So Far Away And Yet So Close Together

di Evelyn Doyle
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo. ***
Capitolo 2: *** Capitolo uno. Ancora nulla. ***
Capitolo 3: *** Capitolo due. Questa selva selvaggia. ***
Capitolo 4: *** Capitolo tre. Sguardi trasversali ***
Capitolo 5: *** Capitolo quattro. Conoscenze (in)opportune ***



Capitolo 1
*** Prologo. ***


So Far Away And Yet So Close Together

By Evelyn Doyle.


Prologo.


Da dove posso iniziare?
Dal principio? Probabilmente un vero principio non c’è, perché a volte la vita è così incredibilmente stramba che sinceramente stento a credere a ciò che succede.
Potrebbe sembrare quasi una barzelletta ciò che dirò, ma, in fondo, lo è.
Una barzelletta iniziata un week-end, precisamente in libreria, davanti alla porta della “Penna d’Oro”, la libreria più grande che avessi mai visto in tutta la mia giovane vita.

«Nathalie, tu sei completamente impazzita se pensi che io possa entrare in questo inferno»

Susanna, sedici anni e frivolezza fatta persona, mi informò della sua incredibile voglia di intraprendere un’emozionante avventura nel mondo della letteratura.
Ma, dopotutto, se la carissima prof. di italiano ci voleva costringere a leggere la Divina Commedia interamente, di certo colpa mia non era.
O forse sì, dato che durante l’ultima assemblea con i professori avevo innocentemente proposto la lettura di un libro in parallelo con il programma di letteratura al posto dei soliti noiosissimi libri.
Ma, dopotutto, sono cose che capitano e di certo non credevo che la mia proposta da quattro soldi venisse presa sul serio e così presto.

«Susanna, volente o nolente questo è il tuo destino. Entriamo, la prendiamo e usciamo, niente di più facile»

Risposi con una punta di acidità, mia principale caratteristica.

«Io ti ho avvertito, Nathalie, saremo circondate da ultra-nerd o secchioni libro-dipendenti prolissi da far venire la nausea, per cui io mi astengo»

Sì, ci stavo appunto arrivando, dopotutto è così palese che potrei fare a meno di spiegarlo, ad ogni modo quando intendevo che Susanna era la frivolezza fatta persona, non lo dicevo per scherzare, niente affatto, lo dicevo perché questo era.
Ed io? Io cos’ero? Non saprei, non ero niente di speciale, dopotutto.
Una mente contorta che non fa altro che esprimere pareri sull’altra gente, con un tocco di una sorta di narcisismo, più che altro per le mie doti intellettive, che per l’aspetto.
Acidità a livelli interstellari, almeno così mi hanno sempre fatto notare.
Anche ironia, ma, dopotutto, senza essa credo che ci si annoierebbe in modo assurdo, non credete?

In ogni caso, Susanna non volle sentire ragione alcuna e mi costrinse ad entrare da sola in quel meraviglioso posto, dove il fantasy e i gialli, la letteratura classica e, addirittura, la fantascienza si incontravano.
Data la mia scarsa voglia di iniziare una lunga ricerca attraverso i corridoi della libreria, chiesi direttamente alla prima commessa che vidi.

«La Divina Commedia integrale? Ne è rimasto un solo volume: le scuole ne richiedono anche troppi e gli ordini tardano ad arrivare. Dovrebbe esserci una copia nel corridoio ventidue, l’area dedicata ai classici della letteratura italiana»

La giovane commessa mi indicò un punto imprecisato della libreria, così mi detti alla ricerca di questo corridoio ventidue, sicura di non trovarlo nemmeno per la fine della giornata.
Il mio ottimo pessimismo era una cosa inevitabile, mi veniva così spontaneo pensare in negativo che spesso anche nel positivo vedevo lo sfavorevole.
Che cosa strana, non credete?
Ad ogni modo, il famoso corridoio ventidue non era ancora visibile all’orizzonte ed io iniziavo a credere che avrei dovuto rivolgermi ad un qualche mercatino dei libri usati o affini.
Ma l’illuminazione arrivò, ebbene sì, non mi ero accorta di essere arrivata infatti al corridoio ventuno, per poi passare al fatidico ventidue.
Mi fiondai davanti agli scaffali, scrutai attentamente ogni targhetta che segnava l’inizio di una sorta di sezione dedicata ad un particolare autore, finché non trovai Dante Alighieri.

Ovviamente sperare che il tanto agognato volume ci fosse era una cosa fin troppo ottimistica, eppure esso era lì, solo soletto, in attesa di un acquirente che se lo portasse a casa, lo tenesse lindo, curato e magari lo leggesse.
Lo presi, con uno scatto, come fosse un tesoro prezioso che qualcuno avrebbe potuto strapparmi dalle mani da un momento all’altro.
Eppure, tutto era troppo bello per essere vero.
Io che riuscivo a prendere l’ultimo volume disponibile, insomma, per un nanosecondo credetti davvero che la cosiddetta dea bendata mi avesse colpito.
Giusta osservazione: ho detto esattamente per un nanosecondo.
Perché? Perché le cose stavano così: io non avevo preso la Divina Commedia.
Allora cosa avevo preso, vi chiederete?
Le rime, una raccolta spaventosa di poesie e liriche dantesche.
Questo fu il mio madornale errore, esattamente questo.
Perché non ho guardato la copertina?
Mi chiesi osservando il titolo – scritto anche con un carattere più che leggibile – del volume preso con tanta veemenza poco fa.

Ero oltremodo infuriata con la mia negligenza: come avevo potuto fare un tale errore?
Un errore patetico, che mi avrebbe portato però ad odiose conseguenze, perché a pochi metri dalla mia minuta figura intenta ad osservare esterrefatta la copertina del volumetto errato, la mia Divina Commedia faceva capolino tra le mani di un ragazzo.
Ero intontita e allo stesso tempo infuriata a morte: quel volume doveva essere mio! Non potevo permettere ad un tizio saltato fuori da chissà dove di prendere l’ultimo volume della Divina Commedia facendo rimanere la sottoscritta ad un mercatino dell’usato dove avrei, probabilmente, trovato un volume dalle pagine ingiallite e colme di appunti dalla calligrafia alquanto illeggibile.
No, quel volume era mio, lo pretendevo!
Tra tutti questi pensieri contestatori non mi accorsi che il ragazzo in questione mi stava guardando con una strana aria.
Per carità, un obbrobrio non era, “passabile”, “nella media” potrei definirlo: capelli castani corti e un po’ mossi, occhi di un verde acqua abbastanza decente da essere notati e fisico nella media. Niente di troppo mostruoso, insomma, ma la vera oscenità era il suo abbigliamento.
Abbigliamento composto da camicetta dai colori psichedelici, che, alla sola vista, facevano sanguinare le mie povere orbite, a completare un perfetto abbigliamento da camaleonte impazzito c’erano anche un paio di jeans fino al ginocchio più strappati che interi e delle sneaker di un verde fluorescente da far venire il voltastomaco.
Insomma, come se tutto ciò non bastasse, aveva una tracolla con una scritta fluorescente (anche questa, sì) molto simile a Star Trek.
Il mio disgusto era fin troppo, se solo avessi avuto la pancia piena credo proprio che avrei avuto un conato di vomito, e, badate, non esagero affatto!
Dopo qualche secondo a rimirare il sopracitato obbrobrio ambulante, mi rivolse la parola.

«Perché mi guardi? Ho qualcosa di strano?»

Lo disse in modo talmente sprezzante da farmi seriamente chiedere se questo individuo fosse un mezzo schizzato mentale o stesse solamente recitando in modo sopraffino.
Avrei voluto ridere, ve lo assicuro, ma ridere così forte da farmi venire le lacrime, però risposi soltanto in tono pacato e freddo.

«Assolutamente. In realtà mi interessa il libro: è tutto il giorno che lo cerco e mi piacerebbe terminare qua le ricerche, se non ti dispiace»

La mia aria da saccente ragazzina era la cosa più odiosa che avessi, ma, dopotutto, io ero una saccente ragazzina.
In ogni caso il significato della suddetta frase era, brutalmente: “Dammi il libro senza scassare le palle”.
Ovviamente una tale cosa non sarebbe uscita dalla mia bocca tanto facilmente, dato che avevo il vizio di mostrarmi una presuntuosa e puntigliosa rompiballe, il che è molto più divertente che essere una “normale e semplice” ragazza, non credete?
Tralasciando la mia stramba mentalità... Il ragazzo mi guardò in modo particolarmente strano, le sue pupille si dilatarono facendo sembrare gli occhi neri più del dovuto.

«Non vedo il motivo per il quale dovrei lasciarti il libro. È mio, l’ho trovato io»

Lo guardai in cagnesco, ma cercai di nascondere tale emozione con un falsissimo e forzatissimo sorriso.

«Complimenti, allora»

Nel mio tono una nota di disprezzo scivolò quasi per caso, mentre il misterioso ladruncolo e orrore ambulante tentava di nascondere un sorriso sghembo in modo oltremodo pessimo.
Non sapevo più che dire o fare, anche se l’avrei preso molto volentieri a cazzotti per tutto il giorno.
Non sapevo niente di lui, per carità.
Non mi aveva fatto nemmeno un peccato capitale, assolutamente.
Ma c’era qualcosa nel suo modo di fare che mi mandava in bestia.
No, non era il suo modo di vestire, insomma, se lui era contento di sembrare un pagliaccio ambulante io non potevo avere nulla di contrario.
Era, più che altro, qualcosa che non capivo nemmeno io, qualcosa di più astratto, psicologico forse.
Ma, dopotutto, quando mai lo avrei rivisto?
Le possibilità di incontrarlo nuovamente erano molto meno che le possibilità di Daniel di prendere un otto in chimica, per cui potevo stare certa che nella mia vita non avrei mai più rivisto l’obbrobrio ambulante.
Mai più.
Poco ma sicuro.

Eppure questo fu il mio secondo errore: basarmi sulla statistica, quando la vita se ne frega altamente di questioni matematiche.

Perché, sì, come è facile immaginare niente va mai come vogliamo.

La mia barzelletta era appena iniziata, ma ancora vivevo nella fin troppo ottimistica convinzione che certe cose non possono capitare una seconda volta.




Author's Corner

Allora... salve!
Non allarmatevi, insomma, so che ho già due storie in alto mare, ma... non ce la facevo! Dovevo riscrivere “Così lontani eppure così vicini” ed ecco qua un nuovo prologo per essa.
La storia in sé sarà “uguale”, ma, come avete notato, cambierò mooolti eventi.
Metterò dei personaggi in più, come il – solo citato per ora – Daniel.
Susanna sarà sempre la stessa, forse un pochino più frivola xD
Forse lo avrete notato, ma ho leggermente modificato il nome di Natalia, che ora è Nathalie.
So che non è un nome italiano, ma c’è una spiegazione a tutto, ovviamente.
Beh, per chi non ha mai letto la prima stesura della storia in tutta la sua vita, consiglio di non andare a leggere appunto la versione “vecchia” (la tengo ancora nel profilo), perché è scritta malissimo, in confronto a questa... Anche se, comunque ero appena al capitolo 8, per cui grandi cose non ne avevo dette.
Ah, un ultima cosa: se il titolo ha qualche errore ditemi pure, non sono sicura di averlo scritto giusto e chiedo umilmente venia in caso sia errato.
In ogni caso, vi ringrazio di averla letta e ricevere qualche parere mi farebbe immensamente piacere: ci tengo a sapere le vostre impressioni sulla storia :D
Adesso vi saluto, chiedendo venia per la “lunghezza” del prologo, che soltanto è una brevissima introduzione alla prossima sconvolgente vicenda (almeno, sarà così per la nostra protagonista xD).


