Hall of Fame

di Ortensia_
(/viewuser.php?uid=124384)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Premessa ***
Capitolo 2: *** Capitolo I ***
Capitolo 3: *** Capitolo II ***
Capitolo 4: *** Capitolo III ***
Capitolo 5: *** Capitolo IV ***
Capitolo 6: *** Capitolo V ***
Capitolo 7: *** Capitolo VI ***
Capitolo 8: *** Capitolo VII ***
Capitolo 9: *** Capitolo VIII ***
Capitolo 10: *** Capitolo IX ***
Capitolo 11: *** Capitolo X ***
Capitolo 12: *** Capitolo XI ***
Capitolo 13: *** Capitolo XII ***
Capitolo 14: *** Capitolo XIII ***
Capitolo 15: *** Capitolo XIV ***
Capitolo 16: *** Capitolo XV ***
Capitolo 17: *** Capitolo XVI ***
Capitolo 18: *** Capitolo XVII ***
Capitolo 19: *** Capitolo XVIII ***
Capitolo 20: *** Capitolo XIX ***
Capitolo 21: *** Capitolo XX ***
Capitolo 22: *** Capitolo XXI ***
Capitolo 23: *** Capitolo XXII ***
Capitolo 24: *** Capitolo XXIII ***
Capitolo 25: *** Capitolo XXIV ***
Capitolo 26: *** Capitolo XXV ***
Capitolo 27: *** Capitolo XXVI ***
Capitolo 28: *** Capitolo XXVII ***
Capitolo 29: *** Capitolo XXVIII ***
Capitolo 30: *** Capitolo XXIX ***
Capitolo 31: *** Capitolo XXX ***
Capitolo 32: *** Capitolo XXXI ***
Capitolo 33: *** Capitolo XXXII ***
Capitolo 34: *** Capitolo XXXIII ***
Capitolo 35: *** Capitolo XXXIV ***
Capitolo 36: *** Capitolo XXXV ***
Capitolo 37: *** Capitolo XXXVI ***
Capitolo 38: *** Capitolo XXXVII ***
Capitolo 39: *** Capitolo XXXVIII ***
Capitolo 40: *** Capitolo XXXIX ***
Capitolo 41: *** Capitolo XL ***
Capitolo 42: *** Capitolo XLI ***
Capitolo 43: *** Capitolo XLII ***
Capitolo 44: *** Capitolo XLIII ***



Capitolo 1
*** Premessa ***


HALL OF FAME





Premessa





C'è luce nell'ombra, c'è oscurità nel chiarore soffuso delle stelle.

Ad un certo punto della sua esistenza, la luce diviene più vigorosa, vanificando completamente gli effetti dell'ombra.
Ad un certo punto della sua esistenza, la luce si allontana dall'ombra, per cercarne una ancor più oscura ed evanescente.
Questa era la lezione che Kuroko Tetsuya aveva appreso nel corso dell'adolescenza e al raggiungimento della maggiore età. Eppure era un insegnamento che ancora faticava ad assimilare.
Anzi, la sua non era fatica: la sua era riluttanza.
Pura riluttanza al fatto che, dopo anni di amicizia dentro e fuori il campo da basket, Kagami se ne fosse tornato oltre oceano, nella lontana America.
Essere diverso dagli altri, giocare un basket diverso dagli altri, dare importanza al gioco di squadra e all'amicizia, gli era già costato caro ai tempi della Teiko, quando era l'ombra di Aomine. A quei tempi, comunque, era ancora giovane e non sentiva il peso che percepiva ora, la sofferenza inaudita che gli provocava il ricordo del saluto di Kagami, ancora stretto fra le sinapsi del cervello, maledettamente ancorato ad ogni singolo anfratto della mente.
Alle medie era poco più di un ragazzino e si parlava di semplice amicizia: se pensava alle sensazioni provate alle superiori, i sentimenti che aveva riversato nei confronti di Kagami, si rendeva immediatamente conto che si trattava di tumulti interiori molto lontani da quelli provati all'epoca della Teiko, quando la preoccupazione maggiore era essere utile per la squadra, far vincere la squadra.
Tetsuya stava camminando lungo il ciglio della strada, il passo lento e cadenzato, le mani in tasca e il capo chino.
Ogni tanto capitava che un'auto transitasse a fianco del marciapiede e che la luce dei fari si alternasse all'oscurità della sera, illuminando il suo cammino e le gocce di pioggia sottile che a poco a poco gli inumidivano il viso, divorandogli il cappuccio della felpa e infine i capelli.
Un paio di minuti più tardi, comunque, Kuroko si chiuse la porta di casa alle spalle, trovandosi al sicuro dalla minaccia della pioggia.
Non ebbe neppure il tempo di riposare gli occhi: Numero Due gli venne incontro scodinzolando e abbaiando, e Tetsuya riuscì soltanto a portarsi l'indice sulle labbra e soffiare contro di esso, invitandolo al silenzio, prima che il cane si drizzasse sulle zampe posteriori e gli posasse le anteriori sul petto, respingendolo contro la porta.
«Oh-» Tetsuya si ritrovò con la schiena aderente alla porta, con ancora le zampe di Numero Due piantate sul petto che gli impedivano di muoversi. Rimanendo il silenzio lo accarezzò affettuosamente fra le orecchie color pece, volendolo ringraziare per aver smesso di abbaiare.
Erano le ventidue passate, ormai, e l'abbaiare grave di Numero Due - decisamente cresciuto rispetto ai tempi della Seirin - avrebbe potuto svegliare i suoi genitori e sua nonna, ma per fortuna sembrava che tutta la casa avesse continuato a dormire indisturbata.
«Tetsuya!»
«Nonna-!» il ragazzo fu colto alla sprovvista dalla voce tremante e dalla sagoma ingobbita dell'anziana, che ora lo fissava al di là delle spesse lenti degli occhiali.
«Come mai sei tornato così tardi?
Satsuki è passata per dirti una cosa e ti ha aspettato per quasi un'ora.»
«Momoi-san è venuta qui?» perché a casa sua? A quell'ora, per giunta.
«Sì, se n'è andata non appena ha iniziato a piovere.»
Tetsuya annuì appena, potendo finalmente staccare la schiena dalla porta non appena Numero Due si accucciò placidamente ai piedi di sua nonna.
«La chiamerò domani mattina.» non voleva rischiare: dopotutto Momoi poteva essere già arrivata a casa ed essersi addormentata.
L'unica sera in cui, dopo il lavoro, aveva deciso di stare per conto suo e trattenersi in un fast-food, forse nella vana speranza di incontrarvi Kagami come le prime vote - o forse semplicemente per rinnovare il ricordo di quei giorni ormai lontani -, Momoi era passata a casa sua per dirgli una cosa.
Tetsuya avrebbe voluto chiedere a sua nonna se aveva idea di che cosa volesse dirgli Momoi, ma si limitò ad augurarle la buona notte, congedandosi e dirigendosi verso la propria camera.
Perché Momoi non lo aveva chiamato al cellulare? Avrebbe rimandato il suo appuntamento con il posto vuoto di fronte a sé al fast-food e l'avrebbe raggiunta senza farle fare un viaggio a vuoto.
Tetsuya estrasse il cellulare dalla tasca dei jeans, lasciandosi sfuggire un sospiro non appena lo trovò spento: chissà da quanto era scarico, e non se n'era neppure reso conto.
Il fatto che non si fosse reso conto della batteria scarica del proprio cellulare era piuttosto indicativo e abbastanza ovvio: quando ogni contatto del passato è perso e nessuno ti contatta, il cellulare lo guardi solo per dare un'occhiata al tempo che scorre. Niente di più.
Il ragazzo si sedette al bordo del letto senza neppure levarsi la felpa inzuppata di pioggia: teneva lo sguardo fisso in un punto impreciso della stanza, le dita debolmente intrecciate fra le ginocchia. Aveva lo sguardo completamente vuoto, le labbra incrinate.
Proprio in quel momento, mentre Numero Due si acciambellava ai suoi piedi, Tetsuya credette che le sue labbra non si sarebbero mai più risollevate in un sorriso, forse sarebbero rimaste così per sempre, spezzate a metà come una nave nel bel mezzo dell'oceano e di cui le estremità vanno sempre più a fondo.
Gli mancava sorridere, gli mancava stare bene, e con quei pensieri ad attanagliargli la mente, fino a fargli bruciare il petto, concluse che sarebbe stato davvero meglio per lui se avesse chiamato Momoi, anche se in un certo senso avrebbe preferito tenerla lontana, lontana come tutti: perché presentarsi a casa sua così all'improvviso, dopo mesi di silenzio?
Sì, Tetsuya preferiva tenersi lontano da tutti e respingerli finché non avrebbe rivisto Kagami, forse perché, semplicemente, non aveva il desiderio di apparire terribilmente triste davanti agli occhi di Momoi o di chiunque altro.
Tetsuya socchiuse gli occhi e si lasciò scappare un flebile sospiro, levandosi a fatica la felpa per poi posarla sullo schienale della sedia vicino al letto.
Si coricò sul letto, lasciando che il fianco destro aderisse al materasso, rimanendo rannicchiato in silenzio e dando le spalle non solo a Numero Due, ma anche a tutto il resto della stanza e alla flebile luce dei lampioni che riusciva a filtrare dalle vecchie imposte.
Rimase a fissare solo per qualche minuto la parete vuota che gli stava di fronte, poi, investito da un brivido di freddo improvviso a causa delle gocce di pioggia ancora imperlate fra i capelli, chiuse gli occhi e scivolò nel buio.

Buio. Quale miglior consolazione per un'ombra senza la sua luce?




Licenza Creative Commons
Quest'opera è distribuita con Licenza Creative Commons Attribuzione - Non commerciale - Non opere derivate 2.5 Italia.




L'angolino invisibile dell'autrice:

Voglio semplicemente dire che ora come ora questa fanfiction è ancora in costruzione, ho un'idea ma è molto molto embrionale, nulla di definito, quindi non posso prevedere neppure io quale sarà il suo destino.
Per quanto ne so domani potrei anche cancellarla. Insomma, ditemi voi. Spero di fare un buon lavoro, ecco tutto! ;u;'

Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** Capitolo I ***


Capitolo I





Il rapporto fra luce ed ombra è un'infinita guerra di illusioni, sogni infranti e lacrime che fanno male come spine.

«Tetsu-kun!»
Momoi aveva risposto con più entusiasmo del solito, tanto da far sobbalzare leggermente Tetsuya che, a causa della voce decisamente alta della ragazza, si ritrovò costretto a scostare l'orecchio dal cellulare.
«Momoi-san, scusami se non ti ho richiamata ieri sera.»
«Stai tranquillo: mi hai chiamato ora, quindi è tutto risolto!» gli parve di sentirle accennare una risatina melensa «e poi sono stata io quella maleducata: non dovevo presentarmi a casa tua così tardi, ieri.»
La voce di Momoi era sforzata, come se le estremità delle sue labbra fossero costantemente rivolte verso l'alto, in un sorriso allegro e spensierato. A pensarci bene doveva essere così, doveva star sorridendo, visto che dall'ultima volta che si erano sentiti era passato più di un mese.
Senza che Tetsuya se ne accorgesse, quella sensazione di rigidità attorno alle sue braccia e il fastidioso torpore mentale che lo aveva aggredito la sera prima, senza lasciarlo più, stavano via via affievolendosi.
Nonostante la sua voglia di allontanare tutti, gli faceva piacere sentire Momoi: non si era dimenticata di lui e quella telefonata significava che, beno o male, almeno una delle sue vecchie amicizie ci teneva a mantenere i contatti con lui - e non c'era da stupirsi che si trattasse di lei, visto che era innamorata di lui dai tempi delle medie -
«Senti, Tetsu-kun.» Momoi non gli diede neppure il tempo di chiedere il motivo della sua visita la sera prima «lavori, questa sera?»
«No.» Tetsuya aggrottò la fronte leggermente confuso.
«Allora che ne dici di uscire?»
Non che non fossero già usciti insieme, ma in qualche modo quella richiesta lo mise subito in difficoltà, pur trattandosi di un semplice incontro fra amici.
Forse aveva paura che Momoi potesse voler indagare sulla sua sfera privata ad ogni costo, nel vederlo così spento; o che volesse uscire per confessargli ancora una volta i suoi sentimenti, nella speranza che avesse cambiato idea e peggiorando ancor di più il suo stato - non c'è cosa peggiore di vedere la tristezza negli occhi di un deluso d'amore, quando tu stesso lo sei -; o semplicemente che si ponesse come obbiettivo quello di ottenere un appuntamento con lui per passeggiare a braccetto e sentirsi la sua fidanzata.
No: niente di tutto questo, anche se erano ipotesi relativamente valide e possibilmente avverabili.
Il problema era sempre lo stesso: Momoi non era Kagami.
Poteva volerle bene, trascorrere qualche piacevole ora in sua compagnia, ma non sarebbe mai stato come con Kagami; un paio di ore con lei non avrebbero eguagliato neppure un solo minuto con lui.
«Ecco, Momoi-san ...»
«Tetsu-kun!» Momoi cantilenò il suo nome quasi mugugnando.
«Non farti pregare, dai!» riprese «È da tanto che non ci vediamo, mi manchi, Tetsu-kun!» e cantilenò ancora quel nomignolo, questa volta assumendo un tono più languido.
Tetsuya si sentì in trappola: dopotutto le aveva detto che quella sera era libero e lei aveva ragione: non si vedevano da tanto, quindi rifiutare - per altro senza avere una valida ragione da esporre - non sarebbe stato molto educato. E poi, forse, gli avrebbe fatto bene uscire.
«E dove andiamo?» chiese, sbandierando la resa.
«Allora usciamo?!» esclamò entusiasta la ragazza, per poi riprendere immediatamente il filo del discorso «pensavo che potremmo andare al luna park.»
Luna park, cinema, teatro o chissà cos'altro avrebbe sortito sempre lo stesso effetto su Tetsuya: nessuna luce negli occhi, nessun: "Non vedo l'ora" nei suoi pensieri o un piccolo fremito di felicità sulle labbra. Assolutamente niente.
«Va bene.» non avrebbe obbiettato, costringendo, altrimenti, Momoi a rinunciare ad un posto in cui le faceva piacere passare la serata per sostituirlo con un altro luogo a caso che comunque non gli avrebbe fatto né caldo né freddo, esattamente come quello che era stato designato.
«Tetsu-kun?»
Tetsuya ebbe immediatamente un cattivo presentimento: Momoi era stata in silenzio per qualche attimo, non aveva esultato al suo consenso e ora lo chiamava con quel tono di voce che era solita avere nei confronti dei membri della Generazione dei Miracoli - e soprattutto di Aomine - quando aveva il sospetto che qualcosa non andasse.
Ad una prima occhiata, Momoi poteva sembrare una ragazza come tante altre, che mettevano la cura del loro corpo prima di tutto il resto, che guardavano la vita con superficialità e si riunivano in piccoli crocchi in mezzo al corridoio per lanciare occhiatacce maligne alle compagne con "difetti" come occhiali, apparecchio o con qualche chilo di troppo, ma in verità era una persona molto buona, agli antipodi della superficialità, che metteva prima di sé e del suo aspetto valori degni di nota come l'amicizia, la famiglia, la dignità e l'umiltà ed era fin troppo apprensiva con tutti loro, un po' come se fosse la loro seconda madre.
Anche in quel momento il suo tono sembrò quello preoccupato di una mamma che corre dal figlio dopo averlo visto cadere, con la paura che si sia sbucciato in ginocchio e che si stia per mettere a piangere a dirotto.
«Va tutto bene?»
Tetsuya esitò per un momento: se proprio doveva parlargliene - non che fosse la persona più adatta; non sarebbe stato carino uscire con la ragazza a cui piaceva ed esordire con un: "Mi piace un ragazzo". - avrebbe preferito farlo faccia a faccia.
«Sì, va tutto bene.» mentì.
«Vuoi che ti passi a prendere?» e decise di dirottare la conversazione verso l'appuntamento di quella sera, così si ritrovarono punto a capo, a discorrere dell'uscita in programma.
«No, passo io!» la voce di Momoi era ancora estremamente delicata, come se temesse - giustamente - che la risposta di Tetsuya fosse una menzogna e che, lasciandosi dirottare verso un altro argomento, lui avrebbe potuto pensare a lei come una persona ottusa, di quelle che non si rendono mai conto dello stato d'animo dei loro amici.
«Va bene se ci vediamo alle venti?»
Tetsuya acconsentì prima con un cenno del capo, poi con la voce, e al di là di ogni aspettativa fu Momoi che riattaccò per prima: a detta sua doveva aiutare sua madre con le compere, e allora si congedò ricordandogli semplicemente che alle otto di sera si sarebbe presentata alla sua porta.


Tetsuya diede una fugace occhiata ai suoi genitori e sua nonna, seduti in silenzio attorno al tavolo della cucina.
Il suo sguardo, allora, fuggì alla porta oltre la quale, presto, si sarebbe fermata Momoi, ma dovette tornare immediatamente a guardare la sua famiglia, perché gli occhi di qualcuno avevano trascinato indietro i suoi, con forza, come si poteva fare come un elastico.
Sua nonna lo guardava oltre le spesse lenti degli occhiali: aveva un sorriso sornione sul viso pallido e rugoso, gli occhi socchiusi per lo sforzo che gli costava continuare a mantenere quell'espressione sul volto, tanto che la pelle raggrinzita appena sotto le palpebre la faceva apparire ancor più vecchia di quanto non fosse.
Tetsuya non fece in tempo a liberarsi da quello sguardo che sua nonna, curiosa come sempre, gli rivolse una delle sue domande inopportune.
«Allora, avete un appuntamento?» gracchiò divertita.
«È solo una serata al luna park.» Tetsuya volle specificare, ma a giudicare dal sorrisino presente anche sulle labbra dei suoi genitori era inutile: sembrava quasi che in quella casa fossero tutti convinti che, un giorno, lui e Momoi si sarebbero sposati.
Tetsuya cercò lo sguardo di Numero Due, quasi per assicurarsi che almeno il cane fosse schierato dalla sua parte, e gli fece piacere incontrare quegli occhi tanto simili ai suoi: anche loro sembravano svuotati, danneggiati dalla mancanza di Kagami. A Numero Due, dopotutto, era sempre piaciuto Kagami.
Quel piacevole attimo in cui Tetsuya si sentì compreso da qualcuno fu molto breve: il campanello gli ferì i timpani e reclamò la sua attenzione.
Tetsuya si fermò con le dita della mano strette saldamente al pomello: sapeva benissimo cosa avrebbe fatto Momoi una volta aperta la porta, anche in presenza dei suoi genitori e di sua nonna - che sicuramente avrebbe approfittato per infierire ancora con le sue domande scomode -
Il mugolio sommesso di Numero Due, in attesa di scoprire chi si trovasse oltre la porta, lo convinse a farsi coraggio e ad aprire.
Per quanto ne sapeva poteva perfino trattarsi di Kagami.
Una volta incontrato il viso sorridente di Momoi, però, si accorse di quanto fosse stato sciocco illudersi così crudelmente: come poteva essere Kagami? E poi Numero Due avrebbe avvertito la sua presenza oltre la porta reagendo in un modo molto diverso da un semplice mugolio sommesso.
«Testu-kun!» il campanello gli aveva ferito i timpani, ma il colpo di grazia lo diede Momoi, che cantilenò quel nomignolo con voce piuttosto acuta, gettandogli le braccia al collo.
Tetsuya, un po' perché era contento di vederla, un po' perché avrebbe preferito che non lo soffocasse con le braccia o, per lo meno, rimandare i convenevoli fuori di casa, lontano dalla sua famiglia e soprattutto da sua nonna, le adagiò delicatamente i palmi delle mani sulla schiena, poi ai fianchi, così Momoi decise di scostarsi.
Dopo aver scambiato qualche parola con i genitori di Tetsuya, che erano curiosi di sapere cos'era accaduto nel mese in cui non si era fatta né sentire né vedere, Momoi raggiunse il ragazzo e quindi poterono avviarsi insieme verso il luna park.
Com'era prevedibile, dal breve percorso che separava casa Kuroko dal luna park, Momoi decise di intrecciare il proprio braccio a quello di Tetsuya, quindi gli tornò la paura: forse Momoi avrebbe cominciato a chiedergli che cosa avesse e a porgli domande più scomode di quelle di sua nonna; o avrebbe tentato di confessargli ancora il suo amore o semplicemente provato a ribadirgli che i suoi sentimenti per lui erano rimasti immutati; oppure aveva deciso di camminare a braccetto con lui semplicemente per potergli stare a fianco e sentirsi la sua fidanzata.
Eppure c'era qualcosa nella stretta di lei intorno al suo braccio: non era salda come al solito, possessiva; era, piuttosto, molto delicata, come la voce che aveva utilizzato per chiedergli se qualcosa non andasse al cellulare.
Assomigliava fin troppo alla stretta di una mamma, forse un tentativo di consolazione.
Momoi aveva inteso immediatamente, non attraverso la vista, ma già grazie alle parole scambiate al cellulare, che qualcosa non andava, e, nonostante non avesse ben chiaro il motivo della tristezza di Tetsuya, voleva cercare comunque di rendersi utile. Ingenuamente doveva aver pensato che una serata di giostre e zucchero filato potesse ricucire il cuore in frantumi di Tetsuya, che apprezza il tentativo ma riconosceva - ovviamente senza rinfacciarglielo e senza fargliene una colpa - il suo fallimento.
Stavano per lasciare il luna park - mancava una ventina di metri all'uscita - quando a Tetsuya, nel bel mezzo della folla, sembrò di intravedere una figura vagamente conosciuta.
«Momoi-san, mi puoi scusare un momento?»
«Eh?»
«Aspetta qui, per favore!» così Tetsuya la lasciò nel bel mezzo della folla e si gettò all'inseguimento di quel ragazzo alto, dai capelli rossi, preso da un moto di speranza che solo per qualche istante gli fece sentire il cuore leggero, la mente vuota e il petto meno dolorante.
«Ma-!» Momoi rimase imbambolata, guardandolo allontanarsi senza motivo e infine sparire fra la gente.
Se ne rimase ancora per qualche attimo con gli occhi fissi nel punto in cui era sparito, nella speranza di vederlo tornare, ma finì per sbuffare spazientita.
Quanto l'avrebbe lasciata lì? Perché se n'era andato così? Poteva almeno dirle cosa aveva intenzione di fare o per quanto si sarebbe assentato!
«Momoicchi-chan!»
I pensieri di Momoi furono interrotti da una voce famigliare, a pochi metri dalle sue spalle.
«Umh?» la ragazza si voltò immediatamente e vide, oltre un ristretto crocchio di persone, un ragazzo che sventolava le braccia in alto, nel tentativo di chiamarla a sé visto che non era ancora riuscito a superare la folla e a farsi avanti.
«Ki-chan?» Momoi sussurrò sorpresa e decise di andare verso di lui, visto che Tetsuya sembrava non avere intenzione di tornare.
«Momoicchi-chan! Non pensavo di trovarti qui!» le labbra di Kise si incresparono in un sorriso allegro, mentre la ragazza si guardava intorno.
«Sei solo?»
«No, sarei con un gruppo di amici, ma ti ho visto tutta sola e li ho salutati.»
«Oh.» Momoi si dispiacque del fatto che la gentilezza di Kise lo avesse portato a rinunciare a una serata fra amici.
«In verità sarei con Tetsu-kun.» confessò, mordendosi il labbro inferiore.
«Eh?! C'è anche Kurokocchi~?» ovviamente, come tutte le volte in cui si parlava di Tetsuya, il sorriso di Kise si ampliò.
«Sì, ma è sparito.» Momoi rispose sconsolata.
«Hai controllato bene?»
«Sì, non intendo come fa di solito, se n'è proprio andato!»
Kise aggrottò la fronte e si guardò intorno con aria pensierosa.
«Mhn, strano da parte sua.»
«Non riesco a capire cosa abbia.»
«Cioè?»
«È triste, io ci ho provato a fargli passare una bella serata, ma ...»
Kise rimase in silenzio, le labbra tornarono dritte, rigide, lo sguardo più serio.
«Momoicchi-chan, davvero non l'hai ancora capito?»
In quel momento a Momoi sembrò che il rumore frastornante delle giostre non esistesse più, che gli spintoni della folla e il profumo nauseabondo dello zucchero filato e del croccante non esistessero più, che perfino l'assenza momentanea di Tetsuya fosse un fatto secondario: c'erano solo lei, Kise e quella domanda scomoda che aspettava da tempo; qualcuno, prima o poi, avrebbe dovuto aprirle gli occhi.
Momoi schiuse le labbra in un flebile sospiro, distolse lo sguardo dagli occhi dell'altro e lo lasciò fuggire lontano, come se provasse vergogna per quel suo amore consciamente disilluso e quindi a dir poco masochista.
«Sì, l'ho capito.» fece una piccola pausa, poi sospirò ancora «l'ho capito da tanto ...»
Kise notò immediatamente quello sguardo lontano, sconsolato.
«Ho preferito illudermi.» Momoi tornò a rivolgere il proprio sguardo al ragazzo non appena sentì la sua mano batterle sulla spalla in un paio di pacche di conforto.
«Ti aiuto a cercarlo.»
A Momoi fu dato solo il tempo di annuire.
«Sono qui.»
La ragazza sussultò appena, mentre Kise, colto alla sprovvista, si lasciò scappare un gemito soffocato.
«Kurokocchi!»
«Tetsu-kun! Ma dov'eri finito?»
«Vi prego di scusarmi.» sperò sinceramente che le sue scuse potessero valere una risposta alla domanda di Momoi: non voleva certo spiegare che gli era parso di scorgere Kagami ma che si era solo sbagliato, probabilmente a causa di un tiro mancino dell'inconscio, visto che in quei giorni - se ne rendeva conto lui stesso - era ossessionato più del solito.
«Kurokocchi, non mi saluti?» Kise protestò, ma quella frecciatina fu piuttosto il manifestarsi della sua sofferenza per essere stato completamente ignorato.
Tetsuya lo guardò solo per qualche attimo, poi, senza che dalla voce affiorasse alcun tipo di sentimento, lo salutò.
Come al solito non sembrava molto felice di vederlo e Kise si limitò a rispondere con un sorriso tirato, un po' sofferente. La freddezza di Tetsuya era tollerabile, in quel momento, visto che sicuramente aveva altro per la testa e stava soffrendo la lontananza di Kagami, ma con lui si era sempre comportato così.
Erano l'eccezione a quell'enunciato comune per il quale: "Gli opposti si attraggono." e lo sarebbero sempre stati, con l'amara consapevolezza infilzata nel petto di Kise come una spada e l'indifferenza ingenua di Tetsuya.
«Si è fatto tardi, forse dovremmo tornare a casa.» la voce di Momoi distolse Kise da quei pensieri, ma il ragazzo se ne rimase comunque imbambolato, lasciandoli andare avanti finché la ragazza non si voltò verso di lui.
«Tu non vieni, Ki-chan?»
Kise sbatté più volte le palpebre, quasi volesse risvegliarsi da quello stato di immobilità che lo teneva piantato a terra, lontano da loro «sì, sì! Vengo con voi-!» rispose poi, esitando appena.
Kise si affiancò ai due, ma prese Momoi da parte per qualche attimo.
«Vorrei parlare con Kurokocchi, potresti trovare il modo di lasciarci soli?» sussurrò vicino al suo orecchio.
Momoi riflettè per qualche attimo, poi annuì leggermente.
Giunti all'uscita del luna park, la ragazza annunciò che suo padre sarebbe passato a prenderla, per cui Kise decise di approfittarne e volle prendere da parte Tetsuya, salutando Momoi con sguardo complice.


Kise lo aveva trascinato fino a lì senza dire nulla e Tetsuya, suo malgrado, lo aveva seguito semplicemente perché aveva inteso che c'era qualcosa dietro all'improvviso congedo di Momoi e al silenzio che si era creato da quando erano usciti dal luna park.
«Kise-kun?»
Kise non rispose subito, ma se ne rimase per qualche attimo al centro del piccolo campo da gioco, con la palla da basket stretta fra le mani, finendo per tirarla e rimanendo a guardarla mentre transitava fra le corde bianche, senza alcuna sbavatura, rimbalzando infine a terra.
«Perché siamo qui?»
«Siamo molto simili, io e te.»
Tetsuya sussultò appena, senza riuscire a capire cosa intendesse Kise con quelle parole.
Kise si chinò e afferrò la palla a spicchi, lanciandola un altra volta verso il canestro e centrandolo ancora.
«Perché lo hai lasciato andare?»
Kise era ancora rivolto verso il canestro, ma sembrò aver già deciso di smettere.
Ridicolo che proprio lui si trovasse a parlare di certe cose con Tetsuya, per il quale aveva provato qualcosa e per il quale percepiva ancora un sentimento affettivo troppo forte per essere definito come semplice "amicizia".
«Insomma, perché non gliel'hai detto prima che partisse? Magari le cose sarebbero andate diversamente, no?»
Tetsuya rimase a fissare le spalle dell'altro, immobile di fronte al canestro.
Rimase in silenzio per qualche attimo, pensando che quella doveva essere la serata nazionale delle domande scomode.
«Perché vuoi saperlo?»
«Non voglio saperlo, voglio solo che tu ti possa sfogare con qualcuno e stare un po' meglio.»
Non sarebbe stato meglio, anche se molti credevano che il dolore condiviso fosse meno pesante da sopportare.
«Voleva una vita diversa da questa.» senza neanche accorgersene, stava già rispondendo alla domanda spinosa di Kise «e io l'ho lasciato andare.»
Tetsuya fece una piccola pausa, adagiando la propria schiena alla rete metallica intorno al campetto.
«Kagami-kun provava qualcosa per un'altra persona.»
Finalmente, Kise si voltò.
«Non potevo costringerlo, giusto?»
Tetsuya voleva semplicemente la felicità di Kagami: ecco perché lo aveva lasciato partire per gli Stati Uniti senza fare storie, senza confessargli i suoi sentimenti.
Lo aveva lasciato andare consapevolmente: sapeva che non l'avrebbe mai più rivisto, che Kagami avrebbe scelto definitivamente quella persona al posto suo e che forse si sarebbe perfino dimenticato di lui.
«Questa persona sarebbe Himurocchi?»
Il silenzio di Tetsuya fu piuttosto indicativo.
Le labbra di Kise si incresparono in un sorriso.
«No, non può essere.»
Tetsuya gli rivolse un'occhiata confusa, mentre Kise gli si avvicinava estraendo il cellulare dalla tasca della giacca.
«Guarda!» infine gli porse il cellulare, facendogli leggere un messaggio.
Tetsuya sentì un piccolo sussulto al cuore, e ancora una volta quella piacevole sensazione di leggerezza nel petto.

La guerra fra luce ed ombra non prevede la pace.




Licenza Creative Commons
Quest'opera è distribuita con Licenza Creative Commons Attribuzione - Non commerciale - Non opere derivate 2.5 Italia.




L'angolino invisibile dell'autrice:

Salve salve~
Sono contenta che qualcuno abbia apprezzato la premessa/a proposito, devo ancora rispondere alle recensioni carine carine che mi avete lasciato!/
Vi ringrazio, visto che mi avete chiesto di continuare ho deciso di provarci e mi sono data da fare.
Avverto semplicemente che gli aggiornamenti potrebbero cominciare ad andare a rilento perché, come ho detto la volta scorsa, la trama non è ancora ben definita e devo ancora decidere dove piazzare alcuni personaggi!
Chiedo venia se non riesco a rendere perfettamente i caratteri, confesso di avere diverse difficoltà. Spero di essermela cavata e faccio semplicemente notare che ho voluto che Kise chiamasse Tatsuya "Himurocchi" perché dopotutto la fanfiction è ambientata dopo la scuola superiore e immagino che col tempo, sia attraverso Kagami che attraverso Murasakibara, Himuro si sia avvicinato agli ex della GoM e che quindi ora gli si porti un certo rispetto.
Comunque tutti questi nomignoli mi stanno facendo dannare! D:
E niente, se volete seguire le mie sclerate quando scrivo o semplicemente avere sott'occhio gli aggiornamenti e le anticipazioni di one-shot o long che mi vengono in mente, vi lascio il link della mia pagina di FB: https://www.facebook.com/pages/Neu-Preussen-EFP/416393978469818?ref=hl
Mi trovate anche su ask, nel caso qualcuno di voi volesse farmi domandine anonime sulle fic o semplicemente sulle mie ships, i miei personaggi preferiti e cose simili! Quello lo trovate sulla mia pagina di EFP, nell'iconcina del sito web personale!
Chiedo perdono per ogni eventuale errore di battitura presente, ma oggi il correttore si è rifiutato di lavorare ;A;
Ancora grazie a chi ha deciso di sostenermi~<3

Ritorna all'indice


Capitolo 3
*** Capitolo II ***


Capitolo II





La luce guida l'ombra, mentre essa le copre le spalle.

Tatsuya aveva fissato la palla a spicchi quel tanto da assicurarsi che entrasse nel canestro, poi, col fiato corto e la fronte imperlata di sudore, si era voltato verso l'alta rete metallica che circondava il campo. Dando una rapida occhiata alle panche, alcune delle quali vuote, altre letteralmente sepolte da felpe e borsoni, e agli spalti, sui quali si erano riuniti piccoli crocchi di curiosi o critici appassionati, capì che non era venuto - o forse lo aveva fatto ma era rimasto a guardarlo solo per poco e poi se n'era andato, attirato da qualcosa che lo interessava molto di più del basket -
Tuttavia dovette rimandare l'interrogatorio a senso unico per concentrarsi sulla marcatura di un avversario e quindi contribuire ad accrescere il potere difensivo della squadra.
Il vecchio team di Los Angeles: ecco con chi stava giocando e per chi si impegnava tanto a difendere il campo, dimenticandosi degli spalti mezzi vuoti e delle panche piene di felpe bianche e blu.
Al suo ritorno negli Stati Uniti lo avevano accolto con grande piacere e, ad eccezione di un paio di giocatori che avevano abbandonato il basket e dell'aggiunta di un nuovo membro, Tatsuya era rientrato a far parte di quella vecchia squadra nella quale aveva trascorso una piccola parte dell'infanzia e l'adolescenza, cominciando a crescere e a conoscere le sue abilità illusorie, con cui ormai conviveva con fierezza e che ambiva ad incrementare ulteriormente.
Anche Taiga era stato accolto con gioia - forse anche di più di quanta si era manifestata per il ritorno di Himuro, con leggero screzio di quest'ultimo -, ma quel giorno, per la prima volta, non si era presentato. Tanto meglio: Tatsuya avrebbe approfittato della sua assenza per monopolizzare l'attenzione su di sé.
In quanto al nuovo membro, che Tatsuya stesso aveva trascinato con grande insistenza nella vecchia squadra americana, era assente come quasi tutti i giorni.
Non appena la partita si concluse - con la vittoria della squadra di Tatsuya - il ragazzo si diresse verso le panche intorno al campetto e, aperto il borsone, frugò per qualche attimo in cerca del cellulare.
Come aveva immaginato, Taiga aveva provveduto tempestivamente a spedirgli un sms dandogli appuntamento al fast-food più vicino al campetto, mentre Atsushi non aveva neppure fatto lo sforzo di scrivergli un messaggio per giustificare la sua assenza - non che pretendesse una spiegazione, visto che era sempre la stessa storia, ma si trattava comunque di una questione di buona educazione -
Come al solito si pentiva delle sue scelte troppo altruiste: gli piaceva vedere le persone felici, tanto che fin da piccolo aveva deciso di essere amico di Taiga e trascinarlo nel basket vero e proprio, sostenendolo nei primi passi e cercando di tenerlo il più possibile sotto la propria ala, mentre qualche mese dopo la fine delle superiori si era prodigato a portare con sé Atsushi perché, oltre ad aver accumulato nel tempo un grande affetto nei suoi confronti, lo riteneva un portento e aveva pensato che giocare negli Stati Uniti gli avrebbe fatto solo del bene. Ecco: lui aveva trascinato Kagami nel basket e, nonostante fosse una scelta dell'infanzia, continuava a sentirsi frustrato e inferiore nei suoi confronti, ogni giorno con la stessa intensità - se non di più - che aveva provato quando Taiga lo aveva superato per la prima volta, infangando la sua bravura; allo stesso modo aveva voluto portare con sé Atsushi per aiutarlo, ma questo preferiva saltare gli allenamenti per infilarsi in qualche supermercato e riempire il carello di dolciumi, lamentandosi continuamente di quanto fosse noioso il basket e facendogli provare una grande rabbia, perché Murasakibara aveva delle abilità finissime che non utilizzava a pieno, non si impegnava, non si applicava e trascurava le sue doti, doti che se avesse posseduto lui - invidioso e ammirato allo stesso tempo - avrebbe provveduto ad affinare ancora.
Paradossalmente, Tatsuya odiava allo stesso tempo sia le persone che sfruttavano a pieno le loro capacità e lo superavano, sia quelle che trascuravano le loro doti e le loro abilità, rimanendo relegate ad uno stato di mediocrità detestabile.
Tatsuya aveva un difetto che aveva sempre cercato di nascondere, per altro senza grandi risultati.
Era conscio di quanto potesse essere sbagliato guardare di sottecchi certe persone e desiderare di essere al loro posto. Era ancor più sbagliato quando, resosi conto di non poter prendere il loro posto, allora, finiva per pensare a qualche cattiveria di cui lui stesso si stupiva.
Tatsuya aveva questo difetto che sembrava essere nato insieme a lui, come un piccolo seme trapiantato nel cuore che piano piano germoglia e, crescendo, ghermisce il petto con i suoi rovi e inghiotte ogni virtù come le erbacce fanno con i fiori degli orti.
Tatsuya era invidioso, e non era riuscito a trovare ancora una cura per quel difetto di cui si vergognava. Avrebbe voluto smettere, ma era come un circolo vizioso: ancor prima di fissare qualche buon proposito per tentare di uscirne, ecco che si ritrovava a fissare con occhi di ghiaccio chiunque gli sembrasse migliore di lui, sentendosi percuotere da un senso di inferiorità che gli toglieva il fiato, gli faceva desiderare solamente di abbassare la testa, voltarsi e andarsene per sempre, lontano da tutti.
Si sentiva in qualche modo responsabile delle numerose assenze di Atsushi alle partite, e allo stesso tempo della sua vita, visto che, dopotutto, aveva preteso che si trasferisse negli Stati Uniti facendogli abbandonare la sua terra natale e i suoi amici e che, a quanto pareva, lo aveva costretto a lasciarsi alle spalle aspetti importanti della sua esistenza per niente, visto che Murasakibara non era cambiato di una virgola e trascurava ogni singola componente della sua vita - ad eccezione del cibo -
Innervosito dall'ennesima assenza di Atsushi, Tatsuya afferrò il borsone e senza guardare in faccia o rivolgere parola ai compagni di squadra uscì dal campetto e si avviò verso il fast-food, dove Taiga lo stava aspettando.
Dopo circa una ventina di metri, Tatsuya vide svettare l'insegna del fast-food e accelerò il passo, avendo ormai recuperato il fiato e maggiore forza nelle gambe e nelle braccia.
Già di fronte all'entrata di vetro poté notare, fra una moltitudine di tavoli e persone, Taiga. Anzi, in verità aveva notato la montagna di hamburger, capendo immediatamente che quello doveva essere il tavolo del suo amico, così, con le labbra increspate in un piccolo sorriso, era entrato e si era avviato proprio verso il mucchio di panini.
«Ciao!» esclamò ancor prima di sedersi.
«Oh-» Taiga, che in quel momento aveva i denti affondati in uno degli hamburger, si affrettò a mandare giù il boccone, mentre Tatsuya si sedeva sulla sedia di fronte a lui.
«Scusami per oggi, ho dovuto ritirare l'auto di mio padre dal concessionario.» spiegò brevemente Taiga, giustificando la sua assenza alla partita per poi rigettarsi con foga sull'hamburger lasciato per metà.
Forse perché quella foga nel mangiare gli aveva ricordato Atsushi, anche se solo per un attimo, le labbra di Tatsuya si incrinarono appena, mentre una guancia trovava stancamente appoggio sul palmo spalancato di una mano.
«Non fa niente, tranquillo.»
«Domani ci sarò, comunque!» questa volta fu Taiga ad accennare un sorriso, mentre riduceva per l'ennesima volta in una pallina dalla forma scomposta la carta del panino e la andava a gettare sulle altre, facendone crollare qualcuna e quindi traballare la montagnetta di involucri colorati e accartocciati.
«Come mai quella faccia? Murasakibara ha di nuovo saltato la partita?»
Tatsuya rimase in silenzio, allungò una mano e afferrò uno degli ultimi panini.
«E-ehi!» ovviamente Taiga cercò di protestare, ma Tatsuya non gli prestò attenzione e iniziò a scartare il panino con calma.
«Già.»
«Ma perché deve fare così?» Taiga sembrava irritato, l'esatto contrario di Tatsuya, che ormai aveva abbandonato la rabbia ed era passato alla rassegnazione, restandosene a masticare il panino in silenzio.
«Merda! Fa parte della Generazione dei Miracoli e poltrisce così!» Taiga protestò a denti stretti «è un idiota!»
«Mi sento in colpa per averlo portato qui, speravo che in un clima simile si decidesse finalmente a sfruttare a pieno le sue capacità, ma a quanto pare mi sbagliavo.» Tatsuya adagiò la metà del panino rimasta sulla carta di cui poco prima lo aveva spogliato, finendo per coronare la falangetta dell'indice destro con l'anello che portava al collo, quello che ancora lo teneva legato a Taiga; in quanto a quest'ultimo: se ne rimase in silenzio per qualche attimo, cercando lo sguardo dell'amico che, ora come ora, sembrava lontano, perso in chissà quali pensieri.
«Hai paura che possa tornare in Giappone?» Taiga lo incalzò.
Tatsuya rimase in silenzio: guardò il panino mezzo morsicato e continuò a giocare con l'anello.
«Sì.» sospirò «ma non posso trattenerlo qui.» Tatsuya aveva sempre vissuto di legami troppo fragili, come quello con suo padre; solo Taiga e quell'anello sembravano aver resistito allo scorrere inarrestabile tempo.
«Entrambi sareste più felici, se tornaste in Giappone.» si sorprese da solo delle proprie parole, ma era un pensiero che teneva per sé da troppo tempo e si trattava di parole che non avrebbe mai avuto il coraggio di pronunciare davanti ad Atsushi, perché non erano altro se non l'esplicito consiglio di lasciare gli Stati Uniti e tornare a casa, e c'era il rischio che lui lo seguisse per davvero. E se Atsushi avesse lasciato gli Stati Uniti, allora, cosa gli sarebbe rimasto?
Questa volta fu Taiga a rimanere in silenzio per qualche attimo, lasciando fuggire lo sguardo lontano, in un punto impreciso del fast-food.
«No, sto bene qui.» borbottò, stringendosi nelle spalle.
Tatsuya gli rivolse un'occhiata piuttosto severa, quasi come se gli avesse intimato, con la sola forza dello sguardo, di non prenderlo in giro, ma lo sguardo di Taiga era ancora in fuga, troppo lontano dal suo.
«Nessuno può stare bene in un posto se continua a pensare a qualcuno che vive altrove.» Tatsuya imbracciò il borsone, afferrò la metà di hamburger che aveva lasciato sul tavolo e si alzò, soddisfatto di aver finalmente attirato l'attenzione di Taiga, che ora lo fissava con un po' di stizza negli occhi, probabilmente perché aveva colto nel segno.
«Beh, io mi incammino.»
«Ah, aspetta!» Taiga si alzò velocemente e afferrò gli ultimi tre hamburger rimasti, sistemandoseli nella tasca della giacca con lo stesso zelo di un criceto che con cura immagazzina i semi nelle guance «ti accompagno.»
Tatsuya lo aspettò per qualche momento, poi si avviarono insieme verso l'uscita del fast-food.
«Taiga?»
«Mh?»
«Ma quanti ne hai mangiati?»
«Escludendo quello che mi hai rubato e i tre che ho in tasca ... undici. Perché?»
Tatsuya rimase in silenzio per qualche attimo, poi si lasciò scappare una piccola risata «peggiori sempre di più!»


Taiga lo aveva accompagnato fin sotto casa e, dopo essersi dati appuntamento al campetto per il giorno dopo, si erano salutati.
Tatsuya salì la prima rampa di scale stancamente, si fermò di fronte a una delle porte del primo piano e si mise a frugare nel borsone, estraendo le chiavi dell'appartamento.
La serratura scattò rumorosamente, la porta cigolò appena e fu richiusa non appena lui e il borsone furono entrati.
A giudicare dal silenzio e dall'assetto della casa, rimasto identico a quando era uscito per andare al campetto, Tatsuya concluse che il suo coinquilino non doveva essere ancora tornato.
Diede un'occhiata al tavolo, dove si ricordava di aver lasciato un bicchiere riempito per metà d'acqua; poi le due sedie sulle quali si erano seduti e che, alzandosi da tavola, avevano lasciato scostate: no, non era cambiato niente, quindi non doveva essere ancora tornato per davvero.
L'attenzione di Tatsuya, però, fu catturata immediatamente dai due sacchetti di spazzatura ancora addossati al muro, vicino alla porta, e infine dal cellulare abbandonato vicino al piano cottura; no, non era come pensava lui, ovvero che il suo convivente si trovasse ancora fuori: in verità non era neppure uscito di casa.
Tatsuya si diresse velocemente verso il salotto, quindi, non trovando nessuno, andò dritto in camera da letto.
Quando lo vide steso sul letto, le membra penzolanti verso il pavimento e il capo sollevato, con lo sguardo assente rivolto al soffitto, Tatsuya si immobilizzò all'entrata della stanza e si lasciò sfuggire un piccolo sospiro rassegnato.
«Atsushi?»
Tatsuya si avvicinò lentamente, sedendosi sul bordo del letto in ascolto del silenzio, spezzato poco dopo dal sommesso brontolio dell'altro.
«Non sei neppure uscito, vero?»
«No.» Atsushi continuava a fissare il soffitto con occhi assonnati «non ne avevo voglia.»
«Cosa pensi di fare?» tagliò corto Tatsuya.
«Non lo so, Muro-chin.»
Sempre la solita risposta.
Detestava le persone che se ne rimanevamo immobili, a crogiolarsi nella loro indecisione senza provare mai a farsi avanti, però con Atsushi era diverso. Riuscì a voltarsi verso di lui e a fulminarlo con un'occhiata di disapprovazione solo per qualche attimo.
«Non sono neppure riuscito a imparare un po' di inglese.»
«Sta tranquillo, ti posso aiutare io con l'inglese.» lo sguardo e la voce di Tatsuya divennero improvvisamente più dolci: era vero che Atsushi era piuttosto pigro e sosteneva di non amare il basket, era vero che aveva il carattere di un bambino, destinato ad essere un eterno indeciso e impossibilitato a sfruttare a pieno le proprie capacità, ma lì a Los Angeles, dove solo Tatsuya e Taiga parlavano giapponese, doveva sentirsi particolarmente solo, spaesato.
Atsushi non staccava mai gli occhi dal soffitto bianco.
«Non so che cosa fare.» pareva un bambino in attesa del consiglio della madre «però vorrei tornare a giocare con te.» parlò lentamente e chiuse gli occhi «mi piace il basket, soprattutto quando siamo insieme.»
Nelle rare occasioni in cui Atsushi riservava parole positive per il basket, sul volto di Tatsuya si dipingeva un piccolo sorriso: essere l'unico interlocutore di quelle confessioni lo rallegrava ogni volta.
Atsushi aveva deciso di condividere i suoi sentimenti più nascosti con lui, e con lui soltanto: non era la prima volta che ascoltava quelle parole pronunciate dalla sua voce.
Sentivano di potersi fidare l'uno dell'altro.
Tatsuya si lasciò scivolare lentamente al fianco di Atsushi, facendo aderire la guancia destra al suo petto e lasciandosi immediatamente cullare dal movimento calmo del suo sterno, che si alzava e si riabbassava lentamente. In quel momento, però, non riuscì a fare come al solito: gli occhi si rifiutarono di chiudersi, il suo cuore pompava sangue all'impazzata, facendogli fremere il petto di dolore.
All'improvviso gli tornarono alla mente le parole che Taiga aveva pronunciato seduto al tavolo del fast-food, di fronte a lui, e l'espressione di sollievo trovato non appena Atsushi lo aveva avvolto con un braccio, stringendolo a sé, abbandonò il suo volto, sostituita da una smorfia che pareva quella di un uomo ferito, che soffre terribilmente ma che allo stesso tempo cerca a tutti i costi di trattenere il suo dolore.
«Atsushi?»
«Che c'è, Muro-chin?»
Tatsuya chiuse gli occhi, rimanendo in ascolto del battito calmo del cuore di Atsushi, infine si decise a sollevare appena il capo per guardarlo.
Finalmente Atsushi scostò il proprio sguardo dal soffitto e rimase a fissare l'altro in silenzio.
Tatsuya aveva paura, ma sapeva benissimo che rimanere a crogiolarsi in eterni dubbi non gli faceva bene e, in parte, lo rendeva davvero molto simile all'immobilità tediosa di Atsushi.
«Vorresti tornare in Giappone?» a Tatsuya costò molto fare quella domanda: era un di quelle questione spinose di cui non si vuole conoscere la risposta, perché la si immagina già e non ci sarebbe niente di più doloroso che ricevere la conferma dal diretto interessato.
Lo sguardo di Atsushi rimase immutato, gli occhi - all'apparenza assonnati e annoiati - ancorati a quelli di Tatsuya.
«Solo se tu vieni con me.»
Quelle parole sorpresero Tatsuya, che senza dire nulla accennò un sorriso intenerito e tese il collo quel tanto da poter raggiungere le labbra di Atsushi e ricambiare il suo bacio.

Non rimane che una stella, nell'oscurità della notte. Eppure appare lontana a tutte le ombre che si trascinano per le strade scure.
La distanza fa appassire la speranza.





Licenza Creative Commons
Quest'opera è distribuita con Licenza Creative Commons Attribuzione - Non commerciale - Non opere derivate 2.5 Italia.




L'angolino invisibile dell'autrice:

Mi sto appassionando anche io a questa fanfiction, il che è un po' buffo da dire visto che sono l'autrice, ma ok. In verità non vedo l'ora di far spuntare certi personaggi e arrivare a scrivere di alcune coppie! *^*
Per quanto riguarda questo capitolo dovrò fare qualche considerazione personale e una pesante autocritica. Appena ho iniziato a tracciare qualche idea mi sono detta: "Vedrai, avrai molti problemi a caratterizzare Aomine, Midorima e Akashi: ti ci schianterai contro come se fossero muri!"
Ecco, scrivendo questo capitolo mi sono resa conto che anche Kagami, Himuro e Murasakibara sono molto difficili da rendere e penso di essermi schiantata anche contro di loro come se fossero muri. Ed è stato abbastanza traumatico, visto che sono comparsi tutti nello stesso capitolo e non ho avuto neppure il tempo di carburare.
Per ora ho lasciato più spazio ad Himuro (penso che abbia un carattere complicato, ma è uno di quelli che trovo più vicino al mio, quindi ho preferito scrivere dal suo punto di vista ... anche se, lo ammetto, è davvero molto difficile spiegare che rapporto ha con le persone, con la sua costante ammirazione e la sua sempre presente frustrazione perché, comprensibilmente, vuole essere il migliore ma non ci riesce).
Comunque adesso sapete che Himuro sta con Murasakibara e vi siete messe il cuore in pace~ o forse no, visto che Kagami è ancora inchiodato negli Stati Uniti, però almeno è single (oppure no? Scusatemi, fateci l'abitudine, mi diverto a tenere sulle spine i lettori XD)
Dimenticato di dire una cosa importante su questa frase: "Tatsuya aveva sempre vissuto di legami troppo fragili, come quello con suo padre". È cosa mia, nel senso che mi piace pensare che Tatsuya abbia un rapporto piuttosto turbolento con suo padre (mi sono lasciata ispirare dalle caratteristiche del mio Himuro/sì, ruolo Himuro, ma voi farete finta di non aver letto questa cosa! D:/)
Mi auguro che questo capitolo sia stato gradevole nonostante io sia uscita completamente distrutta dallo scontro con Kagami, Murasakibara e Himuro, rendendoli quindi non molto conformi al loro carattere (a mio parere, poi boh).
Ne approfitto per ringraziarvi di cuore, perché le vostre recensioni sono veramente piacevoli da leggere e danno una certa soddisfazione ;u;
Per la prossima volta mi auguro di riuscire a giostrare meglio questi personaggi e ... ok, penso che il prossimo capitolo dovrebbe arrivare presto (università permettendo, visto che ho un bel po' di cose da fare in previsione della sessione estiva!).

Ritorna all'indice


Capitolo 4
*** Capitolo III ***


Capitolo III





Piove sulle candele accese e sui visi già bagnati di lacrime. Piove, ed ecco che la muraglia d'acqua impedisce alle nostre mani di sfiorarsi, come fosse filo spinato.

La continua vibrazione del cellulare parve percuotere la superficie del tavolo sul quale era stato poggiato.
Kise, quasi pronto per uscire di casa, si tirò su la zip della giacca e afferrò il cellulare, rispondendo senza guardare chi fosse il mittente della chiamata perché troppo concentrato a cercare l'ombrello.
«Pronto?»
«Ki-chan!» la ragazza strepitò, senza dargli il tempo di rispondere «allora? Com'è andata ieri?»
Kise emise un piccolo mugugno, probabilmente impercettibile alle orecchie di Momoi: perché doveva fargli proprio quella domanda? Implicava una risposta che sicuramente l'avrebbe ferita, e lui di certo non desiderava essere messaggero di cattive notizie.
«Emh, Momoicchi-chan, non ho tempo adesso!» sfoderò una risatina nervosa: doveva inventarsi qualcosa, o per lo meno cercare di aggirare il discorso senza dirle che aveva mostrato a Kuroko un sms di Murasakibara che annunciava del suo fidanzamento con Himuro - cosa che non avrebbe mai fatto se Kise non avesse sospettato qualcosa e non fosse stato pronto a spronarlo a confessare tutto -, rendendolo più tranquillo perché, di conseguenza, poteva vivere con la consapevolezza di non avere più un rivale in amore.
«Oh, ma insomma! Ki-chan, ieri sera mi hai portato via Tetsu-kun, quindi raccontarmi com'è andata è il minimo che tu possa fare!» Momoi protestò con voce cantilenante.
«Dai, che ti costa~?» insistette.
«Guarda che ... è una cosa delicata.» a quel punto valeva la pena avvertirla: Momoi voleva conoscere gli accadimenti della serata per filo e per segno e Kise, dal canto suo, non aveva idea di come sbrogliarsi da quella situazione, quindi non gli rimaneva altro se non raccontare la verità cercando di utilizzare più tatto possibile.
«Sono pronta.»
Kise pensò che fosse davvero coraggiosa, o che per lo meno fosse molto brava a dimostrarsi tale.
«Ecco, siccome Kurokocchi è innamorato di Kagamicchi ed è triste perché lui è partito per gli Stati Uniti e non pensa tornerà in Giappone ...» Kise esitò per un momento: una delle prime parole usate non era proprio sinonimo di tatto, era stato decisamente duro ad iniziare un discorso delineando subito l'amore di Kuroko per Kagami, ma era la base da cui bisognava partire, altrimenti non sarebbe riuscito a spiegarle nulla. E poi lui e Momoi condividevano lo stesso amore e, per lei, sentirsi dire una cosa simile era doloroso tanto quanto pronunciarla per lui.
«Penso che credesse che Kagamicchi e Himurocchi avessero una relazione, ma gli ho mostrato un sms che testimonia il contrario.»
«E quindi Tetsu-kun si è sentito un po' meglio?»
Momoi sembrava aver volutamente ignorato la prima parte del discorso, oppure non lo aveva fatto, ma come al solito pensava prima alla felicità della persona che amava, piuttosto che al suo amore non corrisposto.
«Penso di sì.»
«Ma cosa c'era in quell'sms? Kagamin e Himuro-kun hanno litigato?»
«Oh no, no! Era un messaggio di Murasakibaracchi dove diceva che lui e Himurocchi stanno insieme!» ancora una volta, Kise si rese conto della sua scarsità di tatto: non che a Momoi potesse importare della vita amorosa di Himuro e Murasakibara, ma sicuramente scoprire una cosa del genere l'avrebbe spiazzata.
Il silenzio che si creò fece strabuzzare gli occhi a Kise.
«Momoicchi-chan?»
«Cosa?!»
Kise dovette scostare immediatamente il cellulare dall'orecchio, ci mancò poco che non gli ruppe un timpano.
«Ki-chan! Da quanto tempo lo sapevi? Perché non me l'hai detto?!» se il breve attimo di silenzio che era calato dopo le parole di Kise aveva segnalato lo smarrimento di Momoi, ora la sua voce leggermente più alta del solito e ancor più cantilenante, non era altro che la traccia di una curiosità incontenibile e, perché no, anche di un po' di sdegno, visto che lui si era tenuto la notizia tutta per sé.
«S-scusami, la prossima volta te lo dirò subito.» Kise accennò un sorriso nervoso e intenerito allo stesso tempo: lo avrebbe fatto per davvero, la prossima volta l'avrebbe avvertita, nella speranza che non dovesse annunciargli il fidanzamento tra Kuroko e Kagami.
«Devo chiamare Muk-kun e fargli le congratulazioni!»
«Cosa?! No, aspetta!» adesso era Kise quello con il tono di voce cantilenante, leggermente lamentoso «Momoicchi-chan, non dirglielo o passerò per spia!»
Kise mugugnò: possibile che ogni volta si mettesse nei guai? Aveva mostrato l'sms a Kuroko per tranquillizzarlo, aveva raccontato tutto ciò a Momoi per farla contenta e dissipare i suoi dubbi sui brevi minuti che lui e Tetsuya avevano passato insieme dopo il luna park e ora avrebbe dovuto passare come spia, sentire sicuramente la voce annoiata e piena di disapprovazione di Murasakibara al cellulare, che gli chiedeva perché avesse spifferato tutto alla ragazza.
«Oh-!» poi pensò che avrebbe potuto approfittare di ciò che era in procinto di fare per cambiare discorso e distrarla, affinché si scordasse di chiamare Murasakibara.
«A proposito, stavo uscendo.»
Ancora una volta, Momoi rimase in silenzio per qualche attimo.
«Lo vai a trovare?» doveva aver inteso tutto dal tono di voce di Kise: ora entrambi erano più seri, non ricorrevano a parole cantilenanti o singulti, né a lagne e suppliche; avevano le labbra serrate, dritte come un bastone.
«Sì.»
«Allora salutamelo, e digli che molto probabilmente riuscirò a passare solo mercoledì.»
«Va bene.» Kise era ormai sicuro di averla distratta abbastanza.
«Ok, Ki-chan, allora ti lascio uscire e ne approfitto per telefonare a Muk-kun!»
«Ah! Momoicchi-chan!» ma alla fine si era rivelato tutto inutile.


Kise ascoltava il suono della pioggia che precipitava contro il telaio dell'ombrello: camminava a passo rapido, cercando di evitare ogni pozzanghera, ma allo stesso tempo rallentando ogni volta che passava al loro fianco, guardando affascinato le gocce che, nel riverbero azzurro del suo parapioggia, precipitavano in quelle macchie d'acqua creando tanti piccoli cerchi, una moltitudine di onde minuscole che si spezzavano con la stessa velocità con cui nascevano.
Alcune persone davanti a lui non facevano caso alle pozzanghere e le laceravano con i loro passi, accelerando la frammentazione e la sparizione dei piccoli cerchi creati dalle gocce di pioggia.
La conversazione con Momoi gli aveva portato via del tempo prezioso, non voleva rischiare di rinunciare a vederlo a causa del ritardo come l'ultima volta: ecco perché Kise si muoveva il più velocemente possibile fra una moltitudine di ombrelli colorati, imperlati di gocce rilucenti che, guardate con occhio più attento, parevano piccole gemme preziose.
Tutto quel trambusto, l'andare spedito e lo scontrare spesso le punte metalliche del proprio ombrello con quello di un altro passante, facendo scivolare lungo il telaio le gocce di pioggia che poi precipitavano al suolo come una piccola cascata, aveva fatto sì che Kise si ritrovasse con le maniche della giacca zuppe.
A un certo punto le pozzanghere persero il suo interesse, tanto che smise di aggirarle e fissarle ma imitò gli altri pedoni e le lacerò con i propri passi, cercando di non badare alla sensazione di freddo che filtrava oltre lo spesso tessuto delle scarpe, impregnate d'acqua.
Un turbinio di ombrelli colorati transitava di fronte ad una struttura sterile, in pieno contrasto con le tonalità vivaci dei tessuti imperlati d'acqua, vibranti sotto la morsa inarrestabile della pioggia cupa.
Vista da fuori sembrava più una fabbrica in decadenza - con le pareti chiare mangiate dalla muffa, poche finestre e un'aria di desolazione tutta intorno -, piuttosto che un carcere.
Kise rimase imbambolato di fronte alla struttura, con la vista disturbata dal continuo pianto del cielo e dal grigiore creato dal manto di nuvole cinerine che avvolgeva la città.
Quando si finiva in un carcere giapponese c'era da aver paura.
Kise stesso, che si ritrovava al sicuro, fuori da quella struttura sterile e desolata, sotto al suo ombrello azzurro, aveva paura. Aveva paura perché qualcuno - non ricordava con precisione chi, forse un collega di lavoro in un momento di pausa tra un servizio fotografico e un altro - gli aveva raccontato che la notizia della condanna a morte era annunciata al carcerato il giorno stesso in cui si sarebbe attuata, e che la famiglia - e di conseguenza gli amici - ne veniva a conoscenza solo dopo il decesso del prigioniero.
Aveva paura, nonostante fosse già di dominio pubblico che la condanna di Aomine era limitata a due settimane: a dire il vero erano stati anche più morbidi del previsto, ma dopotutto quello commesso dal suo amico era ben lontano dal poter essere considerato un vero e proprio reato.
Giunto all'entrata del carcere, Kise chiuse velocemente l'ombrello e lo scrollò appena, cercando di liberarlo da almeno una parte del carico di pioggia che si era impregnata nel tessuto sottile del telaio. Dopo di che si fece strada, come al solito, molto cautamente, come se avesse avuto paura che arrestassero anche lui solo per essere entrato senza il loro consenso - e non che ne servisse uno per accedere a quello spazio sterile, quasi lugubre, ma ogni volta che i carcerieri lo fissavano in silenzio, senza mai staccargli quei piccoli occhi neri di dosso, era come se lo accusassero di aver sgretolato l'apparente clima di serenità di quel luogo con la sua sola presenza -
Per di più aveva le scarpe bagnate, e quando si fermò di fronte ad un vetro scuro, per parlare con chi aveva il compito di registrare le visite, la suola stridette contro il pavimento freddo, in un cigolio improvviso che gli raggelò il sangue.
Era già la quarta volta che si faceva strada fino a quel vetro scuro, annunciando prima il nome di Aomine e poi il suo, ritrovandosi gli occhi dei carcerieri costantemente puntati addosso: ormai sapeva che era l'atmosfera abituale e che non lo guardavano in quel modo perché ce l'avevano con lui o chissà quali altre sciocchezze, ma quel luogo era così sterile e le persone così severe e fredde da farli avere paura anche del cigolio di una scarpa, da impedirgli di mettere da parte la sensazione di disagio che, anzi, si rinnovava ogni volta che entrava, per ogni passo che faceva.
«Buongiorno, sono qui per vedere Daiki Aomine.» annunciò.
Ricordò che per le tre volte precedenti in cui si era presentato di fronte a quel vetro cupo, chi si trovava al di là di esso aveva ricambiato il suo saluto, seppur molto frettolosamente e senza alcun sentimento nella voce; questa volta non vi fu risposta, tanto che Kise pensò di aver parlato troppo piano e che l'altro non l'avesse sentito, ma non appena lo vide afferrare una piccola pila di scartoffie, rigirarsela fra le mani, e poi scorrere un dito sulla carta, in cerca di un nome, dovette convenire che si trattava semplicemente di una persona maleducata e anche più fredda di tutti gli altri carcerieri.
«Il suo nome?»
«Ryouta Kise.»
Di nuovo silenzio: Kise lo vide dare un'occhiata all'orologio, poi decidersi finalmente a scrivere sul foglio delle visite.
«L'ora delle visite sta per concludersi, ha ancora dieci minuti.»
Kise stava per ringraziarlo, ma non ebbe neanche il tempo di fare ciò, visto che l'uomo con cui aveva appena parlato chiamò a sé uno dei carcerieri, che si avviò immediatamente alla cella numero duecentonove per avvertire il carcerato della visita.
Pochi minuti dopo, Kise poté accomodarsi - per così dire -, in una saletta minuscola, anch'essa sterile e con le pareti bianche mangiate dalla muffa, rimanendo in attesa oltre l'ennesimo vetro oscurato.


«Ohi, Kise, non serve che tu mi venga a trovare tutti i giorni.»
Aomine non doveva essersi ancora seduto di fronte al vetro, perché Kise non riusciva ancora a distinguere la sua sagoma e la voce suonò piuttosto ovattata, anche se evidentemente annoiata e infastidita dalla sua presenza.
Era passata una settimana e lui era venuto a trovarlo solo quattro volte: sì, quattro su sette erano tante - considerando che dovevano essere cinque, ma che una era saltata a causa del suo ritardo -, ma non erano: "Tutti i giorni".
«Magari ti sentirai pure in dovere di farlo ...» Aomine aveva ripreso a parlare, ora la voce era più chiara e la sua sagoma discretamente nitida oltre il vetro scuro «ma fra una settimana sono fuori.»
Sembrava quasi che non gli andasse mai bene niente, riusciva perfino a lamentarsi se un amico gli faceva visita in carcere per quattro giorni a settimana, con quella voce sempre troppo piatta e spinosa.
Era vero che Kise si sentiva in dovere di andare a trovarlo, ma lo avrebbe fatto anche se Aomine fosse finito lì per un motivo differente, per una ragione che non riguardava anche lui.
«Aominecchi, vuoi forse che ti lasci solo per una settimana intera?!» come un bambino permaloso, Kise strepitò e gonfiò appena le guance, lasciando che l'aria sfuggisse in un piccolo sbuffo attraverso le labbra dischiuse in una fessura.
«Beh ...» Aomine doveva essersi stretto nelle spalle «non è che mi cambi molto, visto che dopo le visite devo tornarmene in cella.» adesso era lui quello che sbuffava, ma si trattava più che altro di un lamento silenzioso, un moto di esasperazione nato da quei sette giorni di carcere che aveva alle spalle e dalla consapevolezza di averne ancora da affrontare esattamente lo stesso numero.
«Ti verrò a trovare lo stesso.» Kise era irremovibile «e anche Momoicchi-chan: ti saluta e ha detto che passerà mercoledì.»
«Ah, di' pure a Satsuki di starsene a casa.» ma ovviamente anche Aomine non si dava per vinto e faceva il difficile. Non era possibile che trovasse fastidio nelle loro visite: chi respingerebbe mai le visite dei propri amici, se fosse chiuso in carcere? Forse diceva così semplicemente perché non era mai passato più di un giorno fra una visita e l'altra, o di Kise o di Momoi. Probabilmente se avessero deciso di smettere di andare a trovarlo, allora, si sarebbe reso conto di quanto fosse sbagliato accoglierli sempre con quel tono di voce, con quelle frasi evasive e piuttosto scontrose.
Aomine doveva pensare che lo venissero a trovare semplicemente per compassione, e questo gli doveva dare molto fastidio: peccato che non fosse altro se non una macchinazione del suo cervello.
Momoi era la sua amica d'infanzia e nei confronti di lui, fra tutti, riservava un comportamento ancor più materno e apprensivo del solito - pedante, dal punto di vista di Aomine -, mentre con Kise aveva sempre avuto un buon rapporto e, finite le superiori, sembravano aver trovato perfino un'affinità maggiore, tanto che Ryouta si sentiva di poterlo considerare senza problemi il suo migliore amico.
«Non ti vengo a trovare perché mi sento in dovere.» riprese Kise «ma è anche vero che sei qui per colpa mia.» disse rammaricato.
Al di là del vetro scuro, le labbra di Aomine ebbero un fremito e si contrassero in una piccola smorfia. Rimase in silenzio e abbassò lievemente il capo, pensieroso.
Aveva ancora il livido: un semicerchio bluastro sulla tempia che, con le estremità segmentate e irregolari, pareva abbracciare il taglio sottile dell'occhio, ma aveva smesso di fare male da un paio di giorni e il gonfiore andava sparendo a poco a poco, così come aveva fatto il colore innaturale della pelle lesionata, visto che, appena giunto in carcere, si trattava di una macchia violacea che ricopriva anche la palpebra superiore e parte di quella inferiore.
Aomine si strinse di nuovo nelle spalle e si mise più comodo: stese le gambe, una caviglia sopra l'altra, incrociò le dita delle mani oltre la nuca e lasciò andare un sospiro «almeno non ti disturberà più, no?»
«Lo spero.» tagliò corto Kise.
«Beh, se dovesse insistere ...»
«No!» Kise lo interruppe immediatamente.
«Mhn?» Aomine brontolò, assottigliando il proprio sguardo leggermente infastidito dalle parole di Kise, non ancora udite ma che già si profilavano nella sua mente.
«Non farai a botte con quel tizio un'altra volta-!» Kise protestò a voce alta.
Aomine alzò gli occhi al cielo: Kise voleva far sapere a tutti che si trovava in carcere per aver fatto a botte per un uomo?
«Non strillare.» ringhiò sommessamente, infastidito più che altro dal fatto che gli stesse dicendo cosa doveva e non doveva fare: era un uomo adulto e non aveva bisogno dei suggerimenti di nessuno per prendere una decisione; era sicuro di saper valutare ogni situazione arbitrariamente e di avere il controllo completo delle cose, di se stesso. In quel momento, per esempio, sapeva benissimo che Kise non doveva strillare e registrava la mancanza di rimorso nel suo io, una sicurezza sfacciata che gli faceva pensare: Lo farei ancora, se fosse necessario.
Nel caso di Aomine il detto: "Il lupo perde il pelo ma non il vizio." era azzeccatissimo.
Aveva sempre avuto, radicato nei proprio polsi, l'istinto animalesco del pugno, un'impulsività fisica piuttosto difficile da tenere a bada, ma era anche vero che maturando aveva iniziato a capire cosa significasse convivere con quella propensione - che più che altro erano un vizio difettosissimo - a fare sempre a botte, per diverso tempo era riuscito perfino a tenerla a bada.
Se ora si trovava in carcere per aver spedito una persona all'ospedale a suon di calci e pugni non era certo per suo volere o suo piacere; il motivo era Kise, il fatto che da mesi il suo cellulare venisse continuamente bombardato di strani sms, sia di natura minatoria che di natura sessuale, che ricevesse delle chiamate vuote, senza sentire mai la voce del mittente, che alcune volte, dopo il lavoro, si ritrovasse inseguito da un'ombra fino a casa.
Quelli erano stati i tre mesi in cui Kise non era più Kise.
Quel che vedeva non gli piaceva, perché Kise non era più lo stesso: mangiava poco; dormiva ancor meno; si sentiva un nodo alla gola ogni volta che il cellulare o il telefono di casa squillavano ed esitava sempre, prima di rispondere; si voltava spesso e si guardava alle spalle di continuo, con la costante sensazione che qualcuno lo seguisse, anche quando c'erano solo loro due che nel pomeriggio uscivano stanchi dal campetto da basket dopo una one on one e tornavano a casa.
Kise non era responsabile di nulla, alla fine, visto che era stato lui a scegliere di affrontare quell'ombra misteriosa all'insaputa del suo amico.
Una sera si era appostato in un angolo della strada e aveva aspettato che, dopo Kise, passasse anche lo stalker che da mesi stava rendendo un Inferno la vita del suo amico; si era reso conto quasi immediatamente che minacciare quell'uomo non sarebbe servito a nulla, quindi non gli era rimasta altra soluzione che ricorrere alle maniere forti.
Considerando che le spalle di quel tizio erano il doppio delle sue e che se ne andava in giro armato di un piccolo coltello, poteva considerarsi perfino fortunato ad essere uscito dalla colluttazione soltanto con un occhio nero e due settimane di carcere; il suo avversario, molto probabilmente, aveva appena smesso di scontare l'ospedale - grande e grosso, ma molto lento, tonto: tutto fumo e niente arrosto, insomma - e si stava preparando al carcere, dove molto probabilmente sarebbe rimasto per molto più tempo di lui.
L'annuncio della fine delle visite fu lacerante per entrambi, anche se le reazioni furono molto diverse: Kise si lagnò come sempre, Aomine si sollevò in silenzio dalla propria sedia, sbirciando la smorfia scontenta dell'amico al di là dello spesso vetro scuro.
«Ti vengo a trovare martedì, va bene?»
«Sì, sì, fa un po' come ti pare.»
Kise non sorrise, ma fu contento di sentirglielo dire: quelle parole non erano altro che il suo consenso un po' burbero alla sua proposta.
«Allora a martedì, Aominecchi!»
«A martedì, Kise.»


La palla a spicchi colpì il canestro e rimbalzò a terra, rotolando placidamente fino ad una piccola pozzanghera torbida.
Le mani di Tetsuya, che erano ancora tese in alto, ma troppo insicure e rigide per centrare il canestro, si abbassarono lentamente e piombarono lungo i fianchi, mentre il capo si chinava verso il basso: quello era il suo nono tiro sbagliato. Su nove.
Non sapeva neppure perché, dopo tanto tempo, se ne fosse tornato in quel campetto con una palla da basket fra le mani: forse era tutta colpa di Kise, del fatto che la sera prima lo avesse visto tirare e centrare il canestro senza sbavature, elegante e fluido come sempre, come se il tempo non lo avesse cambiato.
Tetsuya iniziava a sentire qualcosa dentro di sé: al senso di vuoto lasciato da Kagami se ne stava aggiungendo un altro, quello lasciato dal basket.
Tetsuya stava cominciando a pensare che l'unico modo di alleviare quel vuoto, sentire Kagami vicino a sé, fosse riprendere col basket, ma ora come ora, di fronte a quel canestro che non riusciva a centrare, si rendeva conto di aver perso completamente la mano, di essere arrugginito.
Al contrario di Kise, Tetsuya era stato cambiato dal tempo: lacerato, sgretolato nelle sue interiora; rimaneva una persona vuota e sola, con troppi desideri nel cuore e nessuna possibilità concreta di fronte a sé.
Himuro e Murasakibara stavano insieme, quindi Kagami era ancora solo. O forse aveva conosciuto una bella ragazza americana e si era già dimenticato degli anni passati in Giappone con lui, il suo migliore amico.
Sapere della relazione fra Himuro e Murasakibara, alla fine, non gli aveva che regalato un solo attimo di leggerezza, perché immediatamente dopo era tornato quel senso di pesantezza, la consapevolezza dolorosa della lontananza: Kagami era ancora negli Stati Uniti e forse non sarebbe mai più tornato indietro.
A Tetsuya rimanevano soltanto un canestro impossibile da centrare, una palla da basket in una pozzanghera e perle d'acqua fra i capelli.
A Tetsuya rimaneva soltanto il suo involucro di persona vuota, di ombra.

È un pianto di stelle lucenti che imperversa nella notte nera.




Licenza Creative Commons
Quest'opera è distribuita con Licenza Creative Commons Attribuzione - Non commerciale - Non opere derivate 2.5 Italia.




L'angolino invisibile dell'autrice:

Come al solito, ogni volta che introduco un membro della GoM, cerco di mantenermi piuttosto marginale, ormai è di dominio pubblico che per me la caratterizzazione di alcuni personaggi richiede un certo sforzo.
Ad essere sincera credo di essermi dovuta sforzare di più con Murasakibara, e questo probabilmente significa che il mio Aomine non avrà dato il giusto impatto, non avrà convinto qualcuno/in tal caso mi scuso in anticipo con maraman, ovvero con colei che ama Aominecchi xD/
A molti forse non piacerà il fatto di Aomine in carcere, ma è detto nella trama che ci sono realtà diverse, voglio scrivere di come il futuro possa essere diverso da persona a persona e impensabile, quindi inevitabilmente alcuni personaggi non avranno ingressi tranquilli/e poi non mi sarebbe piaciuto riservare a tutti i personaggi un ingresso tranquillo, senza problemi. Nelle fanfiction mi piace inserire i problemi, insomma/ e credo che la ragione per cui si trova in carcere sia piuttosto valida e scusabile. Spero.
In questo capitolo avete notato che si parla di pioggia, un po' perché quando l'ho iniziato pioveva, un po' perché è un fenomeno che non sono mai riuscita a descrivere come si deve e che osservo da tempo proprio perché vorrei imparare a metterlo su carta/o su foglio virtuale/
E niente, a dire il vero non ho molto da dire, tranne sul fatto che ieri sera al bagno/sì, è un luogo che ispira/ho avuto l'illuminazione anche per la MidoTaka e che pian piano inizio ad avere delle idee, e ci saranno coppie che richiederanno del tempo per svilupparsi, quindi ho paura che questa fanfiction sarà molto molto lunga.
Spero che questo capitolo possa essere abbastanza soddisfacente, vi saluto! ;*;

Ritorna all'indice


Capitolo 5
*** Capitolo IV ***


Capitolo IV





Il tempo non può consumare la notte e le sue stelle, eppure ci ha già distrutti, annullati, spazzati via.

Tetsuya lo aveva pensato davvero. Aveva pensato, nello stesso istante in cui la pioggia aveva cominciato a lambirgli le guance, di tornare a giocare a basket con quelli che ai tempi della Teiko erano stati suoi compagni di squadra, pur non essendosi mai sentito veramente parte della Generazione dei Miracoli, pur non condividendo la maggioranza delle loro idee e dei loro metodi.
Ai tempi delle medie, Tetsuya aveva apprezzato i membri della Generazione dei Miracoli soltanto all'inizio - e con un po' di fatica, per giunta -, poi, dopo aver vinto il torneo nazionale, la situazione era degenerata rapidamente, come se gli ingranaggi apparentemente saldi di una macchina avessero mostrato la loro vera natura: indipendenti, danneggiati dalla loro stessa centralità in un sistema nel quale ognuno avrebbe dovuto omettere almeno una parte della sua sete di vittoria e pensare alla squadra. Erano tutti troppo diversi e troppo forti perché le cose potessero funzionare.
Prima di rincontrarli come avversari ai tempi delle superiori, Tetsuya aveva apprezzato davvero poco di loro; ora, però, la solitudine e il vuoto lo avevano fatto precipitare in un pensiero che mai avrebbe creduto potesse germogliare nella sua mente.
Si trattava di un germoglio ancora molto fragile, comunque.
Come poteva solo pensare di poter chiedere ad Aomine, Akashi, Midorima - con i quali non aveva più contatti da tempo -, Murasakibara - che era negli Stati Uniti - e Kise di tornare a giocare a basket con lui, quando non riusciva a centrare neppure un canestro su dieci?
E poi era veramente ipocrita che proprio a Tetsuya fosse venuta in mente l'idea di ripristinare la Generazione dei Miracoli, alla quale si era adattato con tanta fatica e nei confronti della quale, comunque, aveva sempre mantenuto un atteggiamento di distacco e prudente diffidenza. Inoltre il desiderio di ripristinare la Generazione dei Miracoli non nasceva dalla voglia di tornare a giocare con i cinque talenti, ma da un egoistico moto dell'anima, dalla speranza di riuscire finalmente a dimenticare Kagami con quell'ennesimo tentativo, poiché da solo - aveva capito - non sarebbe mai riuscito a smettere di pensare a lui. Era evidente quanto fosse necessario per lui essere circondato da più persone che lo distraessero, nonostante l'idea non fosse una delle più invitanti per la sua personalità chiusa.
Comunque non era ancora sicuro di quell'idea: probabilmente l'avrebbe tenuta per sé come tante altre cose e avrebbe lasciato che lo scorrere del tempo la logorasse, vanificandola, esattamente come stava succedendo per quei sentimenti - che si era guardato bene dal rivelare - nei confronti di Kagami.
A pensarci bene non esistevano garanzie: pensare che tornare con loro lo potesse aiutare a riempire il vuoto lasciato da Kagami era soltanto un'incauta e frettolosa illusione.
E poi chi gli assicurava che tutti avessero continuato col basket? Lui stesso aveva smesso e aveva lasciato che il tempo e l'inerzia lo arrugginissero, perciò anche gli altri potevano aver deciso di mollare.
Conosceva solo la situazione di Murasakibara, che si trovava negli Stati Uniti e probabilmente stava accrescendo il proprio talento incitato da Himuro, e di Kise che, nonostante i frequenti problemi alle gambe e le incombenze del suo lavoro di modello, aveva continuato, ma non più a livello agonistico.
Kise e Momoi erano sicuramente a conoscenza di ciò che stesse facendo Aomine, per cui fra gli altri tre membri rimanenti era quello più fattibile da contattare. Inoltre era quasi impensabile che avesse smesso con il basket.
Per quanto riguardava Midorima e Akashi, invece, non riusciva davvero ad immaginare come fosse la loro esistenza in quel momento, che cosa il destino avesse avuto in serbo per loro.
Akashi rimaneva il più lontano. Lontano anni luce. Probabilmente nemmeno Momoi e Kise avevano più contatti con lui.
Kuroko aveva la sensazione che ormai fosse irraggiungibile, come se fosse scomparso per sempre, e forse era proprio così.
A poco a poco, Akashi era scivolato via da loro, via da lui, esattamente come stava facendo Kagami: rimaneva solo qualche ricordo sbiadito, il tono pacato della sua voce e la cattiveria dei suoi occhi, mentre la sensazione di dolcezza che gli provocavano quelle mani quando sfioravano le sue era andata persa ormai da tempo, cancellata dalla fiacca e limitata natura della memoria.
Kuroko si guardò le mani come se stesse tentando di ricordare disperatamente la sensazione di calore che i polpastrelli di Akashi, mente gli carezzavano le nocche, gli provocavano ogni volta, ma si rese immediatamente conto di quanto fosse inutile e, con un flebile sospiro, tornò a fissare il fuoco crepitante nella fornace.
«Ecco, porta queste.» presto, Tetsuya fu costretto a dire addio a ogni piccolo frammento di ricordo che gli tornasse alle mente.
Tese le braccia in un gesto quasi automatico, percependo immediatamente un lieve bruciore sulla pelle delle braccia, provocato dal vapore bollente sprigionato dai cartoni e che si era velocemente insinuato oltre il tessuto sottile delle maniche.
«Cerca di sbrigarti, questa sera abbiamo un sacco di ordini.»
Tetsuya diede una rapida occhiata al post-it incollato sulla superficie del cartone che stava in cima alla pila, dove era scritto l'indirizzo.
«Vado.» e infine si limitò ad annuire, per poi uscire velocemente dalla pizzeria.


«Atsushi?»
A Murasakibara quel tono non piacque affatto: quando Himuro faceva quella vocina zuccherosa, leggermente svenevole e cantilenante, significava che aveva una richiesta da fargli, e non si trattava di un favore: era molto peggio.
Il gigante dai capelli viola brontolò leggermente e si rigirò pigramente fra le coperte; Himuro se ne stava immobile sulla porta, aveva le labbra increspate in un sorrisino piuttosto ambiguo: era intenerito dall'espressione ancora stropicciata dal sonno di Murasakibara? Oppure irritato dal fatto che avesse brontolato e si fosse rigirato fra le coperte senza degnarlo di uno sguardo? Probabilmente lo stesso Himuro, in quel momento, si ritrovava diviso fra entrambi i sentimenti.
«Hanno detto che per qualche giorno pioverà, quindi non potremo andare al campetto.» era passato poco tempo da quando Himuro era riuscito a convincere Murasakibara a riprovarci col basket, così, dopo due o tre giorni di sole passati al campetto, era arrivata la pioggia a stravolgere la faticosa monotonia delle giornate americane, con momentanea gioia di Atsushi: forse Tatsuya voleva soltanto dirgli quello, cioè che per almeno un paio di giorni erano liberi di oziare grazie al maltempo; per di più fu sollevato di sentirlo parlare in giapponese, visto che da almeno quarantotto ore non faceva altro che rivolgerglisi in inglese nella speranza che potesse iniziare a carpire qualche frase e farla sua.
«Well!»
Murasakibara brontolò di nuovo: quella parola maledetta aveva appena frantumato i suoi sogni di ozio come avrebbe potuto fare un martello di ferro che si abbatte con forza su una sottile lastra di vetro.
«Faremo qualche ora intensiva di inglese.»
«Muro-chin ...» adesso era Murasakibara che cercava di ricorrere alla voce più zuccherosa e cantilenante possibile, soffocando quel richiamo lamentoso contro le coperte che rapidamente si portò fin sopra la testa.
In quel momento il sorriso di Himuro fu semplicemente un'espressione intenerita, non era innervosito da quel comportamento ma semplicemente determinato a trascinarlo giù dal letto, perché sapeva che una volta messi i piedi a terra si sarebbe impegnato a fondo e avrebbe cercato di capire qualcosa dell'inglese.
Atsushi era pigro, ma quando Tatsuya gli chiedeva di fare qualcosa per lui, e quando capiva che a questa cosa ci teneva, allora si impegnava - o per lo meno ci provava -
«Avanti, vieni fuori di lì.» Himuro, che fino a quel momento era rimasto con la spalla destra aderente allo stipite della porta, si diede una piccola spinta ed entrò nella stanza.
Si era avvicinato al letto, aveva fatto aderire un ginocchio al bordo di questo e poi era salito, sistemandosi goffamente sull'altro - completamente fasciato dalle coperte - nel tentativo di scostarle e ritrovare quell'espressione stropicciata dal sonno.
Murasakibara non fece resistenza e quando Himuro scostò le coperte dal suo viso si ritrovò i suoi occhi puntati addosso: aveva una guancia leggermente gonfia, un'espressione offesa, di disappunto, che aveva evidentemente preparato in previsione dell'incontro dei loro sguardi.
«Dai ...» Tatsuya fece di nuovo quella voce che sembrava fatta di miele, gli sorrise e gli stampò un bacio sulle labbra.
«No.» Murasakibara non aveva ancora abbandonato quell'espressione piena di disappunto, ma Himuro sapeva benissimo che si trattava di un semplice capriccio.
«Sei sicuro di non voler studiare?» Himuro era ancora steso sopra di lui e ora stava incrociando le braccia, sistemando il mento su una di esse e rimanendo a fissarlo con un sorrisetto divertito dipinto sulle labbra.
«Sicuro. E Muro-chin dovrebbe venire sotto le coperte con me.» questo, per un attimo, fece fremere il sorrisetto sulle labbra di Himuro: Murasakibara voleva capovolgere la situazione, tentarlo con quell'invito e quindi togliersi dall'impiccio dello studio.
Per dormire insieme avevano tutte le notti che volevano, e poi Mursakibara aveva già perso in partenza perché Himuro, che ora stava godendo e si lasciava tentare piacevolmente dal calore di quel contatto, anche se i loro corpi erano separati dalle coperte, aveva a sua disposizione un'esca alla quale l'altro avrebbe abboccato sicuramente.
«Mi dispiace.» il sorrisetto di Himuro era tornato fermo, sicuro «vorrà dire che le caramelle le mangerò tutte io.»
Chissà perché l'espressione di disappunto sul volto di Murasakibara scomparve immediatamente. A Himuro sembrò di intravedere uno scintillio in quegli occhi assonnati, ma non riuscì ad osservarli come avrebbe voluto perché si ritrovò quasi immediatamente con la schiena aderente al materasso e il corpo di Murasakibara aderente al suo, l'impaccio delle coperte stropicciate a separare i loro toraci.
Murasakibara lo avvolse fra le braccia e gli stampò un paio di baci sul collo, facendolo ridacchiare sommessamente.
«E va bene, se ci sono le caramelle va bene.» gli stampò un altro bacio sul collo, mentre Himuro provvedeva a ricambiare quell'abbraccio e stringersi a lui: ora era proprio Tatsuya quello in difficoltà, quello che non si sarebbe voluto staccare da lui e non avrebbe voluto scendere da quel letto, ma ormai aveva rivelato la presenza delle caramelle, quindi, di lì a qualche minuto, Atsushi si sarebbe alzato e lo avrebbe trascinato a forza con sé pur di farsi rivelare il loro nascondiglio.


Aomine alzò gli occhi al cielo e lasciò che un piccolo sospiro scivolasse via dalle labbra lievemente schiuse: Momoi e Kise - con due sorrisetti allegri dipinti sul volto - erano immobili di fronte allo sterile carcere che lo aveva "ospitato" per due settimane.
Avevano tutta l'aria di star trattenendo mille parole, in attesa che lui li raggiungesse soltanto per finire a tempestarlo con chissà quali racconti.
Sì, quelli - e in particolare quello di Kise - erano i sorrisetti consapevoli di chi ha qualche storia curiosa da raccontare e che riesce a trattenere le parole a fatica, che non vede l'ora di descrivere ogni particolare per conoscere le opinioni dell'interlocutore.
«Ciao.» si limitò a dire, mentre infilava le mani nelle tasche dei jeans: quei due parevano zitelle pettegole, e la cosa peggiore è che sembravano aggravarsi col tempo, quindi Daiki si era diretto verso di loro con la consapevolezza che la sua già scarsa pazienza sarebbe stata messa a dura prova.
«Ciao!» mentre Kise ricambiò il saluto, Momoi si limitò a porgergli un sacchetto con un sorriso.
Aomine trovò fastidioso anche solo dover far uscire le proprie mani dalle tasche, dove le aveva placidamente sistemate solo pochi attimi prima.
«Cos'è?»
«Per festeggiare!»
Aomine scostò le estremità del sacchetto e sbirciò al suo interno, riconoscendo l'involucro di cartone utilizzato per proteggere le torte o le paste.
«Ah, grazie ...» storse leggermente il naso, perché in quel momento si rese conto di essere condannato: non poteva festeggiare da solo, quella torta non era altro che il "biglietto di ingresso" che avrebbe condotto Momoi e Kise dritti a casa sua. A quanto pareva non se li sarebbe scollati di dosso per un bel po'.
«Come stai, Dai-chan?»
«Secondo te come sto?» Aomine brontolò e si ritrovò a camminare placidamente fra i due.
«Io e Momoicchi-chan abbiamo tante cose da raccontarti!» le parole entusiaste di Kise gli parvero più che altro come un ronzio estremamente fastidioso.
«Immaginavo.» borbottò impensierito, vedendo che si stavano già avviando verso una direzione che non avrebbe condotto né alla casa di Momoi né a quella di Kise, ma alla sua.
«Già! Ki-chan mi ha tenuto nascosta una cosa!»
«Non te l'ho tenuta nascosta!»
«Come no? Lo sapevi da qualche settimana e non mi hai detto niente!»
Ad Aomine sembrò di stare in mezzo a due poppanti: strinse i denti e cercò di trattenere la propria irritazione, pensando ingenuamente che presto avrebbero smesso.
«Ki-chan, non essere bugiardo!»
«Eh?! Io non sono bugiardo! Aominecchi, diglielo anche tu che non sono bugiardo!»
Tuttavia gli ci volle davvero poco per abbandonare quell'idea un po' troppo ottimistica e capire che sarebbero stati disposti a continuare quella diatriba capricciosa per un bel po'.
«Ohi, state un po' zitti! Mi state facendo venire mal di testa.»
I due interruppero quella sottospecie di bisticcio, ma rimasero in silenzio solo per poco: Kise accennò un sorriso e cercò lo sguardo di Momoi oltre la figura di Aomine.
«Inizio io?»
In risposta alla domanda di Kise, Momoi si limitò ad annuire, poi sussultò appena, come se le fosse venuto in mente qualcosa, e lo interruppe prima che cominciasse a parlare di Murasakibara e Himuro.
«Ki-chan? Forse prima dovremmo parlare di Tetsu-kun.»
L'espressione di Aomine, che fino a quel momento non era altro se non una manifestazione evidente di disinteresse e noia, cambiò in un attimo.
I suoi occhi si soffermarono sulla figura di Momoi: sul suo viso non c'era più traccia del sorriso spensierato che gli aveva rivolto poco prima, mentre gli porgeva il sacchetto contente la torta - o le paste? Nah, non era importante in quel momento -.
«Mhn ...»
Infine, gli occhi di Daiki rimbalzarono su Kise.
«Hai ragione, forse è meglio se prima parliamo di Kurokocchi.» Kise aveva la stessa espressione impensierita e leggermente sconfortata di Momoi.
Aomine non notò soltanto le sue labbra, incrinate leggermente verso il basso, ma colse anche un palpito di cupo nei suoi occhi, forse dovuto semplicemente al fatto che in quel momento stesse tenendo lo sguardo basso, puntato a terra. Quella, però, che fosse dovuta soltanto ad un caso o ad uno scherzo della luce, non era comunque un'espressione tipica di Kise.
Sentiva pronunciare spesso il nome di Kuroko da Satsuki, ma si trattava sempre di un momento fugace in cui non si spingevano mai al di là di qualche frase, senza che la sua amica d'infanzia cominciasse a raccontargli come se la passasse Tetsuya.
Forse Momoi non gli raccontava mai nulla proprio perché non c'era molto da dire su Kuroko, ma in quel momento era ovvio che ci fosse qualcosa di cui parlare, si palesava sia negli occhi di lei che in quelli di Kise.
Lui e Kuroko non erano più riusciti a trovare l'affinità che li aveva tenuti legati ai tempi della Teiko, la loro era stata un'amicizia altamente danneggiata che si erano trascinati dietro per anni e che, alla fine, non erano mai più riusciti a risanare, ma nonostante ciò, in quel momento, Kise e Momoi ebbero tutta l'attenzione di Aomine.
Da quel pomeriggio piovoso, quando la loro amicizia si era rotta, Aomine non si era mai più chiesto come stesse Kuroko; egoisticamente non si era mai domandato come si fosse sentito e che cosa avesse provato dopo essere stato sopraffatto e dimenticato dalla propria luce.


Ricordi sbiaditi, luci soffuse, amori spezzati e ombre evanescenti. Il tempo si porta via tutto: anche le nostre storie.




Licenza Creative Commons
Quest'opera è distribuita con Licenza Creative Commons Attribuzione - Non commerciale - Non opere derivate 2.5 Italia.




L'angolino invisibile dell'autrice:

Non sono per niente soddisfatta di questo capitolo, il fatto è che sono un po' rammollita in questi giorni (?)
Mi spiace davvero, vi prometto che il prossimo sarà più piacevole! >-<
Come al solito ho qualche cosina da dire sul capitolo: innanzitutto è un capitolo di transizione, forse è anche per questo che è venuto più corto degli altri (l'idea era: capitolo di transizione, ma comunque lungo e piacevole, ma non è che la cosa mi sia riuscita D:).
Credo che per il prossimo dovrete aspettare un po', ma se resisterete vi prometto che le cose inizieranno ad essere più movimentate ;u;
Intanto vi faccio notare che nella trama ho aggiunto la MiyaTaka negli accenni delle coppie e l'avvertimento "spoiler" (visto che sto leggendo anche il manga, anche se non l'ho ancora concluso!)
L'ultima parte, appunto, è proprio un richiamo alla scena del manga in cui il talento di Aomine è ormai esploso, e con un fervore tale da rompere del tutto il rapporto luce/ombra con Kuroko.
Se ve lo siete chiesto ... sì: nella mia fanfiction Kuroko è un fattorino. Non so perché, ma mi diverte l'idea di Kuroko fattorino (se mi fossi ispirata alla Characters Bible avrei dovuto metterlo come maestro d'asilo, ma l'idea non mi intriga per niente; diciamo che sono pochi i personaggi che faranno un lavoro collegato a ciò che è scritto nella Characters Bible, ecco).
E ancora, il pezzettino in cui Kuroko ripensa alle dita di Akashi che gli toccano la mano ... beh, io l'ho detto che ci sono degli accenni AkaKuro, no? Ma si saprà tutto più tardi­~!
Alla prossima~

Ritorna all'indice


Capitolo 6
*** Capitolo V ***


Capitolo V





Come l'odore di salsedine che si avverte quando ancora non si vede il mare; come un vento freddo che sovrasta l'arsura estiva.

Senza che neanche se ne rendessero conto era già trascorso un mese; altri trenta giorni passati a crogiolarsi nella tristezza, nella noia, nel vuoto insensato dell'inerzia, per almeno la maggior parte di loro.
«Atsushi?» con voce cauta e docile, Himuro aveva rotto il silenzio che si era creato da qualche minuto.
«Ne sei sicuro?» aveva continuato senza far trasparire alcun tipo di emozione sul proprio volto, ma con le labbra ancora incrinate in quel sorriso.
Murasakibara lo stava guardando in un modo diverso dal solito: non era l'espressione di un bambino capriccioso che tiene le guance arrossate leggermente gonfie, né quella di un uomo annoiato che non vuole che gli si dica cosa fare.
Era uno sguardo dispiaciuto, quasi come se stesse cercando di supplicarlo con gli occhi di perdonarlo.
«Io sì, ma tu, Muro-chin?» il tono di voce era flebile, ora il suo sguardo era rimbalzato lontano, quasi si stesse vergognando di chiedergli quel sacrificio. Il sacrificio a cui Himuro era preparato già da qualche settimana e che, comunque, era tranquillamente disposto a sostenere e per il quale non avrebbe avuto nulla da perdonare all'altro.
«Per me non c'è problema.» Murasakibara era tornato a fissarlo e Himuro gli aveva rivolto un altro sorriso: non gli importava di dover lasciare Los Angeles, piuttosto le parole di Atsushi lo rendevano felice perché significavano che finalmente aveva deciso di intraprendere una determinata strada, che aveva iniziato a muoversi e aveva smesso di crogiolarsi nell'inerzia.
Himuro gli era rimasto seduto di fianco e gli aveva preso il viso fra le mani, schioccandogli un bacio sulle labbra che Murasakibara aveva fatto fatica a ricambiare, talmente era stato rapido.
Infine, Tatsuya, si era alzato dal divano e aveva indossato in fretta la giacca che si trovava adagiata sulla piccola poltrona in pelle scura.
«Dove vai?»
«Vado a parlare con Taiga.» Himuro chiuse la lampo del piumino nero sotto lo sguardo contrariato di Murasakibara, che non era riuscito ancora ad accettare Kagami, forse per la scarsa simpatia che gli aveva suscitato al loro primo incontro o, più probabilmente, a causa del ciondolo che Himuro si ostinava a portare ancora al collo.
«Non preoccuparti.» Himuro doveva essersi accorto dello sguardo contrariato di Murasakibara, perché gli rivolse l'ennesimo sorriso «sarà una cosa veloce.»
Murasakibara, dal canto suo, si era limitato ad annuire e brontolare un poco, sprofondando nel divano.
«Atsushi, non dormire e inizia a riunire le cose da mettere in valigia.»
«Oh, ok.» cantilenò appena, alzandosi placidamente.
«Ti aspetto qui, Muro-chin.»
«A dopo.» Tatsuya si congedò con un rapido cenno della mano, uscendo di casa con passo rapido e deciso, avendo già un'idea su dove si potesse trovare Kagami.


Himuro si era avvicinato ad un gruppo di ragazzi della sua stessa età, impegnati a conversare fittamente fra loro.
«Taiga? Hai un attimo?» non lo aveva ancora individuato, ma conosceva molti dei visi di quei ragazzi e immaginava che ci fosse un'altissima probabilità di trovarlo fra loro.
Effettivamente, dopo qualche secondo, fra tutte quelle teste bionde e il molleggiante accento americano, aveva fatto capolino una chioma rossa, leggermente arruffata, e si era udita chiaramente una voce profonda, con un timbro piuttosto differente da quello statunitense, scusarsi e congedarsi dal crocchio.
«Tatsuya?» sembrava sorpreso di vederlo e gli si era subito affiancato, curioso di scoprire che cosa avesse di tanto urgente da dirgli.
«È successo qualcosa?»
«Atsushi si è deciso.» in men che non si dica si trovavano già lontano dal piccolo crocchio di americani, fuori dalla penombra del vicolo, alla luce del sole.
«Torneremo in Giappone.» Tatsuya non spese troppe parole per comunicare la notizia all'amico.
Kagami, dal canto suo, ebbe un piccolo sussulto e lo osservò in silenzio.
«E quando tornate?» voleva continuare a illudersi: l'inerzia che si era creata fra lui, Tatsuya e Murasakibara negli Stati Uniti era davvero comoda, era riluttante all'idea di dovervi rinunciare.
Himuro lo aveva guardato esterrefatto, come se gli dicesse: Ma come? Non l'hai ancora capito?
«Non torneremo.» aveva detto lentamente, abbassando leggermente il capo.
Kagami guardò a terra con le labbra incrinate in una piccola smorfia: quell'inerzia stava venendo smossa improvvisamente e anche troppo violentemente, per i suoi gusti.
«Ne sei davvero sicuro?» brontolò, guardando ancora a terra.
«Atsushi ha provato a fare un sacrificio per me e, nonostante si sia impegnato e abbia fatto progressi, non ce la fa proprio a stare qui. Io non avrò problemi in Giappone, posso fare questo sacrificio al posto suo.» sottolineò la parola "sacrificio" con un tono di voce leggermente più marcato, quasi a voler comunicare che per lui non si trattava realmente di qualcosa di spiacevole.
Kagami rimase in silenzio, lo sguardo basso: per la prima volta fu lui ad essere invidioso di Himuro.
Lo fu solo per un attimo, ma con un impeto tale da non sentirsi più degno di essere suo "fratello".
Tatsuya Himuro non si poteva definire una brava persona: era invidioso, egoista e ancora pieno di segreti e lati nascosti, anche per lui che lo conosceva da tanto. Kagami aveva sempre un dubbio quando lo vedeva sorridere, perché era uno di quei sorrisi ambigui e malefici che riescono ad essere affettuosi e crudeli allo stesso tempo, sorrisi che non si possono interpretare, che lasciano in un costante stato di incertezza la persona a cui vengono rivolti.
Non era una brava persona, ma non era neppure cattivo: un ragazzo nella norma, insomma.
Aveva un'indole tranquilla, quando veniva provocato preferiva cercare di sistemare tutto con le parole, senza ricorrere alla violenza - paradossalmente vi ricorreva quando doveva far ragionare gli amici a lui più cari, come se fosse stato un educatore spartano -, e si affezionava sinceramente alle persone, cosa che stava dimostrando in particolare in quel momento.
Lo invidiava non perché fosse una persona nella norma, né troppo cattiva, e quindi disprezzabile fino ad un certo limite, né troppo buono, e quindi facilmente ingannabile e soggiogabile, ma perché stava dimostrando coraggio e dedizione nei confronti della persona amata; era disposto a lasciare gli Stati Uniti anche subito, pur di seguire Murasakibara: glielo vedeva negli occhi, l'amore incondizionato per il quale si è disposti ad andare anche in capo al mondo.
Tatsuya era senza dubbio un personaggio ambiguo, ma non aveva paura di amare e lo faceva con tutta l'intensità possibile: se aveva dei dubbi riguardo ai propri sentimenti non tentava di seppellirli e metterli da parte, piuttosto cercava delle risposte chiare senza preoccuparsi dello spazio sottile che, in amore, persiste fra illusione, realizzazione e delusione.
Tatsuya non riusciva ad essere ambiguo in amore; pur di non rinunciare alla persona amata, era disposto a lasciare da parte tutto il resto.
Kagami era invidioso di quel suo particolare aspetto, e vedendolo sorridere nonostante stesse rinunciando a tutto per una persona gli aveva fatto capire che lui non era così, ma anzi addirittura agli antipodi: cosa ne capiva, Taiga, dell'amore? Niente, assolutamente niente.
Al contrario di Himuro, che si era buttato a capofitto nel sentimento, lui era scappato dall'amore. Se n'era andato negli Stati Uniti pur essendo ben cosciente di quelle incertezze che non facevano altro che tormentarlo, anzi, non era da escludere che fosse partito per Los Angeles proprio nel tentativo di dissipare una volta per tutte quei dubbi e sfuggire da un sentimento ai suoi occhi strano e incomprensibile.
«E poi, lo sai, non ho mai avuto problemi ad adattarmi.» Himuro aveva continuato a parlare, ma alle orecchie di Kagami arrivò soltanto un brusio.
«E tu?»
Questa volta, però, il brusio assunse l'aspetto di un suono ben preciso e attirò l'attenzione di Kagami, che per altro si sentiva gli occhi dell'altro puntati addosso.
«Tu cosa farai?»
Kagami continuò a fissare l'asfalto color antracite: sembrava quasi che Tatsuya sospettasse qualcosa su di lui, come se avesse capito che la sua partenza per gli Stati Uniti era stata causata non tanto dal desiderio di tornare a Los Angeles, quanto dalla forzata intenzione di allontanarsi da una persona per non correre il rischio di rovinare un'amicizia.
«Io rimarrò qui.» vide Himuro solo con la coda dell'occhio: lo aveva guardato in silenzio per qualche attimo, e lo doveva aver fatto con un'espressione piena di disappunto, forse leggermente delusa o irritata.
«Taiga?»
«Mhn?» Kagami si decise a guardarlo.
«Sei davvero un idiota.»
Kagami accettò quell'insulto in silenzio: dopotutto Tatsuya lo aveva detto con rassegnazione, e non con cattiveria.
«Ohi, bro.» piuttosto tese la mano chiusa in un pugno verso di lui «dimmi quando partite, così vi accompagno in aeroporto.»
«Contaci.» Himuro colpì la mano di Kagami con un piccolo pugno. Questa volta, però, nonostante la vergogna, Kagami non si accontentò di quel gesto amichevole e gli afferrò la mano, trascinandolo a sé.
I loro petti aderirono per qualche attimo, il braccio destro di Tatsuya circondò le spalle di Kagami e quello di Taiga fece lo stesso: raramente si erano dati abbracci fraterni, e questo era un contatto iniziato come tale ma che stava procedendo in maniera molto diversa.
Rassomigliava, più di qualunque altro abbraccio si fossero mai dati, a quello di due fratelli veri, che si vogliono bene e devono separarsi per sempre: uno in Giappone, l'altro negli Stati Uniti.
Himuro era rimasto sorpreso, ma non aveva esitato a ricambiare l'abbraccio dell'altro: Kagami li avrebbe accompagnati all'aeroporto, ma davanti a Murasakibara non avrebbero avuto una tale intimità, non si sarebbero mai potuti abbracciare così e quella, oltre ad essere la prima, era anche la loro ultima volta.
Rimasero abbracciati per un po', entrambi dispiaciuti di doversi lasciare, ma con la consapevolezza di quanto fosse ingiusta la vita e imprevedibile il futuro, anche per due fratelli.


«Allora, Tetsu-kun? Che cosa volevi dirmi?»
Tetsuya rimase a fissare Momoi per qualche attimo, poi afferrò la cannuccia sottile fra le labbra e sorseggiò il milkshake alla vaniglia, infine indicò con l'indice a fianco della ragazza.
«Perché c'è anche lui?»
«Eh? Kurokocchi, vuoi mandarmi via?!» Kise mugugnò e lo fissò supplichevole, come un cane bastonato.
Momoi guardò solo per un attimo Kise, poi tornò ad osservare Tetsuya, arrossendo leggermente.
«U-umh, Tetsu-kun, volevi parlarmi in privato?» soltanto a fargli quella domanda era diventata completamente rossa.
Tetsuya negò appena con il capo.
«No, suppongo che vada bene anche se c'è Kise-kun.»
Kise si sentì sollevato e accennò un sorriso: sì, forse era stato scortese da parte sua unirsi a loro una volta incrociati di fronte allo studio fotografico, ma era tipico di lui agire senza pensare, quindi si trovava molto spesso ragione di disturbo per gli altri e se ne rendeva conto sempre troppo tardi.
«Bene, allora cosa vuoi dirci?» Momoi aveva ritrovato la calma e il rossore sulle guance stava lentamente scemando.
Tetsuya guardò prima Momoi, poi Kise: inizialmente ne avrebbe voluto parlare solo con lei poiché immaginava fosse la più cauta e quella che sarebbe stata disposta ad ascoltarlo e a prendere in considerazione più possibilità, ma forse anche sentire l'opinione di uno dei diretti interessati - in questo caso Kise - sarebbe stato più che utile.
Aveva impiegato un mese per decidersi a prendere in seria considerazione l'idea di ripristinare la Generazione dei Miracoli, un mese per parlarne con qualcuno.
La sua idea si stava rivelando utile anche prima di essere realizzata, e questo perché, in quel mese, la mente di Tetsuya era stata tanto occupata a rielaborare le parole per comunicarlo agli altri, o immaginare le loro reazioni e ciò che sarebbe avvenuto dopo che, almeno in parte, era riuscito a ridimensionare il dolore provocato dalla sua delusione d'amore.
Stava meglio, e il fatto che si trovassero tutti e tre seduti a quel tavolo per sua iniziativa e che stesse partecipando attivamente alla conversazione ne era la conferma.
«Un po' di tempo fa ho pensato ...» Tetsuya scostò il milkshake e rivolse i propri occhi agli altri due «che potremmo tornare a giocare a basket, tutti insieme.»
La sorpresa fu chiaramente rintracciabile sia sul volto di Momoi, sia su quello di Kise.
«Intendi dire ...?» Kise provò ad indovinare le sue intenzioni, ma le parole vennero a mancare.
«Intendo dire che potremmo ripristinare la Generazione dei Miracoli.»
Momoi colse immediatamente la determinazione negli occhi di Tetsuya.
«Tetsu-kun ...» tuttavia, la sua voce assunse immediatamente un tono triste, rammaricato.
Tetsuya sapeva esattamente cosa stava pensando: riunendosi rischiavano di tornare come ai tempi della Teiko, ovvero arroganti, presuntuosi, disuniti, nemici.
«Kurokocchi, non credo si possa fare!» Kise fu più diretto e ruppe il silenzio.
«Tetsu-kun, rischiereste di tornare ad essere nemici esattamente come ai tempi della Teiko.» finalmente Momoi diede voce ai propri pensieri, ma Tetsuya si permise di contraddirla.
«Momoi-san, aspetta, per favore: sto dicendo che vorrei tornassimo a giocare tutti insieme, non sto dicendo di formare una squadra.»
Momoi sbattè le palpebre in silenzio, parlando solo qualche attimo dopo «cioè ... intendi dire che giochereste insieme, ma uno contro l'altro?»
Tetsuya non l'avrebbe definito un essere "l'uno contro l'altro", creare troppa competizione era l'ultima cosa che voleva; desiderava semplicemente tornare insieme, provare a convivere e sperare di avere maggior successo che ai tempi delle medie, ma in quel momento pensò che si sarebbe potuto accontentare e annuì alle parole della ragazza: avrebbero iniziato dalle piccole cose e piano piano sarebbero riusciti a costruire qualcosa di grande, mattonella dopo mattonella.
«Ma non potranno esserci tutti.» Kise li interruppe di nuovo «non ti ricordi, Kurokocchi? Murasakibaracchi è in America.»
Kise non aveva alcuna intenzione di passare per guasta feste, ma non avrebbe mai voluto che Tetsuya si illudesse e poi si ferisse schiantandosi contro il muro della realtà.
Tetsuya abbassò lo sguardo, pensieroso. Momoi, vedendolo abbattersi, si rivolse subito a Kise con voce cantilenante.
«Ki-chan! Non dovresti essere così duro!»
«Ma Momoicchi-chan! Ho solo detto la verità!»
«Sì, ma-»
«No.»
I due si zittirono non appena Tetsuya li interruppe.
«Kise-kun ha ragione.» quasi si era dimenticato di Murasakibara negli Stati Uniti. No, anzi, lo aveva voluto dimenticare, aveva voluto eliminare quella realtà dalla propria memoria, perché ricordarsi di Atsushi non avrebbe fatto altro che riportargli alla mente Kagami, una persona molto più importante, al disopra di ogni membro della Generazione dei Miracoli.
Adesso Tetsuya sembrava davvero abbattuto, e che con gli occhi bassi e immobili stesse cercando disperatamente una soluzione a quel problema.
Kise rimase a fissarlo in silenzio, solo per qualche attimo: non gli piaceva quella smorfia sconsolata sul viso di Tetsuya.
«Ma potremmo provare a chiamarlo.» non che avesse grande utilità chiamare Murasakibara, ma pur di non vedere Tetsuya così impensierito e giù di corda lo avrebbe fatto.
«Spero solo che non si arrabbi come l'ultima volta.» Kise rise nervoso, seguito a ruota da Momoi che sapeva di essere stata la responsabile della strigliata subita dal ragazzo per aver telefonato a Murasakibara e avergli chiesto qualcosa in più della sua relazione con Himuro, facendogli intendere, quindi, che Ryouta aveva spifferato tutto.
Tetsuya sollevò lo sguardo e lo fissò sorpreso.; Kise, dal canto suo, distese quel sorriso nervoso in un'espressione più rilassata ed estrasse il cellulare.
Adesso Ryouta teneva il cellulare incollato all'orecchio, Momoi lo fissava sorridente e Tetsuya lo osservava impaziente.
«Kise-chin?» Murasakibara aveva risposto con la solita voce annoiata.
«Ciao, Murasakibaracchi! Come stai?»
«Eh? Sono un po' stanco.»
Kise accennò un sorriso: non era cambiato di una virgola e di sicuro era stanco dal non aver fatto nulla.
Diversamente da ogni aspettativa, fu proprio Murasakibara a riprendere il filo del discorso.
«Mi mancavano le Nerunerunerune.»
«Eh sì-!» Kise accennò una risata, pensando ancora che non fosse cambiato per niente, poi sobbalzò.
«Ehi, un momento!» assottigliò i propri occhi, mentre Momoi e Tetsuya gli tenevano i loro puntati addosso.
«Sei qui?!» come diavolo poteva essere in possesso di quelle caramelle, altrimenti?
«Eh?!» Momoi si alzò in piedi per la sorpresa, Tetsuya si protese in avanti e faticò a credere alle sue orecchie.
«Mhn? Sì, sono tornato.»
«E quando?!»
«Ieri sera.»
«A-allora senti ...» Kise balbettò: anche lui, come Tetsuya e Momoi, stentava a crederci.
Era stato un colpo di fortuna telefonargli e scoprire che era appena tornato in Giappone.
«Chiedigli per quanto rimane!» Momoi gli strattonò il braccio.
«O-oh sì! Per quanto rimani?»
«C'è Sa-chin, lì con te?»
«Sì, è quei con me, ma tu quanto rimani?»
«Kise-chin, ci sono le frittelle in offerta, ti devo salutare.»
«Cosa?! No, aspetta!»
«Ciao.»
«Murasakibaracchi!» Kise si lagnò, ma ormai non c'era più nessuno al capo opposto del telefono.
«Allora? Quanto rimane?» Momoi gli strattonò di nuovo il braccio.
«Non so.» Kise adagiò il mento sul tavolo e sbuffò sconsolato «ha riattaccato.»
«Oh ...»
Kise tornò a fissare Tetsuya, che se n'era rimasto immobile, in silenzio.
A Tetsuya stava esplodendo il cuore nel petto, si sentì scuotere da un brivido e da un piccolo capogiro: Murasakibara era lì, in Giappone, e se c'era lui, allora, c'erano quasi sicuramente anche Himuro e Kagami.
In quel momento gli fu evidente che in quel mese non era riuscito ad alleviare il suo dolore e a dimenticare i suoi sentimenti nemmeno un po', ma soltanto ad illudersi di averlo fatto.
Tetsuya non si era reso conto dello sguardo di Kise e fu Momoi a rompere il silenzio.
«Lo richiamo stasera. A Dai-chan lo diremo a voce.»
Kise annuì e Tetsuya, dopo qualche attimo di esitazione, fece lo stesso.
«Adesso devo lasciarvi, fra mezz'ora ho il turno in negozio.»
«Ok.» Kise la salutò con un cenno della mano.
«Vi farò sapere, ciao!»
«Ciao.» ma la voce di Tetsuya non risuonò tranquilla come avrebbe voluto, anzi gli tremò un poco e Kise si dispiacque ulteriormente.
«Avanti Kurokocchi, andiamo a pagare.» si alzò lentamente dalla sua postazione, senza preoccuparsi di tenere il capo chino e le labbra incrinate in una piccola smorfia - dopotutto Tetsuya non se ne sarebbe mai accorto: era troppo impegnato a pensare a Kagami -
Doveva fare qualcosa per Tetsuya, prima che tornasse a ripiegarsi su se stesso come nel mese precedente.


Kise aveva continuato a fissare Tetsuya anche dopo che avevano pagato ed erano usciti dal fast-food.
A volte lo fissava insistentemente, come se avesse voluto essere notato, altre volte lo faceva di sottecchi, camminandogli vicino a passo lento e in silenzio.
Una ventina di metri dopo il fast-food, ormai impossibilitato a osservare anche solo per un altro minuto quell'espressione triste campeggiare sul volto di Tetsuya, Kise decise di interrompere il silenzio.
«Kurokocchi, lo vuoi chiamare?» non servivano soggetti: Kagami era divenuto il perno centrale dei pensieri di Tetsuya - e di conseguenza di Kise - dal momento in cui avevano scoperto del ritorno di Murasakibara in Giappone.
Tetsuya sembrò scostare a fatica gli occhi dall'asfalto, lo guardò e si strinse leggermente nelle spalle, quasi a voler sottolineare la sua indecisione: sì, voleva chiamarlo, ma aveva una terribile paura, quella di essersi illuso, quella per la quale avrebbe provato lo stesso dolore che lo aveva colto di sorpresa nel fast-food, subito dopo aver realizzato di avere passato un mese intero a mentire a se stesso.
«Se Murasakibara-kun è qui, allora, ci sono buone probabilità che anche Kagami-kun sia tornato, no?»
Per la prima volta da quando Momoi li aveva lasciati soli, Kise riuscì a tenere il proprio sguardo lontano da Tetsuya per più di dieci secondi: rivolse i propri occhi al cielo sgombro, di un tenue azzurro tipico dell'autunno.
«È probabile.» probabile, ma non certo: avrebbe voluto dirgli così, perché non gli piaceva l'idea che si illudesse o, più semplicemente, non era molto favorevole ad omettere certe cose - soprattutto quando parlava con lui -, ma allo stesso tempo non voleva sembrare duro come gli aveva rinfacciato di essere Momoi al fast-food.
«Vorrei ...» Tetsuya indugiò «vorrei telefonargli, sarei davvero felice se fosse qui.» ora il suo tono di voce era più saldo, impregnato di speranza, tanto che Kise si sentì mancare il respiro: Kuroko amava Kagami in modo viscerale e incondizionato, non ci si poteva fare niente, sarebbe stato sempre così e lui, dal canto suo, non poteva fare altro se non arrendersi all'evidenza.
«Chiamalo.» Kise si limitò a incitarlo con quella sola parola.
Tetsuya rimase ancora in silenzio e continuò a camminare a fianco dell'altro, poi, dopo una decina di passi e chissà quale particolare riflessione mentale, si fermò ed estrasse il cellulare dalla tasca.
Tetsuya rimase a fissare il cellulare e lo rigirò fra le mani per qualche attimo: sembrava un bambino, tanta era l'ingenuità con cui osservava quell'aggeggio anche fin troppo usato, ma che in quel momento dava l'impressione di non avere mai visto.
Tetsuya scorse lentamente la rubrica e si fermò al numero di Kagami, indugiando per qualche attimo.
Finalmente si decise a selezionare il contatto e si portò il cellulare all'orecchio.


Kagami pensò fosse stato fortunato: il cellulare si era messo a squillare proprio quando aveva finito di allenarsi ed era transitato di fianco al proprio borsone.
Nonostante il fiato corto e le tempie e la fronte imperlate di sudore, brucianti e reclamanti al più presto dell'acqua fresca, Taiga si accinse a frugare nel borsone e recuperò il cellulare.
Quando lesse il nome che pareva rimbalzare a intermittenza sullo screensaver, Kagami si sentì pietrificare: davvero lo stava chiamando? Davvero, dopo cinque mesi senza vedersi né sentirsi, Tetsuya aveva deciso di contattarlo?
Kagami dovette sfregarsi gli occhi e battere le palpebre per un paio di volte, quasi avesse avuto il sospetto che quel nome non fosse altro che frutto della sua immaginazione.
Avrebbe voluto essere lui il primo a farsi sentire, ma non ce l'aveva fatta. Non ce l'aveva fatta per quel sottile dolore che al momento della partenza aveva colto negli occhi di Tetsuya, per quello sguardo che non poteva dimenticare e che lo faceva sentire colpevole ogni giorno.
Non gli sembrò un caso che Tetsuya chiamasse proprio quel giorno, poche ore dopo l'arrivo di Himuro e Murasakibara in Giappone.
Taiga si decise a rispondere.
«Kuroko?» quasi facesse ancora fatica a crederci o temesse di udire una voce sconosciuta al di là dell'apparecchio - e anche a causa della fatica provocata dall'allenamento -, rispose con voce leggermente tremolante, il respiro smorzato: sentiva che Tetsuya stava per parlare, e aveva paura di quella voce. Paura che potesse farlo precipitare di nuovo nei dubbi da cui aveva voluto scappare immediatamente, agendo d'impulso, senza chiedersi neanche una volta cosa fosse davvero, per lui, la sua ombra.


Il battito del cuore accelerato - che gli aveva dato l'impressione di bucargli la cassa toracica - avvertito nel fast-food, non era nulla in confronto a quello che Tetsuya sentì in quel momento.
Aveva voglia di piangere, sia per la gioia di ascoltare la voce di Kagami dopo tanto tempo, sia perché la sentiva terribilmente lontana, irraggiungibile.
Rimase in silenzio, con il respiro tremolante e il torace percosso da quei costanti battiti, le membra e il collo pulsanti a causa del flusso fin troppo energico di sangue nel suo corpo, il cellulare incollato all'orecchio.
Aveva la mente completamente vuota.
«Kuroko? Sei tu?» ora la voce di Kagami sembrava più alta, ma allo stesso tempo ancor più insicura.
Sarebbe rimasto in silenzio ancora per un po' pur di continuare a sentire Kagami che pronunciava il suo nome, ma aveva la terribile paura riattaccasse.
Tetsuya chiuse gli occhi e fece un profondo respiro.
«Kagami-kun.» nello stesso momento in cui aveva pronunciato il suo nome, oltre ad avere la sensazione che il suo cuore fosse esploso per davvero, notò lo sguardo insistente di Kise su di sé.
«Kuroko, ehi, come stai?» Kagami stava brontolando sommessamente e dicendo le parole velocemente, tanto da pronunciarle tutte attaccate: Tetsuya sapeva che era il suo tipico modo di parlare quando era a disagio. Kagami si trovava a disagio, ma di sicuro non per lo stesso motivo di Tetsuya; forse semplicemente perché non si era fatto sentire per ben cinque mesi - ma alla fine Tetsuya non era certo nella posizione di poter giudicare, visto che aveva fatto lo stesso -, forse perché in verità non gli interessava neppure sapere come stava - questo Kuroko non era riuscito a capirlo -
«Kagami-kun ...» gli mancava dire il suo nome, e così volle ripeterlo «sei qui?»
«Mhn?!» Kagami esitò, ma solo per qualche breve istante «emh, no ... no, Kuroko: sono a Los Angeles.»
Tetsuya tornò in silenzio e divenne improvvisamente riluttante alla sua voce.
«Però come stai?» Kagami provò a chiederglielo di nuovo.
Tetsuya pensò se non stesse cercando di cambiare discorso, ma sapeva che Kagami non era quel tipo di persona e forse voleva sapere per davvero come stava - se desiderava sapere certe cose, però, gli sarebbe bastato farsi sentire: anche una sola volta al mese gli sarebbe bastata -
«Sto bene, va tutto bene.» Tetsuya sembrò ripeterlo per autoconvincersi; in quel momento era riuscito ad assumere un tono piuttosto saldo e impugnava la volontà ferrea di resistere al pianto o anche solo all'abbattimento.
«E tu come stai?» questa volta il nome dell'altro se lo ripetè nella mente, perché pronunciarlo gli avrebbe fatto troppo male.
«Sto bene.» il tono di Kagami era diverso dal suo: non forzatamente saldo e non fittizio, ma calmo e sincero.
Era inutile insistere: Kagami stava bene in America, meglio che in Giappone.
Chiedere a Taiga di lasciare Los Angeles per raggiungere la terra del sol levante sarebbe stato come catturare un cavallo selvaggio abituato a percorrere distanze enormi in corsa e chiuderlo in una gabbia strettissima.
Tetsuya fece per dire qualcosa, pur non sapendo cosa, ma si fermò in tempo perché notò che Kise gli aveva porto la mano e gli stava rivolgendo uno sguardo complice.
«Kagami-kun, Kise-kun vuole parlarti, te lo passo.» Tetsuya si era visto costretto ad accettare l'aiuto di Kise, che intervenendo era riuscito bene o male a diminuire i danni.
Kise afferrò il cellulare e se lo portò immediatamente all'orecchio.
«Kagamicchi, come stai?!» quella fu l'unica cosa che arrivò alle orecchie di Tetsuya, perché a poco a poco la voce di Kise divenne un ronzio lontano, così come tutto il resto: il fruscio delle foglie carezzate dal vento, i clacson delle macchine, il vociare dei passanti.
Tetsuya non sentiva più niente, solo Kagami che ripeteva il suo nome e gli annunciava tranquillamente di essere rimasto a Los Angeles e il battito troppo forte e doloroso del proprio cuore.
Si stava sentendo soffocare, come se in quel momento fosse stato lui il cavallo sottratto alla corsa e rinchiuso in gabbia.
Gli occhi presero a pizzicargli fastidiosamente, quando Kise gli porse il cellulare.
«Mi dispiace.» in quel momento, oltre ad avergli evitato una tortura assurda, Ryouta lo aveva distolto dai suoi pensieri e gli aveva impedito di mettersi a piangere.
Ancora una volta, Kise aveva cercato di fare del suo meglio per evitare che Tetsuya soffrisse troppo: in quel momento, mentre gli porgeva il cellulare e lo vedeva così piccolo, raccolto in se stesso e con il volto visibilmente triste e trafelato, Ryouta ebbe la tentazione di baciarlo.
Era una tentazione che aveva spesso, ma in quel momento fu davvero forte; baciarlo, però, significava compromettere ogni cosa, e poi c'era qualcosa che non andava, perché in quel momento quella voglia pareva nascere più dal desiderio di proteggerlo che dalla volontà di amarlo.
Tetsuya si limitò a rivolgergli uno sguardo pieno di riconoscenza, poi sistemò il cellulare in tasca e non appena lasciò scivolare la mano lungo il fianco sentì le dita di Kise intrecciarsi alle sue.
Adesso, nonostante il pensiero di Kagami fosse costante e il dolore rimanesse immutato, la tentazione del pianto era stata completamente spazzata via dalla curiosità che gli sortì quel gesto.
Kise, dal canto suo, gli aveva preso la mano per cercare di dargli un po' di conforto e soddisfare, almeno in parte, il desiderio di proteggerlo, tenendo a bada la voglia di baciarlo.
Contro ogni aspettativa, Tetsuya non disse una parola e accettò di intrecciare le proprie dita a quelle di Kise, che da quel gesto non poté far altro che capire che ormai Kuroko era stato completamente svuotato di tutto - tranne che del suo sentimento per Kagami -, non poté far altro che rassegnarsi e ammettere, almeno mentalmente, la sconfitta subita.
Kise sapeva che il cuore di Tetsuya non sarebbe mai appartenuto a lui, ma comunque desiderava proteggerlo, desiderava vederlo felice.
In quel momento, più di ogni altro, Kise fu sicuro: la Generazione dei Miracoli andava ripristinata, per il bene di Tetsuya.

È l'illusione di una luce che si accende nel buio.




Licenza Creative Commons
Quest'opera è distribuita con Licenza Creative Commons Attribuzione - Non commerciale - Non opere derivate 2.5 Italia.




L'angolino invisibile dell'autrice:

Non l'aveste notato, si stanno creando dei triangoli che molto probabilmente mi faranno impazzire. Insomma, le cose sono sempre più complicate, sia per i personaggi, sia per l'autrice in questione che sta ancora pensando a come gestire il prossimo capitolo e a come inserire certe scene o a quando far subentrare nuovi personaggi e nuovi sentimenti.
Questo capitolo è piuttosto lungo, ma in verità non ho molto da dire.
Si noterà che Kagami sta iniziando sinceramente a non capirci più nulla, che Kise è anche troppo cotto di Kuroko e che quest'ultimo - ovviamente - sta sempre peggio a causa della lontananza di Kagami. Questo è il capitolo delle illusioni, senza alcun dubbio: Tetsuya crede di stare meglio, crede di essere riuscito a dimenticare almeno in parte i sentimenti che prova per Kagami, ma all'improvviso pensare che si trovi in Giappone manda ogni sua convinzione in tilt e l'illusione si raddoppia.
Kise lo vedo piuttosto combattuto: vuole che Kuroko sia felice, quindi vuole rendersi utile, ma allo stesso tempo vorrebbe davvero tanto che Tetsuya lo ami quanto ama Kagami.
Momoi, tanto per informarvi, ho deciso che in questa long lavora come commessa in un piccolo negozio di abbigliamento.
E le Nerunerunerune sono le caramelle preferite di Murasakibara *3*
Spero che il capitolo vi abbia soddisfatto/questa volta, a parer mio, sono stata un po' scarsa nella caratterizzazione di Kagami >u<'/
Faccio notare che si sono aggiunte nuove coppie e accenni e spaccio la mia pagina FB: https://www.facebook.com/pages/Neu-Preussen-EFP/416393978469818?ref=hl

Ritorna all'indice


Capitolo 7
*** Capitolo VI ***


Capitolo VI





Si spengono le luci e si soffoca al buio; si perde la propria ombra e si rimpiange il passato.

Momoi era stata la prima ad essere messa al corrente delle intenzioni di Kise.
Se nel momento in cui Tetsuya aveva proposto la sua idea non le era sembrato molto convinto, ora poteva affermare senza alcun dubbio che Kise era il più determinato a ripristinare la Generazione dei Miracoli.
«È davvero molto bello ciò che vuoi fare per Tetsu-kun.» Momoi non era riuscita a ricontattare Murasakibara come promesso, nonostante la sera prima avesse provato a chiamarlo per ben tre volte, e in quel momento era indaffarata a digitare il testo di un sms da inviargli.
«Sei davvero molto gentile, Ki-chan.» scostò i propri occhi dallo screensaver e li fece rimbalzare su Kise, che ricambiò il suo sguardo e il suo sorriso.
«Kurokocchi non merita tutta quella tristezza.» si limitò a dire con risolutezza.
Momoi si trovò d'accordo e acconsentì con un rapido cenno del capo, inviando l'sms.
«Spero che Mukkun risponda presto.» si augurò con un lieve brontolio e una piccola smorfia sul viso.
«Ad Aominecchi l'hai ancora detto?»
«No, pensavo di contattarlo più tardi.»
Kise diede un'occhiata all'orologio da polso.
«Hai ragione.» osservò con le labbra increspate in un piccolo sorriso: erano appena scoccate le nove del mattino e lui e Momoi si stavano dirigendo rispettivamente allo studio fotografico e al negozio di abbigliamento; Aomine, che un lavoro non lo aveva ancora trovato e sembrava non avere neppure l'intenzione di cercarlo, di sicuro doveva essere ancora addormentato sotto le coperte, quindi Momoi avrebbe cercato di contattarlo nell'ora d punta, nella speranza che i morsi della fame lo svegliassero prima della sua chiamata.
«Oh-!» l'attenzione della ragazza tornò al cellulare, e di conseguenza anche quella di Kise.
«Ha risposto?» Kise non si offese per la mancata risposta di Momoi, anzi, il suo silenzio e il fatto che fosse evidentemente impegnata a leggere il testo di un sms furono una prova sufficiente per capire che l'esito della loro insistenza aveva sollecitato un riscontro da parte di Murasakibara.
«È tornato a vivere qui!» Momoi quasi si mise a urlare per la contentezza.
«Cosa?! Quindi resterà qui?! Quindi ...!» quindi la possibilità di tornare a giocare a basket tutti insieme si concretizzava davanti ai loro occhi.
La risposta di Momoi fu una risata, mentre Kise, ancora un po' incredulo, le scuoteva il braccio esattamente come aveva fatto lei il giorno prima, al fast-food.
«Chiamalo! Chiamalo!» tempo di ripetere quell'incitamento che Momoi aveva già selezionato il contatto in rubrica, finendo per incollare il cellulare al proprio orecchio e rimanendo in attesa.
«Che c'è, Sa-chin?» attesa che non durò poi molto, per fortuna.
«Mukkun, perché non mi hai risposto ieri sera?» Momoi protestò: aveva gonfiato le guance come una bambina permalosa e Kise sollevò gli occhi al cielo e sospirò rumorosamente, quasi a volerla incitare ad andare subito al sodo: presto si sarebbero dovuti salutare, ma prima di farlo voleva a tutti i costi conoscere la risposta di Murasakibara; peccato che il fatto che Satsuki stesse perdendo tempo con altre domande non era molto conveniente.
«Eh? Ah, avevo da fare.»
«Con Himuro-kun?» non lo fece di proposito: quella domanda era stata spontanea, le era proprio scappata.
Kise le scosse un poco il braccio: Murasakibara gli aveva già fatto una strigliata perché aveva rivelato a Momoi della sua relazione con Himuro, non ne voleva un'altra a causa delle domande scomode della ragazza. Insomma, dopotutto era lui il responsabile se ora Murasakibara si ritrovava oggetto della curiosità femminile di Momoi.
«Cosa? Quel che faccio con Muro-chin non ti riguarda-» la voce di Murasakibara risuonò leggermente alterata, ma Momoi non si diede per vinta e accennò un sorriso.
«Ho capito, avevi da fare con Himuro-kun!»
«Sa-chin!»
«Momoicchi-chan, vuoi chiederglielo o no?!» Kise le scosse di nuovo il braccio: ormai mancavano pochi metri allo studio fotografico e se avesse continuato così lo avrebbe fatto ritardare sicuramente.
«Umh? Kise-chin è lì con te?»
Momoi fece per rispondere, decisa a intavolare l'argomento "Generazione dei Miracoli", ma Atsushi la batté sul tempo.
«Ma voi due state sempre insieme? Non è che ci nascondete qualcosa?»
«Eh?!» nonostante glielo avesse chiesto con la solita voce annoiata e disinteressata, Murasakibara era riuscito a far imbarazzare Momoi a tal punto che ora, con le guance arrossate e brucianti, si era scostata rapidamente dalla presa di Kise - che continuava a tenerle il tessuto della manica della giacca stretto fra le dita di una mano – e ora lo stava respingendo con una risata nervosa e la mano piantata in pieno viso.
«E-eh- Momoicchi-chan, ma che ti prende?» Kise si ritrovò a brontolare contro la mano della ragazza, che sembrava non volersi più staccare dal suo viso.
«Mukkun, senti ...» Momoi si schiarì la voce e, finalmente, scostò la propria mano dal viso di Kise, spaesato e confuso per quella sua strana reazione ad una domanda che lui non aveva sentito.
«Io e Ki-chan vorremmo chiederti una cosa.»
«Eh?»
«Riguardo al basket.»
Murasakibara tacque e, istintivamente, le sue labbra si incrinarono in una piccola smorfia infastidita.
Anche Momoi, dal canto suo, si zittì per qualche secondo ed ebbe una piccola esitazione nell'avanzare la proposta: Murasakibara era quasi certamente il più difficile da convincere, e il silenzio che ora regnava sovrano dall'altro capo del cellulare era segno evidente del suo disappunto, segno evidente che, molto probabilmente, era già pronto a rifiutare, anche senza ascoltare ciò che lei aveva da dirgli.
Proprio in quel momento Satsuki si chiese perché dovesse toccare a lei trattare con il più difficile da convincere.
«Ecco, vedi, Tetsu-kun ha avuto un'idea.» fece una breve pausa: non voleva che Murasakibara la precedesse e rifiutasse la proposta senza ascoltarla, anzi doveva assolutamente sentirla e bisognava sperare che le parole della ragazza facessero sorgere in lui qualche dubbio «io e Ki-chan lo stiamo aiutando a ripristinare la Generazione dei Miracoli.»
Si ripeté il silenzio.
«Eh? Kuro-chin si è bevuto il cervello?» poi, finalmente, Murasakibara si decise a parlare, ma non si trattò del risultato vanamente sperato. Certo, rimaneva la possibilità che in lui insorgessero comunque dei dubbi, ma a pensarci bene era quasi impossibile che avvenisse qualcosa del genere: una volta riposto il cellulare, Atsushi si sarebbe dimenticato completamente della proposta e sarebbe tornato a fare le sue cose con Himuro, o a contemplare pacchetti di caramelle fra gli scompartimenti di un negozio di dolci.
«Mukkun, per favore, pensaci su.» Momoi aveva già capito l'antifona e, piuttosto che insistere e fargli perdere la pazienza, preferì indorare la pillola e concedergli del tempo, mostrandosi magnanima e piuttosto remissiva.
Murasakibara si lasciò sfuggire un qualcosa che pareva l'intrecciarsi di un mugolio esasperato e di un sospiro sommesso.
«Non ho bisogno di pensarci.»
«Ma ... ma in America ci giocavi a basket, no?»
«Sì.»
«E adesso? Perché non ti va?» cercò di incalzarlo.
«Perché non mi va.» la risposta di Atsushi fu lapidaria.
Momoi indugiò ancora, notando l'espressione rammaricata che si era profilata sul volto di Kise, che evidentemente aveva capito quale piega stesse prendendo la conversazione.
«Mukkun, stai pensando di lasciare il basket?»
«Forse.»
In verità Momoi fu contenta di quella risposta: "Forse" poteva significare tantissime cose.
«Sa-chin, devo andare, ti saluto.»
Satsuki non provò a fermarlo, né gli raccomandò di farsi sentire, piuttosto lo salutò remissivamente e, interrotta la chiamata, tornò a rivolgersi a Kise.
«Magari riproverò a chiamarlo fra un paio di giorni, ma sarà dura convincerlo.»
«Ah, lo so: Murasakibaracchi è sempre stato così ... così pigro!» Kise sospirò, poi diede una rapida occhiata allo studio fotografico e infine tornò a rivolgere la propria attenzione all'amica.
«Momoicchi-chan, devo andare o farò tardi.»
«Oh, ma certo!» Momoi era già pronta a salutarlo, ma Kise glielo impedì.
«Comunque non voglio arrendermi e dopo il lavoro telefonerò a Midorimacchi!» Ryouta era davvero il più determinato, forse anche più di Tetsuya, il fautore di quella folle idea.
Momoi sorrise e annuì, dando il suo pieno consenso al semplice piano di Kise; infine ricambiò il suo saluto e lo guardò entrare nello studio.


Murasakibara era tornato a vivere in Giappone, ma aveva rifiutato la proposta; Kise si sarebbe mobilitato per contattare Midorima quello stesso pomeriggio: in sintesi era questo il contenuto dell'sms che Momoi aveva appena inviato a Tetsuya.
Il volto di Tetsuya non lasciò trasparire alcuna emozione: venire a conoscenza di quel rifiuto non lo sorprendeva affatto: se le cose riguardavano Murasakibara, allora, ci si poteva stupire soltanto di una risposta positiva che, se ne rendeva perfettamente conto, era quasi impossibile da ottenere.
Nonostante il rifiuto, però, Momoi aveva incluso nell'sms anche il suo proposito di continuare a insistere, così come Kise avrebbe sicuramente fatto con Midorima: Tetsuya camminava placidamente sotto le nuvole scure di ottobre, con un dolore nel petto generato dalla voce di Kagami e che per tutta la notte e per tutta la mattina era persistito e sembrava non volersene più andare, ma nonostante ciò era sollevato di potersi affidare a Ryouta e Satsuki.
Dopo tutto il tempo passato a credere di essere rimasto completamente solo al mondo, aveva finalmente realizzato di poter contare su Kise e Momoi che, dando una rapida occhiata al passato, erano state senza dubbio alcune delle persona più umane e vicine a lui.
A dire il vero c'era stata anche una terza persona che in passato era stata vicino a Tetsuya, anche più di Ryouta e Satsuki, ma la loro amicizia era stata compromessa e si era ritrovata unita da un unico filo che, andando avanti col tempo, avevano trascurato e dimenticato di rinforzare. Quell'unico filo che ancora teneva uniti due universi troppo remoti era il residuo di una presenza e una disponibilità che Aomine aveva dato per scontate e dell'ingenua fragilità che aveva determinato l'allontanamento di Tetsuya, sempre stato eccessivamente restio e addirittura incompatibile alla sofferenza.
Tetsuya era consapevole che il riavvicinamento con Momoi e Kise avrebbe avuto come conseguenza diretta il doversi ritrovare ancora una volta faccia a faccia con Aomine, ancora una volta sentirsi rinfacciare dalla propria coscienza di quel filo ormai lacerato e debole, impossibile da rinforzare.
Il fatto che nell'sms Momoi non avesse menzionato Aomine lo inquietava ulteriormente: possibile che non fosse stato ancora informato dell'idea di ripristinare la Generazione dei Miracoli? A quel punto era logico pensare che gliene avesse parlato Kise, ma anche in quel caso sembrava che la risposta non fosse stata ancora data.
Come ci era riuscito, Kise? Com'era riuscito a rafforzare il filo che lo teneva legato ad Aomine? A volte Tetsuya invidiava davvero Kise: le loro indoli erano molto diverse, mentre la sua era riflessiva e macchinosa, quella di Ryouta era molto più pacifica, forse paradossalmente anche meno ordinata, più contorta, nonostante sembrasse avere spesso la testa fra le nuvole.
Kise sembrava essersi dimenticato - o forse ci stava mettendo tutta la sua buona volontà per farlo - dell'Aomine Daiki appartenente al tempo della Teiko e della prima superiore, mentre Tetsuya, anche a distanza di anni, non riusciva a riflettere senza pensare alle sfaccettature più cupe della personalità della sua vecchia luce, non riusciva ad allontanarsi dai ricordi quel tanto da poter giudicare il passato con occhi nuovi, pronto ad esprimere un giudizio più distaccato e meno personale che in quel momento, per lasciarsi alle spalle ogni cosa, era davvero necessario.
I pensieri di Tetsuya furono interrotti improvvisamente dalla caduta rovinosa di una piccola goccia di pioggia che si infranse sulla punta del suo orecchio, facendogli inclinare appena la testa verso destra.
Sua nonna lo aveva spedito a fare la spesa dopo essersi resa conto che nel frigo mancavano le uova e che quindi non avrebbe potuto preparare la torta, e Tetsuya era uscito piuttosto in fretta, quando i nuvoloni scuri erano ancora lontani, alle sue spalle, e non avevano ancora ricoperto tutta la città.
Tetsuya non ebbe neppure il tempo di passarsi la manica della giacca sull'orecchio che una seconda goccia gli colpì la guancia, poi altre cominciarono a macchiare l'asfalto, lasciando spazi sempre più piccoli fra una chiazza e l'altra, fino a farlo luccicare di nero, come se fosse stato appena steso e fosse ancora fresco.
La torta di sua nonna poteva aspettare.
Tetsuya si rifugiò immediatamente nell'androne di un portone che, per pura fortuna, aveva trovato spalancato: aveva fatto appena in tempo, perché ora la pioggia scrociava imperterrita e frustava con insolita rabbia i marciapiedi, rimasti vuoti in pochi secondi.
Nonostante fosse stato vittima solo dei primi secondi di quell'acquazzone, Tetsuya aveva i capelli umidi e le maniche della giacca impregnate d'acqua, tanto che dovette toglierla e legarla in vita; era sul punto di recuperare il cellulare dalla tasca dei jeans per avvertire sua nonna che avrebbe fatto tardi quando qualcuno parve avere la sua stessa idea.
«Merda!»
Chi era appena entrato nell'androne era stato sotto la pioggia molto più tempo di Tetsuya ed era completamente zuppo, tanto che le gocce d'acqua continuavano a colargli lungo la giacca e si riversavano rapide sul pavimento, formando una piccola pozzanghera ai suoi piedi.
Tetsuya, però, non lo stava di certo guardando in quel modo perché aveva urlato una parolaccia nell'androne del portone, perché era zuppo o perché stava riempiendo d'acqua tutto il pavimento.
Lo vide togliersi velocemente la giacca, come se fosse stata rovente - ma probabilmente era solo un gesto di stizza -, e lo sentì brontolare un altro improperio.
Non doveva essersi accorto di lui, visto che stava continuando a dargli le spalle e cercava di strizzare la giacca impregnata di pioggia meglio che poteva, contribuendo alla silenziosa crescita della pozzanghera d'acqua sul pavimento.
«Aomine-kun?» la voce di Tetsuya fu scarsamente percettibile, ma l'androne fece sì che il suo richiamo si propagasse in un'eco.
D'un tratto vide l'altro immobilizzarsi, quasi come se avesse voluto concentrarsi completamente sul proprio udito.
Aomine doveva aver creduto fortemente che quella voce fosse frutto della sua immaginazione, perché dopo qualche attimo di silenziosa immobilità tornò a strizzare con cura la giacca.
«Aomine-kun?» allora Tetsuya ripeté ancora il suo nome, questa volta con la voce più alta e un tono più deciso.
Aomine si immobilizzò di nuovo e, contrariamente a quanto era successo prima, si voltò.
Tetsuya lo doveva aver colto di sorpresa, visto che l'altro scattò subito indietro per lo spavento.
«Tetsu?! Ma che diavolo ci fai qui?! E ... e da quanto sei qui?!» e poi si mise a sbraitare, probabilmente perché si era reso conto di aver fatto la figura del fifone e si era sentito punto nell'orgoglio, quindi cercava di scacciare la sensazione di vergogna - o forse di far dimenticare a Tetsuya la sua reazione - strepitandogli contro.
«Da prima di te.» si limitò a dire Tetsuya, senza staccargli gli occhi di dosso.
Era il colmo: Tetsuya aveva pensato a Daiki poco prima che arrivasse l'acquazzone, poi la pioggia aveva spazzato via le sue macchinazioni e ora il brutto tempo lo conduceva proprio nello stesso portone in cui aveva cercato rifugio lui. Lo conduceva da lui.
Aomine, tuttavia, non sembrò interessarsi molto alla presenza di Tetsuya, piuttosto tornò ad osservare la pioggia scrosciante non appena il rombo di un tuono fece tremare l'androne.
«Dici che smetterà presto?»
«Sembra passeggero.» ma a Tetsuya non interessava l'acquazzone, anzi più durava più tempo avrebbe avuto a disposizione per parlare con Aomine.
«Merda.» Aomine sibilò un'altra imprecazione e Tetsuya, che gli si era affiancato, sollevò appena il viso.
«Sei arrabbiato?»
«Sono affamato.» lo corresse Aomine «stavo andando a fare la spesa, e ...»
Aomine non continuò il discorso, piuttosto rivolse la propria attenzione alla potenza della pioggia che pareva in procinto di diminuire.
Tetsuya ebbe solo pochi attimi per preoccuparsi della vicina fine dell'acquazzone: la pioggia avrebbe smesso di cadere da un momento all'altro, ma lui e Aomine, comunque, erano diretti nello stesso identico posto.


«Ohi, ohi, ma si può sapere perché mi hai seguito?»
Erano rimasti nell'androne solo per un altro paio di minuti, finché la pioggia non si era ridotta a qualche rara gocciolina ed era infine scomparsa, dopo di che Aomine si era subito incamminato verso il supermercato e Tetsuya lo aveva seguito.
«Devo comprare delle cose per mia nonna.»
Aomine si bloccò con il palmo della mano aderente al cartone di latte e sembrò fulminarlo con la coda dell'occhio: probabilmente sospettava qualcosa e stava pensando che quella di Tetsuya fosse solo una scusa. Effettivamente il problema era che c'era davvero qualcosa da sospettare, anche se quella usata da Kuroko non era affatto una scusa.
Dopo aver preso il cartone di latte, Aomine transitò lungo lo stretto corridoio senza badare agli altri scaffali, mentre Tetsuya dovette interrompere il suo inseguimento e recuperare un cartone contenente mezza dozzina di uova. Aomine, comunque, si era fermato in fondo al corridoio, di fronte al banco frigo, quindi Tetsuya ebbe il tempo di raggiungerlo.
«Aomine-kun, vorrei chiederti una cosa.»
«Cosa?» dalla velocità disattenta con cui Aomine infilò nel cestino alcuni prodotti, Tetsuya ebbe l'impressione che si stesse già sentendo alle strette a avesse voglia di uscire da quel supermercato il più in fretta possibile.
Era improbabile che Aomine fosse a conoscenza delle macchinazioni di Tetsuya, Ryouta e Satsuki, ma sembrava davvero sospettare qualcosa e attraversò a passo rapido un altro corridoio stretto, dirigendosi verso le casse.
Tetsuya non aveva intenzione di lasciarselo scappare e, anche se avrebbe desiderato sinceramente parlare con più calma e magari pensare prima al debole filo che a stento riusciva a tenerli ancora legati - ma si parlava di un'unione costruita unicamente su dialoghi che andavano molto vicini a quelli di due sconosciuti -, decise di parlare.
«Io, Kise-kun e Momoi-san stiamo pensando di ripristinare la Generazione dei Miracoli.»
La confessione di Tetsuya fu così rapida che ebbe per qualche attimo la buffa sensazione di aver soffiato soltanto aria, senza aver detto realmente nulla.
Qualcosa, però, doveva essere uscito dalla sua bocca, visto che Aomine si immobilizzò nel bel mezzo del corridoio e si voltò immediatamente verso di lui.
«Mi aspettavo una cosa del genere da te, ma che quei due idioti di Kise e Satsuki ti appoggiassero proprio non lo avevo previsto.» Aomine parlava a denti stretti, aveva assunto quel tono infastidito e annoiato che, andando avanti col tempo, a Tetsuya era piaciuto sempre di meno.
Aomine rimase a fissarlo solo per qualche attimo, poi sbuffò sommessamente e tornò a dargli le spalle.
«Pensi che potrei divertirmi?»
Tetsuya fu colto di sorpresa da quelle parole, tanto che ebbe un piccolo sussulto e rimase a fissare le spalle dell'altro senza fiatare: cosa significava quella domanda? Dopo tre anni Aomine era ancora convinto che l'unico avversario che poteva tenergli testa e addirittura batterlo fosse Kagami?
«Il fatto che non ci sia Kagami-kun non significa per forza che nessuno di noi ti possa battere.» Tetsuya non parlava certo per lui, piuttosto stava pensando all'Occhio dell'Imperatore di Akashi e ancora alla Copia Perfetta di Kise.
«Eh?!» Aomine si voltò di nuovo verso di lui, forse sul punto di intimarlo a rimangiarsi ciò che aveva appena detto.
Tetsuya lo vide incrinare le labbra in una smorfia e scuotere il capo in segno di disappunto.
«A proposito, quell'idiota tornerà prima o poi?»
«No.» Tetsuya rispose immediatamente, quasi avesse voluto scacciare immediatamente il pensiero di Kagami che, tanto insistentemente, stava trovando spazio nella loro conversazione: non voleva parlare di Taiga e del suo ritorno in Giappone - che non sarebbe mai avvenuto -, ma piuttosto di Aomine e dei residui di arroganza che, seppur ridotti al minimo, erano ancora presenti in lui anche dopo tanto tempo.
Aomine, dal canto suo, doveva essersi reso conto di essere stato davvero poco saggio a rivolgere quella domanda a Tetsuya, tanto che tornò in silenzio e si diresse verso la cassa.
Tetsuya non aveva ancora ricevuto una vera e propria risposta e si era limitato a seguirlo.
«Ah ...» Aomine sospirò rassegnato, lasciando scivolare il capo all'indietro e chiudendo gli occhi solo per qualche attimo, prima che il commesso registrasse il codice a barre stampato sul cartone di latte.
«Non lo so, Tetsu.»
Tetsuya lo fissò, ma gli occhi di Aomine erano concentrati sul passaggio delle merci acquistate lungo il nastro trasportatore e poi sullo scanner.
«Non mi sembra una buona idea, comunque.»
Tetsuya non fu contento di ascoltare quelle parole, ma quello di Aomine era evidentemente un rifiuto forzato e per fortuna si era soffermato su una sua opinione personale, piuttosto che sull'arrogante convinzione che si sarebbe annoiato come ai vecchi tempi.
Tetsuya non disse nulla, attese il suo turno e pagò le uova: lui era proprio l'ultima persona al mondo che avrebbe potuto convincere Aomine, soprattutto dopo che la loro grande amicizia si era frantumata così rovinosamente a causa dell'allontanamento non tanto fisico, ma mentale.
Tetsuya sapeva benissimo di non avere voce in capitolo quando si parlava di Daiki: si illudeva sempre di poter rafforzare quel filo, ma ogni volta che lo osservava con più attenzione si rendeva conto che era ridotto talmente male che la cosa migliore da fare sarebbe stata reciderlo per sempre.
Nonostante il rifiuto, però, sapeva che non c'era da disperare: poteva contare ancora su Momoi e Kise, che di sicuro avrebbero fatto leva su Aomine e avrebbero trovato il modo di farlo acconsentire.
Con grande sorpresa di Tetsuya, Aomine non scappò e lo aspettò all'uscita del supermercato.
«Andiamo a casa, prima che si metta a piovere di nuovo.»
Tetsuya seguì lo sguardo dell'altro, che ora osservava con attenzione altre nuvole scure provenienti dalla direzione opposta verso la quale si sarebbero dovuti dirigere.
Ogni volta si convinceva che quel filo avesse bisogno di essere reciso, ma non ci riusciva, non poteva accettarlo, e anche quel giorno, nonostante il rifiuto di Aomine, sapere che avrebbero percorso un pezzo di strada insieme gli fece piacere e gli impedì di prendere in mano le forbici per spezzare una volta per tutte il loro sottile legame, quel filamento di lacrime che da anni teneva legati insieme a stento due universi troppo remoti.


Per l'ennesima volta, Kagami brontolò e si girò su un fianco, tirandosi le lenzuola fin sopra la testa per impedire ai raggi del sole di ferirgli gli occhi. Nonostante cercasse di sfuggire alla luce del mattino e avesse ancora il viso stropicciato dal sonno, Taiga sapeva benissimo che non sarebbe più riuscito a riprendere sonno: teneva gli occhi ben aperti nel buio generato dalla pressione delle lenzuola, cercava di non pensare a nulla o a qualcosa di molto preciso che non riguardasse Tetsuya, ma era perfettamente cosciente del fatto che non ci sarebbe mai riuscito.
Ogni tentativo di non pensare a Tetsuya era un fallimento sin dalla partenza oppure un'infima illusione di successo: di rado riusciva a scacciare dalla propria testa il pensiero di lui, e le poche volte in cui ci riusciva si trattava al massimo di un paio di minuti che, puntualmente, venivano stravolti da un pensiero che aveva queste fattezze: Finalmente non sto pensando a Kuroko. Era così che Kagami, senza neanche rendersene conto, tornava a rimuginare sulla sua ombra.
Allo sguardo triste di Tetsuya, che al momento della partenza lo aveva spiazzato, come se fosse stata la conferma di quei sospetti e di quei dubbi, ora si aggiungeva la sua voce, quelle poche parole flebili e lontane.
Gli era mancata la voce di Tetsuya, e gli mancava ancora, perché si era trattato di uno scambio di battute talmente rapido e vuoto che era come se non fosse avvenuto, come se non si fossero realmente parlati. Non lo biasimava: Tetsuya provava qualcosa di profondo nei suoi confronti - anche se non aveva mai indagato al riguardo era evidente -, e lui aveva fatto finta di niente e se n'era tornato negli Stati Uniti comportandosi come un vero e proprio menefreghista, quindi se ora Kuroko gli riservava quel tono privo di emozioni e leggermente schivo non poteva certo fargliene una colpa, anzi forse era semplicemente ciò che si meritava.
In amore, Tetsuya era molto diverso sia da lui che da Himuro.
Tetsuya era molto più razionale: non si buttava a capofitto nelle cose, né scappava via; piuttosto analizzava con attenzione la situazione e, se il caso lo richiedeva, era sempre pronto - pur soffrendo - a lasciar andare.
Era una persona rara, pronto a farsi da parte e a rinunciare a soddisfare i suoi sentimenti qualora si fosse accorto dell'indisponibilità dell'altro; era una persona coraggiosa, perché indubbiamente ci vuole molto coraggio a lasciar andare. Sì, molto coraggio e tantissima forza di volontà, la sicurezza schietta di non cadere nel baratro della sofferenza e un altruismo spropositato, l'umiltà di rinunciare ai propri desideri solo per il bene dell'altro.
Kagami si diede della merda mentalmente: conosceva benissimo i sentimenti di Tetsuya, eppure non aveva mai voluto scavare a fondo la questione, pur essendo una persona piuttosto diretta e impulsiva, pur essendo infastidito - ma solo inizialmente - dalla consapevolezza di essere oggetto dell'amore della propria ombra. Non aveva mai provato a stuzzicare Tetsuya a tal punto da farlo confessare, anzi cercava di giostrare alcune conversazioni di modo che si evitassero certi discorsi e certe situazioni, si era sforzato di ignorare la bizzarra consapevolezza di essere amato da uno dei suoi migliori amici e, in un certo senso, ci era anche riuscito.
Pur di non compromettere la loro amicizia aveva inferto a Tetsuya un dolore fin troppo grande: gli aveva impedito di confessarsi, gli aveva voltato le spalle, lo aveva lasciato con un pugno di mosche, fermo in un punto impreciso dell'aeroporto.
Sicuramente Tetsuya era rimasto immobile a guardarlo mentre si allontanava: più volte qualche passante frettoloso lo aveva scontrato e lui non se n'era preoccupato, piuttosto aveva continuato a guardare nel punto in cui si trovava Kagami e che a poco a poco si era svuotato e non accennava a riempirsi di nuovo; aveva aspettato invano, sperando di vederlo tornare indietro; era stato l'ultimo ad andarsene, a lasciare quel luogo a capo chino, esternamente raccolto in un silenzio atterrito e, internamente, soffocato da una tempesta di pensieri.
Era così che Taiga aveva più volte immaginato Tetsuya appena dopo la partenza, e forse non aveva tutti i torti: non ci voleva un genio per capire che Kuroko era rimasto profondamente ferito da quell'allontanamento improvviso.
E tutto questo era servito per preservare almeno la loro amicizia? Certo che no.
«Basta!» fu un suono improvviso, crudele, somigliante al sibilo della ghigliottina che ad un tratto si abbatte su una testa.
Kagami scostò le lenzuola con un gesto di stizza e balzò giù dal letto, ripetendosi ancora una volta l'ordine che lo aveva aiutato ad alzarsi e a raggiungere immediatamente la scrivania.
Taiga si sedette e accese il terminale, cominciando a muovere spasmodicamente le gambe in un continuo tremolio, come se fosse stato impaziente, avesse avuto fretta.
Quando Internet fu finalmente disponibile, Kagami premette rapidamente alcuni tasti e scrisse sulla barra di ricerca: "Voli Los Angeles Tokyo".


Fu in quel momento che considerò un'ottima idea l'aver impostato la vibrazione e l'aver tolto la suoneria dal suo cellulare.
Se avesse squillato avrebbe perso la testa; a dire il vero anche la sola vibrazione era già abbastanza snervante.
Sospirò sonoramente, adagiò i palmi di entrambe le mani sulla fronte e chinò appena il capo, esasperato: chi lo conosceva bene sapeva che non doveva chiamarlo nel pomeriggio, perché altrimenti avrebbe disturbato i suoi studi, quindi da quella costante e insistente vibrazione era facilmente intuibile che chiunque stesse interrompendo il suo quotidiano e lungo appuntamento con i libri di medicina doveva avere urgenza di parlargli.
Prima di rispondere, però, volle finire il paragrafo: lesse rapidamente le ultime due righe e, con un altro sonoro sospiro - aveva terminato il paragrafo, sì, ma quella continua vibrazione gli aveva impedito di capire realmente il significato delle ultime parole - afferrò il cellulare.
Pur di non dover ascoltare ancor quella vibrazione, Midorima accettò la chiamata ancor prima di controllare il numero sul display e portarsi il cellulare all'orecchio.
Non appena premette il tasto per accettare la chiamata, sentì gracchiare qualcosa: una voce lagnosa che risuonò ancora lontana dal suo orecchio ma che gli fece immediatamente raggelare il sangue.
Si pentì amaramente di aver risposto: era sicuro che quella voce appartenesse a qualcuno che conosceva piuttosto bene, ad un suo ex compagno delle medie, per la precisione, ma cosa poteva fare? Di certo non poteva riattaccare, soprattutto dopo aver accettato la chiamata.
«Midorimacchi? Ci sei?» i sospetti di Midorima furono confermati dallo schiamazzo irritante e assordante di Kise che, non avendo ricevuto immediatamente una risposta, si affrettò ad insistere.
«Sì.» Midorima si era limitato a un flebile assenso, osservando il paragrafo appena abbandonato con molto più interesse di quanto non ne avesse per l'inaspettata chiamata di Kise.
«Allora? Come stai?» fin da subito fu Kise a impugnare le redini della conversazione: era logico che Ryouta facesse le domande e Shintarou fosse costretto a rispondere -pur utilizzando sentenze fra le più concise e ridotte -
«Stavo studiando.» preferì fargli intendere che lo aveva disturbato, piuttosto che rispondere nel modo tradizionale.
«Come mai hai chiamato?» tuttavia chiese spiegazioni, seppur cercando di non far trasparire curiosità nella sua voce ma rivolgendosi a lui come se una domanda del genere fosse stata di dovere.
Era incuriosito dal fatto che Kise avesse telefonato: certo, non si poteva escludere che si trattasse di una routine, di un'abitudine appena germogliata, ovvero quella di telefonare ad ogni membro della Generazione dei Miracoli almeno una volta al mese per sapere come stesse - il che era proprio "da Kise" -, ma non per questo andava accantonata l'ipotesi che il suo interlocutore avesse qualcosa di importante da comunicargli - dopotutto lo diceva anche l'oroscopo che quel giorno, per il segno zodiacale del Cancro, sarebbe sopraggiunta una notizia inaspettata -
«Studi ancora medicina?» ovviamente Kise non prestò molta attenzione a quella domanda e si interessò proprio al suo studio.
«Ovviamente.» Midorima sbottò: che genere di domanda era? Pensava che avesse già mollato? O che andasse all'università solo per scaldare la sedia? No: senza dubbio Midorima era stato fra i più tenaci e i più ambiziosi e, una volta finite le superiori, si era gettato a capofitto negli studi universitari.
«Ma sei sempre chiuso in casa a studiare!» Kise si lagnò; Midorima si chiese se non fosse una specie di invito a mollare gli studi per uscire a prendere un po' di aria fresca: il che, in verità, non gli sarebbe dispiaciuto, visto che negli ultimi due mesi era uscito davvero pochissimo - senza contare le uscite per recarsi all'università, quelle per fare la spesa e, ancora, quelle per procacciarsi l'oggetto fortunato del giorno, le volte in cui aveva lasciato la sua scrivania e i suoi libri da parte per svago si contavano sulla punta delle dita -
«È normale, visto che vorrei laurearmi.» tagliò corto «c'è un motivo particolare per cui mi hai chiamato?» poi riprese a parlare senza concedere a Kise altro tempo per lagnarsi: prima finiva quella conversazione, meglio era, così sarebbe potuto tornare a studiare.
Stava sinceramente sfiorando l'esaurimento, aveva i nervi a fior di pelle, era stanco: o restava chiuso in università a seguire le lezioni e a prendere fiumi di appunti, oppure imprigionato in casa, con il capo costantemente chino su tomi sottolineati con mille colori diversi, appunti scarabocchiati di qua e di là e tanto, tantissimo caffè sempre a portata di mano.
Sì, era davvero sull'orlo dell'esaurimento nervoso, e ora ci si metteva pure Kise con le sue lagne insulse.
«Sì, c'è.» la voce di Kise sembrò tremare appena: Midorima sospettava qualcosa e la sua scarsa loquacità pareva essere generata da un motivo diverso dalla sua indole introversa, chiusa e diffidente.
«Io, Kurokocchi e Momoicchi-chan stiamo ripristinando la Generazione dei Miracoli.» Kise pensò a Tetsuya, al sorriso che si sarebbe potuto dipingere sul suo volto se solo fossero davvero riusciti in quel progetto, e allora parlò senza esitare.
Midorima, dal canto suo, rimase in silenzio: basito, le dita strette intorno al cellulare, gli occhi fissi sulla centunesima pagina del tomo di biochimica - anche se in quel momento era talmente sorpreso da non riuscire più a leggere le scritte sulla pagina e neppure il titolo in grassetto e stampato a caratteri cubitali, o a vedere la superficie liscia del kotatsu, la penna nera, il foglio degli appunti -
Forse aveva sentito male.
Aveva sicuramente sentito male.
«Potresti ripetere?»
«Vogliamo ripristinare la Generazione dei Miracoli.» insistette con orgoglio Kise, dall'altro capo del cellulare.
Midorima aveva sentito bene, invece, ma trovava comunque moltissima difficoltà a credere alle sue orecchie.
«Fate ciò che vi pare, io non potrò unirmi a voi.» fu questo che, dopo qualche attimo di silenzio, uscì come veleno dalla bocca di Midorima.
«Cosa?! Midorimacchi, non puoi rifiutare!» Kise riprese a lagnarsi, facendo roteare gli occhi e sospirare rumorosamente l'altro.
«Perché no?» insistette.
Midorima dovette inspirare profondamente per rimanere calmo.
«Kise, sto frequentando l'università. È molto diversa rispetto alle medie e alle superiori: passo tutto il giorno a studiare e non è mai abbastanza, per cui devo declinare l'offerta.» spiegò molto semplicemente.
A quel punto fu Kise a sospirare esasperato.
«Dovresti svagarti un po', sai? Fai bene a studiare, ma sei un po' troppo severo con te stesso!»
Midorima strinse i denti: Kise gli aveva telefonato per fargli la paternale? Tutto ciò era davvero ridicolo.
«Mi dispiace, ma non posso.» si era limitato a rispondere, scandendo maggiormente le parole per ribadire una volta per tutte il concetto.
«Adesso, se non ti dispiace, torno a studiare.»
Kise rimase in silenzio per qualche secondo: le labbra serrate in una smorfia, la fronte leggermente aggrottata in un'espressione di cruccio; da quando aveva cominciato l'università, Midorima non aveva fatto altro che studiare: non gli mancava il basket? Davvero per lui era stato qualcosa di così insignificante da poter riuscire a lasciarselo alle spalle con così tanta facilità?
Ryouta si stava decidendo a rispondergli quando l'altro lo interruppe.
«A proposito, oggi il segno dei Gemelli è ultimo in classifica: procurati un asciugamano, rosso se è possibile.»
Ecco: Midorima era tornato a pensare al suo oroscopo, a quello - al contrario del basket - non aveva mai rinunciato.
Quella fu la fine della loro conversazione, e a Kise rimase l'amore in bocca, oltre al continuo interrogarsi sul perché avesse dovuto procurarsi un asciugamano rosso: dopotutto non sarebbe servito a niente, visto che sia Midorima che Murasakibara si erano detti contrari al progetto di ripristinare la Generazione dei Miracoli.
Chiusa la chiamata, Kise notò che aveva ricevuto un sms, probabilmente nel mentre della sua conversazione con Midorima.
Fu sorpreso di vedere che il destinatario era Tetsuya.
Aprì immediatamente il messaggio e lo lesse con il peso della delusione sempre più gravante sulle proprie spalle, di parola in parola: Tetsuya gli aveva comunicato che anche Aomine aveva rifiutato.
A quanto pareva, Kise, aveva sottovalutato il suo ultimo posto in oroscopo e la situazione si era rivelata peggiore di quanto sembrasse o si potesse immaginare.
Erano tre contro tre: lui, Tetsuya e Momoi con quel progetto che iniziava a sembrargli irrealizzabile, un'utopia, contro Aomine, Murasakibara e Midorima con i loro rifiuti drastici e severi e, forse, la paura dei fantasmi del passato.

Si accendono le luci e si annega nelle scelte e nelle rinunce; si combatte contro se stessi e si temono gli spettri dei ricordi come fossero chimere effimere.




Licenza Creative Commons
Quest'opera è distribuita con Licenza Creative Commons Attribuzione - Non commerciale - Non opere derivate 2.5 Italia.




L'angolino invisibile dell'autrice:

Bonjour à tous~
Lo sapete che ogni volta faccio il resoconto dei capitoli, no? Però se devo essere sincera credo di non avere molto da dire riguardo a questo D:
Mentre lo scrivevo non ero per niente soddisfatta, poi rileggendolo ho cambiato idea, in particolare sono molto soddisfatta della parte in cui Kuroko incontra Aomine (che era quella che mi preoccupava di più! XD)
E a fine capitolo ecco che un altro membro della Generazione dei Miracoli (il mio preferito ;u;) fa la sua comparsa~
Ora vi do una notizia che non vi piacerà, ovvero che anche io, come Midorima, sono un'universitaria e devo cominciare a mettermi sotto per la sessione estiva, quindi aggiornerò sempre più di rado e forse fra maggio e giugno sarò proprio impossibilitata a farlo.
Cercherò comunque di ritagliare sempre uno spazio per la scrittura, ma non vi prometto niente ;A;
Il prossimo capitolo, comunque, cercherò di scriverlo e postarlo relativamente presto, per la gioia di chi shippa AoKise e KagaKuro (sì, dal prossimo capitolo in poi inizierà ad innescarsi qualcosa eue)
Per il resto mi auguro soltanto di tornare a vedere un po' di recensioni. Mi faceva davvero piacere riceverle, ma ultimamente si sono dimezzate, nh.
Ringrazio tutti coloro che leggono, salvano nei preferiti, nei ricordati o nei seguiti la storia, fangirlano (?) e recensiscono e, ancora una volta, mi faccio pubblicità: https://www.facebook.com/pages/Neu-Preussen-EFP/416393978469818?ref=hl
Alla prossima!

Ritorna all'indice


Capitolo 8
*** Capitolo VII ***


Capitolo VII





Il sole dissipa le ombre della notte e le tenembre inghiottono la luce del giorno.

Midorima accarezzò il tessuto delicato della divisa un paio di volte, con l'intento di scacciare via le pieghe fin troppo visibili che si erano create una volta che l'aveva indossata.
Imbracciò la borsa in silenzio e premette appena il polpastrello dell'indice al centro degli occhiali, avvicinando le lenti sottili agli occhi.
Shintarou viveva da solo da qualche tempo, ormai: era una casa piccola, modesta, in un tranquillo quartiere nella periferia di Tokyo.
I suoi genitori l'avevano acquistata - e poi gliel'avevano regalata - non appena erano venuti a conoscenza dell'ingresso del figlio in una delle università più prestigiose di tutto il Giappone: la Tōdai o, meglio ancora, l'Università Imperiale di Tokyo.
Un po' gli dispiaceva che i suoi genitori avessero sulle spalle anche le tasse della sua casa oltre quelle della loro e dell'università - dopotutto Midorima studiava ed era uno studio talmente assiduo e necessario da non permettergli neppure di cercare qualche lavoretto che potesse aiutarlo a pagare almeno una parte delle spese -, ma sua madre e suo padre insistevano che non doveva preoccuparsi, che le tasse erano basse - cosa non troppo vera per ciò che riguardava quelle universitarie - e che quella casa se la meritava - suo padre, una volta, aveva detto addirittura che ne meritava una più grande -.
Shintarou ripensò proprio alle parole un po' spropositate e frettolose di suo padre che, come umile operaio, si riteneva sinceramente fiero di lui.
La mattina, prima di lasciare casa sua per recarsi all'università, era l'unico momento di calma di cui la sua mente e il suo fisico potevano bearsi appieno. L'istante migliore si profilava non appena si ritrovava con le dita strette intorno alla manopola, pronto ad uscire, ma con le suole delle scarpe di vernice nera ancora saldate al pavimento della casa.
Dedicava sempre un pensiero alla sua famiglia: al sorriso magnanimo di suo padre, allo sguardo di sufficienza della madre - quello lo aveva preso sicuramente da lei - e agli schiamazzi di sua sorella che, pur avendo ormai quindici anni, aveva mantenuto il suo rapporto con lui sul piano degli scherzi affettuosi - a dire il vero Sachiko era l'unica persona al mondo che poteva fare degli scherzi a Midorima senza temere la sua reazione: erano sempre andati molto d'accordo, loro due, e nonostante sua sorella fosse decisamente più vivace e spiritosa di lui, condividevano molti lati del carattere -. E poi era del segno dei Pesci, quindi c'era una discreta affinità.
Finalmente Midorima si decise a girare la manopola e uscì lentamente di casa, fermandosi davanti alla porta per richiuderla con calma, senza badare a chi, come ogni mattina - o quasi -, lo stava fissando con le labbra increspate in un sorrisino allegro.
«Ecco il tuo koinobori blu.» Midorima afferrò la carpa di carta non appena l'altro gliela porse, come se fosse stato un tesoro preziosissimo e lui fosse stato il più avaro dei ladri o dei mercanti.
«Mhn. Grazie, Takao.» fu un po' reticente a mostrargli gratitudine, mentre l'altro, come al solito, non si fece alcun problema a esibire le proprie emozioni e gli rispose con un sorriso.
«Mi raccomando, vedi di non romperla: è la preferita di mia sorella.» riprese Takao.
La sorella di Takao e quella di Midorima avevano la stessa età, quindi erano decisamente grandi per le carpe di carta colorata che i bambini giapponesi si divertivano a far sventolare in aria ogni cinque maggio, però Kazumi - la sorella di Kazunari - le aveva collezionate per un certo periodo della sua vita: ne aveva sette, quelle ricevute dai cinque agli undici anni, e aveva una sorta di adorazione soprattutto nei confronti di quella blu, che era stata la prima. Per di più, quella mattina, Takao se ne era impossessato senza il suo permesso perché sapeva che altrimenti glielo avrebbe vietato; avrebbe potuto anche non farlo, ma Midorima lo aveva chiamato non appena aveva appreso del segno del Cancro in ultima posizione e bisognava assolutamente recuperare l'oggetto fortunato perché si tranquillizzasse.
Ora che Shintarou si era impossessato dell'oggetto fortunato si sarebbero potuti dirigere verso l'università senza problemi.
Takao, al contrario di quanto potesse sembrare nel vederli camminare fianco a fianco verso la Tōdai, non era uno studente: appena finite le superiori aveva deciso di aiutare i suoi genitori e si giostrava in una continua spola fra la libreria di suo padre e la lavanderia di sua madre; tuttavia, molto spesso, si offriva di accompagnare Midorima all'università, ed era così che era continuato il loro rapporto. Grazie all'invasività di Kazunari non si erano mai persi di vista ed erano rimasti buoni … “amici” - così diceva Takao, con ovvio disappunto dell'altro -
«Oggi hai biologia e biochimica, giusto?»
«Biologia, biochimica e fisica.» ripeté Midorima, correggendolo.
«Domani il professore di fisica sarà assente, per cui ha sposato la lezione ad oggi.» continuò.
«Oh-» sul volto di Takao trasparì una smorfia scocciata, quasi come se toccasse a lui fare due ore di lezione in più.
«I tuoi professori sono davvero noiosi, Shin-chan!»
Midorima rimase in silenzio e si sistemò meglio gli occhiali, osservando di sottecchi un'anziana signora che all'angolo della strada lo fissava stranita e con un sorriso trasognato in volto: dopotutto non si vedeva tutti i giorni un ragazzo alto un metro e novantacinque, con i capelli verdi e una carpa di carta blu sotto braccio.
Midorima pensò che il commento di Takao fosse davvero stupido: era un'università, la sua, ed era logico che i professori non volessero sprecare del tempo prezioso, che si affrettassero a concludere i loro corsi il prima possibile; tuttavia non disse nulla: Kazunari non avrebbe capito, dopotutto conduceva una vita molto più leggera e serena della sua, vedeva i suoi genitori tutti i giorni e non era costretto a lavori e mansioni troppo stressanti, usciva spesso e aveva qualcuno di importante con cui passare il suo tempo.
«Oggi resterai in lavanderia?» chiese Shintarou, volendo cambiare discorso.
«No, oggi sono in pausa!» esclamò piuttosto felice e sollevato l'altro «ne approfitterò per uscire con Kiyo-chan, magari giocheremo a basket!»
Takao aveva pronunciato quelle parole senza pensare che forse, nell'ascoltarle, Midorima avrebbe potuto sentirsi a disagio, fuori dal mondo e pieno di nostalgia nei confronti del basket, che sinceramente aveva dovuto lasciare da parte a malincuore, a causa degli studi.
Midorima, dal canto suo, si soffermò prima su quel bizzarro nomignolo affettuoso che Takao aveva affibbiato a Miyaji - un po' come quello con il quale, da molto più tempo, si appellava a lui - e poi su quella maledetta parola con la b, che repentinamente gli aveva fatto tornare alla mente la conversazione avuta con Kise il giorno prima.
«Shin-chan?»
Takao doveva essersi accorto di qualcosa: forse, senza neanche rendersene conto, Midorima aveva assunto un'espressione fin troppo pensierosa che aveva spinto l'altro a richiamare immediatamente la sua attenzione.
«Va tutto bene? Hai un'aria così strana!»
«Va tutto bene.» mentì «solo che ...»
«Che?»
Midorima scostò gli occhi dall'asfalto e sollevò leggermente il viso, fissando l'orizzonte nuvoloso.
«Ieri ho parlato con Kise.» fu lapidario; era consapevole che Takao lo avrebbe tempestato di domande, e non che gli stesse bene, ma doveva pur parlarne con qualcuno: il pensiero relativo al ripristino della Generazione dei Miracoli lo aveva tenuto sveglio tutta la notte e molto probabilmente avrebbe fatto così anche con quelle avvenire, a meno che non fosse riuscito a fare un po' di luce sulla situazione, anche con l'aiuto di un'altra persona, anche se si trattava di Kazunari.
«Cosa? È venuto a trovarti?» Takao iniziò con le prime, classiche domande.
«No, mi ha telefonato.»
«E di cosa avete parlato?»
«Non abbiamo parlato molto.» si affrettò a chiarire Midorima «ma se n'è uscito con una richiesta assurda.»
«Mh?» Takao inclinò leggermente il viso verso destra e assottigliò il proprio sguardo, incitandolo a proseguire.
«Mi ha detto che lui, Kuroko e Momoi stanno ripristinando la Generazione dei Miracoli.»
Seguitarono pochissimi istanti di silenzio.
«Ma è fantastico!»
«Cosa? Takao!» Midorima sembrò indignarsi: Takao non aveva capito niente, non aveva compreso il pensiero contrastato dell'amico, il suo desiderio di tornare a giocare a basket e, allo stesso tempo, quello di diplomarsi nel più breve tempo possibile, il suo essere tristemente cosciente che nella sua vita c'era spazio solo per lo studio.
«Dovresti accettare, Shin-chan!» Takao era veramente entusiasta e Midorima faticava a capirne il motivo.
«Non posso, devo studiare.»
«Studi tutto il giorno, ogni tanto ti farebbe bene uscire.»
Midorima lo fulminò con lo sguardo: ora anche Takao cercava di fargli la paternale?
«Takao, ho detto che non posso.»
«Ma lo vuoi, giusto?»
Sorprendentemente, Takao era riuscito a punzecchiarlo, incalzarlo, e ora lo guardava con le labbra increspate in un sorrisetto consapevole e soddisfatto.
Midorima storse il naso, contrariato nel vedere che l'altro era riuscito con così tanta facilità a penetrare la sua corazza di uomo dal cuore di ghiaccio.
«Takao, ho detto di no!» sbottò stizzito.
«Non accetterò mai la proposta di Kise.»


Benché si trovassero a ottobre inoltrato, quella era la giornata perfetta per dedicarsi al jogging e temprare i muscoli: nonostante l'umido lasciato dalla pioggia che aveva sfogato tutto il suo impeto durante i due giorni precedenti, non faceva troppo freddo; un sole dalla tenue e timida lucentezza si trovava a tre quarti del suo percorso nel cielo e presto sarebbe tramontato e avrebbe concluso quell'arco immaginario.
Ultimamente la gamba di Kise aveva mostrato dei miglioramenti, e questo si poteva dire con sicurezza non solo perché non faceva più tanto male quando veniva sottoposta a sforzi eccessivi, ma anche perché i momenti di sofferenza erano intervallati e separati da sempre più giorni.
Proprio grazie ad uno stato fisico migliore, oltre - e soprattutto -al proposito di ripristinare la Generazione dei Miracoli, Kise aveva lasciato l'appartamento per un'ora di jogging.
Prima che si infortunasse riusciva ad arrivare spesso alle quattro ore, ma a detta del suo medico di fiducia non poteva ancora strafare e, anzi, qualora avesse avvertito dolore prima dello scadere dell'ora avrebbe dovuto abbandonare la sua corsa.
Tuttavia, nonostante gli fosse stato interdetto di strafare e correre anche solo per un minuto in più, Kise lo faceva sempre più spesso, probabilmente guidato dalla cieca euforia di stare decisamente meglio.
Anche quel giorno la gamba aveva resistito alla pressione e Ryouta si era spinto oltre i sessanta minuti, spendendo un quarto d'ora in più per raggiungere casa Aomine.
Kise, Momoi e Kuroko avevano concordato che sarebbe stato meglio lasciar passare almeno un giorno prima di tornare all'attacco, e Ryouta aveva rispettato quella condizione, ma con grande fatica: Daiki era il suo obbiettivo e non aveva intenzione di lasciarselo scappare.
A dire il vero quella visita non era stata pianificata e aveva addirittura pensato di far passare un altro paio di giorni prima di parlargli, ma era capitato che passasse in zona e, preso da chissà quale moto di impazienza, si era fiondato nella direzione che portava alla casa di Aomine.
Ryouta rallentò progressivamente la sua corsa già placida, infine si fermò di fronte alla porta della vittima prescelta.
Rimase per qualche attimo immobile, leggermente piegato in avanti e con i palmi delle mani ad avvolgere le ginocchia, nel tentativo di recuperare un po' di fiato.
Era pomeriggio e non aveva neppure preso in considerazione la possibilità di trovare la casa vuota: era vero che i genitori di Aomine erano a lavoro e non sarebbero tornati prima delle venti, ma Daiki era senza dubbio a casa - era improbabile che fosse uscito a distribuire i suoi curricula nei negozi del centro -
Nonostante il fiato fosse ancora affannoso e scarso, Kise suonò il campanello e rimase in attesa.
Quando la porta si aprì e i suoi occhi si scontrarono con quelli di Aomine, Ryouta lo salutò rumorosamente e, senza neanche dargli il tempo di rispondere, varcò la soglia imperterrito.
«Eh?» Aomine lo fissò con un cruccio sul volto, quasi non riuscisse ancora a realizzare che Kise aveva appena violato in modo anche piuttosto prepotente e maleducato il suo territorio.
«Ohi Kise, che fai? Potrei anche essere con una ragazza!» fu questa la protesta di Aomine nei confronti di quella visita improvvisa, e non era un tentativo di provocazione, ma piuttosto il semplice intento di fargli notare che era stato leggermente scortese ad entrare in casa sua senza neanche ricevere il permesso.
«Perché?» Kise gli rivolse un'occhiata interrogativa «sei con una ragazza?»
Aomine distolse lo sguardo nel tentativo di fuggire da quello curioso e ingenuo di Kise, sbuffando infastidito.
«No.»
«Mhn, bene.» quella voce leggermente più seria e il fatto che Kise si fosse appena sfilato la maglietta davanti ai suoi occhi, sembrarono immobilizzarlo.
«Ti devo parlare, ma prima ho bisogno di una doccia.» Kise stringeva la maglietta umida di sudore fra le mani, questa volta rimanendo in attesa del permesso di Aomine, il quale, però, sembrava non averlo neppure sentito.
Daiki, dal canto suo, non riusciva a distogliere i propri occhi dai fianchi sottili di Kise, dal petto e dal ventre scolpiti e dalla pelle nivea, all'apparenza estremamente liscia e morbida.
«Aominecchi, mi stai ascoltando?»
Aomine lo aveva sentito. Lo aveva sentito benissimo, ma per qualche ragione a lui sconosciuta - e particolarmente fastidiosa - non riusciva né distogliere il proprio sguardo dal corpo di Kise, né a muovere le labbra per rispondergli: ecco perché si limitò ad annuire distrattamente e chiuse gli occhi con fatica, riuscendo finalmente a negarsi quella bizzarra contemplazione. Kise aveva pensato che Aomine fosse immerso nelle sue macchinazioni, come se avesse già inteso che lui si trovava lì per riprendere il discorso che un paio di giorni prima era stato accennato da Tetsuya e che Daiki aveva troncato tanto rapidamente, così si congedò in silenzio e si diresse velocemente verso il bagno.


Cosa gli era preso? Così all'improvviso, poi.
Perché si era imbambolato in quel modo? Kise se n'era accorto?
Era come se, immobilizzandosi, si fosse messo sulle difensive. E il peggio era che il suo non era stato un tentativo di difendersi da un ipotetico avvicinamento di Kise, ma piuttosto dai suoi stessi impulsi che quella visione rischiava di innescargli.
«Ah, le cazzate di Tetsu devono avermi dato alla testa.» si disse nel tentativo di rilassarsi, mentre si lasciava scivolare lentamente all'indietro, sedendosi ai piedi del letto.
Il tentativo di discolparsi e tranquillizzarsi attribuendo la responsabilità del suo breve cedimento a Tetsuya, però, si rivelò a dir poco fallimentare.
La porta della camera da letto era socchiusa, ma ciò non gli impediva di avvertire distintamente lo scrosciare dell'acqua proveniente dal bagno: Ryouta era nella sua doccia. Era nella sua doccia ed era completamente nudo, sotto il getto caldo dell'acqua e avvolto dal vapore tiepido.
Nella sua testa era rimasta fin troppo nitida l'immagine dei fianchi longilinei di Kise e della sua pelle così ...
«Merda-» Aomine sbottò e si raccolse il viso fra le mani, fissando un punto impreciso del pavimento: perché ci stava pensando così tanto? Doveva smetterla subito.
D'un tratto, però, il flusso dei suoi pensieri confusi e il suo inconsapevole panico si intrecciarono con il rumore sommesso dell'acqua proveniente dalla doccia e gli tornò ancora in mente l'immagine di Ryouta.
Doveva recidere al più presto quel torbido intreccio di sensazioni confuse.
Sbuffò e si chinò velocemente - senza però staccare il fondo schiena dal materasso -, finendo per tastare lo spazio sotto al letto con una mano finché non trovò quello che cercava: afferrò l'angolo del giornalino e lo trascinò per qualche attimo lungo il pavimento, infine lo sollevò e lo aprì, dedicando la sua attenzione a due pagine a caso.
Dopo qualche attimo di fatica durante il quale si svolse una specie di battaglia fra l'immagine di Kise annidata nella sua mente e quelle che aveva davanti agli occhi, Aomine poté trarre un sospiro di sollievo: ancora una volta, le tette si rivelavano le sue alleate più preziose e non lo tradivano.
Senza che se ne fosse accorto, lo scrosciare dell'acqua si era interrotto da almeno un minuto e la porta di camera sua era appena stata spalancata.
«Aominecchi?»
Aomine aveva ancora il giornalino spalancato davanti al viso, come fosse stato uno stalker intento a nascondersi dietro ad un quotidiano; si decise a sollevare gli occhi, seppur lentamente: voleva essere prudente e il giornalino lo stava aiutando a negarsi la vista di Kise, di cui ora poteva osservare solo i capelli umidi, con poche gocce d'acqua annidate dove finiva il taglio; il viso delicato e le spalle ampie.
Appena si rese conto che le spalle erano nude, però, ebbe l'istinto incontrollato di abbassare il giornalino.
«Mi servono dei vestiti.»
Aomine ringraziò il Signore nel vedere che Kise non era completamente nudo e aveva l'asciugamano legato in vita, ma la vista del torace imperlato d'acqua fu sufficiente per farlo imbambolare ancora.
«M-ma non potevi portarti il ricambio?! E stai bagnando il pavimento, idiota!» per fortuna fu pronto a reagire e riuscì a distogliere lo sguardo dall'altro quasi immediatamente, si sollevò velocemente dal letto, andò a spalancare l'armadio per cercare degli abiti adatti e continuò a dargli le spalle anche quando li ebbe trovati.
«Tieni!» non volendo voltarsi verso Kise per non rimanere ancora imbambolato, Aomine lanciò malamente i vestiti alle sue spalle, così che, mentre Ryouta riuscì ad afferrare la maglietta, i pantaloni caddero rovinosamente sul pavimento.
Kise rimase a fissarlo per qualche attimo con la fronte aggrottata e un piccolo cruccio sul viso, poi - preso dalla fretta di dare voce al motivo della sua improvvisa visita - raccolse i pantaloni e si diresse di nuovo in bagno per vestirsi.
A quel punto Aomine ebbe qualche minuto per ricomporsi: si sfregò gli occhi e sospirò rumorosamente, afferrò il giornalino e lo gettò a terra, spingendolo sotto al letto con la punta del piede mentre fissava indispettito la piccola pozzanghera d'acqua che Kise aveva lasciato sul pavimento: non gli faceva piacere, ma per lo meno lo stava distraendo.
In quel momento Kise gli avrebbe potuto parlare di qualsiasi cosa, l'importante era che non si presentasse mai più mezzo nudo davanti ai sui occhi.
«Ma che cazzo mi prende?» spazientito, Aomine si torturò la radice del naso massaggiandola nervosamente con l'indice e il pollice; non era certo la prima volta che vedeva Kise mezzo nudo: alla Teiko, negli spogliatoi, succedeva spesso e non ricordava di essersi mai imbambolato di fronte a lui in quel modo. Per altro, fra tutti, Kise era proprio quello più soggetto alle sue occhiate, ma solo perché, pur conoscendolo da meno tempo, gli stava più simpatico di Midorima, Murasakibara e mamma Akashi, ecco tutto.
Proprio in quel momento, Kise fece capolino in camera sua per la seconda volta.
«Kurokocchi mi ha detto del vostro incontro.»
Aomine sbuffò scocciato: sì, Kise poteva parlare di tutto, ma non di quello, e lui era stato decisamente stupido a non pensare che si trovasse lì proprio per discutere del progetto di Tetsuya.
«Mhn–» quello di Aomine parve un muggito e Kise, dal canto suo, assottigliò il proprio sguardo riservando un'occhiata di disappunto a Daiki.
«Kise, ti pre–»
«Aominecchi.» Kise sovrastò l'ultima sillaba con la propria voce, assumendo un tono serio che non piacque affatto a Daiki.
«Kurokocchi ha bisogno di noi.» Kise non fu sicuro che quelle fossero le parole più adatte, né le aveva pronunciate per smuovere la sensibilità di Aomine che, di certo, non avrebbe mai accettato per compassione.
«Ha bisogno di noi? Perché quell'idiota di Kagami non torna dagli Stati Uniti?» Aomine si lasciò scappare un altro sbuffo, nella speranza che anche un po' del nervoso che stava trattenendo a stento si fosse dissolto nell'etere oppressivo che li stava attorniando.
«Finché c'era Kagami non aveva bisogno di noi.» riprese. Non sapeva perché stesse pronunciando quelle esatte parole: non era antipatia - non l'aveva mai provata nei confronti di Tetsuya -, non era gelosia - quella ormai era appassita negli anni, esattamente come la loro amicizia -, ma una semplice questione di orgoglio che aveva la pretesa di poter utilizzare come scusa per ribadire ancora una volta il suo rifiuto.
«Aominecchi, ma che stai dicendo?!» no: Aomine non poteva pensare davvero ad una cosa simile, non era una persona cattiva, maligna o piena di rancori e risentimenti. Kise non riusciva a credere alle sue orecchie.
Aomine pensava davvero che Tetsuya si fosse allontanato da loro a causa di Kagami? No, la colpa era della stessa Generazione dei Miracoli, dei mostri che erano diventati: ecco perché Tetsuya si era allontanato da loro. E se se ne rendeva conto Kise, che era innamorato di Kuroko, allora era inconcepibile che non lo riuscisse a capire anche Aomine.
«Ti costa tanto fare uno sforzo? Potresti provarci.» avanzò Kise «per Kurokocchi.» e forse quello fu un tentativo di addolcire il tutto, ma un tentativo decisamente sbagliato.
«Provarci?» questa volta fu Aomine a fulminarlo con lo sguardo «lo vuoi capire sì o no, Kise, che non c'è più niente da fare, ormai?» come poteva pretendere che dopo tutti quei tentativi falliti di riallacciare un'amicizia con Tetsuya, ora, dopo tre anni, la cosa potesse magicamente funzionare?
Aomine si sentiva come frustare dal quel nervoso che con tanta fatica stava cercando di reprimere: non voleva prendersela con Kise - forse era ancora stordito dall'immagine di lui mezzo nudo che ogni tanto faceva fastidiosamente capolino nella sua mente - e, in verità, avrebbe soltanto voluto essere lasciato solo, in pace, a pensare.
Prima Tetsuya che lo inseguiva al supermercato, raccontandogli dell'assurda idea di ripristinare la Generazione dei Miracoli, poi Kise che si presentava a casa sua e gli si spogliava davanti e, per di più, si pronunciava in difesa del progetto avviato da Kuroko e impugnava la pretesa che il loro rapporto potesse tornare tutto rose e fiori con un solo schiocco di dita.
Aomine aveva bisogno di rielaborare tutte quelle stranezze da solo, senza la distrazione che di nome faceva “Ryouta Kise” fra i piedi, ma una cosa era certa: lui e Tetsuya erano irrimediabilmente cambiati e non sarebbero mai più potuti tornare come prima, a prescindere da quante volte sarebbero stati disposti a provare.
Mai più.


Kise pareva un bambino offeso, uno di quelli che al parco viene emarginato dal gruppo perché più timido e meno intraprendente e allora se ne sta sulle sue in un angolino qualunque, con le labbra increspate in una smorfia triste.
Aomine non ci aveva messo poi molto a cacciarlo di casa, e Ryouta, dal canto suo, aveva capito di non poter insistere ancora: Daiki era nervoso, aveva bisogno di stare da solo e, soprattutto, tutti i limiti che gli impedivano di acconsentire all'idea di ripristinare la Generazione dei Miracoli erano legati a Tetsuya, quindi si trattava di una questione racchiusa intorno a loro, nella quale Kise non poteva ficcare il naso con troppa semplicità e noncuranza. Ormai aveva imparato a capire, almeno in parte, ciò che passava per la testa di Aomine, quindi non era neanche giusto dire che fosse stato Daiki a cacciarlo fuori: diciamo che glielo aveva fatto intendere e che Kise aveva preferito ritirarsi senza rischiare di innervosirlo ulteriormente.
Ovviamente, la sua, era una ritirata temporanea, una breve tregua.
Ciò non toglieva che aveva dovuto darla vinta ad Aomine e si era ritrovato fuori da quella casa con la stessa velocità con la quale vi era entrato, per cui se ne andava placidamente in giro con le guance leggermente gonfie, trattenendo a fatica uno sbuffo rassegnato, la fronte corrucciata e le labbra protese appena in avanti, lievemente incrinate in una smorfia che gli creava una piccola fossetta al centro del mento delicato.
Era soprattutto da questo che si notava come il tempo avesse agito su Ryouta: aveva semplicemente levigato il suo carattere, affinandone alcuni aspetti; l'esperienza era un bagaglio di giorno in giorno sempre un poco più pesante che lo aiutava a prendere decisioni con più razionalità rispetto ai tempi della Teiko o della prima superiore, ma le sue espressioni facciali, le sue docili smorfie da bambino offeso, erano rimaste esattamente le stesse degli anni precedenti, e proprio in quel momento stava dando pieno sfogo a una delle sue migliori maschere.
Non poteva mentire a se stesso: era arrabbiato con Aomine, ma non per il suo caratteraccio, il suo pessimismo sull'irrecuperabile - a detta sua - relazione con Tetsuya, il rifiuto di prendere parte al progetto o il fatto che lo avesse buttato fuori di casa, ma piuttosto per ciò che aveva detto su Kagami.
Anzi no, non su Kagami che, dopotutto, non era altro che un rivale bello e buono di Kise, ma su Kuroko.
Kise aveva pensato che quelle parole non avessero neppure un fondo di verità e stava continuando a sperarlo sinceramente, perché Tetsuya non era certo un codardo che aveva bisogno di loro solo perché si sentiva solo e abbandonato da Kagami, e questo Aomine lo avrebbe dovuto sapere meglio di lui.
«Ciao!»
Bastò un saluto per far sì che sul volto di Kise tutto tornasse alla normalità: si lasciò sfuggire un sospiro, così che le guance si sgonfiarono; la fronte fu di nuovo distesa, senza che la pelle si increspasse a causa del cruccio, e le labbra erano tornate piatte, così che anche la fossetta al centro del mento era scomparsa.
Una volta che riuscì a mettere a fuoco il suo interlocutore, di cui era sicuro aver già sentito la voce ma alla quale in quel momento, pensando ancora ad Aomine, non riusciva ad attribuire un volto, l'espressione di Kise mutò ancora e le labbra si incresparono in un sorriso sincero.
«Himurocchi!» il sorriso amichevole in cui si erano increspate le labbra di Kise era dovuto più alla sorpresa di vederlo che all'effettiva fortuna di quell'incontro che, effettivamente, capitava davvero a fagiolo; Ryouta non si era ancora reso conto che quella era un'occasione d'oro per scoprire qualcosa in più su Murasakibara - come aveva reagito una volta abbandonata la conversazione con Momoi, se pensava alla loro proposta oppure era rimasto completamente impassibile -, e infatti fu Tatsuya che, senza indugiare oltre, intavolò l'argomento.
«Atsushi mi ha parlato del vostro progetto.» dal sorrisetto compiaciuto che si era dipinto sul volto di Himuro, Kise ebbe l'impressione che Murasakibara non glielo avesse raccontato di sua spontanea volontà, ma che quel ragazzo tanto minuto fosse riuscito a cavare le parole di bocca a quel bambino alto due metri e otto con un raggiro o un ricatto bello e buono.
«E che cosa ha detto?» Kise diede per scontato che Himuro fosse disposto a parlargli e gli si affiancò; Tatsuya, dal canto suo, si scostò dal palo al quale si era appoggiato e, non appena l'altro lo raggiunse, iniziò a camminare.
«Non era molto contento.» il cinguettio di Himuro non piacque affatto a Kise, che storse appena le labbra in una smorfia di disappunto.
«Per lo meno sta continuando?» non c'era bisogno di nominare il basket, in quella domanda: la questione era trasparente come acqua per entrambi.
«Per ora no.»
Il cinguettio di Himuro si era tramutato in una voce dal tono leggermente più profondo, cupo: stava guardando davanti a sé con le labbra incrinate in una smorfia amareggiata e le mani mollemente abbandonate nelle tasche del piumino nero.
«Non sono nella posizione di giudicare la sua scelta o decidere per lui, ma è davvero stupido da parte sua abbandonare qualcosa che ama solo per pigrizia.»
«Già.» Kise sbuffò impercettibilmente, abbassando lievemente il capo.
Himuro aveva ragione: Murasakibara amava il basket e ne aveva dato prova varcando quella soglia che per lui era e sarebbe sempre stata invalicabile, aveva superato quel limite che Tatsuya non sarebbe mai riuscito a scavalcare, nonostante gli sforzi. Murasakibara era entrato nella Zone, e la Zone era uno spazio riservato solo ai giocatori più portentosi e agli amanti più sinceri del basket, era, in poche parole, la Hall of Fame dei Miracoli.
«Odio l'idea di vedere un talento simile sprecato con così tanta indifferenza.» Himuro fece una piccola pausa, poi, vedendosi rispondere con il silenzio, continuò «per questo vi aiuterò.»
Kise sussultò, rivolgendogli immediatamente un'occhiata interrogativa e allo stesso tempo speranzosa.
«Non so quanto riuscirò a fare, ma ci proverò. Non voglio che Atsushi finisca per vivere nel rimorso.»
Kise sentì il bisogno di fermarsi, come se smettere di camminare potesse facilitargli il rimettere in ordine i pensieri, la cascata di sentimenti che d'un tratto gli si era riversata nel petto: se avesse avuto più confidenza con Himuro, molto probabilmente, lo avrebbe abbracciato e avrebbe strepitato la sua felicità, ma in quel caso si limitò a ringraziarlo, o almeno ci provò.
«Ma ...»
Le labbra di Kise si erano schiuse, ma erano tornate serrate non appena Himuro aveva introdotto quella che pareva una condizione: era troppo bello che li aiutasse senza voler nulla in cambio, in effetti.
«Se dovessi riuscire nel mio intento, allora, mi unirò a voi.»
Kise aggrottò la fronte e si torturò il labbro inferiore con l'incisivo: no, quella condizione non sarebbe sicuramente andata a genio a Tetsuya, e lui, dal canto suo, non sapeva cosa rispondere, visto che preso dal momento non riusciva assolutamente a riacquistare un po' di lucidità mentale e ad immaginare le possibili reazioni di Kuroko e Momoi.
Era anche vero che Murasakibara sarebbe stato sicuramente disposto ad ascoltare più Himuro che loro tre.
«Prendere o lasciare, Kise Ryouta.»
Kise era piuttosto confuso, ma nonostante ciò lo stava guardando con una certa stizza: Himuro pretendeva di distruggere l'antica intimità dei tempi della Teiko come se fosse stata una cosa di poco conto e faceva pesare la responsabilità della rottura proprio su di lui, al quale ora aveva porto la mano.
Forse si sarebbe presto una strigliata di orecchie da Momoi, forse Kuroko sarebbe diventato ancor più distaccato nei suoi confronti: Kise era pronto ad assumersi quella responsabilità, pur avendo cambiato in un lampo l'idea che si era fatto di Himuro, che ai suoi occhi ora pareva soltanto un giudice severo e corrotto, pronto a viziare la bizzarra - ma pur sempre radicata - familiarità che si era instaurata lentamente e con fatica fra Tetsuya, Momoi e i cinque Miracoli.
«Affare fatto.» le labbra di Kise si incrinarono in un sorrisetto di sfida maliziosa e la sua mano corse ad afferrare e stringere con decisione quella di Himuro, di quel drago pronto a soffocarli in una pioggia tormentosa e senza fine.


Era diventata una tiritera: sua nonna si era di nuovo messa ai fornelli e questa volta, oltre a chiedergli di correre a comprare le uova, gli aveva chiesto se non potesse comprare anche un pacco di zucchero, la farina e passare in farmacia per ritirare una medicina.
Il fatto che lavorasse soltanto la sera - e che, per altro, quello fosse il suo giorno libero -, non autorizzava sua nonna a spedirlo al supermercato ogni qualvolta ne sentisse il bisogno, ma era anche vero che era molto vecchia e ci avrebbe messo una vita ad andare e tornare e che i suoi genitori erano a lavoro, quindi l'unico a cui poteva affidare tale mansione era lui. Indubbiamente, poi, uscire gli faceva bene ed era sempre meglio che rimanersene chiuso in camera a pensare a Kagami.
Da quando, pochi giorni prima, aveva sentito la voce di Kagami al telefono, Tetsuya aveva deciso che sarebbe stato più razionale e avrebbe cercato di arginare qualsiasi sentimento: non aveva più intenzione di soffrire, di correre dietro a Taiga, per cui avrebbe cercato di lasciar perdere, allontanarsi lentamente e finire per mettere fra loro una distanza tale che neppure uno sguardo complice e un sorriso - nel caso si fossero mai rincontrati - sarebbero riusciti a sormontarla.
La sua razionalità, paradossalmente, iniziava dalle uova: questa volta ne aveva comprate una dozzina, di modo che sua nonna avrebbe aspettato almeno altri quattro giorni prima di rispedirlo a fare la spesa.
Tetsuya si era appena chiuso la porta di casa alle spalle e aveva posato delicatamente la borsa della spesa a terra, quando sua nonna fece capolino all'ingresso con le labbra sottili increspate in un grosso sorriso.
«Tetsuya, Tetsuya! Pochi minuti fa è passato un tuo amico!»
Tetsuya aggrottò leggermente la fronte.
«Chi?»
«Oh, non … non ricordo il nome.» rispose rammaricata «però era un bel ragazzo, molto alto.»
«Aomine-kun?» Tetsuya stesso non fu sicuro di pronunciare quel nome: sua nonna conosceva bene Aomine ed era quasi impossibile che fosse venuto fino a casa sua, magari per dirgli che aveva cambiato idea sul progetto di ripristinare la Generazione dei Miracoli e che lo appoggiava: sarebbe stato troppo bello per essere vero.
«No, non era lui.» sua nonna si massaggiò il mento e aguzzò la vista, come se stesse cercando di ricordare qualche particolare.
«Aveva … aveva delle sopracciglia strane.»
Tetsuya sentì un sussultò al cuore e spalancò gli occhi. La mano era già inchiodata alla manopola.
«Nigou gli è andato incontro per fargli le feste e si è spaventato a morte.» la risata, già di per sé leggera, di sua nonna diventò impercettibile alle orecchie di Tetsuya.
Non credeva alle sue orecchie, ed ebbe il sospetto che, come quello di ripristinare la Generazione dei Miracoli, anche il progetto di mantenere un atteggiamento razionale sarebbe stato accantonato molto presto.
«Kagami-kun ...» fu un sussurro, il suo.
Non lasciò a sua nonna la possibilità di dire altro e, spalancando la porta, uscì in strada, correndo in direzione dell'appartamento di Kagami: non aveva idea di cosa ne avesse fatto, se avesse deciso di venderlo, affittarlo o semplicemente abbandonarlo, ma fu istintuale dirigersi proprio in quella direzione - e poi, se fosse venuto dal lato opposto, si sarebbero sicuramente incontrati, visto che lui giungeva dal supermercato -
Tetsuya non voleva illudersi un'altra volta, ma quella buffa descrizione gli era bastata per capire che si trattava proprio di Taiga. Del suo Taiga.
Tetsuya non si era scomposto più di tanto, piuttosto pensava a resistere alla fatica della corsa forsennata e a farsi strada fra la gente.
Tuttavia, non appena intravide quello che in confronto a lui pareva un armadio e i suoi inconfondibili capelli rossi e un po' arruffati, ogni briciolo di lucidità scomparve, così come la razionalità e il contegno.
«Kagami-kun!» Tetsuya non si vergognò di quel richiamo a voce alta - troppo alta per lui -. Era un richiamo che tratteneva da troppo tempo, una gioia che tratteneva da troppo tempo.
«Kagami-kun!» ripeté quando vide che, nonostante i metri che li dividevano si accorciassero sempre di più, il ragazzo non accennava a fermarsi.
D'un tratto, però, Tetsuya poté rallentare la sua corsa, anzi dovette.
Kagami si era voltato all'improvviso e Tetsuya aveva sentito il cuore balzargli in gola: glielo avrebbe detto. Quello stesso giorno glielo avrebbe detto.
«Kagami-kun.» ancora una volta, quello di Tetsuya si era tramutato in un flebile sospiro, un tremolio di voce.
«Kuroko.» Kagami si era immobilizzato nel bel mezzo del marciapiede, tanto che due pedoni di seguito non riuscirono ad evitarlo del tutto e lo scontrarono appena, invitandolo a muoversi, ma questa volta verso l'amico.
Tetsuya si chiese se non si trattasse di un sogno: gli faceva male il petto per quanto gli batteva forte il cuore, e per un attimo anche lui dovette fermarsi e prendere una grande boccata d'aria, con le labbra schiuse e tremolanti, pronte a pronunciare quelle parole che tante volte aveva tessuto nella sua mente e alle quali pensava non sarebbe mai riuscito a dar voce.
Finalmente si trovarono a pochi passi l'uno dall'altro: forse non erano mai stati così vicini e non si erano mai guardati negli occhi così a lungo.
«Kagami-kun, io ...» Tetsuya esitò solo per qualche attimo, poi accennò un sorriso incredulo e riprese a parlare.
«Io … ti saluta mia nonna.»
Idiota.

