Me and You

di mieledarancio
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Destroyed for him ***
Capitolo 2: *** Lies and kisses ***
Capitolo 3: *** The party ***
Capitolo 4: *** I think to love him ***
Capitolo 5: *** A stolen kiss ***
Capitolo 6: *** Problems of friendship ***
Capitolo 7: *** Confusion ***
Capitolo 8: *** Betrayal ***
Capitolo 9: *** Changes ***
Capitolo 10: *** The plan of Bill ***
Capitolo 11: *** Confessions ***
Capitolo 12: *** Past, present and future ***
Capitolo 13: *** Happy Birthday! ***
Capitolo 14: *** It had to be just sex ***



Capitolo 1
*** Destroyed for him ***





Disclaimer: I personaggi di questa Fan Fiction non mi appartengono - con mio grande dispiacere -, niente di tutto ciò è vero, poiché è soltanto frutto della mia mente malata.


Me and You






01. Destroyed for him







«Accidenti, ragazzi, sono distrutto».

Tom sbuffò sonoramente e si lasciò andare a peso morto sul primo divano che gli capitò a tiro.
La band aveva appena concluso uno dei tanti concerti nella città di Los Angeles e tutta la carica e l'energia che avevano utilizzato quella sera per soddisfare i loro fan li aveva completamente sfiniti.
Ma è così che accade a chi riesce a diventare famoso nei paesi più importanti del mondo: la fama ti prende e ti rende felice, ma certe volte può diventare fin troppo pesante da sopportare, soprattutto in giovane età. Ma quella ormai era la loro vita, loro quattro avevano scelto di diventare ciò che erano diventati e di seguire quella strada. Ne erano più che felici, ma purtroppo dovevano fare i conti anche con la stanchezza. Passare da un paese all'altro in pochi giorni non era certo una passeggiata.

«Non mi aspettavo che gli americani fossero così pieni di energia e che reagissero così bene alla nostra musica», commentò Georg con un sorriso sulle labbra, passandosi una mano sulla fronte umida e lasciandosi andare anche lui su un morbido divano.

Bill e Gustav annuirono col capo, impegnati a bere un po' d'acqua dai loro bicchieri di plastica.

«Se le ragazze sono così anche a letto, allora sono sicuro che potrò farmi delle gran belle scopate qui a Los Angeles», ridacchiò Tom, pensando già al ben di Dio che lo attendeva quella notte.

Ovviamente aveva già programmato di prendere una qualche bella fan disponibile e tutta curve per passare una notte "in compagnia", come faceva quasi sempre dopo i concerti.

«Ma tu pensi solo al sesso?», lo riprese Bill, scuotendo la testa in segno di disapprovazione.

Non accettava certi comportamenti del gemello, ma, dopotutto, non poteva farci nulla, perché Tom era fatto così: se non avesse parlato di sesso per anche solo cinque minuti, il fratello si sarebbe meravigliato e avrebbe pensato che qualcosa probabilmente non andava.

«Che c'è di meglio del sesso, scusa?», ribatté il rasta, guardando scettico un punto indefinito sul soffitto.

«L'amore, direi».

Georg pronunciò quelle parole con serietà e anche con una punta di tristezza nel tono della voce.
Quella risposta aveva comunque sorpreso molto gli altri tre amici, che naturalmente si erano voltati tutti a fissare curiosi il loro bassista.

«Siamo molto sentimentali, Georg. Da quando ti importa di una cazzata del genere?», gli chiese ironico Tom, inarcando un sopracciglio e stampandosi una specie di sorrisetto beffardo sulle labbra.

Georg, che fino a quel momento aveva trovato molto interessante fissare il pavimento, alzò gli occhi sul rasta e lo guardò con la fronte corrucciata. Ti diverti tanto, eh? Se tu fossi nella mia situazione, rideresti di meno.

«Da quando tu non mi fai più dormire la notte, con tutti quei rumori e quelle grida insopportabili che provengono dalla tua stanza in albergo».

«Eh, già. Le donne, per ringraziarmi del mio servizio, urlano molto forte», disse Tom con estrema calma e con un'espressione beffarda e maliziosa al tempo stesso dipinta sul viso.

Quanto ti odio quando fai così lo stronzo
pensò Georg, continuando a fissare corrucciato l'amico.

«Bene. Allora che aspetti ad andare di sotto a sceglierti la tua solita sgualdrina da portarti a letto? Sono tutte di là, pronte a sbavarti dietro», esclamò il bassista con uno sguardo carico di rabbia e frustrazione. «Divertiti», concluse poi con sarcasmo, alzandosi dal divano e uscendo dalla stanza.

«Ehi, Georg! Ma che ti prende?», gli urlò dietro Tom, osservando confuso l'amico, mentre se ne andava.

Prima di allora non si era mai comportato in quel modo: ogni volta che il rasta parlava di sesso, il bassista ci scherzava sopra e ridevano sempre insieme. Quella sera, invece, qualcosa era cambiato.

Non mi sembra di aver detto niente di così offensivo per lui
pensò il rasta, portandosi alla bocca il bicchierino di plastica pieno d'acqua.

«Stasera sarà girato male», disse più a se stesso che ai suoi due compagni ancora presenti.

«No, sei tu che non sai mai contenerti!», sbottò improvvisamente Bill, incenerendo con lo sguardo il gemello e uscendo di corsa dalla stanza, all'inseguimento del loro bassista.

«Ma che cazzo hanno tutti adesso?», esclamò Tom completamente esasperato.

«Beh, devi ammettere che ha ragione, però», inizio timidamente Gustav.

Il rasta si voltò verso il batterista e lo fulminò con gli occhi, guardandolo imbronciato. Allora Gustav fece per aprire bocca e dire qualcos'altro, ma venne immediatamente bloccato da Tom.

«Non-dire-niente».






Georg continuò a correre senza sapere bene quale fosse la sua vera meta. Si limitò semplicemente a lasciare che fossero le sue gambe a guidarlo, a portarlo lontano da ciò che lo faceva stare così male. Senza neanche rendersene conto, si ritrovò dentro il bagno dei ragazzi, fermo davanti allo specchio a fissare la sua espressione triste riflessa sul vetro.

Guarda come mi riduci, Tom. Sono uno straccio per colpa tua
pensò con rabbia il bassista.

«Georg!».

La voce potente di Bill fece sobbalzare sul posto il ragazzo castano, preso alla sprovvista dall'improvvisa entrata del moro nel bagno.

Georg si voltò a guardarlo confuso, osservando il viso preoccupato del cantante. «Che fai qui?», gli chiese con calma.

Sapeva bene che Bill si preoccupava sempre per lui, soprattutto da quando sapeva la verità.

Il moro si tormentò il bordo della maglietta nera strettissima e abbassò lo sguardo a terra. «Ero preoccupato per te, per la tua reazione dopo la discussione di prima con mio fratello», disse timidamente, alzando di poco lo sguardo sull'amico.

Ecco, appunto. Il solito Bill, che si preoccupa sempre per me.


Quel pensiero fece sorridere il bassista, felice che almeno qualcuno avesse a cuore il suo stato d'animo. Si fidava ciecamente del suo cantante, sapeva che era un ragazzo sensibile, dolce, e che sapeva ascoltare nei momenti difficili come quello.

«Tranquillo, è solo il solito problema di sempre. Solo che... non pensavo che stasera avrei ceduto così facilmente. Resistere e non rispondere a certe sue frasi sta diventando sempre più difficile per me», gli rispose Georg, tornando a fissare il suo riflesso nello specchio.

Passò qualche attimo di silenzio, un silenzio pesante e pieno di frasi non dette.

«Se magari tu glielo dicessi, forse lui capirebbe», disse improvvisamente Bill con voce incerta e tremante.

Georg inarcò un sopracciglio e fissò la figura dell'amico nello specchio. «Stai scherzando, vero? Tom non deve sapere niente di questa faccenda, deve rimanere un segreto fra me e te».

«E tu pensi di poter andare avanti così per sempre? Soffrendo e scappando ogni volta che lui parla delle sue ragazze da una notte?».

«Se devo perdere la sua amicizia per questa sciocchezza, allora sì, preferisco soffrire, piuttosto che perderlo del tutto. E poi te l'ho già detto, Bill: ho solo bisogno di un po' di tempo e prima o poi tutto passerà».

«L'amore non se ne va via tanto facilmente, il più delle volte si annida dentro il corpo».

Georg abbassò gli occhi sul lavandino e rifletté su quelle ultime parole del cantante. Se davvero fosse stato così, non avrebbe retto per sempre quella situazione e prima o poi sarebbe esploso.
Il bassista sentì Bill sospirare alle sue spalle e schiarirsi la voce, come per farsi coraggio e dire qualcosa.

«Beh, io sono stufo di vederti star male, quindi... se non glielo dici tu, lo farò io», esclamò improvvisamente e con decisione.

Georg si staccò dal lavandino e si voltò di scatto verso il cantante. «Cosa?», esclamò scettico, fissandolo con gli occhi sbarrati.

«Hai capito bene. O glielo dici tu di tua spontanea volontà, o lo farò io».

«Non gli parlerò mai di questa cosa».

«Allora mi dispiace, ma non mi lasci altra scelta», esclamò Bill, distogliendo lo sguardo dal bassista e avviandosi verso la porta del bagno per uscire.

Ma improvvisamente il moro si sentì afferrare con forza per un polso e fu così costretto a fermarsi. Georg lo attirò a sé, lo strinse con forza e lo mise con le spalle al muro, sbattendolo involontariamente con troppa violenza. Bill si lasciò scappare un piccolo gemito di dolore dalla bocca.

«Tu non gli dirai proprio un bel niente, io non voglio che lo sappia! Questi non sono affari tuoi, Bill, quindi, per una volta nella tua vita, tieni la bocca chiusa!», urlò Georg con rabbia, continuando a bloccare il cantante contro il muro.

Bill lo fissò negli occhi spaventato, ma non fece comunque resistenza. «Georg, mi fai male», si lamentò appena, cercando di non mostrargli gli occhi lucidi.

Il bassista però li notò lo stesso e si rese improvvisamente conto di aver esagerato. In fondo, Bill voleva solo aiutarlo e si preoccupava per lui, vedendolo stare così male.

Non merita di essere trattato così.


Georg allentò la presa attorno alle spalle del moro e addolcì l'espressione del viso. «Scusami. Non volevo spaventarti così, né tantomeno farti del male», disse a bassa voce e tristemente. «Ma per favore, Bill... non dire niente a tuo fratello. Ti prego».

Bill lo guardò negli occhi e sospirò, annuendo poi lentamente col capo. «Okay, non dirò nulla», disse piano e accennando un piccolo sorriso.

Il bassista posò gli occhi su quelle labbra leggermente rivolte verso l'alto: erano così uguali a quelle che desiderava ormai da tempo che per un momento si illuse veramente di avere un'altra persona davanti. Tornò a fissare serio il volto di Bill, osservandone ogni piccolo particolare.

Portò una mano sulla guancia del cantante e gliela accarezzò leggermente. «Siete così simili tu e Tom...», sussurrò piano.

Con estrema lentezza si avvicinò al viso del moro, unendo i loro respiri e premendo infine le labbra su quelle di Bill. Erano così morbide e carnose.
Il cantante non protestò: quel bacio non significava nulla e, attraverso il respiro spezzato dell'amico, poteva sentire tutto il suo dolore e la sua frustrazione. Stava già abbastanza male, non voleva ferirlo ancora di più. Perciò lo lasciò fare, nonostante quel bacio non valesse niente per nessuno dei due.
Ad un tratto, Georg si staccò dal moro, tenendo lo sguardo basso. L'espressione di Bill era seria e, nonostante il bassista non lo stesse guardando negli occhi, lui continuava comunque a fissare le palpebre abbassate di Georg. Con una mano spostò leggermente il viso dell'amico di lato e avvicinò così le labbra al suo orecchio.

«Sì, siamo simili... ma io non sono lui», sussurrò piano Bill.

Georg strinse forte gli occhi e si lasciò scappare un singhiozzo dalle labbra.
Quella situazione lo stava distruggendo sempre di più, era insopportabile.
Si lasciò andare ad un pianto quasi disperato, appoggiando il capo sulla spalla di Bill e singhiozzando forte. Il moro cominciò a scendere piano verso il basso, per sedersi a terra, portando l'amico con sé. Si sedettero e Bill continuò ad abbracciare forte il bassista, rimanendo in silenzio e lasciandolo sfogare liberamente.

«Bill... io sto male, sto sempre più male per lui», riuscì a dire Georg fra i singhiozzi.

Bill gli accarezzò lentamente i capelli e sospirò malinconico. «Lo so, Georg. Lo so», gli sussurrò piano.

Sapeva che quelle non erano certo le parole più confortevoli e adatte in quel momento, ma non sapeva che altro dire. Lui non si era mai innamorato di nessuno, non poteva comprendere fino in fondo il dolore provato dall'amico. Poteva soltanto stargli vicino e cercare di alleviarglielo almeno un po'.









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Capitolo 2
*** Lies and kisses ***


02. Lies and kisses






Georg e Bill uscirono dal bagno proprio quando Tom vi stava entrando. Il chitarrista, vedendo l'amico con gli occhi gonfi e rossi, corrugò la fronte confuso, poi guardò il gemello curioso, cercando di mandargli messaggi telepatici con la mente. Bill distolse subito lo sguardo, fingendo che fosse tutto normale, anche se non riuscì a convincere il fratello più di tanto.

«Ehm... io devo chiedere assolutamente una cosa a Gustav, prima che me ne dimentichi. Comunque sbrigatevi, fra poco prendiamo il taxi e torniamo in albergo», disse il cantante, avviandosi per il lungo corridoio del bagno.

In pochi secondi sparì dalla vista dei suoi due compagni, i quali rimasero soli e in silenzio. Entrambi si sentivano imbarazzati, soprattutto Georg, e per questo non riuscirono a proferire parola per svariati secondi.

Alla fine, però, il bassista prese coraggio e alzò il capo per guardare Tom in faccia. «Senti, volevo chiederti scusa per prima, ma... il fatto è che in questi giorni sono un po' nervoso e il più delle volte perdo il controllo per niente».

«Non ti preoccupare, non me la sono presa. Sono rimasto soltanto un po' stupito, ma niente di più», gli rispose calmo il rasta, accennando ad un sorriso rassicurante.

Georg annuì col capo, poi lui e Tom si avviarono per il corridoio del bagno.
Ad un certo punto, il chitarrista appoggiò una mano sulla spalla del bassista e questo venne percorso per tutto il corpo da un brivido.

Cazzo, anche solo sfiorandomi mi fa questo effetto...
pensò Georg, sudando freddo.

«Come mai hai gli occhi così rossi? Per caso, Bill ti ha violentato in bagno?», scherzò Tom, ridacchiando e dandogli delle piccole pacche affettuose.

Anche se l'aveva buttata lì come una battuta, Georg non poté far a meno di arrossire fino alla punta dei capelli, soprattutto se ripensava a quello che era veramente successo pochi minuti prima in quel bagno.

Si diverte pure a prendermi per il culo questo maledetto
pensò nella sua mente, ridacchiando fra sé e sé. Beh, adesso allora mi diverto un po' anch'io.

«Sì, più o meno. Una cosa simile», borbottò il bassista con voce indifferente, ridendo già come un matto nella sua mente.

Tom sbarrò improvvisamente gli occhi e si voltò a guardarlo con un'espressione sconcertata. «Come, scusa?», squittì con voce acuta.

Georg sventolò una mano in aria, continuando a mantenere un'espressione totalmente assente, come se la cosa non fosse poi così importante. «Forse è meglio dire che io ho fatto qualcosa a lui. Ma non divulghiamoci in discorsi inutili e sbrighiamoci, altrimenti quegli altri due ci romperanno fino alla morte», continuò con estrema calma.

Il rasta invece era sempre più sconvolto da quel discorso e voleva assolutamente saperne di più. «No, aspetta un secondo! Che vuol dire...?».

«Niente, Tom. Non ti preoccupare».

«Andiamo, Georg! Non mi puoi buttare lì una cosa del genere e poi pretendere che io stia zitto!».

Georg gli lanciò uno sguardo confuso. «Perché tanto interessato? Ti darebbe fastidio, se fra me e tuo fratello ci fosse qualcosa?».

Tom si fermò in mezzo al corridoio e continuò a fissare l'amico, mentre avanzava davanti a lui. Era completamente confuso, non riusciva più a rimettere a posto le idee. Non rimase stupito tanto per il fatto che forse Georg e Bill potessero essere gay, ma lo confuse il sapere che fra loro due, proprio fra loro, ci fosse qualcosa di più di una normalissima e comunissima amicizia fra ragazzi.

Georg e... mio fratello...


«Dai, su, vieni avanti. Che fai lì impalato come un baccalà?», lo chiamò Georg, voltandosi e inarcando un sopracciglio, mentre fissava l'espressione da perfetto ebete del chitarrista.

Tom scosse la testa e raggiunse l'amico, non rivolgendogli la parola, ma continuando comunque a rimanere assorto nei suoi pensieri. Lentamente raggiunsero gli altri due componenti della band e poi, tutti insieme, presero un taxi, che li riportò all'albergo in cui alloggiavano già da due giorni.






Georg continuava ininterrottamente ad andare su e giù per la sua stanza, mordicchiandosi un'unghia, più nervoso che mai.

Ho fatto una cazzata
continuava a pensare. Se Bill viene a sapere quello che ho detto a Tom, mi uccide.

TOC TOC

Qualcuno bussò improvvisamente alla porta, facendo inevitabilmente sobbalzare il povero bassista, che continuava a non darsi pace per la sciocchezza che aveva fatto poco prima nel backstage del concerto. L'espressione sorpresa con cui andò verso la porta si tramutò in un'espressione completamente sconvolta appena l'aprì: Tom era in piedi davanti a lui e aveva indosso solo i suoi jeans extralarge e il solito cappellino in testa; il petto era completamente nudo e in bella mostra. Georg, sentendosi improvvisamente avvampare in viso, deglutì rumorosamente e dischiuse appena le labbra, assumendo un'espressione da completo idiota. Il busto di Tom era perfettamente definito: il ventre piatto, i fianchi stretti, i pettorali appena pronunciati. Per Georg quella era l'ottava meraviglia.

Porca puttana...
pensò agitato, quando si accorse che avrebbe rischiato di sbavare davanti al rasta da un momento all'altro. Un po' di contegno, accidenti!

Si riscosse un poco e cercò di guardare solo il viso del chitarrista. «Ciao, Tom. Hai bisogno di qualcosa?», gli chiese con voce tremante.

Tom annuì deciso. «Sì, ho bisogno di parlarti un attimo. Ma pensi di farmi entrare prima, o vuoi lasciarmi qui fuori mezzo nudo tutto il tempo?», esclamò scettico, indicando il suo corpo.

«Ma, scusa, perché non ti sei vestito prima di venire qui?».

«Avevo troppo caldo e non ho certo intenzione di scoppiare perché tu non ti decidi a farmi entrare dentro».

Georg scosse il capo esasperato e finalmente invitò il rasta ad entrare con un veloce gesto della mano.

Tom andò subito a sedersi sul letto e aspettò che il bassista chiudesse la porta e gli prestasse attenzione, prima di parlare. «Senti, è una cosa importante e voglio che tu sia sincero con me», iniziò serio. «Tu e mio fratello... siete solo amici, oppure c'è dell'altro?», concluse, scrutando attento il viso dell'amico, fermo in piedi davanti a lui.

Georg sussultò appena, ma Tom non lo notò, per fortuna. E adesso cosa gli dico? Se ritiro quello che ho detto oggi, poi lui mi chiederebbe perché gli ho raccontato questa balla ed io, allora, non saprei cosa rispondere. Se invece confermo tutto, non solo non ho la minima idea di come potrebbe reagire Tom, ma, successivamente, verrò pestato a sangue dall'altro gemello. Che bella vita.

«Ehm...», cominciò a dire con la voce che tremava. «Io e lui... beh... noi...».

Tom continuava a fissare intensamente il viso dell'amico, che continuava a farfugliare, aspettando.

«Noi stiamo insieme», disse infine il bassista, pentendosi immediatamente di ciò che aveva appena finito di pronunciare.

Tom sbatté più e più volte le palpebre, cercando di comprendere appieno le parole di Georg. Non riusciva a capire perché, ma quella confessione gli dava un certo senso di fastidio, ma non perché l'idea di avere un fratello e un amico gay lo disgustasse, ma proprio per il fatto che loro due stessero insieme.

«Gustav lo sa?», chiese il rasta, fissando il pavimento.

«No, non lo sapeva nessuno, fino ad ora», gli rispose Georg, mordendosi la lingua per punirsi di tutte le bugie che stava sparando una dietro l'altra.

«Bene. Beh, non me lo aspettavo, ma... se voi siete felici così, allora per me non c'è alcun problema», disse Tom, non troppo convinto di quello che stava dicendo.

Georg annuì col capo, incapace di aprire bocca, perché sicuro di buttare fuori un'altra bugia.

Il chitarrista si alzò dal letto e si avvicinò alla porta. Prima di aprirla, però, si soffermò a scrutare gli occhi di Georg.

«Trattalo bene il mio fratellino. E poi, un'altra cosa...», disse calmo, avvicinando poi le labbra all'orecchio del bassista.

Georg cominciò a sudare freddo e il suo cuore a battere impazzito. Cazzo...

Quando sentì il respiro del rasta vicinissimo al suo orecchio, respirò affannosamente.

«Se volete pomiciare, non c'è bisogno che vi rinchiudiate in bagno», sussurrò malizioso, fissando intensamente il profilo del viso dell'amico.

Detto ciò, aprì la porta e se ne andò in silenzio, senza aggiungere altro.

Georg scivolò a terra, sfregando la schiena contro la porta chiusa. Sono fottuto pensò, mettendosi una mano sulle guance bollenti e rosse per la vergogna.
So che mi ucciderà, ma devo assolutamente dirlo a Bill.






«Mio caro e buon amico Georg, tu sei... UNA GRANDISSIMA TESTA DI CAZZO!».

Le urla di Bill avrebbero sicuramente svegliato tutto l'albergo, ma Georg non avrebbe comunque potuto fare niente per evitarlo: aveva combinato lui quel disastro e ne doveva pagare le conseguenze.

«Bill...».

«BILL UN CORNO! BRUTTO...», e via con l'ennesima sfilza di insulti per il povero bassista.

Erano cinque minuti buoni che andavano avanti così: Bill, completamente fuori di sé, che a momenti si strappava persino i capelli da solo, e Georg, seduto sul letto del cantante con lo sguardo basso e mortificato. Naturalmente il moro non l'aveva presa per niente bene la notizia del suo presunto "fidanzamento" con Georg e in quel momento stava distruggendo la sua stessa camera da letto, tirando via ogni cosa che gli passava per le mani per evitare che la sua ira si abbattesse completamente sul bassista.

«Bill, calmati un secondo, proviamo a...».

«CALMARMI? MI STO TRATTENENDO DALL'AMMAZZARTI CON LE MIE STESSE MANI, GEORG, COME FACCIO A CALMARMI?».

«Suvvia, non è poi una cosa così grave».

Gli occhi del cantante si spalancarono inorriditi fino al massimo possibile, fissando con odio il viso del bassista.

Forse non avrei dovuto dirlo
pensò Georg, improvvisamente spaventato dall'amico.

Bill fece qualche passo in avanti e, dopo aver emesso un verso alquanto animalesco dalla propria gola, si scagliò contro il bassista sul letto. Georg finì con la schiena completamente appoggiata al materasso, con Bill seduto sopra di lui, che tentava in tutti i modi di stringergli il collo. Il bassista bloccò le mani del cantante, che continuò però a dimenarsi e ad urlare come un ossesso, fino a che non ebbe più aria nei polmoni.

«Bill, calmati!».

«IO... IO...».

«Stai diventando blu!».

Bill si bloccò improvvisamente e cominciò ad ansimare forte, cercando di prendere più aria possibile: quella specie di sfogo da psicopatico lo aveva calmato almeno un po'.

Scese dallo stomaco di Georg e gli si sedette accanto, continuando a fissarlo con sguardo truce. «Tu forse non ti rendi conto», riuscì a dire, nonostante il respiro fosse affannato. «Io passo giorni interi a difendermi dalle accuse di omosessualità che mi arrivano in lungo e in largo e tu mi tiri in mezzo con questa storia?», esclamò infuriato, costringendo il bassista a distogliere lo sguardo per non sentirsi ancora più in colpa di quanto già non fosse.

«Mi dispiace, Bill. Io davvero non so come abbia potuto raccontare una bugia simile, ma cerca di capirmi... Sono stufo di nascondere quello che provo per Tom e voglio cercare di farglielo capire, in un modo o nell'altro».

«Ah, sì, certo. E immagino che il modo migliore per comunicarglielo sia fargli credere che io e te abbiamo una storia. Ma come cavolo ragioni?», esclamò con voce stridula il cantante, sbarrando gli occhi scettico.

Georg si grattò la nuca sconsolato. «Forse è stata solo la mia immaginazione, ma, quando gli ho detto che stavamo insieme...».

«Quanto vorrei ucciderti».

«Ehm... sì, comunque... Lui mi ha guardato in un modo che non sono riuscito a decifrare e, a dirla tutta, era anche fin troppo serio. E quindi io pensavo di indagare un po'».

«Indagare su cosa, scusa?», chiese Bill, confuso da quel discorso.

«Beh, volevo capire se lui è minimamente interessato a me. Niente è impossibile».

Nella voce di Georg c'era davvero una nota di speranza che fece ammorbidire un po' il cantante.

«Okay, ma in tutta questa faccenda io che cosa c'entro?», chiese poi con una punta di acidità nella voce, ma cercando comunque di non soppesarla troppo.

Il viso di Georg divenne improvvisamente rosso come un pomodoro e cominciò a tormentarsi le dita delle mani nervoso. «Ecco, io... volevo provare a mettere insieme una specie di falsa davanti a lui e ho bisogno del tuo aiuto».

«Oh, no, te lo puoi scordare, amico! Punto primo: io non sono gay. Punto secondo: non prenderla male, ma non sei decisamente il mio tipo. Punto terzo: non ho intenzione di mettermi in ridicolo di fronte a mio fratello. Sai quello quanto mi prenderà in giro?».

«Dai, Bill, non ti sto chiedendo di venire a letto con me».

«E per fortuna!».

«Si tratta di una cosa che durerà per poco tempo, te lo prometto. Se alla fine vedrò che a Tom non importa nulla, allora dirò la verità e ne risponderò da me. Tu devi solo reggermi il gioco, fingere un pochino».

Bill si alzò dal letto e cominciò ad andare avanti e indietro per la stanza, più nervoso che mai. Sapeva di essere troppo buono e che alla fine avrebbe sicuramente ceduto.

«E, dimmi un po'... cosa dovrei fare, esattamente, per reggerti il gioco?», chiese con una punta di paura nella voce, immaginando già da solo a cosa stava andando incontro.

Georg alzò e abbassò le spalle di scatto. «Adesso non lo so di preciso. Vedrò che mi verrà in mente sul momento. Tu dovresti solo mostrarti disponibile quando, per esempio, ti faccio una carezza».

«Mi devi pure accarezzare davanti a Tom, come se fossi un cane?».

«Direi di sì, altrimenti non vedo come potrei verificare se gli piaccio o meno».

«Okay okay, evito di commentare quello che dici, perché, se fosse per me, ti ucciderei qui in questo preciso istante».

Il bassista si lasciò scappare una piccola risatina divertita. Bill è sempre così esagerato.

«Si è fatto un po' tardi ed è meglio andare a dormire», disse Georg, sentendosi improvvisamente molto stanco. «Io torno nella mia stanza».

Bill annuì col capo, mantenendo una certa espressione corrucciata. «Solo un'ultima cosa, Georg. Sappi che, se mai mi chiederai di farti un favore, io non te lo farò di certo. Questo qui che ti faccio adesso ne vale almeno mille».

«E se un giorno a tavola ti chiedessi di passarmi il sale?».

«Io non te lo darò!».

Georg si trattenne dallo scoppiare a ridere, poi si alzò dal letto del cantante e si diresse verso la porta. Una volta sulla soglia, però, si voltò ancora verso il moro.

«Buonanotte, amore mio», esclamò divertito, lasciandosi andare alle risate.

«IMBECILLE!».

Il bassista riuscì ad uscire dalla stanza appena in tempo, prima che Bill potesse tirargli addosso una scarpa che si era appena tolto.






«Buongiorno, ragazzi. Dormito bene stanotte?».

Gustav era il solito mattiniero allegro, attivo già di mattina presto. Bill, Tom e Georg, invece, avevano delle facce simili a quelle dei mostri, completamente assonnati e senza un minimo di energia in corpo: David li aveva buttati giù dal letto molto presto quella mattina per uno dei soliti servizi fotografici e loro, essendo andati tutti a letto ad un'ora tarda, in quel momento rischiavano di cadere a terra addormentati da un momento all'altro.

«Io ho dormito così così», rispose Tom, sbadigliando rumorosamente.

«Io abbastanza bene, invece», rispose Georg, stropicciandosi gli occhi.

«Io non ho proprio dormito!», esclamò Bill, lanciando un'occhiata infuocata al bassista, che sedeva di fianco a lui nella hall dell'albergo.

Tom notò quell'occhiata del fratello e cominciò a fare chissà quali pensieri strani su Bill e Georg. «Immagino già il perché», commentò sarcastico, guardando ironicamente sia il gemello che il bassista.

Georg colse subito l'occasione per mettere in atto il suo piano. «Già, ci puoi giurare», esclamò a voce fin troppo alta, ammiccando maliziosamente verso Bill.

Il moro arrossì inevitabilmente: doveva farci ancora l'abitudine a quella cosa e far finta di fare giochetti erotici la notte con Georg lo imbarazzava tantissimo. Tenne gli occhi bassi per non guardare l'espressione del fratello, sorridendo appena per reggere un po' il gioco all'amico.

Tom sorrise a Georg, ma era un sorriso forzato e tirato. «Contenti voi», borbottò poi inespressivo, girandosi verso Gustav. «Ma David non arriva più? Siamo qui già da venti minuti buoni e lui non si è ancora visto».

«Ha detto che ci avrebbe chiamati appena fosse arrivata la macchina blindata», gli rispose il batterista, scrutando attentamente la poca gente attorno a loro.

Neanche farlo apposta, in quel momento il manager arrivò a passo svelto verso di loro, facendo segno di alzarsi dalle sedie e di seguirlo fuori dall'albergo.

«Inizia l'ennesima giornata stressante, ragazzi. Speriamo che, almeno dopo i vari servizi fotografici e le interviste, ci facciano riposare un po'», borbottò Tom, alzandosi dalla sedia e prendendo il proprio zaino.

Il resto della band lo seguì e insieme si avviarono verso l'uscita dell'albergo.

Mentre camminavano, Georg si avvicinò a Bill e gli prese lo zaino dalle spalle. «Lo porto io», disse, sorridendogli e assicurandosi che Tom li stesse guardando.

Effettivamente li stava degnando di qualche occhiatina curiosa, ma non era poi così interessato. Allora il bassista fece molta attenzione a non farsi vedere da Gustav, che camminava tranquillo a capo di tutto il gruppo, e sfiorò una mano di Bill, facendolo sussultare per la sorpresa.

Il moro era già vittima delle torture psicologiche dell'amico. Ma perché, perché ho accettato di stare al suo gioco? pensò quasi con disperazione, mentre si accingeva a fingere di essere compiaciuto da quel piccolo contatto con la mano del bassista.


Tom vide le mani dei due ragazzi sfiorarsi un paio di volte e ogni tanto notava le unghie di Georg stuzzicare le nocche del fratello, graffiandogliele in modo provocatorio.

Tutto questo è ridicolo
pensò nella sua mente, sorpassando i due e affiancandosi a Gustav con un'espressione del viso infastidita.

Georg non se ne rese neanche conto, ma sorrise soddisfatto a quel gesto del rasta, anche se aveva ancora molti dubbi in testa.

Bill, invece, si sentì sollevato dall'improvviso passaggio in avanti del gemello e senza farsi vedere da lui, diede una violenta sberla sul braccio del bassista. «Datti un contegno!».






«Basta! Datemi qualcosa da bere, o da mangiare, purché sia ipercalorico!», si lamentò ad alta voce Gustav.

La giornata che avevano dovuto affrontare lui e il resto della band era stata tutt'altro che rilassante: interviste, servizi fotografici, comparse televisive... Neanche il Presidente degli Stati Uniti in persona era così occupato come loro. Seduti nel camerino dell'edificio in cui avevano appena finito l'ultimo servizio fotografico, cercavano tutti di rilassarsi almeno dieci minuti, respirando pesantemente e asciugandosi il sudore dalle fronti bagnate: in quei giorni faceva veramente molto caldo.

«Io non ho la forza di andarti a prendere niente, Gustav, sono stremato. C'è una macchinetta per le bevande al piano di sotto, perché non vai a prendere qualcosa lì?», gli propose Tom, socchiudendo gli occhi.

«Non so se arriverò vivo a destinazione, ma non ce la faccio davvero più, devo assolutamente bere qualcosa di fresco. Torno fra... un'ora. Oppure non torno proprio».

E così dicendo, Gustav uscì dalla stanza, trascinandosi per tutto il tragitto dal divano alla porta del camerino.

«Che esagerato», borbottò fra sé e sé il chitarrista.

Passò qualche istante di silenzio in cui Georg, seduto sul divano accanto a Bill, venne colpito da un'improvvisa idea assurda: lui e i gemelli erano da soli nella stessa stanza e nessuno sarebbe potuto venire a disturbarli. Era l'occasione buona per mettere in atto la sua messa in scena con Bill davanti a Tom.
Piano il bassista si avvicinò ancora di più al cantante e gli mise una mano sulla coscia. Quest'ultimo sobbalzò, preso alla sprovvista, ma si trattenne dallo schiaffeggiare in quello stesso istante l'amico. Tom si accorse di quel piccolo gesto e aprì piano un occhio per osservare di sottecchi la scena che aveva davanti.

«Sei stanco?», chiese improvvisamente Georg, rivolto al moro.

«Un po'», rispose un po' irrequieto Bill, fissando sospettoso lo sguardo stranamente malizioso dell'amico.

«So io come rilassarti, piccolo», sussurrò poi il bassista, prendendo fra le dita il mento del cantante e avvicinando poi il viso al suo.

Bill sbarrò gli occhi sconvolto, proprio mentre sentiva le labbra di Georg posarsi sulle sue e cominciare a muoversi fameliche. Questo non era previsto nel piano! Non mi aveva detto che avrei dovuto baciarlo! pensò con rabbia e disgusto il cantante.

Il bassista, mentre bloccava l'amico contro il divano e continuava a baciarlo con foga, lanciò una piccola occhiata al rasta, seduto di fronte a loro: li stava guardando con gli occhi sbarrati e increduli, ma ciò che trovò in quello sguardo non fu disgusto, ma bensì fastidio.

Fastidio... per cosa?
si chiese Georg, cercando di capire se Tom fosse solo geloso per il fratello o per altro.

Decise di intensificare il bacio e, senza troppi complimenti, leccò prima il labbro inferiore di Bill, poi introdusse la lingua dentro la sua bocca.

Il moro spalancò ancora di più gli occhi e cercò di opporsi, emettendo piccoli mugugni e cercando di far capire al bassista che quello era troppo per lui. La lingua no! Questo è troppo!

Ma, evidentemente, i versi di Bill dovevano assomigliare di più a gemiti di piacere, perché vide il gemello arrossire violentemente e mettersi una mano sugli occhi, come per oscurarsi il volto.

Georg si staccò dal moro e fece finta di abbracciarlo per potergli tranquillamente bisbigliare alcune parole all'orecchio, senza che Tom sentisse. «La vuoi smettere di dimenarti così?».

«E tu piantala di ficcarmi la lingua in gola! Che schifo!».

«Dovevo pur inventarmi qualcosa».

«Allora adesso inventati qualcosa per uscire di qui! Non ho intenzione di continuare a farmi mangiare la faccia da te!», sibilò minaccioso il moro, facendo quasi tremare Georg per la paura.

Il bassista pensò velocemente ad una soluzione e quasi subito gli venne in mente la scusa del bagno. Si alzò piano dal divano e prese Bill in braccio in modo molto cavalleresco, poi si voltò verso Tom e gli sorrise maliziosamente.

«Io e tuo fratello andiamo a sbrigare una piccola faccenda in bagno. Torniamo fra poco».

Bill, che già era rimasto sconvolto quando l'amico lo aveva preso in braccio, divenne rosso come un pomodoro e si trattenne dal tirare un pugno in faccia al bassista.

In tutta risposta, Tom sorrise, anche se il suo sorriso risultava più come una smorfia infastidita. «Potete anche rimanere qui a scopare, non c'è alcun problema. Tolgo io il disturbo».

E detto ciò, si alzò dalla poltrona e, dopo aver lanciato uno sguardo infuriato ai due compagni, uscì fuori dalla stanza, sbattendo la porta con violenza. Georg buttò letteralmente Bill sul divano, senza troppi complimenti, e si precipitò fuori dalla stanza, all'inseguimento del rasta.

Il moro emise un verso animalesco e infuriato più che mai, cercando di risistemarsi i capelli disordinati. «IO... IO LI UCCIDO TUTTI E DUE!».








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Capitolo 3
*** The party ***


03. The party






«Tom, aspetta!».

Georg cercò di aumentare la velocità del passo per raggiungere il chitarrista, che evidentemente non aveva gradito tanto lo spettacolo dato poco prima dal fratello e dal bassista.

«Tom, ti vuoi fermare?».

All'ennesimo richiamo, finalmente Tom si fermò.

«Che vuoi?», chiese infastidito, voltandosi di scatto verso l'amico.

«Che ti è preso?».

Il chitarrista sbarrò gli occhi scettico e allargò le braccia. «Che mi è preso? Secondo te? Sai, non è uno dei miei passatempi preferiti guardare due ragazzi che si saltano addosso!».

«Ma sei stato tu a dirmi che potevamo anche evitare di andare in bagno a...».

«Sì, certo, ma non ti ho detto che potevate fare sesso davanti a me!», continuò il rasta, alzando sempre di più il volume della voce e interrompendo il discorso del bassista.

Georg scrutò silenziosamente gli occhi dell'amico e in quel momento si rese conto che forse aveva un tantino esagerato, sia con Bill che con Tom. Ma c'era sempre quella domanda che lo assillava: a Tom faceva semplicemente schifo vedere il fratello e l'amico baciarsi, oppure era geloso di uno dei due? E, se sì, di chi in particolare?

Devo assolutamente venirne a capo
pensò il bassista deciso.

«Senti, mi dispiace. Ti prometto che non succederà più».

I due amici si fissarono negli occhi in silenzio per alcuni secondi, nascondendo dentro di loro mille parole e verità che in quel momento sarebbe stato meglio tirare fuori.

Georg deglutì a fatica, mentre Tom abbassava gli occhi a terra. Diglielo ora. Digli quello che provi per lui e togliti dai casini una volta per tutte continuava a ripetersi il bassista nella propria mente.

Aprì la bocca, ma non riuscì a pronunciare una singola parola.

Cazzo, diglielo. DIGLIELO!


«Tom, tu mi...».

«Ehi, voi due! È da ben venti minuti che vi cerco!».

La voce severa e profonda di David rimbombò nel corridoio del bagno. Tom e Georg sobbalzarono spaventati: erano talmente presi dai loro problemi, che non si erano neanche accorti dell'arrivo del loro manager.

Il chitarrista si sistemò il cappellino in testa, cercando di ricomporsi almeno un po'. «Scusa, David, ci eravamo fermati a parlare e abbiamo perso la cognizione del tempo».

Georg annuì col capo, maledicendosi mentalmente per non aver sfruttato un'occasione importante.

«Okay okay, non perdiamo altro tempo prezioso. Seguitemi, devo dire una cosa a voi e anche agli altri due riguardo a stasera», esclamò David, facendo strada ai due ragazzi.

Tom inarcò un sopracciglio. «Anche stasera abbiamo da fare? Ma siamo stati sballottati in giro tutto il giorno!», si lamentò a voce alta.

«Non riguarda il lavoro. Anzi, penso che questa cosa possa addirittura piacervi».






«Una festa? Per cosa?».

I quattro ragazzi osservavano sbigottiti il loro manager, seduto di fronte a loro nel camerino in cui prima si erano concessi qualche minuto di riposo: non capitava mai che David concedesse loro una serata di svago.

«Beh, per niente. Volevo solo dirvi che stasera potete stare tutti nella casa ad Amburgo da soli, festeggiando il primo ed unico giorno libero dell'anno che vi concederò. È una specie di festa, no?».

Tutta la band rimase a bocca aperta e in silenzio a fissare David, come se fosse un alieno.

«Guardate che, se preferite lavorare, chiedo subito un'apparizione televisiva in un...».

«NO! VA BENISSIMO!», esclamarono all'unisono i quattro ragazzi.

David sorrise divertito, alzandosi dalla poltrona. «Andate, allora. Ho già chiamato una macchina che vi porterà a casa».

Bill scattò subito in piedi, alzando un indice verso l'alto. «Aspettate! Prima dobbiamo andare a comprare una cosa».

Gustav inarcò un sopracciglio confuso. «Che cosa?».

«I popcorn!».






«Bill, mi spieghi per quale stupido ed insulso motivo abbiamo comprato anche i palloncini a forma di cuore?».

Tom camminava su per le scale della loro casa, cercando di non far cadere a terra tutti i sacchetti di popcorn e palloncini che aveva in mano. Dietro di lui, Gustav e Georg facevano altrettanto, mentre Bill saltellava in testa al gruppo, con le mani completamente libere.

Certo, perché il principino non può rischiare di spaccarsi un'unghia
pensò il chitarrista, cercando di controllare i suoi impulsi omicidi verso il gemello.

«Che razza di domande. Perché dobbiamo fare un pigiama-party in piena regola!», gli rispose il cantante stizzito.

«Con i palloncini a forma di cuore?».

«Preferivi quelli con la faccia di Topolino stampata sopra?».

«No, mai! Topolino no!».

«E allora non ti lamentare».

Tom si lasciò sfuggire uno sbuffo esasperato dalla bocca, lanciando un'occhiata a Georg, che nel frattempo gli si era affiancato. La cosa più strana fu il fatto che il bassista, non appena si ritrovò a fissare gli occhi dell'amico, divenne incredibilmente rosso.

Che fa? Arrossisce?
si chiese Tom, alquanto confuso da quella reazione.

«Georg, va tutto bene?», gli chiese cauto, inarcando un sopracciglio.

Il bassista a quella domanda divenne ancora più rosso. «Certo! Benissimo! Perché?», disse troppo in fretta e con l'agitazione che traspariva dall'espressione del volto.

«Niente, chiedevo soltanto», concluse il chitarrista, deciso a non mettere ancora più in imbarazzo il compagno.

Forse è arrabbiato con me. Ma non mi sembra di avergli fatto niente
pensò nella sua mente.

Intanto erano arrivati davanti alla porta di casa.

Bill l'aprì e corse subito dentro, buttandosi sopra al primo divano che trovò lì vicino. «Ragazzi, quando cominciamo a festeggiare?», chiese ai ragazzi, mentre questi erano intenti ad appoggiare tutti i palloncini e i popcorn sul tavolo della cucina.

Gustav si asciugò il sudore dalla fronte con un braccio. «Prima prepariamo i popcorn e gonfiamo i palloncini, poi iniziamo», consigliò il batterista, prendendo uno dei tanti sacchetti con i palloncini. «Io e te pensiamo a questi, okay?».

Bill si mise a sedere e batté le mani felice. «Sì, benissimo! Gonfiamo i palloncini!», urlò euforico.

Gustav sorrise ed annuì con il capo, poi si voltò verso Tom e Georg. «Voi due pensate ai popcorn?», chiese loro, scrutandoli curioso, mentre i due si scambiavano occhiate preoccupate.

«Ehm... okay, non c'è problema», esclamò Georg, non del tutto convinto.

Tom osservò confuso il viso teso dell'amico. Ma perché fa così? È insopportabile.

«Bene. Diamoci da fare allora», concluse Gustav, andando a sedersi di fianco a Bill.

Georg lanciò di sfuggita un'occhiatina a Tom, prima di girarsi e avviarsi verso la cucina. Dopo poco, anche il chitarrista lo seguì, oltrepassando la soglia della stanza e chiudendo la porta dietro di sé, sbattendola forte.

Gustav guardò perplesso quel pezzo di legno scuro. «Ma che hanno quei due?».

Bill strappò la plastica di un sacchetto e prese il primo palloncino in mano. «Eh, l'amore...», commentò indifferente, poco prima di metterselo in bocca e soffiare.

Il batterista spalancò gli occhi e corrugò la fronte. «Eh?».






La porta sbatté violentemente e questo fece sobbalzare Georg, preso alla sprovvista da quel rumore così forte. Si voltò e alle sue spalle si ritrovò un Tom alquanto incazzato, che teneva i pugni stretti e la fronte corrucciata.

«Allora? Adesso che siamo soli, mi vuoi dire che cosa ti prende?», sibilò il chitarrista arrabbiato.

Il bassista corrugò la fronte confuso. «Che cosa mi prende? Niente, mi sembra di essere il solito di sempre», commentò tranquillo.

«Oh, certo. E allora perché ti comporti come se ti avessi fatto qualcosa?», continuò Tom infuriato.

«Io non ce l'ho con te, davvero. Sarà stata solo una tua impressione», disse calmo, girandosi dalla parte opposta per mettersi a fare i popcorn.

Ma fu costretto subito a rigirarsi: Tom lo aveva raggiunto con pochi passi e, dopo averlo afferrato per un braccio e costretto a guardarlo in faccia, lo fronteggiò furioso.

«Piantala di raccontarmi stronzate, Georg! Mi sono veramente stufato di essere preso per il culo da te!», gli urlò in faccia il chitarrista.

Georg rimase basito da quella reazione dell'amico e non riuscì a controbattere o ad aprir bocca: non aveva la minima idea di come rispondergli. Tom lo osservava in silenzio, aspettando che il bassista parlasse.

È così maledettamente vicino
pensò Georg, preso all'improvviso da tutt'altri pensieri.

I suoi occhi caddero sulle labbra rosee e carnose del rasta, poi il suo sguardo ritornò ai suoi occhi e successivamente ancora sulla bocca.

Voglio baciarti
pensò il bassista, ascoltando il suo cuore battere sempre più veloce.

Il cervello gli diceva di non farlo, ma il cuore diceva tutto il contrario.

Cazzo...


E, alla fine, scelse di ascoltare il cervello: non poteva permettersi un lusso tanto grande.
Lentamente si scostò da Tom e gli voltò le spalle in silenzio, prendendo in mano una scatola di popcorn e aprendola. Si mosse nella stanza, non guardando più in faccia l'amico e prendendo tutto ciò che gli occorreva. Tom rimase immobile nel punto in cui prima stava parlando con Georg, tenendo lo sguardo basso, incapace di aggiungere altre parole a quel discorso. Strinse i pugni con rabbia.

Evitami, allora, fai pure come ti pare. Non mi importa niente.







La serata non andò avanti molto bene.
Gustav aveva sicuramente sentito le urla di Tom provenire dalla cucina e in quel momento si stava facendo chissà quali domande sul possibile rapporto fra il chitarrista ed il bassista. Georg non aveva il coraggio di guardare Tom in faccia e quest'ultimo, di tanto in tanto, gli lanciava qualche occhiatina ostile. Per il resto, non si erano più rivolti la parola. L'unico che forse non notava la tensione che si era creata in casa era Bill: continuava a saltellare felice per il soggiorno, mangiando e spargendo popcorn dappertutto. I palloncini gonfiati erano appoggiati sul pavimento in più punti e ogni tanto il cantante ne prendeva uno e ci giocava da solo. I tre compagni, invece, sedavano muti sul divano e contemplavano la televisione in silenzio, presi però da altri pensieri.
Ad un tratto Bill si buttò di peso addosso a Georg con fare scherzoso e lo fece sobbalzare: era così concentrato sui suoi problemi, che si era preso paura, quando l'amico gli era saltato in braccio. Tom li guardò con lo stesso sguardo con cui li aveva osservati per tutto il giorno, ma non disse una parola. Georg, in una situazione come quella, avrebbe sicuramente preso la palla al balzo e avrebbe messo in scena la sua finta, ma in quel momento non gli andava affatto: non aveva voglia di fingere ancora un rapporto con Bill e neanche poteva farlo, a causa della presenza di Gustav.

«Facciamo un gioco?», chiese improvvisamente Bill, seduto sulle gambe dell'amico.

I tre compagni si voltarono a fissarlo scettici. «Un gioco?», esclamarono insieme.

Il cantante annuì con la testa, sorridendo: in quel momento sembrava un bambino. «Sì, divertiamoci un po', no? Questo è un pigiama-party!».

«E cosa potremmo fare, genio?», gli chiese Tom con un tono di voce infastidito.

Bill si mise un dito sul mento e fissò la stanza con attenzione: erano seduti su un divano e c'erano tantissimi cuscini...

«Facciamo a botte con i cuscini!», esclamò alla fine euforico.

Immediatamente si beccò un'occhiata sconvolta da parte del gemello. «Stai scherzando, vero?».

Il cantante gli tirò un cuscino addosso e sorrise. «Ti basta come risposta?».

Tom gli lanciò un'occhiata infuriata, poi prese un cuscino e si mise in piedi, preparandosi alla battaglia. «Sei finito, fratellino!».

Si scagliò contro Bill, colpendolo con il cuscino che aveva in mano e parando ciò che il gemello gli tirava indietro. Sul divano, Gustav e Georg si scambiarono un'occhiata complice, poi due sorrisetti furbi si disegnarono sulle loro labbra. Afferrarono due cuscini a testa e si unirono anche loro a quella battaglia.
Per un momento, ognuno dimenticò i propri problemi e pensarono solo a divertirsi l'un con l'altro. Era come se nessuno avesse litigato, come se nessuno sospettasse niente. Erano semplicemente quattro amici, che si divertivano insieme come bambini. Persino Tom e Georg giocarono fra loro, colpendosi con i cuscini. Tutti risero e continuarono a combattere, fino a quando una quantità infinita di piume si levò in aria per tutta la stanza: evidentemente alcuni cuscini si erano rotti, ma a nessuno importava più di tanto. Era più bello così.
Bill e Gustav continuarono a darsi le cuscinate fra di loro, Georg, invece, incominciò ad inseguire Tom per tutta la stanza, saltando sui divani e sul tavolo. Il chitarrista rideva e stava al gioco del bassista, scappando e controllando che l'amico non gli si avvicinasse troppo. Ad un certo punto, Georg fece un balzo e riuscì ad acciuffarlo, cingendolo con le braccia da dietro e facendo cadere entrambi per terra. Tom continuò a ridere fino a farsi venire le lacrime agli occhi, mentre il bassista lo osservava sorridente.

Ha una risata meravigliosa
pensò dentro di sé.

Rimase abbracciato a lui e lentamente avvicinò le labbra al suo orecchio per sussurrare piano solo poche parole, mentre Tom continuava a ridere. «Sei bellissimo».

Il tempo di rendersi conto di ciò che aveva appena detto e venne completamente preso dal panico.

Qualcuno mi dica che non l'ho detto sul serio.


Tom smise improvvisamente di ridere e si bloccò, non mosse più neanche un muscolo. Lentamente voltò il capo verso Georg, che lo teneva ancora stretto. Lo fissò con stupore, gli occhi spalancati e la bocca socchiusa.

