Ecstasy

di RobyWiccan
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Ecstasy - 1° Capitolo ***
Capitolo 2: *** Ecstasy - 2° Capitolo ***
Capitolo 3: *** Ecstasy - 3° Capitolo ***
Capitolo 4: *** Ecstasy - Epilogo ***



Capitolo 1
*** Ecstasy - 1° Capitolo ***


Una mattina di primavera. Il classico scenario da film hollywoodiano con giovani passerotti che si rincorrevano cinguettando tra le fronde scosse da un leggero venticello. Una piccola stradina con poche macchine, solo quelle che si sentivano dalla più trafficata via laterale, sembrava quasi deserta tranne per qualche ragazzino che passava in bicicletta a buttare il giornale. Tante piccole casupole si susseguivano per la strada, l'una accanto all'altra. Ma ce n'era una in particolare che sembrava la più bella di tutte. Una casetta bianca, con un piccolo portico davanti al quale si trovava un giardino ben tenuto. Tutt'intorno alla casa correvano delle aiuole fiorite, di mille colori vivaci. Ed è proprio lì che un piccolo bambino giocava con il tubo dell'irrigazione. Avrà avuto sì e no dieci anni, forse anche meno. Un piccolo berretto bianco lasciava sfuggire dei piccoli ciuffi mori ribelli. Dovevano essere il frutto di un vano tentativo di metterli in ordine.

 

"William, vieni qui dai!"

 

Il piccolo volse due grandi occhi color cioccolato in direzione di quella voce calda e dolce sorridendo. Posò il tubo e corse verso la donna in ginocchio. Il cappello volò via in terra mentre correva. La donna sorrideva davanti a delle ortensie, evidentemenete aveva appena finito di sistemarle e posato la paletta da giardino. La luce che passava attraverso le fronde dell'albero illuminavano i capelli lunghi e li facevano sembrare quasi vivi mentre tendeva le braccia per accogliere il bambino. Questo ci si buttò a capofitto e la strinse forte.
"Mamma!"
Ognuno di loro aveva un tesoro tra le braccia ed entrambi lo sapevano fin troppo bene. Wanda Maximoff non poteva essere più orgogliosa di quel bellissimo figlio e lui non credeva potesse esistere una donna più bella e dolce di sua madre. Appena si guardarono negli occhi poi sembrò che il paradiso dovesse impallidire al confronto. Pareva che il mondo esplodesse di vita ai loro sorrisi, i loro occhi che si incontravano erano quanto di più bello potesse mai esistere.

BILLY!”

Quell'urlo fermò tutto. Una porta si aprì è l'incanto s'infranse come uno specchio rotto. Lui rovinava sempre tutto.

 


Mi sveglio di soprassalto. Forse è stato un sogno, ma sono sicuro fosse un ricordo, un ricordo bellissimo. Ma la dura realtà al momento mi sta trapanando i timpani dal piano di sotto e la sveglia non può nemmeno sperare di competere. Il mio patrigno (mia madre non avrebbe mai potuto sposare un simile essere) sta imprecando con la sua voce fastidiosa e gracchiante.

Getto le coperte in fondo al letto e filo in bagno. Accendo la luce e alzo lo sguardo allo specchio. Il ragazzo che mi guarda nel riflesso è un giovane moro, asciutto, non eccessivamente alto e con il fisico magro. I muscoli sono esili e affusolati, diciamo che sono sufficientemente atletico da non sembrare una vera e propria mozzarella. La carnagione è pallida e tratteggiata da evidenti segni di botte che si intravedono su tutto il torace e le braccia. Avvicino il viso allo specchio a contemplare più da vicino con due occhi lucidi e marroni un piccolo taglio sull'arcata del naso. Non è profondo né tanto meno esteso ma sulla pelle risalta rendendolo molto evidente, troppo evidente. Mi sembra di essere uscito da una clinica per malati mentali così provo ad abbozzare un sorriso. Il risultato è tanto pietoso e patetico che lo copro velocemente con una maglietta nera e spegnendo la luce. Non ho voglia di guardare oltre quello spettacolo. La porta si chiude con un tonfo.

Giù il vecchio ha smesso di urlare. Nel salotto aleggia una puzza tremenda di alcol e droga. Un vero e proprio schifo, come lo stato in cui è la casa in generale. A dir poco pietoso. “Letamaio” sarebbe alquanto riduttivo come aggettivo. È un miracolo che non ci siano gli scarafaggi o i topi in giro.

Una volta non era così. Dalla cucina usciva sempre un po' di musica e le finestre erano sempre aperte in modo che il profumo di fiori e la musica si mescolassero. Ora erano chiuse, sporche e con le tendine tirate. Sceso dalle scale evito accuratamente di guardare in direzione della causa di tutto quel caos. Ora sta guardando programmi spazzatura alla TV, spaparanzato sopra un divano sporco e scucito. Non posso fare a meno di associarlo ad un maiale. Entro in cucina e apro lo sportello del frigo. Basso e sporco, semivuoto. Ci sono praticamente solo lattine di birra, pancetta, un barattolo di olive vuoto per metà, altri barattoli e alcune uova. Dalla credenza, che pure non compete per abbondanza, tiro fuori un pacco di cereali decisamente anonimi, per il resto è quasi vuota. Mangio in fretta, non vedo l'ora di andarmene da quello schifo. Buttata la tazza sporca nel lavello prendo la borsa a tracolla e filo a passo svelto verso l'uscita mentre la voce lamentosa riprende a mugugnare. Mi gira solo un'ultima volta per dare un saluto alla vecchia all'unica cosa che mi è rimasta di mia madre, la casa in rovina. Ricordo ancora quando le pareti erano bianche e dipinte di fresco e tutto intorno l'odore di fiori la rendevano perfetta.

Ciao mamma..”

La Abraham Lincoln High School non è troppo lontana, basta percorrere la Neptune Avenue e si può già scorgere il campo da football prima di girare nella Ocean Parkway. Qui mi attende il mio comitato di benvenuto. Le cheerleaders all'entrata, o almeno quelle che mi notano, e, credetemi, sono veramente poche, mi guardano con occhi vagamente schifati, poi tornano a chiacchierare sull'ultimo pettegolezzo come se niente fosse. La scuola rimane comunque un paradiso rispetto a casa. Lì non è mai cambiato niente, i ricordi non mi assalgono quando passo nei corridoi o durante le lezioni. È sempre stato così.

Oh, eccoli. Con il loro grande strascico di gloria e ragazze.”

Dico tra me e me mentre le majorette si avvicinano ad alcuni giocatori della squadra di football come mosche sulla frutta marcia. Lo trovo vagamente disgustoso così cerco di non pensare alla giornata terrificante che mi si prospetta e filo velocemente in classe. Sembro un paria quando attraverso la stanza. Scivolo nel banco meno in vista, magari uno attaccato alla parete, e tiro fuori il necessario. Una penna e un quaderno con il mio sopra, Billy Kaplan.
Solo mia madre mi chiamava William e non voglio che lo faccia nessun altro. Questa è anche l'unica sorta di accordo che c'è tra me e il mio patrigno. Il cognome è quello del padre che non ho mai conosciuto. Mia madre diceva sempre che era un uomo bellissimo e dolce, proprio come me. Che quando sarei cresciuto sarei stato esattamente come lui.

L'insegnante entra in classe e comincia a spiegare. Mi reputo abbastanza intelligente ma nelle lezioni non eccelgo, cerco il più possibile di mantenere un profilo basso e non farmi notare. Perfino i professori si astengono dal rivolgermi la parola se non è strettamente necessario. In ogni caso non mi sforzo, potrei fare molto di più ma mi limito a quello che basta a prendere un buon voto, che mi impedisca di venir bocciato ma che non mi faccia spiccare come genio. Perdere l'anno è fuori questione, finire gli studi potrebbe essere l'unico modo per poter smettere di lavorare per il mio patrigno, il lavoro che vuole che io faccia. Mi hanno consigliato molte volte, alcuni professori, di andare dal consulente scolastico. Mi sono sempre rifiutato. Meno sa la gente di me e meglio è per tutti. Nessuno ha voglia di avere a che fare con uno sfigato come me, per di più gay. Questo però nessuno lo sa e prego Dio o chi per lui che nessun altro lo venga mai a sapere. Già con il tutore è stato un errore, gli aveva solo dato un'altra possibilità di rovinarmi la vita, meglio che non lo sappia nessun a parte oltre ai miei.. Clienti.

Mentre cammino nel corridoio un ragazzo mi distoglie da questi pensieri tirandomi una spallata tale che manda a terra me e tutti i libri che tenevo in mano. È il numero 27 della squadra di football, uno dei ragazzi più in vista della scuola. Questi scoppia a ridere, fiero della sua impresa, senza nemmeno guardarmi in faccia.

Greg, piantala!”

Il suo compagno, il numero 55 lo riprende. Io non dico niente, non li guardo nemmeno. Prendo le mie cose senza alzare lo sguardo, la campanella suona e io mi immetto nel fiume di gente che sta uscendo. Adesso sono libero di tornarmene a quell'inferno che non ho il coraggio di chiamare “casa”.

Arrivato finalmente in camera mi siedo alla scrivania. In un paio d'ore ho finito tutto mentre sgranocchiavo qualche cracker, a dimostrazione del fatto che se mi impegno posso fare di più. Cerco di non pensare a nulla per il resto del pomeriggio. Magari scrivo qualcosa, faccio la spesa con i pochi soldi che avanzano, oppure disegno un po'. Non sono un vero e proprio artista, ma me la cavo. Quando ho esaurito le idee mi butto sul letto e guardo il soffitto, con le cuffie attaccate.
Alla fine della giornata vengo interrotto. Il cellulare vibra leggermente sul letto e così mi alzo togliendo le cuffie, rassegnato. Il messaggio è praticamente lo stesso ogni volta, cambia solo l'orario e la persona. Mi alzo e torno di sotto, infilandomi la giacca mentre scendo le scale. Prima di chiudermi la porta alle spalle mormoro solamente una piccola frase.

Vado a lavoro..”

 


La sera prima nel campo di football della Lincoln Theodore “Teddy” Altman recupera la palla ai margini della mischia e scatta, inserendosi a fondo nella metà campo avversaria ed evitando abilmente due cariche avversarie. La piccola folla di Lincoln avverte un brivido di aspettativa che scuote tutte le tribune perché il numero 55 ha tutte le carte in regola, velocità e potenza, per arrivare fino in fondo. Si avvicina sempre di più, venti, dieci, cinque iarde ed è fatta! Ma all'ultimo secondo un placcaggio del più grosso degli avversari, che lo supera di una buona spanna, lo manda dritto a terra mentre il giocatore avversario, detto “Golia” lo copre alle telecamere della TV con la sua enorme mole. L'arbitro interviene, la folla urla indignata mentre Altman viene liberato dalla massa di giocatori e la palla si scopre oltre la linea! La folla è in visibilio e un urlo fragoroso si leva unanime da tutti i tifosi del Lincoln che si alzarono dalle tribune come una gigantesca onda, cercando di correre a bordo campo per applaudire il campione che ora veniva portato in trionfo dai suoi compagni di squadra.

 


Sto aspettando dietro al NetCost Market, sotto il cavalcavia, mentre un treno passa sferragliando a tutta velocità con un gran clangore metallico. Le luci del negozio rimangono sempre aperte fino alle dieci, il che significa che sono chiuse già da un pezzo. In ogni caso la luce dei lampioni della ferrovia sopra bastano ad illuminare discretamente la zona. Quel tanto che basta per farsi vedere solo da gente che sa dove trovarmi.

 

Se quel cretino non si decide ad arrivare giuro che me ne torno a casa.”

 

Sbuffo, ma ci ripenso subito dopo tastandomi la piccola cicatrice sulla testa, poco sopra la nuca. Non voglio che si ripeta quello che è successo un paio di anni prima, in coincidenza con l'inizio del mio discutibile “mestiere”. Da quanto tempo lo faccio? Un sacco. Nemmeno mi ricordo più quanto. So solo che serve a portare a casa i soldi necessari per pagare bollette, cibo e la droga di McLowes. La mia casa, la droga del patrigno.

Quando mia madre se n'è andata, mi sembrano secoli, il testamento indicava che tutti i beni appartenuti a mia madre ora appartenevano a me, la casa in primis. Non al patrigno, lui era solo il compagno, il mio tutore, ancora non posso credere che mamma convivesse veramente con un uomo del genere. Sicuramente era per prendersi cura di me, lui era solo il tutore legale e non aveva praticamente nessun diritto su quella casa. McLowes, lui è l'avvocato che doveva occuparsi della mia sorveglianza. Questo perché il vecchio aveva già precedenti per possesso di droga e cose del genere, ottima idea affidarmi a lui, sarei stato meglio da solo, ma al tempo ero troppo piccolo. Gli avevano dato la libertà vigilata per potersi prendere “cura” di me e appena scontata la pena aveva ricominciato, più bisognoso che mai di quella dannata polvere degli angeli o come la gente si divertiva a chiamarla. Quel cosiddetto avvocato era l'unica persona che poteva procurargliela. Nemmeno lui era uno stinco di santo, era stato ben felice di prendersi la briga di fargli da spacciatore privato. Dietro lauto compenso ovviamente. Compenso che ovviamente il sottoscritto deve procurare, pena le botte. McLowes prende i soldi volentieri in cambio anche del silenzio con le autorità. Me lo immagino già, tutto impettito a fare il suo rapporto mensile o quel diavolo che è, sorridendo con quella sua faccia pomposa del cazzo e i suoi dannati baffoni da tricheco a dire al giudice che andava tutto a meraviglia mentre io a casa sputavo sangue dalle botte. Il sistema perfetto, a miei danni.

 

E io mi prendo legnate per gente come questo deficiente che non si decide a farsi vedere?” Dico sputando a terra.

 


La sera, subito dopo la vincita, è grande festa giù alla NonStop, la discoteca più popolata da adolescenti stracotti di chimica della città, quel genere di posti dove puoi ritrovarti incinta e devi indovinare tra cinquanta persone chi sia il possibile padre. Sono ancora elettrizzato dalla vittoria ma mi limito alla birra, anche se sto eccedendo pure in quella visto che mi scappa da morire. Mi guardò intorno tra le luci giallo, verde, blu, magenta che si susseguono a ritmo incessante e mi sembra di riconoscere qualche mio compagno. C'è chi scompare in qualche angolo più buio insieme ad una ragazza sempre diversa per una sveltina. Chi a vomitare fuori in mezzo ai cespugli. Chi a farsi strisce di coca o ecstasy o non ho idea di cosa sia sui tavoli sparsi. Chi è già a vaneggiare su vibrazioni positive nell'aria. Scivolo fino al bagno per scaricare la vescica, è il classico cesso. Scritte ovunque risalenti forse anche alla prima apertura del locale. Frasette d'amore scontate e altre cavolate. Con un mezzo sorriso, forse dovuto anche alla quantità d'alcool che ho in corpo, alzo lo sguardo alla lampadina piena di ragnatele intorno alla quale volavano dei rumorosi moscerini. Mi illumina gli occhi azzurri e devo sbattere le palpebre per il fastidio che mi dà. Le pupille continuavano a restringersi ed allargarsi, devo fare veramente impressione. Quelle luci stroboscopiche mi hanno spappolato il cervello.. O forse qualche qualche mio compagno mi ha appena messo mezza dose di acidi nella birra.

Tirata l'acqua mi accorgo di una piccola scritta dietro la catenella: numero di cellulare e la classica scritta che tutti i giovani si divertivano a scrivere sul retro dei sedili degli autobus dopo essere stati lasciati dalle rispettive fidanzate. La classica promessa di una “serata interessante” da passare con qualche sconosciuto.

Che gran cagata.”

