Realtà Parallele

di Berker
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** -Raptor- ***
Capitolo 2: *** Merda ***
Capitolo 3: *** In Gabbia ***
Capitolo 4: *** Nothing Land ***



Capitolo 1
*** -Raptor- ***


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INGRESSI ENERGETICI PRIMARI ATTIVI
INIZIALIZZAZIONE CICLO NEURALE


SONDA SPIA 456YK85  ATTIVA

NUOVA SESSIONE APERTA

SCANSIONE IN CORSO

 

NOME PIANETA ASSEGNATO DA POPOLAZIONE INDIGENA: TERRA
ANNO 3*108 DELLA STELLA KOREH

PREPARAZIONE ALLA REGISTRAZIONE DEL DOCUMENTO STORICO

 

ANALISI IN CORSO…

 

SETTAGGIO TEMPORALE ATTENDERE PREGO…

REGOLAZIONE TEMPORALE BASATA SULLA ORBITA DI SOLE COMPLETA

10^ ERA DALLA NASCITA DELLA PRIMA SPECIE SENZIENTE DEL PIANETA
5^ ERA DALLA GRANDE FUSIONE
2000° CICLO DALLA CONCLUSIONE DELL’ULTIMA ERA
MESE SOLARE 19° GIORNO 5°

ASSIMILAMENTO TEMPORALE COMPLETATO
IL DOCUMENTO STORICO PUO’ ESSERE ARCHIVIATO CORRETTAMENTE

COLLEGAMENTO CON ALTRE SONDE IN CORSO…

COLLEGAMENTO COMPLETATO

INIZIALIZZAZIONE DELL’ARCHIVIAZIONE IN CORSO

INIZIALIZZAZIONE COMPLETATA

AVVIO IN CORSO

...

...

CAPITOLO I

7^ Era    2000° Ciclo  19/05   00:20 AM
Foreste dell’Ex Europa

Un tonfo destò Elladan dal suo sonno. Faceva caldo e una tenue luce rossastra e tremolante penetrava dalla finestra socchiusa sulla parete opposta illuminando il rustico e scassato mobilio della stanzetta.
Il suo corpo era inondato di sudore, la calura era insopportabile.
L’elfo si alzò dal suo giaciglio cercando a tentoni di avvicinarsi a quell’inquietante chiarore.
Era poco più che un ragazzo; mingherlino, dai lineamenti spigolosi, i capelli corvini, gli occhi scuri e le orecchie a punta.
Non era un grande guerriero sebbene avesse sempre tentato di esserlo, non era mai stato forte come avrebbe voluto, suo padre gli diceva che sarebbe bastato esercizio ma iniziava a pensare che non avrebbe mai acquisito l’abilità a cui ambiva.
Forti grida turbarono la sua calma,un brivido gli attraversò la schiena. Arrivato alla finestra rimase per un istante appoggiato alle tiepide ante di legno di faggio e si fece forza,non sapeva cosa gli avrebbe riservato l’esterno.
Spinse con un colpo secco i battenti e una scena spaventosa apparve davanti ai suoi occhi.
Uno dei suoi peggiori timori si mostrò in tutta la sua cruenta verità.
Raptor!
Creature tanto rapide quanto letali e crudeli.
Alti all’incirca quanto un uomo, nonostante ormai la loro struttura fisica si fosse abituata alla posizione bipede avevano ancora bisogno di una possente coda per bilanciare il peso nella corsa e rimanere in equilibrio: avevano infatti ereditato l’antica abitudine di correre con il torace proteso in avanti.
L’evoluzione aveva dotato queste creature di arti superiori sviluppati e dotati di mani con pollice opponibile simili in tutto e per tutto a quelle umane tranne che per la presenza di tre sole dita.
La loro corporatura esile ma muscolosa, la pelle del dorso era a squame sottili, con colorazione che cambiava da individuo a individuo, spaziando da colori sgargianti come il rosso e il blu ad un tenue marroncino verdastro, mentre era costituita da placche sul ventre.
In svariate zone del corpo i rettili presentavano piumaggio spesso concorde con i colori della loro pelle, la chioma di piume sulla testa era decisamente la  più folta e trattata da ognuno di loro come gli uomini trattano i capelli; alcuni mostravano una cresta appariscente, o una folta criniera di piume o la tagliavano completamente in quanto non necessaria ad indirizzare il loro corpo nella corsa al contrario delle piume degli avambracci e di quelle presenti sulla parte terminale della loro coda.
Avevano un cervello incredibilmente sviluppato, forse il più sviluppato che si conoscesse e di poco superiore a quello umano, essi erano in grado di comunicare praticamente in tutte le lingue conosciute; erano inoltre capaci di costruire armi sofisticate quali i fucili a microonde o pistole a raggi UV.
Sebbene la loro forza fisica negli arti anteriori fosse piuttosto ridotta adoravano il combattimento corpo a corpo e spesso preferivano usare spade ad energia,leggere e maneggevoli uguali a quelle usate nei film di StarWars ma con un profilo più simile a quello di una normale lama: piatta e terminante in una acuminata punta, semplicemente per provare il gusto di squartare le loro vittime con le proprie mani.
Potevano inoltre vantare una velocità di corsa strepitosa, e una agilità non indifferente basando i loro attacchi sul numero e su un impeccabile senso strategico.
Rappresentavano una delle civiltà maggiormente evolute del pianeta; guerriera, era governata da una struttura politica consolare; i giovani appena nati venivano subito introdotti in grandi comunità divise per età dove venivano addestrati nell’arte della lotta senza distinzione tra sessi, i piccoli ritenuti deboli venivano uccisi immediatamente. In pratica il loro sistema politico era identico a quello utilizzato nella comunità spartana del mondo umano.
Militarmente imbattibili nelle armi leggere si erano raggruppati in enormi metropoli cinte da mura di cemento armato.
I Raptor erano inoltre tristemente famosi per la loro abitudine di schiavizzare  qualunque creatura in grado di lavorare autonomamente, ominidi in primis.
In un agglomerato urbano Raptor il 70% della popolazione era costituita da schiavi ma, vista la crudeltà di queste creature nel mantenimento della disciplina della forza lavoro, solo raramente raggiungevano la vecchiaia.
Così periodicamente la popolazione degli schiavi doveva essere integrata con nuovi elementi prelevati ovviamente in natura.
Un gruppo di questi sauri aveva attaccato il villaggio e lo stava saccheggiando: bruciando le case e uccidendo senza pietà tutte le creature incapaci di svolgere lavori pesanti, i rimanenti venivano ridotti in fin di vita e portati a forza fuori dal villaggio. Alcuni rettili strappavano a morsi brandelli di carne dai corpi senza vita delle loro vittime.
Altri combattevano contro elfi armati di obsolete spade di lega metallica studiate appositamente per resistere alle alte temperature generate dai campi energetici delle spade raptor e altri ancora barcollavano o strisciavano morenti feriti mortalmente alla schiena o semplicemente senza coda: essa infatti era spesso presa di mira dai fendenti dei guerrieri che l’ avevano inquadrata come un punto debole.
Il giovane rimase paralizzato dal terrore di fronte alla finestra, in preda ad un incontrollato tremore.
Nel panico totale riuscì a scorgere sua madre morente in un angolo e suo padre che lottava con tutto se stesso contro due grossi e minacciosi rettili per proteggere il figlio e la sua stessa vita.
Nel combattimento l’anziano elfo incassava con il pesante scudo i colpi micidiali degli avversari o li schivava con abilità.
Per qualche breve istante il suo sguardo si incontrò con quello del figlio, bastò per dire tutto quello che sarebbe servito -scappa!- ma le gambe del ragazzo erano pietrificate e i suoi piedi sembravano ancorati al pavimento dal terrore e dai dubbi.
Forse avrebbe dovuto aiutare il padre, forse scappare non era la soluzione giusta.
Rimase immobile nella penombra, lo sguardo perso nel vuoto.
Nel frattempo il padre continuava la sua dura lotta contro i due Raptor; con un balzo felino riuscì a saltare sulla schiena di uno di essi e a infilzarlo con la sua fedele arma. Il rettile urlando di dolore afferrò l’uomo è lo scaraventò violentemente a terra e, dopo aver estratto la spada che aveva piantata nel dorso e averla scagliata alle sue spalle, si lanciò sull’avversario ancora disteso.
Ma prontamente l’uomo compì una spazzata che fece sbilanciare la lucertola, recuperò l’arma abbandonata poco prima e la alzò al cielo per assestargli il colpo di grazia.
Ma aveva abbassato la guardia,si era dimenticato del secondo rettile che approfittò della sua distrazione per un attacco alle spalle.
Lo trafisse da parte a parte, la lama della spada dell’essere ridusse per qualche secondo di emettere la sua caratteristica luminescenza rossastra, poi, da essa, si levò una nuvola di vapore. Il Raptor la fece rigirare una decina di volte  nella ferita fumante sghignazzando agli urli di dolore della sua vittima, poi la ritrasse di scatto allontanando l’uomo con un calcio. L’arma emise un sibilo poi il rettile la disattivò e la lama scomparve nell’impugnatura, dopodiché la agganciò al cinturone e si mise a osservare il vecchio barcollante.
