Il mistero della casa sull'isola

di Dolce Mony
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Un tragico inizio ***
Capitolo 2: *** Stai lontano da me ***
Capitolo 3: *** Non è possibile, ancora tu! ***
Capitolo 4: *** Quando ci si mette il Caso! ***



Capitolo 1
*** Un tragico inizio ***


Piangere non sarebbe servito a nulla, ma non riusciva comunque a smettere , era più forte di lei, uno sfogo del quale non sarebbe riuscita  a farne a meno. Le lacrime scendevano sul suo viso ed ogni stilla salata racchiudeva un dolore indescrivibile, eventi diversi, pieni di terrore e paure. –Questo dolore non passerà mai- si diceva, sillabando ogni parola, che rimaneva nel cuore come un tatuaggio indelebile. Continuava a piangere sempre più forte. La stanza era illuminata solo dai raggi della luna e tra le lacrime calde si lasciò cadere sul suo morbido cuscino ormai stremata dal troppo dolore e dalla sensazione di colpa per non aver fatto di più, per aver mollato, per essersi arresa quando avrebbe potuto essere forte e rialzarsi dopo la caduta. Ma non sapeva o non voleva ammetterlo che aveva fatto quanto possibile e lei non poteva opporsi al destino, sarebbe stata una cosa oltre che difficile anche impossibile.

 

17 anni. “È il compleanno più bello che io abbia mai passato!” affermò Samantha mostrando il suo fantastico sorriso. Era felice e niente al mondo avrebbe potuto portare nel suo cuore paura e terrore. I festeggiamenti continuarono tra urla e risate.

“La torta!!”gridò Matt tirando la mamma per la lunga gonna blu che indossava. Matt era il fratellino di 10 anni di Sam. Era un bambino molto dolce ma anche molto testardo.

“Si tesoro solo un attimo.” Gli rispose la mamma, ma il piccolo non voleva aspettare e continuò ad urlare ma in quella confusione nessuno fece tanto caso ai suoi lamenti.

Ad un tratto il papà abbassò le luci e nel buoi della stanza si intravide un grande vassoio bianco su cui c’era una torta magnifica, fatta di panna e cioccolato. La mamma la posò sul tavolo di fronte a Sam. Tra la canzoncina “tanti auguri a te” Sam espresse il suo desiderio. A volte però bisogna stare molto attenti ai desideri perché potrebbero avverarsi, ma non sempre come vogliamo noi.

Con un forte soffio le spense tutte e diciassette, chiuse gli occhi per un istante e poi tagliò la torta mentre suo padre riaccendeva le luci che illuminarono tutta la stanza.

Finita la torta, Stephen, il padre di Sam e Matt, chiamò la figlia in cucina.

“Ho deciso di portarti in un luogo fantastico, dove ti portavo da bambina quando eri arrabbiata e non volevi ascoltare nessuno e proprio qui ti calmavi e tornavi a sorridere. Era bello vedere nei tuoi occhi quella innocenza infantile. Eri una bambina meravigliosa.”

“Dove pensate di andare voi due a quest’ora?” ci chiese la mamma, che aveva sentito tutto ciò che papà mi aveva riferito.

“Torneremo presto, tu intrattieni gli ospiti e per le nove saremo a casa. Promesso!”

La mamma annuì, papà la baciò teneramente.

Ma all’improvviso Sam ebbe paura. Ebbe come un sussulto nel cuore. Sapeva che quella sera sarebbe accaduto qualcosa, ma cosa? Continuava a chiedersi. La felicità era svanita come per magia. Aveva avuto un brutto presentimento. Aveva paura. I suoi occhi si spensero e mille pensieri la avvolsero. Pensieri spaventosi. Pensieri terrificanti. Il cuore le batteva forte. Sentiva che l’aria cominciava a mancarle. Il respiro si fece affannoso. Le sue guance si arrossarono. Stava per piangere anche se non riusciva a comprendere il motivo di quella sensazione così strana.

“Sam! Sam! Tutto bene tesoro?” la strattonò suo padre.

Lei si voltò verso di lui. Lo guardava dolcemente. Voleva bene a suo padre.

Con quel poco fiato che le rimaneva riuscì solo ad affermare un debole si.

Salutò tutti prima di andare.

“ Mi raccomando non fate tardi e state attenti.” Le disse sua madre.

“Si non ti preoccupare!” affermò suo padre dirigendosi verso la porta. Sam lo seguì con la testa abbassata. I capelli color miele le coprivano il viso. Suo padre si affrettò per le scale che sembravano non finire mai. Ma Sam camminava piano, sapeva che ogni gradino che percorreva non avrebbe fatto altro che farle provare paura. Arrivarono alla macchina, parcheggiata troppo lontano perché sua madre potesse vederla. Sam salì senza dire una parola. Il suo viso non brillava più di quella luce così accesa, così splendente.

“Tesoro qualcosa non va?” Le disse suo padre, che si era accorto della sua espressione così cupa.

“No papà, sto benissimo.” Rispose, cercando di abbozzare un sorriso.

Poi appoggiò la testa al finestrino. Guardava la strada sotto di lei. Non riusciva sempre a vedere tutte le strisce bianche disegnate per terra che passavano veloci, e la sua testa cominciò ad affollarsi di ricordi. Ricordi belli. Ricordi brutti. Ricordi pieni di nostalgia. Ricordi passati e dimenticati. Tanti ricordi.

Ad un certo punto chiuse gli occhi e cadde in un sonno profondo. Cominciò a sognare.