È un continuo inseguirsi, un eterno cercarsi. Il gioco della luce e dell'ombra è ciò di quanto più complesso c'è al mondo.




Licenza Creative Commons
Quest'opera è distribuita con Licenza Creative Commons Attribuzione - Non commerciale - Non opere derivate 2.5 Italia.




L'angolino invisibile dell'autrice:

Oook, specifico due o tre cose sul capitolo e poi vi lascio fino a data da destinarsi (?)
Innanzi tutto volevo chiarire che fra la prima parte (quella MidoTaka, tanto per capirci) e la seconda (quella AoKise) è trascorso un giorno.
Come mai Takao chiama quello che alle superiori era il suo senpai, addirittura “Kiyo-chan”? È un motivo molto semplice e si capisce benissimo se date un'occhiata agli accenni delle coppie.
Ora: calma e non inseguitemi con forconi e torce infuocate. Vi prometto che la MidoTaka avrà il suo momento di gloria e non vi tedierò con la MiyaTaka, anzi.
Fidatevi di me e non uccidetemi, perché se muoio non ci sarà alcuna MidoTaka ;3;
(I nomi delle sorelle dei due sono inventati, non rubatemeli, thanks~)
Il pezzo AoKise … non riesco a giudicarlo. Mi sono divertita a scriverlo (almeno la prima parte), ma ho dei dubbi su come è andata a finire la cosa. E scusate per quel “tette”, ma penso sia un vocabolo che esprime gran parte dell'essenza di Aomine, per cui ho voluto usarlo.
Stessa cosa, per rendere meglio l'idea del punto di vista di Aomine, ho voluto anteporre “mamma” al nome di Akashi, perché da quanto ho letto Akashi si dimostrava così premuroso in passato che Aomine si rivolgeva spesso a lui chiamandolo proprio “mamma”.
Alla fine della parte dedicata all'accordo fra Kise e Himuro avrete notato che ho parlato di un drago e della pioggia, e tanto per farvi capire che non ho qualche problema mentale vi spiego subito il perché di questa scelta: tanti di voi sapranno che il nome di Himuro significa drago e fa riferimento al Drago Azzurro della mitologia cinese, quindi mi sono documentata e ho scoperto che questo drago simboleggia l'elemento dell'acqua e ha il potere di controllare la pioggia, per cui ho scelto di rappresentare il ricatto di Himuro (dopotutto è bravo nei raggiri~) con questa piccola metafora.
L'ultimo pezzo … niente: finalmente i due piccioncini si sono incontrati e vediamo un Kuroko che fino all'ultimo ha l'assurda pretesa di riuscire ad andare da Kagami e confessarsi come niente fosse. Tuttavia è ancora troppo presto (vi faccio soffrire ancora un po', sì) e ho voluto finire il capitolo in questo modo. E ho deciso che per Numero Due da ora in poi userò Nigou (cercherò di correggerlo anche nei capitoli precedenti!)
È uno dei capitoli che mi sono divertita di più a scrivere, e poi sono riuscita a trovare un senso più profondo per Hall of Fame (ci ho pensato proprio mentre scrivevo che questa fantomatica “Hall of Fame” potrebbe essere paragonata allo spazio “riservato” della Zone), visto che prima era un titolo semplicemente ispirato alla canzone. Mi piace l'idea che ho avuto (concedetemi un po' di vanità, ogni tanto).
Immagino che con la storia di Miyaji e Takao, Aomine che continua a rifiutare e Kuroko che al posto di confessarsi se ne esce con: “Ti saluta mia nonna.”, vogliate uccidermi, quindi credo proprio che taglierò la corda!
E mi scuso per eventuali errori di punteggiatura, ma il correttore mi ha abbandonato di nuovo ;_;
Alla prossima!

Ritorna all'indice


Capitolo 9
*** Capitolo VIII ***


Capitolo VIII





Siamo fiamme di luce, e bruciamo con la stessa intensità.

Tetsuya si era sentito un vero idiota.
Per un momento credette non fosse possibile che dalla sua bocca fosse uscita una frase simile e si illuse di non aver detto nulla.
Perché sua nonna avrebbe dovuto salutare Kagami, visto che si erano parlati poco prima che lui tornasse a casa e venisse informato del suo arrivo? Alla vergogna si aggiungeva la fastidiosa consapevolezza di aver detto qualcosa di completamente insensato.
Dopotutto era stupido pretendere di riuscire a esternare i propri sentimenti così facilmente, soprattutto dopo aver sofferto così tanto, soprattutto al cospetto di una situazione così strana alla quale Tetsuya non riusciva ancora a credere: non gli sembrava vero che Kagami fosse tornato, che si trovasse proprio di fronte a lui.
Pur non dandolo a vedere, Tetsuya era divorato dalla gioia e dall'imbarazzo, e Kagami, che al contrario di lui si faceva sempre tradire dalla propria espressione e dai propri gesti - soprattutto di fronte a Kuroko che, dopo averlo osservato per così tanto tempo, aveva imparato cosa significasse ogni suo movimento -, era evidentemente a disagio.
Se quella situazione imbarazzante non si protrasse ulteriormente lo dovettero entrambi a Nigou, che evidentemente aveva inseguito Tetsuya e ora era balzato in mezzo a loro abbaiando.
Probabilmente vedere un ragazzo alto e robusto come Kagami spaventarsi alla vista di un cane di taglia media doveva star suscitando nella maggior parte dei passanti una certa ilarità, e Tetsuya, in cuor suo, era felice che stesse già borbottando qualcosa contro Nigou, dimostrando di non essere cambiato affatto e dando la conferma che il ghiaccio era stato rotto, seppur in modo bizzarro.
«K-Kuroko, toglimelo di dosso!» pochi mesi erano bastati perché Kagami si disabituasse completamente all'irruenza affettuosa di Nigou, che ormai era un cane adulto e quindi d'impatto più spaventoso.
«Scusami.» Tetsuya si era chinato leggermente in avanti e aveva battuto un paio di volte la mano sulla coscia, attirando l'attenzione di Nigou che, almeno temporaneamente, si era scostato da Kagami e aveva accennato a calmarsi; tuttavia le sue scuse non riguardavano il comportamento del cane.
«Mi dispiace che tu non mi abbia trovato in casa, ma stavo facendo la spesa.»
«Non c'è problema, Kuroko.»
Per quanto tempo sarebbe rimasto? Perché si parlava di “rimanere” e di “ripartire”, giusto? C'era un lasso di tempo in cui gli sarebbe stato concesso di stare con lui e poi lo avrebbe dovuto lasciar ripartire per gli Stati Uniti, ovviamente.
Voleva chiedergli il motivo della sua visita, che cosa stesse facendo negli Stati Uniti, se sarebbe stato disposto ad uscire un po' con lui il giorno dopo, ma in verità anche il solo domandargli come stesse gli risultava terribilmente difficile.
«Stavo tornando a casa, sono arrivato ora.»
Tetsuya notò solo in quel momento il trolley grigio antracite ai piedi di Kagami: prima, dopotutto, era riuscito a vedere solo le sue spalle e la sua testa, a causa dello sciamare prorompente dei passanti.
«Ti accompagno.» Tetsuya aveva risposto immediatamente, scambiando una rapida occhiata - quello che a lui parve uno sguardo complice - con Nigou.
«Sempre che la cosa non ti rechi disturbo.»
«Ah! E perché mai dovrebbe, scemo?»
A Tetsuya scappò un sorriso timido e leggermente tremolante, un attimo fugace in cui si permise di mostrare l'emozione che in quel momento gli scorreva nelle vene e gli faceva scoppiare il petto.
«Allora ti accompagno, Kagami-kun.» era bellissimo poter ripetere il suo nome e averlo proprio di fronte a lui, senza la minaccia di rievocare ricordi lontani e risvegliare la consapevolezza della distanza, che puntualmente finiva per ferirlo e ottenebrare ogni speranza di rivederlo.
Tetsuya scivolò in silenzio al suo fianco, aspettò che Kagami afferrasse saldamente il manico del trolley e insieme si fecero strada nell'esagitata massa cupa dei passanti.
Camminandogli a fianco, con gli occhi bassi e le labbra cucite dall'imbarazzo, dalla triste consapevolezza che quei mesi passati separati avevano permesso che fra loro si ergesse un muro, Tetsuya non poté evitare di pensare che quello non era il primo tentativo di dichiarazione andato fallito.
Già in prima superiore aveva provato a confessargli i suoi sentimenti: aveva cercato di farlo dopo la vittoria contro la Touou, quando si erano ritrovati soli sul terrazzo, ma le poche parole che era riuscito a pronunciare avevano assunto una forma ben diversa da quella pensata e, ufficialmente, il suo tentativo era andato in fumo a causa della cena “avvelenata” di Riko, pur essendo consapevole che non sarebbe riuscito a dirgli quelle poche e semplici parole che aveva in testa da mesi neppure se non avesse perso i sensi.
Era stato il primo, goffo tentativo, al quale ne seguitarono altri di cui, in quel momento, riusciva a ricordare solo i più significativi.
Aveva pensato di dirglielo subito dopo la partita contro la Rakuzan, quando si erano ritrovati soli negli spogliatoi, ma Hyuuga aveva fatto irruzione e li aveva interrotti ancor prima che potesse aprir bocca.
Ci aveva provato anche in seconda superiore, per esempio pochi giorni prima di Natale, quando aveva accompagnato Kagami - in partenza per gli Stati Uniti per le vacanze - all'aeroporto, e poi appena un mese dopo, quando era stato Taiga ad accompagnare lui, ma dal veterinario, perché Nigou si era rotto una zampa, ma per entrambe le volte non era riuscito a far fronte al disagio e si era bloccato senza poter dire una parola.
Visti gli scarsi successi, i tentativi si erano via via diradati, ma Tetsuya ricordava con precisione l'ultimo, e la sensazione di doloroso torpore mentale che lo accompagnava in quei giorni - gli ultimi giorni di terza superiore, per essere precisi -.
Aveva quasi paura di avvicinarsi a Kagami, temeva che gli avrebbe comunicato che se ne sarebbe ritornato in America - come effettivamente fece -, quindi quella volta non era stato solo l'imbarazzo a mettere a freno la sua dichiarazione, ma anche la consapevolezza che il venire a galla di un simile sentimento avrebbe potuto comportare la rottura della loro amicizia, incrinare la loro sana ed intima confidenza; allo stesso tempo, qualora Taiga avesse avuto davvero il desiderio di tornare a Los Angeles, Tetsuya non avrebbe mosso alcuna obiezione e sarebbe stato disposto, anche se con molta fatica, a lasciarlo andare: dopotutto non si sentiva in diritto di trattenerlo in Giappone, tarpargli le ali.
Se dichiararsi significava rinunciare a lui, allora preferiva accontentarsi di ciò che già si era creato fra loro, nonostante il prezzo da pagare fosse quello di torturarsi ogni giorno un poco di più.
Eppure, in quei mesi passati in solitudine, Tetsuya si era reso conto di aver sbagliato: quando Kagami gli aveva detto che sarebbe tornato negli Stati Uniti, lui avrebbe dovuto semplicemente prendergli la mano, supplicarlo di non partire e dirgli che lo amava.
Aveva provato e provava ancora un rimorso assurdo, perché a sgretolare la loro intima amicizia, al posto della sua dichiarazione, ci aveva pensato la distanza. Se si fosse dichiarato a Kagami a tempo debito, la condizione sarebbe stata molto simile a quella che stavano vivendo in quel momento, ma molto probabilmente si sarebbe sentito più libero, leggero e magari sarebbe perfino riuscito ad accettare la situazione.
Pensò che anche quello fosse il momento adatto per dirglielo, così stretti nella folla, ma comunque soli in due, l'uno a fianco all'altro e l'uno completamente concentrato sull'altro, ma rispetto al passato gli pareva un comportamento inadeguato, inadatto e fuori dal tempo - avrebbe dovuto dichiararsi prima che partisse, non ora che Kagami era tornato ad appartenere a quel grande territorio sconosciuto che si estendeva oltre mare -
Avrebbe dovuto dirglielo e, per una volta, assecondare il proprio cuore e rinnegare quella vita piatta e fredda che gli pesava sulle spalle, dettata dalla razionalità.


La sera prima, mentre lui si occupa di disfare l'unico bagaglio e sistemare nell'armadio i pochi abiti che era riuscito a portarsi dietro, Tetsuya si era seduto ai piedi del letto e lo aveva fissato per un po' - mettendolo in imbarazzo come al solito -, finendo per chiedergli se non sarebbe stato disposto ad uscire il pomeriggio seguente.
Kagami avrebbe voluto chiedere degli altri - ad esempio Kise, visto che l'unica e l'ultima volta che lui e Tetsuya si erano sentiti al cellulare, Ryouta non aveva perso tempo e aveva proclamato immediatamente la propria presenza -, ma per il poco che era riuscito a fissare Kuroko negli occhi, e per il poco che era riuscito a capire osservando quello sguardo acquoso e indifferente, gli era parso che volesse un' uscita fra loro due e basta. Comprensibile, visto che non si vedevano da almeno cinque mesi.
Dopo avergli risposto che andava bene, aveva provveduto a buttarlo fuori di casa - e non perché fosse Tetsuya a dargli fastidio, ma Nigou: troppo interessato ai lacci delle sue scarpe e troppo rumoroso … troppo pauroso -, ma anche Kagami stesso non era rimasto nell'appartamento, anzi lui e Kuroko avevano deciso di cenare nel più vicino dei fast-food - in onore dei vecchi tempi -, visto che casa sua era sprovvista di cibo.
La mattina seguente, quindi, Kagami stava tornando a casa con due gigantesche borse per la spesa e cercava di prepararsi mentalmente all'incontro con Tetsuya: dopo tanto tempo gli faceva davvero piacere poter stare con lui, ma un'inevitabile sensazione di disagio lo seguiva come un'ombra, non lo abbandonava mai: era ridicolo che avesse paura di rimanere solo troppo a lungo con Kuroko, ma era proprio così.
Aveva paura che i suoi sospetti potessero venire a galla, che Tetsuya decidesse di schiaffeggiarlo in pieno viso con quella dichiarazione da cui era sempre scappato: Kagami non capiva niente di sentimenti, era sempre stato un totale disastro anche quando doveva consigliare qualche amico in difficoltà, ma di una cosa era certo, e cioè dei sentimenti di Kuroko, quelli che da anni cercava di evitare in ogni modo, per un motivo non chiaro.
Tetsuya aveva sicuramente mantenuto i contatti con qualcuno degli ex-membri della Generazione dei Miracoli, e lui avrebbe voluto incontrare Himuro, quindi perché non uscire tutti insieme? In quel momento, però, ebbe l'impressione che non avrebbe fatto in tempo a cambiare programma, telefonare a Tetsuya, convincerlo ad acconsentire e poi chiamare Himuro e chissà chi altro per chiedere la loro disponibilità ad uscire quello stesso pomeriggio. Ormai mancavano solo quattro ore all'appuntamento ed era quasi impossibile che sarebbe andato tutto come avrebbe voluto.
«-micchi?!»
Kagami si fermò immediatamente, aggrottando la fronte confuso: gli era sembrato di sentirsi chiamare, ma non ne fu sicuro e rimase in attesa solo per qualche attimo, pronto a riprendere a camminare.
«Kagamicchi!»
A Kagami fu tutto più chiaro: si voltò rapidamente, rimanendo a fissare incredulo Kise, che si stava avvicinando a tutta fretta con le labbra increspate in un sorriso amichevole.
«Ehi!» anche le labbra di Kagami si incresparono in un lieve sorriso, decisamente compiaciuto per quella manna dal cielo che di nome faceva "Ryouta Kise".
«Kagamicchi, da quanto sei qui?!» Kise era indeciso se essere felice per Kuroko e triste per se stesso, oppure dimostrarsi semplicemente offeso perché nessuno lo aveva avvisato dell'arrivo di Kagami.
«Sono tornato ieri sera.»
Ovviamente Kise non fu molto contento di sentire quelle parole: davvero Tetsuya non lo aveva ancora avvertito? Si affiancò a Kagami e diede una rapida occhiata al cellulare, per assicurarsi dell'eventuale presenza di un sms - che effettivamente c'era e gli diede una minuscola speranza che si frantumò non appena scoprì essere l'ennesima ammiratrice anonima -
«E Kurokocchi lo sa?» ecco: probabilmente Tetsuya non gli aveva ancora detto nulla perché non lo sapeva, perché Kagami aveva pensato di riposarsi e poi magari gli avrebbe fatto una sorpresa quello stesso pomeriggio.
«Sì, oggi usciamo.» Kagami parlò senza pensare e ringraziò di aver omesso il fatto che lui e Tetsuya si fossero visti anche la sera prima.
Kise assunse un'espressione che indugiava fra il sorpreso e l'offeso: Tetsuya lo aveva saputo prima di lui e non gli aveva detto nulla.
«U-umh, ecco ...» Kagami si schiarì leggermente la voce e sembrò sollevare un braccio nel tentativo di grattarsi la nuca, senza riuscirci a causa delle borse della spesa: era indubbiamente a disagio, perché ebbe l'impressione che Kise stesse aspettando qualcosa, o forse fu semplicemente la sua immaginazione, visto che avrebbe preferito un'uscita di gruppo piuttosto che stare tutto il pomeriggio solo con Tetsuya.
«Ecco, se ti fa piacere potresti uscire con noi.»
«Eh?» Kise si sorprese di quelle parole, tanto che rimase a fissare l'altro con un cruccio confuso in volto: se avesse accettato, Tetsuya non sarebbe stato affatto contento, così come non lo sarebbe stato quando sarebbe venuto a conoscenza del suo patto con Himuro.
Pensando alla situazione fin troppo complicata, quasi non si lasciò scappare un'imprecazione: a pensarci bene poteva essere un modo per impedire a Kagami e Kuroko di avvicinarsi troppo, ma se avesse accettato non lo avrebbe fatto certo per quel motivo, in più non gli andava affatto di ricoprire il ruolo del terzo incomodo.
«E se ...» esitò solo per un attimo, ma Kagami lo stava già esortando ad andare avanti con lo sguardo.
«Se facessimo un'uscita di gruppo? Sai, l'altro giorno ho incontrato Himurocchi.» Himuro, che avrebbe potuto trascinarsi dietro Murasakibara, mentre lui avrebbe portato Momoi, avrebbe parlato con Kuroko del suo patto e si sarebbero impegnati per ricevere il consenso di Atsushi quel pomeriggio stesso.
«Per me non c'è problema.» pronunciando quelle parole, Kagami pensò che Tetsuya lo avrebbe ammazzato: ancora una volta, a causa dell'assurda paura che gli facevano i sentimenti, stava mandando a monte qualcosa.
«Se ci riesco chiamo anche Momoicchi-chan e ti faccio sapere.» e anche Kise, in quel momento, stava riflettendo su qualcosa che si avvicinava molto ai pensieri di Kagami.
«Ci vediamo alle tre davanti alla statua di Hachikou, va bene?»
«Perfetto!»
Sì: Tetsuya li avrebbe sicuramente ammazzati.


Kise era arrivato in ritardo. No, non all'appuntamento: aveva chiamato Momoi non appena si era congedato da Kagami, ma a quanto pareva Satsuki aveva già deciso cosa farne del suo giorno libero, ovvero andare dritta dritta a casa di Aomine per fare pressione su di lui.
Gli era andata meglio con Himuro che, venendo a conoscenza dell'arrivo di Kagami - Kise si tranquillizzò un po' quando seppe di non essere stato l'unico a non venire avvertito del fatto -, aveva accettato di buon grado e aveva capito immediatamente che quell'invito aveva un secondo fine, ovvero trascinarsi dietro Murasakibara e provare a convincerlo a prendere parte al progetto di Tetsuya.
«Si è arrabbiato?» Kise diede un'occhiata a Kagami, che se ne stava seduto ai piedi della statua in silenzio.
«L'ho sentito al cellulare, ma non mi sembrava molto contento.» Taiga sospirò stuzzicandosi la radice del naso con l'indice e il pollice.
Kise guardò all'orizzonte, in cerca di Kuroko o Himuro e Murasakibara, torturandosi il labbro inferiore con i denti: se Tetsuya non era contento di quell'uscita a cinque, figurarsi quando sarebbe venuto a sapere del suo patto con Tatsuya!
«Che c'è?»
Kise doveva essersi lasciato sfuggire un qualche rantolio di disperazione, perché ora Kagami lo stava fissando accigliato.
«Eh? Ah, niente niente!» Kise accennò un sorriso nervoso e sembrò schiaffeggiare l'aria con la mano, tornando a schiudere le labbra per dire qualcos'altro.
«Ciao.»
«Ah!» Ryouta ebbe un sussulto e si voltò immediatamente.
«K-Kuroko! Smettila!» Taiga, invece, rimproverò Tetsuya con tono alterato e lievemente tremolante.
«Di fare cosa?» Tetsuya lo fissò con sguardo interrogativo.
«Di apparire all'improvviso!» Kagami si era disabituato anche a Kuroko, e se prima aveva imparato molto faticosamente ad avvertire - quasi sempre - la sua presenza, ora gli sembrava che ogni progresso fosse stato annullato, che bisognasse ricominciare tutto da capo, e non gli piaceva, gli ricordava troppo i fantasmi e il mondo sovrannaturale in generale.
Prima che potessero dire altro, l'attenzione di tutti e tre fu attirata da una voce familiare, anzi due.
«Muro-chin, ho fame.»
«Atsushi, hai appena mangiato.»
Kagami storse il naso: sperava di non dover più vedere Murasakibara, ma a quanto pareva Himuro se lo era trascinato dietro. Non che ci fosse da stupirsi, visto che era un po' come se avesse dovuto fare da balia ad un poppante.
«Eh? E loro che ci fanno qui?» anche Murasakibara, dal canto suo, non sembrava molto contento di vederli: né Kise, né Kuroko, né Kagami, al quale riservò un'occhiata più prolungata e minacciosa, come quella di un bambino che combatte per conquistare un giocattolo.
«Murasakibaracchi!» Kise simulò un sorriso: era ovvio che Himuro non glielo avesse detto, ed era giusto che lo avesse fatto, altrimenti avrebbe rifiutato.
Murasakibara non prestò attenzione a Kise e poggiò la mano sulla testa di Tetsuya, spettinandogli lentamente i capelli in quella che ormai era un'abitudine.
Tetsuya, dal canto suo, si scansò con un'espressione infastidita in volto.
«Andiamo a casa, Muro-chin.»
«Cosa? No, Murasakibaracchi‒»
«Ah!» Himuro interruppe la protesta di Kise e guardò Murasakibara sorridendo «ricorda cosa ti ho detto, Atsushi.»
Murasakibara rimase a fissarlo in silenzio solo per qualche attimo, poi inspirò leggermente e socchiuse gli occhi, in segno di resa.
Kise rimase a fissarli per qualche attimo, chiedendosi quale potesse mai essere il ricatto di Himuro e a quanto dovesse essere abile nel raggirare le persone.
«Bene, allora andiamo.» Kagami si scostò dalla statua, fece un cenno di saluto ad Himuro e si affiancò a Kuroko, consapevole di dover stare molto attento alle proprie mosse.
Erano tutti e cinque legati ad una catena: in quella manciata di ore che sarebbe durato quel bizzarro appuntamento, il comportamento di uno derivava direttamente dall'altro in una concatenazione che rischiava di diventare un circolo vizioso, un effetto domino. Era come se una fiamma bruciasse accanto ad una miccia e ad una pozza di benzina: un movimento sbagliato, un soffio di vento, un'occhiata di troppo o una parola al posto di un'altra avrebbero potuto far esplodere tutto quanto.


«Dai-chan! Si può sapere perché no?!»
«Non urlare, idiota!»
Momoi sbuffò rassegnata, rimanendo con la schiena aderente alla porta e le braccia conserte sotto i seni prosperosi: per quanto avrebbero continuato? Perché Aomine si ostinava a fare il difficile e continuava a rifiutare categoricamente? Momoi non aveva intenzione di muoversi da lì - almeno finché non sarebbe scesa la sera -
«Ti ho detto che non voglio.» Aomine brontolò, fulminandola con lo sguardo: che diavolo ci faceva appiccicata alla sua porta? Sembrava quasi avesse avuto intenzione di impedirgli di scappare, e non che lui avesse intenzione di abbandonare casa sua e darsela a gambe, ma sapersi negata l'uscita era motivo di fastidio e di certo non stava ammansendo il suo umore.
«Dai-chan, oggi ho rinunciato a dare man forte a Ki-chan che deve convincere Mukkun, e solo perché sono sicura che tu stia facendo il difficile solo per principio.» protestò Momoi, senza muovere un muscolo.
Aomine fece una smorfia e sbuffò indispettito: Satsuki lo conosceva meglio di molto altri, talmente tanto che a volte sembrava riuscire a capire certi suoi desideri ancor prima di lui; per quanto riguardava il progetto di Tetsuya, Aomine sapeva esattamente cosa voleva, anche prima di Momoi.
Era vero che desiderava almeno provarci, ma in quel momento, oltre al non voler ripetere ancora l'esperienza di un'amicizia che viene tenuta insieme da nodi sempre meno resistenti e che puntualmente si sgretola, si aggiungeva un altro pensiero, un pensiero con un nome, una faccia, un corpo: Kise Ryouta, eccolo il suo problema.
Pur di evitare il più possibile Kise, avrebbe rifiutato a qualunque costo.
Il problema, però, era che Kise non si poteva evitare per davvero, visto che erano migliori amici.
«Merda ...» Aomine si rese conto di aver pensato ad alta voce, ma non gli importò e ignorò lo sguardo stizzito di Momoi, che evidentemente pensava che l'insulto fosse stato generato dal nervosismo che la sua presenza stava suscitando in Daiki - nervoso che c'era per davvero, ma che non era niente in confronto ai dubbi che il giorno prima si erano insinuati nella mente del ragazzo -
«Mhn?» Momoi aggrottò appena la fronte, attirata dal tintinnio delle chiavi.
«Che fai?»
«Andiamo a fare un giro.» non era un tentativo di fuga, quello di Daiki; piuttosto sentiva di avere un urgente bisogno di aria fresca, così si avvicinò all'amica e non appena questa si scostò aprì la porta.
Momoi rimase in silenzio, mordendosi delicatamente l'interno della guancia, pensierosa: forse un po' d'aria fresca avrebbe fatto bene ad entrambi, avrebbe allentato la tensione e avrebbe chiarito le idee di Aomine una volta per tutte.


La fiamma ardeva ancora, la miccia era immobile e la pozza di benzina stagnante: Kise era seduto in silenzio a capotavola e fissava i marciapiedi affollati oltre la vetrina del fast-food; Kuroko e Kagami erano seduti alla sua sinistra, il primo scrutava ogni volto, il secondo pareva più interessato ai suoi piedi, forse nel tentativo di nascondere l'imbarazzo; Murasakibara batteva le dita sul tavolo, impaziente di ricevere la propria ordinazione, mentre Himuro era immobile con le labbra increspate in un sorrisetto saccente.
Molto probabilmente Himuro si aspettava che di lì a poco saltasse fuori il discorso sul ripristino della Generazione dei Miracoli, ma Kise pregò mentalmente che non fosse così, altrimenti Tetsuya avrebbe cominciato a chiedersi il perché dell'interesse così sincero ed esagitato di Tatsuya, avrebbe iniziato a sospettare e sarebbe venuto a conoscenza del loro patto da solo, in un modo così brutale da lasciargli il segno di una scottante delusione addosso.
No, Kise non voleva assolutamente deludere Tetsuya, anzi tutto quello che faceva lo considerava funzionale al suo bene.
«Kurokocchi?» com'era prevedibile fu Kise che ruppe il silenzio; quando ebbe l'attenzione di Tetsuya accennò un sorriso e riprese a parlare.
«Mi accompagneresti in bagno?» d'un tratto si trovò scrutato da quattro paia di occhi più o meno perplessi.
«Eh? Kise-chin, fai come le ragazze, adesso?» Murasakibara sembrava essersi stufato di tamburellare il tavolo e prese parte a quel bizzarro scambio di battute - a cui Tetsuya non aveva ancora risposto, per altro -, mettendo Kise ancor più a disagio.
«Proprio adesso? Sto aspettando il milkshake, Kise-kun.»
Kise fu sollevato di sapere che Tetsuya era restio ad assecondarlo per il milkshake, e non perché considerasse l'andare in bagno insieme una cosa da ragazze.
«Ti prego! Cinque minuti!» Kise accennò un tono lagnoso e congiunse le mani davanti al viso, in una supplica infantile; Tetsuya, dal canto suo, non disse altro e si alzò da tavola.
«Scusate, torniamo subito.» infine si congedò educatamente e si incamminò verso il bagno con Kise.
«Kise-kun, perché devo accompagnarti in bagno?» chiese appena furono abbastanza lontani dagli altri tre.
«Devo parlarti.»
Tetsuya tornò zitto e sembrò perfino trattenere il respiro, almeno finché non si ritrovarono soli in bagno.
«Kurokocchi, ti supplico, non arrabbiarti.» Kise era indubbiamente nervoso: avrebbe voluto parlare con un tono di voce più basso, ma il tentativo fallì; per di più avere lo sguardo incuriosito di Tetsuya costantemente puntato addosso non lo aiutava affatto.
«Perché dovrei arrabbiarmi?» già, perché avrebbe dovuto arrabbiarsi? Dopotutto Kise, Himuro e Murasakibara avevano già mandato a monte il suo pomeriggio con Kagami, non c'era niente che potesse farlo arrabbiare ancora di più - nonostante non dimostrasse affatto di essere irritato dalla situazione -
«Ecco, vedi …» Kise lasciò che gli occhi rimbalzassero lungo le pareti sterili del bagno e si schiarì a fatica la voce: era nei guai, decisamente.
«Ieri ho incontrato Himurocchi e … e …» a Kise sembrò quasi di essersi dimenticato il resto delle parole da dire «e abbiamo stretto un patto!» poi, finalmente, trovò il coraggio di pronunciarle, seppur molto velocemente.
All'apparenza Tetsuya rimase impassibile e l'unico movimento che tradì un po' di sorpresa in lui fu il battito rapido delle palpebre.
«Un patto?» aveva ripetuto, vedendo Kise annuire con energia subito dopo.
«Hai notato con quanta facilità riesca a manipolare Murasakibaracchi?» non che ci volesse tanto, visto che bastava qualche caramella per corromperlo, ma Himuro sembrava essere un gradino su tutti, come se riuscisse a persuaderlo in qualsiasi modo, anche senza ricorrere ai dolci.
«Con tutto il rispetto, non credo ci voglia molto.»
«È vero, ma quando si parla di basket anche Murasakibaracchi diventa difficile da convincere, altrimenti ci avrebbe già detto di sì.»
Kise deglutì a fatica, e sentendo il bisogno di allentare la stretta intorno al suo collo sbottonò il colletto della camicia.
«Insomma, per farla breve Himurocchi convincerà Murasakibaracchi a dire di sì, ma in cambio si unirà a noi.» Kise sapeva benissimo che Tetsuya era innocuo, che avrebbe risposto con una sonora indifferenza come sempre , eppure strizzò gli occhi e li tenne chiusi per qualche istante, come se stesse aspettando che la furia dell'altro si scatenasse.
«Quindi Himuro-san dovrà giocare con noi?»
Kise si limitò ad annuire.
Indubbiamente Tetsuya non fu affatto contento di quella notizia e lo fu ancora meno quando Kise cominciò a scusarsi - senza interruzione - per aver preso una decisione così avventata.
Non era tanto il fatto che si trattasse di Himuro, ad irritarlo, ma piuttosto l'idea che l'antica sensazione di intimità che sarebbe sussistita fra loro sei sarebbe stata rovinata da un settimo uomo.
«Torniamo di là.» Tetsuya non disse altro, gli voltò le spalle e si diresse verso la porta, e Kise lo raggiunse immediatamente, superandolo.
«Sei arrabbiato con me?»
«No.» ed era vero, perché era profondamente immerso nelle sue congetture per pensare di tenere il muso a Kise.
«Potremmo parlarne adesso.» il suo parve un sussurro, quasi stesse parlando a se stesso «sì, adesso.»
«Umh? Kurokocchi, cos'hai in mente?»
«Se Kagami-kun sente del nostro progetto e ci vede convinti di ciò che vogliamo fare, allora magari …» Kuroko fece una pausa, abbassando il proprio sguardo pensieroso e lasciandosi scappare un flebile sospiro «magari potrebbe decidere di tornare per davvero.»
Kise rimase in silenzio e, ancora una volta, gli rispose annuendo - anche se Tetsuya non lo stava più guardando ed era ormai completamente divorato dai propri pensieri, da Kagami -; poi aprì la porta del bagno e aspettò che Kuroko abbandonasse la sua posizione e uscisse.
«Andiamo.»
«Sì.»
Forse c'era una speranza; forse l'aver mandato a monte quell'uscita a due per un'uscita a cinque e aver stretto un patto con Himuro si sarebbero rivelate due ottime decisioni; forse Kagami avrebbe deciso di non partire per Los Angeles alla scadenza della settimana, come gli aveva detto.
Forse Kagami si sarebbe finalmente deciso a rimanere con lui, anche se il merito sarebbe andato solo al basket e al fascino corrosivo della Generazione dei Miracoli.


Midorima passava la metà dei suoi pomeriggi in biblioteca, dove rimaneva chiuso anche per cinque ore di seguito.
Era buffo pensare che in quel momento, mentre si lasciava la sua seconda ora di studio alle spalle, chiudeva un libro e ne apriva un altro, dedicandosi alla ricerca della pagina giusta, gli altri ex-membri della Generazione dei Miracoli non stessero facendo nulla di particolare, non si stessero sfiancando nello studio dei bioelementi, delle biomolecole e della bioenergia che molto presto lo avrebbe fatto impazzire con i vari tipi di reazioni e le sue formule.
Per qualche strano motivo che non era ancora riuscito a capire, nessuno sembrava aver intenzione di avvicinarsi a lui: il tavolo più piccolo presente in biblioteca era da quattro posti, e ogni volta le altre tre sedie restavano vuote.
Era probabile che molti lo avessero riconosciuto come uno degli ex-miracoli e provassero soggezione nei suoi confronti, o molto più semplicemente era colpa del suo stesso carattere troppo chiuso e riservato.
In verità c'erano due persone in quell'università che, pur trovandosi uno al secondo anno e uno al terzo, gli stavano intorno ogni volta che lo trovavano in biblioteca, distraendo il suo studio e mandando a monte i suoi progetti ogni volta.
Per quel motivo, a Midorima, non dispiaceva restare solo: almeno poteva concentrarsi meglio sui suoi studi e terminava in tempi più brevi.
Anche quel giorno, però, al posto delle quattro ore di studio prestabilite sarebbe riuscito a rispettarne solo la metà.
Midorima aveva notato con la coda dell'occhio un rapido movimento al suo fianco, e allora aveva rivolto uno sguardo fugace e pieno di rammarico al libro a cui avrebbe voluto dedicare l'ultima ora di studio, immaginando che non sarebbe riuscito neppure ad aprirlo.
«Allora? Oggi sei fortunato?»
A Midorima non serviva guardarlo, gli bastava ascoltare quella voce serpentina, vagamente divertita: si ostinavano a prenderlo in giro solo perché seguiva ogni mattina l'oroscopo di Oha Asa, e sembravano non aver intenzione di smettere.
«Sono ottavo.» sbottò stizzito, senza scostare gli occhi dal libro ma comunque impossibilitato a capire una parola, visto che si trovava troppo concentrato a registrare quella presenza fastidiosa che si era appena seduta accanto a lui.
«I Gemelli sono quarti, se ti interessa.»
Il suo interlocutore era dei Gemelli, proprio come Kise: indubbiamente avevano un carattere completamente opposto, ma l'affinità con quello di Midorima risultava per entrambi nulla, esattamente come recitavano i più importanti astrologi.
Quello a cui Midorima era sconosciuto, invece, era il motivo per cui non riuscisse ad andare d'accordo neppure con il suo secondo disturbatore - che ora si stava sedendo di fronte a lui -, visto che era del Capricorno.
«E quello cosa sarebbe?» Hanamiya, forse per la sorpresa di trovare qualcosa di simile sul tavolo, forse per il semplice desiderio di disturbare la quieta della biblioteca, parlò a voce alta ed indicò davanti a sé. Sia Midorima che Imayoshi, allora, seguirono il dito dell'altro e incapparono in quello che il primo riconobbe come il suo oggetto fortunato.
«Non dirmi che-» Imayoshi non riuscì neppure a completare la frase che Midorima afferrò il naso di gomma e lo mise velocemente in tasca.
«È il mio oggetto fortunato, sì.» finalmente sollevò i propri occhi, confermando i suoi sospetti: sia Hanamiya che Imayoshi lo stavano fissando con un sorrisetto divertito, quasi fossero stati pronti a scoppiargli a ridere in faccia da un momento all'altro: cosa volevano? Ne aveva bisogno, era una giornata sfortunata per il Cancro!
Era davvero bizzarro per Midorima essere ignorato dai compagni del primo anno ma essere considerato anche troppo da un ragazzo del secondo e da uno del terzo, ma dopotutto si conoscevano già - di vista, per lo meno -, e ogni tanto potevano parlare anche di basket, oltre che di malattie, patologie, DNA, organi interni, sindromi e formule matematiche.
Midorima non nascondeva di sentirsi a disagio con quei due: senza dubbio, umanamente parlando, non erano i migliori che si potessero desiderare, ma per lo meno erano intelligenti - tanto che Hanamiya aveva iniziato a prepararsi anche per diversi esami del terzo anno, in modo da poter raggiungere Imayoshi - e avevano molta più esperienza di lui, riassumevano con facilità argomenti difficili e a volte sembravano spiegarli meglio dei libri.
C'era una sorta di competizione, fra quei tre; una competizione che Shintarou aveva perso in partenza, visto che si trovava ancora al primo anno, e ciò permetteva la sopravvivenza di un clima meno teso, tanto che sembrava essersi installata una sorta di confidenza.
Non andava particolarmente d'accordo con nessuno dei due, ma si era abituato alla loro fastidiosa presenza. A volte faceva perfino bene scambiare due parole con qualcuno, piuttosto che rimanere ore e ore chinati sui libri in silenzio.
«Il tuo amichetto non ti ha accompagnato, oggi?»
Midorima, che era tornato ad osservare invano il libro, dovette risollevare immediatamente lo sguardo, rivolgendo un'occhiata di disappunto ad Hanamiya non tanto per la domanda invadente, ma per il rumore assurdo che stava facendo per aprire un pacchetto di patatine, finendo a rosicchiarle con noncuranza, urtando violentemente il sacrosanto silenzio bibliotecario: era indubbiamente intelligente, un genio, ma irrispettoso e maleducato.
«No, aveva da fare.» avrebbe voluto aggiungere qualcosa come: “Si chiama Takao, comunque.”, ma preferì essere lapidario come al solito e chiuse il libro in segno di resa: Hanamiya doveva averlo visto avvicinarsi all'ingresso dell'università da solo. A volte capitava.
«Aveva da fare con Miyaji?» adesso ci si metteva anche Imayoshi a punzecchiarlo: quei due parevano delle comare, certe volte.
«Mhn.» Midorima rispose con un brontolio, quasi avesse voluto comunicargli che non aveva più intenzione di continuare la conversazione.
«Ma quei due stanno ancora insieme?» Hanamiya lo incalzò: si erano messi d'accordo e gli facevano una domanda per uno? Pareva un interrogatorio.
«Sì.» era ridicolo: a volte sembrava perfino che avessero a cuore la sua situazione sentimentale, come se a lui dovesse importare qualcosa se Takao stava con Miyaji.
«Da quanto ne so a novembre partiranno per l'Australia. Miyaji vuole andare a trovare i parenti e stanno organizzando il viaggio facendo in modo di includere anche il compleanno di Takao.» Midorima si chiese fra sé e sé il motivo di quella dichiarazione, il perché desiderasse tanto dirlo a qualcuno.
«Non credevo che la cosa fosse così seria.» lo era, ma cosa importava ad Imayoshi? Cosa importava ad Hanamiya? Sembrava quasi che sapessero qualcosa che lui ignorava, o che semplicemente faceva finta di non conoscere, ma Shintarou conosceva benissimo quella sensazione di vuoto che si era instaurata saldamente in lui in seconda superiore e che non lo aveva più abbandonato.
Shintarou conosceva benissimo la terribile sensazione di rimorso per cose non dette; odiava il silenzio, visto che era stato proprio con quello che aveva condannato la propria solitudine, ma sentiva di non poterne fare a meno.
A Shintarou non doveva importare, e così aveva deciso che se ne sarebbe rimasto per sempre chiuso nella sua corazza di cose non dette.

Siamo abissi di tenebra, e sprofondiamo con la stessa velocità.




Licenza Creative Commons
Quest'opera è distribuita con Licenza Creative Commons Attribuzione - Non commerciale - Non opere derivate 2.5 Italia.




L'angolino invisibile dell'autrice:

Avete visto come sono buona? Vi faccio il regalo di Pasqua! No, scherzi a parte auguro davvero buone feste a tutti quanti voi! *^*
Come al solito non sono molto convinta del lavoro e pur essendo un capitolo in cui le cose rimangono in sospeso dovunque, devo ammetterlo, è stato uno dei più complicati da gestire.
Il fatto che ora io abbia da gestire ben quattro membri della Generazione dei Miracoli non mi rende le cose facili, ed è ancor più difficile incatenare ogni avvenimento come si deve, tenendo conto del tempo e delle azioni.
Spero di aver fatto comunque un buon lavoro, visto che ci tengo. E torno a dire che gli aggiornamenti saranno un po' più “rari” ;-;
Ringrazio chi continua a seguirmi e gli auguro di starsi ingozzando con del buonissimo cioccolato, visto che io il mio uovo l'ho già mangiato due giorni fa. Mi chiamava e non sono riuscita ad ignorarlo.
Ok, passiamo al capitolo: non nascondo di avere delle grandi, grandissime/gigantesche/difficoltà con Kagami. Il suo carattere potrebbe risultare moscio, effettivamente; non ho ancora capito come muoverlo e sicuramente mi ci vorrà un po'.
Nonostante questo credo che la prima parte sia stata la più facile (infatti appena terminato il capitolo sette era stata l'unica che ero riuscita a scrivere), anche se l'incontro fra i due è stato abbastanza complicato da gestire (immagino comunque che si trovino a disagio, dopo così tanti mesi passati senza vedersi e senza neppure sentirsi).
In verità dopo aver scritto la prima parte su Kuroko e Kagami mi sono bloccata e tutto ciò che viene dopo l'ho scritto ieri e oggi.
La parte che viene dopo mi convince ancora meno, ma ho pensato che Kagami si senta a disagio molto più di Kuroko e, almeno per il primo giorno, non voglia uscire solo con lui, quindi ecco che ha deciso di invitare anche Kise che, a sua volta, ha preso la palla al balzo per chiamare Himuro (obbiettivo: attirare Murasakibara e metterlo in trappola).
Non so se l'ho già specificato o meno, ma siccome per me loro vivono a Shibuya, ho scelto come punto di incontro la statua di Hachikou. La scelta è semplice: su Google Maps i nomi delle strade sono in giapponese, e siccome io non lo conosco affatto ho preferito trovare un punto di riferimento come un monumento o una statua.
Lasciandoci alle spalle le mie carenze in lingua giapponese, ho voluto aggiungere la parte di Momoi e Aomine più che altro per fare del bene a me: l'incontro di Kuroko con Kagami, Kise, Himuro e Murasakibara stava diventando ansiogeno e non volevo tentare di prolungare la cosa perché avrei sicuramente creato qualche disastro, quindi ho preferito tagliare e tornare da quei cinque in un altro momento.
L'idea di loro seduti al tavolo del fast-food mi ha divertito, lo ammetto: come potete notare sono sadica con voi lettori ma anche con i personaggi, considerando che è una situazione di completo disagio per tutti (l'unico tranquillo è Himuro). Kuroko ovviamente non è stato contento di venire a conoscenza del patto di Kise, però come potete vedere ha accettato e solo perché pensa che sentendone parlare, a Kagami potrebbe venire voglia di tornare in Giappone.
E ho voluto finire con Midorima, che finalmente ci svela il suo rimorso per non aver detto qualcosa a Takao (c'è o non c'è scritto “MidoTaka” nelle coppie?)
Di nuovo, noterete che sono sadica anche con i personaggi: ho voluto assegnargli come “animali da compagnia” (??) Hanamiya e Imayoshi: dopotutto sono due ragazzi intelligenti e nell'anime viene detto che Imayoshi si sta preparando per l'università, quindi eccoli qui a studiare medicina.
Immagino che Hanamiya si divertirà a fare le autopsie. E io mi sono divertita a scrivere della sua mancanza di rispetto per l'ambiente bibliotecario, anche se non gli ho dedicato molto spazio. Diciamo che sono marginali e non hanno neppure molto da spartire con Midorima, appartenendo ognuno ad un anno di corso diverso, però eccoli qui. So che è un trio bizzarro, ma la mia mente malata a volte elabora queste idee e … boh, dovevo scriverlo, ecco tutto.
L'item di Midorima è un naso di gomma, sì. Non un naso rosso da clown, ma proprio un naso finto di gomma.
E ho deciso che Miyaji ha dei parenti in Australia.
Mi spiace se questo capitolo risulta un po' “statico”, ma dal prossimo cambieranno un po' di cose, visto che qualcuno acconsentirà al progetto di ripristino della GoM~
Ancora buona Pasqua a tutti! Rotolo a studiare!

Ritorna all'indice


Capitolo 10
*** Capitolo IX ***


Capitolo IX





Non esiste salvezza per un'ombra insignificante che desidera diventare la luce di qualcuno.

Tetsuya stava fissando il cellulare da qualche minuto: se lo rigirava fra le mani senza mai frenare quel movimento ormai meccanico, dovuto più che altro al fatto che quell'inerzia avesse insonnolito e incantato i suoi sensi.
Non sopportava l'idea di un altro rifiuto, e questa volta non stava pensando a Kagami, ma a Murasakibara, Midorima e Aomine. Era arrivata l'ora che anche lui, come Kise e Momoi, cominciasse a insistere, cercasse di convincere almeno uno dei tre a dire di sì.
Tetsuya era abbastanza ragionevole e non troppo pretenzioso: quel giorno gli sarebbe bastato un solo sì, andava bene anche se gli altri due avrebbero continuato a rifiutare la sua proposta per ancora qualche settimana. Non fu altrettanto ragionevole, però, sulla modalità da adottare per ottenere una risposta positiva.
Il dito scorse la rubrica e si fermò alla lettera M, indugiò per qualche istante, prima salendo verso il cognome di Shintarou, poi scendendo verso quello di Atsushi; doveva sceglierne uno fra i tre, e per lui il più intrattabile, e quindi il meno consigliabile, era sicuramente Aomine, ma la verità sul perché ci mettesse così tanto a scegliere fra Midorima e Murasakibara era semplice: aveva già deciso.
Tetsuya sfiorò lo schermo del cellulare col il polpastrello dell'indice e la rubrica scorse rapida sotto i suoi occhi, fermandosi ai primi contatti.
Quello che stava per fare era anche più stupido del: "Ti saluta mia nonna." - no, non se lo sarebbe mai dimenticato -, e se ne rendeva perfettamente conto.
Tetsuya rimase immobile, seduto in fondo al letto; diede un'occhiata all'ora e contemplò la possibilità di trovarlo a casa, sveglio e disposto ad assecondarlo: mancavano pochi minuti alle quindici, per cui selezionare quel contatto e poter parlare con il proprietario del numero era più che fattibile.
Senza indugiare oltre, Tetsuya selezionò il contatto e adagiò il cellulare all'orecchio destro, rimanendo in attesa per un po'.
La risposta che ricevette non fu né un odierno: "Chi è?" di chi si dimentica di dare un'occhiata allo screensaver prima di rispondere, né un saluto, ma un mugolio di rabbiosa protesta.
«Aomine-kun.» lo chiamò per accertarsi che si trattasse davvero di lui e non di un qualche animale selvatico che aveva misteriosamente preso possesso del suo cellulare.
«Che vuoi?» Aomine, però, non aveva dimenticato di dare un'occhiata allo screensaver prima di rispondere: sapeva benissimo che si trattava di Tetsuya, sapeva benissimo cosa voleva.
Tetsuya si alzò dal letto e sembrò mettersi sull'attenti, quasi si stesse preparando ad una battaglia verbale, e forse era così, forse ci sarebbe stata una guerra.
«Vediamoci al campetto.» Tetsuya era sicuro di poterla vincere, quella guerra, tanto che si era appena chinato al fianco del letto e aveva afferrato la palla da basket sotto di esso, apprestandosi, infine, a lasciare camera sua.
«Cosa?» nonostante immaginasse i motivi che avevano spinto Tetsuya a telefonargli, Aomine non si sarebbe mai aspettato una proposta simile.
«E perché dovrei?»
«Tu vieni al campetto.» non volle suonare come un ordine, ma più come un invito persuasivo, come se gli stesse chiedendo di fidarsi di lui.
Tetsuya era un esperto nell'analisi dei comportamenti umani, e di conseguenza, la maggior parte delle volte, sapeva come comportarsi per ottenere qualcosa, anche se era una tattica che considerava piuttosto meschina e non amava farne uso.
«Ti devo parlare.»
«So già di cosa vuoi parlarmi, e conosci già la risposta.» Aomine fu lapidario, o per lo meno ci provò.
«Ci vediamo fra mezz'ora, Aomine-kun.» Tetsuya rimase volutamente impassibile e, avviandosi verso l'uscita di casa, si scostò il cellulare dall'orecchio e fu pronto a interrompere la chiamata, ma prima di farlo davvero si assicurò che un vago ronzio echeggiasse a poca distanza dal suo viso: Aomine stava protestando, gli stava dicendo che lui non aveva detto di sì, che non sarebbe venuto.
Tetsuya chiuse la chiamata, si infilò la giacca e uscì velocemente, dimenticandosi perfino di salutare.
Incamminandosi verso il campetto con la palla da basket stretta sotto braccio, Tetsuya lasciò che le labbra si increspassero in un sorriso impercettibile: forse Aomine non avrebbe accettato, ma lo avrebbe incontrato come richiesto, e questo solo perché Kuroko aveva ignorato le sue proteste, gli aveva chiuso il telefono in faccia per comunicargli che dava per scontato il fatto che avrebbe rispettato l'appuntamento.
Aomine sarebbe venuto semplicemente per ribadirgli ancora una volta la sua riluttanza nei confronti di quel progetto, semplicemente perché era troppo orgoglioso perché qualcuno potesse permettersi di chiudergli il telefono in faccia mentre parlava.
Tetsuya attese più di mezz'ora, e quando il tempo passato al centro del campetto sfiorò i sessanta minuti, il suo continuo ripetersi che non doveva darsi per vinto gli si presentò come una convinzione stupida e priva di senso, l'idea che Aomine lo raggiungesse cominciò a prendere la forma di un'utopia.
Che avesse sbagliato? No, Aomine sarebbe venuto: stava semplicemente esitando, ma si sarebbe ricordato di lui, che Tetsuya era andato al campetto e che lo stava aspettando da più tempo di quanto ne fosse stato stimato.
Tetsuya aveva fiducia in Daiki, sapeva benissimo che non era una persona cattiva e che il senso di colpa per averlo lasciato ad aspettare nel campetto per almeno un'ora lo avrebbe condotto da lui prima di qualunque altro sentimento.
«Ho già detto di no sia a te, sia a Kise, sia a Satsuki.» ancor prima che potesse rendersene conto, Aomine si era piazzato alle sue spalle e, scandendo i nomi di Kise e Momoi come se stesse sentenziando una condanna, si era lanciato immediatamente all'attacco, riprendendo la protesta che Tetsuya aveva troncato interrompendo la chiamata.
Tetsuya accennò un altro sorriso, rimanendo ancora per qualche attimo a fissare il canestro davanti a sé: come previsto Aomine era arrivato, e ancor prima di lui le sue proteste sdegnose.
Tetsuya si voltò verso di lui senza che quel sorriso abbandonasse le sue labbra, tenendo la palla da basket stretta al petto con entrambe le mani.
Daiki ebbe un rapido e quasi impercettibile sussulto, e ancora una volta schiuse le labbra pronto a sputare fuori tutto ciò che gli passava per la testa: perché stava sorridendo? Cosa aveva da sorridere? E soprattutto cosa ci faceva con quella palla da basket?
Le domande a cui Aomine non aveva ancora dato voce si tramutarono all'improvviso in un'agghiacciante presa di coscienza.
Stentava a crederci, ma sembrava proprio che Tetsuya avesse in mente di fare quello.
«Aomine-kun, facciamo una partita uno contro uno.»
«Pft-» Aomine sfiatò vagamente divertito, incrinando le labbra in un sorriso di sufficienza «Tetsu, sei impazzito?»
«Chi fa prima cinque punti: se vinci tu ti lasceremo in pace per sempre, ma se vinco io ...»
Il sorriso divertito di Aomine scomparve immediatamente, lasciando il posto ad una maschera corrucciata e incredula: davvero pensava di poter vincere? No, probabilmente era solo apparenza, probabilmente pensava di intimidirlo con la sua bizzarra determinazione o qualcosa di simile. Non che gli importasse.
«Se vinco io, allora aderirai al nostro progetto.» ma come poteva vincere? Se il Seirin aveva vinto contro il Touou, il merito era solo di Kagami, non suo; in più, da quando Taiga aveva lasciato il Giappone, Tetsuya non aveva più giocato a basket - solo negli ultimi tempi aveva ripreso con i tiri, ed era un vero disastro -
Aomine lasciò scivolare il capo leggermente all'indietro, sospirando spazientito.
«Se sei proprio sicuro, giochiamo.» nonostante nutrisse una grande ammirazione nei suoi confronti, Aomine sapeva che Tetsuya non avrebbe mai potuto vincere contro di lui, anzi non sarebbe neppure riuscito a dargli del filo da torcere, e quindi era visibilmente scocciato dal fatto che, dopo così tanto tempo passato senza neppure sfiorare la palla a spicchi, non potesse scontrarsi con un valido avversario.
Tetsuya non disse altro, accarezzò il cuoio duro e ruvido e lasciò che la palla a spicchi venisse attratta dalla gravità, che la respingesse, rimbalzando in alto per toccare un'altra volta il palmo della sua mano e che, di nuovo, precipitasse ai suoi piedi, cominciando a compiere i primi movimenti riconducibili al circolo vizioso del palleggio.


La maglia di corde bianche vibrava ancora, fissata alla solida struttura circolare del canestro; la palla a spicchi era caduta a terra e la potenza del suo rimbalzo era diminuita a poco a poco, finché le mani di Daiki non l'avevano afferrata saldamente e risollevata.
«A quanto pare hai perso la tua occasione, Tetsu.» e se da una parte Daiki poteva ritenersi sollevato della faccenda, si ritrovasse finalmente libero dalle assurde pretese di Kuroko, Kise e Momoi, dall'altra non era affatto soddisfatto, perché non era stata una sfida alla pari, non sarebbe mai potuta esserlo: Tetsuya non aveva segnato neppure un punto e lui, a realizzarne cinque, ci aveva messo giusto una manciata di minuti.
Tetsuya non diceva nulla, coraggiosamente teneva la testa alta e lo osservava negli occhi, forse in attesa che gli restituisse il pallone.
D'un tratto, però, un bagliore negli occhi di Tetsuya smosse un fremito confuso sul volto di Daiki: aveva assunto di nuovo quello sguardo determinato, e non stava più guardando lui, ma alle sue spalle; aveva perfino sorriso.
Aomine non disse altro e si voltò immediatamente, rimanendo sull'attenti quando si rese conto che Tetsuya aveva rivolto per davvero quello sguardo determinato e quel sorriso speranzoso a qualcuno che si trovava alle sue spalle.
«Ciao, Aominecchi~» Kise aveva un sorrisetto sfrontato che gli increspava le labbra, e questo non fece altro che indispettire Aomine.
«Cos'è? Vi siete messi d'accordo?» Daiki brontolò, notando che al margine del campetto si stagliava anche la figura minuta di Satsuki.
«A dire il vero è solo un caso.» Kise ricambiò il sorriso di Kuroko e tornò a rivolgere la propria attenzione ad Aomine, di nuovo con quel sorrisetto sfrontato ad increspargli le labbra «perché non giochi contro di me, Aominecchi? Chi arriva prima a dieci.»
Nonostante Tetsuya avesse appena perso e ciò lasciasse prescindere che avrebbero smesso di tormentarlo con il progetto di ripristino della Generazione dei Miracoli, Ryouta gli stava di fronte con quel sorrisetto insolente, gli serviva una sfida - che sicuramente sarebbe stata più intensa e godibile di quella avuta con Kuroko - su un piatto d'argento.
Aomine dovette ammettere a se stesso che quella sfida era fin troppo invitante, e senza che neppure se ne fosse reso conto si era ritrovato con le labbra increspate in un ghigno saccente.
Kise non stava imponendo alcuna condizione.
Se fossero state imposte le stesse condizioni di Tetsuya, le cose sarebbe state sicuramente più interessanti, il loro gioco sarebbe stato ancor più combattivo e intenso.
«Se vincerà Kise-kun, allora accetterai di far parte del progetto.» Tetsuya precedette Daiki ancor prima che potesse dire qualcosa, e forse, per il suo orgoglio, fu meglio così.
«Va bene, Aomine-kun?»
Aomine rimase in silenzio, immobile, poi lasciò che la palla compisse una breve parabola fra lui e Kise, che la afferrò immediatamente.
«E va bene, giochiamo.»
Il sorriso sfrontato di Kise si ampliò e si tramutò in una dimostrazione di speranzosa allegria, esattamente come quello di Tetsuya, che, rivolgendo un'ultima occhiata complice a Ryouta, si allontanò e raggiunse Momoi.
«Aominecchi?»
«Mhn?»
Aomine si voltò di tre quarti e poi dovette farlo del tutto quando Kise, lanciando la palla a spicchi verso di lui, gliela restituì.
«Non ho bisogno di partire avvantaggiato.» le labbra di Ryouta si erano di nuovo increspate in un quel sorrisetto insolente di chi pregustava la vittoria; gli occhi erano assottigliati, quasi avesse voluto apparire più minaccioso: era più sicuro di sé e agguerrito del solito.
Aomine e Kise presero posizione a qualche metro dal rispettivo canestro e si guardarono negli occhi ancora per qualche istante, finché il primo non sentenziò l'inizio dello scontro cominciando il rito del palleggio.
Aomine non giocava da un bel po' e quei pochi minuti che avevano suggellato il suo scontro con Tetsuya non erano riusciti a scaldarlo minimamente, ma la velocità con cui si avvicinò al canestro avversario fu tale che Kise rimase spiazzato e fece fatica a seguire i suoi movimenti.
Era un layup, un canestro in corsa che prevedeva due appoggi di piede e un salto in prossimità del canestro. Era un tiro per il quale si richiedeva soprattutto la velocità, dote che ad Aomine non mancava e che gli aveva permesso di scavalcare immediatamente la difesa intimidatoria di Kise.
Ryouta l'aveva inseguito ed era quasi riuscito a raggiungerlo, ma si rese conto che cercare di difendere in quel momento non sarebbe servito a nulla: Aomine era già saltato in alto, con la mano sinistra lievemente sollevata in difesa del pallone, che dopo qualche istante aveva sfiorato il tabellone con un tonfo sordo ed era scivolato elegantemente nel canestro.
Kise non se ne preoccupò più di tanto, piuttosto interpretò quel rapidissimo layup come un'ufficiale dichiarazione di guerra: riuscì a rubare palla e riprodusse il movimento di Aomine, ottenendo un risultato tale e quale che lo portò a pareggiare immediatamente i conti.
Le abilità mimiche di Kise erano migliorate ancora, esattamente come l'incredibile velocità di Aomine: in quel momento, per Ryouta che ormai aveva imparato a riprodurre alcune tecniche e movimenti in modo identico all'originale, se non con più potenza, si trattava di uno scontro alla pari per il quale non servivano parole, ma solo una fugace occhiata di ammirazione e un altro sorrisetto insolente, vagamente divertito.
Per almeno cinque minuti, Aomine e Kise riuscirono a tenersi testa, ad attaccarsi con schiacciate, tiri in sospensione e moltissime stoppate per tenere a bada il punteggio.
Dopo essersi liberato di Aomine con uno scatto repentino, Kise imitò una delle triple di Midorima e andò a segnò: erano pari, cinque a cinque.
Aomine stava iniziando ad innervosirsi: Kise gli era alle calcagna e non riusciva a toglierselo di dosso, e non che gli dispiacesse uno scontro del genere, ma voleva mettere un po' di distanza fra loro, per essere sicuro di vincere e poter rifiutare una volta per tutte le proposte di quei tre.
La finta di Kise non andò a buon fine, così Aomine si impadronì della palla a spicchi e si avvicinò al canestro, ma l'altro riuscì ad essergli accanto con uno scatto e gli balzò davanti, costringendolo a dribblare e poi ad attuare una finta per penetrare la difesa. Ryouta, tuttavia, fu veloce e realizzò una stoppata, mandando in fumo quello che sarebbe potuto essere il suo sesto canestro.


«Oggi il segno dei Gemelli è in prima posizione, e quello della Vergine in seconda.»
Momoi e Kuroko si voltarono di scatto, distogliendo la loro attenzione dalla battaglia che imperversava oltre la griglia metallica; Midorima, dal canto suo, non osò distogliere i propri occhi da Aomine e Kise e inforcò gli occhiali con un gesto rapido.
«Sarà un confronto spietato.»
Tetsuya fu il primo che, con le labbra increspate in un lieve sorriso, tornò a rivolgere la propria attenzione ad Aomine e Kise, mentre Momoi rimase a fissare Midorima ancora per qualche attimo, con un bagliore di gratitudine negli occhi: quel ragazzo si dimostrava restio ad ogni cosa, ma in verità erano davvero poche quelle per cui nutriva davvero un sentimento recalcitrante, e il basket andava escluso a priori; Shintarou non era certo un giocatore incallito, ma amava quello sport e, come tutti loro, avrebbe continuato a farlo.


Aomine iniziava davvero a sentirsi alle strette dopo che Kise, realizzando magistralmente la Meteor Jam di Kagami, aveva segnato il suo nono punto; sembrava intenzionato a realizzare il decimo e chiudere la battaglia, ma Daiki era riuscito a infondere ancor più forza nelle gambe e con la velocità della luce aveva strappato via dalle mani di Kise la palla a spicchi, realizzando un tiro in sospensione senza incontrare particolare resistenza da parte dell'altro: che iniziasse ad essere stanco? Probabilmente non riusciva più a reggere il ritmo, di sicuro imitare tutte quelle tecniche lo aveva messo alle strette. E poi non bisognava dimenticare il particolare della gamba, ma dando una rapida occhiata alla sua postura e alla sua espressione, Aomine fu sicuro che Kise stesse bene, benissimo: lo scontro non era ancora finito e il suo avversario non andava sottovalutato.
Era giù successo in prima superiore: gli aveva tenuto testa per tutto il tempo e solo alla fine era crollato, la Kaijou aveva perso per un solo punto.
Aomine era sicuro che la cosa si sarebbe ripetuta, che Kise avrebbe perso per un solo punto, anche se a differenza della prima superiore sembrava essere nel pieno delle forze ed era paurosamente migliorato.
Daiki decise di sbaragliare ancora una volta la difesa di Ryouta con la velocità, ma non appena gli transitò accanto si rese conto che qualcosa non andava, che intorno a loro si era creata una pressione difficile da sostenere, sia mentalmente che fisicamente. Almeno per lui.
Aomine sgranò gli occhi, sentì il pallone scivolare via dal palmo della sua mano, lontano, come mai era successo prima.
L'occhio sinistro di Kise era cambiato: la pupilla leggermente assottigliata in verticale, l'iride di un giallo più chiaro.
Aomine sentì la pressione diffondersi improvvisamente nel suo corpo, come se gli avessero ficcato un ago nel petto e iniettato veleno letale, e non appena la mano di Kise si posò sulla sua spalla capì di non poter reggere quella forza e si ritrovò a terra.
Forse servirsi dell'Occhio dell'Imperatore non era una tecnica del tutto corretta, ma Kise stava semplicemente sfruttando la propria abilità, il proprio talento, che era ormai fiorito e pareva incontenibile.
Ryouta palleggiò un paio di volte, poi tornò a guardarlo con quel sorrisetto sfrontato e senza scostare gli occhi dai suoi carezzò la palla a spicchi con i polpastrelli, infondendogli la giusta rotazione e lasciando che compisse una piccola parabola in aria, entrando nel canestro senza alcuna sbavatura.


«Mhn, come pensavo: Oha Asa non sbaglia mai.» commentò Midorima, vagamente soddisfatto che fosse stato il segno dei Gemelli a trionfare, e non perché gli importasse di Kise: era importante che vincesse lui semplicemente perché quel giorno era in prima posizione nell'oroscopo della sua astrologa preferita, ecco tutto.
Momoi esultò con una risata, stendendo le braccia al cielo in un sussulto di gioia incredula; Tetsuya ampliò il suo sorriso non appena incontrò gli occhi di Kise oltre la griglia metallica.
A Ryouta ci volle un po' per riprendere fiato, ma non sentiva la fatica, non sentiva dolore alla gamba: solo un'immensa gioia per essere finalmente riuscito a battere la persona che più ammirava al mondo, il suo avversario per eccellenza.
Quando notò che al margine del campetto c'era anche Midorima, non capì più nulla.
«Midorimacchi! Allora ti sei deciso!» era tornato il Kise di sempre, allegro e rumoroso, completamente diverso da quello sfrontato e agguerrito che fino a poco prima aveva affrontato Aomine.
Kise corse velocemente al margine del campetto, raggiungendo gli altri tre e rivolgendo un sorriso allegro a Midorima, che si era subito voltato dall'altra parte sbuffando infastidito.
«Non è così.» ma era risaputo che quando Shintarou negava qualcosa con troppa enfasi intendeva sempre il contrario.
Midorima aveva deciso di unirsi a loro semplicemente perché sentiva di avere bisogno di una distrazione, di avere bisogno di un appiglio che non fosse lo studio; soprattutto, senza il basket, si era reso conto che iniziava a sentirsi soffocare.
Complice di quella sua decisione era stato innanzi tutto Takao, che sembrava essersi proclamato come suo terapeuta personale e aveva sostenuto più volte che frequentare i suoi vecchi amici - amici? - e giocare a basket gli avrebbe fatto bene; poi ci si erano messi anche Imayoshi e Hanamiya, che dovevano essere venuti a conoscenza della cosa proprio attraverso Kazunari, e avevano iniziato a punzecchiarlo fastidiosamente.
Comunque, se si trovava lì, era solo merito della sorte - e di Oha Asa -: il segno del Cancro era terzo, quel giorno, e l'oroscopo lo intimava chiaramente a prendere una decisione per la quale aveva già rimandato più volte, lo invitava ad optare per una risposta positiva, perché il "sì", a lungo andare, avrebbe portato qualcosa di buono nella sua vita; il fatto, poi, che il suo segno condividesse il podio assieme a quello di Kise e di Aomine, si poteva interpretare solo come un segno del destino.
Kise stava per proporre, come ogni volta che lo incontrava, di tornare a casa insieme, ma le parole sembrarono morirgli sulle labbra non appena si ricordò di Aomine.
Nello stesso momento in cui Ryouta rivolse il proprio sguardo all'interno del campetto, anche gli altri tre fecero lo stesso.
Kise si congedò dai tre in silenzio e tornò nel campetto, raggiungendo Aomine a piccoli passi.
«Aominecchi?» Ryouta stesso non sapeva cosa dire, e quello fu solo un tentativo di attirare la sua attenzione.
«Lo so.» a Daiki, in un certo senso, andava bene così: avrebbe aderito al progetto solo per aver perso una scommessa e non di sua spontanea volontà, o almeno era così che, effettivamente, si presentava la situazione.
Voltandosi verso Kise, sentì il bisogno di scappare dal suo sguardo, non tanto perché fosse infastidito dall'aver appena perso contro di lui, ma piuttosto perché aveva paura che gli facesse lo stesso effetto di qualche giorno prima. Già era stato difficile giocare così stretti e pressati l'uno contro l'altro.
«Ah? Pare che il vostro progetto, alla fine, stia avendo successo.» cercò di concentrarsi su qualcos'altro e osservando Midorima non poté fare altro che dare voce al proprio disappunto: se si univano anche gli altri era finito, se invece avessero continuato a rifiutare, allora, tutto sarebbe andato in malora e lui non avrebbe più subito le pressioni di Ryouta, Satsuki e Tetsuya.
«A quanto pare sì, manca solo Murasakibaracchi! E poi potremo pensare ad Akashicchi!»
Aomine pensò che Kise avesse grinta da vendere, sembrava averla accumulata negli anni e la determinazione non faceva altro che renderlo ancor più bello ai suoi occhi: esitò solo per qualche attimo sulle labbra sorridenti di Ryouta, poi sembrò emettere un grugnito e gli passò accanto dandogli una piccola spallata.
«Andiamo.»


«Allora partirai dopodomani, Kagami-kun?» Tetsuya ruppe il silenzio e si strinse nel cappotto color cachi, lasciando sprofondare parte del viso oltre il tessuto morbido della sciarpa scura: Kagami gli aveva detto che sarebbe ripartito per Los Angeles il ventotto ottobre.
La luna stava sprofondando oltre il fiume, frustando l'acqua con rari raggi lattiginosi che filtravano oltre le nuvole scure: a dire il vero non era corretto dire: "Dopodomani", visto che la mezzanotte era passata da almeno una ventina di minuti e quindi il calendario segnava il giorno ventisette.
Kagami era a Tokyo da poco meno di una settimana, ma sembrava essersi abituato alla routine e si era deciso ad attendere Tetsuya fuori dalla pizzeria e riaccompagnarlo a casa ogni sera - anzi notte -
A Kuroko sarebbe mancata quella piacevole abitudine che era andata creandosi in così poco tempo, Kagami che lo aspettava e lo riaccompagnava a casa: avevano ricominciato a parlare senza troppo imbarazzo e l'aiuto maggiore era venuto proprio dall'incontro avuto con Kise, Murasakibara e Himuro. Quando Kagami era venuto a conoscenza del progetto aveva iniziato a parlare a ruota libera di basket, si era incuriosito e si era immediatamente schierato dalla parte di Tetsuya, pur non essendo a conoscenza della motivazione per la quale stava cercando di riunire la Generazione dei Miracoli.
Kagami appoggiava Tetsuya nel progetto che avrebbe dovuto aiutarlo a dimenticarsi di lui: la situazione era piuttosto assurda.
Quella sera avevano parlato anche di più e nonostante Tetsuya sapesse dell'imminente partenza dell'altro, era molto più sollevato all'idea che Aomine e Midorima avessero accettato - o fossero stati costretti ad accettare, come nel caso di Daiki - di aderire al progetto.
«In verità partirò la sera del trenta.»
Tetsuya gli rivolse immediatamente il suo sguardo sorpreso, forse con un po' troppa gioia negli occhi; per lo meno la sciarpa era scivolata sotto al suo naso ma non gli aveva scoperto le labbra, che si erano increspate in un sorriso flebile ma pieno di speranza: possibile che Taiga ci stesse ripensando? Menzionare il progetto del ripristino della Generazione dei Miracoli, forse, era stata per davvero una buona idea.
Tetsuya lasciò che gli occhi rimbalzassero da quelli di Taiga all'asfalto buio, poi alle scaglie d'acqua nelle quali si rifletteva il viso argentato della luna.
«Ne sono felice, Kagami-kun.» e allora il sorriso di Tetsuya si era ampliato leggermente, ancora nascosto in quell'abbraccio tiepido che la sciarpa attorcigliata creava intorno al suo viso.
Inconsapevolmente, Kagami ricambiò il sorriso di Tetsuya, perché adesso anche lui aveva increspato le labbra in una manifestazione di felicità contenuta, tornando infine a guardare davanti a sé.
«Kuroko, devo dirti una cosa.»
Il tono flebile e cauto di Kagami attirò immediatamente l'attenzione di Tetsuya.
Kuroko non riuscì neppure ad incitarlo a continuare, piuttosto si limitò a fissarlo in silenzio, con il cuore palpitante nel petto e un fremito lungo la spina dorsale, quasi fosse stata appena attraversata da una scarica elettrica talmente leggera da provocare un dolore piacevole: quello, in un certo senso, gli pareva un momento di intimità più di tanti altri, e per una volta era Kagami che voleva dire qualcosa e al quale parevano tremare le labbra.
«Il trenta non potremo passarlo insieme.»
Il silenzio di Tetsuya si prolungò e quel fremito lungo la spina dorsale, che tanto gli aveva ricordato una lieve scarica elettrica, si tramutò in una folgorazione che quasi non gli arrestò il battito cardiaco: aveva sperato davvero che Kagami volesse parlare di qualcos'altro, che volesse parlare di loro.
«Sì, dovrai pensare ai bagagli, immagino.»
«No, è che ...»
A Kagami sembrarono morire le parole sulle labbra, e Tetsuya le guardò per bene quelle labbra che prima avevano ricambiato inconsapevolmente il suo sorriso, avevano subito un fremito.
Guardò la curvatura lineare e sottile del labbro inferiore, quella leggermente più marcata e morbida del superiore: non sapeva bene se le stesse guardando per il desiderio di esserne baciato o semplicemente perché voleva catturare qualcosa, una parola morente che gli avrebbe permesso di capire senza che Kagami desse voce ai suoi pensieri.
«Il trenta dovrò andare da Tatsuya.»
Tetsuya sentì il bisogno di fermarsi, ma non volle tradirsi e fece forza sulle proprie gambe per continuare a camminare.
Perché? Che bisogno aveva, Kagami, di stare con Himuro? Per tutti quei mesi in cui non si erano visti, quei due si erano frequentati, erano tornati alla vecchia vita, perché doveva sprecare il suo ultimo giorno con Tatsuya, con cui aveva passato tutto quel tempo, e non con lui?
Tetsuya dovette inclinare la testa leggermente all'indietro, in modo da prevenire l'eventuale fuoriuscita del fiume di lacrime che sembrava star facendo pressione dietro la retina, bruciare la cornea con un sottilissimo strato lucido.
«È il suo compleanno, quindi.»
Tetsuya non riusciva a guardarlo; poteva pensare soltanto al fatto che Kagami aveva prolungato il soggiorno a Tokyo per il compleanno di Himuro e che probabilmente, in occasione del suo, si sarebbe limitato semplicemente ad un freddo sms.
«Intendevo dire che non potremo stare da soli. Ovviamente Tatsuya ha intenzione di invitare anche te, Momoi e Kise.»
«Ringrazialo.» questa volta Tetsuya fece davvero fatica ed essere educato come al solito.
«Ringrazialo, ma non credo che potrò esserci.»
Adesso era Taiga che lo guardava, con le labbra contratte in una smorfia di rammarico e il viso leggermente inclinato, gli occhi incantati su quella fragile e piccola figura: si aspettava qualcosa del genere e non lo biasimava, solo gli dispiaceva che avrebbe passato l'ultimo giorno a Tokyo con Himuro, Murasakibara, Kise e Momoi, ma senza Kuroko.
Non voleva fargli del male, ma in quel momento gli sembrò che fosse sempre stato capace unicamente di quello: ferirlo, ferirlo continuamente, senza mai riuscire a rimediare.
Lui era l'origine delle ferite di Tetsuya, e più cercava di curarle, più alimentava il flusso di dolore che già imperversava nel corpo e nella mente dell'altro.


Kagami pensò fosse la peggiore festa di compleanno di sempre, soprattutto a causa della carenza di invitati.
Era stufo di starsene inchiodato a quel tavolo con lo sguardo minaccioso di Murasakibara piantato addosso e il ronzio continuo delle parole di Himuro che era ancora convinto di poter convincere quel bambino cresciuto ad aderire al progetto di Tetsuya.
Con la scusa di dover sistemare le ultime cose nell'unico trolley che si era portato appresso, Kagami si congedò un'ora prima, pentendosi amaramente di non aver passato quell'ultimo giorno con Tetsuya.
Voleva chiamarlo, andare da lui e salutarlo, ma la sera prima, fra loro, era venuto a crearsi un tacito accordo: si sarebbero risentiti solo dopo che Kagami sarebbe tornato a Los Angeles, altrimenti Tetsuya sarebbe stato aggredito dalla tentazione di accompagnarlo all'aeroporto, sarebbe restato solo ancora una volta, con il viso bagnato di lacrime e la speranza di vederlo tornare da un momento all'altro.
«Smettila di pensarci, idiota.» Kagami sbottò contro se stesso ed estrasse il cellulare dalla tasca, tenendo premuto un tasto per qualche attimo, finché non lo vide spegnersi: doveva smetterla di pensare a Tetsuya, non doveva chiamarlo se non voleva fargli - e farsi - del male.
Kagami si raccolse il viso fra le mani e sospirò profondamente contro i palmi, massaggiandosi la fronte con la punta delle dita.
Taiga si apprestava a sprofondare in una lunga e lenta agonia, ma sembrava non se ne fosse ancora reso conto, come, d'altronde, non si era ancora capacitato dei suoi sentimenti per Tetsuya.


«Sei proprio astuto, Muro-chin.»
Himuro sapeva benissimo che quel sussurro alle sue orecchie non era ammirazione, ma un dardo infuocato che Atsushi aveva appena scoccato contro di lui.
Sentì le mani grandi dell'altro posarsi sui suoi fianchi e poi carezzarli placidamente, rendendogli difficile la presa sul piatto bagnato che stava cercando di asciugare.
«Cosa intendi dire, Atsushi?» questa volta toccò a Tatsuya recitare la parte del finto tonto.
«Insisti troppo con questa storia della Generazione dei Miracoli.»
Le dita di Himuro arrancarono sul piatto finalmente asciutto: la voce di Murasakibara era troppo seria, sibilava proprio come quella di un bambino dispettoso, maligno.
Tatsuya arricciò il naso infastidito e si scansò, fuggendo dalle sue mani, e proprio come un bambino a cui viene strappato il giocattolo di mano, Atsushi gonfiò appena le guance e lo seguì con lo sguardo, quasi a volergli far capire che essere scappato da lui era a dir poco oltraggioso.
«Kise-chin ti deve aver promesso qualcosa.» pronunciò offeso Murasakibara, senza distogliere i propri occhi dall'altro che, avendo finito di lavare i piatti, sembrava alla ricerca disperata di qualcos'altro a cui dedicare la propria attenzione.
Atsushi non sembrava proprio un tipo sveglio, ma senza dubbio conosceva molto bene sia Kise che Himuro e dopo qualche giorno passato a dormirci - non tanto a ragionarci - su aveva iniziato a sospettare dell'insistenza troppo pressante di Tatsuya.
Himuro non aveva la minima intenzione di farsi mettere alle strette e Murasakibara stava cominciando a perdere la pazienza.
«Se insisto tanto è per il bene di entrambi, Atsushi.» gli avrebbe detto dell'accordo con Kise solo dopo che avrebbe acconsentito al progetto di Tetsuya, e non perché avesse paura che rifiutasse col proposito di impedirgli di giocare con gli altri, ma perché sapeva che sicuramente si sarebbe arrabbiato, avrebbe pensato che Himuro lo avesse fatto solo per il suo bene e non per quello di entrambi.
«Tanto non ha ancora accettato nessuno.»
Himuro fu sul punto di controbattere, di dire che Aomine e Midorima avevano accettato qualche giorno prima, ma ciò sarebbe stata una chiara prova di come si tenesse strettamente in contatto con Kise per avere degli aggiornamenti.
«E se accettassero?» erano davvero rare le volte in cui avvenivano discussioni simili fra loro, ma Himuro le odiava: non riusciva a mantenere la sua solita espressione imperturbabile al cospetto di Atsushi, teneva troppo a lui per imbrogliarlo completamente.
«Se accettassero giocheresti?» così poteva semplicemente fargli gli occhi dolci, cercare di indorare la pillola con dolcetti e sesso.
«Lo faresti per me, Atsushi?» quando gli adulti si mettono nelle mani dei bambini, sorridono dolcemente e dimostrano di avere completa fiducia in loro, è difficile che i bambini li tradiscano, o per lo meno ci mettono tutto il loro impegno per renderli fieri di loro.
Murasakibara tentennò di fronte al dolce sorriso di Himuro, al carico di fiducia che lo aveva completamente investito; distolse lo sguardo e sospirò sommessamente: a quanto pareva avrebbe dovuto accontentarlo, ma prima voleva capire se il sospetto che Kise gli avesse promesso qualcosa fosse realtà o pura fantasia.


«Che ore sono?» Tetsuya si decise a rompere il silenzio pesante che da almeno una decina di minuti si era creato fra loro.
«Le ventitré.» Kise aveva dato una rapida occhiata all'orologio da polso, poi era tornato ad osservare Tetsuya, che se ne stava immobile, con le dita strette alle due cordicelle dell'altalena in mezzo alla sua e a quella di Momoi.
Tetsuya non riuscì a dire altro, ma voleva ringraziarli per essere stati lì con lui, per non averlo lasciato solo in un momento simile.
Non voleva mostrarsi vulnerabile di fronte a loro, non voleva piangere di fronte a Momoi, ma non era sicuro che avrebbe resistito, perché quella sensazione di calore che circondava l'intimo nucleo creatosi fra di loro non era altro che un invito a sfogarsi, sputare fuori tutto il dolore, le lacrime.
Erano le ventitré della sua serata libera, e mentre se ne stava seduto, anzi aggrappato, a quell'altalena, qualcun'altro si apprestava a lasciare ancora una volta Tokyo. Ancora una volta gli calpestava il cuore come se fosse stato un pezzo di carne senza valore.


Kagami non aveva ancora acceso il cellulare, si era allacciato da poco la cintura e si rifiutava di guardare al di là dell'oblò, quasi avesse avuto paura di vedere Tetsuya al centro della pista di decollo pregarlo di scendere dall'aereo e tornare da lui; quasi avesse avuto paura di pentirsi improvvisamente della sua partenza e quindi provare a lasciare il velivolo, senza però riuscirci a causa del passaggio bloccato dalle hostess e dagli steward.
Anzi, in verità si stava già pentendo.
Si augurò che Kise e Momoi fossero ancora con Tetsuya, che lo stessero distraendo, che per nulla al mondo si fosse reso conto che erano le ventitré e che quindi il suo volo era sul punto di decollare.
Non sopportava l'idea che Tetsuya potesse stare di nuovo male per lui, che perdesse il proprio sorriso per colpa sua.


Ma forse non è così? Il cuore è solo un pezzo di carne senza valore e chi lo calpesta si preoccupa soltanto che le suole delle proprie scarpe non si siano sporcate di sangue.
Tetsuya avrebbe voluto chiedere a Momoi e Kise di passare tutta la notte lì, seduti in silenzio su quelle altalene: non si sentiva completamente al sicuro, ma senza dubbio quei due erano una fonte di protezione gigantesca, la migliore che potesse desiderare.
Erano le ventitré e l'aereo di Kagami stava decollando, Kagami stava partendo senza di lui, ancora una volta.
Tetsuya si era chiesto spesso perché non potesse essere lui a partire per Los Angeles con Kagami, lasciare il Giappone, ma ogni volta si rendeva conto che a Tokyo c'erano i suoi genitori, sua nonna, Nigou, Kise e Momoi.
Era una cruda verità, ma era evidente che Kagami, al contrario di Kuroko che era incatenato al Giappone, si trovava inevitabilmente avvinghiato agli Stati Uniti, e mentre Tetsuya si lasciava rapire dai ricordi della Generazione dei Miracoli, Taiga sceglieva il suo immaginario legame di sangue con Himuro.
Tetsuya si morse il labbro inferiore e lasciò scivolare indietro il capo, in uno scatto rapido, puntando gli occhi al cielo nero, punteggiato di piccole luci troppo deboli per essere ammirate appieno.


Sì, era solo colpa sua.
Aveva agito da codardo, era scappato da un sentimento solo per paura di non poterlo comprendere e aveva calpestato la sensibilità di Tetsuya, aveva denudato la sua fragilità e corroso la loro amicizia; era come se una goccia di acido fosse caduta al centro della fotografia di due amici e avesse cominciato pian piano a divorare e lacerare la carta, separandoli e cancellandoli.
Scappare era più forte di lui, e Tetsuya era troppo altruista per fermarlo.
Tetsuya non si sarebbe mai sognato di chiedergli di restare, piuttosto rispettava le sue scelte e rimaneva in silenzio pur di non compromettere l'equilibrio della loro amicizia.
Taiga si chiese se non stesse piangendo. Aveva paura di sentirlo, quel pianto, o peggio di vederlo.
Voleva davvero bene a Tetsuya, voleva tornare indietro per dirglielo, ma l'aereo si era già issato in volo.


Tetsuya interruppe di nuovo il silenzio, ma questa volta così improvvisamente che sia Momoi che Kise si voltarono immediatamente verso di lui e rimasero imbambolati per qualche attimo, trovando molto faticoso rielaborare l'intera situazione.
Tetsuya aveva singhiozzato, forte, e quella manifestazione di disperazione era andata proiettandosi nel silenzio con ancor più vigore del normale, atterrendo gli altri due.
Ora Kuroko teneva il volto raccolto nelle mani e singhiozzava senza interruzione, con la schiena leggermente incurvate e le spalle frementi.
Alla fine Tetsuya non era riuscito a reggere, quel nucleo di intimo calore che si era creato fra loro tre lo aveva persuaso a vomitare tutto il dolore, e adesso singhiozzava rumorosamente, si teneva il viso fra le mani, poi si asciugava velocemente le guance e rendendosi conto che la cascata di lacrime sarebbe continuata tornava a coprirsi gli occhi.
«T-Tetsu-kun!» Momoi fu la prima che trovò il coraggio di intervenire e, scacciando indietro le lacrime che erano affiorate nei suoi occhi non appena aveva udito i singhiozzi disperati di Tetsuya, si alzò dall'altalena e lo abbracciò.
Tetsuya non avrebbe mai voluto piangere di fronte ad una ragazza, soprattutto di fronte a Momoi, ma era proprio così che stavano andando le cose e, come se non fosse bastato, era proprio lei che cercava di consolarlo con un abbraccio affettuoso.
Kise, al contrario, sentiva di non poter agire, non voleva vedere Tetsuya ridotto in quello stato e si sentiva assurdamente frustrato: Kagami non aveva capito nulla, Kagami continuava a ripetere lo stesso errore e Kuroko soffriva, piangeva davanti a lui che non avendo il suo amore non poteva fare nulla.
Se ci fosse stato lui, al posto di Kagami, se fosse stato lui ad avere l'amore di Tetsuya, allora le cose sarebbero sicuramente andate meglio.
Nonostante non sopportasse vedere Tetsuya piangere, Kise continuò a sorvegliarli, trovando la forza di alzarsi e avvicinarsi a loro solo quando notò che qualche lacrima aveva iniziato a solcare anche il viso di Momoi.
Nessuno sopportava l'idea che Tetsuya piangesse, in verità.
Doveva essere lui il più forte, quella sera, perché Tetsuya si era già arreso e Satsuki si era lasciata trascinare come una conchiglia in balia della furia del mare.
Ryouta non disse nulla, si limitò a chinarsi su di loro e a stringerli in un abbraccio saldo e protettivo, a chiuderli in quel nucleo di intimo calore nel quale la felicità di uno pareva dipendere completamente da quella dell'altro.

L'ombra non esiste, se non c'è luce.




Licenza Creative Commons
Quest'opera è distribuita con Licenza Creative Commons Attribuzione - Non commerciale - Non opere derivate 2.5 Italia.




L'angolino invisibile dell'autrice:

Sarò sincera … questo, fino ad ora, è il capitolo che mi piace di più.
Non mi sono particolarmente divertita a scriverlo (non nel senso che non mi ha fatto piacere, ma nel senso stretto, non mi ha strappato alcuna risatina o sorriso, se non, giusto giusto, Midorima che spunta all'improvviso mettendo completamente in mostra la sua natura da tsundere).
Piccolo appunto: quando Kuroko scorre la rubrica ho parlato di lettera “M” e lettera “A”, lasciando intendere che i nomi sono scritti in caratteri latini e non in kanji (semplicemente perché non conosco le caratteristiche del kanji e non volevo rischiare di dire qualche stupidaggine).
La parte che mi ha fatto impazzire, come avrete capito, è quella dello scontro fra Aomine e Kise.
Ho imparato qualcosina sul basket, insomma. Purtroppo ci sono movimenti che non sono facili da descrivere e non ho voluto neppure descrivere ogni singolo canestro, altrimenti non avrei finito più eeee … siccome io amo Kise, ho voluto mostrare che il suo potenziale è migliorato ancora, che nonostante i problemi alla gamba (che comunque nella fanfiction va verso il miglioramento!) sia un validissimo avversario. È una vendetta personale, visto che fra Kaijou e Touou tifavo per la prima e quando hanno perso ho più o meno frignato come Kise.
Spero di essermela cavata bene, quando ho iniziato la fanfiction avevo il terrore di descrivere una partita o anche solo un tiro. ;-;
Mi scuso per le parti centrali un po' frammentate; invece quelle finali che mostrano Kuroko e Kagami sono fatte di proposito. E scrivere di Kuroko che piange come una fontana è stata una tortura, seriamente.
Diciamo che l'unica parte che non mi ha soddisfatto pienamente è quella riguardante Himuro e Murasakibara. Devo ragionare un momentino su di loro, perché adesso mi sto concentrando molto di più su Kise (ma quando mai non mi sono concentrata su Kise?), Kuroko e dal prossimo capitolo direi … Kagami.
Ah sì, il prossimo capitolo.
Il prossimo capitolo mi farà sprofondare nella vergogna, fra l'altro è da un bel po' che non scrivo certe cose. So già che molte di voi saranno contentissime~

Ritorna all'indice


Capitolo 11
*** Capitolo X ***


Capitolo X





Una luce senza ombra perde il suo vigore. Un'ombra senza luce perde la sua ragione d'esistere.

La schiena di Daiki era perfettamente aderente al materasso, le labbra leggermente schiuse, carezzate dall'ennesimo sospiro caldo: era stato aggredito ancora una volta dal pensiero di Kise, e l'aria che era scappata all'improvviso dalla sua bocca era una manifestazione di fremente impazienza, piuttosto che di fastidio come quelle precedenti.
Aveva lasciato scivolare la mano lungo l'addome bronzeo e solido, indugiando a qualche centimetro dalla morsa che i jeans gli esercitavano intorno alla vita.
Ci aveva messo tutto il suo impegno a scacciare via il pensiero di Kise: in un modo alquanto ridicolo si era seduto sul letto e aveva tenuto le gambe ben strette e gli occhi fissi su alcuni dei suoi più fedeli giornalini, e se per qualche minuto aveva avuto l'illusione di essere finalmente riuscito nel suo intento, puntualmente l'immagine di Ryouta mezzo nudo, con i capelli grondanti d'acqua, tornava a bussare alla porta della sua mente, così aveva finito per vagare su siti a luci rosse ed era riuscito a far fronte al problema per almeno qualche giorno.
Quella mattina, tuttavia, sembrava impossibile togliersi quell'immagine dalla testa, e come se non fosse bastato se ne aggiungevano altre che non aveva mai avuto occasione di vedere ma che la sua immaginazione aveva rielaborato in un modo talmente accurato da farle sembrare vere.
All'improvviso, le gocce d'acqua che aveva visto scivolare lungo i capelli dorati di Kise, avevano cominciato a lambirgli la pelle bianca, colare placidamente fra i pettorali ben scolpiti e i fianchi sottili, superando l'asciugamano bianco che gli copriva lo spazio dal bacino fino a metà delle cosce; all'improvviso Kise si era avvicinato a lui, gli aveva posato le mani sul petto e lo aveva invitato a stendersi, così i loro corpi erano entrati in contatto e Daiki aveva avvertito chiaramente il profumo della pelle di Ryouta, ancora impregnata del calore assorbito all'interno della doccia.
L'immaginazione si era contratta e tramutata, quella visione si era improvvisamente rotta ed era tornata a ricomporsi confusamente, fatta di frammenti che Aomine non era riuscito a fissare tutti insieme, almeno finché la sua mente non aveva deciso di imbrogliarlo nel peggiore dei modi: lui era in quella doccia insieme a Kise, che si lasciava toccare dalle sue mani, si lasciava baciare, sospirava sommessamente. Ad un certo punto aveva perfino sussurrato il suo nome.
Alla fine i giornalini e i siti a luci rosse non avevano funzionato: l'immaginazione, una delle armi più potenti al mondo, aveva vinto.
In quel momento Aomine si rese conto che pensare a qualche bella modella famosa o ad una pornostar ben “equipaggiata” - che era anche più adatta per l'occasione -, sarebbe stato inutile.
Stava provando a visualizzare nella mente alcuni frammenti dei video a luci rosse che aveva guardato nei giorni precedenti, ma gli era bastato che le mani corressero a sbottonare i jeans perché l'immagine di Kise tornasse a proiettarsi nella sua mente e la sua eccitazione cominciasse a premere fastidiosamente contro il tessuto delicato dei boxer e quello più rigido del denim.
Avrebbe voluto davvero sentirlo pronunciare il suo nome come se l'era immaginato.
Nonostante si stesse apprestando - e anche con una certa fretta - a soddisfare le proprie pulsioni, Daiki non era affatto contento che Ryouta si fosse annidato in un modo così indistricabile nella sua mente: era un ragazzo che pensava ad un altro ragazzo, pensava di fare l'amore con lui sotto il getto caldo della doccia, immaginava a come la sua voce impregnata di eccitazione avrebbe potuto pronunciare il suo nome durante il momento dell'amplesso, e il suo basso ventre rispondeva immediatamente a quelle visioni inviando scosse stordenti al resto del corpo, guidando le sue mani a compiacere i propri desideri, permettendogli di godere appieno delle sue finzioni mentali.
Non aveva niente contro Kise, ma l'idea che potesse piacergli un ragazzo lo spiazzava: era omosessuale? O bisessuale? No, no: era etero, ma forse Kise era la sua eccezione. Una maledettissima e scomodissima eccezione.
Non aveva niente neppure contro gli omosessuali, ma Daiki riteneva spesso che se se ne stavano per conto loro era meglio.
Il fatto che stesse già sospirando di piacere senza aver fatto ancora nulla lo faceva vergognare di se stesso: se Kise ne fosse stato a conoscenza, probabilmente, ne sarebbe rimasto schifato.
Aomine aveva strattonato leggermente i pantaloni, inarcato la schiena e sollevato il bacino per farli scivolare più o meno fino alle ginocchia, poi aveva fatto lo stesso con i boxer neri, che erano finiti malamente arrotolati attorno alle cosce.
Fu compiaciuto di essere riuscito a liberare il suo sesso ancor prima che l'erezione si presentasse nella sua interezza, e ancor di più quando le dita della mano destra avvolsero la pelle calda, iniziando a massaggiarla appena.
Aomine preferì insistere e cercò di imporsi ancora una volta la visione di un seno grande e sodo, ma non ci era voluto molto perché capisse che sarebbe stato tutto inutile.
Tornò a pensare a Kise, a rielaborare nella propria mente momenti che non erano mai esistiti, scene che non avrebbero mai vissuto: in quel momento Ryouta si era di nuovo sistemato su di lui, ma erano entrambi nudi e lui poteva osservare l'eccitazione sul viso dell'altro, le guance imporporate, gli occhi socchiusi, le labbra gonfie e rosse.
La mano di Daiki aveva cominciato a muoversi ritmicamente, seguendo la lunghezza del membro dalla base fino al glande, il capo si era proteso leggermente all'indietro, gli occhi si erano chiusi - sia a causa dell'eccitazione, sia a causa della convinzione che ciò lo avrebbe aiutato a immaginare ancora meglio - e dalla bocca era sfuggito un altro sospiro accaldato.
Kise aveva cominciato a muoversi su di lui e il suo fondo schiena sembrava incastonarsi perfettamente col bacino di Aomine; aveva le natiche sode e lisce esattamente come avrebbe potuto essere un seno, ma l'idea dei glutei di Ryouta lo attirava molto di più della caratteristica femminile che lui amava così tanto.
Nella sua immaginazione, i movimenti di Ryouta erano divenuti più fluidi e rapidi, più caldi e piacevoli: complici i movimenti sempre più veloci e naturali che la mano esercitava sul suo sesso, facendogli ribollire il basso ventre.
Immaginando di aver cominciato ad aiutare Kise muovendo lui stesso il bacino, Aomine piegò spontaneamente le gambe, divaricandole appena, sospirando di nuovo quando una scossa di piacere si propagò nell'inguine, provocando un fremito ai muscoli sodi delle cosce.
Nonostante la situazione gli stesse dando un certo fastidio, Aomine sapeva benissimo che non avrebbe potuto fare altrimenti, che il pensiero di Kise era inevitabile: aveva resistito per tanto, troppo tempo, ma l'animo umano è fragile ed è difficile che i desideri che la persona vi cela si assopiscano per sempre, anzi spesso tendono ad esplodere e a travolgerla, sopraffarla.
Daiki si sentiva proprio così, in quel momento: sopraffatto. Sopraffatto dall'idea che Kise stesse gemendo sopra di lui e non stesse sussurrando il suo nome, bensì quel ridicolo nomignolo con cui, tanti anni prima, aveva malamente distorto il suo cognome.
La cosa fu anche più rapida del solito, probabilmente a causa dell'assurdo livello di eccitazione che quella visione gli aveva inflitto.
Le labbra di Daiki si schiusero completamente, in un sospiro roco e liberatorio, gli occhi restarono socchiusi e la fronte si corrugò leggermente: avvertì sulla pelle il calore leggermente appiccicoso del seme e la mano si impegnò ad assestare gli ultimi movimenti, assecondando il rilassamento del sesso e contribuendo alla comparsa delle ultime scosse di piacere lungo le gambe e nel basso ventre.
Avrebbe voluto davvero che Kise sussurrasse quello stupido nomignolo in preda agli spasmi di piacere, ma quello era un desiderio che Aomine non avrebbe mai lasciato uscire da quella stanza, anzi lo avrebbe chiuso in un cassetto e avrebbe buttato via la chiave.


Kise ci aveva messo tutta la sua buona volontà per resistere all'idea spinosa che lo aveva sfiorato non appena aveva visto Tetsuya scoppiare a piangere in quel modo, la sera precedente, ma se in un primo momento era riuscito a scacciarla e pensare prima di tutto a risollevare un po' l'umore dell'altro, appena arrivato a casa si era steso sul letto e non aveva fatto altro che rimuginare sull'accaduto.
Ci aveva messo sì e no due ore per addormentarsi: prima di ciò era rimasto steso a fissare il soffitto, cercando di scacciare dalla propria mente l'immagine di quelle guance arrossate e zuppe di lacrime, il suono tremante dei singhiozzi, il pensiero di quanto Tetsuya potesse essere fragile.
Tetsuya era fragile ma, per quanto lui desiderasse proteggerlo, sembrava fosse disposto a cercare riparo soltanto fra le braccia di Kagami.
Si era girato su un fianco e, sbuffando sonoramente, aveva chiuso gli occhi, ma l'immagine di Tetsuya era rimasta incatenata alle pupille, avvinghiata alle cornee, nonostante le palpebre fossero abbassate; il suono di quel pianto, ricreato nella sua mente, era divenuto a poco a poco più alto, gli aveva ferito i timpani e lo aveva spinto a scrollarsi di dosso le coperte e a cambiare posizione ogni due minuti. A poco a poco, però, il solo rigirarsi costantemente su un fianco e poi sull'altro lo aveva stancato e l'immagine di Tetsuya aveva cominciato a scomporsi in piccoli frammenti che il sonno aveva iniziato a divorare sempre più velocemente, riuscendo a portarsi via perfino l'eco lontano di quei singhiozzi che mai avrebbe voluto riascoltare.
Si era svegliato a notte fonda e in quei sessanta minuti che separavano le due dalle tre, Ryouta era tornato a pensare, ma non più al pianto di Tetsuya.
Kise aveva pensato a Kagami e, contrariamente dal solito, le opinioni che gli si erano accavallate nella mente non erano affatto positive.
Taiga era un vero idiota: poteva stare con Tetsuya, averlo tutto per sé senza dover né temere né sospettare un tradimento o un cambiamento radicale, perché Kuroko era detentore di ottime qualità: era una persona seria, buona, razionale, rispettosa e non avrebbe mai pensato di infliggergli lo stesso male che lui gli aveva riversato addosso con tanta facilità.
Era un vero idiota e si vedeva lontano un miglio che era talmente ottuso da non riuscire a capire neppure in minima parte l'amore di Tetsuya - oppure era soltanto uno stronzo e stava semplicemente facendo finta di niente, ma la mente di Kise non aveva ancora elaborato un pensiero così maligno e in tal caso avrebbe faticato a crederci -
Kise non aveva mai avuto particolare antipatia per Kagami, tutto il contrario, ma quella notte, nel buio silenzioso di camera sua, si ritrovò a ragionare su quanto fosse stupido, su quanto lo detestasse per tutto il male che stava facendo a Tetsuya e, soprattutto, su quanto lo invidiasse: lui avrebbe potuto avere una persona bellissima - sia dentro che fuori, secondo il parere di Ryouta - come Kuroko al suo fianco solo schioccando le dita, ma non lo faceva, anzi scappava e lo abbandonava a singhiozzare su un'altalena.
L'idea che lo aveva sfiorato proprio quando aveva stretto affettuosamente sia Tetsuya che Satsuki, era tornata e lo aveva tenuto sveglio fino alle prime luci dell'alba, così, alle sette del mattino, Ryouta si era alzato, aveva messo a bollire l'acqua per il tè e aveva preso il cellulare, in cerca del contatto di Kagami.
Kise era consapevole che Tetsuya non lo avrebbe mai amato - ed era una consapevolezza che sembrava essersi radicata in lui fin dall'inizio, come se fosse sempre esistita, come se fosse nata insieme al suo amore per il sesto uomo fantasma -, eppure nel suo cuore aveva lasciato spazio solo per lui, non aveva desistito e aveva continuato ad illudersi, almeno fino a quella notte.
Rendersi utile per Tetsuya avrebbe sicuramente alleggerito il carico di sofferenza che presto si sarebbe abbattuto su di lui: Ryouta ne era consapevole, anche se, al solo pensiero di parlare con quello stupido di Kagami, la bocca pareva essersi già impregnata di un retrogusto amaro, intorpidita, quasi come se lo avessero obbligato a sciacquarla con del blu di metilene.
Prima di decidersi a chiamarlo, Kise aveva consultato rapidamente la differenza di fuso orario: in quel momento, a Los Angeles, erano le quindici e quindi non avrebbe rischiato di svegliarlo per cui non ci aveva pensato due volte, aveva selezionato il contatto ed era rimasto in attesa.
Aveva cercato di resistere a quella tentazione, ma la paura di vedere Tetsuya piangere ancora era troppo grande, desiderava ardentemente che smettesse di soffrire e per farlo avrebbe pagato qualsiasi prezzo. Qualsiasi, anche se Ryouta sapeva benissimo di cosa si trattava: del suo cuore, perché a vestire i panni di Cupido fra quei due ci avrebbe rimesso solo e soltanto lui.
«Kise? È successo qualcosa?»
La domanda che giunse dall'altro capo del telefono gli fece pensare immediatamente che Kagami stesse conservando a fatica una coscienza non sporca, ma lurida: sapeva benissimo che partendo avrebbe spezzato il cuore di Tetsuya, eppure lo aveva fatto lo stesso.
Spontaneamente, le labbra di Kise si schiusero e si prepararono ad uno dei suoi soliti saluti calorosi e rumorosi, ma si ricordò immediatamente il motivo della sua telefonata e frenò appena in tempo quello che non era altro se non il suo abituale modo di comportarsi.
«Niente di particolare.» Kise assunse il tono più duro che riusciva a simulare, e subito calò il silenzio.
Kagami stentò a credere che il tono di Kise fosse alterato, tanto che preferì pensare si trattasse di un difetto di comunicazione; tuttavia, ugualmente non troppo convinto, si torturò il labbro inferiore con il canino e balbettò qualcosa.
«Allora come mai hai chiamato?» aveva lasciato il Giappone la sera prima, quindi non c'era motivo di chiamarlo, in così poche ore non poteva essere avvenuto qualcosa di così importante da spingere Kise a telefonargli, giusto? Forse, più semplicemente, aveva dimenticato qualcosa a Tokyo.
Kise si lasciò sfuggire uno sbuffo spazientito e arrendevole: doveva spiegargli tutto per filo e per segno?
«Non ti facevo così stupido, Kagamicchi.» si limitò a dire, con neanche troppa gentilezza.
Kagami corrugò la fronte in risposta a quell'epiteto inaspettato.
«Avanti, cosa c'è?» e avrebbe anche potuto controbattere in un modo più amichevole, ma ormai aveva capito il motivo di quella telefonata: Kise lo stava punzecchiando, voleva parlare di Tetsuya, e la cosa non gli piaceva affatto.
«Ma dico, Kagamicchi, quando sei venuto qui, l'hai guardato bene Kurokocchi?»
«Sì, e allora?»
«No.» a Kise non piacque affatto quella menzogna lapidaria: Ryouta pensava che Taiga fosse stupido, ma a quanto pareva la cosa era reciproca e ora Kagami tentava di rabbonirlo con qualche piccola bugia.
«Non l'hai guardato bene. E poi come ti è venuto in mente di passare l'ultimo giorno con Himurocchi?»
Adesso il labbro inferiore di Kagami era torturato da tutta l'arcata superiore dei denti: Kise stava mettendo a dura prova la sua pazienza, innanzitutto perché non erano affari suoi e, in secondo luogo, perché il rimorso per essere partito era già grande abbastanza, non serviva che qualcuno lo approfondisse ancora.
«Dovresti tornare qui.»
Come non detto: Kagami sussultò e il nervoso lasciò spazio ad uno spaesamento vagamente nostalgico.
Avrebbe dovuto tornare a Tokyo? Se l'era ripetuto finché il suo aereo non era atterrato a Los Angeles, ma ora, se ci si metteva anche Kise, tutto assumeva una piega differente, ancor più seria visto che a sostenere la campagna: “Torna a Tokyo, Taiga” erano in due e non più lui da solo. Anzi, sicuramente erano in tre, ma il sostenitore più accanito era anche il più riservato e probabilmente lo stava aspettando chiuso in camera sua, in silenzio. Sperava davvero che Tetsuya stesse bene, che non avesse pianto e che non fosse troppo triste.
«Tornare qui e osservare meglio Kurokocchi.»
Perché doveva osservarlo meglio? Cos'aveva che non andava, Tetsuya? Aveva pianto davvero? E poi non ce l'avrebbe mai fatta ad osservarlo meglio, visto che era lui che si trovava sempre i suoi occhi addosso e ogni volta doveva scostare lo sguardo per l'imbarazzo.
«Non ti sei comportato per niente bene, e lo stai facendo ancora adesso. Credi che facendo finta di niente si possano risolvere le cose?» era difficile portare avanti quel discorso: Kise non voleva né menzionare il fatto che Tetsuya avesse pianto come una fontana, né che fosse innamorato di Kagami: nel primo caso doveva capirlo da solo, e per il secondo ci doveva pensare Kuroko.
Taiga dovette trattenere qualche altro insulto, ma non riuscì più a parlare e, dopo essersi assicurato del silenzio proveniente dall'altro capo del cellulare, aveva chiuso la chiamata.
«Mhn? Kagamicchi?» Kise rimase in silenzio solo per qualche attimo, poi sbuffò il suo disappunto contro la comunicazione interrotta: ora aveva intenzione di scappare anche da una breve conversazione al cellulare? Kise preferì pensare che avesse interrotto la chiamata solo per stare un po' da solo, ragionare sul da farsi: Kagami non era così stupido, solo era spesso in ritardo per ciò che riguardava i sentimenti, nella loro comprensione e assimilazione.
Ryouta si augurò sinceramente di aver azionato la miccia che presto avrebbe portato un cambiamento e che, forse, avrebbe generato un'esplosione da cui sarebbe dipesa la felicità di Tetsuya.


Taiga fu tentato di lanciare il cellulare fuori dalla finestra, poi affacciarsi, vederlo ridotto in pezzi nel bel mezzo della strada e gustarsi la scena di un'auto che gli passava sopra in tutta fretta, riducendolo in briciole con il proprio peso.
Non voleva più ricevere nessuna chiamata da parte di Kise, e forse c'era una soluzione più saggia e meno drastica della distruzione del proprio cellulare: cambiare numero. Tuttavia pensò di dover scartare anche quell'opzione, perché dubitava che il particolare gli sarebbe sfuggito e sicuramente Kise sarebbe riuscito a rintracciarlo ugualmente.
«Non ne posso più!» ringhiò esasperato e spostò all'indietro la sedia con tanta violenza che quasi non gli scivolò dalle mani e non cadde rovinosamente a terra.
Non disse altro e si ritrovò di nuovo seduto di fronte al monitor illuminato del terminale, con il viso raccolto fra le mani.
Ormai non serviva più a nulla mentire a se stesso, Kagami non poteva più negare quei pensieri, se lo faceva rischiava di sprofondare ancora di più in quella strana frustrazione che ormai lo soffocava da mesi.
Era davvero stufo di quel tira e molla: voleva tornare in Giappone. Voleva tornare da Tetsuya.


Dopo tutto quel che era successo, Tetsuya non era molto convinto che restare solo a casa per due giorni fosse una buona idea, ma in quel momento, chiuso nell'intimità tiepida di camera sua, con le coperte tirate fino al naso, Nigou accovacciato ai piedi del letto, la televisione accesa ad un volume bassissimo su un qualche documentario del quale più che seguire il filo del discorso stava guardando le immagine, dovette convenire che aveva fatto bene a declinare l'offerta dei genitori di passare un fine settimana fuori città.
Si erano portati via anche la nonna, quindi per almeno due giorni non sarebbe dovuto correre al supermercato a comprare le uova, e anche quello era un altro punto a favore di quella silenziosa solitudine che si era creata attorno a lui e Nigou.
Restando solo non avrebbe fatto altro che pensare a Kagami, ma almeno poteva rimuginare con calma su ogni cosa, senza rischiare di essere interrotto o sorpreso ad esprimere un pensiero compromettente ad alta voce - non che fino a quel momento gli fosse mai scappato qualcosa riguardo ai conflitti mentali che si districavano nella sua testa -
L'unico dispiacere era la notte, perché Tetsuya non riusciva a dormire e ad una certa ora della serata venivano trasmessi programmi che non corrispondevano affatto ai suoi gusti, quindi non aveva altro da fare se non fissare il soffitto e pensare, nella speranza di tramortirsi con le proprie riflessioni e piombare finalmente fra le braccia di Morfeo.
Era appena passata la mezzanotte e quel documentario sulla savana sarebbe durato ancora una quarantina di minuti, per cui Tetsuya decise che avrebbe cercato di concentrarsi soltanto sulle immagini che gli venivano proposte dalla televisione, nella speranza di addormentarsi e non risvegliarsi almeno fino alle otto del mattino.
Come ogni documentario sulla savana, sembrava non riuscire ad andare al di là dei leoni e degli elefanti, dedicando rarissimi spazi a tutti gli altri animali. Proprio in quel momento, per la prima volta in tre ore, si era materializzata davanti ai suoi occhi una giraffa, ma Tetsuya distolse immediatamente il proprio sguardo dal televisore e lo rivolse al comodino, costantemente percosso da una vibrazione insistente.
Leggermente contrariato di dover negare al braccio il calore delle coperte, Tetsuya lo tese pigramente e tastò un paio di volte la superficie fredda del comodino; una volta afferrato il cellulare si sistemò sulla schiena e lo tenne sollevato davanti al viso, sul quale non si era manifestato alcun segno evidente di sorpresa: dopotutto si trattava di un sms ed era probabile che fosse da parte di Kise, o forse dei suoi genitori. A pensarci bene, però, l'orario era un po' improbabile.
Il volto di Tetsuya subì un mutamento non appena lesse il nome del mittente: l'espressione che aveva assunto si destreggiava faticosamente tra la sorpresa e l'amarezza. Il testo dell'sms si era appena materializzato sotto i suoi occhi, ma lui continuava a fissare quel nome, lo aveva riletto almeno cinque volte di seguito senza riuscire a crederci ed era indeciso se dare un'occhiata o meno a ciò che aveva da dirgli.
Erano pochissime parole, occupavano appena una riga. Per quanto ne sapeva poteva anche aver sbagliato mittente: magari aveva selezionato Tetsuya al posto di Tatsuya.

«Sei sveglio?»



Così recitava il testo dell'sms che Kagami gli aveva appena inviato.
Tetsuya si sorpresa di quella domanda e non badò più al freddo, anzi, come se fosse andato in tilt si mise immediatamente a sedere e scostò goffamente le coperte, scoprendosi la gamba destra e parte della sinistra.
Rischiava di soffocare, non riusciva neppure a digitare due lettere per come gli tremavano le dita, ma voleva rispondere immediatamente, voleva scoprire la motivazione che aveva spinto Kagami a contattarlo e a fargli quella domanda.
Voleva parlare? Voleva parlare come facevano tanto tempo prima? A Tetsuya piaceva tanto quando si metteva sotto le coperte con il cellulare e parlava con lui, allora non aveva mai problemi ad addormentarsi, anzi era bellissimo poter chiudere gli occhi visualizzando nella mente la buona notte che Kagami gli aveva inviato - Taiga era sempre il primo a crollare, fosse stato per Tetsuya sarebbe rimasto tutta la notte a parlare con lui -

«Sì.»



Seguì solo un momento di silenzio, sicuramente meno di un minuto.
Il trillo del campanello squarciò il silenzio e lo fece sobbalzare, Tetsuya si strinse appena in se stesso e fissò il cellulare con il respiro smorzato, come se prima di alzarsi per andare a vedere chi era alla porta aspettasse un altro sms da parte di Kagami. Anzi, era talmente preso da Kagami che probabilmente si era dimenticato che quando il campanello suonava bisognava andare ad aprire la porta.
Attese ancora: lo screensaver del cellulare si era oscurato sotto le sue mani e in casa era tornato il silenzio, c'era solo il suo respiro leggermente più basso e tremante a disturbare la quiete domestica.
Il campanello suonò ancora e allora Tetsuya si alzò e si sistemò goffamente il pigiama stropicciato, indugiando sulla porta di camera sua. Era in casa da solo e qualcuno suonava il suo campanello a mezzanotte e un quarto: a dirla tutta, la situazione non lo convinceva affatto.
Non appena vide lo screensaver illuminarsi di nuovo e ascoltò la vibrazione rumorosa distendersi in una sonora scossa sull'intera superficie del comodino, si precipitò a leggere l'sms.

«Ehi idiota, pensi di venirmi ad aprire o no?»



Tetsuya non fu sicuro di reggere quella notizia.
Era lui che aveva suonato il suo campanello, era alla sua porta e stava solo aspettando che gli venisse ad aprire.
Era tornato? Tornato per davvero?
Tetsuya deglutì a fatica e si asciugò velocemente le lacrime che gli erano improvvisamente traboccate dagli occhi: doveva mantenere la calma, Kagami poteva trovarsi lì per qualunque motivo.
Tetsuya, però, non fu coerente con quanto deciso e dovette continuare ad asciugarsi gli occhi finché non arrivò all'ingresso, dove se li fregò per bene e si augurò che le lacrime non li avessero arrossati.
Si schiarì flebilmente la voce e tirò su col naso, poi strizzò gli occhi e sbatté le palpebre un paio di volte, assicurandosi che fossero abbastanza asciutti.
Voleva soltanto poter aprire quella porta e sentire Kagami dire: “Resterò qui con te.”, poterlo abbracciare e lasciarsi abbracciare a sua volta. Voleva solo quello.
Tetsuya si fece coraggio e in un primo momento si aggrappò con entrambe le mani alla porta, quasi per sostenersi, poi la aprì piano piano, quasi avesse avuto paura che si trattasse di uno scherzo, di un'illusione.
Le lacrime riaffiorarono non appena vide Kagami fermo sulla sua porta: a giudicare dal fatto che avesse il trolley ai piedi, doveva essere appena arrivato, ma Tetsuya si soffermò più che altro sulla sua espressione fin troppo seria, quasi irritata.
«Scusa il disturbo. I tuoi stanno dormendo?» anche la voce era più bassa e roca del normale, quasi avesse voluto apparire minaccioso. O semplicemente aveva paura di farsi sentire dai suoi genitori o da sua nonna.
«Sono solo.» Tetsuya si era scostato dalla porta e aveva già lasciato libero lo spazio sufficiente per invitarlo ad entrare.
Kagami annuì leggermente, soddisfatto di quella notizia.
«Dobbiamo parlare.» Kagami fu tradito da un'oscillazione di voce e dall'esitazione che lo colse alla sprovvista di fronte alla porta aperta di Tetsuya, ma ormai aveva pronunciato quelle parole e quella sera stessa avrebbero parlato. Non aveva fatto un viaggio di dodici ore per niente, non aveva acquistato un biglietto all'ultimo minuto - dovendo chiedere al padre un prestito abbastanza sostanzioso e subendo perfino una bella strigliata da parte sua - per niente.
Tetsuya cercò di restare calmo e, almeno all'apparenza, continuò a fissare Kagami come faceva ogni volta, con la sola differenza che ad un certo punto lo esortò ad entrare con la voce.
«Kagami-kun?»
«Eh?! Arrivo, arrivo!»
Adesso lo riconosceva: lo aveva colto alla sprovvista, aveva reciso il filo dei suoi pensieri, e allora Kagami aveva brontolato e si era stretto appena nelle spalle, varcando finalmente la soglia.
Taiga non era sicuro di ciò che sarebbe avvenuto dal momento in cui si chiusero la porta alle spalle, ma aveva intenzione di affrontare la questione una volta per tutte, finalmente.
Era scappato per troppo tempo e sentiva il bisogno di mettere da parte tutti quei tormenti e affrontare la questione di petto, esattamente come faceva nel basket.
Basta pensare troppo: quella sera avrebbe chiesto a Tetsuya quali fossero i suoi sentimenti, senza troppi rigiri di parole.
Mentre Tetsuya gli faceva strada in cucina, Kagami non poté fare a meno di notare di quanto gli stesse largo quel pigiama verde chiaro e gli inconfondibili capelli azzurri che gli si spettinavano non appena infilava la testa sotto le coperte: se non si fosse trovato in un'impasse sentimentale così intricata, probabilmente avrebbe sorriso.
Non aveva intenzione di farsi offrire un tè o chissà cos'altro - anche se effettivamente aveva parecchia fame -, né voleva sedersi con Tetsuya: preferiva restare fermo dov'era, sulla porta di cucina, e l'altro doveva essersene accorto, visto che si era immobilizzato esattamente come lui e lo stava fissando in silenzio.
«Senti, Kuroko ...» la gola gli pizzicava insistentemente, tanto che dovette deglutire un paio di volte e schiarirsi la voce prima di riprendere «ti chiedo scusa per l'altro giorno.»
Quello glielo doveva, e lo sapeva benissimo, solo gli dispiaceva che la sua voce fosse così roca e bassa a causa dell'agitazione.
Tetsuya era rimasto in silenzio: non se la sentiva di dire che non era niente o che faceva lo stesso, perché in effetti non era stato così, e poi gli sembrò che Kagami avesse qualcos'altro da dire.
«Kuroko, c'è qualcosa che vuoi dirmi?» forse non era corretto da parte sua, ma Taiga non aveva ancora capito cosa provasse per Tetsuya, quindi preferiva iniziare da lui, che sembrava avere le idee chiare.
Questa volta Tetsuya fu sicuro di non essere riuscito a mantenere la sua espressione di calma apparente, anzi si era sentito attraversare da un fremito, aveva scosso appena la testa quasi avesse desiderato che Kagami non glielo avesse chiesto per davvero ed era addirittura arretrato di un passo.
Non era contemplabile chiedergli che cosa intendesse con quella domanda, perché glielo vedeva negli occhi: Kagami aveva capito tutto ed era lì solo per una conferma. E dopo la conferma? Cosa avrebbe fatto dopo la conferma? Se era venuto fino a Tokyo significava che non aveva intenzione di tornarsene immediatamente indietro, vero? Tetsuya faticava a crederlo capace di un gesto tanto vigliacco.
Adesso era Tetsuya quello che cercava di gestire al meglio la sua voce, le sue movenze e i suoi sentimenti: si schiarì la voce e chinò leggermente il capo, muovendo appena i piedi nudi lungo la superficie ruvida del tatami.
A Taiga sembrò fosse entrato in una sorta di trance: si fissava i piedi come se fossero stata la cosa più interessante del mondo, poi gli era venuto in mente di sistemarsi i capelli con un gesto rapido della mano, ma aveva fatto più danni che altro.
«Kagami-kun.» Tetsuya dovette optare per una piccola sosta e deglutire immediatamente: aveva la sensazione che se avesse parlato senza fare pause avrebbe finito per sputare il cuore.
«Sì, c'è qualcosa che ti devo dire.» Tetsuya fece un'altra pausa «dalla prima superiore.»
Nonostante avesse il cuore in gola e stesse tremando come una foglia, Tetsuya trovò il coraggio di guardarlo negli occhi e riuscì ad alzare la voce quel tanto da poterla rendere ferma e decisa.
«Kagami-kun, io sono innamorato di te.» ma era proprio da Tetsuya alternare momenti di determinazione a istanti di abbandono, tanto che, dopo averlo detto, si sentì così leggero da lasciarsi andare e arrendersi ad un improvviso capogiro.
Kagami, che era indeciso se snocciolare o meno la questione, si era dovuto tuffare in avanti per sorreggerlo e, di conseguenza, dovette optare per un no.
«Non svenire proprio adesso, cretino!»
Tetsuya rimase con le mani aggrappate alla schiena dell'altro solo per qualche attimo, godendo della sua vicinanza, del suo profumo e della stretta forte delle sue braccia pronte a sorreggerlo. Qualunque fosse stata la risposta di Kagami, non importava: si sentiva molto più leggero ora che glielo aveva confessato, per lo meno era sicuro che l'eventualità futura di convivere con il rimorso per non averglielo detto era appena stata scongiurata.
«Kuroko.» Tetsuya si era raddrizzato e, anche se ancora un po' traballante, riusciva a stare in piedi con le sue forze, ma Kagami non aveva ancora sciolto la presa e quasi non gli parlava nell'orecchio, come se avesse voluto rassicurarlo con la sua vicinanza.
«Ti devo chiedere di aspettare ancora un po'.» non l'aveva mai tenuto così stretto a sé, per così tanto tempo, ma doveva ammettere che c'era qualcosa di adorabile nel modo in cui Tetsuya si teneva aggrappato a lui, quasi gli stesse pregando di non scappare di nuovo.
«Non ti voglio illudere, mi fermerò in Giappone per un po' e cercherò di fare chiarezza sui miei sentimenti, ma alla fine potrei anche decidere di ripartire.»
In quelle parole, Tetsuya, aveva visto alternarsi il positivo al negativo: si sarebbe fermato in Giappone e avrebbe fatto chiarezza sui suoi sentimenti - il che significava che Kagami pensava di amarlo, ma non ne era sicuro, oppure era convinto di non provare nulla per lui ma aveva comunque qualche dubbio a riguardo -, ma esisteva anche la crudele possibilità che potesse decidere di ripartire, infliggendogli il colpo di grazia.
«Ti ho aspettato per tutti questi mesi, posso farlo ancora.» Tetsuya borbottò risoluto contro il suo petto, infine Kagami - evidentemente imbarazzato - sciolse la stretta e arretrò.
«Adesso è meglio che vada.»
«Sì.» Tetsuya gli si affiancò e lo accompagnò alla porta, e Kagami dovette fermarsi non appena lo vide varcare la soglia e accingersi a seguirlo.
«Eh? Che fai?»
«Ti accompagno.»
Kagami si chiese sinceramente se non si fosse completamente rincoglionito.
«T-torna in casa, Kuroko!» aveva additato la porta e borbottato con indignazione, cercando di esortarlo a seguire la sua richiesta apprensiva.
«Perché?»
Kagami lo fulminò con lo sguardo e poi abbassò i propri occhi sui suoi piedi.
«Innanzi tutto perché non hai neanche delle scarpe ai piedi, e poi sei in pigiama, prendi freddo. E non esiste che ti faccia tornare indietro da solo, a mezzanotte passata!» Kagami lo aveva spinto con scarsa delicatezza contro la porta e Tetsuya aveva dovuto riaprirla subito per non subire una collisione.
Kagami si stava preoccupando per lui, e niente lo avrebbe reso più felice.
«Allora buona notte, Kagami-kun.» gli era stato dato appena il tempo di augurargli la buona notte con le labbra increspate in un sorriso, prima che Taiga lo spingesse dentro casa e chiudesse la porta per lui, ricambiando la buona notte in tutta fretta.
Ritrovandosi solo in casa, Tetsuya trasse un grande sospiro e si lasciò scivolare ai piedi della porta con le labbra increspate in un sorriso e le ginocchia al petto, nel tentativo di conservare il calore e il profumo che la stretta di Taiga aveva lasciato sul suo corpo.


Kise c'era rimasto di stucco quando, la mattina dopo verso le dieci, Kagami gli aveva telefonato per chiedergli di incontrarsi. Doveva ammetterlo: l'aveva sottovalutato, aveva pensato che sarebbe rimasto a crogiolarsi nei suoi pensieri ancora per un po' e non si sarebbe mosso da Los Angeles se non dopo un paio di giorni.
Era stato Kise a stabilire ora e luogo d'incontro: quel giorno avrebbe dovuto posare per una rivista di capi intimi da mattina a sera, quindi aveva proposto a Kagami di incontrarsi nel ristorante di fronte allo studio fotografico, a l'una in punto.
«Kagamicchi?» Kise aveva dovuto distogliere l'attenzione dalla sua insalata e inclinare leggermente la testa di lato per cercare lo sguardo dell'altro.
«M-mhn, sì.»
«Sembri un po' … addormentato.»
«Il fuso orario.» Taiga brontolò e si sfregò gli occhi: erano giorni che faceva la spola tra Los Angeles e Tokyo e quel ritmo era diventato insostenibile, in più ripensare alla confessione di Tetsuya non lo aveva aiutato affatto e gli aveva impedito di dormire.
Kagami chiamò il cameriere e ordinò una seconda bistecca sotto lo sguardo basito di Kise: nel tempo in cui lui aveva svuotato mezza insalatiera, Taiga era riuscito a divorare già uno di quei pezzi di carne giganteschi, ma ovviamente non era ancora sazio. Il fuso orario l'aveva sconvolto e gli aveva sottratto il sonno, ma non l'appetito famelico che tanto lo caratterizzava.
«Allora? Di cosa volevi parlarmi?» Kise era sollevato all'idea che avesse ancora un'ora di pausa e che quindi avrebbero potuto parlare con calma, l'unica cosa di cui si stava preoccupando era lo stomaco di Kagami: aveva l'impressione che avrebbe continuato a mangiare fino a quando non si sarebbero salutati.
«Ieri sono andato da Kuroko.» Kagami diede un'occhiata alle sue spalle, impaziente di ricevere la seconda bistecca.
Kise, dal canto suo, rimase in silenzio e infilzò un po' di insalata con la forchetta, cercando di non apparire troppo interessato alla cosa.
«Che cosa vi siete detti?»
«Kuroko mi ha detto che …» Kagami incrinò le labbra in una smorfia imbarazzata, distogliendo lo sguardo da Kise che ora non poteva fare a meno di guardarlo.
«Beh, mi ha detto che gli piaccio.»
A Kise cominciava sinceramente a non piacere quella conversazione, ma dopotutto se lo meritava: fino a prova contraria era stato lui a dare la spinta necessaria perché Kagami cominciasse a muoversi.
«E tu cosa gli hai detto?» mantenere un tono di voce normale e il sorriso sulle labbra non era affatto facile.
«Io … gli ho chiesto di aspettare.»
Kise lo fulminò con lo sguardo, ma Kagami non se n'era accorto perché distratto dall'arrivo tanto atteso della seconda bistecca, sulla quale si era immediatamente fiondato, brandendo coltello e forchetta.
«Non ti piace Kurokocchi?» Ryouta era tornato alla sua insalata, ma si limitava semplicemente ad infilzarla senza portarla alla bocca: gli era passata la fame.
Kagami lo guardò con le guance rigonfie di cibo e cercò di masticare il più in fretta possibile per riprendere il discorso: era imbarazzante doverne parlare così apertamente con qualcuno, ma se non lo avesse fatto non sarebbe mai riuscito a venire a capo di quella storia: Kise era la persona giusta, sicuramente sapeva come aiutarlo e avrebbe dispensato qualche consiglio utile.
«Il problema non è Kuroko.» per quello che era in procinto di dire, Taiga dovette prima sciacquarsi la bocca e bere un po' d'acqua.
«Io voglio molto bene a Kuroko, però non sono sicuro che … mi piacciano i maschi.» Kagami aveva rivolto la propria attenzione alla bistecca e aveva ricominciato nervosamente a tagliuzzarla.
«Forse dovrei provare.»
«Con chi? Con Kurokocchi?» Kise aveva assottigliato lo sguardo, in un'espressione di disappunto «se provassi con lui e poi non ti piacesse, lo illuderesti soltanto.»
Kagami sollevò il proprio sguardo e lo incatenò a quello di Kise, mordendosi il labbro inferiore nel riconoscere che forse aveva ragione.
«Allora dovrei provare con qualcun altro?»
Kise sospirò flebilmente e si raddrizzò sulla sedia, grattandosi la tempia pensieroso.
«Se io fossi Kurokocchi e venissi a sapere che per capire se ti piacciono i maschi hai provato con quancun altro, non ne sarei molto felice.»
Taiga lo guardò in cagnesco e sospirò spazientito: non era colpa di Kise, ma quella situazione che all'apparenza non aveva via d'uscita cominciava ad innervosirlo.
«Credo che dovresti semplicemente aspettare, valutare bene ciò che fai. Cerca di non agire d'impulso come tuo solito, Kagamicchi.»
«Cosa? Io non agisco d'impulso!»
Kise accennò un sorriso e mise da parte l'insalatiera.
«Eh? Kise, se non la mangi la finisco io.»
«Non avevo dubbi.» Kise sfiatò vagamente divertito da quell'ingordigia assurda.
«Comunque ...» Kagami si protese leggermente e afferrò l'insalatiera, portandola dall'altra parte del tavolo «magari anche Kuroko non è sicuro della cosa.»
Le ultime parole di Taiga catturarono l'attenzione di Ryouta.
«Di cosa non è sicuro, secondo te?»
«Magari anche lui non sa se gli piacciono i maschi o no, credo sia possibile a questa età, no?» Kagami si strinse nelle spalle e Kise rimase a fissarlo in silenzio: Tetsuya non gliel'aveva detto?
Ryouta negò appena e accennò una risata nervosa.
«Eh? Cosa c'è?»
«No, Kagamicchi, non è possibile.»
Kagami lo fissò incuriosito, esortandolo a continuare con la sola forza dello sguardo.
Kise iniziava a trovarsi a disagio, davvero non aveva previsto che avrebbe dovuto comunicare a Kagami quella questione ormai ancorata al passato.
«Kise? Perché dici che non è possibile?»
Kise aveva estratto il portafoglio dalla tasca del cappotto e aveva estratto una banconota, l'aveva posata sul tavolo ed era tornato a fissare Kagami.
«Kurokocchi è già stato con un ragazzo.» sospirò e si grattò la radice del naso a causa del disagio che la situazione stava suscitando dentro di lui.
Kagami era rimasto a fissarlo in silenzio, con le labbra schiuse in un respiro spezzato a metà, ora bloccato in gola.
Kise lo vide sbattere un paio di volte le palpebre e scuotere appena il capo, confuso.
«Chi? Quel suo amico?» Kagami aggrottò la fronte nello sforzo di ricordare il nome «O-Ogiwara?»
Kise si alzò da tavola seguito dallo sguardo di Kagami che avrebbe voluto chiedergli perché se ne stesse già andando, ma che, troppo concentrato a scoprire qualcosa in più sul passato di Kuroko, non riuscì più ad aprir bocca.
«Kurokocchi è stato insieme ad Akashicchi per qualche mese.»
Kise si dispiacque di dovergli dare quella notizia, visto che era in procinto di dargliene un'altra che probabilmente non l'avrebbe soltanto sorpreso e spiazzato come questa, ma anche irritato.
«Kagamicchi, volevo dirti un'ultima cosa.» nonostante Kagami avesse un'espressione sconvolta, era abbastanza lucido da rivolgere ancora il suo sguardo in direzione di Kise, che riprese a parlare non appena fu sicuro di avere la sua attenzione.
«Cerca di chiarire in fretta i tuoi sentimenti per Kurokocchi, altrimenti sarò io a farmi avanti.»

Luce ed ombra creano un intreccio di continua attrazione e costante repulsione: immediatamente troppo vicine, e subito dopo così lontane da non riuscire neppure a sfiorarsi.




Licenza Creative Commons
Quest'opera è distribuita con Licenza Creative Commons Attribuzione - Non commerciale - Non opere derivate 2.5 Italia.




L'angolino invisibile dell'autrice:

Boooh. Posso sprofondare nella vergogna, sì? La prima parte è quella che ho detto avrebbe fatto contente molte fra voi, ma alla fine non è detto che sia così XD
Non scrivo di certe cose da un po', quindi non ho idea di come possa essere venuta (Aomine però è venuto, e questo posso dirvelo con certezza). Alternare le fantasie di Aomine con la se– con il suo “lavoro di mano” (?) mi ha aiutato molto, e poi in questo caso sono riuscita ad inserire un po' di AoKise. Scrivendo quella parte mi sono lasciata andare, lo ammetto!
In verità per quanto riguarda questo capitolo non ho molto da dire, solo che mentre scrivevo di Kagami e Kuroko alternavo i sorrisini beoti con le lacrime. Mi hanno regalato una bella serata, questi due ;u;
E niente, ho voluto concludere martellando Kagami con la notizia della relazione di Kuroko e Akashi e con la sfida di Kise per conquistare il cuore del sesto uomo fantasma (mi vendico un po', visto che Kagami ha fatto il finto tonto per mesi e ha fatto patire Kuroko come un cane, ecco).
Credo che anche il prossimo capitolo sarà molto gradito, e allo stesso tempo ci sarà un bacio che penso sarà abbastanza inaspettato.
Già che ci sono faccio pubblicità alla mia nuova fanfiction, “No Mercy”: http://efpfanfic.net/viewstory.php?sid=2587413&i=1
Credo non sia una cattiva idea e voglio impegnarmi nella sua scrittura, ma per ora non è stata ancora considerata. Spero soltanto che alcune care personcine che seguono Hall of Fame decidano di dare un'occhiata anche a questa e magari esprimere le loro opinioni a riguardo, mi farebbe molto piacere! >w<
Stasera mi faccio pubblicità anche alla pagina di FB, ma sì: https://www.facebook.com/pages/Neu-Preussen-EFP/416393978469818?ref=hl
Alla prossima!

Ritorna all'indice


Capitolo 12
*** Capitolo XI ***


Capitolo XI





Sguardi lontani che si fondono, dita separate che si uniscono.

Due rivali in amore devono sempre soppesare le proprie scelte, devono agire con cautela e, soprattutto, devono cercare di anticipare le mosse dell'avversario in ogni modo possibile.
Sia Kise che Kagami erano rimasti incastrati in un'immobilità cauta e confusa per un paio di giorni.
Contrariamente da quanto ci si potesse aspettare, Ryouta aveva dovuto far fronte alla tentazione di chiamare Tetsuya - o presentarsi direttamente alla sua porta - più volte di quanto non avesse dovuto fare Taiga, e questo perché Kagami aveva avuto il desiderio di chiamare Kuroko solo immediatamente dopo aver scoperto della sua passata relazione di Akashi, dopodiché era rimasto vittima dei propri pensieri, di una frustrazione nervosa non indifferente.
Il fatto che Tetsuya gli avesse tenuto nascosta una cosa così importante lo irritava. Era davvero sicuro di conoscere abbastanza bene il passato della sua ombra, visto che dopo la partita con la Touou, in prima superiore, era stato proprio Kuroko a voler raccontare al Seirin com'erano andate le cose alle medie, ma ancora una volta la storia di quel ragazzo si era rivelata evanescente e inafferrabile, gli era sfuggita da sotto gli occhi e lui era stato incapace di fare indagini ulteriori, forse per paura di scoprire qualcosa di cui non avrebbe mai voluto venire a conoscenza.
Non aveva avuto tempo di chiedere a Kise cosa intendesse per: “Qualche mese.” che a parer suo poteva essere un numero come tre, come cinque, ma anche come dieci - pur essendo numeri non troppo lontani sulla punta delle dita, erano comunque cifre piuttosto differenti e sarebbero state sicuramente più indicative di quell'informazione generica e frettolosa -
Come se non fosse bastato, Kise si era fatto avanti.
Scoprire del passato di Tetsuya con Akashi e dei sentimenti di Kise per lui non era stato molto rassicurante per Taiga, effettivamente.
Adesso aveva la sensazione di dover sempre essere in guardia, adesso aveva sinceramente paura che qualcuno potesse portargli via Tetsuya anche se lui, dal canto suo, non era ancora riuscito a comprendere i propri sentimenti.
In cuor suo non temeva la sfida di Kise: era evidente che Tetsuya provasse qualcosa per lui, glielo aveva anche confessato, quindi poteva ritenersi abbastanza tranquillo, perché far disinnamorare qualcuno e farlo innamorare di qualcun altro era piuttosto difficile e a Ryouta un'impresa del genere non sarebbe mai potuta riuscire in pochi giorni - chissà, forse era da mesi che ci provava e non ce l'aveva ancora fatta -. Ciò che più preoccupava Kagami, ciò che gli aveva messo una pesante angoscia dentro, al centro del petto, era il nome di Akashi.
Che fine aveva fatto, Akashi? Si sentiva ancora con Tetsuya? Lo amava ancora? Aveva intenzione di portarglielo via come avrebbe voluto fare Kise?
La minaccia di Ryouta gli aveva dato solo una piccola spinta, in confronto alla paura che aveva di perdere Tetsuya a causa dell'intromissione di Akashi: sentiva il bisogno di parlare ancora una volta con la sua ombra, chiedergli perché non glielo avesse detto, scoprire qualcosa di più. Due giorni prima si era presentato alla sua porta e lo aveva esortato a confessargli i propri sentimenti: era andato tutto bene, quindi Kagami aveva ragione di credere che le cose si sarebbero risolte anche in quella situazione.
Così, passati due giorni a riordinare l'appartamento - visto che si sarebbe trattenuto di più -, a fare provviste di cibo e a pensare, Kagami si era deciso a chiamare Tetsuya per invitarlo a cenare e a dormire da lui.
Proprio adesso che se lo ritrovava davanti, intento ad estrarre il pigiama dal borsone - il vecchio borsone che usava al Seirin e che alla sola vista aveva suscitato un bel po' di nostalgia nel cuore di Kagami, per altro -, Taiga lo stava osservando e si stava chiedendo se fosse davvero il caso di indagare sul suo passato.
Se, raccontandogli delle medie, Tetsuya aveva parlato di Ogiwara, di Aomine, di Haizaki, del coach Shirogane e delle vittorie della Teiko, senza mai menzionare una sola cosa che potesse far sospettare una relazione fra lui ed Akashi, forse esisteva una ragione valida. Forse era semplicemente uno di quei rapporti finiti male e preferiva tenerlo chiuso nel cassetto dei ricordi, senza rivangare troppo i vari accadimenti; forse riparlarne lo avrebbe avvilito, rattristato, e Taiga non voleva vederlo ancora in quello stato.
In più, se glielo avesse chiesto, Tetsuya avrebbe sicuramente voluto sapere come ne fosse venuto a conoscenza, avrebbe scoperto che, dopo la sua confessione, Kagami era andato a cercare consiglio da Kise e la cosa non gli avrebbe certo fatto piacere.
Alla fine Taiga pensò fosse meglio aspettare che fosse proprio Tetsuya a dirglielo: dopotutto gli doveva dare fiducia, qualcosa di fondamentale in un rapporto.
Kagami si stupì dei suoi stessi pensieri e sgranò appena gli occhi, scuotendo la testa con vigore e sentendosi avvampare: perché diavolo gli veniva in mente la questione della fiducia? In un rapporto? In un rapporto di che genere? Perché fino a prova contraria non era ancora successo nulla, fra loro!
«Sai, dopodomani finalmente vedrò Kise-kun, Aomine-kun e Midorima-kun al campetto.» fu Tetsuya a rompere il silenzio con le labbra increspate in un lieve sorriso, mentre indugiava con le dita aggrappate al tessuto morbido e caldo del maglione «potresti venire anche tu.»
Kagami, però, non aveva risposto: era rimasto immobile alla scrivania, seduto sulla sedia a fissare la piccola sagoma di Tetsuya, intento a sfilarsi il maglione.
Kise gli aveva raccomandato di non agire di impulso, ma molto probabilmente si trattava di un consiglio per depistarlo, per fargli allentare la presa su Tetsuya e approfittarne. Dal canto suo, Kagami era sicuro di provare qualcosa per Tetsuya, qualcosa che andava più in là della semplice amicizia: l'attrazione c'era, ma non era sicuro che oltre a quella mentale ci fosse anche quella fisica, tutto lì il problema.
Si era concentrato talmente tanto a seguire la linea lunga e sottile della spina dorsale nel bel mezzo della schiena bianca e magra di Tetsuya che non era neppure riuscito a sentire precisamente cosa avesse detto l'altro.
Kagami non era riuscito a sentire i nomi che erano venuti dopo: “Kise-kun”. Perché Tetsuya parlava di Kise in un momento del genere? Lo aveva invitato a casa sua con l'intento di allontanarlo da Ryouta, aveva preso un po' di coraggio per stare solo con lui, e ora Kuroko si metteva a parlare proprio del suo rivale. Ci mancava solo che si mettesse a parlare di Akashi, magari che gli dicesse che era venuto a trovarlo o, peggio ancora, che in quei mesi che lui aveva passato a Los Angeles si erano visti più volte, magari erano usciti insieme o avevano cenato allo stesso tavolo esattamente come avevano fatto loro poco prima.
Il sangue gli stava ribollendo dalla gelosia, sentiva che per nessuna ragione al mondo avrebbe mai lasciato andare Tetsuya, si sarebbe messo fra lui e Kise, fra lui e Akashi, fra lui e qualunque altro pretendente avesse osato reclamare il suo amore, però, nello stesso istante, dovette arrendersi alla triste evidenza che la schiena nuda di Kuroko non suscitasse alcun interesse in lui. Certo, era solo una schiena, ma se fosse stato attratto fisicamente da Tetsuya avrebbe potuto sentire il bisogno di carezzarla, il desiderio di baciarla: invece non avvertiva nulla di particolare, solo continuava a fissarla così concentrato da non riuscire a capacitarsi di ciò che accadeva intorno, delle parole dell'altro.
Non doveva agire d'impulso, ma Taiga fece esattamente il contrario.
«Kagami-kun?» Tetsuya si era voltato verso di lui, ancora a petto nudo e con la parte superiore del pigiama stretta fra le mani, richiamando la sua attenzione a causa di una risposta che non era ancora arrivata; Taiga, dal canto suo, non disse nulla e si drizzò in piedi, piazzandosi di fronte a lui in un istante.
Tetsuya sollevò il viso e schiuse le labbra, forse in procinto di dire qualcosa; Taiga rimase immobile, sbirciandolo con una rapida occhiata e le labbra leggermente incrinate in una smorfia imbarazzata.
Lo voleva stringere esattamente come aveva fatto l'altra notte, voleva sentire le sue dita arrancare sulla sua schiena, il respiro calmo stuzzicargli la guancia, il battito agitato e inarrestabile del cuore di Tetsuya vicino al suo.
Non avrebbe mai permesso che Kise o Akashi glielo portassero via.
Proprio nel momento in cui Tetsuya schiuse maggiormente le labbra e sillabò una parte del suo cognome, Taiga gli portò una mano sulla guancia e subito dopo sulla nuca, chinandosi su di lui e conducendolo alle sue labbra.
In un primo momento, Tetsuya spalancò gli occhi e si irrigidì contro il corpo dell'altro, lasciando cadere la parte superiore del pigiama ai suoi piedi: trovava davvero difficoltà a capacitarsi di ciò che stava avvenendo, non riusciva a credere che finalmente, dopo aver passato così tanto tempo a desiderarlo, le labbra di Kagami fossero incollate alle sue, calde e morbide proprio come le aveva sempre immaginate.
Tetsuya si sentì avvampare, ma rendendosi conto che Taiga non aveva alcuna intenzione di lasciarlo andare si strinse a lui e schiuse le labbra per dargli modo di approfondire il contatto.
In un attimo, Kagami era divenuto incapace di pensare, non era sicuro di saper tenere in mano le redini di quella situazione, era come se tutti i neuroni fossero stati spazzati via, come se ogni senso fosse morto: rimanevano soltanto le labbra di Tetsuya sulle sue, la lingua che indugiava su quello inferiore e poi decideva di farsi strada nella bocca dell'altro.
Anche le mani di Tetsuya che arrancavano sulla sua schiena, quelle stesse mani che poche sere prima aveva amato così tanto, erano passate in secondo piano: la vicinanza dei loro visi, il contatto delle loro bocche, era molto più importante, gli faceva sentire così caldo che quasi pensò di avere la febbre a quaranta.
In tutto quel tempo, Kuroko sembrava non aver aspettato altro, tanto che diventò subito molto più intraprendente di Kagami e assaporò con insistenza la sua lingua; Kagami si sorprese sinceramente che ogni inibizione e ogni riservatezza tipiche di Tetsuya fossero volate via con quel bacio, ma non voleva scappare per quanto fosse sconcertato e alquanto spaesato, anzi si era reso conto che averlo così vicino, che stringere quel corpicino fra le braccia e assaporare le sue labbra, era una delle sensazioni più belle che avesse mai vissuto.
Come un soffio poteva spazzare via ogni soffice ciuffo bianco di un dente di leone, un bacio aveva annientato tutte quelle inibizioni che avevano sempre impedito alle loro labbra di sfiorarsi, aveva disfatto il pudore di Kagami e la riservatezza di Kuroko in un attimo.
Nello stesso momento in cui si consumava quel bacio, Tetsuya percepì chiaramente la vibrazione del cellulare provenire dal borsone che aveva posato sul letto, ma ovviamente preferì restare incollato a Taiga e finì per dimenticarsene.
Abbandonando la fase del sonno per entrare in quella del dormiveglia, Tetsuya non aveva osato scollare la guancia dal petto di Kagami, era rimasto in ascolto del battito lento e distinto del suo cuore e si era lasciato cullare dai movimenti cauti e alternati del diaframma, prima sospinto in alto a causa dell'inspirazione, poi ritratto verso il basso a causa dell'espirazione.
Alquanto contrariato all'idea di alzarsi, ma ormai irrimediabilmente impossibilitato a dormire a causa della luce tenue che filtrava oltre il tessuto color pesca delle tende, Tetsuya scostò la guancia dallo sterno di Kagami e sollevò il capo, lasciando che la coperta gli scivolasse via dalla testa, rivelando il suo viso ancora stropicciato dal sonno e i capelli rigorosamente spettinati e indomabili.
Kagami percepì quasi immediatamente le mani di Tetsuya aderenti al suo petto: si stava sorreggendo a lui e, aprendo gli occhi in una fessura, per evitare che la luce improvvisa del mattino li ferisse, Taiga notò che l'altro si era allungato su di lui e stava tastando il comodino con qualche movimento goffo e impacciato.
«Hai da fare, oggi?» borbottò Kagami con la voce impastata dal sonno, lasciando che Kuroko tentasse di recuperare il cellulare.
«Stasera devo lavorare, ma per il resto della giornata sono libero.» Tetsuya era finalmente riuscito a recuperare il cellulare, così si era sistemato sulla schiena, accanto a Kagami.
Taiga, dal canto suo, rimase in silenzio per qualche attimo, pensando che ormai la scelta fra: “Resto qui per un po'.” e: “Resto qui per sempre.” fosse ormai ovvia e che, quindi, avrebbe dovuto chiamare i suoi genitori per avvisarli e, soprattutto, avrebbe dovuto trovarsi un lavoro esattamente come Tetsuya.
Kuroko sobbalzò non appena notò la presenza di un sms, e fu allora che si rese conto di aver completamente dimenticato che la sera prima, mentre lui e Kagami si stavano baciando, il cellulare aveva vibrato.
Aveva avvisato i suoi genitori e lui e Taiga non avevano osato spingersi oltre il bacio - anche se avevano dormito insieme -, ma come se avesse fatto tutto di nascosto e come se si fosse spinto molto oltre l'abbraccio e il contatto caldo delle bocche, Tetsuya si sentì colpevole e, per pochi istanti, temette perfino il contenuto di quell'sms. Tuttavia, una volta letto il nome del mittente, tornò decisamente più tranquillo.
«Quindi se resti qui a pranzo va bene?» gli occhi di Kagami si erano già abituati alla luce ed ora erano fissi sulla sagoma minuta di Tetsuya, che al posto di ricambiare il suo sguardo stava fissando il cellulare senza una particolare espressione sul viso.
Kise gli aveva mandato un sms dove gli chiedeva se non si fossero potuti vedere quel pomeriggio stesso. Tetsuya pensò che non si potesse chiedere una cosa del genere proprio in quel momento, mentre si trovava accanto a Kagami, a godere del suo profumo e del calore delle coperte intorno al suo corpo: davvero non gli si poteva chiedere di rinunciare ad un pomeriggio con lui dopo tutto quel tempo passato senza ad aspettarlo, soprattutto ora che si erano baciati e avevano dormito abbracciati - anzi, diciamo che era Kuroko ad essersi avvinghiato a lui, a dire il vero anche per non cadere dal letto, visto che Taiga dormiva con gambe e braccia spalancate, occupando tutto lo spazio possibile-
Tetsuya aveva già cominciato a digitare una risposta quando parlò.
«Sì, va bene.»
Dopodiché inviò il messaggio, si fece di nuovo vicino a Kagami e tornò ad appoggiarsi al suo petto, posando il cellulare sul comodino; Taiga, nel frattempo, ne aveva approfittato per circondargli il torace magro con un braccio, tenendolo saldo a sé, così Tetsuya sollevò il proprio sguardo verso di lui e gli rivolse un timido sorriso.


A Kise aveva detto semplicemente che non poteva uscire con lui quel pomeriggio, e al suo: “Perché?” - che in un certo senso aveva previsto -, si era limitato a sciorinare la risposta più vecchia del mondo: “Perché no.”.
Non era cattiveria da parte di Tetsuya, ma in un certo senso era sempre stato così: respingeva le insistenze di Kise con risposte secche e severe non perché gli stesse antipatico o perché non gli volesse bene, ma perché era il modo migliore per metterlo a tacere.
Si era chiesto se per caso non avesse avuto qualcosa da dirgli sul progetto del ripristino della Generazione dei Miracoli o se non avesse scoperto che Kagami era tornato, offendendosi di nuovo perché non glielo aveva detto, ma Tetsuya non volle dare molto peso alla questione e pensò piuttosto a godersi la sua giornata insieme a Taiga.
«Kagami-kun, quando mi vieni a prendere porta l'ombrello.»
Kagami gli rivolse un'occhiata di disappunto, ma non lo rimproverò: dopotutto era stato a casa sua tutto il giorno e prima di venire a dormire da lui non poteva certo prevedere che il cielo si sarebbe oscurato e si sarebbe preparato per una burrasca.
«Finisci a mezzanotte, giusto?» Kagami si sentiva pronto a riprendere quella giovane abitudine interrotta pochi giorni prima, ovvero andarlo a prendere dopo il lavoro: non era molto contento degli orari di Tetsuya, un po' perché le serate che poteva passare con lui si riducevano drasticamente ad al massimo tre alla settimana, un po' perché non gli piaceva affatto l'idea che Kuroko si ritrovasse in giro per Tokyo a mezzanotte, completamente solo.
D'un tratto, Tetsuya si fermò con espressione piuttosto sorpresa e Taiga fece lo stesso, guardando immediatamente davanti a sé: quello doveva essere uno scherzo del destino, era una coincidenza troppo ridicola.
«Kurokocchi! Kagamicchi!» pur non essendo molto felice di vederli insieme, Kise sorrise amichevolmente e si avvicinò; Kagami, dal canto suo, provò a districare l'intreccio che le sue dita avevano creato da un po' con quelle di Kuroko, ma la sua ombra si rivelò piuttosto cocciuta e non gli permise di sciogliere la loro unione. Kagami, dunque, si era fatto più nervoso e impacciato, si era appiccicato al fianco di Tetsuya e aveva cercato di portare le loro mani unite dietro la schiena.
Kise non si era lasciato sfuggire né quei movimenti, né quelle espressioni, ma concentrato soprattutto sulla bizzarra smorfia di Kagami, i suoi occhi erano ancora impegnati a scrutare i loro visi e non tutto il resto.
Tetsuya non poteva incontrarlo semplicemente perché Kagami lo aveva preceduto. Cosa poteva fare, Kise? Sentì di non potersi neppure attribuire la colpa se Kagami era corso da Kuroko, visto che comunque Tetsuya si era già espresso al riguardo e lo amava; piuttosto il suo era un merito, aveva reso le cose più facili ad entrambi e aveva accelerato la loro riappacificazione.
Aveva creduto che dopo quel pianto, Tetsuya non sarebbe più riuscito a perdonare Taiga, ma a giudicare dalla sua espressione tranquilla, dalle sue labbra sottili, increspate in un sorriso allegro e quasi impercettibile, era evidente che non fosse così, era evidente che le cose andassero meglio di prima. Fu allora che Kise le notò: le loro mani unite, strette in un intreccio che Kagami stava cercando di nascondere a tutti i costi.
«Kise-kun, cosa volevi dirmi oggi? Si tratta del progetto?» Tetsuya decise di approfittarne per chiarirsi le idee, e con quella domanda Kagami capì che Kise doveva aver chiesto a Kuroko di uscire con lui. Un bel guaio e una brutta situazione.
Kise forzò un sorriso, rimanendo a fissare il loro intreccio indistricabile di dita.
«No.» fece una piccola pausa per moderare il tono di voce e cercare di risultare il più naturale possibile «non era niente di importante, Kurokocchi, tranquillo.»
Kise non aveva alcuna intenzione di starsene lì con loro a scambiare quattro chiacchiere come se non fosse successo niente. Starsene lì fermo come uno stupido a fissare le loro mani unite l'avrebbe condotto solamente al pianto e, davvero, non aveva nessunissima voglia di apparire così debole agli occhi del suo avversario o così patetico agli occhi di Tetsuya.
Con immensa fatica, Kise smise di fissare le loro mani e sfoderò un altro sorriso amichevole.
«Stasera ho una cena con alcuni colleghi, non voglio fare tardi.» a Kise non piaceva mentire, ma in quel momento gli sembrò di non avere altra scelta.
«Ci vediamo!» Kise passò accanto ai due con un rapido cenno della mano e le labbra dispiegate in un sorriso mantenuto a stento e che scomparve non appena li superò; Tetsuya era rimasto in silenzio e si era voltato a guardarlo mentre si allontanava: era chiaro che quella fosse solo una scusa per andarsene, era chiaro che ci fosse rimasto male, ma cosa poteva farci, lui? Amava Kagami e, prima di lui, aveva amato Akashi, ma per Kise non c'era mai stato altro che andasse oltre l'amicizia.
Fu Kagami che strattonò leggermente la mano di Tetsuya, richiamandolo alla realtà, così, finalmente, gli occhi di Kuroko abbandonarono la figura già lontana di Kise e tornarono a rivolgersi all'altro.
«Kuroko, andiamo: si sta per mettere a piovere.»


Quando le prime gocce di pioggia si infransero sulle sue guance fredde, Ryouta afferrò il cappuccio della giacca e se lo tirò per bene sulla testa. Avanzava lentamente, con il capo chino e le labbra incrinate in una smorfia amareggiata: a volte era schifato dalla naturalezza con cui riusciva a simulare una felicità inesistente.
Dopo quasi cinque anni passati a negarsi ogni altro possibile rapporto amoroso e a correre solo e soltanto dietro a Tetsuya, ecco che tutto si concludeva nel peggiore dei modi, si concludeva con due mani unite - non la sua e quella di Kuroko come aveva sempre desiderato -, e con lui sotto la pioggia battente, da solo, con il ricordo di un sorriso falso e meschino.
Non voleva inseguire più nessuno, ma in cuor suo Ryouta sapeva benissimo che non sarebbe mai stato capace di lasciar perdere i sentimenti, l'amore: in un qualche modo sentiva sempre il bisogno di riempire il proprio cuore e la propria mente con il pensiero di qualcuno, voleva riversare il suo effetto su una persona che, a sua volta, potesse darne almeno un po' a lui.
Era pieno di affetto da dare, era tutto quello che aveva accumulato alle medie e alle superiori e che non era mai riuscito a riversare su Tetsuya, quindi se l'era tenuto chiuso dentro e aveva ignorato le decine e decine di flirt che gli si erano parati davanti.
Quanti ragazzi avrebbe potuto avere in quegli anni? E invece aveva scelto Tetsuya. Solo Tetsuya, voleva solo Tetsuya, e il destino decideva di negarglielo.
Adesso rimaneva solo con il suo affetto, incompreso, buttato all'angolo di una strada come se fosse stata la persona più inutile del mondo, come se a Tetsuya non fosse mai importato nulla di lui.
No: non poteva essere così.
Tetsuya gli voleva bene, l'unico problema era che si trattava soltanto un amico. Prima c'era Akashi, ora c'era Kagami, e di spazio per Kise non ce ne sarebbe mai stato.
Kise percepì una goccia molto più calda delle altre attraversargli la guancia insieme a quelle di pioggia che, dal cappuccio già inzuppato, gli colavano sul viso.
Il pensiero che avesse perso così tanti anni a correre dietro ad un'illusione, il pensiero che nessuno gli avesse mai dato quell'affetto che tanto desiderava e che fosse stato soltanto oggetto di stupidi flirt per il suo corpo o, peggio ancora, per il suo portafoglio, lo aveva afflitto davvero, ferito: almeno per quella sera, Kise si sarebbe lasciato andare, avrebbe smesso di sorridere e dire che andava tutto bene.
Non andava tutto bene, non sarebbe mai andata bene. Doveva ricominciare tutto da capo, doveva dimenticare quel carico di sentimenti che ormai sembrava essere calcificato intorno al suo cuore, per quanto antico, e doveva aprirsi a qualcun altro senza avere paura.
Per arrivare a casa sua aveva ancora venti minuti buoni a piedi e la pioggia stava precipitando con ancor più vigore e intensità che in precedenza, quindi Kise pensò di prendere la metropolitana, ma fu un'intenzione che durò appena il tempo di visualizzare il vagone strapieno e scivoloso a causa delle numerose gocce d'acqua precipitate dagli ombrelli chiusi.
Affrettò il passo e cercò di limitare la sua tristezza ad un pianto silenzioso che dovette placare dopo un paio di minuti, quando si ritrovò di fronte ad una porta conosciuta.
Sotto la veranda, al riparo dalla pioggia, Kise si tirò giù il cappuccio e si rese conto che non era servito a molto: la pioggia si era impregnata nel tessuto ed era arrivata ad inumidirgli i capelli. Ancora dieci minuti e probabilmente si sarebbero inzuppati completamente.
Si sfregò gli occhi e cercò di asciugarsi alla bene e meglio il viso, tirò su col naso e si schiarì la voce nella speranza di risultare abbastanza presentabile e, infine, si decise a suonare il campanello.
Dopo poco, la porta si aprì e la figura di Momoi fece capolino.
«Umh? Ki-chan!» Momoi sembrò sorprendersi di quella visita e aveva già sfoderato un sorriso allegro, ma non appena notò l'espressione avvilita di Kise gli si avvicinò preoccupata.
«Ki-chan? Che succede?» gli adagiò le mani appena sotto le spalle, quasi a volerlo esortare a muoversi «vieni dentro, sei zuppo.»
Kise si lasciò quasi trascinare dentro, e non perché non riuscisse a camminare, ma perché era talmente concentrato a cercare qualcosa di sensato da dire che muovere i muscoli per fare qualche passo gli pareva una distrazione troppo grande.
«Scusa il disturbo.» parlò con voce flebile e si fermò proprio all'ingresso: non voleva inzuppare ogni centimetro della casa di Momoi, e poi era probabile che ci fossero i suoi genitori e avrebbe preferito di gran lunga non essere notato.
«Momoicchi-chan, non è che potresti prestarmi un ombrello?»
Momoi lo stava fissando in silenzio, con le labbra schiuse in una smorfia sconcertata: non le ci era voluto molto per notare che aveva gli occhi arrossati ed era evidente che qualcosa non andasse.
«Vado a prenderti anche un asciugamano.»
Quando Satsuki scomparve dalla sua vista, diretta in bagno, la sentì scambiare due parole con sua madre che le chiedeva chi fosse alla porta, così Kise ebbe il tempo necessario per abbozzare un sorriso e rivolgere un saluto allegro alla donna che si fece vedere non appena Momoi le disse di chi si trattava.
Sperava davvero che Satsuki si sbrigasse, non ce la faceva più a dispensare sorrisi falsi a chiunque.
Finalmente Momoi tornò da lui e gli porse l'asciugamano.
«Grazie.» Kise si tamponò il viso e poi cercò di asciugarsi alla bene e meglio i capelli, sotto lo sguardo interrogativo dell'altra.
«Ki-chan, cos'è successo?»
Kise continuò ad asciugarsi i capelli e la osservò in silenzio: doveva essere stato così anche per lei, che si era sempre impegnata tanto per la felicità di tutti, che alla Teiko ci teneva davvero ai loro sorrisi e aveva cercato di mantenere quella bizzarra “famiglia” unita. Anche Satsuki aveva cercato di fare del bene e, vedendo ogni rapporto incrinarsi e spezzarsi, aveva sofferto.
Non se n'era mai lamentata, non aveva mai dato la colpa a nessuno, però doveva essere stata terribilmente male. Eppure si ostinava ancora a proteggerli, ad esserci ogni volta che poteva, a fare da mamma a quelli che non erano altro se non bambini capricciosi.
Kise non aveva intenzione di rispondere a quella domanda: Momoi aveva già fatto abbastanza, meritava un ringraziamento e non che le riversasse le sue pene d'amore addosso.
«Momoicchi-chan?» la voce di Kise, così flebile, bassa, quasi ridotta ad un sussurro, attirò l'attenzione di Satsuki, che rimase a fissarlo in silenzio.
«Non prodigarti sempre per noi, per proteggerci tutti.» Kise le adagiò una mano sulla testa e le scompigliò leggermente i capelli, increspando le labbra in un sorriso - questa volta sincero - vagamente intenerito.
«Finiresti per soffrire.»
Momoi non riuscì neppure a percepire quel tocco affettuoso sulla sua testa, tanto era concentrata a fissare negli occhi Kise e a chiedersi cosa stesse dicendo: perché quelle parole all'improvviso? Perché chiederle di eliminare quella parte materna che l'aveva sempre spinta a stare vicino a tutti, nel limite dei suoi mezzi e delle sue capacità?
«La tua felicità è importante.»
Satsuki sgranò gli occhi.
Aveva capito: Kise le stava chiedendo di non fare il suo stesso errore, di non prodigarsi per qualcuno con tutta se stessa, se poi come risultato avrebbe finito per soffrire.
Kise aveva aiutato Tetsuya, e questo Momoi lo sapeva, perché era proprio quello l'aspetto che l'aveva inevitabilmente avvicinata a Kise. Avevano formato una squadra, avevano cominciato a frequentarsi più spesso grazie al progetto di Tetsuya, sapeva che Kise voleva aiutarlo a ritrovare il sorriso e, allo stesso modo in cui aveva fatto lei alle medie con tutti loro, lui aveva cercato di proteggere Kuroko e, in più, aveva scelto di sacrificare la propria felicità per la sua.
Se quella sera non si fosse presentato alla sua porta in quello stato, forse Momoi avrebbe tenuto quel sentimento appena nato solo per sé, ma in quel momento sentì di non poter più reggere la situazione: non voleva sentire quella voce così flebile, o vedere quegli occhi arrossati; non le piaceva quel Kise, eppure, come se le parole che le aveva appena detto fossero entrate da una parte e uscite dall'altra, sentiva il bisogno di proteggerlo.
Satsuki ci metteva sempre pochissimo ad innamorarsi: era una ragazza dolce, ingenua, bastava una gentilezza, bastava che la si aiutasse a riordinare degli appunti caduti, che la si abbracciasse durante un momento di debolezza o che, peggio ancora, le si regalasse una stecca di gelato con su scritto: “Hai vinto”, ma con Kise era diverso.
Aveva cominciato ad apprezzare la sua compagnia più di qualunque altra, le sue qualità e non tanto che fosse gentile con lei, ma che lo fosse con Tetsuya nonostante questo fosse evidentemente innamorato perso di qualcun altro.
Kise era buono ed era stato coraggioso.
Momoi non disse nulla, solo si avvicinò un pochino di più, si mise in punta di piedi e, afferrandogli il viso fra le mani, gli diede un bacio sulle labbra. Niente di troppo spinto o passionale, un bacio casto, semplice, solo lento ad affievolirsi, probabilmente perché sperava davvero che potesse esserci una reazione da parte di Ryouta, sperava che lo ricambiasse, e invece se n'era rimasto immobile, evidentemente colto alla sprovvista e spaesato. In effetti Momoi non aveva scelto neppure il momento più adatto - e se ne rendeva perfettamente conto -, ma a vederlo in quello stato non era più riuscita a resistere.
«I-io devo andare.» il problema non era Momoi, affatto. Il problema erano le donne.
Kise non aveva mai preso in considerazione l'idea di stare con una donna, anzi, non aveva mai preso in considerazione il sesso femminile, eppure, dopo tanti anni passati a flirtare con colleghi di lavoro, a correre dietro a Tetsuya e a soffrire perché nessuno riversava il proprio affetto su di lui, ecco che si era fatta avanti proprio una donna.
Se non fosse stato omosessuale, probabilmente l'avrebbe amata.
In quel momento pensò che Satsuki fosse messa anche peggio di lui, essendo appena andata incontro ad una seconda delusione amorosa in così poco tempo.
«Scusami.» ma più che essere triste, sembrava a disagio, sembrava dispiaciuta.
Kise scosse la testa e le restituì l'asciugamano.
«Non ti preoccupare, e ricorda che domani alle sedici ci vediamo al campetto.»
Momoi si limitò ad annuire e gli porse l'ombrello; Kise si congedò con un cenno della mano, senza dire altro.
Come se il destino si stesse prendendo gioco di lui, una volta che fu tornato sul marciapiede vide davanti a sé una coppietta che, condividendo l'ombrello, rideva felice.
Ricordò ancora una volta le dita esili di Tetsuya intrecciate a quelle più forti di Kagami, voltò la testa verso la casa di Momoi e infine, con un sospiro rassegnato, accelerò il passo fino a superare la coppietta felice: per un po' non avrebbe più voluto sentir parlare d'amore.

Sguardi incatenati che si evitano, dita intrecciate che si sciolgono.




Licenza Creative Commons
Quest'opera è distribuita con Licenza Creative Commons Attribuzione - Non commerciale - Non opere derivate 2.5 Italia.




L'angolino invisibile dell'autrice:

Eccomi qui! *3*
Come state bambine mie? Scusate, mi sento un po' chioccia come Kise, come Kagami, come Momoi. È il capitolo delle chiocce, questo.
Considerando che l'ho scritto tutto ieri e l'ho riletto a l'una e mezza di notte, quando l'occhio sinistro andava verso la Francia e quello destro verso la Russia (?), penso potrebbe esserci qualche errore e me ne scuso in anticipo!
Mi scuso anche per il fatto che il capitolo sia un po' più corto del solito, ma si racchiudeva proprio a questo triangolo che ormai è diventato un quartetto e a questi due baci. Tranquilli, poi arriva Aomine e tanto per complicarmi la cosa diventerà un quintetto.
Anche in questo caso non ho molto da dire. Spero di essere stata abbastanza coerente con le scelte di tutti e quattro i personaggi perché descrivere una situazione simile di cotte, amori non corrisposti e amori antichi anni non è stato molto facile. Per esempio Kagami avrebbe potuto chiedere subito a Kuroko di Akashi, ma se lo avesse fatto la cosa sarebbe andata complicandosi, probabilmente avrebbero parlato e forse non si sarebbero baciati, ma io dovevo farli baciare, ecco.
La questione di Akashi verrà fuori a suo tempo, tranquilli. Penso proprio che la ragione per cui Tetsuya non ha detto nulla sia proprio perché non ne parla volentieri/anche se in un certo senso ha nostalgia di Akashi/e potrei anche pensare che avesse tenuto la cosa tenuta nascosta al Seirin per non far preoccupare nessuno. Comunque sia adesso la cosa rimane sospesa e verrà spiegata più avanti.
Insomma, le coppie fisse non sono più ridotte soltanto ad Himuro e Murasakibara (e se proprio vogliamo, per la vostra gioia, a Takao e Miyaji), ma adesso ci sono anche Kagami e Kuroko~
Ah, e specifico che hanno solo dormito insieme. L'ho scritto anche nel capitolo, ma lo so che poi qualcuno fraintende perché vorrebbe che avessero fatto altro (credetemi, lo vorrei pure io, ma siate pazienti ùwù)
Della parte di Kise non voglio parlare perché ho sofferto troppo, solo mi sono resa conto che Kise è il primo personaggio (e non di KnB ma di tutti i fandom in cui mi sono ritrovava in generale) che mi dispiace far soffrire. Di solito mi diverto (bene, ora sembro anche più sadica del normale), o magari soffro anche io ma sono soddisfatta della sofferenza che gli ho assegnato, ma in questo caso proprio no, anche a rileggerlo mi sentivo terribilmente in colpa. Non sapete la voglia di scrivere una KiseKuro anche minuscola, perché davvero, il mio piccolo pulcino/che sarebbe Kise/non se lo merita. La prossima coppia che vedremo in azione (?) sarà l'AoKise (sento già un'eco di gioia), però ci vorrà un po' anche per loro. Sì, insomma, voglio fare le cose con calma un po' per far soffrire i lettori, un po' perché mi rendo conto che non tutti si possono saltare addosso come se niente fosse come mi piace pensare abbiano fatto Himuro e Murasakibara (?)
E riguardo a Momoi e Kise, beh, io l'avevo detto che ci sarebbe stato un bacio inaspettato, no? Almeno, penso non si fosse capito: negli ultimi capitoli ho dato poco spazio a Satsuki, si capisce comunque che è spesso insieme a Kise e credo che la sua cotta (perché alla fine non è niente di serio, ma è giusto per far stare di merda Aomine) abbia avuto origine più o meno nel capitolo V, dove lei, Kise e Kuroko erano al fast-food per discutere della Generazione dei Miracoli. Lì è ancora poco chiaro perché ci limitiamo a punzecchiamenti e qualche strattone alle braccia (è comunque un contatto fisico), ma poi arriva il capitolo VI che inizia proprio con Momoi che gli dice che è molto bello ciò che vuole fare per Kuroko e che è molto gentile, come se non bastasse Murasakibara se ne esce con quel: “Ma voi due state sempre insieme? Non è che ci nascondete qualcosa?” che, non so se vi ricordate, aveva messo Momoi piuttosto in imbarazzo.
Diciamo che si tratta di un innamoramento che si è sviluppato in poco tempo e che io non ho voluto descrivere se non attraverso pochissimi sguardi, pochissimi sorrisi e menzionando il fatto che si trovassero insieme spesso, per il resto ultimamente ho cercato di non insistere troppo, altrimenti l'effetto sorpresa non ci sarebbe stato. E poi c'erano Kagami e Kuroko da far sbaciucchiare, ecco. E che sia proprio il capitolo XI (il numero di Kuroko al Seirin, alla fine) a suggellare la KagaKuro, mi fa intenerire ancor più del normale.
Spero che questo capitolo vi sia piaciuto!
Credo che per il prossimo dovrete aspettare un po', sono di nuovo un po' a corto di idee, o meglio prima di arrivare a certe cose devo inventarne delle altre!
Ringrazio chi ha messo la fanfiction fra i preferiti e fra i seguiti dopo lo scorso capitolo (noto con piacere che la prima parte su Aomine ha avuto il suo effetto, sì, perché lo so che l'avete fatto per quello) e come al solito ricordo la mia pagina: https://www.facebook.com/pages/Neu-Preussen-EFP/416393978469818?ref=hl e ringrazio chi ha messo mi piace, e la nuova fanfiction: http://efpfanfic.net/viewstory.php?sid=2587413&i=1 che qualche coraggioso ha deciso di mettere fra i seguiti o i preferiti.
Grazie a tutti ancora~
Adesso vado, che questo spazio autore sta diventando più lungo del capitolo stesso.

Ritorna all'indice


Capitolo 13
*** Capitolo XII ***


Capitolo XII





Le attese silenziose degli amanti disillusi sono sogni in malora di cui nessuno si ricorda.

«Ah? Ci chiede di ripristinare la Generazione dei Miracoli e poi ci dà buca?!» Aomine era stato l'ultimo ad arrivare e in un primo momento si era stupito di non vedere Tetsuya, tanto da pensare che fosse a causa della sua solita evanescenza e che, non essendoci più abituato, avesse difficoltà ad individuarlo, ma le lamentele di Midorima gli avevano suggerito immediatamente che qualcosa non andava e che l'assenza di Kuroko era reale.
«Mhn.» Kise si era lasciato sfuggire un piccolo mugolio, rigirandosi nervosamente la palla a spicchi fra le mani: non era stato molto carino da parte di Tetsuya mandare un sms proprio a lui, però, evidentemente, lo aveva preferito ad Aomine e Midorima, sapendo che al posto loro Ryouta si sarebbe limitato a dire che non c'era alcun problema. Tetsuya gli aveva detto semplicemente che non sarebbe potuto venire e gli aveva raccomandato di portare un pallone da basket al posto suo.
Non aveva spiegato la ragione per cui non poteva presentasi, ma era abbastanza scontata e Kise, ovviamente, non ne era affatto contento.
«Ho perso un pomeriggio di studio.» Midorima aveva sibilato, intrecciando le dita alla catenella argentata del portachiavi a forma di gufo, ovvero l'oggetto fortunato del giorno.
«Penso proprio che me ne tornerò a casa.» aveva borbottato, dando un'occhiata fugace alle espressioni degli altri tre mentre si sistemava il portachiavi nella tasca della felpa.
Pur avendo scorso i loro visi in fretta, Midorima capì immediatamente che qualcosa non andava, avvertì il clima teso che pareva essersi congestionato attorno a loro.
Kise teneva il capo chino e fissava la palla a spicchi con le labbra incrinate in una smorfia, come se stesse cercando di nascondere qualcosa; Aomine, dal canto suo, osservava Ryouta con la fronte leggermente aggrottata, in un cruccio confuso; Momoi, che se n'era rimasta in silenzio, un po' più distaccata e alle spalle di Daiki, quasi come a nascondersi, faceva balzare gli occhi su Kise e poi a terra in un movimento continuo.
«Beh, Kise, facciamo un uno contro uno?» che diavolo aveva, Kise? Perché se ne stava a fissare il pallone con quella faccia sconsolata? Aomine cercò di scuoterlo proponendo uno scontro.
Midorima aveva assottigliato gli occhi e si era lasciato sfuggire un piccolo sbuffo: in quel caso non poteva tornarsene a casa Aomine? Lui di certo non aveva perso un pomeriggio di studio, quindi avrebbe potuto benissimo sceglierne un altro per fare un uno contro uno con Kise e lasciare il posto a lui. Tuttavia Shintarou non disse nulla e si limitò a inforcare gli occhiali con un gesto stizzito.
«Mi prenderò la rivincita.» a Daiki sembrò assurdo, ma in quel momento era proprio lui che stava cercando di spezzare quel silenzio imbarazzante e, soprattutto, l'evidente malumore di Kise.
Ryouta, dal canto suo, rispose sollevando il capo e accennando un sorriso accondiscendente. Accondiscendente per finta, ovviamente, visto che non si sentiva in grado di sostenere un uno contro uno e, in verità, neppure un qualsiasi altro tipo di scontro.
Quel sorriso debole fu la conferma che qualcosa non andava: come mai Kise non rispondeva alla provocazione? O meglio, perché aveva risposto in un modo così piatto e silenzioso?
Aomine stava per dire qualcos'altro, forse sul punto di perdere la pazienza, ma qualcuno lo interruppe in tempo.
«Ki-chan?» Momoi, che si ostinava a restare ancora in parte nascosta dall'altezza imponente di Aomine, aveva inclinato leggermente il viso con la voce tremante: il solo pensiero di rivolgergli la parola la metteva terribilmente in imbarazzo.
«Perché non provi a chiamare Himuro-san?» aveva continuato, attirando l'attenzione dei tre ex membri della Generazione dei Miracoli.
«Eh? Perché Himuro?» Aomine brontolò, ma Kise aveva già estratto il cellulare dalla tasca.
«Lui accetterebbe sicuramente.»
«Sì, è probabile.» Kise le aveva dato ragione e aveva cominciato immediatamente a scorrere la rubrica, evitando di guardarla «lo chiamo.»
«Per me non c'è problema.» Midorima si era stretto nelle spalle e così, tutti e tre, si erano raccolti intorno alla figura di Kise, in attesa che Himuro rispondesse: a pensarci bene, Ryouta realizzò che sarebbe stato meglio se avesse accettato una partita, che si trattasse di un due contro due con Aomine, Midorima e Himuro o di un uno contro uno con il primo; sicuramente lo avrebbe aiutato a distrarsi e per un po' avrebbe smesso di pensare alla delusione amorosa e al bacio che Momoi gli aveva dato la sera prima.


Stando ben attento a non farsi sentire, Himuro aveva detto a Kise che avrebbe cercato di portare con sé anche Murasakibara e che quindi, molto probabilmente, ci avrebbero messo un po' per arrivare al campetto. Kise gli aveva assicurato che avrebbero aspettato, ma Tatsuya aveva giurato di percepire una voce ovattata lamentarsi, ringhiare e inveire contro Ryouta subito dopo: probabilmente si trattava di Aomine, per il poco che lo conosceva era abbastanza facile capire che quella parlata annoiata e aggressiva apparteneva proprio a lui. La conferma, poi, era sopraggiunta quando Ryouta aveva elencato i nomi dei presenti al campetto.
Himuro si sentiva fremere di eccitazione al solo pensiero di varcare la soglia di casa per poter raggiungere il campetto dove ben tre degli ex membri della Generazione dei Miracoli lo stavano aspettando; gli sembrava di essere il prescelto, aveva la possibilità di mettersi alla prova e migliorarsi, imparare qualcosa da alcuni dei più grandi giocatori di basket del Giappone - o per lo meno da quelli che erano stati i più grandi, visto che nessuno aveva continuato quello sport a livello agonistico -
Il solo pensiero che non ci fosse Kagami lo esaltava ancora di più: finalmente poteva dare il meglio di sé senza sentirsi inferiore a suo fratello. Il loro rapporto si era senza dubbio rafforzato e si era fatto più chiaro, ma Himuro non aveva mai smesso di provare invidia per l'altro; la sola differenza rispetto a qualche anno prima era costituita dal fatto che fosse sopraggiunta anche una vasta dose di ammirazione e stima.
Pur essendo così felice di poter finalmente mettersi alla prova e dimostrare le sue capacità, Tatsuya sentiva il sincero bisogno di portare Atsushi con sé, non tanto per provare a convincerlo ad accettare il progetto di Kuroko, ma per ritrovare un po' di calma: era felice di quell'invito, ma indubbiamente agitato all'idea di dover condividere il campetto da basket con tre assi della pallacanestro con i quali non aveva neppure alcun tipo di confidenza.
«Atsushi?» Himuro aveva sfoderato un sorriso docile e si era avvicinato alla poltrona dove Murasakibara sedeva da almeno un'ora.
Aveva notato lo scatto degli occhi di Atsushi che si erano soffermati su di lui solo per qualche attimo, per poi tornare a rivolgersi alla televisione: aveva già capito di cosa voleva parlare Himuro e stava sfoderando l'arma del: “Non ti ho sentito.”.
Himuro, però, sapeva essere testardo almeno quanto lui e gli si era piazzato davanti, così Murasakibara aveva cominciato a muovere la testa a destra e a sinistra, nel tentativo di trovare un punto dal quale potesse vedere comunque la televisione.
«Atsushi?» aveva ripetuto Himuro, come se stesse facendo finta di non aver notato di essere stato bellamente ignorato: gli dava sempre una seconda possibilità.
«Eh?» e per fortuna Atsushi capiva sempre che era l'ora di smetterla di fare i capricci e cominciava a dare qualche segno d'attenzione.
«Sto andando al campetto.» aveva continuato Himuro, ampliando leggermente il sorriso «ti va di venire con me?»
«A fare cosa?» ma la risposta era scontata e Murasakibara lo sapeva benissimo, quindi, dopo aver sbattuto stancamente le palpebre, aveva ripreso a parlare «c'è anche Kagami?»
Il sorriso di Himuro ebbe un leggero fremito: per quanto in quel momento desiderassero entrambi l'assenza di Kagami, Tatsuya provava un certo fastidio quando Murasakibara pronunciava il suo cognome senza abbreviarlo e senza aggiungere quel bizzarro suffisso con il quale storpiava i nomi dell'ex Generazione dei Miracoli e degli ex compagni della Yosen. Era vero che Taiga non aveva fatto parte né della squadra della Teiko né della Yosen, ma dopo così tanti mesi passati tutti e tre insieme negli Stati Uniti, Himuro aveva difficoltà a pensare che Atsushi provasse ancora tutto quell'astio immotivato nei suoi confronti.
«No.»
«Mhn?» Murasakibara aveva sollevato il viso, facendogli intendere di essere improvvisamente più interessato.
«Ci sono Kise, Midorima e Aomine.»
«Si tratta del progetto di Kuro-chin, giusto? E Kuro-chin non c'è?»
«A quanto pare no.» Himuro si strinse nelle spalle.
«Beh ...» l'attenzione di Murasakibara era tornata scarsa e si era lasciato sprofondare placidamente nella morbidezza della poltrona.
«Farete un due contro due.» aveva continuato, volendo suggerire che la sua presenza sarebbe stata inutile e che quindi aveva il pieno diritto di starsene ad oziare e a bighellonare davanti alla televisione.
Tatsuya lo fissò indispettito e lasciò aderire le proprie mani appena sopra le anche, rimproverandolo con lo sguardo.
Himuro voleva davvero che venisse con lui, ne avrebbero giovato entrambi: Atsushi perché finalmente avrebbe preso una boccata d'aria fresca e si sarebbe allontanato per un po' dal salotto, Tatsuya perché sicuramente si sarebbe sentito molto più a suo agio in presenza dell'altro.
«E dai Atsushi, ti sto chiedendo soltanto di accompagnarmi.» Himuro brontolò appena, dondolando leggermente a destra e a sinistra, con le mani ancora aderenti ai fianchi: non gli stava chiedendo la luna e una volta tanto non stava cercando di convincerlo a sostenere una partita, ma gli stava semplicemente domandando se avesse potuto accompagnarlo.
Il dondolio di Himuro verso sinistra aveva aperto un fugace squarcio nello spazio dal quale aveva fatto capolino un angolo luminoso della televisione, così Murasakibara era tornato a fissarla e poi, una volta che Tatsuya aveva ritrovato la propria posizione, a muovere la testa per cercare di ricongiungere i propri con lo schermo colorato a cristalli liquidi.
Himuro stava cominciando ad annoiarlo, non gli piaceva quel gioco: che insistesse sul prendere parte ad una partita era un conto, ma che gli chiedesse di accompagnarlo, pretendendo che rimanesse escluso, a guardarli giocare, era un altro, e agli occhi di Atsushi si trattava di una pretesa decisamente fastidiosa.
«Passi al campetto, li saluti e poi fai un salto al supermercato, che ne dici?» Himuro trovava una certa facilità nel manovrare parte delle scelte e delle decisioni di Murasakibara: a volte era davvero come un bambino ingenuo, incapace di decidere da sé; Murasakibara lo fissò di nuovo e rimase in silenzio per qualche attimo, poi sospirò a fior di labbra e afferrò il telecomando.
«Va bene, Muro-chin.» per lo meno non sarebbe stato costretto a guardarli mentre giocavano e sarebbe potuto andare a comprare qualcosa da mangiare.
Himuro fu soddisfatto di avvertire un improvviso silenzio alle proprie spalle: la televisione era stata spenta.
«Ma prima ...» questa volta, però, non era disposto ad accettare per così poco, quindi Atsushi, che non aveva più scostato i propri occhi dalla figura decisamente più minuta dell'altro, aveva battuto la mano sulla propria coscia un paio di volte.
A quanto pareva il piano di salutare i suoi vecchi amici e andare a fare scorta di cibo spazzatura al supermercato non era abbastanza per Murasakibara: voleva anche qualcos'altro. Qualcosa che solo Himuro poteva dargli.
Tatsuya era lusingato di essere così tanto desiderato, ma alla lunga la cosa stava iniziando a farsi piuttosto avvilente: a volte aveva l'impressione che Atsushi fosse attratto più dal suo corpo che dalla sua personalità o che, comunque, stesse approfittando della situazione per fare l'amore con lui più spesso. Himuro pensò anche che non avrebbe dovuto dare tanto peso alla cosa, visto che Murasakibara lo stava ricambiando con la giusta moneta: lui si dimostrava accondiscendente nel fare l'amore ogni volta che l'altro ne avesse avuto il desiderio e questo, di conseguenza, glielo chiedeva sempre più frequentemente, traendo vantaggi da quella costante disponibilità. A pensarci bene l'unico che per ora aveva tratto dei vantaggi dalla situazione era proprio Murasakibara, mentre Himuro non era ancora riuscito a risolvere un granché: ridicolo che una mente fine come la sua potesse trovare difficoltà a soggiogarne una poco dissimile da quella di un bambino, ma dopotutto Atsushi era semplicemente un po' infantile, non stupido.
Aveva fatto bene a dire a Kise che probabilmente ci avrebbero messo un po' ad arrivare, anche se ormai era evidente che la causa del loro ritardo sarebbe stata differente da quella pensata in precedenza: Himuro ci aveva messo meno del previsto a convincere Murasakibara ad accettare, ma prima di uscire di casa Atsushi pretendeva qualcosa in cambio.
Himuro non disse altro e si avvicinò a Murasakibara, tenendo per sé quel: “D'accordo, però dobbiamo fare in fretta.” che gli martellava la testa: spesso era lui a condurre il gioco, per cui aveva intenzione di ricorrere immediatamente ai fatti, magari lasciando anche un po' di amaro in bocca ad Atsushi, che ultimamente non peccava più di sola gola ma anche di lussuria.
Murasakibara sembrava essersi ridestato completamente, come se si fosse liberato da quel denso alone di pigrizia che lo teneva incollato alla poltrona: aveva raddrizzato il busto contro lo schienale in pelle, sollevato il viso per seguire il movimento rapido e silenzioso di Himuro e, non appena quest'ultimo si era sistemato sopra di lui, gli aveva arpionato i fianchi, trascinandolo ancora un poco di più vicino a sé.
Contrariamente da quanto si sarebbe potuto dedurre in quel momento, a letto il più attivo e intraprendente dei due era sicuramente Tatsuya che, pur essendo abbastanza equilibrato, sembrava dovesse ricevere la sua dose di sesso ogni giorno; in sostanza chi chiedeva più spesso di fare l'amore o chi al posto di domandarlo passava direttamente ai fatti, stuzzicando il compagno con qualche bacio o qualche struscio, era proprio Himuro, mentre Murasakibara, tralasciando gli ultimi tempi in cui ne approfittava largamente, sembrava non pensarci troppo frequentemente e, in certe occasioni, faceva perfino storie, ma nel caso fosse lui a chiederlo e a ricevere un “no” come risposta, allora metteva il broncio proprio come un bambino.
In quel momento c'era una certa foga nei tocchi impazienti di Murasakibara, una certa rabbia in quegli schiocchi ripetitivi che lasciava sul collo pallido di Himuro.
Se Himuro voleva fare il più in fretta possibile per castigarlo, Murasakibara pretendeva del sesso intenso e arrabbiato per punirlo.
Ormai Atsushi aveva indovinato le intenzioni di Tatsuya, pur non essendo ancora a conoscenza del guadagno che ne avrebbe tratto se lui avesse accettato il progetto di Kuroko: per questo, in parte, si ostinava a rifiutare. Murasakibara voleva vederci chiaro, non gli piaceva che fra lui e Himuro ci fossero segreti, e questo perché ci teneva davvero tanto alla loro relazione, anche se pigro e indolente com'era poteva sembrare il contrario.
In parte aveva perfino paura di dire “sì”, paura che Himuro avesse in mente qualcosa che lo avrebbe fatto arrabbiare e per la quale avrebbero litigato: odiava litigare, ma da quando erano tornati in Giappone sembrava difficile mantenere un certo equilibrio e non piombare in una discussione spiacevole. Era una fortuna che Himuro dimostrasse tantissima pazienza e un invidiabile sangue freddo, ma Murasakibara aveva comunque il presentimento che un litigio sarebbe sopraggiunto di lì a poco.
Atsushi voleva momentaneamente annegare tutto nel sesso, voleva abbandonarsi al piacere intenso che provava ogni volta che faceva l'amore con Tatsuya e smettere di pensare a tutte quelle cose per un po'.
Era vero: stava approfittando un poco di quella docile disponibilità di Himuro, evidentemente funzionale a convincerlo ad accettare il progetto di Kuroko, e in quel momento pretendeva di fare l'amore prima di uscire di casa proprio per infliggergli una sorta di punizione, ma il sano desiderio c'era eccome e se gliel'aveva chiesto era perché voleva anche soddisfare le proprie pulsioni carnali, non solo castigarlo per puro divertimento.
In quella posizione, Himuro trovò fin da subito qualche difficoltà a sbarazzarsi degli abiti, specie della maglietta all'inizio, quando Atsushi sembrava non avere intenzione di staccare la bocca dal suo collo; in un paio di minuti, comunque, i pantaloni di entrambi erano finiti riversi sul pavimento e i corpi accaldati vicini, i bacini ancora coperti dall'intimo incastonati e i sospiri accaldati – soprattutto quelli di Tatsuya, che continuava a subire i baci affamati del compagno e a ricevere scosse di piacere da quelle mani che scorrevano lungo tutto il suo corpo - aleggianti nel piccolo salotto.
Le mani di Murasakibara indugiarono lungo i fianchi sottili di Himuro: prima avvicinandosi pericolosamente all'elastico degli slip, poi rimbalzando ad accarezzare le costole ben percepibili al tocco e infine tornando in basso, finalmente decise a sbarazzarsi dell'indumento intimo del fidanzato. Himuro, dal canto suo, aveva cominciato a muovere lentamente il bacino contro quello dell'altro, senza preoccuparsi di trattenere i sospiri ansanti che i baci voraci di Murasakibara sul collo e lungo la linea sottile delle clavicole gli suscitavano.
La bocca di Murasakibara aveva già assaporato ogni centimetro della pelle di Himuro e si apprestava a ripercorrere con la punta della lingua i segni leggeri lasciati in precedenza dai denti; le dita si erano fatte strada oltre il tessuto grigio degli slip e avevano cominciato ad arrancare sulle natiche sode, tracciando lunghi segni rossi sulla pelle bianca.
Gli slip di Tatsuya finirono riversi sul pavimento molto presto: Murasakibara si era già stufato di giocare e desiderava andare immediatamente al sodo.
A quanto pareva Tatsuya non sarebbe riuscito a lasciarlo con l'amaro in bocca, visto che anche Atsushi, preso dalla foga, pareva avere una certa fretta.
Himuro inclinò la testa finché non trovò sostegno contro quella dell'altro, lasciandosi sfuggire un sospiro più accaldato e rumoroso degli altri a causa dei tocchi che la mano di Murasakibara aveva cominciato ad esercitare sul membro già eretto, mentre gli stuzzicava il mento con un paio di baci, finendo per sfiorargli le labbra con le proprie.
Pur sentendosi fremere d'eccitazione, Tatsuya era rimasto piuttosto lucido e aveva tentato più volte di sbarazzarsi dei boxer di Atsushi, riuscendoci soltanto quando Murasakibara tornò a baciarlo con più foga, assaporando con la lingua quella bocca che valeva almeno quanto cento caramelle.
Himuro non lo aveva mai fatto sentire in astinenza da zucchero , perché secondo Murasakibara la sua essenza era qualcosa di molto più dolce delle stesse caramelle e la sua vicinanza lo assuefaceva e riusciva a fargli passare dalla testa il pensiero di dolci e cibo spazzatura per un tempo relativamente breve, ma che per lui era lungo un'eternità.
In quel momento, come per tutte le volte che facevano l'amore, Murasakibara aveva cominciato a ricoprire di baci la pelle morbida di Himuro, deciso a sentirlo sospirare di piacere il prima possibile.
In qualche modo, Atsushi sentiva di dover ostentare la sua vittoria contro Tatsuya - o meglio l'aver sventato una sconfitta, visto che ormai era ovvio che non lo avrebbe lasciato a bocca asciutta né avrebbe condotto il sesso a suo completo piacimento -, per cui la preparazione fu piuttosto rapida e disattenta: proprio come un bambino dispettoso, ogni tanto provava gusto anche a fargli del male - sempre che si trattasse di un male lieve, un bruciore breve e improvviso come quello provocato da una penetrazione troppo rapida, per la quale Himuro si lasciava sempre scappare un gemito roco di protesta -.
Dopotutto era già successo che Atsushi non lo preparasse a dovere - non tanto per mettere in atto un capriccio infantile come in quel caso, ma a causa della fretta e della foga -: anche la prima volta era stata così e, per tutte le altre volte che era successo, Himuro non si era mai lamentato, quindi Murasakibara si era chiesto spesso se non gli piacesse e, molto probabilmente, era così e in quel momento gli stava regalando più piacere di quanto avesse voluto.
Le grandi mani di Murasakibara corsero ai fianchi di Himuro, che si lasciò trascinare ancor più vicino a lui, quasi fino a far aderire i busti.
Himuro era consapevole della facilità con la quale, attraverso il sesso, poteva diventare succube di Murasakibara: bastava uno sguardo in più, una carezza più attenta o un bacio più intraprendente e lui cadeva in trappola, incapace anche solo di dire una parola.
Quando le mani di Atsushi si strinsero intorno alle sue natiche e lo sollevarono leggermente, dando modo al sesso di penetrarlo, ad esempio, non sentì più l'esigenza di fare in fretta, anzi sarebbe rimasto tutto il giorno lì assieme a lui, a soddisfare le sue richieste e le proprie pulsioni.
I loro bacini trovarono immediatamente la giusta coordinazione, muovendosi entrambi con fluidità immediatamente dopo le prime spinte più lente e caute.
Himuro aveva arpionato entrambe le spalle di Murasakibara con le dita, sfruttandole per darsi la giusta spinta, mentre l'altro sollevava e abbassava il bacino in un movimento ritmico e rapido; in pochissimo tempo, il piccolo salotto si riempì di sospiri ansanti e gemiti eccitati, finché l'amplesso non riecheggiò fra le pareti, senza trovare una via d'uscita e disperdendosi nell'etere immobile della stanza.
Con il respiro ancora accelerato e irregolare, Himuro fece aderire la fronte alla spalla calda di Murasakibara, socchiudendo gli occhi e boccheggiando gli ultimi residui di eccitazione che erano rimasti nel corpo.
Atsushi poteva ritenersi abbastanza soddisfatto e, giusto per fare una cattiveria in più, avrebbe potuto costringere Tatsuya a rivestirsi subito e uscire di corsa per andare al campetto, ma quell'abbraccio caldo e affettuoso che era rimasto dopo aver fatto l'amore, il corpo di Himuro, così esile e ancora tremante di piacere fra le sue braccia, gli impedirono di interrompere quel momento di intimità; al contrario, lasciò che le dita di una mano si tuffassero fra i capelli corvini dell'altro e lo strinse ancora un poco di più a sé.
«Ti amo.» si era ritrovato a sussurrare con calma nell'orecchio del compagno e aveva scorto un lieve movimento, un sorriso. Himuro era bellissimo quando sorrideva. «Ti amo anche io, Atsushi.» Tatsuya lasciò scivolare le mani oltre le spalle dell'altro e ricambiò quella stretta senza smettere di sorridere.
«Dobbiamo sbrigarci, siamo in ritardo.»
«Ancora cinque minuti, Muro-chin.» e la stretta si era fatta ancora più salda, possessiva, come se Murasakibara avesse voluto rimanere su quella poltrona non per cinque minuti, ma addirittura per qualche ora. «Cinque minuti, a patto che stasera mangi la torta di spinaci.» bisognava trattare: cinque minuti gli sembravano troppi e visto che li avrebbe persi su quella poltrona insieme a Murasakibara, Himuro non voleva perderne altri - anche venti – supplicandolo di mangiare la verdura come accadeva ad ogni pasto.
«Muro-chin, lo sai che odio le verdure.» protestò Murasakibara con voce atona, nonostante stesse prendendo in seria considerazione l'idea di distruggere qualunque vegetale osasse mettersi fra lui e Himuro.
«Quello che ti preparerò stasera ti piacerà.» probabilmente erano già passati un paio di minuti, probabilmente Murasakibara avrebbe finito per accettare ma quella sera avrebbe fatto comunque storie, però ad Himuro andava bene così: era divertente trattare con lui, forse per via del suo essere così infantile che, agli occhi di Himuro, lo faceva apparire terribilmente tenero.
«La mangerò, ma solo se prendiamo anche del gelato per dopo.» le trattative andavano avanti.
«Ok, a patto che dopo facciamo l'amore con più calma.» Tatsuya sapeva che quella era la condizione più congeniale ad entrambi e finalmente chiuse le trattative, ormai prossimo a sciogliersi da quella stretta e a prepararsi per raggiungere gli ex miracoli.


«Ce ne avete messo di tempo, eh?»
Himuro aveva previsto qualche protesta – guarda caso proprio da parte di Aomine -, per cui si limitò a sorridere amichevolmente e a usare una giustificazione non del tutto vera.
«Scusate, mi ci è voluto un bel po' per convincerlo.» il soggetto era ovvio, e mentre lo sguardo di Tatsuya aveva incontrato quello complice di Kise, quelli di Midorima e Aomine si erano soffermati sulla figura di Murasakibara che, oltre la riga bianca che segnava lo spazio del campetto, subiva quelle che si potevano benissimo definire le “angherie verbali” di Momoi, o meglio una valanga di domande - probabilmente su di lui e Himuro - e tantissime altre parole nella speranza di convincerlo ad accettare il progetto di Kuroko o, per lo meno, di rimanere a guardare la partita che presto si sarebbe giocata.
«Avete già in mente le squadre?» era stato Himuro a chiederlo, così da far tornare l'attenzione di Midorima e Aomine su di sé.
«Beh, io devo prendermi una rivincita, quindi ...» in quel momento fu Aomine a rivolgere uno sguardo complice a Kise, che però sembrò non cogliere subito la provocazione e rimase in silenzio ad osservarlo, mentre prendeva le distanze da lui.
A Midorima non piacque quella situazione: se non ricordava male Himuro era Scorpione, per cui sarebbe stato perfetto se avesse formato una squadra con lui ma, essendoci Kise da una parte e Aomine dall'altra, doveva scegliere fra i Gemelli e la Vergine: una scelta ardua, per un Cancro.
«Se non ti dispiace, io andrei con Kise.» si era deciso: aveva optato per il segno con cui aveva meno affinità, ma che quel giorno, in oroscopo, si trovava in una posizione più alta di quello di Aomine.
Per fortuna Kise accolse la sua presenza con un sorriso affabile, senza strillare stupidi nomignoli come al solito: il che parve davvero strano sia a Shintarou che a Daiki.
«Bene, allora.» anche Himuro - nonostante sperasse di fare squadra con Kise - prese posto accanto ad Aomine e lo scontro che coinvolgeva tre ex miracoli e un giocatore talentuoso poté cominciare.


«Nonostante siano rimasti fermi per così tanto tempo, nessuno di loro ha perso il proprio talento.» fu questo che disse Momoi riferendosi ai tre ex miracoli, sostando a bordo campo con gli occhi fissi su quel turbinio esagitato di colori che si scontravano e si mescolavano nello spazio fra i due canestri e sotto di essi da almeno una decina di minuti.
«Kise-chin sembra addirittura migliorato.» Murasakibara doveva assolutamente andare al supermercato e fare scorta di caramelle, ma soprattutto comprare il gelato che lui e Himuro avrebbero mangiato dopo cena - a patto che prima lui mangiasse quella maledetta torta di spinaci -, eppure era come magnetizzato da quel due contro due spietato, che procedeva rapido e con un ritmo serrato.
Nonostante Himuro e Aomine fossero in vantaggio e il divario si stesse accentuando, fra tutti e quattro i giocatori era evidente soprattutto il miglioramento di Kise: la sua tecnica imitativa era ormai perfetta e senza sbavature, faceva quasi invidia.
Midorima era preciso come sempre, seppur ancora un po' ingessato dall'inerzia sportiva a cui i libri universitari l'avevano costretto; tuttavia, il problema era un altro: pareva mancare completamente di coordinazione con il proprio compagno di squadra, al contrario di Aomine e Himuro che sembravano cavarsela discretamente, nonostante Atsushi avesse sempre avuto il sospetto che non vi fosse alcuna simpatia fra i due.
Aomine era veloce e sfoderava le più disparate tecniche di street basket, mentre Himuro aveva fatto ricorso a due nuovi tipi di finta, ancora più illusori dei precedenti.
Suo malgrado, Atsushi considerò tutto ciò uno spettacolo nei confronti del quale non nutriva più repulsione, anzi il contrario: ne era affascinato e li invidiava terribilmente, sentiva di dover restare lì a guardare finché non avrebbero concluso quello scontro.
«Sì.» Momoi lo aveva riportato alla realtà e la sua risposta improvvisa fu la giustificazione sufficiente che gli permise di smettere di fare da spettatore a quello scontro, perché il suo sguardo rimbalzò dalla figura di Tatsuya a quella di Satsuki, che guardava davanti a sé con le labbra incrinate in un lieve sorriso.
«Ki-chan è migliorato tanto.» anche lei, proprio come lui fino a poco prima, sembrava essere incantata da quello scontro, anzi pareva essere sotto gli effetti di una pozione magica potentissima, visto che sostava in uno stato peggiore del suo, incapace di staccare gli occhi da loro anche solo per un secondo.
Esattamente come lui, anche Momoi doveva aver notato il miglioramento di Kise, perché fra tutte le presenze in campo era proprio la sua che non abbandonava mai con lo sguardo; Atsushi era pronto a scommettere che, nonostante lo svantaggio di Ryouta e Shintarou, Satsuki stesse tifando proprio per loro e soprattutto per il primo: possibile che fra i due ci fosse davvero qualcosa? Eppure aveva sempre avuto l'impressione che Kise fosse attratto solo dagli uomini e da Tetsuya in particolare.
Murasakibara, comunque, non era il tipo di persona che si soffermava troppo sulle vite degli altri e, proprio come un bambino, dopo aver passato un paio di minuti a farsi qualche domanda su un particolare argomento, perdeva completamente interesse e si dedicava a qualcos'altro, esattamete come in quel momento in cui, dopo essersi chiesto per la terza volta come mai Satsuki stesse sorridendo in quel modo, tornò a concentrarsi sulle triple di Midorima, i movimenti agili e veloci di Aomine, le imitazioni di Kise e, soprattutto, le finte di Himuro.
Prima non si sarebbe mai soffermato con tanta insistenza su Tatsuya, anzi lo avrebbe ignorato e avrebbe osservato solo la tecnica di gioco dei propri ex compagni di squadra, oppure si sarebbe incamminato per davvero verso il supermercato, lasciandoseli alle spalle. Per tanto tempo aveva confinato Himuro all'epiteto: “Scarso” e solo perché era ovviamente meno talentuoso di lui e del resto dell'ex Generazione dei Miracoli, senza rendersi conto di quanto, nonostante tutto, fosse bravo e capace; in quell'occasione, per la maggior parte del tempo, guardò solo lui, senza riuscire a muovere un passo e non volendone sapere di incamminarsi verso il supermercato: per Himuro avrebbe perfino rimandato l'acquisto delle sue caramelle preferite.
Né Momoi né Murasakibara si mossero finché Aomine non segnò il venticinquesimo punto, decretando la vittoria della sua squadra contro quella di Kise e Midorima, rimasta a ventidue.
Himuro fu il primo a staccarsi dal gruppo e a raggiungere Murasakibara.
«Atsushi, non sei andato al supermercato?» Tatsuya era sinceramente sorpreso di vederlo piantato a bordo campo senza nessun sacchetto della spesa fra le mani e nessuna caramella colorata in bocca; prima di rispondere, Murasakibara si soffermò sugli occhi di Himuro, più luminosi del solito: era evidentemente soddisfatto della partita appena conclusa, felice di aver giocato a basket nonostante fosse stato costretto ad un ritmo lontano anni luce dal suo e stesse grondando di sudore, con il respiro smorzato dalla fatica.
Murasakibara gonfiò leggermente le guance e incrinò le labbra in una smorfia amareggiata, dopodiché piantò gli occhi a terra e rimase ad ammirare il movimento pigro del piede sinistro.
«Muro-chin?» Murasakibara si stava perdendo qualcosa e lo sapeva bene.
«Che c'è?» Himuro lo incitò ad andare avanti.
«Giocheresti ...» Atsushi tornò ad incatenare i suoi occhi a quelli di Tatsuya «giocheresti insieme a me?»
Himuro sobbalzò, colto completamente alla sprovvista: possibile che l'avesse detto veramente? Era il colmo: l'unica volta che gli aveva chiesto di accompagnarlo senza prendere realmente in considerazione la possibilità che potesse tornargli la voglia di giocare a basket, era successo per davvero.
Himuro sfoderò un grande sorriso, esattamente come Momoi che aveva sentito tutto e ora li guardava speranzosa.
«Certo!» era davvero felice che Murasakibara gli avesse chiesto una cosa del genere e, dopo essersi voltato e aver dato un'occhiata ai tre ex miracoli ancora fermi al centro del campetto, Himuro era tornato a fissare l'altro con le labbra ancora incrinate in un docile sorriso.
«Andiamo a parlare con gli altri, qualcuno dovrà lasciarti il posto.»