L’uomo tossì e si lasciò cadere in ginocchio,un rivolo di sangue gli sgorgò da un lato della bocca e ai suoi piedi il terreno cominciò a colorarsi di rosso. Poi,inaspettatamente,si mise a ridere di gusto.
I due Raptor, che prima parevano divertiti, si guardarono l’un l’altro perplessi.
«Avete vinto la battaglia vecchi miei» sussurrò il vecchio con un filo di voce «ma morirete tutti lo stesso.» Seguì una debole risata. «L’esercito draconiano sarà già stato avvisato a quest’ora…abbiamo mandato un messaggero pochi minuti prima dell’attacco.» Si interruppe lanciando qualche colpo di tosse misto a sangue. «Avrete addosso almeno un guardiano entro domattina.»
La seconda lucertola allora si scagliò sul vecchio lanciando un urlo di rabbia e iniziò a colpirlo con forza finché non smise di respirare.
Uno dei due Raptor stava esaminando il corpo senza vita di suo padre e l’altro si guardava attorno con circospezione. Elladan, scosso, si lasciò sfuggire un gemito.
Fino a quel momento nessuno aveva scorto il ragazzo: la finestra da cui spiava i movimenti esterni si trovava piuttosto in alto e l’ oscurità aveva nascosto la sua posizione ma, forse, i Raptor avevano anche un ottimo udito.
Lo sguardo del rettile, infatti, si posò su di lui; si sentì mancare: a quel punto non c’era motivo di fuggire e un combattimento sarebbe stato un suicidio.
Sperò che l’ombra avesse coperto la sua figura e rimase immobile ma la creatura si mosse verso l’edificio e sfondò la porta del piano inferiore con un calcio delle zampe posteriori ben assestato. Ormai la creatura stava salendo le scale.
Il giovane cominciò a guardarsi attorno smarrito capendo di essere in trappola: la piccola stanza non lasciava una via di fuga possibile oltre alla finestra… troppo in alto per tentare un salto; poi il suo sguardo si posò su un tarlato e massiccio armadio a due ante posto sulla parete opposta alla porta, alla sinistra del letto.
Fece appena in tempo a chiudersi all’interno dell’armadio quando il rettile disintegrò la porta decadente con un colpo di spada.
Elladan dal suo nascondiglio osservava l’esterno dalla fessura che separava le due ante del suo nascondiglio.
La coppia di barbari era entrata all’interno della stanzetta cercando il giovane e scrutavano l’ombra con movimenti lenti. Aggrottarono la fronte cercando di vedere meglio se qualcosa si nascondeva negli angoli più bui. Dalla fessura fra le ante Elladan notò il rivolo di sangue che sgorgava dalla schiena di uno dei due Raptor. Scivolava lungo la sua coda fino a cadere sul pavimento con un ticchettio di gocce che facevano sembrare all’elfo quegli istanti interminabili.
Poi l’altro si avvicinò alla finestra e guardò tutt’intorno per verificare se c’era stato un tentativo di fuga ma non vedendo niente riportò la testa all’interno della abitazione e rimase immobile per qualche altro momento.
Quindi digrignò i denti e sputò fuori una scarica di suoni ad alto volume,probabilmente imprecazioni nella sua lingua,per Elladan totalmente incomprensibili.
Il rettile era furente,ancora sibilava irritato alla ricerca di qualche obbiettivo su cui sfogarsi,barcollò alcune volte guardandosi intorno e il suo sguardo si posò sul letto.
Doveva aver pensato che il suo obbiettivo si fosse nascosto li sotto perché mostrò le taglienti zanne bianche in un sorriso soddisfatto che aveva in se una ferocia quasi agghiacciante.
Piegò le zampe posteriori e afferrò uno spigolo del letto,alzò improvvisamente le mani sbalzando la struttura in aria facendola ribaltare.
Ma il Raptor non era soddisfatto, non aveva trovato quel che voleva e quello che per qualche attimo era stato un palese trionfo si è rapidamente trasformato in una sconfitta,oltre che una pessima figura davanti all’altro che già accennava una risatina di scherno.
«Wash hu ragh tso uh’kolo!» alcune parole in raptor che dovevano essere taglienti come una lama visto che una luce di furia apparve negli occhi giallognoli dell’altro.
Un singolo istante, il raptor umiliato scattò con un balzo fino a pochi metri dall’altro sganciò la spada dal cinturone e la attivò nel medesimo istante facendo apparire la lama rosso vivo«Ho’reo gha yu kha ryukku!» una risposta probabilmente ma anche il significato di quella era ignoto all’elfo che osservava la scena nascosto nell’armadio.
Un flash e un sibilo, la lama laser tranciò di netto la testa del raptor che, già ferito, non riuscì ad evitare il colpo e cadde sul pavimento senza vita in un lago di sangue incredibilmente scuro mentre la testa rotolava in un angolo. La lama crepitò ancora alcuni secondi mentre il sangue che gli si era attaccato evaporava in una nuvola di vapore, l’odore di carne bruciata arrivò alle narici di Elladan, estremamente sensibili come quelle di ogni altro componente della sua stessa sottospecie dell’uomo.
Gli risultò tanto forte che venne colto da una nausea, fu sul punto di vomitare ma trasse alcuni profondi respiri e riprese il controllo del suo corpo.
Ma qualcosa non andava, non aveva vomitato ma stava ansimando rumorosamente. Troppo rumorosamente.
Nella stanza era calato improvvisamente il silenzio, si sentì rivoltare lo stomaco per il terrore.
Guardò fuori appena in tempo per vedere il raptor a pochi metri dall’armadio che lo scrutava come se potesse vedervi all’interno, Elladan avrebbe voluto raggomitolarsi ma i suoi muscoli erano pietrificati dalla paura. Il raptor fece per andarsene ma si voltò di colpo facendolo sussultare, era un giochino che la creatura stava facendo per mettere alla prova i suoi nervi. Lo rifece un altro paio di volte e poi rimase fermo davanti all’armadio, alzò una mano oltre la propria nuca a caricare un colpo e lanciò la mano in avanti chiusa a pugno.
Sfondò le ante di legno tarlato come se fossero state fatte di polistirolo e afferrò Elladan al collo piantandolo contro il muro, quindi lo strattonò indietro togliendo dalla loro sede quelli che ormai erano i resti delle ante «Stupido sapiens»
Sibilò il rettile alzando il ragazzo che si dimenava nel tentativo di liberarsi dalla presa«Ti accorgerai che la morte sarebbe stata poca cosa in confronto a quello che ti accadrà»
Una risata tra i denti mentre stringeva la presa tanto da far diventare l’elfo paonazzo, poi gli avvicinò il muso al volto  guardandolo negli occhi, si faceva beffa di lui.
Con una frenesia incitata dal sogghigno del dinosauro Elladan pensò a come poteva evitare di fare la fine del padre e della madre che ancora gli bruciava come una ferita aperta. Improvvisamente posò gli occhi sul Raptor morto. E capì anche cosa poteva fare. Con uno strattone verso l’alto fece allentare la stretta ferrea della creatura e, improvvisamente, morse il muso della bestia con tutta la forza che possedeva nella mandibola.
Per la sorpresa e il dolore il rettile mollò il collo di Elladan con un gracchiare acuto per portarsi una mano al muso dolorante dandogli giusto quel tempo che gli bastava per sgusciare via.
Le gambe lo reggevano male e, come diretta conseguenza, rovinò a terra finendo dritto nella pozza di sangue che circondava l’altro Raptor. Inorridì quando la guancia ed i vestiti si inzupparono di sangue ancora caldo ma ebbe il buon senso di non soffermarsi su quel particolare e afferrare invece la spada laser che il dinosauro aveva ancora stretta nella zampa anteriore.
L’ afferrò con mano tremante e, attivandola, la puntò contro il Raptor. Anche il dinosauro aveva attivato la sua e, immediatamente, Elladan comprese che non sarebbe stato in grado di vincere un combattimento: già prima se n’era accorto. Uno scontro sarebbe stato un suicidio.
Ma avrebbe provato comunque; se non altro, era la sua unica possibilità.
Stringendo la spada convulsamente si avventò con un grido verso il Raptor che, indubbiamente più abile di lui, si scostò di lato con un sibilo e mandò la sua spada a scontrarsi con quella dell’elfo. Forse non la teneva abbastanza saldamente, forse non era semplicemente abbastanza esperto; l’arma gli volò di mano e, mentre il laser rientrava nell’impugnatura, gli sfiorò la guancia sinistra lasciandogli un segno rosso. Elladan urlò. Poi sentì un colpo violento al volto e cadde riverso a terra, con la testa annebbiata, sprofondato nella semi incoscienza.