Era tutto buio. Camminava leggera e non riusciva a distinguere le ombre che scorgeva da lontano. Ma ad un tratto provò tanta paura. Era spaventata e ad un certo punto vide una grande luce che illuminava i suo grandi occhi verdi, pieni di lacrime.  Si svegliò di soprassalto, guardava suo padre spaventata. Poi si toccò il viso e si accorse che stava piangendo.

“Sam tutto bene tesoro?” le chiese suo padre, rallentando leggermente.

Lei lo guardò. Non riusciva a proferir parola così si limitò ad annuire con la testa.

Poi continuò a guardare la strada. In cuor suo sapeva che non andava tutto bene. Niente sarebbe andato bene quella sera.

Arrivarono al grande acquario. Sam aveva sempre adorato quel luogo, adorava gli animali, adorava i delfini e le balene. Adorava il mare e tutto ciò che di lui faceva parte. Per quella mezz’ora che era intenta a guardare e a sorridere dolcemente agli animali non aveva pensato al suo sogno, non aveva paura.

“Qui ti portavo sempre e tu avevi l’espressione che hai adesso.”

Lei sorrise. All’ora di chiusura ritornarono alla macchina e quella brutta sensazione l’avvolse di nuovo.

Lui si accorse che qualcosa aveva scosso sua figlia. Sapeva che qualcosa la turbava.

Arrivarono alla macchina. Un violento soffio di vento mosse i morbidi capelli di Sam. Lei guardò il cielo sfiorandoli con le dita, il sole non era ancora completamente sparito tra le montagne e lasciar spazio alla notte ma il suo cuore batteva forte e non voleva saperne di smettere. Abbassò la testa, salì in macchina e decise di calmarsi. Ripeteva a se stessa che non sarebbe successo niente, che andava tutto bene, che lei e suo  padre sarebbero tornati a casa sani e salvi. Suo padre premette sulla frizione, ingranò la marcia, poi premette sull’acceleratore e la macchina partì. Con un po’ di difficoltà ma partì. La macchina correva sulla strada nella notte buia, il semaforo che distava di qualche metro da essa brillava di un verde intenso. Quell’ incrocio distava ormai pochi metri. La macchina blu scura procedeva e superò il semaforo, senza rendersi conto che ciò avrebbe per sempre cambiato la vita di Sam e della sua famiglia.

Gli occhi della ragazza improvvisamente si riempirono di terrore. Iniziò ad urlare e una forte luce illuminò il suo viso. L’ultima cosa che riuscì a sentire fu il suono delle sirene dell’ambulanza e della polizia. I suoi occhi si spensero e poi nulla. Nessun rumore. Nessun sentimento. Nessuna paura. Bastarono pochi minuti a cancellare tutto. Pochi minuti per portare via la cosa più preziosa che lei aveva. Pochi minuti per non sentire più niente.

Passò una settimana, più o meno, da questo tragico evento ed era esattamente 20 maggio. Una data indimenticabile. Una data che avrebbe portato gioia e tristezza.

Gli occhi di Sam si aprirono, si guardò in giro e vide accanto al suo letto macchine che monitoravano le sue funzioni cerebrali, i battiti del suo cuore e alcuni tubi la aiutavano a respirare. Allora capì che era in una camera d’ospedale.

Poi guardò vicino al suo letto e vide sua madre con le mani poggiate sulle gambe e la testa su un lato del letto. La donna, che aveva un’aria stanca e stremata, alzò la testa vide la figlia sveglia e con gioia chiamò il dottore. Il dottor Buch controllò Sam e affermò con gioia che andava tutto bene e che in pochi giorni sarebbe tornata la ragazza sana di un tempo. Sua madre era felice. Abbracciò e baciò la figlia mentre Matt teneva una mano della sorella e al confronto la sua era molto piccola.

Dopo qualche minuto Sam guardò la mamma e disse:” Papà?”

“No tesoro, lui…” ma le parole furono soffocate dalle lacrime che cominciarono a scendere sul viso di sua madre. A quelle parole Sam si sentì persa e soffocare. Matt le guardava e abbracciò la mamma cercando di mostrarsi forte. Ora era lui l’uomo di casa, doveva essere forte.

Dopo qualche giorno tornarono a casa. Matt corse nella sua camera, la mamma andò in soggiorno e lei rimase vicino alla porta d’ingresso. Si guardava attorno. I ricordi invasero la sua mente. Aveva quattro anni e proprio in mezzo al corridoio di quella casa, che adesso sembrava troppo grande, giocava felice col suo papà. Si rincorrevano, si trovavano, si nascondevano. Poi chiuse gli occhi e cominciò a salire le scale che portavano alla sua camera. Entrò dentro e poi chiuse la porta facendo attenzione a non far rumore. Si sdraiò sul letto e abbracciata all’orsetto che le aveva regalato suo padre quando aveva cinque anni, cercò di addormentarsi.  Dopo poco si addormentò e cominciò a sognare.  Ma i suoi sogni non erano altro che il ricordo di quella sera. Vedeva suo padre, la grande luce che abbagliò i suoi occhi, suo padre accanto a lei immobile. Sentiva il suono dell’ambulanza e della polizia. Poi si svegliò. Era sudata, il cuore le batteva forte. Si alzò e scese al piano di sotto. Sua madre era al telefono.

“Mamma lo so anche io che è difficile ma adesso non posso darti una risposta devo prima superare tutto questo e badare ai miei figli.” Sentii di sfuggita.