Evelyn.

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Capitolo 2
*** Capitolo uno. Ancora nulla. ***


Capitolo 1: Ancora nulla.


Un lunedì autunnale mi aspettava nel mio carissimo liceo, il Liceo Statale Alessandro Manzoni, con indirizzi linguistico e scientifico.
Io frequentavo il secondo, lo scientifico.
Terzo anno, anche se avevo un anno in meno rispetto ai miei coetanei, ma poco importa.
Era soltanto l’inizio della terza settimana di scuola, ma era già un’agonia doversi alzare alle sei e mezza del mattino e dover prendere un lurido e affollato autobus per poter arrivare nella cara scuola.
Erano, appunto, le sette e dovevo sbrigarmi ad uscire da quel caldo e confortevole edificio, meglio conosciuto come “casa mia”, per andare alla fermata dell’autobus che si trovava a cento metri e attendere il bus.
Mi incamminai così, dopo aver salutato mia madre, con lo zaino sulle spalle che poteva pesare benissimo più di me, a sentirne il peso.
L’autobus era giusto arrivato due secondi prima, così salii immediatamente a prendere posto.
«Ehi, ecco la Mari!» una voce maschile proveniente dagli ultimi posti mi fece alzare le sopracciglia rassegnata.
Sì, era Daniel, avete indovinato.
«Poche storie, il mio posto?» reclamai il mio solito posto con impazienza, dato che non ho mai amato stare in piedi nell’autobus.
«Oggi Manu ti ha fottuto il posto, mi dispiace» mi informò scrollando le spalle e indicando il posto a fianco del suo, nel quale era seduto Emanuele Costanzi, uno dei tanti idioti che popolavano il Manzoni.
«E io dove dovrei stare? In piedi?» chiesi guardando in modo assassino il Costanzi, che non mi calcolava di striscio date le cuffie che indossava con la musica al massimo volume.
Daniel diede una pacca sulle sue gambe per indicarmi la mia nuova postazione e acconsentii, dato che il pullman era partito e, piuttosto che stare in piedi, preferivo sedermi sulle sue – scomode – gambe.
Mi tolsi lo zaino e mi sedetti sulla mia nuova poltrona, sbuffando impercettibilmente.
«Suvvia, meglio che niente, no?» mi chiese, alludendo alla mia comoda postazione.
«Sarebbe meglio che non ci fossi, o che non ci fosse quello là» borbottai a voce bassa, mentre l’autobus partiva.
«Tu invece è meglio che ci sei, piccola, perché devi darmi una mano con chimica... la Mariani mi ha preso di mira e oggi sono certo che alla terza ora mi interrogherà, come minimo» Daniel e la sua passione irrefrenabile per la chimica erano la cosa più assurda che potesse esserci.
Il guaio è che il suddetto interpellava sempre me, come se io avessi voglia di “salvarlo” dalle grinfie della Mariani offrendomi di essere interrogata al posto suo.
La cosa buffa è che io ne beneficiavo, dato che la mia media in scienze era come minimo nove da almeno... tre anni.
Dopo un buono quarto d’ora, l’autobus si fermò finalmente alla fermata della scuola.
Con un po’ di fatica riuscimmo ad uscire, data la calca che si era formata fuori dal pullman, e ci incamminammo all’entrata della scuola, fino ad arrivare in classe.
Susanna era già seduta al banco dietro il mio, mentre altri parlavano allegramente aspettando la prof. entrare.
«No, Daniel, tu non ti siederai qua» sentenziai, indicando il banco a fianco del mio, mentre Daniel tentava inutilmente di sedersi.
«Ed io che ho sacrificato le mie povere gambe per farti stare comoda! Che razza di amica che sei, Nathalie: non vuoi nemmeno aiutare il tuo carissimo amico Daniel?» fece in tono fintamente offeso.
Stavo giusto per rispondergli, quando la Palmieri, italiano, fece il suo ingresso.
«Greco, ancora in piedi? Siediti di fianco a Franchi» ordinò appena entrata a Daniel, notando che era ancora in piedi, il quale imprecò sottovoce – ne sono sicura – e andò a sedersi quindi a fianco di Franchi, meglio conosciuta come Susanna.
La Palmieri andò quindi a sedersi sulla comoda sedia della cattedra e consultò il registro, mentre qualcuno bussava alla porta.
«Avanti, prego» detto questo, entrò un ragazzo.
«Scusi il ritardo, professoressa» disse quello con le gote arrossate, probabilmente per la corsa fatta per arrivare in classe.
Ma, aspettate... Questo ragazzo non l’avevo mai visto, non era della mia classe, ne sono certa.
O, per lo meno, non era ancora della mia classe.
Però... Aveva un volto familiare, ne sono certa.
Capelli castani, un “normale” castano si potrebbe definire, occhi verde acqua e non particolarmente dotato a livello fisico.
Niente di osceno, niente di eclatante, insomma.
Ma... Il suo abbigliamento! Mio Dio, quello fu il momento peggiore di tutta la mia esistenza, avrei potuto giurarlo mille e più volte.
Lui era... Non avevo nemmeno il coraggio di pensarlo.
Insomma, la camicia era un’altra, ma i colori psichedelici c’erano in troppa quantità comunque, questa volta era aperta per mostrare una maglia scura con la già vista scritta Star Trek.
I jeans strappati erano lunghi fino alla caviglia e le scarpe... solo il pensiero mi faceva venire la nausea: giallo fluo! Insomma, vi rendete conto? Era lui.
Era lui, di sicuro.
Nonostante indossasse un paio di occhiali piuttosto grossi di un odioso blu elettrico, era lui.
Era l’obbrobrio ambulante della libreria.
Era il ladruncolo della Divina Commedia.
Odioso essere a cui non avevo dato molta importanza, perché, ovviamente, come caspita potevo pensare che lui avrebbe frequentato il mio stesso liceo, addirittura la mia classe?
«Non c’è problema, è solo l’inizio» rispose comunque la professoressa, con tono pacato.
«Ragazzi, ho il piacere di presentarvi Edoardo De Santis, che sarà il vostro nuovo compagno di classe. Vediamo ora dove sistemarti... ma guarda! C’è un posto libero a fianco di Mari, un’eccellente compagnia per iniziare l’anno. Prego, vai pure a sederti» detto questo, il signorino andò quindi di fianco alla Mari.
Ah! Dimenticavo una cosa: la Mari sono io.
Io, esattamente io, nientemeno che Nathalie Mari in – poca – carne ed ossa.
Qualcuno mi spiega perché non mi ero decisa a far sedere Daniel in fretta?
Almeno avrei evitato un mal di testa per via di quegli psichedelici colori con i quali era vestito quell’orrore... ehm, volevo dire, Edoardo.
Mentre il suddetto stava sistemando il suo zaino, vidi con la coda dell’occhio che Daniel lo stava guardando nel peggiore dei modi e Susanna tratteneva a stento una grassa risata.
Quando finalmente si sedette, mi chiesi se mi avesse riconosciuto, anche se ne dubitavo fortemente.
«Direi che è ora di iniziare la lezione. Prima di tutto, quanti di voi sono riusciti a reperire la Divina Commedia?» chiese la Palmieri curiosa.
Ottimo, davvero, io non ci ero riuscita e la causa era di fianco a me.
Va bene, va bene... Ero stata anche io negligente, lo ammetto.
In ogni caso, molti alzarono la mano, tra cui lo pseudo-camaleonte impazzito che avevo a fianco.
«Direi che coloro che non hanno alzato la mano potrebbero stare in coppia con qualcuno che ha già il libro. In più faremo diverse ricerche sui temi principali della commedia, per cui metterò tutti in coppia» detto questo iniziò ad analizzare le possibili coppie, mentre io per la prima volta nella mia vita speravo che mi avrebbe messo in coppia con Susanna o addirittura quello scansafatiche di Daniel, piuttosto che con... beh, piuttosto che con quell’individuo seduto di fianco a me.
Insomma, sarebbe stato il colmo, se ciò fosse accaduto, non credete?
Era già successo l’inimmaginabile, per cui le mie speranze erano andate bellamente a quel paese.
«...Franchi con Costanzi, Marcori con Rossi... Direi che Greco è meglio che stia con Mari e...» esultai mentalmente, all’affermazione della prof.
Insomma, forse questa volta avevo davvero avuto quello che si chiama colpo di fortuna!
Badate bene: ho detto forse.
Perché? Perché mancava soltanto il “camaleonte” all’appello e, probabilmente, avrei dovuto ricredermi per quanto riguarda il colpo di fortuna.
«... De Santis, con te siamo dispari in classe» affermò la Palmieri stupita.
Ecco, avete visto? Lui aveva rovinato tutto, lui non doveva esserci!
Cercai di calmare i miei nervi, dopotutto non avevo motivo di incazzarmi in questo modo con un tipo che non conoscevo nemmeno.
Eppure, la sua presenza mi irritava in modo atroce, non capivo il motivo di questa ostilità senza giustificazione, però.
«Bene, non credo che vorremo lasciare il nuovo arrivato da solo, giusto ragazzi? De Santis e Mari assieme»
Guardai di sbieco la prof. scuotendo impercettibilmente la testa.
Tutto ciò era uno scherzo, non poteva essere altrimenti.
Prima la libreria e poi fare coppia fissa per italiano? No, ma stiamo scherzando?