Si risvegliò con un rumore di ruote nelle orecchie, una cacofonia di suoni che non riusciva a identificare pienamente, nel suo torpore. Spostò la testa di lato e sentì un dolore tremendo alla guancia e alla testa; si sollevò di scatto per la fitta ma non fece che peggiorare ulteriormente le cose provocandosi un terribile mal di testa.
La vista offuscata non gli permetteva di capire perfettamente dove si trovasse, riusciva solamente a distinguere delle sbarre ed i corpi di altre persone attorno a lui, alcuni sofferenti, altri addormentati, altri indifferenti. Alcuni attenti e costantemente in allarme.
Si era di nuovo lasciato cadere sul pavimento di freddo metallo ma si avvide comunque di una figura magra che si faceva largo fra gli altri per gattonare fino a lui. Un viso da ragazzina con il naso piccolo e sbarazzino occupò la sua visuale.
«Elladan? Mi senti?»
Aveva una voce squillante e ancora da bambina ma l’elfo era troppo concentrate sull’aspetto per dar peso alle parole. Il fatto era che quell’elfa aveva i capelli verdi. Verdi come l’erba di un prato e le foglie estive, tagliati corti e acconciati sulla cima della testa in una serie di ciocche vivaci e ribelli, sparate attorno alla testa; una fascia di metallo attorno alla testa contribuiva ad impedire ai capelli di cadere smorti sul collo, tenendo l’acconciatura sollevata. Gli occhi erano verdi quanto i capelli trasmettevano un senso di vivacità, sicurezza e vigore che Elladan aveva notato solo in pochissime ragazze del suo villaggio.
«Elladan! Mi senti, si o no!?» Adesso aveva un tono decisamente impaziente.
Probabilmente si era accorta che era sveglio ma che non la stava ascoltando.
«Ti sento, ti sento.» Le sue stesse parole gli rimbombavano nella testa come colpi di cannone.
«Bene!» Si sedette in ginocchio di fianco a lui ma non provò ad alzarlo, forse temendo che avesse delle ossa rotte. «Jonah! Elladan è qui.»
L’elfo non conosceva la ragazza, o perlomeno non ricordava di averci mai parlato, ma sapeva perfettamente chi fosse Jonah: una delle persone a cui teneva di più al mondo, il suo più vecchio amico.
Provò ad alzarsi a sedere per incontrare lo sguardo bruno dell’amico, per poter trovare consolazione nei suoi occhi neri sempre sicuri e sempre ragionevoli. Ma la ragazza gli premette una mano sul petto per impedirglielo. «Sta giù te. Ti sei rotto la testa.»
Ecco spiegato a cosa era dovuto quel terribile dolore che aveva sentito appena sveglio.
Elladan guardò l’elfa dai capelli verdi mentre parlava a gesti con Jonah e, con disappunto, vide che l’amico non sembrava intenzionato a parlare con lui per il momento.
Loro due, da bambini, erano stati inseparabili, ma Jonah era sempre stato il più dotato dei due: il più coraggioso, il più intraprendente. Anche il più ribelle. Ma poi lui era diventato un ranger e aveva cominciato a passare settimane lontano dal villaggio, all’inizio col lavoro di staffetta, poi come un vero e proprio esploratore di avanscoperta e come controllore dei confini, ed Elladan aveva cominciato a vederlo sempre meno.
«Ti sei anche scottato la guancia. Spada laser immagino.»
Elladan annuì a quelle parole e le immagini terribili di qualche ora prima gli affollarono la mente in tormentosi flashback: la madre morente, il padre fatto a pezzi, il Raptor nella sua camera…
Il viso della ragazza si incupì «Sei stato stupido a voler combattere con una di quelle bestie. Sei fortunato ad essere vivo»
«Piuttosto mi chiedo come faccio ad esserlo»
Un lungo sospiro dalla giovane
«Quegli esseri si sono accorti che non eri morto e ti hanno catturato, così come hanno fatto con noi, ci hanno messo in queste gabbie ed ora ci portano con loro, ci portano alla capitale»
Il ragazzo la guardò perplesso
«Ma quindi…cosa vogliono da noi?»
Lei abbasso lo sguardo, come per allontanare quello che gli avrebbe mostrato l’altro
«Ci fanno schiavi.»
Elladan spalancò gli occhi con un moto d’orrore, era quello che temeva. «Schiavi?» La sua voce era poco più di un sussurro.
La ragazza annuì grave.
«Si. Gli adulti, i ragazzi, tutti coloro che sono in grado di compiere lavori di forza.» Un sospiro di rammarico. «E chi non riesce a superare il viaggio diventa parte dei loro banchetti.» Una breve pausa. «Ah dimenticavo, tu non mi conosci, mi chiamo Thiara.» Sorrise amichevolmente come se le cose sconcertanti delle quali aveva appena parlato fossero già lontane.
«Ci fanno cosa?!» Elladan non riusciva a lasciare che la discussione si concludesse.
Thiara alzò un sopracciglio lievemente infastidita. «Hai capito bene…schiavi…vuoi forse che ti chiarisca il concetto?»
L’elfo abbassò lo sguardo in preda allo sconforto. «No.» Scosse la testa come a voler scacciare quella scomoda prospettiva. «Non voglio, dobbiamo andarcene…»
Sapeva fin troppo bene qual’era il destino di uno schiavo dei raptor; un lavoro devastante ad un ritmo lacerante, la vita da schiavo ti consuma rapidamente uccidendoti nel giro di pochi anni. Ma non era tanto la morte quanto la prospettiva di che cosa l’avrebbe causata a essere insopportabile, non poteva finire così.
«Non fare il bambino capriccioso!» Ribatté lei. «Ovviamente tenteremo di fare qualcosa, nessuno qui vuole finire schiavo.»
Elladan si zittì, non perché le parole dell’altra l’avessero tranquillizzato, piuttosto ogni parola che diceva gli risuonava fin dentro la testa facendogli provare un dolore impressionante.
La vista gli si annebbiò di colpo, sentì il sonno attanagliarlo di nuovo mentre l’energia veniva meno. Si sforzò invano di tenere gli occhi aperti ma cominciò a vedere bianco e lasciò che si chiudessero.
«Bene ora sta fermo e lasciami fare.» Sentì dire Thiara mentre gli alzava la testa e gli riversava qualcosa di freddo e vischioso sulla fronte.
Lentamente i suoni divennero un ronzio e i sensi gli venirono meno mentre una sensazione di torpore gli avvolgeva il corpo.
Poi il buio.



