Realtà Parallele di Berker (/viewuser.php?uid=50720)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** -Raptor- ***
Capitolo 2: *** Merda ***
Capitolo 3: *** In Gabbia ***
Capitolo 4: *** Nothing Land ***
Capitolo 1 *** -Raptor- ***
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INGRESSI ENERGETICI PRIMARI ATTIVI
INIZIALIZZAZIONE CICLO NEURALE
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SONDA SPIA 456YK85 ATTIVA
NUOVA SESSIONE APERTA
SCANSIONE IN CORSO
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NOME PIANETA ASSEGNATO DA POPOLAZIONE INDIGENA: TERRA
ANNO 3*108 DELLA STELLA KOREH
PREPARAZIONE ALLA REGISTRAZIONE DEL DOCUMENTO STORICO
ANALISI IN CORSO…
SETTAGGIO TEMPORALE ATTENDERE PREGO…
REGOLAZIONE TEMPORALE BASATA SULLA ORBITA DI SOLE COMPLETA
10^ ERA DALLA NASCITA DELLA PRIMA SPECIE SENZIENTE DEL PIANETA
5^ ERA DALLA GRANDE FUSIONE
2000° CICLO DALLA CONCLUSIONE DELL’ULTIMA ERA
MESE SOLARE 19° GIORNO 5°
ASSIMILAMENTO TEMPORALE COMPLETATO
IL DOCUMENTO STORICO PUO’ ESSERE ARCHIVIATO CORRETTAMENTE
COLLEGAMENTO CON ALTRE SONDE IN CORSO…
COLLEGAMENTO COMPLETATO
…
INIZIALIZZAZIONE DELL’ARCHIVIAZIONE IN CORSO
INIZIALIZZAZIONE COMPLETATA
AVVIO IN CORSO
…
...
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CAPITOLO I
7^ Era 2000° Ciclo 19/05 00:20 AM
Foreste dell’Ex Europa
Un tonfo destò Elladan dal suo sonno. Faceva caldo e una tenue luce rossastra e tremolante penetrava dalla finestra socchiusa sulla parete opposta illuminando il rustico e scassato mobilio della stanzetta.
Il suo corpo era inondato di sudore, la calura era insopportabile.
L’elfo si alzò dal suo giaciglio cercando a tentoni di avvicinarsi a quell’inquietante chiarore.
Era poco più che un ragazzo; mingherlino, dai lineamenti spigolosi, i capelli corvini, gli occhi scuri e le orecchie a punta.
Non era un grande guerriero sebbene avesse sempre tentato di esserlo, non era mai stato forte come avrebbe voluto, suo padre gli diceva che sarebbe bastato esercizio ma iniziava a pensare che non avrebbe mai acquisito l’abilità a cui ambiva.
Forti grida turbarono la sua calma,un brivido gli attraversò la schiena. Arrivato alla finestra rimase per un istante appoggiato alle tiepide ante di legno di faggio e si fece forza,non sapeva cosa gli avrebbe riservato l’esterno.
Spinse con un colpo secco i battenti e una scena spaventosa apparve davanti ai suoi occhi.
Uno dei suoi peggiori timori si mostrò in tutta la sua cruenta verità.
Raptor!
Creature tanto rapide quanto letali e crudeli.
Alti all’incirca quanto un uomo, nonostante ormai la loro struttura fisica si fosse abituata alla posizione bipede avevano ancora bisogno di una possente coda per bilanciare il peso nella corsa e rimanere in equilibrio: avevano infatti ereditato l’antica abitudine di correre con il torace proteso in avanti.
L’evoluzione aveva dotato queste creature di arti superiori sviluppati e dotati di mani con pollice opponibile simili in tutto e per tutto a quelle umane tranne che per la presenza di tre sole dita.
La loro corporatura esile ma muscolosa, la pelle del dorso era a squame sottili, con colorazione che cambiava da individuo a individuo, spaziando da colori sgargianti come il rosso e il blu ad un tenue marroncino verdastro, mentre era costituita da placche sul ventre.
In svariate zone del corpo i rettili presentavano piumaggio spesso concorde con i colori della loro pelle, la chioma di piume sulla testa era decisamente la più folta e trattata da ognuno di loro come gli uomini trattano i capelli; alcuni mostravano una cresta appariscente, o una folta criniera di piume o la tagliavano completamente in quanto non necessaria ad indirizzare il loro corpo nella corsa al contrario delle piume degli avambracci e di quelle presenti sulla parte terminale della loro coda.
Avevano un cervello incredibilmente sviluppato, forse il più sviluppato che si conoscesse e di poco superiore a quello umano, essi erano in grado di comunicare praticamente in tutte le lingue conosciute; erano inoltre capaci di costruire armi sofisticate quali i fucili a microonde o pistole a raggi UV.
Sebbene la loro forza fisica negli arti anteriori fosse piuttosto ridotta adoravano il combattimento corpo a corpo e spesso preferivano usare spade ad energia,leggere e maneggevoli uguali a quelle usate nei film di StarWars ma con un profilo più simile a quello di una normale lama: piatta e terminante in una acuminata punta, semplicemente per provare il gusto di squartare le loro vittime con le proprie mani.
Potevano inoltre vantare una velocità di corsa strepitosa, e una agilità non indifferente basando i loro attacchi sul numero e su un impeccabile senso strategico.
