~Malefica.

di Brooke Davis24
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** So chi sei ***
Capitolo 2: *** La morte è un istante ***
Capitolo 3: *** Un giorno. Forse. ***
Capitolo 4: *** Paura e malinconia ***
Capitolo 5: *** Una ragione per non arrendersi ***



Capitolo 1
*** So chi sei ***


So di avere un'altra storia in corso e, credetemi, non l'ho dimenticata, ma ho tutta l'intenzione di continuarla con la collaborazione della persona che mi aiuterà a partorirla. Ma non potevo non mettere per iscritto questa idea, perché, altrimenti, mi avrebbe tormentata più di un fantasma! Come ho specificato nella descrizione, si tratta di un crossover ispirato a "La bella addormentata nel bosco" con una serie di elementi originali, di mia completa fantasia. Spero vi piaccia e, se voleste farmelo sapere, sarò contenta di leggere le vostre recensioni. E, ovviamente, ascoltate la canzone se potete: è stata la mia fonte di ispirazione.
Buona lettura!



Capitolo I
So chi sei

http://www.youtube.com/watch?v=TZ44x0GnKh4

Oscurità e morte. Era quanto pervadeva i confini della Foresta Incantata, aggirandosi tra i fitti arbusti, nel silente cuore che, un tempo, era stato pieno di una vitalità che sembrava essere svanita per sempre. Oscurità e morte erano tutto quello di cui gli abitanti vivevano da un anno a quella parte, dal giorno in  cui una maledizione color dell’oblio aveva colpito le verdeggianti colline del reame, mettendo definitivamente fine al benessere che l’aveva sempre contraddistinto, facendo perdere a quella foresta l’incanto di cui si era sempre potuta vantare.
Oscurità e morte erano tutto ciò che la più bella creatura di tutto il reame aveva portato con sé, quando, calando su di loro in una nuvola nera di terrore e sgomento, la sagoma longilinea di una giovane donna aveva fatto la sua apparizione ai confini della foresta, sorridendo agli abitanti del luogo con un’espressione tanto angelica da ingannare il più sospettoso degli uomini. Il suo nome era stato Emma, un tempo, ma nessuno l’aveva più chiamata in quel modo sin da quando era una ragazzina, dall’ultima volta che era stata vista dai suoi genitori. Adesso, era conosciuta come Malefica.
Gli abitanti del regno, sia gli animali che la gente, non erano stati in grado di scorgerlo, il pericolo che ella aveva trascinato verso di loro con inaudita maestria. E la loro ingenuità le aveva reso semplice il compito di conquistarli, al punto tale che non erano stati in grado di fermare l’incantesimo che lei aveva castato sul loro mondo perché, quando ne avevano compreso la portata, era stato troppo tardi. Improvvisamente, gli alberi avevano cominciato a perdere le loro foglie, lasciandole cadere al suolo in stato catatonico finché non erano avvizzite tanto da diventare il ricordo di ciò che erano state un tempo; l’erba aveva cominciato a piegarsi, mesta, avvilita dalla pesantezza di un’aria che non avrebbe concesso ad alcun germoglio di fare coraggiosamente capolino oltre lo strato di terra secca; gli animali erano fuggiti o, almeno, così era stato per i più fortunati di loro. Tutta la natura aveva cominciato a morire, minuto dopo minuto, mentre una coltre di oscurità era scesa sul paesaggio che, tempo prima, era stato lo scenario di amori nascenti.
Ma ella non si era limitata a questo, non le era bastato! Con la maestria di un prestigiatore li aveva privati persino della felicità, come se riuscisse a tratte un incomparabile piacere dalle loro sofferenze. Non aveva bisogno di vederli, il dolore, la disperazione, la tristezza, la paura, perché poteva percepire ognuna di quelle sensazioni sulla propria pelle, nell’immoto silenzio del mattino, nel portentoso odore di morte che si aggirava sui tetti delle case, sulle nuche glabre degli alberi. E loro potevano sentirla, quella felicità che ella gli aveva strappato e di cui si nutriva: nelle notti più scure, riuscivano a sentire la bassa, roca risata di lei che, provenendo dal castello posto in cima alla montagna, oltre il folto della foresta ove nessuno aveva più osato addentrarsi, infestava i loro sogni, rubando perfino quell’ultimo briciolo di libertà che il sonno riservava loro.
“Buongiorno, splendore!” sussurrò lei, alzandosi dal letto e attraversando la stanza finché non ebbe raggiunto la balconata. Quando i suoi occhi neri come la pece scorsero il panorama mortifero della quale era unica artefice, inspirò a fondo, compiaciuta, e non poté impedirsi di ridere forte e a lungo, nel momento in cui notò che nessun sole illuminava il cielo, che nessuno splendore avrebbe turbato la sua quiete. Penetrante, la sua risata impregnò l’atmosfera.
“Amo questo luogo, mio diletto. E’ di tuo gradimento?” chiese al suo fedele corvo, chinandosi su di lui finché il suo sguardo non fu allineato a quello dell’animale, e dolcemente gli carezzò il dorso del becco, mentre i lunghi capelli serici le scendevano sulle spalle con altrettanta delicatezza, posizionandosi ai lati del viso pallido. “Sarei dovuta venire molti, molti anni prima. Questo luogo e la debolezza dei suoi abitanti mi rendono più felice di quanto non sia stata in tutta la mia vita.”
Tornando in posizione eretta, ammirò per l’ennesima volta i frutti del suo arduo lavoro e fu sul punto di canticchiare una vecchia canzone a labbra strette, una canzone del cui apprendimento non aveva alcuna memoria ma che si trovava ad intonare tutte le volte in cui la felicità era sul punto di sopraffarla, quando qualcosa la distrasse, accendendole gli occhi di un piacere quasi folle.
“Abbiamo visite, mio diletto!”
Girando su se stessa, si avviò verso il ventre del palazzo, sulle labbra rosse come i petali di una rosa un sorriso mefistofelico, ed ebbe l’impressione che si sarebbe divertita molto più del previsto, più di quanto non avesse osato sperare. Il castello, eccezion fatta per Malefica e il suo fido compagno, era completamene disabitato e pareva che quella quiete spettrale la compiacesse molto più di quanto l’odore della desolazione non fosse in grado di fare. Avvolta in un lungo vestito nero quanto lo erano i suoi capelli e i suoi occhi, ne percorse i corridoi, i saloni, le scale, a farle eco il ticchettio delle scarpe e il fruscio dell’abito che, sfiorando il pavimento di freddo marmo, la seguiva più incalzante della sua stessa ombra.
“So chi sei, vicino al mio cuor ogn’or sei tu…” cominciò a cantare, la voce dolce e fredda al contempo, benché le parole suonassero come un ammonimento, uno dei più spaventosi. “So chi sei, di tutti i miei sogni il dolce oggetto sei tu…”
Un rumore lontano, come se qualcuno la stesse aspettando, privo di quel timore che aveva contraddistinto tutti gli altri al punto tale da impedirgli di avventurarsi nella foresta, risuonò nel salone più grande del palazzo e, quando ella lo ebbe raggiunto, la figura mascolina di uno sconosciuto fu tutto ciò che Malefica riuscì a scorgere. Era il primo visitatore che quelle mura accoglievano da che aveva toccato il suolo della Foresta Incantata e le fu impossibile nascondere la malata eccitazione che la pervase.
“Anche se nei sogni è tutta illusione e nulla più…” proseguì lei, gli occhi neri, ardenti, spettrali fissi su di lui mentre scendeva le scale, i lembi della lunga, morbida gonna del vestito tirati su a mostrare il pallido colorito delle lunghe gambe snelle. C’era qualcosa di estremamente spaventoso in lei, nella perfezione di quella bellezza che avrebbe sedotto perfino il più reticente tra gli uomini.
“Emma…” la chiamò lui, quasi nutrisse la speranza di poterla risvegliare da un semplice incubo, e la sua voce risuonò tra le mura del salone, quasi esse la respingessero per restituirla al mittente. “Sei davvero tu?”
“Chiedo scusa, signore, ma non c’è nessuna Emma in questo palazzo. Ne sono l’unica occupante e il mio nome è Malefica. Al vostro servizio!” Lasciando cadere gli orli del vestito, allungò l’indice finché il suo corvo non poté appollaiarvisi, il tocco gentile più di quanto ci si potesse aspettare da un animale della sua specie.
“Tu non sei così, Emma. Io ti conosco meglio di chiunque altro. Io so chi sei!” fece lui, avanzando verso la giovane vestita di nero con cautela. La conosceva, non stava mentendo, ma ne aveva timore, temeva l’essere che era diventata e che lui stentava a riconoscere come la persona che aveva più ammirato in vita sua. La persona che aveva più amato. Ella inclinò leggermente il capo verso sinistra, ad un tempo confusa e curiosa, mentre lo osservava farsi avanti.
“Posso avere l’ardire di chiedervi il vostro nome?” domandò e, benché le sue parole mostrassero un’educazione ed una cortesia regale, il tono della sua voce lasciò trapelare cosa si era sovrapposto alla Emma di un tempo, convivendo con lei fino a prenderne il sopravvento.
“Sono Killian, Killian Jones.” rispose, arrestandosi a qualche metro da lei. Osservarla da una distanza così ravvicinata lo colpì, instillando nel suo animo il timore di essere arrivato troppo tardi, di voler iniziare un’impresa che si sarebbe dimostrata fallimentare, tanto a breve quanto a lungo termine. L’angolo della bocca di lei si curvò verso l’alto e l’uomo non poté fare a meno di trovarla bellissima, perfino più di quanto ricordasse.
L’ultima volta che l’aveva vista, non erano stati che dei ragazzini, promessi in matrimonio l’uno all’altra da genitori che, per lungo tempo, li avevano osservati nella speranza di veder sbocciare tra loro il sentimento che si auspicavano potesse portare all’unione dei rispettivi reami. E, per un periodo, avevano sfiorato quel sogno ed erano stati sul punto di agguantarlo: all’età di sedici anni, Emma era riuscita a conquistare il cuore di Killian senza che il ragazzo fosse in grado di rendersene conto o ammetterlo a se stesso; vi era, nell’animo libertino e ribelle di lui, più grande di Emma di circa otto anni, tutta l’intenzione di opporsi ad un futuro che volevano imporgli e che era deciso a rinnegare a qualunque costo. I lunghi capelli biondi come quelli della madre, il colorito pallido, gli occhi verdi come quelli del padre, le labbra rosse come il sangue, Emma era la fanciulla più graziosa che si fosse mai vista; e di ella erano fieri tanto i genitori quanto le sue fate madrine.
La felicità con la quale erano state scandite le loro giornate, tuttavia, era ben presto scomparsa, devastata dall’avverarsi della minaccia che, il giorno della nascita di Emma, una strega aveva lanciato su tutti loro. Accostandosi alla culla della piccola e osservandola in tutto il suo splendore, li aveva invitati a goderne intensamente il più possibile, promettendo alla bambina che, un giorno non troppo lontano, sarebbe tornata a prenderla e sarebbe stata sua. E così era stato: il mattino del suo diciassettesimo compleanno, Emma era scomparsa e di lei non si erano avute più tracce, almeno fino a quando, un anno prima, non si era presentata sotto le sembianze di Malefica, rendendosi irriconoscibile ai suoi stessi genitori. Killian era stato l’unico a partorire l’apparentemente assurda idea che, dietro quegli occhi neri come la pece e quell’aspetto demoniaco, si nascondesse la ragazza con cui il suo cuore si era impegnato in una promessa che non aveva nemmeno avuto il tempo di farle a voce.
“Capisco…” fece lei, quel sorriso impenetrabile ancora sulla bocca. “Credo vi siate avventurato invano nel folto della foresta, signore, e a vostro rischio e pericolo.”Dolcemente, lasciò che le sue labbra si schiudessero, rivelando il candore dei denti, e Killian seppe, in quell’istante più che mai, di non essersi sbagliato.
“Vi porgo le mie scuse, vostra maestà!” le disse, incauto.
“Allora, sapevate chi fossi…” gli fece notare, negli occhi il baluginio di una spietatezza che l’uomo aveva avuto modo di incontrare pochissime altre volte nella sua vita. “Seguitemi!” lo invitò, girando su se stessa e riprendendo a canticchiare a labbra strette il motivetto di prima. Incerto sul da farsi e consapevole di stare rischiando la vita, Killian si azzardò a seguirla e il suo cuore mancò un battito al ricordo della prima volta che l’aveva udita mormorare quella stessa melodia e, insieme a lei, ne aveva stabilito i versi.
Lentamente, lo condusse per alcuni dei saloni del palazzo e, senza voltarsi una sola volta, proseguì finché non fu arrivata di fronte ad una porta; con una lieve pressione della mano, la spinse e si azzardò a scendere le scale. Uno strano torpore cominciò a gravare sulle membra di Killian e, pur non essendone certo, seppe che non fosse la stanchezza del viaggio la ragione di un simile, improvviso indebolimento. Proseguirono per una buona manciata di minuti, fin quando, fischiettando la canzone, ancora di buonumore, ella non si arrestò di fronte ad un’altra porta, stavolta più piccola della precedente, e, aprendola, lo attese sullo stipite.
“Emma, ti prego, non…” fu sul punto di dire, ma le energie vennero a mancargli e, sospinto da una forza che non avrebbe saputo definire, varcò l’uscio. La porta si chiuse alle sue spalle e, mentre perdeva conoscenza, l’ultima cosa che udì furono le parole  di lei.
“Il mio cuore sa che, nella realtà, da me tu verrai e che mi amerai ancor di più.”

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Capitolo 2
*** La morte è un istante ***


Due sole precisazioni: a)la scena che vedrete a metà capitolo è in parte ispirata al trailer del film della Disney su Malefica, b)l'ho inserita come dedica personale alla mia lettrice più affezionata, Marika. Non dire che non ti accontento! ;]
Buona lettura!


