Me and You di mieledarancio (/viewuser.php?uid=37478)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Destroyed for him ***
Capitolo 2: *** Lies and kisses ***
Capitolo 3: *** The party ***
Capitolo 4: *** I think to love him ***
Capitolo 5: *** A stolen kiss ***
Capitolo 6: *** Problems of friendship ***
Capitolo 7: *** Confusion ***
Capitolo 8: *** Betrayal ***
Capitolo 9: *** Changes ***
Capitolo 10: *** The plan of Bill ***
Capitolo 11: *** Confessions ***
Capitolo 12: *** Past, present and future ***
Capitolo 13: *** Happy Birthday! ***
Capitolo 14: *** It had to be just sex ***
Capitolo 1 *** Destroyed for him ***
Disclaimer: I
personaggi di questa Fan Fiction non mi appartengono - con mio grande
dispiacere -, niente di tutto ciò è vero,
poiché è soltanto frutto della mia mente malata.
Me
and You
01.
Destroyed for him
«Accidenti,
ragazzi, sono distrutto».
Tom sbuffò sonoramente
e
si lasciò andare a peso morto sul primo divano che gli
capitò a tiro.
La band aveva appena
concluso uno dei tanti concerti nella città di Los Angeles e
tutta la carica e l'energia che avevano utilizzato quella sera per
soddisfare i loro fan li aveva completamente sfiniti.
Ma è
così che accade a chi riesce a diventare famoso nei paesi
più importanti del mondo: la fama ti prende e ti rende
felice, ma certe volte può diventare fin troppo pesante da
sopportare, soprattutto in giovane età. Ma quella ormai era
la loro vita, loro quattro avevano scelto di diventare ciò
che erano diventati e di seguire quella strada. Ne erano più
che felici, ma purtroppo dovevano fare i conti anche con la stanchezza.
Passare da un paese all'altro in pochi giorni non era certo una
passeggiata.
«Non mi
aspettavo che gli americani fossero così pieni di energia e
che reagissero così bene alla nostra musica»,
commentò Georg con un sorriso sulle labbra, passandosi una
mano sulla fronte umida e lasciandosi andare anche lui su un morbido
divano.
Bill e Gustav
annuirono col capo, impegnati a bere un po' d'acqua dai loro bicchieri
di plastica.
«Se le ragazze sono così anche a letto, allora
sono sicuro
che potrò farmi delle gran belle scopate qui a Los
Angeles», ridacchiò Tom, pensando già
al ben di Dio che lo attendeva quella notte.
Ovviamente aveva
già programmato di prendere una qualche bella fan
disponibile e tutta curve per passare una notte "in compagnia", come
faceva quasi sempre dopo i concerti.
«Ma tu
pensi solo al sesso?», lo riprese Bill, scuotendo la testa in
segno di disapprovazione.
Non accettava certi
comportamenti del gemello, ma, dopotutto, non poteva farci nulla,
perché Tom era fatto così: se non avesse parlato
di sesso per anche solo cinque minuti, il fratello si sarebbe
meravigliato e avrebbe pensato che qualcosa probabilmente non andava.
«Che
c'è di meglio del sesso, scusa?»,
ribatté il rasta, guardando scettico un punto indefinito sul
soffitto.
«L'amore,
direi».
Georg pronunciò quelle parole con
serietà e anche con una punta di tristezza nel tono della
voce.
Quella risposta aveva comunque sorpreso molto gli altri tre
amici, che
naturalmente si
erano voltati tutti a fissare curiosi il loro bassista.
«Siamo
molto sentimentali, Georg. Da quando ti importa di una cazzata del
genere?», gli chiese ironico Tom, inarcando un sopracciglio e
stampandosi una specie di sorrisetto beffardo sulle labbra.
Georg, che fino a
quel momento aveva trovato molto interessante fissare il pavimento,
alzò gli occhi sul rasta e lo guardò con la
fronte corrucciata.
Ti
diverti tanto, eh? Se tu fossi nella mia situazione, rideresti di meno.
«Da quando
tu non mi fai più dormire la notte, con tutti quei rumori e
quelle grida insopportabili che provengono dalla tua stanza in
albergo».
«Eh,
già. Le donne, per ringraziarmi del mio servizio, urlano
molto forte», disse Tom con estrema calma e con
un'espressione beffarda e maliziosa al tempo stesso dipinta sul viso.
Quanto
ti odio quando fai così lo stronzo
pensò Georg,
continuando a fissare corrucciato l'amico.
«Bene.
Allora che aspetti ad andare di sotto a sceglierti la tua solita
sgualdrina da portarti a letto? Sono tutte di là, pronte a
sbavarti dietro», esclamò il bassista con uno
sguardo carico di rabbia e frustrazione.
«Divertiti», concluse poi con sarcasmo, alzandosi
dal divano e uscendo dalla stanza.
«Ehi, Georg! Ma che ti prende?», gli
urlò dietro Tom,
osservando confuso l'amico, mentre se ne andava.
Prima di allora non
si era mai comportato in quel modo: ogni volta che il rasta parlava di
sesso, il bassista ci scherzava sopra e ridevano sempre insieme. Quella
sera, invece, qualcosa era cambiato.
Non
mi sembra di aver detto niente di così offensivo per lui
pensò il rasta,
portandosi alla bocca il bicchierino di plastica pieno d'acqua.
«Stasera
sarà girato male», disse più a se
stesso
che ai suoi due compagni ancora presenti.
«No, sei tu
che non sai mai contenerti!», sbottò
improvvisamente Bill, incenerendo con lo sguardo il gemello e uscendo
di corsa dalla stanza, all'inseguimento del loro bassista.
«Ma che
cazzo hanno tutti adesso?», esclamò Tom
completamente esasperato.
«Beh,
devi ammettere che ha ragione, però», inizio
timidamente
Gustav.
Il rasta si
voltò verso il batterista e lo fulminò con gli
occhi, guardandolo imbronciato. Allora Gustav fece per aprire bocca e
dire qualcos'altro, ma venne immediatamente bloccato da Tom.
«Non-dire-niente».
Georg
continuò a correre senza sapere bene quale fosse la sua
vera meta. Si limitò semplicemente a lasciare che fossero le
sue gambe a guidarlo, a portarlo lontano da ciò che lo
faceva stare così male. Senza neanche rendersene conto, si
ritrovò dentro il bagno dei ragazzi, fermo davanti allo
specchio a fissare la sua espressione triste riflessa sul vetro.
Guarda
come mi riduci, Tom. Sono uno straccio per colpa tua
pensò con rabbia
il bassista.
«Georg!».
La voce potente di Bill fece sobbalzare sul posto il ragazzo castano,
preso alla sprovvista dall'improvvisa entrata del moro nel bagno.
Georg si
voltò a guardarlo confuso, osservando il viso preoccupato
del cantante. «Che fai
qui?», gli chiese con calma.
Sapeva bene che Bill
si preoccupava sempre per lui, soprattutto da quando sapeva la
verità.
Il moro si
tormentò il bordo della maglietta nera strettissima
e abbassò lo sguardo a terra. «Ero preoccupato per
te, per la tua reazione dopo la discussione di prima con mio
fratello», disse timidamente, alzando di poco lo sguardo
sull'amico.
Ecco,
appunto. Il solito Bill, che si preoccupa sempre per me.
Quel pensiero
fece sorridere il bassista, felice che almeno qualcuno
avesse a cuore il suo stato d'animo. Si fidava ciecamente del suo
cantante, sapeva che era un ragazzo sensibile, dolce, e che sapeva
ascoltare nei momenti difficili come quello.
«Tranquillo,
è solo il solito problema di sempre. Solo che... non pensavo
che stasera avrei ceduto così facilmente. Resistere e non
rispondere a certe sue frasi sta diventando sempre più
difficile per me», gli rispose Georg, tornando a fissare il
suo riflesso nello specchio.
Passò
qualche attimo di silenzio, un silenzio pesante e pieno di frasi non
dette.
«Se magari
tu glielo dicessi, forse lui capirebbe», disse
improvvisamente Bill con voce incerta e tremante.
Georg
inarcò un sopracciglio e fissò la figura
dell'amico nello specchio. «Stai scherzando, vero? Tom non
deve sapere niente di questa faccenda, deve rimanere un
segreto
fra me e te».
«E tu pensi
di poter andare avanti così per sempre? Soffrendo e
scappando ogni volta che lui parla delle sue ragazze da una
notte?».
«Se devo
perdere la sua amicizia per questa sciocchezza, allora sì,
preferisco soffrire, piuttosto che perderlo del tutto. E poi te l'ho
già detto, Bill: ho solo bisogno di un po' di tempo e
prima o
poi tutto passerà».
«L'amore
non se ne va via tanto facilmente, il più delle volte si
annida dentro il corpo».
Georg
abbassò gli occhi sul lavandino e rifletté su
quelle ultime parole del cantante. Se davvero fosse stato
così, non avrebbe retto per sempre quella situazione e prima
o poi sarebbe esploso.
Il bassista
sentì Bill sospirare alle sue spalle e
schiarirsi la
voce, come per farsi coraggio e dire qualcosa.
«Beh, io sono stufo di vederti star male, quindi... se non
glielo dici tu, lo
farò io», esclamò improvvisamente e con
decisione.
Georg si
staccò dal lavandino e si voltò di scatto verso
il cantante. «Cosa?», esclamò scettico,
fissandolo con gli occhi sbarrati.
«Hai capito
bene. O glielo dici tu di tua spontanea volontà, o lo
farò io».
«Non gli parlerò mai di questa cosa».
«Allora mi
dispiace, ma non mi lasci altra scelta», esclamò
Bill, distogliendo lo sguardo dal bassista e avviandosi verso la porta
del bagno per uscire.
Ma improvvisamente
il moro si sentì afferrare con forza per un polso e fu
così costretto a fermarsi. Georg lo attirò a
sé, lo strinse con forza e lo mise con le spalle al muro,
sbattendolo involontariamente con troppa violenza. Bill si
lasciò scappare un piccolo gemito di dolore dalla bocca.
«Tu non gli
dirai proprio un bel niente, io non voglio che lo sappia! Questi non
sono affari tuoi, Bill, quindi, per una volta nella tua vita, tieni la
bocca chiusa!», urlò Georg con rabbia, continuando
a bloccare il cantante contro il muro.
Bill lo
fissò negli occhi spaventato, ma non fece comunque
resistenza. «Georg, mi fai male», si
lamentò appena, cercando di non mostrargli gli occhi lucidi.
Il bassista
però li notò lo stesso e si rese improvvisamente
conto di aver esagerato. In fondo, Bill voleva solo aiutarlo e si
preoccupava per lui, vedendolo stare così male.
Non
merita di essere trattato così.
Georg
allentò la presa attorno alle spalle del moro e
addolcì l'espressione del viso. «Scusami. Non
volevo spaventarti così, né tantomeno farti del
male», disse a bassa voce e tristemente. «Ma per
favore,
Bill... non dire niente a tuo fratello. Ti prego».
Bill lo
guardò negli occhi e sospirò, annuendo poi
lentamente col capo. «Okay, non dirò
nulla», disse piano e accennando un piccolo sorriso.
Il bassista
posò gli occhi su quelle labbra leggermente rivolte verso
l'alto: erano così uguali a quelle che desiderava ormai da
tempo che per un momento si illuse veramente di avere un'altra persona
davanti. Tornò a fissare serio il volto di Bill,
osservandone ogni piccolo particolare.
Portò una mano
sulla guancia del cantante e gliela accarezzò leggermente.
«Siete
così simili tu e Tom...», sussurrò
piano.
Con estrema lentezza
si avvicinò al viso del moro, unendo i loro respiri e
premendo infine le labbra su quelle di Bill. Erano così
morbide e carnose.
Il cantante non protestò: quel bacio non
significava nulla e, attraverso il respiro spezzato dell'amico, poteva
sentire tutto il suo dolore e
la sua frustrazione. Stava già abbastanza male, non
voleva ferirlo ancora di più. Perciò lo
lasciò fare, nonostante quel bacio non valesse niente per
nessuno dei due.
Ad un tratto, Georg si staccò dal moro,
tenendo lo sguardo basso. L'espressione di Bill
era seria e, nonostante il bassista non lo stesse guardando negli
occhi, lui continuava comunque a fissare le palpebre abbassate di
Georg. Con una mano
spostò leggermente il viso dell'amico di lato e
avvicinò così le labbra al suo orecchio.
«Sì, siamo simili... ma io non sono
lui», sussurrò piano Bill.
Georg strinse forte
gli occhi e si lasciò scappare un singhiozzo dalle
labbra.
Quella situazione lo stava distruggendo sempre di
più, era insopportabile.
Si lasciò andare ad un
pianto quasi disperato, appoggiando il capo sulla spalla di Bill e
singhiozzando forte. Il moro cominciò a scendere piano verso
il
basso, per sedersi a terra, portando l'amico con sé. Si
sedettero e Bill continuò ad abbracciare forte il bassista,
rimanendo in silenzio e lasciandolo sfogare liberamente.
«Bill... io
sto male, sto sempre più male per lui»,
riuscì a dire Georg fra i singhiozzi.
Bill gli
accarezzò lentamente i capelli e sospirò
malinconico. «Lo so, Georg. Lo so», gli
sussurrò piano.
Sapeva che quelle non
erano certo le parole più confortevoli e adatte in quel
momento, ma non sapeva che altro dire. Lui non si era mai innamorato di
nessuno, non poteva comprendere fino in fondo il dolore provato
dall'amico. Poteva soltanto stargli vicino e cercare di alleviarglielo
almeno un po'.
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Capitolo 2 *** Lies and kisses ***
02. Lies and kisses
Georg e
Bill uscirono dal bagno proprio quando Tom vi stava entrando. Il
chitarrista, vedendo l'amico con gli occhi gonfi e rossi,
corrugò la fronte confuso, poi guardò il gemello
curioso,
cercando di mandargli messaggi telepatici con la mente. Bill distolse
subito lo sguardo, fingendo che fosse tutto normale, anche se non
riuscì a convincere il fratello più di tanto.
«Ehm... io devo chiedere assolutamente una cosa a Gustav,
prima
che me ne dimentichi. Comunque sbrigatevi, fra poco prendiamo il taxi e
torniamo in albergo», disse il cantante, avviandosi per il
lungo
corridoio del bagno.
In pochi secondi sparì dalla vista dei suoi due compagni, i
quali rimasero soli e in silenzio. Entrambi si sentivano imbarazzati,
soprattutto Georg, e per questo non riuscirono a proferire parola per
svariati secondi.
Alla fine, però, il bassista prese coraggio e
alzò il capo per guardare Tom in faccia.
«Senti, volevo chiederti scusa per prima, ma... il fatto
è
che in questi giorni sono un po' nervoso e il più delle
volte perdo il controllo per niente».
«Non ti preoccupare, non me la sono presa. Sono rimasto
soltanto
un
po' stupito, ma niente di più», gli rispose calmo
il
rasta,
accennando ad un sorriso rassicurante.
Georg annuì col capo, poi lui e Tom si
avviarono per
il corridoio del bagno.
Ad un certo punto, il chitarrista
appoggiò una mano sulla spalla del bassista e questo venne
percorso per tutto il corpo da un brivido.
Cazzo, anche solo sfiorandomi mi fa questo effetto...
pensò Georg, sudando freddo.
«Come mai hai gli occhi così rossi? Per caso, Bill
ti ha
violentato in bagno?», scherzò Tom, ridacchiando e
dandogli delle piccole pacche affettuose.
Anche se l'aveva buttata lì come una battuta, Georg non
poté far a meno di arrossire fino alla punta dei capelli,
soprattutto se ripensava a quello che era veramente successo pochi
minuti prima in quel bagno.
Si diverte pure a
prendermi per il culo questo maledetto
pensò nella sua mente, ridacchiando fra
sé
e sé. Beh,
adesso allora mi diverto un po' anch'io.
«Sì, più o meno. Una cosa
simile»,
borbottò il bassista con voce indifferente, ridendo
già
come un matto nella sua mente.
Tom sbarrò improvvisamente gli occhi e si voltò a
guardarlo con un'espressione sconcertata. «Come,
scusa?»,
squittì con voce acuta.
Georg sventolò una mano in aria, continuando a
mantenere
un'espressione totalmente assente, come se la cosa non fosse poi
così
importante. «Forse è meglio dire che io ho fatto
qualcosa
a lui. Ma non divulghiamoci in discorsi inutili e sbrighiamoci,
altrimenti quegli altri due ci romperanno fino alla morte»,
continuò con estrema calma.
Il rasta invece era sempre più sconvolto da quel discorso e
voleva assolutamente saperne di più. «No,
aspetta un
secondo! Che vuol dire...?».
«Niente, Tom. Non ti preoccupare».
«Andiamo, Georg! Non mi puoi buttare lì una cosa
del genere e poi pretendere che io stia zitto!».
Georg gli lanciò uno sguardo confuso.
«Perché tanto
interessato? Ti darebbe fastidio, se fra me e tuo fratello ci fosse
qualcosa?».
Tom si fermò in mezzo al corridoio e continuò a
fissare
l'amico, mentre avanzava davanti a lui. Era completamente confuso, non
riusciva più a rimettere a posto le idee. Non rimase stupito
tanto per il fatto che forse Georg e Bill potessero essere gay, ma lo
confuse il sapere che fra loro due, proprio fra loro, ci fosse
qualcosa
di più di una normalissima e comunissima amicizia fra
ragazzi.
Georg e... mio
fratello...
«Dai, su, vieni avanti. Che fai lì impalato come
un
baccalà?», lo chiamò Georg, voltandosi
e inarcando
un sopracciglio, mentre fissava l'espressione da perfetto ebete del
chitarrista.
Tom scosse la testa e raggiunse l'amico, non rivolgendogli la
parola, ma continuando comunque a rimanere assorto nei suoi pensieri.
Lentamente
raggiunsero gli altri due componenti della band e poi, tutti insieme,
presero un taxi, che li riportò all'albergo in cui
alloggiavano
già da due giorni.
Georg continuava ininterrottamente ad andare su e giù per la
sua stanza, mordicchiandosi un'unghia, più nervoso che
mai.
Ho fatto una cazzata
continuava a pensare. Se
Bill viene a sapere quello che ho detto a Tom, mi uccide.
TOC TOC
Qualcuno bussò improvvisamente alla porta, facendo
inevitabilmente sobbalzare il povero bassista, che continuava a non
darsi pace per la sciocchezza che aveva fatto poco prima nel backstage
del concerto. L'espressione sorpresa con cui andò verso la
porta si tramutò in un'espressione completamente sconvolta
appena l'aprì: Tom era in piedi davanti a lui e aveva
indosso solo i suoi jeans extralarge e il solito cappellino in testa;
il
petto era completamente nudo e in bella mostra. Georg, sentendosi
improvvisamente avvampare in viso, deglutì rumorosamente e
dischiuse appena le labbra, assumendo un'espressione da completo
idiota. Il busto di Tom era perfettamente definito: il
ventre piatto, i fianchi stretti, i pettorali appena
pronunciati. Per Georg quella era l'ottava meraviglia.
Porca puttana...
pensò agitato, quando si accorse che avrebbe rischiato di
sbavare davanti al rasta da un momento all'altro. Un po' di contegno, accidenti!
Si riscosse un poco e cercò di guardare solo il viso del
chitarrista. «Ciao, Tom. Hai bisogno di qualcosa?»,
gli chiese con voce tremante.
Tom annuì deciso. «Sì, ho bisogno di
parlarti un attimo. Ma pensi di farmi entrare prima, o vuoi lasciarmi
qui fuori mezzo nudo tutto il tempo?», esclamò
scettico, indicando il suo corpo.
«Ma, scusa, perché non ti sei vestito prima di
venire qui?».
«Avevo troppo caldo e non ho certo intenzione di scoppiare
perché tu non ti decidi a farmi entrare dentro».
Georg scosse il capo esasperato e finalmente invitò il rasta
ad entrare con un veloce gesto della mano.
Tom andò subito a
sedersi sul letto e aspettò che il bassista chiudesse la
porta e gli prestasse attenzione, prima di parlare. «Senti,
è una cosa importante e voglio che tu sia
sincero con me», iniziò serio. «Tu e
mio fratello... siete solo amici, oppure c'è
dell'altro?», concluse, scrutando attento il viso dell'amico,
fermo in piedi davanti a lui.
Georg sussultò appena, ma Tom non lo notò, per
fortuna. E adesso cosa
gli dico?
Se ritiro quello che ho detto oggi, poi lui mi chiederebbe
perché gli ho raccontato questa balla ed io, allora, non
saprei cosa rispondere. Se invece confermo tutto, non solo non ho la
minima idea di come potrebbe reagire Tom, ma, successivamente,
verrò pestato a sangue dall'altro gemello. Che bella vita.
«Ehm...», cominciò a dire con la voce
che
tremava. «Io e lui... beh... noi...».
Tom continuava a fissare intensamente il viso dell'amico, che
continuava
a farfugliare, aspettando.
«Noi stiamo insieme», disse infine il bassista,
pentendosi immediatamente di ciò che aveva appena finito di
pronunciare.
Tom sbatté più e più volte le
palpebre, cercando di comprendere appieno le parole di Georg. Non
riusciva a capire perché, ma quella confessione gli dava un
certo senso di fastidio, ma non perché l'idea di avere un
fratello e un amico gay lo disgustasse, ma proprio per il fatto
che loro
due stessero insieme.
«Gustav lo sa?», chiese il rasta, fissando il
pavimento.
«No, non lo sapeva nessuno, fino ad ora», gli
rispose
Georg, mordendosi la lingua per punirsi di tutte le bugie che stava
sparando una dietro l'altra.
«Bene. Beh, non me lo aspettavo, ma... se voi
siete felici così, allora per me non c'è alcun
problema», disse Tom, non troppo convinto di quello che stava
dicendo.
Georg annuì col capo, incapace di aprire bocca,
perché sicuro di buttare fuori un'altra bugia.
Il
chitarrista si alzò dal letto e si avvicinò alla
porta. Prima di aprirla, però, si soffermò a
scrutare gli occhi di Georg.
«Trattalo bene il mio
fratellino. E poi, un'altra
cosa...», disse calmo, avvicinando poi le labbra all'orecchio
del bassista.
Georg cominciò a sudare freddo e il suo cuore a battere
impazzito. Cazzo...
Quando sentì il respiro del rasta vicinissimo al suo
orecchio, respirò affannosamente.
«Se volete pomiciare, non c'è bisogno che vi
rinchiudiate in bagno», sussurrò malizioso,
fissando intensamente il profilo del viso dell'amico.
Detto ciò, aprì la porta e se ne andò
in silenzio, senza aggiungere altro.
Georg scivolò a terra,
sfregando la schiena contro la porta chiusa. Sono fottuto
pensò, mettendosi una mano sulle guance bollenti e rosse per
la vergogna.
So che mi
ucciderà, ma devo assolutamente dirlo a Bill.
«Mio
caro e buon amico Georg, tu sei... UNA GRANDISSIMA TESTA DI
CAZZO!».
Le urla di Bill avrebbero sicuramente svegliato tutto
l'albergo, ma Georg non avrebbe comunque potuto fare niente per
evitarlo:
aveva combinato lui quel disastro e ne doveva pagare le
conseguenze.
«Bill...».
«BILL UN CORNO! BRUTTO...», e via con l'ennesima
sfilza
di insulti per il povero bassista.
Erano cinque minuti buoni che andavano avanti così: Bill,
completamente fuori di sé, che a momenti si strappava
persino i
capelli da solo, e Georg, seduto sul letto del cantante con lo sguardo
basso e mortificato. Naturalmente il moro non l'aveva presa per niente
bene la notizia del suo presunto "fidanzamento" con Georg e in quel
momento stava distruggendo la sua stessa camera da letto, tirando via
ogni
cosa che gli passava per le mani per evitare che la sua ira si
abbattesse completamente sul bassista.
«Bill, calmati un secondo, proviamo a...».
«CALMARMI? MI STO TRATTENENDO DALL'AMMAZZARTI CON LE MIE
STESSE MANI, GEORG, COME FACCIO A CALMARMI?».
«Suvvia, non è poi una cosa così
grave».
Gli occhi del cantante si spalancarono inorriditi fino al massimo
possibile, fissando con odio il viso del bassista.
Forse non avrei
dovuto dirlo pensò Georg, improvvisamente
spaventato dall'amico.
Bill fece qualche passo in avanti e, dopo aver emesso un verso alquanto
animalesco dalla propria gola, si scagliò contro il bassista
sul
letto. Georg finì con la schiena completamente appoggiata al
materasso, con Bill seduto sopra di lui, che tentava in tutti i modi di
stringergli il collo. Il bassista bloccò le mani del
cantante, che continuò però a dimenarsi e ad
urlare
come
un ossesso, fino a che non ebbe più aria nei polmoni.
«Bill, calmati!».
«IO... IO...».
«Stai diventando blu!».
Bill si bloccò improvvisamente e cominciò ad
ansimare
forte, cercando di prendere più aria possibile: quella
specie di
sfogo da psicopatico lo aveva calmato almeno un po'.
Scese dallo
stomaco di Georg e gli si sedette accanto, continuando a fissarlo con
sguardo truce. «Tu forse non ti rendi conto»,
riuscì
a dire,
nonostante il respiro fosse affannato. «Io passo giorni
interi a
difendermi dalle accuse di omosessualità che mi
arrivano in lungo e in largo e tu mi tiri in mezzo con questa
storia?», esclamò infuriato, costringendo il
bassista a
distogliere lo sguardo per non sentirsi ancora più in colpa
di
quanto già non fosse.
«Mi dispiace, Bill. Io davvero non so come abbia potuto
raccontare una bugia simile, ma cerca di capirmi... Sono stufo di
nascondere quello che provo per Tom e voglio cercare di farglielo
capire, in un modo o nell'altro».
«Ah, sì, certo. E immagino che il modo migliore
per
comunicarglielo sia fargli credere che io e te abbiamo una storia. Ma
come cavolo ragioni?», esclamò con voce
stridula il
cantante, sbarrando gli occhi scettico.
Georg si grattò la nuca sconsolato. «Forse
è stata
solo la mia immaginazione, ma, quando gli ho detto che stavamo
insieme...».
«Quanto vorrei ucciderti».
«Ehm... sì, comunque... Lui mi ha guardato in un
modo che
non sono riuscito a decifrare e, a dirla tutta, era anche fin troppo
serio. E quindi io pensavo di indagare un po'».
«Indagare su cosa, scusa?», chiese Bill, confuso da
quel discorso.
«Beh, volevo capire se lui è minimamente
interessato
a me. Niente è impossibile».
Nella voce di Georg
c'era
davvero una nota di speranza che fece ammorbidire un po' il cantante.
«Okay, ma in tutta questa faccenda io che cosa
c'entro?»,
chiese poi con una punta di acidità nella voce, ma cercando
comunque di non soppesarla troppo.
Il viso di Georg divenne improvvisamente rosso come un pomodoro
e cominciò a tormentarsi le dita delle mani
nervoso.
«Ecco, io... volevo provare a mettere insieme una specie di
falsa davanti a lui e ho
bisogno del tuo aiuto».
«Oh, no, te lo puoi scordare, amico! Punto primo: io non sono
gay.
Punto secondo: non prenderla male, ma non sei decisamente il mio tipo.
Punto terzo: non ho intenzione di mettermi in ridicolo di fronte a mio
fratello. Sai quello quanto mi prenderà in giro?».
«Dai, Bill, non ti sto chiedendo di venire a letto con
me».
«E per fortuna!».
«Si tratta di una cosa che durerà per poco tempo,
te lo
prometto. Se alla fine vedrò che a Tom non importa
nulla, allora
dirò la verità e ne risponderò da me.
Tu devi solo
reggermi il gioco, fingere un pochino».
Bill si alzò dal letto e cominciò ad andare
avanti e
indietro per la stanza, più nervoso che mai. Sapeva di
essere
troppo buono e che alla fine avrebbe sicuramente ceduto.
«E,
dimmi un po'... cosa dovrei fare, esattamente, per reggerti il
gioco?», chiese con una punta di paura nella voce,
immaginando
già da solo a cosa stava andando incontro.
Georg alzò e abbassò le spalle di scatto.
«Adesso non lo so di preciso.
Vedrò che mi
verrà in mente sul momento. Tu dovresti solo mostrarti
disponibile quando, per esempio, ti faccio una carezza».
«Mi devi pure accarezzare davanti a Tom, come se fossi
un cane?».
«Direi di sì, altrimenti non vedo come potrei
verificare se gli piaccio o meno».
«Okay okay, evito di commentare quello che dici,
perché, se fosse per me, ti ucciderei qui in questo
preciso istante».
Il bassista si lasciò scappare una piccola risatina
divertita. Bill
è sempre così esagerato.
«Si è fatto un po' tardi ed è meglio
andare a
dormire», disse Georg, sentendosi improvvisamente molto
stanco.
«Io torno nella mia stanza».
Bill annuì col capo, mantenendo una certa espressione
corrucciata. «Solo un'ultima cosa, Georg. Sappi che, se mai
mi
chiederai di farti un favore, io non te lo farò di certo.
Questo
qui che ti faccio adesso ne vale almeno mille».
«E se un giorno a tavola ti chiedessi di passarmi il
sale?».
«Io non te lo darò!».
Georg si trattenne dallo scoppiare a ridere, poi si alzò dal
letto del cantante e si diresse verso la porta. Una volta sulla soglia,
però, si voltò ancora verso il moro.
«Buonanotte,
amore mio»,
esclamò divertito, lasciandosi andare alle risate.
«IMBECILLE!».
Il bassista riuscì ad uscire dalla stanza appena in tempo,
prima
che Bill potesse tirargli addosso una scarpa che si era appena tolto.
«Buongiorno, ragazzi. Dormito bene stanotte?».
Gustav era il
solito mattiniero allegro, attivo già di mattina presto.
Bill, Tom e Georg, invece, avevano delle facce simili a quelle dei
mostri, completamente assonnati e senza un minimo di energia in corpo:
David li aveva buttati giù dal letto molto presto quella
mattina
per uno dei soliti servizi fotografici e loro, essendo andati tutti a
letto ad un'ora tarda, in quel momento rischiavano di cadere a terra
addormentati da un momento all'altro.
«Io ho dormito così così»,
rispose Tom, sbadigliando rumorosamente.
«Io abbastanza bene, invece», rispose Georg,
stropicciandosi gli occhi.
«Io non ho proprio dormito!», esclamò
Bill, lanciando
un'occhiata infuocata al bassista, che sedeva di fianco a lui nella
hall dell'albergo.
Tom notò quell'occhiata del fratello e cominciò a
fare
chissà quali pensieri strani su Bill e Georg.
«Immagino
già il perché», commentò
sarcastico,
guardando ironicamente sia il gemello che il bassista.
Georg colse subito l'occasione per mettere in atto il suo piano.
«Già, ci puoi giurare»,
esclamò a voce fin
troppo alta, ammiccando maliziosamente verso Bill.
Il moro arrossì inevitabilmente: doveva farci ancora
l'abitudine
a quella cosa e far finta di fare giochetti erotici la notte con Georg
lo imbarazzava tantissimo. Tenne gli occhi bassi per non guardare
l'espressione del fratello, sorridendo appena per reggere un po' il
gioco all'amico.
Tom sorrise a Georg, ma era un sorriso forzato
e
tirato. «Contenti voi», borbottò poi
inespressivo,
girandosi verso Gustav. «Ma David non arriva più?
Siamo qui già da venti minuti buoni e lui non si
è ancora
visto».
«Ha detto che ci avrebbe chiamati appena fosse arrivata la
macchina blindata», gli rispose il batterista, scrutando
attentamente la poca gente attorno a loro.
Neanche farlo apposta, in quel momento il manager arrivò a
passo
svelto verso di loro, facendo segno di alzarsi dalle sedie e di
seguirlo fuori dall'albergo.
«Inizia l'ennesima giornata stressante, ragazzi. Speriamo
che,
almeno dopo i vari servizi fotografici e le interviste, ci facciano
riposare un po'», borbottò Tom, alzandosi dalla
sedia e
prendendo il proprio zaino.
Il resto della band lo seguì e insieme si avviarono verso
l'uscita dell'albergo.
Mentre camminavano, Georg si avvicinò a Bill e gli prese lo
zaino dalle spalle. «Lo porto io», disse,
sorridendogli e
assicurandosi che Tom li stesse guardando.
Effettivamente li stava degnando di qualche occhiatina curiosa, ma non
era poi così interessato. Allora il bassista fece molta
attenzione a non farsi vedere da Gustav, che camminava tranquillo a
capo di tutto il gruppo, e sfiorò una mano di Bill,
facendolo sussultare per la sorpresa.
Il moro era già vittima
delle
torture psicologiche dell'amico.
Ma perché,
perché ho accettato di stare al suo gioco?
pensò quasi con disperazione, mentre si accingeva a fingere
di
essere compiaciuto da quel piccolo contatto con la mano del bassista.
Tom vide le mani dei due ragazzi sfiorarsi un paio di volte e ogni
tanto notava le unghie di Georg stuzzicare le nocche
del
fratello, graffiandogliele in modo provocatorio.
Tutto questo
è ridicolo pensò nella sua mente,
sorpassando i due e affiancandosi a Gustav con un'espressione del viso
infastidita.
Georg non se ne rese neanche conto, ma sorrise soddisfatto a quel gesto
del rasta, anche se aveva ancora molti dubbi in testa.
Bill, invece, si
sentì sollevato dall'improvviso passaggio in avanti del
gemello
e senza farsi vedere da lui, diede una violenta sberla sul braccio del
bassista. «Datti un contegno!».
«Basta! Datemi qualcosa da bere, o da mangiare,
purché sia
ipercalorico!», si lamentò ad alta voce Gustav.
La giornata che avevano dovuto affrontare lui e il resto della band era
stata tutt'altro che rilassante: interviste, servizi fotografici,
comparse televisive... Neanche il Presidente degli Stati Uniti in
persona era così occupato come loro. Seduti nel
camerino
dell'edificio in cui avevano appena finito l'ultimo servizio
fotografico, cercavano tutti di rilassarsi almeno dieci minuti,
respirando pesantemente e asciugandosi il sudore dalle fronti bagnate:
in quei giorni faceva veramente molto caldo.
«Io non ho la forza di andarti a prendere niente, Gustav,
sono
stremato. C'è una macchinetta per le bevande al piano di
sotto,
perché non vai a prendere qualcosa
lì?»,
gli propose
Tom, socchiudendo gli occhi.
«Non so se arriverò vivo a destinazione, ma non ce
la
faccio davvero più, devo assolutamente bere qualcosa di
fresco.
Torno fra... un'ora. Oppure non torno proprio».
E così dicendo, Gustav uscì dalla stanza,
trascinandosi per tutto il tragitto dal divano alla porta del camerino.
«Che esagerato», borbottò fra
sé e sé il chitarrista.
Passò qualche istante di silenzio in cui Georg, seduto sul
divano accanto a Bill, venne colpito da un'improvvisa idea assurda: lui
e i gemelli erano da soli nella stessa stanza e nessuno sarebbe potuto
venire a disturbarli. Era l'occasione buona per mettere in atto la
sua messa in scena con Bill davanti a Tom.
Piano il bassista si
avvicinò ancora di più al cantante e gli mise una
mano
sulla coscia. Quest'ultimo sobbalzò, preso alla sprovvista,
ma
si trattenne dallo schiaffeggiare in quello stesso istante l'amico. Tom
si accorse di quel piccolo gesto e aprì piano un occhio per
osservare di sottecchi la scena che aveva davanti.
«Sei stanco?», chiese improvvisamente Georg,
rivolto
al moro.
«Un po'», rispose un po' irrequieto Bill, fissando
sospettoso lo sguardo stranamente malizioso dell'amico.
«So io come rilassarti, piccolo»,
sussurrò
poi il
bassista, prendendo fra le dita il mento del cantante e avvicinando poi
il viso al suo.
Bill sbarrò gli occhi sconvolto, proprio mentre sentiva le
labbra
di Georg posarsi sulle sue e cominciare a muoversi fameliche. Questo non era previsto
nel piano! Non mi aveva detto che avrei dovuto baciarlo!
pensò con rabbia e disgusto il cantante.
Il bassista, mentre bloccava l'amico contro il divano e continuava a
baciarlo con foga, lanciò una piccola occhiata al rasta,
seduto
di fronte a loro: li stava guardando con gli occhi sbarrati e
increduli, ma ciò che trovò in quello sguardo non
fu
disgusto, ma bensì fastidio.
Fastidio... per cosa?
si
chiese Georg, cercando di capire se Tom fosse solo geloso per il
fratello o per
altro.
Decise di intensificare il bacio e, senza troppi complimenti,
leccò prima il labbro inferiore di Bill, poi introdusse la
lingua dentro la sua bocca.
Il moro spalancò ancora di
più gli occhi e cercò di opporsi, emettendo
piccoli mugugni e cercando di far capire al bassista che quello era
troppo per lui. La
lingua no!
Questo è troppo!
Ma, evidentemente, i versi di Bill dovevano assomigliare di
più a
gemiti di piacere, perché vide il gemello arrossire
violentemente e mettersi una mano sugli occhi, come per
oscurarsi il volto.
Georg si staccò dal moro e fece finta di
abbracciarlo per potergli tranquillamente bisbigliare alcune parole
all'orecchio, senza che Tom sentisse. «La vuoi smettere di
dimenarti così?».
«E tu piantala di ficcarmi la lingua in gola! Che
schifo!».
«Dovevo pur inventarmi qualcosa».
«Allora adesso inventati qualcosa per uscire
di qui! Non ho intenzione di continuare a farmi mangiare la faccia da
te!», sibilò minaccioso il moro, facendo quasi
tremare Georg per la paura.
Il bassista pensò velocemente ad una soluzione e quasi
subito gli venne in mente la scusa del bagno. Si alzò piano
dal divano e prese Bill in braccio in modo molto cavalleresco, poi si
voltò verso Tom e gli sorrise maliziosamente.
«Io
e tuo fratello andiamo a sbrigare una piccola faccenda in
bagno. Torniamo fra poco».
Bill, che già era rimasto sconvolto quando l'amico lo aveva
preso in braccio, divenne rosso come un pomodoro e si trattenne dal
tirare un pugno in faccia al bassista.
In tutta risposta, Tom sorrise, anche se il suo sorriso risultava
più come una smorfia infastidita.
«Potete anche
rimanere qui a scopare, non c'è alcun problema. Tolgo io il
disturbo».
E detto ciò, si alzò dalla
poltrona e, dopo aver lanciato uno sguardo infuriato ai due compagni,
uscì fuori dalla stanza, sbattendo la porta con violenza.
Georg buttò letteralmente Bill sul divano, senza troppi
complimenti, e si precipitò fuori dalla stanza,
all'inseguimento
del rasta.
Il moro emise un verso animalesco e infuriato più che mai,
cercando di risistemarsi i capelli disordinati. «IO... IO LI
UCCIDO TUTTI E DUE!».
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Capitolo 3 *** The party ***
03. The party
«Tom, aspetta!».
Georg cercò
di aumentare la
velocità del passo per raggiungere il chitarrista, che
evidentemente non aveva gradito tanto lo spettacolo dato poco prima
dal fratello e dal bassista.
«Tom, ti vuoi fermare?».
All'ennesimo richiamo,
finalmente Tom si fermò.
«Che vuoi?»,
chiese infastidito, voltandosi di
scatto verso l'amico.
«Che ti è preso?».
Il chitarrista sbarrò gli occhi scettico e
allargò le
braccia. «Che mi è preso? Secondo te? Sai, non
è
uno dei miei passatempi preferiti guardare due ragazzi che si saltano
addosso!».
«Ma sei stato tu a dirmi che potevamo anche evitare
di
andare in bagno a...».
«Sì, certo, ma non ti ho detto che potevate fare
sesso
davanti a me!», continuò il rasta, alzando sempre
di
più il volume della voce e interrompendo il discorso del
bassista.
Georg scrutò silenziosamente gli occhi dell'amico e in quel
momento si rese conto che forse aveva un tantino esagerato, sia con
Bill che con Tom. Ma c'era sempre quella domanda che lo assillava: a
Tom faceva semplicemente schifo vedere il fratello e l'amico baciarsi,
oppure era geloso di uno dei due? E, se sì, di chi in
particolare?
Devo assolutamente
venirne a capo pensò il bassista deciso.
«Senti, mi dispiace. Ti prometto che non succederà
più».
I due amici si fissarono negli occhi in silenzio per alcuni secondi,
nascondendo dentro di loro mille parole e verità che in quel
momento sarebbe stato meglio tirare fuori.
Georg deglutì a fatica, mentre Tom abbassava gli occhi a
terra. Diglielo ora.
Digli quello che provi per lui e togliti dai casini una volta per tutte
continuava a ripetersi il bassista nella propria mente.
Aprì la bocca, ma non riuscì a pronunciare una
singola parola.
Cazzo, diglielo.
DIGLIELO!
«Tom, tu mi...».
«Ehi, voi due! È da ben venti minuti che vi
cerco!».
La voce severa e profonda di David rimbombò nel corridoio
del
bagno. Tom e Georg sobbalzarono spaventati: erano talmente presi dai
loro
problemi, che non si erano neanche accorti dell'arrivo del loro manager.
Il chitarrista si sistemò il cappellino in testa, cercando
di
ricomporsi almeno un po'. «Scusa, David, ci eravamo fermati a
parlare e abbiamo perso la cognizione del tempo».
Georg annuì col capo, maledicendosi mentalmente per non aver
sfruttato un'occasione importante.
«Okay okay, non perdiamo altro tempo prezioso. Seguitemi,
devo
dire
una cosa a voi e anche agli altri due riguardo a stasera»,
esclamò David, facendo strada ai due ragazzi.
Tom inarcò un sopracciglio. «Anche stasera abbiamo
da
fare? Ma siamo stati sballottati in giro tutto il giorno!»,
si
lamentò a voce alta.
«Non riguarda il lavoro. Anzi, penso che questa cosa possa
addirittura piacervi».
«Una festa? Per cosa?».
I quattro ragazzi osservavano sbigottiti il loro manager, seduto di
fronte a loro nel camerino in cui prima si erano concessi qualche
minuto di riposo: non capitava mai che David concedesse loro una serata
di svago.
«Beh, per niente. Volevo solo dirvi che stasera
potete
stare tutti nella casa ad Amburgo da soli, festeggiando il primo ed
unico giorno libero dell'anno che vi concederò.
È una
specie di festa, no?».
Tutta la band rimase a bocca aperta e in silenzio a fissare David, come
se fosse un alieno.
«Guardate che, se preferite lavorare, chiedo subito
un'apparizione televisiva in un...».
«NO! VA BENISSIMO!», esclamarono all'unisono i
quattro ragazzi.
David sorrise divertito, alzandosi dalla poltrona.
«Andate, allora. Ho già chiamato una macchina che
vi porterà a casa».
Bill scattò subito in piedi, alzando un indice
verso l'alto.
«Aspettate! Prima dobbiamo andare a comprare una
cosa».
Gustav inarcò un sopracciglio confuso. «Che
cosa?».
«I popcorn!».
«Bill, mi spieghi per quale stupido ed insulso motivo
abbiamo
comprato anche i palloncini a forma di cuore?».
Tom camminava
su
per le scale della loro casa, cercando di non far cadere a terra tutti
i sacchetti di popcorn e palloncini che aveva in mano. Dietro di lui,
Gustav e Georg facevano altrettanto, mentre Bill
saltellava in testa al gruppo, con le mani completamente libere.
Certo, perché
il principino non può rischiare di spaccarsi un'unghia
pensò il chitarrista, cercando di controllare i suoi impulsi
omicidi verso il gemello.
«Che razza di domande. Perché dobbiamo fare un
pigiama-party in piena regola!», gli rispose il cantante
stizzito.
«Con i palloncini a forma di cuore?».
«Preferivi quelli con la faccia di Topolino stampata
sopra?».
«No, mai! Topolino no!».
«E allora non ti lamentare».
Tom si lasciò sfuggire uno sbuffo esasperato dalla bocca,
lanciando un'occhiata a Georg, che nel frattempo gli si era affiancato.
La cosa più strana fu il fatto che il bassista, non appena
si
ritrovò a fissare gli occhi dell'amico, divenne
incredibilmente
rosso.
Che fa? Arrossisce?
si chiese Tom, alquanto confuso da quella reazione.
«Georg, va tutto bene?», gli chiese cauto,
inarcando un sopracciglio.
Il bassista a quella domanda divenne ancora più rosso.
«Certo! Benissimo! Perché?», disse
troppo in fretta
e con l'agitazione che traspariva dall'espressione del volto.
«Niente, chiedevo soltanto», concluse il
chitarrista,
deciso a non mettere ancora più in imbarazzo il compagno.
Forse è
arrabbiato con me. Ma non mi sembra di avergli fatto niente
pensò nella sua mente.
Intanto erano arrivati davanti alla porta di casa.
Bill l'aprì
e corse subito dentro, buttandosi sopra al primo divano che
trovò lì vicino. «Ragazzi, quando
cominciamo a
festeggiare?», chiese ai ragazzi, mentre questi erano intenti
ad
appoggiare tutti i palloncini e i popcorn sul tavolo della cucina.
Gustav si asciugò il sudore dalla fronte con un braccio.
«Prima prepariamo i popcorn e gonfiamo i
palloncini,
poi iniziamo», consigliò il batterista, prendendo
uno dei
tanti sacchetti con i palloncini. «Io e te pensiamo a questi,
okay?».
Bill si mise a sedere e batté le mani felice.
«Sì,
benissimo! Gonfiamo i palloncini!», urlò euforico.
Gustav sorrise ed annuì con il capo, poi si voltò
verso
Tom e Georg. «Voi due pensate ai popcorn?», chiese
loro,
scrutandoli curioso, mentre i due si scambiavano occhiate preoccupate.
«Ehm... okay, non c'è problema»,
esclamò Georg, non del tutto convinto.
Tom osservò confuso il viso teso dell'amico. Ma perché fa
così? È insopportabile.
«Bene. Diamoci da fare allora», concluse Gustav,
andando a sedersi di fianco a Bill.
Georg lanciò di sfuggita un'occhiatina a Tom, prima di
girarsi e
avviarsi verso la cucina. Dopo poco, anche il chitarrista lo
seguì, oltrepassando la soglia della stanza e chiudendo la
porta
dietro di sé, sbattendola forte.
Gustav guardò perplesso quel pezzo di legno scuro.
«Ma che hanno quei due?».
Bill strappò la plastica di un sacchetto e prese il primo
palloncino in mano. «Eh, l'amore...»,
commentò
indifferente, poco prima di metterselo in bocca e soffiare.
Il batterista spalancò gli occhi e
corrugò
la fronte. «Eh?».
La porta sbatté violentemente e questo fece sobbalzare
Georg,
preso alla sprovvista da quel rumore così forte. Si
voltò
e alle sue spalle si ritrovò un Tom alquanto incazzato, che
teneva i pugni stretti e la fronte corrucciata.
«Allora? Adesso che siamo soli, mi vuoi dire che cosa ti
prende?», sibilò il chitarrista arrabbiato.
Il bassista corrugò la fronte confuso. «Che cosa
mi
prende? Niente, mi sembra di essere il solito di sempre»,
commentò tranquillo.
«Oh, certo. E allora perché ti comporti come se ti
avessi fatto qualcosa?», continuò Tom infuriato.
«Io non ce l'ho con te, davvero. Sarà stata solo
una tua
impressione», disse calmo, girandosi dalla parte opposta per
mettersi a fare i popcorn.
Ma fu costretto subito a rigirarsi: Tom lo aveva raggiunto con pochi
passi e, dopo averlo afferrato per un braccio e costretto a guardarlo
in faccia, lo fronteggiò furioso.
«Piantala di
raccontarmi
stronzate, Georg! Mi sono veramente stufato di essere preso per il culo
da te!», gli urlò in faccia il chitarrista.
Georg rimase basito da quella reazione dell'amico e non
riuscì a
controbattere o ad aprir bocca: non aveva la minima idea di come
rispondergli. Tom lo osservava in silenzio, aspettando che il bassista
parlasse.
È
così maledettamente vicino pensò
Georg, preso all'improvviso da tutt'altri pensieri.
I suoi occhi caddero sulle labbra rosee e carnose del rasta, poi il suo
sguardo ritornò ai suoi occhi e successivamente ancora sulla
bocca.
Voglio baciarti
pensò il bassista, ascoltando il suo cuore battere sempre
più veloce.
Il cervello gli diceva di non farlo, ma il cuore diceva tutto
il contrario.
Cazzo...
E, alla fine, scelse di ascoltare il cervello: non poteva permettersi
un
lusso tanto grande.
Lentamente si scostò da Tom e gli
voltò le spalle in silenzio, prendendo in mano una scatola
di
popcorn e aprendola. Si mosse nella stanza, non guardando
più in
faccia l'amico e prendendo tutto ciò che gli occorreva. Tom
rimase immobile nel punto in cui prima stava parlando con Georg,
tenendo lo sguardo basso, incapace di aggiungere altre parole a quel
discorso. Strinse i pugni con rabbia.
Evitami,
allora, fai pure come ti pare. Non mi importa niente.
La serata non andò avanti molto bene.
Gustav aveva
sicuramente sentito le urla di Tom provenire dalla cucina e in quel
momento si stava facendo chissà quali domande sul possibile
rapporto fra il chitarrista ed il bassista. Georg non aveva il coraggio
di
guardare Tom in faccia e quest'ultimo, di tanto in tanto, gli lanciava
qualche occhiatina ostile. Per il resto, non si erano più
rivolti la parola. L'unico che forse non notava la tensione che si era
creata in casa era Bill: continuava a saltellare felice per il
soggiorno, mangiando e spargendo popcorn dappertutto. I palloncini
gonfiati erano appoggiati sul pavimento in più punti e
ogni
tanto il cantante ne prendeva uno e ci giocava da solo. I tre compagni,
invece, sedavano muti sul divano e contemplavano la televisione in
silenzio, presi però da altri pensieri.
Ad un tratto Bill si
buttò di peso addosso a Georg con fare
scherzoso e lo fece sobbalzare: era così concentrato
sui suoi problemi, che si era preso paura, quando l'amico gli era
saltato
in braccio. Tom li guardò con lo stesso sguardo con cui li
aveva
osservati per tutto il giorno, ma non disse una parola. Georg, in una
situazione come quella, avrebbe sicuramente preso la palla al balzo e
avrebbe messo in scena la sua finta, ma in quel momento non gli andava
affatto: non aveva voglia di fingere ancora un rapporto con Bill e
neanche poteva farlo, a causa della presenza di Gustav.
«Facciamo un gioco?», chiese improvvisamente Bill,
seduto sulle gambe dell'amico.
I tre compagni si voltarono a fissarlo scettici. «Un
gioco?», esclamarono insieme.
Il cantante annuì con la testa, sorridendo: in quel momento
sembrava un
bambino. «Sì, divertiamoci un po', no?
Questo
è un pigiama-party!».
«E cosa potremmo fare, genio?», gli chiese Tom con
un tono di voce infastidito.
Bill si mise un dito sul mento e fissò la stanza con
attenzione: erano seduti su un divano e c'erano tantissimi cuscini...
«Facciamo a botte con i cuscini!»,
esclamò alla fine euforico.
Immediatamente si beccò un'occhiata sconvolta da parte del
gemello. «Stai scherzando, vero?».
Il cantante gli tirò un cuscino addosso e sorrise.
«Ti basta come risposta?».
Tom gli lanciò un'occhiata infuriata, poi prese un cuscino e
si
mise in piedi, preparandosi alla battaglia. «Sei finito,
fratellino!».
Si scagliò contro Bill, colpendolo con il cuscino che aveva
in
mano e parando ciò che il gemello gli tirava indietro. Sul
divano, Gustav e Georg si scambiarono un'occhiata complice, poi due
sorrisetti furbi si disegnarono sulle loro labbra. Afferrarono due
cuscini a testa e si unirono anche loro a quella battaglia.
Per un
momento, ognuno dimenticò i propri problemi e pensarono solo
a
divertirsi l'un con l'altro. Era come se nessuno avesse litigato, come
se nessuno sospettasse niente. Erano semplicemente quattro amici, che
si divertivano insieme come bambini. Persino Tom e Georg giocarono
fra loro, colpendosi con i cuscini. Tutti risero e
continuarono a
combattere, fino a quando una quantità infinita di piume si
levò in aria per tutta la stanza: evidentemente alcuni
cuscini
si erano rotti, ma a nessuno importava più di tanto. Era
più bello così.
Bill e Gustav continuarono a
darsi le
cuscinate fra di loro, Georg, invece, incominciò ad
inseguire
Tom per tutta la stanza, saltando sui divani e sul tavolo. Il
chitarrista rideva e stava al gioco del bassista, scappando e
controllando che l'amico non gli si avvicinasse troppo. Ad un certo
punto, Georg fece un balzo e riuscì ad acciuffarlo,
cingendolo
con le braccia da dietro e facendo cadere entrambi per terra. Tom
continuò a ridere fino a farsi venire le lacrime agli occhi,
mentre il bassista lo osservava sorridente.
Ha una risata
meravigliosa pensò dentro di sé.
Rimase abbracciato a lui e lentamente avvicinò le
labbra al
suo orecchio per sussurrare piano solo poche parole, mentre Tom
continuava a ridere. «Sei bellissimo».
Il tempo di rendersi conto di ciò che aveva appena detto e
venne completamente preso dal panico.
Qualcuno mi dica che non
l'ho detto sul serio.