Okay, l'ho detto veramente
pensò Georg, mentre la testa cominciava a girargli.

Il chitarrista mosse il labbro inferiore e aprì la bocca un po' di più, come se volesse dire qualcosa. Ma era troppo sconvolto per parlare.

«No, cioè... io...».

Il bassista iniziò a balbettare, cercando di mettere insieme una frase sensata con cui potersi tirare fuori dai casini.

«Non so che...».

«Fammi alzare», disse improvvisamente Tom, la voce un po' roca.

«Tom, non...».

«Fammi alzare, Georg», insistette il chitarrista con tono più deciso e severo.

Non aspettò neanche che l'amico si spostasse da solo, lo spinse via quasi con violenza, alzandosi velocemente e attraversando a grandi falcate la stanza, dirigendosi verso le scale che portavano al piano superiore. Bill e Gustav smisero di picchiarsi con i cuscini e fissarono confusi il chitarrista, mentre saliva i primi gradini.

«Tom, dove vai?», gli chiese il gemello, che naturalmente non sapeva niente di quello che era appena successo fra Tom e Georg.

Il rasta non lo guardò neppure in faccia e continuò a salire le scale. «Non mi sento tanto bene. Scusate, io vado a letto», li liquidò velocemente.

«Troppi popcorn, secondo me», scherzò Gustav, riprendendo a dare qualche cuscinata al cantante. «Riposati, mi raccomando».

Cantante e batterista ripresero a giocare fra di loro, mentre Georg rimase fermo a fissare le scale con la paura che gli montava in corpo sempre più prepotentemente.

Cazzo, l'ho spaventato
continuava a pensare, maledicendosi da solo. Adesso lui chissà cosa pensa.

Senza curarsi troppo degli sguardi curiosi dei due amici ancora presenti nel salotto, corse verso le scale e salì i gradini a due a due.

Bill guardò Gustav con un sopracciglio inarcato. «Ma hanno tutti e due mal di pancia?».






Georg salì le scale e, quando arrivò al piano superiore, ebbe appena il tempo di vedere la porta della stanza di Tom chiudersi con violenza, lasciando fuori il bassista preoccupato. Si avvicinò alla porta chiusa.

«Tom, apri, per favore. Posso spiegarti».

Dall'altra parte non arrivò risposta e così Georg provò a tirare giù la maniglia. Con sua sorpresa, la porta era aperta. Lentamente varcò la soglia e si infilò nella stanza, richiudendo poi la porta alle sue spalle. Tom era seduto sul suo letto e gli voltava le spalle.

In silenzio gli si avvicinò e gli mise una mano sulla spalla. «Tom, ascolta...».

Non ebbe la possibilità di continuare, perché il chitarrista si alzò di scatto dal letto e gli fu addosso, spintonandolo fino al muro. Il suo viso era furioso e la violenza che stava usando per colpire Georg lasciò stupefatto l'amico.

«Adesso voglio che tu mi dia una spiegazione sensata a quello che mi hai detto poco fa! E non solo!», gli urlò in faccia Tom.

Georg lo fissò confuso. «E per cos'altro?».

Il chitarrista lo fece aderire ancora di più al muro con una spinta furiosa. «Per tutte le cazzate che mi hai raccontato fino ad ora!», gli rispose ad alta voce.

«Ma quali cazzate?».

«Piantala di fare il finto tonto! Si vede lontano un miglio che tu e Bill non state insieme veramente!».

Georg sbarrò gli occhi sconvolto. Ma come fa a saperlo? Bill non può avergli rivelato tutto, non l'avrebbe mai fatto.

«Non puoi dirlo», sussurrò, abbassando lo sguardo.

«Posso dirlo eccome, invece! Conosco mio fratello e conosco altrettanto bene il suo modo di fare! Primo: quando è innamorato, diventa fin troppo romantico, quasi insopportabile, direi, e non fa altro che parlare della persona che ama. Cosa che con te, invece, non fa! E secondo: io e lui ci siamo sempre detti tutto, non mi ha mai nascosto niente, e, quindi, se avesse una relazione con te, sono più che certo che me lo avrebbe detto!», spiegò Tom con la voce carica di rabbia e risentimento verso l'amico.

Il bassista, per un secondo, rimase imbambolato a guardarlo, cercando dentro di sé la forza per continuare a mentirgli e per non dover rivelare i propri sentimenti al chitarrista in quel modo. Ma le uniche banali parole che uscirono fuori dalla sua bocca furono "Ti stai sbagliando".
A quel punto, Tom non ci vide più dalla rabbia e alzò un pugno chiuso in aria, come per colpire l'amico. Ma si fermo a mezz'aria con il respiro affannato.

Georg lo scrutò freddo in volto. «Dai, colpiscimi. È quello che vuoi, no?», gli disse calmo, sfidando quasi il chitarrista a dargli un pugno.

Tom mosse ancora il pugno serrato verso il viso dell'amico, ma non lo colpì neppure questa volta: non ne aveva il coraggio e non era affatto quello che voleva.

Vaffanculo al mio cuore tenero
imprecò mentalmente il chitarrista.

Lentamente abbassò il braccio e, insieme a quello, anche i suoi occhi si andarono a posare sul pavimento. Lasciò andare il bassista e si allontanò da lui di qualche centimetro. Passò qualche secondo di silenzio fra i due, poi Tom si decise finalmente a parlare. C'era frustrazione nella sua voce.

«Non solo ti prendi gioco di me, ma ti diverti pure a trattarmi come una merda».

Georg sentì una fitta al cuore: l'ultima cosa che voleva era far soffrire Tom.

«Io voglio che tu mi dica il motivo. Perché stai facendo tutto questo?», continuò il chitarrista, alzando ancora il volume della voce, arrivando quasi a gridare. «Voglio saperlo, Georg. Voglio una spiegazione sensata del perché stai diventando uno stronzo e del perché io...».

Tom non ebbe la possibilità di continuare, perché Georg lo aveva afferrato per il collo della maglia e lo aveva attirato a sé con violenza.

Al diavolo il piano, le orribili conseguenze... Al diavolo tutto!
pensò il bassista, non pensando neanche per un secondo a quello che sarebbe potuto accadere dopo il suo gesto così impulsivo.

Quando il viso di Tom fu abbastanza vicino al suo, premette con forza le labbra sulle sue e chiuse gli occhi, inspirando a fondo il profumo del chitarrista: mai aveva sentito un odore più buono e dolce di quello. Avrebbe voluto che quel momento non finisse mai, che durasse in eterno, ma, purtroppo, sapeva che così non sarebbe mai stato.

Tom era rimasto stupefatto da quel gesto e, colto alla sprovvista, inizialmente non aveva fatto niente per opporsi a quel bacio. Mi sta... baciando...

Era sicuramente strano, molto insolito, ma non provava disgusto.

No, io non sono gay!
pensò poi con rabbia dentro di sé.

Con violenza spintonò via Georg, staccandosi dalle sue labbra e fissandolo negli occhi con odio.

Come ha osato fare una cosa del genere?


Tom non seppe come, ma la sua mano si serrò ancora una volta, le dita si strinsero insieme e, prima che potesse rendersene conto, aveva già colpito il viso di Georg con un pugno. Il bassista non si stupì di quel gesto: se lo aspettava e sapeva di meritarselo, in fondo. Si appoggiò con la schiena al muro, il volto ancora girato di lato e una mano appoggiata sulla guancia colpita. Faceva male e bruciava, ma quello non era niente in confronto a ciò che sentiva dentro.

Ho combinato un altro casino e questa volta ho rovinato tutto.


«Vattene dalla mia stanza».

Il sibilo di Tom lo distolse dai suoi pensieri. Fissò il chitarrista in volto e notò che i suoi occhi erano incollati al pavimento, i pugni delle mani serrati e abbandonati lungo i fianchi.

Gli faccio schifo e non riesce neanche a guardarmi
pensò Georg, non muovendo però un muscolo per andarsene dalla camera dell'amico.

«Ti ho detto di andartene! Subito!», disse Tom a voce più alta, voltandogli le spalle e continuando a fissare immobile il pavimento.

Georg abbassò gli occhi e si diresse lentamente verso la porta. Varcò la soglia, ma si fermò per tornare a guardare il chitarrista ancora una volta.

«Mi avevi chiesto una spiegazione... e io te l'ho data», disse infine, uscendo e chiudendo la porta dietro di sé.

Tom sospirò, il viso corrucciato e gli occhi ancora piantati a terra. Si portò una mano alle labbra, poi se la mise sugli occhi e tentò di regolare il suo respiro spezzato e il magone che sentiva in gola.

«Stronzo».







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Capitolo 4
*** I think to love him ***


04. I think to love him






Quella notte né Tom né Georg riuscirono a chiudere occhio. Le loro menti, i loro pensieri e i loro sentimenti erano confusi più che mai.
Il chitarrista, sdraiato sul letto con indosso solo un paio di boxer neri, continuava a rigirarsi sotto le coperte, tuffando più e più volte la testa nel cuscino, dandosi in continuazione dello stronzo per la sua reazione esagerata nei confronti dell'amico, che poco prima lo aveva baciato.

Perché non mi ha fatto schifo e perché mi sono sentito così piacevolmente strano in quel momento?


Aveva paura di porsi quelle domande e forse proprio per quello aveva dato un pugno a Georg: la paura di scoprire qualcosa di strano e di insolito dentro di sé lo aveva spinto ad essere violento e a trattare male una delle persone a cui voleva più bene, dopo Bill.

Ma io non sono gay! Non lo sono, cazzo!
pensò il rasta nella sua mente, cercando di convincersi da solo.

In un'altra stanza, intanto, un ragazzo dai capelli castani liscissimi continuava a darsi dell'idiota per ciò che aveva fatto.

Avrei dovuto resistere e non dirgli niente. Baciandolo, ho rovinato la nostra amicizia e niente sarà più come prima fra noi.


Questi pensieri continuavano a torturare Georg, seduto sul suo letto. Dormire era un'impresa impossibile, anche provarci sarebbe stato inutile. Si odiava per quello che aveva combinato. Voleva rivelare i suoi sentimenti a Tom da un po' di tempo, ma quello non era stato di certo il modo migliore per farlo.
Si portò una mano sulla guancia, dove poco prima Tom gli aveva mollato un pugno: non faceva più male, in fondo non l'aveva colpito così forte, ma faceva male comunque, in un altro senso.

Che razza di stupido che sono stato. Domani abbiamo pure un concerto qui in città... Come cazzo farò a guardarlo in faccia?


Nella stanza accanto a quella del bassista, Gustav continuava a rimuginare sull'accaduto. Erano un paio di giorni che Georg si comportava in modo strano e, quel giorno, anche Tom aveva dato qualche segno di stranezza. I due continuavano a squadrarsi in modo insolito e, in più, c'era stata quella litigata in cucina: il batterista non aveva sentito tutto quello che si erano detti, a causa di un certo ragazzo con i capelli da leoncino neri, che aveva continuato a gridare euforico per tutto il tempo in cui avevano gonfiato i palloncini, ma, da quello che aveva sentito, si capiva che Tom era arrabbiato con Georg per alcune bugie che continuava a raccontargli. Inoltre, Bill aveva detto una frase che aveva confuso ancor più Gustav: "Eh, l'amore...".

Cioè? Che vuol dire? Che Tom e Georg sono innamorati l'uno dell'altro?
si chiese improvvisamente sconvolto il batterista.

Infine, poi, entrambi i due amici erano andati a letto presto, nello stesso momento, e con due facce che non promettevano niente di buono. Già il fatto che Georg potesse essere gay gli suonava strano, se si parlava di Tom, poi, era una cosa veramente impossibile. Insomma, lui era il SexGott, quello che si portava un mucchio di ragazze a letto, fregandosene completamente dell'amore.

Figuriamoci se Tom è diventato gay... impossibile. E ancora più impossibile è il fatto che si sia innamorato
cercò di auto-convincersi il batterista.

Oltre a tutte quelle cose, c'erano due ultimi enigmi: perché Tom, ogni volta che vedeva il gemello avvicinarsi a Georg, o semplicemente parlargli, sembrava incazzato? E perché Georg, ultimamente, stava sempre attorno a Bill?

Ma che caspiterina c'entra Bill? Anche lui ci si mette per complicare ancor più le cose!


Gustav si portò una mano sulla fronte corrucciata. Io non ci capisco niente.

In un'altra stanza ancora, vicina a quella di Tom, Bill era l'unico che probabilmente riusciva a dormire sonni tranquilli. Sdraiato sotto le coperte e con la testa completamente tuffata nel cuscino, sognava beato.

«Mmm... palloncini... belli... I love you!».






Il sole era ormai sorto da varie ore, ma nessuno dei quattro ragazzi si era ancora alzato dal letto.
Gustav e Bill dormivano alla grande, Tom e Georg, invece, erano già svegli, ma nessuno dei due aveva intenzione di uscire dal tepore delle coperte. Entrambi guardavano il soffitto con estremo interesse, rigirandosi più e più volte nei loro letti.

Non lo voglio vedere
pensava il chitarrista, rendendosi conto che probabilmente il motivo per cui non voleva uscire dal letto era proprio il fatto di non voler incontrare l'amico. Cosa gli dico quando lo vedo, come mi comporto?

Non aveva la minima idea di come sarebbe andata quella giornata, ma di sicuro ritardare i tempi non sarebbe servito a niente: alla fine avrebbe comunque dovuto affrontare Georg. E poi era inevitabile: dopo il bacio della sera prima, era chiaro che prima o poi si sarebbero dovuti parlare.

Vaffanculo Georg, mi hai incasinato la vita con quel cavolo di bacio!


Tom sapeva di essere un po' esagerato, se ne rendeva conto, ma continuava comunque a far finta di essere lui la vittima di tutto.
Con un balzo fu giù dal letto, più arrabbiato e nervoso che mai. A grandi falcate raggiunse la porta e uscì nel corridoio del piano superiore con indosso solo i boxer e le ciabatte ai piedi. Non sentendo alcun rumore, se non il russare sommesso di Gustav nella camera lì vicino, si rese conto di essere l'unico sveglio in quella casa. O, almeno, pensò questo finché un'altra porta non si aprì, dopo che lui ebbe fatto pochi passi verso il bagno.

Tom girò piano la testa, sperando con tutto se stesso che non fosse la persona che pensava. Fa che non sia lui, fa che non sia lui continuava a supplicare mentalmente.

Quando però incrociò gli occhi stupiti del bassista, tutte le sue speranze vennero infrante.

Cazzo. Cosa faccio adesso?
cominciò a chiedersi Tom, andando completamente nel panico, quando vide Georg camminare verso di lui con passo lento e incerto.

I loro occhi erano praticamente incollati, tanto che uno riusciva quasi a vedere ciò che stava pensando l'altro dentro di sé. E forse fu proprio per questo che Georg, una volta raggiunto il chitarrista, non fece altro che passargli di fianco e andare avanti verso la porta del bagno. Non disse una parola, si limitò semplicemente a distogliere lo sguardo e a proseguire in silenzio. Tom, che era rimasto come pietrificato per tutto il tempo che Georg aveva impiegato per attraversare il corridoio, si irrigidì all'istante, appena il braccio del bassista sfiorò per sbaglio il suo, mentre questo lo sorpassava. Anche Georg sentì un brivido alla schiena, ma l'unica cosa che fece fu andare avanti fino al bagno. Quando fu sulla soglia della porta, fu costretto a fermarsi da qualcosa che non si sarebbe mai aspettato.

«Georg», lo chiamò improvvisamente Tom con la voce tremante.

Il bassista sobbalzò stupefatto e lentamente si voltò verso l'amico, guardandolo confuso, ma anche speranzoso.

Cosa sto facendo? Perché l'ho chiamato?
si maledì mentalmente il chitarrista, tormentandosi le mani nervoso.

Georg rimase in silenzio e aspettò paziente: sapeva bene che Tom per esprimersi impiegava sempre vari minuti.

Cosa gli dico? Che mi dispiace?
si interrogava il chitarrista, guardando il pavimento ai suoi piedi. No, non ci penso neanche! È lui quello che deve chiedere scusa a me!

«Sei uno stronzo!», esclamò alla fine Tom, fissando rabbioso gli occhi dell'amico.

Per Georg quelle tre parole erano state come tre pugnalate al cuore, ma non voleva darlo a vedere.

Abbassò gli occhi, sospirò ed entrò nel bagno. «Grazie», disse infine, prima di chiudere la porta e lasciare il chitarrista solo nel corridoio.

Tom rimase immobile come un baccalà a fissare la porta chiusa, respirando affannosamente. Grazie? GRAZIE? Che razza di risposta è "grazie"? pensò con rabbia, riducendo gli occhi a due fessure.

Con uno scatto fulmineo schizzò in avanti e, dopo aver percorso il corridoio a grandi falcate, raggiunse la porta del bagno e cominciò a sbatterci sopra un pugno con violenza.

«Apri subito! Non puoi rispondermi così, dopo quello che hai fatto ieri sera! Voglio le tue scuse! Mi hai capito?», continuò ad urlare per un bel pezzo.

«Tom... che cosa stai facendo? Perché fai tutto questo rumore?», chiese improvvisamente una voce impastata dal sonno, che Tom riconobbe immediatamente come quella di Bill.

Il gemello, infatti, era fermo sulla soglia della sua camera, i capelli scompigliati e gli occhi sottili e assonnati.

«Torna in camera, Bill. Devo risolvere una questione con il tuo presunto fidanzato», esclamò Tom, ricominciando a bussare sulla porta del bagno.

«Con il mio cosa?».

«Vai a sognare i palloncini e non rompere!».

Bill mise su il broncio e rientrò in camera sua. «Cattivo», commentò offeso, chiudendosi la porta alle spalle.

Scusami, Bill, ma adesso devo disintegrare una persona.


«Georg, ti ordino di aprirmi! Non me ne andrò finché non ti avrò detto in faccia tutto quello che penso di te!», riprese ad urlare il rasta.

Improvvisamente la porta del bagno si aprì di scatto e Georg comparve sulla soglia, completamente nudo. Tom si bloccò di colpo e sbarrò gli occhi sconvolto, ma non ebbe il tempo di replicare, perché il bassista lo afferrò per un braccio e lo trascinò dentro al bagno.

Una volta chiusa la porta, Georg si voltò verso il rasta e lo fissò serio. «Fai in fretta allora. Devo farmi una doccia», commentò con freddezza, fissando gli occhi dell'amico.

Tom deglutì rumorosamente, sentendo le guance diventare improvvisamente bollenti. Era come se la testa andasse per conto suo, non permettendogli di mettere insieme un pensiero sensato: tutto quello che aveva in mente di dire al bassista era scomparso dalla sua testa, la rabbia si era trasformata in vergogna e i suoi occhi erano incollati al fisico nudo di Georg. Più volte gli era capitato di vedere il suo petto, durante i concerti o in estate, quando girava per casa senza maglia, ma la parte inferiore del suo corpo non l'aveva mai vista. In quel momento, invece, era davanti a lui, completamente priva di barriere e di tessuti che potessero nascondergli l'intimità dell'amico.

Mio Dio...
pensò senza fiato, fissando ancora con sguardo ebete il bassista. Ma che cosa sto facendo? si chiese poi sconvolto, andando completamente nel panico e costringendo i propri occhi a guardare qualsiasi altra cosa che non fosse il corpo di Georg.

«Tom», lo chiamò improvvisamente il bassista, continuando a guardarlo serio. «Mi vuoi dire quello che pensi, oppure vuoi continuare a farmi una radiografia? Che, a quanto pare, non ti dovrebbe dispiacere neanche tanto».

Tom strinse i pugni e tornò in un secondo a fissare furioso il volto dell'amico. Scattò in avanti, spezzando la poca distanza che li divideva, e lo mise con la schiena attaccata alla porta, le mani premute sulle sue spalle nude e i visi a pochi centimetri di distanza l'uno dall'altro.

«Mi hai veramente rotto le palle! Prima mi baci, e mi devi ancora spiegare perché l'hai fatto, e poi hai anche il coraggio di fregartene così?», gli urlò contro il rasta, puntando gli occhi in quelli dell'amico.

Georg accennò un piccolo sorrisetto. «Contraccambio l'affetto», disse ironicamente.

Tom lo fece aderire ancora di più alla porta, spingendosi contro di lui arrabbiato. «E ti giuro che, se non la pianti di fare lo spiritoso, ti gonfio di botte fino a mandarti all'ospedale!».

«Fallo, allora».

Tom fece per ribattere, ma si bloccò improvvisamente, fissando confuso gli occhi del bassista. Ma perché fa così?

L'espressione del suo viso si rilassò un po', diventando quasi triste. Abbassò gli occhi e sospirò.

«Georg, perché...», sussurrò piano, ma Georg lo interruppe, cingendogli la vita con le braccia e stringendolo a lui con forza.

Solo in quel momento Tom si rese conto della situazione in cui si trovava: Georg era completamente nudo e lui, invece, aveva indosso solo i boxer. Senza contare, poi, che erano attaccati ad una porta, completamente avvinghiati l'uno all'altro.

Perfetto
pensò ironicamente il chitarrista, sentendo il respiro caldo dell'amico nell'incavo della sua spalla.

Georg inspirò a pieni polmoni l'odore del rasta, rendendosi conto di essere come drogato da quel profumo così buono. La scena era più o meno quella della sera prima, solo che Tom, questa volta, non l'aveva ancora respinto. Proprio per quel motivo il bassista decise di osare di più.

Tanto, ormai, il guaio è fatto.


Con lentezza appoggiò le labbra sulla spalla nuda del chitarrista e cominciò a schioccarvi sopra una serie di piccoli baci, arrivando fino alla base del collo.

Tom sbarrò gli occhi e il suo respiro divenne sempre più veloce. «Georg...», lo chiamò piano, non ricevendo però risposta o alcun segno di cedimento da parte dell'amico.

Georg, infatti, non si fermò, concentrato com'era nel suo lavoro. Risalì con le labbra fino al collo del rasta e intensificò la passionalità dei baci, succhiando la pelle bianca e lasciandovi sopra una serie di chiazze rosse; si fermò in un punto preciso e succhiò più forte, volendo lasciare un segno più evidente degli altri. Sorrise, quando sentì il respiro del chitarrista farsi più veloce.

«Allora ti piace», sussurrò piano, avvicinando le labbra al suo orecchio.

Tom cercò di calmarsi e di regolare non solo il suo respiro, ma anche il battito del proprio cuore. «Georg... smettila», sussurrò fra i sospiri.

«Sicuro?», gli chiese ironico il bassista, baciando il rasta sotto al mento.

«S-sì...», soffiò Tom, chiudendo gli occhi.

«Se vuoi che mi fermi, allora devi darmi un pugno», gli disse Georg nell'orecchio.

«Georg, ti preg...», supplicò il chitarrista, venendo interrotto da un gemito di piacere, che gli scappò dalle labbra, quando sentì la lingua di Georg tracciare disegni astratti sul suo collo.

Il bassista sorrise compiaciuto. «Mi fermerò solo con un pugno, Tom», gli ricordò ancora, non interrompendo comunque il suo lavoro.

Il rasta si spinse ancor più contro il corpo dell'amico, volendo godere di più di quelle sensazioni che Georg gli stava regalando. Mio Dio, mi sembra di essere impazzito pensò nella sua mente, non respingendo però l'amico.

«Allora? Questo pugno?», lo incitò il bassista, prendendosi un po' gioco di lui.

«'Sta zitto», sibilò Tom, continuando a sospirare e a tenere gli occhi chiusi.

Georg ridacchiò contro la sua pelle e riprese a fare quello che stava facendo prima: piccoli baci, morsi, leccate... Stava letteralmente facendo impazzire il chitarrista. Partì dalla spalla, risalì il collo e arrivò al mento del rasta. Avvicinò le labbra alle sue, ma Tom si scostò appena sentì il respiro del bassista sulla sua bocca.

«No», disse a bassa voce il chitarrista, aprendo gli occhi e guardando le labbra del bassista.

Georg lo fissò confuso. «Va tutto bene?», gli chiese incerto.

«No», gli rispose Tom, cercando di staccarsi da lui. «Non voglio».

«Okay», disse il bassista, inarcando un sopracciglio.

«Fammi uscire», disse tutto ad un tratto il chitarrista, riprendendo coscienza di sé e agitandosi all'istante.

Georg rafforzò la presa intorno alla sua vita, trattenendolo ancora addosso a lui. «Che hai?», gli chiese calmo, ma confuso.

Dopo poco, Tom riuscì a staccarsi da lui e provò ad aprire la porta. Non ci riuscì, perché il bassista gli bloccava il passaggio, tenendola chiusa.

«Spostati», gli ordinò ad alta voce.

Georg lo guardò beffardo. «Ti sta bene farti fare i succhiotti, ma un bacetto sulle labbra ti manda fuori di testa? Tu hai qualche problema serio», gli disse sarcastico, con le sopracciglia inarcate.

«Lo avrai tu qualche problema serio, se non ti sposti subito!», lo minacciò Tom, riprovando ancora ad aprire la porta.

«Cos'è, ti fa paura il fatto che ti sia piaciuto? Oh, benvenuto nel mio mondo, allora!», esclamò sarcastico, inarcando le sopracciglia.

Tom, a quel punto, non ci vide più. Alzò in alto la mano e gli mollò uno schiaffo sulla guancia.
Per quante volte ancora si sarebbe dovuta ripetere quella scena?
Georg fece una smorfia e si passò una mano sulla guancia colpita, la stessa della sera prima. Lentamente si scostò dalla porta e l'aprì.

«Vai», sussurrò, lasciando la via libera al chitarrista.

Tom non disse nulla, abbassò semplicemente gli occhi a terra e uscì dal bagno a grandi passi. Mentre percorreva il corridoio, sentì la porta richiudersi e solo allora si fermò e rimase immobile. Quello che sentiva in quel momento era lo stesso della sera prima: il respiro spezzato, il magone in gola e la voglia di piangere che montava in corpo.

Io non piango, non lo faccio mai
pensò il rasta nella sua testa, mentre cercava in tutti i modi di trattenersi.

In quel momento, un'altra porta si aprì e da una camera uscì Gustav, ancora assonnato. Vedendo l'amico fermò in mezzo al corridoio, in uno stato alquanto strano, gli si avvicinò preoccupato.

«Tom, tutto bene?».

Il chitarrista non rispose, continuando a fissare il pavimento e a respirare affannosamente.

«Ehi...», ci riprovò Gustav.

Mentre cercava di farlo parlare, i suoi occhi caddero su tre macchie rosse presenti sul collo dell'amico.

«Che cos'hai sul collo? Sembrano... succhiotti. Ma ieri non li avevi, quando te li sei fatti fare?», gli chiese confuso, esaminandoli attentamente.

Tom si mise veloce una mano sul collo per coprirli, pur non sapendo con precisione dove Georg glieli avesse fatti, e fece qualche passo indietro, guardando con occhi lucidi e assenti quelli di Gustav.

«Ma stai bene?», gli chiese ancora l'amico, cominciando a preoccuparsi sul serio.

«No», sussurrò piano Tom, allontanandosi da lui e andando verso un'altra porta, quella della stanza di suo fratello.

Cominciò a bussare, chiamandolo a voce alta.

Dopo poco, la voce di Bill si fece sentire dall'altra parte della porta. «Che vuoi?», gli chiese con una punta di acidità, arrabbiato ancora per quello che era successo poco prima.

«Bill, fammi entrare», gli disse Tom con la voce bassa, che tremava appena.

«Non ci penso neanche! Prima mi cacci via e poi vuoi la mia compagnia? Scordatela!».

Il rasta appoggiò la fronte contro la porta e prese un bel respiro profondo per cercare di non scoppiare in lacrime lì nel corridoio, davanti a Gustav. «Per favore», supplicò ancora il chitarrista, la voce che ormai preannunciava il pianto.

In meno di due secondi, la porta si aprì e Bill comparve sulla soglia con uno sguardo serio e al tempo stesso preoccupato.

«Che succede?», gli chiese affannato, dopo essersi buttato letteralmente giù dal letto e aver percorso di corsa il piccolo pezzo che lo divideva dalla porta.

Tom puntò gli occhi tristi e lucidi in quelli del gemello, rimanendo immobile e tremante sul posto a guardarli. Nonostante tutti gli sforzi che aveva fatto per non piangere, ad un tratto, una lacrima sfuggì fuori dalle sue ciglia e scese lungo la guancia.

«Tomi...», sussurrò Bill, preoccupato e triste di vedere il fratello in quelle condizioni.

Il chitarrista non aspettò oltre e d'impeto abbracciò il gemello, cercando conforto nell'unica persona al mondo che potesse dargliene veramente. Bill si stupì di quel gesto: già era sconvolto di vedere il fratello maggiore, anche se solo di dieci minuti, piangere in quel modo, poi non capitava molto spesso che lo abbracciasse così apertamente, persino davanti a qualcun'altro. Ma non sopportava comunque di vederlo in quelle condizioni. Fino a quel momento era sempre stato Tom a confortarlo, quando ne aveva avuto bisogno; adesso doveva fare lo stesso per il suo fratellone.

«Dai, vieni dentro», gli disse con dolcezza, portandolo lentamente dentro la stanza.

Prima di chiudere la porta, fece segno a Gustav di stare tranquillo, che non era niente di grave. Anche se, a dir la verità, non sapeva affatto se fosse qualcosa di grave o meno.
Dopo essere rimasti soli, Bill condusse il gemello fino al letto e lo fece sedere accanto a lui, non smettendo di stringerlo a sé.

«Tomi, mi dici che cos'hai?», gli chiese dolcemente.

Tom, che non aveva ancora smesso di piangere e che fino a quel momento non aveva permesso neppure ad un singhiozzo di uscire fuori dalla sua bocca, se ne lasciò scappare uno, mentre cercava di parlare. «Georg», riuscì solo a dire.

In fondo, Bill lo sapeva che si trattava di Georg. È chiaro che prima Tom stesse ordinando a Georg di aprirgli. Probabilmente è successo qualcosa dopo, quando me ne sono andato ragionò il cantante, pensando agli urli che aveva sentito poco prima.

«Cos'è successo fra voi due?», gli chiese ancora.

«Io credo di...», provò a dire Tom, soffocando un altro singhiozzo sulla spalla del gemello.

Bill aspettò paziente, dandogli tutto il tempo per esprimersi.

«Io credo di... di...».

Non ce la faccio, non riesco a dirlo
pensò Tom disperato.

«Amarlo?», concluse il gemello per lui.

Per un momento, il respiro del chitarrista si bloccò ed ebbe un tuffo al cuore.
Che fosse veramente quella la risposta a tutti i suoi dubbi? Forse Bill aveva capito meglio di lui?
Ma, effettivamente, non c'era da fidarsi più di tanto: il suo gemello era fissato con l'amore.

Però, forse... forse questa volta ha ragione.









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Capitolo 5
*** A stolen kiss ***


05. A stolen kiss






Bill e Tom rimasero chiusi dentro quella stanza per un sacco di tempo, forse per ore. Neanche se ne resero conto, ma tutta la mattina la passarono lì dentro a parlare.
Tom, dopo essersi calmato e ricomposto almeno un po', si era messo a raccontare tutto quello che era successo fra lui e Georg la sera prima e nel bagno. Bill lo aveva ascoltato attentamente, rimanendo molto stupito quando il gemello gli aveva detto come inizialmente non si fosse opposto alle "attenzioni" del bassista: mai avrebbe pensato che il fratello si sarebbe fatto fare una cosa del genere, soprattutto da un ragazzo, poi. Certe cose non se le faceva fare neanche dalle sue groupies.
Attraverso ciò che Tom gli raccontava, Bill cercava di intuire quali fossero i veri sentimenti del fratello, cercando di capire le sue emozioni: c'era una grande confusione nella sua testa, tanta paura ed incertezza. Ma, ormai, un'idea il cantante se l'era fatta.
Il rasta, poi, siccome non voleva uscire dalla stanza, aveva mandato in missione il cantante a prendere dalla sua camera i suoi vestiti, siccome non gli andava di stare mezzo nudo e con i segni rossi sul collo, che il fratello non smetteva neanche per un secondo di fissare con un'espressione del volto che il chitarrista non riusciva neanche a decifrare.
Quando il cantante rientrò nella stanza e Tom si fu rivestito, ripresero la loro conversazione.

«È inutile cercare scuse, Tom. Sei cotto di lui», esordì Bill con un sorriso felice sulle labbra.

Tom lo guardò sconvolto, scuotendo vigorosamente la testa. «No, ti sbagli. Io non mi innamoro mai».

«Guarda che non sei tu a deciderlo, succede e basta».

«Sì, ma...».

Non proseguì, improvvisamente la voce non riusciva più ad uscire dalla sua gola secca. Lentamente abbassò gli occhi sulle coperte del letto e rimuginò sulle ultime parole del gemello.

Non nego di essere attratto fisicamente da Georg, e questa cosa è fin troppo preoccupante, ma addirittura esserne innamorato? No, è solo un'infatuazione.


Bill osservò le buffe espressioni del viso del gemello, intuendo che stesse pensando a ciò che gli aveva appena detto. «La verità è che sei solo spaventato ed insicuro, perché ti sei accorto di provare attrazione per un altro ragazzo, ma ormai è chiaro come il sole che tu provi qualcosa di più dell'affetto per Georg. Io le so queste cose, te le leggo negli occhi, Tomi», concluse sorridente e soddisfatto, annuendo col capo, come per darsi ragione da solo.

Tom lo guardò incerto, non troppo sicuro di quello che il fratello gli stesse dicendo. Secondo me, è un po' esagerato.

«E poi c'è un'altra cosa», continuò il cantante. «Quando sei innamorato, cioè in questo caso, diventi adorabile! Sei troppo dolce, soprattutto nei miei confronti! Perciò, Georg è una specie di benedizione!».

Tom si stupì quasi di non vedere gli occhi del gemello diventare a forma di cuoricino: la sua espressione era talmente sognante che non si sarebbe stupito neanche di quello.

«Senti, Bill, capisco che tu sia su di giri per il fatto che io ti sia venuto a cercare in un momento un po'... difficile, ecco, ma... IO NON SONO INNAMORATO! NON AMO GEORG!», esclamò il chitarrista esasperato, gesticolando e saltando leggermente sul letto.

Bill sbuffò e mise su il broncio. «Sai che sei cocciuto come un mulo? Come fai a non rendertene conto?».

Tom scosse la testa contrariato e in quello stesso momento si rese conto che Bill si stava alzando dal letto per dirigersi poi verso la porta.

«Oh, beh... tanto prima o poi te ne accorgerai da solo», commentò il moro con aria da saggio, aprendo la porta della stanza.

«Dove vai?», squittì Tom sconvolto, non dando troppo ascolto alle ultime perle di saggezza pronunciate dal gemello.

Il cantante inarcò un sopracciglio confuso, fermandosi sulla soglia. «Vorrei lavarmi e fare colazione».

«E lasciarmi qui da solo? E se entra Georg?».

«Perché mai dovrebbe entrare nella mia stanza? E, anche in quel caso, hai forse paura che ti stupri?».

Il chitarrista si zittì e corrugò la fronte. «Di certo non mi lascerei stuprare... e poi non è questo il punto! È che non voglio vederlo», spiegò un tantino imbarazzato, abbassando gli occhi sulle sue mani, che continuava a torturarsi già da un pezzo.

Bill sospirò con un piccolo sorrisetto sulle labbra. «Tanto lo dovrai vedere comunque: stasera abbiamo il concerto e fra meno di due ore David passa a prenderci per le prove».

Tom sbuffò e si mise una mano sugli occhi, massaggiandoli delicatamente. «Già, me ne ero dimenticato. Come cavolo farò a...».

«Mentre ci pensi, io vado a mangiare!», lo interruppe il gemello, buttandosi fuori dalla stanza e richiudendo velocemente la porta, prima che Tom potesse replicare.

Il rasta guardò un tantino offeso la porta chiusa. «Traditore», borbottò a bassa voce.

Rimase seduto sul letto di Bill ancora per qualche minuto, fissandosi attorno e pensando ad un modo per uscire dalla stanza senza farsi vedere da Georg.
Stava proprio escogitando un piano, quando il suo orgoglio da sciupa femmine tornò a farsi sentire.

Un momento... perché mai dovrei nascondermi? Che cavolo, io sono il SexGott, che mi frega se lui gira da queste parti? Posso benissimo passargli accanto e guardarlo dall'alto in basso. Perché? Perché io sono superiore! Ha due anni in più di me? Beh, io sono più alto! Posso benissimo buttarlo giù per la tromba delle scale!


Dopo vari minuti di monologo mentale, Tom trovò finalmente il coraggio per andare verso la porta della stanza. L'aprì con decisione e, in un batter d'occhio, fu fuori nel corridoio.

Allargò le braccia e respirò a fondo. Ecco, nessuno può spaventare Tom Kaulitz! Nessuno!

Proprio in quel momento, una porta alla fine del corridoio si aprì e Georg uscì fuori, finalmente vestito e pronto per fare colazione.

Tom sbarrò gli occhi sconvolto fino al massimo possibile, sbiancando immediatamente in volto. Cazzo!

Più veloce di una faina si fiondò addosso alla porta della stanza di Bill e, siccome aveva dimenticato di averla già chiusa, ci cozzò contro e per poco non finì disteso a terra.

«Ahia, porca puttana!», urlò dolorante, cercando di risistemarsi la fascia e il cappellino, che gli erano completamente calati sugli occhi.

Non riuscendo a mettersi a posto, cercò comunque di aprire la porta alla cieca, tastando in giro in cerca della maniglia, che però non trovò. Decise allora di buttarsi addosso alla porta di peso, sperando che quella si aprisse comunque.

A mali estremi, estremi rimedi
pensò deciso il chitarrista, lanciandosi in avanti con tutto il suo peso.

Invece che sbattere contro la porta, però, cozzò contro il muro e successivamente si sentì cadere all'indietro.

«AIUTO!», urlò con tutta la voce che aveva in corpo, spaventato dall'idea di cadere giù dalle scale, che era sicuro fossero lì vicino.

Improvvisamente, la sua caduta venne interrotta da due forti braccia, che lo avvolsero da dietro e lo sorressero prontamente. Si sentì avvolgere da un lieve profumo di bagnoschiuma e di pulito, un odore che gli piacque molto. Sentì le gambe cedergli, ma la persona che ancora lo teneva stretto lo abbracciò più forte e lentamente lo fece sedere sul pavimento, togliendogli prima il cappellino e poi la fascia dagli occhi. Tom poté finalmente vedere chi lo teneva ancora stretto, anche se, in fondo, sapeva già chi fosse: Georg era seduto per terra e lo teneva tra le sue braccia, guardandolo serio, ma anche preoccupato.
Il chitarrista ebbe un capogiro e la vista gli si offuscò, così da peggiorare ancor più la sua situazione e da provocargli addirittura la nausea. Lentamente appoggiò la fronte contro il collo del bassista, respirando quel profumo che sembrava farlo stare meglio.

«Mi gira la testa», sussurrò Tom ad occhi chiusi e con una smorfia di dolore sul viso.

«Ci credo. Con tutte le testate che hai dato contro la porta e il muro. Guarda che non ti avrei mangiato di certo», gli rispose piano Georg, con una punta di ironia nella voce.

Tom si sentiva troppo male per rendersi conto della situazione in cui si trovava. Sapeva solo che essere fra le braccia di Georg e con il suo profumo che gli riempiva i polmoni lo faceva stare bene come mai prima di allora. Non aveva provato nemmeno imbarazzo, quando gli aveva fatto intendere di aver capito che stesse scappando da lui.

Georg gli mise una mano dietro la testa e fece così premere ancor più la fronte del chitarrista contro il suo collo. «Ti senti meglio?», gli chiese dolcemente.

«Resta fermo così ancora un po'», sussurrò Tom, ancora stordito dai colpi dati al muro.

«Okay», gli rispose l'amico, sistemandosi meglio a sedere e aspettando che il rasta si riprendesse almeno un po'.

Passarono diversi minuti e a poco a poco il dolore alla testa di Tom si attenuò, così da poter riottenere almeno un po' di lucidità, che gli diede la forza di staccarsi da Georg. Non lo respinse bruscamente, in fondo lo aveva aiutato a non farsi male sul serio. Semplicemente, si allontanò da lui lentamente, sedendosi a pochi centimetri di distanza.

Imbarazzato abbassò il capo sulle sue mani e deglutì rumorosamente. «Grazie», sussurrò incerto, schiarendosi un po' la voce alla fine.

Non lo vide, perché era ancora intento a guardarsi le mani, ma sentì il corpo del bassista avvicinarsi ancora a lui. Con un dito posato sotto il mento, Georg gli alzò il volto e lo costrinse così a guardarlo negli occhi.

È troppo vicino
pensò Tom, deglutendo ancora, quando sentì il respiro dell'amico sulla sua bocca.

Georg sorrise e incollò gli occhi ai suoi. «La prossima volta che decidi di massacrarti di botte da solo, vedi di non buttarti giù dalle scale, altrimenti sarò costretto a seguirti per salvarti», gli sussurrò con una punta di malizia nella voce.

In quel momento, Tom si stupì di quanto trovasse Georg così maledettamente... sexy. Il suo modo di fare con lui, i suoi occhi, la sua voce...

Sto andando fuori di testa, non c'è alcun dubbio
pensò il chitarrista, ancora intento a perdersi negli occhi del bassista.

Georg, vedendo la confusione dipinta sul viso dell'amico, sorrise e si chinò ancora un po' su di lui per potergli dare un leggero bacio sulla punta del naso. A quel gesto, Tom arrossì come mai prima di allora e poté quasi sentire il cuore in gola da quanto batteva forte.

Il bassista gli sorrise ancora per qualche istante, poi fece forza sulle ginocchia e si alzò in piedi. «Vieni a mangiare qualcosa. Hai bisogno di forze per stasera», gli disse infine, voltandosi e scendendo le scale del piano superiore.

Tom lo guardò con la bocca socchiusa, finché le scale glielo permisero. Quando Georg scomparve, il chitarrista sospirò sollevato e si portò una mano sopra il petto per costringere il proprio cuore a calmarsi.

È impossibile che mi faccia agitare così tanto. Nessuno, prima d'ora, c'era mai riuscito. Devo riprendermi, anche perché è chiaro che non sto tanto bene. Da quando arrossisco per un bacetto sul naso? Ma poi lui non doveva neanche darmelo, è questo il punto! Oh, io penso troppo!


Si alzò di scatto in piedi e, sbuffando, scese le scale.

Ho paura di sapere come andrà il concerto di stasera. E, chissà perché, ho una brutta sensazione...







«Ragazzi, siete pronti per l'incontro con le fan?».

La voce di David arrivò alle orecchie dei quattro ragazzi, seduti su dei divanetti bianchi dentro ad una stanza silenziosa.
Il pre-concerto era sempre così: si riunivano insieme in una stanza e aspettavano nervosi ed in silenzio; poi, come al solito, arrivava il loro manager, che li avvertiva dell'incontro con le fan. Per tutti loro era un piacere incontrare da vicino le persone che amavano la loro musica, ma quella sera uno di loro non era proprio dell'umore giusto per gli incontri: Tom aveva un'aria piuttosto scocciata e anche molto tesa. Sentiva che sarebbe successo qualcosa che non gli sarebbe piaciuto, ma sperava con tutto il cuore che non fosse così.

«Sì, siamo pronti», rispose Bill, alzandosi per primo e respirando profondamente.

Uscì dalla porta, seguito dagli altri tre amici. David li portò davanti ad un'altra porta bianca e, dopo averla aperta, si fece da parte per permettere al gruppo di passare. Una volta entrati dentro, una serie di gridolini sommessi arrivarono alle loro orecchie: sette o otto fan li stavano guardando meravigliate, alcune con le mani premute sulle bocche per non esplodere in urli di pura felicità.
Bill sfoderò uno dei suoi più bei sorrisi e si avvicinò alle ragazze, salutandole con un inglese non perfetto, ma facile da capire; Gustav e Georg fecero lo stesso; Tom si limitò soltanto a sorridere e a fare un cenno col capo.
Le ragazze cominciarono a tirare fuori le loro macchine fotografiche e alcuni cd e foto da fare autografare. I quattro ragazzi andarono avanti a fare foto e autografi per diversi minuti, poi per le ragazze venne il momento di andare. Ad una ad una schioccarono un bacio sulle guance dei quattro tedeschi, sorridendo felici e ringraziandoli di quei pochi momenti che gli avevano dedicato.

Meno male che è finita. Sono così carine e gentili e non mi va proprio di deluderle con il mio umore di merda, oggi
pensò Tom, sospirando sollevato.

Ad un certo punto, il chitarrista notò una ragazza non tanto alta rispetto alle altre, con dei lunghi capelli castani che le dondolavano sulla schiena mezza nuda. Effettivamente, si poteva dire che fosse quasi svestita, con tutti quei micro abitini che aveva addosso. La vide avvicinarsi con fare provocante a Georg, sorridendogli maliziosamente e alzandosi sulla punta dei piedi per avere anche lei il suo bacio. Il bassista le sorrise e fece per girare di poco la testa per baciarle la guancia, però la ragazza fu più veloce di lui e piegò la testa di lato per incollare così le labbra a quelle di Georg.

Tom sbarrò gli occhi inorridito. Che diavolo sta facendo quella? pensò con rabbia, rimanendo a bocca aperta di fronte a quella scena.

Un bodyguard presente nella stanza scattò subito in avanti per allontanare la ragazza, ma lei aveva già avuto modo e tempo per approfondire il bacio, infilando la lingua nella bocca del bassista. Georg non sembrava affatto infastidito, infatti non aveva fatto nulla per staccarsela di dosso. Il bodyguard costrinse la ragazza a togliersi di dosso al bassista e la portò immediatamente fuori dalla stanza con la forza.
Tom, ancora a bocca aperta, notò che la ragazza stava sorridendo felice e che Georg la guardava, mentre la portavano fuori, sorridendole a sua volta.

Che diavolo le è saltato in mente?
pensò il chitarrista, non riuscendo a spiegarsi il perché di tutta quella rabbia che sentiva dentro di sé.

Quando la band rimase da sola nella stanza, Bill si voltò a guardare con gli occhi pieni di stupore il bassista. «Certo che alcune fan sono proprio disposte a tutto, pur di ottenere quello che vogliono. Caspiterina, ti si era attaccata addosso come una sanguisuga!», scherzò il cantante, ridendo.

Gustav non disse nulla, si limitò semplicemente a scuotere la testa con un sorriso sulle labbra.

Georg rise di gusto e si passò una mano fra i capelli. «Però non era male».

Tom lo fulminò con lo sguardo. «Che cazzo ridi?», sbottò indignato e con un tono di voce fin troppo alto.

Il bassista si voltò a guardarlo confuso. «Che hai?», gli chiese scettico.

«È arrabbiato perché non l'ha dato a lui il bacio», scherzò Gustav.

«Ma vaffanculo!», gli rispose brusco Tom.

Il batterista smise di ridere e lo fissò confuso.

Non me ne frega niente se ci è rimasto male
se ne infischiò il chitarrista, tornando a fissare furioso il bassista.

«Ti sei fatto pure palpare il culo da quella lì!», sbottò a voce ancora più alta di prima.

Georg inarcò un sopracciglio. «E allora?».

A Tom formicolavano le mani per la rabbia. Se fossero stati soli, gli avrebbe sicuramente tirato un altro schiaffone.

Bill osservava serio la scena, guardando in silenzio i due ragazzi. Si vede lontano un miglio che è geloso pensò, guardando il fratello. Però Georg, se dice di sentire qualcosa per lui, avrebbe anche potuto evitare di lasciarsi baciare e di dire poi queste cose davanti a Tom.

«Che problemi hai, Tom?», gli chiese Georg beffardo.

«Ti diverti a prendermi per il culo, brutto stronzo?».

In quello stesso momento, David entrò nella stanza con un'espressione confusa sul volto. «Che modo di parlare è questo? Tom, controlla il linguaggio e, voi altri, vedete di darvi una mossa: è ora di andare», ordinò con voce severa, invitando i quattro ragazzi a seguirlo in un'altra stanza per prepararli al concerto.

Bill e Gustav annuirono, uscendo dalla stanza a testa bassa; Tom e Georg, invece, rimasero a fissarsi, il bassista inespressivo e il chitarrista furioso.

Ad un certo punto, Tom abbassò lo sguardo a terra, continuando però a mantenere un'espressione arrabbiata. «Io e te dobbiamo fare un bel discorsetto, dopo il concerto. Ricordatelo», sibilò il rasta, mentre passava di fianco al bassista, per poi uscire dalla porta.

Georg lo osservò andarsene in silenzio, scuotendo la testa, una volta rimasto solo. Sei tu che mi prendi per il culo, Tom.






La folla gridava e le ragazze impazzirono, quando le prime note di "Ich Brech Auch" riempirono l'aria; un boato spaventoso arrivò alle orecchie dei quattro ragazzi della band.
Tom e Georg, ai due lati del palco, cominciarono a suonare, Gustav a battere con foga il ritmo sulla batteria e Bill era pronto per uscire in scena per ultimo. Quando la sua voce cominciò ad arrivare alle orecchie delle fan, le urla aumentarono e l'adrenalina salì sempre più. Bill cantò con passione e cominciò a prendere a poco a poco familiarità con il palco, ballando e percorrendo la lunga passerella, che gli permetteva di avvicinarsi di più alle fan.

Buon inizio
pensò il cantante. Speriamo che continui così.

Lanciò un'occhiatina sia al gemello sia a Georg: entrambi erano impegnati a suonare e a rivolgere di tanto in tanto qualche occhiata fugace alle ragazze di fronte a loro. Per il resto, non si guardavano mai, come, invece, era loro solito fare. Alcune fan si accorsero di questo piccolo particolare quasi subito e ne rimasero alquanto deluse: adoravano vedere quanto i componenti della band fossero affiatati, era una delle cose più belle e le facevano impazzire.
Bill, alzando gli occhi al cielo, decise di intervenire: non potevano continuare a fare un concerto con due di loro che si ostinavano a tenersi il broncio. Muovendosi a ritmo di musica, si avvicinò a Tom e appoggiò la sua spalla contro quella del gemello. In un momento in cui la musica aveva la prevalenza sulla voce, Bill si avvicinò al suo orecchio, tenendo il microfono lontano dalla bocca per far sì che sentisse solo il diretto interessato.

«Piantala di tenere il muso e fai finta che sia tutto come al solito», sibilò il cantante, facendo intuire al fratello di essere alquanto seccato dal suo comportamento.

Tom sbuffò e continuò a fissare le corde della sua chitarra. Spero che ti vada di traverso la tua stessa saliva mentre canti, Bill imprecò mentalmente.

Il chitarrista alzò di poco il capo, puntando gli occhi verso Georg: era vicino a Bill, perciò il rasta dedusse che il fratello avesse spronato anche l'amico a far sembrare tutto normale agli occhi delle fan. Odiava recitare, soprattutto davanti alle ragazze che li seguivano con così tanto amore, ma avrebbe dovuto obbedire, altrimenti il gemello avrebbe potuto sfinirlo fino alla morte con le sue ramanzine, dopo il concerto.

Sempre a me devono capitare queste cose
si lamentò il rasta. Devo pure fingere di andare d'accordo con quel maledetto, che ha preferito quella sgualdrina a me, dopo tutte le pene che mi ha fatto passare con le sue provocazioni. È insopportabile!