Da quando in qua Kise accettava le sconfitte senza lagnarsi e senza chiedergli la rivincita? Ormai era evidente che qualcosa non andasse, ad Aomine bastava un solo sguardo per rendersene conto.
Raramente Kise era così composto e silenzioso: che il suo silenzio avesse a che fare con l'assenza di Kuroko? Era risaputo che avesse un debole per Tetsuya, ma se era ridotto in quello stato solo per lui, allora era ovvio che il sentimento si fosse rafforzato e si fosse fatto più serio.
Aomine si sentì ribollire di rabbia e si trattenne dall'insultare proprio Kise che, dopo aver corso per tanto tempo invano dietro a Kuroko, non riusciva ancora a capacitarsi del fatto che Tetsuya non lo avrebbe mai degnato delle sue attenzioni, che non avrebbe mai ricambiato i suoi sentimenti. Doveva ammetterlo: Ryouta era davvero testardo quando si parlava di amare; peccato che Tetsuya lo fosse ancora di più quando si parlava di non amare.
Combattendo contro il desiderio di insultare Kise e scuoterlo da quello stato patetico, Aomine provò a rompere il silenzio, ma le parole si incastrarono in gola e dalla bocca uscì solamente un sospiro leggermente più rumoroso, e questo perché Himuro e Murasakibara li avevano raggiunti e il primo aveva parlato al posto suo.
«Atsushi vorrebbe giocare.»
Solo in quel momento, sul volto di Kise si accese qualcosa di sincero, un sentore di vaga gioia provocato dal pensiero che quella notizia avrebbe fatto felice Tetsuya e che si spense non appena quel nome gli balzò in mente: a pensarci bene, ora che aveva coronato il suo sogno d'amore con Kagami, era probabile che a Kuroko non importasse più nulla di loro.
«Io sto in squadra con Muro-chin.» aveva continuato Murasakibara.
«Allora io starò in squadra con Kise.» Aomine si strinse nelle spalle e borbottò: sapeva benissimo che il desiderio di stare in squadra con Kise non dipendeva più solamente dal fatto che sapessero coordinarsi perfettamente - tralasciando le numerose volte in cui finivano per accanirsi sul canestro e bisticciare come se fossero avversari -, ma anche da quell'inspiegabile desiderio di vicinanza e soprattutto perché marcarlo e stare sempre appiccicato a lui cominciava a diventare insostenibile sia per la sua mente che per il suo fisico.
«Non se ne parla.» allora Midorima si era opposto e aveva frantumato la gioia silenziosa che si era sprigionata in Aomine nel momento in cui Kise aveva accettato la sua proposta.
«Oggi è il giorno sfortunato della Bilancia e ho intenzione di approfittarne, per cui uno di voi due mi dovrà lasciare il posto, e poi—»
«Non voglio perdere un giorno di studio per una sola partita.» Aomine gli aveva fatto il verso e lo aveva preceduto.
«Ehi!»
«E va bene.» ovviamente Aomine non aveva intenzione di lasciare il posto a Midorima, ma Kise sembrava pensarla allo stesso modo e in quel momento sembrò fare di tutto per evitare il suo sguardo.
«Aominecchi, se non ti dispiace vorrei giocare ...» in verità Ryouta avrebbe lasciato volentieri il posto a Midorima, soprattutto a causa del dolore che lentamente iniziava ad insinuarsi nella gamba e a minacciare il suo gioco, ma rinunciare significava andare a bordo campo a guardare la partita, e a bordo campo c'era Momoi: per nulla al mondo, almeno in quel momento, avrebbe voluto trovarsi da solo con lei, sarebbe stato troppo imbarazzante, troppo strano. Kise era stato ferito da Tetsuya e sapeva benissimo come si sarebbe sentita Momoi se a sua volta fosse stata rifiutata da lui, per cui avrebbe preferito rimandare quel discorso ad un altro giorno: soffriva già abbastanza lui per tutti, in quel momento.
Daiki sbuffò e diede un'occhiata a bordo campo: poco male, avrebbe parlato un po' con Satsuki, visto che ultimamente passava la maggior parte del suo tempo più con Kise che con lui e per le poche volte che si erano visti aveva insistito solamente riguardo al progetto di Tetsuya.
«D'accordo.»
Midorima ringraziò Aomine con un mugolio sommesso, probabilmente ancora un po' offeso dall'imitazione - a suo parere completamente errata - con la quale Daiki si era preso gioco di lui.
«Almeno questa volta vedete di vincere, voi due.» e, infine, Aomine si congedò e voltò le spalle ai quattro.


«Ehi Satsuki, ma che diavolo ha Kise?»
«Eh-?!» colta di sorpresa da quella domanda, Momoi scostò immediatamente il proprio sguardo dal gruppo al centro del campetto e lo rivolse ad Aomine, cercando di ignorare il pizzicore fastidioso che si era diffuso sulle guance.
«P-perché? Che cos'ha?» Momoi cercò di mantenere la calma e accennò un sorriso nervoso: se c'era qualcuno che conosceva il motivo del comportamento di Kise, quella era proprio lei.
«È troppo silenzioso.» Aomine era sicuro che bastasse quello: dopotutto si parlava di Kise e nel suo caso il sintomo del silenzio era sempre stato indicazione di malumore.
Momoi rimase a fissare Aomine per qualche attimo, poi tornò a guardare gli altri quattro che avevano appena cominciato a giocare.
Aomine sembrava piuttosto innervosito dal comportamento di Kise, impaziente di scoprire quale fosse il motivo.
Satsuki dondolò sul posto, indecisa se raccontargli o meno ciò che era avvenuto fra lei e Kise la sera prima: dopotutto lei e Aomine si conoscevano da quando erano bambini e non che si dicessero tutto, ma era sicuramente il suo amico più stretto insieme a Kise, per cui le sembrava che in qualche modo la questione riguardasse anche lui, che avesse pieno diritto di sapere cosa era successo.
«Dai-chan, credo che la colpa sia mia.» borbottò poi, fissando lo sguardo a terra: era troppo imbarazzata sia per guardare Kise, sia per guardare Aomine.
«Mhn?» Daiki, invece, aveva immediatamente rivolto il proprio sguardo a Satsuki: conoscere le ragioni del comportamento di Kise, a dire il vero, gli premeva di più della partita che si stava disputando nel campetto.
Momoi non sapeva davvero da che parte iniziare e rimase in silenzio ancora per qualche attimo, sfregandosi nervosamente la tempia con il polpastrello dell'indice.
«Credo ...» Momoi sussurrò a fior di labbra, continuando a sfregarsi la tempia: a pensarci bene, escludendo quella per Tetsuya che era ovvia, non gli aveva mai parlato delle sue cotte.
«Credo che mi piaccia Ki-chan.» Momoi si nascose il viso fra le mani e rimase in attesa, ma Aomine non disse nulla e si limitò a fulminarla con lo sguardo.
Perché la stava guardando così male? Perché riusciva soltanto a fulminarla con lo sguardo e sentiva il desiderio di interrompere immediatamente quella conversazione? Non ne aveva motivo: lui mica era innamorato di Kise!
A pensarci bene, il comportamento di Kise non poteva essere causato da quello: anche se Momoi si fosse confessata a lui perché avrebbe dovuto essere così giù di corda? C'era sicuramente qualcos'altro.
«E ...» Momoi si scoprì il viso e Aomine cercò di abbandonare quell'espressione aggressiva e piena di disappunto.
«Poi ci siamo baciati.»
«Cosa?!» no, non poteva abbandonare quell'espressione neppure volendo, anzi molto probabilmente ciò che aveva appena detto Momoi contribuì a farla divenire ancor più minacciosa: quella conversazione era fastidiosa. Fastidiosa e imbarazzante allo stesso tempo.
Come potevano essersi baciati? Non era da Kise, visto che gli piaceva Tetsuya! E poi da quando gli piacevano le donne? Da quanto ne sapeva lui non gli erano mai piaciute.
No, no: non accettava di essere battuto sul tempo da Satsuki.
«Cioè, in verità l'ho baciato io!» Momoi si corresse con la voce tremante d'imbarazzo, e così Aomine si soffermò su ciò che aveva appena preso forma nella sua mente: perché aveva pensato a quella cosa del farsi battere sul tempo? Visto che non gli piaceva Kise non aveva nessun avversario e, di conseguenza, non poteva essere battuto.
«Lui non ha …?» adesso si metteva pure a fare domande imbarazzanti proprio come Momoi e Kise: fantastico, aveva davvero toccato il fondo.
Momoi scosse leggermente il capo e solo in quel momento Aomine riuscì a trovare un po' di sollievo: per lo meno era un bacio che Kise non aveva ricambiato.
«Dai-chan, salutami gli altri, ok?»
«Eh? Dove vai?»
«È meglio se mi incammino, non vorrei ritrovarmi sola con lui.» almeno per quel giorno, Momoi voleva evitare situazioni imbarazzanti: raccontare ad Aomine quell'episodio le era già costato abbastanza.
Ovviamente Aomine non ebbe nulla da ridire, anzi.
Momoi, evidentemente ancora imbarazzata, si congedò il più in fretta possibile e Aomine, subito dopo aver ricambiato il suo saluto, rivolse il proprio sguardo a Kise proprio nel momento in cui, imitando uno dei suoi layup, aveva messo a segno un canestro perfetto.
A lui non piaceva quel ragazzo, vero?


Dopo la partita, Kise gli venne fin troppo vicino, tanto che sentì l'immediato bisogno di arretrare di almeno un passo.
Aomine non disse nulla sul fatto che Kise e Midorima avessero perso ancora: il motivo era evidente, visto che Ryouta non faceva altro che premersi ripetutamente la zona sotto il ginocchio sinistro con il viso arricciato in una smorfia di dolore. Come al solito aveva strafatto e si era fatto male.
«Dov'è Momoicchi-chan?»
Poi, però, Kise scelse di badare più all'assenza di Momoi che al dolore causatogli dallo sforzo e Aomine fece davvero fatica a trattenere un'imprecazione.
«È andata via prima.» che diavolo gli importava di Momoi? «Ah, ho capito.» Kise si era chinato con cautela e aveva cominciato a massaggiare con cura la zona intorno al ginocchio «va tutto bene, Aominecchi?»
Aomine sfiatò nervosamente: si era chiesto tutto il giorno se Kise stesse bene, e ora proprio lui lo incalzava con quella domanda fastidiosa.
«Sì.» sbottò e ringraziò mentalmente il fatto che anche Midorima, Murasakibara e Himuro si fossero avvicinati.
«Muro-chin, ho fame.» Murasakibara aveva già cominciato a lamentarsi.
«Adesso andiamo al supermercato.» ma per fortuna Himuro fu pronto a placarlo e Murasakibara annuì soddisfatto.
«Bene, per oggi direi che può bastare.» Midorima inforcò gli occhiali e poi si voltò di tre quarti, quasi a voler escludere Kise «la prossima volta, però, voglio un altro compagno di squadra.»
«Ehi!» Kise protestò, ma in modo più contenuto e meno rumoroso del solito.
Aomine si sarebbe offerto volentieri di prendere il posto di Midorima, ma in quel momento si sentiva arrabbiato perfino con Kise, e solo perché aveva fatto quella domanda su Momoi.
«Beh, io vado, ciao.» Daiki si strinse nelle spalle e, già pronto ad alzare i tacchi, fu fermato dalla voce annoiata di Murasakibara.
«Mine-chin, tu abiti da quella parte, giusto? Veniamo anche noi.» Murasakibara non attese neppure la risposta e si affiancò ad Aomine.
«Allora ci vediamo.» anche Midorima si incamminò verso l'uscita del campo e Himuro si congedò da Kise con un cenno della mano e un sorriso e raggiunse immediatamente Aomine e Murasakibara.
«Ciao!» Kise si sforzò di sorridere, poi si guardò intorno e si rese conto di essere rimasto completamente solo.
«M-ma … Midorimacchi! Aspetta!» si lagnò e zoppicò frettolosamente verso l'uscita, raggiungendo Shintarou che, esattamente come un'ora prima, era tornato a giocare con il portachiavi a forma di gufo.
«Facciamo la strada assieme, come ai vecchi tempi– mhn!» Kise cercò di sorridere, ma la fitta alla gamba lo fece mugolare rumorosamente.
«Non sforzarti la gamba, idiota.»
A Kise non faceva affatto piacere essere rimproverato, soprattutto perché quella corsa l'aveva accennata per raggiungere proprio colui che ora lo stava sgridando, come se avesse dimenticato che per tornare a casa facevano sempre la strada assieme; comunque sia notò che il passo di Midorima si era fatto decisamente più lento e non protestò, anzi accennò un lieve sorriso in segno di riconoscimento.
«Peccato che la gamba abbia iniziato a farti male, sei migliorato davvero tanto.»
Il sorriso di Kise si ampliò leggermente: Midorima aveva detto davanti a tutti che la prossima volta avrebbe scelto un altro compagno e ora ammetteva senza neppure troppi sforzi il suo miglioramento.
«Sei sempre il solito, Midorimacchi!»
«Eh? Che intendi dire?»
Kise fece per replicare, nella speranza che parlare un po' con Midorima potesse aiutarlo a dimenticare Tetsuya, ma una voce tagliente li interruppe.
«Ahh, allora è vero!»
A quella voce tagliente seguì una risatina sommessa e fastidiosa e Midorima si sentì raggelare.
«Umh?» Kise si voltò nonostante Midorima lo avesse strattonato per il braccio, quasi a volergli chiedere di ignorarli e continuare a camminare; come se non bastasse, riconoscendo uno dei due si fermò.
«Come stai, Kise?» Imayoshi sfoderò un sorrisetto affettato, ma rivolse il proprio sguardo a Midorima, che ancora non si era voltato e probabilmente stava ponderando la possibilità di darsela a gambe.
«Bene, Imayoshi-senpai, e tu?» preferì mentire: Imayoshi alla fine era uno sconosciuto per lui e non si sarebbe certo messo a raccontargli i suoi problemi, e poi gli aveva sempre messo una certa inquietudine, per non parlare di quello che lo affiancava e che Ryouta riconobbe solo più tardi come l'ex capitano della Kirisaki Daīchi: Makoto Hanamiya.
«Non c'è male.» fece una piccola pausa, poi scambiò uno sguardo complice con l'altro e tornò ad osservare Kise «mi fa piacere che alla fine Midorima abbia aderito al progetto.»
«Non ho aderito a nessun progetto.» protestò Midorima, che finalmente li degnò della propria attenzione.
«Che antipatico.» Hanamiya lo punzecchiò.
«Già, a Takao l'hai detto senza problemi.» e anche Imayoshi sfoderò la sua stoccata, indispettendo Midorima che borbottò una protesta indistinta.
«Vi facciamo compagnia, va bene?» Midorima si limitò a rispondere con uno sbuffo rumoroso: sapeva già che dire di no non sarebbe servito a nulla, anzi molto probabilmente un rifiuto avrebbe alimentato la loro fastidiosa insistenza.
Kise rimase in silenzio e aspettò che i due li raggiungessero; gli erano bastati pochi secondi per capire che Midorima era il loro passatempo preferito e che probabilmente lo avrebbero punzecchiato e preso in giro per tutto il tragitto: meglio così, forse quella bizzarra situazione lo avrebbe distratto per davvero e gli avrebbe permesso di respirare con un po' più di leggerezza.

Un'ombra ha una sola luce: le altre sono illusioni riflesse dall'inconscio.




Licenza Creative Commons
Quest'opera è distribuita con Licenza Creative Commons Attribuzione - Non commerciale - Non opere derivate 2.5 Italia.




L'angolino invisibile dell'autrice:

Le scuse per il mio ritardo sono doverose.
Avevo intenzione di fare una pausa di una settimana circa da Hall of Fame e l'ho fatta, poi è arrivato lo studio e le settimane sono diventate due, anche perché la parte centrale di questo capitolo ha richiesto più giorni per essere stesa.
Spero che questo capitolo possa bastare per essere perdonate da chi ha atteso con ansia il mio aggiornamento!
Tralasciando il fatto che stanno andando a crearsi nuove interazioni, che Murasakibara ha finalmente accettato e si tratta di un capitolo nel quale Aomine ha rischiato di trasformarsi in un pazzo omicida (?) e Midorima ha esternato completamente il suo essere tsundere, la parte su cui volevo spendere due paroline è quella riguardante il sesso MuraHimuro.
Lo so che la maggior parte di voi avrebbe preferito la KagaKuro, ma vi chiedo pazienza: si sono appena messi insieme e ci vorrà un po', mentre Murasakibara e Himuro stanno insieme da tanto, quindi ...
Il fatto che io mi sia voluta concentrare più sul prima e sul dopo, piuttosto che sul punto cruciale del sesso che si è consumato in pochissime righe è perché volevo dare proprio l'impressione di qualcosa di rapido, fatto con talmente tanta foga da esaurirsi in pochissimo tempo (e poi mi ero resa conto che il pezzo era già lungo, non volevo spendere altre pagine!), ma la cosa di cui più di tutto bisogna tener conto è la mia visione, perché sì, per me questi due si amano e si coccolano come due normalissimi fidanzati, ma questa è solo una faccia della medaglia: l'altra è decisamente più perversa, perché è impossibile che il sesso fra uno che ha la mente da manipolatore e sfodera sorrisini da yandere (?) e uno che il più delle volte si comporta come un bambino (e i bambini sono capricciosi e maligni, giusto?) non sia perverso.
Ovviamente si tratta di un perverso contenuto: basta dare un'occhiata alla parte in cui Murasakibara pensa di provare gusto a fare del male a Himuro, seppur in modo lieve; ovviamente non lo picchierebbe mai e poi, in questo capitolo, ha addirittura il sospetto che il lieve dolore che infonde ad Himuro quando non lo prepara a dovere non gli dispiaccia e specifica anche il fatto che non abbia mai ricevuto lamentele: se fosse il contrario non credo si comporterebbe così. Insomma, penso che il loro sia un rapporto come tutti gli altri, ma con un filo di perversione in più per la quale spesso sono pronti a stare sulle difensive o stuzzicarsi a vicenda. A rileggere ciò che ho appena scritto penso proprio che a dare l'idea del loro rapporto sia più il capitolo che la mia - orribile - spiegazione!
Se volete recensire siete le benvenute (anche perché di recensioni non ne sto più ricevendo e sto iniziando a deprimermi, ok? ;3;) e come al solito spammo la pagina FB: https://www.facebook.com/pages/Neu-Preussen-EFP/416393978469818?ref=hl
Grazie a chi legge, a chi segue, a chi inserisce fra i preferiti o i seguiti e a chi recensisce! Alla prossima!

Ritorna all'indice


Capitolo 14
*** Capitolo XIII ***


Capitolo XIII





La gelosia è un veleno corrosivo, condanna dell'anima.

Kagami provava un senso di pace che fino ad allora gli era rimasto completamente sconosciuto.
L'armadio e la cassapanca ai piedi del letto, rimasti vuoti fino a qualche giorno prima, erano stati riempiti rispettivamente da abiti e coperte, il frigo era tornato ricolmo di cibo e bevande, sul tavolino di vetro del piccolo salotto svettava di nuovo un cumulo di riviste sportive e gli attrezzi da palestra erano stati ripuliti dalla polvere: tutto, in quella casa, era stato sistemato e gli ricordava che aveva finalmente trovato una posizione stabile e definitiva a Tokyo.
Sua madre e suo padre non erano stati molto contenti di ricevere quella notizia, ma la loro opinione contraria non era abbastanza per interrompere il suo idillio.
Kagami se n'era guardato bene dallo spiegare il motivo principale della sua scelta: non aveva idea di come avrebbero potuto reagire scoprendo che aveva abbandonato gli Stati Uniti per un ragazzo, anche se era perfettamente cosciente del fatto che prima o poi avrebbe dovuto dirglielo.
Quella sensazione di pace, ormai ben radicata nel suo animo, proveniva proprio da quel ragazzo nei confronti del quale, fino a pochi giorni prima, aveva nutrito dubbi profondi e laceranti e che ora sonnecchiava al suo fianco, con la guancia pigramente accomodata su un libro di almeno duecento pagine.
Erano passati pochi giorni dal loro primo bacio, eppure Tetsuya aveva trascorso quasi tutte le notti successive a casa sua e Kagami aveva imparato che la sera crollava sempre sui libri, ma non si addormentava mai: piuttosto chiudeva gli occhi e riposava, oppure si fermava semplicemente a pensare, poi si ridestava completamente da quel bizzarro dormiveglia e si avvinghiava a lui, lasciando che fossero le sue carezze e le sue parole a condurlo definitivamente nel mondo di Morfeo.
Anche Kagami, in quel momento, approfittò del silenzio per pensare, senza interrompere le carezze che la mano, superato l'impedimento della maglietta, lasciava ripetitivamente sulla schiena liscia e magra di Tetsuya.
Erano passati due giorni da quando Tetsuya aveva disdetto il suo appuntamento con Kise, Aomine e Midorima e da quel momento non aveva più parlato del suo progetto, non aveva neppure menzionato i loro nomi: si sentiva in colpa, forse? Era ovvio che Tetsuya si fosse reso conto dei sentimenti di Kise, lo aveva fatto prima di chiunque altro, e Kagami non lo avrebbe mai biasimato se si fosse sentito in colpa: lui stesso si era dispiaciuto quando aveva notato l'espressione che Ryouta aveva assunto nell'esatto istante in cui si era accorto delle loro mani unite.
Pur essendo suo rivale, Kagami non aveva antipatie per Kise e sapeva perfettamente che era una brava persona, per cui non aveva intenzione di fargli pesare il fatto che avesse “perso”; piuttosto continuava a chiedersi che tipo di rapporto avessero avuto Akashi e Kuroko - per quanto fosse già immaginabile - e quando quest'ultimo si sarebbe deciso di raccontargli il resto, ovvero tutto ciò che aveva evidentemente omesso durante le rievocazioni dei tempi della Teiko, alle quali erano stati resi partecipi lui e tutti i compagni del Seirin.
In più aveva iniziato a domandarsi se anche lui non avesse potuto prendere parte al progetto: dopotutto vi partecipava anche una persona estranea come Tatsuya che, senza dubbio, era molto lontano dal raggiungere il livello degli ex miracoli.
C'erano troppe cose che Kagami voleva sapere e di cui voleva parlare, ma si rendeva perfettamente conto che stare con Kuroko non gli dava il diritto di ficcare il naso in ogni cosa che lo riguardasse: sicuramente Tetsuya aveva bisogno della sua intimità e non si sentiva pronto a parlare di certi avvenimenti, così decise che avrebbe iniziato a piccoli passi e dalle cose più semplici, continuando a fidarsi di quella testolina azzurra che, ne era sicuro, presto lo avrebbe reso partecipe anche degli avvenimenti passati che erano stati tralasciati, custoditi gelosamente nella sua sola memoria. «Kuroko?» ancora immerso nei propri pensieri, lo chiamò con un filo di voce, ma Tetsuya, che evidentemente aveva chiuso gli occhi solo per pensare, senza una reale intenzione di riposare, sollevò immediatamente la testa e gli rivolse un'occhiata interrogativa.
«Non ti senti un po' ...» Kagami si fermò e si chiese se quelle che stava per pronunciare fossero le parole giuste «sì, insomma, non ti senti in colpa per non esserti presentato, l'altro giorno?»
Lo sguardo di Tetsuya, che era rimasto su di lui fino a quel momento, si scostò e si puntò sulla copertina rossa del libro, poi seguì il movimento lento delle pagine che venivano girate dalle sue stesse dita, in cerca della numero novantasette, lì dove iniziava il quinto capitolo.
«No, Momoi-san mi ha inviato un sms e mi ha assicurato che nessuno si è lamentato.» spiegò tranquillamente Tetsuya, anche se, in effetti, nutriva un sincero dubbio su quel “nessuno”: se li conosceva abbastanza bene poteva dirsi sicuro che non fossero rimasti indifferente alla sua assenza e che, sicuramente, almeno uno fra Midorima e Aomine si era lamentato eccome.
«Li vedrò domenica, comunque.» continuò, quasi avesse voluto rassicurare Kagami anche se, in verità, aveva rivolto quelle parole più a se stesso che a Taiga.
Certo che si sentiva in colpa per aver pensato più a se stesso e a Kagami piuttosto che a quei ragazzi che con tanta difficoltà avevano accettato la sua proposta, sacrificando il loro ego per lui, ma soprattutto era dispiaciuto per Kise.
Aveva preso in considerazione almeno un paio di volte la possibilità di chiamarlo, ma sapeva benissimo che non sarebbe servito a nulla visto che non avrebbe mai cambiato i suoi sentimenti e che, sicuramente, Kise avrebbe fatto finta di niente e avrebbe cercato di ignorare la questione.
Nonostante ciò, Tetsuya si era reso conto dell'assoluto bisogno di sapere come stesse e quindi, subito dopo aver ricevuto l'sms di Momoi, l'aveva chiamata per avere notizie proprio di Kise, ma con sua grande sorpresa l'aveva sentita farfugliare qualcosa di incomprensibile e poi aggiungere - o forse ripetere - con voce tremante un: “Non ne ho idea”. Momoi si era decisa a chiedergli il perché di quell'interesse solo poco dopo, ma Kuroko si era visto bene dal non risponderle ed era riuscito a divagare con una seconda domanda.
Tetsuya ci stava ancora pensando a quella chiamata, alla voce tremante di Momoi e al cellulare che da giorni non veniva più tempestato dagli sms stupidi di Kise.
Aveva perfino preso in considerazione la possibilità che potesse essersi messo nei guai e che Momoi stesse cercando di coprirlo, ma non lo credeva possibile e aveva pensato che per scoprirlo non gli restasse altro da fare se non entrare in contatto con un altro degli ex miracoli.
«Ci saranno Aomine, Kise e Midorima?» chiese Kagami, forse mostrandosi un po' troppo curioso di scoprire l'eventuale presenza del secondo.
«Anche Murasakibara-kun.» Tetsuya aveva risposto con un sussurro e aveva richiuso il libro, ripetendosi mentalmente quel nome che Kagami aveva nominato poco prima.
«Ha detto di sì?»
Tetsuya annuì appena, poi si trascinò un poco più lontano dal corpo dell'altro per tendere il braccio e afferrare il cellulare che si trovava sul comodino.
«Quindi ci sarà anche Himuro-san.» soffiò contro lo screensaver del cellulare e Kagami rimase a guardarlo in silenzio, incrinando le labbra in un sorriso vagamente divertito: Kuroko cercava di apparire il più educato possibile quando si parlava di Tatsuya, ma era evidente quanta gelosia provasse nei suoi confronti e la sua voce dolce, incrinata dal disappunto e da un fastidio quasi impossibile da trattenere, lo rendeva ancor più adorabile.
«A chi scrivi?» non che Kagami non fosse geloso, ma anche lui, esattamente come Tetsuya, cercava di nasconderlo e quella domanda sarebbe dovuta rimanere senza voce esattamente come tante altre, ma gli era sfuggita improvvisamente, senza neppure dargli il tempo di mordersi la lingua per zittirsi.
«Ad Aomine-kun.» Tetsuya, comunque, aveva risposto tranquillamente e, senza staccare mai gli occhi dallo screensaver, aveva continuato a premere esagitatamente i piccoli tasti del cellulare.
Già, anche Kagami era geloso.
Nonostante Kise gli avesse fatto capire la sua intenzione di conquistare Tetsuya e fosse uno dei suoi amici più stretti non riusciva ad esserne geloso, ma di Aomine sì; pur non conoscendo i precisi sentimenti di Daiki nei confronti di Kuroko, Taiga conosceva il tipo di rapporto che c'era stato fra loro: si trattava di un'amicizia sfiorita un po' troppo in fretta, ma vissuta appieno e senza costrizioni e non aveva idea se per uno dei due fosse addirittura sfociata in qualcosa di più. In verità non voleva neppure saperlo: l'unica cosa che desiderava conoscere in quel momento era il motivo per il quale Tetsuya aveva preso il cellulare e aveva cominciato a scambiare alcuni sms con Aomine.
Per quanto ne sapeva poteva essere un'abitudine, magari erano tornati in ottimi rapporti come ai vecchi tempi e Tetsuya parlava con Aomine più di quanto non facesse con lui.
«Beh, io sono stanco.» quel pensiero gli aveva messo la nausea e così, borbottando con le labbra incrinate in una smorfia amareggiata, Taiga si sistemò pigramente su un fianco e diede la schiena all'altro.
«Buona notte, Kuroko.»
Aomine avrebbe detto: “Tetsu”. Era il solo che avesse tanta confidenza con Kuroko.
Kagami sfiatò il proprio disappunto dalle narici e chiuse gli occhi, anzi li strizzò in un cruccio nervoso, maledicendosi mentalmente.
Tetsuya, dal canto suo, fissò per qualche attimo la schiena possente di Kagami e i capelli rossi e leggermente arruffati che ricadevano mollemente sul cuscino, chiedendosi da quando dormisse in quella posizione composta.
«Kagami-kun?» spedito l'ultimo sms, Tetsuya adagiò sia il libro che il cellulare sul comodino e si fece un poco più vicino all'altro.
«Mhn?» Kagami brontolò appena, aprendo pigramente un occhio.
«Dovresti spegnere la luce, prima.»
Kagami aprì anche l'altro occhio, aggrottando la fronte in un'espressione confusa.
«La luce è dalla tua parte, idiota. Spegnila tu.» borbottò leggermente innervosito: da quanto Tetsuya aveva quelle pretese? L'abat-jour sul comodino che stava alla sinistra del letto l'aveva sempre spenta lui, per quelle poche sere che fino a quel momento avevano passato insieme.
«Non ci arrivo.» Tetsuya commentò con voce atona, continuando a fissare la schiena immobile dell'altro.
Kagami rimase in silenzio e cercò di riordinare le idee e di non perdere la pazienza, poi si voltò non tanto per spegnere l'abat-jour come gli era stato richiesto, ma piuttosto per assicurarsi che Tetsuya non fosse impazzito o non si trovasse in una qualche posizione strana a causa della quale non poteva realmente arrivare al tasto che gli avrebbe permesso di spegnere la luce.
Ovviamente quando si voltò trovò gli occhi di Tetsuya completamente immersi nei suoi e per un breve istante si sentì disarmare da quello sguardo insistente, poi cercò di parlare - di dirgli che poteva arrivarci benissimo da solo a spegnere la luce, a dire il vero -, ma Tetsuya si avvinghiò velocemente al suo corpo e lasciò sprofondare il viso al centro del suo petto, in cerca di calore e protezione.
Kagami capì solo in quel momento che si trattava di una tattica per farlo voltare e che c'era cascato come un fesso, ma a pensarci bene Tetsuya aveva appena lasciato da parte il cellulare - e quindi aveva smesso di spedire sms ad Aomine - per dormire abbracciato a lui come al solito, e questo lo rese certamente più magnanimo, tanto che tese il braccio e si sporse appena per spegnere la luce, poi gli sistemò la coperta fin sopra le spalle e ricambiò quell'abbraccio e il bacio che, immediatamente dopo, lo colse piacevolmente di sorpresa.


«Allora? Mi vuoi dire perché non sei venuto, l'altro giorno?» Aomine lo accolse con una domanda più che prevedibile, ma che richiedeva comunque una risposta troppo difficile da dare.
«Non ho potuto.» Tetsuya tagliò corto, giustificandosi nel più semplice e vago dei modi; Aomine, dal canto suo, richiuse la porta e gli lanciò un'occhiata indispettita.
«Murasakibara ha giocato con noi.»
«Lo so.» Tetsuya fu piacevolmente sorpreso di riconoscere ogni angolo della casa e sapere quale stanza succedesse ad un'altra, così si diresse a passo lento e tranquillo verso la cucina, dove avrebbero potuto parlare con calma, seduti ad un tavolo.
«Me l'ha detto Momoi-san.» continuò, imboccando l'entrata della cucina.
«Ohi, domenica verrai oppure hai intenzione di darci buca un'altra volta?» Aomine brontolò alle sue spalle: sembrava essersela presa davvero per la sua assenza.
«Ci sarò.» ma il tono di Tetsuya non fu fermo come avrebbe voluto, perché qualcosa, al centro del tavolo, aveva attirato la sua attenzione.
Non c'era nulla di cui stupirsi nel trovare certi tipi di riviste in casa Aomine, soprattutto durante il pomeriggio, quando Daiki era solo e quindi le lasciava dove capitava, ma a Tetsuya bastò scorgere l'immagine in copertina per capire che c'era qualcosa di diverso.
Tetsuya si avvicinò un poco di più e si concesse una seconda sbirciata, rimanendo ad osservare la rivista in silenzio: sì, quello in copertina era proprio Kise, e stava posando per un servizio in intimo.
Le piccole inserzioni che svettavano a caratteri cubitali colorati, accanto al torace nudo di Kise, annunciavano la presenza di altre foto all'interno della rivista; Tetsuya sbatté un paio di volte le palpebre e se ne rimase immobile, chiedendosi se fosse solo un caso oppure se Aomine non fosse stato interessato proprio a Kise, e ciò che avvenne poco dopo gli confermò che molto probabilmente la seconda ipotesi era quella giusta.
La mano di Aomine sgusciò di fianco a lui e la rivista scomparve da sotto il suo naso: Tetsuya fece appena in tempo a voltarsi per incontrare lo sguardo fitto e pieno di disappunto dell'altro e vederlo gettare la rivista all'indietro, in un gesto stizzito.
Aomine era indeciso se detestare più se stesso, che era stato tanto distratto da lasciare una prova così importante in bella vista, oppure Tetsuya, che aveva invaso la sua privacy con una disinvoltura sconcertante.
Tetsuya seguì con attenzione la traiettoria invisibile che la rivista tracciò in aria e poi la vide capitombolare nel cestino della spazzatura, infine tornò a fissare Aomine senza lasciar trasparire nessuna particolare emozione.
«Canestro.» si limitò a commentare con voce atona, nascondendo quella leggera sensazione di divertimento che la situazione stava sortendo su di lui.
Aomine sbuffò sonoramente e, evidentemente imbarazzato dalla situazione, cercò di sfuggire allo sguardo insistente di Kuroko.
«Si … si può sapere cosa vuoi?» borbottò infastidito: Tetsuya gli dava i nervi quando riusciva a metterlo alle strette con la sola forza dello sguardo e il potere del silenzio.
«Volevo sapere com'è andata.» Tetsuya non era tipo da dare peso a certe cose: se Aomine era interessato al servizio fotografico di Kise sarebbe rimasto semplicemente sorpreso di scoprire che la sua vecchia luce aveva un debole anche per i maschi, ma per il resto non lo avrebbe né punzecchiato o preso in giro, né avrebbe ficcato il naso nei fatti suoi.
«Non te l'ha già detto Satsuki?»
«In verità mi ha parlato solo di Murasakibara-kun.» Tetsuya si sedette e seguì con lo sguardo Aomine, che poco dopo prese posto di fronte a lui: non sapeva se parlare anche della sua conversazione telefonica con lei e di quella voce tremante che lo aveva lasciato fin troppo confuso.
«Beh, abbiamo fatto un paio di due contro due, prima io e Himuro contro Kise e Midorima e poi Kise e Midorima contro Himuro e Murasakibara.» doveva menzionare il comportamento di Kise? Aomine era ancora fermamente convinto che potesse essere collegato proprio a Tetsuya, quindi si limitò ad un breve responso «la squadra di Kise ha perso entrambe le volte.»
Tetsuya sussultò appena e sollevò il proprio sguardo verso l'altro: Kise era migliorato tantissimo, era bastato l'uno contro uno con Aomine per confermarglielo, per cui gli risultava inaccettabile l'idea che avesse perso entrambe le partite, anche perché, ne era sicuro, la causa non era la gamba ancora in via di guarigione dopo tutti quegli anni, ma i suoi sentimenti.
«Come si è comportato?» gli sembrava inutile chiedere una cosa simile: come poteva essersi comportato, Kise? Come al solito, visto che niente sembrava potergli togliere il sorriso e quell'allegria sproporzionata.
Aomine scacciò via l'imbarazzo e incatenò i suoi occhi a quelli di Tetsuya, aggrottando la fronte in un cruccio confuso: perché chiedeva proprio del suo comportamento? Allora aveva ragione a pensare che Kuroko centrasse qualcosa con l'atteggiamento di Kise.
«In modo strano, esattamente come Satsuki.» tagliò corto Aomine.
Tetsuya non si aspettava di sentir pronunciare anche il nome di Momoi: la conversazione cominciava a incuriosirlo ancora di più, a prendere una piega imprevista.
«Momoi-san? Quando mi ha chiamato aveva una voce strana e mi ha detto soltanto di Murasakibara-kun.» il che era insolito per Momoi, visto che al telefono parlava moltissimo, esattamente tanto quanto di persona se non di più.
Aomine si sentì pervadere nuovamente dall'imbarazzo, ma anche dal nervoso: per nessunissima ragione al mondo aveva voglia di raccontare ciò che Momoi gli aveva detto pochi giorni addietro.
«Si sono ...» Aomine scostò il proprio sguardo da Tetsuya e lo rivolse al vetro della finestra oltre la quale filtrava la luce tenue del freddo sole di novembre, sfiatando sommessamente «si sono baciati.»
Tetsuya aggrottò la fronte e si sporse un poco in avanti, quasi come se avesse creduto di non aver sentito bene.
«Cosa? Momoi-san e Kise-kun?»
Aomine grugnì in segno di assenso.
Tetsuya non sapeva cosa dire: Kise era innamorato di Momoi? Non di lui? Il comportamento nei suoi confronti non era mai cambiato di una virgola, per cui Tetsuya non aveva mai preso in considerazione l'idea che Kise potesse aver voltato pagina già da un pezzo.
«Cioè, Satsuki ha baciato lui.» Daiki si corresse e tornò a guardare Tetsuya con la coda dell'occhio.
«Come mai volevi sapere di Kise? È successo qualcosa?» era ovvio che Kise non ricambiasse i sentimenti di Momoi e non era un caso che Kuroko fosse venuto a chiedergli di lui proprio in quel momento. Aomine temette per un attimo che Tetsuya avesse cambiato idea su Kise, che volesse accertarsi del suo amore e fosse pronto a ricambiarlo.
«Volevo sapere come stava, credo ci sia rimasto male quando mi ha visto insieme a Kagami-kun.»
Poi Aomine smise di sbirciarlo con la coda dell'occhio e tornò a guardarlo con più interesse, anzi lo squadrò con le labbra incrinate in una smorfia.
«Ma Kagami non è in America?» e in quel momento, nonostante l'idea che Kagami potesse trovarsi in Giappone gli desse un fastidio assurdo, sperò sinceramente che Tetsuya gli comunicasse che era tornato.
«Kagami-kun è tornato.»
Aomine esultò mentalmente: se c'era Kagami nei dintorni, Kuroko era fuori dai giochi e, forse, Kise si sarebbe dimenticato presto di lui.
«Stiamo insieme da qualche giorno, ma ...»
«Cosa-?!» improvvisamente, però, l'esultanza nella sua testa si spense.
«Ti sei messo insieme a quell'idiota? Davvero?»
«Aomine-kun, Kagami-kun non è un idiota.»
«Ah? No? Quanto gli ci è voluto per accorgersi di te?»
«Ma Kise-kun è innamorato di me.» Tetsuya fece finta di non averlo sentito e riprese il discorso.
«Sì, sì.» Aomine brontolò infastidito: Satsuki era innamorata di Ryouta e Ryouta, a sua volta, era innamorato di Tetsuya, e lui, oltre a rimanere completamente fuori da quel circolo privato, doveva perfino sentirselo rinfacciare.
«Domenica verrà?»
«Credo di sì.»
Andava bene così: dopotutto non si sarebbero potuti ignorare per sempre.
«Spero che giochi bene, almeno.» Aomine disse la prima cosa che gli venne in mente, anzi la seconda, visto che un pensiero insistente, lo stesso che aveva preferito occultare, continuava a martellargli la testa da quando gli era stato chiesto come stesse Ryuota: Kise provava qualcosa per Kuroko da tantissimo tempo, dalle medie, quindi ormai erano quattro anni - e forse anche di più -, e un sentimento così duraturo non si poteva cancellare con un battito di ciglia o uno schiocco di dita, si sentiva impotente di fronte al legame che univa Ryouta e Tetsuya, come se per lui, dopo un amore così grande, non potesse esserci posto.
Si sentiva inferiore a Tetsuya.
Ridicolo.
«Allora ci vediamo domenica, Aomine-kun.» Tetsuya si alzò con calma, seguito dallo sguardo silenzioso di Aomine: avrebbe potuto offrirgli qualcosa e dirgli che non c'era problema se si tratteneva ancora, ma non era bravo in quelle cose e stava ancora pensando a quanto si sentisse inferiore nei suoi confronti.
Aomine si alzò pigramente e lo accompagnò alla porta in silenzio, ponderando la possibilità di chiamare Kise per essere sicuro che domenica si sarebbe presentato o, più semplicemente, per sentire la sua voce.
«A domenica, Tetsu.»
Tetsuya si congedò con un lieve cenno della mano e Daiki richiuse subito la porta, rimanendo immobile, con le tempie pulsanti: c'erano cose che faceva ancora fatica ad elaborare e a registrare nella propria mente, ad esempio il bacio fra Satsuki e Kise, quell'amore duraturo che Ryouta aveva provato per Tetsuya e che mai avrebbe nutrito nei suoi confronti, l'imbarazzo che era scaturito in lui nel momento in cui Kuroko aveva notato la rivista sul tavolo.
«Ah- merda ...» sibilò e fece marcia indietro, entrò in cucina e si chinò immediatamente sul cestino della spazzatura, intenzionato a recuperare la rivista: era inconcepibile buttare via quelle foto.


«Eccomi.»
Un cinguettio flebile stuzzicò Ryouta quel tanto da scuoterlo e allontanarlo dal confuso flusso di pensieri che da troppi giorni cercava inutilmente di districare.
Sollevò il capo e incontrò il sorriso gentile di chi aveva annunciato il suo arrivo e che ora si accingeva a sistemarsi al suo fianco, occupando l'altra metà della panchina.
«Mi dispiace di averti disturbato.» borbottò Ryouta a fior di pelle, grattando nervosamente il tessuto scuro dei jeans che gli avvolgeva il ginocchio destro.
«Oh no, nessun disturbo.» il sorriso di Himuro si ampliò leggermente: era sincero, gli faceva piacere che qualcuno degli ex miracoli oltre Murasakibara lo considerasse e gli avesse chiesto di vedersi, anche se non gli aveva spiegato la ragione di quell'appuntamento improvviso.
«È che altrimenti finirei per scoppiare.»
Tatsuya gli dedicò un'occhiata interrogativa: era ovvio che Kise non gli avesse chiesto di vedersi per parlare del basket, ma piuttosto per ragioni personali.
Kise non cercava consiglio o conforto, semplicemente desiderava potersi sfogare e, soprattutto, essere ascoltato: per questo aveva scelto Himuro e non Aomine, perché sapeva che Daiki non gli avrebbe dato attenzione e che, come al solito, si sarebbe lamentato dicendogli che parlava troppo ed era troppo rumoroso.
«Kagamicchi te l'ha detto?»
«Cosa? Che si è trasferito definitivamente a Tokyo? Sì.»
«No, l'altra cosa.»
«Quale altra cosa?» Himuro aggrottò la fronte confuso e decisamente incuriosito da quelle parole.
Kise boccheggiò e dovette riabbassare il capo, quasi come se quella posizione gli facilitasse la raccolta di tutta la forza che gli era rimasta per pronunciare le parole a cui si accingeva a dar voce.
«Che si è messo con Kurokocchi.» lo sputò fuori come si poteva fare col fiato dopo l'apnea o col sangue dopo un pugno in pieno viso.
Tatsuya ebbe un sussulto e, sollecitato da un'assurda curiosità, si fece un poco più vicino all'altro.
«Taiga me l'ha tenuto nascosto.» scosse il capo in segno di disappunto, chiedendosi cosa stesse aspettando Kagami a dirglielo, visto che in America era stato proprio lui a ricordargli ogni volta che poteva che Tetsuya provava qualcosa nei suoi confronti e che forse avrebbe dovuto pensarci su.
«Era anche l'ora.» Himuro non aveva mai nutrito una grande simpatia per Kuroko e aveva la sensazione che la cosa fosse reciproca, ma lui stesso si trovava a fare il tifo per lui e Kagami, sicuro che Taiga sarebbe stato felice quanto lo era lui con Murasakibara.
«Già ...» che a Kise piacesse Kuroko era un dato di fatto e tutti ne erano a conoscenza, ma lo avevano appreso attraverso i suoi gesti e mai attraverso le sue parole: era la prima volta che si accingeva a parlare dei suoi sentimenti per Tetsuya e farlo con qualcuno che conosceva poco come Himuro, nonostante avesse la certezza che non sarebbe mai stato giudicato o denigrato per i suoi gusti sessuali - visto che li condividevano -, lo metteva terribilmente a disagio.
«Ultimamente non sono stato molto bene.»
Himuro rimase in silenzio: aveva già un sospetto sulla piega che avrebbe potuto prendere quella conversazione.
«Sono innamorato di Kurokocchi dalla seconda media ...» Kise aggrottò la fronte e incrinò le labbra in un sorriso amaro: dirlo a voce era stato più doloroso di quanto avesse immaginato, era l'affermazione di un amore che gli aveva fatto vivere tantissimi anni in uno stato d'inerzia, un amore per il quale aveva fatto delle rinunce ma che mai si sarebbe realizzato.
«Ma Kurokocchi non ha mai visto niente in me se non la figura dell'amico.» un amico stupido, molto probabilmente.
«Gliel'hai mai detto?» a Tatsuya stava simpatico Kise, per cui poteva parteggiare per lui che era un bravo ragazzo con il cuore spezzato e l'umore sotto le scarpe esattamente come tifava per Kagami, che conosceva da tanto tempo e che voleva vedere felice, per cui in quel momento sentì il bisogno di porsi su un piano di imparzialità.
«No, ma si capiva. Kurokocchi è bravo a osservare i comportamenti delle persone, di sicuro lo sa già.» Kise fece una piccola pausa, poi risollevò il viso e rilassò il busto contro lo schienale duro e scomodo della panchina, lasciando scivolare il capo leggermente all'indietro «e poi c'è un altro problema.»
«Che tipo di problema?»
«Qualcun altro è innamorato di me.»
«Aomine?» Himuro aveva notato con talmente tanta facilità il comportamento di Aomine nei confronti di Kise da pensare che anche Ryouta se ne fosse accorto, per cui aveva pronunciato quel nome come se fosse stata la cosa più naturale al mondo.
«Eh-?» Kise si voltò immediatamente verso Himuro e accennò una risata nervosa, scuotendo le mani davanti al viso leggermente imporporato «A-Aominecchi?! No, a lui … a lui non piacciono mica i maschi!»
Himuro non disse altro e aspettò che Kise continuasse.
«Piaccio a Momoicchi-chan e, siccome in questo momento so quanto si soffra per amore, non vorrei mai farla stare male. Anche lei, come me, poco tempo fa ha dovuto rinunciare a Kurokocchi e se io le dicessi di no sarebbe la sua seconda delusione, ma a me non ...»
«Momoi è stata innamorata di Kuroko per un sacco di tempo, vero?» Himuro lo interruppe.
«Mhn? Sì.»
«Allora quello che prova per te adesso potrebbe essere una semplice infatuazione, visto che si è dovuta lasciare alle spalle un sentimento vecchio di anni.»
Kise rimase in silenzio per qualche attimo: forse Himuro non aveva tutti i torti a dire una cosa del genere, ma allora come doveva comportarsi? Doveva fare finta di niente e aspettare che a Momoi passasse? Oppure dirle che non voleva avere nulla a che fare con lei, provocarle qualche giorno di pianti e tristezza e poi aspettarsi di ritrovarla solare come ai vecchi tempi?
«Io voglio bene a Momoicchi-chan. La cosa assurda è che, probabilmente, se mi piacessero le donne sarei stato felice di avere una storia con lei, ma non ce la faccio davvero. Alle medie pensavo solo a Kurokocchi e i pochi flirt che mi sono concesso nei momenti di sconforto sono sempre stati con altri ragazzi, mai con le ragazze.»
«Non ci vuoi neanche provare?»
«No.» la risposta breve e decisa di Kise fu chiara ed Himuro prese una grande boccata d'aria, incrociando le braccia al petto, pensieroso.
«Tu hai provato?» poi si rivolse a Tatsuya con la voce incrinata dalla curiosità.
Tatsuya accennò un sorriso e gli restituì lo sguardo.
«Ho avuto due ragazze in America e, sì, ho provato con l'ultima. Atsushi invece è il mio primo ragazzo.»
«E com'è?»
«Atsushi?»
«No, com'è … com'è farlo con un ragazzo?» Kise puntò gli occhi a terra e borbottò a voce bassa, lievemente imbarazzato.
Himuro, dal canto suo, gli rivolse un'occhiata interrogativa e sollevò leggermente il sopracciglio destro, esitando sul da farsi.
«Kise, tu sei …?»
«Eh? Ah ...» Kise si strofinò il viso con le mani, forse nel tentativo di alleviare il carico di imbarazzo che gli pesava sulle spalle.
«Te l'ho detto: ho avuto solo qualche flirt.» fece una piccola pausa, poi sospirò rassegnato «ho passato tutto il resto del mio tempo a correre dietro ad una persona che non mi ha mai preso seriamente in considerazione.»
Himuro restò in silenzio per qualche attimo, a riflettere: dopotutto cosa c'era di strano se Kise era ancora vergine? Aveva aspettato, si era conservato per la persona che amava: non c'era niente di male.
Himuro accennò un sorriso, vagamente intenerito da quell'innocenza acerba che mai si sarebbe aspettato di trovare in Kise, che era apparso su importanti riviste sportive e tuttora figurava in quelle di moda e poteva vantare una valanga di ragazze adulanti che avrebbero fatto di tutto anche solo per scambiarci due chiacchiere.
«Sai, non credo che la qualità del sesso dipenda dallo stare con una ragazza o con un ragazzo, ma dal sentimento che provi.» si era finalmente deciso a rispondere alla domanda dell'altro, ma si rese immediatamente conto di quanto fosse difficile dare una spiegazione, anche vaga, di come fosse fare l'amore con la persona amata.
«Io amo Atsushi, perciò è una cosa bellissima.» quello era forse uno degli aggettivi più vicini alla sensazione di gioia e appagamento che provava facendo l'amore con Murasakibara e che non riusciva a descrivere.
Kise accennò un sorriso, seppur con fatica.
«Sono contento per te e Murasakibaracchi: è come se vi foste trovati.» ed era contento davvero, solo si chiedeva quando sarebbe arrivato il turno, quando avrebbe amato e sarebbe stato amato di rimando anche lui.
«Non abbatterti, Kise. Sei un bravo ragazzo, e sei anche carino: vedrai che troverai qualcun altro e magari lo amerai anche più di Kuroko.» una frase simile poteva suonare scortese o risultare irritante, ma Tatsuya era fortemente convinto di ciò che aveva appena detto e sperava sinceramente che un giorno anche Kise potesse trovare la sua metà.
«Secondo te è possibile?» lo incalzò Kise, che riprese immediatamente il discorso «intendo dire: secondo te è possibile amare chi viene dopo più di chi c'era prima?» era possibile che dopo quello provato per Tetsuya potesse sopraggiungere un amore ancora più grande? Era possibile voltare pagina? E furono tante altre le domande che gli si accavallarono nella mente mente, ma alle quali decise di non dare voce.
«Credo di sì.» tagliò corto Himuro, che subito dopo sembrò essersi reso conto della necessità di fornire una risposta più dettagliata.
«La prima ragazza l'ho avuta a tredici anni ed è durata appena un mese: l'ho mollata io, perché voleva che smettessi col basket e che stessi sempre con lei.»
«Ah, odiosa ...» commentò Ryouta, accennando un piccolo sorriso.
«Già.» anche Tatsuya sorrise, poi guardò davanti a sé e le labbra assunsero la forma di un piccolo arco le cui estremità puntavano verso il basso.
«La seconda, invece, è durata per quasi due anni ed è quella con cui ho perso la verginità.» Himuro si schiarì la voce, leggermente a disagio: da quando si metteva a confidare certe cose a Kise che, pur standogli simpatico, poteva considerarsi solo un conoscente? Era già tanto se quella storia l'aveva raccontata a Kagami.
«L'amavo davvero tanto.»
«E com'è finita?»
«Mi ha mollato per un altro.»
«Oh-»
«Ma sono felice.» Himuro rilassò il busto contro lo schienale della panchina e socchiuse gli occhi «se non mi avesse lasciato, forse sarei venuto qui in Giappone solo per sfidare Taiga e poi sarei tornato da lei in America, non avrei mai conosciuto Atsushi. E io Atsushi lo amo almeno mille volte di più di quanto amassi quella ragazza.» constatò infine, con le labbra incrinate in un sorriso rilassato.
Kise rimase a fissarlo in silenzio, realizzando che Himuro lo aveva fatto: aveva trovato un amore più grande del precedente e aveva voltato pagina.
Ryouta non aveva intenzione di autocommiserarsi ancora, così preferì spostare completamente il succo del discorso alla persona di Himuro e non più alla sua.
«All'inizio avevo pensato che fossi innamorato di Kagamicchi.»
«Eh?» Himuro sembrò vagamente sorpreso e piuttosto divertito da quell'affermazione improvvisa, poi scosse il capo e trattenne a stento una risata.
«Taiga è come un fratello per me, non potrei mai.»
Kise sorrise: era strano parlare di tutte quelle cose, ma in qualche modo era servito per risollevargli il morale.
«Che ne dici se passiamo al campetto e giochiamo un po' a basket?» Ryouta si diede una piccola spinta e si sollevò in piedi, rivolgendo immediatamente il proprio sguardo a Tatsuya, con le labbra già incrinate in un sorrisetto complice.
«Dico che ci sto.»


Tetsuya si sentì ringiovanito di qualche anno, tormentato dalla stessa ansia infantile che lo aveva perseguitato nei giorni precedenti al test d'ammissione al Seirin e, soprattutto, nei minuti prima che cominciasse la prova d'ingresso: la sensazione era la stessa che aveva provato quando, qualche giorno prima dell'inizio dell'anno scolastico, aveva varcato la soglia di quello che ancora non sapeva sarebbe stato il suo liceo e aveva salito due rampe di scale che gli erano parse infinite, con le gambe tremanti e la schiena percorsa ripetutamente da brividi fastidiosi; la stessa di quando aveva fatto il suo ingresso in una piccola aula e aveva preso posto in attesa che la prova d'ingresso gli venisse consegnata, intrecciando le dita e congiungendo le mani leggermente sudate sotto al mento, immobile e stretto in se stesso.
In quel momento le piccole scosse d'ansia che attraversavano il suo corpo e lo facevano stare sull'attenti, con gli occhi puntati oltre le maglie metalliche della rete, erano la prova più evidente di quanto gli importasse, di quanto ci tenesse a sistemare tutto con Kise e di quanto quella situazione lo facesse sentire in colpa.
Tetsuya era stato il primo ad arrivare, forse perché sperava di trovare proprio Kise e poter scambiare due parole con lui; forse perché aveva il disperato bisogno di passare un po' di tempo da solo al campetto, quasi avesse voluto ambientarsi, provare ad immaginare come sarebbero andate le cose o, ancor più semplicemente, perché credeva avrebbe trovato qualcuno a cui riportare almeno in parte la faccenda, alleggerendo il peso di un carico così soffocante.
Tetsuya non aveva trovato nessuno, ma si rendeva perfettamente conto che le lancette non avevano ancora segnato l'orario prestabilito e che, perciò, c'erano possibilità scarse che qualcuno fosse già al campetto, così volle ritagliarsi un po' di tempo solo per sé e per il basket e si dedicò a qualche tiro, riuscendo a metterne a segno qualcuno.
Dopo circa venti minuti di solitudine, Tetsuya dovette staccare gli occhi dal canestro e tornò a stringere la palla a spicchi fra le mani, leggermente pentito di essersi presentato con un così largo anticipo.
«Buongiorno, Kuroko-kun.» Himuro aveva dispensato uno dei suoi consueti sorrisi melliflui - forse anche troppo, risultandogli più falso del solito -, mentre Murasakibara si limitò a scompigliargli i capelli, ovviamente ignorando le sue proteste in proposito.
Midorima arrivò puntuale come sempre e non poté che considerarlo come una sorta di salvatore, visto che Himuro aveva cominciato a fargli un po' troppe domande su Kagami, come se avesse saputo che stavano insieme o, per lo meno, lo avesse sospettato.
Aomine ovviamente se la prese comoda e arrivò con ben dieci minuti di ritardo, ma Kuroko non ci diede peso e, anzi, si affiancò subito a lui, pur restando in silenzio: nonostante la loro fosse un'amicizia ancora incrinata dagli eventi passati, in quel momento Tetsuya preferiva la compagnia di Daiki, piuttosto che quella di Murasakibara - e non tanto per Atsushi, ma perché parlare con lui significava per forza dover interagire con Himuro - o quella di Midorima, che stava cercando di occultare una katana - il suo oggetto fortunato del giorno, indovinò Kuroko - in un grosso borsone sportivo.
I presenti impiegarono altri dieci minuti a parlare del più e del meno e Tetsuya venne a sapere da Aomine che Momoi non sarebbe venuta perché, a detta sua, aveva troppe commissioni da sbrigare e non sarebbe riuscita a presentarsi in tempo.
Kise arrivò per ultimo, con venti minuti buoni di ritardo, scacciando la paura di Kuroko - e di Aomine, ovviamente - di non vederlo arrivare: entrambi, ad un certo punto, avevano pensato che non si sarebbe presentato, stentando a credere che fosse così ferito al punto di non farsi neppure vedere.
«Kuroko?» ancor prima che Kise potesse dire qualcosa - probabilmente scusarsi per il ritardo -, Midorima richiamò a sé l'attenzione di Tetsuya e, di conseguenza, anche quella del resto dei presenti.
«Sì, Midorima-kun?»
Midorima si era rivolto a Tetsuya semplicemente perché l'idea bizzarra di riunirli tutti era nata proprio da lui, non per altro.
«Mi dispiace, ma non potrò partecipare a tutti gli incontri.» lo avevano già sentito troppe volte parlare di università, probabilmente alcuni - Aomine - erano arcistufi, ma Shintarou desiderava chiarire la cosa una volta per tutte «ci tengo davvero tanto all'università, per cui devo dedicarmi anche allo studio.»
«Lo so, Midorima-kun: non c'è problema.» lo rassicurò Tetsuya, che in quel momento, voltato verso Shintarou, non aveva notato lo sguardo vagamente nostalgico - e rassomigliante a quello di un cane bastonato - che gli stava dedicando Kise; qualcun altro, però, se n'era accorto immediatamente e istintivamente aveva deciso di strappare Ryouta da quella contemplazione, staccarsi dalla conversazione del gruppo e ritagliare un piccolo spazio solo per loro.
«Come va la gamba?» fu la prima cosa che gli venne in mente, ma era ovvio che Daiki si fosse rivolto a Ryouta.
«E-eh?» questo, a sua volta, era rimasto stupito dalle parole di Aomine: pur essendo una domanda semplice, banale, era la prima volta che gliela rivolgeva.
«Molto meglio.» Kise accennò un sorriso, lusingato da quella premura inaspettata, e Aomine, dal canto suo, si trovò completamente colto alla sprovvista dall'increspatura docile che le labbra dell'altro avevano assunto all'improvviso e si costrinse a tornare con lo sguardo rivolto davanti a sé, forse per non cadere in tentazione, forse per non rimanere a fissarlo imbambolato come un idiota.
«Quindi manca solo Akashi.» questa volta Aomine si rivolse a tutti i presenti, cercando di spazzare via il leggero imbarazzo che il sorriso di Kise gli aveva inferto.
Tetsuya aveva sobbalzato appena, quando aveva sentito pronunciare quel nome.
«Magari potremmo chiamarlo.» Murasakibara si riferiva ad un'azione da compiere proprio in quel momento, ma nessuno, neppure lui che era il fautore di quella proposta, si accinse a recuperare il proprio cellulare e a comporre il numero.
Kise, nel frattempo, era tornato a fissare Kuroko, ma questa volta di sottecchi, e i loro occhi si erano scontrati per un paio di volte, perché Tetsuya aveva fatto lo stesso.
«Qualcuno di voi sa che fine ha fatto?» con tono annoiato, Aomine si rivolse a tutti, finendo per specificare il nome di chi avrebbe dovuto parlare soltanto dopo «Midorima?»
«A dire il vero è da un po' che non lo sento.» Midorima rispose con prontezza.
«Magari è andato anche lui all'università?» intervenne Kise: la delusione amorosa non gli aveva fatto perdere la sua tipica vena di curiosità, tanto che aveva deciso di partecipare al discorso, piuttosto che starsene in silenzio a pensare al suo stato penoso.
«Se lo ha fatto, ed è probabile, non me l'ha detto.» Midorima inspirò e inforcò gli occhiali, impensierito dalla possibilità che Akashi stesse seguendo un percorso di studi esattamente come lui: il che era quasi scontato, visto che era un ragazzo intelligente e di buona famiglia.
Se Midorima non sapeva una cosa simile, significava che non si teneva più in contatto con Akashi almeno dalla fine delle superiori, e quindi da ben otto mesi, e in effetti era così.
«Beh, ci penseremo più tardi ad Akashicchi, adesso giochiamo!» forse non fu molto convincente, ma Kise provò ad alleggerire la tensione e propose di rimandare la “Questione Akashi” a dopo, visto che, ad una prima e rapida occhiata, Tetsuya non gli era sembrato molto contento di sentire quel nome: forse con: “Ripristinare la Generazione dei Miracoli” intendeva stare tutti insieme ed estromettere quello che una volta era stato il loro capitano? No, era da escludere; Kise pensò fosse più probabile che Kuroko non si sentisse pronto, forse temeva che Akashi potesse distruggere l'idillio appena creatosi fra lui e Kagami.
«Himuro-san, non ti dispiace se sto in squadra con te, vero?» fu abbastanza faticoso per Midorima abbassarsi a chiedere una cosa simile, ma voleva evitare di ritrovarsi di nuovo a scegliere fra Kise e Aomine o, magari, capitare in una squadra da tre con entrambi: quel giorno lo Scorpione era il primo in classifica e il Cancro era terzo, quindi lui e Himuro dovevano assolutamente giocare insieme.
«Anche io sto con Muro-chin!»
«Non c'è problema.» Himuro accennò un sorriso amichevole a Midorima, che divenne intenerito non appena Murasakibara intervenne: era contento che fra loro fosse tutto sistemato, visto che nei giorni addietro Atsushi non aveva fatto altro che tenergli il muso perché aveva scoperto le modalità del patto stipulato con Kise.
Murasakibara, dal canto suo, se l'era presa più che altro perché Himuro non gliel'aveva detto, non perché non lo volesse avere con sé anche mentre giocava a basket, anzi.
Per nulla al mondo, Kise sarebbe voluto finire in squadra con Kuroko, ma ancor prima che potesse formulare una frase di senso compiuto, Himuro, Murasakibara e Midorima avevano già deciso.
Aomine squadrò dalla testa ai piedi quelli che sarebbero stati i suoi compagni di squadra e schioccò la lingua indispettito: Tetsuya e Ryouta erano le due persone con cui si trovava meglio, ma erano gli unici due che quel giorno avrebbero certamente mischiato i sentimenti al basket, dando vita ad un disastro.
Murasakibara aveva notato immediatamente l'espressione spaesata di Kuroko, quella triste di Kise e quella nervosa di Aomine.
«Perché fate quella faccia?» sembrò lagnarsi, tanto era flebile e lenta la sua parlata.
«Al Teiko giocavate sempre in squadra insieme.» riprese poi, riferendosi agli allentamenti di tanti anni addietro.
I tre realizzarono immediatamente che Atsushi aveva ragione: era proprio come ai vecchi tempi, quando, durante gli allenamenti al Teiko, facevano delle partite tre contro tre e, Nijimura prima e Akashi poi, cercavano sempre di dividerli per variare la composizione delle squadre e bilanciare le forze in ambo i lati.
Sarebbe potuto essere davvero come ai vecchi tempi: Aomine che riceveva i passaggi di Kuroko, e Kise che imitava i movimenti del primo e cercava di mettere a segno più punti possibili.
Sarebbe potuto essere davvero come ai vecchi tempi, ma l'Aomine che dispensava sorrisi ai suoi compagni di squadra e che poi era caduto nella corruzione del talento, ora era troppo confuso, geloso dell'amore unilaterale che Ryouta provava per Tetsuya, nei confronti del quale, per la prima volta nella sua vita, si sentiva inferiore; Kise, dal canto suo, aveva il cuore spezzato e non riusciva a sorridere sinceramente, mentre Kuroko si trovava in un'impasse, bloccato dal timore di poter ferire uno dei suoi più cari amici con la sola forza dello sguardo.
Sarebbe potuto davvero essere come ai vecchi tempi, ma era impossibile.



«È davvero strano che non mi abbiano ancora trovato.»
«Vorresti che lo facessero?»
«Sinceramente? No.»



La prima squadra che era arrivata ai venti punti prestabiliti era stata quella di Himuro, Murasakibara e Midorima.
Aomine, Kise e Kuroko se l'erano cavata bene, tanto che lo scarto finale era di soli due punti, ma le insicurezze e le incomprensioni, più mentali che fisiche, avevano fatto il resto a avevano determinato la loro sconfitta.
Subito dopo la partita si erano accordati per un quarto d'ora di pausa e Murasakibara, Himuro e Kise erano stati i primi ad appropriarsi delle panche a lato del campetto.
Mentre Atsushi rovistava nel borsone in cerca di qualcosa da mettere sotto i denti, Ryouta si era seduto sulla panchina con un sospiro rassegnato, osservando in silenzio Midorima, Aomine e Kuroko che, sotto a uno dei canestri, sembravano discutere animatamente - i primi due, in verità: sicuramente Aomine aveva da ridire sul risultato o sulla formazione delle squadre -
Himuro gli si era seduto accanto e gli aveva dato una leggera pacca sulla spalla, attirando la sua attenzione.
«Vedrai che presto starai meglio.»
«Lo spero.»
«Il prossimo tre contro tre potresti giocarlo con me e con Aomine.» Kise gli rivolse un'occhiata sorpresa: Himuro era riuscito a trovare una formazione perfetta, nella quale avrebbe potuto giocare senza troppi problemi e grazie alla quale, forse, si sarebbe perfino divertito.
«Va bene.» acconsentì con un sorriso.
«Cerca di non mischiare i sentimenti col basket, capito? Mente fredda e cuore caldo: tienilo bene a mente.» Himuro aveva ricambiato il sorriso e Kise aveva annuito energicamente, quasi fosse stato un bambino che si apprestava a promettere qualcosa di importante ad una figura adulta.
«Ma che diavolo vuole, quello?» appena sedutosi sull'altra panchina, Aomine aveva sibilato a voce bassa, facendo rimbalzare gli occhi dalla mano di Himuro, ancora ferma sulla spalla di Kise, al sorriso gentile che gli stava rivolgendo e che, quasi sicuramente, Ryouta stava ricambiando.
Kuroko, che in quel momento era seduto proprio di fianco ad Aomine, rimase in silenzio: era logico che quella frase gli fosse sfuggita, ma non faceva altro che confermare il sospetto che lo aveva colto nel momento in cui aveva trovato quella rivista a casa di Daiki.
Il suono improvviso di un cellulare costrinse Aomine a staccare gli occhi da Himuro e Kise e attirò l'attenzione dei presenti.
Quando Daiki recuperò il telefonino e notò la notifica di tre chiamate perse storse le labbra, rispondendo alla quarta con una sottospecie di grugnito.
«Ma insomma, Dai-chan!»
«Che vuoi, Satsuki? Stavamo giocando.» brontolò, per poi allontanare leggermente il cellulare dall'orecchio: la conosceva bene, sapeva che per un po' avrebbe avuto un tono di voce più alto perché indignata per essere stata ignorata ben tre volte.
Aomine era sollevato che Momoi non fosse potuta venire, e in quel momento temette che gli avesse telefonato per dirgli che aveva già finito con le commissioni e che sarebbe passata al campetto per salutarli.
«Ci siete tutti?»
«Ah? Sì.»
«Mettimi in vivavoce!»
Aomine non disse altro e, felice per il suo orecchio destro, allontanò il cellulare e cliccò il tasto del vivavoce, facendo cenno agli altri di avvicinarsi.
«Fatto.» annunciò poi.
«Ciao!» Momoi esordì nel modo più semplice possibile e ricevette in risposta un coro abbastanza disordinato, privo del saluto di Aomine e provvisto di quello ingessato di Kise.
«Stavo pensando che vi servirebbe un allenatore.»
«Cosa? Satsuki, non dire stronzate.»
«Dai-chan! Lasciami parlare!»
Le parole di Momoi avevano destato confusione nella mente di tutti, anche se solo Aomine aveva cercato di liquidarla immediatamente, senza neppure lasciarle finire il discorso.
«Qualcuno che vi controlli, che vi sappia osservare e che sia capace di trovare i vostri punti deboli, aiutandovi a rinforzarli.»
«Non ci serve un allenatore.» Aomine insistette.
«Tetsu-kun, tu cosa ne pensi?» ma Momoi lo ignorò.
A Tetsuya che sicuramente, in mezzo a quei colossi del basket, era quello con più difetti da correggere e con più abilità dalle quali togliere la ruggine, non sembrò una cattiva idea.
«Potremmo provare.»
«Cosa? Tetsu, le stai dando ragione?»
Tetsuya rivolse una rapida occhiata ad Aomine: si accaniva così tanto su Momoi perché aveva baciato Kise? Allora il debole per Ryouta ce l'aveva sul serio.
«Credo proprio di sì.» disse con una calma disarmante.
«Proviamo.» sottolineò Himuro «e, nel caso non ci trovassimo bene, lasceremo perdere l'idea dell'allenatore.»
Aomine lo fulminò con lo sguardo: che diritto aveva uno come lui di decidere per loro? Stava impazzendo: fra Momoi, Himuro e Kuroko non sapeva davvero chi lo infastidisse di più e, più che altro fra i primi due, a quale dovesse stare più in guardia perché non gli portasse via Kise.
«Proviamo.» riprese Momoi «ne cercherò uno bravo, vedrete! Nelle prossime settimane vi faccio sapere, ok? Ciao!»
E ancora una volta un coro disordinato si disperse nell'aria fredda di novembre.


Himuro aveva avuto una bella idea e Kise poteva tornare a casa con il cuore un po' più leggero: si era divertito in squadra con lui ed Aomine e la vittoria gli aveva fatto bene.
Il suo compagno di viaggio, invece, non sembrava altrettanto contento.
«Visto? Avresti dovuto stare in squadra con me, Midorimacchi!» lo punzecchiò Kise, accennando una risata vagamente divertita: voleva riprendersi, stare bene, lasciarsi alle spalle Kuroko e ora, dopo aver capito di poter contare sull'aiuto di Himuro, c'erano le premesse per farlo.
Midorima sfiatò e gli rivolse un'occhiataccia di disappunto, probabilmente indeciso se ribattere o ignorarlo.
Proprio in quel momento, quando Shintarou decise per il ribattere, una voce acuta e allegra alle loro spalle attirò immediatamente la sua attenzione e questa volta, contrariamente a quanto aveva fatto con Imayoshi e Hanamiya, si voltò immediatamente.
«Shin-chan! E c'è anche Kise-kun!»
«Takao.» nonostante si fosse voltato immediatamente, usò un tono piatto e pacato, al contrario di Kise che sbraitò il nomignolo affibbiatogli.
«Takaocchi! Come stai?» era da tanto che non si vedevano e, se chiedeva a Midorima notizie di Takao, questo cercava sempre di divagare, evitando l'argomento.
«Benissimo, e tu?» Takao era contento di rivederlo: dopotutto aveva imparato a conoscere uno ad uno tutti gli ex miracoli e verso alcuni, come in questo caso, provava una certa simpatia.
«Bene.» Kise cercò di dispensare il sorriso più allegro che gli riuscisse: non andava bene, affatto, ma sarebbe stato così.
«Sono stato proprio fortunato a trovarti qui.» Takao si rivolse a Midorima «tanto meglio, così non sprecherò il credito del cellulare.»
«Che cosa vuoi?» brontolò Midorima.
Takao, dal canto suo, accennò un piccolo sorriso.
«Ma come? Non ti ricordi? La prossima settimana parto!»
«Eh? E dove vai, Takaocchi?»
Per una volta nella sua vita, Midorima dovette ringraziare - mentalmente - Kise: ovvio che se ne ricordava, ma era un evento fastidioso che preferiva ignorare.
«In Australia per un mese!» esclamò con le labbra increspate in un sorrisino saccente.
«Un mese?! Caspita!»
«A questo proposito, proprio perché starò via per tanto tempo, ho deciso che organizzerò un pigiama party in mio onore!» gonfiò appena il petto e vi batté la mano al centro, in un gesto vagamente teatrale che fece storcere il naso a Midorima.
«Ovviamente ci ospiterai tu, Shin-chan!»
«C-cosa?! No, Takao, te lo scordi!»
«Midorimacchi, non essere così scortese! Takaocchi se ne va per un mese, e poi è un'idea carina!»
Questa volta, invece, Midorima maledì Kise, che si era guadagnato il sorriso complice di Takao, ben contento di sentire qualcuno approvare la sua idea.
«E dai Shin-chan! Solo per una sera!»
«Ho detto di no!» Midorima non sapeva se ricorrere alla fase offensiva o a quella difensiva, ma quel che era certo era che quei due avrebbero continuato a bombardarlo con le loro voci lagnose, insistendo fino al punto di impedirgli di respirare.
«Midorimacchi, sei proprio antipatico, certe volte.» Kise sussurrò imbronciato, nonostante fosse piuttosto divertito dalla situazione: tornare a casa con Midorima gli riservava sempre qualche piacevole sorpresa.

La gelosia è una ragnatela indistruttibile dalla quale non ci si può liberare.




Licenza Creative Commons
Quest'opera è distribuita con Licenza Creative Commons Attribuzione - Non commerciale - Non opere derivate 2.5 Italia.




L'angolino invisibile dell'autrice:

Ma salve~
Ieri ho risposto a qualche recensione e ho detto che avrei aggiornato nel fine settimana ... beh, a quanto pare mentivo senza saperlo, nel senso che pensavo ci avrei messo molto di più e invece ieri dalle ventitré a l'una di notte ho scritto come un razzo e ho finito anche questo capitolo *3*
Credo sia il capitolo più lungo, fino ad ora - e pensare che ho anche tagliato delle parti! -
Se volete sapere cosa ho tagliato: la discussione fra Himuro e Murasakibara dopo che Atsushi accetta di unirsi al progetto (ma che comunque viene menzionata in poche righe) e la partita tre contro tre (sinceramente non mi sentivo pronta per una cosa del genere).
Rileggendo mi sono accorta che è un capitolo abbastanza caotico che ruota soprattutto intorno alla gelosia (prima Kuroko geloso di Himuro, poi Kagami geloso di Aomine, poi Aomine geloso di Kuroko, Momoi e Himuro - oddio quanta gente (?) - e infine Midorima che, anche se non ce lo vuole dire, è geloso di Miyaji), quindi ecco spiegato il motivo delle frasi di apertura e chiusura.
Personalmente ho amato la scena KagaKuro e quella finale (tanto per torturare un po' Midorima, no?) e … ok, sto cercando di farvi apprezzare Himuro, sappiate che prima della fine delle fanfiction gli vorrete bene, ok? ùwù
Sulla pagina di FB avevo detto che si sarebbe semplicemente accennato ad Akashi ed è così, ma lo scambio di battute che mi ha permesso di saltare la descrizione della partita tre contro tre è da attribuire proprio a lui e Nijimura (nessuna descrizione, solo quelle poche parole, e l'ho fatto volutamente. Come mai Akashi non vuole essere trovato? Eh, il motivo c'è eccome, ma per ora non ve lo dico, è già tanto se vi ho detto che sta parlando con Nijimura u-u)
Mi faccio pubblicità, come al solito: https://www.facebook.com/pages/Neu-Preussen-EFP/416393978469818?ref=hl
Grazie a tutti, per le recensioni, per i seguiti, i preferiti, eccetera eccetera!
(Nel prossimo capitolo ci sarà un po' di AoKise, poca poca, ma ci sarà, quindi restate connessi (?))
Alla prossima!

Ritorna all'indice


Capitolo 15
*** Capitolo XIV ***


Capitolo XIV





L'ombra è il riflesso della luce, è uno specchio nel quale si annida l'oscurità impenetrabile dei sentimenti.

L'idea del pigiama party aveva inevitabilmente preso campo e spazzato via ogni sua resistenza, così, cinque giorni dopo la proposta di Takao, Midorima si ritrovava chinato fra il suo letto e quello riservato agli ospiti, in procinto di sistemare quattro futon e ripensando più e più volte al fatto che Kazunari sarebbe partito molto presto e che per un mese avrebbe potuto sentire solo la sua voce, senza vederne il viso.
L'idea che andasse lontano per così tanto tempo, con qualcuno che non era lui, lo atterriva e, quasi gli pesasse sulle spalle come un macigno, lo faceva muovere molto più lentamente del normale.
Pur essendo consapevole della partenza di Takao da diverso tempo, l'esistenza di Midorima aveva cominciato ad essere minacciata dalla prospettiva di quell'allontanamento solamente quando Kazunari glielo aveva ricordato: andava tutto a rallentatore, non riusciva a stare sui libri per più di due ore al giorno e il sonno notturno era divenuto improvvisamente troppo leggero ed era frequentemente interrotto da incubi che, una volta aperti gli occhi, non riusciva a ricordare precisamente ma che, in qualche modo, avevano sempre a che fare con Kazunari.
Quando cominciò a sistemare l'ultimo futon si accorse che il tempo che gli era occorso per dedicarsi agli altri tre gli era servito per ammettere a se stesso che, in fondo, l'idea di Takao non era poi tanto male - tralasciando il fatto che presto lui e altre quattro persone avrebbero riempito camera sua di schiamazzi e avrebbero disturbato il suo sonno già precario -
Qualche giorno prima, quando lui e Takao avevano parlato al telefono, questo gli aveva detto che l'intenzione era quella di dedicare almeno le ultime settantadue ore a lui, ammettendo senza problemi di essere disposto a lasciare da parte perfino Miyaji, visto che comunque si apprestavano a passare un mese intero insieme in Australia.
Shintarou si era ormai abituato alla presenza di Takao, aveva imparato a sopportarlo e gli aveva fatto piacere passare un po' più di tempo con lui prima della sua partenza, ma aveva la sensazione che quello fosse un semplice contentino, un premio di consolazione che, francamente parlando, sopraggiungeva con un paio di anni di ritardo e che era reticente a ricevere. Si sentiva un po' come un uomo che una volta era stato ricco e, caduto in miseria e ridotto a povero mendicante, rifiutava la carità dei passanti per una stupida questione di orgoglio.
Le mani di Midorima rimasero aderenti al tessuto morbido e chiaro del futon, le dita arrancarono appena e le labbra si schiusero in un sospiro rassegnato: aveva intenzione di starsene lì, chinato fra i due letti, a pensare ancora un po', ma l'etere silenzioso della casa fu improvvisamente percosso dal suono acuto del campanello e Shintarou scattò sull'attenti, dirigendosi immediatamente alla porta per accogliere i primi ospiti.
«Sapessi quanto mi ci è voluto per trascinarlo qui!» Kise esordì con una piccola lagna, mantenendo un'espressione indignata sul volto, mentre Aomine, dal canto suo, rivolse gli occhi al cielo e sospirò rumorosamente.
«Non voleva venire.»
«Non ho mai detto di volerlo, hai fatto tutto te, Kise.» ed effettivamente era vero, perché dopo aver incontrato Takao e aver ascoltato la sua proposta, Kise gli aveva dato manforte per convincere Midorima e, nonostante questo non avesse osato mostrare il minimo cenno di assenso, quando aveva individuato il momento buono aveva approfittato dell'occasione per auto-invitarsi e prenotare un posto anche per Aomine, senza preoccuparsi minimamente della scontata possibilità che questo non fosse d'accordo.
Avere Aomine accanto lo rendeva più tranquillo, e non solo in quel momento, quando ormai era a conoscenza dell'identità degli altri ospiti, ma anche prima, quando aveva temuto che Midorima invitasse Momoi e Kuroko, costringendolo a passare una serata a stretto contatto con loro. In parte, poi, Kise ci aveva visto giusto, perché Takao aveva chiesto di Tetsuya, e così era stato invitato proprio come aveva temuto, con la sola differenza che la combinazione della serata non consisteva in Kuroko e Momoi, ma era ancora peggio.
«Ah, siete già qui.» ancor prima che varcasse la soglia, la voce di Kagami gli stuzzicò le orecchie, ma Kise preferì continuare a rivolgere il proprio sguardo al padrone di casa, lasciando campo libero ad Aomine che ne approfittò immediatamente per punzecchiare l'altro.
«Siete voi quelli in ritardo!»
«Veramente siamo tutti in ritardo, Aomine-kun.»
Non c'era niente di strano: Aomine e Kagami battibeccavano e Kuroko rimbeccava entrambi come poteva; l'unica differenza persisteva fra Ryouta e Tetsuya, fra i quali ormai sembrava essersi innalzata una muraglia di ghiaccio.
«Takaocchi non è ancora arrivato?» Kise sapeva benissimo che presto avrebbe dovuto salutare Kuroko e Kagami, ma preferì rimandare quel momento a dopo e si trattenne a chiacchierare con Midorima, o almeno ci provò.
«No.» tagliò corto Midorima, impedendo a Kise di continuare la conversazione appena iniziata e già stroncata. «Pensate di entrare o volete stare qua fuori a congelare e a far entrare freddo in casa?» poi si rivolse a tutti e quattro, ma soprattutto ai tre che alle spalle di Ryouta avevano alzato un polverone di parole sconnesse.
Il vociare che si era sollevato alle spalle di Kise scemò all'improvviso. Il primo che gli passò accanto e lo salutò con una voce ovviamente alterata dal disagio fu Kagami, ma Kise riuscì a ricambiare con un tono fermo e all'apparenza piuttosto tranquillo e fu decisamente soddisfatto del risultato; il difficile venne più tardi, quando, dopo il passaggio rapido di Aomine, Tetsuya si fermò proprio accanto a lui, puntando lo sguardo davanti a sé, perfino oltre Midorima che, con le dita arrancanti sulla superficie della porta, quasi come se la stesse sorreggendo, aveva fretta di chiuderla ed era sempre più spazientito dal fatto che due degli ospiti stessero ancora indugiando sulla soglia.
«Kise-kun ...» Tetsuya sussurrò a fior di labbra, in procinto di voltarsi verso colui di cui aveva appena pronunciato il nome; Shintarou, dal canto suo, era pronto a protestare di nuovo, ma le loro posizioni rimasero statiche e la voce nulla, perché qualcun altro si intromise imperterrito fra Kise e Kuroko e varcò la soglia in tutta fretta.
«Scusa il ritardo, Shin-chan!» Takao gli girò intorno con un mezzo sorriso, poi diede una rapida occhiata a Kise e Kuroko e li salutò con un cenno della mano, chiedendosi cosa ci facessero impalati di fronte a Midorima, che per altro sembrava quasi aver messo radici nella porta.
L'arrivo di Kazunari fece sì che l'attenzione di Shintarou si concentrasse proprio su di lui, abbandonando Kuroko e Kise.
«Takao, cos'hai lì dentro?» domandò inforcando gli occhiali: era ovvio che si stesse riferendo alle due gigantesche borse della spesa che Takao teneva appese lungo i fianchi.
«Ho immaginato che fossi a corto di cibo spazzatura, per cui ci ho pensato io a portarne un po'!»
«Non ce n'era bisogno.»
«Ohh, Shin-chan! Dovresti ringraziarmi!»
«Midorima-kun, Takao-kun, voi andate pure avanti.» Tetsuya si era deciso a varcare la soglia e aveva adagiato la mano accanto a quella di Midorima, quasi a volerlo rassicurare che ci avrebbe pensato lui a chiudere la porta.
«D'accordo.» Midorima, che dal canto suo aveva ormai capito che Kuroko voleva rimanere solo con Kise e pensato fosse meglio andare a controllare che Aomine e Kagami non si stessero pestando, decise di lasciare a Tetsuya il compito di chiudere la porta e si avviò verso il salotto con Takao.
Solo quando Tetsuya sollevò il viso e rivolse il proprio sguardo a Ryouta, seppur con un po' di timidezza, questo si decise a varcare la soglia.
«Mi dispiace.» aveva sussurrato con la voce alterata dal disagio e aveva sospinto delicatamente la porta, fino a chiuderla.
Kise rimase in silenzio accanto a lui e infilò le mani in tasca, stringendosi nelle spalle.
«Ci tengo tanto a te, Kise-kun.»
Ma non abbastanza.: pensò Kise.
«Vorrei vederti sorridere ancora.» Tetsuya trovò finalmente il coraggio di voltarsi verso di lui e gli rivolse un piccolo sorriso non troppo forzato, ma senza dubbio vagamente esitante.
«Ci proverò, Kurokocchi.» Kise si sforzò di ricambiare il suo sguardo e se ne rimase di fronte a lui con le mani in tasca, stretto in se stesso in una posizione impacciata: il fatto che Tetsuya avesse appena pronunciato quelle parole sembrava aver lenito, seppur in minima parte, il dolore.
Il problema di quell'amore unilaterale non nasceva dalla possibilità che l'altro lo considerasse solo un amico stupido, gli volesse poco bene e tante altre cose banali, ma dall'amore che Kuroko riservava nei confronti di qualcun altro, un amore senza riserve che, molto probabilmente, sarebbe stato rivolto soltanto a Kagami.
«Solo ...» Kise esitò per qualche attimo, poi incrinò le labbra in un sorriso amareggiato «mi ci vorrà del tempo.» ma Tetsuya lo sapeva, lo biasimava e lo comprendeva perfettamente, e Ryouta lo vedeva da quegli occhi iniettati di rimorso, ora incatenati ai suoi, e in quelle labbra sottili, incrinate in un sorriso gentile, quasi gli stesse pregando di perdonare il suo comportamento e la sua scelta più che legittima.
Finalmente Kise trovò il coraggio di muoversi e voltò le spalle a Tetsuya, ancora in prossimità della porta.
«Sarà meglio andare a vedere cosa stanno combinando gli altri.» disse poi, muovendo i primi passi verso il salotto.
Tetsuya rimase ad osservarlo ancora per qualche attimo, poi annuì appena, ampliò il sorriso e lo seguì, augurandosi che Kise riuscisse presto nell'impresa di dimenticarlo.


«Momoi lo ha ancora chiamato, l'allenatore?» fu proprio il padrone di casa che, verso le ventitré, si decise a tirare in ballo il progetto di Tetsuya nonostante sapesse che Takao e Kagami ne erano esclusi.
Takao, che stava scambiando quattro chiacchiere con Kise seduto sul pavimento, si voltò immediatamente verso Midorima e sfoderò un sorriso strafottente.
«Ma sentilo! Fino a qualche settimana fa diceva che non si sarebbe mai unito a voi e ora vuole sapere tutto!»
«S-sta zitto, Takao!» Midorima cercò di protestare.
«Ah, Midorimacchi, sei sempre il solito!» Kise intervenne immediatamente, accennando un sorriso divertito e Midorima, che si era già sistemato sotto le coperte, se le strinse al petto e sbuffò infastidito: quei due avevano fatto combriccola e ovviamente non perdevano occasione per importunarlo.
«Non ancora.» fu Tetsuya ad intervenire con un sorriso tirato, cercando di renderlo il meno evidente possibile: se Midorima avesse scoperto che anche lui era divertito dalla situazione, molto probabilmente, li avrebbe cacciati tutti fuori di casa a calci.
«Io non capisco a che vi serve, l'allenatore.» s'intromise Kagami, sgranocchiando l'ennesima patatina.
«Eh, per una volta devo darti ragione.» Aomine, che aveva deciso di occupare momentaneamente il letto degli ospiti, brontolò al di là della rivista.
«Beh, è solo una prova.» Kise si strinse nelle spalle e diede un'occhiata oltre la sua spalla, incrinando le labbra in una piccola smorfia nel notare che Aomine non osava staccare gli occhi dalla solita rivista di intimo femminile.
«E poi potrebbe servire per mettere in riga persone pigre come Murasakibara-kun. O come Aomine-kun.» disse Tetsuya con calma, approfittando di un momento di distrazione di Kagami per rubargli di mano una patatina.
«Ehi-» la protesta di Aomine non fu molto minacciosa, visto che lo sforzo che ci stava mettendo per distrarsi e guardare quelle foto senza pensare a quelle di Kise era ben maggiore e decisamente preponderante rispetto alla sua facoltà di parola.
«Cosa-? Kuroko!» allo stesso modo Kagami, che si voltò in direzione di Tetsuya pronto a dirgliene quattro, frenò immediatamente la lingua, notando qualcosa di più interessante «Kuroko, mi passi la ciambella al cioccolato?»
Tetsuya lo squadrò in silenzio, poi fece quanto richiesto.
«Dovresti smetterla di mischiare il dolce con il salato, Kagami-kun.»
«Io direi che dovrebbe smetterla di mangiare quantità industriali di cibo.» Kise, che a poco a poco aveva cominciato ad abituarsi all'atmosfera e a rilassarsi, perfino - anche se Aomine lo stava bellamente ignorando -, si intromise e accennò un sorriso.
«Anche questo è vero.» Tetsuya si trovò d'accordo con lui e annuì, ricambiando il sorriso.
«Ehi, andiamo a dormire?»
«Cosa? Shin-chan, sono solo le ventitré!»
«Guarda che io-»
«E poi domani non hai lezione.» Takao lo zittì sollevando il dito indice fin sopra la testa e Midorima, che voleva usare la scusa dell'università per andare a dormire prima, lo maledisse mentalmente: perché doveva dirgli sempre tutto? Era stato davvero stupido, da parte sua, dire a Takao che l'indomani avrebbe avuto la giornata libera.
Takao non avrebbe dovuto rovinargli i piani, ma piuttosto ringraziarlo, visto che gli aveva tenuto il letto degli ospiti - sempre che Aomine smettesse di occuparlo clandestinamente e non si opponesse all'idea-
«Ehi Takao, in che città andrete?» per la gioia di Midorima, che trattenne un sospiro rassegnato e fu colto dalla tentazione di sprofondare sotto le coperte e tapparsi le orecchie, Kagami diede il via alle domande sul viaggio di Takao e Miyaji in Australia, così Kazunari sorrise felice e raddrizzò appena il busto, rafforzando l'intreccio delle gambe: avrebbe cominciato a parlare di ciò che si aspettava dal soggiorno, di ciò che avrebbero fatto e di ciò su cui erano ancora indecisi, e nessuno sarebbe più riuscito a fermarlo.
Normalmente Kise avrebbe partecipato attivamente a quella conversazione, avrebbe fatto un sacco di domande e avrebbe espresso senza paura le proprie opinioni, ma in quel momento c'era qualcos'altro che gli premeva e in parte lo disturbava, per cui dovette isolarsi - almeno mentalmente - dal dialogo fra Kagami e Takao, con qualche piccolo intermezzo da parte di Kuroko, e tornò a guardare oltre la sua spalla, puntando gli occhi sulla copertina della rivista per l'ennesima volta.
A Ryouta non piaceva affatto quando Aomine si isolava dal resto del gruppo, mostrando scarso interesse: era come se, oltre a considerare noiosi tutti gli altri, reputasse noioso anche lui e a Kise, francamente, bastavano le numerosissime volte in cui gli ricordava quanto fosse petulante e rumoroso per ritrovarsi con il morale a terra.
Kise sbuffò appena e si alzò senza avere ancora una chiara idea di cosa fare, anche se una cosa l'aveva decisa: avrebbe spodestato Aomine dal letto - o per lo meno da quella rivista - e lo avrebbe spinto a partecipare al dialogo.
«Aominecchi?» lo chiamò con voce leggermente alterata e Aomine, dal canto suo, non si mosse e si limitò a grugnì qualcosa, troppo concentrato a fissare qualche foto per degnarlo anche solo di un paio di secondi d'attenzione.
Kise agì senza malizia, ma semplicemente guidato dall'istinto e dal desiderio di vendicarsi per essere stato ignorato, oltre che da quella che si sarebbe potuta definire voglia di giocare anche se, effettivamente, non era certo abituato a comportarsi così con Aomine.
Daiki, dal canto suo, si irrigidì non appena sentì quel peso improvviso su di sé, avvertendo le pagine della rivista stropicciarsi sotto le proprie dita.
«Ki-Kise—» boccheggiò non appena l'altro si sistemò meglio su di lui - accentuando il contatto dei loro bacini - e gli infilò le mani sotto la maglietta.
«Cosa stai facendo?» Daiki si sforzò di mantenere un tono di voce fermo e non troppo alto, visto che non ci teneva ad attirare l'attenzione degli altri.
«La pianti con queste riviste, Aominecchi?» Kise protestò e cominciò a fargli il solletico, ovviamente nel tentativo di manifestare le sue proteste attraverso un'innocua tortura.
Per Aomine, però, la tortura non erano le dita affusolate di Kise che gli stuzzicavano i fianchi, ma piuttosto il suo peso su di lui e il contatto dei loro bacini, per non parlare di quando chiuse la rivista e la lasciò da parte e lo vide su di sé come, ormai, lo immaginava spesso.
«Maledizione, Kise! Scendi!»
Kise pensò che il movimento esagitato di Aomine fosse causato proprio dal fastidio che gli stava causando il suo solletico e continuò, accennando una risata.
«Perché? Se no cosa mi fai?»
«Ti ho detto di scendere!» Aomine sapeva benissimo cosa gli avrebbe fatto, ma quel pensiero lo colse alla sprovvista e, quasi avesse avuto paura che qualcuno potesse leggergli nel pensiero, finì per alzare la voce e attirare l'attenzione degli altri.
Proprio nel momento in cui Aomine registrò il movimento degli altri e i loro sguardi rivolti alla scena, riuscì ad invertire le posizioni con un colpo di reni, ma Kise scivolò giù dal letto e lo trascinò dietro di sé, così da ritrovarsi nuovamente faccia a faccia.
«Ehi voi!» Midorima si raddrizzò immediatamente e si sporse appena dal proprio letto «non fate certe cose in casa mia.»
Kise, che nonostante la brutta botta alla schiena aveva ancora un mezzo sorriso divertito sul volto, assunse un'espressione vagamente imbarazzata e cominciò a desiderare che Aomine si togliesse da sopra di lui e Daiki, dal canto suo, si rialzò il più velocemente possibile e senza dire altro tornò ad occupare il posto che fino a quel momento aveva occupato sul letto.
Kise si raddrizzò con un po' di fatica e rimase seduto sul pavimento, notando con la coda dell'occhio che Aomine era tornato a rifugiarsi oltre la rivista, con la sola differenza che al posto di tenere le gambe distese come prima le teneva goffamente accavallate l'una sull'altra: non immaginava davvero che per un po' di solletico se la sarebbe presa così tanto.


Più o meno a l'una di notte, le luci erano state spente e tutti avevano preso posto e, chi prima chi dopo, si erano addormentati.
L'unico ancora sveglio era Kise, un po' scomodo su quel futon e, soprattutto, decisamente impacciato a causa del fatto che si trovasse fra Aomine - palesemente arrabbiato con lui -, e Kagami che, ovviamente, non aveva pensato alla possibilità che potesse dargli fastidio vederlo abbracciato a Kuroko in quel modo.
Quasi fosse stato masochista - e in quel momento, forse, lo era per davvero -, Kise rimase ad osservare l'abbraccio saldo e privato di Kuroko e Kagami, dal quale pareva si stesse sprigionando un piacevole tepore, le braccia esili del primo che attorno alla schiena ampia del secondo facevano risultare quel contatto indistruttibile vagamente goffo e tenero e, di contro, quelle di Taiga che avvolgevano completamente il corpicino dell'altro in una stretta protettiva.
Non era l'idea di Kagami e Kuroko a dargli fastidio, anzi quella fase forse l'aveva perfino superata in pochissimi giorni, ma piuttosto il fatto che a lui non fosse dato modo di condividere un piccolo spazio con la persona amata, di dormire abbracciato a qualcuno, lasciarsi cullare dalle sue carezze.
Lui era fastidioso, appiccicoso, rumoroso, infantile: quante volte gliel'aveva detto, Kasamatsu? E quante, Aomine? Non poteva neppure fargli il solletico. A volte sembrava quasi che non lo volessero, che non piacesse a nessuno - se non alle donne, purtroppo -, ma non che Kise pensasse strettamente all'amore: si sarebbe accontentato anche di un semplice e banale contatto fisico fra amici - una spallata, una gomitata, qualsiasi cosa -, pur di sentirsi apprezzato. Dovunque andasse e qualunque cosa facesse, si sentiva indesiderato, di troppo, si era reso conto di non farcela più neppure a pensarle, quelle cose, e quindi si ordinò mentalmente di dormire, ovviamente invano: se voleva chiudere gli occhi e avviarsi nel mondo dei sogni, prima avrebbe dovuto smettere di pensare, e per fare questo era necessario che staccasse gli occhi da Kuroko e Kagami e smettesse di farsi del male.
Ryouta si sistemò sulla schiena e trattenne per qualche attimo il fiato, senza staccare gli occhi dal soffitto, poi tese il braccio alla sua destra e sfiorò la spalla di Aomine con la mano, afferrando fra le dita il tessuto leggero della maglietta che gli faceva da pigiama.
«Aominecchi?» non era una buona idea interrompere il sonno di Aomine, ma Kise non poteva fare altrimenti e, comunque, stava giurando a se stesso che quella sarebbe stata l'ultima volta che lo avrebbe disturbato.
Come previsto, Aomine borbottò nervosamente e gli diede le spalle, ma Kise insistette strattonandogli leggermente la maglietta.
Aomine, dal canto suo, voleva dormire e pensava di averne già passate abbastanza nell'esserselo trovato così vicino un paio di ore prima: non c'era bisogno che si mettesse pure a sussurrare quel maledetto nomignolo nel bel mezzo della notte.
«Che vuoi?» bofonchiò, questa volta a voce bassa.
«Facciamo scambio di futon? Per favore.» non era sicuro che Aomine avrebbe capito e accettato, ma Kise volle comunque provare e continuò a stringere il lembo di stoffa della maglietta fra le dita.
Aomine rimase in silenzio e tornò sulla schiena, poi diede un'occhiata alla sua sinistra, oltre Kise, cercando nel buio - vagamente illuminato dalla presenza di un lampione al di là delle tapparelle - le sagome di Kuroko e Kagami.
Non che aspirasse all'idea di dormire di fianco a quel cretino di Kagami, ma Daiki ipotizzò - con un po' di ribrezzo, per altro - che lui e Kuroko stessero amoreggiando e che la cosa potesse dar fastidio a Kise e, in tal caso, pensò che scambiarsi di futon fosse plausibile e che gli avrebbe dato l'occasione per frenare le effusioni di Taiga e Tetsuya e permettere a Ryouta di dormire tranquillamente.
«E va bene.» sospirò rassegnato.
«Grazie.»
Aomine fu di nuovo colto alla sprovvista, perché intravide la sagoma di Kise sovrastarlo, anche se questa volta i loro corpi non entrarono in contatto.
Kise, che aveva già abbandonato il suo futon, gli aveva lasciato lo spazio sufficiente per scivolare di lato e sistemarsi nell'altro giaciglio, ma Daiki rimase imbambolato sotto di lui, questa volta riuscendo a godersi meglio il momento, a catturare perfino un po' del suo profumo.
«Aominecchi, che stai facendo?» fu proprio Kise che lo scosse da quell'idillio e lo trascinò via da quello stato di contemplazione perfino troppo velocemente.
«Ora mi sposto, che palle.» di nuovo, l'imbarazzo gli pesava sul petto come un macigno, ma Daiki riuscì finalmente a prendere posto nell'altro futon che scoprì già piacevolmente impregnato del profumo di Ryouta, oltre che del suo calore.
Aomine diede una rapida occhiata al suo fianco, stupendosi del fatto che Kuroko e Kagami stessero dormendo come sassi e che fossero semplicemente abbracciati: possibile che a Kise desse così fastidio? Sì, possibile: dopotutto avrebbe dato fastidio anche a lui se si fosse voltato e avesse trovato Ryouta abbracciato a qualcuno. Per fortuna, però, sistemandosi sul fianco e voltandosi proprio verso Kise, Aomine non lo vide abbracciato a nessuno, ma completamente sprofondato nel futon - o per lo meno, al buio, riusciva a scorgere soltanto qualche ciuffo di capelli e poi la coperta -
Anche Kise aveva avvertito immediatamente il calore e il profumo vagamente speziato di Aomine, e per la prima volta da quando avevano spento le luci era riuscito a trarre un sospiro di sollievo e a chiudere gli occhi, rilassando i propri sensi.
Dopo essersi scambiati i futon, sia per Aomine che per Kise fu un po' più facile addormentarsi, cullati l'uno dal profumo e dal calore dell'altro.


«Aominecchi?»
Quando Aomine distolse lo sguardo dal piatto ancora vuoto e guardò oltre la sua spalla, vide Kise leggermente in disparte, con le dita intrecciate sul grembo in un disordinato groviglio, le gote vagamente arrossate, i capelli biondi arruffati e il tessuto chiaro e morbido del pigiama sgualcito e sciupato dalla notte: possibile che anche alle nove del mattino potesse essere così bello? Forse era lui che lo vedeva più bello del normale, forse, - ancor più probabilmente -, aveva la vista alterata dal sonno, dal nervoso - era impensabile svegliarsi alle nove dopo un pigiama party, anche se c'era chi si era perfino svegliato prima per ascoltare uno stupido oroscopo - e dai neuroni che, esausti di rielaborare continui pensieri su quel ragazzo, chiedevano semplicemente una pausa, un'immagine da cui poter trarre un po' di sollievo.
«Mi dispiace per ieri sera.» Kise si schiarì la voce e si decise a prendere posto accanto a lui, usufruendo della teiera usata anche da Midorima e Kuroko.
Aomine si strinse nelle spalle, ma la sua indifferenza iniziale si tramutò subito in qualcos'altro «ti danno così tanto fastidio?» parlò a voce bassa, non tanto per Kagami che era stato messo ai fornelli, ma per Tetsuya che, dall'altra parte del tavolo, sorseggiava in silenzio il suo tè.
Kise accennò un sorriso e negò con un piccolo cenno del capo.
«Mi riferivo al solletico, Aominecchi.»
Aomine sobbalzò e ringraziò di non avere la tazzina di caffè in mano, altrimenti se lo sarebbe versato addosso: perché dovevano parlare proprio di quello?
Daiki sbuffò flebilmente e, imbarazzato, distolse il proprio sguardo da Ryouta.
«Non mi ricordavo che soffrissi così tanto il solletico ...»
«Kise, non fa niente.»
Aomine capì che stava per aggiungere altro, ma Kagami salvò la situazione sistemando al centro della tavola la padella piena di pancetta e quella piena di uova strapazzate, aiutato da un Takao schiamazzante che aveva disposto anche del pane tostato, della marmellata e un cartone di aranciata rossa.
«Comunque, ora come ora, non sono Kurokocchi e Kagamicchi a darmi fastidio.» Kise tornò a parlare non appena Kagami si allontanò, prendendo posto di fianco a Tetsuya; Aomine, che era già intento ad impadronirsi della pancetta, sollevò velocemente il capo, fin troppo interessato.
«No?»
«No, è più ...» Kise esitò e, lievemente imbarazzato, aspettò che Aomine si riempisse il piatto di uova e pancetta, al contrario di lui che si sarebbe limitato ad una fetta di pane tostato con la marmellata.
«È l'idea che a me non sia ancora successo nulla del genere.» sorrise forzatamente, lievemente amareggiato.
Aomine assottigliò il proprio sguardo e lo insultò mentalmente: non gli era ancora successo, ma, maledizione, aveva qualcuno al suo fianco che non aspettava altro che un contatto che andasse oltre il solletico e che, possibilmente, si consumasse in privato.
Kise interpretò il silenzio di Aomine in un modo diverso.
«Sì, forse è un pochino egoista da parte mia, ma dopo aver passato tanti anni ad aspettare, mi sembra il minimo ...»
Aomine schiuse le labbra, pronto a dire qualcosa.
«Ehi, voi due! Perché non ci raccontate di cosa state parlando?»
Sia Aomine che Kise rivolsero uno sguardo più o meno imbarazzato e spaesato a Takao che, a capotavola, sorrideva sornione, fulminato dallo sguardo pieno di disappunto che Midorima, seduto all'altra estremità, gli stava dedicando.
«Ricordati che stasera parto, Kise!» era giusto che Kazunari desiderasse un po' di considerazione e non avesse piacere che alcuni di loro si estraniassero dal gruppo, così Kise ricambiò il suo sorriso e gli disse di non preoccuparsi, promettendogli con lo sguardo che lo avrebbe degnato della sua attenzione.
Aomine, dal canto suo, capì che avrebbe dovuto rimandare la sua conversazione con Kise a data da destinarsi.


Momoi prese una grande boccata d'aria e la liberò poco dopo in uno sbuffo rumoroso, dondolando appena di fronte a quel campanello che sembrava aver paura di premere.
L'indirizzo gliel'aveva dato Kuroko, ma le aveva debitamente spiegato che, avendo ormai perso i contatti da qualche tempo, non poteva assicurarle che quella persona si trovasse in casa e fosse disposta a riceverla; Momoi, dal canto suo, aveva deciso di provarci quel pomeriggio stesso e solo in quel momento, impalata davanti a casa Aida, si rendeva conto di quanto fosse stata frettolosa e imprudente: prima avrebbe dovuto telefonarle, chiederle il permesso di una visita e magari accennarle fin da subito il progetto di Tetsuya, ma temeva che l'altra rifiutasse e chiudesse la chiamata senza ascoltare ragioni.
Ovviamente quelle di Satsuki erano tutte supposizioni, visto che in quegli anni non si era mai avvicinata a Riko tanto da poter dire di conoscerla bene. Anzi non la conosceva affatto.
Nel momento in cui si lasciò scappare il suo secondo sospiro, Satsuki si decise a premere il campanello e ascoltò il suono ovattato che, al di là della porta, si propagava in casa Aida.
Momoi stava già pensando a cosa fare se nessuno avesse aperto la porta: aspettare pazientemente? Suonare di nuovo? Tuttavia non ebbe il tempo necessario per decidere fra le due cose, perché la porta scattò e tutti i problemi sbocciati dalla possibilità che non venisse ricevuta scomparvero.
Satsuki, che si aspettava di trovare Riko e non aveva davvero pensato alla possibilità che potesse esserci qualcun altro oltre a lei in casa, boccheggiò leggermente a disagio.
«Buongiorno, lei è il Signor Aida?»
L'altro la fissò attentamente, con la fronte corrugata e lo sguardo assottigliato, come se avesse voluto metterla meglio a fuoco: era sicuro di averla già vista, ma non riusciva a ricollegarla a nessun evento preciso.
«Sì, sono io.» non si vedevano tutti i giorni ragazze con quel colore di capelli: proprio quell'aspetto gli suggeriva di averla già incontrata, ma probabilmente non riusciva a ricordarla perché l'aveva sempre vista di sfuggita, senza mai parlarle.
«Sei un'amica di Riko?» Kagetora tentò di indovinare, continuando a soffermarsi sui capelli dal colore improbabile, un po' come quelli di Kuroko e degli altri membri della Generazione dei Miracoli - escludendo Kise, ovviamente -, e fu allora che ebbe un piccolo sussulto e trattenne il fiato: improvvisamente, come un fulmine a ciel sereno, ebbe un'illuminazione e fu sicuro che quella ragazza avesse avuto a che fare con gli ex miracoli.
«Una specie.» Momoi si lasciò scappare una breve risata nervosa e poi forzò un sorriso: no, lei e Aida non si potevano definire esattamente amiche, perché, anche se i loro punzecchiamenti riguardo al Seirin e alla Touou si erano attenuati nel tempo, non si erano mai conclusi del tutto.
A Satsuki non era mai piaciuto stuzzicare le altre ragazze - a dire il vero preferiva direttamente passare il suo tempo con i ragazzi, aveva sempre avuto più amici maschi che amiche femmine - e Riko non le era mai stata antipatica, però quando si parlava di basket cambiava tutto.
«Sua figlia è in casa?»
«Sì, entra pure.»
Satsuki accennò un sorriso riconoscente e varcò la soglia, trovandosi al centro di una piccola e accogliente sala d'ingresso nuovissima per lei che ormai conosceva a menadito le case di chiunque frequentasse. Si guardò intorno, in silenzio, e cercò di registrare più particolari possibili, consapevole che quella sarebbe stata la prima e anche l'ultima volta che le sarebbe stato permesso mettere piede in casa Aida.
Momoi sperava sinceramente che anche quel pomeriggio, dopo tanto tempo, lei e Riko potessero tornare a parlare di basket, ma niente le garantiva che Aida fosse rimasta aggrappata a quel mondo a cui lei teneva ancora così tanto.
Aida era più grande di lei, per cui il suo percorso scolastico era finito non a marzo di quell'anno, ma di quello prima ancora, e di conseguenza il suo distaccamento dal basket era avvenuto molto tempo addietro, quindi poteva anche aver deciso di smettere, di fare qualcos'altro.
«Per fortuna non vive più con quei due.» a Momoi sembrò che il padre di Aida avesse ringhiato e, piuttosto confusa da quelle parole, rimase a fissarlo con un piccolo cruccio sulla fronte.
Kagetora scosse la mano e negò con il capo, quasi a volerle comunicare di lasciar perdere, probabilmente perché non aveva voglia di rivangare i ricordi, raccontarle del periodo in cui era stato lontano dalla figlia che amava tanto.
«Riko è di sopra.» Kagetora sollevò il dito indice e parve indicare il soffitto, ma gli occhi di Momoi scavalcarono la breve rampa di scale e si fissarono immediatamente su una porta chiusa: possibile che Riko non pensasse neppure di uscire dalla propria camera per andare a vedere chi aveva suonato il campanello? Al posto suo, Momoi si sarebbe fiondata immediatamente fuori dalla stanza - ma pensandoci bene Satsuki dovette ammettere che non tutti, al mondo, erano curiosi come lei -.
«La ringrazio.» Momoi si congedò e imboccò le scale, bussando immediatamente alla porta che aveva scorto dal piano di sotto.
«Oh, Capelli Rosa?»
«Uh?» Momoi diede un'occhiata al piano di sotto e vide il padre di Riko richiamare la sua attenzione sventolando la mano in aria: ora che ci pensava non si era presentata, quindi era logico che le avesse affibbiato un nomignolo, per quanto strano potesse sembrarle.
«Entra pure, se bussi non ti sentirà mai.»
Sempre più confusa, Momoi lasciò che le dita di una mano si intrecciassero al pomello dorato della porta, mentre gli occhi si fissarono pensierosi sulla superficie di legno lavorato, infine seguì il consiglio di Kagetora e aprì la porta, richiudendosela immediatamente alle spalle.
Lo scenario che le si presentò davanti non era esattamente quello che si aspettava di trovare: le tapparelle erano abbassate, per cui la camera di Aida si presentava buia ed informe e l'unica luce presenta era innaturale, bluastra, si concentrava in un solo punto che Momoi riconobbe come il monitor di un computer, infine, davanti a questo, si stagliava la figura di Riko che sulla sedia sembrava essercisi appollaiata, più che seduta.
Momoi capì le ultime parole di Kagetora solo quando notò che il capo di Aida era incoronato da due grosse cuffie: non era sicura che stesse lavorando o facendo qualcosa di utile per coltivare la sua cultura, anzi era quasi sicura che stesse semplicemente ammazzando il tempo navigando in Internet, però le dispiaceva ugualmente disturbarla e se lo avesse saputo sarebbe passata un'altra volta.
Momoi indugiò e si fece avanti poco tempo dopo, con passo estremamente lento: Aida era incatenata al monitor ed era molto probabile che spuntando all'improvviso potesse spaventarla, ed era un'eventualità che voleva evitare -
Satsuki si morse il labbro inferiore: se solo avesse saputo dove si trovava la luce!
Proprio nel momento in cui cercò di mettere a fuoco alcune sagome che riusciva a percepire nonostante il buio, il piede sinistro di Satsuki si ingarbugliò in qualcosa di morbido - una maglietta, probabilmente - e questa si sbilanciò in avanti, riuscendo ad aggrapparsi alla scrivania di Aida per puro caso, evitando di ruzzolare sul pavimento.
Aida, che aveva colto quel movimento nell'ombra, tese velocemente il braccio e le colpì il viso con una manata.
«Ahi!» e, complice la posizione scomoda, con colpo di grazia la manata poco gentile di Riko, Satsuki capitombolò definitivamente sul pavimento.
Aida si tolse velocemente le cuffie e puntò lo sguardo nel buio, nel punto in cui si celava il disturbatore.
«Quante volte ti ho detto che non devi entrare in camera mia, papà?» sospirò indispettita, tastando nel buio alla sua sinistra finché non trovò l'abat-jour e accese la luce.
Momoi rimase seduta sul pavimento a guardarla in silenzio, con le dita che continuavano a massaggiare il naso, che aveva sortito gli effetti del colpo molto più del resto del viso; Aida, dal canto suo, strabuzzò gli occhi e saltò immediatamente in piedi, cercando di tirare l'estremità della maglietta quel tanto da coprire il bacino e la parte iniziale delle cosce, visto che indossava solo le mutande.
Satsuki la vide affrettarsi ad afferrare i pantaloni - ecco su cosa aveva inciampato - e a infilarseli.
«P-potevi bussare, almeno!» Riko balbettò rossa in volto, poi tornò al computer solo per spegnerlo e riprese «scusami, non volevo colpirti. Pensavo fossi mio padre.»
«No, non fa niente.» Momoi si alzò e si sforzò di fermare il massaggio al naso «non volevo disturbarti.»
Aida la guardò in silenzio, per qualche attimo: non che l'avesse disturbata, visto che la noia la stava facendo navigare da almeno un'ora fra gli articoli assurdi e pieni di idiozie di un sito web sconosciuto.
«Come mai sei qui?» non avevano mai avuto un rapporto così stretto da andare l'una in casa dell'altra, e per di più era passato più di un anno dall'ultima volta che si erano parlate.
Aida non disse altro e sembrò decisa a rendere più accogliente camera sua, per cui sollevò le tapparelle e lasciò entrare la luce, afferrò due magliette spiegazzate sullo schienale della sedia e le sistemò in un contenitore di plastica colorata che doveva custodire gli abiti da lavare, infine sistemò il copriletto sgualcito, liberando il cuscino da un libro e dall'mp3 che ripose sul comodino.
«Si tratta di una cosa importante.» Momoi ci aveva pensato più volte a come iniziare il discorso, ma era arrivata alla conclusione che un modo giusto non esistesse.
Aida aggrottò la fronte e tornò a sedersi di fronte al computer ormai spento, dondolando un poco sulla sedia da ufficio, mentre Momoi prese posto ai piedi del letto - ovviamente dopo aver ottenuto il consenso silenzioso della padrona di casa -
«Si tratta di ...»
«Riko, tesoro, non è che te e la tua amica—»
«Papà!» Riko, che voleva intimarlo ad andarsene, si soffermò in particolare su una cosa.
«Volevo solo sapere se vi andava di mangiare qualcosa.»
«No. E non siamo amiche.» si preoccupò di specificare, Aida.
Kagetora si zittì per qualche attimo, poi squadrò Momoi dalla testa ai piedi.
«Non sarete mica fidanzate?»
Momoi sbarrò gli occhi imbarazzata, mentre Aida, completamente rossa in volto, si diresse velocemente verso l'uscita della camera per spingere suo padre fuori.
«Fuori!»
«M-ma Riko!»
«Fuori!» urlò ancor più forte e, finalmente, riuscì a cacciare la presenza insistente e imbarazzante del padre e poté richiudere la porta, anche se entrambe lo sentirono mugugnare qualcosa come: «La mia bambina non è più la stessa, da quando è andata a vivere con quei due
Momoi era curiosa, voleva sapere a chi si riferisse suo padre, ma non era lì per fare domande e, soprattutto, lei e Aida non erano amiche - visto che quest'ultima si era appena preoccupata di dichiararlo così apertamente -, quindi non poteva pretendere di scambiare con lei certi aspetti della vita privata.
Riko maledì mentalmente suo padre: era talmente imbarazzata che le sembrava perfino impossibile sedersi, per cui fece aderire la zona renale al bordo della scrivania ed esortò Momoi a riprendere il discorso interrotto, ovviamente evitando il suo sguardo.
«Ecco, vedi, si tratta di Tetsu-kun.»
Aida si mostrò fin da subito interessata e quel nome sembrò spazzare via tutto l'imbarazzo.
«Kuroko-kun?! E come sta?!»
«Sta bene.» Momoi accennò un sorriso, ripensando al tono di voce un po' imbarazzato ma indubbiamente grondante di felicità che Tetsuya aveva usato quando le aveva detto che lui e Kagami si erano messi insieme.
«Il fatto è che qualche tempo fa ha avuto un'idea.» Momoi fece una piccola pausa «pensavamo che nessuno avrebbe accettato, e invece tutti hanno dato il loro consenso»
Riko non era ancora sicura di aver capito, ma pensò che Kuroko volesse organizzare una specie di rimpatriata del Seirin.
«Serve qualcuno come te. Hai dimostrato di essere un'ottima allenatrice e credo che riusciresti a coordinarli.»
Tuttavia, l'idea della rimpatriata scemò immediatamente.
Aida si schiarì la voce e, leggermente spaesata, boccheggiò una domanda.
«Chi … chi dovrei coordinare, scusa?» aveva paura della risposta, e poi era da un bel po' di tempo che non si occupava più di basket - sempre che di basket si stesse parlando -
Momoi prese una boccata d'aria e poi buttò fuori d'un fiato tutto ciò che c'era da dire.
«Tetsu-kun ha voluto riunire la Generazione dei Miracoli: alcuni di loro sono un po' arrugginiti, altri hanno ancora del potenziale e continuano a migliorarsi, per cui qualcuno che sappia individuare i problemi e affinare i pregi come te ...»
«Cosa?»
Momoi ebbe un fremito: no, non andava bene.
«Nel senso che … se ti va ...»
«Tu mi stai chiedendo di fare da allenatrice alla Generazione dei Miracoli? Sei seria?»
«Sì, ma ...» Momoi deglutì «c'è qualcosa che non va?»
Aida rimase a fissarla in silenzio ancora per qualche attimo, poi non riuscì più a trattenersi e a Momoi fece ancor più paura.
«I-io ...» Aida boccheggiò e sorrise, con gli occhi vuoti, persi in una sconosciuta contemplazione dell'immaginario, e la testa evidentemente piena di chissà quali fantasie.
«La Generazione dei Miracoli!» poi aveva alzato la voce, in un'esclamazione acuta di gioia.
«Oddio, davvero me lo stai chiedendo? Dovrei allenare la Generazione dei Miracoli?» si portò una mano alle labbra, quasi avesse voluto zittirsi e dondolò sul posto «la Generazione dei Miracoli ...»
Riko mugugnò contro il palmo della propria mano, trattenne a stento una risata.
«Ti senti bene?» osò Momoi, che si ritrovò subito lo sguardo luminoso di Aida addosso.
Aida riuscì a rimanere seria solo per qualche istante, poi sorrise di nuovo, incredula e impaziente.
«Quando si comincia?»

La luce non è il riflesso dell'ombra, ma la calda realtà detentrice di speranza.




Licenza Creative Commons
Quest'opera è distribuita con Licenza Creative Commons Attribuzione - Non commerciale - Non opere derivate 2.5 Italia.




L'angolino invisibile dell'autrice:

Se notate qualche errore e qualche vaneggiamento, vi chiedo perdono. Sono due giorni di fila che mi concedo pochissime pause dallo studio e i capitoli ormai li scrivo e li correggo di sera tardi, in particolare questo l'ho corretto in due tempi, di notte, con gli occhi che si chiudevano e si riaprivano continuamente, quindi è possibile che mi sia sfuggito qualche errore.
Se devo essere sincera non sono molto soddisfatta, non solo del capitolo ma anche della caratterizzazione di Riko (vi sarà sembrata mezza fuori di testa, qui, ma mi è venuto in mente quanto fosse euforica quando nell'opera originale Midorima, Kise, Kagami e Kuroko erano seduti allo stesso tavolo, per cui figuriamoci se le chiedessero di coordinare la GoM!).
Nei prossimi capitoli, comunque, cercherò di farla un po' meno euforica e un po' più normale.
Eee … mi dispiace dirvelo ma dovrete aspettare un po' per l'aggiornamento, ormai sono nel pieno dello studio! ;A; Questa volta mi fermo qui (si vede che ho particolarmente sonno, visto che di solito i miei angolini sono lunghi come papiri! XD)

Ritorna all'indice


Capitolo 16
*** Capitolo XV ***


Capitolo XV





Siamo di luce e siamo di ombra, ci ergiamo sulle macerie del nostro passato.

Midorima aveva già percorso un paio di isolati e si trovava ormai abbastanza lontano da casa per non desiderare più di tornare indietro come poco prima: quel giorno avrebbe fatto volentieri a meno dei corsi universitari, avrebbe voluto rimanere chiuso in camera oppure andare a trovare i suoi genitori e passare un po' di tempo con la sorella.
La sua reticenza improvvisa verso l'ambiente universitario non aveva niente a che fare con i risultati dell'oroscopo - anche perché quel giorno il Cancro era in prima posizione -, e neppure con le presenze mal desiderate di Hanamiya e Imayoshi; il suo problema, il suo freno, era sempre il solito: Takao Kazunari.
Takao Kazunari, che la sera prima era partito per l'Australia insieme al suo fidanzato e che Midorima non avrebbe rivisto prima di un mese.
Shintarou sospirò pesantemente e lasciò scivolare il viso oltre la grossa sciarpa morbida, stringendo fra le mani quel piccolo falchetto di peluche che, colmo dei colmi, era lo strumento fortunato del giorno.
Il corpo di Midorima subì un piccolo sussulto non appena la vibrazione del cellulare gli stuzzicò il fianco, mettendolo immediatamente in allerta: l'unico che l'aveva già contattato a certe ore del mattino era suo padre, che si alzava presto per andare a lavoro, per cui in quel momento il genitore fu la prima persona che gli balzò alla mente e quindi, mentre una mano si prodigò per sorreggere il falco di peluche, l'altra si insinuò nella tasca e afferrò immediatamente il telefonino.
Midorima rimase a fissare il nome che lampeggiava sullo screensaver per qualche attimo, lasciando che il cellulare continuasse a vibrare imperterrito fra le sue dita: no, non era suo padre.
Inspirò profondamente e socchiuse gli occhi per un solo attimo, cercando di riordinare le idee: cosa avrebbe dovuto fare? Rispondere e restare in ascolto delle belle cose che sicuramente Takao aveva da raccontargli? Magari fingersi anche contento?
Quella notte l'aveva passata augurandosi più volte che Takao si facesse sentire il meno possibile, e invece gli stava già telefonando.
Midorima non voleva rispondere, ma ignorando quella chiamata sarebbe stato ancora peggio, si sarebbe sentito in colpa sia verso Takao, sia verso se stesso - questo, almeno, doveva ammetterlo -.
Inspirò ancora, profondamente, e decise di credere ancora una volta alla previsione di Oha Asa: forse quella sarebbe stata davvero una giornata positiva per il suo segno zodiacale.
«Che vuoi?» Midorima rispose stizzito, preparandosi al peggio.
«Shin-chan!» seppur avesse usato un tono di voce più basso del solito, Takao gli perforò un timpano e Midorima sbuffò nervosamente, allontanandosi il cellulare dall'orecchio. Tuttavia, resosi subito conto che la voce dell'altro si avvicinava più all'uggiolio di un cane bastonato piuttosto che al grido euforico di un ragazzino, decise di avanzare una domanda e restò attentamente in ascolto.
«Siete arrivati?»
Dall'altro capo del cellulare, Takao rimase in silenzio per qualche attimo e poi rantolò.
«Non sono partito, Shin-chan!» Kazunari si lagnò e sospirò rassegnato.
Midorima, dal canto suo, sentì il bisogno di fermarsi.
«Come non …?» istintivamente, la mano sinistra di Shintarou rafforzò la presa sul pupazzetto, un fremito nel petto lo scosse e si trasformò in un sospiro colmo di tremante incredulità.
«Ho vomitato tutto il pomeriggio! Te lo giuro, è stato orribile! Dopo non riuscivo neanche ad alzarmi dal letto!»
Midorima rimase in silenzio, ancora incredulo.
«Takao, era ovvio che vomitassi.» poi si rilassò, socchiuse gli occhi e senza neppure accorgersene lasciò che un piccolo sorriso impercettibile andasse ad incurvargli le labbra.
«Perché era ovvio, Shin-chan? L'ha detto l'oroscopo?» Takao lo punzecchiò, con l'ovvia intenzione di prenderlo in giro, e così l'insolito sorriso di Midorima venne soppiantato da una smorfia stizzita e offesa.
«Ieri e l'altro ieri ti sei ingozzato come un maiale.»
«Ma non è vero! Ho mangiato solo qualcosina!»
«Qualcosina? La sera del pigiama party hai mangiato una vaschetta intera di gelato e un pacchetto di patatine. Hai mangiato anche una ciambella, se non sbaglio.»
«Due, al cioccolato.» Takao si preoccupò immediatamente di correggerlo.
«E la mattina dopo hai mangiato le uova al tegamino e la pancetta. E quando gli altri se ne sono andati, hai insistito per pranzare fuori e ti sei ingozzato di ramen e sushi.» Midorima fece una piccola pausa, poi sospirò rassegnato «questo sarebbe: “Solo qualcosina”?»
«E va bene, e va bene!» Takao accennò una risata «pare proprio che ti dovrò dare ragione, Shin-chan!»
Midorima glielo aveva detto sia la sera del pigiama party sia il giorno dopo di smetterla di ingozzarsi, ma Takao non l'aveva ascoltato e aveva ricevuto la lezione che meritava.
«Per fortuna Kiyo-chan è riuscito a vendere il mio biglietto all'aeroporto: non abbiamo recuperato tutti i soldi, ma è comunque una buona parte!»
Quando lo sentì pronunciare quel nomignolo, Midorima tornò alla realtà: Takao ci teneva troppo a Miyaji, niente gli impediva di partire di lì ad una settimana, - o quando si sarebbe ripreso -, per raggiungerlo.
«Appena mi rimetto ti accompagnerò all'università come al solito, ok?» ma Takao sembrava non aver neppure preso in considerazione la possibilità di raggiungere Miyaji più tardi.
«Magari giochiamo un po' a basket, visto che non lo facciamo più da tanto tempo!»
Midorima lo ascoltò in sacrosanto silenzio, ancora imbambolato nel bel mezzo del marciapiede, senza curarsi dei minuti preziosi che stavano scorrendo e del ritardo che cominciava a configurarsi minaccioso.
«Shin-chan, sei ancora in linea?»
«Sì, sono in linea.» Midorima rispose immediatamente e scosse leggermente la testa, quasi a volersi ridestare del tutto dai propri pensieri.
«Allora, va bene per il basket?»
Takao gli stava chiedendo una cosa fra loro: aveva capito che con gli ex membri della Generazione dei Miracoli poteva semplicemente parlare amichevolmente, ma che sarebbe rimasto puntualmente tagliato fuori dal loro circolo di gioco, e comunque non sembrava avere pretese particolari, certo era curioso, ma non gli aveva mai chiesto di poter venire con lui e partecipare a quegli incontri privati fra assi. Midorima non era mai riuscito a capire se il suo comportamento fosse dovuto al fatto che avesse avuto sempre altro da fare con Miyaji o se fosse semplicemente più maturo rispetto a qualche anno prima.
«Va bene.» raramente Midorima era così accondiscendente, ma dopotutto si trattava di Takao: loro due erano stati la luce e l'ombra dello Shutoku, ma da quando le superiori erano finte non avevano più trovato tempo e modo di giocare insieme, e Shintarou aveva spesso nostalgia di quei momenti. Odiava dipendere dal passato, ma era più forte di lui e quando pensava a Takao sentiva l'obbligo di rifugiarsi nella dimensione trascorsa, dove si trovavano i ricordi più belli.
«Perfetto!» Midorima lo sentì sorridere.
«Allora, com'è l'oroscopo, stamattina?» come capitava ogni volta in cui parlavano al telefono, Takao faceva mille domande e non lo lasciava più andare.
«Sono in prima posizione.» finalmente Shintarou si decise a riprendere la propria marcia verso l'università, complice quella notizia che gli aveva reso il cuore un po' più leggero.
«E io?» non che Takao credesse all'oroscopo, ma gli era bastato trascorrere pochi mesi con Midorima per prendere l'abitudine di ascoltare Oha Asa.
«Penultimo.» Trovandosi ancorato a letto con un gran mal di stomaco e una nausea da non sottovalutare, Takao pensò che quella posizione fosse azzeccatissima.
«Pare che il Leone sia messo peggio.»
«Oh? Il Leone?» Takao si sforzò di ricordare chi fra i suoi conoscenti fosse Leone, e guarda caso si trattava di qualcuno che aveva mangiato almeno il doppio di lui.
«Oddio, Shin-chan! Dici che Kagami sta vomitando ancora adesso?!» Takao era curioso e leggermente divertito dalla faccenda.
«Non lo so. Gli starebbe bene, comunque, così impara a ingozzarsi.»
«E l'oggetto fortunato?» la voce di Takao era ancora alterata dal divertimento, ma nonostante ciò non continuò il discorso, anzi lo interruppe con un'altra domanda.
Shintarou indugiò appena e rafforzò nuovamente la stretta sul peluche.
«Un pupazzo.» tagliò corto «Takao, devo andare, si sta scaricando la batteria.»
«Ti sei dimenticato di caricare il cellulare? Ma insomma!» l'ammonimento di Kazunari era un'ovvia presa in giro a cui Midorima rispose richiamando il suo nome con voce indispettita.
Per fortuna Takao non chiese altro sul pupazzo e si decise a lasciarlo andare, ricordandogli che di lì a qualche giorno avrebbero giocato a basket insieme.
Midorima chiuse la chiamata e, una volta sistemato il cellulare in tasca, accelerò il passo: era terribilmente in ritardo, ma poco importava; niente, dopo aver saputo che Takao era rimasto a Tokyo, avrebbe potuto avere rilevanza in quella giornata.
Anche in quell'occasione, Oha Asa non l'aveva deluso e, inaspettatamente, l'idea del pigiama party aveva giocato in suo favore, di lui che era l'unica persona contraria al suo svolgimento: Shintarou non poté che compiacersene e finalmente avvertì la tensione abbandonare lentamente il suo corpo, come se si fosse trattato di un veleno che a poco a poco veniva estirpato.


«Basta.»
La voce annoiata di Murasakibara sovrastò il rumore metallico del cucchiaino che, in movimenti circolari, continuava a graffiare la tazzina di coccio.
Himuro sollevò il viso e gli rivolse un'occhiata stupita, poi consultò l'orologio a muro e tornò a fissarlo come se avesse visto un fantasma: da quando Atsushi si svegliava così presto?
Tatsuya si sorprese ancor di più quando lo vide sistemare un giornale al centro del tavolo: ad Atsushi non piaceva leggere, a detta sua era troppo faticoso, ma a giudicare dagli angoli stropicciati di quel quotidiano locale lo aveva appena fatto.
Himuro si schiarì la voce e adagiò il cucchiaino di fianco alla tazzina di caffè, rimanendo a fissarlo in silenzio mentre si girava da una parte all'altra e si guardava intorno, prima aprendo il frigo, poi le ante delle mensole, evidentemente indeciso se fare colazione con il budino o con le ultime merendine rimaste.
«Atsushi?» Himuro si sporse un poco verso il giornale, notando un piccolo cerchio blu tracciato a penna attorno ad una minuscola inserzione.
«Dobbiamo parlare, Muro-chin.» Murasakibara, che era tornato a considerare l'idea del budino, aprì di nuovo il frigo e lo richiuse subito dopo, sistemandosi di fronte ad Himuro.
Himuro rimase a fissarlo in silenzio e, mentre era indaffarato a sollevare il cellofan dal piccolo contenitore del budino, ponderò la possibilità che fosse arrabbiato con lui e pensò ad una ragione valida per giustificare il suo comportamento, ma non appena Murasakibara si sporse verso di lui e gli rubò il cucchiaino si rese conto che non poteva essere così e accennò un sorriso sollevato.
«Cosa c'è?»
«Sono stufo di fare tutti quei lavoretti.»
«Atsushi, non ricominciare.» quante volte si era lamentato, nelle ultime settimane? Anche troppe. Neppure Himuro era interessato a fare il lavapiatti o a raccogliere le ordinazioni in qualche bettola, ma dovevano pur pagarlo l'affitto in qualche modo e smettere di lavorare come avrebbe voluto Atsushi era la cosa più sbagliata che potessero fare.
«No, Muro-chin.»
Himuro si sorprese del tono fermo e dello sguardo che Murasakibara gli rivolse: la situazione sembrava essersi invertita e Atsushi gli stava chiedendo di lasciarlo parlare, evidentemente perché aveva qualcosa di serio da dire.
Murasakibara, però, non disse altro e batté il polpastrello su quella piccola inserzione cerchiata di blu che Himuro aveva notato poco prima.
Più curioso che mai, Tatsuya si trascinò il giornale sotto al naso e lesse velocemente.
Himuro aveva sperato che Murasakibara avesse trovato il lavoro perfetto per lui, qualcosa che non lo annoiasse e che non lo avrebbe spinto a lamentarsi ogni minuto, ma quando arrivò all'ultima parola gli sembrò che leggere quel piccolo annuncio fosse stata solo un'immensa perdita di tempo.
«E quindi?» sollevò lo sguardo verso Murasakibara, risistemando il giornale al centro del tavolo: l'annuncio che gli aveva appena fatto leggere riguardava la vendita di uno spazio da ristrutturare e adibire a negozio, quindi poteva interessarsene solo chi desiderava aprire una propria attività, non certo persone come loro.
«Lo compriamo.» rispose semplicemente Murasakibara.
«Atsushi, ti sei mangiato anche il cervello?»
Murasakibara fece per dire qualcosa, poi ripeté mentalmente le parole di Himuro e incrinò le labbra in una piccola smorfia, quasi a voler mettere il broncio per fargli capire di essere offeso.
«Non mi sembra una cattiva offerta ...» borbottò poi, affondando il cucchiaino nel budino «quarantamila yen per uno spazio così grande sono pochi.»
Mentre si riempiva la bocca di budino, Murasakibara rimase in ascolto del silenzio, riprendendo subito dopo aver buttato giù il boccone.
«È grande, vero?» non ci aveva mai capito molto di metri quadri, per cui, complice il silenzio di Himuro, cominciò a pensare di aver frainteso le misure.
«Sì, effettivamente sono pochi soldi e il posto è grande.» Himuro dovette riconoscerlo, ma non che gli importasse: era sicuro che la conversazione si sarebbe conclusa presto, che per una volta Murasakibara non l'avrebbe avuta vinta.
«Però dovresti considerare anche l'affitto e i costi per ristrutturarlo.» riprese Himuro, nella speranza di farlo desistere.
«L'affitto è bassissimo, sono solo diecimila yen al mese.»
Himuro strinse i denti: in effetti Murasakibara era riuscito ad individuare una proposta alquanto allettante e conveniente, c'era quasi da pensare che fosse una truffa.
«Ma alla fine cosa ci faresti? Che attività potresti mai aprire?»
«Una pasticceria.»
Giusto: quale altra risposta ci si poteva aspettare, da uno come Murasakibara?
Normalmente Himuro lo avrebbe trovato tenero e sarebbe stato pronto ad appoggiare la sua scelta, ma in quel momento avvertì solo il primordiale bisogno di scuoterlo da quell'assurda illusione: Murasakibara era pigro e apatico quando vestiva i panni del dipendente, diceva sempre che c'era troppo lavoro da fare, quindi figurarsi se avesse deciso di aprire un'attività!
Himuro lo immaginò al suo primo giorno di lavoro: stranamente allegro e motivato per la prima mezz'ora, avrebbe passato tutto il resto del tempo a crogiolarsi nella noia, ad aspettare che gli altri dolci si preparassero da soli e a fare razzia di gocce di cioccolato, marmellata e decorazioni di zucchero.
«Atsushi, non credo che tu sia capace di ...»
«È da un sacco di tempo che ci penso.»
Himuro fu in parte sollevato di essere stato interrotto: non voleva essere troppo severo, non voleva continuare il discorso sulla responsabilità.
«Vorrei aprire una pasticceria con te.»
Tatsuya sussultò sorpreso: era convinto che quello fosse un progetto privato da cui sarebbe rimasto tagliato fuori a prescindere.
«Con me? Lo sai che non sono bravo con i dolci, quindi come potrei aiutarti?»
«Servendo ai tavoli.»
Himuro aggrottò la fronte confuso.
«I tavoli? In una pasticceria?»
«No, no.» Murasakibara allargò le braccia e tracciò quello che evidentemente doveva essere il luogo da acquistare, immaginando la disposizione del bancone, dei tavoli e delle sedie «non sarà una vera e propria pasticceria, ma un bar-pasticceria, così Muro-chin potrà servire ai tavoli!»
Tatsuya rilassò il busto contro lo schienale e si lasciò sfuggire un piccolo sorriso.
«In questo caso, se lo vuoi davvero e se ci sarò io a tenerti d'occhio, potremmo anche provare.»
A Murasakibara sembrarono illuminarsi gli occhi.
«Beh, fa' una telefonata al venditore, così vediamo cosa ci dice.» Himuro si strinse nelle spalle e ampliò leggermente il sorriso, e Murasakibara, dal canto suo, si sporse in avanti e gli afferrò il viso fra le mani, stampandogli un piccolo bacio sulle labbra per esprimergli la propria gratitudine.


Secondo il parere di Aomine non era affatto da egoisti soffrire della felicità di due persone e desiderare anche la propria, eppure non era ancora riuscito a dirlo a Kise e questo, di conseguenza, doveva essere rimasto certo della sua convinzione.
Daiki si era ripromesso che un giorno si sarebbe riallacciato al discorso che lui e Kise avevano dovuto lasciare a metà a causa dell'intervento di Takao, ma in quel momento, a dirla tutta, non aveva nessunissima voglia di tornare indietro e punzecchiare Ryouta con una curiosità che, bene o male, doveva cercare di camuffare e contenere - dopotutto era stato già abbastanza indicativo il fatto che quel giorno fosse stato lui a chiedergli di uscire: che ricordasse era sempre Kise ad avanzare qualche proposta su come passare i pomeriggi, mai lui che degnava della sua presenza solamente casa sua e il campo da basket -
«Sai Aominecchi, dovresti provare a fare amicizia anche con Himurocchi.»
Le parole di Kise interruppero il flusso di pensieri di Aomine che, con un po' di preoccupazione, cominciava a pensare che Ryouta avrebbe potuto chiedersi come mai per una volta avesse preso l'iniziativa e gli avesse chiesto di uscire, invertendo una routine ormai vecchia di anni.
Daiki gli rivolse un'occhiata veloce, poi tornò a guardare i centimetri d'asfalto che scomparivano ad ogni passo, divorati dalle falcate che presto li avrebbero condotti al negozio di vestiti.
«Perché proprio io? Alla fine quello lì sta simpatico soltanto a Murasakibara. Non ci dovrebbe neppure stare, insieme a noi.»
La Generazione dei Miracoli era un circolo inaccessibile: era un pensiero che aveva avuto perfino Kise quando Himuro gli aveva esposto la sua intenzione di unirsi a loro, ma al contrario di Aomine, che si abituava a determinate presenze e faceva fatica a registrare l'aggiunta di altre, lui era molto più socievole, aperto e disposto al cambiamento, provava a conoscere meglio le persone prima di giudicarle, prima di assumere un atteggiamento diffidente e restio come faceva Daiki, risultando il più delle volte arrogante, oltre che asociale.
«A me sta simpatico.» fra gli ex membri della Generazione dei Miracoli, Kise era senza dubbio il più ben disposto verso l'eventualità che il loro circolo fosse arricchito da nuovi membri, e questo perché a lui era successa una cosa molto simile diversi anni prima: quando era arrivato alla Teiko, Aomine, Kuroko, Midorima, Akashi e Murasakibara si conoscevano e avevano già formato una squadra di talenti assieme a Nijimura e Haizaki, mentre lui era “quello nuovo”, quello che si era trovato davanti ad un muro all'apparenza invalicabile e che aveva dovuto dare una dimostrazione del suo talento per farsi accettare, allacciando con ancor più difficoltà qualche rapporto amichevole. A pensarci bene, effettivamente, era stato più difficile fare amicizia con i componenti della Generazione dei Miracoli, piuttosto che entrare in quel circolo di talenti.
«Kise, a te stanno tutti simpatici.» Aomine sbuffò e negò appena con il capo, quasi a volergli ricordare che era un caso perso.
Kise accennò un sorriso saccente: davvero lo sottovalutava così? Aomine pensava che essendo una persona normalmente allegra e gentile, Kise non avesse antipatie?
«Non proprio tutti, Aominecchi.» lo corresse e, una volta sospinta la porta del negozio di vestiti e varcata la soglia, riprese «comunque non è male scambiarci quattro chiacchiere..»
«Con chi?» Aomine aggrottò la fronte confuso: stavano ancora parlando di Himuro? E quando le avevano scambiate, quelle quattro chiacchiere?
«Aominecchi! Mi ascolti quando parlo?» Kise gonfiò le guance e lasciò andare l'aria in uno sbuffo, cominciando ad esaminare qualche vestito a caso più per mostrarsi offeso che per interesse.
«Cioè, ci hai parlato?»
«Sì, un po' di giorni fa.»
«E perché ci avresti parlato?»
Le mani di Kise indugiarono su una camicia dal tessuto morbido e chiaro, la fronte si aggrottò in un cruccio, poi, finalmente, guardò oltre la sua spalla e incrociò lo sguardo di Aomine.
«Perché avevo bisogno di un consiglio.» rispose con calma, sicuro che quello di prima fosse il tono che Aomine usava quando non era contento di qualcosa - leggermente più alterato e roco del timbro vocale che usava di solito, quando, più che altro, era annoiato o infastidito -
Anche Aomine si rese conto del tono leggermente alterato e dello sguardo confuso di Kise, così decise di ignorarlo per un po' e spostare la sua attenzione sulle scarpe del reparto successivo.
Sicuramente Himuro era un consigliere migliore di lui, ma da quando a Kise veniva in mente di elemosinare suggerimenti da uno che si poteva benissimo classificare come sconosciuto, piuttosto che a lui, che ormai conosceva da più di cinque anni?
Daiki sbuffò rumorosamente e non appena Kise lo raggiunse tornò all'attacco.
«Perché non chiedi a Tetsu di farci amicizia? Sicuramente a lui sta ancora più sulle palle di quanto non stia a me.»
«Aominecchi, per Kurokocchi è una cosa un po' diversa.» il tentativo fallito di Aomine di sviare il discorso verso qualcun altro lo fece sorridere.
Perché era una cosa diversa? Perché Kuroko era geloso di Himuro? E se anche lui fosse stato geloso di Himuro? Di sicuro, dopo aver saputo che Kise era andato a chiedergli consiglio, Aomine avrebbe preso ancor più in considerazione l'idea di continuare a provare antipatia verso quel ragazzo, altro che farci amicizia.
«Ohi?» Aomine si era già stufato di guardare vestiti e scarpe, aveva voglia di sfogarsi.
«Passiamo da casa mia a prendere il pallone.»
Kise rimase a fissarlo solo per qualche istante, poi lasciò che le labbra si increspassero in un sorriso allegro: era stato felice di ricevere da Aomine un invito ad uscire insieme, ma sentirlo manifestare la sua intenzione di giocare un uno contro uno gli aveva appena fatto toccare l'apice della gioia.
«Vedrai che ti batterò di nuovo!» erano bastate poche parole perché Kise si dimenticasse completamente di scarpe e vestiti.
«Non se ne parla, non mi batterai mai più Kise, mettitelo in quella testa da idiota.»
«Ahhh, Aominecchi!» Kise accennò una risata e gli diede una piccola gomitata «hai paura, eh?»
«Cosa?!» Aomine sfiatò e gli colpì la nuca con la mano «ma piantala di dire cazzate!»
Kise accettò quel colpetto con un'altra risata e ricambiò pizzicandogli un fianco.
«Kise!»
«Oh- oh giusto, il solletico. Scusa, Aominecchi!»
Aomine distolse lo sguardo e trattenne un sospiro: già, il solletico che non aveva mai sofferto.
Kise, dal canto suo, continuò a sorridere: almeno con lui, la felicità si manifestava, almeno con lui stava bene e non doveva fingere nulla.


Kuroko aveva udito chiaramente un rimestio confuso alle proprie spalle e aveva sollevato appena il capo, rimanendo in ascolto: la porta era stata aperta e poi strattonata in avanti e indietro, vittima di una lotta serrata fra chi aveva cominciato a borbottare sommessamente e colui che con uggiolii disperati lo supplicava di lasciargli libero accesso alla stanza.
Quando sentì lo scatto della porta annunciare la sua chiusura, Tetsuya si voltò verso l'altro e rimase a fissarlo in silenzio per diversi istanti.
«Kagami-kun.»
«Che c'è?» Kagami si strinse contro la porta, lasciando che la schiena aderisse perfettamente alla superficie liscia.
«Lascia entrare Nigou.»
Kagami sfiatò e approfondì il contatto con la porta: dopo aver sopportato le domande della nonna sulle sue sopracciglia, Kuroko non poteva chiedergli anche di lasciar entrare Nigou, perché avere quel cane nella stessa stanza non solo lo innervosiva, ma gli impediva perfino di avvicinarsi troppo al suo ragazzo.
Tetsuya continuava a dirgli che Nigou faceva così solo perché gli stava simpatico, ma da qualche giorno Kagami aveva il sospetto che facesse così perché era geloso del suo padrone. Geloso esattamente quanto poteva esserlo lui, per quanto infantile fosse anche solo pensare di mettersi in competizione con un cane.
«Tanto è meglio evitare di fare certe cose in casa mia, soprattutto se c'è mia nonna in giro.»
Kagami rimase in silenzio e si scostò dalla porta con un sospiro di rumorosa rassegnazione, stringendo la maniglia fra le dita.
«Tua nonna è malefica.» poi aprì la porta e si scostò immediatamente, fulminando con lo sguardo il cane che scodinzolando festoso aveva immediatamente raggiunto il suo padrone e aveva occupato un posto vicino a lui.
Kagami si sforzò di smetterla di guardare male il cane e poi, grattandosi la testa lievemente in imbarazzo, si rivolse a Tetsuya «stasera vieni a dormire da me?»
Tetsuya diede una piccola carezza a Nigou e poi si rivolse a Taiga con un sorriso, annuendo appena; inutile dire che Kagami fu contento di quel responso, visto che, almeno, quando Kuroko andava a dormire da lui non si portava dietro il cane e potevano stare da soli.
Kagami fece per dire qualcos'altro, ma la vibrazione improvvisa del cellulare attirò la sua attenzione.
Quando vide il mittente aggrottò la fronte confuso e Kuroko si sporse appena, interessato da quell'espressione.
«Chi è?»
«Takao.» Kagami rispose immediatamente, aprendo il messaggio «ma come diavolo l'ha avuto, il mio numero?»
«Glielo avrà dato Kise-kun.» Tetsuya non ebbe bisogno neppure di pensare per quella risposta: era ovvia e scontata.
Non appena Kagami lesse il contenuto del messaggio, rimase ancor più sorpreso e inarcò appena un sopracciglio, tornando a rivolgersi a Kuroko.
«Mi chiede se per caso ho … vomitato.»
«Forse si sta preoccupando per tutto quello che hai mangiato.» Kuroko non aveva la benché minima idea del perché Takao avesse spedito quell'sms a Kagami, ma nonostante ciò la sua fu una chiara frecciatina per ricordare a Taiga che si era ingozzato un po' troppo.
«Parla quello che mi ha rubato tutte le patatine.» Kagami rispose per le rime, borbottando sommessamente.
Tetsuya, che era rimasto a fissarlo in silenzio, sorrise e scivolò giù dal letto, dirigendosi con calma in direzione di Kagami e piazzandoglisi davanti.
Taiga aggrottò la fronte e ritrasse appena il viso, squadrandolo dall'alto in basso.
«Cosa fai?»
Era sorprendente quanto riuscisse a farlo sentire in imbarazzo: Kagami non avrebbe resistito un minuto di più con quegli occhi puntati addosso e quel sorrisino vagamente intenerito che Kuroko gli stava rivolgendo.
Non appena Tetsuya si alzò in punta di piedi e tese le braccia verso di lui, cercandogli il viso con le mani, Kagami capì e, ignorando il fastidioso pizzicore che si era insinuato nelle guance, si chinò e lo baciò.
Le mani di Tetsuya rimasero incollate al suo viso e Kagami si chinò ancora un poco, per approfondire il bacio, scostando le proprie labbra poco dopo e solo per respirare, pronto a ritornare sulla bocca del proprio compagno dopo pochi istanti.
Proprio nel momento in cui le labbra di Kagami e di Kuroko stavano per tornare unite, un rumore ovattato oltre la porta li fece scattare sull'attenti e Taiga riuscì a sciogliere la presa appena in tempo, prima che la nonna di Kuroko facesse capolino nella stanza.
«Tetsuya?»
Tetsuya le rivolse uno sguardo spaesato, Kagami continuò a darle la schiena, incapace di muoversi per l'imbarazzo.
«C'è Satsuki al telefono.»
«A-ah. Arrivo.» Tetsuya boccheggiò e Kagami non poté fare a meno di pensare che fosse in imbarazzo, finendo per compiacersene: almeno non era l'unico ad essere completamente avvampato, rimasto immobile e inerme, rigido come un tronco a causa della vergogna.
Kuroko si congedò passandogli di fianco velocemente, per poi chiudere la porta con delicatezza, e Kagami, che ne aveva approfittato immediatamente per strofinarsi il viso e sbuffare il suo imbarazzo fra le proprie mani, percepì le loro voci ovattate farsi sempre più lontane, fino a scomparire, non prima di aver sentito sua nonna fare di nuovo il nome di Momoi.
Si sedette sul letto e lasciò andare un rumoroso sospiro di sollievo: se avesse sciolto la stretta che le sue braccia stavano esercitato su Tetsuya un attimo più tardi, probabilmente la nonna se ne sarebbe resa conto, ma per fortuna aveva fatto in tempo - e senza dubbio la sua mole aveva nascosto il viso già leggermente arrossato di Kuroko per il tempo necessario, fino a quando non era tornato normale -.
«Menomale ...» borbottò e si ripromise che avrebbero ripreso la questione a casa sua, quando sarebbero stati soli e avrebbero avuto modo di godersi un bacio senza essere interrotti o, peggio ancora, senza la paura di essere scoperti.
Nigou, che l'aveva fissato per tutto il tempo un po' come avrebbe potuto fare Tetsuya, abbaiò, e solo allora Kagami si accorse di averlo vicino e si trascinò velocemente giù dal letto, mugugnando flebilmente la propria paura e la propria irritazione.
«No, tu rimarrai qui, stasera!» per fortuna Kagami doveva andare a prendere Kuroko in pizzeria, non a casa, altrimenti era sicuro che si sarebbero dovuti trascinare dietro anche il cane.
Taiga lo fulminò con lo sguardo, ma la sua minaccia non fu molto efficacie, visto che un altro abbaio del cane lo spinse a retrocedere e a trascinarsi sul pavimento, allontanandosi sempre di più dal letto.
«Maledetto cagnaccio-!»


«Ahhh! Aominecchi!»
Probabilmente Kise voleva assordarlo. O forse staccargli un braccio, visto che continuava a strattonarglielo e ad attaccarvisi come un peso morto.
«Dai, ancora una!» Kise lo supplicò.
«Ho detto di no.» ma Aomine parve irremovibile e se lo scrollò di dosso.
Gli sembrava che fossero tornati ai vecchi tempi: Kise perdeva un uno contro uno con lui e gli chiedeva di farne un secondo, perdeva anche quello e allora ne esigeva un terzo.
Aomine avrebbe giocato ancora, perché dopotutto, nonostante non vincesse mai, - o quasi mai, se si includeva nel discorso anche l'uno contro uno che aveva deciso la sua risposta nei confronti del progetto di Tetsuya -, Kise gliela faceva sempre sudare la vittoria, addirittura gli sembrò quasi che avesse più energia di lui, ma quella sarebbe stata la loro terza partita e non ci andavano mai leggeri, per cui Ryouta rischiava grosso e Daiki non aveva alcuna intenzione che si facesse male alla gamba e compromettesse quella lunga guarigione.
«È già tanto che io ti abbia concesso la rivincita. Rivincita che hai perso.»
«Ehi!» Kise gli diede un piccolo colpetto sulla spalla e gonfiò le guance, assumendo una smorfia offesa e indignata.
«Se vuoi possiamo fare domani.» Aomine non badò a quel colpetto e si chinò a raccogliere la palla, borbottando sommessamente quello che aveva tutta l'aria di essere un altro appuntamento.
Le guance di Kise si sgonfiarono più rapidamente del previsto, poi le labbra si incresparono in un piccolo sorriso: che ricordasse non erano mai usciti insieme per due giorni di fila, anzi sembrava quasi che Aomine non potesse sopportare la sua “rumorosa presenza” oltre un certo limite di tempo.
«Vada per domani, allora!» ovviamente Ryouta era felice che Daiki gli avesse fatto una proposta simile e non aveva perso tempo a dirsi d'accordo, ma proprio in quel momento il cellulare di Aomine suonò e attirò l'attenzione di entrambi.
Quando Aomine lesse il nome che era apparso sullo screensaver sentì il bisogno di allontanarsi un poco da Kise e cominciò a sperare che rimanesse in silenzio per tutta la durata della chiamata.
«Che c'è?» annoiato come non mai, e soprattutto infastidito per quella chiamata che aveva interrotto il suo pomeriggio con Kise, Aomine rispose.
«Dai-chan! Credo proprio di aver trovato la persona giusta!»
Aomine sperò che la voce acuta di Momoi potesse arrivare solo a lui e non giungere anche alle orecchie di Kise, in più cercò di resistere alla tentazione di scostare il cellulare dall'orecchio e se ne vide bene dal pronunciare il nome della ragazza.
«Ah sì? E chi sarebbe?» Momoi non sapeva che era uscito con Kise e Kise non sapeva che Momoi gli aveva detto del loro bacio: in quel momento, Aomine si trovava fra due fuochi e lo sapeva bene.
«Segreto!» Aomine roteò gli occhi e sbuffò: perché diavolo gli aveva telefonato, allora, se non voleva dirglielo? Perché probabilmente si trattava di un allenatore scarso e lui avrebbe giustamente opposto resistenza, ecco perché.
«Domani alle quindici puoi venire al campetto?» Momoi riprese con un po' più di serietà e Aomine rivolse un'occhiata silenziosa a Kise: di tutti i giorni, proprio l'indomani?
«Va bene.» a quanto pareva lui e Kise avrebbero dovuto rimandare il loro uno contro uno, ma poco male, visto che si sarebbero comunque incontrati a causa della convocazione speciale di Momoi.
«Adesso devo andare. Ci penso io ad avvisare Kise.»
Kise, sentendosi tirato in ballo, aggrottò la fronte e chiese chi fosse, - per fortuna solo muovendo le labbra -, mentre Momoi rimase per qualche istante in silenzio e poi, paradossalmente, lo ringraziò.
Aomine voleva evitare che Momoi telefonasse a Kise e venisse a sapere da quest'ultimo che era uscito con lui e che gli aveva parlato della telefonata, lasciando fuori da tutto soltanto lei.
«A domani.»
«A domani!»
Non appena Aomine chiuse la chiamata, Kise chiese chi fosse a voce alta.
«Era Momoi, domani alle quindici dobbiamo vederci al campetto.»
«Cosa? Ma … ma Aominecchi, io e te avevamo un appuntamento!»
Aomine sussultò non appena Kise pronunciò quella parola: detta in quel modo sembrava quasi che stessero uscendo insieme come due fidanzati, cosa che probabilmente non avrebbero mai fatto e che sarebbe rimasta per sempre incatenata ai suoi sogni.
«Lo so, ma dice di aver trovato la persona giusta.» borbottò imbarazzato, distogliendo lo sguardo.
Kise rimase in silenzio e si torturò il labbro inferiore con gli incisivi, pensieroso.
«E dopodomani?» poi tornò a rivolgersi ad Aomine.
«Dopodomani, cosa?»
«Sei libero?»
«Sì.» Aomine cercò di mantenere un tono fermo: davvero Kise ci teneva tanto ad uscire con lui?
«Io sono libero fino alle diciassette, quindi avremo tempo per un uno contro uno.»
Aomine rimase in silenzio solo per qualche attimo, pensando che alla fine era anche meglio così, perché Kise e la sua gamba avrebbe avuto modo di riposare più a lungo, poi lasciò che le labbra si increspassero in un ghigno strafottente e acconsentì col capo e con la voce insieme.
«Affare fatto.»
Allora Kise ricambiò il suo sguardo e distese le labbra in uno di quei bei sorrisi dai quali Aomine cominciava a sentirsi addirittura dipendente.

Siamo anime intrecciate dai fili del destino.




Licenza Creative Commons
Quest'opera è distribuita con Licenza Creative Commons Attribuzione - Non commerciale - Non opere derivate 2.5 Italia.




L'angolino invisibile dell'autrice:

Prima di suicidarmi in vista dell'esame di domani, ho voluto lasciarvi un capitolo -piange-
Direi che è un po' più corto del solito e me ne dispiaccio, ma direi che potrebbe benissimo classificarsi come un capitolo di transizione, visto che dal prossimo in poi si comincerà a parlare di Akashi!
A parlare, ma ancora non comparirà, eh.
Bien, non ho altro da dire, sono troppo atterrita dallo studio! XD
Spero vi sia piaciuto, alla prossima!

Ritorna all'indice


Capitolo 17
*** Capitolo XVI ***


Capitolo XVI





I ricordi non bastano più: troppo lontani, quasi impercettibili.

«Satsuki, mi prendi per il culo?» Aomine non li aveva ancora raggiunti e già aveva cominciato ad esprimere la propria opinione senza preoccuparsi di passare per maleducato.
«Dai-chan!» Momoi si staccò dal gruppo e gli andò incontro «che problema c'è?»
«Ma insomma, proprio quella? Se dovevi portare una ragazza, potevi anche ...» Aomine si batté le mani sui pettorali in un gesto eloquente, squadrando Riko dalla testa ai piedi «beh sì, mi hai capito. È completamente piatta.»
Momoi non ci pensò due volte e volle punirlo pestandogli un piede, anche se il suo trentasei contro il quarantasei di Aomine non fece molto danno.
«Sei qui per giocare a basket, non per provarci con le ragazze!»
Aomine storse il naso e sfiatò infastidito: e chi aveva detto che voleva provarci con una ragazza? Aveva semplicemente espresso la propria opinione sul seno - inesistente - di Riko, nient'altro.
«E poi mi spieghi perché c'è anche l'idiota?!» Aomine ringhiò e l'altro, che lo aveva sentito, lo fulminò con lo sguardo.
«L'ha voluto Riko, dopotutto è stata la sua allenatrice.»
Quindi sarebbe dovuto sottostare alle decisioni della ex allenatrice del Seirin, e in più, proprio a causa della presenza di quest'ultima, Kagami si era aggiunto a loro.
«Vedi di comportarti bene.» Momoi pronunciò quello che doveva essere un ammonimento ma anche una raccomandazione, sembrò una madre spaventata dalla possibilità che il figlio combinasse qualcosa e le facesse fare brutta figura con le amiche. Aomine, dal canto suo, si strinse nelle spalle e pensò che si sarebbe limitato a prendere di mira Kagami, per poi realizzare, dopo una riflessione più accurata, che molto probabilmente Kise non sarebbe stato molto felice della faccenda - esattamente come lui, dopotutto -.
Quando raggiunsero Aida, Kuroko e Kagami, Aomine salutò i primi due e brontolò contro il terzo, ricevendo un ringhio come risposta: non avevano ancora imparato ad andare d'accordo, anche se, senza dubbio, con Taiga nel progetto ci sarebbe stato da divertirsi in campo. «Dai-chan, hai avvisato Ki-chan?»
«Sì, te l'ho detto.» non gli piaceva affatto che una delle prime domande di Momoi riguardasse proprio Kise: possibile che la cotta non le fosse ancora passata? Avendo contatti piuttosto stretti sia con lei che con Kise, Aomine era pronto a scommettere che quei due non si sentivano e non passavano del tempo insieme da un bel po' di giorni - per fortuna -, ma a quanto pareva Satsuki non si era ancora disintossicata.
Ancor prima che Momoi potesse rispondere, una voce alle loro spalle li interruppe.
«Taiga?»
Kagami, che già da un po' di minuti aveva la schiena curva e la testa bassa a causa del braccio di Riko stretto intorno al suo collo - mentre l'altro riservava lo stesso trattamento a Kuroko - poté finalmente sciogliersi dalla stretta.
«Ehi Tatsuya!» lo salutò con un cenno della mano e Himuro sorrise di rimando, prima a lui e poi a Riko.
«Ah, dunque sarai tu la nostra allenatrice.»
«Già, è un piacere rivederti, Himuro-kun.» Riko accennò un sorriso e gonfiò leggermente il petto, fiera di essere stata scelta come allenatrice per quei talenti.
«Anche per me.»
Murasakibara, che per tutto quel tempo era rimasto in silenzio alle spalle di Himuro, non sembrava della stessa opinione, anche se prima di parlare aspettò di finire le patatine.
Nel frattempo Aomine aveva cominciato a ripensare alle parole di Kise, al fatto che avrebbe potuto fare amicizia con Himuro, ma lo sguardo in cagnesco che gli rivolse - quando era troppo concentrato a parlare con Kagami e Riko per accorgersene - fu una prova sufficiente per realizzare che non ci sarebbe riuscito: era una cosa contro natura fare amicizia con quello sconosciuto che in così poco tempo era diventato consigliere di Kise e che forse, un giorno, lo avrebbe perfino sostituito come migliore amico.
«Muro-chin?» L'attenzione di tutti si spostò su Murasakibara che, finita l'ultima patatina, si era deciso a parlare, indicando davanti a sé col dito indice.
«Perché lui è qui?»
Kagami strinse i denti e rispose senza pensarci troppo.
«L'ha chiesto la coach, e poi non dovresti fare domande del genere, visto che non sei riuscito a battermi nemmeno una volta.»
Riko accennò un sorriso non appena sentì Kagami riferirsi a lei ancora con l'appellativo “coach”, rimasto ben radico sia nella sua mente che in quella di Kuroko; Murasakibara, dal canto suo, sbuffò rumorosamente e squadrò Kagami dalla testa ai piedi.
«Vorrà dire che ti distruggerò.»
«Atsushi.» Himuro lo riprese immediatamente.
«Ah sì? A Los Angeles te l'avrò sentito dire almeno un centinaio di volte.»
«Kagami-kun.» e anche Kuroko, dal canto suo, dovette frenare i bollenti spiriti di Kagami, anche se utilizzò un modo più spartano di Himuro, visto che accompagnò il suo richiamo con un pugno non troppo delicato al fianco del compagno.
«E-ehi, Kuroko!»
«Eh? Kagami-kun, ti fai ancora picchiare da Kuroko-kun?» Riko lo punzecchiò divertita.
«Cosa?! Certo che no!» e la reazione di Kagami fu piuttosto eloquente, tanto da strappare un sorriso anche a Tetsuya.
Scongiurato un possibile scontro fra Kagami e Murasakibara, Himuro si zittì e le labbra si rilassarono quel tanto da rendere impossibile distinguere un sorriso: perché Kagami era lì? Anzi, la risposta era ovvia: trattandosi del progetto di Kuroko avrebbe dovuto aspettarsi una svolta del genere, in più, considerando che la loro allenatrice sarebbe stata Riko, era davvero scontato che anche Kagami si unisse a loro.
La pacchia per Tatsuya era già finita, e non ne fu molto felice: Kagami avrebbe monopolizzato l'attenzione, per lui non ci sarebbe stato più spazio, nemmeno un briciolo di considerazione. Come al solito.
«E dai! Midorimacchi!»
I pensieri di Himuro furono improvvisamente interrotti da una lagna lontana, ma comunque perfettamente udibile e che attirò l'attenzione di tutti i presenti.
«Ti prego! È solo per una notte!» la lagna di Kise, che teneva le mani congiunte e osservava con sguardo supplichevole Midorima, continuò.
«Ho detto di no.» Shintarou brontolò e inforcò gli occhiali con un gesto indispettito, senza degnarlo di uno sguardo: era già abbastanza averlo incontrato sulla strada per il campetto e aver passato un quarto d'ora tempestato dalle sue domande e dalle sue richieste.
Come tutti, anche Aomine aveva sentito la lagna di Kise e aveva immediatamente arricciato il naso: di che parlavano? Cosa c'entrava la notte?
Mentre Midorima rivolse un saluto - piuttosto sorpreso - di cortesia ad Aida, Kise si avvicinò al gruppo e li salutò con voce sconsolata, evidentemente a causa del rifiuto appena ricevuto.
Aomine lo salutò come tutti gli altri, ma prima di riuscirci dovette scuotere appena il capo e insultarsi mentalmente: cominciava a non sopportare più le slavine di domande che troppo spesso precipitavano nella sua testa e finivano per accavallarsi in un ammasso confuso e senza risposta.
Kise, dal canto suo, preferì concentrarsi su altro e decise che avrebbe pensato al suo problema solo più tardi.
«Ma … c'è anche Kagamicchi?»
«Già, mi sorprende che non ci siano anche gli altri membri del Seirin.» brontolò Aomine, dimostrandosi ancora una volta contrariato alla presenza d Kagami.
Kagami fulminò Aomine con lo sguardo e Kuroko si augurò che a Kise non desse troppo fastidio la sua presenza.
«Potrei avere la vostra attenzione?» Riko non aveva perso il suo temperamento e si impose al vociare delle varie coppie e sui pensieri dei presenti, spingendosi avanti di qualche passo per trovare una posizione più centrale, vicina a tutti.
«Oggi non posso trattenermi a lungo, quindi vorrei semplicemente stilare un programma.»
Aida era pronta per l'evenienza e sollevò la borsa per estrarne un quaderno ed una penna.
«Momoi mi ha già detto che alcuni di voi hanno molto da fare, per cui non preoccupatevi se dovrete saltare qualche incontro.» dopotutto si trattava dei più talentuosi giocatori di basket che Riko avesse mai visto - almeno per ciò che riguardava l'ambito nazionale -, per cui non credeva davvero che qualche ora di allenamento saltata nuocesse alla loro bravura - piuttosto sarebbero state le ore di allenamento a nuocere su tutto il resto, sulla vita che continua a scorrere e che andava avanti più velocemente e più caoticamente rispetto ad alcuni anni prima -
«Ah, a questo proposito ...» Himuro, che aveva immaginato che Riko si stesse riferendo soprattutto a Midorima e ai suoi impegni universitari, intervenne «anche io e Atsushi avremo da fare nei prossimi mesi.»
Alcuni sguardi curiosi, fra cui quello di Momoi, di Kise, di Kagami e della stessa Riko, si rivolsero ad Himuro.
«E come mai?» Momoi fu l'unica che non riuscì a trattenere la propria curiosità e se ne rese conto troppo tardi, portandosi una mano davanti alla bocca.
«Non preoccuparti.» Himuro accennò un sorriso per rassicurarla e continuò «io e Atsushi apriremo un'attività.»
«Cosa?» Kagami storse il naso: non si sarebbe mai aspettato una notizia simile, probabilmente come tutti gli altri che, a giudicare dal silenzio, dovevano essere stati spiazzati dalla notizia; dopotutto era idea generale degli ex membri della Generazione dei Miracoli che Murasakibara fosse destinato a poltrire tutta la vita.
«Eh? Davvero?» Aomine cercò di apparire il più disinteressato e annoiato possibile, ma in verità era semplicemente irritato: non aveva voglia di lavorare e se ne sarebbe stato con le mani in mano ancora per un bel po', ma sapere che quel pigrone di Murasakibara avrebbe iniziato prima di lui era davvero umiliante.
«Ho capito.» Riko annuì appena e prese posto su una delle panche a bordo campo: era consapevole che, a meno che quei ragazzi non avessero deciso di farne il loro mestiere, avrebbero dovuto trascurare almeno in parte il basket in favore dello studio e del lavoro, quindi sapeva perfettamente di non potersi imporre, anche se, tuttavia, aveva intenzione di provare a stabilire degli orari adatti a tutti.
«E che cosa farete?» ancora una volta, Momoi non riuscì a frenare la sua curiosità e venne fulminata dallo sguardo contrariato di Riko che, se da un lato era comprensibile, dall'altro non era affatto paziente e voleva stilare un programma il prima possibile.
«Sì, cosa farete?!» quando Riko fece per dire qualcosa, venne interrotta immediatamente dalla voce squillante di Kise, interessato alla novità almeno quanto Momoi.
«Sarà un bar pasticceria.»
«Ma che idea carina!» a Momoi sembrarono brillare gli occhi.
«Sì! Sì!» Kise sembrò anche più entusiasta di lei.
«Cosa ci potevamo aspettare da Murasakibara?» Midorima brontolò spazientito.
«Ohi, Kise, Satsuki, piantatela di fare casino.»
«Aominecchi! Guarda che quella di Murasakibaracchi e di Himurocchi è una bellissima idea!»
«Grazie, Kise.» il sorriso che Himuro gli rivolse fece immediatamente arricciare il naso ad Aomine, che guardò altrove con uno sbuffo sommesso.
«Effettivamente non è una cattiva idea.»
«Stai già pensando di andare a mangiare da loro tutti i giorni, Kagami-kun?»
«Co- Kuroko!»
«Kurokocchi!» Kise balzò all'indietro con un mugolio soffocato, andando a scontrarsi con Aomine.
«Kise, ma che diavolo fai?!»
«Kise-kun, stai bene?»
Kise rimase a fissare Kuroko solo per qualche attimo, poi annuì appena e si scostò da Aomine, raddrizzandosi.
«Non ti avevo visto.» Ryouta sorrise imbarazzato e cercò di ricomporsi: possibile che dopo tutto quel tempo avesse ancora delle difficoltà a vedere Kuroko? No, probabilmente la sua svista era dovuta non tanto alla scarsa presenza di Tetsuya, ma piuttosto al fatto che la sua testa fosse altrove, che la sua mente fosse divisa fra ciò che stava avvenendo davanti ai suoi occhi e ciò che si svolgeva intimamente, nel profondo del suo inconscio.
«Avrei voluto vedervi giocare prima di stilare un programma, ma Momoi mi ha già spiegato un po' di cose.» Riko sapeva perfettamente chi era migliorato e chi era arrugginito e aveva bisogno di una lucidatura: la sua abilità di scanner non faceva altro che confermare ciò che le aveva detto Satsuki, in particolar modo il miglioramento di Kise e il peggioramento di Kuroko.
«Siccome ci sono alcuni di voi che sono arrugginiti, non giocherete solo a basket, ma anche ad altri sport che potrebbero aiutarvi a migliorare.»
«Cosa? No, Muro-chin, non voglio, falla stare zitta.» Murasakibara mugugnò e cominciò a tirare insistentemente la manica di Himuro, non badando allo sguardo torvo che Riko gli rivolse.
«Atsushi, non essere maleducato.»
«Un attimo, neanche io ho voglia di fare altre cose. Voglio giocare a basket.»
«Aomine-kun, ascolta la coach.»
«Tetsu! Quella non è la mia coach!»
Riko si schiarì sonoramente la voce, in modo da avere nuovamente l'attenzione su di sé.
«Siete liberi di non partecipare, se siete così pigri e ci tenete così poco a migliorare.»
«Miglioreremo giocando a basket.»
«Ci sono abilità che con il basket si acquisiscono molto lentamente e con altri sport velocemente e con più efficacia, Aomine-kun.» Riko controbatté immediatamente e a giudicare dalle espressioni sembrò trovare l'immediato favore di Momoi, Kuroko e Kagami, contenti che fosse riuscita a mettere a tacere così facilmente Aomine.
«Visto che Kise-kun ha avuto una crescita, a quanto pare avete ancora del potenziale da sviluppare. Ripeto: siete anche liberi di venire solamente quando si giocherà a basket, ma non lamentatevi se gli altri vi lasceranno indietro e diventerete il più scarso.»
Quelle ultime parole risuonarono nelle orecchie di tutti e non sembrarono sortire un effetto positivo: nessuno voleva essere il più scarso, ognuno voleva prevalere sull'altro e, come aveva detto Tetsuya all'inizio, si trattava di un “tutti contro tutti”, erano lì per scontrarsi fra loro.
«Bene, cominciamo dalla prossima settimana.» Aida riprese e sollevò il tappo della penna, pronta a scrivere «ora vorrei che ognuno di voi mi dicesse i suoi impegni e i suoi orari, in modo da poter trovare almeno un momento della settimana che vada bene per tutti.»


«Prima che andiate, vorrei chiedervi un'ultima cosa.» Aida chiuse il quaderno e lo sistemò nella borsa con la penna: era soddisfatta, perché - nonostante la scarsa e caotica collaborazione - erano riusciti a trovare ben tre momenti della settimana che bene o male andavano bene a tutti - salvo impegni e commissioni dell'ultimo minuto -, ma anche impensierita da un nome che aveva cominciato a perseguitarla da quando Momoi era venuta a casa sua per chiederle di coordinare l'allenamento degli ex miracoli.
«Non ci siete tutti.»
Quando Riko pronunciò quelle parole, sembrò che gli occhi dei presenti andassero disperdendosi ovunque, pur di evitare il suo sguardo.
«Dovreste contattare anche Akashi-kun.» ma Aida non si diede per vinta e continuò, sollevandosi dalla panca.
Nessuno, in quel momento, sembrava realmente intenzionato a chiamare Akashi, tanto meno Tetsuya, che pur essendo il fautore del progetto e pur avendo il forte desiderio di rivederlo, aveva paura che la sua presenza potesse in qualche modo compromettere la sua relazione con Kagami.
«Beh, adesso devo proprio andare.» Riko sperò di essere riuscita a smuovere almeno qualcuno, ma dubitò fosse così.
«Mi raccomando, contattatelo.» tuttavia insistette, immaginando che molti di loro si stessero interrogando sul suo diritto di chiedere una cosa del genere, ma senza aver paura delle critiche silenziose che sicuramente le stavano rivolgendo; infine si congedò con un rapido saluto e si avviò in fretta fuori dal campetto, consapevole del suo ritardo.


«Per oggi sei salvo.»
Midorima, che fino a quel momento aveva fatto rotolare una biglia rossa fra le dita, si immobilizzò e sollevò il capo per porre maggior attenzione a quelle parole che, ne era sicuro, erano state rivolte proprio a lui.
«Cosa significa?» non appena si assicurò dello sguardo di Aomine su di sé, parlò.
«Devo parlare con Kise, quindi potrai tornare a casa da solo.» Midorima pensò che anche senza Kise gli sarebbero toccati almeno cinque minuti buoni in compagnia di Momoi, ma non corresse Aomine, perché quella notizia era migliore di quanto si aspettasse.
«Ho capito.» ovviamente se ne guardò bene dal ringraziarlo e si congedò con un rapido cenno della mano, avanzando silenziosamente verso l'uscita del campetto.
Kise, che era impegnato a chiacchierare con gli altri e non sembrava né infastidito dalla presenza di Kagami, né da quella di Kuroko o di Momoi, notò immediatamente l'allontanamento di Midorima e sollevò le braccia, sventolandole sopra la testa.
«Midorimacchi! Aspetta!»
Midorima sbuffò e si ritrovò ad invidiare la scarsa presenza di Tetsuya, che in certi casi gli avrebbe fatto davvero comodo: ci avrebbe pensato Aomine a fermare Kise, ma visto che quest'ultimo lo aveva colto in flagrante mentre lasciava il campetto, gli altri avrebbero avuto da ridire sul suo comportamento sfuggente e Momoi si sarebbe offerta per fare la strada di casa insieme a lui.
«Kise, ti devo parlare.»
«Uh?» Kise rimase a fissare Aomine sorpreso, abbassando le braccia sempre di più, finché non tornarono aderenti ai fianchi.
«Resti ancora un po' qui allora, Ki-chan?»
«Direi di sì.» Kise aveva capito che si trattava di qualcosa fra lui e Aomine, altrimenti ne avrebbe parlato davanti a tutti gli altri e non gli avrebbe impedito di andare via prima.
«Allora io vado, se no il povero Midorin deve tornare a casa da solo!» era meglio così, dopotutto: Momoi aveva paura non solo dell'eventualità di trascorrere del tempo da sola con Kise, ma anche della possibilità di passarne un po' con lui ed un'altra persona, che forse era una situazione che l'avrebbe messa ancor più a disagio.
Presa la decisione di fare la strada insieme a Midorima, Momoi rivolse un saluto rapido a tutti i presenti e, con pochissima contentezza dalla parte di Shintarou, guizzò oltre il sottile reticolato del campo e lo raggiunse.
Aomine, che aveva seguito Momoi e Midorima con lo sguardo fino a che non erano scomparsi oltre gli alberi che attorniavano il campetto, si rese conto dello sguardo di Tetsuya solo quando tornò a rivolgere la propria attenzione ai presenti: non gli piaceva per niente, così fisso su di lui e con quel sorrisino eloquente, come se Kuroko sapesse già tutto, come se gli stesse comunicando mentalmente qualcosa, le congratulazioni per essersi finalmente deciso a fare chiarezza sui propri sentimenti e a parlare con Kise.
Aomine, che avrebbe voluto dirgli - urlargli - di smetterla riuscì a trattenersi, consapevole che quello sarebbe stato uno dei modi più efficaci per attirare l'attenzione su di sé - cosa che non voleva assolutamente -
«Torniamo a casa insieme?» per fortuna lo sguardo di Tetsuya lasciò il suo e si rivolse a quello dell'interlocutore: una volta tanto Himuro pareva aver fatto la cosa giusta.
«Per me non c'è problema, Himuro-san.» certo che c'era il problema, e ci stava parlando, ma la buona educazione di Tetsuya e la sua indole mite e tranquilla non si smentivano mai e tutto restava custodito in una scatola cranica davvero contorta e rumorosa.
«Neanche per me.» a Kagami venne spontaneo affiancare le parole del compagno, ma anche per lui il problema c'era eccome: Murasakibara.
«Allora andiamo.» Himuro sembrava quasi avere fretta di lasciare il campetto e dopo qualche istante riuscì a far smuovere anche Kuroko, Kagami e Murasakibara, salutando gli altri due e rivolgendo un sorriso complice a Ryouta, che però parve non accorgersene.
Aomine accolse con un sospiro di compiaciuto sollievo il silenzio che venne subito dopo, anche se, a causa della curiosità di Kise, durò relativamente poco.
«Allora? Cosa mi devi dire?»
Daiki distolse lo sguardo e riuscì a trovare solo la forza di schiarirsi la voce, cercando di non badare al pizzicore fastidioso sulle guance: aveva paura che con la domanda che si apprestava a porgli potesse risultare invadente, ma voleva saperlo. Doveva saperlo, giusto per stare più tranquillo.
«Di cosa … di cosa stavate parlando, tu e Midorima?» se lo avesse sentito lagnarsi e supplicare Midorima come al solito non avrebbe detto niente e non si sarebbe neppure preoccupato della faccenda, ma Kise aveva parlato di “una notte” e Daiki non riusciva più a trattenere l'insana curiosità dettata dalla paura e dalla gelosia.
«Ah! Midorimacchi è così cattivo, alle volte!» Kise cominciò a lamentarsi, ma una volta tanto Aomine non ne fu infastidito, perché sapeva che presto avrebbe sputato il rospo «visto che l'altra sera abbiamo organizzato il pigiama party in casa sua gli ho chiesto se non mi potesse ospitare almeno per una notte, perché cambierò le tappezzerie dell'appartamento, ma lui ha detto di no e che potrei benissimo dormire per terra oppure fare le stanze in tempi diversi e dormire sul divano quando toccherà alla mia camera!» sbuffò offeso, mentre Aomine sembrò rilassarsi completamente a quella notizia innocua, molto diversa da tutto ciò che il suo cervello era già riuscito ad elaborare.
«A questo punto andrò in albergo.» i soldi non mancavano e non era un problema dormire in albergo, ma il motivo per cui Kise borbottò fu perché riteneva assurdo che un suo amico - o “conoscente”, come preferiva dire Midorima - di vecchia data si rifiutasse di ospitarlo per una notte.
«Non c'è bisogno dell'albergo.»
Kise aggrottò appena la fronte e sollevò il viso, guardando insistentemente l'altro, curioso di sentire cosa avesse da dire.
Aomine, dal canto suo, inspirò appena e lasciò che le labbra si contraessero in una smorfia di imbarazzo.
«Puoi venire a ...» deglutì, nella speranza che la gola bagnata dalla saliva potesse restituirgli un po' più di voce «dormire da me, se vuoi.»
Era stato davvero imbarazzante dire qualcosa di simile, e lo fu ancor di più quando Aomine vide il sorriso di Kise andargli da un'orecchia all'altra.
«Dici davvero?!» Kise si trattenne dall'abbracciarlo: sapeva bene che Aomine respingeva i suoi contatti fisici con una buona dose di violenza, un po' come faceva Tetsuya, anche se attraverso le parole, per cui preferì evitare e si limitò a sorridergli con gratitudine «ti ringrazio, Aominecchi!»
Aomine cercò di ritrovare la calma e di scacciare l'imbarazzo che lo stava pervadendo, così, guardandosi bene dal rivolgere il proprio sguardo a Kise, si schiarì la voce e si massaggiò una tempia.
«Quando sarebbe?»
«Dopodomani.»
Aomine fu scosso da un fremito: di certo non si aspettava fosse così presto, aveva bisogno di una preparazione mentale adatta - o più semplicemente doveva rendersi conto che Kise sarebbe venuto a dormire da lui proprio il giorno in cui i suoi genitori non sarebbero stati in casa, quindi si sarebbe dovuto preparare ad una ferrea resistenza dal saltargli addosso -
«Non va bene?» Kise parve quasi miagolare, per quanto preoccupata e docile risuonò la sua voce; Aomine, dal canto suo, gli rivolse uno sguardo trasognato e scosse immediatamente la testa, cercando di imprimersi una scossa che potesse consentirgli di ritrovare un po' di lucidità.
«No, non c'è nessun problema.» e avrebbe dovuto continuare dicendogli che, anzi, quella sera era perfetta perché avrebbero avuto casa libera e sarebbero potuti restare svegli fino a tardi, ma sarebbe stato troppo imbarazzante, visto che, dopotutto, Aomine aveva sicuramente un'idea molto diversa da Kise su come spendere il tempo che presto avrebbero dovuto condividere.
Kise sorrise rincuorato dalla risposta e questa volta non riuscì a negarsi il contatto fisico.
«Visto che mi hai trattenuto qui e io non ho alcuna intenzione di andare a casa da solo, mi accompagnerai tu!» e Aomine, che normalmente si sarebbe lamentato e si sarebbe rifiutato - o per lo meno avrebbe cercato di resistere alle richieste del biondo -, non riuscì a fare altro che lasciarsi strascinare fuori dal campetto, disarmato completamente dalle presa piacevolmente calda e delicata che le dita affusolate di Kise esercitarono attorno al suo polso destro.


Nei giorni seguenti nessuno degli ex membri della Generazione dei Miracoli era riuscito ad ignorare le parole di Riko, il pensiero di Akashi aveva cominciato a perseguitarli più di quanto non facesse in precedenza.
Murasakibara ne aveva parlato con Himuro, ma non troppo, perché non sapeva far altro che esprimere la curiosità e la voglia di sapere che fine avesse fatto Akashi, e la nostalgia che d'un tratto lo aveva assalito; Midorima si era permesso di lasciare da parte lo studio e riflettere sul da farsi; Kise e Aomine ne avevano parlato durante la notte in cui Daiki lo aveva ospitato a casa sua; Kuroko, il più vulnerabile nei confronti di quell'argomento, si era fatto più silenzioso del solito e si era chiuso nella sua piccola dimensione, in una lunga, attenta e malinconica meditazione.
A tutti loro, tre giorni passati a pensare ad Akashi sembrarono troppi e, inaspettatamente, il primo a muoversi fu Midorima.
Takao gli aveva messo, come si suol dire, la pulce nell'orecchio non appena aveva espresso l'ipotesi che Akashi stesse frequentando l'università esattamente come Midorima; Shintaruo aveva risposto che in quel caso glielo avrebbe detto, ma nonostante tutto non era riuscito ad escludere del tutto quella possibilità, considerando che Seijurou era il componente di una ricca famiglia giapponese.
Gli era costato parecchio telefonare a Kise, ma sapeva che era il più facile da convincere - anzi, forse non era neppure da convincere - e che con la sua petulante insistenza sarebbe riuscito a coinvolgere anche qualcun altro. In effetti Ryouta aveva accolto con entusiasmo la proposta di Midorima e aveva tentato immediatamente di convincere Aomine, che però aveva rifiutato, non tanto per volere personale, ma perché impossibilitato a partecipare a quella “visita di controllo”.
Dopo aver fallito il tentativo di trascinare con lui e Midorima anche Aomine, Kise aveva provato a telefonare a Murasakibara che, avendogli risposto subito positivamente, sembrava non aver aspettato altro che quella telefonata.
Il più difficile da contattare - visto che gli chiudeva sempre il telefono in faccia come al solito - e da convincere era stato Tetsuya, ma Kise aveva insistito sul fatto che il progetto non potesse escludere proprio Akashi, che era stato il loro capitano, solo per un capriccio, e Aomine, d'altro canto, lo aveva appoggiato e aveva intimato a Kuroko di non fare lo stupido e di unirsi a quella “visita di controllo”.
Tetsuya aveva esitato ed era rimasto sinceramente sorpreso che fosse stato Aomine a dirgli di non fare lo sciocco, di comportarsi come un adulto e affrontare Akashi; anche Daiki, che quel giorno non sarebbe venuto a causa di alcuni impegni, voleva rivedere Seijurou. Tutti lo volevano rivedere, e così anche Tetsuya, che alla fine aveva accettato.
Kise, Midorima, Kuroko e Murasakibara erano confluiti dalle varie parti della periferia al centro, in uno dei quartieri più ricchi di Tokyo: si erano incontrati di fronte ad un grosso ristorante e Shintarou, che conosceva e ricordava la strada meglio di tutti loro, si era improvvisato guida e li aveva condotti fino alla dimora degli Akashi.
«Chi suona?» fu Kise a rompere il silenzio una volta che si ritrovarono tutti e tre di fronte all'imponente inferriata nera di casa Akashi, e il problema non era tanto il suonare, quanto il presentarsi e chiedere di Seijurou una volta che uno dei maggiordomi o una delle cameriere avrebbe risposto al citofono.
La domanda di Kise si poteva considerare retorica: Kuroko era fuori questione, lui avrebbe combinato sicuramente qualche pasticcio e Murasakibara sarebbe stato capace di attaccarsi al citofono e ripetere in continuazione: “Ho fame” senza presentarsi e senza chiedere di Akashi, e Midorima lo sapeva perfettamente, quindi, pur lasciando andare un piccolo sbuffo colmo di disappunto, si staccò dal gruppo e premette il campanello.
Quasi come se qualcuno glielo stesse imponendo tenendogli un fucile puntato addosso, il silenzio si abbatté immediatamente su di loro, Kise chiuse una chiamata in arrivo senza dare neppure un'occhiata al mittente e impostò velocemente la modalità silenziosa, Murasakibara smise di masticare e Kuroko restò in paziente attesa, con gli occhi rivolti oltre le inferiate, alle finestre, forse nella speranza di scorgere Akashi prima degli altri.
Dopo qualche istante, Midorima storse il naso e gonfiò il petto, inspirando spazientito: da quando erano così lenti a rispondere? Che ricordasse, il personale di servizio di casa Akashi era sempre stato molto efficiente e rapido, non era mai avvenuto che ci mettessero tanto per riceverlo, nonostante si trattasse comunque di un tempo relativamente breve.
Tetsuya sobbalzò non appena notò una delle tende muoversi: qualcuno doveva averla scostata per guardare chi fosse e, sollecitato dalla curiosità, era corso a rispondere, perché dopo qualche secondo una voce gracchiante si liberò dal citofono.
«Chi è?»
Midorima si avvicinò un poco di più al citofono e diede una rapida occhiata agli altri tre, quasi a voler cercare il consenso nei loro occhi.
«Siamo Midorima Shintarou, Kise Ryouta, Murasakibara Atsushi e Kuroko Tetsuya.» il silenzio che seguì lo fece boccheggiare appena e lo spinse a continuare «vorremmo sapere se Akashi è in casa.»
Da quando i maggiordomi esitavano di fronte ai loro nomi? Li conoscevano, sia di vista sia perché godevano di una discreta fama dai tempi delle medie, quindi perché continuava ad esserci quel silenzio? Shintarou cominciava a perdere la pazienza.
«Cercate il Signor Akashi?»
«No, Akashi Seijurou.»
Ancora silenzio. Midorima diede di nuovo un'occhiata al nome dell'abitazione, investito dal sospetto di aver sbagliato, ma il cognome che svettava sopra il citofono era proprio quello degli Akashi.
«Il figlio.»
Quando la risposta dell'altro fu di nuovo il silenzio, Midorima fu tentato di chiedergli se non ci fosse qualcun altro con cui parlare, ma non fece neppure in tempo ad articolare la prima parola che quello si decise finalmente a rivelargli qualcosa.
«Gli Akashi non abitano più qui, dobbiamo ancora cambiare la targhetta.»
«Cosa?» Murasakibara biascicò flebilmente e la sua voce venne sovrastata da quella più acuta di Kise, che si affiancò velocemente a Midorima.
«Come non abitano più qui? E dove sono andati?»
Midorima lo lasciò fare: dopotutto Kise, che non era una persona riservata e introversa come lui, era il tipo più adatto per fare domande.
«Non lo sappiamo, hanno semplicemente venduto la casa. A dire il vero l'ha venduta il padre, non sapevamo neppure che avesse un figlio.»
Kise aggrottò la fronte confuso, esattamente come tutti gli altri.
«M-ma non sapete neppure se è rimasto in Giappone?»
«Non lo sappiamo.»
«Vi deve aver lasciato un recapito.» in quel momento, Tetsuya, che era rimasto staccato dal gruppo, investito in pieno dalla notizia, riuscì a trovare il coraggio di parlare e sembrò mettere in difficoltà chi stava dall'altra parte del citofono.
«Certo, ma sarebbe violazione di privacy se lo dessimo a voi. Chi mi assicura che il Signor Akashi vi conosca?» improvvisamente, l'interlocutore sembrò farsi più severo, voleva chiudere il discorso.
Possibile che non avessero mai sentito i loro nomi? Che non conoscessero la Generazione dei Miracoli? Oppure era opera di Akashi, che gli aveva pregati di comportarsi così qualora un giorno si fossero presentati e avessero chiesto di lui? Nessuno dei quattro riuscì a darsi una risposta.
Questa volta fu Tetsuya che cercò il consenso negli occhi degli altri, poi avvicinò le labbra al citofono e riprese a parlare.
«Eravamo nella squadra di basket con Akashi-kun, alle medie.» disse con calma, inspirando profondamente: era ovvio che quell'uomo non avrebbe mai soddisfatto la loro richiesta, ma era comunque determinato a farlo cedere almeno in parte, per scoprire qualcosina di più.
«Suo padre ci conosce.»
«Ho già detto che non posso darvi il numero.»
Ci fu un rapido e silenzioso scambio di occhiate fra gli ex membri della generazione dei miracoli, ma il pensiero fu lo stesso per tutti e quattro: assurdo.
Il citofono gracchiò un'ultima volta, poi calò il silenzio.
«Che antipatico.» Murasakibara borbottò offeso e si avventò su una caramella gommosa, mentre Kise si limitò a sbuffare e scuotere la testa rassegnato e Midorima inforcò gli occhiali con un gesto stizzito, cercando di pensare al da farsi.
Tetsuya, dal canto suo, era quello che fra i quattro aveva subito il danno maggiore: era frustante, dopotutto volevano solo sapere come stava Akashi, scoprire che fine avesse fatto, non c'era niente di strano; la persona che stava dall'altra parte del citofono non sapeva nulla, né su di loro né su Seijurou, eppure non aveva esitato ad esprimere il suo sospetto, ad additarli come possibili sconosciuti, anche lui che oltre ad essere stato un suo compagno di squadra era stato suo fidanzato.
«Non ti preoccupare Kurokocchi, lo troveremo.»
Tetsuya sollevò il viso e rivolse un'occhiata inespressiva a Kise, cercando di nascondere la sorpresa: era così evidente che ci fosse rimasto così male? Che desiderasse così tanto rivedere Akashi?
Midorima non disse nulla, ma la sua idea rispecchiava completamente quella di Kise e, probabilmente, anche di Murasakibara e di Aomine, quando sarebbe venuto a conoscenza dell'accaduto.
Era questione di tempo, in qualche modo sarebbero riusciti a trovare Akashi e a riunire la Generazione dei Miracoli: Tetsuya non doveva dimenticare che dalla loro parte avevano due ragazze come Riko, determinata, e Momoi, fin troppo insistente, per cui sarebbero sicuramente riusciti nel loro intento.
«Andiamo a casa adesso, domani ne parleremo con gli altri.» e nonostante ricordassero perfettamente la strada per tornare indietro, fu di nuovo Shintarou a mettersi in testa al gruppo e a imboccare la via che conduceva alla metropolitana; Tetsuya, al contrario, rimase indietro, leggermente staccato dal gruppo, ma prima di dare definitivamente le spalle a quella cancellata sentì il bisogno di voltarsi ancora una volta per guardare le finestre, nella speranza che fosse tutto falso e che Akashi fosse dietro quelle tende, nella speranza di scorgerlo e scoprirlo vicino.

E d'un tratto tutto sembra perso, irrecuperabile. La finestra dalla quale un tempo si scorgeva qualcosa di bello, adesso è chiusa, è fredda.




Licenza Creative Commons
Quest'opera è distribuita con Licenza Creative Commons Attribuzione - Non commerciale - Non opere derivate 2.5 Italia.




L'angolino invisibile dell'autrice:

Lo so, non è tanto carino che io non mi faccia sentire per giorni e poi mi presenti con un capitolo relativamente corto (in verità doveva essere leggermente più lungo, ma mi è piaciuta l'idea di concluderlo così), ma ehi, questa volta ho la presunzione di pensare che sarete contente, visto che l'AoKise si fa sempre più vicina e qui viene definitivamente introdotto l'argomento Akashi.
Ormai sono determinati a trovarlo e non si daranno per vinti. E se volete un'anticipazione, fra due capitoli avremo l'inizio vero e proprio dell'AoKise~
Il prossimo capitolo sarà molto molto più lungo di questo, e quindi non so quando lo metterò … tutto dipende da quanto tempo e soprattutto da quante energie mi ruberà lo studio, il motivo della mia lentezza è dovuto più che altro al fatto che ormai ho preso un ritmo diverso, ovvero studio di pomeriggio oppure cerco di svagarmi e poi scrivo qualcosina prima di andare a dormire, che è il momento in cui sono più rilassata.
Ovviamente appena finiranno questi maledetti esami cambierò ritmo e scriverò di più, anche se dovrò dedicarmi anche alle altre fanfiction, quindi gli aggiornamenti potrebbero venire rallentati!
Mi auguro che sia valsa la pena attendere più di dieci giorni per questo capitolo e spero di pubblicare il prossimo il più presto possibile, chu!

Ritorna all'indice


Capitolo 18
*** Capitolo XVII ***


Capitolo XVII





A volte ci si trova senza volerlo: basta un passo in più, un intreccio di sguardi.

Aida aveva vinto: era riuscita ad imporre la sua idea e a convincere anche i più scettici, perché ad una settimana esatta dal loro primo incontro si ritrovarono tutti - ad esclusione di Himuro e Murasakibara, che avevano un appuntamento con il venditore del loro futuro negozio - fuori città, ai piedi delle montagne Tanzawa, in un campo coperto, non con una palla da basket da passare e far entrare nel canestro, ma con racchette ed una piccola pallina verde fosforescente.
Momoi, a bordo campo con Aida che sembrava avere tutte le intenzioni di spacciarsi per arbitro, diede un'occhiata alle coppie schierate in campo, ovvero Kagami e Kise da una parte e Aomine e Kuroko dall'altra, poi, visto che il primo non si era ancora deciso a realizzare il servizio che avrebbe aperto la partita, spostò la propria attenzione su Midorima.
«Midorin, ma sei sempre così tanto impegnato?» Midorima avrebbe sostituito qualcuno nella seconda partita, per cui aveva intenzione di occupare il resto del tempo a recuperare lo studio perso nei giorni precedenti, passati quasi interamente a parlare - e giocare a basket - con Takao, nella speranza di mettere da parte il pensiero costante e insistente di Akashi.
«Già.» non gli interessava della partita di tennis che quei quattro si preparavano a disputare: fra loro nessuno conosceva bene quello sport e guardarli giocare sarebbe stata una perdita di tempo, un periodo che avrebbe passato a chiedersi se certi passaggi potessero considerarsi corretti o meno e così via.
Ovviamente, però, Momoi sembrava intenzionata a mandare in fumo il suo piano di studi e pareva essersi interessata all'argomento trattato dalla pagina, tanto che si fece un poco più vicina a lui e lesse qualche riga della parte centrale.
«Ma come fai a capire queste cose?»
«Non lo so.» no, non lo sapeva, soprattutto perché, con Momoi che continuava a parlargli e ronzargli intorno, non sarebbe mai riuscito a capire per davvero ciò che stava leggendo.
«Ehi idiota, pensi di farlo questo maledetto servizio?!»
La voce rabbiosa di Aomine attirò l'attenzione di Momoi e, in parte, anche quella di Midorima, che fece in tempo a sollevare il viso per vedere Kagami colpire la pallina da tennis con la racchetta, facendola finire dritta al centro della rete.
«Oh, Kagami-kun.» Riko borbottò, incrociando le braccia al petto, rassegnandosi all'idea che sarebbe stata più dura del previsto.
«Ma non si fa così, Kagamicchi! Ti faccio vedere io!» Kise pigolò e si affrettò a recuperare la pallina da tennis.
«Grazie per il punto.» Aomine, dall'altra parte della rete, sembrava averci già preso gusto e pareva aver tratto un grande beneficio dalla figuraccia di Kagami.
«Aomine-kun, non sottovalutare i nostri avversari.» Tetsuya interruppe il suo idillio, tanto che Aomine si ritrovò a fulminarlo con lo sguardo: Kuroko era talmente concentrato su Kise, che si apprestava ad avviare il servizio, da sembrare il più preparato fra loro, come se improvvisamente conoscesse tutto sul tennis.
«Non difenderlo solo perché è il tuo fidanzato.»
«No, non sarebbe sportivo da parte mia.» Tetsuya rispose immediatamente, più tranquillo che mai.
Forse Aomine non se n'era reso conto, ma dall'altra parte della rete, oltre ad esserci Kagami che a malapena riusciva a tenere in mano la racchetta, c'era anche Kise, un maestro nell'imitazione dei movimenti: bastava che avesse visto una partita o solo pochi passaggi e probabilmente sarebbe riuscito ad eseguire dei movimenti perfetti, come se giocasse a tennis da una vita, per cui bisogna stare attenti e non sottovalutarlo.
«Ecco!» Kise lanciò la pallina in alto e la colpì con la racchetta.
Tetsuya ci aveva visto giusto, perché il servizio fu preciso e il lancio potente, ma Aomine sembrava essere già entrato in competizione e si era affrettato a ribattere il lancio di Kise dopo il primo rimbalzo, rimandando la pallina a destinazione.
La pallina rimbalzò nella metà campo di Kise e Kagami e il primo la ricacciò immediatamente indietro, e Aomine, ostinato come al solito, rispose nuovamente, mentre Tetsuya e Taiga sembravano essersi già fatti da parte, perché pur trattandosi dei primi passaggi, nessuno dei due si sentiva in grado di riuscire a sostenerli come facevano i loro compagni di squadra.
Kise rispose di nuovo e la pallina atterrò a qualche centimetro dalla linea bianca, per poi rimbalzare fuori dal campetto di terra rossa.
«Sì!» Kise sollevò le braccia in alto vittorioso.
«Facile per te che copi i movimenti di chiunque … di chi erano? Di Nadal o di Federer?» Aomine schioccò la lingua contro il palato e raccolse la pallina per lanciarla ai suoi avversari e Kise gli rispose con un sorriso compiaciuto.
«Te l'avevo detto, Aomine-kun.»
«Tetsu, non ti ci mettere anche tu. Vediamo di batterli.» ad Aomine doveva bruciare ancora la sconfitta subita da Kise poco tempo prima, sembrava voler vincere la partita di tennis per rimediare all'uno contro uno che aveva perso a basket, e come se non bastasse l'altro avversario era Kagami, e quando si parlava di lui diventava anche più competitivo del solito.
«Kise-kun, dalla a Kagami-kun!» Kise, che si stava apprestando ad un altro servizio, venne interrotto dalla voce di Riko, così dovette abbassare la racchetta e lanciò la pallina a Kagami.
Kagami indugiò un poco, cercando di ricordare la posizione assunta da Kise al momento del servizio, e ancor prima che Riko potesse dirgli cosa non andasse, ci pensò proprio Ryouta.
«Piega bene le ginocchia e lanciala più in alto che puoi.» il primo servizio di Kagami non era andato a segno perché aveva sbagliato completamente i suoi movimenti e gli aveva resi molto più simili a quelli del badminton, piuttosto che del tennis.
Kagami, pur essendo ancora titubante, decise di seguire le direttive di Kise e riuscì a realizzare un servizio, ma non fu abbastanza pronto a respingere la rapida risposta di Aomine, che questa volta sorprese anche Kise.
«Aominecchi.»
«Cosa c'è? Devo andarci piano?»
Kise rimase in silenzio solo per qualche attimo e assottigliò il proprio sguardo, accogliendo immediatamente la provocazione di Aomine con un sorriso divertito.
Raccolse la pallina e la lanciò oltre la rete, di modo che fosse proprio Daiki a servire.
«Affatto.»
Aomine fu contento di sentirglielo dire: lui non faceva sconti ai propri avversari, a maggior ragione se si trattava di Kise.
Kise ribatté con forza e Tetsuya riuscì a rispondere, seppur con un movimento non molto preciso e con un lancio piuttosto debole, facile da prendere anche per Kagami che, dando nuova forza alla traiettoria della pallina, riuscì a segnare il suo primo punto e portare lui e Kise alla parità.
«Lasciami anche il prossimo servizio.» adesso anche Kagami sembrava averci preso gusto, anche lui, come Kise, era deciso a colpire Aomine e farlo affondare e si era già posizionato, in attesa del consenso di Kise.
«Tu lasciami ribattere.»
La condizione di Kise venne accettata da un immediato cenno del capo di Kagami, che sembrava aver acquisito maggior sicurezza e sollevò la pallina in alto, pronto a realizzare un altro servizio e sicuro che a poco a poco, provando e riprovando, sarebbe migliorato.
Peccato che la pallina rimbalzò proprio ai piedi di Taiga e l'unica cosa che fu gettata dall'altra parte della rete fu la racchetta.
«Ahi-!» Tetsuya si chinò leggermente in avanti e si massaggiò la fronte con un rantolio.
«Kagamicchi!»
«Tetsu!»
«K-Kuroko!»
Non era possibile che avesse colpito il suo fidanzato in piena fronte con la racchetta! Come diavolo aveva fatto a scivolargli di mano?
«Kagami-kun! Sei un disastro!» Riko lo rimproverò immediatamente e Momoi fece invasione di campo, preoccupatissima.
«Tetsu-kun! Stai bene?»
«Sì, sì, sto bene, tranquilla.»
«Scusami-» anche Kagami, più imbarazzato che mai, era transitato sotto la rete e si era avvicinato a Tetsuya per assicurarsi che andasse tutto bene.
«Non sai tenere in mano neanche una racchetta.»
«Taci, Ahomine.»
«Mhpf-»
Tetsuya sollevò l'indice, forse per dire qualcosa o più semplicemente per mettere a tacere quei due, ma proprio in quel momento si scostò la mano dalla fronte e un piccolo rivolo di sangue rigò la pelle pallida e un capogiro lo sorprese, facendolo crollare a terra.
«Kurokocchi!»
«Tetsu-kun!»
«Kagamicchi! Hai ucciso Kurokocchi!»
«I-io non- Kuroko!»
«Che idioti.» Midorima negò appena col capo e chiuse il libro spazientito, afferrando un panno e inumidendolo con dell'acqua.
«Già.» Aida lo seguì e insieme raggiunsero gli altri.
«Su, spostatevi, nessuno è mai morto per una racchetta in fronte. Credo.» Aida si chinò per tenere leggermente sollevato il capo della vittima e Midorima si affrettò a levare il sangue e a rinfrescargli il viso col panno umido.
«Lo sostituisco io.» proferì non appena Tetsuya riaprì gli occhi.
«Ok, ma starai in squadra con Kagamicchi. Non voglio stare con gli assassini.»
«Ma Kise! Non sono un assassino! Ha aperto gli occhi!» Kagami strepitò esagitatamente, affrettandosi ad indicare Kuroko che, seppur ancora in stato confusionale, era vivo e vegeto.
«Kise, sappi solo che se ti metti in squadra con me, dopo voglio un uno contro uno.»
«In cosa vuoi essere battuto prima, Aominecchi? Basket o tennis?»
«Ehi voi due, al posto di fare i piccioncini, perché non pensate ad aggiustare la rete?» Aida li interruppe e i sorrisetti di sfida sembrarono appassire, tremare appena per l'imbarazzo che, evidentemente, colpì entrambi, visto che farfugliarono qualcosa di insensato e si affrettarono a raggiungere le estremità della rete, probabilmente per non guardarsi in faccia.