Tom smise improvvisamente di ridere e si bloccò, non mosse
più neanche un muscolo. Lentamente voltò il capo
verso
Georg, che lo teneva ancora stretto. Lo fissò con stupore,
gli
occhi spalancati e la bocca socchiusa.
Okay, l'ho detto
veramente pensò Georg, mentre la testa
cominciava a girargli.
Il chitarrista mosse il labbro inferiore e aprì la bocca un
po'
di più, come se volesse dire qualcosa. Ma era troppo
sconvolto
per parlare.
«No, cioè... io...».
Il bassista
iniziò a
balbettare, cercando di mettere insieme una frase sensata con cui
potersi tirare fuori dai casini.
«Non so che...».
«Fammi alzare», disse improvvisamente Tom, la voce
un po' roca.
«Tom, non...».
«Fammi alzare, Georg», insistette il chitarrista
con tono più deciso e severo.
Non aspettò neanche che l'amico si spostasse da solo, lo
spinse
via quasi con violenza, alzandosi velocemente e attraversando a grandi
falcate la stanza, dirigendosi verso le scale che portavano al piano
superiore. Bill e Gustav smisero di picchiarsi con i cuscini e
fissarono confusi
il chitarrista, mentre saliva i primi gradini.
«Tom, dove vai?», gli chiese il gemello, che
naturalmente
non sapeva niente di quello che era appena successo fra Tom e Georg.
Il rasta non lo guardò neppure in faccia e
continuò a
salire le scale. «Non mi sento tanto bene. Scusate, io vado a
letto», li liquidò velocemente.
«Troppi popcorn, secondo me»,
scherzò Gustav,
riprendendo a dare qualche cuscinata al cantante. «Riposati,
mi
raccomando».
Cantante e batterista ripresero a giocare fra di loro, mentre Georg
rimase fermo a fissare le scale con la paura che gli montava in corpo
sempre più prepotentemente.
Cazzo, l'ho spaventato
continuava a pensare, maledicendosi da solo. Adesso lui chissà
cosa pensa.
Senza curarsi troppo degli sguardi curiosi dei due amici ancora
presenti nel salotto, corse verso le scale e salì i gradini
a
due a due.
Bill guardò Gustav con un sopracciglio inarcato.
«Ma hanno tutti e due mal di pancia?».
Georg salì le scale e, quando arrivò al piano
superiore,
ebbe appena il tempo di vedere la porta della stanza di Tom chiudersi
con violenza, lasciando fuori il bassista preoccupato. Si
avvicinò alla porta chiusa.
«Tom, apri, per
favore. Posso spiegarti».
Dall'altra parte non arrivò risposta e così Georg
provò a tirare giù la maniglia. Con sua sorpresa,
la
porta era aperta. Lentamente varcò la soglia e si
infilò
nella stanza, richiudendo poi la porta alle sue spalle. Tom era seduto
sul suo letto e gli voltava le spalle.
In silenzio gli si avvicinò e gli mise una mano sulla
spalla. «Tom, ascolta...».
Non ebbe la possibilità di continuare, perché il
chitarrista si alzò di scatto dal letto e gli fu addosso,
spintonandolo fino al
muro. Il suo viso era furioso e la violenza che stava usando per
colpire Georg lasciò stupefatto l'amico.
«Adesso voglio che tu mi dia una spiegazione sensata a
quello
che mi hai detto poco fa! E non solo!», gli urlò
in
faccia
Tom.
Georg lo fissò confuso. «E per
cos'altro?».
Il chitarrista lo fece aderire ancora di più al muro con una
spinta furiosa. «Per tutte le cazzate che mi hai raccontato
fino
ad ora!», gli rispose ad alta voce.
«Ma quali cazzate?».
«Piantala di fare il finto tonto! Si vede lontano un miglio
che tu e Bill non state insieme veramente!».
Georg sbarrò gli occhi sconvolto. Ma come fa a saperlo? Bill non
può avergli rivelato tutto, non l'avrebbe mai
fatto.
«Non puoi dirlo», sussurrò,
abbassando lo sguardo.
«Posso dirlo eccome, invece! Conosco mio fratello e conosco
altrettanto bene il suo modo di fare! Primo: quando è
innamorato, diventa fin troppo romantico, quasi insopportabile, direi,
e
non fa altro che parlare della persona che ama. Cosa che con te,
invece, non fa! E secondo: io e lui ci siamo sempre detti tutto,
non mi ha mai nascosto niente, e, quindi, se avesse una relazione con
te, sono più che certo che me lo avrebbe
detto!», spiegò Tom con la voce carica di rabbia e
risentimento verso l'amico.
Il bassista, per un secondo, rimase imbambolato a guardarlo, cercando
dentro di sé la forza per continuare a mentirgli e per non
dover
rivelare i propri sentimenti al chitarrista in quel modo. Ma le uniche
banali parole che uscirono fuori dalla sua bocca furono "Ti stai
sbagliando".
A quel punto, Tom non ci vide più dalla rabbia e
alzò un
pugno chiuso in aria, come per colpire l'amico. Ma si fermo a mezz'aria
con
il respiro affannato.
Georg lo scrutò freddo in volto. «Dai, colpiscimi.
È quello che vuoi, no?», gli disse calmo, sfidando
quasi il
chitarrista a dargli un pugno.
Tom mosse ancora il pugno serrato verso il viso dell'amico, ma non lo
colpì neppure questa volta: non ne aveva il coraggio e non
era
affatto quello che voleva.
Vaffanculo al mio cuore
tenero imprecò mentalmente il chitarrista.
Lentamente abbassò il braccio e,
insieme a quello, anche i suoi occhi si andarono a posare sul
pavimento. Lasciò andare il bassista e si
allontanò da
lui di qualche centimetro. Passò qualche secondo di silenzio
fra i due, poi Tom si
decise
finalmente a parlare. C'era frustrazione nella sua voce.
«Non
solo ti prendi gioco di me, ma ti diverti pure a trattarmi
come una
merda».
Georg sentì una fitta al cuore: l'ultima cosa che voleva era
far soffrire Tom.
«Io voglio che tu mi dica il motivo.
Perché stai
facendo tutto questo?», continuò il chitarrista,
alzando
ancora il volume della voce, arrivando quasi a gridare.
«Voglio
saperlo, Georg. Voglio una spiegazione sensata del perché
stai
diventando uno stronzo e del perché io...».
Tom non ebbe la possibilità di continuare, perché
Georg lo
aveva afferrato per il collo della maglia e lo aveva attirato a
sé con violenza.
Al diavolo il piano, le
orribili conseguenze... Al diavolo tutto!
pensò il bassista, non pensando neanche per un secondo a
quello
che sarebbe potuto accadere dopo il suo gesto così impulsivo.
Quando il viso di Tom fu abbastanza vicino al suo, premette con forza
le labbra sulle sue e chiuse gli occhi, inspirando a fondo il profumo
del chitarrista: mai aveva sentito un odore più buono e
dolce di quello. Avrebbe voluto che quel momento non finisse mai, che
durasse in eterno, ma, purtroppo, sapeva che così non
sarebbe
mai stato.
Tom era rimasto stupefatto da quel gesto e, colto alla
sprovvista, inizialmente non aveva fatto niente per opporsi a quel
bacio. Mi sta...
baciando...
Era sicuramente strano, molto insolito, ma non provava disgusto.
No, io non sono gay!
pensò poi con rabbia dentro di sé.
Con violenza spintonò via Georg, staccandosi dalle sue
labbra e fissandolo negli occhi con odio.
Come ha osato fare una
cosa del genere?
Tom non seppe come, ma la sua mano si serrò ancora una
volta, le dita si strinsero insieme e, prima che potesse rendersene
conto, aveva già colpito il viso di Georg con un pugno. Il
bassista non si stupì di quel gesto: se lo aspettava e
sapeva di meritarselo, in fondo. Si appoggiò con la schiena
al muro, il volto ancora girato di lato e una mano appoggiata sulla
guancia colpita. Faceva male e bruciava, ma quello non era niente in
confronto a ciò che sentiva dentro.
Ho combinato un altro
casino e questa volta ho rovinato tutto.
«Vattene dalla mia stanza».
Il sibilo di Tom lo
distolse dai suoi pensieri. Fissò il chitarrista in volto e
notò che i suoi
occhi erano incollati al pavimento, i pugni delle mani serrati e
abbandonati lungo i fianchi.
Gli faccio schifo e non
riesce neanche a guardarmi pensò Georg, non
muovendo però un muscolo per andarsene dalla camera
dell'amico.
«Ti ho detto di andartene! Subito!», disse Tom a
voce più alta, voltandogli le spalle e continuando a fissare
immobile il pavimento.
Georg abbassò gli occhi e si diresse lentamente verso la
porta. Varcò la soglia, ma si fermò per tornare a
guardare il chitarrista ancora una volta.
«Mi avevi chiesto
una spiegazione... e io te l'ho data», disse infine, uscendo
e
chiudendo la porta dietro di sé.
Tom sospirò, il viso corrucciato e gli occhi ancora piantati
a terra. Si portò una mano alle labbra, poi se la mise sugli
occhi e
tentò di regolare il suo respiro spezzato e il magone che
sentiva in gola.
«Stronzo».
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Capitolo 4 *** I think to love him ***
04. I think to love him
Quella notte né Tom né Georg
riuscirono a chiudere
occhio. Le loro menti, i loro pensieri e i loro sentimenti erano
confusi più che mai.
Il chitarrista, sdraiato sul letto con
indosso solo un paio di boxer neri, continuava a rigirarsi sotto le
coperte, tuffando più e più volte la testa nel
cuscino,
dandosi in continuazione dello stronzo per la sua reazione esagerata
nei confronti dell'amico, che poco prima lo aveva baciato.
Perché non mi
ha fatto schifo e perché mi sono sentito così
piacevolmente strano in quel momento?
Aveva paura di porsi quelle domande e forse proprio per quello aveva
dato un pugno a Georg: la paura di scoprire qualcosa di strano e di
insolito dentro di sé lo aveva spinto ad essere violento e
a
trattare male una delle persone a cui voleva più bene, dopo
Bill.
Ma io non sono gay! Non
lo sono, cazzo! pensò il rasta nella sua mente,
cercando di convincersi da solo.
In un'altra stanza, intanto, un ragazzo dai capelli castani liscissimi
continuava a darsi dell'idiota per ciò che aveva fatto.
Avrei dovuto resistere e
non dirgli
niente. Baciandolo, ho rovinato la nostra amicizia e niente
sarà più come prima fra noi.
Questi
pensieri continuavano a torturare Georg, seduto sul suo letto. Dormire
era un'impresa impossibile, anche provarci sarebbe stato
inutile. Si odiava per quello che aveva combinato. Voleva rivelare i
suoi sentimenti a Tom da un po' di tempo, ma quello non era stato di
certo il modo migliore per farlo.
Si portò una mano
sulla
guancia, dove poco prima Tom gli aveva mollato un pugno: non faceva
più male, in fondo non l'aveva colpito così
forte, ma
faceva male comunque, in un altro senso.
Che razza di stupido che
sono
stato. Domani abbiamo pure un concerto qui in città... Come
cazzo farò a guardarlo in faccia?
Nella stanza accanto a quella del bassista, Gustav continuava a
rimuginare sull'accaduto. Erano un paio di giorni che Georg si
comportava in modo strano e, quel giorno, anche Tom aveva dato qualche
segno di stranezza. I due continuavano a squadrarsi in modo insolito e,
in più, c'era stata quella litigata in cucina: il batterista
non
aveva sentito tutto quello che si erano detti, a causa di un certo
ragazzo con i capelli da leoncino neri, che aveva continuato a gridare
euforico per tutto il tempo in cui avevano gonfiato i palloncini, ma,
da
quello che aveva sentito, si capiva che Tom era arrabbiato con Georg
per alcune bugie che continuava a raccontargli. Inoltre, Bill aveva
detto una frase che aveva confuso ancor più Gustav: "Eh,
l'amore...".
Cioè? Che
vuol dire? Che Tom e Georg sono innamorati l'uno dell'altro?
si chiese improvvisamente sconvolto il batterista.
Infine, poi, entrambi i due amici erano andati a letto presto, nello
stesso momento, e con due facce che non promettevano niente di buono.
Già il fatto che Georg potesse essere gay gli suonava
strano, se
si parlava di Tom, poi, era una cosa veramente impossibile. Insomma,
lui
era il SexGott, quello che si portava un mucchio di ragazze a letto,
fregandosene completamente dell'amore.
Figuriamoci se Tom
è diventato
gay... impossibile. E ancora più impossibile è il
fatto
che si sia innamorato cercò di
auto-convincersi il batterista.
Oltre a tutte quelle cose, c'erano due ultimi enigmi:
perché Tom, ogni volta che vedeva il gemello avvicinarsi a
Georg, o semplicemente parlargli, sembrava incazzato? E
perché
Georg, ultimamente, stava sempre attorno a Bill?
Ma che caspiterina
c'entra Bill? Anche lui ci si mette per complicare ancor
più le cose!
Gustav si portò una
mano sulla fronte corrucciata.
Io
non ci capisco niente.
In un'altra stanza ancora, vicina a quella di Tom, Bill era l'unico che
probabilmente riusciva a dormire sonni tranquilli. Sdraiato sotto le
coperte e con la testa completamente tuffata nel cuscino, sognava beato.
«Mmm... palloncini... belli... I love you!».
Il sole era ormai sorto da varie ore, ma nessuno dei quattro ragazzi si
era ancora alzato dal letto.
Gustav e Bill dormivano alla grande, Tom e
Georg, invece, erano già svegli, ma nessuno dei due aveva
intenzione di uscire dal tepore delle coperte. Entrambi guardavano il
soffitto con estremo interesse, rigirandosi più e
più
volte nei loro letti.
Non lo voglio vedere
pensava il chitarrista, rendendosi conto che probabilmente il motivo
per cui non voleva uscire dal letto era proprio il fatto di non voler
incontrare l'amico. Cosa
gli dico quando lo vedo, come mi comporto?
Non aveva la minima idea di come sarebbe andata quella giornata, ma di
sicuro ritardare i tempi non sarebbe servito a niente: alla fine
avrebbe comunque dovuto affrontare Georg. E poi era inevitabile: dopo
il bacio della sera prima, era chiaro che prima o poi si sarebbero
dovuti parlare.
Vaffanculo Georg, mi hai
incasinato la vita con quel cavolo di bacio!
Tom sapeva di essere un po' esagerato, se ne rendeva conto, ma
continuava comunque a far finta di essere lui la vittima di tutto.
Con
un balzo fu giù dal letto, più arrabbiato e
nervoso
che mai. A grandi falcate raggiunse la porta e uscì nel
corridoio del piano superiore con indosso solo i boxer e le ciabatte
ai piedi. Non sentendo alcun rumore, se non il russare sommesso di
Gustav nella camera lì vicino, si rese conto di essere
l'unico
sveglio in quella casa. O, almeno, pensò questo
finché
un'altra porta non si aprì, dopo che lui ebbe fatto pochi
passi
verso il bagno.
Tom girò piano la testa, sperando con tutto se stesso che
non
fosse la persona che pensava. Fa
che non sia lui, fa che non sia lui
continuava a supplicare mentalmente.
Quando però incrociò gli occhi stupiti del
bassista, tutte le sue speranze vennero infrante.
Cazzo. Cosa faccio
adesso?
cominciò a chiedersi Tom, andando completamente nel panico,
quando vide Georg camminare verso di lui con passo lento e incerto.
I loro occhi erano praticamente incollati, tanto che uno riusciva quasi
a vedere ciò che stava pensando l'altro dentro di
sé. E
forse fu proprio per questo che Georg, una volta raggiunto il
chitarrista, non fece altro che passargli di fianco e andare avanti
verso la porta del bagno. Non disse una parola, si limitò
semplicemente a distogliere lo sguardo e a proseguire in silenzio. Tom,
che era rimasto come pietrificato per tutto il tempo che Georg aveva
impiegato per attraversare il corridoio, si irrigidì
all'istante, appena il braccio del bassista sfiorò per
sbaglio il
suo, mentre questo lo
sorpassava. Anche Georg sentì un brivido alla schiena, ma
l'unica cosa che fece fu andare avanti fino al bagno. Quando fu sulla
soglia della porta, fu costretto a fermarsi da qualcosa che non si
sarebbe mai aspettato.
«Georg», lo chiamò improvvisamente Tom
con la voce tremante.
Il bassista sobbalzò stupefatto e lentamente si
voltò verso l'amico, guardandolo confuso, ma anche
speranzoso.
Cosa sto facendo?
Perché l'ho chiamato? si maledì
mentalmente il chitarrista, tormentandosi le mani nervoso.
Georg rimase in silenzio e aspettò paziente: sapeva bene che
Tom per esprimersi impiegava sempre vari minuti.
Cosa gli dico? Che mi
dispiace? si interrogava il chitarrista, guardando il
pavimento ai suoi piedi.
No,
non ci penso neanche! È lui quello che deve chiedere scusa a
me!
«Sei uno stronzo!», esclamò alla fine
Tom, fissando rabbioso gli occhi dell'amico.
Per Georg quelle tre parole erano state come tre pugnalate al cuore, ma
non voleva darlo a vedere.
Abbassò gli occhi,
sospirò ed
entrò nel bagno. «Grazie», disse infine,
prima di chiudere la porta
e
lasciare il chitarrista solo nel corridoio.
Tom rimase immobile come un baccalà a fissare la porta
chiusa,
respirando affannosamente.
Grazie?
GRAZIE? Che razza di risposta
è "grazie"? pensò con rabbia,
riducendo gli occhi a due
fessure.
Con uno scatto fulmineo schizzò in avanti e, dopo aver
percorso
il corridoio a grandi falcate, raggiunse la porta del bagno e
cominciò a sbatterci sopra un pugno con violenza.
«Apri
subito! Non puoi rispondermi così, dopo quello che hai fatto
ieri
sera! Voglio le tue scuse! Mi hai capito?»,
continuò ad
urlare per un bel pezzo.
«Tom... che cosa stai facendo? Perché fai tutto
questo
rumore?», chiese improvvisamente una voce impastata dal
sonno,
che
Tom riconobbe immediatamente come quella di Bill.
Il gemello, infatti, era fermo sulla soglia della sua camera, i capelli
scompigliati e gli occhi sottili e assonnati.
«Torna in camera, Bill. Devo risolvere una questione con il
tuo
presunto fidanzato», esclamò Tom, ricominciando a
bussare
sulla porta del bagno.
«Con il mio cosa?».
«Vai a sognare i palloncini e non rompere!».
Bill mise su il broncio e rientrò in camera sua.
«Cattivo», commentò
offeso, chiudendosi la porta alle spalle.
Scusami, Bill, ma adesso
devo disintegrare una persona.
«Georg, ti ordino di aprirmi! Non me ne andrò
finché non ti avrò detto in faccia tutto quello
che penso
di te!», riprese ad urlare il rasta.
Improvvisamente la porta del bagno si aprì di scatto e
Georg
comparve sulla soglia, completamente nudo. Tom si bloccò di
colpo
e sbarrò gli occhi sconvolto, ma non ebbe il tempo di
replicare,
perché il bassista lo afferrò per un braccio e lo
trascinò dentro al bagno.
Una volta chiusa la porta, Georg
si voltò verso il rasta e
lo
fissò serio. «Fai in fretta allora. Devo farmi
una
doccia», commentò con freddezza, fissando gli
occhi
dell'amico.
Tom deglutì rumorosamente, sentendo le guance diventare
improvvisamente bollenti. Era come se la testa andasse per conto suo,
non permettendogli di mettere insieme un pensiero sensato: tutto quello
che aveva in mente di dire al bassista era scomparso dalla sua testa,
la rabbia si era trasformata in vergogna e i suoi occhi erano incollati
al fisico nudo di Georg. Più volte gli era capitato di
vedere il
suo petto, durante i concerti o in estate, quando girava per casa
senza
maglia, ma la parte inferiore del suo corpo non l'aveva mai vista. In
quel momento, invece, era davanti a lui, completamente priva di
barriere e di tessuti che potessero nascondergli l'intimità
dell'amico.
Mio Dio...
pensò senza fiato, fissando ancora con sguardo
ebete il bassista. Ma
che cosa sto facendo?
si chiese poi sconvolto, andando completamente nel panico e
costringendo i propri occhi a guardare qualsiasi altra cosa che non
fosse il corpo di Georg.
«Tom», lo chiamò improvvisamente il
bassista,
continuando a guardarlo serio. «Mi vuoi dire quello che
pensi,
oppure vuoi continuare a farmi una radiografia? Che, a quanto pare, non
ti dovrebbe dispiacere neanche tanto».
Tom strinse i pugni e tornò in un secondo a fissare furioso
il
volto dell'amico. Scattò in avanti, spezzando la poca
distanza
che li divideva, e lo mise con la schiena attaccata alla porta, le mani
premute sulle sue spalle nude e i visi a pochi centimetri di distanza
l'uno dall'altro.
«Mi hai veramente rotto le palle! Prima mi
baci, e mi
devi
ancora spiegare perché l'hai fatto, e poi hai anche
il
coraggio
di fregartene così?», gli urlò contro
il rasta,
puntando gli occhi in quelli dell'amico.
Georg accennò un piccolo sorrisetto.
«Contraccambio l'affetto», disse ironicamente.
Tom lo fece aderire ancora di più alla porta, spingendosi
contro
di lui arrabbiato. «E ti giuro che, se non la pianti di fare
lo
spiritoso, ti gonfio di botte fino a mandarti all'ospedale!».
«Fallo, allora».
Tom fece per ribattere, ma si bloccò improvvisamente,
fissando confuso gli occhi del bassista. Ma perché fa
così?
L'espressione del suo viso si rilassò un po', diventando
quasi
triste. Abbassò gli occhi e sospirò.
«Georg,
perché...», sussurrò piano, ma Georg lo
interruppe,
cingendogli la vita con le braccia e stringendolo a lui con forza.
Solo in quel momento Tom si rese conto della situazione in cui si
trovava: Georg era completamente nudo e lui, invece, aveva indosso solo
i boxer. Senza contare, poi, che erano attaccati ad una porta,
completamente avvinghiati l'uno all'altro.
Perfetto
pensò ironicamente il chitarrista, sentendo il respiro caldo
dell'amico nell'incavo della sua spalla.
Georg inspirò a pieni polmoni l'odore del rasta, rendendosi
conto di essere come drogato da quel profumo così buono. La
scena era più o meno quella della sera prima, solo che Tom,
questa volta, non l'aveva ancora respinto. Proprio per quel motivo il
bassista decise di osare di più.
Tanto, ormai, il guaio
è fatto.
Con lentezza appoggiò le labbra sulla spalla nuda del
chitarrista e cominciò a schioccarvi sopra una serie di
piccoli
baci, arrivando fino alla base del collo.
Tom sbarrò gli occhi
e il suo respiro divenne sempre
più veloce. «Georg...», lo
chiamò piano, non
ricevendo però risposta o alcun segno di cedimento da parte
dell'amico.
Georg, infatti, non si fermò, concentrato com'era nel suo
lavoro. Risalì con le labbra fino al collo del rasta e
intensificò la passionalità dei baci,
succhiando la
pelle bianca e lasciandovi sopra una serie di chiazze rosse; si
fermò in un punto preciso e succhiò
più forte,
volendo lasciare un segno più evidente degli altri. Sorrise,
quando sentì il respiro del chitarrista farsi
più
veloce.
«Allora ti piace», sussurrò
piano,
avvicinando le labbra al suo orecchio.
Tom cercò di calmarsi e di regolare non solo il suo respiro,
ma
anche il battito del proprio cuore. «Georg...
smettila»,
sussurrò fra i sospiri.
«Sicuro?», gli chiese ironico il bassista, baciando
il rasta sotto al mento.
«S-sì...», soffiò Tom,
chiudendo gli occhi.
«Se vuoi che mi fermi, allora devi darmi un pugno»,
gli disse Georg nell'orecchio.
«Georg, ti preg...», supplicò il
chitarrista, venendo
interrotto da un gemito di piacere, che gli scappò dalle
labbra,
quando sentì la lingua di Georg tracciare disegni astratti
sul
suo collo.
Il bassista sorrise compiaciuto. «Mi fermerò solo
con un
pugno, Tom», gli ricordò ancora, non interrompendo
comunque
il suo lavoro.
Il rasta si spinse ancor più contro il corpo dell'amico,
volendo godere di più di quelle sensazioni che Georg gli
stava
regalando. Mio Dio, mi
sembra di essere impazzito pensò nella sua
mente, non respingendo però l'amico.
«Allora? Questo pugno?», lo incitò il
bassista, prendendosi un po' gioco di lui.
«'Sta zitto», sibilò Tom, continuando a
sospirare e a tenere gli occhi chiusi.
Georg ridacchiò contro la sua pelle e riprese a fare quello
che
stava facendo prima: piccoli baci, morsi, leccate... Stava
letteralmente facendo impazzire il chitarrista. Partì dalla
spalla, risalì il collo e arrivò al mento del
rasta. Avvicinò le labbra alle sue, ma Tom si
scostò
appena
sentì il respiro del bassista sulla sua bocca.
«No», disse a bassa voce il chitarrista, aprendo
gli
occhi e guardando le labbra del bassista.
Georg lo fissò confuso. «Va tutto
bene?»,
gli chiese incerto.
«No», gli rispose Tom, cercando di staccarsi da
lui.
«Non voglio».
«Okay», disse il bassista, inarcando un
sopracciglio.
«Fammi uscire», disse tutto ad un tratto il
chitarrista, riprendendo coscienza di sé e agitandosi
all'istante.
Georg rafforzò la presa intorno alla sua vita, trattenendolo
ancora addosso a lui. «Che hai?», gli chiese
calmo, ma
confuso.
Dopo poco, Tom riuscì a staccarsi da lui e provò
ad
aprire la porta. Non ci riuscì, perché il
bassista gli
bloccava il passaggio, tenendola chiusa.
«Spostati», gli ordinò ad alta voce.
Georg lo guardò beffardo. «Ti sta bene farti fare
i
succhiotti, ma un bacetto sulle labbra ti manda fuori di testa? Tu hai
qualche problema serio», gli disse sarcastico, con le
sopracciglia
inarcate.
«Lo avrai tu qualche problema serio, se non ti sposti
subito!», lo minacciò Tom, riprovando ancora ad
aprire la
porta.
«Cos'è, ti fa paura il fatto che ti sia piaciuto?
Oh,
benvenuto nel mio mondo, allora!», esclamò
sarcastico,
inarcando le sopracciglia.
Tom, a quel punto, non ci vide più. Alzò in alto
la
mano e
gli mollò uno schiaffo sulla guancia.
Per quante volte
ancora si
sarebbe dovuta ripetere quella scena?
Georg fece una smorfia e si
passò una mano sulla guancia colpita, la stessa della sera
prima. Lentamente si scostò dalla porta e l'aprì.
«Vai», sussurrò, lasciando la via libera
al
chitarrista.
Tom non disse nulla, abbassò semplicemente gli occhi a terra
e
uscì dal bagno a grandi passi. Mentre percorreva il
corridoio,
sentì la porta richiudersi e solo allora si fermò
e
rimase immobile. Quello che sentiva in quel momento era lo stesso
della sera prima: il respiro spezzato, il magone in gola e la voglia di
piangere che montava in corpo.
Io non piango, non lo
faccio mai pensò il rasta nella sua testa,
mentre cercava in tutti i modi di trattenersi.
In quel momento, un'altra porta si aprì e da una camera
uscì Gustav, ancora assonnato. Vedendo l'amico
fermò in
mezzo al corridoio, in uno stato alquanto strano, gli si
avvicinò preoccupato.
«Tom, tutto bene?».
Il chitarrista non rispose, continuando a fissare il pavimento e a
respirare affannosamente.
«Ehi...», ci riprovò Gustav.
Mentre cercava di farlo parlare, i suoi occhi caddero su tre macchie
rosse
presenti sul collo dell'amico.
«Che cos'hai sul collo?
Sembrano...
succhiotti. Ma ieri non li avevi, quando te li sei fatti
fare?»,
gli chiese confuso, esaminandoli attentamente.
Tom si mise veloce una mano sul collo per coprirli, pur non
sapendo con precisione dove Georg glieli avesse fatti, e fece qualche
passo indietro, guardando con occhi lucidi e assenti quelli di Gustav.
«Ma stai bene?», gli chiese ancora l'amico,
cominciando a preoccuparsi sul serio.
«No», sussurrò piano Tom, allontanandosi
da lui e
andando verso un'altra porta, quella della stanza di suo fratello.
Cominciò a bussare, chiamandolo a voce alta.
Dopo poco, la voce di Bill si fece sentire dall'altra parte della
porta. «Che vuoi?», gli chiese con una punta di
acidità, arrabbiato ancora per quello che era successo poco
prima.
«Bill, fammi entrare», gli disse Tom con la voce
bassa, che tremava appena.
«Non ci penso neanche! Prima mi cacci via e poi vuoi la mia
compagnia? Scordatela!».
Il rasta appoggiò la fronte contro la porta e prese un bel
respiro
profondo per cercare di non scoppiare in lacrime lì nel
corridoio,
davanti a Gustav. «Per favore», supplicò
ancora il
chitarrista, la voce che ormai preannunciava il pianto.
In meno di due secondi, la porta si aprì e Bill comparve
sulla
soglia con uno sguardo serio e al tempo stesso preoccupato.
«Che
succede?», gli chiese affannato, dopo essersi buttato
letteralmente giù dal letto e aver percorso di corsa il
piccolo
pezzo che lo divideva dalla porta.
Tom puntò gli occhi tristi e lucidi in quelli del gemello,
rimanendo immobile e tremante sul posto a guardarli. Nonostante tutti
gli sforzi che aveva fatto per non piangere, ad un tratto, una lacrima
sfuggì fuori dalle sue ciglia e scese lungo la guancia.
«Tomi...», sussurrò Bill, preoccupato e
triste di vedere il fratello in quelle condizioni.
Il chitarrista non aspettò oltre e d'impeto
abbracciò il
gemello, cercando conforto nell'unica persona al mondo che potesse
dargliene veramente. Bill si stupì di quel gesto:
già era sconvolto di
vedere
il fratello maggiore, anche se solo di dieci minuti, piangere in quel
modo, poi non capitava molto spesso che lo abbracciasse così
apertamente, persino davanti a qualcun'altro. Ma non sopportava
comunque di vederlo in quelle condizioni. Fino a quel momento era
sempre stato Tom a confortarlo, quando ne aveva avuto bisogno; adesso
doveva fare lo stesso per il suo fratellone.
«Dai, vieni dentro», gli disse con dolcezza,
portandolo lentamente dentro la stanza.
Prima di chiudere la porta, fece segno a Gustav di stare tranquillo,
che non era niente di grave. Anche se, a dir la verità, non
sapeva affatto se fosse qualcosa di grave o meno.
Dopo essere rimasti
soli, Bill condusse il gemello fino al letto e lo
fece sedere accanto a lui, non smettendo di stringerlo a sé.
«Tomi, mi dici che cos'hai?», gli chiese dolcemente.
Tom, che non aveva ancora smesso di piangere e che fino a quel momento
non aveva permesso neppure ad un singhiozzo di uscire fuori dalla sua
bocca, se ne lasciò scappare uno, mentre cercava di parlare.
«Georg», riuscì solo a dire.
In fondo, Bill lo sapeva che si trattava di Georg. È
chiaro che prima Tom stesse ordinando a Georg di aprirgli.
Probabilmente è successo qualcosa dopo, quando me ne sono
andato ragionò il cantante, pensando agli urli
che aveva sentito poco prima.
«Cos'è successo fra voi due?», gli
chiese
ancora.
«Io credo di...», provò a dire Tom,
soffocando un altro singhiozzo sulla spalla del gemello.
Bill aspettò paziente, dandogli tutto il tempo per
esprimersi.
«Io credo di... di...».
Non ce la faccio, non
riesco a dirlo pensò Tom disperato.
«Amarlo?», concluse il gemello per lui.
Per un momento, il respiro del chitarrista si bloccò ed
ebbe
un tuffo al cuore.
Che fosse veramente quella la risposta a tutti i
suoi dubbi? Forse Bill aveva capito meglio di lui?
Ma, effettivamente,
non c'era
da fidarsi più di tanto: il suo gemello era fissato con
l'amore.
Però, forse...
forse questa volta ha ragione.
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Capitolo 5 *** A stolen kiss ***
05. A stolen kiss
Bill e Tom rimasero chiusi dentro quella stanza per
un
sacco di
tempo, forse per ore. Neanche se ne resero conto, ma tutta la mattina
la
passarono lì dentro a parlare.
Tom, dopo essersi calmato e
ricomposto almeno un po', si era messo a raccontare tutto quello che
era successo fra lui e Georg la sera prima e nel bagno. Bill lo aveva
ascoltato attentamente, rimanendo molto stupito quando il gemello gli
aveva detto come inizialmente non si fosse opposto alle "attenzioni"
del bassista: mai avrebbe pensato che il fratello si sarebbe fatto fare
una cosa del genere, soprattutto da un ragazzo, poi. Certe cose non se
le faceva fare neanche dalle sue groupies.
Attraverso ciò
che
Tom gli raccontava, Bill cercava di intuire quali fossero i veri
sentimenti del fratello, cercando di capire le sue emozioni: c'era una
grande confusione nella sua testa, tanta paura ed incertezza. Ma,
ormai,
un'idea il cantante se l'era fatta.
Il rasta, poi, siccome non voleva
uscire dalla stanza, aveva mandato in missione il cantante a prendere
dalla sua camera i suoi vestiti, siccome non gli andava di
stare mezzo nudo e con i segni rossi sul collo, che il fratello non
smetteva neanche per un secondo di fissare con un'espressione del volto
che
il chitarrista non riusciva neanche a decifrare.
Quando il cantante
rientrò nella stanza e Tom si fu rivestito, ripresero la
loro
conversazione.
«È inutile cercare scuse, Tom. Sei cotto di
lui»,
esordì Bill con un
sorriso felice sulle labbra.
Tom lo guardò sconvolto, scuotendo vigorosamente la testa.
«No, ti sbagli. Io non mi innamoro mai».
«Guarda che non sei tu a deciderlo, succede e
basta».
«Sì, ma...».
Non proseguì,
improvvisamente la
voce non riusciva più ad uscire dalla sua gola secca.
Lentamente abbassò gli occhi sulle coperte del letto e
rimuginò sulle ultime parole del gemello.
Non nego di essere attratto
fisicamente da Georg, e questa cosa
è fin troppo preoccupante, ma addirittura
esserne innamorato? No, è solo un'infatuazione.
Bill osservò le buffe espressioni del viso del gemello,
intuendo
che stesse pensando a ciò che gli aveva appena detto.
«La
verità è che sei solo spaventato ed insicuro,
perché ti sei accorto di provare attrazione per un altro
ragazzo, ma ormai è chiaro come il sole che tu provi
qualcosa di
più dell'affetto per Georg. Io le so queste cose, te le
leggo
negli occhi, Tomi», concluse sorridente e soddisfatto,
annuendo
col capo, come per darsi ragione da solo.
Tom lo guardò incerto, non troppo sicuro di quello che il
fratello gli stesse dicendo. Secondo
me, è un po' esagerato.
«E poi c'è un'altra cosa»,
continuò il
cantante. «Quando sei innamorato, cioè in questo
caso,
diventi adorabile! Sei troppo dolce, soprattutto nei miei confronti!
Perciò, Georg è una specie di
benedizione!».
Tom si stupì quasi di non vedere gli occhi del gemello
diventare
a forma di cuoricino: la sua espressione era talmente sognante che non
si sarebbe stupito neanche di quello.
«Senti, Bill, capisco
che tu sia su di giri per il fatto
che
io ti
sia venuto a cercare in un momento un po'... difficile, ecco, ma... IO
NON SONO INNAMORATO! NON AMO GEORG!», esclamò il
chitarrista esasperato, gesticolando e saltando leggermente sul letto.
Bill sbuffò e mise su il broncio. «Sai che sei
cocciuto come un mulo? Come fai a non rendertene conto?».
Tom scosse la testa contrariato e in quello stesso momento si rese
conto che Bill si stava alzando dal letto per dirigersi poi verso la
porta.
«Oh, beh... tanto prima o poi te ne accorgerai da
solo», commentò il moro con aria da saggio,
aprendo
la
porta della stanza.
«Dove vai?», squittì Tom sconvolto, non
dando troppo
ascolto alle ultime perle di saggezza pronunciate dal gemello.
Il cantante inarcò un sopracciglio confuso, fermandosi sulla
soglia. «Vorrei lavarmi e fare
colazione».
«E lasciarmi qui da solo? E se entra Georg?».
«Perché mai dovrebbe entrare nella mia stanza? E,
anche in quel caso, hai forse paura che ti stupri?».
Il chitarrista si zittì e corrugò la
fronte. «Di certo non mi lascerei stuprare... e poi non
è
questo il punto! È che non voglio
vederlo»,
spiegò
un tantino imbarazzato, abbassando gli occhi sulle sue mani, che
continuava a torturarsi già da un pezzo.
Bill sospirò con un piccolo sorrisetto sulle labbra.
«Tanto lo dovrai vedere comunque: stasera abbiamo il concerto
e
fra meno di due ore David passa a prenderci per le prove».
Tom sbuffò e si mise una mano sugli occhi, massaggiandoli
delicatamente. «Già, me ne ero dimenticato. Come
cavolo
farò a...».
«Mentre ci pensi, io vado a mangiare!», lo
interruppe il
gemello, buttandosi fuori dalla stanza e richiudendo velocemente la
porta, prima che Tom potesse replicare.
Il rasta guardò un tantino offeso la porta chiusa.
«Traditore», borbottò a bassa voce.
Rimase seduto sul letto di Bill ancora per qualche minuto, fissandosi
attorno e pensando ad un modo per uscire dalla stanza senza farsi
vedere da Georg.
Stava proprio escogitando un piano, quando il suo
orgoglio da sciupa femmine tornò a farsi sentire.
Un momento... perché
mai dovrei
nascondermi? Che cavolo, io sono
il SexGott, che mi frega se lui gira da queste parti? Posso benissimo
passargli accanto e guardarlo dall'alto in basso. Perché?
Perché io sono superiore! Ha due anni in più di
me?
Beh, io sono più alto! Posso benissimo buttarlo
giù
per la tromba delle scale!
Dopo vari minuti di monologo mentale, Tom trovò finalmente
il
coraggio per andare verso la porta della stanza. L'aprì con
decisione e, in un batter d'occhio, fu fuori nel corridoio.
Allargò le braccia e respirò a fondo. Ecco, nessuno può
spaventare Tom Kaulitz! Nessuno!
Proprio in quel momento, una porta alla fine del corridoio si
aprì e Georg uscì fuori, finalmente vestito e
pronto per
fare colazione.
Tom sbarrò gli occhi sconvolto fino al massimo possibile,
sbiancando immediatamente in volto. Cazzo!
Più veloce di una faina si fiondò addosso alla
porta
della stanza di
Bill e, siccome aveva dimenticato di averla già chiusa, ci
cozzò contro e per poco non finì disteso a
terra.
«Ahia, porca puttana!», urlò dolorante,
cercando di
risistemarsi la fascia e il cappellino, che gli erano completamente
calati sugli occhi.
Non riuscendo a mettersi a posto, cercò comunque di aprire
la
porta alla cieca, tastando in giro in cerca della maniglia, che
però non trovò. Decise allora di buttarsi addosso
alla
porta di peso, sperando che quella si aprisse comunque.
A mali estremi, estremi
rimedi pensò deciso il chitarrista,
lanciandosi in avanti con tutto il suo peso.
Invece che sbattere contro la porta, però, cozzò
contro il
muro e successivamente si sentì cadere all'indietro.
«AIUTO!», urlò con tutta la voce che
aveva in
corpo, spaventato dall'idea di cadere giù dalle scale, che
era
sicuro fossero lì vicino.
Improvvisamente, la sua caduta venne interrotta da due forti braccia,
che lo avvolsero da dietro e lo sorressero prontamente. Si
sentì avvolgere da un lieve profumo di bagnoschiuma e di
pulito,
un odore che gli piacque molto. Sentì le gambe cedergli, ma
la
persona che ancora lo teneva stretto lo abbracciò
più
forte e lentamente lo fece sedere sul pavimento, togliendogli prima il
cappellino e poi la fascia dagli occhi. Tom poté finalmente
vedere chi lo teneva ancora stretto, anche se, in fondo, sapeva
già chi fosse: Georg era seduto per terra e lo teneva tra le
sue
braccia, guardandolo serio, ma anche preoccupato.
Il chitarrista ebbe
un capogiro e la vista gli si offuscò,
così
da peggiorare ancor più la sua situazione e da
provocargli
addirittura la nausea. Lentamente appoggiò la fronte contro
il
collo del bassista, respirando quel profumo che sembrava farlo stare
meglio.
«Mi gira la testa», sussurrò Tom ad
occhi
chiusi e con una smorfia di dolore sul viso.
«Ci credo. Con tutte le testate che hai dato contro la porta
e il
muro. Guarda che non ti avrei mangiato di certo», gli rispose
piano
Georg, con una punta di ironia nella voce.
Tom si sentiva troppo male per rendersi conto della situazione in cui
si trovava. Sapeva solo che essere fra le braccia di Georg e con il suo
profumo che gli riempiva i polmoni lo faceva stare bene come mai prima
di allora. Non aveva provato nemmeno imbarazzo, quando gli aveva fatto
intendere di aver capito che stesse scappando da lui.
Georg gli mise una mano dietro la testa e fece così premere
ancor più la fronte del chitarrista contro il suo collo.
«Ti senti meglio?», gli chiese dolcemente.
«Resta fermo così ancora un po'»,
sussurrò Tom, ancora stordito dai colpi dati al muro.
«Okay», gli rispose l'amico, sistemandosi meglio a
sedere e aspettando che il rasta si riprendesse almeno un po'.
Passarono diversi minuti e a poco a poco il dolore alla testa di Tom si
attenuò, così da poter riottenere almeno un po'
di
lucidità, che gli diede la forza di staccarsi da Georg. Non
lo
respinse bruscamente, in fondo lo aveva aiutato a non farsi male sul
serio. Semplicemente, si allontanò da lui lentamente,
sedendosi a
pochi centimetri di distanza.
Imbarazzato abbassò il capo sulle sue mani e
deglutì
rumorosamente. «Grazie», sussurrò
incerto,
schiarendosi un po' la voce alla fine.
Non lo vide, perché era ancora intento a guardarsi le mani,
ma
sentì il corpo del bassista avvicinarsi ancora a lui. Con un
dito posato sotto il mento, Georg gli alzò il
volto e lo
costrinse così a guardarlo negli occhi.
È troppo
vicino pensò Tom, deglutendo ancora, quando
sentì il respiro dell'amico sulla sua bocca.
Georg sorrise e incollò gli occhi ai suoi. «La
prossima
volta che decidi di massacrarti di botte da solo, vedi di non buttarti
giù dalle scale, altrimenti sarò costretto a
seguirti per
salvarti», gli sussurrò con una punta di malizia
nella voce.
In quel momento, Tom si stupì di quanto trovasse Georg
così maledettamente... sexy. Il suo modo di fare con lui, i
suoi
occhi, la sua voce...
Sto andando fuori di
testa, non c'è alcun dubbio pensò
il chitarrista, ancora intento a perdersi negli occhi del bassista.
Georg, vedendo la confusione dipinta sul viso dell'amico, sorrise e si
chinò ancora un po' su di lui per potergli dare
un
leggero bacio sulla punta del naso. A quel gesto, Tom
arrossì
come mai prima di allora e poté quasi sentire il cuore in
gola
da quanto batteva forte.
Il bassista gli sorrise ancora per qualche istante, poi fece forza
sulle ginocchia e si alzò in piedi. «Vieni a
mangiare
qualcosa. Hai bisogno di forze per stasera», gli disse
infine,
voltandosi e scendendo le scale del piano superiore.
Tom lo guardò con la bocca socchiusa, finché le
scale
glielo permisero. Quando Georg scomparve, il chitarrista
sospirò
sollevato e si portò una mano sopra il petto per costringere
il
proprio cuore a calmarsi.
È impossibile
che mi faccia agitare così tanto. Nessuno,
prima d'ora, c'era mai riuscito. Devo riprendermi, anche
perché è chiaro che non sto tanto bene. Da
quando
arrossisco per un bacetto sul naso? Ma poi lui non doveva neanche
darmelo, è questo il
punto! Oh, io penso troppo!
Si alzò di scatto in piedi e, sbuffando, scese le scale.
Ho paura di sapere come
andrà il concerto di stasera. E, chissà
perché, ho una brutta sensazione...
«Ragazzi, siete pronti per l'incontro con le fan?».
La voce
di David arrivò alle orecchie dei quattro ragazzi, seduti su
dei
divanetti bianchi dentro ad una stanza silenziosa.
Il pre-concerto era
sempre così: si riunivano insieme in una
stanza e aspettavano nervosi ed in silenzio; poi, come al solito,
arrivava il loro manager, che li avvertiva dell'incontro con le fan.
Per
tutti loro era un piacere incontrare da vicino le persone che amavano
la loro musica, ma quella sera uno di loro non era proprio
dell'umore giusto per gli incontri: Tom aveva un'aria piuttosto
scocciata e anche molto tesa. Sentiva che sarebbe successo qualcosa che
non gli sarebbe piaciuto, ma sperava con tutto il cuore che non fosse
così.
«Sì, siamo pronti», rispose Bill,
alzandosi per primo e respirando profondamente.
Uscì dalla porta, seguito dagli altri tre amici. David li
portò davanti ad un'altra porta bianca e, dopo averla
aperta, si
fece da parte per permettere al gruppo di passare. Una volta entrati
dentro, una serie di gridolini sommessi arrivarono alle loro orecchie:
sette o otto fan li stavano guardando meravigliate, alcune con le mani
premute sulle bocche per non esplodere in urli di pura
felicità.
Bill sfoderò uno dei suoi
più bei sorrisi e si
avvicinò alle ragazze, salutandole con un inglese non
perfetto,
ma facile da
capire; Gustav e Georg fecero lo stesso; Tom si limitò
soltanto
a sorridere e a fare un cenno col capo.
Le ragazze cominciarono a
tirare fuori le loro macchine fotografiche e alcuni cd e foto da fare
autografare. I quattro ragazzi andarono avanti a fare foto e autografi
per diversi minuti, poi per le ragazze venne il momento di andare. Ad
una ad una schioccarono un bacio sulle guance dei quattro tedeschi,
sorridendo felici e ringraziandoli di quei pochi momenti che gli
avevano dedicato.
Meno male che
è finita. Sono
così carine e gentili e non mi va proprio di deluderle con
il
mio umore di merda, oggi pensò Tom,
sospirando sollevato.
Ad un certo punto, il chitarrista notò una ragazza non tanto
alta rispetto alle altre, con dei lunghi capelli castani che le
dondolavano sulla schiena mezza nuda. Effettivamente, si poteva dire
che fosse quasi svestita, con tutti quei micro abitini che aveva
addosso. La vide avvicinarsi con fare provocante a Georg, sorridendogli
maliziosamente e alzandosi sulla punta dei piedi per avere anche lei il
suo bacio. Il bassista le sorrise e fece per girare di poco la testa
per baciarle la guancia, però la ragazza fu più
veloce di
lui e piegò la testa di lato per incollare così
le labbra
a quelle di Georg.
Tom sbarrò gli occhi inorridito. Che diavolo sta facendo quella?
pensò con rabbia, rimanendo a bocca aperta di fronte a
quella scena.
Un bodyguard presente nella stanza scattò subito in avanti
per
allontanare la ragazza, ma lei aveva già avuto modo e tempo
per
approfondire il bacio, infilando la lingua nella bocca del bassista.
Georg non sembrava affatto infastidito, infatti non aveva fatto nulla
per staccarsela di dosso. Il bodyguard costrinse la ragazza a togliersi
di dosso al bassista e la portò immediatamente fuori dalla
stanza con la forza.
Tom, ancora a bocca aperta, notò che la
ragazza stava
sorridendo
felice e che Georg la guardava, mentre la portavano fuori, sorridendole
a
sua volta.
Che
diavolo le è saltato in mente?
pensò il chitarrista, non riuscendo a spiegarsi il
perché di tutta quella rabbia che sentiva dentro di
sé.
Quando la band rimase da sola nella stanza, Bill si voltò a
guardare con gli occhi pieni di stupore il bassista. «Certo
che
alcune fan sono proprio disposte a tutto, pur di ottenere quello che
vogliono. Caspiterina, ti si era attaccata addosso come una
sanguisuga!», scherzò il cantante, ridendo.
Gustav non disse nulla, si limitò semplicemente a scuotere
la testa con un sorriso sulle labbra.
Georg rise di gusto e si passò una mano fra i capelli.
«Però non era male».
Tom lo fulminò con lo sguardo. «Che cazzo
ridi?»,
sbottò indignato e con un tono di voce fin troppo alto.
Il bassista si voltò a guardarlo confuso. «Che
hai?», gli chiese scettico.
«È arrabbiato perché non l'ha dato a
lui il bacio», scherzò Gustav.
«Ma vaffanculo!», gli rispose brusco Tom.
Il batterista smise di ridere e lo fissò confuso.
Non me ne frega niente
se ci è rimasto male se ne
infischiò il chitarrista, tornando a fissare furioso il
bassista.
«Ti sei fatto pure palpare il culo da quella
lì!», sbottò a voce ancora
più alta di prima.
Georg inarcò un sopracciglio. «E
allora?».
A Tom formicolavano le mani per la rabbia. Se fossero stati soli, gli
avrebbe sicuramente tirato un altro schiaffone.
Bill osservava serio la scena, guardando in silenzio i due ragazzi. Si vede lontano un miglio che
è geloso
pensò, guardando il fratello. Però Georg, se dice
di
sentire qualcosa per lui, avrebbe anche potuto evitare di lasciarsi
baciare e di dire poi queste cose davanti a Tom.
«Che problemi hai, Tom?», gli chiese Georg beffardo.
«Ti diverti a prendermi per il culo, brutto
stronzo?».
In quello stesso momento, David entrò nella stanza con
un'espressione confusa sul volto. «Che modo di parlare
è
questo? Tom, controlla il linguaggio e, voi altri, vedete di darvi una
mossa: è ora di
andare», ordinò con voce severa, invitando i
quattro
ragazzi a seguirlo in un'altra stanza per prepararli al concerto.
Bill e Gustav annuirono, uscendo dalla stanza a testa bassa; Tom e
Georg, invece, rimasero a fissarsi, il bassista inespressivo e il
chitarrista furioso.
Ad un certo punto, Tom abbassò lo sguardo a terra,
continuando
però a mantenere un'espressione arrabbiata. «Io e
te
dobbiamo fare un bel discorsetto, dopo il concerto.
Ricordatelo»,
sibilò il rasta, mentre passava di fianco al bassista, per
poi
uscire dalla porta.
Georg lo osservò andarsene in silenzio, scuotendo la
testa, una volta rimasto solo. Sei
tu che mi prendi per il culo, Tom.
La folla gridava e le ragazze impazzirono,
quando le prime
note di "Ich
Brech Auch" riempirono l'aria; un boato spaventoso arrivò
alle
orecchie dei quattro ragazzi della band.
Tom e Georg, ai due lati del
palco, cominciarono a suonare, Gustav a battere con foga
il ritmo sulla batteria e Bill era pronto per uscire in scena
per ultimo. Quando la sua voce cominciò ad arrivare alle
orecchie delle fan, le urla aumentarono e l'adrenalina salì
sempre più. Bill cantò con passione e
cominciò
a prendere a poco a poco familiarità con il palco, ballando
e
percorrendo la lunga passerella, che gli permetteva di avvicinarsi di
più alle fan.
Buon inizio
pensò il cantante. Speriamo
che continui così.
Lanciò un'occhiatina sia al gemello sia a Georg:
entrambi
erano
impegnati a suonare e a rivolgere di tanto in tanto qualche occhiata
fugace alle ragazze di fronte a loro. Per il resto, non si guardavano
mai, come, invece, era loro solito fare. Alcune fan si accorsero di
questo
piccolo particolare quasi subito e ne rimasero alquanto deluse:
adoravano vedere quanto i componenti della band fossero affiatati, era
una
delle cose più belle e le facevano impazzire.
Bill,
alzando gli occhi al cielo,
decise di intervenire: non potevano continuare a fare un concerto con
due di loro che si ostinavano a tenersi il broncio. Muovendosi a ritmo
di musica, si avvicinò a Tom e appoggiò la sua
spalla
contro quella del gemello. In un momento in cui la musica aveva la
prevalenza sulla voce, Bill si avvicinò al suo
orecchio, tenendo il microfono lontano dalla bocca per far
sì
che sentisse solo il diretto interessato.
«Piantala di tenere
il muso e fai finta che sia tutto come al
solito», sibilò il cantante, facendo intuire al
fratello
di essere alquanto seccato dal suo comportamento.
Tom sbuffò e continuò a fissare le corde
della sua chitarra. Spero
che ti vada di traverso la tua stessa saliva mentre canti, Bill
imprecò mentalmente.
Il chitarrista alzò di poco il capo, puntando gli occhi
verso
Georg: era vicino a Bill, perciò il rasta dedusse che il
fratello avesse spronato anche l'amico a far sembrare tutto normale
agli occhi delle fan. Odiava recitare, soprattutto davanti alle ragazze
che li seguivano con così tanto amore, ma avrebbe dovuto
obbedire, altrimenti il gemello avrebbe potuto sfinirlo fino alla morte
con le sue ramanzine,
dopo il concerto.