I miei pensieri vennero interrotti dal suono della campanella.
Già finita l’ora? Che velocità!
Non mi ero accorta di quanto tempo fosse passato, ma per una volta meglio così, dovevo ancora rendermi bene conto di ciò che era accaduto.
«Wow, non so chi dei due è più sfigato» sbuffò Daniel sedendosi sul mio banco senza complimenti.
«Sssh, non so se hai notato, ma è qua» lo rimproverai sottovoce per il suo commento, dato che Edoardo era ancora seduto al suo posto di fianco a me, con le braccia incrociate e un’espressione alquanto annoiata.
«Non hai idea di quanto me ne possa fregare, Nathalie. Mi ha fottuto il posto e addirittura un buon voto assicurato, cosa dovrei fare? Stare zitto?» rispose irritato.
«Non vorrei intromettermi in una conversazione tanto intima, ma, non so se hai presente che è stata la prof. a decidere le coppie» Edoardo prese parola, con un tono sfacciato e più saccente del dovuto.
Daniel alzò le sopracciglia, le pupille dei suoi occhi si dilatarono, lasciando intravedere solo un sottile anello verde delle sue iridi.
«Tu. Se vuoi sopravvivere qua vedi di stare il più muto possibile» rispose Daniel, mentre io trattenevo a stento quattro risate.
«Oh, beh, sto tremando, giuro» alzò le mani in segno di resa, ovviamente palesemente finta, con un tono fin troppo ironico.
Daniel mi guardò, come per dirmi: “Lo gonfio ora o più tardi?” mentre io dissentivo continuamente con la testa, soffocando come sempre una risata.
«Ti salvi solo perché tra poco arriva la prof. di inglese» lo fulminò e scostò lo sguardo dalla sua figura, forse per evitare il mal di testa per i colori psichedelici della camicetta di Edoardo.
«Che razza di personaggio» si rivolse a me Daniel, a bassa voce però.
Mio malgrado, non potevo che dare ragione a lui, ma allo stesso tempo essere in qualche modo imparziale.
Insomma, per quanto questo tizio potesse starmi veramente in mezzo alle palle, che, grazie al Cielo, non ho, non potevo mostrarmi subito restia, come aveva fatto quel geniaccio di Daniel, nei suoi confronti.
Senza contare il fatto che non lo conoscevo, magari aveva un carattere migliore del suo modo di vestire, chissà.
O magari no.
In ogni caso, non potevo fare nulla contro la mia sorte appena segnata.
Contro il mio incubo appena iniziato, la mia barzelletta ancora agli esordi.
«Il tuo fidanzato è sempre così suscettibile?» mi chiese sottovoce, una volta che Daniel se ne tornò alla propria postazione.
Un riso breve mi sfuggì.
Lui, Daniel Greco, il mio... fidanzato?
Non potei fare altro che chiedermi quante incantevoli canne si potesse essere fatto stamattina quel ragazzo.
Insomma, Daniel sarà anche bello (a detta di Susanna è così, ma, diciamocelo, quanta capacità di intendere e di volere ha quella ragazza?), simpatico e tutto ciò che volete, ma, suvvia, una cosa del genere è semplicemente inconcepibile.
Daniel è un amico, al massimo, se proprio vogliamo esagerare.
Oh, beh, va bene, lo ammetto! È il mio migliore amico, anche se litighiamo più spesso di due fratelli.
«Daniel non è il mio fidanzato» risposi semplicemente, guardandolo come per dirgli: “Insomma, la figura di merda l’hai fatta”.
«Beh, scusami, il fatto che gli abbia fottuto il posto di fianco a te mi ha fatto volare la fantasia» a quel punto non sapevo se prenderlo a schiaffi o ridere assurdamente.
Che cazzo vuol dire che “gli ha fatto volare la fantasia”?!
Oltre che vestirsi peggio di un clown, parlava anche in modo assurdo, con le sue espressioni di dubbio gusto e di dubbio senso.
«Mi spiace per la tua fantasia, ma il solo pensiero di Daniel come “fidanzato” mi fa venire la pelle d’oca. E, fidati, è così» risposi, cercando di essere abbastanza gentile, giusto per non farmene una spina nel fianco già al suo primo giorno.
«Oh, beh, in ogni caso s’è incazzato in modo assurdo il tuo amico» disse, cercando di cambiare in qualche modo discorso.
«Daniel è piuttosto irritabile e irritante, aggiungerei leggermente lunatico e, fidati, non perderà occasione di sfotterti » scrollai le spalle, insomma, io cosa potevo farci? Se Daniel era un tipo altamente irritabile, di certo colpa mia non era.
O forse in parte sì, dato che spesso lo provocavo con battutine sarcastiche e ciò non faceva altro che accrescere la sua irritabilità.
Edoardo alzò le sopracciglia e non proseguì ulteriormente il discorso, anche perché la cara prof. di inglese era appena entrata.
Insomma, la mia “allegra vita” era appena iniziata.

L’ora successiva passò in fretta, e, finalmente arrivò la ricreazione.
Anzi, dovrei dire “purtroppo” più che “finalmente”.
Perché? Oh, beh, l’intervallo era una specie di avventura nella giungla nera, per me.
Rischiare di essere tranciata viva ogni due secondi , data la mia penosa altezza e minutezza, non era per niente piacevole.
Uscii comunque dalla classe, anche se sapevo che non sarebbe stato facile farsi strada tra quei corridoi e scale sovraffollati.
Avevo appena sceso le scale quando mi accorsi che Daniel e la sua cricca erano a circa due metri.
«Oh, la Mari da queste parti? Non sa che è pericoloso scendere le scale?» questo era Leonardo, uno degli amici di Daniel e, forse, il più odiato da me.
«Su, Leo, non sfottere Nathalie, che ti fa nero poi» disse Daniel ironico.
«Ma io stavo solo scherzando, vero piccola?» mi diede un buffetto sulla guancia, come spesso faceva per farmi irritare.
Il fatto che usasse quell’appellativo su di me, poi, mi faceva diventare isterica.
«Leonardo, quante volte ti ho detto di tenere le mani a posto?» lo fulminai, sotto lo sguardo divertito degli altri.
«Oggi sei peggio del solito, sempre che questo sia possibile, che è successo? Svegliata male?» questa volta intervenne il già citato Emanuele, un altro grande amico di Daniel.
«Magari ti è venuto il mal di testa a forza di fissare la camicetta di quel coglione che ti ritrovi di fianco» commentò Daniel con una punta di disprezzo.
«Aspetta, intendi quel tipo di cui ci stavi parlando?» chiese Leonardo.
«Sì, Leo. E dovresti vederlo! Si farà più canne di te per vestirsi in quel modo» rispose Daniel ridendo.
«Divertente, Dani, ma qui l’unico che è più fumato del dovuto sei tu» lo canzonò Leonardo.
Insomma, era in corso una conversazione altamente intellettuale, non credete?
«Oh, mai quanto te. Per caso sono io quel disperato che va dietro alla Simonetti di 4^C?» rispose Daniel di rimando.
Leonardo lo fulminò, mentre io scoppiai in una risata silenziosa, giusto per non ricordare loro che ero presente anche io, insomma, a volte essere più minuti della norma ha i suoi vantaggi.
In ogni caso la citata ragazza era una certa Arianna Simonetti, di 4^C, con cui rare volte avevo parlato ed ero giunta alla scientifica conclusione che sotto a quella massa di capelli biondi (non per mettere il dito nella piaga, ma palesemente ossigenati), di materia grigia ce n’era ben poca
«Finiscila Daniel, pensa per te, che vai dietro alla Scampi di 3^E» gli rispose beffardo l’altro.
«Sabrina Scampi? Leo, non sparare cazzate, lui va dietro alla Mari, lo sanno tutti» aggiunse Emanuele, facendomi storcere il naso.
Avrei voluto tirargli uno schiaffo o qualcosa del genere, ma decisi di rimanere nel mio mondo silenzioso e non ricordare a quei tre che io, Nathalie Mari, ero presente, giusto per ascoltare qualche altra idiozia di quei tre.
«Nathalie? Dani, come sei caduto in basso...» lo canzonò Leonardo, con evidente allusione alla mia altezza.
«Manu, non mettere in mezzo Nathalie. È già tanto che non le ho detto della cotta che hai per lei dalla prima» disse Daniel dando una pacca compassionevole ad Emanuele.
Io, intanto, ridevo silenziosamente.
Insomma, com’è possibile non accorgersi della presenza di una persona?
Il fatto che stessero parlando di me, però, non mi rallegrava più di tanto.
«Ti ho detto solo che era carina, non che mi piaceva, idiota» si difese Emanuele, mentre Daniel annuiva sarcastico.
«Carina? Scherzi, Manu? Quella sì che è una bomba, perbacco. Me la farei due volte se potessi, giuro» rispose Leonardo, con un tono che io reputai sarcastico.
O, almeno, speravo fosse sarcastico.
A quel punto decisi che era meglio ricordare la mia presenza ai tre: già ridevo immaginandomi la faccia che avrebbe fatto Leonardo, o anche Emanuele.
Non che quello che pensassero di me mi importasse, dopotutto non sono nulla, io.
Sono una piccola pulce, un punto bianco su sfondo nero.
Non mi diverto come i ragazzi della mia età, non penso come i ragazzi della mia età, non sembro una ragazza della mia età.
Non sono alta, ma non è semplicemente questo, il fatto è che ho proprio la faccia di una più piccola di almeno tre anni.
Nonostante ciò, non mi sono mai fatta crucci su questo, alla fin fine ciò che conta è la tua materia grigia, non il tuo aspetto.
«Ehm – cercai di attirare la loro attenzione – tutto molto interessante, davvero» conclusi la frase, mentre Daniel mi sorrise.
Lui non si era dimenticato di me, lui aveva fatto andare avanti in quella direzione il discorso, mentre gli altri due non si curavano di me.
Furbo, il ragazzo.
Noi eravamo complici in tutto, anche se litigavamo assiduamente e vedevamo le cose in modo completamente differente, dovevo ammettere che c’era qualcosa che univa i nostri modi di pensare.
Intanto Emanuele era lievemente arrossito, mentre Leonardo aveva un’espressione alquanto indefinibile per me.
«Allora, Leo, due volte, dici? Non è che poi ti consumi?» sapevo di star usando un tono odioso unito ad uno di quei ghigni sarcastici che mi venivano tanto bene e vedere la faccia di Leonardo che sbiancava mi riempiva di una malsana gioia.
Ma, no, evidentemente era solo sorpreso di essersi dimenticato della mia presenza, perché si riprese in fretta e si mise addirittura a ridere.
Alzai un sopracciglio.
Insomma, il tutto è comico, molto comico.
Per me, almeno.
«Ma guarda un po’, come ho fatto a dimenticarmi della presenza della cara Nathalie? Daniel, tu ne sapevi qualcosa, per caso?» chiese ironico, mentre continuava a tenermi gli occhi addosso.
«Suvvia, Leo, che interesse dovrei avere a fare una cosa del genere?» si giustificò Daniel con nonchalance.

La campanella suonò, finalmente.
Un intervallo così, sì che è costruttivo, non pensate?
«Oh, beh, io mi dirigerei in classe, non vorrei arrivare in ritardo» sentenziai, facendo per andarmene.
Daniel mi seguì a ruota, salutando Leonardo e un Emanuele un po’ frastornato.
«Allora, divertente conversazione, eh?» disse, mentre salivamo le scale per arrivare in classe.
«Non sai quanto. Dimmi che era tutto uno scherzo, però» risposi ridendo.
«No, Manu è diventato rosso fino alla punta dei capelli, non l’hai visto? Anche se è strano, di solito a lui piacciono quelle... Ehm, quelle con più roba, non so se mi spiego...» disse Daniel gesticolando, anche se avevo capito benissimo cosa intendeva.
Insomma, mi sorpresi parecchio della delicatezza con cui lo aveva detto, dato che per quanto riguarda il linguaggio lui e i suoi compari non si preoccupavano più di tanto di sembrare inoffensivi.
«Capisco benissimo, non c‘è bisogno che usi le parole col contagocce» sibilai fulminandolo.
«In ogni caso... Credo ti trovi interessante, nient’altro... Ma ormai li conosci, sono dei coglioni e, soprattutto Leo, ci proverebbero con ogni ragazza» rispose, alzando le spalle.
Certo, come se lui non facesse lo stesso, pensai.
In ogni caso, la nostra allegra conversazione venne interrotta, poiché eravamo arrivati in classe.
Andai a sedermi al mio posto, notando con disgusto che il mio caro amico Pappagallo era già al suo posto, intento a dare una pulita ai suoi deliziosi occhiali blu elettrici.
La prof. entrò in fretta, avevamo filosofia.
Scoprii presto che la prof. aveva una strana ammirazione per Edoardo, cosa che, per qualche strano motivo, non mi sorprese granché.