Penso con una mezza risata ma rileggendo mi accorgo che è più che chiaro che il cosiddetto sconosciuto accetti solo clientele di tipo maschile. Subito capsco il senso della scritta e per poco non mi strangolo con la saliva. Ho sempre saputo di avere interessi “diversi” dagli altri miei compagni, sempre a sbavare dietro alla puttanella di turno. Mentre io ho sempre cercato di non far scoprire a nessuno quali fossero i miei interessi in fatto di relazioni. Molte ragazze mi ronzano spesso intorno ma ho sempre cercato di allontanarle. Non oso immaginare quello che succederebbe se qualcuno scoprisse che mi piacciono i ragazzi. Quella possibilità così semplice, quasi troppo, mi mette in difficoltà. Sbatto le palpebre con forza. La scritta se ne sta ancora lì, dietro alla catenella ciondolante. C'è una vocina dentro di me che continua a parlarmi.

Andiamo Teddy, è un'occasione unica. Sei adolescente, nessuno te ne fa una colpa. Nessuno lo verrà a sapere. Chi vuoi che lo scopra? Andiamo che vuoi che sia? Ti meriti un piccolo premio per la vincita, dopotutto.”

Sarà l'agitazione. Sarà la vincita. Sarà l'alcool. Sarà l'acido. Si dà il caso che, preso il cellulare digito il numero con un breve messaggio.

"Alle 11, ci stai? Dove ti trovo?"

La risposta arriva dopo pochi minuti.

"Dietro al NetCost Market, sulla W 6th St. Ci vediamo."

Uscito dal bagno mi perdo di nuovo nella folla che balla in preda ad una nuvola di chimica pura, musica spacca timpani e luci stroboscopiche. Del messaggio quasi mi dimentico, me ne ricorderò ben dopo, magari la mattina con un mal di testa da panico.

 


Il freddo sta diventando insopportabile, e non siamo nemmeno in inverno. Mi mordo le labbra al pensiero di dover tornare a casa senza i soldi per il patrigno. La cicatrice sulla nuca sembra quasi pulsare risvegliando vecchi, orrendi ricordi. Mi tornano prepotenti alla mente e a volte non posso fare nulla per togliermeli dagli occhi.

McLowes era venuto a casa per parlare con il vecchio, si erano salutati come dei vecchi amici e il patrigno mi aveva urlato di sparire con un calcio. All'epoca ero poco più di un ragazzino, tredici anni o poco meno. Filai in cima alle scale tra gli sghignazzi dei due uomini. Rimasi in cima, sul pianerottolo, ad aspettare che se ne andassero enrambi, come facevo sempre in queste situazioni. Ma poco dopo, sempre con la sua voce gracchiante, il vecchio mi aveva chiamato giù e l'avvocato aveva cominciato a parlarmi. Non mi aveva invitato a sedermi, in casa mia. Aspettavo in piedi e ora mi guardava con i suoi piccoli occhi lucidi e la faccia arrossata e sudata per un bel po' di vino bevuto prima.

Tu sei William, vero?”

No, Billy.” Doveva averlo letto sui miei documenti, il mio nome ufficiale. Nessuno poteva chiamarmi con quel nome se non mia madre. Nessuno mi ha mai chiamato così tranne lei ma rimasi comunque intimorito mentre il mio patrigno sbuffava infastidito da questa apparente sottigliezza.

Bene.. Billy, il tuo patrigno e io abbiamo chiacchierato un po' prima. Riguardo a te." Continuò McLowes. A lui serve una cosa che solo io posso dargli, mi segui?” Annuii. L'avvocato quella volta mi sembrava una specie di grasso tricheco e continuo ancora a vederlo in quel modo dopo tutti questi anni.

Bene, ora, sai che il tuo tutore non ha un lavoro vero? Beh, noi crediamo che tu sia abbastanza grande per lavorare. E il genere di lavoro che lui ha in mente per te è questo..” E mi fece segno di avvicinarmi.

Quando me lo disse all'orecchio mi ritirai inorridito. Cominciai a dire che era fuori questione, che non l'avrei mai fatto. Guardai il patrigno, schifato, sapevo benissimo che l'idea era partita da lui. Era la peggior punizione possibile per me. Dissi che erano pazzi e feci per andarmene. A quel punto il vecchio si alzò di botto e mi si scagliò addosso, prendendomi per la maglia e gettandomi sul tavolo davanti agli occhi porcini e stupiti di McLowes e facendo cadere tutti i bicchieri in frantumi. Molti mi graffiarono, sembrava di avere mille aghi infilati nella schiena. Cercò di strangolarmi tant'era sbronzo ma non dubito che lo avrebbe fatto volentieri anche da sobrio. Cercai di di spingerlo via con i piedi e a quel punto il vecchio non ci vide più. Mi scaraventò contro i mobili della cucina, inciampai e presi lo spigolo del lavandino dritto sulla testa, non ricordo di aver mai perso tanto sangue in vita mia. Mi sembrava di vedere rosso ovunque ed ebbi incubi per parecchi giorni. Vedevo solo la sagoma confusa di un uomo. Quel bastardo di McLowes ci aveva messo un'eternità a capire che il tutto non era uno scherzo, mi guardava con i suoi dannati occhietti da tricheco. Alla fine erano stati i vicini a chiamare l'ambulanza per via dei rumori. I due avevano finto di essere appena tornati dopo una passeggiata e di aver trovato la porta aperta, dissero che probabilmente erano stati i ladri. Nell'ambulanza c'erano solo loro dietro e in un momento di lucidità ricordo di averli sentiti parlarmi. Sembravano molto agitati, ma non lo erano per me.

Non dirai niente, hai capito? Nessuno lo deve sapere. Nessuno. Non dirai niente.”

Sebbene siano passati quasi tre anni quel ricordo ancora mi spaventa a morte. Sto cominciando a diventare veramente nervoso. Mi immagino già di tornare a casa con lui che si aspetta i soldi. Mi sembra di sentire la testa pulsare ancora mentre un uomo mi parla. Ho la nausea.

Mi giro con gli occhi sempre più lucidi sperando che la macchina si faccia vedere il prima possibile. Quando però vedo due fasci di luce gialla di un Pick Up scuro comparire dietro una delle grandi colonne di ferro mi lascio sfuggire un gridolino di sollievo e mi affretto ad asciugarmi le lacrime di nervosismo che avevano minacciato di uscire da un momento all'altro.

 


Quando mi avvicino alla figura davanti a me le mani mi sudano per il nervosismo e tenere in mano il volante è una vera e propria tortura. Continuo a pensare a questa mattina, quando mi sono svegliato con un mal di testa incredibile e ho trovato la conversazione della notte prima. Nemmeno ci credevo di aver fatto una cosa simile. Eppure il messaggio era lì, ed ora io sono in macchina. Il mio Pick Up che, i miei genitori, madre avvocato e padre medico, mi hanno regalato e continuo a pensare.

Perché ho mandato il messaggio? Ma soprattutto.. Perché non sono rimasto a casa!?

Appena mi avvicino alla sagoma scura del ragazzo ho l'impressione di averlo già visto da qualche parte ma nel momento in cui apro i finestrini mi rendo conto è proprio un mio compagno di scuola! E' lo stesso che Greg ha colpito stamattina. Non sono sicuro di come si chiami, non ci ho mai fatto troppo caso. È il tipico sfigato che si vede in tutti i film ma che tutti sanno essere reali, sempre con qualche botta o livido in faccia. Sembra sempre che venga picchiato da qualche bullo ma nessuno lo ha mai visto in giro e io la maggior parte dei bulletti della scuola li conosco. Si divertono a fare le loro bravate, ad infilare la testa di quelli del primo anno nel cesso, a mettergli del fango negli armadietti o quant'altro. Ma non arriverebbero a tanto. So per certo che non si azzarderebbero mai a picchiare nessuno senza un valido motivo, e comunque mai così pesantemente. E allora perché? Viene picchiato a casa? Quelle botte certe volte sono talmente violente che i miei compagni del football non si azzardano nemmeno a commentare. Non a caso ha un taglio proprio sul dorso del naso e una pessima cera. Non lo avevo notato oggi.

Se mi sentivo a disagio già a farmelo fare da uno sconosciuto figuriamoci con lui. Un verme, ecco come mi sentirei.

Non ci ho mai fatto tanto caso, nei corridoi, ma se ne sta sempre per i fatti suoi. Non parla mai, non mi ricordo nemmeno quali lezioni abbiamo in comune. Chimica? Letteratura? Non so nemmeno che voce abbia, forse non l'ho mai sentita effettivamente. Quei pochi che ogni tanto ne parlano pensano che sia uno di quei dark, emo depressi o quant'altro, alcuni lo chiamano “Mr. Nessuno” o “Mr. Invisibilità”, ma sono talmente pochi che ne parlano che sembra veramente.. Invisibile.

Non si può dire che non sia un bel ragazzo in effetti, ma cosa diavolo ci fa in un posto come questo? E, soprattutto, a spacciare il proprio numero di telefono per certi servizi ad ogni genere di depravato?

Ah già, ci sono pure io qua.

 


La macchina si accosta al lato della strada superandomi di qualche metro e fermandosi, con il motore acceso che sembra faccia le fusa. Un gran bel Pick Up, devo ammetterlo.

Il numero è nuovo, sicuramente sarà il solito uomo d'affari con moglie e figli che non sa come sfogare lo stress della settimana, Penso. Eppure mi sembra di aver già visto la macchina da qualche parte..

Quando si abbassano i finestrini invece si scopre essere nientepopodimeno di.. Uno dei giocatori di football più in vista della scuola! Che diamine ci fa qua? Mi sembra quello di stamattina, è il numero.. 55. Come si chiama? Ted? Theodore? A scuola è sempre circondato, insieme ai suoi compagni di squadra, da mille cheerleader e altre ragazze, quelle poche popolari abbastanza da sedere all'omonimo tavolo. Deve aver trovato il mio numero in qualche discoteca, quando speravo di trovare qualcuno più giovane in questo male. Probabilmente erano tutti troppo fatti per accorgersi della piccola scritta dietro alla catenella. È la persona più giovane che si sia mai fermata da me, di solito sono solo sopra i quaranta, e probabilmente anche il biondo non si aspettava un ragazzo così giovane, meno che mai il sottoscritto. Lo sfigato della scuola. Poi mi rendo conto di una cosa a cui nel primo istante non ho fatto caso.

Un momento.. Lui, gay?

Cerco di mascherare l'espressione sorpresa dalla faccia semplicemente distogliendo lo sguardo e non aspettare nemmeno un invito ad entrare in macchina.

Fa un freddo cane stasera vero?”

Dico mentre la portiera si chiude con uno scatto. Lo vedo nervoso e non aspetto nemmeno una risposta, la mia era una semplice domanda di cortesia. Anche inutile in queste situazioni ma mi ha preso in contropiede. Perché diamine ha ancora quell'espressione sulla faccia?!
Cinquanta dollari, parcheggio del Century Playground e poi mi riporti qui, OK?

Non mi perdo in convenevoli. Sono parecchio nervoso a causa di tutta quella tensione che sta crescendo in quella macchina, sembra di doverci annegare dentro da un momento all'altro.

Andiamo, non ho tutta la sera.” Taglio corto.

Forse il tono della voce è un po' alterato ma sortisce l'effetto desiderato. Con un piccolo sobbalzo, quasi impercettibile, il biondo si riscuote e mi toglie quegli strabuzzati occhi azzurri di dosso, ingrana la marcia e si decide a partire. Giriamo e ci immettiamo nella Neptune Avenue fino alla Ocean Parkway. Lui non è sicuramente di lì, è dei quartieri ricchi, senza ombra di dubbio. Mi ci gioco il culo, il che è tutto dire, che vive nella zona di Brighton. Ha una guida sciolta nonostante il nervosismo che trasparisce chiaramente. L'abitacolo è ben riscaldato rispetto a fuori, non siamo nemmeno in autunno inoltrato e già la sera fa un freddo cane. Sfiliamo tra le mille automobili che affollano Ocean Parkway quella sera e io finalmente mi rilasso sul sedile di pelle morbida, guardando fuori. Sono queste le uniche occasioni che ho di fare un giro in macchina ma non sono per niente piacevoli. Il più delle volte, se non sempre, quando torno a casa la prima cosa che faccio è andare a vomitare. Odio fare tutto questo. Mi dico che odiare il ragazzo alla mia sinistra non ha senso, non è colpa sua se ha trovato il mio numero. E' colpa del mio patrigno che mi ha costretto a fare tutto questo. E' colpa di McLowes che non ha mai denunciato nulla e non lo farà mai. Secondo me temono la mia maggiore età più della peste.

Scendiamo sulla destra fino al Century Playground e ci fermiamo nel parcheggio subito prima.

Ho rinunciato da tempo ad attaccare bottone con il biondo e cerco di ricordarmi il suo nome. Altman.. Altman qualcosa. Rinuncio. In ogni caso siamo appena arrivati.

 


Sono nervoso per tutto il tempo del viaggio e mi sudano le mani, di tanto in tanto me le asciugo sui pantaloni e spero che il moretto non lo noti. Ma sono sicuro che se n'è accorto eccome, anche se guarda fuori. Ha uno strano atteggiamento, prima mi sembrava quasi spaventato, poi irritato e ora rilassato. Ma è malinconico. Lo vedo dalle spalle abbassate e l'espressione cupa e corrucciata. Mi vergogno tantissimo di tutto questo e non so come resisterò alla prossima mezzora. Dopo una decina di minuti siamo arrivati, non ha bisogno di indicarmi il piccolo parcheggio prima del parco, sembra fatto apposta per l'occasione. Questo pensiero mi sconcerta un po' perché era un parco che da piccolo frequentavo con i miei genitori, è un tantino inquietante ora che sono qui, in questa situazione. Spengo il motore. Si sentono solo alcune macchine più rumorose di altre che vengono dallo stradone e passa un treno poco sopra di noi. Ma mi sembra tutto così assurdo. Sento freddo umido vicino alle orecchie e sul collo. Sono in preda al panico e anche un cieco se ne accorgerebbe. Me ne rimango immobile, paralizzato. Non so cosa fare. Abbasso a fatica le mani dal volante e, anche se può sembrare equivoco, stringo il cambio cercando di smorzare la tensione, quasi fosse un'ancora di salvezza. Ho la gola secca che sembra segatura. Nemmeno prima di una partita mi sento così ed è terribile. Non so cosa fare. Un ragazzo che, okay, conosco solo di vista ma va a scuola con me sta per.. Non voglio nemmeno pensarci. Non può succedere così. È sbagliato. Anche per lui. Non capisco. Perché è qui. Perché lo fa. Non è giusto che succeda così. Mi immagino la scena di quello che sta per succedere e cado praticamente nel panico. Non sono pronto. Mi vergogno come un cane per aver approfittato di questo ragazzo e sinceramente non so cosa fare. Non ho la scusa di essere stato ubriaco perché non lo ero, non così tanto. E in ogni caso avrei potuto fare finta di nulla e non venire affatto. Non sapevo nemmeno chi fosse e la cosa era reciproca. E poi è pure carino, mi sentirei veramente un verme se glielo lasciassi fare. Aspetta. Carino? E da dove mi è uscita questa? Sono sicuro che già mi odia. Potrei dargli direttamente i soldi, anche di più. Ma non posso mica chiedergli di dimenticarsi la mia faccia e di far finta di nulla. No, non posso lasciarglielo fare.

Il mio cervello cerca disperatamente una via d'uscita mentre tutto questo mi attraversa la mente un secondo prima di cadere veramente nel panico.