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Et voilà! Quando alla mente malata di un ragazzo in overdose di Halo e Jurassic Park si aggiunge qualche libro fantasy il povero cervello striminzito si accartoccia e al tizio salta in mente di mettersi a scrivere qualcosa.

L'idea mi è saltata fuori da una battuta di preciso...ma non volendovi togliere il gusto di scoprire come questo mondo si è generato mi astengo dal rivelarvi ora di cosa si tratta.
E ormai il danno è fatto, che dire...spero sia di vostro gradimento!

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Capitolo 2
*** Merda ***


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Capitolo II

 

7^ ERA   2000° CICLO  20/05   11:30 PM
NOTHING LAND

«Merda, merda, merda…»
Zark Dabnik non poteva far altro che ripeterselo di continuo mentre correva tra i bidoni dell’immondizia di un vicolo buio, con il cuore in gola e il fiatone.
«Merda, merda, merda…»
Un fragore tremendo parecchi metri più indietro, clangore metallico di qualcosa che veniva buttato lontano e impattava sull’asfalto.
Un gatto spaventato scivolò tra le sue gambe correndo via miagolando in preda al panico.
Zark non era mai stato un grande corridore.
Si fermò un istante, uno solo per respirare. I rumori dei bidoni sbalzati via erano sempre più vicini.
«Merda, merda, merda…»
Le iridi a taglio scivolarono rapidamente tra le ombre, tentando invano di trovare una via di fuga alternativa, un qualsiasi fottuto buco dove potersi infilare per uscire da quella situazione.
Zark nonostante appartenesse all’unica specie evolutasi direttamente da rettili piuttosto che da dinosauri non aveva mai saputo mantenere il sangue freddo.
E mai aveva amato troppo scappare, lui le cose le ha sempre guardate in faccia, sfidate…purtroppo fino ad ora il suo atteggiamento si è rivelato tutt’altro che soddisfacente.
Ma odiava quella situazione, se l’avessero preso sarebbero stati guai, guai grossi e ormai l’inseguimento durava da qualche minuto.
«Sono ossi duri…» un mugugno detto tra le zanne.
Prese il respiro e si voltò ricominciando a correre, in quei cunicoli c’era un odore infernale, il giubbotto imbottito che indossava aveva iniziato a perdere piume da un bel pezzo, doveva essersi impigliato in qualche reticolo o strappatosi a causa di una sporgenza dei bidoni, ormai era quasi vuoto, lo squarcio si apriva dal gomito alla fine della manica da cui usciva una mano artigliata e coperta da un guanto di lana nero senza dita.
All’altezza del collo si poteva vedere il colletto di una camicia bianca a quadratoni rossi bordati di nero, le gambe erano coperte da un paio di jeans rattoppati alla buona e ai piedi portava delle vecchie scarpe da ginnastica.
Trasandato e sporco, con quel fisico slanciato e gli occhi incavati al momento dimostrava di essere in uno stato ancora peggiore del solito.
I lineamenti rettiliformi del giovane erano evidenziati semplicemente da una pallida luce intermittente proveniente da una lampada al neon fissata alla muratura del vicolo.
Inchiodò di colpo puntando i piedi a terra, solo per un soffio non si era schiantato contro una ampia sezione di rete metallica coperta di ruggine posta nel vicolo per impedire il passaggio.
E come se non bastasse i suoi inseguitori stavano guadagnando terreno, poteva sentirli chiaramente mentre si avvicinavano.
Un varco, serviva un varco, il muso grigiastro del rettile scattò a destra e a sinistra alla ricerca di un buco tra le maglie del reticolo.
Niente da fare.
Un tremendo baccano, poi il coperchio di uno dei bidoni saettò attraverso la stretta via sfiorandogli la testa e rimbalzando contro la rete cadendo al suolo completamente deformato.
Zark deglutì, non voleva di certo fare la stessa fine.
Infine si decise, pochi passi indietro, poi scattò verso l’ostacolo e si aggrappò alla maglia issandosi.
Agilmente si arrampicò fino alla sommità della rete, deciso ci spinse sopra le mani per spingersi verso la salvezza.
Peccato che ci fosse il filo spinato.
Un urlo di dolore, le spine gli entrarono nel tessuto dei guanti, poi sulle mani; preso alla sprovvista non potè che lasciare la presa. Un tonfo secco mentre il suo corpo impattava con forza impressionante contro l’asfalto emettendo un tonfo secco.
Ormai era stanco e il vantaggio che aveva ottenuto si stava rapidamente annullando.
«Non questa volta» ringhiò rimettendosi ancora dolorante sulle zampe e ricominciando la sua scalata.
Si preparò al dolore, quando arrivò in cima strinse i denti e si tirò su lanciandosi dall’altra parte, lasciando che il filo spinato si conficcasse nella carne.
Quando arrivò dall’altra parte sentiva i guanti di lana completamente inzuppati, per il buio non poteva vedere quasi niente ma era sicuro che se avesse potuto avrebbe visto il suo sangue.
Schizzò avanti ricominciando a correre all’impazzata, di tanto in tanto afferrava un bidone della spazzatura ribaltandolo in mezzo al vicolo così da disturbare l’intercedere dei suoi inseguitori.
Gli saettava in continuazione tra i piedi ogni genere di creatura; dai gatti, ai ratti fino ai piccoli copy.
Si trattava di dinosauri non più grandi di un pollo, una specie molto antica che si era adattata perfettamente a vivere nei bassifondi delle grandi metropoli, nutrendosi di rifiuti e di qualsiasi altra cosa commestibile.
Come ratti ma più intelligenti e famelici, trovarsi a fronteggiare un gruppo molto ampio di quelle creaturine era una esperienza per nulla piacevole, anche se quegli animaletti uscivano raramente in gruppo dalle fogne.
Per questo motivo ormai nessuno si azzardava a fare lavori di manutenzione senza un buon arsenale, l’ultimo addetto che aveva fatto l’errore di avventurarsi nei cunicoli sotterranei senza una bomboletta di veleno gassoso era stato trovato completamente scarnificato.
La schiena di  Zark fu percorsa da un brivido, nel caso l’avessero preso avrebbe potuto facilmente fare anche quella fine.
Se non una peggiore.
Improvvisamente il vicolo fu percorso da l’ennesimo clangore metallico, seguito da un tonfo fragoroso poi qualcosa che strisciava contro il suolo, molto simile al rumore che emette una lavagna quando la si gratta con le unghie.
No, non era stato un bidone spostato.
Quegli energumeni avevano sfondato la recinzione sbalzandola in avanti.
E, conoscendo la forza di quelle creature, non si sarebbe stupito se i bestioni l’avessero abbattuta con una sola spallata.
Voltandosi poteva vedere la sagoma del titano; spalle tremendamente larghe, un’altezza che probabilmente superava i due metri e mezzo, peli biancastri che sbucavano dagli indumenti.
«Merda, merda, merda…»
L’uscita del vicolo apparve agli occhi del giovane come una visione paradisiaca.
La luce bluastra delle lampade che illuminavano la strada fu visibile molto prima che il vicolo finisse, ma bastò per far allungare al rettile il passo raccogliendo le ultime energie rimaste, le narici dilatate per lo sforzo, le mani sanguinanti.
Era troppo stanco anche per sentire il dolore ma era sicuro che il giorno dopo ne avrebbe risentito parecchio.
Sempre nel caso che al giorno dopo riuscisse ad arrivare.
Fu proprio in quel momento che la sua mente fu trafitta da una orribile consapevolezza.
Sgranò gli occhi.
I suoi inseguitori prima di entrare nel vicolo erano due.
Si voltò ancora per controllare meglio, torse il collo un attimo solo, effettivamente di bestioni alle calcagna ne aveva solo uno.
Quando si voltò ancora avanti scoprì dove era finito l’altro.
Davanti a lui.
Gli sbarrò la strada proprio alla soglia del vicolo, enorme e ringhiante.
Sembrava essere comparso dal nulla, il bastardo aveva fatto il giro così che il suo amico spingesse avanti la vittima e insieme i due potessero chiuderlo in una morsa.
Il bestione si era piazzato davanti a lui, braccia aperte per afferrarlo; poteva vedere la strada dietro di lui, mal illuminata dai lampioni e semideserta; i passanti di notte erano quasi assenti, e chi passava era ubriaco o preferiva rimanere fuori dai guai altrui.
In quella città era l’unico modo possibile per rimanere vivi e assistere a qualche pestaggio era cosa di tutti i giorni.
Il rettile aggrottò la fronte senza accennare in alcun modo una diminuzione della velocità.
Appena fu abbastanza vicino l’energumeno si sbilanciò in avanti stringendo di colpo le braccia e emettendo un ringhio gutturale, il fuggitivo piegò improvvisamente la gamba destra, tenendo in avanti quella sinistra mentre la prima scorreva dietro di lui.
Si lasciò cadere verso il basso, scivolando tra le gambe del gigantesco inseguitore mentre la sua presa andava a vuoto.
La gamba destra del rettile strisciò violentemente sull’asfalto, il tessuto dei suoi jeans ci mise solo pochi attimi per lacerarsi, che lo stesso destino toccasse anche alla gamba era questione di istanti.
Per un attimo sentì un dolore lanciante al ginocchio e allo stinco, dolore che fortunatamente si perse rapidamente tra gli altri.
Balzò immediatamente in piedi ignorandoli, zoppicante mosse una paio di passi prima che il bestione si voltasse; un ruggito e lo ebbe addosso.
La creatura spostò la mano all’esterno spingendola su di lui, solo la sua buona prontezza di riflessi gli permise di voltarsi e portarsi le braccia davanti al torace per attutire l’impatto.
Lo colpì con una forza tremenda, fu sicuro di sentire il crepitio delle proprie ossa mentre veniva sbalzato all’indietro, verso una automobile parcheggiata sul ciglio della strada.
Si trattava di uno di quei vecchi modelli con propulsori al plasma sporgenti sulla parte inferiore che mantenevano la carcassa del mezzo sollevato da terra quando era spento a causa di problemi di raffreddamento ormai risolti da una cinquantina d’anni.
Ma in quei posti erano i modelli più diffusi.
Il tonfo emesso dal rettile mentre si schiantava contro la lamiera della carrozzeria risuonò nell’aria prima che ricadesse in avanti a peso morto finendo seduto di fianco al mezzo e accanto ad una profonda ammaccatura creatasi nella portiera.
Nel frattempo l’inseguitore, prima occupato a percorrere l’ultimo tratto di vicolo, aveva raggiunto il compare e i due si stavano dirigendo verso di lui.
Appoggiò una mano a terra facendovi perno e spostando il proprio peso sul braccio per girarsi, finì con la pancia contro il terreno e strisciò sotto il veicolo spingendosi in avanti con le braccia, alla ricerca di una improbabile salvezza.
I due bestioni arrivarono davanti alla macchina e si fermarono, Zark tirò un sospiro di sollievo sperando per un attimo che i due l’avessero perso di vista mentre iniziava a risentire delle numerose ferite, ora anche la sua gamba iniziava ad essere umida mentre le mani erano ormai completamente bagnate.
Ma il suo sollievo era prematuro.
Uno dei due indietreggiò, poi con orrore il giovane si trovò davanti al muso le tozze dita scure che proseguivano coperte di peli bianchi sul resto dell’enorme mano, o meglio delle due mani che avevano afferrato il bordo inferiore della macchina.
Zark deglutì, aveva capito cosa aveva intenzione di fare quel gigante.
«Merda, merda, merda…»
Si girò più velocemente che poté ricominciando a strisciare nella direzione opposta a quella del bestione mentre iniziava a sentire gli scricchiolii della carrozzeria.
Fu questione di un attimo.
La bestia puntò le zampe posteriori a terra e alzò rapida entrambe le braccia.
La macchina venne proiettata in avanti, ribaltata come se fosse stata fatta di polistirolo impattò contro la strada ad un paio di metri da Zark concludendo la sua corsa strisciando rumorosamente sulla carreggiata e lanciando alcune scintille nell’aria per l’attrito.
Il rettile rimase completamente scoperto, ancora.
Ansimante scattò in piedi, dandosi prima lo slancio con le gambe, poi bilanciandosi con braccia e coda mentre ricominciava a correre.
Nella strada, molti lampioni erano stati danneggiati e la strada stessa era in condizioni pietose, la criminalità nella città era alle stelle da quando si potesse ricordare.
Era una fortuna che quelle creature non fossero agili né veloci; la sua corsa era scoordinata, il sostegno della gamba destra gli veniva di tanto in tanto a mancare e ormai gli sembrava che il fiatone gli stesse distruggendo i polmoni.
Doveva seminarli alla svelta, il suo fisico era ormai allo stremo da un pezzo.
Appena trovò un nuovo vicolo dove infilarsi vi si proiettò dentro e subito dopo di lui i suoi inseguitori.
Ricominciò a zigzagare tra i bidoni dei rifiuti; questo vicolo, sebbene sembrasse impossibile, era ancora più sporco e malmesso del precedente.
Ma la sua nuova corsa non durò a lungo.
Ora davanti a lui c’era un muro di mattoni.
Spalancò gli occhi.
Sembrava proprio un vicolo ceco.
«Merda, merda, merda…»
Aveva il cuore in gola, si schiacciò contro il muro tastandolo con le mani, ad ogni tocco lasciava una traccia di sangue.
Ma a quanto pare il muro, come il resto del vicolo, non era in ottime condizioni.
La fortuna era dalla sua parte, un grosso varco tra i mattoni si apriva sull’angolo in basso a sinistra della parete.
Il muso di Zark si illuminò mentre si proiettava verso la sua via di fuga, scivolava goffamente attraverso il muro e passava oltre ricominciando la sua corsa.
Sentì i corpi dei due giganti impattare un paio di volte contro il muro e il crepitio di alcuni calcinacci che si staccavano cadendo tra i rifiuti a terra, poi uno dei due si affacciò al buco mostrando un largo muso a tratti scimmiesco, bocca ampia senza labbra, naso schiacciato con narici piccole e occhi ridotti a fessure, una pelle nerastra coperta per la maggior parte da peluria bianca.
Ringhiò qualche parola, poi si alzò e infilò la mano oltre il buco tastando qua e la a caso.
Sul viso di Zark apparve un largo sorriso.
Meglio per lui lasciare quel luogo prima che i bestioni trovassero il modo per superare quel muro.
Si voltò e passò oltre, ancora ansimante e dolorante ma soddisfatto di essere riuscito a cavarsela anche questa volta.
Percorse rapidamente il breve tratto che lo separava dall’uscita opposta del vicolo.
Si levò uno dei guanti grondanti e sporchi dalla mano portandola alla luce di una lampada laterale, numerosi solchi sanguinanti erano stati aperti sul palmo ed era sicuro che guardandosi la gamba avrebbe assistito ad una scena simile.
Lo strizzò e tornò ad indossarlo.
Era decisamente il caso di andare a farsi un giro in un pub per bersi una birra, magari fumarsi una sigaretta.
Forse gli avrebbero dato qualcosa per le ferite, ma soprattutto avrebbe potuto rilassarsi un po’.
Zark era un varanide, una delle specie “di nicchia” tra le varie che rappresentavano i gruppi di esseri evoluti del pianeta.
Una volta erano raggruppati nella zona dell’Indoaustralia ma quando i Raptor invasero quelle zone la sua specie fu schiavizzata, molti fuggirono popolando le zone neutrali tra i vari imperi.
Allungò il passo e varcò la soglia del vicolo entrando nella strada e tirando un lungo respiro.
Fu allora che arrivò, violenta si avvolse attorno alla sua testa e lo spinse contro il muro del vicolo.
Sentì il tonfo sordo del suo cranio che colpiva i mattoni, poi le dita della mano dell’aggressore che si stringevano attorno al suo capo continuando a premerlo contro la parete.
Riuscì a vedere con la coda dell’occhio un muso rozzo e scimmiesco.
Muovendo quel poco che poteva la bocca riuscì solo a sussurrare una parola
«Merda»
Lo avevano preso.
Quei bastardi lo avevano preso.

 

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Rieccoci qui XD spero che l'ultimo capitolo sia stato piacevole e soprattutto che ci sia stata abbastanza azione!

Questa volta, e cercherò di farlo per ogni capitolo, ho inserito uno dei miei disegni, ho l'abitudine di disegnare le scene prima di descriverle, questo disegno era il più rappresentativo del capitolo così lo ho messo "in bella".

Vi sarete accorti che nella scrittura sono tutt'altro che costante...
In ogni caso vi posso dire che ho utilizzato questo ultimo lasso di tempo per porre una revisione alla storia soprattutto in ambito cronologico posizionando il tuttoin ambito relativamente più recente, togliendo e aggiungendo personaggi in modo da poterli caratterizzare meglio e studiacchiandomi alcune cosine su clima e geografia terrestre nei prossimi milioni anni (Per esempio tra 5 milioni anni dovrebbe verificarsi una nuova glaciazione e tra 100 una nuova fase tropicale e la forza gravitazionale della luna sul nostro pianeta allungherà sempre più il dì così come la notte fino a raddoppiarli) oltre a ragionare su evoluzione delle specie e cose così...
Ergo presto porrò alcune modifiche al primo capitolo.