Rappresentavano una delle civiltà maggiormente evolute del pianeta; guerriera, era governata da una struttura politica consolare; i giovani appena nati venivano subito introdotti in grandi comunità divise per età dove venivano addestrati nell’arte della lotta senza distinzione tra sessi, i piccoli ritenuti deboli venivano uccisi immediatamente. In pratica il loro sistema politico era identico a quello utilizzato nella comunità spartana del mondo umano.
Militarmente imbattibili nelle armi leggere si erano raggruppati in enormi metropoli cinte da mura di cemento armato.
I Raptor erano inoltre tristemente famosi per la loro abitudine di schiavizzare qualunque creatura in grado di lavorare autonomamente, ominidi in primis.
In un agglomerato urbano Raptor il 70% della popolazione era costituita da schiavi ma, vista la crudeltà di queste creature nel mantenimento della disciplina della forza lavoro, solo raramente raggiungevano la vecchiaia.
Così periodicamente la popolazione degli schiavi doveva essere integrata con nuovi elementi prelevati ovviamente in natura.
Un gruppo di questi sauri aveva attaccato il villaggio e lo stava saccheggiando: bruciando le case e uccidendo senza pietà tutte le creature incapaci di svolgere lavori pesanti, i rimanenti venivano ridotti in fin di vita e portati a forza fuori dal villaggio. Alcuni rettili strappavano a morsi brandelli di carne dai corpi senza vita delle loro vittime.
Altri combattevano contro elfi armati di obsolete spade di lega metallica studiate appositamente per resistere alle alte temperature generate dai campi energetici delle spade raptor e altri ancora barcollavano o strisciavano morenti feriti mortalmente alla schiena o semplicemente senza coda: essa infatti era spesso presa di mira dai fendenti dei guerrieri che l’ avevano inquadrata come un punto debole.
Il giovane rimase paralizzato dal terrore di fronte alla finestra, in preda ad un incontrollato tremore.
Nel panico totale riuscì a scorgere sua madre morente in un angolo e suo padre che lottava con tutto se stesso contro due grossi e minacciosi rettili per proteggere il figlio e la sua stessa vita.
Nel combattimento l’anziano elfo incassava con il pesante scudo i colpi micidiali degli avversari o li schivava con abilità.
Per qualche breve istante il suo sguardo si incontrò con quello del figlio, bastò per dire tutto quello che sarebbe servito -scappa!- ma le gambe del ragazzo erano pietrificate e i suoi piedi sembravano ancorati al pavimento dal terrore e dai dubbi.
Forse avrebbe dovuto aiutare il padre, forse scappare non era la soluzione giusta.
Rimase immobile nella penombra, lo sguardo perso nel vuoto.
Nel frattempo il padre continuava la sua dura lotta contro i due Raptor; con un balzo felino riuscì a saltare sulla schiena di uno di essi e a infilzarlo con la sua fedele arma. Il rettile urlando di dolore afferrò l’uomo è lo scaraventò violentemente a terra e, dopo aver estratto la spada che aveva piantata nel dorso e averla scagliata alle sue spalle, si lanciò sull’avversario ancora disteso.
Ma prontamente l’uomo compì una spazzata che fece sbilanciare la lucertola, recuperò l’arma abbandonata poco prima e la alzò al cielo per assestargli il colpo di grazia.
Ma aveva abbassato la guardia,si era dimenticato del secondo rettile che approfittò della sua distrazione per un attacco alle spalle.
Lo trafisse da parte a parte, la lama della spada dell’essere ridusse per qualche secondo di emettere la sua caratteristica luminescenza rossastra, poi, da essa, si levò una nuvola di vapore. Il Raptor la fece rigirare una decina di volte nella ferita fumante sghignazzando agli urli di dolore della sua vittima, poi la ritrasse di scatto allontanando l’uomo con un calcio. L’arma emise un sibilo poi il rettile la disattivò e la lama scomparve nell’impugnatura, dopodiché la agganciò al cinturone e si mise a osservare il vecchio barcollante.
L’uomo tossì e si lasciò cadere in ginocchio,un rivolo di sangue gli sgorgò da un lato della bocca e ai suoi piedi il terreno cominciò a colorarsi di rosso. Poi,inaspettatamente,si mise a ridere di gusto.
I due Raptor, che prima parevano divertiti, si guardarono l’un l’altro perplessi.
«Avete vinto la battaglia vecchi miei» sussurrò il vecchio con un filo di voce «ma morirete tutti lo stesso.» Seguì una debole risata. «L’esercito draconiano sarà già stato avvisato a quest’ora…abbiamo mandato un messaggero pochi minuti prima dell’attacco.» Si interruppe lanciando qualche colpo di tosse misto a sangue. «Avrete addosso almeno un guardiano entro domattina.»
La seconda lucertola allora si scagliò sul vecchio lanciando un urlo di rabbia e iniziò a colpirlo con forza finché non smise di respirare.
Uno dei due Raptor stava esaminando il corpo senza vita di suo padre e l’altro si guardava attorno con circospezione. Elladan, scosso, si lasciò sfuggire un gemito.
Fino a quel momento nessuno aveva scorto il ragazzo: la finestra da cui spiava i movimenti esterni si trovava piuttosto in alto e l’ oscurità aveva nascosto la sua posizione ma, forse, i Raptor avevano anche un ottimo udito.