Lentamente, forse con fare troppo svogliato, camminò fino a Georg, accennandogli un falso sorriso e mettendosi a suonare di fianco a lui. Il bassista ricambiò il sorriso con aria beffarda, cosa che Tom non si sarebbe mai aspettato da lui.

Sorridi pure, bastardo. Quando poi perderò le staffe sul serio, vedrai cosa ti farò
lo maledisse il chitarrista mentalmente.

Georg gli si avvicinò di più e appoggiò la spalla destra a quella sinistra del rasta. «Non sai proprio fingere», gli disse piano, prendendosi gioco di lui.

Per fortuna Tom si ricordò di essere davanti ad una marea di persone, perché l'impulso di smettere di suonare e di prendere a pugni il bassista stava diventando incontrollabile. Se prima avevo intenzione di parlarti in modo civile, dopo il concerto, adesso sono sicuro al cento per cento che ti ridurrò in pezzi pensò con rabbia il chitarrista.

Con fare furbesco si portò alle spalle del bassista e appoggiò la schiena contro la sua.

Intanto beccati questo.

Continuando a suonare, Tom cominciò a muovere il suo corpo su e giù a ritmo di musica, sfregandolo in modo provocante contro quello di Georg.

Il bassista corrugò la fronte confuso e girò il capo quel tanto che gli bastava per vedere l'amico dietro di sé. Che diavolo sta facendo? pensò, sbarrando gli occhi e cercando di concentrarsi sul suo basso.

La cosa, però, risultò alquanto difficile: avere Tom appiccicato a lui, con il fondoschiena che sfregava con fare malizioso e con prepotenza contro il suo, era una cosa che lo stava a poco a poco facendo impazzire. Senza rendersene neanche conto, Georg sentì le guance diventare bollenti e fu quasi certo di essere arrossito.

Sentì Tom ridacchiare alle sue spalle. «A quanto pare, neanche tu», gli disse beffardo.

Lo sapeva che per il chitarrista quella era una specie di vendetta nei suoi confronti, ma non avrebbe mai immaginato che avrebbe fatto una cosa del genere durante un concerto.
Le fan, naturalmente, non sospettarono di nulla: tutte pensavano che i due stessero solo suonando, muovendosi uno contro l'altro a ritmo di musica. Niente di strano per loro, potevano solo essere entusiaste di tutta quell'energia dimostrata dai due.
Georg, però, cominciava a diventare nervoso: Tom non faceva altro che stargli attorno e provocarlo come meglio poteva, anche se era impegnato a suonare la chitarra. Man mano che andavano avanti con le canzoni previste nella scaletta del concerto, il rasta rincarava la dose, arrivando persino a far eccitare l'amico.

«Piantala, Tom!», sibilò il bassista vicino all'orecchio del chitarrista.

Tom sorrise maliziosamente. «Neanche per sogno», fu la secca risposta.

Che razza di stupido
pensò Georg, preoccupato che le fan davanti a loro potessero sospettare qualcosa.

Non che quelle attenzioni da parte del rasta gli dispiacessero, anzi... però quello non era certo il posto migliore per fare certe cose.
Tom si staccò da Georg solo poche volte, girando un po' per il palco e tornando successivamente sempre dall'amico. All'ultima canzone, "An Deiner Seite", il chitarrista decise di aver ottenuto appieno la sua vendetta, così si allontanò dal bassista e si unì a Bill sulla passerella del palco, mentre tanti coriandoli dorati volavano in aria per segnare la fine del concerto.
Le fan gridavano, alcune piangevano commosse e altre intonavano insieme a Bill le ultime note di quella canzone. Alla fine, il cantante ringraziò tutto il loro pubblico più e più volte, lanciando il proprio asciugamano in mezzo ad alcune ragazze e salutando con la mano in aria. Gustav, Tom e Georg fecero lo stesso, sorridendo e lanciando plettri, asciugamani, bacchette e quant'altro ancora per le loro fan. Gustav chiuse quel concerto come suo solito, poi tutti e quattro i ragazzi della band corsero via dal palco, correndo nel backstage.
David andò loro incontro, ma l'espressione del suo viso era tutt'altro che soddisfatta.

«Che diavolo vi è successo?», sbraitò con voce severa.

Bill inarcò un sopracciglio confuso. «Perché dici così, David?».

Il manager batté le palpebre scettico. «Perché? Bill, hai stonato un sacco di volte, persino mia nonna sotto la doccia avrebbe potuto fare di meglio! Tom e Georg, non so cosa vi sia preso, ma avete fatto letteralmente schifo! Pure tu, Gustav, eri sempre distratto! Quanti errori e neanche avete provato a rimediare!».

I quattro ragazzi abbassarono gli occhi a terra desolati, ben consapevoli di non aver dato il massimo quella sera: si erano lasciati prendere dalle loro cose e avevano completamente dimenticato del posto in cui si trovavano e di quello che avrebbero dovuto fare alla perfezione.
Bill era più a terra che mai: si riteneva un professionista e sapere di essere andato male feriva il suo orgoglio. Gustav non pensava che il concerto fosse andato così male: certo, aveva notato molti errori e anomalie nei compagni, ma tutto sommato non avevano fatto schifo. Un po' di delusione, comunque, la sentiva anche lui.

Georg girò il capo verso Tom e lo fulminò con gli occhi. Soddisfatto?

Il chitarrista si sentiva terribilmente in colpa e quell'occhiataccia dell'amico lo buttò ancor più giù di morale.

«Non voglio più vedere né sentire una cosa simile, quindi regolatevi per il prossimo concerto», li ammonì ancora David, allontanandosi di poco da loro. «E sbrigatevi. Vi porto in albergo», concluse, facendo segno di seguirlo.

I quattro ragazzi della band sospirarono e cominciarono a prepararsi per prendere la macchina blindata, che li avrebbe riportati in albergo.






«Queste sono le chiavi delle vostre stanze. Cercate di riposare stanotte», disse David, dando ai quattro le chiavi delle rispettive camere da letto.

Il suo tono di voce era più calmo e aveva persino accennato un sorriso. Probabilmente si era pentito di essere stato così duro con loro: dopotutto, erano solo dei ragazzini, era ben consapevole di chiedergli troppo e di averli messi molto sotto stress in quelle settimane. Però sfondare in America sarebbe stato un grandissimo passo per la band, perciò doveva spronarli a mettercela sempre tutta.

«Buonanotte, ragazzi», li salutò infine il manager, salendo le scale dell'albergo, che lo avrebbero portato nella sua stanza.

«Prendiamo l'ascensore, non ce la faccio a salire le scale», disse Bill con un tono di voce davvero molto stanco.

I tre amici annuirono e si diressero verso l'ascensore, in cui entrarono poi tutti insieme.
Gustav si appoggiò alla parete e chiuse gli occhi sfinito; Bill, invece, sbadigliò, gli occhi che gli lacrimavano per il troppo sonno; gli unici che non sentivano la stanchezza erano Tom e Georg: il chitarrista teneva lo sguardo basso per evitare quello del bassista, ma l'amico non accennava a staccargli gli occhi di dosso.
Ad un certo punto, l'ascensore si fermò.

«Che succede?», chiese improvvisamente Tom agitato.

Bill lo guardò confuso. «Io e Gustav siamo un piano sotto al vostro, dobbiamo scendere qui», gli spiegò con un sopracciglio inarcato.

Tom strabuzzò gli occhi scettico, mandando segnali al gemello e supplicandolo di non lasciarlo lì dentro insieme a Georg.

Ma Bill lo ignorò completamente. «Risolvete i vostri casini da soli», gli sussurrò all'orecchio, prima di uscire insieme a Gustav.

Che razza di traditore
imprecò mentalmente il chitarrista.

Quando le porte dell'ascensore si richiusero, Tom e Georg rimasero da soli all'interno.

Il chitarrista si attaccò alla parete lì vicina, trovando molto attraenti i tasti dell'ascensore. Perché ci mette così tanto a ripartire questo coso? si chiese nervoso.

Sentì Georg schiarirsi la voce, puntandogli gli occhi addosso.

«Allora?», gli chiese il bassista con un tono di voce calmo.

Tom cominciò a sudare freddo. «Allora cosa?».

La sua voce tremava ed era molto incerta.

«Non dovevamo parlare?».

Trascorsero vari secondi di silenzio, fino a quando le porte dell'ascensore non si aprirono di nuovo.

Tom fece per uscire. «Non mi va di discutere adesso, ne parleremo domani».

Il chitarrista si sentì afferrare per un polso e fu costretto a girarsi.

«No, ne parliamo adesso, invece».

Georg uscì dall'ascensore e cominciò a trascinare per il corridoio dell'albergo il chitarrista, che opponeva resistenza e cercava di liberarsi dalla sua presa.

«Georg, ti ho detto di no!», si lamentò Tom.

Il bassista arrivò davanti alla porta della sua camera e, non con poca difficoltà, riuscì ad inserire la chiave nella serratura e ad entrare poi dentro la stanza, spingendo anche il chitarrista al suo interno. Rimasero per qualche istante al buio, poi Georg trovò l'interruttore della luce. Quando poté finalmente vedere, richiuse la porta a chiave e si girò verso l'amico.

«Bene», soffiò, affaticato dallo sforzo.

Tom sbarrò gli occhi scettico e tentò di avvicinarsi alla porta. «Bene un corno! Voglio uscire e andare nella mia stanza!», sbraitò furioso.

«Se parti già incazzato, non riusciremo a chiarirci come si deve», commentò Georg, tenendo fermi i polsi dell'amico.

«Ma io non voglio parlare con te, non voglio!», urlò ancora il chitarrista, dimenandosi con rabbia e lottando come un forsennato per uscire dalla porta.

«La vuoi smettere per un secondo di dimenarti in questo modo?», sbottò Georg, ormai stanco di cercare di tenerlo fermo.

Possibile che i Kaulitz, quando perdono le staffe, diventano come indemoniati?
pensò il bassista, ricordando quella sera in cui aveva detto a Bill che avrebbero dovuto fingere di avere una storia.

Tom non accennò a calmarsi e Georg dovette inventarsi qualcosa per tenerlo fermo con più facilità: lo spinse fino al letto a una piazza e mezzo e ce lo buttò sopra, posizionandosi poi sopra di lui e immobilizzandolo a dovere. Il chitarrista fece per protestare e aprire bocca, ma l'amico lo costrinse a bloccarsi.

«Adesso stai buono e rispondi ad alcune domande».

Tom si zittì, fissando serio il volto del bassista, mentre i loro respiri affannati si mischiavano l'un con l'altro.

«Bene», soffiò Georg, prendendo aria. «Allora, domanda numero uno: perché ti sei incazzato in quel modo, quando quella ragazza mi ha baciato al Meet&Greet?».

Il chitarrista corrugò la fronte. «Oh, beh, potresti anche arrivarci da solo. Sai, mi sono "leggermente" sentito preso per il culo, visto che poche ore prima mi hai praticamente stuprato nel bagno!».

Georg si lasciò scappare una risatina ironica. «Stuprato? Qualche bacetto sul collo e un succhiotto non mi sembrano cose così gravi. E, oltre a questo, ti ricordo che fino ad un certo punto ci sei pure stato».

«Non è vero!».

«Oh, sì, caro mio. Ti eri attaccato a me come una cozza e ansimavi come...».

«Ho capito!», esclamò Tom, diventando rosso come un pomodoro.

«Comunque, tornando al succo del discorso, è stata lei a baciare me».

«Tu hai ricambiato».

«È proprio qui che volevo arrivare: ogni volta che provo a toccarti, mi becco sempre un pugno in faccia; se ti sto lontano e mi diverto un po' con una ragazza, ti incazzi. A che gioco stai giocando?».

«Io non sto giocando!», protestò il chitarrista, guardando truce l'amico.

«Okay, ti pongo la domanda in modo diverso. Cosa provi per me?».

Tom si bloccò e divenne improvvisamente rigido. Il suo respiro divenne più pesante e l'espressione del suo volto terribilmente seria. Non riuscì più a reggere lo sguardo intenso di Georg, così puntò gli occhi altrove.

«Non distogliere lo sguardo, voglio che tu mi guardi negli occhi», sussurrò Georg con un tono di voce fin troppo serio.

Tom si sforzò, ma non riuscì comunque a puntare i suoi occhi in quelli dell'amico: aveva paura che Georg ci leggesse dentro tutta la verità.

Ma quale verità, poi? Qual è la verità?
si interrogò il chitarrista, aprendo appena la bocca.

«Tom», lo chiamò Georg in un sussurro. «Guardami».

Non ci riesco.


Il bassista lasciò delicatamente la presa su un polso e portò la mano al viso del chitarrista. Con dolcezza gli prese il mento fra il pollice e l'indice e lo aiutò a voltare il capo. Finirono per specchiarsi l'uno negli occhi dell'altro, in silenzio e in una specie di coma: era come se le loro orecchie si fossero improvvisamente riempite di ovatta, non sentivano altro che i loro respiri. Ad un certo punto, Georg avvicinò ancora di più il viso a quello di Tom.

Il chitarrista trattenne il respiro e chiuse gli occhi, stringendoli il più possibile. Ti prego, Georg... non farlo. Mi confonderesti ancora di più.

Sentì il respiro dell'amico sulle sue labbra e il suo cuore cominciò a battere impazzito.

Per favore...


Tom si stupì di quanto il tempo stesse trascorrendo lentamente. Era come una sofferenza, come una lunga agonia. Sentiva il respiro di Georg sempre più vicino, ma non capiva perché non stesse per succedere quello che pensava. Poi, ad un tratto, le labbra leggermente umide e tiepide del bassista si andarono a posare non direttamente sulle labbra del chitarrista, ma sull'angolo della sua bocca, dalla parte del piercing.
Tom riprese a respirare, il respiro leggermente affannato, siccome lo aveva trattenuto fino a quel momento. Non riaprì gli occhi, non fece niente fino a quando non sentì il peso del bassista scivolare lentamente via dal suo corpo.

Dove va?
si chiese, tenendo ancora gli occhi socchiusi.

Poi, quando sentì i passi leggeri di Georg allontanarsi sempre più, li spalancò di botto.

«Aspetta», disse in un soffio.

Si issò sui gomiti e osservò per qualche istante la schiena dell'amico.

«Dormi con me stanotte», disse incerto Tom, sentendo la gola secca.

Georg voltò lentamente il capo e lo fissò per qualche istante con sguardo serio. «È davvero quello che vuoi?», gli chiese poi, guardandolo intensamente.

Tom annuì con il capo dopo poco.

«Non corro il rischio di beccarmi un altro pugno mentre dormo, vero?», disse ironicamente il bassista per allentare un po' la tensione che si era andata a creare fra loro.

«Stupido», ridacchiò il chitarrista, alzandosi dal letto per togliersi prima il cappellino e la fascia dalla testa, poi tutto quello che riteneva inutile per dormire bene.

Decise che per quella notte avrebbe dormito con la maglia addosso: era enorme, non sarebbe stato scomodo, e poi si sarebbe sentito a disagio a dormire nello stesso letto con Georg, solamente in boxer.
Quando anche il bassista fu pronto, entrambi entrarono e si misero sotto le coperte, Georg a pancia in alto e Tom sdraiato sul fianco, girato dalla parte dell'amico. Georg spense quasi subito la luce e loro due rimasero al buio in silenzio assoluto. Passarono diversi minuti, ma nessuno dei due chiuse gli occhi e cercò di dormire.

«Ehi, adesso che ci penso...», sussurrò piano Georg, ad un certo punto. «Io me ne stavo per andare, ma, in teoria, questa è la mia stanza, perciò saresti stato tu a dovertene andare».

Quando sentì il ringhio sommesso del chitarrista, Georg ridacchiò: farlo arrabbiare in quel momento non era certo una buona idea.

«Senti, ma...», riprovò ancora il bassista.

«Vuoi stare un po' zitto?», ringhiò ancora il chitarrista, interrompendolo scocciato.

«Scusa», gli rispose l'amico, trattenendo un'altra risata.

È un po' permalosetto, non c'è che dire
pensò scherzoso dentro di sé.

Ad un certo punto, Georg sentì una leggera ventata di aria calda muoversi verso il suo fianco e, subito dopo, si ritrovò il corpo di Tom fra le braccia. Era scosso da leggeri brividi di freddo.

«Sei sicuro di star bene, Tom? Sei molto caldo, ma hai i brividi. Forse hai...».

«Stringimi», lo interruppe il rasta, sussurrando piano e soffiando sul collo dell'amico.

Georg rimase per un secondo confuso, poi cinse il corpo di Tom con le sue braccia e lo strinse a sé. Spero solo che non si sia ammalato.

Dopo poco tempo, il bassista sentì il respiro dell'amico farsi più tranquillo e regolare e da quello capì che si era addormentato beatamente. Cominciò ad accarezzargli piano la testa e sorrise nel buio.

Buonanotte, Tom.









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Capitolo 6
*** Problems of friendship ***


06. Problems of friendship






Non dovevano essere neanche le quattro del mattino, ma Georg, per un motivo o per un altro, si svegliò con addosso una brutta sensazione. Lentamente aprì gli occhi e si ritrovò a fissare le palpebre chiuse del ragazzo che gli dormiva abbracciato: Tom aveva la fronte appoggiata a quella del bassista e respirava pesantemente, segno che stava ancora dormendo tranquillamente.
Per un momento, Georg si stupì di quella scena insolita e a tratti anche romantica per lui, poi, però, si ricordò di quello che era successo poche ore prima e riuscì a dare un senso a quel momento. Il bassista mosse una mano sulla schiena di Tom per stringerlo ancor più a sé, ma senza svegliarlo, e fu proprio in quel momento che si accorse di quanto il rasta fosse caldo.

È bollente!
pensò sconvolto, premendo un po' di più la fronte contro quella di Tom. Cazzo, scotta. Io lo sapevo che non stava bene prima.

Georg aveva assolutamente bisogno di un termometro, ma uscire dal letto senza svegliare il rasta era impossibile. Poi pensò che avrebbe dovuto comunque svegliarlo per misurargli la febbre, quindi tanto valeva non farsi tanti problemi.

Al massimo mi beccherò un altro pugno in faccia per averlo svegliato
pensò ironicamente il bassista, cercando di spostare nel modo più delicato possibile il corpo del chitarrista dal suo.

«Uhm», mugolò Tom, corrugando la fronte e aprendo piano gli occhi. «Georg... che fai?», domandò dopo poco, con la voce impastata dal sonno, ma che faceva intendere benissimo un certo fastidio per quel risveglio non voluto.

È incredibile come riesca ad essere arrabbiato già dopo due secondi dal risveglio
ridacchiò Georg dentro di sé.

«Sono quasi certo che tu abbia la febbre e ho bisogno di un termometro», gli spiegò il bassista, uscendo completamente dal letto e coprendo per bene il rasta fin sotto il naso.

Tom si strinse immediatamente nelle coperte e cominciò a tremare. «Cazzo, che freddo! Torna subito sotto! Sto morendo assiderato!», ordinò il chitarrista, mentre era scosso dai brividi e batteva insistentemente i denti.

«Trovo il termometro e torno a letto».

Così dicendo, Georg si mise ad aprire i vari cassetti dei comodini presenti nella stanza, ma non trovò nessun termometro. Poi pensò al piccolo bagno privato che aveva nella stanza e si diede dello stupido per non averci pensato prima: nel bagno c'era una cassetta del pronto soccorso appesa al muro e lì dentro il bassista trovò un piccolo termometro di vetro.
Tornò in camera da letto e si avvicinò al letto in cui Tom stava ancora tremando.

«Ecco, mettilo sotto l'ascella», gli disse premuroso, scoprendolo di poco per aiutarlo a sistemare a dovere il termometro.

Ma il chitarrista con uno scatto veloce si ricoprì e batté i denti ancora più forte. «Ma sei pazzo? Ho freddo così!», si lamentò, tuffando anche la testa sotto le coperte.

Georg ridacchiò. È adorabile, quando fa così.

«È questione di un secondo, poi ti puoi ricoprire», disse il bassista, riprovando ad alzare ancora le coperte.

Tom però cominciò a lottare per non permettergli di scoprirlo. «Mi fai aria così, è freddo!», disse furioso, mentre Georg continuava a tirare le coperte.

«Smettila di fare il bambino, puoi resistere per due micro secondi».

«No, c'è il rischio che muoia congelato!».

«Oh, avanti».

«No!».

Georg sbuffò forte. «Se continui ad agitarti così, la febbre salirà. Perciò fatti mettere questo dannatissimo termometro sotto...».

Il bassista non riuscì a terminare la frase, perché Tom aveva tirato fuori le braccia dalle coperte e lo aveva afferrato per le spalle, tirandolo verso il basso e facendolo ricadere sdraiato sul letto. Con una velocità impressionante, il chitarrista coprì anche l'amico e gli si mise sopra, tuffando poi la testa nell'incavo del suo collo e stringendosi a lui più che poteva.

«Piantala di fare il dottorino e riscaldami», sussurrò in modo suadente Tom all'orecchio del bassista.

Georg venne percorso da mille brividi, ma rimase comunque stupito da tutto quello che stava accadendo. «Tom, ti sembra...».

«Riscaldami, ti ho detto», esclamò Tom, facendo sfregare il suo corpo contro quello nudo di Georg.

Il bassista deglutì rumorosamente e circondò il corpo dell'amico con le sue braccia per poi stringerlo a sé con forza. Accarezzò prima le spalle del chitarrista attraverso il tessuto dell'enorme maglia che aveva addosso, poi scese lungo tutta la schiena e arrivò alle natiche dell'amico. Indeciso su cosa fare, decise di risalire di nuovo la schiena, ma Tom gli fermò le mani con le sue e le portò sotto la sua maglia ad accarezzare direttamente la pelle bollente. Il chitarrista sussultò, quando sentì quanto fossero fredde le mani del bassista.

«Sono gelate», sibilò nell'incavo del suo collo.

Georg ridacchiò. «Mi hai fatto penare fino ad ora, perché non volevi sentire freddo, e adesso vuoi che ti tocchi con le mani gelate?», gli chiese ironico, muovendo le mani sulla pelle del chitarrista, risalendo su per tutta la colonna vertebrale.

Tom mugugnò e si tese contro il petto di Georg, accogliendo con piacere i brividi che gli percorsero tutto il corpo al passaggio delle mani dell'amico. «Adoro farti penare», sussurrò maliziosamente il chitarrista all'orecchio dell'amico.

Il bassista portò le mani ancora verso il basso ed infilò le dita sotto l'elastico dei boxer del chitarrista: le sue natiche erano bollenti, forse erano il punto più caldo di tutto il corpo.

«Bene, mi fa piacere sentirtelo dire... così posso divertirmi anch'io», gli disse maliziosamente Georg, prendendo con forza Tom per i fianchi e ribaltando le posizioni, posizionandosi così sopra l'amico.

Velocemente, tolse l'enorme maglia al chitarrista e la buttò sul pavimento, lontano dal letto, poi accarezzò con lentezza l'addome di Tom. Il chitarrista sospirò e si lasciò sfuggire un piccolo gemito dalle labbra: avere le mani fredde di Georg sul suo corpo era una sensazione eccitante e fastidiosa allo stesso tempo.

«Maledetto», soffiò piano, spingendo i polpastrelli delle dita fra le scapole del bassista.

Georg sorrise compiaciuto, poi si piegò di più sul rasta per poter lambire il suo collo con le labbra. «Vedo che c'è ancora il mio marchio», scherzò, notando il succhiotto che aveva fatto al chitarrista la mattina precedente.

Cominciò a baciare lentamente il collo dell'amico, scendendo poi verso il petto e succhiando i pettorali appena pronunciati. Sentiva Tom ansimare sempre più forte sotto di sé e rimase soddisfatto, quando con la lingua stuzzicò un capezzolo rosa e l'amico si lasciò scappare un verso strozzato e più forte degli altri dalla gola. Allora fece lo stesso con l'altro, succhiandolo maliziosamente.

«Mmm, Georg...», ansimò Tom, graffiando la schiena del bassista e incitandolo a continuare.

Georg risalì il collo e arrivò al mento del chitarrista. Quando provò a baciarlo sulla bocca, però, rimase sorpreso, perché Tom girò la testa di lato all'ultimo secondo e le sue labbra incontrarono la pelle della guancia. Il bassista si issò sui gomiti per guardare confuso il viso del chitarrista e quest'ultimo scosse appena la testa.

«Non qui. Non ancora», sussurrò serio.

Georg non ne capì il motivo, ma si accontentò comunque di quello che aveva potuto fare con il corpo del rasta.

Tom portò le braccia attorno al collo del bassista e gli avvicinò le labbra all'orecchio. «Scusa, ma per me è ancora un po' strano tutto questo», gli spiegò, sussurrando.

Georg capì e sorrise: fino al giorno prima, Tom era sempre stato attaccato a ragazze dotate e fin troppo formose; capiva che non doveva essere per niente facile abituarsi a provare attrazione per tutto il contrario, soprattutto per un SexGott come lui.

«Ci sei rimasto male?», gli chiese ad un tratto Tom, notando l'espressione pensierosa del bassista.

Georg si riscosse e sorrise. «No, affatto. Lo capisco».

Si sporse un po' in avanti e gli baciò la fronte.

«Perciò penso che... sia meglio fermarci qui e riprendere più avanti», propose poi, sdraiandosi sul materasso e portando Tom sopra di sé per poterlo abbracciare.

Il chitarrista sorrise e appoggiò la fronte a quella dell'amico. «Sì, forse è meglio. Grazie», disse rasserenato, sussurrando l'ultima parola.

Georg ricambiò il sorriso e sospirò felice, poi un lampo gli attraversò la mente, facendogli ricordare una cosa molto importante. «Ehi! Io devo ancora misurarti la febbre!».






Questa cosa è assolutamente assurda. Ho visto troppi film, probabilmente.

Gustav rimuginava ancora sulla possibile relazione fra Georg e Tom, appoggiato con la schiena alla parete fredda dell'ascensore: quell'argomento lo assillava molto spesso e ogni giorno che passava i sospetti che si era fatto crescevano sempre di più.

È impossibile una cosa del genere, sono solo io che sto diventando matto
pensò il batterista, mentre le porte dell'ascensore si aprivano ad un piano sopra la sua stanza.

Andare direttamente a parlare di quelle cose con Georg era stata una decisione difficile, ma, se voleva finalmente chiarire quella faccenda una volta per tutte, doveva per forza discuterne a quattr'occhi con l'amico.
Con passo deciso attraversò quel breve pezzo di corridoio che lo separava dalla stanza di Georg e, quando finalmente arrivò di fronte alla porta, si bloccò con un pugno in aria, quando sentì tutto il fracasso che proveniva da quella stanza.






«Vuoi stare un po' fermo? Altrimenti la temperatura non sarà quella giusta!», esclamò Georg, cercando di non cadere giù dal letto.

Tom si dimenava come un ossesso, prendendosi tutte le coperte e rigirandosi in continuazione nel letto. «Questo schifo di termometro è scomodo e poi fa freddo e io, adesso, non ho più la mia maglia per colpa tua!».

«Se magari stessi fermo, potrei anche aiutarti a sistemarti come si deve».

«No, tu vuoi solo farmi prendere freddo!».

«Sei tu che ti fai freddo da solo, con tutta l'aria che muovi sotto le coperte!».

TOC TOC

Qualcuno aveva appena bussato alla porta e i due amici si erano voltati a guardare quel pezzo di legno confusi.

«Chi diavolo è a quest'ora?».






Finalmente Gustav si era deciso a bussare, trascurando tutto il rumore che proveniva da dentro la stanza e stupendosi del fatto che Georg fosse già sveglio a quell'ora.

«Georg, sono Gustav. Vorrei parlare un po' con te, se non ti dispiace», disse incerto il batterista, sentendo il fracasso dietro alla porta cessare improvvisamente.

«Gustav, che fai già alzato a quest'ora?».

Il bassista sussultò, quando quella voce gli arrivò da dietro le spalle, prendendolo alla sprovvista. Si voltò e si ritrovò di fronte un Bill assonnato e con gli occhi ridotti a due fessure per la troppa luce che c'era nel corridoio dell'albergo. Era una scena piuttosto buffa, considerando che il cantante aveva i capelli completamente arruffati ad incorniciargli il viso pieno di sonno, simile a quello di un fantasma.

«Beh, potrei farti la stessa domanda», rispose Gustav, ridacchiando, quando notò che l'amico portava ai piedi delle pantofole a forma di orsacchiotto.

Bill barcollò fino a lui e si lasciò scappare un grande sbadiglio. «Stavo andando da Tomi, volevo dormire con lui. Tu, invece, come mai sei qui davanti alla porta di Georg?».

«Oh, niente, volevo solo fare quattro chiacchiere con lui. A quanto pare è già sveglio: poco fa c'era un rumore impressionante qui dietro, sembrava addirittura che non fosse solo».

Bill annuì col capo e sorrise. Fece per allontanarsi, ma poi si bloccò immediatamente, perché uno strano pensiero si era insinuato nella sua mente. Cominciò a mettere insieme le idee e alla fine arrivò ad una conclusione.

Confusione... trambusto... Georg... Tom... OH, SANTO CIELO!


«GUSTAV, ALLONTANATI DA QUELLA PORTA!», urlò il cantante, buttandosi letteralmente addosso alla porta chiusa e allargando le braccia come per volerla proteggere dal batterista che gli stava davanti.

Gustav inarcò confuso un sopracciglio e fissò l'amico sbigottito. «Che ti prende? Perché devo allontanarmi dalla porta?».

Bill si appiccicò ancora di più al pezzo di legno e cominciò a balbettare qualcosa di incomprensibile. «Perché... perché... i germi, sì, proprio loro, fanno male alla salute!».

Sono sicurissimo che Georg e Tom siano insieme lì dentro e Gustav non deve entrare e vederli. Chissà poi che cosa stanno facendo.


«I germi?», chiese Gustav sempre più confuso.

«Esatto, la porta è piena di germi e, se ti avvicini, ti uccideranno».

«Ma se tu ci sei appiccicato».

«Io sono immune».

Il batterista strabuzzò gli occhi e inarcò un sopracciglio. «Bill, sai qualcosa che io non so, per caso?».

«Chi, io? No, cerco solo di salvarti la vita», disse il cantante, abbozzando un sorriso.

Gustav si avvicinò e cercò di spostare l'amico dalla porta, ma il cantante lo ostacolò in tutti i modi possibili.

«Bill, levati!», gli ordinò, tirandolo per la vita.

«No, non ti permetterò di farti del male!», urlò Bill, aggrappandosi con tutte le sue forze alla porta.

«Ma quale male? Tu vuoi soltanto che io non entri in quella stanza e, credimi, scoprirò il perché!».

«I germi sono malefici! Non cadere nella loro trappola, Gustav!».

Gustav si abbassò e cominciò a tirare le gambe del cantante. «Fammi entrare!».

«Hai ancora tutta una vita davanti, non puoi suicidarti così!».

«Ma chi si suicida?».

«Devi guardare avanti e sorridere! Sii ottimista, l'ottimismo è il profumo della vita!».

«Bill, sembri drogato!».

Ormai i due litiganti avevano svegliato tutto l'albergo con le loro grida, ma nessuno dei due sembrava voler cedere o rinunciare. Bill era mezzo sdraiato a terra, con le mani aggrappate allo stipite della porta chiusa. Gustav, invece, era completamente sdraiato ai piedi del cantante e gli tirava le gambe, cercando di staccarlo dalla porta.
Ad un tratto, però, la porta si aprì e un Georg sbigottito apparve sulla soglia. Fissò i ragazzi a terra come se fossero due alieni e per un attimo si chiese come facesse ad avere degli amici del genere.

«Che diavolo state facendo?».

Gustav e Bill, ancora distesi a terra, fissarono stralunati l'espressione scettica di Georg, mentre li guardava dall'alto.
Era una scena piuttosto insolita quella in cui erano coinvolti i tre amici e ognuno di loro era sempre più confuso.

Gustav si alzò velocemente in piedi e, dopo aver scavalcato il povero Bill con poca grazia, si parò davanti alla faccia del bassista con fare minaccioso. «Sputa il rospo», gli ordinò con voce decisa.

Georg sbatté le palpebre confuso, poi inarcò un sopracciglio. «Cioè?».

«Hai una relazione con Tom?».

Il bassista sentì il sangue gelarsi nelle vene. Come fa a saperlo? si chiese nel panico, indeciso su cosa rispondergli.

Lanciò un'occhiataccia a Bill, ma questo gli rispose con un'espressione del volto che voleva dire "io non c'entro nulla".

«Ma come ti saltano in mente certe idee?», esclamò, poi, con un sorrisetto forzato sulle labbra.

Gustav non si arrese. «Allora ce l'hai con Bill?».

In quel momento Bill stava cercando di rimettersi in piedi, ma a quelle parole ricadde ancora a terra.

«Oh, ma per favore!», commentò Georg, scuotendo vigorosamente la testa. «Io non ho nessuna relazione».

«Sì, certo... e stranamente tutti quanti in questi giorni vi state comportando in modo strano e cercate di tenermi all'oscuro di tutto. Ma io l'ho capito benissimo che qui sta succedendo qualcosa», disse Gustav, avvicinandosi ancor più a Georg per cercare di spostarlo e di entrare nella stanza.

Il bassista allargò le braccia e puntò le mani ai due lati della porta per impedire all'amico di entrare dentro: non doveva scoprire in quel modo che fra lui e Tom c'era qualcosa di più di una semplice amicizia. Anzi, non doveva proprio saperlo.

«Fammi entrare», si impose Gustav, spingendo con forza l'amico oltre la soglia.

Georg cercò di resistere e impedì al batterista di entrare dentro la stanza. «Non è il caso, è tutto in disordine», si giustificò nel panico.

«Non me ne frega niente del tuo casino, piantatela di raccontarmi tutti delle cazzate!», urlò l'amico, continuando a combattere per entrare.

A quel punto, Bill decise di dare una mano a Georg: era evidente che dentro la stanza ci fosse Tom, per questo il bassista non voleva far entrare Gustav. Gattonò fino ai due amici, poi abbracciò una gamba di Gustav e cominciò a tirare dalla parte opposta.

«Non sono cazzate, Gustav! Vogliamo tutti salvarti dall'invasione batterica!», biascicò il cantante con la guancia attaccata alla coscia del batterista. «Se non entri lì dentro, campi altri cent'anni, te l'assicuro!».

«Mi avete rotto le palle tutti e due!», urlò Gustav in piedi su una gamba sola e completamente appoggiato a Georg, mentre cercava di spingerlo via dalla soglia.

In quello stesso momento, una porta si aprì a qualche metro di distanza da loro e una signora anziana apparve sulla soglia con fare minaccioso. «Si può sapere cos'è tutto questo...?».

La vecchietta ci mise un po' a realizzare quello che aveva davanti agli occhi: tre ragazzi, uno per terra attaccato alla gamba di un altro, che a sua volta abbracciava e spingeva il terzo ragazzo oltre la porta.

«OH, SIGNORE!», urlò scandalizzata, mettendosi una mano davanti alla bocca.

Bill si accorse della signora e cercò di dirle qualcosa, ma, quando cercava di parlare, non faceva altro che biascicare parole incomprensibili, siccome la pressione della guancia sulla gamba di Gustav gli impediva di parlare correttamente e gli deformava la faccia come un pesce palla. «No, non è come pensa!», cercò di rassicurarla, ma la vecchietta ormai era già scappata dentro la sua stanza e aveva richiuso rapidamente la porta a chiave.

Bill sbuffò. Ma perché sempre a me?

«Levatevi dai piedi!», urlò Gustav, cercando di mantenere l'equilibrio sull'unica gamba ancora piantata a terra.

Ad un tratto, un'ombra si mosse alle spalle di Georg e Tom comparve dietro la schiena del bassista. «Perché fate tutto questo casino?», bofonchiò, mentre si stropicciava gli occhi con fare assonnato.

«TOM?», esclamò Gustav, sbarrando gli occhi fino al massimo possibile.

A quel punto, Georg non riuscì più a reggere il peso del batterista contro di sé e stacco le mani dai due lati della porta. In un attimo i quattro amici si ritrovarono completamente spiaccicati l'uno contro l'altro: Tom si ritrovò addosso sia Georg che Gustav; Bill, ancora aggrappato alla gamba del batterista, si sentì trascinare dentro la stanza e successivamente atterrare su un ammasso di corpi aggrovigliati. I quattro amici erano caduti a terra dentro la stanza di Georg, uno sopra l'altro e completamente esausti per tutti i precedenti sforzi.

«Mi state... soffocando», cercò di dire Tom sotto il peso di tutti.

A quelle parole Georg cercò di rotolare via dal corpo del chitarrista, portando con sé anche Gustav e Bill.

Una volta liberato Tom da tutto quel peso, il bassista gattonò fino a lui e lo guardò preoccupato. «Stai bene?».

«Stavo meglio prima».

«E tu che ci fai nella stanza di Georg?», esclamò con voce stridula Gustav.

In un batter d'occhio, Bill scattò in piedi e si frappose tra Gustav e i due piccioncini ancora sdraiati a terra. «L'ho mandato io qui per chiedere a Georg se aveva visto la mia piastra per capelli!», cominciò a parlare a raffica il cantante.

Gustav osservò le condizioni del chitarrista e inarcò un sopracciglio sospettoso. «E perché ha addosso solo la maglietta?».

«Beh, perché non gli ho dato neanche il tempo di vestirsi. L'ho spedito direttamente qui».

«Oh, certo. Allora saprai anche dirmi come mai i suoi jeans, la sua fascia e il suo cappello sono stesi su quella sedia là in fondo», disse infine il batterista, indicando con un dito una sedia posizionata di fianco al letto con sopra i vestiti e tutti gli accessori di Tom.

Bill sbiancò in volto e deglutì rumorosamente. Cavolo, cavolo, cavolo.

«Gustav, non è come pensi», intervenne subito Tom, alzandosi in piedi insieme a Georg.

Gustav assunse uno sguardo serio e arrabbiato allo stesso tempo, incrociando le braccia al petto. «Ah, no? Sai come la penso veramente, Tom? Io penso che tu e Georg stiate insieme e che tutti voi, nessuno escluso...», disse, forzando di più il tono della voce e lanciando un'occhiataccia a Bill lì vicino. «...siate un trio di falsi!», concluse furioso, avviandosi poi verso la porta.

«No, aspetta!», esclamò Georg, correndo verso di lui e afferrandolo per un braccio. «Lascia almeno che ti spieghi».

«Non ho voglia di sentire le tue spiegazioni, ho già capito da solo!», urlò il batterista, schiaffeggiando la mano dell'amico e liberandosi dalla sua presa. «Siete dei bugiardi ed io non so come diavolo ho fatto ad esservi amico!».

Quelle parole erano come delle pugnalate per Bill, Tom e Georg, ma nessuno di loro voleva che l'amico se ne andasse in quel modo.

Bill sentiva la tristezza invadergli il corpo, ma trovò comunque la forza per parlare a Gustav. «Perché dici così?».

Gustav fece retrofronte e lanciò uno sguardo scettico all'amico. «Perché? Perché fino ad ora non avete fatto altro che tenermi all'oscuro di tutto e mi avete raccontato bugie su bugie! Non è così che si fa tra amici, da voi non me lo sarei mai aspettato!».

«Avevamo paura che tu non capissi e che saresti rimasto sconvolto, sapendo la verità», si giustificò Georg, abbassando lo sguardo triste.

«Oh, bene. Cavolo, avete proprio una bella opinione di me. Però non mi sembra che tu, Georg, ti sia fatto problemi a raccontare tutto a Bill. Lui può capire, io no, invece, vero?», urlò Gustav furibondo, guardando malissimo i tre amici che aveva davanti.

«No, Gustav, Georg non me l'ha raccontato direttamente. Lui...», cercò di spiegarsi Bill, ma venne interrotto da un gesto secco della mano da parte del batterista.

«Non mi importa come diavolo sei venuto a sapere della loro relazione, resta il fatto che tu mi hai mentito, tu più di tutti gli altri!».

Bill sentiva la voglia di piangere sempre più forte, era ormai una necessità: aveva già gli occhi più umidi, ma non voleva piangere lì davanti a tutti.

«Io volevo soltanto...», provò a dire a bassa voce, tremando dalla testa ai piedi.

«Voleva solo difendermi», intervenne Tom, capendo subito che qualcosa non andava nel gemello.

Gustav scosse la testa vigorosamente e alzò ancora di più il tono della voce. «Non mi interessa se voleva aiutarti, appoggiarti, difenderti, o quant'altro! Per me è solo un gran bugiardo e le persone così mi fanno schifo!».

A quel punto, Bill non riuscì più a trattenere le lacrime. Strinse forte le palpebre per cercare di non piangere, ma fu tutto inutile, perché una lacrima scappò dalle sue ciglia e un singhiozzo gli uscì dalla bocca socchiusa.

«Per quanto ne so, anche lui potrebbe essere coinvolto in questa cosa. Ecco perché voleva tenermelo nascosto e ha inventato tutte quelle bugie. Che ne so, magari anche lui si fa scopare insieme a voi due. La notte fate delle orge».

«Gustav!», esclamò Georg sconvolto, non credendo alle proprie orecchie.

L'amico non aveva mai parlato in quel modo, non aveva mai reagito così e, soprattutto, non aveva mai insultato Bill prima di allora. Per il batterista il cantante era sempre stato come un cucciolo da proteggere, un vero amico da difendere in ogni occasione.

Ma allora perché adesso fa così? Perché se la prende con lui, quando qui si tratta di me e Tom?


Bill si lasciò scappare altri singhiozzi ancora più forti e si mise una mano sugli occhi per non mostrare le lacrime.

Tom a quel punto non ci vide più e si scagliò contro Gustav, afferrandolo per il colletto della maglia e urlandogli in faccia. «Non ti permetto di parlargli così, rimangiati subito quello che hai detto!».

«Pensi di farmi paura?», lo fronteggiò Gustav, rimanendo comunque immobile e non mettendo le mani addosso al chitarrista.

«Puoi dire tutto quello che ti pare su me e Georg, ma non osare tirare di mezzo anche Bill! Perché io ti giuro, Gustav, che ti riempio di botte! Anche se prima d'ora non ho mai neanche pensato di picchiare i miei amici, ti assicuro che sono assolutamente capace di farlo. Quindi, adesso, chiedigli scusa!».

Georg si rese conto tutto in una volta che la situazione stava veramente degenerando e che, se non voleva che i suoi due amici facessero a pugni, sarebbe dovuto intervenire subito. Scattò in avanti e si mise in mezzo tra Tom e Gustav, dividendoli e cercando soprattutto di calmare il chitarrista.

«Calmati, Tom. Non è il caso di arrivare alle mani».

«Oh, io dico di sì!».

«Possiamo risolvere tutto, parlando tranquillamente», continuò il bassista, ignorando l'amico furioso.

Gustav si allontanò di qualche passo. «Non voglio risolvere niente, non mi interessa», disse con un tono di voce indifferente, ma offeso al tempo stesso.

Il batterista fece per uscire dalla stanza, ma venne preceduto da una figura alta e snella, che corse fuori dalla porta, singhiozzando con una mano sulla bocca.

«Bill!», esclamò Tom, rattristandosi nel vedere il gemello in quelle condizioni.

Velocemente si liberò dalla presa di Georg e, dopo aver lanciato un'occhiata piena di disprezzo al batterista vicino alla porta, corse fuori nel corridoio all'inseguimento del fratello. Gustav e Georg rimasero da soli nella stanza, immobili a fissare il pavimento, ognuno con i propri pensieri per la testa. Ad un tratto, il batterista si avviò verso la porta e non si voltò, neanche quando Georg lo chiamò ancora una volta.

«Aspetta, Gustav. Parliamone», ci provò il bassista.

«No, per favore. Adesso non ho voglia di parlare, Georg», sussurrò con voce triste Gustav, poi uscì dalla stanza.

Georg, una volta rimasto solo, si mise una mano sulla fronte e sospirò sconsolato. Che casino. Ma perché ha accusato Bill? Lui non c'entrava niente.

Lentamente andò a sdraiarsi sul letto, allargando le braccia sul materasso e fissando il soffitto con sguardo spento.

È colpa mia. Se non fossi così, adesso tutto sarebbe come al solito e la vita dei miei amici non sarebbe completamente stravolta. Mi sento terribilmente in colpa.









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Capitolo 7
*** Confusion ***


07. Confusion






«Bill, apri la porta, per favore».

Tom continuava a battere insistentemente un pugno sulla porta della stanza del gemello, sperando che prima o poi quello si decidesse ad aprirgli. Sentiva dei singhiozzi sommessi dall'altra parte del pezzo di legno scuro e questa cosa non riusciva a tollerarla.

Se almeno mi aprisse...
pensò il chitarrista con impazienza.

«Se non mi apri... sfondo la porta!», esclamò il rasta, dopo un momento di incertezza.

Molto probabilmente non era il modo più adatto con cui consolare il gemello, ma in quel momento era agitato e infuriato con Gustav per aver trattato male Bill: non doveva permettersi di dirgli quelle cose e, se proprio non riusciva a trattenersi, avrebbe benissimo potuto prendersela con lui e Georg.

«Bill, porca puttana, vuoi muovere il culo e...».

«Potresti anche trattarlo con un po' più di dolcezza».

La voce di Gustav prese alla sprovvista il rasta, che sobbalzò sul posto e per poco non si lasciò scappare un urlo disumano dalla bocca.
Dopo essersi ripreso dallo spavento, scrutò con aria di sfida il batterista di fianco a sé. Storse la bocca e grugnì qualcosa di incomprensibile.

«Senti chi parla, l'artefice di questo casino», mugugnò arrabbiato.

Gustav abbassò gli occhi sul pavimento e avanzò di pochi passi, fino ad arrivare davanti alla porta. Spinse leggermente da parte Tom e bussò con cautela.

Il chitarrista gli rivolse un'occhiata scettica. «Che fai? Vuoi infierire ancora?».

Gustav non lo guardò in faccia e continuò a fissare paziente la porta. «Ho combinato io questo casino, no? Fammi rimettere le cose a posto», disse con voce pacata.

Ma che avrà in mente?
pensò il rasta sospettoso.

Rimase immobile a guardare incerto l'amico, fermo davanti alla porta. Passarono vari secondi, ma non accadde niente di nuovo.

«Non apre a me, figuriamoci se fa entrare te», borbottò Tom ad un certo punto.

Gustav bussò ancora una volta alla porta. «Bill, mi fai entrare? Voglio solo... chiederti scusa per le cose che ho detto. Per favore», disse con un tono di voce basso, che faceva trasparire una nota di tristezza.

Passarono altri secondi, ma la porta rimase sempre chiusa. Ormai dall'altra parte non si sentivano più nemmeno i singhiozzi. Forse Bill era indeciso sul da farsi.

Gustav sospirò afflitto. «Dai, Bill. Non sei una persona che porta rancore per tanto tempo. Anzi, non sei proprio una persona che porta rancore», disse, ridacchiando alla fine.

Tom inarcò un sopracciglio. Gli sembra questo il momento giusto per fare dell'ironia?

Improvvisamente, si sentì un lieve fruscio dietro la porta e, dopo poco, la serratura scattò: Bill aveva aperto.

Gli ha aperto?
pensò Tom scandalizzato.

Gustav sorrise e fece per aprire la porta.

«Aspetta un secondo», esclamò improvvisamente il chitarrista, costringendo l'amico a bloccarsi.

Gustav si voltò lentamente, guardando incerto l'espressione stranamente seria del rasta.

Tom fece un passo avanti. «Se provi a farlo soffrire ancora, ti assicuro che non la passerai liscia», lo minacciò con voce dura e fredda.

Non stava scherzando, non era mai stato più serio prima.

Gustav lo fissò ancora per qualche secondo, scrutando i suoi occhi decisi. Sorrise.

Gli vuole davvero bene.


«Non ti preoccupare», lo rassicurò infine il batterista, tornando a fissare la porta ancora chiusa. «È successo una volta, non succederà mai più».

Tom annuì col capo, anche se dentro di sé portava ancora un po' di rancore all'amico.

«E, un'altra cosa...», continuò Gustav, fissando la maniglia della porta. «Tu e Georg siete proprio una bella coppia».

Tom ebbe un tuffo al cuore a quelle parole. Un bella coppia?

Ci aveva pensato poco prima, ma non se n'era preoccupato più di tanto: lui e Georg erano una coppia? La parola "coppia" lo spaventava un po', anche se non riusciva a capirne il motivo preciso. Forse perché non era mai riuscito a stare con la stessa persona per più di una notte. E poi chissà cosa ne pensava Georg. Lo considerava come il suo compagno?
Comunque fosse, Tom era felice che Gustav non fosse disgustato da quella cosa ed era rimasto sollevato dalle parole dell'amico.

«Grazie», sussurrò piano, fissando con meno ostilità il batterista.

Gustav si voltò ancora una volta verso di lui e gli sorrise, un sorriso sincero, uno di quelli che riservava solo agli amici. Era quello il vero Gustav che tutti conoscevano, non quello infuriato e fuori di sé che aveva attaccato tutti i suoi amici poco prima.

Tom si sciolse almeno un po' e si lasciò andare anche lui ad un piccolo sorriso. «Dai, vai da Bill e vedi di scusarti come si deve», commentò sarcastico.

Gustav ridacchiò e finalmente aprì la porta. Lo fece con lentezza, come se avesse avuto paura di trovare qualcosa di spiacevole dentro la stanza. Respirò profondamente ed entrò, richiudendosi poi la porta alle spalle. Rimase per qualche istante immobile a fissare la porta chiusa, esitando prima di girarsi verso la stanza. Sul letto vicino alla finestra, Bill era sdraiato con la testa sul cuscino. Gli stava dando le spalle e respirava affannosamente. Probabilmente, dopo avergli aperto la porta, era corso fino al letto e ci si era buttato sopra.
Gustav osservò malinconico la sua figura magra, rendendosi conto che in quelle circostanze gli sembrava ancora più fragile del solito. Ed era colpa sua.
Lentamente si avvicinò al letto, stando attento a non fare rumore. Aveva quasi paura di rovinare qualcosa, di irritare il cantante con anche solo un piccolo rumore. Con cautela si sedette sul letto al suo fianco e rimase fermo per qualche istante, poi allungò una mano e con dolcezza accarezzò una spalla del moro. Questo sussultò appena. Gustav respirò a fondo e cercò di trovare le parole giuste per formare un discorso sensato. Ma era un'impresa difficile e gli venivano in mente solo due parole.

«Mi dispiace», sussurrò quasi impercettibilmente.

Quanto erano banali quelle parole. Purtroppo non era riuscito a trovarne di migliori. Probabilmente Bill lo avrebbe mandato a quel paese, non si sarebbe nemmeno stupito, se gli avesse mollato un pugno in faccia.
Fra loro calò il silenzio, un silenzio pieno di sottintesi. Gustav si aspettava da un momento all'altro che il cantante si girasse e gli ordinasse di andarsene. Oppure non si sarebbe neanche girato, magari non gli avrebbe più parlato. E, invece, dopo poco tempo, Bill si alzò lentamente dal materasso del letto e si girò verso il batterista. Teneva ancora il viso basso, ma i capelli neri non erano abbastanza lunghi per coprirgli completamente gli occhi. Gustav li vide gonfi, ancora bagnati dalle lacrime. Si sentì uno schifo. Perché doveva essere lui la causa di quelle lacrime? Voleva troppo bene a Bill, non sopportava di vederlo soffrire, e sapere di essere stato lui a farlo star male lo distruggeva.
Si aspettava un pugno, uno schiaffo, un urlo... qualsiasi cosa. E invece ricevette un abbraccio. Bill si era lanciato tra le sue braccia, gli si era aggrappato al collo e vi aveva premuto contro la fronte. Gustav rimase sconvolto da quel gesto: tutto si sarebbe aspettato, ma non quello.