Per fortuna passò abbastanza in fretta l’ora e ci ritrovammo fuori dal cancello della scuola in poco tempo.
«Ehi!» eravamo poco fuori dal cancello, mi stavo dirigendo alla fermata del bus, quando qualcuno mi chiamò.
Mi voltai.
Era il Pappagallo, il Ladro di Commedie, il Signorino Star Trek, meglio conosciuto come Edoardo De Santis.
«Cosa c’è?» mi fermai, attendendo che mi raggiungesse.
Cosa voleva adesso?
Quando mi raggiunse, riprese un attimo il fiato e parlò:
«Per la ricerca di letteratura. Come facciamo?»
Accidenti! La ricerca! Me n’ero completamente scordata!
«Non so, tu cosa proponi?» chiesi, cercando di calmare i miei nervi.
«Puoi venire da me, se non è un problema. Ho un Mac da paura, te lo assicuro» rispose, con un tono fin troppo esaltato per i miei gusti.
Detto questo, non mi lasciò nemmeno il tempo di rispondere, che prese un foglietto e scrisse il nome di una via.
«Tieni. Oggi alle quatto. E vedi di non perderti!» scappò via, porgendomi il foglietto.
Va bene, tutto ciò era molto interessante.
Tutto ciò era appena l’esordio della barzelletta.
Non era ancora nulla, quello.
Ancora nulla.

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Capitolo 3
*** Capitolo due. Questa selva selvaggia. ***


 

Capitolo 2. Questa selva selvaggia.

Nel mezzo del cammin di nostra vita
mi ritrovai per una selva oscura,
ché la diritta via era smarrita.

Ahi quanto a dir qual era è cosa dura,
esta selva selvaggia e aspra e forte,
che nel pensier rinova la paura!

[Divina Commedia, Inferno I, vv 1-6]


Oggi alle quattro.
Le sue parole mi risuonavano nella mente mentre uscivo di casa esattamente alle quattro meno un quarto.
A quanto avevo capito, non abitava poi così lontano da me, così non uscii di casa troppo presto.
Susanna era entrata in paranoia dopo che le avevo detto del mio incontro-ravvicinato-del-terzo-tipo con appunto Tizio Luminescente, mentre Daniel aveva alzato un sopracciglio e aveva sbadigliato senza dire una parola.
Insomma, quando trovai finalmente la sua casetta, fissai la porta per cinque minuti buoni.
Perché tutto quello stava accadendo a me? E pensare che mi ero sempre comportata bene con il prossimo... Sì, magari! Il mio cinismo era sconfinato e quella era la mia punizione divina, basta.
Finalmente mi decisi a suonare il campanello.
Stai calma, comportati normalmente e vedrai che andrà tutto bene.
Qualcuno aprì la porta.
Qualcuno che non era esattamente Edoardo.
Era un ragazzo anche lui, ma più alto di Edoardo, con i capelli al vento di un color miele caldo.
Gli occhi erano fin troppo simili a quelli di Tizio Luminescente, il che mi fece intuire una qualche parentela e non che io avessi sbagliato casa.
Insomma, non sono mai stata una frivola adolescente con gli ormoni a mille, ma quando vedevo qualcosa degno di nota, lo riconoscevo.
E lui era abbastanza degno di nota.
Non troppo.
«Ciao, posso aiutarti?» mi chiese accennando un sorriso.
«Ehm, c’è Edoardo?» risposi.
«Oh, certo. Vieni, entra pure che te lo chiamo» entrai, mentre quello saliva le scale e andava a chiamare il mio carissimo compagno di banco.
Dopo qualche secondo tornò, mentre io ero ancora in piedi sulla soglia di casa come un’emerita rincretinita.
«Arriva subito, non preoccuparti. Intanto puoi sederti lì» mi disse, indicando una poltroncina poco lontana.
«Oh, no, no, rimango in piedi» risposi.
«Come vuoi. Comunque sono Mattia, piacere» mi porse la mano sorridente.
«Nathalie» risposi, stringendo con la mia poca forza la sua mano, che si rivelò grande il doppio della mia.
«Sei suo fratello?» chiesi senza pensarci.
Mi squadrò un secondo, poi rispose: «Esatto. E tu sei...?»
«Una condannata a morte» risposi, anche questa volta senza pensare alle mie ciniche parole.
Mattia mi guardò divertito, poi si mise a ridere sul serio.
«Quanto ti capisco. Ricerca scolastica?»
«Eh, già. Ed io che credevo di star avendo fortuna quest’anno...»
Come vedete, non ero timida per niente e, anzi, ero così abituata a spargere benzina sul fuoco che ormai qualunque persona avessi davanti, dicevo ciò che pensavo senza riflettere.
Dopo ancora qualche risata, Edoardo arrivò.
Era vestito con gli stessi abbaglianti colori, aveva su anche quei deliziosi occhiali blu elettrici, che però non coprirono la sua espressione scocciata.
«Mattia, non avevi da fare?» chiese al biondo.
«Sì, vi lascio – disse lui guardandomi ancora divertito – La tua amica qui è proprio una bella tipetta» aggiuse a bassa voce, ma evidentemente non così bassa perché io non la potessi sentire.
E poi, non lo disse con malizia, ma con una sorta di simpatia, ed ebbi la gradevole sensazione che quel “bella” fosse riferito per una volta al mio carattere e non detto sarcasticamente al mio aspetto.
«Hai conosciuto Mattia, il rompipalle – mi disse Edoardo, con voce monotona – Comunque vieni pure su, Dante ci aspetta» mi disse, mentre ci accingevamo a salire le scale per arrivare alla sua stanza.
La casa non era malaccio, era “normale” diciamo.
Ovviamente, in mezzo a tutti quei muri dipinti di colori tenui, lui e la porta della sua stanza – giallo canarino accecante – erano le uniche cose che stonavano.
Senza soffermarci troppo su tutti gli adesivi “Keep Out”, “Off Limits”, “Divieto di accesso”, “Lavori in corso”, “Zona radioattiva” – a quest’ultimo per poco sussultai – e tutta la miriade di altri adesivi e nastri sulla porta, entrammo.
«Prego» mi disse, invitandomi ad entrare.
La stanza era ordinata, ma allo stesso tempo il caos era sovrano.
Una libreria immensa faceva capolino, con tutti i volumetti di letteratura classica annessi.
Poster di ogni tipo di saga fantascientifica o videogioco tappezzavano quella povera stanza.
Sulla scrivania era adagiato un enorme Mac – anch’esso con qualche adesivo attaccato, ma per lo più lindo e splendente.
«Siediti pure, io intanto prendo la... ehm, Divina Commedia» balbettò, mentre si dirigeva verso la sua immensa libreria.
Okay, in quel momento ebbi la certezza che ricordasse ogni minimo dettaglio del nostro piacevolissimo incontro in libreria.
«Eccomi... » si sedette sull’altra sedia e iniziò a smanettare col suo enorme Mac.
Non mi soffermerò troppo sulla ricerca, avevo già avuto occasione di lavorare con gente che non mi stesse troppo a genio e sapevo l’approccio che bisognava prendere con queste persone.
Più o meno, insomma.
Si dimostrò piuttosto istruito sull’argomento “letteratura”, ne parlava come se fosse la sua materia preferita.
Susanna sarebbe morta all’istante, ne sono certa.
Com’è che li chiamava...? Nerd, ecco cos’era.
Uno di quei poveri sfigatelli prolissi con vita sociale meno di zero.
So a cosa state pensando e avete ragione.
Chi sono io per giudicare la loro vita sociale? Dopotutto, la mia è ben peggiore!
E sapete cosa vi rispondo? Che non mi importa.
Dopotutto, se dovessi guardare me stessa prima di giudicare gli altri, farei prima a stare zitta e passare per un’idiota.
In ogni caso, dopo una buona ora e mezza finimmo quella stupida ricerca sui temi principali della Commedia.
«Non credevo che avremmo finito così in fretta» commentò il nerd-tizio-luminescente pulendosi gli occhiali.
«Ma guarda, anche io» risposi, trasudando una qualche ironia.
Quello mi guardò qualche secondo con un’espressione più che neutra.
«Sai, mi ricordo di te» disse con un accenno di sorriso.
«Onoratissima» risposi più sarcastica che mai.
«Sei sempre così affabile?» mi chiese, alludendo alla mia scarsissima inclinazione alla gentilezza.
Scollai le spalle.
«Io non ti vado molto a genio, vero?» chiese all’improvviso.
Ma guardate un po’, come aveva fatto a capirlo? Non mi sembrava di essere stata così meschina.
«Si nota così tanto?» risposi ironica, mettendo una mano sotto al mento, come per meditare.
«Sai cosa diceva Francesca a Dante nella Divina Commedia?» mi chiese, con quel tono che si usa quando si fa una citazione celeberrima di un qualche poeta.
«Esattamente verso 103 del Canto V, Amor, ch'a nullo amato amar perdona» rispose, senza lasciarmi il tempo di riflettere.
Lo guardai come si guarda uno psicopatico.
«Vale anche per il non-amore» mi spiegò, incrociando le braccia e accennando un sorriso di trionfo.
Ma per quale trionfo? Per aver saputo uno stupido verso? Bah!
Sorrisi.
«Interessante, molto istruttivo. La mai vita non sarà più la stessa adesso che ci sei tu con le tue citazioni» gli dissi sarcastica.
Dopo qualche altra battutina idiota da parte sua, si decise a congedarmi, mandandomi verso l’uscita.
«Giornata costruttiva, ci vediamo domani» disse, prima di sbattermi la porta in faccia senza nemmeno darmi il tempo di formulare una qualche battuta.
«Va’ al diavolo» sibilai, sapendo benissimo che non avrebbe potuto sentirmi.
Mi incamminai nuovamente verso casa mia, mentre pensai a che razza di vita avevo.
Mi sembrava di vivere in un qualche cartone animato, dove qualcuno lassù ce l’aveva con la sottoscritta, una povera anima destinata a vivere l’inferno in terra.
Perché, insomma, tutto ciò era inconcepibile: io incontro una persona – almeno, spero sia una persona – poi questa persona me la ritrovo in classe e per di più come compagno di banco e di ricerca!
Basta, chiunque lassù ce l’avesse con me, basta.
Quando arrivai a casa, mia madre era arrivata da poco.
«Buon pomeriggio, Nathalie, eri a studiare?» mi chiese, mentre entravo in casa.
So che voi state storcendo il naso a quel “eri a studiare?”, ma c’è una spiegazione a tutto.
Insomma, io non ero quel tipo di ragazza che esce con i ragazzi, va in discoteca e fa tutte quelle cose che ne conseguono, ero diligente, studiosa e soprattutto sapevo come prendere gli adulti.
E poi i ragazzi non si interessavano ad una piccola pulce come me, tranne forse qualche idiota (vedesi la discussione del giorno prima tra la cricca di Daniel).
Senza contare il fatto che ho sempre odiato le feste e il clima dentro esse.
Probabilmente i miei ormoni erano andati in vacanza o, anzi, non avevano mai lavorato, mentre le mie celluline grigie erano sempre indaffaratissime a trafficare qua e là.
La mia cara mammina lo sapeva, forse anche lei era stata così... forse, dico, perché adesso era una giornalista di quelle riviste di moda che tanto piacevano a Susanna e che non indossava spesso "robe da mercatino", come le chiamava lei.
Non avevo preso molto carattere da lei, in questi termini.
Certo, non mi vestivo come tizio-che-conosce-a-memoria-la-Commedia, insomma, un po’ di dignità ci vuole, ma non mi vestivo nemmeno come di solito si vestono le ragazze della mia età.
Niente tacchi, per quanto fossi bassa li odiavo, indossavo solo sneakers.
Niente maglie scollatissime, non avevo nulla da mostrare, se non una prima scarsa.
Niente trucco, per carità! Quella schifezza era messa in faccia solo per poter piacere a dei trogloditi ed io non avrei mai fatto una cosa così stupida.
Insomma, il modo in cui mi vestivo non contribuiva a farmi sembrare una quindicenne.
Il mio aspetto era più da neo-dodicenne, se proprio vogliamo abbondare.
Con quei tratti del viso fin troppo dolci per un tornado come me e con quelle lentiggini accennate sul naso, ereditate dal mio caro papà, non avevo esattamente l’aspetto di una cinica e bisbetica ragazza che critica il mondo assiduamente.
Ad ogni modo, non potevo farci nulla e non mi importava del mio aspetto.
Susanna aveva tante – troppe – volte tentato di farmi vestire “come una ragazza della mia età”, ma il risultato era stato una serie di battutine sarcastiche poco carine.
Ma, insomma, quella ero io, io che mi trovavo in mezzo a quella tanto spaventosa selva selvaggia – tanto per rimanere in tema dantesco.
E, sì, il pensiero di questa selva selvaggia la rinnova, la paura.
Potrei scriverci una Commedia anche io, magari potrei farci soldi.