Lo sguardo del rettile, infatti, si posò su di lui; si sentì mancare: a quel punto non c’era motivo di fuggire e un combattimento sarebbe stato un suicidio.
Sperò che l’ombra avesse coperto la sua figura e rimase immobile ma la creatura si mosse verso l’edificio e sfondò la porta del piano inferiore con un calcio delle zampe posteriori ben assestato. Ormai la creatura stava salendo le scale.
Il giovane cominciò a guardarsi attorno smarrito capendo di essere in trappola: la piccola stanza non lasciava una via di fuga possibile oltre alla finestra… troppo in alto per tentare un salto; poi il suo sguardo si posò su un tarlato e massiccio armadio a due ante posto sulla parete opposta alla porta, alla sinistra del letto.
Fece appena in tempo a chiudersi all’interno dell’armadio quando il rettile disintegrò la porta decadente con un colpo di spada.
Elladan dal suo nascondiglio osservava l’esterno dalla fessura che separava le due ante del suo nascondiglio.
La coppia di barbari era entrata all’interno della stanzetta cercando il giovane e scrutavano l’ombra con movimenti lenti. Aggrottarono la fronte cercando di vedere meglio se qualcosa si nascondeva negli angoli più bui. Dalla fessura fra le ante Elladan notò il rivolo di sangue che sgorgava dalla schiena di uno dei due Raptor. Scivolava lungo la sua coda fino a cadere sul pavimento con un ticchettio di gocce che facevano sembrare all’elfo quegli istanti interminabili.
Poi l’altro si avvicinò alla finestra e guardò tutt’intorno per verificare se c’era stato un tentativo di fuga ma non vedendo niente riportò la testa all’interno della abitazione e rimase immobile per qualche altro momento.
Quindi digrignò i denti e sputò fuori una scarica di suoni ad alto volume,probabilmente imprecazioni nella sua lingua,per Elladan totalmente incomprensibili.
Il rettile era furente,ancora sibilava irritato alla ricerca di qualche obbiettivo su cui sfogarsi,barcollò alcune volte guardandosi intorno e il suo sguardo si posò sul letto.
Doveva aver pensato che il suo obbiettivo si fosse nascosto li sotto perché mostrò le taglienti zanne bianche in un sorriso soddisfatto che aveva in se una ferocia quasi agghiacciante.
Piegò le zampe posteriori e afferrò uno spigolo del letto,alzò improvvisamente le mani sbalzando la struttura in aria facendola ribaltare.
Ma il Raptor non era soddisfatto, non aveva trovato quel che voleva e quello che per qualche attimo era stato un palese trionfo si è rapidamente trasformato in una sconfitta,oltre che una pessima figura davanti all’altro che già accennava una risatina di scherno.
«Wash hu ragh tso uh’kolo!» alcune parole in raptor che dovevano essere taglienti come una lama visto che una luce di furia apparve negli occhi giallognoli dell’altro.
Un singolo istante, il raptor umiliato scattò con un balzo fino a pochi metri dall’altro sganciò la spada dal cinturone e la attivò nel medesimo istante facendo apparire la lama rosso vivo«Ho’reo gha yu kha ryukku!» una risposta probabilmente ma anche il significato di quella era ignoto all’elfo che osservava la scena nascosto nell’armadio.
Un flash e un sibilo, la lama laser tranciò di netto la testa del raptor che, già ferito, non riuscì ad evitare il colpo e cadde sul pavimento senza vita in un lago di sangue incredibilmente scuro mentre la testa rotolava in un angolo. La lama crepitò ancora alcuni secondi mentre il sangue che gli si era attaccato evaporava in una nuvola di vapore, l’odore di carne bruciata arrivò alle narici di Elladan, estremamente sensibili come quelle di ogni altro componente della sua stessa sottospecie dell’uomo.
Gli risultò tanto forte che venne colto da una nausea, fu sul punto di vomitare ma trasse alcuni profondi respiri e riprese il controllo del suo corpo.
Ma qualcosa non andava, non aveva vomitato ma stava ansimando rumorosamente. Troppo rumorosamente.
Nella stanza era calato improvvisamente il silenzio, si sentì rivoltare lo stomaco per il terrore.
Guardò fuori appena in tempo per vedere il raptor a pochi metri dall’armadio che lo scrutava come se potesse vedervi all’interno, Elladan avrebbe voluto raggomitolarsi ma i suoi muscoli erano pietrificati dalla paura. Il raptor fece per andarsene ma si voltò di colpo facendolo sussultare, era un giochino che la creatura stava facendo per mettere alla prova i suoi nervi. Lo rifece un altro paio di volte e poi rimase fermo davanti all’armadio, alzò una mano oltre la propria nuca a caricare un colpo e lanciò la mano in avanti chiusa a pugno.
Sfondò le ante di legno tarlato come se fossero state fatte di polistirolo e afferrò Elladan al collo piantandolo contro il muro, quindi lo strattonò indietro togliendo dalla loro sede quelli che ormai erano i resti delle ante «Stupido sapiens»
Sibilò il rettile alzando il ragazzo che si dimenava nel tentativo di liberarsi dalla presa«Ti accorgerai che la morte sarebbe stata poca cosa in confronto a quello che ti accadrà»
Una risata tra i denti mentre stringeva la presa tanto da far diventare l’elfo paonazzo, poi gli avvicinò il muso al volto guardandolo negli occhi, si faceva beffa di lui.