«Non dirmi mai più delle cose del genere», sussurrò Bill con voce tremante, stringendosi ancor più al batterista.

Gustav sorrise intenerito e ricambiò l'abbraccio con tutta la forza che aveva. «Scusami».






Una coppia...

Tom continuava a rimuginare su quella parola. Era così difficile convincersi di stare insieme a qualcuno in modo fisso. E poi, per uno come lui, che aveva sempre cambiato ragazza ogni notte, era strano pensare di avere finalmente una relazione seria.
Camminava per il corridoio dell'albergo, aspettando di riconoscere il numero della stanza di Georg, prima di accelerare il passo. Era curioso di sapere da lui cosa ne pensasse di quella faccenda.

E se poi dicesse di considerarmi solo un divertimento? Insomma, potrebbe fare come faccio io con le ragazze
pensò Tom, arrivando finalmente davanti alla porta della stanza giusta e bussando piano. In quel caso, ci rimarrei male? si interrogò da solo.

A quella domanda sentì una fitta al petto, una sensazione di fastidio. Ma poi perché? Non avrebbe dovuto restarci male: lui era il SexGott. Perché avrebbe dovuto soffrire per un rifiuto?
Erano domande strane.

«È aperto», lo informò la voce di Georg dall'altra parte della porta.

Tom si ritrovò con stupore a trattenere il fiato, mentre apriva la porta ed entrava dentro la stanza. Perché era così teso?
Una volta dentro, i suoi occhi si posarono subito sul corpo del bassista, disteso sul letto a braccia aperte. Aveva gli occhi chiusi, perciò non si accorse del chitarrista, che lentamente e con molta incertezza si stava avvicinando. Allora Tom tossicchiò appena, cercando di attirare la sua attenzione.

Georg aprì finalmente gli occhi e voltò il capo verso il chitarrista. «Ehi, sei già qui? E Bill?», gli chiese stupito.

Il rasta si avvicinò al letto e si sedette di fianco a Georg, ancora sdraiato sulla schiena. «Gustav voleva chiedergli scusa, perciò li ho lasciati soli», commentò con voce indifferente, osservando serio il viso del bassista.

Georg sorrise e sospirò sollevato. «Lo sapevo che Gustav sarebbe tornato lo stesso di sempre molto presto».

Tom annuì, poi tacque, distogliendo lo sguardo e fissandolo sulla coperta del letto.
Come avrebbe dovuto introdurre l'argomento "coppia"?

Georg notò l'espressione pensierosa del chitarrista e subito pensò che qualcosa non andasse. Si sollevò finalmente a sedere e gli si fece più vicino, allungando una mano verso il suo viso e prendendogli il mento fra le dita per costringerlo a guardarlo negli occhi.

«Va tutto bene?», gli chiese serio, scrutando preoccupato gli occhi del rasta.

Tom arrossì lievemente a quel gesto del bassista e sperò che non lo notasse: si vergognava a mostrare le sue debolezze.

Abbassò gli occhi e annuì leggermente col capo. «Sì, sto bene. È solo che... volevo parlare di una cosa con te», riuscì a dire con sicurezza il chitarrista.

Georg si tranquillizzò e lasciò il mento del rasta per sedersi meglio accanto a lui e per potergli prestare più attenzione. «Ti ascolto. Di che cosa vuoi parlare?».

Tom respirò a fondo, cercando di trovare il coraggio. «Ecco... io volevo sapere se... se noi... se noi siamo una coppia».

L'ultima parola la pronunciò talmente piano e velocemente che quasi il bassista non riuscì a capirla.
Per un momento Georg rimase spiazzato da quella frase e non seppe subito come rispondere. Non ci aveva ancora pensato seriamente e non avrebbe mai creduto che a sollevare il problema sarebbe stato proprio Tom. Pensò bene a cosa rispondere, non voleva che il chitarrista fraintendesse qualcosa.

«Beh... io penso di sì, ma non voglio che tu ti senta costretto a stare con me. Insomma, se non vuoi, me ne farò una ragione e...».

«No no, io voglio!», esclamò improvvisamente il rasta, interrompendo il discorso dell'amico.

Georg si stupì di quella reazione: non si sarebbe mai aspettato che Tom volesse stare con lui.

Il chitarrista arrossì ancora di più, maledicendosi per la sua esclamazione così strana. Ma da quando arrossisco così? E poi perché voglio stare con lui? Dov'è finito il SexGott?

Già, il SexGott... Per la prima volta si rese conto che forse stava cambiando, forse stava accadendo qualcosa di nuovo dentro di lui. Era una sensazione strana.
Georg si rese improvvisamente conto di trattenere il respiro: era rimasto piacevolmente sorpreso dalla risposta del chitarrista, ma doveva ancora riprendersi per potergli rispondere sensatamente. Fissò serio la sua espressione imbarazzata, poi sorrise intenerito e allungò una mano per accarezzargli delicatamente una guancia.

«Bene. Allora siamo... una coppia», gli disse con la voce tremante, incapace di trattenere l'entusiasmo.

Tom cercò di sorridere, ma ci rinunciò quando si rese conto che quel sorriso poteva risultare come una smorfia. Era ancora intontito, molto confuso da quello che sentiva dentro.
Georg lo guardò ancora per qualche istante, non smettendo un secondo di sorridere, poi sospirò felice e si lasciò andare ancora una volta sul materasso del letto, sdraiandosi comodamente e chiudendo nuovamente gli occhi. Tom rimase ad osservarlo pensieroso ancora un po', poi un piccolo pensiero gli attraversò la mente. Le coppie facevano tante cose, una di quelle era la più semplice di tutte e loro non l'avevano ancora sperimentata.

«Ehm... Georg...», disse esitante il chitarrista, la voce appena un po' incrinata e flebile.

Il bassista riaprì gli occhi e fissò curioso il rasta. «Dimmi».

Tom deglutì rumorosamente e fissò ancora una volta la coperta del letto. «Le coppie di solito si...», si interruppe bruscamente, incapace di continuare.

Dai, non è una cosa così difficile da dire
si fece coraggio da solo.

«Si?», lo incitò il bassista.

«Si... si baciano», concluse il chitarrista in un soffio.

Per un momento Georg credette di strozzarsi con la propria saliva. Cominciò a tossire senza sosta e dovette tornare a sedere per riuscire a calmarsi.

Tom lo fissò confuso. «Non pensavo che la cosa ti disgustasse tanto», commentò quasi offeso.

Georg respirò a fondo, cercando di ritrovare almeno un po' di voce. «No no, non è questo! È che mi hai preso alla sprovvista», si giustificò, tornando finalmente serio.

Tom annuì col capo e fissò intensamente gli occhi del compagno.

Georg respirò a fondo, mordendosi il labbro inferiore. «Allora vuoi... provare adesso?».

La sua voce tremava, non riusciva a controllarla.

Il chitarrista rimase in silenzio per qualche istante, poi fissò deciso il viso del bassista. «Sì», rispose in un soffio.

Georg deglutì rumorosamente e annuì col capo, incapace di dire qualsiasi cosa. Tom si sistemò meglio sul letto, avvicinandosi al bassista fino a far aderire il suo corpo con quello del compagno. Georg gli mise le mani sui fianchi e lo attirò ancora più vicino a sé. I loro visi erano così uno davanti all'altro, già molto vicini. Rimasero a fissarsi negli occhi in silenzio per qualche secondo, ascoltando solo i loro respiri affannati e i battiti dei loro cuori.
Tom sentiva le farfalle allo stomaco e stava provando una sensazione che non aveva mai provato prima di allora. Non sapeva spiegarsi il motivo di tutta quell'agitazione.
Ad un tratto, Georg cominciò ad avvicinare lentamente il viso a quello del rasta, non staccando neanche per un secondo gli occhi dai suoi. Si muoveva con cautela, non voleva fare le cose di fretta. Non ci volle molto per spezzare la breve distanza fra loro. Ormai le loro bocche socchiuse si sforavano e i loro respiri si fondevano insieme. Si fermarono ancora una volta, chiudendo entrambi gli occhi e rimanendo in quella posizione per alcuni secondi. La tensione saliva sempre più alle stelle.
Poi Georg lo fece. Si avvicinò definitivamente e premette così le labbra su quelle del chitarrista. Tom sentì i battiti del proprio cuore accelerare ancora, quasi dovesse scoppiargli nel petto. Si rese conto di non respirare. Non voleva farlo, perché avrebbe dovuto staccarsi dalle labbra di Georg. E non voleva.
Rimasero così fermi per alcuni secondi, lasciando che i loro pensieri scivolassero via dalle loro menti. Dopo poco, Tom aumentò la pressione sulla bocca di Georg, facendogli capire che era pronto per andare oltre. Allora il bassista dischiuse le labbra, aprendo con esse anche quelle del rasta. I loro respiri affannati tornarono a fondersi insieme. Georg cominciò a muovere le labbra su quelle di Tom, assaggiando lentamente la sua bocca. Era buona, molto buona.
Il chitarrista per un po' lasciò che il bassista giocasse lentamente con le sue labbra, facendosi guidare docilmente, come se non avesse mai baciato prima. Di solito era lui quello che comandava, ma in quel caso preferiva farsi guidare. Solo quando si sentì veramente pronto, decise di osare di più. Con dolcezza mordicchiò il labbro inferiore di Georg e lo sentì fremere leggermente contro di sé.
Aumentarono la velocità, sempre più vogliosi di spingersi oltre. Arrivarono al punto da non riuscire più a respirare. Sembrava quasi che si volessero divorare a vicenda.
Tom cominciò ad ansimare, non staccandosi comunque dalle labbra del compagno. Per essere il loro primo vero bacio, forse stavano un po' esagerando, ma non gli importava. Voleva ancora di più da quella bocca. Indugiò un istante, poi decise di agire. Il SexGott cominciava ad emergere. Con la lingua tracciò lentamente il contorno della bocca di Georg, poi chiese il permesso di entrare nella sua bocca. Ma il bassista lo fermò prima, staccandosi di poco da lui, ma continuando comunque a premere la sua fronte contro quella del chitarrista.

«Mio Dio, Tom», ansimò senza fiato, prendendo il viso del rasta tra le mani.

Tom protestò con un verso rauco della gola e si riavvicinò bruscamente al bassista, avventandosi nuovamente sulle sue labbra. Si ritrovarono nuovamente incollati l'uno all'altro, l'eccitazione che cresceva sempre di più. Georg sentiva che, se non si fossero fermati in quel momento, non sarebbe più riuscito a controllare i suoi istinti e avrebbe sicuramente fatto qualcosa che a Tom non sarebbe piaciuto.
Il chitarrista portò una mano dietro la testa del bassista e intrecciò le dita con i capelli castani, volendo avere il compagno ancora più vicino di quanto già non fosse. Senza troppi indugi cercò la lingua del bassista e, quando la sfiorò con la sua, sentì un milione di brividi percorrergli la schiena. Georg sentiva che stava veramente per esplodere. Con difficoltà, riuscì ad allontanarsi dal rasta, nonostante questo protestasse in tutti i modi possibili, e per tenerlo fermo rafforzò la presa sul suo viso.

«Tom, aspetta, fermati un secondo», ansimò senza più fiato, la voce flebile che tremava.

Tom avrebbe voluto opporsi, ma non aveva più forze. Possibile che un bacio lo avesse sfinito in quel modo?

Georg premette la fronte contro quella del chitarrista e chiuse gli occhi un momento per riuscire a calmarsi e mettere insieme un discorso sensato. «È meglio se per oggi la chiudiamo qui», mormorò con difficoltà. «Non credo che riuscirei a trattenermi oltre, se continuiamo in questo modo».

Tom corrugò la fronte confuso. «Perché dovresti trattenerti?».

«Perché altrimenti potrei fare qualcosa che non ti piacerebbe e non voglio rischiare di saltarti addosso, quindi...».

«E se io volessi?», lo interruppe bruscamente il chitarrista, allontanandosi di poco dalla sua fronte per poterlo fissare intensamente negli occhi.

Georg ridacchiò. «No, non vuoi. Non sei pronto».

«Chi te lo dice?», insistette Tom con sguardo da sfida.

«Non lo sei e basta. Te ne pentiresti. Non dobbiamo fare le cose di fretta, quello di oggi è stato già un grandissimo passo avanti», concluse Georg, facendo per allontanarsi definitivamente dal rasta.

Ma Tom lo fermò, afferrandogli un braccio. «Aspetta», lo chiamò incerto.

Georg lo guardò curioso e aspettò che parlasse.

Il chitarrista abbassò gli occhi sulla coperta del letto ed esitò un istante. «Almeno puoi... abbracciarmi?».

Il bassista rimase un po' stupito da quella richiesta, ma anche intenerito. Sorrise e si sedette sul letto nella stessa posizione di prima.

«Vieni», disse piano, allargando di poco le braccia.

Tom continuò a tenere lo sguardo basso, anche quando si mosse in avanti per avvolgere il collo di Georg con le braccia e stringersi forte a lui.

Il bassista gli avvolse i fianchi e lo strinse con dolcezza. «Da quando sei diventato così romantico?», gli chiese con fare scherzoso, ridacchiando piano.

Ma Tom non rise, non rispose neanche. Era confuso, aveva quasi paura. Perché aveva così bisogno di Georg? Perché solo quando gli era accanto stava veramente bene?

«Ehi, SexGott, ti sei addormentato?», lo chiamò ironicamente il bassista, non smettendo di abbracciarlo.

SexGott...
pensò confuso il chitarrista.

Perché un SexGott come lui sentiva il bisogno di stare con una persona sola? Perché ad un tratto non gli interessavano più le sue groupies?


Perché?








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Capitolo 8
*** Betrayal ***


08. Betrayal






Era tutto così strano per lui. Il giorno prima non faceva altro che pensare al sesso e il giorno dopo la sua mente era completamente occupata da un'unica persona. Era una cosa che lo sconvolgeva. Da una parte era felice, dall'altra, invece, era infastidito e quasi arrabbiato con quella sensazione di beatitudine che provava dentro il suo corpo ogni volta che vedeva o pensava a Georg. Non era nella sua natura avere il batticuore, era una cosa fin troppo anomala.

Che diavolo mi sta succedendo?


Tom si lasciò andare a peso morto sul letto ad una piazza e mezzo che Georg gli aveva premurosamente concesso di usare. In verità, lo aveva quasi costretto ad usufruire liberamente della sua stanza, dato che aveva ancora la febbre, che non accennava ad abbassarsi. Il bassista era uscito solo pochi minuti prima, affermando di voler fare quattro passi in giro per l'albergo.

Che passeggiata entusiasmante... e poi a quest'ora del mattino.


Tom si rigirò per almeno la quinta volta nel letto, sbuffando sonoramente e buttando l'occhio sulla sveglia, appoggiata sul comodino lì accanto. Erano appena le quattro del mattino. Dormire era un'impresa impossibile, inoltre non aveva neppure un po' di sonno. Si sentiva un po' debole a causa della febbre. E poi come poteva dormire, quando la sua testa era così piena di rompicapi e di pensieri che gli mettevano addosso solo ansia? Non era un tipo che si faceva mettere al tappeto da una febbre da poco, quindi, se avesse voluto uscire un po' da quella stanza per fare un giro, lo avrebbe benissimo potuto fare e al diavolo Georg con le sue preoccupazioni da mammina. Aveva bisogno di mettere in moto le gambe, così forse anche il cervello avrebbe iniziato a carburare di più.
Lentamente si issò sui gomiti e volse lo sguardo verso la porta chiusa della stanza.

Se Georg torna e non mi trova, si incazzerà sicuramente, perché non l'ho ascoltato e non sono rimasto a letto. Ma chi se ne frega, io faccio quel cazzo che mi pare.


Velocemente si alzò dal letto e fu felice di essere già vestito e pronto per uscire. Gli mancavano giusto le scarpe. Se le infilò con decisione e con larghe falcate raggiunse la porta della stanza, aprendola e guardando con circospezione il corridoio dell'albergo: incontrare Georg in quel momento non sarebbe stato proprio il massimo. Fortunatamente non c'era nessuno, poteva muoversi tranquillamente. Prese la chiave della stanza che gli aveva lasciato il bassista e chiuse rapidamente la porta. Non aveva un'idea precisa di dove andare, ma decise di lasciarsi condurre dalle proprie gambe. In fondo, aveva solo voglia di muoversi un po'.

Non mi sono mai sentito così stravolto. Ci sarà un motivo per cui ho sempre evitato di avere relazioni durature: troppi problemi.


Improvvisamente, un brontolio attirò la sua attenzione. Preso alla sprovvista, non si rese subito conto che quel rumore proveniva proprio dal suo stomaco, che reclamava cibo.

Cazzo, anche la fame adesso. Dove vado a mangiare a quest'ora?


Sbuffò sonoramente, camminando con le mani in tasca per il breve e stretto corridoio dell'albergo. Poi un'idea gli attraversò la mente, costringendolo a darsi dello stupido per non averci pensato prima.

Che idiota! Sono in un albergo, mi basta semplicemente andare al piano di sotto, se ho fame. Non sono sicuro che mi daranno qualcosa a quest'ora, però una soluzione in qualche modo la troverò.


Giunto all'ascensore a metà del corridoio, vi entrò dentro, spingendo il bottone del piano a cui era intenzionato scendere e appoggiandosi alla fredda parete.
Forse se avesse raccontato a Georg che era andato a cercare qualcosa da mangiare perché stava morendo di fame, al suo ritorno avrebbe potuto evitare un litigio col bassista. Tralasciando il fatto che alla fine era sempre il rasta ad averla vinta, non gli andava proprio di discutere già a quell'ora di mattina.
L'ascensore arrivò all'ultimo piano e Tom si ritrovò nella hall dell'albergo senza la minima idea di dove andare per cercare da mangiare. Nel ristorante interno, o direttamente nelle cucine?

Ma non so neanche dove siano le cucine!
sbuffò scocciato il chitarrista, optando immediatamente per la prima opzione.

Il ristorante interno dell'albergo era proprio sulla sua sinistra e la porta era aperta. Era uno stanzone immenso e pieno di tavoli con sedie, ma a quell'ora del mattino era completamente deserto.

Il rasta si guardò attorno spazientito. Dovrei avere un culo così per trovare qualcuno dell'albergo sveglio a quest'ora.

Improvvisamente, un rumore e un'imprecazione poco casta sulla sua sinistra lo fece sobbalzare. I suoi occhi si ritrovarono a fissare una ragazza dietro un lungo bancone pieno di bottiglie, intenta a riordinare dei bicchieri su una mensola alle sue spalle.

Tom inarcò un sopracciglio compiaciuto. Evidentemente oggi sono molto fortunato.

Infilò le mani nelle tasche e si avvicinò al bancone, attirando immediatamente lo sguardo della ragazza su di sé.

«Oh, cavolo! Ehm...», balbettò lei imbarazzata.

Evidentemente pensava di essere sola.

«Posso aiutarla?», gli chiese con una punta di confusione nella voce.

Non pensava che a quell'ora ci potesse essere un cliente sveglio come lei.

Tom si appoggiò con i gomiti al bancone e sorrise. «Dammi del tu. Comunque sono abbastanza affamato, non è che potresti essere così gentile da trovare qualcosa da mangiare per questa povera anima in pena?», le chiese con fare scherzoso.

La ragazza ridacchiò divertita, mentre si guardava attorno. «Penso di avere delle brioches. Possono andare bene?», gli chiese, mentre ancora rideva.

«Perfetto», concluse il rasta, facendole l'occhiolino.

Mentre lei arrossiva e si piegava davanti ad uno sportello pieno di bicchieri e pacchetti vari, Tom si sistemò meglio il cappellino sulla testa con fare compiaciuto.

È stato fin troppo facile.


Oltretutto non era neanche male quella ragazza: bionda, forse un po' bassina per i suoi standard, ma ben piazzata per quanto riguardava le forme.

Carina
pensò Tom, osservando il fondoschiena della ragazza, piegata davanti a sé.

Si ritrovò con stupore a sorridere beffardo, continuando a fissare con interesse il corpo della bionda.

Il lupo perde il pelo, ma non il vizio.


Ridacchiò, attirando l'attenzione della ragazza, che stava tornando da lui con due brioches in mano.

Lei lo osservò curiosa. «Che c'è?», gli domandò con un sorriso sulle labbra.

Tom ricambiò il sorriso e scosse la testa. «Niente, pensavo».

La bionda annuì col capo, non smettendo di sorridere, e gli allungò le due brioches. «Hai bisogno d'altro?», gli domandò ancora, aspettando la risposta quasi immediata del chitarrista.

«Beh, ci sarebbe un'altra cosa», iniziò il rasta, allungandosi verso di lei oltre il bancone.

«Qualcosa da bere?», gli chiese la ragazza con un'espressione ingenua sul viso.

Sta fingendo, o è davvero così santarellina?
si chiese confuso Tom, giocherellando con il piercing al labbro inferiore.

Ci passò sopra la lingua un paio di volte, prima di rivolgere uno sguardo malizioso e pieno di sottintesi alla ragazza.

«Non mi riferivo al cibo».






«Io lo sapevo!», imprecò Georg, camminando furioso per il corridoio dell'albergo. «Quell'idiota non mi ascolta mai!».

L'idea di Tom di uscire per camminare un po' non era stata proprio apprezzata dal bassista. Infatti, appena tornato nella sua stanza, si era trattenuto dal mettersi ad urlare, quando aveva visto che il chitarrista non gli aveva dato ascolto e se n'era andato.

Io mi preoccupo per lui e per la sua salute e quello se ne frega!


Quando Georg arrivò davanti ad una porta ben precisa, si mise a bussare con forza, facendo rumore.

«Se sei lì, sappi che sono "leggermente" incazzato con te e con la tua stupidità!», gridò forte per cercare di farsi sentire bene.

La porta si aprì dopo poco, rivelando un Bill e un Gustav esasperati e con gli occhi piccoli piccoli per il troppo sonno. Sembrava che si fossero appena svegliati.

Georg non seppe neanche perché, ma arrossì a quella vista. «Scusate, non pensavo che voi due... insieme...».

«Tranquillo, Georg, non siamo ancora tutti passati all'altra sponda», commentò Gustav, lasciandosi sfuggire uno sbadiglio. «Ci eravamo solo addormentati, cosa assai normale alle quattro del mattino».

Georg si massaggiò la nuca desolato. «Scusate».

Bill si appoggiò allo stipite della porta e chiuse gli occhi. «Hai litigato con Tom?», gli chiese con voce alquanto indifferente.

Il bassista fece una smorfia e scosse la testa. «Non esattamente. Ma sono a tanto così da incazzarmi seriamente con lui, questa volta», borbottò infastidito.

Bill, ancora ad occhi chiusi, gli sorrise. «Allora fai una cosa: fatti una bella camomilla, sbollisci i tuoi spiriti bollenti, torna a letto e lascia dormire noi poveri disgraziati».

Detto questo, aprì gli occhi quel tanto che bastò per individuare la maniglia della porta e si rinchiuse definitivamente insieme a Gustav dentro la stanza.

Georg rimase interdetto a fissare il pezzo di legno davanti a sé. Grazie, Bill...






Mentre il bassista ricominciava a cercare Tom per tutto l'albergo, a qualche piano più in basso il chitarrista cercava di combattere con i sensi di colpa che lo spingevano a disgustarsi da solo. Era una sensazione strana: da una parte era soddisfatto di quello che stava facendo, dall'altra, invece, stava male. Cercava in tutti i modi di concentrarsi sulla prima parte di sé, quella che godeva nell'avere fra le mani un corpo con cui poter soddisfare i suoi istinti repressi da tempo.
Era eccitante sentire i gemiti di piacere della ragazza bionda, distesa sul bancone del ristorante, mentre lui spingeva dentro di lei con sempre più foga. Era eccitante avere le sue unghie conficcate nella schiena. Era eccitante la sua lingua all'interno della sua bocca.
Sesso. Aveva bisogno di quello. Aveva bisogno di sesso.
Aumentò la velocità e spinse ancora più forte dentro la bionda. Lei urlò di piacere e inarcò la schiena sul bancone freddo, attirando ancor più verso di sé il chitarrista. Tom strinse le mani attorno ai fianchi della ragazza e si piegò a succhiare il collo bianco e liscio. E subito si rese conto di aver fatto un errore: quel gesto gli ricordò Georg e quello che era successo fra loro nel bagno della loro casa ad Amburgo.

Merda
imprecò dentro di sé, chiudendo forte gli occhi e cercando di scacciare quelle immagini dalla sua testa.

Non si rese conto di aver aumentato ancor più la velocità, spingendo quasi rabbiosamente dentro la ragazza. Lei urlò ancora più forte, incitandolo così ad andare avanti. A Tom non importava niente dell'ora. Non gli importava se mezzo albergo si sarebbe svegliato. Non gli importava di avere la febbre. Voleva andare avanti, far arrivare quella ragazza all'orgasmo e godere ancora.
Ma la sua mente, per quanto si sforzasse, era sempre concentrata su un unico pensiero fisso. Ma poi perché stava facendo tutto quello? Non aveva ancora accettato il fatto di provare attrazione per Georg? Non si era ancora arreso al fatto di avere una relazione fissa con lui? No, non aveva ancora accettato un bel niente. E forse non voleva neanche farlo.
Ancora poche spinte e vennero entrambi. Tom si accasciò sfinito sul corpo della ragazza, continuando a tenere gli occhi chiusi.
Ecco, lo aveva fatto. Aveva tradito Georg. E, se inizialmente aveva pensato che alla fine non si sarebbe sentito in colpa, in quel momento combatteva con la vergogna che provava dentro di sé.

Io non voglio sentirmi così
pensò con rabbia il chitarrista, aprendo gli occhi, mentre continuava ad ansimare allo stremo delle forze.

Ma il suo sguardo si riempì improvvisamente di orrore. No, quello non sarebbe dovuto succedere. La porta del ristorante era ancora aperta e sulla soglia vide una figura muoversi rapidamente per uscire. Riconobbe dei capelli lisci, castani, che non avrebbe mai potuto confondere con altri.
Non lo aveva sentito, non lo aveva visto in tempo, ma Georg li aveva scoperti.









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Capitolo 9
*** Changes ***


09. Changes






Merda, merda, merda. Cosa cazzo ho combinato?

Continuò a correre su per le scale dell'albergo, il cuore che gli martellava in petto e un dolore pungente ad un fianco. Per la fretta e lo stato di confusione in cui si trovava in quel momento non aveva neppure pensato di prendere l'ascensore.
Quella volta l'aveva fatta grossa, aveva combinato un vero e proprio casino. Ma cosa gli era saltato in mente di andare con la prima ragazza di turno, dopo solo poche ore dal suo primo bacio con Georg?

Devo essere per forza rincoglionito, non posso essere così stupido di mio.


Raggiunse finalmente la porta che stava cercando e, solo quando posò la mano sulla maniglia fredda, si rese conto di star tremando.
Era strano provare timore per quello che lo attendeva dall'altra parte.
Lentamente aprì la porta, tenendola per qualche istante socchiusa e infilando di poco la testa all'interno della stanza. A qualche metro più in là, Georg stava armeggiando con varie magliette, appoggiate sul letto.

Deglutì rumorosamente. «Georg... posso entrare?», domandò con cautela, la voce che quasi tremava.

Non ricevette risposta. Il bassista continuava a dargli le spalle, piegando maglie su maglie e infilandole in una valigia aperta sul letto.

Tom corrugò la fronte confuso. «Che stai facendo?».

«Preparo le valigie. Tra poco David passa a prenderci per andare via», gli rispose Georg, non degnandolo ancora di uno sguardo.

La sua voce era irriconoscibile, troppo fredda per appartenergli. Sembrava quasi insofferente, come se non gli importasse più nulla.
Tom fece qualche passo in avanti, sorpassando la soglia e chiudendosi la porta alle spalle con lentezza.
Aveva quasi paura, anche se non capiva di che cosa in particolare.
Lentamente si avvicinò al letto, affiancandosi al bassista e osservando in silenzio il suo viso corrucciato. Gli occhi si ostinavano a guardare intensamente le maglie che stava ordinando dentro la valigia, i capelli quasi gli nascondevano una parte del viso.

Tom prese un respiro profondo e si schiarì la voce. «Allora?».

«Cosa?», gli domandò freddo Georg, facendo finta di nulla.

«Non dici nulla?», tentò ancora il chitarrista, ostinandosi a farlo parlare.

Il bassista sbuffò spazientito. «Che cosa dovrei dire?».

Tom alzò gli occhi al cielo, irritato da quel comportamento così indifferente del suo ragazzo. Gli si avvicinò ancora di più, togliendogli dalle mani una delle tante magliette che stava piegando e premendo con forza una mano sulla sua spalla per costringerlo a voltarsi.

«La vuoi smettere di armeggiare con queste fottutissime maglie e di rispondere alle mie domande con altre domande? Cazzo, lo so che sei incazzato per quello che è successo, ma preferirei che me lo dimostrassi con un pugno in faccia, piuttosto che con l'indifferenza totale!», gli urlò in faccia.

Georg lo fissò inespressivo, inarcando un sopracciglio. «Non è uno dei miei passatempi preferiti dare pugni in faccia alla gente».

Tom cercava in tutti i modi di controllarsi, per non rischiare di fare a pugni con il bassista, ma il suo modo di fare lo stava facendo ribollire di rabbia. Voleva discutere seriamente dell'accaduto, ma Georg non accennava a collaborare.

«Cazzo, Georg! Dimmi qualcosa! Che sono una testa di cazzo, che mi odi, che vuoi farla finita con me, che...».

«Se ti dicessi veramente che voglio farla finita con te, che cosa proveresti?», gli chiese improvvisamente il bassista, interrompendo il discorso del rasta.

Tom si bloccò a bocca aperta, cercando di assimilare bene le parole di Georg.
Non doveva fargliela quella domanda, era troppo difficile rispondere.
Abbassò lentamente lo sguardo a terra, sentendosi improvvisamente messo con le spalle al muro.

Georg storse la bocca in una smorfia. «Niente, vero?».

Tom si ostinò a fissare il pavimento, deglutendo rumorosamente.
Doveva rispondere. Subito. Ma che cosa, poi?
Vide l'ombra di Georg allontanarsi improvvisamente da lui e questo lo costrinse ad alzare gli occhi con il cuore in gola. Era entrato nel bagno e sentiva che stava armeggiando con qualcosa al suo interno. Sentì un improvviso groppo alla gola, anche se non riuscì a capirne il motivo. Scattò verso la porta aperta del bagno, fermandosi sulla soglia e fissando il bassista che prendeva in mano spazzolino, dentifricio e altri oggetti vari da mettere in valigia.

Il chitarrista ingoiò più saliva che poté per cercare di mandar via quel magone che sentiva in gola e si sforzò di parlare con voce ferma. «Senti, per me è stata solo una scopata, niente di più. Ne avevo bisogno».

Georg sorrise e afferrò un asciugamano. «D'ora in poi potrai tornare a scopare tutte le volte che vorrai, non ti impedirà nessuno di farlo», gli disse con falsa freddezza.

Il cuore di Tom mancò di un battito. Non poteva credere che stesse succedendo veramente.

«Io non voglio che finisca così».

Ormai la sua voce non aveva più neanche un briciolo della sicurezza iniziale e tremava sempre più.

Georg gli si avvicinò, alzando per un istante gli occhi e puntandoli nei suoi. «Possiamo anche dire che non è mai iniziata», sussurrò piano, prima di scostarlo dalla porta per uscire dal bagno.

Tom rimase spiazzato sul posto, sentendosi improvvisamente cadere a pezzi. Perché gli stava facendo quello? Non poteva pensare veramente di chiudere così di punto in bianco.
Georg, da parte sua, stava facendo uno sforzo disumano per cercare di mantenere quella specie di maschera che aveva improvvisamente indossato per non dimostrare il suo dolore. Non voleva far soffrire Tom, era l'ultima cosa che avrebbe voluto fare, ma era anche vero che lui non si era fatto scrupoli a tradirlo con la prima ragazza di turno, dopo neanche due ore dal loro primo bacio. Era inutile sperare che il chitarrista cambiasse improvvisamente da un giorno all'altro solo per lui. Era troppo chiedergli di abbandonare i suoi modi di fare da SexGott. E, molto probabilmente, era meglio così.
Il chitarrista lottava con tutte le sue forze per non cadere a terra: sentiva le gambe improvvisamente deboli, ma era sicuro che la febbre non c'entrasse nulla. Si voltò a fissare il bassista, che stava infilando le ultime cose rimaste sul letto dentro la valigia, e gli occhi incominciarono a bruciargli.

Non voglio... non voglio perderlo.


Georg chiuse la valigia e fece per avviarsi verso la porta. Fu allora che Tom trovò la forza necessaria per allontanarsi dallo stipite della porta del bagno e per avvicinarsi rapidamente al bassista.

«Aspetta!», disse quasi urlando.

Georg si fermò solo dopo aver aperto la porta della stanza. Si ostinò a dare le spalle al chitarrista. Non voleva vedere il suo viso.

Tom quasi ansimava, cercando disperatamente le parole giuste da dirgli. «Mi dispiace per quello che ho fatto, se potessi tornare indietro non lo rifarei una seconda volta. Però... non voglio perderti».

Sentiva ancora quel groppo alla gola e per un momento i suoi occhi vennero offuscati da qualcosa di caldo e liquido. Respirò a fondo.

«Io...», si bloccò, incapace di proseguire.

Che cosa voleva dire?
Georg, intanto, continuava a rimanere fermo sulla soglia della porta, il dolore che lo distruggeva sempre di più ogni secondo che passava. Non sopportava di farlo soffrire così, era una cosa che non poteva sopportare. Era quasi tentato di rimangiarsi tutto quello che gli aveva detto fino a quel momento, girandosi e stringendolo come mai aveva fatto prima. Ma qualcosa lo bloccava.

Tom chiuse gli occhi e strinse le palpebre. «Io...».

«Oh, Georg, eccoti qui! Senti, scusa per prima, ma non mi reggevo in piedi e...».

La voce squillante di Bill risuonò per il corridoio dell'albergo e persino all'interno della stanza di Georg. Il cantante era fermo davanti alla porta, il viso confuso e la bocca ancora aperta.

«Ehm... momentaccio?», chiese imbarazzato, fissando prima il bassista, poi il gemello alle sue spalle.

Quando poi notò il viso sconvolto del fratello e gli occhi lucidi, il suo sguardo tornò furioso sul viso di Georg.

«Ehi, tu! Che cosa gli hai fatto?», gli urlò quasi in faccia.

Georg alzò gli occhi al cielo, infastidito dalle grida di Bill. Ma non si rende conto che sono appena le cinque del mattino?

«Io non tollero certe cose!», continuò infuriato il cantante.

«Sì, Bill. Potresti aspettare un secondo, però?», gli chiese esasperato il bassista, afferrando la maniglia della porta.

Bill inarcò un sopracciglio e lo fissò sospettoso. «È una domanda a trabocchetto?».

Georg si affrettò a chiudere la porta, lasciando il cantante fuori nel corridoio.
Certe volte Bill risultava più strambo del normale.

Intanto il moro continuava ad urlare fuori dalla porta. «Nessuno chiude la porta in faccia a Bill Kaulitz! Questo è un oltraggio alla mia stupenda persona!».

Georg cercò di concentrarsi solo su una cosa. Si voltò, fissando il rasta fermo a pochi passi da lui. Teneva gli occhi bassi e respirava affannosamente. Il bassista provò un'immensa tenerezza nel vederlo così: gli appariva fragile, un Tom diverso dal solito.
Appoggiò la valigia a terra e gli si avvicinò lentamente. Quando gli fu davanti, aspettò qualche istante, fissando ogni singolo particolare del suo viso. Era bellissimo. Con delicatezza gli prese il mento fra le dita e gli alzò il viso, costringendolo a guardarlo negli occhi. Si fissarono intensamente per un tempo che a loro sembrò un'eternità.
Intanto, fuori dalla porta, Bill continuava ad inveire contro il bassista.

Georg sospirò ancora una volta, non staccando gli occhi da quelli del rasta. «Forse è meglio riparlarne più tardi con più calma», sussurrò ad un soffio dal suo viso.

Tom annuì debolmente, fissando voglioso le labbra del bassista. Fece per avvicinarsi, ma Georg lo bloccò.

«Ho solo detto che dobbiamo parlarne», disse, cercando di non risultare troppo brusco.

Il chitarrista annuì col capo, storcendo la bocca in una smorfia di delusione. «Okay», borbottò con la voce leggermente roca.

Georg tornò alla sua valigia, fissando esasperato la porta chiusa: Bill non aveva ancora smesso di urlare.

«Io non mi stupirei tanto se a colazione ti si spiaccicasse "accidentalmente" un bombolone in faccia, Georg!», sbraitava come un ossesso.

Il bassista sospirò. Perché ancora mi stupisco? Ormai non c'è un secondo che Bill non sia preda di una crisi isterica.






«Cosa diavolo sono quelle occhiaie?».

David li osservava sconvolto e al contempo infuriato, da una poltrona della hall.

Georg cercò di evitare il suo sguardo infuocato, lasciandosi andare a peso morto sulla poltrona di fianco a quella del manager. «Non è stata proprio una notte tranquilla», commentò ad occhi chiusi, respirando a fondo.

Bill si guardò attorno, in cerca di un'altra poltrona su cui sedersi. Non trovandola, si lasciò liberamente andare sulle gambe del bassista.
Georg imprecò infastidito, cercando in qualche modo di posizionarsi comodamente anche con il cantante addosso.

«Che delicatezza...», borbottò dolorante.

Bill non l'ascoltò e si rivolse a David come se niente fosse. «A me le occhiaie non si vedono. Guarda che capolavoro ho fatto col trucco. Sono perfetto come sempre».

Il manager evitò di rispondergli, fissando severo gli altri. «Anche voi ve lo dovrete mettere. Non vi potete permettere di presentarvi così».

Gustav sbuffò scocciato. Non sopportava il trucco in faccia, gli dava una sensazione di appiccicaticcio.
Tom, invece, non batté ciglio. Aveva un'espressione del viso seria, che faceva quasi paura, e non aveva ancora aperto bocca. Fissava in silenzio e con sguardo assente il gemello seduto sulle gambe di Georg, ma non era fastidio o gelosia quello che si intravedeva nei suoi occhi. Era semplice tristezza per un motivo non del tutto definito. Gli sembrava quasi di non sentire neanche le parole di David, tanto era preso dai suoi pensieri. Era quasi in uno stato di trance.

«Oggi volevo farvi conoscere una persona», continuò il manager, attirando l'attenzione di tutti.

Quasi tutti.

«Chi?», squittì Bill curioso.

«Una "new entry" nel mondo della musica, un cantante scoperto da poco», spiegò loro il manager.

«È tedesco?», insistette il cantante, sempre più voglioso di sapere.

«No, americano».

«E immagino che tu ce lo faccia conoscere perché sotto sotto è un nostro fan sfegatato e non vede l'ora di poter imparare da noi», commentò Bill con l'aria di chi la sa lunga.

David inarcò un sopracciglio. «Veramente la vostra musica non è che gli vada proprio a genio, ma...».

«COSA?», lo interruppe il cantante, sconvolto da quel fatto.

«Bill, non a tutti deve per forza piacere la vostra musica».

Bill storse la bocca in una smorfia e fulminò il manager con un'occhiataccia. E invece sì!

«E allora che cosa vuole? Perché vuoi farcelo conoscere?», sbottò irritato, risultando quasi impertinente alle orecchie di David.

«Beh, siccome lavorate per la stessa casa discografica e voi siete in questo settore da molto tempo, pensavo che vi avrebbe fatto piacere aiutarlo ad ambientarsi e a migliorare il suo lavoro. Ma questo è solo per poco tempo, giusto un mesetto», si spiegò meglio il manager, passando sopra alla scontrosità del cantante.

«Ma, David, come faremo a capirci? Lo sai che il nostro inglese fa schifo», intervenne Gustav con un'espressione confusa sul volto.

David lo zittì con un brusco gesto della mano. «Da bambino ha girato mezzo mondo e parla cinque lingue. Tra queste c'è anche il tedesco, quindi la comunicazione non sarà di certo un problema».

Gustav guardava stupefatto David mentre gesticolava, continuando a parlare. Cinque lingue? Questo sì che è un cantante. Bill a malapena sa parlare la sua madrelingua pensò, fissando il cantante, mentre si sistemava i capelli. Ma è Bill, ovvero un caso perso concluse rassegnato il batterista.

Georg si passò una mano tra i capelli e sospirò sconsolato. L'argomento non lo interessava più di tanto, anzi... Avrebbe voluto discutere con Tom in un luogo tranquillo, ma era evidente che prima di sera non sarebbero riusciti a dirsi niente riguardo a quell'argomento. Nel pomeriggio avevano un'intervista per un giornale americano e, successivamente, un servizio fotografico. Se dovevano anche incontrare quel cantante, allora era chiaro che non avrebbero finito tanto presto.

«A che ora è l'incontro?», chiese pacato il bassista.

«Ma adesso! Quando pensavate di incontrarlo con tutto quello che avete da fare oggi?», esclamò scettico David, lasciando i quattro ragazzi un po' perplessi.

«Adesso?», ripeté Gustav, inarcando un sopracciglio.

Il manager annuì e guardò con la fronte corrucciata l'orologio che portava al polso. «Sì, adesso. Farà colazione con noi nel bar dell'albergo. Anzi, se ci andiamo a sedere e lo aspettiamo là, è meglio, perché dovrebbe arrivare tra poco con il suo manager».

Bill sbuffò svogliato e si costrinse a trovare la forza per alzarsi dalle ginocchia di Georg. «Allegria...», commentò sarcasticamente, seguendo il manager mentre faceva loro strada.

David li scortò fino al bar dell'albergo, gettando poi un'occhiata oltre la porta di vetro chiusa. Lui e il manager del ragazzo erano rimasti d'accordo di incontrarsi lì, ma non immaginava che sarebbero arrivati così presto e in anticipo rispetto all'orario previsto per il loro incontro. Infatti rimase stupito, quando ad un tavolo poco lontano dalla porta vide il ragazzo che aveva visto in foto pochi giorni prima e l'uomo con cui aveva parlato al telefono. Non poteva sbagliarsi, doveva per forza essere quello il ragazzo. Non era come gli altri presenti nel bar, aveva qualcosa in più, qualcosa che lo rendeva sicuro che fosse proprio lui.

Sorrise e si voltò indietro per guardare i suoi quattro ragazzi. «È già qui, ragazzi. Non dovete neanche aspettare per conoscerlo».

Bill, Gustav e Georg annuirono un po' incerti, lanciando occhiatine curiose oltre la porta di vetro. Tom invece sembrava che non avesse neanche sentito le parole del suo manager: si limitava a seguire il gruppo a testa china, osservando con sguardo spento il pavimento e immergendosi completamente nei suoi pensieri. Il mondo attorno era come se non esistesse.
David aprì la porta e invitò i ragazzi ad entrare con un cenno del capo. Ma, quando Tom gli passò accanto, lo fermò.

«Ah, Tom...».

Tom a malapena lo sentì, ma alzò comunque il viso inespressivo per osservare quello del manager.

David per un momento lo guardò confuso, poi gli disse severo: «Cerca di sorridere un po'. Sembri uno zombie».

Il chitarrista non diede tanto peso a quelle parole, si limitò semplicemente ad annuire mestamente col capo e a seguire gli altri tre compagni dentro il bar.

Il manager lo osservò ancora per un po' con uno sguardo sospettoso e al tempo stesso confuso. Non è da lui comportarsi così. Non ha ancora aperto bocca da quando ci siamo riuniti tutti nella hall.

Effettivamente quello non era il solito Tom. Lui stesso se ne rese conto, mentre camminava dietro al gemello verso un tavolo del bar. Era combattuto: da una parte era preoccupato per quello che sarebbe successo fra lui e Georg, dopo aver parlato seriamente dell'accaduto; dall'altra parte si chiedeva perché tutto ad un tratto era così interessato ad una relazione con il bassista. Non gli era mai importato niente di quelle cose serie e, soprattutto, mai aveva pensato di potersi interessare a un ragazzo, tanto meno proprio a Georg. In quel momento, invece, non riusciva a pensare ad altro che al bassista.
Intanto avevano raggiunto il tavolo.

«Salve!».

Un uomo di colore, pelato e piuttosto in carne, li salutò con un tedesco non esattamente perfetto, ma comprensibile. Era vestito in modo formale, con calzoni lunghi di un colore blu scuro, una giacca abbinata dello stesso colore e una cravatta nera.

Bill lo osservò stupito. Che strano tipo pensò, mentre gli stringeva la mano.

Gustav non era uno che si stupiva facilmente, perciò non fece neanche troppo caso all'abbigliamento di quel manager e si limitò a sorridergli e a stringergli cortesemente la mano anche lui. Georg fece lo stesso, sorridendogli però con meno entusiasmo: quell'incontro non gli interessava affatto in quel momento. Tom invece fece uno sforzo per allungare la mano e stringere quella dell'uomo in un stretta moscia e senza entusiasmo. Non gli sorrise neppure, non alzò nemmeno gli occhi per guardarlo, e, anche se sapeva di averlo lasciato perplesso, non gli importava. A quanto aveva capito, quell'uomo si chiamava Bob ed era il manager del cantante americano.

Già, il cantante americano...
pensò in uno stato confusionale il chitarrista.

Non si era neppure guardato attorno per cercare quel nuovo ragazzo, non l'aveva neanche visto. Probabilmente aveva già stretto la mano a tutti e, vedendo la sua maleducazione in quel momento, aveva preferito lasciarlo perdere e ignorarlo completamente.

Meglio così
pensò indifferente il rasta.

Poi accadde qualcosa di inaspettato. I suoi occhi erano rivolti verso il basso, ma, improvvisamente, nel suo campo visivo apparve qualcosa di diverso dalle solite piastrelle di marmo del pavimento del bar: una mano, una mano giovanile.

«Ehm... Tom?», lo chiamò David con una voce che faceva intendere la sua irritazione per il comportamento del rasta.

A quel punto, allora, Tom alzò lo sguardo, ritrovandosi a fissare due occhi azzurri, liquidi e profondi e un sorriso aperto.

Il ragazzo davanti a lui allargò ancora di più il sorriso. «Sono Simon».

La sua voce era calda e per nulla irritata dalla poca attenzione rivoltagli dal chitarrista. Parlava un tedesco corretto e doveva avere all'incirca ventisei anni.

Simon ridacchiò, quando notò l'espressione perplessa di Tom. «Piacere di conoscerti».






Più lo guardava e più si rendeva conto che c'era qualcosa di strano in quel ragazzo, di particolare. David lo aveva rimproverato per il suo comportamento, i suoi compagni lo avevano guardato male per la figuraccia che aveva fatto fare alla band e il manager del ragazzo gli aveva scoccato un'occhiataccia per la sua maleducazione. Invece cosa aveva fatto quel ragazzo? Gli aveva sorriso quasi con fare strafottente e si ostinava ancora ad allungare la mano per stringere la sua. Tom lo trovava un gesto quasi fastidioso. Ma non lo capiva che in quel momento voleva solo essere lasciato in pace? Con una smorfia appena accennata allungò il braccio e accolse svogliatamente la mano del ragazzo nella sua.

Che scocciatura
pensò dentro di sé, cercando di sforzarsi per accennare almeno un piccolo sorriso.

Che però risultò essere una smorfia.

«Tom», mormorò assente, fissando gli occhi azzurri del ragazzo.

"Simon", così aveva detto di chiamarsi. Un nome come un altro, niente di più.

«Piacere», aggiunse dopo poco con un tono di voce che risultò comunque infastidito.

Ma Simon non sembrava notare l'impertinenza del rasta. Anzi, sembrava quasi che lo stesse incitando a farla venire fuori ancora di più.
Gli sorrise in un modo che a Tom sembrò quasi malizioso.

Idiota
lo insultò mentalmente.

«Lo so. Chi non ti conosce», commentò ironicamente Simon.

E pure spaccone.


Rimasero per qualche istante immobili a fissarsi negli occhi, mentre i loro compagni li guardavano confusi.
A Tom sembrava quasi un atteggiamento di sfida e cominciava ad infastidirsi. Invece non erano ben chiari né i pensieri né le intenzioni di Simon: era strano, aveva un modo di fare tutto suo e non si capiva se fosse con buone o cattive intenzioni. Niente e nessuno negava che fosse un bel ragazzo di ventisei anni, biondo e con gli occhi azzurri - il classico americano -, ma era anche enigmatico.
Si stavano dilungando troppo nelle presentazioni, invece David non vedeva l'ora di discutere a proposito del lavoro della sua band con quel nuovo cantante e con il suo manager.

L'uomo si avvicinò al rasta e al biondo, sorridendo forzatamente. «Mangiamo? Che ne dite?», chiese loro cautamente.

Simon non staccò gli occhi da quelli di Tom, ma sorrise serafico. «Certo».

Quanto è fastidioso
pensò irritato il chitarrista, distogliendo lo sguardo e avviandosi rapidamente verso il tavolo dove i suoi compagni erano già seduti.

Forse stava esagerando e si era fatto un'idea sbagliata di Simon, ma in quel momento gli dava proprio sui nervi il comportamento del ragazzo: si ostinava a fissarlo con uno sguardo indecifrabile e, in più, si era seduto di fronte a lui, così da poterlo osservare meglio.

Tom gli lanciò un'occhiataccia. Che rabbia.

«Tutto bene?».

La voce di Georg gli arrivò lontana, nonostante fosse seduto accanto a lui, e lo prese alla sprovvista: non pensava che gli avrebbe rivolto la parola così presto, dopo il loro litigio.

Non sapeva se esserne felice o meno, ma si affrettò comunque a rispondergli per non fargli credere che ce l'avesse con lui. «Sì, tutto a posto», sussurrò piano, accennando ad un sorriso sghembo.

Voltò il capo, tornando a fissare il ragazzo seduto di fronte a lui: stava parlando con il suo manager in americano e, a causa della sua scarsa conoscenza della lingua, non riusciva a comprendere più di due parole a frase. Evidentemente l'uomo non sapeva parlare tedesco e per questo il suo cantante avrebbe dovuto fare da traduttore tra lui e David.
Era interessante osservare il suo comportamento: era calmo, professionale, a Tom risultò quasi freddo mentre parlava con il suo manager. Aveva comunque qualcosa di interessante.
Dopo pochi minuti, la colazione venne servita al loro tavolo e David prese la parola.

«Allora», esordì rivolto a Simon. «Sai in che cosa consiste la mia proposta... una collaborazione con il nostro gruppo potrebbe essere un buon trampolino di lancio per te. In questo modo potresti trovare in poco tempo una cerchia di fan e successivamente proseguire per la tua strada e allargarla».

Simon storse la bocca, scuotendo la testa. «Avevo già detto di non essere d'accordo», mormorò con voce indifferente.

David si morse il labbro inferiore, annuendo col capo. «Già. Cosa non ti soddisfa?».

«Voglio che la mia musica venga apprezzata per quella che è. Non mi piace l'idea di appoggiarmi ad un gruppo già affermato per guadagnare popolarità».