Note autrice.
Salve! È una vita che non aggiorno, me ne rendo conto, ma la scuola impegna tantissimo!
Comunque, in questo capitolo abbiamo visto la “rivalità” e l’astio fra Nathalie ed Edoardo, abbiamo conosciuto Mattia, il caro fratello di Edo, anche se per ora è solo accennato.
Più avanti avrà un ruolo rilevante, comunque.
Inoltre, abbiamo conosciuto ancora un po’ di più Nathalie e la sua mentalità.
Come avrete notato, è piuttosto stramba, consapevole e critica.
Ovviamente, mi farebbe piacere sapere cosa ne pensate della storia, per cui le recensioni sono, come al solito, ben accette.
Alla prossima!

Evelyn.

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Capitolo 4
*** Capitolo tre. Sguardi trasversali ***


Capitolo tre. Sguardi trasversali


Il giorno dopo, come al solito, mi svegliai alla solita ora, per un’altra orribile giornata scolastica in compagnia di Tizio Luminescente.
Il fatto che le cose tra noi fossero chiare – e pensare che era in questo maledetto liceo da solo un giorno! – non mi rendevano affatto ottimista sull’approccio che avremmo avuto in futuro.
Quando fui pronta per uscire, con il mio meraviglioso zaino da diecimila tonnellate, mi diressi come al solito alla fermata del bus.
Quando arrivò, mi fiondai dentro e cercai un posto libero anche se sapevo che mai lo avrei potuto vedere, in mezzo a tutta quella calca.
«Ehi!» qualcuno mi prese per il braccio e mi attirò “gentilmente” su un posto libero.
Daniel.
«Aspetta, staccami il braccio mi raccomando» sbottai.
«Ma guarda, ti ho fatto un favore e mi attacchi, come al solito» rispose fintamente offeso.
«Sentiamo, oggi da chi vuoi che ti salvi? Ah, già, c’è il test di inglese, ma non sperare che ti suggerisca anche solo mezza parola» gli dissi con il mio solito e buon sarcasmo.
Se pensate che fossi una bastarda ingrata, avete perfettamente ragione.
«Dio, Nathalie, sei più dolce di un barattolo di miele oggi» disse a sua volta lui, increspando le labbra.
«Tanto lo sai che la Donati ci sorveglia come una sentinella» gli feci osservare.
«Ma che se ne vada, quella megera! Lo so che non vede l’ora di abbassarmi la media e di darmi il debito» mi rispose Daniel.
Insomma, dopo altre cose poco carine riferite alla prof. di inglese da Daniel, finalmente arrivammo davanti all’edificio scolastico.
«Tu vai e tienimi il posto, io vado a salutare Leo e Manu» mi disse, sottolineando il “tienimi il posto”.
Appena entrai in classe, Susanna mi venne incontro raggiante.
I suoi occhi nocciola brillavano così tanto che stavo quasi per diventare cieca, ve lo giuro.
«Oddio, Nathalie, tu non immagini nulla!» strillò, prendendomi per il braccio.
Certo che ce l’avevano tutti con il mio povero braccio, quel giorno.
«Io non immagino cosa?» chiesi, alzando un sopracciglio.
«Conosci Liliana Bianchi, giusto?» mi chiese con un tono esaltato.
Tanto per la cronaca, Liliana era la sorella maggiore di un’amica di Susanna, una certa Carlotta.
Ed io avevo l’antipatica sensazione che ciò che mi stava per dire non mi sarebbe piaciuto.
«Fa una festa. Per il suo compleanno. Ho convinto Carly a convincere la sorella ad invitarci... et voilà!» disse Susanna scandendo bene ogni frase.
La guardai nello stesso modo in cui avevo guardato Edoardo il giorno prima.
«Tu mi stai prendendo in giro, vero?» chiesi.
«No, è la realtà! È fantastico, insomma. Tu, io e Carly ad una festa di diciottenni. Sarà strepitoso!» mi rispose raggiante.
«Certo, fantastico, meraviglioso e tutto il resto... Ma anche no» le dissi sarcastica.
Odiavo le feste e Susanna lo sapeva.
«Come no?! Dio, Nathalie, non hai mica dieci anni. Per una volta divertiti!»
«Susanna, ci sono modi alternativi per divertirsi. Modi più intelligenti» le dissi pacatamente.
«Smettila di fare la secchiona rompiballe, Nathalie. Tu vieni. Ricordati che è domani la festa, mentre oggi io e la Carly ti verremo a prendere alle tre per un giro di negozi.  E non accetto un no come risposta» sentenziò decisa Susanna.
Prima che potessi ribattere, però, la Donati arrivò raggiante per il nostro imminente test.
Ad ogni modo, odiavo quando Susanna si comportava così.
Era così frivola, di quella frivolezza femminile che ho sempre odiato.
In realtà potevo benissimo non andarci, ma sapevo che Susanna sarebbe venuta in casa mia e mi avrebbe gentilmente prelevato dalla mia comoda posizione nella mia stanza.
Era ostinata, e più io non volevo andare, più lei insisteva.
Il fatto del “giro di negozi”, poi, non mi piaceva per niente.
Decisi di non pensarci fino all’ora imminente, dopotutto non sarebbe servito a nulla sprecare energie per pensare ad una cosa che sarebbe avvenuta ore dopo.
Dopo il test di inglese – che compilai in modo sopraffino, tanto per cambiare – fu il turno dell’ora di latino e poi di disegno.

Il tempo trascorse abbastanza in fretta, dopodiché la campanella suonò per il solito intervallo.
Quel giorno avevo voglia di leggere, per non stare in mezzo alla calca dei corridoi, così salii le scale del terzo piano, dove c’era la biblioteca scolastica.
Gli studenti potevano recarvisi ogni qual volta avessero voluto, compreso l’intervallo.
Andai nella sezione saggi e presi Delitto e Castigo, tanto per passare un buon quarto d’ora.
Da sempre mi era piaciuto leggere, cosa che all’ottanta percento dei ragazzi non alletta così tanto.
Dopo aver preso il libro, lo aprii e iniziai a leggerlo subito, mentre vagavo per la biblioteca.
Avevo avuto la brillantissima idea di non andarmi a sedere, così in quattro e quattr’otto mi scontrai con qualcuno.
L’impatto fu più a mie spese, per la minutezza del mio fisico, infatti caddi di botto, come anche il libro.
«Ma che cav...» quando alzai lo sguardo per vedere la persona che aveva causato tale scompiglio (va bene, va bene, era stata anche colpa della mia solita negligenza...), per poco non mi strozzai.
Leonardo.
Esattamente l’ultima persona che ci aspetterebbe di trovare in una biblioteca, anche solo per sbaglio.
«Wow, non puoi proprio fare a meno di starmi appiccicata» mi schernì quell’idiota.
«Cosa ci fai in biblioteca?» gli chiesi, mentre mi rialzavo e riprendevo il libro.
«Per caso è vietato entrarci?» rispose lui.
«Tu leggi?» gli chiesi incredula.
In quel momento giurai di averlo visto arrossire per un nanosecondo.
Si passò una mano tra i capelli biondicci e mi guardò come se non gli avessi fatto alcuna domanda.
«Beh, che c’è? Perché mi guardi in quel modo?» sbottò lui.
E poi, all’improvviso, notai che teneva una mano dietro la schiena.
Come a volerla nascondere.
Mi sporsi, gli presi il polso – non chiedetemi dove trovai la forza – e scoprii un gran bel volumetto tenuto ben saldo dalle sue dita.
Era Guerra e Pace.
«Ti prego, dimmi che stai scherzando» gli dissi sorridendo.
Insomma, Leonardo che legge? E poi Guerra e Pace?! Oddio, il mondo sarebbe finito presto, ne ero certa.
«Non guardarmi in quel modo, ti prego. E non dirlo in giro»
Era rosso adesso, ne ero certa.
«E io che ho sempre pensato che tu fossi solo un’idiota che beveva sottocultura adolescenziale come fosse acqua» borbottai scuotendo la testa.
«Beh, a volte mi piace leggere e perdermi in altri mondi...»
«Un po’ come un’alternativa alle canne, no?» lo schernisco con sarcasmo.
«Smettila, sto dicendo sul serio»
«Anche io. Scommetto quello che vuoi che i tuoi amichetti non lo sanno»
Dal suo sguardo torvo capii che avevo intuito bene, ma prima che potessi dire un’altra qualunque parola, mi prese il braccio e mi avvicinò a lui.
«Tu non aprirai bocca» sentenziò.
Come faceva a sapere che quello era il mio principale scopo?
E poi che cosa gli cambiava il fatto che fosse di dominio pubblico la sua passione per la lettura?
Strane domande, queste, di cui non capivo la risposta.
«Non ti mangeranno mica, idiota» gli dissi.
«Beh, ma non voglio passare per lo sfigato di turno, okay?» rispose lui.
«E comunque non puoi impedirmi di spifferarlo ai quattro venti» gli ricordai, con un ghigno.
«Tu dici?» ghignò a sua volta quel bastardo.
«Sì, esatto, complimenti, sai coniugare il verbo “dire” a quanto vedo» dissi io per tutta risposta.
«Smettila di fare la puntigliosa bimba rompicoglioni. Ti ho sempre trovata fastidiosa e fuori luogo»
«Ma da che pulpito» lo schernii, mentre la sua mano non dava segni di volermi lasciare il povero braccio, con cui quel giorno tutti ce l’avevano a morte.
«Ma lo sai che fai mandare la gente in bestia, con quel tuo modo di fare? Tu vuoi dirglielo solo perché sai che a me importa che non lo sappiano. Sei subdola, Nathalie, lasciatelo dire» continuò.
E aveva ragione, poveraccio! Ma almeno io mi divertivo in qualche modo, e soprattutto non mi nascondevo.
Io ero sempre me.
«In effetti tu sei tanto, ma tanto, simpatico, eh. Per caso tu e Simpatia siete gemelli separati alla nascita?»
«Ma guarda un po’, una stupida ragazzina che mi prende in giro. Sai, non ho idea di come Daniel ti sopporti e dico davvero»
«Io non ho idea di come sopporti te. Sei così scontato, così... non so, mi dai sui nervi»
«Fantastico» commentò Leonardo sardonico.
«Bene, se non ti dispiace vorrei tornare in classe, adesso» gli dissi, dopo che la campanella suonò.
«Sì, sì» mi lasciò il braccio, che nel frattempo di era colorato ed era diventato lievemente rosato, lasciando le “impronte” delle dita di Leonardo.
Tirai giù la manica del pullover e feci per andare.
Leonardo rimase al suo posto, mentre io varcavo la soglia della biblioteca.
Mi sentivo il suo sguardo appiccicato come con la colla, ma feci finta di niente.
Ottimo, in due giorni mi ero fatta due nemici.
No, beh, con Leonardo non c’è mai stato molto feeling, sin da quando quel mezzo rincretinito di Daniel me l’ha presentato.
Con Edoardo nemmeno, diciamocelo.
Ma era stato più veloce, con lui, forse per la sua indole ancora meno amichevole di Leonardo.
Quando ritornai in classe, mi aspettarono due ore di fisica e storia.
Dopodiché, l’amatissima campanella, che segnava la fine delle lezioni scolastiche di quel giorno, suonò.
Presi come sempre il bus e tornai a casa, intenta a prepararmi psicologicamente alle fatidiche tre.