 


Teddy (grazie al cielo mi sono ricordato il nome!) è tanto teso che probabilmente se qualcuno lo toccasse con un bastoncino potrebbe fare un salto di venti metri da seduto. Delle piccole perle di sudore gli si sono formate sulle basette e il pomo d'Adamo va su e giù che sembra un ascensore. Non ne posso più di questo silenzio, quest'immobilità nell'aria. Decido che prima mi toglo la sua faccia dal campo visivo e meglio è per entrambi e così faccio l'unica cosa che so fare in queste situazioni. Una cosa che detesto fare. Mi abbasso verso il suo inguine e tendo la mano per slacciare la cintura dei pantaloni. Non l'ho nemmeno sfiorato che sobbalza e mi allontana con uno schiaffo. Per un attimo lo guardo negli occhi, esterrefatto. Poi mi sento quasi avvampare mentre sento montare dentro una rabbia autentica. Ma cerco di preservare un minimo di autocontrollo e prendo un bel respiro profondo prima di parlare con il tono più gentile che riesco a rimediare in quel momento. Anche se sono sicuro che il risultato non sarà troppo convincente. Forse è meglio così, gli indecisi mi stanno veramente sul cazzo.

Senti amico, a me quei soldi servono. Facciamo così, che ne dici se ci facciamo una chiacchierata e poi mi dici quando hai voglia di fartelo fare?”

OK, probabilmente il tono non è stato per niente convincente. È carino. Molto carino. OK non era proprio una sberla. No, d'accordo, non lo era. Ha cercato di allontanarmi ma era tanto teso che è scattato come una molla e mi ha colpito. Ma la cosa mi fa andare in bestia. Mi manda un messaggio in piena notte. Mi fa aspettare al freddo tanto che rischio l'infarto e poi non mi lascia nemmeno fare il mio lavoro? Nemmeno mi piace farlo! Ho solo bisogno di quei soldi, cazzo. E' tanto difficile da capire? Sennò perché crede che starei lì? Perché mi piace beccarlo in culo dal primo pedofilo che mi capita a tiro?

Poi mi calmo. D'altra parte posso capirlo. Mi ricorda me stesso le mie prime volte. Ogni volta ero sul punto di piangere e arrivato a casa vomitavo spesso, poi mi rintanavo sotto le coperte in modo che il vecchio non mi sentisse piangere.

Quasi mi dispiace per come gli ho parlato e cerco di smorzare un sorriso pallido per metterlo a suo agio.

 


Dovrei almeno chiedergli scusa per quello che ho fatto e invece trovo a malapena la forza di annuire. Passano minuti che sembrano interminabili e mi guardo spesso intorno, come a vedere che non arrivi nessuno. Ho paura che si offenda, va bene, prima mi odiava a prescindere e ora ha solo un motivo in più, se continuo a farmi problemi di essere scoperto. Ma qui non ci passa mai un cane e lui deve saperlo meglio di me. Prima avrei voluto sprofondare per il tono che ha usato ma ora sembra essersi tranquillizato. Mi sta perfino sorridendo! Non posso fare a meno di pensare che è veramente carino ora che l'ho visto meglio e più da vicino. A scuola non me n'ero mai reso conto, non lo avevo mai notato prima di stamattina. Ed ero anche distratto per via del messaggio. Chi poteva immaginare che avrei incontrato proprio lui quella sera? Forse lui non si ricorda di me. Greg gli aveva dato un tale spintone che non mi meraviglia se la sia filata a muso basso. Deve farlo ogni volta. Mi dispiace tantissimo per lui e la curiosità comincia a rodermi. Ma non oso chiedere e nemmeno immaginare i motivi per cui è qui. Ho sempre vissuto in una bella casa, nei quartieri, non ricchi ma decisamente accoglienti di Brighton. Non mi è mai mancato nulla. Lui invece non ho idea da dove venga, né chi sia. Cavolo, non so nemmeno come si chiama! Continua a sorridermi anche se ha tutti i motivi di questo mondo per volermi tre metri sotto terra, eppure il suo sorriso sembra sincero. Con quel livido in faccia e quello che gli ho fatto trova perfino la forza di sorridermi? Mi rendo conto che la curiosità mi sta uccidendo e che lui sta aspettando che parli prima io quindi chiedo direttamente.

Che.. Che hai fatto al naso?”

 


Ottima domanda, penso. Prendo un bel respiro, tanto vale raccontargli la verità. Nessuna bugia sarebbe credibile. Che sono scivolato? Maddai..

Così gli racconto tutto dall'inizio. Non direbbe niente a nessuno in ogni caso. Non è così stupido.

Gli riassumo la mia situazione da quando dissi al mio patrigno che ero attratto dai ragazzi. Forse è un periodo un po' troppo remoto da cui partire, ma a quel punto non tornerebbero alcuni dettagli e non voglio che lui entri in argomenti che non voglio trattare, come mia madre, perciò glieli dico direttamente io. A quel tempo mamma era scomparsa da un paio di mesi. Mi sentivo perso e una sera andai dal mio tutore, il patrigno. Non so cosa sperassi di ricevere da lui, forse compassione, forse solo meno maltrattamenti. Mi dissi che nemmeno lui poteva essere così crudele. Ma mi sbagliavo. All'inizio era furibondo, disgustato e divertito allo stesso tempo. Ad un ragazzino di appena dodici, tredici anni come me era uno spettacolo terrificante. Mi pestò, urlando che ero un mostro, che quelli come me sono malati. Qualche giorno dopo arrivò McLowes a casa e mi parlò. Eclisso sul dettaglio della cicatrice. Non voglio sembrare più nella merda di quanto già non sia e gli racconto direttamente del taglio ancora evidente sul dorso del naso.

Un altro regalino del vecchio. Quando McLowes venne a prendere i soldi a casa e fece un commento poco colorito sul mio giubbotto, uno di quelli con la pelliccia corta e ispida sul cappuccio.

"Gran bel pelo, frocetto!"

Ed erano scoppiati in grasse risate, uno ubriaco e l'altro stronzo al naturale. Sarebbe stato meglio non rispondergli e lasciar correre. Ma risposi a quello sporco maiale di farsi gli affari suoi e il vecchio era scattato in piedi sbattendomi la testa sul tavolo.

Mentre parlo non piango e non mi trema nemmeno la voce. Sono davvero diventato così insensibile a quello che mi succede? Il biondo mi ascolta senza interrompere tranne per qualche smorfia di dolore impercettibile, quasi se vivesse in prima persona quello che racconto.

E' un miracolo che non sia rotto, il naso. Il taglio però è ancora visibile mentre la botta è sparita lasciandomi solo con un gran dolore alla testa. Non mi meraviglio che l'abbia notata. Non so perché ma non voglio farlo preoccupare. Così gli dico che probabilmente sarà a posto in un paio di giorni se ci metto del ghiaccio sopra. Non lo sto guardando, fisso solo il buio davanti a me visto che i fari sono spenti da quando siamo arrivati. Da quando ho finito è calato il silenzio.

 


Mi sento in colpa, anche se non ho fatto nulla di male a parte trovarmi qui. Sono nato nella bambagia, ho dei genitori fantastici e comprensivi e non ho mai avuto il coraggio di dire loro la cosa che più mi sta a cuore. Lui invece, con tutti i problemi che aveva, lo ha detto al suo patrigno. Gli ha dato fiducia perché si aspettava di essere capito e lui ha distrutto la sua vita. Avrebbe potuto scegliere di mentire, come ho fatto io. E ha scelto la solitudine. No, la solitudine alcuni ragazzi la vedono quasi come una moda. La sua è più un'autoreclusione solitaria. Mi viene voglia di picchiarlo, questo patrigno, e nemmeno lo conosco. Il bastardo se la prende con questo ragazzo che sembra la persona più buona del mondo. Anzi, probabilmente lo è, io un tutore del genere lo avrei già preso a calci. E lui invece ha avuto la forza di non abbassarsi al suo livello. Penso che deve avere la forza di volontà più straordinaria del mondo. Mi viene da vomitare solo a immaginarlo coperto di botte e pestato a sangue. La curiosità si affaccia di nuovo e questa volta non tengo a freno la lingua.

E tua madre? Come ha fatto a lasciarti con quel pazzo?”

Ma lui si limita a scrollare le spalle e mi rendo conto che, oltre a non essere un buon argomento, lui capisce il perché della sua decisione e lascio stare. Mi dispiace veramente tanto per lui.

Ad un tratto ho un mancamento a pensare come potrebbero prenderla i miei. No, non si sognerebbero mai e poi mai di farmi una cosa del genere, ne sono sicuro. Non credo che la prenderebbero bene ma non arriverebbero mai a tanto. Vorrei poterlo consolare ma si vede ad un miglio di distanza che non cerca compassione. Potrei aiutarlo ma non ho idea di come fare. Forse se ne parlassi con i miei mi potrebbero consigliare ma poi? No, capirebbero come stanno le cose e non voglio che lo vengano a sapere in questo modo.

Ricevo una buona paghetta, potrei dargliene una buona parte. Ma non sarebbe comunque abbastanza. In ogni caso decido di fare un tentativo.

Se vuoi posso darti una mano, i soldi non mi mancano.”

Mi guarda con quegli occhi scuri e in un momento mi sembra che un barlume di speranza li abbia attraversati. Apre la bocca per dire qualcosa ma scoppia subito a ridere. È una risata cattiva. Aspra. Sprezzante. Non mi crede.

 


A sentirlo parlare così mi viene da ridere e non ce la faccio più. Fra un po' mi piscio sotto da quanto sto ridendo e ho quasi le lacrime agli occhi ma mi riprendo prima che possa aggiungere qualcos'altro.

Senti amico, è stata una bella chiacchierata e questa battuta è proprio divertente. Ma a me quei soldi servono veramente quindi se te lo lasci succhiare io poi mi levo dalle palle e torniamo tutti e due a casa felici, OK?” Sento il tono di sprezzo che si insinua nella mia voce, ma non mi importa.

Non stavo scherzando!” Ribatte lui.

Oh, non ne dubito.” taglio corto, sghignazzando“Ma vedi bello, la clientela fissa non è il mio forte. Se vuoi un buco tutto per te ogni volta che vuoi, be', per quello devi trovarti un ragazzo. Con me non fuonziona così, chiaro?”

Ho esagerato. Me ne rendo conto. Quello che ho detto è terribile e lui non si merita tutta questa cattiveria da parte mia. Sembra ferito, e gli do pure ragione. Ma nessuno, in tutti questi anni, si è mai chiesto perché un ragazzo così giovane facesse questo lavoro. Nessuno ha mai cercato di aiutarmi, hanno solo peggiorato la mia situazione, ogni volta. Perché con lui dovrebbe cambiare qualcosa? Sembra sincero, questo è vero, e mi ispira fiducia. Ma non ci penso nemmeno a fare la figura dello sfigato di turno. Del poveraccio che tenta di fare il duro. Della checca deboluccia che il vecchio pensa che sono.

 


Non credevo che avrebbe reagito così. Ma io voglio veramente aiutarlo. Mi si stringe il cuore a sentirlo parlare in quel modo di sè stesso. Ho l'impressione di sentire una nota di dolore nella sua voce che sembra quasi palpabile. Sembra che non gliene importi nulla della sua persona e del suo corpo. È diventato quello che voleva il suo patrigno. Dio solo sa cosa gli ha messo in testa quel malato di mente. Probabilmente mi vede solo come un altro depravato venuto solo a portare guai. Devo sembrare il classico giocatore di football della scuola. Lo spaccone popolare che non vede l'ora di infilare la testa di qualche novellino nel cesso. Io non sono così. Non ho mai fatto nulla di simile. Anche le proposte simili dai miei compagni di squadra le rifiutavo o cercavo di impedirlo. Ma a quanto pare mi è già stata data un'etichetta. E la cosa non mi piace, per nulla. Così lo guardo deciso e continuo.

Non ho intenzione di fare nulla del genere. Voglio solo darti una mano, se me lo permetti.”

Non so perché sono così ostinato nel volerlo aiutare. Non è solo perchè è carino (anche se ha sempre uno sguardo truce), se fosse solo quello non basterebbe comunque a pareggiare il suo caratteraccio. Ma è proprio questo il punto forse, non è quello il suo carattere. Non è sé stesso. Scommetto che sotto quella scorza, quei muri che si è costruito intorno è una persona fantastica. L'ho visto, quando ho visto quella scheggia di speranza illuminargli gli occhi.

 


Stavo quasi per rispondere male come al mio solito ma il ragazzo sembra veramente convinto. Forse l'ho giudicato male all'inizio, non volevo offenderlo. Allora gli chiedo, con tono calmo, ma spero ci colga anche le mie scuse.

E come hai intenzione di fare?”

Non sono sprezzante o sarcastico, voglio veramente sapere come pensa di aiutarmi. Io le ho già pensate tutte e ognuna di queste è peggiore dell'altra. Scappare di casa è fuori discussione; non posso abbandonare gli studi e in ogni caso chiamerebbe McLowes che mi farebbe cercare da mezza polizia di Coney Island e passare per un ribelle drogato o che so io. Non lascerei mai la casa, è l'unica cosa che mi resta di mia madre. Non posso denunciare la storia alle autorità, perché un avvocato come McLowes insabbierebbe tutta la faccenda facendomi passare per un adolescente impazzito. L'unica possibilità sarebbe il suicidio, ma non ci penso nemmeno ad ammazzarmi. È una questione d'orgoglio oltre al fatto che il suicidio in sé non lo sopporto, mi sembra una soluzione per i deboli, che scappano dal problema invece di affrontarlo. Ma io non lo sto affrontando per niente. E non capisco come possa questo ragazzo, il mitico Altman della squadra di Lincoln, il famoso Altman, tanto bello e affascinante che le ragazze gli sbavano letteralmente dietro, trovare una soluzione al problema che mi assilla da anni.

Mi sembra di averle pensate tutte. Possibile che mi sia sfuggito qualcosa?

 


Penso e ripenso a mille possibilità, ma sono sicuro che lui le ha già vagliate tutte. Non mi viene in mente niente, sono troppo agitato e confuso per pensare. Non riesco a ragionare lucidamente, se potessi dormirci sopra e parlarne con calma in un altro momento sarebbe il massimo. Ma non posso cominciare a parlargli nei corridoi da un giorno all'altro e ho paura che se non trovo una soluzione in fretta mi cacci via. Ma ha un'aria tranquilla, un po' rassegnata ma non ha più quello sguardo truce. Non avrebbe tutti i torti in ogni caso a mandarmi a quel paese. Potrei contattarlo con il cellulare ma è meglio parlarne di persona, dopotutto è veramente carino e sono sicuro che quando è tranquillo sia anche abbastanza simpatico. Non mi dispiacerebbe incontrarlo qualche volta. Quando mi ha sorriso aveva una luce particolare negli occhi, non saprei descriverla. Mi piacerebbe rivederla.

Senti, adesso non mi viene in mente nulla. Facciamo così, stasera ti do i soldi così il tuo patrigno non si insospettisce e magari..”

E qui la mia voce si fa più flebile. Accidenti, credo di essere arrossito.

Magari possiamo vederci domani, che so.. dopo la scuola?”

 


Lo guardo, sono sicuro di aver capito male. Mi sta veramente aiutando e mi ha perfino chiesto di uscire? Devo essere impazzito. Oppure è impazzito lui. O addirittura mi sta prendendo in giro, ma sembra sincero. Certo che lo è, guarda com'è rosso! Penso. Mi sa che lo sto diventando pure io perché sento caldo sulle guance e non è perché in macchina c'è il riscaldamento. L'invito è fantastico ma non è il momento di fare cazzate. È stato gentilissimo ma non posso certo chiedergli di farsi vedere in giro con l'essere più sfigato della scuola. Ergo il sottoscritto.

Forse sarebbe meglio se.. ci vedessimo di nuovo qua, non credi? Conosco un paio di bar poco frequentati..”