Sempre a me devono
capitare queste cose si lamentò il rasta. Devo
pure fingere di andare d'accordo con quel maledetto, che ha preferito
quella sgualdrina a me, dopo tutte le pene che mi ha fatto passare con
le sue provocazioni. È insopportabile!
Lentamente, forse con fare troppo svogliato,
camminò
fino
a Georg, accennandogli un falso sorriso e mettendosi a suonare di
fianco a lui. Il bassista ricambiò il sorriso con aria
beffarda,
cosa
che Tom non si sarebbe mai aspettato da lui.
Sorridi pure,
bastardo. Quando poi perderò le staffe sul serio, vedrai
cosa ti farò lo maledisse il chitarrista
mentalmente.
Georg gli si avvicinò di più e
appoggiò la
spalla destra a quella sinistra del rasta. «Non sai proprio
fingere», gli disse piano, prendendosi gioco di lui.
Per fortuna Tom si ricordò di essere davanti ad una marea di
persone, perché l'impulso di smettere di suonare e
di
prendere a
pugni il bassista stava diventando incontrollabile. Se prima avevo
intenzione di parlarti
in modo civile, dopo il concerto, adesso sono sicuro al cento per cento
che ti ridurrò in pezzi pensò con
rabbia il chitarrista.
Con fare furbesco si portò alle
spalle del bassista e
appoggiò la schiena contro la sua.
Intanto beccati questo.
Continuando a suonare, Tom cominciò a muovere il
suo
corpo su e giù a ritmo di musica, sfregandolo in modo
provocante
contro quello di Georg.
Il bassista corrugò la fronte confuso e girò il
capo quel
tanto che gli bastava per vedere l'amico dietro di
sé. Che
diavolo sta facendo? pensò,
sbarrando gli occhi e cercando di concentrarsi sul suo basso.
La cosa, però, risultò alquanto difficile: avere
Tom
appiccicato a lui, con il fondoschiena che sfregava con fare malizioso
e con prepotenza contro il suo, era una cosa che lo stava a poco a poco
facendo impazzire. Senza rendersene neanche conto, Georg
sentì
le guance diventare bollenti e fu quasi certo di essere arrossito.
Sentì Tom ridacchiare alle sue spalle. «A quanto
pare, neanche tu», gli disse beffardo.
Lo sapeva che per il chitarrista quella era una specie di vendetta nei
suoi confronti, ma non avrebbe mai immaginato che avrebbe fatto una
cosa del genere durante un concerto.
Le fan, naturalmente, non sospettarono
di nulla: tutte pensavano che i due stessero solo suonando, muovendosi
uno contro l'altro a ritmo di musica. Niente di strano per loro,
potevano solo essere entusiaste di tutta quell'energia dimostrata dai
due.
Georg,
però, cominciava a diventare nervoso: Tom non faceva altro
che
stargli attorno e provocarlo come meglio poteva, anche se era impegnato
a suonare la chitarra. Man mano che andavano avanti con le canzoni
previste nella scaletta del concerto, il rasta rincarava la dose,
arrivando persino a far eccitare l'amico.
«Piantala, Tom!», sibilò il bassista
vicino all'orecchio del chitarrista.
Tom sorrise maliziosamente. «Neanche per sogno», fu
la secca risposta.
Che razza di stupido
pensò Georg, preoccupato che le fan davanti a loro potessero
sospettare qualcosa.
Non che quelle attenzioni da parte del rasta gli dispiacessero, anzi...
però quello non era certo il posto migliore per fare certe
cose.
Tom si staccò da Georg solo poche volte, girando un
po' per
il
palco e tornando successivamente sempre dall'amico. All'ultima canzone,
"An Deiner Seite", il chitarrista decise di aver ottenuto appieno la
sua
vendetta, così si allontanò dal bassista e si
unì
a Bill sulla passerella del palco, mentre tanti coriandoli dorati
volavano in aria per segnare la fine del concerto.
Le fan gridavano,
alcune piangevano commosse e altre intonavano insieme a Bill le ultime
note di quella canzone. Alla fine, il cantante ringraziò
tutto
il loro pubblico più e più volte,
lanciando il
proprio asciugamano in mezzo ad alcune ragazze e salutando con la mano
in aria. Gustav, Tom e Georg fecero lo stesso, sorridendo e lanciando
plettri, asciugamani, bacchette e quant'altro ancora per le loro fan.
Gustav chiuse quel concerto come suo solito, poi tutti e quattro i
ragazzi della band corsero via dal palco, correndo nel backstage.
David andò loro incontro, ma l'espressione del suo viso era
tutt'altro che soddisfatta.
«Che diavolo vi è
successo?», sbraitò con voce severa.
Bill inarcò un sopracciglio confuso.
«Perché dici così, David?».
Il manager batté le palpebre scettico.
«Perché?
Bill, hai stonato un sacco di volte, persino mia nonna
sotto la doccia avrebbe potuto fare di meglio! Tom e Georg, non so cosa
vi sia preso, ma avete fatto
letteralmente schifo! Pure tu, Gustav, eri sempre distratto! Quanti
errori e neanche avete provato a rimediare!».
I quattro ragazzi abbassarono gli occhi a terra desolati, ben
consapevoli di non aver dato il massimo quella sera: si erano lasciati
prendere dalle loro cose e avevano completamente dimenticato del posto
in cui si trovavano e di quello che avrebbero dovuto fare alla
perfezione.
Bill era più a terra che mai: si riteneva un
professionista e sapere di essere andato male feriva il suo orgoglio.
Gustav non pensava che il concerto fosse andato così male:
certo,
aveva notato molti errori e anomalie nei compagni, ma tutto sommato non
avevano fatto schifo. Un po' di delusione, comunque, la sentiva anche
lui.
Georg girò il capo verso Tom e lo fulminò con gli
occhi. Soddisfatto?
Il chitarrista si sentiva terribilmente in colpa e quell'occhiataccia
dell'amico lo buttò ancor più giù di
morale.
«Non voglio più vedere né sentire una
cosa simile,
quindi regolatevi per il prossimo concerto», li
ammonì
ancora David, allontanandosi di poco da loro. «E sbrigatevi.
Vi
porto in albergo», concluse, facendo segno di seguirlo.
I quattro ragazzi della band sospirarono e cominciarono a prepararsi
per prendere la macchina blindata, che li avrebbe riportati in albergo.
«Queste sono le chiavi delle vostre stanze. Cercate di
riposare
stanotte», disse David, dando ai quattro le chiavi delle
rispettive camere da letto.
Il suo tono di voce era più calmo e aveva persino accennato
un
sorriso. Probabilmente si era pentito di essere stato così
duro
con loro: dopotutto, erano solo dei ragazzini, era ben consapevole di
chiedergli troppo e di averli messi molto sotto stress in quelle
settimane. Però sfondare in America sarebbe stato un
grandissimo
passo per la band, perciò doveva spronarli a mettercela
sempre tutta.
«Buonanotte, ragazzi», li salutò infine
il
manager,
salendo le scale dell'albergo, che lo avrebbero portato nella sua
stanza.
«Prendiamo l'ascensore, non ce la faccio a salire le
scale», disse Bill con un tono di voce davvero molto stanco.
I tre amici annuirono e si diressero verso l'ascensore, in cui
entrarono poi tutti insieme.
Gustav si appoggiò alla parete
e
chiuse gli occhi sfinito; Bill, invece, sbadigliò,
gli
occhi che gli lacrimavano per il troppo sonno; gli unici che non
sentivano la stanchezza erano Tom e Georg: il chitarrista teneva lo
sguardo basso per evitare quello del bassista, ma l'amico non accennava
a staccargli gli occhi di dosso.
Ad un certo punto, l'ascensore si
fermò.
«Che succede?», chiese improvvisamente Tom agitato.
Bill lo guardò confuso. «Io e Gustav siamo un
piano sotto
al vostro, dobbiamo scendere qui», gli spiegò
con un
sopracciglio inarcato.
Tom strabuzzò gli occhi scettico, mandando segnali al
gemello e
supplicandolo di non lasciarlo lì dentro insieme a Georg.
Ma Bill lo ignorò completamente. «Risolvete i
vostri
casini da soli», gli sussurrò all'orecchio, prima
di uscire
insieme a Gustav.
Che razza di traditore
imprecò mentalmente il chitarrista.
Quando le porte dell'ascensore si richiusero, Tom e Georg rimasero da
soli all'interno.
Il chitarrista si attaccò alla parete
lì vicina, trovando molto attraenti i tasti dell'ascensore. Perché ci
mette così tanto a ripartire questo coso? si
chiese nervoso.
Sentì Georg schiarirsi la voce, puntandogli gli occhi
addosso.
«Allora?», gli chiese il bassista con un tono di
voce calmo.
Tom cominciò a sudare freddo. «Allora
cosa?».
La sua voce tremava ed era molto incerta.
«Non dovevamo parlare?».
Trascorsero vari secondi di silenzio, fino a quando le porte
dell'ascensore non si aprirono di nuovo.
Tom fece per uscire. «Non mi va di discutere adesso, ne
parleremo domani».
Il chitarrista si sentì afferrare per un polso e fu
costretto a girarsi.
«No, ne parliamo adesso, invece».
Georg uscì dall'ascensore e cominciò a trascinare
per il
corridoio dell'albergo il chitarrista, che opponeva resistenza e
cercava di liberarsi dalla sua presa.
«Georg, ti ho detto di no!», si lamentò
Tom.
Il bassista arrivò davanti alla porta della sua camera e,
non
con poca difficoltà, riuscì ad inserire la chiave
nella
serratura e ad entrare poi dentro la stanza, spingendo anche il
chitarrista al suo interno. Rimasero per qualche istante al buio, poi
Georg trovò l'interruttore della luce. Quando
poté finalmente vedere, richiuse la porta a chiave e
si
girò verso l'amico.
«Bene»,
soffiò, affaticato
dallo sforzo.
Tom sbarrò gli occhi scettico e tentò di
avvicinarsi alla
porta. «Bene un corno! Voglio uscire e andare nella mia
stanza!», sbraitò furioso.
«Se parti già incazzato, non riusciremo a
chiarirci come
si deve», commentò Georg, tenendo fermi i polsi
dell'amico.
«Ma io non voglio parlare con te, non voglio!»,
urlò
ancora il chitarrista, dimenandosi con rabbia e lottando come un
forsennato per uscire dalla porta.
«La vuoi smettere per un secondo di dimenarti in questo
modo?», sbottò Georg, ormai stanco di cercare di
tenerlo
fermo.
Possibile che i Kaulitz,
quando perdono le staffe, diventano come indemoniati?
pensò il bassista, ricordando quella sera in cui aveva detto
a Bill che avrebbero dovuto fingere di avere una storia.
Tom non accennò a calmarsi e Georg dovette
inventarsi qualcosa per tenerlo fermo con più
facilità:
lo spinse fino al letto a una piazza e mezzo e ce lo buttò
sopra, posizionandosi poi sopra di lui e immobilizzandolo a dovere. Il
chitarrista fece per protestare e aprire bocca, ma l'amico lo
costrinse a bloccarsi.
«Adesso stai buono e rispondi ad
alcune
domande».
Tom si zittì, fissando serio il volto del
bassista,
mentre i loro respiri affannati si mischiavano l'un con l'altro.
«Bene», soffiò Georg, prendendo aria.
«Allora,
domanda numero uno: perché ti sei incazzato in quel modo,
quando
quella ragazza mi ha baciato al Meet&Greet?».
Il chitarrista corrugò la fronte. «Oh,
beh, potresti anche
arrivarci da solo. Sai, mi sono "leggermente" sentito preso per il
culo, visto che poche ore prima mi hai praticamente stuprato nel
bagno!».
Georg si lasciò scappare una risatina ironica.
«Stuprato?
Qualche bacetto sul collo e un succhiotto non mi sembrano cose
così gravi. E, oltre a questo, ti ricordo che fino ad un
certo
punto ci sei pure stato».
«Non è vero!».
«Oh, sì, caro mio. Ti eri attaccato a me come una
cozza e ansimavi come...».
«Ho capito!», esclamò Tom, diventando
rosso come un pomodoro.
«Comunque, tornando al succo del discorso, è stata
lei a baciare me».
«Tu hai ricambiato».
«È proprio qui che volevo arrivare: ogni
volta che
provo a toccarti, mi becco sempre un pugno in faccia; se ti sto lontano
e mi diverto un po' con una ragazza, ti incazzi. A che gioco
stai
giocando?».
«Io non sto giocando!», protestò il
chitarrista, guardando truce l'amico.
«Okay, ti pongo la domanda in modo diverso. Cosa provi per
me?».
Tom si bloccò e divenne improvvisamente rigido. Il suo
respiro
divenne più pesante e l'espressione del suo volto
terribilmente
seria. Non riuscì più a reggere lo sguardo
intenso di
Georg, così puntò gli occhi altrove.
«Non distogliere lo sguardo, voglio che tu mi guardi negli
occhi», sussurrò Georg con un tono di voce fin
troppo serio.
Tom si sforzò, ma non riuscì comunque a puntare i
suoi
occhi in quelli dell'amico: aveva paura che Georg ci leggesse dentro
tutta la verità.
Ma quale verità,
poi? Qual è la verità? si
interrogò il chitarrista, aprendo appena la bocca.
«Tom», lo chiamò Georg in un sussurro.
«Guardami».
Non ci riesco.
Il bassista lasciò delicatamente la presa su un polso e
portò la mano al viso del chitarrista. Con dolcezza gli
prese
il mento fra il pollice e l'indice e lo aiutò a voltare il
capo.
Finirono per specchiarsi l'uno negli occhi dell'altro, in silenzio e in
una specie di coma: era come se le loro orecchie si fossero
improvvisamente riempite di ovatta, non sentivano altro che i loro
respiri. Ad un certo punto, Georg avvicinò ancora di
più
il viso a quello di Tom.
Il chitarrista trattenne il respiro e chiuse gli occhi,
stringendoli il più possibile. Ti prego, Georg... non farlo. Mi
confonderesti ancora di più.
Sentì il respiro dell'amico sulle sue labbra e il suo cuore
cominciò a battere impazzito.
Per favore...
Tom si stupì di quanto il tempo stesse trascorrendo
lentamente. Era come una sofferenza, come una lunga agonia. Sentiva il
respiro di
Georg sempre più vicino, ma non capiva perché non
stesse
per succedere quello che pensava. Poi, ad un tratto, le labbra
leggermente umide e tiepide del bassista si andarono a posare non
direttamente sulle labbra del chitarrista, ma sull'angolo della sua
bocca, dalla parte del piercing.
Tom riprese a respirare, il respiro
leggermente affannato, siccome lo
aveva trattenuto fino a quel momento. Non riaprì gli occhi,
non
fece niente fino a quando non sentì il peso del bassista
scivolare lentamente via dal suo corpo.
Dove va? si
chiese, tenendo ancora gli occhi socchiusi.
Poi, quando sentì i passi leggeri di Georg allontanarsi
sempre più, li spalancò di botto.
«Aspetta», disse in un soffio.
Si issò
sui gomiti e osservò per qualche istante
la
schiena dell'amico.
«Dormi con me stanotte»,
disse
incerto
Tom, sentendo la gola secca.
Georg voltò lentamente il capo e lo fissò per
qualche
istante con sguardo serio. «È davvero quello
che
vuoi?», gli chiese poi, guardandolo intensamente.
Tom annuì con il capo dopo poco.
«Non corro il rischio di beccarmi un altro pugno mentre
dormo,
vero?», disse ironicamente il bassista per allentare un po'
la
tensione che si era andata a creare fra loro.
«Stupido», ridacchiò il chitarrista,
alzandosi dal
letto per togliersi prima il cappellino e la fascia dalla testa, poi
tutto quello che riteneva inutile per dormire bene.
Decise che per quella notte avrebbe dormito con la maglia addosso: era
enorme, non sarebbe stato scomodo, e poi si sarebbe sentito a
disagio a dormire nello stesso letto con Georg, solamente in boxer.
Quando anche il bassista fu pronto, entrambi entrarono e si misero
sotto
le coperte, Georg a pancia in alto e Tom sdraiato sul fianco, girato
dalla parte dell'amico. Georg spense quasi subito la luce e loro due
rimasero al buio in silenzio assoluto. Passarono diversi minuti, ma
nessuno dei due chiuse gli occhi e cercò di dormire.
«Ehi, adesso che ci penso...», sussurrò
piano Georg, ad
un certo punto. «Io me ne stavo per andare, ma, in teoria,
questa
è la mia stanza, perciò saresti stato tu a
dovertene
andare».
Quando sentì il ringhio sommesso del chitarrista, Georg
ridacchiò: farlo arrabbiare in quel momento non era
certo una buona idea.
«Senti, ma...», riprovò ancora il
bassista.
«Vuoi stare un po' zitto?», ringhiò
ancora il chitarrista, interrompendolo scocciato.
«Scusa», gli rispose l'amico, trattenendo un'altra
risata.
È un po'
permalosetto, non c'è che dire
pensò scherzoso dentro di sé.
Ad un certo punto, Georg sentì una leggera ventata di aria
calda
muoversi verso il suo fianco e, subito dopo, si ritrovò il
corpo
di Tom fra le braccia. Era scosso da leggeri brividi di freddo.
«Sei sicuro di star bene, Tom? Sei molto caldo, ma hai i
brividi. Forse hai...».
«Stringimi», lo interruppe il rasta, sussurrando
piano e soffiando sul collo dell'amico.
Georg rimase per un secondo confuso, poi cinse il corpo di Tom
con
le
sue braccia e lo strinse a sé. Spero solo che non si sia
ammalato.
Dopo poco tempo, il bassista sentì il respiro dell'amico
farsi
più tranquillo e regolare e da quello capì che si
era
addormentato beatamente. Cominciò ad accarezzargli piano la
testa e sorrise nel buio.
Buonanotte, Tom.
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Capitolo 6 *** Problems of friendship ***
06. Problems of friendship
Non dovevano essere neanche le quattro del mattino, ma
Georg, per un
motivo o per un altro, si svegliò con addosso una brutta
sensazione. Lentamente aprì gli occhi e si
ritrovò a
fissare le palpebre chiuse del ragazzo che gli dormiva abbracciato: Tom
aveva la fronte appoggiata a quella del bassista e respirava
pesantemente, segno che stava ancora dormendo tranquillamente.
Per un
momento, Georg si stupì di quella scena insolita e a tratti
anche
romantica per lui, poi, però, si ricordò di
quello
che era
successo poche ore prima e riuscì a dare un
senso a
quel momento. Il bassista mosse una mano sulla schiena di Tom per
stringerlo ancor più a sé, ma senza
svegliarlo, e fu
proprio in quel momento che si accorse di quanto il rasta fosse caldo.
È bollente!
pensò sconvolto, premendo un po' di più la fronte
contro quella di Tom. Cazzo,
scotta. Io lo sapevo che non stava bene prima.
Georg aveva assolutamente bisogno di un termometro, ma uscire dal letto
senza svegliare il rasta era impossibile. Poi pensò che
avrebbe dovuto comunque
svegliarlo per misurargli la febbre, quindi tanto valeva non farsi
tanti problemi.
Al massimo mi
beccherò un altro pugno in faccia per averlo svegliato
pensò ironicamente il bassista, cercando di spostare nel
modo
più delicato possibile il corpo del chitarrista dal suo.
«Uhm», mugolò Tom, corrugando la
fronte e aprendo
piano gli occhi. «Georg... che fai?»,
domandò dopo
poco, con la voce impastata dal sonno, ma che faceva intendere
benissimo
un certo fastidio per quel risveglio non voluto.
È incredibile
come riesca ad essere arrabbiato già dopo due secondi dal
risveglio ridacchiò Georg dentro di
sé.
«Sono quasi certo che tu abbia la febbre e ho bisogno di un
termometro», gli spiegò il bassista, uscendo
completamente
dal letto e coprendo per bene il rasta fin sotto il naso.
Tom si strinse immediatamente nelle coperte e cominciò a
tremare. «Cazzo, che freddo! Torna subito sotto! Sto
morendo
assiderato!», ordinò il chitarrista, mentre era
scosso dai
brividi e batteva insistentemente i denti.
«Trovo il termometro e torno a letto».
Così dicendo, Georg si mise ad aprire i vari cassetti dei
comodini presenti nella stanza, ma non trovò nessun
termometro. Poi pensò al piccolo bagno privato che aveva
nella stanza e
si
diede dello stupido per non averci pensato prima: nel bagno c'era una
cassetta del pronto soccorso appesa al muro e lì dentro il
bassista trovò un piccolo termometro di vetro.
Tornò in
camera da letto e si avvicinò al letto in cui Tom stava
ancora
tremando.
«Ecco, mettilo sotto l'ascella», gli disse
premuroso,
scoprendolo di poco per aiutarlo a sistemare a dovere il termometro.
Ma il chitarrista con uno scatto veloce si
ricoprì e
batté i denti ancora più forte. «Ma sei
pazzo? Ho
freddo così!», si lamentò, tuffando
anche la testa
sotto le coperte.
Georg ridacchiò. È
adorabile, quando fa così.
«È questione di un secondo, poi ti puoi
ricoprire», disse il bassista, riprovando ad alzare ancora le
coperte.
Tom però cominciò a lottare per non
permettergli di
scoprirlo. «Mi fai aria così, è
freddo!»,
disse furioso, mentre Georg continuava a tirare le coperte.
«Smettila di fare il bambino, puoi resistere per due micro
secondi».
«No, c'è il rischio che muoia
congelato!».
«Oh, avanti».
«No!».
Georg sbuffò forte. «Se continui ad agitarti
così,
la febbre salirà. Perciò fatti mettere questo
dannatissimo termometro sotto...».
Il bassista non
riuscì a
terminare la frase, perché Tom aveva tirato fuori le braccia
dalle coperte e lo aveva afferrato per le spalle, tirandolo verso il
basso e facendolo ricadere sdraiato sul letto. Con una
velocità impressionante, il chitarrista
coprì
anche l'amico e gli si mise sopra, tuffando poi la testa nell'incavo
del suo collo e stringendosi a lui più che poteva.
«Piantala di fare il dottorino e riscaldami»,
sussurrò in modo suadente Tom all'orecchio del bassista.
Georg venne percorso da mille brividi, ma rimase comunque stupito da
tutto quello che stava accadendo. «Tom, ti
sembra...».
«Riscaldami, ti ho detto», esclamò Tom,
facendo sfregare il suo corpo contro quello nudo di Georg.
Il bassista deglutì rumorosamente e circondò il
corpo
dell'amico con le sue braccia per poi stringerlo a sé con
forza. Accarezzò prima le spalle del chitarrista attraverso
il
tessuto dell'enorme maglia che aveva addosso, poi scese lungo tutta la
schiena e arrivò alle natiche dell'amico. Indeciso su cosa
fare,
decise di risalire di nuovo la schiena, ma Tom gli fermò le
mani
con le sue e le portò sotto la sua maglia ad
accarezzare
direttamente la pelle bollente. Il chitarrista sussultò,
quando sentì
quanto
fossero fredde le mani del bassista.
«Sono gelate»,
sibilò nell'incavo del suo collo.
Georg ridacchiò. «Mi hai fatto penare fino ad ora,
perché non volevi sentire freddo, e adesso vuoi che ti
tocchi
con
le mani gelate?», gli chiese ironico, muovendo le mani sulla
pelle
del chitarrista, risalendo su per tutta la colonna vertebrale.
Tom mugugnò e si tese contro il petto di Georg, accogliendo
con
piacere i brividi che gli percorsero tutto il corpo al passaggio delle
mani dell'amico. «Adoro farti penare»,
sussurrò
maliziosamente il chitarrista all'orecchio dell'amico.
Il bassista portò le mani ancora verso il basso ed
infilò
le dita sotto l'elastico dei boxer del chitarrista: le sue natiche
erano bollenti, forse erano il punto più caldo di tutto
il corpo.
«Bene, mi fa piacere sentirtelo dire...
così posso divertirmi anch'io», gli disse
maliziosamente
Georg, prendendo con forza Tom per i fianchi e ribaltando le posizioni,
posizionandosi così sopra l'amico.
Velocemente, tolse l'enorme maglia al chitarrista e la buttò
sul
pavimento, lontano dal letto, poi accarezzò con lentezza
l'addome di Tom. Il chitarrista sospirò e si
lasciò sfuggire un
piccolo
gemito dalle labbra: avere le mani fredde di Georg sul suo corpo era
una sensazione eccitante e fastidiosa allo stesso tempo.
«Maledetto», soffiò piano, spingendo i
polpastrelli delle dita fra le scapole del bassista.
Georg sorrise compiaciuto, poi si piegò di più
sul rasta
per poter lambire il suo collo con le labbra. «Vedo che
c'è ancora il mio marchio»,
scherzò,
notando il succhiotto che aveva fatto al chitarrista la mattina
precedente.
Cominciò a baciare lentamente il collo dell'amico, scendendo
poi
verso il petto e succhiando i pettorali appena pronunciati. Sentiva Tom
ansimare sempre più forte sotto di sé e rimase
soddisfatto,
quando con la lingua stuzzicò un capezzolo rosa e l'amico si
lasciò scappare un verso strozzato e più forte
degli
altri dalla gola. Allora fece lo stesso con l'altro,
succhiandolo
maliziosamente.
«Mmm, Georg...», ansimò Tom, graffiando
la schiena del bassista e incitandolo a continuare.
Georg risalì il collo e arrivò al mento del
chitarrista. Quando provò a baciarlo sulla bocca,
però, rimase
sorpreso, perché Tom girò la testa di lato
all'ultimo
secondo e le sue labbra incontrarono la pelle della
guancia. Il bassista si issò sui gomiti per guardare confuso
il viso
del
chitarrista e quest'ultimo scosse appena la testa.
«Non
qui. Non ancora», sussurrò serio.
Georg non ne capì il motivo, ma si accontentò
comunque di quello che aveva potuto fare con il corpo del rasta.
Tom portò le braccia attorno al collo del bassista e gli
avvicinò le labbra all'orecchio. «Scusa, ma per me
è ancora un po' strano tutto questo», gli
spiegò,
sussurrando.
Georg capì e sorrise: fino al giorno prima, Tom era
sempre stato attaccato a ragazze dotate e fin troppo formose; capiva
che non doveva essere per niente facile abituarsi a provare attrazione
per tutto il contrario, soprattutto per un SexGott come lui.
«Ci sei rimasto male?», gli chiese ad un tratto
Tom,
notando l'espressione pensierosa del bassista.
Georg si riscosse e sorrise. «No, affatto. Lo
capisco».
Si
sporse un po' in avanti e gli baciò la fronte.
«Perciò penso che... sia meglio fermarci qui e
riprendere
più avanti», propose poi, sdraiandosi sul
materasso
e
portando Tom sopra di sé per poterlo abbracciare.
Il chitarrista sorrise e appoggiò la fronte a quella
dell'amico.
«Sì, forse è meglio.
Grazie», disse rasserenato, sussurrando l'ultima parola.
Georg ricambiò il sorriso e sospirò felice, poi
un lampo
gli attraversò la mente, facendogli ricordare una cosa molto
importante. «Ehi! Io devo ancora misurarti la
febbre!».
Questa cosa è
assolutamente assurda. Ho visto troppi film, probabilmente.
Gustav rimuginava ancora sulla possibile relazione fra Georg e Tom,
appoggiato con la schiena alla parete fredda dell'ascensore:
quell'argomento lo assillava molto spesso e ogni giorno che passava i
sospetti che si era fatto crescevano sempre di più.
È impossibile una cosa del genere, sono solo io che sto
diventando matto
pensò il batterista, mentre le porte dell'ascensore si
aprivano ad un piano sopra la sua stanza.
Andare direttamente a parlare di quelle cose con Georg era stata una
decisione difficile, ma, se voleva finalmente chiarire quella faccenda
una volta per tutte, doveva per forza discuterne a
quattr'occhi
con l'amico.
Con passo deciso attraversò quel breve pezzo di
corridoio che lo separava dalla stanza di Georg e, quando finalmente
arrivò di fronte alla porta, si bloccò con un
pugno in
aria, quando sentì tutto il fracasso che proveniva da quella
stanza.
«Vuoi stare un po' fermo? Altrimenti la temperatura non
sarà quella giusta!», esclamò Georg,
cercando di non
cadere giù dal letto.
Tom si dimenava come un ossesso, prendendosi tutte le coperte e
rigirandosi in continuazione nel letto. «Questo schifo di
termometro è scomodo e poi fa freddo e io, adesso, non ho
più la mia maglia per colpa tua!».
«Se magari stessi fermo, potrei anche aiutarti a sistemarti
come si deve».
«No, tu vuoi solo farmi prendere freddo!».
«Sei tu che ti fai freddo da solo, con tutta l'aria che muovi
sotto le coperte!».
TOC TOC
Qualcuno aveva appena bussato alla porta e i due amici si erano voltati
a guardare quel pezzo di legno confusi.
«Chi diavolo è a quest'ora?».
Finalmente Gustav si era deciso a bussare, trascurando tutto il rumore
che proveniva da dentro la stanza e stupendosi del fatto che
Georg
fosse già sveglio a quell'ora.
«Georg, sono Gustav. Vorrei parlare un po' con te, se non
ti dispiace», disse incerto il batterista, sentendo il
fracasso dietro alla porta cessare improvvisamente.
«Gustav, che fai già alzato a
quest'ora?».
Il bassista sussultò, quando quella voce gli
arrivò da dietro le spalle, prendendolo alla
sprovvista.
Si voltò e si ritrovò di fronte un Bill assonnato
e con gli occhi ridotti a due fessure per la troppa luce che c'era nel
corridoio dell'albergo. Era una scena piuttosto buffa, considerando che
il cantante aveva i capelli completamente arruffati ad incorniciargli
il viso pieno di sonno, simile a quello di un fantasma.
«Beh, potrei farti la stessa domanda»,
rispose Gustav, ridacchiando, quando notò che l'amico
portava ai
piedi delle pantofole a forma di orsacchiotto.
Bill barcollò fino a lui e si lasciò scappare un
grande sbadiglio. «Stavo andando da Tomi, volevo dormire con
lui. Tu, invece, come mai sei qui davanti alla porta di
Georg?».
«Oh, niente, volevo solo fare quattro chiacchiere con lui.
A quanto pare è già sveglio: poco fa c'era un
rumore impressionante qui dietro, sembrava addirittura che non fosse
solo».
Bill annuì col capo e sorrise. Fece per allontanarsi, ma poi
si bloccò immediatamente, perché uno strano
pensiero si era insinuato nella sua mente. Cominciò
a
mettere insieme le idee e alla fine
arrivò ad una conclusione.
Confusione... trambusto...
Georg... Tom... OH, SANTO CIELO!
«GUSTAV, ALLONTANATI DA QUELLA PORTA!»,
urlò il cantante, buttandosi letteralmente addosso alla
porta chiusa e allargando le braccia come per volerla proteggere dal
batterista che gli stava davanti.
Gustav inarcò confuso un sopracciglio e fissò
l'amico sbigottito. «Che ti prende? Perché devo
allontanarmi dalla porta?».
Bill si appiccicò ancora di più al pezzo di legno
e cominciò a balbettare qualcosa di incomprensibile.
«Perché... perché... i germi,
sì, proprio loro, fanno male alla salute!».
Sono sicurissimo che
Georg e Tom siano insieme lì dentro e Gustav non deve
entrare e vederli. Chissà poi che cosa stanno facendo.
«I germi?», chiese Gustav sempre più
confuso.
«Esatto, la porta è piena di germi e, se ti
avvicini, ti uccideranno».
«Ma se tu ci sei appiccicato».
«Io sono immune».
Il batterista strabuzzò gli occhi e inarcò un
sopracciglio. «Bill, sai qualcosa che io non so, per
caso?».
«Chi, io? No, cerco solo di salvarti la vita»,
disse
il cantante, abbozzando un sorriso.
Gustav si avvicinò e cercò di spostare l'amico
dalla porta, ma il cantante lo ostacolò in tutti i modi
possibili.
«Bill, levati!», gli ordinò,
tirandolo per la vita.
«No, non ti permetterò di farti del
male!», urlò Bill, aggrappandosi con tutte le sue
forze alla porta.
«Ma quale male? Tu vuoi soltanto che io non entri in quella
stanza e, credimi, scoprirò il perché!».
«I germi sono malefici! Non cadere nella loro trappola,
Gustav!».
Gustav si abbassò e cominciò a tirare le gambe
del cantante. «Fammi entrare!».
«Hai ancora tutta una vita davanti, non puoi suicidarti
così!».
«Ma chi si suicida?».
«Devi guardare avanti e sorridere! Sii ottimista, l'ottimismo
è il profumo della vita!».
«Bill, sembri drogato!».
Ormai i due litiganti avevano svegliato tutto l'albergo con le loro
grida, ma nessuno dei due sembrava voler cedere o rinunciare. Bill era
mezzo sdraiato a terra, con le mani aggrappate allo stipite della porta
chiusa. Gustav, invece, era completamente sdraiato ai piedi del
cantante e gli tirava le gambe, cercando di staccarlo dalla porta.
Ad
un tratto, però, la porta si aprì e un Georg
sbigottito apparve sulla soglia. Fissò i ragazzi a terra
come se fossero due alieni e per un attimo si chiese come facesse ad
avere degli
amici del genere.
«Che diavolo state facendo?».
Gustav e Bill, ancora distesi a terra, fissarono
stralunati
l'espressione scettica di Georg, mentre li guardava dall'alto.
Era una
scena piuttosto insolita quella in cui erano coinvolti i tre amici e
ognuno di loro era sempre più confuso.
Gustav si alzò velocemente in piedi e, dopo aver scavalcato
il
povero Bill con poca grazia, si parò davanti alla faccia del
bassista con fare minaccioso. «Sputa il rospo», gli
ordinò con voce decisa.
Georg sbatté le palpebre confuso, poi inarcò un
sopracciglio. «Cioè?».
«Hai una relazione con Tom?».
Il bassista sentì il sangue gelarsi nelle vene. Come fa a saperlo?
si chiese nel panico, indeciso su cosa rispondergli.
Lanciò un'occhiataccia a Bill, ma questo gli rispose con
un'espressione del volto che voleva dire "io non c'entro nulla".
«Ma come ti saltano in mente certe idee?»,
esclamò, poi, con un sorrisetto forzato sulle labbra.
Gustav non si arrese. «Allora ce l'hai con Bill?».
In quel momento Bill stava cercando di rimettersi in piedi, ma a quelle
parole ricadde ancora a terra.
«Oh, ma per favore!», commentò Georg,
scuotendo
vigorosamente la testa. «Io non ho nessuna
relazione».
«Sì, certo... e stranamente tutti quanti in questi
giorni vi state comportando in modo strano e cercate di tenermi
all'oscuro di tutto. Ma io l'ho capito benissimo che qui sta
succedendo qualcosa», disse Gustav, avvicinandosi ancor
più a Georg per cercare di spostarlo e di entrare nella
stanza.
Il bassista allargò le braccia e puntò le mani ai
due
lati della porta per impedire all'amico di entrare dentro: non doveva
scoprire in quel modo che fra lui e Tom c'era qualcosa di
più di
una semplice amicizia. Anzi, non doveva proprio saperlo.
«Fammi entrare», si impose Gustav, spingendo con
forza l'amico oltre la soglia.
Georg cercò di resistere e impedì al batterista
di
entrare dentro la stanza. «Non è il caso,
è tutto
in disordine», si giustificò nel panico.
«Non me ne frega niente del tuo casino, piantatela di
raccontarmi
tutti delle cazzate!», urlò l'amico, continuando a
combattere per entrare.
A quel punto, Bill decise di dare una mano a Georg: era evidente che
dentro la stanza ci fosse Tom, per questo il bassista non
voleva far
entrare Gustav. Gattonò fino ai due amici, poi
abbracciò
una gamba di Gustav e cominciò a tirare dalla parte opposta.
«Non sono cazzate, Gustav! Vogliamo tutti salvarti
dall'invasione
batterica!», biascicò il cantante con la
guancia attaccata alla coscia del batterista. «Se
non entri
lì dentro, campi altri cent'anni, te l'assicuro!».
«Mi avete rotto le palle tutti e due!»,
urlò Gustav
in piedi su una gamba sola e completamente appoggiato a Georg, mentre
cercava di spingerlo via dalla soglia.
In quello stesso momento, una porta si aprì a qualche metro
di
distanza da loro e una signora anziana apparve sulla
soglia con fare minaccioso. «Si può
sapere cos'è
tutto questo...?».
La vecchietta ci mise un po' a realizzare quello che aveva davanti
agli occhi: tre ragazzi, uno per terra attaccato alla gamba di un
altro,
che a sua volta abbracciava e spingeva il terzo ragazzo oltre la porta.
«OH, SIGNORE!», urlò scandalizzata,
mettendosi una mano davanti alla bocca.
Bill si accorse della signora e cercò di dirle qualcosa, ma,
quando cercava di parlare, non faceva altro che biascicare parole
incomprensibili, siccome la pressione della guancia sulla gamba di
Gustav gli impediva di parlare correttamente e gli deformava la faccia
come un pesce palla. «No, non è come
pensa!»,
cercò
di
rassicurarla, ma la vecchietta ormai era già scappata
dentro la sua stanza e aveva richiuso rapidamente la porta a
chiave.
Bill sbuffò. Ma
perché sempre a me?
«Levatevi dai piedi!», urlò Gustav,
cercando di
mantenere l'equilibrio sull'unica gamba ancora piantata a terra.
Ad un tratto, un'ombra si mosse alle spalle di Georg e Tom comparve
dietro la schiena del bassista. «Perché fate tutto
questo casino?»,
bofonchiò, mentre si stropicciava gli occhi con fare
assonnato.
«TOM?», esclamò Gustav, sbarrando gli
occhi fino al massimo possibile.
A quel punto, Georg non riuscì più a reggere il
peso del
batterista contro di sé e stacco le mani dai
due
lati della porta. In un attimo i quattro amici si ritrovarono
completamente spiaccicati l'uno contro l'altro: Tom si
ritrovò addosso sia Georg che Gustav; Bill, ancora
aggrappato
alla gamba del batterista, si sentì trascinare
dentro la
stanza e successivamente atterrare su un ammasso di corpi
aggrovigliati. I quattro amici erano caduti a terra dentro la
stanza
di Georg, uno sopra l'altro e completamente esausti per tutti i
precedenti sforzi.
«Mi state... soffocando», cercò di dire
Tom sotto il peso di tutti.
A quelle parole Georg cercò di rotolare via dal corpo del
chitarrista, portando con sé anche Gustav e
Bill.
Una volta liberato Tom da tutto quel peso, il bassista
gattonò
fino a lui e lo guardò preoccupato. «Stai
bene?».
«Stavo meglio prima».
«E tu che ci fai nella stanza di Georg?»,
esclamò con voce stridula Gustav.
In un batter d'occhio, Bill scattò in piedi e si frappose
tra
Gustav e i due piccioncini ancora sdraiati a terra. «L'ho
mandato
io qui per chiedere a Georg se aveva visto la mia piastra per
capelli!», cominciò a parlare a raffica il
cantante.
Gustav osservò le condizioni del chitarrista e
inarcò un
sopracciglio sospettoso. «E perché ha addosso solo
la
maglietta?».
«Beh, perché non gli ho dato neanche il
tempo di vestirsi. L'ho spedito direttamente qui».
«Oh, certo. Allora saprai anche dirmi come mai i suoi
jeans, la
sua fascia e il suo cappello sono stesi su quella sedia là
in
fondo», disse infine il batterista, indicando con un dito una
sedia posizionata di fianco al letto con sopra i vestiti e tutti gli
accessori di Tom.
Bill sbiancò in volto e deglutì rumorosamente. Cavolo, cavolo, cavolo.
«Gustav, non è come pensi»,
intervenne
subito Tom, alzandosi in piedi insieme a Georg.
Gustav assunse uno sguardo serio e arrabbiato allo stesso tempo,
incrociando le braccia al petto. «Ah, no? Sai come la penso
veramente, Tom? Io penso che tu e Georg stiate insieme e che tutti voi,
nessuno escluso...», disse, forzando di più il
tono
della
voce e lanciando un'occhiataccia a Bill lì vicino.
«...siate un trio di falsi!», concluse furioso,
avviandosi
poi verso la porta.
«No, aspetta!», esclamò Georg, correndo
verso di lui
e afferrandolo per un braccio. «Lascia almeno che ti
spieghi».
«Non ho voglia di sentire le tue spiegazioni, ho
già
capito da solo!», urlò il batterista,
schiaffeggiando la
mano dell'amico e liberandosi dalla sua
presa. «Siete dei
bugiardi ed io non so come diavolo ho fatto ad esservi
amico!».
Quelle parole erano come delle pugnalate per Bill, Tom e Georg, ma
nessuno di loro voleva che l'amico se ne andasse in quel modo.
Bill sentiva la tristezza invadergli il corpo, ma trovò
comunque
la forza per parlare a Gustav. «Perché dici
così?».
Gustav fece retrofronte e lanciò uno sguardo scettico
all'amico.
«Perché? Perché fino ad ora non avete
fatto altro
che tenermi all'oscuro di tutto e mi avete raccontato bugie su bugie!
Non è così che si fa tra amici, da voi non me lo
sarei
mai aspettato!».
«Avevamo paura che tu non capissi e che saresti rimasto
sconvolto,
sapendo la verità», si giustificò
Georg,
abbassando
lo sguardo triste.
«Oh, bene. Cavolo, avete proprio una bella
opinione di
me. Però non mi sembra che tu, Georg, ti sia fatto problemi
a
raccontare tutto a Bill. Lui può capire, io no, invece,
vero?», urlò Gustav furibondo, guardando malissimo
i tre
amici che aveva davanti.
«No, Gustav, Georg non me l'ha raccontato
direttamente. Lui...»,
cercò di spiegarsi Bill, ma venne interrotto da un gesto
secco
della mano da parte del batterista.
«Non mi importa come diavolo sei venuto a sapere della loro
relazione, resta il fatto che tu mi hai mentito, tu più di
tutti
gli altri!».
Bill sentiva la voglia di piangere sempre più forte, era
ormai
una necessità: aveva già gli occhi più
umidi, ma
non voleva piangere lì davanti a tutti.
«Io volevo
soltanto...», provò a dire a bassa voce,
tremando dalla testa ai piedi.
«Voleva solo difendermi», intervenne Tom, capendo
subito che qualcosa non andava nel gemello.
Gustav scosse la testa vigorosamente e alzò ancora di
più
il tono della voce. «Non mi interessa se voleva aiutarti,
appoggiarti, difenderti, o quant'altro! Per me è solo un
gran
bugiardo e le persone così mi fanno schifo!».
A quel punto, Bill non riuscì più a trattenere le
lacrime. Strinse forte le palpebre per cercare di non piangere, ma fu
tutto inutile, perché una lacrima scappò
dalle
sue ciglia
e un singhiozzo gli uscì dalla bocca socchiusa.
«Per quanto ne so, anche lui potrebbe essere coinvolto in
questa
cosa. Ecco perché voleva tenermelo nascosto e ha inventato
tutte
quelle bugie. Che ne so, magari anche lui si fa scopare insieme a voi
due. La notte fate delle orge».
«Gustav!», esclamò Georg sconvolto, non
credendo alle proprie orecchie.
L'amico non aveva mai parlato in quel modo, non aveva mai reagito
così e, soprattutto, non aveva mai insultato Bill prima di
allora. Per il batterista il cantante era sempre stato come un cucciolo
da
proteggere, un vero amico da difendere in ogni occasione.
Ma allora
perché adesso fa così? Perché se la
prende con lui, quando qui si tratta di me e Tom?
Bill si lasciò scappare altri singhiozzi ancora
più forti
e si mise una mano sugli occhi per non mostrare le lacrime.
Tom a quel punto non ci vide più e si scagliò
contro
Gustav, afferrandolo per il colletto della maglia e urlandogli in
faccia. «Non ti permetto di parlargli così,
rimangiati
subito quello che hai detto!».
«Pensi di farmi paura?», lo fronteggiò
Gustav,
rimanendo comunque immobile e non mettendo le mani addosso al
chitarrista.
«Puoi dire tutto quello che ti pare su me e Georg, ma non
osare tirare di mezzo anche Bill! Perché io ti giuro,
Gustav,
che ti riempio di botte! Anche se prima d'ora non ho mai neanche
pensato di picchiare i miei amici, ti assicuro che sono assolutamente
capace di
farlo. Quindi, adesso, chiedigli scusa!».
Georg si rese conto tutto in una volta che la situazione stava
veramente degenerando e che, se non voleva che i suoi due amici
facessero a pugni, sarebbe dovuto intervenire subito. Scattò
in avanti e si mise in mezzo tra Tom e Gustav,
dividendoli e cercando soprattutto di calmare il chitarrista.
«Calmati, Tom. Non è il caso di arrivare alle
mani».
«Oh, io dico di sì!».
«Possiamo risolvere tutto, parlando
tranquillamente»,
continuò il bassista, ignorando l'amico furioso.
Gustav si allontanò di qualche passo. «Non voglio
risolvere niente, non mi interessa», disse con un tono di
voce
indifferente, ma offeso al tempo stesso.
Il batterista fece per uscire dalla stanza, ma venne preceduto da una
figura alta e snella, che corse fuori dalla porta, singhiozzando con
una
mano sulla bocca.
«Bill!», esclamò Tom, rattristandosi nel
vedere il gemello in quelle condizioni.
Velocemente si liberò dalla presa di Georg e, dopo aver
lanciato
un'occhiata piena di disprezzo al batterista vicino alla porta, corse
fuori nel corridoio all'inseguimento del fratello. Gustav e Georg
rimasero da soli nella stanza, immobili a fissare il
pavimento, ognuno con i propri pensieri per la testa. Ad un tratto, il
batterista si avviò verso la porta e non si
voltò,
neanche
quando Georg lo chiamò ancora una volta.
«Aspetta, Gustav. Parliamone», ci
provò
il bassista.
«No, per favore. Adesso non ho voglia di parlare,
Georg»,
sussurrò con voce triste Gustav, poi uscì dalla
stanza.
Georg, una volta rimasto solo, si mise una mano sulla fronte e
sospirò sconsolato. Che
casino. Ma perché ha accusato
Bill? Lui non c'entrava niente.
Lentamente andò a sdraiarsi sul letto, allargando le braccia
sul
materasso e fissando il soffitto con sguardo spento.
È colpa
mia. Se non fossi così, adesso tutto sarebbe come al solito
e la
vita dei miei amici non sarebbe completamente stravolta. Mi sento
terribilmente in colpa.
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Capitolo 7 *** Confusion ***
07. Confusion
«Bill, apri la porta, per favore».
Tom continuava a battere insistentemente un pugno sulla porta della
stanza del gemello, sperando che prima o poi quello si decidesse ad
aprirgli. Sentiva dei singhiozzi sommessi dall'altra parte del pezzo di
legno scuro e questa cosa non riusciva a tollerarla.
Se almeno mi aprisse...
pensò il chitarrista con impazienza.
«Se non mi apri... sfondo la porta!»,
esclamò il rasta, dopo un momento di incertezza.
Molto probabilmente non era il modo più adatto con cui
consolare il gemello, ma in quel momento era agitato e infuriato con
Gustav per aver trattato male Bill: non doveva permettersi di dirgli
quelle cose e, se proprio non riusciva a trattenersi, avrebbe benissimo
potuto prendersela con lui e Georg.
«Bill, porca puttana, vuoi muovere il culo e...».
«Potresti anche trattarlo con un po' più di
dolcezza».
La voce di Gustav prese alla sprovvista il rasta, che
sobbalzò sul posto e per poco non si lasciò
scappare un urlo disumano dalla bocca.
Dopo essersi ripreso dallo
spavento, scrutò con aria di sfida il batterista di fianco a
sé. Storse la bocca e grugnì qualcosa di
incomprensibile.
«Senti chi parla, l'artefice di questo casino»,
mugugnò arrabbiato.
Gustav abbassò gli occhi sul pavimento e avanzò
di pochi
passi, fino ad arrivare davanti alla porta. Spinse leggermente da parte
Tom e bussò con cautela.
Il chitarrista gli rivolse un'occhiata scettica. «Che fai?
Vuoi infierire ancora?».
Gustav non lo guardò in faccia e continuò a
fissare
paziente la porta. «Ho combinato io questo casino, no? Fammi
rimettere le cose a posto», disse con voce
pacata.
Ma
che avrà in mente? pensò il
rasta sospettoso.
Rimase immobile a guardare incerto l'amico, fermo davanti alla porta.
Passarono vari secondi, ma non accadde niente di nuovo.
«Non apre a me, figuriamoci se fa entrare te»,
borbottò Tom ad un certo punto.
Gustav bussò ancora una volta alla porta. «Bill,
mi fai
entrare? Voglio solo... chiederti scusa per le cose che ho detto. Per
favore», disse con un tono di voce basso, che faceva
trasparire
una nota di tristezza.
Passarono altri secondi, ma la porta rimase sempre chiusa. Ormai
dall'altra parte non si sentivano più nemmeno i singhiozzi.
Forse Bill era indeciso sul da farsi.
Gustav sospirò afflitto. «Dai, Bill. Non sei una
persona
che porta rancore per tanto tempo. Anzi, non sei proprio una persona
che porta rancore», disse, ridacchiando alla fine.
Tom inarcò un sopracciglio. Gli sembra questo il momento
giusto per fare dell'ironia?
Improvvisamente, si sentì un lieve fruscio dietro la porta
e,
dopo poco, la serratura scattò: Bill aveva aperto.
Gli ha aperto? pensò
Tom scandalizzato.
Gustav sorrise e fece per aprire la porta.
«Aspetta un secondo», esclamò
improvvisamente il chitarrista, costringendo l'amico a bloccarsi.
Gustav si voltò lentamente, guardando incerto l'espressione
stranamente seria del rasta.
Tom fece un passo avanti. «Se provi a farlo soffrire
ancora,
ti assicuro che non la passerai
liscia», lo minacciò con voce dura e fredda.
Non stava scherzando, non era mai stato più serio prima.
Gustav
lo fissò ancora per qualche secondo, scrutando i suoi occhi
decisi. Sorrise.
Gli vuole davvero bene.
«Non ti preoccupare», lo rassicurò
infine il
batterista, tornando a fissare la porta ancora chiusa.
«È
successo una volta, non succederà mai
più».
Tom annuì col capo, anche se dentro di sé portava
ancora un po' di rancore all'amico.
«E, un'altra cosa...», continuò Gustav,
fissando la
maniglia della porta. «Tu e Georg siete proprio una bella
coppia».
Tom ebbe un tuffo al cuore a quelle parole. Un bella coppia?
Ci aveva pensato poco prima, ma non se n'era preoccupato più
di tanto: lui
e Georg erano una coppia? La parola "coppia" lo spaventava un po',
anche se non riusciva a capirne il motivo preciso. Forse
perché
non era mai riuscito a stare con la stessa persona per più
di
una notte. E poi chissà cosa ne pensava Georg. Lo
considerava
come il suo compagno?
Comunque fosse, Tom era felice che Gustav non
fosse disgustato da quella cosa ed era rimasto sollevato dalle parole
dell'amico.
«Grazie», sussurrò piano, fissando con
meno ostilità il batterista.
Gustav si voltò ancora una volta verso di lui e gli sorrise,
un
sorriso sincero, uno di quelli che riservava solo agli amici. Era
quello il vero Gustav che tutti conoscevano, non quello infuriato e
fuori di sé che aveva attaccato tutti i suoi amici poco
prima.
Tom si sciolse almeno un po' e si lasciò andare anche lui ad
un
piccolo sorriso. «Dai, vai da Bill e vedi di scusarti come si
deve», commentò sarcastico.
Gustav ridacchiò e finalmente aprì la
porta. Lo
fece con lentezza, come se avesse avuto paura di trovare qualcosa di
spiacevole dentro la stanza. Respirò profondamente ed
entrò, richiudendosi poi la porta alle spalle. Rimase per
qualche istante immobile a fissare la porta chiusa, esitando prima di
girarsi verso la stanza. Sul letto vicino alla finestra, Bill era
sdraiato con la testa sul cuscino. Gli stava dando le spalle e
respirava affannosamente. Probabilmente, dopo avergli aperto la porta,
era corso fino al letto e ci si era buttato sopra.
Gustav
osservò malinconico la sua figura magra, rendendosi conto
che in quelle circostanze gli sembrava ancora più fragile
del solito. Ed era colpa sua.
Lentamente si avvicinò al
letto, stando attento a non fare rumore. Aveva quasi paura di rovinare
qualcosa, di irritare il cantante con anche solo un piccolo rumore. Con
cautela si sedette sul letto al suo fianco e rimase fermo per qualche
istante, poi allungò una mano e con dolcezza
accarezzò una spalla del moro. Questo sussultò
appena. Gustav respirò a fondo e cercò di trovare
le parole giuste per formare un discorso sensato. Ma era un'impresa
difficile e gli venivano in mente solo due parole.
«Mi dispiace», sussurrò quasi
impercettibilmente.
Quanto erano banali quelle parole. Purtroppo non era riuscito a
trovarne di migliori. Probabilmente Bill lo avrebbe mandato a quel
paese, non si sarebbe nemmeno stupito, se gli avesse mollato un pugno
in
faccia.