Tom ascoltò interessato il discorso di Simon, non rendendosi neppure conto di star annuendo piano con il capo. In un certo senso lo ammirava, percepiva la sua passione per la musica. Era forte come la sua.

«Voglio farcela da solo», concluse il ragazzo americano, tornando a fissare Tom, mentre pronunciava le ultime parole.

Il chitarrista sobbalzò appena, non sapendo spiegarsene neanche il motivo, e si sentì quasi ipnotizzato da quegli occhi così azzurri e profondi da risultare quasi glaciali. Si fissarono per alcuni istanti, studiandosi a vicenda. Poi, ad un certo, punto Simon sorrise, ma questa volta non con fare strafottente e beffardo. Era un sorriso dolce, genuino.

Tom sentì mille piccoli brividi percorrergli velocemente la schiena, facendolo sobbalzare sul posto. Che diavolo mi succede? si chiese confuso, corrugando la fronte e continuando a fissare il ragazzo davanti a sé.

Simon distolse lo sguardo e si concentrò nuovamente su David.
Intanto, Georg osservava confuso il comportamento di Tom: era inquieto, teso, perplesso.

Che gli succede? È da quando ci siamo seduti che è strano
pensò il bassista, allungando una mano sotto al tavolo e appoggiandola delicatamente sulla coscia del chitarrista.

Tom sobbalzò ancora, questa volta quasi saltò sulla sedia, e si voltò di scatto verso Georg. «Che c'è?», gli chiese bruscamente.

Il bassista lo scrutò per qualche istante con un'espressione perplessa, poi si avvicinò cautamente al suo orecchio. «Si può sapere che cos'hai? È per la nostra discussione?», gli sussurrò piano.

Il chitarrista corrugò la fronte e lo fissò confuso.

Allora Georg insistette. «Sei sempre più teso. Non ci credo che va tutto bene».

Tom deglutì rumorosamente e distolse lo sguardo, fissando serio un punto indefinito sulla tovaglia del tavolo. «Non sono affari tuoi», borbottò scontroso, risultando quasi impertinente.

Georg inarcò le sopracciglia e lo fissò sbigottito. «Scusa?».

Il chitarrista grugnì. «Lasciami in pace».

Il bassista aprì la bocca per dire qualcosa, ma la richiuse quasi subito, limitandosi ad osservare il profilo dell'amico con espressione seria. Poi si voltò dalla parte opposta, schiarendosi di poco la gola.

«Fai come vuoi, basta solo che non ti venga una crisi isterica», borbottò con voce fredda.

Tom spalancò gli occhi e si girò di scatto verso Georg. «Cos'hai detto?», sbottò a voce alta.

Immediatamente tutti i loro compagni si voltarono nella loro direzione stupiti, zittendosi per cercare di capire cosa fosse successo.

David inarcò un sopracciglio. «Che cosa succede?».

Tom e Georg continuavano a fissarsi con occhi da sfida, cercando quasi di mandarsi messaggi telepatici per ricordarsi a vicenda quanto fossero stupidi.

Poi, ad un tratto, il chitarrista distolse lo sguardo e si alzò dalla sedia. «Io torno nella mia stanza», annunciò senza troppi preamboli.

Il suo manager lo guardò sconvolto. «Stai scherzando, vero? Ti sembra il momento?», lo rimproverò con voce severa.

Tom gli lanciò un'occhiataccia e si allontanò di poco dal tavolo.

Ma subito David lo fermò con un ordine. «Torna subito qui, non ho intenzione di ripeterlo!».

Il chitarrista gli diede le spalle e si allontanò infastidito. «Sei solo il mio manager, non mio padre. Sono libero di fare quel cazzo che mi pare», gli disse con voce indifferente.

David sbarrò gli occhi sconvolto. «Tom!», sbottò furioso.

«Lo lasci andare».

Il manager sobbalzò, preso alla sprovvista: ancora seduto al tavolo, Simon lo stava fissando con un'espressione seria e quasi il suo sguardo lo raggelò sul posto da quanto era intenso.
Quel ragazzo faceva uno strano effetto, non c'era che dire.

Il cantante notò la perplessità dell'uomo e decise di tranquillizzarlo con un sorriso. «Non è necessario che stia qui con noi, possiamo parlare delle nostre idee anche senza di lui», gli spiegò più tranquillamente.

David fece per protestare, ma ancora una volta Simon lo interruppe immediatamente. «Continuiamo?», gli chiese con un sorriso.

Il manager borbottò qualcosa di incomprensibile e tornò di malavoglia a sedersi.

Nello stesso momento Georg scattò in piedi e cominciò a correre verso l'uscita del bar. «Torno subito», gridò nella loro direzione.

David strinse furibondo un lembo della tovaglia nel pugno e lanciò un'occhiataccia a Bill e a Gustav, gli unici membri della band ad essere rimasti seduti a tavola. «Qualcun altro vuole togliere il disturbo?», chiese con voce apparentemente gentile, ma sotto sotto minacciosa.

I due amici deglutirono e con voce flebile pronunciarono un debole "no".

Il manager concentrò la sua attenzione su Simon e accennò ad un sorriso forzato. «Bene, continuiamo pure».






«Che cazzo ti prende?».

L'esclamazione furibonda di Georg rimbombò per tutto il corridoio dell'albergo. Tom era appoggiato contro la parete del muro, le mani di Georg premute sulle sue spalle per tenerlo fermo. Aveva tentato di scappare, ma non ce l'aveva fatta ed era stato preso prima che arrivasse alla sua stanza.

Il chitarrista lo guardò esasperato. «E tu che cazzo vuoi? Non sai farti gli affari tuoi?».

«Fino a prova contraria, tu sei ancora un affare mio, perciò chiedo scusa se riesco a preoccuparmi per te anche dopo quello che hai fatto stanotte», gli rispose il bassista offeso.

Tom distolse lo sguardo corrucciato e provò a liberarsi dalla forte presa dell'amico. «Non ti ho chiesto di farlo», sussurrò piano.

Georg premette ancora più forte le mani sulle spalle del rasta e cercò il suo sguardo. «Non devo chiedere il tuo permesso per farlo», ribatté serio.

Finalmente Tom si voltò a guardare il viso del bassista. «Certo, perché non posso mai fare niente senza averti fra i coglioni! Sei una testa di cazzo che non sa stare al suo posto!», sputò fuori velenoso, senza pensare a ciò che aveva appena detto.

Improvvisamente si sentì afferrare bruscamente per il collo della maglia e venne tirato violentemente davanti a sé, fino ad arrivare con il viso ad un soffio da quello di Georg. Sembrava furioso, ma nel profondo dei suoi occhi poteva leggere tutto il dolore per quelle parole che aveva appena ricevuto. Lo aveva ferito.
Tom rimase immobile a fissare quegli occhi, aspettando che il bassista lo picchiasse, che gli urlasse in faccia qualcosa di altrettanto cattivo. Invece lo vide sospirare, mentre lo fissava serio.

«Non parlarmi così», gli disse con voce spaventosamente tranquilla.

Aveva già fatto abbastanza danni, ma Tom sentì la necessità di essere ancora una volta strafottente, ma non seppe spiegarsi il perché.

Sorrise beffardo. «Altrimenti che cosa fai? Mi stupri a sangue? Ah, no, dimenticavo che non sei neanche capace di fare quello con me».

Voleva picchiarlo, Georg sentiva che prima o poi sarebbe scoppiato. Non l'aveva mai fatto, ma la voglia di colpirlo si fece più viva che mai nel suo corpo. Eppure non ci riusciva, c'era qualcosa che lo bloccava e gli diceva di non farlo, perché sarebbe stato il gesto più sbagliato che avrebbe potuto fare. Era inutile, non sarebbe mai riuscito a ferire Tom come stava facendo lui. Semplicemente perché provava qualcosa di diverso, qualcosa che il chitarrista evidentemente non provava.

«Stupido», sussurrò piano, abbassando gli occhi sul pavimento e scuotendo leggermente la testa.

Tom corrugò la fronte confuso: tutto si sarebbe aspettato, ma mai una reazione così calma. «Cosa?», chiese perplesso.

Georg rialzò lo sguardo e puntò gli occhi in quelli del chitarrista. Sono stato uno stupido a pensare che tu potessi provare quello che provo io per te.

«Sarà meglio per tutti e due», disse in un soffio.

Il cuore di Tom mancò di un battito, esattamente come qualche ora prima. Cosa?

Il bassista si fece terribilmente serio. «Finiamola qui».






«Allora siamo d'accordo così?», chiese entusiasta David.

Simon sorrise. «Direi proprio di sì».

Bill, fuori di sé, scattò in piedi e cominciò a battere le mani come un forsennato. «Sì, non vedo l'ora di insegnarti tutto sul mestiere del cantante! Hai avuto fortuna: non a tutti capita di avere un maestro come me».

Il cantante americano corrugò la fronte e annuì consenziente. «Già, immagino», commentò divertito.

David osservò stranito Bill mentre si sistemava i capelli sparati in aria e scosse leggermente la testa. Crescerà mai?

«Oh, con me al tuo fianco diventerai un vero professionista!», esclamò il cantante moro, annuendo orgoglioso.

Evidentemente no
concluse il manager dentro di sé.

Erano ancora seduti al tavolo del bar, anche se avevano finito da un pezzo di fare colazione. Erano giunti alla conclusione che Simon avrebbe passato un po' di tempo con il gruppo, guardando e imparando tutto ciò che gli sarebbe servito per intraprendere la sua carriera da cantante.
Bill era estasiato dall'idea di poter insegnare a qualcuno tutto quello che sapeva sul suo lavoro e non faceva altro che agitarsi sulla sedia, non contenendo la felicità. Gustav, invece, non dimostrava affatto il suo entusiasmo: non gli dispiaceva avere a che fare con un nuovo artista ed era felice del loro accordo, ma non ci vedeva nulla di così fantastico da saltare sulla sedia come faceva Bill. A differenza del cantante, lui era un tipo più sostenuto, ma ciò non voleva dire che gli dispiacesse avere intorno Simon. Anche se questo avrebbe comportato di dover passare giorni interi insieme al nuovo cantante.

«Oh, guardate chi è tornato... il ragazzo indipendente», esclamò ad un tratto David.

Tutti si voltarono verso la direzione in cui erano rivolti gli occhi del manager: Tom stava camminando lentamente verso di loro, il cappellino calato sul volto per farsi ombra.

A quella vista, Bill capì all'istante che qualcosa non andava. Che gli succede? si chiese confuso, facendosi improvvisamente serio e corrugando la fronte.

Il chitarrista arrivò fino al loro tavolo e si fermò davanti a David, fissandolo inespressivo.

Il manager lo squadrò severo. «Spero che tu sia pronto, perché dobbiamo partire subito. Il tourbus è arrivato».

Tom non rispose e si limitò ad annuire mestamente.

«Dov'è finito quell'altro?», sbottò David, guardandosi intorno in cerca di Georg.

«Sono qui».

Il bassista arrivò da dietro le spalle di Tom e il loro manager sbarrò gli occhi sconvolto. «Che diavolo hai fatto al labbro?», gli chiese furioso.

David non tollerava certe cose: per il lavoro che facevano i suoi quattro ragazzi era inaudito che avessero anche solo una piccola imperfezione, figuriamoci poi un labbro spaccato.

Georg si portò una mano alla bocca e scosse la testa indifferente. «Niente. Lo sai che mi mordo sempre le labbra. Stavolta ho esagerato», si giustificò il ragazzo.

«Inventane una migliore, Georg, perché qui c'è odore di stronzate pesanti».

«Non è successo niente. Non possiamo semplicemente andare, invece che discutere di cose inutili?».

Mentre il bassista e David continuavano a discutere, Tom fissava inespressivo la tovaglia del tavolo. Bill cercava di attirare la sua attenzione in tutti i modi possibili, ma il chitarrista sembrava non reagire: i suoi occhi erano quasi spenti ed era fin troppo serio per i suoi standard.
Non se n'era neppure accorto, ma Simon lo stava osservando intensamente e forse aveva capito anche lui che qualcosa non andava.

È così... vuoto
pensò il cantante biondo, corrugando la fronte.

Improvvisamente, Tom sollevò lo sguardo e si ritrovò a fissare gli occhi del ragazzo. Ma non si stupì di questo, anzi... sostenne il suo sguardo, perdendosi in quel colore così chiaro e intenso.

Un fantoccio vuoto
concluse Simon, leggendo in quegli occhi scuri qualcosa di strano.

«Oh, al diavolo!», sbottò improvvisamente David, scuotendo furiosamente la testa. «Andiamo, che è meglio!».

Detto questo, si alzò dalla sedia e velocemente si avviò verso l'uscita del bar. Gustav, Simon e il suo manager si alzarono a loro volta. Simon fissò ancora per una volta il viso di Tom, rimanendo spiazzato da tutta quell'improvvisa freddezza, poi gli voltò le spalle e seguì il resto del gruppo.

Bill, invece, scattò in piedi e raggiunse il gemello. «Che c'è che non va?», gli chiese immediatamente.

Tom lo guardò e inarcò un sopracciglio confuso. «Perché dovrebbe esserci qualcosa che non va?».

Il suo tono di voce era strano, non convinceva affatto Bill.

«Quindi hai risolto con... con Georg?», continuò cauto il cantante.

Il chitarrista assunse un sorrisetto beffardo e quel viso così freddo fece quasi paura al fratello. Sembrava normale, ma in realtà non lo era affatto. Troppo duro.

«Tutto a posto. Ci siamo lasciati», commentò quasi con voce indifferente.

Bill strabuzzò gli occhi e per un momento non riuscì a dire niente. Si sono lasciati e lui è così tranquillo?

«Ah... beh...», balbettò confuso il cantante. «Sembri comunque in forma».

Tom fissò serio il gemello. «Io non sto bene, Bill». Poi sorrise maliziosamente. «Io sto da Dio».

Mentre Bill lo guardava scandalizzato, il chitarrista estrasse dalla tasca dei jeans un paio di occhiali da sole scuri e se li mise sul naso.

«Ragazze, Tom Kaulitz è tornato», commentò sarcasticamente, sorridendo al gemello.

Da dietro le lenti scure gli fece l'occhiolino, poi gli diede le spalle e si avviò verso l'uscita del bar.

«Andiamo, fratellino».

Bill rimase immobile e a bocca aperta a fissargli le spalle. Era una cosa assurda, non poteva comportarsi veramente così.

Eh, no... questa cosa non mi piace per niente.














NdA
: Ho pensato di mettervi qui una foto di un attore che si avvicina molto al Simon che ho pensato io. Giusto per dare un'idea.
Eccola qui:



Jensen Ackles ci assomiglia a Simon, ma non del tutto; qualche particolare è diverso. Io lo adoro. **

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Capitolo 10
*** The plan of Bill ***


10. The plan of Bill






Non va bene, non va assolutamente bene.

Bill, seduto di fianco a Tom sul tourbus, si sentiva estremamente irrequieto. Georg era seduto due sedili più avanti e quasi con aria da cane bastonato si guardava in silenzio le unghie delle mani. Gustav era di fianco a lui e con le cuffie nelle orecchie osservava con poco interesse lo schermo del computer portatile che teneva sulle cosce, non notando lo strano comportamento del bassista. O, se lo aveva notato, aveva preferito farsi gli affari suoi.

Bill alzò gli occhi al cielo. Ma qui sono solo io ad essere agitato? si chiese esasperato, tormentandosi le dita delle mani.

Lanciò un'occhiatina circospetta al gemello, seduto al suo fianco, e, senza neanche accorgersene, si ritrovò a fissarlo intensamente e con aria sospetta. Tom aveva lo sguardo dietro gli occhiali scuri perso fuori dal finestrino, il suo iPod appoggiato sulle ginocchia e le cuffiette nelle orecchie. Apparentemente niente di anormale, ma sotto sotto qualcosa non andava e Bill fremeva dalla voglia di sapere cosa fosse veramente successo fra lui e Georg.
Lentamente Tom, sentendosi stranamente osservato, voltò il capo e si ritrovò a fissare gli occhi sbarrati e sospettosi del gemello.

Ma cosa...?


«Bill, sembri un maniaco. Mi spieghi perché mi stai fissando in quel modo?», sbottò il rasta, spegnendo la musica e fissando il fratello come se fosse un perfetto idiota.

Bill si sporse in avanti e cominciò a bisbigliare. «Mi devi ancora raccontare tutto».

Tom per un istante lo fissò spaesato, corrugando la fronte confuso. «Che cosa ti dovrei raccontare?».

Il cantante alzò gli occhi al cielo, esasperato dalla poca perspicacia del gemello, e si protese verso di lui. «Di Georg, no?».

A quelle parole il viso del chitarrista si incupì improvvisamente e subito si affrettò a distogliere lo sguardo per non mostrare al gemello che aveva toccato un tasto dolente. «Non c'è niente da dire», mormorò cupo, tornando a fissare la strada fuori dal finestrino.

Bill lo osservò pensieroso per un istante, poi gli si avvicinò ancora di più, appoggiando il mento sulla sua spalla e aspettando in silenzio che il gemello si girasse ancora a guardarlo. Tom si ritrovò davanti gli occhi castani del cantante, identici ai suoi, ma con un qualcosa in più che li rendeva come quelli di un bambino curioso e voglioso di coccole. Il moro gonfiò le guance, continuando a fissarlo intensamente e in silenzio. Adesso sì che sembrava veramente un bambino.

«Bill, ma che stai facendo?», borbottò il rasta infastidito.

Bill sgonfiò le guance e assunse quel suo solito sguardo, che Tom non sopportava affatto, della serie "sono il tuo psicologo personale, confidami le tue turbe mentali". «Lo sai che io per te ci sono sempre e che, se hai bisogno di aiuto, puoi chiedere al tuo fratellino, vero?», disse con voce calda, cercando di fare gli occhioni dolci.

Tom alzò gli occhi al cielo disgustato e con una mano allontanò il gemello dalla sua spalla. «Ti prego, Bill. Niente smancerie».

Il cantante aprì la bocca e sbarrò gli occhi scandalizzato, fissando offeso il gemello. Io gli apro il mio buon cuore e lui mi tratta così! Questo è l'ennesimo oltraggio alla mia stupenda persona! Prima o poi dovrò fare una lista...

Storse il naso e voltò il capo dall'altra parte sdegnato. «Arrangiati, allora», esclamò offeso.

Il chitarrista alzò gli occhi al cielo e riaccese l'iPod, ignorando completamente il gemello e tornando nel mondo dei suoi pensieri. In quel momento non aveva voglia di parlare, voleva semplicemente essere lasciato solo: doveva cercare di convincersi che stava bene.






Il viaggio sarebbe stato piuttosto lungo, considerando che avrebbero dovuto spostarsi da Los Angeles fino a Las Vegas. La maggior parte del tempo lo stavano passando in silenzio, ognuno per i fatti propri e senza rivolgersi una singola parola.
In compenso, Bill stava ancora rimuginando sulla questione "Tom e Georg": se il gemello non intendeva dirgli niente sull'accaduto di quella mattina, avrebbe sempre potuto chiedere a Georg, ma era molto probabile che anche il bassista non gli raccontasse niente; già il cantante poteva immaginare la possibile risposta con cui lo avrebbe liquidato senza pochi preamboli: "Scusa, Bill, ma adesso preferirei non parlare di questo argomento".

Lui e il suo stato di depressione totale... pensò Bill, sbuffando sonoramente. Ma che vadano a raccogliere le patate.

Se non aveva indizi sul perché si erano lasciati, sarebbe stato difficile cercare di riavvicinarli, cosa che il cantante aveva assolutamente intenzione di fare. Sapeva benissimo che il gemello aveva bisogno di Georg per stare bene, solo che era ancora troppo idiota per capirlo; e, per quanto riguardava il bassista, era ormai chiaro come il sole che fosse innamorato di Tom.

E adesso arriva quell'anima santa di Bill Kaulitz a rimettere a posto le cose pensò Bill, ridacchiando e annuendo inconsapevolmente con il capo.

Al suo fianco, Tom gli lanciò un'occhiatina confusa e rimase per qualche istante a fissarlo con un sopracciglio inarcato: a volte aveva il sospetto che il gemello fosse posseduto da un alieno, un alieno sadico e "leggermente" malato psicologicamente. Ma dopo poco tornò a guardare fuori dal finestrino, ormai fin troppo abituato alle stranezze del fratello. Da parte sua, Bill stava ancora ridacchiando sommessamente con una mano davanti alla bocca; dentro di sé rideva sguaiatamente, invece.

Ma un Santo come me ha comunque bisogno dell'aiuto di un assistente per mettere in atto il suo piano geniale pensò saggiamente, guardandosi attorno in cerca della sua preda.


Due sedili più avanti, alcuni ciuffi biondi corti spuntavano dal sedile e fu proprio quello il punto in cui lo sguardo del cantante si fermò.

Bingo! pensò soddisfatto e sulle sue labbra si disegnò un ghigno divertito, che quasi spaventò Tom, che era tornato a fissarlo con gli occhi sbarrati.






«Gustav, ho bisogno del tuo aiuto».

Gustav sobbalzò sul suo sedile, preso alla sprovvista dalla voce squillante di Bill e dalla sua improvvisa apparizione sul sedile di fronte a lui. Era persino riuscito ad avere la meglio sulla musica che l'amico stava ascoltando con le cuffie nelle orecchie. Anche Georg, seduto nel sedile di fianco al batterista, si voltò a fissare confuso l'enorme sorriso di Bill che gli si apriva davanti, ma non ci volle molto prima che tornasse a guardare fuori dal finestrino con il viso cupo e pensieroso.

Gustav si tolse le cuffie dalle orecchie e, sbuffando leggermente, prestò la sua attenzione al cantante davanti a sé. «Chissà perché la cosa mi terrorizza alquanto», commentò ad alta voce, irritando leggermente l'amico moro. «Di che cosa hai bisogno, Bill?», sospirò infine, rassegnato a dover ascoltare l'ennesima crisi isterica del cantante.

Bill batté le mani entusiasta e si agitò sul suo sedile. «Ti devo parlare di una piccola questione... in privato, possibilmente», gli spiegò sorridente, lanciando un'occhiatina circospetta a Georg, che non lo stava nemmeno guardando.

Il batterista per nulla al mondo avrebbe voluto alzarsi dalla sua postazione, ma sapeva bene che, se non avesse seguito e ascoltato l'amico, poi lui non l'avrebbe più lasciato vivere.

Fai come vuole lui, Gustav, altrimenti sai a cosa potresti andare incontro si incitò da solo, alzandosi dal suo sedile e dando il suo computer portatile a Georg.

«Trattalo come se fosse tuo figlio», si raccomandò, ricevendo indietro un'occhiata confusa da parte del bassista. «Okay, lascia perdere».

Bill condusse l'amico fino al bagno del tourbus e ce lo spinse dentro con forza, entrando poi a sua volta e chiudendo la porta a chiave. Il posto era stretto ed erano costretti quasi ad abbracciarsi.

A quel punto, Gustav guardò inquieto l'amico di fronte a sé. «Okay, devo cominciare a preoccuparmi seriamente?».

Il cantante lo guardò storto e non capì.

Allora il batterista gli mise le mani su entrambe le spalle e lo fissò intensamente negli occhi. «Mi dichiaro ufficialmente etero».

Bill strabuzzò gli occhi e aprì la bocca scandalizzato, scrollandosi di dosso le mani dell'amico. «Ma cosa...? Che schifo! Non era di questo che volevo parlarti!», sbottò disgustato.

Gustav sospirò sollevato. Meno male. Due bastano e avanzano.

«Allora che c'è di così misterioso da dovermi persino rinchiudere in un bagno?».

Il cantante si ricompose e si guardò attorno circospetto, come se avesse paura che qualcuno potesse nascondersi nel water e stesse spiando la loro conversazione. «Tom e Georg si sono lasciati», esordì alla fine, bisbigliando pianissimo.

Il batterista rimase molto meravigliato dopo quelle parole: era stata una relazione breve quella dei suoi due amici e, da quel poco che aveva visto, gli erano sembrati abbastanza uniti. Era strano quindi che fosse successo tutto così in fretta, ma quasi sicuramente c'erano molti dettagli che al batterista sfuggivano.

«Quindi?», chiese alla fine all'amico, non capendo dove volesse andare a parare.

Bill alzò gli occhi al cielo esasperato. «Quindi dobbiamo trovare un modo per riunirli. Mi sembra ovvio, no?».

Gustav sorrise all'ingenuità del cantante e ancora una volta gli mise le mani sulle spalle. «Bill, capisco che ti dispiaccia per loro, anche a me dispiace... ma è una decisione loro. Se hanno deciso di lasciarsi, avranno avuto le loro buone ragioni e noi non possiamo farci niente».

Il cantante gli sventolò indifferente una mano davanti alla faccia. «Sì, okay, ma intanto come li facciamo tornare insieme?».

Il batterista inarcò scettico un sopracciglio. «Ma mi hai ascoltato?».

«Magari potremmo chiuderli a chiave in una camera e non farli uscire finché non avranno fatto pace e deciso di tornare insieme, oppure...».

Niente da fare, Bill era ormai andato. Come sempre, del resto. Possibile che non si rendesse conto che quella decisione non spettava a loro?

Gustav sospirò sconsolato e tentò di attirare l'attenzione dell'amico. «Bill, non possiamo decidere per loro».

«Ma si vede lontano un miglio che sono fatti l'uno per l'altro», insistette il cantante, scuotendo il batterista per le spalle.

«Evidentemente non è così, altrimenti non si sarebbero lasciati».

«Oh, è solo che sono troppo idioti per capirlo».

Gustav ci rinunciò a fargli capire cosa fosse giusto, Bill era troppo testardo per fargli cambiare idea. Ma lui non avrebbe fatto parte del suo piano "geniale".

«Senti, Bill, tu puoi fare quello che vuoi, ma non mettermi in mezzo. Non ho intenzione di costringerli a stare insieme, se non vogliono», sbottò alla fine il batterista, facendo per uscire dal bagno.

Ma immediatamente una mano curata e munita di infiniti anelli sbatté con forza sul legno scuro e mantenne la porta chiusa. Gustav sobbalzò spaventato e lentamente tornò a guardare il viso dell'amico. Era terrificante. Gli occhi truccati di nero erano iniettati di sangue, l'espressione deformata dalla furia e la bocca leggermente aperta mostrava i denti perfettamente bianchi. Probabilmente la visione di Godzilla sarebbe stata meno spaventosa.

Santo cielo. Ma come mi è venuto in mente di farlo arrabbiare? pensò il batterista, leggermente inquieto.

«Gustav», ringhiò Bill con voce cupa. «Li vedi questi anelli?», gli chiese minaccioso, mettendogli davanti alla faccia la mano ingioiellata. «Tu sai che potrebbero "accidentalmente" avere un incontro ravvicinato con la tua faccia, se non mi aiuti, vero? Senza contare le tue bacchette della batteria: mi assicurerò personalmente di infilartele su per il c...».

«Okay, Bill! Farò tutto quello che vuoi! Però non mi mangiare la faccia», esclamò alla fine Gustav, guardando con gli occhi sbarrati l'amico davanti a sé.

Passarono vari secondi di silenzio in cui Bill mantenne sempre la stessa faccia spaventosa. Poi, in modo assurdo, la sua espressione subì un'altra trasformazione e ritornò la stessa di sempre. Improvvisamente il batterista se lo ritrovò fra le braccia, stretto nel suo abbraccio soffocante, mentre continuava a ringraziarlo.

«Grazie, Gus. Sapevo che avrei potuto contare sul tuo aiuto».






«Questa idea è veramente banale, per non dire stupida».

Bill lanciò un'occhiataccia a Gustav, seduto sulla tavoletta chiusa del water. «Ne hai forse una migliore?», sbottò imbronciato, incrociando le braccia al petto.

Il batterista sbuffò sconsolato, passandosi una mano fra i capelli: già aveva dovuto accettare di aiutare Bill a riunire Tom e Georg e, in più, si sarebbe addirittura dovuto abbassare a mettere in atto un piano stupido, che oltretutto lo avrebbe pure umiliato. Avere il cantante come amico era la sua rovina.

Sospirò rassegnato. «Okay... hai vinto».

Bill ghignò soddisfatto. «Bravo bambino».






Sono un genio, non c'è altro da dire.

Bill, appena uscito dal bagno con Gustav, era fiero di se stesso. Anche se, alla fine, lo era quasi sempre: otteneva ciò che voleva in qualsiasi momento e in qualunque posto.
Gustav, invece, a giudicare dall'espressione furiosa con cui tornò a sedere sul suo sedile, probabilmente non doveva pensarla esattamente come il cantante. Era riuscito a farsi fregare. Ancora una volta, del resto.
Bill tornò a sedere di fianco al gemello, ma quasi subito Tom si alzò e appoggiò l'iPod sul sedile.

«Devo andare in bagno. Tu e Gustav ci siete stati una vita», borbottò con astio il chitarrista.

Il cantante non replicò, preso com'era da suoi piani per "conquistare il mondo". O, almeno, per riunire Tom e Georg.
Appena il chitarrista si chiuse a chiave dentro il bagno, Bill si fiondò curioso sul suo iPod, abbandonato sul sedile. Quando vide la canzone che Tom stava ascoltando, alzò gli occhi al cielo.

Sta bene mia nonna... Che razza di canzone depressiva è questa?

«Ciao, posso sedermi?».

«NON STO FACENDO NIENTE, NON MI MANGIARE!», gridò il cantante, credendo che Tom fosse tornato dal bagno e che in quel momento lo volesse punire per aver spiato nel suo iPod.

Ma immediatamente si rese conto di essersi spaventato per nulla: innanzitutto, la voce non era la sua e poi il ragazzo al suo fianco aveva addosso vestiti troppo stretti.

Simon sorrise divertito, osservando l'espressione terrorizzata del ragazzo. «Non ti preoccupare, non sono il tipo che mangia le persone senza motivo».

Bill si tranquillizzò, ma non più di tanto. Perché Simon voleva sedersi di fianco a lui? Probabilmente voleva parlargli, ma la cosa non gli andava tanto a genio: aveva problemi più importanti a cui pensare.

«È il posto di Tom», gli comunicò, cercando di non risultare maleducato.

«Me ne vado subito, appena torna», sorrise il cantante biondo, facendosi spazio per passare e arrivare al sedile libero.

Bill annuì con un sorriso tirato. Perché Tom ci mette così tanto a tornare?

Non era infastidito dalla persona in sé, ma fremeva per pensare ad un buon piano da spiegare a Gustav e quel ragazzo ritardava i tempi.

Simon si sedette e si prese alcuni secondi per studiare la figura del cantante moro. «Sai, sono contento di poter lavorare con voi. Ammetto di non essere un vostro fan, ma mi piace imparare da artisti diversi».

Mentre parlava, esaminava l'iPod di Tom, che aveva spostato dal sedile per sedersi. Con sguardo assorto scorreva la lista delle canzoni e Bill non poteva fare altro che fissarlo confuso: non pensava che uno sconosciuto potesse mettere le mani nelle cose degli altri così in fretta. Ma, pensò, probabilmente era un modo americano per socializzare.

Affascinante pensò il moro, con ancora qualche dubbio per la testa.

«E poi chissà...», continuò Simon, non staccando gli occhi dall'iPod. «Potreste anche riuscire a farmi piacere la vostra musica».

Bill annuì, cercando di tenere i propri pensieri per sé. Ti trasformerò in una ragazzina, che strilla ai nostri concerti con i pon-pon.

Ma, se ci rifletteva sopra più attentamente, si rendeva conto che quel pensiero era fin troppo esagerato, per non dire assurdo.

Okay, niente pon-pon.

«Ci proveremo», concluse alla fine.

Non sapeva spiegarsene il motivo, ma Simon gli faceva uno strano effetto: anche se non lo guardava direttamente, Bill si sentiva studiato da quel ragazzo, come se all'interno della sua mente stesse raccogliendo dati e immagini per farsi un'idea precisa della sua persona. E poi sembrava così a proprio agio con la gente appena conosciuta: sembrava quasi che tutti fossero immediatamente suoi amici. Ma, in generale, non gli piaceva più di tanto: non era il tipo di persona con cui amava stringere rapporti sociali, essendo troppo diverso da lui. Erano completamente opposti.
Mentre il moro rimuginava su questo, ad un tratto sentì uno spostamento d'aria alla sua sinistra: si voltò curioso e si ritrovò a fissare il viso confuso e leggermente infastidito del proprio gemello. Sorrise, sollevato dal suo ritorno.

Tom lanciò un'occhiata acida a Simon e quasi subito questo si accorse di essere osservato. «Quello è il mio posto», borbottò quasi imbronciato il chitarrista.

Il biondo sorrise e si alzò subito in piedi, tenendo ancora l'iPod del rasta in mano. Questo, quando lo notò, trattenne un ringhio furioso: non tollerava che qualcuno mettesse le mani nella sua roba; neanche Bill aveva il permesso di farlo, figurarsi uno sconosciuto. Ma non disse nulla, si trattenne.

Simon glielo tese, forse percependo il fastidio del chitarrista. «Ascolta questa: ti permetterà di sfogarti. Dovresti saperlo meglio di chiunque altro», gli disse gentilmente, facendo partire una canzone nell'iPod.

Tom neanche guardò di che cosa di trattasse, preso com'era a guardare esterrefatto il biondo. Come faceva a sapere il suo stato d'animo? E, soprattutto, come si permetteva di ficcare il naso nei suoi affari?
Simon gli sorrise un'ultima volta, poi si voltò e tornò a sedersi al suo posto, qualche sedile più avanti.

«Che cos'è?», domandò subito Bill, quando il cantante americano si fu allontanato abbastanza da non sentire.

Tom non gli rispose, ma tornò a sedere sul suo sedile, fissando curioso lo schermo dell'iPod. "Scream". I suoi occhi puntarono immediatamente verso alcuni ciuffi biondi più avanti. Come faceva a sapere che proprio quella canzone lo avrebbe aiutato a scaricare la tensione e la frustrazione che sentiva dentro? Da quanto aveva capito, a lui non piaceva la loro musica. Ma quasi subito abbandonò quel pensiero: aveva trovato un modo per sfogarsi e quel ragazzo lo aveva aiutato a modo suo. Si lasciò scappare un sorriso e si infilò le cuffie nelle orecchie, ascoltando la voce potente del gemello, che urlava le parole di quella canzone.
Bill, invece, che aveva spiato il titolo dal suo sedile, aveva assunto un'espressione sospettosa, quasi arrabbiata.

Se prima pensavo che Simon non fosse un problema, adesso mi devo ricredere pensò il moro, fissando irrequieto il sorriso del fratello. Potrebbe essere un ostacolo fra Tom e Georg.

Immediatamente scattò in piedi e in un batter d'occhio si ritrovò ancora una volta davanti al sedile di Gustav, che lo fissò con gli occhi fuori dalle orbite.

«Ti prego! Abbi pietà di me per un micro secondo!», sbottò esasperato il batterista.

Bill non gli diede retta e lo afferrò per il collo della maglia, avvicinandolo a sé per potergli bisbigliare qualcosa all'orecchio. «Abbiamo un problema».

«Sei tu il mio problema!», esclamò Gustav.

«Vieni subito in bagno», sussurrò ancora il cantante, non ascoltando le sue lamentele.

«Ancora?».

«Sì, ancora!».

Certe volte Gustav è uno sfinimento pensò Bill.

Io non lo sopporto più! pensò Gustav.

Subito il batterista venne trascinato con forza dentro il solito bagno e ancora una volta si ritrovò stretto fra la parete e il cantante. Che cosa mai avrà avuto da dirgli di così importante ancora?

Bill riprese fiato per la corsa e mise le mani sulle spalle dell'amico. «Dobbiamo assolutamente tenere Simon lontano da Tom», esclamò con decisione.

Gustav corrugò la fronte confuso. «E perché?».

«Perché, se lasciamo che stringano amicizia, il rapporto con Georg potrebbe diventare irrecuperabile», gli spiegò il moro con i lineamenti del viso tirati. «E Bill Kaulitz non ammette che i suoi piani vengano ostacolati».






«No, no e ancora no!».

La camera di Bill era completamente sommersa dalle valigie e Gustav era costretto a stare seduto su una di queste, tentando in tutti i modi di restare in equilibrio per non finire con la schiena a terra.
Finalmente erano arrivati a Las Vegas, dopo lunghe ore di viaggio, e il cantante non aveva ancora disfatto le proprie valigie nell'albergo. E, se era per questo, neanche Gustav aveva avuto il tempo di farlo, visto che l'amico gli era rimasto attaccato come una cozza allo scoglio.

«Hai detto che avresti fatto qualsiasi cosa!», esclamò Bill, guardando furioso l'amico e andando su e giù per la stanza.

Gustav cominciò a gesticolare con le mani. «Sì, ma questo è troppo! Non puoi chiedermi di fare una figura di merda simile!».

Il moro sbuffò esasperato. Come poteva mettere in atto il suo piano, se il batterista si rifiutava di dargli una mano? Come se non bastasse, avevano poche ore per prepararsi e l'amico non accennava a collaborare. Quella sera ci sarebbe stata una specie di festa nell'albergo, nell'apposita sala, e tutti loro avevano deciso di andarci per divertirsi un po'. E quello sarebbe stato sicuramente il momento più adatto per entrare in azione, se solo Gustav si fosse dimostrato più disponibile.

«Ti prego, Gus. Non ti chiederò mai più niente», insistette Bill, unendo le mani in segno di supplica.

«Sai quante volte ho sentito questa frase uscire dalla tua bocca? Almeno un miliardo. E, pensa un po', tutte le volte siamo da capo».

Niente da fare, Gustav non avrebbe ceduto tanto facilmente. Era il momento di mettere in atto il piano B.
Bill si avvicinò al batterista, inginocchiandosi ai suoi piedi e avvicinando il proprio viso a quello dell'amico; e poi, per ultima cosa, sfoderò la sua arma segreta, quella a cui Gustav non sapeva dire di no: il labbro cominciò a tremare all'infuori e le sue palpebre ad alzarsi e abbassarsi velocemente.

Gustav sbarrò gli occhi e tentò di non guardarlo. «Oh, no! Questa volta non mi fregherai!», esclamò deciso.

Ma il cantante era sempre nel suo campo visivo e quel faccino che aveva assunto - il solito che usava sempre, quando voleva qualcosa -, diventava sempre più triste.

Non cedere, sai benissimo che è un trucco per ottenere quello che vuole cercava di auto-convincersi il batterista.

«Gus», mormorò con voce infantile Bill, non dando tregua all'amico. «ti prego».

Il batterista scosse convulsamente la testa, cercando di resistere ancora. «No, non mi umilierò per una sciocchezza! Non mi fingerò gay!», sbottò disgustato.

Bill sentiva la mascella indolenzita, ma non mollò l'osso: mancava poco, ancora qualche piccolo sforzo e Gustav avrebbe finalmente ceduto.

«Ti pago», piagnucolò il moro.

Gustav si lasciò scappare una risata ironica. «Anche questa frase non mi suona nuova. Se veramente lo facessi, adesso avrei fatto i milioni soltanto con i favori che ti ho sempre dovuto fare».

Che rabbia! Di solito cede prima pensò Bill, incominciando a stufarsi.

Ma doveva resistere. In fondo, lo stava facendo per la felicità del suo gemello e anche per uno dei suoi migliori amici.
Si buttò addosso al batterista, stringendolo in uno dei suoi soliti abbracci mozzafiato.

«Gustav!», urlò, facendo finta di piangere.

«Basta, smettila!».

«Ti prego, ti prego, ti preeego!».

Gustav quasi faceva fatica a respirare e, in più, sentiva di essere stato messo con le spalle al muro. Se ne sarebbe pentito, ne era sicuro, ma sapeva per certo che Bill non avrebbe mai mollato, neanche se lo avesse pagato milioni e milioni. Quindi, tanto valeva smettere di sprecare energie per resistergli.

Dannato rompipalle con la testa a palma pensò alla fine, stranito.

«Va bene, va bene. Ma adesso staccati», esordì alla fine, senza guardare in faccia l'amico.

Fregato ancora.
Bill sbarrò gli occhi estasiato e, invece che staccarti dal batterista, lo strinse ancora più forte, quasi strozzandolo. Com'era possibile che un corpo così esile avesse tutti i requisiti per ammazzare una persona più robusta di lui? Era una domanda a cui nessuno avrebbe mai trovato risposta, perché Bill era l'uomo dalle mille risorse; forse sarebbe persino riuscito a fare le cose più strambe del mondo, se lo avesso voluto. Come volare, per esempio.

«Gustav, ti adoro! Non sai quanto mi rendi felice!», strillò emozionato, non curandosi dell'amico, che aveva iniziato a boccheggiare, stretto in quella morsa potente.

«Bill», ansimò Gustav con voce strozzata. «potresti... allentare la presa?».

Il cantante si staccò quasi subito, drizzandosi in piedi e fissando grato l'amico. Gli occhi gli brillavano per l'emozione.

«Questa volta vedrai che saprò sdebitarmi», esclamò con un sorriso enorme.

Gustav inarcò un sopracciglio e storse la bocca in una smorfia. «Sì, certo. Aspetto e spero».






Tom non aveva impiegato molto tempo a disfare le valigie. Anzi, non le aveva quasi disfatte: si era limitato a tirare fuori soltanto le cose fondamentali, quelle che gli sarebbero servite più frequentemente o nell'arco di quella giornata. Non aveva voglia di mettersi a riempire i cassetti dei mobili con i suoi vestiti, soprattutto perché si sarebbe persino potuto sbagliare e infilare lo spazzolino e il dentifricio in mezzo ai vestiti, invece che in bagno. La sua testa era completamente fra le nuvole, totalmente assente. I suoi pensieri avevano soltanto due argomenti: Georg, forse quello che gli dava più problemi, e Simon.
Era chiaro perché pensasse al bassista: dopo ciò che era accaduto fra loro, era più che normale che ce l'avesse sempre per la testa. Dentro di sé provava un potente senso di tristezza, ma questo non poteva minimamente superare la rabbia. Come aveva osato lasciarlo? Si sentiva ferito nell'orgoglio.

Ho io l'ultima parola, non lui pensò furioso il chitarrista.

E se Georg era un buon motivo per essere fuori di sé dalla rabbia, Simon, invece, era quello che più lo confondeva. Aveva detto di non apprezzare la loro musica e, invece, gli aveva addirittura consigliato "Scream" per tirarsi su di morale. Come poteva conoscere l'argomento di quella canzone? Si presupponeva che non ascoltasse la loro musica. E poi come aveva fatto a capire che qualcosa non andava? Tom odiava lasciar trapelare le proprie emozioni, soprattutto con gli sconosciuti.

Che sia un sensitivo? si chiese ironicamente il chitarrista, buttandosi a peso morto sul proprio letto e allargando le braccia.

Di sicuro era strano, su questo non c'era alcun dubbio.

TOC TOC

Tom sobbalzò, preso alla sprovvista dal rumore di un pugno che batteva sulla porta della sua stanza. Pensò subito a Bill, che probabilmente aveva intenzione di tornare alla carica con le sue domande "viola privacy altrui".

Sbuffò esasperato, alzandosi dal letto. «Bill, quando imparerai a farti gli affaracci tuoi?».

Ma il volto che si ritrovò davanti, una volta aperta la porta, non era certo quello del suo gemello. Anzi, purtroppo era proprio la causa principale del suo malumore.

«Che diavolo ci fai qui?», sbottò scontroso il chitarrista.

Georg, immobile davanti all'amico, non batté ciglio. Non poteva pretendere che il chitarrista gli rispondesse senza mangiargli la faccia così presto. Si limitò semplicemente ad allungare un braccio verso di lui, stringendo in mano qualcosa. Tom corrugò la fronte, ritrovandosi a fissare una delle sue tante enormi maglie.

«L'avevi lasciata nella mia stanza e per sbaglio l'ho messa in valigia», mormorò inespressivo il bassista.

Doveva sforzarsi di essere distaccato e forse avrebbe resistito meglio alle provocazioni poco cortesi dell'amico.

Per tutta risposta, Tom gli strappò la maglia dalla mano e tornò a guardarlo truce. «Grazie. Adesso puoi anche andartene», esordì infine, facendo per richiudere la porta.

Ma Georg la bloccò con un braccio.

«Se permetti, non ho ancora finito», gli rispose acido.

Il chitarrista aprì la bocca per esplodere forse in una crisi isterica degna di un Kaulitz, con l'intento di distruggere l'amico, ma quello lo precedette.

«David mi ha dato l'incarico di avvertirvi tutti che stasera ci dobbiamo trovare davanti all'ingresso della sala da ballo alle 21:00 precise. E non ammette i ritardatari». Infine, sorrise beffardo. «E adesso, se vuoi sbattermi la porta in faccia, puoi anche farlo».

Tom sentiva la rabbia ribollirgli dentro. «Forse non ci sono neanche stasera!», ci tenne a fargli sapere, senza sapersene spiegare il motivo, quasi urlando.

Per un istante Georg rimase a fissarlo basito, senza lasciar trasparire alcuna emozione dal proprio viso. Glielo aveva detto per un motivo in particolare, o soltanto perché voleva che riferisse la cosa a David?

«E perché?», si decise a chiedere poi con finta indifferenza.

Il chitarrista assunse un sorriso beffardo, come se non aspettasse altro che quella domanda. «Affari miei», concluse alla fine.

Probabilmente me l'ha detto soltanto per avere l'occasione di ricoprirmi di insulti pensò il bassista, scuotendo leggermente la testa sconsolato.

«Bene. Vorrà dire che ci saranno più ragazze per me», disse ad un certo punto, senza saper trattenere la lingua.

Era una specie di ripicca, lo sapeva bene. Non voleva veramente mettersi a discutere ulteriormente con l'amico, ma per una volta non voleva lasciargliela vinta come sempre.
Tom strabuzzò gli occhi e corrugò la fronte.

Perché quell'espressione? si chiese Georg confuso.

Il chitarrista lo fissò scettico. «Ma tu sei omosessuale».

Il bassista sorrise divertito. «Errato. Sono bisessuale. Come te, del resto».

Vide l'amico sbarrare gli occhi furioso e, forse, anche disgustato. Che cosa aveva detto di sbagliato? A Tom piacevano le ragazze, ma non erano forse stati insieme loro due? Era chiaro che provasse attrazione per entrambi i sessi. E che cosa c'era di sbagliato in questo?

«Io non sono bisessuale!», sbottò il chitarrista ad alta voce.

Georg inarcò un sopracciglio scettico. «Ah, no?».

«No!».

«A me risulta che poche ore fa fossi il mio ragazzo».

Colpito e affondato. Tom si bloccò con la bocca aperta, non trovando parole per rispondergli a tono. Non sapeva come spiegarsi quel fatto, ma era più che certo di una cosa: non si sentiva attratto dai ragazzi... si sentiva attratto soltanto da Georg. Ma questo, di certo, non poteva dirglielo, non gli avrebbe dato questa soddisfazione.
Rimase muto, mentre il bassista esaminava i lineamenti contratti del suo viso. Probabilmente aveva inteso che nella sua testa stava ragionando su qualcosa che, forse, non avrebbe mai saputo.

Sospirò e abbassò lo sguardo. «Guarda che non c'è niente di male nell'essere bisessuale, Tom», gli disse con calma, tornando a guardare il chitarrista.

Questa volta fu Tom ad abbassare gli occhi. Come diavolo fai a non capire che non mi piacciono tutti i ragazzi? Mi piaci soltanto tu, cretino.

Georg lo osservò in silenzio per qualche istante ancora, poi decise che era meglio andarsene e lasciarlo solo con i suoi pensieri. Era chiaro che non volesse parlare con lui, perciò era inutile insistere ancora.

«Vieni, stasera», gli disse soltanto, voltandogli le spalle e allontanandosi di poco. «È una buona occasione per distrarsi un po'».

Tom lo vide scomparire dietro l'angolo del corridoio e questo gli provocò uno strano fastidio al petto. Perché improvvisamente era stato travolto da un'ondata di tristezza? Era furioso con l'amico e avrebbe fatto di tutto pur di stargli lontano. O forse si stava soltanto prendendo in giro da solo.






«Era ora! Ma non vi avevo forse detto di arrivare qui alle 21:00 in punto?».

David era fermo vicino alla porta aperta della sala da ballo, da cui entravano e uscivano giovani ragazzi e ragazze. Insieme a lui c'erano Simon e il suo manager. Il cantante sorrideva, mentre l'uomo di colore aveva la stessa espressione spazientita di David.

«Eravamo impegnati, David», esclamò Bill con fare offeso.

Dietro di lui c'erano Tom, Gustav e Georg e uno di questi in particolare - il batterista - alzò gli occhi al cielo.

Era impegnato a propinarmi i suoi deliri.

«Abbiamo perso mezz'ora!», sbottò il manager, incrociando le braccia al petto.

A quel punto, Simon si fece avanti e sorrise al gruppo di ragazzi. «Beh, vorrà dire che ce ne andremo mezz'ora più tardi», esordì scherzoso, battendo una mano sulla spalla di Bill.

Questo trattenne un ringhio sommesso e si sforzò di sorridergli. Toccami ancora e ti strangolo, minaccia umana pensò dentro di sé.


David, dopo quell'affermazione, non poteva dire altro. Si limitò semplicemente ad annuire, lanciando comunque un'occhiata spazientita ai suoi ragazzi, come per dir loro "prima o poi faremo i conti".

«Andiamo, allora», esclamò allegro Simon.

Lui e il resto della compagnia oltrepassarono la porta della sala da ballo e scomparvero all'interno della stanza. Tutti tranne due. Bill aveva afferrato Gustav per la manica della maglia e lo aveva trattenuto fuori.

«Ricordati qual è il bersaglio principale», bisbigliò il cantante vicino all'orecchio dell'amico.

Gustav sbuffò esasperato. «Non incominciare, eh».

Ma il moro non diede ascolto alle sue proteste. «Tu resta sempre vicino a Simon, io, invece, cercherò di parlare con Tom e Georg».

Il batterista sentiva che sarebbe esploso di rabbia da lì a poco. Perché, tutte le volte che Bill voleva fare una delle sue solite sciocchezze, tirava in ballo sempre e solo lui?






«Quindi hai iniziato presto a fare musica?».

Ma chi me l'ha fatto fare?

Gustav cercava di apparire interessato davanti ai racconti di Simon, ma la verità era che non gliene poteva fregare di meno. Il cantante americano, invece, gli parlava con piacere delle sue esperienze e di tutto ciò che più lo appassionava: non capitava spesso che qualcuno gli facesse così tante domande sulla sua vita.

«Sì, ho iniziato a sei anni», spiegò con un sorriso sulle labbra.

Il batterista annuì col capo e trattenne uno sbadiglio. Chissà da quanto stavano parlando di cose tutt'altro che interessanti... E non era ancora finita: Bill gli aveva detto di indagare sulla vita sentimentale del cantante, in modo da avere un'idea del suo orientamento; e, con grande disgusto da parte di Gustav, se Simon gli avesse risposto di essere omosessuale, avrebbe dovuto fingere di esserlo anche lui.

«Immagino che tu abbia una ragazza a casa ad aspettarti. Ma come fate a resistere così lontani l'uno dall'altra?», gli chiese con fare indifferente, mandando giù un groppo di saliva enorme.

Odiava farsi usare da Bill.

Simon ridacchiò divertito. «No, attualmente non sono impegnato sentimentalmente. Ho da qualche mese chiuso con il mio ex ragazzo e diciamo che non ho voglia di buttarmi subito a capofitto in una nuova relazione».