Capitolo II
La morte è un istante


Un vento freddo fischiava contro le mura di marmo del castello, insinuandosi tra le fessure e danzando per stanze e corridoi. Killian, nel delirio cui la sua mente era in preda, non faceva alcuna fatica ad immaginare le folate di vento, impegnate in un romantico valzer, stringersi, sorridersi, percorrere l’intera pista da ballo e, infine, al termine della musica, farsi un rispettoso inchino, come la buona educazione comandava. Ma i suoi pensieri correvano troppo veloci, sospinti dall’inedia di quegli ultimi giorni e dall’aria del palazzo che stava intossicando i suoi sensi, rendendogli cara persino l’idea di farsi del male.
L’ultima volta che aveva visto Emma era stata esattamente l’ultima volta che aveva messo qualcosa sotto i denti e, al contempo, l’ultima volta che le sue riflessioni erano rimaste lucide. Non un rumore di passi aveva annunciato che qualcuno fosse disposto a prendersi cura di lui, non il suono delle stoviglie, neppure il corvo aveva fatto capolino in quelle zone del castello che davano su uno strapiombo ai lati della montagna ove l’edificio era sito. Era quello il prezzo che avrebbe dovuto pagare per la sua testardaggine? Ed era quello il trattamento che ella gli avrebbe riservato? L’indifferenza? 
Mettendosi a sedere contro la parete, guardò oltre la piccola finestra ricavata nel marmo e, benché ci fosse poco da ammirare, anelò alla libertà, perfino ai rami rinsecchiti degli alberi, alle sporadiche lepri che, con le costole sporgenti, sopravvivevano alla bell’e meglio. Era tutto quello che Malefica aveva lasciato loro, era tutto quello che Emma aveva lasciato loro. Sospirando, ignorò i crampi allo stomaco dettati dalla fame e quasi credette di essere in preda ad un’allucinazione, quando la porta di quella che aveva presto compreso essere una cella si schiuse dinanzi ai suoi occhi, magicamente, mostrando un piatto di cibo fumante appena al di là dell’uscio. Con la stessa bramosia di un avvoltoio al cospetto di una carcassa, si avventò su di esso e divorò quel poco che gli era stato concesso, facendone buona riserva. Quando ebbe finito, tuttavia, realizzò qualcosa che la fame gli aveva impedito di vedere sino ad allora: qualunque fossero i suoi intenti, Emma lo aveva attirato fuori dal luogo della sua prigionia con lo scopo di non ricacciarvelo immediatamente dopo e Killian non poté fare a meno di chiedersi cosa significasse tutto ciò, cosa si aspettava che facesse.
Alzandosi sulle gambe malferme, l’uomo si resse alla parete delle scale per far fronte ai capogiri e dovette ripete l’operazione più di una volta, mentre proseguiva lungo i gradini che, tre giorni prima, non gli erano parsi tanto numerosi. Era pienamente consapevole del fatto che, se Emma avesse avuto intenzione di ucciderlo, date le sue precarie condizioni, avrebbe potuto farlo senza incontrare alcuna resistenza, godendosi perfino il momento; quando ebbe raggiunto la sommità delle scale e realizzò che la stessa, immota quiete della cui compagnia aveva goduto vigeva nelle restanti parti del palazzo, tuttavia, il sospetto che quelle non fossero le intenzioni della giovane non soltanto s’insinuò nella sua mente ma, se possibile, divenne più concreto di quanto non si fosse aspettato. Ed ebbe conferma alle sue perplessità pervenne presso il salone d’ingresso ove l’aveva rivista per la prima volta dopo tanti anni, perché trovò il portone schiuso e, in prossimità di esso, la sacca e le armi che aveva portato con sé in quella missione suicida.
Attraversata l’immensa stanza e giunto al portone d’entrata, Killian comprese cosa ella stesse tentando di dirgli: voleva che se ne andasse, che tornasse alla propria vita e, soprattutto, che la lasciasse alla sua senza tentare d’interferirvi in qualunque modo.
*
Una silente inquietudine vigeva per la Foresta Incantata e chiunque vi si fosse avventurato avrebbe percepito quella sensazione provenire dagli angoli più disparati, come non si trattasse del mero riflesso della disperazione degli abitanti del luogo ma, piuttosto, vi fosse un’attiva partecipazione emotiva dell’ambiente. Lo scricchiolio dei rami, disturbati dagli aliti di vento gelido, era soltanto una delle avvisaglie di quel malessere: per chi avesse conosciuto, visto e vissuto quel luogo prima della devastazione che Malefica aveva portato con sé, lo sgomento sarebbe stata soltanto la prima delle reazioni possibili, seguita da una serie di sensazioni appartenenti al medesimo raggio emozionale.
Era quasi impossibile, perciò, credere che tutto ciò che risultava spaventoso ai più fosse fonte di un’indicibile felicità per la sua artefice. Malefica non traeva godimento dalla mera percezione della sofferenza altrui; Malefica amava ciò che il suo sguardo riusciva a sfiorare della foresta e riteneva di non aver mai visto un paesaggio tanto meraviglioso in tutta la sua vita, come se i suoi occhi osservassero il mondo alla rovescia e trovassero lodevole quanto era deprecabile, eccelso ciò che era fonte di miseria, gradevole ciò che risultava insopportabile ai sensi.
Passeggiando tra gli arbusti morenti, la giovane sorrise, nelle orecchie il solo suono causato dal battito delle ali del suo corvo, e, in quella che sarebbe apparsa la più crudele parodia della sofferenza altrui, fece una giravolta, cominciando a danzare un valzer immaginario; e il vento parve seguirla, spirando in direzioni diverse a seconda dei passi di lei. Chinandosi appena, oltrepassò l’arco creato da una serie di rovi, stando ben attenta a non ferirsi, e, quando l’ebbe fatto, qualcosa parve attrarre la sua attenzione perché, accostandosi ad una roccia, la stessa insana fiamma di entusiasmo, che l’aveva animata il giorno in cui l’incauto visitatore si era avventurato fino al suo palazzo, accese i suoi occhi e qualcosa bruciò nel suo animo, facendole ardere il petto di un entusiasmo privo di inibizioni.
Di fronte a lei, a qualche metro di distanza dal margine ultimo che segnava lo stacco tra la foresta e il paese più vicino, si trovava una bambina dell’età di non più di nove anni; Malefica la osservò correre a destra e a manca, quello che sembrava un coniglio di peluche stretto tra le braccia, e la udì ridere di cuore. Com’era possibile che, nel bel mezzo di tanta devastazione, quella singolare creatura trovasse la voglia di sorridere? Com’era possibile, si chiese, che tutta quell’oscurità non fosse in grado di tangerla? La bocca schiusa in un’espressione di muto stupore, la giovane vestita in nero compì qualche passo in direzione della bambina, forte dell’oscurità che la nascondeva. Inaspettatamente, però, forzato dal peso del suo corpo, un ramo scricchiolò al passaggio di Malefica, attirando l’attenzione della piccola dalla capigliatura dorata che, stringendo a sé il pupazzo, aguzzò la vista nel tentativo di scorgere distintamente la sagoma oltre il margine della foresta.
«Chi è là?» domandò, nella voce un tremore dettato tanto dalla paura quanto dalla curiosità. Malefica avanzò ancora finché non ebbe raggiunto la ruvida corteccia di un albero secolare; leggera, la sua mano si posò su di essa e, nel chiarore lunare, i suoi occhi neri brillarono un po’, facendo sobbalzare la piccola interlocutrice. «Io so chi sei.»
«Davvero?» chiese, sulle sue labbra sospesa l’eccitazione che le avrebbe dato scorgere il panico sul volto angelico della bambina.
«Sì… Tutti sanno chi sei!» azzardò e, guardandosi attorno, rimase sorpresa dall’oscurità che improvvisamente sembrava aver avvolto il paesaggio tutt’intorno a lei. «Mostrati! Non avere paura, non ti farò del male…»
«Oh.» 
Una risata roca corse dalle profondità della gola fino alle labbra della più grande delle due, irradiandosi nell’etere, e la piccola parve finalmente comprendere la portata degli ammonimenti che le erano stati fatti sulla creatura che dominava la foresta, sul pericolo che avrebbe corso chiunque si fosse avventurato troppo in là rispetto ai confini del paesino per andare incontro a fato certo. Eppure non mosse un solo passo indietro e, anzi, il suo corpo parve tendersi in avanti, come volesse raggiungere l’essere da cui tutti l’avevano messa in guardia e potersi vantare di averla vista ed esserne uscita illesa.
«A quel punto, saresti tu ad avere paura.» fece e, con passo deciso, venne allo scoperto. La luce argentea della luna investì completamente la sua figura di donna, strappando un sospiro di sorpresa e, al contempo, di sollievo alla bambina, come se avesse temuto di poter vedere una creatura bitorzoluta, dalle fattezze spiacevoli.
«Sei molto bella.» le confessò la piccola, sorridendole con fare incoraggiante e raccogliendo, infine, il coraggio per fare un passo verso Malefica. Ella le sorrise, dolce e accattivante come soltanto lei sapeva essere, e allungò una mano all’indirizzo dell’altra, invitandola a farsi più vicina ancora e a fidarsi di lei. «Mi farai del male?»
«Perché dovrei?» le domandò, inclinando leggermente il capo come se una simile prospettiva non fosse neppure in grado di figurare tra le ipotesi papabili, e sorrise più ampiamente, chinandosi sulle ginocchia per raggiungere l’altezza dell’altra. «Ti va di conoscere qualcuno?» fece e gli occhi della bambina si accesero di quell’eccitazione che soltanto il candore avrebbe potuto rendere effettiva in una simile circostanza.
«Chi?»
«Vieni, mio diletto!» disse e, allungando la mano destra quel tanto che bastava a creare un solido appoggio, attese che il corvo si depositasse dove di dovere. Quando accadde, la meraviglia che apparve sul viso della piccola fece divampare l’incendio che aveva già trovato spazio nell’animo di Malefica e i suoi occhi, neri come mai lo erano stati, parvero bruciare ogni porzione dell’innocenza dell’altra come a volersene nutrire; e, mentre la piccola porgeva incautamente le dita nel tentativo di toccare il volatile, lasciando cadere in terra il pupazzo che fino a poco prima le era stato tanto caro, la stessa, pesante aria che aveva intossicato l’avventuriero cominciò a pesare sulle spalle minute della fanciulletta.
«Fermatevi!» urlò una voce dal margine della foresta e l’atmosfera mutò improvvisamente. La bambina, come risvegliatasi da uno stato di improvvisa confusione, indietreggiò e cominciò a correre più forte che poté. Una ruga solcò la fronte di Malefica a dimostrarne il fastidio, ma, quando si fu voltata all’indirizzo dell’uomo, la sua espressione era serena come sempre.
«Killian Jones!»
«Volevate ucciderla?» le domandò, avanzando con passo deciso, ma dovette arrestarsi, quando scorse la disapprovazione in quegli occhi e l’oblio in essi parve volerlo annegare nell’oscurità più assoluta.
«La vostra domanda non è questa.» lo corresse e l’uomo parve perplesso. «Quello che volete sapere è perché non abbia ucciso voi, per quale ragione vi abbia concesso la libertà.» disse e sorrise, dando una lieve spinta verso l’alto con la mano per permettere al corvo di volare via. C’era qualcosa di teatrale in lei, qualcosa di infinitamente spaventoso e di altrettanto incantevole nel modo in cui si muoveva e viveva, come se ogni suo gesto fosse connesso a quello precedente e a quello successivo a composizione di un dramma vivente in cui tutto, all’infuori di lei, era una mera comparsa, un mero suppellettile.
«Perché tutto questo?» chiese lui, indicando con un gesto delle braccia il panorama a lui circostante e la desolazione che lo dominava.  «Perché non ucciderci tutti?»
Ella lo guardò e sospirò, quasi delusa dall’incapacità di comprendere l’elementare ragione alla base del suo agire, e fece per oltrepassarlo quando, in uno slancio di coraggio che nemmeno lui seppe giustificare, Killian allungò il braccio verso di lei fino ad afferrarle il polso. Non fu in grado di spiegarsi l’effettiva motivazione di tanto stupore, ma fu un sollievo rendersi conto che ella era una donna come tante altre e che, come queste, la sua pelle era morbida, di seta. A lungo non ebbe il coraggio di alzare lo sguardo per incontrare quello di Malefica, benché potesse nitidamente percepire la fermezza degli occhi dell’altra su di sé, e, quando lo fece, il suo cuore mancò un battito perché, in un illusorio anfratto della sua mente, ebbe l’impressione di scorgere l’Emma che aveva temuto perduta per sempre. «Perché?»
«Non è la morte a darmi gioia, Killian Jones. La morte è un istante e un istante di felicità in una vita intera non è nulla o quasi.» s’interruppe ed egli osservò la bocca di Malefica piegarsi nel sorriso più semplice che si potesse chiedere all’autrice di un simile scempio. «Ma la sofferenza… Oh, la sofferenza può essere eterna e più crudele persino della morte!» gli disse e parve leggergli dentro, perché le parole che ebbe a pronunciare subito dopo lo scossero e confusero. «Come l’amore che provate per la vostra Emma, signore. Non è terrificante, forse, il modo in cui l’amate e il modo in cui quest’amore vi privi del raziocinio fino ad avervi spinto al mio castello, ove nessuno aveva mai osato avventurarsi?» Egli schiuse le labbra come intendesse dire qualcosa, ma ella non glielo permise e, liberandosi dolcemente dalla presa dell’altro, proseguì. «E, se vi dicessi che ho mentito, che nel mio castello risiede davvero la donna che cercate, che la vostra cella era a pochi gradini di distanza dalla sua, non sarebbe terrificante se, in nome di quello stesso amore, sacrificaste la vostra vita per vederla libera? Perché so cosa state per chiedermi, ve lo leggo negli occhi.» Tacque un istante, mentre le fiamme del piacere lambivano quegli occhi perduti in cui non era ravvisabile alcuna distinzione tra l'iride e la pupilla. Per un attimo, si sentì perduto a sua volta. «E, sì, potrei liberarla, ma non è la vostra morte che voglio.» D’un tratto, si fece più vicina, così vicina che, se solo si fosse sporto un poco verso di lei, le loro bocche si sarebbero toccate. «Quello che desidero avere in cambio della sua libertà è la vostra servitù, perché, in questo modo, renderò miserabili entrambi e della vostra miseria potrò nutrirmi.»
Gli occhi di lei non abbandonarono per un istante la presa su quelli blu dell’uomo, che, paralizzato da quelle parole, non fu in grado di muoversi neppure quando avrebbe voluto, quando tutto il suo corpo avrebbe preferito liquefarsi piuttosto che accettare un rinnovato contatto con la giovane. Inclinando il capo verso sinistra, Malefica alzò la mano finché non ebbe raggiunto l’altezza del viso di Killian e, quando fu in prossimità della sua mascella, esitò qualche secondo, prima di sfiorarla col dorso delle dita più delicata di un soffio di vento. E fu con la stessa leggiadria che ella scomparve, avvolta in una nuvola violacea che di lei non lasciò nulla, se non l’eco delle sue parole e il sapore di disperazione in esse contenuto. Emma era davvero sua prigioniera?
 

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Capitolo 3
*** Un giorno. Forse. ***


Ringrazio sentitamente chi continua a seguire questa storia e mi scuso un po' per il ritardo, ma tempo e ispirazione hanno giocato brutti scherzi. Spero che l'attesa sia valsa la pena e mi auguro di non aver deluso le vostre aspettative. Chiedo preventivamente scusa a chi leggerà il capitolo prima di una mia ulteriore correzione, ma sono quasi le due di notte e qualcosa potrebbe comunque sfuggirmi. :]
Un ultimo appunto: ad un certo punto, inserisco il link della "colonna sonora" della storia. Se riuscite ad aprirlo e a leggere il capitolo con quel sottofondo, penso renda un po' meglio.

Buona lettura! ;]


Capitolo Terzo
Un giorno. Forse.