«Devo andare, fra cinque minuti parte il mio pullman.» Aida si alzò e afferrò il borsone, rivolgendosi a Momoi «ce la farai a tenerli sotto controllo?»
Momoi accennò un sorriso «li tengo sotto controllo dalle medie, e poi c'è Tetsu-kun, con me!»
«Allora conto su di voi.» poi si congedò con un saluto generale: aveva prenotato il campo da tennis per tre ore, ma lei sarebbe dovuta andare via un'ora prima a causa di una cena di famiglia, per cui già alle cinque del pomeriggio dovette lasciare il gruppo, visto che il pullman ci metteva almeno un'ora e mezza dalle montagne Tanzawa a Tokyo.
«Midorima-kun e Kagami-kun si coordinano malissimo.» fu il commento di Tetsuya non appena Aida si chiuse le porte della palestra alle spalle, lasciando lui e Momoi soli a bordo campo, con Nigou addormentato ai loro piedi.
«Per lo meno Kagamin ha smesso di lanciare racchette.»
Tetsuya accennò un sorriso divertito: Kagami era sempre stato piuttosto maldestro, ma non lo faceva di proposito, era parte di lui e Kuroko non riusciva proprio ad essere arrabbiato, anzi, nonostante Kise e Aomine stessero giocando molto meglio e meritassero la vittoria, non aveva smesso di fare il tifo per il suo fidanzato e non vedeva l'ora di tornare a casa per sedersi accanto a lui sul pullman.
«Tetsu-kun?» il tono di voce di Momoi era improvvisamente cambiato e non appena Tetsuya notò le sue dita nervosamente intrecciate al grembo inspirò profondamente, preparandosi ad una domanda che, dopo una settimana di silenzi, era più che lecita e scontata.
«Sì, Momoi-san?»
«Non siete ancora riusciti a rintracciare Akashi-kun, vero?»
Tetsuya scostò il proprio sguardo dalle mani di Momoi e si soffermò nuovamente su Kagami, che stava litigando con Midorima per decidere chi dovesse servire.
«No.» si limitò a rispondere e anche Momoi si soffermò sul litigio di Midorima e Kagami, poi sul sorriso divertito di Kise e su Aomine che, sicuramente, di lì a poco si sarebbe lamentato della lentezza dell'altra squadra.
«Pensi che un giorno ...» esitò: le sembrava quasi di essere tornata alle medie.
«Un giorno torneremo tutti insieme?»
«Lo spero.» ma non dipendeva da lui; dipendeva da Akashi, che evidente, per qualche motivo a loro sconosciuto, non voleva farsi trovare.
Sia Momoi che Kuroko capirono che quel discorso avrebbe trovato una conclusione soddisfacente solo con il ritorno di Akashi, così rimasero in silenzio, assopiti sotto un pesante strato di ricordi, raccogliendo sogni di speranza.


«Ohi, basta, sono stanco.» il primo a gettare la spugna fu Aomine, un po' perché era senza dubbio uno di quelli che si era impegnato di più, un po' perché trovava terribilmente noioso avere come avversari due come Midorima e Kagami, che non facevano altro che bisticciare e rallentare il gioco e che lui e Kise avevano stracciando stando immobili, visto che erano proprio loro a regalare punti non facendo altro che sbagliare servizi e ribattute.
«Che ore sono?» fu il primo a raggiungere la panca, mettendosi subito in cerca dell'acqua e dando una piccola carezza sulla testa di Nigou non appena l'ebbe trovata.
«Le sei e mezza.» Momoi si alzò e si stiracchiò, porgendo tre bottigliette d'acqua anche agli altri.
«Emh, Momoi?» Kagami non aprì neppure la bottiglietta, si limitò ad afferrarla e puntare i suoi occhi sulla ragazza.
«Sì?»
«Ma … il pullman non partiva alle sei?»
Tetsuya, che era rimasto seduto sulla panca, sollevò velocemente il viso e tentò di farfugliare qualcosa.
Aomine, Kise e Midorima rivolsero a Momoi sguardi che parevano straripare di panica, da quanto ne erano colmi.
«Oh ...» Momoi si afferrò il mento fra le dita e lo massaggiò appena, poi accennò una risata «è … è che Tetsu-kun è ancora sotto shock per la racchetta e io mi sono incantata a guardarvi!»
«Momoicchi-chan! Stai dicendo che abbiamo perso il pullman?!»
Momoi riuscì a rispondere solo con una risata nervosa.
«Calmati, Kise.»
«Calmati? Abbiamo perso il pullman! Come ci torniamo a casa, adesso?!» anche Aomine pareva essere stato contagiato e aveva cominciato ad agitarsi.
«Aida-san ha detto che i pullman passano ogni ora.» Midorima si sistemò gli occhiali e squadrò Aomine, quasi a volergli intimare di stare in silenzio o, per lo meno, di abbassare il tono.
«Sì, Midorin ha ragione!»
«Qui c'è scritto che i pullman passano ogni ora, è vero, ma che non ne passano più dopo le diciotto.» fu Tetsuya ad intervenire, alzandosi dalla panca con una piccola guida stretta fra le mani.
«Merda.» Aomine sibilò e Kise e Kagami cominciarono a guardarsi intorno, quasi inquietati dalla situazione.
«Sei sicuro?» Midorima si avvicinò e purtroppo ebbe la conferma.
«E adesso come si fa?» Kagami lanciò la bottiglietta nel borsone aperto, allontanandosi immediatamente a causa di Nigou che, svegliatosi, aveva cominciato a ronzare intorno al gruppo.
«Facciamo l'auto-stop.» Kuroko sollevò il pollice.
«Tetsu, piantala di dire cazzate!»
«Non sarebbe più semplice chiamare qualcuno dei nostri genitori e farci venire a prendere?» propose Kise, ma la situazione era peggiore di quanto pensasse.
«Siamo sei più un cane, non ci stiamo in una sola macchina.» Midorima lo frenò immediatamente.
«Magari troviamo due genitori disponibili.» tentò Kise, ma Midorima ostacolò nuovamente i suoi piani.
«Non credo proprio, mio padre lavora fino a tardi e mia madre non ha la patente, e non penso che i genitori degli altri siano messi meglio.»
«Sì, anche i miei lavorano fino a tardi.» intervenne Aomine.
«I miei non hanno la patente.» disse Kuroko.
«I miei sono in America.» poi parlò Kagami.
«E i miei in Inghilterra.» e poi Kise.
«E i miei sono a trovare i nonni nella prefettura di Yamagata.» e infine Momoi.
«Quindi che si fa? Ci accampiamo qui?» borbottò Aomine, infastidito dalla situazione.
«Fra mezz'ora dovrebbero chiudere, non si può.»
«Cerchiamo un altro mezzo, un treno, magari.»
«Il viaggio è lungo considerando che c'è l'autostrada di mezzo, quindi i biglietti costano un bel po'.» ancora una volta, Midorima cercò di farli tornare con i piedi per terra.
«Io ho i soldi appena per un panino!» Kise sospirò rassegnato.
«Quindi non possiamo neppure andare nella città più vicina e fermarci in un albergo?»
«No, direi che questo va escluso a prescindere, Aomine.»
«Ragazzi, al posto di stare qui a discutere potremmo uscire!» fu Momoi ad interromperli «il pullman potrebbe anche essere in ritardo, magari deve ancora partire.»
«A volte il tuo ottimismo fa proprio schifo, Satsuki.»
«E tu sei troppo pessimista, Dai-chan!» Momoi si sentiva responsabile: Riko le aveva chiesto di tenerli d'occhio e lei lo aveva fatto, anche troppo, talmente tanto da farsi scappare l'ultimo pullman della giornata, quindi aveva intenzione di rimediare al suo errore.
Quando si ritrovarono fuori dalla palestra, l'ottimismo di Momoi si rivelò vano: il pullman, ovviamente, era già partito.
«Beh, intanto cerchiamo di scendere.» Momoi borbottò sconsolata, al centro dello spiazzo vuoto dove si fermavano i pullman: si trovavano ai piedi dei monti Tanzawa, ma non proprio nel punto più basso, perché la palestra era separata dai percorsi principali, che conducevano all'autostrada, da un bosco che il loro pullman aveva attraversato in almeno dieci minuti - quindi a piedi ci avrebbero impiegato almeno il doppio -
«Merda, fra poco si metterà anche a piovere.» Aomine brontolò, sollevando il viso per dare un'occhiata alle nuvole scure che svettavano sopra al bosco.
Momoi avrebbe voluto dirgli di nuovo che era troppo pessimista, che non si sarebbe messo a piovere, ma anche lei, guardando quelle nuvole, aveva capito che era una questione di minuti prima che sopraggiungesse un temporale.
«Puoi stare sotto l'ombrello con me, se vuoi.» fu Kise ad avanzare quella proposta e a sorprendere Aomine che, dopo averlo guardato per qualche attimo, scostò lo sguardo più imbarazzato che mai: in Giappone stare sotto lo stesso ombrello in due era qualcosa di molto intimo, qualcosa che si faceva quando si era fidanzati.
«N-no, stai tranquillo.»
Kise aggrottò la fronte: che significava? Che piuttosto che condividere l'ombrello con lui preferiva stare sotto la pioggia? Gli faceva così schifo?
«Aominecchi, se stai pensando alla tradizione, tranquillo. E poi siamo fra noi.» borbottò Kise, cercando di non pensare che Aomine stava facendo di tutto per scappare da quella proposta «non hai neanche un cappuccio, insomma, siamo amici, non ti posso mica lasciare sotto la pioggia!»
Nel momento in cui Aomine recuperò un po' di lucidità e tornò a voltarsi verso Kise, un tuono fragoroso squarciò il cielo e attirò l'attenzione del gruppo, tanto che tutti e sei si fermarono e sollevarono il viso per osservare gli spicchi di cielo scuro oltre le folte fronte.
Aomine fu il primo a distogliere la propria attenzione dal cielo per puntarla su Kise, pronto a dirgli che andava bene, che avrebbe condiviso l'ombrello con lui, ma prima ancora che potesse aprire bocca la voce di Tetsuya lo frenò.
«No! Nigou, vieni qui!» Tetsuya, che aveva deciso di lasciare ancora un po' di libertà a Nigou e di non mettergli il guinzaglio finché non sarebbero giunti alla fine del bosco, si pentì amaramente di quella scelta e corse dietro al cane, chiamandolo a gran voce: quel tuono così improvviso doveva averlo spaventato.
«Kuroko! Dove vai?!» Kagami, un po' riluttante all'idea di seguirlo solo perché significava avvicinarsi anche a Nigou, non poté comunque fare a meno di cominciare a correre per riacchiappare Kuroko: dopotutto era ferito, seppur lievemente, e Taiga aveva paura che potesse perdere nuovamente conoscenza.
«Tetsu-kun!»
«Ma dove corrono?» ma la domanda di Kise non aveva bisogno di risposta e anche lui, Aomine, Midorima e Momoi accelerarono il passo fin quasi ad accennare una corsa: dopo il pullman perso e il temporale in arrivo, ci mancava solo la fuga di Nigou!


Il tramortimento subito dalla racchetta in piena fronte sembrava svanito completamente, perché Tetsuya era riuscito a sfruttare la discesa del sentiero per correre molto più veloce di lui, continuando a chiamare a gran voce Nigou; Kagami, che lo aveva seguito per un bel po' di metri, fece appena in tempo a vederlo scavalcare una staccionata di legno marcio, che pareva quasi ripiegarsi su se stessa da quanto era vecchia.
«Kuroko, aspetta!» ma Tetsuya non gli diede ascolto e si avventurò tra le felci e gli arbusti di un giardino incolto.
Istintivamente, Kagami mosse qualche passo verso la staccionata, intenzionato a seguirlo, ma si fermò non appena poté osservare meglio l'interno del giardino: i ramoscelli degli arbusti, così rinsecchiti dal freddo autunnale, gli ricordarono le dita esili e nude degli scheletri, dita che gli avrebbero certamente afferrato le caviglie e lo avrebbero trascinato giù.
Kagami sentì il cuore balzargli in gola e fece qualche passo indietro non appena notò due piccole statue di pietra piene di crepe, rovinate da un sottile strato di muschio che le faceva apparire deformi e cattive, infine si arrese completamente all'idea di seguire il suo fidanzato e si paralizzò ad osservare la casa - che più che altro era una catapecchia - al centro del cortile: era terribilmente cupa, i muri erano spaccati, coperti d'erba rampicante, le tegole del tetto irregolari e in alcune zone mancanti, due delle cinque finestre erano rotte e, soprattutto, la porta era socchiusa e pareva tenuta in piedi non tanto dai cardini, quanto da ragnatele talmente grandi che erano visibili perfino a lui che se ne stava guardando bene anche solo dallo scavalcare la staccionata marcia.
Non dovette passare più di un minuto prima che arrivassero anche Kise, Aomine, Momoi e Midorima, ma a Kagami sembrò fosse trascorsa un'eternità.
«Dov'è Tetsu-kun?»
Kagami si voltò lentamente verso Momoi e boccheggiò qualcosa.
«È lì dentro?» fu Midorima a parlare e Kagami ebbe solo la forza di acconsentire con un cenno del capo.
Pochi attimi dopo, anche Midorima, Kise e Momoi scavalcarono la staccionata e Kagami si ritrovò ad invidiare il loro coraggio e a sentirsi terribilmente inutile.
«Aominecchi, Kagamicchi, che fate lì impalati?»
Quando la voce di Kise risuonò in quel silenzio tetro, sia Aomine che Kagami sobbalzarono e puntarono i loro occhi su di lui.
«A-arrivo.»
Kagami si soffermò sui movimenti di Aomine, un po' troppo ingessati, impacciati: possibile che quella casa spaventasse anche lui?
«Muoviti, scemo.» anche se fosse stato così, purtroppo Aomine aveva molto più autocontrollo di Kagami e aveva già scavalcato la staccionata, prendendosela proprio con lui che, alla fine, risultava il più lento, il perditempo del gruppo.
Kagami non disse nulla, sapeva che la sua voce trasudante di paura lo avrebbe tradito e lo avrebbe reso ridicolo davanti a tutti, così si decise finalmente a scavalcare la staccionata con movimenti anche più ingessati di Aomine e li seguì, cercando di ridurre al minimo la distanza: quella casa era abbandonata, era ovvio, ed era questo il motivo per cui erano tutti così tranquilli; tutti tranne Taiga, che invece la credeva abitata da fantasmi e spiritelli malvagi.
Sia Midorima che Momoi li avevano aspettati alla porta: quel luogo, in qualche modo, doveva aver messo in soggezione anche loro che, prima di entrare, avevano preferito unirsi al resto del gruppo.
«Tetsu-kun?» Momoi era talmente presa dal dover ritrovare Kuroko che non si preoccupò minimamente del suono improvviso e acuto della sua voce, ma l'abbaio di Nigou in risposta fece trarre un sospiro di sollievo a tutti - tranne a Kagami, che pensando al possibile fantasma di un cane si sentì morire e quasi non se la diede a gambe -
«Nigou si è spaventato, scusate.» Tetsuya fu preceduto dalla sua voce, poi sia lui che Nigou fecero capolino dalla stanza adiacente e raggiunsero gli altri all'ingresso.
«Per lo meno siamo al coperto.» riprese Tetsuya, con tutta la calma del mondo.
Kagami si mise sull'attenti e cercò di parlare, ma qualcuno lo precedette.
«Che intendi dire?» chiese Aomine.
«Possiamo stare qui finché non smette di piovere, oppure–»
«E tornare a casa ancora più tardi?!»
«Aspettare che sia mattina.»
«Cosa?»
«Cosa?!» anche Kagami, finalmente, sembrò aver ritrovato la voce «Kuroko, s-sei impazzito?!»
«Kagami-kun, siamo al coperto.» Tetsuya controbatté senza tradire alcuna emozione; passare la notte in quella casa aveva i suoi vantaggi: non avrebbero dovuto pagare l'alloggio, sarebbero rimasti al coperto dal freddo e dalla pioggia e non si sarebbero ritrovati a percorrere chilometri e chilometri a piedi, o magari, peggio ancora, in un camion puzzolente sulla strada di casa.
«Tetsu, ma ti sei bevuto il cervello?!»
«No, non se ne parla.» Kagami non aveva intenzione di passare un minuto di più in quella casa, piuttosto sarebbe rimasto tutta la notte sul ciglio della strada, sotto la pioggia battente.
«Forse quella di Tetsu-kun non è una cattiva idea, almeno siamo sicuri di stare al coperto e domani mattina andremo a prendere il pullman.»
«Satsuki, non ti ci mettere anche tu.»
«Ma potrebbe essere divertente, Aominecchi!»
Sia Aomine che Kagami fulminarono Kise con lo sguardo: come faceva a reputare divertente una situazione del genere? Era impossibile anche solo pensare che da una casa spettrale come quella potessero trarre qualcosa di buono.
«Midorima, di' qualcosa anche tu!» Aomine cercò il consenso di quello che, fino a quel momento, non aveva ancora espresso la propria opinione e che, sicuramente, sarebbe stato contrario all'idea di Kuroko.
«Restiamo qui.»
«Cosa?! Midorima!»
«L'oroscopo l'ha previsto.» Midorima inforcò gli occhiali «Oha Asa ha detto di approfittare del caso e credo proprio che intendesse questo.»
«Maledizione, tu e quel fottutissimo oroscopo!» Aomine ringhiò, ma ormai il discorso del restare o andarsene non era neppure più in ballo, perché Momoi e Kise si erano già messi alla ricerca di uno dei punti più luminosi della casa.
«Questo è il salotto! Potremmo sistemarci qui!»
Aomine e Kagami non potevano credere che stessero facendo sul serio, che volessero per davvero sistemarsi in quella catapecchia buia e piena di polvere: almeno su una cosa sembravano essere d'accordo.
Quando si ritrovarono tutti in salotto, fu idea generale sedersi a terra, piuttosto che sul divano, visto che tra le federe c'erano sicuramente colonie di ragni e di altre creaturine non molto gradite; malgrado si fossero sistemati continuarono tutti ad indossare la giacca e fu allora che anche Kise cominciò a nutrire dei dubbi e rimase a fissare le travi impolverate del pavimento.
Mugugnò appena, ma mentre gli altri si sedevano in cerchio, qualcuno attirò la sua attenzione: Kagami sembrava quasi un bambino, teneva le ginocchia raccolte in petto e si guardava intorno guardingo, lanciando qualche occhiataccia a Nigou, a causa del quale non riusciva a stare vicino a Kuroko come avrebbe voluto.
«Kagamicchi? Che cos'hai?»
«Niente!» Kagami si mise immediatamente sull'attenti, ma era ovvio che qualcosa non andasse.
«Kagami-kun ha paura dei fantasmi.»
«Zitto, idiota!»
«Eh? Davvero?» Kise accennò una risata e finalmente decise di mettersi a sedere, non rispettando il cerchio, però, visto che si sistemò quasi sulle ginocchia di Aomine.
«Pft, dei fantasmi?» anche Aomine, che in parte condivideva la paura del soprannaturale, volle prendersi gioco di lui, ma non riuscì a portare avanti la campagna “Umiliamo Kagami”, visto che la vicinanza di Kise lo mise immediatamente in imbarazzo.
«Kise, devi starmi così appiccicato?»
In tutta risposta, Kise mugugnò di nuovo.
«Tranquillo Kagami, oggi il tuo oroscopo è positivo: i fantasmi non ti faranno niente.»
«Ancora con questo oroscopo?» Aomine brontolò, poi tornò a soffermarsi su Kise; forse aveva capito perché gli si era messo così vicino: anche lui aveva paura, ma di qualcosa di molto diverso dai fantasmi, qualcosa che effettivamente, considerando l'ambiente così tetro e umido, non era affatto improbabile vedere.
«Ohi, guarda qui: un verme!» il sorriso divertito che già campeggiava sulle labbra di Daiki era eloquente: Kise si sarebbe messo a strillare e avrebbe cercato un'altra sistemazione - oppure sarebbe scappato direttamente -
In effettui Kise cacciò un urlo e si gettò sul primo corpo che trovò, in cerca di protezione.
Aomine, che aveva usato quello stratagemma per mettere un po' più di distanza fra lui e l'altro, aveva ottenuto l'effetto contrario: Ryouta gli aveva circondato le spalle con le braccia e i loro corpi erano diventati così aderenti da infondergli la stordente sensazione di soffocamento.
Aomine avrebbe voluto chiedergli di staccarsi, assicurargli che stesse scherzando, ma l'imbarazzo era troppo e così mise da parte le parole, limitandosi a respingere Kise con un brontolio e con le proprie mani, cercando di sfuggire a quella stretta il più presto possibile.
Kise, dal canto suo, cominciò a sospettare qualcosa quando sentì Momoi accennare una risata, così raccolse un po' di coraggio e si diede un'occhiata intorno, per poi scostarsi immediatamente da Aomine una volta accortosi dell'assenza di qualsiasi tipo di animale e dei loro corpi improvvisamente troppo vicini.
«Non è divertente, Aominecchi.» brontolò poi, incrociando le braccia al petto e sbuffando appena, con le guance leggermente arrossate.
«Dai-chan! Dai-chan!» a quanto pareva arrivavano i rinforzi per Kise: se n'erano resi conto tutti, a causa della voce di Momoi che era trasudante di falsa paura.
«Hai un'ape sulla spalla!»
Un'ape? Come poteva accadere che in pieno autunno, in una casa abbandonata, un'ape avesse scelto proprio di posarsi sulla spalla di Daiki? L'unico che non riuscì a tener conto delle scarsissime probabilità fu proprio Aomine, che sbarrò gli occhi e saltò in piedi, iniziando a muovere esagitatamente le braccia perché quella volasse via.
«Cosa?! Toglietemela di dosso!» strepitò e finì di agitarsi solo quando, una volta levatosi la giacca in tutta fretta, sentì le risate divertite di Momoi e Kise.
Aomine rimase in piedi, impalato sotto gli sguardi degli altri, squadrando Momoi con uno sbuffo nervoso.
«Satsuki, vuoi un'altra rana in testa?»
Momoi sussultò appena, poi sfiatò appena e distolse lo sguardo in segno di resa: Aomine aveva sempre avuto un talento naturale nel catturare piccoli animali come le rane e, conoscendolo, sarebbe stato realmente capace di fare ciò che aveva detto, per cui Satsuki preferì interrompere il suo scherzo.
Nonostante avesse gettato la spugna, però, Momoi continuò a pensare a quello che pareva essere divenuto “l'argomento della serata”, ovvero alle paure.
Sapeva che Midorima aveva paura dei gatti, Murasakibara dei corvi, Aomine delle api, Kise dei vermi e Kagami di cani e fantasmi, ma a pensarci bene, dopo tanti anni di conoscenza, non sapeva ancora cosa spaventasse Kuroko.
«Tetsu-kun, tu di cosa hai paura?»
Tetsuya fu sorpreso di ricevere quella domanda e rimase in silenzio per qualche attimo: gli sguardi curiosi degli altri erano così insistenti da farlo sentire minacciato nonostante fosse calato il silenzio.
«Di niente in particolare.» Tetsuya mentì: si sentiva quasi denudato dalla loro curiosità, e la sua paura era molto più intima e privata, era qualcosa che non si sentiva di condividere apertamente con così tante persone.
«Ehi, qualcuno ha qualcosa da mangiare?» Kagami sembrava averlo capito e lo salvò con quella domanda, facendo in modo che l'attenzione di tutti si spostasse sul fatto che per quella sera sarebbero stati costretti a saltare la cena - a meno che qualcuno non avesse avuto qualcosa da mangiare -
«Sì, qualcuno ha da mangiare?» effettivamente anche Aomine cominciava a sentire un certo languorino e, pur non essendone molto felice, si ritrovò di nuovo della stessa idea di Kagami.
«Io non ho nulla ...» ma nonostante quelle parole, Momoi cominciò a cercare nella propria borsa, nella speranza di essersi sbagliata e di trovare qualcosa da mangiare.
«Nemmeno io.» anche Tetsuya si unì al coro.
«Aspettate, controllo!» Kise, fiducioso almeno quanto Momoi, afferrò il borsone e si mise a frugare, ma era improbabile che avesse da mangiare, visto che la sua dieta era ristretta e non prevedeva certo snack e stuzzichini vari.
Kise sollevò il capo e fissò gli altri non appena toccò qualcosa con la mano, poi accennò un sorriso.
«A quanto pare ho dei ...» l'entusiasmo venne smorzato non appena sollevò ciò che aveva trovato «biscotti?»
Biscotti? Da quando?
«Quelli sono miei.» Midorima gli strappò il pacchetto di mano «e dammi il borsone.»
Kise fece come richiesto e cercò il suo borsone, mentre Aomine e Kagami si misero immediatamente sull'attenti.
«Midorima.»
«Cosa vuoi, Kagami?»
«Dacci i biscotti e non fare l'ingordo.» Midorima guardò Kagami come se avesse bestemmiato e si strinse il pacchetto dei biscotti al petto.
«Sì, l'idiota ha ragione: dacci i biscotti.» Aomine ringhiò e allungò la mano per strappargli il pacchetto di mano.
«Non posso!»
«Midorin, è un pacchetto gigantesco e non abbiamo altro da mangiare!»
«Midorima-kun, sarai responsabile della nostra morte.»
«Non si muore per una notte senza cibo, Kuroko.» lo riprese Midorima, continuando a stringere il pacchetto di biscotti al petto.
«Ahh! Midorimacchi, perché non vuoi darci i biscotti?!»
«Perché ...» Midorima era ormai sulle difensive, ma sapeva che rispondendo alla domanda di Kise li avrebbe fatti infuriare.
«Rispondi!» Aomine era senza dubbio il più nervoso, e Midorima sapeva che lo sarebbe diventato ancor di più una volta ricevuta la risposta.
«Perché sono l'oggetto fortunato del giorno, ecco perché.»
L'atmosfera gelò, il silenzio fu talmente intenso da dare l'illusione che tutti i presenti avessero perfino smesso di respirare.
«Davvero? Non ce li vuoi dare per questo?!» Aomine stava andando su tutte le furie, non poteva credere alle proprie orecchie.
«Midorimacchi, che ti servono? Fra qualche ora la giornata sarà finita!»
«Già! E comunque li avrai nello stomaco!»
Momoi e Kise, al contrario di Aomine che era imbestialito e di Kagami che fissava Midorima con occhi iniettati di rabbia, cercarono di convincerlo con le buone.
Non ci fu neppure bisogno dell'intervento di Tetsuya, perché gli sguardi assassini di Aomine e Kagami convinsero Shintarou a lasciare la presa sul pacchetto di biscotti, anche se ovviamente non si negò uno sbuffo indispettito e pieno di sdegno.


Nonostante alla fine Nigou si fosse accoccolato al fianco di Aomine e quindi Kagami avesse potuto passare la notte accanto a Kuroko, non era riuscito a chiudere occhio almeno fino alle prime luci dell'alba, quando la mancata dormita aveva cominciato a pesare sulle palpebre.
Per Taiga era troppo dover passare una notte in una casa così spettrale: continuava a vedere strane ombre deformi ogni volta che un fulmine colpiva la terra e illuminava la notte, a ricordare le inquietanti statuette di pietra crepate e ricoperte di muschio.
A causa della stanchezza era crollato in un sonno profondo che, però, non era bastato per ignorare completamente la luce del mattino che, trafitte le finestre, filtrò oltre le tende polverose e cominciò a bruciargli le palpebre, tramutando l'oscurità del sonno in un ammasso di luce rossa.
Quando Kagami aprì gli occhi non ricordò immediatamente dove si trovava e dovette guardarsi intorno per fare mente locale, riuscendoci non appena trovò una stretta somiglianza fra le sagome confuse che lo circondavano e le ombre deformi che aveva visto nella notte.
Quando la vista si fece più nitida e Taiga poté mettere maggiormente a fuoco l'ambiente, notò una tenda di colore blu scuro, impolverata e lacerata, una poltrona di pelle bucata e piccoli frammenti di coccio - un piatto, forse? - ai suoi piedi, ma soprattutto l'assenza di tutti gli altri.
Kagami si mise subito in piedi e si guardò intorno trattenendo il fiato, poi, nonostante trovasse davvero avvilente che con lui fosse rimasta la persona del gruppo che sopportava meno, si chinò per afferrare la spalla di Aomine e scuoterlo appena.
«Ehi, svegliati!» dov'erano finiti tutti gli altri? Il panico aveva già cominciato a pervadere i sensi di Kagami, che lasciò immediatamente la presa sulla spalla di Aomine e cominciò a guardarsi intorno per cercare un indizio che potesse comunicargli la presenza degli altri.
Aomine, che normalmente aveva il sonno piuttosto pesante, aprì gli occhi non appena sentì il peso della mano di Kagami sulla spalla: anche lui aveva avuto qualche difficoltà ad addormentarsi, e non solo per l'ambiente spettrale, ma anche per la vicinanza assurda di Kise che a tratti gli aveva tolto il respiro e aveva reso i suoi pensieri irrequieti e troppo confusi.
«Cosa c'è?» non era certo colpa di Kagami se Aomine aveva dormito così male, eppure si rivolse a lui con voce estremamente infastidita, quasi fosse stato la ragione di tutto.
«Gli altri sono spariti ...»
Aomine si guardò intorno per qualche attimo, esplorando l'ambiente circostante che, pur essendo rimasto cupo, era molto più luminoso della sera prima.
«Saranno in un'altra stanza, andiamo a dare un'occhiata.» concluse poi.
La differenza fra Aomine e Kagami era che, mentre il primo era solo un po' intimidito dall'ambiente e non credeva davvero possibile l'esistenza di spiritelli e fantasmi, il secondo lasciava che la paura prendesse a calci la razionalità e finiva per immaginare le peggior cose, molto spesso spaventandosi da solo.
Aomine gli transitò accanto e fece per uscire dal piccolo salotto, fermandosi non appena capì che Kagami era rimasto immobile.
«Pensi di muoverti?»
«Controlliamo in giardino, prima.» si affrettò poi a dire Kagami, che sperava di trovare Kuroko, Kise, Midorima e Momoi - e Nigou - in cortile, e quindi di non dover passare un minuto di più chiuso in quella casa maledetta.
Aomine rimase in silenzio e lo squadrò per qualche secondo: aveva inteso il motivo per cui l'altro ci tenesse tanto a controllare prima in giardino e, a pensarci bene, se gli altri si fossero trovati fuori dalla casa non avrebbero perso tempo ad esplorarla e non gli sarebbe toccato tenere d'occhio un Kagami evidentemente spaventato a morte.
«Ok.» con voce ancor più annoiata del normale, Aomine si strinse nelle spalle e si diresse immediatamente all'uscita, così Kagami trovò il coraggio di muoversi, finendo perfino per superarlo e uscire per primo.
Il cielo era ancora coperto dalla notte prima, ma il colore era cinerino e in alcuni punti le nuvole lacerate lasciano intravedere una tenue luce che altrimenti, in tempo di burrasca, restava nascosta oltre il manto antracite del mal tempo.
La perlustrazione del cortile sarebbe stata più rapida se uno avesse dato un'occhiata alla parte anteriore e l'altro a quella posteriore, ma Kagami non aveva alcuna intenzione di rimanere da solo in un posto simile e continuò a seguire Aomine in sacrosanto silenzio, finché, ai piedi della staccionata di legno marcio, non notarono due borsoni e la borsa di Momoi.
«Quello è di Kuroko.» Kagami distolse la propria attenzione dal borsone e si guardò intorno, Aomine fece lo stesso quando capì che l'altro era di Kise.
«Forse si sono portati avanti.» Aomine borbottò, cercando con gli occhi tracce di presenza umana nella fitta boscaglia «o magari sono ancora dentro.»
Possibile che fossero ancora in casa? Allora perché nessuno si era accorto del loro risveglio? E perché loro non avevano notato la loro presenza? Allo stesso modo, però, che senso aveva lasciarli in quella casa?
Aomine fu il primo a fare marcia indietro, nella speranza di trovarli all'interno della vecchia dimora: iniziava ad essere preoccupato - e spaventato - quanto Kagami.


Midorima aveva colto immediatamente l'occasione: aveva già preso posto sul pullman e, approfittando dell'assenza degli altri, aveva ripreso il suo studio proprio lì dove il giorno prima, a causa dell'incidente della racchetta, aveva interrotto.
Come minimo avrebbe tenuto gli occhi incollati al libro per tutto il viaggio: non voleva pensare di trovarsi a così tanti chilometri da Tokyo, di star saltando un giorno di università e, soprattutto, di non avere fra le mani l'oggetto fortunato del giorno - e questo pensiero, come se non bastasse, lo riportava a come Aomine e Kagami avessero brutalmente sbranato quello del giorno prima -.
Quando sopraggiunse all'inizio della quarta pagina, il cellulare vibrò ad intermittenza nella tasca dei pantaloni, ma Shintarou non se ne curò immediatamente: aveva già detto a Takao di non accompagnarlo all'università e gli aveva spiegato il motivo, e prima di distrarsi e ricominciare a studiare dopo chissà quanto, preferiva terminare il paragrafo.
Quando Midorima estrasse il cellulare dalla tasca, diede prima di tutto un'occhiata all'ora.
«Ma dove sono quegli idioti?» mancavano venti minuti, e poi il pullman sarebbe partito.
Senza dire altro aprì l'sms e, dopo aver visto il nome del mittente, indugiò riguardo al leggerlo.

«Qualcuno non è a lezione o sbaglio? Sei riuscito a conquistare il tuo amichetto?»



Da quando Imayoshi si prendeva certe libertà? E poi di quale amichetto stava parlando?
Nonostante se lo fosse chiesto, Shintarou sapeva benissimo a chi si riferisse l'altro e finì per fissare lo screensaver con lo sguardo torvo e le guance imporporate.
«Maledizione.» sospirò spazientito. Avrebbe voluto spegnere il cellulare, ma doveva tenersi in contatto con gli altri, così si limitò a risistemarlo in tasca, lasciandosi sprofondare nel sedile: lo studio lo avrebbe ripreso più tardi.


«Chiamo Kise, così facciamo prima.» Aomine era stufo almeno quanto Kagami, era turbato dal fatto che gli altri sembrassero spariti e di loro fossero rimaste solo le borse.
Taiga avrebbe voluto fargli notare che il cellulare di Kise poteva benissimo trovarsi nel borsone ai piedi della staccionata, ma cercò di essere ottimista e lo lasciò fare.
Aomine si portò il cellulare all'orecchio e rimase immobile al centro del piccolo salotto, in attesa. Attesa che durò appena qualche secondo, perché la suoneria di Kise lacerò il silenzio e fece vibrare l'aria alle loro spalle.
«Merda!» Kagami si voltò immediatamente e Aomine cercò di non badare al battito estremamente accelerato del cuore, chiudendo la chiamata con uno sbuffo tremante.
Daiki diede un'occhiata al cellulare di Kise, abbandonato su una piccola mensola impolverata: perché era lì? E perché il borsone era in cortile?
«Che cazzo sta succedendo?» ringhiò e afferrò il cellulare per controllare la presenza di altre chiamate, ma trovò solo la sua.
«Proviamo a chiamare Kuroko?»
Aomine rimase in silenzio solo per qualche attimo, poi schioccò la lingua contro il palato, estremamente infastidito dalla situazione.
«Non credo cambierebbe molto ...» gli indicò il cellulare di Tetsuya che, accanto a quello di Momoi, era adagiato al centro di una poltroncina logora.
«Ma che diavolo ci fanno i loro cellulari qui, se le borse sono in cortile?» Kagami si affrettò ad afferrare sia il cellulare di Kuroko che quello di Momoi e si guardò intorno con un po' più di attenzione, in cerca di altre tracce.
«Non lo so.» le dita di Aomine si strinsero attorno al cellulare di Kise e la morsa si allentò solamente quando pensò che avrebbe potuto rompere l'unica cosa che gli era rimasta di Ryouta.
«Proviamo a cercarli nelle altre stanze.»
Kagami si limitò ad annuire, rigirandosi i due cellulari fra le mani con espressione preoccupata.
Quando i due fecero per girare l'angolo e varcare la soglia per giungere a quella che un tempo doveva essere la cucina, qualcosa si piazzò davanti a loro emettendo un verso acuto e improvviso, spaventandoli a morte: Kagami sbraitò e cadde a terra, Aomine balzò all'indietro, ma riuscì a contenere la propria paura perché fu in grado di mettere a fuoco quel volto molto prima di Taiga.
Kise stava ridendo di gusto, indicando prima lui e poi Kagami, e anche Kuroko e Momoi, alle sue spalle, facevano fatica a trattenere il divertimento che le loro facce evidentemente terrorizzate avevano suscitato.
«T-tu ...» Aomine balbettò, ancora sotto shock per quello scherzo di cattivo gusto.
«Non lo fare mai più, Kise! Mi hai spaventato a morte, idiota che non sei altro!» la reazione rabbiosa di Aomine, evidentemente a disagio a causa della situazione, scatenò ancor più ilarità fra i fautori dello scherzo.
«E- e voi due che avete da ridere?!»
La rabbia di Aomine sembrò far rinvenire Kagami, che finalmente si accorse della presenza degli altri tre e si rese conto che quello che aveva pensato essere un fantasma era semplicemente Kise.
«Volevamo fare uno scherzo a Kagami-kun.»
«E io che c'entravo?!»
«Aominecchi, non ti volevi svegliare! E se avessi insistito ti saresti arrabbiato e avresti svegliato anche Kagamicchi!»
Aomine li fulminò tutti e tre con lo sguardo, poi sbuffò nervosamente, recuperò il suo borsone e restituì il cellulare a Kise.
«Midorima dov'è?»
«Ci aspetta vicino alla palestra.»
«Mhn, andiamo allora.» no, lo scherzo non gli era piaciuto per niente e fu il primo a lasciare la casa, seguito da Kise e Momoi.
Kagami era ancora a terra quando Kuroko si avvicinò a lui e gli porse la mano in silenzio.
Taiga lo squadrò con espressione colma di disappunto e si lasciò sfuggire un piccolo sbuffo: era davvero umiliante, avrebbe voluto nascondersi, sprofondare nel pavimento pur di impedire a Tetsuya di vedere quanto fosse vulnerabile in certe situazioni.
«Ti sei vendicato per ieri, eh?» si decise ad afferrare la mano di Kuroko e si alzò, cercando di sdrammatizzare con quelle parole.
Tetsuya, in tutta risposta, accennò un piccolo sorriso: non era da lui cercare la vendetta, soprattutto per un incidente come quello del giorno prima, e probabilmente l'idea iniziale non era neppure venuta da lui, ma era evidentemente divertito - e intenerito? - da quella situazione insolita.
«Andiamo, Kagami-kun: fra poco parte il nostro pullman.»
Ovviamente Taiga non se lo fece ripetere due volte e, dopo aver recuperato il suo borsone, si diresse fuori da quella maledetta casa senza lasciare la mano di Tetsuya.


Era una fortuna che fosse proprio quello il giorno libero di Kise, visto che era riuscito ad arrivare a casa solo intorno alle undici e trenta.
Dopo un'insalata e una doccia veloce, Kise si era fiondato in strada e aveva raggiunto piuttosto di fretta il parco.
«S-sono in ritardo?» sventolò la mano in segno di saluto e poi si fermò, cercando di recuperare il fiato.
«No, direi che piuttosto siamo entrambi in anticipo.» Himuro lo corresse e gli rivolse un sorriso.
«Menomale!» Kise lo ricambiò, sollevato di essere riuscito perfino ad arrivare in anticipo «non puoi neanche immaginare cosa ci è successo!»
«Oh, giusto! Com'è andata con la coach?»
«Insomma … dal momento in cui Kagamicchi ha colpito Kurokocchi con la racchetta le cose sono degenerate.»
«Cosa ha fatto Taiga?»
«Ha colpito Kurokocchi con la racchetta.» Kise si batté l'indice sulla fronte «qui.»
«Oh.»
«Aidacchi è andata via prima e ha lasciato Kurokocchi e Momoicchi-chan di guardia, ma si sono distratti e abbiamo perso il pullman, così abbiamo dovuto aspettare quello delle nove del mattino!»
Himuro annuì appena, poi aggrottò la fronte e gli rivolse un'occhiata confusa: aveva sentito bene?
«E la notte dove l'avete passata?»
«In una casa abbandonata.»
Tatsuya sbatté le palpebre un paio di volte.
«Scherzi?»
Kise lo aveva detto con tanta naturalezza da riuscire a spiazzarlo.
Ryouta rimase in silenzio e negò appena con il capo.
«Ok, dopo me lo racconti meglio.» nonostante la storia di Kise valesse senza dubbio la pena di essere ascoltata, Himuro era molto più interessato al motivo del loro incontro, al fatto che l'altro gli avesse accennato di volergli parlare di una cosa che non aveva detto a nessuno.
«Piuttosto, cos'è che devi dirmi?»
Il sorriso di Kise si spense improvvisamente, lasciando il posto ad un piccolo fremito e ad un paio di guance vagamente imporporate.
«Ecco … si ricollega al discorso dell'altra volta, credo.» si strinse appena nelle spalle e poi si sedette sulla panchina, lasciando che il busto scivolasse lungo lo schienale freddo.
«Stai ancora male per Kuroko?»
«No, non è di lui che voglio parlare.»
Himuro raddrizzò il busto e restò in ascolto, davvero incuriosito da quelle parole: voleva sapere se i suoi sospetti erano corretti, era curioso di conoscere qualcosa in più e magari compiacersi del suo ottimo sesto senso.
«Ecco, vedi, prima di Kurokocchi mi piaceva un'altra persona.»
Himuro aveva pensato che Kise volesse parlare del presente, ma a quanto pareva era tornato indietro di molti anni e ne fu un po' deluso: che senso aveva rivangare amori ormai morti e sepolti? Kise doveva imparare a guardarsi intorno, assolutamente.
«Non è stato un amore come quello che ho provato per Kurokocchi, ma avrebbe potuto esserlo.»
«In che senso?»
«Nel senso che ho cercato in tutti i modi di reprimerlo … avevo un debole per Kurokocchi e pur di togliermi dalla testa l'altro mi sono innamorato di lui.»
«Quindi alla fine non eri davvero innamorato di Kuroko.»
Kise rimase in silenzio per qualche attimo, poi accennò un sorriso nervoso.
«Non lo so cosa fosse quello che ho provato per Kurokocchi.» fece una piccola pausa e si sfregò le mani, cercando di riscaldarle, poi riprese «con l'altro è stato un colpo di fulmine, il mio primo amore.»
«E perché lo hai rinnegato a tal punto da decidere di innamorarti di qualcun altro?» anche se Himuro preferiva il presente al passato, Kise era riuscito comunque ad incuriosirlo e ora desiderava conoscere qualcosa di più su quella storia, voleva un nome.
«Perché ad Aominecchi non sono mai piaciuti i maschi.» borbottò mestamente Kise.
Himuro sgranò gli occhi e cercò lo sguardo di Kise, quasi a volergli chiedere di ripetere: aveva davvero pronunciato quel nome o era solo la sua immaginazione?
Kise, dal suo canto, lo guardò solo per qualche attimo, poi si mise la mano davanti alla bocca e piegò il capo imbarazzato.
«C-cioè, volevo dire ...»
«Aomine?»
«C-cosa?»
«Ti piace Aomine?»
«Mi piaceva.»
«E adesso?»
«E adesso ...» Kise sospirò appena «stiamo passando più tempo insieme, sono felice, però il problema rimane sempre lo stesso: ad Aominecchi non piacciono i maschi.»
A Tatsuya non sembrava proprio che fosse così, e per crederlo gli era bastato notare lo sguardo che Aomine rivolgeva proprio a Kise.
«A me sembra che ultimamente ti stia un po' troppo intorno, non credi?»
«Sì, sì.» Kise fece una piccola pausa e sospirò rassegnato «siamo amici: è normale.»
Himuro capì che a Kise serviva una scossa, perché altrimenti avrebbe continuato ad autocommiserarsi e sarebbero andati avanti così per chissà quanto tempo.
«Mi avevi chiesto se è possibile amare di più chi viene dopo rispetto a chi è venuto prima.»
Kise si sentì colto alla sprovvista da quelle parole: davvero Himuro ricordava così bene ciò che si erano detti un po' di giorni addietro?
«Lo è, ma il primo amore è difficile da dimenticare ed è davvero molto importante, quindi se Aomine è davvero il primo amore, come hai detto tu poco fa, io non mi lascerei scappare di mano un'occasione simile.»
«Ma quale occasione, Himurocchi? Aominecchi mi considera solo per il basket! Probabilmente non mi parlerebbe neppure se non avessi un talen—»
«Senti.» Himuro lo interruppe bruscamente, sollevandosi dalla panchina per piazzarsi davanti a lui e rivolgergli un'occhiata piena di disappunto.
«Aomine ha un debole per te e si vede lontano un miglio, quindi se ti piace ancora non stare qui a piangerti addosso, non gettare la spugna.» forse era esagerato parlargli così, ma Himuro era ancora abituato ai modi un po' irruenti degli americani e non poteva fare a meno di scaldarsi quando vedeva le persone crogiolarsi in così tanti pensieri senza concludere nulla e perdendo occasioni preziose: senza avere il coraggio di provare, Kise avrebbe rischiato di finire come Kagami, che per mesi, lontano da Kuroko, era rimasto sommerso da turbamenti e sensi di colpa devastanti.
«Non ti sto dicendo di saltargli addosso.»
«Himurocchi!»
«Però dovresti osservarlo meglio, confrontare le sue reazioni attuali a quelle di un tempo.» Himuro fece una piccola pausa «potresti chiedere agli ex miracoli.»
«Eh?»
«Alcuni di loro potrebbero aver notato lo strano comportamento di Aomine, un po' come ho fatto io.»
Kise rimase in silenzio solo per qualche attimo, poi, non appena ebbe trovato la forza di alzarsi, recuperò un po' di lucidità e parlò.
«Kurokocchi è bravo ad osservare i comportamenti delle persone e conosce bene Aominecchi, forse lui potrebbe confermarlo.»
«Credo di sì.»
«Più tardi lo contatto.»


Kagami si staccò dalle labbra del compagno non appena la vibrazione del cellulare gli stuzzicò i timpani, così cercò di sfuggire al contatto seguente, per il quale Tetsuya insisteva senza badare minimamente all'sms che era appena arrivato.
«O-ohi, rispondi.»
«Non adesso.» Tetsuya si sistemò un po' meglio sopra di lui e gli lasciò un piccolo bacio sul collo, provocandogli un brivido di piacere e decisamente troppo imbarazzo sul volto.
«Potrebbe essere tua madre ...» Kagami boccheggiò: nonostante non fossero ancora andati oltre il bacio, Tetsuya diventava sempre più maledettamente intraprendente, lo spiazzava, e quella sera aveva inteso la sua voglia di passare a qualcos'altro - una voglia condivisa, per altro -, ma qualcosa lo frenava dal lasciarsi andare alle attenzioni del compagno: Akashi.
Kagami pensò che di quel passo non sarebbe neppure più riuscito a dormire, perché i suoi pensieri erano divisi a metà fra Kuroko e Akashi e, sfortunatamente, alcune volte si fondevano insieme.
Forse nella speranza di fermare Kuroko, Kagami afferrò il cellulare e gli mostrò lo schermo.
«È un messaggio.» concluse Tetsuya, imperturbabile.
«Grazie tante, idiota! Lo vedo anche io che è un messaggio!» Kagami sbuffò nervosamente e avvicinò ancora un poco il cellulare al viso del fidanzato, incitandolo se non a leggere almeno ad aprire l'sms.
Tetsuya non disse altro e si decise ad aprire l'sms, limitandosi però al nome del mittente.
«È Kise-kun.»
Kise? Cosa voleva Kise, da Kuroko? Kagami pensò che Akashi fosse sufficiente, così, anche se significava darla vinta all'altro, ripose il cellulare sul comodino e sprofondò appena contro lo schienale del divano, tornando a stringere la vita sottile di Tetsuya fra le braccia e a ricambiare i suoi baci.
«Kagami-kun ...»
Kagami deglutì appena: non era facile mantenere il controllo con il bacino di Kuroko così incollato al suo, soprattutto per un tipo esplosivo come lui, figurarsi quando l'altro gli soffiava sulle labbra con il volto lievemente arrossato.
«Voglio provare a fare una cosa.»
Taiga non disse nulla, perché nonostante l'imbarazzo e l'impaccio che gli causava andare oltre al bacio, era completamente stregato da quell'anima calma e da quel corpicino tanto più piccolo del suo che, una volta soli, diventava affamato d'amore; lui non era nessuno per fermare Tetsuya.
Capì le intenzioni del compagno solo quando lo vide scivolare giù, lentamente, finché le ginocchia non toccarono il pavimento e le dita esili non gli sbottonarono i pantaloni.
«K-Kuroko?» nemmeno Kagami conosceva il motivo preciso del suo richiamo, forse era semplicemente dettato dall'imbarazzo di un momento che non avrebbe mai immaginato di condividere con Tetsuya, perché di certo non aveva pronunciato il suo nome per fermarlo.
Tetsuya, dal canto suo, sembrò non averlo sentito e mantenne l'attenzione sulla zona lombare del compagno almeno fino a quando non riuscì ad abbassargli i pantaloni e sbarazzarsi dell'impiccio del denim.
Ormai anche a Taiga, che non sapeva assolutamente come muoversi e aveva il viso in fiamme, erano chiare le intenzioni di Tetsuya: doveva ammettere che era piuttosto sollevato all'idea che volesse bruciare le tappe in ordine, senza arrivare immediatamente al sesso, soprattutto perché non gli aveva ancora parlato di Akashi.
Kagami si sentì percorrere da un brivido di piacere non appena la bocca calda del compagno si adagiò sul tessuto dei boxer, stuzzicando il suo membro in un contatto indiretto ma incredibilmente appagante.
Era assurdo: era Kuroko che era stato fidanzato con Akashi, quindi perché in un momento simile doveva essere lui quello che continuava a pensare all'ex capitano della Generazione dei Miracoli? Taiga non avrebbe mai pensato che “non essere il primo” potesse dargli così fastidio, e invece era così, si sentiva maledettamente inferiore, un sostituto, e questo anche se Tetsuya non lo aveva mai trattato come tale e, anzi, aveva fin da subito mostrato molto interesse - e in seguito affetto - nei suoi confronti.
Kagami inspirò profondamente, spazientito da quei pensieri che gli stavano impedendo di godersi appieno quel momento particolare - non che credesse non sarebbe più successo, visto che, da quanto aveva avuto modo di capire, sembrava proprio che a Tetsuya piacesse prendere l'iniziativa -
A Taiga non andava che ci fosse tutta quella distanza fra loro e cercò un contatto, prima con gli occhi, poi intrecciando le proprie dita ai capelli di Tetsuya, che rispose sollevando il viso e rivolgendogli un piccolo sorriso, una volta tanto senza farlo sentire completamente in imbarazzo ma … sollevato. Sì, era decisamente sollevato che Tetsuya fosse lì con lui, che esigesse più intimità.
Fu proprio grazie a quel sorriso che Kagami riuscì a mettere da parte il pensiero di Kuroko e Akashi e a godersi completamente le attenzioni calme ed estremamente attente del compagno, provando solo quel tanto di imbarazzo quando Tetsuya si sbarazzò anche dei suoi boxer.
Tetsuya gli strappò un sospiro tremante non appena circondò la sua erezione con le dita e non gli lasciò neppure il tempo necessario per permettergli di realizzare il tutto, perché subito dopo fu la bocca a compiacerlo.
Nonostante i primi movimenti che la bocca di Kuroko esercitò lungo il suo membro fossero lenti e impacciati , a Kagami bastarono per mandare al diavolo ogni neurone pensante.
Avrebbe potuto pensare che era stato da stupidi avere dei dubbi sui sentimenti che provava per Tetsuya, avrebbe potuto compiacersi del fatto che fosse evidentemente inesperto e che quindi, molto probabilmente, non avesse mai fatto quelle cose con Akashi, ma per un bel po' Taiga sentì solo il piacere scorrergli nelle vene e accantonò l'idea di riprendere le sue congetture, le dimenticò.
Ben presto i movimenti di Tetsuya si fecero più rapidi e precisi e a Kagami parve che tutto il calore del corpo fosse confluito nel basso ventre in tempi brevissimi, tanto che, temendo di riuscire a resistere a malapena un minuto, si lasciò sprofondare nel divano e inarcò leggermente la schiena, lasciando che il fiato fuggisse dalla sua bocca in sospiri accaldati.
Di tutto il corpo, bollente d'eccitazione e ormai persuaso da quelle attenzioni talmente tanto da fremere dal desiderio di andare oltre, Taiga sentì di avere il controllo solo su una piccola parte: la mano destra, le dita, che erano ancora intrecciate ai capelli di Kuroko e che mantennero quel contatto per tutto il tempo, muovendosi senza forza ma lentamente, quasi a volerlo ringraziare con un gesto affettuoso.
Forse era davvero così: lo stava ringraziando.
Lo ringraziava per non avergli tenuto il muso dopo l'incidente della racchetta, lo ringraziava per essere lì, lo ringraziava per averlo accettato così com'era - difetti annessi -, ma anche per tutte le maledette volte in cui lo aveva messo in imbarazzo e, paradossalmente, anche per lo scherzo di cattivo gusto che gli aveva fatto quella stessa mattina. Lo ringraziava per tutto, perché Tetsuya era l'unica luce della sua vita e sarebbe stato così per sempre.


Takao non riusciva a togliersi quel sorriso saccente dalla faccia: dopo che Midorima gli aveva inviato un sms per dirgli che quella mattina non sarebbe stato necessario accompagnarlo all'università, si era visto costretto a raccontargli le peripezie delle ore precedenti, suscitando la sua ilarità.
Nonostante tutto, verso le diciassette del pomeriggio, avevano trovato comunque il modo di incontrarsi, e questo perché Takao gli aveva chiesto di accompagnarlo in cerca di negozi per aiutarlo a scegliere un regalo di compleanno per la sua sorellina.
Nonostante l'intenzione di rifiutare e rimanere chiuso in casa a studiare, Midorima aveva deciso di approfittare di quell'uscita per un motivo ben preciso: tornare al cancello di quella che un tempo era stata dimora degli Akashi e ritentare nel chiedere informazioni, sperando di trovare un membro del personale di servizio più gentile e accondiscendente di quello che aveva ricevuto lui, Kise, Kuroko e Murasakibara.
«Vuoi estorcergli il numero telefonico?»
«Certo che no.»
«Allora perché vuoi chiedere altre informazioni, Shin-chan? Ti hanno detto tutto quello che sapevano, da quanto ho capito.»
Midorima inspirò spazientito e non rispose: Takao aveva ragione, molto probabilmente il suo tentativo era destinato al fallimento più completo, ma voleva ritentare, era ossessionato e profondamente turbato dall'idea che Akashi fosse sparito così e che nessuno sapesse niente - ed era sicuro che la notizia avesse avuto un impatto notevole anche sugli altri -
Dal momento in cui Midorima suonò il campanello e una voce gracchiante lo ricevette al citofono, la scena fu la stessa della volta prima, anzi la cameriera fu perfino più frettolosa e scortese e lo liquidò ripetendo che non sapevano niente e che non potevano aiutarlo in alcun modo.
«Shin-chan?»
Midorima restò in silenzio, inizialmente indugiando sulla targhetta che, falsamente, segnalava che quella casa apparteneva ancora agli Akashi, poi spostando la propria attenzione all'alta cancellata e oltre, alle finestre buie.
«Shin-chan.» Takao decise di insistere «suo padre fa un lavoro importante, giusto?»
Finalmente Midorima si decise a degnare Takao della propria attenzione e parlò.
«Gestisce un'azienda di abbigliamento, diciamo che è sempre stato abbastanza influente.»
«Non pensi che su Internet si possa trovare qualcosa a riguardo? Magari puoi contattarlo da lì, potrebbe avere un sito aziendale o ...» Takao indugiò e finì per zittirsi: Midorima avrebbe sicuramente trovato qualcosa di sbagliato nella sua idea, forse era meglio tacere e lasciarlo ragionare per i fatti suoi.
«Sì.»
Questo bastò per far sussultare Takao.
«Torniamo indietro.»
Midorima gli transitò velocemente accanto e Takao rimase ancora per qualche attimo imbambolato davanti alla cancellata, poi accennò un sorriso soddisfatto e scattò in avanti per mettersi al passo dell'altro.
«Shin-chan, non c'è bisogno che scappi a casa tua!» non gli piaceva pensare che la loro uscita fosse già finita, che si fosse ridotta a due o tre visite in piccoli negozi di cosmetici e a quella rapida capatina di fronte a casa Akashi: non si vedevano mai e almeno per una volta, visto che ne aveva l'occasione, Takao aveva l'intenzione di approfittarne.
«Casa mia non è molto lontana, ti presto Internet e anche il telefono, se vuoi!»
Anche Midorima avrebbe voluto passare più tempo con Takao: se solo avesse potuto avrebbe gettato gli appunti e i libri universitari nel cassonetto di fronte casa sua.
Anche quel giorno voleva passare ancora un po' di tempo con Kazunari e, come se non bastasse, era impaziente di scoprire qualcosa in più su Seijuurou e suo padre, per cui pensò che almeno per quel pomeriggio avrebbe potuto lasciare da parte lo studio al quale, comunque, era costantemente dedito.
«Va bene.»
Kazunari non disse nulla, ma sorrise e lo cercò con lo sguardo, trovandolo solo perché fu Midorima a voltarsi verso di lui.
Non appena vide quel sorriso, Shintarou sbuffò infastidito e distolse il proprio sguardo dall'altro, accelerando il passo per lasciarselo alle spalle e mettere fra loro almeno una ventina di centimetri di distanza per evitare altre situazioni imbarazzanti.


Il sito aziendale degli Akashi figurò come primo risultato delle ricerche.
Midorima ebbe la presunzione di pensare di essere già vicino a scoprire che fine avessero fatto, pensava che sarebbe riuscito a contattare Seijuurou di lì a pochi minuti, ma quando cliccò il risultato e l'interfaccia del sito aziendale si presentò sotto forma di segnalazione percepì un nodo allo stomaco.
In un gesto istintivo, lasciò scorrere l'indice sulla rotella del mouse, ma la pagina rimase immobile: era un rettangolo bianco riempito da un breve messaggio in caratteri neri, non c'era altro, era stata svuotata.
«L'azienda è …?» Takao, che era rimasto in piedi alle sue spalle e aveva gli occhi puntati sul monitor, borbottò in cerca di conferma.
«A quanto pare.» Midorima non poteva crederci: l'azienda era fallita - per ingenti debiti, dicevano - quattro mesi prima e nella pagina web che aveva il compito di divulgare la loro attività e le novità del settore, non si trovavano più né i nomi dei dirigenti né i loro recapiti.
«Non c'è più niente.»
«Forse … ti ricordi per caso il nome di un collega del padre? Magari di un'altra persona importante che potrebbe aver aperto un'altra attività!»
Midorima si stupì della furbizia di Takao: si vedeva che quel tempo che uno trascorreva studiando e l'altro passava col suo fidanzato cominciava a separarli a tal punto da nascondergli le sue qualità migliori, o forse si era semplicemente dimenticato che Kazunari aveva una mente così brillante. No, era impossibile: non si era mai dimenticato nulla che riguardasse Takao.
«Ci posso provare.»
A Midorima erano venuti in mente ben due nomi e decise di provare con quello che, dai racconti di Akashi, gli era sembrato il più influente.
Sia lui che Takao sobbalzarono appena, sorpresi di trovare immediatamente un risultato di ricerca relativo ad una piccola azienda, anch'essa specializzata in capi di abbigliamento come lo era stata quella degli Akashi.
Midorima trasse un sospiro di sollievo non appena i risultati di ricerca vennero sostituiti dall'interfaccia del sito aziendale e, dopo una breve ricerca, riuscì a reperire alcuni contatti, fra cui quello desiderato.
Shintarou diede un'occhiata all'ora, poi si alzò dalla sedia e fece per dirigersi fuori dalla camera di Takao, in corridoio, dove si trovava il telefono.
«Provo a chiamarlo, se non ti dispiace.»
Takao annuì e lo seguì solo per qualche metro, fermandosi sulla porta per fissarlo mentre digitava il numero.
Quando la cornetta fu perfettamente aderente al suo orecchio, Midorima si augurò di non trovare un altra persona scortese e che sapesse dirgli qualcosa in più su Akashi.
«Chi parla?»
«Buongiorno, è il signor Nakamura?»
«Sì, sono io, con chi parlo?» il tono di voce era affabile e tranquillo, ma nonostante ciò sembrava essere piuttosto impaziente di scoprire l'identità del suo interlocutore.
«Sono Shintarou Midorima, un amico del figlio del signor Akashi.»
Per un attimo, tutto tacque.
«Ah.»
Midorima storse il naso: cosa significa quel silenzio? E quel verso?
«Facevamo parte della stessa squadra di basket alle medie e–»
«Lo so, lo so: la Generazione dei Miracoli, giusto? Solo, mi chiedevo come mai avessi chiamato me.»
«Ho scoperto recentemente del trasferimento degli Akashi, ma non sono ancora riuscito a capire dove siano andati e siccome lei era un collega aziendale ho pensato che potesse avere alcune informazioni.»
«Se vuoi il contatto di Akashi-san posso dartelo.»
Midorima strabuzzò gli occhi incredulo: era riuscito davvero ad ottenerlo con così tanta facilità?
«Però immagino che tu sia interessato a contattare suo figlio, non lui.»
Shintarou si morse il labbro inferiore: quella frase non gli piaceva affatto.
«Sì.»
«Non so più nulla di Seijuurou, ormai.»
«Cosa intende dire?»
«Akashi-san non ne vuole più parlare, da quando suo figlio se n'è andato di casa.»
«Cosa?»
«Non so esattamente cosa sia successo, Akashi-san è molto riservato per quanto riguarda la famiglia, ma è anche molto severo e credo che lo abbia diseredato o qualcosa del genere, insomma non lo vuole più vedere né vuole sentirne parlare. Posso dirti solo che Seijuurou se n'è andato da casa non appena ha finito le superiori, ma per il resto non so nulla.»
Midorima rimase in silenzio per qualche attimo, cercando di rielaborare il carico scarno ma comunque pesantissimo di notizie che gli era appena piombato addosso.
«La ringrazio.» boccheggiò, rafforzando la stretta sulla cornetta del telefono.
«Figurati, ti auguro di trovarlo.»
«La saluto.»
La conversazione fu troncata da Midorima, che sistemò immediatamente la cornetta al suo posto.
«Shin-chan?» Takao, che aveva ascoltato la conversazione unilaterale di Midorima, non potendo udire la voce dall'altro capo del telefono, era curioso di scoprire quali notizie avesse reperito, ma gli bastò guardarlo negli occhi per un solo attimo per capire che qualcosa non andava.
Midorima si limitò a negare appena con il capo, continuando a fissare la cornetta: come avevano fatto a perdersi di vista in quel modo? Perché Akashi era di nuovo così lontano?

Eppure basta un momento per perdersi per sempre.




Licenza Creative Commons
Quest'opera è distribuita con Licenza Creative Commons Attribuzione - Non commerciale - Non opere derivate 2.5 Italia.




L'angolino invisibile dell'autrice:

Penso che, vista la lunghezza di questo capito, la lunga attesa sia giustificata, vero?
A me piace scrivere capitoli lunghi, ma so che molte volte potrebbero anche annoiare e, insomma, mi auguro con tutto il mio cuore che questo non sia il caso.
Se devo esprimere un parere personale, penso sia il mio preferito.
Mi sono divertita a scriverlo/soprattutto la scena del tentato assassinio di Kuroko/, e anche a rileggerlo/boh, Midorima che protegge i biscotti come se fossero la cosa più preziosa del mondo e fissa Kagami come fosse un bestemmiatore … insomma, neanche mi ricordavo di aver scritto una cosa simile e sono scoppiata a ridere da sola/.
Ultimamente ci sono parecchi capitoli scemi, è vero, ma sapete perché? Perché presto si ritornerà ai capitoli bui (per Akashi) e trovo che nelle storie serva un po' di alternanza, mica posso scrivere sempre cose depresse, no?
Commento due o tre cose e poi vi lascio: Kise dice che i suoi stanno in Inghilterra, questo perché è mia headcanon personale (?) che Kise abbia la mamma inglese/per questo l'unica materia in cui va bene a scuola è l'inglese/; Kagami ha paura dei fantasmi e questo lo sappiamo e Aomine … beh, credo che anche a lui facciano paura, ma in un modo meno esagerato!
Kuroko non ci dice di cosa ha paura, ma ve lo dico io perché sono cattiva: ha paura di rimanere solo.
Sono soddisfattissima dei dialoghi che si creano fra Himuro (o grillo parlante, a questo punto) e Kise e al fatto che sicuramente molte di voi sul gruppo abbiano fatto mille congetture non appena ho detto che Ryouta avrebbe parlato del primo amore.
Eh, il primo amore non si scorda mai e guarda guarda, il primo amore è Aominecchi~
La scena KagaKuro non doveva esserci, perché il capitolo era già abbastanza lungo, ma qualcuno aveva detto che era in astinenza da scene hot e ho voluto inserire una cosa simile senza saltare subito al sesso/che avverrà fra pochi capitoli c: /, però è la parte che mi ha bloccata e che mi convince meno … infatti non ho voluto tirarla per le lunghe e sono andata sul leggero (sono abbastanza arrugginita con certe cose, ecco ;3;)
Mi auguro che il capitolo vi sia piaciuto e spero di riuscire ad aggiornare presto (anche se dubito, perché mancano sei giorni all'esame ed è ora che inizi a studiare seriamente ;A;).
Mi faccio un po' di pubblicità: https://www.facebook.com/pages/Neu-Preussen-EFP/416393978469818?ref=hl e vi saluto!

Ritorna all'indice


Capitolo 19
*** Capitolo XVIII ***


Capitolo XVIII





Alcune volte perdiamo un po' della nostra luce pur di rendere più brillante la nostra ombra.

Aveva provato a chiamare il vecchio contatto di Akashi almeno una ventina di volte, imparando a memoria le parole della voce artificiale che lo avvertiva della disattivazione del numero. Takao gli aveva ricordato la differenza fondamentale fra numero disabilitato e numero irraggiungibile, ma Shintarou aveva continuato ad insistere, come se avesse avuto il paraocchi e i tappi per le orecchie; aveva insistito pur essendo perfettamente a conoscenza che il risultato sarebbe rimasto sempre lo stesso.
Midorima aveva subito uno stress tale riguardo alla storia - ancora piena di misteri - degli Akashi, da finire a parlarne, probabilmente in preda a chissà quale vaneggiamento, alle due persone peggiori che conoscesse.
In un primo momento lo avevano ignorato e avevano preferito prenderlo ripetutamente in giro riguardo al suo oggetto fortunato del giorno - un papillon dello stesso verde carico e intenso dei suoi capelli -, ma alla fine sia Hanamiya che Imayoshi avevano cominciato a mostrare un po' di interesse nei confronti di quella storia intricata.
Quello che paradossalmente si poteva dire come il più buono fra i due, gli consigliò di provare a cercare i nuovi recapiti di Akashi in posti dove era necessario lasciare almeno il numero telefonico, e Hanamiya, forse per il puro desiderio di mettersi per l'ennesima volta in competizione con Imayoshi, gli assicurò che avrebbe fatto qualche ricerca fra gli elenchi degli iscritti alle varie università di Tokyo.
Midorima rifiutava ancora di crederci, però aveva seguito davvero il consiglio di Imayoshi ed ora si ritrovava di fronte ad un'impiegata della banca a chiedere di un certo “Akashi Seijuurou”.
«Entrambi i conti degli Akashi sono stati trasferiti.»
Midorima pensò che Akashi fosse riuscito a sottrarre il proprio conto bancario dalle grinfie del padre e ammise che dopotutto era una cosa da lui, quasi si rasserenò all'idea di quella lotta silenziosa fra Seijuurou e suo padre, una guerra consumata tempo addietro, ma che aveva lasciato delle tracce e un po' di speranza.
«Non posso rilasciare altre informazioni.»
Shintarou non insistette: le aveva già spiegato la situazione ed era preparato all'eventualità del rispetto della privacy, conosceva l'irremovibilità degli impiegati bancari riguardo ad alcune questioni.
«La ringrazio, arrivederci.»
«Arrivederci.»
Uscito dalla banca ebbe giusto il tempo di chiudere gli occhi e inspirare profondamente.
«Niente papillon, oggi?»
Midorima sollevò la palpebra sinistra e lo sbirciò infastidito, poi lo fulminò con entrambi gli occhi e sbuffò sommessamente.
«Li hai portati?» pur essendo bastata la sua vicinanza e tre stupide parole per infastidirlo, Midorima poteva definirsi piacevolmente stupito dalla puntualità di Hanamiya.
Makoto, dal canto suo, si limitò ad estrarre dal proprio borsone universitario diverse pile di fogli.
«Sono dieci e sono di circa cinquanta pagine ciascuna.»
Midorima diede un'occhiata all'elenco infinito di nomi nel primo foglio della prima pila e si lasciò sfuggire un flebile brontolio: era scontato che Hanamiya non avesse voluto fargli un favore per puro piacere, sicuramente voleva qualcosa in cambio.
«E adesso?»
«Non avevi detto che avresti diviso i vari schedari con gli altri?»
«Intendo dire: adesso cosa vuoi?» Shintarou aveva l'impressione che l'altro stesse facendo il finto tonto, e tutto ciò non fece altro che aumentare il suo nervoso, perfettamente percepibile nel suo tono di voce alterato.
«Ecco! Ovviamente se vi faccio un favore pensate tutti male di me! Che io sia un approfittatore, una persona cattiva!»
Midorima si stupì ancora di più quando il tono di Hanamiya divenne vagamente lagnoso e la sua espressione facciale si fece simile a quelle di Kise quando voleva mostrarsi offeso: pur non conoscendo le messe in scena dell'ex capitano della Kirisaki Daīchi, non gli credette neppure un secondo, ma rimase spiazzato dalla velocità con cui l'altro cambiò faccia.
«È ovvio che io voglia qualcosa in cambio, idiota!» Hanamiya gli mostrò la lingua in una smorfia infantile e accennò una risata divertita.
«Ora come ora non mi servi, ma mi tornerai utile entro l'anno.» perché sprecare ogni toner della biblioteca stampando tutti gli schedari delle università di Tokyo non gli era bastato.
Midorima immaginò che Hanamiya si riferisse alla sua lotta competitiva contro Imayoshi e si limitò a sbuffare spazientito.
«Raggiungo gli altri.» e in effetti era davvero l'ora di incamminarsi: Kagami, Kuroko, Aomine, Kise, Himuro e Murasakibara lo aspettavano al Maji Burger più vicino per ricevere due pile di schedari a coppia - nel caso di Kagami e Kuroko e Himuro e Murasakibara - e due pile di schedari l'uno - nel caso di Kise, Aomine e, per esclusione, anche nel suo -
«Ci vediamo.» si limitò a rispondere l'altro, con voce disinteressata, ma non appena Shintarou gli voltò le spalle riprese «ah, avvisami se trovate qualcosa negli schedari.»
Hanamiya voleva vincere la sua lotta contro Imayoshi, a tutti i costi. Non gli importava nulla di Akashi, ma si augurava con tutto il suo cuore che quel nome si trovasse in una di quelle cinquecento - e forse un poco di più - pagine, si augurava che non si trovassero ancora costretti a chiedere il numero del loro ex capitano in giro, perché avrebbero finito per trovarlo e il tutto sarebbe andato a favore di Imayoshi.
«Sì.» Midorima era scettico riguardo a quegli schedari: certo, non era una cattiva idea, ma la ricerca di quel nome poteva rivelarsi un lavoraccio e c'era il rischio che non desse frutti.
Non disse altro, inforcò gli occhiali, si strinse i fogli al petto e si incamminò verso il Maji Burger.


«Mi spieghi perché loro ne hanno solo due?» Aomine brontolò infastidito, additando Murasakibara ed Himuro prima e Kuroko e Kagami poi.
«Anche tu ne hai due.» Midorima controbatté immediatamente.
«Sì, ma loro sono in coppia. Io sono da solo.»
«Aominecchi ...» Kise esitò appena, ma pensò di avanzare quella proposta per calmarlo e riportare un po' di lucidità in una situazione piuttosto importante e che esigeva senza dubbio razionalità e sangue freddo; in più sarebbe stata un'ottima scusa per passare del tempo insieme e osservare meglio i comportamenti di Aomine, come gli aveva consigliato Himuro.
«Potremmo lavorare in coppia anche noi.»
Aomine rivolse una rapida occhiata a Kise e sembrò voler dire qualcosa, ma si limitò a boccheggiare e riuscì a riprendere la facoltà di parola una volta tornato a fissare Midorima.
«Sentito? Lavoro con Kise, quindi anche noi avremo solo due fascicoli.» proclamò Daiki, irremovibile.
«E io dovrei leggerne quattro?» non appena Aomine gli porse i suoi due fascicoli, Midorima li respinse con un gesto rapido della mano.
«Fatti aiutare da qualcuno, o danne due a Satsuki.» ecco: perché lei era esentata da quella faccenda? Perché non era lì con loro per aiutarli in quel compito noioso e troppo impegnativo? Aomine si appuntò mentalmente quel momento fra le cose da rinfacciarle.
«Aominecchi, Midorimacchi è da solo, facciamo uno sforzetto!» nonostante Kise fosse stato piuttosto utile, visto che con quel tono di voce mieloso riuscì a convincere Aomine ad una velocità impressionante, Midorima si lasciò sfuggire un piccolo sbuffo infastidito: c'era proprio bisogno di ricordargli che era da solo?
«Sei troppo pigro, Aomine-kun. Leggere ti farà bene.»
«Taci, Tetsu.»
«Kuroko ha ragione.»
Himuro si schiarì improvvisamente la voce, con decisamente troppa forza, facendo scomparire quella che pareva l'origine di una lite fra Aomine e Kagami.
«Midorima?» quando ebbe l'attenzione di Shintarou su di sé, continuò a parlare «poco fa hai menzionato un altro metodo.»
«Ah, giusto!» la curiosità di Kise, rimasta assopita sotto il peso di altri pensieri, proruppe improvvisamente e si affiancò a quella di Himuro.
«Provare a chiedere il numero di Akashi nei posti in cui è obbligatorio lasciare un recapito.» Midorima rispose immediatamente «ho già provato in banca, al club di equitazione e ho perfino telefonato al Rakuzan.»
Rimasero tutti in silenzio, probabilmente in cerca di un'idea valida.
«Kuroko?» fu proprio Midorima a riprendere la parola.
«Sì?»
«Akashi ha continuato con lo shogi anche alle superiori, vero? Per caso ti ricordi il nome del centro in cui lo praticava?»
«Al Teiko frequentava il Board Games Center della signora Tanaka, ma è probabile che abbia cominciato a frequentare un altro centro dopo le medie, visto che trovandosi al Rakuzan trascorreva quasi tutta la settimana a Kyoto e non più qui a Tokyo.»
Kagami storse il naso nel sentire Kuroko rispondere così tranquillamente, mostrando idee molto chiare su quella che era stata la vita di Akashi alle medie e dimostrando, oltretutto, di aver passato del tempo a pensare a come potesse trascorrere il suo tempo alle superiori.
«Mhn, proverò ugualmente lì e dopo mi informerò sui centri di Kyoto.»
«Se vuoi io e Aominecchi possiamo darti una mano!»
«Cosa? No, Kise, mi basta già tutta questa cartaccia!»
«Faccio da solo.» Midorima sbuffò indispettito: possibile che Kise dovesse essere sempre così pedante? E Aomine così capriccioso? Sembravano dei bambini, dalle medie non erano migliorati affatto, anzi parevano perfino peggiorati.
«Mido-chin?»
Midorima avrebbe dovuto fulminare con lo sguardo Aomine e Kise, ma sfogò il proprio nervoso su Murasakibara, che non c'entrava nulla e se n'era rimasto in silenzio fino a quel momento.
«Hai pensato al dottore?» Murasakibara, dal canto suo, non se ne curò e continuò a parlare, attirando l'attenzione di tutti su di sé.
«Eh?» Kagami borbottò stupito e si chiese come aveva potuto lasciare che Murasakibara avesse quell'idea geniale prima di lui, domanda che, a dire il vero, si posero quasi tutti.
Midorima lo fissò solo per qualche attimo e finalmente la morsa di nervoso che gli pesava sulla testa parve allentarsi.
«Proverò anche dal dottore.» e forse avrebbe provato quel pomeriggio stesso, ancor prima di mettersi a leggere tutti gli schedari universitari che Hanamiya aveva stampato e si era “premurato” di portargli.
«Bravo, Atsushi.» Himuro gli rivolse un piccolo sorriso e poi si rivolse a Midorima che, ormai era ovvio, aveva le redini in mano e avrebbe dovuto fornire le direttive sul da farsi.
«Quando hai intenzione di provare?»
«Se è possibile anche subito.» Midorima diede un'occhiata all'ora e si corresse «ricordo che il dottore di Akashi cominciava il turno nel tardo pomeriggio, a dire il vero penso che sia ancora irraggiungibile. Direi che intanto potremmo cominciare con gli schedari.»
Shintarou fu il primo ad alzarsi e recuperò i suoi due schedari.
«Vi faccio sapere.»
Quelle furono le direttive: cercare il nome di Akashi in quella marea di fogli e attendere una chiamata o un sms per scoprire qualcosa in più o vedersi negata la possibilità di contattare il loro ex capitano per l'ennesima volta.
Poco dopo il congedo di Midorima, anche Kise e Aomine e Murasakibara e Himuro - con un po' di resistenze da parte del primo -, lasciarono il Maji Burger; Kagami e Kuroko furono gli ultimi ad incamminarsi, per svariati motivi: Taiga era stato colto alla sprovvista da un appetito improvviso, la sua casa era molto vicina al fast food e Tetsuya sembrava essersi lasciato andare completamente ai propri pensieri da quando Atsushi aveva menzionato il dottore.


«Aominecchi, possiamo fare una pausa? Sono stanco!» neanche sapeva perché gli avesse chiesto il permesso di una pausa, visto che era stato l'unico ad impegnarsi nella ricerca di quel nome e aveva già letto due fascicoli, mentre Aomine non era riuscito ad arrivare neppure alla fine del primo foglio.
«Fa come ti pare.» Kise pensò che fosse ovvio, visto che dopotutto si trovavano in casa sua e non in quella di Aomine, poi ebbe la tentazione di chiedergli se fosse disposto a dargli una mano a leggere quelle ultime duecento pagine e se non potessero lavorare per davvero in coppia come avevano detto: non voleva ridursi a leggere altri due fascicoli mentre l'altro oziava al suo fianco, approfittando della comodità del suo divano.
«Aominecchi?» Kise era ormai deciso ad insistere per quell'aiuto, ma la sua voce tremò come se avesse dovuto chiedergli qualcosa di più intimo.
Aomine rimase in silenzio e si limitò a rivolgergli un'occhiata interrogativa.
Kise rimase a fissarlo in silenzio e senza che se ne accorgesse cominciò a pensare a tutt'altro: davvero Aomine si comportava in modo diverso? Non riusciva a vederlo, o forse non voleva: era spaventato, aveva paura di provarci e vedersi respinto.
Essere rifiutato da Tetsuya era un conto, ma da Daiki sarebbe stato come firmare la propria condanna a morte.
«Che c'è?» fu Aomine ad esortarlo, innervosito da quel silenzio improvviso ed imbarazzante.
«No, niente.» a pensarci bene, Ryouta si stava già avviando verso il patibolo.
Pur avvertendo un fastidioso pizzicore alle guance, continuò ad osservare Daiki, lo vide distogliere lo sguardo e rivolgerlo lontano dal suo, quasi stesse cercando di scappargli.
Kise pensò quanto fosse fastidioso vederlo scappare, sentirlo sempre così lontano - anche quando erano seduti sullo stesso divano e c'erano solo pochi centimetri a separarli -. Non voleva che fra loro si riaprisse una voragine come era accaduto alle superiori, ma soprattutto non voleva perdere un'altra occasione, un'altra persona importante.
Si era lasciato scappare Kuroko, anzi lo aveva lasciato andare, perché si era convinto di quella regola che sempre più spesso trovava scritta dovunque: sui libri, nei social network, sulle labbra delle persone e nei loro occhi.
Se ami davvero una persona devi essere disposto a lasciarla andare. Se Ryouta accostava quella regola assoluta alla possibilità di lasciar andare anche Aomine, allora si rendeva conto di quanto fossero stupide quelle parole: era la giustificazione di chi non riuscendo ad ottenere immediatamente l'amore della persona desiderata si arrendeva e si rifiutava di riprovare per paura di rimanere scottato.
In quel momento Kise decise che, anche se fosse rimasto scottato, ne sarebbe valsa la pena.
«Aominecchi?» gli si bloccò il respiro e la voce tremò ancor più di prima, tanto che Aomine si voltò immediatamente e gli rivolse un'occhiata confusa e vagamente preoccupata, scacciando via la tentazione di insultarlo e di intimargli di smetterla di chiamarlo se poi doveva stare in silenzio e metterlo in imbarazzo.
Le dita esili di Kise tremarono appena sulle guance calde di Aomine, finché i palmi delle mani non vi aderirono e trovarono un po' di stabilità.
Aomine non ebbe neppure il tempo di chiedersi cosa stesse succedendo, perché le labbra di Kise andarono in cerca delle sue e le baciarono in un modo dolce e delicato, come se gli stesse già chiedendo scusa per il gesto avventato.
Aomine si sentì avvolgere da un brivido d'eccitazione, non tanto fisica, quanto mentale: aveva appena constatato che non era il solo a provare attrazione verso l'altro.
Le labbra di Kise si staccarono subito dalle sue, il bacio si spezzò con un sospiro tremante del biondo, che sembrava già intenzionato a sfuggirgli, forse temendo una reazione negativa.
A Daiki ci volle qualche istante per riprendersi da quello stato di shock che lo aveva fatto esultare mentalmente e aveva acceso nel suo petto battiti più forti che mai: il suo cuore aveva cominciato a pompare più sangue del dovuto, si alimentava con la sola vicinanza di Kise e la velocità dei battiti aumentava come quella di una locomotiva in corsa nella cui fornace viene gettato sempre più carbone.
In una situazione diversa, Aomine avrebbe scelto di tirarsi indietro, si sarebbe lasciato andare all'imbarazzo - non che in quel momento non lo provasse - e gli avrebbe urlato qualcosa, lo avrebbe rimproverato - forse anche insultato -, si sarebbe allontanato, ma in quel momento, esattamente come Kise, sentì che non poteva lasciarsi scappare un'occasione tanto preziosa.
Non gli diede modo di allontanarsi troppo, ma anzi gli catturò il viso fra le mani e lo trascinò a sé per ricambiare il bacio che l'altro gli aveva dato qualche attimo prima.
Kise, dal canto suo, si sorprese di quel gesto e anche lui ebbe qualche difficoltà a realizzare il tutto, riuscendo a rilassarsi completamente solo qualche attimo dopo, socchiudendo gli occhi e ricambiando il bacio che aspettava dalle medie e che non era mai arrivato, per timore di entrambi.
Superata la timidezza iniziale, Kise si sentì libero di lasciar sprofondare le dita fra i capelli di Aomine e avvicinarsi un poco di più a lui, e Daiki fu ovviamente ben felice di trascinarlo a sé e gli stuzzicò il labbro inferiore con la punta della lingua, esortandolo a schiudere le labbra.
Kise parve avere un leggero tentennamento, perché si scostò appena, ma Aomine pensò fosse solo per riprendere fiato, visto che le labbra di Ryouta tornarono quasi subito incollate alle sue e si schiusero senza opporre resistenza.
Non appena le loro lingue si sfiorarono, in un approccio anche piuttosto frettoloso e passionale, sia le mani di Aomine che quelle di Kise rafforzarono la stretta, il primo attorno al collo del secondo e quest'ultimo continuando a tenere saldamente con le dita il viso dell'altro: dopo tanto tempo passato ad aspettare e aspettarsi, non avevano intenzione di lasciarsi andare.
Kise gemette appena, come a voler esprimere il piacere proveniente dall'intreccio saldo e lascivo delle loro lingue, e accorciò ulteriormente le distanze fra i loro corpi, fin quasi a sistemarsi sull'altro.
Aomine non avrebbe mai pensato di innamorarsi di un ragazzo, ma nonostante ciò era pronto: se Kise voleva fare l'amore, sarebbe stato più che un piacere accontentarlo - solo trovava strano che Ryouta provasse così tanta attrazione nei suoi confronti, visto che aveva recentemente subito una delusione amorosa -.
Kise voleva assolutamente dirglielo, ora che era sicuro che anche Aomine provava qualcosa per lui: voleva dirgli che si era innamorato di lui dalla prima volta che si erano incontrati, che aveva cercato di reprimere il sentimento per paura di essere respinto e rinnegato anche come amico, voleva spiegargli che non gli era saltato al collo a causa della delusione d'amore che aveva appena subito ma perché, più semplicemente, desiderava farlo da anni e si era sempre trattenuto.
Prima che Kise si fosse sistemato sul corpo dell'altro, il suo cellulare vibrò sonoramente e smorzò la passione.
I loro visi si scostarono lentamente, Kise sospirò accaldato e leggermente spazientito e Aomine sbuffò, rivolgendo un'occhiataccia al cellulare posto al centro del tavolino.
«Che palle.»
«Scusami.» Kise se ne guardò bene dal separarsi completamente da lui e, anzi, si tenne al suo braccio e si sporse leggermente per afferrare il cellulare e controllare il nome del destinatario del messaggio.
«È Midorimacchi.»
Capirono entrambi che avrebbero dovuto rimandare a più tardi il bacio appena interrotto, perché un messaggio di Midorima poteva significare solo una cosa.
Kise si sistemò al fianco di Aomine e aprì l'sms per lasciar leggere anche lui.

«Ho il nuovo numero di Akashi. Venite al campetto.»




Kise fu sollevato che lui e Aomine fossero arrivati per secondi, anzi per primi, visto che pochi minuti dopo scoprirono che Midorima si era recato dal dottore di Akashi accompagnato proprio da Kagami e Kuroko, che aveva insistito per partecipare a quella “indagine” in modo più approfondito e ravvicinato.
Non dovettero attendere molto prima che anche Himuro e Murasakibara li raggiungessero, e così si ritrovarono tutti al centro del campetto.
Fin da subito, un grande silenzio calò su tutti gli ex membri della Generazione dei Miracoli: Midorima stringeva nervosamente un foglietto di carta nella mano sinistra e il cellulare nella destra; Kuroko era evidentemente agitato e continuava a fissarlo con impazienza; Murasakibara dondolava e mordicchiava il proprio labbro inferiore; Kise fu tentato di cercare la mano di Aomine, ma non la trovò perché Daiki si avvicinò subito a Shintarou per dare un'occhiata al contatto.
«Comincio a sentirmi di troppo ...» intanto Himuro, che aveva messo almeno una ventina di centimetri di distanza fra sé e Murasakibara, sussurrò fra i denti.
«Benvenuto nel club.» fu Kagami a dargli ragione: anche lui si era allontanato dal gruppo e Tetsuya era talmente preso dalla situazione da non essersene neppure accorto.
Taiga era intenzionato a tenere gli occhi fissi su Tetsuya per tutto il tempo, per cogliere al meglio ogni sua reazione, per catturare e analizzare qualsiasi tipo di luce si accendesse in quella espressione solitamente spenta e ignota.
A Kagami era bastato percorrere qualche metro al fianco di un silenziosissimo Kuroko per rendersi conto che qualcosa non andava, e così gli aveva chiesto che cosa avesse e, anche se con un po' di difficoltà, era riuscito bene o male a capirlo da solo: Tetsuya era preoccupato, voleva assolutamente sapere qualcosa in più su Akashi e voleva accompagnare Midorima dal dottore, e Taiga, dal canto suo, aveva deciso di accontentarlo, senza però lasciarlo solo.
Taiga smise automaticamente di pensare quando registrò con la coda dell'occhio il movimento frettoloso di Midorima che si portava il cellulare all'orecchio.
Il silenzio si estese dagli ex Miracoli a Kagami e Himuro, che istintivamente tornarono un poco più vicini al gruppo.
Midorima, che normalmente avrebbe provato molto fastidio ad avere così tanti sguardi puntati su di sé, rimase in silenzio, immobile, in ascolto del suono tipico della linea telefonica quando è libera: Akashi poteva rispondere da un momento all'altro, non erano mai stati così vicini a scoprire la realtà dei fatti fino a quel momento.
«Ce ne hai messo di tempo per trovarmi, Shintarou.»
Midorima sentì un nodo alla gola e in un primo istante non riuscì ad articolare parola.
La voce di Akashi non era cambiata di una virgola: era imperturbabile come al solito, ma leggermente alterata da quello che doveva essere un sorriso.
«Akashi.» Midorima sembrò cercare di darsi uno scossone, quasi come se pronunciare quel nome potesse servirgli per realizzare definitivamente che sì, Akashi aveva risposto al cellulare e stava parlando con lui.
Al suono di quel nome, tutti i presenti drizzarono le orecchie e Kuroko si fece molto più vicino a Midorima, come se avesse voluto sentire la voce dell'altro.
«Ci sono anche gli altri, lì con te?»
Shintarou aggrottò la fronte e diede una rapida occhiata ai presenti, trattenendo un sospiro spazientito: possibile che fosse così perspicace? Nessuno aveva fiatato, eppure Akashi aveva già capito che erano tutti lì.
«Sì.»
«Come state?»
Midorima indugiò: avrebbe voluto fargli la stessa domanda.
«Stiamo bene.» fece una piccola pausa e pensò fosse meglio tralasciare il progetto di Tetsuya «piuttosto, ci stavamo chiedendo come stessi tu.»
Akashi ci mise qualche istante per rispondere.
«Sto bene.»
«Dove sei?» Midorima non voleva essere troppo frettoloso o invadente, ma sentiva di avere poco tempo a disposizione e voleva scoprire qualcosa in più prima che Akashi troncasse il discorso o lo rigirasse a suo favore.
«Perché mi fai questa domanda? Dove pensi che sia?»
Shintarou strinse i denti e lasciò che il canino sprofondasse nel labbro inferiore.
«È da un po' che non ci sentiamo, e conoscendoti potresti essere ovunque.»
«Effettivamente non mi trovo in Giappone.»
Shintarou sobbalzò appena e premette il cellulare contro il proprio orecchio, quasi come se sperasse di poter percepire anche i pensieri di Seijuurou.
«Dove ti trovi?»
A quella domanda, l'attenzione degli altri raddoppiò: Akashi non si trovava in Giappone? E allora dov'era?
«Mi dispiace Shintarou, ma non vi dirò dove mi trovo.»
Midorima assottigliò il proprio sguardo: non avrebbe mai voluto ascoltare una risposta simile.
«Non ancora.» Akashi lo precedette e riprese a parlare.
Shintarou schiuse le labbra, ma le sue parole vennero troncate ancora una volta dalla voce calma e distaccata dell'altro.
«Ci sentiamo presto.»
«Aspetta, Aka–»
Quando si accorse di stare già parlando al vuoto, Midorima arrestò le proprie parole e scostò il cellulare dal proprio orecchio.
«Allora?! Dove si trova?!» Kise fu il primo ad intervenire, mentre Kuroko fece qualche passo indietro e chinò il capo vagamente sconsolato, come se avesse già capito tutto dall'espressione di Midorima.
«Non me l'ha detto.»
«Come “non te l'ha detto”?» Aomine brontolò spazientito.
«Non me l'ha detto.» ripeté Midorima, rassegnato.
«E adesso che si fa?» chiese Murasakibara.
«Adesso andiamo a casa e aspettiamo: mi ha assicurato che ci saremo sentiti presto.»
Come per magia, nessuno disse altro: Midorima fu il primo a lasciare il campetto, seguito a ruota da Himuro e Murasakibara.
Kise cercò di scambiare una parola con Kuroko, ma Aomine preferì fermarlo prima che peggiorasse la situazione e anche loro si incamminarono verso casa, al contrario di Tetsuya e Taiga, che rimasero al campetto ancora per un po'.
A Kagami ci volle un po' per avvicinarsi al compagno e afferrargli la mano, e non tanto per timidezza, ma perché continuava a sentirsi terribilmente inferiore, inutile: era stato schiacciato dalla presenza di Akashi ed ora era letteralmente annientato dalla sua assenza, perché Tetsuya sembrava essere legato a quel ragazzo da un filo ancor più forte di quello che un tempo l'aveva tenuto unito a Daiki.
Kagami gli scostò qualche ciuffetto di capelli dalla fronte e gli diede una piccola carezza, senza lasciargli la mano.
«Ti accompagno a casa.» e poi si arrese all'evidenza: Tetsuya sarebbe rimasto chiuso nei suoi pensieri e nel suo dolore prettamente personale ancora per un bel po'; il suo compito era solo aspettare, senza smettere di prendersi cura di lui, di loro.


«Avevo ragione io.» Imayoshi cantilenò alle sue spalle e poi gli si sedette accanto, rivolgendogli un sorriso sornione.
«Di cosa stai parlando?» Hanamiya sibilò senza staccare gli occhi dal libro, non tanto perché concentrato nello studio, ma piuttosto perché non aveva voglia né di avviare una conversazione con lui, né di guardarlo in faccia: sapeva benissimo di cosa stava parlando Shouichi, era stato il primo a chiedere a Midorima se avesse trovato Akashi e questo gli aveva risposto di sì, ma che per recuperare il suo contatto aveva seguito il consiglio di Imayoshi e che gli schedari universitari non erano serviti a nulla.
Hanamiya odiava ammettere di avere torto, soprattutto se si trattava di una cosa fra lui e Imayoshi, quindi preferiva far finta di niente e cercare di apparire il più indifferente possibile al fatto.
«Sai benissimo di cosa parlo.» Imayoshi, dal canto suo, aveva imparato a conoscere abbastanza bene il suo avversario: era impossibile che Hanamiya si fosse interessato alla questione di Akashi solo per fare un favore a Midorima, era ovvio che lo avesse fatto per entrare ancora una volta in competizione con lui.
Hanamiya rimase in silenzio: andava bene fare il finto tonto, ma non aveva voglia di vestire il ruolo dello stupido.
«Beh, adesso che ti sei tolto questa inutile soddisfazione, stai un po' meglio?» Makoto decise di abbandonare le difensive e passò all'attacco, scostando finalmente il proprio sguardo dal libro per rivolgergli un sorriso sghembo, ricolmo di scherno.
Imayoshi incassò il colpo e continuò a sorridere.
«Dovrei stare male per qualcosa?»
«Non è umiliante che una persona più piccola di te prenda voti più alti? Ormai ti ho quasi raggiunto.»
Effettivamente Hanamiya si stava dando un gran da fare per raggiungere Imayoshi, inoltre i suoi voti lasciavano intendere che molto presto l'avrebbe addirittura superato.
«Perché dovrebbe essere umiliante? Io sono il tuo senpai.» Imayoshi ampliò il sorriso e si alzò, adagiandogli una mano sulla testa «sono fiero di te, non invidioso.» ma c'era molto sarcasmo nella sua voce e Hanamiya non ebbe alcun dubbio a riguardo.
Makoto sbuffò e scacciò la mano di Shouichi con un gesto stizzito, cercando di ignorare il lieve pizzicore che aveva cominciato a irradiarsi sul suo viso: era consapevole che l'altro stesse mentendo - anche perché Imayoshi non faceva nulla per far sembrare le sue bugie delle verità -, eppure quella cosa del senpai lo aveva messo in imbarazzo.
«L'allievo supera il maestro: sono i rischi del mestiere.» Imayoshi continuò ad infierire, intenzionato ad accaparrarsi l'ultima parola, e Hanamiya glielo permise solo perché era l'unico modo per convincerlo ad allontanarsi e lasciarlo “studiare” in pace.


«Oniichan, sei davvero elegante, sai?» la voce squillante e allegra di sua sorella lo mise sull'attenti.
«Sachiko, non cominciare.» Midorima si voltò immediatamente verso di lei per invitarla a lasciare da parte i complimenti; la sorella ricambiò il suo sguardo pieno di disappunto con un sorriso saccente, quasi fosse fiera dei capelli ben pettinati e modellati dal gel del fratello e del completo scuro ed elegante che indossava con una certa disinvoltura.
«Peccato solo per quella cosa.» poi commentò con voce divertita.
«Questo è il mio oggetto fortunato e si chiama matriosca.» specificò Shintarou, sventolando l'oggetto per mostrarlo alla sorella, indietro di qualche passo.
«Sai Sachiko, avresti dovuto seguire il mio consiglio.» poi continuò, inforcando gli occhiali ed inspirando appena, godendosi il vago odore di pioggia presente nell'aria umida e fredda.
«Oniichan, scherzi? Non mi sembra proprio il caso di presentarmi alla festa di Takao-kun con una ruota di bicicletta!»
«Lo so, ma oggi i Pesci sono ultimi.» il rombo lontano di un tuono interruppe la loro conversazione e Midorima riprese solo quando si affievolì a tal punto da scemare completamente «hai l'ombrello?»
«Sì. Non mi succederà nulla, stai tranquillo.» Sachiko sorrise e gli afferrò il braccio con la mano «e il Cancro e lo Scorpione?»
«Lo Scorpione è primo e il Cancro è secondo.»
«Allora è la vostra giornata!» la sorella accennò una risata e Midorima si irrigidì, sentendo il calore confluire nelle guance.
«S-Sachiko!»
«Che c'è? Che ho detto?» Sachiko si mise a ridere «sei tutto rosso!»
«Dai, smettila!»
Nonostante il fratello stesse cercando di riportarla con i piedi per terra, Sachiko continuò a ridere.
Midorima non avrebbe dovuto imbarazzarsi così tanto con lei, visto che avevano un rapporto molto stretto e sua sorella era l'unica persona a cui aveva detto apertamente che provava qualcosa per Takao. Sachiko era una persona allegra e ogni tanto lo stuzzicava, ma gli voleva un gran bene ed era molto affezionata anche a Takao, inoltre sapeva essere molto matura e non aveva mai avuto da ridere sul fatto che a suo fratello piacesse un ragazzo, ma nonostante tutto il carattere riservato di Shintarou faceva sì che restasse sulle difensive anche quando era con lei.
«Sai, sei proprio una brava persona. Forse sei un po' stupido, ma sei una brava persona.» ed era anche maledettamente schietta.
«Cosa?»
«Io non gli avrei mai fatto un regalo del genere.»
Midorima la lasciò parlare.
«Insomma, se vuoi conquistare una persona, perché comprarle un viaggio da condividere con il suo fidanzato? Sembra quasi un regalo di nozze.»
Shintarou sospirò: Sachiko aveva ragione, ma Takao meritava quel viaggio in Australia, lui e Miyaji si amavano e Midorima non riusciva a provare neppure un briciolo di antipatia per quello che un tempo era stato il loro senpai, per cui aveva deciso di comprare due biglietti aerei di andata e ritorno per Sydney, di modo che a gennaio potessero finalmente recuperare la loro mancata vacanza insieme.
Midorima si soffermò sulle parole della sorella: lui voleva davvero conquistare Takao? O voleva dimenticarsene? Magari aveva comprato quei biglietti solo per allontanare Kazunari dal Giappone e da lui per un po' di tempo.
Midorima si decise a parlare, ma la sorella salutò a gran voce Kazumi e così si bloccò: erano già arrivati a destinazione.
«Shin-chan!» anche Takao uscì dal piccolo cortile e li raggiunse.
«Eh? Ma cos'è quella cosa?»
Midorima diede una rapida occhiata al suo oggetto fortunato e al sorriso divertito che la sorella gli rivolse.
«Una matriosca.»
«Spero che non sia il mio regalo!» Kazunari cominciò a ridere e venne seguito a ruota dalle altre due, così l'imbarazzo di Midorima aumentò improvvisamente.
«Certo che no.» Shintarou borbottò e cercò di infilarsi la matriosca nella tasca del completo, in modo da evitare che anche i genitori di Takao cominciassero a prenderlo in giro.
«Bene, allora entriamo.» Kazunari gli sorrise e poi decise di fare strada a tutti e tre.


«Tieni.»
«Umh?» Takao inarcò un sopracciglio e diede un'occhiata a quello che Midorima gli porse all'improvviso.
«Cosa sono?»
Midorima rimase in silenzio e si limitò a sventolargli i biglietti sotto al naso, invitandolo ad afferrarli: dopo aver cenato in casa Takao avevano optato per una passeggiata e Shintarou aveva deciso che quello era il momento più adatto per dargli il suo regalo.
Quando Takao prese i biglietti e lesse le date e la meta, Midorima parlò.
«Ho pensato che dovreste recuperare il vostro viaggio, ve lo meritate.»
Gli occhi di Kazunari indugiarono sui due biglietti aerei e poi si rivolsero a Midorima, le labbra tremarono appena, e assunsero quello che pareva un sorriso intenerito, piuttosto che di gratitudine.
«Come mai sei così silenzioso?» lo incalzò Midorima, e Takao sussultò appena, per poi ampliare il sorriso e scuotere appena il capo.
«Ecco, non mi aspettavo un regalo simile.» avrebbe voluto abbracciarlo e avrebbe potuto farlo, visto che si era sempre preso molte libertà nei confronti di Midorima - anche quando quest'ultimo non era d'accordo -, ma per la prima volta si sentì paralizzato da quella che pareva proprio timidezza.
Non sapeva come ringraziarlo e ancor meno riusciva a capire perché avesse così tanta voglia di abbracciarlo e così tanta paura di farlo.
«Grazie, Shin-chan.» quello era senza dubbio il regalo più bello che avesse mai ricevuto, una benedizione per lui e Miyaji, ma allora perché avrebbe voluto che quei biglietti fossero destinati a lui e Midorima?


«Kagami-kun?»
La mano di Kagami, che aveva continuato a carezzare lo spazio liscio e caldo fra le spalle di Kuroko, si fermò non appena sentì quel flebile richiamo vicino al suo orecchio.
«Cosa c'è?»
Tetsuya inspirò contro il suo petto e vi sfregò appena la guancia, abbassando le palpebre.
«Devo dirti una cosa.»
Kagami trattenne il fiato: possibile che fosse arrivato il momento tanto atteso? Era evidente che la questione di Akashi avesse risvegliato in Tetsuya i ricordi del tempo passato, da quando Midorima era riuscito a contattarlo erano passati tre giorni e Kuroko si era fatto più silenzioso e pensieroso, quindi era molto probabile che dopo averci ragionato su avesse finalmente deciso di parlargliene.
«Dimmi.» Taiga non aveva intenzione di farlo parlare e poi dirgli che lo sapeva già, né voleva precederlo: si sarebbe limitato a comportarsi come se fosse venuto a conoscenza della loro relazione per la prima volta - e la cosa non doveva essere difficile, visto che Kise l'aveva solo accennato e sentirlo raccontare da Kuroko sarebbe stato molto diverso e soprattutto più esaustivo -.
Kagami si mise a sedere e di conseguenza anche Kuroko, che gli rimase accanto e si raccolse le ginocchia al petto.
«Riguarda le medie.» Tetsuya adagiò il mento sulle ginocchia e gli rivolse il proprio sguardo. Kagami, dal canto suo, dovette sostenere quello sguardo e, nonostante sentisse già l'imbarazzo confluire nelle guance, cercò di non distogliere il proprio.
«Ricordi quando siamo andati a casa tua e vi ho raccontato di come ho cominciato col basket? E della Generazione dei Miracoli?»
«Sì.»
«Allora ...» Kuroko esitò solo per qualche attimo, poi inspirò nuovamente e si schiarì la voce «non vi ho detto tutto. Non ti ho detto tutto.»
Kagami rimase in silenzio e senza neppure accorgersene assunse la stessa postura di Kuroko: si raccolse le ginocchia al petto e vi adagiò il mento, continuando a guardarlo.
Tetsuya non distolse lo sguardo e dopo qualche attimo di esitazione continuò.
«Prima che Akashi-kun scoprisse la sua abilità, io e lui ...» la voce di Kuroko vibrò «io e lui stavamo insieme.»
Nonostante lo sapesse già, sentirlo dire da Tetsuya fu comunque destabilizzante, tanto che Kagami parve boccheggiare e non riuscì a parlare.
«Siamo stati insieme per cinque mesi.»
Kagami pensò automaticamente che loro non stavano insieme da neppure un mese e si sentì per l'ennesima volta completamente inferiore ad Akashi.
«Stavamo bene insieme, ma lui è cambiato. Avevo già capito che qualcosa non andava e l'ho lasciato ancor prima che scoprisse dell'Occhio dell'Imperatore.»
«L'hai lasciato tu?»
«Sì, ma alla fine è stato come un tacito accordo.»
Kagami aggrottò la fronte e decise di partecipare a quella conversazione, nonostante ne sentisse il peso assurdo sulle spalle, sul cuore e nella voce.
«Cioè?»
«Un mese prima che scoprisse la sua abilità, Akashi-kun ha cominciato ad allontanarsi da me, usciva sempre con Nijimura-san e disdiceva ogni nostro appuntamento.»
Kagami trattenne nuovamente il respiro: non sapeva se a dargli più fastidio era immaginare Kuroko e Akashi uscire insieme e tenersi per mano come facevano loro o il fatto che Tetsuya fosse stato trattato come uno straccio.
«Mi ignorava e io stavo male, quindi ho deciso di lasciarlo. In verità speravo che venisse a parlarmi per chiarire la faccenda, ma ha semplicemente rispettato la mia scelta col silenzio.»
Fu Tetsuya a distogliere lo sguardo per primo, lasciandosi sfuggire un sospiro tremante.
«Kagami-kun, scusami se in questi giorni sono stato un po' distante, ma vorrei davvero capire cosa sta succedendo ad Akashi-kun. Ti assicuro che non c'è più nulla fra noi, ma sono preoccupato.»
Taiga rimase a fissarlo in silenzio: non c'era nulla da dire, era ovvio che Kuroko fosse preoccupato - dopotutto lo era anche il resto dell'ex Generazione dei Miracoli -.
Taiga gli carezzò il braccio con le dita senza smettere di guardarlo, poi parlò flebilmente.
«Dovresti provare a chiamarlo.»
Tetsuya sobbalzò sorpreso, rivolgendogli uno sguardo confuso.
«Magari a te dirà qualcosa in più.»
«Se non ha voluto dire nulla a Midorima-kun, non credo che lo farà con me.»
Kagami rimase in silenzio e sciolse la stretta attorno alle proprie gambe, per avvicinare il viso a quello di Kuroko e stampargli un bacio sulle labbra, quasi avesse voluto comunicargli il suo sostegno.
Tetsuya, dal canto suo, ricambiò il bacio e accennò un piccolo sorriso.
«Ci posso provare.»
Kagami annuì e gli porse il cellulare.
Tetsuya cercò il contatto e lo selezionò non appena l'ebbe trovato, per poi restare in attesa di una risposta.
La risposta tardò ad arrivare, tanto che Kuroko parlò ancor prima che l'altro potesse dire qualcosa, reputando un miracolo il fatto che Akashi non avesse ignorato o chiuso la chiamata ancor prima di accettarla.
«Akashi-kun, come stai?»
Tetsuya trattenne il fiato e sentì il sospiro di Akashi spezzarsi in lontananza.
«Perché hai chiamato?»
«Voglio solo sapere come stai.»
«E magari dove mi trovo, vero?» lo incalzò Akashi, e nonostante avesse la voce calma, a Tetsuya sembrò di sentirlo sospirare spazientito.
«Akashi-kun, io‒»
«Non chiamarmi più.»
Era vero che non c'era più nulla fra loro, ma sentir pronunciare ad Akashi quelle parole gli fece ugualmente male, tanto che Tetsuya si ritrovò a boccheggiare contro il cellulare senza riuscire ad articolare alcun suono.
«Vi chiamerò io quando sarà il momento.»
Akashi troncò la conversazione ancor prima di dargli modo di replicare.
Kuroko, dal canto suo, si rigirò il cellulare fra le mani e abbassò il capo sospirando rassegnato: aveva paura che Akashi fosse tornato come un tempo, non trovava altra spiegazione valida che potesse giustificare il suo comportamento sfuggente e vagamente aggressivo.
A Kagami bastò guardare il compagno per capire che era andata male, così gli circondò le spalle con il braccio e si lasciò abbracciare, invitandolo a coricarsi nuovamente accanto a lui: avrebbero aspettato insieme.

Ma l'ombra è il riflesso della luce, e se la luce si spegne non rimane niente.




Licenza Creative Commons
Quest'opera è distribuita con Licenza Creative Commons Attribuzione - Non commerciale - Non opere derivate 2.5 Italia.




L'angolino invisibile dell'autrice:

Ce l'ho fatta! *A*
Perdonate l'attesa, ma mi sto occupando anche di altre fanfiction (e al roleplay), quindi sono un po' più lenta, però cerco di dedicarmi ad Hall of Fame ogni volta che posso ;*;
Pensavo che questo capitolo venisse molto più corto, ma mi ha riservato una fantastica sorpresa. Non è lungo come l'ultimo, ma credo che sia altrettanto pieno di eventi (forse ce ne sono anche di più!)
Cominciamo subito in grande stile (?) con le ansie di Midorima e le bizzarre indagini degli ex membri della Generazione dei Miracoli, che hanno come sostegno le menti di Imayoshi e Hanamiya (è molto bizzarra come cosa, per questo mi piace). A proposito delle indagini, il “Board Games Center” è completamente inventato: a dire il vero non so neppure se esiste un centro specializzato in giochi da tavolo D:
Bene, adesso voglio che ringraziate tutti Hanamiya, perché senza quei maledetti schedari universitari non sarebbe successo niente fra Aomine e Kise, e invece, finalmente, siamo arrivati anche a loro.
Ho fatto agire Kise per primo, perché immagino che si sia reso conto di aver fatto un errore con Kuroko e ovviamente non ha voluto ripeterlo anche con Aomine (anche io, francamente, la penso così: se si ama una persona non la si lascia andare al primo tentativo fallito, ma si prova e si riprova. Magari alcuni la reputeranno una visione piuttosto egoista della cosa, e molto probabilmente è così, ma io sono una persona che ha la testa dura e fa di tutto pur di ottenere ciò che vuole, quindi ho finito per traslare la mia idea anche nel piccolo Kise ;*; ).
Dopo l'AoKise arriva ciò che sul gruppo ha fatto andare in fermento molte di voi. Vi dico semplicemente che Akashi farà la sua comparsa molto molto presto, ok? Quindi siate pazienti <3
Scusatemi per la scena ImaHana, ma shippo pure loro e ogni tanto li farò comparire (qui, in particolare, sono stati molto utili perché hanno fatto un po' da transizione fra la questione di Akashi e la festa di compleanno di Takao).
Ho voluto regalare un piccolo “cameo” alla sorellina di Midorima (e ripeto che i nomi “Sachiko” e “Kazumi” non sono ufficiali, ma scelti da me), e questo perché ero molto interessata a far apparire Midorima in un modo leggermente diverso: lo immagino molto meno tsundere con la sua sorellina, a cui è affezionatissimo, anche se ovviamente l'ho fatto arrossire lo stesso (beh, è colpa di sua sorella che se ne esce con certe frasi imbarazzanti!).
E infine, dopo tanti giorni di silenzio, Kuroko ha parlato e ha detto a Kagami di lui e Akashi (a questo proposito ho preso ispirazione da un prompt che vi linko: http://efpneupreussenaskblog.blogfree.net/?t=4932714 )
E vi linko anche la pagina FB: https://www.facebook.com/pages/Neu-Preussen-EFP/416393978469818
Come avrete notato, il capitolo ruota attorno al fatto delle luci che si prendono cura delle loro ombre, in particolare di Kagami e Midorima che si prendono cura di Kuroko e Takao. A questo proposito mi sto affezionando molto al ruolo che Midorima e Kagami ricoprono nella fanfiction ;u;
Ooook, spero di riuscire ad aggiornare presto, direi che dal prossimo capitolo in poi sarete proiettati in situazioni che non avreste mai immaginato (?), sicuramente sarò confusa anche io!
Alla prossima!

Ritorna all'indice


Capitolo 20
*** Capitolo XIX ***


Capitolo XIX





Ci sono parti di noi che muoiono insieme alla persona amata, inghiottite dalla sua assenza.

A poco a poco che ci si inoltrava nel pieno inverno, fino a raggiungerne il fulcro con temperature che arrivavano rasenti gli zero gradi centigradi, allenarsi diveniva sempre più difficile: c'erano giorni in cui non faceva altro che piovere, e quando smetteva il campetto restava ricoperto di foglie viscide e fango, mattine e sere in cui la pioggia cadeva mista a nevischio e risultava fastidiosissima anche su un solo millimetro di pelle scoperta, e notti in cui la temperatura scendeva effettivamente di qualche grado sotto lo zero, disseminando le strade di sottili lastre di ghiaccio molto difficili da individuare e sulle quali era facilissimo scivolare.
In quella situazione atmosferica disperata, gli ex Miracoli avevano continuato a frequentarsi al di là della sfera del basket e avevano deciso che ogni volta che la giornata lo permetteva si sarebbero ritrovati al campetto - a meno che non avessero avuto altri impegni -
Dagli ultimi di novembre, il quindici dicembre fu il primo giorno in cui, essendo il cielo coperto e le temperature sopportabili, riuscirono a ritrovarsi tutti.


«Ma come, Himurocchi? Già ve ne andate?» Kise esordì in una piccola lagna, inseguendo Himuro fuori dal campo.
«Già, mi dispiace, ma la ristrutturazione del negozio è più lunga e complicata del previsto.» Tatsuya forzò un sorriso, non tanto perché non fosse realmente dispiaciuto di lasciare gli altri così presto, ma piuttosto perché era stanco e provato da tutto il lavoro che ultimamente lo teneva occupato.
«Beh, non dovresti preoccuparti, Kise-kun.» Riko intervenne e attirò l'attenzione dei due «domani non è prevista pioggia e le temperature resteranno invariate, quindi ci ritroveremo di nuovo tutti qui.»
«Giusto.» Himuro annuì e si sistemò il borsone in spalla, per poi soffermare il proprio sguardo su Murasakibara, ancora in campo: a giudicare dal cruccio che aveva sul volto, doveva aver appena litigato con Kagami o con Aomine.
Tatsuya si ritrovò a sorridere senza fatica, senza neppure rendersene conto: era buffo come fosse cambiato in pochi mesi, perché, mentre fino a qualche settimana prima sarebbe stato felice di abbandonare i suoi ex compagni per dedicarsi alla ristrutturazione del negozio, ora sembrava non voler più uscire dal campo.
«Atsushi? Dobbiamo andare!»
«Muro-chin, ancora cinque minuti.»
«Me lo hai già chiesto, dieci minuti fa.»
Murasakibara gli rivolse un'occhiata piena di disappunto, poi sbuffò spazientito e si decise a lasciare la palla a Midorima, avviandosi fuori dal campo.
Tuttavia anche Aomine, Kagami, Kuroko e Midorima pensarono di approfittare del momento per prendersi una piccola pausa e reidratarsi.
«Ohi, Kise, pensi di tornare in campo?» Aomine sibilò non appena Himuro e Murasakibara si congedarono e un attimo prima di far aderire le labbra al collo della bottiglietta: nonostante lui e Kise avessero cominciato a frequentarsi non più come amici, ma come fidanzati, Daiki non aveva ancora scacciato del tutto quella sensazione di fastidio, di gelosia e di inferiorità che gli provocava il rapporto fra Ryouta e Tatsuya.
«Sì, sì! Stavo solo salutando Himurocchi e Murasakibaracchi!»
«Oh, se torni in campo, io e Kuroko vi sfidiamo in un due contro due.» Kagami si intromise, rigirandosi la palla a spicchi - evidentemente rubata a Midorima -, fra le mani.
«Come al solito.» Riko sbuffò spazientita e incrociò le braccia al petto, attirando l'attenzione dei presenti.
«Che c'è?» fu Momoi a incitarla a spiegare il motivo del suo disappunto.
«Sono sempre dispari.» sbottò poi, arricciando il naso: se ci fosse stato anche Akashi non avrebbero più avuto problemi di numero, ma di lui non si era più parlato e si attendeva ancora un segnale, molto probabilmente invano.
«Non preoccuparti, credo che me ne tornerò a casa.»
Quella voce, pur essendo sommessa, attirò l'attenzione di tutti: Midorima, che aveva ancora gli occhi fissi sullo screensaver del cellulare, aveva parlato.
«Ah? Fai l'offeso, adesso?» Aomine brontolò e parve essere l'unico a non accorgersi che qualcosa non andava.
«Midorima-kun, va tutto bene?» fu Tetsuya il primo ad avvicinarsi all'altro, cercando di catturare un indizio in più nel suo sguardo, nonostante fosse lontano e in parte anche assente.
«È successo qualcosa?» e anche Riko lo interpellò, mentre gli altri decisero di lasciargli la libertà di parola.
«No.» Midorima esitò per qualche istante «non credo, è solo che ho ...»
Shintarou si bloccò e continuò a fissare quel numero.
«Hai?» anche Satsuki si avvicinò, forse cercando di sbirciare lo screensaver del suo cellulare.
«Ho dodici chiamate perse, da parte di Takao.» mai gli era capitato di avere così tante chiamate perse, e il fatto che fossero da parte di Takao era un vero e proprio campanello d'allarme.
«Prova a richiamarlo.» quando Kise parlò, Midorima aveva già portato il cellulare all'orecchio, in attesa di una risposta.
Dopo aver atteso qualche minuto, chiuse la chiamata e si rivolse agli altri che, incuriositi, non avevano mai smesso di fissarlo.
«Non risponde, pare che abbia spento il cellulare. Sarà meglio che vada.»
«D'accordo. A domani, Midorima-kun.» Riko intese l'entità della situazione e lo lasciò libero di andare.
«Facci sapere!» e Kise, oltre che curioso anche abbastanza preoccupato, gli raccomandò di avvertirli il prima possibile.
«A domani.» infine Shintarou afferrò il borsone e si avviò velocemente in strada.


Non aveva motivo di preoccuparsi per Takao: lo Scorpione era terzo in classifica quel giorno, per cui era probabile che tutte quelle telefonate fossero perché gli era successo qualcosa di bello e sentiva l'urgenza di comunicarglielo, non per altro.
Midorima aveva deciso di fare un salto veloce a casa sua per cambiarsi e poi andare da Takao per controllare la situazione, e aveva confermato mentalmente quella prima possibilità quando, a pochi metri da casa sua, Kazunari non rispose neppure alla sua sesta chiamata.
Che motivo aveva di chiamarlo così tante volte e poi spegnere il cellulare? Midorima cercò di essere ottimista: forse gli era successo davvero qualcosa di bello ed era entusiasta di comunicarglielo, ma il cellulare si era scaricato e spento; poi si chiese perché gli avesse telefonato dodici volte e non avesse mai pensato di mandargli un sms: il che faceva intendere che volesse parlargli di persona, e che quindi doveva trattarsi di qualcosa di molto importante - o grave -
Shintarou accelerò il passo e girò l'angolo, ritrovandosi di fronte lo stesso scenario di sempre: un marciapiede grigio chiaro lungo un centinaio di metri, disseminato di foglie provenienti dagli alberi del piccolo parchetto di fronte a casa sua.
Essendo ormai in una zona di periferia, le case erano piccole e abitate da un solo nucleo famigliare, non erano appartamenti ed erano circondate da mura che Shintarou cercò di scavalcare con gli occhi, senza però smettere di camminare: sperava sinceramente di scorgere Takao in uno di quei giardini, ma era improbabile che si fosse sbagliato, visto che ormai conosceva come le sue tasche il quartiere.
Shintarou si fermò all'estremità della breve stradina di pietre che lo avrebbe portato alla sua porta e trasse un grande sospiro di sollievo: Takao era seduto davanti alla sua porta, aveva il capo chino e non mostrava il viso, ma lui avrebbe riconosciuto quei capelli anche fra mille.
«Come mai mi hai chiamato così tante volte? È successo qualcosa?» nonostante fosse sollevato di vederlo lì, Midorima si avvicinò con cautela e parlò lentamente, quasi avesse avuto paura di coglierlo alla sprovvista e spaventarlo.
Il silenzio di Takao lo destabilizzò: gli parve di scorgere un fremito sulle sue spalle e quando lo sentì tirare su col naso fece per chinarsi in cerca del suo viso, che sembrava non aver voglia di mostrare.
«S-Shin-chan.»
Midorima sgranò gli occhi e si paralizzò senza riuscire a chinarsi ulteriormente verso di lui: la voce di Takao era stata più simile ad un tremolio, era rotta dal pianto.
«Takao?» lo chiamò di nuovo, con voce più flebile: adesso cominciava ad avere paura.
«Shin-chan!» Takao alzò solo per un attimo il viso, per poi alzarsi e gettarsi contro il suo petto, ma a Shintarou bastarono quei pochi secondi per catturare ogni particolare dell'espressione di Kazunari: era distrutto, aveva il viso completamente rosso e gli occhi gonfi.
Da quanto stava piangendo? Perché stava piangendo?
Midorima non riuscì a ricambiare immediatamente quella stretta, questa volta non tanto per la sua natura timida e introversa, ma perché la voce rotta e tremante di Takao che continuava a chiamarlo fra un singhiozzo e l'altro lo aveva pietrificato.
Shintarou cominciò a percepire un dolore diffuso e intenso nel petto, sentì un nodo alla gola e boccheggiò, destabilizzato dalla sua stessa reazione: la stretta così forte di Takao, quasi come se avesse potuto contare solo su di lui e avesse deciso di abbandonarsi completamente alle sue cure, la sua voce impregnata di pianto e il calore delle lacrime contro il suo petto, fecero sì che anche gli occhi di Midorima si riempissero a loro volta di lacrime.
Shintarou si sforzò di cacciare indietro l'imminente pianto e ricambiò finalmente la stretta, sentendo Takao tremare fra le sue braccia: era stato chiaro fin da subito che le sue lacrime fossero di tristezza e non di gioia, ma quei singhiozzi e il fatto che stesse urlando contro il suo petto erano segno di disperazione.
Midorima era ancora confuso, non riusciva davvero a trovare una ragione che giustificasse quelle lacrime, ma non insistette e rafforzò la stretta, avvolgendo completamente Takao nel vano tentativo di proteggerlo da qualcosa che non era esterno ma veniva da dentro.
Midorima avrebbe voluto sciogliere la stretta per smettere di sentire il corpo di Takao tremare in quel modo, avrebbe voluto tapparsi le orecchie per impedire che quel pianto lo spezzasse, eppure si limitò a chiudere gli occhi e continuò ad abbracciarlo, pregando che quei singhiozzi finissero presto.


«Spero che Himurocchi e Murasakibaracchi si trattengano di più, domani.»
Lo sguardo di Aomine guizzò dall'asfalto umido al viso di Kise, poi sfiatò dalle narici e assottigliò lo sguardo.
«Quand'è che la pianterai di parlare di quello lì?»
«Eh?» Kise gli rivolse un'occhiata sorpresa: non era mai capitato che Aomine esternasse così il suo fastidio verso Himuro, anche se, ad essere sincero, Ryouta aveva notato fin da subito che non doveva stargli molto simpatico.
«Mi sto solo augurando che possano passare un po' più di tempo con noi.»
«Possiamo giocare benissimo anche senza quello lì.»
«E poi ho parlato anche di Murasakibaracchi, non solo di Himurocchi.»
«Adesso, ma di solito non fai altro che parlare–» Aomine arrivò quasi a mordersi la lingua per frenare le proprie parole: aveva resistito per settimane a quella scenata di gelosia e non aveva alcuna voglia di sfogarsi su Kise proprio ora che le cose per loro stavano andando bene.
Ryouta inspirò appena e gli rivolse uno sguardo pieno di disappunto, per poi scuotere appena la testa e incrinare le labbra in un sorrisino vagamente divertito «Aominecchi, Himurocchi mi sta simpatico, ma oltre questo non c'è nulla. Non hai motivo di essere geloso.»
«Mhn.» Aomine brontolò e si strinse nelle spalle, per poi soffiare il suo imbarazzo contro l'altro «e-ehi! Io non sono geloso!»
«Aominecchi! Non mi prendere in giro!» il sorriso di Ryouta si ampliò, lusingato dalla gelosia di Daiki.
Aomine, dal canto suo, si limitò a sbuffare e distogliere lo sguardo da quel sorriso che, al posto di metterlo a suo agio, lo stava imbarazzando ancora di più.
Non appena si fermarono di fronte alla porta di Kise, questo circondò il busto di Aomine con le braccia e lasciò aderire la propria guancia al suo petto.
«Aominecchi, vieni a dormire da me, stasera?»
Ad Aomine ci era voluto un po' per abituarsi agli abbracci improvvisi di Kise, ma a poco a poco aveva capito come controllarsi e aveva smesso di irrigidirsi per l'imbarazzo o per paura che l'eccitazione del momento lo tradisse; in quel momento, però, si immobilizzò e fu inizialmente incapace di parlare: “Dormire da me” significava dormire insieme, nello stesso letto, magari abbracciati, e c'era il rischio che gli saltasse davvero addosso, che non riuscisse a trattenersi.
«Nah, sarà per un'altra volta.»
«E dai, Aominecchi! Te lo chiedo da almeno una settimana e mi dici sempre di no!» Kise gonfiò appena le guance e sfregò la guancia contro il suo petto, per poi sollevare il viso e guardarlo negli occhi.
Aomine ricambiò lo sguardo e allacciò le mani dietro la schiena di Kise, poi, subito dopo aver sospirato la sua resa, parve rilassarsi.
«E va bene.» Aomine sciolse la stretta e gli fece cenno di restare in silenzio, poi si portò il cellulare all'orecchio e rimase in attesa per qualche attimo.
Quando Kise lo sentì dire a sua madre che avrebbe dormito da Momoi, dispiegò le proprie labbra in un sorriso e attese che chiudesse la chiamata.
«Grazie!» poi si sollevò in punta di piedi e gli stampò un bacio sulle labbra, che Daiki si ritrovò a ricambiare immediatamente.
Kise si scostò dal compagno e si affrettò ad aprire la porta, mentre Aomine si mise in cerca del contatto di Momoi.
«Ohi Satsuki, se mia madre te lo chiede, io sono a dormire da te, ok?»
Momoi rimase in silenzio solo per qualche attimo.
«Sei con Ki-chan?»
Aomine si morse il labbro inferiore e aggrottò la fronte, cercando di non badare al fastidioso pizzicore diffusosi nelle guance: era pronto a scommettere che Momoi stesse sorridendo.
«A te che importa?»
«Sì, sei con Ki-chan!» Satsuki accennò una risata e Daiki sbuffò infastidito, pronto a chiudere la chiamata.
«Ci vediamo domani.»
«A domani, Dai-chan!»
Per fortuna Momoi aveva accettato la loro relazione senza alcun problema, anzi quella notizia le era servita per rendersi conto che ciò che per un breve periodo di tempo aveva provato per Kise non era stato altro che la conseguenza alla delusione amorosa subita da Kuroko: un effetto collaterale che era scemato in poche settimane.
Aomine rimase immobile per qualche attimo, a fissare la porta socchiusa: Kise era già entrato e lo stava aspettando, avrebbero cenato e dormito insieme, proprio come una coppia e, pur non sentendosi davvero preparato ad una svolta del genere, era davvero contento che Ryouta fosse finalmente riuscito a convincerlo ad accettare, a telefonare a sua madre senza temere eventuali domande.
Non appena entrò, Aomine lo vide destreggiarsi col cellulare e sbuffò sommessamente.
«Ho appena finito io e ti ci metti tu?»
«Voglio chiamare Midorimacchi per assicurarmi che vada tutto bene.»
Aomine sapeva di non potere niente contro la curiosità di Kise, e poi, a pensarci bene, dodici chiamate perse erano davvero troppe e non era da escludere che fosse successo qualcosa di grave, per cui lo lasciò fare.
«Mhn ...»
«Che c'è?»
«Ha il cellulare spento.»
Kise ripose il suo sul tavolino del salotto e incontrò gli occhi del compagno.
«Vedrai che domani sarà al campetto.» Aomine si avvicinò e Kise si limitò ad annuire, permettendogli di afferrargli il viso fra le mani e di baciarlo: Daiki gli stava chiedendo semplicemente di smettere di pensare agli altri, di dedicare un po' più di tempo a loro, e Ryouta pensò che avesse ragione e si lasciò andare a quel contatto ormai abituale e al quale entrambi erano assoggettati e fedeli, come se fosse stata l'aria da respirare per vivere.


La previsione di Aomine si rivelò errata: Midorima non si presentò al campetto il giorno dopo e, a detta di Kise che aveva riprovato a chiamarlo, il suo cellulare risultava ancora irraggiungibile.
«Penso che dovremmo aspettare, magari è solo in ritardo, dopotutto lo sono anche Kuroko-kun e Kagami-kun.» Riko si pronunciò con voce calma e si mise a sedere sulla panca, dando un'occhiata oltre la rete del campetto, nella speranza di scorgere i tre mancanti all'appello.
«Però è strano, insomma, dodici chiamate perse non sono poche.» Momoi, che era seduta accanto a lei, parlò sommessamente, immersa nei propri pensieri e senza riuscire a scostare i propri occhi dalla superficie rossastra del terreno.
«Sono d'accordo con te.»
«Anche io.» sia Himuro che Kise si pronunciarono della sua stessa idea, mentre Aomine si limitò a sospirare spazientito, palleggiando con un movimento cadenzato e rapido della mano senza scostare i propri occhi da oltre la rete. Murasakibara, dal canto suo, continuò a masticare le sue caramelle preferite e si soffermò proprio sul movimento ritmico della palla a spicchi, seguendo i suoi movimenti con gli occhi, incantato come un bambino.
Aomine smise di palleggiare non appena intravide Kuroko e Kagami avvicinarsi all'entrata del campetto, così anche Murasakibara distolse la sua attenzione dal pallone e la rivolse ai due in procinto di raggiungerli.
«C'è Kuro-chin.» ovviamente non si curò di annunciare anche l'arrivo di Kagami, ma gli altri lo videro da loro, visto che si voltarono immediatamente e seguirono con lo sguardo il passaggio lento di Taiga e Tetsuya.
«Che facce ...» Kise sussurrò e tolse le parole di bocca a tutti i presenti.
«Deve essere successo qualcosa.» Aomine assottigliò il proprio sguardo per mettere ulteriormente a fuoco le espressioni che campeggiavano sui volti di Kuroko e Kagami: parevano scossi, avviliti.
Sia Aida che Momoi si alzarono dalla panchina e furono le prime a muoversi, raggiungendo i due all'entrata del campetto.
«Tetsu-kun, cosa c'è?»
Non fu Tetsuya a risponderle, ma Kagami, che attese l'arrivo di Aomine, Kise, Himuro e Murasakibara prima di porgerle il giornale.
«C'è stato un incidente.»
Inizialmente nessuno badò al giornale e tutti rimasero a fissare Kagami, con le labbra schiuse in un'espressione confusa e vagamente spaesata.
«Che tipo di incidente?» Riko gli strappò il giornale di mano, ancor prima che Momoi potesse trovare il coraggio di afferrarlo.
«L'aereo sul quale viaggiava Miyaji ...» nonostante stesse stringendo il giornale fra le mani, Aida continuò a guardare Kagami e boccheggiò, senza riuscire a parlare.
Gli altri sgranarono gli occhi e trattennero il fiato.
«È precipitato questa notte, non ci sono superstiti.»
Le dita di Riko arrancarono sulla carta del giornale e riuscì a trovare il coraggio di abbassare gli occhi solo in quel momento.
«Ka-Kagamicchi, scherzi, vero?» Kise balbettò appena e gli altri furono incapaci di parlare.
«No ...» Momoi, che aveva appena letto le ultime righe dell'articolo, dove venivano citati i nomi dei connazionali giapponesi morti nell'incidente, intervenne «no, non sta scherzando.»
«Non è possibile.»
«Miyaji è morto.»
Riko lasciò il giornale nelle mani di Satsuki, che si occupò di indicare il nome agli altri quattro, ancora increduli, spiazzati da quella notizia improvvisa e inaspettata.
«Ecco il perché di quelle dodici chiamate.» dopo diversi minuti di silenzio, Himuro fu il primo a trovare il coraggio di parlare e si sedette a terra, accanto a Murasakibara e Momoi.
«Takao-kun deve essere distrutto.» anche Riko si sedette a terra e decretò così il fatto che quel giorno la pallacanestro sarebbe stata fuori discussione.
Pochi attimi dopo anche Kise, Aomine, Kuroko e Kagami raggiunsero gli altri quattro e si sedettero di fronte a loro, si raccolsero in silenzio in un cerchio e i loro pensieri andarono a Takao e Midorima: mai si erano sentiti tutti così vicini, mai avrebbero pensato che fra loro si sarebbe creato un legame così forte.


Per qualche secondo, la vista e i sensi di Kagami si annebbiarono e quasi gli sembrò di aver dimenticato come si respirasse, anzi come si buttasse fuori l'aria, perché continuava ad inspirare e inspirare, con il viso sprofondato contro la spalla pallida di Tetsuya, ad inebriarsi del profumo e del sapore della sua pelle.
Non si sarebbe mai aspettato che fossero capaci di prendere quella decisione così in fretta, in contemporanea e soprattutto senza bisogno di parlare, ma sapere che Kuroko e Akashi non erano mai approdati alla tappa del sesso e immaginare il dolore di Takao per la perdita del compagno li aveva avvicinati a tal punto da farli riflettere su quanto si amassero, su quanto volessero proteggersi e non lasciarsi più.
Era bastato che Tetsuya restasse immobile sulla porta, ad osservarlo solo per una manciata di secondi in più del solito, e sorridesse, chiamandolo per nome. Erano bastati i suoi occhi, la sua voce e il suo sorriso, perché Kagami venisse investito da una foga molto simile a quella che provava durante le partite di basket.
Non sapeva esattamente come muoversi, perché voleva tutto di Tetsuya e sentirlo sospirare affannosamente sotto di sé lo rendeva ancora più avaro, faceva raddoppiare la sua adrenalina e la sua eccitazione di minuto in minuto.
Mentre le labbra di Taiga avevano scelto di stuzzicare principalmente il collo e le orecchie del compagno, con le mani si decise ad esplorare tutto il resto del corpo, ma quella impresa si presentò più difficile del previsto: era talmente eccitato, agitato e confuso da dimenticare cosa avesse toccato e baciato, non ricordava se le sue dita si fossero già strette intorno ai fianchi magri e asciutti dell'altro, se avessero già carezzato le piccole natiche sode e le cosce bianche; non sapeva esattamente, mentre gli torturava il lobo sinistro dell'orecchio, se avesse già fatto lo stesso anche col destro.
Nonostante fosse completamente in balia delle attenzioni di Kagami, forse più fragorose e meno contenute di come se le aspettava, Tetsuya riuscì - almeno per un po' - a tenere le redini e a guidare il compagno, ritrovandosi a supplicare qualche bacio con un gemito o una carezza in più lungo i fianchi con leggeri ondeggiamenti della vita.
La ferocia carnale di Kagami sembrò placarsi quando tutti i vestiti finirono a terra e si ritrovarono entrambi nudi, così vicini, occhi negli occhi e un poco destabilizzati dall'imbarazzo e dall'emozione della prima volta.
Nel breve istante in cui si ritrovò a pensare, per poi tornare all'azione e schiaffeggiare lontano ogni riflessione, Taiga pensò a quanto fosse strano: aveva passato molti anni a chiedersi se sarebbe mai riuscito a trovare la donna giusta per lui, aveva pensato di aspettarla, di cercarla, aveva provato a immaginarla, e ora stava per fare l'amore con un ragazzo, con Tetsuya, che nel suo immaginario aveva sostituito quella donna in un batter d'occhio.
Indubbiamente era una situazione strana, imbarazzante e confusionale, ma era bella, e Kagami non era mai stato così tanto eccitato in vita sua.
Ad ogni sospiro un poco più profondo e affannoso di Kuroko, si sentiva mancare il respiro e bruciare la pelle del viso, forse avvertiva addirittura dolore, ma l'eccitazione lo superava di gran lunga e lo sminuiva, perché due corpi nudi e innamorati che si sfioravano e si toccavano erano molto più importanti dei polmoni senza aria e del volto scottato: era qualcosa di eterno, una sensazione di pace e serenità di cui Kagami si sentiva già dipendente, assuefatto completamente dal profumo del compagno, dalle sue dita sinuose che gli carezzavano la schiena, dalle sue labbra gonfie di piacere che supplicavano un altro bacio e lo avevano chiamato sommessamente, fra un sospiro e l'altro.
Nello stesso istante in cui una delle mani di Kagami carezzò la coscia di Kuroko, spingendo le dita ad insinuarsi fra le sue natiche, furono colti entrambi da un intenso brivido di piacere che li spinse ad approfondire il contatto fisico.
Per un attimo, Taiga pensò di aver perso quasi completamente la cognizione di ciò che stava facendo e il controllo del corpo dalla vita in su: le dita indugiavano ancora fra le natiche del compagno, incapaci sia di procedere che di tornare indietro; i baci si erano arrestati, ma le labbra schiuse erano incollate alla spalla dell'altro, contro la quale non faceva altro che emettere aria bollente e dalla quale non riuscivano a staccarsi; il cervello era in tilt e la sua attenzione era tutta per le gambe tremanti, cariche di adrenalina, per l'erezione che supplicava di essere soddisfatta al più presto e per quel corpo minuto che sospirava di piacere sotto il suo.
Quando le labbra di Tetsuya tremarono, per pronunciare ancora una volta il suo nome, e le sue dita circondarono il suo membro per stuzzicarlo e donargli un vago sentore di piacere, Taiga emise un gemito sommesso e roco e si decise a baciare ancora la spalla dell'altro, per poi salire al collo e torturare un lembo di pelle bianca con i denti, penetrandolo con un dito e poi, dopo aver compiuto i primi movimenti, con un altro.
Visto che Tetsuya aveva già cominciato a soddisfare la sua erezione con movimenti rapidi e fluidi della mano, Taiga poté allentare almeno in minima parte la foga che altrimenti avrebbe potuto portarlo ad agire troppo frettolosamente, magari finendo per fare del male al compagno.
Un po' per inesperienza, un po' per la voglia implacabile di farlo suo immediatamente e sigillare finalmente un contatto che potesse portarli molto al di là di ciò che erano stati fino a quel momento, Kagami aveva cominciato a cercare disperatamente di frenare i propri istinti, di riprendere il controllo sulla propria mente e ragionare su ciò che stava facendo.
Tuttavia, avendo paura di cedere ancor prima di riuscire a congiungere il proprio bacino a quello del compagno, si decise a penetrarlo non appena i movimenti delle sue dita divennero abbastanza rapidi e fluidi; Kuroko, dal canto suo, accolse la sua decisione abbandonandosi sotto di lui e divaricando le gambe in un gemito sommesso.
i Taiga si insinuò dentro di lui con cautela e lentezza, fermandosi non appena le natiche di Kuroko entrarono in contatto con il suo bacino: prima di cominciare a muoversi, voleva abituarlo - e abituarsi - a quella sensazione, a quell'accadimento così improvviso e forse prematuro - dopotutto non avrebbe mai pensato che Tetsuya potesse essere così intraprendente ed era fermamente convinto che fosse una di quelle persone che in una relazione decidono di affrontare la tappa del sesso solo dopo mesi e mesi -.
Kagami stesso si sarebbe trovato in imbarazzo e a disagio di fronte all'idea di fare l'amore così presto, ma si parlava di Tetsuya, di quel ragazzo conosciuto tre anni prima e che a poco a poco gli aveva cambiato la vita in meglio: avevano già raggiunto l'intimità di due persone innamorate da molto tempo, forse anche prima di mettersi insieme, anche se c'era stato un momento in cui l'avevano persa e l'avevano dovuta cercare e recuperare.
Kuroko si lasciò scappare un flebile gemito di piacere non appena Kagami cominciò a muoversi dentro di lui, rivelandosi sorprendentemente attento e docile, probabilmente perché ancora succube della paura di compiere un gesto troppo avventato e fargli male. Tetsuya, però, non sentiva affatto male, la sensazione iniziale di bruciore aveva lasciato il posto ad un piacere che pareva avergli tolto completamente il fiato e smuoveva le sue viscere, facendogli inarcare appena la schiena e intrecciare le dita dei piedi.
Se quella era la strada verso la follia, visto che per un attimo pensarono entrambi di impazzire, l'avrebbero percorsa volentieri, fino alla fine e, perché no, per più volte.
La lingua di Kagami lasciò una scia umida lungo il collo arrossato del compagno, finché le labbra non approdarono alle guance morbide e leggermente imporporate, le baciarono e scivolarono fino all'angolo della bocca.
Non appena sentì le dita di Taiga carezzargli i fianchi e infliggergli piacevoli scosse nel basso ventre, Tetsuya inarcò ulteriormente la schiena e soffiò il suo piacere sulle labbra dell'altro, socchiudendo gli occhi: pur essendo inesperto e palesemente agitato, Kagami sembrava averlo capito perfettamente, sapeva dove toccare e come fare, sapeva dosare i propri movimenti e stava riuscendo a dargli un piacere che non aveva mai provato prima.
Le dita di Tetsuya tremarono e si intrecciarono dietro la nuca dell'altro, le labbra si incontrarono più volte, in schiocchi dolci e poi in un contatto più prolungato e passionale, finché Taiga non si aggrappò alle sue anche con le mani e aumentò la velocità dei suoi movimenti, costringendolo a cercare aria e a liberare sospiri accaldati e gemiti di piacere che di secondo in secondo si facevano sempre più forti e distinti.
Ascoltando la voce e il respiro di Kuroko rotti dall'eccitazione, Kagami perse di nuovo il controllo del cervello e si lasciò andare completamente alla libidine, permettendosi di aumentare ancora un poco la velocità dei propri movimenti e schiudendo le labbra per lasciar andare sospiri affannosi e profondi.
Le gambe di Tetsuya tremarono contro i fianchi di Kagami e con un po' di fatica iniziale, probabilmente a causa delle scosse continue di piacere che lo attraversavano da capo a piedi, riuscirono ad intrecciarsi intorno alla sua vita, come se avesse avuto paura che potesse interrompere il contatto da un momento all'altro - una cosa da pazzi, insomma -
Tetsuya fu il primo a raggiungere l'amplesso e a venire contro il ventre caldo di Kagami, ma anche lui non ci mise molto per arrivare all'apice del piacere e riempire il compagno del suo seme.
Dopo aver sfogato quella passione e soddisfatto la propria eccitazione, Taiga uscì lentamente dal compagno, ma rimase sopra di lui e chinò il viso per stuzzicargli ancora il collo, questa volta con baci più lenti e cauti: la dolce intimità che non avevano avuto tempo di dedicarsi perché investiti entrambi dalla voglia inarrestabile di fare l'amore, sopraggiunse proprio dopo il sesso, quando, pur ritrovandosi entrambi con la mente annebbiata e il respiro smorzato, vollero continuare a dimostrarsi il bene che si volevano.
Tetsuya afferrò il viso dell'altro fra le mani e si sollevò leggermente per baciarlo, più volte e con una dolcezza diversa, probabilmente influenzata dalla spossatezza e dell'eccitazione che a poco a poco aveva cominciato ad abbandonare il suo corpo, lasciandogli comunque una piacevole sensazione addosso. Kagami, dal canto suo, ricambiò il bacio e lasciò aderire la fronte a quella dell'altro, socchiudendo gli occhi in un sospiro affannoso.
«Kagami-kun?»
Kagami fu sollevato di sentire Kuroko chiamarlo di nuovo per cognome e non per nome come aveva fatto fino a poco prima.
«Cosa?» la sua voce suonò molto più flebile e tremante di quella del compagno: non immaginava che fare l'amore con Tetsuya potesse devastare così tanto ogni centimetro del suo corpo.
Tetsuya gli afferrò nuovamente il viso fra le mani e lo guardò, lasciando sprofondare la testa nel cuscino.
«Ti amo, Kagami-kun.»
Taiga si ritrovò ad incatenare i propri occhi a quelli dell'altro e deglutì appena, sentendo una vampata di calore stuzzicargli le guance: non c'era dubbio sul fatto che Tetsuya riuscisse a metterlo spesso in imbarazzo, ma non era mai capitato che lo facesse in quel modo.
Taiga non fu infastidito da quelle parole, né lo misero a disagio, ma piuttosto fu felice di sentirgliele pronunciare e gli avrebbe chiesto volentieri di ripeterle.
Dopo qualche attimo di esitazione, lasciò che la fronte si corrugasse in un cruccio appena visibile e che le labbra si increspassero in un piccolo sorriso imbarazzato.
«Anche io.»
Taiga si sentì improvvisamente più leggero e Tetsuya sorrise, circondandogli le spalle con le braccia.
Kagami non disse altro e lo strinse a sé, osando un poco più di forza: adesso che lui e Kuroko erano uniti sia mentalmente che fisicamente, lo spettro di Akashi non gli faceva più paura.


«Kagami-kun?»
Taiga si chinò per controllare la fiamma e poi si voltò verso il compagno, seduto a tavola in attesa che la cena fosse servita.
«Che c'è?»
«Pensavo ...»
Kagami si morse istintivamente il labbro: quella parola non gli piaceva affatto, soprattutto se pronunciata da Kuroko.
«Vorrei provare a richiamare Akashi-kun, dopotutto è passato un po' da quando abbiamo parlato.»
«Non aveva detto che vi avrebbe chiamati lui? Forse non è ancora il momento.» ovviamente Kagami non voleva schierarsi contro Kuroko e difendere Akashi, anzi, ma il motivo per cui gli disse così era molto semplice: non gli piacevano affatto le serate in cui il loro argomento principale era l'ex capitano del Teikou, voleva che Tetsuya imparasse a non pensarci e ad aspettare il momento giusto, al posto di continuare a sbattere la testa contro un muro che non avrebbe scalfito neppure al millesimo tentativo.
«Lo so, ma sono preoccupato.»
Taiga inarcò un sopracciglio e sfiatò spazientito, spegnendo il fuoco.
«Pensi che possa essergli successo qualcosa?»
«Di certo ciò che è accaduto con suo padre non è un fatto positivo, ma non so se possa essere successo altro. Come mai, poi, non si trova in Giappone? Dove potrebbe essere andato?»
Kagami si strinse nelle spalle e sistemò la pentola al centro del tavolo.
«Kuroko, tu pensi troppo.» sfiatò, immergendo il mestolo per raccogliere il brodo e sistemarlo nel piatto del compagno «se vuoi chiamalo, ma se ti sgrida non dire che non ti avevo avvisato.»
«Non è mica mia madre.»
«Ok, ma sbrigati, se no il brodo si fredda.»
«E neanche tu sei mia madre, Kagami-kun.»
Taiga arricciò il naso e fece per protestare, ma dovette rinunciare all'idea, perché Tetsuya aveva già il cellulare fra le mani.
Kagami riempì anche il suo piatto e rimase in silenzio, in attesa che fosse l'altro a parlare; Kuroko, dal canto suo, trattenne il fiato finché non udì la voce di Akashi.
«Non ti avevo detto di aspettare?»
Tetsuya boccheggiò, indeciso su cosa dire: il tono di Akashi era alterato dal nervoso, probabilmente non gli piaceva l'idea che Kuroko gli avesse disubbidito e fosse tornato ad insistere.
«Lo so, Akashi-kun.»
«E allora perché mi hai chiamato?»
«Sono preoccupato.»
Akashi gli rispose col silenzio.
«Voglio solo sapere se stai bene, se non vuoi dirmi dove ti trovi non importa, ma almeno potresti–»
«Quanto sei testardo, Tetsuya.»
Questa volta fu Kuroko a restare in silenzio: cercò qualcosa da dire ma non lo trovò, si arrese all'idea che Akashi lo avrebbe liquidato come l'ultima volta.
«Ci tieni così tanto a saperlo?»
Tetsuya sgranò gli occhi e trattenne il respiro: Akashi stava per dirglielo?
«Certo che ci tengo, per favore, Akashi-kun ...»
Taiga sollevò i propri occhi dal piatto fumante e fulminò con lo sguardo il compagno, sfiatando dalle narici, ma Tetsuya, ovviamente troppo concentrato su quella conversazione, non lo notò neppure.
Akashi inspirò e rimase in silenzio solo per un istante.
«D'accordo, se ci tieni così tanto te lo dirò.»

E parti di noi che tornano a galla quando qualcun altro decide di salvarci.




Licenza Creative Commons
Quest'opera è distribuita con Licenza Creative Commons Attribuzione - Non commerciale - Non opere derivate 2.5 Italia.




L'angolino invisibile dell'autrice:

O-ok.
Se leggendo questo capitolo avete pensato di uccidermi … non fatelo. Non fatelo, perché altrimenti non potrete sapere come andrà a finire la storia! D:
Quando ho controllato e riletto la parte MidoTaka sono stata sorpresa di trovarla così breve, perché quando l'ho scritta mi è sembrata lunga un'eternità, ed è stata tutta colpa di “Someone like you” (canzoni allegre, insomma!) e delle lacrime ti Takao. Ho frignato come un'idiota quando l'ho scritta (sì, anche io piango, anche io sono umana (??)).
In questo capitolo ho dato meno spazio all'AoKise, è vero, ma vedrete che recupererò presto questa mancanza!
E niente … il morto in questa fanfiction ci mancava, no? L'idea di uccidere Miyaji nell'incidente aereo l'ho avuta fin dall'inizio, anche se mi sono fatta male da sola (voglio bene a Miyaji, anche se in questa fic non è neanche comparso ;u;'').
Passare da una notizia simile al sesso non è molto carino da parte mia, ma devo portare avanti la storia di ogni coppia e penso che sia stata proprio la notizia della morte di Miyaji a smuovere qualcosa, sia in Kuroko che in Kagami. Probabilmente si sono chiesti entrambi: “E se fossi al posto di Takao? E se la persona che amo fosse morta?” e questo li ha spinti (per la mia e la vostra gioia) a fare l'amore.
Stranamente sono anche abbastanza soddisfatta di questa parte ;*; (e sì, Kuroko l'ha chiamato Taiga).
Dall'ultima alla penultima scena c'è un piccolo salto temporale (roba di due giorni, tipo) e prima di dirvi un'ultima cosa mi faccio pubblicità: https://www.facebook.com/pages/Neu-Preussen-EFP/416393978469818?ref=hl
Ovviamente ho interrotto sul più bello (vi supplico di nuovo di non uccidermi, se state pensando di farlo ;3; )
Nel prossimo capitolo … beh, potete immaginare su cosa sarà il prossimo capitolo. Non aspettatevi qualche entrata epica/trionfale/fantastica/wowow(?) … non ci sarà.

Ritorna all'indice


Capitolo 21
*** Capitolo XX ***


L'angolino invisibile dell'autrice:

Ooook, ci siamo.
Innanzitutto vi chiedo scusa: avete aspettato tanto e per cosa? Per un capitolo cortissimo e pure piuttosto … scialbo? Non so bene quale termine sia meglio utilizzare, ma non ne sono convinta.
Gestire un capitolo con due soli personaggi (due personaggi che non so muovere, vorrei precisare) è stato molto difficile.
Spero che a voi piaccia più di quanto piace a me: ci sentiamo a fine capitolo, visto che avrò ancora qualcosina da dire!




Capitolo XX





Le anime si sfaldano, lentamente cadono a pezzi: tutti hanno paura di morire.

Conosceva bene quel rumore: era puntuale, cresceva a poco a poco e così, gradualmente, anche l'atmosfera nella stanza pareva alleggerirsi, e poi scemava in un sordo brontolio sotto la finestra sterile, oltre le tapparelle appena sollevate per permettere alla fredda luce invernale di illuminare un angolo del letto.
Quello era il suono che lo svegliava la mattina, ed era meglio di qualsiasi altra cosa, perché lo avvisava dell'arrivo imminente dell'unica persona che lo faceva stare bene.
Quando il rombo della moto si affievolì fino a perdersi in un'eco destinata a spegnersi, immaginò che scendesse con un po' di fretta dalla Harley-Davidson e si togliesse il casco con un gesto di stizza - non perché fosse arrabbiato, ma perché aveva fretta, e ormai, lui lo sapeva, lo aveva capito, aveva l'apprensione che scalpitava fino alla punta delle dita -, poi lo vide stringersi nella giacca di pelle e sospirare contro il vento gelido della Svizzera - perché era inverno e le temperature dovevano essere molto più basse di quelle giapponesi, e anche se lui non poteva provarlo sulla sua pelle, era convinto che dovesse fare un gran freddo -, finché non se lo figurò mentre faceva il suo ingresso nella clinica, contando i passi che dalla soglia lo separavano dall'ascensore, e poi contando i piani, e ancora i metri di distanza fra la gabbia metallica e la sua stanza.
Quinto piano, in fondo al corridoio a destra.
C'era voluto un po' di tempo per abituarsi all'ambiente, per accettare la situazione, ma la collocazione della stanza l'avevano imparata immediatamente e non avevano fatto altro che ripeterla, da mesi era il loro mantra, un pane quotidiano che, purtroppo, aveva crosta e mollica avvelenati.
«Stai già studiando?»
Qualunque fossero le prime parole della giornata, gli bastava ascoltare la sua voce per ritrovare un po' della forza persa quando si ritrovava solo con se stesso, con le sue congetture e, a seconda dei giorni, il suo ottimismo smisurato o il suo pessimismo più che giustificato ma poco salutare per l'organismo e decisamente sconsigliato da chiunque gli stesse intorno.
«Sono appena le nove, non dovresti sforzarti così tanto.»
Sì, il rombo prolungato e brusco di quella moto, che molti parevano non gradire affatto, era il suono che lo svegliava ogni mattina e che era meglio di qualsiasi altra cosa.
«Sto meglio, vedrai che non mi stancherò. E poi ho appena iniziato.»
Meglio di qualsiasi altra cosa, perché era il suono che preannunciava l'arrivo di Nijimura.
Akashi era determinato, sicuro di vincere quella sfida, ma il silenzio dell'altro portò la sua attenzione lontana anni luce dalle pagine del libro che stringeva fra le mani e teneva poggiato al petto.
«Stai pensando che non resisterò più di un paio d'ore, vero?» lo incalzò Seijuurou.
Shuuzou restò in silenzio.
Dopotutto lo sapevano entrambi che gli sforzi di Akashi erano vani e che si sarebbe stancato presto: stava lottando da mesi contro qualcosa di più grande di lui, qualcosa che scorreva nel suo sangue e non voleva andarsene, qualcosa che gli risucchiava le energie e che a poco a poco lo aveva sciupato.
Akashi era sfiorito, e se non gli fosse rimasto accanto per tutto quel tempo, Nijimura avrebbe fatto fatica a riconoscerlo.
«Hai fatto colazione?»
«No.»
Nijimura sospirò spazientito, ma non disse nulla: ormai aveva capito che non era colpa sua, rifiutare il cibo non era un capriccio, ma solo una normale conseguenza della terapia, l'effetto collaterale degli antitumorali.
Akashi tornò al suo libro: non gli piaceva che Nijimura lo tempestasse di domande, soprattutto se riguardavano il suo stato di salute, quindi preferì riprendere con la lettura di un'antica poesia giapponese.
Shuuzou si comportò come al solito: barcollò fino alla finestra, sollevò lentamente le tapparelle, per dare modo agli occhi dell'altro di abituarsi alla luce del sole, e poi tornò al suo posto, assorto nei propri pensieri e senza mai staccare gli occhi dalla figura silenziosa e smagrita di Akashi.
La leucemia aveva portato via la madre di Seijuurou molti anni prima, ed ora aveva intaccato anche il sangue dell'unico erede della famiglia Akashi, ormai decaduta.
Si erano messi insieme due mesi prima della fine della terza superiore, poco dopo che Nijimura aveva fatto ritorno dagli Stati Uniti, e subito dopo aver terminato l'anno, Akashi si era trasferito da lui e aveva definitivamente rotto con suo padre. Verso la metà di giugno, però, aveva cominciato a soffrire di un male sconosciuto: aveva la febbre alta, i brividi, e da un primo esame era risultato affetto da anemia, il che aveva fatto insospettire i medici che avevano analizzato la situazione più a fondo e gli avevano diagnosticato la leucemia.
Quella di Akashi era la leucemia mieloblastica acuta, un tipo abbastanza diffuso e meno pericoloso di quello che aveva portato via sua madre.
Preferendo tenere da parte i soldi che miracolosamente era riuscito a sottrarre alle grinfie del padre, - era stato proprio lui a versarli sul conto del figlio in quegli anni, ma era probabile che avesse intenzione di attingere a quella ricchezza per estinguere almeno in parte i suoi debiti -, Akashi aveva optato per l'ospedale pubblico e aveva cominciato le prime cure, che consistevano in trasfusioni di piastrine e trapianti di midollo osseo; la scelta di partire per la Svizzera e sottoporsi alle cure di una clinica privata era sopraggiunta solo a fine luglio, quando il dottore gli aveva annunciato per l'ennesima volta che non c'erano miglioramenti e aveva ipotizzato che l'aria di montagna e le cure specialistiche avrebbero potuto aiutarlo - dopotutto, nonostante si trattasse di un ospedale pubblico e la sua famiglia fosse caduta definitivamente in malora, il cognome degli Akashi si conosceva, aleggiava ancora sulle labbra delle persone e pareva magicamente ammantato di un'immagine che si apprestava a perdere la propria positività ma che ancora la conservava -.
Condividendo lo stesso male che tanti anni prima aveva portato via la sua unica ragione di vita, Akashi si era trovato in uno stato di prostrazione mai conosciuta: si era sentito pericolosamente vicino a lei, non c'era cosa che non la riguardasse, dalle fronde scure che, smosse dal vento, scorgeva muoversi freneticamente oltre i vetri delle finestre, all'odore speziato e intenso di alcool.
I medici gli avevano ribadito più volte che la salute fisica del paziente dipendeva in gran parte dal suo cervello, e se c'era uno che aveva una raffinatissima abilità nel convincersi di essere invincibile, quello era proprio Akashi, ma trovarsi lontano da casa, chiuso in una stanza bianca, a combattere contro il male che aveva portato via sua madre e senza un padre lo aveva abbattuto più del previsto, e la situazione era peggiorata dal momento in cui il dottore gli aveva prescritto, come unica soluzione rimasta, la chemioterapia.
Era stato grazie a Nijimura che aveva recuperato la sua determinazione e la sua sicurezza: dal momento in cui lo aveva sorpreso mentre piangeva in silenzio, accanto al suo letto, Akashi aveva deciso di combattere per lui, di combattere contro la malattia nonostante non avesse ottenuto ancora nessun risultato positivo.
Aveva perfino cominciato a studiare, anche se non sapeva se e quando sarebbe potuto tornare a casa: voleva andare all'università, voleva studiare le lingue e la letteratura, e nel mentre sia lui che Nijimura avrebbero cercato un lavoro per pagare l'affitto di una piccola casa e per mettere da parte qualche soldo per un'abitazione più grande e un futuro più bello.
Era una fortuna che i dottori avessero capito che la fonte della forza di Akashi era Nijimura: da almeno un mese, Shuuzou aveva il permesso di venirlo a trovare a qualsiasi ora del giorno e, se voleva, poteva restare anche per tutta la notte e per una settimana intera senza mai tornarsene in albergo.
Era l'unico davanti al quale Akashi non aveva paura di mostrare anche il lato più vulnerabile, le palpebre stanche e arrossate, le labbra screpolate o i capelli più fini e radi a causa delle medicine e degli antibiotici, così come non si sentiva debole nel dirgli che no, per l'ennesima volta non aveva mangiato e che subito dopo la seduta aveva vomitato.
«Domani alle undici mi faranno l'esame del sangue e poi la radiografia.»
Nijimura rimase ad osservarlo in silenzio, un po' sorpreso di sentirlo parlare di nuovo, visto che gli sembrava assorto nella lettura di quella poesia - forse, però, era tutta apparenza; non lo si poteva biasimare, dopotutto, se in quella condizione non riusciva a concentrarsi su ciò che faceva -.
La chemioterapia presentava sempre molti effetti collaterali, e Akashi, in particolare, era sempre molto stanco, aveva perso quasi del tutto l'appetito e il sonno, e solo ogni tanto, pur essendo una delle conseguenze più comuni, rimetteva.
Quando gli sentiva dire che stava meglio, come quella mattina, ad esempio, Shuuzou cercava sempre di rimanere con i piedi ben puntati per terra: sapeva che non bisognava illudersi, il dottore gli aveva spiegato immediatamente che il benessere del paziente non era strettamente collegato alla buona riuscita dei cicli di chemioterapia, che i veri risultati si poteva ottenere solo dagli esami medici ai quali Akashi veniva sottoposto sempre più spesso.
Il tonfo sordo del libro che veniva chiuso lo fece sobbalzare e riportò i suoi occhi sulla figura di Akashi: doveva dirgli qualcosa, forse era per quello che non riusciva a concentrarsi nella sua lettura.
«Ieri sera Tetsuya mi ha telefonato di nuovo.»
«Quando?»
«Quando sei andato a parlare con il dottore.»
Possibile che tutte le cose interessanti capitassero quando lui non si trovava lì? Gli bastava assentarsi per dieci minuti o poco più per perdersi gli unici accadimenti interessanti.
«Dovresti parlargli.» Nijimura era sempre stato di quell'idea e anche in quel momento non perse l'occasione di ribadirglielo: Akashi non aveva ragione di provare così tanta frustrazione verso gli ex Membri della Generazione dei Miracoli, non aveva senso vergognarsi del suo stato di salute, visto che non era colpa sua, non dipendeva da lui e loro, di certo, non avrebbero riso della sua condizione, visto che ormai erano tutti persone adulte e responsabili - più o meno -.
Nijimura voleva che Akashi si mostrasse meno inflessibile nei confronti di quelle telefonate: Midorima, Kuroko e tutti gli altri erano preoccupati, volevano sapere di lui e avrebbero potuto dargli qualche notizia, avrebbero potuto parlargli del basket e magari fargli tornare la voglia di giocare, incitarlo a combattere e a stringere i denti.
Ad Akashi mancava terribilmente il basket, più di ogni altra cosa. Accanto al letto, al posto dei fiori, c'era il pallone a spicchi, e più volte lo aveva sorpreso ad osservarlo attentamente, immerso in chissà quale fantasia.
Dopo tutti quei mesi passati a letto e dopo la chemioterapia, che lasciava sempre molta stanchezza nel paziente, sarebbe stata dura ricongiungersi al basket, anche per un giocatore del calibro di Akashi, e lui lo sapeva, ne era stato consapevole fin dall'inizio.
«Gli ho parlato.»
La voce imperturbabile di Akashi riecheggiò nella grande stanza sterile; Nijimura sussultò e gli rivolse un'occhiata silenziosa, incitandolo ad andare avanti.
«Sapevo che non si sarebbe arreso.» e in un certo senso, dopo averci ragionato per settimane, - dalla telefonata di Midorima -, Akashi aveva capito che non valeva la pena di nascondere la sua condizione, soprattutto ad una persona ragionevole come Kuroko.
«Alla fine gliel'ho detto.»
Nijimura rimase in silenzio e si afferrò il mento fra le mani, pensieroso, sfiatando flebilmente: chiedere come l'avesse presa Kuroko sarebbe stato inutile, perché in una condizione simile si poteva prevedere facilmente ogni possibile reazione - oltretutto, pur riuscendo ad immaginarne di diverse, erano tutte molto simili -.
«C'è qualcosa che vogliono chiedermi.» Akashi fece una piccola pausa e sfregò appena la schiena contro il grande cuscino, sistemandosi al meglio «c'è qualcosa che vuole chiedermi, lo so, ma Tetsuya è stato sorpreso dalla notizia della leucemia e non l'ha fatto.»
«Di cosa potrebbe trattarsi?»
Seijuurou restò in silenzio e guardò il muro bianco che, immenso, si stagliava a qualche metro dai piedi del suo letto: era quasi certo che Tetsuya volesse parlare della Generazione dei Miracoli, che fossero già tutti coinvolti e che, in silenzio, aspettassero.
«Dell'unica cosa che ci tiene ancora legati.»
Shuuzou aggrottò la fronte e arricciò le labbra, infastidito dallo stridio che nacque dall'attrito delle parole dell'altro con l'aria tiepida della stanza: probabile che si trattasse del basket, magari di una questione del passato rimasta irrisolta, ma che quella fosse l'unica cosa a tenerli legati- ed era sicuro che Akashi non si riferisse solo al suo legame con Kuroko, ma anche al resto della leggendaria Generazione dei Miracoli -, era un enunciato che la mente del più grande catalogò come “fuori dal mondo” o qualcosa del genere.
Senza dubbio, la pallacanestro costituiva un legame indissolubile che teneva ognuno di loro stretto agli altri, anche contro la propria volontà, ma Nijimura sperava ardentemente che i rapporti fra gli ex membri della Generazione dei Miracoli andassero oltre un pallone da basket, che lo scambiarsi due parole fosse dettato dal sentimento dell'amicizia, piuttosto che dalla necessità di fare lavoro di squadra durante una partita di allenamento. In passato li aveva visti frantumarsi, dividersi, era stato partecipe dei primi scontri, spettatore dei primi silenzi e della discesa silenziosa verso la rovina, e poi aveva conosciuto, almeno in parte, il gusto amaro delle amicizie perdute, chiuse in un cassetto e all'apparenza irrecuperabili: il basket era stato il loro veleno e non era sicuro che fossero riusciti a trovare un antidoto, per cui era preoccupato della possibilità che Kuroko volesse parlargli proprio di quello, era turbato, non voleva che l'antico e pesante clima d'astio tornasse a diffondersi non appena Akashi sarebbe tornato a Tokyo. Perché sarebbe tornato, anzi sarebbero, e questo ormai lo dava per scontato.
Forse era una sciocchezza, ma Nijimura credeva talmente tanto nell'effetto della mente sull'organismo che anche lui si era dato una scossa e si era deciso ad essere sempre il più ottimista possibile, si era convinto che così avrebbe facilitato una visione positiva delle cose anche ad Akashi.
«Immagino che si farà risentire, comunque.» Akashi aprì nuovamente il libro e sfogliò poche pagine, ritrovando quasi subito la poesia abbandonata poco prima «magari saprò di cosa si tratta proprio questa sera, o anche domani. Non importa, non ho fretta.» anche perché non c'era posto dove potesse andare ed era perfettamente cosciente che la sua condizione rendeva lontana anni luce la possibilità di riprendere col basket - sempre se di quello si fosse trattato -.
«Sicuramente lo farà non appena uscirò dalla stanza.» Nijimura borbottò e Akashi gli rivolse un piccolo sorriso divertito, poi gli occhi scarlatti vagarono lentamente nella sclera bianca e divennero definitivamente lo specchio di quella pagina. Mentre riprendeva la lettura, però, Akashi sentì che quelle parole erano estranee, come pioggia risuonavano lontane, cadevano lente nell'ammasso freddo e nero del silenzio, che aveva come unica funzione quella di ingabbiare i suoi pensieri e separarli da quelli degli altri.
Cocciuto e imperterrito rilesse ancora una volta quelle due righe e poi si fermò al punto, cercando di scacciare via il pensiero che gli martellava nella testa ma che, come effetto collaterale, si ripresentò con più vigore di prima: finalmente suo padre aveva smesso di chiamare la clinica.
Non capì perché gli fosse venuto in mente un pensiero simile in quel momento, mentre cercava di riempire la sua mente con più nozioni possibili proprio per scacciare via i tormenti personali e, soprattutto, l'immagine del padre, ma da almeno un mese a quella parte, ogni volta che ci rifletteva su, si rasserenava almeno un poco.
Era nauseante sapere che, fino ad un mese prima, suo padre lo aveva chiamato soltanto per i suoi interessi, forse per chiedergli dei soldi in prestito o magari per ordinargli di tornare a casa, per rinfacciargli che col suo comportamento da immaturo ed incosciente aveva disonorato il nome degli Akashi. A dire il vero aveva solo immaginato che le motivazioni delle sue chiamate fossero quelle, ma conoscendo suo padre le sue ipotesi erano molto probabili; non gli importava cosa volesse, e per questo aveva rifiutato tutte le chiamate: non aveva intenzione di tornare indietro, non sarebbe tornato da quell'uomo arido e triste neppure se lo avesse supplicato in ginocchio.
Era buffo che la voce di sua madre, a distanza di anni, gli mancasse ancora e che, invece, non avesse sentito la necessità di quella di suo padre neppure per un secondo: lo odiava, lo odiava davvero e da quando era nato, per quanto riusciva a ricordare.
Fin da piccolo, Akashi era stato detentore di una spiccata intelligenza, era un bambino eclettico e dalle mille risorse che, oppresso dalle manie di onnipotenza del padre, aveva conosciuto in tempi fin troppo brevi cosa fosse l'ambizione, aveva promesso di non fallire mai, ma la paura di diventare come quell'uomo, che non aveva neppure mai pianto per sua madre, gli aveva permesso di mantenere una certa distanza, seppur minima, e un po' di lucidità, nascosta in un remoto angolo dell'animo e in attesa di uno scossone che potesse ridestarla. Era stato proprio Kuroko a dargli quello scossone, proprio lui lo aveva aiutato a compiere il primo passo per allontanarsi dallo spettro autoritario del padre; dopo di che, Akashi aveva continuato da solo, e poi con il sostegno di Nijimura, riuscendo finalmente a liberarsi da quelle catene che per lungo tempo gli avevano impedito di godere della spensieratezza dell'infanzia, delle scoperte giovanili e della passione per il basket - sempre più insana, sempre più logorante -.
Se doveva essere sincero, senza suo padre si sentiva più libero che mai - benché arginato nella stanza sterile di una clinica in Svizzera, inchiodato a letto dalla leucemia -.
L'irruente e confuso sciabordio dei suoi pensieri venne interrotto non appena avvertì le dita tiepide di Njimura sfiorargli la fronte, scostargli i capelli.
Seijuurou chiuse gli occhi e, come al solito, cercò di imprimersi nella mente tutta la marea di emozioni che potevano scaturire da un semplice bacio sulla fronte e che, addirittura, rimanevano indelebili anche per giorni.
Nijimura si annoiava, e dopotutto non poteva biasimarlo: ormai era diventato una sorta di assistente personale e conosceva tutti i medici del reparto, quindi si era ambientato perfettamente, ma passare quasi tutto il giorno su una sedia, a guardarlo mentre studiava o mentre dormiva, e quindi senza poter parlare, doveva essere alquanto noioso, per cui ogni volta che Shuuzou decideva di lasciare la stanza, Seijuurou lo lasciava andare cercando di indovinare entro quanto tempo sarebbe ritornato: in quel momento, ad esempio, pensò che si sarebbe ripresentato due ore dopo, per dargli il tempo di studiare e assicurarsi che non si stancasse troppo.
Akashi combatté ancora per qualche istante con il pensiero di suo padre, poi, complice il silenzio piombato nella stanza e l'assenza della sagoma di Nijimura, che era quasi sempre fonte di distrazione, riprese a leggere e cominciò a capire.


Nijimura non conosceva a menadito solo l'interno della clinica, ma anche i dintorni e soprattutto il piccolo bosco oltre la strada, che era stato più e più volte lo scenario delle sue lunghe passeggiate e il custode dei suoi pensieri.
Quella mattina più di altre, perseguitato dagli spettri del passato e tormentato da quel rapido e disordinato accavallamento di ricordi nella sua testa, sentì il bisogno di addentrarsi nel boschetto e restare solo con se stesso, al freddo e nel silenzio.
Non appena i primi alberi, più piccoli e più spogli degli altri, come se essendo ai margini - e quindi più esposti al vento e alla pioggia - fossero rovinati e schiacciati dal peso degli anni, fecero ombra su di lui, lo scatto della zip crepitò nell'aria silenziosa e riecheggiò come un tuono in quel piccolo universo silenzioso.
Nijimura inspirò appena e assaporò l'odore umido delle felci lungo il sentiero e delle fronde più alte, congelate dall'aria spinosa e fredda. Era un'umidità secca, le narici e la bocca si congelavano ad ogni respiro, la gola si inaridiva, le labbra si screpolavano: presto sarebbe arrivata la neve.
In quel momento si chiese se Akashi avesse mai visto la neve, e il che era ridicolo visto che Seijuurou aveva solo un anno in meno di lui e, anzi, aveva trascorso anche più tempo in Giappone rispetto a lui, che alla fine delle medie era volato negli Stati Uniti per assistere suo padre.
Akashi era riuscito ad affrontare la malattia anche meglio di lui, in quei mesi, eppure non poteva fare a meno di considerarlo inerme come un bambino, sentiva la necessità costante di prendersi cura di lui, di proteggerlo anche quando non ce n'era davvero bisogno.
La paura di perdere Akashi, che si era insinuata in lui non appena gli avevano diagnosticato la leucemia, non lo aveva più lasciato e alcune volte si ripresentava con più forza e violenza, lo schiacciava, gli toglieva il respiro. Dopo tutti quei mesi passati a lottare senza ottenere neppure un briciolo di miglioramento, era ovvio che fossero entrambi stanchi, era normale avere la sensazione che la speranza scivolasse come acqua fra le dita, ma cercavano in qualche modo di farsi forza fra di loro, perché dopotutto a Shuuzou non rimaneva altro che Seijuurou, e così era anche per l'altro.
Avrebbe voluto chiamare immediatamente Kuroko, perché in quei mesi non aveva atteso altro se non un segno dagli ex membri della Generazione dei Miracoli: aveva la sensazione che la loro ricomparsa avrebbe aiutato Akashi più del dovuto, in qualche modo ne avrebbero giovato entrambi, perché si sarebbero sentiti meno soli ed isolati.
Aveva paura che le sue premure non fossero più sufficienti per fare forza ad Akashi: c'era bisogno di qualcun altro, di Kuroko soprattutto.
Nijimura sospirò spazientito e si strinse nella giacca di pelle, socchiudendo gli occhi ed immobilizzandosi al centro del sentiero, in ascolto del silenzio: doveva arrendersi all'idea che il pensiero di non essere abbastanza lo avrebbe perseguitato ancora per molto, forse per sempre. Dopotutto nessuno poteva essere abbastanza per Akashi.


Akashi sorrise impercettibilmente non appena lo vide varcare nuovamente la soglia della stanza, e questo perché aveva avuto ragione su entrambe le cose: Nijimura si era ripresentato dopo un paio d'ore e, soprattutto, il suo organismo aveva resistito allo studio, anzi sentiva di disporre ancora di qualche energia.
«Hanno chiamato?»
«No.»
«Che ore sono adesso, a Tokyo?»
«Le diciotto.»
Nijimura sospirò appena, pensando con sollievo che Kuroko avrebbe potuto telefonare da un momento all'altro e che almeno Akashi ci capiva qualcosa con i fusi orari.
«Come ti senti?»
«Non sono stanco.» ma Akashi chiuse il libro con tutta la calma del mondo e si lasciò scivolare lentamente nel calore e nella morbidezza delle coperte: gli conveniva comunque riposare un po', altrimenti Nijimura avrebbe continuato a chiedergli come si sentiva con l'espressione consunta dall'apprensione.
«Meglio così.» la mano del più grande scivolò e si insinuò fra le coperte stropicciate, in cerca di quella dell'altro. Akashi la afferrò, lasciò che le dita esili si intrecciassero a quelle forti di Nijimura e poi accennò un sorriso, inspirando profondamente e chiudendo gli occhi.
La voce di Nijimura la mattina era la cosa più bella, perché, qualsiasi cosa dicesse, Akashi recepiva un messaggio differente, un messaggio che celebrava la sua ennesima vittoria contro la malattia, il fatto che avesse superato un'altra notte - che fosse stata insonne o semplicemente piena di incubi -, un messaggio che lo esortava a combattere ancora, a non arrendersi fino a quando non avrebbe potuto uscire da quella stanza e poter percepire il vento freddo della Svizzera sulla sua stessa pelle.

Ma esistono persone che raccolgono i pezzi e li rimettono insieme, persone che con una carezza ti fanno passare la paura.




Licenza Creative Commons
Quest'opera è distribuita con Licenza Creative Commons Attribuzione - Non commerciale - Non opere derivate 2.5 Italia.




L'angolino invisibile dell'autrice II (?):

Ok, adesso lo sapete.
Non dite che non vi avevo avvertito, perché (lo ripeto per la centesima volta) questa storia segue le strade di ogni personaggio e si vuole concentrare soprattutto su come possano cambiare le cose (della serie che se vi sta andando bene, domani potrebbe andarvi male/viva l'ottimismo/o viceversa), e io ve l'avevo detto che non sarebbe stato un ingresso trionfale, anzi.
Cooomunque sia, non sono affatto soddisfatta del risultato, ma francamente non mi sentivo di mettere "su carta" un Akashi assoluto e intoccabile o un Nijimura dal sangue freddo e con la poker face (insomma, mettetevi nei loro panni).
Ci ho messo tanto a pubblicare un po' per insicurezza, un po' per problemi miei e un po' perché mi sono messa a fare ricerche sulla leucemia e sugli effetti collaterali della chemioterapia (che sono parecchi, ma mi sono concentrata più che altro sulla mancanza di sonno, di appetito e sulla stanchezza).
Spero che questo capitolo non mi costi l'abbandono di alcuni lettori, perché sicuramente alcuni (forse anche tutti) di voi saranno delusi eeee … beh, in tal caso vi prometto che mi rifarò.
Riguardo all'accenno di Nijimura in America, beh, è una cosa vera, visto che nella quinta light novel della serie ci viene raccontato proprio di Nijimura che va negli Stati Uniti per assistere il padre malato (e lì incontra Himuro, ma di questo parleremo fra qualche/leggasi: un centinaio/di capitoli).
Nel prossimo capitolo, che sarà più lungo, cercherò di dedicare uno spazio ad ogni coppia, quindi spero di scriverlo più velocemente e meglio di questo >-<
Alla prossima!

Ritorna all'indice


Capitolo 22
*** Capitolo XXI ***


Capitolo XXI





Neppure un'ombra deve arrendersi all'oscurità.

Mentre scorreva i volti esterrefatti dei presenti, Tetsuya percepì un fremito d'indecisione sulle proprie labbra: era come se si aspettassero qualcos'altro da lui, ma non c'era più nulla da dire.
«Akashicchi è …?» Kise non riuscì a dire altro, piuttosto si passò una mano fra i capelli ed inspirò profondamente, forse ripetendosi mentalmente che non poteva essere vero.
Per quanto fosse stato complicato per Tetsuya affrontare quel discorso, gli era sembrato di essere stato anche più chiaro e preciso di quanto si aspettasse: aveva spiegato brevemente che Akashi aveva acconsentito di parlare con lui e che gli aveva detto di trovarsi in Svizzera, in una clinica privata, perché malato di leucemia, e dopo quella notizia era giunta una desolazione agghiacciante.
Tutti stentavano a crederci, facevano fatica ad elaborare quella notizia e ad accettarla come vera, e Tetsuya non poteva biasimarli, visto che aveva fatto lo stesso nonostante avesse sentito quelle parole pronunciate direttamente da Akashi.
«Ma come sta? Insomma, sta guarendo?» fu Riko a parlare, perché Kagami già lo sapeva e gli altri parevano sotto shock, incapaci di muovere un solo muscolo e a malapena in grado di respirare.
«È stabile, non è mai migliorato.»
«Ma … per una leucemia?» Aomine indugiò, poi borbottò appena.
«Aomine-kun, la leucemia è un tumore del sangue. Akashi-kun sta seguendo dei cicli di chemioterapia.» questo li fece sprofondare maggiormente nel baratro del silenzio: non riuscivano davvero a concepire l'idea che il loro ex capitano fosse malato, che avesse un tumore e stesse seguendo dei cicli di chemioterapia.
«Non potremmo ...» Momoi si fece avanti con voce tremante «andare a trovarlo?»
«Sì, magari Aka-chin si sentirà meglio se lo andiamo a trovare.»
«Lo pensi anche tu, Mukkun?! Potremmo farlo davvero ...»
«Ragazzi.» Aida interruppe l'idillio, spazzò via i progetti campati in aria di Momoi e Murasakibara «avete pensato ai soldi? E agli impegni che alcuni di voi hanno? Di certo non potrete partire subito.»
Murasakibara, che sembrava non aver preso in particolare simpatia Riko, gonfiò appena le guance e rivolse lo sguardo altrove, sbuffando flebilmente; Momoi, dal canto suo, si limitò a mordersi le labbra in segno di resa.
«Prima di prendere una decisione simile dovremmo parlare con Midorima-kun.» Kuroko intervenne.
«Sì, forse è meglio che ci sia anche Midorimacchi, non ha senso se non ci siamo tutti.»
Tetsuya annuì con un cenno quasi impercettibile del capo.
«L'ho chiamato un'ora fa, ma il cellulare è spento.»
«Io ho provato a chiamarlo ieri sera, a casa, ma il telefono è staccato.» pronunciò con rammarico Momoi.
Infine, Tetsuya riprese: «Dobbiamo continuare a chiamarlo, non diamoci per vinti: prima o poi riusciremo a rintracciarlo.»


«Scusami, ma la moto mi ha dato qualche problema.» furono quelle le prime parole di Nijimura non appena varcò la soglia.
Akashi rimase in silenzio, gli occhi indugiarono per qualche secondo e poi si scostarono da quelle pagine e si rivolsero a lui, silenziosi e spenti.
Che fosse stanco non c'era dubbio, ma Shuuzou sapeva perfettamente che la mancanza di luce negli occhi del compagno veniva da qualcos'altro, così la sua espressione consunta dal disappunto traballò e si sbriciolò, lasciando il posto ad volto più calmo, sconsolato.
«Com'è andata?» era una domanda inutile, retorica, e lo sapeva, ma parlarne faceva bene a entrambi, perché anche se si trattava di brutte notizie era comunque qualcosa che li teneva con i piedi per terra, incatenati alla realtà, per quanto fosse crudele e severa.
«Stabile.»
Stabile, come sempre: ormai non serviva chiedere altro, Nijimura e Akashi avevano imparato che quel termine significava pura e straziante immobilità, era la parola che periodicamente sembrava rinfacciare ad entrambi che contro una malattia come quella non si poteva nulla, erano inermi.
«Maledizione!» Nijimura strinse i denti e si trattenne dal prendere a pugni la parete, sedendosi sulla sedia con così tanta violenza e velocità che la sollevò fin quasi a farla capovolgere.
Akashi, dal canto suo, rimase ad osservarlo senza dire nulla: lui, al contrario di Nijimura, sembrava molto più tranquillo, e non perché fosse rassegnato, ma perché credeva sinceramente che ce l'avrebbe fatta, che un giorno sarebbero arrivate anche le buone notizie.
«Sta calmo, Shuuzou: non credo ci voglia ancora molto.» forse il sentirsi meglio lo faceva illudere più del dovuto, ma Akashi sentiva che qualcosa stava cambiando, credeva di poter sperare davvero in un'eventuale guarigione.
«Torneremo a casa presto.» e sentire la voce debole ma sicura di Akashi, vederlo adagiare la testa contro il cuscino e chiudere gli occhi con le labbra increspate in un lieve sorriso, ebbe un vero e proprio effetto balsamico su Nijimura, che parve riprendere a respirare con più regolarità e smise di mordersi il labbro inferiore e stringere i pugni fino a scolorirsi le nocche delle mani.
Voleva credere alle parole di Seijuurou, abbandonarsi ad esse, perché tornare a casa con lui era tutto ciò che voleva.
Nijimura rimase in silenzio e continuò ad osservarlo, poi tese lentamente la mano e gli sfiorò la guancia con le dita, beandosi di quel calore e di quella morbidezza che, nonostante tutto, erano rimasti immutati e riuscivano sempre ad infondergli un po' di forza.


Erano già tre sere che Kuroko dormiva con lui in un modo del tutto diverso rispetto a prima: non bastava la palese distanza mentale per la quale Tetsuya era immerso in mille pensieri, tormentato dall'apprensione e per la quale Taiga non faceva altro che ripetersi che odiava quella situazione, ora il suo fidanzato aveva voluto aggiungere anche un divario fisico.
Aver fatto l'amore una volta sembrava che a Kuroko bastasse anche per giorni, ma a Kagami no, eppure era perfettamente consapevole che non avrebbe mai potuto fargli pressione per una cosa simile, soprattutto in un momento del genere, soprattutto quando, con aria triste e sconsolata, si stendeva al suo fianco, ma sempre lontano da lui di almeno cinquanta centimetri, come a ribadirgli che per un po' avrebbe avuto bisogno di un piccolo spazio privato in cui riflettere.
Era imbarazzante perfino ammetterlo a se stesso, ma gli mancavano le braccia esili di Tetsuya attorno al corpo, il suo viso caldo sul petto, il suo respiro sommesso e docile così vicino al cuore.
Mentre parevano intrappolati fra l'enorme peso del silenzio e il materasso, Kagami inclinò il viso e rimase a guardare alla sua sinistra, osservando con una silenziosa e puntigliosa attenzione il viso pensieroso e l'espressione lontana e vagamente malinconica di Kuroko.
«Hai chiamato Midorima?» fu questo che, dopo interminabili minuti di silenzio, uscì dalle labbra di Taiga. Tetsuya, dal canto suo, inclinò il viso per intrecciare il proprio sguardo a quello del compagno e rimase a contemplarlo in silenzio, negando appena con un cenno del capo.
«Non risponde.» con grande sorpresa di Kagami, il dorso della mano dell'altro carezzò lo spazio di lenzuola fredde che c'era fra loro, accorciando la distanza.
«Stavo pensando che potrei andare a trovarlo di persona, per assicurarmi che stia bene e per parlargli di Akashi-kun.»
Quando Kagami gli prese la mano con la propria, Kuroko si fece un poco più vicino, senza mai smettere di distogliere lo sguardo dal suo.
«Vuoi che ti accompagni?»
Tetsuya sospirò flebilmente e distolse lo sguardo, rivolgendolo nuovamente al soffitto.
«Non è necessario, Kagami-kun.»
Anche Kagami distolse lo sguardo, rafforzando l'intreccio delle loro dita senza dire nulla: Kuroko avrebbe cercato di risolvere la faccenda da solo, altrimenti si sarebbe lasciato aiutare da uno degli ex membri della Generazione dei Miracoli, ma non da lui.
Il fantasma della Generazione dei Miracoli era tornato, e lui che non ne aveva mai fatto parte doveva starne fuori, lasciare loro tutto lo spazio e la riservatezza di cui avevano bisogno - compreso Kuroko, purtroppo -
Tetsuya lo guardò di nuovo, ma Taiga sembrò non accorgersene: gli dispiaceva estraniarlo così, ma la Generazione dei Miracoli era pericolosa e non voleva che vi si avvicinasse troppo, non voleva rischiare di vedere la più bella parte di lui perdersi all'inseguimento della fama, un po' come in passato era successo agli altri.
Le labbra di Tetsuya si incresparono in un piccolo sorriso spontaneo e sincero, nato dalla consapevolezza che nonostante tutto Kagami sarebbe stato lì e lo avrebbe sostenuto.
«Grazie, Kagami-kun.» Kuroko accorciò la distanza fino ad eliminarla completamente, si adattò al suo corpo e si sistemò al suo fianco.
«E di cosa?»
«Di esserci.»
Il silenzio calò improvvisamente e pesò su entrambi per secondi che a Kagami, soffocato dall'imbarazzo, parvero interminabili.
«Q-quando la smetterai di essere così imbarazzante, Kuroko?»


Le dita di Shintarou tremarono, il fondo della tazzina vibrò contro il piatto di coccio bianco: era così stanco che anche sorreggere il peso di due dita di caffè gli sembrava impossibile; faceva male avvicinarsi a quel tavolo ed essere consapevole che anche quella mattina Takao avrebbe toccato poco e niente della colazione.
Erano passati pochi giorni da quella terribile notizia, e dopo essersi lasciato andare ad un pianto disperato davanti alla sua porta, Kazunari non era più tornato a casa.
Midorima aveva avvisato i genitori che Takao sarebbe rimasto a casa sua per qualche giorno e li aveva tranquillizzati, aveva assicurato che si sarebbe preso cura di lui e ovviamente aveva mantenuto quella promessa, aveva messo da parte i corsi universitari e lo studio e aveva cercato di rassicurare l'altro quando lo sentiva dire che sarebbe dovuto tornare a casa subito perché era solo un peso e perché gli stava impedendo di andare avanti con la sua vita.
Midorima ripensò per l'ennesima volta a quelle parole e le trovò ridicole: la sua vita? Lui una vita non ce l'aveva più da quando aveva visto Takao piangere, e che tutto si fermasse e cominciasse a ruotare proprio attorno ai bisogni di Kazunari era una sua scelta. Avrebbe rinunciato ad ogni cosa pur di rivedere il suo sorriso, anche alla sua vita.
Lo sguardo di Takao rimase fisso sulla superficie liscia e scura del tavolo anche quando Midorima adagiò la tazzina di caffè e il pacchetto dei biscotti di fronte a lui, ma Shintarou capiva quel silenzio, capiva quell'immobilità e non aveva alcuna intenzione di fargli pressione: gli faceva male vederlo così, inerme e debole, ma gli avrebbe lasciato un po' di tempo per pensare, elaborare un lutto che lui stesso faceva fatica a registrare nella propria mente.
«Shin-chan?» la voce di Takao era secca e bassa, asciutta e dolorante, come se avesse appena attraversato un deserto infinito e si fosse riempito la bocca di sabbia.
Midorima, che tanto tempo prima aveva fatto non poca fatica ad accettare quel maledetto nomignolo, era tornato a detestarlo: si sentiva terribilmente debole ogni volta che l'altro lo pronunciava, perché tutte le volte che faceva il suo nome la voce gli si rompeva e gli ricordava che quella situazione era reale, che Miyaji era morto e sulle macerie di quella terribile notizia avevano costruito un piccolo fortino traballante che non sarebbe potuto rimanere in piedi ancora per molto.
Shintarou non riuscì a rispondere, piuttosto si limitò ad osservarlo.
«Non guardi l'oroscopo?»
Midorima si sorprese di quella domanda e diede un'occhiata all'orologio, per poi soffermarsi sulla televisione spenta ed inspirare appena.
«Più tardi.» d'altronde, da quando avevano saputo della morte di Miyaji, la sua ossessione per l'oroscopo era andata riducendosi - e poi, se Oha Asa gli avesse assegnato un oggetto che non aveva in casa non sarebbe mai uscito per andare a comprarlo, visto che non aveva alcuna intenzione di lasciare solo Takao -.
Takao si limitò ad un accenno di assenso confusionale con il capo e il silenzio ripiombò su di loro, ancor più soffocante di prima.
Midorima si era già arreso all'idea che anche quella mattina Takao avrebbe rifiutato la colazione e si sarebbe chiuso nel silenzio, nascosto dietro lo sguardo triste e rassegnato di chi ha perso tutto; si sentiva terribilmente impotente di fronte a quegli occhi spenti e lontani, aveva il sospetto che l'altro dovesse sfogarsi ancora, cercare di fare chiarezza su determinate questioni e scavare nella memoria, il più a fondo possibile, ma non voleva obbligarlo a compiere un passo per il quale non si sentiva ancora pronto.
Il trillo improvviso del campanello fece sussultare entrambi, anche se quella di Takao fu più che altro una breve e quasi impercettibile scossa alle spalle.
Midorima rimase in silenzio e si alzò con estrema lentezza, quasi avesse avuto paura di sconvolgere l'apparente calma di Takao, risvegliare la disperazione che lo attanagliava e silenziosamente gli divorava le interiora; gli passò accanto, poi si fermò sulla porta e diede un'occhiata all'ambiente circostante: aveva davvero paura che Takao potesse farsi del male, non voleva lasciarlo solo neppure per un secondo e doveva assicurarsi ogni momento che non vi fossero oggetti potenzialmente pericolosi nelle vicinanze.
Shintarou prese una grossa boccata d'aria e chiuse gli occhi solo per un attimo, cercando di calmarsi e di riordinare le idee, poi si diresse all'ingresso e, senza neppure riuscire a farsi un'idea di chi potesse essere, - tanto la mente era piena di paura per essersi allontanato da Takao -, aprì la porta.
«Midorima-kun.»
Shintarou rimase pietrificato, solo un flebile tremolio delle labbra rivelò che non si era trasformato improvvisamente in una statua di pietra.
«Kuroko?» di tutti, non si sarebbe mai aspettato di vedere proprio lui.
«Ti chiedo scusa per il disturbo.»
Midorima non riuscì a dire nulla: quella visita non era affatto un disturbo, come non lo sarebbe stata quella di Kise, di Momoi, di Aomine o di Murasakibara. Dopotutto, se ne rendeva conto, aveva un terribile bisogno di loro, anche solo di vederli per sapere che almeno oltre la sua porta di casa la vita andava avanti.
Tetsuya si sorprese quando lo vide scostarsi e lasciargli lo spazio necessario per entrare: era evidente che la notizia della morte di Miyaji avesse avuto un notevole impatto anche su di lui.
«Con permesso.» Tetsuya varcò la soglia, ma non si spinse più in là e tornò ad osservare Midorima mentre chiudeva la porta in silenzio: aveva lo sguardo stanco, sofferente, vagamente assente.
«Mi dispiace.» sussurrò a fior di labbra, senza smettere di guardarlo, e finalmente Midorima ricambiò il suo sguardo.
«È Takao, quello che mi preoccupa.»
Kuroko rimase in silenzio: chiedere come stesse sarebbe stato inutile e stupido.
«È in cucina.» la voce di Shintarou si fece un poco più bassa e negli occhi di Tetsuya sembrò accendersi una scintilla di curiosità.
«Takao-kun è qui?»
«Da tre giorni.» Midorima inspirò appena e si massaggiò le tempie «uno di questi giorni dovrò uscire ...»
«Midorima-kun, se hai qualcosa da fare, se vuoi andare all'università, posso stare io con Takao-kun.»
Anche negli occhi di Midorima parve accendersi una piccola scintilla.
«Dici sul serio?»
«Non è un problema, non ho niente da fare di mattina.»
Shintarou distolse lo sguardo e trasse un piccolo sospiro di sollievo: odiava l'idea di dover trattare Takao come un bambino, ma era per il suo bene - e magari passare un po' di tempo anche con qualcun altro gli avrebbe giovato un po' -.
«D'accordo, per le tredici dovrei essere a casa.»
«Va bene.»
Midorima era già pronto a compiere il primo passo verso la cucina per andare ad avvisare Takao, ma la voce flebile di Kuroko lo chiamò e lo paralizzò.
«Ho parlato con Akashi-kun.»
Shintarou osservò il corridoio davanti a sé per pochi istanti, poi si voltò lentamente e tornò a rivolgere la propria attenzione all'altro.
«Ti ha detto dove si trova?»
«È in Svizzera.»
Midorima trattenne il fiato: che ci faceva Akashi, in Svizzera?
«Ha la leucemia.» Kuroko mormorò, ma le parole furono abbastanza scandite da poter giungere chiaramente all'orecchio dell'altro.
Shintarou non mosse un muscolo, sembrava perfino che avesse smesso di respirare: gli era caduto un altro macigno addosso.
«Mi ha detto che si sta sottoponendo alla chemioterapia.» Tetsuya, al contrario di lui, si mosse e gli si affiancò «io e gli altri pensavamo di andare a trovarlo, ma non abbiamo i soldi.»
«Io non potrei comunque, non posso lasciare Takao da solo.» la voce di Midorima sembrava essersi ridotta drasticamente: pensare che aveva speso i suoi ultimi risparmi per comprare i biglietti aerei a Takao e Miyaji gli metteva i brividi.
«Abbiamo deciso che ne riparleremo dopo Natale.»
«Sì, è meglio.» atterrito da quella notizia, Midorima gli fece lentamente strada verso la cucina e si fermò nuovamente sulla soglia, osservando in silenzio l'immobilità di Takao.
«Takao?»
Kazunari non rispose, ma girò appena il viso e guardò oltre la sua spalla.
«Mhn?» aggrottò appena la fronte, poi schiuse le labbra in quello che, in una situazione diversa, sarebbe stato un sorriso.
«Kuroko.»
«Buongiorno, Takao-kun.»
«Io vado all'università e a fare la spesa, ti lascio con Kuroko.»
«Va bene.» e Takao non si oppose, perché era perfettamente consapevole che sarebbe stato ingiusto pretendere di avere Midorima sempre accanto a sé: non voleva essere un peso, non voleva rovinargli la vita, per cui non avrebbe mai contestato nessuna delle sue scelte. Midorima era libero di andare ovunque volesse, lui sarebbe rimasto lì ad aspettarlo.


«Ma guarda guarda.» la voce serpentina di Imayoshi gli fece accapponare la pelle «dove sei stato? Pensavo fossi uno studente modello.»
Midorima rivolse il proprio sguardo prima ad Imayoshi che, in piedi, a ridosso del muretto, continuava a fissarlo con le labbra increspate in un ghigno divertito, poi ad Hanamiya, seduto e per fortuna più interessato al display del cellulare piuttosto che alla realtà che li circondava.
«Sono stato impegnato.» sbottò, cercando di tagliare corto.
«Con Takao?» Imayoshi sembrò cinguettare e Midorima arricciò le labbra in segno di reticenza: sembrava una vecchia zitella, era peggio di Kise.
Nel frattempo Hanamiya si alzò pigramente e lasciò sprofondare parte del viso oltre la pesante sciarpa bordeaux, e Midorima, che si aspettava una frecciatina imminente, si sorprese di quel silenzio.
«Ahn, lascialo perdere, quando ha il raffreddore è più irascibile del normale.» Imayoshi sventolò la mano a pochi centimetri dal viso di Hanamiya, quasi avesse voluto cacciarlo via, e questo gli rispose con un'occhiataccia e un ringhio sommesso.
«Li leggete i giornali, voi due?» a quanto pareva non avevano idea di ciò che era successo: di certo non erano così crudeli da fare finta di nulla, no?
«Ti sembro uno che legge il giornale?» il brontolio di Hanamiya risuonò ovattato a causa della pesante sciarpa che gli copriva la bocca e alterato a causa del raffreddore, ma Midorima riuscì a percepire con chiarezza tutta la sua ostilità e il nervoso.
«Perché? È successo qualcosa?» Imayoshi, dal canto suo, preferì passare subito al dunque, ovviamente incuriosito dalle sue parole.
«Vi ricordate di Kiyoshi Miyaji?»
«Era uno dei tuoi senpai, vero?» Shouichi, che era riuscito a rispondergli seriamente, non riuscì a resistere e si voltò verso Hanamiya, sorridendo divertito «hai visto? Lui si ricorda dei suoi senpai.»
«Entro la fine della giornata ti ammazzo.» Hanamiya gli rivolse una seconda occhiataccia, infilando le mani in tasca e tirando su col naso, e Imayoshi accettò la sua ostilità con un sorriso velato, trovando a dir poco adorabile tutta quella avversione nonostante riuscisse a stare a malapena in piedi a causa del raffreddore.
«Il suo aereo è precipitato.»
Ecco cosa serviva per ottenere l'attenzione - e soprattutto la serietà - sia da parte di Imayoshi che da parte di Hanamiya, così Midorima, spiazzato da quell'improvviso silenzio e da quegli sguardi increduli, indugiò per qualche istante, riprendendo a parlare solo poco dopo.


Contrariamente da quanto si era aspettato, l'approccio con Takao non fu molto complicato, forse perché Kazunari si voleva dimostrare allegro e si era ravvivato, ma era evidente che fosse a pezzi, perché la curva delle labbra era forzata, tremante, gli occhi spenti.
Avevano cercato di scavalcare l'argomento principale, dimenticare per un attimo il volto che incombeva nelle loro menti, e all'inizio ci erano riusciti, perché Takao aveva cominciato a fargli qualche domanda sul progetto del ripristino della Generazione dei Miracoli, poi si era sfogato perché non voleva essere un peso per Midorima, non voleva impedirgli di studiare o andare all'università e si sentiva in colpa per il fatto che si preoccupasse così tanto per lui, e Kuroko era riuscito a calmarlo e aveva sviato il discorso, all'inizio intenzionato a parlare di Akashi, poi optando per qualcosa di più allegro delle malattie e degli ospedali e cominciando a raccontargli di quanto fosse cresciuto Nigou, della volta in cui correndogli incontro per fargli le feste aveva travolto la nonna e di quella in cui, un po' più giovane, si era ritrovato davanti un gatto che era il doppio di lui e che solo soffiando era riuscito a farlo scappare con la coda fra le gambe.
Tetsuya diede una rapida occhiata all'orologio, nella speranza che Takao non lo notasse: erano ancora le dieci, avevano parlato, parlato, ma il tempo era passato lentamente e mancavano ancora tre ore al ritorno di Midorima.
Di cosa avrebbe potuto parlargli?
«E come va con … Kagami?»
Kuroko si sorprese di quella domanda, soprattutto perché fino a quel momento aveva cercato di nominare Kagami il meno possibile: di certo non voleva mettersi a parlare della sua vita amorosa ad una persona che aveva appena perso il fidanzato.
«Va tutto bene.»
«Passerete il Natale insieme?»
Tetsuya esitò: non avevano ancora parlato di come avrebbero trascorso il Natale e, a pensarci bene, lui sarebbe stato quasi sicuramente costretto a passarlo in famiglia, mentre Kagami sarebbe rimasto solo.
«Non ne abbiamo ancora parlato.»
«Oh.» e ogni spunto di conversazione fu reciso, tutti gli argomenti sembrarono esaurirsi: Kazunari distolse il proprio sguardo dall'altro e sospirò appena, osservandosi i palmi delle mani.
«Il peggio è che mi aveva chiamato, prima di partire.» esordì poi, con un flebile tremolio nella voce, e Kuroko pensò che era giunto il momento, che mai avrebbe potuto sottrarsi ad una cosa simile e che se Takao voleva sfogarsi ne aveva tutto il diritto.
«Mi aveva chiamato, ma io non ho risposto, non ho sentito la chiamata … a dire il vero avevo dimenticato l'orario del suo volo, perché ci sono cose a cui non si dà mai molta importanza. Mi interessava solo che tornasse a casa sano e salvo.» Takao fece una pausa e Kuroko pensò si stesse per mettere a piangere, ma sembrava voler resistere: lo vide abbassare le palpebre e strizzare gli occhi, deglutire, poi tornò in ascolto della sua voce «mi rendo conto solo adesso che non avrei dovuto dare per scontato quella chiamata, avrei dovuto tenere sempre il cellulare sotto controllo, come facevo appena ci eravamo messi insieme.»
Takao dovette fermarsi di nuovo: lo spettro della nostalgia e i sensi di colpa avevano iniziato a gravare su di lui, e doveva a tutti i costi ricacciare indietro le lacrime prima che gli impedissero di concludere.
«Ora che l'ho perso … mi rendo conto di quante cose ho sottovalutato.» soffocò un singhiozzo, chinò il capo e si prese il viso fra le mani.
Tetsuya non era certo insensibile di fronte a quella scena, ma come al solito la analizzò con razionalità e cercò di essere il più schietto possibile.
«Takao-kun, ogni relazione è fatta così: all'inizio si è stretti, come un nodo, e poi il nodo si allenta e la monotonia vince sul nostro interesse, ma non è colpa di nessuno, non è colpa tua. La vita di Miyaji-san non dipendeva certo da quella chiamata, insomma, voglio dire–»
«Ho capito, ma non aver ascoltato la sua ultima chiamata sarà per sempre il mio più grande rimpianto.»
Tetsuya si dispiacque di essere stato interrotto: si era spiegato male, avrebbe voluto rimediare, ma in quel momento sentì ogni energia venire meno e restò in silenzio.
«Mettiti nei miei panni.»
Ci aveva già pensato, eccome se ci aveva già pensato, altrimenti non sarebbe corso da Kagami con la paura viscerale di perderlo a tormentarlo, né lo avrebbe chiamato per nome, né ci avrebbe fatto l'amore, né gli avrebbe detto che lo amava.
Avrebbe potuto ribadirgli che non sarebbe cambiato nulla, che anche se gli avesse risposto sarebbe stato male allo stesso modo, che Miyaji era morto e che quindi non esisteva più e non poteva sapere di quella telefonata ignorata - così come non poteva sapere del resto -, e ancora che il tempo avrebbe fatto la sua parte, lo avrebbe aiutato a dimenticare e avrebbe mitigato il suo dolore, ma gli parvero tutte cose crudeli e preferì restare in silenzio: dopotutto non c'era nulla di anche solo lontanamente consolante che si potesse dire.


Che cosa erano diventate? Due amiche?
Riko aveva il terribile bisogno di saperlo: non aveva mai avuto molte amiche, si era sempre trovata meglio con i ragazzi e, soprattutto, non aveva mai nutrito una particolare simpatia per Momoi, ma in quel momento si trovavano l'una accanto all'altra, con gli occhi rivolti alle vetrine colorate e luminose che si affacciavano lungo la strada, in cerca di qualche regalo natalizio.
Complici quei pensieri confusi e la reticenza all'idea di andare a fare shopping con Momoi, Aida sospirò profondamente e lasciò sprofondare il viso oltre la sciarpa grigia.
«Uhm? Qualcosa non va?» Momoi, dal canto suo, se ne accorse immediatamente e mostrò subito interesse per la ragione di quel sospiro rassegnato.
«Pensavo che non riuscirò mai a fare tutti quei regali.» Aida brontolò, ed era vero: anche quello era un pensiero che la affliggeva.
«Quanti regali devi fare?»
«Uno a mia madre, uno a mio padre, poi a Kuroko-kun, Kagami-kun, Teppei e Junpei, ma non credo che la mia paghetta possa bastare.»
Riko le aveva raccontato che la situazione economica in casa sua non era delle migliori, anzi di anno in anno dovevano fare sempre più attenzione agli sprechi e ai risparmi, ed era questo che l'aveva costretta a lasciare l'abitazione che fino a qualche mese prima aveva condiviso con Hyuuga e Teppei.
«Per quanto riguarda i tuoi genitori, potresti fare come me: due regali in uno.»
Aida aiutava ancora suo padre, stilava alcuni programmi e alcune diete per i clienti che frequentavano la sua palestra, e in cambio riceveva una paghetta settimanale, ma non era certo come possedere uno stipendio.
«E potresti farlo anche per Tetsu-kun e Kagamin, e anche per Teppei-san e Hyuuga-san: sempre di coppie si tratta, no?»
«E-eh? Mhn, sì, potrei ...» Aida arrossì appena e distolse lo sguardo da quello insistente dell'altra «e tu? Oltre ai tuoi genit–»
«Oh! Io farò un regalo a Dai-chan, a Ki-chan e ovviamente a Tetsu-kun! E stavo pensando di farne uno anche ad Akashi-kun!»
Aida rimase spiazzata dalla velocità con cui Momoi aveva risposto: sembrava quasi che non avesse aspettato altro che quella domanda.
«Se riesco a risparmiare qualcosa proverò a comprare qualcosa anche per Mukkun, Midorin e Kagamin.»
Aida annuì appena con un cenno del capo: lei dopotutto recepiva uno stipendio, quindi poteva permetterselo.
«Un momento!»
La voce squillante di Momoi la fece sobbalzare: Aida la vide fermarsi, ma fu inizialmente incapace di fare lo stesso e la superò di un paio di passi.
«Cosa c'è?» si fermò e si voltò verso di lei, seguendo il suo sguardo non appena notò che aveva il viso leggermente alzato verso l'alto e le labbra increspate in un sorriso.
«Escludendo i nostri genitori e Akashi-kun ...» Momoi ampliò il sorriso e si voltò verso di lei, additando la struttura che aveva di fronte «e se facessimo un regalo comune a tutti?»
Aida aggrottò la fronte in un'espressione confusa e diede una seconda occhiata alla struttura: un cinema.
«Compriamo i biglietti per tutti quanti, così andiamo insieme al cinema, ci divertiamo e risparmiamo, no?»
Riko rimase in silenzio e tornò indietro, affiancandosi a lei.
«Direi che … beh, è una bella idea.» borbottò, ma, consapevole che la sciarpa le stava nascondendo parte del viso, sorrise.
«Che tipo di film potremmo andare a vedere?» chiese poi, dando un'occhiata ai manifesti appesi all'entrata.
Momoi ci pensò su per qualche attimo.
«Un horror?»
«Oddio no, Kagami-kun morirebbe.»
«Allora un … oh! Un thriller?»
«Aspetta: invitiamo anche Takao-kun?»
«Pensavo di sì.»
«Allora non sarebbe meglio limitarci ad una cosa leggera? Una commedia, per esempio.»
«La commedia potrebbe andare, basta che non andiamo a vedere film d'amore, altrimenti Dai-chan si lamenta per tutto il tempo!»
«Bah, lo farei anche io.» Riko sbuffò appena, attirando l'attenzione di Momoi.
«Non ti piacciono i film d'amore, Riko-chan?»
«Sono noiosi, e troppo mielosi. E sono scontati.»
«A me piacciono!»
«Un attimo-» Riko rimase a fissarla per qualche istante, in sacrosanto silenzio, poi si sentì avvampare e sbottò nervosamente «mi hai appena chiamata Riko-chan?!»
«Eh? E che problema c'è?» Momoi cinguettò e si avvicinò a lei, fino a far aderire i loro seni «non sono cresciute per niente.»
«Cos-? Ehi! Non cambiare discorso!»
Satsuki si lasciò scappare una risata divertita e si avviò verso l'ingresso del cinema, e Riko, infuriata più che mai, le corse dietro borbottando nervosamente.