Prese qualcosa da bere e andò in soggiorno. Si sedette sul divano accanto a suo fratello. Ad un certo punto lo abbracciò forte. Lo guardò e pensò –cavoli non mi sono mai accorta ma sei uguale a papà. Mi ricordi lui.-

“ahio mi fai male, smettila di stringere così forte.”disse Matt.

Lei lo guardò di nuovo e lo strinse ancora più forte. Le lacrime cominciarono a scendere e i ricordi riaffiorarono tutti nella sua mente.

Poi lo lasciò.

“Scusami!” sussurrò e poi corse su per le scale lasciando sul viso di suo fratello un’aria perplessa.

Le ora passarono piano. Sam si sentiva soffocare. In quell’angolo buio della sua cameretta continuava a pensare e ad accusarsi si tutto. –È tutta colpa mia. Se non fossi uscita quella sera non sarebbe successo niente.- continuava a ripetere a se stessa. Il giorno più bello della mia vita, il giorno del mio compleanno è stato il giorno della fine. Mio fratello ha perso suo padre. Un punto di riferimento. Un aiuto durante il percorso della sua adolescenza. Mia madre ha perso la persona che ama, l’unica che sapeva farla sorridere, l’unica in grado di farla sentire speciale. Ed io…beh io ho perso mio padre, una persona straordinaria. Il mio migliore amico. L’unico che riusciva a trovare la perfezione in ogni mio difetto. L’unico uomo che non mi avrebbe mai tradita.

Passò circa una settimana dal tragico evento e Mary, la mamma di Matt e Sam, prese la sua decisione. Riuniti tutti in soggiorno cominciò a dire.

“Ho una bella notizia per voi. Che ne dite di andare a stare per un periodo dalla nonna. Lei è sola e ha bisogno di noi e penso che sia la decisione migliore anche per noi.”

Sam pensò ai suoi amici, alla scuola, alla sua vita che sarebbe improvvisamente cambiata. Pensò a suo padre. Lui adorava questa casa, adorava questo posto e la gente che lo abitava. Ma era meglio, pensò, che andassero a vivere dalla nonna e incominciassero a vivere. E nel momento stesso in cui pensò ciò, guardò la mamma e annuì alla sua proposta. Solo Matt cominciò a fare i capricci.

“Io non voglio andarmene. Qui ho i miei amici, la mia vita. Papà non vorrebbe questo.” Si alzò di scatto dal divano e corse di sopra, sbattendo la porta della sua camera da letto.

Dopo due settimane Mary aveva deciso che era il momento di partire. Le valige erano pronte davanti la porta di casa. I mobili erano tutti in viaggio sui camion di trasporto L&S TRANSPORTER e la loro destinazione era ormai decisa.

Matt tra sbuffi e capricci salì in macchina, guardando la mamma in cagnesco.

Sam invece guardava quella casa attentamente, come se volesse imprimerla nella mente. Guardava con malinconia. Ogni angolo le ricordava suo padre. Anche lei come Matt non voleva andarsene ma a differenza del fratello sapeva che per ritornare a vivere era meglio allontanarsi dal dolore.

Erano le 8:00 in punto quando Mary premette sull’acceleratore e partì per un luogo che avrebbe rivelato un mistero incredibile.

“Sai chi abita vicino casa della nonna?” Mary si rivolse alla figlia, cercando di rompere il silenzio.

“No, non mi ricordo. Dimmelo tu.” Rispose Sam, non mostrando alcun interesse per quella conversazione.

“ Ma come non ti ricordi? Il tuo amico Andrew.” Disse Mary, questa volta cercando di cogliere l’attenzione di Sam, e sembrò esserci riuscita.

“Andrew?” Sam si sforzò di ricordare chi fosse ma non gli venne in mente nessuno, tranne quel nome che gli sembrava molto famigliare.

“Era il tuo migliore amico. Giocavate sempre insieme. Eravate inseparabili.” Mary cercò di aiutare i ricordi di Sam.

“Andy Collins.” Il nome lo aveva ricordato ma l’immagine di lui era molto distorta dalla realtà.

Il discorso andò avanti ancora per un po’, mentre Matt si era addormentato. Dormiva beato. Il dondolare della macchina gli aveva sempre provocato questo effetto.

Il sole davanti a loro stava tramontando, la strada era ancora lunga. Sam guardava sua madre, meravigliata di quanto potesse essere forte. Osservava i suoi capelli biondi che scendevano sul viso, i suoi occhi intensi, coperti dagli occhiali. In quell’istante si rese conto di quanto fosse fortunata ad avere ancora sua madre vicino. Poi chiuse gli occhi, si strinse nella coperta sul sedile accanto a quello della madre, e si addormentò mente la luna cominciava a prendere il posto del sole.


Salve a tutti sono Monica, spero vi sia piaciuto questo primo capitolo. Fatemi sapere cosa ne pensate con tantissime recensioni!!!

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Capitolo 2
*** Stai lontano da me ***


Salve a tutti...rieccomi di nuovo qui con un altro capitolo di questa storia, che vi sorprenderà.  Mi raccomando fatemi sapere se vi piacerà con tantissime recensioni. Baci...A presto...

Il viaggio era lungo ma mentre dormiva le ora passavano più velocemente. Sam si svegliò con il sorgere del sole. I suoi raggi caldi e accecanti le davano fastidio agli occhi.