Fra loro calò il silenzio, un silenzio pieno di
sottintesi. Gustav si aspettava da un momento all'altro che il cantante
si girasse e gli ordinasse di andarsene. Oppure non si sarebbe neanche
girato, magari non gli avrebbe più parlato. E, invece, dopo
poco tempo, Bill si alzò lentamente dal materasso del letto
e si girò verso il batterista. Teneva ancora il viso basso,
ma i capelli neri non erano abbastanza lunghi per coprirgli
completamente gli occhi. Gustav li vide gonfi, ancora bagnati dalle
lacrime. Si sentì uno schifo. Perché doveva
essere lui la causa di quelle lacrime? Voleva troppo bene a Bill, non
sopportava di vederlo soffrire, e sapere di essere stato lui a farlo
star male lo distruggeva.
Si aspettava un pugno, uno schiaffo,
un urlo... qualsiasi cosa. E invece ricevette un abbraccio.
Bill si
era lanciato tra le sue braccia, gli si era aggrappato al collo e vi
aveva
premuto contro la fronte. Gustav rimase
sconvolto da quel gesto: tutto si sarebbe aspettato, ma non quello.
«Non dirmi mai più delle cose del
genere», sussurrò Bill con voce tremante,
stringendosi ancor più al batterista.
Gustav sorrise intenerito e ricambiò l'abbraccio con tutta
la forza che aveva. «Scusami».
Una coppia...
Tom continuava a rimuginare su quella parola. Era così
difficile
convincersi di stare insieme a qualcuno in modo fisso. E poi, per uno
come lui, che aveva sempre cambiato ragazza ogni notte, era strano
pensare di avere finalmente una relazione seria.
Camminava per il
corridoio dell'albergo, aspettando di riconoscere il numero della
stanza di Georg, prima di accelerare il passo. Era curioso di sapere da
lui cosa ne pensasse di quella faccenda.
E se poi dicesse di
considerarmi solo un divertimento? Insomma, potrebbe fare come faccio
io con le ragazze
pensò Tom, arrivando finalmente davanti alla porta della
stanza giusta e bussando piano. In quel caso, ci rimarrei
male? si interrogò da solo.
A quella domanda sentì una fitta al petto, una sensazione di
fastidio. Ma poi perché? Non avrebbe dovuto restarci male:
lui
era il SexGott. Perché avrebbe dovuto soffrire per un
rifiuto?
Erano domande strane.
«È aperto», lo informò la
voce di Georg dall'altra parte della porta.
Tom si ritrovò con stupore a trattenere il fiato, mentre
apriva
la porta ed entrava dentro la stanza. Perché era
così
teso?
Una volta dentro, i suoi occhi si posarono subito sul corpo del
bassista, disteso sul letto a braccia aperte. Aveva gli occhi chiusi,
perciò non si accorse del chitarrista, che lentamente e con
molta
incertezza si stava avvicinando. Allora Tom
tossicchiò
appena, cercando di attirare la sua attenzione.
Georg aprì
finalmente gli occhi e voltò il capo verso il chitarrista.
«Ehi, sei già qui? E Bill?», gli chiese
stupito.
Il rasta si avvicinò al letto e si sedette di fianco a
Georg,
ancora sdraiato sulla schiena. «Gustav voleva chiedergli
scusa,
perciò li ho lasciati soli», commentò
con voce
indifferente, osservando serio il viso del bassista.
Georg sorrise e sospirò sollevato. «Lo
sapevo che
Gustav sarebbe tornato lo stesso di sempre molto presto».
Tom annuì, poi tacque, distogliendo lo sguardo e fissandolo
sulla
coperta del letto.
Come avrebbe dovuto introdurre l'argomento "coppia"?
Georg notò l'espressione pensierosa del chitarrista e subito
pensò che qualcosa non andasse. Si sollevò
finalmente a
sedere e gli si fece più vicino, allungando una mano verso
il
suo viso e prendendogli il mento fra le dita per costringerlo a
guardarlo negli occhi.
«Va tutto bene?», gli chiese
serio, scrutando
preoccupato gli occhi del rasta.
Tom arrossì lievemente a quel gesto del bassista e
sperò
che non lo notasse: si vergognava a mostrare le sue debolezze.
Abbassò gli occhi e annuì leggermente col capo.
«Sì, sto bene. È solo che... volevo
parlare di una
cosa con te», riuscì a dire con sicurezza il
chitarrista.
Georg si tranquillizzò e lasciò il mento del
rasta per
sedersi meglio accanto a lui e per potergli prestare più
attenzione. «Ti ascolto. Di che cosa vuoi parlare?».
Tom respirò a fondo, cercando di trovare il coraggio.
«Ecco... io volevo sapere se... se noi... se noi siamo una
coppia».
L'ultima parola la pronunciò talmente
piano e
velocemente che quasi il bassista non riuscì a capirla.
Per
un momento Georg rimase spiazzato da quella frase e non seppe
subito come rispondere. Non ci aveva ancora pensato seriamente e non
avrebbe mai creduto che a sollevare il problema sarebbe stato proprio
Tom.
Pensò bene a cosa rispondere, non voleva che il chitarrista
fraintendesse qualcosa.
«Beh... io penso di sì, ma non voglio
che tu ti
senta costretto a stare con me. Insomma, se non vuoi, me ne
farò
una ragione e...».
«No no, io voglio!», esclamò
improvvisamente il rasta, interrompendo il discorso dell'amico.
Georg si stupì di quella reazione: non si sarebbe mai
aspettato
che Tom volesse stare con lui.
Il chitarrista arrossì ancora di
più, maledicendosi per la sua esclamazione così
strana. Ma da quando
arrossisco così? E poi perché voglio stare con
lui? Dov'è finito il SexGott?
Già, il SexGott... Per la prima volta si rese conto che
forse
stava cambiando, forse stava accadendo qualcosa di nuovo dentro di lui.
Era una sensazione strana.
Georg si rese improvvisamente conto di trattenere il respiro:
era rimasto piacevolmente sorpreso dalla risposta del chitarrista, ma
doveva ancora riprendersi per potergli rispondere sensatamente.
Fissò serio la sua espressione imbarazzata, poi sorrise
intenerito e allungò una mano per accarezzargli
delicatamente una
guancia.
«Bene. Allora siamo... una coppia», gli disse con
la voce tremante, incapace di trattenere l'entusiasmo.
Tom cercò di sorridere, ma ci rinunciò quando si
rese
conto che quel sorriso poteva risultare come una smorfia. Era ancora
intontito, molto confuso da quello che sentiva dentro.
Georg lo
guardò ancora per qualche istante, non smettendo un secondo
di
sorridere, poi sospirò felice e si lasciò andare
ancora
una volta sul materasso del letto, sdraiandosi comodamente e chiudendo
nuovamente gli occhi. Tom rimase ad osservarlo pensieroso ancora un
po', poi un piccolo pensiero gli attraversò la mente. Le
coppie
facevano tante cose, una di quelle era la più semplice
di
tutte e loro non l'avevano ancora sperimentata.
«Ehm... Georg...», disse esitante il chitarrista,
la voce appena un po' incrinata e flebile.
Il bassista riaprì gli occhi e fissò curioso il
rasta. «Dimmi».
Tom deglutì rumorosamente e fissò ancora una
volta la
coperta del letto. «Le coppie di solito si...», si
interruppe bruscamente, incapace di continuare.
Dai, non è
una cosa così difficile da dire si fece
coraggio da solo.
«Si?», lo incitò il bassista.
«Si... si baciano», concluse il chitarrista in un
soffio.
Per un momento Georg credette di strozzarsi con la propria saliva.
Cominciò a tossire senza sosta e dovette tornare a sedere
per
riuscire a calmarsi.
Tom lo fissò confuso. «Non pensavo che la cosa ti
disgustasse tanto», commentò quasi offeso.
Georg respirò a fondo, cercando di ritrovare almeno un po'
di
voce. «No no, non è questo! È che mi
hai preso alla
sprovvista», si giustificò, tornando
finalmente serio.
Tom annuì col capo e fissò intensamente gli occhi
del compagno.
Georg respirò a fondo, mordendosi il labbro
inferiore.
«Allora vuoi... provare adesso?».
La sua voce
tremava, non
riusciva a controllarla.
Il chitarrista rimase in silenzio per qualche istante, poi
fissò
deciso il viso del bassista. «Sì»,
rispose in un
soffio.
Georg deglutì rumorosamente e annuì col capo,
incapace di dire
qualsiasi cosa. Tom si sistemò meglio sul letto,
avvicinandosi
al bassista fino a far aderire il suo corpo con quello del compagno.
Georg gli mise le mani sui fianchi e lo attirò ancora
più
vicino a sé. I loro visi erano così uno davanti
all'altro, già molto vicini. Rimasero a fissarsi
negli occhi in silenzio per qualche secondo, ascoltando solo i loro
respiri affannati e i
battiti dei loro cuori.
Tom sentiva le farfalle allo stomaco e stava
provando una sensazione che non aveva mai provato prima di allora. Non
sapeva spiegarsi il motivo di tutta quell'agitazione.
Ad un tratto,
Georg cominciò ad avvicinare lentamente il viso a quello del
rasta, non staccando neanche per un secondo gli occhi dai suoi. Si
muoveva con cautela, non voleva fare le cose di fretta. Non ci volle
molto per spezzare la breve distanza fra loro. Ormai le loro bocche
socchiuse si sforavano e i loro respiri si fondevano insieme. Si
fermarono ancora una volta, chiudendo entrambi gli occhi e rimanendo in
quella posizione per alcuni secondi. La tensione saliva sempre
più alle stelle.
Poi Georg lo fece. Si avvicinò
definitivamente e premette così le labbra su quelle del
chitarrista. Tom sentì i battiti del proprio cuore
accelerare
ancora, quasi dovesse scoppiargli nel petto. Si rese conto di non
respirare. Non voleva farlo, perché avrebbe dovuto staccarsi
dalle labbra di Georg. E non voleva.
Rimasero così
fermi
per alcuni secondi, lasciando che i loro pensieri scivolassero via
dalle loro menti. Dopo poco, Tom aumentò la pressione sulla
bocca di Georg, facendogli capire che era pronto per andare oltre.
Allora il bassista dischiuse le labbra, aprendo con esse anche quelle
del rasta. I loro respiri affannati tornarono a fondersi insieme. Georg
cominciò a muovere le labbra su quelle di Tom, assaggiando
lentamente la sua bocca. Era buona, molto buona.
Il chitarrista per un
po' lasciò che il bassista giocasse lentamente con le sue
labbra, facendosi guidare docilmente, come se non avesse mai baciato
prima. Di solito era lui quello che comandava, ma in quel caso
preferiva farsi guidare. Solo quando si sentì veramente
pronto,
decise di osare di
più. Con dolcezza mordicchiò il labbro inferiore
di Georg
e lo sentì fremere leggermente contro di sé.
Aumentarono la
velocità, sempre più vogliosi di spingersi oltre.
Arrivarono al punto da non riuscire più a respirare.
Sembrava
quasi che si volessero divorare a vicenda.
Tom cominciò ad
ansimare,
non staccandosi comunque dalle labbra del compagno. Per essere il loro
primo vero bacio, forse stavano un po' esagerando, ma non gli
importava. Voleva ancora di più da quella bocca.
Indugiò
un istante, poi decise di agire. Il SexGott cominciava ad emergere. Con
la lingua tracciò lentamente il contorno della bocca di
Georg,
poi chiese il permesso di entrare nella sua bocca. Ma il bassista lo
fermò prima, staccandosi di poco da lui, ma continuando
comunque
a premere la sua fronte contro quella del chitarrista.
«Mio Dio, Tom», ansimò senza fiato,
prendendo il viso del rasta tra le mani.
Tom protestò con un verso rauco della gola e si
riavvicinò bruscamente al bassista, avventandosi nuovamente
sulle sue
labbra. Si ritrovarono nuovamente incollati l'uno all'altro,
l'eccitazione che cresceva sempre di più. Georg sentiva che,
se
non si fossero fermati in quel momento, non sarebbe più
riuscito
a controllare i suoi istinti e avrebbe sicuramente fatto qualcosa che a
Tom non sarebbe piaciuto.
Il chitarrista portò una mano
dietro
la testa del bassista e intrecciò le dita con i capelli
castani,
volendo avere il compagno ancora più vicino di quanto
già
non fosse. Senza troppi indugi cercò la lingua del bassista
e,
quando la sfiorò con la sua, sentì un milione di
brividi
percorrergli la schiena. Georg sentiva che stava veramente per
esplodere. Con difficoltà, riuscì ad allontanarsi
dal
rasta, nonostante questo protestasse in tutti i modi possibili, e per
tenerlo fermo rafforzò la presa sul suo viso.
«Tom, aspetta, fermati un secondo»,
ansimò senza più fiato, la voce flebile che
tremava.
Tom avrebbe voluto opporsi, ma non aveva più forze.
Possibile che un bacio lo avesse sfinito in quel modo?
Georg premette la fronte contro quella del chitarrista e chiuse gli
occhi un momento per riuscire a calmarsi e mettere insieme un discorso
sensato. «È meglio se per oggi la chiudiamo
qui»,
mormorò con difficoltà. «Non credo che
riuscirei a
trattenermi oltre, se continuiamo in questo modo».
Tom corrugò la fronte confuso. «Perché
dovresti trattenerti?».
«Perché altrimenti potrei fare qualcosa che non ti
piacerebbe e non voglio rischiare di saltarti addosso,
quindi...».
«E se io volessi?», lo interruppe bruscamente il
chitarrista, allontanandosi di poco dalla sua fronte per poterlo
fissare intensamente negli occhi.
Georg ridacchiò. «No, non vuoi. Non sei
pronto».
«Chi te lo dice?», insistette Tom con sguardo da
sfida.
«Non lo sei e basta. Te ne pentiresti. Non dobbiamo fare le
cose
di fretta, quello di oggi è stato già un
grandissimo
passo avanti», concluse Georg, facendo per allontanarsi
definitivamente dal rasta.
Ma Tom lo fermò, afferrandogli un braccio.
«Aspetta», lo chiamò incerto.
Georg lo guardò curioso e aspettò che parlasse.
Il chitarrista abbassò gli occhi sulla coperta del letto ed
esitò un istante. «Almeno puoi...
abbracciarmi?».
Il bassista rimase un po' stupito da quella richiesta, ma anche
intenerito. Sorrise e si sedette sul letto nella stessa posizione di
prima.
«Vieni», disse piano, allargando di poco le
braccia.
Tom continuò a tenere lo sguardo basso, anche quando si
mosse
in
avanti per avvolgere il collo di Georg con le braccia e stringersi
forte a lui.
Il bassista gli avvolse i fianchi e lo strinse con
dolcezza. «Da quando sei diventato così
romantico?», gli chiese con fare scherzoso, ridacchiando
piano.
Ma Tom non rise, non rispose neanche. Era confuso, aveva quasi paura.
Perché aveva così bisogno di Georg?
Perché solo
quando gli era accanto stava veramente bene?
«Ehi, SexGott, ti sei addormentato?», lo
chiamò ironicamente il bassista, non smettendo di
abbracciarlo.
SexGott...
pensò confuso il chitarrista.
Perché un SexGott come lui sentiva il bisogno di stare con
una
persona sola? Perché ad un tratto non gli interessavano
più le sue groupies?
Perché?
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Capitolo 8 *** Betrayal ***
08. Betrayal
Era tutto così strano per lui. Il giorno prima
non faceva altro
che pensare al sesso e il giorno dopo la sua mente era completamente
occupata da un'unica persona. Era una cosa che lo sconvolgeva. Da una
parte era felice, dall'altra, invece, era infastidito e quasi
arrabbiato
con quella sensazione di beatitudine che provava dentro il suo corpo
ogni volta che vedeva o pensava a Georg. Non era nella sua natura avere
il batticuore, era una cosa fin troppo anomala.
Che diavolo mi sta
succedendo?
Tom si lasciò andare a peso morto sul letto ad una piazza e
mezzo che Georg gli aveva premurosamente concesso di usare. In
verità, lo aveva quasi costretto ad usufruire liberamente
della
sua stanza, dato che aveva ancora la febbre, che non accennava ad
abbassarsi. Il bassista era uscito solo pochi minuti prima, affermando
di voler fare quattro passi in giro per l'albergo.
Che passeggiata entusiasmante... e poi a quest'ora del mattino.
Tom si rigirò per almeno la quinta volta nel letto,
sbuffando
sonoramente e buttando l'occhio sulla sveglia, appoggiata sul comodino
lì accanto. Erano appena le quattro del mattino. Dormire era
un'impresa impossibile, inoltre non aveva neppure un po' di sonno. Si
sentiva un po' debole a causa della febbre. E poi come poteva
dormire, quando la sua testa era così piena di rompicapi e
di
pensieri che gli mettevano addosso solo ansia? Non era un tipo che si
faceva mettere al tappeto da una febbre da poco, quindi, se avesse
voluto uscire un po' da quella stanza per fare un giro, lo avrebbe
benissimo potuto fare e al diavolo Georg con le sue preoccupazioni da
mammina. Aveva bisogno di mettere in moto le gambe, così
forse
anche il cervello avrebbe iniziato a carburare di più.
Lentamente si issò sui gomiti e volse lo sguardo verso la
porta
chiusa della stanza.
Se Georg torna e non mi
trova, si
incazzerà sicuramente, perché non l'ho ascoltato
e non
sono rimasto a letto. Ma chi se ne frega, io faccio quel cazzo che mi
pare.
Velocemente si alzò dal letto e fu felice di essere
già
vestito e pronto per uscire. Gli mancavano giusto le scarpe. Se le
infilò con decisione e con larghe falcate raggiunse la porta
della stanza, aprendola e guardando con circospezione il corridoio
dell'albergo: incontrare Georg in quel momento non sarebbe stato
proprio il massimo. Fortunatamente non c'era nessuno, poteva muoversi
tranquillamente. Prese la chiave della stanza che gli aveva lasciato il
bassista e chiuse rapidamente la porta. Non aveva un'idea precisa di
dove andare, ma decise di lasciarsi condurre dalle proprie gambe. In
fondo, aveva solo voglia di muoversi un po'.
Non mi sono mai sentito
così
stravolto. Ci sarà un motivo per cui ho sempre evitato di
avere
relazioni durature: troppi problemi.
Improvvisamente, un brontolio attirò la sua attenzione.
Preso
alla sprovvista, non si rese subito conto che quel rumore proveniva
proprio dal suo stomaco, che reclamava cibo.
Cazzo, anche la fame
adesso. Dove vado a mangiare a quest'ora?
Sbuffò sonoramente, camminando con le mani in tasca per il
breve
e stretto corridoio dell'albergo. Poi un'idea gli attraversò
la
mente, costringendolo a darsi dello stupido per non averci pensato
prima.
Che idiota! Sono in un
albergo, mi
basta semplicemente andare al piano di sotto, se ho fame. Non sono
sicuro che mi daranno qualcosa a quest'ora, però una
soluzione
in qualche modo la troverò.
Giunto all'ascensore a metà del corridoio, vi
entrò
dentro, spingendo il bottone del piano a cui era intenzionato scendere
e appoggiandosi alla fredda parete.
Forse se avesse raccontato a Georg
che era andato a cercare qualcosa da mangiare perché stava
morendo di fame, al suo ritorno avrebbe potuto evitare un litigio col
bassista. Tralasciando il fatto che alla fine era sempre il rasta ad
averla vinta, non gli andava proprio di discutere già a
quell'ora di mattina.
L'ascensore arrivò all'ultimo piano e
Tom
si ritrovò nella hall dell'albergo senza la minima idea di
dove
andare per cercare da mangiare. Nel ristorante interno, o direttamente
nelle cucine?
Ma non so neanche dove
siano le cucine! sbuffò scocciato il
chitarrista, optando immediatamente per la prima opzione.
Il ristorante interno dell'albergo era proprio sulla sua sinistra e la
porta era aperta. Era uno stanzone immenso e pieno di tavoli con sedie,
ma a quell'ora del mattino era completamente deserto.
Il rasta si guardò attorno spazientito. Dovrei avere un culo
così per trovare qualcuno dell'albergo sveglio a quest'ora.
Improvvisamente, un rumore e un'imprecazione poco casta sulla sua
sinistra lo fece sobbalzare. I suoi occhi si ritrovarono a fissare una
ragazza dietro un lungo bancone pieno di bottiglie, intenta a
riordinare dei bicchieri su una mensola alle sue spalle.
Tom inarcò un sopracciglio compiaciuto. Evidentemente oggi sono molto
fortunato.
Infilò le mani nelle tasche e si avvicinò al
bancone,
attirando immediatamente lo sguardo della ragazza su di sé.
«Oh, cavolo! Ehm...», balbettò lei
imbarazzata.
Evidentemente pensava di essere sola.
«Posso aiutarla?», gli chiese con una punta di
confusione nella voce.
Non pensava che a quell'ora ci potesse essere un cliente sveglio come
lei.
Tom si appoggiò con i gomiti al bancone e sorrise.
«Dammi
del tu. Comunque sono abbastanza affamato, non è che
potresti
essere così gentile da trovare qualcosa da mangiare per
questa
povera anima in pena?», le chiese con fare scherzoso.
La ragazza ridacchiò divertita, mentre si guardava attorno.
«Penso di avere delle brioches. Possono andare
bene?», gli
chiese, mentre ancora rideva.
«Perfetto», concluse il rasta, facendole
l'occhiolino.
Mentre lei arrossiva e si piegava davanti ad uno sportello pieno di
bicchieri e pacchetti vari, Tom si sistemò meglio il
cappellino
sulla testa con fare compiaciuto.
È
stato fin troppo facile.
Oltretutto non era neanche male quella ragazza: bionda, forse un po'
bassina per i suoi standard, ma ben piazzata per quanto riguardava le
forme.
Carina pensò Tom, osservando il fondoschiena
della ragazza, piegata davanti a sé.
Si ritrovò con stupore a sorridere beffardo, continuando a
fissare con interesse il corpo della bionda.
Il lupo perde il pelo,
ma non il vizio.
Ridacchiò, attirando l'attenzione della ragazza, che
stava tornando da lui con due brioches in mano.
Lei lo osservò curiosa. «Che
c'è?», gli domandò con un sorriso sulle
labbra.
Tom ricambiò il sorriso e scosse la testa.
«Niente, pensavo».
La bionda annuì col capo, non smettendo di sorridere, e gli
allungò le due brioches. «Hai bisogno
d'altro?»,
gli domandò ancora, aspettando la risposta quasi immediata
del
chitarrista.
«Beh, ci sarebbe un'altra cosa»,
iniziò il rasta, allungandosi verso di lei oltre il bancone.
«Qualcosa da bere?», gli chiese la ragazza con
un'espressione ingenua sul viso.
Sta fingendo, o
è davvero così santarellina? si
chiese confuso Tom, giocherellando con il piercing al labbro inferiore.
Ci passò sopra la lingua un paio di volte, prima di
rivolgere uno sguardo malizioso e pieno di sottintesi alla ragazza.
«Non mi riferivo al cibo».
«Io lo sapevo!», imprecò Georg,
camminando furioso
per il corridoio dell'albergo. «Quell'idiota non mi ascolta
mai!».
L'idea di Tom di uscire per camminare un po' non era stata proprio
apprezzata dal bassista. Infatti, appena tornato nella sua stanza, si
era trattenuto dal mettersi ad urlare, quando aveva visto che il
chitarrista non gli aveva dato ascolto e se n'era andato.
Io mi preoccupo per lui
e per la sua salute e quello se ne frega!
Quando Georg arrivò davanti ad una porta ben precisa, si
mise a bussare con forza, facendo rumore.
«Se sei lì, sappi che sono "leggermente" incazzato
con te
e con la tua stupidità!», gridò forte
per cercare
di farsi sentire bene.
La porta si aprì dopo poco, rivelando un Bill e un Gustav
esasperati e con gli occhi piccoli piccoli per il troppo sonno.
Sembrava che si fossero appena svegliati.
Georg non seppe neanche perché, ma arrossì
a
quella vista. «Scusate, non pensavo che voi due...
insieme...».
«Tranquillo, Georg, non siamo ancora tutti passati all'altra
sponda», commentò Gustav, lasciandosi sfuggire uno
sbadiglio. «Ci eravamo solo addormentati, cosa assai normale
alle
quattro del mattino».
Georg si massaggiò la nuca desolato.
«Scusate».
Bill si appoggiò allo stipite della porta e chiuse gli
occhi.
«Hai litigato con Tom?», gli chiese con voce
alquanto
indifferente.
Il bassista fece una smorfia e scosse la testa. «Non
esattamente.
Ma sono a tanto così da incazzarmi seriamente con lui,
questa
volta»,
borbottò infastidito.
Bill, ancora ad occhi chiusi, gli sorrise. «Allora fai una
cosa:
fatti una bella camomilla, sbollisci i tuoi spiriti bollenti, torna a
letto e lascia dormire noi poveri disgraziati».
Detto questo, aprì gli occhi quel tanto che
bastò per individuare la maniglia della porta e si rinchiuse
definitivamente insieme a Gustav dentro la stanza.
Georg rimase interdetto a fissare il pezzo di legno davanti a
sé. Grazie,
Bill...
Mentre il bassista ricominciava a cercare Tom per tutto l'albergo, a
qualche piano più in basso il chitarrista cercava di
combattere
con i sensi di colpa che lo spingevano a disgustarsi da solo. Era una
sensazione strana: da una parte era soddisfatto di quello che stava
facendo, dall'altra, invece, stava male. Cercava in tutti i modi di
concentrarsi sulla prima parte di sé, quella che godeva
nell'avere fra le mani un corpo con cui poter soddisfare i suoi istinti
repressi da tempo.
Era eccitante sentire i gemiti di piacere della
ragazza bionda, distesa sul bancone del ristorante, mentre lui spingeva
dentro di lei con sempre più foga. Era eccitante avere le
sue
unghie conficcate nella schiena. Era eccitante la sua lingua
all'interno della sua bocca.
Sesso. Aveva bisogno di quello. Aveva
bisogno di sesso.
Aumentò la velocità e spinse
ancora
più forte
dentro la bionda. Lei urlò di piacere e inarcò la
schiena
sul bancone freddo, attirando ancor più verso di
sé il
chitarrista. Tom strinse le mani attorno ai fianchi della ragazza e si
piegò a succhiare il collo bianco e liscio. E subito si rese
conto di aver fatto un errore: quel gesto gli ricordò Georg
e
quello che era successo fra loro nel bagno della loro casa ad Amburgo.
Merda
imprecò dentro di sé, chiudendo forte gli occhi e
cercando di scacciare quelle immagini dalla sua testa.
Non si rese conto di aver aumentato ancor più la
velocità, spingendo quasi rabbiosamente dentro la ragazza.
Lei
urlò ancora più forte, incitandolo
così ad andare
avanti. A Tom non importava niente dell'ora. Non gli importava
se
mezzo albergo si sarebbe svegliato. Non gli importava di avere la
febbre. Voleva andare avanti, far arrivare quella ragazza all'orgasmo e
godere ancora.
Ma la sua mente, per quanto si sforzasse, era sempre
concentrata su un unico pensiero fisso. Ma poi perché stava
facendo tutto quello? Non aveva ancora accettato il fatto di provare
attrazione per Georg? Non si era ancora arreso al fatto di avere una
relazione fissa con lui? No, non aveva ancora accettato un bel
niente. E forse non voleva neanche farlo.
Ancora poche spinte e vennero
entrambi. Tom si accasciò sfinito sul
corpo della ragazza, continuando a tenere gli occhi chiusi.
Ecco, lo aveva fatto. Aveva tradito Georg. E, se inizialmente aveva
pensato che alla fine non si sarebbe sentito in colpa, in quel momento
combatteva con la vergogna che provava dentro di sé.
Io
non voglio sentirmi così pensò con
rabbia il chitarrista, aprendo gli occhi, mentre continuava ad ansimare
allo stremo delle forze.
Ma il suo sguardo si riempì improvvisamente di orrore. No,
quello non sarebbe dovuto succedere. La porta del ristorante era ancora
aperta e sulla soglia vide una figura muoversi rapidamente per uscire.
Riconobbe dei capelli lisci, castani, che non avrebbe mai potuto
confondere con altri.
Non lo aveva sentito, non lo aveva visto in
tempo, ma Georg li aveva scoperti.
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Capitolo 9 *** Changes ***
09. Changes
Merda, merda,
merda. Cosa cazzo ho combinato?
Continuò a correre su per le scale dell'albergo, il cuore
che
gli martellava in petto e un dolore pungente ad un fianco. Per la
fretta e lo stato di confusione in cui si trovava in quel momento non
aveva neppure pensato di prendere l'ascensore.
Quella volta l'aveva
fatta grossa, aveva combinato un vero e proprio casino. Ma cosa gli era
saltato in mente di andare con la prima ragazza di turno, dopo solo
poche ore dal suo primo bacio con Georg?
Devo essere per forza
rincoglionito, non posso essere così stupido di mio.
Raggiunse finalmente la porta che stava cercando e, solo quando
posò la mano sulla maniglia fredda, si rese conto di star
tremando.
Era strano provare timore per quello che
lo attendeva dall'altra parte.
Lentamente aprì la
porta, tenendola per qualche istante socchiusa e infilando di poco la
testa
all'interno della stanza. A qualche metro più in
là, Georg stava armeggiando con varie magliette, appoggiate
sul letto.
Deglutì rumorosamente. «Georg... posso
entrare?», domandò con cautela, la voce che quasi
tremava.
Non ricevette risposta. Il bassista continuava a dargli le spalle,
piegando maglie su maglie e infilandole in una valigia aperta sul letto.
Tom corrugò la fronte confuso. «Che stai
facendo?».
«Preparo le valigie. Tra poco David passa a prenderci per
andare
via», gli rispose Georg, non degnandolo ancora di uno sguardo.
La sua voce era irriconoscibile, troppo fredda per appartenergli.
Sembrava quasi insofferente, come se non gli importasse più
nulla.
Tom fece qualche passo in avanti, sorpassando la
soglia e
chiudendosi la porta alle spalle con lentezza.
Aveva quasi paura, anche
se non capiva di che cosa in particolare.
Lentamente si
avvicinò al letto, affiancandosi al bassista e osservando in
silenzio il suo viso corrucciato. Gli occhi si ostinavano a guardare
intensamente le maglie che stava ordinando dentro la valigia, i capelli
quasi gli nascondevano una parte del viso.
Tom prese un respiro profondo e si schiarì la voce.
«Allora?».
«Cosa?», gli domandò freddo Georg,
facendo finta di nulla.
«Non dici nulla?», tentò ancora il
chitarrista, ostinandosi a farlo parlare.
Il bassista sbuffò spazientito. «Che cosa dovrei
dire?».
Tom alzò gli occhi al cielo, irritato da quel comportamento
così indifferente del suo ragazzo. Gli si
avvicinò ancora
di più, togliendogli dalle mani una delle tante magliette
che
stava piegando e premendo con forza una mano sulla sua spalla per
costringerlo a voltarsi.
«La vuoi smettere di armeggiare con
queste fottutissime
maglie e
di rispondere alle mie domande con altre domande? Cazzo, lo so che sei
incazzato per quello che è successo, ma preferirei che me lo
dimostrassi con un pugno in faccia, piuttosto che con l'indifferenza
totale!», gli urlò in faccia.
Georg lo fissò inespressivo, inarcando un
sopracciglio.
«Non è uno dei miei passatempi preferiti dare
pugni
in faccia
alla gente».
Tom cercava in tutti i modi di controllarsi, per non rischiare di fare
a
pugni con il bassista, ma il suo modo di fare lo stava facendo
ribollire di rabbia. Voleva discutere seriamente dell'accaduto, ma
Georg non accennava a collaborare.
«Cazzo, Georg! Dimmi qualcosa! Che sono una testa di cazzo,
che mi odi, che vuoi farla finita con me, che...».
«Se ti dicessi veramente che voglio farla finita con
te, che
cosa proveresti?», gli chiese improvvisamente il bassista,
interrompendo il discorso del rasta.
Tom si bloccò a bocca aperta, cercando di assimilare bene le
parole di Georg.
Non doveva fargliela quella domanda, era troppo
difficile rispondere.
Abbassò lentamente lo sguardo a terra,
sentendosi improvvisamente messo con le spalle al muro.
Georg storse la bocca in una smorfia. «Niente,
vero?».
Tom si ostinò a fissare il pavimento, deglutendo
rumorosamente.
Doveva rispondere. Subito. Ma che cosa, poi?
Vide l'ombra di Georg
allontanarsi improvvisamente da lui e questo lo costrinse ad alzare gli
occhi con il cuore in gola. Era entrato nel bagno e sentiva che stava
armeggiando con qualcosa al suo interno. Sentì un improvviso
groppo alla gola, anche se non riuscì a capirne il motivo.
Scattò verso la porta aperta del bagno, fermandosi sulla
soglia
e fissando il bassista che prendeva in mano spazzolino, dentifricio e
altri oggetti vari da mettere in valigia.
Il chitarrista ingoiò più saliva che
poté per
cercare di mandar via quel magone che sentiva in gola e si
sforzò di parlare con voce ferma. «Senti, per me
è stata solo una scopata, niente di più. Ne avevo
bisogno».
Georg sorrise e afferrò un asciugamano.
«D'ora in
poi potrai tornare a scopare tutte le volte che vorrai, non ti
impedirà nessuno di farlo», gli disse con falsa
freddezza.
Il cuore di Tom mancò di un battito. Non poteva credere che
stesse succedendo veramente.
«Io non voglio che finisca così».
Ormai la sua voce non aveva più neanche un briciolo della
sicurezza iniziale e tremava sempre più.
Georg gli si avvicinò, alzando per un istante gli occhi e
puntandoli nei suoi. «Possiamo anche dire che non
è mai
iniziata», sussurrò piano, prima di scostarlo
dalla porta
per uscire dal bagno.
Tom rimase spiazzato sul posto, sentendosi improvvisamente cadere a
pezzi. Perché gli stava facendo quello? Non poteva pensare
veramente di chiudere così di punto in bianco.
Georg, da
parte
sua, stava facendo uno sforzo disumano per cercare di mantenere quella
specie di maschera che aveva improvvisamente indossato per non
dimostrare il suo dolore. Non voleva far soffrire Tom, era l'ultima
cosa che avrebbe voluto fare, ma era anche vero che lui non si era
fatto scrupoli a tradirlo con la prima ragazza di turno, dopo neanche
due ore dal loro primo bacio. Era inutile sperare che il chitarrista
cambiasse improvvisamente da un giorno all'altro solo per lui. Era
troppo chiedergli di abbandonare i suoi modi di fare da SexGott. E,
molto probabilmente, era meglio così.
Il chitarrista lottava
con
tutte le sue forze per non cadere a terra: sentiva le gambe
improvvisamente deboli, ma era sicuro che la febbre non c'entrasse
nulla. Si voltò a fissare il bassista, che stava infilando
le ultime
cose rimaste sul letto dentro la valigia, e gli occhi incominciarono a
bruciargli.
Non voglio... non voglio
perderlo.
Georg chiuse la valigia e fece per avviarsi verso la porta. Fu allora
che Tom trovò la forza necessaria per allontanarsi dallo
stipite
della porta del bagno e per avvicinarsi rapidamente al bassista.
«Aspetta!», disse quasi urlando.
Georg si fermò solo dopo aver aperto la porta della stanza.
Si
ostinò a dare le spalle al chitarrista. Non voleva vedere il
suo
viso.
Tom quasi ansimava, cercando disperatamente le parole giuste da dirgli.
«Mi dispiace per quello che ho fatto, se potessi tornare
indietro
non lo rifarei una seconda volta. Però... non voglio
perderti».
Sentiva ancora quel groppo alla gola e per un momento i suoi occhi
vennero offuscati da qualcosa di caldo e liquido. Respirò a
fondo.
«Io...», si
bloccò, incapace di proseguire.
Che cosa voleva dire?
Georg, intanto, continuava a rimanere fermo sulla
soglia della porta, il
dolore che lo distruggeva sempre di più ogni secondo che
passava. Non sopportava di farlo soffrire così, era una cosa
che
non poteva sopportare. Era quasi tentato di rimangiarsi tutto quello
che gli aveva detto fino a quel momento, girandosi e stringendolo come
mai aveva fatto prima. Ma qualcosa lo bloccava.
Tom chiuse gli occhi e strinse le palpebre. «Io...».
«Oh, Georg, eccoti qui! Senti, scusa per prima, ma non mi
reggevo in piedi e...».
La voce squillante di Bill risuonò per il corridoio
dell'albergo
e persino all'interno della stanza di Georg. Il cantante era fermo
davanti alla porta, il viso confuso e la bocca ancora aperta.
«Ehm... momentaccio?», chiese imbarazzato, fissando
prima il bassista, poi il gemello alle sue spalle.
Quando poi
notò il viso sconvolto del fratello e gli occhi
lucidi, il suo sguardo tornò furioso sul viso di Georg.
«Ehi, tu! Che cosa gli hai fatto?», gli
urlò quasi in faccia.
Georg alzò gli occhi al cielo, infastidito dalle grida di
Bill. Ma non si rende
conto che sono appena le cinque del mattino?
«Io non tollero certe cose!», continuò
infuriato il cantante.
«Sì, Bill. Potresti aspettare un secondo,
però?», gli chiese esasperato il bassista,
afferrando la
maniglia della porta.
Bill inarcò un sopracciglio e lo fissò
sospettoso. «È una domanda a
trabocchetto?».
Georg si affrettò a chiudere la porta, lasciando il cantante
fuori nel corridoio.
Certe volte Bill risultava più strambo
del
normale.
Intanto il moro continuava ad urlare fuori dalla porta.
«Nessuno
chiude la porta in faccia a Bill Kaulitz! Questo è un
oltraggio
alla mia stupenda persona!».
Georg cercò di concentrarsi solo su una cosa. Si
voltò,
fissando il rasta fermo a pochi passi da lui. Teneva gli occhi bassi e
respirava affannosamente. Il bassista provò un'immensa
tenerezza
nel vederlo così: gli appariva fragile, un Tom diverso dal
solito.
Appoggiò la valigia a terra e gli si
avvicinò
lentamente. Quando gli fu davanti, aspettò qualche istante,
fissando ogni singolo particolare del suo viso. Era bellissimo. Con
delicatezza gli prese il mento fra le dita e gli
alzò il
viso, costringendolo a guardarlo negli occhi. Si fissarono intensamente
per un tempo che a loro sembrò un'eternità.
Intanto, fuori
dalla porta, Bill continuava ad inveire contro il bassista.
Georg sospirò ancora una volta, non staccando gli occhi da
quelli del rasta. «Forse è meglio riparlarne
più
tardi con più calma», sussurrò ad un
soffio dal suo
viso.
Tom annuì debolmente, fissando voglioso le labbra del
bassista. Fece per avvicinarsi, ma Georg lo bloccò.
«Ho solo detto che dobbiamo parlarne», disse,
cercando di non risultare troppo brusco.
Il chitarrista annuì col capo, storcendo la bocca in una
smorfia
di delusione. «Okay», borbottò con la
voce
leggermente roca.
Georg tornò alla sua valigia, fissando esasperato la porta
chiusa: Bill non aveva ancora smesso di urlare.
«Io non mi stupirei tanto se a colazione ti si spiaccicasse
"accidentalmente" un bombolone in faccia, Georg!», sbraitava
come
un ossesso.
Il bassista sospirò. Perché
ancora mi stupisco? Ormai non c'è un secondo che Bill non
sia preda di una crisi isterica.
«Cosa diavolo sono quelle occhiaie?».
David li osservava sconvolto e al contempo infuriato, da una poltrona
della hall.
Georg cercò di evitare il suo sguardo infuocato, lasciandosi
andare a peso morto sulla poltrona di fianco a quella del manager.
«Non è stata proprio una notte
tranquilla»,
commentò ad occhi chiusi, respirando a fondo.
Bill si guardò attorno, in cerca di un'altra poltrona su cui
sedersi. Non trovandola, si lasciò liberamente andare sulle
gambe del bassista.
Georg imprecò infastidito, cercando in qualche modo di
posizionarsi comodamente anche con il cantante addosso.
«Che
delicatezza...», borbottò dolorante.
Bill non l'ascoltò e si rivolse a David come se niente
fosse.
«A me le occhiaie non si vedono. Guarda che
capolavoro ho
fatto col trucco. Sono perfetto come sempre».
Il manager evitò di rispondergli, fissando severo gli altri.
«Anche voi ve lo dovrete mettere. Non vi potete permettere di
presentarvi così».
Gustav sbuffò scocciato. Non sopportava il trucco in faccia,
gli
dava una sensazione di appiccicaticcio.
Tom, invece, non batté
ciglio. Aveva un'espressione del viso seria, che faceva quasi paura, e
non aveva ancora aperto bocca. Fissava in silenzio e con sguardo
assente il gemello seduto sulle gambe di Georg, ma non era fastidio o
gelosia quello che si intravedeva nei suoi occhi. Era semplice
tristezza per un motivo non del tutto definito. Gli sembrava quasi di
non sentire neanche le parole di David, tanto era preso dai suoi
pensieri. Era quasi in uno stato di trance.
«Oggi volevo farvi conoscere una persona»,
continuò il manager, attirando l'attenzione di tutti.
Quasi tutti.
«Chi?», squittì Bill curioso.
«Una "new entry" nel mondo della musica, un cantante scoperto
da poco», spiegò loro il manager.
«È tedesco?», insistette il cantante,
sempre più voglioso di sapere.
«No, americano».
«E immagino che tu ce lo faccia conoscere perché
sotto
sotto è un nostro fan sfegatato e non vede l'ora di poter
imparare da noi», commentò Bill con l'aria di chi
la sa
lunga.
David inarcò un sopracciglio. «Veramente la vostra
musica non è che gli vada proprio a genio, ma...».
«COSA?», lo interruppe il
cantante, sconvolto da quel
fatto.
«Bill, non a tutti deve per forza piacere la vostra
musica».
Bill storse la bocca in una smorfia e fulminò il manager con
un'occhiataccia. E
invece sì!
«E allora che cosa vuole? Perché vuoi farcelo
conoscere?», sbottò irritato, risultando quasi
impertinente alle orecchie di David.
«Beh, siccome lavorate per la stessa casa
discografica e
voi siete in questo settore da molto tempo, pensavo che vi avrebbe
fatto piacere aiutarlo ad ambientarsi e a migliorare il suo lavoro. Ma
questo è solo per poco tempo, giusto un mesetto»,
si
spiegò meglio il manager, passando sopra alla
scontrosità
del cantante.
«Ma, David, come faremo a capirci? Lo sai che il nostro
inglese
fa schifo», intervenne Gustav con un'espressione confusa sul
volto.
David lo zittì con un brusco gesto della mano. «Da
bambino
ha girato mezzo mondo e parla cinque lingue. Tra queste c'è
anche il tedesco, quindi la comunicazione non sarà di certo
un
problema».
Gustav guardava stupefatto David mentre gesticolava, continuando a
parlare. Cinque lingue?
Questo sì che è un cantante. Bill a
malapena sa parlare la sua madrelingua
pensò, fissando il cantante, mentre si sistemava i capelli. Ma è Bill, ovvero un
caso perso concluse rassegnato il batterista.
Georg si passò una mano tra i capelli e sospirò
sconsolato. L'argomento non lo interessava più di tanto,
anzi... Avrebbe voluto discutere con Tom in un luogo tranquillo, ma era
evidente che prima di sera non sarebbero riusciti a dirsi niente
riguardo a quell'argomento. Nel pomeriggio avevano un'intervista per un
giornale americano e, successivamente, un servizio fotografico. Se
dovevano anche incontrare quel cantante, allora era chiaro che non
avrebbero finito tanto presto.
«A che ora è l'incontro?», chiese pacato
il bassista.
«Ma adesso! Quando pensavate di incontrarlo con tutto quello
che
avete da fare oggi?», esclamò scettico David,
lasciando i
quattro ragazzi un po' perplessi.
«Adesso?», ripeté Gustav, inarcando un
sopracciglio.
Il manager annuì e guardò con la fronte
corrucciata
l'orologio che portava al polso. «Sì, adesso.
Farà
colazione con noi nel bar dell'albergo. Anzi, se ci andiamo a sedere e
lo
aspettiamo là, è meglio, perché
dovrebbe arrivare
tra poco con il suo manager».
Bill sbuffò svogliato e si costrinse a trovare la forza per
alzarsi dalle ginocchia di Georg. «Allegria...»,
commentò sarcasticamente, seguendo il manager mentre faceva
loro
strada.
David li scortò fino al bar dell'albergo, gettando poi
un'occhiata
oltre la porta di vetro chiusa. Lui e il manager del ragazzo erano
rimasti d'accordo di incontrarsi lì, ma non immaginava che
sarebbero arrivati così presto e in anticipo rispetto
all'orario
previsto per il loro incontro. Infatti rimase stupito, quando ad un
tavolo poco lontano dalla porta vide il ragazzo che aveva visto in foto
pochi giorni prima e l'uomo con cui aveva parlato al telefono. Non
poteva sbagliarsi, doveva per forza essere quello il ragazzo. Non era
come gli altri presenti nel bar, aveva qualcosa in più,
qualcosa
che lo rendeva sicuro che fosse proprio lui.
Sorrise e si voltò indietro per guardare i suoi quattro
ragazzi.
«È già qui, ragazzi. Non dovete neanche
aspettare
per
conoscerlo».
Bill, Gustav e Georg annuirono un po' incerti, lanciando occhiatine
curiose oltre la porta di vetro. Tom invece sembrava che non avesse
neanche sentito le parole del suo manager: si limitava a seguire il
gruppo a testa china, osservando con sguardo spento il pavimento e
immergendosi completamente nei suoi pensieri. Il mondo attorno era come
se non esistesse.
David aprì la porta e invitò
i ragazzi ad entrare con un cenno del capo. Ma, quando Tom gli
passò accanto, lo fermò.
«Ah, Tom...».
Tom a malapena lo sentì, ma alzò comunque il viso
inespressivo per osservare quello del manager.
David per un momento lo guardò confuso, poi gli disse
severo: «Cerca di sorridere un po'. Sembri uno
zombie».
Il chitarrista non diede tanto peso a quelle parole, si
limitò semplicemente ad annuire mestamente col capo e a
seguire gli altri tre compagni dentro il bar.
Il manager lo osservò ancora per un po' con uno sguardo
sospettoso e al tempo stesso confuso. Non è da lui
comportarsi così. Non ha ancora aperto bocca da quando ci
siamo riuniti tutti nella hall.
Effettivamente quello non era il solito Tom. Lui stesso se ne rese
conto, mentre camminava dietro al gemello verso un tavolo del bar. Era
combattuto: da una parte era preoccupato per quello che sarebbe
successo fra lui e Georg, dopo aver parlato seriamente dell'accaduto;
dall'altra parte si chiedeva perché tutto ad un tratto era
così interessato ad una relazione con il bassista. Non gli
era mai importato niente di quelle cose serie e, soprattutto, mai aveva
pensato di potersi interessare a un ragazzo, tanto meno proprio a
Georg. In quel momento, invece, non riusciva a pensare ad altro che al
bassista.
Intanto avevano raggiunto il tavolo.
«Salve!».
Un uomo di colore, pelato e piuttosto in carne, li salutò
con
un tedesco non esattamente perfetto, ma comprensibile. Era vestito in
modo formale, con calzoni lunghi di un colore blu scuro, una giacca
abbinata dello stesso colore e una cravatta nera.
Bill lo osservò stupito. Che strano tipo
pensò, mentre gli stringeva la mano.
Gustav non era uno che si stupiva facilmente, perciò non
fece neanche troppo caso all'abbigliamento di quel manager e si
limitò a sorridergli e a stringergli cortesemente la mano
anche lui. Georg fece lo stesso, sorridendogli però con meno
entusiasmo: quell'incontro non gli interessava affatto in quel momento.
Tom invece fece uno sforzo per allungare la mano e stringere quella
dell'uomo in un stretta moscia e senza entusiasmo. Non gli sorrise
neppure, non alzò nemmeno gli occhi per guardarlo, e, anche
se sapeva di averlo lasciato perplesso, non gli importava. A quanto
aveva capito, quell'uomo si chiamava Bob ed era il manager del cantante
americano.
Già, il
cantante americano... pensò in uno stato
confusionale il chitarrista.
Non si era neppure guardato attorno per cercare quel nuovo ragazzo, non
l'aveva neanche visto. Probabilmente aveva già stretto la
mano a tutti e, vedendo la sua maleducazione in quel momento, aveva
preferito lasciarlo perdere e ignorarlo completamente.
Meglio così
pensò indifferente il rasta.
Poi accadde qualcosa di inaspettato. I suoi occhi erano rivolti verso
il basso, ma, improvvisamente, nel suo campo visivo apparve qualcosa di
diverso dalle solite piastrelle di marmo del pavimento del bar: una
mano, una mano giovanile.
«Ehm... Tom?», lo chiamò David con una
voce che faceva intendere la sua irritazione per il comportamento del
rasta.
A quel punto, allora, Tom alzò lo sguardo, ritrovandosi a
fissare due occhi azzurri, liquidi e profondi e un sorriso aperto.
Il ragazzo davanti a lui allargò ancora di più il
sorriso. «Sono Simon».
La sua voce era calda e per nulla irritata dalla poca attenzione
rivoltagli dal chitarrista. Parlava un tedesco corretto e doveva avere
all'incirca ventisei anni.
Simon
ridacchiò, quando notò l'espressione
perplessa di Tom. «Piacere di conoscerti».
Più lo guardava e più si
rendeva conto
che c'era qualcosa
di strano in quel ragazzo, di particolare. David lo aveva rimproverato
per il suo comportamento, i suoi compagni lo avevano guardato male per
la figuraccia che aveva fatto fare alla band e il manager del ragazzo
gli aveva scoccato un'occhiataccia per la sua maleducazione. Invece
cosa aveva fatto quel ragazzo? Gli aveva sorriso quasi con fare
strafottente e
si ostinava ancora ad allungare la mano per stringere la sua. Tom lo
trovava
un gesto quasi fastidioso. Ma non lo capiva che in quel momento voleva
solo essere lasciato in pace? Con una smorfia appena accennata
allungò il braccio e accolse svogliatamente la mano del
ragazzo
nella sua.
Che scocciatura
pensò dentro di sé, cercando di sforzarsi per
accennare almeno un piccolo sorriso.
Che però risultò essere una smorfia.
«Tom», mormorò assente, fissando gli
occhi azzurri del ragazzo.
"Simon", così aveva detto di chiamarsi. Un nome come un
altro,
niente di più.
«Piacere», aggiunse dopo poco con un tono di voce
che risultò comunque infastidito.
Ma Simon non sembrava notare l'impertinenza del rasta. Anzi, sembrava
quasi che lo stesse incitando a farla venire fuori ancora di
più.
Gli sorrise in un modo che a Tom sembrò
quasi
malizioso.
Idiota lo
insultò mentalmente.
«Lo so. Chi non ti conosce», commentò
ironicamente Simon.
E pure spaccone.
Rimasero per qualche istante immobili a fissarsi negli occhi, mentre i
loro compagni li guardavano confusi.
A Tom sembrava quasi un
atteggiamento di sfida e cominciava ad infastidirsi. Invece non erano
ben chiari né i pensieri né le intenzioni di
Simon: era strano, aveva un modo di fare tutto suo e non si capiva se
fosse con
buone o cattive intenzioni. Niente e nessuno negava che fosse un bel
ragazzo di ventisei anni, biondo e con gli occhi azzurri - il classico
americano -, ma era anche enigmatico.
Si stavano dilungando troppo
nelle presentazioni, invece David non vedeva l'ora di discutere a
proposito del lavoro della sua band con quel nuovo cantante e con il
suo manager.
L'uomo si avvicinò al rasta e al biondo, sorridendo
forzatamente. «Mangiamo? Che ne dite?», chiese loro
cautamente.
Simon non staccò gli occhi da quelli di Tom, ma sorrise
serafico. «Certo».
Quanto è
fastidioso
pensò irritato il chitarrista, distogliendo lo sguardo e
avviandosi rapidamente verso il tavolo dove i suoi compagni erano
già
seduti.
Forse stava esagerando e si era fatto un'idea sbagliata di Simon, ma in
quel momento gli dava proprio sui nervi il comportamento del ragazzo:
si ostinava a fissarlo con uno sguardo indecifrabile e, in
più, si
era seduto di fronte a lui, così da poterlo osservare meglio.
Tom gli lanciò un'occhiataccia. Che rabbia.
«Tutto bene?».
La voce di Georg gli arrivò lontana, nonostante fosse seduto
accanto a lui, e lo prese alla sprovvista: non pensava che gli avrebbe
rivolto la parola così presto, dopo il loro
litigio.
Non sapeva se esserne felice o meno, ma si affrettò comunque
a
rispondergli per non fargli credere che ce l'avesse con lui.
«Sì, tutto a posto», sussurrò
piano,
accennando ad un sorriso sghembo.
Voltò il capo, tornando a fissare il ragazzo seduto di
fronte a
lui: stava parlando con il suo manager in americano e, a causa della
sua
scarsa conoscenza della lingua, non riusciva a comprendere
più
di due parole a frase. Evidentemente l'uomo non sapeva parlare tedesco
e per questo il suo cantante avrebbe dovuto fare da traduttore tra lui
e David.
Era interessante osservare il suo comportamento: era calmo,
professionale, a Tom risultò quasi freddo mentre parlava con
il
suo manager. Aveva comunque qualcosa di interessante.
Dopo pochi minuti, la colazione venne servita al loro tavolo e David
prese la parola.
«Allora», esordì
rivolto a Simon.