Tatsuya adagiò il piccolo pennello sulla carta di giornale, osservando in silenzio una goccia nera che, ancora attaccata alla spatola, indugiava, ora pronta a riversarsi sulla carta e macchiarla, ora contraria a lasciarsi andare con tanta facilità.
Non appena la goccia scivolò e si spezzò contro la carta spessa e sporca del giornale, Himuro rivolse la propria attenzione all'ultima parete, poi diede un'occhiata anche alle altre tre, realizzate qualche giorno prima e quindi già asciutte.
«Abbiamo fatto proprio un bel lavoro.»
I fiori neri e le caramelle viola, entrambi stilizzati e molto semplici, si sposavano bene con lo sfondo bianco, disturbato da quegli stessi colori - che si alternavano in righe orizzontali - solo a qualche centimetro dal pavimento.
Erano ancora all'inizio, ma vedere lo spazio che presto avrebbero allestito e occupato con la loro attività già rivestito dalle pareti che avevano immaginato era piuttosto soddisfacente.
Himuro non vedeva l'ora che arrivassero i muratori e che cominciassero a piastrellare il pavimento con le mattonelle che avevano scelto: erano tutte nere, e in un angolo di ognuna si trovavano tre fiori bianchi, stilizzati e incatenati fra loro, e ogni cinque piastrelle se ne trovava una con lo stesso tema delle altre, ma viola.
«Verrà benissimo.» sorridendo, trovò finalmente la forza di scostare i propri occhi dalla parete e si rivolse a Murasakibara, che in sacrosanto silenzio teneva il barattolo di vernice viola fra le mani e lo smuoveva appena, osservando le increspature del liquido scuro.
Tatsuya rimase in silenzio e il suo sorriso scomparve, i suoi occhi tornarono rivolti alla parete e le sue labbra si schiusero in un sospiro rassegnato: da quando aveva saputo della condizione di Akashi, Atsushi aveva dormito davvero poco, perciò era ovvio che fosse stanco - oltre ad essere pensieroso -, e lui di certo non poteva pretendere che gli dedicasse la sua attenzione in un momento simile, solo gli dispiaceva che non si stesse godendo a fondo quel momento speciale, di cambiamento e svolta.
Himuro si avvicinò con calma e afferrò il barattolo di vernice viola, restando in attesa che Murasakibara lo lasciasse.
Quando Murasakibara avvertì le dita di Himuro sfiorargli la mano sembrò finalmente ridestarsi e lasciò il barattolo di vernice, preferendo concentrare la propria attenzione sulle pareti.
«Sei stato davvero bravo, Muro-chin.»
Himuro chiuse il barattolo e in tutta risposta riacquistò il sorriso: avevano imbiancato insieme e poi, dopo che la pittura si era asciugata, avevano ripetuto il solito procedimento: ricalcare a matita il fiore e la caramella da un ritaglio di carta, a distanza di dodici centimetri, dopo di che, Tatsuya si era dovuto occupare di colorare i decori con pennelli più piccoli, visto che Murasakibara aveva difficoltà a tenerli saldamente fra le dita e si era già sforzato abbastanza nel disegnare a matita i vari ornamenti.
«Quando metteranno il bancone e le piastrelle sarà ancora più bello, Atsushi.»
Lo sarebbe stato di certo, visto che c'era Himuro con lui e presto avrebbero cominciato a preparare ed esporre dolci in vetrina.
Murasakibara tornò a voltarsi verso l'altro e gli afferrò il viso fra le mani per trascinarlo a sé e baciarlo, e Himuro, dal canto suo, ricambiò quel gesto inaspettato, staccandosi dalle labbra dell'altro solo pochi istanti più tardi.
«Andiamo a casa?»
Murasakibara acconsentì con un lieve cenno del capo e, proprio come un bambino, restò ad osservare attentamente Himuro mentre si occupava di riunire i barattoli di pittura che ormai non avevano più alcuna utilità e che avrebbero riportato a casa.
Quando giunsero sulla soglia e Murasakibara si occupò di chiudere a chiave il negozio, spiò oltre il vetro i muri bianchi, decorati da motivi piccoli ed eleganti che comunque risultavano visibili anche da fuori: fu proprio in quel momento, sprofondato in una riflessione insolita e silenziosa, che si augurò con tutto il suo cuore che Akashi potesse vederlo.


Tetsuya si era preso qualche giorno per riflettere, e in fondo a quel tunnel di pensieri silenziosi e pesanti aveva trovato un briciolo di misera e dolorosa consapevolezza: non poteva fare nulla per Akashi, era impotente e lontano, inerme di fronte al destino, e come tutti gli altri sarebbe rimasto in attesa, sperando che tutto si sistemasse, che i regali di Natale fossero soldi e non libri come al solito, in modo che potesse permettersi un soggiorno in Svizzera per andare a trovarlo e sentirsi un poco più vicino a lui.
«Kuroko?» Taiga lo chiamò per la seconda volta, alzando un poco la voce: era più che evidente che stesse pensando di nuovo ad Akashi.
Tetsuya rimase in silenzio e rivolse il proprio sguardo all'altro per fargli capire che lo stava ascoltando.
«Non mi hai ancora detto perché siamo usciti.»
«Ci deve essere un perché, Kagami-kun? Siamo fidanzati, avevo voglia di vederti.»
Kagami arrossì di colpo e sembrò trattenere il fiato: Kuroko era stato in silenzio per tutto quel tempo, e in un solo istante era riuscito a buttargli addosso più parole di quanto non avesse fatto lui e, ovviamente, lo aveva messo in imbarazzo.
«È … beh, la tua voce sembrava strana quando me l'hai chiesto.» era divertita, quasi, e il fatto che avesse insistito quando Taiga gli aveva risposto che non sapeva se sarebbe riuscito a finire in tempo con le faccende di casa era piuttosto indicativo - dopotutto Kuroko era sempre molto educato e riservato -.
«Ah, non è niente, Kagami-kun.» le labbra di Tetsuya si incresparono in un piccolo sorriso e l'altro lo notò.
«Sei sicuro?» Kagami incrinò le labbra in una smorfia e inarcò un sopracciglio: sembrava quasi che Kuroko sapesse qualcosa che lui ignorava completamente e che stesse ridendo di lui.
«Sì.» Tetsuya si fermò di fronte ad un gruppo di abeti esposti all'aperto, in un piccolo spiazzo all'angolo di due strade «solo che io non ce la faccio a trasportarlo.»
Kagami osservò per un attimo il sorriso di Kuroko, poi seguì il suo dito e si soffermò su ciò che gli stava indicando.
«Ugh-» Kagami mormorò, rivolgendo di nuovo il proprio sguardo al fidanzato.
«Un attimo! Tu mi avresti trascinato qui per …?!» poi sbottò, additando con rabbia l'abete che Kuroko gli aveva indicato e che, neanche a dirlo, era uno dei più grandi.
«Ti fanno male le braccia, Kagami-kun?»
Kagami aggrottò la fronte e non riuscendo a capire il significato di quella domanda sembrò calmarsi.
«No.»
«E allora che problema c'è?»
Kagami lo incenerì con lo sguardo, poi tornò a rivolgere la propria attenzione all'abete e sbuffò sommessamente.
«E va bene, dopotutto non ho altra scelta.»
«Posso provare a portarlo io, se proprio non ti va.»
«Non se ne parla: è più alto di te e moriresti di stenti dopo due metri.»
Quando Kagami tornò a rivolgere il proprio sguardo a Kuroko e vide il suo sorriso, non più divertito, ma pieno di gratitudine, fu tentato di baciarlo o anche solo di dargli una piccola carezza, ma poi si ricordò che c'erano altre persone intorno a loro e si trattenne.
Non appena si insinuò fra i primi alberi, intento a raggiungere quello scelto da Kuroko, questo lo chiamò.
«Che c'è?»
«Ho pensato che a Natale sarai solo.»
«Non è un problema, Kuroko. Possiamo sentirci al cellulare, no?»
«E se invece stessi da me?»
Kagami sentì mancare il respiro e le labbra gli tremarono appena, in un borbottio confuso e silenzioso.
«Per i miei genitori non c'è problema.»
Passare il Natale in casa Kuroko significava, in poche parole, avere modo di conoscere più approfonditamente i genitori - e la nonna - di Kuroko: quindi la cosa si era fatta seria? Inutile chiederselo, a pensarci bene era sempre stata seria, anche prima che iniziasse.
Il solo pensare a quella prospettiva lo agitava a tal punto da impedirgli di parlare: quella proposta gli piaceva, avrebbe passato volentieri il Natale con Kuroko e la sua famiglia, ma era inevitabilmente teso, perché forse sarebbe finito per fare qualche brutta figura, forse non sarebbe riuscito a trattenersi dal dare una carezza al suo fidanzato e li avrebbero scoperti.
Kagami si rimproverò mentalmente: era ora di smettere di pensare.
«Mi farebbe davvero piacere.» e allora le labbra di Kagami si incresparono in un sorriso, seguite a ruota da quelle di Kuroko.


Studiare era diventato difficile, soprattutto se Takao smetteva di rispondere ai suoi sms.
Midorima non avrebbe mai pensato di diventare iperprotettivo - e a dire il vero non ne aveva alcuna intenzione -, ma era così e non ne poteva fare a meno: doveva sentirlo, sempre, e assicurarsi che stesse bene.
Non voleva, per alcun motivo al mondo, che Takao si sentisse solo, abbandonato, dimenticato; desiderava, piuttosto, che si lasciasse sostenere e che gli permettesse di rimare al suo fianco, perché dopotutto Shintarou gli aveva detto che ci sarebbe stato per qualsiasi cosa e aveva l'ovvia intenzione di mantenere la sua promessa.
Fu il suono squillante e improvviso del campanello a ridestarlo da quei pensieri, a spaventarlo e farlo balzare immediatamente in piedi.
Come se non avesse capito, Midorima restò in piedi, immobile, e si guardò intorno per qualche secondo: erano quasi le venti e fuori faceva già buio, e fu proprio la mancanza di luce che gli fece pensare alla possibilità che si trattasse proprio di Takao.
Dalla notizia della morte di Miyaji, Takao aveva passato diversi giorni a casa sua e anche molte notti, forse perché la sua vicinanza gli impediva di avere incubi - a Shintarou piaceva pensarla così -.
Quando aprì la porta e incatenò i propri occhi a quelli acquosi di Takao, Midorima si sentì molto più leggero e tranquillo: ecco perché non rispondeva più agli sms.
«Ciao.»
Takao tirò su col naso e accennò un sorriso, e Midorima notò con piacere che, per quanto fosse piccolo e breve, non era forzato.
«Ciao.» Takao rispose di rimando e varcò la soglia, attendendo che l'altro chiudesse la porta prima di cominciare a togliersi la giacca.
«Fa davvero freddo, fuori.»
E con ancor più piacere, Shintarou capì che quegli occhi acquosi e quella voce leggermente più bassa non erano dovuti ad un pianto recente, ma al freddo di dicembre.
«Dici che a Natale nevicherà, Shin-chan?»
Nella voce di Takao non c'era allegria, ma era pur sempre più loquace rispetto ai giorni precedenti.
Shintarou lo osservò mentre appendeva la giacca all'attaccapanni, poi rispose.
«Non credo, ma se fosse così potremmo fare un giro con Sachiko e tua sorella.»
Takao si avviò verso la cucina e rispose solo poco dopo: ogni volta che entrava in casa sua sembrava quasi che prima dovesse esplorare con attenzione l'ambiente, abituarsi all'atmosfera, come un animale selvatico.
«Sarebbe una bella idea.»
Pur sentendosi ancora distrutto, Kazunari aveva capito che la cosa migliore per guarire da quelle ferite era cercare di pensarci il meno possibile, cercare di apprezzare tutto ciò che la vita poteva offrirgli senza piangersi addosso e senza darsi la colpa per ogni cosa.
«Ti preparo qualcosa di caldo.»
Takao si sedette e diede un'occhiata al libro che Midorima aveva lasciato spalancato sul tavolo, sorridendo impercettibilmente nel notare la quantità esagerata di appunti che, minuti e ordinati, erano scritti a matita nei margini, quasi a formare una cornice argentea attorno al paragrafo.
«Ti fermi qui?»
«Disturbo?»
«No, lo sai.»
Lo sai che casa mia è anche casa tua.
Ecco cosa avrebbe voluto dirgli, ma Shintarou preferì tenerlo per sé come al solito.
Calò il silenzio, e in loro cominciò a sbocciare e maturare la consapevolezza di quel che sarebbe avvenuto di lì a poco: dopo che Takao ebbe finito di bere il tè, Midorima sistemò la tazza nella lavastoviglie, chiuse il libro e sistemò l'evidenziatore e la matita nell'astuccio, e infine spense la luce.
Quando erano a casa da soli, con le luci spente, ogni cosa veniva naturale: era successo fin dal giorno in cui avevano saputo di Miyaji, e così sarebbe continuato ad accadere, in un tacito accordo.
Shintarou era già sotto le coperte quando Takao si sistemò vicino a lui: dalla prima volta in cui avevano affiancato i letti, per dormire vicini, Midorima non se l'era più sentita di sistemarli come erano prima, e aveva fatto bene.
«Sai ...» Kazunari parlò flebilmente, sembrò borbottare, con le labbra nascoste dalla coperta spessa ma gli occhi incatenati ai suoi, spenti dalla stanchezza.
«A pensarci bene potremmo uscire insieme anche se non nevica.»
Nascosto dalle coperte e dal buio della camera, Midorima si permise di accennare un sorriso. Un sorriso pieno di speranza, perché sembrava proprio che Takao avesse intenzione di rialzarsi, e vedeva più calore nei suoi occhi, erano belli quasi come un tempo, quando brillavano di vivacità e ottimismo.
«Certo.»
Era sempre così: si stendevano l'uno di fronte all'altro e parlavano, oppure si guardavano semplicemente negli occhi, e poi Takao si avvicinava e si accoccolava al suo fianco, e così fece anche in quell'occasione.
Affondando il mento fra i capelli morbidi dell'altro, Shintarou si soffermò sul display luminoso della sveglia: erano appena le venti e quaranta e loro erano già pronti per dormire - non che gli importasse, dopotutto andava bene qualsiasi ora se poteva stare abbracciato a Takao -.
Kazunari, dal canto suo, inspirò il debole profumo dell'altro e chiuse gli occhi, rasserenato da quel contatto caldo e dolce.
«Buona notte, Shin-chan.»
«Buona notte, Takao.»


Kise arretrò di qualche passo per avere una visione completa dell'albero addobbato e, dopo averlo osservato per qualche istante con le labbra increspate in un mezzo sorriso, si voltò in cerca dell'opinione dell'altro.
«Mi piace!» cinguettò soddisfatto, ma Aomine non sembrava interessato e, più che concentrarsi sull'albero, preferì rivolgere la propria attenzione al cielo buio oltre i vetri delle finestre.
«Sei troppo lento, fuori è già buio.»
Kise sbuffò offeso.
«Se ci ho messo così tanto è perché non mi hai aiutato!»
Non appena Ryouta tornò a rivolgere la propria attenzione all'albero, Daiki gli circondò la vita con le braccia e gli sfiorò il collo con le labbra, facendolo rabbrividire di piacere.
Kise aveva pensato che Aomine se ne sarebbe tornato a casa non appena avesse finito di decorare l'albero, ma a quanto pareva sembrava intenzionato a restare ancora per un po' - o addirittura a fermarsi per la notte? Glielo avrebbe chiesto più tardi -.
Le labbra di Aomine gli stuzzicarono il collo ancora una volta e le labbra di Kise si incresparono in un sorriso, le mani scivolarono e le dita sfiorarono con estrema delicatezza le braccia dell'altro.
A Kise non ci volle molto per capire che c'era qualcosa di diverso nei baci di Aomine e nella stretta che le braccia stavano esercitando attorno alla sua vita, ma nonostante ciò non pensò né di ribellarsi né di parlargli, anzi rimase in sacrosanto silenzio e chiuse gli occhi, lasciandosi sfuggire un sospiro di piacere dalle labbra schiuse.
Quando la stretta di Aomine si fece più salda, Kise inclinò il viso verso sinistra, in modo da lasciare più spazio alla bocca dell'altro, e non appena sentì il suo sospiro caldo sul collo gli sembrò di non potersi più trattenere.
Kise si voltò velocemente e andò in cerca della bocca dell'altro; Aomine, dal canto suo, ne approfittò immediatamente per insinuare le proprie mani oltre lo spesso strato del maglione del compagno e arpionargli i fianchi per trascinarlo a sé.
C'era qualcosa di molto diverso nei baci di entrambi e, adesso che sembravano quasi volersi rubare l'aria l'uno con l'altro e strapparsi le labbra con sospiri ingordi, Ryouta ne aveva avuto la conferma.
Le lingue cominciarono una breve lotta per imporsi l'una sull'altra e Aomine gli sfilò velocemente il maglione, sospingendolo verso il divano.
Nella foga del momento, Kise incespicò nel maglione, ma non osò staccare le proprie labbra da quelle dell'altro e diede un piccolo calcio all'indumento, in modo da liberare il passaggio e poter arrivare al divano senza altri intoppi.
Quando le sue gambe si ritrovarono imprigionate fra quelle di Aomine e il bordo morbido del divano, Kise interruppe la serie di baci ingordi che li avevano travolti improvvisamente per riprendere fiato e cercare di ragionare sul da farsi, anche se gran parte della sua lucidità era già andata persa.
Aomine, ovviamente, non era affatto intenzionato a fermarsi a pensare e, ormai deciso sul da farsi, cercò di riportare Kise nel vortice della concupiscenza: lasciò scivolare le mani lungo la schiena liscia e calda del compagno, scavalcando l'impaccio dei pantaloni per raggiungere le natiche, e gli frustò il collo con la lingua, compiacendosi nel sentirlo sospirare affannosamente.
Lo sguardo di Kise si soffermò per pochi istanti sulle piccole luci spente che si intrecciavano ai rami verde scuro dell'abete, poi le palpebre vibrarono e si abbassarono leggermente, la vista si offuscò e le labbra tremarono: a cosa serviva cercare di rimanere lucidi in un momento del genere?
Le mani di Ryouta scivolarono al cavallo dei pantaloni di Daiki, che fu scosso da un brivido improvviso e sembrò immobilizzarsi per qualche millesimo di secondo, inibito da un plausibile imbarazzo.
Kise approfittò di quella breve immobilità per prendere le redini della situazione: abbassò i pantaloni dell'altro fino a metà delle cosce e gli afferrò le labbra fra le proprie, mugolando lascivamente, e ad Aomine sembrò di ascoltare la melodia più bella del mondo.
Daiki non riuscì più a tenere a freno l'istinto e si avventò sulle labbra dell'altro, gli sbottonò velocemente i pantaloni, cercando di sbarazzarsene alla bene e meglio, e le dita tornarono ad arrancare rabbiose contro le natiche sode, la lingua a spingere contro l'altra e godere del calore e del sapore di quella bocca.
Non appena Kise si ritrovò sotto di lui, con la schiena perfettamente aderente alla pelle del divano, ne approfittò per sfilargli la maglietta, cercando di regolare il respiro visibilmente accelerato a causa della terribile eccitazione che il solo immaginare il bacino di Aomine così vicino al suo gli causava.
Nel breve istante in cui Kise lo spogliò della maglietta e la gettò a terra, Aomine si soffermò sulla visione che gli si presentava davanti: era molto meglio di qualsiasi sogno, era destabilizzante per quanto era concreto, ed era bello anche più di quanto avesse immaginato.
Daiki riuscì a sbarazzarsi completamente dei pantaloni e baciò ancora una volta le labbra dell'altro, poi il collo, scivolando fino al capezzolo sinistro che stuzzicò con la bocca finché non lo sentì irrigidirsi sotto la propria lingua: i sospiri accaldati e irregolari di Kise erano bellissimi e terribilmente eccitati, ma non erano abbastanza e così, deciso a dargli - e ottenere a sua volta - più piacere possibile, mandò al diavolo l'imbarazzo e l'inesperienza e si fece guidare dall'istinto.
Le gambe di Kise furono percosse da una scossa violenta non appena le loro intimità, ancora coperte dai boxer, entrarono in contatto, e questa volta anche Aomine si lasciò scappare un sospiro più profondo e affannato degli altri.
Si cercarono e riuscirono a vedersi solo per un breve istante, nonostante i loro occhi fossero incatenati già da un bel po': l'eccitazione li aveva quasi del tutto accecati, e non c'era nulla intorno a loro, nessun rumore, nessun salotto, nessun albero di Natale. Si trovavano in uno spazio completamente vuoto e c'erano solo i loro corpi, i loro sospiri accaldati e il piacere che, incastonato sotto la pelle, spingeva per insinuarsi nella carne, sempre più in profondità.
Kise aveva pensato spesso a come sarebbe stato, aveva previsto l'ostacolo dell'imbarazzo che li avrebbe frenati quando sarebbe arrivato il momento di togliersi di dosso anche l'intimo, pertanto inarcò appena la schiena e sollevò leggermente il bacino, quasi a invitare l'altro a cominciare da lui.
Aomine si sentì morire: quella immobilità improvvisa non faceva affatto bene alla sua eccitazione, ma ritrovarsi in una situazione simile con un ragazzo, con Kise, che prima di essere suo fidanzato era stato suo amico, era davvero strano, disorientante.
Non appena sentì il bacino di Kise sollevarsi e quindi stuzzicare il suo, regalandogli l'ennesima scossa di piacere, abbassò gli occhi e si soffermò sulla forma dell'erezione ben visibile oltre i boxer del fidanzato.
Che motivo c'era di essere spaventato? Lo volevano entrambi, erano eccitati entrambi e a lui piaceva davvero Kise.
Aomine rimase in silenzio e si decise ad accontentare quella richiesta, sfilando i boxer dell'altro con un movimento piuttosto lento.
Aomine si soffermò per qualche istante ad osservare l'erezione di Kise, e quando sentì le sue mani raggiungere l'elastico dei suoi boxer non gli impedì di sbarazzarsi anche dell'ultimo pezzo di stoffa che ostacolava il contatto dei loro corpi.
Non appena si ritrovarono entrambi completamente nudi, Daiki si protese in avanti, facendo entrare in contatto le loro erezioni e tornando finalmente a baciare le labbra turgide di piacere di Kise.
Nonostante quel contatto così intimo e ravvicinato fosse terribilmente eccitante per entrambi, i baci che seguirono furono decisamente più calmi e docili dei precedenti, con respiri tremanti a fare da intermezzo: Kise non aveva mai avuto esperienze così intime con un ragazzo e Aomine, dal canto suo, non avrebbe mai pensato di fare l'amore con un maschio, per cui erano molto cauti, quasi avessero avuto paura di farsi del male a vicenda, a causa dell'inesperienza.
Aomine cercò di ricordare i suoi sogni e tutte le volte in cui aveva immaginato lui e Kise fare sesso - e non erano poche -: perché in quei casi era maledettamente disinibito e ora pareva un pesce fuor d'acqua?
Dopo aver indugiato per qualche istante, Aomine capì che prima o poi avrebbero dovuto sorpassare l'ostacolo della prima volta, altrimenti sarebbero rimasti per sempre al punto di partenza.
Una delle mani di Daiki si insinuò fra Ryouta e la pelle del divano, raggiungendo le natiche del compagno e cominciando a stuzzicarne l'apertura, e Kise, dal canto suo, divaricò un poco di più le gambe per facilitare i movimenti dell'altro.
Ryouta rispose ai massaggi che le dita di Daiki stavano compiendo fra le sue natiche e cominciò a strusciare la propria erezione contro quella del compagno e Aomine, forse per non lasciarsi scappare nessun gemito che tradisse la sua eccitazione, si avventò di nuovo sulle labbra dell'altro, questa volta con più foga.
Kise gemette sommessamente contro la bocca di Aomine e si sentì percuotere da una scossa di piacere non appena una delle sue dita lo penetrò e cominciò a compiere i primi, cauti movimenti.
Non appena i movimenti divennero più fluidi e rapidi, Aomine decise di introdurre il secondo dito e staccò le proprie labbra da quelle di Kise, per riprendere a respirare e tornare a baciarlo non appena ebbe recuperato aria a sufficienza.
Quando Aomine si mosse, per sistemarsi meglio su di lui e portare entrambe le mani alle sue natiche, Kise capì che era arrivato il momento e gli rivolse un sorriso debole, - a causa dell'eccitazione -, che si rafforzò quando vide Aomine arricciare il naso e distogliere lo sguardo in una espressione di puro imbarazzo.
Daiki rafforzò la presa sulle natiche del compagno e lo penetrò lentamente, senza staccargli gli occhi di dosso e lasciandosi avvolgere da un brivido di pura eccitazione non appena lo sentì gemere e lo vide tendere immediatamente il capo all'indietro, in uno spasmo di piacere.
Non gli avrebbe tolto gli occhi di dosso per nulla al mondo.
Aomine cominciò a muoversi con cautela dentro di lui, percosso da continui brividi di piacere per ogni volta in cui sentiva le gambe di Kise tremare contro i propri fianchi o i suoi sospiri stuzzicargli le orecchie; si trattenne dal tornare su di lui per baciarlo e portò entrambe le mani ai suoi polpacci, spingendosi ulteriormente dentro di lui.
Kise si lasciò scappare un gemito più forte e distinto degli altri e continuò a sospirare il suo piacere, cominciando a muovere il bacino per rispondere ai movimenti più fluidi e decisi dell'altro: era felice, immensamente felice che la sua prima volta fosse con Aomine, avrebbe voluto abbandonare quella posizione per fare in modo che i loro visi si trovassero vicini, che potessero baciarsi e guardarsi negli occhi, ma in quel momento gli veniva difficile perfino respirare, completamente succube di un piacere sconosciuto.
«A–A—»
Aomine continuò a muoversi dentro di lui e per un attimo sembrò riacquistare un po' di lucidità e si mise in ascolto: possibile che lo stesse per dire davvero?
Le dita di Daiki sciolsero la stretta attorno ai polpacci di Kise e i loro corpi tornarono aderenti, la sua bocca giocò brevemente con l'orecchino del compagno e i suoi movimenti si fecero ancor più decisi.
Kise spalancò la bocca in un gemito sordo, per poi avvicinarla all'orecchio del compagno e stuzzicarlo con le labbra, in baci confusi e deboli a causa dell'eccitazione.
«A-Aominecchi-»
Aomine provò un piacere ancor più intenso non appena lo sentì chiamare quel maledetto nomignolo al suo orecchio e, per la seconda volta, si sentì morire - ma si trattava di una morte molto più dolce di quella precedente -.
Kise era ansante sotto al suo corpo e aveva appena chiamato il suo nome con la voce rotta dall'eccitazione: era molto meglio dei suoi sogni e della sua immaginazione.
Aomine si compiacque nel pensare che non avevano ancora finito e che, molto probabilmente, lo avrebbe ripetuto ancora - anzi, senza il probabilmente: voleva sentirlo ancora -.
Daiki smise di nuovo di pensare, come se ogni sinapsi del cervello si fosse spenta, pietrificata a causa dell'amplificazione degli altri sensi: si abbandonò completamente alle labbra di Ryouta e al suo corpo, alla sua voce e a quel richiamo irresistibile, cadendo a capofitto nel baratro dell'eccitazione e scivolando sempre più a fondo, senza via di salvezza.

Se la luce si spegne bisogna provare a brillare.




Licenza Creative Commons
Quest'opera è distribuita con Licenza Creative Commons Attribuzione - Non commerciale - Non opere derivate 2.5 Italia.




L'angolino invisibile dell'autrice:

Quando scrivi un capitolo così lungo impiegandoci circa due settimane finisci per non averlo ben chiaro in mente e pensi che sia venuto uno schifo.
Ecco, bene.
L'ho riletto e … ah, che strano, sono soddisfatta. ;A;
Diciamo che è un capitolo di transizione (anche se dovrebbero essere molto più corti i capitoli di transizione!) dedicato a ogni coppia, con l'AoKise come apoteosi finale (?).
Intanto faccio notare che fra la prima scena MidoTaka e la MomoRiko c'è un salto temporale di qualche giorno (e per quanto riguarda la battuta finale di Momoi: sì, se ve lo siete chiesti, si riferiva al seno. Ah, e Riko ha convissuto con Teppei e Hyuuga per un certo periodo! ùwù).
Spero che le recensioni si ravvivino un po', perché ultimamente questa fanfiction è molto smorta (avete stressato con l'AoKise e con Akashi e mi mollate ora che Aomine e Kise si sono messi insieme e ora che Akashi è scomparso? Ma insomma òwò'')
Per il resto, siccome questo capitolo non era abbastanza lungo, la mia mente malata ha rielaborato un fantastico (SEH) Spin-off che vi linko: http://efpfanfic.net/viewstory.php?sid=2799171
Chu! <3

Ritorna all'indice


Capitolo 23
*** Capitolo XXII ***


Capitolo XXII





Le partenze fanno paura. Paura a chi parte, perché non può prevedere cosa lo aspetta.

Tre gennaio, partenza ore sei e dieci.
Tetsuya conosceva a memoria ogni millimetro del biglietto aereo che in quel momento stringeva fra le mani intirizzite dal freddo, distogliendovi i propri occhi solo ogni tanto, per dare un'occhiata a Kagami e poi alle porte girevoli dell'ingresso nella speranza di scorgere anche qualcun altro oltre loro.
Parlando della malattia di Akashi e dell'intenzione di andare in Svizzera per fargli visita, erano riusciti ad ottenere, chi tutta, chi in parte, la cifra desiderata, ad esclusione di Kise che aveva attinto direttamente dai propri guadagni.
Chi aveva ricevuto solo parte della cifra, proprio come Tetsuya, era riuscito a farsi dare il resto in prestito o arrotondare con i propri risparmi e, solo due giorni dopo Natale, avevano finalmente prenotato i biglietti e l'albergo.
Kagami teneva gli occhi fissi sulle porte girevoli, in attesa che qualche volto conosciuto facesse capolino fra la miriade di estranei che, rapidi e irrequieti, scalpitavano per accaparrarsi un posto in sala d'attesa, per correre al gate o per togliersi immediatamente l'impiccio del check-in.
Dopo circa una decina di minuti, stufo di fissare i giri regolari e silenziosi delle porte, Kagami rivolse il proprio sguardo alla figura di Kuroko, che avvolto nel cappotto e in quella grossa sciarpa sembrava ancor più piccolo e gracile.
«Ohi, hai messo dei maglioni in valigia?» poi sembrò incenerire con lo sguardo il trolley nero ai piedi del fidanzato: aveva paura che lì dentro ci fossero solo magliette leggere, che Kuroko si sarebbe preso un brutto raffreddore.
«Sì, Kagami-kun.» gli occhi di Tetsuya indugiarono ancora sul biglietto, poi si sollevarono e incontrarono quelli dell'altro, anche se per un solo istante.
Kuroko era consapevole di quanto fosse stanco e nervoso Kagami: non aveva chiuso occhio per quasi tutta la notte, non aveva fatto altro che agitarsi e si era alzato almeno un paio di volte, assentandosi in entrambi i casi per una buona decina di minuti.
«Kagami-kun?» Kuroko lo chiamò con voce flebile; Kagami non rispose, ma i suoi occhi si soffermarono immediatamente sulle dita esili di Kuroko, stese e spalancate.
Tetsuya sarebbe partito con gli ex membri della Generazione dei Miracoli e lui sarebbe rimasto in Giappone. Tetsuya avrebbe incontrato Akashi, e lui sarebbe rimasto a marcire sul letto, con la testa piena di strane e sgradevoli congetture.
Taiga gli afferrò la mano con una certa cautela, quasi avesse avuto paura che le dita di Kuroko si spezzassero sotto le sue.
L'intreccio di dita durò poco, perché Kagami lo sciolse e si piazzò davanti all'altro, mostrandogli entrambe le mani e invitandolo a fare lo stesso con un rapido e ripetuto movimento delle dita.
«Sono congelate.»
Kuroko lo guardò in silenzio e gli sorrise, per poi adagiare le proprie mani sulle sue e lasciare che le sue dita ne accarezzassero il dorso e le scaldassero.
Si era ricordato solo nel tardo pomeriggio che Nigou aveva ridotto a brandelli l'unico paio di guanti che possedeva, e quindi aveva pensato di chiederli in prestito a Kagami, dimenticando che le sue mani erano la metà di quelle del fidanzato e che quindi li avrebbe persi in un batter d'occhio.
Le dita di Kagami continuarono a carezzare e massaggiare lentamente le mani dell'altro, sentendo la pelle scaldarsi e ammorbidirsi a poco a poco; schiuse le labbra per un solo attimo, e poi le serrò nuovamente, più indeciso che mai se intavolare o meno una questione che gli ronzava in testa da Natale: tralasciando l'imbarazzo iniziale, la cena con i genitori - e la nonna - di Kuroko era andata bene e quindi, quella stessa sera, aveva cominciato a pensare se non fosse il caso di telefonare a sua madre e a suo padre per discutere della sua situazione sentimentale.
Una cena andata bene non significava certo la benedizione della famiglia Kuroko - soprattutto perché nessuno aveva ancora capito che Kagami era molto più di un amico -, ma si era trovato talmente a suo agio da realizzare che voleva mettere al più presto in chiaro le cose con i suoi genitori, dire a sua madre e suo padre che amava un ragazzo e che la cosa era seria, in modo che un giorno anche Tetsuya potesse passare una bella serata e sentirsi accettato e apprezzato.
Kuroko doveva aver notato l'assenza nel suo sguardo e doveva essere stufo di quel clima freddo e silenzioso, così scostò improvvisamente le proprie mani e si avvicinò a lui fino ad abbracciarlo.
Kagami, dal canto suo, sembrò quasi ringhiare per l'imbarazzo, ma non osò respingerlo, anzi lo strinse, seppur timidamente, e decise di rimandare la disputa che in quel momento gli stava consumando ogni singolo anfratto del cervello.


«Tetsu-kun! Kagamin!»
Kagami allentò la stretta e drizzò il viso, resistendo alla tentazione di voltarsi verso le porte girevoli: era pronto a scommettere che la voce di Momoi provenisse dalla parte opposta, ovvero da quella a cui lui stava volgendo lo sguardo e Kuroko le spalle.
Il sospetto fu confermato pochi istanti dopo, quando Momoi sorpassò un grosso gruppo di persone e valige, seguita da Aida, Murasakibara e Himuro.
Tetsuya si scostò lentamente dal corpo dell'altro, contrariato a sciogliere quell'abbraccio e a rinunciare a quel piacevole calore.
Non appena i quattro li raggiunsero, Kagami schiuse le labbra e li osservò con la fronte aggrottata, voltandosi per un solo attimo verso le porte girevoli.
«Eravamo al bar, Mukkun aveva fame.» Momoi, che aveva intuito la confusione, gli spiegò brevemente la faccenda. Tetsuya, dal canto suo, trovò finalmente il coraggio di staccarsi dal corpo di Kagami, rinunciando al suo calore, e si voltò verso di loro.
«Buongiorno.»
«Buongiorno.» Himuro fu l'unico a rispondergli, perché Murasakibara si mise a rosicchiare qualcosa, Momoi gli saltò al collo ripetendo come un'ossessa quanto fosse felice di fare quel viaggio con lui e Aida si affiancò a Kagami sbuffando spazientita.
«Devono partire fra poco e c'è solo la metà di loro.»
Taiga rivolse una rapida occhiata a Riko che, accanto a lui, se ne stava con le labbra incrinate in una smorfia pensierosa e vagamente amareggiata e le braccia conserte al petto.
«Figurati, quell'idiota di Aomine starà ancora dormendo.» ringhiò fra i denti e tornò a fissare vigile le porte girevoli.
«Oh no! Ho sentito Dai-chan al cellulare, poco fa!» Momoi sciolse la stretta attorno alle spalle di Kuroko e sbirciò per qualche istante le porte girevoli «nessuno arriverà in ritardo, state tranquilli.»
«Sicura?» Riko la fulminò con lo sguardo e Satsuki, in tutta risposta, sorrise e annuì energicamente.
«Stiamo pur sempre parlando di Akashi-kun.» Kuroko intervenne, appoggiando Momoi.
«Kuro-chin e Satsu-chin hanno ragione.» parlando con la bocca piena, Murasakibara accartocciò la carta di una merendina e la lanciò lontana, centrando il cestino che si trovava a pochi metri di distanza da loro.
«Perfino Atsushi non ha fatto storie stamattina.» Himuro seguì la traiettoria della cartaccia e sorrise non appena la vide sprofondare nel cestino.
«Ah!» Momoi sorrise e guardò davanti a sé, nello spazio che stava fra Aida e Kagami, e gli altri seguirono immediatamente il suo sguardo.
Riko sembrò trarre un sospiro di sollievo e Tetsuya sorrise debolmente.
«Eccoli.»
C'erano tutti: Aomine, Kise e Midorima, accompagnato da Takao.
«Bene!» Riko si staccò dal gruppo e andò incontro agli altri quattro «forza, andiamo al check-in!»
«Ci deve dare gli ordini anche quando non stiamo giocando a basket?» Taiga sbuffò sommessamente, borbottando e facendo sorridere sinceramente Tetsuya.
«Kagami-kun! Kuroko-kun!»
La voce di Riko sembrò perforare i timpani di entrambi e li fece sussultare.
«Volete sbrigarvi?!»
Riko e gli altri erano già tutti riuniti e loro erano rimasti lì impalati, sopiti nella loro intimità e nella contemplazione dell'altro.
«Sì, coach!» e ancor prima che Aida potesse dire qualcos'altro, scattarono entrambi in avanti e raggiunsero in tutta fretta il gruppo.


Percorsero alcuni metri della pista d'atterraggio in silenzio, alcuni con le sciarpe fin sopra il naso, altri con le mani ben nascoste nelle tasche, gli occhi socchiusi e il naso arrossato a causa del freddo pungente che sferzava i volti.
Quando arrivarono a pochi metri dall'aereo, si fermarono e si prepararono ai saluti.
«Se fa così freddo qui, non voglio immaginare in Svizzera.» Momoi borbottò sommessamente a causa della sciarpa che le avvolgeva parte del viso e le copriva la bocca.
Riko scorse con gli occhi i sei che aveva di fronte e parve un generale che, affiancato dai sottoposti - in questo caso Kagami, Himuro e Takao -, ammirava e valutava con sguardo attento il potenziale dei suoi soldati.
«Mi raccomando.» Aida si rivolse a Momoi, che proprio in quel momento, a causa di un alito di vento freddo che le si era insinuato fra i capelli, fino a sfiorarle la cute, fu colta da un brivido improvviso «tienili d'occhio.»
Momoi dondolò appena e saltellò sul posto con gli occhi chiusi e il viso quasi completamente sprofondato oltre la sciarpa.
«Va bene, Riko-chan, ma adesso è meglio che vada dentro, sto congelando!»
«Ohi Satsuki, al primo scalo vedi di metterti qualcosa di più pesante addosso, laggiù farà un freddo cane.»
Momoi annuì appena alle parole di Aomine e poi si rivolse a Kagami, Himuro, Takao e Aida.
«Bene, allora alla prossima settimana!» infine si congedò con un cenno della mano e mostrò un sorriso, per poi voltarsi goffamente e procedere verso la porta d'ingresso dell'aereo.
«Aominecchi?» Kise afferrò la manica del piumino di Aomine e la tirò appena.
«Che c'è?»
«Raggiungiamo Momoicchi-chan sull'aereo?» dopotutto loro due erano gli unici che non avevano un fidanzato da salutare, visto che sarebbero partiti insieme, per cui non aveva senso restare lì al freddo ad ascoltare le mille raccomandazioni di Aida.
Aomine indugiò appena e diede un'occhiata ai quattro che sarebbero rimasti in Giappone - fra i quali, per sua gioia, c'erano Kagami e Himuro -, poi annuì.
«Io e Kise saliamo.»
«Va bene.»
«Ciao a tutti, ragazzi!» mentre Aomine si limitò ad un rapido e confuso cenno della mano, Kise cinguettò e dispensò un grande sorriso, infine, una volta congedatosi, si ritrovò a seguire a passo estremamente rapido l'altro, che era già avanti di almeno un metro.


«Appena arrivi chiamami, va bene?» le parole di Kagami risuonarono estremamente lente e caute, e questo perché si stava sforzando di non finire per dar voce ai suoi pensieri: perché esistevano gli aerei? Perché non poteva andare con lui? Al diavolo la Generazione dei Miracoli! Al diavolo la Svizzera!
Kagami non voleva che Kuroko partisse, e in quel momento pensò che quasi un anno prima doveva essere stato lo stesso per Tetsuya, se non peggio. Anzi, sicuramente peggio: lui stava soffrendo per una settimana di lontananza, mentre Tetsuya, che tempo prima lo aveva accompagnato all'aeroporto, non aveva certezze se non il fatto che lo amava e che probabilmente non lo avrebbe più rivisto.
Solo immaginare che Tetsuya era stato costretto a patire una pena simile per mesi lo faceva sentire terribilmente in colpa, oltre che irrimediabilmente impotente nei confronti del destino.
«Kagami-kun, quando io arriverò in Svizzera, qui saranno le quattro del mattino.» gli fece presente Kuroko, con voce calma.
«Non importa.» pur di ascoltare la voce di Kuroko, Kagami si sentiva più che preparato a reggere un orario simile.
«Ti chiamerò.» Tetsuya sorrise flebilmente, poi riprese «ci sentiremo tutti i giorni.»
Le labbra di Kagami si incresparono in un sorriso quasi impercettibile: gli faceva piacere sapere che anche Kuroko era della sua stessa idea, che non avrebbe sfruttato quei sette giorni per staccare un po' dalla monotonia quotidiana, ma che avrebbe sentito la sua mancanza esattamente quanto lui.
Alla fine non era riuscito ad avvertirlo dell'intenzione di dire ai suoi genitori che aveva una relazione con un ragazzo; pensò di parlargliene in quel momento, ma non voleva rischiare di lasciare una conversazione importante a metà, visto che l'aereo sarebbe decollato di lì a momenti.
«Kagami-kun, se incontri mia nonna per strada salutala, va bene? Non ti farà del male.»
Kagami aggrottò la fronte stranito e lo fissò in silenzio per qualche istante: il fatto che lo avesse detto con quello sguardo serio e la voce impassibile lo rendeva fin troppo divertente.
«Non mi fa più così paura.» Taiga gli prese il viso fra le mani e si chinò un poco «dopotutto ha settantadue anni, giusto?»
Tetsuya lo guardò negli occhi e gli sorrise, per poi ricambiare il bacio.
«Ti amo.» quando le mani di Kagami erano ancora aderenti alle sue guance, Kuroko gli sussurrò sulle labbra.
Kagami ebbe la tentazione di guardarsi intorno, ma immaginava che anche Midorima e Takao e Himuro e Murasakibara fossero nel bel mezzo dei saluti, quindi, pur trovandosi in uno stato di imbarazzo quasi paralizzante, sussurrò di rimando.
«Anch'io.»
Tetsuya ampliò il sorriso e si scostò piano piano da lui.
«Allora ci vediamo fra una settimana, Kagami-kun.»
«Ti verrò a prendere.»
«Ciao.»
«Ciao.»
Quando Kuroko gli voltò le spalle, Kagami lo vide allontanarsi sempre di più, ad ogni passo, e improvvisamente lo avvertì così distante da sentirsi soffocare.
Solo, era completamente solo: ecco cosa doveva aver provato Tetsuya quando lui se n'era tornato in America senza preoccuparsi delle conseguenze.


Shintarou aveva fatto di tutto per dare il suo sostegno a Takao: nei giorni prima della partenza aveva trascurato completamente lo studio e si era occupato di lui, pensando che si sarebbe potuto dedicare ai suoi doveri universitari durante il soggiorno settimanale in Svizzera.
Nonostante Kazunari sembrasse migliorare di giorno in giorno, Shintarou non si sentiva ancora del tutto pronto a partire e lasciarlo solo per una settimana: ecco perché avrebbe cercato, per lo meno, di contattarlo ogni volta che gli si sarebbe presentata l'occasione - tenendo conto del fuso orario, ovviamente -.
Takao non si sarebbe fatto del male, forse si sarebbe lasciato andare più spesso allo sconforto e ai rimorsi, ma i suoi genitori erano molto protettivi e avevano assicurato a Midorima che avrebbero fatto di tutto pur di rivedere il sorriso del figlio, per cui non gli rimaneva che fidarsi.
Kazunari aveva una paura terribile: l'allontanamento di Midorima lo avrebbe senza dubbio riavvicinato al Takao triste, silenzioso e isolato di qualche settimana prima, e allora avrebbe ricominciato a ricordare, sarebbe caduto nel baratro dei rimpianti e dei rimorsi e si sarebbe sentito morire. C'era qualcosa, però, che lo spaventava ancor più del ricordo: Midorima sarebbe salito su un aereo di lì a pochi minuti.
Midorima conosceva perfettamente la ragione di quello sguardo apprensivo, velato di tristezza e paura, ma gli aveva già ripetuto un centinaio di volte che sarebbe andato tutto bene e che purtroppo non aveva altra scelta e, per quanto le sue parole fossero rassicuranti, Takao non era riuscito davvero a calmarsi ed ora sembrava supplicarlo con gli occhi di non partire.
«Allora ...» Takao cominciò timidamente, ormai consapevole di non avere altra scelta se non quella di lasciarlo andare.
Midorima lo guardò con insistenza, soffermandosi sulle guance leggermente arrossate dal freddo e la morbida sciarpa arancione che si annodava attorno al suo collo come un serpente.
«Mi chiamerai non appena atterrerete, vero?»
Midorima sapeva che gli orologi svizzeri erano impostati sette ore indietro rispetto a quelli giapponesi e, anche se in quel momento non riuscì a calcolare l'ora precisa in cui Takao avrebbe ricevuto la telefonata, capì che sarebbe stato molto presto.
«Sei sicuro?»
«Sì, non mi importa dell'ora, Shin-chan.» ed era sincero: non gli importava davvero, il cellulare sarebbe rimasto sempre acceso, il volume al massimo, in modo da non poter perdere neppure la più breve e banale delle chiamate o il più insulso e passivo scambio di sms.
«D'accordo.» Midorima inforcò gli occhiali e inspirò leggermente, e in quello stesso istante Takao si soffermò sul bacio fra Himuro e Murasakibara, - lo stesso tipo di saluto che poco prima si erano scambiati anche Kuroko e Kagami -.
Kazunari aveva una paura assurda di non vedere mai più Shintarou, per cui gli venne naturale soffermarsi su di lui più del dovuto, afflitto dalla terribile tentazione di baciarlo.
Cosa avrebbe potuto rappresentare, quel bacio? Un arrivederci affettuoso o un nuovo inizio? Perché non entrambi? E poi non era neppure la prima volta che una tentazione simile lo metteva alle strette.
Quando Takao si decise che forse avrebbe dovuto baciarlo per davvero, Midorima compì un gesto inaspettato e gli scompigliò affettuosamente i capelli con la mano, paralizzandolo.
«Vedrai che andrà tutto bene, Takao.» dopo pochi istanti, la mano di Midorima scivolò lontana, quasi avesse voluto chiedergli di dimenticare quel gesto imbarazzante, fargli credere che era stato solo frutto della sua immaginazione.
«Ci vediamo fra una settimana.»
Takao continuò a guardarlo e gli sorrise, seppur in modo vago e insicuro.
«A presto.»
«A presto.» Midorima fece eco ed ebbe di nuovo intenzione di intrecciare le dita ai suoi capelli, stringergli le mani nelle proprie oppure baciarlo: dopotutto Takao non era l'unico ad essere spaventato e a desiderare un saluto più intimo.


«Mido-chin?» non avevano ancora raggiunto gli altri quando Murasakibara biascicò alle sue spalle.
«Che c'è?» Midorima gli rispose senza fermarsi né voltarsi, ma piuttosto facendo segno a Momoi, - che a qualche metro di distanza aveva cominciato a dimenare le braccia, stringendole e allargandole sopra la testa -, che l'aveva vista e che presto l'avrebbe raggiunta.
«Mi siedo io vicino al finestrino, vero?»
A quella domanda, che a dire il vero sembrava più che altro la ricerca di una conferma, i passi di Shintarou subirono un rallentamento, un'esitazione.
Quando arrivò ai loro sedili, Midorima si fermò e diede un'occhiata oltre al finestrino appannato, scorgendo quattro sagome confuse e concentrandosi su una in particolare che, grazie ai colori, riconobbe come quella di Takao; per un attimo aveva dimenticato che il suo compagno di viaggio era un bambino imprigionato nel corpo di un adulto alto due metri e otto: era ovvio che si volesse sedere vicino al finestrino per salutare Himuro e per avere una panoramica migliore dell'esterno durante il viaggio, e di certo non avrebbe rinunciato a quel posto per permettergli di vedere ancora una volta il suo ex compagno di squadra.
Midorima non disse nulla e gli fece cenno di precederlo, quindi aspettò che si sistemasse accanto al finestrino e finì per sedersi al suo fianco con un sospiro di flebile rassegnazione.
Murasakibara si affrettò a passare la mano sul vetro per crearsi un varco nitido al centro del finestrino offuscato e vaporoso, salutando Himuro non appena la sua figura divenne ben visibile.
Kuroko, che si trovava dietro Midorima e Murasakibara, tra il finestrino e Momoi, aveva rischiarato il vetro appannato già da un pezzo e cominciava a percepire un fastidioso senso di intorpidimento alla mano, stufa di ondeggiare in quel saluto calmo e timoroso che già da troppo tempo rivolgeva al fidanzato.
Lasciare Kagami era uno sforzo immane per Kuroko, soprattutto perché con lui sarebbero rimaste altre persone, e proprio in quel momento, quando adagiò la fronte contro il vetro freddo e lo vide allontanarsi dalla pista con Himuro - e al seguito Aida e Takao -, capì che non avrebbe dovuto mai e poi mai abbassare la guardia: Tatsuya non gli era mai piaciuto, gli aveva sempre dato l'impressione che volesse portare via Taiga, rovinare il loro rapporto, così, che fosse vero o meno, la consapevolezza che sarebbero stati insieme per una settimana intera, mentre lui si sarebbe trovato a chilometri e chilometri di distanza, aveva già cominciato a distruggerlo. Sarebbe stato come qualche mese fa, quando lui si trovava a Tokyo e loro due a Los Angeles: uno strazio dell'anima, il progressivo marcire dei pensieri spiacevoli che di giorno in giorno si erano annidati nella sua mente.


«Ahh! Hai visto? Siamo gli unici a non essere separati!» dopo aver passato gli anni delle superiori separati, a differenza degli altri che si trovavano nelle stesse scuole, Kise era davvero felice che per una volta fossero lui e Aomine a non essere divisi.
«Già, e sei anche troppo appiccicoso per i miei gusti!» Aomine brontolò a denti stretti e cercò di scrollarselo di dosso, ma Kise continuò a confabulare felice, strusciando la guancia contro la sua spalla.
Per la gioia di Aomine, Kise si arrese un paio di minuti dopo la sua protesta e si raddrizzò sul sedile, dando un'occhiata nei dintorni e poi rivolgendo la propria attenzione a Momoi e Kuroko, separati da loro solo dal corridoio centrale.
«Kurokocchi, a che ora arriviamo?»
Tetsuya non lo sentì neppure: continuava ad osservare quel punto ormai vuoto sulla pista d'atterraggio.
«Kurokocchi?!»
«Tetsu-kun?» Momoi gli stuzzicò la spalla con un dito e Tetsuya si ridestò, rivolgendo uno sguardo piuttosto confuso e vagamente assente prima alla ragazza, poi a Kise, che al di là dello stretto corridoio aveva tutta l'aria di star attendendo con impazienza un po' della sua considerazione.
«Va tutto bene, Kurokocchi?»
«Sì, devo aver presto freddo.»
Kise rimase a fissarlo per un po', indeciso se credergli o meno.
«C'è qualcosa che volevi dirmi, Kise-kun?»
«Eh?! Ma come Kurokocchi? Non mi hai sentito?» Kise si lagnò, ma il piagnucolio andò a spegnersi in un rantolo sommesso non appena Aomine gli stuzzicò il fianco con il gomito per farlo smettere.
«Ti ho chiesto quando arriviamo.» Ryouta gonfiò le guance e si massaggiò il fianco, in attesa di una risposta.
«Arriveremo alle ventuno.»
«Oh, quindi il viaggio non dura più di venti ore!» da quel che gli avevano detto i suoi colleghi di lavoro, il suo viaggio sarebbe stato molto lungo, ma a quanto pareva si erano sbagliati.
Kuroko rimase in silenzio per qualche attimo, senza distogliere i propri occhi da quelli di Kise.
«Durerà circa ventidue ore, Kise-kun.»
Kise aggrottò la fronte e cercò una spiegazione a quella risposta.
«Ma se …»
«C'è il fuso orario.» Kuroko rispose senza tradire alcuna emozione.
«Oh!» Ryouta sorrise rallegrato e si rilassò per qualche istante contro lo schienale del sedile, quasi avesse capito tutti i misteri della vita e avesse trovato la pace dei sensi, poi si raddrizzò, irrequieto e confuso, e si rivolse nuovamente a Tetsuya.
«E quindi a che ora arriviamo?»
«Oddio, Kise, dormi e non rompere!»
«Ma io non ho voglia di dormire, Aominecchi!»
Parlando, Aomine attirò su di sé gli occhi di Momoi, che lo additò immediatamente con sguardo ricolmo di disappunto.
«Dai-chan! Mettiti la cintura!»
«Che palle.» Aomine sospirò spazientito e guardò dall'altra parte, rivolgendo il proprio sguardo ad un altro aereo che aveva uno strano stemma sulla coda.
«Kuro-chin, ho fame.»
Kuroko sollevò il proprio sguardo e si soffermò sulla chioma viola di Murasakibara che, in piedi, rischiava quasi di toccare il soffitto dell'aereo con la testa.
«Mi dispiace Murasakibara-kun, ma non ho niente da darti.»
«Mi hanno portato via tutti gli snack.» Murasakibara si lagnò, forse nella speranza di attirare un po' di attenzione su di sé e avere la compassione di qualcuno.
«Davvero pensavi che ti avrebbero permesso di portare quelle porcherie sull'aereo?» ma tutto ciò che ricevette fu il rimprovero di Midorima.
Murasakibara lo fulminò con lo sguardo e passò all'attacco.
«Non sono porcherie. E tu volevi che ti lasciassero a tutti i costi il cacciavite.»
«Non è colpa mia se l'oggetto fortunato di oggi è un cacciavite.» Midorima sbuffò e inforcò gli occhiali, rivolgendo il proprio sguardo davanti a sé per cercare di ignorare il più possibile Murasakibara.
«Aominecchi, guarda che te la devi mettere sul serio la cintura!»
Gli occhi di Tetsuya, che fino a quel momento erano rimasti puntati sulle teste di Midorima e Murasakibara, si rivolsero agli altri tre.
«Eh?! Non se l'è ancora messa? Dai-chan!» Momoi si dimenò sul posto, quasi fosse tentata di togliersi la cintura per andare da Aomine e mettergli la sua.
«Ma che palle!» e non appena Daiki rispose, l'attacco di Kise e Momoi divenne ancor più rumoroso e insistente.
Tetsuya, dal canto suo, rimase ad osservarli ancora per un po' e poi inspirò profondamente e cercò di rilassarsi contro il sedile, chiudendo gli occhi ormai rassegnato all'evidenza: sarebbe stato un lunghissimo viaggio.


Quando varcarono la soglia e si ritrovarono nella hall calda e confortevole dell'albergo, trassero tutti un sospiro di sollievo.
In quell'ambiente sconosciuto, rimasero imbambolati per qualche istante: c'era chi si sfregava le braccia con le mani, chi si alitava sulle dita e chi - Tetsuya - cercava chissà quale informazione sulla guida del posto.
Ancor prima che potessero avvicinarsi alla reception, il ragazzo che stava dietro al bancone si rivolse a loro in una lingua completamente sconosciuta.
Aomine, più degli altri, si ritrovò con le labbra schiuse in una smorfia di disprezzo e di confusione, poi si voltò e si rivolse a Kise.
«Che cazzo ha detto?»
Kise, che sembrava ancor più confuso di lui, si strinse nelle spalle e si guardò attorno.
«Credo che abbia parlato in … tedesco, vero Tetsu-kun?» Momoi si massaggiò la tempia con le dita e si rivolse a bassa voce a Kuroko, leggermente in imbarazzo a causa di quella situazione di immobilità in cui il ragazzo della reception continuava a fissarli inebetito.
«Sì, qui c'è scritto che parlano anche il francese.»
«E chi cazzo lo sa il francese? Tetsu, metti via quella guida, è inutile.»
Quando il ragazzo della reception si rivolse di nuovo a loro, Momoi arretrò leggermente e tirò la manica del cappotto di Kuroko.
«Ci sta parlando!»
«Io so qualche nome di dolce, in francese.»
«Ora sì che siamo salvi, Murasakibara.»
«Kuro-chin, credo che Mido-chin ce l'abbia con me.»
Midorima sbuffò sommessamente e lo incenerì con lo sguardo.
«Posso ...» Kise interruppe in tempo quello che sarebbe potuto divenire un battibecco con i fiocchi e avanzò di qualche passo «posso provare in inglese.»
«Ecco, bravo, che voglio andare a dormire.» Aomine gli diede una piccola spinta e Kise si staccò dal gruppo, ma esitò nel notare lo sguardo spazientito del ragazzo che stava alla reception.
Proprio nel momento in cui Ryouta si decise a schiuse le labbra, pronto a presentargli brevemente la loro situazione, una voce calda e calma riecheggiò nell'etere tiepido della hall e attirò la loro attenzione: era un timbro famigliare e l'accento era chiaramente giapponese, anche loro che non sapevano una sola parola di tedesco riuscirono ad intuire che chi aveva parlato non era svizzero - né europeo -.
«Pensavo arrivaste più tardi.» l'altro sorrise e rivolse al gruppo un saluto con un rapido cenno della mano «meglio così, comunque.»
«Nijimura-san!» Momoi si scostò dal gruppo e gli corse incontro, e gli altri, nonostante fossero ancora leggermente confusi di vederlo lì, si avvicinarono a passo rapido.
«Secondo voi perché Akashi vi ha consigliato questo albergo?» Shuuzou fece cenno ai sei di aspettare e adagiò entrambi i gomiti al bancone della reception, cominciando a scambiare qualche parola con il ragazzo.
«Chissà cosa stanno dicendo ...» Kise rimase a fissare con attenzione i due, cercando di afferrare qualche parola per isolarla e analizzarla, ma non riusciva a carpirne nemmeno una.
«Da quando sa il tedesco?»
«Mi sono dovuto arrangiare, Aomine.» Nijimura si voltò verso di loro e adagiò la schiena contro il bancone, tendendo una mano.
«Documenti e passaporti.»
I sei si affrettarono a recuperare i documenti e i passaporti dalle valige e li misero sul bancone, così il ragazzo della reception, che finalmente sembrava aver capito e non aveva più l'espressione nervosa e stupita, cominciò a registrare con calma i loro dati.
«Ho fame.» Murasakibara si lamentò per l'ennesima volta e Aomine e Midorima alzarono gli occhi al cielo, esasperati.
«Non sei cambiato di una virgola.» Shuuzou accennò un sorriso e poi riprese «siete ancora in tempo per la cena, penso vi terrò compagnia.»
A Tetsuya si illuminarono gli occhi: sperava in quelle parole, così avrebbe potuto sapere qualcosa in più sulla condizione di Akashi.
«Oh! Ragazzi, dobbiamo pensare alla divisione delle stanze!»
«Ohi, non cominciare a fare casino, Kise.»
«Io e te stiamo con Kurokocchi, va bene Aominecchi?»
«Ah? Va bene.»
Kuroko guardò entrambi e si preparò alla morsa soffocante di Momoi.
«Non dovreste decidere senza di me.»
«Tetsu-kun! Non puoi lasciarmi sola!» e come previsto, Momoi allacciò le bracca intorno alle spalle di Kuroko e cominciò a lagnarsi di quell'ingiustizia.
Nijimura si schiarì la voce quel tanto da attirare la loro attenzione.
«Vi stanno guardando tutti.»
Aomine aggrottò la fronte e si guardò intorno, per poi arricciare il naso.
«Tutti? Sono solo due vecchiette!»
«Beh, state facendo casino.»
«Pft, magari sono pure sorde!»
«Aominecchi, non essere maleducato! Guarda ch–» quando Kise vide la mano pesante di Nijimura abbattersi sulla spalla di Aomine, si zittì.
Daiki, dal canto suo, sostenne lo sguardo di Shuuzou ma si irrigidì.
«Aomine, sei venuto qui per disturbare o per far visita ad Akashi?»
Quello era lo stesso tono di voce che Nijimura usava quando decideva che avrebbe riempito la faccia di Haizaki di pugni, e Aomine sembrò capirlo in tempo, tanto che gli rispose abbassando leggermente la voce.
«Per far visita ad Akashi.»
Nijimura rimase ad osservarlo in silenzio per qualche attimo, poi accennò un sorriso soddisfatto.
«Bene.» gli lasciò la spalla e tornò a rivolgersi al ragazzo della reception, che restituì i documenti e i passaporti al gruppo.
«Adesso andiamo a mangiare?» con ancora il passaporto e il documento fra le mani, Murasakibara piantò i propri occhi addosso a Nijimura, impaziente di varcare la soglia del ristorante.
Nijimura annuì e si mise in testa al gruppo, per poi sollevare la mano e colpire l'aria con un cenno rapido.
«Seguitemi.»

E paura a chi resta. Soprattutto a chi resta, perché chi è partito potrebbe decidere di non tornare più.




Licenza Creative Commons
Quest'opera è distribuita con Licenza Creative Commons Attribuzione - Non commerciale - Non opere derivate 2.5 Italia.




L'angolino invisibile dell'autrice:

Innanzitutto mi scuso per lo schifo epico (eh già, non sono per niente convinta di questo capitolo).
Sono sempre tranquilla quando scrivo perché mi dico: “Nel caso avessi scritto qualcosa che non sta bene nel resto del capitolo, quando lo rileggo lo modifico o lo elimino”, ma quando lo rileggi a mezzanotte, con l'umore sotto le scarpe e i vicini che fanno un casino assurdo è un po' difficile correggerlo nel modo giusto (ecco perché alla fine l'ho riletto e ricorretto due volte con le cuffiette incollate alle orecchie).
Tralasciando lo schifo generale, vi devo come al solito qualche spiegazione. In particolare mi voglio soffermare su quella delle ore e dei fusi orari (probabilmente perché capendoli poco ho sempre bisogno di scriverlo per mettere bene in chiaro le cose xD): partono alle sei e arrivano alle ventuno (ci vogliono dalle ventidue alle ventiquattro ore dalla Svizzera al Giappone, scali - di solito due - compresi. Io, in questo caso, ho considerato ventidue ore e ovviamente ho tenuto conto del fuso orario - ci sono sette ore di differenza fra la Svizzera e il Giappone -).
Per quanto riguarda la partenza, so che non è corretto che le persone stiano sulla pista di atterraggio, anche perché di solito si passa nel gate (o almeno, l'unica volta che ho avuto la sfortuna di prendere l'aereo sono passata per il gate e non certo sulla pista di atterraggio), ma i saluti al gelo, a pochi metri dall'aereo, facevano il loro effetto scenico (insomma, sorvolate sul fatto che si trovino sulla pista di atterraggio - tanto li ho fatti andare via molto prima della partenza - e pensate piuttosto alla KagaKuro, alla MuraHimu e alla MidoTaka).
Capitolo corto, vero, ma è di transizione anche questo. Il prossimo no, non sarà di transizione, ma sarà piuttosto complicato e difficile da gestire, io ho tanto da studiare e sono piuttosto stanca, quindi non so davvero quando pubblicherò.
E poi: via con i sensi di colpa di Kagami e con la paura/gelosia di Kuroko nei confronti di Himuro! 8D
Ah, continuando a parlare di KagaKuro, il riferimento alla nonna settantaduenne richiama ad un loro discorso che si trova nello spin-off che ho pubblicato un capitolo fa.
Per quanto riguarda la fine: Nijimura l'ho fatto sorridere un po' troppo, ma ehi, credo sia davvero felice di avere tutti i membri della GoM lì, pronti a sostenere Akashi. E niente, credo che Aomine sia piuttosto remissivo nei suoi confronti, non che abbia paura o cose simili, dopotutto l'ho detto che sostiene il suo sguardo, però capisce quando è ora di smettere di scherzare, ecco tutto (questa è una mia visione personale della cosa, siete libere di dissentire se per voi non è così!)
Mi auguro che, nonostante tutto, questo capitolo piaccia e spero di riuscire a pubblicare presto anche il prossimo (anche se temo che mi serviranno almeno … due settimane? Gh-)
Alla prossima!

Ritorna all'indice


Capitolo 24
*** Capitolo XXIII ***


Capitolo XXIII





E nel buio un soffio, la fiammella trema e singhiozza in uno scintillio fioco: si sta per spegnere.

Da almeno dieci minuti, Tetsuya si ripeteva mentalmente di stare calmo e di respirare.
Gli riusciva davvero difficile, in quel momento, ricordare come si facesse ad incamerare aria e a risputarla fuori: una porta chiusa e il silenzio al di là di essa gli avevano fatto dimenticare una cosa banale e naturale come respirare.
Scrutando i volti e le movenze degli altri di sottecchi, Tetsuya si rese conto che buona parte di loro era agitata quanto lui: non gli sfuggì neppure la tensione di Midorima, assente nel volto e nell'espressione ma presente in quel continuo guardarsi intorno, in quel continuo aggiustarsi gli occhiali - dopotutto era un buon osservatore e ormai aveva imparato a leggere anche i caratteri più difficili e a carpire ed interpretare gesti all'apparenza insignificanti -.
Quando la serratura scattò, Tetsuya sussultò appena e si staccò immediatamente dalla parete, rivolgendo il proprio sguardo a Nijimura che, con cautela, si apprestava a richiudere la porta dietro di sé.
«Potete entrare.»
Alle parole di Nijimura, Momoi, Murasakibara e Kise si precipitarono alla porta, mentre Kuroko, che aveva notato un velo di rassegnazione nel tono di voce del primo, non si mosse.
Nijimura, dal canto suo, non si scansò dalla porta e li bloccò con un cenno della mano.
«Uno per volta.»
«Come uno per volta?» Kise aggrottò la fronte e si lagnò sommessamente, mentre Kuroko inspirò profondamente e tornò con la schiena aderente alla parete.
«Vuole vedervi uno per uno, non posso farci niente.» Shuuzou sfiatò, innervosito da tutta quella pressione, e si fece da parte.
«Momoi, tu sei la prima.»
Momoi sobbalzò appena e gli rivolse un'occhiata sorpresa, poi scorse velocemente i volti degli altri e si avvicinò con cautela alla porta, afferrando la maniglia con le dita tremanti: non sapeva cosa aspettarsi, non sapeva cosa fare e cosa dire. Aveva paura che Akashi fosse cambiato fino ad essere irriconoscibile - un'altra volta -.
Kise le accarezzò la spalla, quasi avesse voluto farle coraggio, e finalmente la serratura scattò una seconda volta e Momoi varcò timidamente la soglia di quella stanza.


Non appena lo vide si sentì profondamente stupida: aveva immaginato di trovarlo in una condizione molto peggiore, tenuto in vita da mille macchinari strani e più morto che vivo, ma per fortuna non era così.
Era più pallido e magro di come lo ricordava, aveva i segni della stanchezza sul viso, ma era palesemente vivo, cosciente, e le stava sorridendo, invitandola a prendere posto accanto al letto con la sola forza dello sguardo.
«Ciao, Akashi-kun.» Satsuki indugiò ancora un po' prima di compiere i primi passi verso di lui, mentre Seijuurou sembrò essere completamente a suo agio e non le staccò gli occhi di dosso neppure per un secondo.
«Ti trovo bene.»
A Momoi non piacevano quelle frasi di rito, perché un: “Ti trovo bene” esigeva un: “Anche io”, ma lei non poteva dire lo stesso di lui, sarebbe sembrata una presa in giro bella e buona.
«Ti ringrazio.» prese posto sulla sedia accanto al letto e ricambiò il sorriso «oggi … oggi come stai?»
Akashi la scrutò per qualche istante, senza che la sua espressione mutasse, confermandosi impossibile da leggere come al solito.
«In questi giorni sto molto meglio.»
«Ah!» quasi avesse avuto paura che la conversazione appena cominciata si stesse già per spegnere, Momoi sussultò e cominciò a frugare nella borsa «ti ho portato un regalo, Akashi-kun!»
«Un regalo?»
Satsuki riuscì finalmente a trovare il pacchettino e tornò a rivolgere il proprio sguardo all'altro, sorridendogli.
«Per Natale, anche se è già passato.»
Seijuurou ricambiò il sorriso e afferrò il pacchettino colorato che gli porse.
«Ti ringrazio, sei stata davvero gentile.» fece una piccola pausa, soffermandosi sulla carta sottile e liscia al tatto, sul colore brillante, quasi come se non ricevesse un regalo da anni e ne fosse affascinato.
«Il motivo per cui ho chiesto di vedervi uno ad uno è perché voglio parlare con calma con tutti voi.» poi parve abbandonare la contemplazione del pacchettino e tornò a rivolgersi a Momoi.
Akashi voleva sapere cosa le aveva riservato il futuro, voleva sapere come stessero gli altri, e sapeva benissimo che da Momoi avrebbe potuto ricavare molte informazioni, visto che si era sempre presa cura di tutti loro. Almeno per quel giorno voleva scappare dalla Svizzera e tornare in Giappone, ai vecchi tempi.
«Stai frequentando l'università o lavori?»
«Oh no, l'unico che frequenta l'università è Midorin!» Satsuki si morse il labbro inferiore, ma era già troppo tardi, ed Akashi sorrise soddisfatto: era riuscito a ricavare un'informazione interessante senza neppure volerlo.
«Per ora lavoro in un negozio di intimo come commessa.»
«Avevi in mente qualcos'altro?»
«Beh ...» Momoi indugiò appena e si strinse nelle spalle «vorrei puntare più in alto, lavorare in un negozio di biancheria intima non è certo quello che volevo.»
«Giusto.» Akashi sembrò compiacersi delle sue parole e dopo qualche istante decise di continuare «gli altri come stanno?»
Satsuki parve sorpresa da quella domanda: dopotutto lo avrebbe scoperto da solo di lì a poco.
«Beh, stanno … abbastanza bene, sì.» non era sicura che raccontare del progetto di Kuroko e dei problemi di Midorima fosse una buona idea, quindi preferì rispondere in modo vago.
«Lo scoprirò da solo.» e Akashi parve non averla sentita e averle letto nel pensiero: quel: ”Abbastanza bene”, dopotutto, non lo aveva convinto affatto, ma allo stesso tempo sapeva che non poteva pretendere che Momoi gli dicesse tutto. Piano piano, avrebbe messo a nudo ogni cosa e scoperto il motivo della loro riunificazione.
«Momoi-san, tienili d'occhio fino al mio ritorno.»
Momoi sorrise appena e annuì, alzandosi con estrema calma.
«Chi vuoi che chiami, Akashi-kun?»
Akashi le rivolse un'occhiata silenziosa e rifletté per qualche istante.
«Sono indeciso fra Daiki e Ryouta.» oltretutto, l'espressione di Momoi nel momento in cui pronunciò quei due nomi lo incuriosì ancora di più.
«Ryouta. Prima Ryouta.»
«Allora te lo chiamo. Ci vediamo, Akashi-kun.»
Akashi rispose con un cenno della mano e sorrise compiaciuto: aveva l'impressione che di cose da scoprire ce ne fossero davvero tante, e il solo sospettarlo lo mandava in estasi.


Aveva deciso di tastare il terreno con Ryouta, per poi torturare Daiki.
Akashi aveva un sospetto, ma per agire liberamente doveva prima trovare una conferma che gli desse una sicurezza sufficiente.
Aveva avuto quel sospetto alle medie, e l'sms che Nijimura gli aveva inviato la sera prima, per descrivergli le sue impressioni riguardo agli ex membri della Generazione dei Miracoli, aveva contribuito a farlo tornare a galla, aveva risvegliato in Akashi una curiosità troppo ingorda, che si poteva saziare con la sola verità.
La porta si riaprì all'improvviso e Kise varcò la soglia con estrema lentezza, richiudendosela con cautela alle spalle, quasi avesse avuto paura di fare rumore.
Per quell'istante di silenzio che li circondò, Seijuurou si soffermò sul suo volto e lo scoprì, con sua grande sorpresa, molto simile a quello del Kise di una volta, ma non identico: era il viso di un modello, i lineamenti fini, gli zigomi alti, la pelle bianca, senza imperfezioni, le labbra costantemente increspate nel solito sorriso affabile, ma negli occhi c'era una luce diversa, come se dopo tanto tempo, dopo un'affannosa ricerca, i tormenti di Ryouta fossero svaniti e al loro posto fosse rimasto soltanto il riflesso di qualcosa di dolce, di bello.
Kise sorrideva non per falsità, ma perché era gentile di natura, aveva una predisposizione a dispensare calore ovunque andasse e forse era così tanto preso dalle sue labbra felici che non si era mai reso conto di quanta tristezza albergasse nei suoi occhi. Eppure, ora, c'era un sorriso anche nei suoi occhi, e ciò significava che doveva essere successo qualcosa di bello.
«Akashicchi!» Kise, come Momoi, non sapeva né cosa dire né cosa fare, ma era davvero contento di vederlo e non riuscì a mettere a freno la propria lingua «Nijimuracchi ha detto che stai meglio, quindi stai guarendo, vero?»
Nel constatare che non era cambiato affatto - rumoroso, agitato e ingenuo come al solito -, le labbra di Akashi si incresparono in un sorriso impercettibile.
«Non proprio, Ryouta.»
«Però stai facendo progressi, non è così?» Kise ampliò il sorriso e prese posto sulla sedia, avvicinandola un poco di più al letto.
«Forse.» Akashi mormorò, osservando in silenzio il pacchettino di cartone che l'altro stringeva fra le mani: possibile che fosse sempre così irrimediabilmente e ingenuamente ottimista?
«Ah!» Kise notò lo sguardo di Akashi e fece ondeggiare appena il pacchettino, per poi porgerglielo «Momoicchi-chan mi ha dato un'idea, e quindi anch'io ti ho portato un regalo.» Ryouta fece una piccola pausa e poi riprese con un lieve fremito della voce « un regalo di Natale. Ti devo ancora il regalo di compleanno!»
«Ti ringrazio, ma non è necessario.» Akashi afferrò il pacchettino e lo sistemò accanto a quello che gli aveva dato Momoi, tornando a rivolgersi all'altro.
«Piuttosto, sei ancora un modello, vero?»
«Sì, però gioco anche a basket!» Kise rispose velocemente, quasi negandosi il respiro, come fosse stato un bambino interpellato dalla maestra «per fortuna Kurokocchi ha pensat–»
«Questo me lo dirà Tetsuya.»
Kise sobbalzò appena e restò in silenzio, questa volta ricordando più che altro un bambino in castigo.
«Piuttosto ...» Akashi riprese, assottigliando appena il proprio sguardo senza staccare gli occhi dal suo visitatore «come va fra te e gli altri?»
Ryouta si sorprese a quella domanda e indugiò per qualche istante, infine tornò a rivolgere i propri occhi ad Akashi e rispose alla domanda.
«Credo che rispetto a tanto tempo fa le cose stiano andando molto meglio.» dopotutto perfino Midorima sembrava stesse - finalmente - cominciando ad uscire dalla sua corazza; era inutile negarlo: la vicenda di Takao e Miyaji, seppur indirettamente, aveva rafforzato un'amicizia che fino ad allora era stata troppo debole per chiamarsi tale.
«E fra te e Daiki?»
Kise si sentì gelare il sangue e per pochi istanti ebbe la sensazione che delle mani invisibili gli stessero stringendo con forza il collo, impedendogli di respirare.
«Fra … fra me e Aominecchi?» perché gli aveva fatto una domanda simile? Non gli bastava parlare in generale?
«Va tutto bene, perché?» Ryouta si trattenne dal deglutire.
Akashi lo scrutò in silenzio, poi socchiuse gli occhi e inspirò soddisfatto: era insolito che Kise cadesse vittima dell'imbarazzo, ma quello era proprio uno di quei rari momenti.
«Francamente non avrei mai scommesso su di voi, per questo te l'ho chiesto.»
«Sco-» Kise aggrottò la fronte e borbottò sommessamente «scommesso? Scommesso su cosa, Akashicchi?»
«Sulla vostra amicizia, Ryouta. Avete due caratteri così diversi, e Daiki è così cocciuto che non credevo davvero che le cose fra voi potessero aggiustarsi.» pronunciò serafico e, dopo appena qualche secondo, riprese «altrimenti su cosa avrei dovuto scommettere, Ryouta?»
Kise si sentì avvampare e quasi non fu preso dalla tentazione di alzarsi e scappare a gambe levate dalla stanza, in modo da poter fuggire a quell'interrogatorio prima che Akashi lo soffocasse con tutte le sue domande.
«Su niente, su niente, Akashicchi!» rise nervoso e Akashi, dal canto suo, lo osservò compiaciuto.
«Ryouta?»
«S-sì?»
«Mi basta osservarti per capire che sei cresciuto ancora.»
Quando gli sentì pronunciare quelle parole, Kise trasse un sospiro di sollievo.
«Hai molto potenziale e parte di esso deve ancora sbocciare, quindi, se fossi in te, mi dedicherei al basket.»
«Lo sto facendo ...»
«Solo al basket.»
Kise non seppe cosa rispondere e rimase imbambolato, con le labbra schiuse in un sospiro e gli occhi fissi in un punto impreciso davanti a lui: era un'eventualità che aveva preso in considerazione più volte, ma che aveva abbandonato definitivamente in seconda superiore, quando l'infortunio alla gamba aveva cominciato a pesare sulla sua carriera sportiva.
«Chiama Daiki.»
Le parole di Akashi parvero squillare contro le sue orecchie e lo ridestarono immediatamente, e Kise si sentì, per la seconda volta, gelare il sangue.
«Aominecchi?»
«Sì.»
Kise forzò un sorriso e si alzò dalla sedia, dirigendosi lentamente verso la porta: lo aveva stordito, prima con quella domanda su Aomine, poi con il basket e la possibilità di lasciare per sempre il mondo della moda.
«Ryouta, pensa a quello che ti ho detto.»
Le dita di Kise si strinsero attorno al pomello, ma gli occhi restarono fissi sull'esile figura di Akashi.
«Lo farò.» un impercettibile sussurro che in un attimo spazzò via tutte le sue certezze e lo fece sentire perso, al contrario di Akashi che, invece, sembrò trarne un certo beneficio e un certo compiacimento.


Al contrario di Momoi e Kise, Aomine non indugiò sulla porta e, anzi, si diresse immediatamente verso di lui.
«Ohi, mi spiace, ma io non ti ho portato niente.»
Seijuurou lo scrutò e sorrise compiaciuto nel vedere che, in piedi a fianco al letto, con le mani nelle tasche dei pantaloni e l'espressione annoiata, Aomine era rimasto quello di un tempo e che, quindi, non si sarebbe neppure dovuto sforzare per metterlo alle strette.
«Francamente non credo che siate venuti fin qui per i regali.» si pronunciò con estrema calma: dopotutto non era stato lui a pregarli di venire fino in Svizzera, ma piuttosto aveva il sospetto che fosse stato Kuroko, che avesse qualcosa di ben preciso in mente - e la quasi confessione di Kise aveva alimentato il suo sospetto -. I loro regali erano un'aggiunta a qualcosa di più importante: la loro presenza.
Akashi inspirò e si raddrizzò appena, osservandolo con aria di sufficienza.
«Allora, Daiki, che stai facendo?»
Aomine rimase in silenzio per qualche istante e aggrottò la fronte confuso.
«Mhn?»
«Lavori? Studi?»
Gli occhi di Aomine guizzarono via dalla figura di Akashi e si soffermarono su due grossi libri poggiati sul comodino: a quanto pareva lui stava studiando, si stava preparando per andare all'università nonostante si trovasse ancora confinato in clinica e non sapesse se e quando la malattia sarebbe scomparsa.
«Nessuna delle due cose.»
«Daiki, lo sai che non esiste solo il basket, vero? A meno che tu non decida di intraprendere una carriera agonistica, ti conviene cercare un lavoro.» Akashi non si stupì della sua risposta e parlò con calma imperturbabile.
In tutta risposta, Daiki brontolò appena e fece guizzare gli occhi perfino oltre i libri, alla parete bianca e poi alla finestra e alle nuvole scure al di là del vetro.
«Dovresti tenere d'occhio Ryouta.»
Le parole di Akashi sibilarono, gli ferirono le orecchie - prima che entrasse, Kise aveva fatto appena in tempo a dirgli di stare attento, e cominciava a comprenderne il perché -.
«E perché io?» finalmente tornò a rivolgere il proprio sguardo all'altro, borbottando contrariato.
«Perché gli vuoi bene.»
Aomine si irrigidì e i suoi occhi fuggirono immediatamente da quelli del suo malefico interlocutore: Akashi sapeva qualcosa, e questo non gli piaceva affatto, era maledettamente imbarazzante.
«Sai, Ryouta ha dei pensieri che preferisce tenere per sé, per cui ha bisogno che qualcuno gli stia vicino.»
Aomine avrebbe voluto insistere, domandargli perché stava chiedendo una cosa simile proprio a lui, ma sapeva che ogni tentativo sarebbe stato vano: Akashi aveva già capito tutto.
In quel momento lo detestò profondamente e fu incapace di parlare: anche lui - a maggior ragione, visto che era il suo fidanzato - voleva scoprire i pensieri più intimi di Kise e non trovava giusto che Akashi li conoscesse.
«Mi sbaglio?» quel silenzio improvviso non piacque ad Akashi, che decise di incalzarlo e rinchiuderlo nuovamente nella solida gabbia dell'imbarazzo.
«Beh ...» Daiki esitò e continuò a fissare un punto lontano dagli occhi di Akashi «è un amico, gli voglio bene come a tutti gli altri.»
Provò imbarazzo a confessare una cosa del genere e pensò che ne avrebbe sperimentato almeno il doppio una volta dettogli che lui e Kise stavano insieme - e non che fosse sua intenzione sputare il rospo, ma sapeva perfettamente che l'altro, prima o poi, sarebbe riuscito a cavargli le parole di bocca -.
«Lo paragoni agli altri?» Akashi sorrise in modo eloquente.
«Eh? Ma no, no-» Aomine brontolò e continuò senza neppure rendersene conto «non paragonerei mai Kise agli–»
Le parole gli morirono in gola non appena notò l'espressione compiaciuta di Akashi: a quanto pareva era riuscito ad ottenere ciò che voleva.
«Altri.» Aomine finì la frase in un brontolio ed arretrò di qualche passo, sfiatando spazientito e imbarazzato.
«Posso andare, adesso?»
«Va pure Daiki, non è mia intenzione trattenerti oltre.» in verità, nonostante avesse ottenuto già molte informazioni e fosse quasi dell'idea di confermare il suo sospetto, Akashi avrebbe continuato volentieri a scavare nella coscienza di Aomine e a metterlo in imbarazzo, ma era consapevole che altre tre persone stavano aspettando il loro turno e lui, d'altro canto, non vedeva l'ora di vederle - due in particolare -.
«Chiama Atsushi.»
Aomine non reagì in nessun modo a quelle parole e si limitò ad aprire la porta e voltarsi un'ultima volta verso di lui.
«Beh, ci vediamo.» brontolò, forse ancora imbarazzato, forse offeso.
«Ci vediamo.» Akashi gli fece eco, e poi sentì la porta cigolare appena e la guardò chiudersi lentamente.


Era da almeno trenta secondi che si era richiuso la porta alle spalle e se n'era rimasto a guardarsi intorno con aria confusa, una leggera malinconia nello sguardo e le labbra serrate in una smorfia di perplessità.
«Vieni pure avanti, Atsushi.» ma anche il richiamo di Akashi non risultò essere molto efficace, - non all'inizio, almeno -: Murasakibara aveva bisogno di abituarsi a quell'ambiente, forse necessitava ancora di accettare l'idea che Seijuurou fosse costretto in quel letto bianco e triste, rinchiuso in una clinica dal nome sconosciuto, in una terra troppo lontana dal Giappone - perché ventidue ore per arrivarci erano tante, troppe -.
Murasakibara titubò e fece un primo passo, poi un secondo, e a poco a poco prese più sicurezza e avanzò in direzione del letto di Akashi.
Proprio come un bambino ebbe paura di quell'ambiente sconosciuto, ma, una volta appurato che si trattava di un ambiente innocuo, prese eccessiva confidenza, tanto che finì per ignorare la sedia e si sistemò ai piedi del letto.
Akashi lo guardò in silenzio, poi sollevò una mano e indicò la sedia.
«Atsushi, c'è la sedia.»
Murasakibara sembrò quasi arricciare il naso e dondolò sul posto.
«Qui è più comodo, Aka-chin.» poi, finalmente, lo guardò, ma aveva gli occhi tristi e la bocca corrugata, ancora digrignata in quella smorfia di perplessità.
Akashi decise di lasciarlo lì dov'era e lo osservò mentre gli adagiava una caramella nella piccola conca di lenzuola formata dalle cosce, dove già si trovavano i regali di Kise e Momoi.
«Aka-chin, Niji-chin ha tentato di spiegarmelo tre volte, ma io non ho capito perché sei qui.»
«Perché sono malato, Atsushi.» in cuor suo, Seijuurou aveva il sospetto che l'altro avesse capito benissimo, ma che, più semplicemente, facesse fatica ad elaborare e ad accettare una situazione simile.
«È una malattia brutta, Aka-chin?»
Giustamente, Murasakibara non si sarebbe mai accontentato delle parole di Nijimura: voleva interpellare anche il diretto interessato.
Akashi sfiatò impercettibilmente e rimase in silenzio per qualche istante: non gli piaceva che gli venissero fatte quelle domande, lo costringevano a rispondere in un certo modo e ad ammettere verità che era importante continuare a negare, in modo che l'illusione potesse rafforzare lo spirito e il corpo.
«Sì, è brutta.»
«Aka-chin ...» Murasakibara si fermò a contemplarlo per qualche istante: la malattia era brutta, eppure Akashi sembrava lo stesso di sempre, imperturbabile, calmo, determinato.
«Hai paura, Atsushi?»
Murasakibara si guardò i piedi e si morse il labbro inferiore, pensandoci su solo per qualche istante.
«Sì.»
Akashi accennò un debole sorriso.
«Non devi averne, tornerò prima di quanto immagini.» parlò con estrema calma e riprese qualche istante dopo «cosa fai adesso?»
Atsushi sembrò sorprendersi per quella domanda e tornò a fissarlo.
«Io e Muro-chin stiamo per aprire un negozio. Una specie di bar-pasticceria.»
E anche Akashi, dal canto suo, si sorprese delle parole dell'altro: mai avrebbe immaginato che un tipo pigro e indolente come Murasakibara potesse addirittura decidere di aprire un negozio.
«Aka-chin.» ma Atsushi sembrava intenzionato a parlare di qualcos'altro e lo chiamò di nuovo, tendendogli il mignolo «me lo prometti?»
«Che cosa?»
«Che tornerai.»
Seijuurou tacque per qualche istante e fissò in silenzio il mignolo dell'altro, ancora teso verso di lui, in attesa.
«Te lo prometto.» e così anche Akashi tese il mignolo verso l'alto e lo andò ad intrecciare a quello di Murasakibara, che quasi sembrò sollevato da quel gesto, parve trarre beneficio da quel rito piuttosto infantile.
«Fai il bravo fino al mio ritorno, d'accordo?»
«D'accordo, Aka-chin.»
«Chiama Shintarou.»


Akashi era rimasto in silenzio, non aveva sorriso e si era limitato a seguire ogni suo movimento con lo sguardo.
«Ciao.» lo salutò soltanto quando gli si sedette accanto.
«Ciao.» Midorima fece eco, gli occhi distanti e le labbra incrinate in una smorfia amareggiata.
Akashi, dal canto suo, continuò ad osservarlo in silenzio ed inspirò appena.
«Sei arrabbiato con me, Shintarou?»
Midorima sospirò spazientito ed inforcò gli occhiali con un gesto nervoso.
«Perché non ce lo hai detto prima?»
Akashi rivolse lo sguardo di fronte a sé e arricciò appena il naso, come se un insetto fastidioso avesse appena interrotto la sua quiete sfiorandogli il viso.
«Tu lo avresti fatto, Shintarou?» Seijuurou lo punzecchiò e, non ricevendo risposta, continuò «ti saresti lasciato vedere in certe condizioni?»
«Pensi sia umiliante?» la voce di Midorima risultò leggermente alterata e Akashi, a giudicare dalla sua espressione, sembrò quasi trarne beneficio.
«Non ho voglia di farmi compatire.»
«Qui nessuno ti compatisce, Akashi, piuttosto siamo tutti preoccupati per te.»
«Mi hanno detto che stai frequentando l'università.»
«Non cambiare discorso.» Midorima borbottò spazientito.
«Cosa fai? Medicina?» ma Akashi non lo ascoltò e continuò a parlare.
Shintarou si sistemò ancora una volta gli occhiali e sospirò spazientito.
«Sì. Come lo hai saputo?»
«Momoi-san.»
Midorima trattenne a fatica un secondo sospiro e alzò gli occhi al cielo: doveva aspettarselo, lo svantaggio di essere chiamato fra gli ultimi stava più che altro nel fatto che prima di lui vi fossero Kise e Momoi, ed era scontato che almeno ad uno dei due scappasse qualche informazione. Si augurò, per lo meno, che nessuno avesse menzionato il loro progetto, visto che la cosa spettava a Kuroko.
«Anche io frequenterò l'università.» gli occhi di Akashi guizzarono e si soffermarono sui due grossi libri poggiati sul comodino, e quelli di Midorima fecero lo stesso.
«Lo immaginavo.» sussurrò appena e tornò a rivolgere il proprio sguardo all'altro «lettere?» e finì per maledirsi mentalmente: aveva attraversato la soglia di quella camera con le idee chiare, ripetendosi costantemente che avrebbe dovuto prestare la massima attenzione e non si sarebbe dovuto lasciar manovrare da Akashi, ed ora si ritrovava a parlare di università, lasciando da parte tutti i propositi e le domande che gli avrebbe voluto porre.
«Sì. Non mi piace l'idea di aver perso un anno, ma non voglio rinunciare all'università.» Akashi era perfettamente consapevole che erano rimasti pochi soldi sul suo conto e che avrebbe dovuto stringere la cinghia, contare su Nijimura e magari trovarsi un lavoro per pagare l'università, ma puntava anche sulla possibilità di una borsa di studio che, per le sue doti e le sue capacità, non era poi così lontana.
«Come mi hai trovato?»
Midorima si sentì improvvisamente più leggero: la conversazione aveva cominciato ad assumere una piega personale, la voce di Akashi si era fatta vagamente più dolce e confidenziale, come se avesse deciso di voltare le spalle a quel clima di tensione e diffidenza che aveva pesato su di loro dal momento in cui si erano guardati negli occhi.
«Il tuo dottore aveva il tuo nuovo numero.»
Akashi restò in silenzio per qualche istante e poi accennò un sorriso vagamente divertito.
«Non pensavo aspirassi alla carriera investigativa, Shintarou.»
«Infatti. Ero solo preoccupato.» Midorima sfiatò appena e distolse lo sguardo leggermente imbarazzato.
«Spero che ti sia passata.»
Le parole di Akashi graffiarono il silenzio e risuonarono improvvisamente stridule, a Midorima parvero tante spade pronte a trafiggergli il petto, tanto che sobbalzò e osservò l'altro con espressione trafelata, trattenendo il respiro.
«Non fare quella faccia, Shintarou: sai di cosa parlo.»
Midorima restò in silenzio e cercò di comunicargli con la forza del pensiero ciò che non sarebbe mai riuscito a dirgli a voce: si era preoccupato e lo aveva cercato perché gli voleva bene, ma non lo amava più, non provava più quella strana sensazione di amore riluttante e odio attrattivo che aveva avvertito alle medie e che a poco a poco lo aveva soffocato nelle sue spire. Lui non lo amava, c'era un'altra persona nel suo cuore, una persona speciale che da anni, ormai, aveva spodestato Akashi dal suo trono.
Avrebbe voluto dirgli che si preoccupava per lui come si sarebbe preoccupato per Kise, Aomine, Murasakibara, Momoi o Kuroko: sostanzialmente, Akashi non valeva né più né meno degli altri, c'era solo una persona che contava di più, la stessa persona che Shintarou aveva fatto così tanta fatica a lasciare in Giappone e con la quale cercava di mettersi in contatto ogni volta che poteva.
«Sì.» Akashi parlò senza che lui avesse detto nulla e Midorima tornò a guardarlo in silenzio.
«Ti è passata.»
Shintarou si sentì percuotere da un brivido: lo aveva letto nel pensiero per davvero?
«Lo vedo dai tuoi occhi. A dire il vero l'ho visto anche alle superiori, ma adesso che ti rivedo dopo tanti mesi posso dirlo con certezza.»
Midorima si alzò placidamente, senza staccargli gli occhi di dosso «non abbiamo più niente da dirci per ora, non è vero?»
«Già.»
«Rimettiti presto, Akashi.»
«Lo farò.»
La mano di Midorima scivolò nella tasca dei pantaloni e ne uscì poco dopo, porgendo un piccolo portachiavi a forma di coccinella ad Akashi, e non servirono parole: Seijuurou lo accettò anche più volentieri di tutti gli altri regali e sorrise nel constatare che l'altro dava ancora peso all'oroscopo, illudendosi per un attimo che quello fosse il solito Shintarou, quello che lo guardava con gli occhi pieni di ammirazione, e non una persona ormai libera e svincolata dal potere irresistibile del suo fascino.


Il cuore di Tetsuya saltò un battito quando Midorima uscì dalla stanza e gli rivolse una rapida occhiata silenziosa.
«Manchi solo tu, Kuroko.» Nijimura gli si affiancò e lo incitò con la voce, ma Tetsuya non riuscì a staccarsi dalla parete e rimase a fissare la porta chiusa in silenzio.
«Tetsu-kun, ti senti bene?»
Kuroko schiuse le labbra, ma le parole rimasero incastrate in gola e quindi si limitò ad annuire; a staccarlo dal muro ci pensò la presa pesante di Nijimura su una spalla.
Un piccolo passo, poi un altro: la porta chiusa si fece a poco a poco più vicina e la paura sembrò divorargli le viscere. Anzi no, non era paura, ma una sensazione sconosciuta, varia e violenta, persistente e inarrestabile.
Tetsuya scorse rapidamente i visi dei suoi compagni e si sentì rincuorato dalla loro presenza, ma fu una sensazione illusoria e fugace, spazzata via dal freddo della manipola contro il palmo caldo della mano.
«Avanti.» Nijimura lo incitò e gli diede una piccola pacca sulla spalla, per poi raggiungere gli altri, e a Tetsuya sembrò di restare completamente solo, in uno spazio vuoto e bianco dove esistevano soltanto lui e quella porta.
Dietro quella porta si nascondeva un altro spazio vuoto e bianco? No, probabilmente no: dietro quella porta esisteva un mondo rosso e caldo che lui conosceva bene e che per un breve periodo, tanto tempo prima, era stato anche suo.


In un primo istante si guardarono come se stessero osservando le loro stesse anime, come se entrambi, con la sola forza dello sguardo, si fossero spogliati dell'aspetto esteriore, del pesante strato composto dagli accadimenti del passato e dal contesto presente e avessero messo a nudo i loro sentimenti e ciò che di più intimo possedevano.
Tetsuya indugiò appena, ma la vista di Akashi lo guidò fino al letto dove l'altro riposava e lo osservava senza dire una parola.
In quel momento, nessuno dei due si sentì in grado di parlare, come se avessero avuto paura di pronunciare il loro nome e di osservare l'effetto che avrebbe sortito sull'altro.
Kuroko scostò con cautela la sedia e rimase in piedi di fianco al letto, e per l'ennesima volta schiuse le labbra in uno spasmo di inquietudine, ma finalmente la voce uscì.
«Akashi-kun ...»
«Ciao, Tetsuya.»
«Ciao.» gli rispose immediatamente, ostentando una sicurezza inesistente, con la voce leggermente tremante e le dita allacciate in un intreccio saldo, come congelate: a Tetsuya sembrò di essere sospeso nel tempo e nello spazio, in una dimensione lontana anni luce dal loro passato e dal loro presente, un universo abitato dalle loro due anime e da nessun altro.
Ogni volta si sentiva spiazzare dalla velocità con cui il solo sguardo di Akashi riusciva a trasportarlo lontano, in un mondo nuovo: si immergevano istantaneamente l'uno nell'altro, e gli altri non esistevano più.
«Non ti siedi, Tetsuya?»
Kuroko negò con un piccolo cenno del capo e si soffermò sul volto pallido e smunto dell'altro, cercando di aggrapparsi alle parole che troppo veloci e confuse si accavallavano nella testa e in fondo alla gola, svanendo ancor prima che avesse modo di formulare una frase.
«Sono contento di vederti, Tetsuya.» Akashi accennò un sorriso e si lasciò sprofondare ulteriormente contro il cuscino «ti trovo bene.»
Tetsuya non disse nulla: di certo non poteva dire lo stesso di Seijuurou e si era già arreso all'idea che sarebbe stato lui a tenere le redini della conversazione.
«Immagino che qualcosa vi abbia condotti qui da me.»
Kuroko trattenne il respiro e lo guardò in silenzio: era vero che il suo progetto lo aveva condotto ad Akashi, che grazie a quell'idea avevano scoperto una terribile verità che altrimenti sarebbe rimasta sconosciuta.
«Che cos'hai in mente, Tetsuya?»
«Vorrei che tornassimo a giocare a basket ...» Kuroko esitò e la voce si affievolì «tutti insieme.»
Akashi scrutò Kuroko in silenzio: si era preparato ad una risposta del genere, ma nonostante tutto si era sentito improvvisamente privato del respiro, afflitto da un dolore troppo profondo e antico per essere estinto o anche solo respinto.
Seijuurou non aveva nulla in contrario all'idea di Tetsuya, anzi lo aveva pensato anche lui, era pienamente d'accordo, ma nelle sue condizioni come poteva giocare a basket? E anche se fosse guarito gli ci sarebbe voluta un'eternità per recuperare quei mesi di inattività, sarebbe rimasto indietro rispetto a tutti gli altri e ciò lo avrebbe proiettato verso l'Akashi del passato, verso l'imperatore vittorioso che mai e poi mai sarebbe dovuto ritornare.
«Per questo, Akashi-kun, tu devi guarire.»
Gli occhi di Akashi brillarono di curiosità, parvero braci ardenti.
«E gli altri? Sei già riuscito a convincere gli altri, Tetsuya?»
«Sì.»
Akashi lo osservò in silenzio, senza riuscire a trattenere un sorriso: Tetsuya era come sempre terribilmente forte e determinato, e il fatto che fosse già riuscito a trascinare Midorima, Aomine, Kise e Murasakibara nel suo progetto lo dimostrava.
«Dovremo fare un passo alla volta, Tetsuya.»
Kuroko gli rivolse un'occhiata interrogativa e Akashi riprese a parlare.
«Prima guarirò, poi tornerò a Tokyo e a poco a poco riprenderò col basket.» ma non voleva promettergli nulla e, a dirla tutta, non sapeva se il suo talento fosse destinato a crescere come aveva fatto quello di Ryouta o se si era già fermato per sempre.
«Sarà graduale.»
«Sì, lo so.»
I pochi istanti di silenzio che pesarono su di loro furono interrotti dalla voce imperturbabile di Akashi.
«In questo momento cosa fai? Momoi-san mi ha detto che l'unico che va all'università è Shintarou, quindi tu hai rinunciato all'idea?»
Tetsuya si trattenne dal mordersi il labbro inferiore: l'ultima volta che avevano parlato dell'università era stato tanto tempo prima, alle medie, e si trattava di un'idea condivisa, una congettura che per lui si era trasformata in utopia a causa della precaria situazione economica che aveva cominciato a gravare sulle spalle dei suoi genitori.
«Già, lavoro.» a malincuore aveva abbandonato l'idea dell'università e aveva cercato un lavoro in modo che potesse smettere di dipendere dai guadagni dei suoi genitori, ma ovviamente fare il fattorino non aveva cambiato molto la sua condizione di vita.
«Che tipo di lavoro?»
Tetsuya non avrebbe mai voluto sentirgli pronunciare una domanda simile: chissà cosa avrebbe pensato una volta venuto a conoscenza del suo impiego attuale.
«Io sono un ...» Tetsuya indugiò appena e si schiarì leggermente la voce «ecco, io porto le pizze-»
«Un fattorino?»
«Sì.»
Akashi, contrariamente da quanto si era aspettato l'altro, non lasciò trasparire alcuna emozione e non fu deluso da quella notizia: Tetsuya era forte, sapeva cosa voleva e avrebbe trovato molto presto il suo posto - ne era certo -.
«Non sapevo guidassi la moto.»
Kuroko fu sorpreso da quelle parole e non riuscì a trattenere un sorriso.
«Infatti ho dovuto fare un corso accelerato e prendere subito la patente.»
Akashi fu sul punto di dire qualcosa quando la porta venne spalancata e la voce di Nijimura li interruppe.
«L'orario delle visite è finito, sta per arrivare l'infermiera.»
«Ancora un paio di minuti.» ma Akashi protestò e gli fece cenno di chiudere la porta, e Nijimura non si oppose.
«Pare che sia ora dei saluti, Tetsuya.» Seijuurou riprese a parlare non appena la porta fu richiusa.
«Domani tornerò, Akashi-kun.»
«Non ti devi disturbare.»
«No, mi fa piacere vederti.»
Akashi restò in silenzio e lo scrutò attentamente: c'era qualcosa negli occhi di Kuroko, un'ombra vaga e silenziosa, come se avesse la tentazione di fare qualcosa ma si stesse trattenendo, come se stesse cercando a tutti i costi di restare immobile.
«C'è qualcosa che non va, Tetsuya?» ma Kuroko non rispose e Akashi si sorprese di non essere riuscito a leggerlo per l'ennesima volta.
Quando le braccia calde di Tetsuya lo avvolsero, il corpo di Seijuurou si irrigidì appena, diffidente ed estraneo a dimostrazioni di affetto che riceveva soltanto da Nijimura e molto raramente, ma chiudere gli occhi ed inspirare un profumo che conosceva fin troppo bene gli fu utile per rilassarsi, per abbandonarsi completamente a quella stretta affettuosa, a quell'abbraccio mancato.
«Guarisci presto: voglio tornare a giocare a basket con te.»
Le mani di Akashi scivolarono sulle spalle dell'altro, la stretta si fece un poco più salda.
«Contaci.» e si scambiarono quelle poche parole sorridendo, l'uno stretto all'altro, abbandonati, come vittime di quell'abbraccio che tanto avevano desiderato e che, paradossalmente, li aveva legati e uniti in un momento infinitamente triste.

Il buio divora il vento, la fiammella crepita silenziosa e felice: è una luce che carezza gli animi, una luce che rende dolci anche i ricordi più tristi, una luce che non si vuole spegnere.




Licenza Creative Commons
Quest'opera è distribuita con Licenza Creative Commons Attribuzione - Non commerciale - Non opere derivate 2.5 Italia.




L'angolino invisibile dell'autrice:

Fra le mie crisi esistenziali, gli esami e la conseguente voglia, dopo averli finiti, di svagarsi un po', ci ho messo una vita a scrivere questo capitolo (e spero che sia valsa la pena aspettare così tanto).
Questo capitolo lo avevo riassunto e diviso in sette tracce, e questa è sola la prima: ho dovuto dividerlo, altrimenti sarebbe venuto fuori un capitolo lunghissimo e ci avrei messo altre due settimane per finirlo, e siccome non mi piace farvi attendere ho preferito isolare l'incontro fra Akashi e la GoM e dedicargli un capitolo intero (francamente lo preferisco).
Riguardo alla mia visione di Akashi, un piccolo appunto: il mio Akashi si trova fra l'Akashi buono e l'Akashi cattivo, perché non esordisce con frasi da re (?), ma continua ad essere perfettamente consapevole che lui può ottenere tutto ciò che vuole quando vuole, eee … ok, continua a chiamarli per nome perché mi piace così (Momoi è l'unica che non chiama per nome semplicemente perché lo vedo molto rispettoso verso il genere femminile, un po' come Kuroko - non a caso anche lui usa il “-san” -).
Parlare di ogni incontro e cercare di trasmettere le sensazioni differenti di tutti i personaggi è stato abbastanza complicato, in particolare mi hanno dato molto da fare le ultime due parti.
A proposito delle ultime due parti: chi non è d'accordo con la MidoAka/AkaMido voglia perdonarmi questa cosa/mi sono dimenticata di aggiungerli negli accenni, ehm/e chi non è d'accordo con l'AkaKuro voglia perdonarmi l'altra (volevo quell'abbraccio da quando ho iniziato la fanfiction, sì).
Beeene, il prossimo capitolo mi darà molto da fare, ma forse potrei decidere di dividerlo ancora. L'unica cosa che posso dirvi è che sto per attentare a due coppie e ai vostri feels 8''D
Alla prossima!

Ritorna all'indice


Capitolo 25
*** Capitolo XXIV ***


Capitolo XXIV





La neve si sfalda e si scioglie, è come se la fiammella fosse così forte da poterla incendiare.

Quando uscirono dalla clinica, pronti a dirigersi verso l'albergo, Tetsuya si staccò dal gruppo ed estrasse il cellulare dalla tasca del cappotto: erano quasi le dodici, e ciò significava che in Giappone mancavano pochi minuti alle diciannove.
Tetsuya continuò a guardare l'ora digitale che campeggiava sul display e accennò un sorriso: era un orario fattibile per una telefonata e Kagami gli avrebbe risposto, sarebbero rimasti a parlare per un bel po' e avrebbero potuto bearsi l'uno della voce dell'altro.
Tetsuya non ci pensò due volte e, ormai solo, fermo davanti all'entrata della clinica, cercò il contatto di Kagami e lo selezionò, portandosi il cellulare all'orecchio.
Dopo qualche attimo di attesa, la voce di Kagami risuonò dall'altra parte dell'apparecchio e nell'orecchio di Kuroko, che inspirò soddisfatto e chiuse per qualche istante gli occhi.
«Ohi! Come va lì?» la voce calda di Kagami gli levò di dosso il gelo svizzero e lo fece sorridere.
«Ciao.» Tetsuya era così felice di sentire la sua voce che gli sembrò di non riuscire a dire altro e Kagami, che tacque per qualche istante, sembrò rendersi conto di essere stato troppo frettoloso e balbettò un saluto di rimando.
«Allora? Com'è la Svizzera?» Taiga riprese con più calma e Tetsuya chiuse gli occhi una seconda volta, lasciandosi cullare dal tono della sua voce.
Com'era la Svizzera? Non sapeva rispondergli se non con due banalissimi aggettivi, perché di quel luogo non aveva visto altro che un albergo e una clinica.
«Verde e fredda, Kagami-kun.»
Kagami sfiatò dall'altra parte dell'apparecchio e lo rimbeccò con voce alterata.
«Se mi dici: “Verde e fredda” mi viene da pensare ad un sacco di posti, sai? Scommetto che non hai staccato il naso dalla guida neppure per un minuto e ti sei perso tutto.»
Tetsuya si ammutolì: una volta tanto, Kagami era riuscito ad immaginare correttamente ciò che aveva fatto e lo aveva incalzato, messo alle strette.
«Era una bella guida.» sussurrò poi, con un sorriso divertito sulle labbra.
«L'albergo com'è?»
«Direi che è … spazioso, e abbastanza confortevole.»
«Beh, immagino che stare in stanza con Aomine e Kise non sia una delle più grandi gioie della vita ...» Kagami borbottò e Kuroko ampliò il sorriso.
«Vuoi sapere com'è il cibo, Kagami-kun?»
«Cosa …? Ehi! Perché dovrebbe interessarmi?!»
Tetsuya trattenne una risata compiaciuta - adesso era lui ad averlo incalzato -, ma la gioia e la serenità del momento si spensero non appena avvertì l'eco di una voce lontana e, purtroppo, piuttosto familiare.
«C'è qualcuno lì con te, Kagami-kun?»
«Eh? Ah sì, sono con Tatsuya.»
Tetsuya assottigliò appena lo sguardo e corrugò la fronte, in una smorfia di dolore.
«Lo sto aiutando con il locale.»
Il fatto che Kagami continuasse a parlare liberamente, senza rendersi conto che dall'altra parte dell'apparecchio era improvvisamente calato un silenzio a dir poco lugubre, ferì ancor di più Tetsuya che, istintivamente, rivolse il proprio sguardo all'orizzonte e si allontanò a passi rapidi dalla clinica, per raggiungere al più presto i suoi compagni di viaggio.
«Tu, piuttosto, hai già visto Akashi?»
«Sì, ma ora devo andare.»
«Un attimo–» a Kuroko sembrò di percepire un fremito nella voce di Kagami, ma non riuscì a trattenere le parole.
«Ti chiamo domani, ciao.»
«Kuroko—»
E la protesta di Kagami venne interrotta, spenta dal tocco leggero di Kuroko sul pulsante per interrompere la chiamata.


Dopo essere vissuto per anni fra gli Stati Uniti e il Giappone, Kagami poteva vantare una certa confidenza con i fusi orari e una discreta abilità nel calcolarli, per cui sapeva benissimo che, mentre a Tokyo l'orologio segnava le sedici, in Svizzera erano appena le nove del mattino e che, di conseguenza, avrebbe dovuto pazientare ancora un po' prima di ricevere la chiamata di Kuroko.
La conversazione del giorno prima gli aveva lasciato l'amaro in bocca e ancora ne risentiva, perché non riusciva a smettere di pensare a Kuroko e non faceva altro che fissare il cellulare, in attesa di ricevere la sua chiamata.
Non era riuscito a capire cosa avesse dato fastidio a Kuroko, o meglio non aveva compreso il motivo della sua improvvisa freddezza: era ovvio che durante la sua assenza Kagami avrebbe passato il suo tempo con Himuro, e se alla gelosia riusciva a resistere lui, che sapeva il suo fidanzato in camera con un ragazzo che fino a qualche mese prima diceva di essere innamorato di lui, lontano chilometri e chilometri e paurosamente vicino ad un suo vecchio amore, allora avrebbe dovuto farlo anche Tetsuya nei suoi confronti - dopotutto che cosa faceva di male, lui? Niente, stava solo aiutando Himuro a portare avanti i lavori al negozio -.
«Taiga, va tutto bene?» Himuro lo squadrò per qualche istante, poi sollevò l'ennesima sedia e la adagiò su uno dei tavoli.
«Dai, aiutami a spostare i tavoli, dobbiamo fare un po' di spazio.» ma Tatsuya ricevette un pesante silenzio in risposta e si voltò di nuovo verso di lui.
«Taiga?» alzò appena la voce, questa volta continuando a guardarlo.
Kagami sussultò appena e chiuse gli occhi per qualche istante, per poi rivolgergli uno sguardo stranito.
«Scusami.»
Himuro restò in silenzio e lo osservò mentre infilava il cellulare in tasca con un sospiro rassegnato.
«È da quando vi siete parlati che stai così.» ovviamente Tatsuya non ritenne necessario inserire un soggetto e Taiga capì al volo a chi si stava riferendo «eppure non mi è sembrata una conversazione così disastrosa.»
Kagami inspirò appena e si strinse nelle spalle, per poi sistemarsi ad una delle estremità del tavolo, di fronte ad Himuro.
«Non lo so, d'un tratto mi è sembrato molto freddo.»
Himuro aveva il sospetto che Kuroko avesse cominciato a comportarsi freddamente dal momento in cui Kagami aveva fatto il suo nome, ma non diede voce a quel pensiero e cercò di giustificare il comportamento dell'altro.
«Magari è stata solo una tua sensazione, o forse è semplicemente stanco.» Tatsuya esitò per qualche istante, poi riprese a voce un po' più bassa «non deve essere facile per lui, trovarsi laggiù.»
Kagami si sentì attanagliare lo stomaco da un crampo improvviso e cercò di scacciare via le parole di Himuro prima che potessero mettere radici e gemmare nella sua mente, ma ovviamente fu tutto vano: e se la freddezza di Kuroko non derivasse da Himuro, ma da Akashi? E se Kuroko avesse capito, rivedendolo, di amarlo ancora e quindi di non provare nulla per lui?
«Taiga, adesso non pensarci e aiutami a spostare i tavoli: dobbiamo fare in fretta, prima che arrivino per mettere il bancone.»
«D'accordo, lo chiamo più tardi.»


Quando le cifre dell'orologio digitale mutarono sotto i suoi occhi, segnando le ventidue spaccate, Kagami prese una grande boccata d'aria e sospirò spazientito, massaggiandosi con forza le tempie: erano le quindici in Svizzera, e Kuroko non aveva ancora chiamato - il che era strano, visto che gli aveva detto che gli avrebbe sempre telefonato prima che in Giappone fossero le ventuno -.
«Merda ...» borbottò nervosamente e andò in cerca del contatto dell'altro: Kuroko poteva essersi dimenticato, ma era davvero improbabile e non era un caso che non lo chiamasse proprio dopo essersi dimostrato così freddo, quindi Kagami si arrese all'idea che toccasse proprio a lui fare il primo passo.
Selezionato il contatto di Kuroko, Kagami prese l'ennesima boccata d'aria e trattenne il respiro per diversi istanti, fino a quando la voce bassa e docile di Tetsuya non risuonò dall'altro capo dell'apparecchio.
«O-ohi, Kuroko! Oggi non hai chiamato–» Kagami si maledì mentalmente e lasciò sprofondare un canino nel labbro inferiore: non aveva preparato un discorso e pur di rompere il ghiaccio aveva intavolato l'unico argomento pericoloso che avevano a sua disposizione.
«Sono stato occupato.» Tetsuya esitò per qualche istante e Taiga continuò a torturarsi il labbro inferiore con il canino «scusami, Kagami-kun.»
«Non importa.» Kagami mentì e poi riprese, sforzandosi di assumere un tono di voce calmo e amichevole «ma visto che oggi ti ho chiamato io, domani toccherà a te.»
Tetsuya non rispose, ma Taiga fu sicuro che avesse annuito con un rapido cenno del capo.
«Lì come va?»
«Va tutto bene, solo che devo fare attenzione quando entro in camera.»
Kagami aggrottò la fronte e restò in silenzio per qualche istante, quasi stesse aspettando una spiegazione.
«Perché devi fare attenzione?»
«Perché condivido la camera con Aomine-kun e Kise-kun.»
«E allora …?» Kagami si zittì all'improvviso e boccheggiò, sentendosi pervadere dall'imbarazzo.
«K-Kuroko-»
«Kagami-kun, non siamo gli unici a farlo, sai?»
«K-Kuroko!» Taiga sbottò contro il cellulare, paonazzo in volto e con il respiro leggermente affannoso, come se il pesante strato di imbarazzo che era improvvisamente calato su di lui lo stesse schiacciando e gli stesse impedendo di respirare.
Tetsuya trattenne a fatica un sorriso e riprese a parlare.
«Hai aiutato Himuro-san anche oggi?»
Kagami fu sorpreso di quella domanda e si sentì pervadere dalla speranza: se Kuroko chiedeva di Himuro di sua spontanea volontà, allora non doveva esserci alcun tipo di problema riguardo al fatto che stessero passando del tempo insieme.
«Sì, oggi hanno sistemato il bancone. Sta venendo molto bene.» senza neppure rendersene conto, Kagami si ritrovò con le labbra increspate in un piccolo sorriso: forse era stata la sua immaginazione, magari Kuroko non era mai stato arrabbiato arrabbiato o, forse, gli aveva telefonato nel momento sbagliato.
D'un tratto, però, la voce di Tetsuya gli parve di nuovo fredda e lontana.
«Ho promesso a Momoi-san che saremo andati a fare un giro.»
Taiga avrebbe voluto dirgli tante cose, raccomandargli di coprirsi per bene e di stare attento a non perdersi, ma si ritrovò a boccheggiare confusamente, tramortito dai mille pensieri che in un attimo si erano accavallati nella sua testa: perché interrompeva così bruscamente le loro conversazioni? Era lui che continuava a farsi strani pensieri e a dare troppo peso al comportamento di Kuroko, oppure c'era davvero qualcosa che non andava?
«Devo andare, Kagami-kun.»
«Sì ...» Kagami balbettò e capì che non sarebbe riuscito a fermarlo «allora a domani, Kuroko.»
«A domani.»
E la conversazione fu recisa con la stessa rapidità e la stessa forza con cui un paio di forbici avrebbero potuto tagliare un sottilissimo filo.


«Mukkun!» la voce lagnosa di Momoi riecheggiò nell'etere circostante e parve vibrare a contatto con l'aria fredda.
«Non vale, le fai troppo grandi!»
«Eh?» Murasakibara la incenerì con lo sguardo e raccolse una grande quantità di neve fra le mani «non è vero, siete voi che fate schifo.»
«Eh?!» Satsuki parve soffiargli contro.
«Murasakibaracchi!» Kise tentò di protestare, ma una voce alle sue spalle attirò la sua attenzione.
«Ohi, Kise!»
«Sì-?» Ryouta non riuscì neppure a vederlo in faccia, perché una palla di neve fresca lo colpì in pieno viso, accecandolo e zittendolo all'improvviso.
Kise arretrò di qualche passo e si tolse alla bene e meglio la neve che aveva sul viso, rivolgendo un'occhiata indispettita all'altro.
«Aominecchi!»
«Che idiota! Ti dimentichi sempre che siamo in squadre diverse.» Aomine ghignò soddisfatto, guardando l'altro che, immobile a qualche metro da lui, fu scosso da un brivido improvviso.
«Non ci andrò piano con te, quindi tu non farlo con me.» Aomine gli diede le spalle e Kise restò imbambolato ancora per qualche attimo: si trattava di una semplice battaglia di palle di neve, eppure fra loro si erano innescate la stessa tensione e la stessa competitività che germogliavano durante le partite di basket.
«Io e Mine-chin abbiamo vinto.»
«Uh?» questa volta fu Momoi ad incenerire con lo sguardo Murasakibara, punzecchiandogli un fianco «e da cosa lo stabilisci?»
«Mine-chin ha colpito Se-chin in piena faccia, è come se lo avess‒»
«Aominecchi!» la voce di Kise sovrastò quella di Murasakibara, attirando l'attenzione di entrambi.
Aomine, invece, non si preoccupò del grido lagnoso alle sue spalle e smise di prestare attenzione all'ambiente circostante, - perfino allo scricchiolio della neve sempre più violento e vicino -.
Kise si gettò contro la schiena dell'altro e Aomine perse immediatamente l'equilibrio, cadendo a faccia in giù nella neve.
«Ah!» Momoi, estremamente divertita dalla scena, sorrise e batté le mani, mentre Murasakibara si limitò ad osservarli con le labbra schiuse in una smorfia confusa.
«M-ma che-?!» Aomine sollevò il viso e cercò di scrollarsi di dosso l'altro, sputacchiando neve qua e là.
«L'hai detto tu che non devo andarci piano, Aominecchi!» Kise non si scollò da lui e rise divertito.
«Maledetto idiota! Vedi cosa ti faccio non appena riesco a rialzarmi!»
Kise rise nuovamente e si voltò per qualche istante verso gli altri due.
«Momoicchi-chan, vieni a darmi una mano!»
«Arrivo!»
«Eh?! Ohi-! Che avete intenzione di fare?!» Aomine si dibatté come un pesce fuor d'acqua, ringhiando a denti stretti «Murasakibara, non stare lì impalato!»
«Mi dispiace, Mine-chin: ho fame.» e Atsushi restò immobile ad osservare la scena, affrettandosi a scartare una delle sei merendine che teneva nelle tasche del giubbotto.


Kuroko aveva sentito le voci di Momoi e Kise e poi, sbirciando oltre le tende, aveva visto Aomine cadere nella neve, sconfitto da una mossa non molto corretta dell'ex asso della Kaijou.
Nel momento in cui Aomine cominciò ad insultare Murasakibara, il cellulare di Tetsuya vibrò e lo fece sussultare.
Le dita di Tetsuya scivolarono lungo il tessuto morbido della tenda, poi, con estrema lentezza, raggiunse il comodino e afferrò il cellulare, sedendosi con un sospiro ai piedi del letto: Kagami gli aveva detto che toccava a lui chiamarlo, e in tutta risposta Kuroko non si era fatto sentire per ben due giorni.
«Ciao.» il suo saluto fu a malapena udibile, tanto che Kuroko si sorprese della sua stessa voce.
«Ciao.» il saluto di Kagami, invece, lasciava presagire qualcosa, era alterato da una rabbia trattenuta a stento.
«Cosa c'è?» in amore, anche un tipo razionale come Kuroko perdeva la testa in un attimo: bastava la voce lievemente alterata del suo ragazzo per farlo agire senza pensare, per agitarlo e farlo spaventare. La domanda che gli aveva rivolto non aveva come scopo quello di infastidirlo o provocarlo, ma il desiderio di scoprire il perché di quella rabbia nella sua voce - anche se la motivazione era già chiara, soprattutto a lui -.
«Dimmelo tu, Kuroko.» Kagami lo incalzò «ci eravamo promessi che ci saremo tenuti in contatto, ma sono due giorni che aspetto una tua chiamata e ogni volta che mi parli sembra quasi che la mia sola voce ti dia fastidio.»
Le dita di Tetsuya arrancarono contro la stoffa dei pantaloni e la strinsero, una vaga sensazione di dolore gli attanagliò il petto: da quando si erano messi insieme, Kagami era cresciuto moltissimo, talmente tanto da parlargli in modo diretto, senza tanti rigiri di parole, e lui lo aveva ferito.
«Cosa c'è, Kuroko? Ho fatto qualcosa che non va? Ho detto qualcosa che non va?»
Tetsuya boccheggiò contro il cellulare e sembrò farsi piccolo piccolo, immerso nella penombra della stanza vuota.
«Si tratta di Tatsuya? Oppure ...» Kagami esitò per qualche istante, procedendo con voce più bassa «di Akashi?»
Kuroko sollevò il proprio sguardo e lo rivolse al piccolo raggio di luce che filtrava oltre la tenda, carezzando il pavimento senza riuscire a raggiungere i suoi piedi: Kagami provava la stessa gelosia che in quei pochi giorni aveva divorato lui.
«Mi dà fastidio ...» Kuroko borbottò.
«Cosa?»
«Mi dà fastidio pensare che passi tutto il giorno con lui.»
«Tetsuya, lo sai come stanno le cose.»
Kuroko sussultò e tornò a contemplare il sottile raggio di luce sul pavimento.
«Io e Tatsuya siamo amici, lo sto aiutando con il negozio perché Murasakibara è lì con voi, ma per il resto io …» Kagami esitò nuovamente «beh, lo sai.»
Kuroko restò in silenzio ancora per qualche attimo, ascoltando la voce vagamente tremante dell'altro e immaginando il suo viso paonazzo per l'imbarazzo.
«Come mi hai chiamato?»
«Io ...» Kagami si rese conto di averlo chiamato per nome e si sentì sprofondare nell'imbarazzo.
Kuroko, dal canto suo, non riuscì a trattenere un sorriso, con il cuore che ancora batteva all'impazzata da prima.
«Mi manchi, Kagami-kun.»
Lo sentì inspirare, probabilmente nel vano tentativo di resistere all'imbarazzo.
«Anche tu-» Taiga rimase in silenzio per qualche attimo, poi riprese con voce più ferma «senti, ti devo dire una cosa importante.»
«Ti ascolto.» Tetsuya si mise sull'attenti e scivolò lentamente al bordo del letto.
Taiga rimase in silenzio per qualche istante e si schiarì appena la voce, in cerca delle parole adatte.
«Ecco, vedi ...»
Il cuore di Tetsuya prese a battere con ancor più forza di prima, fino a fargli male.
«Ieri ho telefonato a mia madre e le ho … le ho parlato di noi.»
Kuroko trattenne il fiato e si sentì quasi soffocare: Kagami ci teneva tantissimo a loro, e lui che cosa aveva fatto per tutto quel tempo? Aveva dubitato di lui, gli aveva negato una fiducia che meritava al cento per cento.
«I miei genitori non l'hanno presa molto bene.»
Tetsuya non riuscì a parlare e si alzò dal letto per raggiungere nuovamente la finestra, scostare la tenda e lasciarsi carezzare il viso dalla luce fredda di gennaio.
«Lo risolveremo, Kagami-kun.» gli occhi di Tetsuya si soffermarono sulle orme che Aomine, Kise, Momoi e Murasakibara avevano lasciato sulla neve.
«Me lo auguro. Tu piaceresti a mia madre, e anche a mio padre, credo.»
«Appena sarò a Tokyo cercheremo una soluzione, mancano pochi giorni ormai.» a Tetsuya sembrò di sentirlo sorridere e così fece anche lui.
«Ti richiamo più tardi, va bene?» Tetsuya parve quasi sussurrare.
«Basta che non mi chiami in piena notte.» Taiga ghignò divertito.
«Non ti chiamerò in piena notte.» Tetsuya sorrise «dimentichi che ho la guida, Kagami-kun? Ormai so tutto.»
«A più tardi, allora.» Kagami ampliò il sorriso.
«A più tardi.» Kuroko fece eco e chiuse la chiamata, ma questa volta con estrema dolcezza e lentezza.


«Mhn?» Aomine seguì Kise con lo sguardo e poi diede un'occhiata alla porta chiusa «e Tetsu?»
«Sta ancora pranzando.» Kise tirò su col naso e rivolse un'occhiata colma di disappunto all'altro.
«Perché mi guardi in quel modo?»
«Perché per colpa tua mi verrà un raffreddore.» Ryouta gonfiò appena le guance e distolse lo sguardo dalla figura dell'altro, avvicinandosi alla finestra.
Aomine lo incenerì con lo sguardo e schioccò la lingua contro il palato.
«E io cosa dovrei dire? Per poco non mi ritrovo le mani e i piedi in cancrena!»
Kise si voltò verso di lui, adagiando la schiena contro la parete e rivolgendogli un sorriso destinato a spegnersi dopo pochi istanti.
«Aominecchi?»
«Che c'è?»
«Kagamicchi ha detto di lui e Kurokocchi ai genitori.» Kise lo sapeva perché prima di ordinare qualcosa di caldo al bar era tornato in camera e aveva notato che Kuroko aveva qualcosa che non andava e, insistendo un po' - anzi molto - era riuscito a fargli sputare il rospo, era venuto a conoscenza della sua preoccupazione riguardo la situazione e dell'intenzione di dirlo anche alla sua famiglia. Il motivo per cui lo aveva appena detto ad Aomine non dipendeva solo dal fatto che sentisse l'impellente bisogno di riferirlo a qualcuno, ma anche perché voleva raccomandargli di usare più tatto possibile, visto che Kuroko si era improvvisamente ritrovato imprigionato e soffocato da una situazione piuttosto scomoda e complicata.
«E allora?»
«Allora i suoi genitori non sono d'accordo e Kurokocchi non sta molto bene.»
Aomine rimase in silenzio per qualche istante, poi si strinse appena nelle spalle.
«Cosa credeva, quello scemo? È ovvio che non sono d'accordo.» Daiki scosse appena la testa «pft, solo un idiota come Kagami poteva dirlo ai genitori.»
Kise restò in silenzio per qualche istante, assottigliando il proprio sguardo e incrociando le braccia al petto.
«Vuoi dire che tu non lo diresti mai ai tuoi genitori?»
«E perché dovrei?»
La domanda di Aomine risuonò più come uno schiaffo che, rumoroso, si infrangeva contro la sua guancia, e per pochi attimi Kise non riuscì neppure a parlare.
«Se tieni ad una persona dovresti essere pronto a tutto-» la voce di Ryouta tremò appena «Kagamicchi ci tiene a Kurokocchi.»
«Per te è facile, Kise.»
«Cosa vuoi dire?»
«Non tutti i genitori sono tolleranti come i tuoi, sai? A meno che non si tratti della relazione più importante della mia vita, io eviterei di dirlo ai miei.»
Kise rimase ad osservarlo in silenzio, completamente spiazzato da quella risposta: per qualche istante non riuscì a sentire né i rumori provenienti dall'esterno, né i propri pensieri, ma soltanto una nausea improvvisa, come se sperasse di vomitare tutto ciò che aveva appena ascoltato e assimilato.
Aomine era riuscito a strappargli il cuore con una facilità disarmante, e sembrava non essersene nemmeno reso conto.
«E allora io ...» la voce di Kise tremò e si esaurì, Aomine aggrottò la fronte e gli rivolse un'occhiata interrogativa.
Ryouta lo guardò negli occhi solo per un secondo - perché in quel momento era riluttante perfino nei confronti dell'idea di essere solo in una stanza con lui - e poi si staccò velocemente dalla parete, raggiungendo la porta.
«Kise?»
«Lasciami in pace-» e ad Aomine bastarono quelle parole e il braccio di Kise che si liberava dalla sua mano con uno strattone improvviso per far sì che si ritrovasse paralizzato davanti alla porta chiusa, solo nella stanza.


Quando sentì bussare alla porta, Shintarou sollevò lentamente lo sguardo dal paragrafo che stava studiando e sfiatò innervosito.
«Chi è?»
Attese per qualche istante, ma non ricevendo risposta ripeté la domanda.
Midorima rimase in ascolto del silenzio e si strinse appena nelle spalle, tornando a leggere ma venendo interrotto poco dopo: bussavano ancora.
Shintarou sospirò e si alzò piuttosto in fretta, dirigendosi con passo rapido e nervoso alla porta, e non appena la aprì fu tentato di urlare di tutto al suo disturbatore, fermandosi non appena notò gli occhi arrossati di Ryouta e l'espressione da cane bastonato.
«Potresti rispondere quando le persone chiedono: “Chi è”.»
«Se avessi risposto non mi avresti aperto.»
Midorima arricciò appena il naso, sentendosi pungere da quelle parole.
«Che è successo?» poi arretrò appena, per lasciarlo entrare, ma Kise rimase sulla porta.
«Niente di che, volevo solo chiederti se sei disposto a scambiare la stanza.»
Midorima rimase in silenzio per qualche istante, trattenendo la sua risposta tipica, la negazione aggressiva a cui molto spesso dava voce più per abitudine che per altro: a pensarci bene, studiare in camera con Kuroko e Aomine sarebbe stato molto più vantaggioso che farlo con Momoi e Murasakibara, visto che non sarebbe stato più turbato da domande invadenti o dal continuo sgranocchiare di sottofondo, ma si sarebbe ritrovato immerso nel silenzio e avrebbe avvertito solo lo scorrere delle pagine di alcune riviste, libri e qualche sbadiglio.
«Midorimacchi, mi faresti un grande favore se‒»
«Va bene.» Midorima sfiatò e distolse immediatamente il proprio sguardo da Kise, che per un istante sembrò riacquistare il sorriso.
«Grazie! Vado ad avvertire Kurokocchi e gli altri e torno qui!»


Kise si fermò ad una decina di metri dal bancone della reception e scrutò lo spazio vuoto e silenzioso della hall: dopo essersi scambiato di camera con Midorima, e di conseguenza aver discusso una seconda volta con Aomine, aveva bisogno di starsene un po' da solo a riflettere.
Ryouta si soffermò per qualche istante su uno dei tre divanetti disposti a lato del bancone, attorno ad un tavolino di vetro piuttosto largo, per poi sospirare e lasciarsi sprofondare in uno di questi: erano quasi le quindici ed era impossibile che la hall rimanesse vuota fino all'ora di cena, che nessuno dei suoi compagni di viaggio lo notasse e gli rivolgesse parola, ma ora che ne aveva l'occasione voleva stare solo il più a lungo possibile, in modo da poter ritrovare un po' di razionalità.
Forse aveva esagerato a reagire così alle parole di Aomine, soprattutto perché l'altro sembrava non essersene neppure reso conto e lui non gli aveva dato modo di spiegarsi meglio o di smentire ciò che aveva detto, ma si era sentito ferito e aveva preferito chiudersi a riccio, isolandosi nel suo dolore.
Cosa c'era che non andava, in lui? Esattamente come Kuroko e Kagami, lui e Aomine stavano insieme e avevano anche fatto l'amore, quindi perché il loro rapporto sembrava più un segreto di stato che una relazione sentimentale?
Non aveva idea di come avrebbero potuto reagire i genitori di Daiki alla notizia della loro relazione, soprattutto perché conoscendo l'amore del figlio per il corpo femminile non si sarebbero mai aspettati che un giorno si sarebbe fidanzato con un ragazzo, e forse era proprio la loro imprevedibilità a spaventare Aomine. Perché era spaventato, giusto? Era la paura che lo frenava, e non lo scarso interessamento nei suoi confronti, no?
Kise sussultò non appena sentì il divano crepitare sotto il peso di un'altra persona che, con estrema calma, si era seduta al suo fianco.
«Come mai vi siete scambiati la stanza?»
Kise tacque per qualche istante: si sarebbe aspettato di vedere Momoi o Kuroko, ma non certo Nijimura.
«Pensavo fossi da Akashicchi.»
«No, ogni tanto ho bisogno di staccare.»
Nijimura ne parlava come se lui stesso fosse un medico e aveva l'aria molto stanca, anche se Kise riusciva a vederlo soltanto adesso che lo aveva così vicino ed erano soli.
«Ci tieni molto ad Akashicchi, eh?»
Shuuzou protese appena le labbra e rivolse il proprio sguardo altrove, leggermente imbarazzato dal sorriso gentile e vagamente intenerito che Kise gli stava rivolgendo.
«Mhn-» Nijimura grugnì e Kise si guardò le mani per qualche istante.
«State insieme, Nijimuracchi?»
«Co–» Shuuzou non riuscì a pronunciare neppure una parola intera, ma la sua reazione fu più che eloquente e fu la conferma a quella domanda.
«Da quanto?»
«Non cominciare a fare tutte queste domande.» Nijimura sbottò, continuando a guardarsi intorno e vedendosene bene dall'incrociare lo sguardo del suo interlocutore.
«Il dodici gennaio facciamo un anno, comunque.» e poi riprese con voce molto più bassa.
Kise si sorprese di quella risposta: non avrebbe mai immaginato che stessero insieme già da così tanto tempo, ma avendo perso le tracce di Nijimura da alcuni anni e quelle di Akashi da alcuni mesi era normale che ignorasse certe cose.
«È molto bello.» comunque, felice sia per Akashi che per Nijimura, non fece fatica a sorridere, riprendendo a parlare dopo qualche istante di esitazione.
«Visto che state insieme da così tanto tempo, tu l'hai detto ai tuoi genitori?»
Nijimura serrò le labbra in una smorfia amareggiata e restò in silenzio per un bel po', senza sapere esattamente che cosa rispondere.
«L'ho detto a mia madre ...» esitò e, ancor prima che potesse riprendere il discorso, Kise lo interruppe.
«E come l'ha presa?!»
«Mia madre è sempre stata piuttosto tollerante, quindi l'ha presa bene.»
«E tuo padre?»
Shuuzou deglutì a fatica e si schiarì appena la voce.
«Mio padre è morto, Kise.»
Ryouta trattenne il fiato e finì per balbettare qualcosa che, almeno all'inizio, fu incomprensibile alle orecchie dell'altro.
«I-io … non avevo idea che- mi dispiace.»
Nijimura negò appena con il capo e si concesse qualche attimo di silenzio.
«L'avrei detto anche a lui.» affermò poi, con voce ferma «magari all'inizio l'avrebbe considerato un po' strano, ma mi avrebbe dato la sua benedizione una volta resosi conto dei miei sentimenti.»
«Perché i genitori dovrebbero pensare alla felicità dei loro figli, giusto?»
«Giusto.» Nijimura fece eco e rilassò un poco il busto contro il morbido schienale della poltrona «ma ora lascia che sia io a farti una domanda.»
Kise rimase in silenzio, ma gli rivolse un'occhiata curiosa attraverso la quale sembrava quasi supplicarlo di andare avanti.
«Tu e Aomine state insieme?»
Kise lo fissò per qualche istante, poi sentì il volto andargli in fiamme e distolse subito lo sguardo.
«A-ah, Nijimuracchi! Passare così tanto tempo con Akashicchi ti fa male!» Kise si lasciò scappare una risata nervosa e Nijimura non riuscì a controbattere, visto che, in effetti, era stato proprio Seijuurou ad influenzarlo e a farlo diventare più attento e vigile nei confronti di tutto ciò che lo circondava.
«Sai, mi sembrate diversi.»
«Eh? “Diversi” come?»
«Certe cose si vedono.» Nijimura esitò: non aveva assolutamente voglia di addentrarsi in discorsi imbarazzanti «vi guardate in modo diverso rispetto a un tempo, soprattutto Aomine.»
A Kise sembrarono illuminarsi gli occhi, anche se soltanto per un attimo fugace: Aomine lo guardava in modo diverso? E come?
«Avete litigato?»
Ryouta si strinse nelle spalle e gonfiò le guance.
«Praticamente mi ha fatto capire che non dirà mai nulla ai suoi genitori perché non gli importa della nostra relazione.» a Kise tremò la voce e per questo si interruppe, sollevando il viso come a voler cacciare indietro altre lacrime «ah, non so nemmeno se posso chiamarla così-»
«Tu lo hai già detto ai tuoi, Kise?»
«Non di me e Aominecchi, ma per quanto riguarda il fatto che mi piacciono i maschi … beh, quello lo hanno capito da soli.»
«Hanno qualcosa in contrario?»
Kise negò con un lieve cenno del capo e Nijimura continuò.
«Non hai pensato che quelli di Aomine potrebbero non essere d'accordo? È una questione piuttosto delicata e ogni genitore ha un modo di pensare e reagire diverso; sicuramente sarà uno shock per la madre e il padre di Aomine, conoscendo le sue abitudini … sì, insomma, era una copertura quella delle riviste o-?»
«No.» Kise forzò un sorriso nervoso «purtroppo no, ad Aominecchi piacciono ancora quelle cose.»
Nijimura restò in silenzio per qualche istante, soffermando la propria attenzione su uno dei quadri appesi nella hall e che, ormai, conosceva a memoria in ogni minimo dettaglio.
«Da quanto state insieme?»
«Da poco più di un mese.»
«E allora scusami se te lo dico, Kise, ma non si può pesare l'importanza di una relazione soltanto in poco più di un mese. È comprensibile che per ora Aomine preferisca tenere i genitori all'oscuro della vostra storia.» Shuuzou si alzò con calma, tornando a rivolgersi all'altro dopo essersi stiracchiato le braccia «parlatene, e tu cerca di ascoltarlo senza saltare a conclusioni affrettate.»
Kise rimase ad osservarlo con un misto di ammirazione e di gratitudine nello sguardo: per un certo periodo, al Teikou, Nijimura si era preso cura di loro come capitano, e ora sembrava essere tornato a farlo anche se sotto vesti diverse e in modo differente.
«Ora mi tocca tornare in clinica, a stasera.»
«A stasera, Nijimuracchi.»


Non che fosse molto salutare cenare in camera con una delle merendine di Murasakibara per poi ritrovarsi a girovagare nel cortile dell'albergo, con gli stivali sprofondati nella neve e le labbra e le mani screpolate dall'aria fredda della sera, ma a Kise era sembrato di non avere altra scelta: raggiungere gli altri e cenare con loro, magari incrociare lo sguardo di Aomine e parlarci come se nulla fosse successo, sarebbe stato piuttosto avvilente.
Ryouta si sentì scuotere dall'ennesimo brivido e dondolò appena sul posto, quasi a volersi scaldare un po', per poi dare un'occhiata all'orologio: alle ventuno sarebbe tornato dentro, - nella speranza che fossero già tutti nelle loro stanze -, quindi aveva ancora una buona mezz'ora da passare al freddo e al buio, in piena solitudine.
«Ohi.»
Kise sentì il cuore balzargli in gola e si irrigidì, continuando a dare le spalle a quella voce nervosa.
«Non mi piace che te ne stai qui tutto solo, e poi rischi di prendertelo davvero il raffreddore.»
Il corpo di Kise sembrò rilassarsi e abbandonare la rigidità non appena Aomine gli sistemò goffamente il piumino sulle spalle.
«Hai intenzione di tenermi il muso ancora per molto?» Aomine gli si affiancò e rivolse il proprio sguardo nello stesso punto del cielo che Kise sembrava intento a contemplare, in un silenzio palesemente punitivo nei suoi confronti.
«Stiamo insieme da poco, per questo ho detto quella cosa.» Aomine si torturò la nuca con le dita, leggermente imbarazzato.
«E poi conosco i miei genitori: non saranno tolleranti e non me la faranno passare liscia.»
Gli occhi di Ryouta abbandonarono la contemplazione del cielo scuro e si soffermarono sul manto nevoso che, a causa della notte, pareva aver assunto una colorazione azzurrina.
«Dammi ancora un po' di tempo.» fu ancora Aomine a parlare, per poi zittirsi del tutto e rimanere ad osservarlo per un po', in attesa di una risposta o anche di un solo movimento.
Ad un certo punto, Kise gli apparve come una statua di ghiaccio e Aomine si chiese se tutta quella situazione avesse un senso e, vagamente amareggiato e piuttosto nervoso, gli diede le spalle e si incamminò nuovamente verso l'ingresso dell'albergo.
Kise, dal canto suo, gli diede il tempo di compiere solo una decina di passi e si voltò a guardarlo mentre si allontanava in silenzio.
Ryouta si ricordò, per un solo istante in cui il dolore della rimembranza fu comunque immenso, che la voragine che tempo fa si era aperta fra loro era nata nello stesso silenzio e nella stessa desolazione e gli venne istintivo afferrare i lembi del piumino per evitare che gli scivolasse dalle spalle e smettesse di proteggerlo dal freddo.
Non voleva assolutamente che quella voragine si riaprisse, non voleva perdere Aomine.
«Aspetta …» la supplica risuonò così flebile che Aomine non la sentì neppure e continuò a camminare, e ciò contribuì ad accrescere la paura di Kise.
«Aspetta!» Kise alzò la voce e questa volta riuscì a farsi sentire, e ancor prima che l'altro potesse voltarsi lo raggiunse e lo abbracciò, affondando il viso fra le sue scapole.
«Non te ne andare, Aominecchi-» Kise borbottò con voce tremante contro la sua schiena e Aomine guardò oltre la sua spalla senza tentare di liberarsi da quella stretta quasi soffocante.
«Io non vado da nessuna parte.» Daiki si voltò lentamente, prima di tre quarti e poi totalmente, e Ryouta rafforzò la stretta, ritrovandosi a mugugnare contro il suo petto.
La mano di Aomine raggiunse il capo di Kise e le dita affondarono lentamente fra i capelli biondi dell'altro, gli occhi si soffermarono per un istante ad un paio di metri da loro.
«Che scemo.» sibilò nel vedere il suo piumino abbandonato sulla neve, ma non si mosse e continuò a lasciarsi stringere dall'altro e ad accarezzargli la testa: non sapeva ancora se quella sarebbe stata o meno la relazione più importante della sua vita, ma senza ombra di dubbio Kise valeva molto più di tutto il resto, anche delle idee e delle opinioni dei suoi genitori.


«Midorimacchi?!» Kise aprì la porta all'improvviso, strepitando il suo nome e facendolo trasalire.
«Cosa vuoi?» Midorima ringhiò e chiuse il libro, mentre Kuroko distolse solo per qualche istante l'attenzione dal cellulare, tornando a fissare il display luminoso non appena la breve vibrazione segnalò l'arrivo di un altro messaggio.
«C'è stato un cambio di programma.» Kise forzò un sorriso nervoso e Aomine varcò la soglia in silenzio.
«Cosa intendi con “cambio di programma”?» Shintarou borbottò nervosamente: era ovvio che non potesse durare, era tutto troppo bello per essere vero.
«Vorrei tornare qui con Aominecchi e Kurokocchi.»
Midorima lo incenerì con lo sguardo e poi smise di prestargli attenzione, riaprendo il libro.
«Non se ne parla.»
«Eh?! Ma- Midorimacchi!» Kise si lagnò immediatamente e Aomine rivolse un'occhiata non molto gentile a Midorima.
«Non posso continuare ad andare da una camera all'altra, ormai sono qui.»
«Porto io le tue cose in camera! Penso a tutto io!» Kise lo implorò «io e Aominecchi saremo velocissimi!»
«Ah? Perché dovrei fare da facchino a Midorima?» Aomine brontolò e si distese sul letto, quasi a voler comunicare a Kise che lui, fino alla mattina dopo, non si sarebbe più mosso di lì.
«Non se ne parla, Kise.» Midorima ribatté «torna da Momoi e Murasakibara.»
«Kise-kun.» Tetsuya richiamò l'attenzione dei presenti e si mise a sedere, riponendo il cellulare con estrema calma.
«Se vuoi posso prenderlo io il tuo posto.»
A Kise si illuminarono gli occhi: non tutti i giorni gli capitava di ricevere un favore da Kuroko.
«Lo faresti veramente, Kurokocchi?!»
Tetsuya annuì e si rivolse a Midorima con le labbra increspate in un mezzo sorriso.
«Se per te va bene, Midorima-kun, ti lascio qui con Aomine-kun e Kise-kun.»
A Midorima sembrò che Kuroko avesse calcato molto su quelle parole e, soprattutto, sui nomi di Aomine e Kise, tanto che si fermò a pensare per qualche istante prima di rispondergli.
Aomine e Kise stavano insieme ed erano l'unica coppia in viaggio, ed era evidente che avessero appena fatto pace.
Lo sguardo di Midorima si spostò lentamente e da Kuroko si focalizzò su Aomine che, steso sul letto aveva, combinazione, lo sguardo rivolto verso Kise.
«Nh-» Midorima si sentì percuotere da un brivido e chiuse il libro, alzandosi velocemente dalla poltroncina «a pensarci bene credo proprio che tornerò in camera mia.»
Il balbettio di Midorima e il viso arrossato furono immediatamente evidenti sia agli occhi di Kise che a quelli di Kuroko, che sorrise soddisfatto.
«Come mai hai cambiato idea così improvvisamente?» Kise, che a differenza di Kuroko non aveva capito, lo punzecchiò con quella domanda e Midorima si chiuse immediatamente a riccio.
«Lascia stare, prendo le mie cose e ti porto le tue.»
«Ah-» Ryouta fu sorpreso da tutta quella gentilezza insolita e, ancor prima che potesse ringraziarlo, Midorima gli passò accanto ed uscì dalla stanza.
«Eh? Kurokocchi, perché ridi?» a Kise venne istintivo sorridere nel sentire la risata sommessa dell'altro, e anche Aomine sembrò interessarsi a quella improvvisa manifestazione di ilarità.
«Lascia perdere, Kise-kun-» Tetsuya riprese fiato e trattenendo un'altra risata tornò a stendersi sul letto, estremamente soddisfatto di essere riuscito a mettere in fuga Midorima costringendolo ad immaginare Kise e Aomine che si saltavano costantemente addosso.


Quando sentì un schiocco distinto contro il vetro della finestra, Akashi scostò il proprio sguardo dal cellulare e si immobilizzò per pochi istanti, quasi a volersi concentrare completamente sui rumori provenienti dall'esterno.
Rimase ad osservare la finestra, aspettando che qualche goccia di pioggia si infrangesse contro il vetro, ma il rumore che aveva sentito sembrava essere stato prodotto da qualcosa di molto più duro.
D'un tratto, il rumore si manifestò di nuovo, questa volta più debole, e l'oggetto incriminato fu ben visibile agli occhi di Akashi, anche se solo per un attimo: una piccola pietra.
Le pietre non cadevano dal cielo e Seijuurou ne era consapevole, tanto che si alzò immediatamente e si diresse alla finestra, aprendola senza pensarci due volte.
Tetsuya continuò a guardare in alto e trasse un sospiro di sollievo non appena vide la finestra spalancarsi: confidando nell'attenzione di Akashi, aveva rubato soltanto tre pietre dal grande vaso nella reception, e per fortuna l'altro lo aveva sentito prima che sprecasse anche la terza “munizione”.
«Tetsuya.» Akashi fu sorpreso di vederlo lì, perché quella mattina lo avevano salutato e gli avevano detto che avrebbero passato il pomeriggio a fare le valige, ma ricambiò comunque il suo sorriso.
«Hai già finito di preparare la valigia?»
«Sì.» a Tetsuya dispiaceva che quello non fosse l'orario delle visite e che Nijimura fosse in albergo, altrimenti avrebbe trovato sicuramente il modo di fargli salutare ancora una volta Akashi.
«Akashi-kun, noi ti aspettiamo.»
Akashi rimase in silenzio per qualche istante, contemplando la figura gracile di Kuroko che, con i capelli azzurri, la pelle pallidissima e il cappotto grigio chiaro pareva essere una creatura nata dalla neve.
«Non temere, Tetsuya: vi raggiungerò presto.»


Le labbra di Akashi si incresparono in un sorriso impercettibile non appena lo vide entrare, ma quell'espressione serena fu sostituita da una più pensierosa non appena osservò meglio il viso dell'altro.
«Ti vedo stanco, Shuuzou.»
Nijimura gli rivolse un'occhiata silenziosa e pensò che almeno uno dei due aveva una bella cera.
«Lascia perdere.»
«Ti hanno dato un bel po' di grattacapi, immagino.»
«Non lo immagini neppure-» Nijimura brontolò, prendendo posto affianco al letto e intrecciando immediatamente le dita di una mano con le sue «però mi ha fatto piacere poter trascorrere una settimana con loro.»
Seijuurou guardò le loro mani e gli accarezzò il dorso con un movimento lento del pollice, sorridendo, e prima che Nijimura potesse chiedergli come stava, un colpo alla porta attirò la loro attenzione.
«Avanti.» Akashi diede il permesso di entrare ed un'infermiera fece capolino, varcando la soglia con una cartella clinica stretta al petto.
«Signor Akashi, sono arrivati i risultati dell'ultimo esame e il Dottor Meier vorrebbe vederla. È disposto a riceverla anche adesso.»
«Allora gli riferisca che fra poco saremo da lui.»
Quando l'infermiera si congedò e li lasciò di nuovo soli, Nijimura rivolse il proprio sguardo ad Akashi.
«È strano che ti chiami nel suo studio.»
«Lo so.» Akashi si alzò con calma e si infilò i pantaloni «tutto questo può voler dire soltanto o una o l'altra cosa.»
Nijimura lo osservò mentre, rivolto verso la finestra, si infilava con estrema lentezza la grossa felpa bianca: non era realmente preparato a raggiungere lo studio del dottore, forse era addirittura spaventato.
Shuuzou si alzò e attese che Akashi facesse il giro del letto per prendergli di nuovo la mano.
«Lo sai ...» Nijimura incatenò i propri occhi con i suoi e rafforzò la stretta «io ho sempre creduto in te.»


Quando il Dottor Meier chiese a Nijimura di uscire dallo studio, fu Akashi a rafforzare la stretta delle loro mani e a trattenerlo ancora un poco, e non servirono parole, perché si parlarono con gli occhi: Shuuzou gli avrebbe fatto forza al di là della porta, qualunque cosa fosse accaduta, qualunque fosse la notizia, lui ci sarebbe stato e gli sarebbe rimasto accanto.
Seijuurou sentì le dita dell'altro scivolare lentamente, accarezzare le sue, e per un istante i loro indici rimasero intrecciati, l'ultimo punto di congiunzione fra i loro due corpi, ma non fra le loro anime.
Nijimura avrebbe voluto baciarlo, dirgli qualcosa, ma il Dottor Meier sembrava avere fretta e quello non era certo il momento più adatto, quindi gli lasciò la mano e senza dire niente uscì dallo studio, smettendo di guardare gli occhi di Akashi soltanto quando la porta si abbatté fra di loro e assunse l'aspetto di un ostacolo insormontabile.


Furono soltanto cinque minuti, ma a Nijimura parvero un'eternità e quella porta non era più chiusa a chiave, ma aveva un lucchetto alla serratura, e tante catene intorno - almeno questo nell'immaginazione di Shuuzou, alterata dalla tensione del momento -.
Odiava l'idea che fosse escluso da certe cose perché non era un famigliare, dopotutto in quei mesi era stato lui a prendersi cura di Akashi, a fargli forza, era lui che aveva dovuto imparare un'assurda lingua il più presto possibile per sopravvivere, era lui che passava le notti su una sedia o solo nella stanza di un albergo, era lui che aveva lasciato Tokyo e aveva trascorso intere settimane accanto alla persona che amava, era lui che si era sentito sbriciolare l'anima quando lo aveva visto appassire sotto i suoi occhi.
Era Nijimura la sua famiglia. La sua unica famiglia.
La porta dello studio scattò all'improvviso e, attraverso una sottile fessura iniziale, Nijimura cercò di capire chi stesse per lasciare la stanza fra Akashi e il dottore. La speranza che si trattasse di Akashi si spense non appena il dottore uscì in corridoio e richiuse la porta alle sue spalle, ma si riaccese quando si rivolse a lui.
«Mi assento per un paio di minuti, se vuole può entrare.» Nijimura lo guardò allontanarsi e si soffermò per qualche istante sulla porta chiusa: per fortuna il dottore sembrava aver capito e si era mostrato piuttosto comprensivo, addirittura aveva deciso di mettere a disposizione il suo studio per dare a lui ed Akashi un momento di intimità.
Shuuzou si avvicinò con estrema lentezza alla porta e la sospinse in avanti con una delicatezza decisamente atipica: ora era lui quello che non si sentiva pronto, quello spaventato.
Nijimura si richiuse la porta alle spalle e restò a qualche metro di distanza da Akashi che, immobile davanti alla scrivania del dottore, pareva non averlo neppure sentito entrare.
«Akashi?» Nijimura lo chiamò con voce bassa e si avvicinò, accorciando paurosamente la distanza che li separava.
Akashi si voltò e lo guardò in silenzio, per poi accennare un sorriso.
«Ha detto che sono migliorato, e che ci sono buone possibilità di guarigione.» sussurrò, perché sapeva perfettamente che se avesse provato a parlare normalmente la voce avrebbe subito un fremito e avrebbe mandato a rotoli la sua fermezza.
Nijimura si sentì percuotere da una scossa e gli occhi presero a bruciare, come se la scintilla dell'emozione fosse scoppiata proprio sotto le sue ciglia.
Pietrificato da quella notizia, non riuscì né a muoversi né a rispondere e si limitò a guardare i suoi occhi e il suo sorriso, un volto finalmente sereno e più lucente.
La mano sinistra di Shuuzou si adagiò sulla nuca di Akashi, il braccio destro lo strinse in vita, e senza dire nulla lo trascinò a sé.
Akashi, dal canto suo, non protestò e ricambiò la stretta, lasciando sprofondare il viso contro il suo petto: doveva tanto a Nijimura, alla sua presenza e al suo sostegno, alle lacrime che gli aveva visto - o meno - versare, alle notti insonni e alla rabbia che lo aveva consumato ogni volta che le infermiere lo avevano tenuto lontano da lui.
Shuuzou era la sua famiglia. La sua unica famiglia.

La coltre fredda diventa fuoco, illumina una notte senza stelle: in questa fredda mattina d'inverno, i miracoli possono avverarsi.




Licenza Creative Commons
Quest'opera è distribuita con Licenza Creative Commons Attribuzione - Non commerciale - Non opere derivate 2.5 Italia.




L'angolino invisibile dell'autrice:

Finalmente ho finito questo capitolo! ;u;
L'attentato alle coppie non è stato poi così distruttivo/almeno credo, visto che ho risolto subito le varie questioni/
Se ci sono degli errori di battitura o delle frasi un po' incerte (?) vi prego di perdonarmi, ma l'ho tipo controllato alle due di notte ed ero mezza delirante, gh.
Spiego due o tre cose e poi vi lascio (e vi avverto che inizierò a scrivere il prossimo capitolo fra qualche giorno, perché ho le braccia distrutte - basti considerare che ieri ho scritto dalle 10 del mattino alle 22 di sera -).
Quando Kuroko parla della guida, e dice che “era una bella guida” stiamo ovviamente parlando del libro e non di una persona (altrimenti Kagami si sarebbe ingelosito subito); durante la conversazione fra Kagami e Himuro (era dà un po' che non c'erano scene con loro due e ho voluto inserirli per forza), quest'ultimo tenta di giustificare Kuroko, e vi dico che non lo fa perché gli vuole bene, ma perché sa esattamente cosa passa nella testa dell'altro e vuole che Kagami se ne renda conto il meno possibile, in modo che finiscano a litigare (non tanto perché vuole che si lascino, ma è curioso di vedere come possano comportarsi durante un litigio). Sul personaggio di Himuro credo che avrò qualcosa da dire alla fine, quindi per ora accontentatevi della sua ambiguità (?)
Secondo una mia idea personale, Kagami è piuttosto ingenuo per quanto riguarda il sesso (Kuroko, al contrario, è piuttosto sveglio nei riguardi di questo argomento), e viene dimostrato quando Kuroko parla di Aomine e Kise e lui non capisce.
Oltre a ciò ho scoperto ieri che Murasakibara chiama Kise “Se-chin”, quindi dovrò correggere i capitoli precedenti (dovrei correggere anche “Momoicchi”, che in verità è “Momocchi”, ma preferisco la prima versione (?)).
Piccolo avviso per i prossimi due capitoli: saranno incentrati più che altro sulla KagaKuro~
Inserisco il link dello spin-off - nonsense - che ho scritto ieri, ricordandovi che non è funzionale alla trama e che si collega a questo capitolo e al XXIII (ma se volete vedere Nijimura che sclera siete i benvenuti): http://www.efpfanfic.net/viewstory.php?sid=2860904
Spammo la pagina di FB come bonus (??): https://www.facebook.com/pages/Neu-Preussen-EFP/416393978469818?ref=hl

Ritorna all'indice


Capitolo 26
*** Capitolo XXV ***


Capitolo XXV





La luce e l'ombra non si mescolano, ma si cercano e sempre si sfiorano.

Kuroko si era sentito infastidito quando, all'arrivo in aeroporto, Himuro lo aveva preso da parte per ribadirgli che Kagami era sinceramente innamorato di lui e che quindi meritava maggior fiducia, soprattutto perché si era reso conto fin da subito che controbattere non avrebbe avuto alcun senso: Tatsuya aveva pienamente ragione ed era comprensibile che stesse cercando di difendere Taiga, - dopotutto era lui suo fratello, era lui quello che lo aveva visto soffrire e struggersi, demolirsi sotto al peso dei sentimenti -.
«Hai paura?» Kagami continuò a tenergli la mano e la strattonò leggermente, con l'intenzione di ridestarlo dall'amarezza di un ricordo recente, dai pensieri tumultuosi e dai rimorsi.
Kuroko continuò a fissare la strada buia, disseminata di pozzanghere, e rafforzò istintivamente la stretta: aveva passato giorni e notti a dubitare della persona che ora gli stava accanto, che gli teneva la mano e gli offriva tutto il suo sostegno, aveva dubitato di Kagami. Come aveva potuto dubitare di Kagami?
«Un po'.»
Una volta tornato in Giappone, avevano discusso del fatto che i genitori di Kagami avessero preso male la notizia e della possibilità che Kuroko lo dicesse ai suoi. Inoltre, Kagami aveva interposto una condizione precisa: se la famiglia di Kuroko si fosse dimostrata tollerante e non avesse dato segni di sconforto, ira e quant'altro, allora sarebbero partiti per Los Angeles, di modo che i suoi genitori potessero conoscere il suo ragazzo.
«Io credo che andrà bene.» Kagami, che cercò di assumere più fermezza possibile nel proprio tono di voce, rivolse la propria attenzione all'abitazione di Kuroko, ormai distante da loro solo di qualche metro.
Kuroko lo contemplò in silenzio e sorrise: a Kagami piacevano i suoi genitori - e ai suoi genitori piaceva Kagami -, ma la paura che si arrabbiassero a tal punto da impedirgli di frequentarlo era tale da averlo privato di ogni sicurezza e dell'ottimismo necessario per affrontare la realtà e, soprattutto, il futuro.
Dopo lo scoglio della sua famiglia veniva quello dei genitori di Kagami, che avrebbero anche potuto rifiutare e bocciare l'idea del figlio di portarlo a Los Angeles in modo che si potessero conoscere, oppure, più drasticamente, costringerlo a tornare in America e a tagliare per sempre i ponti con lui e con il Giappone.
Kuroko aveva cominciato a vedere le cose con occhi diversi dal momento in cui Kagami gli aveva raccontato la reazione dei suoi genitori, e non era facile convivere con quella paura, con il terrore di vedersi portare via la persona amata a causa della mentalità ristretta che nel ventunesimo secolo affliggeva ancora migliaia di persone.
«Chiamami appena puoi, va bene?» Kagami aveva paura quanto lui, paura che quella potesse essere l'ultima occasione di baciarsi e che l'avrebbero sprecata perché si trovavano di fronte all'abitazione di Tetsuya, paura che i suoi genitori potessero perfino impedirgli di chiamarlo. Aveva paura di tutto, anche delle cose più banali.
Kuroko lo guardò e gli sorrise, carezzandogli il dorso della mano con lenti movimenti del pollice: non se la sentiva di affrontare la sua famiglia da solo, non era mai capitato che dovesse comunicare ai suoi genitori e a sua nonna una cosa così importante.
Tetsuya diede una rapida occhiata alla casa, ai vetri illuminati delle finestre e alla strada vuota, per poi avvicinarsi all'altro e abbracciarlo silenziosamente.
Anche Kagami si guardò intorno, ma fu decisamente più rapido e disattento di Kuroko e ricambiò immediatamente l'abbraccio, stringendolo con forza a sé, quasi a voler rimediare al bacio mancato.
«Ti amo, Kagami-kun.» Kuroko borbottò contro il suo petto e per un solo istante socchiuse gli occhi, ispirando il suo profumo con un sorriso.
«Anche io.» Kagami si sorprendeva ogni volta che glielo sentiva dire, perché in lui si registrava sempre una sensazione diversa, qualcosa di schiacciante, che lo graffiava ma non lo faceva sanguinare, anzi lo faceva sentire estremamente bene, una persona diversa, nuova: Kuroko lo purificava ogni volta che diceva di amarlo, gli faceva vedere e avvertire le cose con più chiarezza, lo faceva sentire migliore.
«Avanti ...» Kagami sospirò sommessamente e sciolse a malincuore la stretta, rivolgendogli un piccolo sorriso «adesso vai.»
Kuroko annuì e forzò un sorriso quando l'indice dell'altro gli sfiorò la guancia in una carezza delicata.
«A dopo.»
«A dopo.»


«Sei silenzioso, stasera.» la madre di Tetsuya adagiò le bacchette accanto al piatto, scrutandolo con un'espressione accigliata.
Kuroko ricambiò lo sguardo della madre e si lasciò scivolare al bordo della sedia, dando una rapida occhiata al piatto ancora mezzo pieno: non sapeva se aspettare che tutti avessero finito di mangiare o se interrompe la cena, e aveva passato almeno una ventina di minuti completamente immerso in quel dubbio atroce - così atroce perché aveva bisogno di qualcosa a cui aggrapparsi, di una giustificazione per non parlare di lui e di Kagami -.
«Scusatemi.» Tetsuya rivolse il suo rammarico non solo alla madre, ma anche al padre e alla nonna, per poi schiarirsi appena la voce e riprendere timidamente «io dovrei parlarvi di una cosa.»
Sua madre era molto simile a lui, sia per quanto riguardava la scarsa presenza, sia per la tendenza a ripiegarsi nel silenzio, immersa nei propri pensieri, ma quando pranzavano e cenavano insieme era senza dubbio la più loquace e voleva che tutti i membri della famiglia prendessero parte alla conversazione, per cui era logico che si fosse accorta della sua partecipazione pressoché nulla.
La madre, il padre e la nonna gli rivolsero la loro attenzione e Tetsuya trattenne il fiato: voleva sprofondare, scomparire dalla loro vista e scappare via, andare da Kagami e restare per sempre con lui, senza doversi nascondere, senza avere paura di baciarlo o abbracciarlo.
«Ti ascoltiamo.» fu suo padre ad incitarlo ad andare avanti, ma Kuroko restò in silenzio e si limitò a deglutire.
«Tesoro, sei un po' pallido.» la madre fece per alzarsi e la nonna si sporse leggermente, per guardarlo meglio.
«Ti senti bene?»
«Sì, sì, sto bene.» Tetsuya si affrettò a parlare, scuotendo le mani davanti al viso e forzando un sorriso nervoso: non era facile avere tutti gli occhi della famiglia puntati addosso.
Tetsuya scrutò il volto accigliato del padre, poi si soffermò sull'espressione curiosa di sua nonna e, ancora più a lungo, su quella vagamente preoccupata della madre, impaziente di ascoltare ciò che aveva da dire.
Osservando le loro espressioni, Kuroko cercava di indovinare quale sarebbe potuta essere la loro reazione e, logicamente, finì per dubitare della necessità di comunicarglielo: che male c'era ad aspettare ancora un po'? Avrebbe potuto semplicemente dire che Kagami lo aveva invitato a Los Angeles perché voleva andare negli Stati Uniti da un sacco di anni - anche se non era vero -.
«Io ...» ma Tetsuya ci teneva almeno quanto Taiga e desiderava fare quel passo importante insieme a lui, desiderava essere solidale e sostenerlo, oltre a volersi scrollare di dosso un peso che a lungo andare sarebbe divenuto distruttivo e insostenibile.
«Io sono fidanzato.» nonostante non ci fosse nulla di strano in quelle parole e si fosse sforzato di mantenere la calma, la sua voce venne percossa da un fremito.
Sua madre e suo padre parvero sorpresi, mentre l'espressione di sua nonna non mutò affatto.
«Con Satsuki?» sua madre intervenne solo pochi istanti dopo e Kuroko negò appena con la testa, ripiombando nel silenzio.
Era vicinissimo alla verità, eppure la concepiva come una dimensione estranea, sconosciuta, lontana anni luce.
«Con ...» indugiò ancora, quasi non si sentì strozzare e resistette alla tentazione di raccogliersi il viso fra le mani per non vedere la reazione sul volto dei propri familiari «con un ragazzo.»
Tetsuya vide suo padre sgranare gli occhi e sentì le gambe della sedia stridere contro il pavimento, sua madre sbattere le palpebre un paio di volte, con la fronte aggrottata e una mano davanti alla bocca.
La nonna di Tetsuya si aggiustò gli occhiali ed inspirò profondamente, voltandosi verso i genitori del ragazzo con un sorriso sornione sulle labbra.
«Io ve l'avevo detto.»
Le parole della nonna non imbarazzarono soltanto Tetsuya, ma anche i suoi genitori e in particolare suo padre, che diede un forte colpo di tosse.
Le dita di Kuroko si allacciarono e si strinsero esagitate in nodi umettati dal sudore, gli occhi si soffermarono sul bordo della tavola, incapaci di incontrare quelli della madre e del padre: non gli piaceva tutto quel silenzio, non gli erano piaciute le reazioni così sentite e distinte, come se avesse confessato di aver rapinato una banca o ucciso una persona.
«Almeno ...» inaspettatamente, suo padre fu il primo a rivolgersi a lui «almeno non è quello che brontola sempre, vero?»
Tetsuya aggrottò la fronte e all'improvviso ritrovò il coraggio per sollevare lo sguardo e incontrare i gentili occhi grigi del padre.
«No, non si tratta di Aomine-kun.» in circostanze diverse avrebbe sorriso.
«Lo conosciamo?» fu ancora il padre a parlare, visibilmente confuso ma determinato a ritrovare la sua tipica indole calma e razionale.
«Sì, è … Kagami-kun.»
Kuroko fu attirato dal movimento improvviso di sua nonna che, era pronto a giurarlo, sembrava aver appena esultato: a lei Kagami piaceva particolarmente, e doveva averlo già capito che c'era qualcosa fra loro.
Tetsuya apprezzò inevitabilmente l'esultanza di sua nonna e l'interessamento del padre, e di conseguenza finì per concentrare la propria attenzione sulla madre che, nel posto di fronte a lui, era ancora seduta in silenzio, ammutolita, con la mano davanti alla bocca.
«Mamma?» Tetsuya la chiamò e nel frattempo vide la mano di suo padre carezzare il dorso di quella della madre, per poi stringerla affettuosamente.
«Mamma, va tutto bene?»
La donna si limitò ad annuire e fu suo padre a riprendere la parola.
«Insomma, anche se non ci aspettavamo una cosa del genere, tu sei importante per noi e ci importa prima di tutto della tua felicità.» il padre parlò con fermezza, estremamente serio, e Tetsuya si sentì avvolgere da un improvviso calore, un affetto che negli occhi si tramutò in riconoscenza.
«Kagami mi sembra un bravo ragazzo, e se tu sei felice, io non farò obiezioni.»
Tetsuya accennò un sorriso, poi distolse la propria attenzione dal padre e si soffermò un'altra volta sulla figura della madre, che annuì con un rapido cenno del capo.
«A questo proposito, c'è un'altra cosa che devo dirvi.»
La famiglia gli puntò di nuovo gli occhi addosso e questa volta procedette con più sicurezza.
«Kagami-kun l'ha detto ai suoi genitori, ma non l'hanno presa bene, per cui ha pensato che sarebbe meglio se li conoscessi di persona.»
«Non credo che sia un problema.» Kuroko si stupì delle parole del padre e dovette ricredersi non appena sua madre intervenne.
«Kentarou, guarda che i genitori di Kagami vivono a Los Angeles.»
«Eh?» suo padre gli rivolse un'occhiata stupita «e quindi dovresti andare in America?!»
Kuroko strinse i denti, colpevole, e non disse nulla.
«Tetsuya, sei appena stato in Svizzera e conosci la situazione economica in cui ci troviamo.»
«Sì, ma Kagami-kun cercherà i voli più economici.» Tetsuya tentò di giustificarsi immediatamente, sovrastando le parole del padre «mi ha detto che è disposto a prestarmi i soldi, lo ripagherò non appena mi daranno lo stipendio!»
In verità Kagami gli aveva detto che ai biglietti ci avrebbe pensato lui - rendendo il tutto come un regalo piuttosto che un prestito -, ma se avesse detto così ai suoi genitori, che erano persone estremamente umili e corrette, probabilmente non gli avrebbero mai dato il permesso di partire.
«Ma–» nonostante la scusa del prestito, suo padre sembrava intenzionato a dire ancora qualcosa.
«Io dico che dovremmo lasciarlo andare.» qualcosa che per fortuna fu stroncato dall'intervento tempestivo della nonna, grazie al quale Tetsuya poté trarre un sospiro di sollievo e si sentì improvvisamente più leggero.
Il padre di Kuroko tacque per qualche istante, poi si sfregò la radice nel naso con le dita, pensieroso.
«I genitori di Kagami lo sanno?» per fortuna sua madre sembrava aver riacquistato un po' di lucidità, anche se ciò significava che Kuroko avrebbe dovuto rispondere anche alle sue domande.
«Riguardo al fatto che andrò a Los Angeles? No, chiederà il permesso ai suoi genitori quando io otterrò il vostro.»
«Per me puoi andare.» la nonna rispose immediatamente e non badò allo sguardo nervoso di sua madre, anzi gli rivolse un sorriso che lui ricambiò immediatamente, vagamente divertito dal suo temperamento e felice del fatto che almeno lei stesse dalla sua parte.
«Tetsuya, io ti darò il permesso di andare a patto che mi assicuri che entro un paio di mesi ripagherai Kagami, d'accordo?» il padre lo incalzò e, subito dopo essersi schiarito la voce, continuò «sai che non mi piace che la nostra famiglia abbia dei debiti da estinguere, per quanto essi siano piccoli.»
Tetsuya indugiò per qualche istante: non gli piaceva l'idea di mentire alla sua famiglia, ma quella piccola menzogna era fondamentale, era quella che gli avrebbe permesso di andare in America con Kagami.
«Certo.»
Il padre lo scrutò per qualche istante, poi rilassò il busto contro lo schienale della sedia e sorrise bonariamente.
«Allora siamo intesi.»
Ricevuta la benedizione del padre, Kuroko andò in cerca di quella della madre, ancora immobile e silenziosa, ancora schiacciata sotto il peso della realtà.
«Anche se ti dicessi di no saremmo due contro uno, quindi non posso farci niente.» la madre rispose arrendevole, rassegnata, e quel poco di felicità e di calma che Tetsuya era riuscito a trovare si frantumò al risuonare delle sue parole.


Kagami rispose immediatamente alla chiamata e Kuroko trattenne il fiato per qualche istante, più felice che mai di sentire la sua voce.
«Com'è andata?» Kagami era contento di sentirlo: forse significava che i genitori di Tetsuya non l'avevano presa male quanto i suoi.
«Pensavo peggio.» Tetsuya trasse un sospiro di sollievo e accennò un sorriso divertito «mia nonna, in particolare, sembra molto contenta della cosa.»
Il silenzio di Kagami gli comunicò che doveva essere in imbarazzo e gli fece ampliare il sorriso.
«Però ho dovuto promettere che ti avrei ripagato i biglietti.»
«Kuroko, ne abbiamo già parlato: per me non è un problema pagarti il viaggio, non voglio essere risarcito.»
Kuroko si ritrovò ad annuire appena, rafforzando la stretta sul cellulare.
«Devo ancora avvertirli del fatto che partiremo il prima possibile.»
«Prima lasciami parlare con i miei genitori.»
«Sì.»
«Vieni da me?»
«No ...» Tetsuya esitò e rivolse una rapida occhiata all'abitazione e alle finestre ancora illuminate «è meglio se per questa notte rimango qui: mia madre è troppo silenziosa, vorrei parlarle.»
Kagami esitò per qualche istante, indeciso su come poter interpretare il silenzio della madre di Kuroko.
«D'accordo, nel frattempo cercherò di contattare i miei genitori.»
«Dovremmo dirlo anche agli altri, Kagami-kun.»
«Lo so, lo faremo domattina, quando saremo tutti al campetto.» Taiga restò in silenzio per qualche istante, poi schiuse le labbra per dire qualcosa ma le serrò non appena la voce di Tetsuya sovrastò la sua.
«Domani passo a prenderti, Kagami-kun.»
Kagami grugnì e Tetsuya aggrottò leggermente la fronte, chiedendosi il perché di quella reazione scontrosa.
«Va tutto bene?»
«Sì, va tutto bene.» avrebbe voluto essere lui ad andare a prendere Kuroko, ma lo aveva preceduto e lo aveva lasciato a bocca asciutta, oltre che a farlo sprofondare nell'imbarazzo.
«Buona fortuna con tua madre.» Taiga preferì cambiare discorso e tornò al precedente, intento a congedarsi.
«Buona fortuna con i tuoi genitori.» per fortuna Tetsuya abboccò e fece eco «a domani.»
«A domani.»
Tetsuya accennò un sorriso e premette un poco di più la guancia contro il cellulare, come se cercasse di sentire la voce dell'altro il più vicino possibile, per illudersi che fosse lì con lui.
Non appena si salutarono, Tetsuya riattaccò e si rivolse alla casa, prendendo una grande boccata d'aria: anche se non era fisicamente presente, Kagami era lì con lui, e ciò lo rendeva invincibile.


«Non pensavo l'avresti presa così male.» Tetsuya azzardò timidamente una prima frase, restando alle spalle della madre che, improvvisamente, si sentì costretta a rafforzare la stretta sul piatto insaponato, di modo che non le scivolasse di mano e si frantumasse in mille pezzi.
Le labbra di Mitsuki Kuroko restarono serrate e gli occhi si abbassarono rapidi sul piatto, sulle mani leggermente tremanti e sulle bolle di sapone che, ammassate sul fondo del lavandino, scoppiettavano silenziose in minuscole gocce d'acqua destinate a sciogliersi in vapore tiepido: se suo figlio non fosse venuto a parlarle lo avrebbe fatto lei, perché nonostante il suo silenzio era pronta ad affrontare l'argomento, ma quelle non erano certo le parole che desidera sentirsi dire - tuttavia era consapevole di essersela cercata dal momento in cui si era astenuta dalla conversazione riguardo suo figlio e Kagami -.
«Tetsuya, io non l'ho presa male.» continuò ad osservare il piatto e poi si sbrigò a sciacquarlo sotto il getto tiepido dell'acqua.
«Intendo dire ...» Tetsuya la sentì correggersi con voce leggermente tremante e la vide afferrare un asciugamano e cominciare a strofinare fin troppo attentamente il piatto che stringeva fra le mani «non mi dà fastidio se stai con un ragazzo.»
«E allora perché hai smesso di parlare non appena ve l'ho detto?» Kuroko rimase immobile e parlò con tutta la calma del mondo, e sua madre si degnò finalmente di voltarsi verso di lui, appoggiandosi al lavabo con la schiena e stringendo il piatto asciutto al petto.
«Mi sono resa conto di una cosa.»
Tetsuya non disse nulla e la esortò a continuare con la sola forza dello sguardo, uno sguardo che sua madre conosceva molto bene, perché i loro occhi sapevano essere magnetici ed esasperanti allo stesso modo.
«Mi sono resa conto di quanta poca attenzione ho avuto per te in questi ultimi tempi. Non avrei mai immaginato che tu e Kagami … insomma, che a te piacessero i ragazzi.»
Tetsuya la osservò in silenzio, incapace di parlare: cosa poteva dirle? Non era vero che non lo aveva capito perché gli aveva dato poca attenzione, semplicemente aveva dato per scontato che suo figlio fosse etero come la maggior parte dei ragazzi.
«Per il resto, sono dell'idea di tuo padre.» la madre di Tetsuya mise il piatto al suo posto e si staccò dal lavabo, dirigendosi verso di lui.
«Voglio solo che tu sia felice.» Tetsuya si lasciò scappare un sorriso non appena avvertì il tocco delicato della madre sul viso, una carezza affettuosa lungo la guancia.
«Ora capisco perché sei stato così male quando se n'è andato.»
Lo sguardo di Tetsuya doveva essersi incupito, perché sua madre aggrottò leggermente la fronte e assunse un'espressione piuttosto preoccupata.
«Hai sofferto tanto, eh?» si affrettò a chiedere, carezzandogli una seconda volta il viso, quasi a volersi scusare della sua scarsa attenzione, del fatto che avesse dato poco peso ai suoi silenzi prolungati e ai suoi occhi arrossati dal pianto.
Tetsuya le prese la mano e annuì appena.
«Adesso sto bene.»
Sua madre lo guardò e sorrise, e la breve stretta delle loro mani si sciolse.
«Kagami piace anche a me, sai?»
«Pare che Kagami-kun piaccia a tutti i Kuroko.» Tetsuya ricambiò il sorriso e sua madre sembrò divertita da quelle parole.
«Ah, riguardo al viaggio in America ...»
«Sì?»
«Io e Kagami-kun vorremmo partire il prima possibile, se possiamo anche fra un paio di giorni.»
Sua madre lo osservò in silenzio e si limitò a sbattere velocemente le palpebre un paio di volte, per poi inspirare profondamente e buttare fuori tutta l'aria che aveva in corpo in uno spasmo di esasperazione e apprensione tipicamente materne.
«E quando pensavi di dirmelo?!»


Takao aveva passato quegli ultimi due giorni a prenderlo in giro e a chiedergli come aveva anche solo potuto pensare che gli avrebbero permesso di portare con sé tutti quei souvenir - fra cui, per altro, un coltellino e del liquore -, e sembrava essersi messo il cuore in pace soltanto quella sera, dopo essersi immerso fra le coperte e sistemato accanto a lui.
«Mi mancava il profumo delle tue coperte.» Kazunari esordì con una frase che a Midorima parve la più imbarazzante del mondo, tanto da farlo sfiatare fra le lenzuola e privarlo di tutta l'aria che aveva nei polmoni.
«Sono contento di poter dormire di nuovo qui.»
«Takao-» Midorima ringhiò sommessamente, rifiutando di scostare le coperte e mostrare il viso ovviamente imporporato.
«Non ho dormito molto quando eri in Svizzera, ma se siamo insieme è tutta un'altra cosa.»
«Takao-!»
Takao rivolse un'occhiata interrogativa all'ammasso di coperte che aveva accanto e non capì il motivo di quel brontolio.
«Che c'è, Shin-chan?»
«Niente.» Midorima ringhiò e Takao continuò ad osservare le coperte, in attesa che l'altro le scostasse e tornasse a mostrargli il suo viso.
Attendere mezzo minuto, però, fu sufficiente per Kazunari, che si mise a sedere con un sorriso sornione in volto, assaporando il momento in cui, furioso, Midorima avrebbe cominciato a rimproverarlo con il volto imporporato dalla vergogna.
«Shin-chan?» Takao cantilenò appena e adagiò la mano sull'ammasso di coperte, individuando quello che doveva essere un fianco e scuotendolo leggermente.
Midorima, dal canto suo, brontolò e si rannicchiò ancor di più sotto le coperte: non aveva sonno, non voleva dormire e, a dire il vero, non gli dispiaceva che Takao avesse voglia di disturbarlo, ma condividere quello stretto spazio era molto difficile per lui, soprattutto se l'altro decideva di accorciare ulteriormente la distanza e cominciava a cercare il contatto fisico.
Shintarou era ancora innamorato di Kazunari e dubitava che il sentimento fosse prossimo all'esaurimento: non a caso aveva trascorso la settimana in Svizzera a studiare e a scambiarsi sms con lui, non a caso era riuscito a portargli dei cioccolatini assortiti ed un piccolo falco intagliato del legno e, soprattutto, era ancora preoccupato per lui, per il suo umore e la sua salute.
Anche se Takao sembrava felice e spensierato ogni volta che si vedevano, non si poteva escludere che una volta rimasto solo fosse terribilmente infelice, e quindi la possibilità che gli tenesse nascosti i suoi reali sentimenti - cosa che, purtroppo, era fin troppo biasimabile, trattandosi di una questione intima e delicata -.
«Shin-chan!» Takao insistette e, non ricevendo risposte diverse da qualche sparuto brontolio sommesso, decise di stendersi almeno in parte su di lui, facendo volutamente peso e gonfiando le guance in un broncio infantile.
«Takao! Lasciami dormire!» Midorima sbottò e quella protesta permise a Kazunari di continuare.
«Ma io non ho voglia di dormire, Shin-chan!» alzò un poco la voce, scuotendolo con più forza.
«Ma io sì, idiota!»
Takao non riuscì a trattenere una risata, indispettendo ulteriormente Midorima.
«Che hai da ridere? Guarda che domani mattina devo alzarmi presto!» Takao non lo aiutava affatto: voleva andare a dormire e smettere di pensare alla sua vicinanza, al fatto che l'indomani avrebbe rivisto Imayoshi e Hanamiya che, dopo più di una settimana di assenza, lo avrebbero sicuramente punzecchiato e lo avrebbero torturato con qualche domanda imbarazzante.
Con ancora il sorriso sulle labbra, Takao si allontanò appena e lo chiamò con un tono di voce più serio, tanto che Midorima scostò immediatamente le coperte per guardarlo.
Kazunari accennò un sorriso e restò in silenzio solo per qualche attimo.
«Adesso che sei tornato penso di essere pronto per tornare a giocare a basket con te.»
Midorima trattenne a stento un sorriso e lo guardò per qualche istante, per poi sfiatare sommessamente e tirarsi la coperta fin oltre il mento.
«Bene, ma ora dormiamo.»
Era davvero felice che Takao avesse detto una cosa simile, perché ciò significava che era pronto a tornare alle vecchie abitudini, era pronto a riprendere col basket, a giocare con lui e cominciare a lasciarsi alle spalle alcuni ricordi che fino a quel momento aveva custodito gelosamente e senza i quali aveva creduto di non poter più vivere.
«Domani mattina ti accompagnerò all'università.» Takao aveva deciso da solo e Midorima, dal canto suo, non se la sentì di impedirglielo e acconsentì con un rapido e silenzioso cenno del capo - dopotutto non gli dispiaceva affatto che Takao volesse accompagnarlo all'università -.
Midorima attese che l'altro si coricasse al suo fianco e si sistemasse le coperte addosso, poi ebbe appena il tempo di schiudere le labbra - con l'intenzione di augurargli la buona notte -, prima che il gesto di Takao spegnesse completamente la sua voce: imperterrito, Kazunari si era accoccolato al suo fianco, adattandosi al suo corpo e facendo sprofondare il viso contro il suo petto.
Pur essendo imbarazzatissimo e anche un po' infastidito dal fatto che Takao non lo avesse né avvisato né gli avesse chiesto il permesso, Midorima non riuscì a ritrovare la voce perduta e si arrese all'idea di augurargli la buona notte - anche perché, avendolo così vicino, c'era per lui almeno il novantanove per cento di probabilità di non riuscire a chiudere occhio per tutto il tempo -.


Kagami aveva preferito parlare con la madre che, senza dubbio, era la più tollerante nei loro confronti, ma il solo pensare che ci aveva messo quasi tre quarti d'ora per strapparle un sì di bocca gli metteva i brividi: sarebbe stata una settimana difficile, sia per lui che per Kuroko, e forse non sarebbero neppure riusciti nel loro intento, i suoi genitori avrebbero continuato ad imbracciare i loro rozzi pregiudizi e a pretendere capricciosamente che cambiasse strada, che trovasse una ragazza.
Dopo aver ottenuto la disponibilità dei genitori, Kagami si era affrettato a comprare i biglietti - anche quelli di ritorno, visto che voleva ribadire ai suoi genitori che non aveva intenzione di abbandonare Kuroko per tornarsene definitivamente a Los Angeles - e nei due giorni seguenti avevano avvisato gli altri della loro partenza e avevano preparato le valigie.
Tetsuya era agitato, aveva paura di salire su quell'aereo e, allo stesso tempo, non vedeva l'ora, e così cercava protezione contro il corpo di Kagami, rafforzando la stretta delle loro mani di tanto in tanto.
Si sentiva come un bambino piccolo al suo primo giorno di scuola: impaurito, indifeso, fragile, eppure così curioso da poter superare ogni ostacolo, impaziente, soprattutto perché quello sarebbe stato il loro primo volo insieme.
Dopo più di tre anni, durante i quali Kagami era salito su decine di aerei per andare negli Stati Uniti e poi tornare in Giappone, e lui aveva intrapreso solamente due viaggi - uno Svizzera e uno a Taiwan, per andare a trovare alcuni parenti della madre -, finalmente avrebbero volato insieme.
Era euforico all'idea di poter partire con Kagami e passare una settimana a Los Angeles con lui, ma l'idea che una volta atterrati avrebbero soggiornato in casa di Taiga - dove lui non era certo il benvenuto - lo spaventava.
Kagami rafforzò la stretta intorno alla mano di Kuroko, dando una rapida occhiata al tabellone degli orari e trattenendo un sospiro di nervoso quando notò che il loro aereo sarebbe partito con un quarto d'ora di ritardo. L'unica fortuna era che tutti gli altri - e in particolare Kise e Momoi - avevano abbandonato l'idea di accompagnarli in aeroporto e si erano limitati a salutarli via sms, augurandogli buon viaggio
«Ohi, hai preparato qualche argomento di conversazione?» Tetsuya rimase in silenzio e si limitò a rivolgergli una rapida occhiata confusa, quasi gli stesse chiedendo di smetterla di prenderlo in giro.
«A mio padre e a mia madre piace parlare.» ma Taiga non stava scherzando ed era visibilmente preoccupato, nervoso.
A pensarci bene, Tetsuya sapeva poco e niente sui genitori di Taiga: conosceva i loro nomi, le loro professioni, ricordava vagamente il loro aspetto da una fotografia che l'altro gli aveva mostrato in prima superiore, ma per il resto c'era solo un grande vuoto che sperava sinceramente sarebbe riuscito a colmare fino all'orlo.
Se Kuroko fosse stato una ragazza, Kagami sarebbe stato più che tranquillo: ai suoi genitori piacevano le persone riservate, educate e intelligenti, e quelle tre doti, insieme a tante altre ugualmente apprezzabili, si intrecciavano nell'animo del suo fidanzato, rendendolo una persona gradevolissima, con l'unico difetto - dal punto di vista di sua madre e suo padre - di essere un maschio ed essere omosessuale.
Voleva assolutamente che i suoi genitori capissero che fra una ragazza eterosessuale ed un ragazzo omosessuale non c'erano differenze, ovviamente purché possedessero le stesse doti e le stesse qualità.
Che lui fosse fidanzato con una ragazza o con un ragazzo, la cosa non importava: non era il sesso l'aspetto rilevante, ma piuttosto l'amore, le sfaccettature del carattere, la chimica e le affinità, le passioni comuni e differenti, la capacità di accettarle, rispettarle e, perché no, la voglia di conoscerle, la disponibilità a trovare un punto d'incontro, il fatto che si capissero con gli occhi, senza il bisogno di parole.
Era incredibile che nella mente di Kagami, fino a qualche mese prima completamente estraneo all'idea dell'amore omosessuale, si annidassero quei pensieri, eppure era così: amava sinceramente Kuroko e la loro relazione gli aveva fatto capire fin da subito, prima destabilizzandolo e poi provocando in lui una strana sensazione di pace, che purché vi fosse amore si poteva andare molto al di là del fatto che due persone condividessero lo stesso sesso.
«Kagami-kun?»
Kagami rivolse immediatamente la propria attenzione a Kuroko, pensando che avesse qualcosa di serio da dirgli.
«Quando torneremo a casa dovrai aiutarmi a fare pace con Nigou.»
Kagami aggrottò la fronte e lo squadrò con espressione accigliata, per poi brontolare sommessamente - un borbottio che andò ad esaurirsi quasi subito, non appena si soffermò sul fatto che Kuroko avesse appena definito Tokyo la loro casa -.
«Cosa significa?» già, cosa significava? Mica si poteva litigare con uno stupido cane.
«È da quando sono tornato in Svizzera che mi tiene il muso, probabilmente gli sono mancato.»
Taiga sfiatò e si sforzò di rivolgere il proprio sguardo altrove: non era giusto che Tetsuya si preoccupasse così tanto per Nigou, dopotutto anche a lui era mancato.
«Di certo non sarà contento quando capirà che starò via per un'altra settimana.»
Kagami scosse appena la testa e si schiarì la voce, confuso dai suoi stessi pensieri: era assurdo che fosse geloso di un cane.
«Portagli un osso, vedrai che si risolverà tutto.» tagliò corto, con la voce leggermente alterata dal nervoso.
«Non è così semplice, Kagami-kun.» Kuroko si voltò verso di lui e cercò il suo sguardo, trovandolo piuttosto in fretta «Nigou è un cane molto intelligente.»
«Allora capirà e gli passerà.»
Tetsuya lo guardò in silenzio, poi accennò un sorriso e tornò a rivolgere il proprio sguardo davanti a sé, sfiorandogli il braccio con la testa.
«Hai paura?»
Kagami restò in silenzio per qualche istante, tornando a contemplare la tabella delle partenze.
«Forse un po', ma non ci voglio pensare.» fece una piccola pausa, poi si voltò verso Kuroko e ghignò divertito «in ogni caso, la prima cosa che faremo una volta atterrati sarà andare al fast food!»
«Sei sempre il solito, Kagami-kun.» Kuroko sorrise e gli carezzò il dorso della mano con un lento movimento del pollice, almeno finché Kagami non si mise sull'attenti e afferrò immediatamente il trolley che da almeno un'ora era fermo ai suoi piedi.
«Credo proprio che sia ora di andare.»
Tetsuya annuì appena e Taiga attese che anche l'altro recuperasse il proprio bagaglio prima di incamminarsi verso il gate.
Erano spaventati entrambi, ma pronti a superare anche quell'ostacolo e a sorreggersi e sostenersi a vicenda davanti al mondo intero.

E la pioggia tace, la muraglia d'acqua scompare. Le nostre mani si sfiorano, si trovano.




Licenza Creative Commons
Quest'opera è distribuita con Licenza Creative Commons Attribuzione - Non commerciale - Non opere derivate 2.5 Italia.




L'angolino invisibile dell'autrice:

Buonasera! *3*
Questa settimana ho iniziato l'università e ho avuto un momento di sconforto perché in soli tre giorni sono stata distrutta sia fisicamente che mentalmente (sarà molto più difficile del primo anno, quindi le pubblicazioni saranno un po' più lente … ma cercherò di essere comunque abbastanza costante, soprattutto con questa fic!).
Oltre l'università, ultimamente ho avuto qualche difficoltà con lo stile di scrittura che sta di nuovo cambiando. Mi piacevano di più i primi capitoli di Hall of Fame e ora sto cercando di tornare a quello stile. Contrariamente a quanto mi aspettassi, questo capitolo non mi dispiace (anche se ne ho senza dubbio scritti di migliori), anche se purtroppo è un po' corto.
Avevo detto che c'era solo KagaKuro, ma così sarebbe stato ancor più corto e quindi, per la gioia di alcune personcine, ho voluto aggiungere un paragrafo MidoTaka (dopotutto era da un po' che non mi soffermavo su di loro ed è proprio ora che cominci a farlo!).
Il prossimo capitolo, invece, sarà davvero solo KagaKuro (e sì, mi ero ripromessa di smetterla con i viaggi, ma è stato più forte di me).
Il rapporto di Kuroko con i genitori (e i loro nomi) vengono dalla mia testolina e non so quanto possano essere accurati (posso solo dire che ho amato la parte in cui sua madre gli ha dato la carezzina e adoro il padre di Kuroko). In particolare, il nome Mitsuki è un tributo ad un mio vecchio OC di un fandom su cui scrivevo molto tempo addietro (direi che è stato il mio primo OC serio--- ok, non divaghiamo).
Per il resto non ho molta da dire, solo che mi sento morta dentro (?!) a non aver scritto nulla su Aomine e Kise ;A;
E Hanamiya e Imayoshi cominciano a mancarmi. Cercherò di recuperare nei prossimi capitoli, in qualche modo!
E boh, scusate, ma sono ossessionata da Kagami e Kuroko che si tengono per mano (e la frase di chiusura richiama la frase di apertura del capitolo III ;u;)
Alla prossima (sempre che io non decida di andare all'università in veste di kamikaze)!

Ritorna all'indice


Capitolo 27
*** Capitolo XXVI ***


Capitolo XXVI





Quando l'ombra e la luce sono insieme, il mondo è perfetto.

Kagami non si era mai sentito così tanto vicino alla morte prima di allora, ed era una sensazione straziante che, affliggendolo per tutto il tragitto dall'aeroporto a casa, era divenuta ormai insopportabile. Era sinceramente pentito di aver fatto tutta quella strada solamente per scoprire se sua madre e suo padre fossero stati disposti o meno ad accettare la presenza di Kuroko in famiglia, soprattutto perché, nel caso di un resoconto negativo, lui lo avrebbe bellamente ignorato e avrebbe continuato la sua relazione come se nulla fosse accaduto.
«L-lasciami ...» Kagami allungò il braccio contro la parete rosata della casa, a qualche centimetro dal campanello, e fendette l'aria con un lento gesticolare della mano.
«Lasciami riprendere fiato.» parlò ancora, con più lentezza, ma la voce risuonò ugualmente alterata dalla fatica e dall'agitazione - che era la ragione principale per la quale non aveva ancora suonato il campanello -.
Kuroko si chiese se stesse bene, ma si trattò di un fugace pensiero che tenne per sé, limitandosi ad osservare l'altro in silenzio, cercando di moderare il respiro e di non badare al battito accelerato del cuore: tutto il tempo che Kagami si sarebbe concesso per riprendere fiato non avrebbe fatto altro che andare a suo vantaggio, e questo perché anche lui aveva assolutamente bisogno di calmarsi, prendere una grande boccata d'aria, cominciare ad abituarsi all'ambiente circostante e scacciare via almeno parte di quel tumultuoso mare di ansia e inquietudini che in lui imperversava in tempesta e che, aveva l'impressione, non si sarebbe mai riappacificato.
Gli occhi di Tetsuya si allontanarono lentamente dalla figura di Kagami e si soffermarono sulla porta bianca, sugli intarsi dorati che formavano morbide curve luminose ai lati di un numero nero, poi balzarono sull'asfalto grigio, scaldato appena da un sole anemico ma luminoso grazie ad un cielo privo di nuvole, scrutarono le file di alte palme verdi lungo il ciglio della strada e le grosse fronde scosse dal vento e poi le automobili che, in continuo movimento, creavano un tumulto colorato in pieno contrasto con il grigiore smorto della città. Ancora immobile, con lo sguardo rivolto alla strada, cercò di visualizzare mentalmente la casa di Kagami che, come tante altre nei dintorni, era un condominio piuttosto basso e dai colori spenti - escludendo la porta - ma dal gusto piuttosto classico ed elegante.
«Mio padre arriverà verso le venti, per ora c'è solo mia madre.» Kagami sembrava essersi ripreso del tutto e si staccò dal muro, schiarendosi appena la voce.
«Me l'hai già detto, Kagami-kun.» Tetsuya, dal canto suo, cercò di rassicurarlo ulteriormente, ma quelle parole così frettolose, corrotte dall'agitazione, non risuonarono realmente come un incoraggiamento.
«Andrà bene.» Kuroko, che si era reso conto del mancato effetto delle sue parole, riprese e gli carezzò il dorso della mano con il proprio, sorridendogli «l'importante è che stiamo insieme, dopotutto non potranno impedirmi di amarti.»
Kagami arricciò il naso e ritrasse la mano, sbuffando nervosamente non appena percepì un bruciore distinto su tutto il viso: si era bevuto il cervello? Che cosa aveva in testa per dire una cosa simile?!
«Piantala di essere così imbarazzante!»
«Stiamo insieme da un po', non pensi di esagerare ad imbarazzarti sempre così tanto?» ma Kuroko non sapeva essere solo imbarazzante: per sfortuna di Kagami era destabilizzante, terribilmente sfacciato e pareva avere sempre la battuta pronta.
«M-maledizione, Kuroko!» Kagami balbettò più imbarazzato di prima e, pur di evadere da quella situazione, si convinse che sarebbe stato meglio suonare il campanello.
Pur sentendosi pietrificato, immobilizzato dallo sguardo costante e insistente di Kuroko, Kagami lasciò aderire il polpastrello dell'indice al campanello, ma senza premerlo.
«Vedi di non dire cose così imbarazzanti davanti ai miei genitori ...» Taiga si lasciò scappare un sospiro tremante e si schiarì la voce, come se fosse appena tornato da una lunga apnea e la gola fosse stata colma di acqua salata.
«Altrimenti te la faccio pagare.»
Tetsuya lo guardò e pensò che se quella voleva essere una minaccia, se quello era un modo per intimidirlo, la voce bassa e vagamente tremante dell'altro aveva tradito le sue intenzioni. Taiga, dal canto suo, non disse più nulla e premette il campanello.