Giunti alla casa della nonna, dopo i saluti, gli abbracci e le coccole ai nipoti, Mary e i figli sistemarono le loro cose. Ma Sam non riusciva a dimenticare quel tragico evento. Nonostante si trovasse in un luogo diverso sentiva che suo padre in qualche modo era lì. Ma non sapeva quanto avesse ragione. Non conosceva ancora gli eventi misteriosi che avrebbero avvolto la sua vita, che l’avrebbero confusa e le avrebbero fatto cambiare l’opinione che aveva avuto su suo padre fino a quel momento.

La mattinata passò in fretta tra il racconto di quell’evento accaduto da troppo poco tempo e le tisane calde della nonna.

Il pomeriggio decise di uscire e di cercare di ricordare quel posto, che da bambina aveva sempre adorato. E per sua sfortuna fu costretta a portare con sé anche Matt. Camminavano incuriositi in paese. C’era il mercato. C’era davvero tanta gente.

Ad un certo punto la ragazza fu spinta ed andò a sbattere contro un ragazzo.

“E sta più attenta!” le urlò infastidito.

“Scusami non l’ho fatta apposta.” Disse lei cercando di scusarsi.

Ma niente quel ragazzo era proprio insolente e quel suo modo di essere era fastidiosamente irritante.

“Che razza di maleducato... è così che si tratta una ragazza! Certo che la gente di paese...” Pensò andandosene e guardandolo con aria di superiorità. Sam continuò il suo percorso tra le bancarelle. L’odore degli hot dog era intenso e Matt cominciava a reclamare di avere fame così decise che qualcosa da mangiare non avrebbe fatto male a nessuno. Così con gli hot dog in mano proseguirono. Ad un tratto quel ragazzo, forse per restituire il favore ricevuto prima o forse solo per divertirsi e dimostrare ai suoi amici di essere un duro, giunse alle spalle di Sam e la spinse nello stesso modo in cui lei aveva accidentalmente fatto mezz'ora prima. Scivolò a terra mentre l’hot dog che stringeva fra le mani andò a finire sulla maglietta dei leakers di lui.

“Cavolo ma quanto sei imbranata. Guarda cosa hai fatto alla mia maglietta.” Disse lui urlando

“Capirai è solo una maglia.”

“una maglia? Questa cara mia è la maglia dei leakers. La squadra più famosa di baseball.” Era proprio arrabbiato mentre pronunciava quelle parole e lei rimase impassibile.

“Con un po’ di detersivo la lavi e tornerà come nuova.” intanto si era rialzata in piedi. Si fermò ad osservare meglio quel ragazzo. Aveva un qualcosa di molto famigliare ai suoi occhi, ma più lo guardava, e più non le veniva in mente nulla.

"E adesso? Che cos'hai da guardare? Ti sei imbambolata per caso?" le chiese il ragazzo sventolandole una mano davanti alla faccia. Lei, tornando con la testa a quella situazione, esclamò:

"Senti tu... invece di preoccuparti per quella stupidissima maglia, perchè invece non mi chiedi scusa per avermi scaraventato a terra poco fa?"

"Ma non ci penso proprio... come dice il proverbio... chi la fa, l'aspetti!" esclamò pungente

"Che cosa?" urlò Sam "Che significa questo?"

"Tu prima mi sei venuta addosso!"

"Senti un pò ragazzino..." disse avvicinandosi minacciosa "Prima di tutto io non l'ho fatto apposta... e seconda cosa, quella più importante, io ti ho chiesto scusa!"

"Sai cosa me ne faccio delle tue scuse, bambina!"

"Come mi hai chiamata?" eh, no! quel ragazzo stava proprio esagerando...

"Dai amico.. ti vuoi muovere? Non mi sembra il caso di perdere tempo con le ragazzine ora... abbiamo cose più urgenti da fare..." lo incitò un ragazzo da lontano

"D'accordo.. arrivo!" rispose lui

"Ecco bravo... amico... vai... vattene dalle bestie dei tuoi amici... forse tra animali vi intendete!"

"Questo vuol dire che portei intendermi anche con te allora!" scherzò il ragazzo. Sam si sentiva esplodere, avrebbe voluto tirargli un ceffone. Ma non ci riuscì. Il brunetto si allontanò, ma non prima di avergli rivolto un'occhiata e di averle gridato:
"Ci rivedremo, bambina!"

"Te lo do io la bambina!" pensò Sam guardandolo allontanarsi "E poi, spero con tutto il cuore di non rincontrarlo mai più!"

Purtroppo per lei però, quello era un paese molto piccolo, e che le piacesse o no, quel ragazzo l'avrebbe rincontrato... e anche prima di quanto potesse immaginare!

Verso le sette di sera, lei e Matt fecero ritorno a casa. La madre di Sam, Mary, era intenta a preparare la cena. Ormai erano quattro persone e non voleva di certo gravare troppo sulle spalle dell'anziana signora. La nonna di Sam, invece, stava seduta sul divanetto del salone, e non appena la vide rientrare con il piccolo Matt al suo fianco, le sorrise e le disse:
"Samantha, cara, vieni a sederti un pò vicino alla tua nonnina... come ai vecchi tempi!" la ragazza, non ne aveva molta voglia, ancora scossa com'era da quello spiacevole incontro, ma nonostante questo, lo sguardo tenero della nonna, vinse su tutto, inclusa l'arrabbiatura.

Si sedette accanto a lei.

