli il viso, non in quel momento.
I dottori non tardarono ad arrivare con fogli per un immediato ricovero, e le varie terapie, di cui ne richiese una copia anche l'Ispettore.
La posizione lavorativa di Mycroft era molto influente anche in ambito clinico, poiché tutti stavano alle sue regole, e infatti Lestrade poté restare fino a tarda ora, in quella che era diventata la stanza di Mycroft.


*

Una, due, tre sigarette: una dietro l'altra, come se ogni tiro potesse ostruire anche i pensieri, oltre che il respiro affannato ed i polmoni, carichi di fumo, smog e agenti chimici respirati in anni ed anni di servizio.
Uno, due, tre bicchieri di brandy: uno dietro l'altro, come se l'alcool potesse cancellare quel che è stato, riportarlo da lui, sano.
Il liquido scendeva e bruciava, così come il suo cuore, che in quel momento avrebbe preferito strapparselo dal petto e chiuderlo in una cassetta, a chiave.
Strinse gli occhi ricacciando a forza le lacrime da dove erano venute e decise di abbandonare quel freddo di dicembre, rientrando nella loro stanza, ora colma di solitudine: Mycroft non era in una suite da qualche parte nel mondo a causa dei comizi politici, Mycroft si trovava in una stanza d'ospedale.
Stentava ancora a crederci, nonostante tutto, nonostante le cartelle cliniche lette e le parole dei medici e sperò si trattasse di uno stupido incubo, ma vedendo il vuoto del lato del letto l'indomani, capì quanto fosse reale. Meccanicamente si alzò e si preparò, senza nemmeno toccar cibo, né tanto meno avvisare i domestici; erano furbi, quelli, probabilmente sapevano più di quanto sapesse Lestrade stesso.
In ufficio e sulle scena del crimine di quel pomeriggio, nessuno osò rivolgergli la parola, se non per estrema necessità, ed una volta concluso il turno, si diresse in clinica, e così furono le giornate a venire, che non fecero che peggiorare.

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Capitolo 15
*** File 14 ***


File 14.

“ C'è poco ossigeno in questa stanza, gradirei che ti allontanassi. ”


Il senso di oppressione che lo imprigionava e soffocava da oltre un mese, lo rendeva un pezzo di carne svuotato dell'anima. Il sovrintendente dovette ricordargli che i problemi della vita privata non potevano intaccare quella lavorativa, perché in ballo vi erano altrettante vite. Perché, per gli altri sembrava tutto così semplice? Perché gli altri riuscivano ad andare avanti? Gregory Lestrade vedeva tutto nero e questa volta nemmeno il lavoro riusciva a rattoppare quel senso di vuoto. Era come se lo stessero uccidendo, molto, molto lentamente. Ma come era potuto accadere, come poteva l'affetto per una persona distruggerne lentamente un'altra? Dal canto suo però sapeva che se Mycroft lo avesse visto in quello stato, lo avrebbe rimproverato e non poco, perché preoccuparsi non era mai un vantaggio. Ma la vita, la nuova vita, che si stava costruendo con cura, si stava sgretolando e la cosa peggiore era che non poteva farci niente di niente.
E Mycroft aveva ragione, preoccuparsi non era mai un vantaggio, specialmente se sei soltanto un comune mortale.


*

Ti va una birra questa sera?
J

SMS da John W. — 5.31PM
No, John.
SMS da Greg — 5.47PM
Grazie.
SMS da Greg — 6.00PM


*

Cercando di distrarsi come meglio poté, con la visione dell'ennesima registrazione della partita di calcio del '72, o con il concerto dei Clash ascoltato a volume moderato, si accorse effettivamente di trovare un minimo di conforto, quantomeno psicologico. Con la sigaretta alla bocca e sdraiato sul divano in panciolle, pensò proprio alla parola “conforto”, gli venne in mente Karen, poiché, volente o nolente, lo conosceva meglio di chiunque altro. Sapeva che non avrebbe dovuto farlo, ma la tentazione in quel momento era più forte di lui: prese il telefono e cominciò a scrivere un messaggio di testo, che prontamente cancellò subito. Il mattino seguente si prese la giornata, facendo la cosa più stupida che un essere umano potesse fare in quelle circostanze.
Il posto di lavoro di Karen era come lo ricordava: sterile. Non era brutto, era fastidiosamente sterile: pareti bianche – quasi luminose, stile minimal bianco e nero, e una grossa finestra che dava sul Matitino. perfino l'odore era fastidioso. Ricordava ancora i suoi orari, o per lo meno, quelli che voleva fargli credere; si presentò a sorpresa nella hall del palazzo in cui lavorava, mascherando quanto più poté quel dolore che tanto lo attanagliava e non fu facile, ma a giudicare dal sorriso a 32 denti di Karen quando lo vide, non stava cavandosela più così male.
« Greg! A cosa devo la tua visita qui, e il messaggio di ieri sera, poi? »
Già... A cosa dovevi la visita lì, con quella persona? Non era parte del tuo passato ormai?
« Mi chiedevo se ti andasse un drink. Un ultimo drink. »
Karen era stata infida con lui ed i suoi sentimenti, ma era sempre stata sveglia. Il sorriso a 32 denti scomparve lentamente dal suo volto. L'Ispettore... anzi no, Greg quel giorno si trovava lì, perché aveva bisogno di aiuto.
Il drink si trasformò poi in un tè pomeridiano sotto gli occhi della Regina, nell'edizione pomeridiana del notiziario, lì in quel di Harrington Rd.
« Greg? – chiamò Karen, scrollandogli delicatamente il braccio. »
Quello si destò, come se stesse sognando ad occhi aperti: si era imbambolato a guardare il liquido color ambra girare a ritmo del cucchiaino. Guardò Karen e la fissò diversi istanti: era invecchiata un po'. Forse lo stress le aveva procurato quella piccola ruga accanto agli occhi, o forse il troppo lavoro? Si chiese come fosse andata la sua vita, da quando si erano lasciati.
Poi, schiarendosi la voce, si fece serio, abbassando lo sguardo dopo pochi istanti.
« Mi sto vedendo con un'altra persona. »
Non sapeva quale reazione aspettarsi da Karen e si chiese se non avesse confermato l'ovvio. Quando rialzò lo sguardo, vide in lei un'espressione quasi preoccupata. Non ci fu bisogno di confermare chi, né cosa, tanto meno quando, come se Karen se lo aspettasse, o magari, aveva letto qualche tabloid su chi aveva cominciato a frequentare chi.
« Quella persona mette i brividi, Greg, ti ha sempre messo i piedi in testa e ti ha sempre obbligato a - »
« Sta morendo, Karen. Io - »
La voce si spezzò.
Non riuscì a ricordare come, né quando fosse successo, di ritrovarsi a letto tra le braccia di Karen a piangere come fosse un neonato, a stringerla, come se avesse paura di perdere la persona che amava.
Le raccontò tutto, da quando aveva notato i suoi strani atteggiamenti, ai mal di testa, fino al giorno prima, quando era andato a trovarlo in ospedale e a stento riusciva a rivolgergli la parola. Fu un attimo, prima un bacio che parve innocuo, poi un altro che non lo era affatto. Quando si riprese dal torpore sotto le coperte, si accorse di essere solo in casa; tirò però un sospiro di sollievo, quando sotto le coperte si scoprì vestito.
Sulla porta d'ingresso notò un foglietto, con l'inconfondibile grafia di Karen:

Greg,
Mi dispiace veramente.