Lo guardo e mi accorgo che evidentemente ha colto la mia allusione. La gente comincerebbe a fare domande sul perché si fa vedere in giro con il sottoscritto e, anche se nessuno sa che sono gay, non ci metterebbero molto a fare due più due e rovinargli la reputazione. Per non parlare dei suoi genitori. No, non posso chiedergli tutto questo. Posso consigliargli dei posti dove nessuno va e, in ogni caso, nessuno che conosce lui.

Ma quando l'ho detto la mia voce ha tremato. Perché tutt'a un tratto mi sento così.. felice? Il mio cuore batte più forte. È dai tempi di mia madre che non mi sento così. Nessuno in vita mia mi ha mai invitato ad uscire e ora arriva lui, bello come il sole (dico davvero, sembra che diventi più bello ogni minuto che passa) e non solo mi salva dalla solita tortura serale con lo sconosciuto di turno ma cerca pure di aiutarmi! Non può essere vero, è troppo bello per poterlo essere.

Arrossisce di nuovo e abbassa lo sguardo prima di rispondermi.

Oh sì, certo. Hai ragione. Allora.. a domani..?”

Scendo dalla macchina e lo guardo di nuovo prima di chiudere la portiera.

William, chiamami pure William.”

E gli sorrido.

Fine




Be', che dire. Sono una fan dei Giovani Vendicatori e (come avrete sicuramente notato) di Billy e Teddy! Vi è piaciuta? Gli altri capitoli dovranno ancora aspettare ma non troppo tempo, non preoccupatevi. In ogni caso, sia se vi è piaciuta sia non, potete recensirla per farmi sapere come vi è sembrata la trama, lo stile, la vostra parte preferita o se non vi è piaciuta, quella che veramente non avete sopportato!

Grazie mille in anticipo anche solo per averla letta!

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Capitolo 2
*** Ecstasy - 2° Capitolo ***


Ecstasy – Secondo Capitolo

 

"Ne sei proprio sicuro?"

Chiede il moretto accanto a me. William, o meglio, Billy (come preferisce che lo si chiami) sembra quasi spaventato. La luce della lampadina alla porta gli illumina gli occhi marroni e il viso, sembra pallidissimo. Si passa la mano sulla nuca sudata nonostante il freddo della sera. Quest'immagine stona con quella della prima volta che ci siamo parlati. Mi viene da sorridere a vederlo così e gli poso una mano sulla spalla, cercando di tranquillizzarlo.
Questo pomeriggio ci eravamo dati appuntamento allo stesso posto, sotto il cavalcavia. A scuola nessuno dei due aveva dato segno di riconoscere l'altro, anche se era tutta una finzione. Poi mi accorsi che effettivamente frequentavamo molte delle stesse lezioni. Era stata quasi un'impresa tentare di non guardarlo ora che sapevo chi fosse veramente. Mi ero reso conto di quanto è solo, di quanto cerchi di sembrare invisibile, in ogni situazione.
Ad un certo punto si era girato verso di me per un secondo non ho fatto cadere quaderni e astuccio. Mi era addirittura parso di vedergli un sorriso divertito in faccia, di sentire una risatina. Quando è suonata l'ultima ora finalmente ho preso il Pick Up e sono andato direttamente a Sheepshead Bay Road, vicino al NetCost Market, proprio sulla curva. Non ce la facevo ad aspettare oltre.
Forse Billy temeva che il patrigno lo beccasse, anche se ritenevo improbabile che un cocainomane uscisse spesso di casa. Ma lo pensai perché era salito in macchina trafelato, quasi fosse la prima volta che veniva in quel posto alla luce del sole. Probabilmente era anche la prima volta dopo anni che saliva su una macchina che non lo portasse al parcheggio del Century Playground.
Mi aveva dato l'indirizzo di una tavola calda poco distante, mai sentita nominare. Però era quello il nostro scopo, andare in un posto dove nessuno ci conoscesse. E lo aveva fatto solo per me, gli interessava che nessuno si facesse strane domande vedendomi con lui. Gli importava della mia reputazione a scuola, non di quello che la gente avrebbe pensato di lui. Ho paura che non abbia una grande opinione di sé stesso, e questo mi rattrista.
Quella sorta di piccola tavola calda era quasi deserta ma decisamente accogliente, a modo suo, forse solo per merito del moretto. Billy non volle nemmeno farmi alzare. Quando gli proposi di prendere io qualcosa si raddrizzò, respinse la mia offerta con un cenno della mano e andò a prendere da bere e da mangiare per entrambi. Non potei non ammirare il suo orgoglio perfino nelle situazioni che potevano sembrare più banali. Portò due cheeseburger e delle patatine, con due milkshake alla fragola con panna e il cioccolato sopra.

Il mio preferito!”

Mi sorrise. Alla luce del sole sembrava diverso. I suoi capelli non sono proprio neri, in effetti di un bel castano scuro che sembra praticamente nero. Gli occhi hanno lo stesso colore del cioccolato sul milkshake che tenevo tra le mani. Ha un bel viso pensai, ora che aveva un'aria rilassata e aveva perso il suo solito sguardo torvo.

"Ti è venuto in mente qualcosa?"

Rimasi vagamente stupito che non avesse preso ad attaccarmi sin dall'inizio, come aveva fatto la sera prima. Mi ero aspettato un Spero tu abbia qualche buona idea, non sono qui per perdere tempo e cose del genere. Allora ci avevo visto giusto, quello non era il suo carattere. Mi era parso un ragazzo quasi inselvatichito, che non vuole aiuto da nessuno, forse se ne era addirittura convinto da solo. Invece davanti ad un semplice milkshake e due patatine in salsa ketchup si era rilassato e aveva atteso una mia risposta con calma. Presi un bel respiro.

"Potresti venire a lavorare da me. Non è una casa grandissima ma ultimamente ci sono un sacco di lavori da fare e i miei genitori non hanno tempo di occuparsene."

Omisi il fatto che era compito mio io e non avevo proprio voglia di farli. Mi guardò confuso, come se non avesse capito bene. Sperai con tutto il cuore che non si offendesse mentre continuavo, quelli erano lavori che nessuna aveva mai voglia di fare. In primis il sottoscritto.

"Sono i soliti lavori da fare in casa. Che so: tagliare l'erba, riordinare il garage, ridipingere le pareti o sistemare le piante. Cose così insomma..”

Proposi titubante, aspettandomi che mi fulminasse con lo sguardo da un momento all'altro. E invece mi stupì ancora una volta. Il volto parve illuminarglisi mentre il suo cervello metabolizzava quelle informazioni. Forse io stesso lo avevo giudicato male, avevo pensato che mi avrebbe mandato al diavolo da un momento all'altro. Ma la verità era anche che volevo vederlo più spesso dato che a scuola sarebbe stato molto difficile.

Quindi.. per te è OK?

Continuai cauto e lui si riscosse, non aveva fatto altro che guardare un punto fisso indefinito nello spazio o nel tempo. Si era incantato.

Oh, sì certo! Va benissimo ma.. non dovresti parlarne ai tuoi genitori?”

A quel punto sorrisi.

 

 

Subito dopo la scuola sono letteralmente corso al luogo d'incontro. Mi faceva così strano andarci con la luce del sole, cominciai addirittura a temere che qualcuno mi vedesse, anche se non ne avevo il motivo. Appena vidi la sagoma del Pick Up girare l'angolo mi precipitai verso di essa e chiusi la porta, nemmeno ci fosse qualcuno ad inseguirmi. Era strano percorrere una strada in macchina che non portasse al Century Playground, non era affatto male. Teddy non mi sforzò a parlare e lo aprezzai molto. Mi lasciò semplicemente guardare fuori dal finestrino e indicargli la strada di tanto in tanto. Ci fermammo in una tavola calda a pochi minuti da lì e presi qualcosa da mangiare e da bere, aspettando la sua proposta pazientemente. Mangiammo con calma chiacchierando della scuola, del più e del meno, finché non si sentì pronto per rivelarmi la sua idea.
Appena la sentii abbassai lo sguardo sul milkshake che tenevo tra le mani, fragola e cioccolato, il suo preferito a quanto pare. Non so come avevo indovinato, semplicemente piaceva molto anche a me, da quando lo avevo preso l'ultima volta con mia madre. Quello non era però il momento migliore per far riaffiorare i ricordi. Lavorare in un giardino. Sistemare il garage.
Non accadeva nulla di simile da quando mamma se n'era andata e il patrigno mi aveva proibito di fare qualsiasi cosa che non fosse utile per fargli da mangiare o portare a casa la sua stupida droga. Di colpo però la sua domanda mi riscosse, evidentemente mi ero bloccato a fissare qualche patatina fritta rimasta nel piatto. Gli chiesi se aveva già parlato con i suoi genitori. Non saprei dire il perché ma trovai il suo sorriso alquanto preoccupante.

Ne sei proprio sicuro?”

Ci saranno meno di dieci gradi qui fuori e io sento un caldo torbido, vorrei togliermi il giubbotto e invece sto fissando come un deficiente la porta d'entrata verde. Volto lo sguardo verso il biondo, devo avere un'espressione parecchio tesa mentre lui sembra tranquillissimo davanti a casa sua.

“Entriamo.”

Sulle sue labbra si forma il più piccolo dei sorrisi, ma di gran lunga il più dolce. Vorrei dirgli di smetterla perché so che è per la mia faccia ma sono troppo nervoso per fare qualcosa di diverso dall'annuire meccanicamente e rivolgere lo sguardo verso le luci dentro casa. Suona il campanello e sento il cuore che sta per esplodere mentre mi accorgo che sto trattenendo il respiro. Perché sono così agitato al pensiero di incontrare i suoi genitori? Sono solo persone! Civilissime persone senza niente di cui dovrei temere! Si sentono dei passi da dentro. Viene ad aprirci una donna di media statura, che non potrei dubitare nemmeno tra un milione di anni essere la madre di Teddy. Capelli corti e biondi, fino alla mascella, azzurri occhi allegri, lineamenti dolci, sorriso gentile. Indossa una maglietta azzurra e dei pantaloni beige sotto un grembiule da cucina con una scritta colorata “Mum's the best chef” e un disegnino stilizzato che sembrano essere stati fatti da un bambino. Teddy ha detto che è un'avvocato ma mi riesce difficile crederci, ha un aspetto così gentile. Ma non dubito che sappia essere autoritaria quando lo vuole.

Mamma, lui è Billy, un mio compagno di scuola. Si ferma a cena da noi?”

Il volto della donna s'illumina con un sorriso e mi stringe la mano gentilmente.

Stavo per chiedertelo io, entra pure Billy! Fai come se fossi a casa tua. Dave! Abbiamo ospiti a cena!”

E scompare dentro casa.

E' sempre così.”

Sussurra Teddy, fingendosi esasperato.

Io la trovo adorabile.”

Ridacchio. Non riesco a non sorridere, da dentro esce un profumo buonissimo, non ho idea di cosa sia. C'è aria di casa ed entriamo.
Un uomo si alza da una poltrona del salotto ripiegando un giornale e ci viene incontro, porgendomi subito la mano. È tutto il contrario della moglie. Alto, autoritario, lineamenti affilati, capelli brizzolati chiari, un accenno di barba ben curata e occhiali dalla montatura sottile. Anche se non sapessi che è un dottore non potrei mai sbagliare. Con i suoi occhi grigi mi squadra da capo a piedi, probabilmente pensando a qualche rimedio medico per il fatto che sembro quasi uno scheletro incredibilmente pallido.

Billy, giusto?”

Giuro, sto per farmela addosso. Annuisco.

Spero ti piaccia l'arrosto.”

Continua con un sorriso. Prima che possa riprendere a respirare parla in direzione della cucina “Karen? Aggiungi ancora qualcosa alla cena, abbiamo ospiti affamati!”
Mi fa l'occhiolino. Penso che non potrei essere più felice di così in questo momento.
Strano, il padre ha un'aria così severa che mi riesce impossibile immaginarlo seduto comodamente sul divano a chiacchierare di baseball e football davanti alla TV col figlio. E invece eccolo lì. A chiacchierare con Teddy mentre io do una mano in cucina con la madre. Karen lo ha notato e sorride mentre la aiuto con alcune verdure.

Riesci ad immaginartelo come un padre affettuoso?”

Ad essere sincero no, sembra uno di quegli scrittori. Seri, che non parlano ad anima viva.”

La donna ridacchia senza distogliere lo sguardo dal tagliere. Sono sicuro che glielo hanno detto in molti. Mentre taglia le verdure io butto qualche spezia nella teglia e mi guarda sorpresa.

Sei bravo a cucinare, dove hai imparato? Molti ragazzi, Theodore compreso, non capiscono nemmeno la differenza tra una zucchina e un cetriolo! Sanno solo parlare di fast food!”

Un po' dai libri, ma il grosso da mia madre.”

Rispondo sovrappensiero. Karen non aggiunge altro. Dev'essere quel sesto senso che hanno tutte le madri per questo genere le cose. Non so perché ma sento il bisogno di continuare la conversazione.

Theodore eh? Pensavo che il suo vero nome fosse Teddy.”

Sua madre mi fa un sorrisetto complice.

Be', cerca di non chiamarlo così in pubblico. A quanto pare Theodore non è il genere di nome che si aspetta dal tipico macho che gioca a football. Lo vedi il grembiule? Lo ha colorato lui, ma non dirgli che te l'ho detto.”

Sbuffiamo a ridere e cerchiamo di non farci notare da Teddy e David.

E tu invece? Non credo che Billy sia il tuo primo nome. Potrebbe essere.. William? Io lo trovo un bellissimo nome, deriva da una parola tedesca che significa volontà. È un nome molto forte.”

Strabuzzo gli occhi. Devo smettere di tagliare le verdure o potrei tranciarmi un dito per la sorpresa.

Come ha fatto a indovinare?”

Di nuovo quel sorriso complice. Non sapevo nemmeno che avesse un significato.

Intuito femminile.”

Mi da un colpetto amichevole sulla spalla e riprendiamo ad affettare le verdure. Ogni tanto Teddy si gira e non posso fare a meno di ringraziarlo con lo sguardo.

 

 

La serata era proseguita bene. Billy si era divertito a chiacchierare con mia madre, l'avevo notato dalle occhiate che si lanciavano e poi da quelle che lui lanciava a me. Io e mio padre avevamo chiacchierato della vincita e si era congratulato con me finché mamma non ci aveva chiamato a tavola. Avevo consigliato a papà di girare a largo dall'argomento famiglia e lui mi aveva assicurato che non c'era nessun problema. Era andato tutto bene finchè mamma non si era accorta del taglio ancora abbastanza evidente sul naso di Billy, fino a quel momento la frangia gli aveva coperto discretamente quella brutta ferita. Mi si è letteralmente congelato il sangue nelle vene.

Oh, sono caduto. Si rimetterà in sesto in un paio di giorni.”

Ma mia mamma non sembra convinta, anche se non lo da troppo a vedere.

Dovresti metterci del ghiaccio più tardi, così il rossore sparirà prima.”

Papà si guarda intorno in quel silenzio che è calato sulla tavola alle sue parole e sbuffa.

Ebbene? La laurea in medicina servirà pure a qualcosa!”

Scoppiamo tutti a ridere. Anche Billy si è ripreso dal pallore di quei secondi imbarazzanti.
Alla fine decido di affrontare l'argomento che sta più a cuore al ragazzo.

Papà, a Billy serve un lavoro. Potrebbe dare una mano qua in giardino, con i garage e tutto il resto. Andrebbe bene per voi?”

Di colpo mio padre si fa serio in volto e non mi guarda negli occhi, continuando a tagliare l'arrosto con una calma fredda. Fa quasi paura quando fa così.