Il giorno in cui le porte del grande, silenzioso castello si erano spalancate sulla spinta delle mani di Killian Jones, Malefica aveva esultato e si era profondamente compiaciuta del risultato conseguito. Erano passate tre intere notti dall’ultima volta che aveva conversato con l’uomo e, benché non potesse averne la certezza assoluta, ella era stata persuasa che, presto o tardi, spinto da quell’amore che infiammava ogni nervo del suo essere, l’altro sarebbe pervenuto alla sua dimora per accettare la sua offerta. Pur non avendo idea di cosa fosse l’amore, pur essendo completamente estranea alla potenza di quel sentimento che aveva sentito decantare in lungo e in largo, le emozioni che aveva scorto riflesse negli occhi di lui tutte le volte che aveva pronunciato il nome della sua adorata e le sensazioni che avevano funestato la bellezza di quelle iridi blu come il mare quando gli aveva rivelato l’infausto destino che le era toccato, tutto ciò le aveva suggerito che i suoi propositi di godimento non sarebbero stati in alcun modo disattesi.
Quella mattina, il cigolio appena percettibile del portone d’ingresso aveva destato i suoi sensi e, nell’andare incontro all’altro, Malefica aveva pregustato nella mente, sulla lingua, nel cuore il diletto che avrebbe tratto da quell’improvvisa ma assai fortuita circostanza che aveva visto lo sconosciuto Killian Jones raggiungerla per salvare un amore di cui l’oscura strega non era assolutamente a conoscenza. Non aveva idea di chi fosse l’Emma il cui nome aveva spesso lasciato le labbra dell’uomo, non aveva idea di quale fosse stata la sua sorte e men che meno era consapevole del legame che li aveva uniti. L’intuito e le circostanze materiali del suo arrivo le avevano fatto supporre, a ragion veduta, che i trascorsi legati a quella sconosciuta fanciulla dovessero affondare le loro radici nel passato antecedente alla sua venuta e, per quanto poco l’interessassero gli innamoramenti e le frivolezze, non era riuscita a non rimproverarsi, quando aveva compreso l’enorme portata del suo errore: era proprio l’amore l’elemento che le avrebbe concesso di infliggere un’ulteriore sofferenza alle sue vittime e Killian Jones sarebbe stato il primo di una lunga serie di esempi di miseria.
Descrivere l’eccitazione nei suoi occhi o lo spasmodico pompare del suo cuore alla vista dell’altro sarebbe stato a dir poco impossibile. Nel suo sguardo, sempre ardente di un piacere folle e malato in presenza di qualsivoglia circostanza funesta, c’erano un calore ed un’indisturbata quiete che difficilmente avrebbero potuto trovare un soddisfacente tratteggiamento nelle capacità di qualunque artista o scrittore. Avvolta nel suo lungo abito nero, lo aveva salutato con un cenno del capo e lo aveva invitato ad attenderla in quello stesso salone, mentre ella si accingeva a portargli la sua amata. Ed egli le aveva dato ascolto! Quando, con passo solenne, era tornata da lui e si era posizionata in cima alle scale che conducevano all’ingresso, sul viso un sorriso malcelato, Malefica aveva constatato che non un muscolo fosse stato mosso e che, all’infuori del borsone adagiato sul pavimento al suo fianco, egli non avesse osato muovere un solo passo.
Erano stati gli attimi più belli della sua vita, quelli in cui ella si era ritrovata ad osservare il ricongiungimento tra i due, e non era stata in grado di trattenere la risata mefistofelica che, dagli anfratti più profondi del suo essere, aveva raggiunto la sua bocca e, da lì, si era irradiata per il palazzo, echeggiando tra le sue mura. Come avrebbe potuto spiegare, definire il miscuglio di emozioni di cui tutto il suo corpo era in balia? Come avrebbe potuto rendere tangibile il godimento che stava provando al cospetto di quell’inganno? Perché d’inganno si parlava! Benché Malefica non avesse idea di chi fosse la donna che ispirava l’amore di Killian Jones, ciò non significava che non potesse fargli credere di non aver mentito. Da diversi mesi, giaceva in una delle celle delle sue segrete una giovane, bellissima principessa che aveva pagato caro lo scotto della sua vanità; Malefica ricordava con chiarezza il modo in cui le aveva parlato, il modo in cui si era vantata dell’intangibilità del suo essere e del suo regno intero rispetto all’oscurità di cui la strega si era fatta portatrice e ricordava in maniera altrettanto nitida la minaccia che aveva osato avanzare. Con la stucchevole, altèra bellezza dei suoi lineamenti, le aveva detto che l’avrebbero combattuta e sconfitta, ella e il suo novello sposo, e che l’avrebbero resa un vago, inutile ricordo tramandato ai loro figli come testimonianza della forza che avevano dimostrato di possedere. Era stata con estrema soddisfazione che, un pomeriggio come un altro, Malefica le aveva fatto visita e, senza nemmeno prendersi la briga di cancellare da quelle labbra rosate il sorriso di scherno con cui la principessa l’aveva accolta, l’aveva portata con sé al castello, riservandole la sorte che riteneva meritasse la sua superbia. Aveva preparato per lei una cella apposita, rivestita di specchi nel suo intero perimetro, cosicché la bellezza di cui si era tanto vantata e il tempo fossero gli unici in grado di erodere la stupidità con cui aveva osato sfidarla. Ironia della sorte, il suo nome era Bella.
Annebbiare gli occhi di lui affinché vedesse in quel volto i lineamenti della sua Emma e gli occhi dell’altra perché vi vedesse il suo nobile cavaliere, era stato semplice e non aveva richiesto un grande sforzo di magia. Aveva dovuto reggersi alla balaustra in marmo e stringerne fermamente la fredda fattura tra le mani per costringersi a rimanere sul posto e a non avvicinarsi; ed era stato molto più complicato del previsto, quando li aveva osservati corrersi incontro con le braccia protese e chiamare ognuno il nome del proprio amato. Killian urlava “Emma” e Bella udiva il proprio nome, allo stesso modo in cui ella urlava “John” e l’uomo udiva “Killian”. Si erano stretti, baciati, accarezzati con profonda tenerezza, con un’affezione che, se non fosse stata preludio ed indice di una più grande sofferenza futura, avrebbe quasi intaccato il perverso benessere di Malefica.
“Non voglio che tu resti! E’ terrificante e io ti amo così tanto. Non voglio vivere senza di te!” aveva detto lei, la voce rotta dal pianto e il volto rigato da lacrime ibride, come se nel suo animo si scontrassero e mescolassero la gioia per la ventura libertà, il dolore per l’imminente separazione e il senso di colpa per l’infausto destino che sarebbe toccato all’amato. “Oh, Emma!” aveva sussurrato lui, le labbra premute contro le palpebre della fanciulla con un sollievo quasi divino. “Non c’è altra soluzione e tu potrai vivere lontana da qui, con la tua famiglia. Devi dimenticarmi e io devo dimenticare te! Solo così l’avremo vinta contro di lei.” le aveva confidato, guardandola con un sorriso dolce. Tutto quello che era seguito altri non era che una stucchevole, insopportabile successione di promesse, scuse, perdono, preghiere, scongiuri che Malefica aveva a malapena seguito e, per un istante, i suoi occhi erano stati avvolti dalla disapprovazione e dalla noia, finché il suo amato corvo non aveva fatto apparizione e con foga virulenta aveva esortato i due a separarsi. Infine, con un sordo tonfo ed un singhiozzo, le porte del castello si erano chiuse e l’animale era tornato da lei.
Malefica aveva taciuto a lungo, la felicità restaurata dall’intervento del suo diletto e dal silenzio che aveva seguito quella separazione, ma i suoi occhi neri come l’oblio non avevano abbandonato un istante la sagoma di Killian e, quando egli si fu voltato, aveva potuto scorgere l’inusitato compiacimento nell’espressione del viso di lei. Un vago, cocente senso di colpa aveva oppresso il petto dell’uomo, che rimpiangeva di avere, anche solo per brevi istanti, potuto credere che la sua Emma risiedesse in quella donna, la cui crudeltà era proporzionale all’eterea, sconvolgente bellezza di cui era portatrice. In una parte della sua mente, si disse che dovesse esserci un collegamento tra essa e l’oscurità che la circondava, come se riuscisse a trarre giovamento fisico dalla miseria altrui; e lo disgustò una riflessione: da quel momento in poi, egli stesso sarebbe stato nutrimento per Malefica.
«Ebbene?» aveva prorotto lui, mettendo a tacere la parte del suo io che lo esortava al silenzio più assoluto per indispettirla. C’era una parte di lui, la più impulsiva e combattiva, che sconsigliava un simile comportamento, una parte di lui convinta che una donna come lei, che viveva sola in un castello tanto grande e con immensa gioia, dovesse amare il silenzio; e compiacimento non era quanto volesse darle.
«Sì?» aveva risposto lei, inclinando appena il capo.
«Non avete nulla da dire? Cosa vi aspettate che faccia?» aveva domandato, mentre avanzava verso di lei con passo fermo e gettava oltre la spalla il borsone che aveva portato con sé. «Qual è il destino che mi aspetta, adesso che ho barattato la mia vita per quella di Emma?» Aveva avanzato ancora, finché non aveva raggiunto le scale e non si era trovato a pochi gradini da lei.
«Potete scegliere, Killian Jones: le segrete o una comune stanza?» L’uomo non aveva potuto impedirsi di trasalire un poco e aveva inarcato le sopracciglia, impossibilitato a credere che una simile offerta fosse veritiera.
«Vorreste dirmi che non mi rinchiuderete a prescindere in una cella?» aveva chiesto e l’aveva vista sospirare e scuotere la testa come era accaduto per il loro ultimo incontro. Le labbra rosse di Malefica si erano piegate in un sorriso appena accennato e, mentre tornava a posare il proprio sguardo su di lui, Killian aveva avuto nuovamente l’impressione di poter scorgere in lei dei tratti di Emma. Ma com’era mai possibile se, fino a qualche secondo prima, le sue braccia, le sue labbra, i suoi occhi l’avevano toccata e, infine, vista allontanarsi?
«Oh, Killian Jones!» Il suo nome, su quelle labbra cremisi, era parso più dolce di quanto in realtà non fosse. «Se è lì che vorrete stare, sarete accontentato, ma devo ammettere che preferirei vedere la vostra anima in pena aggirarsi per il castello, piuttosto che venirvi ad osservare come un animale in gabbia, giù nelle segrete. Lo troverei davvero poco dignitoso. Ma, se così volete…»
«No. Niente segrete.» l’aveva interrotta e la bocca di lei si era aperta in un sorriso completo, incantevole al punto tale che egli stesso aveva compreso per quale ragione gli abitanti del luogo non fossero stati in grado di fermarla o comprenderne gli intenti prima che fosse troppo tardi. Nell’insana perversione che emanava da tutto il suo essere, c’erano una purezza e un’innocenza che avrebbero tratto in inganno anche lui, se non avesse fatto ritorno nella Foresta Incantata solo dopo l’arrivo di lei e se l’amore che provava per Emma non avesse fatto da bussola al suo raziocinio.
«Bene! Allora, seguitemi, signore.»
E così era stato, benché quella circostanza gli riportasse alla mente la sorte che gli era toccata la prima volta che ella lo aveva invitato ad imitarla ed era finito in una cella, per tre giorni, senza cibo né acqua. Seguendone il percorso, Killian non aveva potuto esimersi dall’ammirare le bellezze del castello, compresa la sua padrona, e, benché provasse per lei un odio ed un disprezzo che raramente gli era capitato di sentire per altro essere umano, aveva dovuto arrendersi all’evidente consapevolezza che, se non fosse stata il mostro che era ma una giovane donna come qualunque altra, il suo cuore avrebbe perso qualche battito al suo cospetto, al di là del fatto che amasse Emma e che non riteneva fosse possibile provare per altra fanciulla il sentimento che lo legava a lei. Malefica non era come i nemici cui tutti erano abituati, non feriva, non uccideva, non seviziava; le sue armi erano più sottili, perfino più crudeli, e si serviva della vita stessa e delle sue insidie per impartire le sofferenze che molti altri impartivano con la spada. E Killian era stato costretto ad elogiarne la strategia! Perché, per quanti avversari avesse affrontato per mare e per terra nel corso degli anni, non gli era stato dato conoscere una simile maestria nell’arte di vincere e devastare.
«Devo avvertirvi sentitamente, signore.» aveva detto lei, quando furono arrivati dinanzi la porta di quella che sarebbe stata la stanza dell’uomo. Con sguardo fermo, Killian si era posto a pochi centimetri di distanza da lei e aveva atteso che parlasse. «Non amo uccidere, non appartiene alla mia natura, ma l’ho già fatto e non esiterò a farlo, qualora veniste meno al nostro patto.» lo aveva avvertito e aveva taciuto un istante, quel tanto che bastava a rendere chiaro il fatto che non scherzasse. «Toglierò la vita a lei o a voi sulla base di un mio squisito piacere e lascerò in vita l’altro, impedendogli di mettere fine alla propria esistenza. E, credetemi sulla parola, l’esistenza del superstite sarà infinitamente peggiore di qualsiasi supplizio, di qualsiasi tortura, di qualsiasi orrore abbiate mai visto in tutta la vostra vita.»
Le ombre di quegli occhi neri e la serietà del volto di Malefica avevano lasciato poco spazio all’immaginazione, poco spazio ai dubbi, poco spazio agli scherzi e, nonostante in quei tre giorni avesse tentato di trovare un escamotage alla situazione nella quale aveva deciso di cacciarsi, al suo cospetto qualunque macchinazione era crollata al suolo, sostituita dalla ferma e terrificante consapevolezza che tentare di aggirare la prigionia cui si era sottoposto sarebbe stato peggio che rimanervi, probabilmente.
«Avete la mia parola, Vostra Maestà. Non tenterò di fuggire, mai, e, se Emma dovesse venire nel tentativo di salvarmi in qualche modo, giuro di persuaderla a tornare da dov’è venuta.» Ella lo aveva osservato a lungo, le labbra morbide unite tra loro senza pressioni, come se stesse riflettendo senza, tuttavia, sperticarsi nel tentativo di trovare un metodo per fare in modo che lui mantenesse la sua parola. «Credo fermamente nelle vostre parole e non sono uno sciocco. Venendo da voi per liberare Emma ho preso una decisione e intendo mantenerla.» aveva continuato e, improvvisamente, senza alcuna spiegazione plausibile, il suo cuore aveva accelerato la sua corsa, battendo con maggiore vigore contro la gabbia toracica.
«Non erano questi i vostri intenti, quando siete entrato in questo castello, qualche minuto addietro.» gli aveva detto e Killian non aveva potuto nascondere lo stupore. Com’era possibile che sapesse?
«Avete ragione…» si era costretto a dire, infine, e aveva chinato appena il capo per osservare il pavimento senza interesse alcuno; poi, con un sorriso, i suoi occhi chiari erano ritornati fermi in quelli di Malefica. «Ma potete vedere che, adesso, sono sincero. Vi ho dato la mia parola e non sono solito venirvi meno.»
«Me lo auguro, signore,» Aveva chinato la testa, quasi con l’intenzione di imitarlo, e aveva compiuto un passo in avanti, riducendo definitivamente la distanza tra di loro. Killian aveva percepito la stoffa del vestito di lei sfiorare il proprio petto, ma, ancora di più, aveva rischiato di annegare nei profondi abissi con cui Malefica lo aveva inchiodato sul posto. «perché, come voi, non mi capita di venire meno alle promesse e quella che vi ho fatto è una delle più serie.» Per un attimo, aveva distolto lo sguardo, puntandolo oltre la spalla di lui, e le sue labbra si erano aperte a mostrare la perfezione dei denti bianchi contro il cremisi della bocca; poi, la sua attenzione era tornata all’interlocutore. «Potrò non aver alzato un dito su nessun abitante della Foresta Incantata, al momento, e potrò aver detto che non amo uccidere,» La sua voce di velluto era scivolata sulla pelle dell’uomo con estrema leggerezza, facendolo intirizzire, e Killian aveva compreso quale fosse il prosieguo della conversazione prima ancora che gli venisse comunicato. Improvvisamente, le mani di lei si erano strette sulle sua braccia in una morsa ferma, quasi dolorosa, mentre le unghia premevano contro il tessuto e il sorriso veniva sostituito dall’espressione più minacciosa che quelle labbra avessero mai assunto in sua presenza. «ma questo non significa che non tragga godimento dal calore del sangue umano sulla pelle, perché, credetemi, non è così.» aveva sussurrato e lo squilibrio che emanava dagli occhi, dalle parole, dall’intero essere di lei lo avevano, per la prima volta, reso consapevole della portata del pericolo che Malefica rappresentava.
Quando la presa delle mani dell’altra si era, infine, allentata, Killian non aveva avuto il tempo di ribattere o formulare una risposta plausibile, perché ella lo aveva oltrepassato e, percorrendo il corridoio per il quale lo aveva condotto alla sua stanza, era sparita alla sua vista, lasciando come unica traccia l’eco dei tacchi che battevano contro il pavimento.
*
In seguito a quell’incontro, Killian non ebbe modo di vedere Malefica per un’intera settimana: salvo qualche incontro sporadico per i corridoi e le occasioni in cui ne aveva scorto la sagoma longilinea in giardino dalla propria stanza, sembrava che la donna evitasse di proposito il contatto con lui o, perlomeno, sembrava che per lei nulla fosse cambiato da che aveva preso sotto la propria custodia il giovane uomo. In compenso, non gli aveva fatto mancare nulla, né il cibo, né le comodità e, in quella che si presentava come una vita fatta di estrema solitudine, egli non aveva potuto fare a meno di interrogarsi sul castello e sul fatto che, all’infuori di loro due, apparisse completamente disabitato, ma che, nonostante ciò, risplendesse da cima a fondo e nessun pasto fosse mai stato dimenticato. Le pietanze che gli erano state servite erano sempre state saporite, degne dei banchetti a casa del padre che erano stati frequentemente indetti a palazzo prima che Killian partisse. Che fosse frutto di una magia? Che Malefica avesse, invece, del personale? Che fosse lei ad occuparsi di tutto?
Le cose erano improvvisamente cambiate una sera, la sera in cui un urlo di donna aveva squarciato l’aria della Foresta Incantata facendola apparire maledetta più di quanto non fosse. Quella stessa sera, a sorpresa, una volta rientrato nelle proprie stanze, Killian aveva scorto la figura del corvo appollaiata sullo schienale di una poltrona finemente rivestita con un allegato appeso alla zampa. Maledicendo l’animale per averlo beccato, aveva srotolato la piccola pergamena e aveva osservato la sottile calligrafia che recitava:
“Stasera, la cena sarà servita in sala da pranzo.”
Pur perplesso, egli aveva prestato fede all’intimazione e, quando i morsi della fame aveva cominciato a farsi pressanti, si era incamminato al di fuori della propria camera. Benché si fosse a lungo chiesto come avrebbe fatto a trovare il salone interessato in un castello sì  grande e senza alcuna indicazione precisa, aveva ben presto compreso che non avrebbe avuto bisogno di nessuna ulteriore spiegazione: per rendere più agevole il raggiungimento della meta, erano state illuminate le sole aree del palazzo che si supponeva fossero percorse. E così fece!
Giunto a destinazione, Killian rimase basito nell’osservare la preparazione cui la sala era stata adibita. Avvolta in una fitta oscurità ma rischiarata dalla presenza di due grossi fuochi scoppiettanti ai due lati, la stanza di forma rettangolare aveva un tavolo imbandito al centro, apparecchiato con la migliore argenteria e adornato con fiori scuri e poche, sottili candele per tutto il suo perimetro. In un’altra occasione, egli si sarebbe sentito profondamente a proprio agio, ma, in quel momento, non poté fare a meno di sentirsi fuori luogo, non tanto perché non si ritenesse degno della situazione quanto perché non aveva immaginato un simile fasto e non si era abbigliato in conformità ad esso. E il suo stupore divenne puro sgomento, quando i suoi occhi blu si poggiarono sulla figura di Malefica.
Avvolta in un abito scuro tanto quanto il primo, un corpetto nero senza spalline le fasciava il busto, aprendosi, poi, in una gonna lineare, morbida e senza fronzoli che, nel complesso, le donava sorprendentemente più del vestito precedente. I capelli lunghi, solitamente lisci come la seta, erano adesso morbidamente mossi per una buona metà e le scendevano in una carezza sulla pelle eburnea delle spalle, di tanto in tanto illuminate dalla luce delle lingue di fuoco che guizzavano nel focolare più prossimo a lei. Era un incanto, semplicemente un incanto.
«Buona sera, Killian Jones!» le sentì dire e l’uomo ebbe bisogno di qualche istante per realizzare di essere rimasto al centro dell’arco che immetteva nella sala con la mascella spalancata. Dandosi un certo contegno, si piegò in un lieve inchino.
«Buona sera, Vostra Maestà!» rispose lui, ma l’altra sorrise e scosse la testa.
«Chiamatemi Malefica, vi prego.» gli chiese e lui annuì, facendo definitivamente ingresso nel salone ed accostandosi ad una delle sedie poste attorno al tavolo. Con un po’ d’attenzione, poté notare che il tavolo era apparecchiato per una sola persona. «Accomodatevi, signore. Sarete affamato!»
«Killian. Chiamatemi Killian.» la interruppe, prima che potesse proseguire, e la osservò accomodarsi su una delle due poltrone disposte a poca distanza dal fuoco, nelle mani un calice argenteo dal quale sorseggiava di tanto in tanto. «Voi non..?»
«Non sono abituata a mangiare in compagnia, ma vi scongiuro di non fare complimenti.» lo esortò e l’uomo non poté impedirsi di inarcare le sopracciglia, mentre prendeva posto a capo tavola. Che vivesse una vita di solitudine e non avesse dimestichezza alle grandi cene poteva benissimo comprenderlo, ma non poteva dire lo stesso per il senso della serata in sé. Che senso aveva imbandire la tavola a quel modo per una sola persona, quando avrebbe benissimo potuto riservagli lo stesso trattamento cui era stato sottoposto fino ad allora?
«E’ un po’ che non vi vedo.» disse a quel punto, più per riempire il silenzio che non per reale interesse. Osservando Malefica, il cui sguardo era completamente perso tra le fiamme, Killian comprese quanto a suo agio dovesse trovarsi lei col silenzio e quanto poco, invece, col chiacchiericcio; poteva notarlo dalla posizione rilassata delle spalle, dall’espressione del volto beatamente assorta, dal movimento ritmico delle dita sul calice.
«Sul non vedermi, non sarei così sicura. Sul non parlarmi, forse, potrei darvi ragione.» Alzò lo sguardo verso di lui e le labbra cremisi si inarcarono lievemente verso l’alto. Killian non poté costringersi alla serietà e sul suo viso si riflesse la stessa espressione vagamente divertita di lei.
«Era quello che intendevo.» rispose semplicemente.
«Vi sono forse mancata?» domandò e i suoi occhi, lambiti dal caldo colore del fuoco, si caricarono di una malizia innocente, quasi ingenua che lo fece sorridere più ampiamente e scuotere la testa.
«Intendete le vostre minacce di morte e di ira funesta?» le chiese in risposta e alzò un sopracciglio, guardandola con un’espressione sfacciata, una di quelle che tanto appartenevano al suo carattere.
«Touché!» fece e, senza smettere di sorridere, bevve un lungo sorso dal calice tra le sue mani.
«Avete mai abitato con qualcuno, Malefica?» proruppe improvvisamente Killian dopo alcuni minuti di quiete ed ella alzò lo sguardo per osservarlo con grande curiosità, mentre l’uomo continuava a portare cucchiaiate di zuppa alla bocca e ad intingervi in pane per renderlo più morbido e saporito. Le piaceva il rumore delle stoviglie.
«Sì, ma non ricordo molto, ad essere sincera.» ribatté e la sua fronte si aggrottò, come se stesse tentando di richiamare alla mente anche una sola memoria di quel passato neppure troppo lontano. Era come se la sua vita, prima dell’arrivo nella Foresta Incantata, fosse avvolta in una fitta, spessa coltre di nebbia che le impediva di visualizzare distintamente le sagome e gli avvenimenti che avevano parzialmente forgiato la sua persona. «Non… Non ricordo affatto!» disse e la sua espressione meditabonda si sciolse presto in una di pura quiete; e gli sorrise. «Ma poco importa! Amo la solitudine, non mi pesa.»
«Mmm.» fece lui con fare pensoso e quel suo mugugno parve attrarre l’attenzione di lei, che cominciò a fissarlo con una certa insistenza.
«Cosa?»
«Sto tentando di capire se dovrei sentirmi lusingato o meno dal fatto che abbiate scelto me per porre fine alla vostra solitudine, che tanto vi piace.» le confessò e la sua voce suonò vanitosa e sarcastica ad un tempo, come se, in parte, si stesse prendendo gioco della giovane donna e del suo stile di vita. Ma ella rise, rise di una risata bassa e roca e bella, prima di alzarsi e avvicinarsi al tavolo. Lo sguardo di lei fu tagliente come una lama quando incontrò quello di Killian.
«Un giorno, forse, capirete, Killian Jones. Un giorno. Forse
Adagiando il calice sulla superficie lignea del tavolo, la bocca di Malefica si modulò fino a regalargli un sorriso in piena regola, finché non si fu voltata ed ebbe cominciato ad avviarsi verso l’arco opposto a quello che l’uomo aveva attraversato. Dimentico delle cibarie a sua disposizione, Killian la osservò avanzare verso un buio corridoio e, nell’oscurità che fece per inghiottirla, scorse appena il movimento del braccio di lei, prima che una torcia si accendesse al suo comando. Nel momento in cui ella non fu più visibile ai suoi occhi, egli posò il cucchiaio in argento sul piatto in ceramica e fu sul punto di riempirlo ancora per portarlo alla bocca, quando l’eco di una melodia giunse alle sue orecchie e lo fece trasalire.
“So chi sei. Vicino al mio cuor, ogn’or, sei tu…”
*