«Sai in che cosa consiste la mia proposta... una
collaborazione
con il nostro gruppo potrebbe essere un buon trampolino di lancio per
te. In questo modo potresti trovare in poco tempo una cerchia
di
fan e successivamente proseguire per la tua strada e
allargarla».
Simon storse la bocca, scuotendo la testa. «Avevo
già detto di non essere d'accordo»,
mormorò con
voce indifferente.
David si morse il labbro inferiore, annuendo col capo.
«Già. Cosa non ti soddisfa?».
«Voglio che la mia musica venga apprezzata per quella che
è. Non mi piace l'idea di appoggiarmi ad un gruppo
già
affermato per guadagnare popolarità».
Tom ascoltò interessato il discorso di Simon, non rendendosi
neppure conto di star annuendo piano con il capo. In un certo senso lo
ammirava, percepiva la sua passione per la musica. Era forte come la
sua.
«Voglio farcela da solo», concluse il ragazzo
americano,
tornando a fissare Tom, mentre pronunciava le ultime parole.
Il chitarrista sobbalzò appena, non sapendo spiegarsene
neanche il
motivo, e si sentì quasi ipnotizzato da quegli occhi
così azzurri e profondi da risultare quasi glaciali. Si
fissarono per alcuni istanti, studiandosi a vicenda. Poi, ad un certo,
punto Simon sorrise, ma questa volta non con fare strafottente e
beffardo. Era un sorriso dolce, genuino.
Tom sentì mille piccoli brividi percorrergli velocemente la
schiena, facendolo sobbalzare sul posto. Che diavolo mi succede?
si chiese confuso, corrugando la fronte e continuando a fissare il
ragazzo davanti a sé.
Simon distolse lo sguardo e si concentrò nuovamente su
David.
Intanto, Georg osservava confuso il comportamento di Tom: era inquieto,
teso, perplesso.
Che gli succede?
È da quando ci siamo seduti che è strano
pensò il bassista, allungando una mano sotto al tavolo e
appoggiandola delicatamente sulla coscia del chitarrista.
Tom sobbalzò ancora, questa volta quasi saltò
sulla
sedia, e si voltò di scatto verso Georg. «Che
c'è?», gli chiese bruscamente.
Il bassista lo scrutò per qualche istante con un'espressione
perplessa, poi si avvicinò cautamente al suo orecchio.
«Si
può sapere che cos'hai? È per la nostra
discussione?», gli sussurrò piano.
Il chitarrista corrugò la fronte e lo fissò
confuso.
Allora Georg insistette. «Sei sempre più teso. Non
ci credo che va tutto bene».
Tom deglutì rumorosamente e distolse lo sguardo, fissando
serio
un punto indefinito sulla tovaglia del tavolo. «Non sono
affari
tuoi», borbottò scontroso, risultando quasi
impertinente.
Georg inarcò le sopracciglia e lo fissò
sbigottito. «Scusa?».
Il chitarrista grugnì. «Lasciami in
pace».
Il bassista aprì la bocca per dire qualcosa, ma la
richiuse quasi subito, limitandosi ad osservare il profilo dell'amico
con
espressione seria. Poi si voltò dalla parte opposta,
schiarendosi di poco la
gola.
«Fai come vuoi, basta solo che non ti venga una crisi
isterica», borbottò con voce fredda.
Tom spalancò gli occhi e si girò di scatto verso
Georg. «Cos'hai detto?», sbottò a voce
alta.
Immediatamente tutti i loro compagni si voltarono nella loro direzione
stupiti, zittendosi per cercare di capire cosa fosse successo.
David inarcò un sopracciglio. «Che cosa
succede?».
Tom e Georg continuavano a fissarsi con occhi da sfida, cercando quasi
di mandarsi messaggi telepatici per ricordarsi a vicenda quanto fossero
stupidi.
Poi, ad un tratto, il chitarrista distolse lo sguardo e si
alzò
dalla sedia. «Io torno nella mia stanza»,
annunciò
senza troppi preamboli.
Il suo manager lo guardò sconvolto. «Stai
scherzando,
vero? Ti sembra il momento?», lo rimproverò con
voce
severa.
Tom gli lanciò un'occhiataccia e si allontanò di
poco dal tavolo.
Ma subito David lo fermò con un ordine. «Torna
subito qui, non ho intenzione di ripeterlo!».
Il chitarrista gli diede le spalle e si allontanò
infastidito.
«Sei solo il mio manager, non mio padre. Sono libero di fare
quel
cazzo
che mi pare», gli disse con voce indifferente.
David sbarrò gli occhi sconvolto.
«Tom!», sbottò furioso.
«Lo lasci andare».
Il manager sobbalzò, preso alla sprovvista: ancora seduto al
tavolo, Simon lo stava fissando con un'espressione seria e quasi il suo
sguardo lo raggelò sul posto da quanto era intenso.
Quel
ragazzo
faceva uno strano effetto, non c'era che dire.
Il cantante notò la perplessità dell'uomo e
decise di
tranquillizzarlo con un sorriso. «Non è necessario
che
stia qui con noi, possiamo parlare delle nostre idee anche senza di
lui», gli spiegò più tranquillamente.
David fece per protestare, ma ancora una volta Simon lo interruppe
immediatamente. «Continuiamo?», gli chiese con un
sorriso.
Il manager borbottò qualcosa di incomprensibile e
tornò di malavoglia a sedersi.
Nello stesso momento Georg scattò in piedi e
cominciò a
correre verso l'uscita del bar. «Torno subito»,
gridò nella loro direzione.
David strinse furibondo un lembo della tovaglia nel pugno e
lanciò un'occhiataccia a Bill e a Gustav, gli unici membri
della
band ad essere rimasti seduti a tavola. «Qualcun altro vuole
togliere il disturbo?», chiese con voce apparentemente
gentile,
ma sotto sotto minacciosa.
I due amici deglutirono e con voce flebile pronunciarono un debole "no".
Il manager concentrò la sua attenzione su Simon e
accennò
ad un sorriso forzato. «Bene, continuiamo pure».
«Che cazzo ti prende?».
L'esclamazione furibonda di Georg rimbombò per tutto il
corridoio dell'albergo. Tom era appoggiato contro la parete del muro,
le mani di Georg premute sulle sue spalle per tenerlo fermo. Aveva
tentato di scappare, ma non ce l'aveva fatta ed era stato preso prima
che arrivasse alla sua stanza.
Il chitarrista lo guardò esasperato. «E tu che
cazzo vuoi? Non sai farti gli affari tuoi?».
«Fino a prova contraria, tu sei ancora un affare mio,
perciò chiedo scusa se riesco a preoccuparmi per te anche
dopo
quello
che hai fatto stanotte», gli rispose il bassista offeso.
Tom distolse lo sguardo corrucciato e provò a liberarsi
dalla
forte presa dell'amico. «Non ti ho chiesto di
farlo»,
sussurrò piano.
Georg premette ancora più forte le mani sulle spalle del
rasta e
cercò il suo sguardo. «Non devo chiedere il tuo
permesso
per farlo», ribatté serio.
Finalmente Tom si voltò a guardare il viso del bassista.
«Certo, perché non posso mai fare niente senza
averti
fra i coglioni! Sei una testa di cazzo che non sa stare al suo
posto!», sputò fuori velenoso, senza pensare a
ciò
che aveva appena detto.
Improvvisamente si sentì afferrare bruscamente per il collo
della maglia e venne tirato violentemente davanti a sé, fino
ad
arrivare con il viso ad un soffio da quello di Georg. Sembrava furioso,
ma nel profondo dei suoi occhi poteva leggere tutto il dolore per
quelle parole che aveva appena ricevuto. Lo aveva ferito.
Tom rimase
immobile a fissare quegli occhi, aspettando che il bassista
lo picchiasse, che gli urlasse in faccia qualcosa di altrettanto
cattivo. Invece lo vide sospirare, mentre lo fissava serio.
«Non parlarmi così», gli disse con voce
spaventosamente tranquilla.
Aveva già fatto abbastanza danni, ma Tom sentì la
necessità di essere ancora una volta strafottente, ma non
seppe
spiegarsi il perché.
Sorrise beffardo. «Altrimenti
che cosa fai? Mi stupri a
sangue?
Ah, no, dimenticavo che non sei neanche capace di fare quello con
me».
Voleva picchiarlo, Georg sentiva che prima o poi sarebbe scoppiato. Non
l'aveva mai fatto, ma la voglia di colpirlo si fece più viva
che
mai nel suo corpo. Eppure non ci riusciva, c'era qualcosa che lo
bloccava e gli diceva di non farlo, perché sarebbe stato il
gesto più sbagliato che avrebbe potuto fare. Era inutile,
non
sarebbe mai riuscito a ferire Tom come stava facendo lui. Semplicemente
perché provava qualcosa di diverso, qualcosa che il
chitarrista
evidentemente non provava.
«Stupido», sussurrò piano, abbassando
gli occhi sul pavimento e scuotendo leggermente la testa.
Tom corrugò la fronte confuso: tutto si sarebbe aspettato,
ma
mai una reazione così calma. «Cosa?»,
chiese
perplesso.
Georg rialzò lo sguardo e puntò gli occhi in
quelli del chitarrista. Sono
stato uno stupido a pensare che tu potessi provare quello che provo io
per te.
«Sarà meglio per tutti e due», disse in
un soffio.
Il cuore di Tom mancò di un battito, esattamente come
qualche ora prima. Cosa?
Il bassista si fece terribilmente serio. «Finiamola
qui».
«Allora siamo d'accordo così?», chiese
entusiasta David.
Simon sorrise. «Direi proprio di sì».
Bill, fuori di sé, scattò in piedi e
cominciò a battere le mani come un forsennato.
«Sì, non
vedo l'ora di insegnarti tutto sul mestiere del cantante! Hai
avuto fortuna: non a tutti capita di avere un maestro come
me».
Il cantante americano corrugò la fronte e
annuì
consenziente. «Già, immagino»,
commentò
divertito.
David osservò stranito Bill mentre si sistemava i capelli
sparati in aria e scosse leggermente la testa. Crescerà mai?
«Oh, con me al tuo fianco diventerai un vero
professionista!», esclamò il cantante moro,
annuendo orgoglioso.
Evidentemente no
concluse il manager dentro di sé.
Erano ancora seduti al tavolo del bar, anche se avevano finito da un
pezzo di fare colazione. Erano giunti alla conclusione che Simon
avrebbe passato un po' di tempo con il gruppo, guardando e imparando
tutto ciò che gli sarebbe servito per intraprendere la sua
carriera da cantante.
Bill era estasiato dall'idea di poter insegnare a
qualcuno tutto quello che sapeva sul suo lavoro e non faceva altro che
agitarsi sulla sedia, non contenendo la felicità. Gustav,
invece, non dimostrava affatto il suo entusiasmo: non gli dispiaceva
avere a che fare con un nuovo artista ed era felice del loro accordo,
ma non ci vedeva nulla di così fantastico da saltare sulla
sedia come faceva Bill. A differenza del cantante, lui era un tipo
più sostenuto, ma ciò non voleva dire che gli
dispiacesse avere intorno Simon. Anche se questo avrebbe comportato di
dover passare giorni interi insieme al nuovo cantante.
«Oh, guardate chi è tornato... il ragazzo
indipendente», esclamò ad un tratto David.
Tutti si voltarono verso la direzione in cui erano rivolti gli occhi
del manager: Tom stava camminando lentamente verso di loro, il
cappellino calato sul volto per farsi ombra.
A quella vista, Bill capì all'istante che qualcosa non
andava. Che gli succede?
si chiese confuso, facendosi improvvisamente serio e corrugando la
fronte.
Il chitarrista arrivò fino al loro tavolo e si
fermò davanti a David, fissandolo inespressivo.
Il manager lo squadrò severo. «Spero che tu sia
pronto, perché dobbiamo partire subito. Il tourbus
è arrivato».
Tom non rispose e si limitò ad annuire mestamente.
«Dov'è finito quell'altro?»,
sbottò David, guardandosi intorno in cerca di Georg.
«Sono qui».
Il bassista arrivò da dietro le spalle di Tom e il loro
manager
sbarrò gli occhi sconvolto. «Che diavolo hai fatto
al labbro?», gli chiese furioso.
David non tollerava certe cose: per il lavoro che facevano i suoi
quattro ragazzi era inaudito che avessero anche solo una piccola
imperfezione, figuriamoci poi un labbro spaccato.
Georg si portò una mano alla bocca e scosse la testa
indifferente. «Niente. Lo sai che mi mordo sempre le
labbra. Stavolta ho esagerato», si giustificò il
ragazzo.
«Inventane una migliore, Georg, perché qui
c'è odore di stronzate pesanti».
«Non è successo niente. Non possiamo semplicemente
andare, invece che discutere di cose inutili?».
Mentre il bassista e David continuavano a discutere, Tom fissava
inespressivo la tovaglia del tavolo. Bill cercava di attirare la sua
attenzione in tutti i modi possibili, ma il chitarrista sembrava non
reagire: i suoi occhi erano quasi spenti ed era fin troppo serio per i
suoi standard.
Non se n'era neppure accorto, ma Simon lo stava
osservando intensamente e forse aveva capito anche lui che qualcosa non
andava.
È
così... vuoto pensò il cantante
biondo, corrugando la fronte.
Improvvisamente, Tom sollevò lo sguardo e si
ritrovò a fissare gli occhi del ragazzo. Ma non si
stupì di questo, anzi... sostenne il suo sguardo, perdendosi
in quel colore così chiaro e intenso.
Un fantoccio vuoto
concluse Simon, leggendo in quegli occhi scuri qualcosa di strano.
«Oh, al diavolo!», sbottò
improvvisamente David, scuotendo furiosamente la testa.
«Andiamo, che è meglio!».
Detto questo, si alzò dalla sedia e velocemente si
avviò verso l'uscita del bar. Gustav, Simon e il suo manager
si alzarono a loro volta. Simon fissò ancora per una volta
il viso di Tom, rimanendo spiazzato da tutta quell'improvvisa
freddezza, poi gli voltò le spalle e seguì il
resto del gruppo.
Bill, invece, scattò in piedi e raggiunse il gemello.
«Che c'è che non va?», gli chiese
immediatamente.
Tom lo guardò e inarcò un sopracciglio confuso.
«Perché dovrebbe esserci qualcosa che non
va?».
Il suo tono di voce era strano, non convinceva affatto Bill.
«Quindi hai risolto con... con Georg?»,
continuò cauto il cantante.
Il chitarrista assunse un sorrisetto beffardo e quel viso
così freddo fece quasi paura al fratello. Sembrava normale,
ma in realtà non lo era affatto. Troppo duro.
«Tutto a posto. Ci siamo lasciati»,
commentò quasi con voce indifferente.
Bill strabuzzò gli occhi e per un momento non
riuscì a dire niente. Si
sono lasciati e lui è così tranquillo?
«Ah... beh...», balbettò
confuso il cantante. «Sembri comunque in forma».
Tom fissò serio il gemello. «Io non sto bene,
Bill». Poi sorrise maliziosamente. «Io sto da
Dio».
Mentre Bill lo guardava scandalizzato, il chitarrista estrasse dalla
tasca dei jeans un paio di occhiali da sole scuri e se li mise sul naso.
«Ragazze, Tom Kaulitz è tornato»,
commentò sarcasticamente, sorridendo al gemello.
Da dietro le lenti scure gli fece l'occhiolino, poi gli diede le spalle
e si avviò verso l'uscita del bar.
«Andiamo, fratellino».
Bill rimase immobile e a bocca aperta a fissargli le spalle. Era una
cosa assurda, non poteva comportarsi veramente così.
Eh, no... questa cosa non
mi piace per niente.
NdA:
Ho pensato di mettervi qui una foto di un attore che si avvicina molto
al Simon che ho pensato io. Giusto per dare un'idea.
Eccola qui:
Jensen Ackles ci assomiglia a Simon, ma non del tutto; qualche
particolare è diverso. Io lo adoro. **
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Capitolo 10 *** The plan of Bill ***
10. The plan of Bill
Non va bene,
non va
assolutamente bene.
Bill, seduto di fianco a Tom sul tourbus, si sentiva estremamente
irrequieto. Georg era seduto due sedili più avanti e quasi
con
aria da cane bastonato si guardava in silenzio le unghie delle mani.
Gustav era di fianco a lui e con le cuffie nelle orecchie osservava con
poco interesse lo schermo del computer portatile che teneva sulle
cosce, non notando lo strano comportamento del bassista. O, se lo aveva
notato, aveva preferito farsi gli affari suoi.
Bill alzò gli occhi al cielo. Ma qui sono solo io ad essere
agitato? si chiese esasperato, tormentandosi le dita delle
mani.
Lanciò un'occhiatina circospetta al gemello, seduto al suo
fianco,
e, senza neanche accorgersene, si ritrovò a fissarlo
intensamente
e con aria sospetta. Tom aveva lo sguardo dietro gli occhiali scuri
perso fuori dal finestrino, il suo iPod appoggiato sulle ginocchia e
le cuffiette nelle orecchie. Apparentemente niente di anormale, ma
sotto sotto qualcosa non andava e Bill fremeva dalla voglia di sapere
cosa fosse veramente successo fra lui e Georg.
Lentamente Tom, sentendosi stranamente osservato, voltò il
capo
e si ritrovò a fissare gli occhi sbarrati e sospettosi del
gemello.
Ma cosa...?
«Bill, sembri un maniaco. Mi spieghi perché mi
stai
fissando in quel modo?», sbottò il rasta,
spegnendo la
musica e fissando il fratello come se fosse un perfetto idiota.
Bill si sporse in avanti e cominciò a bisbigliare.
«Mi devi ancora raccontare tutto».
Tom per un istante lo fissò spaesato, corrugando la fronte
confuso. «Che cosa ti dovrei raccontare?».
Il cantante alzò gli occhi al cielo, esasperato dalla poca
perspicacia del gemello, e si protese verso di lui. «Di
Georg,
no?».
A quelle parole il viso del chitarrista si incupì
improvvisamente e subito si affrettò a distogliere lo
sguardo
per non mostrare al gemello che aveva toccato un tasto dolente.
«Non c'è niente da dire»,
mormorò cupo,
tornando a fissare la strada fuori dal finestrino.
Bill lo osservò pensieroso per un istante, poi gli si
avvicinò ancora di più, appoggiando il mento
sulla sua
spalla e aspettando in silenzio che il gemello si girasse ancora a
guardarlo. Tom si ritrovò davanti gli occhi castani del
cantante, identici ai suoi, ma con un qualcosa in più che li
rendeva come quelli di un bambino curioso e voglioso di coccole. Il
moro gonfiò le guance, continuando a fissarlo intensamente e
in
silenzio. Adesso sì che sembrava veramente un bambino.
«Bill, ma che stai facendo?», borbottò
il rasta infastidito.
Bill sgonfiò le guance e assunse quel suo solito sguardo,
che
Tom non sopportava affatto, della serie "sono il tuo psicologo
personale, confidami le tue turbe mentali". «Lo sai che io
per te
ci sono sempre e che, se hai bisogno di aiuto, puoi chiedere al tuo
fratellino, vero?», disse con voce calda, cercando di fare
gli
occhioni dolci.
Tom alzò gli occhi al cielo disgustato e con una mano
allontanò il gemello dalla sua spalla. «Ti prego,
Bill. Niente smancerie».
Il cantante aprì la bocca e sbarrò gli occhi
scandalizzato, fissando offeso il gemello. Io
gli apro il mio buon cuore e lui mi tratta così! Questo
è
l'ennesimo oltraggio alla mia stupenda persona! Prima o poi
dovrò fare una lista...
Storse il naso e voltò il capo dall'altra parte sdegnato.
«Arrangiati, allora», esclamò offeso.
Il chitarrista alzò gli occhi al cielo e riaccese l'iPod,
ignorando completamente il gemello e tornando nel mondo dei suoi
pensieri. In quel momento non aveva voglia di parlare, voleva
semplicemente essere lasciato solo: doveva cercare
di convincersi che stava
bene.
Il viaggio sarebbe stato piuttosto lungo, considerando che avrebbero
dovuto spostarsi da Los Angeles fino a Las Vegas. La maggior parte del
tempo lo stavano passando in silenzio, ognuno per i fatti propri e
senza rivolgersi una singola parola.
In compenso, Bill stava ancora
rimuginando sulla questione "Tom e Georg": se il gemello non intendeva
dirgli niente sull'accaduto di quella mattina, avrebbe sempre potuto
chiedere a Georg, ma era molto probabile che anche il bassista non gli
raccontasse niente; già il cantante poteva immaginare la
possibile risposta con cui lo avrebbe liquidato senza pochi preamboli:
"Scusa, Bill, ma adesso preferirei non parlare di questo argomento".
Lui e il suo stato di
depressione totale... pensò Bill, sbuffando
sonoramente. Ma che
vadano a raccogliere le patate.
Se non aveva indizi sul perché si erano lasciati, sarebbe
stato
difficile cercare di riavvicinarli, cosa che il cantante aveva
assolutamente intenzione di fare. Sapeva benissimo che il gemello aveva
bisogno di Georg per stare bene, solo che era ancora troppo idiota per
capirlo; e, per quanto riguardava il bassista, era ormai chiaro come il
sole che fosse innamorato di Tom.
E adesso arriva
quell'anima santa di Bill Kaulitz a rimettere a posto le cose
pensò Bill, ridacchiando e annuendo inconsapevolmente con il
capo.
Al suo fianco, Tom gli lanciò un'occhiatina confusa e rimase
per qualche istante a fissarlo con un sopracciglio inarcato: a volte
aveva il
sospetto che il gemello fosse posseduto da un alieno, un alieno sadico
e "leggermente" malato psicologicamente. Ma dopo poco tornò
a
guardare fuori dal finestrino, ormai fin troppo abituato alle stranezze
del fratello. Da parte sua, Bill stava ancora ridacchiando
sommessamente
con una mano davanti alla bocca; dentro di sé rideva
sguaiatamente, invece.
Ma un Santo come me ha
comunque bisogno dell'aiuto di un assistente per mettere in atto il suo
piano geniale pensò saggiamente, guardandosi
attorno in cerca della sua preda.
Due sedili più avanti, alcuni ciuffi biondi corti spuntavano
dal
sedile e fu proprio quello il punto in cui lo sguardo del cantante si
fermò.
Bingo!
pensò
soddisfatto e sulle sue labbra si disegnò un ghigno
divertito,
che quasi spaventò Tom, che era tornato a fissarlo con gli
occhi
sbarrati.
«Gustav, ho bisogno del tuo aiuto».
Gustav sobbalzò sul suo sedile, preso alla sprovvista dalla
voce
squillante di Bill e dalla sua improvvisa apparizione sul sedile di
fronte a lui. Era persino riuscito ad avere la meglio sulla musica che
l'amico stava ascoltando con le cuffie nelle orecchie. Anche Georg,
seduto nel sedile di fianco al batterista, si voltò a
fissare
confuso l'enorme sorriso di Bill che gli si apriva davanti, ma non ci
volle molto prima che tornasse a guardare fuori dal finestrino con il
viso cupo e pensieroso.
Gustav si tolse le cuffie dalle orecchie e, sbuffando leggermente,
prestò la sua attenzione al cantante davanti a
sé.
«Chissà perché la cosa mi terrorizza
alquanto», commentò ad alta voce, irritando
leggermente
l'amico moro. «Di che cosa hai bisogno, Bill?»,
sospirò infine, rassegnato a dover ascoltare l'ennesima
crisi
isterica del cantante.
Bill batté le mani entusiasta e si agitò sul suo
sedile.
«Ti devo parlare di una piccola questione... in privato,
possibilmente», gli spiegò sorridente, lanciando
un'occhiatina circospetta a Georg, che non lo stava nemmeno
guardando.
Il batterista per nulla al mondo avrebbe voluto alzarsi dalla sua
postazione, ma sapeva bene che, se non avesse seguito e ascoltato
l'amico, poi lui non l'avrebbe più lasciato vivere.
Fai come vuole lui,
Gustav, altrimenti sai a cosa potresti andare incontro si
incitò da solo, alzandosi dal suo sedile e dando il suo
computer portatile a Georg.
«Trattalo come se fosse tuo figlio», si
raccomandò, ricevendo indietro un'occhiata confusa da parte
del bassista. «Okay, lascia perdere».
Bill condusse l'amico fino al bagno del tourbus e ce lo spinse dentro
con forza, entrando poi a sua volta e chiudendo la porta a chiave. Il
posto era stretto ed erano costretti quasi ad abbracciarsi.
A quel punto, Gustav guardò inquieto l'amico di fronte a
sé. «Okay, devo cominciare a preoccuparmi
seriamente?».
Il cantante lo guardò storto e non capì.
Allora il batterista gli mise le mani su entrambe le spalle e lo
fissò intensamente negli occhi. «Mi dichiaro
ufficialmente etero».
Bill strabuzzò gli occhi e aprì la bocca
scandalizzato, scrollandosi di dosso le mani dell'amico. «Ma
cosa...? Che schifo! Non era di questo che volevo parlarti!»,
sbottò disgustato.
Gustav sospirò sollevato. Meno male. Due bastano e
avanzano.
«Allora che c'è di così misterioso da
dovermi persino rinchiudere in un bagno?».
Il cantante si ricompose e si guardò attorno circospetto,
come se avesse paura che qualcuno potesse nascondersi nel water e
stesse spiando la loro conversazione. «Tom e Georg si sono
lasciati», esordì alla fine, bisbigliando
pianissimo.
Il batterista rimase molto meravigliato dopo quelle parole: era stata
una relazione breve quella dei suoi due amici e, da quel poco che aveva
visto, gli erano sembrati abbastanza uniti. Era strano quindi che fosse
successo tutto così in fretta, ma quasi sicuramente c'erano
molti dettagli che al batterista sfuggivano.
«Quindi?», chiese alla fine all'amico, non capendo
dove volesse andare a parare.
Bill alzò gli occhi al cielo esasperato. «Quindi
dobbiamo trovare un modo per riunirli. Mi sembra ovvio, no?».
Gustav sorrise all'ingenuità del cantante e ancora una volta
gli mise le mani sulle spalle. «Bill, capisco che ti
dispiaccia per loro, anche a me dispiace... ma è una
decisione loro. Se hanno deciso di lasciarsi, avranno avuto le loro
buone ragioni e noi non possiamo farci niente».
Il cantante gli sventolò indifferente una mano davanti alla
faccia. «Sì, okay, ma intanto come li facciamo
tornare insieme?».
Il batterista inarcò scettico un sopracciglio. «Ma
mi hai ascoltato?».
«Magari potremmo chiuderli a chiave in una camera e non farli
uscire finché non avranno fatto pace e deciso di tornare
insieme, oppure...».
Niente da fare, Bill era ormai andato. Come sempre, del resto.
Possibile che non si rendesse conto che quella decisione non spettava a
loro?
Gustav sospirò sconsolato e tentò di attirare
l'attenzione dell'amico. «Bill, non possiamo decidere per
loro».
«Ma si vede lontano un miglio che sono fatti l'uno per
l'altro», insistette il cantante, scuotendo il batterista per
le spalle.
«Evidentemente non è così, altrimenti
non si sarebbero lasciati».
«Oh, è solo che sono troppo idioti per
capirlo».
Gustav ci rinunciò a fargli capire cosa fosse giusto, Bill
era troppo testardo per fargli cambiare idea. Ma lui non avrebbe fatto
parte del suo piano "geniale".
«Senti, Bill, tu puoi fare quello che vuoi, ma non mettermi
in mezzo. Non ho intenzione di costringerli a stare insieme, se non
vogliono», sbottò alla fine il batterista, facendo
per uscire dal bagno.
Ma immediatamente una mano curata e munita di infiniti anelli
sbatté con forza sul legno scuro e mantenne la porta chiusa.
Gustav sobbalzò spaventato e lentamente tornò a
guardare il viso dell'amico. Era terrificante. Gli occhi truccati di
nero erano iniettati di sangue, l'espressione deformata dalla furia e
la bocca leggermente aperta mostrava i denti perfettamente bianchi.
Probabilmente la visione di Godzilla sarebbe stata meno spaventosa.
Santo cielo. Ma come
mi è venuto in mente di farlo arrabbiare?
pensò il batterista, leggermente inquieto.
«Gustav», ringhiò Bill con voce cupa.
«Li vedi questi anelli?», gli chiese minaccioso,
mettendogli davanti alla faccia la mano ingioiellata. «Tu sai
che potrebbero "accidentalmente" avere un incontro ravvicinato con la
tua faccia, se non mi aiuti, vero? Senza contare le tue bacchette della
batteria: mi assicurerò personalmente di infilartele su per
il c...».
«Okay, Bill! Farò tutto quello che vuoi!
Però non mi mangiare la faccia»,
esclamò alla fine Gustav, guardando con gli occhi sbarrati
l'amico davanti a sé.
Passarono vari secondi di silenzio in cui Bill mantenne sempre la
stessa faccia spaventosa. Poi, in modo assurdo, la sua espressione
subì un'altra trasformazione e ritornò la stessa
di sempre. Improvvisamente il batterista se lo ritrovò fra
le braccia, stretto nel suo abbraccio soffocante, mentre continuava a
ringraziarlo.
«Grazie, Gus. Sapevo che avrei potuto contare sul tuo
aiuto».
«Questa idea è veramente
banale, per
non dire stupida».
Bill lanciò un'occhiataccia a Gustav, seduto sulla tavoletta
chiusa del water. «Ne hai forse una migliore?»,
sbottò imbronciato, incrociando le braccia al petto.
Il batterista sbuffò sconsolato, passandosi una mano fra i
capelli: già aveva dovuto accettare di aiutare Bill a
riunire
Tom e Georg e, in più, si sarebbe addirittura dovuto
abbassare a
mettere in atto un piano stupido, che oltretutto lo avrebbe pure
umiliato. Avere il cantante come amico era la sua rovina.
Sospirò rassegnato. «Okay... hai vinto».
Bill ghignò soddisfatto. «Bravo bambino».
Sono un genio, non
c'è altro da dire.
Bill, appena uscito dal bagno con Gustav, era fiero di se stesso. Anche
se, alla fine, lo era quasi sempre: otteneva ciò che voleva
in
qualsiasi momento e in qualunque posto.
Gustav, invece, a giudicare dall'espressione furiosa con cui
tornò a sedere sul suo sedile, probabilmente non doveva
pensarla
esattamente come il cantante. Era riuscito a farsi fregare. Ancora una
volta, del resto.
Bill tornò a sedere di fianco al gemello, ma quasi subito
Tom si alzò e appoggiò l'iPod sul sedile.
«Devo andare in bagno. Tu e Gustav ci siete stati una
vita», borbottò con astio il chitarrista.
Il cantante non replicò, preso com'era da suoi piani per
"conquistare il mondo". O, almeno, per riunire Tom e Georg.
Appena il chitarrista si chiuse a chiave dentro il bagno, Bill si
fiondò curioso sul suo iPod, abbandonato sul sedile. Quando
vide
la canzone che Tom stava ascoltando, alzò gli occhi al cielo.
Sta bene mia nonna...
Che razza di canzone depressiva è questa?
«Ciao, posso sedermi?».
«NON STO FACENDO NIENTE, NON MI MANGIARE!»,
gridò il
cantante, credendo che Tom fosse tornato dal bagno e che in quel
momento lo volesse punire per aver spiato nel suo iPod.
Ma immediatamente si rese conto di essersi spaventato per nulla:
innanzitutto, la voce non era la sua e poi il ragazzo al suo fianco
aveva addosso vestiti troppo stretti.
Simon sorrise divertito, osservando l'espressione terrorizzata del
ragazzo. «Non ti preoccupare, non sono il tipo che mangia le
persone senza motivo».
Bill si tranquillizzò, ma non più di tanto.
Perché
Simon voleva sedersi di fianco a lui? Probabilmente voleva parlargli,
ma la cosa non gli andava tanto a genio: aveva problemi più
importanti a cui pensare.
«È il posto di Tom», gli
comunicò, cercando di non risultare maleducato.
«Me ne vado subito, appena torna», sorrise il
cantante biondo, facendosi spazio per passare e arrivare al sedile
libero.
Bill annuì con un sorriso tirato. Perché Tom ci mette
così tanto a tornare?
Non era infastidito dalla persona in sé, ma fremeva per
pensare
ad un buon piano da spiegare a Gustav e quel ragazzo ritardava i tempi.
Simon si sedette e si prese alcuni secondi per studiare la figura del
cantante moro. «Sai, sono contento di poter lavorare con voi.
Ammetto di non essere un vostro fan, ma mi piace imparare da artisti
diversi».
Mentre parlava, esaminava l'iPod di Tom, che aveva spostato dal sedile
per sedersi. Con sguardo assorto scorreva la lista delle canzoni e Bill
non poteva fare altro che fissarlo confuso: non pensava che uno
sconosciuto potesse mettere le mani nelle cose degli altri
così
in fretta. Ma, pensò, probabilmente era un modo americano
per
socializzare.
Affascinante
pensò il moro, con ancora qualche dubbio per la testa.
«E poi chissà...», continuò
Simon, non
staccando gli occhi dall'iPod. «Potreste anche riuscire a
farmi
piacere la vostra musica».
Bill annuì, cercando di tenere i propri pensieri per
sé. Ti
trasformerò in una ragazzina, che strilla ai nostri concerti
con i pon-pon.
Ma, se ci rifletteva sopra più attentamente, si rendeva
conto
che quel pensiero era fin troppo esagerato, per non dire assurdo.
Okay, niente pon-pon.
«Ci proveremo», concluse alla
fine.
Non sapeva spiegarsene il motivo, ma Simon gli faceva uno strano
effetto: anche se non lo guardava direttamente, Bill si sentiva
studiato da quel ragazzo, come se all'interno della sua mente stesse
raccogliendo dati e immagini per farsi un'idea precisa della sua
persona. E poi sembrava così a proprio agio con la gente
appena
conosciuta: sembrava quasi che tutti fossero immediatamente suoi amici.
Ma, in generale, non gli piaceva più di tanto: non era il
tipo
di persona con cui amava stringere rapporti sociali, essendo troppo
diverso da lui. Erano completamente opposti.
Mentre il moro rimuginava su questo, ad un tratto sentì uno
spostamento d'aria alla sua sinistra: si voltò curioso e si
ritrovò a fissare il viso confuso e leggermente infastidito
del
proprio gemello. Sorrise, sollevato dal suo ritorno.
Tom lanciò un'occhiata acida a Simon e quasi subito questo
si
accorse di essere osservato. «Quello è il mio
posto», borbottò quasi imbronciato il chitarrista.
Il biondo sorrise e si alzò subito in piedi, tenendo ancora
l'iPod del rasta in mano. Questo, quando lo notò, trattenne
un
ringhio furioso: non tollerava che qualcuno mettesse le mani nella sua
roba; neanche Bill aveva il permesso di farlo, figurarsi uno
sconosciuto. Ma non disse nulla, si trattenne.
Simon glielo tese, forse percependo il fastidio del chitarrista.
«Ascolta questa: ti permetterà di sfogarti.
Dovresti
saperlo meglio di chiunque altro», gli disse gentilmente,
facendo
partire una canzone nell'iPod.
Tom neanche guardò di che cosa di trattasse, preso com'era a
guardare esterrefatto il biondo. Come faceva a sapere il suo stato
d'animo? E, soprattutto, come si permetteva di ficcare il naso nei suoi
affari?
Simon gli sorrise un'ultima volta, poi si voltò e
tornò a sedersi al suo posto, qualche sedile più
avanti.
«Che
cos'è?», domandò subito Bill,
quando il cantante americano si fu allontanato abbastanza da non
sentire.
Tom non gli rispose, ma tornò a sedere sul suo sedile,
fissando
curioso lo schermo dell'iPod. "Scream". I suoi occhi puntarono
immediatamente verso alcuni ciuffi biondi più avanti. Come
faceva a sapere che proprio quella canzone lo avrebbe aiutato a
scaricare la tensione e la frustrazione che sentiva dentro? Da quanto
aveva capito, a lui non
piaceva la loro musica. Ma quasi subito abbandonò quel
pensiero: aveva trovato un modo per sfogarsi e quel ragazzo lo aveva
aiutato a modo suo. Si lasciò scappare un sorriso e si
infilò le cuffie nelle orecchie, ascoltando la voce potente
del
gemello, che urlava le parole di quella canzone.
Bill, invece, che aveva spiato il titolo dal suo sedile, aveva assunto
un'espressione sospettosa, quasi arrabbiata.
Se prima pensavo che
Simon non fosse un problema, adesso mi devo ricredere
pensò il moro, fissando irrequieto il sorriso del fratello. Potrebbe essere un ostacolo fra
Tom e Georg.
Immediatamente scattò in piedi e in un batter d'occhio si
ritrovò ancora una volta davanti al sedile di Gustav, che lo
fissò con gli occhi fuori dalle orbite.
«Ti prego! Abbi pietà di me per un micro
secondo!», sbottò esasperato il batterista.
Bill non gli diede retta e lo afferrò per il collo della
maglia,
avvicinandolo a sé per potergli bisbigliare qualcosa
all'orecchio. «Abbiamo un problema».
«Sei tu il mio problema!», esclamò
Gustav.
«Vieni subito in bagno», sussurrò ancora
il cantante, non ascoltando le sue lamentele.
«Ancora?».
«Sì, ancora!».
Certe volte Gustav
è uno sfinimento pensò Bill.
Io non lo sopporto
più! pensò Gustav.
Subito il batterista venne trascinato con forza dentro il solito bagno
e
ancora una volta si ritrovò stretto fra la parete e il
cantante.
Che cosa mai avrà avuto da dirgli di così
importante
ancora?
Bill riprese fiato per la corsa e mise le mani sulle spalle dell'amico.
«Dobbiamo assolutamente tenere Simon lontano da
Tom»,
esclamò con decisione.
Gustav corrugò la fronte confuso. «E
perché?».
«Perché, se lasciamo che stringano amicizia, il
rapporto
con Georg potrebbe diventare irrecuperabile», gli
spiegò
il moro con i lineamenti del viso tirati. «E Bill Kaulitz non
ammette che i suoi piani vengano ostacolati».
«No, no e ancora no!».
La camera di Bill era completamente sommersa dalle valigie e Gustav era
costretto a stare seduto su una di queste, tentando in tutti i modi di
restare in equilibrio per non finire con la schiena a terra.
Finalmente
erano arrivati a Las Vegas, dopo lunghe ore di viaggio, e il cantante
non aveva ancora disfatto le proprie valigie nell'albergo. E, se era
per questo, neanche Gustav aveva avuto il tempo di farlo,
visto che l'amico gli era rimasto attaccato come una cozza allo scoglio.
«Hai detto che avresti fatto qualsiasi cosa!»,
esclamò Bill, guardando furioso l'amico e andando su e
giù per la stanza.
Gustav cominciò a gesticolare con le mani.
«Sì, ma
questo è troppo! Non puoi chiedermi di fare una figura di
merda
simile!».
Il moro sbuffò esasperato. Come poteva mettere in atto il
suo
piano, se il batterista si rifiutava di dargli una mano? Come se non
bastasse, avevano poche ore per prepararsi e l'amico non accennava a
collaborare. Quella sera ci sarebbe stata una specie di festa
nell'albergo, nell'apposita sala, e tutti loro avevano deciso di
andarci per divertirsi un po'. E quello sarebbe stato sicuramente il
momento più adatto per entrare in azione, se solo Gustav si
fosse dimostrato più disponibile.
«Ti prego, Gus. Non ti chiederò mai più
niente», insistette Bill, unendo le mani in segno di supplica.
«Sai quante volte ho sentito questa frase uscire dalla tua
bocca?
Almeno un miliardo. E, pensa un po', tutte le volte siamo da
capo».
Niente da fare, Gustav non avrebbe ceduto tanto facilmente. Era il
momento di mettere in atto il
piano B.
Bill si avvicinò al batterista, inginocchiandosi ai suoi
piedi e
avvicinando il proprio viso a quello dell'amico; e poi, per ultima
cosa, sfoderò la sua arma segreta, quella a cui Gustav non
sapeva dire di no: il labbro cominciò a tremare all'infuori
e le
sue palpebre ad alzarsi e abbassarsi velocemente.
Gustav sbarrò gli occhi e tentò di non guardarlo.
«Oh, no! Questa volta non mi fregherai!»,
esclamò
deciso.
Ma il cantante era sempre nel suo campo visivo e quel faccino che aveva
assunto - il solito che usava sempre, quando voleva qualcosa -,
diventava sempre più triste.
Non cedere, sai
benissimo che è un trucco per ottenere quello che vuole
cercava di auto-convincersi il batterista.
«Gus», mormorò con voce infantile
Bill, non dando tregua all'amico. «ti prego».
Il batterista scosse convulsamente la testa, cercando di resistere
ancora. «No, non mi umilierò per una sciocchezza!
Non mi
fingerò gay!», sbottò disgustato.
Bill sentiva la mascella indolenzita, ma non mollò l'osso:
mancava poco, ancora qualche piccolo sforzo e Gustav avrebbe finalmente
ceduto.
«Ti pago», piagnucolò il moro.
Gustav si lasciò scappare una risata ironica.
«Anche
questa frase non mi suona nuova. Se veramente lo facessi, adesso avrei
fatto i milioni soltanto con i favori che ti ho sempre dovuto
fare».
Che rabbia! Di solito
cede prima pensò Bill, incominciando a stufarsi.
Ma doveva resistere. In fondo, lo stava facendo per la
felicità
del suo gemello e anche per uno dei suoi migliori amici.
Si buttò addosso al batterista, stringendolo in uno dei suoi
soliti abbracci mozzafiato.
«Gustav!», urlò, facendo finta di
piangere.
«Basta, smettila!».
«Ti prego, ti prego, ti preeego!».
Gustav quasi faceva fatica a respirare e, in più, sentiva di
essere stato messo con le spalle al muro. Se ne sarebbe pentito, ne era
sicuro, ma sapeva per certo che Bill non avrebbe mai mollato, neanche
se lo avesse pagato milioni e milioni. Quindi, tanto valeva smettere di
sprecare energie per resistergli.
Dannato rompipalle con
la testa a palma pensò alla fine, stranito.
«Va bene, va bene. Ma adesso staccati»,
esordì alla fine, senza guardare in faccia l'amico.
Fregato ancora.
Bill sbarrò gli occhi estasiato e, invece che staccarti dal
batterista, lo strinse ancora più forte, quasi strozzandolo.
Com'era possibile che un corpo così esile avesse tutti i
requisiti per ammazzare una persona più robusta di lui? Era
una
domanda a cui nessuno avrebbe mai trovato risposta, perché
Bill
era l'uomo dalle mille risorse; forse sarebbe persino riuscito a fare
le cose più strambe del mondo, se lo avesso voluto. Come
volare,
per esempio.
«Gustav, ti adoro! Non sai quanto mi rendi
felice!»,
strillò emozionato, non curandosi dell'amico, che aveva
iniziato
a boccheggiare, stretto in quella morsa potente.
«Bill», ansimò Gustav con voce
strozzata. «potresti... allentare la presa?».
Il cantante si staccò quasi subito, drizzandosi in piedi e
fissando grato l'amico. Gli occhi gli brillavano per l'emozione.
«Questa volta vedrai che saprò
sdebitarmi», esclamò con un sorriso enorme.
Gustav inarcò un sopracciglio e storse la bocca in una
smorfia. «Sì, certo. Aspetto e spero».
Tom non aveva impiegato molto tempo a disfare le valigie. Anzi, non le
aveva quasi disfatte: si era limitato a tirare fuori soltanto le cose
fondamentali, quelle che gli sarebbero servite più
frequentemente o nell'arco di quella giornata. Non aveva voglia di
mettersi a riempire i cassetti dei mobili con i suoi vestiti,
soprattutto perché si sarebbe persino potuto sbagliare e
infilare lo spazzolino e il dentifricio in mezzo ai vestiti, invece che
in bagno. La sua testa era completamente fra le nuvole, totalmente
assente. I suoi pensieri avevano soltanto due argomenti: Georg, forse
quello che gli dava più problemi, e Simon.
Era chiaro perché pensasse al bassista: dopo ciò
che era
accaduto fra loro, era più che normale che ce l'avesse
sempre
per la testa. Dentro di sé provava un potente senso di
tristezza, ma questo non poteva minimamente superare la rabbia. Come
aveva osato lasciarlo? Si sentiva ferito nell'orgoglio.
Ho io l'ultima parola,
non lui pensò furioso il chitarrista.
E se Georg era un buon motivo per essere fuori di
sé dalla
rabbia, Simon, invece, era quello che più lo confondeva.
Aveva
detto di non apprezzare la loro musica e, invece, gli aveva addirittura
consigliato "Scream" per tirarsi su di morale. Come poteva conoscere
l'argomento di quella canzone? Si presupponeva che non ascoltasse la
loro musica. E poi come aveva fatto a capire che qualcosa non andava?
Tom odiava lasciar trapelare le proprie emozioni, soprattutto con gli
sconosciuti.
Che sia un sensitivo?
si chiese ironicamente il chitarrista, buttandosi a peso morto sul
proprio letto e allargando le braccia.
Di sicuro era strano, su questo non c'era alcun dubbio.
TOC TOC
Tom sobbalzò, preso alla sprovvista dal rumore di un pugno
che
batteva sulla porta della sua stanza. Pensò subito a Bill,
che
probabilmente aveva intenzione di tornare alla carica con le sue
domande "viola privacy altrui".
Sbuffò esasperato, alzandosi dal letto. «Bill,
quando imparerai a farti gli affaracci tuoi?».
Ma il volto che si ritrovò davanti, una volta aperta la
porta,
non era certo quello del suo gemello. Anzi, purtroppo era proprio la
causa principale del suo malumore.
«Che diavolo ci fai qui?», sbottò
scontroso il chitarrista.
Georg, immobile davanti all'amico, non batté ciglio. Non
poteva
pretendere che il chitarrista gli rispondesse senza mangiargli la
faccia così presto. Si limitò semplicemente ad
allungare
un braccio verso di lui, stringendo in mano qualcosa. Tom
corrugò la fronte, ritrovandosi a fissare una delle sue
tante
enormi maglie.
«L'avevi lasciata nella mia stanza e per sbaglio l'ho messa
in valigia», mormorò inespressivo il bassista.
Doveva sforzarsi di essere distaccato e forse avrebbe resistito meglio
alle provocazioni poco cortesi dell'amico.
Per tutta risposta, Tom gli strappò la maglia dalla mano e
tornò a guardarlo truce. «Grazie. Adesso puoi
anche
andartene», esordì infine, facendo per richiudere
la porta.
Ma Georg la bloccò con un braccio.
«Se permetti, non ho ancora finito», gli rispose
acido.
Il chitarrista aprì la bocca per esplodere forse in una
crisi
isterica degna di un Kaulitz, con l'intento di distruggere l'amico, ma
quello lo precedette.
«David mi ha dato l'incarico di avvertirvi tutti che stasera
ci
dobbiamo trovare davanti all'ingresso della sala da ballo alle 21:00
precise. E
non ammette i ritardatari». Infine, sorrise beffardo.
«E
adesso, se vuoi sbattermi la porta in faccia, puoi anche
farlo».
Tom sentiva la rabbia ribollirgli dentro. «Forse non ci sono
neanche stasera!», ci tenne a fargli sapere, senza sapersene
spiegare il motivo, quasi urlando.
Per un istante Georg rimase a fissarlo basito, senza lasciar trasparire
alcuna emozione dal proprio viso. Glielo aveva detto per un motivo in
particolare, o soltanto perché voleva che riferisse la cosa
a
David?
«E perché?», si decise a chiedere poi
con finta indifferenza.
Il chitarrista assunse un sorriso beffardo, come se non aspettasse
altro che quella domanda. «Affari miei», concluse
alla fine.
Probabilmente me l'ha
detto soltanto per avere l'occasione di ricoprirmi di insulti
pensò il bassista, scuotendo leggermente la testa sconsolato.
«Bene. Vorrà dire che ci saranno più
ragazze per
me», disse ad un certo punto, senza saper trattenere la
lingua.
Era una specie di ripicca, lo sapeva bene. Non voleva veramente
mettersi a discutere ulteriormente con l'amico, ma per una volta non
voleva lasciargliela vinta come sempre.
Tom strabuzzò gli occhi e corrugò la fronte.
Perché
quell'espressione? si chiese Georg confuso.
Il chitarrista lo fissò scettico. «Ma tu sei
omosessuale».
Il bassista sorrise divertito. «Errato. Sono bisessuale. Come
te, del resto».
Vide l'amico sbarrare gli occhi furioso e, forse, anche disgustato. Che
cosa
aveva detto di sbagliato? A Tom piacevano le ragazze, ma non erano
forse stati insieme loro due? Era chiaro che provasse attrazione per
entrambi i sessi. E che cosa c'era di sbagliato in questo?
«Io non sono bisessuale!», sbottò il
chitarrista ad alta voce.
Georg inarcò un sopracciglio scettico. «Ah,
no?».
«No!».
«A me risulta che poche ore fa fossi il mio
ragazzo».
Colpito e affondato. Tom si bloccò con la bocca aperta, non
trovando parole per rispondergli a tono. Non sapeva come spiegarsi quel
fatto, ma era più che certo di una cosa: non si
sentiva
attratto dai ragazzi... si sentiva attratto soltanto da Georg. Ma
questo, di certo, non poteva dirglielo, non gli avrebbe dato questa
soddisfazione.
Rimase muto, mentre il bassista esaminava i lineamenti contratti del
suo viso. Probabilmente aveva inteso che nella sua testa stava
ragionando su qualcosa che, forse, non avrebbe mai saputo.
Sospirò e abbassò lo sguardo. «Guarda
che non
c'è niente di male nell'essere bisessuale, Tom»,
gli disse
con calma, tornando a guardare il chitarrista.
Questa volta fu Tom ad abbassare gli occhi. Come diavolo fai a non capire
che non mi piacciono tutti i ragazzi? Mi piaci soltanto
tu, cretino.
Georg lo osservò in silenzio per qualche istante ancora, poi
decise che era meglio andarsene e lasciarlo solo con i suoi pensieri.
Era chiaro che non volesse parlare con lui, perciò era
inutile
insistere ancora.
«Vieni, stasera», gli disse soltanto, voltandogli
le spalle
e allontanandosi di poco. «È una buona occasione
per
distrarsi un po'».
Tom lo vide scomparire dietro l'angolo del corridoio e questo gli
provocò uno strano fastidio al petto. Perché
improvvisamente era stato travolto da un'ondata di tristezza? Era
furioso con l'amico e avrebbe fatto di tutto pur di stargli lontano. O
forse si stava soltanto prendendo in giro da solo.
«Era ora! Ma non vi avevo forse detto di arrivare qui alle
21:00 in punto?».
David era fermo vicino alla porta aperta della sala da ballo, da cui
entravano e uscivano giovani ragazzi e ragazze. Insieme a lui c'erano
Simon e il suo manager. Il cantante sorrideva, mentre l'uomo di colore
aveva la stessa espressione spazientita di David.
«Eravamo impegnati, David», esclamò Bill
con fare offeso.
Dietro di lui c'erano Tom, Gustav e Georg e uno di questi in
particolare - il batterista - alzò gli occhi al cielo.
Era impegnato a
propinarmi i suoi deliri.
«Abbiamo perso mezz'ora!», sbottò il
manager, incrociando le braccia al petto.
A quel punto, Simon si fece avanti e sorrise al gruppo di ragazzi.
«Beh, vorrà dire che ce ne andremo mezz'ora
più
tardi», esordì scherzoso, battendo una mano sulla
spalla
di Bill.
Questo trattenne un ringhio sommesso e si sforzò di
sorridergli. Toccami
ancora e ti strangolo, minaccia umana pensò
dentro di sé.
David, dopo quell'affermazione, non poteva dire altro. Si
limitò
semplicemente ad annuire, lanciando comunque un'occhiata spazientita ai
suoi ragazzi, come per dir loro "prima o poi faremo i conti".
«Andiamo, allora», esclamò allegro Simon.
Lui e il resto della compagnia oltrepassarono la porta della sala da
ballo e scomparvero all'interno della stanza. Tutti tranne due. Bill
aveva afferrato Gustav per la manica della maglia e lo aveva trattenuto
fuori.
«Ricordati qual è il bersaglio
principale», bisbigliò il cantante vicino
all'orecchio dell'amico.
Gustav sbuffò esasperato. «Non incominciare,
eh».
Ma il moro non diede ascolto alle sue proteste. «Tu resta
sempre vicino a Simon, io, invece, cercherò di parlare con
Tom e Georg».
Il batterista sentiva che sarebbe esploso di rabbia da lì a
poco. Perché, tutte le volte che Bill voleva fare una delle
sue solite sciocchezze, tirava in ballo sempre e solo lui?
«Quindi hai iniziato presto a fare musica?».
Ma chi me l'ha fatto
fare?
Gustav cercava di apparire interessato davanti ai racconti di Simon, ma
la verità era che non gliene poteva fregare di meno. Il
cantante americano, invece, gli parlava con piacere delle sue
esperienze e di tutto ciò che più lo
appassionava: non capitava spesso che qualcuno gli facesse
così tante domande sulla sua vita.
«Sì, ho iniziato a sei anni»,
spiegò con un sorriso sulle labbra.
Il batterista annuì col capo e trattenne uno sbadiglio.
Chissà da quanto stavano parlando di cose tutt'altro che
interessanti... E non era ancora finita: Bill gli aveva detto di
indagare sulla vita sentimentale del cantante, in modo da avere un'idea
del suo orientamento; e, con grande disgusto da parte di Gustav, se
Simon gli avesse risposto di essere omosessuale, avrebbe dovuto fingere
di esserlo anche lui.