"Allora, come é andata? Il paese era come te lo ricordavi?" le chiese. Sam non se la sentiva di dirle la verità, non se la sentiva di raccontarle cosa era veramente successo. Così, l'unica cosa che poté fare, fu mentire

"Certo... proprio carino, come un tempo... non é cambiato nulla!" mentì

"Mi fa piacere... sai, temevo che avendo vissuto per tutto questo tempo in città, l'aria di paese non fosse più di tuo gradimento!" ammise la donna.

Sam ci rifletté su per qualche istante. Effettivamente avrebbe preferito rimanere nella sua città, nella sua cara Memphis... ma purtroppo non aveva avuto altra scelta.

"Ed hai incontrato qualcuno che conoscevi?"

"Nonna... non è che abbia mai stretto amicizia nei pochi mesi che venivo a stare da te..." anzi, a dire la verità, aveva sempre preferito starsene in disparte, a guardare gli altri bambini che giocavano.

"Ora che mi ci fai pensare... te lo ricordi quel bambino che giocava sempre con te? Passavate giornate intere nel giardino, ed io vi portavo sempre la merenda..."

"Nonna, per favore..."
"Solo che adesso mi sfugge il suo nome... aspetta... ah, sì... Andrew... tu lo chiamavi sempre Andy..."
"Mi dispiace, ma non mi ricordo proprio di lui!" esclamò Samantha secca

"Ma come? Eravate tanto amici!"

"Evidentemente se non lo ricordo, non eravamo poi così tanto amici!"

"Se non sbaglio abita ancora alla fine di questa strada... subito dopo il supermercato!"

"Nonna, per favore... non penserai di..."
"Perché non vai a fargli visita... sarà sicuramente contento di rivederti dopo tutti questi anni... e magari avrai un amico con cui passare il tempo!" Sam la guardò, senza un minimo interesse. La sua idea non la animava per niente. "Nonna, svegliati, il tempo in cui giocavo con le barbie è finito... non sono più una bambina!" avrebbe voluto dirle. Ma si trattenne. Non voleva trattarla male, non se lo meritava. In fondo era stata gentile con lei. Voleva solo aiutarla... e Sam doveva mostrarle un minino d'interesse.

"D'accordo, mi arrendo... se ci tieni così tanto, domani dopo la scuola, prometto di andare a farci un salto!" esclamò. La donna le sorrise. Sam ricambiò. Era bello vederla sorridere, come un tempo. Mary uscì dalla cucina e si intromise nella conversazione

"A proposito di scuola... hai capito dov'è?"

"Certo, non sono una stupida... subito dopo il parco sulla destra!"

"Bene..." e se ne tornò in cucina, soddisfatta.

Il suo primo giorno di scuola arrivò presto. Uscì di casa, e molto lentamente si avviò verso la scuola. L'edificio in questione portava il nome di Saint Juls. Era un edificio piccolo, ben tenuto, con dei mattoncini rossi che ricoprivano l'intera facciata anteriore. La scuola era circondata da un grande recinto che conteneva un parco, ben curato, pieno di alberi, cespugli e panchine. Si sedette su una di queste, e rimase ad osservare il panorama. Tantissimi ragazzi scherzavano, ridevano e si rincorrevano tra di loro. Era un'atmosfera del tutto strana. Sconosciuta agli occhi della ragazza. Era abituata ormai alla sua vecchia scuola. La Columbus, con il suo cancello bianco, il suo giardino immenso, e quel piccolo gazzebo nel cortile posteriore. Si concentrò a guardare l'abbigliamento di quei ragazzi. Erano pieni di colore, pieni di vita. Vita mai vista, mai vissuta da lei. Era abituata alle uniformi grigie della sua scuola. A quelle gonne fino al ginocchio con le pieghe ed il righino azzurro sul bordo, quelle camicie bianche, e quella cravatta. Era questo il suo abbigliamento scolastico. Non aveva mai impiegato tempo a scegliere cosa mettere per il giorno dopo per la scuola. Infondo, non ne aveva mai avuto l'occasione. E doveva ammettere che vedere tutti quei ragazzi, vestiti con i loro abiti, allegri, spensierati, poco prima dell'inizio della scuola, la mise di buon umore. La campanella prese a suonare, e Sam ben presto si ritrovò imbottigliata nella calca di giovani che si apprestavano a raggiungere le loro classi. Prese un foglio che le aveva consegnato sua madre la mattina, dalla tasca dei jeans. Lesse la classe che le era stata assegnata.

"Aula 37... sezione 3a C!" si guardò in giro. La trovò quasi subito. Con molta esitazione entrò. Nessuno si accorse del suo ingresso. Alcuni ragazzi erano seduti sui banchi. Altri avevano la testa piegata sui libri, probabilmente intenti a ripetere la lezione per quel giorno, altri invece, per lo più ragazzine, ridacchiavano tra di loro lanciando ogni tanto qualche occhiata ai ragazzi. Sam iniziò a sentirsi a disagio. Odiava essere al centro dell'attenzione, ma nello stesso momento odiava essere ignorata. Ad un tratto però, un uomo robusto, sulla quarantina fece il suo ingresso nella classe.

"Silenzio e prendete posto, branco di belve selvagge che non siete altro... dove credete di stare? Allo zoo? E voi, lì, seduti su quei banchi... vi sembra questo il modo? Un pò di decoro non farebbe male! E' un anno che lo diciamo, ma non sembra che voi teste bacate abbiate recepito il messaggio!" sbatté con forza la sua borsa di cuoio sulla cattedra e si sedette. Sam sentì che quello era il momento migliore per intervenire.