http://www.youtube.com/watch?v=TZ44x0GnKh4
I suoi passi corsero rapidi sul pavimento di marmo del palazzo, seguendo la scia di luci che Malefica aveva lasciato dietro di sé, ed il suo cuore prese a battere celere per nessuna ragione apparente. Non era preoccupato, non era speranzoso, non era impaurito. Era semplicemente curioso, ma di quella curiosità sembrava essere pervaso tutto il suo animo al punto che, come il fuoco aveva lambito il ruvido legno nel camino interno al salone, esso stesso aveva rischiato di venirne ustionato. Non sapeva cosa si aspettasse, non sapeva cosa fosse giusto desiderare o meno e, soprattutto, non sapeva se fosse giusto desiderare qualcosa; ma, quando ebbe voltato l’angolo e il suo sguardo si fu posato sulla figura longilinea di Malefica, gli occhi chiusi mentre danzava con il nulla come fosse teneramente stretta nella morsa di un amante o un ammiratore, il suo essere intero arse di un sentimento che non seppe spiegarsi perché vi erano, in esso, i contorni di tante emozioni diverse, alcune delle quali si era promesso di non provare più.
Il giorno in cui la donna l’aveva lasciato nella sua camera, Killian aveva riflettuto a lungo, più di quanto fosse conveniente ad una persona costretta ad un destino avverso, e aveva preso la ferma decisione di tenere fede alle parole con le quali aveva congedato Emma. Era necessario che la dimenticasse, che andasse avanti, che relegasse quei sentimenti in un anfratto buio e oscuro del suo cuore e che non vi facesse mai più ritorno, perché, altrimenti, la sofferenza sarebbe stata troppo grande perché il suo spirito e il suo corpo fossero in grado di sopportarla. E, con esse, si era imposto di chiudere per sempre anche l’immagine di lei, i ricordi che lo avevano in parte angustiato, in parte sollevato. Pensare ad Emma, amare Emma, mantenere viva la speranza di potere, forse, un giorno, vivere felice con Emma non gli era concesso. Era un lusso che Malefica lo aveva costretto a non concedersi. Come poteva, tuttavia, la ragione controllare ciò che controllabile non era? Mettere un freno ad un sentimento che di razionale aveva ben poco?
In quel momento, al suono di quelle parole che bussavano con virulenza alla porta dello stanzino ove aveva imprigionato i suoi sentimenti per Emma, Killian Jones si trovò a sperare e, al contempo, si sentì confuso. Era consapevole di cosa avesse visto, di cosa avesse toccato, baciato, accarezzato poco meno di una settimana prima; ne sentiva ancora il tocco morbido delle labbra, il profumo dei capelli, il suono della voce come l’avesse di fronte. Eppure, in quel momento, al suono di quelle parole, i suoi occhi guardarono a Malefica come nella speranza di trovarvi quella parte di Emma che aveva intravisto più di una volta, prima che comprendesse l’illusorietà delle sue conclusioni. Era illogico e, nello stesso tempo, impossibile da frenare.
“So chi sei. Di tutti i miei sogni, il dolce oggetto sei tu…”
Killian la osservò volteggiare per la sala, incurante di qualunque cosa la circondasse, e, benché ella avesse gli occhi chiusi, l’uomo seppe che non avrebbe urtato alcuno spigolo, che non sarebbe inciampata nel lungo orlo del suo vestito, che la sequenza dei suoi passi non sarebbe stata inficiata da alcuno sbaglio. Perché ella non stava seguendo alcuno schema, perché non si aspettava di cadere in errore, perché i suoi non erano movimenti meccanici. Tutto il suo volto, disteso in un’espressione lieta, emanava una felicità che non sapeva di riflessioni, di calcoli, di paure. Malefica stava danzando per nessun altro se non per se stessa. Malefica stava danzando e basta.
“Anche se nei sogni è tutta illusione e nulla più…”
Inaspettatamente, egli avanzò, irrompendo nel salone con una sicurezza che ben poco si addiceva alla sua condizione di prigioniero, e, in un gesto che non seppe controllare, quando Malefica volteggiò a pochi centimetri di distanza da lui, la prese tra le braccia come l’amante e ammiratore con cui lei aveva finto di danzare. Sorpresa, ella sobbalzò e, aperti gli occhi, lo fissò a lungo come a volerne scandagliare le emozioni; e Killian ebbe l’impressione che lo stesse facendo davvero, che stesse passando in rassegna ogni singola emozione. Ma non vi avrebbe trovato altro che confusione!
Posizionando una mano sul fianco di lei e avvicinandola a sé finché i loro busti non si furono toccati, avvolse le dita affusolate di Malefica tra le proprie e attese che ella prendesse le distanze, che si ribellasse a quel contatto, che lo respingesse perché era questo che diceva il suo sguardo. Nelle profondità degli occhi di lei, si era perduto più volte di quanto non avesse voluto e, in quelle stesse profondità, lesse lo sgomento per un simile contatto, come nessun essere umano l’avesse mai sfiorata se non nel tentativo di ferirla, come se le sue mani, sempre così fredde, non avessero mai percepito il tepore di mani altrui, come se temesse di potersi sgretolare sotto quel tocco. E, tra le sue braccia, Killian la sentì fragile, così fragile che le sue labbra si mossero prima che potesse fermarle:
“Il mio cuore sa che, nella realtà, a me tu verrai e che mi amerai ancor di più.”




 

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Capitolo 4
*** Paura e malinconia ***


Sarà stato San Valentino, sarà stata la canzone, sarà stata l'ispirazione e basta... Sta di fatto che questo capitolo è uscito fuori più romantico di quanto non avessi previsto e mi auguro vi piaccia. Un ringraziamento speciale va a ITSPULCINA, che mi ha suggerito un video che aveva come sottofondo "In my veins" con la quale ho scritto il capitolo. A proposito, vi consiglio di ascoltarla durante la lettura, se potete, e scusatemi per gli errori, ma, per l'ennesima volta, è tardi e mi sarà sicuramente sfuggito qualcosa. :]
Buona lettura!