Le dispiaceva. Per cosa? Per la sua situazione? Per aver accettato l'invito? Per aver quasi cornificato l'attuale compagno con... il marito? Perché sì, sulla carta erano ancora sposati.
Gregory prese piena coscienza in sé tutt'a un tratto. Questa volta l'aveva combinata grossa anche lui, aveva appena tradito Mycroft con la sua stessa moglie ed era certo che non appena si fosse ripreso, quello lo sarebbe venuto a sapere in tempi fulminei. Se non prima. Si sentì ancora più stronzo, perché per un attimo aveva pensato di tenerglielo nascosto, comportandosi così come lei, e questo Mycroft non se lo meritava.
Un vecchio saggio disse ai suoi discepoli che non tutte le lacrime erano un male, infatti, dopo aver pianto come un bambino per due ore filate e sfogandosi nemmeno fosse un'adolescente in crisi ormonale, si sentì completamente rinato. In colpa, ma rinato.
Si vestì e con la sigaretta si diresse verso la clinica, e con il permesso che John gli diede tempo addietro, riuscì ad entrare in reparto senza troppi problemi.
“Solo pochi minuti”, disse l'infermiere di turno.
Quando Greg entrò, Mycroft stava dormendo. Prese quindi una sedia in silenzio, mettendosi al fianco del compagno e gli sfiorò le dita delle mani più e più volte, reggendo con l'altra mano la cartella clinica del giorno: scoprì che da lì a breve avrebbe subito un'operazione, poiché stava rispondendo bene alle cure, vi erano scritti anche tutti i rischi che avrebbe potuto correre, della chemio e della radio terapia, in caso ce ne fosse stato bisogno; non sapeva poi così tanto di queste ultime, se non che, lentamente, avrebbero intaccato anche le cellule sane, causando effetti collaterali spiacevoli. Non ci sarebbe stato bisogno della chemioterapia pre-operatoria, e di questo ne era sollevato: Mycroft nella sfortuna, era davvero fortunato.
Gli passò una mano sul viso, dormiente.
« Ehi... – sussurrò, con voce tremante – Mi dispiace tanto... Ho fatto veramente una cosa squallida. »
Si sentì di nuovo uno schifo, come quando lesse le stesse parole di Karen su quel bigliettino, poche ore prima. Andò via mortificato, questa volta però, verso Pall Mall.

*

Si svegliò con lo squillo del cellulare: era John. Rispose più in fretta che poté.
« Greg? Ho parlato con i dottori. Opereranno Mycroft alle 2 di questo pomeriggio. »
Restò in silenzio alcuni attimi per metabolizzare, prese un gran respiro e poi rispose a John, ringraziandolo. Nello stesso momento, squillò anche il cellulare del lavoro: triplice omicidio in meno di un'ora e mezza, era richiesta la sua presenza, ed anche velocemente.
« Vai, Greg. Qui ci pensiamo io e Sherlock. – rispose John, dall'altro telefono. »
E così fece. Mycroft non se la sarebbe presa troppo, una volta sveglio, anzi, avrebbe così evitato di dargli del frignone trovandolo al suo capezzale, perché in cuor suo sperava che l'operazione sarebbe andata bene. Non era una persona religiosa, se non il minimo indispensabile; non andava in chiesa la domenica, né possedeva simboli legati ad essa, ma quella mattina si appellò comunque a Dio, "fa che vada tutto bene.".
Si premurò di essere lui stesso ad ammanettare Oscar Sanders, pregiudicato quarantottenne reo di aver ammazzato in neppure mezza giornata tre donne e si premurò di interrogarlo fino a quando non confessò: ennesima tempesta emotiva non giustificata. Se avesse potuto, lo avrebbe massacrato di botte, un po' perché se lo meritava e un po' per sfogarsi. Ma non era così che funzionava e dovette aspettare che venisse trasportato in cella a marcire, sperò.
Quando raggiunse la clinica, era ormai notte fonda.
Vide Sherlock nella sala d'attesa del reparto e con lui, i genitori. Era come li ricordava: la madre con un aspetto severo, mentre il padre esattamente l'opposto.
« L'intervento è terminato circa 6 ore fa. È andato tutto bene, ma hanno preferito tenerlo sotto osservazione ancora per qualche ora in terapia intensiva. »
Greg si sedette tremando e tirò un sospiro di sollievo; quasi tutto il peso che aveva sul cuore da mesi a questa parte, sembrò svanire, come le nuvole di fumo della sigaretta che svaniscono una volta aperta la finestra.
Dalla stanza uscì Anthea, che gli disse soltanto di entrare, accennandogli un sorriso. Prese coraggio alzandosi, e lentamente si avvicinò alla porta. Deglutì a fatica al pensiero di vederlo ancora attaccato a tutti quei tubi. E se aveva perso la memoria? No, impossibile, glielo avrebbero detto. Con somma sorpresa però, ciò che lo aspettava era ben diverso da quello che immaginava.
Mycroft era con lo schienale del letto alzato, quasi a sedere, con la testa del tutto fasciata, un paio di flebo e il sondino per l'ossigeno. Era vigile ed attento e scrutò ogni singolo movimento di Gregory, fin quando non si sedette sulla sedia al fianco del letto. Ci fu un silenzio quasi tombale per qualche minuto.
« Dunque, sei in questo edificio da mezz'ora, Gregory. Sono appena uscito da un'operazione importante e tutto ciò che hai da offrirmi è del silenzio. »
« Io – schiarì la voce, abbassando lo sguardo colpevole –... devo dirti una cosa. »
Mycroft ricambiò lo sguardo accigliandosi per un momento e infastidendosi subito dopo: non era ancora padrone delle proprie facoltà, mentali e motorie, e questo lo destabilizzò.
« Mi hai già detto di aver fatto una cosa squallida. Cosa potresti aver mai fatto? Bevuto tutto il mio brandy, o rotto qualche bicchiere di cristallo? »
Gregory fu lieto di sapere che il sarcasmo del compagno era sempre lo stesso, nonostante tutto; inghiottì il rospo che aveva in gola, prendendo un lungo sospiro guardandolo negli occhi.
« Ho risentito Karen. E... siamo stati insieme. »
Non ricevette un'immediata risposta, né uno sguardo, se non dal riflesso del vetro della finestra. Mycroft fece un lieve cenno con la mano in cui aveva la flebo, zittendolo del tutto.
« In quale dei tanti sensi tu intendi, con “stare”? »
L'altro rimase ammutolito per qualche instante, non capendo bene se lo stesse prendendo per i fondelli o meno. Forse l'operazione gli aveva in qualche modo intaccato il cervello. Si sentì subito di aver sganciato quella bomba proprio in quel momento.
« Sei stato davvero così debole? »
Si sentì lo stomaco in fondo ai piedi, ma la buona notizia è che fosse rimasto il Mycroft di sempre. Forse.
« Mi... mi dispiace. Credevo di... perderti.»
« C'è poco ossigeno in questa stanza, Gregory, gradirei che ti allontanassi. »
Si era creata una situazione talmente assurda che Greg non poté fare altro che allontanarsi, ammutolito. Quando riprese pienamente coscienza di sé, era seduto sul divano si casa sua, davanti ad una replica della sua partita preferita dell'Arsenal.

*

Sei un completo idiota, te ne rendi conto, sì?