"Ehm mi scusi..."
"Sì?" il prof si girò dalla sua parte, così come il resto della classe. Sembrava che solo allora si fossero accorti della sua presenza.

"Chi é lei mi scusi?" domandò il professore

"Mi chiamo Samantha Collins... io sono..."

"Ah, sì... la novellina... mi avevano avvertito del suo arrivo... mi dispiace solo che non le abbiano fatto trovare il tappeto rosso fuori dalla porta!" rispose in tono acido il professore. Qualche risata si alzò dalla classe

"Come scusi?" Sam credette, anzi, sperò, di non aver sentito bene

"Non fare la finta tonta... Ormai vi conosco... voi di città vi credete dei vip... delle star... soltanto perché avete qualche supermercato in più e la vigilanza notturna... solo che poi quando avete bisogno di un posto dove rifugiarvi venite ad elemosinarlo da noi!"

"Io... io non capisco cosa vuole dire..." Sam era sconcertata. Non si era mai trovata davanti a tanta cattiveria e freddezza tutte insieme

"Niente... lascia perdere... vatti a sedere, e vedi di non farmi arrabbiare!" e le indicò un punto non preciso della classe. Sam sospirò, dopodiché, con il sottofondo dei bisbiglii e delle risatine, raggiunse un banco vuoto in terza fila. Si sedette ed iniziò a cacciare i libri dalla cartella. La ragazza che sedeva accanto a lei, una ragazza minuta, occhi scuri, capelli corti, e tante lentiggini, le porse la mano e disse:
"Piacere, io sono Charlotte... allora è vero quello che si dice in giro? Vieni sul serio da Memphis?"

"Sì..." disse soltanto Sam, ma non le diede più modo di parlarle. Si girò in direzione del prof, ignorandola completamente. Che inizio disastroso. Avrebbe voluto tornare nella sua città

"A Memphis una cosa del genere non sarebbe mai successa..." pensò sconsolata. Avrebbe voluto confidarsi con suo padre, probabilmente era l'unico in quel momento che avrebbe potuto capirla. Ma in fondo... se suo padre ci fosse stato ancora... lei non si sarebbe neanche trovata in quel paese, in quella scuola, in quella classe, tra Charlotte e...

Ad un tratto sentì qualcosa di duro che le colpì violentemente la testa. Si girò nella direzione di provenienza e lo vide. Dietro di lei...

"Che ci sei venuta a fare qui? A portarmi i soldi per la mia maglietta?"

"Tu? E' incredibile!" esclamò Sam "E comunque ti ricordo che la scuola è un luogo pubblico... non è mica tua!"

"Si ma alle arroganti di città come te, non è permesso entrare!" Sam sentì di nuovo la rabbia ribollirle dentro. Per la seconda volta quel moretto con gli occhi chiari era riuscito a farla andare su tutte le furie

"Vai al diavolo, idiota!" esclamò, dopodiché tornò a guardare il professore, cercando di controllarsi.

"Ah, dimenticavo!" disse il ragazzo. Si sporse un pò dal suo banchetto fino ad esserle molto vicino,e sorridendole disse: "Benvenuta a St. Rose , bambina!"


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Capitolo 3
*** Non è possibile, ancora tu! ***


         Capitolo 3

 
Chi l’avrebbe mai detto. Quando ci si mette il Caso, il Fato, il Destino. Come lo si vuole chiamare si chiami. Più si cerca di evitare una persona e più questa non fa altro che sbucare da ogni parte e non la si riesce, per quanto ci si sforzi ad evitarla. Questi furono i primi pensieri di Sam dopo aver scoperto che proprio quel ragazzo, così insolente e detestabile, era il suo nuovo compagno di classe.
Il suono della campanella dell’ultima ora si diffuse all’interno di tutte le classi e Sam fece un sospiro di sollievo. Non vedeva l’ora di abbandonare quel luogo e soprattutto quel ragazzo, che non aveva fatto altro che infastidirla per tutta la giornata. Con i suoi stupidi scherzi era veramente riuscito a farsi odiare da lei.
Ma per sua sfortuna non era facile liberarsi di lui.
Sulla strada del ritorno verso casa. Una strada completamente desolata, che metteva letteralmente i brividi, sbucò da una piccola via secondaria proprio lui. Sam sgranò gli occhi.
“Ma non è possibile ancora tu?” disse scocciata.
“Pensi che io sia contento di vederti. Sei sempre tra i piedi.”
“Io? Ma stai scherzando spero! Non so come fare per vederti il meno possibile e invece…”
“Dillo che la fai apposta. Ti sei innamorata di me quella sera e adesso non puoi stare senza vedermi!” disse prendendola in giro per l’ennesima volta.
“Certo che pensi di essere proprio perfetto. Ma non sai quanto in verità ti stai sbagliando.” Disse lei, affrettando il passo.
“No è solo la verità. Guardami…e giudica tu stessa.”
“Ti guardo e l’unica cosa che vedo è un ragazzo gasato, montato con una vanità che arriva alle stelle.”
E dicendo queste parole svoltò verso casa sua, lasciando quel ragazzo con un sorriso malizioso e pensando tra sé e sé –Ne sono certo! Le piaccio!-
Sam giunse a casa qualche minuto prima che cominciasse a piovere. Le nuvole grigie, grandi, minacciose, provocavano in lei una sensazione di angoscia e tristezza e quel paesaggio così cupo e triste favorì quelle sensazioni così contrastanti. Una sensazione indescrivibile. Provata poche volte nella sua vita. I suoi grandi occhi scuri scrutavano il cielo. In quel momento pensieri terribili la invasero. Avrebbe voluto che suo padre fosse lì a rassicurarla come sempre, ma era tardi. Lui non c’era più.
“Mi manca così tanto.” Disse tra sé e sé Sam, voltandosi verso la mamma che era proprio dietro di lei. Lei la guardò con uno sguardo tra il dolce e il triste, ma la sua bambina, che ormai bambina non era più, non riusciva a trovare conforto in quegli occhi, che da sempre l’avevano confortata e protetta.
Andò in camera sua senza voltarsi indietro. Non aveva per nulla fame nonostante le continue prediche della nonna. Seduta alla sua scrivania cominciò a sfogliare senza alcun interesse quel grande libro di scienza. I grandi goccioloni di pioggia picchiavano violentemente contro la sua finestra. Poi guardando attraverso cercava di ammazzare il tempo in qualche modo ma ad un certo punto una grande casa rapì il suo sguardo. Era grande, scura, terrificante. Era una casa abbandonata, in cui da tempo nessuno ci aveva più abitato.
“Stai lontano da quel posto, bambina mia. Non è un posto adatto alla tua curiosità.” Disse la nonna che silenziosamente era giunta alle sue spalle.
“Perché? Tu sai chi ci abitava?” chiese Sam.
“Segui il mio consiglio, stai lontana da quel posto.” E detto ciò uscì dalla stanza dopo aver posato i panni puliti sul letto della ragazza.
“Chissà che cosa intendeva.” Si domandava Sam sempre più curiosa e in quell’istante sia lei sia sua nonna sapevano che proprio quella sua curiosità l’avrebbero condotta a indagare su un mistero che nascondeva un segreto forse troppo grande per lei. Un segreto che sua madre aveva faticato tanto, forse troppo per tenerlo nascosto.