Con una frenesia incitata dal sogghigno del dinosauro Elladan pensò a come poteva evitare di fare la fine del padre e della madre che ancora gli bruciava come una ferita aperta. Improvvisamente posò gli occhi sul Raptor morto. E capì anche cosa poteva fare. Con uno strattone verso l’alto fece allentare la stretta ferrea della creatura e, improvvisamente, morse il muso della bestia con tutta la forza che possedeva nella mandibola.
Per la sorpresa e il dolore il rettile mollò il collo di Elladan con un gracchiare acuto per portarsi una mano al muso dolorante dandogli giusto quel tempo che gli bastava per sgusciare via.
Le gambe lo reggevano male e, come diretta conseguenza, rovinò a terra finendo dritto nella pozza di sangue che circondava l’altro Raptor. Inorridì quando la guancia ed i vestiti si inzupparono di sangue ancora caldo ma ebbe il buon senso di non soffermarsi su quel particolare e afferrare invece la spada laser che il dinosauro aveva ancora stretta nella zampa anteriore.
L’ afferrò con mano tremante e, attivandola, la puntò contro il Raptor. Anche il dinosauro aveva attivato la sua e, immediatamente, Elladan comprese che non sarebbe stato in grado di vincere un combattimento: già prima se n’era accorto. Uno scontro sarebbe stato un suicidio.
Ma avrebbe provato comunque; se non altro, era la sua unica possibilità.
Stringendo la spada convulsamente si avventò con un grido verso il Raptor che, indubbiamente più abile di lui, si scostò di lato con un sibilo e mandò la sua spada a scontrarsi con quella dell’elfo. Forse non la teneva abbastanza saldamente, forse non era semplicemente abbastanza esperto; l’arma gli volò di mano e, mentre il laser rientrava nell’impugnatura, gli sfiorò la guancia sinistra lasciandogli un segno rosso. Elladan urlò. Poi sentì un colpo violento al volto e cadde riverso a terra, con la testa annebbiata, sprofondato nella semi incoscienza.
Si risvegliò con un rumore di ruote nelle orecchie, una cacofonia di suoni che non riusciva a identificare pienamente, nel suo torpore. Spostò la testa di lato e sentì un dolore tremendo alla guancia e alla testa; si sollevò di scatto per la fitta ma non fece che peggiorare ulteriormente le cose provocandosi un terribile mal di testa.
La vista offuscata non gli permetteva di capire perfettamente dove si trovasse, riusciva solamente a distinguere delle sbarre ed i corpi di altre persone attorno a lui, alcuni sofferenti, altri addormentati, altri indifferenti. Alcuni attenti e costantemente in allarme.
Si era di nuovo lasciato cadere sul pavimento di freddo metallo ma si avvide comunque di una figura magra che si faceva largo fra gli altri per gattonare fino a lui. Un viso da ragazzina con il naso piccolo e sbarazzino occupò la sua visuale.
«Elladan? Mi senti?»
Aveva una voce squillante e ancora da bambina ma l’elfo era troppo concentrate sull’aspetto per dar peso alle parole. Il fatto era che quell’elfa aveva i capelli verdi. Verdi come l’erba di un prato e le foglie estive, tagliati corti e acconciati sulla cima della testa in una serie di ciocche vivaci e ribelli, sparate attorno alla testa; una fascia di metallo attorno alla testa contribuiva ad impedire ai capelli di cadere smorti sul collo, tenendo l’acconciatura sollevata. Gli occhi erano verdi quanto i capelli trasmettevano un senso di vivacità, sicurezza e vigore che Elladan aveva notato solo in pochissime ragazze del suo villaggio.
«Elladan! Mi senti, si o no!?» Adesso aveva un tono decisamente impaziente.
Probabilmente si era accorta che era sveglio ma che non la stava ascoltando.
«Ti sento, ti sento.» Le sue stesse parole gli rimbombavano nella testa come colpi di cannone.
«Bene!» Si sedette in ginocchio di fianco a lui ma non provò ad alzarlo, forse temendo che avesse delle ossa rotte. «Jonah! Elladan è qui.»
L’elfo non conosceva la ragazza, o perlomeno non ricordava di averci mai parlato, ma sapeva perfettamente chi fosse Jonah: una delle persone a cui teneva di più al mondo, il suo più vecchio amico.
Provò ad alzarsi a sedere per incontrare lo sguardo bruno dell’amico, per poter trovare consolazione nei suoi occhi neri sempre sicuri e sempre ragionevoli. Ma la ragazza gli premette una mano sul petto per impedirglielo. «Sta giù te. Ti sei rotto la testa.»
Ecco spiegato a cosa era dovuto quel terribile dolore che aveva sentito appena sveglio.
Elladan guardò l’elfa dai capelli verdi mentre parlava a gesti con Jonah e, con disappunto, vide che l’amico non sembrava intenzionato a parlare con lui per il momento.