SMS da Mycroft – 4.45AM

Il suono del messaggio lo fece trasalire: non stava dormendo, era in dormiveglia. Si stupì non poco a leggere il nome di Mycroft sullo schermo del proprio telefono, ed era quasi sollevato anche se si trattava di un messaggio d'insulti.
Adesso muoviti e vieni qui immediatamente.
SMS da Mycroft – 4.46AM
L'ossigeno non era poco in stanza?
SMS da Gregory – 4.50AM

Non farmi perdere la pazienza.
SMS da Mycroft – 4.50AM
La paura della morte era finalmente cessata, o per lo meno, affievolita, in compenso adesso c'era la paura di Mycroft. Karen su una cosa aveva ragione: quando Mycroft s'incazzava, faceva veramente paura.
Si vestì, lentamente, come se stesse andando verso il patibolo, ed effettivamente un po' lo era. Qualche giorno fa la situazione era inversa: era il destino di Mycroft ad essere incerto, ora quello di Greg. Sapeva comunque di meritarselo, gli aveva pestato i piedi, calpestato la fiducia, e nessuno può permettersi di farlo al Governo Britannico.
Il reparto di Mycroft era completamente vuoto, reo il fatto che fossero le 5 del mattino. Si avvicinò alla porta della stanza e non fece in tempo ad appoggiare la mano sulla maniglia che sentì immediatamente la voce di Mycroft.
« Entra. »
E così fece. Era nella medesima posizione in cui lo aveva lasciato l'ultima volta, solo con qualche benda in meno sulla testa: questa volta aveva solo un cerotto a coprirgli la cicatrice fresca. Greg rimase sulla porta, e prendendo coraggio proferì parola.
« Posso fare qualcosa? »
« Puoi avvicinarti, Gregory, non sono contagioso, per Dio. » asserì severo.
Gregory infine entrò, prese la solita sedia, mettendosi al solito posto, Mycroft ancora risolto verso la finestra. L'alba stava già sorgendo.
Ci furono minuti interminabili di silenzio, in cui si sentiva soltanto l'Ispettore muoversi sulla sedia e deglutire, fin quando non prese parola.
« Sono stato un completo coglione. Mi dispiace. Perdonami. » sbottò.
Mycroft non rispose, continuando a guardare l'alba.
« Scusa, mi dispiace... »
L'altro finalmente diede cenni di vita, sbuffando.
« Finiscila di chiedere scusa. Mi hai deluso, Gregory. »
« Sono – »
« Fammi finire. Sei stato debole, ed emotivamente instabile, non va bene. Se fossi morto, cosa avresti fatto? Se questo significa renderti così, Gregory, è meglio se esci adesso e per sempre. Non ho bisogno di persone fiacche. »
Gregory tacque, non sapendo cosa rispondere.
Era vero, era stato debole e lui non lo era di natura, era sempre stato attivo, aveva sempre preso di petto tutte le notizie terribili che gli si erano presentate in vita sua, solo che questa volta era... diverso, questa situazione lo aveva preso in contropiede ed era stato mesi a piangersi addosso. Si vergognò, perché non si riconobbe più nemmeno lui, nelle ultime settimane, fino a quando non lo chiamò John, informandolo dell'operazione e solo allora riprese a respirare.
« Ho perso la ragione. »
Disse soltanto, guardando Mycroft in faccia, senza però essere ricambiato. Dopo altri interminabili minuti, Mycroft schiarì la voce.
« Io stavo per perdere la vita. Forse siamo pari, Gregory. Ma non voglio che accada mai più. Sii forte, qualunque cosa accada. E non scusarti più, sei fastidioso. » Dal canto suo Greg rimase in silenzio, limitandosi soltanto ad appoggiare la mano accanto a quella di Mycroft e dopo mesi, lentamente si sfiorarono.


Nota: ...non so bene cosa dire per questo ritardo lungo quasi un lusto! Purtroppo avevo perso la voglia di fare qualunque cosa inerente a Sherlock, così ho un po' abbandonato tutto, fino a quando non mi ètornata la voglia di scrivere su questi due, so, here I am again! La mia tecnica di scrittura è terribilmente arrugginita e spero di migliorare di nuovo! Ah, tengo a precisare che questa fan fiction non tiene conto degli avvenimenti della terza e quarta serie! :)

~Luna

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Capitolo 16
*** File 15 ***


File 15.

“ L'hai minacciata? ”

La riabilitazione stava andando sorprendentemente bene; merito di una delle equipe riabilitative migliori del mondo. I problemi alla vista stavano scomparendo ormai quasi del tutto, così come ogni difetto alle funzionalità cognitive. Dopo poche settimane riusciva già a stare in piedi senza bisogno di alcun supporto, ma la fisioterapia si rese necessaria, per via dei mesi passati, trascorsi sdraiato a letto.
Greg era felice per Mycroft ed orgoglioso della sua forza d'animo, ma si premurò di tenerlo per sé, lo aveva già fatto incazzare troppo negli ultimi periodi, e si stava comportando, molto, molto docilmente con lui.
L'uscita dall'ospedale era prevista due settimane dopo l'ultima radiografia, in modo da essere sicuri al cento per cento di non avere nessun tipo di ricadute, anche se sarebbe stato seguito da uno dei medici della stessa equipe ad averlo operato.

*

Non parlarono poi molto durante il tragitto verso casa, Greg era ancora mortificato per quanto successo, e Mycroft... beh, Mycroft non aveva molto da dire, gli stava facendo pesare ogni singolo istante passato con ella, semplicemente col silenzio.
« Porti ancora la fede, Gregory. Mi chiedo quali siano le tue intenzioni. »
Lo yarder, che stava guidando in completo silenzio, trasalì e si guardò la mano per un attimo e vide la fede. Davvero l'aveva portata per tutto quel tempo? Si era completamente dimenticato di averla al dito: le abitudini sono difficili da sradicare, ma non ci pensò due volte a levarsela e mettersela in tasca, sospirando lievemente.
« Non appena andrò a casa, la metterò in un cassetto, o gliela darò. Non... non so bene come funzioni. » disse, passandosi una mano tra i capelli.
« Chiedi il divorzio. Una volta per tutte. »
Asserì Mycroft, il tono non ammetteva repliche o scuse che fossero. Quella frase, Greg la prese come un pugno dritto nello stomaco. Non perché non volesse andare avanti con tutte le pratiche, certo, ma perché significava tante, troppe cose e tra le prime, chiudere definitivamente un capitolo importante della propria vita. Lui era pronto, ma lei? Lei non lo avrebbe accettato, così come aveva fatto con la separazione: aveva impiegato davvero tanto tempo per fargliela accettare, per farle capire che non poteva tenere il piede in due scarpe, ed ora, dopo l'ultima volta che si erano visti, sarebbe stato ancora più arduo.
« Non è così semplice, con i tempi di attesa. »
« Dimentichi troppo spesso chi io sia, Gregory. »
L'ispettore non rispose, rimuginando sul fatto che avrebbe dovuto farlo già tanto tempo addietro e lo sapeva molto bene, ben prima di entrare in casa – così come nella testa – del maggiore degli Holmes, ma non aveva mai trovato il coraggio. Il coraggio di continuare una vita con nient'altro che sé stesso. Ma adesso, solo non lo era più.
La casa di Pall Mall, Mycroft la ricordava come l'aveva lasciata ovviamente, così come i dintorni: Buckingham Palace e il St. James's Park da un lato e la strada che portava a Trafalgar Square dall'altro.
Greg scese dalla macchina, diretto subito ad aprire la portiera al lato del passeggero, ma Mycroft lo bloccò ancora prima che potesse porgergli la mano.
« Non iniziare a trattarmi da invalido, Gregory. Ce la faccio benissimo da solo. »
Lestrade rimase interdetto per alcuni istanti ritraendo subito la mano, le sue intenzioni erano solo quelle di aiutare il suo compagno. Ma si dovette limitare soltanto al trasporto della borsa con gli effetti personali.