Sarebbe compito tuo, lo sai. Dopotutto è casa tua. Non abbiamo detto niente sui tuoi allenamenti perché sappiamo che ci tieni ma hai anche delle materie da recuperare. Non penso che appioppare il lavoro ai tuoi amici ti aiuterà in matematica. Hai bisogno di rispettare i tuoi doveri.”

Abbasso lo sguardo. Speravo di poter aiutare Billy ma a quanto pare ho fallito miseramente. Poi lui rompe il silenzio.

Non si preoccupi, davvero. Gli ho chiesto io se conosceva qualcuno che potesse darmi un lavoro part-time. E poi se ha bisogno di aiuto in matematica io me la cavo abbastanza bene, potrei dargli una mano quando serve. Non me la cavo male nemmeno con le piante, mia madre mi ha insegnato parecchie cose da bambino. Con tutto il rispetto, ma il vostro giardino sembra avere bisogno di una potata.”

Mio padre lo guarda per tutto il tempo, soppesando la situazione. Io rabbrividisco perchè, sebbene sia un uomo tranquillo, non ama che qualcuno metta in discussione quello che dice. Alla fine guarda mia madre e sorride.

E sia, sei riesci a dare una svegliata a questa capra della matematica e sistemare quella specie di giungla del nostro giardino ti erigerò una statua!”

Di nuovo scoppiamo a ridere, e io tiro un sospiro di sollievo.
Alla fine della cena lo accompagno alla porta.

Cominciavo a non sperarci più. Te la sei cavata alla grande. Secondo me si è lasciato ammorbidire da quel tuo dannato sorriso da cane bastonato!”

Lui si limita a squadrarmi con un sorriso ammonitore.

Hai dei genitori stupendi, e tu sei stato davvero gentile. Ti avevo giudicato male all'inizio, ti pensavo solito giocatore strafottente e arrogante. Mi sbagliavo e per questo mi dispiace.”

Lo guardo per un attimo, entrambi colti dall'imbarazzo.

Non scusarti, chiunque lo avrebbe fatto.”

Ci lasciamo dopo qualche minuto di silenzio parecchio imbarazzante e percorre il vialetto. Si gira un'ultima volta e mi fa un sorriso che sembra così sinceramente dolce, con giusto un tocco di timidezza, che che un calore inaspettato mi percorre da capo a piedi nella notte così fredda.
Non so cosa succederà domani, ma so che sarà una giornata fantastica.

 

 

La mia vita al momento sembra aver preso colore. Dove prima vedevo solo nero e grigio comincio a scorgere mille colori diversi e sembra che ci sia addirittura la musica quando esco. Il giorno dopo quella cena sono andato a scuola e per la prima volta dopo secoli ho partecipato alla lezione. Alzavo la mano, alcune volte ho risposto anche quando non ero interpellato. Il professore era colpito, perché era davvero tanto che non vedeva uno studente veramente interessato alle sue lezioni. I miei compagni dopo le prime perplessità sono tornati a farsi gli affari loro, probabilmente avranno pensato che mi ero disintossicato da qualcosa di forte. La verità è che non vedevo l'ora che finissero le lezioni per andare a casa di Teddy. La scusa con il mio patrigno era stata che avevo cominciato a lavorare il pomeriggio. Poche parole che sembravano averlo convinto, anche se partito com'era probabilmente non avrebbe distinto l'alba dal tramonto.
A casa sua Teddy mi aveva lasciato usare la cucina per preparare il pranzo, erano millenni che non vedevo ingredienti diversi da pane in cassetta e sottaceti. Secondo lui il sugo che avevo preparato era una cosa deliziosa. Avevo provato a cucinare una carbonara, ma mi sentivo ancora arrugginito. L'ultima volta era stata mia madre ad insegnarmela, mi ricordavo a malapena il procedimento. Dopo mi ha mostrato i vari lavori che potevano essere fatti in giardino.
Il suo garage era un disastro, c'era un sacco di roba accatastata ovunque e segatura per terra. Dove si riusciva a vedere il muro la vernice cadeva a pezzi. Non ci credeva quando gli ho detto che mettere a posto mi rilassava. Gli avevo dovuto spiegare che a casa mettere in ordine qualcosa era un impresa perché con il patrigno che si lamentava ogni cinque minuti rischiavo di beccarmi una sberla solo per aver fatto troppo rumore spostando un telo.
Il giardino era messo leggermente meglio, ma proprio leggermente. L'erba era rada e giallognola (la sera prima col buio non lo avevo notato) e le piante, anche se conservavano un minimo di stabilità, stavano per morire appassite, alcune invece stavano marcendo per la troppa acqua. Scoppiai a ridere dopo una sua imitazione della madre esasperata perché “Nessuno in questa dannata casa ha il pollice verde!” Mi sentii in dovere di dirgli che il problema maggiore era dato dal fatto che il tubo dell'irrigazione era rotto. Penso che dire che era diventato rosso di vergogna era troppo poco.
Con i compiti fu un'impresa, ma non quanto la matematica. Non che fosse stupido, anzi, solo che appena apriva il libro sbadigliava. Ci misi ore per fargli entrare in testa questo o quel tipo di operazione. Quando fui soddisfatto dei suoi risultati andammo a guardare un film in salotto. Non gli dissi che qualche volta avevo l'impressione che mi fissasse mentre spiegavo.
I giorni cominciavano a susseguirsi con questo ritmo, e io non potevo essere più fortunato. I suoi genitori sembravano colmare la mancanza dei miei, ogni tanto mi fermavo a cena da loro e facevo portare qualche pizza a casa o lasciavo qualcosa di già pronto perché il mio patrigno non facesse storie. Ci divertivamo a prendere in giro Teddy, io e i suoi genitori. Aiutavo sua madre in cucina, insegnando a lei qualcosa o imparando qualcos'altro. Chiacchieravo con suo padre, che si dimostrò apprezzare molto i risultati che suo figlio portava a casa e il lavoro in giardino. Era anche compiaciuto che avessi messo anche su qualche chilo e avevo un aspetto più sano. In effetti, anche i miei voti erano migliorati di molto e tutti i professori sembravano esserne stupiti, non potevo biasimarli. Quanto al giardino, stava venendo fuori una meraviglia. Avevo riparato l'impianto d'irrigazione delle aiuole sotto casa con del nastro isolante e sembrava tenere. Mettendo in ordine il garage avevo anche trovato un piccolo affarino per l'irrigazione per il prato che potevamo comodamente attaccare al rubinetto esterno e una piccola falciatrice. C'erano un sacco di cianfrusaglie in quei mucchi di roba polverosa. Vecchi caschi da baseball e football di suo padre, alcune foto del diploma di sua madre, la sua bicicletta di quando era piccolo. Quando tirava fuori una di queste cose cominciava a raccontarmi qualche storia legata a ciascuno di questi oggetti. Sotto un telone scoprimmo anche una vecchia motocicletta di suo padre, semplicemente stupenda. La riconobbi come un'Aprilia rs125.

L'ho letto in un libro.” Spiegai.

E da qui si scoprì quanto amassi leggere e che leggevo di tutto, non solo romanzi ma anche libri di cucina, di motori, giardinaggio, fai-da-te, un po' di tutto insomma. In realtà lo facevo perché volevo essere completamente autosufficiente a tutti i costi ma tutte queste informazioni si rivelavano veramente utili anche qui. La moto l'avevo messa a posto abbastanza bene. Gli avevo dato una bella pulita insieme al casco e avevo ritrovato qualche bullone che si era allentato o caduto. La vernice era un po' rigata. Ci sarebbe comunque voluto un buon meccanico per farla ripartire, dissi a Teddy e a suo padre.
Con il passare dei mesi e l'arrivo della primavera le potature che avevo fatto durante l'inverno si rivelarono efficaci. I fiori lungo la casa sembravano essere rinati e la casa sembrava ancora più viva di prima. Quando non avevamo compiti o non c'era niente da fare a casa ci azzardavamo ad uscire a prendere qualcosa da Starbucks o fare qualche giro al cinema. La mia vita era migliorata nel giro di pochi mesi dall'inferno a qualcosa che adesso mi sembrava la cosa più simile alla felicità.
Teddy era un ragazzo dolce. Non amava le risse e gli scherzi idioti da giocare alle matricole. Si sforzava nello sport e qualche volta andavo anche a vederlo alle partite.
Una volta mi alzai in piedi e feci il tifo talmente forte che una decina di teste si girarono verso di me. Probabilmente diventai color porpora ma non tanto quanto, a fine partita, Teddy venne da me dicendo che lo aveva apprezzato tantissimo.
Mi confidò anche quanto fosse difficile per lui questa storia del nascondere la sua omosessualità ai genitori. I suoi erano comprensivi e adorabili, odiava dovergli nascondere queste cose. Non aveva idea di come l'avrebbero presa. Non sapeva come dirglielo e nemmeno se ne valesse la pena. Non lo avevano mai assillato con il genere di domande come “Ma non porti mai una ragazza a casa?” ma a volte gli riusciva davvero difficile non pensare a questo argomento. Aveva paura di deludere le loro aspettative.
Io mi limitavo ad ascoltarlo e dirgli che in fondo non c'era niente di male nel non essere interessati alle ragazze e che i suoi genitori gli avrebbero voluto bene sempre e comunque. Ogni tanto cercavo di fare qualche battuta su qualche ragazzo o attore particolarmente bello, per rendergli le cose più semplici. Cercavo di fare tutto il possibile perché si accettasse per come era. Ero sincero, lui sapeva che avevo ragione ma non era comunque tranquillo. Si adombrava spesso per questo motivo e io facevo quello che potervo distrarlo.
Alla fine mi resi conto che se mi affidava questi segreti non era perché ero l'unico che poteva capirlo. Non aveva amici gay con cui poter parlare di questo dato che non lo sapeva nessuno ma non era per questo. Aveva parecchi amici, alcuni me li aveva anche presentati quando li incrociavamo per strada. Kate, la sua vicina di casa. Nate, figlio di amici dei suoi genitori. Eli, un suo compagno di squadra. Cassie, la sua compagna di banco in parecchie lezioni. Molti di loro erano amici particolarmente fidati eppure con nessuno di loro si era mai confidato così tanto come con me.
E io mi accorsi che per me era lo stesso. Non avevo praticamente amici, tranne quelli che mi aveva presentato Teddy e con cui comunque non avevo ancora un'intesa ben definita. Ma in situazioni normali mi sarei tenuto per me i miei problemi. Invece con lui potevo condividere qualsiasi tipo di dilemma o stupida osservazione che mi passava per la testa senza passare per un completo svitato. Lo avevo fatto anche la prima volta che ci eravamo conosciuti. Gli avevo raccontato la mia storia senza pensarci troppo su, mi ispirava fiducia. E me ne ispira ancora adesso.

Ora, seduto sulla finestra della mia camera, guardo la luce bianca della luna là fuori e mi ritornano alla mente tutti quei momenti passati con lui. Gli scherzi in giardino, qualche battutaccia quando non capiva qualcosa, alcuni lavori in garage che avevamo fatto insieme, le uscite al cinema la sera, i suoi allenamenti. Mi chiedo se sia solo un amico, ma sono sicuro che c'è di più. Gli sono debitore per tutto quello che ha fatto per me, ma non è questa la conclusione per i miei sentimenti a cui sono arrivato. Sono certo che c'è altro, mi scavo nella testa per cercare una risposta a questo quesito che mi rode da settimane ma non trovo nulla. Non abbiamo mai fatto niente, un'occhiata maliziosa o una battuta detta per caso, a farci pensare a qualcosa di più di una semplice amicizia. Poi, guardando di nuovo quella sfera luminosa sospesa nel cielo buio, me ne rendo finalmente conto.

Io lo amo.

 

 

I miei sono andati in vacanza per qualche giorno, abbiamo una casa in una bella zona a qualche ora di macchina da qui. Perchè non approfittarne? Così ho organizzato una festa tra amici a casa mia, un bel po' di persone e quella più importante di tutte. Billy.

Non so cosa provo per lui in realtà, non me lo sono mai chiesto, o meglio, non ci ho mai pensato troppo a lungo. So solo che con lui posso essere me stesso, non solo per il fatto di essere gay. Posso veramente essere me stesso. Mentire con lui non ha senso, non gli ho mai nascosto nulla e non ho né il bisogno né il motivo di farlo. Con lui sono felice e, anche quando sono giù di morale, lui cerca di tirarmi su sebbene abbia molti più problemi di me. A volte mi sento addirittura in colpa per lui. Io sto sempre a lamentarmi mentre lui, con tutta la sua vita a casa, cerca di farmi sorridere. Il più delle volte, quando gli confido di non sentirmi bene per il mio essere omosessuale lui se ne viene fuori con qualche frase del tipo “Non è un problema se pensi che non lo sia.”
È bello averlo con me quando sto giù perché quello che dice sembra fatto apposta per me. È impossibile dargli torto quando se ne esce con queste frasi quasi filosofiche. Sono felice di averlo conosciuto e ora veramente comincio a chiedermi se tra noi non ci sia qualcosa di più di un'amicizia. Penso questo mentre, oltre il banco della cucina e sembra concentratissimo su qualcosa che sta preparando con dei semplici tramezzini. Dopo un po' che lavora non posso fare a meno di pensare che abbia fatto un capolavoro, sembrano quelle tartine perfette che si vedono solo nelle pubblicità. Ma sto parlando di tramezzini!? Sono proprio messo male, così continuo a giocherellare con il mio pane finché lui non viene ad aiutarmi.

Te l'ho mai detto che in cucina sei una vera frana?”

Sorride e in pochi secondi ha rimediato al disastro che ho fatto sul bancone.

Quelle diecimila volte o giù di lì. Ma non è così male, andiamo!”

Ora non più, grazie a me. Tua madre ha ragione, sei veramente un disastro!”

Faccio il finto offeso finché non scoppiamo a ridere entrambi. Poi il campanello suona.

Devono essere Kate e gli altri, vai tu ad aprire. È meglio che questo lo lasci a me!”

Gli faccio una linguaccia prima di andare alla porta.
In una mezz'ora scarsa sono arrivati quasi tutti del terzo o quarto anno e la casa trabocca di gente, la musica e alcuni palloncini colorati portati da qualcuno riempiono lo spazio che non è occupato da persone. Billy è ancora in cucina con Kate e Cassie che sono affascinate da come riesca a preparare le tartine per la festa e parlottano così fitto che non riesco a non provare un po' di gelosia. Mi rendo conto che non ha senso. Sicuramente gli stanno chiedendo il procedimento o qualcosa del genere. E poi è gay, perché sono geloso? Forse perché... No, non può essere. O forse sì? Forse veramente provo qualcosa di più per lui. Amore? Ora che lo vedo lì, felice, sento la necessità di dirglielo. Mi sento come se dicendoglielo mi togliessi il dubbio per sempre. Così cerco di attirare la sua attenzione quando mi guarda e io gli sorrido con un piccolo cenno di raggiungermi. Subito dopo mi volto e mi appare Liz davanti agli occhi.

Liz è una del terzo anno. Non ci ho mai parlato a lungo ma ricordo che è stata la ragazza, o ha comunque avuto una storia, con metà della squadra. Ha i capelli rossicci e mossi, gli occhi magnetici e un fisico da modella. È facile pensare perché molti dei miei compagni ne siano attratti, ma io ho altro da fare al momento. Prima che possa chiederle di spostarsi mi prende per un braccio e capisco subito che è ubriaca.

Teddy! Non trovo il bagno!”