Mentre lo diceva, Gustav notò un'ombra scura passargli sul viso, come se avesse improvvisamente cambiato umore. Ma cercò comunque di concentrarsi su quello che il cantante gli aveva detto: aveva forse detto ragazzo?

Ma tutte le sfighe devono capitare a me?

«Ah, quindi sei...».

«Bisessuale», concluse Simon con un sorriso. «Non disprezzo le belle ragazze».

Il batterista si sforzò di ridere, ma sotto sotto era nervoso. Beh, Bill aveva detto omosessuale, non bisessuale.

«Lo dici molto tranquillamente, non tutti lo farebbero».

Il cantante gli rispose con un'alzata di spalle. «Semplicemente, non mi vergogno di essere me stesso».

Gustav doveva ammettere che Simon non era affatto così terribile come lo aveva descritto Bill: aveva delle belle idee e un carattere forte; sembrava addirittura più saggio della sua età. Non capiva la preoccupazione dell'amico.

Mentre il batterista era preso da questi pensieri, il cantante volse lo sguardo e punto gli occhi sul tavolo imbandito di dolci e bottiglie di birra, posizionato in un angolo della stanza. «Vado a bere qualcosa. Vuoi unirti a me?».

Gustav non ci pensò due volte e scosse la testa, cercando di risultare indifferente, altrimenti sarebbe passato per maleducato. «Magari dopo».

Simon gli fece un cenno col capo e il batterista lo vide mischiarsi alla folla, che ballava scatenata al centro della sala. La musica era assordante, ma Gustav ci era ormai abituato.

Finalmente un po' di pace pensò il biondo, facendo per voltarsi dall'altra parte.

Ma quasi subito venne travolto da qualcuno, che gli si gettò fra le braccia e lo strinse forte. Chi mai poteva essere?

«Bill, che stai facendo?», gridò Gustav, barcollando in cerca dell'equilibrio.

Bill emise uno strano verso, a metà tra l'agonizzante e il disperato. «Ma perché? Perché?», piagnucolò fuori di sé. «Gustav, è un disastro! Ho provato a parlare sia con Tom che con Georg, ma quelli non mi vogliono ascoltare!».

E ci sarà un motivo pensò ironicamente l'amico, stretto nella morsa del cantante.

«Ho provato di tutto, ma...».

Bill si bloccò di botto, gli occhi sbarrati e sconvolti rivolti verso un punto preciso della stanza. Gustav si sentì improvvisamente libero dalle braccia del cantante, ma gli occhi che si ritrovò davanti non promettevano niente di buono.

«Gustav», sibilò il moro. «mi vuoi spiegare per quale motivo Simon è vicino a Tom?», sbottò fuori di sé.

Il batterista si volse indietro e notò che il cantante americano si trovava proprio di fianco a Tom, ma i due non stavano neppure parlando: Simon era impegnato a riempirsi un bicchiere di birra e il chitarrista stava parlando con una ragazza mora.

«Beh, se fossi in te, mi preoccuperei di più di quella», commentò Gustav, tornando a guardare l'amico.

Ma ciò che vide lo terrorizzò: Bill aveva assunto ancora quella sua espressione terrificante, neanche fosse posseduto, e aveva in mano un bicchiere di birra pieno fino all'orlo.

Dove diavolo l'ha preso quello? si chiese il batterista sconvolto.

Non poteva essere stato così veloce da andare ad un tavolo e tornare subito indietro. Ma, a giudicare dall'espressione terrorizzata di un ragazzino lì accanto, ne dedusse che probabilmente quel bicchiere lo aveva rubato a lui.

«Bill», mormorò Gustav inquieto. «che cosa vuoi fare?».

Notò che il cantante non stava fissando lui, ma Simon, vicino al tavolo a qualche metro più in là. I suoi occhi sembravano quasi iniettati di sangue.

«Vado a versargli la birra in faccia, così sarà costretto ad andarsene», grugnì il moro con voce roca, digrignando i denti.

Non sembrava neppure lui.

«Ma sei scemo?», esclamò Gustav sconvolto.

Bill non replicò, forse non lo sentì nemmeno. Lo spinse di lato e a grandi falcate si avviò nella direzione di Simon, sempre con quel bicchiere in mano.

Fa sul serio! È completamente impazzito!

Gustav lo rincorse e, prima che arrivasse a destinazione, lo circondò con le braccia da dietro la schiena e tentò di tenerlo stretto.

«Non fare sciocchezze!», gli urlò quasi nelle orecchie.

Ma Bill non gli diede retta e prese a far forza sulle gambe per continuare ad avanzare. Il batterista si sentì trascinare di peso, ma almeno riusciva a rallentarlo.

«Solo un pochino, non lo annegherò tutto», ringhiò il cantante con la voce arrochita dallo sforzo.

Intanto, mezza sala si era voltata a guardarli e anche Simon osservava confuso i due, mentre lentamente si avvicinavano in quel modo strano.

Tom aveva smesso di parlare con la ragazza mora al suo fianco e fissava con un sopracciglio inarcato i due amici. Ma che stanno facendo quei due idioti? si chiese scettico.

«Bill, fermati!», disse Gustav con fatica.

Ma il cantante non aveva la minima intenzione di obbedirgli. Ancora due metri circa e avrebbe potuto sfogare la sua rabbia su quel ragazzo americano che era sempre in mezzo.
Ma poi, improvvisamente, i suoi piani fallirono. Il pavimento era bagnato in un certo punto, probabilmente qualcuno aveva rovesciato qualcosa, e Bill mosse un passo proprio su quella zona; l'equilibrio gli venne meno e smise di tirare dalla parte opposta a quella di Gustav.
Il batterista, da parte sua, venne preso alla sprovvista da quel cedimento improvviso dell'amico e perse l'equilibrio a sua volta; cercò di recuperarlo, aggrappandosi al cantante, ma nessuno dei due riusciva più a rimanere in piedi.
Si ritrovarono a pattinare su quel breve pezzo di pavimento e non ci volle molto prima che accadesse il disastro. In un battibaleno arrivarono al tavolo tanto agognato da Bill, ma non si fermarono lì: ci andarono a sbattere contro, rovesciandolo e cadendoci letteralmente sopra. Tutti i dolci e le bottiglie di birra caddero a terra, oppure finirono addosso ai due amici, sporcandoli completamente da capo a piedi. La gente nella stanza rimase allibita e un silenzio imbarazzante calò su di loro.
Bill riemerse dal mucchio di cibo e cominciò ad annaspare per pulirsi la faccia piena di torta. Ne aveva anche sui capelli. Gustav, invece, riuscì a mettersi a sedere e prese a massaggiarsi dolorante il fondoschiena. Il cantante si voltò per dirgli qualcosa, ma il suo sguardo incontrò prima quello del gemello. Dire che era furioso era dir poco.

Bill si guardò attorno inquieto, poi puntò un dito accusatorio contro il batterista. «Colpa sua».









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Capitolo 11
*** Confessions ***


11. Confessions






«Non avevo previsto che sarebbe accaduto questo casino, io volevo soltanto aiutarti».

«Te l'ho forse chiesto?».

Tom era furioso e Bill aveva paura che gli sarebbe saltato addosso da un momento all'altro.
Dopo il disastro nella sala da ballo, il gemello lo aveva letteralmente trascinato fuori nel corridoio dell'albergo, senza curarsi del fatto che il cantante fosse completamente ricoperto di cibo dalla testa ai piedi e che tutta la gente li stesse fissando basita. Era chiaro che avrebbero dovuto ripagare loro quel danno, ma la festa non si sarebbe di certo fermata per un tavolo rovesciato: da lì a poco la maggior parte della gente sarebbe stata ubriaca e si sarebbero scordati tutti di quel fatto. Quello che interessava a Tom, invece, era scambiare quattro chiacchiere con il fratello e certamente non sarebbe stata una conversazione tanto pacifica.
Bill prese a tormentarsi mortificato le mani sporche, mentre il rasta continuava a fissarlo fuori di sé. Il moro aveva pensato di fare una buona azione e invece aveva non solo fatto fare una pessima figura a tutta la band, ma dimostrato persino a Simon che fra loro era di troppo.

«Ti rendi conto della cazzata che hai fatto stasera? Coinvolgendo pure Gustav, tra l'altro. Mi meraviglio che non ti vergogni», sbottò Tom, forse a voce troppo alta.

Il cantante sussultò, puntando gli occhi a terra e deglutendo rumorosamente. «Sì che mi vergogno», sussurrò quasi impercettibilmente.

Sicuramente non gli era piaciuto finire in mezzo a torte e birre, ma Simon se l'era cercata e non riusciva a convincersi del contrario. Neanche mentre Tom continuava ad urlargli contro.
Il chitarrista si passò una mano sul viso, sbuffando sonoramente e cercando di darsi un contegno: non aveva certo intenzione di dare ulteriore spettacolo davanti alle persone che passavano per di là.

«Io non voglio tornare con Georg, come te lo devo far capire?», si rivolse ancora al gemello, questa volta parlando da persona più civile.

Bill alzò gli occhi al cielo, storcendo il viso in una smorfia che Tom, per fortuna, non vide, altrimenti si sarebbe infuriato ancora di più. «Ma fammi il piacere», mormorò, non riuscendo a trattenere la lingua.

Il chitarrista sentiva di stare per esplodere ed era sicuro che, se avesse avuto davanti una qualsiasi altra persona e non il suo gemello, l'avrebbe presa a pugni all'istante. «Senti, Bill», alzò nuovamente la voce. «probabilmente dovrò ricordartelo per tutta la vita, perché evidentemente non ci arrivi da solo: devi farti i cazzi tuoi».

Bill alzò finalmente gli occhi, sentendo come una fitta al petto, e li puntò in quelli del gemello.

Tom prese a gesticolare con le mani, probabilmente non rendendosi conto di star esagerando. «Non ho bisogno che tu mi stia attaccato al culo dalla mattina alla sera, ficcando il naso in questioni che non ti riguardano. Questa faccenda coinvolgeva soltanto me e Georg. Abbiamo deciso di non continuare con questa cosa insana e tu non hai alcun diritto di obbligarci a fare a modo tuo».

Bill lo aveva guardato per tutto il tempo con una faccia da cane bastonato, sentendosi andare in pezzi come un vaso caduto a terra. Tutto quello che aveva fatto era stato unicamente per la felicità del gemello e di uno dei suoi migliori amici, non perché volesse impicciarsi degli affari altrui. Tom non era un estraneo, era il suo gemello, e come minimo si sarebbe aspettato che lo rendesse partecipe almeno dei suoi pensieri riguardo a quella faccenda. Invece lo aveva chiuso fuori, tacendo su tutto.
Tornò a fissare le piastrelle del pavimento, deglutendo per cercare di cacciare via quel groppo che sentiva in gola.
Forse fu per quel motivo che Tom, vedendo il gemello in quello stato - le braccia strette attorno al corpo esile e il viso da bambino triste rivolto a terra -, decise di non infierire ulteriormente. Il gemello aveva già pagato per quello che aveva fatto. Forse anche troppo.

Ma non mi scuserò pensò Tom dentro di sé. È ora che si renda conto che non è più un bambino e che cominci a crescere.

Sospirò rassegnato. «Vai a lavarti», mormorò con un tono di voce quasi stanco. «Sei completamente ricoperto di torta alla crema».

Bill sentì il gemello allontanarsi con passo pesante, avviandosi verso l'ascensore dell'albergo. Alzò lo sguardo soltanto quando fu sicuro che fosse abbastanza lontano da non poter vedere i suoi occhi lucidi, nel caso si fosse voltato ancora verso di lui. Si sentiva uno straccio e per la prima volta si rendeva veramente conto di cosa fosse la vergogna.

«Scusa, Tomi», mormorò piano, non con l'intento di farsi sentire dal fratello. «Volevo soltanto che tu fossi felice».

Ormai Tom era già entrato nell'ascensore e le porte si erano chiuse.






«Sei sicuro che sia tutto a posto? Il tuo sedere sembra leggermente gonfio».

Gustav fulminò Georg con gli occhi. «Hai finito di prendermi per il culo?».

Il bassista scoppiò a ridere, salendo gli ultimi gradini delle scale e arrivando finalmente nel corridoio in cui avevano le loro camere da letto. Ancora non poteva credere che Gustav si fosse lasciato manipolare da Bill così facilmente per mettere in atto un piano assurdo. Quando l'amico glielo aveva raccontato, era rimasto a bocca aperta. Okay, il cantante era sempre stato molto strano, ma umiliarsi in quel modo per riunire due persone era qualcosa di assolutamente indescrivibile. Non che gli avesse dato fastidio quel gesto di amicizia, se così si poteva chiamare, ma di certo aveva esagerato.
Gustav era ricoperto di birra e torta da capo a piedi e continuava a lasciare resti di cibo sul pavimento, man mano che avanzava verso la propria stanza. Era furioso: Bill lo aveva praticamente costretto a fare ciò che voleva lui, gli aveva fatto fare una pessima figura davanti a tutte le persone dell'albergo e, come se non bastasse, aveva quasi rischiato di rompersi l'osso sacro per cercare di fermare quello psicopatico. Aveva bisogno di farsi una doccia, così forse sarebbe riuscito a calmarsi.

«Possiamo non parlarne più, almeno fino a domani? Mi sento uno straccio», mormorò sofferente, portandosi una mano sui glutei doloranti.

Non doveva essere atterrato bene su quel tavolo. Era sicuro che il dolore, al mattino, sarebbe stato ancora più forte. Sospiro con una smorfia rassegnata. Cosa non si fa per gli amici?

«Sei sicuro di essere a posto così? Non hai bisogno di un sacchetto di ghiaccio, un antidolorifico...?», gli chiese Georg, osservando l'espressione sempre più tirata dell'amico.

«No, va bene così».

«Sicuro?».

Erano finalmente arrivati davanti alla stanza del batterista. Questo si voltò verso il bassista e lo fissò stancamente, dopo aver aperto la porta.

«Sicurissimo. Voglio soltanto farmi una doccia e andare a dormire».

Georg annuì incerto. L'amico tendeva a curarsi poco, quando stava male, ma, del resto, non poteva certo forzarlo.
Gustav stava proprio per varcare la soglia della porta, quando un rumore di tacchi sommesso attirò la sua attenzione e quella di Georg. Infatti, in fondo al corridoio, una figura alta e snella si stava avvicinando lentamente, la testa bassa e lo sguardo triste: Bill non doveva sentirsi bene.

«Ma guarda chi arriva... La sciagura più grande che potesse capitare a questo mondo, la piaga più...».

«Gustav, non mi pare il caso», Georg interruppe bruscamente l'amico, fissando perplesso il loro cantante, a pochi metri di distanza.

Una cosa era certa: non aveva mai visto Bill così demoralizzato e pieno di vergogna. Lui era sempre stato quello che prendeva le cose alla leggera, molto spesso pensando soltanto a se stesso, forse in modo quasi egoistico; invece, in quel momento, dava l'impressione di qualcuno che vorrebbe scomparire, o almeno farsi piccolo piccolo. Era come una formica in mezzo a tanti altri insetti più grandi di lui.
Finalmente li raggiunse, ma non si fermò accanto a loro, neanche si curò di alzare lo sguardo; procedette per la propria strada, avvolgendosi il corpo sporco e sottile con le braccia.

«Ehi, Bill. Che hai?», provò a chiamarlo Georg, mentre Gustav si pentiva di avergli parlato in quel modo.

Bill si bloccò in mezzo al corridoio, il corpo sempre leggermente curvato in avanti e tremante. Soltanto per un momento si voltò verso i due amici e rivolse loro uno sguardo pieno di pentimento e lacrime.

«Mi dispiace per tutti i casini che ho combinato stasera. Scusatemi, tutti e due».

La sua voce tremava, come tutto il resto.
Gustav e Georg rimasero basiti: quando gli era capitato di vedere Bill in quelle condizioni così penose? Quando aveva chiesto scusa per un proprio errore? Mai.

«Bill...», mormorò Gustav sommessamente.

Ma il cantante si era già voltato e aveva ripreso a camminare per la propria strada, probabilmente verso la sua camera. Quella scena era triste, vederlo così era quasi insopportabile.

Gustav lo osservò ancora per qualche istante, ma non riuscì a capire perché si comportasse in quel modo. «Che gli sarà successo?», chiese più a se stesso che a Georg lì accanto.

Il bassista non voleva esternare i propri pensieri, ma un'idea se l'era già fatta.

Fissò ancora il cantante e sospirò serio. «Lo so io cosa gli è successo».






«Non riesci proprio a contenerti, vero? Devi sempre esagerare».

Tom strabuzzò gli occhi stralunato. C'era forse una ragione particolare per cui Georg fosse davanti alla sua porta con quell'aria così scazzata?

Inarcò scettico un sopracciglio. «Ma che stai dicendo?».

Georg alzò gli occhi al cielo. «Bill. So benissimo che se ora se ne va in giro come uno zombie è per qualcosa che tu gli hai detto. Dovevi proprio essere così duro?».

Il chitarrista aprì la bocca sconvolto. «E tu sei venuto qui per criticare il mio modo di rimproverare mio fratello? Non sono certo affari tuoi!».

«È un mio amico», replicò il bassista. «e mi preoccupa vederlo così. Lo sai com'è Bill. È capace di tutto e potrebbe...».

«Oh, non essere così melodrammatico! Domani mattina sarà in forma smagliante come suo solito. Di certo un rimprovero non lo indurrà al suicidio!».

Georg lo fissò quasi offeso. «Non intendevo questo. Pensavo soltanto che, magari, potresti andare da lui e...».

«No, deve imparare la lezione. Se gli chiedo scusa subito, non si renderà mai conto della cazzata che ha fatto. Si comporta da bambino capriccioso e questo non va bene».

«Sì, ma...».

«Senti, Georg, ci penso io a mio fratello, okay? Resta fuori da questioni che non ti riguardano».

Il bassista cominciava ad irritarsi: era andato lì per discutere tranquillamente e, invece, Tom gli andava sempre contro.

«Ti piace proprio litigare, eh?».

Tom ridusse gli occhi a due fessure e lo fissò furioso. «Scusa?».

«Non riusciamo mai ad avere un dialogo civile e questo perché, anche se non ne conosco il motivo, sei sempre incazzato con me. Mi spieghi che ti ho fatto? È forse per...».

Il chitarrista lo interruppe con un brusco gesto della mano. «Stronzate».

«Non è forse così?», ribatté Georg scettico. «Oh, andiamo! Sembra quasi che ti ispiri violenza, quando mi vedi».

«Beh, che ti posso dire? Forse è così», rispose Tom, ridacchiando ironicamente.

Non si erano neanche accorti che, parlando, erano completamente entrati nella stanza del chitarrista e avevano addirittura chiuso la porta.

Georg osservò l'amico, mentre questo gli dava le spalle e prendeva a maneggiare il telecomando della piccola televisione accesa su un comodino. «Non scherzare», disse, prendendoglielo dalle mani e gettandolo sul letto lì accanto, dopo aver spento quell'aggeggio infernale. «Seriamente, voglio sapere il motivo di tutta questa rabbia».

Tom lo fissò scocciato e allargò le braccia esasperato. «Mi fai incazzare e basta».

«Per quale motivo, di grazia?».

«Perché sei un coglione».

Georg sbarrò gli occhi sconvolto. «Come, scusa?», sbottò fuori di sé.

Tom ghignò divertito. «È uno dei tanti difetti che hai, ma non certo il più grande».

Il bassista sentiva le mani formicolargli per la rabbia. Lo avrebbe preso a pugni seduta stante. Piccolo problema: sapeva benissimo che non sarebbe mai stato capace di mettere le mani addosso a Tom. Per quanto potesse essere insopportabilmente stronzo fino al midollo, non lo avrebbe mai toccato, non per fargli del male. La decisione più saggia era dunque quelle di andarsene. Non avevano più niente da dirsi, per il momento.

Prese un respiro profondo e si ricompose. «Bene», commentò indifferente. «L'importante è saperlo».

Tom strabuzzò gli occhi confuso. Come fa ad essere così calmo?

Georg gli voltò le spalle e si avviò verso la porta chiusa. «Buonanotte».

«E te ne vai così?», sbottò scocciato il chitarrista, deluso dalla reazione così controllata dell'amico.

Il bassista gli rivolse un sorriso sbilenco, quasi volesse deriderlo. «Mi dispiace rovinare il tuo giochino psicologico per provocarmi, ma ad una certa ora bisogna andare a letto».

Tom corrugò la fronte.

«Quindi buonanotte», concluse Georg, aprendo la porta e uscendo nel corridoio.

«Vaffanculo», gli sputò velenosamente dietro il chitarrista.

L'amico sorrise e richiuse la porta: quella volta aveva vinto lui.






«Per la millesima volta, Gustav: non ho voglia di...».

Quando aprì la porta, rimase di sasso.

Della serie "al peggio non c'è mai fine".

Bill inarcò le sopracciglia scettico e si appoggiò allo stipite della porta con fare stanco. «Forse non l'hai ancora capito, ma...».

Simon sorrise divertito. «Non ti piaccio. Lo so».

E allora che vuole? si chiese stupito il moro.

L'americano osservò con occhio incuriosito le condizioni della persona che aveva davanti: Bill si era lavato e i capelli neri accarezzavano morbidamente le sue spalle, ma la cosa più buffa era il pigiama che aveva addosso, azzurro, con tanti disegni di piccole stelle; le pantofole a forma di orsacchiotto, però, erano davvero il massimo. Senza neanche accorgersene, Simon ridacchiò sommessamente.

Bill gli lanciò un'occhiataccia, come se volesse incenerirlo soltanto con lo sguardo. «Mi prendi per il culo?», sbottò offeso.

Il biondo scosse la testa senza smettere di sorridere. «Sei davvero un tipo strano, sai?».

Questa poi! pensò Bill sconvolto. Ma come si permette?

«Comunque... vorrei parlare, se non ti dispiace».

Il cantante moro rimase basito e prese a guardarsi intorno spaesato. Quando tornò a fissare Simon, la sua fronte era corrugata in un'espressione di pura confusione.

«Con me?».

L'americano assentì divertito. Strano e buffo.

A quel punto Bill non seppe cosa fare. Simon voleva parlare di cosa? Era sicuro restare da solo con un tipo del genere? Riluttante gli fece segno di entrare nella sua stanza, ma quello scosse sbrigativo la testa e lo lasciò basito ancora una volta.

«Sarò breve, non ti preoccupare. Diciamo che volevo soltanto tranquillizzarti».

Bill inarcò un sopracciglio confuso. Tranquillizzarmi?

Simon proseguì tranquillamente. «Non sono pericoloso come tu pensi».

Il cantante moro si stupì di quell'affermazione. «Ah, no?», squittì, incapace di trattenersi.

L'americano ridacchiò appena. «No, affatto. Non sono interessato a tuo fratello, se è questo che ti preoccupa».

Bill sbarrò gli occhi sconvolto. Ma... ma come...?

«Ho notato che, quando gli sto vicino, mi guardi come se volessi saltarmi al collo», continuò Simon, per nulla piccato o offeso.

Parlava sempre con molta tranquillità di ogni argomento e questo era un particolare del suo carattere che stupiva molti.

Il cantante moro rimase senza parole. Si vede così tanto? si chiese stralunato.

Rimasero in silenzio per vari secondi, Simon aspettando una sottospecie di risposta, che sapeva già non sarebbe mai arrivata, e Bill cercando di trovare qualcosa di sensato da dire. E cosa trovò alla fine?

«Ah... okay».

La verità era che non si fidava affatto e non credeva che quello che gli avesse detto il biondo fosse vero. Ma voleva toglierselo di torno il più in fretta possibile.

Simon gli sorrise. «Non mi credi, vero?».

Per poco Bill non si strozzò con la sua stessa saliva. Quel ragazzo era per caso capace di leggere nella mente?

«No».

E che coraggio aveva lui di esternare i propri pensieri così apertamente! Ma, del resto, era Bill. Se una cosa non gli andava a genio, il più delle volte lo diceva chiaro e tondo.
Simon si fece improvvisamente serio e per un momento il moro ebbe paura che volesse picchiarlo. Ma naturalmente si era sbagliato: l'americano non cambiava umore tanto facilmente.

«Non è Tom che mi interessa», mormorò sommessamente.

Bill, per un attimo, sentì il cuore in gola. O aveva capito male... o aveva capito male. Una piccola idea si era insinuata nella sua mente e non gli piaceva per niente.

Non ci posso credere.

Il silenzio che calò divenne quasi imbarazzante e l'espressione del moro divenne sempre più sconvolta man mano che passavano i secondi. Poi, lentamente e con qualche difficoltà, aprì la bocca per parlare.

«Ti...», mormorò con voce roca.

Simon non smise neanche per un secondo di fissarlo in quel modo così intenso e questo convinse Bill della veridicità della sua idea.

«Ti piace Georg!», gridò infine sconvolto.

L'americano rimase completamente basito da quell'esclamazione. Poteva Bill essere veramente così ingenuo?

Inarcò un sopracciglio confuso. «Ma che stai dicendo?».

Il cantante moro si portò una mano alla bocca. «Allora ti piace Gustav! Sì, insomma, non può essere nessun altro», ragionò ad alta voce, anche se non sembrava del tutto convinto delle sue stesse parole.

Simon per poco non gli scoppiò a ridere in faccia. Era al corrente delle stranezze del cantante dei Tokio Hotel, ma mai aveva pensato che potesse essere così... fuori di testa. E questo ai suoi occhi lo rendeva ancor più interessante. Sorrise divertito: forse era l'ora tarda a confondergli le idee. Cercando di trattenersi dal ridere, gli voltò le spalle e fece per avviarsi per il corridoio vuoto dell'albergo.

«L'unica persona che non hai detto è quella giusta», mormorò con calma, sventolando una mano in aria in segno di saluto.

Bill non capiva più niente: aveva detto praticamente tutti, chi altro mancava all'appello? Vide l'americano allontanarsi sempre più dalla sua stanza e l'agitazione iniziò ad insinuarsi in tutto il suo corpo. Doveva assolutamente sapere il nome di quella persona.

«Ehi, aspetta! Perché non me lo dici direttamente?», sbottò esasperato.

Ma Simon era già sparito dentro l'ascensore in fondo al corridoio.

Oh, cavolo pensò sconsolato Bill.

Poi una nuova idea, che non lo avrebbe fatto dormire la notte, gli balzò in mente.

«Non sarà mica David?».






La mattina seguente non fu una delle migliori per nessun componente della band. Bill non aveva dormito, preso com'era a cercare di capire a chi fosse interessato Simon; Tom era andato a letto completamente fuori di sé e si era svegliato con un gran mal di testa; Georg da una parte si era sentito soddisfatto dopo la discussione con il chitarrista, dall'altra soffriva peggio di un cane alla consapevolezza che si stavano allontanando sempre di più; Gustav, infine, non era riuscito a trovare la posizione giusta nel letto, perché dolori insopportabili partivano dall'osso sacro e si propagavano per tutta la schiena, impedendogli di dormire. C'era soltanto un'unica consolazione a tutta quella sofferenza generale: l'albergo in cui si erano fermati aveva lasciato loro la piscina privata completamente disponibile. Essere famosi portava molti benefici, anche se non sempre.
L'idea di cominciare la giornata con un tuffo nell'acqua fresca e pulita accarezzò dolcemente le povere menti fin troppo frustrate dei quattro amici. Ma anche quello che apparentemente doveva essere un momento rilassante si rivelò un fiasco totale. Bill e Tom non si rivolgevano la parola, nonostante il cantante tentasse continuamente di attirare l'attenzione del gemello. Ma il chitarrista era ancora arrabbiato e per il momento non sembrava propenso a fare pace con Bill. Senza contare che a malapena tollerava la presenza di Georg: non faceva altro che lanciargli occhiatacce. Il bassista, da parte sua, cercava di evitarlo in tutti i modi possibili, ma alla fine finiva inevitabilmente per incrociare il suo sguardo con quello di Tom. E Gustav non faceva altro che gemere di dolore: la schiena gli faceva male anche in acqua ed ogni piccolo movimento era una sofferenza.

«Gus, faresti meglio a farti vedere da un dottore. Dillo a David», mormorò Georg, interrompendo quel silenzio fin troppo imbarazzante che era calato fra loro.

Il batterista scosse il capo con una smorfia di dolore. «No, non è niente. Magari domani sarà tutto passato».

E come al solito Gustav si curava davvero poco. Ma era talmente cocciuto che tentare di fargli cambiare idea sarebbe stata soltanto fatica sprecata.
Quello fu tutto ciò che si dissero, non ci furono altri interventi. O almeno fino a quando non arrivò Simon.

«Buongiorno, ragazzi. Come va?», salutò con entusiasmo, inginocchiandosi sul bordo della piscina.

Tom storse la bocca in una smorfia. «Una favola», borbottò con poco entusiasmo.

Istintivamente, Bill si avvicinò al gemello e quasi non si accorse di avergli stretto leggermente un polso nella sua mano: quando Simon era nei dintorni, sentiva sempre uno strano senso di inquietudine. Il chitarrista si voltò nella sua direzione e lo fissò confuso; stava per ritrarre il braccio, quando notò la strana espressione del fratello: era rigido e stava fissando Simon come se avesse paura che gli potesse saltare addosso da un momento all'altro.

Strano pensò. Di solito lo guarda come se fosse uno scarafaggio.

Non ritrasse la mano, ma non gli chiese nulla. Era sempre strato così: poteva essere arrabbiato quanto voleva, ma vedere Bill spaventato o inquieto risvegliava in lui il senso di protezione nei confronti del gemello.

«Non si direbbe dalla tua faccia», ridacchiò Simon, inclinando leggermente la testa di lato.

«È una giornataccia», mormorò Georg, fissando un punto indistinto nell'acqua. «Come tante in questo periodo».

A quell'affermazione Tom voltò di scatto la testa nella direzione dell'amico. «E di chi è la colpa?», sbottò burbero, guardandolo truce.

Il bassista non si curò di voltarsi a guardarlo, ormai abituato a ricevere quella specie di frecciatine. «Una parte della colpa è anche tua, ma... No, anzi. Tutta la colpa è tua», sbottò poi, improvvisamente illuminato da una certa idea. «Io di certo non mi sono scopato la prima che mi è capitata a tiro».

Gustav e Bill sbarrarono gli occhi sconvolti. Il batterista riteneva che quel tipo di argomento non dovesse venir fuori in quel momento e soprattutto alla presenza di Simon. Praticamente stavano sbandierando il loro rapporto ai quattro venti. Il cantante moro, invece, non poteva credere alle proprie orecchie. E così Tom era andato a letto con una ragazza... Ecco perché lui e Georg si erano lasciati. Simon corrugò la fronte confuso e fece viaggiare lentamente lo sguardo da Tom a Georg.

«Stai zitto!», gridò il chitarrista, agitandosi in acqua.

A quel punto Bill gli lasciò il polso, convinto che, se avesse continuato a tenerlo stretto, sarebbe finito mezzo annegato dopo l'accesa discussione tra il gemello e il bassista.

Georg fissò scettico l'amico. «Perché, scusa? Soltanto tu puoi prendermi indirettamente per il culo davanti agli altri? Quando poi dovrei essere io l'unico a vendicarsi di ciò che tu hai fatto. Ma no, naturalmente è colpa mia. L'incazzato sei sempre tu».

Tom gli si avvicinò pericolosamente con aria furibonda. «Io avrò anche sbagliato, ma sei stato tu a tagliare i ponti!», gli urlò in faccia.

Simon ascoltava con attenzione, anche se non era nel suo stile farsi gli affari altrui. Ciò che dicevano i due componenti della band confermò alcune sue ipotesi che aveva formulato già da un po', ma non se ne stupì più di tanto. Per certe cose aveva un sesto senso e tutto quello non gli suonava come una novità.

Georg fissò serio il chitarrista. «Pensavo di farti un piacere, vista la continua nausea che avevi ogni volta che mi avvicinavo».

«Non avevo nessuna nausea!».

«Ma se a malapena ti facevi sfiorare!».

Gustav capì che la situazione stava degenerando e che Simon stava sentendo troppe cose. «Ragazzi, basta», esclamò sofferente, mentre il dolore gli attraversava nuovamente tutta la schiena.

Ma i due amici non gli diedero ascolto.

«Avevo soltanto bisogno di un po' di tempo per abituarmi alla nuova situazione!», ribatté ancora Tom, muovendo convulsamente le braccia in acqua e schizzando in giro.

Georg, da parte sua, cominciava a perdere davvero le staffe e ad urlare a sua volta. «Oh, e mentre aspettavo dovevo starmene buono e guardare mentre ti facevi mezzo mondo?».

«Non puoi pretendere che cambi per te da un giorno all'altro!».

«Non sono un tipo che aspetta una persona per tutta la vita, Tom. E certe cose non mi vanno giù. Infatti, siccome sono fatto così, ti ho lasciato libero di fare ciò che vuoi, senza che io ti sia d'intralcio. Dillo che ti ho fatto un favore».

Tom sentiva di essere arrivato al limite della sopportazione. «No, cazzo! Non mi ha fatto proprio un bel niente!», urlò con tutto il fiato che aveva in gola, spintonando violentemente il bassista. «Mi hai soltanto fatto soffrire come un cane!».

Quelle parole gridate investirono tutti quanti con una violenza tale da lasciarli completamente basiti. E inevitabilmente il silenzio calò nuovamente fra loro. Tom si sentì stordito da ciò che era uscito dalle sue stesse labbra. Lo aveva detto veramente? Lui aveva detto di aver sofferto per una persona? Gustav si passava ripetutamente una mano sul volto e di tanto in tanto lanciava qualche occhiata incuriosita a Simon: la storia di Tom e Georg era stata abbondantemente svelata, ma l'americano non sembrava né sconvolto né disgustato; semplicemente fissava inespressivo i due litiganti dentro la piscina. Bill, invece, aveva la bocca completamente spalancata. Tom, il suo Tomi, aveva detto finalmente a qualcuno quello che provava veramente. Era scosso da tutto ciò, ma al tempo stesso orgoglioso di lui. E poi i gossip gli piacevano sempre e comunque.

Cazzo, sembra una puntata di "Beautiful" pensò con gli occhi che gli brillavano per la gioia.

Al contrario di tutti gli altri, invece, Georg si sentiva distrutto da quelle parole. Lo aveva davvero fatto soffrire? Tom stava male per colpa sua? Si ritrovò a fissare tristemente gli occhi ancora ardenti, ma leggermente turbati dell'amico e questo li abbassò immediatamente, sentendosi stranamente a disagio.

«Mi dispiace».

Quel sussurro talmente flebile raggiunse soltanto le orecchie di Tom e lo fece sobbalzare involontariamente. Sentì che quelle parole lo avevano colpito, lo avevano smosso. Eppure erano parole così banali. Sentì il bisogno di andarsene, di restare solo. Senza alzare lo sguardo su Georg, si mosse fino al bordo della piscina e ne uscì agilmente, afferrando un asciugamano appoggiato per terra e avviandosi spedito verso la porta d'uscita. Non gli importava se avrebbe bagnato tutto il pavimento.
In un batter d'occhio, Simon scattò velocemente dietro di lui, inseguendolo lontano dai tre ragazzi ancora in acqua.

Bill osservò la scena con il cuore in gola. Che cavolo pensa di fare quello?






«Tom, aspetta!».

Tom sobbalzò sorpreso e si fermò in mezzo alla stanza, dopo aver lasciato una scia di gocce sul pavimento. Cosa voleva Simon? Cosa c'entrava lui in quella faccenda? Un bel niente, per questo fu irritato dalla sua presenza. Non capiva che voleva restare solo?

L'americano lo raggiunse e lo fissò in un modo strano, che al chitarrista non piacque affatto. «Sai, sei diverso da come credevo», disse tranquillamente il biondo, scrutandolo in volto.

E questo adesso cosa vorrebbe dire? pensò Tom furibondo.

«Sei più egoista di quanto pensassi».

Cosa?

Il chitarrista lo fissò sconvolto. Con quanta facilità gli aveva detto quelle cose e soprattutto con quanta sfacciataggine.

«Si può sapere che vuoi? Fatti un pacchetto di cazzi tuoi, perché tu non c'entri assolutamente niente in questa storia!», gli urlò in faccia, prima di voltargli le spalle.

«Quando la smetterai di fare il bambino capriccioso e comincerai ad apprezzare quello che hai, ti renderai conto che non ti serve nient'altro per essere completo. I pezzi che completano il tuo puzzle li hai già tutti: tuo fratello, la tua musica... e ciò che continui a rinnegare di volere. Sta solo a te metterli insieme».

Ma che cazzo...?

Tom non capì quelle parole, non sapeva neanche perché Simon gliele avesse dette. Perché era lì? Si voltò ancora una volta e fissò confuso e senza parole il viso del cantante. Stava sorridendo ed era più tranquillo che mai.

Deglutì nervosamente. «Che cosa significa?», mormorò con voce roca.

Simon gli fece l'occhiolino e gli voltò le spalle. «Pensaci».

Tom strabuzzò gli occhi e lo vide allontanarsi, tornando fuori da Bill, Gustav e Georg. Si sentiva strano, confuso, strapazzato. Prima Georg lo aveva costretto a dirgli la verità su ciò che provava, poi quell'americano enigmista lo aveva definito un egoista e gli aveva detto quella cosa che suonava tanto come una frase presa da un libro di filosofia. Tutti volevano metterlo in difficoltà, non c'era altra spiegazione. Forse l'unico modo per capire tutto il resto era capire prima se stesso.






«Tu e quell'altro, vi siete forse bevuti il cervello?».

Gustav era talmente agitato che riuscì perfino a combattere contro il mal di schiena e ad avvicinarsi a Georg, ancora imbambolato nell'acqua.

«Non potevate discutere delle vostre questioni private da un'altra parte? Grazie alla vostra sceneggiata, ora Simon sa come stanno le cose e, se ne parla con qualcuno, noi tutti siamo fottuti».

«Non preoccuparti, Gustav. So farmi gli affari miei».

La voce di Simon interruppe i rimproveri del batterista. Il cantante biondo era appena tornato e stava sorridendo rassicurante. Bill, quando lo vide, scattò verso il bordo della piscina e tentò di uscire dall'acqua nello stesso modo disinvolto con cui Tom poco prima era scappato via; ma si ritrovò ad annaspare contro le piastrelle, cercando di non perdere il costume.

Ma perché Tom ci riesce ed io no? si chiese il moro confuso.

Sobbalzò, quando due mani gli strinsero i polsi, sollevandolo e tirandolo fuori dall'acqua come se nulla fosse. Si ritrovò a fissare il viso rilassato di Simon.

«Un salmone è più agile di te», lo prese scherzosamente in giro l'americano.

Bill sbarrò gli occhi offeso e il suo viso divenne di mille colori diversi. A malapena riusciva a star vicino a quel ragazzo, se poi quello lo provocava in quel modo, avrebbe finito per prenderlo veramente a pugni. Ma in quel momento i suoi propositi erano altri. Senza curarsi di prendere un asciugamano con cui asciugarsi, afferrò Simon per la maglia e lo tirò in disparte, lontano da Gustav e Georg.

«Che cosa gli hai detto?», esordì alla fine con aria poco rassicurante.

Simon capì subito che si riferiva a Tom. In un certo senso, era adorabile il modo in cui Bill si preoccupava per il suo gemello; forse poteva sembrare un po' troppo invadente e capriccioso, ma quello che provava per suo fratello era amore puro. E anche Tom, a modo suo, amava Bill come nessun altro al mondo. Ognuno era lo specchio dell'altro, così apparentemente diversi, ma perfettamente uguali.
Quei pensieri incupirono il viso di Simon, mentre una serie di ricordi gli invadeva la mente con una prepotenza tale da trasportarlo quasi in un altro posto, lontano da lì. La voce di Bill lo colse alla sprovvista, rimbombandogli nelle orecchie come un colpo di pistola.

«Ehi, mi stai ascoltando?», sbottò il moro offeso.

Simon si riscosse, tornando immediatamente alla realtà. Da un po' di anni aveva imparato bene a nascondere ciò che provava dentro di sé. Soprattutto la sofferenza.

«Scusa, mi ero distratto», mormorò scosso.

Bill lo fissò sospettoso.

«Comunque, non gli ho detto niente di particolare. In poche parole, gli ho consigliato di svegliarsi», gli spiegò il biondo, accennando ad un sorriso.

Il moro sbatté stupito le ciglia, soppesando con attenzione le parole del ragazzo di fronte a sé. Poi, con suo grande stupore, si rese conto di una cosa.

«È esattamente quello che avrei fatto io», mormorò affascinato.

A quelle parole, Simon ridacchiò divertito.






Il pomeriggio si rivelò essere una noia mortale. Stranamente non dovevano destreggiarsi fra apparizioni televisive o quant'altro e il tempo stava passando troppo lentamente.
Tom non sapeva per quanto tempo fosse rimasto chiuso in quella stanza, rimuginando sulle parole di Simon e su ciò che involontariamente era uscito dalla sua stessa bocca. Non si era mai reso conto di star soffrendo, l'idea non lo aveva mai lontanamente sfiorato. Ma evidentemente doveva essere così, altrimenti non avrebbe mai detto quelle cose a Georg. Non ci aveva neanche pensato, le aveva dette e basta. In quei giorni si era sentito strano, questo lo ammetteva, ma mai avrebbe pensato che fosse sofferenza.

Sdraiato sul suo letto, si massaggiò gli occhi confuso. È strano sentirsi così.

TOC TOC

Per poco non si affogò con la sua stessa saliva. Preso com'era dai suoi pensieri, il rumore di qualcuno che bussava alla porta lo aveva spaventato. Ancora confuso, andò ad aprire, ma, quando si ritrovò di fronte la persona che lo stava cercando, sentì come un capogiro.

Dio, devi odiarmi proprio per farmi questo.

Georg, fermo sulla soglia, lo fissò serio, mentre il chitarrista non sapeva dove posare gli occhi. Sicuramente, non sul bassista. Passarono soltanto pochi secondi di silenzio, ma sembrarono minuti interi.

Poi, finalmente, Georg parlò. «Preparati», mormorò serio. «Usciamo».

Tom ebbe un tuffo al cuore. «Cosa?», boccheggiò confuso.

Il bassista non smise neanche per un secondo di fissarlo in quel modo così intenso. «Voglio comprarmi qualcosa di nuovo da mettermi e tu mi aiuterai».

Il chitarrista avrebbe voluto replicare, dirgli di uscire da solo, ma qualcosa più forte di lui gli tolse la capacità di parlare.

A quel punto, Georg gli voltò le spalle e fece per andarsene. «Sbrigati».






Dieci minuti dopo, erano fuori dall'albergo. Se David li avesse scoperti, avrebbe tagliato loro le gambe: non potevano uscire senza avvisare e soprattutto senza guardie del corpo. Ma era anche vero che non erano ancora così famosi in America, quindi il rischio era minore.
Per strada camminavano vicini, ma non si rivolgevano la parola. Avrebbero avuto così tante cose da dirsi, ma era troppo difficile persino introdurre l'argomento.

«Fa caldo», mormorò Georg, guardandosi attorno nervosamente.

Odiava non sapere cosa dire.
Tom annuì e mugugnò qualcosa di incomprensibile. Anche lui si sentiva in difficoltà.
Passarono interminabili minuti di silenzio in cui il chitarrista si maledisse di aver accettato di uscire e il bassista si dava dello stupido per non riuscire a trovare qualcosa di intelligente da dire. Poi, improvvisamente, la sua attenzione venne attirata da una vetrina in particolare: era un negozio di abbigliamento maschile e, pur essendo piccolo, non sembrava male.

Georg vi ci si fermò davanti incuriosito. «Ehi», esclamò verso Tom.

Questo si fermò stupito e rivolse lo sguardo alla vetrina.

«Entriamo a dare un'occhiata», propose il bassista, tirando la porta per entrare.

Il chitarrista non sembrava molto entusiasta, ma non disse nulla e lo seguì. Quel negozio era più piccolo di quel che sembrava visto da fuori, ma era comunque ben assortito di vestiti, forse un po' troppo attaccati l'uno all'altro sugli attaccapanni. A Tom quei negozi non piacevano per niente, anche perché difficilmente vi trovava qualcosa di interessante.
Georg si era già messo ad esaminare alcune t-shirt su uno scaffale e il chitarrista gli si era affiancato in silenzio. Ad un certo punto, il bassista gli mise davanti agli occhi una maglia giallina, che quasi sembrava scolorita.

«Che ne dici?», gli chiese incuriosito.

Tom spostò lo sguardo dalla maglia al viso di Georg e non sembrava affatto convinto. «Sinceramente?», gli domandò ironicamente.

Il bassista annuì col capo.

«Fa schifo, Georg», concluse il chitarrista, prendendogli la maglia dalle mani. «Ma che colore è?».

«Serve aiuto?».

Una vocina flebile li interruppe prima che Georg potesse replicare che quel colore era assolutamente bellissimo.
Tom fece saettare i suoi occhi sulla commessa mora che li stava guardando sorridente dalla cassa e in meno di due secondi le aveva già fatto una radiografia completa con tanto di risultati.

«No, grazie, stiamo solo guardando», le rispose gentilmente Georg.

La ragazza sorrise e tornò a sbrigare altre faccende.

Tom la guardò ancora per qualche istante, poi si voltò verso l'amico. «Non è male», gli sussurrò discretamente.

«Dici questa? Ti piace?», domandò Georg, indicandogli un'altra maglia.

«Ma no!», sbottò il chitarrista disgustato.

Come fanno a piacergli certe cose?

«Mi riferivo a quello schianto dietro la cassa».

Georg inarcò le sopracciglia e lanciò qualche occhiatina discreta alla ragazza. «A me non sembra niente di speciale», concluse alla fine.

Tom alzò gli occhi al cielo. «Ci credo. I tuoi gusti fanno schifo».

Il bassista lo fissò scettico. «Devo forse ricordarti che tu...».

«E se ci provassi con lei?», lo interruppe il chitarrista, preso dai suoi piani d'azione.

L'amico sentì un leggero rimescolio nello stomaco e un certo senso di fastidio. Improvvisamente quella ragazza ai suoi occhi era diventata la più brutta del mondo. Ma non poteva dire niente. Come aveva detto lui stesso quella mattina, lui e Tom si erano lasciati proprio per quello, per far sì che il chitarrista fosse libero di fare le sue scelte. Per ciò, anche se con uno sforzo enorme, si ritrovò ad incoraggiarlo.

«Provaci. Tanto che ti costa?», gli disse con un sorriso.

Tom lo guardò divertito. «Scommettiamo che in cinque minuti sarà già caduta ai miei piedi?».

«Per me, non ci riuscirai», lo prese scherzosamente in giro l'amico.

«Sta a vedere».

Georg lo osservò avvicinarsi alla cassa e rivolgere la parola a quella ragazza. In meno di due secondi si sentì uno schifo.

Sono un idiota.






Quando verso sera Bill sentì il suo cellulare vibrare nella tasca dei jeans, ebbe un sussulto. Raramente qualcuno gli mandava i messaggi, il più delle volte sua madre lo chiamava direttamente. Estrasse quell'aggeggio e lesse il messaggio incuriosito.



"Domani mattina ti va di fare una passeggiata con me? Ti aspetto alle 8:00 davanti all'entrata dell'albergo.
Simon."



Per poco non gli venne un infarto. Simon gli aveva mandato un messaggio e addirittura gli aveva chiesto di uscire con lui? Per fare cosa, poi? Ci sarebbe dovuto andare?

Un momento pensò improvvisamente il cantante. Come diavolo fa ad avere il mio numero?

Tempo due secondi e il cellulare vibrò ancora nella sua mano.



"Ah, il tuo numero me l'ha dato Gustav.
Buonanotte."



Bill sbarrò gli occhi sconvolto. «Io quello lo uccido!».






Quando Tom si avvicinò alla loro piscina privata, non riusciva a smettere di sorridere. Lui e Georg erano appena tornati in albergo.

«Mi sento un po' arrugginito. Non riesco a capire come abbia fatto a resistermi», ridacchiò il rasta, guardando scherzoso l'amico.

Georg gli sorrise. «Abbiamo un sacco di tempo libero, puoi sempre provarci domani».

Il chitarrista annuì con un sorriso sulle labbra. «Già, è un'idea».

Il silenzio calò inaspettatamente fra loro e quasi subito si sentirono entrambi a disagio. Quel giorno non avevano fatto altro che parlare, ridere e cercare di far colpo sulla cassiera del negozio. Tutte cose da amici, cose che avevano sempre fatto prima che succedesse tutto quello che era successo. Quando stavano insieme sotto quell'aspetto così normale, era tutto più tranquillo e le risate non mancavano mai; quando invece avevano sperimentato l'altro lato delle cose, tutto era cambiato e i loro rapporti erano diventati tesi, sempre in bilico e a rischio di rottura. Era semplicemente bastato darci un taglio e tornare alla normalità perché tutto ritornasse più rosa.

Tom sorrise a quel pensiero, anche se in quel sorriso c'era una punta di malinconia che non si rese conto di avere. «Sai, mi mancavano le giornate come questa. Era da un po' che non passavamo un po' di tempo insieme senza...», si interruppe, sentendo improvvisamente un rimescolio in fondo allo stomaco.

Georg abbassò lo sguardo e finì la frase per lui, annuendo leggermente con il capo. «Senza darci addosso».

Il chitarrista annuì, cercando di tornare a sorridere. «Abbiamo la conferma che è meglio essere amici piuttosto che... altro».

Aveva detto quelle parole con convinzione, tuttavia gli sapevano di falso. Avevano un sapore dolce e amaro allo stesso tempo. Da un lato aveva voglia di vivere altre cento giornate come quella appena passata; dall'altro sentiva che qualcosa mancava, che forse poteva esserci qualcosa di ancora più bello di quella giornata. E lui ci stava rinunciando.

Scegli sempre la strada più facile, Tom pensò dentro di sé, come se volesse ammonirsi da solo.

O forse una voce dentro di lui gli stava parlando, cercando di dirgli qualcosa. L'obbiettivo stava nel capire da dove provenisse quella voce.

Georg non replicò, limitandosi semplicemente a confermare con poco entusiasmo. «Già».

La verità era che anche lui dentro di sé sentiva quella voce. E proprio lei gli stava dicendo che era tutto sbagliato, che non doveva essere così.

Certo, è bello passare il tempo insieme a lui come un normale amico... ma sei sicuro che ti basterà soltanto questo? si interrogò con una punta di insicurezza.

Era una domanda difficile a cui rispondere, ma non poteva di certo cercare una risposta in quel momento. Doveva andarsene in fretta, prima di rovinare tutto.

Mi ci abituerò, come avrei dovuto fare sin dall'inizio.

Stupido.

«Beh, si è fatto un po' tardi», esordì a gran voce, risultando quasi esagerato. «Direi che l'ora di andare a dormire sia arrivata».

Tom si affrettò a rispondere, in modo che non calasse ancora quel silenzio imbarazzante che tanto odiava. «Allora buonanotte», concluse con forse troppa fretta, dando una pacca affettuosa sul braccio dell'amico.

«Certo. Buonanotte», ricambiò il bassista.

Ma detto questo, nessuno dei due si mosse. Entrambi rimasero immobili uno di fronte all'altro, sorridendo come due idioti e senza dire una parola. E ancora una volta quel maledetto silenzio era tornato.