*

Quando la pioggia cominciò a bagnare le strade di Londra, erano ormai in casa da un bel pezzo.
Non è che Greg fosse irrequieto, ma essere calmi e tranquilli era ben diverso da come si stava comportando lui in quel momento: camminava da una finestra all'altra, come alla ricerca di qualche silenzioso consiglio, che sperò arrivasse da lì a poco.
« Che palle, piove. »
Da quando erano arrivati, Mycroft si era già messo al lavoro: aveva già fatto un numero imprecisato di telefonate, firmato altrettanti documenti ed era pronto per almeno 2 seminari online, o qualcosa di simile.
« E dove volevi andare, di grazia? » rispose, Mycroft, raddrizzando un plico di documenti.
« Solamente in giardino a fumare. »
Mycroft era calcolatore e sapeva a cosa stesse pensando Greg: quella sarebbe stata la sua settima sigaretta nell'arco di tre ore, sapeva più che bene che Gregory stava ancora rimuginando sul discorso precedentemente avvenuto in macchina. Poggiò i gomiti sul tavolo, cominciando a guardare Gregory, serio.
« Il divorzio non deve portare a rovinarti i polmoni, più di quanto non lo siano già. Saremo in tribunale per firmare le pratiche tra due settimane esatte. »
« Che? – mosse la bocca senza proferir parole una, due volte, non ebbe il tempo neppure di avere una reazione sensata – No, Mycroft, no. O almeno, non se non sei in forma e ne dubito, insomma... E poi come hai fatto a sbrigartela in sole due settimane? Io – »
« Non ho potuto fare di meglio, – disse, mentre Greg si avvicinò al tavolo per vedere a tutti gli effetti che un paio di quei plichi erano documenti divorzisti – sono tutti degli incompetenti, gli avvocati ordinari, e non ne vedevo uno da... – si bloccò, facendo un'espressione un po' sconcertata e titubante allo stesso tempo – Da Daisy. »
Al nome dell'ex moglie dell'altro, Gregory trasalì: la propria mente negli ultimi periodi era stata così tanto occupata dalla malattia del compagno, che si era completamente dimenticato del fatto che Mycroft avesse avuto una vita di coppia, prima di loro due insieme. Che stupido.
« Queste attese, pratiche degli avvocati le ho sempre detestate. »
« Mi dispiace. Avrei dovuto sbrigarmela da solo tempo fa, avrei dovuto non titubare, farmi vedere deciso mentre parlavo, e chiuderla io una volta per tutte, non... – il suo viso aveva un'espressione quasi disgustato – non andarci a letto. »
« Non scusarti, Gregory. E poi credevo che quella faccenda l'avessi già dimenticata. »
Come poteva? Nel gergo delle persone comuni, andare a letto con un'altra persona equivaleva ad alto tradimento, ovvero lo stesso motivo per cui li avevano portati lì, in quell'esatto momento. Greg era un tripudio di emozioni un'altra volta.
« Non scusarti perché sei debole. »
Aggiunse infine, il maggiore degli Holmes.

*

Le giornate lavorative di Lestrade non erano proprio da considerarsi “giornate tipo” per un lavoratore normale. E quando mai lo erano state? Era tornato a correre su e giù per le scale del 221b di Baker Street in cerca di aiuto, a sfrecciare a destra e sinistra per le strade di Londra con le sirene spiegate, ammanettare scagnozzi di bande e via discorrendo; erano tornate addirittura le pause pranzo al volo attaccate al telefono, vuoi per lavoro, vuoi per altro e quella giornata era da classificarsi nella categoria “altro”; non fu una di quelle telefonate, terribili, piene di piagnistei e sospiri, anzi, era stata una telefonata pacifica, o quasi, che si concluse con un “
te ne pentirai, ti ho avvisato più di una volta, Greg. Ma la vita è tua, stupido.”. Era stato risoluto, come quando parlava con i sospettati (certo, magari con un po' più di calma) e ce l'aveva fatta, stava per lasciarsi alle spalle il fatidico capitolo della propria vita. D'altronde, alla firma ufficiale sui documenti, mancava veramente poco.
« Ehi. »
Esordì entrando in casa, spogliandosi della giacca e posando le varie cartelle del lavoro all'ingresso. Mycroft come sempre era con il naso sui fogli e con le mani sul portatile. Entrando nella sala principale, si avvicinò al lungo tavolo da pranzo, su cui ormai Mycroft sedeva sempre più spesso.
« Oggi, sono riuscito a mettere la parola fine. »
« Lo so. – si sistemò gli occhiali – Ho avuto l'onore di parlarle anche io, questo pomeriggio. »
Non seppe come prendere que
ll'affermazione, rispondendo proprio di petto sullo scherzoso andante.
« L'hai minacciata? »
« Avrei dovuto? » Mycroft sorrise, genuinamente.
Lestrade prese posto a sedere di fronte al politico, rispondendo a sua volta al sorriso, con le mani congiunte sotto al mento, invitò silenziosamente il compagno a raccontargli della “chiacchierata”.
« È stata una telefonata breve, ma penso che abbia capito il concetto. Anche se in principio non aveva colto con chi stesse parlando, sproloquiando come se io fossi un avvocato qualunque. Non so come tu abbia mai potuto pensare anche solo per un istante che potesse conoscerti davvero, Gregory, ma sappi che non ti conosce affatto. Che donna idiota. - il suo sorriso si fece mano a mano più sarcastico – Così ho preso la situazione tra le mani e le ho detto che “suo marito”, ancora per poco, adesso sta benissimo, si sta facendo una vita, che ha qualcun altro da amare e che lo ami a sua volta e che questa persona fossi io. – fece una
breve pausa, zittendo immediatamente Greg che stava per aprire bocca – Quando ha capito che il Governo Britannico non stesse effettivamente scherzando, ha deciso di concludere la telefonata. E aggiungerei anche con un silenzio imbarazzante. »
Lestrade aveva letteralmente lo bocca aperta, mentre stava ascoltando Mycroft.
« Chiedo scusa, avresti dovuto dirle tu che adesso stai frequentando un'altra persona, è solo che mi ha fatto adirare non poco, non sei uno strano oggettino, tu. Tanto meno idiota. Che stronza. »
Finalmente il suo interlocutore scoppiò in una fragorosa risata e si alzò, dirigendosi dal lato del tavolo occupato da Mycroft. L'altro non poté fare altro che guardarlo con un'espressione mista tra lo stranito e lo scettico.
« Ci sarebbero un sacco di cose che vorrei dirti, ma se ti bacio, faccio prima. »
E così fece: si abbassò quanto bastava per sfiorare il naso con quello di Mycroft, e gli prese il mento tra le dita della mano, poggiando delicatamente le labbra su quelle del politico. Se avesse dovuto usare un paragone, in quell'attimo si sentì come se fosse in piedi su di una nuvola, tanto si sentiva le ginocchia molli. Si guardarono per diversi istanti negli occhi, accennando sorrisi e silenziosi grazie, prendendo poi posto accanto a Mycroft.
« Dio mio, Gregory, è uscita davvero quella parola dalla mia bocca? Sono inelegante, guarda come mi fai diventare. »
Gli diede un delicato bacio sulla fronte, mentre Greg annuì, col sorriso stampato in faccia gli prese delicatamente la mano, cominciando a carezzargliela.
« Lo sa, comunque. – si schiarì la voce – Sa che mi sto frequentando con te. Gliel'ho detto quando... quando ci siamo visti... »
« Quando “
dovevi vederlo come è venuto da me a piangermi sulla spalla”? »
Annuì nuovamente, passandosi una mano tra i capelli, mentre Mycroft infine si alzò, lasciando la mano dell'Ispettore.
« Mi piaci anche un po' più scurrile, comunque. In tutti i modi. »
Seguì i movimenti del compagno con lo sguardo, che andò verso la vetrinetta dei liquori.
« Cinquanta sfumature di Mycroft. Tu quante ne conosci? »
Disse, versandosi una punta di Brandy nel bicchiere.
« Vedrai. »

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Capitolo 17
*** File 16 ***


File 16.