Tetsuya non aveva mai visto la madre di Taiga se non in qualche fotografia consumata dalla polvere, dal tempo e dalle intemperie, quindi dal vivo risultava molto diversa da come la ricordava e fu come se stesse guardando quel viso per la prima volta.
Aveva un taglio d'occhi particolare, gli zigomi alti e le sopracciglia incurvate, ben curate - al contrario del figlio -, il che le conferiva un'aria severa e allo stesso tempo molto elegante: ricordava una di quelle statue greche dai lineamenti levigati e precisi, ben definiti, e per essere una giapponese era piuttosto alta e dalla corporatura massiccia, ma i lunghi capelli neri che cadevano sulle spalle in boccoli setosi e una spennellata di trucco sulle guance la rendevano, nel suo insieme, molto bella e femminile.
Era una donna che a primo impatto poteva mettere una certa soggezione, chiusa nella sua austerità e nascosta dietro ad uno sguardo severo, quasi truce, ma quegli occhi gli ricordarono immediatamente quelli di Kagami durante i primi giorni trascorsi insieme, quando non era ancora abituato alla sua scarsa presenza e sembrava considerarlo una minaccia piuttosto che un amico, quindi si augurò che oltre quel muro di apparenze si celasse un animo buono e gentile proprio come quello di Taiga.
«Avete fatto buon viaggio?» non servirono i convenevoli, perché quella donna sapeva benissimo che quello che stava di fianco a suo figlio si chiamava Kuroko Tetsuya ed era il suo fidanzato.
«Immagino che siate affamati.» Tetsuya avrebbe voluto ringraziarla e spiegarle che non era necessario premurarsi così tanto per lui, soprattutto se lo faceva per pura cortesia e non per perseguire un reale scopo o, ancora meglio, per il solo piacere di farlo, ma Kagami si affrettò a seguire la madre in salotto ripetendo almeno un paio di volte di avere una fame da lupi.
Kuroko restò all'ingresso del salotto, soffermandosi sulla madre di Kagami che aveva appena tolto dal tavolino centrale una pila di riviste di cucina e approfittandone per osservare al meglio ogni suo movimento.
Tetsuya cercò di mettersi nei suoi panni e ci riuscì, anche se solo per pochi istanti, nel momento in cui notò che la pila di riviste fra le sue mani era scossa da un leggero tremolio: anche lei, a suo modo, doveva sentirsi a disagio, avere paura, anche lei non sapeva assolutamente cosa dire e come comportarsi.
«Siediti pure.»
Tetsuya sussultò non appena la donna si rivolse a lui, transitandogli accanto per portare altrove le riviste di cucina e forse per recuperare qualcosa da mangiare, e Kagami ne approfittò subito per fargli cenno di raggiungerlo.
Tetsuya si avvicinò lentamente e restò in silenzio finché non si fu seduto sul divano di fronte a Kagami.
«Credo che sia molto agitata.» sussurrò dopo, attirando l'attenzione dell'altro.
«Lo è, ma è una cosa buona. Se non lo fosse ti avrebbe già cacciato fuori di casa.»
Kuroko trattenne il respiro e, soprattutto, cercò di resistere alla tentazione di alzarsi e darsela a gambe.
«Vedrai che andrà bene.» Kagami, dal canto suo, ricambiò il sussurro precedente e cercò di tranquillizzarlo «troverete qualcosa di cui parlare.»
«Parlerai anche tu, Kagami-kun.» quella di Kuroko, che forse avrebbe dovuto somigliare più propriamente ad una richiesta, si presentò sotto forma di ordine, ma Taiga, intento a prepararsi per la tipica e sostanziosa merenda di casa Kagami, lo ignorò.
Pochi minuti dopo, la madre di Kagami rientrò in salotto e adagiò un vassoio colmo di manicaretti tipici della cucina giapponese al centro del tavolino, sotto lo sguardo pieno di disappunto del figlio.
«Tuo padre tornerà a casa prima, oggi.» non appena Kagami le rivolse un'occhiata minacciosa, sia a causa di quella “merenda” decisamente troppo leggera, sia a causa della notizia del padre, la madre gli rivolse un sorriso divertito e si sedette sulla poltrona «basta cibo spazzatura, ti trovo ingrassato.»
«Eh?!» Kagami aggrottò la fronte e sfiatò appena.
«E immagino che tu abbia trascinato Tetsuya al fast food non appena siete atterrati, giusto?»
Kuroko si irrigidì e trattenne il respiro non appena vide la donna rivolgersi proprio a lui, riuscendo a risponderle solo dopo qualche istante di esitazione.
«Ha mangiato otto cheeseburger.» Tetsuya le rispose senza badare alle proteste dell'altro, pensando che il fatto che quella donna lo avesse chiamato per nome fosse già un passo avanti.
«Kuroko!» la protesta di Taiga non fu molto credibile perché aveva già la bocca piena e un onigiri fra le mani, ma fu sicuramente molto utile per rompere il ghiaccio e allentare la tensione, perché sua madre accennò una risata e si rilassò contro il morbido schienale della poltrona.
«Prima sentivo parlare molto di te, ma ultimamente Taiga mi ha tenuto nascoste un bel po' di cose, quindi credo proprio che mi toccherà farti qualche domanda.» pur avendo l'aria seriosa, la voce della madre di Kagami era molto gentile, aveva un tono calmo e limpido che rabboniva la sua apparenza severa. Doveva essere una brava padrona di casa.
«Se non sbaglio prendevi sempre degli ottimi voti alle superiori, vero?»
Tetsuya non poteva negare che quella conversazione lo stesse mettendo a disagio, soprattutto perché non era tipo da complimenti, non sentiva il bisogno di riceverli né di ricamarli sulla sua stessa figura e farne un vanto.
«Ero nella media.» si limitò a rispondere con calma, tentato di fulminare con lo sguardo l'altro che, oltre ad aver parlato della sua carriera scolastica ai suoi genitori, non lo stava sostenendo affatto in quella conversazione e aveva già divorato metà del cibo contenuto nella teglia.
«Vai all'università?»
Odiava quella domanda.
Gli sarebbe davvero piaciuto andare all'università, e sapere di avere le capacità ma non disporre dei mezzi economici per farlo era una verità dura da accettare, gli dava sui nervi.
«Non ne ho avuto la possibilità.» si limitò a rispondere, rivolgendo il proprio sguardo oltre la figura della madre di Kagami.
«E quindi lavori?» la donna aveva notato che lo sguardo di Tetsuya era rivolto oltre la sua figura e fece per voltarsi, ma prima di staccare gli occhi da lui attese una risposta.
«Faccio il fattorino in una pizzeria ...» Tetsuya mormorò e assottigliò il proprio sguardo, e così la madre di Kagami si voltò e si soffermò su ciò che doveva aver attirato la sua attenzione.
«Ah, sì, ce ne sono così tanti che finirà per esplodere.».
Kagami, che era ancora impegnato a masticare ma stava seguendo la conversazione con le orecchie, rivolse la propria attenzione a Kuroko e poi alla madre, facendo balzare gli occhi all'oggetto della loro contemplazione: da quando era partito, sua madre doveva aver comprato un'altra ventina di libri e, effettivamente, non aveva torto a dire che tutta quella carta avrebbe finito per rompere i vetri della libreria e farla esplodere.
«Lei legge molto?» Tetsuya trovò il coraggio di parlare e la madre di Kagami tornò a rivolgergli il proprio sguardo, gongolandosi appena.
«Molto.»
«Ah sì, praticamente l'unico momento in cui non legge è quando dorme.» Taiga intervenne «forse lo fa anche a lavoro.»
«No, a lavoro no.»
Kagami si sentì soddisfatto di quell'intervento e tornò a mangiucchiare in silenzio.
«Tu leggi?» la donna si rivolse a Kuroko, al quale sembrò di cogliere una scintilla di interesse sincero in quegli occhi dal taglio severo.
«Molto.» accennò un sorriso e tornò a rivolgere la propria attenzione alla libreria «ci sono alcuni libri che ho sempre cercato e che non sono mai riuscito a trovare.»
«Quali?»
«”La foresta in fiore”, “L'uomo di fiducia” e … quello non è “Il canto dei Nibelunghi”?»
La madre di Kagami diede una rapida occhiata al di là delle ante di vetro, soffermandosi sui libri nominati da Kuroko.
«Se vuoi posso prestarteli, però “Il Canto dei Nibelunghi” è in inglese.»
Tetsuya fu sorpreso da quella improvvisa gentilezza, esattamente come Kagami che, finalmente, smise di masticare e rivolse un'occhiata stupita alla madre.
«Mi farebbe piacere leggerli, sempre che non le sia di disturbo. È molto gentile da parte sua.»
La madre di Kagami tornò a guardarlo e accavallò le gambe con un movimento lento e svogliato.
«Che cosa hai letto di Mishima?» la donna decise di lasciare da parte ”L'uomo di fiducia” e “Il canto dei Nibelunghi” e si soffermò sul primo romanzo nominato da Kuroko.
«”Il mare della fertilità”.»
«Tutti e quattro?»
«Tutti e quattro.»
«Quando si tratta di libri, Kuroko ti assomiglia parecchio.» Taiga biascicò, mugugnando non appena afferrò l'ultimo manicaretto.
«Posso chiederti quale dei quattro libri ti è piaciuto di più?»
Tetsuya abbassò per un istante lo sguardo e ci pensò su.
«”Cavalli in fuga”.» Kuroko rispose e riprese dopo qualche istante di pausa «nonostante l'accuratezza stilistica di “Neve di primavera”, “Cavalli in fuga” è il libro in cui ho visto tutta la potenzialità di Mishima. Mi piace molto il personaggio di Isao e il fatto che ad Honda ricordi così tanto Kiyoaki. Sostanzialmente inizia qui la vera ricerca di Honda, visto che anche nei due libri seguenti la sua vita ruota intorno al ricordo del suo vecchio amico e vedrà la sua figura anche nella principessa e in Toru.»
La madre di Kagami restò in silenzio per qualche istante, poi annuì appena, ma non si pronunciò né d'accordo né contraria e riprese con le domande.
«Qual è l'ultimo libro che hai letto?»
«”Le notti bianche”, di Dostoevskij.»
«L'ho letto anche io qualche anno fa, ma il mio preferito in assoluto è “I demoni”.» la donna fece una pausa e si schiarì appena la voce «l'ho letto almeno tre volte, adoravo Varvara.»
«Tu sei malata, mamma.»
«Anche tu sei malato, Taiga: basta vedere quanto mangi.»
Kuroko soffocò una risata nel vedere Kagami sbuffare e mettere il broncio, estraniandosi nuovamente dalla conversazione.
«Anche io l'ho letto, ma preferivo Dar'ja e Marija.»
«La moglie di Ivan?»
«No, la sorella di Ignat.»
Kagami strabuzzò gli occhi, sentendosi quasi soffocare da tutti quei nomi strani che erano improvvisamente stati pronunciati da sua madre e da Kuroko.
«Generalmente preferisco i personaggi secondari, forse perché in quanto tali si sa meno sul loro conto, sono misteriosi e non appaiono costantemente come i protagonisti; in un certo senso possiamo interpretarli a modo nostro, personalizzarli un poco e sentirli più vicini, e poi sono loro, di solito, a portare un po' di brio e di movimento alla narrazione.»
«Su questo mi trovo d'accordo. Nonostante Varvara non si possa considerare un vero e proprio personaggio secondario, anche io tendo spesso a preferire loro ai protagonisti.»
Kagami continuò ad osservarli e si chiese se non fosse capitato a qualche conferenza letteraria, ma il suo stupore fu sostituito immediatamente da una bizzarra sensazione di pace: nonostante non riuscisse a capire realmente di cosa stessero parlando, il tono di sua madre era rilassato e le sue labbra fini avevano assunto una forma ben precisa, che esprimeva soddisfazione e una vaga sensazione di gioia e di piacere.
Kuroko riusciva ad esprimere a parole i sentimenti di sua madre, e così lei si sentiva capita e non poteva fare a meno di ammirarlo, soprattutto perché era sempre stata abituata a Kagami che fin da piccolo si era dimostrato reticente riguardo la lettura e quindi l'aveva spinta a gettare la spugna nei confronti dei più giovani, l'aveva convinta che di ragazzi dediti ai libri non ve ne fossero più. Parevano affiatati e per quanti fossero i pregiudizi di sua madre, ormai aveva capito che Kuroko le piaceva e che, in sintesi, stava tutto nell'ammetterlo o nel negarlo.
«I libri del primo ripiano devo ancora leggerli, ma gli altri puoi prenderli. Se vuoi te ne posso lasciare qualcuno, mi dispiacerebbe venderli per liberare un po' di spazio.»
«La ringrazio, è davvero molto gentile da parte sua.» Tetsuya parlò con estrema calma e con una certa cautela: la gentilezza di quella donna lo stava disarmando; era davvero la stessa che al telefono si era arrabbiata con Kagami e aveva espresso la sua contrarietà alla loro relazione? Non riusciva davvero ad accettare che dietro ad un'amante di libri di così buon gusto e dall'aspetto così forte si celasse una donna incapace di comprendere ed accettare le diversità, di mentalità chiusa e impossibilitata ad accogliere la felicità del figlio.
«Taiga, dovresti far vedere la stanza a Tetsuya.»
Kagami la guardò per qualche istante e si limitò ad annuire, alzandosi subito dal divano.
«Dormirà in quella degli ospiti.»
Kagami, che era convinto che la stanza di Kuroko fosse anche la sua, si immobilizzò e si voltò nuovamente verso la madre, arricciando le labbra in una smorfia di disappunto.
«Come? Perché in quella degli ospiti?»
«Taiga ...»
«Kagami-kun, va benissimo.» Kuroko gli adagiò la mano sul braccio e lo scosse appena, cercando di sventare un probabile scontro tra madre e figlio.
La madre di Taiga parve soddisfatta e tornò a rilassarsi contro lo schienale della poltrona, seguendoli con lo sguardo mentre lasciavano il salotto.


«Scusami, non avevo idea che-»
«Kagami-kun, ho detto che va bene.» Kuroko lo interruppe e continuò a camminare al suo fianco «è normale che preferiscano tenerci separati.»
«Non siamo mica degli animali.» Kagami brontolò e accelerò appena il passo, raggiungendo la camera degli ospiti e spalancando immediatamente la porta, in modo che Kuroko potesse entrare e cominciare ad ambientarsi.
«È grande, se vuoi c'è anche il computer.» Kagami gli indicò una scrivania e si insinuò nello spazio fra i due letti, scostando le tende scure in modo che la luce entrasse e illuminasse la camera che, in un istante, si rivelò molto più colorata ed accogliente di come era apparsa a Kuroko.
Gli occhi di Tetsuya balzarono dal primo letto al secondo e le labbra si incresparono in un piccolo sorriso.
«Nigou sarebbe stato contento di avere un letto tutto per lui.»
«Non pensarci neanche!» Kagami sembrò rabbrividire e gli strepitò contro «quella bestiaccia non entrerà mai in questa casa!»
«Sei davvero cattivo, Kagami-kun.»
Kagami sbuffò appena, per poi passargli accanto e lasciargli una piccola carezza lungo il fianco «sistemati, più tardi ti porto a fare un giro.»


Inutile dire che uscire significava andare alla ricerca di qualche luogo appartato in cui scambiarsi tutte le effusioni alle quali avrebbero dovuto rinunciare fra le mura di casa Kagami, ma oltre a questo avevano pensato di fermarsi in un campetto per un uno contro uno, finendo per trattenersi più del dovuto.
«Certo che a te l'America fa male! Non ne hai centrato uno!»
«Quando torneremo a Tokyo mi vendicherò.»
Kagami inarcò un sopracciglio e, soffermandosi sull'espressione estremamente seria dell'altro, si trattenne a fatica dal ridergli in faccia.
«Chiederai a tua nonna di giocare al posto tuo?»
«Se mia nonna ti vedesse adesso che sa di noi, ti salterebbe addosso.»
Kagami si irrigidì e gli rivolse un'occhiataccia.
«In che senso?»
«In quel senso, Kagami-kun. Fidati, secondo me mia nonna è innamorata di te.»
Kagami sentì lo stomaco contrarsi e un calore diffuso bruciargli le guance.
«Kuroko, a te l'America fa male davvero!»
«Non prendermi in giro, Kagami-kun: io parlo sul serio.»
Kagami borbottò qualcosa, distogliendo lo sguardo da quello di Kuroko - puntato insistentemente su di lui - e facendosi strada fino alla porta, per poi estrarre le chiavi dalla tasca della giacca e inserirle nella serratura.
«Kuroko?» prima di aprire la porta, Kagami lo chiamò con voce flebile, imbarazzato di dover intavolare quell'argomento - ma chi meglio del suo ragazzo poteva dirgli la verità su una cosa simile? -
«Tu mi trovi ingrassato?»
Tetsuya lo osservò per qualche istante, sorpreso da quella domanda, poi accennò un sorriso e negò con un piccolo cenno del capo.
«No, ma dovresti smetterla di divorare panini e teglie di sushi ad ogni ora del giorno.»
Kagami ricambiò il suo sguardo per qualche istante, poi accennò un sorriso e aprì la porta.
Sia il sorriso di Kagami che quello di Kuroko si affievolirono non appena si resero conto della figura massiccia che, con le braccia conserte e lo sguardo severo, se ne stava ferma all'ingresso, squadrandoli dalla testa ai piedi.
«Papà ...» Kagami sfiatò con voce flebile, l'uomo rimase in silenzio e fece qualche passo indietro, in modo da lasciare ad entrambi lo spazio necessario per entrare.
«La cena sarà pronta fra dieci minuti.» Kuroko lo salutò educatamente e lo osservò solo per qualche istante, non riuscendo a cogliere realmente il suo aspetto perché colpito maggiormente dal timbro della sua voce, molto simile a quello di Kagami.


A Tetsuya erano bastati quei dieci minuti prima della cena per capire che non sarebbe stato facile: Taiga era agitato, aveva assunto un'espressione e un atteggiamento completamente diversi da prima e continuava a ripetere che suo padre non avrebbe capito. Kuroko, dal canto suo, si era limitato a ribadire più volte che sarebbe andato tutto bene e a lasciargli una carezza sulla guancia, nel tentativo di tranquillizzarlo un poco.
La verità, però, era che anche Tetsuya aveva un terribile bisogno di essere confortato, di sentirsi dire che sarebbe andato tutto bene e, soprattutto, di non avere lo sguardo severo del padre di Kagami costantemente puntato su di sé.
Nel breve istante in cui l'uomo si soffermò sulla moglie e ne seguì i movimenti finché la pietanza non venne sistemata nel piatto, Kuroko poté approfittarne per osservarlo meglio. Ciò che saltò subito ai suoi occhi furono i capelli corvini, leggermente brizzolati in alcuni punti, ma soprattutto i lineamenti ben marcati del viso e gli zigomi alti: aveva una fisionomia molto simile a quella di Kagami, solo che anche lui aveva un'aria seriosa e Tetsuya non poté fare a meno di chiedersi se quella non fosse una particolarità che, almeno ad una prima occhiata, contraddistingueva tutti i Kagami e augurarsi che in verità fosse un pezzo di pane esattamente come il figlio.
«Il basket non ti piace più?»
Tetsuya si pietrificò e Taiga rivolse un'occhiataccia nervosa al padre: cosa significava quella domanda? A Kuroko sembrò il rimprovero mancato di suo padre quando gli aveva detto che si sarebbe preso una “pausa di riflessione” dal basket.
«Io amo il basket, signore.» Kuroko si sentì improvvisamente molto stupido ad avergli risposto come se fosse stato un sergente militare, ma la sensazione era molto simile a quella che i superiori dovevano mettere ai cadetti durante l'addestramento.
«”Kagami-san” può andare, Tetsuya.» Kuroko fu improvvisamente rincuorato dalla voce calma e amichevole della madre di Kagami, che gli sorrise dall'altra parte del tavolo - che stesse già tifando per loro? Sembrava così ed era bello pensarlo -.
«Onestamente penso che dovreste tornare entrambi a giocare.»
Kagami avrebbe voluto dirgli che non si trovavano lì per parlare del basket, ma l'imbarazzo glielo impedì; per fortuna, però, suo padre se ne rese conto da solo.
«Comunque è solo un parere personale.» il padre di Kagami si schiarì la voce e procedette con un balbettio che attirò immediatamente l'attenzione di Tetsuya.
«Allora … da quanto state-» li guardò solo per un istante, torturandosi la tempia sinistra con un dito «sì, insomma.»
Kuroko lo guardò in silenzio e improvvisamente si sentì tranquillizzato da quel tono di voce leggermente tremante: era molto più simile a Taiga di quanto non suggerissero le apparenze, e l'espressione imbarazzata che aveva sul volto ne era la prova inconfutabile.
«Più o meno da quando sono tornato in Giappone …» un'altra voce tremante per l'imbarazzo fece eco, parlando al posto di Kuroko e attirando l'attenzione dei genitori.
Taiga sostenne prima lo sguardo del padre, poi quello della madre, e senza dire altro lo riabbassò lentamente, restando a fissare il piatto ancora mezzo pieno.
«Sei tornato indietro per lui?» il padre boccheggiò appena e Kagami sentì il viso avvampare all'improvviso - anche se preferì attribuire la colpa al piatto fumante sotto al naso e non certo a quella domanda imbarazzante -.
«E tu sei rimasto ad aspettarlo, Tetsuya?»
A malincuore, Kagami ripose la forchetta e rivolse uno sguardo sconsolato ai maccheroni fumanti: non voleva rischiare che le domande impertinenti e imbarazzanti dei suoi genitori lo facessero strozzare con uno di quelli.
«Sì.» Kuroko, invece, mantenne la calma e infilzò un maccherone con la forchetta, restando in attesa per qualche istante, probabilmente presagendo il possibile arrivo di un'altra domanda.
«Taiga, posso chiederti da quanto tem–»
«Da poco!» Kagami sfiatò e additò immediatamente Kuroko «è colpa sua.»
«Io non ti ho mica costretto, Kagami-kun.»
Il padre di Kagami si schiarì immediatamente la voce, probabilmente intenzionato a sventare uno scambio di battute imbarazzanti che avrebbe reso ancor più difficoltosa quella conversazione.
«Allora, Tetsuya, da quanto tempo è che sei innamorato di mio figlio?»
«Mamma-!»
«Hanako-!» In quel momento, Tetsuya ebbe la conferma che Kagami assomigliava molto di più a suo padre e che c'erano molti aspetti che, evidentemente, non aveva ereditato dalla madre.
«Dalla prima superiore.»
La madre di Kagami restò in silenzio per qualche istante, poi gli rivolse un sorriso - Kuroko non seppe dire se sincero o di pura cortesia -.
«Quindi da quando vi siete conosciuti.»
«Più o meno sì, ho fatto presto ad ...» Tetsuya ebbe una piccola esitazione e dovette riprendere fiato «innamorarmi di lui.»
«Assomiglia alla nostra storia, vero?» la donna rivolse un'occhiata eloquente al padre di Kagami, che borbottò sommessamente e sembrò quasi intenzionato ad appallottolarsi e nascondersi dietro il piatto di maccheroni.
«Non credo sia ora di parlarne ...» protestò e si rivolse immediatamente a Kuroko, cercando di prevenire qualsiasi altro intervento imbarazzante della moglie «Taiga mi ha detto che hai un cane.»
Kagami alzò gli occhi al cielo e sospirò nervosamente, ma il padre non vi badò e continuò.
«Abbiamo sempre voluto un cane, solo che da quando Taiga è stato morso sul sedere-»
«Cosa-?! Papà!»
«Sul sedere?»
«Sì, sul sedere.»
Taiga incenerì suo padre con lo sguardo: possibile che ad umiliare suo figlio non provasse alcun imbarazzo?
«Kagami-kun, mi avevi detto che ti aveva morso il polpaccio.»
«I-infatti era il polpaccio.»
«No, era il sedere.»
«Papà!»
«Confermo: era il sedere.»
«Mamma!»


Un brivido improvviso ridusse il suo sonno ad uno stato di fragile dormiveglia in cui le braccia cominciarono a tremare e il corpo si ripiegò ulteriormente su se stesso, in cerca di calore, intento a scappare da un fastidioso pizzicore che lentamente si era fatto strada oltre lo strato sottile e pallido della sua pelle a aveva cominciato a scavare nelle ossa, avviluppando i suoi piedi e le sue mani in una morsa fredda e quasi insopportabile.
Dopo essere stato scosso da un secondo brivido, Tetsuya schiuse gli occhi e brontolò sommessamente, stringendo le lenzuola fra le dita senza sapere esattamente come fare per riuscire ad ottenere un po' di calore in più.
Dopo qualche istante di indecisione, reticente all'idea di uscire allo scoperto, abbandonare lo spazio caldo fra le lenzuola ed esporsi al freddo della casa, Tetsuya scivolò giù dal letto, rabbrividendo non appena le piante dei piedi aderirono al pavimento freddo.
Non si sentiva affatto sicuro ad aggirarsi per casa Kagami nel bel mezzo della notte, non tanto perché non conosceva ancora bene l'ambiente, ma piuttosto perché voleva evitare di incontrare uno dei genitori di Taiga e aveva paura che il minimo rumore potesse metterli in guardia e farli sospettare di loro; nonostante tutto, Kuroko sgattaiolò fuori dalla camera degli ospiti e percorse il corridoio a passi felpati ma rapidi e sicuri - dopotutto, dalla sua parte, aveva la sua scarsa presenza, l'arma che forse gli avrebbe permesso di passare inosservato agli occhi e inascoltato alle orecchie dei coniugi Kagami -.
Giunto di fronte alla porta di Kagami, Kuroko la percosse con due colpi sommessi, per poi arrendersi - un rumore così flebile non avrebbe mai svegliato l'altro, e di più alti non poteva farne se non voleva svegliare i suoi genitori - e aprire lentamente la porta, avanzando con cautela.
«Kagami-kun?» Kuroko lo chiamò non appena si chiuse la porta alle spalle, avvicinandosi al letto con passi volutamente più pesanti, ma Kagami continuò a dormire e fu costretto a scuoterlo, ovviamente facendolo svegliare di soprassalto.
«Maledizione, Kuroko! Potevi bussare!»
Kuroko gli fece cenno di abbassare la voce.
«Dovrei bussare forte e rischierei di svegliare i tuoi.»
Kagami sbatté un paio di volte le palpebre e si strofinò gli occhi, ancora stordito dal sonno.
«Hai bisogno di qualcosa?»
«Ho freddo.»
«Eh? Nell'armadio non ci sono le coperte?»
«No.»
Kagami sbottò e scostò velocemente le lenzuola, per poi accendere la luce e spalancare le ante del suo armadio.
«Ho dimenticato di metterle nel tuo armadio.» Kagami prese due coperte e richiuse l'armadio, e Kuroko fu pronto a riceverle, rimanendo imbambolato non appena l'altro lasciò la stanza e lo intimò di seguirlo.
«Kagami-kun, me le so sistemare anche da solo le coperte.» Tetsuya si affrettò a raggiungerlo, ma Kagami non gli rispose e si fermò soltanto una volta giunto nella camera degli ospiti.
«In questa stanza fa sempre più freddo che nelle altre, se hai bisogno ti porto anche un maglione.»
«Non è necessario, grazie.» Kuroko sorrise e lo osservò mentre si affrettava a sistemare le coperte, poi, dopo averci pensato su per qualche istante, decise di approfittare di quel momento di intimità per rivolgergli la domanda che lo aveva tormentato per tutta la sera, fino a quando non si era addormentato.
«Kagami-kun, cosa intendeva tua madre?»
«Di che parli?»
«Quando ha detto a tuo padre che la nostra storia è molto simile alla loro.»
Kagami si immobilizzò e trattenne il respiro per qualche istante, poi si voltò lentamente verso di lui.
«Me ne sono reso conto soltanto oggi, ma è vero.»
Kuroko gli prese la mano e si sedette sul letto, invitandolo a fare lo stesso e comunicandogli con sguardo attento che aveva intenzione di ascoltare la storia, e a Kagami non rimase che accontentare quella richiesta silenziosa.
«Loro non frequentavano la stessa scuola come noi, anche perché mio padre ha quattro anni in più di mia madre, ma la somiglianza sta nella distanza e nel fatto che lei si sia fidata ciecamente di lui e lo abbia aspettato per tanto tempo.»
Kagami si fermò per qualche istante, riprendendo non appena notò che aveva tutta l'attenzione dell'altro.
«Mio padre non voleva saperne di mia madre, erano vicini di casa, migliori amici e nient'altro. Le voleva molto bene, ma nel momento in cui mia madre gli confessò di amarlo, la serenità che caratterizzava il loro rapporto scomparve nel nulla.
Un anno dopo aver concluso le superiori, mio padre ricevette un'importante offerta di lavoro all'esterno e partì, e mia madre, nonostante fosse stata rifiutata, decise di aspettarlo. È rimasta in sua attesa per almeno un anno e mezzo e ha sofferto tanto, anche dopo, quando mio padre è tornato e hanno dovuto ricominciare praticamente tutto da capo, ma a poco a poco lui ha capito il suo potenziale e ha cominciato ad innamorarsene, a tal punto da rinunciare ad una seconda offerta di lavoro all'estero pur di rimanere con lei che, per questioni familiari ed economiche, non poteva partire.»
Tetsuya rimase ad osservarlo in silenzio, vagamente affascinato dal fatto che tanti anni addietro fosse esistita una storia simile alla loro e che appartenesse proprio ai genitori del suo fidanzato; Taiga, dal canto suo, si alzò placidamente dal letto e gli afferrò il viso fra le mani, baciandolo un paio di volte.
«Se hai bisogno di qualcosa vieni da me, non farti problemi.»
Tetsuya annuì appena e lo baciò, socchiudendo gli occhi non appena sentì le mani di Kagami scivolare lentamente lungo la sua schiena.
Nonostante lo scambio di effusioni, Kagami resistette e dopo avergli arruffato un poco i capelli - compiacendosi di non vederlo infastidito - si congedò e lasciò la stanza; Kuroko, dal canto suo, fissò la porta chiusa per qualche istante e poi sprofondò fra le coperte.


Kuroko non riusciva a capire perché dovesse essere rinchiuso nella stanza più fredda della casa, solo, quando a pochi metri dalla sua porta ce n'era un'altra che conduceva ad un luogo caldo e rassicurante, al respiro rilassato di Kagami, alle sue braccia, al suo profumo.
Nonostante stesse finalmente bene sotto le coperte, Tetsuya lasciò la stanza più velocemente di prima, insinuandosi in quella di Kagami - questa volta senza bussare -.
Tetsuya si arrestò ai piedi del letto e si soffermò per qualche istante sull'ammasso di coperte che, appena visibile nell'oscurità, si alzava e si abbassava ritmicamente: Kagami doveva essersi già addormentato.
Kuroko scostò lentamente le coperte, attento a fare in modo che l'aria fredda non disturbasse il sonno dell'altro.
Kagami era riuscito come al solito ad occupare tutto il letto, addormentandosi in una posizione scomposta che aveva poco di umano e naturale, e a Kuroko non rimaneva altro che adattarsi al suo corpo e trovare un posticino per dormirgli accanto.
Quanto Tetsuya riuscì ad insinuarsi fra le coperte, aggrappandosi al fianco di Kagami e facendo aderire la guancia alla sua spalla, l'ex asso del Seirin brontolò sommessamente.
«Non dovresti essere qui ...» ma per qualche strana ragione, le braccia di Kagami si allacciarono veloci intorno al corpicino di Kuroko, annullando di fatto le sue parole.
«Avevo freddo.» Kuroko mentì e si strinse a lui, Kagami gli solleticò la fronte con un bacio.
«Mi sono abituato a dormire con te.» Tetsuya mormorò e accennò un piccolo sorriso: non si poteva pretendere di dormire in una posizione comoda se si condivideva il letto con Taiga Kagami, ma il calore sprigionato dai loro corpi e gli scambi di sincero affetto che avvenivano sotto le coperte ripagavano tutto.
«In Svizzera è stato veramente difficile.»
«Anche a Tokyo è stato difficile.» per qualche strana ragione, a luci spente, Taiga diventava molto meno timido, tanto da riuscire a confessargli cose simili mentre lo accarezzava e intrecciava le dita ai suoi capelli.
«Puoi restare, ma domani dovrai alzarti presto e tornare nella stanza degli ospiti prima che i miei si sveglino.»
«Va bene.» Tetsuya sollevò il viso e gli diede un bacio di ringraziamento «buona notte, Kagami-kun.»
«Buona notte.»


Taiga aveva passato due giorni interi ad essere arrabbiato con sua madre perché, chissà per quale scherzo del destino, era in ferie e stava privando lui e Kuroko di qualsiasi momento di intimità - ad esclusione di quando, uscendo, riuscivano a trovare un luogo appartato o della notte, quando Tetsuya sgattaiolava in camera sua e tornava nella stanza degli ospiti circa un'ora prima che suo padre si svegliasse per andare a lavoro -.
Il primo giorno, dopo aver scoperto che a Kuroko era stata destinata la camera degli ospiti, Kagami si era sentito offeso dalla poca fiducia che i suoi genitori riservavano nei suoi confronti e aveva detto di non essere un animale, ma dopo aver passato più di quarantotto ore con il suo fidanzato sotto gli occhi, senza poterci fare l'amore, si era reso conto di non farcela già più.
Taiga sospirò e borbottò nervosamente, stendendosi lentamente sul letto e dando una rapida occhiata alla sveglia: erano quasi le tredici, l'ora in cui sua madre usciva per andare a lavorare, ma era probabile che anche quel giorno se ne sarebbe rimasta a casa, a badare a lui e a Kuroko come fossero dei bambini.
Kagami inspirò appena, continuando a fissare il soffitto e prendendo in considerazione l'idea che sua madre potesse ricominciare ad andare a lavoro e che suo padre prendesse il suo posto: non era ancora riuscito a capire cosa pensassero di loro, ma senza dubbio avevano deciso di trattare la situazione con i guanti e non era da escludere che stessero progettando di fare la guardia un po' per uno - Taiga, però, non poteva saperlo con sicurezza perché se n'era visto bene dal fare domande, in modo da non innervosirsi ulteriormente nel veder sfumare completamente la possibilità di avere un momento di intimità con Tetsuya -.
A distogliere Kagami da quei pensieri fu il brontolio sommesso dello stomaco che, reclamando insistentemente qualcosa da mangiare, lo spinse ad alzarsi dal letto e a lasciare la stanza, raggiungendo la cucina piuttosto in fretta.
«Mhn?» Taiga si fermò sulla soglia, osservando con espressione confusa e allo stesso tempo speranzosa la figura della madre con la borsa sotto braccio e le chiavi strette fra le dita di una mano.
«Esci?»
«Sì, vado a lavoro.»
Istintivamente, quasi a volersi trattenere dall'esultare, Kagami adagiò una mano allo stipite della porta, cercando di mantenere un'espressione tranquilla e indifferente: che quei giorni di ferie fossero realmente un caso? O forse sua madre li aveva chiesti per passare più tempo con lui. O, ancora, poteva essersi resa conto che l'amore poteva esistere anche fra due persone dello stesso sesso e aveva deciso di restituire loro tutta l'intimità di cui aveva tentato di privarli nei giorni precedenti.
«La prepari tu, la cena?»
«Sì.» Taiga rispose immediatamente: i suoi genitori sarebbero tornati alle venti, quindi aveva a disposizione un sacco di tempo prima di mettersi ai fornelli e, pur di non averli fra i piedi anche per un solo paio d'ore, era disposto a fare di tutto.
«Allora a stasera.»
Kagami ricambiò il cenno della madre e la guardò uscire e richiudersi la porta alle spalle, poi, dopo essere rimasto imbambolato per qualche istante, si rese conto che la fame era passata e che c'era una questione molto più urgente da risolvere.


Tetsuya ascoltò per qualche istante lo scrosciare dell'acqua, osservò il getto tiepido spezzarsi ai suoi piedi e in quella contemplazione inviolabile si chiese cosa potessero pensare i genitori di Kagami di lui e di loro.
Aveva passato due giorni ad osservarli, ma onestamente non era riuscito a dedurre molto dal loro comportamento: aveva l'impressione che il loro interessamento e la loro gentilezza fossero calcolate, che fossero ancora reticenti a quella scoperta o che, bene o male, provassero semplicemente una fredda indifferenza e cercassero a tutti i costi di non interessarsi realmente del figlio. Nonostante questa impressione, i genitori di Kagami gli piacevano molto: sua madre era una donna intelligente, profondamente acculturata e sembrava averlo preso in simpatia fin da subito, suo padre, oltre al modo iniziale di porsi che somigliava più che altro a quello di un sergente, era molto simile a Taiga - e questo bastava e avanzava -.
La schiena di Kuroko fu stuzzicata da un brivido non appena il getto di acqua calda si abbatté contro le ginocchia, scivolando in piccole gocce veloci lungo le gambe, e il corpo sussultò non appena sentì le ante della doccia scattare e le vide spalancarsi.
«Kagami-kun ...» mormorò senza capire, soffocando una protesta non appena Kagami gli prese il viso fra le mani e lo trascinò a sé.
A Kuroko ci volle poco per capire che quell'improvvisa aggressione era dovuta all'assenza di entrambi i genitori, così fu lui stesso a trascinare nella doccia Kagami.
Non ebbero bisogno di parlare e le labbra sciolsero il loro intreccio solo per qualche istante, permettendo ad entrambi di riprendere fiato mentre Tetsuya aveva già arpionato la maglietta di Kagami.
Dopo qualche istante, la maglietta cadde ai loro piedi e assorbì le piccole pozze d'acqua formatesi fra i minuscoli incavi decorativi del pavimento della doccia, seguita immediatamente dai pantaloni e dai boxer.
Tetsuya rabbrividì non appena Kagami lo incastrò fra il suo corpo e la parete fredda ed umida della doccia, trovando sollievo soltanto quando le labbra dell'altro gli baciarono il collo e le sue mani gli afferrarono le natiche, sollevandolo appena, in modo che i loro bacini si incastonassero.
Le mani di Kuroko scivolarono placidamente lungo la schiena dell'altro, godendo del calore sprigionato dalla sua pelle, le labbra si incontrarono e si scontrarono ancora, schiudendosi per far sì che le lingue si intrecciassero e la parete della doccia divenne improvvisamente bollente, le membra furono attraversate da scosse di piacere.
Kagami stava dimostrando di essere l'animale di cui pochi giorni prima aveva negato l'esistenza, e a quanto pareva qualche decina di ore di astinenza forzata lo rendeva molto più sfacciato e agguerrito: dopotutto era una conseguenza normale, soprattutto se aveva avuto l'oggetto del desiderio sotto gli occhi per tutto quel tempo senza poterlo quasi toccare.
Le braccia di Tetsuya si allacciarono attorno al collo dell'altro, il corpo scivolò appena, tramortito dal peso insostenibile dell'eccitazione che, bene o male, aveva già annebbiato le menti di entrambi e li faceva agire molto più velocemente e violentemente del normale.
Kuroko sussultò di piacere non appena la mano di Kagami scivolò fra le natiche e la sua lingua gli stuzzicò la linea esile del collo, le dita dei piedi si contorsero appena a causa dell'eccitazione che affliggeva il suo basso ventre.
Di volta in volta, erano divenuti entrambi molto più sciolti e disinibiti col sesso, che era diventato sorprendentemente naturale e di conseguenza molto più piacevole, visto che nel giro di poco sembravano aver capito entrambi cosa piaceva e cosa non piaceva all'altro.
Nonostante la foga del momento e l'entusiasmo decisamente esagerato derivato dall'essere soli, Taiga riuscì come al solito a penetrarlo con molta lentezza e con cautela, inizialmente muovendosi dentro di lui senza alcuna fretta.
Le dita di Tetsuya arrancarono lungo la schiena dell'altro, le mani di Taiga rimasero incollate alle sue natiche, in modo da facilitargli il movimento del bacino, divenuto a poco a poco più fluido e rapido.
Kuroko allacciò le gambe intorno alla sua vita e gli stuzzicò il lobo dell'orecchio con le labbra, soffiando aria calda contro la sua pelle in uno spasmo di eccitazione a cui Kagami rispose aumentando la velocità dei suoi movimenti, in un gemito di soddisfazione roco e sommesso.
La loro passione venne dilapidata in poco tempo, svuotò improvvisamente i loro corpi, lasciando dietro di sé membra tese e respiri tremanti, la pelle di entrambi bollente, velata di sudore.
Tetsuya restò aggrappato a lui anche dopo l'amplesso e Taiga, dal canto suo, lasciò scivolare le mani dalle sue natiche ai suoi fianchi, carezzandoli lentamente fino a giungere alla schiena, per poi stringerlo a sé con il respiro ancora accaldato dall'eccitazione e la cassa toracica costantemente percossa dal battito rapido e irregolare del cuore.
Tetsuya non pensava che fosse così poco resistente nei confronti del sesso, ma in quel momento dovette ricredersi e, soprattutto, trattenersi dal punzecchiarlo e sfotterlo.


«Allora li accompagnerai tu all'aeroporto?» la madre di Kagami diede una rapida occhiata al grande orologio a pendolo, alzandosi lentamente dalla poltrona.
«Sì, non preoccuparti.»
«Vado a svegliare Taiga.»
Il padre di Kagami annuì appena e la moglie lasciò rapidamente il salotto, giungendo in poco tempo alla porta del figlio: un po' le dispiaceva che la settimana fosse già passata e dovessero partire e, a pensarci bene, doveva ancora preparare un borsone che contenesse i libri da affidare a Kuroko - dopotutto le sembrava un tipo affidabile e intelligente, le piaceva -.
Continuando a pensare all'imminente partenza del figlio, la donna fu colta alla sprovvista da un senso di maternità riconducibile al passato, a quando Taiga era piccolo e lei poteva permettersi di entrare nella sua stanza senza bussare.
Complice il silenzio assoluto che regnava al di là della porta, la madre di Kagami aprì la porta e si insinuò nella stanza, arrestando la propria voce appena in tempo quando vide che sotto le coperte, accanto ai ciuffi rossi del figlio, ne spuntavano alcuni azzurri.
Rimase in silenzio, ad osservare il grosso ammasso di coperte che scaldava il loro abbraccio, e in quel momento li trovò terribilmente carini e non ebbe il coraggio di svegliarli.
Inspirò e socchiuse gli occhi per un solo istante, beandosi della felicità del figlio e sorridendo anche per lui, poi afferrò la sveglia sul comodino e la impostò, in modo che fosse lei a ridestarli e da evitare una situazione imbarazzante.
Gli avrebbe lasciato ancora dieci minuti per dormire, dopotutto non era poi così tardi e interrompere la loro serenità sarebbe stato un vero peccato.

Non esista forza che possa separarle, è un processo naturale, uno spettacolo dinnanzi al quale ogni creatura si inchina.




Licenza Creative Commons
Quest'opera è distribuita con Licenza Creative Commons Attribuzione - Non commerciale - Non opere derivate 2.5 Italia.




L'angolino invisibile dell'autrice:

Ce l'ho fatta, ce l'ho fatta! *33*
Oggi ho anche saltato la lezione per finire questo benedetto capitolo!
Capitolo piuttosto lungo che copre l'arco di una settimana (all'inizio l'idea era parlare anche un po' di Los Angeles, ma avrei finito per scrivere una guida turistica e non mi sembrava il caso … e poi la KagaKuro è più interessante).
Ovviamente la concezione dei genitori di Kagami viene tutta dalla mia testolina e per ora non mi sono voluta sbilanciare troppo (diciamo che Kuroko piace a entrambi ma sono ancora un po' traumatizzati, hanno bisogno di un altro po' di tempo per elaborare la notizia).
Sono abbastanza soddisfatta, bene o male sto ripescando il vecchio stile e tutto ciò si avvicina molto di più al modo in cui voglio scrivere (alcuni pezzi più di altri).
Per il resto non ho niente da dire, tranne che nel prossimo capitolo torneranno anche gli altri e … ecco, sabato primo novembre sono a Lucca (sarò un Levi con tanto di manovra tridimensionale e … ah sì, c'è anche un Eren con me ùwù XD), quindi nel caso qualcuno mi desiderasse, forse ci incontreremo! *^*
Oltre a ciò ne approfitto per lasciarvi il link di una pagina che ho creato con altre mille persone (?), ovviamente in tema KnB (non aspettatevi niente di intelligente, eh): https://www.facebook.com/KurokonoOmo?ref=hl

Ritorna all'indice


Capitolo 28
*** Capitolo XXVII ***


Capitolo XXVII





La nostra storia dipende dalle nostre scelte: le favole si scrivono al chiaro di luna.

Da quando i medici gli avevano permesso di intravedere la possibilità di un miglioramento, Seijuurou passava tutto tutto il giorno davanti alla finestra, osservava per ore interminabili la neve bianca e uniforme, le fronde scure e spinose degli alberi del bosco vicino.
Voleva uscire, voleva aprire la finestra.
I medici - e Nijimura - gli stavano addosso come cani perché non volevano assolutamente che il suo corpo malato fosse esposto al freddo, invece a lui non importava, anzi era fortemente convinto che dopo aver trascorso tutti quei mesi chiuso in clinica avrebbe tratto soltanto un grande piacere nell'avvertire il freddo pungente della neve che si sbriciolava fra le mani o il vento gelido insinuarsi tra i capelli e divorargli la pelle.
Akashi voleva sentire, che si trattasse di freddo, di caldo, di dolce o di amaro. Stava guarendo, e questa verità gli aveva dato una grande sicurezza, una grande forza: per la prima volta dopo tanto tempo era tornato a sentirsi invincibile, intoccabile, anche se in un modo del tutto nuovo, diverso rispetto al passato, visto che questa volta la vittoria non era più così scontata ma comunque necessaria e irrinunciabile.
Nijimura aveva fatto bene ad assecondare il dubbio che rivedere gli ex membri della Generazione dei Miracoli potesse aiutarlo: Akashi sembrava aver tratto un grande beneficio dalla loro visita e, soprattutto, dallo scambio piuttosto frequente di sms con Kuroko, anche se il grosso del merito andava proprio a Shuuzou che nonostante tutto aveva continuato a sostenerlo.
«Non dovresti tornare a letto?»
Anche se la maggior parte delle volte risultava noioso e decisamente troppo apprensivo.
«Sto bene.» Akashi rispose con calma, accarezzando il vetro freddo con il polpastrello: non aveva alcuna intenzione di tornarsene sotto le coperte a leggere poesie o a fissare un muro bianco e vuoto, preferiva contemplare il paesaggio oltre la finestra, assaporare nel suo immaginario l'odore umido della neve, quello forte e selvatico della terra bagnata, quello fresco degli aghi di pino e quello dolce della resina.
Akashi non distolse neppure per un istante gli occhi dal paesaggio al di là della finestra e seguì i movimenti di Nijimura osservando il suo riflesso nel vetro e ascoltando il rumore sommesso dei suoi passi. Nijimura gli avvolse le spalle con le braccia e lo strinse a sé, stuzzicandogli la tempia con un bacio.
«Fra poco torneremo a casa.» Akashi si rilassò contro di lui e gli accarezzò le braccia, e Nijimura annuì appena, rafforzando la stretta.
«Sì.» mormorò anche lui, allentando la stretta non appena Akashi si mosse e si voltò verso di lui.
«Lo sai che dovremo prendere l'aereo, vero?» Seijuurou gli sorrise e Shuuzou sbuffò sommessamente.
«Che sia l'ultima volta.» borbottò e gli prese il viso fra le mani, soffermandosi sul suo sorriso debole eppure estremamente dolce.
Senza dire una parola, Nijimura si chinò su di lui e lo baciò; Akashi, dal canto suo, intrecciò le mani pallide e fredde dietro la sua nuca e socchiuse gli occhi, confortato dal calore sprigionato dai loro visi e dai loro corpi così vicini.


Non appena Himuro ebbe girato il cartello trasse un profondo sospiro di sollievo: finalmente poteva respirare e smetterla di correre da un tavolo all'altro e fare cassa.
Il locale era stato inaugurato appena quattro giorni prima e Tatsuya si sentiva già privo di ogni energia: gli unici momenti in cui gli sembrava di poter respirare erano la mattina presto, prima di aprire, durante la pausa pranzo e al ritorno a casa, dopo aver chiuso.
Non riusciva a capire se era merito dell'ambiente o dei dolci di Murasakibara, ma il locale aveva ottenuto un grande successo e i clienti avevano già fatto ritorno almeno una volta; Kise, che era venuto all'inaugurazione - trascinandosi dietro Aomine - e anche il giorno dopo, in compagnia di Momoi, gli aveva fatto notare che la maggior parte dei clienti era composta da donne e che, probabilmente, un'affluenza tale di gentil sesso era dovuta proprio a lui, e se Tatsuya aveva in un primo momento trovato ridicola quell'osservazione, ora, osservando meglio i comportamenti delle più giovani - fra sorrisini eloquenti e bisbiglii vari -, cominciava a pensare che potesse esserci un fondo di verità.
Che cosa avrebbero detto tutte quelle clienti se avessero scoperto che il bel ragazzo del locale era fidanzato con il pasticcere? Himuro accennò un sorriso divertito e sorpassò il bancone, recandosi in cucina.
«Atsushi.» il sorriso scomparve immediatamente e lasciò spazio ad un tono leggermente alterato.
Murasakibara si immobilizzò e continuò a dargli le spalle.
«Cosa mangi? Te l'ho detto mille volte che tutto ciò che prepariamo la sera va tenuto per il giorno dopo.»
«Non sto mangiando, Muro-chin.» Atsushi biascicò e si voltò lentamente verso di lui.
«Togliti la panna dalla faccia.»
«Oh.»
Himuro aspettò che si pulisse il viso e riprese a parlare.
«Oggi abbiamo avuto più clienti del solito, se continueremo così sarà difficile gestirli tutti.»
«Eh?» Murasakibara tese la mano verso una tartina, ma Himuro afferrò la teglia in tempo.
«Soprattutto se mangi la metà dei dolci che prepari.»
Murasakibara lo fulminò con lo sguardo, poi chinò appena il capo come a chiedergli perdono.
«Se è questo ciò che vuoi fare nella vita, non credi che dovresti prenderlo più seriamente?»
Atsushi rimase a fissarlo per qualche istante, poi, in silenzio, gli transitò accanto e si fermò sulla soglia; Tatsuya ripose la teglia e lo raggiunse, e così si avviarono insieme all'uscita.
«Forse dovremmo mettere un annuncio.»
Murasakibara inarcò un sopracciglio e rimase a fissare l'altro che, dopo aver abbassato la saracinesca, si stava apprestando a chiuderla girando la chiave all'interno del lucchetto con un rapido movimento della mano.
«Avere qualcuno disposto ad aiutarci sarebbe comodo. Anzi, se continuiamo a guadagnare così tanto potremmo assumerne anche due.»
«Eh?» Murasakibara aggrottò la fronte e brontolò infastidito: non aveva valutato la possibilità che un giorno altri dipendenti potessero cominciare a lavorare nel suo locale e rovinargli la festa, mettersi in mezzo a lui e Himuro.
«Mi sembri troppo precipitoso, Muro-chin.» Atsushi rispose dopo qualche istante, con voce disinteressata e vagamente annoiata.
«Potremmo cominciare col metterli alla prova e vedere come se la cavano, poi valuteremo se e chi assumere.»
«Secondo me è una cattiva idea.» Murasakibara borbottò «avremo meno soldi.»
Se c'era una cosa di cui non si preoccupava Himuro, quelli erano i soldi: convivendo tutti gli introiti che derivavano dalla loro attività venivano condivisi e in parte destinati a pagare l'affitto, e in caso di problemi economici i loro genitori sarebbero stati disposti ad aiutarli come avevano fatto fino ad una settimana prima.
«Se siamo soltanto in due e abbiamo tutti quei clienti da servire diventeremo lenti e il servizio perderà di qualità, quindi il locale comincerà a svuotarsi a poco a poco, così come la cassa, e a quel punto non ne avremo proprio più di soli.»
Murasakibara inspirò appena e sollevò il capo, lasciando che i raggi freddi della luna gli illuminassero il viso.
«E va bene.» sospirò sommessamente, mentre le mani sprofondarono nelle tasche del cappotto, in cerca di calore «a patto che sia tu a preparare gli annunci.»
Himuro continuò a camminargli accanto in silenzio, resistendo alla tentazione di sollevare il viso verso il cielo per avere davanti agli occhi il suo stesso spettacolo, infine accennò un sorriso e acconsentì con un cenno del capo.


«Perché ci siamo solo noi?!» Kagami sbottò, fulminando con lo sguardo prima Riko e Momoi, sedute sulla panchina in pietra, e poi Kuroko, impegnato a scrivere qualcosa al cellulare - probabilmente stava parlando con Akashi come era avvenuto negli scorsi giorni, solo che la cosa a Taiga non piaceva -.
«Immagino che Mukkun e Himuro-san siano al locale.» Momoi si batté il dito indice al centro del mento un paio di volte, assumendo un'aria pensierosa e stringendosi appena nelle spalle.
«Midorima sarà all'università o con Takao.» Aida sospirò sonoramente: alla fine non riuscivano mai ad essere tutti insieme.
Kagami si trattenne dal chiedere di Kise e Aomine - visto che la risposta era ovvia - e si voltò nuovamente verso Kuroko che, con le dita ancora incollate al cellulare, sembrava essersi assentato completamente dalla conversazione.
«Ohi, Kuroko! Ci stai a sentire o no?!»
«Kagami-kun, non urlare.» Tetsuya rispose con calma e finalmente scostò il proprio sguardo dallo screensaver «ora mi prendo la rivincita.»
«Eh? Quale rivincita?» Kagami sbottò e aggrottò la fronte.
«Sì, quale rivincita?» Riko fece eco e Tetsuya rivolse il proprio sguardo a Kagami, accennando un minuscolo sorriso.
«Te l'avevo promessa.»
Kagami sospirò sommessamente e si rigirò la palla fra le mani per qualche istante, poi si diresse al canestro e la gettò in aria.
«Allora prenditi la tua rivincita.» guardò la palla a spicchi roteare sul cerchio metallico e scivolare lentamente fra le corde bianche, poi si voltòverso Kuroko con un piccolo ghigno insolente ad increspargli le labbra.
Tetsuya non se lo fece ripetere due volte e recuperò la palla in rimbalzo, cercando immediatamente di superare il muro difensivo che il corpo di Kagami aveva già posto fra lui ed il canestro.
«Chiamerò Dai-chan e Ki-chan.» Momoi sospirò spazientita e intrecciò le dita delle mani senza mai distogliere l'attenzione da Kagami e Kuroko.
«E magari proverò anche con Midorin.»
Aida la ascoltò, ma come lei continuò a contemplare i movimenti fluidi ed esperti di Kagami e Kuroko.
«Prima che arrivassi abbiamo discusso di una cosa.»
«Mh?» Satsuki le rivolse un'occhiata interrogativa e finalmente anche Riko distolse la propria attenzione dal campetto, indirizzandola completamente a lei.
«Potremmo invitare Takao a giocare con noi, credo che gli farebbe piacere.»
A Momoi sembrarono illuminarsi gli occhi, e il suo tempestivo sorriso paralizzò Aida che, arrossendo appena, distolse lo sguardo e li riportò su Kagami e Kuroko.
«È davvero un ottima idea, Riko-chan!»
«T-ti ho già detto di non chiamarmi così.» Riko borbottò con le labbra contratte dall'imbarazzo, ma per fortuna la voce strepitante di Kagami la distrasse abbastanza da permetterle di dimenticare che Momoi aveva posato sia gli occhi che il sorriso su di lei.
«Che rivincita è, Kuroko?! Siamo già cinque a uno! Fai schifo!»
Anche Momoi, dal canto suo, tornò ad osservare Kuroko e Kagami, accennando un sorriso divertito e riprendendo a parlare solo qualche istante dopo.
«Riko-chan, dopo ti andrebbe una cioccolata calda?»
Riko sobbalzò appena e si irrigidì, mormorando qualcosa di impercettibile e ripetendolo poco dopo con un balbettio impacciato.
«C-certo che mi andrebbe.»


Destreggiarsi fra Takao, università e Generazione dei Miracoli diventava ogni giorno più difficile: aveva la costante e spiacevole sensazione di non riuscire ad accontentare nessuno, lui stesso prima di tutti.
Midorima era consapevole di aver perso molte lezioni nell'ultimo periodo e aveva il terrore di arrivare completamente impreparato al test che si sarebbe tenuto di lì a pochi giorni e che, in caso di risultato positivo, avrebbe permesso a lui, ad altri quattro ragazzi di prima, a cinque di seconda e cinque di terza di fare pratica nell'ambiente ospedaliero per due volte a settimana fino alla fine di marzo.
Per fortuna, un po' per l'umore ancora estremamente fragile, un po' perché ci aveva fatto l'abitudine e si era arreso all'evidenza, Takao restava in silenzio e non disturbava più il suo studio, e nonostante parlassero molto poco e Kazunari passasse quasi tutto il giorno ad annoiarsi sembrava comunque felice di passare quelle ore in sua compagnia.
Midorima trattenne a fatica uno sbadiglio e rivolse una rapida occhiata all'orologio da polso.
«Si è fatto tardi ...» mormorò sommessamente, chiuse il libro e lo ripose sul comodino, inforcando gli occhiali e schiarendosi appena la voce.
«Resti qui anche questa notte o torni a casa? Forse è meglio se ordiniamo qualcosa da mangiare.» oltre a non essere particolarmente ferrato in cucina, Shintarou non aveva assolutamente voglia di strisciare tra i fornelli con la schiena a pezzi e gli occhi appesantiti dallo studio, e allo stesso tempo non voleva costringere Takao a cucinare per lui ogni sera - anche se sarebbe stato uno scambio più che legittimo, visto che ormai Kazunari viveva sotto il suo tetto scroccando acqua, cibo ed energia senza pagare un centesimo -.
«Ohi, Takao?» non ricevendo risposta, Midorima alzò un poco la voce e rivolse una rapida occhiata all'altro.
Shintarou tornò in silenzio e lo guardò per qualche istante: non era ancora successo che si addormentasse così presto, il che, comunque, era un segnale positivo perché era la conferma che Kazunari fosse tornato a sentirsi completamente a suo agio in sua compagnia.
«Takao?» Midorima si vergognò della sua stessa voce: non sapeva perché, ma nonostante lo avesse chiamato per svegliarlo gli era venuto naturale sussurrare il suo nome per non disturbare il suo sonno.
«Takao?» riprovò dopo qualche istante, questa volta con tono più alto e affondando la punta dell'indice nella sua guancia.
Takao brontolò sommessamente e contrasse le labbra in una piccola smorfia, lasciando ondeggiare il capo a destra e a sinistra per qualche istante, poi, finalmente, si fermò e smise di brontolare, sollevando con lentezza e fatica le palpebre evidentemente appesantite dal sonno.
«Shin-chan ...» biascicò con la voce impastata dal sonno, la voglia di sbadigliare, sfregarsi gli occhi e tornare a dormire, ma nonostante tutto intese lo sguardo dell'altro e capì che avrebbe dovuto resistere.
«Che ore sono?» aveva dormito, era logico, palese, ma faceva ancora fatica ad accettarlo, e questo perché dopo la morte di Miyaji aveva creduto che di pace non ne avrebbe più trovata.
«Le venti e trenta.»
Non aveva paura di niente se con lui c'era Midorima, era l'unico capace di tranquillizzarlo - almeno temporaneamente - da dopo l'incidente.
«È tardi-» mormorò sommessamente.
«Lo so.» e Shintarou, dal canto suo, continuò ad osservare il suo viso stropicciato dal sonno, le labbra increspate in un sorriso quasi impercettibile, rendendosi conto di essere troppo vicino a lui e vergognandosene immediatamente.
«Posso restare qui?» sapendolo così vicino e vedendolo arrossire all'improvviso, per una ragione a lui sconosciuta, Takao ampliò il sorriso e sfregò pigramente la testa contro il bracciolo del divano.
«Certo.» Midorima si vergognò di nuovo della sua voce bassa e cauta, quasi avesse voluto confortarlo con le sole parole e assicurargli che lui c'era e che ci sarebbe stato sempre.
In cuor suo, Shintarou sapeva di essere diventato allergico alla solitudine e si sentiva pervaso da una vaga e rassicurante sensazione di gioia ogni volta che Takao gli diceva che sarebbe rimasto con lui: mai avrebbe pensato che una persona potesse sottrarlo al desiderio di solitudine con così tanta facilità, soprattutto se il soggetto in questione era rumoroso e insistente.
All'inizio aveva pensato che Takao fosse il solito ragazzino stupido, l'amico di tutti, insolente e decisamente troppo confidenziale, ma andando avanti nel tempo si era reso conto che oltre alle apparenze esistevano un'anima e una persona molto gradevoli, un cuore grande, un carattere affabile e irrimediabilmente buono: fuori brillava come il sole, sereno e spensierato, dentro aveva un mare in tempesta, era sensibile e fragile.
In quegli anni Takao gli aveva insegnato molte più cose di quante non ne avesse imparate nei precedenti, e sentiva che non sarebbe mai riuscito a ringraziarlo adeguatamente.
Shintarou si soffermò solo per qualche istante sugli occhi color del ghiaccio dell'altro, fermi e fissi sui suoi, illuminati dal velo lucido di lacrime provocate dal sonno, poi sul viso bianco, incorniciato e corrotto da sottili fili corvini, scendendo infine alle labbra fini, di un rosa così chiaro che rischiava di confondersi con quello della pelle: Kazunari gli piaceva, ed era un'evidenza alla quale si era arreso ormai da tempo e nei confronti della quale non vedeva altra soluzione se non arrendersi.
Quando Shintarou scostò il proprio sguardo dalle labbra dell'altro e si rese conto che lo stava ancora guardando trattenne il fiato: avere gli occhi curiosi di Takao puntati addosso in quel modo - e in un momento simile – lo aveva messo in seria difficoltà e, ovviamente, in imbarazzo.
Midorima prese una grande boccata d'aria e con la fronte corrugata in un cruccio si voltò nuovamente verso di lui, pronto ad intimargli di smetterla di guardarlo in quel modo, ma la voce gli mancò e gli occhi tornarono ad incatenarsi a quelli di Takao, come se si fossero sempre appartenuti e mai persi.
L'espressione di Takao si fece improvvisamente più seria, attenta, e il sorriso sornione che tanto infastidiva Midorima scomparve.
«Shin-chan ...» quasi avesse presagito qualcosa lo chiamò, ma la voce fu talmente bassa che tremò appena e alimentò ancor di più l'attenzione dell'altro, e così Midorima si chinò su di lui, piano.
Takao non protestò né cercò di sfuggirgli, anzi lasciò scivolare una mano sulla sua nuca e lo condusse a sé; tuttavia, non tanto per la vergogna, quanto più perché era consapevole che un bacio avrebbe potuto cambiare tutto, Midorima esitò e fra le loro labbra venne a crearsi una distanza minima ma terribilmente spiacevole e scomoda.
Kazunari, dal canto suo, era perfettamente consapevole di ciò che stava per fare e nonostante avesse paura desiderava provarci, dopotutto aveva sempre voluto - troppo - bene a Shintarou e poco prima della partenza di Miyaji aveva cominciato ad avere dei forti dubbi su quell'affetto spropositato che nutriva per lui, sulla voglia costante di sorridere ogni volta che stavano insieme, sul bisogno ricorrente di vederlo e parlare con lui almeno una volta ogni due giorni.
Miyaji era sempre stato geloso del loro rapporto, forse lo aveva capito anche prima di Takao che c'era qualcosa che andava al di là della semplice amicizia, qualcosa di terribilmente sbagliato.
Takao amava ancora Miyaji, ma sapeva di amare anche Midorima.
Quando le labbra di Shintarou sfiorarono le sue, Kazunari inspirò appena e chiuse gli occhi, lasciandosi andare ad un bacio che molto spesso si era ritrovato a desiderare ma che non era mai riuscito ad ottenere.
D'un tratto ogni dubbio e ogni esitazione scomparvero, Kazunari sentì il dolore della perdita defluire lentamente dal proprio corpo, incastrarsi sotto pelle e resistere, per poi scivolare via e concedergli un sollievo temporaneo. Shintarou si sentì improvvisamente più leggero, come se quel bacio avesse spazzato via in un istante tutte le paure che per lungo tempo erano rimaste annidate nella sua testa, demolito e sbriciolato i preconcetti, le insicurezze, perfino i rimorsi e i rimpianti: baciarlo ed essere ricambiato era qualcosa che mai avrebbe creduto possibile, era un evento sul quale aveva a lungo fantasticato e che aveva scacciato ogni volta in malo modo, nervoso e triste, sconfortato da una realtà pesante e ansiogena.
Tuttavia non ci volle molto perché le labbra di Takao scivolassero via dalle sue e pronunciassero parole stridenti, lettere taglienti che rovinarono immediatamente quell'istante prezioso.
«No, Shin-chan, non possiamo farlo.»
Come se quella fosse stata la formula magica per liberarlo da un crudele sortilegio, Midorima si ritrovò improvvisamente catapultato nella realtà e si scostò velocemente dall'altro, che si mise a sedere evitando il suo sguardo.
«Non ce la faccio.»
Midorima non gli avrebbe chiesto il perché, non lo avrebbe forzato, ma gli avrebbe dato modo di spiegarsi qualora lo avesse voluto
Takao si sfiorò le labbra col dorso della mano, quasi a voler raccogliere e custodire sulla pelle una traccia di quel sapore appena conosciuto e che forse non avrebbe mai più avuto modo di gustare: aveva baciato la persona che gli piaceva e per un'altra ancora si era arreso, aveva scelto qualcuno che non c'era più e ferito chi gli era sempre stato accanto, chi lo amava sinceramente.
«È … è che ...»
«Takao, non mi devi spiegazioni.» Midorima inspirò appena e si sollevò velocemente: dopotutto era vero, era facile capire cosa gli passasse per la testa e di certo non poteva pretendere qualcosa da un'anima ancora così fragile e vulnerabile, anzi era probabile che Takao lo avesse baciato proprio a causa di quella debolezza, del viscerale bisogno di sentirsi protetto.
Kazunari sollevò appena il viso cercando di cacciare indietro le lacrime calde e prese una grande boccata d'aria: era stato davvero egoista da parte sua, doveva farsi perdonare in qualche modo e, soprattutto, mettere in chiaro le proprie idee e accettare la realtà.
Non aveva senso fare male ad un vivo per non cagionare alcun danno ad un morto, non aveva senso ferire una persona che amava e che lo contraccambiava per qualcuno ormai perso nel ricordo e irraggiungibile, cancellato dalla faccia della terra.
«Scusami.» se in quelle ultime settimane era riuscito a stare bene era soltanto perché si era ripetuto più e più volte che Miyaji era ancora vivo e che era lì con lui, quando in verità, lì con lui, c'era Midorima.
«Scusami tu.» Midorima strinse i denti e gli voltò le spalle, parlando piano «forse sono stato un po' troppo precipitoso.»
Takao rimase ad osservarlo in silenzio e poi schiuse le labbra, cercando di dire qualcosa, ma i suoi pensieri furono sovrastati dal trillo acuto del telefono ancor prima che potesse formularli e dar loro voce.
«Sì? Chi è?»
Midorima sussultò e si voltò di scatto, rivolgendogli un'occhiataccia nervosa.
«Takao!» aveva preso decisamente troppa confidenza con l'ambiente, tanto che ora rispondeva al telefono perfino al posto suo - ma almeno quella chiamata aveva salvato la situazione -.
«Umh? Takao-kun, sei tu?»
«Ah ...» Takao si zittì e rivolse il proprio sguardo a Midorima, rendendosi conto solo in quel momento di aver risposto al posto suo.
«Sì, sono io-» forzò un sorriso e riprese a parlare «tu sei … Momoi-san?»
«Ciao! Sì, sono io!»
«Aspetta, ti passo Shi–»
«Oh no, no! Fa lo stesso, Takao-kun, dopotutto è a te che volevo chiedere.»
«Chiedere? Che cosa?»
Midorima aggrottò la fronte e lo guardò indispettito: non era certo una buona notizia sapere che Momoi era all'altro capo del telefono, sicuramente aveva qualcosa in mente.
«Questa mattina ci stavamo chiedendo se non ti andrebbe di giocare a basket con gli altri!»
Takao sbatté le palpebre un paio di volte e schiuse le labbra senza sapere davvero che cosa dire.
«Non vi do fastidio?»
«Certo che no! Sarà divertente stare tutti insieme, sono convinta che farà piacere anche a Midorin!»
«Ah ...» Takao accennò una risata nervosa e rivolse i propri occhi a Midorima «già, Midorin
Midorima aggrottò la fronte e sfiatò minaccioso, ma Takao non ci fece molto caso perché richiamato dalla voce squillante di Momoi.
«Allora? Accetti?»
Non sarebbe stata cosa saggia accettare proprio in quel momento, dopo quello che era appena successo fra lui e Midorima, ma Takao non era mai stato giudizioso e completamente consapevole delle proprie scelte, preferiva vivere alla giornata senza pianificare e senza pensare troppo, sempre che fosse possibile.
«Affare fatto!» sicuramente gli avrebbe fatto bene uscire dal suo piccolo mondo e scoprire che la vita fuori andava avanti per tutti meno che per lui.
«Perfetto! Fra due giorni io, Riko-chan, Kagamin e Tetsu-kun saremo al campetto, Midorin sa dove si trova!»
«Ci saremo anche noi, a presto!»
«Ciao!»
Takao riattaccò prima che Midorima potesse strappargli di mano il telefono e accennò un'altra risata nervoso.
«Dov'è che saremo?»
«Al campetto.»
«Ah … cosa-?! Takao!»
«Che c'è? Mi ha invitato a giocare con voi!»
Midorima fece per controbattere ma si ammutolì all'improvviso: cosa poteva dirgli? Che aveva sbagliato ad accettare? Certo che no, dopotutto era per il suo bene.
Per il bene di Takao, ma non per il loro: doveva accettarlo, doveva acconsentire a quel sacrificio e rinunciare a lui ancora una volta.


Aomine inspirò profondamente e si trascinò fino ai piedi del letto, restò immobile e in silenzio nella penombra della stanza, ascoltando paziente ogni rumore proveniente al di là della porta: il tintinnio di una posata, lo stridere delle gambe della sedia contro il pavimento, la voce di sua madre che chiamava suo padre a tavola.
Daiki conosceva perfettamente la tiritera: sua madre avrebbe aspettato un paio di minuti, lo avrebbe chiamato, poi sarebbe rimasta in attesa ancora per un po' e infine avrebbe bussato alla sua porta, furiosa e offesa, allora lui sarebbe andato in cucina, avrebbe preso il piatto e sarebbe tornato in camera sua.
Pur non avendo mai avuto particolari screzi né con sua madre né con suo padre - tralasciando i vecchi problemi riguardanti i pessimi voti scolastici -, non si poteva certo dire che i suoi genitori fossero l'incarnazione di figure stabili e presenti nella sua vita, e così lui li ricambiava preferendo stare solo con se stesso anche quando avrebbero potuto passare un po' di tempo tutti insieme.
Come previsto, la voce di sua madre riecheggiò oltre la porta, ma questa volta Daiki si alzò, afferrò il cellulare e le chiavi di casa sistemandoli nelle tasche dei pantaloni e uscì dalla propria stanza, dirigendosi con passo annoiato in cucina.
Sua madre gli rivolse un'occhiata sorpresa e confusa e strabuzzò gli occhi non appena lo vide sedersi di fronte a sé.
«Beh? Che c'è?» Aomine si strinse appena nelle spalle e dopo aver dato una rapida occhiata al contenuto del piatto decise di tornare a rivolgere la propria attenzione alla madre.
«È insolito da parte tua.»
«L'ultima volta che ti sei seduto a tavola con noi andavi ancora a scuola.» il padre intervenne e Daiki pensò di rispondere, ma strinse appena i denti e dondolò sul posto, schiarendosi la voce e battendosi nervosamente le dita sulle cosce.
«Vi devo parlare.»
La madre lo guardò un istante, poi accennò un sorriso minuscolo e nervoso.
«Allora c'è una ragione per cui sei uscito da lì.»
Aomine sbuffò sommessamente: ogni volta che cercava di parlare di qualcosa, sua madre riusciva sempre a precederlo e ne approfittava per fargli una ramanzina o per rinfacciargli qualche cosa - come ad esempio il fatto che passasse tutto il suo tempo chiuso in camera -, ma quella sera aveva tutte le intenzioni di farsi ascoltare da i propri genitori.
«Mi dispiace Daiki, ma io e tu padre dobbiamo parlare di lavoro.»
«Fatelo un'altra volta.» la risposta di Aomine fu troppo secca, uno schianto, un legno spezzato nel cuore di un bosco vuoto.
Gli occhi di Daiki guizzarono e per un istante restarono puntati sul bordo del tavolo, fuggendo da quelli confusi dei genitori.
«Vi chiedo solo dieci minuti.» mormorò poi, schiarendosi appena la voce e tornando a rivolgere il proprio sguardo a sua madre.
«Se si tratta di dieci minuti potresti dircelo un'altra volta.»
«No, è importante.»
Sua madre aggrottò appena la fronte e rivolse la propria attenzione al padre, che stringendosi nelle spalle annuì appena.
«Ascoltiamolo, magari ha deciso di trovarsi un lavoro.»
Aomine sbuffò di nuovo e in parte, forse per una strana forma di masochismo, lo trovò anche piuttosto divertente: erano degli illusi se pensavano che avesse finalmente deciso di prendere in mano la propria vita e trovarsi un lavoro, possibile che non avessero ancora capito che lui voleva soltanto giocare a basket?
«Non si tratta di lavoro.»
«Basket?» suo padre controbatté con aria annoiata e Aomine si trattenne dallo sbuffare una terza volta: il basket era una passione, certo, ma poteva essere anche un lavoro se avesse scelto di intraprendere la carriera agonistica, quindi che bisogno c'era di differenziare le due cose?
«Non si tratta nemmeno di basket.»
I genitori rimasero in silenzio, probabilmente pensando con un po' di paura che non poteva trattarsi neppure di un brutto voto a scuola e che quindi doveva essere qualcosa che fino a quel momento era rimasto fuori dalla loro portata e dalle loro bocche.
Daiki inspirò appena e si massaggiò la nuca senza sapere come procedere.
«Daiki, hai picchiato di nuovo qualcuno?»
Aomine cercò di rispondere, ma fu immediatamente sovrastato dalla voce del padre.
«Nel caso, mi auguro che questa volta sia a causa di una ragazza.»
«Eh?» Daiki aggrottò la fronte e brontolò appena «che problema ci sarebbe se avessi difeso un ragazzo?»
Ecco perché non voleva parlarne con i propri genitori: sapeva che quell'argomento era off-limits, sapeva quali erano le loro idee su maschi che amavano maschi e femmine che amavano femmine.
Nonostante non avesse mai provato attrazione fisica per una persona dello stesso sesso se non fino a qualche mese prima, Daiki non aveva mai pensato che difendere un ragazzo fosse sbagliato.
Sapeva di aver fatto la cosa giusta a scontrarsi con lo stalker che tempo addietro aveva perseguitato Kise, e non lo aveva fatto perché gli piaceva picchiare le persone, non lo aveva fatto per vantarsi di aver mandato all'ospedale un uomo e di essere stato in carcere per un paio di settimane, lo aveva fatto solo e soltanto per il bene di Ryouta, perché non c'era nulla di sbagliato nel provare affetto per un altro ragazzo e difenderlo da un pericolo che avrebbe potuto nuocergli.
«Avanti, cosa ci vuoi dire?» il padre ignorò completamente la sua provocazione e lo innervosì ulteriormente.
«Si tratta proprio di un ragazzo.» l'unica cosa positiva era che il nervoso aveva privato la sua lingua di freni «sono fidanzato.»
Il padre inarcò un sopracciglio e masticò il boccone una sola volta, senza buttarlo giù.
«Di che ragazzo parli? E poi cosa c'entra?»
«Sono fidanzato ...» Daiki esitò solo per qualche istante: forse era meglio non fare il suo nome «con un ragazzo-»
«Eh?» la voce della madre tremò in quella che gli sembrò una risata di scherno «ma che stai dicendo, Daiki?»
«Con tutte quelle riviste di intimo femminile che hai in camera dubito fortemente che tu possa anche solo pensare di fidanzarti con un ragazzo!» il padre scosse la testa e sorrise divertito, ma Aomine rimase serio e si ripeté, scandendo le proprie parole.
«Io sto con un ragazzo. Parlo sul serio.»
«Daiki, smettila di scherzare.» la madre si fece improvvisamente più seria, immediatamente fulminata da un'occhiataccia del figlio.
«Non sto scherzando!»
«Smettila di dire stupidaggini e non alzare la voce con tua madre.»
Aomine rivolse la stessa occhiata al padre e poi si zittì, in attesa che qualcuno dei due dicesse qualcosa.
«Ma ...» la madre chinò appena il capo e lasciò sprofondare le dita fra i capelli, sorridendo nervosa «a te sono sempre piaciute le ragazze ...»
«Per le tette, sì, ma a parte Satsuki non ne ho mai trovata una con cui mi facesse piacere passare del tempo.» non si aspettava che lo accogliessero a braccia aperte, che gli dicessero che erano contenti per lui e che lo avrebbero sostenuto, ma desiderava che almeno provassero a capirlo.
«E allora perché non stai con Satsuki?»
«Siamo cresciuti insieme, è come se fosse mia sorella.»
«Ok, d'accordo, ma com'è possibile che tu non sia mai riuscito a trovare una ragazza che-»
«Ehi mamma, non stiamo parlando di ragazze, adesso.»
«Daiki, ti ha dato di volta il cervello?» questa volta fu il padre ad alzare la voce, ma Aomine lo affrontò senza paura e senza troppi rigiri di parole.
«È così difficile per voi capire che quando si è innamorati si prescinde dal sesso?!»
«Mi viene da vomitare.» il padre si alzò da tavola negando con il capo e sbattendo le mani contro le cosce in uno schiocco di nervosa rassegnazione.
«Anche a me.» Aomine sembrò quasi ringhiare, disgustato dall'ignoranza e dalla mente limitata che i suoi genitori e soprattutto suo padre stavano mostrando.
«Daiki, forse dovresti pensarci bene ...» sua madre intervenne con voce flebile, guardando di sottecchi suo padre.
«No, vi assicuro che non ne ho bisogno.»
«Allora vattene.»
Aomine rivolse velocemente il proprio sguardo al padre che ormai gli volgeva la schiena.
«Cosa?»
«Questa da te non me l'aspettavo.»
Aomine si alzò velocemente e strinse la presa sullo schienale della sedia, in modo da evitare di accanirsi sul padre «ho detto che sto con un ragazzo, non che ho ucciso una persona!»
«Non mi interessa, o scegli noi o scegli quel finocchio.»
Aomine non riuscì a dire più niente e restò ad osservare ancora per qualche istante le spalle di suo padre, poi, con un dolore diffuso nel petto e il respiro quasi del tutto assente uscì dalla cucina, afferrò il piumino e se ne andò.


Kise guardò il cellulare per l'ennesima volta e lo ripose sul comodino un istante dopo, sospirando sommessamente: Aomine aveva bisogno dei suoi spazi, come tutti, ma lui davvero non ci riusciva a lasciarlo in pace, era quasi inconcepibile per lui passare un'intera giornata senza sentirlo o più di quarantotto ore senza vederlo.
Rimase ad osservare il soffitto ancora per qualche istante, poi si sistemò su un fianco e si portò le ginocchia al petto, osservando con sguardo malinconico il cellulare finché la noia e il sonno non cominciarono a pesargli sulle palpebre.
Il suono squillante del campanello squarciò improvvisamente l'etere silenzioso e Ryouta si mise sull'attenti, dirigendosi rapidamente alla porta senza riuscire ad immaginare di chi potesse trattarsi - dopotutto erano già le ventuno e Aomine non si era fatto sentire per tutto il giorno, quindi era probabile che fosse uno dei vicini o qualcuno in cerca di informazioni -.
Kise scostò piano la porta e sbirciò dalla fessura, trattenendo il respiro non appena vide che si trattava di Aomine.
«Aominecchi ...» sussurrò piano e si scostò, lasciandogli lo spazio necessario per entrare: gli si sarebbero illuminati gli occhi dalla felicità se non fosse stato per l'espressione insolita che segnava il volto dell'altro.
«Cosa è successo?» Kise lo guardò entrare e richiuse la porta; Aomine sospirò e lasciò sprofondare le mani in tasca, trovando nel parlare quella difficoltà che con i suoi genitori lo aveva inaspettatamente graziato.
«L'ho detto ai miei.»
Kise strabuzzò gli occhi e si fece un poco più vicino a lui.
«Di noi?!»
«Non ho fatto il tuo nome, ma comunque gliel'ho detto ...»
Ryouta gli afferrò la manica solo per un istante, poi la lasciò e si morse il labbro con espressione rammaricata.
«Aominecchi, io non volevo che ti sentissi obbligato ...»
«No.» Aomine si voltò verso di lui e lo afferrò per le spalle «non ha a che fare con quello che è successo in Svizzera, ho voluto uscire allo scoperto e basta.»
Kise lo guardò e forzò un sorriso vagamente intenerito, felice di sapere che quella decisione era dipesa completamente dalla volontà dell'altro.
«È andata male?»
Aomine increspò le labbra in una smorfia e distolse il proprio sguardo.
«Mi cercherò un posto dove dormire.»
«In … in che senso? Cioè, loro ti hanno …?» Kise aggrottò la fronte e farfugliò confusamente «mi dispiace-»
«Non ti preoccupare Kise, credo che sia meglio così.»
Kise si morse appena il labbro, riflettendo e tornando a rivolgersi a lui pochi istanti dopo.
«Resterai qui.»
«Ah? Kise, non voglio disturbare-»
«No, no.» Kise gli prese la mano e Aomine sentì finalmente di poter respirare, intrecciò istintivamente le proprie dita alle sue e si beò del suo sorriso gentile «sarei felice di averti qui.»
La convivenza era un'arma a doppio taglio, soprattutto se si parlava di due ragazzi fidanzati da poco tempo, ma vivere con Kise sarebbe stato sicuramente meglio che rifugiarsi in un albergo scadente, e di questo ne era perfettamente consapevole.
Kise gli prese anche l'altra mano e ampliò appena il sorriso, felice che Aomine avesse parlato e di sapere che c'erano ottime probabilità di cominciare una convivenza - e che fossero troppo frettolosi non c'era dubbio, ma almeno non avrebbe più sofferto la mancanza dell'altro e non si sarebbe più ritrovato a sospirare steso sul letto a qualsiasi ora del giorno -.
«Non pensavo che glielo avresti detto davvero.»
Aomine rafforzò la stretta che teneva le sue dita allacciate a quelle di Kise e lo guardò negli occhi, in cuor suo felice di aver preso quella scelta.
«Mi hai fatto capire un bel po' di cose.»
«Vedrai che le capiranno anche i tuoi genitori, si sistemerà tutto.» Kise gli accarezzò la guancia e Aomine forzò un sorriso.
«Sei un po' troppo ottimista, Kise.»
Ryouta sorrise e gli prese il viso fra le mani, e Aomine si lasciò condurre a lui e lo baciò, lasciandogli le mani per afferrargli i fianchi e trascinarlo lentamente a sé.
Kise, dal canto suo, lo abbracciò e strusciò la guancia contro il suo petto.
«Aominecchi?» socchiuse gli occhi e inspirò il suo profumo.
«Eh?»
«Ti amo.» a Kise tremò appena la voce, e quando sentì il cuore di Aomine battere all'impazzata affondò il viso contro il suo petto, stringendosi un poco di più a lui.
Aomine trattenne il fiato e percepì un bruciore fastidioso alle guance, ma ciò non gli impedì di avvolgere il corpo dell'altro fra le proprie braccia e rispondergli.
«Anche io.»
Perché qualsiasi cosa fosse successa avrebbe sempre scelto Kise.

Un errore è una penna che scivola, una macchia d'inchiostro che divora la carta: le tragedie si raccontano al buio.




Licenza Creative Commons
Quest'opera è distribuita con Licenza Creative Commons Attribuzione - Non commerciale - Non opere derivate 2.5 Italia.




L'angolino invisibile dell'autrice:

Finalmente ce l'ho fatta (e stranamente sono abbastanza soddisfatta).
Scusatemi per il ritardo, ma i days mi hanno rallentata molto, comunque sia, visto che ormai sono chiusa in casa da due giorni a causa del maltempo ne ho approfittato e sono riuscita a concludere il capitolo prima del previsto!
Mi è piaciuto scriverlo, probabilmente perché le cose cominciano in un certo senso a complicarsi.
Tralasciando la parte NijiAka (e finalmente sono riuscita a ficcarci il bacio), quella MuraHimu (vedrete cosa vi combino con la ricerca dei dipendenti, eheh (?)) e quella che ribadisce ancora una volta quanto Kuroko faccia schifo a basket, arriviamo finalmente alla MidoTaka.
Siamo finalmente giunti al bacio, il problema è che Takao è ancora frenato dal ricordo di Miyaji e Midorima, diciamocelo, non è proprio uno dei seme più intraprendenti e ha un grande rispetto e una grande cura per Takao, quindi non si sente certo in grado di forzarlo. Mi piace davvero tantissimo scrivere di questi due, in particolare in questo capitolo, confrontandoli soprattutto con l'AoKise e poi pensando alla KagaKuro, mi sono resa conto quanto siano diverse le loro storie e le loro relazioni e mi sono compiaciuta del fatto che io stia riuscendo (o almeno credo) a delineare tanti rapporti amorosi diversi, con sfumature proprie e ben distinte.
E finalmente veniamo alla parte AoKise (mi sono mancati tanto tanto, nh).
Finalmente ho tracciato due caratteri che mi stanno sulle scatole (parlo dei genitori di Aomine, sì) e niente, intravedo un cambiamento in Aomine, un'evoluzione (bene o male sta intraprendendo lo stesso cammino di Kagami ed entrambi stanno mutando la loro visione nei confronti di molte cose).
Ha scelto Kise (perché se non sceglieva Kise entravo nell'universo di Hall of Fame e lo prendevo a calci nel sedere) e Kise saprà ricambiarlo adeguatamente (if you know what I mean c: )
E ok, in verità un “ti amo” fra loro non era in programma, ma Kise è molto caloroso e non poteva tenerselo dentro dopo aver saputo che Aomine si è fatto ripudiare dai suoi genitori per lui, stessa cosa Aomine non poteva non rispondergli dopo aver preso una scelta così importante. E poi avevo bisogno di feels, ok?
Ovviamente lo stalker di cui si parla è lo stesso dell'inizio (sì, vi ricordate che la prima comparsa Aomine la fa dietro le sbarre? Per quanto sta cambiando fatico a crederci pure io che sono l'autrice! D: )
Sperando che il fiume non mi porti via, alla prossima!

Ritorna all'indice


Capitolo 29
*** Capitolo XXVIII ***


Capitolo XXVIII





La guerra è l'intreccio delle ombre più nere e delle luci più forti, un universo di volti smunti e occhi spenti.

Aomine strizzò gli occhi e protestò con un brontolio roco e gutturale che si esaurì immediatamente, sovrastato dalla forza imperturbabile del sonno: qualcosa di sottile gli aveva solleticato il viso e qualcosa di morbido e caldo si era adagiato sul suo collo e lo aveva fatto rabbrividire di piacere, ma la sensazione fu così vaga e inafferrabile da non riuscire a svegliarlo completamente.
Pochi istanti dopo, stuzzicato da un altro brivido, sentì un peso sul corpo farsi improvvisamente concreto e reale; mugugnò una protesta sommessa che si spense non appena le palpebre tremanti si sollevarono e diedero modo agli occhi umidi e annebbiati dal sonno di scorgere la figura confusa di Kise proprio sopra di lui.
Aomine mormorò il suo nome e restò ad osservare i lineamenti precisi ed eleganti del suo viso divenire sempre più nitidi; Kise, dal canto suo, accennò un sorriso e gli accarezzò lentamente i pettorali attraverso il tessuto spesso della canottiera scura.
La visione mattutina di Kise e la traccia di un vago piacere lasciato da quelli che dovevano essere stati baci sul collo permisero ad Aomine di dimenticare, almeno temporaneamente, ciò che era avvenuto il giorno prima e il reale motivo per cui si trovava lì e non a casa sua, e quando sentì di essere sul punto di ricordare le parole dei suoi genitori le membra si irrigidirono e ogni attività celebrale sembrò esaurirsi a causa del corpo che era scivolato lentamente e maliziosamente sopra il suo, delle labbra che si erano posate sulle costole e gli avevano stuzzicato un fianco.
Kise non sapeva se attribuire la colpa all'euforia, al desiderio di far sentire l'altro completamente a proprio agio o più semplicemente a quello carnale, ma era comunque certo e perfettamente consapevole di ciò che aveva intenzione di fare, guidato da una sicurezza che pareva raddoppiare di bacio in bacio.
Aomine, che subito si era mostrato disorientato e forse anche un po' diffidente, concentrò la propria attenzione sugli schiocchi leggeri che si infrangevano sul ventre piatto, poco più su dell'ombelico, e sul sospiro caldo di Kise che a tratti pareva la carezza distruttiva di una lingua di fuoco; ancor prima di rilassarsi completamente cominciò ad avvertire un formicolio fastidioso ma terribilmente appagante al basso ventre.
Aomine socchiuse gli occhi e lasciò sprofondare la testa nel cuscino, sfiorando il viso di Kise con una mano e lasciando che le dita si insinuassero impacciate fra i capelli biondi, ricevendo in cambio lo sguardo fugace dell'altro e un sorrisetto piuttosto eloquente che contribuì ad aumentare il formicolio al basso ventre.
Forse dopo un paio di settimane avrebbe cominciato a rimuginare su quanto era accaduto il giorno prima, avrebbe cominciato a sentire la mancanza di casa e magari addirittura dei propri genitori, ma in quel momento non gli interessava e, anzi, pensare che presto sarebbe dovuto passare di lì per prendere le sue cose gli dava noia e minacciava di rovinare quel momento paradisiaco - perché Kise era ancora fermo su di lui, aveva appena cominciato a stuzzicarlo, ma era sottinteso che avesse intenzione di continuare e, considerando che la sua immaginazione era piuttosto fervida per quanto riguardava il sesso, Daiki aveva già cominciato a pregustare il momento, scacciando automaticamente tutto il resto, i pensieri più noiosi e oscuri che si annidavano silenziosi fra le sinapsi stanche -.
Che la loro storia fosse destinata a durare o meno, Aomine aveva ormai realizzato quanto Kise fosse importante per lui e aveva valutato quale dolore avrebbe potuto ricavare da una rottura e quale felicità da una possibile continuazione, quindi non era pentito di averlo detto ai propri genitori, di aver reso la propria famiglia partecipe di una cosa importante come poteva esserlo la ricerca di un lavoro - se non di più -.
La magia sembrò scemare non appena Aomine ripeté mentalmente la parola “lavoro”, ma per una fortunata coincidenza Kise si mosse proprio in quel momento e scivolò ancora un poco più giù, riportandolo alla realtà voluttuosa del momento.
Aomine inarcò la schiena e trattenne il respiro non appena avvertì le labbra dell'altro adagiarsi sotto l'ombelico e poi scendere lentamente, in schiocchi ancor più sommessi, e le mani scivolare lentamente lungo i fianchi, fino a giungere all'elastico dei boxer.
Si trattenne a malapena dal pronunciare nuovamente il suo nome, soprattutto perché non riusciva a capire quale fosse lo scopo di chiamarlo a sé proprio in quel momento - fermarlo era da pazzi, fuori questione, ma chiedergli di rallentare per cercare di capire con più chiarezza quali fossero le sue intenzioni era un'ipotesi fattibile -.
Anche Kise scelse di rimanere in silenzio, dopotutto i risultati delle sue mosse erano direttamente riscontrabili sulla pelle bollente e i muscoli testi dell'altro, sulla schiena inarcata e, ovviamente, sull'accenno di erezione già ben distinguibile oltre il tessuto dei boxer.
Le labbra di Ryouta gli stuzzicarono lo spazio di pelle appena sopra i boxer, inumidendola appena e inebriandosi del calore che andava aumentando di bacio in bacio, una mano scivolò a solleticare l'erezione e le dita dell'altra gli sfiorarono l'interno coscia con un movimento lento; Daiki si lasciò scappare un altro brontolio roco, questa volta, però, per esprimere il proprio piacere e non il proprio disappunto per essere stato disturbato nel sonno.
Imperterrito, Kise continuò a stuzzicare l'erezione dell'altro con lenti movimenti della mano e a far confluire nel basso ventre tutto il sangue che Aomine aveva in corpo, strappandogli il respiro non appena gli abbassò i boxer.
Il fatto che Aomine stesse riuscendo a resistere alla tentazione di saltargli addosso era dovuto più che altro a quella sensazione di pesantezza assuefante che gravava su di lui e pareva tenerlo inchiodato al letto, era un invito a godere delle attenzioni di Kise ed un divieto che ribadiva imperioso che l'altro non si poteva fermare e che lui era schiavo delle sue decisioni, delle sue idee e delle sue voglie, schiavo della sua bocca e delle sue mani.
Pur avendo esitato un istante, Ryouta riuscì a dargli un immenso piacere non appena la punta della lingua percorse lentamente la lunghezza del suo membro, provocandogli un brivido lungo tutta la spina dorsale e quasi strappandogli di bocca un altro gemito roco.
Aomine si torturò il labbro inferiore con un canino e permise all'aria di fuggire dalla bocca attraverso una minuscola fessura, in un sospiro tremante, alterato dall'eccitazione.
La fessura si serrò e gli permise di soffocare il gemito spontaneo e inevitabile che si liberò non appena le labbra di Kise si strinsero attorno al suo membro e lo avvolsero quasi interamente con il loro calore.
Al respiro irregolare si andarono presto ad aggiungere le labbra contratte in uno spasmo di piacere e i muscoli tesi e tremanti, la schiena appena inarcata, le dita indecise e impazienti, strette con forza alle lenzuola: Kise lo aveva appena atterrito fisicamente e psicologicamente, annullando ogni suo senso e aumentando di fatto solo la percezione del piacere, talmente tanto da spiazzarlo. Aveva quasi la sensazione che lo stesse distruggendo a poco a poco.
Le dita di Ryouta rafforzarono la stretta e il calore della bocca percorse quasi tutta la lunghezza del sesso all'improvviso, strappandogli un nuovo singulto di piacere e spingendolo ad affondare le dita fra i capelli dell'altro e incitarlo a continuare e ad andare ancora più a fondo.
Kise accolse quella richiesta silenziosa con un gemito sommesso e aumentò i movimenti della bocca, fermandosi solo ogni tanto per riprendere fiato e torturare il membro dell'altro con la lingua.
Ryouta compì ancora qualche movimento e a Daiki sembrò di aver perso ogni briciolo di energia, tanto da non riuscire più a resistere e da ritrovarsi così a stringere i denti e strattonare le lenzuola: nonostante sperasse che non finisse mai, era perfettamente consapevole che presto sarebbe giunto al limite, forse anche prima del previsto.
Se quello era il buongiorno che Kise aveva intenzione di dargli ogni mattina, allora non c'era pericolo che potesse avere rimorsi e rimpianti nei confronti dei propri genitori, anzi era più sicuro che mai di aver fatto la scelta giusta.


Dopo quel che era successo fra loro pochi giorni prima, Midorima non era sicuro che accompagnarlo all'università o venirlo a prendere seguendo la normale routine fosse molto saggio da parte di Takao, ma non poteva negare che vederlo lo tranquillizzava, gli dava più sicurezza, si sentiva rinvigorito, e poi non poteva permettere alla propria coscienza di disabituarsi a quella presenza, soprattutto perché Takao era stato improvvisamente trascinato nel vecchio progetto di Kuroko.
«Shin-chan!» Midorima abbassò istantaneamente il capo, gettando una rapida occhiata a terra nella speranza di scorgere un'anomalia che potesse distrarlo e fargli dimenticare il bruciore che improvvisamente era divampato sulle guance: a giudicare dalla voce cantilenante e dalla velocità con cui sventolava le braccia, Takao doveva essere più euforico del solito, probabilmente perché sapeva quanto fosse importante quella giornata per lui e perché era impaziente di conoscerne l'esito, mentre Shintarou non capiva neppure esattamente il motivo di quel rossore sul viso - il ricordo di pochi giorni prima? Oppure si trattava di semplice imbarazzo causato da quella voce allegra che aveva trafitto la serietà e il silenzio di molti giovani universitari ambiziosi? -
«Allora?! Com'è andata?!» Midorima lo guardò solo per un istante, ma quell'occhiata fugace gli bastò per mettere a fuoco il suo sorriso: esitò, si sentì schiacciare da quell'euforia reale e fittizia in egual misura, dal fatto che Takao sembrasse aver già dimenticato l'accaduto di pochi giorni prima e finalmente, dopo qualche attimo di esitazione, riuscì a rispondere.
«Considerando che oggi il Cancro è in quarta posizione, poteva andare meglio.» inforcò gli occhiali e inspirò appena, in cerca della sua tipica fermezza nel modo di porsi e di parlare.
«Sono sicuro che sarai uno dei migliori.» Takao non gli staccò gli occhi di dosso e ampliò il sorriso, facendolo sentire ancor più in imbarazzo e sventando la sua intenzione di ritrovare la calma «dopotutto hai studiato tanto, te lo meriteresti davvero.»
«Staremo a vedere cosa mi riserva il destino, dopotutto L'uomo propone, ma Dio dispone
«A quando i risultati?»
A Midorima venne istintivo guardarlo ancora, questa volta non sentendosi imbarazzato, ma piuttosto divertito: a Takao brillavano gli occhi, lo fissava insistentemente, con le dita strette in una morsa impaziente appena sotto il mento. Era peggio di sua madre: voleva sapere tutto e subito, desiderava che i risultati fossero già stati affissi in bacheca e pareva incapace di aspettare.
«Fra tre giorni.» Shintarou sbuffò appena nel realizzare che, sì, tre giorni erano davvero molti, rischiava di morire di impazienza insieme a Takao.
«Chi verrà scelto avrà quattro giorni di riposo.»
«Quindi hai ancora una settimana.»
«Non è detto che io venga scelto, Takao. Non saltiamo a conclusioni affrettate.»
«No, non sono affrettate.» Takao accennò un sorriso, sicuro delle sue parole, e Midorima si sentì schiacciare dall'evidente e ingombrante ammontare di fiducia e ammirazione che l'altro nutriva nei suoi confronti.
«Passiamo da te?»
Shintarou rimase in silenzio per qualche istante, soffermandosi sul vecchio borsone dello Shutoku imbracciato da Takao: ovviamente quella domanda si riferiva all'esigenza di una veloce capatina in casa Midorima per recuperare un completo da basket e mettere finalmente da parte l'uniforme universitaria.
«Sei sicuro di volerlo fare?» non era sicuro che a Takao potesse fare del bene giocare tutti insieme a basket, ma allo stesso tempo era consapevole di quanto stare in compagnia potesse farlo sentire meglio.
«Certo che sì! E adesso sbrighiamoci, o faremo tardi!»


Era ridicolo che pochi giorni prima avesse disdegnato per l'ennesima volta la possibilità di un impiego ed ora si trovasse alla disperata ricerca di un lavoro.
La decisione, ovviamente, non era venuta da una sua spontanea volontà , ma piuttosto dal fatto che Kise avesse menzionato la faccenda del lavoro, accrescendo il senso di colpa che nutriva nei suoi confronti: occupava casa sua, ma non poteva permettersi di fare il mantenuto, sarebbe stata una mancanza di rispetto nei suoi confronti e un punto in meno per il suo orgoglio.
Se per i suoi genitori non era mai stato disposto a muovere un muscolo e neppure a pensare ad un possibile lavoro, per Kise poteva concedersi uno strappo alla regola.
Se c'era un lavoro sul quale Daiki si era ritrovato più volte a fantasticare - restavano relativamente poche, però, visto che pensare ad un possibile futuro lo proiettava irrimediabilmente sul campo da basket - era quello di poliziotto, ma la fedina penale sporca, pur trattandosi di sole due settimane di detenzione, non gli avrebbe mai permesso di ricoprire quel ruolo, per cui Kise, che lo aveva spinto alla ricerca del lavoro, era anche colui che inconsapevolmente gli aveva sottratto l'unico che avesse mai attirato la sua attenzione.
Aomine sbuffò sommessamente contro la sciarpa morbida, compiacendosi del calore che si annidò nella lana e gli scaldò il viso per un istante, poi piegò gli ultimi curricola rimasti e li infilò in tasca, stufo di rimbalzare da una parte all'altra della città, in quella che sembrava essere a tutti gli effetti una vana ricerca.
Dondolò appena sul posto e si guardò intorno, indeciso se entrare o meno in uno dei locali che si affacciavano sulla strada: aveva bisogno di pensare, e sarebbe stato molto più facile se si fosse trovato al caldo, con qualcosa sotto i denti.
Aomine arricciò le labbra e brontolò sommessamente non appena sentì un feroce gorgoglio provenire dal suo stomaco, ma decise di ignorarlo: non si era mai fatto tanti problemi a costringere Kise a comprargli qualcosa da mangiare, ma ora anche il solo pensiero di uno stupido caffè o di una misera brioche pesavano come macigni sulla coscienza; infine si ricordò che sarebbe dovuto tornare al più presto a casa sua per prendere le sue cose e la fame si esaurì all'improvviso, così come si era manifestata.
Ancora fermo sul bordo del marciapiede, rivolse un'occhiata annoiata ai negozi dall'altra parte della strada e, vittima delle vecchie abitudini, si soffermò su un crocchio di ragazze imbambolate davanti ad una vetrina che, ad una prima occhiata, gli parve piena di torte.
Daiki fissò per qualche istante il punto dove si concludeva la gonna di una delle ragazze, ma non riuscì davvero a concentrarsi e fu disturbato da un pensiero che fece da interferenza alla sua contemplazione e lo costrinse a sollevare lo sguardo.
Aomine sussultò appena, realizzando solo in quel momento che quello era il locale di Murasakibara e Himuro, e così, considerando l'idea di salutarli - anzi di salutare solo Murasakibara -, scattò in avanti e attraversò velocemente.
Una volta arrivato di fronte alla vetrina, dove fino a pochi istanti prima erano rimaste imbambolate le ragazze, sospirò sconsolato e rivolse una rapida occhiata ai dolci esposti, per poi soffermarsi su un foglio appeso al centro, a pochi centimetri dalla sua testa.
Gli occhi di Daiki seguirono le righe che campeggiavano sul foglio in un guizzo rapido, e all'improvviso si sgranarono appena, le labbra si dispiegarono in un piccolo ghigno soddisfatto: di certo non era ciò a cui aspirava, ma come inizio non sarebbe stato neppure dei peggiori.


Quando Kise sentì la porta scattare adagiò il mestolo sul lavandino e abbassò il fuoco, recandosi velocemente fuori dalla cucina.
«Sei tornato presto! Non è ancora pronto!» il viso di Kise fece capolino al di là dello stipite della porta e le labbra si incresparono in un piccolo sorriso.
«Sei passato dai tuoi genitori?»
«Ah.» Aomine annuì appena e si appoggiò stancamente contro il muro, abbassando appena il viso per assecondare il bacio che l'altro sembrava volergli dare a tutti i costi - almeno a giudicare dall'imbarazzante posizione delle sue labbra -.
«E com'è andata?»
«Bene.» Aomine sfiatò appena e adagiò il borsone ai propri piedi, e Kise ampliò il sorriso.
«Visto? Te l'avevo detto che si sarebbe risolt–»
«Non c'erano.» Aomine gli passò accanto con fare disinteressato e prese posto a tavola.
«Eh?!» Kise, dal canto suo, si voltò immediatamente e rantolò appena, increspando le labbra in una piccola smorfia.
«Aominecchi!»
«Ohi, non fare la lagna. Non avevo voglia di vederli.» Daiki aveva preferito optare per qualcosa di rapido e indolore, il motivo per cui si era prodigato subito per recuperare le sue cose era semplicemente per prevenire un eventuale cambio di serratura da parte dei genitori.
Ryouta rimase a fissarlo per qualche istante, gonfiando appena le guance per poi sbuffare sommessamente, ma ciò significa che Aomine sarebbe rimasto ancora lì con lui e si tranquillizzò, così prese posto al suo fianco, afferrandogli la mano e stringendogliela appena.
«Sai, credo che sia ora che mi trovi un lavoro.»
Kise gli rivolse un'occhiata sorpresa e aggrottò la fronte, carezzandogli il dorso della mano con un lento movimento del pollice.
«Hai qualche idea?»
Aomine lo guardò solo per un istante, poi si soffermò sulle loro mani e negò appena: di certo non poteva dirgli che avrebbe voluto diventare poliziotto e che non avrebbe potuto a causa di quelle due settimane passate in carcere, avrebbe rischiato di farlo sentire in colpa per qualcosa di cui lui stesso non si era mai realmente pentito.
«Però ho chiesto a Murasakibara.»
Kise sgranò gli occhi e si avvicinò un poco, esortandolo a continuare con la sola forza dello sguardo.
«Fra un paio di giorni inizierò un periodo di prova di un mese al locale.» Aomine fece una piccola pausa e ricambiò le carezze di Kise con un movimento lento del pollice «quell'altro ha detto che siamo in quattro e che ne prenderanno due, quindi ci sono ottime probabilità ...»
«Himurocchi.» Kise lo corresse e sorrise vagamente intenerito «non pensavo sapessi cucinare.»
«Infatti starò alla cassa, scemo.» Aomine diede una rapida occhiata ai fornelli e aggrottò appena la fronte, sfiatando divertito «e neanche tu sai cucinare, a quanto pare.»
«Eh?»
«La cena sta bruciando.»
«Ah! La cena!»


Aomine inspirò appena e lasciò scivolare le mani nelle tasche del piumino, prima compiendo un passo a sinistra, poi due a destra: Kise lo aveva costretto ad uscire con una decina di minuti in anticipo perché voleva che arrivasse prima dell'apertura e facesse una bella figura con i due titolari - come se avesse bisogno di fare belle figure con due persone che già lo conoscevano e sicuramente avrebbero avuto un occhio di riguardo per lui -. Detestava arrivare in anticipo: non solo doveva aspettare i comodi degli altri, ma soprattutto cominciava a pensare alla prospettiva di un cambiamento radicale e si innervosiva irrimediabilmente.
«Mhn? E tu che ci fai qui?»
Aomine smise di passeggiare e aggrottò la fronte, poi diede un'occhiata oltre la spalla sinistra e mugugnò indispettito.
«Tu che vuoi? Sei qui per ingozzarti già di prima mattina?»
«Veramente sono qui per lavorare.»
Aomine fece per controbattere, ma prima ancora di riuscire a pronunciare una parola si morse la lingua e si zittì per qualche istante, guardandolo in cagnesco.
«Che … che significa?»
«Significa che … ehi, un momento, non è che anche tu-?!»
«Taiga! Aomine!» la voce di Himuro risuonò all'improvviso e fece sobbalzare entrambi «vedo che siete in anticipo.»
«Eh?! Ehi, ma perché c'è anche questo deficiente?!» Aomine strepitò immediatamente e indicò Kagami.
«Mi dispiace Mine-chin, avevo detto a Muro-chin che non lo volevo, ma ha insistito.» Murasakibara mugugnò con fare disinteressato e Kagami ringhiò.
«Tatsuya, perché lui è qui?!» Kagami affondò un dito nella spalla di Aomine, che si scostò immediatamente.
«Non mi toccare, idiota!»
«Insomma, non credo che sappia cucinare!»
«Ehi!»
«Taiga, Aomine si occuperà della cassa, sta tranquillo.»
Sia Aomine che Kagami sfiatarono appena, rincuorati dal fatto che avrebbero avuto incarichi diversi.
«Muro-chin, io non voglio cucinare con lui.» Murasakibara indicò Kagami con un brontolio «quelle sopracciglia potrebbero cadere nella glassa.»
«Atsushi.»
«Cosa?! Ripetilo se hai coraggio!» Kagami ringhiò nuovamente e Aomine ghignò divertito.
Himuro, dal canto suo, sforzò un sorriso e si augurò che gli altri due stagisti facessero tardi e non dovessero assistere a quella scena decisamente imbarazzante e infantile.


«Shin-chan, dovresti uscire un po'! Stai sempre chiuso da qualche parte a studiare!»
Midorima arricciò il naso in una piccola smorfia e accese il computer, osservando lo schermo nero cambiare tonalità e farsi leggermente più chiaro ed opaco.
«Quanto rumore.» sbottò, per poi prendere posto di fronte al computer «i risultati online servono per far risparmiare tempo.»
«Shin-chan il parsimonioso!» Takao strepitò e parlò con tono sostenuto, come se fosse in procinto di tessere le lodi di un uomo importante «colui che spende decine di yen per oggetti assurdi ma rifiuta categoricamente di sprecare il suo tempo!»
«Takao.»
«Ehi Shin-chan.» Takao lo punzecchiò e Midorima si irrigidì un poco e strinse i denti, cercando di contenere la rabbia «non è che hai paura di metterti a piangere davanti agli altri soltanto perché potresti non essere fra quei quindici?»
«Takao!» Midorima sbottò e lo fulminò con lo sguardo non appena notò il sorriso sornione che correva sulle sue labbra, ma Takao, in tutta risposta, restò in silenzio solo per un istante e poi scoppiò in una fragorosa risata.
«Non è divertente!» Shintarou abbandonò quasi immediatamente l'intenzione di sgridarlo, rivolgendo nuovamente la propri attenzione allo schermo luminoso del computer; Takao, dal canto suo, rimase in silenzio e adagiò le mani sullo schienale della sedia, seguendo con gli occhi i rapidi movimenti del cursore.
«Ci sono.» Midorima sfiatò, la voce risuonò decisamente troppo bassa rispetto al normale, alterata dalla tensione, e così le mani di Takao si adagiarono delicatamente sulle sue spalle, come a volergli comunicare il suo sostegno e la sua presenza.
«Quanto ci mette?» Shintarou borbottò, cercando di ignorare l'inizio di dolore che si annidava nel suo stomaco e supplicando con gli occhi che il documento si aprisse.
«Ecco.» era talmente agitato che furono la voce di Takao e la presa leggermente più forte sulle sue spalle a segnalargli che il documento era finalmente aperto.
Midorima trattenne il fiato e lasciò scorrere il cursore finché non apparve la graduatoria delle prime.
«Oh! Ma Shin-chan, è fantastico!» Midorima sussultò non appena lo strepito di Takao ruppe il silenzio, e ancora prima che potesse leggere i primi cinque nomi l'altro fece ruotare la sua sedia e si ritrovarono paurosamente vicini, tanto che l'ansia dei risultati scemò completamente.
«P-perché hai urlato?»
«Eh?» Takao rivolse una rapida occhiata allo schermo e poi gli sorrise «sei primo, Shin-chan!»
Il cuore di Shintarou saltò un battito e la voce di Takao si fece per un istante vaga e lontana, molto simile ad un'eco.
«Hai un talento naturale per la medicina!» Midorima diede una rapida occhiata oltre la propria spalla e si soffermò sul risultato.
«È il massimo ...» mormorò incredulo, poi focalizzò la propria attenzione sulle mani dell'altro, ancora adagiate affettuosamente alle sue spalle, e si rilassò all'improvviso.
«Vuol dire che dovrò iniziare ad accompagnarti anche all'ospedale.»
Takao gli sorrise e, forse perché - inaspettatamente per entrambi - Midorima ricambiò, si ritrovarono improvvisamente ancora più vicini.
Il sorriso di Takao scomparve all'improvviso e Midorima restò a fissarlo in silenzio, incapace dal frenare le proprie mani dall'adagiarsi sui fianchi dell'altro.
Kazunari restò in silenzio per qualche istante e tese il viso in avanti, fermandosi a pochi centimetri dalle sue labbra.
Shintarou cercò di baciarlo, ma il viso di Takao gli sfuggì e aderì alla sua spalla.
«Shin-chan ...» Takao inspirò appena e socchiuse gli occhi, stringendosi a lui. Midorima si arrese di nuovo, immediatamente e irrimediabilmente, e ricambiò l'abbraccio, sospirando sommessamente.
«Ho paura ...» Takao borbottò contro la sua spalla, la voce bassa vibrò, scossa da un fremito leggero.
«Di cosa?» paura? Di baciarlo? Perché non lo amava e temeva di illuderlo? Oppure perché lo amava e non voleva ammetterlo?
Midorima si sentì pizzicare le guance e strizzò appena gli occhi: l'ultima ipotesi era decisamente troppo ottimista.
«Di perdere anche te.»
Takao chiuse gli occhi e rafforzò la stretta, affondò i denti nel labbro inferiore per fermare l'eventuale inizio di un pianto.
«Se dovesse succedere, io ...» Takao singhiozzò e una lacrima scivolò dall'angolo dell'occhio sinistro, andando ad intaccare la felpa dell'altro.
«Io non vado da nessuna parte.» lo distruggeva: i sorrisi di Takao lo illudevano che andasse finalmente tutto bene, ma poi, puntualmente, Takao cadeva a pezzi fra le sue braccia e lo faceva sentire … inutile.
Inutile era la parola giusta.
Non riusciva e non sarebbe mai riuscito a fare nulla per Takao se ogni volta finiva per illudersi che le cose si fossero aggiustate – dopotutto lo sapeva che si trattava di una ferita grande, che non si poteva rimarginare da sé -.
«Lo sai, Takao?» Midorima deglutì appena ed esitò per qualche istante «se tu fossi salito su quell'aereo, di me ora non resterebbe niente.»
Shintarou ci aveva pensato tanto, fin dal primo momento in cui aveva appreso la notizia dell'aereo precipitato, e alcune volte era riuscito ad immedesimarsi talmente tanto nell'eventualità che Takao avesse seguito Miyaji da sentirsi completamente vuoto, un involucro di un qualcosa di inesistente. Gli bastava pensare all'eventualità che Takao fosse scomparso per sentirsi improvvisamente senza identità, nudo e inutile, senza uno scopo, spoglio di sogni e ideali, era come cadere nel vuoto e non toccare mai il fondo, ma sentirlo sempre più vicino, in una tortura lenta e dolorosa.
Midorima era consapevole che la sua vita ruotava attorno a due universi: la medicina e Takao, ma il primo poteva esistere solo in funzione del secondo, perché era vero che se si fosse ritrovato senza Kazunari, di lui non sarebbe rimasto niente - un nome senza volto, una voce senza parole -.
Takao trattenne a fatica il respiro, restò ad occhi chiusi e cercò di fare mente locale, sentendosi improvvisamente in colpa: si era augurato più volte che Midorima non avesse preso in considerazione certi condizionali, ma era scontato che lo avesse fatto, solo gli dispiaceva non riuscire a rendersi realmente conto della sofferenza che si trascinava dietro.
«Anche se prima pensavo che sarei dovuto andare con lui ...» Takao si abbassò un poco, lasciò che la guancia strusciasse contro la felpa morbida dell'altro e rimase in ascolto del battito del suo cuore «sono contento di essermi strafogato fino a vomitare, altrimenti adesso non potrei essere qui, con te.»
Takao cercò di annullare ogni senso, focalizzandosi solamente sul battito sommesso del cuore dell'altro e sui ricordi precedenti la morte di Miyaji, in particolare quelli condivisi con Midorima in sua assenza.
«Ricordo ancora che la mattina dopo mi hai sgridato perché avevo finito sia il pane che la marmellata.» accennò un sorriso e Midorima allentò appena la stretta, rassicurato dal fatto che Takao avesse cominciato ad allontanarsi dal discorso precedente.
«Tu, Aomine e Kagami avete razziato tutto ciò che avevo, quella mattina.»
«Avevo fame, forse a causa dell'agitazione.»
«Agitazione?»
«Sì.» Kazunari si strinse nelle spalle e sciolse lentamente l'abbraccio «non che non fossi abituato a passare del tempo con lui, ma l'idea di stare lontano da Tokyo per un mese non mi convinceva del tutto.»
Midorima pensò che una cosa simile, detta da un tipo vivace ed energico come Takao, suonasse strana, ma non era altro che la destabilizzante conferma a ciò che gli stava di fronte, alla pericolosa e insospettabile fragilità dell'altro.
Tante volte era stato tentato di chiedergli di non partire, e lo stesso numero di volte si era ritrovato con la lingua annodata, impossibilitato a parlare a causa del peso inesorabile del suo egoismo.
Ecco: si sentiva egoista, oltre che inutile.
«Ti sono sempre stato così vicino che ormai credo sia impossibile allontanarmi da te per così tanto tempo.»
Shintarou avrebbe voluto dire qualcosa, ma sentiva di aver già dato abbastanza, non gli piaceva spogliarsi così velocemente - e totalmente - della sua corazza, per cui si alzò lentamente e spense il computer.
«Sono stato scelto, e questo significa che avrò quattro giorni di riposo che ovviamente sfrutterò per studiare.»
«Sei sempre il solito, Shin-chan.»
«Ma per quanto riguarda oggi, forse è vero che mi farebbe bene uscire.»
A Takao brillarono gli occhi, le labbra si incresparono in un sorriso vispo che spazzò via tutta la tristezza e la malinconia che fino a poco prima aveva intaccato i suoi occhi ed il suo animo.
«Allora usciamo?!»
«Potremmo andare in centro.»
«Certo, ma … Shin-chan?»
«Cosa?»
«Le biblioteche sono off-limits, ok? Non ne posso più di libri.»
«Dillo a me.»

Le più grandi guerre combattute dagli uomini solo quelle contro loro stessi, sono conflitti silenziosi in cui non esistono reali vincitori.




Licenza Creative Commons
Quest'opera è distribuita con Licenza Creative Commons Attribuzione - Non commerciale - Non opere derivate 2.5 Italia.




L'angolino invisibile dell'autrice:

Scusate la lunga attesa, ma a causa de- blablabla. Lo sapete già come mai sono così lenta con gli aggiornamenti, anche io sono una povera Shin-chan in crisi, ghh.
Sto cercando di pareggiare i conti: ultimamente c'è stata troppa KagaKuro e nelle poche recensioni che ricevo (e a cui dovrei pure rispondere, trovassi il tempo D: ) mi viene sempre chiesto della MidoTaka, per cui ho deciso di focalizzarmi su Takao e Midorima (e su Aomine e Kise, perché un po' di AoKise ci vuole ogni tanto, soprattutto se ciò include inizi di capitolo all'insegna del p0rn e torture come: costringere Aomine a lavorare a stretto contatto con Kagami).
Mi rendo conto soltanto adesso che è uno dei pochissimi capitoli in cui non compare Kuroko, e il che mi fa davvero strano! D:
Comunque sia non c'è molto da dire, voglio soltanto soffermarmi sui salti temporali, visto che è un capitolo che si articola in più giorni: la prima parte MidoTaka è ambientata un giorno dopo la prima parte AoKise, invece tra la seconda scena AoKise (ambientata lo stesso giorno della prima scena MidoTaka) e la terza intercorrono due giorni, mentre l'ultima scena MidoTaka è ambientata un giorno dopo ancora (so che non si è capito niente, ma secondo i miei calcoli siamo più o meno attorno al 26 di gennaio, perché sì, tengo conto pure delle date).
Spero che vi sia piaciuto!
Alla prossima! <3

Ritorna all'indice


Capitolo 30
*** Capitolo XXIX ***


Capitolo XXIX





È una guerra combattuta nella stanza degli specchi: il vetro riflette la luce con la stessa intensità con cui nasce e assorbe l'ombra con ingordigia.

Akashi non fiatò, si limitò ad osservare con attenzione e un po' di trepidazione negli occhi la chiave che scivolava e si incastonava nella serratura sottile.
La porta cigolò e al di là di una prima fessura si mostrò uno spicchio di pavimento illuminato dalla luce del sole, la gamba di legno di un vecchio mobile, l'angolo del piccolo divano coperto da un telo impolverato: il minuscolo appartamento era rimasto come lo ricordavano, con la differenza che il pulviscolo conseguente l'abbandono aveva cominciato a divorarne ogni singolo anfratto, perfino le pareti.
Nijimura era davvero sollevato di essere riuscito a contattare l'amministratore del condominio e di aver appreso la notizia che l'appartamento che aveva affittato prima di partire per la Svizzera fosse rimasto vuoto, ma soprattutto era felice di essere arrivato a Tokyo sano e salvo, libero dalle strette grinfie delle cinture dell'aereo, dalla terribile sensazione di mal di stomaco che lo affliggeva ogni volta che volava, dall'ansia che lo metteva in guardia da ogni minima oscillazione e gli faceva vedere la morte e il disastro in ogni nuvola - non che guardasse molto fuori dal finestrino, visto che farlo peggiorava ancor di più la sua condizione -.
Akashi, dal canto suo, era felice che la sua malattia fosse sul punto di essere debellata e che, per tanto, le sue cure potessero proseguire a Tokyo, tornate di competenza del suo dottore di fiducia.
Erano contenti di essere tornati.
«Avremo un bel po' di lavoro da fare, qui.» Nijimura borbottò, scostando il telo dal divano e ripiegandolo lentamente, stando ben attento a non disperdere la polvere che lo aveva impregnato.
Le parole di Nijimura non erano propriamente corrette, e in cuor suo lo sapeva: l'unico che avrebbe avuto da fare era lui, perché Akashi doveva riposare in modo da favorire gli effetti delle cure. Il primo passo consisteva nel cercare un lavoro per pagare l'affitto e alcune delle spese mediche che avrebbero dovuto sostenere - e non che fosse un problema, solo non aveva idea di quale impiego potesse essere più adatto a lui -.
«Con calma, non dobbiamo fare necessariamente tutto oggi.» il tono decisamente troppo tranquillo e fermo di Akashi stonò con quelle parole che, pur suggerendo almeno all'apparenza un controllo generale della situazione, segnalavano in verità una macchinazione molto più profonda in elaborazione nella sua mente.
«Sei stanco?» chiese ingenuamente Nijimura, pur intuendo la risposta.
Akashi lo guardò e restò in silenzio, le labbra si incresparono in un sorriso quasi impercettibile.
«Non sono stanco.» essere stanco era qualcosa che non poteva permettersi, per lo meno non in quel momento, visto che finalmente erano tornati a casa e non erano più attorniati da infermieri, dottori e macchinari rumorosi.
«Andiamo in camera.» mormorò poi, e la calma nella voce rimase immutata, tanto che Shuuzou non fece alcuna obbiezione e addirittura lo precedette, quasi facendogli da guida nel breve tragitto che li separava dalla camera da letto.
«Merda, guarda quanta polvere ...» Nijimura sbottò, soffermandosi per qualche istante sui mobili ingrigiti dalla polvere, poi piegò anche il telo che in quei mesi aveva fatto da protezione al letto e lo ripose momentaneamente sul pavimento.
Lui e Akashi avevano convissuto in quella casa per un breve periodo, subito dopo che Seijuurou aveva rotto definitivamente con il padre e poco prima che si ammalasse, per cui si trattava di un ambiente ancora estraneo alla loro intimità, che non conosceva quasi nulla di loro come coppia; un ambiente che fino a quel momento aveva avuto più che altro le sembianze di un rifugio e non di una vera casa - e Nijimura aveva il sospetto che ci sarebbe voluto molto perché potessero considerarlo tale -.
Gli occhi di Shuuzou guizzarono dai cuscini bianchi all'anta polverosa della finestra, cercando di scrutare oltre il vetro e di ricordare quale spicchio di strada fosse visibile da quel punto, ma fu un'osservazione che si esaurì in fretta, non appena si rese conto del silenzio assoluto creatosi alle sue spalle.
Appena si voltò, Nijimura sentì ogni singolo muscolo del proprio corpo paralizzarsi e farsi improvvisamente molto, troppo pesante.
«A— A‒» provò a fare il suo nome, ma il respiro smorzato e il battito improvvisamente accelerato del cuore glielo impedirono: Akashi era davanti a lui, senza maglietta e senza pantaloni, il corpo magro e pallido quasi del tutto nudo, i capelli leggermente disordinati a causa della terapia, eppure una luce imperiosa negli occhi che lo faceva apparire fiero del suo corpo ancora debole, malato. Era una luce così forte da renderlo anche più affascinante e spaventoso del solito, perché nei suoi occhi bruciava e ardeva la battaglia di un'anima che aveva sofferto e che ora aveva tutta l'intenzione di rinascere, perché era consapevole della sua forza e allo stesso tempo della sua debolezza, perché voleva qualcosa da lui e glielo stava chiedendo senza mezzi termini.
Il balbettio di Nijimura si tramutò in un rantolio fioco che si spense non appena Akashi lo raggiunse e gli adagiò entrambe le mani contro il petto, spingendolo a stendersi sul letto.
Nijimura boccheggiò sommessamente, senza sapere esattamente cosa dire e cosa fare: pur avendolo colto di sorpresa, non si poteva dire che non fossero pronti, dopotutto lui e Akashi stavano insieme da un anno e avevano sofferto lungamente non solo a livello emotivo, ma anche sessuale e lui, dal proprio canto, non poteva negare di aver fantasticato spesso su di loro e su una possibile svolta fisica che li portasse al di là del baciarsi e tenersi le mani in attesa di buone notizie.
Shuuzou restò ad osservarlo, incantato e pietrificato dal fascino glaciale e autoritario con cui Seijuurou lo stava sottomettendo e inchiodando al letto.
Akashi lasciò aderire il bacino a quello dell'altro e arpionò rapidamente il suo maglione, incitandolo a sollevare le braccia e a lasciarselo togliere, poi si mosse appena sopra di lui e le mani di Nijimura si strinsero attorno ai suoi fianchi.
Al tatto Akashi era molto più magro di quanto si potesse immaginare guardandolo, tanto che le mani di Nijimura allentarono la stretta e scivolarono appena più giù, fin quasi alle anche.
«Non ti preoccupare.» Akashi aveva capito tutto osservando semplicemente il suo viso, aveva visto la già fioca luce dell'eccitazione spegnersi del tutto, aveva sentito la stretta calda delle sue mani farsi improvvisamente assente.
Akashi era molto più magro rispetto all'ultima volta in cui lo aveva toccato, probabilmente uno o due giorni prima del ricovero in Svizzera, ma Nijimura non parlò: Seijuurou sapeva meglio di lui di non essere ancora perfettamente al sicuro, era consapevole di avere un aspetto più simile a quello di uno scheletro che a quello di una persona, per cui non serviva farglielo notare e rincarare la dose, anzi sarebbe stato alquanto controproducente.
Akashi non disse nulla, una mano corse al cavallo dei pantaloni dell'altro e le labbra sottili si incresparono in un piccolo sorriso non appena riuscì a sbottonarli con un rapido ed esagitato movimento delle dita.
«Sono fatto di carne, Shuuzou, non di vetro.»
Akashi aveva appena scoccato la sua freccia letale, e così lo aveva immobilizzato completamente sotto di sé, piegato totalmente al suo volore.
Nijimura restò in silenzio - dopotutto Akashi intuiva facilmente cosa gli passasse per la testa e rispondeva correttamente anche se non gli era stata fatta alcuna domanda -, piegò appena le gambe e aiutò l'altro a sbarazzarsi dei pantaloni, poi riportò le mani ai suoi fianchi, in una stretta salda ma piuttosto delicata - per quanto riuscisse ad essere delicato un tipo come lui - e si concentrò sul rapido e deciso solletichio che gli causarono le dita esili di Akashi in corsa sul suo petto.
Il corpo di Seijuurou si fece molto più vicino al suo e la loro unione venne decretata non soltanto dai bacini aderenti, ma anche delle labbra frementi le une contro le altre, in un bacio vorace ed energico che avevano desiderato e che erano stati costretti a negare per troppo tempo.
Tutti quei mesi trascorsi in Svizzera li avevano avvicinati psicologicamente, ma allontanati fisicamente, come se i loro due corpi fossero stati divisi a metà e solo una parte avesse continuato a vivere. L'Akashi e il Nijimura che in quel momento si trovavano così vicini e si stavano baciando, chiusi nella loro intimità in un piccolo appartamento di Tokyo, erano le due parti rimaste indietro e che, dopo aver passato mesi a cercare di ricordare quale fosse il sapore della bocca dell'altro e a rimpiangere i bei momenti passati insieme, avevano deciso di eliminare la distanza fisica imposta dalla malattia.
Nijimura raforzò la stretta attorno ai fianchi dell'altro e sfiatò sommessamente a causa del vago ma terribilmente assuefante piacere che si sprigionava dall'intreccio delle loro lingue e pareva irradiarsi per tutto il corpo, fino alle punte dei capelli, alle dita dei piedi.
Le dita di Akashi gli solleticarono il frammento di pelle bollente appena sopra i boxer e cominciarono a giocare con l'elastico dell'indumento intimo, scivolando oltre dopo pochi istanti.
Quando le dita dell'altro cominciarono ad assecondare l'inizio della sua erezione, il corpo di Nijimura si irrigidì per qualche attimo - e davvero non riusciva a capire se si trattasse della felicità di poter fare finalmente l'amore con Akashi o se di paura per lo stesso motivo -, ma la bocca continuò a rispondere all'altra e i baci si fecero appena più rapidi, ancora voraci, avidi.
Erano due amanti in procinto di coronare il loro sogno d'amore, due anime che si erano ritrovate e sfiorate dopo tanto tempo passato a desiderarsi, a non potersi appartenere.
Nonostante fosse spaventato dal fatto che si trattasse della loro prima volta e avesse un malato a cavalcioni su di lui, Nijimura non vedeva l'ora di poter dare sfogo agli impulsi e alle voglie che lo avevano afflitto nei mesi precedenti, per cui prese sempre più confidenza di secondo in secondo e lasciò scivolare le mani lungo i fianchi magri dell'altro, strattonando l'elastico degli slip con le dita.
Quando la mano di Shuuzou si insinuò oltre il tessuto degli slip, Akashi inarcò ulteriormente la schiena e approfondì l'intreccio delle loro bocche.
A Seijuurou non importava che la malattia scorresse ancora nel suo sangue, non aveva paura che la stanchezza potesse sopraffarlo: tanti motivi lo avevano spinto a combattere e a non arrendersi mai contro l'ombra incombente della leucemia, e fare l'amore con Shuuzou era uno dei tanti, quello a cui aveva cominciato a pensare sempre più frequentemente.
Akashi scostò il viso ed ebbe appena il tempo di riprendere fiato, perché la mano sinistra di Nijimura scivolò dietro la sua nuca e lo strascinò di nuovo alle sue labbra, mentre le dita della destra accelerarono i movimenti attorno al suo membro.
Le labbra di Akashi schioccarono un paio di volte contro quelle dell'altro, la schiena si raddrizzò e il bacino si sollevò, lasciando a Nijimura il modo di disfarsi degli indumenti intimi.
Quando i corpi completamente nudi entrarono nuovamente in contatto si sentirono entrambi scuotere da un brivido, una scossa di piacere che sembrò spazzare via anche gli ultimi brandelli di inibizione.
Nijimura divaricò appena le gambe e inarcò la schiena, scosso da un secondo brivido non appena le natiche di Akashi scivolarono lungo il suo membro e le sue dita gli accarezzarono il petto con un movimento dolce, lento, completamente opposto alla malizia del suo sguardo.
Nijimura sospirò affannosamente e rimase a guardarlo per qualche istante, contemplando una bellezza immediatamente rintracciabile, eppure vaga e delicata, uno spettacolo mozzafiato come poteva esserlo una corona di nuvole illuminata dalla luce argentata della luna in una notte nera, il riflesso iridescente dell'arcobaleno su uno specchio d'acqua ancora smosso dalla tempesta, i raggi del sole incastonati come lance d'oro nel cielo insanguinato al tramonto.
Nijimura trattenne il fiato per un istante e si mise a sedere, percorse il collo dell'altro con baci irregolari e voraci e gli afferrò il labbro inferiore fra le sue; Akashi, dal canto suo, socchiuse gli occhi e restò fermo per qualche istante, godendosi quel momento di intimità.
Seijuurou lo baciò e Shuuzou lo trascinò lentamente sotto di sé, tornando a baciargli il collo e accarezzandogli le natiche.
Akashi lo lasciò fare e socchiuse nuovamente gli occhi, focalizzando la propria attenzione sul piacevole calore dei loro corpi, sulle braccia e le mani forti di Nijimura attorno al suo corpo, ricambiando senza riserve i baci quasi rabbiosi che l'altro gli lasciava sulle labbra e, più raramente, sul collo - dopotutto mancava un po' di confidenza fra i loro corpi, non si erano mai potuti né toccare né baciare in quel modo -.
Dal punto di vista di Seijuurou poteva sembrare sesso rabbioso, frettoloso, ma Shuuzou non aveva alcuna intenzione di darli quella impressione: desiderava semplicemente possedere in tutto e per tutto il corpo al quale apparteneva, fargli provare qualcosa di bello dopo tante sofferenze.
Le dita arrancarono sulle natiche sode, i bacini si incastonarono ancora una volta e Akashi sfiatò appena, volgendo solo per un istante il proprio sguardo al raggio di sole che in parte sembrava infrangersi contro il vetro opaco e restare fuori, in parte rimanere integro ed entrare, illuminare la stanza e i loro corpi spogli. Aveva visto tante volte il sole alla finestra, ma quello, nonostante a fargli da cornice fosse una vecchia imposta di un misero appartamento, era uno degli spettacoli più belli a cui avesse mai assistito: ora il sole era vicino, poteva uscire e sentirlo mentre gli accarezzava la pelle, gli faceva ribollire la testa, ora il sole si poteva raggiungere senza aver paura di rimanere scottati, di perdere le proprie ali e precipitare nel mare.
Quando le dita dell'altro si insinuarono fra le sue natiche, Akashi tornò a rivolgere la propria attenzione a Nijimura, ignorando il sole e tutto ciò che lo aspettava oltre le finestre - dopotutto, prima ancora di sentire l'aria fredda pizzicargli le guance e il sole insinuarsi fra le ciglia, riempirsi i polmoni di smog e ascoltare i rumori tumultuosi della città, voleva fare l'amore con il suo fidanzato, una persona che aveva desiderato più della sua stessa vita, più dell'inverno, dell'estate, della pioggia, delle foglie, dei fiori, delle stelle e di tutto ciò che l'esistenza avrebbe potuto offrirgli -.
Akashi divaricò appena le gambe e stuzzicò il fianco destro di Nijimura con qualche colpetto leggero del ginocchio, guardandolo con un mezzo sorriso sulle labbra e le mani salde sulle sue spalle, e l'altro, dal canto suo, si fermò a guardarlo per qualche istante e finì per chinarsi su di lui e baciarlo.
Nijimura cominciò a prepararlo, compiacendosi del fatto che, almeno in un primo momento, Akashi avesse ansimato - e quasi gemuto - contro le sue labbra e si fosse stretto a lui in una istintuale quanto ingenua ricerca di protezione - protezione che non avrebbe mai potuto ricevere da quello che, almeno in quel momento, rassomigliava più al suo carnefice che al suo amante -.
Le dita di Nijimura affondarono nelle cosce sode e pallide di Akashi, i toraci ansanti si allontanarono all'improvviso e i loro occhi si cercarono e si scontrarono, quasi si respinsero quando i loro bacini si incastonarono e i loro corpi si unirono.
Nijimura sentì i muscoli tesi dell'altro oltre la pelle delicata, le sue mani scivolare silenziose al di là delle sue spalle e posarsi poco più sotto della nuca, socchiuse gli occhi per qualche secondo, cercando di abituarsi alla sensazione e restando in ascolto del respiro sommesso di Akashi che rompeva il silenzio, avido di quei sospiri appena udibili ma chiaramente accaldati, alterati dall'eccitazione.
Forse perché non aveva più voglia di aspettare, forse perché voleva fargli sapere che nonostante tutto era ancora lui quello che teneva le redini del gioco, Akashi fu il primo a muoversi, gli avvolse il bacino con le gambe e approfondì appena il contatto, stuzzicandogli una scapola con un rapido e quasi impercettibile passaggio delle unghie lungo la pelle; Nijimura, dal canto suo, si lasciò scappare un sospiro di piacere e rafforzò la stretta sulle sue cosce, cominciando a muoversi.
Shuuzou aveva pensato tante volte a come sarebbe potuta essere la loro prima volta, e molto spesso era giunto alla conclusione che non avrebbe corso, né nel sesso, né nella loro relazione in generale, ma si rese conto soltanto in quel momento quanto fosse difficile restare fedele a quel tacito accordo con se stesso: voleva godersi ogni istante, ogni attimo, ma la volontà di accelerare e divorare il tempo per raggiungere immediatamente l'amplesso era costante, lo schiacciava, lo soffocava, guidava le sue mani in quella esagitata esplorazione del corpo gracile di Akashi, spingeva il suo bacino ad andare sempre più a fondo, sempre più veloce.
I movimenti di Nijimura si fecero quasi immediatamente fluidi e veloci, Akashi avvertì un vago bruciore alle cosce, lì dove la pelle era stata arpionata dalle dita dell'altro, e sfiatò indispettito non appena sentì le sue mani scivolare sulle sue natiche e stringerle in una morsa che aveva molto di animale e poco di umano, tuttavia non si lasciò atterrire dal corpo forte e fremente sopra il suo, ma piuttosto assecondò i suoi movimenti e trasformò le carezze in graffi.
Shuuzou si lasciò scappare un gemito sommesso non appena sentì le unghie dell'altro bucargli la pelle, Seijuurou inarcò la schiena e accennò solo per un istante un sorriso compiaciuto, prima che le labbra si spalancassero in un gemito di piacere.
Nijimura non capì se fosse stato quel gemito mai udito prima, le unghie di Akashi che graffiavano le sue spalle o semplicemente il contatto dei loro corpi, ma fu percosso da un brivido che attraversò tutta la spina dorsale e che dal fondo schiena sfociò e si diramò lungo le gambe, costringendolo a fermarsi solo per un istante e poi a riprendere con più calma - dopotutto, pur di ascoltare ancora una volta la voce dell'altro tramutarsi in vera e propria eccitazione, era disposto a rallentare e a smettere di assecondare parte degli impulsi naturali ai quali il suo corpo era ormai asservito -.
Shuuzou portò le mani ai fianchi dell'altro, trascinandolo un poco più sotto di sé, e Akashi - percependo una stretta molto più gentile e controllata della precedente - smise di graffiarlo e si lasciò scappare un secondo gemito, decisamente più sommesso del primo.
Nijimura sentì di dover rallentare ancora, ormai molto vicino a raggiungere l'apice del piacere e a corto di fiato, e così lo guardò, gli accarezzò la fronte con la mano e scostò un ciuffo di capelli dal suo viso, si soffermò sui lineamenti precisi e delicati, sulle labbra rosse che brillavano come sangue sulla neve e sugli occhi socchiusi, acquosi, segnati da ciglia fini e nere.
«Sei bellissimo ...» se la voce gli tremò fu soltanto a causa dell'eccitazione e del respiro smorzato dalla fatica, non per vergogna, non per paura di essere inopportuno o sfrontato: pensava davvero ciò che aveva detto, riusciva a vedere la bellezza di Akashi anche al di là della pelle troppo bianca, dei capelli troppo radi e del corpo troppo magro, riusciva a percepire una maestosità avvincente ed una fragile armonia che lo avevano sempre affascinato e di cui gli sembrava essere il solo spettatore.
Nijimura conosceva l'anima di Akashi, conosceva chi si nascondeva dietro la facciata; lo amava, perché oltre la bellezza fisica fiorivano una forza e una tenacia ineguagliabili, lo splendore irresistibile di una mente forte.
Akashi era il rosso di un bocciolo di rosa che scalpitava oltre la coltre di ghiaccio, era la luce della luna che trafiggeva rabbiosa le nuvole nere.
Seijuurou lo guardò e gli accarezzò il braccio, a Nijimura sembrò che sorridesse con gli occhi, e allora si chinò su di lui e lo baciò.


La lama affondò nella carne e una risatina sommessa attirò la sua attenzione, facendolo rabbrividire.
«Ora applico un taglio ad Y molto profondo.» il professore parlò e Shintarou seguì i suoi movimenti finché la lama non giunse allo sterno del cadavere, pronta a risalire per tracciare un'altra linea che sarebbe terminata alla spalla, poi rivolse la propria attenzione altrove: si era documentato a fondo sulle autopsie, sapeva come funzionavano - o per lo meno sapeva come si procedeva con l'apertura del torace e della calotta cranica -, quello che gli aveva chiuso la bocca dello stomaco, piuttosto, era stata la risatina che aveva preceduto l'incisione del corpo. Era stato stupido da parte sua pensare che Imayoshi ed Hanamiya non si fossero qualificati fra i migliori studenti, ed ora Makoto contemplava la scena con un sorriso inquietante stampato in volto, sembrava impaziente di prendere il posto del professore e cominciare a fare a fettine il cadavere che avevano davanti.
«Qualcuno di voi mi può aiutare?» il professore sollevò il lembo di pelle al di sopra dell'incisione ad Y e lo tirò fino a coprire il volto del cadavere, girandosi verso di loro - in particolare verso i cinque del primo anno - in attesa che qualcuno si offrisse volontario per aiutarlo a sollevare anche i margini laterali.
«La aiuto io.» Hanamiya fece un rapido passo avanti e non riuscì a smettere di sorridere, e Shintarou si sentì pervadere dalla nausea.
«Hanamiya, se non sbagli lo hai già fatto l'anno scorso, giusto?» il professore gli fece un cenno, quasi a volergli chiedere di attendere, e si rivolse nuovamente al gruppo del primo anno.
«Nessuno del primo anno? O del secondo?»
Midorima schiuse le labbra e mormorò qualcosa di impercettibile, non riuscì a farsi avanti a causa della nausea che si era annidata in fondo alla sua gola.
«D'accordo.» il professore sospirò spazientito e si fece da parte «Hanamiya, mostra la procedura ai tuoi colleghi.»
Quando anche i lembi laterali furono sollevati e la parte interna del torace divenne più visibile, due ragazzi di prima ed una ragazza di seconda abbandonarono la sala e Midorima fece un paio di passi indietro, disgustato dal fatto che Hanamiya avesse continuato a sorridere per tutta la durata del procedimento.
«Se stai pensando di uscire, non lo fare.» Imayoshi gli diede una piccola gomitata e sussurrò, ma Midorima non ebbe tempo di rispondere e rivolse la propria attenzione al professore.
«Nakajima, mi potresti passare il frangicoste? Adesso toglieremo la cassa toracica, quindi vi prego di avvicinarvi per osservare la procedura.»
L'unica ragazza di terza afferrò lo strumento richiesto e lo portò al professore, piazzandosi al fianco di Hanamiya, e così, a poco a poco, si avvicinarono anche gli altri, ad esclusione di un altro ragazzo di prima che fece marcia indietro e uscì di corsa.
«Cerca di resistere.» Imayoshi sussurrò ancora «se ti vedrà uscire da quella porta non te lo perdonerà mai.»
Shintarou gli rivolse una rapida occhiata e poi tornò ad osservare Hanamiya, deglutendo appena.
«Non fare caso a lui: gli piace lo splatter.» Shouichi accennò un sorriso divertito, ma quella che molto probabilmente voleva essere una battuta non fece altro che aumentare il mal di stomaco di Shintarou.
«Ho deciso che assegnerò un organo ad ognuno di voi.»
«U-un organo?» un ragazzo di terza, rimasto leggermente in disparte, balbettò.
«Sì, un organo.» il professore gli rivolse una rapida occhiata «Fujiwara, se non sbaglio è la prima volta che riesci a classificarti fra i primi cinque, ma sei del terzo anno, per cui non dovresti avere alcun problema con un'autopsia, giusto?»
Il ragazzo annuì appena e cercò di riprendere fiato.
«Credo proprio che ti assegnerò il cervello.»
Tuttavia, non appena il professore riprese a parlare, negò appena con il capo e balbettò qualcosa di insensato, allontanandosi dal gruppo e, dopo qualche istante di indecisione, lasciando la sala.
«Visto che l'idiota se n'è andato, perché non lo lascia a me, il cervello?» Hanamiya si rivolse immediatamente al professore «penso io ad aprire la calotta cranica, so usare la sega vibrante.»
«Imayoshi la sa usare meglio di te visto che è al terzo anno, quindi credo proprio che lascerò fare a lui.»
Hanamiya sfiatò appena e rivolse un'occhiataccia nervosa ad Imayoshi, che in tutta risposta gli sorrise divertito.
«E vediamo … Midorima?»
Shintarou sobbalzò e rivolse immediatamente la propria attenzione al professore.
«S-sì?»
«Visto che hai preso il massimo dei voti, eguagliando Hanamiya e Imayoshi, vorrei assegnarti il cuore.»
Midorima esitò un istante, notando lo sguardo rabbioso che Hanamiya rivolse prima a lui, poi al professore.
«Vuole assegnare il cuore ad uno di prima?»
«Hanamiya, sta calmo: questa non è certo la nostra ultima autopsia, rilassati. Voglio soltanto vedere come se la cava.»
Makoto sbuffò sommessamente e incrociò le braccia al petto.
«E io cosa dovrei fare?»
«Tu e Nakajima lavorerete su fegato e polmoni. Imayoshi, tu comincia pure ad estrarre il cervello.»
Hanamiya assentì con un brontolio e si portò immediatamente vicino alla testa del cadavere, per osservare la procedura a cui era stato assegnato Imayoshi.
«Sei ancora confuso fra neurologia e cardiologia, eh?» Imayoshi afferrò la sega vibrante e si affiancò a lui, ma Hanamiya non rispose e si limitò ad osservare la procedura.
«Allora, Midorima, accetti o no? Se non ti va posso assegnarlo al tuo collega.»
Lo sguardo di Shintarou si scontrò solo per un istante con quello dell'unico ragazzo del primo anno rimasto oltre a lui, quello che nella graduatoria gli aveva dato del filo da torcere e si era classificato secondo, con una differenza di soli due punti.
«Il cuore va bene.»
«D'accordo, allora vieni a prendertelo.»
E se il mal di stomaco era svanito per un solo istante, all'improvviso tornò più forte di prima.


«M-Miya-san?» Seiji si avvicinò a lei e balbettò appena, cercando i suoi occhi oltre la scatola e abbassando immediatamente lo sguardo quando li trovò.
«Matsuda-kun, adesso non ho tempo.» Aoi, dal canto suo, rafforzò la stretta sulla grossa scatola e fece un paio di passi indietro.
«Vuoi una mano?» Matsuda mormorò appena e l'altra negò con un rapido cenno del capo.
«Ti ringrazio, ma posso farcela anche da sola.»
Seiji restò in silenzio per un istante, si guardò i piedi e dondolò sul posto, indeciso sul da farsi: Aoi non avrebbe mai accettato il suo aiuto, e nemmeno quello di Kagami o di Aomine, perché nonostante fosse piuttosto tranquilla si era dimostrata fin da subito molto tenace, volenterosa di conquistare un posto di lavoro con le sue sole forze - il che era ammirevole, ma di conseguenza escludeva completamente una persona timida ed impacciata come lui -.
«Miya-san, ti devo dire una cosa.»
Miya sospirò appena e si strinse la scatola al petto, in modo da mostrargli completamente il viso luminoso e leggermente paffuto, che rendeva ancor più dolce il taglio fine ed elegante dei suoi occhi.
«Cosa c'è?»
«E-ecco, io ...» Matsuda si strinse i capelli fra le dita e si schiarì la voce, cercando di renderla più alta e ferma - tentativo che si rivelò fallito non appena ripeté la stessa frase di prima -.
«Me lo dirai più tardi, va bene?» Miya gli voltò le spalle e si diresse verso la cucina, e Matsuda non riuscì a dire una parola, se ne restò imbambolato e seguì la sua figura esile finché non la vide scomparire oltre la piccola porta di metallo.
«Ohi.»
Matsuda sobbalzò e si voltò nella direzione da cui era provenuto quel richiamo nervoso e sommesso, sentendosi avvolgere da un brivido non appena vide lo sguardo rabbioso di Aomine puntato su di sé.
«Pensi di aiutarmi, idiota?»
«A-arrivo subito!» Seiji si affrettò a raggiungere il bancone e servì una cliente sotto lo sguardo spazientito e annoiato di Aomine, infine, una volta salutata la ragazza, si rivolse nuovamente a lui.
«Ti chiedo scusa, mi sono distratto.»
«Ti distrai un po' troppo.»
«Dove sono i miei mikado?» Matsuda era molto timido, ma quando si parlava di mikado diventava improvvisamente intraprendente e senza vergogna.
«Ah? Oh, credo se li sia mangiati Murasakibara.»
«Cosa?! Mi ha già rubato quattro confezioni!»
Aomine si strinse nelle spalle e tornò a guardare oltre le vetrine, con aria completamente disinteressata: non era affatto divertente stare alla cassa con quell'imbranato, l'unico con cui poteva competere davvero se ne stava quasi tutto il giorno chiuso in cucina a sfornare dolci e a litigare con Murasakibara.
Quando sentì l'altro sospirare profondamente, Daiki alzò gli occhi al cielo e tornò ad osservarlo solo per un istante: presto avrebbe ricominciato a fantasticare su di lui e Miya, doveva essere stato un colpo di fulmine - palesemente unilaterale -.
«Ma non è bellissima?» quando si chiudeva nel suo mondo, a fantasticare sull'amore, Seiji sembrava quasi non rendersi conto delle sue parole, non si vergognava, ma piuttosto si limitava a farneticare con occhi sognanti.
«Se ti piace il genere.»
«In che senso?»
Aomine inspirò appena e adagiò la schiena contro il bordo del bancone, dando le spalle alle vetrine e rivolgendo la propria attenzione alla porta chiusa che conduceva alla cucina.
«Sì, insomma … non ne ha.»
Matsuda rimase a fissarlo per qualche istante, poi seguì il suo sguardo e soffermò la propria attenzione sulla porta chiusa.
«Intendi …?» non volendo pronunciare certe parole, Seiji si indicò il petto con un gesto rapido e impacciato.
«Le tette, sì.» e Aomine pensò a metterlo immediatamente in imbarazzo, pronunciando quella parola con voce un po' troppo alta.
«Sai, non è proprio la prima cosa che guardo in una ragazza.» Matsuda forzò un sorriso e Aomine sfiatò appena, con un mezzo sorriso sulle labbra.
«Sei proprio uno sfigato.»
Seiji cercò di dire qualcosa, ma il suono squillante della campanella segnalò l'arrivo di un cliente e la voce di quest'ultimo sovrastò perfino i suoi pensieri.
«Aominecchi!»
Aomine sbuffò sommessamente e alzò gli occhi al cielo: Kise era arrivato puntuale, giusto per ricordargli che almeno Seiji voleva stare con una donna - con le tette piccole, ma pur sempre una donna - e che lui, invece, era ormai innamorato perso di un uomo.
«Kise, non puoi venire qui ogni giorno. O per lo meno compra qualcosa.»
«Aominecchi, lo sai che i dolci sono off-limits per me!» Kise rivolse un rapido saluto a Matsuda e si guardò intorno per un istante.
«Non posso venirti a trovare?» cinguettò, con le labbra increspate in un sorriso, e Aomine si ritrovò nuovamente a sbuffare, almeno finché le labbra di Kise non sfiorarono le sue.
«O-ohi! Kise, sto lavorando!»
«Eh? Ma Aominecchi, a parte Matsudacchi non c'è nessuno qui!»
«Aomine-kun ...» Matsuda intervenne a voce bassa «credevo ti piacessero le donne ...»
«A me piac–»
«Aominecchi.» Kise lo incenerì con lo sguardo «stavi di nuovo parlando di tette?»


Tetsuya lasciò scivolare il cellulare in tasca e diede una rapida occhiata oltre la rete metallica che delimitava il campetto: Kagami aveva finito di lavorare da almeno mezz'ora e sarebbe arrivato di lì a qualche minuto, quindi tanto valeva continuare ad ammazzare il tempo e a cercare di fare quanti più canestri possibili.
Kuroko afferrò la palla a spicchi e focalizzò la propria attenzione sul canestro, lanciandola qualche istante dopo e riafferrandola non appena transitò oltre la retina bianca e rimbalzò a terra.
Si rigirò il pallone fra le mani, accarezzò le cuciture con le dita e cercò di resistere alla tentazione di dare un'altra occhiata al cellulare - dopotutto se aveva cominciato a dedicare al basket più tempo del dovuto era a causa di Kagami e ora che cominciava a raccogliere i frutti dei suoi sforzi sentiva che la possibilità di una rivincita era sempre più vicina -.
La palla fendette l'aria e colpì il tabellone, percorse il bordo del canestro e indugiò, cadendo a terra ancor prima di segnare un punto immaginario e demolendo, di fatto, le speranze appena nate di Kuroko, per poi transitargli rapidamente accanto.
Tetsuya fece per voltarsi, ma ebbe tempo di muovere soltanto un piede, paralizzato da una voce fin troppo famigliare.
«Buon compleanno, Tetsuya.»
Gli occhi di Kuroko si soffermarono sulle mani che afferrarono e sollevarono la palla a spicchi, poi alzò il proprio sguardo e si sentì mancare il respiro.
«Akashi-kun …?» restò immobile, ancora incredulo.
Akashi rivolse la propria attenzione al canestro e lanciò la palla, per poi rivolgergli un sorriso non appena questa transitò oltre la retina bianca.
«Sei guarito?» Tetsuya non riusciva a straccargli gli occhi di dosso, non riusciva a credere che fosse proprio lì di fronte a lui, che avesse appena fatto un canestro e gli avesse sorriso.
«Non del tutto.» Akashi afferrò nuovamente la palla, ma il suo sguardo abbandonò completamente il canestro per soffermarsi su Kuroko «ci sono buone probabilità di guarigione, posso continuare le cure qui.»
Akashi restò in silenzio per qualche istante e gli porse la palla, ricominciando a parlare soltanto quando Kuroko la afferrò.
«Sei solo?»
Kuroko fece per rispondere, ma si zittì immediatamente: qual'era la risposta che stava aspettando? Qual'era la risposta migliore da dare? Si sarebbe fermato lì per un po'? Oppure era soltanto una breve visita per comunicargli il suo ritorno e augurargli buon compleanno?
Quando pensò all'imminente arrivo di Kagami, Kuroko rimase completamente senza respiro.
«Fra poco dovrebbe arrivare …»
«Chi?»
Kuroko si sentì folgorare dallo sguardo di Akashi e si zittì nuovamente, lasciandosi sfuggire un sospiro di sollievo non appena avvertì un brusio famigliare non molto distante.
«Ehi! Ma quello non è …?! Aominecchi, quello è Akashicchi!»
«Ma che stai dicendo, Kise? Akashi è in Svizzera.»
«Akashicchi! Akashicchi!»
Finalmente Seijuurou rivolse la propria attenzione altrove e Tetsuya fu libero di tornare a respirare.
«Daiki, Ryouta.» Akashi sorrise, ma Kuroko, alle sue spalle, affondò il canino nel labbro inferiore, rivolgendo una rapida occhiata a Kagami - Kise doveva essere andato a prendere Aomine al locale e molto probabilmente avevano deciso di incamminarsi tutti insieme - .
«Gli altri?» Akashi si rivolse nuovamente ad Aomine e Kise, senza degnare neppure di uno sguardo Kagami.
«Momocchi-chan e Aidacchi arriveranno alle quattro e mezza.»
Seijuurou diede una rapida occhiata all'orologio e inspirò appena.
«Purtroppo non posso trattenermi molto, per oggi non avrò occasione di salutarle. Piuttosto, Shintarou e Atsushi dove sono?»
«Umh ...» Kise cercò solo per un istante gli occhi di Aomine e poi quelli di Kuroko «Murasakibaracchi è al locale con Himurocchi, e Midorimacchi … credo stia studiando. O forse è con Takaocchi.»
Akashi restò a fissarlo in silenzio, indispettito dal fatto che Kise si ostinasse a usare quel suffisso anche per alcuni elementi di disturbo: Himuro portava via Murasakibara, Takao portava via Midorima e, soprattutto, Kagami avrebbe portato via Kuroko.
«Nijimura è con te?» la voce di Aomine lo distolse dai suoi pensieri, ma non riuscì a rispondere immediatamente e si limitò ad un piccolo assenso del capo.
«Non so quando si farà vedere, ora come ora siamo un po' indaffarati.» molto probabilmente Nijimura avrebbe speso intere settimane alla ricerca di un lavoro, era importante, indispensabile, non poteva permettersi alcuna distrazione.
«Adesso vi saluto.» Akashi rivolse un'ultima occhiata a Kuroko, poi transitò accanto a Kise e Aomine, compiacendosi del fatto che sembrassero così legati e dalla consapevolezza che almeno loro non si sarebbero mai fatti portare via da nessuna persona esterna alla Generazione dei Miracoli, infine si fermò solo un istante di fronte a Kagami, che sostenne il suo sguardo senza mostrare alcun segno di cedimento e, anzi, mostrando un'espressione insolitamente minacciosa.


Non era stata una bella giornata: Miya aveva bruciato due delle sue torte, Aomine aveva cercato di sabotare alcuni dei suoi muffin, Kise e Momoi non avevano fatto altro che augurare buon compleanno a Kuroko e abbracciarlo ogni volta che ne avevano l'occasione e Akashi era tornato. Soprattutto, Akashi era tornato.
«Kagami-kun?»
Kagami brontolò sommessamente e sollevò lo sguardo, restando in silenzio.
«Sei troppo silenzioso.» Kuroko si sedette accanto a lui, stringendo la palla a spicchi al petto e rivolgendo la propria attenzione alla retina bianca del canestro, ancora visibile nonostante fosse ormai sera inoltrata.
«Sei migliorato.»
«Kagami-kun, non cambiare discorso.»
Kagami inspirò appena e cercò di sfuggire immediatamente allo sguardo di Kuroko.
«È perché ho fame.»
«Stai ancora cambiando discorso.» Kuroko gli sfiorò la mano con la sua, e Kagami si sentì in obbligo di rivolgergli la propria attenzione: non poteva ignorarlo, lo amava troppo per farlo preoccupare e per mancargli di rispetto a causa della gelosia, e poi, a pensarci bene, il ritorno di Akashi non doveva essere facile neppure per lui.
«Non credevo sarebbe tornato così presto.»
Si guardarono negli occhi per un istante, poi Tetsuya sospirò sommessamente e rivolse la propria attenzione al cielo nero e senza stelle.
«Nemmeno io.»
Taiga avrebbe voluto dire tante altre cose, perché erano mille i pensieri che gli ronzavano in testa - Akashi avrebbe cercato di tenerlo fuori dal progetto, avrebbe cercato di portargli via Kuroko, di rendere gli ex membri della Generazione dei Miracoli nuovamente ostili nei suoi confronti -.
«Akashi-kun è molto … conservativo, in un certo senso. Non gli piace che qualcuno invada i suoi spazi e rompa i suoi equilibri, soprattutto quando è consapevole che questo qualcuno incarna una minaccia reale.»
Kagami rimase ad osservarlo in silenzio e per un istante si sentì quasi invidioso: anche lui avrebbe voluto leggere le persone come faceva Kuroko, di certo gli avrebbe reso le cose molto più facili e le brutte giornate non gli sarebbero sembrate poi così pessime.
«Un giorno imparerà ad accettarti, dopotutto non può fare altrimenti visto che l'ombra ha bisogno della sua luce.»
Kagami quasi non si strozzò con la sua stessa saliva, cercò di ignorare il pizzicore distinto sulle guance e dopo qualche istante di esitazione decise di parlare.
«Ohi, buon compleanno.» era un sollievo potergli fare gli auguri dopo averci provato tutto il giorno senza mai riuscirci a causa di Kise e Momoi.
Senza dire altro, Kagami estrasse una scatoletta rossa dalla tasca della felpa e gliela porse, e Kuroko la accettò rivolgendogli un piccolo sorriso silenzioso.
Tetsuya aprì la scatoletta, sbirciò al suo interno e la richiuse subito, attirando l'attenzione di Kagami, preoccupato che qualcosa non andasse.
«Kagami-kun.» ma Kuroko si inginocchiò sulla panchina e si avvicinò un poco di più «lo sai che ti amo, vero?»
«K-Kuroko, piantala!»
«Come puoi pensare che io non ti dica una cosa simile se mi regali un anello?»
«Kuroko, smettila! È imbarazzante!» Kagami sembrò quasi ringhiare, ma tutto si esaurì in un attimo, non appena la breve e sommessa risata dell'altro riecheggiò nel freddo silenzio della sera.
Taiga gli prese il viso fra le mani e quasi gli sfiorò le labbra, ma la voce di Kuroko lo frenò immediatamente.
«Sono contento che sia tu la mia luce.»
«E basta.» Kagami bofonchiò, avvertendo un'altra ondata di calore confluire nelle guance, ma quando calò il silenzio e Kuroko gli sorrise chinò il viso e lo baciò.

È un antico regno sgretolato: l'ombra dorme fra i ruderi, ma la luce si perde nel vuoto del nulla.




Licenza Creative Commons
Quest'opera è distribuita con Licenza Creative Commons Attribuzione - Non commerciale - Non opere derivate 2.5 Italia.




L'angolino invisibile dell'autrice:

So di essere un'autrice degenere, non merito né il vostro amore né il vostro perdono (?), ma la parte di Nijimura e Akashi mi ha occupato davvero tantissimo tempo!
Mi sono accorta solo adesso che sono passate ben due settimane dall'ultimo aggiornamento e … ugh, vi chiedo scusa ;-;
Per il prossimo aggiornamento mi ci vorrà un po' perché ho iniziato a studiare per gli esami e, soprattutto, sono arrivata alla fine della tabella riassuntiva e devo metterne su un'altra in fretta e furia (diciamo che ho ben chiare le dinamiche principali che devo ancora trattare nella storia, ma tutto il resto no e devo mettere in moto la testolina).
Non so ancora se sono soddisfatta della parte NijiAka. L'ho letta due volte e mi provoca sentimenti contrastanti.
In questi giorni il fandom di KnB è stato piuttosto attivo e lo so che nel KUROFES è stato detto che a Nijimura non piace trattenersi … a mia discolpa, se in questo capitolo si “trattiene” un pochino, è perché quando ho scritto la scena non era ancora trapelata la notizia (?), ecco. Inoltre mi risultava che Nijimura avesse paura dell'aereo, ma sono andata a spulciare nuovamente Wikipedia e non ho più trovato questa notizia (mi pareva di averlo appreso dalla Replace V), quindi è probabile che io mi droghi senza saperlo (che sia vero o meno, ormai è deciso: nella mia interpretazione, Nijimura ha paura di volare).
E se ve lo siete chiesti (ma so che non ve lo siete chiesti perché eravate impegnati a idolatrare la NijiAka (?)), questa frase: ”ora il sole si poteva raggiungere senza aver paura di rimanere scottati, di perdere le proprie ali e precipitare nel mare” richiama al mito di Icaro.
Per quanto riguarda i due OC, volevo disegnarli e metterli sulla pagina FB ma non ho avuto tempo, quindi lo farò nelle settimane a venire (dopotutto non sono così fondamentali).
Quando Kise dice “quattro e mezza” ovviamente si intende “del pomeriggio” e, ok, non era previsto che Kagami regalasse un anello a Kuroko, ma io non sono mai fantasiosa quando un personaggio deve regalare qualcosa ad un altro e ho voluto investirvi con i feels.
Ah, giusto: prendiamoci un momento per amare quello psicopatico di Hanamiya <3
Alla prossima!

Ritorna all'indice


Capitolo 31
*** Capitolo XXX ***


Capitolo XXX





Le luci che scompaiono non si spengono, ma vivono e bruciano nelle altre con più intensità.

Nijimura aveva passato una settimana intera a pensare ai lavori più disparati, prendendone in considerazione uno per poi scartarlo per un altro, in un continuo circolo di dubbi, di “se” e di “forse”.
Era assurdo che a vent'anni non avesse ancora idea di quale sarebbe dovuto essere il suo futuro impiego, e l'insensatezza della sua situazione si faceva più reale e concreta soprattutto quando pensava ad Akashi - che aveva già chiara ogni cosa e si stava preparando per cominciare l'università - e ad altri - Murasakibara e Aomine, per la precisione - che sembravano aver sconfitto la pigrizia e avevano cominciato a lavorare prima di lui.
I pensieri che si erano accavallati nella sua mente durante quell'ultima settimana lo avevano messo a dura prova, tanto che aveva deciso di smettere di cercare, aveva scritto dei minuscoli bigliettini con i vari mestieri che aveva preso in considerazione e poi ne aveva presa una manciata, per provare a metterli direttamente in pratica.
Aveva passato un paio di giorni a girovagare per la città, a chiedere se avessero bisogno di personale nei locali, se necessitassero di qualcuno che insegnasse un po' di basket ai bambini nelle scuole, se fossero in cerca di commessi al supermercato, ma dopo essersi sentito rispondere di no una dozzina di volte si era ritrovato con un solo bigliettino.
Era il colmo che l'ultimo bigliettino rimasto riguardasse un mestiere che aveva aggiunto soltanto per fare numero: era vero che aveva aggiustato almeno un paio di volte il lavandino di sua madre, ma in cuor suo sapeva benissimo che un simile evento non avrebbe mai potuto classificarlo come idraulico, eppure, dopo aver incontrato due esperti del settore ed essere stato messo alla prova, gli erano stati assegnati un paio di incarichi.
Pur non avendo idea di quale lavoro facesse per lui, Nijimura era sicuro di una cosa: non voleva fare l'idraulico, si ripeteva continuamente che quella situazione era solo momentanea, che quello non sarebbe stato il suo lavoro definitivo ma solo un ripiego per racimolare qualche soldo e aiutare Akashi a sostenere le ultime spese mediche.
In verità c'era un lavoro che sarebbe stato felice di fare, ma era uno di quei desideri che molto probabilmente avrebbe tenuto nel cassetto - dopotutto si trattava di una grande ambizione, avrebbe dovuto fare tanta strada prima di arrivare ad un simile traguardo, ma non avrebbe mai avuto né il tempo né il modo -.
Nijimura prese una grossa boccata d'aria, per poi lasciarsi sprofondare contro il morbido schienale del divano e sbuffare sommessamente: non aveva voglia di stare chiuso in casa a pensare che avrebbe passato tutta la vita ad aggiustare tubi, voleva uscire e fare una passeggiata, anche se ciò significava lasciare Akashi da solo - e non che fosse un male per Seijuurou, anzi si veniva a creare una condizione decisamente migliore per studiare, ma Shuuzou era ancora scettico riguardo la sua salute e si ostinava a tenerlo d'occhio e ad assicurarsi costantemente che stesse bene -.
Shuuzou sbirciò oltre lo schienale del divano e si soffermò per qualche istante sulla figura silenziosa di Akashi, con un libro aperto sulle ginocchia e gli occhi impegnati nel guizzante inseguimento dei versi dell'ennesima poesia.
«Ehi?» Nijimura si sporse un poco e Akashi sollevò il proprio sguardo, restando a guardarlo in silenzio.
«Adesso che ho trovato una specie di lavoro potremmo andare a trovare gli altri al campetto.» per una volta sperava che Akashi potesse lasciare da parte lo studio e uscire con lui.
«Non so a che ora si danno appuntamento.»
Shuuzou rimase a fissarlo e protese le labbra, aggrottando la fronte in un cruccio: da quando Akashi non sapeva? Il non sapere era un concetto inesistente nel suo vocabolario.
«Chiama Kuroko.» cercò di incalzarlo, ma Akashi non rispose e si limitò a chiudere il libro.
Nijimura sospirò sommessamente e tornò a guardare davanti a sé, almeno finché Akashi non si sistemò accanto a lui.
«Io non potrò tornare a giocare a basket, Shuuzou. Non immediatamente, almeno.»
Nijimura trattenne il fiato per un istante: aveva la sensazione che Akashi avesse come al solito un obbiettivo ben preciso, che volesse arrivare a qualcosa e che fosse disposto a tutto pur di farlo.
Seijuurou gli aveva raccontato che si era lasciato sopraffare dall'Occhio dell'Imperatore perché aveva avuto la sensazione di essere rimasto indietro rispetto agli altri, si era sentito come una gemma vuota circondata da fiori sbocciati, si era sentito minacciato, schiacciato da una parte da suo padre e dal desiderio di vittoria, dall'altra dal talento incontenibile dei Miracoli: doveva essere così anche in quel momento, forse si trattava addirittura di una sensazione più forte, di una condizione reale a cui Akashi sapeva di dover porre rimedio il più in fretta possibile.
«Non sono ancora guarito del tutto e quando lo farò la mia ripresa sarà lenta, non sarò in grado di sostenere neppure un uno contro uno.» Akashi fece una piccola pausa e socchiuse gli occhi non appena avvertì la mano calda dell'altro adagiarsi al centro della sua schiena «non avrebbe senso andare al campetto ogni giorno, so già quello che sono in grado di fare, so già quello che faranno. Vederli giocare a basket ogni giorno senza potermi unire a loro mi farebbe sentire solo più vuoto.»
«Quindi ...» Nijimura esitò per un istante «non hai più intenzione di vederli?»
Akashi voltò lentamente il viso verso di lui e accennò un sorriso, estraendo il cellulare dalla tasca dei pantaloni.
«Non ho detto questo, Shuuzou.»


«E poi ho detto a Dai-chan che non può essere così scortese con Ki-chan!»
Aida ignorò lo strepito di Momoi e affondò la mano nella tasca della giacca.
«Insomma, se Ki-chan lo va a trovare è perché‒» Satsuki si zittì non appena l'altra gesticolò con la mano «umh? Che c'è?»
«Aspetta.» Riko estrasse il cellulare, pronta a dirne quattro a suo padre che non faceva altro che chiamarla ogni volta che metteva piede fuori casa - e tutto perché era fermamente convinto che fosse tornata a frequentare Hyuuga e Teppei e aveva paura che tornasse a vivere con loro -, ma non appena vide un altro nome campeggiare sullo screensaver sobbalzò e balbettò qualcosa di insensato.
«Chi è?» Momoi si fermò e sbatté appena le palpebre, cercando di sporgersi per dare una rapida occhiata al cellulare dell'altra, ma Aida lo strinse al petto e prese una grande boccata d'aria, cercando di riordinare le idee.
«È … è Akashi-kun-!» ancora non ci credeva che l'ex capitano della Generazione dei Miracoli la stesse chiamando, che l'ex capitano della Generazione dei Miracoli avesse il suo contatto in rubrica! - A proposito: chi gli aveva dato il suo numero? -
Momoi sgranò gli occhi e le afferrò la manica della giacca, strattonandola appena.
«Che aspetti, Riko-chan?! Rispondi!»
«Eh-? Sì, sì! Adesso rispondo!» cercò di mantenere la voce più ferma possibile e una stretta salda sul cellulare, diventato improvvisamente scivoloso - probabilmente perché a causa di quella chiamata aveva cominciato a sudare freddo -.
Dopo aver scambiato una fugace occhiata con l'altra, Aida prese una grande boccata d'aria e rispose con un verso molto simile ad un rantolio che la fece immediatamente sprofondare nell'imbarazzo.
«Mi auguro di non averti disturbato, Aida-san.»
Riko trattenne il fiato ed esitò per qualche istante, negando con un lieve cenno del capo e riprendendo a parlare soltanto quando Momoi le strattonò la manica della giacca.
«No, certo che no!»
«Bene.»
Aida si sentì attraversare da un brivido: Akashi doveva star sorridendo.
«Ho una proposta.»


«Hai avuto davvero una bella idea, Akashi-kun.» Aida esitò appena, non tanto per ciò che aveva detto - visto che lo pensava sul serio -, ma piuttosto perché non aveva la minima idea di quale fosse il modo migliore per rompere il ghiaccio con Akashi.
«Si può sapere cos'hai intenzione di fare?» Nijimura, alle loro spalle, intervenne con voce molto più ferma, e Riko, che aveva già inteso tutto - anche il suo destino -, si sporse leggermente, in attesa che l'altro rispondesse.
«Non è ovvio, Shuuzou? Voglio insegnarvi ad andare a cavallo.»
La risata nervosa e sommessa di Aida richiamò immediatamente l'attenzione di Akashi, che restò ad osservarla in silenzio, in attesa che dicesse qualcosa.
«Dobbiamo farlo anche io e Momoi?»
«Sarebbe divertente!»
Riko rivolse un'occhiataccia all'altra e ringhiò sommessamente, mentre Akashi accennò un piccolo sorriso.
«Non vedo perché escludervi.»
Aida strinse i denti, al contrario di Momoi che, entusiasta, batté le mani e sorrise.
«Posso avere un pony?!»
«Niente pony, i vostri cavalli sono già pronti. Anche il tuo, Aida-san.»
Riko si sentì punta nel vivo e rabbrividì appena: non che avesse paura dei cavalli, dopotutto, essendo cresciuta in una grande città fortemente tecnologica come Tokyo, aveva avuto occasione di vederli dal vivo pochissime volte e che ricordasse non era neppure mai riuscita a toccarli, ma la presenza di Akashi le stava incutendo un certo timore.
Quando i quattro raggiunsero gli altri, Akashi diede qualche rapida direttiva per indicare ad ognuno quale fosse il suo cavallo, soffermandosi per qualche istante su assenze - Kuroko e Kagami - e su presenze poco gradite - Himuro e Takao -.
«Shuu?»
Gli occhi di Akashi guizzarono immediatamente sulla figura di Himuro, e a Midorima, che aveva notato il movimento repentino, sembrò che le sue pupille fossero attorniate dalle fiamme; Nijimura, dal canto suo, distolse l'attenzione dal suo cavallo e cercò il volto a cui apparteneva quella voce.
«Tatsuya?»
Gli occhi di Akashi guizzarono ancora più rapidi sulla figura di Nijimura, letteralmente iniettati di sangue, tanto che anche Takao doveva averlo notato e aveva cominciato a stuzzicare Midorima con qualche leggera gomitata.
«Sei davvero tu?»
«Muro-chin conosce Niji-chin?»
«È piccolo il mondo.» Himuro sorrise e Akashi pensò che, sì, era fin troppo piccolo il mondo, tanto piccolo che il caso, fortunatamente, aveva decretato anche la sua presenza in quel luogo - presenza che stava passando inosservata, soprattutto agli occhi di Nijimura -.
«Ti dispiace, Himuro? Rimandiamo i saluti a più tardi.» Akashi troncò di netto la conversazione, tornando a rivolgergli il proprio sguardo.
«Ehi Akashi, si può sapere cosa ce ne dobbiamo fare di questi cosi?» e ringraziò mentalmente Aomine per aver posto la domanda più inutile della storia.
«Immagino che nessuno di voi abbia mai avuto a che fare con un cavallo.» Seijuurou ignorò la domanda di Daiki e procedette, socchiudendo l'occhio destro a causa della leggera pressione esercitata dal muso del suo cavallo sulla spalla.
«Si può sapere cos'ha?»
«Yukimaru è contento di vedermi.» Akashi accennò un sorriso e accarezzò il muso del cavallo, che nitrì sommessamente e si avvicinò un poco di più a lui: erano cresciuti insieme, erano sempre stati amici, quindi era logico che avessero sentito la mancanza l'uno dell'altro e fossero felici di essersi finalmente rincontrati - un po' come Himuro e Shuu, a quanto pareva -.
Seijuurou si schiarì appena la voce e tornò a rivolgersi a loro «quindi vi insegnerò come ...» ma le parole gli morirono in gola, soffocate dall'interesse che gli suscitò la visione di Kise già in sella.
«Dovevo aspettarmelo da te, Ryouta.» era probabile che qualche minuto prima avesse osservato un fantino e memorizzato tutti i suoi movimenti: dopotutto lui aveva l'imitazione dalla sua parte.
«Eh?» come se avesse cominciato ad ascoltare Akashi solo in quel momento, Kise aggrottò la fronte e si indicò con l'indice «ah, sì! L'ho già fatto un paio di volte in Inghilterra!» poi sorrise.
«Sul serio, Ki-chan?!» come se vestisse i panni della sua più grande ammiratrice, Momoi si affiancò al suo cavallo e sollevò leggermente il viso, trattenendo il respiro e osservandolo con occhi sognanti: cavalcare doveva essere una bella esperienza - anche se Akashi non le aveva permesso di prendere un pony -.
«Akashi-kun, insegnaci!»
Momoi si ritrovò gli occhi di Aida e Aomine puntati addosso, ma prima che quest'ultimo potesse dire qualcosa, Akashi lo precedette.
«Bene: io e Ryouta vi spiegheremo come si fa.»


Quando Takao si voltò verso di lui e notò la postura rigida, gli occhi immobili e le labbra serrate in una smorfia, trattenne una risata di scherno: Midorima non doveva sentirsi per niente a suo agio sul cavallo, al contrario di tutti gli altri, visto che perfino Aida sembrava aver superato la paura di quella novità.
Il cavallo di Takao nitrì sommessamente e avvicinò il muso a quello di Midorima che, reticente, ruotò il capo dall'altra parte, sfuggendo allo sguardo dell'altro.
«Shin-chan, il tuo cavallo ti somiglia!»
Midorima aggrottò appena la fronte e rivolse una rapida occhiata a Takao, poi guardò il suo cavallo e anche lui ruotò il capo, sfuggendo allo sguardo dell'altro.
«Ma che dici?»
«E non essere così rigido! Rilassati!»
«Takao, taci.»
Lo scalpiccio sommesso e regolare provocato dal cavallo di Akashi attirò l'attenzione di Shintarou, tanto che il suo sguardo si soffermò, quasi incantato, sull'andatura elegante dell'animale, sul lungo e liscio crine bianco e sul portamento fiero ed elegante. Una volta Seijuurou gli aveva detto che si trattava di un andaluso e gli aveva mostrato delle foto, ma vederlo dal vivo era tutta un'altra cosa: la somiglianza con il suo proprietario non era più solo un sospetto, ma una certezza.
«Ora voglio che vi dividiate in gruppi da due.» Akashi parlò e Aida si sentì per un momento sottratta dal suo incarico.
«Consegnerò una mappa ad ogni coppia.»
«Di cosa si tratta?» Kise si sporse appena, curioso di scoprire che cosa avesse in mente Akashi.
«Ho chiesto ai proprietari del maneggio di organizzare una piccola caccia al tesoro.» Akashi consegnò una mappa a Kise, una ad Aida, un'altra a Murasakibara e un'altra ancora a Midorima.
«Vedete i punti azzurri? Quelli sono i tesori, mentre il punto arancione è quello da raggiungere una volta che li avrete presi tutti o avrete deciso di arrendervi.»
«Sembra carino!» Kise esordì con un sorriso e Aomine, dell'idea completamente opposta, alzò gli occhi al cielo e sospirò esasperato.
«Ho fatto in modo che fossero loro ad occuparsene, così potremo partecipare anche io e Shuuzou.»
«Ah, fantastico.» Daiki brontolò sommessamente, ma Seijuurou non vi badò e riprese a parlare.
«Avete tutti le zollette di zucchero? Sono di grande aiuto quando si è alle prime armi con un cavallo.»
«Aka-chin, io le ho finite.»
Akashi inarcò leggermente le sopracciglia, esterrefatto da quelle parole ingenue e tranquille.
«Atsushi, quelle erano per il cavallo, non per te.»


Murasakibara mugugnò indispettito e abbassò la testa, cercando di scacciare i rami più bassi con un rapido movimento della mano.
«Dobbiamo farlo davvero?» l'idea di quel gioco non lo allettava per niente, soprattutto dopo che Akashi aveva specificato che il “tesoro” era composto da tante piccole spille da portare al punto arancione e non da dolcetti come aveva sperato lui.
«È un'occasione per passare un po' di tempo insieme ed esplorare il posto, non credi?» al contrario di Murasakibara, Himuro era completamente a suo agio in sella al proprio cavallo, soprattutto perché la sua altezza non era spropositata come quella dell'altro e quindi la sua testa non veniva continuamente colpita dai rametti rinsecchiti che facevano da base a quelli più verdeggianti.
«Io ho fame.»
Sovrappensiero, Himuro ignorò il brontolio dell'altro e restò ad osservare solo per qualche istante la lunga coda nera del suo cavallo che oscillava lentamente. Troppo lentamente.
Voleva davvero passare un po' di tempo con Murasakibara ed esplorare il posto, vincere la caccia al tesoro non era una priorità irrinunciabile, eppure aveva la sensazione che Akashi avesse scelto per loro i cavalli più lenti - e di certo non si trattava di un caso -.
«Muro-chin, non sapevo che conoscessi Niji-chin.»
Lo sguardo di Tatsuya guizzò e si soffermò sui capelli di Atsushi, che per altro ondeggiavano con la stessa lentezza della coda del suo cavallo: era troppo loquace e non sapeva spiegarsi se la causa fosse la fame o, molto più probabilmente, la curiosità di scoprire come mai conoscesse Nijimura.
«Ci siamo incontrati in America, ma è una storia lunga.» non così tanto lunga, in verità, ma il tono basso di Murasakibara non gli piaceva.
«Aka-chin non sembrava molto contento.»
«Non lo hai notato, Atsushi? Io, Takao e Taiga non gli stiamo molto simpatici.»
Murasakibara rimase in silenzio per qualche istante e annuì appena, afferrando un rametto fra le dita e spezzandolo.
«Non gli piacciono particolarmente le persone estranee alla Generazione dei Miracoli che vogliono entrare a farne parte.»
Himuro fece per controbattere, ma sarebbe stato inutile dire a Murasakibara che lui non era una di quelle persone: lui voleva entrare a far parte della Generazione dei Miracoli, lo aveva sempre voluto, ancor di più da quando Kagami si era avvicinato così tanto a tutti loro.
«Un momento ...» Tatsuya aggrottò la fronte confuso: lui che cosa sapeva di Nijimura? Si erano dati un nomignolo per simpatia, certo, ma non avevano passato insieme più di un pomeriggio, Shuuzou gli aveva raccontato che si trovava a Los Angeles a causa del padre malato, lo aveva aiutato ad acchiappare una banda di teppisti e poi avevano giocato a pallacanestro, ma per il resto non sapeva da quale città giapponese provenisse, quale scuola avesse frequentato e, soprattutto, di quale squadra di basket avesse fatto parte.
«Atsushi?»
Murasakibara tirò goffamente le redini del cavallo che, dopo aver battuto a terra gli zoccoli un paio di volte, si fermò.
«Sì?»
«Shuu …»
Murasakibara si voltò a guardarlo e anche Himuro fermò il proprio cavallo, forzando un sorriso.
«Nijimura non è una di quelle persone che tenta di far parte della Generazione dei Miracoli, vero?»
Murasakibara rimase in silenzio per qualche istante e inspirò appena, tornò ad osservare il sentiero sterrato di fronte a sé e tese nuovamente le redini del cavallo, cercando di colpirlo al fianco con quanta più delicatezza possibile - Akashi gli aveva detto di fare attenzione almeno cinque o sei volte prima di congedarsi -.
«Niji-chin non ne ha bisogno: ne fa già parte.»
Nonostante quelle parole fossero semplicemente una conferma ai suoi sospetti, Himuro non riuscì immediatamente a capacitarsi della cosa e boccheggiò, riuscendo a riprendere fiato soltanto quando l'altro tornò a parlare.
«È lui che al Teikou ha lasciato ad Aka-chin il posto di capitano.»
Tatsuya non poté credere alle sue orecchie: davvero lui, quattro anni prima in America, aveva incontrato l'ex capitano della Generazione dei Miracoli?
«Muro-chin, cosa c'è?»
Himuro ignorò il richiamo di Murasakibara e si lasciò avvolgere da una sensazione calda e confortevole, una nuova speranza che dal petto sembrava confluire fino agli arti e farlo sentire pronto e preparato per ogni sfida: Nijimura gli aveva detto che gli piaceva il suo stile di gioco, si erano promessi che avrebbero fatto un'altra partita se si fossero rincontrati, lui faceva parte della Generazione dei Miracoli e, come se non fosse bastato, era quello più vicino ad Akashi, quello che avrebbe potuto eliminare almeno in parte la sua inflessibilità e renderlo più tollerante nei suoi confronti. Nijimura era il suo biglietto di ingresso nella Hall of Fame.


«Cos'altro hai fatto in Inghilterra che io non so?»
Kise aggrottò la fronte in un'espressione corrucciata e tese le redini in modo che il suo cavallo rallentasse, poi diede un'occhiata oltre la propria spalla destra e si soffermò per un istante sulla smorfia indispettita che campeggiava sul volto di Aomine.
Le labbra di Ryouta ebbero un fremito: perché era arrabbiato? Era così offensivo il fatto che lui fosse già stato al maneggio?
«Non credo che all'epoca ti interessasse sapere cosa facevo in Inghilterra.» rispose con calma, senza smettere di guardarlo e arrestando definitivamente la marcia del cavallo che, in segno di protesta, nitrì rumorosamente.
«Adesso potrebbe interessarmi ...» Aomine borbottò, assottigliando lo sguardo e sfiatando sommessamente; Kise, dal canto suo, accennò un sorriso intenerito.
«Aominecchi è geloso!» cinguettò vagamente divertito, e Aomine gli strepitò immediatamente contro.
«Io non sono geloso, idiota!»
Kise ampliò il sorriso e riprese a parlare quando il cavallo di Aomine, contro il volere di quest'ultimo, si fermò di fianco al suo.
«Aominecchi, vado in Inghilterra sì e no due settimane l'anno.»
Aomine rimase in silenzio e continuò a guardarlo con una certa diffidenza.
«E poi lo sai che ho perso la verginità con te.»
«Kise!» almeno finché l'imbarazzo non investì e soffocò la gelosia.
«Che c'è? Pensi che mi possa aver sentito qualcuno oltre i nostri cavalli?»
Aomine fece per controbattere, ma si limitò a sbuffare sommessamente, ancora imbarazzato a causa di quell'intervento inaspettato.
«Te la sei cercata, Aominecchi.» Kise lasciò le redini e si voltò verso di lui, sporgendosi appena e afferrandogli il viso fra le mani.
«O-ohi, che fai?» Aomine borbottò, cercando di sfuggire alla sua presa, ma Kise non lo lasciò e gli stampò un bacio sulle labbra, poi un altro ancora, finché l'altro non si decise a ricambiare e ad approfondire il contatto.
Il primo ad aver cominciato fu anche il primo ad estraniarsi da quel contatto, afferrando nuovamente le redini senza, tuttavia, staccare il proprio sguardo da quello dell'altro.
«Sai Aominecchi, stavo pensando che la caccia al tesoro potrebbe aspettare.»
Aomine drizzò il capo e rimase in ascolto, guardandosi intorno solo per qualche istante: possibile che quel bacio avesse risvegliato in Kise talmente tanta voglia di fare sesso da fargli perfino abbandonare l'idea della caccia al tesoro? Davvero voleva farlo lì? Da quanto si ricordava Kise non si era mai trovato a suo agio immerso nella natura, soprattutto se la terra e l'erba erano umide e quindi pullulavano di quelle creaturine invertebrate a cui, molto probabilmente, avrebbe preferito un leone affamato, ma a quanto pareva gli ormoni facevano miracoli.
«Facciamo una gara!» Kise indicò davanti a loro e Aomine si sentì improvvisamente molto stupido, oltre che profondamente imbarazzato.
Kise sembrò accorgersi che qualcosa non andava, ma Aomine riuscì a parlare ancor prima che gli chiedesse quale fosse il problema.
«Una gara?» anche quella era una proposta interessante, e il sorrisino sornione di Kise rendeva quasi impossibile rifiutare.
«Vediamo se riesci a battermi, magari hai la fortuna del principiante dalla tua parte.»
Aomine ghignò divertito e tese appena le redini, rivolgendo il proprio sguardo davanti a sé.
«Non fare troppo il gradasso, Kise. E vedi di non perderti durante il tragitto.»
Ryouta ampliò il sorriso e gli rivolse un'occhiata silenziosa, poi indirizzò il proprio sguardo di fronte a sé e tese le redini, pronto alla sfida.


«Shin-chan, siamo a due! Fermiamoci un momento a riposare!»
Midorima inforcò gli occhiali e gli rivolse un'occhiata piena di disappunto.
«Takao, non possiamo riposarci ogni volta che arriviamo ad un punto azzurro.» Midorima fece una piccola pausa, per poi schiarirsi la voce e riprendere «e poi voglio battere Akashi.»
«Shin-chan, è una bella giornata, dovresti pensare a distrarti un po'.» Takao arrestò il cavallo e Midorima, che aveva acquisito decisamente più sicurezza, continuò per ancora un paio di metri, come a volerlo avvertire che sarebbe andato avanti anche senza di lui.
Midorima diede un'occhiata oltre la sua spalla e restò ad osservare Takao che, testardo come un mulo, era addirittura sceso da cavallo e se ne stava immobile ad un paio di metri da lui.
Kazunari aveva ragione: era una bella giornata e non faceva neppure molto freddo. Era meraviglioso che fosse proprio Takao, che si trascinava ancora dietro la sofferenza della perdita, a dire a lui, che aveva come unico tormento qualche ora di studio intensivo, di godersi ciò che gli veniva offerto, di smetterla di correre e osservare con più attenzione ciò che gli stava intorno.
Midorima sospirò sommessamente e dopo qualche difficoltà riuscì a condurre il cavallo fino a Takao.
«Hai in mente qualcosa in particolare?»
Takao sollevò il viso e sfoderò un sorriso, ma non disse nulla e si avvicinò al cavallo di Midorima, infilando il piede sinistro nella staffa e adagiando entrambe le mani sul posteriore dell'animale.
«Takao, che diavolo fai?»
«Salgo su!»
«Cosa?! Guarda che così ti ammazzi, idiota!»
«Ma cosa dici, Shin-chan? Faccio due saltelli con il piede destro e poi salgo su!» ripeté a pappagallo uno dei passaggi spiegati da Akashi poco prima e saltellò sul piede destro, poi si sollevò, ma la spinta non bastò e perse l'equilibrio.
«Takao!»
Il tonfo di Takao spaventò il suo cavallo, che nitrì rumorosamente e si alzò sulle zampe posteriori, per poi scattare in avanti e correre via.
«A-ahia … la schiena–» Takao restò steso sulla schiena e mosse i piedi solo per qualche istante.
«Sei davvero un idiota!» Midorima, dal canto suo, scese in fretta da cavallo e si chinò per controllare che fosse tutto a posto, cosa che gli venne confermata dalla fragorosa risata di Takao.
«Che hai da ridere?! Ti faceva male la schiena fino a due secondi fa!»
«Mi fa ancora male ...» Takao lo guardò e gli sorrise «ma è divertente vederti così arrabbiato soltanto perché sei preoccupato per me.»
«Non dire idiozie.» Midorima sbottò e rivolse lo sguardo altrove, arrossendo appena, ma Takao continuò a guardarlo e ampliò il sorriso, per poi circondargli il collo con le braccia e trascinarlo verso il basso, un poco più vicino a lui.
Midorima si lasciò trascinare, ma prima diede una rapida occhiata davanti a sé, nella speranza che il cavallo di Takao fosse ancora nei paraggi, poi, trovando il sentiero vuoto e silenzioso, si decise a rimandare la ricerca dell'animale a più tardi e lasciò scivolare le dita fra i capelli dell'altro, ricambiando la stretta senza dire una parola.


«Momoi, sei sicura che sia una buona idea?» il tono di Riko tremò vagamente e fu a malapena udibile a causa dello sciabordio del fiume.
«Ma certo! Se attraversiamo il fiume al posto di fare il giro largo arriveremo molto prima.»
«Sì, ma se la corrente …?»
«Andrà tutto bene, fidati del mio sesto senso femminile!» Momoi esordì con un sorriso e Riko strinse i denti, indecisa sul da farsi: si parlava di guadare un fiume a cavallo e, soprattutto, le toccava fidarsi dell'altra.
«Momoi?» Riko restò ad osservare le zampe anteriori del cavallo di Momoi già immerse almeno per un quarto nell'acqua e la chiamò «sei sicura che non ci sia un ponte?»
Momoi diede un'altra rapida occhiata alla mappa e la ripiegò per l'ennesima volta «direi di sì, sulla cartina non c'è nessun ponte.»
Aida pensò all'eventualità che fosse una cartina su cui non erano stati segnati i ponti, ma non disse altro e si limitò a catturare una grossa boccata d'aria, trattenendo il respiro per qualche istante: aveva scelta? No, ormai il cavallo di Momoi era arrivato ad immergere nell'acqua anche le zampe posteriori e il suo aveva cominciato a muoversi.
Doveva ammettere che si trattava di un luogo molto suggestivo, un frammento di Paradiso di felci e arbusti color verde smeraldo che si rifletteva su uno specchio d'acqua cristallina, oltre la cui superficie si vedeva il fondale di pietre tonde, grigie e nere; l'unica pecca era il sottile strato di fango lungo il margine del fiume e le chiazze sulle rocce più grandi, che a tratti parevano sorte di isolotti di pietra nel bel mezzo del fiume.
Il cavallo di Aida raggiunse molto presto quello di Momoi, che pareva profondamente affascinata da quell'esperienza, assorta ad osservare l'acqua del fiume scorrere impetuosa, trasportando a valle quale foglia o qualche ramoscello secco.
Un suono rapido e vagamente roco mise in guardia entrambe, in particolare Aida, mentre Momoi guidò il cavallo proprio nel punto da cui credeva fosse provenuto.
«Meglio se ci sbrighiamo.» Aida intervenne e ne approfittò per far avanzare il proprio cavallo.
«Riko-chan, sta tranquilla, cosa ci potrà mai essere di cos—» la voce di Momoi venne nuovamente sormontata da quel suono, e siccome le era sembrato così vicino le venne spontaneo voltarsi alla sua destra e dare un'occhiata ad una delle rocce che trafiggevano la superficie del fiume.
Quando la minuscola ranocchia gracidò di nuovo e si tuffò dal piccolo scoglio, piombando in acqua con un tonfo sordo, Satsuki cacciò un urlo e scivolò da cavallo, facendo molto più baccano del povero anfibio che, senza fare nulla, era riuscito a spaventarla a morte.
Aida cercò di capire cosa fosse successo, sia estremamente sorpresa sia terribilmente divertita da quella scena inaspettata, poi si sporse da cavallo e Momoi riemerse, scostandosi i capelli zuppi dal viso.
«Va tutto bene?»
«M-meglio se torniamo indietro ...»
Riko non riuscì a capire se le gocce al lato degli occhi fossero lacrime o semplicemente acqua, ma a giudicare dalla voce tremante era probabile che le venisse da piangere, quindi si limitò ad annuire e tornarono indietro.
«Non avevo considerato le rane.» Momoi brontolò e si levò la giacca, cercando di strizzare alla bene e meglio la maglietta bianca; Aida, dal canto suo, rimase per qualche istante ad osservare il seno tondo dell'altra ben visibile - almeno in parte, visto che indossava il reggiseno - oltre il tessuto bagnato, quasi incollato alla pelle.
«Ti ...» quando Momoi incrociò le braccia al petto, Aida scosse appena il capo e distolse lo sguardo «ti fanno paura?»
Satsuki sbuffò appena e gonfiò leggermente le guance «colpa di Dai-chan.»
Aida rimase a guardarla ancora per qualche istante, poi si levò la giacca e gliela gettò addosso con decisamente poca delicatezza.
«Togliti la maglia e mettiti la mia giacca, ti terrà caldo.» si voltò per lasciarle il tempo di cambiarsi: dopotutto vederla zuppa dalla testa ai piedi, con la maglietta bagnata ben aderente alle forme del corpo, le aveva fatto uno strano effetto e non voleva rischiare ancora.


Arrivato al promontorio, lì dove gli alberi lasciavano posto agli arbusti e quindi la visuale non era turbata, Akashi si fermò ad osservare il paesaggio: c'erano colline tondeggianti completamente scure e spoglie alternate ad altre, verdi e vitali, una corona di mare blu e stracci di nubi bianche e cinerine immerse nel tenue azzurro di un freddo cielo invernale.
Era proprio come lo ricordava, proprio come lo aveva dipinto sua madre.
Era lei a portarlo al maneggio, le piaceva andare a cavallo e così facevano lunghe passeggiate insieme, spesso giungendo in posti suggestivi che lei ritraeva durante le pause, proprio come aveva fatto con il promontorio.
Aveva talento sia nel ritrarre che nel dipingere, giocava meravigliosamente con i colori, era l'artista sognatrice che completava in tutto e per tutto il razionale e autoritario signor Akashi.
«Mi piace questo cavallo.» Nijimura fece capolino dalla boscaglia e lo raggiunse, e Akashi abbandonò a malincuore la contemplazione del paesaggio, ritrovando la pace non appena si fu voltato verso di lui.
«Lo so, li ho selezionati apposta per voi.» accennò un sorriso «e comunque è una femmina: è la fidanzata di Yukimaru.»
Come se avesse capito, Yukimaru nitrì sommessamente e affondò il muso nella criniera scura della fidanzata, mentre Nijimura protese le labbra in una smorfia di disappunto.
«Akashi, non avrai scelto lei soltanto perché è la fidanzata di Yukimaru, vero?»
Seijuurou lo guardò ancora per qualche istante e continuò a sorridere, poi tornò ad ammirare il paesaggio freddo e silenzioso e dopo qualche attimo di esitazione affondò le mani nella bisaccia appesa al fianco destro di Yukimaru.
Nijimura restò a guardarlo mentre si rigirava fra le mani la penna estratta dalla bisaccia, poi diede una rapida occhiata all'orizzonte e l'impressione di aver già visto quel paesaggio lo investì in pieno.
Shuuzou ebbe qualche istante di esitazione nel quale fece vagare lo sguardo dal paesaggio ad Akashi e viceversa, finché il sospetto di aver già scorto la morbidezza di quelle colline e la delicatezza di quell'azzurro chiarissimo in uno dei disegni di sua madre non si trasformò in certezza.
Akashi si stava ancora rigirando la penna fra le mani, e Nijimura si chiese se non avesse intenzione di ritrarre il paesaggio, così diede una rapida occhiata nella propria bisaccia, poi nelle tasche dei pantaloni e infine in quelle della giacca.
«Ehi, non posso darti niente di meglio.» cercò di stendere alla bene e meglio il foglio spiegazzato che aveva trovato nella tasca sinistra della giacca e glielo porse, e Akashi, dal canto suo, lo afferrò e gli sorrise.
«Credo proprio che lascerò a qualcun altro la possibilità di vincere.» Akashi scese da cavallo e Nijimura fece lo stesso, anche se incontrando qualche difficoltà.
«Avevo portato un asciugamano per fare una pausa dopo la vittoria.» aprì nuovamente la bisaccia e lo estrasse, stendendolo a terra con un movimento rapido e deciso.
«I cavalli?»
«Yukimaru e Masami sono ubbidienti, non scapperanno.» Akashi fu il primo a prendere posto sull'asciugamano, piegò entrambe le gambe e fece aderire il foglio al ginocchio, cominciando a disegnare soltanto quando Nijimura si affiancò a lui.
Restarono entrambi in silenzio a lungo, lo sguardo di Nijimura abbandonò la contemplazione del paesaggio reale per osservare attentamente quello che Akashi stava ricreando sul foglio, con tratti precisi e delicati, movimenti così rapidi che lo facevano sembrare un esperto.
Pur avendo soltanto una penna blu ed un foglio di carta stropicciato, Akashi se la stava cavando meravigliosamente, riusciva a rendere alla perfezione le forme, le luci e le ombre e di conseguenza la prospettiva. Seijuurou stesso era consapevole di star facendo un buon lavoro, ed era felice che sua madre gli avesse trasmesso almeno in parte l'amore per l'arte, per i boschi, il mare, per gli animali e per tutto ciò che il mondo reale - e non quello creato dagli uomini - poteva offrire: era come se una parte di lei vivesse ancora in lui, poteva sentire la sua voce sussurrare e mescolarsi al delicato e continuo scorrere della punta della penna sulla carta, poteva ritrarre il mare che abbracciava le montagne e ricordare il calore materno delle sue braccia gentili attorno al suo corpo.
Nei momenti più belli, quando qualcosa di meraviglioso lo estasiava, Akashi non poteva fare a meno di rimpiangere la scomparsa di sua madre e sentirne la mancanza, e Nijimura lo sapeva, così attendeva in silenzio che la traccia di malinconia scomparisse dai suoi occhi e in quel momento, in particolare, aspettò che finisse di disegnare e rivolgesse un sorriso soddisfatto all'orizzonte, poi gli afferrò il mento fra le dita e lo baciò.


«Abbiamo trovato questo, dovresti stare più attento.»
«Il mio cavallo!» nell'esatto istante in cui Takao afferrò le redini, Akashi le lasciò, per poi avvicinarsi a Midorima, Kise, Aomine e Aida.
«Spiacenti per il ritardo. Allora, chi ha vinto?»
«Emh … Akashicchi, vedi ...» l'esitazione di Kise, la risata nervosa di Aida e lo sbuffo di Midorima lo misero immediatamente in guardia, ma la sua attenzione fu attirata quasi immediatamente dal continuo tremolio di Momoi.
«Momoi-san, va tutto bene?»
«S-sì-» Momoi si affrettò a rispondere con voce tremante «sono solo bagnata.»
Seijuurou la guardò ancora per qualche istante, poi scorse il resto dei presenti con una rapida occhiata ed infine incontrò lo sguardo di Nijimura: dopotutto anche loro due avevano deciso di lasciare da parte la caccia al tesoro per fare qualcos'altro, quindi non era nella condizione di poter rimproverare le altre tre coppie che gli stavano davanti.
Takao aveva perso il cavallo, Momoi - a giudicare dal fatto che fosse bagnata fradicia dalla testa ai piedi - doveva essere caduta in un fiume, ma Kise e Aomine che cosa avevano fatto, di preciso? Akashi schiuse le labbra, deciso a metterli alle strette per cercare di capire se i suoi sospetti fossero corretti, ma una voce alle sue spalle si sovrappose e trionfò sulla sua.
«Scusateci per il ritardo.» Himuro accennò un sorriso e scese da cavallo, prendendo posto fra Kise e Momoi.
«Non importa, immagino che anche voi abbiate ignorato completamente la caccia al tesoro.» Seijuurou parlò con calma, senza degnarlo neppure di uno sguardo.
«A dire il vero le abbiamo recuperate tutte.» Himuro estrasse dalla tasca della giacca sette piccole spille azzurre e gliele mostrò, e Akashi gli rivolse un'occhiata imperturbabile ma decisamente aggressiva ed eloquente.
«Molto bene, bravi.» mantenne un tono calmo e fermo, poi rivolse un'occhiata silenziosa a Murasakibara che, ancora in sella al proprio cavallo, ricambiò il suo sguardo.
«Quando arriveremo alla struttura cercherò di farmi dare dei vestiti per te, Momoi-san. Ora torniamo indietro.»
«Grazie mille, Akashi-kun.» Momoi batté i denti e salì sul cavallo con l'aiuto di Kise e, dopo che anche Takao ed Aomine - che furono quelli ad incontrare maggiori difficoltà - riuscirono a mettersi in sella, cominciarono a muoversi.
Murasakibara lasciò passare avanti il gruppo e Akashi aspettò che si fossero allontanati tutti prima di avvicinarsi a lui.
«Atsushi, assicurati che il tuo ragazzo non dia fastidio a Shuuzou.» sussurrò, senza smettere di guardarlo.
«Va bene, Aka-chin.» e Murasakibara, dal canto suo, rispose con un piccolo cenno del capo.


Nijimura abbandonò la lettura della rivista e sbirciò Akashi, le gambe nude scivolare sotto le coperte, il busto aderire e sprofondare appena al centro del grosso cuscino.
Akashi rimase in silenzio e afferrò il libro posto sul comodino, lo aprì lì dove c'era il segnalibro ma attese qualche istante prima di cominciare a leggere, voltando il capo in direzione dell'altro.
«Shuu
Le dita di Nijimura arpionarono la rivista, il corpo si irrigidì all'improvviso e il respiro mancò, affondò il canino nel labbro inferiore e lo guardò, boccheggiando appena.
«Akashi, posso spiegarti.»


Su fogli di carta si gettano ombre e si dipingono stelle: l'anima piange il ricordo straziato dell'infanzia.




Licenza Creative Commons
Quest'opera è distribuita con Licenza Creative Commons Attribuzione - Non commerciale - Non opere derivate 2.5 Italia.




L'angolino invisibile dell'autrice:

Lo ammetto: questo capitolo era pronto da pubblicare già il 23 dicembre, ma siccome mi piace fare le sorprese ai miei lettori ho deciso di pubblicarlo oggi (consideratelo il mio piccolo regalino sotto il vostro albero di Natale!)
Ebbene sì, prima di tutto: buon Natale!
Come potete vedere ho optato per un capitolo leggero e piuttosto demenziale (con qualche frammento di serietà che, a parer mio, non guasta mai), ma questa volta non usufruirò di questo spazietto per parlare di ciò che ho scritto (a parte qualche piccolo appunto che sono costretta a fare, ovvero: la “storia” di Nijimura e Himuro non è inventata da me, bensì la si può trovare nella Replace V; il nome del cavallo di Akashi è realmente Yukimaru, ma la razza - andaluso - l'ho scelta io; il fatto che la madre di Akashi amasse l'arte e fosse una brava ritrattista e pittrice è una mia headcanon personale).
Volevo ringraziarvi, tutti quanti.
Hall of Fame è nata lo scorso febbraio, all'epoca era una specie di embrione malformato (qua siamo alle metafore level Aomine Daiki, ok) e io non avevo uno straccio di idea, ma ho deciso di portala avanti perché alcune di voi mi avevano accolto fin da subito molto gentilmente e pensavo di poter trovare finalmente un posticino dove potessi stare bene, sentirmi soddisfatta di me stessa e conoscere persone nuove.
Sono felice di essere entrata nel fandom di Kuroko no Basket, ho conosciuto delle bellissime persone e un posticino confortevole l'ho trovato per davvero.
Visto che ritenete degne di lettura le mie storie vi amo a prescindere, ma mi sento di dire che siete meravigliosi soprattutto perché rispetto a molti altri fandom siete “umani”, cercate il contatto, siete curiosi, non avete paura di chiedere o di esprimere le vostre opinioni … volevo da tanto dei lettori così e sono davvero felice di averli trovati.
E adesso copio e incollo ciò che ho scritto nell'angolo autrice della OS a tema natalizio che ho pubblicato questa mattina (http://www.efpfanfic.net/viewstory.php?sid=2959435).
Oltre agli auguri di buon Natale vorrei lasciarvi un consiglio per l'anno nuovo (siccome è molto probabile che la prossima volta che pubblicherò saremo già nel 2015!)
Le ultime settimane sono state difficili per me e questa volta non sto parlando di università, ma di problemi di salute (non gravi, ora sto meglio, anche se dovrò fare ulteriori esami a febbraio) che mi hanno fatto sentire debole e completamente vulnerabile e sbalzi/negativi/di umore che mi hanno fatto perdere la concentrazione in qualsiasi cosa facessi.
Il mio pessimo umore, in particolare, era dovuto al fatto che mi fossi tenuta dentro per mesi cose che non ho avuto il coraggio di dire, quindi il mio consiglio per l'anno nuovo è proprio questo: non abbiate paura di parlare quando c'è qualcosa che non va; parlare è il primo passo verso la soluzione, e se la persona con cui avete dei problemi vi vuole bene vi ascolterà e vi capirà. Tenersi tutto dentro vi trasforma in una persona diversa da quella che conoscete e parlare è il rischio da correre per sistemare le cose (e se le cose si sistemano, credetemi, ne vale la pena).
Ancora buon Natale! (e spammo la pagina FB, ma sì: https://www.facebook.com/pages/Neu-Preussen-EFP/416393978469818?ref=hl)
Alla prossima!

Ritorna all'indice


Capitolo 32
*** Capitolo XXXI ***


Capitolo XXXI





Ci sono anime che si inseguono e si sostengono, basta che si prendano per mano perché la luce cominci ad ardere e bruciare.

Midorima sospirò e si stuzzicò la radice del naso con le dita, finendo col raddrizzare gli occhiali con un gesto nervoso ed impacciato, e Takao, che continuò ad osservarlo con attenzione, pensò di aver fatto un terribile errore trascinandolo al bar proprio quella mattina.
Nonostante si fosse procurato lo strumento fortunato del giorno appena messo piede fuori casa – per fortuna si trattava di un giornale, qualcosa di reperibile quasi ovunque – e il tempo a loro disposizione fosse ancora tanto, Midorima era evidentemente agitato, impaziente e allo stesso tempo tentato dalla prospettiva della fuga.
«Shin-chan, non faremo tardi.» Takao cercò di mostrargli l'orologio, ma lo sguardo di Midorima guizzò altrove e si soffermò sulla tazzina di caffè mezza vuota.
«Lo so, Takao.» brontolò e afferrò la tazzina, dando due ultime sorsate al caffè.
«E allora qual è il problema?» Kazunari tentò di incalzarlo, ma l'altro non rispose e si limitò a sfregarsi le tempie pulsanti con le dita, sospirando una seconda volta: assurdo che fosse più agitato in quel momento, consapevole che molto presto avrebbe avuto a che far con dei pazienti vivi, piuttosto che quando li vedeva morti – forse i morti gli facevano meno paura semplicemente perché non c'era possibilità che perdessero la vita per colpa sua e non avrebbero mai potuto lamentarsi di un punto cucito con disattenzione o dell'ago della flebo inserito male nella pelle. O forse stava diventando come Hanamiya? –.
«Guarda che andrà bene.» Takao parlò come se fosse la cosa più ovvia del mondo e addentò il cornetto, riprendendo quindi con un biascichio concitato «ti sei impegnato tanto, quindi niente andrà storto!»
Takao era sicuro che Midorima non avrebbe avuto problemi, e questo perché era preparato, intelligente, ma soprattutto perché si vedeva lontano un miglio che ciò che studiava e ciò che metteva in pratica lo appassionava profondamente.
«E poi non credo che il professore ti farà fare qualcosa di complicato, giusto?» continuò a parlare, al contrario di Midorima che sembrava aver perso la lingua «dopotutto per ora hai fatto soltanto qualche autopsia!»
«Non so ancora cosa voglio.» Shintarou borbottò sommessamente e Takao gli rivolse un'occhiata confusa.
«Cosa intendi dire? È dalla prima superiore che dici di voler studiare medicina ...»
«La medicina è divisa in tantissime branche, Takao, e io non ne ho ancora trovata una che mi appassioni più delle altre.»
Takao trasse un sospiro di sollievo e tornò a guardare davanti a sé: che Midorima le amasse tutte così tanto da non sapere quale scegliere andava più che bene, per un momento aveva temuto che stesse nutrendo qualche dubbio sul suo possibile futuro di dottore.
«E poi ci sarebbe il basket.»
Kazunari sussultò e tornò a guardarlo, ma Midorima lo ignorò e continuò ad osservare i bordi lisci e lucidi della tazzina.
Shintarou si sentì come accusare da quel silenzio decisamente atipico per Takao, così gli rivolse nuovamente la propria attenzione.
«Non sto dubitando del mio amore per la medicina, se è questo che ti stai chiedendo.» Midorima fece una pausa e inspirò appena «sto dubitando del futuro che potrei avere se scegliessi di continuare a giocare a basket.»
Takao boccheggiò, confuso e ormai indeciso se tifare per il basket o per la medicina.
«Voglio capire se sono disposto a lasciarlo andare, devo ricordarmi che se mai riuscirò a diventare dottore non potrò più giocare come una volta, devo ricordarmi che mi mancherà e che soffrirò, quindi devo sapere cosa amo di più, se il basket o la medicina.»
«Shin-chan ...» Takao mormorò, guardandolo alzarsi «non credevo avessi tutti questi dubbi.»
Non lo aveva mai creduto perché forse, fino a pochi giorni prima, Midorima non aveva mai dubitato; molto probabilmente l'interrogativo si era insinuato in lui da quando Akashi era tornato.
«Meglio andare adesso, altrimenti non saprò mai qual è la risposta.»
Takao si limitò ad annuire e si alzò immediatamente, affiancandosi a lui e dirigendosi a passo rapido verso l'uscita.
«Shin-chan?»
«Che c'è?»
«Qualunque cosa tu scelga andrà bene. Se sceglierai medicina giocheremo a basket ogni volta che sarai libero e ne avrai voglia, se sceglierai il basket … umh … simulerò delle malattie rare e ti lascerò sperimentare sul mio corpo!»
«Cosa stai …? Takao!»
«Eh? Ehi, che ho detto di male? Perché sei tutto rosso, Shin-chan? Cos'hai capito?!»
«Takao, smettila subito!»


All'ennesimo sospiro di Matsuda, Aomine alzò gli occhi al cielo e sbuffò rumorosamente, per poi rivolgergli un'occhiata nervosa.
«Matsuda, non puoi continuare a sospirare tutto il giorno soltanto perché Miya non ti degna di uno sguardo.» brontolò con voce annoiata e Matsuda rispose con un mugolio sommesso, rosicchiando l'ennesimo mikado.
«Mine-chin?» Murasakibara aveva appena varcato la soglia quando sorpassò il bancone e si approcciò a Matsuda, strappandogli dalle mani il pacchetto di mikado.
«Eh? Murasakibara-san!»
«Ma-chin, lo sai che non si mangia sul posto di lavoro: questi li confisco io.»
«Aomine-kun, digli qualcosa-!»
«Ah? Arrangiati, Matsuda.»
Murasakibara rivolse un'occhiata annoiata a Matsuda ed estrasse un mikado dal pacchetto, spezzandolo a metà con un morso e masticandolo rumorosamente.
«Mine-chin, dov'è Muro-chin?»
Aomine si guardò intorno per un istante, poi indicò la cucina con il pollice e Murasakibara sfiatò appena, assottigliando il proprio sguardo.
A dire il vero Daiki non aveva idea di dove fosse Himuro, ma visto che - a detta di Murasakibara - da quando c'era Kagami passava un po' troppo tempo in cucina era molto probabile che si trovasse lì.
Murasakibara si chiuse la porta della cucina alle spalle e Seiji si voltò per assicurarsi che fosse andato via, poi si chinò, aprì la cassa ed estrasse un secondo pacchetto di mikado.
«Mi dispiace per Murasakibara-san, ma—» Seiji si zittì non appena anche la seconda scatola di mikado gli venne strappata dalle mani.
«Grazie.»
«Aomine-kun!»
«Che c'è? Ho fame.»
Matsuda sospirò sommessamente e rivolse uno sguardo sconsolato al di là della vetrina, nella speranza di veder arrivare Kise - lui, di sicuro, lo avrebbe difeso -, ma sia la sua attenzione che quella di Aomine furono attirate dal cigolio della porta di cucina.
Himuro attraversò lo spazio vuoto lungo il bancone e prese posto accanto a loro, restando in silenzio; Aomine, dal canto suo, sospirò nervosamente e restituì il pacco di mikado a Matsuda.
«Che palle, mi è passata la fame.»
Doveva essere successo di nuovo.