Nel frattempo ecco il planisfero come appare negli anni in cui il racconto si svolge


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Capitolo 3
*** In Gabbia ***


Capitolo III

7^ ERA   2000° CICLO  21/05   04:30 AM
FORESTE DELL'EX EUROPA

Elladan si svegliò che era notte inoltrata, la prima cosa che sentì fu il freddo pungente della foresta, poi i versi degli animali notturni, il respiro profondo degli altri elfi, l’odore di muffa carico di umidità, il tutto accompagnato da uno strano ronzio.
Si rese conto di avere la testa completamente fasciata,uno o più strati di bende gli erano state avvolte fin sopra le orecchie e qualcosa di morbido, forse un pezzo di cotone disinfettato, gli era stato assicurato alla guancia con del materiale adesivo.
Aprì lentamente gli occhi fissando per alcuni minuti il soffitto d’acciaio della gabbia, una fastidiosa luminescenza bluastra illuminava l’intera gabbia.
Era il campo d’energia di cui erano composte le sbarre.
No, non era stato un sogno purtroppo.
Si mise a sedere, il dolore alla testa c’era ancora ma almeno ora era sopportabile; vicino a lui Jonah e Thiara dormivano profondamente, nella gabbia dietro la loro un giovane ragazzo singhiozzava ricurvo in un angolo.
Si erano fermati, le gabbie erano state poste in cerchio attorno ad un centro dove era stato acceso un grosso fuoco attorno al quale si stavano riscaldando alcuni raptor in tenuta da combattimento, mangiavano e bevevano scambiandosi rumorosi sibili e fischi; da quando erano venuti a conoscenza dagli umani dell’esistenza di alcolici vari ne erano diventati quasi dipendenti, inoltre  l’alcool diventava spesso e volentieri una utile droga per le battaglie così da renderli ancora più crudeli e instabili di quanto già non fossero per natura.
Attorno al semicerchio di gabbie era stato distribuito un accampamento e un gran numero di sentinelle, con ogni probabilità erano tesi per un qualche misterioso motivo, in effetti si trovavano ancora in pieno territorio draconiano. Per uscire dai confini avrebbero impiegato come minimo tre giorni di cammino ininterrotto.
Il suo villaggio come del resto tutti gli altri circostanti erano sotto la giurisdizione e la protezione draconiana, ormai da migliaia di anni gli elfi si erano istallati negli enormi spazi vuoti che l’impero di Dracon possedeva; in cambio di una percentuale sulla caccia e sulla agricoltura i grossi rettili offrivano la protezione di cui necessitavano gli elfi e, spesso, un cospicuo pagamento da parte delle industrie che le acquistavano. Grazie al loro numero e alla loro adattabilità erano stati in grado di mantenere i Draconiani. Ormai il 90% del cibo e delle materie prime le fornivano loro, in un rapporto simbiotico perfetto.
Di contro gli elfi non avevano una vera e propria identità politica in quanto erano praticamente fusi con i draconiani, molti elfi vivevano addirittura nelle capitali svolgendo lavoretti da mercanti o da sguatteri, negli ultimi tempi alcuni giovani avevano addirittura iniziato ad arruolarsi tra le file di Dracon.
Per questo non avevano mai sviluppato una vera e propria tecnologia bellica; sono sempre stati pacifici e quindi non erano pronti ad affrontare l’attacco dei Raptor, inoltre quei dannati mostri non si erano spinti così all’interno dei territori protetti prima d’allora.
Elladan portò nuovamente il suo sguardo al fuoco attorno al quale sedevano i raptor, si trascinò fino al bordo della gabbia e fece passare le gambe tra le fessure delle sbarre lasciandole andare penzoloni.
Il calore del fuoco era appena percettibile a quella distanza, ma almeno dissipava un po’ quella fastidiosa sensazione di oppressione che l’umidità notturna generava.
Quasi involontariamente spostò lo sguardo sul lato della scena notando un piccolo mucchio di ossa bianche, pensò si trattasse dei resti di qualche povero animale finito nelle grinfie dei rettili e non vi fece troppo caso, la sua attenzione fu invece attirata da uno dei soldati che improvvisamente si era girato verso di lui, si alzò e fece qualche passo verso la gabbia barcollando.
Doveva essere ubriaco fradicio visto che  non fece che un paio di metri prima di cadere a terra di pancia senza nemmeno tentare di mettere avanti le braccia. Rimase con il muso schiacciato contro il terreno alcuni minuti, per un attimo Elladan pensò che fosse passato a miglior vita ma l’essere ebbe un fremito e si rimise in piedi.
«Rahk doc ho’ra boyu!» esclamò la bestia irritata con un tono altalenante che diede ad Elladan la sicurezza che ormai il rettile fosse completamente sbronzo, quindi si voltò in direzione del mucchio d’ossa ne prese qualcosa e lo scagliò contro la gabbia.
Elladan vide l’oggetto bianco e sferico colpire le sbarre che sibilarono prima di respingerlo e farlo rotolare sul terreno, l’elfo aguzzò lo sguardo stringendo gli occhi per vedere di cosa si trattasse, non ci mise molto per rendersi conto con orrore che si trattava di un cranio umano.
Ritrasse inorridito le gambe all’interno della gabbia indietreggiando, quelle non erano ossa di animali ma di persone, quei dannati rettili avevano già iniziato a divorare alcuni dei loro schiavi, probabilmente quelli che, più deboli o feriti, cominciavano a morire o peggio.
Il raptor fischiò e brontolò qualcosa, quindi fece un paio di passi indietro e scattò verso la gabbia.
Il ragazzo sgranò gli occhi preso dal panico, cosa diavolo voleva fare?
Il rettile spiccò un balzo e allungò le zampe posteriori alzando gli artigli uncinati come di consueto negli attacchi corpo a corpo di quelle bestie.
Pochi istanti, la considerevole mole dell’animale cozzò violentemente contro le sbarre d’energia, fu come se fosse saltato contro un muro di cemento.  Il campo energetico ronzò un istante e lo respinse con forza facendolo cadere all’indietro privo di sensi.
Non era morto ma la botta lo aveva messo al tappeto, un rivolo di sangue gli usciva da una narice e la lingua violacea penzolava da un lato della bocca; giaceva a pancia all’aria.
Gli sarebbe servito un po’ di tempo per riprendersi.
La gabbia continuò a vibrare fino a quando la forza del colpo si scaricò, nel frattempo gli occupanti si erano svegliati quasi tutti a causa del baccano.
Terrorizzato Elladan si voltò nervosamente giusto in tempo per trovarsi di fronte gli enormi occhi verdi di Thiara.
«Ci stanno mangiando! Quelle bestie schifose ci stanno mangiando!» Iniziò istantaneamente a sbraitare quasi piagnucolante, Thiara scattò immediatamente verso di lui facendolo sobbalzare, gli premette la mano destra contro la bocca mentre lo bloccava afferrandolo per la spalla con l’altra.
Il giovane mugugnò ancora qualcosa mentre la ragazza si sporgeva verso il suo viso.
«Non urlare per amor del cielo! Ho visto queste bestie uccidere per molto meno!» Un sussurro tra i denti, non riusciva a capire se fosse preoccupata o irritata «Ritieniti fortunato a non essere nel mucchio d’ossa ora, siamo riusciti per pura fortuna a salvarti la pellaccia nonostante fossi privo di sensi»
Appena percepì che Elladan aveva ritrovato la calma lasciò lentamente la presa, il ragazzo aveva ancora il fiatone e gli occhi sgranati ma almeno non sbraitava più come un ossesso.
Dopo una breve pausa continuò «I raptor hanno iniziato a uccidere prima quelli di noi che erano feriti o non si muovevano mentre i più forti andavano avanti»
Elladan rimase a fissarla perplesso «Andavano avanti?»
La giovane annuì e fece un cenno della testa in direzione dei raptor seduti attorno al fuoco «Non hai notato? I raptor dell’attacco al villaggio erano molti di più, inoltre qui si trovano quasi esclusivamente raptor feriti e da come si comportavano ieri quando sono stati lasciati indietro credo siano tutti di basso grado»
Elladan aggrottò al fronte «Ieri?»
«Si, ieri. Hai dormito per due giorni, probabilmente per colpa dell’anestetico che ho usato mentre ti medicavo»
Elladan alzò un sopracciglio, quindi era stata colpa sua se aveva perso i sensi
«Non guardarmi con quell’espressione ironica, ti assicuro che è stato molto meglio per te dormire»
Non ci fu bisogno di farglielo notare.
Un sospiro mentre la ragazza si faceva scorrere una mano sulla fronte raccogliendo un ciuffo ribelle di capelli.
«Con il gruppo di raptor che è andato avanti sono andate anche tutte le gabbie con le forze lavoro migliori. In poche parole noi siamo lo scarto, loro la priorità. Ciò può essere un bene o un male, un bene perché ci da più tempo per organizzare una fuga, un male perché i raptor rimasti sono frustrati e affamati»
Elladan scosse il capo appoggiando la schiena ad una barra d’energia
«Ma perché? Perché hanno lasciato indietro i loro compagni?»
«Questa è la filosofia dei raptor Elladan, il debole è un peso indegno di vivere, i soldati ritenuti migliori hanno portato a destinazione gli schiavi migliori. I pennuti avevano molta fretta a quanto pare, così si sono dati alcune priorità»
«Dubito che i Raptor accetteranno la resa, piuttosto che aspettare che i Guardiani ci recuperino ci mangeranno uno ad uno» Jonah si introdusse nel discorso affiancandosi a Thiara che si limitò a sbuffare rumorosamente «Non essere pessimista come al solito Jonny…Se riusciamo a scappare questo non accadrà»
Elladan fece ciondolare la testa spostando lo sguardo da uno all’altra «E quante possibilità abbiamo?»
«Poche» Rispose subito Jonah scuotendo il capo