Loro due, da bambini, erano stati inseparabili, ma Jonah era sempre stato il più dotato dei due: il più coraggioso, il più intraprendente. Anche il più ribelle. Ma poi lui era diventato un ranger e aveva cominciato a passare settimane lontano dal villaggio, all’inizio col lavoro di staffetta, poi come un vero e proprio esploratore di avanscoperta e come controllore dei confini, ed Elladan aveva cominciato a vederlo sempre meno.
«Ti sei anche scottato la guancia. Spada laser immagino.»
Elladan annuì a quelle parole e le immagini terribili di qualche ora prima gli affollarono la mente in tormentosi flashback: la madre morente, il padre fatto a pezzi, il Raptor nella sua camera…
Il viso della ragazza si incupì «Sei stato stupido a voler combattere con una di quelle bestie. Sei fortunato ad essere vivo»
«Piuttosto mi chiedo come faccio ad esserlo»
Un lungo sospiro dalla giovane
«Quegli esseri si sono accorti che non eri morto e ti hanno catturato, così come hanno fatto con noi, ci hanno messo in queste gabbie ed ora ci portano con loro, ci portano alla capitale»
Il ragazzo la guardò perplesso
«Ma quindi…cosa vogliono da noi?»
Lei abbasso lo sguardo, come per allontanare quello che gli avrebbe mostrato l’altro
«Ci fanno schiavi.»
Elladan spalancò gli occhi con un moto d’orrore, era quello che temeva. «Schiavi?» La sua voce era poco più di un sussurro.
La ragazza annuì grave.
«Si. Gli adulti, i ragazzi, tutti coloro che sono in grado di compiere lavori di forza.» Un sospiro di rammarico. «E chi non riesce a superare il viaggio diventa parte dei loro banchetti.» Una breve pausa. «Ah dimenticavo, tu non mi conosci, mi chiamo Thiara.» Sorrise amichevolmente come se le cose sconcertanti delle quali aveva appena parlato fossero già lontane.
«Ci fanno cosa?!» Elladan non riusciva a lasciare che la discussione si concludesse.
Thiara alzò un sopracciglio lievemente infastidita. «Hai capito bene…schiavi…vuoi forse che ti chiarisca il concetto?»
L’elfo abbassò lo sguardo in preda allo sconforto. «No.» Scosse la testa come a voler scacciare quella scomoda prospettiva. «Non voglio, dobbiamo andarcene…»
Sapeva fin troppo bene qual’era il destino di uno schiavo dei raptor; un lavoro devastante ad un ritmo lacerante, la vita da schiavo ti consuma rapidamente uccidendoti nel giro di pochi anni. Ma non era tanto la morte quanto la prospettiva di che cosa l’avrebbe causata a essere insopportabile, non poteva finire così.
«Non fare il bambino capriccioso!» Ribatté lei. «Ovviamente tenteremo di fare qualcosa, nessuno qui vuole finire schiavo.»
Elladan si zittì, non perché le parole dell’altra l’avessero tranquillizzato, piuttosto ogni parola che diceva gli risuonava fin dentro la testa facendogli provare un dolore impressionante.
La vista gli si annebbiò di colpo, sentì il sonno attanagliarlo di nuovo mentre l’energia veniva meno. Si sforzò invano di tenere gli occhi aperti ma cominciò a vedere bianco e lasciò che si chiudessero.
«Bene ora sta fermo e lasciami fare.» Sentì dire Thiara mentre gli alzava la testa e gli riversava qualcosa di freddo e vischioso sulla fronte.
Lentamente i suoni divennero un ronzio e i sensi gli venirono meno mentre una sensazione di torpore gli avvolgeva il corpo.
Poi il buio.
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Et voilà!
Quando alla mente malata di un ragazzo in overdose di Halo e Jurassic Park si aggiunge qualche libro fantasy il povero cervello striminzito si accartoccia e al tizio salta in mente di mettersi a scrivere qualcosa.
L'idea mi è saltata fuori da una battuta di preciso...ma non volendovi togliere il gusto di scoprire come questo mondo si è generato mi astengo dal rivelarvi ora di cosa si tratta.
E ormai il danno è fatto, che dire...spero sia di vostro gradimento!
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Capitolo 2 *** Merda ***
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Capitolo II
7^ ERA 2000° CICLO 20/05 11:30 PM
NOTHING LAND
«Merda, merda, merda…»
Zark Dabnik non poteva far altro che ripeterselo di continuo mentre correva tra i bidoni dell’immondizia di un vicolo buio, con il cuore in gola e il fiatone.
«Merda, merda, merda…»
Un fragore tremendo parecchi metri più indietro, clangore metallico di qualcosa che veniva buttato lontano e impattava sull’asfalto.
Un gatto spaventato scivolò tra le sue gambe correndo via miagolando in preda al panico.
Zark non era mai stato un grande corridore.
Si fermò un istante, uno solo per respirare. I rumori dei bidoni sbalzati via erano sempre più vicini.
«Merda, merda, merda…»
Le iridi a taglio scivolarono rapidamente tra le ombre, tentando invano di trovare una via di fuga alternativa, un qualsiasi fottuto buco dove potersi infilare per uscire da quella situazione.
Zark nonostante appartenesse all’unica specie evolutasi direttamente da rettili piuttosto che da dinosauri non aveva mai saputo mantenere il sangue freddo.
E mai aveva amato troppo scappare, lui le cose le ha sempre guardate in faccia, sfidate…purtroppo fino ad ora il suo atteggiamento si è rivelato tutt’altro che soddisfacente.