«Vai?», esclamò improvvisamente Tom, senza sapere bene che cosa intendesse con quel "vai".

Infatti Georg rimase perplesso.

«Cosa?».

«Vai via... prima tu?», cercò di spiegarsi il chitarrista, prendendo a torturarsi le dita delle mani.

Georg capì che cosa intendesse l'amico e volle comunque essere gentile prima di salutarlo definitivamente. «No, vai prima tu».

«No, davvero».

«Tom», cercò di chiudere quell'assurda conversazione il bassista.

Tom si morse le labbra e annuì sconfitto. «Okay okay... Buonanotte ancora».

Finalmente gli voltò le spalle e prese a camminare lungo il bordo della piscina, cercando di non far caso a quel senso di dispiacere che provava già da vari minuti. E ancora una volta quella voce, che aveva il suo stesso timbro, tornò a farsi sentire nella sua testa.

Vattene ora così e avrete completamente chiuso.

Quel "completamente" gli fece paura. Okay, si era divertito con lui quel pomeriggio, uno dei tanti passati insieme da quando si conoscevano. Ma non gli era forse piaciuto quel breve periodo di tempo in cui erano stati più intimi? Togliendo tutte le discussioni, i litigi e le continue domande che si era posto per capire se fosse giusto o sbagliato... quello che rimaneva gli piaceva. E anche tanto.
Cosa gli aveva detto Simon quella mattina? "Quando la smetterai di fare il bambino capriccioso e comincerai ad apprezzare quello che hai, ti renderai conto che non ti serve nient'altro per essere completo. I pezzi che completano il tuo puzzle li hai già tutti: tuo fratello, la tua musica... e ciò che continui a rinnegare di volere. Sta solo a te metterli insieme".

"Ciò che continui a rinnegare di volere"...

Si fermò sul posto e lentamente tornò ancora una volta a guardare Georg. Simon si riferiva a lui? Possibile che fosse veramente il bassista ciò che voleva?

Georg lo stava fissando incerto, cercando di capire cosa stesse provando il chitarrista in quel momento. «Va tutto bene?», provò a chiedergli, nonostante non si aspettasse una risposta.

Non ne sono sicuro pensò Tom nella sua mente.

Cosa doveva fare? Andarsene? Restare? E poi fare che cosa? Georg intanto continuava a guardarlo in silenzio, scrutando la sua espressione confusa.

Per una volta, basta con le seghe mentali.

I suoi piedi si mossero da soli, tornando indietro quasi di corsa.

Georg lo vide venirgli incontro con un'espressione fin troppo seria e per un attimo pensò che volesse picchiarlo. «Tom, cosa...?».

Ma non poté terminare la frase, Tom non glielo lasciò fare. Il bassista si sentì improvvisamente pervadere da un calore fortissimo, bollente. Avrebbe spalancato la bocca interdetto, se non fosse stata occupata da quella del chitarrista in quello che sembrava un bacio vorace. Sentiva il suo piercing sfregargli contro il labbro inferiore e la sua lingua che esplorava l'interno della sua bocca. Non riusciva quasi a respirare e per questo, dopo vari secondi passati in apnea, dovette fare uno sforzo per riuscire a staccarsi dall'amico, nonostante questo gli si fosse aggrappato con forza al collo con le braccia.

Appoggiò la fronte contro la sua, soffiandogli con il fiatone sulle labbra. «Che cosa stai facendo?», ansimò, come se non avesse più forza.

Tom sembrava del tutto assente, preso com'era da quel momento. «Metto insieme i pezzi del mio puzzle», sussurrò quasi impercettibilmente.

Georg corrugò la fronte. «Che?».

«Lascia stare», ribatté l'amico scazzato.

Io mi sforzo di dirgli qualcosa di "poetico" e lui non capisce... ma vaffanculo! pensò Tom, mordendo forse troppo forte il labbro inferiore di Georg.

Infatti questo si staccò immediatamente da lui, spingendolo lontano di pochi centimetri e portandosi una mano alla bocca. Il chitarrista, ancora a bocca aperta, rimase leggermente interdetto.

«Ma sei matto?», biascicò Georg, premendosi un dito sul labbro dolorante. «Mi hai morso!».

«Ti ho soltanto dato un morsetto da niente», ribatté Tom, incrociando le braccia al petto.

Il bassista si sporse in avanti e gli indicò un minuscolo taglietto con un po' di sangue. «Questo lo chiami "niente"?».

Per tutta risposta, il chitarrista si riavvicinò a lui, succhiando maliziosamente il labbro ferito e staccandosi con un sorrisetto beffardo. «Assolutamente sì».

A quel punto Georg perse completamente la testa e Tom non poteva certo pretendere che riuscisse a controllarsi. Aveva passato giorni - senza contare i mesi passati a piangere sulla spalla sempre disponibile di Bill - perdendosi in fantasie sempre più inverosimili; ora che la maggior parte di quelle si era realizzata, la voglia di spingersi oltre lo fece impazzire.
Quando le loro bocche si riunirono nuovamente, l'impatto fu talmente violento che entrambi poterono sentire i propri denti cozzare contro quelli dell'altro. Gemettero doloranti, ma l'idea di allontanarsi ancora non li sfiorò minimamente. Non si accorsero neanche di essere arrivati sul bordo della piscina lì accanto, almeno fino a quando Tom non ci cadde quasi dentro. Se non fosse stato per le braccia forti di Georg, strette attorno ai suoi fianchi, sarebbe letteralmente finito a mollo.

«Dobbiamo trovare un posto più comodo», ansimò il chitarrista, staccandosi di scatto dall'amico.

Georg rimase leggermente stralunato, ma notò con piacere il rossore sulle labbra del compagno. «Possiamo andare in camera mia, se preferisci», propose frettolosamente, impaziente di continuare quello che avevano iniziato.

Ma Tom lo bloccò subito scocciato. «Oh, ma dai! È banale!», sbottò quasi irritato.

A quel punto il cervello del bassista cominciò a pensare nuovamente, riacquistando almeno un minimo di autocontrollo. Banale... per cosa? Quale posto è troppo banale per baciarsi? si chiese confuso.

Il chitarrista intanto si era guardato attorno attentamente, cercando qualcosa di interessante. Quando poi aveva abbassato gli occhi sulla piscina, gli occhi avevano preso a brillargli.

«Facciamolo in acqua!», esclamò estasiato.

Georg per poco non si strozzò con la sua stessa saliva. Si stava convincendo a poco a poco che quello che pensava di fare lui non era esattamente ciò che pensava il rasta. Ma le mani dell'amico gli offuscarono nuovamente la mente. Che cosa ci facevano sotto la sua maglia ad accarezzare gli addominali? Non ci volle molto prima che Tom tentasse di levargli completamente quella maglia.

Cazzo, ma che gli prende?

In un batter d'occhio, il bassista aveva afferrato le mani del rasta e le aveva tenute strette saldamente, cercando il suo sguardo. «Frena frena, aspetta un secondo!», esclamò sconvolto.

Tom rimase interdetto. «Che c'è?», domandò ingenuamente.

Georg inarcò un sopracciglio e lo fissò sospettoso. «Facciamo cosa, di preciso?».

Il chitarrista per poco non gli scoppiò a ridere in faccia. «Vuoi un disegnino?».

A quel punto l'amico si convinse del tutto. Aveva creduto che sarebbero andati in camera sua, o in qualche altro posto, a baciarsi, a coccolarsi... ma mai aveva pensato a... quello.

Immediatamente e senza alcuna esitazione, si allontanò bruscamente dal rasta, lasciandolo a bocca aperta. Il chitarrista stava facendo uno sforzo enorme per apparire il più disinvolto possibile e per cercare di non pensare troppo a quello che diceva o faceva; perché quello stupido di Georg, invece, gli stava complicando le cose?

«Tom... Oh, andiamo!», sbottò il bassista, tentando di mettere insieme un discorso sensato e di rimettere a posto le idee.

Tom allargò le braccia e lo fissò scettico. «Che c'è?».

L'amico gesticolò con le mani. «Che ti prende?».

«Che mi prende?».

Georg spalancò gli occhi e alzò la voce. «Sì, cazzo! Fino a due secondi fa ti faceva ribrezzo anche solo sfiorarmi e adesso invece vuoi addirittura scopare?».

Non gli importava di risultare troppo duro o agitato, sentiva solo che aveva finalmente bisogno di chiarezza in quel loro strano rapporto, se così si poteva chiamare. Il suo compagno non poteva cambiare atteggiamento così di punto in bianco e pretendere che lui stesse al gioco come se nulla fosse. Si sentiva alquanto preso per il culo.

Tom alzò lievemente gli occhi al cielo. «Non mi faceva schifo sfiorarti», borbottò indifferentemente. «Ero solo un po' teso».

Il punto era questo: nei momenti di intimità con una persona, poco importava ciò che Tom faceva o diceva; doveva scopare, punto, ed essere interrotto sul più bello lo irritava molto. In quei momenti ragionava solo ed esclusivamente con le parti basse e difficilmente era possibile avere un dialogo intelligente con lui. Questo modo di fare non piaceva per niente a Georg, ma, del resto, doveva prendere quel che arrivava.

«Un po'... teso?», replicò il bassista scettico. «Sono giorni che a malapena riesci a trattenerti dal mettermi le mani addosso e non sicuramente per scopare. Siamo realisti: ci siamo evitati fino allo sfinimento ed ora, soltanto perché per qualche strano motivo abbiamo pomiciato un po', sei disposto a fare sesso come se nulla fosse... con un ragazzo?».

Quella domanda sembrò colpire il chitarrista. Doveva ammettere che Georg non aveva tutti i torti: prima di quella loro uscita pomeridiana, aveva fatto di tutto per passare meno tempo possibile con l'amico. Ma doveva anche ammettere di sentirsi diverso. Proprio grazie a quelle poche ore passate insieme, ai discorsi di Simon e a tutto ciò che aveva pensato in quei giorni, quasi volesse cercare di capire veramente se stesso, in quel momento poteva vedere le cose un po' più chiaramente di prima. Il bassista significava qualcosa per lui, molto, e voleva provare a stare con lui, sorvolando sul fatto che fosse un ragazzo. Dopotutto, non ci aveva mai visto niente di male nei rapporti omosessuali; anche se rendersi conto di starne vivendo uno era tutt'altra cosa. Forse non era ancora pronto per gettarsi completamente in quel nuovo uragano. Diavolo, riusciva a baciarlo soltanto se non pensava troppo a quello che stava facendo! E non perché baciare Georg fosse disgustoso, anzi. Doveva semplicemente abituarsi a quella situazione, viverla lentamente e assaporando i piccoli momenti. Buttarsi a capofitto in quella cosa più grande di lui era fin troppo sconveniente.

Deglutì imbarazzato, non sapendo cosa dire a quel punto. «Ehm... io... beh...».

Era difficile parlare, dopo ciò che era accaduto. Non aveva la minima idea di cosa dire.
Georg sembrò rendersene conto subito: il forte colorito rosso sulle guance del rasta gli suggeriva tante cose. Sapeva di averlo fatto ragionare e sicuramente di avergli fatto capire che quel momento non era quello giusto. Sorrise, a metà fra l'intenerito e il divertito. Trovava che Tom fosse adorabile in quelle situazioni, ma, al tempo stesso, era buffo vederlo così imbarazzato. Gli si avvicinò lentamente, facendogli alzare gli occhi e notando così tutta la sua confusione.

Povero Tom. Ci capisce poco e niente ridacchiò il bassista dentro di sé.

Attirandolo per i fianchi, fece riunire teneramente le loro labbra, in un bacio dolce e lento. Georg sentì Tom fremere fra le sue braccia, probabilmente ancora più confuso. Il bassista capiva che non sarebbe stato facile per l'amico cambiare. Ci sarebbe voluto molto tempo, ma era disposto a tutto pur di averlo. Per ciò, la cosa migliore da fare era soltanto una.

Si staccò dalla bocca del chitarrista per avvicinare le labbra al suo orecchio. «Aspettiamo».









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Capitolo 12
*** Past, present and future ***


12. Past, present and future






Sembro idiota, mi sento idiota e sono persino vestito come un idiota!

Si guardò i piedi, sbuffando sonoramente e dandosi ancora una volta dello stupido per aver preso quella decisione assurda. Aveva addosso i vestiti più vecchi, rovinati e fin troppo larghi per i suoi standard che avesse trovato nell'armadio; le tute non gli andavano proprio a genio, era da anni che aveva completamente smesso di mettersele, soprattutto se avevano quel colore grigio smorto e quasi sporco. Non aveva neanche un filo di trucco, anche se nessuno avrebbe mai potuto notarlo, poiché sul naso portava due enormi occhiali neri scurissimi. Se non fosse stato per i suoi capelli neri legati ordinatamente in un piccolo codino, qualcuno avrebbe addirittura potuto scambiarlo per Tom.

Faccio schifo pensò irritato.

«Allora alla fine hai deciso di venire».

Quella voce lo distolse bruscamente dai suoi pensieri. Simon gli stava andando incontro nella hall dell'albergo, dove Bill lo aveva aspettato fino a quel momento. Lo stava fissando dalla testa ai piedi con sguardo scettico e questo fece infuriare ancor più il cantante moro.

«Perché ti sei conciato in quella maniera?», gli chiese infine l'americano.

Bill gli lanciò un'occhiataccia. «Per non farmi riconoscere dalle mie fan, no? Non posso uscire così come se niente fosse!».

«Sei sempre così megalomane?».

Il moro sbarrò gli occhi piccato. «Non sono megalomane! È un dato di fatto!», sbottò offeso.

Simon ridacchiò divertito, annuendo accondiscendente. «Se lo dici tu».

Bill sbuffò furioso, ma cercò comunque di darsi un contegno; si limitò quindi a sbattere un piede per terra.
L'americano lo scrutò per qualche istante in silenzio, sempre con quel suo sorrisetto beffardo sulle labbra; poi, emettendo un leggero sbuffo divertito, gli fece un cenno con il capo di seguirlo fuori dall'albergo.

«Dai, andiamo».






L'alito caldo del chitarrista gli solleticava leggermente il collo, provocandogli una serie di brividi lungo tutta la schiena. Era una sensazione piacevole e rilassante, come risveglio non avrebbe potuto chiedere di meglio. Tom, invece, continuava a dormire placidamente, il capo appoggiato sulla spalla di Georg e il viso rilassato; sembrava tranquillo e svegliarlo sarebbe stato un peccato.

Magari potessi svegliarmi tutte le mattine in questo modo pensò il bassista con un sorriso sulle labbra.

Voleva godersi quel momento, anche perché non sapeva quanto sarebbe potuto durare. Nonostante quello che era accaduto la sera prima, non se la sentiva di tranquillizzarsi troppo: aveva precedentemente imparato che con Tom non c'era niente di sicuro.
Lo sentì mugugnare sommessamente e avvicinarsi ancora di più fino a tuffare completamente la faccia nel suo collo; non sembrava essersi ancora svegliato, il suo respiro era lento e pesante.

«Sei sveglio?», sussurrò piano Georg, avvolgendogli le spalle con un braccio.

Quando non ricevette risposta, il suo sorriso si allargò.

Quando si sveglierà e si renderà conto della posizione in cui si trova, mi manderà sicuramente a quel paese.

«Che ore sono?».

Il mugugno del chitarrista lo prese alla sprovvista.

«Ma allora sei sveglio».

Tom emise uno sbuffo dal naso e lentamente si staccò dal bassista per potersi stropicciare gli occhi. Aveva dormito davvero bene, questo doveva ammetterlo almeno a se stesso. Ma non di certo a Georg.

«Sei scomodo», borbottò con la voce impastata dal sonno. «Dormire con te è impossibile».

Georg ridacchiò sommessamente. Si alzò sui gomiti per poi sporgersi verso il chitarrista e baciarlo, ma questo lo bloccò ad un soffio dalle sue labbra.

«Che fai?», gli chiese scorbuticamente, guardandolo con gli occhi ridotti a due fessure.

«Ti bacio?».

«Con quell'alito da uomo delle caverne? Che schifo».

Il bassista si allontanò di poco e inarcò un sopracciglio. «Credi forse che il tuo sia meglio? Sembra quasi che tu abbia un topo morto in bocca».

Tom fece una smorfia disgustata e lo spinse via bruscamente, tuffando poi la testa sotto il cuscino. «Vaffanculo», borbottò sommessamente.

Georg sorrise divertito e rimase immobile a fissarlo per vari secondi. Sapeva che il problema non era veramente l'alito.

«Va bene», esordì infine, alzandosi dal letto. «Vado a lavarmi».

Il chitarrista non gli rispose e non si mosse di un millimetro.
Mentre entrava in bagno, Georg si convinse che arrendersi subito o demoralizzarsi era da stupidi. Doveva soltanto avere pazienza.






Venti minuti dopo era uscito dal bagno bagnato e profumato. Tom non avrebbe potuto dire niente questa volta, perché si era lavato i denti e aveva fatto la doccia. Puzzare era praticamente impossibile.
Quando rientrò in camera, il chitarrista era seduto sul bordo del letto con indosso soltanto i boxer e stava guardando con sguardo perso davanti a sé. Georg doveva ammettere che quella era una visione celestiale per lui, ma qualcosa lo colpì di più: sembrava così preso dai suoi pensieri, così concentrato; raramente lo aveva visto così pensieroso. Forse sapeva a cosa stava pensando, era fin troppo chiaro.

«Il bagno è libero», lo avvertì, facendolo sobbalzare.

Era talmente preso che neanche lo aveva sentito tornare in camera.

Tom sbatté velocemente le palpebre, come se si stesse velocemente ricomponendo, e si schiarì la voce. «Vado».

Si alzò dal letto, mettendo in mostra il busto ben definito, e passò di fianco all'amico per la via del bagno; ma si sentì afferrare bruscamente per i fianchi e in un attimo si ritrovò con il viso a due centimetri da quello del bassista.

«Adesso posso avere il mio bacio?», gli soffiò quello sulle labbra.

Tom sentì un brivido percorrergli tutta la schiena e improvvisamente ebbe come la sensazione di avere tante farfalle impazzite nello stomaco che gli stavano mettendo addosso una certa agitazione. Era normale provare quel senso di eccitazione che a poco a poco lo stava stordendo sempre più? E cosa significava quel calore che sentiva in mezzo alle gambe? Non perse tanto tempo a chiederselo, perché sapeva benissimo cosa volesse dire, e la risposta arrivò ancora più chiara quando si rese conto di avere la sua bocca incollata a quella di Georg. E non certo in uno di quei baci che si possono definire "da poco".
Il bassista rimase piacevolmente colpito dal fatto che l'amico non avesse ancora opposto resistenza e si rese improvvisamente conto che bastava una piccola spinta, qualcosa che lo facesse ragionare poco, per far sì che il chitarrista se ne fregasse di tutto e si lasciasse finalmente andare. Forse era proprio quello il modo giusto con cui doveva lavorare per abituarlo a quella nuova situazione.
Staccandosi da lui, Tom si lasciò sfuggire un lieve sospiro e si affrettò a svincolarsi dal bassista per correre verso il bagno e nascondere così il suo imbarazzo; odiava mostrare le sue debolezze e non intendeva in alcun modo dare ad intendere a Georg che quel bacio gli fosse piaciuto. Perché gli era piaciuto, anche troppo.
Lo sentì ridacchiare alle sue spalle e si rese conto che molto probabilmente lo aveva già intuito da solo.

È odioso pensò il chitarrista, grugnendo in risposta.

Ma sapeva benissimo che non lo pensava sul serio.

«Dopo andiamo a fare due passi, se ti va», mormorò Georg, prima che Tom avesse il tempo di chiudere la porta del bagno.

Non sapeva se ne aveva voglia. Tutta quella loro improvvisa vicinanza non avrebbe potuto insospettire qualcuno? Pensandoci bene, gliene fregava poco di quello che avrebbero potuto pensare gli altri. Forse era più una scusa che stava raccontando a se stesso per nascondere il fatto che provava una certa agitazione al pensiero di dover passare tanto tempo con il bassista. Loro due da soli.

Non fare l'idiota come tuo solito si rimproverò da solo, scacciando via ogni perplessità.

«Va bene», acconsentì alla fine, e si chiuse velocemente in bagno.






«Allora, dove andiamo?».

Una volta usciti dall'albergo, avevano soltanto l'imbarazzo della scelta: si trovavano a Las Vegas, una città enorme.

Georg si guardò attorno pensieroso. «Non lo so. Hai qualche idea?».

Tom si prese qualche secondo per pensarci. Quale poteva essere un posto poco affollato dove stare tranquilli e non dare troppo nell'occhio? Perché Georg aveva già tentato una volta di prendergli la mano nella sua e gli stava fin troppo vicino; tutti gesti che si notavano benissimo. Se doveva proprio imbarazzarsi come mai prima di allora, preferiva che non ci fosse tanta gente in giro. Oppure no! Forse era sconveniente andare in posti troppo tranquilli: Georg avrebbe potuto approfittarne e mettersi a baciarlo lì fuori. Era capacissimo di farlo.

Porca miseria pensò il chitarrista confuso. Cos'è peggio?

«Potremmo tornare nel negozio di ieri!», esclamò improvvisamente, senza pensarci più di tanto.

Aveva buttato lì la prima cosa che gli era venuta in mente, ma in meno di due secondi vide il volto del bassista rabbuiarsi e diventare improvvisamente troppo serio. Che cosa aveva detto di male?

«Che c'è?», gli chiese confuso.

Georg inarcò un sopracciglio. «Perché vuoi tornare lì?».

La sua voce era quasi sospettosa e indagatrice.

«Beh...», iniziò Tom.

Già, perché voleva tornarci? Probabilmente non c'era un vero motivo, visto che, preso dal panico, aveva detto il primo posto che gli era venuto in mente.

«Cazzo ne so!», sbottò alla fine quasi scazzato. «È il primo posto a cui ho pensato!».

Georg annuì scettico. «Certo. E caso strano in quel posto c'è anche una bella ragazza, vero?».

Tom strabuzzò gli occhi, preso alla sprovvista. «Ma...».

Manco ci avevo pensato a quella tettona!

«No no», lo interruppe subito il bassista. «va bene. Non c'è nessun problema. Andiamo».

Prima che il chitarrista potesse dire qualsiasi cosa, Georg lo aveva già sorpassato e si era avviato sulla via del negozio. Parlare a quel punto sarebbe stato inutile, perché l'amico era già abbastanza irritato e ormai si era fatto le sue idee.

Tom alzò gli occhi al cielo e si costrinse a seguirlo. Iniziamo bene...






«Oh, bentornati!», esclamò tutta allegra la commessa del negozio d'abbigliamento.

Come Georg notò immediatamente, era ben felice di rivederli ancora lì - leggasi come "rivedere Tom" -; certo, il giorno prima aveva fatto la preziosa, ma era più che certo che, se Tom ci avesse di nuovo provato con lei, sarebbe caduta ai suoi piedi come una pera cotta. Perché quando il chitarrista voleva qualcosa, il più delle volte la otteneva senza neanche troppa fatica.

«Anche oggi posso esservi d'aiuto?», civettò spudoratamente quella, avvicinandosi a loro.

Tom non sembrava prenderla più di tanto in considerazione, anche perché era ancora un po' stordito dalla strana reazione avuta poco prima dal suo amico. Sinceramente, non voleva neanche tornarci in quel posto.

«No, grazie. Anche oggi ci arrangiamo».

Il chitarrista si voltò stupito a guardare il bassista. Il suo tono di voce era stato infastidito e quasi derisorio, come se volesse prendere in giro la ragazza. Non si sarebbe mai aspettato un comportamento del genere da parte sua, di solito era sempre gentile con tutti.
La commessa inarcò un sopracciglio e lanciò uno strano sguardo al bassista, ma non si azzardò a rispondergli a tono. Si limitò semplicemente a liquidarli con un "beh, se avete bisogno, chiedete pure".
Georg le sorrise annuendo - un sorriso falso - e arpionò velocemente il braccio di Tom, trascinandolo verso una serie di pantaloni attaccati a tanti attaccapanni. Dire che era furioso era dir poco.
Tom non ci stava capendo più niente, sapeva soltanto che l'amico si stava comportando come un pazzo scatenato. Aveva cambiato umore con una velocità strabiliante e aveva quasi paura di parlargli: la bestia che risiedeva silenziosa in lui avrebbe potuto scatenarsi. Cercò quindi di non farci caso e si mise ad esaminare un paio di pantaloni che aveva già guardato e riguardato il giorno prima. Ogni tanto lanciava qualche occhiata discreta alla sua destra, dove Georg stava ancora guardando minaccioso la commessa dietro la cassa. Quando poi si sentì nuovamente arpionare per lo stesso braccio di prima e trascinare lontano dai pantaloni che stava guardando, si convinse del tutto che il bassista non dovesse sentirsi bene.

«Che c'è?», sbottò scettico.

Georg lo aveva portato dietro un enorme scaffale, dove la commessa non poteva più vederli.

«Ti stava guardando il culo», mormorò il bassista irritato.

«Con questi jeans enormi addosso, la vedo dura», ribatté Tom inarcando le sopracciglia.

«Ti stava guardando comunque».

«E quindi?».

Georg si fece serio e lo guardò intensamente negli occhi. «Mi dà fastidio».

Era geloso marcio, non c'era alcun dubbio su questo e Tom se ne era ormai reso conto da un bel pezzo, ma non poté comunque far a meno di sentire ancora le farfalle nello stomaco; ormai le sentiva così spesso. Doveva ammettere che in un certo senso la gelosia di Georg gli faceva piacere e ancora di più gli piaceva quel suo essere così possessivo con lui. Ma questo non cambiava il fatto che fosse anche un po' fuori di testa.

«Se non è troppo chiedertelo... ti se fatto una canna?», esordì improvvisamente il chitarrista.

Il bassista corrugò la fronte, non capendo.

«Sei stato tu a voler venire qui a tutti i costi! Il che è alquanto masochista».

Georg sobbalzò leggermente, come se si fosse appena svegliato da un lungo sonno; probabilmente si era accorto di quanto fosse stato stupido. Era stato troppo precipitoso, aveva subito pensato male quando Tom gli aveva proposto di tornare in quel posto e aveva mostrato esageratamente la sua gelosia. Si sentiva più che stupido, veramente. Buffo come perdesse la ragione per tutto ciò che riguardava Tom.

Abbassò lo sguardo e sospirò. «Ce ne andiamo?», mormorò mestamente.

Il chitarrista sorrise divertito. «Direi proprio di sì».






«Siamo seduti ad un tavolo di un bar», borbottò Bill, guardando il ragazzo che gli era seduto davanti e stava bevendo un caffè.

Simon annuì leggermente con la testa. «Sì. Quindi?», gli chiese con indifferenza.

«Quindi tu mi hai portato fuori dall'albergo per poi portarmi in un bar. Che razza di passeggiata sarebbe questa?», esclamò il moro scettico.

«Tanto lo so che non ti piace muoverti tanto», commentò Simon sorridendo sotto i baffi.

Bill strabuzzò gli occhi, ma non aprì bocca. Era anche vero che avrebbe potuto benissimo rifiutare di andare con lui, ma non si sarebbe mai aspettato di uscire da un posto chiuso per poi ritrovarsi in un altro posto chiuso. Qual era lo scopo di quell'uscita?

«Veramente, volevo parlarti», riprese lentamente il biondo, appoggiando la tazzina sul tavolo. «E ho pensato che questo fosse un posto abbastanza tranquillo per farlo».

«Parlarmi di cosa?», indagò Bill sospettoso.

Passarono alcuni istanti di silenzio. Simon lo scrutò attentamente e sembrava quasi che stesse pensando a cosa dire.

«So di non andarti a genio, quindi volevo cercare di convincerti del contrario», esordì alla fine.

Bill batté le ciglia un paio di volte, leggermente perplesso. La schiettezza di Simon lo disarmava sempre. Forse quella era una delle poche cose che avevano in comune: dicevano esattamente quello che pensavano senza farsi problemi di alcun tipo.

«Anche se», riprese il biondo. «sinceramente, non capisco la tua ostilità. Neanche ci conosciamo».

Forse era proprio per quel motivo che non lo sopportava. Quando non riusciva a capire con chi avesse a che fare, Bill si irritava e finiva per non sopportare questa persona. E Simon era assolutamente impossibile da capire.

«Non riesco ad inquadrarti», mormorò quasi inconsciamente, corrugando la fronte.

Il biondo si fece subito attento. «Che intendi dire?», gli chiese curioso.

Bill ci pensò su poco. «Di solito riesco a farmi un'idea delle persone che ho attorno, ma con te... non ci riesco».

Simon sembrava capire, anche se non aprì bocca.

Allora il moro decise di continuare. «Sei strano e so talmente poche cose di te che...».

«Vuoi sapere di più?», lo interruppe bruscamente il biondo. «È questo quello che vuoi? Pensi che possa aiutarti a capirmi?».

Il suo tono di voce non era stato né ironico né accusatorio. Gli aveva semplicemente posto la domanda con fare disinvolto.
Bill si ritrovò ad annuire senza rendersene conto: era proprio quello che voleva. Più informazioni.

«Bene», acconsentì Simon. «Ma preferisco raccontarti tutto camminando».






Poco dopo erano usciti in strada e avevano preso a camminare uno di fianco all'altro in mezzo alla gente.

«Allora», esclamò Simon. «Cosa vuoi sapere di preciso?».

«Non lo so», commentò Bill. «Tutto quello che vuoi dirmi. Magari inizia da come è nata questa tua passione per la musica. Oppure, che ne so... come mai sai parlare così tante lingue».

Il biondo sorrise. «Non mi ricordo quando ho iniziato a cantare, sinceramente. Mi sembra quasi di averlo sempre fatto. Ero molto piccolo, comunque. E poi mio padre si muoveva molto per lavoro e il più delle volte io e mio fratello ci spostavamo con lui, altrimenti...».

«Hai un fratello?», lo interruppe improvvisamente Bill interessato. «Più grande o più piccolo?».

Forse fu solo una sua impressione, ma vide il viso di Simon cambiare ad una velocità spaventosa: il sorriso era sparito e al suo posto c'era una smorfia sofferente; era improvvisamente diventato cupo.

«Più grande», mormorò con voce spenta.

Il moro osservò il suo profilo, continuando a camminare, e si chiese come mai avesse cambiato così improvvisamente umore. Aveva forse toccato un tasto dolente?

«Ti dà fastidio parlarne?», si azzardò a chiedere, portando lo sguardo sulle sue stesse scarpe nere.

Simon non gli rispose. Passarono diversi secondi di silenzio, in cui Bill si imbarazzo fino alla punta dei capelli, ma il biondo non accennò minimamente ad aprire bocca. Chissà a cosa stava pensando...

«Io non mi chiamo veramente Simon, Bill».

Quell'affermazione fece sobbalzare il moro, che sentì quasi una scarica elettrica percorrergli la spina dorsale. Che cosa significava?

«È un nome d'arte?», gli chiese circospetto.

«No», mormorò Simon, sorridendo appena.

Un sorriso offuscato da un'ombra di amarezza.

«Simon era mio fratello».

Bill sentì la gola improvvisamente secca e capì subito che quell'argomento non gli sarebbe piaciuto. L'espressione del biondo non prometteva nulla di buono.

«Perché ti fai chiamare come lui?».

«Perché, portando il suo nome, lo sento più vicino a me», gli spiegò Simon, voltandosi verso di lui con quel sorriso forzato sulla faccia. «E anche per una promessa che gli ho fatto».

Il moro aveva già capito, ma voleva comunque una conferma di ciò che aveva pensato. «Ma... lui...».

«Non c'è più», lo interruppe il biondo, ingoiando un magone di saliva e abbassando lo sguardo. «È morto due anni fa».

Bill stava per chiedergli come, ma lui lo precedette.

«Di overdose».

Il moro tremò leggermente e si abbracciò lo stomaco con le braccia, quasi avesse paura che gli giocasse un brutto scherzo.
Simon non disse più niente per vari secondi e non si voltò nemmeno a guardare il ragazzo di fianco a sé. Sembrava immerso nei ricordi e, a giudicare dalle smorfie che involontariamente faceva, non dovevano essere affatto confortanti.

Fu soltanto un sussurro, ma Bill lo sentì comunque. «Per colpa mia».

Si voltò di scatto a guardarlo. «Perché dici così?».

Si diede quasi subito dello stupido, perché si rese presto conto che quelli non erano affari suoi e che molto probabilmente Simon non voleva raccontargli tutto.

Lo vide fare uno sforzo per mantenere un'espressione dura. «Anch'io mi facevo come lui, ma non per divertimento. Volevo renderlo orgoglioso di me e pensavo che, se mi fossi comportato come lui, mi avrebbe ritenuto alla sua altezza».

Ecco, lo sapevo che dovevo starmene zitto si pentì Bill.

Simon continuò. «Ho sempre saputo che quello che facevamo era sbagliato e un giorno gliel'ho detto; avrei voluto smettere e volevo che anche lui lo facesse».

«Non ti ha ascoltato».

Non gliela pose come una domanda, ma come una constatazione.

«No», gli rispose secco il biondo. «Il giorno dopo era morto. La notte era rimasto solo. Alcool ed eroina».

Bill ebbe un fremito.

«Se non gli avessi detto niente...», mormorò Simon con amarezza.

«Non è stata colpa tua!», sbottò improvvisamente il moro, facendolo sobbalzare. «Prima o poi avrebbe perso comunque il controllo. Era sempre a rischio».

Il biondo lo scrutò pensieroso, soppesando le ultime parole del ragazzo. Poteva anche aver ragione, ma il senso di colpa rimaneva più forte che mai.
Gli sorrise comunque grato.

«Quel giorno gli ho promesso che avrei realizzato il nostro sogno comune: fare musica per tutta la vita. Mi sono sempre fatto chiamare Simon e ormai tutti mi conoscono come tale».

Bill si schiarì la voce, sentendo la gola fin troppo secca. «Qual è il tuo vero nome?».

«Ormai non ha più importanza. Sono semplicemente Simon. Ma forse un giorno te lo dirò».

Non avendo fatto caso a dove stessero andando, ormai avevano perso l'orientamento; si stavano semplicemente lasciando trasportare dalle loro gambe.

«Tu e Tom mi ricordate tantissimo come eravamo io e mio fratello, prima che tutto andasse a puttane», gli disse improvvisamente Simon. «Anche lui suonava la chitarra, sai?».

Il moro si sentì a disagio. Si era fatto un'idea sbagliata del ragazzo e lo aveva ritenuto uno spaccone fino a quel momento; molto probabilmente non aveva capito che quello era il suo modo di fare per nascondere qualcosa di grande e insopportabile.

«Ti ho sconvolto?».

Bill sobbalzò e notò che Simon lo stava fissando quasi preoccupato. «No... io...».

«Scusa, forse non avrei dovuto dirtelo».

«No no! Non... non sono sconvolto. Mi sento soltanto in colpa».

«Perché?».

«Perché ti ho giudicato senza neanche sapere quello che hai passato», mormorò il moro con amarezza.

Simon inarcò un sopracciglio. «Guarda che non lo sanno in tanti. E poi non voglio la compassione di nessuno. Se ti piaccio come persona, bene, buono a sapersi. Non devi per forza cambiare atteggiamento verso di me perché adesso sai».

«Non è compassione!», sbottò Bill quasi offeso. «Soltanto... ti vedo in modo diverso».

Il biondo questa volta sorrise sincero. «Bene. Quindi non devo più aspettarmi occhiatacce da parte tua?».

Il moro arricciò la bocca e lo guardò con sufficienza. «Non ho detto questo».

Simon ridacchiò divertito e scosse leggermente la testa. In fin dei conti, non si era pentito di aver raccontato tutto a Bill, anzi; sentiva quasi un senso di leggerezza.

«Sai, fra due settimane è il mio compleanno», esordì ad un tratto, guardando le vetrine dei negozi che stavano sorpassando.

Bill strabuzzò gli occhi e lo fissò sorpreso. «Davvero?».

Il biondo annuì con un sorriso. «Ventisette anni. Comincio ad invecchiare».

Mentre Simon rideva, il cervello di Bill si era già messo in moto e stava elaborando qualcosa di segreto.

Compleanno = festa.






«Sono curioso», esordì improvvisamente Tom.

Erano usciti da poco dal negozio - con grande dispiacere della commessa - e un silenzio imbarazzato era sceso su di loro da qualche minuto.
Georg aveva preso a darsi mentalmente dell'idiota per quel suo comportamento da ragazzina sedicenne innamorata, ma a quell'esclamazione del rasta sobbalzò e rimase perplesso. Sperava ardentemente che non gli chiedesse qualcosa riguardo l'argomento "gelosia".

«È da un po' che ci penso, veramente. In un certo senso, Bill ti ha aiutato a... attirare la mia attenzione. Ma come faceva a sapere che tu...?».

Lasciò la frase in sospeso, ma il bassista capì cosa intendesse dire. Forse questa domanda era anche peggio di una qualsiasi sul suo comportamento da idiota di prima. Aveva sperato di non dover mai rispondere ad una domanda simile, perché era fin troppo... imbarazzante.

Deglutì nervoso. «Vuoi proprio saperlo?».

Tom annuì, corrugando la fronte. «Perché? È così sconvolgente?».

«No no! Solo... è un po' imbarazzante per me e... potrebbe essere disgustoso per te», gli spiegò, sussurrando le ultime parole.

Il chitarrista sentì un rimescolio in fondo allo stomaco. Dopo quell'affermazione, poteva immaginarsi di tutto. Si costrinse comunque ad apparire disinvolto e sicuro.

«Dimmelo e basta».

A Georg quasi veniva da ridere, ma sapeva che sarebbe stata una risata nervosa. Non c'era niente di buffo in quello che stava per raccontargli - almeno per lui -, ma la situazione in cui si trovava era strana e lo faceva reagire impulsivamente e in modo strano. In poche parole, si vergognava come un cane.






Non era la prima volta che lo faceva, ma sicuramente quella era la più rischiosa: avrebbero potuto scoprirlo, dato che chiunque sarebbe potuto entrare nella stanza e beccarlo sul fatto. Avrebbe dovuto trattenersi, era stupido lasciarsi andare così in quel momento; ma i rumori che prima aveva sentito provenire dalla camera di Tom lo avevano gelato sul posto e doveva assolutamente trovare un modo per calmarsi. Tralasciando i mugugni di una ragazza qualsiasi, aveva sentito i suoi gemiti, il suo respiro affannoso, e quasi aveva potuto immaginare i muscoli in tensione e la pelle sudata. Troppo eccitante.
Il rigonfiamento nei suoi pantaloni faceva male e pulsava dolorosamente. Non ci pensò due volte e si slacciò la cintura, aprendo poi la cerniera dei jeans. Ne aveva bisogno, o sarebbe diventato pazzo. Si abbassò le mutande quel tanto che bastava per farlo stare comodo e contrasse la schiena contro la poltrona morbida; portò una mano ad accarezzare dolcemente il suo stesso membro, poi prese a muoverla più velocemente lungo tutta la sua lunghezza. Provò immediatamente una scossa di piacere, intensificata ancora di più dai suoi pensieri: immaginava che quella mano non appartenesse a lui, immaginava di risentire quei gemiti di prima e un respiro caldo sul suo collo.

«Tom...», mugolò sommessamente.

Sembrava quasi tutto reale da quanto era preso. Talmente reale che non si accorse neanche del rumore di una porta che lentamente si apriva.
Buttò la testa indietro, intensificando il movimento della mano sul suo membro; stava quasi per venire.

«Tom...», soffiò ancora, emettendo un leggero grugnito.

«Oh. Mio. Dio».

Quella voce troppo familiare lo riportò alla realtà, facendogli gelare il sangue nelle vene.
Era stato beccato. Era stato beccato dal gemello della persona che nella sua immaginazione gli stava facendo una sega fantastica. L'eccitazione si dissolse improvvisamente come una nuvoletta di fumo e la figura pietrificata di Bill, immobile sulla soglia della porta, riempì tutto il suo campo visivo. Il cantante era pallido, gli occhi sbarrati e sconvolti.

«Tu...», iniziò Bill incerto. «Tu ti stavi...».






«...masturbando, pensando a me?!», squittì sconvolto Tom.

Georg lo attirò malamente vicino a sé, afferrandogli un braccio. «Ma sei matto? Non urlare!», gli sussurrò scettico vicino all'orecchio.

«Ti stavi facendo una sega, mentre pensavi a me?!», continuò il chitarrista sempre ad alta voce.

Stavano camminando sul marciapiede di una strada stretta e non c'era tanta gente in giro, ma, se Tom avesse continuato ad urlare in quel modo, presto anche quei pochi presenti avrebbero sentito tutto.
Mentre il chitarrista continuava a sbraitare sconvolto, Georg lo prese per un braccio e lo costrinse a seguirlo in un'altra strada deserta, che assomigliava tanto ad un vicolo; così avrebbero evitato di dare ulteriore spettacolo. Tom non smise neanche per un secondo di esprimere il suo shock e non si rese neanche conto di dove l'amico l'avesse portato.

«Che schifo! Non potevi guardarti un porno, piuttosto? È disgust...».

Georg non gli diede l'opportunità di finire. Lo sbatté contro il muro e si avvicinò pericolosamente al suo viso.

«Piantala», soffiò leggermente.

Poi si avventò sulla sua bocca, muovendo la lingua all'interno di essa. Tom oppose resistenza, premendo le mani contro le spalle di Georg per spingerlo via, ma quello lo strinse più forte e gli mise una mano dietro la nuca per impedirgli la fuga. L'unica cosa che poteva fare era ricambiare quel bacio, che alla fine non gli dispiacque neppure. Una volta chiusi gli occhi, si era già lasciato andare. Forse era il profumo del bassista, o la sua mano appoggiata sul suo fianco che lo stava accarezzando dolcemente, fatto sta che, quando Georg prese il suo piercing al labbro fra i denti e lo tirò delicatamente, andò completamente fuori di testa e si aggrappò a lui quasi con disperazione.
Ma perché i loro baci dovevano essere tutti così... mozzafiato? Non riusciva mai a ragionare, a controllarsi e a respingerlo. Cominciò a pensare che lo facesse quasi apposta.
Sentì il muro contro la sua schiena farsi sempre più duro, ma molto probabilmente era il fatto che Georg lo stesse letteralmente spalmando contro di esso, non permettendogli quasi di muoversi. Respirare stava diventando quasi un optional. Ma gli importava poco.
Fu quando sentì di nuovo l'aria tornare a gonfiargli i polmoni che rimase perplesso.

Perché sto respirando? si chiese confuso, tenendo ancora gli occhi chiusi.

«Tom?», lo chiamò Georg divertito.

A dir la verità, non lo stava neanche più baciando. Sentiva soltanto il suo calore scaldargli il corpo, segno che non lo aveva ancora lasciato andare, ma le sue labbra erano sparite.

Perché cazzo ha smesso di baciarmi? si chiese scazzato, riaprendo gli occhi interdetto.

Si ritrovò a fissare due occhi chiari e scherzosi, l'opposto dei suoi, e si rese presto conto che Georg stava ridacchiando. Lo prendeva forse in giro?

Brutto...

Lo spinse via malamente, questa volta riuscendo a staccarselo di dosso, e prese a sfregarsi la bocca con rabbia.

«Che schifo», borbottò, incenerendolo quasi con lo sguardo.

Georg iniziò a ridere più forte e Tom diventò ancora più furioso.

«Stronzo», mormorò con disprezzo.

Il bassista smise di ridere, cercando di contenersi. Il fatto era che fino a pochi secondi prima Tom aveva sbraitato come un ossesso per quello che gli aveva raccontato, poi era bastato baciarlo ed era completamente caduto in trance.

«Ti è piaciuto, ammettilo».

Il chitarrista non gli rispose, neanche lo stava guardando. Aveva il viso contratto in una smorfia e le braccia incrociate al petto; stava fissando un punto qualsiasi per terra.

Georg inarcò un sopracciglio. «Sei incazzato?», gli chiese circospetto.

Non gli rispose, ma il bassista ebbe comunque la risposta alla sua domanda.

«Lo prendo come un sì».

Gli si avvicinò ancora una volta e gli mise le mani sui fianchi. «Sei permaloso, sai?», gli disse con un sorriso sulle labbra.

Tom non aprì bocca neanche questa volta, si limitò semplicemente a guardarlo con sufficienza. Non era veramente arrabbiato, ma odiava essere preso per il culo. Da Georg, poi.
Non ci volle molto prima che le carezze di Georg attorno alla sua vita lo ammorbidissero un po'. Quel maledetto sapeva benissimo come prenderlo.

'Fanculo sbuffò irritato.

Era convinto che non avrebbe mai capito perché gli facesse quell'effetto. Il potere che aveva su di lui gli dava fastidio, perché lo metteva nella condizione di non poter avere il controllo. E non avere il controllo lo irritava parecchio.

«Torniamo in albergo», borbottò improvvisamente, allontanandosi da Georg e sorpassandolo lentamente.

Il bassista avrebbe voluto essere più malizioso, ma quello che disse gli uscì più come una speranzosa richiesta. «Per continuare quello che abbiamo cominciato?».

«Nei tuoi sogni!», sbottò Tom. «Torniamo in albergo, così tu puoi masturbarti in solitaria e io posso andare a cercare qualcuno da scoparmi», gli disse acido.

Quasi si prese paura quando si sentì afferrare e voltare bruscamente. Si ritrovò ancora con il viso a due centimetri da quello dell'amico e poté sentire i suoi occhi bruciare su di lui. Non lo aveva mai visto così determinato e serio.

«Non ci provare», sussurrò quello.

Non era minaccioso, ma quello che gli aveva appena detto non risultò neanche come una richiesta o una supplica.

«Perché?», si azzardò a chiedere Tom.

Georg sorrise. «Perché non te lo permetto».

Si avvicinò di più, sfiorando le labbra del chitarrista con le sue.

«Perché sei mio».

E la questione era chiusa.









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Capitolo 13
*** Happy Birthday! ***


13. Happy Birthday!

 

 

 

Due settimane dopo la loro uscita, Bill era ancora in fermento, ogni giorno più che mai. Aveva pensato molto a come organizzare qualcosa di carino per festeggiare il ventisettesimo compleanno di Simon, ed ora che il giorno fatidico era ormai alle porte, era giunto ad una conclusione: una festa a sorpresa era quello che ci voleva. Se ci pensava non riusciva a spiegarsi il motivo per cui volesse festeggiare il compleanno dell’americano. Era ormai convinto di non sopportarlo, nonostante conoscesse la sua storia, ma sentiva il bisogno di farlo comunque. Con gli altri si giustificava dicendo che adorava le feste di compleanno – e in parte era anche vero –, ma non si spingeva mai oltre; tuttavia c’era chi aveva capito comunque che dietro quel suo comportamento c’era dell’altro, ma preferiva tenere le proprie opinioni per sé: il suo gemello vedeva cose che altri non vedevano, ma in quel periodo aveva altro a cui pensare e di cui preoccuparsi.

Bill, infatti, non era l’unico ad essere combattuto tra un sentimento di piacere e un altro di fastidio; anche Tom aveva il suo bel da fare. Le cose con Georg sembravano andare bene, tutto procedeva tranquillamente da quando avevano deciso di riprovarci, ma la mancanza di alcune cose cominciava già a farsi sentire. Per esempio, il chitarrista sentiva il bisogno di provarci con qualcuno – la sua specialità -, ma col fatto che Georg era geloso, doveva suo malgrado trattenersi; ogni notte dormiva insieme al bassista, il che era anche piacevole, ma ogni tanto avrebbe voluto dormire da solo; ogni volta che uscivano, anche solo per comprare un pacchetto di caramelle, pagava sempre Georg e a Tom la cosa non andava proprio giù: non riusciva più a sentirsi indipendente.

 

“È innamorato, Tomi. È normale che faccia così” continuava a ripetergli Bill con gli occhi che brillavano meravigliati. E così cercava di non farci caso, o almeno di trattenersi dall’esprimere il proprio fastidio direttamente con il bassista.

 

Ma la cosa che gli mancava di più era un’altra: il sesso. Era da due settimane, due settimane intere, che andava avanti soltanto di seghe. Per uno come lui era davvero il colmo chiudersi in un bagno e farsi i lavoretti da solo, quando invece avrebbe benissimo potuto scoparsi la prima ragazza che passava per strada. Ma no, non poteva, perché Georg avrebbe ammazzato prima la ragazza e poi anche lui.

 

“Perché non lo fai con lui, scusa? State insieme, siete grandi e vaccinati e vi amate. Cosa vuoi di più?”.

 

Questa volta Bill si sbagliava di grosso: Georg era quello innamorato, non lui. C’era una bella differenza.

 

E per quanto riguardava la prima domanda, Tom aveva dato questa risposta: “Non lo faccio con lui perché non ho mai scopato con un ragazzo prima d’ora, credevo di non doverlo mai fare, quindi non mi sono neanche posto il problema. E la cosa mi terrorizza non poco”.

 

Sapeva benissimo che la parte passiva sarebbe toccata a lui e l’idea non gli piaceva affatto. Ma anche se fosse stato lui quello attivo le cose non sarebbero cambiate: non avrebbe avuto la minima idea di che cosa fare e molto probabilmente si sarebbe bloccato come un idiota, facendo una figura barbina.

Niente da fare, avrebbe dovuto accontentarsi delle seghe.

Un piccolo passo avanti, però, l’aveva fatto: aveva scoperto il piacere di baciare il bassista e la cosa non gli riusciva più tanto difficile. Ecco perché aveva continuato a ficcargli la lingua in bocca anche quando Bill era entrato nella stanza di Georg per parlargli della festa a sorpresa per Simon.

 

«Pensavo che magari potremmo farla nel nostro studio qui in America. Lì ci sarebbe abbastanza spazio» continuava a pensare il cantante ad alta voce, andando avanti e indietro per la stanza.

 

Georg morse delicatamente il labbro inferiore di Tom, tirando verso di sé il piercing umido, e questo gemette deliziato.

 

«O magari ad Amburgo, a casa nostra! Però dovremmo spostarci in due giorni...» constatò Bill pensieroso.

 

Tom prese deciso il viso del bassista fra le mani e cominciò a dare profonde leccate al suo palato, facendolo sospirare.

 

Il cantante si picchiettò il mento con un dito. «Non so davvero che cosa scegliere».

 

I suoi occhi si posarono finalmente sul gemello e sull’amico, intenti a divorarsi a vicenda sulla poltrona, Tom in braccio a Georg; non sembravano minimamente interessati e con molte probabilità non avevano ascoltato una singola parola di quello che aveva detto.

 

Offeso, si mise le mani sui fianchi e sbatté un piede a terra. «Potreste ascoltarmi per cinque minuti, cazzo?!» sbottò spazientito.

 

Grugnendo irritato, Tom si staccò dalle labbra del compagno e alzò gli occhi al cielo, non potendo guardare il gemello perché in quel momento gli stava dando le spalle. «Ti abbiamo ascoltato, Bill! È da mezz’ora che lo facciamo!» sbottò esasperato.

 

Non si può mai pomiciare in santa pace!

 

Georg annuì accondiscendente, stringendo fra le mani i fianchi del chitarrista.

 

«Fai come ti pare! Qualsiasi luogo va bene, basta che ti decidi!».

 

Bill tornò a picchiettarsi il mento con un dito. «Allora penso che il nostro studio sia l’idea migliore. È vicino».

 

«Bene!».

 

Tom si piegò nuovamente sul bassista e prese a succhiare il suo labbro inferiore, mentre questo rispondeva alle sue attenzioni con un gemito sommesso.