Urla cercando di farsi sentire sopra il rumore della musica. È strano perché è già stata a casa mia una volta, con il suo fidanzato, che non ricordo chi fosse quella volta. Forse Greg o forse Jake, o qualcun altro. Alcuni di noi si sono inventati un detto. Non ti senti veramente nella Lincoln finché non ti sei fatto Liz o qualcosa del genere. Si può dire che sia tristemente famosa per questo e non posso certo correre in sua difesa. È la tipica puttanella della scuola. Si sarà fatta tre quarti della squadra e ho paura di essere il suo prossimo bersaglio.
Vorrei solo fare in fretta perché probabilmente Billy non mi ha visto con lei e mi starà già cercando per casa. Ma preferisco che Liz non mi vomiti in casa. Così acconsento e la accompagno al piano di sopra. Attraversiamo il corridoio e prima che possa indicarle il bagno mi strattona e mi porta in camera mia.

Ops, ho sbagliato!”

Sì certo, come no.

Liz senti, devo proprio andare ora. Il bagno è qui accanto se ti senti male. Io devo--”

Cosa c'è Teddy? E' una festa! Nessuno noterà la tua assenza per un po'. Andiamo, divertiamoci!”

E' completamente ubriaca, lo so per certo. Mi prende entrambe le mani e non faccio in tempo a scansarmi che si butta di schiena sul mio letto facendomi cadere addosso a lei.

Cavoli Liz, sta' attenta. Potevo farti male!”

Per tutta risposta lei scoppia a ridere più forte di prima e mi stringe, in modo che non possa spostarmi, in bilico come sono per non caderle addosso completamente. Ho paura che sia proprio quello che voglia. Sta cercando di baciarmi ed è proprio l'ultima cosa che voglio adesso. Ma proprio mentre cerco di scansarmi da lei sento la porta aprirsi e una voce chiamare il mio nome.

Ma non è una voce qualsiasi.

 

 

Alzo lo sguardo e vedo il leggero cenno che Teddy fa in direzione del piano di sopra. Vuole dirmi qualcosa? Vuole dirmi proprio quello? Lo spero tanto, magari lo sa anche lui. Vorrei dirglielo io per primo. Poi magari ci ritroveremo in quelle situazioni in cui non si capisce chi debba parlare per primo.
Devo dirti una cosa. Anche io. Okay, comincia tu. No tu.
Finisco di spiegare a Kate e Cassie gli ingredienti che ho usato per, oddio non mi ricordo nemmeno cosa. Sono troppo emozionato. Cassie e Kate sono due ragazze fantastiche, non cercano di farsi vedere sebbene i loro genitori, soprattutto quelli di Kate, siano molto benestanti. Vanno bene a scuola, sono ragazze tranquille, non vanno a cercarsi glorie con i ragazzi e non cercano di farmi parlare quando non mi va. Sono rimaste affascinate da alcune cose che avevo preparato e mi hanno assillato tutta la sera per sapere come farli. Non sapevo di essere così bravo, non mentirebbero a riguardo. Un'altra cosa che apprezzo moltissimo di loro.
Alla fine mi lasciano andare, penso che abbiano capito cose che nemmeno io e Teddy ci siamo arrivati. Sembrano sapere meglio di me quello che sta succedendo. Si dà il caso che comincio a farmi piano strada tra la folla. Incrocio anche Nate ed Eli, altri due amici di Teddy. Non sono gentili come Kate e Cassie ma sono simpatici e non amano farsi gli affari degli altri. Mi salutano e finalmente raggiungo le scale. Mi è parso di vederlo andare quassù, seguo il pavimento moquettato. Il solo fatto di sapere che mi sta aspettando dietro quella porta mi fa respirare più in fretta. Sento pulsare le tempie. È quasi opprimente ed è un sollievo arrivare finalmente a lui perché sento le gambe molli come gelatina e ho il terrore di inciampare. Cammino fino alla sua camera con la porta socchiusa ma c'è qualcosa che non va. Sento la voce di Teddy ma anche di un'altra persona e prima che possa capire di chi si tratta spalanco la porta.

Quello che vedo mi spiazza completamente.

La prima cosa che provo è un senso amaro di tradimento. Ma non è proprio così. Perché, per esserci un tradimento, dovrebbe esserci stato qualcosa prima. Tra lui e me. Non c'è stato nulla di chiaro, di lampante. Ma il ragazzo che mi ha offerto aiuto, un lavoro, che mi ha accolto nella sua famiglia, che mi ha presentato ai suoi genitori come un amico sebbene ci conoscessimo da poco più di un giorno, che mi ha fatto dimenticare per un po' la tragica situazione in cui mi trovo.. Evidentemente, c'è una buona parte di me che non ha potuto non credere che ci fosse qualcosa.
Adesso, vederlo avvinghiato a quella ragazza, mi viene quasi da vomitare. Il rancore che provo in questo momento è talmente reale da soffocarmi. Il mio corpo reagisce prima della mente e mi ritrovo quasi a correre fuori dalla porta. Corridoio, scale, salotto, giardino. Inforco la bicicletta e cerco di lasciarmi quella casa alle spalle il più velocemente possibile mentre lacrime calde rischiano di accecarmi, ignorando Teddy che chiama il mio nome.

 

 


Per prima cosa volevo tanto ringraziarvi perché probabilmente se state leggendo questo capitolo, vi è piaciuto il primo. Spero tanto che questo sia altrettanto all'altezza!

Ho trovato il tempo solo stasera di pubblicarla perché domani parto per la montagna e poi.. Vienna! E sapevo che mi avreste ucciso se vi avessi lasciato fino a metà agosto senza il secondo capitolo quindi... Eccolo qui!
Buona lettura!

RobyWiccan

 

Per questo capitolo volevo ringraziare tantissimo la mia amica Giorgia che mi ha dato più di qualche prezioso consiglio e che mi sopporta da troppo tempo ormai. Grazie mille Gio, mi manchi tanto!

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Capitolo 3
*** Ecstasy - 3° Capitolo ***


Ecstasy - Terzo Capitolo

Non ho idea di come ho fatto ad arrivare tutto intero a casa. La vista annebbiata dalle lacrime, avrò rischiato fra i cinque e i sei incidenti dalla casa di Teddy a qui. Già, la casa di Teddy. Avrei voluto dirgli che lo amo, avevo sperato che fosse lui a dirmelo. Ora non capisco più nulla. Cosa diavolo è successo?
Arrivato a casa salgo le scale e  filo in camera come se avessi le ali attaccate ai piedi. Il mio patrigno sta dormendo sul divano e non si accorge che ho sbattuto la porta così forte da far tremare le finestre. Ci sarebbe mancato solo lui.
Mi butto sul letto. Guardo il soffitto e le piccole crepe intorno alla lampadina che spero mi siano tanto familiari da rassicurarmi. Ma non é cosi, ci metto dieci minuti a capire cosa è appena accaduto. Teddy appiccicato a Liz, sul suo letto. Che diavolo pensava di fare? Perché diamine mi  aveva chiamato se voleva andarci con Liz? Non capisco più niente. Spengo la luce e  mi stendo, tenendo la testa tra le mani, sperando che tutto questo si dissolva e di svegliarmi proprio qui e accorgermi che è stato tutto un sogno. Ma le lacrime che mi rigano le guance sono reali, come il groppo che ho in gola. Non oso guardare la finestra dove solo qualche ora prima mi ero reso conto di non essere così solo al mondo. Ed era proprio lì che mi sbagliavo, non sono mai stato solo come ora. Mi sento come se uno scheletro freddo come il ghiaccio mi stesse strizzando il cuore riducendolo in mille pezzi e facendoli cadere nel mio stomaco. Come è potuto succedere a me? Un attimo prima ero nel baratro, ma era una cosa a cui ero abituato. Poi è arrivato lui e non ho capito più niente. Ero felice, stavo per dirglielo.
Ero felice quando mi hanno invitato a passare il Natale da loro. Ero in imbarazzo ma David e Karen sono stati gentilissimi, come sempre. Non avevo comprato regali o cose del genere, non sapevo esattamente cosa comprare ad un amico per il compleanno, figuriamoci a due adulti. Ma avevo comunque trovato qualcosa. Nel garage che avevo messo avevo notato un vecchio casco da motocicletta, e avevo notato gli occhi malinconici di Dave mentre lo guardava. Senza farmi vedere un giorno l’avevo portato a casa insieme a qualche attrezzo e.. Be’, un po’ di pulizia era bastata. Credo che sopra ci fosse la polvere degli anni ’60. Come minimo. Ma Dave era rimasto entusiasta. Karen in realtà mi aveva già preso da parte.
“Prendimi qualcosa per Natale e giuro su Dio che ti faccio mangiare da solo tutto quanto.” Non dubito che lo avrebbe fatto, ma siamo scoppiati a ridere entrambi. Di Teddy avevo già scoperto la squadra preferita di Football Americano da tempo, e mi sono ricordato di una rivista che c’era in camera di mia madre, tra le cose che aveva conservato di mio padre. Era davvero vecchia, ma a Teddy erano quasi venute le lacrime agli occhi. Loro tutti insieme mi avevano regalato una felpa e un paio di scarpe nuove. Le scarpe erano delle converse rosse e il commento di Dave era stato “Così finalmente la smetterai di sembrare un.. Come dite voi? Un Emo!”. Avrei potuto morire credo per le risate. La felpa dovevano avermela comprata quando siamo andati tutti insieme all’Hard Rock Café. Era di un bel verde-marroncino col simbolo rosso in centro. Dentro era caldissima. L’ho adorata. Penso di non aver mai passato un Natale più bello in vita mia. Adesso a ripensarci mi viene da piangere.
Stavo per dirtelo Teddy, che ti amo. Che ero felice con te. Che i tuoi genitori sono fantastici, che vorrei essere con te quando glielo dirai. Vorrei che mi presentassi di nuovo a loro, ma come tuo ragazzo. Che non mi interessa del mio patrigno, che avrei aspettato la mia maggiore età per avere finalmente la mia casa. Che l'avrei rimessa a nuovo solo. Che magari un giorno ci saremo venuti a vivere insieme. Ora cosa ti dirò?
Non voglio dirgli niente, proprio niente. So già che, se ora sono triste, domani potrò solo essere furioso, amareggiato e poi entrambe le cose. Ora dovrò tornare alla mia vecchia vita ed era una cosa, un capitolo che finalmente reputavo chiuso. Le botte tornano, William, solo per te. Ora sarebbe stato anche peggio. Di notte faccio un incubo. Sono in bicicletta, tra una miriade di strade scure. Sto scappando da mille risate, musica, e mi sembra di sentire una voce. Ma per quanto io speri sia quella di mia madre alla fine è sempre e solo il mio patrigno, che ride nella mia testa.
"Dove scapperai William?”
Non so dove scappare, la notte avanza, mentre io mi sento sparire.

-

Finalmente ero riuscito a scansarmi da quella scocciatura umana chiamata Liz. Ma mezzo secondo prima sarebbe stato meglio. Avevo incrociato il suo sguardo per un secondo e in quel secondo ci ho letto il dolore di una vita intera. È stato orribile. Io sono stato orribile. Sono sceso a tutta velocità, non mi importava chi mi vedesse e cosa pensasse. Ma non sono arrivato in tempo. L'ho visto sparire nella notte come un animale selvatico, come un filo di fumo. Non sono riuscito a fermare la persona più importante della mia vita. Già, perché in quel momento mi ero finalmente reso conto di amarlo. Volevo dirglielo. E non sono riuscito a fermarlo.
Rimango fermo immobile finché non sento le braccia di Kate ed Eli, e le voci di Cassie e Nate che mi si avvicinano per vedere se sto bene. No, non sto bene. Ma entro lo stesso in casa, più simile ad un robot che ad un essere umano. Negli occhi ho ancora l'immagine di lui sulla sua bicicletta scalcagnata che scappa, scappa lontano da tutto quello che sono e che ho fatto. E ora che ci penso é un'ottima domanda. Cosa ho fatto? Non lo so più nemmeno io. Un momento prima c'era lui, poi è arrivata Liz. E poi lui non c'era più. Perché non l'ho fermato?
La domanda che ora mi assillava più delle altre era la peggiore di tutte.
E adesso?

-
 
Mi sveglio di soprassalto. Ho fatto un incubo. Abituatici William, perché d'ora in poi saranno sempre con te, e peggiori di prima.
Getto le coperte in fondo al letto e filo in bagno. Accendo la luce e alzo lo sguardo allo specchio.  Il ragazzo pallido e smagrito di qualche mese fa è sparito ma dal riflesso nello specchio si capisce perfettamente che non ci impiegherà molto a tornare. l fantasmi della notte passata non hanno abbandonato il mio viso e pesanti ombre scure si affacciano minacciose sotto gli occhi. Tutto questo non fa altro che ricordarmi la sera prima e un moto di rabbia e tristezza mi attraversa da capo a piedi. Vorrei rompere quel dannato specchio ma preferisco andarmene da lì. Lussarmi la mano non mi farebbe stare meglio. La porta del bagno si chiude con un tonfo.
Giù il vecchio sta russando dalla sera prima, meglio così. Nel salotto aleggia una puzza tremenda di alcol e droga ma non è diverso dal solito schifo. Ero solo più abituato a starne lontano, e questo mi ricorda dove invece passavo il tempo, così cerco di pensare alla colazione.
Entro in cucina e apro lo sportello del frigo. Basso e sporco, semivuoto come sempre. L'unica cosa commestibile sembra essere del latte che ha ancora l'onore di potersi definire tale e nella credenza riesco a rimediare quanto c'è di più simile ad un pacco di cereali. É una magra consolazione sapere che qui è cambiato ben poco. Mi giro solo un'ultima volta per dare un saluto alla vecchia e unica cosa che mi è rimasta di mia madre, la casa in rovina. Con lei sarebbe stato tutto più facile.
“Ciao mamma..”
I genitori di Teddy sono tornati presto di domenica e io ho qualcosa da dirgli. Sono davanti alla sua porta. Quella sua porta verde. Verde come lui, come la sua divisa di Football, verde come la speranza. È l'ultima volta che la vedrò infatti, quanta ironia.
Mi viene quasi un infarto al pensiero che potrebbe aprire Teddy. Alla porta mi apre invece sua madre, come la prima volta, e mi riesce difficile frenare un sorriso. Mi invita ad entrare ma si scusa per l’assenza di Teddy, è agli allenamenti. Rifiuto e spero che non abbia notato che il mio cuore abbia ripreso a battere, ma ne dubito. Anche lei perde il sorriso sebbene abbia declinato l'invito con cortesia. Ha già capito che c’è qualcosa che non va, anche se mi sta guardando negli occhi so che non le è stato difficile notare la mia faccia.
Le dico che purtroppo non potrò più venirli a trovare, né a lavorare al garage, sebbene sia praticamente in ordine. Per tutta risposta lei dice che dispiace più a lei, e Dio solo sa se sembra che sappia ogni cosa, e alla fine mi dà un bacio sulla guancia e mi stringe. Per la prima volta mi rendo conto di cosa significhi avere una madre.. e anche il non averla mi pesa il doppio. Prima che le lacrime minaccino di presentarsi giro i tacchi e me ne vado. In quella casa ci sono troppe cose che mi mancano, troppi ricordi che ora riescono a rendermi tutt'altro che felice.