Capitolo Quarto
Paura e malinconia

 http://www.youtube.com/watch?v=GSYnOeO5rdk

Contraddizione. Era tutto quello che avrebbe saputo dire della sua vita, della sua condizione se qualcuno gliel’avesse chiesto, se qualcuno si fosse, assai improbabilmente, arrischiato a raggiungerlo nel castello che tutti evitavano. Tutti eccetto lui. Perché, per quanto gli costasse ammetterlo, era consapevole di aver peccato di superficialità e di superbia, il giorno in cui aveva deciso di partire all’avventura nella speranza di salvare Emma e senza aver nemmeno ponderato adeguatamente le conclusioni alle quali era pervenuto di punto in bianco. Come sempre, spinto dall’eccessiva sicurezza di cui si era spesso vantato, non aveva prestato ascolto ai consigli dei propri genitori, né a quelli dei genitori di Emma, che lo avevano scongiurato di non compiere un errore che avrebbe potuto aumentare il numero delle vittime della follia di Malefica, e si era armato della sua spregiudicatezza alla volta di un'avventura di cui stava pagando caro il prezzo.
Di quella sicurezza di sé che aveva guidato buona parte delle sue azioni per tutta la vita, però, non era rimasto quasi nulla, sostituita dall’incertezza che la contraddizione della sua esistenza pareva sbattergli in faccia a muso duro tutte le volte in cui era possibile. Era prigioniero di Malefica, ma non era legato da nessuna catena, né l’ingresso della sua camera era stato sbarrato da qualsivoglia inserviente per prevenire la sua fuga. Aveva sacrificato la sua vita per la persona che credeva essere l’amore della sua vita, ma l’aveva invitata a dimenticarlo, a farsi un avvenire senza di lui, ad amare ancora qualcuno che non fosse lui; aveva sacrificato la sua vita per una persona che aveva avuto tutta l’opportunità di amare a suo tempo, ma che aveva respinto in nome di un’indipendenza che, al di là delle sue più ferme convinzioni, non gli era bastata per essere felice. Aveva visto e toccato Emma, finché non erano stati costretti a separarsi, ma continuava a cercare e trovare sfaccettature di lei nella donna che avrebbe dovuto odiare. Avrebbe dovuto odiare Malefica e, in parte, così era, ma non era sicuro del fatto che sarebbe stato mai in grado di alzare un dito su di lei, né del fatto che sarebbe rimasto inerme se qualcuno avesse tentato di farle del male. Non ne era più sicuro dalla sera del ballo.
Ma che senso aveva tutto ciò? Quale spiegazione si nascondeva dietro tanta confusione, dietro l’antinomia di cui la sua esistenza era pervasa? Aveva bisogno di una ragione, di una misera soluzione che sciogliesse i nodi che, di momento in momento, si aggrovigliavano sui denti di una spazzola ormai incapace di compiere il suo mestiere. Perché di quell’incertezza non avrebbe potuto vivere, perché Killian Jones non era un uomo che permetteva al destino di fare il suo corso, arrendendosi alla forza soprannaturale con cui tutti solevano giustificare errori, accidia, timori.
Sdraiato sul letto della camera cui aveva fatto l’abitudine, sospirò e chiuse gli occhi per un attimo, nel tentativo di placare il flusso inarrestabile delle riflessioni con le quali non aveva smesso un solo istante di tormentarsi. Per quanto desiderasse porre fine a quel supplizio, la sua mente continuava a riproporgli le immagini di quella serata ancora e ancora e ancora e, in una delle contraddizioni più grandi cui si trovava in balia da che era arrivato in quel castello, si era arreso ad esse e aveva rivissuto più di una volta quei frangenti, fino a che il suo animo non ne era stato sopraffatto e la solitudine non era divenuta un’occasione per tornare in quel salone per l’ennesima volta.
Le sue mani ricordavano nitidamente il tocco della pelle di Malefica sulla sua, il modo in cui le dita di lei erano rimaste inermi tra le sue per lungo tempo e il modo in cui, a poco a poco, erano state pervase dal tepore di Killian fino a scaldarsi. I suoi occhi ricordavano l’espressione, dapprima, sgomenta e, in seguito, incerta di lei e le memorie del timore che aveva letto su quel volto erano per l’uomo un tormento e un sollievo, al contempo. Come aveva potuto una creatura di simile crudeltà essere spaventata dalla sua vicinanza? Come aveva potuto una strega, i cui poteri avevano portato devastazione e desolazione fino a funestare un’intera popolazione e più di un regno, guardarlo con una tale confusione, con un’espressione tanto smarrita?
Quando Killian aveva improvvisamente fatto ingresso nel salone e l’aveva presa tra le braccia, non aveva riflettuto, non aveva pensato a niente e si era lasciato guidare da un istinto nel quale aveva sempre avuto piena fiducia. Quell’istinto, tuttavia, pareva avergli giocato un enorme tiro mancino, perché danzare con lei non aveva intaccato soltanto i suoi pensieri ma, sorprendentemente, anche la sua sfera emotiva. Nel momento in cui Malefica si era rilassata e, sospinta da una forza che, al pari di lui,  neppure ella doveva essere stata in grado di spiegarsi, gli aveva concesso di farsi più vicino e condurla per il salone al ritmo di una melodia che era risuonata nelle loro menti, Killian aveva realizzato che le ragioni alla base del suo gesto erano molteplici e non tutte riconducibili alla spiegazione che Malefica potesse essere Emma; e ne aveva avuto l’assoluta certezza quando l’aveva vista sfilarsi dalla sua presa e, non trovandone lo sguardo, l’aveva osservata allontanarsi da lui ed essere inghiottita dall’oscurità, nessuna torcia a rischiarare il suo cammino, stavolta.
Ricordava di aver sospirato pesantemente, come se avesse trattenuto il respiro per tutto il tempo in cui l’aveva stretta a sé, e ricordava altrettanto nitidamente la sensazione di fastidio da cui tutto il suo corpo era stato investito. Benché le mani di Malefica fossero parse gelide al contatto col calore delle sue, come qualunque altro essere umano, la sua figura emanava un piacevole tepore di cui Killian aveva approfittato, quasi col desiderio di fuggire al freddo e alla solitudine dell’ultima settimana, e, per un brevissimo istante, aveva creduto di averne realmente sentito la mancanza, perché, prima che la ragione riprendesse il pieno possesso delle proprie facoltà, il suo stomaco si era stretto in una morsa ferrea nel vedere sparire la figura della giovane oltre l’arco del salone. Era questo che voleva fargli, mettere così sotto pressione i suoi nervi da spingerlo a credere di provare una certa affezione per lei? O si stava servendo della magia per un suo perverso piacere, per un suo inutile sfizio? Ma Killian sapeva che quelle supposizioni erano senza senso, che non poteva esservi nulla di credibile in esse perché contraddicevano la ragione alla base della sua servitù e, cioè, l’idea di saperlo infinitamente innamorato di Emma e lontano da lei per il resto della vita.
Contraddizione. Era ancora lì, sempre lì, bloccata lì. E bloccava anche lui, costringendolo ad aggirarsi per la stanza come un’anima in pena senza via d’uscita da un labirinto di quesiti cui non era in grado di dare risposta. Alzandosi di scatto dal letto, lanciò una rapida occhiata all’esterno e colse il solito chiarore mattutino che, in altre circostanze, avrebbe visto il sole farsi vanto del suo splendore, sole che, da tempo, non sfiorava la Foresta Incantata e i suoi regnucoli; quel chiarore era tutto ciò che il cielo, coperto da una fitta rete di nebbia e nuvole, poteva contro la magia di Malefica e si aveva l’impressione che, nonostante tutto, il giorno combattesse la sua ardua battaglia per riuscire a far filtrare un minimo di luminosità oltre quel pesante mantello. Le sue gambe trovarono la via che conduceva fuori dalla camera per conto loro e, una volta che ebbe oltrepassato l’uscio e si fu immesso nel corridoio, poté sentire tutto il corpo rilassarsi e gli interrogativi dargli tregua, come un uomo che avesse rischiato di affogare e, infine, fosse riuscito ad emergere dall’acqua e respirare.
I suoi passi si mossero rapidi, sicuri, consapevoli della meta. Killian Jones non era un uomo abituato a fuggire e non avrebbe cambiato strategia neppure stavolta. Per questa ragione, quando ebbe raggiunto la porta che immetteva nella stanza di Malefica e la trovò spalancata, seppe di aver fatto bene a seguire il suo istinto quando gli aveva suggerito di andare da lei, di non fuggirla, di non chiudersi nelle proprie contraddizioni e incertezze ma di conoscere il proprio nemico da vicino. Se il nemico più terribile fosse il suo stesso animo o la giovane, bellissima donna, non avrebbe saputo dirlo con certezza. Accostandosi allo stipite della porta e poggiandovi una spalla, incrociò le braccia al petto e i suoi occhi blu si soffermarono sulla figura al balcone, i lunghissimi capelli mossi dal vento, il profilo assorto in chissà quale riflessione. La bellezza aveva sempre avuto un forte effetto su di lui, ma non era quello a tenerlo inchiodato lì, sul posto, con un’ambigua sensazione alla bocca dello stomaco.
«Hey!» Ancora una volta, le sue labbra si mossero prima che potesse avere qualunque controllo su di esse. Malefica si voltò di scatto, colta di sorpresa, ma la sua espressione si rilassò presto e gli sorrise quasi dolcemente, nessuna traccia dell’insano, spasmodico male cui entrambi erano ormai abituati. Erano passati giorni dalla sera in cui avevano ballato insieme.
«Hey!» fece lei di rimando e Killian ridacchiò, chinando e scuotendo il capo, finché i suoi occhi non furono di nuovo su di lei.
«Ho interrotto qualcosa?» chiese, scostandosi dallo stipite e facendo definitivamente ingresso nella stanza. Era una camera essenziale, elegante, fredda, una camera che, sotto molti aspetti, rispecchiava la sua occupante e, sotto altri, non avrebbe potuto essere più diversa. Quando passò accanto al letto matrimoniale ove si supponeva dormisse lei, il suo sguardo vi indugiò qualche istante di troppo senza alcuna ragione apparente, i pensieri congelati, troppo confusi perché l’uomo fosse in grado di prestarvi attenzione e darvi un’etichetta chiara.
«No, nulla che avesse senso continuare a fare.» rispose e, quando egli la raggiunse, lo vide fermarsi a qualche passo dalla balaustra ove ella era accostata. Quegli occhi così quieti, così profondi erano, in quel momento, belli di una nostalgia che straziava anima e cuore e Killian la rivide, quella fragilità, quella delicatezza che lo aveva portato a stringerla per quasi una mezz’ora sui passi di una musica inesistente. Istintivamente, inarcò un sopracciglio come a chiederle spiegazioni. «Ricordate di avermi chiesto se avessi mai vissuto con qualcuno?» L’uomo annuì, lo sguardo fermo in quello dell’altra. «Io vi ho risposto di non ricordare e non stavo mentendo. Così, in questi giorni, ho provato a richiamare alla memoria momenti, luoghi, persone, ma è come se fosse tutto sfocato.» S’interruppe un istante e Killian comprese di non essere stato l’unico ad aver subito gli effetti del loro ultimo incontro; una parte di lui fu sollevata da quella rivelazione, un’altra profondamente allarmata perché, per quanta consolazione gli desse l’idea di non essere da solo in quello strano vortice di sensazioni inspiegabili e per quanto rassicurante fosse il pensiero che Malefica non stesse evidentemente usando alcun mezzuccio contro di lui, non era sicuro del significato di quell’improvvisa connessione che si era instaurata tra loro. «Vedete la nebbia?» Gli occhi di lei abbandonarono i suoi e, quando ella si fu voltata, si poggiarono sul paesaggio mortifero nel tentativo di indicarglielo. Killian avanzò finché non fu appena dietro di lei e poté sentire la stoffa del lungo vestito e i capelli, mossi dalla fredda brezza, sfiorargli rispettivamente il tessuto dei pantaloni e il volto. «E’ come se il mio passato fosse avvolto dalla stessa, identica nebbia, solo più fitta, al punto tale da impedirmi di vedere nitidamente cosa ci sia lì. Scorgo sagome, contorni ma nulla di distinto.» Ella tacque ancora e l’uomo ebbe l’impressione che stesse facendo un altro sforzo atto a diradare la nebbia cui tutti i suoi ricordi erano in balia.
«E’ così importante per voi ricordare?» le domandò e, a poco a poco, la osservò girare su se stessa finché non furono l’uno di fronte all’altra, più vicini di quanto non fossero mai stati in una circostanza tanto pacifica e priva di minacce o di notizie stravolgenti. Quando avevano danzato, ad un certo punto i loro volti si erano accostati, guancia contro guancia, senza mai sfiorarsi davvero e i loro passi si erano fatti più lenti, i loro respiri più regolari, ma i rispettivi pensieri più rapidi, così rapidi che avrebbero a stento sentito l’altra persona se avesse osato parlare. Ripensandoci, Killian avrebbe voluto sorridere, se non avesse avuto la consapevolezza dell’inappropriatezza di un simile gesto in quel momento.
«Provate a immaginare una vita in cui non sapete come siete diventato quello che siete, Killian, una vita di cui non trovate nessun ricordo, pur sapendo di averne. Vi renderebbe felice?» fece lei, lo sguardo ancora quieto, e a Killian piacque quella versione di Malefica perché trasparivano un’umanità e una saggezza che non avrebbe mai creduto possibile, non per la creatura che aveva mostrato di essere, non per la giovane età.
«Siete infelice, dunque?» si arrischiò a chiedere e, come lui qualche minuto prima, ella ridacchiò e guardò altrove, sfiorando le pareti esterne del castello con quegli occhi color della pece. Possibile che fossero simili, al di là delle apparenti, insormontabili differenze?
«Non lo sono mai stata, che io ricordi. Quindi, non so come ci si senta. Posso solo dirvi che quest’incertezza non basta ad intaccare la mia attuale felicità, ma mi fa comunque riflettere.» gli rispose e la sua sincerità lo sconcertò profondamente, perché si sarebbe aspettato tutto ma non una spiegazione tanto genuina rispetto ad una condizione così personale e che comportava altrettanto dolore negli individui che aveva vittimizzato. Quando gli occhi di Malefica tornarono nei suoi, tuttavia, scorse quel fuoco maligno del quale non aveva sentito la mancanza riaccendersi e si allarmò. Non voleva che quel momento finisse, non era ancora pronto a lasciarla andare.