«Immagino che tu abbia una ragazza a casa ad aspettarti. Ma
come fate a resistere così lontani l'uno
dall'altra?», gli chiese con fare indifferente, mandando
giù un groppo di saliva enorme.
Odiava farsi usare da Bill.
Simon ridacchiò divertito. «No, attualmente non
sono impegnato sentimentalmente. Ho da qualche mese chiuso con il mio
ex ragazzo e diciamo che non ho voglia di buttarmi subito a capofitto
in una nuova relazione».
Mentre lo diceva, Gustav notò un'ombra scura passargli sul
viso, come se avesse improvvisamente cambiato umore. Ma
cercò comunque di concentrarsi su quello che il cantante gli
aveva detto: aveva forse detto ragazzo?
Ma tutte le sfighe
devono capitare a me?
«Ah, quindi sei...».
«Bisessuale», concluse Simon con un sorriso.
«Non disprezzo le belle ragazze».
Il batterista si sforzò di ridere, ma sotto sotto era
nervoso. Beh, Bill
aveva detto omosessuale, non bisessuale.
«Lo dici molto tranquillamente, non tutti lo
farebbero».
Il cantante gli rispose con un'alzata di spalle.
«Semplicemente, non mi vergogno di essere me
stesso».
Gustav doveva ammettere che Simon non era affatto così
terribile come lo aveva descritto Bill: aveva delle belle idee e un
carattere forte; sembrava addirittura più saggio della sua
età. Non capiva la preoccupazione dell'amico.
Mentre il batterista era preso da questi pensieri, il cantante volse lo
sguardo e punto gli occhi sul tavolo imbandito di dolci e bottiglie di
birra, posizionato in un angolo della stanza. «Vado a bere
qualcosa. Vuoi unirti a me?».
Gustav non ci pensò due volte e scosse la
testa, cercando di risultare indifferente, altrimenti sarebbe
passato per maleducato. «Magari dopo».
Simon gli fece un cenno col capo e il batterista lo vide mischiarsi
alla folla, che ballava scatenata al centro della sala. La musica era
assordante, ma Gustav ci era ormai abituato.
Finalmente un po' di pace
pensò il biondo, facendo per voltarsi dall'altra parte.
Ma quasi subito venne travolto da qualcuno, che gli si gettò
fra le braccia e lo strinse forte. Chi mai poteva essere?
«Bill, che stai facendo?», gridò Gustav,
barcollando in cerca dell'equilibrio.
Bill emise uno strano verso, a metà tra l'agonizzante e il
disperato. «Ma perché?
Perché?», piagnucolò fuori di
sé. «Gustav, è un disastro! Ho provato
a parlare sia con Tom che con Georg, ma quelli non mi vogliono
ascoltare!».
E ci sarà un
motivo pensò ironicamente l'amico, stretto
nella morsa del cantante.
«Ho provato di tutto, ma...».
Bill si bloccò di botto, gli occhi sbarrati e sconvolti
rivolti verso un punto preciso della stanza. Gustav si sentì
improvvisamente libero dalle braccia del cantante, ma gli occhi che si
ritrovò davanti non promettevano niente di buono.
«Gustav», sibilò il moro.
«mi vuoi spiegare per quale motivo Simon è vicino
a Tom?», sbottò fuori di sé.
Il batterista si volse indietro e notò che il cantante
americano si trovava proprio di fianco a Tom, ma i due non stavano
neppure parlando: Simon era impegnato a riempirsi un bicchiere di birra
e il chitarrista stava parlando con una ragazza mora.
«Beh, se fossi in te, mi preoccuperei di più di
quella», commentò Gustav, tornando a guardare
l'amico.
Ma ciò che vide lo terrorizzò: Bill aveva assunto
ancora quella sua espressione terrificante, neanche fosse posseduto, e
aveva in mano un bicchiere di birra pieno fino all'orlo.
Dove diavolo l'ha preso
quello? si chiese il batterista sconvolto.
Non poteva essere stato così veloce da andare ad un tavolo e
tornare subito indietro. Ma, a giudicare dall'espressione terrorizzata
di un ragazzino lì accanto, ne dedusse che probabilmente
quel bicchiere lo aveva rubato a lui.
«Bill», mormorò Gustav inquieto.
«che cosa vuoi fare?».
Notò che il cantante non stava fissando lui, ma Simon,
vicino al tavolo a qualche metro più in là. I
suoi occhi sembravano quasi iniettati di sangue.
«Vado a versargli la birra in faccia, così
sarà costretto ad andarsene», grugnì il
moro con voce roca, digrignando i denti.
Non sembrava neppure lui.
«Ma sei scemo?», esclamò Gustav
sconvolto.
Bill non replicò, forse non lo sentì nemmeno. Lo
spinse di lato e a grandi falcate si avviò nella direzione
di Simon, sempre con quel bicchiere in mano.
Fa sul serio!
È completamente impazzito!
Gustav lo rincorse e, prima che arrivasse a destinazione, lo
circondò con le braccia da dietro la schiena e
tentò di tenerlo stretto.
«Non fare sciocchezze!», gli urlò quasi
nelle orecchie.
Ma Bill non gli diede retta e prese a far forza sulle gambe per
continuare ad avanzare. Il batterista si sentì trascinare di
peso, ma almeno riusciva a rallentarlo.
«Solo un pochino, non lo annegherò
tutto», ringhiò il cantante con la voce arrochita
dallo sforzo.
Intanto, mezza sala si era voltata a guardarli e anche Simon osservava
confuso i due, mentre lentamente si avvicinavano in quel modo strano.
Tom aveva smesso di parlare con la ragazza mora al suo fianco e fissava
con un sopracciglio inarcato i due amici. Ma che stanno facendo quei due
idioti? si chiese scettico.
«Bill, fermati!», disse Gustav con fatica.
Ma il cantante non aveva la minima intenzione di obbedirgli. Ancora due
metri circa e avrebbe potuto sfogare la sua rabbia su quel ragazzo
americano che era sempre in mezzo.
Ma poi, improvvisamente, i suoi piani fallirono. Il pavimento era
bagnato in un certo punto, probabilmente qualcuno aveva rovesciato
qualcosa, e Bill mosse un passo proprio su quella zona; l'equilibrio
gli venne meno e smise di tirare dalla parte opposta a quella di Gustav.
Il batterista, da parte sua, venne preso alla sprovvista da quel
cedimento improvviso dell'amico e perse l'equilibrio a sua volta;
cercò di recuperarlo, aggrappandosi al cantante, ma nessuno
dei due riusciva più a rimanere in piedi.
Si ritrovarono a pattinare su quel breve pezzo di pavimento e non ci
volle molto prima che accadesse il disastro. In un battibaleno
arrivarono al tavolo tanto agognato da Bill, ma non si fermarono
lì: ci andarono a sbattere contro, rovesciandolo e cadendoci
letteralmente sopra. Tutti i dolci e le bottiglie di birra caddero a
terra, oppure finirono addosso ai due amici, sporcandoli completamente
da capo a piedi. La gente nella stanza rimase allibita e un silenzio
imbarazzante calò su di loro.
Bill riemerse dal mucchio di cibo e cominciò ad annaspare
per pulirsi la faccia piena di torta. Ne aveva anche sui capelli.
Gustav, invece, riuscì a mettersi a sedere e prese a
massaggiarsi dolorante il fondoschiena. Il cantante si voltò
per dirgli qualcosa, ma il suo sguardo incontrò prima quello
del gemello. Dire che era furioso era dir poco.
Bill si guardò attorno inquieto, poi puntò un
dito accusatorio contro il batterista. «Colpa sua».
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Capitolo 11 *** Confessions ***
11. Confessions
«Non avevo previsto che sarebbe accaduto questo
casino, io volevo soltanto aiutarti».
«Te l'ho forse chiesto?».
Tom era furioso e Bill aveva paura che gli sarebbe saltato addosso da
un momento all'altro.
Dopo il disastro nella sala da ballo, il gemello lo aveva letteralmente
trascinato fuori nel corridoio dell'albergo, senza curarsi del fatto
che il cantante fosse completamente ricoperto di cibo dalla testa ai
piedi e che tutta la gente li stesse fissando basita. Era chiaro che
avrebbero dovuto ripagare loro quel danno, ma la festa non si sarebbe
di certo fermata per un tavolo rovesciato: da lì a poco la
maggior parte della gente sarebbe stata ubriaca e si sarebbero scordati
tutti di quel fatto. Quello che interessava a Tom, invece, era
scambiare
quattro chiacchiere con il fratello e certamente non sarebbe stata una
conversazione tanto pacifica.
Bill prese a tormentarsi mortificato le mani sporche, mentre il rasta
continuava a fissarlo fuori di sé. Il moro aveva pensato di
fare
una buona azione e invece aveva non solo fatto fare una pessima figura
a tutta la band, ma dimostrato persino a Simon che fra loro era di
troppo.
«Ti rendi conto della cazzata che hai fatto stasera?
Coinvolgendo
pure Gustav, tra l'altro. Mi meraviglio che non ti vergogni»,
sbottò Tom, forse a voce troppo alta.
Il cantante sussultò, puntando gli occhi a terra e
deglutendo
rumorosamente. «Sì che mi vergogno»,
sussurrò
quasi impercettibilmente.
Sicuramente non gli era piaciuto finire in mezzo a torte e birre, ma
Simon se l'era cercata e non riusciva a convincersi del contrario.
Neanche mentre Tom continuava ad urlargli contro.
Il chitarrista si passò una mano sul viso, sbuffando
sonoramente
e cercando di darsi un contegno: non aveva certo intenzione di dare
ulteriore spettacolo davanti alle persone che passavano per di
là.
«Io non voglio tornare con Georg, come te lo devo far
capire?», si rivolse ancora al gemello, questa volta parlando
da
persona più civile.
Bill alzò gli occhi al cielo, storcendo il viso in una
smorfia
che Tom, per fortuna, non vide, altrimenti si sarebbe infuriato ancora
di più. «Ma fammi il piacere»,
mormorò, non
riuscendo a trattenere la lingua.
Il chitarrista sentiva di stare per esplodere ed era sicuro che,
se avesse avuto davanti una qualsiasi altra persona e non il
suo
gemello, l'avrebbe presa a pugni all'istante. «Senti,
Bill», alzò nuovamente la voce.
«probabilmente
dovrò ricordartelo per tutta la vita, perché
evidentemente non ci arrivi da solo: devi farti i cazzi tuoi».
Bill alzò finalmente gli occhi, sentendo come una fitta al
petto, e li puntò in quelli del gemello.
Tom prese a gesticolare con le mani, probabilmente non rendendosi conto
di star esagerando. «Non ho bisogno che tu mi stia attaccato
al
culo dalla mattina alla sera, ficcando il naso in questioni che non ti
riguardano. Questa faccenda coinvolgeva soltanto me e Georg. Abbiamo
deciso di non continuare con questa cosa
insana e tu non hai alcun diritto di obbligarci a fare a modo
tuo».
Bill lo aveva guardato per tutto il tempo con una faccia da cane
bastonato, sentendosi andare in pezzi come un vaso caduto a terra.
Tutto quello che aveva fatto era stato unicamente per la
felicità del gemello e di uno dei suoi migliori amici, non
perché volesse impicciarsi degli affari altrui. Tom non era
un
estraneo, era il suo gemello, e come minimo si sarebbe aspettato che lo
rendesse partecipe almeno dei suoi pensieri riguardo a quella faccenda.
Invece lo aveva chiuso fuori, tacendo su tutto.
Tornò a fissare le piastrelle del pavimento, deglutendo per
cercare di cacciare via quel groppo che sentiva in gola.
Forse fu per quel motivo che Tom, vedendo il gemello in quello stato -
le braccia strette attorno al corpo esile e il viso da bambino
triste rivolto a terra -, decise di non infierire ulteriormente. Il
gemello aveva già pagato per quello che aveva fatto. Forse
anche
troppo.
Ma non mi
scuserò pensò Tom dentro di
sé. È
ora che si renda conto che non è più un bambino e
che cominci a crescere.
Sospirò rassegnato. «Vai a lavarti»,
mormorò
con un tono di voce quasi stanco. «Sei completamente
ricoperto di
torta alla crema».
Bill sentì il gemello allontanarsi con passo pesante,
avviandosi
verso l'ascensore dell'albergo. Alzò lo sguardo soltanto
quando
fu sicuro che fosse abbastanza lontano da non poter vedere i suoi occhi
lucidi, nel caso si fosse voltato ancora verso di lui. Si sentiva uno
straccio e per la prima volta si rendeva veramente conto di cosa fosse
la vergogna.
«Scusa, Tomi», mormorò piano, non con
l'intento di
farsi sentire dal fratello. «Volevo soltanto che tu fossi
felice».
Ormai Tom era già entrato nell'ascensore e le porte si erano
chiuse.
«Sei sicuro che sia tutto a posto? Il tuo sedere sembra
leggermente gonfio».
Gustav fulminò Georg con gli occhi. «Hai finito di
prendermi per il culo?».
Il bassista scoppiò a ridere, salendo gli ultimi gradini
delle
scale e arrivando finalmente nel corridoio in cui avevano le loro
camere da letto. Ancora non poteva credere che Gustav si fosse lasciato
manipolare da Bill così facilmente per mettere in atto un
piano
assurdo. Quando l'amico glielo aveva raccontato, era rimasto a bocca
aperta. Okay, il cantante era sempre stato molto strano, ma umiliarsi
in quel modo per riunire due persone era qualcosa di assolutamente
indescrivibile. Non che gli avesse dato fastidio quel gesto di
amicizia, se così si poteva chiamare, ma di certo aveva
esagerato.
Gustav era ricoperto di birra e torta da capo a piedi e continuava a
lasciare resti di cibo sul pavimento, man mano che avanzava verso la
propria stanza. Era furioso: Bill lo aveva praticamente costretto
a fare ciò che voleva lui, gli aveva fatto fare una pessima
figura davanti a tutte le persone dell'albergo e, come se non bastasse,
aveva quasi rischiato di rompersi l'osso sacro per cercare di fermare
quello psicopatico. Aveva bisogno di farsi una doccia, così
forse sarebbe riuscito a
calmarsi.
«Possiamo non parlarne più, almeno fino a domani?
Mi sento
uno straccio», mormorò sofferente, portandosi una
mano sui
glutei doloranti.
Non doveva essere atterrato bene su quel tavolo. Era sicuro
che
il dolore, al mattino, sarebbe stato ancora più forte.
Sospiro
con una smorfia rassegnata. Cosa non si fa per gli amici?
«Sei sicuro di essere a posto così? Non hai
bisogno di un
sacchetto di ghiaccio, un antidolorifico...?», gli chiese
Georg,
osservando l'espressione sempre più tirata dell'amico.
«No, va bene così».
«Sicuro?».
Erano finalmente arrivati davanti alla stanza del
batterista. Questo si voltò verso il bassista e lo
fissò
stancamente, dopo aver aperto la porta.
«Sicurissimo. Voglio soltanto farmi una doccia e andare a
dormire».
Georg annuì incerto. L'amico tendeva a curarsi poco, quando
stava
male, ma, del resto, non poteva certo forzarlo.
Gustav stava proprio per varcare la soglia della porta, quando un
rumore di tacchi sommesso attirò la sua attenzione e quella
di
Georg. Infatti, in fondo al corridoio, una figura alta e snella si
stava avvicinando lentamente, la testa bassa e lo sguardo triste: Bill
non doveva sentirsi bene.
«Ma guarda chi arriva... La sciagura più grande
che potesse capitare a questo mondo, la piaga
più...».
«Gustav, non mi pare il caso», Georg interruppe
bruscamente l'amico, fissando perplesso il loro cantante, a pochi metri
di distanza.
Una cosa era certa: non aveva mai visto Bill così
demoralizzato
e pieno di vergogna. Lui era sempre stato quello che prendeva le cose
alla leggera, molto spesso pensando soltanto a se stesso, forse in modo
quasi egoistico; invece, in quel momento, dava l'impressione di
qualcuno che vorrebbe scomparire, o almeno farsi piccolo piccolo. Era
come una formica in mezzo a tanti altri insetti più grandi
di
lui.
Finalmente li raggiunse, ma non si fermò accanto a loro,
neanche
si curò di alzare lo sguardo; procedette per la propria
strada,
avvolgendosi il corpo sporco e sottile con le braccia.
«Ehi, Bill. Che hai?», provò a chiamarlo
Georg, mentre Gustav si pentiva di avergli parlato in quel modo.
Bill si bloccò in mezzo al corridoio, il corpo sempre
leggermente curvato in avanti e tremante. Soltanto per un momento si
voltò verso i due amici e rivolse loro uno sguardo pieno di
pentimento e lacrime.
«Mi dispiace per tutti i casini che ho combinato stasera.
Scusatemi, tutti e due».
La sua voce tremava, come tutto il resto.
Gustav e Georg rimasero basiti: quando gli era capitato di vedere Bill
in quelle condizioni così penose? Quando aveva chiesto scusa
per
un proprio errore? Mai.
«Bill...», mormorò Gustav sommessamente.
Ma il cantante si era già voltato e aveva ripreso a
camminare
per la propria strada, probabilmente verso la sua camera. Quella scena
era triste, vederlo così era quasi insopportabile.
Gustav lo osservò ancora per qualche istante, ma non
riuscì a capire perché si comportasse in quel
modo.
«Che gli sarà successo?», chiese
più a se
stesso che a Georg lì accanto.
Il bassista non voleva esternare i propri pensieri, ma un'idea se l'era
già fatta.
Fissò ancora il cantante e sospirò serio.
«Lo so io cosa gli è successo».
«Non riesci proprio a contenerti, vero? Devi sempre
esagerare».
Tom strabuzzò gli occhi stralunato. C'era forse una ragione
particolare per cui Georg fosse davanti alla sua porta con quell'aria
così scazzata?
Inarcò scettico un sopracciglio. «Ma che stai
dicendo?».
Georg alzò gli occhi al cielo. «Bill. So benissimo
che se
ora se ne va in giro come uno zombie è per qualcosa che tu
gli
hai detto. Dovevi proprio essere così duro?».
Il chitarrista aprì la bocca sconvolto. «E tu sei
venuto
qui per criticare il mio modo di rimproverare mio fratello? Non sono
certo affari tuoi!».
«È un mio amico», replicò il
bassista.
«e mi preoccupa vederlo così. Lo sai
com'è Bill. È capace di tutto e
potrebbe...».
«Oh, non essere così melodrammatico! Domani
mattina
sarà in forma smagliante come suo solito. Di certo un
rimprovero
non lo indurrà al suicidio!».
Georg lo fissò quasi offeso. «Non intendevo
questo.
Pensavo soltanto che, magari, potresti andare da lui e...».
«No, deve imparare la lezione. Se gli chiedo scusa subito,
non si
renderà mai conto della cazzata che ha fatto. Si comporta da
bambino capriccioso e questo non va bene».
«Sì, ma...».
«Senti, Georg, ci penso io a mio fratello, okay? Resta fuori
da questioni che non ti riguardano».
Il bassista cominciava ad irritarsi: era andato lì per
discutere tranquillamente e, invece, Tom gli andava sempre contro.
«Ti piace proprio litigare, eh?».
Tom ridusse gli occhi a due fessure e lo fissò furioso.
«Scusa?».
«Non riusciamo mai ad avere un dialogo civile e questo
perché, anche se non ne conosco il motivo, sei sempre
incazzato
con me. Mi spieghi che ti ho fatto? È forse
per...».
Il chitarrista lo interruppe con un brusco gesto della mano.
«Stronzate».
«Non è forse così?»,
ribatté Georg
scettico. «Oh, andiamo! Sembra quasi che ti ispiri violenza,
quando mi vedi».
«Beh, che ti posso dire? Forse è
così», rispose Tom, ridacchiando ironicamente.
Non si erano neanche accorti che, parlando, erano completamente entrati
nella stanza del chitarrista e avevano addirittura chiuso la porta.
Georg osservò l'amico, mentre questo gli dava le spalle e
prendeva a maneggiare il telecomando della piccola televisione accesa
su un comodino. «Non scherzare», disse,
prendendoglielo
dalle mani e gettandolo sul letto lì accanto, dopo aver
spento
quell'aggeggio infernale. «Seriamente, voglio sapere il
motivo di
tutta questa rabbia».
Tom lo fissò scocciato e allargò le braccia
esasperato. «Mi fai incazzare e basta».
«Per quale motivo, di grazia?».
«Perché sei un coglione».
Georg sbarrò gli occhi sconvolto. «Come,
scusa?», sbottò fuori di sé.
Tom ghignò divertito. «È uno dei tanti
difetti che hai, ma non certo il più
grande».
Il bassista sentiva le mani formicolargli per la rabbia. Lo avrebbe
preso a pugni seduta stante. Piccolo problema: sapeva benissimo che non
sarebbe mai stato capace di mettere le mani addosso a Tom. Per quanto
potesse essere insopportabilmente stronzo fino al midollo, non lo
avrebbe mai toccato, non per fargli del male. La decisione
più
saggia era dunque quelle di andarsene. Non avevano più
niente da
dirsi, per il momento.
Prese un respiro profondo e si ricompose. «Bene»,
commentò indifferente. «L'importante è
saperlo».
Tom strabuzzò gli occhi confuso. Come fa ad essere
così calmo?
Georg gli voltò le spalle e si avviò verso la
porta chiusa. «Buonanotte».
«E te ne vai così?», sbottò
scocciato il
chitarrista, deluso dalla reazione così controllata
dell'amico.
Il bassista gli rivolse un sorriso sbilenco, quasi volesse deriderlo.
«Mi dispiace rovinare il tuo giochino psicologico per
provocarmi,
ma ad una certa ora bisogna andare a letto».
Tom corrugò la fronte.
«Quindi buonanotte», concluse Georg, aprendo la
porta e uscendo nel corridoio.
«Vaffanculo», gli sputò velenosamente
dietro il chitarrista.
L'amico sorrise e richiuse la porta: quella volta aveva vinto lui.
«Per la millesima volta, Gustav: non ho voglia
di...».
Quando aprì la porta, rimase di sasso.
Della serie "al peggio
non c'è mai fine".
Bill inarcò le sopracciglia scettico e si
appoggiò allo
stipite della porta con fare stanco. «Forse non l'hai ancora
capito, ma...».
Simon sorrise divertito. «Non ti piaccio. Lo so».
E allora che vuole?
si chiese stupito il moro.
L'americano osservò con occhio incuriosito le
condizioni della persona che aveva davanti: Bill si era lavato e i
capelli neri accarezzavano morbidamente le sue spalle, ma la cosa
più buffa era il pigiama che aveva addosso, azzurro, con
tanti
disegni di piccole stelle; le pantofole a forma di orsacchiotto,
però, erano davvero il massimo. Senza neanche accorgersene,
Simon ridacchiò sommessamente.
Bill gli lanciò un'occhiataccia, come se volesse incenerirlo
soltanto con lo sguardo. «Mi prendi per il culo?»,
sbottò offeso.
Il biondo scosse la testa senza smettere di sorridere. «Sei
davvero un tipo strano, sai?».
Questa poi!
pensò Bill sconvolto. Ma
come si permette?
«Comunque... vorrei parlare, se non ti dispiace».
Il cantante moro rimase basito e prese a guardarsi intorno spaesato.
Quando tornò a fissare Simon, la sua fronte era corrugata in
un'espressione di pura confusione.
«Con me?».
L'americano assentì divertito. Strano e buffo.
A quel punto Bill non seppe cosa fare. Simon voleva parlare di cosa?
Era sicuro restare da solo con un tipo del genere? Riluttante gli fece
segno di entrare nella sua stanza, ma quello scosse sbrigativo la testa
e lo lasciò basito ancora una volta.
«Sarò breve, non ti preoccupare. Diciamo che
volevo soltanto tranquillizzarti».
Bill inarcò un sopracciglio confuso. Tranquillizzarmi?
Simon proseguì tranquillamente. «Non sono
pericoloso come tu pensi».
Il cantante moro si stupì di quell'affermazione.
«Ah, no?», squittì, incapace di
trattenersi.
L'americano ridacchiò appena. «No, affatto. Non
sono
interessato a tuo fratello, se è questo che ti
preoccupa».
Bill sbarrò gli occhi sconvolto. Ma... ma come...?
«Ho notato che, quando gli sto vicino, mi guardi come se
volessi
saltarmi al collo», continuò Simon, per nulla
piccato o
offeso.
Parlava sempre con molta tranquillità di ogni argomento e
questo era un particolare del suo carattere che stupiva molti.
Il cantante moro rimase senza parole. Si vede così tanto?
si chiese stralunato.
Rimasero in silenzio per vari secondi, Simon aspettando una sottospecie
di risposta, che sapeva già non sarebbe mai arrivata, e Bill
cercando di trovare qualcosa di sensato da dire. E cosa
trovò
alla fine?
«Ah... okay».
La verità era che non si fidava affatto e non credeva che
quello
che gli avesse detto il biondo fosse vero. Ma voleva
toglierselo di torno il più in fretta possibile.
Simon gli sorrise. «Non mi credi, vero?».
Per poco Bill non si strozzò con la sua stessa saliva. Quel
ragazzo era per caso capace di leggere nella mente?
«No».
E che coraggio aveva lui di esternare i propri pensieri così
apertamente! Ma, del resto, era Bill. Se una cosa non gli andava a
genio, il più delle volte lo diceva chiaro e
tondo.
Simon si fece improvvisamente serio e per un momento il moro
ebbe paura che volesse picchiarlo. Ma naturalmente si era sbagliato:
l'americano non cambiava umore tanto facilmente.
«Non è Tom che mi interessa»,
mormorò sommessamente.
Bill, per un attimo, sentì il cuore in gola.
O aveva capito male... o aveva capito male. Una piccola idea si era
insinuata nella sua mente e non gli piaceva per niente.
Non ci posso credere.
Il silenzio che calò divenne quasi imbarazzante e
l'espressione
del moro divenne sempre più sconvolta man mano che
passavano i secondi. Poi, lentamente e con qualche
difficoltà,
aprì la bocca per parlare.
«Ti...», mormorò con voce roca.
Simon non smise neanche per un secondo di fissarlo in quel modo
così intenso e questo convinse Bill della
veridicità
della sua idea.
«Ti piace Georg!», gridò infine
sconvolto.
L'americano rimase completamente basito da quell'esclamazione. Poteva
Bill essere veramente così ingenuo?
Inarcò un sopracciglio confuso. «Ma che stai
dicendo?».
Il cantante moro si portò una mano alla bocca.
«Allora ti
piace Gustav! Sì, insomma, non può essere nessun
altro», ragionò ad alta voce, anche se non
sembrava del
tutto convinto delle sue stesse parole.
Simon per poco non gli scoppiò a ridere in faccia. Era al
corrente delle stranezze del cantante dei Tokio Hotel, ma mai aveva
pensato che potesse essere così... fuori di testa. E questo
ai
suoi occhi lo rendeva ancor più interessante. Sorrise
divertito:
forse era l'ora tarda a confondergli le idee. Cercando di trattenersi
dal ridere, gli voltò le spalle e fece per avviarsi per il
corridoio vuoto dell'albergo.
«L'unica persona che non hai detto è quella
giusta»,
mormorò con calma, sventolando una mano in aria in segno di
saluto.
Bill non capiva più niente: aveva detto praticamente tutti,
chi
altro mancava all'appello? Vide l'americano allontanarsi sempre
più dalla sua stanza e l'agitazione iniziò ad
insinuarsi
in tutto il suo corpo. Doveva assolutamente sapere il nome di quella
persona.
«Ehi, aspetta! Perché non me lo dici
direttamente?», sbottò esasperato.
Ma Simon era già sparito dentro l'ascensore in fondo al
corridoio.
Oh, cavolo
pensò sconsolato Bill.
Poi una nuova idea, che non lo avrebbe fatto dormire la notte, gli
balzò in mente.
«Non sarà mica David?».
La mattina seguente non fu una delle migliori per nessun
componente della band. Bill non aveva dormito, preso com'era a cercare
di capire a chi fosse interessato Simon; Tom era andato a letto
completamente fuori di sé e si era svegliato con un gran mal
di
testa; Georg da una parte si era sentito soddisfatto dopo la
discussione con il chitarrista, dall'altra soffriva peggio di un cane
alla consapevolezza che si stavano allontanando sempre di
più;
Gustav, infine, non era riuscito a trovare la posizione giusta nel
letto, perché dolori insopportabili partivano dall'osso
sacro e
si propagavano per tutta la schiena, impedendogli di dormire. C'era
soltanto un'unica consolazione a tutta quella sofferenza generale:
l'albergo in cui si erano fermati aveva lasciato loro la piscina
privata completamente disponibile. Essere famosi portava molti
benefici, anche se non sempre.
L'idea di cominciare la giornata con un tuffo nell'acqua fresca e
pulita accarezzò dolcemente le povere menti fin troppo
frustrate
dei quattro amici. Ma anche quello che apparentemente doveva essere un
momento rilassante si rivelò un fiasco totale. Bill e Tom
non si
rivolgevano la parola, nonostante il cantante tentasse continuamente di
attirare l'attenzione del gemello. Ma il chitarrista era ancora
arrabbiato e per il momento non sembrava propenso a fare pace con Bill.
Senza contare che a malapena tollerava la presenza di Georg: non faceva
altro che lanciargli occhiatacce. Il bassista, da parte sua, cercava di
evitarlo in tutti i modi possibili, ma alla fine finiva
inevitabilmente per incrociare il suo sguardo con quello di Tom. E
Gustav non faceva altro che gemere di dolore: la schiena gli faceva
male anche in acqua ed ogni piccolo movimento era una sofferenza.
«Gus, faresti meglio a farti vedere da un dottore. Dillo a
David», mormorò Georg, interrompendo quel silenzio
fin
troppo imbarazzante che era calato fra loro.
Il batterista scosse il capo con una smorfia di dolore. «No,
non
è niente. Magari domani sarà tutto
passato».
E come al solito Gustav si curava davvero poco. Ma era talmente
cocciuto che tentare di fargli cambiare idea sarebbe stata soltanto
fatica sprecata.
Quello fu tutto ciò che si dissero, non ci furono altri
interventi. O almeno fino a quando non arrivò Simon.
«Buongiorno, ragazzi. Come va?», salutò
con entusiasmo, inginocchiandosi sul bordo della piscina.
Tom storse la bocca in una smorfia. «Una favola»,
borbottò con poco entusiasmo.
Istintivamente, Bill si avvicinò al gemello e quasi non si
accorse di avergli stretto leggermente un polso nella sua mano: quando
Simon era nei dintorni, sentiva sempre uno strano senso di
inquietudine. Il chitarrista si voltò nella sua direzione e
lo
fissò confuso; stava per ritrarre il braccio, quando
notò
la strana espressione del fratello: era rigido e stava fissando Simon
come se avesse paura che gli potesse saltare addosso da un momento
all'altro.
Strano
pensò. Di
solito lo guarda come se fosse uno scarafaggio.
Non ritrasse la mano, ma non gli chiese nulla. Era sempre strato
così: poteva essere arrabbiato quanto voleva, ma vedere Bill
spaventato o inquieto risvegliava in lui il senso di protezione nei
confronti del gemello.
«Non si direbbe dalla tua faccia»,
ridacchiò Simon, inclinando leggermente la testa di lato.
«È una giornataccia», mormorò
Georg, fissando
un punto indistinto nell'acqua. «Come tante in questo
periodo».
A quell'affermazione Tom voltò di scatto la testa nella
direzione dell'amico. «E di chi è la
colpa?»,
sbottò burbero, guardandolo truce.
Il bassista non si curò di voltarsi a guardarlo, ormai
abituato
a ricevere quella specie di frecciatine. «Una parte della
colpa
è anche tua, ma... No, anzi. Tutta
la colpa è tua», sbottò poi,
improvvisamente
illuminato da una certa idea. «Io di certo non mi sono
scopato la
prima che mi è capitata a tiro».
Gustav e Bill sbarrarono gli occhi sconvolti. Il batterista riteneva
che quel tipo di argomento non dovesse venir fuori in quel momento e
soprattutto alla presenza di Simon. Praticamente stavano sbandierando
il loro rapporto ai quattro venti. Il cantante moro, invece, non poteva
credere alle proprie orecchie. E così Tom era andato a letto
con
una ragazza... Ecco perché lui e Georg si erano lasciati.
Simon
corrugò la fronte confuso e fece viaggiare lentamente lo
sguardo
da Tom a Georg.
«Stai zitto!», gridò il chitarrista,
agitandosi in acqua.
A quel punto Bill gli lasciò il polso, convinto che, se
avesse
continuato a tenerlo stretto, sarebbe finito mezzo annegato dopo
l'accesa discussione tra il gemello e il bassista.
Georg fissò scettico l'amico. «Perché,
scusa?
Soltanto tu puoi prendermi indirettamente per il culo davanti agli
altri? Quando poi dovrei essere io l'unico a vendicarsi di
ciò
che tu hai fatto. Ma no, naturalmente è colpa mia.
L'incazzato
sei sempre tu».
Tom gli si avvicinò pericolosamente con aria furibonda.
«Io avrò anche sbagliato, ma sei stato tu a
tagliare i
ponti!», gli urlò in faccia.
Simon ascoltava con attenzione, anche se non era nel suo stile farsi
gli affari altrui. Ciò che dicevano i due componenti della
band
confermò alcune sue ipotesi che aveva formulato
già da un
po', ma non se ne stupì più di tanto. Per certe
cose
aveva un sesto senso e tutto quello non gli suonava come una
novità.
Georg fissò serio il chitarrista. «Pensavo di
farti un
piacere, vista la continua nausea che avevi ogni volta che mi
avvicinavo».
«Non avevo nessuna nausea!».
«Ma se a malapena ti facevi sfiorare!».
Gustav capì che la situazione stava degenerando e che Simon
stava sentendo troppe cose. «Ragazzi, basta»,
esclamò sofferente, mentre il dolore gli attraversava
nuovamente
tutta la schiena.
Ma i due amici non gli diedero ascolto.
«Avevo soltanto bisogno di un po' di tempo per abituarmi alla
nuova situazione!», ribatté ancora Tom, muovendo
convulsamente le braccia in acqua e schizzando in giro.
Georg, da parte sua, cominciava a perdere davvero le staffe e ad urlare
a sua volta. «Oh, e mentre aspettavo dovevo starmene buono e
guardare mentre ti facevi mezzo mondo?».
«Non puoi pretendere che cambi per te da un giorno
all'altro!».
«Non sono un tipo che aspetta una persona per tutta la vita,
Tom.
E certe cose non mi vanno giù. Infatti, siccome
sono fatto così, ti ho lasciato libero di fare
ciò che
vuoi, senza che io ti sia d'intralcio. Dillo che ti ho fatto un
favore».
Tom sentiva di essere arrivato al limite della sopportazione.
«No, cazzo! Non mi ha fatto proprio un bel
niente!»,
urlò con tutto il fiato che aveva in gola, spintonando
violentemente il bassista. «Mi hai soltanto fatto soffrire
come
un cane!».
Quelle parole gridate investirono tutti quanti con una violenza tale da
lasciarli completamente basiti. E inevitabilmente il silenzio
calò nuovamente fra loro. Tom si sentì stordito
da
ciò che era uscito dalle sue stesse labbra. Lo aveva detto
veramente? Lui aveva detto di aver sofferto per una persona? Gustav si
passava ripetutamente una mano sul volto e di tanto in tanto
lanciava qualche occhiata incuriosita a Simon: la storia di Tom e Georg
era stata abbondantemente svelata, ma l'americano non sembrava
né sconvolto né disgustato; semplicemente fissava
inespressivo i due litiganti dentro la piscina. Bill, invece, aveva la
bocca completamente spalancata. Tom, il suo
Tomi, aveva detto finalmente a qualcuno quello che provava veramente.
Era scosso da tutto ciò, ma al tempo stesso orgoglioso di
lui. E
poi i gossip gli piacevano sempre e comunque.
Cazzo, sembra una
puntata di "Beautiful" pensò con gli occhi che
gli brillavano per la gioia.
Al contrario di tutti gli altri, invece, Georg si sentiva distrutto da
quelle parole. Lo aveva davvero fatto soffrire? Tom stava male per
colpa sua? Si ritrovò a fissare tristemente gli occhi ancora
ardenti, ma leggermente turbati dell'amico e questo li
abbassò
immediatamente, sentendosi stranamente a disagio.
«Mi dispiace».
Quel sussurro talmente flebile raggiunse soltanto le orecchie di Tom e
lo fece sobbalzare involontariamente. Sentì che quelle
parole lo
avevano colpito, lo avevano smosso. Eppure erano parole così
banali. Sentì il bisogno di andarsene, di restare solo.
Senza
alzare lo sguardo su Georg, si mosse fino al bordo della piscina e ne
uscì agilmente, afferrando un asciugamano appoggiato per
terra e
avviandosi spedito verso la porta d'uscita. Non gli importava se
avrebbe bagnato tutto il pavimento.
In un batter d'occhio, Simon scattò velocemente dietro di
lui, inseguendolo lontano dai tre ragazzi ancora in acqua.
Bill osservò la scena con il cuore in gola. Che cavolo pensa di fare quello?
«Tom, aspetta!».
Tom sobbalzò sorpreso e si fermò in mezzo alla
stanza,
dopo aver lasciato una scia di gocce sul pavimento. Cosa voleva Simon?
Cosa c'entrava lui in quella faccenda? Un bel niente, per questo fu
irritato dalla sua presenza. Non capiva che voleva restare solo?
L'americano lo raggiunse e lo fissò in un modo strano, che
al
chitarrista non piacque affatto. «Sai, sei diverso da come
credevo», disse tranquillamente il biondo, scrutandolo in
volto.
E questo adesso cosa
vorrebbe dire? pensò Tom furibondo.
«Sei più egoista di quanto pensassi».
Cosa?
Il chitarrista lo fissò sconvolto. Con quanta
facilità
gli aveva detto quelle cose e soprattutto con quanta sfacciataggine.
«Si può sapere che vuoi? Fatti un pacchetto di
cazzi tuoi,
perché tu non c'entri assolutamente niente in questa
storia!», gli urlò in faccia, prima di voltargli
le spalle.
«Quando la smetterai di
fare il bambino capriccioso e comincerai ad apprezzare quello che hai,
ti renderai conto che non ti serve nient'altro per essere completo. I
pezzi che completano il tuo puzzle li hai già tutti: tuo
fratello, la tua musica... e ciò che continui a rinnegare di
volere. Sta solo a te metterli insieme».
Ma che cazzo...?
Tom non capì quelle parole, non sapeva neanche
perché
Simon gliele avesse dette. Perché era lì? Si
voltò
ancora una volta e fissò confuso e senza parole il viso del
cantante. Stava sorridendo ed era più tranquillo che mai.
Deglutì nervosamente. «Che cosa
significa?», mormorò con voce roca.
Simon gli fece l'occhiolino e gli voltò le spalle.
«Pensaci».
Tom strabuzzò gli occhi e lo vide allontanarsi, tornando
fuori
da Bill, Gustav e Georg. Si sentiva strano, confuso, strapazzato. Prima
Georg lo aveva costretto a dirgli la verità su
ciò che
provava, poi quell'americano enigmista lo aveva definito un egoista e
gli aveva detto quella cosa che suonava tanto come una frase presa da
un libro di filosofia. Tutti volevano metterlo in
difficoltà,
non c'era altra spiegazione. Forse l'unico modo per capire tutto il
resto era capire prima se stesso.
«Tu e quell'altro, vi siete forse bevuti il
cervello?».
Gustav era talmente agitato che riuscì perfino a combattere
contro il mal di schiena e ad avvicinarsi a Georg, ancora imbambolato
nell'acqua.
«Non potevate discutere delle vostre questioni private da
un'altra parte? Grazie alla vostra sceneggiata, ora Simon sa come
stanno le
cose e, se ne parla con qualcuno, noi tutti siamo fottuti».
«Non preoccuparti, Gustav. So farmi gli affari
miei».
La voce di Simon interruppe i rimproveri del batterista. Il cantante
biondo era appena tornato e stava sorridendo rassicurante. Bill, quando
lo vide, scattò verso il bordo della piscina e
tentò di
uscire dall'acqua nello stesso modo disinvolto con cui Tom poco prima
era scappato via; ma si ritrovò ad annaspare contro le
piastrelle, cercando di non perdere il costume.
Ma perché Tom
ci riesce ed io no? si chiese il moro confuso.
Sobbalzò, quando due mani gli strinsero i polsi,
sollevandolo e
tirandolo fuori dall'acqua come se nulla fosse. Si ritrovò a
fissare il viso rilassato di Simon.
«Un salmone è più agile di
te», lo prese scherzosamente in giro l'americano.
Bill sbarrò gli occhi offeso e il suo viso divenne di mille
colori diversi. A malapena riusciva a star vicino a quel ragazzo, se
poi quello lo provocava in quel modo, avrebbe finito per prenderlo
veramente a pugni. Ma in quel momento i suoi propositi erano altri.
Senza curarsi di prendere un asciugamano con cui asciugarsi,
afferrò Simon per la maglia e lo tirò in
disparte,
lontano da Gustav e Georg.
«Che cosa gli hai detto?», esordì alla
fine con aria poco rassicurante.
Simon capì subito che si riferiva a Tom. In un certo senso,
era
adorabile il modo in cui Bill si preoccupava per il suo gemello; forse
poteva sembrare un po' troppo invadente e capriccioso, ma quello che
provava per suo fratello era amore puro. E anche Tom, a modo suo, amava
Bill come nessun altro al mondo. Ognuno era lo specchio dell'altro,
così apparentemente diversi, ma perfettamente
uguali.
Quei pensieri incupirono il viso di Simon, mentre una serie di ricordi
gli invadeva la mente con una prepotenza tale da trasportarlo quasi in
un altro posto, lontano da lì. La voce di Bill lo colse alla
sprovvista, rimbombandogli nelle orecchie come un colpo di pistola.
«Ehi, mi stai ascoltando?», sbottò il
moro offeso.
Simon si riscosse, tornando immediatamente alla realtà. Da
un po' di anni aveva imparato bene a nascondere ciò che
provava dentro di sé. Soprattutto la sofferenza.
«Scusa, mi ero distratto», mormorò
scosso.
Bill lo fissò sospettoso.
«Comunque, non gli ho detto niente di particolare. In poche
parole, gli ho consigliato di svegliarsi», gli
spiegò il biondo, accennando ad un sorriso.
Il moro sbatté stupito le ciglia, soppesando con attenzione
le parole del ragazzo di fronte a sé. Poi, con suo grande
stupore, si rese conto di una cosa.
«È esattamente quello che avrei fatto
io», mormorò affascinato.
A quelle parole, Simon ridacchiò divertito.
Il pomeriggio si rivelò essere una noia mortale. Stranamente
non dovevano destreggiarsi fra apparizioni televisive o quant'altro e
il tempo stava passando troppo lentamente.
Tom non sapeva per quanto tempo fosse rimasto chiuso in quella stanza,
rimuginando sulle parole di Simon e su ciò che
involontariamente era uscito dalla sua stessa bocca. Non si era mai
reso conto di star soffrendo, l'idea non lo aveva mai lontanamente
sfiorato. Ma evidentemente doveva essere così, altrimenti
non avrebbe mai detto quelle cose a Georg. Non ci aveva neanche
pensato, le aveva dette e basta. In quei giorni si era sentito strano,
questo lo ammetteva, ma mai avrebbe pensato che fosse sofferenza.
Sdraiato sul suo letto, si massaggiò gli occhi confuso. È strano sentirsi
così.
TOC TOC
Per poco non si affogò con la sua stessa saliva. Preso
com'era dai suoi pensieri, il rumore di qualcuno che bussava alla porta
lo aveva spaventato. Ancora confuso, andò ad aprire, ma,
quando si ritrovò di fronte la persona che lo stava
cercando, sentì come un capogiro.
Dio, devi odiarmi
proprio per farmi questo.
Georg, fermo sulla soglia, lo fissò serio, mentre il
chitarrista non sapeva dove posare gli occhi. Sicuramente, non
sul bassista. Passarono soltanto pochi secondi di silenzio, ma
sembrarono minuti interi.
Poi, finalmente, Georg parlò.
«Preparati», mormorò serio.
«Usciamo».
Tom ebbe un tuffo al cuore. «Cosa?»,
boccheggiò confuso.
Il bassista non smise neanche per un secondo di fissarlo in quel modo
così intenso. «Voglio comprarmi qualcosa di nuovo
da mettermi e tu mi aiuterai».
Il chitarrista avrebbe voluto replicare, dirgli di uscire da solo, ma
qualcosa più forte di lui gli tolse la capacità
di parlare.
A quel punto, Georg gli voltò le spalle e fece per
andarsene. «Sbrigati».
Dieci minuti dopo, erano fuori dall'albergo. Se David li avesse
scoperti, avrebbe tagliato loro le gambe: non potevano uscire senza
avvisare e soprattutto senza guardie del corpo. Ma era anche vero che
non erano ancora così famosi in America, quindi il rischio
era minore.
Per strada camminavano vicini, ma non si rivolgevano la parola.
Avrebbero avuto così tante cose da dirsi, ma era troppo
difficile persino introdurre l'argomento.
«Fa caldo», mormorò Georg, guardandosi
attorno nervosamente.
Odiava non sapere cosa dire.
Tom annuì e mugugnò qualcosa di incomprensibile.
Anche lui si sentiva in difficoltà.
Passarono interminabili minuti di silenzio in cui il chitarrista si
maledisse di aver accettato di uscire e il bassista si dava dello
stupido per non riuscire a trovare qualcosa di intelligente da dire.
Poi, improvvisamente, la sua attenzione venne attirata da una vetrina
in particolare: era un negozio di abbigliamento maschile e, pur essendo
piccolo, non sembrava male.
Georg vi ci si fermò davanti incuriosito.
«Ehi», esclamò verso Tom.
Questo si fermò stupito e rivolse lo sguardo alla vetrina.
«Entriamo a dare un'occhiata», propose il bassista,
tirando la porta per entrare.
Il chitarrista non sembrava molto entusiasta, ma non disse nulla e lo
seguì. Quel negozio era più piccolo di quel che
sembrava visto da fuori, ma era comunque ben assortito di vestiti,
forse un po' troppo attaccati l'uno all'altro sugli attaccapanni. A Tom
quei negozi non piacevano per niente, anche perché
difficilmente vi trovava qualcosa di interessante.
Georg si era già messo ad esaminare alcune t-shirt su uno
scaffale e il chitarrista gli si era affiancato in silenzio. Ad un
certo punto, il bassista gli mise davanti agli occhi una maglia
giallina, che quasi sembrava scolorita.
«Che ne dici?», gli chiese incuriosito.
Tom spostò lo sguardo dalla maglia al viso di Georg e non
sembrava affatto convinto. «Sinceramente?», gli
domandò ironicamente.
Il bassista annuì col capo.
«Fa schifo, Georg», concluse il chitarrista,
prendendogli la maglia dalle mani. «Ma che colore
è?».
«Serve aiuto?».
Una vocina flebile li interruppe prima che Georg potesse replicare che
quel colore era assolutamente bellissimo.
Tom fece saettare i suoi occhi sulla commessa mora che li stava
guardando sorridente dalla cassa e in meno di due secondi le aveva
già fatto una radiografia completa con tanto di risultati.
«No, grazie, stiamo solo guardando», le rispose
gentilmente Georg.
La ragazza sorrise e tornò a sbrigare altre faccende.
Tom la guardò ancora per qualche istante, poi si
voltò verso l'amico. «Non è
male», gli sussurrò discretamente.
«Dici questa? Ti piace?», domandò Georg,
indicandogli un'altra maglia.
«Ma no!», sbottò il chitarrista
disgustato.
Come fanno a piacergli
certe cose?
«Mi riferivo a quello schianto dietro la cassa».
Georg inarcò le sopracciglia e lanciò qualche
occhiatina discreta alla ragazza. «A me non sembra niente di
speciale», concluse alla fine.
Tom alzò gli occhi al cielo. «Ci credo. I tuoi
gusti fanno schifo».
Il bassista lo fissò scettico. «Devo forse
ricordarti che tu...».
«E se ci provassi con lei?», lo interruppe il
chitarrista, preso dai suoi piani d'azione.
L'amico sentì un leggero rimescolio nello stomaco e un certo
senso di fastidio. Improvvisamente quella ragazza ai suoi occhi era
diventata la più brutta del mondo. Ma non poteva dire
niente. Come aveva detto lui stesso quella mattina, lui e Tom si erano
lasciati proprio per quello, per far sì che il chitarrista
fosse libero di fare le sue scelte. Per ciò, anche se con
uno sforzo enorme, si ritrovò ad incoraggiarlo.
«Provaci. Tanto che ti costa?», gli disse con un
sorriso.
Tom lo guardò divertito. «Scommettiamo che in
cinque minuti sarà già caduta ai miei
piedi?».
«Per me, non ci riuscirai», lo prese scherzosamente
in giro l'amico.
«Sta a vedere».
Georg lo osservò avvicinarsi alla cassa e rivolgere la
parola a quella ragazza. In meno di due secondi si sentì uno
schifo.
Sono un idiota.
Quando verso sera Bill sentì il suo cellulare vibrare nella
tasca dei jeans, ebbe un sussulto. Raramente qualcuno gli mandava i
messaggi, il più delle volte sua madre lo chiamava
direttamente. Estrasse quell'aggeggio e lesse il messaggio incuriosito.
"Domani mattina ti va di
fare una passeggiata con me? Ti aspetto alle 8:00 davanti all'entrata
dell'albergo.
Simon."
Per poco non gli venne un infarto. Simon gli aveva mandato un messaggio
e addirittura gli aveva chiesto di uscire con lui? Per fare cosa, poi?
Ci sarebbe dovuto andare?
Un momento
pensò improvvisamente il cantante. Come diavolo fa ad avere il mio
numero?
Tempo due secondi e il cellulare vibrò ancora nella sua mano.
"Ah, il tuo numero me
l'ha dato Gustav.
Buonanotte."
Bill sbarrò gli occhi sconvolto. «Io quello lo
uccido!».
Quando Tom si avvicinò alla loro piscina privata, non
riusciva a
smettere di sorridere. Lui e Georg erano appena tornati in albergo.
«Mi sento un po' arrugginito. Non riesco a capire come abbia
fatto a resistermi», ridacchiò il rasta, guardando
scherzoso l'amico.
Georg gli sorrise. «Abbiamo un sacco di tempo libero, puoi
sempre provarci domani».
Il chitarrista annuì con un sorriso sulle labbra.
«Già, è un'idea».
Il silenzio calò inaspettatamente fra loro e quasi subito si
sentirono entrambi a disagio. Quel giorno non avevano fatto
altro che parlare, ridere e
cercare di far colpo sulla cassiera del negozio. Tutte cose da amici,
cose che avevano sempre fatto prima che succedesse tutto quello che era
successo. Quando stavano insieme sotto quell'aspetto così
normale, era tutto più tranquillo e le risate non mancavano
mai;
quando invece avevano sperimentato l'altro lato delle cose, tutto era
cambiato e i loro rapporti erano diventati tesi, sempre in bilico e a
rischio di rottura. Era semplicemente bastato darci un taglio e tornare
alla normalità perché tutto ritornasse
più rosa.
Tom sorrise a quel pensiero, anche se in quel sorriso c'era una punta
di malinconia che non si rese conto di avere. «Sai, mi
mancavano
le giornate come questa. Era da un po' che non passavamo un po' di
tempo insieme senza...», si interruppe, sentendo
improvvisamente
un rimescolio in fondo allo stomaco.
Georg abbassò lo sguardo e finì la frase per lui,
annuendo leggermente con il capo. «Senza darci
addosso».
Il chitarrista annuì, cercando di tornare a sorridere.
«Abbiamo la conferma che è meglio essere amici
piuttosto
che... altro».
Aveva detto quelle parole con convinzione, tuttavia gli sapevano di
falso. Avevano un sapore dolce e amaro allo stesso tempo. Da un lato
aveva voglia di vivere altre cento giornate come quella appena passata;
dall'altro sentiva che qualcosa mancava, che forse poteva esserci
qualcosa di ancora più bello di quella giornata. E lui ci
stava
rinunciando.
Scegli sempre la strada
più facile, Tom pensò dentro di
sé, come se volesse ammonirsi da solo.
O forse una voce dentro di lui gli stava parlando, cercando di dirgli
qualcosa. L'obbiettivo stava nel capire da dove provenisse quella voce.
Georg non replicò, limitandosi semplicemente a confermare
con poco entusiasmo. «Già».
La verità era che anche lui dentro di sé sentiva
quella
voce. E proprio lei gli stava dicendo che era tutto sbagliato, che non
doveva essere così.
Certo, è
bello passare il
tempo insieme a lui come un normale amico... ma sei sicuro che ti
basterà soltanto questo? si
interrogò con una punta di insicurezza.
Era una domanda difficile a cui rispondere, ma non poteva di certo
cercare una risposta in quel momento. Doveva andarsene in fretta, prima
di rovinare tutto.
Mi ci
abituerò, come avrei dovuto fare sin dall'inizio.
Stupido.
«Beh, si è fatto un po' tardi»,
esordì a gran
voce, risultando quasi esagerato. «Direi che l'ora di andare
a
dormire sia arrivata».
Tom si affrettò a rispondere, in modo che non calasse ancora
quel silenzio imbarazzante che tanto odiava. «Allora
buonanotte», concluse con forse troppa fretta, dando una
pacca
affettuosa sul braccio dell'amico.