-

Kate, Eli e gli altri sono rimasti a darmi una mano a pulire tutto quando se ne sono andati tutti. Cassie si era messa a parlare con Nate ed Eli prima che i due potessero avvicinarsi. Scommetto che Kate le ha detto cos’è successo sul serio e vuole assicurarsi che non dicano cose sbagliate. Come se servisse a qualcosa, mi sento già uno schifo di mio. Kate ha mandato via Liz come solo lei riesce a fare. Credo che se non trovo il cadavere di Liz in camera mia sono ancora fortunato. Alla fine se ne vanno anche loro, e poche ore dopo arrivano i miei. Non voglio parlare con loro, così mi invento una scusa dicendo che il coach ci ha avvisati all’ultimo momento di un allenamento importante. Mia madre deve essere stanca per il viaggio, oppure sono migliorato come attore, perché non si rende conto che sto mentendo spudoratamente. Ho solo bisogno di starmene un po’ solo, e vado a piedi fino a Sheepshead Bay Road. So già che non lo troverò lì, ma continuo a sperare che voglia sapere cos’è successo davvero. Anche se agli occhi di chiunque sarebbe fin troppo chiaro.  In quel momento mi rendo conto che non ho idea di dove abiti. Non me lo ha mai detto, devo averglielo chiesto un giorno ma deve aver sviato la mia domanda. Ci riusciva benissimo. Mi manca l’idea che non sia qui a spiegarmi perché non dovrei nascondermi dai miei genitori, o che le equazioni di secondo grado non sono poi così difficili, perfino filosofia diventava interessante con lui. Qualsiasi cosa diventava interessante con lui. E io l’ho buttata nel cesso. E pensare che è in un cesso che sono riuscito a contattarlo la prima volta. Quanta ironia. Non ho smesso di camminare, ora mi ritrovo di nuovo a casa. Mi salta il cuore in gola quando vedo William uscire dal vialetto con la bicicletta e andarsene. Non mi ha visto. Ma rinuncio all’idea di seguirlo quando lo vedo schizzare via a bordo della bici.
Rassegnati Teddy, d’ora in poi sarà sempre così che lo vedrai. Gli hai voltato le spalle, ora lui fa lo stesso con te.
Il giorno dopo vado a scuola, sebbene non ne abbia alcuna voglia. L’unica cosa che vorrei fare adesso sarebbe rintanarmi in casa e non uscire mai più. Ma non mi sento ancora pronto ad affrontare il mio patrigno, continuerò a fargli credere che lavoro i pomeriggi, così almeno avrò un minimo di respiro. Ma i soldi a casa devo portarli comunque, e ho cancellato tutti i numeri in giro per la città. A meno che non mi contatti qualcuno di quelli vecchi non vedrò soldi per un bel po’, e in ogni caso dubito che richiameranno. Quando lavoravo da Tedd- da Karen e Dave, non voglio nemmeno più pronunciare quel nome, avevo bloccato tutti i vecchi numeri. Anche se adesso li sbloccassi tutti non spererei che qualcuno di quelli mi richiami. Quanto sono stato senza quel lavoro? E’ cominciato tutto a ottobre, ora siamo a marzo. Sei mesi. Non mi richiamerà nessuno. E i risparmi del lavoro a casa Altman non basteranno per più di un mese scarso, perfino se tagliassi la droga del vecchio. Rubare? Perché no? Ma dove, con cosa? La gente non si difende contro un ragazzo con un coltello da cucina in un vicolo buio la notte. No, è troppo rischioso. Lavorare? E chi mi prenderebbe? Devo trovare un’altra soluzione.
“Ehi sfigato! Guarda dove vai invece di pensare a Liz e Teddy!”
Se non avesse avuto dei riflessi tutto sommato buoni si sarebbe rotto il naso nella caduta. Lo sgambetto ci mancava per cominciare bene la giornata, mi sono sbucciato per bene i palmi e i gomiti sul selciato. Oh, ma tu guarda. Greg. Ci mancava proprio lui. So che gli occhi non possono incenerire la gente, ma mi stupisco lo stesso di non vedere un mucchietto di cenere al suo posto per quanto male lo sto guardando.
“Insomma siamo gelosi di Altman! Dovresti puntare a qualcosa di più alla tua portata, Liz non verrebbe con te nemmeno se diventassi il capitano della squadra.”
Risate. Non so cosa mi faccia più incazzare. Il fatto che mi abbia fatto cadere o che respiri semplicemente. Non so cosa succeda esattamente ma quando riapro gli occhi si sta tenendo il naso per i sangue e mi fa un sacco male la mano. Ha appena il tempo di capire cos’è successo che mi ributto addosso a lui a pugni stretti, non volevo rompergli il naso. Avrei preferito fracassarglielo direttamente. Ho appena scoperto che ho la stoffa per fare il kamikaze. E’ un vero peccato che prima che possa colpirlo lo fa uno dei suoi due compagni, che subito mi prendono per le braccia e per la gola tenendomi fermo. Sto ringhiando peggio di un cane rabbioso ma non mi interessa. Greg si è appena rialzato e so già dove colpirà. Prima che possa calciarlo nello stomaco mi colpisce lui proprio nello stesso punto con un pugno che quasi mi fa sputare sangue. Crollo sulle ginocchia mentre i tre se la svignano e tutti i curiosi si dileguano. Sta arrivando un insegnante ma me la filo a tutte gambe prima che possa anche accorgersi chi sono. Passerò la giornata in biblioteca, lì almeno non ti fanno domande imbarazzanti e l’ultima persona che potresti incontrare è un giocatore di football o un’oca pettegola.

-

Quando entro a scuola mi sento strano. Tutto mi sembra così privo di senso. Le ragazze che parlano di quanto si sono divertite alla festa, i miei compagni che mi chiedono quando ce ne sarà un'altra. Solo Kate,Eli e gli altri mi guardano come se fosse effettivamente successo qualcosa. E qualcosa é successo. Ho fatto soffrire una persona. Non sono nemmeno stato capace di fermarlo e spiegare l'accaduto. Oggi non è nemmeno a scuola, come faccio a spiegargli che non è come sembra, che non voglio Liz? "Sei tu che voglio, Liz non è nessuno, lo sanno tutti. Voleva solo un'occasione per dove a tutti che c'era andata con il vice capitano della squadra." Non poteva davvero pensare che tra lui Liz ci fosse qualcosa. "Ma non era ovvio, Theodore? Le stavi appiccicato, nel tuo letto, ad una festa. Come puoi pretendere che abbia pensato diversamente?”
 Non mi importa che sia una ragazza, in questo momento romperei volentieri qualche osso a Liz. Non sopporto come mi guarda, con quel sorrisetto malizioso sulle labbra truccate. Giro la testa verso l'insegnante ma non video riesco comunque a stare attento alla lezione. l numeri scritti sul quaderno mi sembravano così semplici quando era lui a spiegarmeli, ora sono solo una massa informe di simboli sconnessi.  Dovrei andare da lui, dirgli che mi dispiace, ma ora che ci penso non so nemmeno dove abiti. La lezione procede che è uno strazio, anche perché non riesco a pensare né alla lezione né a William. Quando finalmente suona la campanella sono il primo ad uscire e quando i corridoi cominciano ad affollarsi io sono già fuori.
O meglio, sarei già stato fuori se Greg non mi avesse bloccato all'uscita.
"Ehi Casanova! Gira voce che hai fatto incazzare quella povera checca di Mr. Invisibile!”
 Anche se fossi stato nel pieno delle mie capacità mentali non avrei comunque capito di cosa diamine stava parlando.. e in ogni caso non avevo molta voglia di starlo a sentire. Non mi accorgo nemmeno del suo naso gonfio.
"Di cosa diavolo parli?”
 "Di Kaplan ! Tutti dicono che aveva una cotta per Liz, che alla tua festa abbia tentato di farsi avanti ma che tu gli avevi già soffiato il posto! Se n'è andato dalla festa piangendo come una bambina!"
Avrei voluto spezzargli il collo seduta stante per tutte le cazzate che aveva appena detto ma non era decisamente il momento né il luogo adatto.
"Chi si è inventato tutte queste boiate?"
Gli chiedo semplicemente, sperando che non colga l'evidente raptus omicida che ho nei suoi confronti ora.
“Boiate!? Ma secondo te perché mi ha preso a pugni stamattina appena ho nominato la storia?” mi urla indicandosi il naso.
“Ti ha.. picchiato?” quell’uomo è un genio, chissà perché non l’ho già fatto io. Greg ammutolisce per un secondo, evidentemente è rimasto offeso nello spirito per quello che è successo. Sarei quasi dispiaciuto per lui se non fosse un totale idiota.
“Mi ha dato un pugno, l’infermiera dice che non è rotto. E ti credo, colpisce come una checca! Comunque gli abbiamo dato una lezione ed è scappato via. La prossima volta gli spezzo le gambe così ci pensa due volte prima di scappare. Avrei davvero voluto vederlo portare via dagli insegnanti.” okay, ora lo prendo a calci sul serio.
"Stronzate, non ci sono andato con Liz. È un po' troppo troia per i miei gusti." Taglio il discorso prima di colpirlo seriamente. Lui non è Liz ma spero che si offenda comunque. E prima che possa aggiungere qualcosa mi dirigo verso il Pick-Up.

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Non sono più tornato in biblioteca dopo quella volta. Credo che mi tenessi appena in piedi, perfino la bibliotecaria mi aveva guardato in modo strano. Prima che potesse chiedermi qualcosa ho girato i tacchi e me ne sono andato.
Ora che il mio patrigno mi vede più spesso a casa non perde mai un'occasione per picchiarmi o ricordarmi della sua dannata droga. Le botte ora sono insopportabili, perché spesso mi capita di portare molti meno soldi a casa. La vita che mi ero costruito con Teddy ha reso impossibile quella a cui ero stato costretto a tornare. Meno clienti, meno soldi, meno droga, più botte, voti bassi, più assenze. A volte sono conciato così male che non vado nemmeno a scuola per paura che qualcuno faccia qualche domanda. Oggi è uno di quei giorni, e mi fanno male talmente tante parti del corpo che ho paura a fare un elenco. Il vecchio bastardo aveva scoperto che tagliavo la sua roba per fargli credere che ce ne fosse di più, ma in quel modo aveva abbastanza droga in corpo per reggersi in piedi, e più che sufficiente per picchiarmi tanto forte che non pensavo sarei riuscito a trascinarmi fino alla camera. Domani dovrò portargli il doppio dei soldi e non mi sembra poi così stupido pensare che questa volta riesca a farmi secco se scopre che tocco di nuovo la sua roba.
A scuola le cose vanno peggio di prima e non solo per i voti. A quanto pare in giro si è sparsa la voce che io abbia una cotta per Liz e che alla festa lei si fosse fatta il mio migliore amico, strano pensare che abbiano anche ipotizzato che io avessi un amico. Da Mr. Invisibilità sono diventato il povero sfigato rifiutato dalla figa della scuola. Alle volte diventa quasi più piacevole rimanere a casa a sorbirsi le botte o in strada a vendersi per soldi. No, sto scherzando. Non so cosa sia peggio.
Non voglio perdere l’anno ma alcune lezioni non sono proprio in grado di sostenerle. Evito tutte quelle in comune con Teddy. E’ un miracolo se riesco a schizzare fuori da scuola prima che possa beccarmi. L’ho visto qualche volta tentare qualche agguato fuori dal portone ma me la sono sempre svignata. Forse è solo perché non mi importa più di tanto se mi investe un auto per strada. Non voglio parlargli, cosa avrebbe da dirmi? Scusa? E di cosa? Se gli piace Liz a me non importa un bel niente. Probabilmente finirei per picchiare anche lui. Invitarmi a salire solo per farmi vedere un bello spettacolo di loro due che se la spassano a letto? Che diavolo gli passa per il cervello non lo voglio sapere. Ne ho abbastanza di farmi prendere in giro.
 
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Ogni volta che lo vedo scappare via da me mi sento sempre più un mostro. E non sono così sicuro di poter affermare il contrario. Però voglio rimediare almeno in parte. Così il giorno dopo so cosa fare. Nella mia ora buca prima della campanella vado in segreteria e aspetto che arrivi Megan. Megan è la segretaria più dolce che si possa avere. Sembra tanto acida e severa ma appena le si chiede per favore con aria implorante non riesce a dirti di no e puoi farti dare il numero di qualsiasi insegnante per uno scherzo telefonico. Prima di entrare incrocio per sbaglio il bidello, lui è arcigno per davvero. Ma ho la testa tra le nuvole e sto per scivolare sul pavimento bagnato e lui mi riprende.
“Piantala di pensare a rose e fiori e guarda dove vai!”
Rose e fiori? Perché dovrei pensare a rose e fiori. Sto per rispondergli che non sono una stupida checca ma mi guarda in un modo talmente strano che richiudo la bocca e me ne vado. Ha l’aria di chi sa tutto.
Chiudo la porta alle mie spalle e Megan mi chiama con la sua vocina stridula. E’ piccola e vecchia, ma un tempo doveva essere stata una bellissima donna. I capelli bianchi e grigi sono legati stretti dietro la testa in una crocchia con i ciuffi che si ribellano vicino alla orecchie e alcuni sulla fronte, tanto che quando qualcuno non la vede soffia semplicemente per ributtarseli indietro. È uno spettacolo imperdibile. Gli occhialetti a mezzaluna sono grigi come il cordino che li tiene legati. Bisogna sporgersi oltre il computer per vederla bene e quasi nessuno lo fa, molti trovano spiacevole parlare con lei ma io la trovo troppo divertente per perdermela.
“Theodore!” mi chiama con quel nome solo quando sa che non c’è nessuno intorno “Cosa posso fare te giovincello? Non provare a chiedermi di nuovo il numero di Mrs. Hudson perché è venuta a lamentarsi, per fortuna non c’ero io qui.”
Ridacchia tutta contenta. Mi sembra che sia rimasta una ragazzina, in fondo si diverte un sacco quando vengo a parlarle degli scherzi che giochiamo agli insegnanti ma non lo ammetterà mai.
“Tutt’altra cosa Megan, ho bisogno dell’indirizzo di uno studente.”
“O misericordia, non vorrete fargli dei graffiti sul portone di casa? Perché se è così è fuori discussione!” Protesta ancora con quella vocina. Non era così felice di contribuire a scherzi fatti ai ragazzi della scuola quanto per gli insegnanti. È una delle cose che adoro di più di lei.
“Niente affatto! Devo.. andare a dargli i miei appunti ma sta male, così glieli lascio nella cassetta della posta.”
Sarebbe stata una scusa perfetta se io prendessi veramente degli appunti, e lei sa benissimo che non è così.
“Mi serve l’indirizzo di Kaplan. Ti prego, è importante!” La imploro, so che non può resistere ad uno studente implorante.
“Oooh, devi fare una sorpresa alla tua dolce metà eh?” Ridacchia con fare complice. Mentre comincia a trascriverlo su un foglietto.
“No! Kaplan è un ragazzo!”
“E con questo?”
Sorride tutta contenta mettendomi il bigliettino in mano e facendomi cenno di andare. Ma perché tutti sembrano sapere tutto?