 

«Ragazzi, non so come ringraziarvi!» esclamò il cantante al settimo cielo, guardandoli con gli occhi che brillavano di riconoscenza. «Per me siete stati fondamentali in questa decisione».

 

In realtà aveva fatto tutto da solo. Ma i pazzi vanno assecondati, si sa. Per questo il gemello gli rispose alzando una mano in aria e facendogli ‘okay’ con il pollice. L’importante era che smettesse di blaterare e che li lasciasse continuare in pace il loro lavoro.

 

«Grazie mille!».

 

Bill fece qualche saltello sul posto e in un batter d’occhio si era già fiondato fuori dalla porta, felice come una Pasqua. Finalmente sapeva cosa fare.

 

«Oh!» esordì ancora una volta, infilando la testa dentro la stanza. «Non dimenticatevi il regalo, mi raccomando. Non può mancare!».

 

Entrambi i due ragazzi gli risposero con un verso spazientito.

 

 

 

 

 

 

- Due giorni dopo -

 

«Non dimenticatevi il regalo, mi raccomando. Non può mancare!» borbottò Tom irritato, scimmiottando la voce del gemello.

 

Dentro al camerino, Georg ridacchiò sommessamente. Quello era forse il terzo negozio di abbigliamento in cui mettevano piede e il chitarrista, che aveva i nervi a fior di pelle, sembrava non riuscire a concentrarsi su un possibile regalo per Simon. Si era fissato che dovessero prendergli per forza un indumento – non si sa per quale motivo -, ma non si sforzava neanche un po’ per trovarlo, impegnato com’era ad inveire contro il fratello assente; il bassista era l’unico a dare un’occhiata in giro, provando a pensare a cosa sarebbe potuto piacere all’americano. Ma la cosa peggiore era un’altra: Tom lo aveva costretto a fare da modello, provando tutti i capi che sceglievano con la scusa che lui e Simon avevano più o meno la stessa corporatura.

 

«Hai finito?» sbuffò il chitarrista, stufo di aspettare fuori dal camerino.

 

La tenda si aprì velocemente, rivelando un Georg sorridente in jeans attillati e camicia a quadri aperta sul petto – ecco, quella era forse l’unica cosa che Tom aveva adocchiato in un’ora e mezza -. Era convinto che finalmente avessero trovato quello che stavano cercando, per questo aveva quell’espressione fiera.

 

Tom storse la bocca e scosse la testa. «Orribile».

 

Il sorriso del bassista svanì nel nulla. Okay, se neanche quello andava bene, avrebbero trascorso l’intera giornata in giro per negozi e alla fine si sarebbero ritrovati comunque a mani vuote. E la festa era quella sera.

 

«Sai, forse ho capito qual è il problema» esordì il chitarrista, studiandolo da capo a piedi. «Come modello fai cagare».

 

Georg strabuzzò gli occhi sconcertato. «Scusa?».

 

«Sì, non valorizzi abbastanza le cose».

 

Cercò di nascondere l’irritazione e inarcò le sopracciglia. «Beh, forse lui saprà farlo» ribatté piccato. Non valorizzava abbastanza le cose? Questa poi...

 

«Probabile» mormorò Tom, mentre uno strano sorrisetto malizioso si disegnava sulle sue labbra.

 

Il bassista studiò silenziosamente il suo volto per un istante. Ormai aveva imparato a riconoscere quell’espressione e quella particolare luce che illuminava i suoi occhi certe volte. Tom voleva ‘attenzioni’.

 

Sorrise divertito, scuotendo leggermente la testa. Non cambierà mai.

 

Si avvicinò a lui quel tanto che bastò per afferrargli i fianchi possessivamente, attirarlo a sé e trascinarlo all’interno del camerino; chiuse frettolosamente la tenda e si soffermò per un istante sul sorriso compiaciuto dell’altro.

 

«Vedo che capisci in fretta» sussurrò questo.

 

Georg, che in momenti come quello dimenticava completamente il significato della parola ‘controllo’, lo spinse contro lo specchio, facendolo aderire con la schiena ad esso, e si impossessò delle sue labbra; lo baciò con foga, muovendo la lingua all’interno della sua bocca ed insinuando voglioso le mani sotto la maglia extralarge. Tom sembrava gradire, a giudicare dai mugolii di piacere che si lasciò scappare, cercando comunque di non fare troppo rumore. Non dovevano dimenticare che erano ancora in un camerino di un negozio.

Da quando il chitarrista si lasciava andare di più alle sue attenzioni, Georg ogni volta si concedeva qualcosa in più. Accarezzò e graffiò leggermente la pelle dei suoi fianchi, spingendo poi il proprio bacino contro il suo. Sentiva di essere già eccitato e chissà se anche Tom lo era...

Questo cominciò a strusciarsi contro di lui, ansimando pesantemente contro il suo viso, le loro bocche ancora unite. Non lo avrebbe mai ammesso a Georg, ma sì, era eccitato anche lui e quello che stavano facendo gli piaceva molto; era qualcosa di nuovo, ma non gli dispiacque affatto.

Il bassista assecondò i suoi movimenti, dando delle piccole spinte contro il suo bacino. Voleva che fosse piacevole sia per lui che per Tom. Così facendo, non ci volle molto prima che entrambi arrivassero al limite del piacere. Lasciò che il proprio seme si liberasse nelle proprie mutande, bagnandole completamente, e con un gemito trattenuto nella bocca dell’altro continuò a spingere contro di lui per farlo venire a sua volta; ma notò che questo ce la stava mettendo tutta per trattenersi.

 

«Lasciati andare» bisbigliò Georg al suo orecchio.

 

Tom scosse vigorosamente la testa, gli occhi serrati e una smorfia sul viso.

 

«Tom, vieni».

 

Per quanto si fosse impegnato, alla fine il chitarrista non resistette: incastrò il viso nell’incavo del collo del compagno e venne con un ansito più forte degli altri. Il bassista sorrise compiaciuto, avvolgendo il suo corpo tremante di piacere in un abbraccio.

 

«Sei un idiota» ansimò Tom esausto. Sollevò il capo e puntò gli occhi nei suoi. «Come cazzo faccio a pulirmi adesso?».

 

«I jeans larghi serviranno pur a qualcosa, no?» ridacchiò Georg divertito ed intenerito da quel broncio che si disegnò sul viso dell’altro. «Piuttosto, pensando a me... necessito di un cambio immediato. Quindi io consiglierei di andare in studio».

 

«Dobbiamo ancora trovare un regalo».

 

Indicò gli indumenti che aveva addosso. «Lo abbiamo appena trovato... e battezzato».

 

Il chitarrista alzò gli occhi al cielo in un finto tentativo di mostrare il suo disappunto, ma il sorrisetto divertito sulla sua bocca lo tradì.

 

«Soltanto... magari cambiamo questo paio di jeans con un altro pulito, eh».

 

 

 

 

 

 

«Gustav, credo che tu non abbia capito bene il passaggio principale».

 

Il batterista sbuffò scocciato e alzò gli occhi al cielo. Perché diavolo aveva accettato di preparare la torta con Bill? Che poi dire ‘con Bill’ era fin troppo esagerato: lui almeno provava a combinare qualcosa; il cantante invece guardava e criticava soltanto.

 

«L’impasto non deve avere i grumi! E poi il libro dice di usare tre uova... Tu ne hai usate soltanto due!».

 

Gustav si voltò verso di lui, seduto sulla sedia alle sue spalle, brandendo minacciosamente un cucchiaio sporco di uova e farina. «Se tu sei l’esperto, perché non provi a farlo al posto mio?».

 

Bill inarcò un sopracciglio e lo fissò come si fissa uno stupido. Ma proprio non capiva? «Ti pare che uno come me si metta a pasticciare con uova e farina? Se lo facessi, addio alla manicure!».

 

«Era proprio la risposta che mi aspettavo».

 

Il batterista si armò di tutta la buona volontà che possedeva e tornò a dedicarsi al suo impasto. Okay, era da buttare, ma magari con un po’ di impegno il secondo tentativo sarebbe andato a buon fine. Si avvicinò al cestino e fece per rovesciare il tutto all’interno di esso. Come per ogni cosa, ci voleva pazienza; doveva soltanto non ascoltare quel...

 

«Che stai facendo?!» squittì isterico il cantante, facendolo sobbalzare sul posto.

 

Lo fissò scettico, non capendo cosa avesse da strillare tanto. «Lo butto, no?».

 

«E poi con che cosa pensi di fare la torta?».

 

Rimase basito. Lo stava forse prendendo in giro? «Con altre uova e altra farina».

 

«Non ne abbiamo a sufficienza. Devi aggiustare quello».

 

«Non si può aggiustare!»

 

Con molte probabilità, Bill non aveva mai preparato una torta in vita sua e perciò non sapeva neanche che recuperare un impasto come quello che Gustav aveva appena fatto era quasi impossibile; il tutto andava buttato e basta.

Com’era possibile che non avessero abbastanza ingredienti? David – che era stato messo al corrente della festa e che in quel momento era impegnato a tenere Simon lontano dal loro studio di registrazione – aveva fatto in modo di procurar loro il necessario; non poteva aver pensato veramente che tutto sarebbe andato liscio già al primo tentativo! E per gli imprevisti come avrebbero dovuto fare?

 

Il cantante, intanto, continuava a sbraitare come un ossesso. «Sei un incapace, Gustav! Adesso dovremo far a meno della torta ed una festa di compleanno senza torta non è una festa di compleanno!».

 

Il batterista digrignò i denti, ormai al limite della sopportazione. In un certo senso era abituato ad essere sottomesso e ad incassare silenziosamente gli insulti dell’altro, ma a tutto c’era un limite. «Bill, questa volta te lo devo proprio dire... Hai veramente rotto le-».

 

«Cos’è quell’ammasso informe? Il vomito di Scotty?». La voce di Tom, appena entrato nella stanza con Georg al seguito, evitò la probabile guerra che avrebbe sicuramente avuto luogo con l’affermazione di Gustav.

 

Erano appena tornati, un’enorme sporta fra le mani e un pacchetto al suo interno. Potevano ritenersi soddisfatti del loro operato, in fondo; purtroppo non si poteva dire lo stesso per gli altri due componenti della band, che erano sul punto di saltarsi addosso e sbranarsi a vicenda.

 

«Oh!» esclamò Bill sorpreso. «Avete preso il regalo?».

 

Tom gli sventolò davanti al viso la sporta che aveva fra le mani, fiero di se stesso. In teoria, era stato Georg a scegliere il tutto, ma... quelli erano soltanto dettagli, il cervello restava sempre lui.

 

«Almeno una cosa positiva...» sospirò sollevato il gemello.

 

Il bassista corrugò la fronte confuso e raggiunse Gustav vicino al tavolo, imbrattato completamente di farina. «Perché dici così? Cos’è andato storto?» chiese circospetto, guardando quasi disgustato l’impasto.

 

«Cos’è andato storto?!» ripeté Bill scettico. «Ma hai visto che cosa ha combinato?».

 

Il batterista sbuffò alterato, cercando di auto-controllarsi. Poteva farcela.

 

Georg gli prese il contenitore dalle mani e gettò l’impasto nel bidone sotto gli occhi sconvolti del loro cantante. «Beh, possiamo sempre chiamare una pasticceria e vedere se possono fare qualcosa loro per noi, no?».

 

«C-Cosa?» balbettò Gustav. «Mi vorresti dire che io ho fatto tutta questa fatica per niente? Non potevamo direttamente chiamare?!».

 

I tre amici lo ignorarono completamente. Tom afferrò il cellulare e si mise alla ricerca di un elenco telefonico; Bill si alzò dalla sedia e prese a rovistare per tutta la stanza, in cerca di qualcosa di indefinito; Georg li liquidò velocemente, dicendo di dover andare in bagno.

Decisamente, tutti sembravano essere contro di lui...

 

 

 

 

 

 

«Palloncini?».

 

«Pronti».

 

«Torta?».

 

«Pronta».

 

«Regalo?».

 

«Pronto».

 

«Il mio giacchetto di pelle?».

 

Tom guardò storto il gemello. «Il tuo giacchetto di pelle?» gli chiese scettico. Che diamine c’entrava il suo giacchetto di pelle in quel momento?

 

«Metti che faccia freddo, devo coprirmi ma essere elegante allo stesso tempo» gli spiegò l’altro, come se fosse la cosa più ovvia al mondo. Certe volte si sentiva proprio un genio incompreso.

 

«Sei un idiota!».

 

«Ragazzi!» li chiamò Georg, correndo verso di loro dietro al divano. «David mi ha mandato un messaggio... Stanno arrivando!».

 

Gustav, già posizionato insieme agli altri tre amici, si alzò e corse verso l’interruttore della luce. Una festa a sorpresa richiedeva... la sorpresa! Appena Simon sarebbe entrato, David avrebbe acceso la luce e loro quattro sarebbero saltati fuori urlando ‘Sorpresaaa!’. Tutto era pronto. Spense la luce.

 

«Che nessuno fiati» sibilò Bill, pressandosi contro il gemello per nascondersi meglio.

 

Nella stanza calò il silenzio e i quattro rimasero in ascolto. Il primo rumore che udirono fu quello di una macchina che veniva parcheggiata davanti alla porta, poi quello di due portiere che si aprivano e chiudevano.

 

«Eccoli» sussurrò Gustav, beccandosi una sberla sul braccio da parte di Bill.

 

Attesero ancora. Presto le chiavi girarono nella toppa e la porta venne aperta. I quattro trattennero il respiro.

 

«Oh... a quanto pare sono usciti» constatò Simon, cercando a tentoni l’interruttore della luce.

 

«Già» ridacchiò David, venendo in suo aiuto e accendendo la luce per lui.

 

Non appena la stanza fu completamente illuminata, Bill, Tom, Gustav e Georg si alzarono insieme e sbucarono fuori da dietro al divano con un enorme sorriso stampato sui loro volti.

 

«Sorpresaaa!» urlarono all’unisono.

 

Per un istante, Simon rimase completamente basito. La scena che gli si presentò davanti non se la sarebbe mai aspettata e quella era forse la prima volta che qualcuno lo lasciava completamente senza parole. Aveva persino pensato che tutti si fossero dimenticati del suo compleanno – anzi, se l’era quasi dimenticato lui stesso –. Quella sì che era una vera sorpresa! La stanza era invasa dai palloncini e al centro, su un tavolo, una torta con ventisette candeline faceva la sua bella figura.

Bill saltellò verso di lui con un enorme pacco fra le mani, sorridendo raggiante. Vedendolo così, Simon provò un moto di tenerezza nei suoi confronti; forse era la prima volta che lo vedeva sorridere veramente per lui.

 

«Buon compleanno!» esclamò il moro, porgendogli il regalo. «Naturalmente ho pensato a tutto io! Loro mi hanno soltanto aiutato» gli spiegò fiero, indicando con un cenno del capo gli altri presenti.

 

Tutti alzarono gli occhi al cielo, scuotendo la testa rassegnati. Bill non sarebbe cambiato mai e poi mai.

 

Simon sorrise divertito e prese il pacco. «Grazie» mormorò, ancora senza parole. Non sapeva veramente che cosa dire.

 

Si sporse in avanti, avvicinandosi al viso di Bill, che per un istante lo fissò confuso; con le labbra sfiorò una sua guancia con un lieve bacio. Il moro arrossì violentemente.

 

«Non hai ancora capito chi mi piace?» sussurrò il biondo al suo orecchio.

 

Bill rimase senza parole e cominciò ad annaspare. Dio, non poteva reagire veramente così... Simon, ridendo, si allontanò da lui, lasciandolo imbambolato in mezzo alla stanza, e si avvicinò al resto del gruppo, stringendoli uno ad uno in un abbraccio amichevole.

 

«Grazie davvero, ragazzi!».

 

«La torta l’ho fatta io» mentì Gustav, ridendo sotto i baffi. Almeno una soddisfazione, dopo quello che aveva passato quella mattina, doveva prendersela. In fondo ci aveva provato.

 

Tom e Georg si scambiarono un’occhiata divertita, scuotendo appena la testa. Quella era una gabbia di matti, non c’era dubbio.

 

 

 

 

 

 

«Gustav!» pigolò Bill, completamente ubriaco. Si era lasciato prendere dalla foga e aveva bevuto come una spugna per tutta la sera; ora il suo alito era insopportabile e lui completamente fuori di testa. Si adagiò sulle ginocchia dell’amico e gli soffiò sensualmente sulle labbra. «In questo momento ti scoperei» sussurrò malizioso.

 

Gustav sbarrò gli occhi, completamente sconvolto, e lo spinse sul divano, togliendoselo di dosso; considerando lo stato del cantante, non fece neanche fatica. Questo invece scoppiò a ridere istericamente, tenendosi la pancia con le mani.

 

«Idiota...» mormorò il batterista, allontanandosi frettolosamente.

 

Tom, seduto sul bracciolo del divano, guardò l’orologio che aveva al polso e sbadigliò stancamente. «Abbiamo fatto tardi» constatò stupito.

 

Georg, al suo fianco, gli accarezzò la schiena con affetto, sorridendo intenerito alla vista del suo viso stanco. «Vuoi andare a dormire?» gli chiese premuroso.

 

Il chitarrista rivolse lo sguardo al gemello e inarcò un sopracciglio: stava fissando il soffitto con un’espressione da ebete. «E questo cretino chi lo mette a letto?».

 

«Ci penso io!» esclamò Simon, sbucando fuori dalla cucina con in mano uno straccio. Buffo: la festa era per lui, ma si era voluto offrire a tutti i costi per pulire. Un ragazzo d’oro. «Davvero, non è un problema» ribadì. «Andate pure a dormire. Oggi avete fatto tantissimo per me; devo in qualche modo ripagarvi».

 

«Grazie» mormorò Georg, sorridendogli riconoscente.

 

Così facendo, Simon aveva appena dato loro la possibilità di darsi la buonanotte come si deve.

 

 

 

 

 

 

«Mmm, Georg...» ansimò Tom sotto il peso del compagno.

 

Esattamente come quella mattina nel camerino, Georg stava spingendo ritmicamente il proprio bacino contro il suo, facendo sì che i loro membri si scontrassero attraverso il tessuto dei boxer.

Il chitarrista, sdraiato sul proprio letto, la testa fuori dal materasso e le dita conficcate fra le scapole dell’altro, gemeva rumorosamente – al piano di sotto non lo avrebbero sentito, perché il volume della televisione era altissimo e poteva sentirlo da lì -, mentre nella sua testa vorticava un unico pensiero: sesso, sesso, sesso. Ricordava perfettamente quello che aveva detto al gemello, ma l’astinenza e il modo in cui si stavano masturbando a vicenda lo mandarono fuori di testa, facendogli dimenticare tutti i suoi buoni propositi. Se qualche settimana prima sarebbe rimasto disgustato dall’idea di fare quello che stavano facendo in quel momento, ora ne voleva sempre di più. Voleva che Georg aumentasse la velocità, che lo facesse venire come aveva fatto quella mattina.

 

«Senza boxer sarebbe ancora meglio» ansimò il bassista contro il suo orecchio, leccando il lobo.

 

Con un mugugno Tom inarcò la schiena e aumentò la pressione fra di loro. «Fallo» sibilò nello sforzo, non rendendosi neanche conto di ciò che gli stava chiedendo. «Toglimeli».

 

Georg alzò appena il capo e per un momento il suo sguardo fu confuso e stupito al tempo stesso. Non si sarebbe mai aspettato che l’altro si sarebbe offerto a lui così facilmente; era convinto che il chitarrista non apprezzasse a pieno quello che facevano, e invece...

Non si fece comunque pregare ulteriormente. Considerando il fatto che Tom fosse eccitato quanto lui, non si curò nemmeno di utilizzare la solita dolcezza che gli riservava ogni volta che lo sfiorava. Entrambi lo volevano e questo bastava. Afferrò l’elastico dei suoi boxer e glieli calò con uno scatto, liberando il suo membro già duro; fece lo stesso con i suoi e subito riunì i loro bacini. Quando il chitarrista sentì la propria pelle sensibile sfregare contro quella dell’altro, si morse il labbro inferiore a sangue, mentre un’ondata di brividi lo travolgeva da capo a piedi. Quel contatto era fantastico, lo stava facendo godere immensamente.

 

«Cazzo...» esclamò Tom, aggrappandosi con tutte le sue forze alle spalle del bassista.

 

Georg si piegò sul suo collo e leccò avidamente il pomo d’Adamo, succhiando la pelle in più punti attorno ad esso. Era certo di non aver mai desiderato così tanto una persona come in quel momento stava desiderando Tom.

Il chitarrista cominciò a spingersi violentemente contro di lui, mozzandogli il respiro.

 

«Tom... piano» gemette il bassista, aprendo la bocca in cerca d’aria.

 

Ma l’altro non lo ascoltò.

 

«Tom...».

 

Sentiva che sarebbe venuto da lì a poco. Nel momento in cui scorse il viso del chitarrista contratto in un’espressione di puro piacere e godimento, provò il desiderio di fare qualcosa in più, di spingersi ancora oltre. Troppi passi affrettati in un solo giorno? Eppure sentiva che era la cosa giusta. E se Tom lo desiderava, dove stava il problema?

 

«Tom, io posso...» prese un respiro profondo, puntando gli occhi sul suo viso. «Posso prendertelo in bocca, se vuoi». Come fosse riuscito a trovare il coraggio per pronunciare quelle parole non lo seppe mai. Sapeva soltanto che voleva farlo con tutto se stesso.

 

Per un momento, Tom sembrò bloccarsi. Le sue spinte rallentarono e i suoi occhi si sbarrarono improvvisamente, fissando il vuoto. Georg ebbe paura di averlo spaventato. Okay, forse era ancora troppo presto per quello, forse...

 

«Va bene» mormorò il chitarrista, interrompendo bruscamente il flusso dei suoi pensieri e mandandolo completamente in tilt. Lo vide sollevare il capo per fissarlo serio negli occhi. «Se vuoi».

 

«Tu lo vuoi veramente?» insistette per essere sicuro di non andare contro la sua volontà. Non avrebbe mai voluto fare qualcosa senza il suo consenso.

 

Lo vide annuire. In quel momento, mentre fissava i suoi occhi, non sapeva distinguere chi avesse davanti: il SexGott o il vero Tom? Aveva accettato soltanto per la sua voglia di sesso? Oppure lo voleva veramente? Fatto sta che glielo aveva proposto lui e tirarsi indietro dopo aver ottenuto il suo consenso sarebbe stato da idioti.

 

«Okay» sussurrò emozionato.

 

Cominciò a baciare i suoi pettorali appena pronunciati, seguendo con la lingua le linee naturali del suo corpo, e scese; succhiò l’ombelico, producendo un piccolo schiocco, e poi finalmente arrivò al suo membro. Era la prima volta che lo vedeva e sinceramente non sapeva che cosa pensare; in quel momento gli interessa soltanto di dargli piacere. Lo trovò duro e gonfio, la punta appena bagnata dal suo seme. Con una mano lo accarezzò per tutta la sua lunghezza, delicatamente, e già lo sentì fremere; arrivò alla base e gli solleticò i testicoli con le unghie corte, strappandogli un gemito sommesso.

 

«Georg...» si lamentò Tom, faticando a restare fermo sotto quel tocco. La lentezza di quei movimenti era una sofferenza, perché lo stavano facendo letteralmente impazzire.

 

Georg capì di starlo torturando troppo; in fondo era già prossimo al limite, considerando quanto lo avesse eccitato pochi secondi prima, strusciandosi contro di lui. Doveva liberarlo, ma doveva pensare contemporaneamente a se stesso: anche lui stava per esplodere.

Afferrò il proprio membro con una mano e cominciò a masturbarsi da solo con movimenti veloci e decisi lungo tutta la sua lunghezza; poi con l’altra mano libera afferrò il pene di Tom e se lo portò alla bocca, prendendolo dentro per metà.

 

«Georg!» urlò il chitarrista, sentendo come una scarica elettrica attraversare tutta la sua spina dorsale. Diamine se gli piaceva...

 

Si portò una mano alla bocca, tappandosela e cercando di controllarsi. Avrebbe voluto urlare di piacere, ma, per quanto la televisione al piano di sotto fosse alta, non se la sentiva di lasciarsi troppo andare.

Intanto Georg cominciò a succhiare il suo membro con dolcezza, muovendo la propria bocca su e giù; con la lingua solleticò la punta, gustando il sapore del suo sperma. Era dolce.

 

«Dio...» gemette Tom, spingendo i fianchi verso l’altro per far sì che il bassista prendesse tutto il suo pene in bocca.

 

Questo capì che il chitarrista stesse chiedendo di più. Aumentò la velocità, aiutandosi con la mano; con la bocca si staccò dal pene, producendo un sonoro schiocco, e si dedicò con essa ai testicoli, succhiandoli e leccandoli avidamente.

Questa volta Tom non riuscì a trattenersi ed urlò. Era arrivato al limite. Sentì il proprio corpo tendersi, mentre veniva scosso dai brividi e da profonde ondate di piacere. Georg prese in bocca il suo pene ancora una volta, appena in tempo per accogliere il suo sperma caldo; lo ingoiò un po’ alla volta, non meravigliandosi neanche un po’ di quanto fosse buono il sapore del chitarrista. In fondo, lo aveva immaginato.

Alzò il capo, rivolgendo lo sguardo al viso di Tom; non riuscì a vederlo perché questo aveva ancora la testa piegata oltre il materasso. Afferrò i suoi fianchi, tirandolo verso di sé e facendo in modo da portalo tutto sul letto; si stese sul suo corpo, arrivando con il viso al suo e baciandolo dolcemente in più punti. Lo strinse a sé mentre ancora tremava.

Tom puntò gli occhi nei suoi, le labbra dischiuse e l’espressione persa. Forse era confuso per quello che era appena successo, ma Georg fu felice di non intravedere pentimento nel suo sguardo. Si abbassò per baciargli delicatamente le labbra, accarezzandogli il viso con una mano. Quella era forse stata la notte più bella della sua vita. Sentiva il cuore scoppiargli in petto e capiva che tutto quello che avevano fatto era giusto, perché non era stato soltanto sesso. Non per lui. Era stato qualcosa di più, una dimostrazione di un qualche strano sentimento. Sapeva benissimo di cosa si trattasse.

Tom chiuse gli occhi, stanco, e si lasciò coccolare dal bassista ancora per un po’. Intanto Georg, dentro di sé, sentì l’irrefrenabile voglia di dirgli quello che provava da tempo ormai e che in quel momento era più forte che mai.

 

«Tom?».

 

«Mmm?» mugugnò quello, forse già nel dormiveglia.

 

«Io ti amo».









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Capitolo 14
*** It had to be just sex ***


14 me and you
14. It had to be just sex






Tom odiava non riuscire a chiudere occhio durante la notte. Era una situazione che lo agitava. Forse perché, dal momento che non era capace di disconnettere il cervello neppure per un'ora, questo si divertiva a farlo pensare, e pensare, e pensare... Pensava fino a che un terribile mal di testa non lo costringeva ad abbandonare i suoi buoni propositi per dormire e ad alzarsi dal letto. E così si ritrovava a vagare per la camera da letto, avanti e indietro.
Fu quello che successe proprio quella notte.

Maledizione... continuava ad imprecare dentro di sé, mentre a grandi falcate percorreva la propria stanza.

Georg dormiva nel suo letto, ignaro del fatto che il suo compagno, in quel momento, si stesse crogiolando nei propri dubbi, invece che riposare al suo fianco.
Tom era bravo a sgattaiolare fuori dal letto senza svegliare chi ci dormiva. Anni e anni di pratica.
Da un pezzo, però, l'aria che girava in quella stanza aveva cominciato a soffocarlo. Aveva bisogno di uscire, di allontanarsi da quello che effettivamente era il suo problema, ovvero la causa per cui non riusciva a dormire: Georg. Lui e quel suo stupido 'ti amo' che gli aveva sussurrato prima di addormentarsi.

«Ma che diavolo ti è saltato in mente?!», sibilò il chitarrista, digrignando i denti in direzione del compagno.

Era stato chiaro fin dall'inizio: fra di loro non ci sarebbe mai potuto essere amore; soltanto sesso - anche se, effettivamente, non erano ancora riusciti ad avere un rapporto completo -. Georg non aveva rispettato l'unica regola che Tom aveva imposto ed ora spettava a lui affrontare le conseguenze.

Stupido!

Furioso, uscì dalla propria stanza, non preoccupandosi di fare silenzio. Era talmente fuori di sé che sbatté persino la porta. Forse Georg si sarebbe svegliato, ma poco gli importava: gli avrebbe dato il ben servito per quella notte passata in bianco.
Quando scese le scale e si ritrovò al piano inferiore, notò con stupore una luce provenire dal salotto. Pensò che probabilmente qualcuno si era dimenticato di spegnerla prima di andare a letto. Si avviò verso la stanza, ma qualcosa lo bloccò prima: da quella distanza riusciva a distinguere benissimo due figure abbracciate sul divano.

Di male in peggio pensò con rabbia.

Già non bastava il bassista innamorato di lui, ora ci si mettevano anche Simon e suo fratello. Non aveva tempo per preoccuparsi di Bill, quando doveva pensare prima di tutto a se stesso e a come risolvere quel casino che si era andato a creare.
Raggiunse la stanza a grandi falcate, intenzionato ad esplodere proprio di fronte alla nuova coppietta addormentata; ma quando si ritrovò nei pressi del divano, Simon, che a quanto pare non stava dormendo, lo bloccò con un dito posato sulle labbra, intimandogli di fare silenzio. Tom, basito, boccheggiò come un pesce fuor d'acqua.

«Sta dormendo, finalmente. Non la smetteva più di delirare», sussurrò divertito l'americano.

Quando notò la perplessità del chitarrista, sorrise appena: sapeva riconoscere un fratello geloso, quando ne vedeva uno, e Tom in quel momento era un fratello geloso. Capiva la sua preoccupazione.

«Volevo metterlo a letto, ma me lo ha impedito. Non stava fermo», gli spiegò tranquillo. «Era l'unico modo per farlo addormentare».

Le parole di Simon riuscirono a calmarlo. Aveva capito che le sue intenzioni erano buone e che Bill, nelle sue mani, era al sicuro.
Da una parte, però, provò la sensazione di essere un pessimo fratello: non era stato presente nel momento del bisogno; aveva pensato prima a se stesso che a lui. Ma alla fine si comportava sempre così, no? Anche con Georg lo aveva fatto.

«Qualcosa non va?».

La voce di Simon lo distolse dai propri pensieri e lo riportò alla realtà delle cose.
Cercando di assumere un'espressione sicura, scosse il capo. L'ultima cosa che voleva era farsi consolare dal 'quasi-ragazzo' del suo gemello.

«Me ne torno a letto», borbottò talmente piano che l'altro non riuscì neppure a sentirlo.

Non avrebbe fatto veramente ciò che aveva detto - non voleva tornare nella stanza in cui era presente la fonte dei suoi problemi -, ma avrebbe sicuramente trovato qualcosa di più interessante da fare che stare a guardare suo fratello, mentre questo si faceva consolare da un'altra persona che non era lui.
Era gelosia la sua? Forse sì. In fondo Bill era la persona più importante della sua vita.
Forse fu proprio quella gelosia a spingerlo a voltarsi ancora una volta e a porgere a Simon una domanda che neanche lui stesso si sarebbe mai aspettato di poter formulare.

«Ti piace mio fratello?».

L'americano non parve affatto colpito da quella domanda, anzi. Dimostrò una calma ammirevole e non diede alcun segno di imbarazzo o di stupore. Si limitò soltanto ad accarezzare lentamente i capelli di Bill.

«È evidente», ammise con un sorriso. «Anche se credo che l'unico che non se ne sia ancora accorto sia proprio lui».

«Bill è fatto così: bisogna dirgli chiaramente come stanno le cose, altrimenti non ci arriverà mai da solo».

Tom si stupì delle sue stesse parole. Era come se in qualche modo stesse incoraggiando Simon a farsi avanti con suo fratello. Non un avvertimento, non una minaccia... Stava cambiando, ma chissà se in bene o in male. La causa di tutto ciò? Non ci voleva nemmeno pensare.
L'americano non disse altro, ma registrò nella sua mente le parole del rasta. Doveva soltanto prendere una decisione, alla fine. Bill lo affascinava, nonostante la sua innegabile infantilità. Ma chissà... forse era proprio quella a piacergli. Doveva soltanto capire se questo era pronto a digerire una dichiarazione simile.
Ci avrebbe pensato.

«Grazie, Tom», sussurrò dopo poco, sorridendo al rasta.

Tom gli rispose con un breve cenno del capo, poi finalmente gli voltò le spalle e si allontanò da quella stanza a passo spedito.
Si era già pentito di aver detto quella cosa a Simon, anche se in fondo lo riteneva un buon ragazzo. In quel momento era tutto troppo confuso per lui: Bill, Simon, Georg, il suo orientamento sessuale a cui non sapeva ancora dare un nome... Era una situazione che odiava.
Da una parte avrebbe tanto voluto tornare indietro nel tempo e far in modo che fra lui e Georg non accadesse nulla di tutto ciò che era accaduto fino ad allora; dall'altra era curioso di scoprire che cosa avesse in serbo per lui il futuro. Stando così le cose, avrebbe potuto porre fine a tutto, oppure aspettare e lasciare che la situazione evolvesse. Era una decisione difficile.
Raggiunto il piccolo terrazzino del loro studio, si sedette sulla sedia a sdraio dove Gustav era solito, nel tempo libero, prendere il sole. Rimase lì a meditare per ore e ore, ma non riuscì comunque a schiarirsi le idee. Quando si fece l'alba, stanco e frustrato, si addormentò senza nemmeno rendersene conto.






«Tom? Ehi?».

Gustav scrollò con delicatezza il chitarrista, che inspiegabilmente stava dormendo sulla sua sedia a sdraio. Quando quella mattina si era avviato verso il terrazzino per prendere il sole, non si sarebbe mai aspettato di trovarlo lì; era convinto che avesse dormito con Georg.
Tom corrugò la fronte e mosse leggermente le palpebre, ma ci mise un po' a svegliarsi. Dopotutto aveva passato la notte in bianco.

«Che ci fai qui?», gli chiese il batterista, quando fu certo che fosse sveglio.

La risposta fu un grugnito sofferente.
L'amico era davvero in pessime condizioni, nonostante la sera prima non avesse bevuto abbastanza da potersi ubriacare. Le borse sotto i suoi occhi, però, non mentivano: non aveva dormito.

«Mi sono appisolato», biascicò a fatica, passandosi una mano sul viso e proteggendosi gli occhi dalla luce del sole.

«E Georg?».

Nessuna risposta, questa volta. Okay, era ufficiale: qualcosa non andava.
Gustav sbuffò sconsolato, consapevole di trovarsi in mezzo ad una bufera che avrebbe portato soltanto guai seri. Ma perché dovevano capitare tutte a lui? In fondo aveva sempre cercato di essere un bravo ragazzo, ma alla fine gli amici che gli erano capitati avevano eliminato qualsiasi possibilità di pace e tranquillità nella sua vita.
Prima Bill, ora Tom. Chi sarebbe stato il prossimo?

Con l'amarezza nel cuore, mise una mano sulla spalla dell'amico e gli rivolse uno sguardo apprensivo. «Su, avanti», cominciò. «Confidami le tue disgrazie. Santo Gustav è qui per ascoltarti».

Tom sollevò gli occhi e lo guardò come si guarda un pazzo. L'ironia era proprio l'ultima cosa di cui aveva bisogno in quel momento.
Irritato, scacciò la sua mano e si alzò in piedi.

«Va' a-».

La frase rimase a metà, perché proprio in quel momento una voce fin troppo familiare giunse alle sue orecchie: la voce di Georg, coperta in parte da quella acuta di Bill.
Ci mise pochi secondi a valutare la situazione. Da lì a poco si sarebbe scatenato il putiferio e lui aveva soltanto due possibilità: o restava lì e si preparava ad affrontare un Georg innamorato e un fratello isterico, o trovava un modo per darsela a gambe. Inutile dire che, fra le due, scelse senza esitazione la seconda.

«Gustav!», esclamò nel panico. «Devi aiutarmi!».






«Questa è senza ombra di dubbio la scusa più penosa che abbia mai sentito! Secondo te, io sarei così stupido da credere di essermi ubriacato al punto tale da chiederti di restare a dormire con me?».

Simon scrutò divertito l'espressione dell'altro. «Vuoi una risposta sincera?».

Bill lo fissò sconvolto, con la bocca aperta e gli occhi sbarrati. Ma come osa?!

Il fatto di essersi svegliato tra le braccia di quello che fino al giorno prima aveva considerato uno sbruffone lo aveva lasciato di stucco. Come era potuto succedere? Si stava sforzando seriamente di ricordare ciò che era successo la sera prima, ma per qualche strano motivo non ci riusciva. Di una cosa, però, era certo: non si era ubriacato e tanto meno aveva chiesto a quel fessacchiotto di dormire con lui.
Lui non era assolutamente il tipo da fare un cosa del genere.

«Tu mi hai bloccato la crescita!», sbottò con voce acuta.

Simon si infilò il mignolo nell'orecchio destro e fece la mossa di sturarselo. «Sì, e tu mi hai fatto diventare sordo», ribatté con fare tranquillo. «E comunque non credo che saresti cresciuto ancora, Bill».

Il risveglio, per lui, non era certo stato dei migliori: Bill, quando si era reso conto di trovarsi tra le sue braccia, aveva iniziato ad urlare e, quando aveva tentato di spiegargli l'accaduto, niente l'aveva trattenuto dallo sbraitare come un forsennato. Non ricordava niente della sera prima e cercare di convincerlo era quasi impossibile.

«Io non mi sono ubriacato!», affermò con decisione il moro, ignorando tutto quello che l'altro aveva appena detto.

«Scusate...».

Entrambi si voltarono a fissare la porta del salotto, trovandovi con grande sorpresa Georg. Doveva essersi appena svegliato, a giudicare dallo stato in cui si trovavano i suoi capelli, solitamente perfettamente lisci.
Questo avanzò lentamente verso di loro e cautamente prese la parola: non voleva essere divorato dalla bestia nella quale Bill si era trasformato.

«Avete visto Tom, per caso?».

Nonostante la gentilezza che aveva usato, il moro gli si rivoltò contro comunque: strinse forte i pugni e avanzò pericolosamente verso di lui, digrignando i denti.

«No, non l'ho visto! Ma quando lo trovi digli che gli farò rimpiangere il giorno in cui è nato! Ti sembrano scherzi da fare, questi? Eh?», gli urlò in faccia.

L'amico inarcò un sopracciglio, confuso: non sapeva neanche di che cosa stesse parlando. Fece per ribattere, ma non ne ebbe il tempo.

«Credi forse che non sia a conoscenza dei vostri piani malefici? Siete tutti contro di me, io lo so!».

«Ma di che stai parlando?».

Quando Bill andava fuori di testa, andava seriamente fuori di testa. Il più delle volte strillava come una gallina in procinto di ritrovarsi con il collo spezzato, altre blaterava cose senza senso. Non riusciva a capire che, in quelle occasioni, nessuno lo ascoltava veramente; tutti si limitavano ad assecondarlo, in modo che, a distanza di ore, si calmasse.

Il moro si allontanò da lui e tornò da Simon, puntandogli l'indice contro. «Questa è casa mia e, se volessi, potrei buttarti fuori a calci in culo!».

L'americano dovette fare uno sforzo enorme per non scoppiargli a ridere in faccia da un momento all'altro. Forse era l'unico che trovava divertenti le sue scenate isteriche. Era così donna, in quelle occasioni.
Georg alzò gli occhi al cielo e scosse leggermente il capo: loro, sicuramente, non avrebbero saputo dirgli dove si trovava Tom; stava soltanto perdendo tempo.

«Va bene, lo troverò da solo», borbottò rassegnato. Fece per andarsene, ma prima non seppe resistere alla tentazione di lanciare una frecciatina. «E guarda che ieri sera eri veramente ubriaco, Bill».

Bill spalancò la bocca fino al massimo possibile, annaspando come un pesce fuor d'acqua. A quel punto, Simon non riuscì più a trattenersi e gli scoppiò a ridere in faccia.
Inutile dire che ciò che avvenne dopo fu il caos più totale.






«No, Tom! Non mi piacciono queste cose! Se hai un problema con Georg, risolvetelo fra di voi!».

Gustav odiava trovarsi in quelle situazioni. Ora doveva persino aiutare Tom a nascondersi da Georg! Erano entrambi suoi amici e per questo non sopportava di dover mentire ad uno per proteggere l'altro - anche perché il rasta non doveva essere protetto da un bel niente, se non dalla sua stessa stupidità -. Ma come sempre non aveva scelta.

«Dai, Gustav! Ti ho mai chiesto un favore? No. E allora, una volta ogni tanto, aiutami!», cercò di convincerlo l'amico, nascondendosi dietro la sua ampia schiena e obbligandolo ad avanzare furtivamente verso la cucina.

«In realtà me ne hai chiesti fin troppi, di favori».

Tutto fiato sprecato. Tom era andato nel panico e aveva messo in mezzo anche lui.
Il punto era che Gustav non era bravo a mentire e con molta probabilità non sarebbe stato in grado di aiutarlo in nessun modo. Lui detestava dire le bugie, soprattutto ai suoi amici.
Riuscirono ad entrare in cucina, dove tutto sembrava stranamente in ordine - Simon aveva proprio sistemato ogni cosa -. Tom prese a guardarsi attorno, in cerca di un nascondiglio perfetto; alla fine, riuscì soltanto a rimediare il tavolo e la lunga tovaglia che vi era posata sopra.

Prese Gustav per le spalle e lo guardò dritto negli occhi. «Mi raccomando: devi essere credibile. Se ti chiede dove sono andato, tu digli che sono uscito a fare un giro. E... consigliagli di fare lo stesso».

Il batterista alzò gli occhi al cielo, esasperato. «Che cosa stupida, Tom! Non puoi semplicemente-».

«Sta arrivando!», sibilò agitato l'altro.

In un batter d'occhio, Gustav lo vide scomparire sotto il tavolo e, proprio quando fece per girarsi e guardare la porta della cucina, si ritrovò davanti la figura ancora assonnata di Georg.

«Ah, Gustav», mugugnò quello, mettendogli una mano sulla spalla.

Tentò di sorridere, ma ciò che ne venne fuori fu soltanto una smorfia sospetta.

Perché tutte a me?! imprecò dentro di sé.

«Sai dov'è Tom?».

«È-È andato a fare un giro, sì».

Georg rimase perplesso da quella risposta. Perché Tom era uscito senza dirgli niente? E poi non era da lui svegliarsi così presto, la mattina.
Ci pensò su un istante e si convinse che probabilmente aveva delle cose da fare.

«Ti ha detto dove andava?».

Gustav negò col capo. «P-Però potresti uscire anche tu. Chissà... magari lo incontri».

Si sentiva veramente male a mentirgli così spudoratamente. Inoltre non appariva convincente nemmeno a se stesso; sicuramente Georg non gli avrebbe creduto e da lì a poco gli avrebbe chiesto spiegazioni.
Lanciò un'occhiataccia al tavolo e imprecò dentro di sé. Era tutta colpa di quell'idiota!

«Hai ragione».

Tornò a fissare il bassista e i suoi occhi si riempirono di stupore. Ci aveva creduto veramente?

«Comunque, se lo senti, digli di chiamarmi».

Annuì frettolosamente con il capo e cercò di sorridere. Trattenne il respiro fino a che non lo vide voltargli le spalle e allontanarsi dalla cucina.
Ancora non poteva crederci. Come diavolo aveva fatto Georg a non notare il suo disagio, il suo falso sorriso e il suo modo di balbettare? Erano cose così evidenti! Perfino un perfetto sconosciuto si sarebbe accorto che qualcosa non andava.

«Ben fatto!», lo raggiunse la voce di Tom.

Si voltò e lo vide far capolino da sotto la tovaglia. Sembrava soddisfatto, a giudicare dal suo sorriso.

«Certo però che potevi balbettare di meno, eh».

Lo fulminò con lo sguardo. Se avesse potuto, lo avrebbe sbranato vivo. Non gli andava mai bene niente!






«Tu ne hai approfittato!».

«No, Bill. Sei tu che mi hai chiesto di restare, e te lo ripeto per la millesima volta».

Quel discorso andava avanti ormai da un'ora e Bill non si era ancora stancato di sbraitare. Non un segno di cedimento, non uno di stanchezza... Ma dove le prendeva tutte quelle energie? Era davvero impressionante!
Simon stava ancora finendo di mettere a posto il salotto - proprio come se fosse a casa sua - e il moro non faceva altro che andargli dietro e urlargli contro. Eppure avevano soltanto dormito insieme su un divano... Niente di così sconvolgente.

«E tu perché hai accettato? Dovevi darmi una botta in testa e farmi rinsavire!».

«E scompigliarti i capelli?», ridacchiò divertito.

Bill si bloccò improvvisamente e si portò un dito al mento con fare pensieroso. Effettivamente aveva ragione. Lui odiava che qualcuno gli toccasse i capelli, a meno che non fosse per accarezzarglieli e fargli le coccole. Su quello Simon non aveva sbagliato, doveva concederglielo.

«Va bene, ma potevi fare qualcos'altro!», affermò alla fine, incrociando le braccia al petto.

Il biondo rise appena e per un momento lasciò perdere le sue faccende. Era strano come riuscisse a trovare adorabile un soggetto così strano, nei suoi momenti peggiori. Probabilmente era quel piccolo broncio che aveva messo su a farglielo piacere così tanto.

Gli si avvicinò lentamente e, quando furono faccia a faccia, sorrise. «Ti sei sfogato abbastanza?», gli chiese con una punta di sarcasmo nel tono della voce. Lo vide aprire la bocca, pronto a ribattere ancora, ma lo fermò prima. «Perché si dà il caso che io debba ancora ringraziarti per la festa di ieri».

Bill inarcò un sopracciglio, scettico. «Ma l'hai già fatto».

«Non come si deve».

Simon si sporse in avanti e, ignorando completamente l'espressione sconvolta dell'altro, posò le labbra sulle sue. Fu un bacio semplice, lieve, ma bastò per far sì che Bill provasse una scarica elettrica lungo tutta la spina dorsale. Quando l'americano si scostò, non ebbe la forza di ribattere in alcun modo.

Lo vide sorridere. «Altre sfuriate, o per oggi abbiamo finito?», gli chiese divertito.

Il moro dischiuse appena le labbra e lo fissò basito. Per la prima volta qualcuno aveva avuto il potere di lasciarlo completamente senza parole.
Simon non smise di sorridere neppure per un istante. Soddisfatto di aver placato 'l'uragano Bill', gli voltò le spalle e riprese a fare ciò che poco prima aveva abbandonato. Considerando il fatto che non aveva ricominciato a strillare, era un buon inizio.






Tom, guardandosi attorno per accertarsi che Bill non si trovasse nei paraggi, salì di corsa le scale che lo condussero al piano superiore. Ora che Georg era fuori gioco, avrebbe potuto prendersi un intero pomeriggio per pensare al da farsi - ovviamente evitando anche il gemello -. Non aveva ancora deciso e necessitava di tempo.
Era grato a Gustav per averlo aiutato, ma quella sera il suo problema principale si sarebbe ripresentato e allora avrebbe dovuto dargli una risposta.
Quella situazione lo metteva in ansia. Ecco perché aveva sempre sperato di non trovarcisi dentro. Ecco perché osannava il sesso e odiava l'amore. Il primo portava piacere, il secondo soltanto guai.
Mentre rimuginava su queste cose, raggiunse la sua stanza. Innanzitutto, si sarebbe fatto una bella doccia; poi avrebbe trovato una soluzione ai suoi problemi, in un modo o nell'altro.
Finalmente rilassato, varcò la soglia della porta. Ma la sua tranquillità durò poco, perché la persona che si ritrovò davanti era l'ultima che si sarebbe aspettato.

«Ma che...?», balbettò sconvolto.

Georg, seduto sul letto, posò gli occhi su di lui. «Sorpreso?».

Quello era il peggio che poteva capitargli. Ma che ci faceva lì il bassista? Non era uscito a cercarlo?
Lo vide alzarsi in piedi e avanzare lentamente verso di lui. La sua espressione era spaventosamente seria.

«Gustav non sa fare a mentire», mormorò con una smorfia. «Ho capito subito che qualcosa non andava».

Non seppe come replicare. Il suo corpo era semplicemente pietrificato. Si limitò ad abbassare gli occhi sul pavimento, deglutendo nervoso.

Merda, merda, merda!

«Allora... Cosa c'è che non va?».

Non riuscì a rispondergli. Cosa doveva dirgli? Che il suo fottutissimo 'ti amo' lo aveva mandato fuori di testa? Era fin troppo umiliante.
Però effettivamente la colpa era la sua. Lui aveva fatto sì che le cose si complicassero, quando invece avrebbero potuto essere così semplici.

Il suo sguardo si indurì quando risollevò il viso per guardarlo negli occhi. «Hai violato l'unica regola che aveva imposto».

Georg sbatté le palpebre un paio di volte, confuso dalle sue parole. «Ma che stai dicendo? Quale regola?».

«Doveva essere soltanto sesso, Georg. Non amore!», sbottò con fare quasi disgustato. «Perché mi hai detto... quella cosa, ieri sera?».

Il bassista si lasciò scappare una risatina divertita. «Fammi capire... Ce l'hai con me perché mi sono innamorato di te?».

«Sì, cazzo!».

«Tom... È una cosa ridicola».

Tom non seppe più come ribattere. Un cosa ridicola? Oh, se quella era una cosa ridicola, allora perché lo aveva messo in ansia e costretto a farsi aiutare da Gustav per cercare di evitarlo?
Fece per dire qualcosa, ma Georg lo fermò, mettendogli le mani sui fianchi e attirandolo a sé con un sorriso.

«Primo: ti ho detto che ti amo perché in quel momento sentivo il bisogno di farti sapere ciò che provavo... e che provo ancora. Secondo: non mi aspettavo alcuna risposta, Tom».

Il rasta dischiuse le labbra, basito. «Non ti aspettavi alcuna risposta?».

«No», ridacchiò l'altro. «Se non è ciò che provi, non voglio una bugia. Mi basta soltanto stare insieme».

Tom si lasciò sfuggire un sospiro di sollievo. Si era fatto mille problemi e alla fine era stato tutto così semplice. Forse avrebbe dovuto parlarne direttamente con lui, invece che tirare in ballo Gustav e organizzare quello stupido piano. Ammetteva a se stesso di essere paranoico, certe volte.

Con una punta di rammarico, fissò gli occhi del compagno. «Non me la sento di dirtelo, Georg. Non so neanche io che cosa provo veramente», si giustificò con un piccolo broncio.

Georg lo trovò adorabile. Sorridendo, lo baciò sulle labbra e lo spinse contro la parete più vicina; si soffermò poi sul suo collo, succhiando forte un lembo di pelle, prima di inginocchiarsi a terra e sbottonargli i pantaloni.
Alzò lo sguardo per vedere la sua reazione e con sollievo lo trovò soddisfatto. Tom ghignò con fare malizioso e immerse una mano fra i suoi capelli, incitandolo a continuare.
Quando dopo poco si ritrovò a dover soffocare i gemiti di piacere, si rese conto che forse, il fatto che Georg lo amasse, non era poi così un problema. Anzi.
Ma chissà che cosa provava lui veramente...










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