«Poche non vuol dire nessuna Jonny» Puntualizzò l’elfa accennando un sorrisetto di rimprovero per poi ricominciare a parlare «Le gabbie sono strutturate in modo piuttosto semplice, come vedi la parte dove stiamo è una sezione di un ovale, al centro c’è una colonna che sorregge il soffitto sul quale si trova il generatore che crea i campi energetici a bassa densità che formano le sbarre. Sotto il pavimento invece ci sono i motori antigravitonici che sollevano le gabbie quando devono essere spostate. Il tutto è controllato da quella centralina»
Indicò un punto indefinito ad una decina di metri dai raptor, effettivamente una luminescente pulsantiera olografica era sospesa sotto un oggetto discoidale posto sul terreno.
«Il problema non è solo uscire, ma anche riuscire a seminare quelle creature...Ogni volta che abbiamo avuto occasione di affrontare piccoli gruppi di esploratori raptor ci è stato difficile muoverci più velocemente di loro o semplicemente prevedere le loro mosse» Continuò Jonah subito dopo, suo malgrado Thiara dovette annuire contrariata «E’ vero» confermò.
Passò una manciata di secondi di silenzio, accompagnato solo dal ronzio delle sbarre, Elladan lasciò spaziare il suo sguardo sul fuoco acceso dai loro carcerieri «Tuttavia se riuscissimo a convincere i raptor ad aprirci e tirarci fuori potremmo tentare di scappare…o no?» mugugnò pensieroso
«Potremmo, ma raramente i raptor ti tirano fuori dalla gabbia per destini diversi dalla morte» rispose Jonah avvilito cercando di seguire lo sguardo dell’amico «E in ogni caso finirebbero per prenderci temo»
Elladan sorrise amaro «Jonah…da bambino non eri così pessimista»
Il bruno appoggiò le mani a terra e portò le braccia dietro la schiena per sorreggere il proprio peso sbilanciato all’indietro, ancora non guardava l’altro «Non sono pessimista El, sono realista e prudente» Ridacchiò «Il momento di crescere è arrivato anche per me alla fine»
Nostalgico il tono dell’amico, Elladan non poté fare a meno di sentirsi il cuore preso in una morsa.
Sentì i ricordi tornare ad affollarsi nella sua mente, dolorosi come la fiamma sulla carne viva. Ancora faticava a realizzare che tutto quello che fino a pochi giorni prima era il suo mondo era stato saccheggiato e distrutto; i ricordi della sua infanzia, come cristallizzati, una sfumatura di innocenza e magia, gli davano un incredibile senso di vuoto.
«Non illuderti, sono ancora il più forte e coraggioso dei due» aggiunse per sdrammatizzare; per un attimo l’altro ritrovò lo spavaldo giovane di un tempo.
Elladan rise appena, un riso un po’ forzato a dire il vero «E allora perchè getti la spugna così in fretta?»
Ora Jonah sembrava incantato «Non ho affatto gettato la spugna…Solo che…»
Scosse il capo «…bah che stupido, lasciamo perdere»
Elladan rimase interdetto «Solo che…?» si accorse che Thiara era sgattaiolata via; non vi aveva fatto caso prima. La scorse in un angolo della gabbia intenta a cercare qualcosa fuori dalle sbarre.
«Solo che?» ripeté insistente.
Jonah lo guardò un attimo «Tu non hai combattuto a lungo come me e Thiara contro i raptor… Non voglio che accada di nuovo…»
Elladan percepiva chiaramente l’angoscia del ranger, ma continuava a non capirne la ragione, gli appoggiò una mano sulla spalla  cercando il suo sguardo che però rimaneva piantato sul pavimento della gabbia «Accada cosa Jonny?»
Jonah manteneva lo sguardo basso: era una strana sensazione vederlo ridotto in quello stato. Era sempre stato così spavaldo e forte, un esempio e un amico oltre che un avversario, quante volte si erano sfidati nelle gare più inutili e autolesioniste per dimostrare la propria forza.
Strinse un poco la sua presa «Jonny…» sussurrò come se avesse paura che il tono delle sue parole potesse scuotere ulteriormente l’amico.
«Quanto sarà passato…due anni? Forse tre…ho perso il conto ormai» le parole di Jonah scaturivano dalla sua gola tremanti ed esauste «Era una missione ai confini del Deserto di Sale. Dovevamo controllare dei traffici sospetti che i raptor stavano effettuando in quella zona. Nonostante la giovane età ero a capo del gruppo, le nostre fonti ci avevano informato della presenza di un plotone raptor poco nutrito nella zona, avremmo dovuto catturarne almeno un paio per interrogarli. Noi vantavamo una buona superiorità numerica…Optai ingenuamente per compiere un attacco frontale. Era il mio stile no? Il mio stupido stile…»
Sentì qualcosa ticchettare sulla pavimentazione d’acciaio, abbassò lo sguardo anche lui. Jonah stava piangendo.
«Era una trappola, una schifosa, dannata trappola. E il plotone poco nutrito era l’esca» Continuò
«Era un quarto del totale; il resto di loro ci accerchiò. Ci catturarono tutti, ma loro non volevano affatto interrogarci, avevano in mente un altro destino per noi»
Tentennò deglutendo rumorosamente
«I miei compagni erano ancora vivi mentre iniziavano a mangiarli»
Elladan fu colto da un moto d’orrore, spalancò gli occhi neri portandosi la mano libera sul ventre.
Gli sembrava di avere lo stomaco chiuso in una morsa, doveva essere stato davvero orribile.
«Riuscii a salvarmi per pura fortuna, Essendo una zona di confine i draconiani avevano mezzi pesanti nei paraggi e riuscirono a mettere in fuga i raptor prima che uccidessero anche me.
Dovevo esserci io…dovevo morire io al posto degli altri» La voce di Jonah si spezzò in un singhiozzo, per quanto fosse palese che l’amico volesse trattenersi dal pianto sembrava che ormai ci stesse riuscendo solo grazie ad una immensa forza di volontà.
E la cosa più dolorosa per Elladan era la sua impotenza di fronte allo stato d’animo dell’altro.
«Non potevi saperlo Jonny…» Si limitò a sussurrare
«Non potevo, ma dovevo. Mi sono raccontato questa bugia per anni»
Elladan lasciò la presa sulla spalla dell’altro tornando a guardare fuori «Ti ricordi cosa mi dicevi una volta?»
Il ranger alzò i gonfi occhi castani, le guance rigate di lacrime rilucevano riflettendo la tenue luminescenza delle sbarre e del fuoco poco distante.
«La vita è in salita, senza qualche sforzo non si potrebbe andare avanti» proseguì Elladan allargando un sorriso amaro «Rischi; ogni sforzo è una scelta ed ogni scelta è un rischio. Questa è la vita»
Si voltò ancora verso di lui «Io lo penso ancora…e tu?»
Finalmente riuscì ad incontrare lo sguardo dell’altro. Jonah sospirò passandosi un avambraccio sul viso per asciugarsi gli occhi «Oh El…» mugugnò con un filo di voce, rispondendo al sorriso dell’amico con un altro «…al contrario del sottoscritto non sei cambiato affatto»
«Ed è un male o un bene?» chiese Elladan divertito scatenando una mezza risata del castano «Un bene direi…» rispose l’amico di rimando.
Elladan era riuscito a donargli un po’ di sollievo.
Jonah si ripulì il viso dalle ultime lacrime asciugandosi le guance con il palmo di una mano, il suo sguardo tornò per un attimo ad incupirsi «Ma la tua vita e quella di Thiara sono importanti per me…non voglio metterle a repentaglio»
Elladan sbuffò «Sarebbero a repentaglio in ogni caso visto la situazione Jonny, lo sai»
Jonah fece per ribattere a sua volta ma la voce squillante di Thiara lo interruppe bruscamente «Ragazzi! Ragazzi!» non urlava affatto ma le sue parole rimbombavano nella gabbia come se lo stesse facendo.
Si guardarono attorno fino a quando non notarono l’esile figura della ragazza dirigersi a gattoni nella loro direzione.
Si soffermò su Jonah «Jonny hai gli occhi lucidi, hai pianto?» Alla ragazzina non sfuggiva proprio nulla «No, prima gli ho fatto andare per errore della polvere negli occhi» Elladan si introdusse nel discorso coprendo immediatamente l’amico, non sembrava che la giovane se la fosse bevuta; ma lasciò perdere la questione riprendendo il suo discorso «Ho trovato! So come lasciare questo posto!» Li raggiunse in fretta fermandosi ad un paio di metri dai due elfi.
Si scambiarono alcuni sguardi  perplessi prima che la ragazza ricominciasse a parlare «Elladan…il raptor che ti ha lanciato quel cranio…quanto era ubriaco?» Il ragazzo la guardò senza capire «Parecchio…» rispose poco convinto «Perché?»
«Se il tuo amico è abbastanza ubriaco da avere una capacità motoria sufficientemente ridotta uno di noi potrebbe stuzzicarlo abbastanza da indurlo ad aprire la gabbia e prelevarlo per poi darsi rapidamente alla macchia» la ragazza si sedette più comodamente «L’ubriachezza renderà i suoi riflessi più lenti e sarà più difficile per lui inseguire il fuggitivo»
Fu Jonah a farsi avanti «Ma scusa…così non si salverebbe soltanto quello che è scappato?»
Thiara scosse la testa «Affatto, tornando potrà raggiungere il pannello di comando delle gabbie e disattivare le sbarre, certo è rischioso ma abbiamo familiarità con questo tipo di tecnologia. Basterà solo essere abbastanza agili; per esempio io potre-»
«Vado io» La interruppe di colpo Jonah alzando bruscamente il tono di voce
Elladan sospirò: c’era da aspettarselo.
«Jonny, io sono molto più agile e svelta di te…» ribattè la ragazza quasi irritata
«Vado io ho detto…ho più esperienza e non intendo farvi correre rischi inutili»
«Ma Jonny…» ora il tono era tra il preoccupato e l’infastidito
«Non si discute Thiara» Jonah liquidò la questione con delle parole che avevano tutto l’aspetto di un ordine. Sembrava impossibile pensare che lo stesso uomo che ora fissava con sguardo fermo la ragazza dai capelli verdi poco prima piangesse come un bambino.
«Come vuoi…Allora inizia a stuzzicare il raptor, lanciagli qualcosa o fallo irritare appena si rialza» concluse.
«D’accordo» rispose seccamente