 
* * *
 
Erano circa le tre meno dieci, mentre io me ne stavo tranquilla a leggere Delitto e Castigo.
Molte domande mi frullavano in testa, però: insomma, quel giorno non avevo avuto nessun tipo di dialogo con Tizio Luminescente – il che mi faceva più piacere che mai – ma ci avevano pensato Leonardo e Susanna a rovinarmi la giornata.
Insomma, un po’ di pace no, eh?
Su questo punto, non potevo proprio trovarmi d’accordo con il caro Dante.
Lui almeno si è ritrovato in quella selva oscura per trattare del bene, ma io? Fin ora non mi sembrava proprio.
Ecco perché per poco saltai dalla sedia, quando il citofono del cancello suonò.
Susanna con altre due ragazze.
Una era Carlotta, l’altra era Lavinia, un’altra mezza oca del Manzoni.
Uscii, salutando mia madre che era al computer intenta a scrivere un articolo.
«Ma ciao! Abbiamo convinto anche Lavinia a venire» mi informò Susanna raggiante.
Lavinia si scostò una ciocca di onde bionde e mi salutò timidamente.
Dopo qualche breve chiacchiera, andammo al centro commerciale per il famoso “giro di negozi”.
Tanto, quando mi avrebbero perso di vista, mi sarei imbucata in libreria abusivamente, come al solito.
Subito dopo aver provato tutti quei vestiti che Susanna mi aveva piazzato in mano.
«Su, Nathalie, prova questo, è stupendo!» disse, indicando un vestito che arrivava sì e no al ginocchio, con una scollatura spaventosa e pieno di strass fino a farmi venire il voltastomaco.
«Ma anche no, questo è tutto tuo!» risposi disgustata.
Fu così che io non provai nulla di ciò che Susanna mi aveva piazzato in mano, mentre le altre tre avevano trovato tutte una miriade di abiti di loro gusto, che stavano provando nei camerini.
Dopo un’infinità di tempo, decisero di acquistarne alcuni, e finalmente uscimmo dal negozio.
«Nathalie, sei l’unica che non ha trovato niente di niente e che se ne sta ferma come una statua per tutto il tempo. Potremmo proclamarti nostra mascotte, quasi» rise Carlotta.
La sua simpatia era inversamente proporzionale all’altezza dei suoi tacchi.
Sembravo quasi una bambina in mezzo a loro, sia per il mio viso immacolato e così pallido da far spavento, sia per la mia “altezza” in confronto alla loro.
Sì, in realtà Carlotta aveva un paio di scarpe con tanto di tacchi e sembrava la più alta, ma Lavinia aveva un paio di Vans scure, eppure sarà stata venti centimetri più alta di me, mentre Susanna aveva un paio di stivaletti.
Il mio aspetto era penoso, lo vedevo ogni volta che passavo davanti a qualche specchio in un qualsiasi negozio.
Credevo comunque che fosse meglio essere così, che avere tutta quella schifezza in faccia come Susanna.
Insomma, il trucco ed io non andavamo esattamente d’accordo.
Ad un certo punto, Lavinia tirò fuori il suo cellulare, per poi esultare e schiamazzare.
Mi era sembrata calma da sempre, almeno da quando la conoscevo, ma in quel momento non riuscii a capire cosa le era preso.
«Dio, Lavinia cosa ti prende?» le chiesi alzando un sopracciglio.
«Nathalie, Leo sta venendo!» a quel suono informe e contorto – “Leo” – le mie iridi si spalancarono e per poco non uscirono.
Speravo che non fosse il Leo che credevo io, quello che poche ore prima mi aveva insultato e per poco spezzato un braccio.
Anche io lo avevo insultato, ma, insomma, io posso, no?
«E chi sarebbe Leo?» chiesi quindi, storcendo quel nasino che mi ritrovavo.
 «Non lo conosci? Dovrebbe essere il migliore amico di Daniel Greco, quel moretto che ti sta sempre appresso. Beh, ecco... stiamo uscendo assieme, sì» rispose Lavinia, con un sorriso timido, mentre Carlotta e Susanna si lanciavano occhiate d’intesa.
No, non volevo rivedere quel deficiente.
Eppure, non feci in tempo nemmeno a pensare un’altra qualsiasi sillaba, che quel biondino dei miei stivali apparve dietro a Lavinia.
«Salve, ragazze» mi guardò per un nanosecondo, ma non sembrava sorpreso.
Carlotta e Susanna accennarono un sorriso, che si trasformò da timido saluto a sorriso malizioso, quando Leonardo cinse la vita di Lavinia e la baciò.
Io stavo per vomitare, ve lo giuro.
Il mio pranzo era quasi arrivato all’esofago, lo sentivo.
Ma, insomma, un po’ di decoro e pudore, no? Eppure, sentivo una certa puzza di bruciato.
Insomma, tutt’un tratto Leonardo esce con Lavinia?
Non che Lavinia sia orrenda, anzi, ma credevo che a Leonardo non piacessero troppo le tizie così timide come lei, che balbettavano appena era a cento metri.
Poi, mi guardò.
Non so cosa volesse dire con quello sguardo, non sono mai stata empatica, ma perché mi stava guardando mentre baciava – non voglio sapere come – Lavinia?

 

Spazio autrice:

Buonasera!
Ecco un altro capitolo, in cui il nostro (almeno, il mio xD) Tizio Luminescente non compare praticamente.
(Beh, lui e Nathalie non si sopportano dopotutto, no? Mica stanno appiccicati tutto il giorno)
Al suo posto, c’è come “protagonista” l’enigmatico Leonardo.
Lascio a voi ipotesi/considerazioni/tutto ciò che volete.
Recensioni graditissime, come al solito ^^
A presto!

Evelyn.

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Capitolo 5
*** Capitolo quattro. Conoscenze (in)opportune ***


Capitolo quattro. Conoscenze (in)opportune

Come è facile prevedere, sarei di sicuro andata a chiedere a Daniel se ne sapeva qualcosa del comportamento ridicolo di Leonardo.
E poi avrei anche spifferato a mezza scuola della sua passione nascosta e “proibita”.
Insomma, il giorno seguente mi sedetti sul posto accanto a quello di Daniel nel solito bus.
Dovevo trovare il momento giusto, tutto doveva essere calcolato e ben dosato ed io, modestamente (ma anche no) sapevo fare solo quello.
«Ehi, Nathalie... qualcosa non va?» mi chiese Daniel dopo che mi sedetti, evidentemente notando la mia espressione mezza truce.
«Oh, no, tutto a meraviglia» bofonchiai con un sorrisetto sarcastico.
No, quello non era il momento adatto per fare la piccola spiona di quartiere.
«Così a meraviglia che hai messo la maglia al contrario» rispose Daniel sogghignando anche lui.
«Cosa?!» abbassai la testa per controllare il verso della mia maglia, e nemmeno due secondi mi arrivò un bel pizzicotto sul collo.
«Idiota» dissi ad un Daniel che si stava scompisciando dalle risate.
«Oddio, ci hai davvero creduto? Allora stai proprio male, Nathalie» mi schernì, sempre ridendo come un deficiente.
Scossi la testa.
La routine quotidiana non si poteva ignorare.
Dopo un buon quarto d’ora, finalmente arrivammo davanti all’edificio scolastico e scendemmo – con qualche difficoltà per via della solita calca.
Riuscimmo ad entrare a scuola e persino in classe in tempo record.
Ma (sì, c’è un ma...) di certo in classe non mi aspettava un premio per questo record. Tutt’altro.
«Nathalie!» Susanna mi investì – letteralmente – con la sua massa di ricci perfetti e castani.
«Oggi c’è la festa, Nathalie! E dato che ieri non hai trovato nulla, sarò costretta a prestarti qualcosa» mi ricordò lei con un sorriso che mi stava quasi accecando.
«Quale festa?» chiese Daniel, grattandosi la nuca.
«Nulla che ti riguarda, darling» rispose Susanna con un sorriso falsissimo.
«Quanto darei perché non riguardasse anche me» gli mormorai.
Daniel rise divertito e mi tirò una leggera pacca sulla spalla, per poi andarsene.
«Mi chiedo come tu possa sopportarlo» commentò Susanna stizzita.
«Me lo chiedo anche io» risposi divertita.
Cercai di tagliare corto quel discorso, ormai sapevo da anni che tra Daniel e Susanna non correva buon sangue e non ne capivo il motivo.
«Bene, Nathalie, oggi a casa tua alle 16. La festa è alle 18, ricordati» terminò lei con tono da mamma-apprensiva.
«E dove sarebbe questa festa?» chiesi, anche se di sicuro me lo sarei dimenticato.
«Nella villa dei Bianchi, e sarà qualcosa di stupendo. Ah, prima che me ne dimentichi: il buffet sarà ricchissimo e gratis ovviamente»
Non ne dubito, pensai riguardo al buffet.
Il fatto del buon cibo in abbondanza e gratis, mi intrigava, lo ammetto.
Con tutte queste inutili chiacchiere, mi dimenticai persino di spifferare il “gran segreto di Mister-Leonardo”.
Peccato, pensai, vuol dire che aspetterò che le acque si calmino e poi gli darò il colpo a sorpresa.
Quel giorno avevamo alla prima ora la prof. di italiano, che non tardò ad entrare.
«Salve, ragazzi» ci salutò con un largo sorriso.
Iniziamo bene, mi dissi, quando la Palmieri sorrideva in quel modo voleva dire “pericolo imminente, abbandonare la nave”.
Subito dopo si sedette e iniziò a compilare il solito registro, dopodiché tirò fuori dalla sua solita borsa in pelle marroncina una pila di fogli.
«Ho esaminato le vostre ricerche in coppia, cari» ci spiegò.
Bene, adesso dirà che sono peggiorata molto, che le dispiace, ma che deve darmi un sei perché la ricerca era scritta coi piedi, pensai.
In effetti, la giornata di ricerca con Edoardo era stata parecchio odiosa (soprattutto per via della sua presenza).
In ogni caso, la Palmieri continuò a chiamare alla cattedra le coppie per distribuire le ricerche, finché non venne il turno mio e di Edoardo, che si era guardato bene dal sedersi esattamente dall’altra parte della classe.
«Mari e De Santis» chiamò la prof.
Ecco che viene la mia condanna. Addio media del 9, mi mancherai.
«Il vostro lavoro è impeccabile» annunciò la prof.
Io e Tizio Luminescente ci scambiammo un’occhiata stupita.
«Un dieci e lode meritatissimo. Tutto ciò che volevo ci fosse voi l’avete messo, il vostro lavoro è di sicuro il migliore» si complimentò ancora, mentre io ero incantata a fissare quel mirabolante dieci scritto in grande e in rosso all’inizio della ricerca.
Insomma, non era raro per me prendere quei voti, ma non mi aspettavo di certo di prenderne uno dalla ricerca con quel tizio.
«Per questo» continuò la prof. prima di ridarci il foglio «Voglio vedervi lì sempre. Il vostro lavoro di squadra sarà un modello per tutta la classe» indicò il mio posto libero e quello di fianco (dove c’era Susanna), mentre io pensavo seriamente di avere qualche problema all’udito.
L’altro individuo, dal canto suo, non lasciava trapelare nessuna emozione oltre al palese nervosismo, dato che continuava a picchiettarsi con le dita la montatura blu elettrica.
«E’ proprio necessario?» chiesi con una tale innocenza da stupirmi anche io.
«Beh, Nathalie, hai qualcosa da ridire in proposito?» chiese la prof.
Risposi con un piatto “No, ovviamente” e ritornai al mio posto con Tizio Luminescente che mi seguiva a ruota.
Susanna guardò il signorino-dagli-occhiali-blu-elettrici nel modo peggiore che potesse guardarlo e si spostò.
Certo che la cara prof. mi aveva proprio giocato un brutto tiro! Come caspita poteva pensare che, anche se la nostra ricerca era perfettamente perfetta, noi due andassimo d’accordo?
Le due ore successive passarono così lentamente che iniziai a preoccuparmi, a volte lanciavo occhiate furtive a Tizio Luminescente e me ne pentivo sempre.
Insomma, ovviamente anche quel giorno era vestito in quel suo orrendo modo (altrimenti come sarebbe potuto essere degno del suo soprannome?): una bella, bellissima (si fa per dire) camicetta a maniche corte a stampe astratte e multicolori con sotto una maglia scura con scritto “I AM AN ALIEN” a caratteri cubitali e di un verde fluo orrido.
Beh, non potevo essere più d’accordo con la sua maglietta, a questo punto.
In ogni caso, tanto per terminare in bellezza, portava i soliti jeans – questa volta con le cuciture verde fluo – e le solite sneakers di un – non ci crederete! – verde fluorescente.
La vista complessiva faceva pena e ribrezzo, considerando che mi stava guardando.
«Beh, cosa c’è?» mi chiese, proprio con lo stesso tono che aveva usato quella remota volta in libreria.
«Oh, niente assolutamente» risposi con un sorriso ipocrita e sarcastico.
«Allora perché mi guardi?» mi chiese alzando un sopracciglio scuro.
«Sei ridicolo» mormorai, poco prima che la campanella dell’intervallo suonasse.
Edoardo continuò a fissarmi con i suoi occhi verde acqua e io anche.
«Interessante» se ne uscì dopo qualche secondo.
Poi tirò fuori dalla cartella un volumetto e si mise a leggere tranquillamente.
Io mi alzai e feci per andarmene dalla classe.
Mentre percorrevo la breve distanza dal mio banco alla porta, intravidi la copertina del suo volumetto e per poco non inciampai nei miei stessi piedi.
Un fumetto della Marvel, Capitan America.
Ma non era un alieno oggi? Star Trek mi sarebbe parso più adeguato...
Mi decisi ad accantonare quei pensieri per evitare di essere contagiata dal Virus Alieno Luminescente e uscii dalla classe sospirando rassegnata.
Ah, ovviamente dovevo anche pensare ad un bel piano per farla pagare a Leonardo-faccia-da-schiaffi.
Sì, ero acida, cattiva quando ne avevo voglia e subdola.
Ma Leonardo mi stava così antipatico che morivo dalla voglia di fargli passare quel sorrisetto demente.
Per fortuna non ci volle tanto a trovare Daniel e la sua cricca, dato che non avevo la minima voglia di girare tutto il liceo rischiando la vita.
Frenai un conato di vomito vedendo che Leonardo aveva pensato bene di portarsi dietro la povera Lavinia (forse le aveva fatto un incantesimo? Mah, pensavo che Lavinia avesse una testa!).
«Nathalie, ehi, dov’eri finita?» mi chiese Daniel.
Feci una smorfia esasperata.
«Sono stata trattenuta due secondi» risposi.
«Dal tuo nuovo amichetto? Ah, Dany, lo dicevo che la cosa mi puzzava» fece Leonardo sarcastico.
«Zitto, idiota» rispose Daniel a Leonardo, rubandomi le parole di bocca.
Insomma, dopo questo è facile immaginare che razza di conversazione possano iniziare due come loro, no?
Quando Leo e Daniel iniziavano a discutere era impossibile frenarli. E la cosa buffa era che discutevano anche su idiozie (letteralmente).
Bah, i ragazzi! Anzi, la gente!