Salve a tutti. Finalmente dopo tanto tempo sono tornata con un nuovo entusiasmante capitolo. Non vi nascondo che ci sia rimasta un pochino male non trovando nessuna recensione e mi domando se la storia vi sia realmente piaciuta. Recensite e fatemelo sapere. Sono accettate anche critiche purchè mi aiutino a migliorare.  Volevo informarvi che ho cambiato il titolo della storia perchè questo mi sembra più adeguato ad una storia tra il romantico e il mistero. Spero vi piaccia... A presto dalla vostra Dolce Mony!

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Capitolo 4
*** Quando ci si mette il Caso! ***


                                                                                           Capitolo 4

 

Quel giorno come tutte le mattine a St. Rose, i bravi mariti si preparavano a

uscire di casa per raggiungere la sede di lavoro, le brave mogli erano intente a preparare la colazione ai figli e i bravi ragazzi si recavano a scuola, tra chicchere felici e risate. Ma in una casa questo non succedeva tutte le mattine.

“Dai ragazzi che siamo in ritardo!” gridava la mamma dal piano di sotto.

“Se tuo figlio si decidesse ad uscire dal bagno forse a quest’ora eravamo pronti.”disse Sam scocciata

“Il mio primo pelo.” Gridò Matt aprendo la porta del bagno tutto orgoglioso.

-Certo che questa famigli è proprio strana.- Pensò Sam guardando perplessa il fratello.

“Guarda sorellina non è bellissimo.” Sam stava per spingerlo indietro ma Matt riuscì ad evitarla.

E dopo qualche minuto furono tutti fuori di casa. Mary si diresse verso l’ospedale e non si sapeva precisamente verso che ora sarebbe tornata. La vita di un’infermiera non è sempre facile. Sam intanto accompagnò Matt a scuola e poi raggiunse il suo istituto.

“Ciao, l’asilo è dall’altra parte del paese.” Disse quel ragazzo misterioso giungendo alle sue spalle.

“Ah sei solo tu.” Disse Sam un po’ delusa dalla sua presenza.

“non sei felice di rivedere l’amore della tua vita?”

“guarda, così felice da toccare il cielo con un dito.”

“Si ne ero certo.” Poi se ne andò mentre Sam lo guardava dicendo tra sé e sé

-Era solo sarcasmo. Chissà se sa cos’è.-

Il suono prorompente della campanella della prima ora non era riuscita a svegliare completamente gli studenti che erano chi presi dai propri problemi esistenziali, chi troppo impegnato a sognare a occhi aperti e chi a recuperare qualche minuto di sonno perso a causa delle ore piccole fatte chissà forse a causa della propria anima gemella.

Sam si sedette al suo posto ignara di quello che l’attendeva. Certe volte il brunetto sapeva essere davvero fastidioso.

Ad un tratto la porta si spalancò e quell’uomo robusto, bassino e quasi senza capelli andò con aria fiera a sedersi alla cattedra. Proprio quel professore che Sam il giorno prima aveva etichettato come l’uomo più acido che esistesse.

“La storia miei cari, giovani e decisamente ignoranti alunni, non è una materia che deve essere presa alla leggera. Ma voi cosa volete saperne del vostro passato se a mala pena conoscete un futuro frivolo e senza significato.”

Quelle furono le sue prime parole entrato in classe.

“Ecco che riattacca con i suoi discorsi dell’età della pietra.” Sogghignò il il bel brunetto, o come tutti lo chiamavano AJ.

“Come dice signorina Collins? In città la storia è forse diversa?” disse il prof puntando la ragazza senza un minimo di ritegno morale.

Sam girò la testa di scatto, dritta di fronte a lui.