Passò più di mezz’ora prima che il raptor rinvenisse, il tempo necessario ai tre per recuperare un discreto numero di oggetti che avrebbero svolto bene il compito di munizioni.
Bulloni, sassi e altre cianfrusaglie: crearono un piccolo mucchio vicino alla posizione in cui Jonah si era appostato.
Quando il corpo della bestia ebbe un fremito i tre capirono che il loro piano di fuga era appena iniziato.
Gli occhi giallastri della bestia si aprirono di colpo, poi portò le mani sotto di se spingendosi goffamente in ginocchio.
Non portava che le protezioni del torace e della coda, questo rendeva le cose più semplici.
Jonah afferrò un sasso, caricò la mano dietro la spalla e lo scagliò verso il pennuto con un pulito movimento ad arco del braccio.
Aveva esperienza, e si vedeva; la pietra colpì in testa il raptor emettendo un suono sordo prima di rotolare lontano.
Il rettile si portò istantaneamente una mano al capo sibilando qualcosa di incomprensibile verso Jonah che si limitò ad allargare un sorriso beffardo prendendo un'altra munizione dal mucchio.
«Su bestiaccia! Che aspetti a venirmi a prendere? Hai paura di uno schiavo?»
Lanciò colpendo il rettile alcolizzato all’altezza della spalla, non gli fece male come il primo colpo ma sicuramente bastò per farlo infuriare ancora di più.
Il raptor alzò irato «Rham thza na kahen? Wo r’hi na karhu!» urlò dirigendosi verso il pannello di controllo, camminava in modo scoordinato e dondolante, la sbornia non gli era affatto passata.
Premette alcuni pulsanti, poi avvicinò il bracciale destro dell’armatura al pannello olografico.
Alcuni rumori, parole in lingua raptor riprodotte dal dispositivo evidentemente, poi la creatura si diresse di nuovo verso la gabbia mentre Jonah lanciava ancora munizioni, prettamente a caso visto che raramente colpivano il dinosauro, piuttosto servivano a metterlo ulteriormente sotto pressione.
Emise un verso molto simile al gracchiare di un corvo, poi si piazzò di fronte da una zona delle sbarre circoscritta da un perimetro di metallo, digitò alcuni comandi sul suo bracciale e le sbarre si disattivarono con un ronzio.
Nell’esatto istante in cui le sbarre si disattivarono si generò una passerella, probabilmente generata con la stessa energia che non riforniva più le sbarre.
Tutti gli occupanti della gabbia si schiacciarono lontano dall’ingresso in preda al terrore, accalcandosi come animali chiusi in gabbia.
Ed in effetti per molti versi loro erano proprio quello, e quando la gabbia si apriva i raptor chiedevano una vita.
Nessuno voleva dare la sua ovviamente.
Il raptor salì scoordinatamente la passerella, per un istante sembrò sul punto di cadere ma poi riuscì a completare il percorso e varcare la soglia della prigione.
«Ora Jonah! Ora!» La voce di Thiara squarciò l’aria, squillando nella testa del giovane uomo e anche in quella del raptor che sembrò confuso dal sopraggiungere improvviso del suono.
I muscoli delle gambe si tesero, Jonah balzò; un salto e poi via, verso la libertà.
Scattò agile verso la lucertola che spalancò gli occhi vitrei spaesata, un fischio di sorpresa mentre si sbilanciava per tentare di afferrarlo.
La bestia brancolò menando qualche unghiata all’aria, tentando di afferrare lo schiavo fuggitivo prima che fosse tardi. Ma l’alcool l’aveva rallentato, esattamente come previsto da Thiara.
In pochi istanti aveva la porta della gabbia dietro di sé e saettava come una preda braccata verso l’esterno dell’accampamento.
Era a circa una decina di metri dalla gabbia quando il raptor emise alcuni, assordanti suoni. Fischi e gorgheggi incomprensibili ma che non premettevano nulla di buono.
Ormai poteva vedere la vegetazione davanti a lui, era ancora un po’ ammaccato dopo la cattura ma strinse i denti ignorando il dolore.
Per quanto corresse sembrava che la salvezza gli si avvicinasse con lentezza esasperante, gli sembrava che i secondi fossero secoli; non correva abbastanza velocemente.
I rauchi segnali sonori si espansero a tutto l’accampamento fino a generare un rumore assordante.
Ma non vi faceva ormai più caso, i suoni attorno a lui divennero ovattati.
Ruggì sbilanciandosi in avanti e socchiudendo gli occhi nello sforzo, le gambe lacerate dallo scatto; ancora pochi metri, solo pochi metri.
Tre agili figure gli balzarono davanti serrandogli la strada.
«Merda!» Una esclamazione a fior di labbra mentre puntava i piedi a terra frenando di colpo al sua corsa per non scontrarsi contro le creature.
Non era stato abbastanza veloce.
Spinse il destro nella polvere facendovi perno, cercò di girarsi ma un violento colpo di coda lo travolse colpendolo con forza sul fianco e sbalzandolo via.
Venne scagliato al suolo, rotolò per un paio di metri fermandosi, disteso e graffiato dal ghiaiolo del terreno.
Quando riuscì a rimettersi a sedere un grosso raptor dalle squame bluastre camminava spedito nella sua direzione.
Una enorme cresta di piume che gli correva da sopra gli occhi fin dietro la nuca ed una lunga cicatrice gli solcava da parte a parte il muso, un armatura lucente piena di lame e speroni gli copriva gran parte del resto del corpo.
Con un movimento meccanico estrasse la spada ad energia che sibilò nell’aria uscendo dall’impugnatura; al contrario dell’altro questo raptor non sembrava uno sprovveduto «La tua insolenza ti costerà cara schiavo. Preparati a pagare»
Jonah tentò di alzarsi, ma si rese conto di essere spacciato, il rettile era troppo vicino.
Il pennuto alzò l’arma mentre un ghigno sadico gli si disegnava sul muso, l’elfo trattenne il respiro. Era finita.
Un lungo fischio taglio l’aria, pochi istanti dopo una vampata calda lo colpì, ma con suo stupore si rese conto che la fonte non era affatto l’arma del rettile.
Una sfera di fuoco gli saettò davanti, colpendo in pieno il raptor che cadde poco distante avvolto dalle fiamme, urlando in preda al dolore mentre si rotolava a terra.
Jonah lo guardò con gli occhi sbarrati, quando una titanica sagoma nera oscurò la luce della luna tutti i raptor andarono nel panico.
I rauchi suoni tornarono a sollevarsi: qualcosa di molto più grosso si stava per scagliare sull’accampamento.
Era passato dalla padella alla brace.