Le ore successive passarono sempre con la solita lentezza, soprattutto con un compagno di banco come Tizio Luminescente.
Nonostante il suo orrido abbigliamento, sembrava il classico cocco dei prof. che io odiavo profondamente.
Di certo non mi avrebbe mai superato in fatto di voti, però. insomma non lo potevo permettere.
La mia competitività era inversamente proporzionale alla mia altezza, così come la mia arroganza e superbia.
Cose che capitano, no? Insomma, lassù in Cielo nessuno si era degnato di darmi un bell’aspetto, ma almeno si erano preoccupati di regalarmi uno stupendo carattere e un buon cervello funzionante.
Ad ogni modo, quando le lezioni finirono e l’ultima deliziosa campanella echeggiò nell’aria, tutti uscimmo dall’edificio scolastico.
«A domani! Sarò felice di condividere il mio spazio vitale ancora con te, Alien» dissi a Edoardo, sorridente e ipocrita come sempre, prima di andare ognuno per la sua strada.
«A chi lo dici. Magari ti farò leggere Capitan America» rispose col mio stesso tono.
Ma anche no, pensai.

Arrivata a casa, mia madre non c’era, così come mio padre.
Il mattino presto erano partiti entrambi per Bruxelles, mio padre doveva andare ad una conferenza importante – uomo d’affari, avete indovinato – e mia madre lo avrebbe accompagnato.
Non si erano fatti nessun problema a lasciarmi da sola, lo facevano da sempre ed io non sono quel genere di figlia che appena la lasci sola organizza feste e bordelli in casa propria, ma nemmeno quella che sente la mancanza dei genitori.
Probabilmente perché non li vedevo spesso e la solitudine non mi spaventava, anzi, eravamo ottime amiche.
Purtroppo quel giorno mi sarebbe toccato sorbire Susanna alle 16 e dalle 18 una stupida festicciola per diciottenni.
Avrei preferito rimanere in classe con Tizio Luminescente, lo ammetto.

Alle 16 precise – proprio mentre stavo finendo Delitto e Castigo, accidenti! – il citofono della villetta in cui abitavo suonò.
A malincuore, chiusi il mio amato libro e andai ad aprire il cancello.
«Natie! Finalmente hai aperto» disse Susanna.
Notai che si era portata dietro anche Lavinia e Carlotta.
Ottima cosa.
«Che bel posticino» commentò Carlotta sorridendo.
«Su, venite» feci io accompagnandole in camera mia.
La mia stanza era semplice, molto semplice.
I muri erano di un azzurro intenso, avevo appesi vari atlanti, cartine delle costellazioni e del sistema solare.
Il mio letto era il doppio di me, con lenzuola blu scuro.
Dall’altra parte c’era un’immensa libreria color mogano strapiena di libri, un bel televisore a schermo piatto, la mia scrivania sempre color mogano con adagiato un PC.
Ma a loro tutto questo non importava assolutamente.
L’armadio era l’unica cosa che degnarono di uno sguardo.
«Ehi, Natie, non credi di dover rinnovare un po’ il guardaroba? Hai vestiti che indossavo io a dieci anni» commentò Carlotta.
Io feci finta di non aver sentito, mentre Susanna tirò fuori alcuni abiti da una grande busta.
«Ecco, questi sono i vestiti che indosseremo. Tu, Nathalie, cos’hai in mente di mettere?» mi chiese poi.
Osservai di traverso quegli abiti.
Erano quelli che si erano scelte il giorno prima: uno era color malva, piuttosto aderente (almeno secondo i miei standard), con scollatura a V, spalline strette e strass dappertutto.
Decisamente era quello di Carlotta.
Il secondo era un top azzurro ghiaccio abbinato ad una giacca corta di jeans piena di perline e ad un paio di leggings scuri.
Questa era roba da Lavinia, un po’ più sobria rispetto a Carlotta.
Susanna invece aveva scelto un abito di un orrendo rosa confetto con una cintura più scura in vita, senza spalline e corto, ma con una giacca corta abbinata.
Mentre loro tre si cambiavano, io frugai nell’armadio per cercare (ed eventualmente anche recuperare) qualcosa da mettere.
La mia ricerca durò più di un quarto d’ora, ma alla fine trovai una bella maglia azzurro acqua con le maniche striate di bianco, dei jeans arrotolati fino alla caviglia e delle Converse dello stesso colore della maglia.
Quando mi cambiai, Susanna mi guardò stranita nel suo abito rosa vomito.
«Stai... Stai scherzando, vero?» mi chiese.
«Ehm... No?» azzardai.
«Nathalie, tu non puoi venire così! Penseranno che tu abbia undici anni al massimo!» rincarò la dose Carlotta nel suo abito color malva.
«Su, ragazze, io penso che stia bene e poi se piace a lei...» intervenne Lavinia timidamente.
Decisamente, Lavinia poteva avere un gusto orrendo in fatto di ragazzi, ma almeno era quella che faceva la cosa più vicina al ragionare (anche se non sempre, aggiungerei).
«Mi vestirò così, punto» commentai infine io.
Le altre finirono di mettersi le scarpe e poi passarono al trucco, che io evitai come la peste.
«Neanche un po’ di ombretto?» chiese Carlotta.
«O un gloss?» chiese a sua volta Susanna.
Rifiutai categoricamente ogni cosa, io sarei rimasta in un angolo con la mia maglietta azzurrina con le maniche striate, i miei jeans e le mie Converse.
«Almeno un po’ di fard o correttore?» azzardò Lavinia.
«Su, Lavinia, cosa dovrebbe coprire? Le vedi per caso qualche segno di acne in viso?» commentò Susanna stizzita.
Beh, aveva ragione in effetti.
Avevo il viso più liscio di quanto avrebbe mai potuto averlo lei con le sue millemila creme idratanti.
«Incredibile pensare a quante fortune hai avuto, Natie» continuò Susanna «Insomma, non sarai alta, ma hai degli occhi stupendi. E vogliamo parlare dei capelli? No, no, io non ti capisco proprio»
Mi guardai allo specchio scettica.
Solo perché avevo i capelli biondi e gli occhi color ghiaccio ero stata fortunata? Eccoli, i frutti del consumismo. Però, dai, gli occhi non erano così brutti...
Dopo ancora un tempo interminabile, le tre furono pronte.
Tralasciando il fatto che erano trenta centimetri più alte di me e che sembrava avessero cinque anni più della sottoscritta, aspettammo pazientemente che la madre di Carlotta con sua sorella ci venissero a prendere per portarci alla festa.