“ Credevo avessi detto niente più matrimoni. ”

« Tra qualche ora sarò di nuovo libero. »
Disse Greg, afferrando la maniglia della portiera della propria auto ed entrando, sospirò. Non che fosse particolarmente agitato o che altro, ma quella era l'inizio di una giornata importante, il capitolo finale della sua vecchia vita, stava per essere scritto. Si voltò a fissare Mycroft, che con eleganza, stava stirandosi i pantaloni del completo con un gesto della mano.
« Piuttosto, te la senti di venire? »
Nonostante si fosse quasi completamente ripreso, il lato premuroso di Gregory lo costrinse a preoccuparsi più del dovuto, creando sul volto di Mycroft, un'espressione seccata, ed infatti sospirò anch'egli.
« Io
devo venire, Gregory, altrimenti passeresti tra quindici anni. »
« Eddai, guarda che non ne ho di ripensamenti. »
Si affrettò ad allacciare la cintura, accennando un sorrisino sarcastico; come avrebbe potuto avere ripensamenti? Soprattutto dopo l'ultima volta in cui aveva visto la ex moglie nel suo appartamento.
« Oh, ma non sei tu il problema, infatti. »
Quella parvenza di calma che Gregory aveva accumulato durante il viaggio svanì, non appena mise piede fuori dall'auto, di fronte a quell'imponente edificio vittoriano. Puntuali come un orologio svizzero, se non con qualche minuto di anticipo sulla tabella di marcia di Mycroft, si trovarono in quella che era la hall della Corte di Giustizia di Londra; Lestrade parve come imbambolato a guardarsi in giro, vuoi per la solennità del posto, vuoi per i mille pensieri che stavano sovrappopolando la mente dello yarder.
« Rilassati, Gregory, devi solo mettere un paio di firme. »
Oramai per Mycroft era come un libro aperto, ciò che provava, il politico riusciva a leggerlo senza alcuna fatica: se aveva un problema, Mycroft aveva già la soluzione, lì, pronta per lui. Si inumidì velocemente le labbra con la lingua prima di proferire parola, guardando il compagno dritto in volto, domandandosi perfino se qualcuno lì dentro sapesse della loro relazione.
« Credo che andrò in bagno. »
Così come lo aveva adocchiato, cercò di scattare verso la toilette, ma prontamente Mycroft lo fermò delicatamente per un braccio, facendo poi scivolare la mano in una silenziosa carezza fino al polso. La tensione di Gregory la si poté notare perfino nel modo in cui aveva annodato la cravatta, che prontamente il maggiore degli Holmes gli sistemò con un semplice gesto, guardandolo poi negli occhi.
« Ho detto
rilassati. Non ti fidi di me, Gregory? »
Solo con un semplice sguardo, Lestrade gli fece capire che se avesse potuto, gli avrebbe lasciato prendere ogni decisione della sua vita, donato tutto sé stesso, per quanto si fidasse del politico. Sospirò, quando Mycroft gli lasciò la cravatta, mentre quest'ultimo tirò fuori il suo immancabile orologio da taschino.
« Allora stai tranquillo. Dobbiamo andare. »
Dopo un ultimo sguardo d'intesa, Mycroft, seguito da Gregory, si diresse verso l'aula giudiziaria, in cui Mycroft non mancò di salutare nessuno dei presenti, avvocati, giudici e conoscenti che fossero. La sensazione che stava accompagnando lo yarder ora era la stessa che una persona percepisce gli istanti precedenti una prova molto, molto ostica: nausea, torcimento dello stomaco, disagio. In pochi istanti, Mycroft divenne solennemente professionale; non ricordava molto bene se lo avesse mai visto all'opera, nonostante non fosse il suo campo, eccezion fatta per la parlantina fluente: aveva l'attenzione di chiunque in quell'aula, con quella sua aria seriosa, decisa e... imponente.
La tensione di Gregory si allentò appena, quando il giudice gli diede il permesso di parlare, cominciando a descrivere tutti i documenti che aveva di fronte e ad elencare tutti i motivi per cui erano finiti dinanzi al giudice stesso. Non si lasciò neppure intimidire dall'avvocato difensore, che parve essere addirittura più minaccioso del suo vecchio superiore.
Quando il giudice decretò la sentenza del divorzio, e Gregory scrisse finalmente la parola fine di quel terribile capitolo, si sentì infine
libero.
« Non voglio sentir parlare di matrimoni per i prossimi dieci anni. »
In seguito ad una passeggiata ristoratrice lungo il Tamigi, si diressero infine verso quella che da un bel po' di tempo era diventata la loro casa: Pall Mall, in cui Lestrade, la prima cosa che fece una volta abbandonato il cappotto sull'appendiabiti all'ingresso, fu quello di prendere posto sul divano in salone, sul suo viso era stampata un'espressione appagata; Mycroft non fece in tempo a raggiungerlo, che il suo cellulare squillò e di conseguenza si dileguò nel suo ufficio.

*

« Sei silenzioso. »
Era ormai sera, quando Greg decise di andare a disturbare il silenzio di Mycroft, perso ancora una volta in qualche stanza del suo Mind Palace. Da quando aveva terminato la telefonata non aveva più spiccicato parola, né con lui, né tanto meno con i domestici, andandosi a rintanare sulla propria poltrona di fronte ad un camino spento; nell'aria vi era una sottile linea che separava la tranquillità dalla tensione e l'Ispettore la fiutò. Si avvicinò, poggiandogli delicatamente una mano sulla spalla, come fosse una carezza, un silenzioso “ io sono qui. ”.
« Credevo avessi detto “niente più matrimoni”, Gregory. »
Accennarono un sorriso a vicenda, nonostante Mycroft avesse tenuto gli occhi chiusi, ancora nel suo Palazzo Mentale. Il campanello d'allarme cominciò a suonare nella testa di Lestrade nel momento in cui vide il compagno congiungere le mani al mento con l'espressione seriosa, non poté fare a meno di guardarlo accigliato, cercando di studiarlo. Che si fosse pentito di essersi messo così tanto in mezzo? Mille pensieri si impadronirono della testa di Greg, perché per lui Mycroft era ancora un enigma. Schiarì la voce, andandosi ad appoggiare contro il lungo tavolo del salone, incrociando poi le braccia.
« Ti va di parlare un po'? »
In tutta risposta, Mycroft sciolse le mani ed aprì gli occhi alzandosi, destandosi dai suoi innumerevoli pensieri; si sistemò il completo raddrizzandosi appena la cravatta, senza ricambiare lo sguardo che Lestrade aveva legato a lui.
« No, non mi va. »
La risposta spiazzò lo yarder; insomma non che si aspettasse chissà che cosa, considerando il fatto che il campanello d'allarme ormai trillava come non mai, ma non ebbe neppure il tempo di elaborarlo quel pensiero, poiché la conferma che qualcosa non andasse, si palesò di fronte al suo sguardo: la quantità di liquore che Mycroft stava versandosi, era ben differente dalla solita. D'impulso cambiò posizione, rimanendo però ancora poggiato contro il tavolo, con lo sguardo più accigliato che mai.
« Non vorrei fare il pignolo, ma quel brandy mi pare troppo, Mycroft. Stai anche prendendo degli antibiotici. »
Non ottenne che silenzio. Bisognava scoprire che cosa non andasse e per Lestrade questa era ancora un'impresa ardua, considerando che fosse come parlare contro un muro.
« Mi dici che diavolo hai? Pensavo fossi... – fece una breve pausa – contento per quanto successo stamattina! »
Silenzio. Gregory si rese conto
di aver alzato un po' troppo la voce, notando la reazione del compagno, il quale portò la mano libera sul volto, stringendosi gli occhi. Decise di fare qualche passo in avanti, intenzionato ad andare a levare il bicchiere dalle mani del maggiore degli Holmes.
« Myc – »
« Dio, Gregory! Puoi stare
un secondo in silenzio?! »
Si voltò verso Lestrade con sguardo furente, facendo bloccare l'Ispettore nella posizione in cui era, con una mano tesa verso di lui; quest'ultimo rimase interdetto, con la bocca semi aperta, in attesa di poter terminare una frase, invano.
« Ogni volta che ho qualche cosa che non va, inizi a chiedere che cosa mi affligge, quando vorrei essere semplicemente io stesso a sparire da questo Paese! »
Levò il ferma cravatta ed infine la slegò con fare nervoso, abbandonandola sulla credenza, al fianco della bottiglia di liquore, sbottonando perfino due bottoni della camicia.
« Verso di me è sempre tutto un “Bravo Signor Holmes!”, “Perfetto, Holmes.” “Bel piano, Signor Holmes”; poi arrivi a frequentarti un po' troppo con qualcuno e ti fanno fuori! E tutto questo senza che io possa anche solo negarlo! »
Poi ebbe quello che i comuni mortali generalmente chiamavano scatto d'ira: lanciò nel camino il bicchiere, il quale naturalmente si ruppe in mille pezzi e Greg ringraziò il cielo che quello fosse spento. Colpito da quanto successo, lo yarder non sapeva nemmeno per cosa di più: anche Mycroft quando si arrabbiava sul serio aveva reazioni quantomeno umane? O il fatto che nel proprio lavoro gambizzassero chiunque avesse una sorta di relazione? Che stronzata; fece per aprir bocca, ma non sapendo neppure cosa dire, se non un futile “mi dispiace”, la richiuse. Non dissero più una parola, Mycroft compreso, che nuovamente in sé, sospirò pesantemente, avvicinandosi poi ai cocci di vetro, seguito da Lestrade, che strinse le labbra, pulendo il pavimento dal liquido ambrato schizzato dal camino, pensando a quante sterline se ne fossero appena andate, tra liquore e calice di cristallo.
Quando finalmente riuscirono ad avere una conversazione normale, erano ormai a letto. Mycroft dopo essersi scusato della propria reazione, cominciò a raccontargli della telefonata avuta con il collega. Non gli raccontò proprio tutto, ma quanto bastò per far capire a Gregory quanto avvenuto.
« Domani a lavoro voglio parlare di questa situazione, almeno a quelli più vicini a me. Anche se... non c'è molto da dire. »
La schiena di entrambi poggiata contro lo
schienale del letto, la mano di uno che silenziosamente cercava l'altra, che non faticò a trovare intrecciandone poi le dita.
« D'accordo. A patto che tu però non reagisca più come stasera. »
Le labbra di Lestrade posarono un lievissimo bacio sul dorso della mano di Mycroft, prima di lasciarla. Quest'ultimo accennò un lieve sorriso, distogliendo lo sguardo, posandolo sulla libreria ai piedi del letto.
« Altrimenti? – accennò vagamente un sorriso – Arresterai il signor Webber? »
L'Ispettore non rispose e corrucciò appena lo sguardo, non appena Mycroft nominò il collega, o chiunque fosse per lui. Nell'arco della serata non lo aveva mai nominato, ma quando lo fece, Greg non poté fare a meno di registrarlo nella sua mente.
Perché?