Ebbene ecco finalmente il terzo capitolo nella sua versione definitiva.
Intanto voglio sfatare le voci che affermavano che le mie idee sono finite. :P
Ebbene le idee ci sono e sono parecchie, mi serve però tempo per trascrivere ciò che ho in testa ^^
Inoltre ho sistemato i primi due capitoli (del secondo in verità ho cambiato ben poco, soprattutto cose su punteggiatura ed errori di battitura) del primo in particolare ho modificato in seguito a ricerche più approfondite l'aspetto dei raptor (Che nella realtà erano molto diversi da quelli di JP) e ho modificato l'anno in cui il racconto si svolge.
Per mettere un pò di ordine ho anche inserito all'inizio di ogni capitolo alcune informazioni di tipo geografico e temporale in uno stile che ricorda i film di spionaggio
Non sono riuscito ad finire in tempo l'illustrazione del capitolo...rimanderò anche questa al week end XP
Che dire, spero che la beta vi piaccia e a presto per la versione definitiva e il capitolo 4!

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Capitolo 4
*** Nothing Land ***


Capitolo IV

7^ ERA    2000° CICLO  20/05   00:00 AM
NOTHING LAND

Ed ora era appeso ad un muro, ad un metro da terra, sanguinante e con il cranio premuto contro i mattoni.
Il bestione aveva un anello all’indice; più gli stringeva la testa più gli entrava nella carne facendogli provare un dolore insopportabile, mentre il pollice gli teneva bloccata la mascella.
Tentò di dimenarsi, ma appena iniziò a muoversi l’altro fece scattare il braccio sinistro afferrandogli il polso destro e premendolo contro la sua schiena.
Ora era veramente bloccato.
«Siete furbi voi yeti…» mugugnò con una punta di sarcasmo nella voce.
«Lo siamo» rispose seccamente lo scimminone premendolo contro la parete.
Gli yeti erano in assoluto l’evoluzione fisicamente più forte dell’homo sapiens; dall’spetto di grosse scimmie antropomorfe, alti spesso più di due metri, con gambe corte e tozze, occhi piccoli e a mandorla, naso schiacciato, bocca larga, muso prominente e coperti da una folta peluria biancastra più rada sul viso, mani e piedi.
Si pensava si fossero evoluti durante l’ultima glaciazione da alcune popolazioni umane poste nelle zone nell’estremo nord del globo.
Per questo si erano dispersi esclusivamente nelle zone dove il clima glielo permetteva, limitandosi a rimanere nelle zone di clima temperato o freddo nonostante i loro nuclei principali continuassero a essere situati ai due poli, zone dove dominavano incontrastati vista la loro predisposizione fisica.
Il secondo gigante raggiunse il compare; nonostante l’aspetto primitivo i due erano vestiti molto meglio di lui, quello che lo teneva fermo era in giacca e cravatta con scarpe eleganti in pelle nera; mentre l’altro portava un paio di costosi pantaloni grigi a righe, una camicia bianca coperta da un gilet tinto dello stesso motivo, in testa una bombetta.
Si sentì premere ancora di più contro il muro, il viso gli fu premuto contro i mattoni oscurandogli in gran parte la vista.
«Allora Zark come va la vita?» il bestione sogghignò freddamente
«Potrebbe andare meglio…ad esempio potresti lasciarmi andare…» rispose il rettile senza abbandonare il suo sarcasmo, sarcasmo che evidentemente non piacque all’energumeno che aumentò la forza della sua presa facendo scricchiolare le ossa del rettile.
«L’ultima volta te la sei cavata, ma non la si fa due volte agli yeti. L’Onesto si è stufato di aspettare»
Riusciva ormai a seguire i movimenti dei due solo con la coda dell’occhio di destra mentre l’altro era schiacciato contro il muro del vicolo.
«Cercate di capire ragazzi…Gli affari vanno male, dite all’Onesto che avrà i suoi soldi presto!»
Sentì il fiato caldo del bestione soffiargli sulla nuca «Nessuna scusa, se l’Onesto è stufo l’Onesto è stufo. Non si discute. Ti è stato dato fin troppo tempo»
Zark deglutì, la situazione era davvero critica, era necessario un diversivo o i due gli avrebbero fatto la pelle.
«Dovevi darci il denaro un paio di giorni fa, sei in scadenza da parecchio e come ben saprai i prestiti vanno resi…gli interessi si sentono…l’Onesto ha in mente un destino molto particolare per te»
Se soltanto quel tizio non gli avesse bloccato la mandibola gli avrebbe già assestato un bel morso, e il dolore e le ferite che il morso di un varanide poteva causare erano ben conosciuti, probabilmente lo yeti lo aveva bloccato in quella scomoda posizione apposta.
Il fiato caldo sulla sua nuca venne a mancare per un attimo, immaginò che si fosse girato mentre parlava al compare «Torna al furgone e prendi l’attrezzatura per impacchettare il nostro amico…»
Zark ebbe un brivido, non tanto per le parole dello yeti quanto perché sentiva chiaramente qualcosa aggrappato alla sua gamba, qualcosa che aveva iniziato a leccargli il sangue dalla mano bloccata lungo il fianco dalla posizione in cui il rettile era stato immobilizzato.
Pochi istanti dopo si sentì mordicchiare le dita, i morsi erano assestati con decisione, se non fosse stato per le squame tale trattamento sarebbe stato anche piuttosto doloroso.
Alcuni rumori confusi iniziarono a risuonare nel vicolo mescolandosi ai suoni della città, pigolii simili al verso di un uccello ma più disarmonici e stridenti; quasi gracchianti.
Poi udì un lungo sibilo, un sommesso ringhio dello yeti con la bombetta e il rumore di qualcosa che veniva sfracellato.
Non riusciva a vedere quasi nulla, solo movimenti indefiniti dietro di lui, sembrava che il compare del bestione che lo teneva fermo avesse qualche problema, e quel problema lo agitasse parecchio.
Probabilmente per lo stesso motivo la presa su di lui andava poco per volta allentandosi.
Forse il diversivo era arrivato da solo.
La cosa che prima mordicchiava le sue dita ora aveva azzannato con forza la sua falange strattonandola con forza e strappandogli un gemito.
«Ammazzalo! Guarda! Guarda li! Cen’è un altro li!» esclamò quello che lo bloccava «Ma quanti sono?!  Di solito queste dannate bestie se ne stanno nelle fogne!» un ruggito «Questo mi sta mordendo la gamba! Levamelo! Levamelo!» la presa sul suo braccio venne improvvisamente a mancare; istantaneamente portò la sua mano libera verso la bestiola che gli masticava l’altra colpendola.
Purtroppo per lui nel frattempo altre due gli erano salite goffamente sui pantaloni.
«Sono troppi! Sono troppi!» rumori di bidoni spostati, uno schiocco sordo e poi un altro ancora, l’inconfondibile rumore generato dalle armi al plasma più datate.
Ormai i pigolii avevano generato un unico suono assordante; un altro ruggito prima che il bestione levasse anche la seconda mano lasciando cadere il varanide a peso morto.
Cadde a terra, la sua vista era annebbiata per la perdita di sangue e i colpi subiti; a malapena riusciva a delineare le decine di minute sagome che saltavano e correvano attorno a lui.
Non fece tempo a toccare il suolo che quelle bestie gli saltarono addosso in massa, azzannando qualsiasi parte del suo corpo che riportasse qualche genere di ferita.
Quando nella foga dell’attacco gli strapparono via uno dei guanti realizzò che se non voleva finire divorato gli conveniva alzarsi alla svelta.
Raccolse le sue ultime energie e si spinse in piedi scrollandosi di dosso quelle creature che aveva ormai identificato come un nutrito branco di Copy.
I due yeti erano assaltati in massa dai piccoli dinosauri, quello con la bombetta sparava a caso nella nube di sagome verdastre con una grossa pistola al plasma calpestando e lanciando via tutti i copy che si avvicinavano troppo; quello in giacca e cravatta ne aveva un paio aggrappati al muso e si dimenava imprecando, probabilmente era ciò che lo aveva indotto a lasciare la presa su di lui.
Le due gigantesche mani del secondo scattarono afferrandoli entrambi e strappandoli via con vigore.
A tenaglia si strinsero sui corpicini delle bestiole fino a che non emisero un rumore di ossa spezzate, poi li scagliò lontano con il muso completamente invaso dal sangue e uno squarcio aperto sulla parte destra della faccia.
L’unico, vitreo occhio aperto del bestione incrociò il suo sguardo; passo qualche breve istante prima che l’energumeno avesse un fremito e le sue fauci si spalancassero in un secco «Sta scappando! Prendilo!»
Il giovane sgranò gli occhi realizzando cosa stava per accadere, deglutì e balzò in piedi.
Ci mise troppo tempo, il tizio con la bombetta gi era già praticamente addosso.
Balzò verso di lui caricandolo e spalancando le braccia per afferrarlo, il rettile fece appena in tempo a fare un passo indietro per schivare la presa, ma il bestione fu pronto per compiere una manovra d’emergenza, tese una delle braccia, colpendolo in pieno con il dorso della mano.
Fu scagliato verso un gruppo di bidoni della spazzatura posti ad un paio di metri di distanza che gli caddero addosso con fragore inondandolo di immondizia e lasciandolo stordito disteso al suolo.
Quando riuscì a trovare la forza di rimettersi seduto notò che il tizio che l’aveva appena colpito era stato attaccato alle spalle da un nugolo di copy ed ora era occupato a staccarseli dalla schiena, girando a scatti su se stesso.
Entrambi gli energumeni erano in una pessima situazione, abbastanza cattiva da tenerli occupati per un po’.
Il rettile era ormai completamente dolorante, stordito e aveva perso abbastanza sangue da poterci riempire uno dei bidoni del vicolo.
Neanche la sua situazione era troppo rosea ma almeno ora aveva una possibilità di salvarsi la pelle.
Mentre i minuti dinosauri convogliavano l’attacco sugli scimmioni il rettile ebbe il tempo per riprendersi dal colpo subito, stringere i denti e alzarsi in piedi per la seconda volta.
Scostò i bidoni, si levò una buccia di banana dalla testa e si voltò di colpo correndo via.
Si lasciò gli yeti intenti nel combattimento alle spalle, alcuni proiettili di plasma gli fischiarono vicino alla testa prima che riuscisse a uscire dal vicolo, voltare l’angolo e ricominciare a correre all’impazzata lungo la strada.
Continuò a scattare, continuò ignorando i segnali del suo corpo, il dolore, la stanchezza, il sangue che gli pulsava nella testa e i polmoni lacerati dallo sforzo, continuò fino a quando il pigolare dei copy e il suono di spari e ruggiti non venne coperto dalla cacofonia di rumori della metropoli.
Passarono minuti che gli sembrarono secoli prima che riuscisse a trovare la sicurezza di fermarsi.
Quando accadde gli sembrò che il mondo gli fosse crollato addosso.
Appena l’adrenalina venne a mancare il dolore e la spossatezza lo attanagliarono di colpo, con violenza tanto inaspettata d farlo vacillare.
Per un istante si sbilanciò in avanti, fu sul punto di cadere ma riuscì a ritrovare l’equilibrio all’ultimo momento, continuando barcollante e malfermo a camminare.
Nonostante la temperatura e nonostante una delle mani fosse scoperta dal guanto, portato via da uno dei copy, gli sembrava che entrambe stessero andando a fuoco; le sentiva a malapena, erano intorpidite, formicolanti e coperte di sangue incrostato e rossastro.
Aveva un occhio nero e un rivolo di sangue gli colava lungo la guancia da un taglio aperto all’altezza della tempia.
A questi si aggiungevano numerosi altri dolori sparsi per il corpo di cui ignorava l’origine, da squarci ad ematomi. Non riusciva e non voleva fare mente locale su quello che gli era appena accaduto.
Lasciò che lentamente i suoi pensieri venissero coperti dai suoni delle strade di Sibrisk.
Sibrisk era una metropoli libera, o meglio apparteneva ad una zona che era considerata terra di nessuno, una enorme striscia di terra che divideva i confini dell’impero di Dracon con quelli dell’impero Raptor correndo dal Mare di Ghiaccio ai confini più ad Est del Deserto Akdeniz.
Sibrisk, in particolare, si trovava nella zona continentale di Nothing Land; dal clima piuttosto rigido e poco ospitale.
Nothing Land non era semplicemente un campo di battaglia, ma anche uno dei luoghi che costituivano il rifugio della maggior parte della popolazione malavitosa del pianeta.
Una giungla governata dalla legge del più forte, in cui la criminalità toccava livelli impressionanti e le forze dell’ordine erano corrotte e inefficienti.
Tutti gli imperi che non riservavano la morte ai loro criminali avevano l’abitudine di esiliarli, così da disfarsene senza doversi occupare di creare strutture per la reclusione o dover organizzare opere di riabilitazione.
Il mondo esterno alle grandi metropoli degli imperi era molto peggiore di qualsiasi prigione e i sistemi di controllo genetico, organizzati in complessi database e che monitoravano ogni movimento della popolazione, impedivano ogni rientro illecito in patria.
La striscia di Nothing Land, così come i territori delle civiltà minori, era un florido luogo in cui le città autonome nascevano in continuazione oltre che una casa per tutte le razze private della propria terra, esattamente come i varanidi.
Un luogo del genere era perennemente alla mercé degli imperi che a seconda della necessità si impossessavano dei luoghi che desideravano per estrarne le materie prime o ottenere punti strategici utilizzandoli per poi abbandonarli quando diventavano inutili o all’arrivo del primo attacco nemico.
Le precarie difese che si potevano alzare nei territori di Nothing Land nella maggior parte dei casi finivano per durare ben poco.
Le incursioni raptor erano piuttosto frequenti, così come quelle di draconiani e dei loro alleati elfi. Tuttavia i secondi erano decisamente meno violenti e parassitari dei primi, spesso al loro passaggio ripulivano le città dalla malavita per renderle più vivibili e sicure anche per se stessi mentre i primi tendevano invece a peggiore le cose.
Per questo ormai la popolazione aveva iniziato ad organizzarsi per fagli fronte.
L’Onesto, dal canto suo, era il più infame e subdolo individuo in circolazione, nessuno l’aveva mai visto ma aveva il controllo su tutta Nothing Land.
Un controllo indiretto ovviamente, basato sulla criminalità organizzata, un capillare sistema di spionaggio e monitoraggio.
Tutti i governi delle città libere lo lasciavano fare, i suoi commerci portavano soldi alle metropoli e spesso si occupava di regolare la polizia.
Aveva moltissimi scagnozzi in giro per la striscia di terra, ma le sue forze armate erano soprattutto yeti; perché grossi, non troppo scaltri e piuttosto manovrabili.
Non gli servivano uomini intelligenti, lui regolava ogni loro manovra e l’intelligenza porta le persone a porsi domande, le domande portano all’insubordinazione e l’Onesto era noto per non fare mai nulla a caso.
I soprusi da parte dei suoi erano cosa di tutti i giorni e quando arrivava il momento di riscuotere prestiti fatti dalle sue banche o provenienti da attività molto meno limpide loro non esitavano a farsi avanti.
Chi non pagava moriva o peggio, scompariva.
A Nothing Land eri un niente nel niente, nessuno si chiedeva dove fossi finito e anche nel caso in cui la mancanza di qualcuno venisse notata la risposta che ci si dava era sempre “Sarà stato ammazzato”.
Tutti volevano rimanere fuori dalle faccende dell’Onesto, ma era praticamente impossibile.
Zark si fermò alzando lo sguardo: una sgangherata insegna luminosa, sporgente dal muro e affacciata sulla strada riportava lampeggiando con una fastidiosissima luce azzurra la scritta “Pub Piede Nella Fossa” il neon di alcune lettere era bruciato, altre lanciavano di tanto in tanto qualche scintilla.
L’insegna usciva da un altro vicolo che, girato l’angolo, si infossava in una gradinata portando ad una porticina mal illuminata.
Lanciò un altro sguardo sull’insegna, probabilmente l’ultima insegna non olografica di tutta Nothing Land.
Evidentemente il vecchio Sg aveva gusto per il vecchio.
Sul muso martoriato del rettile apparve un ghigno; scese in modo scoordinato le scale e si fermò davanti alla porticina rettangolare in finto legno tarlato.
Un istante perché si aprisse con un sibilo e entrò.




Eccoci qui...pensavate che non avessi più scritto capitoli vero? E invece no! A dirla tutta ne ho parecchi da parte, in questo periodo ho proseguito ma semplicemente non li ho postati qui.
Il motivo è semplice...vedo le visite ma non vedo i commenti, cosa che mi farebbe piacere ricevere visto che è praticamente solo per questo che metto su internet ciò che scrivo.
Visto che ricevo più commenti dagli amici e dai compagni di corso, quindi, inizio a non vedere più il motivo per continuare a metterli qui...e datemi torto! XD
Quindi...metto questo capitolo, un pò cortino a dire il vero, approfittando per dare questo annuncio oltre ad informare che ho fatto le mie solite modifiche ai capitoli precedenti per renderli più scorrevoli, piacevoli eccetera...
Ah...e ho cambiato anche l'introduzione perchè diciamolo...quella di rpima faceva schifo! XD

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