* * *

Eravamo arrivate.
Ed io continuavo a pregare qualcuno che questo fosse tutto un incubo.
Ti prego, ti prego, ti prego, ti prego.
«Bene, ragazze, spero che apprezziate la festa» disse Liliana, la sorella maggiore di Carlotta, prima che entrammo.
Le altre annuirono convintissime, trepidanti di entrare, mentre io speravo solo che il cibo fosse stato veramente buono, almeno quello!
La villa dei Bianchi era immensa, quasi più di casa mia.
Ed era piena in modo spaventoso. C’erano solo ragazzi e ragazze dai diciotto anni in su, niente genitori (la madre di Carlotta ci aveva congedato amabilmente dicendo che andava a cenare col marito in un bel ristorante in centro).
La musica era piuttosto alta per i miei timpani, ma io cercavo solo di scorgere il buffet.
«Nathalie, noi andiamo a ballare, tu vieni?» chiese Carlotta.
«Ovvio che no, devo cercare il buffet!» risposi.
Lei scrollò le spalle e mi indicò un punto a destra della sala dove erano ammassati molti più ragazzi.
«Allora ci si vede. Noi siamo da quella parte, quando ci vuoi raggiungere. Non ti perdere, mi raccomando!» si congedarono quelle.
Io mi misi in cammino verso il tavolo del buffet, passando in mezzo agli altri ragazzi (a volte è vantaggioso essere di altezza penosa, fidatevi).
Insomma, ci misi meno di quanto pensassi, anche grazie al mio fisico che mi permetteva di sgusciare in mezzo a tutti senza che nemmeno mi notassero.
Quando arrivai davanti al tavolo del buffet, mi illuminai.
Torte e pasticcini di ogni tipo erano sovrane.
Presi una fetta enorme di una torta con circa quattro strati di cioccolato e mi allontanai da quella calca per potermela gustare in pace.
Non c’erano molti angoli vuoti, anzi, nemmeno uno.
Il fatto che rischiavo di essere urtata e tranciata viva, poi, non rendeva facile il consumo di quella deliziosa fetta che il mio stomaco continuava a reclamare.
Ad un tratto, mi ritrovai praticamente bloccata dalla calca e qualcuno mi urtò con forza il gomito, facendomi barcollare e andare contro qualcosa.
Anzi, no, contro qualcuno.
E se quel qualcuno non mi avesse trattenuto per le spalle, penso che avrei urtato un bel po’ di gente.
Ah, dimenticavo: la mia torta mi aveva salutato allegramente mentre si andava a spiaccicare sul pavimento.
Dopo che ripresi l’equilibrio, osservai la mano che teneva la torta poco prima e mi sfuggì un gemito.
«Porca miseria» sbottai.
Quel qualcuno che mi aveva evitato di cadere era un ragazzo (com’è facile immaginare) a cui arrivavo alle spalle.
«Mi dispiace per la tua torta, doveva essere deliziosa» disse lui.
Aveva i capelli color miele e mossi e gli occhi verdini.
Mi era stranamente familiare.
«Lo credo anche io» borbottai, ripensando ancora a tutta la fatica fatta per prenderla.
«Ma, ehi, un po’ di vita. Non ti sei spiaccicata a terra, almeno» rispose lui, con un sorriso caldo e ottimista.
«Già, ti ringrazio» dissi io fissando ancora il pavimento.
«Se vuoi te ne prendo un’altra io, aspettami lì all’angolo» mi disse, indicando la parte opposta di dove eravamo e correndo verso il buffet prima ancora che potessi dire qualunque cosa.
C’era un divanetto nel punto che mi aveva indicato, dove alcuni ragazzi erano seduti intenti a chiacchierare.
Caspita, se l’avessi trovato prima questo bel posticino per rimanere nascosta!
Mi sedetti e dopo cinque minuti arrivò il ragazzo di prima con una fetta della stessa torta che avevo io.
Non sapevo chi fosse, né perché si fosse disturbato tanto, sapevo solo che quella fetta era mia, insomma, mi spettava!
La presi con avidità e iniziai a mangiarla.
Penso che in quel momento stessi sorridendo.
«Wow, lo stomaco chiama?» commentò lui portandosi alla bocca un muffin alla crema.
Quando finii la torta, il mio stomaco era più che soddisfatto.
Rimaneva solo una cosa: chi era questo ragazzo?
«Sono contento di aver rimediato ad una tale ingiustizia. Avresti dovuto vedere la faccia che avevi, sembrava che ti avessero ucciso qualcuno di caro!» rise il ragazzo.
«E perché mai mi hai fatto un favore? Cioè, senza offesa, ma chi ti conosce?» risposi io dopo aver finito la torta.
«Siamo piuttosto ingrati, eh? E anche acidi. Avrei dovuto portartene due di fette» commentò lui senza perdere il sorriso.
Io alzai un sopracciglio.
«Non volevo offenderti, era solo una constatazione. Comunque, sono Mattia, piacere di conoscerti» si presentò, porgendomi la mano.
Feci per aprire bocca, ma qualcosa mi bloccò: ebbi come un dejà-vu.
Non ci pensai nemmeno due secondi in più, che la risposta si materializzò chiara nella mia mente.
Ma certo! Perché non ci avevo fatto caso prima? Lui era il ragazzo che mi aveva aperto la porta quando ero andata da Tizio Luminescente a fare quella stupida ricerca di letteratura.
Nientemeno che il fratello maggiore di Edoardo, appunto, con cui avevo scambiato giusto due parole.
«Nathalie» mi presentai poi io, cercando di riprendermi dallo “shock”.
«Lo so, ti ho riconosciuta» disse poi, dando voce ai miei pensieri.
«Già, sono giusta venuta qualche giorno fa a fare la ricerca con Edoardo» risposi.
«Sì, come dimenticare una persona così, dopotutto? Troppo schietta per essere buttata nel dimenticatoio» disse poi sorridendo.
Beh, nemmeno lui scherzava in fatto di sincerità. Però sorrideva troppo per i miei gusti.
«E quindi, ora mi chiedo: come mai sei qui?  Insomma, non sembri la persona da feste...» chiese poi.
Lo guardai con una faccia parecchio stranita, forse per il suo tono troppo confidenziale.
«Non intendevo offenderti, volevo solo dire che... beh, non mi sembri quel genere di persona che...» cercò di giustificarsi, invano.
«Non c’è bisogno che ti giustifichi, o, meglio, non mi interessa. Più che altro mi sono lasciata trasportare per il buffet, ma è parecchio impossibile infilarsi là per prendere qualcosa, come hai potuto constatare» risposi con nonchalance.
«Ah, capisco. Questo mi fa intuire che conosci la festeggiata, Liliana Bianchi» disse lui.
«Una specie. Più che altro conosco sua sorella minore»
«Ovvio, avrei dovuto intuirlo dato che sei in classe con Dedo» osservò poi.
«Dedo?» chiesi, cercando di trattenermi dal ridere.
«E’ un soprannome che ho dato a mio fratello quando avevo cinque anni» scrollò le spalle Mattia.
«E scommetto che lo odia» commentai.
«Da morire»
«Nessun essere umano potrebbe trovare gradevole un suono deforme come “Dedo”» feci una faccia parecchio schifata, ma cercai di immaginare quella di Tizio Luminescente che veniva chiamato Dedo... da brividi!
Alla fine, mi resi conto che il tempo stava pian piano passando e che io lo avevo passato a parlare con un parente del Tizio-barra-Alieno Luminescente.
Fantastico.
Fantastico, finché una tizia non venne dalla nostra parte.
«Matt, eccoti! Ti stavo cercando da un po’» disse lei, con una voce disgustosamente dolce.
Era alta, molto più di me, con la pelle abbronzata, i capelli castani e liscissimi legati in una coda e gli occhi scuri e profondi. Ah, inoltre aveva circa tutte le curve che io non avevo e che non avrò mai.
Si sedette di fianco a Mattia e gli mise una mano intorno alle spalle, così, come se non ci fosse una ragazzina vestita male e scandalizzata a guardarli.
«Eli, come va?» le chiese lui, sorridendo.
«Tutto bene, anche se senza di te ci si annoia fin troppo...» rispose lei con un tono fintamente triste.
Lì per lì pensai di lei una cosa non propriamente gentile. Com’è che si dice in modo gentile? Già, ragazza di facili costumi. E in realtà mi dispiaceva pensarlo così, senza conoscerla, ma quel vestitino che non arrivava nemmeno alle ginocchia non aiutava molto, a dire la verità.
Mattia parve leggermente imbarazzato, ma si ricompose all’istante.
«Eli, ti voglio presentare Nathalie, una compagna di classe di mio fratello» disse poi.
Io ci misi due secondi a reagire, come se mi avessero dato un pizzicotto.
«Piacere di conoscerti, Nathalie» disse la ragazza, guardandomi come se fossi un essere inferiore e che merita a malapena di respirare «Sono Elisa, per gli amici Eli» si presentò lei.
«Ah, quindi ti chiamerò Elisa. Piacere.» mi uscì dalla bocca.
Mattia strozzò una risata, mentre Elisa inarcava un sopracciglio scuro.
Non avevo potuto fare a meno del commento sarcastico, dopotutto chi è questa sgualdrina per venirmi a guardare dall’alto in basso?
«La tua amica è molto simpatica, Matt, ma non le hai detto che questa festa non è adatta ai minori di quattordici anni?» fu il suo commento.
Mattia mi guardò un attimo allarmato, ma io scoppiai a ridere all’istante.
Dio, se questa poveretta pensava di offendermi, non aveva capito niente della vita.
«Già, è da un anno che i divieti per minori di quattordici anni non mi spaventano più» risposi tra una risata e l’altra.
Ci fu un attimo di silenzio dopo che io smisi di ridere.
«Matt, che ne dici di andare a ballare un po’?» chiese poi la Sgualdrina.
Mattia mi guardò un attimo, ma poi acconsentì.
«Non ti dispiace, vero? Se ti annoierai, domani potrai usarmi come punch-ball, promesso» mi disse prima di andarsene.
Fantastico, ora mi sarei tanto divertita a guardare il soffitto intriso di luci al neon psichedeliche.
Mi alzai anche io, ed iniziai a vagare tra la gente, in cerca di Susanna o Lavinia o il folletto alla fine dell’arcobaleno.
Ero praticamente arrivata vicino alla pista da ballo (pure una pista da ballo? Ma quanto caspita era grande il salotto dei Bianchi?!), anche se in quel momento non mi preoccupai più di tanto del fatto che Ciao-sono-Eli-la-sgualdrina e Mattia fossero andati a ballare lì.
In effetti, me ne ricordai solo quando li vidi in fondo alla pista, intenti a baciarsi, mentre io venivo gentilmente scaraventata a destra e a manca dalla gente là intorno.
Divertente, davvero molto divertente, fidatevi di me. Ah, ho già detto che odio le sgualdrine?

 


 

Author's Corner


Salve!
È UNA VITA che non aggiorno la storia, I know. Ho avuto moltissimo da fare, ma comunque avevo tantissime idee per questo capitolo, tanto che è uscito molto più lungo degli altri! Spero non vi dispiaccia, dopo tutto non è poi così lungo comunque.
Detto questo, in questo nuovo capitolo conosciamo “ufficialmente” Mattia, il fratello di  Dedo-barra-Tizio Luminescente.
E anche Elisa (per gli amici Eli ihihih), che vedrete parecchio spesso d’ora in poi... Ma non dimenticatevi anche degli altri personaggi, mi raccomando! :D
Daniel e Leonardo (e ovviamente anche Edo)  non sono i protagonisti di questo capitolo, ma non sono di certo dei personaggi di contorno, niente paura (?) xD

A presto!
Evelyn.

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