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Capitolo 18
*** File 17 ***


File 17.

Ti ricorda nulla questa situazione? ”



Il nome di Arthur Winston Webber si insinuò tra i pensieri di Lestrade come un fastidiosissimo tarlo, tanto che dovette metterlo per iscritto nell'archivio del computer di Scotland Yard: dove lo aveva già sentito? Perché lo infastidiva così tanto? Passò giornate, interi momenti liberi e non, attaccato a quel computer, scribacchiando in ogni dove appunti che gli sarebbero sicuramente tornati utili nei giorni successivi, fino a quando il lampo di genio non lo colse, quasi di sorpresa. Quel nome. Il ricordo di quel nome gli balenò alla mente in meno di un secondo quando, leggendo la firma del suo vecchio superiore, i ricordi riaffiorarono, uno ad uno, come i pezzi di un puzzle che lentamente si incastravano tra loro; i momenti riguardanti quella persona e gli istanti passati al fianco del suo superiore, quando era soltanto un semplicissimo agente.
« Bingo! »
Esclamò, uscendo dall'ufficio in fretta e furia, avvicinandosi ad un suo collega – e amico, che in quel periodo gli era stato dietro con tutte le teorie, spalleggiandolo in ogni ricerca: sapeva che avrebbe potuto contare su di lui, anche questa volta.

*


Potrei sapere, di grazia, dove ti trovi?

SMS da Mycroft – 22.01
Questa sera farò un po' più tardi, scusa.

SMS da Gregory – 22.13

Non sono stupido, Gregory. Cosa stai facendo?

SMS da Mycroft – 22.13

Dallo studio di casa sua a Pall Mall, Mycroft Holmes stava cominciando ad innervosirsi; di recente gli era capitato di vedere il compagno completamente preso dal lavoro e quel fatto non gli piacque per nulla; aveva (quasi) deciso di non metterci il muso, di lasciar lui i giusti spazi, senza mettersi in mezzo... o almeno, fino a quella sera: non servì neppure chiamare la sua assistente, in pochissimi istanti riuscì a risalire alla cronologia dell'intero dipartimento di Scotland Yard e quando ne lesse le ricerche svolte dallo yarder, si lasciò sfuggire un lungo sospiro, decidendo infine di riporre il cellulare, lasciandosi andare contro lo schienale della sedia: l'appuntamento era come sempre, in una delle molteplici stanze del Mind Palace. Holmes non era stupido, sapeva perfettamente chi fosse la persona su cui lo yarder stesse indagando, uno di quei “mali necessari” che ancora non aveva intaccato nessuno di troppo importante.
Il nottolino della porta ancora non accennava a scattare, né tanto meno i ciottoli nel vialetto stavano annunciando il rientro di qualche macchina; l'orologio da taschino lo informava che da lì a breve sarebbe scattata la mezzanotte. Lungi dal voler apparire turbato, Mycroft stava scendendo a patti con sé stesso: se da lì a breve non avesse ricevuto alcuna notizia dal suo compagno, avrebbe mobilitato i suoi più fedeli agenti per andare ad estirpare una volta per tutte, il male necessario.

*

Lestrade dal canto suo, sapeva perfettamente di star commettendo una fesseria astrusa a riaprire quel file accantonato quasi un ventennio prima e, soprattutto, sapeva altrettanto bene che mettersi contro un pezzo grosso della mala quasi completamente da solo, non era stata una delle sue più geniali idee, ma era anche vero che nessuno fosse più riuscito a risolvere il caso e ad oggi aveva delle prove schiaccianti che portavano tutte ad una singola persona, a
quella singola persona. Molte domande gli vennero alla mente, ma spirarono tutte, non appena il collega sfondò con un calcio la porta di quell'ufficio di fortuna senza troppo cerimonie, la cui targhetta portava il nome, indubbiamente falso, di George Turner.
« La dichiaro in arresto per molteplici ragioni, signor “Turner”. – sogghignò appena, enfatizzando quanto meglio poté il nome – Vuole che gliele elenchi tutte, o preferisce risparmiarmi questa fatica? »
Turner/Webber non rispose, si limitò a guardare dritto negli occhi prima uno e poi l'altro, soffermandosi poco di più su Lestrade ed impiegò meno di un istante ad aggredire l'Ispettore, che sì, risparmiò sì la fatica di parlare, ma non quella di difendersi dalla spranga che lo colpì dritto al braccio sinistro, prontamente portato sul viso per difendersi.