Non ne poteva più di lavorare in quel modo, non ne poteva più di sentire Himuro e Murasakibara bisticciare a causa sua, e soltanto perché molto spesso Tatsuya si offriva di aiutare lui e Miya con la preparazione delle torte, rimediando alla negligenza e allo scarso interesse dell'ex asso della Yosen che, molto spesso, preferiva darla vinta alla sua pigrizia e lasciava il locale a qualsiasi ora del giorno e in qualsiasi momento, indipendentemente dal fatto che ci fosse bisogno o meno di lui.
Kagami sembrò quasi ringhiare e strinse con forza la mela; Murasakibara rispose con un brontolio e finì di lisciare il cioccolato plastico che ricopriva la base di una torta.
Che senso aveva lavorare se era già evidente che al momento di scegliere Murasakibara avrebbe fatto di tutto pur di escluderlo? Aoi era molto più efficiente di lui in cucina, forse era vero che non parlare le dava modo di lavorare meglio - già, perché in cucina aveva imposto la regola del silenzio, rendendo così un lavoro che avrebbe potuto appassionarlo una noia mortale -, ma le sue torte erano molto più belle e buone - almeno secondo i clienti -, eppure sentiva di non poter giocare la partita neppure ad armi pari, e questo soltanto perché ogni tanto scambiava qualche parola con Himuro e Murasakibara si lasciava andare in scenate di gelosia e passava tutto il pomeriggio a guardarlo in cagnesco.
Kagami sfiatò e affondò il coltello nella mela: voleva tornare a casa da Kuroko, forse in quel momento avrebbe perfino preferito portare Nigou a fare una passeggiata.
«Ahi! Merda!» Kagami gettò il coltello nel lavandino e digrignò i denti in una smorfia di dolore, premette sul taglio che gli segnava il palmo della mano e cercò di trattenere un insulto non appena Miya e Murasakibara gli rivolsero una rapida occhiata e tornarono al loro lavoro come se non fosse successo niente.
«Cerca di non sporcare le mie torte col tuo sangue.»
Kagami assottigliò lo sguardo e passò il polpastrello lungo il taglio, cercando di liberarlo dal sangue.
«Le tue torte? Guarda che le ho preparate io.»
«Eh?» Murasakibara non lo degnò di uno sguardo e cominciò a tagliare il pan di Spagna «guarda che il locale è mio.»
«Sappi che sarebbe già fallito se non ci fossimo io e Miya in cucina.»
Atsushi gli rivolse un'occhiata annoiata e si soffermò solo per un istante sul rivolo di sangue che dal palmo della mano era scivolato fino al dorso.
«Sciacquati e torna a lavorare.»


Daiki sobbalzò e distolse la propria attenzione dal ciglio della strada non appena la porta del locale sbatté con forza; si voltò senza fiatare e si soffermò sulla figura di Kagami, con le mani in tasca, la schiena leggermente ricurva e le labbra incrinate in una smorfia nervosa.
Kagami brontolò nervosamente a causa della ventata di gelo che gli colpì il viso e si affiancò all'altro, dando un'occhiata prima alla sua destra e poi alla sua sinistra.
Aomine lo sbirciò con la coda dell'occhio, per poi tornare ad osservare il ciglio della strada.
«Lì dentro è una noia mortale, vero?» non ne comprese il motivo, ma sentì l'esigenza di troncare quel silenzio imbarazzante.
«Già.» Kagami brontolò sommessamente, senza degnarlo di uno sguardo.
Avevano entrambi bisogno di solidarietà, l'ambiente era così noioso che ad Aomine era perfino passata la voglia di sabotare Kagami e a quest'ultimo di cucinare dolci.
«Sai cosa, Bakagami?»
«Mhn?»
«Dovremmo scommettere, giusto per non morire di noia.»
«Scommettere? Su cosa?»
«Scommetto che domani litigheranno di nuovo.»
Kagami aggrottò la fronte e sfiatò nervosamente, tornando a guardare alla sua sinistra.
«Guarda che non è divertente.» ad Aomine poteva sembrare così, forse perché a lui toccava semplicemente avere a che fare con un Himuro imbronciato, mentre Kagami era costretto a vederli litigare, subire per ore lo sguardo rabbioso di Murasakibara e sentirsi profondamente colpevole non appena incontrava quello spento e inespressivo di Tatsuya.
Aomine schioccò la lingua contro il palato e sospirò spazientito, ma una voce più che famigliare attirò la sua attenzione.
«Aominecchi! Kagamicchi!» Kise sventolò le braccia e accelerò il passo, raggiungendoli dopo qualche rapida falcata.
Kise si avvicinò ad Aomine e fece per prendergli il viso fra le mani, fermandosi non appena scorse il suo sguardo e quello di Kagami.
«Umh? Che facce!»
«Kagami-kun?»
«Ah?! Tetsu!» Aomine sobbalzò, colto alla sprovvista dalla voce di Tetsuya.
«K-Kuroko ...» Kagami mormorò e avvolse la mano ferita con le dita dell'altra, cercando di nascondere la fasciatura.
«È successo qualcosa?» Tetsuya seguì il rapido movimento delle sue mani, ma riuscì a vedere soltanto il dorso della destra.
«No, ma andiamo.» Taiga scattò subito in avanti, seguito dallo sguardo confuso di Kuroko, per poi riprendere a parlare «sto morendo di fame.»
Kise e Aomine restarono immobili per qualche istante e non appena gli altri due si furono allontanati di qualche passo la mano sinistra di Ryouta afferrò con delicatezza quella destra di Aomine.
«È successo qualcosa, Aominecchi?» Kise lo guardò, sussurrando preoccupato.
«Murasakibara e Himuro hanno litigato di nuovo, non credo che Kagami se la passi molto bene in cucina.» Aomine rispose con fare annoiato, osservando per un istante le dita di Kise strette attorno alla sua mano.
«E tu?»
«Una noia mortale come al solito, ma posso farcela.» Daiki intrecciò le dita a quelle dell'altro e gli rivolse la propria attenzione, accennando un sorriso in risposta a quello che gli rivolse Kise.
«Oh! Kagamicchi e Kurokocchi ci hanno lasciato indietro!»
Aomine guardò la strada vuota davanti a sé e sfiatò appena: l'idiota doveva avere davvero molta fame per correre in quel modo.


Tetsuya rimase in silenzio e tese la mano, aspettando pazientemente che Kagami se ne accorgesse e intrecciasse le dita alle sue.
Quello di tenersi per mano era un gesto abituale, ormai faceva parte della loro vita quotidiana da qualche mese e Tetsuya non aveva dovuto mai aspettare così tanto prima che le dita dell'altro si intrecciassero alle sue, perciò accelerò il passo per superarlo e scrutare il suo viso.
«Kagami-kun, sei arrabbiato?» non che domandare servisse a qualcosa: bastava guardarlo in faccia per capire quale fosse la risposta, teneva gli occhi fissi davanti a sé, le labbra incrinate in una smorfia amareggiata e camminava con passo decisamente troppo rapido.
Tetsuya schiuse nuovamente le labbra, ma non disse nulla: era probabile che Murasakibara lo avesse infastidito di nuovo, cercare di scavare a fondo in quella faccenda non lo avrebbe portato ad alcun risultato concreto, perché quei due si odiavano a morte ed era palese che quel sentimento sarebbe rimasto tale per sempre.
Kuroko inspirò appena e la mano si chiuse in un pugno, il braccio si abbatté contro il fianco in segno di resa, almeno finché non notò una garza bianca attorno alla mano sinistra di Kagami.
«Che ti sei fatto?» gli dispiaceva così tanto non essersene accorto subito che afferrò immediatamente - e con poca delicatezza - la mano dell'altro, avvicinandola al viso per osservarla meglio.
«A-ahi!» Kagami brontolò e ritirò immediatamente la mano.
Kuroko si fermò e restò con le mani a conca, prima osservando il vuoto lasciato da quella di Kagami, poi cercando i suoi occhi.
«Mi sono tagliato.» Taiga borbottò, distogliendo il proprio sguardo da quello dell'altro; Kuroko, dal canto suo, si avvicinò a lui e inclinò il viso di lato, osservando nuovamente la sua mano e la fasciatura, che peraltro aveva tutta l'aria di star cominciando ad allentarsi.
«Ti sei arrabbiato e ti sei tagliato?»
«Ho detto che mi sono tagliato ...» Kagami rispose con voce alterata, ma in cuor suo sapeva che Kuroko aveva ragione: si era tagliato perché la situazione lo aveva innervosito così tanto da fargli dimenticare che al di là della mela c'era la sua mano e che il coltello che stava utilizzando non era di plastica.
«Se non ci fosse Murasakibara sarebbe tutto molto più facile.»
Kuroko lo ascoltò senza dire una parola e si sistemò alla sua destra, gli porse la mano e non appena le dita di Kagami si intrecciarono alle sue si sentì improvvisamente più leggero.
«Se non ci fosse Murasakibara, tu non avresti questo lavoro.»
Kagami sfiatò e si strinse nelle spalle, riprendendo a camminare e rivolgendo di nuovo il proprio sguardo alla strada davanti a sé.
«Non lo avrò comunque, questo lavoro.» ringhiò, assottigliando lo sguardo e cercando di trattenere i numerosi insulti che all'improvviso sembravano essersi accavallati sulla punta della sua lingua «Murasakibara mi detesta e farà di tutto per convincere Tatsuya a scegliere Miya piuttosto che me.»
Le dita di Kuroko si strinsero un poco di più attorno a quelle di Kagami: non sapeva esattamente cosa dire, dopotutto Murasakibara era abbastanza capriccioso e infantile da poter decidere sul serio di cacciarlo via soltanto perché gli stava antipatico.
Kagami poteva semplicemente sperare che qualche complimento dei clienti o la determinazione di Himuro a farlo restare al locale lo salvassero, era ormai palese che su Murasakibara non si poteva contare.
«Kagami-kun, tu continua ad impegnarti.» l'unica cosa che poteva fare era puntare sulla sua bravura, sulla bontà e la bellezza della sua cucina - e qualora Murasakibara avesse deciso di ignorare o addirittura negare le sue doti, allora forse lo stesso Kuroko avrebbe cercato di fare qualcosa per favorire il suo fidanzato piuttosto che la ragazza che, da quanto aveva capito, faceva il gioco del silenzio in cucina -.
«E sta attento a non tagliarti.» aggiunse, per poi dare un'occhiata oltre la sua spalla destra e fermarsi.
Kagami fece ancora un passo avanti e poi si fermò, seguendo lo sguardo di Kuroko e stringendo i denti in un brontolio sommesso non appena si rese conto che la strada alle loro spalle era vuota.
«Kagami-kun, abbiamo lasciato indietro Aomine-kun e Kise-kun.»


«Atsushi, ti stai comportando in modo immaturo.» non sarebbe mai voluto arrivare a dirgli una cosa simile, ma non era mai successo che battibeccassero due volte in una settimana ed era stufo che le giornate venissero rovinate da litigi insensati, basati su sospetti infondati e alquanto infantili.
«Mhn?» Murasakibara lo guardò solo per un istante, poi afferrò il cappotto e se lo sistemò addosso con calma.
«Atsushi, mi stai ascoltando?» Himuro restò dietro di lui e continuò a guadarlo, punzecchiandolo con voce vagamente alterata.
«Se vado in cucina è soltanto perché tu non ci sei mai, poi è ovvio che mi metta a parlare con Taiga visto che Miya-san sta sempre in silenzio.»
«Parli troppo spesso con Kagami.»
Himuro fece per dire qualcosa, ma finì per scuotere il capo e sospirare spazientito.
«Non voglio che Muro-chin parli sempre con Kagami.» Murasakibara brontolò sommessamente e Himuro afferrò la giacca, indossandola con un paio di movimenti rapidi e nervosi.
«Sai, Atsushi, se tu lavorassi più spesso non passerei così tanto tempo con Taiga.» Himuro estrasse le chiavi del locale dalla tasca e si diresse alla porta, rivolgendosi verso l'altro per esortarlo a raggiungerlo.
«Rimango ancora un po' qui.»
Himuro si sentì pungere nel vivo dalle parole di Murasakibara, sentì la testa scottare a causa del nervoso che gli provocò quel capriccio, ma la sua espressione rimase immutata e si limitò a gettargli le chiavi.
«Sono deluso, pensavo che avessi intenzioni serie riguardo al locale, ma a quanto pare mi sbagliavo.»
Quando la porta si chiuse, Murasakibara restò in piedi e strinse il mazzo di chiavi nella mano, seguendo la figura di Himuro con lo sguardo almeno finché non la vide scomparire al di là delle vetrine, nel buio della sera; infine rivolse la propria attenzione ai cerchi di luce che i lampioni proiettavano sul marciapiede vuoto.


Non appena la porta fu percossa da un paio di colpi, Aida scostò i propri occhi dal monitor luminoso del computer e diede un'occhiata oltre la propria spalla destra.
«Avanti!»
La porta cigolò appena e Momoi indugiò per un istante sulla porta, assicurandosi che sul pavimento non ci fossero vestiti o altri ostacoli che avrebbero rischiato di farla cadere, raggiungendola non appena notò - con estremo piacere - che la stanza era molto più ordinata e luminosa rispetto all'ultima volta.
«Ciao!» tuttavia, Aida sembrava non aver perso l'abitudine di passare le sue giornate seduta a gambe incrociate davanti al computer.
Riko rispose con un cenno della mano, per poi afferrare lo schienale della sedia accanto alla sua e tirarla leggermente indietro, esortando l'altra a sedersi.
«Allora, Riko-chan? Di cosa hai bisogno?» Satsuki adagiò la grossa borsa ai piedi del letto dell'altra e si sedette al suo fianco, dando un'occhiata allo schermo del computer.
«Dobbiamo trovare uno sport di squadra.» Aida si affrettò a chiudere la finestra della musica e, ancora più velocemente, quella del gioco online che aveva dovuto interrompere all'arrivo di Momoi.
«Pallavolo!» Satsuki alzò il dito indice e dondolò sulla sedia, ma il suo entusiasmo scemò non appena Riko negò con un lento movimento del capo.
«Ho bisogno di uno sport che richieda più di due squadre, o magari un gioco: un po' come ha fatto Akashi-kun con la caccia al tesoro.»
Momoi brontolò sommessamente e si batté il dito indice sul mento.
«Questa volta non lasceremo che siano loro a scegliere, molti hanno bisogno di imparare che cosa significa lavorare di squadra.» Riko sospirò appena, cercando di pensare a qualcosa che potesse permetterle di formare almeno tre o quattro squadre «l'ideale sarebbe che partecipassero tutti, ma probabilmente alcuni di loro non potranno venire.»
«Una maratona? Anzi, una staffetta!»
Ad Aida parve una buona idea e schiuse le labbra per prepararsi a rispondere, ma finì per esitare e replicare in modo differente da quello che aveva pensato.
«No, ho bisogno che parlino fra loro, qualcosa di ...» fece una piccola pausa, alla ricerca di una parola ben precisa «strategico!»
Momoi aggrottò appena la fronte e si strinse il mento fra le dita, per poi soffermarsi sullo schermo luminoso del computer.
«Perché non provi a cercare esempi di giochi di squadra su Internet? Magari troviamo qualcosa.» propose poi, avvicinandosi un poco allo schermo non appena Aida annuì e adagiò le dita alla tastiera.
Dopo aver digitato sulla barra di ricerca, Aida premette invio e cominciò a leggere il primo risultato, interrotta quasi immediatamente dalla voce un po' troppo entusiasta di Momoi.
«Riko-chan, guarda il terzo risultato! Che cos'è?»
Aida restò in silenzio e diede una rapida occhiata al secondo risultato, per assicurarsi che lei e Momoi non avessero perso di vista qualche informazione importante, poi si dedicò al terzo.
«Oh!» Aida avvicinò il viso allo schermo e increspò le labbra in un ghigno soddisfatto «questo sì che potrebbe andare!»
Quando cliccò sul risultato comparvero alcune foto e anche Momoi sembrò improvvisamente eccitata all'idea.
«Ho visto un film su questo sport!» si avvicinò un poco di più a Riko e restò ad osservare lo schermo luminoso con lo sguardo sognante e curioso di una bambina.
«Direi che è perfetto, potremmo fare addirittura delle squadre da due.» Aida si morse il labbro inferiore e batté il dito indice sulla tastiera: avrebbe voluto partecipare anche lei ad uno scontro simile, ma chi avrebbe potuto essere il suo compagno di squadra? Momoi? Di certo non le sembrava il tipo adatto per simili sport.
«Credo che a Dai-chan piacerà ...» Satsuki mormorò a fior di labbra, con gli occhi spalancati ancora rivolti allo schermo; Riko, dal canto suo, si voltò verso di lei e la guardò: sembrava riuscire a malapena a sbattere le palpebre, era come se tutti quei colori l'avessero drogata - no, chiederle di giocare e di essere la sua compagna di squadra non era una buona idea, rischiava di fermarsi nel bel mezzo della battaglia perché ammaliata dalle sfumature di colore come una bambina -.
«Domani lo diremo ai ragazzi.» Riko ridusse la finestra ad icona e sbirciò l'altra, vedendola sbattere le palpebre un paio di volte e allontanarsi lentamente dallo schermo.
«Hai già in mente qualche squadra, Riko-chan?»
«Di sicuro farò in modo di escludere squadre di fidanzatini.» Aida forzò un sorriso e Momoi accennò una risata.
«Ki-chan non sarà molto contento!»
«Mi dispiace per i piccioncini, ma saranno costretti a darsi battaglia.»
«E questo significa che uno potrebbe uccidere l'altro!» Momoi sussultò come se fosse stata folgorata da un illuminazione, estremamente eccitata dalla possibile piega che avrebbe potuto prendere uno sport simile «certo che sei proprio crudele, Riko-chan!»
«Eh? Guarda che è per il loro bene!» Aida sfiatò e increspò le labbra in una smorfia, muovendo il mouse e seguendo con lo sguardo il rapido movimento del cursore.
«Qualche vittima è necessaria se vogliono imparare a lavorare in squadra.»
Momoi la guardò senza battere ciglio, quasi a volerle chiedere con lo sguardo di ripensarci, poi sospirò sommessamente e si alzò dalla sedia.
«Riko-chan, visto che mi ospiti per una notte mi sembra giusto ricambiare aiutandoti a preparare la cena!»
«Eh?!» Aida si alzò immediatamente e fendette l'aria con un rapido e continuo movimento delle mani «no, no! Alla cena ci pensa mio padre, stai tranquilla!»
Aida sapeva di non essere molto brava in cucina - al contrario di Momoi che, da quanto le avevano raccontato, lo ignorava completamente -, e sue padre non voleva assolutamente che si avvicinasse ai fornelli, quindi non poteva far altro che declinare l'offerta per evitare il disastro.
«Sei sicura?» Momoi sembrò vagamente delusa da quel rifiuto, per cui Aida spalancò un cassetto ed estrasse un album da disegno ed una penna, nella speranza che fosse sufficiente per distrarla e farle abbandonare quell'idea assurda.
«Cominciamo ad appuntare le possibili squadre?» dopotutto ce n'erano tante di combinazioni da prendere in considerazione, quindi la cosa le avrebbe tenute occupate per almeno un quarto d'ora.
«D'accordo!»
Non appena Riko si sistemò sul letto a gambe incrociate, adagiando l'album da disegno davanti a sé, Satsuki si sedette di fronte a lei.
«Senti, senti, Riko-chan: che ne pensi di una squadra composta da Dai-chan e Kagamin?»
«Ho in mente qualcosa di meglio per Kagami-kun.» Aida accennò un sorriso divertito e scrisse il nome di Kagami, affiancandolo ad un altro ed indicandolo con la punta della penna; Momoi li lesse in silenzio e sollevò il proprio sguardo verso di lei, senza fiatare.
Dopo qualche istante di silenzio, Momoi annuì e sorrise divertita e Aida ricambiò il suo assenso con un ghigno degno di una psicopatica.

Ma ci sono anche anime che si respingono e basta soltanto che gli occhi si perdano per un istante perché l'ombra più nera spenga per sempre il sole.




Licenza Creative Commons
Quest'opera è distribuita con Licenza Creative Commons Attribuzione - Non commerciale - Non opere derivate 2.5 Italia.




L'angolino invisibile dell'autrice:

A quanto pare mi sono sbagliata, credevo che sarei riuscita ad aggiornare per i primi di gennaio ma sono già qui!
Purtroppo il capitolo è un po' (molto) corto, gh. Non picchiatemi, ma non ho potuto aggiungere altre scene né unirlo al prossimo capitolo, altrimenti sarebbe venuto decisamente troppo lungo.
Non volevo aprire l'anno con un capitolo così corto, quindi ho deciso di darmi una mossa e postarlo oggi!
Il prossimo sarà molto più lungo, quindi prima di picchiarmi aspettate!
Intanto ne approfitto per augurarvi buon anno nuovo, visto che ormai manca soltanto un giorno!
Non ho molto da dire su questo capitolo, a parte il fatto che Momoi e Riko sono due pazze psicopatiche (nel prossimo capitolo capirete, anche se di indizi ne ho già dati un bel po' nell'ultima parte di questo capitolo~)
Alla prossima!

Ritorna all'indice


Capitolo 33
*** Capitolo XXXII ***


Capitolo XXXII





Esistono anime gentili che, a prescindere dal prezzo, tentano di sfiorare quelle più fredde e oscure, cercano di aprire una piccola crepa soltanto per far entrare un po' di luce.

Il dottore era stato fin troppo gentile a riservare a lui la prima visita della giornata, in modo da non fargli perdere tempo prezioso e da permettergli di raggiungere il campetto il prima possibile.
Tornato a Tokyo, Akashi aveva pensato all'eventualità più che plausibile che suo padre fosse riuscito a convincere il suo vecchio dottore di fiducia a non rendersi completamente disponibile, quindi si era chiesto più volte se non fosse meglio rivolgersi ad uno studio medico nuovo, ma gli era bastata una telefonata per capire che non era cambiato nulla, prova il fatto che avesse libero arbitrio sulla scelta dei giorni e delle ore in cui stabilire le proprie visite.
La sua salute era migliorata ancora e il dottore si era detto fiducioso riguardo ad una imminente guarigione, tuttavia gli aveva raccomandato di non sforzarsi e di non esporsi troppo al freddo, soprattutto la sera - esortazioni che probabilmente non avrebbe rispettato realmente, soprattutto perché si era già convinto di essere guarito per sentirsi un poco più vicino al giorno in cui avrebbe ricominciato a giocare seriamente a basket -.
Akashi lasciò scivolare le mani nelle tasche del cappotto e sbirciò alla sua destra, soffermandosi per qualche istante sulla figura silenziosa di Nijimura: prima di disubbidire alle esortazioni del dottore aveva la sensazione che sarebbe dovuto passare sul suo corpo, perché anche se Shuuzou lo sosteneva ed era d'accordo che riprendesse a giocare a basket, pensava prima di tutto al suo bene e quindi era ovvio che gli avrebbe impedito di sforzarsi fino ad avvenuta guarigione e forse anche oltre.
Nijimura contrasse le labbra in una minuscola smorfia e trattenne il respiro per qualche istante: Akashi lo stava guardando, e in modo fin troppo insistente.
«C'è qualcosa che non va?» Shuuzou riuscì a distogliere la propria attenzione dall'asfalto e si rivolse all'altro, che gli sorrise e negò con un lento movimento del capo.
Non c'era nulla di male nel volergli impedire di prendere freddo e affaticarsi, Nijimura, dopotutto, era il suo fidanzato ed era semplicemente preoccupato per la sua salute, temeva che la situazione potesse prendere una piega diversa da quella che si aspettava Akashi - quindi che la leucemia tornasse a prolificare all'interno del suo corpo -, aveva ancora la stessa paura di perderlo che lo aveva afflitto per tutto il tempo passato in Svizzera.
Il motivo per cui si erano recati così presto dal dottore non piaceva affatto a Nijimura: la sera prima, Aida aveva telefonato ad Akashi e gli aveva chiesto di essere al campetto intorno alle dieci del mattino, spiegandogli che aveva in mente di organizzare qualcosa di molto simile alla caccia del tesoro progettata da lui pochi giorni prima.
Ciò che innervosiva di più Nijimura, però, era il fatto che Aida avesse intenzione di scegliere lei stessa le squadre, quindi c'era la possibilità che Akashi capitasse con qualcun altro e, in sua assenza, decidesse di strafare.
Seijuurou estrasse il cellulare dalla tasca del cappotto e non appena vide campeggiare l'ora sullo screensaver accelerò il passo.
«Sono le dieci e dieci.» avvertì Nijimura con voce calma.
«Akashi, non importa se arriviamo in ritardo.» Aida sapeva che sarebbero andati dal dottore e poi si sarebbero diretti verso il campetto, quindi era probabile che li stesse aspettando pazientemente: non c'era motivo di correre e affaticarsi.
Akashi non rispose e continuò a camminare con passo appena più rapido, deciso: era curioso di scoprire cosa avesse in mente Aida, era impaziente di giungere al campetto e incontrare gli altri.
Nijimura protese le labbra in una smorfia indispettita e accelerò il passo, in modo da affiancarsi ad Akashi: era ostinato, voleva avere indietro tutto ciò che aveva lasciato a Tokyo prima della partenza, ma non riusciva a capire che uno schiocco di dita non sarebbe bastato, che avrebbe dovuto pazientare e faticare per poter riacquistare la salute e le sue capacità sportive, per tornare a giocare una partita di basket con gli altri Miracoli.
Forse Akashi non era neppure a metà della strada che lo separava dal suo obbiettivo, ma Nijimura era lì per sostenerlo e per aiutarlo ad andare un poco più veloce quando sarebbe venuto il momento, e voleva che lui lo sapesse. A costo di negargli qualcosa, a costo di farlo arrabbiare, Nijimura non gli avrebbe permesso di sopravvalutare il suo corpo ancora debole e annullare tutti i progressi fatti fino a quel momento.
Non appena la rete metallica che delimitava il campetto fu visibile, Seijuurou rallentò e focalizzò la propria attenzione sulle figure dietro di essa.
«Pare che Midorima e Murasakibara non siano venuti.» Nijimura mormorò senza staccare gli occhi dal crocchio di teste colorate oltre la rete metallica ed Akashi accennò un sorriso compiaciuto: immaginava che Midorima e Murasakibara non si sarebbero presentati, inoltre dall'assenza di quest'ultimo dipendeva anche quella di Himuro e quindi un fattore di disturbo in meno.
«Buongiorno.» Akashi sorrise e il farfuglio concitato in cui gli altri sembravano essere coinvolti fino al suo arrivo si interruppe improvvisamente.
«Akashi-kun! Nijimura-san!»
«Akashicchi! Nijimuracchi!»
Momoi e Kise schiamazzarono e furono i primi ad accogliere la loro presenza, mentre Kuroko li salutò con molta più calma e Aomine e Kagami restarono in silenzio.
«Ti chiedo scusa per il ritardo, Aida-san.»
«Nessun problema, Akashi-kun.» Riko forzò un sorriso e riprese immediatamente a parlare «Midorima-kun, Takao-kun, Murasakibara-kun e Himuro-san non verranno, quindi ci siamo soltanto noi otto.»
«Poco male comunque, no, Riko-chan?» Momoi le diede una piccola gomitata e Aida sfiatò appena, cercando di non badare al fastidioso pizzicore sulle guance, poi si schiarì la voce e riprese.
«Io e Momoi abbiamo pensato di organizzare qualcosa di divertente per sabato.»
Kise rivolse un'occhiata silenziosa ad Aomine e gli diede una piccola gomitata.
«Mhn?» Aomine brontolò sommessamente e gli rivolse un'occhiata piena di disappunto, per poi tornare ad indirizzare la propria attenzione ad Aida e Momoi.
Kise gonfiò appena le guance e gli diede un'altra gomitata, più decisa della precedente.
«Aominecchi-!» sussurrò.
«Si può sapere che vuoi?» Aomine si voltò di nuovo verso di lui e brontolò sommessamente; Kise, dal canto suo, sorrise e rivolse il proprio sguardo a Momoi e Aida.
«Credo che fra quelle due ci sia qualcosa, stanno sempre insieme ultimamente.»
Aomine sussultò e rivolse nuovamente la propria attenzione ad Aida e, soprattutto, a Momoi.
«Ma che cazzo dici, Kise?» sentì un calore diffuso pizzicargli le guance e fece fatica a distogliere la propria attenzione da Momoi: non doveva ascoltare Kise, stare con lui era come vivere in una telenovela, vedeva rose e fiori in ogni sguardo, zucchero e miele in ogni sorriso e a quanto pareva si divertiva a calcolare quanto potenziale potesse avere ogni coppia che gli stava davanti.
A Satsuki piacevano i ragazzi e Kise era un idiota patentato: ecco come stavano le cose.
«Paintball!»
Aomine tese le orecchie e si dimenticò immediatamente della possibilità che ci fosse qualcosa fra Aida e Momoi.
«Parlate sul serio?!»
«Lo sapevo che ti sarebbe piaciuto, Dai-chan!»
«Un momento … paintball?» Kagami aggrottò la fronte e rivolse un'occhiata confusa a Momoi, che aveva l'aria entusiasta.
«Ah? Tu non vivevi in America? Dovresti saperlo meglio di noi l'inglese, Bakagami.» Aomine lo punzecchiò, riprendendo a parlare non appena lo vide digrignare i denti «hai presente quel gioco col fucile e con le palline di vernice?»
Lo sguardo di Kagami parve illuminarsi.
«D-davvero?! Non state scherzando?!»
«Perché dovremmo? È un modo per insegnarvi a lavorare di squadra.» Riko rispose e rivolse una rapida occhiata a Kise, che aveva cominciato ad agitare le braccia.
«Io sto con Aominecchi!»
«Ah ah!» Aida alzò il dito indice e lo mosse da destra a sinistra «le squadre le decideremo io e Momoi.»
«Oh ...» Kise incrinò le labbra in una piccola smorfia e si zittì.
«Tetsu-kun, tu parteciperai?»
«Credo di sì, Momoi-san.»
«Come? Kuroko, tu devi partecipare assolutamente!» Kagami lo esortò, seguito a ruota da Aomine e Kise - che sembrava già essersi ripreso dal trauma che gli aveva provocato la scoperta di non poter stare in squadra con il suo fidanzato -.
«Tetsuya, parteciperai?»
La voce di Akashi sorprese Kuroko, che non poté far altro che annuire.
«Se partecipa Tetsuya, partecipo anche io.»
«Akashi, aspetta.» Nijimura intervenne immediatamente: il dottore gli aveva raccomandato di non affaticarsi e giocare a paintball non era proprio l'attività più consigliabile nelle sue condizioni.
«Shuuzou, non mi stancherò.» Akashi, che aveva già inteso dove l'altro avesse intenzione di andare a parare, lo precedette: non aveva alcuna intenzione di rifiutare soltanto perché il dottore gli aveva raccomandato di non affaticarsi e di stare al caldo, ovviamente avrebbe indossato qualcosa di pesante e si sarebbe fermato per una pausa se avesse sentito venir meno le energie, ma di certo non avrebbe rinunciato ad un'esperienza simile a causa del suo corpo ancora debole.
Nijimura serrò le labbra e sfregò i denti, sul punto di lasciarsi scappare un'imprecazione: Akashi voleva giocare a paintball e sicuramente voleva vincere, e come se non fosse bastato sarebbe capitato in squadra con qualcuno che, molto probabilmente, non era lui.
«Quindi parteciperete tutti?»
«Shuuzou?»
Nijimura si sentì punzecchiare dalla voce di Akashi e incrociò le braccia al petto, sbottando appena: anche se non sarebbero stati compagni di squadra, avrebbe potuto tenerlo sotto controllo nelle vesti di nemico, ed era comunque meglio di niente.
«Va bene, partecipo.»
Non appena Riko e Momoi si sorrisero, Kise diede un'altra piccola gomitata ad Aomine, che deglutì a fatica e cercò di distogliere la propria attenzione dalle due ragazze.
«Abbiamo deciso di organizzare delle squadre da due, ma ve le comunicheremo soltanto quando sapremo di Midorima-kun e Takao-kun. Murasakibara-kun e Himuro-san hanno già dato la loro indisponibilità.» Aida parlò a voce alta: era felice, finalmente sembrava avere la facoltà di decidere e molto probabilmente le sue scelte, seppur un po' azzardate, sarebbero state comprese e non contestate.
«È tutto, Aida-san?» Akashi fu il primo a parlare e riprese non appena Riko acconsentì con un rapido cenno del capo «allora, se non vi dispiace, tolgo il disturbo. Ho in programma di passare da Shintarou, quindi ne approfitterò per chiedergli del paintball.»
«D'accordo, ti ringrazio, Akashi-kun.»
Ad Akashi bastò rivolgere una rapida occhiata a Nijimura per capire che cosa aveva in mente di fare, così gli sorrise e si rivolse agli altri, congedandosi con un breve saluto.
«Nijimuracchi, tu non vai con Akashicchi?»
Nijimura accennò un sorriso e si sbottonò la giacca.
«No, oggi gioco.»
Gli occhi dei presenti si illuminarono: tutti quanti volevano vedere Nijimura giocare, chi perché l'aveva già visto all'opera, chi perché non ne aveva ancora avuto occasione.
«Kuroko, che ne dici di dare una lezione a Kise e Aomine?»
«Sei sicuro di riuscire a tenere il nostro ritmo?»
Nijimura sogghignò e colpì la fronte di Aomine con l'indice.
«Ho soltanto un anno in più di voi, Aomine.» subito dopo Nijimura si rivolse a Kagami, che cominciava a sentirsi il “quinto incomodo” della situazione «sappi che voglio sfidare anche te, Kagami.»


Nijimura si sedette sulla panchina a bordo campo e prese una grande boccata d'aria, chinò il capo per un istante e chiuse gli occhi, cercando di controllare il respiro alterato dalla fatica.
«Stai bene, Nijimura-san?» Kuroko fu il primo ad avvicinarsi e Nijimura gli rivolse un'occhiata silenziosa, prendendo una seconda boccata d'aria prima di rispondere.
«Sì, sono solo un po' affaticato.»
«Nijimura-san?» Momoi gli sorrise e gli porse una bottiglietta d'acqua.
«Grazie.» Shuuzou l'afferrò immediatamente e Aomine raggiunse il gruppo.
«Te l'avevo detto che non saresti riuscito a tenere il nostro ritmo!»
Nijimura ghignò contro il collo della bottiglietta e gli rifilò una pedata sotto al ginocchio.
«Togliti quel sorriso ebete dalla faccia, Aomine. Sono soltanto un po' arrugginito, tutto qui.» sì, lui era arruginito, ma Aomine e Kise erano migliorati molto dall'ultima volta che li aveva visti in azione e fare una seconda partita sfidando Kuroko e Kagami non era stata certo l'idea migliore della giornata.
Aomine afferrò una delle bottigliette e rivolse una rapida occhiata a Kise e Kagami, rimasti a parlare ad un paio di metri di distanza da loro, così si congedò dal gruppo e li raggiunse.
«Ohi, Kise?»
Non appena Ryouta lo degnò della propria attenzione, Daiki rivolse una rapida occhiata a Satsuki e serrò le labbra con un cruccio a segnargli la fronte.
«Ti dispiace se passo qualche ora con Satsuki?»
Kise spalancò appena le palpebre e rivolse la propria attenzione a Momoi, poi ad Aomine: possibile che le sue parole avessero assunto un tale peso nella coscienza dell'altro?
«Un paio d'ore, magari.» non che gli piacesse l'idea di buttare via parte della giornata libera che avrebbe potuto trascorrere con Kise a fare la guardia a Momoi, ma si sentiva in dovere, gli sembrava di non poter fare altrimenti.
«Va bene, Aominecchi. E se scopri qualcosa chiamami!»
Aomine sfiatò sommessamente e distolse lo sguardo: Kise si dimostrava il solito impiccione, evidentemente anche lui non vedeva l'ora di fare chiarezza sui suoi sospetti.
«Io resto qui a giocare con Kagamicchi e Kurokocchi!» Kise gli sorrise e poi riprese con voce più bassa «ci vediamo a casa.»
«Ah, sì. Ci vediamo a casa.» Aomine, dal canto suo, aggrottò appena la fronte e distolse lo sguardo, brontolando sommessamente, infine raggiunse di nuovo Nijimura, Kuroko, Aida e Momoi, avvicinandosi a quest'ultima.
«Satsuki?» odiava l'idea di chiederle una cosa del genere: si sarebbe appiccicata a lui come una patella allo scoglio e avrebbe riempito per ore le sue orecchie con voce petulante, avrebbe cominciato a guardarlo con una certa gratitudine e lo avrebbe messo puntualmente in imbarazzo.
«Umh? Cosa c'è, Dai-chan?»
«Devo comprare dei pantaloncini nuovi e passerò sicuramente davanti al negozio di vestiti che ti piace tanto, quindi mi chiedevo se non–»
«Andiamo a fare shopping?!» Momoi sorrise entusiasta e lo guardò con occhi sognanti.
«Satsuki, non strillare-»
«Non sto strillando, Dai-chan! Però potremmo andare a fare shopping tutti ins—»
«No.» Aomine le tappò la bocca con un gesto della mano non molto delicato, attirando definitivamente l'attenzione di Kuroko, Nijimura e Aida.
«Aomine-kun, Momoi-san, va tutto bene?»
«Sì, è che Satsuki si è ricordata che deve … deve fare una cosa.»
«E allora perché le stai tappando la bocca, Aomine-kun?» Kuroko rimase a fissarli e parlò con estrema calma; Aomine, dal canto suo, si rese conto soltanto in quel momento che la bocca di Momoi era ancora ostacolata dalla sua mano e quindi lasciò la presa.
«Dai-chan, dovresti essere un po' più delicato, sai?!»
«Ah, Satsuki, guarda che ti zittisco di nuovo se non la smetti di fare casino.»
Momoi gonfiò le guance e incrociò le braccia al petto, ma si ricordò del negozio di vestiti che le piaceva tanto e quindi abbandonò quasi subito quell'espressione e si rivolse agli altri.
«Dai-chan si è offerto di accompagnarmi, quindi noi andiamo.» non aveva idea del perché, ma aveva capito che Aomine voleva stare solo con lei: possibile che avesse nostalgia delle loro uscite di qualche mese prima?
«Riko-chan, dopo ti chiamo!» Momoi le rivolse un sorriso e Riko borbottò qualcosa, Aomine le osservò con una certa angoscia nello sguardo.
«Dai, Satsuki.» le afferrò il braccio e la strattonò appena.
«Dai-chan!»
«Sì, sì: “Sii più delicato”.» Aomine brontolò con aria annoiata, ma nonostante ciò la strattonò di nuovo e la trascinò via dal gruppo «ciao a tutti.»
«Ma che gli prende?» Nijimura restò a guardarli mentre si allontanavano e Aida si strinse nelle spalle, ancora in imbarazzo per il fatto che Momoi le avesse detto davanti a tutti che l'avrebbe chiamata e le avesse rivolto quel sorriso.
«Forse Aomine-kun ha nostalgia dei vecchi tempi e vuole passare un po' di tempo con lei.» azzardò Kuroko, e allora Riko tornò ad osservare le due sagome ormai lontane, oltre la rete metallica del campetto: le bruciava lo stomaco, terribilmente, e le prudevano le mani, ma non riusciva a spiegarsi il perché - anzi, non voleva -.


Perché le aveva detto che doveva comprare un paio di pantaloncini? Non ne aveva alcun bisogno e quella compera forzata gli aveva svuotato completamente il portafoglio, in più aveva l'impressione che il dubbio che aveva cominciato ad affliggerlo dal momento in cui Kise aveva insinuato un possibile coinvolgimento sentimentale fra lei e Riko fosse infondato.
Momoi si comportava come al solito, sembrava essere interessata più alla sua compagnia e ai vestiti colorati in esposizione dietro le vetrine dei vari negozi piuttosto che ai ragazzi e alle ragazze.
«Dai-chan, ti ricordi il vestito rosso? Quello che l'anno scorso ho indossato al mio compleanno?»
«Sì.» la sua voce tremò appena, preso alla sprovvista dall'energica vibrazione del cellulare nella tasca della giacca.
«Ecco, pensavo di indossarlo per la cena di anniversario dei miei genitori, ma devo trovare un paio di scarpe adatte!»
Le labbra di Daiki fremettero di imbarazzo non appena lesse l'sms appena ricevuto: Kise gli chiedeva se aveva scoperto qualcosa.
«Va bene.» rispose a Momoi e nel frattempo si affrettò a digitare un sms da inviare a Kise.
Momoi era così felice che si stesse offrendo di aiutarla che non badò né alla sua voce troppo bassa né al fatto che tenesse lo sguardo incollato allo schermo del cellulare, di fatto lasciandosi scappare un possibile paio di scarpe perfetto per il suo vestito.
Il cellulare vibrò una seconda volta e Aomine si affrettò ad aprire l'sms, grugnendo nervosamente non appena lesse la risposta dell'altro.

«Potresti chiederglielo direttamente, no? ◡‿◡✿»



Era serio? Non poteva certo chiederle di punto in bianco se si era innamorata di una ragazza! E poi Kise poteva risparmiarselo quello smile odioso, gli dava ancor di più sui nervi.
«Dai-chan?»
Aomine trattenne il respiro e si affrettò a riporre il cellulare in tasca.
«Va tutto bene?»
«Sì, è Kise che è scemo.» si schiarì la voce e si morse il labbro inferiore.
Com'era possibile che a Momoi piacesse Aida? Aveva passato le medie a scassargli i timpani - per non dire altro - con Kuroko e si era perfino presa una cotta per Kise.
Ad Aomine tornò alla mente ciò che era successo in Svizzera e si sentì terribilmente in colpa quando, in balia dell'alcool come Momoi, l'aveva presa sotto braccio dicendole che Riko non andava bene perché aveva il seno piccolo e le aveva indicato una bella donna formosa.
Si schiarì la voce e soffermò la propria attenzione su un paio di scarpe che presentava una combinazione di colori orribile, sentendosi pervadere dall'imbarazzo per quello che stava per dire.
«Perché dovresti indossare un vestito del genere all'anniversario dei tuoi genitori? Devi fare colpo su qualche ragazzo?» si sentì andare a fuoco il viso «perché a te piacciono i ragazzi, giusto?»
Momoi sbatté le palpebre un paio di volte e gli rivolse un'occhiata sorpresa e vagamente confusa.
«Dai-chan, stare con Ki-chan ti ha fatto venire la fissa per i ragazzi, eh?» sorrise divertita.
«Eh-?! Ma cosa dici, Satsuki?!» e Aomine strepitò, attirando l'attenzione della maggior parte dei clienti: non bastavano gli sms stupidi di Kise, ora ci si metteva anche lei con battutine imbarazzanti!


Midorima si precipitò alla porta: possibile che fosse Takao? Gli aveva detto che non sarebbe venuto perché sua madre gli aveva chiesto una mano in lavanderia e ne aveva approfittato per studiare più del solito, quindi c'erano libri sparsi ovunque e nel salotto e nella cucina regnava il disordine.
Indugiò sulla porta e sfiatò sommessamente: non poteva essere altri che Takao e, anche se odiava l'idea che ci fosse tutto quel disordine, sapeva che non ne avrebbe fatto un dramma.
Quando aprì la porta sentì le gambe irrigidirsi e farsi improvvisamente più pesanti, le dita delle mani strinsero la presa attorno alla maniglia.
«Buongiorno, Shintarou.»
A quanto pareva Takao stava davvero aiutando la madre in lavanderia e restava il fatto che in casa sua ci fosse molto disordine, con la sola differenza che Akashi gli avrebbe quasi senza dubbio riservato un'occhiata colma di disappunto.
«Posso entrare?» la voce tagliente di Akashi parve scuoterlo e Midorima mormorò qualcosa, poi si fece da parte e lo guardò varcare la soglia.
«Non ti aspettavo. Ti chiedo scusa, ma c'è un po' di disordine.» preferì portare le mani avanti e cominciò a tranquillizzarsi quando Akashi si fermò all'ingresso e lo guardò senza dire nulla, in attesa che fosse lui a guidarlo nei meandri - per così dire, visto lo spazio ristretto - di casa sua.
«Vedo che ti stai dando da fare.» Akashi si fermò sulla soglia della cucina e Midorima si affrettò ad impilare alcuni libri in modo da liberare parte del tavolo.
«Ti chiedo scusa per il disturbo, Shintarou.» Akashi prese posto con estrema calma e si soffermò solo per un istante sui trucioli di matita attorno al temperino verde, sulla lama opaca a causa della polvere di grafite.
«Non mi disturbi, è meglio che faccia una pausa.» dopotutto aveva passato tre ore buone a ripetere fisica e biologia e cominciava a fargli male la gola, per cui l'arrivo di Akashi poteva essere inteso soltanto come qualcosa di buono, qualcosa che gli avrebbe impedito di perdere completamente la voce.
«Ti posso offrire qualcosa?»
«No, ti ringrazio, mi tratterrò per poco.»
Midorima soffocò un sospiro di sollievo: Akashi aveva salvato la sua voce interrompendo il suo studio, ma scoprire che si sarebbe trattenuto per poco era ancora meglio, significava che avrebbe potuto fare una pausa di una decina di minuti e poi riprendere da dove aveva lasciato nel momento in cui il suono del campanello lo aveva colto alla sprovvista e fatto balzare in piedi di soprassalto.
«Ho pensato di venirti a trovare, visto che non sei mai al campetto.»
Midorima lo guardò solo per un istante, poi inspirò appena e si aggiustò gli occhiali.
«L'università mi ruba molto tempo.» borbottò sommessamente e si sedette con calma.
«Lo vedo.» Akashi restò a guardarlo per pochi istanti e poi riprese a parlare con voce ancor più ferma che in precedenza «non giochi più?»
Midorima si irrigidì e trattenne il fiato: dove voleva andare a parare? Era in casa sua da nemmeno un paio di minuti e quella conversazione stava già cominciando a dargli sui nervi.
«Appena posso faccio qualche tiro.»
«Qualche tiro non è sufficiente, Shintarou, a meno che la medicina non ti piaccia più del basket.»
Midorima schiuse le labbra ma non riuscì a dar voce ai propri pensieri - e fu molto meglio così, visto che la sua testa era ormai un ammasso indistricabile di idee, timori e riflessioni -.
«Anche tu andrai all'università, giusto?» fu l'unica cosa che riuscì a dire.
«Certo, ma continuerò a giocare a basket.» Akashi assottigliò il proprio sguardo e rispose immediatamente, come offeso dal fatto che Midorima avesse appena confrontato la sua attuale situazione a quella che lui avrebbe vissuto di lì a poco. Seijuurou aveva intenzione di frequentare l'università, certo, ma Shintarou doveva tener conto che aveva alle spalle una solida base di preparazione culturale e una buona memoria, inoltre molto spesso non gli serviva studiare, riusciva ad eccellere con la sola intuizione, quindi era logico che avrebbe dedicato all'università molto meno tempo di quanto faceva lui e il restante lo avrebbe trascorso giocando a basket.
«Comunque sia, non sono qui per parlare di basket.»
Midorima aggrottò la fronte e incurvò le labbra: allora perché gli aveva fatto quella domanda? Aveva gettato luce sui suoi dubbi, affondato il coltello nella piaga, e ora gli diceva con tutta la calma del mondo che non era sua intenzione parlare di basket?.
«Volevo chiederti se sabato verrai al paintball.»
«Paintball?» Shintarou fece eco: se non andava errato, Takao aveva visto - e gli aveva raccontato almeno una decina di volte - un film su quello sport assurdo.
«Mi dispiace, ma ora come ora non posso perdere tempo con questo genere di cose.» Takao gli aveva detto che avrebbe dovuto ricominciare ad aiutare la madre in lavanderia e il padre in libreria e che, molto probabilmente, sarebbe stato libero soltanto il sabato, quindi non se la sentiva di rinunciare ad un pomeriggio con lui per giocare a paintball con gli ex Miracoli.
Akashi restò a guardarlo in silenzio, sbatté le palpebre e accennò un sorriso, per poi alzarsi con calma: a quanto pareva Midorima aveva rivisto le sue priorità e aveva trovato qualcosa - o meglio, qualcuno - più importante del basket.
«Ho capito.»
«Te ne vai già?»
«Sì, ho tutto quel che mi serve.»


«Oh? Sei già qui!» Kise adagiò la borsa della spesa sul tavolo e si affrettò a raggiungere il salotto; Aomine, dal canto suo, sbirciò oltre il morbido schienale del divano e lo seguì con lo sguardo fino a quando non lo ebbe raggiunto.
«Allora? Hai scoperto qualcosa?»
«No.» Aomine sospirò annoiato e adagiò la testa allo schienale, rivolgendo i propri occhi al soffitto.
«Sai, credo che dovresti chiederglielo per davvero.»
«Eh? Ma perché devo essere io a chiederle una cosa così imbarazzante?» Aomine brontolò e Kise si affrettò ad indossare la felpa, rivolgendogli un sorriso vagamente divertito.
«La conosci da molto più tempo di me, Aominecchi.»
«Che c'entra? Satsuki ha sempre parlato di quelle cose con te, non con me.» Daiki controbatté e contrasse le labbra in una smorfia, distolse lo sguardo dalla figura snella di Ryouta nella speranza che il pizzicore alle guance smettesse di affliggerlo.
«Ohi, Kise?» Aomine lo chiamò non appena lo vide transitare accanto al divano per tornare in cucina.
Kise si fermò e gli rivolse la propria attenzione, restando in silenzio; Aomine, dal canto suo, boccheggiò e distolse lo sguardo.
«La gamba ...» Aomine esitò appena «come va la gamba?»
Kise spalancò appena gli occhi e lo guardò sorpreso, poi mosse appena la gamba sinistra e non riuscì a trattenere un sorriso: era carino da parte sua preoccuparsi.
«Ultimamente va molto meglio.»
«Sì, ma non ti sforzare, ok?»
Kise restò a guardarlo ancora un istante e ampliò il sorriso, poi tornò indietro e si sedette accanto a lui.
«Non preoccuparti, Aominecchi!»
Aomine brontolò sommessamente, il busto rimase rigido contro lo schienale del divano almeno finché le mani tiepide di Kise non si adagiarono sul suo viso e i loro sguardi non si incrociarono.
«Sto molto meglio.» Kise ampliò il sorriso e Aomine ebbe il sospetto che quel sussurro non si riferisse solamente alla sua gamba, ma anche a tutto il resto, tuttavia restò in silenzio e osservò la buffa reazione dell'altro quando le sue mani si insinuarono oltre la felpa e la maglietta, ad accarezzare i fianchi nudi.
«Aominecchi, mi aiuti a preparare la cena?» la voce di Kise tremò, inarcò la schiena.
Gli occhi di Aomine guizzarono alla ricerca dell'orologio da muro e tornarono ad incatenarsi a quelli di Kise con un movimento repentino.
«Manca ancora un bel po' di tempo.» le sue mani scorsero fino all'elastico dei pantaloni e si insinuarono oltre, ad accarezzare le natiche sode dell'altro.
Kise brontolò sommessamente e distolse lo sguardo con le labbra contratte in un piccolo sorriso e le guance imporporate, lasciandosi scappare una risata di pura soddisfazione non appena Aomine lo trascinò sotto di sé e si chinò per baciargli il collo.
«Aominecchi!» Kise lo chiamò un'ultima volta e chiuse gli occhi, godendosi gli schiocchi ripetuti sul suo collo.
Aomine socchiuse gli occhi e sospirò contro il suo orecchio, gli afferrò il lobo fra le labbra e lo sentì rabbrividire sotto di sé: lo desiderava, lo desiderava terribilmente. Più di tutto, più di ogni altra cosa.


Akashi aveva la sensazione che non ci fosse più speranza con Midorima e Murasakibara: ormai erano entrambi alle prese con qualcosa che li interessava più del basket e forse non sarebbero più tornati indietro, forse avrebbero continuato a percorrere le strade da poco intraprese e avrebbero finito per allontanarsi sempre di più dagli altri - o per lo meno da lui, che sapeva esattamente cosa farne della sua vita -.
Inspirò profondamente e chinò appena il capo, in modo che parte del viso restasse coperta dal bavero del cappotto e quindi protetta dal freddo pungente, e allora pensò a Nijimura e al fatto che avrebbe avuto quasi sicuramente qualcosa da ridire se si fosse trovato lì con lui.
Quando aveva cominciato la chemioterapia ed era stato ridotto ad uno straccio dai suoi effetti collaterali, Shuuzou si era dimostrato molto meno apprensivo, era assurdo che cominciasse a comportarsi da cane da guardia proprio nel momento in cui il suo corpo aveva deciso di reagire agli stimoli e aveva cominciato a mostrare le prime avvisaglie di guarigione.
Seijuurou sapeva di non poterlo biasimare, dopotutto avrebbe fatto la stessa cosa se si fosse trovato nella sua condizione.
Nel momento in cui sembrava esserci più morte che vita nel suo corpo, Akashi doveva aver dimenticato che cosa stava succedendo, doveva aver scordato che il mondo andava avanti e che qualcuno, fuori da quel letto di ospedale, lo stava aspettando e stava soffrendo. Al contrario di lui, Nijimura era rimasto lucido ogni singolo giorno, ogni ora - ad esclusione di quelle che durante la notte si concedeva per dormire -, quindi doveva aver sofferto molto più a lungo e intensamente di lui, ancora ne portava i segni e non voleva che un'esperienza simile si ripetesse a causa della sua incoscienza, ma Akashi smaniava all'idea di mettersi alla prova e pretendeva di guarire il prima possibile, di poter fare ciò che desiderava, essere libero.
Nonostante fosse ostinato e avrebbe deciso di ignorare freddo e stanchezza il più delle volte, conosceva perfettamente il limite oltre il quale non spingere il proprio corpo, e a questo proposito aveva deciso di tornare a casa il prima possibile e riposare in vista di sabato.
All'improvviso, però, Seijuurou non riuscì più a muoversi.
Spalancò gli occhi e trattenne il fiato, il cuore saltò un battito e le gambe divennero improvvisamente pesanti.
Non c'era più nulla, non l'asfalto sotto i piedi, non la gincana esagitata dei passanti, non il rumore assordante del clacson di qualche automobile. C'erano solo loro due: lui e suo padre.
Seijuurou non poté fare a meno di seguire la figura del padre con gli occhi: riconobbe il passo lungo e rapido, quasi nervoso, la postura ben ritta e fiera, ma non riuscì a vedere il suo viso.
Aveva bisogno di lui. Un bisogno viscerale che lo affliggeva da anni, ormai.
Schiuse le labbra e si trattenne a fatica dal chiamarlo, ricordò la sua voce, i suoi comandi nervosi e i suoi rimproveri, i suoi capricci e la delusione che alterava in peggio il suo comportamento.
All'improvviso ricordò anche la voce di sua madre e si sentì quasi cadere, risucchiato dall'asfalto freddo.
Suo padre gli transitò accanto senza degnarlo di uno sguardo, come se non lo avesse visto, come se lui fosse un fantasma. Come se lui non fosse mai esistito.
Seijuurou avvertì un tremolio diffuso nel petto e riprese a respirare a fatica, tutto tornò a scorrere e un passante lo scontrò, facendogli perdere l'equilibrio per un istante.
Aveva perso ogni cosa, era diventato invisibile.
Aveva bisogno di suo padre, ma Akashi Seijuurou non aveva più una famiglia. Akashi Seijuurou non esisteva più.

A tutti coloro che siedono sul loro trono: ricordate che una luce si può sempre spegnere.




Licenza Creative Commons
Quest'opera è distribuita con Licenza Creative Commons Attribuzione - Non commerciale - Non opere derivate 2.5 Italia.




L'angolino invisibile dell'autrice:

Ve l'ho mai detto che adoro le vacanze di Natale? Perché sto scrivendo tantissimo e tutto ciò mi fa dimenticare che fra poco mi toccherà tornare all'università e dare 5/6 esami in poche settimane piang-
Comunque … questa è la prima pubblicazione dell'anno, uh!
Il fatto che l'ultimo capitolo abbia ricevuto soltanto una recensione mi ha un po' scoraggiata, e questo perché sono consapevole di quanto fosse orribile e mi pento di averlo pubblicato, quindi ho avuto molte difficoltà a cominciare questo. Per fortuna ho i lettori migliori del mondo che mi hanno sostenuta su FB e ho deciso di tornare a scrivere seriamente e con una certa velocità.
Sono soddisfatta di questo capitolo e questa volta ho deciso che ne commenterò alcune parti e vi allieterò con la mia presenza (?) Intanto spammo questo: https://www.facebook.com/media/set/?set=a.674523922656821.1073741832.416393978469818&type=1
È un album in cui ogni domenica inserirò delle curiosità su Hall of Fame, una specie di rubrica (quindi potrete trovare opinioni sui personaggi nel contesto della storia, magari scoprirete che all'inizio avevo pensato ad una cosa diversa per un determinato personaggio e poi ho cambiato idea e così via) e magari non vi importa nulla – molto probabile – ma a me piace fare queste cosine.
Voglio saltare la prima parte su Nijimura/madre apprensiva e voglio subito rassicurarvi: nel prossimo capitolo scopriremo le squadre per il paintball (comunque sia i partecipanti saranno Kagami, Aomine, Kuroko, Akashi, Nijimura e Kise, quindi potreste già farvi un'idea).
Preparatevi al terzo spin-off, ho sempre voluto scrivere qualcosa riguardo al paintball e visto che Hall of Fame presenta molto spesso risvolti idioti ho approfittato dell'occasione. A questo proposito me ne approfitto anche per comunicare che dovrete aspettare un po' per il prossimo capitolo, non tanto per lui visto che sarà abbastanza corto, almeno credo, ma perché lo spin-off mi richiederà un po' di tempo.
Devo ammettere che mentre scrivevo il capitolo avevo una gran voglia di entrare nella fanfiction e abbracciare forte Aomine (??), perché il panico da fratello maggiore che si è scatenato in lui da quando Kise gli ha detto della possibilità che ci sia qualcosa fra Momoi e Riko è stato ciò che mi ha permesso di mostrare che cosa c'è sotto la scorza da sbruffone arrogante e annoiato, mi sono divertita a farlo andare in panico. Vi dico soltanto che il riferimento di lui e Momoi ubriachi richiama all'ultima parte del secondo spin-off che ho scritto (http://www.efpfanfic.net/viewstory.php?sid=2860904&i=1) e … ok, io so come vanno le cose quando taglio le scene, mi piace lasciare libera immaginazione ai lettori e quindi non dico mai niente ma qui devo aprirla una parentesi: non che sia difficile capire cosa hanno fatto Aomine e Kise, quello che voglio dire è che nel mio depravato immaginario la cosa si è ripetuta più volte e in parti diverse della casa (??). Scusate, è l'aria da pornfest che mi fa pensare così. No, in verità penso sempre così.
Ah, già, perdonatemi riguardo a quello smile: si parla sempre di Kise e per me lui si diverte ad impestare gli sms di quella roba (un po' come me).
E ora parliamo di Akashi, che ultimamente mi sta così a cuore che decido di fargliene una ad ogni capitolo.
Akashi è ormai diventato un “mortale” e l'ho voluto dimostrare soprattutto nel momento in cui il passante lo ha scontrato, come se anche lui non lo avesse notato (in verità non è che suo padre non lo abbia notato, suo padre ha semplicemente fatto finta di nulla perché è uno str—)
In sintesi: se riuscirò a terminare Hall of Fame senza finire all'ospedale o morire, vorrà dire che Akashi mi vuole un gran bene (?)
Alla prossima!

Ritorna all'indice


Capitolo 34
*** Capitolo XXXIII ***


Capitolo XXXIII





L'ombra della sera inghiottisce le ultime luci del giorno.

«Atsushi, adesso basta! Ti ho già spiegato il motivo!» la voce di Himuro riecheggiò nella cucina e fu ben udibile anche al di là della porta, tanto che Aomine si voltò immediatamente a controllare che non vi fosse qualche cliente.
«Che figura ci facciamo, se entra qualcuno adesso?» schioccò la lingua contro il palato e Matsuda distolse la propria attenzione dalla porta chiusa per seguire il suo sguardo, mordendosi il labbro inferiore e supplicando mentalmente che nessuno dei passanti fermi di fronte alle vetrine entrasse nel locale.
«Non fanno altro che litigare, ultimamente.» Miya affondò l'unghia del pollice nel labbro inferiore e sospirò profondamente, impaziente di tornare in cucina a lavorare - il fatto che l'avessero costretta ad abbandonare l'impasto dei macaron e quindi a lasciare il lavoro a metà le dava sui nervi -.
Kagami non disse nulla e si limitò a sospirare rassegnato, affondando le mani nelle tasche dei pantaloni e allontanandosi dalla porta con qualche passo lento e irregolare: possibile che continuassero a litigare per lo stesso motivo che li aveva già spinti a scontrarsi nei giorni addietro? Possibile che fosse lui la causa di tutte quelle divergenze? Provocare tanti problemi non era sua intenzione, oltretutto si sentiva di giorno in giorno sempre più in colpa nei confronti di Himuro che, pur non avendo fatto nulla di male, continuava a subire la furia e la gelosia infantile di Murasakibara.
«Vorrei prenderlo a pugni.» ringhiò sommessamente, tese le braccia lungo i fianchi e serrò le dita in pugni stretti, cercando di immettere più aria possibile nei polmoni.
Aomine seguì il continuo andirivieni di Kagami e cercò di immaginare chi fra lui e Murasakibara avesse più probabilità di vittoria in uno scontro fisico, ma in pochi istanti abbandonò le sue congetture e smise di scommettere con se stesso, infastidito dal movimento ansioso e costante dell'altro.
«Ohi, siediti e smettila di fare avanti e indietro, consumi il tappeto.» brontolò e tornò a sedersi in cassa; Kagami, dal canto suo, si fermò solo un istante per dare un'occhiata al tappeto, poi lo fulminò con lo sguardo e riprese a passeggiare.
Era palese che Kagami fosse dispiaciuto - e infastidito - nei confronti di quella situazione, ma Aomine giudicava senza senso il suo continuo assumersi la colpa, dopotutto lui non aveva fatto altro che scambiare qualche parola con un amico che considerava addirittura un fratello, tanto era prezioso.
La porta di cucina si spalancò all'improvviso e i quattro seguirono con lo sguardo il movimento rapido di Himuro, che con passo estremamente pesante e irregolare, probabilmente a causa del nervoso, transitò fra Matsuda e Miya e giunse di fronte alla porta.
«Tatsuya?» non appena lo vide afferrare la maniglia fra le dita, Kagami lo chiamò, ma la voce suonò bassa e spezzata: nonostante gli ultimi giorni non facessero altro che litigare, Himuro non aveva mai lasciato il locale prima della chiusura, quindi il fatto che stesse per uscire significava che doveva essere grave.
«Dove vai?» Kagami sperò che volesse prendere solo un po' d'aria.
Himuro rafforzò la stretta delle dita attorno alla maniglia e guardò oltre la porta di vetro.
«Oggi vado via prima.» continuò a guardare oltre la porta e schiuse le labbra per catturare una grande boccata d'aria: non aveva idea se lasciare il locale fosse la cosa giusta da fare, ma ciò di cui era certo era che lì dentro non poteva resistere un minuto di più.
«Se vuoi puoi venire anche tu, hai il mio permesso.» Tatsuya scandì l'ultima parte della frase e Taiga spalancò gli occhi, colto completamente alla sprovvista da quelle parole.
«Ah? Ehi, non è giusto!» Aomine brontolò immediatamente, ma sia Kagami che Himuro lo ignorarono e quest'ultimo si decise ad aprire la porta.
«Allora, Taiga?» Himuro restò fermo sulla soglia e si voltò verso di lui, forzando un sorriso: forse lasciare il locale con Kagami, che era la causa delle sue dispute con Murasakibara, non era la decisione più saggia, ma era un buon modo per vendicarsi dell'altro e per cercare di distrarsi, dimenticare almeno momentaneamente quella situazione.
«A-arrivo!» Kagami mormorò e sentì le gambe terribilmente pesanti, per un istante credette di non riuscire a staccare i piedi dal pavimento, ma non appena compì il primo passo si affrettò a raggiungere l'altro e varcò la soglia appena dopo di lui.


«Mhn?» Murasakibara aggrottò la fronte e si chiuse la porta della cucina alle spalle, indugiando appena «Mine-chin, come mai sei ancora qui?»
Aomine si voltò verso di lui e trasse un sospiro di sollievo: finalmente il locale chiudeva e lui sarebbe tornato a casa.
«Visto che se ne sono andati via tutti e non avevo niente di meglio da fare, ho pensato di restare.» borbottò e si alzò dallo sgabello, dirigendosi a passo rapido verso l'uscita del locale per raggiungere l'attaccapanni e indossare il piumino.
Murasakibara restò imbambolato a guardarlo, poi fece marcia indietro e tornò in cucina.
«Ohi, che fai?» Aomine sbuffò e restò a fissare la porta chiusa con sguardo indispettito, serrando la zip del piumino soltanto quando l'altro fece ritorno dalla cucina.
«Allora aiutami a portare fuori la spazzatura.» Murasakibara parlò con estrema calma e sollevò appena le braccia, mostrandogli quattro grossi sacchetti bianchi.
«A saperlo me ne sarei andato prima.» Daiki schioccò la lingua contro il palato e tese un braccio «avanti.»
Murasakibara lo raggiunse e gli porse due sacchetti, adagiò i suoi a terra e li risollevò senza il minimo sforzo non appena ebbe indossato il cappotto.
Aomine si strinse nel piumino e affondò il viso oltre il bavero, infastidito dall'evidente differenza di temperatura fra il locale e l'ambiente esterno, mentre Murasakibara continuò a camminare dietro di lui senza dire o fare niente di particolare, come se l'aria fredda e pungente della sera non lo sfiorasse nemmeno.
Daiki si chiese se non fosse meglio chiedergli qualcosa, magari se Himuro lo aveva chiamato o, più semplicemente, come stava, ma non aveva alcuna intenzione di diventare un ficcanaso come Kise - aveva già dato abbastanza nelle “indagini” riguardo Satsuki e Riko -, e poi aveva già fatto tanto nel restare al locale perché Murasakibara non si ritrovasse a gestire cassa e cucina completamente da solo.
Dopo essersi fermati un istante per buttare la spazzatura, ripresero a camminare in silenzio e Aomine lasciò scivolare le mani nelle tasche del piumino, sospirando nervosamente: forse si era abituato così tanto alla voce petulante e lagnosa di Kise che il silenzio cominciava ad infastidirlo più del dovuto.
«Mine-chin?»
Aomine schiuse le labbra, intento a dire qualcosa, ma le serrò non appena Murasakibara lo chiamò e gli mostrò qualcosa con l'indice.
Daiki assottigliò lo sguardo e cercò di mettere a fuoco la sagoma che l'altro gli stava indicando tanto animatamente.
«Quello non è …?» Atsushi sussurrò e si fermò accanto a lui.
Quando Aomine riuscì a scindere il volto di colui che Murasakibara gli stava indicando dal buio, schiuse le labbra in un sospiro di sorpresa che prese immediatamente le sembianze di un ringhio nervoso.
«Andiamo.» non aveva voglia di sporcarsi le mani un'altra volta, quindi riprese immediatamente a camminare.
«Ma allora è proprio lui?» Murasakibara lo seguì senza riuscire a distogliere la propria attenzione dall'altro.
«Sì, è Haizaki.» Aomine rispose a denti stretti e accelerò il passo: se li avesse visti, avrebbe sicuramente cominciato a provocarli, e di conseguenza sarebbero venuti alle mani - non che gli dispiacesse l'idea di dargli un altro pugno in faccia, ma non aveva voglia di far aspettare ancora Kise per colpa di un idiota simile -.
«Mine-chin, credo ci sia qualcosa che non va.» Atsushi gli afferrò la manica del piumino e lo strattonò appena, fermandosi nuovamente.
«Ohi!» Aomine ringhiò, ma notando lo sguardo perso di Murasakibara decise di voltarsi in direzione di Haizaki.
Quando Haizaki li guardò, Aomine sentì i muscoli delle braccia e delle gambe contrarsi, come quelli di una pantera pronta a balzare sulla preda, ma si rilassarono non appena lo sguardo dell'altro tornò a rivolgersi altrove.
Possibile che non li avesse riconosciuti? Possibile che non fosse Haizaki? No, a pensarci bene c'era qualcos'altro nel suo sguardo, e Aomine non era stato il solo a notare il rossore delle cornee e gli occhi vuoti e inespressivi.
«Mine-chin, è fatto?»
Aomine rimase a guardarlo ancora per qualche istante e liberò il braccio dalla stretta di Murasakibara.
«È fatto.» fece eco e riprese a camminare, questa volta deciso a non assecondare più la curiosità infantile di Murasakibara.


«Aominecchi!»
Aomine digrignò i denti e fu tentato di tapparsi le orecchie, estremamente irritato dallo strepitio esagitato di Kise.
«È tutta la sera che ti aspetto!»
«Te l'avevo detto che avrei fatto tardi.»
«Non così tardi!» Kise gonfiò le guance e mise il broncio.
«Qual è il problema?»
«Avevo preparato la cena ...»
«Oh, beh, l'avrai bruciata un'altra volta.»
Kise buttò fuori tutta l'aria che aveva raccolto nelle guance e gli diede una piccola spinta.
«Aominecchi!»
Aomine lo ignorò e si sedette ai piedi del letto, sfilandosi le scarpe con estrema lentezza.
«Come mai ti sei trattenuto così tanto?» Kise smise di lagnarsi e si sedette accanto a lui.
«Himuro e Kagami sono andati via prima e io sono rimasto.» si strinse nelle spalle e guardò un punto impreciso davanti a sé.
«Hanno litigato di nuovo?» Ryouta chiese a voce bassa, come se avesse avuto paura di essere sentito da qualcuno.
«Già.»
«Forse dovrei chiamare Himurocchi.»
Aomine grugnì e Kise sbuffò sommessamente, rivolgendo il proprio sguardo altrove: non doveva essere geloso, non c'era motivo. Himuro lo aveva aiutato a fare chiarezza sui suoi sentimenti e lui, in qualche modo, voleva ricambiare il favore.
«Oh, a proposito.»
Kise tornò a guardarlo e restò in silenzio.
«Abbiamo incontrato Haizaki. Fatto. Completamente.»
Kise aggrottò la fronte e sbatté le palpebre un paio di volte, boccheggiando appena.
«Fatto? In quel senso, Aominecchi?»
«In quel senso.» Aomine ghignò vagamente divertito e Kise si lasciò scappare un sorriso che scomparve non appena lo stomaco dell'altro brontolò.
Aomine inarcò appena la schiena e si portò una mano allo stomaco.
«Aominecchi, se hai fame c'è la cena in frigo, anche se non ho idea di come siano freddi.»
«Cos'hai preparato?»
«Ho provato a fare i fish burger.»
«Potevi dirlo subito!» gli occhi di Aomine parvero illuminarsi e si alzò immediatamente in piedi «dammi dieci minuti.»
«No, no, Aominecchi! Vengo con te in cucina!»
«Eh? Ma dobbiamo fare tutto insieme come le donne?»
Kise gli sorrise e gli afferrò il braccio con la mano, fermandolo sulla soglia della camera per dargli un piccolo bacio sulle labbra.
«Devo sapere cosa ne pensi, e poi non ci siamo visti per tutto il giorno!»


Kuroko si sistemò sulle gambe incrociate di Kagami e gli circondò la vita con le proprie e le spalle con le braccia, restando a guardarlo con le labbra increspate in un sorriso quasi impercettibile.
Kagami gli afferrò i fianchi e chinò il viso per baciargli il collo un paio di volte, e Kuroko si lasciò scappare una risata sommessa.
«Taiga ...»
Kagami sfiatò contro il suo collo e arrossì improvvisamente: ormai Kuroko lo chiamava così nei momenti di intimità, e per quanto gli facesse piacere sentiva di non essersi ancora abituato - forse non si sarebbe mai abituato -.
Kagami si lasciò scivolare sulla schiena e trascinò l'altro con sé; Kuroko, dal canto suo, ampliò il sorriso e adagiò la fronte contro la sua, chiudendo gli occhi e inspirando il suo profumo per qualche istante.
«Sei pronto per il paintball?» scacciato l'imbarazzo, Kagami parlò, ma a voce estremamente bassa, come erano soliti fare ogni qualvolta si trovassero soli, abbracciati nella penombra della camera da letto.
«Pronto.» Kuroko scostò la fronte dalla sua e lo guardò «Kagami-kun, qualunque cosa succeda, sappi che ti amo.»
Kagami incrinò le labbra in una smorfia di puro imbarazzo e guardò altrove.
«Non andiamo mica in guerra, Kuroko. Non è il caso di dire certe cose.»
Kuroko sorrise e lo baciò piano, per poi sussurrargli sulle labbra.
«Penso che dovremmo fare l'amore per dirci addio.»
«Kuroko!» Kagami strepitò, ormai in balia dell'imbarazzo: Kuroko aveva intenzione di continuare quella messa in scena e aveva già insinuato le dita oltre l'elastico dei suoi boxer.
Kagami lasciò sprofondare il capo al centro del cuscino e si arrese quasi immediatamente ai tocchi rapidi e delicati dell'altro; Kuroko sospirò contro il suo collo e lo baciò un paio di volte, stuzzicando il timido inizio di erezione con tocchi decisi della mano destra.
Kagami intrecciò le dita ai suoi capelli e protese il viso per baciarlo, prima piano, poi con più energia, divaricando appena le gambe perché l'altro potesse liberarlo dall'impiccio dei boxer il più velocemente possibile.
Kagami portò le mani alle anche di Kuroko e gli sfilò gli slip, poi si mise a sedere e si ritrovarono di nuovo nella posizione di prima, con la sola differenza delle labbra incollate e delle erezioni a contatto.
Taiga chinò di nuovo il viso per stuzzicare il collo dell'altro con una serie di baci rapidi e Tetsuya si strinse un poco di più a lui, lasciandosi scappare un sospiro tremante e cominciando a muovere il bacino, deciso a stimolare ulteriormente la sua erezione e quella dell'altro.
Le mani di Kagami percorsero rapide la schiena magra dell'altro, accarezzarono la pelle liscia e seguendo la linea tracciata dalle vertebre, giungendo fino alle natiche sode; Kuroko, dal canto suo, continuò a muovere il bacino e gli afferrò il viso fra le mani, cercando i suoi occhi per un breve istante e poi tornando a baciarlo e a lasciarsi baciare.
Le dita di Kagami si insinuarono fra le natiche di Kuroko e non appena questo sollevò il bacino lo penetrò con l'indice e, dopo qualche movimento, anche con il medio, cercando di prepararlo il più velocemente possibile - dopotutto, ormai, c'era una certa confidenza e Tetsuya si era abituato all'improvvisa fretta che molto spesso faceva agire l'altro più come un animale che come un essere umano -.
Quando Kagami tornò ad arpionargli le anche e insinuò il membro fra le sue natiche, Kuroko si lasciò sfuggire un altro sospiro accaldato e intrecciò le dita ai suoi capelli, tendendo il capo all'indietro per esporre ulteriormente il collo e dare modo all'altro di baciarlo ancora, più volte e con molta più foga rispetto a prima.
Non appena Kagami lo penetrò, Kuroko cominciò a muoversi, baciandogli il lobo dell'orecchio destro con estrema lentezza. Taiga affondò le dita nelle sue natiche e sospirò di piacere, adagiando la fronte alla sua spalla e cominciando a sollevare e abbassare il bacino con movimenti lenti.
Le gambe di Kuroko rafforzarono la stretta attorno alla vita dell'altro e le mani cercarono sostegno sulle spalle, il movimento dei bacini cominciò ad accelerare e a divenire più fluido e Kagami sentì l'esigenza di un appoggio, quindi adagiò entrambe le mani al materasso e inarcò appena la schiena, ricambiando con foga i baci dell'altro.
Da quando avevano cominciato ad acquisire più dimestichezza col sesso e più confidenza l'uno con il corpo dell'altro, era diventato tutto molto più facile e intenso, era una sensazione sublime e appagante che stancava i corpi ma lasciava nelle anime una felicità imperturbabile. Quando facevano l'amore erano nel loro mondo e nessuno poteva disturbarli, nessuno poteva entrare.
Dopo aver fatto l'amore due o tre volte, era diventato improvvisamente facile scacciare via ogni inibizione - Kuroko dava l'idea di essere completamente a suo agio anche le prime volte, ma in verità era teso quanto Kagami -, era come se si conoscessero e si amassero da una vita - ma a pensarci bene, loro si amavano da una vita -.
Le dita di Kuroko arrancarono lungo le scapole di Kagami, che sollevò un poco di più il bacino e aumentò i movimenti, ormai prossimo all'amplesso che, a causa del seme caldo dell'altro attorno al suo ombelico e del suo gemito leggermente più forte dei precedenti, non si fece attendere.
Kagami gemette sommessamente e una volta svuotatosi dentro l'altro si coricò sulla schiena e sospirò affannosamente; Kuroko, dal canto suo, si stese su di lui ancora ansante e gli afferrò il viso fra le mani, accarezzandogli lentamente le guance e baciandogli le labbra con estrema gentilezza.


Il fatto che Aida avesse interrotto immediatamente il suo idillio riguardo al trovarsi in una squadra di paintball con Aomine, non piaceva affatto a Kise. Non avrebbe avuto problemi a comporre una squadra con Nijimura, Akashi, Kagami o Kuroko, ma era palese che preferisse giocare quella bizzarra partita insieme al suo fidanzato; il colmo era che Aomine sembrava aver completamente ignorato l'ammonimento di Aida e aveva cominciato sciorinare una strategia di squadra piuttosto aggressiva, senza neppure prendere in considerazione l'idea che avrebbero potuto dividerli.
«Non vincerai mai contro di noi, Bakagami!» Aomine aveva cominciato ad inveire contro Kagami, che senza farselo ripetere due volte aveva deciso di rispondere alla provocazione.
«Io e Kuroko faremo molto meglio di voi!» ringhiò e Kuroko lo guardò, poi si avvicinò un poco di più a lui e gli tirò la manica della felpa.
«Kagami-kun, non credo che saremo in squadra insieme.»
«Beh, che tu sia in squadra con Tetsu o meno, io ti troverò e ti ucciderò.» Aomine ghignò e Kagami arricciò il naso in tutta risposta, pronto a ribattere con un altro ringhio.
«Aomine-kun, non esagerare: non è una guerra, questa.»
«Eh-?!» Kagami incenerì Kuroko con lo sguardo: non era divertente che ripetesse le parole pronunciate proprio da lui la sera prima, parole che non erano servite a niente, visto che l'altro lo aveva ignorato e usando la scusa della “guerra” lo aveva costretto a fare l'amore - non che “costretto” fosse il termine più adatto, visto che Kagami non aveva fatto nulla per sfuggire dalle sue grinfie gentili, ma nel suo immaginario era stato circuito, persuaso, era solo colpa di Kuroko se la sera prima avevano fatto sesso -.
«Daiki, non dovresti prendere alla leggera i tuoi avversari.» Akashi accennò un sorriso e si avvicinò al gruppo con estrema lentezza.
«Ah?» Aomine, dal canto suo, inarcò un sopracciglio e gli rivolse un'occhiata confusa: difendeva Kagami?
«Mi sbaglio o mi hai lasciato da parte?»
Aomine si rilassò: ovviamente con avversari intendeva se stesso, non Kagami.
«Mi dispiace, Daiki, ma sarà la mia squadra a vincere.»
Aomine serrò le labbra e le contorse, desideroso di sfuggire allo sguardo tagliente e imperturbabile di Akashi.
«Siete qui da tanto?! Scusateci!» per fortuna la voce squillante di Momoi attirò l'attenzione di Akashi, e Aomine poté ricominciare a respirare - ma fu un respiro molto breve, perché la voce di Satsuki era molto più alta del solito e il suo sorriso più grande, e ciò insinuò nuovi dubbi in lui -.
«Kise?» Daiki sussurrò.
«Uhm? Che c'è, Aominecchi?»
«Ti odio.» brontolò e gli punzecchiò il braccio: era solo colpa sua se ogni volta che vedeva Momoi cominciava a porsi domande imbarazzanti e ipotizzare accadimenti al limite dell'assurdo.
«Aominecchi! Perché?!» Kise si lagnò come un bambino e gli afferrò la manica della felpa, scuotendola con energia, ma il piagnisteo finì non appena la voce di Aida riecheggiò nell'area circostante.
«Buongiorno, soldati!»
«Eh?» Kagami la guardò allibito, esattamente come Kuroko.
«L'ha presa sul serio, eh?» Nijimura, invece, protese appena le labbra e Akashi sorrise vagamente divertito.
«Riko-chan, stai benissimo vestita così!» Momoi batté le mani e sorrise, e allora capirono tutti che la bombetta, i pantaloncini e la camicetta in stile militare erano ad opera della più piccola.
«Momoi, smettila.» Aida sbatté le palpebre un paio di volte e cercò di non badare al bruciore che le pizzicava le guance.
«È un incubo ...» Aomine mormorò a denti stretti e Kise, che sembrava essersi già ripreso dalla frase che gli aveva rivolto prima, lo guardò e sorrise divertito.
«Bene.» Riko si schiarì la voce e cercò di tornare seria «fra poco vi assegneremo i fucili e le munizioni, che saranno di un colore diverso per ogni squadra.»
Nijimura inspirò profondamente e si avvicinò un poco di più ad Akashi, completamente concentrato su Aida.
«Io e Momoi abbia pensato a specifiche squadre per aiutarvi a sviluppare una certa confidenza e collaborazione.»
Nijimura strinse i denti: ciò significava che lui e Akashi, che avrebbero potuto lavorare in squadra con molta più sintonia rispetto ad altri, sarebbero stati divisi.
«La prima squadra avrà le munizioni blu e sarà composta da Aomine-kun e Nijimura-san.»
La possibilità di capitare con Akashi era già svanita, ma il fatto che gli avessero assegnato Aomine lo rese abbastanza euforico, tanto che a Nijimura venne istintivo scrocchiarsi le dita delle mani: sarebbe riuscito a gestirlo, lo avrebbe fatto rigare dritto come faceva ai tempi del Teikou.
«Aominecchi ...» il lamento di Kise sembrò quello di un cucciolo in cerca della madre, così Aida accennò un sorriso e si rivolse a lui.
«Kise-kun, tu sei con Kuroko-kun. Le vostre munizioni sono gialle.»
«S-sono con Kurokocchi?!» a Kise non sembrava vero e strepitò entusiasta.
«Calmati, Kise-kun.»
«Ma siamo insieme, Kurokocchi!» continuò a strepitare e cercò di abbracciarlo, ma Aomine lo afferrò per il colletto e lo strattonò bruscamente.
«Ohi, lascia in pace Tetsu, idiota!»
«La terza squadra … beh ...» Aida forzò un sorriso nervoso nel notare che Akashi e Kagami avevano già capito tutto e si stavano scambiando un'occhiata per niente amichevole: non serviva fare nomi né specificare quale fosse il colore delle loro munizioni.


Quando Midorima gli aveva accennato del paintball e gli aveva detto che aveva declinato l'invito, Takao aveva avuto la sensazione che l'avesse fatto per lui e aveva insistito perché richiamasse Akashi e gli dicesse che sarebbero venuto insieme a lui - non che Kazunari fosse nella condizione migliore per partecipare ad un gioco simile, ma il paintball era uno di quegli sport che lo aveva sempre incuriosito e che avrebbe voluto provare -.
Con grande sorpresa di Takao, Midorima aveva rifiutato di nuovo e gli aveva chiesto di lasciar perdere, aveva tagliato il discorso dicendo che si sarebbero visti sabato pomeriggio e lo aveva salutato in tutta fretta.
«Shin-chan, dimmi una cosa.» forse la spiegazione era più semplice di quanto credesse, forse a Shintarou non piaceva il paintball e preferiva una passeggiata tranquilla al parco.
«C'è un motivo particolare per cui hai rifiutato l'invito di Akashi-kun?» non a caso, Takao aveva pronunciato il nome di Akashi. Era stato proprio l'ex capitano della Generazione dei Miracoli a chiedere a Midorima di partecipare, e lui gli era parso immediatamente riluttante all'idea, come se fosse infastidito dalla sola presenza dell'altro, ma Takao non sapeva spiegarsi se fosse solo una sua sensazione o se quella riluttanza fosse dovuta ad un motivo che non conosceva o non sapeva immaginare.
«Perché non ne avevo voglia.» Midorima sbottò e si affrettò ad insinuare la chiave nella serratura della porta, come se aprirla potesse permettergli di sfuggire alle domande inopportune dell'altro.
«Sei sicuro, Shin-chan?»
«Sicuro.» Midorima spalancò la porta e varcò la soglia, seguito a ruota da Takao.
«Non avrete litigato, vero?»
«Takao, va tutto bene.»
Takao sbuffò sommessamente e gonfiò appena le guance.
«A me non sarebbe dispiaciuto giocare a paintball con te, Shin-chan ...»
«Un giorno giocheremo a paintball insieme.» ad essere sincero, Midorima era stato tentato dall'idea di giocare a paintball, ma aveva rifiutato per un semplice motivo: non voleva condividere il tempo di Takao anche con gli altri, non dopo una settimana passata chiuso in casa a studiare senza poterlo vedere neppure per una misera ora. Era incredibile quanto potesse mancargli Takao in una sola settimana di tempo.
«Oggi volevo ...» Shintarou indugiò, le parole gli morirono in gola, ma riemersero rapide e confuse non appena l'altro si affiancò a lui e gli rivolse un'occhiata interrogativa.
«Hai passato la settimana ad aiutare i tuoi genitori e questo è l'unico giorno che abbiamo a disposizione.»
«Appunto, Shin-chan! Potevamo andare a giocare a paintball con gli altri!»
«No, io vorrei ...» Midorima si guardò i piedi e sentì le guance pizzicare violentemente «vorrei restare da solo con te.»
Takao rimase a guardarlo e increspò le labbra in un sorriso vagamente intenerito; Midorima, dal canto suo, deglutì e poi riprese fiato.
«E poi, Takao, non credo che tu sia ancora nelle condizioni per giocare ad uno sport simile.»
Kazunari non rispose e si limitò ad ampliare un poco il sorriso, stringendo affettuosamente le proprie dita attorno al suo avambraccio.
«Shin-chan, che ne dici di scrivere una lista?»
«Una lista?»
«Una lista di cose da fare insieme una volta che mi sarò ripreso completamente.»
Midorima non mutò espressione e finalmente trovò la forza di guardarlo, ma distolse lo sguardo non appena vide il suo sorriso.
«Penso che si possa fare.»
«Ho già in mente la prima della lista, e a pensarci bene la possiamo già depennare.»
«E quale sarebbe?» Midorima lo guardò di nuovo, aggrottando la fronte confuso.
Le labbra di Takao fremettero appena, le mani si mossero in direzione del viso di Midorima, che si sentì privare completamente del respiro.
Shintarou si irrigidì e lo guardò avvicinarsi senza riuscire a dire nulla, focalizzò la propria attenzione sulle mani fredde di Kazunari sulle sue guance e da queste si lasciò trascinare verso la sua bocca.
Non appena le loro labbra si sfiorarono, una delle mani di Takao si posò sulla nuca di Midorima, quasi a pregarlo di non scappare via, come a chiedergli di provare un'altra volta.
Midorima sfiatò sommessamente e chiuse gli occhi, ricambiò il bacio dell'altro con estrema calma e si staccò dalle sue labbra con un piccolo schiocco.
«Shin-chan ...» Kazunari portò di nuovo la mano sulla sua guancia, lo guardò con il volto lievemente arrossato e sorrise «io ti amo, e sono pronto per stare insieme a te.»
Il cuore di Midorima saltò un battito, il volto andò in fiamme, ma nonostante la vergogna non riuscì a smettere di guardarlo o a respingerlo con qualche brontolio nervoso come faceva di solito: la felicità era più grande di qualsiasi altra cosa, non gli importava di non riuscire più ad incanalare aria, non gli importava del soffocante groviglio di rovi germogliato in fondo alla sua gola o di quel fastidioso nodo allo stomaco che, più che fare male, lo faceva sentire estremamente appagato e curioso. Appagato del nulla e curioso nei riguardi di un futuro ancora lontano: lui e Takao erano ancora a metà del tunnel, ancora al buio, ma un primo raggio di luce aveva ferito i loro occhi ed era questo ciò che contava più di ogni altra cosa.
Shintarou non parlò, ma continuò a guardarlo e gli prese il viso fra le mani con estrema gentilezza, per poi chinare il capo e baciarlo di nuovo.
Takao chiuse gli occhi e si strinse immediatamente a lui, come se per tutta la sua vita non avesse aspettato altro, come se dopo mesi di straziante cecità fosse sorto un nuovo sole sulle macerie della sua anima distrutta.

La luce del mattino dissipa le ombre di una notte di sofferenze.




Licenza Creative Commons
Quest'opera è distribuita con Licenza Creative Commons Attribuzione - Non commerciale - Non opere derivate 2.5 Italia.




L'angolino invisibile dell'autrice:

Lo so che sono in terribile ritardo, ma ho avuto qualche contrattempo.
Tralasciando i primi due esami della sessione (e me ne mancano ancora quattro, ahah-- -tic-), mi è venuta l'influenza, quindi nei giorni di malattia ho scritto molto poco a causa del mal di testa assurdo. E poi ho dovuto scrivere anche lo spin-off, quindi ci ho messo molto più tempo (a questo proposito, se non volete perdervi il paintball: http://www.efpfanfic.net/viewstory.php?sid=2995386)
Come avevo detto nello scorso capitolo, questo non è certo uno dei più lunghi, ma ci sono un bel po' di avvenimenti!
Tralasciando il fatto che di capitolo in capitolo sto distruggendo la MuraHimu /I beg you pardon, ma anche no (?)/, ho deciso di dedicare un “cameo” ad Haizaki. Era una cosa già decisa da tempo, quindi niente a che vedere con la sua comparsa nell'anime o con la breve discussione avuta con mughetto nella neve che si chiedeva come mai lo disegnassero come un “fattone” (per questo non ho potuto controbattere a ciò che hai detto, perché io stessa lo vedo come un possibile “fattone”! D: )
Non è per fargli del male (un po' sì, dai), ma devo rammentarvi che Hall of Fame tratta dell'imprevedibilità (e in certi casi della prevedibilità) del destino, di come le cose possano cambiare, magari in meglio se hai avuto un brutto passato, magari in peggio se prima eri invincibile (qualsiasi riferimento ad Akashi Seijuurou è puramente casuale) o possano rimanere uguali.
Oltre a ciò, visto che ultimamente Kagami e Kuroko sono stati tagliati fuori, ho pensato di proporvi un po' di porn, dopotutto mancavano anche a me, ugh.
La scena del paintball l'ho scritta quando avevo la febbre e immagino si capisca benissimo dal delirio. L'idea del paintball è nata un bel po' di tempo fa, mentre facevo la doccia /quando mi chiudo nella doccia faccio viaggi mentali che manco Haizaki drogato/ e ho deciso di scriverlo per un semplice motivo: Akashi e Kagami in squadra insieme.
Per quanto riguarda l'ultima parte, mie care fan della MidoTaka, potete trarre un sospiro di sollievo. Takao e Midorima riescono sempre a farmi emozionare con poche righe e poche parole (a Takao è bastato dire: “Io ti amo” per farmi piangere, vabbé) e sono molto soddisfatta di come ho concluso questo capitolo ;u;
Lascio un piccolo P.S. che spero non farà soffrire nessuno (?): ultimamente, ma anche in passato, mi è stato chiesto di inserire nella storia qualcosa in più sulla passata relazione fra Akashi e Kuroko, ma sono costretta a declinare la richiesta e spiego subito i motivi: ormai la relazione fra Kuroko e Kagami è ben consolidata e Kuroko non prova più nulla per Akashi, quindi, a meno che non sia Kagami a chiederglielo (cosa che ritengo impossibile), Kuroko non gli racconterà mai di quando era fidanzato con Akashi (non fa mai piacere quando il fidanzato/la fidanzata parla dell'ex, quindi non farebbe piacere neppure a Kagami!); sono ricordi che Kuroko stesso, in parte, vorrebbe dimenticare, perché quella che ha avuto con Akashi è stata una relazione breve e che, oltretutto, è stata stroncata all'improvviso e nel peggiore dei modi, quando è venuto a galla l'Akashi “cattivo”. Siccome però non mi piace vedere i lettori scontenti e scrivo principalmente per fare felice qualcuno (?), penso proprio che cercherò di inserire qualcosa su Akashi e Kuroko in questo album di curiosità dedicato a questa fanfiction: https://www.facebook.com/media/set/?set=a.674523922656821.1073741832.416393978469818&type=3, ergo: pazientate e vedrò di trovare un modo diverso per accontentare la vostra curiosità!
Alla prossima!

Ritorna all'indice


Capitolo 35
*** Capitolo XXXIV ***


Capitolo XXXIV





Siamo stelle luminose che si spengono dietro le nuvole.

Da quando Himuro aveva lasciato il locale con Kagami molto prima del normale orario di chiusura, due settimane addietro, la tensione sembrava essersi improvvisamente allentata e non si erano più verificati litigi fra lui e Murasakibara, tuttavia l'atmosfera che si respirava a casa non era più la stessa e parte della loro intimità e dell'affetto che dimostravano l'uno dei confronti dell'altro sembravano essere scomparsi.
Marzo era appena sopraggiunto e presto avrebbe portato con sé l'aria tiepida e profumata della primavera, ma ciò non rallegrava affatto gli animi: Murasakibara era terribilmente annoiato dalla routine derivante dalla gestione del locale e Himuro profondamente frustrato a causa del comportamento infantile del fidanzato.
In quelle due ultime settimane, Tatsuya si era impegnato per cercare una soluzione - al contrario di Murasakibara, che aveva preferito mettersi da parte a rosicchiare cibo spazzatura -, ma non era riuscito a pensare a nulla che potesse permettergli di trovare il giusto compromesso che avrebbe impedito loro di litigare ancora - dopotutto sapeva che la scelta degli stagisti era alle porte e che sarebbe potuta diventare motivo di discussione -.
«Immagino che tu sia d'accordo con me sul fatto che Seiji sia il primo da escludere, no?» quel giorno gli stagisti avevano lasciato il locale con un'ora di anticipo, quindi Himuro aveva deciso di approfittarne e togliersi il pensiero del possibile battibecco che avrebbe potuto scaturire da un simile discorso.
«Mhn?» Murasakibara gli rivolse una rapida occhiata, per poi tornare a cospargere le torte di zucchero a velo «quindi Mine-chin lavorerà in cassa?»
A proposito della cassa, Himuro l'aveva lasciata incustodita, ma Murasakibara pensò che doveva aver chiuso momentaneamente il locale e comunque non gli chiese di lasciare la cucina come aveva pensato di fare non appena lo aveva visto entrare, dopotutto non voleva litigare di nuovo e sapeva che quel discorso - per quanto fastidioso - era importante e necessario.
«Non si può dire che Aomine abbia una grande voglia di lavorare e una bella faccia rassicurante, ma almeno non ha la testa fra le nuvole come Seiji.» Himuro si strinse nelle spalle: Seiji non gli dispiaceva, era un ragazzo tranquillo, disponibile, ma era troppo distratto dalla presenza di Aoi, - in caso contrario avrebbe tentato di convincere Murasakibara ad affidare a lui la gestione della cassa -.
«Quindi se in cassa non c'è Ma-chin, in cucina può rimanere Mi-chin, no?»
Himuro si sentì pungere nel vivo e schiuse immediatamente le labbra, pronto a controbattere, fermandosi appena in tempo per ritrovare la lucidità e parlare con più calma.
«Aoi ha delle regole strane in cucina.»
«Non è importante, Muro-chin: io non parlo molto in cucina, quindi il comportamento di Mi-chin non mi dà fastidio.» non era una bugia per convincere Himuro a scegliere Miya e scartare Kagami, era vero che Murasakibara stesso non era di molte parole e - le poche volte che lo faceva - tendeva a lavorare in silenzio.
«Il dialogo in cucina è molto importante, Atsushi.» non che Himuro pensasse che Murasakibara sarebbe riuscito a dialogare serenamente con Kagami, anzi probabilmente non sarebbe mai successo, ma almeno c'era una lontana possibilità che si parlassero nel momento del bisogno, non che continuassero ad ignorarsi anche nelle situazioni più critiche come succedeva con Miya.
«Il dialogo distrae, Muro-chin.»
«Io credo, piuttosto, che il dialogo serva per organizzarsi, Atsushi.»
Murasakibara inspirò appena e ripose la busta di zucchero a velo nella scatola di cartone, per poi rivolgere una rapida occhiata all'altro, vagamente infastidito dalla sua presenza.
«Io e Mi-chin non parliamo mai, eppure le nostre torte sono molto più curate di quelle di Kagami.»
Tatsuya restò a guardarlo in silenzio, senza cambiare espressione: Atsushi parlava di estetica, probabilmente cercando di arrampicarsi sugli specchi e trovare una giustificazione valida perché anche lui dovesse preferire Aoi a Taiga.
«Una torta più bella attira di più.» Murasakibara riprese.
«Sì, ma una volta che i clienti avranno scoperto che l'aspetto è più curato del gusto cercheranno un'altra pasticceria.» Himuro replicò e sorrise impercettibilmente, poi adagiò la schiena contro la porta, incrociando le braccia al petto «ammettiamolo, Atsushi: in quanto a gusto, le torte di Taiga sono molto più buone rispetto a quelle di Aoi. E anche rispetto alle tue.»
Le dita di Murasakibara arpionarono con forza la scatola di zucchero a velo, finché il pollice non lacerò il cartone sottile.
Himuro lo vide incurvare appena la schiena e affrettarsi a togliere la busta di zucchero a velo dalla scatola rotta, buttandola via con un rapido e concitato movimento della mano.
«Le sue torte non sono migliori delle mie.» mormorò a denti stretti, continuando a dare le spalle all'altro.
«Quando la smetterai con queste scenate di gelosia?» Himuro lasciò ricadere le braccia lungo i fianchi e trattenne il fiato, esasperato ed estremamente innervosito da quella situazione: era così difficile per un fidanzato capire i sentimenti dell'altro? Atsushi sembrava non aver recepito neppure la metà dell'amore che si era sempre celato dietro i suoi gesti e le sue parole, e più il tempo passava, più dubitava di lui e gli si dimostrava ostile, proprio come un primogenito capriccioso che detesta l'idea che i genitori diano qualche attenzione in più al fratellino.
«Ascoltami.» Tatsuya si massaggiò la radice del naso con le dita e chiuse gli occhi per pochi istanti «teniamo soltanto Aoi.»
Non sarebbe mai voluto arrivare a proporre qualcosa del genere, ma Himuro credeva di non avere altre possibilità: se Kagami non poteva stare lì a causa della gelosia insensata di Murasakibara, allora anche Aomine doveva andarsene.
«Lavorerò io in cassa.»
«C'è Mine-chin, in cassa.»
«Se non vuoi Taiga, io non voglio Aomine.»
Murasakibara restò in silenzio per qualche istante e finalmente decise di voltarsi verso Himuro, fulminandolo con lo sguardo.
«Mi stai ricattando, Muro-chin?»
«A quanto pare non mi lasci altra scelta.»
Che cosa poteva fare per trovare un compromesso con un bambino viziato come Murasakibara? In quel momento ricattarlo gli sembrava l'unica cosa sensata da fare.
«Questo è il mio locale, Muro-chin, quindi decido–»
«Il tuo locale?!» Tatsuya si staccò dalla porta e gli strepitò contro: sentiva di essere arrivato al limite.
Murasakibara si zittì e assottigliò appena lo sguardo, brontolando sommessamente.
«Questo è il nostro locale, Atsushi!» Himuro continuò a strepitare «chi ti ha incoraggiato ad aprirlo, Atsushi?! Chi è che si fa in quattro perché il tuo sogno non cada a pezzi?! Chi ha rinunciato all'America per te?!»
Himuro si morse il labbro inferiore e trattenne il respiro: l'ultima parte avrebbe potuto risparmiarsela, ma era facile dire cose spiacevoli quando si era accecati dalla rabbia.
Murasakibara restò a guardarlo e rimase in silenzio per qualche istante, poi negò appena con il capo e mormorò sommessamente.
«Allora perché non te ne torni in America?»


Quando Kagami spalancò il portone e lo raggiunse, Aomine restò in silenzio e riprese a camminare in tutta fretta, diretto verso il campetto.
Murasakibara e Himuro avevano permesso agli stagisti di uscire un'ora prima e, conscio del fatto che arrivando a casa non avrebbe trovato Kise, impegnato con un servizio fotografico, Aomine aveva proposto a Kagami di fermarsi al campetto per una partita.
«Scusami, Kuroko mi ha trattenuto.» Kagami accelerò il passo e si affiancò all'altro con la palla da basket - il motivo per cui era stato costretto a fare una capatina in casa - sotto braccio; Aomine, dal canto suo, gli rivolse una rapida occhiata e colpì il pallone a spicchi, facendolo scivolare a terra e recuperandolo in seguito ad un rimbalzo.
«Ohi!» Kagami ringhiò e cercò di recuperare il pallone, ma Aomine lo fece passare dalla mano destra alla sinistra e cominciò a palleggiare con aria disinteressata, come se gli importasse soltanto di sentire il palmo e le dita battere contro il cuoio ruvido e ignorasse il fatto che l'oggetto non era di sua proprietà.
«Taci. Ti sei fatto rubare la palla come un bambino.» Aomine brontolò, ma la sua voce risuonò più flebile e tremante del solito, come se fosse divertito dalla situazione e si stesse sforzando di trattenere un sorriso. Kagami, comunque, non sembrò altrettanto divertito e sfiatò nervosamente, per poi distogliere il proprio sguardo dall'altro e accelerare ulteriormente il passo, superandolo.
«E vedi di non farti battere nei primi due minuti!» Aomine continuò ad infierire: quando si trattava di brevi uno contro uno, era sempre il suo stile senza forma a trionfare, ma nelle partite ufficiali giocate in passato era sempre stato il Seirin ad avere la meglio, questo perché Kagami aveva bisogno di tempo per ingranare e non aveva modo di farlo quando giocavano al campetto.
«Non ho alcuna intenzione di perdere.» Kagami accolse la provocazione di Aomine con un sorriso vagamente divertito e colmo di determinazione.
«Dici sempre così.» Daiki biascicò con fare annoiato e Kagami sfiatò sommessamente.
«Perché è vero: non ho alcuna intenzione di perdere.» e soprattutto perché non avrebbe mai sottovalutato Aomine e dava sempre il massimo pur di riuscire a sopraffare il suo incontenibile talento.
Giunti alla fine del marciapiede, Aomine si affiancò nuovamente a lui e, una volta scattato il verde, attraversarono la strada fianco a fianco. Dopo aver superato il crocchio di alberi, Aomine osservò il canestro oltre la griglia metallica, per poi soffermare la propria attenzione su due sagome ferme sul fondo, celate dall'ombra di quello che doveva essere un canforo.
«Merda.» sbuffò rumorosamente, continuando a camminare rasente la rete metallica «pare che sia già occupato.»
Kagami rivolse la propria attenzione alle due figure, soffermandosi in particolare sul colore di capelli di una.
«Aomine, quelle non sono …?»
Aomine spalancò gli occhi e si sentì privare del respiro: non potevano essere loro.
Mise a fuoco le due figure e si fermò, facendo fatica a tenere la bocca chiusa per lo stupore, lo shock e la restante infinità di sensazioni differenti che gli aveva appena suscitato quella visione; Kagami, dal canto suo, si soffermò sull'espressione attonita dell'altro e poi rivolse la propria attenzione alle sagome in fondo al campetto, arrossendo violentemente e schiudendo le labbra in un sospiro tremante, sbigottito e pietrificato.
Aomine non voleva credere ai suoi occhi: Aida e Momoi si stavano baciando. Sulle labbra.
Com'era possibile che Kise avesse ragione?
Daiki sentì le mani prudere e le batté sulle tasche del piumino, indeciso se afferrare il cellulare per chiamare Ryouta e dirgli ciò che aveva visto, ma per fortuna la voce dell'altro interruppe il suo neonato e disordinato flusso di pensieri e gli impedì di sembrare un ficcanaso patentato e ansioso di fare gossip.
«Io credevo che ad entrambe piacessero i maschi, cioè, insomma ...» Kagami riprese fiato, ancora rosso in volto «a Momoi non piace Kuroko?»
Aomine incrinò le labbra in una smorfia e sbuffò sommessamente, inarcando un sopracciglio e rivolgendogli un'occhiataccia: era rimasto un bel po' indietro, per quanto riguardava Momoi.
«Non le piace più da un pezzo, ormai.»
Kagami rimase ad osservarlo per qualche istante, poi rivolse la propria attenzione al campetto, guardandosi bene dall'escludere le due ragazze dal suo campo visivo.
«Forse è meglio se rimandiamo, eh?»
Aomine, dal canto suo, si soffermò sulla rete metallica e gli porse la palla a spicchi, sbuffando nervosamente.
«Già.» era l'unica opzione plausibile, altrimenti sarebbe venuta a crearsi una situazione imbarazzante e quasi paradossale, probabilmente non sarebbe neppure riuscito a rispondere ad un saluto di Momoi e a guardarla in faccia - non che fosse sicuro di esserne capace una volta accettata la realtà dei fatti -.
Glielo avrebbe detto lei? Oppure doveva chiederglielo lui? Gli avrebbe inviato un semplice sms o gli avrebbe riservato un imbarazzante annuncio a voce? Non aveva idea di cosa aspettarsi e sentiva le tempie pulsare e bruciare.
Era cambiato tutto in un istante e ancora faticava a crederci.
Da quel momento in poi, di che cosa avrebbero parlato, lui e Momoi? Di tette?


«Sei tornato presto, Kagami-kun.» Kuroko distolse la propria attenzione dalla pagina e sollevò lo sguardo verso di lui, chiudendo il libro e riponendolo con calma sul comodino.
«Aomine-kun ti ha stracciato?» Kuroko riprese a parlare ancor prima di dargli il tempo di rispondere e Kagami borbottò nervosamente, senza però riuscire a farsi valere a causa dell'imbarazzo ancora annidato dentro di lui.
«Non abbiamo neanche iniziato.» Kagami si chinò in fretta e sistemò la palla a spicchi sotto al letto, per poi sedersi accanto al corpo coricato dell'altro.
«È successo qualcosa?» Tetsuya si mise a sedere lentamente, rivolgendogli tutta la sua attenzione.
«Non proprio.» Kagami negò con un piccolo cenno del capo e lasciò sprofondare il canino nel labbro inferiore «diciamo che il campetto era occupato.»
Kuroko si fece un poco più vicino, per cercare di capire se la sfumatura sulle guance di Kagami fosse dovuta alla luce artificiale dell'abat-jour o all'imbarazzo.
«Kagami-kun, è successo qualcosa?» poi parlò, sicuro che quel rossore fosse dovuto proprio all'imbarazzo e non a qualche fattore esterno come la luce.
I denti sprofondarono nel labbro inferiore e Kagami inspirò profondamente, per poi stringersi nelle spalle: doveva dirglielo, altrimenti Kuroko avrebbe cominciato a fargli mille domande e non avrebbe più smesso.
«Ecco ...» borbottò con aria impacciata, intrecciando le dita delle mani e imprigionandole fra le ginocchia: sembrava una ragazzina delle medie sul punto di dichiarare il suo amore al compagno di classe.
«C'erano due persone al campetto.»
Kuroko inarcò appena un sopracciglio e rimase a fissarlo in silenzio, rivolgendogli la parola soltanto quando lo vide inumidirsi le labbra e lo sentì deglutire.
«Dovevano essere davvero spaventose, quelle due persone.»
Kagami schiuse le labbra e gli rivolse una rapida occhiata, negando con un cenno del capo e forzando un sorriso che prese quasi immediatamente le sembianze di una smorfia.
«Si stavano baciando.»
Kuroko aggrottò la fronte confuso e serrò le labbra, cercando di trattenere una risata.
«E allora? Baciarsi è una cosa normale, lo facciamo anche noi.»
«K-Kuroko, no!» Kagami si massaggiò la fronte e poi passò alle tempie: ci mancava soltanto Kuroko con le sue frasi imbarazzanti!
«Non è questo il problema.» Kagami riprese, cercando di mantenere una certa fermezza nella voce «erano due ragazze.»
«Kagami-kun, io e te siam–»
«No, non è neanche questo il problema.» Taiga riuscì a interromperlo in tempo, prima che cominciasse a sproloquiare sul fatto che loro, pur essendo due maschi, erano fidanzati, si baciavano e facevano anche altre cose.
«Quello due ragazze erano ...» Kagami si schiarì la voce, esitando per qualche istante «Momoi e la coach.»
Taiga si sentì improvvisamente più leggero e trasse un piccolo sospiro di sollievo, rivolgendo un'occhiata confusa a Kuroko, la cui espressione non aveva lasciato trasparire alcuna emozione.
«Kuroko?» che fosse rimasto shockato? Dopotutto lui e Momoi erano amici dalle medie e lei era stata per tanto tempo innamorata di lui, quindi era molto probabile che non si aspettasse di ricevere una notizia simile.
«Kagami-kun, guarda che era ovvio.»
Kagami schiuse le labbra in un balbettio confuso, rivolgendo una rapida occhiata a Kuroko e poi tornando a fissare un punto impreciso della stanza.
«Come sarebbe a dire che era ovvio?»
Kuroko forzò un sorriso e tornò a stendersi lentamente, piegando le braccia e allacciando le mani dietro la nuca.
«Hanno cominciato a comportarsi e a guardarsi in maniera differente, Kagami-kun, ma tu sei sempre troppo distratto dal basket per accorgerti di queste cose.» Tetsuya commentò con calma, rivolgendo i propri occhi al soffitto e riprendendo a parlare dopo qualche istante di silenzio.
«Credo che Aomine-kun lo sapesse meglio di chiunque altro, ma non ha voluto ammetterlo a se stesso finché non lo ha visto con i propri occhi.» Momoi era la sorella che Aomine non aveva mai avuto, oltre che la sua migliore amica, quindi era logico che volesse proteggerla, era un istinto naturale insito in lui da molto tempo, ormai, e al quale non avrebbe opposto resistenza per alcun motivo. A causa di Aomine, pochissimi ragazzi avevano trovato il coraggio di avvicinarsi a Momoi e, nelle rare occasioni in cui aveva avuto degli appuntamenti, lui l'aveva comunque tenuta d'occhio - questo Tetsuya lo sapeva bene, visto che quasi tutte le volte che gli era capitato di uscire con lei si era ritrovato l'ex asso del Touou alle calcagna -, quindi era ovvio che avrebbe continuato a vegliare su di lei, a prescindere che frequentasse un uomo o una donna.
Kagami restò a guardarlo in silenzio e incrinò le labbra in una piccola smorfia: Kuroko si confermava ancora come il mago dell'osservazione; a volte gli faceva paura, perché in quegli anni aveva affinato così tanto la sua tecnica da riuscire perfino a presagire alcuni accadimenti prima che si manifestassero realmente.
«Kuroko?» Kagami cercò di togliersi dalla testa l'immagine di Aida e Momoi e si rivolse nuovamente all'altro, sfiorandogli il fianco sinistro con il dorso della mano: era già una settimana che Kuroko pareva accendersi e spegnersi ad intermittenza, un minuto prima gli sorrideva e lo pizzicava con qualche frase imbarazzante e un minuto dopo restava in silenzio e fissava il soffitto con sguardo inespressivo.
«Cosa c'è che non va?»
Tetsuya chiuse gli occhi e si concentrò sulla voce bassa e leggermente roca dell'altro, sull'elocuzione lenta e sul tono vagamente tremante, che rivelava la sua preoccupazione.
Kagami aveva una bella voce.
«Il senso del progetto è andato perso, ormai.» Kuroko aprì gli occhi e guardò Kagami.
«Non volevi ritrovare e riunire tutti i Miracoli? Mi sembra che tu ce l'abbia fatta, no?»
«Non proprio, Kagami-kun.» Tetsuya sospirò sommessamente e inclinò appena il viso, rivolgendo la propria attenzione al pavimento lucido.
«Non siamo mai riusciti ad incontrarci tutti insieme. Mai.» era questo che affliggeva Kuroko: non c'era stata una volta, in tutti quei mesi, che fossero riusciti a vedersi tutti insieme.
Murasakibara e Himuro sembravano aver perso completamente l'interesse per il basket, in occasione dell'ultima telefonata Midorima si era mostrato piuttosto schivo e non si faceva vedere da un bel po', in più Kise aveva avuto molti impegni allo studio fotografico e Akashi, le rare volte in cui si presentava al campetto, non poteva far altro che stare seduto a guardarli.
Kuroko continuò a guardare il pavimento e si lasciò scappare un altro sospiro quando Kagami gli accarezzò il fianco una seconda volta.
«Credo che alla nostra età sia normale essere immersi dagli impegni.»
Tetsuya annuì appena, ripensando anche a ciò che gli aveva detto sua nonna un paio di giorni prima: perdersi faceva parte del normale processo di crescita, perché inevitabilmente sopraggiungevano impegni e problemi di vario genere e subentravano nuove persone, ognuno aveva una sua strada da seguire, un sentiero privato che non avrebbe mai potuto condividere con altri.
Kuroko aveva la sua strada, diversa da quelle di tutti gli altri, perfino da quella di Kagami che, nonostante tutto, cercava di non mancare mai agli incontri al campetto e gli era sempre vicino.
Forse almeno le loro strade, pur essendo differenti, correvano parallele l'una all'altra.
«Facciamo così.» Kagami si alzò all'improvviso, attirando l'attenzione di Kuroko.
«Andiamo al Maji Burger.» si chinò a terra e afferrò la palla a spicchi «e se quelle due hanno smesso di fare certe cose, andiamo al campetto a fare due tiri, che te ne pare?»
Taiga restò chinato a terra, con la palla a spicchi stretta al petto, e rivolse un piccolo ghigno a Tetsuya, che non poté far altro che ricambiare con un sorriso.
«Ci sto.» dopotutto starsene tutto il giorno chiuso in casa a leggere e a pensare stava cominciando a nuocergli, distrarsi e sfogarsi un po' gli avrebbe fatto sicuramente bene.
«Perfetto!» Kagami ampliò il ghigno amichevole, che però scomparve non appena le mani di Kuroko gli circondarono il viso.
«Grazie, Kagami-kun.»


«Kise?!» gli tremò la voce, si morse il labbro inferiore: doveva cercare di resistere alla tentazione.
«Kise, avevi ragione!» Aomine si immobilizzò e si morse la lingua: era troppo tardi, ormai.
Kise aggrottò la fronte confuso e incuriosito e raggiunse la soglia della cucina, protendendo il viso per dare un'occhiata ad Aomine, fermo all'ingresso.
«Aominecchi, di che cosa stai parlando?» c'era qualcosa di strano nella voce di Aomine, e anche nel modo in cui lo guardava, ma Kise non riusciva davvero a capire a cosa fosse dovuta quella bizzarra e insolita concitazione.
Aomine, dal canto suo, capì di aver toccato il fondo: se appena messo piede in casa non riusciva a tenere la bocca chiusa neppure per un minuto, significava che Kise lo aveva ormai contaminato. Era divenuto a tutti gli effetti un uomo a cui piacevano altri uomini e, soprattutto, dedito alla malefica arte del gossip.
Daiki si augurò che fosse un momento passeggero e si promise mentalmente che il giorno dopo avrebbe fatto incetta di riviste per soli uomini, che a Kise piacesse o meno l'idea di ritrovarsi la camera cosparsa di seni enormi.
«Io e Kagami siamo andati al campetto e ...» si inumidì le labbra e finalmente si decise a raggiungere l'altro, cercando di ritrovare la calma o, per lo meno, sembrare il meno esaltato possibile.
Kise lo seguì con lo sguardo, ancor più incuriosito che in precedenza.
«E abbiamo visto Satsuki e Aida che si ...» Aomine indugiò, vagamente imbarazzato, ma Kise sembrò capire e sorrise euforico.
«Si stavano baciando, Aominecchi?!»
Aomine si limitò ad annuire con un rapido cenno del capo e Kise sembrò quasi saltellare sul posto.
«Io te lo avevo detto! Anche Kurokocchi sospettava che fra loro ci fosse qualcosa!»
«O-ohi, Kise! Vuoi darti una calmata? Sembri una lettrice di shoujo in piena crisi ormonale!»
«Aominecchi!» Kise si lagnò e increspò le labbra in una piccola smorfia, tornando a rivolgere la propria attenzione all'altro soltanto quando questo riprese a parlare.
«Comunque ho bisogno di un po' d'aria fresca.» Aomine brontolò sommessamente, dando un'occhiata ai fornelli per assicurarsi che Kise non avesse già cominciato a preparare la cena - cosa alquanto improbabile, visto che doveva essere tornato a casa solo una decina di minuti prima di lui -.
«Ti va di andare al Maji Burger?»
Kise schiuse le labbra e sembrò sul punto di accettare la richiesta con entusiasmo, ma al contrario di ciò che Aomine si aspettava, restò in silenzio e si pizzicò il fianco con l'indice e il pollice.
«Non credo mi farà bene ...» borbottò sommessamente: per quanto desiderasse accettare quella proposta, il fatto che fosse di nuovo impegnatissimo con servizi fotografici di vario genere influenzava irrimediabilmente le sue scelte alimentari.
Aomine gli pizzicò il fianco con forza, nello stesso punto in cui, poco prima, Kise aveva stretto la pelle fra le dita.
«Ahi!»
«Un panino non distruggerà la tua carriera di modello, idiota.»
Kise si massaggiò il fianco e mise il broncio.
«Magari dopo possiamo andare al campetto, così bruci un po' di calorie o quel che è.»
Gli occhi di Ryouta sembrarono illuminarsi improvvisamente e le labbra si incresparono in un piccolo sorriso.
«Uno contro uno?»
«Lo mangi quel panino, o no?»
«Se dopo andiamo al campetto, lo mangio!»
«E allora andremo al campetto.»


Si trovavano ancora al di là delle porte scorrevoli, ma Kagami teneva gli occhi fissi sulla cassa vuota, impaziente di entrare e ordinare almeno una decina di panini.
Quando le porte si aprirono, Kuroko varcò la soglia e si immobilizzò, e Kagami, con lo sguardo ancora incollato alla cassa, lo scontrò in pieno.
«Kuroko, cosa c'è?» Taiga aggrottò la fronte e gli rivolse una rapida occhiata, tornando poi ad osservare la cassa «guarda che io ho fame, muoviti!»
«Ci sono Kise-kun e Aomine-kun ...» Kuroko mormorò a fior di labbra e Kagami gli transitò accanto, dirigendosi a passo rapido verso la cassa ancora libera.
«Sì, sì … umh? Eh?» aveva così fame che per un attimo gli era sembrato di udire soltanto il brontolio rabbioso del suo stomaco e non aveva fatto troppo caso alle parole di Kuroko, ma era sicuro che avesse pronunciato almeno un nome e che non fosse il suo.
Kagami si fermò e rivolse la propria attenzione a Kuroko, poi seguì il suo sguardo e si soffermò sulla testa bionda che pareva ondeggiare vagamente e su quella blu ferma di fronte all'altra e leggermente inclinata.
«Aomine?» Kagami ringhiò e Aomine raddrizzò il capo, rivolgendo la propria attenzione alle spalle di Kise.
«Ah? E tu che ci fai qui?» Daiki digrignò i denti e Ryouta si voltò.
«Kagamicchi! Kurokocchi!»
Kuroko si soffermò solo per un istante su Kagami e Aomine e trattenne un sorriso: ormai il loro modo di porsi l'uno nei confronti dell'altro era condizionato più dall'abitudine e dall'orgoglio, che da vera e propria antipatia. Quella recita non aveva più senso, ormai.
«Kagami-kun, prendi un milkshake alla vaniglia.» Kuroko gli transitò accanto e si sedette vicino a Kise, che gli aveva già fatto posto sul divanetto.
«Ciao, Tetsu.»
«Ciao, Aomine-kun.»
Kagami sfiatò rumorosamente e rivolse un'occhiataccia ai tre e, soprattutto, a Kuroko - perché gli toccava starsene in piedi ad aspettare che il milkshake e i panini fossero pronti mentre il suo fidanzato se ne stava già comodo sul divanetto? -
«Kagamicchi?»
Kagami non poté fare a meno di rivolgere la propria attenzione a Kise, ma se ne pentì amaramente non appena intravide il suo sorrisino.
«Mi prenderesti una bottiglietta d'acqua naturale?»
Kagami rispose con un grugnito: cosa poteva fare? Rifiutare?
«Ecco, bravo, portami altre patatine.»
La voce di Aomine fu la goccia che fece traboccare il vaso.
«Perché non ti alzi e te le prendi da solo, le patatine?»
«Guarda che poi ti pago. Cioè, ti paga Kise.»
«Kagami-kun, prendi il milkshake per me, l'acqua per Kise-kun e le patatine per Aomine-kun.»
«K-Kuroko, non darmi ordini.»
«Sbrigati, si sta formando la coda.»
Kagami si voltò e si morse il labbro inferiore con rabbia non appena vide che la cassa libera era stata appena presa d'assalto da un gruppo di ragazzini rumorosi: tutte quelle chiacchiere gli erano appena costate il primo posto in fila.


Aveva spento la luce verso mezzanotte ed era scivolato sotto le coperte, ma era rimasto vigile, con gli occhi ben aperti.
Himuro non aveva idea di che ora fosse, ma doveva essere comunque molto tardi; sentiva gli occhi così pesanti da non avere neppure il coraggio di scostare le coperte e dare un'occhiata alla sveglia, sulla quale campeggiavano numeri digitali luminosi.
Non sapeva più che cosa pensare per tenersi sveglio, voleva prendere il cellulare e chiamare Murasakibara, ma non aveva il coraggio perché temeva non gli avrebbe risposto.
Ormai in balia della disperazione, con i sensi annebbiati dalla stanchezza, Tatsuya cercò di visualizzare l'esatta sequenza delle scene dell'ultimo film che aveva guardato, in modo da confrontare la sua durata con il tempo trascorso in silente attesa, ma non riuscì a ricordare l'ordine preciso e cominciò a sembrargli una follia, in più visualizzare alcune immagini non era di aiuto per il suo organismo ormai abbindolato dal sonno, si trattava di uno sforzo così faticoso da fargli rischiare di cadere vittima di Morfeo, la cui immagine fantastica pareva volteggiargli attorno come un rapace affamato.
Forse erano le due, forse le tre.
Himuro si augurò fossero le due, anzi che in verità il tempo che gli era parso lungo un'eternità fosse composto da soli sessanta minuti e, quindi, che fosse ancora l'una, altrimenti avrebbe perso molte ore di sonno e sarebbe stato difficile, il giorno dopo, lavorare al locale con lucidità.
Avevano discusso degli stagisti e avevano finito per litigare, per altro senza riuscire a risolvere la questione - Murasakibara sembrava essersi abituato all'idea di avere Aomine in cassa, quindi Himuro gli aveva detto che avrebbero permesso anche a Kagami di lavorare, ma Murasakibara si era opposto come al solito e aveva cercato di convincerlo ad accettare la presenza di Miya -.
Per Tatsuya si trattava di una questione di principio, ormai: non poteva sopportare l'idea che Murasakibara non si fidasse di lui, lo credesse invaghito di Kagami o chissà cos'altro e che, quindi, facesse di tutto per separarli.
Tutto quello che Murasakibara avrebbe potuto ottenere da quei capricci era la rottura del loro rapporto, eppure sembrava essere indifferente a quella conseguenza più che plausibile e aver sottovalutato così tanto la situazione da non aver preso neppure in considerazione l'idea di una separazione.
Esausto e stufo di aspettare, Himuro sbuffò sonoramente e chiuse gli occhi, avvertendo immediatamente una notevole pesantezza sulle palpebre, quindi cercò di ricordare qualcosa di piacevole per tenersi sveglio e la prima immagine che gli venne in mente fu la torta che Murasakibara aveva preparato per il suo compleanno.
Gli tornò alla mente la morbidezza liquorosa del pan di Spagna, la panna soffice e le fragole dolci, ma cercò di scardinare quel ricordo non appena sentì gli occhi pervasi di malinconia.
Voleva soltanto che Murasakibara tornasse a casa, ormai era notte fonda e cominciava a preoccuparsi.
Non appena il cigolio della porta della camera risuonò nella stanza, Himuro sollevò le palpebre e si irrigidì, trattenendo il respiro: doveva essersi addormentato e, soprattutto, Murasakibara doveva essere appena tornato.
La porta cigolò di nuovo, meno rumorosamente di prima, e i passi irregolari di Murasakibara risuonarono nel buio della stanza.
Himuro trovò finalmente il coraggio di scostare le coperte e ne approfittò per dare un'occhiata all'ora, scoprendo che le tre di notte erano ormai passate da una ventina di minuti.
Dove poteva essere andato, per tornare a casa ad un orario simile? Murasakibara non aveva mai dimostrato alcun segno di interesse nei confronti dei bar, quindi dubitava che si fosse spinto in qualche bettola a bere alcool; allo stesso modo, dovette scartare l'ipotesi che fosse rimasto al locale - si annoiava facilmente, era impensabile che potesse resistere per così tanto tempo - o che avesse trascorso ore ed ore ad osservare i vari reparti di un supermercato - un'altra ipotesi impossibile, visto che, ad una certa ora della sera, i negozi di alimentari chiudevano -. Possibile che avesse fatto semplicemente una passeggiata? Dopotutto il centro di Shibuya rimaneva luminoso e vitale anche di notte, quindi era un'ipotesi che andava tenuta in considerazione, così come il sospetto che Murasakibara si fosse addirittura spinto oltre il confine della prefettura, magari approfittando del viaggio - in treno? O forse in metropolitana? - per riflettere.
Himuro si mise lentamente a sedere e prese una grande boccata d'aria, cercò un movimento nel buio e riuscì a scorgerlo soltanto dopo diversi istanti, grazie alla fioca luce emanata dai numeri digitali della sveglia.
Murasakibara era proprio di fronte a lui, a pochi centimetri dai piedi del letto e, a giudicare dal lento movimento delle braccia e dal fruscio leggero dei vestiti, doveva starsi spogliando.
«Atsushi?» Himuro lo chiamò e si sorprese della voce arrochita dal breve sonno e dalla tristezza, tanto che esitò e fu indeciso se riprendere a parlare o meno «dove sei stato?»
Non aveva neppure il coraggio di accendere la luce e Murasakibara pareva pensarla allo stesso modo.
Tatsuya subì il silenzio dell'altro, si sentì chiaramente schiaffeggiare da quell'insolita indifferenza.
«Atsushi?» ma non aveva intenzione di gettare la spugna, non gli piaceva l'idea che lo ignorasse.
«Eh?» Atsushi rispose con un mugolio sommesso e schioccò la lingua contro il palato, poi sospirò appena, innervosito dall'insistenza dell'altro.
«Non sono affari tuoi, Muro-chin.» si limitò a dire, e non parlò più, perché Himuro non fece più alcuna domanda.
Murasakibara si era sempre comportato da bambino capriccioso con gli altri, non con lui. Era incredibile che stessero facendo la guerra per una tale stupidaggine.
Himuro inspirò appena e schiuse le labbra, indeciso se parlare di nuovo nonostante il dolore causatogli dalle ultime parole dell'altro, tuttavia, quando Murasakibara scostò le coperte e si sistemò accanto a lui, non riuscì a far altro se non strisciare fino al bordo del letto, il più lontano possibile da lui.

Siamo la notte che precipita impetuosa sulle luci fumose della città.




Licenza Creative Commons
Quest'opera è distribuita con Licenza Creative Commons Attribuzione - Non commerciale - Non opere derivate 2.5 Italia.




L'angolino invisibile dell'autrice:

Finalmente ce l'ho fatta!
Sono nel pieno degli esami, quindi spero mi perdoniate se sono sempre più lenta ad aggiornare! Allora, parliamo un po' del capitolo.
Come viene detto all'inizio, sono passate due settimane dall'ultimo capitolo e quindi, secondo i miei calcoli, dovremmo essere intorno al due/tre marzo (quindi Midorima ha ancora un mesetto per fare pratica all'ospedale/scusate, ma devo scrivere queste cose in giro altrimenti me le dimentico, emh/)
Questi sono capitoli di passaggio, quindi a parte Himuro e Murasakibara che litigano continuamente, non stanno succedendo molte cose, però per quanto riguarda questo capitolo ho due appunti da fare!
Intanto, finalmente, siamo arrivati alla MomoRiko! Sì signori, alla fine Kise aveva ragione!
Avevo in mente la scena MomoRiko da molto tempo e mi sono divertita davvero molto a scriverla, soprattutto per Aomine che continua a ricoprire il ruolo del “fratellone” protettivo (ci sarà da ridere quando lui e Momoi si ritroveranno faccia a faccia), mentre Kise … beh, ovviamente Kise shippa MomoRiko (e anche Kuroko, anche se fino ad ora l'ha fatto silenziosamente).
Inoltre, se ve lo siete chiesti: il canforo è un albero e la parte in cui viene detto che Aomine spiava Kuroko quando usciva con Momoi è un riferimento ad una scena originale che ho visto sfogliando uno dei volumi del manga (non ho idea quale sia il volume, so solo che Aomine e Kise si sono messi a spiare Momoi e Kuroko e poi Kise è finito nelle grinfie di un poliziotto o qualcosa del genere).
Per quanto riguarda la scena KagaKuro, qui si presenta il problema focale di Hall of Fame, quello attorno al quale la fanfiction avrebbe dovuto cominciare a ruotare già da molti capitoli, ma che è emerso solo adesso perché avvertito da Kuroko: non riescono mai ad incontrarsi tutti insieme, che sia per lavoro, che sia per questioni familiari, studio o perché alcune coppiette vogliono starsene un po' da sole (ad esempio Midorima e Takao che, attualmente, se ne stanno chiusi nel loro piccolo idillio).
Hall of Fame parla di futuro e di crescita, noi conosciamo i personaggi di Kuroko no Basket come studenti di prima superiore, invece nella mia fanfiction hanno concluso le superiori da quasi un anno ormai e, come è normale che sia, ognuno di loro sta percorrendo la propria strada e, di conseguenza, si sta allontanando o avvicinando dagli altri.
Proprio come ha detto la nonna di Kuroko (e proprio come la penso io), fa parte del normale processo di crescita perdersi a causa di lavoro/studio/famiglia e chi più ne ha più ne metta ... la domanda che sopraggiunge qui è: loro si perderanno o no?
Alla prossima!

Ritorna all'indice


Capitolo 36
*** Capitolo XXXV ***


Capitolo XXXV





Lentamente, la candela si scioglie, e la cera soffoca la fiammella e la sua luce.

Quella mattina Aomine aveva ritardato di una decina di minuti e Murasakibara si era presentato due ore più tardi, quindi, quando Kagami era giunto di fronte al locale, aveva trovato soltanto Himuro che, intento a sollevare la saracinesca, gli aveva rivolto un rapido saluto e poi, una volta entrato in negozio, aveva preso immediatamente posto in cassa e non si era più azzardato ad aprire bocca.
Agli stagisti era concessa un'ora di pausa, da mezzogiorno alle tredici, e Kagami stava cominciando a pentirsi amaramente di aver respinto la proposta di Aomine di andare a mangiare al fast food più vicino, ma si era sentito in dovere di restare al locale per dare un'occhiata a Himuro e assicurarsi che stesse bene.
Più Kagami lo guardava, più era sicuro che ci fosse qualcosa che non andava: Himuro sapeva benissimo di avere i suoi occhi puntati addosso, eppure continuava a tenere lo sguardo fisso davanti a sé, rivolgeva la propria attenzione oltre le vetrate del locale e assumeva un tono di voce estremamente sollevato ogni volta che un cliente raggiungeva la cassa, poiché ciò gli permetteva di giustificare la sua mancanza di attenzione nei confronti dell'altro.
Kagami sentì lo stomaco contorcersi e strinse i denti, ma cercò di resistere ai morsi della fame e se ne rimase per almeno un paio di minuti con la schiena leggermente ricurva e la mano salda sotto i pettorali, con lo sguardo vigile rivolto alla porta chiusa.
Aomine, Matsuda e Miya erano usciti già da dieci minuti, Murasakibara era in cucina e nessun nuovo cliente era entrato: era il momento migliore per parlare.
«Tatsuya?» Kagami intravide con la coda dell'occhio un piccolo sussulto da parte dell'altro, ma Himuro finse di non aver sentito e non rispose.
«Avete litigato di nuovo?» Kagami sapeva che lo aveva sentito, tanto che riprese a parlare quasi immediatamente, scostando il proprio sguardo dalla porta d'ingresso e posandolo su di lui.
Himuro restò ancora in silenzio e inspirò appena, abbassò il capo e mosse la mano in cerca di qualcosa, forse tentato dall'idea di aprire la cassa per contare i soldi e quindi rimandare la discussione a più tardi, ma Kagami vide le sue dita indugiare, battere sul metallo freddo, poi contorcersi appena e infine immobilizzarsi.
«Abbiamo cominciato a discutere di voi stagisti.»
Kagami inspirò profondamente e sollevò leggermente le palpebre: quell'argomento riguardava da vicino anche lui, quindi non poteva negare un certo interesse anche per se stesso, oltre che per l'umore dell'amico.
«Concordiamo sul fatto che Seiji sia troppo distratto, quindi per la cassa abbiamo scelto Aomine.»
Kagami si trattenne dall'alzare gli occhi al cielo e sbraitare un'imprecazione: non bastava Murasakibara desideroso di rispedirlo a casa senza un lavoro, avrebbe infierito anche Aomine che, quasi sicuramente, gli avrebbe rinfacciato in ogni occasione di aver ottenuto l'incarico al contrario di lui.
«Ovviamente i problemi sono sopraggiunti quando abbiamo iniziato a parlare di te.» Himuro si lasciò scappare un sospiro sommesso e finalmente ricambiò il suo sguardo.
«Secondo lui le torte più belle attirano di più.»
Kagami restò in silenzio e storse appena il naso; Himuro, dal canto suo, increspò le labbra in un piccolo sorriso.
«Secondo me è il gusto che conta. E gli ho anche detto che le tue torte sono più buone delle sue.»
«Cosa …?» Kagami avvertì un fremito sulle labbra e cercò di restare il più serio possibile: era incredibile che Himuro avesse detto una cosa simile a Murasakibara.
«Deve averla presa male, eh?»
Himuro ampliò appena il sorriso e annuì con un piccolo cenno del capo.
«Ma non è questo il problema, Taiga.»
Le labbra di Kagami tornarono serrate, dritte come una corda tirata con forza da entrambe le estremità.
«Allora qual è?» si schiarì appena la voce e aggrottò la fronte, rivolgendogli un'occhiata interrogativa.
Himuro scostò il proprio sguardo da quello di Kagami e diede un'occhiata oltre le vetrate, per assicurarsi che nessuno fosse in procinto di entrare nel locale.
«Ieri è uscito circa dieci minuti dopo che ve ne siete andati voi stagisti ...»
«Eh? Vuoi dire che ti ha lasciato a gestire il locale tutto da solo?»
«Quando siamo vicini all'orario di chiusura è abbastanza facile gestire il locale, me la sono cavata.» Himuro forzò un sorriso che scomparve non appena riprese a parlare «il problema è che Atsushi è tornato a casa alle tre e venti della notte.»
«Alle tre e venti?» Kagami non riusciva davvero ad immaginare un tipo infantile come Murasakibara aggirarsi per la città di notte - a dire il vero non riusciva proprio ad immaginarlo mentre usciva di casa o dal locale senza Himuro -.
«Gli ho chiesto dov'è stato, ma a quanto pare non sono affari miei
Kagami aggrottò la fronte e arricciò le labbra in quello che parve un ringhio silenzioso.
«Ti ha detto questo?»
«Probabilmente è molto arrabbiato con me ed è comprensibile, anche io ieri non mi so—»
«No, Tatsuya. Non sei tu il problema, è quell'idiota.»
Himuro lo guardò solo per un istante, poi tornò a rivolgere la propria attenzione all'ingresso vuoto: Kagami si sbagliava, la colpa era anche sua, perché non era riuscito a tenere a freno la lingua e aveva rinfacciato a Murasakibara il fatto che avesse rinunciato agli Stati Uniti per lui - a cosa aveva rinunciato, precisamente? Ad un gruppo di ragazzi rumorosi e scalmanati con cui giocare a street basket? Alle canzoni dei Red Hot Chili Peppers a tutto volume nei fast food? Alle lunghe passeggiate lungo le spiagge assolate? Ai supermercati multietnici gestiti da irrequiete famiglie messicane? Erano tutte cose a cui poteva rinunciare, per Atsushi -.
«Basta, vado a parlargli.»
«Cosa? No–» Himuro gli afferrò la manica, ma Kagami si liberò immediatamente dalla sua presa e transitò in tutta fretta davanti alla casa, diretto verso la cucina.
«Taiga, aspetta!» Himuro ebbe appena il tempo di muovere un passo prima che una ragazza entrasse nel locale, allora dovette fermarsi, prendere un bel respiro, sfoderare un sorriso rassicurante e fare marcia indietro, augurandosi mentalmente che quei due non si picchiassero.


Kagami fece irruzione in cucina, ma le parole gli morirono in gola: come al solito aveva agito d'impulso, senza pensare, e non aveva idea di che cosa dire.
«Mhn? Cosa vuoi?» tuttavia ci pensò Murasakibara a ravvivare la rabbia che, come un incendio robusto e di dimensioni gigantesche, crepitava in lui.
«Da quando ti ho conosciuto non sei cambiato di una virgola, sei proprio un bambino.»
«Vuoi che ti distrugga, Kagami?» Murasakibara assottigliò lo sguardo e brontolò nervosamente.
«Ti sei reso conto che Tatsuya sta sempre peggio?!»
«Tu lo guardi un po' troppo, mi sembra.» Murasakibara brontolò a fior di labbra e Kagami strinse i pugni, allentandoli non appena l'altro riprese a parlare.
«Dovreste tornarvene a Los Angeles.»
«Eh? Io che diavolo c'entro?»
«Muro-chin si pente di aver lasciato Los Angeles, quindi, visto che ti sta tanto a cuore, dovreste tornarvene in America e togliervi entrambi dai piedi. Aka-chin aveva ragione quando diceva che la Generazione dei Miracoli non doveva permettere l'ingresso ad altri elementi.»
Kagami non riuscì neppure a muoversi, quelle parole lo avevano completamente disarmato.
Himuro si pentiva di aver lasciato Los Angeles? E che cosa c'entrava Akashi? E da quando loro erano elementi? A giudicare dal suo modo di parlare, sembrava quasi che Murasakibara considerasse Himuro come un estraneo, era come se si fosse trasformato in burattino e stesse permettendo ad Akashi di manovrare i fili che lo tenevano in vita.
«Vi piacerebbe, vero? Tu e Akashi sareste contentissimi se mi togliessi dai piedi.» Kagami strinse i denti e cercò di non badare al prurito sui palmi delle mani «mi dispiace, ma finché Kuroko resta a Tokyo, io resto a Tokyo.»
Murasakibara cercò di controbattere, ma la porta della cucina si spalancò all'improvviso e la voce di Himuro interruppe il loro scontro.
«Taiga, per favore, lascia perdere.»
«Stavamo discutendo del fatto che potreste tornarvene entrambi in America, Muro-chin.»
Himuro prese fiato e afferrò il braccio di Kagami, per poi fare marcia indietro nella speranza che l'altro lo seguisse.
Taiga restò a guardare Atsushi ancora per qualche istante, poi sospirò nervosamente e uscì dalla cucina, richiudendosi la porta alle spalle.
«Come fai a sopportarlo? Dice cose assurde!»
Himuro tornò a sedersi in cassa e protese il capo all'indietro, soffermandosi sul soffitto bianco.
«Riguardo Los Angeles?»
Kagami rimase in silenzio e lo guardò; Himuro, dal canto suo, chiuse gli occhi e riprese a parlare.
«Ieri gli ho detto che ho rinunciato all'America per lui, ma non lo penso davvero.» fece una piccola pausa e ricambiò lo sguardo di Kagami «è vero, mi sono lasciato alle spalle Los Angeles perché Atsushi stava male laggiù, ma non è stato un problema per me, dopotutto sono nato qui e sono molto legato anche a Tokyo. E poi non mi sono mai pentito della mia decisione, visto che sei tornato anche tu.»
Kagami accennò un sorriso e Himuro ricambiò, anche se con un po' di fatica.
«Atsushi non ti darà mai ascolto, ma ti ringrazio ugualmente.»
Kagami fece per rispondere, ma il brontolio del suo stomaco lo precedette e arrivò perfino alle orecchie di Himuro.
«Eh? Taiga?»
Kagami si portò la mano allo stomaco e lasciò sprofondare i denti nel labbro inferiore.
«Scusami.»
«Potevi dirlo subito che avevi fame.»
«Eh? Perché? Hai qualcosa da mangiare?»
«Ti ricordo che abbiamo dolci di ogni tipo.» Himuro accennò un sorriso e Kagami rivolse un'occhiata repentina ai dolci esposti in vetrina.
«Davvero? Posso prendere quello che voglio?!»
«Sì, basta che non divori tutto quello che abbiamo.»


Quando lui e Kuroko erano arrivati al campetto ed erano stati accolti a gran voce da Momoi e salutati da Aida, Kagami era riuscito a rivolgere ad entrambe un'occhiata fugace e poi non aveva più staccato gli occhi dai propri piedi, con le guance e le punte delle orecchie letteralmente a fuoco a causa dell'imbarazzo.
Invidiava Kuroko, perché al momento del saluto la sua voce non aveva tradito alcuna emozione e il suo sguardo era rimasto inespressivo come la maggior parte delle volte: possibile che non fosse minimamente infastidito? O magari incuriosito, visto che Momoi era sua amica da tanto tempo?
Kagami inspirò appena e chiuse gli occhi: di lì a poco, Kise e Aomine li avrebbero raggiunti, e la situazione sarebbe diventata ancora più imbarazzante.
«Kagami-kun!» Riko strepitò, facendolo sobbalzare e rantolare non appena gli colpì lo stomaco con una gomitata «che cos'hai? Sono cinque minuti che ti fissi i piedi in silenzio.»
Kagami schiuse le labbra e mormorò qualcosa di insensato, un flebile balbettio che costrinse Aida ad avvicinarsi un poco di più a lui.
«Kagami-kun è solo un po' stanco, mi ha detto che oggi al locale ha lavorato molto.»
Kagami prese fiato e ringraziò mentalmente Kuroko, poi forzò un sorriso e cercò di sostenere lo sguardo di Aida per almeno una decina di secondi.
Aida ricambiò il suo sguardo in silenzio e Kagami si sentì andare a fuoco, una sensazione intensa e brusca che lasciò alcune tracce anche quando l'altra si voltò e rivolse la parola a Kuroko.
«A proposito, Kuroko-kun, non lavori più in pizzeria?»
Kuroko si sorprese di quella domanda e restò in silenzio per qualche istante, premendo con forza il labbro superiore contro quello inferiore.
«Ultimamente ci sono pochi clienti e troppi fattorini, quindi lavoro la metà del tempo di prima.» e se doveva essere sincero, non sapeva se considerare quella realtà un bene o un male. Appena finite le superiori aveva deciso di trovarsi un lavoro e, pur di guadagnare qualche soldo per incamminarsi sulla strada dell'indipendenza, era stato disposto ad accettare un incarico umile come quello del fattorino della pizza, ma a causa della diminuzione dei clienti il suo portafoglio aveva fatto presto a svuotarsi: gli dispiaceva che Kagami dovesse mantenerlo con i soldi che gli inviavano i suoi genitori e si ripeteva in continuazione che un giorno lo avrebbe ripagato, tuttavia, avere più tempo libero significava dedicare al basket qualche ora in più, e questo era quasi certamente l'aspetto migliore di quella situazione tanto spiacevole.
«Tetsu-kun, non pensi che dovresti trovarti un altro lavoro?» Momoi intervenne, osservata di sottecchi da Kagami che, nel frattempo, continuava a chiedersi come facesse Kuroko a restare così impassibile.
«Forse.» Kuroko rispose con estrema calma: certo che lo aveva pensato, e molto spesso, ma oltre al basket, alla lettura e all'osservazione del comportamento umano, non c'era nulla che lo attirasse particolarmente, non aveva idea di quale lavoro potesse essere adatto a lui e trasmettergli un minimo di soddisfazione personale.
Kuroko non sapeva esattamente cosa dire ed era quasi sicuro che Momoi stesse per fargli un'altra domanda, ma per fortuna la voce sonora e vivace di Kise attirò l'attenzione dei presenti.
«Ki-chan! Dai-chan!» Momoi strepitò allegra e sventolò le mani in segno di saluto, ricevendo l'immediata risposta di Kise.
Aomine aveva la sensazione di essere in apnea da quando aveva messo piede fuori dal locale, oltretutto Kise, che era venuto a prenderlo, aveva cominciato a chiedergli che cosa avesse e poi a divagare e a parlare proprio di Aida e Momoi, peggiorando la situazione già piuttosto precaria e difficile da gestire.
Non aveva idea di come dovesse comportarsi, cosa fosse meglio dire o evitare di dire, fare o non fare.
Kise gli rivolse una rapida occhiata e gli stuzzicò il braccio con una piccola gomitata, esortandolo a ricambiare il saluto di Momoi.
«Ciao ...» Daiki si soffermò solo per un istante sul sorriso di Satsuki - energico e solare come sempre, identico a tutti quelli che gli aveva rivolto in quei lunghi anni di amicizia -, poi abbassò lo sguardo e abbandonò l'idea di pronunciare il suo nome, rivolgendo di fatto un saluto generale a tutti i presenti.
Kagami si sentì quasi soffocare da quella situazione e intervenne immediatamente.
«Allora? Cominciamo a giocare?» cercò di mantenere la voce il più ferma possibile e strappò la palla di mano a Kuroko con un gesto rapido e nervoso: l'imbarazzo che ardeva sulla pelle del suo viso lo stava mettendo alla prova e, ovviamente, era impaziente di dedicarsi al basket - dopotutto avevano circa un'ora a disposizione, quindi prima iniziavano a giocare, meglio era -.
«Sì, andiamo.» Aomine assecondò quella proposta, stringendo i denti a causa della voce decisamente troppo flebile, poi si scostò da Kise e Momoi e si avvicinò in tutta fretta a Kagami e Kuroko.
«Momocchi, Aidacchi!» la voce cantilenante di Kise paralizzò sia Aomine che Kagami, che si scambiarono un'occhiata consapevole e colma di terrore.
«Non credevo vi sareste fidanzate, ma vi faccio i miei complimenti!» Kise sfoderò un grande sorriso, al contrario di Aida che contrasse le labbra in una smorfia e rantolò sommessamente.
«Kise!» Aomine si trattenne dalla tentazione di stritolargli un braccio e lo maledisse mentalmente: possibile che non riuscisse mai a tenere a freno la lingua? Si era illuso che avesse un po' di sale in zucca, che il buon senso gli cucisse la bocca, ma Kise aveva pensato bene di complimentarsi con Momoi e Aida come se si fossero appena sposate, rendendo ancor più complicata una situazione già abbastanza imbarazzante.
«Ki … Ki-chan, ma come fai a saperlo?» a Momoi tremò la voce, anche se per un solo istante: era sorpresa che Kise sapesse della loro relazione e, in verità, anche lei aveva provato un po' di imbarazzo.
Kagami voltò la schiena al gruppo, completamente paonazzo; Aomine quasi non si morse la mano - già, come faceva a saperlo, Kise? Se rispondeva che aveva saputo tutto da lui, chissà come l'avrebbe presa Momoi -.
«Eh? Come faccio a saperlo …?» Kise stesso, a quel punto, si rese conto di essere nei guai e accennò una risata nervosa non appena intravide lo sguardo rabbioso di Aomine, mentre Aida cominciò a tossire senza un vero e proprio motivo, nascondendo il viso fra le mani, e Kuroko sorrise divertito.
«Ma dai, Momocchi!» Kise continuò a ridere nervosamente: neanche lui sapeva esattamente che cosa stava per dire «si vede!»
«C-come: “Si vede”?!» Aida strepitò, con il volto paonazzo quasi quanto quello di Kagami; Momoi, invece, si voltò in cerca dello sguardo di Aomine.
«Cosa … cosa vuoi, Satsuki?! Perché mi guardi?!» Aomine non riuscì a trattenersi e alzò la voce per l'eccessivo imbarazzo.
«Dai-chan, mi dispiace che tu l'abbia scoperto così!» Momoi accennò una risata e poi gli rivolse un sorriso gentile, ma Aomine sbuffò e rivolse il proprio sguardo altrove: a dire il vero, se lo avesse scoperto nel modo in cui credeva lei, sarebbe stato meglio, peccato che lui fosse venuto a conoscenza della loro relazione perché le aveva viste baciarsi il giorno prima.
«Sentite, possiamo giocare a basket o no?!» Daiki strepitò a denti stretti e Kagami, che stava ancora rivolgendo le spalle al gruppo, annuì convulsamente.
«Sì, decisamente!» Riko cercò di riprendere fiato, le bruciava la gola per quanto aveva tossito.
«Aspettate!» Kise interruppe lo strepitio di Aomine e Aida, con le labbra increspate in un sorriso «ora che anche Aidacchi e Momocchi sono fidanza–»
Riko riprese improvvisamente a tossire e Ryouta ricominciò a parlare solo quando ebbe finito.
«Fidanzate, potremmo organizzare un'uscita a coppie.»
«Sì!» Momoi, ovviamente, fu la prima ad approvare la proposta di Kise, mentre Aomine parve ringhiare sommessamente.
«Ovviamente inviteremo anche Akashicchi, Nijimuracchi, Murasakibaracchi e Himurocchi … ah, sì! Anche Midorimacchi e Takaocchi, visto che ormai sono fidanzati a tutti gli effetti!»
«Kise ...» Kagami lo interruppe: Kise era ben aggiornato su Midorima e Takao, tenendosi più che altro in contatto con quest'ultimo, ma evidentemente non era a conoscenza degli ultimi risvolti fra Murasakibara e Himuro.
«Io sono d'accordo con Kise-kun.»
Kise rivolse un sorriso a Kuroko e poi si soffermò su Kagami «che cosa c'è, Kagamicchi?»
Kagami, dal canto suo, rivolse un'occhiata a Kuroko ed esitò: quella era l'occasione per uscire tutti insieme, proprio come voleva lui, e non se la sentiva di fare il guasta feste, distruggendo di fatto il desiderio del fidanzato.
«No, niente.» avrebbe lasciato che fossero Himuro e Murasakibara a decidere se uscire con loro o meno.
«Bene, allora domani mattina li chiamerò e cercherò di trovare un giorno che vada bene per tutti!»
«Sabato?» Momoi si rivolse al gruppo e tutti - a parte Aida, ormai sconvolta dall'imbarazzo - acconsentirono con un cenno più o meno convinto del capo.
«Allora proporrò sabato!» Kise sorrise ed era così euforico all'idea di un'uscita di gruppo che non si accorse nemmeno di avere lo sguardo di Kuroko puntato su di sé.
In quel momento Tetsuya aveva sentito più che mai di dovergli qualcosa, lo stava ringraziando con la sola forza dello sguardo e le labbra increspate in un sorriso quasi impercettibile: Ryouta, proprio come lui, sentiva il bisogno del gruppo, cercava di tenere incollati tutti i pezzi, forse perché era un sentimentale, forse perché sentiva la mancanza di qualcosa che la Generazione dei Miracoli non aveva mai avuto, cioè quel languido e rassicurante calore che poteva essere emanato soltanto da un gruppo di amici.
Kise era stato il primo a sostenere il suo progetto e, nonostante fossero passati diversi mesi, continuava a condividere i suoi stessi desideri e forse anche la sua stessa paura.
Tetsuya voleva bene a Ryouta, molto più di quanto dimostrava e di quanto gli altri pensassero.
Improvvisamente lo sentì così vicino che credette di sapere tutto e fu quasi certo che Kise, proprio come lui, temesse la solitudine più di ogni altra cosa al mondo.


Himuro si era illuso che per una volta sarebbero tornati a casa insieme.
Murasakibara aveva lasciato il locale insieme a lui, ma nell'esatto istante in cui si era chinato per chiudere la saracinesca con il lucchetto, gli aveva voltato le spalle senza dire nulla e si era avviato nella direzione opposta a quella di casa.
Tatsuya si fermò proprio di fronte al loro appartamento e dondolò sul posto, affondando il viso oltre il bavero della giacca e le mani intorpidite dall'aria fresca della sera nelle tasche: non aveva voglia di tornare a casa per cenare e andare a dormire di nuovo da solo.
Stava cominciando a cadere a pezzi, lentamente e silenziosamente, e a parte Taiga sembrava che nessuno se ne fosse accorto.
Avrebbe voluto prendere il cellulare e chiamare Murasakibara, dirgli tutto quello che gli passava per la testa urlando e piangendo, ma gli bastava dare un'occhiata allo screensaver vuoto per essere investito dalla tentazione di gettare quello strumento malefico in strada e andarsene per sempre. Sì, forse avrebbe dovuto andarsene per sempre, tornare a Los Angeles come gli aveva detto Atsushi.
Tatsuya sfiorò lo schermo freddo del cellulare con i polpastrelli, si morse le labbra, ma non lo estrasse dalla tasca. Avrebbe potuto chiamare Kagami, ma non voleva elemosinare il suo aiuto, dopotutto faceva già abbastanza al locale.
Schiuse le labbra e si lasciò sfuggire un sospiro tremante, resistendo al pizzicore fastidioso che aveva ridotto i suoi occhi a due fessure che, a causa delle cornee arrossate, parevano tagli profondi e traboccanti di sangue.
Voleva piangere e non voleva piangere. Voleva stare da solo e non voleva stare da solo.
Himuro prese una grande boccata d'aria e cercò di rilassarsi, poi sollevò il viso e si soffermò sulle finestre buie del terzo piano, dove abitavano lui e Murasakibara.
Trovare quasi ogni sera la casa vuota cominciava a pesargli più del dovuto e per una volta avrebbe voluto vedere la luce accesa prima del suo ritorno.
Himuro spalancò la bocca una seconda volta, ma le labbra si serrarono prima che potesse raccogliere aria a sufficienza e si sentì scosso da un sussulto, abbassò lo sguardo e tornò a fissare il ciglio della strada, percorse la forma sottile del cellulare con un dito finché non trovò il tasto desiderato e lo spense: Murasakibara non lo avrebbe mai chiamato, quindi non aveva senso tenerlo acceso e continuare a sperare in una stupida vibrazione.
Riprese a camminare con estrema lentezza, come se non volesse realmente allontanarsi dalla casa e forse anche perché non aveva idea di dove andare.
Ne ignorò completamente il motivo, ma dopo aver percorso appena una decina di metri gli venne in mente sua madre, pensò ai lunghi capelli corvini che teneva sempre legati in una treccia e alle dita affusolate, alle carezze e alle parole gentili che gli rivolgeva quando era piccolo, per convincerlo - e forse per convincere anche se stessa - che suo padre sarebbe tornato. Quando era piccolo, sua madre gli aveva raccontato molto di lui; le poche cose che gli aveva ripetuto pochi anni dopo l'infanzia, Himuro se l'era lasciate scivolare addosso come acqua e le aveva dimenticate, perché aveva capito esattamente che tipo di uomo era suo padre e che li aveva abbandonati per paura, era scappato da quello che, evidentemente, aveva ritenuto un problema e che, invece, non era altro che suo figlio.
Scappare non era la soluzione, ma soltanto un modo per farsi odiare più profondamente e velocemente, tuttavia Tatsuya stesso non riusciva a capire che cosa volesse, non riusciva a capire quale fosse la cosa migliore da fare per smettere di soffrire - perché ormai era convinto che la situazione fosse irrecuperabile e tutto ciò che gli interessava era cancellare dalla sua testa la voce di Atsushi che gli intimava di andarsene via -.
Aveva creduto di essere riuscito a colmare l'assenza di suo padre, quel grande vuoto che aveva segnato ogni singolo anno della sua vita e anche parte di quelli di sua madre, era convinto che l'unica ombra sconosciuta che avrebbe abitato la sua testa sarebbe stata quella del genitore che lo aveva abbandonato, ma a quanto pareva si era illuso.
Tatsuya Himuro era ancora lontano dall'avere il suo lieto fine: niente Generazione dei Miracoli, niente padre, niente fidanzato. Nessun raggio di luce ad illuminare le macerie della sua anima distrutta.


Akashi si chinò in avanti e tese le braccia, strinse la presa sulle stringhe bianche della scarpa da ginnastica e restò immobile per qualche istante, compiaciuto di sentire tutta quella forza sulla punta delle dita: stava cominciando a riacquistare un certo vigore e dimostrava molta più resistenza di prima. Si sentiva bene, tanto da pensare che il dottore avesse esagerato a prescrivergli tassativamente dieci ore di sonno - ma nonostante fosse piuttosto contrario all'idea di dormire così tanto, Nijimura insisteva senza sosta e alla fine decideva di accontentarlo -.
«Akashi, non ti senti bene?» non appena lo vide con la schiena inarcata e le braccia tese verso il basso, Nijimura gli rivolse la propria attenzione.
«Sto bene.» Akashi aveva ormai perso il conto di quante volte aveva pronunciato quelle parole e aveva cercato di rassicurare il proprio compagno «mi sto solo allacciando le scarpe.»
Seijuurou increspò le labbra in un sorriso impercettibile e allacciò velocemente entrambe le scarpe, per poi sollevarsi dal letto e rivolgere immediatamente il proprio sguardo all'altro.
Nijimura lo guardò in silenzio, attentamente, e poi annuì appena, come se si stesse accertando delle sue condizioni e stesse cercando di capire se aveva detto il vero o gli aveva mentito.
«Bene.» si chinò per afferrare le chiavi che si trovavano sul comodino «trenta minuti.»
Akashi si diresse in silenzio alla scrivania e afferrò il piumino riposto sullo schienale della sedia, indossandolo con estrema calma.
«Trenta minuti al campetto.» specificò con voce calma, abbottonandosi il piumino
Nijimura protese le labbra in una smorfia colma di disappunto.
«Trenta minuti compreso il tragitto.» lo corresse e si avvicinò a lui per abbottonargli anche il bavero, in modo che il piumino proteggesse la sua gola dall'aria fredda della sera.
«Da qui al campetto ci mettiamo circa cinque minuti.» Akashi riprese, incatenando i propri occhi ai suoi «non ho intenzione di giocare soltanto un misero quarto d'ora.»
«Se ci sbrighiamo avremo a disposizione una ventina di minuti.»
«Non ho intenzione di giocare nemmeno per venti minuti, Shuuzou.» Akashi sibilò, più serio che mai «che siano almeno trenta.»
«Akashi, tu non dovresti neanche giocare.» Nijimura inspirò appena e sentì di non poter resistere ancora per molto allo sguardo imperturbabile dell'altro «potresti affaticarti.»
«Se sarò stanco, mi fermerò.» Akashi aveva ormai deciso che sarebbero rimasti al campetto per almeno trenta minuti, non gli importava né del freddo né della sua condizione di salute, desiderava solamente tornare a giocare a basket, recuperare le sue capacità a poco a poco, in modo che, una volta giunto il momento di confrontarsi con gli altri, si sarebbe potuto considerare preparato allo scontro.
Shuuzou sfiatò e sospirò rassegnato, afferrò la giacca di pelle ai piedi del letto e la indossò in fretta, dirigendosi a passo rapido verso l'uscita della camera.
«Trenta minuti, ma se vedo anche solo una goccia di sudore sulla tua fronte ti riporto a casa.»
Akashi restò fermo vicino alla scrivania e lo seguì con lo sguardo finché non lo vide uscire dalla stanza.
«Non suderò, Shuuzou.» poi mormorò appena e accennò un sorriso.


Nijimura stesso aveva notato un netto miglioramento per ciò che riguardava la salute di Akashi, per cui, dopo quasi una settimana passata a pensarci su, gli aveva detto che, se avesse voluto, sarebbero potuti andare al campetto ogni sera, in modo da riprendere il basket con tutta calma, senza che gli altri potessero osservare e giudicare la sua attuale condizione e gli eventuali progressi che avrebbe potuto fare.
Seijuurou, ovviamente, aveva accettato e aveva preteso di cominciare quella sera stessa e, visto che Shuuzou era piuttosto contrario che dopo quasi un anno di inattività e con la leucemia ancora in corpo volesse giocare per addirittura trenta minuti, aveva deciso di limitarsi a marcarlo e si era concesso una ridotta gamma di movimenti basilari, in modo che l'altro potesse avere più possesso palla possibile e quindi ritrovare confidenza e famigliarità con lo sport che tanto amava e che aveva cominciato a praticare da bambino.
Nonostante si stessero limitando a movimenti facili, dopo un anno di inattività chiunque avrebbe mostrato almeno un po' di esitazione, eppure Seijuurou era completamente a suo agio e sembrava che nulla fosse cambiato, riusciva a rubargli la palla con fin troppa facilità e aveva già fatto canestro un bel po' di volte, ma, soprattutto, non stava sudando - a quanto pareva riusciva ad avere ragione anche riguardo a cose simili - anche se erano già passati venti minuti.
Akashi, esattamente come Nijimura, si era reso conto fin dal primo tocco di possedere ancora una discreta dimestichezza con la palla a spicchi e di non essere completamente arrugginito, quindi, dopo circa venti minuti passati a tastare il terreno, decise di scoprire una delle sue carte vincenti - a costo di spendere tutte le energie e dover rinunciare ad altri cinque minuti di basket -.
Spalancò gli occhi e vide Nijimura palleggiare una volta, poi una seconda e infine scartarlo, per poi dirigersi al canestro opposto - evidentemente, dopo venti minuti passati a marcarlo, anche lui cominciava ad annoiarsi -.
Prima ancora che Nijimura potesse compiere il primo palleggio, Akashi gli rubò la palla e lo scartò con un movimento veloce.
Nijimura seguì il suo movimento e cercò di impedirgli di fare canestro, ma Akashi palleggiò velocemente e tirò la palla soltanto quando vide l'altro cadere a terra e quindi fu sicuro di avere campo libero.
Shuuzou strinse i denti e restò in ascolto del tonfo della palla alle sue spalle, sollevò il proprio sguardo e intravide lo scintillio ardente degli occhi dell'altro.
«Se pensavi che ti avrei risparmiato, hai sbagliato di grosso.» Seijuurou lo guardò e gli sorrise: l'Occhio dell'Imperatore funzionava perfettamente.

Cala il buio e all'improvviso arriva l'inverno.




Licenza Creative Commons
Quest'opera è distribuita con Licenza Creative Commons Attribuzione - Non commerciale - Non opere derivate 2.5 Italia.




L'angolino invisibile dell'autrice:

Questo capitolo è orribile e ne sono consapevole. È l'ennesimo capitolo di transizione (ne manca ancora uno e poi passiamo ad un'altra parte importante della fanfiction), per cui è come al solito un po' più breve di altri, ma almeno fosse venuto bene--
La parte che mi preoccupa è la seconda metà, che ho scritto oggi. Non sono molto dell'umore (e non lo sarò neanche nelle prossime settimane e forse nei prossimi mesi) e quindi non sono riuscita a concentrarmi del tutto. Cercherò di riprendermi, ma credo che sarà dura.
Comunque sia, faccio due appunti sul capitolo e poi scappo via.
Nella prima parte su Himuro ho scelto i “Red Hot Chili Peppers” perché “Midnight” è una loro canzone ed è l'inno di Los Angeles (sono sofisticata, lo so/?/)
Per quanto riguarda la seconda parte su Himuro (che all'inizio non doveva esserci), ho approfondito un poco la questione del padre, che era stata accennata nei primissimi capitoli della fanfiction (lo sapete che ho questa headcanon di Himuro abbandonato dal padre ancor prima della nascita).
L'ultima parte è liberamente ispirata all'episodio di oggi e ho deciso di rendere la “visione” di Akashi in corsivo (quindi sì, quella era una predizione, Nijimura in verità non è neanche riuscito a muoversi).
Spero che qualche lettore abbia ancora un po' di fiducia in me e non decida di abbandonarmi dopo questa schifezza, il prossimo capitolo, pur essendo di transizione, sarà sicuramente più lungo di questo e piacerà molto ad alcune di voi (??).
Ah, prima che io mi dimentichi, vi lascio il link del post sugli OC (che ovviamente non ha letto nessuno perché sono dei brutti OC cattivi/?/): https://www.facebook.com/416393978469818/photos/a.674523922656821.1073741832.416393978469818/695561293886417/?type=1&relevant_count=1
Alla prossima!

Ritorna all'indice


Capitolo 37
*** Capitolo XXXVI ***


Capitolo XXXVI





I raggi di luce lacerano e divorano la spessa superficie di acqua nera, e tu scivoli sempre più giù, sempre più vicino al fondo.

«Ho detto di no, Kise.»
«Ah?! Midorimacchi!» Ryouta strepitò e, a giudicare dal tremolio della voce, parve sul punto di scoppiare a piangere.
Midorima aveva rifiutato categoricamente l'invito per sabato, quindi Kise aveva proposto domenica, lunedì, martedì, ma aveva continuato a ricevere risposte negative.
«Midorimacchi, so che sei impegnato, ma non ci vediamo mai!» Kise sapeva che Kuroko ci teneva moltissimo, ma se aveva proposto un'uscita di gruppo e stava cercando di convincere Midorima con il suo infinito repertorio di lagne era perché lui stesso desiderava che potessero trascorrere un po' di tempo tutti insieme, specie da quando Akashi era tornato, visto che le crepe già presenti da anni attorno a loro sembravano essersi tramutate in voragini e che queste ultime fossero sul punto di divenire incolmabili ed insormontabili.
«No.» Midorima tuonò e Kise spalancò la bocca, pronto a lagnarsi un'altra volta, tuttavia serrò le labbra non appena si rese conto che l'altro aveva riattaccato.
«Ma … ma perché sono sempre tutti così cattivi con me?!»
Un gorgoglio roco proveniente da sotto le coperte attirò la sua attenzione solo per un istante.
«Kise, se non stai zitto ti tiro un pugno in faccia.» nonostante la voce impastata e arrochita dal sonno, Aomine riuscì a sembrare così minaccioso da ottenere l'effetto desiderato - ovviamente solo per un paio di secondi -.
«Aominecchi, non infierire!»
Aomine restò in silenzio per qualche istante, poi sbuffò sommessamente e scostò appena le coperte, aprendo uno spiraglio attraverso il quale sbirciò l'altro.
«Va a parlare da un'altra parte, Kise. Voglio dormire.»
Kise osservò in silenzio l'occhio di Aomine, che era l'unica cosa visibile fra quell'ammasso disordinato di coperte, poi gonfiò le guance e si coricò sulla pancia, tirandosi le lenzuola fin sopra la testa.
«Non voglio uscire dal letto, fa troppo freddo.»
«Vestiti.» Aomine stava per sistemarsi sul fianco destro e quindi voltargli le spalle, ma Kise fu più veloce: scivolò accanto a lui e adagiò il mento sulla sua spalla, tornando a fissare il cellulare con aria pensierosa.
Aomine, dal canto suo, sospirò rassegnato e avvolse il corpo dell'altro con il braccio.
Kise sorrise non appena avvertì il calore del corpo di Aomine sfiorargli il fianco e penetrare lentamente nella sua pelle, ma non riuscì a concentrarsi completamente su quella piacevole sensazione, impegnato com'era a sfiorare con un dito il contatto di Takao.
Kazunari sembrava essere l'unico in grado di convincere Midorima, quindi, se si fosse rivolto a lui, le possibilità di fallimento sarebbero state molto ridotte: più tardi gli avrebbe scritto un sms.
Daiki gli rivolse un'occhiata silenziosa non appena notò con la coda dell'occhio che aveva di nuovo il cellulare incollato all'orecchio, per poi schioccare la lingua contro il palato e sollevare gli occhi al cielo con una smorfia indispettita sul volto.
«Cinque minuti!» Ryouta sollevò le cinque dita della mano in contemporanea, come un bambino che, insicuro delle proprie parole, preferisce esprimersi anche a gesti, e Daiki si limitò a sfiatare sommessamente e a voltare il viso dall'altra parte.


Himuro sussultò, preso alla sprovvista dall'energica vibrazione del cellulare. All'improvviso si pentì amaramente di averlo lasciato acceso: era molto probabile che si trattasse di Kagami, visto che quella mattina aveva deciso di non presentarsi al locale era comprensibile che si stesse preoccupando o, forse, lo chiamava per dirgli che non si era presentato neppure Murasakibara e che loro, in quanto stagisti, erano in difficoltà - non che in quel momento gli importasse più di tanto -.
Quando diede un'occhiata al nome che campeggiava ad intermittenza sullo screensaver, si lasciò sfuggire un sospiro di sollievo e decise, seppur controvoglia, di rispondere.
«Ciao.»
«Ciao!» la voce di Kise era squillante e vivace come al solito, una scossa quasi dolorosa per l'animo decisamente apatico di Himuro.
«Ascolta, Himurocchi! So che ultimamente tu e Murasakibaracchi avete avuto qualche problemino ...»
Tatsuya inarcò appena un sopracciglio e serrò le labbra con forza: problemino? Forse Kise era rimasto - inaspettatamente - estraneo agli ultimi avvenimenti.
«Però stiamo organizzando un'uscita a coppie e mi chiedevo se non vi andrebbe di unirvi a noi, potrebbe essere un modo per dipanare le divergenze!»
Himuro increspò le labbra e forzò un sorriso quasi malinconico: sì, gli ultimi avvenimenti gli erano decisamente estranei.
«Mi farebbe piacere uscire con voi, ma credo che questo non sia il momento più adatto.» trattenne il respiro per un istante «io e Atsushi rischieremo soltanto di rovinare la giornata.»
Non era una buona idea uscire tutti insieme, affatto, perché Murasakibara ne avrebbe approfittato per cercare il favore di altri e sarebbe finito quasi sicuramente a rifugiarsi sotto le inscalfibili ali di Akashi, avrebbe ferito Himuro e lo avrebbe fatto sentire solo un'altra volta.
Tatsuya si stupì del fatto che dall'altro capo del cellulare tutto tacesse, ma in verità non dovette attendere molto perché Kise riprendesse a parlare, anche se con voce leggermente più bassa e vagamente titubante.
«Le cose fra voi vanno così male?»
Himuro rafforzò la stretta sul cellulare e restò in silenzio: che cosa doveva rispondere? Fra gli ex membri della Generazione dei Miracoli, Kise sembrava l'unico ad aver accettato di buon grado la sua presenza, - a volte anche più di Murasakibara che, molto spesso, preferiva ascoltare Akashi piuttosto che lui -, inoltre sapeva che, nonostante il suo carattere solare, vivace, la sua indole distratta e la sua propensione a vivere sulle nuvole, era perfettamente in grado di ascoltare e affrontare un discorso serio come quello che avrebbe dovuto pronunciare.
Sospirò sommessamente e chiuse gli occhi solo per un istante, si massaggiò la radice del naso con le dita e poi cominciò a parlare, piano.
«Molto. Vanno molto male.»
«Come mai?» questa volta Kise parlò subito.
Himuro si chiese una seconda volta se quella era la cosa giusta da fare ed esitò nuovamente, riprendendo a parlare con ancor più lentezza di prima.
«Ultimamente litighiamo troppo spesso.» restò in silenzio per pochi istanti, per poi correggersi «sempre.»
Murasakibara avrebbe potuto provocarlo anche in presenza della Generazione dei Miracoli al completo, dopotutto era come avere a che fare con un bambino capriccioso, non si faceva scrupoli se sentiva la necessità di farsi giustizia da solo ricoprendo di colpe gli altri e sollevandosi dalle proprie.
«Credo che continuerà a fare i capricci ancora per un bel po' e non penso che stare con voi migliorerà le cose, anzi.» Himuro inspirò appena e avvolse la tazzina con le dita, carezzando il coccio ormai freddo «credo che Atsushi stia meglio senza di me, ora come ora.»
«Eh? Ma no, Himurocchi! Non credo proprio che Murasakiba–»
«Appena chiudiamo il locale scompare e torna a casa alle due o alle tre di notte.»
Ryouta restò in silenzio per qualche istante, probabilmente cercando di rielaborare ciò che l'altro gli aveva appena detto.
«E dove … dove va?»
«Ovviamente non me lo vuole dire, e io credo di non volerlo sapere.» Himuro tornò a massaggiarsi la radice del naso, cercando di non badare alla stanchezza che pesava sulle palpebre e al bruciore che gli affliggeva le cornee arrossate.
«Probabilmente mi odia, Kise.»
«Odiare è un termine un po' eccessivo, Himurocchi.» Kise doveva aver forzato un sorriso « comunque mi dispiace che Murasakibaracchi si stia comportando in questo modo, a dire il vero non credevo potesse esagerare così tanto.»
«Sì, beh, magari le cose si aggiusteranno ancor prima di quanto pensiamo.» anche Himuro forzò un sorriso «adesso ho una faccenda da sbrigare, mi ha fatto piacere parlare con te.»
«Anche a me, se hai bisogno, io ci sono.»
«Ti ringrazio, ciao.»
«Ciao.»


Kise tornò a sedersi con estrema lentezza e ripose il cellulare sul comodino senza fiatare: aveva sottovalutato la situazione, aveva preso alla leggera ciò che Aomine gli aveva raccontato riguardo alle liti di Himuro e Murasakibara al locale e non aveva pensato neppure per un istante che la situazione potesse essere così disperata.
Gli dispiaceva essersene reso conto solo in quel momento, aveva l'impressione che non sarebbe mai riuscito a rendersi utile come Himuro aveva fatto con lui.
Ryouta doveva qualcosa a Tatsuya, voleva aiutarlo, perché dopotutto era stato l'unico ad avergli dato ascolto riguardo la sua delusione amorosa con Kuroko e quando si era ritrovato diviso fra i sentimenti per quest'ultimo e per Aomine, inoltre percepiva una certa affinità, ammirava la tenacia relativa al desiderio di fare il suo ingresso nella Hall of Fame, in quel luogo meraviglioso ed evanescente dove soltanto i Miracoli e Kagami avevano accesso.
«Cosa c'è?» Aomine si mise a sedere e gli rivolse un'occhiata interrogativa «come mai sei diventato così silenzioso?»
Kise non rispose immediatamente, piuttosto si limitò a stringersi nelle spalle e chinare appena il capo.
«Ohi?» Daiki gli diede una piccola gomitata, esortandolo a parlare.
«Ti rendi conto che Murasakibaracchi torna a casa alle tre di notte? E non vuole dire nulla ad Himurocchi.»
«Sono affari loro.» Aomine sbuffò e si distese sulla schiena «Kise, non puoi salvarli tutti. Abbiamo diciannove anni, non è detto che tutti quelli che stanno insieme adesso staranno insieme anche fra vent'anni.»
Kise restò seduto e continuò a fissare le lenzuola stropicciate, per poi gonfiare appena le guance e borbottare.
«Non dire così.»
Aomine lo guardò e insinuò le dita oltre lo spesso tessuto del maglione, sfiorandogli la schiena con il dorso della mano.
«Non sto parlando di noi, è un discorso generale.» sfiatò appena e rivolse il proprio sguardo al soffitto, titubando appena «io ci sto bene con te … e anche se fossi geloso, non mi comporterei da stronzo come sta facendo Murasakibara.»
Kise voltò il viso e lo osservò, forzando un sorriso in attesa che ricambiasse il suo sguardo.
Aomine sentì lo sguardo dell'altro puntato addosso e si ostinò a fissare il soffitto, così fu Kise a prendere l'iniziativa e si sistemò a cavalcioni su di lui, in modo che i loro occhi si incontrassero almeno per errore.
«Tu ...» Ryouta gli prese il viso fra le mani e sorrise sinceramente «sei veramente una bella persona, Aominecchi.»
Daiki, dal canto suo, restò a fissarlo in cagnesco e gli accarezzò il viso, per poi tirargli con forza un ciuffo di capelli.
«A-ahia! Aominecchi, ma perché?!»
Perché era la giusta punizione per averlo messo in imbarazzo, ecco perché.


Imayoshi si soffermò su una figura in lontananza e quando riuscì a metterla a fuoco increspò le labbra in un sorriso: era soddisfatto che fosse stato il primo a notarlo e che Midorima non si fosse ancora reso conto della sua vicinanza, così stuzzicò il braccio di Hanamiya con il gomito, facendo in modo che gli rivolgesse la propria attenzione e poi seguisse il suo sguardo.
Makoto adagiò la mano sinistra sul proprio braccio destro, lì dove il gomito di Shouichi lo aveva stuzzicato, come a volersi proteggere da un altro contatto, poi lo fulminò con lo sguardo, ma si rese immediatamente conto che la sua attenzione era rivolta altrove e, dopo qualche istante di confusione, riuscì a individuare il punto verso il quale stava guardando.
«Ma guarda guarda!» Hanamiya sogghignò «la tua fidanzatina ti è venuta a prendere!»
Imayoshi, dal canto suo, soffocò una risata, mentre Midorima si limitò ad incenerirli con lo sguardo e poi rivolse la propria attenzione alla figura che, dall'altra parte della strada, era immobile sul marciapiede, in attesa che il semaforo divenisse verde.
Erano passate un paio di settimane da quando aveva iniziato la sua relazione con Takao e, sorprendentemente, Imayoshi e Hanamiya se n'erano resi conto solo due o tre giorni dopo, quindi avevano cominciato a prenderlo in giro e non avevano più smesso, probabilmente perché bisognosi di sfogare una frustrazione di cui non erano del tutto consci e che aveva cominciato ad accumularsi dentro di loro da quando avevano iniziato il tirocinio all'università - dopotutto Midorima collezionava un successo dopo l'altro ed era diventato in pochissimo tempo il preferito del professore, che, come se non fosse bastato, gli assegnava i compiti più importanti, privando di fatto Imayoshi e Hanamiya della possibilità di mettersi completamente in gioco e di mostrare il loro valore -.
«Voi due non avete niente di meglio da fare?» borbottò e diede una rapida occhiata al cellulare - non capiva perché Takao non lo avesse avvisato del suo arrivo e per un istante pensò che fosse stato lui a non accorgersi della presenza di un sms -, poi si diresse verso l'uscita del cortile in tutta fretta, per impedire all'altro di avvicinarsi troppo ad Imayoshi e Hanamiya: voleva evitare che facesse comunella con quei due e che quindi cominciasse a prenderlo in giro anche lui - sì, era sicuro che ne sarebbe stato capace -.
Midorima giunse sul ciglio della strada proprio quando Takao si trovava a metà dell'attraversamento, così decise di raggiungerlo in modo da costringerlo a fare marcia indietro ed evitare di aspettare che il semaforo diventasse verde un'altra volta.
«Shin-chan!» Takao sollevò il braccio e lo sventolò, strepitando a voce alta; Midorima, dal canto suo, si limitò ad un brontolio sommesso.
Non appena l'altro lo raggiunse, Kazunari diede le spalle all'università e lo seguì senza staccargli gli occhi di dosso, con le labbra increspate in un sorriso allegro.
«Come mai non mi hai avvisato del tuo arrivo?»
Takao restò in silenzio per qualche istante, poi arricciò le labbra e mostrò i denti in un sorriso divertito.
«E chi ha detto che sono qui per te, Shin-chan? Forse sono solo di passaggio!» ampliò il sorriso e scoppiò a ridere non appena vide Midorima sobbalzare e rivolgere lo sguardo altrove.
Shintarou sfiatò sommessamente e cercò di non badare al bruciore che campeggiava sulle sue guance: era così tanto abituato a passare il suo tempo con Takao che non riusciva neppure a concepire un eventuale incontro come una fatalità, a considerare la possibilità che l'altro si trovasse lì per caso.
«Beh ...» Takao soffocò una risata nell'osservare la reazione dell'altro e gli batté una mano sulla spalla «fortunatamente sono qui per te!»
Midorima arricciò il naso e chiuse gli occhi, sentendosi come schiaffeggiato dal rogo che ardeva sulle sue guance.
«Ma insomma, Takao! Smettila di fare l'idiota!» avrebbe voluto strozzarlo, lì in mezzo alla strada, davanti a tutti: era riuscito a metterlo in imbarazzo con una facilità e una rapidità più disarmanti del solito.
Takao rise divertito, ma fu questione di istanti perché quello strepito sguaiato si tramutasse in un sorriso forzato.
«In verità non ti ho avvertito perché il mio credito è esaurito!»
«Di nuovo?» Shintarou sfiatò sommessamente e si sistemò gli occhiali con un gesto rapido della mano.
«Certo, Shin-chan! Se passiamo la serata a scambiarci sms–»
«Sei tu che cominci, Takao.» Midorima lo interruppe e si sistemò nuovamente gli occhiali «te l'ho detto: dovresti trovare una promozione che ti permetta di risparmiare.»
Midorima trovava davvero stupido gettare via i soldi in quel modo, ultimamente Takao non faceva altro che comprare ricariche.
Sfortunatamente Takao si annoiava facilmente, per cui, quando non erano insieme, gli mandava una miriade di messaggi, anche se lui rispondeva molto spesso a meno della metà perché, per la maggiore, si trattava di sms stupidi che non avevano necessariamente bisogno di una risposta.
«Oh, Shin-chan! Kise-kun mi ha mandato un messaggio e mi ha chiesto se sabat–»
«Quell'idiota.» Midorima ringhiò «gli ho detto di no.»
«Umh?» Takao gli rivolse un'occhiata interrogativa e finì per increspare le labbra in un sorriso quasi impercettibile «non vuoi proprio incontrarli, eh?»
Midorima lo ignorò e continuò a camminare in silenzio, accelerando appena il passo.
«Ehi, Shin-chan?»
«Che vuoi?»
«Il motivo per cui li eviti è il basket, vero?» Midorima accelerò ulteriormente e precedette Takao di qualche passo; quest'ultimo, dal canto suo, restò ad osservarlo in attesa di una risposta e riprese a parlare non appena capì che non l'avrebbe ricevuta.
«Hai scelto la medicina, dico bene, Shin-chan?»


Midorima sbuffò sommessamente e chiuse il libro, attirando immediatamente l'attenzione di Takao.
«Shin-chan, va tutto bene?»
«Sì, è solo che non riesco a concentrarmi.»
Takao restò in silenzio e aggrottò la fronte, rivolgendogli un'espressione accigliata: com'era possibile che non riuscisse a concentrarsi? Aveva cercato di fare la massima attenzione e ridurre al minimo qualsiasi rumore, che si trattasse delle dita battenti sulla tastiera del computer portatile o del suo stesso respiro, al contrario di molte altre volte in cui si era rivelato essere solamente un elemento di disturbo ma in occasione delle quali Midorima non si era mai arreso e aveva continuato a studiare.
«Come sarebbe a dire che non riesci a concentrarti?» Takao si alzò dal letto e ripose il portatile sulla scrivania, accanto al libro che Midorima aveva appena chiuso.
«Forse sono solo stanco.» lo era, non stava mentendo, ma Shintarou aveva omesso il fatto che non avesse assolutamente voglia di studiare - dopotutto, per lui che si era definitivamente calato nel ruolo dello studente modello, sarebbe stato decisamente imbarazzante ammettere una cosa simile, anche se desiderare un giorno di riposo dopo settimane di studio intensivo e lavoro in ospedale era più che lecito e comprensibile -.
Takao sorrise e gli adagiò le mani sulle spalle, accennando quello che parve l'inizio di un massaggio e che si esaurì quasi immediatamente.
«Stai lavorando sodo.» Takao parve quasi sussurrare e le sue mani ripresero a muoversi, carezzando lentamente le spalle dell'altro: chiedeva sempre a Midorima come era andata la sua giornata in ospedale e, anche se la maggior parte delle volte non capiva nulla perché l'altro cominciava a parlare di malattie strane e ad usare termini tecnici, sapeva che aveva fatto un buon lavoro e che ne era soddisfatto, e questo lo rendeva felice, era fiero di tutto il sudore che il suo fidanzato stava versando pur di raggiungere il proprio obbiettivo.
Takao chiuse gli occhi e chinò il viso per inebriarsi del suo profumo, schiuse le labbra e le avvicinò alla sua guancia, per poi farle schioccare contro lo zigomo.
«Takao ...» Midorima lo chiamò soltanto una volta, a voce bassa, per poi socchiudere l'occhio destro a causa dei baci delicati che gli stava lasciando sulla guancia.
Kazunari sentiva la pelle dell'altro divenire di bacio in bacio sempre più calda, per un istante pensò addirittura che le sue labbra rischiassero di carbonizzarsi a contatto con quel calore, ma non si diede per vinto e lasciò scivolare le mani oltre le sue spalle, sul suo petto, stringendosi un poco di più a lui.
«Shin-chan, credo di essere pronto.» sussurrò, adagiando la guancia contro la sua spalla e baciandogli il collo con estrema delicatezza.
Midorima, dal canto suo, si paralizzò e trattenne il respiro, cercando di ignorare il brivido di piacere che lo avvolse non appena avvertì le labbra di Takao sul proprio collo: perché gli aveva detto così? Dopotutto l'inesperto, quello che si sentiva più a disagio, era lui.
Shintarou serrò gli occhi e schiuse le labbra, forse sul punto di fare di nuovo il suo nome, ma dopo qualche istante di esitazione prese una grande boccata d'aria e si alzò dalla sedia, fuggendo di fatto dalle mani e dalla bocca dell'altro.
Quando si trovarono l'uno di fronte all'altro, Midorima mantenne un'espressione seria e leggermente accigliata, mentre Takao incrinò le labbra in una minuscola smorfia, temendo di essere appena stato rifiutato perché risultato troppo frettoloso.
Kazunari non si era ancora ripreso del tutto, forse non sarebbe mai successo, ed era una realtà che conoscevano entrambi, era un fatto che non cercavano neppure di nascondere o ignorare, ma era anche vero che era innamorato di Shintarou e, per tanto, era disposto a lasciar andare un'altra parte di Miyaji e a fare l'amore con lui.
Midorima avrebbe voluto chiedergli se era ciò che desiderava veramente, ma l'imbarazzo aveva spento la sua voce, aveva la sensazione che due mani invisibili fossero pronte a stringersi attorno alla sua gola, perciò si limitò ad osservarlo e cercò di trovare la risposta nei suoi occhi.
Fu questione di pochi istanti, perché gli occhi di Takao gli sorrisero e gli diedero modo di trovare ciò che cercava, così gli prese il viso fra le mani e lo attirò a sé, baciandolo sulle labbra con foga contenuta - perché anche in momenti simili, Midorima confermava di essere una persona decisamente cauta e riservata -.
Takao chiuse gli occhi e ricambiò immediatamente il bacio, lasciando scivolare le mani oltre le spalle dell'altro e ricongiungendole sulla sua nuca, per poi retrocedere appena, verso il letto.
Senza staccare le labbra da quelle di Takao, Midorima seguì i suoi passi e, seppur con un po' di titubanza, gli afferrò i fianchi.
Kazunari fu il primo ad interrompere il bacio, sollevò i propri occhi e lo guardò in silenzio, attese che le mani di Shintarou allentassero la stretta sui suoi fianchi e quindi si sedette ai piedi del letto, per poi coricarsi e lasciar aderire la schiena al materasso una volta che l'altro gli fu sopra.
Midorima non aveva idea di dove cominciare e di come comportarsi, per lui era difficile perfino decidere se cominciare a spogliarlo partendo dai pantaloni o dalla maglietta.
«Shin-chan.» Takao lo chiamò, come per esortarlo a muoversi, poi sollevò il viso e lo baciò all'angolo della bocca, afferrandogli la maglietta e sfilandogliela con estrema lentezza.
Midorima deglutì a fatica e si lasciò sfilare la maglietta, chiuse gli occhi nell'istante in cui il tessuto gli sfiorò il viso e cercò di ritrovare un po' di lucidità, ignorando, di fatto, il forte bruciore che ardeva sulle guance.
Takao gettò la maglietta sul pavimento e adagiò nuovamente la testa contro il materasso, lo guardò e le sue labbra si distesero in un grande sorriso, come se avesse visto la cosa più bella del mondo e fosse finalmente riuscito a fuggire da quella bolla di ricordi che da troppo tempo ammantava e soffocava il suo animo.
Lo sguardo di Midorima si fece all'improvviso meno serio e accigliato, cominciò a somigliare a quello di un bambino che si meraviglia, si incanta e quasi si commuove di fronte ad una vetrina colma di giocattoli: il sorriso che Takao gli stava rivolgendo era sincero, non si trattava di una maschera per nascondere il dolore di un legame andato in frantumi, di un bellissimo futuro sgretolatosi all'improvviso. Il sorriso di Takao era sincero e, per tanto, meraviglioso.
Shintarou gli scostò un ciuffo di capelli dalla fronte e increspò le labbra in un sorriso minuscolo, tanto che Takao riuscì a percepirlo appena.
«Lo volevo da così tanto tempo, Shin-chan.» Kazunari sussurrò e gli prese il viso fra le mani con estrema delicatezza e, anche se Shintarou guardò altrove per l'imbarazzo, non sfuggì alla gentile morsa che si era stretta attorno alle sue guance.
Takao lo aveva voluto fin dalle medie, ma il tempo passato con Miyaji gli aveva fatto dimenticare un desiderio che lo aveva perseguitato per molto tempo, l'amore che aveva provato per il numero otto dello Shutoku aveva letteralmente seppellito tutto ciò che aveva immaginato e sognato riguardo lui e Midorima.
«Ti amo da tanto tempo, Shin-chan.» sussurrò ancora più piano, consapevole che l'amore per Midorima, reciso dalla sua relazione con Miyaji, non era mai morto del tutto. Sotto terra era rimasta una radice e da quella radice era sbocciato all'improvviso qualcosa di nuovo, qualcosa di ancora più travolgente e sincero.
L'affetto che Takao provava per Midorima andava oltre l'amicizia, oltre l'attrazione fisica e perfino oltre l'amore. Non sapeva dargli un nome, ma era perfettamente conscio che si trattasse di un legame così forte e incorruttibile, quasi viscerale, da superare perfino la dimensione del sentimento amoroso.
«Takao ...» Midorima avvicinò il viso a quello dell'altro, sospirando spazientito e vagamente imbarazzato «se continui a blaterare, non mi faciliti le cose. Taci.»
Takao accennò una risata che Midorima si preoccupò immediatamente di soffocare, quindi lo baciò e finalmente si decise a sfilargli la maglietta.
Takao serrò gli occhi e schiuse le labbra, inarcò appena la schiena e si arrese quasi immediatamente alla presa forte - ma ancora insicura - dell'altro attorno ai suoi fianchi.
Le mani di Midorima scivolarono dai fianchi alla schiena, percorse la spina dorsale di Takao con lunghe carezze senza mai staccare le labbra dalle sue e gli sbottonò i pantaloni con estrema calma: non aveva fretta, voleva godere di quel momento quanto più poteva, gli piaceva sentire il viso di Takao così vicino al suo, le labbra frementi e la bocca calda, le dita affusolate e tiepide intrecciate ai suoi capelli.
Takao scostò il viso solo un istante, si lasciò sfuggire un sospiro accaldato e spalancò le labbra per riprendere fiato, poi tornò a baciare Midorima, che pareva aver acquistato più sicurezza e sembrava essere rimasto ad aspettarlo pazientemente.
Kazunari piegò e sollevò le gambe per un istante, in modo che Shintarou potesse sbarazzarsi più facilmente dei suoi pantaloni, e una volta rimasto in intimo poté percepire con ancora più chiarezza l'erezione dell'altro contro la sua.
Le mani di Takao corsero rapide al cavallo dei pantaloni dell'altro e li sbottonarono; Midorima, dal canto suo, approfondì il bacio e gli accarezzò con delicatezza le anche, per poi tirare appena l'elastico dei boxer.
Seppur con un po' di fatica, Kazunari riuscì a disfarsi dei pantaloni del compagno e dovette sfuggire alle sue labbra non appena la sua mano si insinuò oltre i boxer per stimolare ulteriormente la sua erezione, scatenando, di fatto, un grande trambusto nella sua cassa toracica e togliendogli il respiro.
Midorima lasciò scivolare la mano sinistra dietro la nuca di Takao e con l'altra gli sfilò i boxer con un movimento lento e cauto, dimostrando che, nonostante avesse acquistato un po' di sicurezza, era rimasto fedele alla natura chiusa e diffidente del Cancro.
Quando Midorima lo privò dei boxer, Takao ebbe un istante di esitazione dettato non tanto dalla vergogna, ma più che altro dall'incredulità: dopo tanti anni passati ad inseguirsi, all'improvviso erano riusciti ad avvicinarsi così tanto soltanto grazie ad una sfortunata serie di eventi.
Shintarou stuzzicò il collo dell'altro con un paio di baci, fermandosi non appena sentì le sue dita stringersi attorno all'elastico dei boxer e poi il tessuto morbido sfiorargli le cosce: ora che si trovavano nudi l'uno di fronte all'altro, aveva l'impressione di essere rilegato in uno stato simile all'incoscienza e di aver perso la sensibilità di alcune parti del corpo, si ritrovava punto a capo, perché, esattamente come poco prima, non aveva idea di come muoversi.
Fu di nuovo Takao, che gli afferrò il viso fra le mani e lo baciò sulle labbra, a scuoterlo e strapparlo via dall'imbarazzo e dall'amara consapevolezza di essere completamente inesperto: Midorima chiuse gli occhi e focalizzò la propria attenzione sulla bocca dell'altro, annullò completamente il senso della vista per rendere più sensibili gli altri quattro e, dopo pochi istanti, scoprì che lasciarsi andare in quel modo alle attenzioni del compagno era terribilmente facile e piacevole.
Shintarou ricambiò i baci dell'altro con estrema calma e restò in ascolto degli schiocchi leggeri delle loro labbra per qualche istante, riaprendo gli occhi solamente quando le sue mani carezzarono le natiche di Takao e i loro bacini si incastonarono, provocando fitti brividi di piacere lungo la sua spina dorsale.
Takao si lasciò scappare un sospiro sommesso e affannoso e tese il viso all'indietro, socchiuse gli occhi e gli accarezzò le spalle con estrema gentilezza, come se fosse ancora deciso a dissipare la stanchezza che albergava nella mente satura di studi di Midorima.
Shintarou continuò ad accarezzargli le natiche e gli baciò il collo, chiuse gli occhi e inspirò il suo profumo, stuzzicandogli il lobo dell'orecchio con un tocco delicato delle labbra.
Takao sospirò una seconda volta e percorse la schiena dell'altro con la mano sinistra, fino alle natiche, mentre le dita della destra si intrecciarono ai suoi capelli: voleva sentirlo quanto più vicino possibile, desiderava che i loro corpi divenissero una cosa sola, legati insieme dall'invisibile ma spesso e resistente filo del piacere, che le loro anime raggiungessero la completa sintonia e che potessero percepire le stesse identiche sensazioni sopra e sotto la pelle.
Midorima decise che era quello il momento più opportuno per sbarazzarsi del proprio pudore e insinuò, seppur con una certa cautela, le dita fra le natiche sode dell'altro, per poi penetrarlo lentamente, senza mai staccare le proprie labbra dal collo pallido e nodoso.
Takao serrò le labbra e sfiatò sommessamente, divaricò appena le gambe e cercò di non badare alla scossa di piacere che gli attraversò rapida e inesorabile le cosce e il fondo schiena.
Shintarou aprì gli occhi e si soffermò soltanto per pochi istanti sul viso vagamente arrossato dell'altro, distogliendo il proprio sguardo non appena Kazunari volse la propria attenzione verso di lui e sussurrò il suo nome: gli bruciavano le orecchie, terribilmente, e all'improvviso un brivido tiepido gli aveva avvolto la testa come una cappa di calore soffocante, costringendolo a trattenere il respiro.
Midorima non si fece vincere dall'imbarazzo da poco rinnovato a causa della voce dell'altro e, non appena i movimenti divennero più fluidi, lo penetrò con un secondo dito, strappandogli un altro gemito sommesso dalla bocca.
Kazunari piegò appena le gambe e Shintarou sollevò leggermente il bacino, le sue dita tremarono e arrancarono sulle sue natiche e la presa divenne salda solamente quando lo ebbe penetrato.
Takao boccheggiò e socchiuse gli occhi, protese il viso all'indietro e per un istante gli sembrò di aver perso il contatto con la realtà; Midorima, dal canto suo, fece aderire la fronte alla spalla dell'altro e cercò di abituarsi alla sensazione il più in fretta possibile.
Takao rafforzò la stretta delle gambe attorno alla vita dell'altro e gli afferrò con decisione un ciuffo di capelli, e Midorima, che gli stampò un paio di piccoli baci sulla spalla, cominciò a muoversi dentro di lui con estrema lentezza, lasciando scivolare le proprie mani fino alle sue cosce.
Shintarou sospirò di piacere e scostò la fronte dalla spalla dell'altro per baciarlo all'angolo della bocca e poi sulle labbra, mentre Takao inarcò appena la schiena e cominciò ad assecondare i suoi movimenti.
Non appena i movimenti divennero più rapidi e fluidi, Midorima sollevò il viso e si tolse gli occhiali con un goffo gesto che provocò un risolino tremante sulle labbra di Takao, poi tornò ad afferrargli saldamente le cosce e l'altro non riuscì a trattenere un gemito di piacere.
Takao schiuse le labbra in un sospiro affannoso e Midorima si lasciò sfuggire un gemito roco, per poi serrare le labbra per la vergogna ma, tuttavia, senza interrompere i movimenti del proprio bacino.
In vita sua, Midorima non aveva mai avuto il fiato così corto, ma la spiegazione era semplice: il respiro smorzato non era dovuto alla fatica e forse neppure all'eccitazione, ma all'incontenibile gioia di poter condividere qualcosa di simile proprio con Takao.
Fra università, tirocinio e vita amorosa stava andando tutto fin troppo bene, ma Midorima scacciò quello che sembrava l'inizio di una congettura pessimistica e continuò a focalizzarsi sui loro corpi uniti e sui sospiri affannosi dell'altro.
Le dita di Takao fremettero sulla nuca lievemente sudata di Midorima, che schiuse le labbra e cercò di riprendere fiato, rendendosi quasi immediatamente conto che sarebbe stato impossibile, visto che era prossimo all'amplesso.
Takao toccò l'apice del piacere pochissimi istanti prima di Midorima, quindi gemette e tremò sotto di lui, affondando le dita delle mani fra i suoi capelli e attirandolo a sé, finché le loro labbra non furono così vicine da permettere ai respiri accaldati e pesanti di fondersi e tramutarsi in un unico singulto compiaciuto.


Riko smise di lucidare la lunga asta di metallo che collegava i due dischi di ghisa del peso da dieci chili e rivolse un'occhiata silenziosa al padre che, come ogni sera prima della chiusura, era impegnato a lucidare il pavimento della palestra.
Doveva dirglielo? Aveva pensato di farlo prima ancora che lei e Momoi si fidanzassero - si potevano definire fidanzate, no? -, figurarsi ora che avevano dato una svolta al loro rapporto e la loro bizzarra e acerba amicizia si era tramutata in qualcosa di più intenso.
«Papà?» Riko inspirò appena e si schiarì la voce con un rantolio sommesso, per poi rivolgere il proprio sguardo al piccolo straccio sgualcito che teneva stretto fra le mani.
«Umh? Che c'è, Riko-chan?» suo padre le rivolse una rapida occhiata, poi tornò a dedicarsi al pavimento nonostante fosse già sufficientemente lucido.
«Devo parlarti di una cosa.» Aida lo sbirciò di sottecchi e, dopo qualche istante di esitazione, tornò a parlare nel tentativo di ottenere nuovamente la sua attenzione «è importante.»
Kagetora si immobilizzò e continuò a darle le spalle ancora per qualche istante, poi voltò appena il viso e guardò oltre la sua spalla.
«Non sarebbe meglio aspettare di arrivare a casa e parlarne anche con la mamma, visto che è importante?»
Aida forzò un sorriso nervoso e i suoi occhi guizzarono da una parte all'altra, cercando di sfuggire allo sguardo interrogativo del padre.
«La mamma lo sa già.»
Alla risposta della figlia, Kagetora si voltò completamente verso di lei e rafforzò la stretta sul manico della scopa a vapore, affrettandosi a premere il tasto di spegnimento: perché sua moglie era già a conoscenza di ciò che Riko voleva dirgli e lui non ne sapeva nulla?
Sentì le tempie pulsare e la fronte scottare, il nervoso cominciò a ribollire nella sua testa e si manifestò in un sommesso brontolio che vibrò sulle labbra: se Riko aveva parlato di una cosa importante esclusivamente con sua madre e soltanto dopo aveva deciso di rivolgersi a lui, significava quasi sicuramente che c'era un ragazzo di mezzo - ed era un'eventualità a cui Kagetora non avrebbe mai voluto pensare e nei confronti della quale non avrebbe potuto fare altro che imbestialirsi -.
«Non starai pensando di tornare a convivere con il Quattrocchi e con Testa-fra-le-nuvole?!»
«Eh?!» Riko strinse i denti e sollevò le mani davanti al viso, come se stesse cercando di erigere una barriera invisibile che la proteggesse dall'ira del padre «no, no! Loro due non c'entrano niente.»
«Mhn?!» il padre di Riko sfiatò e si avvicinò alla figlia, come a volersi assicurare che su di lei non fossero presenti tracce lasciate da un possibile fidanzato «e chi sarebbe? Lo conosco?»
Riko serrò le labbra e arretrò di un paio di passi, infastidita dalla soffocante vicinanza e dall'eccessiva apprensione del genitore.
Suo padre era talmente ossessionato dall'idea che un ragazzo potesse portargliela via, che aveva già capito quale fosse l'argomento della conversazione appena cominciata.
«Sai, Riko-chan, quando te ne sei andata di casa sei mancata tantissimo al tuo papà!» la voce di Kagetora risuonò orribilmente lagnosa e melliflua alle orecchie di Riko, che sbuffò nervosamente e sfuggì all'abbraccio del genitore con un brontolio nervoso.
«Mi lasci parlare? E poi chi ti ha detto che si tratta di un ragazzo?» Riko si morse il labbro inferiore, pentendosi di aver alzato così tanto la voce e di aver detto una cosa simile: senza neppure volerlo, aveva praticamente gridato ai quattro venti che si parlava di una ragazza.
Kagetora tacque per un istante, poi, all'improvviso, il suo sguardo parve illuminarsi e Riko gli rivolse un'occhiata interrogativa.
«Non si tratta di un ragazzo?!» Kagetora sorrise «questo vuol dire che la mia bambina è ancora pura!»
Riko lo fulminò con lo sguardo: un padre che esultava riguardo al fatto che nessun ragazzo desiderasse sua figlia non si poteva certo definire il genitore migliore dell'anno.
«Papà, io ...» le tremò la voce, ma prese coraggio e tornò a parlare non appena trovò gli occhi di suo padre «io sono fidanzata.»
Kagetora sbatté le palpebre un paio di volte, aggrottando la fronte e rivolgendole un'occhiata confusa.
«Ma non hai appena detto che–»
«Con una ragazza.» Riko lo interruppe e cercò di ignorare il diffuso tremolio che le aveva appena alterato la voce.
«Cosa?» suo padre schiuse le labbra e restò a fissarla pietrificato, percependo un diffuso e fastidioso pizzicore sulle guance.
«Io sto ...» Riko protese le labbra in una piccola smorfia e si sfregò la radice del naso con le dita, infastidita dal bruciore che attanagliava le sue guance «sto con una ragazza. Con Momoi.»
Il padre non disse nulla ma, a giudicare dal suo sguardo vagamente spaesato, Riko capì che non era in grado di dare un volto a quel nome.
«La ragazza con i capelli rosa.» Riko borbottò e all'improvviso gli occhi di suo padre parvero illuminarsi di nuovo.
«Quella ragazza?! Quella bellissima ragazza è la tua fidanzata?!»
Riko si trattenne dal dargli uno schiaffo e dall'intimargli di non dire - né pensare - mai più che Momoi fosse bellissima.
«Potevi dirlo subito, Riko-chan! Se si tratta di Capelli Rosa non ci sono problemi, è che pensavo che fra voi non ci fosse quel genere di rapporto!»
Riko era più imbarazzata che mai, mentre suo padre pareva essere divenuto improvvisamente logorroico, come se scoprire che sua figlia era fidanzata con una ragazza lo avesse tranquillizzato e reso più felice che mai.
«Siete così carine!»
«Sei il solito pervertito!» Riko arricciò il naso e parve quasi ringhiare, pronta a sferrare un pugno contro il viso del padre.
«Quindi quei video li hai visti sul serio!»
Riko sobbalzò e sgranò gli occhi, si sentì mancare il respiro ed ebbe la sensazione che il suo viso avesse appena preso fuoco.
«Co-cosa? Quali video?» balbettò imbarazzata, ma sapeva esattamente che suo padre si riferiva a quelli che aveva visto su un sito per adulti e che avevano le donne come protagoniste «come fai a saperlo? Chi ti ha dato il permesso di entrare in camera mia e di sbirciare la mia cronologia?! Sei davvero un pervertito!»
«Ri-Riko-chan, calmati!»
«Io ti ammazzo!»