Ma odiava quella situazione, se l’avessero preso sarebbero stati guai, guai grossi e ormai l’inseguimento durava da qualche minuto.
«Sono ossi duri…» un mugugno detto tra le zanne.
Prese il respiro e si voltò ricominciando a correre, in quei cunicoli c’era un odore infernale, il giubbotto imbottito che indossava aveva iniziato a perdere piume da un bel pezzo, doveva essersi impigliato in qualche reticolo o strappatosi a causa di una sporgenza dei bidoni, ormai era quasi vuoto, lo squarcio si apriva dal gomito alla fine della manica da cui usciva una mano artigliata e coperta da un guanto di lana nero senza dita.
All’altezza del collo si poteva vedere il colletto di una camicia bianca a quadratoni rossi bordati di nero, le gambe erano coperte da un paio di jeans rattoppati alla buona e ai piedi portava delle vecchie scarpe da ginnastica.
Trasandato e sporco, con quel fisico slanciato e gli occhi incavati al momento dimostrava di essere in uno stato ancora peggiore del solito.
I lineamenti rettiliformi del giovane erano evidenziati semplicemente da una pallida luce intermittente proveniente da una lampada al neon fissata alla muratura del vicolo.
Inchiodò di colpo puntando i piedi a terra, solo per un soffio non si era schiantato contro una ampia sezione di rete metallica coperta di ruggine posta nel vicolo per impedire il passaggio.
E come se non bastasse i suoi inseguitori stavano guadagnando terreno, poteva sentirli chiaramente mentre si avvicinavano.
Un varco, serviva un varco, il muso grigiastro del rettile scattò a destra e a sinistra alla ricerca di un buco tra le maglie del reticolo.
Niente da fare.
Un tremendo baccano, poi il coperchio di uno dei bidoni saettò attraverso la stretta via sfiorandogli la testa e rimbalzando contro la rete cadendo al suolo completamente deformato.
Zark deglutì, non voleva di certo fare la stessa fine.
Infine si decise, pochi passi indietro, poi scattò verso l’ostacolo e si aggrappò alla maglia issandosi.
Agilmente si arrampicò fino alla sommità della rete, deciso ci spinse sopra le mani per spingersi verso la salvezza.
Peccato che ci fosse il filo spinato.
Un urlo di dolore, le spine gli entrarono nel tessuto dei guanti, poi sulle mani; preso alla sprovvista non potè che lasciare la presa. Un tonfo secco mentre il suo corpo impattava con forza impressionante contro l’asfalto emettendo un tonfo secco.
Ormai era stanco e il vantaggio che aveva ottenuto si stava rapidamente annullando.
«Non questa volta» ringhiò rimettendosi ancora dolorante sulle zampe e ricominciando la sua scalata.
Si preparò al dolore, quando arrivò in cima strinse i denti e si tirò su lanciandosi dall’altra parte, lasciando che il filo spinato si conficcasse nella carne.
Quando arrivò dall’altra parte sentiva i guanti di lana completamente inzuppati, per il buio non poteva vedere quasi niente ma era sicuro che se avesse potuto avrebbe visto il suo sangue.
Schizzò avanti ricominciando a correre all’impazzata, di tanto in tanto afferrava un bidone della spazzatura ribaltandolo in mezzo al vicolo così da disturbare l’intercedere dei suoi inseguitori.
Gli saettava in continuazione tra i piedi ogni genere di creatura; dai gatti, ai ratti fino ai piccoli copy.
Si trattava di dinosauri non più grandi di un pollo, una specie molto antica che si era adattata perfettamente a vivere nei bassifondi delle grandi metropoli, nutrendosi di rifiuti e di qualsiasi altra cosa commestibile.
Come ratti ma più intelligenti e famelici, trovarsi a fronteggiare un gruppo molto ampio di quelle creaturine era una esperienza per nulla piacevole, anche se quegli animaletti uscivano raramente in gruppo dalle fogne.
Per questo motivo ormai nessuno si azzardava a fare lavori di manutenzione senza un buon arsenale, l’ultimo addetto che aveva fatto l’errore di avventurarsi nei cunicoli sotterranei senza una bomboletta di veleno gassoso era stato trovato completamente scarnificato.
La schiena di Zark fu percorsa da un brivido, nel caso l’avessero preso avrebbe potuto facilmente fare anche quella fine.
Se non una peggiore.
Improvvisamente il vicolo fu percorso da l’ennesimo clangore metallico, seguito da un tonfo fragoroso poi qualcosa che strisciava contro il suolo, molto simile al rumore che emette una lavagna quando la si gratta con le unghie.
No, non era stato un bidone spostato.
Quegli energumeni avevano sfondato la recinzione sbalzandola in avanti.
E, conoscendo la forza di quelle creature, non si sarebbe stupito se i bestioni l’avessero abbattuta con una sola spallata.
Voltandosi poteva vedere la sagoma del titano; spalle tremendamente larghe, un’altezza che probabilmente superava i due metri e mezzo, peli biancastri che sbucavano dagli indumenti.
«Merda, merda, merda…»
L’uscita del vicolo apparve agli occhi del giovane come una visione paradisiaca.