*

« Associazioni a delinquere, furto allo stato, favoreggiamenti ed infine, aggressione a pubblico ufficiale. »
Esordì così Gregory, al suo rientro a casa, poggiando il fascicolo finalmente da archiviare sul tavolo di fronte ad un Mycroft attonito, del tutto basito ed infatti, lo sguardo di quest'ultimo passò dal faldone di fronte ai suoi occhi, al sorriso sornione sul volto del compagno coperto da qualche cerotto d
i cui un paio cicatrizzanti su uno zigomo. Dopo una rapida occhiata al busto, per accertarsi che stesse quantomeno dritto sulla propria schiena, non poté non notare la fasciatura sotto la manica della camicia. Restò in silenzio diversi attimi, dopodiché inumidì le labbra e, scuotendo il capo, si alzò, poggiando la tazza di tè sul tavolo.
« Mio Dio, Gregory! Non posso credere che tu sia andato seriamente dal Signor Webber. » Avvicinandosi, prese molto delicatamente il braccio dell'Ispettore tra le mani, analizzandone le fasciature; nulla gli sfuggì, neppure la piccola smorfia di fastidio che decorò il volto dello Yarder. Gli occhi di Mycroft infine passarono sulle ferite al volto, l'espressione era più seria che mai ed infine gli lasciò il braccio, delicatamente, come lo aveva afferrato.
« Aspettami qui. »
Lestrade seguì con lo sguardo il compagno, la piccola smorfia di fastidio lasciò posto ad un'espressione stranita, fin quando non riapparve in salone, accompagnato da una valigetta del primo soccorso. Gregory rimase per un attimo imbambolato a guardarlo mentre apriva la valigetta ed estrarre tutto l'occorrente per disinfettare, perfino quando Mycroft lo invitò a sedersi sulla poltrona di fronte al camino, senza ammettere troppe repliche; una volta capite le intenzioni del politico, trasalì appena.
« Oh, dai. Mi hanno disinfettato in centrale, sono a posto. »
Si indicò stupidamente il viso, pensando di aver avuto un ottimo tono autoritario, ma il sorriso sarcastico di Mycroft gli fece notare che non era stato poi così convincente come credeva. Non che avesse paura, Lestrade, insomma.. c'era abituato a prenderle come un sacco.
« Non così bene, Gregory, i cerotti si stanno già sporcando. »
In pochissimi passi, Mycroft era di fronte all'Ispettore e con una mano, gli prese delicatamente il viso e glielo voltò appena, quanto bastava per avere pieno controllo di quanto stava per fare: sfilò il cerotto che aveva attaccato sullo zigomo e non appena poggiò il cotone imbevuto di disinfettante, Greg sussultò, stringendo forte il bracciolo della poltrona. Eppure in centrale non era stato così doloroso, ma probabilmente era l'effetto dell'adrenalina che lentamente stava scemando, pensò. Inoltre, strinse come meglio poté il labbro, quanto bastava per non procurarsi altro dolore. Impercettibilmente, Mycroft si accigliò appena, distogliendo lo sguardo dalla ferita di cui si stava occupando, posandolo per un attimo sul volto del compagno.
« Così mi distrai, Gregory. »
Schiarì la voce e non appena finì con il disinfettante, dopo essersi assicurato che non vi fosse più nessuna fuoriuscita di sangue, non ci pensò due volte ad estrarre dalla valigetta alcuni cerotti per sutura, ago e filo.
« In più, questi potrebbero fare più male. »
« No, no dai. – seguì con lo sguardo l'ago – Non credo sia il caso di usare quello. Mi basta un normalissimo cerotto. Per favore. »
Lestrade deglutì: ribadendo a sé stesso di non essere mai stato una persona paurosa, però insomma... un ago così vicino ad un occhio non lo faceva saltare di gioia. Non che non si fidasse di Mycroft, al contrario, probabilmente non si fidava di sé stesso e delle sue reazioni.
« Continua pure a parlare, Gregory, sei tanto bravo a farlo, ti assicuro che distrae. »
Con mani maestre, Mycroft cominciò a preparare l'ago, mentre lo yarder si chiese il motivo per cui in casa avessero un attrezzo del genere e come mai sapesse maneggiarlo così bene, pensando istintivamente ad un
piccolo Sherlock scapestrato.
« Ora come ora non ho argomen... – strinse ancora più forte i braccioli della poltrona, mentre l'ago entrò, bucandogli la pelle – ti. »
Non impiegò che qualche
istante a completare la sutura, due punti quasi invisibili coperti poi dai piccoli cerottini, non dando neppure il tempo a Lestrade di lamentarsi.
« Sei proprio stupido. Farti ridurre così per uno che ha così poca importanza. »
« Mi ha fatto incazzare. E poi non è “poca importanza”, era un caso da archiviare, e finalmente, ora lo si può considerare tale. Possibile che nessuno di voi si sia mai accorto di nulla? »
Mycroft non rispose subito, anzi, non rispose affatto; sapeva più che bene che Lestrade lo avesse arrestato più per tornaconto personale, che lavorativo e difatti il suo volto per un istante si rabbuiò, mentre sistemava e disinfettava l'ago appena utilizzato. Ci furono diversi attimi di silenzio, in cui Greg tentò, invano, di rilassarsi sulla poltrona, mentre il maggiore degli Holmes si dedicò a disfare le fasciature dell'avambraccio. Con movimenti decisi, ma molto delicati, appurò che non era nient'altro che una contusione. Mycroft certamente non era un dottore, ma pensò di essere di gran lunga superiore a chi si era adoperato per riassestare Lestrade con quelle fasciature fatte alla bell'e meglio. Quando le loro mani si sfiorarono, Gregory non poté fare a meno di sorridere appena.
« Ti ricorda nulla questa situazione? »
Destò Mycroft dai suoi pensieri,
nei quali stava ancora elegantemente insultando “l'equipe medica” di Scotland Yard. Anch'esso accennò flebilmente un sorriso, con lo sguardo ancora sulla mano di Lestrade: a quelle parole istintivamente ci si soffermò più del dovuto, vuoi per una carezza mascherata, vuoi per la medicazione. La porta del suo Mind Palace si aprì, facendone lentamente fuoriuscire i ricordi della sera in cui Gregory si spinse un po' (tanto) oltre, in cui entrò prepotentemente nella sua comfort zone, e non solo, rivoltandogli letteralmente l'esistenza.
« Solo che questa volta i ruoli sono invertiti. »
Sorrisero entrambi, genuinamente, gli occhi incatenati gli uni agli altri; si scambiarono anche qualche carezza, fin quando il viso di Mycroft tornò serio, lentamente.
« Hai arrestato Webber a causa mia, Gregory. Vorrei non facessi più cose del genere, è pericoloso mettersi contro gente come me, come noi. »
Greg lo guardò con aria vagamente accigliata. Insomma, aveva fatto un lavoro egregio, stanando qualcuno che Scotland Yard non si era
mai preso la briga di fare, lasciando il caso a marcire sotto ad altri decine e decine di casi irrisolti. Era anche vero che a Mycroft non si potesse nascondere praticamente nulla, neppure il fatto che, in fondo, lo aveva fatto per farla pagare a Webber, per quanto avesse avuto da dire il giorno del suo divorzio. Sapeva a cosa stava andando incontro, il dossier su questo tale lo aveva imparato a memoria.
« L'ho arrestato anche perché il suo nome mi è entrato nella testa, sapevo di averlo già sentito e la sua faccia non mi era nuova. Mi sono preso del tempo e ho indagato ancora, scoprendo fatti abbastanza pesanti da poterlo sbattere in cella. Quindi, direi che se lo è meritato. In più, guarda come mi ha conciato. »
Non ottenne risposta da Mycroft, che si limitò a rimettere via le garze ed infine chiudere la valigetta del pronto soccorso, premurandosi di schiarire bene la voce, prima di proferir parola.
« Soprattutto gradirei evitassi di farti ridurre in queste condizioni. »
« Ho perso la pazienza. »

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Capitolo 19
*** File 18 ***


File 18.
Temo che tu abbia sbagliato Holmes. ”

Il freddo pungente non accennava a diminuire, anzi. Le nuvole erano cariche di neve, ed una mattina, alzandosi, scoprirono una coltre bianca in giardino; Lestrade era felice... o almeno lo era prima di uscire di casa ed imbattersi in londinesi e turisti che avevano disimparato a stare al mondo, per via della suddetta neve.
Natale passò quasi in sordina come gli ultimi anni, ossia nessun accenno ad addobbi, lucette o qualsiasi oggetto che richiamasse quella festività. Riuscì però a convincere Mycroft ad appendere una piccola ghirlanda alla porta d'ingresso della tenuta; ebbe sicuramente più fortuna l'ultimo dell'anno, quando gli
concesse un brindisi e gli fece scoprire una parte della casa che ancora non aveva conosciuto: la terrazza sul tetto.
La terrazza sul tetto, Mycroft l'aveva accantonata in una stanza lontana del suo Mind Palace e lì la lasciò fino a poco tempo prima, quando chiese ad uno dei domestici di ripristinarla, o quanto meno metterla un po' in ordine per la notte di Capodanno. Lo yarder non fece domande alla richiesta di Mycroft di seguirlo, ma poiché mancavano pochi minuti allo scoccare della mezzanotte, preventivamente prese due bicchieri a tulipano e una bottiglia di spumante. Quando arrivarono di fronte ad una porta che probabilmente Lestrade non aveva mai neppure notato, Mycroft l'aprì. Con somma sorpresa, Gregory quella notte scoprì una terrazza grande quanto probabilmente tutta la casa e il fatto che questa avesse una zona addirittura riscaldata.
« Non utilizzavo questa terrazza da un po'. »
Mycroft schiarì la voce prima di parlare, prendendo posizione dalla ringhiera in linea d'aria con il Tamigi,
« Mi concedevo delle pause, a volte, lontano da tutto e da tutti, specialmente in estate. Poi l'ho accantonat
a e non sono più venuto. – Tirò fuori l'orologio da taschino, guardandone l'ora – Oh, ci siamo quasi. »
Non appena lo
infilò in tasca, Lestrade guardò in cielo e con somma sorpresa, scoprì che da quell'angolazione si vedevano in maniera discreta i fuochi d'artificio sparati lungo il fiume.