“Ma io..veramente!” balbettò la ragazza confusa.

“Non dica niente. Li conoscoi ragazzi di città, pensano di sapere tutto, ma come tutti i ragazzi sono semplici bestioline capaci a mala pena di capire cos’è un museo, un mondo lontano dai ragazzi.”

E così continuò quella mattinata tra il prof di storia che doveva prendersela con i giovani per non essere costretto ad ammettere che la sua esistenza si fermava al passato senza essere in grado di costruire un futuro e il bel brunetto che si divertiva alla spalle di Sam a cacciarla sempre nei guai.

Se solo avesse ricordato la sua di storia forse questo non sarebbe successo, forse il futuro sarebbe stato decisamente diverso. Ma nessuno dei due ricordava. Cancellato ogni ricordo di quel passato felice, che avrebbe da lì a poco cambiato ogni loro gesto, ogni loro sguardo, ogni parola e chissà, forse, avrebbe portato un futuro diverso da quello che i due ragazzi si erano ormai rassegnati a portare a termine.

Finalmente quel suono, il suono della libertà. La campanella. Tutti i ragazzi si affrettavano ad uscire dalle loro aule, solo Sam non sembrava avere tanta voglia di ritornare a casa.

“Dai non te la sarai mica presa. Io stavo scherzando. Era per divertirci un po’.” Disse AJ fermandosi accanto a lei.

“Stai lontano da me.” lo intimidì lei e se ne andò.

Sulla via per casa, persa tra i suoi pensieri, passò vicino quell’edifico.

Una casa grande, abbandonata. Attirava troppo la sua curiosità. Sentiva che qualcosa era successo lì dentro ma ancora non sapeva cosa.l’erba del giardino era alta e un grande mistero avvolgeva quel luogo.

Con passi leggeri si avvicinò al cancello mentre la sua fantasia cominciava a navigare.

“Chissà, forse qui abitava una giovane fanciulla lasciato da un comandante bello e affascinante e per amore si è tolta la vita.” E così fantasticò per altri minuti, non sapendo quanto in verità si trovasse distante dalla realtà dei fatti.

Una mano fredda, dalle spalle della giovane, si poggiò sulle labbra calde di Sam. Un grido smorzato si riuscì a percepire attraverso quelle mani forti.

Con un colpo riuscì a liberarsi. Agitata e un po’ sconvolta. Soprattutto dopo quei suoi pensieri.

“Ma sei cretino? Ma cosa ti dice di fare il cervello?”

“Ti sei spaventata?” chiese lui divertito.

“Certo, mi hai fatto quasi morire.” E detto ciò, portò una mano alla testa cercando di calmarsi.

“Allora missione compiuta.”

“Idiota.” Sam se ne andò sperando che AJ non la seguisse.

“Dai non volevo offenderti. Stiamo diventando così amici. Era solo uno scherzo.”

“Amici? Noi due non saremo mai amici.”

“No è vero,scusa, siamo amanti.”

“Cosa? Tu non sarai mai il fidanzato. Non sei il mio tipo.”

“Questo non lo sai, potrei essere la tua anima gemella.”

“Forse in un’altra vita.”

“Si e potremmo abitare in quella casa che ti piace tanto.”

Lei lo fulminò con lo sguardo e poi gli chiese.

“A proposito, sai per caso chi ci abitava in quella casa?”

“Allora vuoi abitare lì con me?” Disse con aria sorpresa.

“Non hai risposto alla mia domanda.” Disse lei evitando il suo sguardo

“So solo che a causa di un incidente domestico la cucina andò a fuoco e una bimba rimase vittima dell’incendio. Non so altro. Lo giuro.” Disse cercando di restare serio per un solo istante.

“Ora rispondi tu alla mia di domanda.”

“Ora vado. Ciao”

“Sam, Sam ma dove vai?” le gridò lui ormai lontano da lei.

-spero di non vederti più, almeno per oggi.- pensò Sam abbandonandolo al primo incrocio.

Giunto il pomeriggio, sotto stretto incitamento della nonna decise di andare a trovare Andy. Il suo migliore amico. Ma era passato così tanto tempo, chissà se si sarebbe ricordato di lei. Chissà se sarebbe stato felice di rivederla. Chissà era ancora lui. Quel ragazzino paffuto e simpatico che riusciva sempre a farla ridere. Ma a volte il tempo potrebbe trasformare tutto e farci rendere conto che la realtà è completamente diversa da come l’avevamo lasciata.

Queste furono alcune delle mille domande che Sam si poneva cercando, tra tante, proprio quella casa.

Davanti quella casa, grande, bella, armoniosa, Sam era decisamente indecisa se suonare il campanello o tornare indietro. La sua timidezza era ormai percettibile dalle sue guance rosee e le mani che cominciavano a sudarle.

Suonò il campanello. L’attesa era forse il momento peggiore, ma peggiore era il momento in cui quella porta si aprì e si ritrovò di fronte proprio lui. Proprio il lui che non si sarebbe mai aspettata. Il caso, la fortuna, il destino in qualunque modo lo si vuole chiamare si chiami, a volte possono essere crudeli o forse dare solo una mano in situazioni incomprensibili.

Salve a tutti sono tornata con un nuovo capitolo e spero che vi piaccia tantissimo e mi raccomando fatemelo sapere con tantissime recensioni. Un saluto in particolare a Miky1991 per il suo commento. Spero vivamente che continuerai a seguire questa storia. A presto!

                                                                                         

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