La luce bluastra delle lampade che illuminavano la strada fu visibile molto prima che il vicolo finisse, ma bastò per far allungare al rettile il passo raccogliendo le ultime energie rimaste, le narici dilatate per lo sforzo, le mani sanguinanti.
Era troppo stanco anche per sentire il dolore ma era sicuro che il giorno dopo ne avrebbe risentito parecchio.
Sempre nel caso che al giorno dopo riuscisse ad arrivare.
Fu proprio in quel momento che la sua mente fu trafitta da una orribile consapevolezza.
Sgranò gli occhi.
I suoi inseguitori prima di entrare nel vicolo erano due.
Si voltò ancora per controllare meglio, torse il collo un attimo solo, effettivamente di bestioni alle calcagna ne aveva solo uno.
Quando si voltò ancora avanti scoprì dove era finito l’altro.
Davanti a lui.
Gli sbarrò la strada proprio alla soglia del vicolo, enorme e ringhiante.
Sembrava essere comparso dal nulla, il bastardo aveva fatto il giro così che il suo amico spingesse avanti la vittima e insieme i due potessero chiuderlo in una morsa.
Il bestione si era piazzato davanti a lui, braccia aperte per afferrarlo; poteva vedere la strada dietro di lui, mal illuminata dai lampioni e semideserta; i passanti di notte erano quasi assenti, e chi passava era ubriaco o preferiva rimanere fuori dai guai altrui.
In quella città era l’unico modo possibile per rimanere vivi e assistere a qualche pestaggio era cosa di tutti i giorni.
Il rettile aggrottò la fronte senza accennare in alcun modo una diminuzione della velocità.
Appena fu abbastanza vicino l’energumeno si sbilanciò in avanti stringendo di colpo le braccia e emettendo un ringhio gutturale, il fuggitivo piegò improvvisamente la gamba destra, tenendo in avanti quella sinistra mentre la prima scorreva dietro di lui.
Si lasciò cadere verso il basso, scivolando tra le gambe del gigantesco inseguitore mentre la sua presa andava a vuoto.
La gamba destra del rettile strisciò violentemente sull’asfalto, il tessuto dei suoi jeans ci mise solo pochi attimi per lacerarsi, che lo stesso destino toccasse anche alla gamba era questione di istanti.
Per un attimo sentì un dolore lanciante al ginocchio e allo stinco, dolore che fortunatamente si perse rapidamente tra gli altri.
Balzò immediatamente in piedi ignorandoli, zoppicante mosse una paio di passi prima che il bestione si voltasse; un ruggito e lo ebbe addosso.
La creatura spostò la mano all’esterno spingendola su di lui, solo la sua buona prontezza di riflessi gli permise di voltarsi e portarsi le braccia davanti al torace per attutire l’impatto.
Lo colpì con una forza tremenda, fu sicuro di sentire il crepitio delle proprie ossa mentre veniva sbalzato all’indietro, verso una automobile parcheggiata sul ciglio della strada.
Si trattava di uno di quei vecchi modelli con propulsori al plasma sporgenti sulla parte inferiore che mantenevano la carcassa del mezzo sollevato da terra quando era spento a causa di problemi di raffreddamento ormai risolti da una cinquantina d’anni.
Ma in quei posti erano i modelli più diffusi.
Il tonfo emesso dal rettile mentre si schiantava contro la lamiera della carrozzeria risuonò nell’aria prima che ricadesse in avanti a peso morto finendo seduto di fianco al mezzo e accanto ad una profonda ammaccatura creatasi nella portiera.
Nel frattempo l’inseguitore, prima occupato a percorrere l’ultimo tratto di vicolo, aveva raggiunto il compare e i due si stavano dirigendo verso di lui.
Appoggiò una mano a terra facendovi perno e spostando il proprio peso sul braccio per girarsi, finì con la pancia contro il terreno e strisciò sotto il veicolo spingendosi in avanti con le braccia, alla ricerca di una improbabile salvezza.
I due bestioni arrivarono davanti alla macchina e si fermarono, Zark tirò un sospiro di sollievo sperando per un attimo che i due l’avessero perso di vista mentre iniziava a risentire delle numerose ferite, ora anche la sua gamba iniziava ad essere umida mentre le mani erano ormai completamente bagnate.
Ma il suo sollievo era prematuro.
Uno dei due indietreggiò, poi con orrore il giovane si trovò davanti al muso le tozze dita scure che proseguivano coperte di peli bianchi sul resto dell’enorme mano, o meglio delle due mani che avevano afferrato il bordo inferiore della macchina.
Zark deglutì, aveva capito cosa aveva intenzione di fare quel gigante.
«Merda, merda, merda…»
Si girò più velocemente che poté ricominciando a strisciare nella direzione opposta a quella del bestione mentre iniziava a sentire gli scricchiolii della carrozzeria.
Fu questione di un attimo.
La bestia puntò le zampe posteriori a terra e alzò rapida entrambe le braccia.
La macchina venne proiettata in avanti, ribaltata come se fosse stata fatta di polistirolo impattò contro la strada ad un paio di metri da Zark concludendo la sua corsa strisciando rumorosamente sulla carreggiata e lanciando alcune scintille nell’aria per l’attrito.
Il rettile rimase completamente scoperto, ancora.
Ansimante scattò in piedi, dandosi prima lo slancio con le gambe, poi bilanciandosi con braccia e coda mentre ricominciava a correre.