«Sapete, ci sono cose del mio passato che vorrei non ricordare.» proruppe e lasciò di stucco tanto lei quanto se stesso. Possibile che appena due settimane di prigionia e solitudine lo avessero cambiato a tal punto da fargli desiderare così intensamente una conversazione con altro essere umano, lui che di solitudine aveva saputo nutrirsi a lungo e ostinatamente? Le parole della fatidica serata risuonarono nella sua mente:  “Ma poco importa! Amo la solitudine. Non mi pesa.” «Ad esempio, il fatto di essere fuggito dalla mia famiglia, da casa mia come fosse una prigione, come fosse la peggiore delle torture viverci ed essermi reso conto, a distanza di tempo, che non fosse il posto ad essere sbagliato. Ero io ad esserlo!» I suoi occhi blu rimasero fermi in quelli di lei, quasi il loro azzurro potesse avere la meglio su tanta oscurità, come l’acqua sul fuoco.
«E rimpiangete di aver lasciato indietro Emma e di essere tornato quando era troppo tardi.» completò le sue frasi e, sospirando, Killian scosse la testa, le labbra inclinate in un sorriso divertito. Un giorno, avrebbe capito se si trattasse di mera perspicacia o di lettura della mente. Un giorno, forse, avrebbe detto Malefica.
«Già. Anche quello.» fece lui.
«Perché siete andato via, se l’amavate tanto? Perché suppongo che doveste già amarla prima di partire, altrimenti non sarebbe stato possibile o sensato il sacrificio che avete fatto.» lo incalzò lei, sincera curiosità in quegli occhi che cominciavano a piacere tanto a Killian. Ridacchiando, egli aggrottò le sopracciglia e assunse un’espressione che da tempo non gli capitava di riprodurre, una sfrontata e curiosa che, nella sua genuinità, gli apparteneva più di qualunque altra fosse mai stato in grado di assumere da diversi anni a quella parte. Senza rendersene conto, si morse il labbro inferiore e vi passò sopra la lingua, in un gesto che era solito fare quando si sentiva sotto pressione.
«Ah sì? Supponete?» domandò e lei rise, bella da togliergli il fiato.
«Non potevate mica provare un simile sentimento soltanto per il ricordo di Emma. Se anche fosse accaduto, non durerebbe a lungo e il vostro sacrificio sarebbe stato davvero cavalleresco ma da sciocco.» Si interruppe, mentre lui rideva e la guardava con occhi brillanti come mai li aveva avuti da che lo aveva conosciuto. «Perciò, mi auguro per voi che l’amaste da prima e che il vostro sia vero amore.» Una strana malizia si impossessò di quel blu solitamente tempestoso, rendendolo più giovane di quanto non fosse mai apparso.
«Devo supporre che cominciate ad avermi a cuore, Malefica?» Killian la guardò ridere e, per un solo istante, ebbe l’impressione che fossero due persone come tante altre, un uomo ed una donna piacenti che si conoscevano per la prima volta e si stuzzicavano a vicenda.
«Ah sì? Supponete?» lo canzonò.
«Touché!» le fece eco a sua volta e Malefica rise, non ancora pronta a dargliela vinta tanto presto.
«Devo cominciare a pensare che mi abbiate a cuore per ricordare tanto bene le mie parole, Killian?» Entrambi risero e, se mai qualcuno si fosse accidentalmente trovato ad osservare quella scena, avrebbe stentato a credere ai suoi occhi. I genitori di lui avrebbero dubitato che quello fosse loro figlio, se non fosse stato per il suono della risata; l’ultima volta che avevano avuto modo di udirla, non era stato che un bambino.
«E se un giorno accadesse?» le domandò, il sorriso ancora sulle labbra.
«Cosa?» chiese di rimando lei, un’innocenza sul viso che rese impossibile a Killian credere fosse un tentativo di falsa modestia. Killian era un bell’uomo che aveva da poco superato la soglia della trentina e il suo bell’aspetto gli aveva garantito spesso conquiste facili, donne e ragazze che non aveva impiegato più di qualche giorno, nella peggiore delle ipotesi, a fare sue; ed ognuna di esse aveva assunto atteggiamenti tipici e prevedibili che gli avevano reso il gioco semplice, quasi scontato. Malefica era tutta un’altra storia sotto molti punti di vista.
«Se, un giorno, forse,» la canzonò e le labbra cremisi di lei gli regalarono un altro sorriso. «dovessi avervi a cuore? Se mi innamorassi di voi?» La giovane inarcò un sopracciglio, ma la sua espressione rimase gioviale.
«Perché dovreste?» domandò e l’espressione di Killian si addolcì a tal punto che Malefica rimase confusa, a tratti spaventata. Era un’emozione che ella non conosceva, ma seppe che era diversa rispetto a quella che aveva capeggiato sul volto dell’uomo la sera che l’aveva sorpresa a ballare e si era unito a lei; la sera che ella, per quanto se lo fosse ripetuta, non era riuscita ad allontanarsi da subito, la sera che era rimasta tra le sue braccia più del dovuto e si era sentita diversa, come mai prima d’allora; la sera che aveva avuto paura come mai in vita sua.
«Non è qualcosa che si controlla. E’ qualcosa che succede e basta. Non si può decidere se, quando e come innamorarsi di una persona.» tentò di spiegarle, ma la vide perplessa e non poté impedirsi di ridere un po’. «Non vi è mai capitato di provare una cosa simile per qualcuno, eh?»
«Non vorrei risultare pignola, lo giuro, ma credete sul serio che io abbia avuto modo di frequentare molta gente da quando sono arrivata qui?» fece e, con un gesto naturale al punto tale da non crederci, indicò lo sfacelo che aveva causato col suo arrivo. Killian avrebbe dovuto essere adirato con lei, lo sapeva, e lo era in parte, ma non fu quello il sentimento che affiorò nel suo animo a quella risposta.
«E non vi piacerebbe provarlo?» le chiese, curioso all’idea della risposta che avrebbe potuto sentirle pronunciare. Piano, si morse le labbra e, nell’attesa, i suoi occhi le sfiorarono il viso. Non avrebbe dovuto pensarlo, ma la trovava incantevole nella sua sincerità ed era una boccata di aria fresca, mentre si stagliava su uno sfondo tanto lugubre.
«Intendete dire se mi piacerebbe essere così interessata a qualcuno o al suo ricordo da barattare la mia vita, invitandolo a farsene una nuova, mentre io patisco la solitudine in un luogo tanto estraneo, lontana da altre persone a cui potrei tenere?» Nel farlo, aveva portato una mano al mento, quasi stesse soppesando la portata di una simile evenienza. Killian rise, per l’ennesima volta da che aveva fatto ingresso nella sua stanza, e si domandò come fosse possibile che il suo umore fosse tanto cambiato nel giro di una manciata di minuti e che la ragione di quel cambiamento fosse proprio la fonte del suo turbamento.
«Messa così, ha un aspetto veramente orribile.» rispose lui. Una brezza di vento spirò attorno a loro e tra di loro e, ancora una volta, i capelli di lei gli sfiorarono il viso, prima che Malefica fissasse una ciocca dietro l’orecchio.
«Adesso, sapete quale aspetto avete agli occhi degli altri.»
«Siete sempre così pungente?» chiese, sul viso di nuovo quell’espressione malandrina, sfrontata che aveva usato con più di una donna e che aveva sempre raggiunto lo scopo. Quella era la prima volta che l’assumeva senza un intento specifico, solo per essere se stesso, soltanto perché era in quel modo che si sentiva.
«Oh no! Solo quando non sono raccapricciante e crudele!»
A quelle parole, Killian rise di cuore e, per qualche frangente, ebbe l’impressione che i suoi affanni fossero stati soltanto un brutto sogno. Un sogno come quello che aveva fatto su di lei la notte in cui non era riuscito ad impedirsi di essere avventato, quando, tornato in camera e poggiata la testa sul cuscino, aveva sognato di averla ancora tra le braccia, sulle lenzuola del letto ove aveva dormito in quegli ultimi giorni e di baciarla fino a perdere quasi i sensi; e la morbidezza di quella pelle era stata così tangibile, i sussurri affannati così vicini, il corpo longilineo così suo che era stato sopraffatto dalla veridicità delle immagini e, quando si era svegliato nel cuore della notte, aveva dovuto sciacquarsi con l’acqua gelata per placare i sentimenti contrastanti da cui si era sentito sopraffatto. Non era stata l’idea di desiderarla a sconvolgerlo ma il fatto che avesse sognato di fare l’amore con lei, il fatto che le avesse riservato una tenerezza che il suo cuore non aveva mai provato per nessuna donna con cui fosse andato a letto. E aveva fatto l’amore con Malefica, non con l’Emma che avrebbe potuto nascondersi in lei. Rendersi conto di quel particolare era stato il punto di partenza del tormento degli ultimi giorni.
«Killian,» fece lei e, com’era già accaduto prima d’allora, il nome di lui assunse un sapore diverso sulla bocca di Malefica. L’uomo le prestò la massima attenzione e sul suo volto si riflesse la stessa espressione seria dell’altra, il fuoco ancora spento in quegli occhi neri come l’oblio. «quando siete arrivato, volevate chiedermi qualcosa. Di cosa si trattava?»
«C-Come..?» Killian la guardò sbigottito e non poté fare a meno di domandarsi come fosse possibile una cosa simile, se davvero Malefica possedesse il dono di leggere nella mente e, se così era, se fosse in grado di sapere del suo sogno e del suo tormento su di lei. Ella gli sorrise appena, comprensiva quasi in modo materno.
«I vostri occhi sono limpidi, Killian, il che significa che, anche laddove non voleste condividere qualcosa, i vostri occhi vi tradirebbero.» S’interruppe un istante, osservando lo sgomento in quelle iridi blu così diverse dalle proprie. «E’ una bella cosa!» A quelle parole, l’uomo parve rilassarsi e le sorrise di rimando.
«C’è molto di Emma in voi, fisicamente intendo. Mi è capitato di notarlo più volte e mi chiedevo come fosse possibile.» disse semplicemente e le sue labbra riprodussero una smorfia quasi colpevole, come temesse di farle un torto nell’ammettere un simile pensiero; ma Malefica gli sorrise con la stessa comprensiva dolcezza.
«Lo avevo immaginato, perché, quando mi parlate, a volte, nei vostri occhi c’è una strana… Tenerezza, penso sia questa la parola corretta.» gli comunicò, prendendosi poco sul serio e sorridendogli un po’ di più. La sensazione alla bocca dello stomaco tornò improvvisamente a molestare Killian, ma vi era una connotazione differente in questo caso, una sfumatura di dispiacere e le sue labbra avrebbero nuovamente preso il controllo della situazione, se ella non fosse intervenuta; questo gli permise di ponderare il significato delle frasi delle di lei e il forte riverbero che esse avevano avuto sul suo animo. «Non so dirvi perché questo accada, Killian.» Ancora una volta, quel nome assunse una connotazione diversa sulle labbra di lei. «Forse, l’amate così tanto da avere bisogno di trovarla da qualche parte e io sono la cosa più vicina ad una donna che ci sia da queste parti.»
In quel momento, nell’ascoltare le parole di lei, l’uomo realizzò qualcosa che mai avrebbe pensato di poter acquisire, perché non lo riteneva possibile: Malefica non era nemmeno vagamente consapevole della propria bellezza, non ne teneva conto, non riusciva a vedersi con gli occhi di qualunque altro essere umano; non avvertiva il potere della propria avvenenza, del proprio aspetto e questo la portava a non ritenersi piacente. Ma, soprattutto, non credeva fosse possibile che qualcuno la trovasse gradevole, che apprezzasse l’idea di trascorrere del tempo con lei, che desiderasse averla accanto. Nell’osservarla, Killian ebbe l’impressione che non si ritenesse abbastanza, in tutti i sensi: non abbastanza bella, non abbastanza accattivante, non abbastanza brillante, non abbastanza divertente, non abbastanza dolce, non abbastanza normale, non abbastanza perfetta, non abbastanza umana. Semplicemente non abbastanza.
«Dio!» esalò lui e la sua mano si alzò finché non si fu poggiata sulla guancia di lei; i polpastrelli incastrati tra la fulgida chioma della giovane, iniziò a carezzarle dolcemente il viso col pollice e la sua bocca le regalò di nuovo un sorriso di tenerezza, che Malefica lesse come nostalgia per quello che sarebbe potuto essere con la sua Emma. Quando il fuoco che, al momento sopito, ardeva all’interno del suo animo si sarebbe risvegliato, quel ricordo le avrebbe regalato un piacere senza precedenti. «Non è così, non è sempre così.» sussurrò come se lo stesse ammettendo più a se stesso che non a lei. «Oggi, non ho pensato ad Emma, nemmeno quando l’abbiamo nominata. Stavo pensando a voi, stavo parlando con voi, la mia tenerezza era per voi.»
«Killian…» fece lei e le dita della sua mano si chiusero sul polso di lui, allontanandolo dal suo volto con un’espressione indecifrabile in viso. Inaspettatamente, la mano di Killian scivolò finché non fu entro quella di Malefica e non poté stringerla a sua volta.
«Non andate via, lasciate che sia io ad andarmene.» Era consapevole che spiegarle qualcosa che neppure lui avrebbe saputo tratteggiare non avrebbe avuto senso. Per adesso, andava bene così.
«Perché?» chiese lei, la voce un alito appena percettibile, e, per la prima volta da che si erano conosciuti, fu lei a sentirsi inchiodata sul posto dagli occhi di lui.
Perché odio vedervi andare via da me” avrebbe voluto dirle, ma serrò le labbra e le sorrise. Lentamente, si chinò sulla mano della giovane finché non vi ebbe posato la bocca e, chiusi gli occhi, vi lasciò un bacio tenero, carico di indugi e, ad esso, seguì un sospiro, prima che potesse  costringersi a lasciarla andare e, senza incontrarne lo sguardo, riuscisse ad avviarsi verso la porta.
Quando l’ebbe oltrepassata, attorno al castello si levò un forte vento e il suo ululato echeggiò per le stanze del palazzo a lungo, occupandole di un suono sinistro come una litania urlata, nessuna parola, nessuno strumento. E quello stesso strazio molestò gli abitanti della Foresta Incantata e dei regnucoli vicini con altrettanta virulenza, costringendoli a chiudersi in casa, a sbarrare porte e finestre, a pregare qualunque mago, divinità, santo cui avrebbero voluto affidare la loro anima di risparmiare almeno i loro figli. C’era paura in loro come nel vento e nel suo grido. Paura e malinconia.