«Certo. Buonanotte», ricambiò il
bassista.
Ma detto questo, nessuno dei due si mosse. Entrambi rimasero immobili
uno di fronte all'altro, sorridendo come due idioti e senza dire una
parola. E ancora una volta quel maledetto silenzio era tornato.
«Vai?», esclamò improvvisamente Tom,
senza sapere bene che cosa intendesse con quel "vai".
Infatti Georg rimase perplesso.
«Cosa?».
«Vai via... prima tu?», cercò di
spiegarsi il chitarrista, prendendo a torturarsi le dita delle mani.
Georg capì che cosa intendesse l'amico e volle comunque
essere
gentile prima di salutarlo definitivamente. «No, vai prima
tu».
«No, davvero».
«Tom», cercò di chiudere quell'assurda
conversazione il bassista.
Tom si morse le labbra e annuì sconfitto. «Okay
okay... Buonanotte ancora».
Finalmente gli voltò le spalle e prese a camminare lungo il
bordo della piscina, cercando di non far caso a quel senso di
dispiacere che provava già da vari minuti. E ancora una
volta
quella voce, che aveva il suo stesso timbro, tornò a farsi
sentire nella sua testa.
Vattene ora
così e avrete completamente chiuso.
Quel "completamente" gli fece paura. Okay, si era divertito con lui
quel pomeriggio, uno dei tanti passati insieme da quando si
conoscevano. Ma non gli era forse piaciuto quel breve periodo di tempo
in cui erano stati più intimi? Togliendo tutte le
discussioni, i
litigi e le continue domande che si era posto per capire se fosse
giusto o sbagliato... quello che rimaneva gli piaceva. E anche tanto.
Cosa gli aveva detto Simon quella mattina? "Quando la smetterai di
fare il bambino capriccioso e comincerai ad apprezzare quello che hai,
ti renderai conto che non ti serve nient'altro per essere completo. I
pezzi che completano il tuo puzzle li hai già tutti: tuo
fratello, la tua musica... e ciò che continui a rinnegare di
volere. Sta solo a te metterli insieme".
"Ciò che
continui a rinnegare di volere"...
Si fermò sul posto e lentamente tornò ancora una
volta a
guardare Georg. Simon si riferiva a lui? Possibile che fosse veramente
il bassista ciò che
voleva?
Georg lo stava fissando incerto, cercando di capire cosa stesse
provando il chitarrista in quel momento. «Va tutto
bene?»,
provò a chiedergli, nonostante non si aspettasse una
risposta.
Non ne sono sicuro
pensò Tom nella sua mente.
Cosa doveva fare? Andarsene? Restare? E poi fare che cosa? Georg
intanto continuava a guardarlo in silenzio, scrutando la sua
espressione
confusa.
Per una volta, basta con
le seghe mentali.
I suoi piedi si mossero da soli, tornando indietro quasi di corsa.
Georg lo vide venirgli incontro con un'espressione fin troppo seria e
per un attimo pensò che volesse picchiarlo. «Tom,
cosa...?».
Ma non poté terminare la frase, Tom non glielo
lasciò
fare. Il bassista si sentì improvvisamente pervadere da un
calore fortissimo, bollente. Avrebbe spalancato la bocca interdetto, se
non fosse stata occupata da quella del chitarrista in quello che
sembrava un bacio vorace. Sentiva il suo piercing sfregargli contro il
labbro inferiore e la sua lingua che esplorava l'interno della sua
bocca. Non riusciva quasi a respirare e per questo, dopo vari secondi
passati in apnea, dovette fare uno sforzo per riuscire a staccarsi
dall'amico, nonostante questo gli si fosse aggrappato con forza al
collo con le braccia.
Appoggiò la fronte contro la sua, soffiandogli con il
fiatone
sulle labbra. «Che cosa stai facendo?»,
ansimò, come
se non avesse più forza.
Tom sembrava del tutto assente, preso com'era da quel momento.
«Metto insieme i pezzi del mio puzzle»,
sussurrò
quasi impercettibilmente.
Georg corrugò la fronte. «Che?».
«Lascia stare», ribatté l'amico scazzato.
Io mi sforzo di dirgli
qualcosa di "poetico" e lui non capisce... ma vaffanculo!
pensò Tom, mordendo forse troppo forte il labbro inferiore
di Georg.
Infatti questo si staccò immediatamente da lui, spingendolo
lontano di pochi centimetri e portandosi una mano alla bocca. Il
chitarrista, ancora a bocca aperta, rimase leggermente interdetto.
«Ma sei matto?», biascicò Georg,
premendosi un dito sul labbro dolorante. «Mi hai
morso!».
«Ti ho soltanto dato un morsetto da niente»,
ribatté Tom, incrociando le braccia al petto.
Il bassista si sporse in avanti e gli indicò un minuscolo
taglietto con un po' di sangue. «Questo lo chiami
"niente"?».
Per tutta risposta, il chitarrista si riavvicinò a lui,
succhiando maliziosamente il labbro ferito e staccandosi con un
sorrisetto beffardo. «Assolutamente sì».
A quel punto Georg perse completamente la testa e Tom non poteva certo
pretendere che riuscisse a controllarsi. Aveva passato giorni - senza
contare i mesi passati a piangere sulla spalla sempre disponibile di
Bill - perdendosi in fantasie sempre più inverosimili; ora
che
la maggior parte di quelle si era realizzata, la voglia di spingersi
oltre lo fece impazzire.
Quando le loro bocche si riunirono nuovamente, l'impatto fu talmente
violento che entrambi poterono sentire i propri denti cozzare contro
quelli dell'altro. Gemettero doloranti, ma l'idea di allontanarsi
ancora non li sfiorò minimamente. Non si accorsero neanche
di
essere arrivati sul bordo della piscina lì accanto, almeno
fino
a quando Tom non ci cadde quasi dentro. Se non fosse stato per le
braccia forti di Georg, strette attorno ai suoi fianchi, sarebbe
letteralmente finito a mollo.
«Dobbiamo trovare un posto più comodo»,
ansimò il chitarrista, staccandosi di scatto dall'amico.
Georg rimase leggermente stralunato, ma notò con piacere il
rossore sulle labbra del compagno. «Possiamo andare in camera
mia, se preferisci», propose frettolosamente, impaziente di
continuare quello che avevano iniziato.
Ma Tom lo bloccò subito scocciato. «Oh, ma dai!
È banale!», sbottò quasi irritato.
A quel punto il cervello del bassista cominciò a pensare
nuovamente, riacquistando almeno un minimo di autocontrollo. Banale... per cosa? Quale posto
è troppo banale per baciarsi? si chiese confuso.
Il chitarrista intanto si era guardato attorno attentamente, cercando
qualcosa di interessante. Quando poi aveva abbassato gli occhi sulla
piscina, gli occhi avevano preso a brillargli.
«Facciamolo in acqua!», esclamò
estasiato.
Georg per poco non si strozzò con la sua stessa saliva. Si
stava
convincendo a poco a poco che quello che pensava di fare lui non era
esattamente ciò che pensava il rasta. Ma le mani dell'amico
gli
offuscarono nuovamente la mente. Che cosa ci facevano sotto la sua
maglia ad accarezzare gli addominali? Non ci volle molto prima che Tom
tentasse di levargli completamente quella maglia.
Cazzo, ma che gli prende?
In un batter d'occhio, il bassista aveva afferrato le mani del rasta e
le aveva tenute strette saldamente, cercando il suo sguardo.
«Frena frena, aspetta un secondo!»,
esclamò
sconvolto.
Tom rimase interdetto. «Che c'è?»,
domandò ingenuamente.
Georg inarcò un sopracciglio e lo fissò
sospettoso. «Facciamo cosa,
di preciso?».
Il chitarrista per poco non gli scoppiò a ridere in faccia.
«Vuoi un disegnino?».
A quel punto l'amico si convinse del tutto. Aveva creduto che sarebbero
andati in camera sua, o in qualche altro posto, a baciarsi, a
coccolarsi... ma mai aveva pensato a... quello.
Immediatamente e senza alcuna esitazione, si allontanò
bruscamente dal rasta, lasciandolo a bocca aperta. Il chitarrista stava
facendo uno sforzo enorme per apparire il più disinvolto
possibile e per cercare di non pensare troppo a quello che diceva o
faceva; perché quello stupido di Georg, invece, gli stava
complicando le cose?
«Tom... Oh, andiamo!», sbottò il
bassista, tentando
di mettere insieme un discorso sensato e di rimettere a posto le idee.
Tom allargò le braccia e lo fissò scettico.
«Che c'è?».
L'amico gesticolò con le mani. «Che ti
prende?».
«Che mi prende?».
Georg spalancò gli occhi e alzò la voce.
«Sì, cazzo! Fino a due secondi fa ti faceva
ribrezzo anche
solo sfiorarmi e adesso invece vuoi addirittura scopare?».
Non gli importava di risultare troppo duro o agitato, sentiva solo che
aveva finalmente bisogno di chiarezza in quel loro strano rapporto, se
così si poteva chiamare. Il suo compagno non poteva cambiare
atteggiamento così di punto in bianco e pretendere che lui
stesse al gioco come se nulla fosse. Si sentiva alquanto preso per il
culo.
Tom alzò lievemente gli occhi al cielo. «Non mi
faceva
schifo sfiorarti», borbottò indifferentemente.
«Ero solo un po' teso».
Il punto era questo: nei momenti di intimità con una
persona,
poco importava ciò che Tom faceva o diceva; doveva scopare,
punto, ed essere interrotto sul più bello lo irritava molto.
In
quei momenti ragionava solo ed esclusivamente con le parti basse e
difficilmente era possibile avere un dialogo intelligente con lui.
Questo modo di fare non piaceva per niente a Georg, ma, del resto,
doveva prendere quel che arrivava.
«Un po'... teso?»,
replicò il bassista scettico. «Sono giorni che a
malapena
riesci a trattenerti dal mettermi le mani addosso e non sicuramente per
scopare. Siamo realisti: ci siamo evitati fino allo sfinimento ed ora,
soltanto perché
per qualche strano motivo abbiamo pomiciato un po', sei disposto a fare
sesso come se nulla
fosse... con un ragazzo?».
Quella domanda sembrò colpire il chitarrista. Doveva
ammettere
che Georg non aveva tutti i torti: prima di quella loro uscita
pomeridiana, aveva fatto di tutto per passare meno tempo possibile con
l'amico. Ma doveva anche ammettere di sentirsi diverso. Proprio grazie
a quelle poche ore passate insieme, ai discorsi di Simon e a tutto
ciò che aveva pensato in quei giorni, quasi volesse cercare
di
capire veramente se stesso, in quel momento poteva vedere le cose un
po' più chiaramente di prima. Il bassista significava
qualcosa
per lui, molto, e voleva provare a stare con lui, sorvolando sul fatto
che fosse un ragazzo. Dopotutto, non ci aveva mai visto niente di male
nei rapporti omosessuali; anche se rendersi conto di starne vivendo uno
era tutt'altra cosa. Forse non era ancora pronto per gettarsi
completamente in quel nuovo uragano. Diavolo, riusciva a baciarlo
soltanto se non pensava troppo a quello che stava facendo! E non
perché baciare Georg fosse disgustoso, anzi. Doveva
semplicemente abituarsi a quella situazione, viverla lentamente e
assaporando i piccoli momenti. Buttarsi a capofitto in quella cosa
più grande di lui era fin troppo sconveniente.
Deglutì imbarazzato, non sapendo cosa dire a quel punto.
«Ehm... io... beh...».
Era difficile parlare, dopo ciò che era accaduto. Non aveva
la minima idea di cosa dire.
Georg sembrò rendersene conto subito: il forte colorito
rosso
sulle guance del rasta gli suggeriva tante cose. Sapeva di averlo fatto
ragionare e sicuramente di avergli fatto capire che quel momento non
era quello giusto. Sorrise, a metà fra l'intenerito e il
divertito. Trovava che Tom fosse adorabile in quelle situazioni, ma, al
tempo stesso, era buffo vederlo così imbarazzato. Gli si
avvicinò lentamente, facendogli alzare gli occhi e notando
così tutta la sua confusione.
Povero Tom. Ci capisce
poco e niente ridacchiò il bassista dentro di
sé.
Attirandolo per i fianchi, fece riunire teneramente le loro labbra, in
un bacio dolce e lento. Georg sentì Tom fremere fra le sue
braccia, probabilmente ancora più confuso. Il bassista
capiva
che non sarebbe stato facile per l'amico cambiare. Ci sarebbe voluto
molto tempo, ma era disposto a tutto pur di averlo. Per ciò,
la
cosa migliore da fare era soltanto una.
Si staccò dalla bocca del chitarrista per avvicinare le
labbra al suo orecchio. «Aspettiamo».
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Capitolo 12 *** Past, present and future ***
12. Past, present and future
Sembro
idiota, mi sento idiota e sono persino vestito come un idiota!
Si guardò i piedi, sbuffando sonoramente e dandosi ancora
una
volta dello stupido per aver preso quella decisione assurda. Aveva
addosso i vestiti più vecchi, rovinati e fin troppo larghi
per i
suoi standard che avesse trovato nell'armadio; le tute non gli andavano
proprio a genio, era da anni che aveva completamente smesso di
mettersele, soprattutto se avevano quel colore grigio smorto e quasi
sporco. Non aveva neanche un filo di trucco, anche se nessuno avrebbe
mai potuto notarlo, poiché sul naso portava due enormi
occhiali
neri scurissimi. Se non fosse stato per i suoi capelli neri legati
ordinatamente in un piccolo codino, qualcuno avrebbe addirittura potuto
scambiarlo per Tom.
Faccio schifo
pensò irritato.
«Allora alla fine hai deciso di venire».
Quella voce lo distolse bruscamente dai suoi pensieri. Simon gli stava
andando incontro nella hall dell'albergo, dove Bill lo aveva aspettato
fino a quel momento. Lo stava fissando dalla testa ai piedi con sguardo
scettico e questo fece infuriare ancor più il cantante moro.
«Perché ti sei conciato in quella
maniera?», gli chiese infine l'americano.
Bill gli lanciò un'occhiataccia. «Per non farmi
riconoscere dalle mie fan, no? Non posso uscire così come se
niente fosse!».
«Sei sempre così megalomane?».
Il moro sbarrò gli occhi piccato. «Non sono
megalomane! È un dato di fatto!»,
sbottò offeso.
Simon ridacchiò divertito, annuendo accondiscendente.
«Se lo dici tu».
Bill sbuffò furioso, ma cercò comunque di darsi
un
contegno; si limitò quindi a sbattere un piede per terra.
L'americano lo scrutò per qualche istante in silenzio,
sempre
con quel suo sorrisetto beffardo sulle labbra; poi, emettendo un
leggero sbuffo divertito, gli fece un cenno con il capo di seguirlo
fuori dall'albergo.
«Dai, andiamo».
L'alito caldo del chitarrista gli solleticava leggermente il collo,
provocandogli una serie di brividi lungo tutta la schiena. Era una
sensazione piacevole e rilassante, come risveglio non avrebbe potuto
chiedere di meglio. Tom, invece, continuava a dormire placidamente, il
capo appoggiato sulla spalla di Georg e il viso rilassato; sembrava
tranquillo e svegliarlo sarebbe stato un peccato.
Magari potessi
svegliarmi tutte le mattine in questo modo
pensò il bassista con un sorriso sulle labbra.
Voleva godersi quel momento, anche perché non sapeva quanto
sarebbe potuto durare. Nonostante quello che era accaduto la sera
prima, non se la sentiva di tranquillizzarsi troppo: aveva
precedentemente imparato che con Tom non c'era niente di sicuro.
Lo sentì mugugnare sommessamente e avvicinarsi ancora di
più fino a tuffare completamente la faccia nel suo collo;
non
sembrava essersi ancora svegliato, il suo respiro era lento e pesante.
«Sei sveglio?», sussurrò piano Georg,
avvolgendogli le spalle con un braccio.
Quando non ricevette risposta, il suo sorriso si allargò.
Quando si
sveglierà e si
renderà conto della posizione in cui si trova, mi
manderà
sicuramente a quel paese.
«Che ore sono?».
Il mugugno del chitarrista lo prese alla sprovvista.
«Ma allora sei sveglio».
Tom emise uno sbuffo dal naso e lentamente si staccò dal
bassista per potersi stropicciare gli occhi. Aveva dormito davvero
bene, questo doveva ammetterlo almeno a se stesso. Ma non di certo a
Georg.
«Sei scomodo», borbottò con la voce
impastata dal sonno. «Dormire con te è
impossibile».
Georg ridacchiò sommessamente. Si alzò sui gomiti
per poi
sporgersi verso il chitarrista e baciarlo, ma questo lo
bloccò
ad un soffio dalle sue labbra.
«Che fai?», gli chiese scorbuticamente, guardandolo
con gli occhi ridotti a due fessure.
«Ti bacio?».
«Con quell'alito da uomo delle caverne? Che schifo».
Il bassista si allontanò di poco e inarcò un
sopracciglio. «Credi forse che il tuo sia meglio? Sembra
quasi
che tu abbia un topo morto in bocca».
Tom fece una smorfia disgustata e lo spinse via bruscamente, tuffando
poi la testa sotto il cuscino. «Vaffanculo»,
borbottò sommessamente.
Georg sorrise divertito e rimase immobile a fissarlo per vari secondi.
Sapeva che il problema non era veramente l'alito.
«Va bene», esordì infine, alzandosi dal
letto. «Vado a lavarmi».
Il chitarrista non gli rispose e non si mosse di un millimetro.
Mentre entrava in bagno, Georg si convinse che arrendersi subito o
demoralizzarsi era da stupidi. Doveva soltanto avere pazienza.
Venti minuti dopo era uscito dal bagno bagnato e profumato. Tom non
avrebbe potuto dire niente questa volta, perché si era
lavato i
denti e aveva fatto la doccia. Puzzare era praticamente impossibile.
Quando rientrò in camera, il chitarrista era seduto sul
bordo
del letto con indosso soltanto i boxer e stava guardando con sguardo
perso davanti a sé. Georg doveva ammettere che quella era
una
visione celestiale per lui, ma qualcosa lo colpì di
più:
sembrava così preso dai suoi pensieri, così
concentrato;
raramente lo aveva visto così pensieroso. Forse sapeva a
cosa
stava pensando, era fin troppo chiaro.
«Il bagno è libero», lo
avvertì, facendolo sobbalzare.
Era talmente preso che neanche lo aveva sentito tornare in camera.
Tom sbatté velocemente le palpebre, come se si stesse
velocemente ricomponendo, e si schiarì la voce.
«Vado».
Si alzò dal letto, mettendo in mostra il busto ben
definito, e passò di fianco all'amico per la via del bagno;
ma
si sentì afferrare bruscamente per i fianchi e in un attimo
si
ritrovò con il viso a due centimetri da quello del bassista.
«Adesso posso avere il mio bacio?», gli
soffiò quello sulle labbra.
Tom sentì un brivido percorrergli tutta la schiena e
improvvisamente ebbe come la sensazione di avere tante farfalle
impazzite nello stomaco che gli stavano mettendo addosso una certa
agitazione. Era normale provare quel senso di eccitazione che a poco a
poco lo stava stordendo sempre più? E cosa significava quel
calore che sentiva in mezzo alle gambe? Non perse tanto tempo a
chiederselo, perché sapeva benissimo cosa volesse dire, e la
risposta arrivò ancora più chiara quando si rese
conto di
avere la sua bocca incollata a quella di Georg. E non certo in uno di
quei baci che si possono definire "da poco".
Il bassista rimase piacevolmente colpito dal fatto che l'amico non
avesse ancora opposto resistenza e si rese improvvisamente conto che
bastava una piccola spinta, qualcosa che lo facesse ragionare poco, per
far sì che il chitarrista se ne fregasse di tutto e si
lasciasse
finalmente andare. Forse era proprio quello il modo giusto con cui
doveva lavorare per abituarlo a quella nuova
situazione.
Staccandosi da lui, Tom si lasciò sfuggire un lieve sospiro
e si
affrettò a svincolarsi dal bassista per correre verso il
bagno e
nascondere così il suo imbarazzo; odiava mostrare le sue
debolezze e non intendeva in alcun modo dare ad intendere a Georg che
quel bacio gli fosse piaciuto. Perché gli era piaciuto,
anche
troppo.
Lo sentì ridacchiare alle sue spalle e si rese conto che
molto probabilmente lo aveva già intuito da solo.
È odioso
pensò il chitarrista, grugnendo in risposta.
Ma sapeva benissimo che non lo pensava sul serio.
«Dopo andiamo a fare due passi, se ti va»,
mormorò
Georg, prima che Tom avesse il tempo di chiudere la porta del bagno.
Non sapeva se ne aveva voglia. Tutta quella loro improvvisa vicinanza
non avrebbe potuto insospettire qualcuno? Pensandoci bene, gliene
fregava poco di quello che avrebbero potuto pensare gli altri. Forse
era più una scusa che stava raccontando a se stesso per
nascondere il fatto che provava una certa agitazione al pensiero di
dover passare tanto tempo con il bassista. Loro due da soli.
Non fare l'idiota come
tuo solito si rimproverò da solo, scacciando
via ogni perplessità.
«Va bene», acconsentì alla fine, e si
chiuse velocemente in bagno.
«Allora, dove andiamo?».
Una volta usciti dall'albergo, avevano soltanto l'imbarazzo della
scelta: si trovavano a Las Vegas, una città enorme.
Georg si guardò attorno pensieroso. «Non lo so.
Hai qualche idea?».
Tom si prese qualche secondo per pensarci. Quale poteva essere un posto
poco affollato dove stare tranquilli e non dare troppo nell'occhio?
Perché Georg aveva già tentato una volta di
prendergli la
mano nella sua e gli stava fin troppo vicino; tutti gesti che si
notavano benissimo. Se doveva proprio imbarazzarsi come mai prima di
allora, preferiva che non ci fosse tanta gente in giro. Oppure no!
Forse era sconveniente andare in posti troppo tranquilli: Georg avrebbe
potuto approfittarne e mettersi a baciarlo lì fuori. Era
capacissimo di farlo.
Porca miseria
pensò il chitarrista confuso. Cos'è peggio?
«Potremmo tornare nel negozio di ieri!»,
esclamò improvvisamente, senza pensarci più di
tanto.
Aveva buttato lì la prima cosa che gli era venuta in mente,
ma
in meno di due secondi vide il volto del bassista rabbuiarsi e
diventare improvvisamente troppo serio. Che cosa aveva detto di male?
«Che c'è?», gli chiese confuso.
Georg inarcò un sopracciglio. «Perché
vuoi tornare lì?».
La sua voce era quasi sospettosa e indagatrice.
«Beh...», iniziò Tom.
Già, perché voleva tornarci? Probabilmente non
c'era un
vero motivo, visto che, preso dal panico, aveva detto il primo posto
che gli era venuto in mente.
«Cazzo ne so!», sbottò alla fine quasi
scazzato. «È il primo posto a cui ho
pensato!».
Georg annuì scettico. «Certo. E caso strano in
quel posto c'è anche una bella ragazza, vero?».
Tom strabuzzò gli occhi, preso alla sprovvista.
«Ma...».
Manco ci avevo pensato a
quella tettona!
«No no», lo interruppe subito il bassista.
«va bene. Non c'è nessun problema.
Andiamo».
Prima che il chitarrista potesse dire qualsiasi cosa, Georg lo aveva
già sorpassato e si era avviato sulla via del negozio.
Parlare a
quel punto sarebbe stato inutile, perché l'amico era
già
abbastanza irritato e ormai si era fatto le sue idee.
Tom alzò gli occhi al cielo e si costrinse a seguirlo. Iniziamo bene...
«Oh, bentornati!», esclamò tutta allegra
la commessa del negozio d'abbigliamento.
Come Georg notò immediatamente, era ben felice di rivederli
ancora lì - leggasi come "rivedere Tom"
-; certo, il giorno prima aveva fatto la preziosa, ma era
più
che certo che, se Tom ci avesse di nuovo provato con lei, sarebbe
caduta ai suoi piedi come una pera cotta. Perché quando il
chitarrista voleva qualcosa, il più delle volte la otteneva
senza neanche troppa fatica.
«Anche oggi posso esservi d'aiuto?»,
civettò spudoratamente quella, avvicinandosi a loro.
Tom non sembrava prenderla più di tanto in considerazione,
anche
perché era ancora un po' stordito dalla strana reazione
avuta
poco prima dal suo amico. Sinceramente, non voleva neanche tornarci in
quel posto.
«No, grazie. Anche oggi ci arrangiamo».
Il chitarrista si voltò stupito a guardare il bassista. Il
suo
tono di voce era stato infastidito e quasi derisorio, come se volesse
prendere in giro la ragazza. Non si sarebbe mai aspettato un
comportamento del genere da parte sua, di solito era sempre gentile con
tutti.
La commessa inarcò un sopracciglio e lanciò uno
strano
sguardo al bassista, ma non si azzardò a rispondergli a
tono. Si
limitò semplicemente a liquidarli con un "beh, se avete
bisogno,
chiedete pure".
Georg le sorrise annuendo - un sorriso falso - e arpionò
velocemente il braccio di Tom, trascinandolo verso una serie di
pantaloni attaccati a tanti attaccapanni. Dire che era furioso era dir
poco.
Tom non ci stava capendo più niente, sapeva soltanto che
l'amico
si stava comportando come un pazzo scatenato. Aveva cambiato umore con
una velocità strabiliante e aveva quasi paura di parlargli:
la
bestia che risiedeva silenziosa in lui avrebbe potuto scatenarsi.
Cercò quindi di non farci caso e si mise ad esaminare un
paio di
pantaloni che aveva già guardato e riguardato il giorno
prima.
Ogni tanto lanciava qualche occhiata discreta alla sua destra, dove
Georg stava ancora guardando minaccioso la commessa dietro la cassa.
Quando poi si sentì nuovamente arpionare per lo stesso
braccio
di prima e trascinare lontano dai pantaloni che stava guardando, si
convinse del tutto che il bassista non dovesse sentirsi bene.
«Che c'è?», sbottò scettico.
Georg lo aveva portato dietro un enorme scaffale, dove la commessa non
poteva più vederli.
«Ti stava guardando il culo», mormorò il
bassista irritato.
«Con questi jeans enormi addosso, la vedo dura»,
ribatté Tom inarcando le sopracciglia.
«Ti stava guardando comunque».
«E quindi?».
Georg si fece serio e lo guardò intensamente negli occhi.
«Mi dà fastidio».
Era geloso marcio, non c'era alcun dubbio su questo e Tom se ne era
ormai reso conto da un bel pezzo, ma non poté comunque far a
meno di sentire ancora le farfalle nello stomaco; ormai le sentiva
così spesso. Doveva ammettere che in un certo senso la
gelosia
di Georg gli faceva piacere e ancora di più gli piaceva quel
suo
essere così possessivo con lui. Ma questo non cambiava il
fatto
che fosse anche un po' fuori di testa.
«Se non è troppo chiedertelo... ti se fatto una
canna?», esordì improvvisamente il chitarrista.
Il bassista corrugò la fronte, non capendo.
«Sei stato tu a voler venire qui a tutti i costi! Il che
è alquanto masochista».
Georg sobbalzò leggermente, come se si fosse appena
svegliato da
un lungo sonno; probabilmente si era accorto di quanto fosse stato
stupido. Era stato troppo precipitoso, aveva subito pensato male quando
Tom gli aveva proposto di tornare in quel posto e aveva mostrato
esageratamente la sua gelosia. Si sentiva più che stupido,
veramente. Buffo come perdesse la ragione per tutto ciò che
riguardava Tom.
Abbassò lo sguardo e sospirò. «Ce ne
andiamo?», mormorò mestamente.
Il chitarrista sorrise divertito. «Direi proprio di
sì».
«Siamo seduti ad un tavolo di un bar»,
borbottò
Bill, guardando il ragazzo che gli era seduto davanti e stava bevendo
un caffè.
Simon annuì leggermente con la testa.
«Sì. Quindi?», gli chiese con
indifferenza.
«Quindi tu mi hai portato fuori dall'albergo per poi portarmi
in
un bar. Che razza di passeggiata sarebbe questa?»,
esclamò
il moro scettico.
«Tanto lo so che non ti piace muoverti tanto»,
commentò Simon sorridendo sotto i baffi.
Bill strabuzzò gli occhi, ma non aprì bocca. Era
anche
vero che avrebbe potuto benissimo rifiutare di andare con lui, ma non
si sarebbe mai aspettato di uscire da un posto chiuso per poi
ritrovarsi in un altro posto chiuso. Qual era lo scopo di quell'uscita?
«Veramente, volevo parlarti», riprese lentamente il
biondo,
appoggiando la tazzina sul tavolo. «E ho pensato che questo
fosse
un posto abbastanza tranquillo per farlo».
«Parlarmi di cosa?», indagò Bill
sospettoso.
Passarono alcuni istanti di silenzio. Simon lo scrutò
attentamente e sembrava quasi che stesse pensando a cosa
dire.
«So di non andarti a genio, quindi volevo cercare di
convincerti del contrario», esordì alla fine.
Bill batté le ciglia un paio di volte, leggermente
perplesso. La
schiettezza di Simon lo disarmava sempre. Forse quella era una delle
poche cose che avevano in comune: dicevano esattamente quello che
pensavano senza farsi problemi di alcun tipo.
«Anche se», riprese il biondo.
«sinceramente, non
capisco la tua ostilità. Neanche ci conosciamo».
Forse era proprio per quel motivo che non lo sopportava. Quando non
riusciva a capire con chi avesse a che fare, Bill si irritava e finiva
per non sopportare questa persona. E Simon era assolutamente
impossibile da capire.
«Non riesco ad inquadrarti», mormorò
quasi inconsciamente, corrugando la fronte.
Il biondo si fece subito attento. «Che intendi
dire?», gli chiese curioso.
Bill ci pensò su poco. «Di solito riesco a farmi
un'idea
delle persone che ho attorno, ma con te... non ci riesco».
Simon sembrava capire, anche se non aprì bocca.
Allora il moro decise di continuare. «Sei strano e so
talmente poche cose di te che...».
«Vuoi sapere di più?», lo interruppe
bruscamente il
biondo. «È questo quello che vuoi? Pensi che possa
aiutarti a capirmi?».
Il suo tono di voce non era stato né ironico né
accusatorio. Gli aveva semplicemente posto la domanda con fare
disinvolto.
Bill si ritrovò ad annuire senza rendersene conto: era
proprio quello che voleva. Più informazioni.
«Bene», acconsentì Simon. «Ma
preferisco raccontarti tutto camminando».
Poco dopo erano usciti in strada e avevano preso a camminare uno di
fianco all'altro in mezzo alla gente.
«Allora», esclamò Simon. «Cosa
vuoi sapere di preciso?».
«Non lo so», commentò Bill.
«Tutto quello che
vuoi dirmi. Magari inizia da come è nata questa tua passione
per
la musica. Oppure, che ne so... come mai sai parlare così
tante
lingue».
Il biondo sorrise. «Non mi ricordo quando ho iniziato a
cantare,
sinceramente. Mi sembra quasi di averlo sempre fatto. Ero molto
piccolo, comunque. E poi mio padre si muoveva molto per lavoro e il
più delle volte io e mio fratello ci spostavamo con lui,
altrimenti...».
«Hai un fratello?», lo interruppe improvvisamente
Bill
interessato. «Più grande o più
piccolo?».
Forse fu solo una sua impressione, ma vide il viso di Simon cambiare ad
una velocità spaventosa: il sorriso era sparito e al suo
posto
c'era una smorfia sofferente; era improvvisamente diventato cupo.
«Più grande», mormorò con
voce spenta.
Il moro osservò il suo profilo, continuando a camminare, e
si
chiese come mai avesse cambiato così improvvisamente umore.
Aveva forse toccato un tasto dolente?
«Ti dà fastidio parlarne?», si
azzardò a chiedere, portando lo sguardo sulle sue stesse
scarpe nere.
Simon non gli rispose. Passarono diversi secondi di silenzio, in cui
Bill si imbarazzo fino alla punta dei capelli, ma il biondo non
accennò minimamente ad aprire bocca. Chissà a
cosa stava
pensando...
«Io non mi chiamo veramente Simon, Bill».
Quell'affermazione fece sobbalzare il moro, che sentì quasi
una
scarica elettrica percorrergli la spina dorsale. Che cosa significava?
«È un nome d'arte?», gli chiese
circospetto.
«No», mormorò Simon, sorridendo appena.
Un sorriso offuscato da un'ombra di amarezza.
«Simon era mio fratello».
Bill sentì la gola improvvisamente secca e capì
subito
che quell'argomento non gli sarebbe piaciuto. L'espressione del biondo
non prometteva nulla di buono.
«Perché ti fai chiamare come lui?».
«Perché, portando il suo nome, lo sento
più vicino
a me», gli spiegò Simon, voltandosi verso di lui
con quel
sorriso forzato sulla faccia. «E anche per una promessa che
gli
ho fatto».
Il moro aveva già capito, ma voleva comunque una conferma di
ciò che aveva pensato. «Ma... lui...».
«Non c'è più», lo interruppe
il biondo,
ingoiando un magone di saliva e abbassando lo sguardo.
«È
morto due anni fa».
Bill stava per chiedergli come, ma lui lo precedette.
«Di overdose».
Il moro tremò leggermente e si abbracciò lo
stomaco con
le braccia, quasi avesse paura che gli giocasse un brutto scherzo.
Simon non disse più niente per vari secondi e non si
voltò nemmeno a guardare il ragazzo di fianco a
sé.
Sembrava immerso nei ricordi e, a giudicare dalle smorfie che
involontariamente faceva, non dovevano essere affatto confortanti.
Fu soltanto un sussurro, ma Bill lo sentì comunque.
«Per colpa mia».
Si voltò di scatto a guardarlo. «Perché
dici così?».
Si diede quasi subito dello stupido, perché si rese presto
conto
che quelli non erano affari suoi e che molto probabilmente Simon non
voleva raccontargli tutto.
Lo vide fare uno sforzo per mantenere un'espressione dura.
«Anch'io mi facevo come lui, ma non per divertimento. Volevo
renderlo orgoglioso di me e pensavo che, se mi fossi comportato come
lui, mi avrebbe ritenuto alla sua altezza».
Ecco, lo sapevo che
dovevo starmene zitto si pentì Bill.
Simon continuò. «Ho sempre saputo che
quello che facevamo era
sbagliato e un giorno gliel'ho detto; avrei voluto smettere e volevo
che anche lui lo facesse».
«Non ti ha ascoltato».
Non gliela pose come una domanda, ma come una constatazione.
«No», gli rispose secco il biondo. «Il
giorno dopo era morto. La notte era
rimasto solo. Alcool ed eroina».
Bill ebbe un fremito.
«Se non gli avessi detto niente...»,
mormorò Simon con amarezza.
«Non è stata colpa tua!»,
sbottò
improvvisamente il moro, facendolo sobbalzare. «Prima o poi
avrebbe perso comunque il controllo. Era sempre a rischio».
Il biondo lo scrutò pensieroso, soppesando le ultime parole
del
ragazzo. Poteva anche aver ragione, ma il senso di colpa rimaneva
più forte che mai.
Gli sorrise comunque grato.
«Quel giorno gli ho promesso che avrei realizzato il nostro
sogno
comune: fare musica per tutta la vita. Mi sono sempre fatto chiamare
Simon e ormai tutti mi conoscono come tale».
Bill si schiarì la voce, sentendo la gola fin troppo secca.
«Qual è il tuo vero nome?».
«Ormai non ha più importanza. Sono semplicemente
Simon. Ma forse un giorno te lo dirò».
Non avendo fatto caso a dove stessero andando, ormai avevano perso
l'orientamento; si stavano semplicemente lasciando trasportare dalle
loro gambe.
«Tu e Tom mi ricordate tantissimo come eravamo io e mio
fratello,
prima che tutto andasse a puttane», gli disse improvvisamente
Simon. «Anche lui suonava la chitarra, sai?».
Il moro si sentì a disagio. Si era fatto un'idea sbagliata
del
ragazzo e lo aveva ritenuto uno spaccone fino a quel momento; molto
probabilmente non aveva capito che quello era il suo modo di fare per
nascondere qualcosa di grande e insopportabile.
«Ti ho sconvolto?».
Bill sobbalzò e notò che Simon lo stava fissando
quasi preoccupato. «No... io...».
«Scusa, forse non avrei dovuto dirtelo».
«No no! Non... non sono sconvolto. Mi sento soltanto in
colpa».
«Perché?».
«Perché ti ho giudicato senza neanche sapere
quello che hai passato», mormorò il moro con
amarezza.
Simon inarcò un sopracciglio. «Guarda che non lo
sanno in
tanti. E poi non voglio la compassione di nessuno. Se ti piaccio come
persona, bene, buono a sapersi. Non devi per forza cambiare
atteggiamento verso di me
perché adesso sai».
«Non è compassione!», sbottò
Bill quasi offeso. «Soltanto... ti vedo in modo
diverso».
Il biondo questa volta sorrise sincero. «Bene. Quindi non
devo più aspettarmi occhiatacce da parte tua?».
Il moro arricciò la bocca e lo guardò con
sufficienza. «Non ho detto questo».
Simon ridacchiò divertito e scosse leggermente la testa. In
fin
dei conti, non si era pentito di aver raccontato tutto a Bill, anzi;
sentiva quasi un senso di leggerezza.
«Sai, fra due settimane è il mio
compleanno»,
esordì ad un tratto, guardando le vetrine dei negozi che
stavano
sorpassando.
Bill strabuzzò gli occhi e lo fissò sorpreso.
«Davvero?».
Il biondo annuì con un sorriso. «Ventisette anni.
Comincio ad invecchiare».
Mentre Simon rideva, il cervello di Bill si era già messo in
moto e stava elaborando qualcosa di segreto.
Compleanno = festa.
«Sono curioso», esordì improvvisamente
Tom.
Erano usciti da poco dal negozio - con grande dispiacere della commessa
- e un silenzio imbarazzato era sceso su di loro da qualche minuto.
Georg aveva preso a darsi mentalmente dell'idiota per quel suo
comportamento da ragazzina sedicenne innamorata, ma a
quell'esclamazione del rasta sobbalzò e rimase perplesso.
Sperava ardentemente che non gli chiedesse qualcosa riguardo
l'argomento "gelosia".
«È da un po' che ci penso, veramente. In un certo
senso,
Bill ti ha aiutato a... attirare la mia attenzione. Ma come faceva a
sapere che tu...?».
Lasciò la frase in sospeso, ma il bassista capì
cosa
intendesse dire. Forse questa domanda era anche peggio di una qualsiasi
sul suo comportamento da idiota di prima. Aveva sperato di non dover
mai rispondere ad una domanda simile, perché era fin
troppo...
imbarazzante.
Deglutì nervoso. «Vuoi proprio saperlo?».
Tom annuì, corrugando la fronte.
«Perché? È così
sconvolgente?».
«No no! Solo... è un po' imbarazzante per me e...
potrebbe
essere disgustoso per te», gli spiegò, sussurrando
le
ultime parole.
Il chitarrista sentì un rimescolio in fondo allo stomaco.
Dopo
quell'affermazione, poteva immaginarsi di tutto. Si costrinse comunque
ad apparire disinvolto e sicuro.
«Dimmelo e basta».
A Georg quasi veniva da ridere, ma sapeva che sarebbe stata una risata
nervosa. Non c'era niente di buffo in quello che stava per raccontargli
- almeno per lui -, ma la situazione in cui si trovava era strana e lo
faceva reagire impulsivamente e in modo strano. In poche parole, si
vergognava come un cane.
Non
era la prima volta che lo faceva, ma sicuramente quella era la
più rischiosa: avrebbero potuto scoprirlo, dato che
chiunque sarebbe potuto entrare nella stanza e beccarlo sul fatto.
Avrebbe dovuto trattenersi, era stupido lasciarsi andare
così in
quel momento; ma i rumori che prima aveva sentito provenire dalla
camera di Tom lo avevano gelato sul posto e doveva assolutamente
trovare un modo per calmarsi. Tralasciando i mugugni di una ragazza
qualsiasi, aveva sentito i suoi gemiti, il suo respiro affannoso, e
quasi aveva potuto immaginare i muscoli in tensione e la pelle sudata.
Troppo eccitante.
Il rigonfiamento nei
suoi pantaloni
faceva male e pulsava dolorosamente. Non ci pensò due volte
e si
slacciò la cintura, aprendo poi la cerniera dei jeans. Ne
aveva
bisogno, o sarebbe diventato pazzo. Si abbassò le mutande
quel
tanto che bastava per farlo stare comodo e contrasse la schiena contro
la poltrona morbida; portò una mano ad accarezzare
dolcemente il
suo stesso membro, poi prese a muoverla più velocemente
lungo
tutta la sua lunghezza. Provò immediatamente una scossa di
piacere, intensificata ancora di più dai suoi pensieri:
immaginava che quella mano non appartenesse a lui, immaginava di
risentire quei gemiti di prima e un respiro caldo sul suo collo.
«Tom...»,
mugolò sommessamente.
Sembrava quasi tutto
reale da quanto
era preso. Talmente reale che non si accorse neanche del rumore di una
porta che lentamente si apriva.
Buttò la
testa indietro, intensificando il movimento della mano sul suo membro;
stava quasi per venire.
«Tom...»,
soffiò ancora, emettendo un leggero grugnito.
«Oh. Mio.
Dio».
Quella voce troppo
familiare lo riportò alla realtà, facendogli
gelare il sangue nelle vene.
Era stato beccato. Era
stato beccato
dal gemello della persona che nella sua immaginazione gli stava facendo
una sega fantastica. L'eccitazione si dissolse improvvisamente come una
nuvoletta di fumo e la figura pietrificata di Bill, immobile sulla
soglia della porta, riempì tutto il suo campo visivo. Il
cantante era pallido, gli occhi sbarrati e sconvolti.
«Tu...»,
iniziò Bill incerto. «Tu ti stavi...».
«...masturbando, pensando a me?!»,
squittì sconvolto Tom.
Georg lo attirò malamente vicino a sé,
afferrandogli un
braccio. «Ma sei matto? Non urlare!», gli
sussurrò
scettico vicino all'orecchio.
«Ti stavi facendo una sega, mentre pensavi a me?!»,
continuò il chitarrista sempre ad alta voce.
Stavano camminando sul marciapiede di una strada stretta e non c'era
tanta gente in giro, ma, se Tom avesse continuato ad urlare in quel
modo, presto anche quei pochi presenti avrebbero sentito tutto.
Mentre il chitarrista continuava a sbraitare sconvolto, Georg lo prese
per un braccio e lo costrinse a seguirlo in un'altra strada deserta,
che assomigliava tanto ad un vicolo; così avrebbero evitato
di
dare ulteriore spettacolo. Tom non smise neanche per un secondo di
esprimere il suo shock e non si rese neanche conto di dove l'amico
l'avesse portato.
«Che schifo! Non potevi guardarti un porno, piuttosto?
È disgust...».
Georg non gli diede l'opportunità di finire. Lo
sbatté
contro il muro e si avvicinò pericolosamente al suo viso.
«Piantala», soffiò leggermente.
Poi si avventò sulla sua bocca, muovendo la lingua
all'interno
di essa. Tom oppose resistenza, premendo le mani contro le spalle di
Georg per spingerlo via, ma quello lo strinse più forte e
gli
mise una mano dietro la nuca per impedirgli la fuga. L'unica cosa che
poteva fare era ricambiare quel bacio, che alla fine non gli dispiacque
neppure. Una volta chiusi gli occhi, si era già lasciato
andare.
Forse era il profumo del bassista, o la sua mano appoggiata sul suo
fianco che lo stava accarezzando dolcemente, fatto sta che,
quando
Georg prese il suo piercing al labbro fra i denti e lo tirò
delicatamente, andò completamente fuori di testa e si
aggrappò a lui quasi con disperazione.
Ma perché i loro baci dovevano essere tutti
così...
mozzafiato? Non riusciva mai a ragionare, a controllarsi e a
respingerlo. Cominciò a pensare che lo facesse quasi apposta.
Sentì il muro contro la sua schiena farsi sempre
più
duro, ma molto probabilmente era il fatto che Georg lo stesse
letteralmente spalmando contro di esso, non permettendogli quasi di
muoversi. Respirare stava diventando quasi un optional. Ma gli
importava poco.
Fu quando sentì di nuovo l'aria tornare a gonfiargli i
polmoni che rimase perplesso.
Perché sto
respirando? si chiese confuso, tenendo ancora gli occhi
chiusi.
«Tom?», lo chiamò Georg divertito.
A dir la verità, non lo stava neanche più
baciando.
Sentiva soltanto il suo calore scaldargli il corpo, segno che non lo
aveva ancora lasciato andare, ma le sue labbra erano sparite.
Perché cazzo
ha smesso di baciarmi? si chiese scazzato, riaprendo gli
occhi interdetto.
Si ritrovò a fissare due occhi chiari e scherzosi, l'opposto
dei
suoi, e si rese presto conto che Georg stava
ridacchiando. Lo prendeva forse in giro?
Brutto...
Lo spinse via malamente, questa volta riuscendo a staccarselo di dosso,
e prese a sfregarsi la bocca con rabbia.
«Che schifo», borbottò, incenerendolo
quasi con lo sguardo.
Georg iniziò a ridere più forte e Tom
diventò ancora più furioso.
«Stronzo», mormorò con disprezzo.
Il bassista smise di ridere, cercando di contenersi. Il fatto era che
fino a pochi secondi prima Tom aveva sbraitato come un ossesso per
quello che gli aveva raccontato, poi era bastato baciarlo ed era
completamente caduto in trance.
«Ti è piaciuto, ammettilo».
Il chitarrista non gli rispose, neanche lo stava guardando. Aveva il
viso contratto in una smorfia e le braccia incrociate al petto; stava
fissando un punto qualsiasi per terra.
Georg inarcò un sopracciglio. «Sei
incazzato?», gli chiese circospetto.
Non gli rispose, ma il bassista ebbe comunque la risposta alla sua
domanda.
«Lo prendo come un sì».
Gli si avvicinò ancora una volta e gli mise le mani sui
fianchi.
«Sei permaloso, sai?», gli disse con un sorriso
sulle
labbra.
Tom non aprì bocca neanche questa volta, si
limitò
semplicemente a guardarlo con sufficienza. Non era veramente
arrabbiato, ma odiava essere preso per il culo. Da Georg, poi.
Non ci volle molto prima che le carezze di Georg attorno alla sua vita
lo ammorbidissero un po'. Quel maledetto sapeva benissimo come
prenderlo.
'Fanculo
sbuffò irritato.
Era convinto che non avrebbe mai capito perché gli facesse
quell'effetto. Il potere che aveva su di lui gli dava fastidio,
perché lo metteva nella condizione di non poter avere il
controllo. E non avere il controllo lo irritava parecchio.
«Torniamo in albergo», borbottò
improvvisamente, allontanandosi da Georg e sorpassandolo lentamente.
Il bassista avrebbe voluto essere più malizioso, ma quello
che
disse gli uscì più come una speranzosa richiesta.
«Per continuare quello che abbiamo cominciato?».
«Nei tuoi sogni!», sbottò Tom.
«Torniamo in
albergo, così tu puoi masturbarti in solitaria e io posso
andare
a cercare qualcuno da scoparmi», gli disse acido.
Quasi si prese paura quando si sentì afferrare e voltare
bruscamente. Si ritrovò ancora con il viso a due centimetri
da
quello dell'amico e poté sentire i suoi occhi bruciare su di
lui. Non lo aveva mai visto così determinato e serio.
«Non ci provare», sussurrò quello.
Non era minaccioso, ma quello che gli aveva appena detto non
risultò neanche come una richiesta o una supplica.
«Perché?», si azzardò a
chiedere Tom.
Georg sorrise. «Perché non te lo
permetto».
Si avvicinò di più, sfiorando le labbra del
chitarrista con le sue.
«Perché sei mio».
E la questione era chiusa.
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Capitolo 13 *** Happy Birthday! ***
13. Happy
Birthday!
Due settimane dopo la loro
uscita,
Bill era ancora in
fermento, ogni giorno più che mai. Aveva pensato molto a
come organizzare
qualcosa di carino per festeggiare il ventisettesimo compleanno di
Simon, ed
ora che il giorno fatidico era ormai alle porte, era giunto ad una
conclusione:
una festa a sorpresa era quello che ci voleva. Se ci pensava non
riusciva a
spiegarsi il motivo per cui volesse festeggiare il compleanno
dell’americano.
Era ormai convinto di non sopportarlo, nonostante conoscesse la sua
storia, ma
sentiva il bisogno di farlo comunque. Con gli altri si giustificava
dicendo che
adorava le feste di compleanno – e in parte era anche vero
–, ma non si
spingeva mai oltre; tuttavia c’era chi aveva capito comunque
che dietro quel
suo comportamento c’era dell’altro, ma preferiva
tenere le proprie opinioni per
sé: il suo gemello vedeva cose che altri non vedevano, ma in
quel periodo aveva
altro a cui pensare e di cui preoccuparsi.
Bill, infatti, non era
l’unico ad essere combattuto tra un
sentimento di piacere e un altro di fastidio; anche Tom aveva il suo
bel da
fare. Le cose con Georg sembravano andare bene, tutto procedeva
tranquillamente
da quando avevano deciso di riprovarci, ma la mancanza di alcune cose
cominciava già a farsi sentire. Per esempio, il chitarrista
sentiva il bisogno
di provarci con qualcuno – la sua specialità -, ma
col fatto che Georg era
geloso, doveva suo malgrado trattenersi; ogni notte dormiva insieme al
bassista,
il che era anche piacevole, ma ogni tanto avrebbe voluto dormire da
solo; ogni
volta che uscivano, anche solo per comprare un pacchetto di caramelle,
pagava
sempre Georg e a Tom la cosa non andava proprio giù: non
riusciva più a
sentirsi indipendente.
“È
innamorato,
Tomi. È normale che faccia così”
continuava a
ripetergli Bill con gli occhi che brillavano meravigliati. E
così cercava di
non farci caso, o almeno di trattenersi dall’esprimere il
proprio fastidio
direttamente con il bassista.
Ma la cosa che gli mancava
di
più era un’altra: il sesso.
Era da due settimane, due settimane intere,
che andava avanti soltanto di seghe. Per uno come lui era davvero il
colmo
chiudersi in un bagno e farsi i lavoretti da solo, quando invece
avrebbe
benissimo potuto scoparsi la prima ragazza che passava per strada. Ma
no, non
poteva, perché Georg avrebbe ammazzato prima la ragazza e
poi anche lui.
“Perché
non lo
fai con lui, scusa? State insieme, siete
grandi e vaccinati e vi amate. Cosa vuoi di più?”.
Questa volta Bill si
sbagliava di
grosso: Georg era quello
innamorato, non lui. C’era una bella differenza.
E per quanto riguardava la
prima
domanda, Tom aveva dato
questa risposta: “Non lo faccio con lui perché non
ho mai scopato con un
ragazzo prima d’ora, credevo di non doverlo mai fare, quindi
non mi sono
neanche posto il problema. E la cosa mi terrorizza non poco”.
Sapeva benissimo che la
parte passiva
sarebbe toccata a lui
e l’idea non gli piaceva affatto. Ma anche se fosse stato lui
quello attivo le
cose non sarebbero cambiate: non avrebbe avuto la minima idea di che
cosa fare
e molto probabilmente si sarebbe bloccato come un idiota, facendo una
figura
barbina.
Niente da fare, avrebbe
dovuto
accontentarsi delle seghe.
Un piccolo passo avanti,
però, l’aveva fatto: aveva scoperto
il piacere di baciare il bassista e la cosa non gli riusciva
più tanto
difficile. Ecco perché aveva continuato a ficcargli la
lingua in bocca anche
quando Bill era entrato nella stanza di Georg per parlargli della festa
a
sorpresa per Simon.
«Pensavo che
magari
potremmo farla nel nostro studio qui in
America. Lì ci sarebbe abbastanza spazio»
continuava a pensare il cantante ad
alta voce, andando avanti e indietro per la stanza.
Georg morse delicatamente
il labbro
inferiore di Tom,
tirando verso di sé il piercing umido, e questo gemette
deliziato.
«O magari ad
Amburgo, a
casa nostra! Però dovremmo spostarci
in due giorni...» constatò Bill pensieroso.
Tom prese deciso il viso
del bassista
fra le mani e cominciò
a dare profonde leccate al suo palato, facendolo sospirare.
Il cantante si
picchiettò
il mento con un dito. «Non so
davvero che cosa scegliere».
I suoi occhi si posarono
finalmente
sul gemello e
sull’amico, intenti a divorarsi a vicenda sulla poltrona, Tom
in braccio a
Georg; non sembravano minimamente interessati e con molte
probabilità non
avevano ascoltato una singola parola di quello che aveva detto.
Offeso, si mise le mani
sui fianchi e
sbatté un piede a
terra. «Potreste ascoltarmi per cinque minuti,
cazzo?!» sbottò spazientito.
Grugnendo irritato, Tom si
staccò dalle labbra del compagno
e alzò gli occhi al cielo, non potendo guardare il gemello
perché in quel
momento gli stava dando le spalle. «Ti abbiamo ascoltato,
Bill! È da mezz’ora
che lo facciamo!» sbottò esasperato.
Non
si
può mai
pomiciare in santa pace!
Georg annuì
accondiscendente, stringendo fra le mani i
fianchi del chitarrista.