Nella strada, molti lampioni erano stati danneggiati e la strada stessa era in condizioni pietose, la criminalità nella città era alle stelle da quando si potesse ricordare.
Era una fortuna che quelle creature non fossero agili né veloci; la sua corsa era scoordinata, il sostegno della gamba destra gli veniva di tanto in tanto a mancare e ormai gli sembrava che il fiatone gli stesse distruggendo i polmoni.
Doveva seminarli alla svelta, il suo fisico era ormai allo stremo da un pezzo.
Appena trovò un nuovo vicolo dove infilarsi vi si proiettò dentro e subito dopo di lui i suoi inseguitori.
Ricominciò a zigzagare tra i bidoni dei rifiuti; questo vicolo, sebbene sembrasse impossibile, era ancora più sporco e malmesso del precedente.
Ma la sua nuova corsa non durò a lungo.
Ora davanti a lui c’era un muro di mattoni.
Spalancò gli occhi.
Sembrava proprio un vicolo ceco.
«Merda, merda, merda…»
Aveva il cuore in gola, si schiacciò contro il muro tastandolo con le mani, ad ogni tocco lasciava una traccia di sangue.
Ma a quanto pare il muro, come il resto del vicolo, non era in ottime condizioni.
La fortuna era dalla sua parte, un grosso varco tra i mattoni si apriva sull’angolo in basso a sinistra della parete.
Il muso di Zark si illuminò mentre si proiettava verso la sua via di fuga, scivolava goffamente attraverso il muro e passava oltre ricominciando la sua corsa.
Sentì i corpi dei due giganti impattare un paio di volte contro il muro e il crepitio di alcuni calcinacci che si staccavano cadendo tra i rifiuti a terra, poi uno dei due si affacciò al buco mostrando un largo muso a tratti scimmiesco, bocca ampia senza labbra, naso schiacciato con narici piccole e occhi ridotti a fessure, una pelle nerastra coperta per la maggior parte da peluria bianca.
Ringhiò qualche parola, poi si alzò e infilò la mano oltre il buco tastando qua e la a caso.
Sul viso di Zark apparve un largo sorriso.
Meglio per lui lasciare quel luogo prima che i bestioni trovassero il modo per superare quel muro.
Si voltò e passò oltre, ancora ansimante e dolorante ma soddisfatto di essere riuscito a cavarsela anche questa volta.
Percorse rapidamente il breve tratto che lo separava dall’uscita opposta del vicolo.
Si levò uno dei guanti grondanti e sporchi dalla mano portandola alla luce di una lampada laterale, numerosi solchi sanguinanti erano stati aperti sul palmo ed era sicuro che guardandosi la gamba avrebbe assistito ad una scena simile.
Lo strizzò e tornò ad indossarlo.
Era decisamente il caso di andare a farsi un giro in un pub per bersi una birra, magari fumarsi una sigaretta.
Forse gli avrebbero dato qualcosa per le ferite, ma soprattutto avrebbe potuto rilassarsi un po’.
Zark era un varanide, una delle specie “di nicchia” tra le varie che rappresentavano i gruppi di esseri evoluti del pianeta.
Una volta erano raggruppati nella zona dell’Indoaustralia ma quando i Raptor invasero quelle zone la sua specie fu schiavizzata, molti fuggirono popolando le zone neutrali tra i vari imperi.
Allungò il passo e varcò la soglia del vicolo entrando nella strada e tirando un lungo respiro.
Fu allora che arrivò, violenta si avvolse attorno alla sua testa e lo spinse contro il muro del vicolo.
Sentì il tonfo sordo del suo cranio che colpiva i mattoni, poi le dita della mano dell’aggressore che si stringevano attorno al suo capo continuando a premerlo contro la parete.
Riuscì a vedere con la coda dell’occhio un muso rozzo e scimmiesco.
Muovendo quel poco che poteva la bocca riuscì solo a sussurrare una parola
«Merda»
Lo avevano preso.
Quei bastardi lo avevano preso.
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Rieccoci qui XD spero che l'ultimo capitolo sia stato piacevole e soprattutto che ci sia stata abbastanza azione!
Questa volta, e cercherò di farlo per ogni capitolo, ho inserito uno dei miei disegni, ho l'abitudine di disegnare le scene prima di descriverle, questo disegno era il più rappresentativo del capitolo così lo ho messo "in bella".
Vi sarete accorti che nella scrittura sono tutt'altro che costante...
In ogni caso vi posso dire che ho utilizzato questo ultimo lasso di tempo per porre una revisione alla storia soprattutto in ambito cronologico posizionando il tuttoin ambito relativamente più recente, togliendo e aggiungendo personaggi in modo da poterli caratterizzare meglio e studiacchiandomi alcune cosine su clima e geografia terrestre nei prossimi milioni anni (Per esempio tra 5 milioni anni dovrebbe verificarsi una nuova glaciazione e tra 100 una nuova fase tropicale e la forza gravitazionale della luna sul nostro pianeta allungherà sempre più il dì così come la notte fino a raddoppiarli) oltre a ragionare su evoluzione delle specie e cose così...
Ergo presto porrò alcune modifiche al primo capitolo.
Nel frattempo ecco il planisfero come appare negli anni in cui il racconto si svolge
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