 

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Capitolo 5
*** Una ragione per non arrendersi ***


Chiedo preventivamente scusa per eventuali errori di battitura o di sintassi, ma non ho modo di ricontrollare per bene il testo. Eventualmente, ci ritornerò dopo. Spero che il capitolo vi piaccia e, se vi va, fatemi sapere cosa ne pensate. 
Buona lettura! :]


Capitolo Quinto
Una ragione per non arrendersi



Rapportarsi alle persone non è mai semplice. Implica una serie di sforzi e tentativi che non sempre possono essere ricompensati, una serie di sensazioni della cui reciprocità non si può avere alcuna certezza, una sequenza di gesti, parole e atteggiamenti che corrispondono ad un salto nel vuoto. Può andare bene come può andare male, ma, in qualunque caso, ci saranno delle conseguenze da fronteggiare, un conto da pagare, pezzi da rimettere insieme, avventure da affrontare per la prima volta. E, quando la persona che hai di fronte è così diversa da te da rendere impossibile qualunque genere di approccio ma la sensazione di poter costruire qualcosa di importante con lei diventa impossibile da ignorare, qual è la strada da intraprendere? Insistere col rischio di aver preso un abbaglio e di uscirne devastati o lasciarla andare e risparmiarsi gli affanni di un possibile ma non assicurato successo?
Killian Jones non avrebbe saputo dare una risposta a quegli interrogativi, sebbene desiderasse essere padrone della soluzione. Seduto contro il pavimento in marmo di una stanza isolata del palazzo, la schiena poggiata contro l’altrettanto fredda parete, l’uomo non poté impedirsi di rabbrividire e mugugnare, quando, nel tentativo di sistemarsi in una posizione più confortevole, la sua spalla e tutto il suo corpo urlarono di dolore. Sospirando, si lasciò cadere nella medesima posizione e chiuse gli occhi, avvilito tanto nello spirito quanto nella carne dalla situazione nella quale si era cacciato. Muovendo il capo quel tanto che bastava affinché i suoi occhi potessero osservare i segni lasciati sulla sua pelle, dovette stringere i denti fin quando non sentì la mascella dolergli per impedirsi di urlare: era come se ogni singolo movimento corrispondesse ad una nuova ferita e la carne lacera pareva pulsare come un cuore galoppante a testimoniargli ciò che stava per accadere. Non poteva esserne certo, ma aveva l’impressione che le forze lo stessero abbandonando, che le sue membra stessero cedendo e, con esse, anche la sua mente, annebbiata dal dolore e dalla posizione assunta e mai cambiata nel corso delle ore.
La stanza nella quale si trovava non aveva le fattezze di una cella ma neppure la stessa intatta bellezza del resto del palazzo. Ragnatele sfioravano gli angoli del tetto e manciate di paglia erano gettate qui e lì per gli angoli della camera, dotata di una sola finestra accuratamente sbarrata da solide, ossidate ringhiere. Killian l’aveva raggiunta per caso, alla ricerca di una persona che non avrebbe pensato di rivedere tanto presto, alla ricerca di una persona con la quale aveva avuto l’intenzione di iniziare un diverbio; e, a dispetto delle sue previsioni, vi era riuscito. L’espressione di Malefica,  quando l’aveva raggiunta in cima alla stretta scala a chiocciola che conduceva alla stanza, era ben incisa nella sua mente tanto quanto il disappunto che aveva guidato ogni sua movenza, ogni sua parola finché non l’aveva urtata come mai prima d’allora.
In seguito alla visita che le aveva tributato in camera, Killian e Malefica si erano incontrati in più di un’occasione e, benché le loro conversazioni non avessero avuto nemmeno lontanamente la medesima impronta confidenziale, era stato piacevole per entrambi godere della reciproca compagnia, anche se solo per pochi momenti. Le cose erano improvvisamente cambiate dopo qualche tempo, quando, nemmeno una settimana dopo la confessione di tenerezza che le aveva inspiegabilmente fatto, le porte d’ingresso del castello si erano aperte per accogliere un uomo dall’aspetto malefico, di alta statura, avvolto in una tunica nera tanto quanto lo erano i suoi capelli ed i suoi occhi; Killian aveva subito riscontrato delle somiglianze tra l’avventuriero e Malefica nei modi, nei colori, nell’atteggiamento, ma aveva altrettanto rapidamente compreso come non esistesse alcuna parentela tra i due, come il loro rapporto avesse una connotazione di gran lunga differente. Lo sguardo di lui, quando si era poggiato su Malefica, aveva bruciato di un desiderio, di un piacere, di una passione che avevano rischiato di dar fuoco al castello e Killian aveva realizzato i propositi dell’altro perché, in maniera più perversa, rispecchiavano quelli che qualunque uomo avrebbe avuto al cospetto di una donna come lei.
Ed ella non lo aveva respinto, bensì lo aveva accolto con molta più cortesia di quanta non ne avesse riservata a lui tempo addietro. Era stato Killian ad essere respinto. Dal momento in cui lo sconosciuto aveva fatto ingresso a palazzo, la donna aveva esplicitamente richiesto che rimanesse nelle sue stanze, che ivi cenasse ed evitasse di aggirarsi per le aree del castello che era stato solito percorrere, a dispetto del trattamento riservatogli che, fino ad allora, gli aveva concesso non soltanto di esplorare l’edificio senza nessuna limitazione ma, dalla sera della loro prima cena nel salone, anche di godere della stessa possibilità per qualunque pasto. Lo aveva trattato non come un prigioniero, non come un uomo, ma come un domestico e, benché avesse tentato di ripetersi che non avrebbe potuto sperare in un trattamento diverso data la sua pozione, benché si fosse più volte detto che Malefica fosse stata più cortese di qualunque altro signore avrebbe mai potuto incontrare lungo il suo cammino in termini di prigionia, Killian non aveva potuto impedirsi di provare risentimento nei confronti dell’altra.
Erano trascorsi giorni interi senza che si vedessero, giorni interi senza che avessero modo di scambiare una sola parola, giorni in cui non aveva avuto altra compagnia all’infuori di se stesso, giorni in cui l’unico segno della presenza di altri esseri umani nell’edificio gli era stata data dalle risate dei due o dai gemiti di piacere provenienti dalla camera di lei. E ognuno di quegli istanti gli era stato d’aiuto per comprendere che, no, ella non gli doveva niente e, sì, non era altro che una piccola, inutile pedina in un gioco più grande e perverso sul quale non aveva alcun potere. Al cospetto di quella realizzazione, non aveva potuto fare a meno di sentirsi uno sciocco per il trasporto che aveva nutrito per lei, per i tormenti cui si era sottoposto nella speranza che ella fosse diversa, per aver creduto di poterla redimere e per essersi illuso che le sue frustrazioni avessero funestato e, in qualche modo, toccato anche lei.
Era stato con quell’umore che, quella notte, aveva abbandonato la propria camera e, senza una meta precisa, aveva preso a girovagare per stanze, saloni, corridoi, cunicoli del palazzo, come se la semioscurità dell’edificio ed il silenzio in cui era immerso potessero dargli ciò di cui aveva bisogno, un antidoto contro il veleno che aveva sentito scorrergli nelle vene. E, per un istante, si era illuso che le sue preghiere avessero trovato risposta, quando una luce tenue, proveniente dalla cima di una scala così ben nascosta contro le pareti da non averla mai notata, benché vi fosse passato accanto in più di un’occasione, parve chiamarlo a sé. Nell’illusione che la magia potesse essere la soluzione alle sue tribolazioni, Killian aveva salito quei gradini con una disposizione d’animo oscura ma speranzosa, una speranza che non aveva potuto che spegnersi quando, giunto in cima alla scalinata, aveva scorto la figura di Malefica accostata ad un arcolaio, la stanza illuminata da poche torce che fornivano un’illuminazione appena bastante a rischiarare il centro della camera.
«Killian…» ella aveva detto, ancora di spalle, e l’uomo non era riuscito a scacciare via la sensazione di oscurità che pareva aver avvolto anche lui, come se l’arrivo dello sconosciuto e l’atteggiamento di Malefica avessero giocato un ruolo importante nella trasformazione di cui il suo animo stava subendo le conseguenze. Egli aveva taciuto, impossibilitato a pronunciare parola alcuna, ma aveva fatto ingresso nella camera, i suoi passi nitidi contro il freddo, logoro marmo del luogo. «Come state?» aveva domandato, la voce quieta mentre carezzava la ruota levigata dell’arcolaio con la punta nelle dita. Killian aveva riso brevemente di un riso amaro, quasi sprezzante e tutta la sua figura era parsa più imponente e minacciosa di quanto non fosse mai stata in presenza dell’altra.
«Vi interessa?» aveva chiesto, sarcastico, in una domanda retorica che non necessitava di alcuna risposta. Il tono della sua voce doveva essere stato così pungente che ella non aveva potuto impedirsi di voltarsi per osservarlo, i suoi occhi neri adombrati persino più di quanto non lo fossero stati prima che si conoscessero e Killian realizzasse che un modo per spegnere quel fuoco esisteva.
«Che altro motivo avrei avuto per domandarvelo, altrimenti?» La sua postura era stata rilassata e minacciosa al contempo ed il paragone col loro primo incontro era stato impossibile da eludere, perché vi era stato nel suo comportamento la stessa disinteressata, spregiudicata sicurezza di sé dell’occasione in cui si erano conosciuti.
«Considerando il vostro atteggiamento degli ultimi tempi, dovreste dirmelo voi. Perché dovrebbe improvvisamente interessarvi il mio stato di salute?» Le sue parole erano state dure ed il suo sguardo aveva fermamente mantenuto quello tagliente di Malefica, l’espressione del viso ancora pacata ma gli occhi accesi di un disappunto che ella stessa non si era saputa spiegare.
«Credo che vi siate fatto un’idea sbagliata della vostra condizione, signore.» aveva detto lei, del tutto inconsapevole di aver tentato di ristabilire, anche solo verbalmente, la distanza iniziale che aveva caratterizzato il loro rapporto e che, senza alcuna spiegazione plausibile, spaventandola fino allo stremo delle forze, era scomparsa, sostituita da una confidenza e da un’empatia che l’avevano allarmata. «Voi siete qui come servo per vostra scelta e io non sono la vostra balia. Sono la persona cui avete deciso di dare la vostra vita in cambio di quella della vostra amata, la stessa che non si farà scrupoli ad uccidere uno dei due in caso di improvvisi, sconvenienti cambiamenti. Pensavo di essere stata chiara!»
A quelle parole, le labbra di Killian si erano piegate in un sorriso ampio che, tuttavia, non aveva raggiunto i suoi occhi e, per la prima volta da che si conoscevano, Malefica aveva intravisto della freddezza nel blu così caldo ed emozionale cui era stata abituata. C’era stata qualcosa di diverso nell’espressione, nella postura, persino nell’aura di lui, qualcosa che non si sarebbe aspettata e che non era riuscita a comprendere. Qualcosa che lo aveva reso più simile a lei e al suo ospite.
«Oh, no, siete stata molto chiara a riguardo! E’ solo che mi siete parsa un po’ confusa, di questi tempi.» l’aveva stuzzicata e, piano, si era avvicinato a lei, sfiorando con lo sguardo le fattezze dell’arcolaio e ponendosi al di là di esso, le spalle poggiate contro la fredda parete.
«Prego?» aveva chiesto lei, l’espressione bruciante di evidente contrarietà. Bene, si era detto lui, Che cominci a provare qualcosa che non la compiaccia!
«L’arrivo di quell’uomo vi ha confusa un po’, Vostra Maestà.» le aveva fatto eco lui, in un gioco che non aveva intenzione di perdere, non in quel caso, perché, per quanto potente e terrificante e malvagia potesse essere lei, non avrebbe avuto la meglio su di lui per un mero capriccio, per una mera abitudine ad avere tutto ciò che avesse desiderato. «Credo che i desideri del vostro corpo abbiano offuscato la vostra capacità di discernimento, perché, che io ricordi, non mi avete trattato con tanto disinteresse nemmeno i primi tempi dopo il mio arrivo.» Killian l’aveva osservata ardere tra le fiamme di un’ira che era stato lui a causare, ma non le aveva concesso di parlare. «Immagino che siate abituata a divertirvi come vi pare e piace, senza alcuna cura per null’altro che voi, ma mi duole dirvi che non ho intenzione di essere trattato come un giocattolo, signora, e che preferirei di gran lunga vivere in una cella che non compiacere i vostri sciocchi desideri e…»
«Tacete!» gli aveva intimato lei, la voce un ringhio basso e minaccioso, il vestito e i capelli mossi dal vento che, improvvisamente, si era levato fuori dalle mura del castello e, spirando attraverso la finestra, aveva cominciato a soffiare ad un ritmo costante ma evidentemente ostile. In quel preciso frangente, Killian aveva acquisito la certezza che molte delle conseguenze climatiche dipendessero da Malefica e dal suo stato d’animo e, per quanto gli dolesse l’idea che gli abitanti della Foresta Incantata potessero pagare caro il prezzo della sua testardaggine, non poté convincersi a dare ascolto al monito di lei.
«Altrimenti? Mi ucciderete?» Bruscamente, si era allontanato dal muro, il volto illuminato dalle fiamme della torcia tanto quanto quello di Malefica, tra di loro solamente l’arcolaio in legno. «Non dubito che troverete  un altro giocattolo con cui trastullarvi, non appena avrete finito di farvi trastullare dal vostro ospite, ovviamente.» Piano, aveva cominciato ad aggirare l’arnese e l’aveva raggiunta, vicino al punto tale da potere sentire il profumo. «A proposito, mi chiedo come mai non mi abbiate riservato lo stesso trattamento quando sono venuto a farvi visita la prima volta.» Prima che ella potesse fare qualunque mossa, l’aveva presa per le spalle, stringendole in maniera ferrea ed accostandola a sé senza nessuna cura per le reazioni che avrebbe potuto provocarle. «Non sono forse abbastanza avvenente per voi o il vostro amico è talmente portentoso da rendervi impossibile l’idea di provare nuove esperienze?»
A quel punto, le sue parole erano state troppo insolenti, troppo sfrontate perché ella potesse trattenersi ulteriormente. Con una scrollata di spalle più forte di quanto ci si potesse aspettare, si era rapidamente liberata della presa di lui e la sua mano destra ne aveva raggiunto il collo, fino a stringerlo tra le dita; la vita di Killian non era stata mai tanto fragile quanto in quel frangente, quando, guardando gli occhi di lei, ne aveva scorto la follia, la cattiveria, l’impossibilità di redenzione, sentimenti che aveva aizzato fino a farle perdere il controllo. Il respiro di lui era divenuto ben presto corto, un rantolo appena percettibile mentre le dita di lei si chiudevano sulla sua gola come a volerla schiacciare, ma l’uomo non aveva combattuto. Si era limitato a guardarla negli occhi finché le forze gliel’avevano consentito, finché la carenza di ossigeno non lo aveva costretto a contorcersi, finché, senza alcuna spiegazione apparente, Malefica non lo aveva rilasciato e Killian si era ritrovato a carponi sul pavimento, boccheggiante. Lentamente, ella si era chinata sulle ginocchia e, dopo qualche istante, la sua mano aveva raggiunto la spalla di lui, affondando le unghia nella carne fino a lacerarla, fino a che la cute pallida delle dita di lei non si era colorata di un rosso acceso. Killian non era riuscito ad impedirsi di mugugnare forte.
«Non mettermi alla prova, Killian Jones. Non fatelo mai più, ve ne prego.» aveva sussurrato lei ed era andata via, lasciandolo lì.
L’uomo non aveva compreso la portata delle ferite che gli erano state inflitte finché, trascinatosi contro una parete della stanza, non si era reso conto di non poter fare affidamento sulle proprie gambe, troppo deboli per reggere il peso del suo corpo. A quel punto, consapevole del fatto che un mancato strangolamento non potesse avere simili conseguenze, il suo sguardo era corso alla spalla e, scostando il tessuto strappato, aveva osservato la pelle attorno le lacerazioni secernere una sostanza strana, che rendeva lampante il fatto che dovesse essere stato avvelenato in qualche modo. E la sua era divenuta ben presto una certezza, quando si era trovato a perdere lucidità a sprazzi e aveva avuto l’impressione che le sue membra si stessero tendendo come a voler esplodere.
Battendo le palpebre, Killian tentò di ricacciare indietro i ricordi della loro disputa e, nella speranza di mantenersi lucido, si guardò attorno alla ricerca di qualcosa che potesse tenerlo caldo. Il vento aveva spento le torce e, nonostante si fosse placato, il freddo della sera e il contatto col marmo stavano mettendo a dura prova la resistenza del suo fisico; ma, per quanto arduamente stesse tentando di trovare una soluzione, tutto ciò che si presentava ai suoi occhi altri non erano che manciate di paglia, troppo lontane e troppo esigue per poterlo spingere ad arrischiare un tentativo di spostamento. Sospirando, poggiò il capo contro la parete alle sue spalle e guardò il soffitto. Erano trascorse ore dal momento in cui Malefica aveva abbandonato quell’anfratto del castello e mancava ancora un po’ all’alba, ma sapeva che, di quel passo, non avrebbe avuto modo di vederla. Non aveva mai immaginato che la sua vita sarebbe finita in quel modo! Nelle sue fantasie più rosee, aveva creduto che sarebbe morto tra le braccia di una bella donna, dopo aver fatto del suo meglio a letto un’ultima volta. A quell’idea, non poté impedirsi di ridere e, nonostante il dolore che quella reazione gli provocò, continuò a ridacchiare finché non gli mancò il fiato. L’ironia della sorte!
Era così preso nelle sue riflessioni che, quando una piccola sagoma fece ingresso nella stanza, trascinando con sé qualcosa che non riuscì a distinguere, temette si trattasse di un’allucinazione e che il momento della sua dipartita fosse più vicino del previsto. Aguzzando la vista, si accorse che si trattava di un esserino dalle strane sembianze, a tratti raccapricciante: non era alto più di un metro e aveva un muso da cinghiale, solo più stretto, pochi capelli sotto un berretto nero ed era abbastanza in carne, vestito con una riproduzione in piccolo di vestiti da cavaliere.
«Oh, che disastro, che disastro!» esclamò, quasi incurante della presenza dell’uomo, e si diresse verso la torcia in maniera tale da accenderla. Killian lo osservò saltare sul davanzale della finestra per sopperire la mancanza di altezza e, infine, una volta compiuta la piccola missione e dopo aver armeggiato alacremente con la paglia, tornare verso di lui e fermarsi a qualche passo dal punto in cui giaceva, le mani sui fianchi. «L’avete fatta arrabbiare, non è così?» gli chiese, l’espressione contrariata, la vocina sottile più femminile che maschile. Killian si rese conto che non avrebbe saputo dire quale fosse il sesso di quella strana creatura.
«Chi siete?» domandò in risposta, la voce tenue, evidentemente non troppo sicuro che l’essere che aveva innanzi fosse reale o frutto della sua immaginazione, turbata da ciò che Malefica doveva avergli iniettato.
«Colui che vi salverà da una morte per assideramento, ecco chi sono!» E, così dicendo, si accostò all’uomo e, con le mani tozze, lo prese per le braccia nel tentativo di costringerlo ad alzarsi. Pur grugnendo, Killian lasciò che l’aiutasse e dovette ammettere che, a dispetto delle apparenze, quel cinghiale sapeva il fatto suo; quando lo ebbe aiutato a trascinarsi verso uno degli angoli della stanza dove aveva precedentemente ammassato un buon cumulo di paglia e disposto quello che si era rivelato essere una pesante coperta, il cinghialotto lo assistette finché non si fu adagiato e, infine, lo avvolse nel tessuto con aria soddisfatta. «Ecco, così dovrebbe andare!» fece, più rivolto a se stesso che non a Killian, ma l’uomo quasi non se ne curò, piacevolmente interessato al calore che, più rapidamente del previsto, aveva cominciato a spandersi per il suo corpo. «Mi spiegate cosa vi è passato per la testa?» proruppe, dopo qualche istante, la creatura a poca distanza da lui e Killian, aprendo gli occhi, non poté fare a meno di aggrottare le sopracciglia, lo spirito a poco a poco rinvigorito dal tepore.
«Di cosa state parlando?» domandò lui.
«Del fatto che abbiate fatto infuriare Malefica come mai era accaduto fino ad ora. Cosa vi è passato per la testa?» ripeté, le braccia incrociate sul petto e il piede che tamburellava nervosamente contro il pavimento, evidentemente in attesa che gli desse una risposta soddisfacente. Le labbra dell’uomo si piegarono in un sorriso. Era una buffa creaturina con un caratterino niente male!
«Avrebbero dovuto farlo prima e non sarebbe arrivata a questo punto.» rispose e, indipendentemente dal fatto che potesse trattarsi di una mera allucinazione o addirittura di un sogno, decise di godersi il momento, perché, per quanto ridicolo potesse apparire, la situazione nella quale si trovava era tangibile ma, soprattutto, più piacevole di quanto non fossero state le ultime ore.
«Avrebbe potuto uccidervi!!!» gli disse, sul volto un’espressione di ovvietà che rifletteva la sua incredulità di fronte a cotanta incuria per la propria vita.
«Lo so…» sussurrò e, piano, sospirò, questa volta lontano dal divertimento che l’incontro col piccolo cinghiale gli aveva causato fino a pochi istanti prima. Per l’ennesima volta, la consapevolezza di aver creduto che Malefica fosse diversa, al di là della possibilità che dietro di lei vi fosse Emma o persino un’altra principessa sotto maledizione,  rese ancora più chiaro l’esito fallimentare dei suoi propositi.