*
La primavera ormai era alle porte, benché il freddo pungente non accennasse a diminuire e il clima era spesso uggioso, e così l'umore di Mycroft; non che fosse mai stato meteoropatico, ma quella giornata si era alzato svogliato, aveva svolto il suo lavoro svogliato, partecipato a meeting con l'apatia dipinta in ogni singola ruga d'espressione, e rientrò in casa svogliato. Quando sentì il nottolino della porta d'ingresso scattare, sapeva che Gregory lo avrebbe raggiunto da lì a breve. La sua routine era semplice: il saluto ai domestici era sacro, così come l'invito a prendersi il pomeriggio e la sera per loro; due chiacchiere per sapere che aria tirasse in casa e poi la giacca prese posto sull'appendiabiti, proprio di fronte alla porta d'ingresso.
Si lasciò cadere pigramente sul divano, quando sentì i passi dell'ispettore venirgli incontro.
« Mi sto annoiando terribilmente, Gregory. »
Il mento era poggiato sul pollice mentre l'indice picchiettava sullo zigomo, le gambe elegantemente accavallate una sull'altra, e lo sguardo e la mente persi nello spettacolino che le fiamme del camino avevano da offrirgli. Asserì così, Mycroft. Lestrade si prese alcuni istanti per guardare il compagno; non appena l'ispettore varcò la soglia del soggiorno, prima di avvicinarsi e accarezzargli la spalla, accennò un sorriso, prima di allontanarsi per andare ad appoggiarsi al tavolo ed incrociare le braccia.
« Cerchiamo di alleviarla, allora. »
Fu un attimo che voltandosi e vedendo uno dei libri riposti in libreria, a Greg tornò in mente uno dei tanti discorsi della Signora Holmes, un piccolo aneddoto certo, ma che ogni tanto gli balenava tra i pensieri; non si era mai osato parlarne, fino ad allora. Sarebbe stato perfetto per alleviare la noia di quella tremenda giornata grigia, pensò. Lo sguardo infine passò dai dorsi dei libri, a Mycroft, sempre nella stessa medesima posizione.
« Suonami qualcosa. »
Dopo pochi istanti, il maggiore degli Holmes, d'istinto cambiò posizione, accigliandosi impercettibilmente. Ora le gambe non erano più accavallate e la mano era adagiata sul bracciolo, picchiettandolo di tanto in tanto: l'attenzione di Mycroft era tutta di Lestrade, nonostante ancora non lo stesse neppure guardando.
« Temo che tu abbia sbagliato Holmes. »
Lentamente, spostò lo sguardo dal fuoco del camino al volto dell'ispettore visibilmente accigliato e sorrise, naturalmente sarcastico.
Suonare? Per carità. Erano ere che non lo toccava.
A Lestrade rimase impresso il momento in cui la Signora Holmes gli racconto, naturalmente lontano dalle orecchie di Mycroft, che all'età di cinque anni sapeva già suonare “Al Chiaro di Luna” di Beethoven, senza lo spartito di fronte. Per quanto Sherlock avesse il dono di saper maneggiare e suonare il violino in maniera magistrale, Lestrade era abbastanza sicuro che fosse lo stesso per Mycroft. Non rispose, ma si limitò a sorridere e negare lentamente, avvicinandosi.
« Tua mamma tempo fa mi ha accennato che quando eri piccolo hai preso delle lezioni di piano. »
Una volta di fronte a lui, gli porse una mano, intenzionato a non scostarla fin quando l'altro non l'avrebbe afferrata. Il sorriso sarcastico di Mycroft si fece più nitido in volto, ma sparì in brevissimo tempo, lasciando spazio ad un lungo sospiro, afferrando infine la mano dello yarder, alzandosi dal divano.
« Ahh, mia mamma. Non suono da anni, Gregory. »
Le loro dita si intrecciarono e Lestrade dovette reprimere l'impulso di baciargli il dorso della mano: già non era una bella giornata, in più gli aveva fatto una richiesta più che assurda... non avrebbe rovinato quel momento con dell'affetto non richiesto; si limitò ad incamminarsi verso il piano di sopra, in direzione della stanza in cui teneva il pianoforte.
« Riprendi adesso. Mi piacerebbe sentirti. »
Il maggiore degli Holmes non proferì parola, fin quando non si trovarono di fronte la porta e sospirò appena, mentre appoggiava la mano sulla maniglia della porta che, lentamente, aprì.
La stanza era buia, illuminata soltanto dalla luce che entrava dagli infissi chiusi. Greg si limitò a fermarsi sulla soglia, mentre l'altro andò ad aprire le persiane: in un attimo la stanza si illuminò. La prima volta che entrò in quella stanza, lo ricordava bene: fu poco dopo il rientro a casa di Mycroft dopo l'operazione alla testa, in cui quest'ultimo lo invitò a muovere due passi di danza. Sorrise, al ricordo di quella sera, che non poté finire diversamente da come effettivamente andò, considerando il fatto che Lestrade era un tronco, a muoversi: in pochi attimi, si ritrovarono sul tappeto, scoppiando in una risata.
In quel momento, Mycroft si avvicinò al suo pianoforte a coda, sfiorandone i contorni con l'indice e il medio, prima di prendere posto e alzare lo sportello. Greg non era molto ferrato in materia, a malapena sapeva distinguere un pianoforte a coda da quello verticale, ma da quando mise piede all'Opera per la prima volta, aveva deciso di tanto in tanto di documentarsi. Rimase per diversi istanti sulla porta ad ammirare il tutto, prima di avvicinarsi al piano, mentre l'altro prese posto sul seggiolino, rimanendo ad osservare per alcuni istanti i tasti bianchi e neri, fin quanto non prese un lungo respiro e fece una scala.
« A tuo rischio e pericolo, allora. »
La composizione di “Al Chiaro di Luna”, la ricordava alla perfezione, come se a suonarla fosse il sé stesso di tanti anni prima, quando l'aveva imparata, assimilandola dal vinile di suo padre. Gregory notò che sua mamma aveva ragione, non aveva neppure bisogno di uno spartito: i suoi occhi erano chiusi e le dita maestre sapevano perfettamente cosa fare, dove posarsi e quanta pressione adoperare.
Una volta terminata l'esibizione, Mycroft riaprì gli occhi, cercando con lo sguardo Lestrade, che trovò al suo fianco, con un'espressione sorpresa, stupefatta. Schiarì appena la voce, prima di parlare e distolse lo sguardo.
« Spero ti basti, Gregory. Sono un po' arrugginito. »
Lestrade dovette umidificarsi le labbra con la lingua prima di parlare, e cercare le parole per esprimersi.
« Io non ci capisco molto di piano, ma – accennò un sorriso, guardando Mycroft in volto – non si direbbe che non suoni da anni. Wow. »




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