«Fai come ti
pare!
Qualsiasi luogo va bene, basta che ti
decidi!».
Bill tornò a
picchiettarsi
il mento con un dito. «Allora
penso che il nostro studio sia l’idea migliore. È
vicino».
«Bene!».
Tom si piegò
nuovamente
sul bassista e prese a succhiare il
suo labbro inferiore, mentre questo rispondeva alle sue attenzioni con
un
gemito sommesso.
«Ragazzi, non so
come
ringraziarvi!» esclamò il cantante al
settimo cielo, guardandoli con gli occhi che brillavano di
riconoscenza. «Per
me siete stati fondamentali in questa decisione».
In realtà aveva
fatto
tutto da solo. Ma i pazzi vanno
assecondati, si sa. Per questo il gemello gli rispose alzando una mano
in aria
e facendogli ‘okay’ con il pollice.
L’importante era che smettesse di blaterare
e che li lasciasse continuare in pace il loro lavoro.
«Grazie
mille!».
Bill fece qualche saltello
sul posto
e in un batter d’occhio
si era già fiondato fuori dalla porta, felice come una
Pasqua. Finalmente
sapeva cosa fare.
«Oh!»
esordì ancora una volta, infilando la testa dentro la
stanza. «Non dimenticatevi il regalo, mi raccomando. Non
può mancare!».
Entrambi i due ragazzi gli
risposero
con un verso spazientito.
- Due
giorni dopo -
«Non
dimenticatevi il
regalo, mi raccomando. Non può mancare!»
borbottò Tom irritato,
scimmiottando la voce del gemello.
Dentro al camerino, Georg
ridacchiò sommessamente. Quello
era forse il terzo negozio di abbigliamento in cui mettevano piede e il
chitarrista, che aveva i nervi a fior di pelle, sembrava non riuscire a
concentrarsi su un possibile regalo per Simon. Si era fissato che
dovessero
prendergli per forza un indumento – non si sa per quale
motivo -, ma non si
sforzava neanche un po’ per trovarlo, impegnato
com’era ad inveire contro il
fratello assente; il bassista era l’unico a dare
un’occhiata in giro, provando
a pensare a cosa sarebbe potuto piacere all’americano. Ma la
cosa peggiore era
un’altra: Tom lo aveva costretto a fare da modello, provando
tutti i capi che
sceglievano con la scusa che lui e Simon avevano più o meno
la stessa
corporatura.
«Hai
finito?»
sbuffò il chitarrista, stufo di aspettare
fuori dal camerino.
La tenda si
aprì
velocemente, rivelando un Georg sorridente
in jeans attillati e camicia a quadri aperta sul petto –
ecco, quella era forse
l’unica cosa che Tom aveva adocchiato in un’ora e
mezza -. Era convinto che
finalmente avessero trovato quello che stavano cercando, per questo
aveva quell’espressione
fiera.
Tom storse la bocca e
scosse la
testa. «Orribile».
Il sorriso del bassista
svanì nel nulla. Okay, se neanche
quello andava bene, avrebbero trascorso l’intera giornata in
giro per negozi e
alla fine si sarebbero ritrovati comunque a mani vuote. E la festa era
quella
sera.
«Sai, forse ho
capito qual
è il problema» esordì il
chitarrista, studiandolo da capo a piedi. «Come modello fai
cagare».
Georg strabuzzò
gli occhi
sconcertato. «Scusa?».
«Sì,
non
valorizzi abbastanza le cose».
Cercò di
nascondere
l’irritazione e inarcò le sopracciglia.
«Beh, forse lui saprà farlo»
ribatté piccato. Non valorizzava abbastanza le
cose? Questa poi...
«Probabile»
mormorò Tom, mentre uno strano sorrisetto
malizioso si disegnava sulle sue labbra.
Il bassista
studiò
silenziosamente il suo volto per un
istante. Ormai aveva imparato a riconoscere quell’espressione
e quella
particolare luce che illuminava i suoi occhi certe volte. Tom voleva
‘attenzioni’.
Sorrise divertito,
scuotendo
leggermente la testa. Non cambierà
mai.
Si avvicinò a
lui quel
tanto che bastò per afferrargli i
fianchi possessivamente, attirarlo a sé e trascinarlo
all’interno del camerino;
chiuse frettolosamente la tenda e si soffermò per un istante
sul sorriso
compiaciuto dell’altro.
«Vedo che
capisci in
fretta» sussurrò questo.
Georg, che in momenti come
quello
dimenticava completamente
il significato della parola ‘controllo’, lo spinse
contro lo specchio,
facendolo aderire con la schiena ad esso, e si impossessò
delle sue labbra; lo baciò
con foga, muovendo la lingua all’interno della sua bocca ed
insinuando voglioso
le mani sotto la maglia extralarge. Tom sembrava gradire, a giudicare
dai
mugolii di piacere che si lasciò scappare, cercando comunque
di non fare troppo
rumore. Non dovevano dimenticare che erano ancora in un camerino di un
negozio.
Da quando il chitarrista
si lasciava
andare di più alle sue
attenzioni, Georg ogni volta si concedeva qualcosa in più.
Accarezzò e graffiò
leggermente la pelle dei suoi fianchi, spingendo poi il proprio bacino
contro
il suo. Sentiva di essere già eccitato e chissà
se anche Tom lo era...
Questo cominciò
a
strusciarsi contro di lui, ansimando
pesantemente contro il suo viso, le loro bocche ancora unite. Non lo
avrebbe
mai ammesso a Georg, ma sì, era eccitato anche lui e quello
che stavano facendo
gli piaceva molto; era qualcosa di nuovo, ma non gli dispiacque affatto.
Il bassista
assecondò i
suoi movimenti, dando delle piccole
spinte contro il suo bacino. Voleva che fosse piacevole sia per lui che
per
Tom. Così facendo, non ci volle molto prima che entrambi
arrivassero al limite
del piacere. Lasciò che il proprio seme si liberasse nelle
proprie mutande,
bagnandole completamente, e con un gemito trattenuto nella bocca
dell’altro
continuò a spingere contro di lui per farlo venire a sua
volta; ma notò che
questo ce la stava mettendo tutta per trattenersi.
«Lasciati
andare»
bisbigliò Georg al suo orecchio.
Tom scosse vigorosamente
la testa,
gli occhi serrati e una
smorfia sul viso.
«Tom,
vieni».
Per quanto si fosse
impegnato, alla
fine il chitarrista non
resistette: incastrò il viso nell’incavo del collo
del compagno e venne con un
ansito più forte degli altri. Il bassista sorrise
compiaciuto, avvolgendo il
suo corpo tremante di piacere in un abbraccio.
«Sei un
idiota»
ansimò Tom esausto. Sollevò il capo e
puntò
gli occhi nei suoi. «Come cazzo faccio a pulirmi
adesso?».
«I jeans larghi
serviranno
pur a qualcosa, no?» ridacchiò
Georg divertito ed intenerito da quel broncio che si disegnò
sul viso dell’altro.
«Piuttosto, pensando a me... necessito di un cambio
immediato. Quindi io
consiglierei di andare in studio».
«Dobbiamo ancora
trovare un
regalo».
Indicò gli
indumenti che
aveva addosso. «Lo abbiamo appena
trovato... e battezzato».
Il chitarrista
alzò gli
occhi al cielo in un finto tentativo
di mostrare il suo disappunto, ma il sorrisetto divertito sulla sua
bocca lo
tradì.
«Soltanto...
magari
cambiamo questo paio di jeans con un
altro pulito, eh».
«Gustav, credo
che tu non
abbia capito bene il passaggio principale».
Il batterista
sbuffò
scocciato e alzò gli occhi al cielo.
Perché diavolo aveva accettato di preparare la torta con
Bill? Che poi dire
‘con Bill’ era fin troppo esagerato: lui almeno provava a combinare qualcosa; il cantante
invece guardava e
criticava soltanto.
«L’impasto
non
deve avere i grumi! E poi il libro dice di
usare tre uova... Tu ne hai usate soltanto due!».
Gustav si voltò
verso di
lui, seduto sulla sedia alle sue
spalle, brandendo minacciosamente un cucchiaio sporco di uova e farina.
«Se tu
sei l’esperto, perché non provi a farlo al posto
mio?».
Bill inarcò un
sopracciglio e lo fissò come si fissa uno
stupido. Ma proprio non capiva? «Ti pare che uno come me si
metta a pasticciare
con uova e farina? Se lo facessi, addio alla manicure!».
«Era proprio la
risposta
che mi aspettavo».
Il batterista si
armò di
tutta la buona volontà che
possedeva e tornò a dedicarsi al suo impasto. Okay, era da
buttare, ma magari
con un po’ di impegno il secondo tentativo sarebbe andato a
buon fine. Si
avvicinò al cestino e fece per rovesciare il tutto
all’interno di esso. Come
per ogni cosa, ci voleva pazienza; doveva soltanto non ascoltare quel...
«Che stai
facendo?!» squittì isterico il cantante, facendolo
sobbalzare sul posto.
Lo fissò
scettico, non
capendo cosa avesse da strillare
tanto. «Lo butto, no?».
«E poi con che
cosa pensi
di fare la torta?».
Rimase basito. Lo stava
forse
prendendo in giro? «Con altre
uova e altra farina».
«Non ne abbiamo
a
sufficienza. Devi aggiustare quello».
«Non si
può
aggiustare!»
Con molte
probabilità,
Bill non aveva mai preparato una
torta in vita sua e perciò non sapeva neanche che recuperare
un impasto come
quello che Gustav aveva appena fatto era quasi impossibile; il tutto
andava
buttato e basta.
Com’era
possibile che non
avessero abbastanza ingredienti?
David – che era stato messo al corrente della festa e che in
quel momento era
impegnato a tenere Simon lontano dal loro studio di registrazione
– aveva fatto
in modo di procurar loro il necessario; non poteva aver pensato
veramente che
tutto sarebbe andato liscio già al primo tentativo! E per
gli imprevisti come
avrebbero dovuto fare?
Il cantante, intanto,
continuava a
sbraitare come un
ossesso. «Sei un incapace, Gustav! Adesso dovremo far a meno
della torta ed una
festa di compleanno senza torta non è una festa di
compleanno!».
Il batterista
digrignò i
denti, ormai al limite della
sopportazione. In un certo senso era abituato ad essere sottomesso e ad
incassare silenziosamente gli insulti dell’altro, ma a tutto
c’era un limite.
«Bill, questa volta te lo devo proprio dire... Hai veramente
rotto le-».
«Cos’è
quell’ammasso informe? Il vomito di Scotty?». La
voce
di Tom, appena entrato nella stanza con Georg al seguito,
evitò la probabile
guerra che avrebbe sicuramente avuto luogo con l’affermazione
di Gustav.
Erano appena tornati,
un’enorme sporta fra le mani e un
pacchetto al suo interno. Potevano ritenersi soddisfatti del loro
operato, in
fondo; purtroppo non si poteva dire lo stesso per gli altri due
componenti
della band, che erano sul punto di saltarsi addosso e sbranarsi a
vicenda.
«Oh!»
esclamò Bill sorpreso. «Avete preso il
regalo?».
Tom gli
sventolò davanti
al viso la sporta che aveva fra le
mani, fiero di se stesso. In teoria, era stato Georg a scegliere il
tutto,
ma... quelli erano soltanto dettagli, il cervello restava sempre lui.
«Almeno una cosa
positiva...» sospirò sollevato il gemello.
Il bassista
corrugò la
fronte confuso e raggiunse Gustav
vicino al tavolo, imbrattato completamente di farina.
«Perché dici così?
Cos’è
andato storto?» chiese circospetto, guardando quasi
disgustato l’impasto.
«Cos’è
andato storto?!» ripeté Bill scettico.
«Ma hai visto
che cosa ha combinato?».
Il batterista
sbuffò
alterato, cercando di auto-controllarsi.
Poteva farcela.
Georg gli prese il
contenitore dalle
mani e gettò l’impasto
nel bidone sotto gli occhi sconvolti del loro cantante. «Beh,
possiamo sempre
chiamare una pasticceria e vedere se possono fare qualcosa loro per
noi, no?».
«C-Cosa?»
balbettò Gustav. «Mi vorresti dire che io ho fatto
tutta questa fatica per niente? Non potevamo direttamente
chiamare?!».
I tre amici lo ignorarono
completamente. Tom afferrò il
cellulare e si mise alla ricerca di un elenco telefonico; Bill si
alzò dalla
sedia e prese a rovistare per tutta la stanza, in cerca di qualcosa di
indefinito; Georg li liquidò velocemente, dicendo di dover
andare in bagno.
Decisamente, tutti
sembravano essere
contro di lui...
«Palloncini?».
«Pronti».
«Torta?».
«Pronta».
«Regalo?».
«Pronto».
«Il mio
giacchetto di
pelle?».
Tom guardò
storto il
gemello. «Il tuo giacchetto di pelle?»
gli chiese scettico. Che diamine c’entrava il suo giacchetto
di pelle in quel
momento?
«Metti che
faccia freddo,
devo coprirmi ma essere elegante
allo stesso tempo» gli spiegò l’altro,
come se fosse la cosa più ovvia al
mondo. Certe volte si sentiva proprio un genio incompreso.
«Sei un
idiota!».
«Ragazzi!»
li
chiamò Georg, correndo verso di loro dietro al
divano. «David mi ha mandato un messaggio... Stanno
arrivando!».
Gustav, già
posizionato
insieme agli altri tre amici, si
alzò e corse verso l’interruttore della luce. Una
festa a sorpresa
richiedeva... la sorpresa! Appena Simon sarebbe entrato, David avrebbe
acceso
la luce e loro quattro sarebbero saltati fuori urlando
‘Sorpresaaa!’. Tutto era
pronto. Spense la luce.
«Che nessuno
fiati» sibilò Bill, pressandosi contro il
gemello per nascondersi meglio.
Nella stanza
calò il
silenzio e i quattro rimasero in
ascolto. Il primo rumore che udirono fu quello di una macchina che
veniva
parcheggiata davanti alla porta, poi quello di due portiere che si
aprivano e
chiudevano.
«Eccoli»
sussurrò Gustav, beccandosi una sberla sul braccio
da parte di Bill.
Attesero ancora. Presto le
chiavi
girarono nella toppa e la
porta venne aperta. I quattro trattennero il respiro.
«Oh... a quanto
pare sono
usciti» constatò Simon, cercando a
tentoni l’interruttore della luce.
«Già»
ridacchiò David, venendo in suo aiuto e accendendo la
luce per lui.
Non appena la stanza fu
completamente
illuminata, Bill, Tom,
Gustav e Georg si alzarono insieme e sbucarono fuori da dietro al
divano con un
enorme sorriso stampato sui loro volti.
«Sorpresaaa!»
urlarono all’unisono.
Per un istante, Simon
rimase
completamente basito. La scena
che gli si presentò davanti non se la sarebbe mai aspettata
e quella era forse
la prima volta che qualcuno lo lasciava completamente senza parole.
Aveva
persino pensato che tutti si fossero dimenticati del suo compleanno
– anzi, se
l’era quasi dimenticato lui stesso –. Quella
sì che era una vera sorpresa! La
stanza era invasa dai palloncini e al centro, su un tavolo, una torta
con
ventisette candeline faceva la sua bella figura.
Bill saltellò
verso di lui
con un enorme pacco fra le mani,
sorridendo raggiante. Vedendolo così, Simon provò
un moto di tenerezza nei suoi
confronti; forse era la prima volta che lo vedeva sorridere veramente
per lui.
«Buon
compleanno!» esclamò il moro, porgendogli il
regalo.
«Naturalmente ho pensato a tutto io! Loro mi hanno soltanto
aiutato» gli spiegò
fiero, indicando con un cenno del capo gli altri presenti.
Tutti alzarono gli occhi
al cielo,
scuotendo la testa
rassegnati. Bill non sarebbe cambiato mai e poi mai.
Simon sorrise divertito e
prese il
pacco. «Grazie» mormorò,
ancora senza parole. Non sapeva veramente che cosa dire.
Si sporse in avanti,
avvicinandosi al
viso di Bill, che per
un istante lo fissò confuso; con le labbra sfiorò
una sua guancia con un lieve
bacio. Il moro arrossì violentemente.
«Non hai ancora
capito chi
mi piace?» sussurrò il biondo al
suo orecchio.
Bill rimase senza parole e
cominciò ad annaspare. Dio, non
poteva reagire veramente così... Simon, ridendo, si
allontanò da lui,
lasciandolo imbambolato in mezzo alla stanza, e si avvicinò
al resto del
gruppo, stringendoli uno ad uno in un abbraccio amichevole.
«Grazie davvero,
ragazzi!».
«La torta
l’ho
fatta io» mentì Gustav, ridendo sotto i
baffi. Almeno una soddisfazione, dopo quello che aveva passato quella
mattina,
doveva prendersela. In fondo ci aveva provato.
Tom e Georg si scambiarono
un’occhiata divertita, scuotendo
appena la testa. Quella era una gabbia di matti, non c’era
dubbio.
«Gustav!»
pigolò Bill, completamente ubriaco. Si era
lasciato prendere dalla foga e aveva bevuto come una spugna per tutta
la sera;
ora il suo alito era insopportabile e lui completamente fuori di testa.
Si
adagiò sulle ginocchia dell’amico e gli
soffiò sensualmente sulle labbra. «In
questo momento ti scoperei» sussurrò malizioso.
Gustav sbarrò
gli occhi,
completamente sconvolto, e lo
spinse sul divano, togliendoselo di dosso; considerando lo stato del
cantante,
non fece neanche fatica. Questo invece scoppiò a ridere
istericamente,
tenendosi la pancia con le mani.
«Idiota...»
mormorò il batterista, allontanandosi
frettolosamente.
Tom, seduto sul bracciolo
del divano,
guardò l’orologio che
aveva al polso e sbadigliò stancamente. «Abbiamo
fatto tardi» constatò stupito.
Georg, al suo fianco, gli
accarezzò la schiena con affetto,
sorridendo intenerito alla vista del suo viso stanco. «Vuoi
andare a dormire?»
gli chiese premuroso.
Il chitarrista rivolse lo
sguardo al
gemello e inarcò un
sopracciglio: stava fissando il soffitto con un’espressione
da ebete. «E questo
cretino chi lo mette a letto?».
«Ci penso
io!»
esclamò Simon, sbucando fuori dalla cucina
con in mano uno straccio. Buffo: la festa era per lui, ma si era voluto
offrire
a tutti i costi per pulire. Un ragazzo d’oro.
«Davvero, non è un problema»
ribadì. «Andate pure a dormire. Oggi avete fatto
tantissimo per me; devo in
qualche modo ripagarvi».
«Grazie»
mormorò Georg, sorridendogli riconoscente.
Così facendo,
Simon aveva
appena dato loro la possibilità di
darsi la buonanotte come si deve.
«Mmm,
Georg...»
ansimò Tom sotto il peso del compagno.
Esattamente come quella
mattina nel
camerino, Georg stava
spingendo ritmicamente il proprio bacino contro il suo, facendo
sì che i loro
membri si scontrassero attraverso il tessuto dei boxer.
Il chitarrista, sdraiato
sul proprio
letto, la testa fuori
dal materasso e le dita conficcate fra le scapole dell’altro,
gemeva
rumorosamente – al piano di sotto non lo avrebbero sentito,
perché il volume
della televisione era altissimo e poteva sentirlo da lì -,
mentre nella sua
testa vorticava un unico pensiero: sesso, sesso, sesso. Ricordava
perfettamente
quello che aveva detto al gemello, ma l’astinenza e il modo
in cui si stavano
masturbando a vicenda lo mandarono fuori di testa, facendogli
dimenticare tutti
i suoi buoni propositi. Se qualche settimana prima sarebbe rimasto
disgustato
dall’idea di fare quello che stavano facendo in quel momento,
ora ne voleva
sempre di più. Voleva che Georg aumentasse la
velocità, che lo facesse venire
come aveva fatto quella mattina.
«Senza boxer
sarebbe ancora
meglio» ansimò il bassista
contro il suo orecchio, leccando il lobo.
Con un mugugno Tom
inarcò
la schiena e aumentò la pressione
fra di loro. «Fallo» sibilò nello
sforzo, non rendendosi neanche conto di ciò
che gli stava chiedendo. «Toglimeli».
Georg alzò
appena il capo
e per un momento il suo sguardo fu
confuso e stupito al tempo stesso. Non si sarebbe mai aspettato che
l’altro si
sarebbe offerto a lui così facilmente; era convinto che il
chitarrista non
apprezzasse a pieno quello che facevano, e invece...
Non si fece comunque
pregare
ulteriormente. Considerando il
fatto che Tom fosse eccitato quanto lui, non si curò nemmeno
di utilizzare la
solita dolcezza che gli riservava ogni volta che lo sfiorava. Entrambi
lo
volevano e questo bastava. Afferrò l’elastico dei
suoi boxer e glieli calò con
uno scatto, liberando il suo membro già duro; fece lo stesso
con i suoi e
subito riunì i loro bacini. Quando il chitarrista
sentì la propria pelle
sensibile sfregare contro quella dell’altro, si morse il
labbro inferiore a
sangue, mentre un’ondata di brividi lo travolgeva da capo a
piedi. Quel
contatto era fantastico, lo stava facendo godere immensamente.
«Cazzo...»
esclamò Tom, aggrappandosi con tutte le sue forze
alle spalle del bassista.
Georg si piegò
sul suo
collo e leccò avidamente il pomo
d’Adamo, succhiando la pelle in più punti attorno
ad esso. Era certo di non
aver mai desiderato così tanto una persona come in quel
momento stava
desiderando Tom.
Il chitarrista
cominciò a
spingersi violentemente contro di
lui, mozzandogli il respiro.
«Tom...
piano»
gemette il bassista, aprendo la bocca in
cerca d’aria.
Ma l’altro non
lo
ascoltò.
«Tom...».
Sentiva che sarebbe venuto
da
lì a poco. Nel momento in cui
scorse il viso del chitarrista contratto in un’espressione di
puro piacere e
godimento, provò il desiderio di fare qualcosa in
più, di spingersi ancora
oltre. Troppi passi affrettati in un solo giorno? Eppure sentiva che
era la
cosa giusta. E se Tom lo desiderava, dove stava il problema?
«Tom, io
posso...» prese un respiro profondo, puntando gli
occhi sul suo viso. «Posso prendertelo in bocca, se
vuoi». Come fosse riuscito
a trovare il coraggio per pronunciare quelle parole non lo seppe mai.
Sapeva
soltanto che voleva farlo con tutto se stesso.
Per un momento, Tom
sembrò
bloccarsi. Le sue spinte
rallentarono e i suoi occhi si sbarrarono improvvisamente, fissando il
vuoto.
Georg ebbe paura di averlo spaventato. Okay, forse era ancora troppo
presto per
quello, forse...
«Va
bene»
mormorò il chitarrista, interrompendo bruscamente
il flusso dei suoi pensieri e mandandolo completamente in tilt. Lo vide
sollevare il capo per fissarlo serio negli occhi. «Se
vuoi».
«Tu lo vuoi veramente?»
insistette per essere sicuro di non andare contro la sua
volontà. Non avrebbe
mai voluto fare qualcosa senza il suo consenso.
Lo vide annuire. In quel
momento,
mentre fissava i suoi
occhi, non sapeva distinguere chi avesse davanti: il SexGott o il vero
Tom?
Aveva accettato soltanto per la sua voglia di sesso? Oppure lo voleva
veramente? Fatto sta che glielo aveva proposto lui e tirarsi indietro
dopo aver
ottenuto il suo consenso sarebbe stato da idioti.
«Okay»
sussurrò emozionato.
Cominciò a
baciare i suoi
pettorali appena pronunciati,
seguendo con la lingua le linee naturali del suo corpo, e scese;
succhiò l’ombelico,
producendo un piccolo schiocco, e poi finalmente arrivò al
suo membro. Era la
prima volta che lo vedeva e sinceramente non sapeva che cosa pensare;
in quel
momento gli interessa soltanto di dargli piacere. Lo trovò
duro e gonfio, la
punta appena bagnata dal suo seme. Con una mano lo accarezzò
per tutta la sua
lunghezza, delicatamente, e già lo sentì fremere;
arrivò alla base e gli
solleticò i testicoli con le unghie corte, strappandogli un
gemito sommesso.
«Georg...»
si
lamentò Tom, faticando a restare fermo sotto
quel tocco. La lentezza di quei movimenti era una sofferenza,
perché lo stavano
facendo letteralmente impazzire.
Georg capì di
starlo
torturando troppo; in fondo era già
prossimo al limite, considerando quanto lo avesse eccitato pochi
secondi prima,
strusciandosi contro di lui. Doveva liberarlo, ma doveva pensare
contemporaneamente a se stesso: anche lui stava per esplodere.
Afferrò il
proprio membro
con una mano e cominciò a
masturbarsi da solo con movimenti veloci e decisi lungo tutta la sua
lunghezza;
poi con l’altra mano libera afferrò il pene di Tom
e se lo portò alla bocca,
prendendolo dentro per metà.
«Georg!»
urlò il chitarrista, sentendo come una scarica
elettrica attraversare tutta la sua spina dorsale. Diamine se gli
piaceva...
Si portò una
mano alla
bocca, tappandosela e cercando di
controllarsi. Avrebbe voluto urlare di piacere, ma, per quanto la
televisione
al piano di sotto fosse alta, non se la sentiva di lasciarsi troppo
andare.
Intanto Georg
cominciò a
succhiare il suo membro con
dolcezza, muovendo la propria bocca su e giù; con la lingua
solleticò la punta,
gustando il sapore del suo sperma. Era dolce.
«Dio...»
gemette
Tom, spingendo i fianchi verso l’altro per
far sì che il bassista prendesse tutto il suo pene in bocca.
Questo capì che
il
chitarrista stesse chiedendo di più.
Aumentò la velocità, aiutandosi con la mano; con
la bocca si staccò dal pene,
producendo un sonoro schiocco, e si dedicò con essa ai
testicoli, succhiandoli
e leccandoli avidamente.
Questa volta Tom non
riuscì a trattenersi ed urlò. Era
arrivato al limite. Sentì il proprio corpo tendersi, mentre
veniva scosso dai
brividi e da profonde ondate di piacere. Georg prese in bocca il suo
pene
ancora una volta, appena in tempo per accogliere il suo sperma caldo;
lo ingoiò
un po’ alla volta, non meravigliandosi neanche un
po’ di quanto fosse buono il
sapore del chitarrista. In fondo, lo aveva immaginato.
Alzò il capo,
rivolgendo
lo sguardo al viso di Tom; non
riuscì a vederlo perché questo aveva ancora la
testa piegata oltre il
materasso. Afferrò i suoi fianchi, tirandolo verso di
sé e facendo in modo da
portalo tutto sul letto; si stese sul suo corpo, arrivando con il viso
al suo e
baciandolo dolcemente in più punti. Lo strinse a
sé mentre ancora tremava.
Tom puntò gli
occhi nei
suoi, le labbra dischiuse e
l’espressione persa. Forse era confuso per quello che era
appena successo, ma
Georg fu felice di non intravedere pentimento nel suo sguardo. Si
abbassò per
baciargli delicatamente le labbra, accarezzandogli il viso con una
mano. Quella
era forse stata la notte più bella della sua vita. Sentiva
il cuore scoppiargli
in petto e capiva che tutto quello che avevano fatto era giusto,
perché non era
stato soltanto sesso. Non per lui. Era stato qualcosa di
più, una dimostrazione
di un qualche strano sentimento. Sapeva benissimo di cosa si trattasse.
Tom chiuse gli occhi,
stanco, e si
lasciò coccolare dal
bassista ancora per un po’. Intanto Georg, dentro di
sé, sentì l’irrefrenabile
voglia di dirgli quello che provava da tempo ormai e che in quel
momento era
più forte che mai.
«Tom?».
«Mmm?»
mugugnò quello, forse già nel dormiveglia.
«Io ti
amo».
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Capitolo 14 *** It had to be just sex ***
14 me and you
14. It had to be just sex
Tom odiava non riuscire a chiudere occhio durante la notte. Era una
situazione che lo agitava. Forse perché, dal momento che non
era
capace di disconnettere il cervello neppure per un'ora, questo si
divertiva a farlo pensare, e pensare, e pensare... Pensava fino a che
un terribile mal di testa non lo costringeva ad abbandonare i suoi
buoni propositi per dormire e ad alzarsi dal letto. E così
si
ritrovava a vagare per la camera da letto, avanti e indietro.
Fu quello che successe proprio quella notte.
Maledizione...
continuava ad imprecare dentro di sé, mentre a grandi
falcate percorreva la propria stanza.
Georg dormiva nel suo letto, ignaro del fatto che il suo compagno, in
quel momento, si stesse crogiolando nei propri dubbi, invece che
riposare al suo fianco.
Tom era bravo a sgattaiolare fuori dal letto senza svegliare chi ci
dormiva. Anni e anni di pratica.
Da un pezzo, però, l'aria che girava in quella stanza aveva
cominciato a soffocarlo. Aveva bisogno di uscire, di allontanarsi da
quello che effettivamente era il suo problema, ovvero la causa per cui
non riusciva a dormire: Georg. Lui e quel suo stupido 'ti amo' che gli
aveva sussurrato prima di addormentarsi.
«Ma che diavolo ti è saltato in
mente?!»,
sibilò il chitarrista, digrignando i denti in direzione del
compagno.
Era stato chiaro fin dall'inizio: fra di loro non ci sarebbe mai potuto
essere amore; soltanto sesso - anche se, effettivamente, non erano
ancora riusciti ad avere un rapporto completo -. Georg non aveva
rispettato l'unica regola che Tom aveva imposto ed ora spettava a lui
affrontare le conseguenze.
Stupido!
Furioso, uscì dalla propria stanza, non preoccupandosi di
fare
silenzio. Era talmente fuori di sé che sbatté
persino la
porta. Forse Georg si sarebbe svegliato, ma poco gli
importava:
gli avrebbe dato il ben servito per quella notte passata in bianco.
Quando scese le scale e si ritrovò al piano inferiore,
notò con stupore una luce provenire dal salotto.
Pensò
che probabilmente qualcuno si era dimenticato di spegnerla prima di
andare a letto. Si avviò verso la stanza, ma qualcosa lo
bloccò prima: da quella distanza riusciva a distinguere
benissimo due figure abbracciate sul divano.
Di male in peggio
pensò con rabbia.
Già non bastava il bassista innamorato di lui, ora ci si
mettevano anche Simon e suo fratello. Non aveva tempo per preoccuparsi
di Bill, quando doveva pensare prima di tutto a se stesso e a come
risolvere quel casino che si era andato a creare.
Raggiunse la stanza a grandi falcate, intenzionato ad esplodere proprio
di fronte alla nuova coppietta addormentata; ma quando si
ritrovò nei pressi del divano, Simon, che a quanto pare non
stava dormendo, lo bloccò con un dito posato sulle labbra,
intimandogli di fare silenzio. Tom, basito, boccheggiò come
un
pesce fuor d'acqua.
«Sta dormendo, finalmente. Non la smetteva più di
delirare», sussurrò divertito l'americano.
Quando notò la perplessità del chitarrista,
sorrise
appena: sapeva riconoscere un fratello geloso, quando ne vedeva uno, e
Tom in quel momento era un fratello geloso. Capiva la sua
preoccupazione.
«Volevo metterlo a letto, ma me lo ha impedito. Non stava
fermo», gli spiegò
tranquillo. «Era l'unico modo per farlo
addormentare».
Le parole di Simon riuscirono a calmarlo. Aveva capito che le sue
intenzioni erano buone e che Bill, nelle sue mani, era al sicuro.
Da una parte, però, provò la sensazione di essere
un pessimo fratello: non era stato presente nel momento del bisogno;
aveva pensato prima a se stesso che a lui. Ma alla fine si comportava
sempre così, no? Anche con Georg lo aveva fatto.
«Qualcosa non va?».
La voce di Simon lo distolse dai propri pensieri e lo
riportò alla realtà delle cose.
Cercando di assumere un'espressione sicura, scosse il capo. L'ultima
cosa che voleva era farsi consolare dal 'quasi-ragazzo' del suo gemello.
«Me ne torno a letto», borbottò talmente
piano che l'altro non riuscì neppure a sentirlo.
Non avrebbe fatto veramente ciò che aveva detto - non voleva
tornare nella stanza in cui era presente la fonte dei suoi problemi -,
ma avrebbe sicuramente trovato qualcosa di più interessante
da
fare che stare a guardare suo fratello, mentre questo si faceva
consolare da un'altra persona che non era lui.
Era gelosia la sua? Forse sì. In fondo Bill era la persona
più importante della sua vita.
Forse fu proprio quella gelosia a spingerlo a voltarsi ancora una volta
e a porgere a Simon una domanda che neanche lui stesso si sarebbe mai
aspettato di poter formulare.
«Ti piace mio fratello?».
L'americano non parve affatto colpito da quella domanda, anzi.
Dimostrò una calma ammirevole e non diede alcun segno di
imbarazzo o di stupore. Si limitò soltanto ad accarezzare
lentamente i capelli di Bill.
«È evidente», ammise con un sorriso.
«Anche se
credo che l'unico che non se ne sia ancora accorto sia proprio
lui».
«Bill è fatto così: bisogna dirgli
chiaramente come
stanno le cose, altrimenti non ci arriverà mai da
solo».
Tom si stupì delle sue stesse parole. Era come se in qualche
modo stesse incoraggiando Simon a farsi avanti con suo fratello. Non un
avvertimento, non una minaccia... Stava cambiando, ma chissà
se
in bene o in male. La causa di tutto ciò? Non ci voleva
nemmeno
pensare.
L'americano non disse altro, ma registrò nella sua mente le
parole del rasta. Doveva soltanto prendere una decisione, alla fine.
Bill lo affascinava, nonostante la sua innegabile
infantilità.
Ma chissà... forse era proprio quella a piacergli. Doveva
soltanto capire se questo era pronto a digerire una dichiarazione
simile.
Ci avrebbe pensato.
«Grazie, Tom», sussurrò dopo poco,
sorridendo al rasta.
Tom gli rispose con un breve cenno del capo, poi finalmente gli
voltò le spalle e si allontanò da quella stanza a
passo
spedito.
Si era già pentito di aver detto quella cosa a Simon, anche
se
in fondo lo riteneva un buon ragazzo. In quel momento era tutto troppo
confuso per lui: Bill, Simon, Georg, il suo orientamento sessuale a cui
non sapeva ancora dare un nome... Era una situazione che odiava.
Da una parte avrebbe tanto voluto tornare indietro nel tempo e far in
modo che fra lui e Georg non accadesse nulla di tutto ciò
che
era accaduto fino ad allora; dall'altra era curioso di scoprire che
cosa avesse in serbo per lui il futuro. Stando così le cose,
avrebbe potuto porre fine a tutto, oppure aspettare e lasciare che la
situazione evolvesse. Era una decisione difficile.
Raggiunto il piccolo terrazzino del loro studio, si sedette sulla sedia
a sdraio dove Gustav era solito, nel tempo libero, prendere il sole.
Rimase lì a meditare per ore e ore, ma non riuscì
comunque a schiarirsi le idee. Quando si fece l'alba, stanco e
frustrato, si addormentò senza nemmeno rendersene conto.
«Tom? Ehi?».
Gustav scrollò con delicatezza il chitarrista, che
inspiegabilmente stava dormendo sulla sua sedia a sdraio. Quando quella
mattina si era avviato verso il terrazzino per prendere il sole, non si
sarebbe mai aspettato di trovarlo lì; era convinto che
avesse
dormito con Georg.
Tom corrugò la fronte e mosse leggermente le palpebre, ma ci
mise un po' a svegliarsi. Dopotutto aveva passato la notte in bianco.
«Che ci fai qui?», gli chiese il batterista, quando
fu certo che fosse sveglio.
La risposta fu un grugnito sofferente.
L'amico era davvero in pessime condizioni, nonostante la sera prima non
avesse bevuto abbastanza da potersi ubriacare. Le borse sotto i suoi
occhi, però, non mentivano: non aveva dormito.
«Mi sono appisolato», biascicò a fatica,
passandosi
una mano sul viso e proteggendosi gli occhi dalla luce del sole.
«E Georg?».
Nessuna risposta, questa volta. Okay, era ufficiale: qualcosa non
andava.
Gustav sbuffò sconsolato, consapevole di trovarsi in mezzo
ad
una bufera che avrebbe portato soltanto guai seri. Ma perché
dovevano capitare tutte a lui? In fondo aveva sempre cercato di essere
un bravo ragazzo, ma alla fine gli amici che gli erano capitati avevano
eliminato qualsiasi possibilità di pace e
tranquillità
nella sua vita.
Prima Bill, ora Tom. Chi sarebbe stato il prossimo?
Con l'amarezza nel cuore, mise una mano sulla spalla dell'amico e gli
rivolse uno sguardo apprensivo. «Su, avanti»,
cominciò. «Confidami le tue disgrazie. Santo
Gustav
è qui per ascoltarti».
Tom sollevò gli occhi e lo guardò come si guarda
un
pazzo. L'ironia era proprio l'ultima cosa di cui aveva bisogno in quel
momento.
Irritato, scacciò la sua mano e si alzò in piedi.
«Va' a-».
La frase rimase a metà, perché proprio in quel
momento
una voce fin troppo familiare giunse alle sue orecchie: la voce di
Georg, coperta in parte da quella acuta di
Bill.
Ci mise pochi secondi a valutare la situazione. Da lì a poco
si
sarebbe scatenato il putiferio e lui aveva soltanto due
possibilità: o restava lì e si preparava ad
affrontare un
Georg innamorato e un fratello isterico, o trovava un modo per darsela
a gambe. Inutile dire che, fra le due, scelse senza esitazione la
seconda.
«Gustav!», esclamò nel panico.
«Devi aiutarmi!».
«Questa è senza ombra di dubbio la scusa
più penosa
che abbia mai sentito! Secondo te, io sarei così stupido da
credere di essermi ubriacato al punto tale da chiederti di restare a
dormire con me?».
Simon scrutò divertito l'espressione dell'altro.
«Vuoi una risposta sincera?».
Bill lo fissò sconvolto, con la bocca aperta e gli occhi
sbarrati. Ma come osa?!
Il fatto di essersi svegliato tra le braccia di quello che fino al
giorno prima aveva considerato uno sbruffone lo aveva lasciato di
stucco. Come era potuto succedere? Si stava sforzando seriamente di
ricordare ciò che era successo la sera prima, ma per qualche
strano motivo non ci riusciva. Di una cosa, però, era certo:
non
si era ubriacato e tanto meno aveva chiesto a quel fessacchiotto di
dormire con lui.
Lui non era assolutamente
il tipo da fare un cosa del genere.
«Tu mi hai bloccato la crescita!»,
sbottò con voce acuta.
Simon si infilò il mignolo nell'orecchio destro e fece la
mossa
di sturarselo. «Sì, e tu mi hai fatto diventare
sordo», ribatté con fare tranquillo. «E
comunque non
credo che saresti cresciuto ancora, Bill».
Il risveglio, per lui, non era certo stato dei migliori: Bill, quando
si era reso conto di trovarsi tra le sue braccia, aveva iniziato ad
urlare e, quando aveva tentato di spiegargli l'accaduto, niente l'aveva
trattenuto dallo sbraitare come un forsennato. Non ricordava niente
della sera prima e cercare di convincerlo era quasi impossibile.
«Io non mi sono ubriacato!», affermò con
decisione
il moro, ignorando tutto quello che l'altro aveva appena detto.
«Scusate...».
Entrambi si voltarono a fissare la porta del salotto, trovandovi con
grande sorpresa Georg. Doveva essersi appena svegliato, a giudicare
dallo stato in cui si trovavano i suoi capelli, solitamente
perfettamente lisci.
Questo avanzò lentamente verso di loro e cautamente prese la
parola: non voleva essere divorato dalla bestia nella quale Bill si era
trasformato.
«Avete visto Tom, per caso?».
Nonostante la gentilezza che aveva usato, il moro gli si
rivoltò contro comunque: strinse forte i pugni e
avanzò pericolosamente verso di lui, digrignando i denti.
«No, non l'ho visto! Ma quando lo trovi digli che gli
farò
rimpiangere il giorno in cui è nato! Ti sembrano scherzi da
fare, questi? Eh?», gli urlò in faccia.
L'amico inarcò un sopracciglio, confuso: non sapeva neanche
di
che cosa stesse parlando. Fece per ribattere, ma non ne ebbe il tempo.
«Credi forse che non sia a conoscenza dei vostri piani
malefici? Siete tutti contro di me, io lo so!».
«Ma di che stai parlando?».
Quando Bill andava fuori di testa, andava seriamente
fuori di testa. Il più delle volte strillava come una
gallina in
procinto di ritrovarsi con il collo spezzato, altre blaterava cose
senza senso. Non riusciva a capire che, in quelle occasioni, nessuno lo
ascoltava veramente; tutti si limitavano ad assecondarlo, in modo che,
a distanza di ore, si calmasse.
Il moro si allontanò da lui e tornò da Simon,
puntandogli
l'indice contro. «Questa è casa mia e, se volessi,
potrei
buttarti fuori a calci in culo!».
L'americano dovette fare uno sforzo enorme per non scoppiargli a ridere
in faccia da un momento all'altro. Forse era l'unico che trovava
divertenti le sue scenate isteriche. Era così donna, in quelle
occasioni.
Georg alzò gli occhi al cielo e scosse leggermente il capo:
loro, sicuramente, non avrebbero saputo dirgli dove si trovava Tom;
stava soltanto perdendo tempo.
«Va bene, lo troverò da solo»,
borbottò
rassegnato. Fece per andarsene, ma prima non seppe resistere alla
tentazione di lanciare una frecciatina. «E guarda
che ieri
sera eri veramente ubriaco, Bill».
Bill spalancò la bocca fino al massimo possibile, annaspando
come un pesce fuor d'acqua. A quel punto, Simon non riuscì
più a trattenersi e gli scoppiò a ridere in
faccia.
Inutile dire che ciò che avvenne dopo fu il caos
più totale.
«No, Tom! Non mi piacciono queste cose! Se hai un problema
con Georg, risolvetelo fra di voi!».
Gustav odiava trovarsi in quelle situazioni. Ora doveva persino aiutare
Tom a nascondersi da
Georg! Erano entrambi suoi amici e per questo non sopportava di dover
mentire ad uno per proteggere l'altro - anche perché il
rasta non doveva essere protetto da un bel niente, se non dalla sua
stessa stupidità -. Ma come sempre non aveva scelta.
«Dai, Gustav! Ti ho mai chiesto un favore? No. E allora, una
volta ogni tanto, aiutami!», cercò di convincerlo
l'amico, nascondendosi dietro la sua ampia schiena e obbligandolo ad
avanzare furtivamente verso la cucina.
«In realtà me ne hai chiesti fin troppi, di
favori».
Tutto fiato sprecato. Tom era andato nel panico e aveva messo in mezzo
anche lui.
Il punto era che Gustav non era bravo a mentire e con molta
probabilità non sarebbe stato in grado di aiutarlo in nessun
modo. Lui detestava dire le bugie, soprattutto ai suoi amici.
Riuscirono ad entrare in cucina, dove tutto sembrava stranamente in
ordine - Simon aveva proprio sistemato ogni cosa -. Tom prese a
guardarsi attorno, in cerca di un nascondiglio perfetto; alla fine,
riuscì soltanto a rimediare il tavolo e la lunga tovaglia
che vi era posata sopra.
Prese Gustav per le spalle e lo guardò dritto negli occhi.
«Mi raccomando: devi essere credibile. Se ti chiede dove sono
andato, tu digli che sono uscito a fare un giro. E... consigliagli di
fare lo stesso».
Il batterista alzò gli occhi al cielo, esasperato.
«Che cosa stupida, Tom! Non puoi semplicemente-».
«Sta arrivando!», sibilò agitato l'altro.
In un batter d'occhio, Gustav lo vide scomparire sotto il tavolo e,
proprio quando fece per girarsi e guardare la porta della cucina, si
ritrovò davanti la figura ancora assonnata di Georg.
«Ah, Gustav», mugugnò quello,
mettendogli una mano sulla spalla.
Tentò di sorridere, ma ciò che ne venne fuori fu
soltanto una smorfia sospetta.
Perché tutte
a me?! imprecò dentro di sé.
«Sai dov'è Tom?».
«È-È andato a fare un giro,
sì».
Georg rimase perplesso da quella risposta. Perché Tom era
uscito senza dirgli niente? E poi non era da lui svegliarsi
così presto, la mattina.
Ci pensò su un istante e si convinse che probabilmente aveva
delle cose da fare.
«Ti ha detto dove andava?».
Gustav negò col capo. «P-Però potresti
uscire anche tu. Chissà... magari lo incontri».
Si sentiva veramente male a mentirgli così spudoratamente.
Inoltre non appariva convincente nemmeno a se stesso; sicuramente Georg
non gli avrebbe creduto e da lì a poco gli avrebbe chiesto
spiegazioni.
Lanciò un'occhiataccia al tavolo e imprecò dentro
di sé. Era tutta colpa di quell'idiota!
«Hai ragione».
Tornò a fissare il bassista e i suoi occhi si riempirono di
stupore. Ci aveva creduto veramente?
«Comunque, se lo senti, digli di chiamarmi».
Annuì frettolosamente con il capo e cercò di
sorridere. Trattenne il respiro fino a che non lo vide voltargli le
spalle e allontanarsi dalla cucina.
Ancora non poteva crederci. Come diavolo aveva fatto Georg a non notare
il suo disagio, il suo falso sorriso e il suo modo di balbettare? Erano
cose così evidenti! Perfino un perfetto sconosciuto si
sarebbe accorto che qualcosa non andava.
«Ben fatto!», lo raggiunse la voce di Tom.
Si voltò e lo vide far capolino da sotto la tovaglia.
Sembrava soddisfatto, a giudicare dal suo sorriso.
«Certo però che potevi balbettare di meno,
eh».
Lo fulminò con lo sguardo. Se avesse potuto, lo avrebbe
sbranato vivo. Non gli andava mai bene niente!
«Tu ne hai approfittato!».
«No, Bill. Sei tu che mi hai chiesto di restare, e te lo
ripeto per la millesima volta».
Quel discorso andava avanti ormai da un'ora e Bill non si era ancora
stancato di sbraitare. Non un segno di cedimento, non uno di
stanchezza... Ma dove le prendeva tutte quelle energie? Era davvero
impressionante!
Simon stava ancora finendo di mettere a posto il salotto - proprio come
se fosse a casa sua - e il moro non faceva altro che andargli dietro e
urlargli contro. Eppure avevano soltanto dormito insieme su un
divano... Niente di così sconvolgente.
«E tu perché hai accettato? Dovevi darmi una botta
in testa e farmi rinsavire!».
«E scompigliarti i capelli?», ridacchiò
divertito.
Bill si bloccò improvvisamente e si portò un dito
al mento con fare pensieroso. Effettivamente aveva ragione. Lui odiava
che qualcuno gli toccasse i capelli, a meno che non fosse per
accarezzarglieli e fargli le coccole. Su quello Simon non aveva
sbagliato, doveva concederglielo.
«Va bene, ma potevi fare qualcos'altro!»,
affermò alla fine, incrociando le braccia al petto.
Il biondo rise appena e per un momento lasciò perdere le sue
faccende. Era strano come riuscisse a trovare adorabile un soggetto
così strano, nei suoi momenti peggiori. Probabilmente era
quel piccolo broncio che aveva messo su a farglielo piacere
così tanto.
Gli si avvicinò lentamente e, quando furono faccia a faccia,
sorrise. «Ti sei sfogato abbastanza?», gli chiese
con una punta di sarcasmo nel tono della voce. Lo vide aprire la bocca,
pronto a ribattere ancora, ma lo fermò prima.
«Perché si dà il caso che io debba
ancora ringraziarti per la festa di ieri».
Bill inarcò un sopracciglio, scettico. «Ma l'hai
già fatto».
«Non come si deve».
Simon si sporse in avanti e, ignorando completamente l'espressione
sconvolta dell'altro, posò le labbra sulle sue. Fu un bacio
semplice, lieve, ma bastò per far sì che Bill
provasse una scarica elettrica lungo tutta la spina dorsale. Quando
l'americano si scostò, non ebbe la forza di ribattere in
alcun modo.
Lo vide sorridere. «Altre sfuriate, o per oggi abbiamo
finito?», gli chiese divertito.
Il moro dischiuse appena le labbra e lo fissò basito. Per la
prima volta qualcuno aveva avuto il potere di lasciarlo completamente
senza parole.
Simon non smise di sorridere neppure per un istante. Soddisfatto di
aver placato 'l'uragano Bill', gli voltò le spalle e riprese
a fare ciò che poco prima aveva abbandonato. Considerando il
fatto che non aveva ricominciato a strillare, era un buon inizio.
Tom, guardandosi attorno per accertarsi che Bill non si trovasse nei
paraggi, salì di corsa le scale che lo condussero al piano
superiore. Ora che Georg era fuori gioco, avrebbe potuto prendersi un
intero pomeriggio per pensare al da farsi - ovviamente evitando anche
il gemello -. Non aveva ancora deciso e necessitava di tempo.
Era grato a Gustav per averlo aiutato, ma quella sera il suo problema
principale si sarebbe ripresentato e allora avrebbe dovuto dargli una
risposta.
Quella situazione lo metteva in ansia. Ecco perché aveva
sempre sperato di non trovarcisi dentro. Ecco perché
osannava il sesso e odiava l'amore. Il primo portava piacere,
il secondo soltanto guai.
Mentre rimuginava su queste cose, raggiunse la sua stanza.
Innanzitutto, si sarebbe fatto una bella doccia; poi avrebbe trovato
una soluzione ai suoi problemi, in un modo o nell'altro.
Finalmente rilassato, varcò la soglia della porta. Ma la sua
tranquillità durò poco, perché la
persona che si ritrovò davanti era l'ultima che si sarebbe
aspettato.
«Ma che...?», balbettò sconvolto.
Georg, seduto sul letto, posò gli occhi su di lui.
«Sorpreso?».
Quello era il peggio che poteva capitargli. Ma che ci faceva
lì il bassista? Non era uscito a cercarlo?
Lo vide alzarsi in piedi e avanzare lentamente verso di lui. La sua
espressione era spaventosamente seria.
«Gustav non sa fare a mentire», mormorò
con una smorfia. «Ho capito subito che qualcosa non
andava».
Non seppe come replicare. Il suo corpo era semplicemente pietrificato.
Si limitò ad abbassare gli occhi sul pavimento, deglutendo
nervoso.
Merda, merda, merda!
«Allora... Cosa c'è che non va?».
Non riuscì a rispondergli. Cosa doveva dirgli? Che il suo
fottutissimo 'ti amo' lo aveva mandato fuori di testa? Era fin troppo
umiliante.
Però effettivamente la colpa era la sua. Lui aveva fatto
sì che le cose si complicassero, quando invece avrebbero
potuto essere così semplici.
Il suo sguardo si indurì quando risollevò il viso
per guardarlo negli occhi. «Hai violato l'unica regola che
aveva imposto».
Georg sbatté le palpebre un paio di volte, confuso dalle sue
parole. «Ma che stai dicendo? Quale regola?».
«Doveva essere soltanto sesso, Georg. Non amore!»,
sbottò con fare quasi disgustato.
«Perché mi hai detto... quella cosa, ieri
sera?».
Il bassista si lasciò scappare una risatina divertita.
«Fammi capire... Ce l'hai con me perché mi sono
innamorato di te?».
«Sì, cazzo!».
«Tom... È una cosa ridicola».
Tom non seppe più come ribattere. Un cosa ridicola? Oh, se
quella era una cosa ridicola, allora perché lo aveva messo
in ansia e costretto a farsi aiutare da Gustav per cercare di evitarlo?
Fece per dire qualcosa, ma Georg lo fermò, mettendogli le
mani sui fianchi e attirandolo a sé con un sorriso.
«Primo: ti ho detto che ti amo perché in quel
momento sentivo il bisogno di farti sapere ciò che
provavo... e che provo ancora. Secondo: non mi aspettavo alcuna
risposta, Tom».
Il rasta dischiuse le labbra, basito. «Non ti aspettavi
alcuna risposta?».
«No», ridacchiò l'altro. «Se
non è ciò che provi, non voglio una bugia. Mi
basta soltanto stare insieme».
Tom si lasciò sfuggire un sospiro di sollievo. Si era fatto
mille problemi e alla fine era stato tutto così semplice.
Forse avrebbe dovuto parlarne direttamente con lui, invece che tirare
in ballo Gustav e organizzare quello stupido piano. Ammetteva a se
stesso di essere paranoico, certe volte.
Con una punta di rammarico, fissò gli occhi del compagno.
«Non me la sento di dirtelo, Georg. Non so neanche io che
cosa provo veramente», si giustificò con un
piccolo broncio.
Georg lo trovò adorabile. Sorridendo, lo baciò
sulle labbra e lo spinse contro la parete più vicina; si
soffermò poi sul suo collo, succhiando forte un lembo di
pelle, prima di inginocchiarsi a terra e sbottonargli i pantaloni.
Alzò lo sguardo per vedere la sua reazione e con sollievo lo
trovò soddisfatto. Tom ghignò con fare malizioso
e immerse una mano fra i suoi capelli, incitandolo a continuare.
Quando dopo poco si ritrovò a dover soffocare i gemiti di
piacere, si rese conto che forse, il fatto che Georg lo amasse, non era
poi così un problema. Anzi.
Ma chissà che cosa provava lui veramente...
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