 Killian era sempre stato una persona tenace, caparbia, egoista sotto alcuni punti di vista, restio a lasciarsi andare a frivoli sentimenti per una donna, ma si era ben presto reso conto di essersi costretto a delle imposizioni che gli avevano reso, sì, la vita piena e libera da catene ma mancante di qualcosa. Quando aveva deciso di tornare, dopo diversi anni di avventure in giro per il mondo, lo aveva fatto sotto la spinta di un amore che si era impedito a lungo di provare, che aveva negato e sperava di non aver perduto; nella sua mente tormentata, la bellezza e la sicurezza di Emma erano state tutto ciò di cui avesse mai avuto bisogno e gli erano parse una proposta allettante per placare il suo animo tormentato. Tuttavia, per quanto gli costasse ammetterlo, Malefica aveva avuto ragione nell’insinuare che il sentimento in nome del quale si era sacrificato avrebbe benissimo potuto essere ancorato al ricordo, all’idea che si era fatto di lei e non alla realtà.
L’ultima volta che aveva visto Emma, ricordava di aver lasciato dietro di sé una bellissima ragazza col carattere più ribelle e frizzante che avesse avuto modo di incontrare in tutta la sua vita e, benché fosse di diversi anni più giovane e non si fosse mai allontanata dalla Foresta Incantata, Killian aveva dovuto constatare che, per chissà quale ragione, ella era più matura, più profonda, più consapevole di quanto lui non fosse mai stato. Tornare dopo anni, avrebbe potuto comportare non soltanto che ella avesse già contratto matrimonio con un altro uomo ma, soprattutto, che fosse cambiata ancora e che non esistesse più tra loro la sintonia di sempre. Benché litigassero spesso e piuttosto veementemente,  difatti, Emma e Killian erano spiriti affini ed avevano impiegato del tempo per realizzarlo; a quel punto, si era instaurato tra loro un rapporto di reciproco rispetto, di muta comprensione, di automatico sostegno che li aveva resi più uniti giorno dopo giorno, senza che se ne rendessero conto. Emma non aveva mai pensato a Killian come ad un suo possibile interesse amoroso, al di là delle pressioni che i suoi genitori avevano continuato a farle, né aveva creduto anche per un solo istante di poterne essere innamorata. Era sempre stata uno spirito libero e l’idea del matrimonio non l’aveva allettata, chiunque fosse il pretendente; c’era qualcosa nell’idea di rimanere per sempre legata a qualcuno che la terrorizzava e, in parte, disgustava, come se dover essere sentimentalmente dipendente da qualcuno che non fosse se stessa non facesse per lei. Eppure, vederlo andare via a bordo della nave sulla quale egli aveva deciso di imbarcarsi non era stato semplice come aveva creduto: le era parso di aver perduto un amico prezioso, una presenza costante, una parte di sé più irrazionale ed emotiva in grado di sopperire alle sue di mancanze, che con l’emotività aveva sempre avuto un rapporto decisamente conflittuale, più conflittuale di quello avuto con Killian. Così com’era stato difficile per l’uomo lasciarsela alle spalle, nella mente l’eco di ciò che avrebbero potuto essere.
«E, allora, perché lo avete fatto?» proruppe bruscamente il piccolo cinghiale, stanco di attendere una risposta che da minuti tardava ad arrivare. Killian trasalì, strappato con violenza alle proprie riflessioni, e il suo sguardo tornò alla creatura dinanzi a lui. «Aspettate!» continuò, aguzzando la vista e facendosi più vicino. Killian seppe che non dovesse apparire cortese, ma non poté impedirsi di arretrare, quando il muso animalesco dell’altro minacciò di farsi davvero troppo vicino, negli occhietti piccoli e neri una strana curiosità. «Oh, oh, oh! Questa sì che è bella!» fece, sulla bocca suina quello che avrebbe dovuto essere un sorriso. «Provate qualcosa per lei, ma non capisco cosa.» E fece per avvicinarsi ancora, come se ridurre le distanze potesse dargli la conferma che cercava, la chiave di lettura per le illeggibili emozioni che aveva scorto in quegli occhi confusi.
«Ma cosa state dicendo?!» lo interruppe Killian, un’espressione sgomenta in volto. «Come potrei? E’ la strega che ha catturato e tenuto prigioniera la donna che amo, la donna che mi ha separato da lei e che mi ha fatto questo.» disse, indicando con un movimento accennato del capo la spalla oltre la coperta, la mascella improvvisamente irrigidita dal dolore che quel movimento gli aveva provocato.
«Uh, la odiate. Lo vedo, lo vedo.» fece il cinghiale con voce sommessa ed espressione assorta, lo sguardo ancora fisso in quello dell’uomo. «Ma dovete stare attento, mio caro. L’odio può essere un sentimento fuorviante, ingannevole.» lo ammonì, battendo le palpebre più volte come se fosse riemerso dalla fitta rete di riflessioni in cui lo studio del viso di Killian lo aveva intrappolato.
«Che intendete dire?» domandò lui.
«Che l’odio è un sentimento molto forte, il più forte insieme all’amore, e il passo dall’uno all’altro è molto più breve di quello che crediate.» rispose e, quando Killian fece per interromperlo, lo fermò con un gesto della mano. Sconcertato, l’uomo notò che ognuna di esse non fosse dotata di più di tre dita. «La gente crede che amore e odio siano distanti tra loro, quasi uno si trovasse in cielo e l’altro nelle tenebrose profondità della terra, ma non è così.» gli disse, l’ombra di un sorriso tanto sulle labbra quanto negli occhi come se avesse odiato e, poi, amato a sua volta, ma avesse perduto quell’occasione. «L’amore e l’odio sono come due persone che si danno la schiena a vicenda, vicine fino quasi a toccarsi, e abbracciano sensazioni diverse, provocano reazioni diverse. Ma basta un soffio di vento, un attimo di distrazione, una perdita di equilibrio e due mondi, prima così diversi, si mescolano. E, a quel punto, non ti rimane altra scelta che arrenderti o all’uno o all’altro.» Si fermò un istante e Killian lo osservò attentamente, chiedendosi se la sua mente allucinata stesse non soltanto partorendo l’immagine di un esserino tanto stravagante, ma si stesse anche dando alla poetica saggia e romantica come ultimo passo prima di spegnersi del tutto. Benché semplici, le parole del cinghiale erano molto più sensate e veritiere di quanto non si fosse mai potuto aspettare. «Adesso, la odiate, signore, ma vi siete mai chiesto cosa accadrebbe, se, un giorno, inciampaste e il vostro non fosse più soltanto odio? Cosa fareste, se vi innamoraste di Malefica? Perché il vostro amore per la donna di cui mi parlate è certamente imponente, ma il tempo e la distanza renderanno sfocato quello che provate e l’odio per Malefica potrebbe non rimanere tale a lungo.» Detto questo, si fece indietro e, dopo averlo osservato un ultimo istante, scosse il capo e si avviò verso la porta, lasciandolo alle sue riflessioni.
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Il castello era silenzioso come sempre, il respiro dell’uomo al suo fianco  l’unico rumore udibile. Strisciando lentamente sulle lenzuola, Malefica riuscì ad alzarsi, abbandonando la posizione che aveva occupato per ore, e, accostandosi al vestito che giaceva sul pavimento, vi scivolò dentro, dietro di lei la figura mascolina profondamente addormentata. Seguirono pochi altri accorgimenti, come verificare che il suo amato corvo non fosse nelle vicinanze, prima che la sagoma longilinea della donna si avventurasse oltre l’uscio della camera da letto con la ferma decisione di percorrere i corridoi del palazzo.
La sua mente tacque a lungo, per tutto il tempo che i suoi passi risuonarono tra le pareti del castello, senza dire nulla, senza partorire un pensiero, senza dar vita ad alcuna riflessione. Sicuri, i suoi occhi si poggiarono sulla scalinata che Malefica aveva percorso all’inverso dopo il diverbio con Killian e la decisione fu rapidamente presa, portandola a salire quei gradini priva di qualunque margine di dubbio.
Quando fu arrivata in cima, sospirò forte e, quasi a volersi reggere, poggiò una mano contro il logoro stipite in legno, osservando Killian con fare meditabondo. Un sorriso curvò le sue labbra alla vista del viso di lui, pacifico nel sonno che, dopo infinite ore di tormento, doveva essersi concesso nella convinzione di morire, percependo una spossatezza che era tutta psicologica, non fisica. Malefica non aveva voluto ucciderlo, benché la tentazione fosse stata forte e, per più di un istante, una voce nella sua mente le avesse ripetuto di farlo, di porre fine all’esistenza di quell’uomo che aveva osato tanto contro di lei. Eppure, non vi era riuscita e si era limitata ad infettare il suo sistema nervoso con un veleno che gli avrebbe fatto credere di non avere più alcun controllo sul proprio corpo, fino a sentire le membra gonfiarsi e la mente perdere di lucidità come in seguito ad un’abbondante perdita di sangue. Era quello che le piaceva tanto di quella tossina: il fatto che riuscisse a simulare i sintomi di una prossima morte senza intaccare minimamente il fisico.
Una volta che lo ebbe raggiunto, la donna si chinò sulle ginocchia, i capelli serici rischiarati dal tremulo movimento della torcia, gli occhi fissi sul bel viso di Killian adagiato contro la paglia. Sospirando ancora e altrettanto pesantemente, Malefica scosse il capo, quasi indispettita, come se non fosse riuscita a scacciare via la sensazione di disappunto che l’altro era riuscito a suscitare in lei, ma si costrinse ad andare oltre e, lentamente, allungò la mano fino ad afferrare un lembo della coperta in cui l’uomo era avvolto; piano, cominciò a scostarla e l’improvvisa sensazione di freddo dovette disturbarlo, perché lo osservò muoversi e, poco dopo, schiudere le palpebre, la bocca piegata in un’espressione a metà tra la sorpresa nel vederla lì e il dolore pulsante della ferita. Gli occhi neri di lei, a contatto con quel blu nuovamente cristallino, lessero una richiesta silenziosa, una richiesta dalle molteplici sfumature: le stava chiedendo perché fosse lì, cosa volesse fargli, se fosse ancora adirata con lui, se dovesse prepararsi ad un altro scontro o ad essere deriso, se, invece, le sue intenzioni fossero completamente diverse.
L’angolo della bocca di lei si incurvò appena verso l’alto, mentre, con le dita, scostava il tessuto lacero della camicia e sentiva lo sguardo dell’altro seguire ogni sua mossa. Con la coda dell’occhio, lo vide digrignare i denti e lo sentì trattenere il respiro, quando la sua mano fredda si posò sulla porzione di pelle lesa, delicata come solo lei avrebbe potuto essere nella contraddizione che avvolgeva la sua intera esistenza; una contraddizione che, pur non avendone idea, condivideva con la persona a pochi centimetri di distanza da lei, sebbene sotto aspetti differenti.
«Cosa state facendo?» si azzardò a chiedere lui, gli occhi blu guardinghi, sebbene una traccia di speranza continuasse a molestarli. Com’era possibile, si chiede Malefica, che quel sentimento aleggiasse ancora nel suo animo, nonostante avesse dato prova dell’essere terribile in cui poteva trasformarsi? Perché, sebbene non potesse averne la matematica certezza, Malefica seppe che quella speranza la riguardasse in prima persona. Killian non sperava che lo guarisse, che non lo ferisse, che ponesse fine al suo dolore, che lo liberasse, che lo lasciasse andare incontro al suo destino, un destino di vita. Killian sperava ancora che Malefica fosse diversa, che smentisse quanto continuava a dirgli che non potesse esserci nulla di buono in lei, che disattendesse le aspettative degli altri e soddisfacesse le sue, benché non conoscesse l’origine di tanta fiducia. Killian sperava che gli desse una ragione per non arrendersi.
«Curo le vostre ferite.» rispose semplicemente, l’espressione concentrata sui solchi che le sue unghia avevano lasciato sull’epidermide di lui. Era sul punto di dar vita al processo che avrebbe sanato ogni cosa, quando le dita dell’uomo si strinsero attorno alle sue, fermandola prima che potesse compiere qualunque gesto. Lo sguardo di Malefica si spostò in quello dell’altro e, nonostante l’evidente miseria in cui si trovava per la sofferenza che il movimento gli aveva provocato, lo trovò fermo come si era aspettata.
«Perché?» le domandò semplicemente.
«Perché è giusto così.» si limitò a controbattere e fece per sottrarsi alla presa di lui, ma la stretta attorno alle sue dita si intensificò e, quando ebbe osservato la tenacia dei suoi lineamenti, ella comprese che non le avrebbe concesso di guarirlo da cosciente, se non fosse stata a sentirlo. Sospirando, piegò le labbra finché non riprodussero una smorfia scocciata ma indulgente, e Killian parve capirlo perché le sorrise lievemente. «Cosa volete?»
«Che diciate qualcosa, qualunque cosa.» ribatté, ma l’espressione di lei fece intendere che entrambi sapevano che non fosse così. Pur andando contro se stesso, Killian ridacchiò e tentò di mettersi a sedere; Malefica accorse in suo aiuto e lo scopo fu raggiunto. «Perché volete curarmi? Ditemi questo, ma voglio la verità.»
«Siete proprio un chiacchierone, eh?» si fece bonariamente beffe di lui, ma le sue parole non provocarono alcun effetto negativo; contro ogni aspettativa, Killian schiuse le labbra per regalargli un sorriso in piena regola e Malefica ne rimase affascinata, perché non ne aveva mai visto uno tanto genuino su di un volto tanto buono. Ella era abituata a frequentazioni di altro genere, frequentazioni i cui occhi riflettevano la turpitudine dell’animo del soggetto interessato. Un po’ come i suoi, di occhi.
«Bisogna pur portare avanti una conversazione e, visto che voi non fate nessuno sforzo, la responsabilità ricade tutta su di me.» rispose, dopo una lieve ma dolorosa scrollata di spalle, e Malefica non poté impedirsi di sorridere e scuotere la testa nel realizzare che, per quanto stesse soffrendo e nonostante avesse tentato di soffocarlo qualche ora prima, l’uomo trovasse ancora la forza d’animo per parlarle a quel modo, come se nulla fosse accaduto, come nessun altro aveva mai fatto.
«Non vi capita mai di arrendervi, Killian?» chiese lei, il capo lievemente inclinato, e l’uomo sorrise. Avrebbe dovuto essere profondamente adirato con Malefica, se non scostante e desideroso di vendetta, e il fatto che lo avesse chiamato per nome non avrebbe dovuto avere nessun effetto su di lui, ma non fu così perché il suo corpo si rilassò nell’osservare le labbra dell’altra pronunciare quelle sette lettere.
«Non quando ritengo valga la pena perseverare.» le disse e la sua espressione si fece improvvisamente seria. Non sapeva quale fosse l’intento che desiderava raggiungere, se riuscire a fuggire da lei, se cambiarla, se vincere una sfida contro se stesso e contro gli altri. Sapeva soltanto che non aveva alcuna intenzione di demordere, indipendentemente dal rischio che, secondo il cinghiale, rischiava di correre, indipendentemente dal fatto che, con l’arrivo dell’uomo misterioso, gli occhi di lei fossero diventati più oscuri, profondi e impenetrabili, come se vi avesse iniettato parte dell’oscurità che portava dentro onde evitare che ella esaurisse le proprie scorte. Di fronte a cotanta serietà, Malefica batté più volte le palpebre e sospirò.
«Vi è quasi costata la vita, questa vostra testardaggine, poco fa.» gli fece notare e la bocca di Killian le regalò un altro sorriso. Strano che, in una condizione di simile penuria, ne fosse tanto prodigo, si disse lei. «Come potete continuare a ridere e sorridere?» sbottò, infinitamente curiosa, e l’espressione maliziosa dell’incontro in camera sua, benché più fiacca, riapparve su quei bei lineamenti mascolini.
«Credo dipenda da voi.» rispose, il blu dei suoi occhi brillante, pieno di vita al punto tale che Malefica ne fu quasi sopraffatta. Chi era quell’uomo che aveva preso come prigioniero e da quale strano mondo proveniva? Perché, da che era giunta nella Foresta Incantata, non aveva avuto modo di fronteggiare nulla del genere, di incontrare nessuno del genere. «E, quanto al resto, sapevo che non mi avreste ucciso.» fece, borioso, e, nel vederla aggrottare le sopracciglia con espressione di rimprovero, rise un po’. «O, almeno, lo speravo. E sono contento non l’abbiate fatto.»
«Sfido a non esserlo.» commentò lei e, pur sorridendole, l’altro scosse il capo, umettandosi le labbra.
«Non per le ragioni che credete voi.» la corresse e Malefica non poté fare a meno di domandarsi cosa intendesse dire. «Vi spiacerebbe rimandare le spiegazioni a quando mi avrete curato?» Ella rise e annuì sommessamente, ma, quando fece per sfilare la propria mano, che era rimasta inerme stretta tra le dita di lui, Killian la bloccò. «Mi dovete ancora dire perché volete farlo, la verità, ricordate?» Malefica sospirò, genuinamente sorpresa nel constatare quanto fosse caparbio.
«Che io non desideri la vostra morte penso sia stato chiaro dall’inizio.» fece, profondamente elusiva. «Che io non vi voglia lasciare troppo a lungo a soffrire è qualcosa di nuovo, ma ritengo davvero che la vostra punizione sia stata sufficiente, a questo punto.» concluse e, benché si fosse limitata a grattare la superficie di qualcosa che possedeva una profondità ed estensione maggiore, fu sincera. Tutto quello era nuovo per Malefica e, in quanto tale, non soltanto non era in grado di darvi una spiegazione ma peccava anche di pavidità; non conoscendo ciò che aveva innanzi, non era certo di volerlo sfidare e, questo, Killian riuscì a comprenderlo, perché c’erano molte cose che, a sua volta, non era in grado di identificare nel suo rapporto con lei, così giovane eppure così confuso, come nessun altro rapporto avesse instaurato in vita sua. Sentiva una strana, incomprensibile, positiva propensione verso Malefica, una propensione che lo portava a mancare di giudizio quando il trasporto diveniva dirompente a tal punto da rompere le redini con cui la ragione teneva sotto controllo la situazione. Com’era accaduto diverse ore prima.
Lentamente, allentò la presa sulla mano di lei e, pur a malincuore, la lasciò andare del tutto, consentendole di accostarsi alle sue ferite. Serio, osservò l’espressione concentrata di lei, gli occhi neri fissi sulla pelle lacera, i polpastrelli a qualche centimetro dalla sua spalla, e, a poco a poco, sentì il dolore diminuire, la debolezza abbandonarlo, la lucidità tornare a lui. Malefica mosse le dita con la stessa abilità di un burattinaio e proseguì finché i solchi sanguinolenti non si furono del tutto rimarginati, lasciando il posto ad una pelle dall’aspetto perfettamente sano. Quando ebbe finito, persuasa che la loro conversazione avesse raggiunto un termine ultimo, fece per alzarsi, ma le mani di Killian si serrarono attorno ai suoi polsi, incatenandola sul posto. Ella lo guardò sorpresa, nel viso di lui un vigore completamente ristorato, come di chi avesse improvvisamente riacquistato le proprie energie dopo settimane di malanni.
«Aspettate, vi devo delle spiegazioni o l’avete dimenticato?» Malefica assunse un’espressione colpevole e l’altro ridacchiò. «Vi perdono!» disse e lo fece con una semplicità tale che la giovane non riuscì a mantenere il proprio contegno. Dopo essere stato quasi ucciso, era lui a darle il suo perdono? «Sedetevi qui accanto a me.» la invitò, sciogliendo uno dei due polsi dalla presa che le sue dita avevano esercitato fino a quel momento e battendo il palmo della mano sulla porzione di coperta al suo fianco.
«Oh, Killian!» fece per dire lei, una punta di esasperazione nella voce.
«Oh, Malefica!» le fece eco l’uomo, esasperato forse più di lei ma decisamente più testardo. «Non vi sto chiedendo di giacere sotto di me sul pagliericcio di questa stanza e di lasciare che vi mostri quanto sia prestante.» tentò di farle notare, ma i suoi occhi brillavano di una malizia senza freni e, pur avendone avvertito il pericolo ed avendo aggrottato le sopracciglia, Malefica non fu in grado di nascondere l’emergente sorriso che le premeva sulle sue labbra cremisi. «E, credetemi, lo sono…»
«Ho un’altra proposta per voi.» proruppe lei, nel tentativo di interrompere il flusso di parole che aveva letto sul viso dell’altro e di sviare la conversazione. «Accompagnatemi fino alla porta di camera, vi va?»
A dispetto della banalità della sua richiesta, Malefica osservò Killian rispondere positivamente, alzarsi, spegnere l’ultima torcia rimasta accesa e seguirla a distanza piuttosto ravvicinata. Nessuno dei due disse alcunché per tutto il tragitto, al di là del fatto che egli le dovesse delle spiegazioni ed ella avrebbe potuto pretenderle, ma Malefica percepì distintamente il compiacimento del suo compagno e, con la coda dell’occhio, ne scorse l’espressione divertita. Ella non si sentì a disagio, perché non aveva ancora nessuna ragione per esserlo: l’uomo che aveva al suo fianco, benché di gran lunga più interessante di qualunque prigioniero avesse mai avuto modo di conoscere e, di certo, di gran lunga più inusuale, non era che un prigioniero e tale rimaneva, al di là del fatto che fosse stato in grado di indirizzarla verso un sentiero sconosciuto, fatto di sensazioni strane, di gesti privi di spiegazioni quali quello di curarlo prima del previsto.
L’arrivo dell’uomo misterioso che giaceva sul letto della camera di lei aveva cambiato, in qualche modo, le carte in tavola, rendendo più impenetrabile un animo che, già di per sé, atto all’apertura non era, oscurando le emozioni che ella aveva provato con Killian e ricoprendole di una sottile nebbia che le rendeva quasi insignificanti agli occhi di lei. Quando furono arrivati dinanzi alla porta della stanza di Malefica, Killian la superò di qualche passo, prima di voltarsi verso di lei e fronteggiarla.
«Buonanotte, Killian!» fece la giovane, semplicemente.
«Non mi aspetto che diciate nulla, sebbene lo desideri, ma vorrei sapeste qualcosa.» L’espressione di lui, per quanto evidenti avrebbero dovuto essere i segni della stanchezza dopo il tormento delle ultime ore, divampò di una passione che Malefica non aveva mai provato e che la incuriosì, perché c’erano forza e caparbietà in essa. «Non passerà minuto nel quale non penserò a voi, prima di addormentarmi.» Ella tacque a lungo, gli occhi neri molestati dal candore bruciante di quelli blu dell’altro.
«Bene.» fu tutto ciò che disse, prima di ritirarsi nelle sue stanze.



 

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