-

È morto. Il vecchio è morto di overdose e McLowes è stato arrestato per spaccio. Sono tornato a casa da un’altra serata appostato sotto il ponte a camminare sul marciapiede al freddo. Sapevo che tornato a casa mi avrebbe pestato di brutto e invece ho trovato le sirene ad aspettarmi. Hanno portato via una barella coperta da un lenzuolo e prima che potessi capire che cos’era successo mi chiedono se abito qui. Rispondo di sì, mi mettono in una macchina e mi portano in centrale. Mi mettono una coperta e una tazza di cioccolata tra le mani. Non capisco perché, sono ancora troppo scosso per connettere quello che ho visto e formulare un pensiero compiuto. Mi dicono che è morto e si dispiacciono. Ma io non sono per niente dispiaciuto, solo stranito. Sembro un drogato perché cominciano a farmi mille domande. Mi limito a rispondere. Ti sei drogato anche tu? No. Faremo delle analisi. Non c’è problema. Da quanto tempo succede? Da sempre. Non lo hai mai denunciato? Mi picchiava.
A quel punto uno degli agenti, una donna, li manda via tutti e chiude la porta. Mi fa sedere sulla poltrona più comoda e mi mette una mano sulla spalla. Mi chiede da quanto tempo mi picchiava. Rispondo alla stessa maniera, da quando mia madre è andata via. Sanno che non è il mio vero padre, sembra una favola per loro, quella del patrigno cattivo. Sembra Cenerentola, almeno lei viveva in una casa pulita. Sembra quasi che non ci creda, così sollevo la maglietta. Anche i poliziotti fuori dalla stanza cominciano a parlottare preoccupati. Io sono apatico, però la signora è simpatica. Rispondo a tutte le sue domande con sincerità. Se la prendevo io la droga, come, da chi. Le rispondo che mi ha costretto a prostituirmi all’età di 13 anni quasi perché ero gay, e se non portavo a casa i soldi mi picchiava, perché quelli come me non servono niente, che dovevo solo ringraziarlo perché mi rendevo utile a qualcosa. La donna è sconvolta ma continua a farmi domande, mi piace ma non è un agente in realtà, leggo sul suo pass che si chiama Donovan, è una psicologa. Mi chiede se anche lui abbia abusato di me e mi viene da ridere quando le dico di no. Le dico anche che la droga non la compravo io. La portava l’avvocato che mi aveva in custodia per i controlli. Le dico il nome ma non rimane sorpresa. Non lo conosce ma è determinata e fa un cenno ai suoi colleghi, uno di loro si affaccia e lei ripete il nome, poi l’agente se ne va, quindi le parlo ancora. Mi chiede se mi abbia picchiato anche lui qualche volta, le rispondo di no. Dice che faranno comunque degli esami del sangue e delle urine anche a me e che mi faranno visitare per vedere se ho delle contusioni o fratture non curate correttamente. Aggiungo che se serve possono avere il mio cellulare per rintracciare i vari numeri di telefono. Mi dice le cose come stanno, e questo mi fa piacere. Però aggrotto la fronte. Le dico che nell’ultimo periodo gli diluivo le dosi di qualsiasi cosa arrivasse a casa ma poi ho smesso quando mi ha quasi rotto le costole per le botte. Le chiedo se lo ucciso in qualche modo, ma non mi interessa sapere molto la risposta. Se anche lo avessi ucciso non mi sentirei in colpa. Lei risponde che era solo questione di tempo ma sembra sincera. Però questo la spinge a farmi un’ultima domanda, mi ha chiesto se ho mai provato a difendermi.
“Se lo avessi fatto mi avrebbe picchiato più forte la volta dopo. Avrei dovuto ucciderlo se volevo farlo smettere.”
Donovan mi fa una smorfia di orgoglio e mi da un abbraccio prima di uscire. Mi saluta dicendo che gli altri agenti vengono a prendermi fra pochi minuti per fare le analisi.
Dopo un paio di giorni mi portano in tribunale dopo tre o quattro giorni circa, non ricordo esattamente, per condannare McLowes. Per gli altri “clienti” non occorreva la mia testimonianza, mi era bastato fornire il telefono ed era una prova più che sufficiente. McLowes era accusato di favoreggiamento alla prostituzione, detenzione di sostanze stupefacenti, corruzione e spaccio. Gli avrebbero dato come minimo vent’anni. Per quanto riguarda me, mancava poco meno di un mese al mio diciottesimo compleanno e quindi il giudice acconsentì a farmi vivere da solo, sotto tutela di Alicia Donovan, che sarebbe stata anche la mia psicologa per tutto il tempo di cui avrei avuto bisogno. Ero felice dopotutto. Ora finalmente non dovevo lavorare, McLowes aveva dovuto pagarmi un risarcimento danni di tanto denaro che non avrei saputo cosa farmene in una vita intera. Io in realtà avevo altri programmi. Quei soldi bastavano per rimettere la casa a nuovo e Dio solo sa se non avrei riavuto indietro la mia vecchia casa. Alicia si fermava da me ogni tanto, cenavamo insieme, mi aiutava con i presunti traumi, semplicemente c’ero abituato ma lei era felice anche solo di stare un po’ con me. Ho cominciato a parlarle di Teddy, e lei ascoltava e basta. Ma quello andava benissimo già così com’era.
Mancava solo una cosa. Teddy.

-

È troppo. Non mi interessa cosa penseranno i miei. Vorrei farmi perdonare da Billy almeno un po’. Manca da scuola da settimane, e quando c’è non riesco a fermarlo per parlargli. Sono a cena con i miei, non siamo molto in vena di chiacchiere da quando William non è qui a farci compagnia. Mi mancano i nostri discorsi, le risate con i miei. Ogni tanto mi lanciano occhiate, sanno che sto per dire qualcosa ma fanno finta di niente. Non gli riesce molto bene. Se non comincio adesso penso che non lo farò mai.
“Mamma, papà.. Vorrei dirvi una cosa di me e Billy. Del perché non si fa più vedere.”
“Era ora che ti decidessi!” Sbotta mia mamma.
“Karen!” Mio papà non urla mai, ma ora sta riprendendo mia madre, e non urla mai nemmeno lei. “Fai finire il ragazzo!”
Mi sento un po’ spaesato, mi hanno preso alla sprovvista, ma mi sarei sentito così in ogni caso. Ora sono però decisamente confuso.
“Decidessi?” Chiedo con un filo di voce. Lo sapeva già? Esattamente, cosa sapeva!?
“Dai, guardalo! E’ in crisi!” I miei genitori mi stanno turbando non poco in questo momento.
 “Io voglio sentirlo dalla sua bocca, Karen.” E prendono a fissarmi entrambi, non c’è un solo rumore in casa in questo momento. Credo di essermi appena paralizzato, spero non sia permanente.
“M-mi piacciono i ragazzi.” Azzardo con la voce rotta.
“Sbagliato!”
“Karen!”
“Ma che avete voi due!?” Mi stanno veramente gettando in panico, che problemi hanno!?
“A te piace UN ragazzo! E quel ragazzo è William!” Mio padre si schiaffa una mano in faccia, esasperato da mia madre. Io sono semplicemente tanto rosso in viso che faccio invidia al sugo della pasta.
“Non fare quella faccia Dave, è colpa tua se non ce lo ha ancora detto.”
“Colpa mia!?”
“E’ risaputo che i ragazzi hanno paura di dire di essere gay perché hanno paura della reazione del padre!”
“Io non sono gay!”
La frase mi viene in automatico, anche se è una bugia. Di solito quando sento quella parola a scuola questa è la mia prima reazione. E infatti i miei mi stanno guardando con una faccia che in una situazione normale sarebbe ridicola. Ma questa NON è una situazione normale.
“Certo certo, Theodore. Ora mi spieghi che avete combinato quella sera? Sì signorinello, so benissimo che avete fatto festa con tanti amici, sono stata giovane anche io! Ora voglio sapere cosa hai fatto a quel povero ragazzo che non vuole nemmeno più vederti! Glielo hai chiesto in modo troppo esplicito!?”
“Cosa- NO!”
Non so chi sia più in imbarazzo tra me e mio padre ma la risposta è sulla mia faccia.. Quindi vuoto il sacco. Mia madre non parla per i seguenti dieci minuti e sia io che mio padre ne siamo più che felici.
Quando finiscono ci sono momenti interminabili di silenzio, ora è perfino troppo. Ma l’espressione di mio padre è cambiata e prende subito parola.
“E si può sapere cosa stai aspettando a chiedere scusa al mio futuro genero!?”
“DAVE!”
 Adoro i miei genitori.

-

Sto studiando sul mio letto, c’è solo la luce della scrivania sul tavolo a fare luce e so che non è abbastanza per leggere. Anche se ci fosse la luce del sole proprio sopra la mia testa non servirebbe a niente. Non riesco a concentrarmi. Così butto tutto per terra, e cadono sul tappeto  libri, quaderni e penne. Mi getto sul letto di faccia e mugugno lamentoso sulle coperte, mi metto le cuffie, così magari riesco a non uccidermi da solo per quanto mi sto lamentando. Non riesco a concentrarmi. La storia di Teddy mi tormenta ancora, non ne ho ancora parlato con Donovan- Alicia, in un certo senso ho paura che possano accusare anche lui insieme agli altri clienti nel mio telefono. Per fortuna avevo cancellato il suo numero tempo prima, ero ancora arrabbiato con lui.
Ma che sto dicendo!? Sono ancora arrabbiato con lui! Ha fatto veramente una grande stronzata, non lo sopporto. O meglio, vorrei non sopportarlo, ma non ci riesco. Mi manca. Chissà come se la cava in matematica ora che non gli do più una mano. Chissà se Dave è riuscito a tenere il garage è ancora in ordine. Mi stringo nella felpa che mi hanno regalato per Natale. Manca una settimana al mio compleanno e lo festeggerò da solo. Non ho risposto alle chiamate di Kate, Eli, Cassie o Nate. Per fortuna nessuno sa dove abito. So già cosa mi direbbero, che non è come penso. Ah sì? Allora perché l’unico a non chiamarmi è proprio Teddy? Non voglio sentirmi dire bugie. Però vorrei davvero rivederlo. Vorrei che non fosse mai successo niente di tutto.. Be’, quello che è successo quella sera. Ma non ho ancora il potere di cambiare il corso degli eventi. Ci sto lavorando.
Avevo preso in considerazione l’idea che Liz ci abbia provato spudoratamente con lui e lo avesse attirato di sopra dopo avermi fatto il cenno di salire ma sono stato fin troppo cieco. Anche se fosse vero non saprei come riavvicinarlo. Sono un disastro.
In quel momento sento un rumore alla finestra. Qualcuno si è messo a lanciare sassolini alla mia finestra. Mi ha beccato nel momento sbagliato e non risponderò delle mie intenzioni visto che sono incazzato come una iena. Alzo la finestra di scatto e urlo prima di vedere chi c’è nella strada buia.
“Tirane un altro e giuro che ti faccio pentire di essere nato!”
“Non era per quello che ero venuto a chiedere scusa però.. Scusa per i sassi, non rispondevi alla porta.”
Qualcuno troverà il mio cadavere stecchito sulla finestra perché il mio cuore non sta più battendo. Capisco di chi è quella voce prima di fare attenzione a chi c’è in mezzo alla strada. Teddy.
Mi catapulto giù dalle scale alla velocità della luce, sarebbe molto ironico se inciampassi adesso e mi rompessi l’osso del collo. Grazie a Dio non succede ma impreco per la catenella alla porta. Quando riesco ad aprirla mi ricordo di essere a piedi nudi ma non mi interessa. Ci fossero dei chiodi a tre punte sulla strada non perderei tempo a mettermi le scarpe. Mi lancio in strada schizzando sul selciato finché non sbatto contro di lui, gettandogli le braccia al collo. Grazie al cielo è un giocatore di football dalla stazza notevole altrimenti avremmo rischiato di finire sulla strada lunghi e distesi.
Prima che possa dire qualsiasi cosa mi prende il viso e mi bacia. Non era così che avevo immaginato le sue labbra ma in quel momento non potrei immaginare nessun’altra cosa che lui. Teddy è qui. Non ho idea di come abbia trovato casa mia ma non mi interessa. E’ la prima volta che mi abbraccia e le sue braccia sono veramente grandi, non mi ricordavo quasi più l’odore di casa che ha con sé. Mi era mancato fin troppo. Sono fin troppo felice e l’ultima cosa che potrebbe importarmi è il prima e il dopo. C’è solo il presente. Ed è qualcosa di bellissimo.




 
Scusate se vi ho fatto aspettare secoli (sì, sono secoli, non ho scuse!) ma proprio avevo un periodo che non riuscivo a scrivere niente. Poi stamattina mi sono messa d'impegno e ho finito anche il terzo capitolo.
Nella mia idea originale c'era posto per soli tre capitoli ma credo che metterò un epilogo, che è in fase di lavoro:)
Spero vi sia piaciuta o se siete arrivati fino qui per pena potete anche dirmelo, non mi offendo.

In realtà sto già macchinando qualche terribile tortura per quelli a cui non è piaciuta quindi attenti a voi.

P.s.: Solo io mi sono immaginata la faccia dei genitori in stile "Are you fucking kidding me?"?

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Capitolo 4
*** Ecstasy - Epilogo ***


“Ciao Donovan,
non mi abituo mai all’idea di chiamarti Alicia ma so di doverci provare. So cosa dirai, che posso chiamarti come voglio. Secondo me non è così, devo chiamarti col nome che ti piace di più, io l’ho imparato. Grazie per tutto quello che fai, mi sei molto d’aiuto anche se non lo avrei mai pensato. Grazie molte anche per le chiamate, so che ogni tanto non riesci a venire ma mi fa lo stesso piacere sentirti.
Oggi è stata una bella giornata, siamo a maggio e ho recuperando tutte le materie, mi manca molto poco e potrò passare l’anno senza problemi. La casa procede bene, benissimo anzi. Hanno appena rifatto i pavimenti e ho lavato tutti i tappeti, le tende, tutto quanto! Il frigorifero finalmente è degno di essere chiamato tale e il bagno non puzza più di alcol e vomito da un bel po’.
Anche il giardino ora sta diventando una meraviglia, l’erba ha preso bene e fra non molto dovrebbero fiorire anche le ortensie. Teddy mi ha dato una mano con tutto quanto.
Oggi è il mio compleanno e come sai da oggi in poi la casa è ufficialmente mia. Ci saranno anche i suoi genitori e tutti i nostri amici, Kate, Eli, Cassie e Nate. Sarebbe stato bellissimo se ci fossi stata anche tu ma so che sei via per lavoro ultimamente. Sarebbe stato meraviglioso.
Ah, Teddy mi ha presentato per la seconda volta ai suoi genitori. Questa volta come fidanzato, la sera in cui è venuto sotto casa mia lo aveva appena detto ai suoi. Ha detto che è stato bellissimo, avrei voluto esserci ma Dave e Karen mi hanno descritto tutta la scena nei minimi dettagli, ovviamente con somma vergogna di Teddy!
Ora devo scappare, Teddy e io abbiamo appena finito i compiti.
Dice che non vede l’ora di conoscerti!
 
Spero di vederti presto,
William”
 
“Vuoi spegnerlo questo dannato PC o devo aspettarti fino a Natale?”
Il click di spegnimento rompe il silenzio dopo aver mandato il messaggio e Teddy è impaziente già da quando l’ho acceso. Mi giro a guardarlo con un sorriso.
“Non mi lasci respirare un secondo eh?”
“Da quando ti ho ritrovato penso che non lo farò mai.”
Gli do una spintarella e lui mi trascina sul letto, stringendomi tra le braccia come quella sera. E’ passato poco meno di un mese e oggi è un giorno speciale.
“Buon compleanno William.”
Mi lascia un bacio sulla guancia e io glielo torno sulle labbra. Ora la casa è mia, tutta mia. Sentiamo bussare alla porta e Karen ci lancia un’occhiata di rimprovero, dopotutto siamo distesi sul letto impunemente, ma non riesce a nascondere un sorriso.
“Venite giù che vi stanno aspettando tutti!”
Lei scompare e noi ci alziamo ma Teddy mi spinge sul letto e scappa giù di corsa. Io protesto ma è tutto inutile, è già sparito di sotto. Che razza di idiota, penso scendendo giù. Hanno tirato le tende e l’unica luce sono diciotto piccole luci sospese a mezz’aria. All’improvviso le accendono e li vedo tutti. Karen, Dave, Kate, Nate, Eli, Cassie e Teddy.
“Esprimi un desiderio prima di soffiare!”
Non ho nulla che potrei desiderare ora che la mia vita è perfetta ma li accontento.
Mamma, papà, vorrei che mi vedeste adesso

 

Ed è così che si conclude ufficialmente la FanFiction, è stato un piacere vedere tutti questi lettori e veramente, ne sono molto orgogliosa. Per quelli che sono arrivati fino alla fine veramente, a loro devo moltissimo, vedere quei numeri aumentare di volta in volta era un modo per dirmi "Roby, finisci quella dannata FF che stanno tramando la tua morte!" e quindi.. Be', è finita.
Spero in nuove illuminazioni! :)
 

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