Kagami si sentì osservato e presto capì che non si trattava di un'impressione: quando vide la nonna di Kuroko scrutarlo da oltre le spesse lenti degli occhiali, a circa cinque metri di distanza, ebbe l'irresistibile tentazione di alzare i tacchi e darsela a gambe, ma tutto ciò che riuscì a fare fu dare una piccola gomitata al compagno per avvertirlo del pericolo.
Kuroko si fermò e guardò in direzione di sua nonna senza tradire alcuna emozione nel propri sguardo, sollevò la mano e la salutò con un cenno veloce.
Kagami deglutì appena e quando vide la nonna di Kuroko avvicinarsi in tutta fretta rivolse un'occhiataccia all'altro: non era stata una mossa intelligente avvertirlo della presenza di quella maledetta vecchina, sarebbe stato meglio fare finta di non vederla e trascinarlo nel primo fast food presente nelle vicinanze.
«Avete fato la spesa, eh?»
Kuroko le sorrise e Kagami annuì, stringendo la stretta sui due pacchi della spesa.
«Tutta quella roba per due sole persone? Mio nipote ha ragione a dire che il tuo appetito assomiglia a quello di una tigre, Taiga-kun.» la nonna di Kuroko accennò una risata e Kagami sfiatò appena, rivolgendo l'ennesima occhiataccia a Kuroko che, in tutta risposta, ampliò il sorriso, vagamente divertito dalla situazione.
«State tornando a casa?»
«Sì.» fu Tetsuya a risponderle, e sua nonna gli si affiancò e gli diede un'affettuosa pacca sulla spalla «vi dispiace se vi accompagno per un tratto?»
Kagami schiuse le labbra e le incrinò in una smorfia colma di disappunto, ma Kuroko rispose al posto suo.
«Certo che no.»
«Già ...» Kagami, dal canto suo, forzò un sorriso decisamente poco convinto e rantolò sommessamente quando la nonna di Kuroko si avvicinò a lui e si aggiustò gli occhiali per osservarlo meglio.
«Taiga-kun, qualcosa non va?»
«No.» Taiga si limitò a scuotere la testa «va tutto bene.»
Kuroko ricominciò a camminare, seguito a ruota da Kagami e da sua nonna, che si era insinuata con una certa prepotenza fra i due.
«Allora ...» quando la sentì parlare, dopo aver passato circa un minuto nel più completo silenzio, Kagami deglutì a fatica e guardò oltre il ciglio della strada, alla ricerca di qualcosa che potesse distrarlo e permettere al suo sguardo di fuggire da quello invadente della nonna di Kuroko.
«Come vanno le cose fra voi due? Spero che tu stia trattando mio nipote come si deve, Taiga-kun.»
Kagami sentì le guance pizzicare all'improvviso e serrò le labbra con forza, fin quasi a farsi male: che cosa intendeva con: “Trattare come si deve”? E poi perché era così maledettamente confidenziale? Era peggio di Kise.
«Nonna, non credo sia il caso.» Tetsuya intervenne quasi immediatamente, sorridendo appena.
«Mhn, forse è vero, dopotutto voi due siete sempre stati una coppia piuttosto affiatata, dico bene?» quando la nonna di Kuroko gli diede una piccola gomitata per richiamare la sua attenzione, Kagami sobbalzò appena e annuì con un rapido cenno del capo, desiderando che quella tortura terminasse il prima possibile.
«Sei fortunato Taiga-kun, Tetuya ci manca moltissimo.»
Certo che era fortunato, e se Kuroko avesse deciso di tornare a vivere con la sua famiglia sarebbe sicuramente mancato moltissimo anche a lui.
Kagami avrebbe voluto rispondere, ma sembrava che la sua gola fosse colma di rovi robusti e spinosi e l'imbarazzo gli impedì di parlare.
«Piuttosto ...» sapeva anche lui che non poteva continuare a borbottare discorsi sommessi e confusi o lasciar rispondere Tetsuya al posto suo, quindi Taiga decise di introdurre un argomento di cui avrebbe fatto volentieri a meno «come sta Nigou?»
Kuroko chinò il viso in avanti e scavalcò la figura di sua nonna con lo sguardo, soffermandosi solo per un istante su Kagami e rivolgendogli un sorriso divertito: era buffo che pur di sfuggire a quelle domande insidiose si interessasse a Nigou - non che lo odiasse, anzi Tetsuya era sicuro che gli fosse ormai affezionato ma, esattamente come faceva con Aomine, continuava a recitare la parte del ragazzo ritroso e ostile -.
«Nigou sta molto bene, ma gli manca Tetsuya!»
«Vengo a trovarlo quasi tutti i giorni.»
«Ma non lo porti mai a passeggio.»
Tetsuya rivolse una rapida occhiata a sua nonna e poi tornò a guardare la strada davanti a sé.
«La prossima lo porterò a passeggio.»
La nonna di Kuroko annuì soddisfatta, poi rallentò e finì per fermarsi, rivolgendo la propria attenzione dall'altra parte della strada.
«Penso sia giunta l'ora di salutarci.» accennò un sorriso e diede una carezza affettuosa sia al braccio di Kuroko sia a quello di Kagami, per poi scostarsi e fermarsi sul ciglio della strada in attesa che il semaforo divenisse verde e rivolgendo ad entrambi un rapido cenno di congedo con la mano.
«Ciao.» Kuroko le rispose, mentre Kagami si limitò a ricambiare il saluto con un cenno della mano e accennò un sorriso, contento di poter finalmente sfuggire alle sue domande.


«Ma dove sono? Dove diavolo sono?!» Kagami ringhiò e continuò a frugare nel borsone, sotto lo sguardo silenzioso di Kuroko.
«Kagami-kun, da quando abbiamo incontrato mia nonna sei diventato troppo nervoso, se ti agiti così tanto non le troverai mai.» Tetsuya insinuò la mano nella tasca del cappotto ed estrasse un mazzo di chiavi che tintinnarono appena «ecco, prendi le mie.»
Kagami lo guardò senza dire nulla, poi afferrò le chiavi e si affrettò ad aprire la porta.
«Grazie.»
Kuroko gli rispose con un piccolo sorriso ed entrò subito dopo di lui, fermandosi per chiudere la porta; Kagami, dal canto suo, si affrettò a raggiungere la cucina per riporre le borse della spesa e tornò immediatamente all'ingresso per togliersi la giacca e appenderla all'attaccapanni.
Tetsuya si tolse il cappotto con estrema calma e gli rivolse un'occhiata silenziosa, soffermandosi in particolare sulle labbra increspate in una smorfia e sulla fronte leggermente aggrottata: possibile che fosse ancora in imbarazzo per la conversazione avuta con sua nonna?
«Kagami-kun?» Kuroko lo chiamò piano e quando Kagami rispose con un grugnito nervoso capì che, sì, era ancora in imbarazzo.
Quando Taiga lo guardò, Tetsuya gli rivolse un sorriso e gli afferrò la manica della maglietta con la mano, come a voler richiamare la sua attenzione.
Kagami sfiatò appena e si arrese alla mano di Kuroko e alle dita sottili che ancora arpionavano la manica della sua maglietta, così si chinò in avanti e lo baciò, approfondendo il contatto non appena le mani dell'altro si insinuarono fra i suoi capelli.


Un'ombra spegne gli ultimi raggi del sole, una mano trafigge l'acqua e solo per un istante, quando le sue dita sfiorano le tue, l'oscurità che brulica attorno al tuo corpo stanco pare farsi meno spaventosa.




Licenza Creative Commons
Quest'opera è distribuita con Licenza Creative Commons Attribuzione - Non commerciale - Non opere derivate 2.5 Italia.




L'angolino invisibile dell'autrice:

Non ci crederà nessuno quando lo dirò (non ci credo neanche io), ma … sono davvero soddisfatta di questo capitolo.
Dopo tanti capitoli di transizione e decisamente troppo corti, sento di aver finalmente scritto un capitolo in pieno stile “Hall of Fame” e ne sono davvero felice! (e pensare che anche questo doveva essere un capitolo di transizione ---)
Devo ringraziare Midorima e Takao se il capitolo è così lungo, praticamente due terzi di tutto ciò che ho scritto sono occupati da loro!
Beh, avevo annunciato che questo capitolo sarebbe piaciuto a molte di voi (sempre che io abbia scritto bene la parte in questione) e alcune hanno immediatamente indovinato che si parlava di MidoTaka (beh, alla fine mancavano solo loro due).
Vi ho fatto soffrire con la MidoTaka e tutto ciò che vi è stato offerto in questo capitolo è per ottenere il perdono (?), quindi non mandatemi al patibolo, ho ancora molto da offrire (??)
Nonostante il capitolo prima di questo mi convincesse decisamente poco, ho ricevuto più recensioni del solito e ne sono rimasta piacevolmente sorpresa … come sempre sapete tirarmi su di morale e siete disposti a sostenermi, siete davvero dei lettori eccezionali e non finirò mai di dirlo, a parte offrendovi porn MidoTaka, non so come potervi ringraziare ;u;
La scena fra Riko e suo padre era essenziale, giusto per far capire che a Kagetora va bene tutto, basta che sua figlia non si avvicini al genere maschile uwu
Adesso rotolo via, così vado a studiare~
Alla prossima!

Ritorna all'indice


Capitolo 38
*** Capitolo XXXVII ***


Capitolo XXXVII





Un'ombra nella notte è un fantasma solitario che trema e brancola alla ricerca della luce delle stelle.

Kagami brontolò sommessamente non appena la forte vibrazione del cellulare a contatto con la superficie del comodino riuscì a scavalcare il suo sonno e, imperterrita, gli stuzzicò le orecchie.
Le palpebre fremettero appena, negando di fatto qualsiasi possibilità di accesso alla luce del mattino che, molto probabilmente, filtrava già dalle tende, irradiandosi nella stanza; si voltò lentamente sul fianco, rafforzò la stretta attorno al corpicino magro di Kuroko e affondò il viso fra i suoi capelli, lasciando che i ciuffi ribelli gli solleticassero il viso, ma dopo pochi istanti sembrò rendersi finalmente conto che il cellulare stava vibrando da almeno un minuto e che, per tanto, doveva trattarsi di una chiamata e non di un sms.
Taiga aprì solamente un occhio e si mise lentamente a sedere, tastò il comodino con la mano e trovò il cellulare al terzo tentativo, lo afferrò e diede un'occhiata allo screensaver.
Non appena notò che aveva già perso una chiamata e che si trattava di Himuro, la luce del sole sembrò farsi improvvisamente meno fastidiosa, quindi aprì anche l'altro occhio e rispose con un balbettio roco.
«Ta-Tatsuya? È successo qualcosa?» Kagami avvertì un movimento accanto a sé, il delicato fruscio delle coperte, ma non vi badò.
«Taiga...»
C'era qualcosa che non andava nella voce di Himuro: sembrava incerta, quasi affaticata, come se fosse di fretta.
«Tatsuya?» lo chiamò di nuovo, cercando di mantenere un tono di voce fermo.
«Taiga, io parto.»
Kagami sussultò e sbarrò gli occhi, trattenne il respiro e scostò in fretta le lenzuola, lasciandosi scivolare al bordo del letto «cosa? Come sarebbe a dire? Come… parti?!»
Taiga avvertì un altro movimento alle sue spalle e in pochi istanti si ritrovò lo sguardo interrogativo di Kuroko puntato addosso.
«Tatsuya, aspetta, che cosa è successo?»
«Cosa potrebbe essere successo?» la voce di Himuro tremò, poi seguì una pausa in occasione della quale riprese fiato e deglutì, probabilmente per scacciare via il pianto «abbiamo litigato e abbiamo rotto.»
«Cosa?»
«Devo andare via da Tokyo, ho bisogno di pensare.»
«Tatsuya, aspetta!» Kagami si sollevò in fretta dal letto e afferrò i pantaloni; Kuroko, dal canto suo, continuò a guardarlo e strinse le lenzuola fra le dita.
«Dove pensi di andare?» Kagami riprese, stringendo la presa sul cavallo dei pantaloni e sollevando una gamba.
«Torno a Los Angeles, vado da mia madre.»
«E… e quando parti?»
«Fra venti minuti.»
«Cosa?!» Kagami gettò a terra i pantaloni e strinse i denti in un ringhio sommesso: l'aeroporto non si poteva raggiungere in così poco tempo, forse era fattibile con un'auto, ma lui non aveva neppure la patente.
«Scusami, Taiga.» Himuro fece una piccola pausa, Kagami lo sentì sospirare «avrei voluto salutarti di persona, ma è stata una decisione improvvisa. Salutami gli altri, d'accordo?»
«Tatsuya? Tatsuya, aspetta, non andare–» Kagami si lasciò scappare un singulto di rabbia e strinse la presa sul cellulare non appena capì che l'altro aveva riattaccato «Tatsuya!»


A dieci metri dal locale, Tetsuya si rese conto che offrirsi di accompagnare Taiga non era servito a nulla: aveva taciuto per tutto il tragitto, se n'era rimasto per dieci minuti buoni con gli occhi puntati a terra, le labbra increspate in una smorfia colma di rabbia, e neppure il suo sguardo insistente era riuscito a richiamare la sua attenzione.
In quel momento erano entrambi inermi di fronte alla realtà, potevano limitarsi soltanto ad osservare gli eventi perché privi della facoltà di agire, perché Kagami, sapendo che non sarebbe mai riuscito a raggiungere l'aeroporto in tempo, non ci aveva nemmeno provato e lui, dal canto suo, non poteva fare nulla per rassicurarlo - non se la sentiva di dirgli che sarebbe andato tutto bene, soprattutto considerando il fatto che Himuro aveva deciso di partire improvvisamente e gli aveva chiuso il telefono in faccia rifiutandosi, di fatto, di ascoltarlo -.
Kagami non riusciva ad accettare il fatto che Himuro fosse partito all'improvviso, che in quel misero paio di minuti in cui avevano discusso gli avesse detto soltanto che aveva bisogno di pensare e poi avesse chiuso la chiamata, lasciandolo a bocca asciutta.
Si sentiva inutile, perché a quanto pareva tutte le volte in cui aveva alzato la voce contro Murasakibara e tutti i pomeriggi passati ad ascoltare gli sfoghi di Himuro sul posto di lavoro non erano serviti a nulla. In verità non era riuscito neppure a scalfire il muro oltre il quale Tatsuya si era nascosto, ma se n'era reso conto solamente quella mattina.
Si sentiva terribilmente in colpa, perché si era convinto che la partenza di Himuro dipendesse, almeno in parte, anche da lui. Se non avesse passato quasi tutta la notte a fare l'amore e a giocare sotto le coperte con Kuroko, forse avrebbe sentito la prima chiamata e sarebbe riuscito a raggiungere l'aeroporto in tempo, sarebbe riuscito ad impedirgli di partire.
Kagami era convinto che Himuro potesse pensare benissimo anche a Tokyo, sapeva perfettamente che la ragione per cui era tornato a Los Angeles era ben diversa.
Durante i pochi mesi passati in America, subito dopo la fine delle superiori, Taiga aveva avuto modo di capire che le compagnie frequentate da Tatsuya non erano certo le migliori, anzi la maggior parte degli amici che aveva a Los Angeles passavano le serate ad ubriacarsi in alcuni pub e a disturbare le cameriere o a scatenare risse - a pensarci bene, l'idea negativa che Kagami nutriva nei confronti dei conoscenti di Himuro, era l'unica opinione che avesse mai condiviso pienamente con Murasakibara -.
Himuro soffriva ed era comprensibile che avesse bisogno di isolarsi, ma non era un codardo e se era andato fino a Los Angeles era perché aveva bisogno di sfogarsi e, al contrario di quanto aveva detto, smettere di pensare. Himuro, purtroppo, era molto sensibile ai richiami del proibito.
Quando Kagami sollevò il proprio sguardo e vide Aomine, Miya e Matsuda fermi davanti al locale, sfiatò nervosamente e accelerò leggermente il passo.
«Fantastico, dobbiamo aspettare quell'idiota.» sbottò a denti stretti, distaccando Kuroko con un paio di falcate.
Aomine aggrottò appena la fronte nel vedere Kagami arrivare a passo spedito e si limitò a sollevare la mano per salutare lui e Kuroko con un rapido cenno.
«È successo qualcosa? È strano che Himuro-san non sia qui.» Miya incalzò Kagami, che parlò non appena li ebbe raggiunti.
«Tatsuya è partito, dobbiamo aspettare che Murasakibara arrivi con le chiavi, altrimenti non potremo entrare.»
«Eh? Come sarebbe a dire che è partito? E dove è andato?» Matsuda intervenne e Aomine si staccò dal muro per farsi un poco più vicino a Kagami e Kuroko.
«È successo qualcosa?» Daiki si ritrovò a parlare con voce leggermente più bassa del solito, infastidito dall'idea che Miya e Matsuda potessero ascoltare la loro conversazione.
«Lui e Murasakibara hanno rotto.»
Aomine arricciò appena il naso e increspò le labbra in una piccola smorfia: ne ignorò il motivo, ma il primo pensiero che gli venne in mente fu che Kise l'avrebbe presa sicuramente molto male.
«Tatsuya è tornato a Los Angeles, mi ha telefonato più o meno un'ora fa.»
«Così all'improvviso?» sbirciando attraverso le vetrate laterali alla saracinesca abbassata, Aomine diede un'occhiata all'interno buio del locale e sbuffò sonoramente.
«Credo che Himuro-san avesse già preso in considerazione un risvolto del genere.» Kuroko intervenne e Kagami gli rivolse un'occhiata silenziosa, per poi sfiorargli timidamente il braccio con il dorso della mano - lo aveva ignorato per tutto il tragitto e ora cominciava a sentirsi in colpa anche nei suoi confronti -.
«Quindi mi state dicendo che le chiavi sono nelle mani di Murasakibara, che potrebbe fregarsene e restare a casa? Non mi sono alzato alle sette del mattino per niente.» Aomine rivolse una rapida occhiata a Kagami, per poi infilare la mano nella tasca della giacca ed estrarre il cellulare «lo chiamo e gli dico di muoversi, altrimenti me ne torno a casa.»
Kagami si ritrovò ad annuire appena ed estrasse il cellulare dalla tasca della giacca, dando un'occhiata allo screensaver e compiendo qualche passo indietro per staccarsi dal gruppo.
«Io, nel frattempo, chiamo un'altra persona.»
Kuroko gli rivolse un'occhiata interrogativa, ma Kagami non lo notò e si allontanò velocemente dal gruppo.
Aomine aveva già cominciato a sbraitare al telefono quando Kuroko vide Kagami premere il cellulare contro l'orecchio e gesticolare appena: non aveva idea di chi avesse chiamato, l'unica cosa di cui era certo era che non si trattava di Himuro.
«Arriva fra una decina di minuti.» Aomine sbuffò di nuovo e ripose il cellulare in tasca, per poi rivolgere la propria attenzione a Kuroko.
«Aomine-kun, posso parlarti?»
«Cosa c'è?»
Kuroko voltò il viso e sbirciò oltre la sua spalla, per assicurarsi che Kagami fosse ancora impegnato a parlare al cellulare, poi transitò accanto ad Aomine e si allontanò di almeno cinque metri da Miya e Matsuda.
«Ohi, Tetsu, si può sapere che c'è?» Daiki non ne poteva più di tutto quel trambusto e, pur seguendolo immediatamente e con passo piuttosto rapido, brontolò nervosamente.
«Aomine-kun, ho bisogno di un favore.»
Aomine gli rivolse un'occhiata silenziosa, esortandolo a continuare con la sola forza dello sguardo.
«Non voglio escludere un eventuale eccesso d'ira da parte di Kagami-kun, penso che tu sappia quanto attrito c'è fra lui e Murasakibara.»
Aomine rispose con un brontolio soffocato, rivolgendo un'occhiata oltre la figura di Kuroko per assicurarsi che Kagami fosse ancora impegnato a discutere al cellulare.
«Assicurati che quei due non si sbranino, per favore.»
«Secondo te che cosa ho fatto fino ad ora, Tetsu?» Aomine si strinse appena nelle spalle e distolse lo sguardo non appena Kuroko gli rivolse un piccolo sorriso colmo di gratitudine.
«Penso proprio che toglierò il disturbo, da quando sono qui il mio cellulare ha vibrato almeno quattro volte.»
«Kise?» Aomine sfiatò appena e increspò le labbra in un piccolo sorriso.
«È molto probabile, è così contento di essere riuscito a convincere Takao-kun a trascinare Midorima-kun al campetto.»
«Già, questa mattina me lo ha ripetuto sì e no dieci volte.» Aomine diede una rapida occhiata alla strada, nella speranza di scorgere Murasakibara, poi sospirò sommessamente e tornò a rivolgere la propria attenzione a Kuroko «beati voi che passerete la mattinata a giocare a basket.»
«Non sei cambiato per niente, Aomine-kun.» Tetsuya sorrise vagamente divertito e poi riprese «vado a salutare Kagami-kun, ci vediamo.»
«Ciao.» Aomine gli rivolse un rapido cenno con la mano, per poi affondare i denti nel labbro inferiore: in quel momento, pur di incamminarsi con lui verso il campetto, avrebbe lasciato tutto da parte fin troppo volentieri.


«Dieci minuti, eh?» Aomine sfiatò non appena Murasakibara li raggiunse «ne sono passati almeno venti.»
Murasakibara ignorò il suo brontolio, gli diede le spalle e si affrettò a sollevare la saracinesca e ad aprire la porta del locale.
Mentre Murasakibara si occupava di aprire la porta, Aomine ne approfittò per dare un'occhiata oltre la sua figura, quindi si soffermò su Kagami, che sembrava starsi tenendo forzatamente a distanza, e, in particolare, sullo sguardo truce che stava rivolgendo all'ex asso della Yousen.
Daiki non disse nulla, si soffermò sul viso di Murasakibara aspettandosi di percepire qualcosa come la rabbia o la tristezza, ma trovando, di fatto, solamente un'espressione più annoiata e spenta del solito.
Miya e Matsuda entrarono, mentre Aomine restò accanto a Murasakibara, in attesa che anche Kagami varcasse la soglia - e non perché temesse di non essere in grado di adempiere alla promessa fatta a Kuroko, ma perché uno scontro fra quei due era quasi inevitabile e se si fosse manifestato era pronto a giurare che almeno uno di loro sarebbe finito all'ospedale -.
Sfiatò sommessamente nel vedere che Kagami non aveva cambiato espressione e continuava a fissare Murasakibara senza muovere un muscolo, come un grosso felino in agguato, ma all'improvviso l'ex asso della Yousen si rivolse a lui e la sua mole imponente disturbò la sua visuale.
«Mine-chin, ti affido queste.» le chiavi tintinnarono e Aomine gli rivolse un'occhiata interdetta «io non ho più voglia di lavorare.»
In una situazione differente, Aomine lo avrebbe mandato a quel paese e gli avrebbe intimato di darsi da fare come tutti, ma in quel momento era ovvio che Murasakibara avesse altro per la testa e quindi afferrò, seppur controvoglia, le chiavi.
«Pensi forse di passarla liscia?!»
Quando la voce di Kagami riecheggiò alle sue spalle, Murasakibara sfiatò nervosamente e transitò accanto ad Aomine con passo lento.
«Murasakibara!» Taiga strepitò e scattò improvvisamente in avanti, quindi Daiki cercò di piazzarsi fra lui e Atsushi.
«Ohi, Kagami, lascialo perdere.» Aomine lo afferrò per un braccio, ma Kagami si liberò da quella costrizione con un rapido strattone.
«Ohi!» Kagami strepitò una seconda volta e non appena ebbe raggiunto Murasakibara gli afferrò con forza la spalla; Aomine, dal canto suo, alzò gli occhi al cielo e sbuffò sonoramente, per poi scattare in avanti, pronto a placare l'ira dell'ex asso del Seirin.
Daiki non fu abbastanza veloce: prima che potesse afferrare il braccio di Kagami e cercare di farlo rinsavire per evitare che l'ira avesse la meglio su di lui e lo spingesse a mettere in atto una rissa, questo agguantò Murasakibara per il bavero del cappotto e lo sbatté con forza contro il muro.
«Il tuo fidanzato se ne torna in America e il massimo che riesci a fare è abbandonare il lavoro?!»
«Sei noioso.» Murasakibara ne aveva già abbastanza, sia della sua voce, sia della sua vicinanza, quindi strinse le dita della mano sinistra in un pugno che sollevò in alto, pronto a colpire con forza il viso dell'altro.
«Voi due mi avete rotto i coglioni!» ma prima ancora che Murasakibara potesse reagire, Aomine afferrò le spalle di Kagami con forza e lo trascinò all'indietro.
«Ti ho detto di lasciarlo perdere, idiota.» Aomine continuò a stringere la spalla destra di Kagami e lo scosse appena, per poi cercare di condurlo, spingendolo, verso l'entrata del locale.
Neppure ad Aomine piaceva quella situazione: pur essendo soltanto uno stagista, avrebbe lavorato il doppio a causa dei problemi di coppia di Himuro e Murasakibara, che avevano spinto il primo a rifugiarsi in America e il secondo ad abbandonare definitivamente l'incarico, e avrebbe quasi certamente percepito lo stesso compenso che aveva ricevuto in passato.
Kagami sembrò quasi vacillare, restò fermo sulla soglia del locale per qualche istante, riservando un'occhiata nervosa a Murasakibara: visto che non poteva sostenere uno scontro fisico pensò di ripiegare su quello verbale, ma proferire cattiverie non era nel suo DNA e non era mai stato molto bravo con le parole, rischiava di pronunciare un discorso ridicolo, piuttosto che d'effetto.
Aomine rivolse un'occhiataccia nervosa a Kagami, che finalmente si decise ad entrare nel locale, infine concesse la propria attenzione a Murasakibara.
«Tu sei un vero idiota.»
Atsushi restò con la schiena aderente al muro e lo guardò negli occhi solo per un istante, per poi increspare le labbra in una smorfia amareggiata.


A mezzanotte e trenta, Himuro si trovava su un pulmino FlyAway diretto verso la Union Station, a Downtown, dove abitava sua madre.
Lo aspettava un viaggio di circa quarantacinque minuti durante il quale non avrebbe fatto altro che lanciare occhiate nervose al proprio bagaglio e ai passeggeri più rumorosi, o almeno così sospettava, per cui cercò di rilassarsi e adagiò la testa al finestrino, chiuse gli occhi inspirando appena e accarezzò i dentelli della cerniera della giacca con un lento movimento dei polpastrelli.
Dal momento in cui il pulmino si lasciò alle spalle l'aeroporto, Tatsuya si focalizzò sul suono basso e continuo del motore e sul lieve tremolio del sedile, riaprendo gli occhi soltanto quando giunsero alla prima fermata e il mezzo si arrestò per un istante, sbuffando sommessamente nel silenzio della notte.
Tatsuya sfiatò sommessamente e lasciò aderire perfettamente la schiena al sedile, tendendo appena le gambe e increspando le labbra in una smorfia colma di disappunto: stava prendendo in seria considerazione l'idea di scendere alla fermata precedente la Union Station per sgranchirsi le ossa, dopotutto dieci ore di viaggio non erano poche ed era ovvio che il suo fisico ne avesse risentito.
Himuro affondò le mani nelle tasche e le dita della sinistra cominciarono ad accarezzare lo schermo del cellulare, che era rimasto spento da quando aveva lasciato Tokyo.
Pur essendone fortemente tentato, non aveva il coraggio di estrarlo dalla tasca e accenderlo, dopotutto non era difficile immaginare cosa fosse accaduto in quell'arco di tempo: Kagami lo aveva chiamato una volta per ogni ora e gli aveva spedito qualche sms disordinato e delirante, nel frattempo la notizia era dilagata e forse anche Kise aveva provato a contattarlo. Per quanto riguardava Murasakibara, invece, Himuro non si sentiva in grado di fare alcuna ipotesi: non voleva pensare all'idea che non lo avesse chiamato neppure una volta, ma allo stesso tempo era perfettamente conscio del fatto che convincersi che aveva provato a contattarlo sarebbe potuta essere l'illusione più crudele al mondo.
In seguito a quel breve bisticcio con se stesso, Tatsuya decise che avrebbe acceso il cellulare solo l'indomani mattina, dopo aver riposato e riflettuto, quindi estrasse la mano dalla tasca e si ritrovò a frugare nel borsone, in cerca di qualcosa che potesse distrarlo e rendere più brevi, almeno in apparenza, i quaranta minuti di viaggio che lo separavano dalle braccia di sua madre.
L'MP3 si era scaricato dopo appena tre ore di viaggio, non aveva lucidità sufficiente per fare le parole crociate e, come se non fosse bastato, aveva finito tutta la scorta di cibo. Quello gli sembrò il momento perfetto per un buon libro, ma a lui non era mai piaciuto leggere e non aveva preso neppure in considerazione l'idea di portare via uno fra i pochi romanzi della casa di Tokyo o di acquistarlo in aeroporto.
Tatsuya, quindi, si ritrovò a tirare un filo bianco che fuoriusciva dalla cucitura del borsone, afferrò un pacchetto di patatine ormai vuoto e lo ridusse in tanti piccoli coriandoli colorati con estrema lentezza e con una cura a dir poco maniacale, nella speranza che passasse più tempo possibile, per poi arrendersi al sonno quando si rese conto che era in viaggio solamente da un quarto d'ora.
Per fortuna, nonostante la pesante stanchezza che lo affliggeva, Tatsuya dimostrava sempre una certa diffidenza nei confronti dei mezzi di trasporto e quindi il suo sonno rimase così leggero da permettergli di aprire gli occhi ad ogni fermata.
Quando giunsero alla fermata precedente quella di Union Station, Himuro imbracciò il borsone e si preparò a scendere, continuò a guardare le linee bianche della strada che, oltre i finestrini, risaltavano nel buio e pur di non perderle di vista cercò di sbattere le palpebre il meno possibile, ritrovandosi, di fatto, con gli occhi brucianti e acquosi.
Appena il pulmino frenò e le porte si spalancarono, Himuro trasse un grande sospiro di sollievo e scese in tutta fretta, restando fermo sul ciglio della strada anche quando il mezzo ripartì.
Era a casa, e questo, almeno in quel momento, lo faceva sentire un poco più leggero.
Appena sceso dall'aereo era così stordito dal volo da non aver neppure fatto caso all'ambiente circostante, ma percorrendo a piedi l'ultima ventina di metri che lo separava da casa, si rese conto che lì a Los Angeles c'erano almeno cinque o sei gradi in più rispetto a Tokyo e che, soprattutto, la città californiana era davvero molto lontana dalla capitale giapponese. Troppo lontana.
Quando ripensò a tutte quelle ore di viaggio che lo dividevano da Tokyo, Tatsuya si portò una mano al petto e sentì il bisogno di fermarsi per riprendere fiato, ricominciando a camminare solamente alcuni istanti più tardi, quando la fastidiosa sensazione di soffocamento sembrò scemare e riuscì a scorgere casa sua.
Inserì immediatamente la chiave nella serratura e quando la sentì scattare sembrò quasi abbandonarsi contro la porta, varcò la soglia con le gambe ridotte in pezzi e le palpebre consumate dalla stanchezza.
Appena si richiuse la porta alle spalle, Tatsuya incontrò gli occhi dolci e il sorriso gentile della madre, che senza pronunciarsi si avvicinò a lui e lo strinse affettuosamente a sé, proprio come quando da bambino si sbucciava le ginocchia e sembravano non esistere parole che potessero consolarlo.


Il sangue che scorreva nel suo corpo pareva essersi ghiacciato lentamente e in quel momento, sotto la pelle bianca, restavano sottili trame e intrecci di vene svuotate; le braccia erano stanche e penzolavano lungo i fianchi come sottili cenci consunti e smossi da un soffocante vento estivo; gli occhi erano pozze asciutte e fangose nelle quali il sole non riusciva a riflettersi, specchi di vetro nero oltre cui non poteva spingersi neppure la più fervida e ferrea immaginazione.
Il cuore di Tatsuya aveva sussultato dolorosamente per ogni vibrazione emessa dal suo cellulare, ma nonostante ciò si era deciso a dare un'occhiata allo screensaver addirittura dopo un'ora dall'accensione.
Aveva ricevuto un totale di quindici messaggi - dodici di Kagami e tre di Kise - e otto chiamate - cinque di Kagami, due di Kise e un'ultima da parte di una terza persona che Himuro aveva immediatamente contattato con un sms -.
Si erano dati appuntamento al campetto alle diciotto, ma Tatsuya aveva deciso di raggiungere la meta designata almeno una ventina di minuti prima, forse perché non sopportava l'idea di stare da solo - visto che sua madre era a lavoro - in quella che doveva essere casa sua ma che, ormai, era solo un posto che gli era completamente estraneo.
Tokyo gli mancava. Gli mancava più di quanto non avesse fatto Los Angeles durante i pochi anni passati in Giappone.
Himuro non era sicuro che a mancargli fosse il clima caotico della città, i grandi parchi tranquilli, le luci dorate e bluastre dei grattaceli nel buio della notte o semplicemente il trambusto provocato dalla clientela femminile al locale, piuttosto aveva il sospetto che quella sensazione di vuoto al centro del suo petto fosse provocata dall'idea che molto probabilmente non avrebbe mai più potuto trascorrere un solo minuto in compagnia di persone buone come Kise e Momoi - ma a pensarci bene, in quel momento, non avrebbe disdegnato neppure la compagnia di Aomine e Akashi, che sicuramente erano stati i più rigidi e inflessibili nei suoi confronti -.
C'era qualcosa, o meglio qualcuno, però, che gli mancava molto più di Tokyo.
«Tatsuya?»
Himuro rafforzò la stretta sul cellulare e trattenne il respiro, chiuse gli occhi solo per un istante, cercando di riordinare le idee, ma non mosse un muscolo e se ne rimase seduto su una delle panchine a bordo campo, con la schiena leggermente ricurva in avanti, le gambe tese e le braccia penzoloni.
Himuro avvertì una mano adagiarsi sulla sua spalla sinistra e accarezzarla affettuosamente, allora si spostò un poco e lasciò lo spazio necessario perché quella persona potesse sedersi accanto a lui.
Tatsuya sfiatò sommessamente e infilò il cellulare nella tasca della giacca, per poi rivolgere il proprio sguardo alla donna che si era sistemata al suo fianco.
«Alex...» Himuro pronunciò il suo nome a voce bassa, forzando un sorriso; la donna, dal canto suo, stese le labbra in un'espressione cordiale e gli accarezzò la spalla una seconda volta, per poi dargli una pacca affettuosa al centro della schiena.
«Sono contento di vederti, Alex.»
Alexandra lo scrutò, per poi rivolgergli un sorriso vagamente amareggiato.
«Non mi sembra, sai?»
Tatsuya, dal canto suo, forzò ulteriormente il sorriso finché l'energia dei suoi muscoli facciali non si esaurì del tutto e le sue labbra si contrassero in un piccolo arco rivolto verso il basso.
«È stato Taiga, vero?» sospirò sommessamente e intrappolò le proprie mani fra le ginocchia, intrecciando le dita «è stato lui ad avvertirti del mio arrivo, no?»
Alexandra rimase in silenzio per qualche istante, rivolgendo il proprio sguardo all'alta rete metallica che circondava il campetto, per poi prendere una grande boccata d'aria e sospirare sommessamente.
«Che cos'altro poteva fare, Tatsuya? È molto preoccupato, e onestamente lo sono anche io.»
Himuro avrebbe voluto risponderle che né lei né Kagami potevano vantare diritti materni su di lui, ma in cuor suo sapeva che era ovvio che fossero preoccupati ed era sicuro che a parti invertite si sarebbe comportato più o meno allo stesso modo - dopotutto, qualche mese prima, era stato lui a spronare Taiga a tornare in Giappone per risolvere i propri problemi di cuore -.
«Di che cosa vi preoccupate?»
La donna inarcò appena un sopracciglio e gli rivolse un'occhiata repentina, per poi tornare a rivolgere la propria attenzione alla rete metallica e infine al playground vuoto.
«Non ci piacciono le compagnie che frequenti.»
Himuro sollevò lo sguardo e lo rivolse nella stessa direzione di Alexandra, si soffermò sul playgrund vuoto e per un solo istante gli sembrò di scorgere Okamura, Fukui, Liu e Murasakibara. Una visione bellissima che scemò non appena sbatté le palpebre.
«Alex...» gli tremò la voce quando vide che in quello spazio vuoto non c'era altro se non un turbinio di foglie secche smosse dal vento.
Alexandra si voltò verso di lui e lo sorprese con gli occhi pieni di lacrime ancora rivolti all'orizzonte, come se non si fosse neppure reso conto del pianto imminente.
«Tatsuya, vedrai che le cose si sistemeranno.» Alexandra si alzò e si piazzò di fronte a lui nell'esatto istante in cui scoppiò a piangere fragorosamente.
«Alex!» Tatsuya digrignò i denti e riuscì a chiamare il nome della donna fra i singhiozzi; Alexandra, dal canto suo, non poté fare altro che chinarsi appena e stringerlo a sé, adagiandogli il mento sulla testa e sospirando rassegnata.
Tatsuya spalancò la bocca in un gemito più forte degli altri, le dita arrancarono sulle ginocchia e i jeans si macchiarono di grosse lacrime che scivolavano copiose lungo le sue guance, salando e inaridendo le labbra e scottando la pelle.
«Andrà bene.» Alexandra chiuse gli occhi e si ritrovò a sussurrare e a cullarlo come se fosse stato un bambino, ma Tatsuya continuò a singhiozzare e riuscì a malapena a risponderle, ostacolato dai gemiti e dagli spasmi che continuavano a scuotere il suo corpo e smuovere il suo cuore.
«Non andrà bene, Alex...» si aggrappò alla giacca della donna e affondò il viso appena sopra il suo seno «lui non verrà–»
«Tatsuya, devi calmarti. Calmati, hai capito?» Alexandra si scostò un poco e gli afferrò le spalle, scuotendolo appena.
«Lui non verrà, Alex.» Tatsuya alzò il viso bagnato di lacrime verso di lei e riprese a singhiozzare quando, con le labbra tremanti, pronunciò la sua consapevolezza più grande «mi odia, e per questo... non mi riporterà mai indietro.»

Ma le stelle sono lontane e irraggiungibili, ed è per questo che un'ombra nella notte non può fare altro che fondersi con il buio e scomparire per sempre.




Licenza Creative Commons
Quest'opera è distribuita con Licenza Creative Commons Attribuzione - Non commerciale - Non opere derivate 2.5 Italia.




L'angolino invisibile dell'autrice:

Eccomi! *3*
Sono quasi le ventitré, domani devo alzarmi alle sette e mi aspettano cinque ore consecutive di francese, quindi sarà un angolino molto molto più breve del solito!
Capitolo un po' corto, lo so, ma dovevo concentrarmi sulla questione Murasakibara/Himuro e non ho voluto divagare.
Spero che gli orari siano giusti, ho dovuto fare duemila calcoli riguardo al fuso orario e mi sono dovuta informare sui vari aeroporti di Los Angeles e sui vari mezzi --- insomma, mi sembrava di essere tornata ad organizzare gli itinerari che dovevo fare alle superiori! D:
Credo che il prossimo capitolo sarà più lungo, ma non ne sono sicura: ho notato che le tabelle di marcia imbrogliano molto spesso (?).
Per il resto... sì, signori: questo capitolo inaugura un'altra serie di eventi spiacevoli e un altro dei “nodi centrali” della fanfiction.
Alla prossima!

Ritorna all'indice


Capitolo 39
*** Capitolo XXXVIII ***


Capitolo XXXVIII





Il vento freddo soffia rabbiosamente e le nubi di vapore nero si infrangono contro la grande luna luminosa.

Murasakibara rallentò appena e serrò le labbra con forza, fino a che non ebbe la sensazione di aver perso la sensibilità e di non poter più spalancare la bocca; sfiatò sommessamente e affondò la mano nella tasca della giacca con un gesto estremamente lento, poi estrasse il cellulare e rivolse un'occhiata inespressiva allo screensaver.
Non appena lesse il nome del mittente della chiamata gonfiò le guance, per poi protendere le labbra in avanti e sbuffare con forza.
«Se-chin, adesso che vuoi?» Murasakibara biascicò con tono annoiato, premendo il cellulare contro l'orecchio: era già passata una settimana dalla partenza di Himuro, e Kise non aveva fatto altro che telefonargli per cercare di convincerlo ad aggiustare le cose, tuttavia l'ex asso della Yousen aveva preferito mantenere una certa indifferenza nei riguardi delle sue parole in quanto aveva il sospetto che si tenesse in contatto anche con quello che ormai era a tutti gli effetti il suo ex fidanzato.
«Murasakibaracchi, è vero che torni al locale?!»
«Mhn.» Atsushi borbottò sommessamente, ormai fermo sul marciapiede «sono rimasti solo Mine-chin e Kagami, quindi penso sia meglio dare un'occhiata.»
Nel giro di una settimana era cambiato tutto: Himuro non c'era più, Matsuda se n'era andato appena gli aveva comunicato che per la cassa aveva scelto Aomine e Miya si era congedata di propria volontà perché, a detta sua, aveva trovato un lavoro più appagante - e redditizio -.
Murasakibara era certo che Kise vedesse il suo ritorno al locale come un segnale per comunicare agli altri che era pronto a riprendere in mano la situazione e a contattare Himuro - esattamente come lui, Momoi e un paio di volte anche Kuroko gli avevano consigliato caldamente di fare -, ma la verità era che cominciava a sentirsi terribilmente solo ed era perfino stufo di passare il suo tempo chiuso in casa ad oziare e ad ingozzarsi di caramelle. Il locale gli mancava e, forse un po' ingenuamente, voleva scoprire che effetto faceva senza Himuro.
«Se-chin, sono arrivato al locale: ti devo salutare.» mentì, perché era ancora fermo nel bel mezzo del marciapiede e mancavano ancora venti metri - forse anche trenta - al locale.
«Va bene!»
Murasakibara seguì con lo sguardo il movimento rapido di una foglia secca che, trasportata dall'aria fredda del mattino, transitò lungo il ciglio della strada e poi scivolò sulle strisce pedonali.
«Ciao.» parlò a voce bassa, impegnato a seguire il filo dei propri pensieri: Kise avrebbe detto ad Himuro che era tornato al locale? Non riusciva davvero a comprendere se quella fosse un'eventualità positiva o negativa.
«Ciao!»
Al contrario di Kise, che chiuse immediatamente la chiamata, Murasakibara continuò a premere il cellulare contro l'orecchio e rafforzò la stretta non appena la foglia si sollevò da terra di circa cinquanta centimetri e fu investita in pieno da un'auto che viaggiava a grande velocità. Quell'investimento crudele lo aveva spaventato, e non appena vide l'asfalto scuro tappezzato dai brandelli rinsecchiti della foglia si scoprì dispiaciuto per lei.
Dopo aver passato qualche istante a contemplare il grembo scuro della strada, Atsushi inspirò appena e finalmente si decise a sistemare il cellulare nella tasca della giacca e ad incamminarsi verso il locale.
Durante il tragitto rivolse il proprio sguardo ad altre foglie e seguì i loro movimenti concitati con il medesimo interesse che aveva dimostrato nei confronti della prima, - proprio come un bambino che si impossessa di nuovi giocattoli dal momento in cui il suo preferito si rompe -, ma non focalizzò più la propria attenzione sull'oggetto in sé e su quelle che, ai suoi occhi, erano grandi avventure che consistevano nell'evitare il passaggio rapido della automobili e nel rimbalzare lentamente da una striscia pedonale ad un'altra, piuttosto cominciò a rimuginare sulle conversazioni telefoniche a cui era stato costretto nei giorni precedenti.
Ricordava chiaramente i piagnistei di Momoi, che lo aveva pregato più volte di contattare Himuro, poi le parole schiette e imperturbabili di Kuroko, che gli aveva dato immediatamente dell'idiota, e infine gli strepiti di Kise, che gli aveva raccontato come si sarebbe potuto sentire il suo ex fidanzato in quel momento. Kise sembrava avere particolarmente a cuore quella questione e, in effetti, era senza dubbio colui che fra i tre era riuscito a lasciare maggiori dubbi e rimorsi nella mente e nel cuore di Murasakibara.
Himuro stava così tanto male come gli aveva detto Kise? Lui lo aveva lasciato, non si era sforzato di trattenerlo neppure con le parole, e in quel momento Tatsuya si trovava oltre oceano, lontano e solo.
Solo in quel momento, Murasakibara si rese conto di avere entrambe le mani premute sullo stomaco: era una sensazione simile alla fame, una sensazione di vuoto al centro del petto, un'eco di un dolore lontano, smorzato dall'amarezza dei rimpianti, eppure nitido e terrificante.
Himuro si era trascinato dietro la sua anima, e a Tokyo era rimasto soltanto un involucro vuoto, una corazza di carne che non aveva idea di cosa fare della propria vita.
All'improvviso, una voce acuta e cristallina rimbombò nelle sue orecchie con così tanta forza da rompere il muro di ricordi da cui si era lasciato avvolgere: era quella di una bambina che, saltellandogli accanto e ridacchiando per una ragione a lui sconosciuta, lo aveva scosso, incuriosito, strappato via dalle soffocanti ombre di un passato troppo recente e per questo ancora molto doloroso.
Murasakibara la seguì con lo sguardo, così come aveva fatto con tutte le foglie che fino ad allora aveva incontrato sul proprio cammino, poi si soffermò sulla madre che, chiamandola per nome, riuscì ad ottenere la sua attenzione e la prese per mano.
Dopo essere rimasto imbambolato per qualche istante a fissare la donna e la bambina che si allontanavano per mano, Atsushi decise di muoversi, quindi accelerò il passo e mantenne il proprio sguardo fisso all'orizzonte, costringendosi ad ignorare ciò che poteva essere motivo di distrazione - le foglie, le automobili, la felicità delle altre persone. Tutto -.


Quando Murasakibara giunse di fronte al locale e sbirciò al suo interno, lo trovò inaspettatamente e tristemente vuoto, tanto che per un istante ebbe la tentazione di fare marcia indietro, tornare a casa e rifugiarsi sotto le coperte per sfuggire alla crudeltà del mondo.
Dondolò di fronte alla vetrina piena di dolci colorati e meravigliosi - che in una sola settimana Kagami fosse così tanto migliorato nella presentazione? Oppure era semplicemente lui che vedeva le cose con occhi diversi? - e si decise ad entrare solamente quando, sollevato lo sguardo verso la cassa, incontrò quello ostile e vacuo di Aomine.
«Beh? Che ci fai qui?» Aomine incrociò le braccia al petto e sfoggiò un piccolo ghigno di scherno «hai finito tutti i dolci e sei venuto a fare rifornimento?»
«Mine-chin.» Murasakibara, dal canto suo, preferì ignorare la provocazione e gli porse la mano «potresti restituirmi le chiavi del locale?»
Aomine sbatté le palpebre stupito e restò imbambolato per qualche istante, letteralmente paralizzato dalla calma con cui Murasakibara si era approcciato al locale e si era rivolto a lui nonostante lo avesse appena provocato.
Non aveva idea di che cose avesse combinato durante quella settimana, ma di certo aveva riflettuto e sembrava che ciò lo avesse addirittura portato ad una maturazione.
«Per le chiavi devi chiedere a Kagami.»
«Umh? Le avevo lasciate a te, Mine-chin.»
Aomine si strinse nelle spalle e sfiatò sommessamente.
«Dopo aver passato due giorni senza clienti, Kagami ha pensato di adottare un sistema di ordinazione.»
«Eh?» Murasakibara continuò a guardarlo senza battere ciglio.
«Cos'è che non hai capito? È come quando vai in pizzeria: ordini una pizza, loro la cucinano e poi te la consegnano in cambio di soldi. Nonostante i clienti si siano ridotti, in questi ultimi tre giorni abbiamo guadagnato tanto proprio grazie alle torte su ordinazione, ma per prepararle Kagami deve venire al locale almeno due ore prima dell'apertura e andare via un paio di ore dopo la chiusura, per questo gli ho dato le chiavi.»
Murasakibara continuò a fissarlo senza tradire alcuna emozione nel proprio sguardo, tuttavia dovette ammettere - almeno nel proprio intimo - che quella delle torte su ordinazione era un'idea intelligente che nei momenti di crisi avrebbe potuto fruttare qualche soldo al locale.
«Ho capito.» infine si limitò ad un rapido cenno di assenso del capo e si diresse verso la cucina con passo lento e irregolare.
Aomine lo seguì con lo sguardo e ripensò alle parole di Kuroko, quindi continuò a tenerlo d'occhio fino a quando la porta della cucina non si chiuse: era perfettamente consapevole del rischio che si correva a lasciare da sole due bestie come Kagami e Murasakibara, tuttavia era quasi certo che l'ex centro del Teikou si trovasse al locale non per provocare, infastidire o, ancor più semplicemente, oziare e mangiucchiare dolci, ma per cercare di sistemare le cose e, d'altronde, era sicuro che l'altro avrebbe agito con molta più calma e, soprattutto, senza ricorrere alla violenza.
Doveva essere come aveva detto Kise: Murasakibara aveva riflettuto e si era reso conto dei propri errori e di quanto Himuro fosse importante per lui, allora si era pentito amaramente e aveva deciso di cambiare completamente atteggiamento e di ripresentarsi al locale con le più buone intenzioni che si potessero immaginare.
Aomine sbuffò all'improvviso, per poi affondare i denti nel labbro inferiore, autoinfliggendosi una punizione per aver dato ascolto a Kise e per aver cominciato a dare decisamente troppo peso alle sue parole e ai suoi discorsi - anche a quelli più sconnessi o noiosi -.
Era agghiacciante: la sensazione di star divenendo un impiccione proprio come il fidanzato era sempre più chiara, incombeva su di lui e come una cupa onda di dimensioni gigantesche pareva essere sul punto di sovrastarlo del tutto, ripiegarsi su di lui e inghiottirlo per sempre.


Quando sentì la porta di cucina cigolare alle sue spalle, Kagami sfiatò sommessamente e cominciò a brontolare.
«Ahomine, quante volte ti ho detto che devi restare in cassa? Rischiamo di perdere i client–»
«Potresti restituirmi le chiavi?»
Al suono di quella voce, Kagami si pietrificò e riuscì a voltarsi verso l'altro soltanto dopo alcuni istanti di esitazione.
Possibile che fosse già tornato? Era bastata una sola settimana per portarlo alla riflessione e perché si rendesse conto che era ormai giunta l'ora di assumersi delle responsabilità?
«A casa mi annoio.» fu proprio Murasakibara, che aveva continuato a fissarlo con le labbra increspate in una piccola smorfia, a rispondergli.
Kagami sostenne il suo sguardo e sfiatò sommessamente: restituirgli le chiavi significava rinunciare alle ore aggiuntive durante le quali preparava le torte su ordinazione e rischiare di cominciare a lavorare ad orari improponibili, tuttavia si allontanò dal bancone sul quale erano adagiate due teglie colme di brioche e raggiunse l'attaccapanni, affondando le mani in entrambe le tasche della giacca e frugando al loro interno.
«Mine-chin mi ha detto delle torte su ordinazione.»
«Ahah.» Kagami afferrò le chiavi e gliele porse, rivolgendogli un'occhiataccia nervosa: era certo che Murasakibara avesse tirato in ballo l'idea delle torte su ordinazione soltanto per bocciarla.
«Ti darò una mano.» ma la risposta di Atsushi fu completamente diversa dalle aspettative, tanto che Kagami si ritrovò a boccheggiare con le labbra appena schiuse, la fronte aggrottata e lo sguardo confuso.
«Probabilmente...» si schiarì la voce e chiuse gli occhi per un istante, cercando di ritrovare la lucidità perduta «Aomine non ti ha detto che vengo sempre qui almeno due ore prima dell'apertura.»
«Me l'ha detto, invece.» Murasakibara non batté ciglio e afferrò le chiavi del locale; Kagami, dal canto suo, restò a fissarlo senza dire una parola: non riusciva a credere che fosse tornato al locale con la coda fra le gambe e che si fosse appena offerto di aiutarlo, sembrava quasi che i ruoli di proprietario e stagista si fossero invertiti.
«Se sei in cerca di perdono, io sono la persona sbagliata.» Taiga sbuffò sommessamente e tornò accanto al bancone, incrociando le braccia al petto: in quella settimana aveva parlato con Tatsuya almeno quattro volte e, proprio durante l'ultima conversazione, l'altro gli aveva confessato che Atsushi non aveva provato a contattarlo neppure via messaggio.
Kagami, però, non aveva alcun desiderio di soffermarsi ulteriormente su quella faccenda, non voleva scavare ancora più a fondo perché sapeva che l'unico risultato concreto che sarebbe riuscito ad ottenere sarebbe stata una grande rabbia personale, questo perché avere a che fare con Murasakibara e Himuro era come trovarsi schiacciato fra due alti muri di cemento armato: le parole che in quel momento avrebbe potuto rivolgere all'ex centro del Teikou sarebbero state gettate al vento esattamente come era accaduto a quelle che aveva utilizzato per cercare di spronare colui che considerava suo fratello a reagire e a tornare indietro per sistemare le cose una volta per tutte.
«Senti...» quindi riprese a parlare con voce bassa e vagamente roca «potresti pensare alle ciambelle? Sono due giorni che cerco di cucinarle, ma non mi riescono.»
Murasakibara ripose le chiavi del locale nella tasca dei jeans e sostenne lo sguardo dell'altro, limitandosi ad annuire in silenzio.


«Ehi?» Tatsuya volse il capo alla sua sinistra e scavalcò con lo sguardo la ragazza che gli stava accanto, rivolgendosi, di fatto, ad un coetaneo seduto proprio all'estremità del divanetto di pelle.
Il ragazzo non si voltò immediatamente, quindi Himuro cercò di capire in che direzione stesse guardando e fu pronto a scommettere che fosse impegnato a contemplare il fondo schiena della cameriera ferma a qualche metro dal loro tavolo.
«Ehi, Josh?» lo chiamò di nuovo e riprese a parlare solamente quando l'altro si degnò di rivolgergli la propria attenzione «hai ancora dei filtri?»
Josh sbatté le palpebre un paio di volte e poi sfoderò un grande sorriso.
«Che domanda!» accennò una risata e voltò il busto di tre quarti, frugando nella tasca della giacca, adagiata sullo schienale del divanetto.
«Stai parlando con il re dei filtri!» la ragazza che era seduta fra loro parlò con tono canzonatorio, per poi scoppiare in una risata sguaiata; Josh, dal canto suo, porse un filtro a Tatsuya senza smettere di sorridere.
«Sempre al tuo servizio!»
«Grazie.» Himuro non ricambiò il suo sorriso, piuttosto parlò con voce flebile e lo guardò negli occhi solo per un istante, tornando a rivolgere la propria attenzione alla cartina non appena si ritrovò il filtro tra le dita.
Smosse appena la cartina per sistemare al meglio la polverina verdastra e per distribuirla il più omogeneamente possibile al suo interno, allora piazzò il filtro in una delle estremità e si preparò ad arrotolare il sottile strato di carta di riso.
«Tsuya!» un ragazzo alto almeno due metri e con spalle così larghe da farlo somigliare più ad un armadio a due ante che ad una persona, si affiancò al loro tavolo e ne approfittò per rubare il minuscolo bicchiere di Josh e berne il contenuto.
«Ohi, Jake! Guarda che me lo paghi tu!» Josh protestò, ma Jake non vi badò e si limitò a poggiare il bicchiere vuoto sotto al suo naso, per poi tornare a rivolgersi a Tatsuya «ti è mancata Los Angeles?»
Himuro infilò un lato della cartina sotto l'altro e inumidì la sottile striscia di colla con la lingua, in modo da sigillare la sigaretta; allo stesso tempo, però, pensò ad una risposta che potesse soddisfare le aspettative di Jake e, in parte, anche le sue.
Tirando le somme, di Los Angeles gli erano mancate soltanto sua madre e Alex; gli era bastato trascorrervi una settimana per rendersi conto che, dopotutto, era una città come tutte le altre. E poi lui aveva deciso di fare ritorno soltanto per sfogarsi, non certo per visitare qualche museo o partecipare ad un qualche evento culturale o, ancora, perché desiderava rivedere i ragazzi e le ragazze che aveva accanto in quel momento.
Avrebbe dovuto rifugiarsi in un'altra città americana, dove non lo conosceva nessuno, oppure sarebbe dovuto rimanere a Tokyo, dove c'erano anche Kagami e Murasakibara.
Himuro decise di non rispondere a quella domanda e arrotolò con più attenzione l'estremità della sigaretta opposta a quella in cui aveva sistemato il filtro, per poi mordere e strappare via la punta, infine serrò le labbra attorno al minuscolo pezzo di cartoncino che gli avrebbe impedito di scottarsi la bocca.
«Sentite...» Jake doveva avere una gran voglia di parlare, perché riprese non appena capì che Himuro non gli avrebbe risposto «fra due giorni sarà il decimo anniversario del Black Devil, quindi il biglietto di entrata costerà la metà.»
«Il Black Devil?! Sasha!» la ragazza accanto ad Himuro saltellò sul posto e rivolse un'occhiata a quella seduta di fronte a Josh e che, fino a quel momento, non aveva detto una parola «che ne dici?»
Sasha si strinse nelle spalle, afferrò la sigaretta tra le dita e schiuse le labbra, sbuffando via dalla bocca il fumo che si addensò davanti al suo viso in una nuvola vacua e vaporosa, disperdendosi, infine, nell'etere circostante.
«Sai che per me non c'è differenza, Becky.» dopodiché rispose con tono vagamente annoiato, inclinandosi appena verso destra quando la mano di Himuro, in cerca dell'accendino, si insinuò nella tasca dei suoi jeans.
«E tu, Tatsuya?» Becky parve sprofondare improvvisamente nel divanetto e rivolse un'occhiata interrogativa ad Himuro, che rispose solamente dopo aver acceso la sigaretta e aver inalato un primo boccone di fumo.
«Contate su di me.»
«Ah! Lo sapevo!» Becky batté le mani e rise allegra, ma Tatsuya non mostrò alcun segno di felicità e si limitò a versare la vodka nel proprio bicchierino e a berla tutta d'un fiato.
«A questo punto credo che mi unirò a voi.» Josh afferrò la bottiglia di vodka e ne versò un po' nel proprio bicchiere, ma fu troppo lento e quindi diede modo a Jake di rubarglielo di nuovo «e-ehi!»
«Spargete la voce, mi raccomando.» Jake diede una rapida sorsata alla vodka e restituì il bicchiere vuoto a Josh, ignorando il suo sguardo truce e colmo di disappunto e accennando un sorriso sornione «più siamo, meglio è.»


Non solo Murasakibara era giunto al locale due ore prima dell'orario di apertura, ma aveva addirittura preceduto Kagami.
Ritrovandosi solo in cucina, aveva avuto il tempo per sistemarsi con calma e per comprendere al meglio la sensazione che gli suscitava il locale vuoto - o, meglio, senza Himuro -, infine aveva deciso di mettersi a lavoro nonostante Kagami non fosse ancora arrivato.
Non ne poteva già più dell'idea di doversi alzare così presto la mattina per sfornare torte, ma d'altro canto pensare che l'alternativa era passare interi pomeriggi in casa da solo, a non fare nulla, era ciò che che gli dava la forza per andare a lavorare. Forse il fatto che si dimostrasse così tanto restio al lavoro era dovuto più che altro a motivi personali e, in particolare, al fatto che avesse deciso di realizzare l'esigenza per la quale lui e Kagami non potevano più permettersi di litigare, - per lo meno non sul luogo di lavoro -, e di conseguenza si fosse sentito costretto a collaborare con lui.
Dopo aver dato un'occhiata alle scorte di zucchero e di farina e aver appuntato su un minuscolo pezzetto di carta che bisognava fare rifornimento entro il fine settimana, Atsushi si soffermò su una teglia di bignè e increspò le labbra in una piccola smorfia amareggiata.
Guardando quella teglia di minuscoli dolcetti, i suoi occhi si inumidirono leggermente e pizzicarono appena, quindi dovette sfregarsi la punta del naso con il dorso della mano e schiudere le labbra per catturare più aria possibile, visto che aveva la terribile sensazione che cominciasse a mancargli.
In occasione del primo mese di “vita” del locale, quando si presentava a lavoro quasi ogni giorno e sia lui che Himuro erano felici di quello che erano riusciti a costruire insieme, quest'ultimo gli raccontava spesso le sue idee, rivelando un animo estremamente estroso per ciò che riguardava l'abbinamento dei gusti.
Bignè ripieni di crema allo zabaione e ricoperti di cioccolato e granella di pistacchio: quella era una delle combinazioni che stava più a cuore ad Himuro, era una di quelle che aveva concepito ancor prima che il locale aprisse ufficialmente e che aveva appuntato su un taccuino insieme a tante altre. Ora che ci pensava, quel taccuino doveva essere ancora in casa.
Murasakibara si soffermò su un bignè leggermente più grande degli altri e il suo stomaco borbottò rumorosamente, quindi allungò la mano, ma si immobilizzò ancor prima di sfiorare il dolcetto.
Voleva mangiarlo, ma per qualche motivo gli era sembrato di udire la voce di Himuro che gli intimava di non farlo e si era sentito avvilire, annichilire completamente dai ricordi.
Serrò le labbra e strinse i denti con forza, lasciò scivolare il braccio al proprio fianco e le dita arrancarono sulla stoffa grezza e dura dei jeans, gli occhi ripresero a pizzicare più fastidiosamente di prima.
«Muro-chin mi ha detto che se voglio prendere sul serio il mio lavoro non devo mangiare ciò che vendiamo...» sussurrò sommessamente e chinò il viso, rivolse i propri occhi al pavimento e poi li chiuse, aggrottando appena la fronte e arricciando il naso, nel tentativo di resistere al pianto imminente.
Murasakibara deglutì a fatica e dopo qualche istante di esitazione sollevò di nuovo il capo e rivolse la propria attenzione alla teglia, quindi decise di afferrarla e portarla fuori dalla cucina, in modo da poter sistemare i bignè in vetrina.
Dopo qualche passo titubante, Murasakibara riuscì, reggendo la teglia dei dolcetti con una sola mano, ad aprire la porta di cucina e a varcare la soglia, per poi ritrovarsi all'ingresso, quindi adagiò la grande pirofila nera sul bancone della cassa e rivolse una rapida occhiata oltre le vetrine.
Appena distolse il propri sguardo, Murasakibara realizzò di aver scorto una sagoma oltre la vetrina, quindi, dopo qualche istante di esitazione, si voltò una seconda volta.
«Umh?» Atsushi si avvicinò alla porta d'ingresso con passo rapido, per poi spalancarla senza troppi problemi.
«Come mai sei qui fuori?» chiese senza alcuna emozione nella voce, quindi vide l'altro sussultare e voltare in fretta il viso.
«Eh?» Kagami inarcò un sopracciglio e protese appena le labbra «sei già qui?»
Nel momento in cui gli rivolse quella domanda, si rese conto delle ombre scure sotto i suoi occhi e realizzò che, molto probabilmente, Murasakibara passava gran parte delle ore notturne insonne.
«Pensavo dovessi ancora arrivare.» poi riprese e quindi si mosse, varcando la soglia del locale non appena l'altro si scostò e gli lasciò lo spazio necessario per entrare.
«Stavo per sistemare i bignè in vetrina.» Kagami lo guardò, poi rivolse una rapida occhiata alla teglia piena di dolcetti e si tolse la giacca, sistemandola temporaneamente sulla sedia oltre il bancone, di fianco al registratore di cassa.
«Ti aiuto, così facciamo prima.»
Murasakibara annuì appena e afferrò la teglia.
«Ci servono zucchero e farina.»
«Lo so, ho chiesto a Kuroko se può portarceli in giornata.» Kagami raggiunse la vetrina prima di lui e aspettò che Murasakibara si affiancasse a lui per cominciare ad afferrare i primi bignè da sistemare fra le meringhe e i minuscoli cestini di pasta frolla ripieni di crema pasticcera e frutti di bosco.
«Kuro-chin ce la fa a portare tutto quel peso?»
«Eh? Penso di sì, fa quasi tutti i giorni la spesa per sua nonna. E comunque credo che ci sarà anche Kise con lui.»
«E la cosa non ti rende geloso?»
«Perché dovrebbe?» Kagami assottigliò il proprio sguardo nel percepire un vago pizzicore sulle guance «Kise sta con Aomine, no? E, soprattutto, mi fido di Kuroko.»
Murasakibara soffermò la propria attenzione sulle mani di Kagami, intento a sistemare al meglio i bignè senza rompere l'equilibrio fra gli altri dolci esposti, e all'improvviso si ritrovò incantato e in completa balia dei propri pensieri. Ecco qual era il problema: aveva dimenticato che Kuroko e Kagami stavano insieme e che si amavano esattamente come lui e Himuro, ma soprattutto sembrava essere divenuto cieco nei riguardi di tutta la bontà che il suo ex fidanzato aveva mostrato nei suoi confronti e gli aveva negato la fiducia a causa di una congettura puramente personale e, prima di tutto, infondata.
«Kagami? Posso chiederti una cosa?» non sopportava più l'idea di quel vuoto che sarebbe rimasto per sempre e che, senza alcun dubbio, avrebbe costituito una fonte di mancanza, rimpianti e rimorsi nella sua vita futura.
Perché aveva attaccato Tatsuya con così tanta aggressività? Perché lo aveva lasciato andare via senza dire una parola? Perché si rendeva conto dei suoi errori e della gravità della situazione soltanto dopo una settimana.
«Cosa c'è?»
«Come...» Murasakibara sembrò quasi dondolare sul posto e prese una rapida boccata d'aria nonostante le labbra tremanti «lui come sta?»


«Come hai detto che ti chiami?» la ragazza che era letteralmente appesa al suo braccio sinistro rise e lo strattonò appena.
«Tats'uya!» la seconda ragazza, che invece era aggrappata al suo braccio destro, rispose con un forte accento americano «possibile che tu non riesca mai a ricordarti i nomi, Maddison? Insomma, è così un bel ragazzo che dovresti fare di tutto per ricordarlo, no?»
Himuro continuò a camminare seppur rallentato da entrambe le ragazze, in particolare da Maddison, che era vagamente alticcia.
«Taci, Jennifer.» Maddison la additò con l'indice e tracciò un piccolo cerchio nel vuoto, per poi singhiozzare sommessamente.
«A proposito, Tats: immagino che tu abbia fatto strage di cuori a Tokyo, eh?»
Himuro serrò le labbra e sfiatò appena: quelle ragazze erano così frivole, completamente prive di cervello, ma dopotutto che cosa pretendeva? Di certo non poteva aspettarsi grandi cose da giovani donne che da almeno quattro anni passavano ogni sera chiuse in locali a fumare, bere e a lasciarsi toccare da qualsiasi maschio passasse nei paraggi.
«Ce l'hai la ragazza?» Jennifer gli strattonò il braccio, contemplandolo con occhi adoranti.
«No.»
«Come? Non hai una ragazza?!»
«Jennifer!» Maddison scoppiò a ridere «ma non vedi le sue occhiaie? Questo qui passa le notti a scopare con chiunque capiti!»
In verità le sue occhiaie erano dovute più che altro alla mancanza di sonno e al pianto, ma Tatsuya lasciò che Maddison lavorasse di fantasia e giustificasse il suo volto stanco e sfatto con quelle idiozie vere soltanto in parte - visto che nei due giorni precedenti era stato a letto con Sasha, ma non era stato niente di troppo lungo o impegnativo che potesse lasciare segni sul suo viso -.
«Esci con me!» Jennifer non diede ascolto all'amica e gli strattonò di nuovo il braccio.
«Non voglio niente di serio.» Tatsuya sfiatò appena, rivolgendo una rapida occhiata al marciapiede dall'altro lato della strada, illuminato da alti lampioni e dalle insegne colorate di alcuni locali nei quali rimbombavano canzoni commerciali e il chiacchiericcio degli adolescenti del quartiere.
«Allora scegli me, lei è troppo romantica.» sentenziò Maddison, che sembrava essersi improvvisamente ripresa dal giogo spietato dell'alcol.
«Non dire cazzate!» Jennifer strepitò e batté un piede a terra come una bambina capricciosa.
«Dai, lo sanno tutti che a letto con i ragazzi faccio faville!» l'altra rise «tu sei un fiasco, invece!»
«Ti ricordo che il tuo ultimo ragazzo è venuto a letto con me perché tu non gli davi soddisfazioni.» Jennifer sorrise sorniona e indicò il suo seno con un movimento concitato della mano.
«Quello era un coglione, non è mica colpa mia se ho le tette piccole.» sbottò «e tu sei una puttana.»
«Senti chi parla.»
Himuro avrebbe voluto prenderle entrambe per i capelli e far scontrare le loro fronti in una testata violenta, forse non solo nella speranza di farle tacere, ma anche in quella di stordirle a tal punto da lasciare prive di sensi nel bel mezzo del marciapiede, ma passare tanto tempo con Murasakibara aveva temprato la sua pazienza e quindi si limitò a prendere una grande boccata d'aria e a chiudere gli occhi solo per un istante, cercando di ignorare il continuo starnazzare delle due ragazze.
«Sentite...» c'era soltanto un modo per farle stare zitte e per placare quell'irritante litigio «perché non venite entrambe a casa mia?»

Il sussurro del vento tra le foglie nere è una litania lenta e sommessa, un canto funebre con voce di donna e crudeltà di bestia.




Licenza Creative Commons
Quest'opera è distribuita con Licenza Creative Commons Attribuzione - Non commerciale - Non opere derivate 2.5 Italia.




L'angolino invisibile dell'autrice:

Ce l'ho fatta! ;33;
Scusate per l'attesa e scusate se questo maledettissimo capitolo è un po' corto/e scritto da cani, sob/.
Sono stata piuttosto impegnata perché ho ripreso l'università e francamente non avevo il coraggio di scrivere di Himuro, quindi ho passato alcuni giorni a fissare la pagina vuota senza riuscire a mettere insieme due parole. Alla fine, però, non è stato così traumatico.
Non ho molto da dire sul capitolo, a parte che aveva ragione Kagami: Himuro è corso a Los Angeles per sfogarsi e quindi, sì, fuma marijuana (è stata un'impresa documentarmi su come rollare---), beve vodka e fa sesso con delle donne (perché vi ricordo che nella visione di Hall of Fame è bisessuale).
So che in questi giorni siete tutti in fermento per l'Extra Game che, diciamo, non ci fornisce proprio un bel ritratto degli americani... ecco, forse anche io qui ho un po' esagerato con le ragazze, ma voglio specificare che è Himuro stesso a cercarle, sono le classiche “ragazze facili” che si trovano ovunque, di certo a Los Angeles ci sono anche figliole (?) intelligenti e mature, ma queste non lo sono affatto (soprattutto le ultime due, che francamente vorrei strozzare con le mie stesse mani 8'' )
Per il resto, voglio dare l'idea che i ruoli si siano invertiti, ovvero: adesso è Himuro quello che fa i capricci, mentre Murasakibara, seppur lentamente, sta prendendo coscienza di sé. Diciamo che da questo capitolo in poi, i riferimenti a Murasakibara come bambino saranno sempre meno, perché questo è un momento molto particolare della sua vita che gli permetterà di crescere e maturare/almeno minimamente/.
Piccolo post scriptum: se volete esprimere la vostra antipatia verso alcuni personaggi potete farlo perché è libertà di tutti e io non ho certo la facoltà di negarvela, tuttavia vi vorrei sollecitare ad essere un po' più tolleranti, perché io, in quanto autrice, amo i personaggi di cui scrivo (chi più chi meno) e non mi fa mai piacere quando ricevono odio gratuito senza ragioni ben precise, soprattutto se questo odio viene manifestato nelle recensioni che vengono lasciate alle mie fanfiction. Vi ringrazio ùwù

Ritorna all'indice


Capitolo 40
*** Capitolo XXXIX ***


Capitolo XXXIX





Siamo raggi di sole che trafiggono le ciglia e si insinuano fra le dita, siamo l'onda impetuosa che si infrange sulla sabbia dorata e la intinge d'oscurità.

Murasakibara increspò le labbra in una smorfia, le schiuse in un rantolio sommesso e, appena dopo aver gonfiato le guance, sbuffò sonoramente; Kise, che aveva continuato a camminargli accanto, contemplò le sue gote vagamente arrossate dal calore che aleggiava nel supermercato, la pelle liscia e tesa che all'improvviso si rilassò e si decontrasse - come un palloncino trafitto da uno spillo -.
«Mukkun!» Momoi, al contrario di Kise, sembrò offendersi al sonoro sbuffo di Murasakibara e quindi gli punzecchiò il gomito con le dita, emettendo un sommesso mugolio lagnoso.
«Se-chin, Sa-chin, lasciatemi in pace!» Murasakibara era certo che molto presto avrebbe vissuto l'esperienza della crisi di nervi, perché quei due intasavano il suo cellulare con sms di ogni tipo e molto spesso si presentavano al locale sostenendo che si trovavano lì per Aomine quando, invece, si recavano immediatamente in cucina e cominciavano a tartassarlo con le loro voci lagnose e fastidiosi pizzicotti sulle braccia. Quel che Atsushi non riusciva a sopportare in quel momento, tuttavia, era il fatto che Momoi e Kise si fossero decisi a rovinare un evento tanto importante e vitale come quello della spesa: per colpa loro si ritrovava a correre da uno scompartimento all'altro senza fare troppa attenzione a ciò che infilava nel carrello e ogni volta che giungeva alla cassa si stupiva del prezzo sempre troppo alto - questo perché, ovviamente soggiogato dalla fretta e dal nervoso, ignorava il costo dei prodotti prescelti -.
«Non dico che dovresti andare a Los Angeles, ma almeno chiamalo!» Satsuki strepitò con voce argentina «che ti costa?»
«Io dico che dovrebbe andare a Los Angeles, invece.» Kise replicò con calma, affiancandosi al carrello di Murasakibara e attorcigliando le dita della mano sinistra alla fitta rete di maglie metalliche, forse nel tentativo di arrestare - o per lo meno rallentare - quella che ormai si poteva definire senza alcun dubbio una corsa.
Atsushi non riusciva a capire perché insistessero così tanto.
Un tempo erano stati compagni di scuola e di squadra, ma di certo non poteva vantare di aver stretto grandi amicizie in quel periodo, - come in tutta la sua vita, del resto -, tanto meno con Kise e Momoi, e allo stesso modo era convinto che neppure Himuro fosse riuscito ad instaurare con loro un vero e proprio rapporto di fiducia e confidenza reciproco tale da condurli alla disperata ricerca di una soluzione, quindi non riusciva davvero a comprenderne il motivo - e questo lo innervosiva ancora di più della loro stessa presenza -.
Forse volevano aiutarlo perché anche loro erano innamorati e credevano di sapere perfettamente come ci si sentisse in una situazione del genere, peccato che un ragionamento simile agli occhi di Murasakibara li facesse sembrare solamente due presuntuosi ficcanaso.
«Non puoi continuare a farti raccontare tutto da Kagamicchi!»
Murasakibara serrò le labbra e allargò le narici, sfiatando sonoramente: Kise non sapeva quello che diceva, perché, sì, molto spesso lasciava che Kagami gli desse notizie di Himuro, ma non gli raccontava tutto. Era quasi scontato che l'ex asso del Seirin cercasse di eluderlo, di omettere particolari nemmeno troppo insignificanti, ma lui ascoltava in silenzio e annuiva appena, non osava chiedere di più perché nonostante vi fosse una parte di lui che desiderasse ardentemente sapere qualsiasi cosa, l'altra si struggeva al solo pensiero di una parola in più.
Murasakibara, in cuor suo, aveva cominciato a conoscere il peso delle parole e a intuire la loro forza distruttiva - probabilmente aveva iniziato a comprenderle riflettendo proprio su quelle che lui e Himuro si erano detti prima della partenza di quest'ultimo -.
«Muro-chin sta bene, non c'è bisogno che io lo chiami.» perché effettivamente era questo che Himuro voleva far credere a tutti, ma Kagami stesso sosteneva che l'altro avesse cominciato ad erigere un muro di bugie in funzione di difesa e, d'altro canto, bastava guardarlo negli occhi per capire, almeno a giudicare dalla nota di malinconia che Murasakibara credeva di scorgere ogni volta, che non era affatto convinto di ciò che gli riferiva.
«Non c'è bisogno che io vada fino a Los Angeles.» riprese con voce flebile, virando con un movimento veloce del busto e ascoltando le ruote sottili del carrello stridere contro il pavimento polveroso del supermercato.
«Mukkun, guarda che se non vuoi andare da solo ti basta chiedere.» Momoi esordì e si dichiarò a completo sostegno dell'altro, che si lasciò scappare un flebile sbuffo.
«Ho detto di no...» Murasakibara ribatté con tono annoiato e, una volta arrestatosi di fronte alla cassa, cominciò ad estrarre dal carrello pacchetti di patatine di ogni gusto possibile e una quantità spropositata di dolciumi fra caramelle, tavolette di cioccolata e merendine, sistemandoli frettolosamente sul rullo scorrevole.
Nel momento in cui il commesso annunciò il costo totale e Murasakibara estrasse il portafoglio dalla tasca della giacca, Momoi ne approfittò per rivolgere un'occhiata sconsolata a Kise, che sbuffò appena e negò con un movimento della testa.
«Anche io ho parlato con Himurocchi, sai?» tuttavia, Ryouta non aveva alcuna intenzione di arrendersi - anche a costo di dire qualche piccola bugia pur di smuovere le acque -.
«Eh?» Murasakibara inarcò appena un sopracciglio e gli rivolse un'occhiata repentina, per poi tornare a fissare il pavimento con disinteresse.
«Sì!» Kise sembrò quasi saltellare e fu il primo ad uscire dal supermercato «l'ho chiamato un paio di giorni fa.»
Era vero che aveva parlato con lui, ma se gli avessero chiesto di raccontare sinceramente le sue impressioni avrebbe risposto che gli era sembrato di conversare con una persona arida, completamente svuotata di qualsiasi emozione o sentimento, una persona che aveva perso l'amore e che ne possedeva soltanto un vago e doloroso ricordo.
«Ha chiesto di te, sai?» Kise era consapevole di starsi avventurando in acque pericolose, soprattutto perché Murasakibara avrebbe potuto pensare che Himuro aveva chiesto di lui anche a Kagami e che questo glielo aveva tenuto nascosto, tuttavia prese coraggio e decise di procedere «voleva sapere come stai e mi ha chiesto se eri arrabbiato con lui.»
«Cosa...» Murasakibara mormorò e lo guardò con occhi curiosi «cosa gli hai risposto?»
«Che sei triste, ma non arrabbiato.»
Murasakibara continuò a guardarlo e annuì piano, come incantato dagli occhi color miele dell'ex compagno di scuola.
«Era così dispiaciuto...» anche questa era una delle tante cose che Himuro non gli aveva detto, ma che si poteva capire con estrema facilità dal tono flebile e scostante della sua voce «ha detto che avrebbe voluto rivederti.»
«È l'occasione giusta per contattarlo, Mukkun!» Momoi si decise a dare man forte a Kise «ti conviene farlo il prima possibile, prima che l'umore di Himuro-san diventi cattivo!»
Murasakibara aveva paura. Paura che Kise continuasse a parlare di Himuro e gli raccontasse tutto quello che Kagami gli aveva tenuto nascosto fino a quel momento.
«Momocchi-chan ha ragione!» Kise annuì energicamente e increspò le labbra in un piccolo sorriso, ma Murasakibara non voleva sentire ragioni: in quel momento il suo unico desiderio era potersi scrollare di dosso gli occhi insistenti e brillanti degli altri due.
«Siete fastidiosi.» borbottò, stringendo la presa sui manici dei pacchetti della spesa e resistendo alla tentazione di cominciare a divorarne il contenuto «avrei dovuto distruggervi prima, quando insistevate riguardo al progetto di Kuro-chin.»
Dopotutto la sensazione di fastidio era proprio la stessa che aveva provato qualche mese prima, quando, appena tornato da Los Angeles, Momoi e Kise avevano cominciato a chiamarlo ripetutamente per convincerlo ad accettare la proposta di Kuroko e quindi ad arrendersi all'idea di ripristinare la Generazione dei Miracoli, e quando Himuro, a sua insaputa e sfruttando i suoi continui rifiuti, aveva stretto un patto con l'ex ala piccola del Teikou pur di unirsi a loro.
Kise e Momoi erano due mosche insistenti che continuavano a ronzargli nelle orecchie, fin quasi a fargli sanguinare i timpani, allora cercava di colpirle con schiaffi rabbiosi che fendevano l'aria ma non arrivavano neppure a sfiorare quei due animaletti fastidiosi.
Quelli erano i momenti in cui, pur di non dare ascolto a quei diavoli tentatori, Atsushi ripensava alle parole di Akashi e si scopriva il suo più fedele e leale servitore: era giusto che Himuro se ne fosse andato, era giusto pensare che non sarebbe più tornato indietro, questo perché il suo posto non era fra i membri della Generazione dei Miracoli, ma altrove, ben più lontano. Era un mantra che Murasakibara aveva cominciato a ripetersi da quando l'altro se n'era andato, sempre più frequentemente, seppur contro voglia e con l'amaro in bocca ed un grande dolore nel petto.
«Murasakibaracchi, che ne dici di un uno contro uno?!»
«Umh?» Murasakibara arricciò le labbra e aggrottò la fronte, rivolgendo un'occhiataccia nervosa a Kise.
«Sì, a basket! Chi arriva prima a diec–»
«Non sono Mine-chin.» risolvere i problemi con il basket non era da lui, e poi non desiderava certo correre il rischio di perdere e quindi di ritrovarsi costretto a fare qualcosa contro la propria volontà.
«E poi perderesti sicuramente.» ma nonostante il pensiero di un'eventuale sconfitta, Murasakibara ostentò sfrontatezza e arroganza e si affrettò a punzecchiare e istigare l'altro, che gonfiò le guance indispettito.
«Se sei così convinto di vincere, perché ti tiri indietro?» Ryouta, comunque, dimostrò una certa prontezza ed una certa abilità nel rimbeccare la provocazione del suo avversario.
«Non ne ho voglia.» Atsushi fu sincero: non aveva alcuna voglia di ritrovarsi a marcare e scartare il proprio avversario, sforzare i propri occhi e i propri muscoli pur di mettere a segno più canestri possibili. A malapena aveva voglia di camminare, e lo dimostrava il fatto che non fosse ancora corso via per sfuggire alle appiccicose grinfie di Momoi e Kise.


Quando udì il sonoro sospiro della madre alle sue spalle, Himuro se ne guardò bene dal voltarsi verso di lei.
«Questa è la seconda volta, Tatsuya.» allora fu la donna a muoversi, si affiancò a lui e lo guardò dall'alto in basso con il viso contratto in un'espressione nervosa, stringendo fra l'indice e il pollice l'elastico sottile di un tanga di pizzo che gli sventolò davanti al naso con un movimento concitato della mano.
«Scusami...» Himuro allontanò il viso dall'indumento femminile e cercò di rilassare il busto contro il morbido schienale del divano: nonostante non avesse mai avuto problemi a tenere camera sua pulita e ordinata, sua madre si ostinava a violare la sua privacy ogni volta che poteva pur di controllare che ogni cosa fosse al suo posto. Tatsuya comprendeva le motivazioni che la spingevano a comportarsi così quando era piccolo - dopotutto era una donna sola e si era sempre dimostrata molto materna e apprensiva nei suoi confronti, quindi era logico che volesse assicurarsi che ogni angolo della sua stanza fosse sicuro -, ma a diciannove anni suonati non riusciva davvero a capire perché continuasse ad atteggiarsi in quel modo.
«Tatsuya, dico sul serio.» non le piaceva l'idea che in casa sua vi fossero altre presenze femminili, soprattutto se, come aveva intuito, si trovavano lì soltanto per fare sesso con suo figlio e poi se ne andavano per sempre, lasciando come ricordino delle mutandine succinte.
«Lo so che stai male e che lui ti manca...» Himuro la vide uscire dal salotto e la sua voce si fece improvvisamente più bassa, ovattata, tornando chiara solamente quando fece marcia indietro - molto probabilmente era andata in cucina per buttare via il tanga, visto si trovava di nuovo di fronte a lui ma con le mani pallide e magre libere da qualsiasi impiccio -.
«Però, piuttosto che buttarti via così, non credi che sarebbe meglio trovare qualcuno che ti faccia stare bene? E con trovare intendo stare
Himuro restò in silenzio e si scostò appena, per permetterle di sedersi accanto a lui.
«Capisco che tu non sia pronto, ma devi chiudere questo capitolo più in fretta che puoi, tesoro.» la donna lo guardò e Himuro si soffermò sui suoi occhi acquosi e brillanti, incantato da quel colore particolare che a seconda della luce andava dal castano chiaro fino al verde oliva e al grigio spento.
Era felice che quegli occhi somigliassero tanto ai suoi, così come il viso magro e appuntito e i capelli corvini. Era felice di avere l'aspetto di sua madre.
«Io l'ho fatto con tuo padre.» la donna sussurrò a fior di labbra e tese un braccio, gli accarezzò affettuosamente la guancia, scostandogli il ciuffo con estrema delicatezza per liberare i suoi occhi stanchi dai capelli scuri.
«Ma non ti sei più avvicinata ad altri uomini, non ti sei mai ripresa del tutto.» Himuro parlò piano e socchiuse gli occhi, focalizzando la propria attenzione sulla carezza calda e gentile della madre.
«Non mi interessavano più gli uomini, Tatsuya. Volevo soltanto che tu fossi felice e che non rischiassi di perdere un altro padre, per questo ho deciso di crescerti da sola.»
«Ma sono cresciuto da un po', ormai.»
«Adesso ho il mio lavoro. Non ho tempo per gli uomini.» sua madre gli sorrise «e poi, in tutta franchezza, non mi sembri affatto cresciuto.»
Tatsuya restò in silenzio, ma le rivolse la propria attenzione con un movimento repentino degli occhi.
«Fai i capricci proprio come un bambino, anche se al posto di piangere e battere i piedi per terra frequenti ragazzine che starebbero meglio su una strada e fumi erba.»
«Mamma!»
«Che c'è? Non sono scema, so che odore ha.»
L'espressione lievemente accigliata di sua madre e le labbra leggermente protese gli strapparono un debole sorriso, ma Tatsuya tornò immediatamente serio e forse ancor più sconsolato di prima.
«Pare che, oltre a fare i capricci, io abbia ereditato da papà l'abitudine di scappare quando le cose si fanno difficili.»
La donna scostò la propria mano dal viso del figlio e serrò le labbra, per poi inspirare appena e sfiatare sommessamente.
«Tu sei molto diverso da tuo padre, Tatsuya.» sua madre cercò di nuovo i suoi occhi «tu hai una coscienza e ti sei sempre reso conto dei tuoi errori, in te risiede qualcosa che tuo padre non ha mai avuto e che un giorno ti darà la forza di tornare indietro.»
«Che cos'è?» Himuro non riusciva a smettere di fissarla, pendeva dalle sue labbra proprio come un bambino desideroso di imparare una nuova parola.
«Il coraggio.»


Himuro schiuse le labbra ed emise un sibilo sommesso, rafforzò la stretta sul cellulare, che ancora vibrava fra le sue dita, e continuò a fissare il nome sullo screensaver, forse nella speranza che la chiamata si interrompesse e che, di conseguenza, fosse lasciato in pace.
Kagami lo chiamava quasi ogni giorno, e non che gli dispiacesse, anzi, riservandogli tutte quelle attenzioni, l'altro stava dando prova concreta della sua amicizia, ma le loro conversazioni telefoniche ripiegavano inevitabilmente sul suo litigio con Murasakibara e sul fatto che si trovasse a Los Angeles e conducesse una vita che non gli apparteneva.
Kagami, in occasione di quelle conversazioni, pareva perdere il ruolo del fratello e assumere quello della bocca della verità, e ogni volta che si salutavano per tornare alle loro vite, Himuro si ritrovava a riflettere con gli occhi lucidi e l'amaro in bocca. I loro dialoghi lo straziavano, e dal desiderio di sfuggirvi nasceva la tentazione di ignorare qualsiasi chiamata ricevesse.
Tatsuya sbuffò sonoramente e avvicinò il cellulare all'orecchio.
«Ciao.» in cuor suo, nonostante faticasse tanto a rispondere, sapeva che non sarebbe mai riuscito ad ignorare più di due chiamate di seguito: dopotutto, respingere Kagami avrebbe significato recidere anche l'ultimo, sottile filo che lo teneva stretto a Tokyo, il che sarebbe stato solo un male.
«Ciao.» Kagami rispose di rimando.
«Come stai?» Himuro si affrettò a precederlo, quindi accennò un debole sorriso in attesa di una risposta.
C'era un motivo ben preciso se si dimostrava così diffidente nei confronti di Kagami, in quanto aveva l'impressione che non fosse il solo ad impugnare l'intenzione di dargli uno scossone per spingerlo a tornare in Giappone; se in quel breve periodo era riuscito a capire qualcosa dei membri della Generazione dei Miracoli, era pronto a scommettere che anche Kise - e forse Momoi - fossero coinvolti nella questione.
In quei giorni si era chiesto spesso se anche Murasakibara fosse oggetto delle loro pressioni, e in ogni occasione si era risposto che doveva essere proprio così.
«Io sto bene.» Kagami rispose come se si trattasse di un'ovvietà, come se il malumore di Himuro fosse il rovescio della medaglia dei buonumori altrui e per questo stessero tutti bene - o, per lo meno, meglio di lui -.
«Tu, piuttosto?»
«Bene.» Himuro si strinse nelle spalle dando la solita risposta spiccia, che Kagami accolse con un pesante sospiro di rassegnazione.
«Stavo pensando di riprendere con il basket.» ma Tatsuya non aveva più voglia di sostenere una conversazione fatta solo di domande brevi e risposte ancora più fugaci, quindi riprese a parlare «magari la prossima settimana.»
«La prossima settimana?» Kagami parlò con voce più bassa, poi tacque ed Himuro immaginò si stesse mordendo le labbra, indeciso su come continuare e scoraggiato dal sentirlo parlare del suo futuro a Los Angeles.
«Taiga, a te come sta andando con il basket?» Tatsuya decise di intavolare quell'argomento perché sapeva come gli avrebbe risposto, ovvero che a causa del lavoro aveva iniziato a trascurarlo, quindi avrebbe cominciato a sfogarsi o a raccontargli come andavano le cose al locale e, di conseguenza, avrebbe finito per scordarsi il motivo preciso per cui gli aveva telefonato.
«Tatsuya...» tuttavia, Kagami lo chiamò come se non avesse udito neppure l'eco della sua domanda; Himuro si irrigidì un poco, serrando le labbra con forza e trattenendo il respiro per qualche secondo.
«Tatsuya, non è passato già un bel po' di tempo, ormai? Dovresti tornare a casa.»
«Taiga...»
«No, dico sul serio.» Kagami sospirò pesantemente: doveva essere esasperato, forse perché Kise e Momoi erano per davvero coinvolti nella questione e facevano pressione anche su di lui, oltre che - come sospettava Himuro - su Murasakibara.
«Perché dovrei tornare a Tokyo? Sto bene a Los Angeles, qui c'è mia madre e‒»
«E?» la voce alterata di Kagami sovrastò la sua all'improvviso «oltre tua madre, credo che l'unica cosa che ti tenga ancora legato a Los Angeles sia l'orgoglio.»
Himuro sfiatò sommessamente, affondò il canino nel labbro inferiore senza riuscire a controbattere: Kagami lo aveva punto nel vivo e si stava rivelando, ancora una volta, la bocca della verità.
«Quando siamo tornati a Los Angeles hai sempre cercato di incitarmi a fare chiarezza sui miei sentimenti, di affrontare l'amore a viso aperto.»
Himuro restò in silenzio, incurvò leggermente la schiena, come a ripiegarsi su se stesso, e chiuse gli occhi.
«Volevi che provassi a chiamare Kuroko e che riflettessi, c'erano giorni in cui non facevi altro che punzecchiarmi...» Kagami fece una piccola pausa e si schiarì appena la voce «anche io farò così, se sarà necessario. Non voglio prendere le difese di Murasakibara, ma ormai ha imparato la lezione, quindi è inutile che tu insista per restare a Los Angeles, ti stai facendo del male da solo.»
«Ma tu che ne sai? Che ne sai se sto male o no?» Tatsuya si sentì ridicolo perché, nonostante cercasse di dimostrarsi impassibile, la sua voce aveva subito un evidente fremito che aveva vanificato del tutto la sua piccola farsa.
«Guarda che Alex mi racconta di quando vi incontrate.»
Tatsuya l'aveva pregata di non dire niente a nessuno - e con nessuno intendeva proprio Taiga -, ma allo stesso tempo si era confidato spesso con lei proprio perché era sicuro che, nonostante le sue suppliche, avrebbe riferito tutto all'ex asso del Seirin.
«Che chiacchierona...» non sapeva più cosa dire, voleva solo che la chiamata si concludesse in fretta, quindi si limitò a brontolare qualcosa a sfavore di Alexandra.
«Tu stai male, Tatsuya. Continui a pensarci.»
«È normale che io ci pensi, Taiga, ma un giorno mi passerà.»
«Una volta mi hai detto che...» Kagami esitò, forse perché non ricordava le precise parole o forse perché, più semplicemente, era imbarazzato dalla situazione«nessuno può stare bene in un posto se... umh, sì: se continua a pensare a qualcuno che vive altrove
Himuro fu percosso da un brivido improvviso, aveva le vertigini, come se avesse avuto la febbre alta: non riusciva a capire che cosa avesse detto Kagami, anzi lo aveva compreso perfettamente, si ricordava l'esatto instante in cui, alcuni mesi prima, aveva proferito quelle parole, ed ora che venivano rivolte a lui si sentiva pervadere da un senso di nausea così forte che per un istante non riuscì neppure a respirare.
Si sentì un ipocrita, un egoista e un codardo.
Avrebbe voluto chiedere a Kagami che cosa pensava di lui, avrebbe voluto una garanzia riguardo al perdono di Murasakibara nel caso avesse deciso di tornare a Tokyo.
«Taiga...» e allo stesso tempo si pentiva amaramente di aver risposto alla sua telefonata, e questo rimorso lo metteva costantemente di fronte alla persona sfuggente ed egoista che era divenuto «ti prego, voglio restare solo per un po'.»
«Che ti costa tornare indietro? Se andrà male avrai tutto il diritto di prendertela con me, ma se–»
«Taiga, ti prego.»
Tatsuya voleva piangere, scomparire per sempre per non avvertire più quell'orribile cambiamento che era germogliato e fiorito nella sua persona.
«Basta.»


Tetsuya chiuse gli occhi solo per un istante, inspirando appena e continuando ad avanzare con passi rapidi e decisi: Aomine si sarebbe infuriato quando avrebbe scoperto che Kagami era rimasto al locale con Murasakibara per ultimare le decorazioni di una torta commissionatagli dalla moglie di un ministro per il suo compleanno e che, quindi, avrebbero dovuto rimandare il due contro due che avevano pianificato un paio di giorni prima.
Appena Kuroko attraversò la strada e si affiancò all'alta rete metallica del campetto, si soffermò sulla figura che si stagliava sotto uno dei due canestri e rallentò improvvisamente il passo.
«Aomine-kun?» appena sorpassata la rete di maglie metalliche, Kuroko lo chiamò a voce bassa.
Aomine restò in silenzio e, dopo essere rimasto ancora per qualche istante con il capo sollevato verso il canestro, si voltò verso di lui e lo salutò con un rapido cenno della mano.
«Sei solo?» Kuroko increspò le labbra in un piccolo sorriso e gettò il pallone a spicchi verso di lui.
«Kise ha un po' di febbre.» Aomine afferrò il pallone e se lo rigirò fra le mani con aria disinvolta «voleva venire, ma si è lamentato per tutta la sera dei continui capogiri, quindi l'ho costretto a restare a casa.»
«Mi dispiace.»
«Piuttosto...» Aomine riprese a voce bassa, come se si vergognasse «l'idiota dov'è?»
«Kagami-kun è rimasto al locale.»
«Quelle maledette torte.» Aomine alzò gli occhi al cielo e schioccò la lingua contro il palato, per poi dargli le spalle e compiere un paio di palleggi, dirigendosi a passo rapido verso il canestro «beh, Tetsu, pare proprio che dovremo limitarci ad un uno contro uno.»
Daiki lasciò aderire il palmo della mano al cuoio duro, sollevò il braccio destro e con una spinta gettò il pallone nel canestro.
«Ha un sacco di lavoro da fare a quest'ora perché passa tutto il pomeriggio a cercare di convincere Himuro a tornare qui a Tokyo.» poi brontolò, afferrando il pallone in rimbalzo.
Dopo qualche istante di esitazione, Aomine tornò a guardare Kuroko e gli restituì il pallone.
«Non sei più geloso?»
«Di Himuro-san?» Tetsuya accarezzò il cuoio con le dita e cominciò a palleggiare, negando con un cenno quasi impercettibile del capo «e tu, Aomine-kun?»
«Eh?» Aomine aggrottò la fronte e sfiatò sommessamente «io? Perché dovrei essere geloso di quello lì
Tetsuya afferrò il pallone e accennò un sorriso vagamente divertito; Aomine, dal canto suo, sembrò retrocedere di un paio di passi e strizzò gli occhi, cercando di ignorare il pizzicore che aveva cominciato a stuzzicargli le guance.
«Non sono geloso, dopotutto lui e Kise sono solo amici.» quel brontolio lamentoso fece sorridere Kuroko, che gli porse il pallone a spicchi con gentilezza.
«Io ho smesso di essere geloso di Himuro-san da molto tempo.» da quando avevano fatto ritorno dalla Svizzera, Kuroko si era sforzato così tanto di comprendere il sentimento che Kagami provava per Himuro che alla fine, forse grazie alle sue doti di osservazione, era sicuro di essere riuscito a cogliere l'essenza del loro rapporto nella sua interezza e, oltre questa, l'affetto sincero e superiore che il suo fidanzato nutriva nei suoi confronti.
Tetsuya schiuse le labbra, intento a dire qualcos'altro, ma una voce sovrastò la sua e la recise sul nascere.
«Daiki, Tetsuya.»
Aomine inclinò leggermente il busto per dare un'occhiata alle spalle di Kuroko, che, dal canto suo, si voltò immediatamente.
«Akashi-kun, Nijimura-san...» Kuroko sussurrò, per poi ricambiare il sorriso sottile di Akashi.
«Ryouta e Kagami non sono con voi?»
«Non sono potuti venire.»
Akashi restò a fissare Aomine in silenzio, sbattendo le palpebre solo per un istante, per poi ampliare il sorriso.
«Quindi avevate in programma un due contro due?»
Nijimura si avvicinò un poco di più a lui e gli pizzicò il fianco con delicatezza, quasi a volergli chiedere se per lui non fosse un problema il fatto che non avrebbero potuto allenarsi da soli e se fosse sicuro di volersi mettere in gioco.
«Voi due facevate squadra una volta, quindi che ne direste di sfidare me e Shuuzou?» Akashi confermò la sua sicurezza pronunciando quella sfida a voce alta e con le labbra increspate in un sorriso sornione.
«Akashi-kun, tu non stai...?»
«Ci fermeremo non appena arriveremo a venti canestri.» Nijimura intervenne e Kuroko annuì appena.
«Bene...» Aomine palleggiò con le labbra increspate in un ghigno «io e Tetsu vi faremo assaggiare la polvere.»
«Ma sentilo!» Nijimura sfiatò con un sorrisetto divertito e Akashi non tardò a cogliere quella provocazione.
«Vediamo se in questi mesi sei migliorato, Daiki.»


«A quanto pare Ki-chan non verrà al campetto, domani!»
«Umh? E come mai?» Riko, che si trovava già distesa sul letto, si sollevò un poco sui gomiti e si soffermò sulla figura di Momoi che, a sua volta, pareva estremamente concentrata ad osservare lo screensaver luminoso del cellulare che teneva stretto fra le mani.
«Ha un po' di febbre.»
«Oh...» Aida trattenne un sospiro nervoso: Kise e Kuroko erano gli unici che si presentavano regolarmente agli allenamenti, ma se il primo restava assente, allora il secondo si sarebbe ritrovato da solo al campetto e ciò gli avrebbe impedito di allenarsi adeguatamente; pensò istintivamente a Midorima, ma era quasi certa che avrebbe rifiutato, quindi la sua attenzione si spostò quasi immediatamente su Takao, che era decisamente più facile da convincere - e da rintracciare -.
«Brr!» il verseggiare improvviso di Satsuki la strappò via dalle proprie congetture, quindi Riko si accorse che l'altra aveva già adagiato il cellulare sulla scrivania e, ormai pronta per infilarsi nel futon, si era sfilata la gonna.
Aida pensò di chiederle se desiderasse una coperta in più, ma divenne improvvisamente muta.
Scorse con un rapido movimento degli occhi le gambe sinuose di Momoi, dai polpacci fino alle cosce piene, quindi si soffermò sui fianchi sottili, ben distinguibili oltre la canottiera bianca, - talmente leggera da essere quasi trasparente -, e infine sulle natiche sode che facevano capolino dalle trame di pizzo nero degli slip.
Quando Momoi si voltò verso di lei, Aida non fece in tempo a togliersi il rossore dalle guance e l'espressione estasiata dalla faccia, e non appena si rese conto del sorrisetto malizioso che l'altra le stava rivolgendo emise un gridolino strozzato e si sfregò nervosamente il viso.
«A-allora? Andiamo a dormire o no?» si sforzò di mantenere un tono di voce fermo e autorevole, ma Momoi non si intimidì e ampliò appena il sorriso.
«Il vantaggio di lavorare in un negozio di intimo è che posso permettermi molti capi scontati, se ti piacciono posso mettere una buona parola per te.»
«Eh?!» Aida aveva il viso in fiamme e si mise a sedere in fretta.
«Oppure guardavi qualcos'altro, Riko-chan?» Satsuki le si avvicinò, canticchiando sommessamente il suo nome, e Riko si sentì invadere e percuotere da un improvviso calore.
«Cosa vuoi? Sta ferma lì!» Aida tese le braccia e la afferrò per le spalle non appena Momoi si inginocchiò di fronte a lei, tuttavia non riuscì a respingerla e, anzi, si arrese quasi immediatamente all'impertinente prepotenza dell'altra.
Momoi le afferrò il viso fra le mani e le stuzzicò le labbra con un bacio leggero, a cui Aida non rispose.
«Momoi...» la più grande borbottò, socchiudendo gli occhi nel percepire di nuovo le labbra carnose dell'altra così vicine alle sue «ci sono i miei genitori...»
Momoi scostò il viso e la guardò negli occhi, carezzandole le gote con un lento movimento dei pollici.
«Non facciamo niente di male, Riko-chan.»
Aida, dal canto suo, serrò le labbra in una smorfia e inclinò il capo nel tentativo di nascondere il viso imporporato agli occhi dell'altra.
«Lasciami dormire con te, dai!» all'improvviso, però, la malizia di Momoi si tramutò in una richiesta che alle orecchie di Aida risuonò decisamente esaltata ed infantile, e ciò le permise di liberarsi dal vincolo del pudore e di respingere l'altra con più risolutezza.
«Non ci provare! Vai a dormire nel futon!»
«Ma... ma ho freddo!»
«Staremmo scomode, il letto è troppo piccolo!»
«E dai, Riko-chan!» la lagna di Momoi si esaurì quasi immediatamente perché, via via che supplicava Aida di accoglierla nel suo letto, era già riuscita a strapparle le lenzuola di mano e a scostarle fino a scoprire le sue gambe.
«T-ti ho detto che...» quando le loro gambe nude furono a contatto, Aida tornò ammutolita a causa della vergogna, poi, non appena Momoi avvolse entrambe con la coperta e adagiò la guancia sinistra sul suo sterno, carezzandole i fianchi con un lento e docile movimento delle mani, cominciò a rilassarsi e decise di arrendersi ai suoi capricci.

Siamo stracci di nubi nere che dissipano l'arcobaleno, siamo l'ululato straziato del vento che fischia durante la tempesta.




Licenza Creative Commons
Quest'opera è distribuita con Licenza Creative Commons Attribuzione - Non commerciale - Non opere derivate 2.5 Italia.




L'angolino invisibile dell'autrice:

Eccomi qui! Finalmente riesco ad aggiornare! >w<
Questi ultimi capitoli mi stanno lasciando un po' insoddisfatta, ma ho notato che molte di voi hanno accolto con entusiasmo l'iniziativa: “Diamo un'età celebrale più alta a Murasakibara!” e ne sono davvero felice!
Nonostante questo capitolo non mi soddisfi appieno, comunque, c'è una parte che ha tutte le carte in regola per diventare una delle mie preferite, ovvero la conversazione fra Himuro e sua madre.
Adoro la mamma di Himuro, insomma, io la immagino come questa donna estremamente complessa, dolce, apprensiva, ma forte come una tigre e pronta ad affilare i coltelli per il suo bambino ;u;
Poi--- allora, all'inizio vediamo Kise saltellare di qua e di là, ma alla fine ha la febbre, perciò direi che questo capitolo copre più o meno l'arco di due giorni (?)
Per il resto non credo di avere molto da dire, tranne che ho di nuovo concluso la “tabella di marcia” e quindi devo prepararne un'altra. Non sarà molto lunga perché non manca tanto alla fine, ma sento che ci impiegherò almeno un giorno ad elaborarla! ;3;
Spero di poter aggiornare il più presto possibile!
Grazie a tutti quelli che continuano a seguirmi! >w<
Alla prossima!

Ritorna all'indice


Capitolo 41
*** Capitolo XL ***


Capitolo XL





Sei il tempo che squarcia le mura, sei la fiamma che divora il sole.

Kagami smise di spremere con forza la tasca da pasticciere solamente quando fu sicuro di aver udito qualcosa oltre le porte della cucina.
Diede un'occhiata ai riccioli di panna che aveva appena finito di sistemare lungo tutto il perimetro della torta e alle meringhe, che dovevano essere ancora caramellate con il cannello e per questo si estendevano in un manto morbido e tremolante sulla cima, quindi si scostò, sospirò rumorosamente con le mani poste sotto il getto freddo dell'acqua e infine, girata la manopola del rubinetto, uscì dalla cucina con un canovaccio bianco stretto fra le dita umide.
«Mhn?» Aomine inarcò un sopracciglio e gli rivolse un'occhiata interrogativa; Kagami, dal canto suo, se ne rimase con la schiena aderente alle ante sprangate e i denti stretti in un ringhio sommesso.
«C'è qualche problema?»
«Non è venuto.»
Aomine sfiatò appena e increspò le labbra in un sorriso vagamente divertito.
«Sai che novità! Ma cosa ti aspettavi? Quanto è durato? Una settimana?»
Kagami non rispose ed estrasse il cellulare dalla tasca dei pantaloni con un gesto concitato e nervoso, cominciando a premere i tasti con forza.
«Credo che sia perfino troppo per i suoi standard.» Daiki, nonostante l'evidente nervosismo dell'altro, continuò ad interferire.
«Sarà la quarta volta che lo chiamo.» ma Kagami lo ignorò e ringhiò, con il cellulare premuto contro l'orecchio «merda! Ancora la segreteria!»
«Starà dormendo.» Aomine si strinse nelle spalle e prese posto in cassa «non prenderla così tanto a cuore, idiota: alla fine ce la caviamo benissimo anche in due.»
Taiga restò a fissarlo in silenzio e dopo qualche istante di esitazione si decise a riporre il cellulare in tasca.
Anche lui era perfettamente conscio del fatto che non avrebbe avuto problemi a gestire il locale con Aomine - escluse le continue provocazioni, i battibecchi e la fatica di ritrovarsi a decorare almeno tre o quattro torte alle sei del mattino -, ma in cuor suo aveva creduto che Murasakibara avesse cominciato a vedere le cose con occhi diversi, era convinto che si stesse per avvicinare ad un cambiamento radicale e non poteva negare di aver riposto in lui almeno una dose minima di fiducia e di speranza. Ecco cosa lo imbestialiva: aveva concesso fiducia ad una persona che fino a pochi giorni prima detestava e, ingenuamente, aveva pensato che questa potesse abbandonare una volta per tutte la sua indole fanciullesca e imparare dai propri errori.
«Kise?» Kagami pensò fosse meglio cambiare argomento e quindi chiese dello stato di salute dell'ex asso del Kaijou.
«Ha ancora la febbre, ma almeno non ha più mal di testa.» Aomine rispose senza battere ciglio, probabilmente perché anche lui credeva fosse più saggio lasciar perdere Murasakibara e i suoi capricci di bambino.
Kagami annuì appena, per poi increspare le labbra in un ghigno vagamente divertito.
«Si può sapere come avete fatto, tu e Kuroko, a farvi battere da Akashi e Nijimura?»
Aomine sobbalzò e si voltò verso di lui con i denti digrignati.
«Ohi! Fatti gli affari tuoi!» Daiki gli strepitò contro, e dopo qualche istante di silenzio alzò ulteriormente la voce «e togliti quel ghigno idiota dalla faccia!»


Murasakibara si rigirò il cellulare spento fra le mani e si guardò intorno senza fiatare, strusciando il capo contro il sedile di pelle: avrebbe voluto sapere che ora era, ma non aveva intenzione di accendere il telefonino e rischiare di ricevere qualche chiamata indesiderata o di interpellare i due anziani che gli stavano di fronte.
Perché non si muovevano ancora? Tutta quella attesa gli stava facendo perdere la pazienza, cominciava a sentirsi in trappola, voleva scendere e arrivare alla meta con i propri piedi, tuttavia era perfettamente conscio del fatto che ci sarebbe voluto troppo tempo - in fin dei conti aveva studiato a memoria tutti i numeri, che si trattasse di minuti, ore, metri o chilometri, che lo separavano da tutte le cose più importanti -.
Si sentì scuotere da un tremito e socchiuse gli occhi per un istante, inspirando appena, poi, improvvisamente scosso da quel lento e traballante movimento tanto atteso, si ritrovò a frugare nel borsone e ad osservare con una piccola smorfia colma di disappunto le carte di merendina malamente ammucchiate al suo interno - ne aveva già mangiare un bel po', e continuando così era certo che le avrebbe finite nel giro di un'ora -.
Richiuse il borsone e serrò gli occhi, sforzandosi di dimenticare almeno per un istante le merendine, ma il suo stomaco continuò a brontolare imperterrito e scatenò le risate sguaiate della bambina che gli era seduta accanto.
«Guarda, nonna!»
Murasakibara riaprì gli occhi e vide la bambina colpire con un movimento continuo e rapido del dito lo strato di vetro spesso.
«Partiamo!» era completamente su di giri, ma Atsushi cercò di ignorarla e tornò ad osservare con aria sconsolata i propri piedi, sfiatando nervosamente all'idea che quella bambina rumorosa avesse occupato il posto accanto al finestrino - che Himuro, al contrario di lei, gli avrebbe sicuramente concesso -.
Il silenzio che calò pochi istanti dopo fu improvvisamente interrotto da un crepitio rumoroso, quindi Atsushi rivolse la propria attenzione alla bambina e, in particolare, al pacchetto di patatine fra le sue mani.
La bambina, forse sentendosi osservata, si voltò verso di lui e cominciò a dondolare sul sedile senza togliergli gli occhi di dosso.
«Perché hai i capelli viola?»
«Mei, non disturbare il signore.» la nonna intervenne immediatamente, ma la bambina continuò ad osservare Murasakibara, come incantata dal colore dei suoi capelli.
«Anche io voglio i capelli così!»
La nonna rise e lo sguardo di Murasakibara sembrò rabbonirsi e si illuminò non appena la bambina gli porse il pacchetto di patatine.
«Ti do un po' delle mie patatine se mi lasci toccare i tuoi capelli!»
Murasakibara la osservò, poi si soffermò sui nonni, che non sembravano turbati, quindi, seppur dopo un istante di esitazione, infilò la mano nel pacchetto e afferrò una manciata di patatine, per poi inclinare il viso in modo che la bambina, molto più bassa di lui, potesse toccargli i capelli.
«Oh!» la bambina sorrise non appena intrecciò le dita ai suoi capelli «sono davvero morbidi!»
«Quanto sei alto, ragazzo?» il nonno interpellò Murasakibara e gli rivolse un sorriso affabile.
«Due metri e otto.»
«Sei altissimo!» la bambina strepitò e scalciò per l'eccitazione, e il nonno scoppiò a ridere, per poi riprendere a parlare.
«Credo di averti già visto da qualche parte. Per caso... giochi a basket?»
Atsushi fece per rispondere, ma la bambina gli porse una seconda volta il pacchetto di patatine e catturò la sua completa attenzione: dopotutto i suoi compagni di viaggio non erano poi tanto male, non importava che Mei gli avesse rubato il sedile accanto al finestrino, per avere la sua benedizione era sufficiente che continuasse a rimpinzarlo di patatine.


Aomine sfiatò sommessamente e rigirò la chiave nella serratura finché non sentì uno scatto distinto, rafforzando la stretta della mano sinistra sul pacchetto di carta bianca con al centro il logo della pasticceria.
La porta cigolò appena e Aomine non la spalancò, piuttosto decise di aprire uno spiraglio abbastanza grande perché potesse insinuarsi all'interno dell'appartamento, e non appena ebbe varcato la soglia la richiuse lentamente.
Gli occhi stanchi si abituarono quasi immediatamente all'oscurità che riempiva l'ingresso e pareva traboccare in ombre nere lungo le pareti e sul soffitto, ma Aomine sembrò prestare più attenzione all'udito che alla vista e, trattenendo il respiro, restò in ascolto del silenzio con la schiena aderente alla porta chiusa.
Si mosse soltanto qualche istante dopo, quando pensò che svegliare Kise non sarebbe stato un problema visto che, molto probabilmente, aveva dormito quasi tutto il giorno - altrimenti non riusciva a spiegarsi perché gli avesse inviato così pochi sms -.
Si diresse in cucina a passo rapido, riuscendo a calcolare perfettamente le distanze nonostante il buio della sera avesse già contaminato l'ambiente, quindi adagiò il borsone sul tavolo e si avviò placidamente verso la camera da letto, trascinando i piedi sotto il peso della stanchezza e socchiudendo gli occhi nel pregustare l'idea che presto avrebbe potuto infilarsi sotto le coperte e dormire fino all'indomani mattina.
Daiki non riservò alla porta della camera da letto la stessa gentilezza mostrata nei confronti di quella dell'ingresso e la spalancò, alzando la voce non appena vide un ammasso di coperte informi al centro del letto.
«Ohi, Kise! Svegliati!»
Accese la luce e restò a fissare l'ammasso di coperte immobile. Per qualche istante non volò una mosca, quindi adagiò il pacchetto sul comodino e affondò un dito in quell'ammasso confuso di tessuti.
«Sei morto?»
All'improvviso, un mugolio di protesta si sollevò da sotto le coperte e Aomine accennò un sorriso sollevato - dopotutto, a pensarci bene, quando Kise smetteva di inviare sms c'erano buone possibilità che potesse essere morto per davvero -.
Finalmente Kise si mosse e le coperte scivolarono appena, quindi il suo viso vagamente arrossato fece capolino.
«Come stai?» Aomine parlò non appena incrociò gli occhi vagamente arrossati dell'altro.
«Ho di nuovo mal di testa.» Kise tese il braccio e afferrò il pacchetto bianco, per poi mettersi a sedere «ma domani ho un servizio fotografico e quindi non mi rimane altro che sopportare.»
Aomine sospirò rumorosamente e gli si sedette accanto.
«Che palle con questa moda.» borbottò osservando di sottecchi Kise, che si prodigava per estrarre uno dei due cornetti al cioccolato bianco dal pacchetto.
«Che cos'altro potrei fare, Aominecchi?» Kise gli porse il cornetto e gli rivolse un sorriso forzato.
Aomine restò immobile e rivolse il proprio sguardo alle coperte ammassate, che nascondevano alla sua vista le gambe nude di Kise.
«Ma non...» Daiki deglutì: Ryouta alludeva al dolore che affliggeva la sua gamba sinistra ogni volta che la sottoponeva a sforzi eccessivi e che si portava appresso dal primo anno delle superiori, subito dopo la partita tra Kaijou e Touou.
Kise gli sventolò il cornetto sotto il naso come se non avesse voluto parlarne, ma Aomine non aveva intenzione di reprimere per l'ennesima volta la domanda che da troppo tempo gli ronzava in testa.
«Non ti fa più tanto male, vero?»
Kise lo guardò e ampliò appena il sorriso, ritirando la mano e infilando il cornetto nel pacchetto in segno di resa.
«È migliorata tanto, certo, ma se ricominciassi seriamente con il basket mi sarebbe di intralcio.»
«Forse fra un anno o due–»
«Sarebbe troppo tardi.»
Aomine lo guardò in silenzio, per poi colpirgli la spalla con un pugno non molto delicato.
«Ahia!»
«Per noi Miracoli non sarà mai troppo tardi.»
Kise si massaggiò la spalla e schiuse le labbra, contemplando l'espressione seria dell'altro con occhi brillanti.
«Aominecchi, anche tu...» Ryouta sussurrò appena, ma non riuscì a dire altro e sorrise, immediatamente ricambiato dall'altro: in fin dei conti il basket era tutto ciò che avevano amato prima di incontrarsi, era ciò che aveva permesso loro di conoscersi, che li aveva separati e, successivamente, riuniti.


Appena i raggi brillanti del sole sfumavano all'orizzonte, ricucendo le nuvole rosate con sottili fili di pulviscolo arancione, lì dove avevano aperto squarci per tutto il resto della giornata, Tetsuya si sentiva improvvisamente più leggero e felice.
Il suo momento preferito della giornata era proprio quello, quando la luce scompariva e il cielo cupo gettava ombre scure sulla strada.
Trascorreva gran parte della giornata da solo - considerando che Kagami si alzava molto presto la mattina, quando lui dormiva ancora, e rimaneva tutto il pomeriggio al locale -, ma la sera aveva la possibilità di giocare a basket o di lavorare, e quindi di stare in compagnia e tenere la propria mente occupata.
Durante il lavoro, in particolare, Tetsuya non faceva altro che pensare al momento in cui, finito il turno, Taiga sarebbe passato a prenderlo e avrebbero camminato mano nella mano lungo la strada illuminata dalla luce giallognola dei lampioni, fino a casa.
Kuroko non poteva negare che Kagami gli mancasse, che quelle giornate cominciassero a sembrargli tutte fastidiosamente uguali, ma era conscio del fatto che si trattasse di un periodo passeggero, che l'idea delle torte su ordinazione fosse una misura momentanea per rilanciare il locale dopo le perdite subite in seguito alla partenza di Himuro e ai capricci di Murasakibara, quindi si era ripromesso più volte di pazientare.
«Ehi!»
Tetsuya mosse un paio di passi, allontanandosi dall'entrata della pizzeria e rivolgendo il proprio sguardo al viso di Taiga, illuminato dalle luci rossastre dell'insegna al neon.
«Ehi.» si fermò proprio di fronte a lui e gli sorrise, senza scostare il viso quando l'altro si chinò e, anzi, ricambiando immediatamente il rapido bacio a stampo.
Per quanto fosse breve, quello era senza dubbio il momento che preferiva, perché lui e Kagami erano finalmente insieme e soli, perché potevano parlarsi, baciarsi, sfiorarsi, e si creava un'intimità che la notte aveva ormai perduto - visto che l'altro era sempre così stanco che, una volta infilatosi sotto le coperte, non riusciva a restare sveglio per più di un'ora -.
«Kagami-kun, sei riuscito a contattare Murasakibara-kun?» nonostante passassero la maggior parte della giornata separati, si tenevano spesso in contatto, per cui Kuroko era molto più informato di altri su ciò che accadeva al locale e sulla vicenda che vedeva i due ex assi dello Yousen come protagonisti.
Kagami sfiatò appena e si strinse nelle spalle, allargando le dita della mano sinistra non appena sentì i polpastrelli lisci di Kuroko sfiorargli il palmo.
«L'ho chiamato un'ora fa, ma aveva ancora la segreteria telefonica.»
Kuroko intrecciò le dita a quelle di Kagami e gli rivolse un'occhiata repentina, per poi inspirare appena e riempirsi le narici dell'aria fresca della notte, riprendendo a parlare a voce bassa, dopo qualche istante di esitazione.
«Quindi il suo cellulare è rimasto spento per tutto il giorno...»
«Pare proprio di sì.»
«E Himuro-san? Lo hai chiamato?» Tetsuya tornò a guadarlo.
«Sì, ma di certo non posso dirgli che Murasakibara è scomparso.» e Kagami, dal canto suo, annuì appena, senza distogliere lo sguardo dalla strada illuminata.
«Come sta?»
«Sai, credo...» Taiga accennò un sorriso vagamente divertito e Kuroko, forse per poterlo osservare meglio, si protese un poco in avanti «credo che sua madre lo abbia sgridato, o qualcosa del genere.»
«Sgridato
«Sì, te l'ho detto: sono certo che Tatsuya sia tornato a Los Angeles per sfogarsi, quindi avrà combinato qualche guaio e sua madre non deve averla presa troppo bene.»
«Cosa te lo fa pensare?»
«A giudicare dal suo tono di voce mi sembrava molto più sereno.»
«Forse si sta solo abituando.» Kuroko azzardò e tornò a guardare davanti a sé, rafforzando un poco di più l'intreccio delle loro dita.
«Forse.» Kagami fece eco, sospirando pesantemente «oppure si è reso conto che mettere così tanti chilometri di distanza fra lui e Murasakibara non serve a cancellare ciò che provano l'uno per l'altro.»
«Kagami-kun.» Kuroko sbatté le palpebre e si fermò all'improvviso, restando ad osservarlo con le labbra leggermente protese in avanti e la fronte aggrottata in un piccolo cruccio «come sei profondo.»
«Ah!» Kagami, dal canto suo, sobbalzò e sentì il viso andare in fiamme, quindi guardò a destra e a sinistra, cercando disperatamente di evitare lo sguardo dell'altro «non... non è vero!»
«Sì, invece.» Kuroko continuò a fissarlo e parlò senza battere ciglio.
«Io ho soltanto detto...» aveva detto quello che pensava, quello che aveva imparato alcuni mesi prima, quando era incappato nello stesso errore di Himuro e alla fine si era reso conto che restare lontani significava semplicemente accrescere il dubbio e la sofferenza derivanti dalla mancanza.
Kagami deglutì a fatica, e finalmente riuscì a riprendere a parlare - anzi, in questo caso a strepitare -.
«Kuroko! La pianti di fissarmi?!»
«Lo hai pensato anche tu?»
«Che cosa?!» Kagami alzò ulteriormente la voce, esasperato dallo sguardo insistente e dal tono imperturbabile dell'altro.
«Quando eri a Los Angeles hai pensato che restare lontano da Tokyo non fosse la soluzione giusta?»
Taiga si passò le dita della mano destra sul viso e sospirò rumorosamente, imbarazzato dalla domanda insidiosa del fidanzato.
«Potrei...» borbottò, con le labbra increspate in una piccola smorfia e la fronte aggrottata «potrei averlo pensato, sì.»
Kuroko restò a fissarlo in silenzio e, quasi senza rendersene conto, gli sorrise: non valeva la pena dare così tanto peso al fatto che sulle loro giornate cominciasse a gravare la monotonia, né sentirsi solo o indesiderato perché Kagami passava molte ore al locale e tornava a casa troppo stanco per fare l'amore o per dargli quella carezza in più che lo soddisfacesse completamente; piuttosto occorreva tendere l'orecchio a quelle parole un po' buffe, - più che altro se si considerava il loro divulgatore -, ma permeate di significato e, soprattutto, di sincero affetto.
«A proposito...» Taiga sfiatò sommessamente e gli rivolse un'occhiata repentina, evidentemente deciso a cambiare discorso e a fargli dimenticare quanto detto in precedenza «domani mattina niente torte su ordinazione, quindi possiamo fare colazione insieme, se ti va.»
Tetsuya ampliò il sorriso e l'azzurro dei suoi occhi brillò così intensamente che intorno alla pupilla buia parve specchiarsi un cielo estivo infiammato dai raggi caldi del sole.
«Certo che mi va, Kagami-kun.» e non appena ebbe risposto ripresero a camminare, con le dita ancora saldamente intrecciate.


Murasakibara schiuse le labbra in un sospiro sommesso e si passò le dita fra i capelli, rimpiangendo di aver dimenticato il nastro a casa: faceva caldo, tanto che sulle auto ferme ai semafori l'aria si faceva più densa e pesante, tremolava, raccolta in spessi strati di afa umida e soffocante.
Le suole delle scarpe producevano un attrito secco e stridulo lungo la strada asfaltata, il borsone oscillava contro l'anca e la cinghia aveva cominciavo a triturargli la spalla sinistra con insopportabile insistenza.
Murasakibara non ricordava né la via né il numero dell'appartamento, ma conosceva ugualmente la strada per giungere a destinazione.
Ricordava i giardini spogli e quelli rigogliosi, quella manciata di abitazioni a tre piani e, accanto, i due appartamenti con i tetti di tegole rosse e le pareti bianche, e sapeva che ad una decina di metri da essi faceva angolo una grossa gelateria, allora si doveva girare a destra e, in fondo alla strada, si innalzava una casetta a due piani di un rosa slavato, con le finestre bianche e un grosso cedro sul lato sinistro.
Appena giunto all'angolo rallentò e si fermò ad assaporare il profumo dolciastro e fresco proveniente dalla gelateria e ad osservare i colori accesi che riempivano le vaschette metalliche incastonate lungo il bancone, ma nonostante la tentazione di entrare decise di riprendere a camminare - dopotutto aveva qualcosa di molto più importante da fare e, anche volendo, non sarebbe mai riuscito a farsi capire dalle due proprietarie che gestivano quel locale tanto carino che, a suo tempo, lo aveva ispirato e lo aveva aiutato a capire cosa volesse fare “da grande” -.
Schiuse le labbra e prese una grande boccata d'aria, per poi sospirare rumorosamente e rafforzare la stretta sul borsone: non vedeva l'ora di potersi fermare per riprendere fiato, magari all'ombra del grande cedro che si innalzava accanto alla casa rosa pallido, ma non era ancora il momento e sapeva che avrebbe dovuto aspettare ancora un bel po', quindi continuò a camminare e, anzi, accelerò il passo senza mai distogliere lo sguardo dalla sua meta.
In un paio di minuti riuscì finalmente a giungere a destinazione, ma indugiò non appena la porta scattò e la maniglia si abbassò all'improvviso.
Quando la vide uscire in giardino e avviarsi verso il basso cancello dipinto di bianco, si sentì mancare il respiro e non poté fare a meno di retrocedere di un paio di passi: era così simile a lui da lasciarlo senza parole ogni volta che incrociava il suo sguardo, e in quel momento, quando i loro occhi si incatenarono, Atsushi si sentì annichilire, annientare da quella languida dolcezza.
La donna continuò a guardarlo e spalancò il cancello senza richiuderlo, increspando le labbra in un piccolo sorriso non appena l'altro abbassò il capo come a volersi silenziosamente scusare con lei.
«Lo sapevo che saresti venuto.»
Murasakibara continuò a guardare a terra: era così simile a lui che a guardarla troppo avrebbe rischiato di scoppiare a piangere come un bambino e, privo di lucidità, con la buona volontà repressa dai sensi di colpa, non sarebbe mai riuscito a portare a termine l'obbiettivo per cui si trovava lì.
«Sono davvero felice di vederti, Atsushi.» la donna si scostò e continuò a tenere il cancello spalancato con la mano destra «ti prego, mio figlio non sta bene.»
Murasakibara continuò a guardare a terra e affondò i denti nel labbro inferiore: gli avrebbe chiesto di andarsene? Dopo dieci ore di viaggio - di cui sette passate senza cibo - gli avrebbe chiesto di tornare indietro e di non farsi più vedere?
Atsushi sussultò non appena un tintinnio metallico gli sfiorò le orecchie, quindi sollevò il capo e sbarrò gli occhi nel vedere la madre di Himuro porgergli le chiavi con le labbra increspate in un sorriso gentile.
«Riportalo a casa.»
Murasakibara sbatté appena le palpebre e si avvicinò con passo titubante alla donna, per poi afferrare le chiavi e, finalmente, trovare la forza di guardarla negli occhi.
«Grazie, mamma di Muro-chin.»
La donna ampliò il sorriso e annuì appena, per poi accarezzargli affettuosamente il braccio, quasi a volergli comunicare il suo sostegno, infine gli transitò accanto e sì allontanò a passo rapido, evidentemente diretta verso il posto di lavoro.
Murasakibara, dal canto suo, si ritrovò a fissare in silenzio le finestre chiuse del secondo piano e strinse le chiavi nella mano destra, lasciando che le punte metalliche affondassero nel palmo e lo graffiassero.
Inspirò appena e chiuse il cancello, quindi attraversò a passo lento il vialetto ricoperto di grossi ciottoli bianchi e si fermò proprio di fronte alla porta chiusa della casa.
Bastava inserire la chiave nella serratura, avvolgere la maniglia con le dita e avanzare di qualche passo. Finalmente bastava così poco per eliminare la distanza fra lui e Himuro.
La chiave scivolò nella serratura e Murasakibara lasciò aderire la fronte alla superficie tiepida della porta, emise un sospiro sommesso e vagamente tremante e chiuse gli occhi: aveva profondamente paura, il solo pensiero che Himuro potesse rifiutarlo lo terrorizzava e lo atterriva con così tanta forza che per un istante, non riuscendo a staccare nessuno dei due piedi da terra, pensò di avere due macigni al posto delle gambe.
La stretta che le dita esercitarono attorno alla maniglia si allentò subito e la porta sembrò quasi scivolare in avanti, come se non avesse aspettato altro che il suo arrivo e lo stesse invitando ad entrare.
Murasakibara rimase fermo, ancora paralizzato e quasi senza fiato, e osservò in silenzio l'ingresso luminoso e confortevole della casa.
Non avrebbe dovuto permettergli di andare via.
Prese una grande boccata d'aria e finalmente mosse un paio di passi titubanti verso l'entrata, trattenendo il fiato non appena varcò la soglia e anche quando, con le dita salde attorno alla maniglia della porta, la richiuse con un movimento lento, cauto, per non fare rumore.
Avrebbe dovuto restargli accanto sia durante la notte, sia durante il giorno.
Atsushi si mosse piano e diede una rapida occhiata in cucina, ma trovandola vuota deglutì a fatica e si portò una mano al petto, stranito da quel battito così forte e doloroso che aveva appena cominciato a percuotere la sua cassa toracica: possibile che l'altro non fosse a casa? In tal caso, perché sua madre non lo aveva avvisato e gli aveva permesso di entrare? E se Himuro stesse per tornare? Magari in compagnia di qualcun altro?
Murasakibara scosse il capo con un movimento veloce e lasciò scivolare il borsone a terra - questa volta non preoccupandosi del tonfo sordo che produsse -, quindi si prese il viso fra le mani e si strofinò gli occhi, come se fosse appena riemerso dagli abissi e stesse cercando di liberare le ciglia fini da fastidiose perle d'acqua.
Appena il battito del cuore rallentò, raggiunse l'entrata del salotto, e allora la sua cassa toracica fu scossa ancor più bruscamente, il dolore al petto e il bruciore agli occhi si fecero improvvisamente più intensi.
Himuro gli dava le spalle, era seduto sul divano, con le gambe piegate contro il torace, la schiena leggermente incurvata e il capo chino, e Murasakibara si sentì pervadere da un'immensa tristezza: lo aveva abbandonato, era stato crudele e insensibile, e per un'istante ebbe la terrificante impressione che fosse troppo tardi, che la tristezza e la rabbia dell'altro fossero tali da annullare tutto il resto, tutto l'amore che era rimasto ancora vivo in lui.
Avrebbe dovuto comportarsi da uomo adulto.
«Che c'è? Hai dimenticato qualcosa, vero?» Himuro parlò a voce bassa, ma Murasakibara lo sentì chiaramente e si morse il labbro con forza, inclinando appena il viso nel tentativo di ricacciare indietro le lacrime.
«Di cosa hai bisogno?»
Atsushi soffocò un singhiozzò e schiuse le labbra in un sospiro tremante.
«Di te, Muro-chin...» la sua voce fu percossa da un fremito e alle sue orecchie suonò confusa e troppo bassa, ma Himuro lo sentì chiaramente.
Quando Tatsuya si voltò e i loro occhi si incontrarono, Atsushi riuscì a leggere nel suo sguardo ogni singola sensazione che doveva aver provato nei giorni precedenti e si ritrovò a gemere a denti stretti, con il viso rigato da lacrime copiose.
«Atsushi...» Himuro non riuscì nemmeno ad alzarsi, pronunciare il suo nome fu uno sforzo così grande che si sentì percuotere da uno spasmo e restò senza respiro, con gli occhi velati dal pianto imminente.
«Muro-chin, io... io‒» Murasakibara singhiozzò, ma non si diede per vinto: sapeva esattamente che cosa voleva dirgli e doveva farlo, non avrebbe permesso che quel pianto sguaiato glielo impedisse «Muro-chin, io sono venuto a prenderti!»
«Atsushi...» Himuro sfiatò appena e rivolse il proprio sguardo al pavimento, serrando le labbra in un fremito: non era giusto che anche lui si sentisse in colpa nei confronti dell'altro, ma era proprio così.
Sarebbe dovuto restare.
«Muro-chin, torniamo a casa!»
«Io...» Tatsuya prese una grande boccata d'aria e cercò di ricacciare indietro le lacrime, deglutendo a fatica «Atsushi, io ho fatto delle cose e... e non credo che vorrai tornare a casa con me quand‒»
«Non importa, Muro-chin.» Atsushi, dal canto suo, sembrava stesse finalmente riuscendo a controllare il proprio pianto e si avvicinò a lui «è colpa mia.»
«Ma io‒»
«Se avrai voglia mi racconterai tutto una volta che saremo tornati a casa.»
Quando Himuro sollevò il viso incontrò nuovamente gli occhi di Murasakibara e si scoprì improvvisamente felice di poter ammirare un'altra volta quel viola intenso e tanto particolare, anche se in quel momento era alterato dalle sclere arrossate e dalle palpebre gonfie di tristezza e rimpianto.
Quando Murasakibara gli porse la mano, Himuro gli chiese scusa sussurrando e scoppiò a piangere, gettandogli le braccia al collo non appena l'altro si chinò di fronte a lui.
«Mi basta che restiamo insieme, Muro-chin.» Murasakibara gli accarezzò la testa e lo strinse a sé, chiudendo gli occhi e lasciando che altre lacrime gli rigassero il viso «non andare più via...»
«No, non andrò più via...»
«Quindi torniamo a casa?»
«Sì, torniamo a casa.»

Sei tutto quello di cui ho bisogno per restare.




Licenza Creative Commons
Quest'opera è distribuita con Licenza Creative Commons Attribuzione - Non commerciale - Non opere derivate 2.5 Italia.




L'angolino invisibile dell'autrice:

Siccome ieri ho messo in atto un pesce d'aprile un po' cattivello sulla mia pagina Facebook, eccomi qui con un aggiornamento per farmi perdonare! ;u;
Se ve lo state chiedendo: sì, finalmente mi sono ricordata che Kuroko ha un lavoro (ma come avevo detto alcuni capitoli fa, mi pare, lavora due/tre sere la settimana); la scelta di Aomine che porta i cornetti al cioccolato bianco a Kise non è casuale, bensì è dedicata ad una mia vecchia fanfiction appartenente ad un altro fandom (quindi lo so che non vi frega); invece, a titolo informativo, per quanto riguarda il nostro amico fuso orario: Murasakibara parte intorno alle sedici (che a Los Angeles sono le ventitré del giorno prima) e arriva dopo circa dieci ore, quindi per le nove del mattino (anche se dall'aeroporto a casa di Himuro ci vuole circa un'ora, quindi per le dieci).
Non ho molto da dire a parte che sono piuttosto soddisfatta e che scrivere l'ultima parte ascoltando “Stay” di Rihanna mi ha fatto quasi annegare nelle lacrime D:
Visto che di sicuro non riuscirò ad aggiornare per Pasqua ne approfitto per porgervi già i miei auguri! Godetevi le vacanze, bimbi belli! uwu Alla prossima!

Ritorna all'indice


Capitolo 42
*** Capitolo XLI ***


Capitolo XLI





Le stelle sono le lacrime dolci con cui la luna illumina la notte.

«La torta è pronta!» Kagami trasse un sospiro di sollievo, rallegrato all'idea che fosse riuscito a portare a termine le decorazioni in tempo e piuttosto soddisfatto del risultato - almeno per ciò che riguardava l'impatto visivo, considerando che per il sapore non poteva esprimere ancora un giudizio preciso -.
«Hai fatto davvero un ottimo lavoro, Kagami-kun.» Kuroko, dal canto suo, era davvero felice di trovarsi in cucina con lui e di averlo potuto aiutare con la realizzazione della torta - anche se il suo contributo aveva riguardato soltanto i procedimenti basilari -.
Osservando il lavorio preciso e pulito di Kagami, Kuroko aveva percepito la sua euforia riguardo al fatto che Himuro e Murasakibara avessero fatto pace e stessero per fare ritorno al locale e, involontariamente, ne era stato contagiato - forse perché era felice di cogliere un'espressione così appagata sul volto del fidanzato, il quale viso, nei giorni precedenti, era stato spesso accigliato e trafelato da troppi pensieri -.
Le porte della cucina si spalancarono all'improvviso e Momoi varcò la soglia con un rapido saltello, sfoderando un grande sorriso.
«Noi abbiamo finito con le decorazioni!» sembrava euforica, ma l'entusiasmo scemò non appena il suo sguardo si posò sulla torta, quindi sopraggiunse la meraviglia «ma... ma è bellissima! Kagamin, sei davvero bravo!»
«Oh?» Kagami, dal canto suo, si massaggiò la nuca con una mano e digrignò i denti in un sorriso imbarazzato «grazie!»
Satsuki ricambiò immediatamente il sorriso dell'altro e arretrò fino alle porte chiuse non appena si udì Kise strepitare qualcosa che, alle loro orecchie, risuonò ovattato e quindi del tutto incomprensibile.
«Come dici, Ki-chan?» Momoi sospinse le porte in avanti e diede un'occhiata fuori dalla cucina, per poi richiuderle e rivolgersi a Kuroko e Kagami.
«Ki-chan dice che fra poco saranno qui!» poi, in completa balia dell'entusiasmo, uscì dalla cucina e non tornò più.
Tetsuya restò a fissare le porte chiuse in silenzio, voltandosi verso l'altro solamente pochi istanti dopo.
«Kagami-kun, forse è meglio portare la torta di là.»
Kagami, che teneva gli occhi fissi sull'oggetto della loro conversazione ma stava pensando a tutt'altra cosa, annuì distrattamente e restò immobile, con le labbra serrate e contratte in una piccola smorfia, gli occhi vagamente acquosi a causa del forte bruciore che aveva cominciato a pizzicarli dal momento che aveva passato troppo tempo senza riuscire a sbattere le palpebre.
Appena Kuroko batté la suola della scarpa contro il pavimento, Kagami lo chiamò con un filo di voce, voltandosi verso di lui soltanto quando fu sicuro che si fosse fermato e che gli stesse rivolgendo la propria attenzione.
«Ecco, io...» Kagami borbottò, passandosi le dita della mano sinistra fra i capelli: che cosa gli saltava in mente? Sarebbe stato troppo imbarazzante, troppo stupido e frettoloso porgli quella domanda.
«Kagami-kun, qualcosa non va?»
Kagami restò a guadarlo in silenzio, ormai incapace di dare voce alla domanda che gli ronzava insistentemente in testa da qualche tempo, quindi, lasciandosi tentare dalle labbra leggermente socchiuse dell'altro e, ancor più semplicemente, dalla sua modesta presenza, gli si avvicinò e, afferrandogli il viso fra le mani, lo baciò con ben poca moderazione.
Kuroko si irrigidì appena, spiazzato da quell'effusione tanto esplicita e improvvisa, in un luogo simile e dopo almeno una settimana durante la quale perfino le carezze erano scarseggiate, tuttavia si rilassò quasi immediatamente e, immergendo entrambe le mani fra i capelli di Kagami, chiuse gli occhi e si abbandonò alle sue labbra.
Tetsuya si domandò il perché di quel subitaneo moto di calore, di quel bacio improvviso che non era certo il mezzo più efficace che Taiga, burbero e impacciato com'era, utilizzava per dimostrargli il suo affetto, tuttavia non pretese di conoscere la ragione e immaginò che l'altro, avendo passato gran parte dei giorni precedenti chiuso in pasticceria, stesse semplicemente cercando di colmare quel vuoto fastidioso, seppur minimo, che si era creato fra di loro - dopotutto il fatto che avesse sentito la sua mancanza gli sembrava l'unica giustificazione valida che si potesse attribuire a quel gesto -.
Kagami, da parte sua, lo aveva baciato sì per ricercare l'intimità che negli ultimi giorni era stata sotterrata dal lavoro ma, soprattutto, per reprimere un'intenzione nei confronti della quale nutriva ancora molti dubbi e che, in tutta franchezza, era quasi certo avrebbe totalmente stravolto le dinamiche fra lui e Kuroko - e non necessariamente in meglio -.
Kagami ignorava i pensieri di Kuroko su determinati argomenti e, seppur non dubitasse della sua spiccata intelligenza e della sua apertura mentale, temeva comunque che una tale domanda potesse spiazzarlo a tal punto da stravolgere ogni cosa e allontanarlo da lui, quindi nel momento stesso in cui aveva pronunciato il suo nome per richiamare la sua attenzione, era sopraggiunto l'istinto e, indossati i panni del vigliacco, aveva preferito suggellare la propria voce con un bacio.
Si staccarono lentamente l'uno dall'altro, Kuroko con le dita ancora intrecciate ai capelli di Kagami, e quest'ultimo con le mani ben salde sui fianchi magri dell'altro.
Tetsuya cercò gli occhi del fidanzato e gli sorrise; Kagami, dal canto suo, sfiatò appena, con le guance roventi a causa dell'imbarazzo, e si diresse a passo rapido verso la torta, come se fingere che non fosse successo nulla potesse aiutarlo a sbarazzarsi del rossore che gli ricopriva il viso.
«Kuroko, potresti tenere aperta la porta della cucina?»
Tetsuya lo osservò e ampliò il sorriso, rispondendo solamente quando Taiga, con i muscoli delle braccia tesi e contratti e le mani a sorreggere la torta, si voltò verso di lui.
«Certo, Kagami-kun.»


«Ragazzi, aspettate...» appena messo piede al locale, Himuro parve vagamente commosso e soprattutto confuso, come se non vedesse quel luogo da anni e tutto fosse diverso da come lo ricordava «insomma, volete davvero restare chiusi per un pomeriggio intero?»
Potevano permetterselo? Himuro non ne aveva la minima idea, ma di una cosa era certo: erano stati davvero molto gentili a preparare quella sorpresa per lui e Murasakibara, a decidere di festeggiare il suo ritorno come se in quei giorni non avessero aspettato altro.
«Sì, oggi restiamo chiusi: non ho voglia di lavorare.» Aomine borbottò, circondando le spalle di Kise con un movimento placido del braccio.
«Tu non hai mai voglia di lavorare, Dai-chan!»
«Tappati la bocca, Satsuki! E poi tu che ci fai qui? Non dovresti essere a vendere mutandine?»
«Aominecchi!» Kise gli rifilò una piccola gomitata.
«Ho chiesto una sostituzione!» Momoi, dal canto suo, gonfiò un poco le guance, rivolgendo un'occhiataccia ad Aomine.
«Ma non ne risentiremo? Insomma–» Himuro riprese a parlare, ma fu immediatamente interrotto da Kagami.
«Tatsuya, se volevi che restassimo aperti, non avresti dovuto dirmi del tuo ritorno.»
«Kagami ha ragione, Muro-chin, e poi c'è la torta.»
Tatsuya sembrò pietrificarsi e restò in silenzio almeno finché Murasakibara non inclinò appena il viso e lo interpellò a voce bassa.
«Muro-chin? Non ti senti bene?»
Himuro sollevò un poco il viso e restò a guardarlo in sacrosanto silenzio, infine increspò le labbra in un piccolo sorriso e dopo qualche istante di esitazione trovò la forza di parlare.
«No, è solo che è così strano sentirti dare ragione a Taiga...»
Murasakibara sembrò stupirsi di quelle parole e sbuffò sonoramente, distogliendo il proprio sguardo dagli occhi di Himuro e ricambiando l'occhiataccia che Kagami gli rivolse all'improvviso.
Himuro, che fu immediatamente smentito dai ringhi sommessi di Murasakibara e Kagami, passò in rassegna i volti più o meno sorridenti di tutti i partecipanti, senza stupirsi minimamente di alcune assenze, poi riprese a parlare con tono decisamente più fermo e allegro.
«Siete stati davvero gentili ad organizzare tutto questo per noi, vi ringrazio.»


Appena si fu seduto e rilassò il busto - ancora intorpidito e dolorante per essere rimasto ritto e quasi immobile per almeno tre ore - contro lo schienale della sedia, Midorima trasse un grande sospiro di sollievo e serrò le palpebre, restando in ascolto dei rumori provenienti dal fondo del corridoio nonostante desiderasse soltanto poter riposare nel più profondo e imperturbabile dei silenzi.
Quelli erano i momenti in cui, sopraffatto dalla stanchezza, pensava con una certa amarezza che in molti film e telefilm si parlava di teletrasporto ma che, nella realtà, quella innovazione tanto utile era inesistente.
Le piante dei piedi, separate dal pavimento soltanto dalle suole sottili, pulsavano dolorosamente, le dita bruciavano e formicolavano, sulle palpebre chiuse gravava una pesantezza tale che la sensazione era molto simile a quella che si poteva percepire poco prima di addormentarsi e, infine, le gambe e le braccia erano talmente intorpidite che anche un movimento naturale come la contrazione dei muscoli gli avrebbe causato una grande sofferenza.
Shintarou aveva mal di testa - come lo aveva avuto la settimana precedente e quella prima ancora -, ma era un dolore più acuto e diffuso del solito, questo perché, essendo assenti due stagisti, aveva dovuto occuparsi del doppio dei casi e quindi aveva trascorso gran parte della giornata ad esaminare resoconti e analisi attraverso lo schermo di un computer e il resto ad ascoltare e appuntare i sintomi dei pazienti, di conseguenza aveva spesso sottoposto i propri occhi a sforzi e non si era potuto permettere neppure un istante di pausa.
Dopo un paio di minuti, Midorima sembrò ritrovare un po' di lucidità e, subito dopo essersi sfregato il viso con un movimento circolare delle mani, riaprì gli occhi e si vide costretto a smentire l'idea di raggiungere il locale di Murasakibara e Himuro subito dopo il lavoro.
La mattina prima, Kise gli aveva inviato un sms e poi gli aveva telefonato per invitarlo alla festa organizzata in onore del ritorno di Himuro e Murasakibara, ma ovviamente Midorima aveva rifiutato senza prendere seriamente in considerazione l'offerta, tuttavia nel pomeriggio aveva cominciato a rimuginare e a riflettere sul da farsi e la sera stessa aveva concordato con se stesso che una volta concluso il lavoro avrebbe atteso che Takao lo venisse a prendere e poi si sarebbe recato al locale con lui – dopotutto, da quanto era riuscito a capire dalla voce euforica e delirante dell'ex asso del Kaijou, avevano intenzione di festeggiare più o meno fino alle venti –.
Shintarou aveva appena deciso di abbandonare quell'intenzione non perché non avesse voglia di vedere i suoi ex compagni delle medie o perché la ritenesse una celebrazione immotivata, ma piuttosto perché era così stanco da non saper dire con certezza se sarebbe riuscito a reggersi in piedi fino a casa.
Midorima inspirò profondamente e il busto sembrò rilassarsi improvvisamente: sì, non vedeva proprio l'ora di tornare a casa, di poter raccontare la propria giornata a Takao e, a sua volta, ascoltare quella di quest'ultimo davanti ad un pasto caldo, per poi infilarsi sotto le coperte con lui e, dopo essere sopravvissuto a qualche imbarazzante e soffocante dimostrazione di affetto, riposare il fisico e la mente in vista del giorno dopo.
La vibrazione improvvisa del cellulare all'interno della tasca dei pantaloni lo prese alla sprovvista, tanto che Shintarou sussultò e subito si tastò le tasche con un paio di movimenti concitati delle mani.
Estratto il cellulare dalla tasca destra dei pantaloni, Midorima si ritrovò a fissarne lo schermo con aria disinteressata, per poi balzare in piedi con un sospiro sommesso e percorrere il corridoio a gran velocità: Takao era arrivato, e lui lo avrebbe raggiunto all'ingresso della struttura.
Midorima premette un paio di volte il tasto dell'ascensore, e non appena le porte scorrevoli si spalancarono mosse un passo che faticò a portare a termine.
«Shin-chan!» Midorima chiuse gli occhi e contrasse le labbra in una smorfia nervosa: avrebbe voluto intimare al suo rumoroso fidanzato di fare silenzio, ma in quel momento capì di non disporre neppure della forza necessaria per aprire la bocca.
Dopo qualche istante di esitazione, Midorima sfiatò sommessamente ed entrò nell'ascensore, affiancandosi a Takao.
«Pensavo fossi ancora all'ingresso.» quindi parlò, cercando di non badare allo sguardo dell'altro, insistentemente puntato su di lui; per sua sfortuna, però, dovevano discendere ancora di cinque piani e pareva che in quel momento nessuno avesse bisogno dell'ascensore.
«Cosa vuoi?» Midorima sbottò a denti stretti, inforcando gli occhiali, e Takao increspò le labbra in un risolino vagamente divertito.
«Ci andiamo o no, al locale?»
Midorima gli rivolse un'occhiata repentina e capì che quel sorrisetto beffardo era dovuto più che altro al fatto che Takao provasse una certa soddisfazione nel farlo sentire in imbarazzo con la sola forza dello sguardo e che, quindi, non aveva niente a che fare con la domanda che gli aveva appena rivolto.
«No.»
Takao sbatté le palpebre un paio di volte e rimase in silenzio per qualche istante.
«Ma insomma, Shi–»
«Sono stanco.» una volta tanto Midorima desiderava che Takao sapesse che aveva deciso di rinunciare a qualcosa di simile perché era esausto, e non perché aveva la tendenza a farsi desiderare e l'abitudine di rifiutare ogni invito ed ogni offerta.
«Questa mattina avevo pensato che saremmo potuti andare, ma oggi mi hanno assegnato il doppio del lavoro.»
Midorima era perfettamente consapevole che quella che percepiva in quel momento era a malapena metà della stanchezza che lo avrebbe afflitto se fosse mai diventato dottore, tuttavia non aveva più dubbi su cosa volesse fare nella vita ed era intenzionato a continuare, a dare il massimo, in particolare ponendo un certo riguardo alla radiologia e a quegli interventi che coinvolgevano anche, ginocchia e spalle: di questo Takao era stato il primo ad essere informato, inoltre, vendendosi praticamente tutti i giorni, sapeva quanto fossero difficili le giornate che l'altro passava in ospedale, per cui rivolse il proprio sguardo a terra e, così facendo, sembrò quasi dichiarare l'intenzione di non insistere più.
L'ascensore sobbalzò appena e le porte scorrevoli si separarono davanti ai loro occhi.
Takao fu il primo ad uscire e, dopo aver compiuto un paio di passi, si voltò verso l'altro, restando in attesa che lo raggiungesse: era vero che non era più sua intenzione insistere e infastidirlo, dopotutto bastava osservarlo per poco più di una decina di secondi per capire che era ormai privo di energie e aveva un serio bisogno di dormire, ma c'era qualcosa che doveva dirgli e che, di certo, non gli avrebbe fatto per niente piacere.
«Shin-chan?»
«Cosa?»
Takao forzò un sorriso nervoso: a pensarci bene non trovava neppure più così divertente infastidire Midorima, in quel momento avrebbe voluto solamente che l'altro potesse infilarsi sotto le coperte e riposare.
«Ecco, vedi... ti ricordi ieri sera? Il riso è finito.»
«Come sarebbe a dire? Guarda che dovrebbero esserci ancora due porzioni.»
«No...» Kazunari si schiarì la voce, per poi ricambiare lo sguardo nervoso dell'altro «ieri sera mi sono messo a cucinare ancora prima che tu arrivassi, ma c'era una cosa alla televisione e mi sono distratto... e–»
«Hai bruciato il riso?»
Takao lo guardò, per poi sfoderare un sorriso decisamente forzato.
«Si può sapere cosa c'era di tanto importante in televisione?»
«Le rane, Shin-chan!»
«Le rane?» Midorima fece eco, inarcando un sopracciglio e serrando le labbra in un brontolio sommesso «hai fatto bruciare il riso per delle stupide rane?»
«Ma mi ricordano te, Shin-chan!»
Midorima sussultò imbarazzato - non che ci fosse qualcosa di romantico nell'essere paragonato ad una rana -, per poi sbuffare sonoramente e rivolgersi all'altro con voce alterata.
«Sei veramente un idiota. Per fortuna abbiamo il tonno in scatola.»
«L'ho mangiato.»
«Ta-Takao!»
«Shin-chan, quello che sto cercando di dirti è che non c'è niente da mangiare in casa, dobbiamo andare a fare la spesa!»
Quindi gli toccava ritardare il suo ritorno a casa perché, fondamentalmente, si era messo insieme ad un cretino che vedendo delle stupide rane alla televisione aveva pensato a lui e aveva lasciato carbonizzare il riso e che, probabilmente nel pieno della notte, si era alzato e aveva fatto razzia di tonno in scatola. In quel momento, più che in ogni altro in occasione del quale Takao lo aveva fatto infuriare, - e non erano pochi -, Midorima fu seriamente tentato dall'idea di strozzarlo.


«Cos'ha di tanto speciale il tuo cellulare?»
Akashi si irrigidì non appena sentì la voce di Nijimura così vicina al suo orecchio e il letto cigolare appena sotto il suo peso.
«È da ieri che non fai altro che fissarlo.»
Seijuurou non mosse un muscolo, ma gli occhi guizzarono verso la sua destra con un rapido movimento, incatenandosi a quelli dell'altro.
«Ti senti ignorato, Shuuzou?» Akashi controbatté con voce imperturbabile; Nijimura, dal canto suo, sfiatò appena e increspò le labbra in un sorriso sghembo, per poi scivolargli accanto e sistemarsi a cavalcioni su di lui.
«Dico solo che ti comporti in modo strano da ieri mattina, se non sbaglio da quando hai ricevuto un sms.» Nijimura chinò appena il viso e gli stuzzicò l'orecchio destro con un bacio, al quale Akashi, imprigionato fra il materasso e il corpo dell'altro, cercò di sottrarsi invano.
«Che cosa vorresti insinuare, Shuuzou?» la situazione non gli piaceva per niente: continuando a reggere quella conversazione rischiava che Nijimura scoprisse che quello ricevuto il giorno prima era un sms nel quale Kuroko invitava entrambi al locale per festeggiare il ritorno di Himuro e Murasakibara e che lui, per un motivo che inizialmente aveva faticato a comprendere, aveva deciso immediatamente e istintivamente di tenergli nascosto.
«Non è che mi stai nascondendo qualcosa, Akashi?» Shuuzou sussurrò contro il suo orecchio e Seijuurou riuscì, dimenandosi un poco, a sistemarsi sulla schiena e quindi a ritrovarsi faccia a faccia con l'altro.
Nijimura lo guardò senza fiatare e intrecciò le dita di una mano ai suoi capelli, compiaciuto di trovarli molto più folti e morbidi rispetto a poche settimane prima.
«Ad esempio...» riprese poi, a voce bassa «non è che al locale stanno dando una festa per il ritorno di quei due e tu non me lo hai detto perché sei geloso?»
Akashi avrebbe spalancato gli occhi e sarebbe rimasto a fissarlo con le labbra schiuse e le membra rigide, ma la sua razionalità era molto più forte di qualsiasi istinto e mai avrebbe permesso di lasciare intravedere a Nijimura anche la più piccola traccia di meraviglia.
Per la prima volta nella sua vita, Akashi si ritrovò vittima di uno scacco matto impietoso e fu costretto a sforzarsi per trovare una risposta che lo tirasse fuori dai guai.
«Sei fantasioso, Shuuzou.» avrebbe voluto aggiungere qualcos'altro, ma a pensarci bene era impossibile che quello di Nijimura fosse un esempio: sapeva di quella festa esattamente quanto lui, e l'unico motivo per cui aveva atteso fino a sera per parlarne era perché, molto probabilmente, aveva voluto metterlo alla prova.
«Perché non me lo hai detto?» Shuuzou si fece leggermente più serio e schiuse le labbra in un sospiro sommesso; Akashi, dal canto suo, restò in silenzio per qualche istante e decise di parlare solamente quando vide gli occhi del più grande puntati lontano dai suoi, forse nella speranza di attirare nuovamente la sua attenzione.
«Come lo hai saputo?»
«Kise.»
Akashi dischiuse le labbra in un sibilo, per poi accennare un sorriso quasi impercettibile e sfiatare appena.
«Ryouta... avrei dovuto immaginarlo.»
Nijimura accennò un sorriso e tornò a guardarlo, arricciandogli un ciuffo di capelli con un movimento circolare dell'indice.
«Akashi, hai davvero così tanti motivi per essere geloso?»
Seijuurou restò a guardarlo in silenzio, focalizzando la propria attenzione sulla linea sottile e rosata delle labbra dischiuse: non gli avrebbe negato la sua gelosia, ma non gli avrebbe neppure concesso una risposta a quella domanda tanto scomoda.
«Tutto quello che ho fatto a Los Angeles era in tua funzione, per tornare qui a Tokyo. Pensi davvero che sostituirei tutto il tempo che ho trascorso insieme a te per una persona che ho incontrato per puro caso e di cui conosco appena il nome? Insomma, credi davvero che dopo tutto quello che abbiamo passato sarei in grado di tradirti? O di innamorarmi di qualcun altro?»
Akashi tese la mano e gli sfiorò la guancia con la punta delle dita.
«Non ho mai pensato a niente di simile, Shuuzou.» dopotutto la sua era soltanto la sana gelosia di un amante, un sentimento negativo che poteva sussistere anche senza essere affiancato dal sospetto del tradimento.
Nijimura socchiuse gli occhi e focalizzò la propria attenzione sul tocco tiepido e delicato di Akashi, trattenendosi dal prendergli la mano per baciargli le dita, interrompendo di fatto una conversazione necessaria.
«Lo sai come la penso, non mi piace che alcuni elementi mostrino la pretesa di unirsi a noi, ma, se ci tieni, forse siamo ancora in tempo per andare al locale.»
«No, magari passerò a salutarli domani.» Shuuzou sospirò pesantemente e scostò il viso, sfuggendo alla carezza dell'altro «e tu, Akashi, dovresti imparare ad accettare la loro presenza.»
Era come se si trovassero ancora al Teikou e Akashi avesse avuto il compito di scegliere nuovi elementi da integrare nella squadra, si sentiva come il capitano inesperto che era stato non appena Nijimura aveva deciso di affidare a lui l'importante incarico di guidare i Miracoli alla vittoria.
In quei primi mesi, a pensarci bene, avrebbe voluto chiedere a Nijimura qualche consiglio, ma conosceva le condizioni in cui versava il padre di quest'ultimo e aveva lasciato che fra loro calasse il velo del silenzio, quindi aveva agito da solo e aveva acquisito più consapevolezza e autorevolezza di quanta già non possedesse, aprendo, di fatto, un sottile squarcio che, più tardi, avrebbe permesso al suo lato peggiore di venire a galla.
«Nijimura-san che cosa farebbe?» parlò a fior di labbra, e non fu un caso il fatto che si rivolse a lui con lo stesso appellativo che usava alle medie.
Nijimura restò in silenzio e si chinò su di lui, sfiorandogli l'angolo della bocca con un bacio.
«Finché loro ti rispettano, tu rispetta loro.»
Akashi intrecciò le mani sulla sua nuca, impedendogli di scostarsi da lui; Nijimura esitò solamente per qualche istante, per poi stampargli un bacio sulla tempia e scivolare lentamente fino al collo.
Akashi rabbrividì di piacere ed emise un sospiro affannoso non appena sentì le dita dell'altro scivolare oltre la maglietta, lungo i suoi fianchi.
Appena le dita di Seijuurou, indebolite dal piacere, allentarono la stretta sulla nuca dell'altro, Shuuzou gli sollevò la maglietta e gli stuzzicò la curva sporgente delle costole con un altro bacio, per poi afferrargli le gambe e trascinarlo a sé con delicatezza.
«È molto meglio di prima, vero?» Akashi parlò piano, con le labbra contratte in un sorriso: sicuramente per Nijimura era molto più attraente ora che aveva ripreso qualche chilo, i capelli non erano più così radi e la pelle aveva riacquistato un po' di colore; spesso, nelle settimane passate, si era ritrovato a chiedersi se l'altro provasse lo stesso piacere che avvertiva lui quando facevano l'amore, e questo perché, in cuor suo, gli era capitato di vedersi allo specchio e di sentirsi terribilmente brutto a causa del viso pallido e scavato, dei fianchi troppo magri e delle braccia così simili a nodosi rami di albero.
I miglioramenti che si notavano nel corpo di Akashi erano dovuti, più che altro, all'interruzione della chemioterapia e non rappresentavano ancora un vero e proprio segnale di guarigione, ma senza dubbio rendevano il tutto più rassicurante, tuttavia, al contrario di quello che pensava l'altro, Nijimura aveva detto la verità quando gli aveva confessato quanto lo trovasse bello la prima volta che avevano fatto l'amore.
Che la malattia riducesse Akashi ad uno scheletro o ad una manciata di polvere, per Nijimura sarebbe rimasto sempre meraviglioso. Lo avrebbe sempre amato, sia nel bene che nel male. Soprattutto nel male.


«Himurocchi è stato proprio gentile a regalarci questi portachiavi!» Kise increspò le labbra in un sorriso, facendo ondeggiare la minuscola palla a spicchi di colore giallo davanti ai propri occhi.
«Già.» Kuroko annuì appena, rigirandosi il portachiavi azzurro fra le dita.
Himuro aveva detto loro che lui e Murasakibara si erano imbattuti in un piccolo negozio di Los Angeles specializzato nella vendita di portachiavi, quindi aveva deciso di acquistare un minuscolo pallone da basket per ognuno di loro.
«Ho deciso che lo attaccherò al borsone!» Kise esordì con risolutezza, per poi rivolgere una rapida occhiata alla sua destra e ampliare il sorriso «e tu, Aominecchi?»
«Ah? Io non so cosa farmene.»
«Sempre il solito.» Kagami sfiatò sommessamente e Aomine lo incenerì con lo sguardo.
«Aomine-kun, Himuro-san è stato davvero gentile a pensare a noi in un momento simile, soprattutto a te che non ti sei minimamente interessato al suo caso.»
Alle parole di Kuroko, Aomine storse il naso e assottigliò appena lo sguardo, per poi sbuffare sonoramente.
«E va bene, lo attaccherò da qualche parte!»
«Perché dai sempre ascolto a Kurokocchi e mai a me?» Kise gonfiò le guance e increspò le labbra in una smorfia colma di disappunto.
«Taci, Kise.» Aomine, dal canto suo, borbottò e si strinse nelle spalle, per poi dargli una piccola spinta, che Kise accolse con un mugolio lagnoso.
Appena giunti all'incrocio, Kuroko fu il primo a fermarsi, seguito a ruota da Kagami.
«Kurokocchi, domani passo a prenderti alle dieci, va bene?» Aomine guardò Kise di sottecchi, mentre Kagami rivolse un'occhiata repentina a Kuroko, che annuì appena.
«Beh, si sta facendo tardi.» Taiga borbottò, domandandosi mentalmente quale fosse la ragione per cui Ryouta sarebbe passato a prendere il suo fidanzato a quell'ora del mattino, quindi sfiatò appena e mosse un paio di passi in direzione delle strisce pedonali.
«Allora ci vediamo domani, Kise-kun.» Kuroko increspò le labbra in un piccolo sorriso e salutò Aomine con un cenno della mano.
«A domani.» Kagami aspettò che Kuroko gli si affiancasse, quindi guardò oltre la propria spalla e si rivolse ad Aomine con un borbottio nervoso.
«A domani, Bakagami.»
Quando Kagami e Kuroko giunsero dall'altra parte della strada, Aomine riprese a camminare.
«Da quando tu e Tetsu vi date gli appuntamenti?» brontolò poi a fior di labbra, guardandosi bene dal rivolgere il proprio sguardo all'altro, che gli camminava accanto.
«Uh?» Kise sbatté le palpebre un paio di volte, per poi accennare una risata sommessa «sei geloso, Aominecchi?»
«No.» la velocità con cui Aomine rispose alla domanda confermò i sospetti di Kise, che ampliò il sorriso e per un istante sembrò quasi saltellare.
«Dopo tanto tempo siamo semplicemente diventati buoni amici!»
«Tu e Tetsu siete sempre stati buoni amici.»
«Sì, ma...» Kise forzò un sorriso nervoso «prima mi trattava così male!»
Al tono lagnoso di Kise, Aomine sbuffò sommessamente, ma tornò a rivolgergli la propria attenzione non appena l'altro lo chiamò a voce bassa.
«Ho cambiato idea sul portachiavi! Potremmo attaccarli entrambi alla testata del letto, che ne dici?!»
«Eh? Ma... ma come ti vengono in mente queste cose?!» Aomine arricciò il naso e cercò di non badare al diffuso pizzicore che cominciò a stuzzicargli le guance «bah! Fa' come ti pare!»
Kise sorrise a trentadue denti e gli saltellò accanto, stringendosi improvvisamente al suo braccio e contribuendo, quindi, ad accrescere il suo imbarazzo.
«Allora è deciso: li appenderemo alla testata del letto!»


«Kise-kun?» Tetsuya lo chiamò a voce bassa, ma Kise non ebbe alcuna difficoltà ad avvertire la sua voce e gli rivolse la propria attenzione senza dire nulla.
Guardandolo negli occhi si rese conto che quel giorno, al di là dell'intreccio fine delle ciglia, ardeva lo stesso colore brillante e limpido del cielo, e le labbra sottili erano appena dischiuse, increspate in un sorriso che, pur essendo quasi impercettibile, pareva traboccare di gioia.
In quel momento Ryouta pensò seriamente che se il suo cuore non fosse già appartenuto ad un'altra persona si sarebbe definitivamente deciso a consacrarlo a Tetsuya, perché mai gli aveva rivolto un sorriso così sincero, mai i suoi occhi erano stati così espressivi.
Aveva sempre creduto che Tetsuya fosse impossibile da leggere, eppure, anche se solo per un istante, comprese dal suo sguardo che doveva volergli un gran bene.
«Kise-kun, sono davvero felice che si sia sistemato tutto, fra noi.»
Le palpebre di Ryouta fremettero appena e si sollevarono un poco, in un moto di sorpresa e di dolcezza che lo lasciò completamente senza parole.
«Sai, credevo che ti saresti comportato in modo diverso con me, credevo che non mi avresti più considerato un tuo amico e che mi avresti allontanato.»
Ryouta corrugò appena la fronte e premette il labbro superiore contro quello inferiore.
«Kurokocchi, non ne sarei stato capace.» poi gli rivolse un sorriso affabile «ti avrei fatto sentire in colpa, e allo stesso tempo, se mi fossi privato di una presenza tanto importante come la tua, mi sarei sentito completamente perso.»
Tetsuya ampliò appena il sorriso, per poi rivolgere il proprio sguardo all'asfalto scuro.
«Parli di presenza con la persona sbagliata, Kise-kun.»
Ryouta rise e, in balia dell'euforia, gli scompigliò i capelli con un gesto affettuoso della mano, che Tetsuya si affrettò a respingere.
«Kurokocchi?» per un attimo aveva creduto di potersi permettere più confidenza di quanta meritasse, si era illuso, perciò la voce gli tremò di dispiacere non appena l'altro gli fece capire che la sua mano fra i capelli non era gradita.
«Cosa c'è?»
«Sono felice!» ma la voce di Ryouta fece presto a ritrovare il vigore perduto e, di conseguenza, Tetsuya riacquistò il buon umore e tornò a sorridergli.
«Kurokocchi, vuoi fermarti a mangiare da qualche parte?»
«Umh... in verità non ho molti soldi con me.»
«Posso prestarteli io!»
«Ma no, Kis–»
«Insisto!» Ryouta si batté le mani sulle tasche della giacca, per poi irrigidirsi non appena si rese conto che erano vuote «oh...»
«C'è qualche problema?»
«Ecco...» Ryouta strinse i denti e sfoderò un sorriso nervoso «ho dimenticato il portafoglio!»
«Kise-kun, sei il solito sbadato.» Tetsuya si fermò a pochi metri dalle strisce pedonali, sistemandosi di front all'ex asso del Kaijou «ti va se alle quindici ci vediamo al campetto?»
Il sorriso nervoso di Ryouta si rilassò all'improvviso e il capo dondolò appena, in segno di assenso.
«Allora a dopo, Kurokocchi! E scusami ancora! Domani ti pago il pranzo!»
«A dopo.»


Ryouta si allontanò in fretta, come se arrivando a casa prima avesse potuto rendere più rapido il flusso del tempo e far scoccare immediatamente le quindici.
Si era lasciato Tetsuya alle spalle da quasi una ventina di metri, ormai, quando un rumore stridulo e improvviso attirò la sua attenzione e lo spinse a voltarsi indietro.
Nello stesso punto in cui aveva lasciato Tetsuya, ora si era raggruppato un crocchio esagitato di pedoni, e nonostante il semaforo fosse verde, sembrava che nessuno avesse intenzione di attraversare la strada.
Nello stesso istante in cui Ryouta richiamò alla mente quel suono stridulo e riuscì a identificarlo come lo strepitare dei pneumatici contro l'asfalto a causa di una brusca frenata, vide un motociclista levarsi il casco e scendere dalla moto in tutta fretta, e un automobilista sgusciare fuori dal proprio abitacolo.
Capì, e all'improvviso si sentì gelare il sangue.
Incapace di respirare, ebbe appena la forza di domandarsi come avrebbe trovato il coraggio per tornare indietro, ormai pietrificato e con gli occhi sbarrati rivolti al disordinato crocchio di quelli che gli parvero improvvisamente più simili a corvi che a persone.


Taiga estrasse il cellulare per dare un'occhiata all'ora, ma si ritrovò a premere con insistenza i tasti e a fissare con una smorfia colma di disappunto lo schermo completamente nero.
«Il mio cellulare è morto.» annunciò con un sospiro nervoso, per poi rivolgere la propria attenzione a Daiki, impegnato a sbocconcellare le ultime patatine rimaste «che ore sono?»
L'ex asso del Touou gli rivolse un'occhiataccia nervosa ed estrasse il cellulare con un gesto concitato della mano, ma non appena si apprestò a comunicargli l'ora, sopraggiunse una chiamata a cui decise di rispondere immediatamente.
«A-Aominecchi‑!»
«Kise?» improvvisamente si sentì come se gli avessero tirato un pugno alla bocca dello stomaco «Kise, perché stai piangendo?»
Taiga, dal canto suo, sembrò mettersi sull'attenti e restò a fissare l'espressione trafelata di Daiki.
«A-Aominecchi, Kurokocchi è...»
Malgrado i singhiozzi di Ryouta, Daiki comprese le sue parole e, nonostante avesse una certa difficoltà a capacitarsene, sollevò il proprio sguardo e lo rivolse all'ex asso del Seirin.
Appena i loro sguardi si incatenarono, Taiga sgranò gli occhi e schiuse le labbra in un sommesso e roco spasmo di dolore.

A volte basta una nuvola carica di pioggia, per spegnere un raggio di sole.




Licenza Creative Commons
Quest'opera è distribuita con Licenza Creative Commons Attribuzione - Non commerciale - Non opere derivate 2.5 Italia.




L'angolino invisibile dell'autrice:

Ce l'ho fatta! *3*
Mi scuso sinceramente, è che, – oltre ad aver iniziato a studiare per la sessione estiva, ahimè –, all'inizio avevo un'idea completamente diversa riguardo a questo capitolo!
Dovevo scrivere qualcosa che separasse completamente ciò che è successo nell'ultima parte, quindi, in parole povere, avrei dovuto dedicare un capitolo intero alla festa organizzata da Kise, Momoi, Riko (sì, c'era anche lei, però non l'ho fatta parlare/?/), Kagami, Kuroko e Aomine e poi un altro sull'ultima parte, ma come risultato avrei ottenuto due capitoli cortissimi e scadenti, quindi ho deciso di crearne uno unico, più lungo e succoso (?)
Non che come capitolo sia venuto bene... ero convinta di quello che scrivevo, ma dopo averlo riletto mi dichiaro quasi del tutto insoddisfatta, ecco.
Inoltre mi sono resa conto solo da poco che... beh, purtroppo siamo quasi giunti al capolinea, nh--
Comunque non disperiamo! (io sono la prima a farlo, emh)
Allora, visto che sono gli ultimi capitoli cercherò di scrivere un commento decente (?), ovvero: Himuro e Murasakibara sono tornati a Tokyo (cronologicamente fra questo capitolo e quello precedente ci sono un paio di giorni di differenza) e, come sappiamo più tardi, Himuro ha regalato queste palline da basket colorate come portachiavi (e non è un regalo che ha fatto solo ai presenti, tanto per dire ne ha comprata una anche per Akashi).
Passando alla parte MidoTaka, come al solito ho finito per delirare e sono arrivata alla conclusione che Takao ha un debole per le rane perché gli ricordano Midorima e, niente, mi sono divertita a scrivere di questi due scemi, dopotutto visto che siamo quasi alla fine mi sembrava ingiusto non dedicare loro più nulla. Stessa cosa vale per la NijiAka, anche se in questo caso ho avuto qualche dubbio per ciò che riguarda la caratterizzazione dei personaggi (francamente non so dire se Akashi possa essere una persona gelosa o meno. Psicopatico sì, ma geloso non lo so-).
Per quanto riguarda i colori del semaforo giapponese: io ho messo verde, ma in Giappone lo chiamano blu--- tuttavia basta guardare qualche foto per capire che è comunque di colore verde (un verde bluastro), quindi anche se loro lo chiamano blu, in verità è di colore verde. Ma poi chi se ne frega adesso dei colori. (?)
L'ultima parte si riduce per certi versi a Kuroko e Kise, un po' come all'inizio, ma oltre a loro ci sono anche Aomine e Kagami (tanto per essere chiari, per loro è il momento della pausa pranzo), e poi... beh, penso che si sia capito cosa è successo. E se non si è capito è ancora meglio, perché da brava autrice sadica che sono, mi piace insinuare il dubbio e la paura nei miei lettori (?)
Non so quanto mi ci vorrà per il prossimo capitolo perché in questo periodo sono molto occupa, però cercherò come sempre di non farvi attendere più di due settimane e... è probabile che sarà abbastanza corto e molto frammentario, questo per esigenza di copione (?)
Alla prossima!

Ritorna all'indice


Capitolo 43
*** Capitolo XLII ***


Capitolo XLII





La vita è l'uragano che strappa i fiori appena sbocciati, è la tempesta che affonda una barca appena sortita dal porto.

«Bisogna operarlo immediatamente! Ha un'emorragia interna!»
«Sta perdendo molto sangue!»
«Portate in sala operatoria l'occorrente per la trasfusione e chiamate il Dottor Kanagawa!»
«Il dottore è impegnato in un intervento cardiaco...»
«La Dottoressa Yoshida, allora!»
«Anche lei è in sala operatoria!»
«Sentite, basta che qualcuno mi assista! Mandate in sala operatoria chiunque sia libero, anche se si trova in pausa!»
«Dottor Hiroshi, io posso aiutarla!»
«Professor Masayama, non credo che–»
«Sono abilitato! E poi, suvvia, insegno medicina da venticinque anni!»
«Mhn, d'accordo. Il professor Masayama verrà con me, ma la richiesta di prima resta valida!»
«Certo! La sala operatoria sarà disponibile fra meno di due minuti!»
«Sbrigatevi, non c'è tempo da perdere!»
«Dottor Hiroshi, lasci che porti un mio stagista in sala operatoria.»
«Non se ne parla, non posso permettere un rischio simile in una situazione di emergenza.»
«Le assicuro che è davvero molto bravo e ha fatto passi da gigante in queste ultime settimane, nonostante sia solo al primo an–»
«Al primo anno?! Ma lei vuole scherzare!»
«Dottor Hiroshi, in questo momento tutti i primari e i medici sono coinvolti in altri interventi, di certo avremo bisogno di aiuto in sala operatoria! Si fidi di me, ho avuto talmente tanti allievi che ormai mi basta un solo giorno di osservazione per capire chi di loro avrà una carriera nel mondo della medicina... e si dà il caso che questo ragazzo, un giorno, sarà dottore!»



Midorima dischiuse le labbra e trasse un grande sospiro, allacciò le dita con un movimento nervoso delle mani e cercò di resistere ai brividi di freddo che gli attraversavano ripetutamente e senza sosta la spina dorsale: era assurdo che il suo professore, per carenza di medici e primari in un momento di urgenza, fosse riuscito a convincere il capo reparto ad includerlo nell'equipe destinata a quello che i tre medici presenti in sala operatoria con lui dicevano essere un caso disperato.
In quelle ultime settimane non aveva fatto altro che misurare la pressione ad anziani, appuntare i sintomi più disparati, osservare lastre, tac e risonanze magnetiche alla ricerca di qualche anomalia e controllare la gola a bambini scalmanato, di interventi ne aveva seguiti alcuni, le autopsie erano diventate una quotidianità, ma mai si era ritrovato di fronte alla possibilità di prendere in mano un bisturi e affondarlo nella carne di una persona viva, mai aveva vissuto l'esperienza di ritrovarsi con le mani immerse fra organi pulsanti e pregni di sangue caldo.
Aveva la sensazione di essere precipitato in un paradossale episodio di qualche telefilm medico, o che si trattasse di un incubo, perciò si era ritrovato a desiderare ardentemente, almeno per un istante, che qualcuno lo svegliasse.
Non appena udì lo stridio delle ruote della barella contro il pavimento freddo, deglutì appena e fu scosso da un brivido più lungo dei precedenti, che quasi non gli fece contorcere lo stomaco, e quando il Dottor Hiroshi e il Professor Masayama si precipitarono in sala e la figura del paziente si insinuò nel suo campo visivo, Midorima si sentì gelare il sangue e mancare il respiro: era un incubo, ma era reale.


Akashi sfiatò sommessamente, rivolgendo un'occhiata spazientita a Himuro - impegnato a servire una cliente - e poi a Nijimura che, fermo accanto a lui, stava attendendo che la ragazza se ne andasse per porgere i propri saluti e dare il bentornato all'altro.
Shuuzou aveva insistito perché Seijuurou venisse con lui, e non che l'ex capitano del Rakuzan avesse opposto tanta resistenza, visto che riteneva opportuno tenere sotto controllo le mosse di Himuro; ciò che lo rendeva estremamente nervoso, piuttosto, era l'idea che avrebbe dovuto ringraziarlo per il portachiavi - Ryouta gli aveva comunicato via sms che ne aveva comprato uno anche per lui e che glielo avrebbe dato non appena si sarebbe presentata l'occasione -.
Quando Himuro salutò la ragazza e Nijimura si mosse verso la cassa, Akashi rivolse la propria attenzione alle porte chiuse della cucina e si chiese come se la stessero cavando Murasakibara e Kagami, quindi, ripensando a quest'ultimo, notò che Aomine non era in cassa e, vittima di un cattivo presagio, sussultò non appena il suo cellulare emise una vigorosa vibrazione contro la coscia.
«Shuuzou...» la voce era bassa, ma ben distinta, tanto che Nijimura si voltò immediatamente e anche Himuro gli rivolse la propria attenzione.
«Akashi, c'è qualche problema?»
Akashi rafforzò la stretta sul cellulare e incatenò i suoi occhi a quelli dell'altro.
«Dobbiamo andare in ospedale.»
«Ti... ti senti male?»
«No, si tratta di Tetsuya.»


Quando Kise sentì un pesante scalpiccio di passi in fondo al corridoio, si sfregò gli occhi con un rapido movimento delle mani e, tirando sonoramente su col naso, si raddrizzò in piedi.
«Dov'è?! Come sta?!» Aomine aveva la voce affannosa e vagamente tremante, ma lo interpellò immediatamente, al contrario di Kagami che, a pochi passi dall'ex asso del Touou, si protese leggermente in avanti, con le mani salde sui fianchi e le labbra dischiuse, gli occhi in continuo movimento dal viso di Kise al pavimento, come se avesse avuto il terrore di ascoltare la sua risposta - non che avesse tutti i torti, ad avere paura -.
«È–» Kise deglutì appena: in una situazione simile trovava davvero difficile parlare, sentiva che presto sarebbero sopraggiunte le lacrime, tuttavia cercò di non badare al pianto imminente e riprese con voce tremante «è in sala operatoria, dicono che... dicono che è grave...»
Kagami non sapeva esattamente cosa fosse successo, ma era a conoscenza del fatto che al momento dell'incidente Kuroko si trovava con Kise, quindi, almeno per un istante, fu tentato di appenderlo al muro e riversargli addosso tutta la sua rabbia, ma la disperazione, una volta tanto, prese il sopravvento sull'impulsività, per cui decise di trascinarsi lontano dagli altri due, alla ricerca di un luogo non troppo lontano nel quale potesse passare un po' di tempo da solo.
Gli occhi di Kise si riempirono nuovamente di lacrime e il suo viso arrossato ne venne solcato silenziosamente e in fretta, tanto che Aomine, completamente atterrito da quella visione, riuscì a muoversi solamente quando il fidanzato riprese a parlare tra un singhiozzo e l'altro.
«È colpa mia, A-Aominecchi!» Ryouta scoppiò in un singulto e spalancò la bocca in un rantolio spezzato, e ne seguì un altro ancora più forte quando le braccia di Aomine gli avvolsero le spalle.
«D-dovevamo pranzare insieme!»
«Kise...» Aomine lo strinse a sé e gli passò la mano fra i capelli, sentì il suo torace scosso dagli spasmi, le sue braccia, che a loro volta lo avvolsero, tremare convulsamente.
«E io ho dimenticato il portafoglio!» quello che fino a pochi istanti prima era quasi certamente un pianto disperato parve divenire un urlo rabbioso «è– è solo colpa mia! S-sono... uno stupido!»
«Kise...» Daiki lo chiamò una seconda volta, la voce più bassa, le palpebre abbassate e tremanti «non è colpa tua.»
Le lacrime erano giunte senza sforzo e, copiose e calde, avevano cominciato ad attraversare anche il viso di Aomine, che rinsaldò la propria stretta attorno al corpo tremante dell'altro.
«V-vedrai che andrà bene, Kise, vedrai che Tetsu...» ma il pianto gli ghermì la gola e Daiki, incapace di dire ancora una sola parola, singhiozzò e affondò il viso contro la spalla di Ryouta.


Quando Momoi vide Kise e Aomine abbracciati, con i visi arrossati e gli occhi leggermente gonfi, si fermò di fronte a loro e barcollò appena, per poi scoppiare in un pianto fragoroso che non si placò neppure quando la accolsero affettuosamente fra le loro braccia, anzi aumentò, perché alle lacrime di lei si unirono anche le loro.
Aida, che era giunta all'ospedale con Momoi, decise di raggiungere la sala d'attesa che si trovava di lì ad una quindicina di metri, e dove Kagami si era ritirato.
Kagami e Kuroko erano stati i suoi ragazzi, e di certo nutriva molto più affetto per loro due più di quanto ne nutrisse per tutti i membri della Generazione dei Miracoli messi insieme, quindi non aveva intenzione di lasciare l'ex asso del Seirin da solo, non se lo sarebbe mai perdonato.
Taiga aveva la schiena aderente alla finestra, le braccia conserte e lo sguardo rivolto verso il pavimento, e non appena Riko gli si avvicinò notò che aveva gli occhi arrossati e leggermente gonfi, probabilmente reduci da un pianto estremamente privato e discreto.
Nessuno dei due parlò, ma si guardarono, e non appena la mano di Riko gli accarezzò affettuosamente l'avambraccio gli occhi di entrambi si velarono di lacrime.


«A-Akashi!» Nijimura si fermò a metà del corridoio e prese una grande boccata d'aria; Akashi, dal canto suo, arrestò la propria corsa e si voltò, ma non smise di camminare.
«Shuuzou, avanti! Non c'è tempo da perdere!»
«Ti...» Nijimura deglutì appena e si portò una mano al petto: Akashi andava troppo veloce, per i suoi gusti «ti raggiungo fra poco.»
La voce lagnosa di Murasakibara risuonò in fondo al corridoio, e Akashi capì che i due proprietari del locale, pur essendo partiti alla volta dell'ospedale almeno cinque minuti dopo di loro, li avevano raggiunti.
«Muro-chin, sei troppo veloce!»
«Sei tu che sei troppo lento, Atsushi!»
Senza che Akashi se ne rendesse conto, Himuro lo sorpassò e, compiuti ancora cinque o sei passi, varcò la soglia dell'ascensore, ritrovandosi ad osservare inerme le porte scorrevoli che si serravano.
Seijuurou gli rivolse un'occhiata repentina; Himuro, dal canto suo, continuò a fissare la stretta fessura che separava le due porte scorrevoli, con le braccia stese rigidamente lungo i fianchi e le labbra serrate in una piccola smorfia.
«Suppongo...» Akashi sibilò: dopotutto quella era l'occasione adatta per mantenere intatta la propria dignità e il momento ideale per rinnegare il proprio orgoglio senza che altri all'infuori di loro due lo sapessero «suppongo che io ti debba ringraziare per il portachiavi.»
Tatsuya gli rivolse la propria attenzione per qualche istante, fissandolo con espressione incredula, per poi negare con un discreto cenno del capo.
«L'ho fatto con piacere, non mi devi alcun ringraziamento particolare.»


Kise e Momoi erano seduti l'uno accanto all'altra, lei se ne stava con le gambe tese in avanti e i muscoli dei polpacci contratti in uno sforzo doloroso, teneva le dita strette attorno alla mano dell'amico, che ormai, completamente sfigurato dal pianto, non aveva neppure più la forza di ricambiare quel gesto e avvolgere a sua volta la presa gentile della ragazza per rassicurarla.
Aomine era in piedi, la schiena aderente al muro, il capo chino e la mano sinistra ancora stretta ai capelli di Kise, come a volergli trasmettere la propria presenza in modo costante e il rifiuto categorico di lasciarlo andare.
Akashi si avvicinò a loro, ma non parlò né li guardò, piuttosto rivolse la propria attenzione al corridoio sterile e alle porte chiuse dell'ascensore, che si trovava in fondo a quella lunga striscia di piastrelle bianche e lucide.
Himuro emise un sospiro sommesso e trovò un sostegno nella parete opposta a quella contro cui erano addossate le sedie su cui si trovavano Kise e Momoi, ma rimase lì solamente per un istante, perché poi, con un secondo sospiro e un movimento irrequieto, se ne staccò e tornò indietro, in cerca di Kagami.
Murasakibara e Nijimura, appena arrivati, se ne rimasero al centro del corridoio e, con le labbra cucite dalla paura, passarono in rassegna i volti spenti e arrossati degli altri.
L'ascensore brontolò e Akashi si sentì scuotere da un fremito, quindi, non appena vide le porte scorrevoli aprirsi, mosse qualche passo titubante e si immobilizzò solamente quando capì che uno dei suoi ne valeva dieci di Midorima, diretto verso di loro in tutta fretta e con il volto trafelato e pallido.
Momoi e Kise si alzarono in piedi immediatamente, tutti si misero sull'attenti, ma solo Akashi trovò il coraggio di parlare.
«Come sta?»
Midorima restò in silenzio per qualche istante, per poi emettere un sospiro tremante.
«Non è ancora fuori pericolo, anzi la situazione è piuttosto complicata, ma...» parlò a voce bassa e finì per abbassare lo sguardo, deglutendo a fatica «stiamo facendo il possibile.»
«Voi non dovete fare il possibile.» Akashi gli si piazzò davanti e Midorima non poté fare a meno di retrocedere di un passo: c'era la furia nei suoi occhi, un tumulto di rabbia che imperversava con così tanta forza da ridurre le sue pupille a due minuscole punte di spillo perse nelle onde impetuose di un profondo mare di sangue.
«Voi dovete salvarlo, Shintarou.»
Midorima non aveva mai visto uno sguardo così spaventoso, non aveva mai ricevuto un ordine così imprescindibile.
Non riuscì a dire più nulla e si dimenticò perfino che voleva parlare con Kagami, quindi si limitò ad annuire e tornò indietro senza dire altro, trascinandosi penosamente verso l'ascensore.


Erano trascorsi appena cinque minuti dalla comparsa di Midorima quando Takao – che non ricevendo alcuna risposta dal fidanzato, con cui si sarebbe dovuto incontrare per la pausa pranzo, aveva deciso di addentrarsi all'interno dell'ospedale - li raggiunse.
«Ma che cosa...?» sussurrò appena, con il respiro smorzato dalla fatica e sforzandosi di tenere il proprio sguardo fisso sui presenti «cosa ci fate tutti qui? È successo...»
E colta la disperazione sui loro volti si ritrovò a sussurrare a fior di labbra.
«È successo qualcosa?»


«Ora del decesso: tredici e quarantadue.»
Appena il Dottor Hiroshi si voltò per assicurarsi che l'assistente stesse prendendo nota di quanto aveva appena pronunciato, Midorima si impose fra lui e il corpo di Kuroko.
«No!» urlò e adagiò entrambe le mani sul cuore fermo dell'amico «non può essere morto!»
«Midorima...» il professore gli si avvicinò e fece per sfiorargli la spalla, ma Midorima sfuggì al tocco della sua mano e cominciò a fare pressione sul cuore immobile dell'altro.
«Non è morto! Kuroko non può... non può essere morto!»
Il professore fece per dire qualcosa, ma il Dottor Hiroshi richiamò la sua attenzione.
«Lo lasci.» dopotutto sapevano entrambi a quale universo fossero appartenuti Midorima Shintarou e Kuroko Tetsuya, ed era bastato osservare la reazione iniziale del primo per capire che sarebbe stato disposto a tutto pur di salvare l'altro.
«Kuroko non è morto!» Midorima continuò ad urlare con la voce spezzata e ad esercitare il massaggio cardiaco senza fermarsi un istante, neppure quando gli occhiali gli scivolarono fino alla punta del naso e le lenti si imperlarono di lacrime.


Le porte dell'ascensore si spalancarono di nuovo e Midorima si trascinò lungo il corridoio con passi lenti e irregolari, come se alle sue gambe fossero attorcigliate robuste catene di piombo decise a trascinarlo giù, sempre più giù, fino a farlo strisciare.
I suoi occhi, oltre le spesse lente degli occhiali, avevano perso colore, erano opachi frammenti di vetro verde che non riuscivano più a riflettere la luce.
Perfino Akashi, che lo seguì con lo sguardo finché non gli transitò accanto, restò in silenzio.
Midorima non li guardò, si limitò a percorrere la lunghezza del corridoio sotto gli occhi vuoti e stanchi di quella che un tempo era stata osannata come Generazione dei Miracoli e che, in quel momento, pareva essersi ridotta ad un rudere freddo, una rosa appassita.
Shintarou si fermò solo un istante, non appena Kazunari attorcigliò due dita attorno al suo indice, quindi ricambiò appena quella stretta affettuosa e riprese a camminare in silenzio, arrestando la propria marcia quando giunse all'entrata della nicchia in cui Himuro, Aida e Kagami si erano ritirati ad aspettare.
Kagami lo guardò, e all'improvviso anche le sue gambe si fecero più pesanti, un conato di vomito si annidò in fondo alla gola e il battito del cuore risuonò con così tanta forza da fargli pensare che oltre la sua pelle non vi fosse altro organo che quello.
Era vuoto, perso. Avrebbe voluto soltanto tornare a casa con Kuroko, sprofondare sotto le coperte con lui, chiudere gli occhi e addormentarsi con le sue braccia sottili strette attorno al collo.
Kagami avanzò faticosamente e Midorima, che aveva già fatto troppa strada e aveva le gambe straziate, lo attese in silenzio.
Appena lo raggiunse, Shintarou schiuse le labbra e parlò con un filo di voce, e Taiga si inginocchiò ai suoi piedi con il viso stretto fra le mani, scoppiando in un pianto fragoroso che annichilì ogni speranza.

I raggi del sole sono le dita pallide di tutti quegli uomini che urlano il nome dei morti.




Licenza Creative Commons
Quest'opera è distribuita con Licenza Creative Commons Attribuzione - Non commerciale - Non opere derivate 2.5 Italia.




L'angolino invisibile dell'autrice:

Per chi segue l'anime, attualmente siamo nel periodo “Teikou Arc”, che non è certo uno dei più allegri, quindi, giustamente, ho ritenuto opportuno aggiornare Hall of Fame per portare ancora più sconforto ai fan di Kuroko no Basket! 8'
No, seriamente, oggi ho deciso di concedermi qualche ora di libertà e ne ho approfittato per concludere il capitolo che, come ho detto la scorsa volta, è corto e frammentario per esigenze di copione (visto che qui, l'obbiettivo, non è tanto far piangere, quanto togliere completamente il respiro ai lettori/divento sempre più cattiva, lo so/).
E... francamente non ho niente da dire (a parte che temo moltissimo l'OOC, ma credo che certe reazioni siano “plausibilissime” in una situazione del genere!)
Dirò tutto nell'ultimo capitolo! ;3;
Alla prossima!

Ritorna all'indice


Capitolo 44
*** Capitolo XLIII ***


Capitolo XLIII





L'amore che la luce e l'ombra provano l'una per l'altra è ciò che le rende complete.

Il padre di Kuroko si affiancò a Kagami e gli diede una pacca affettuosa sulla spalla; la madre, invece, scivolò lentamente fuori dalla stanza e passò in rassegna i presenti, rivolgendo loro un sorriso cordiale.
«È ancora molto debole, ma continua a chiedere di voi.»
«Torneremo fra un'oretta, lo lasciamo nelle vostre mani.» l'uomo si scostò da Kagami e attese che la moglie lo raggiungesse, per poi avvolgerle affettuosamente la vita con un braccio e avviarsi verso l'ascensore con lei, che li salutò con un rapido cenno della mano.
Il dottor Hiroshi lo aveva definito miracolo, e nessuno, - neppure Midorima, che ne era stato il vettore -, aveva osato dargli torto.
Alle tredici e quarantadue, Kuroko Tetsuya era stato dichiarato morto, ma alle tredici e quarantatré, sotto le pressioni esercitate dalle mani di Midorima, il suo cuore aveva ricominciato a battere.
Shintarou non aveva retto oltre e, esaurita la scarica di adrenalina che lo aveva spinto a tanto e resosi conto che aveva appena effettuato un massaggio cardiaco diretto, si era accasciato a terra in preda a capogiri inarrestabili, dunque il dottor Hiroshi e il professor Masayama avevano continuato ad operare senza di lui e circa un'ora dopo avevano potuto dichiarare l'operazione riuscita.
Appena l'ascensore si chiuse, Kagami raggiunse la porta oltre la quale riposava Kuroko, mentre Kise e Momoi gli saltellarono alle spalle, anche se solo per un istante, visto che una mano sbarrò loro la strada con un movimento repentino.
«Akashicchi...?» Kise mormorò sommessamente; Kagami, dal canto suo, si voltò e rivolse un'occhiata stranita ad Akashi, che ricambiò il suo sguardo e accondiscese con un rapido cenno del capo.
Kagami si sentì improvvisamente a disagio, soprattutto perché aveva desiderato segretamente che qualcuno intuisse la sua esigenza di vedere Kuroko in privato ma non aveva mai preso in considerazione la possibilità che a farlo sarebbe potuto essere proprio Akashi - che fosse già a conoscenza delle sue intenzioni? Ciò significava che gli stava concedendo la sua benedizione? -
Kagami passò in rassegna i volti di tutti i presenti e si rilassò solamente quando riuscì a cogliere il consenso in ogni sguardo, - perfino in quelli di Murasakibara e Aomine -, quindi tornò a rivolgere la propria attenzione alla porta e, schiuse le labbra per catturare una grossa boccata d'aria, strinse la maniglia fredda fra le dita tremanti.


La porta cigolò sommessamente, e Kagami mosse qualche passo titubante all'interno della stanza soltanto dopo essersela richiusa alle spalle con un movimento veloce della mano.
Tutto quel candore che come una grossa macchia di pittura pareva trasudare dal soffitto e colare lungo le pareti, fino a divorare il pavimento, lo accecò e lo fece tentennare, oscillare come una fragile barca nelle grinfie della tempesta, tuttavia arrestò i propri passi solamente quando fu abbastanza vicino al letto da poter scorgere il viso di Kuroko.
Restò a fissarlo con le labbra contratte e appena dischiuse, la fronte leggermente aggrottata, gli occhi ridotti a due fessure ardenti di lacrime, a separare le palpebre gonfie e tremanti, ancora scosse da dolorosi fremiti carichi di emozione.
Nonostante Kuroko avesse i capelli arruffati e il viso estremamente pallido, livido in alcuni tratti e solcato da graffi color rosso vivo, quella di Kagami fu una vera e propria contemplazione, come se avesse avuto di fronte a sé una creatura meravigliosa, l'essere più bello dell'universo - ma dopotutto, per lui, era proprio così che l'altro appariva ai suoi occhi -.
Tetsuya mosse lentamente la testa, i capelli frusciarono contro il cuscino e gli occhi, vitrei e stanchi, si posarono sulla figura di Taiga.
Appena le labbra screpolate e sottili di Kuroko si incresparono in un minuscolo e breve sorriso, Kagami sentì una forte scossa lungo le gambe e dovette resistere alla tentazione di inginocchiarsi un'altra volta a terra.
«Kagami-kun...» fu proprio la voce soave e gentile di Kuroko a impedirgli di cadere, anzi lo fece sorridere, e la gioia fu tale che le lacrime cominciarono ad accavallarsi sul bordo delle palpebre inferiori senza alcuno sforzo, per poi riversarsi copiose lungo il suo viso.
Al momento dell'incidente, un grosso frammento di vetro aveva trafitto Tetsuya poco più sotto il cuore e, spingendosi in profondità, aveva provocato un'emorragia interna e una copiosa perdita di sangue che, a lungo andare, avevano comportato un arresto cardiaco e, come conseguenza estrema, una morte che fortunatamente si era rivelata temporanea; per il resto, considerando che aveva solamente due costole rotte e una distorsione al polso sinistro, si poteva perfino dire che se la fosse cavata piuttosto discretamente.
«Io...» Kagami avanzò di un passo, poi indietreggiò e boccheggiò appena, con le dita delle mani divaricate e contratte: voleva stringerlo a sé per sentire il suo calore, per assicurarsi che quella fosse la realtà e non un bellissimo sogno, ma Kuroko aveva il viso stanco, era visibilmente debole e sconvolto e gli dava l'impressione che sarebbe bastato sfiorarlo con un dito per farlo cadere a pezzi, perciò se ne rimase pietrificato ai piedi del letto, indeciso sul da farsi e con le guance divorate dalle lacrime, le palpebre di un rosso così intenso da dare l'illusione che parte del suo volto fosse ormai spoglia della pelle.
Tetsuya non sembrava essere della sua stessa idea, perché continuò a fissarlo trepidante e mosse il braccio destro, libero dall'impiccio della flebo - al contrario del sinistro -, finché la mano non fece capolino da sotto le lenzuola e restò tesa verso di lui, come a supplicarlo di avvicinarsi e, di fatto, eliminare la distanza che impediva alle loro dita di trovarsi ed intrecciarsi come erano solite fare in ogni momento della giornata.
Kagami prese un respiro profondo e il petto gli tremò, scosso da uno spasmo - forse a causa del pianto o forse a causa della tensione che cominciava a pizzicargli i nervi -.
«Tetsuya...» la sensazione di avere il cuore in gola lo spinse a deglutire, ma si rivelò inutile e, addirittura, il battito si fece ancora più forte, così rapido e vigoroso da lasciarlo senza fiato.
Kagami afferrò lo schienale della sedia con una mano e la trascinò un poco più vicino al letto, allora si sistemò su di essa e adagiò, - con più delicatezza possibile -, la propria mano su quella di Kuroko, lasciando che quelle dita magre e affusolate si aggrappassero alle sue.
«Tetsuya, io ti devo chiedere una cosa.» ma appena avvertì i morbidi polpastrelli di Kuroko carezzargli il dorso della mano, Kagami non poté più trattenersi e decise di assecondare quell'intreccio, quindi ricambiò la sua stretta docile e affettuosa; infine, singhiozzando felice e imbarazzato, abbassò lo sguardo nel tentativo di fuggire da quello maledettamente disarmante dell'altro.
«Forse...» Kagami sollevò la mano sinistra e si tamponò gli occhi con la manica della maglietta, per poi sussultare, vittima di un altro singhiozzo «forse non è il momento più adatto, ma ci penso da un po'–»
In fin dei conti quell'incidente era stata l'ennesima conferma che lo amava più di tutto, che non lo avrebbe mai lasciato andare e che, piuttosto che restare al mondo senza di lui, vuoto e solo, avrebbe preferito morire.
Kagami inspirò profondamente e focalizzò la propria attenzione sul tremolio doloroso del proprio diaframma, infine schiuse le labbra ed emise uno sbuffo tremante, ripetendosi mentalmente che doveva calmarsi, che non c'era nulla di sbagliato in quello che stava per chiedergli.
Nonostante gli occhi fossero ancora ricoperti di un sottile velo acquoso e le guance imperlate di lacrime, Taiga si fece coraggio e sollevò il viso, quindi incontrò gli occhi di Kuroko, che gli sorrise di nuovo e, sciolto l'intreccio delle loro dita, gli accarezzò il viso con estrema delicatezza.
Kagami chiuse gli occhi e finalmente smise di singhiozzare, le lacrime si riversarono sul suo viso in un flusso costante e impetuoso, ma così silenzioso da sembrare una naturale ovvietà, una condizione necessaria per vivere come poteva esserlo il puro e semplice atto di respirare: Kuroko gli aveva sorriso con così tanta gentilezza e gli aveva accarezzato il viso con così tanta delicatezza che per un istante aveva dimenticato che si trovavano in una stanza di ospedale perché il suo fidanzato era stato investito, per un attimo aveva perfino pensato che le parole che gli ronzavano in testa da giorni, ormai, fossero le più facili da pronunciare.
«Kuroko, tu... mi vuoi sposare?»
La pressione che la mano di Kuroko esercitava sulla sua guancia si affievolì improvvisamente, le sue labbra sottili fremettero appena, il suo volto parve riacquistare colore e un azzurro intenso molto simile a quello di un cielo estivo si riversò nei suoi occhi, scacciando via quel vitreo grigiore che si era insinuato sotto le sue ciglia e aveva divorato la luce come le nubi piovose fanno con la luna piena nelle notti di tempesta.
«Ka-Kagami-kun...» Kuroko balbettò sommessamente e Kagami gli prese il viso fra le mani senza fiatare.
«Certo che ti voglio sposare–» Tetsuya boccheggiò, forse nel tentativo di dire qualcos'altro, ma il grande sorriso in cui si contrassero le sue labbra glielo impedì; Taiga, dal canto suo, adagiò la propria fronte contro la sua e poi chinò il viso per stampargli un bacio all'angolo della bocca.
«Credevo di averti perso per sempre...» la voce di Kagami tremò appena.
«No.» Kuroko, dal canto suo, chiuse gli occhi e lasciò che le dita della mano destra si intrecciassero ai capelli dell'altro.
«Ti amo–» Kagami gli singhiozzò nell'orecchio e poi gli stampò un bacio veloce sul collo «ti amo, Kuroko‑»
Kuroko protese il capo all'indietro, lasciando che le lacrime si riversassero agli angoli degli occhi e infine scivolassero fino al cuscino, per poi stringerlo il più possibile a sé e sussurrare con un filo di voce.
«Ti amo anche io, Taiga. Ti amo più di tutto.»


Midorima si pietrificò non appena avvertì la stretta vigorosa delle dita di Takao attorno al suo polso, quindi si voltò verso di lui, sentendosi mancare il respiro non appena questo gli rivolse un grande sorriso.
«Sono davvero fiero di te, Shin-chan!»
Shintarou deglutì appena, cercando di ignorare il forte pizzicore che all'improvviso si diffuse sulle sue guance, poi - seppur con un po' di fatica - ricambiò il suo sorriso, lasciandolo di stucco.
Takao allentò la presa, Midorima si scostò con una rapida falcata e varcò la soglia, ma continuò a sorreggere la porta con la mano e si rivolse nuovamente al compagno.
«Entri o no? Ci sono tutti.»
Takao spalancò gli occhi, per poi accennare una risata e balzargli accanto.
«Certo, Shin-chan!»


«Midorima-kun.» il quarto d'ora che Kuroko aveva trascorso con Kagami non era servito a fargli recuperare le forze - per quello ci sarebbero voluti almeno un paio di giorni -, tuttavia la sua voce pareva aver acquisito più vigore ed era molto più vigile, tanto che si mise sull'attenti non appena vide Midorima fare il suo ingresso nella stanza e lo chiamò immediatamente «Midorima-kun, volevo ringraziarti.»
«A questo penseremo una volta che avrai messo piede fuori di qui.» Shintarou sbottò, affrettandosi a rispondere mentre con un gesto veloce della mano si sistemò gli occhiali: se Tetsuya riteneva proprio necessario ringraziarlo, avrebbe preferito che lo facesse in privato, così da evitargli un certo imbarazzo derivante da una gloria che, in verità, sentiva di non meritare. Per come la vedeva lui, non c'era alcun bisogno di essergli grato, questo perché aveva agito in nome di un sincero affetto nei confronti di Tetsuya ed era sicuro che avrebbe fatto lo stesso anche se al posto suo ci fosse stato qualcun altro.
«Ehi! Ve ne siete accorti?» Kise esordì all'improvviso: lui e Momoi si trovavano così vicini al letto che quasi pareva avessero intenzione di sedersi da un momento all'altro; Kagami e Aomine, invece, non li perdevano di vista neppure per un attimo, proprio per impedire che l'entusiasmo li portasse a compiere qualche idiozia involontaria ai danni di Kuroko.
«Cosa?» Nijimura, con la schiena aderente alla parete e le mani conserte, lo esortò a continuare, e quando Kise schiuse le labbra per rispondere, la voce di Kuroko lo precedette.
«Siamo tutti insieme, finalmente.» Kuroko guardò alla sua destra e si rivolse a Kagami e Akashi, poi alla sua sinistra, soffermandosi in particolare su Kise, Aomine e Momoi.
«Visto, Shin-chan?»
«Cosa vuoi?»
«È colpa tua: non volevi muoverti dall'ospedale, e alla fine siamo dovuti venire noi qui da te!» Takao rise e Midorima lo fulminò con lo sguardo.
«Ha ragione.» Murasakibara, dal canto suo, borbottò sommessamente, per poi rivolgersi ad Himuro «Muro-chin, ho fa–»
«Ecco.» Himuro, che aveva già le mani nelle tasche della felpa, ne estrasse una merendina e gliela porse senza dargli neppure il tempo di finire la frase.
«Riko-chan, hai pianto?» all'improvviso, Satsuki distolse la propria attenzione da Tetsuya e la rivolse a Riko che, presa alla sprovvista, sobbalzò.
«I-io?! No! Certo che no!» l'ex allenatrice del Seirin sbottò, con le guance color porpora.
Dopo quel breve istante di tramestio, seguì poco meno di un minuto di silenzio durante il quale gli occhi di Kuroko e quelli di Akashi - rimasto in silenzio fino ad allora - si soffermarono su ogni volto, in attesa di qualcosa, come se fossero stati entrambi reduci di una intuizione.
«Io...» Aomine arretrò di un paio di passi e sospirò rumorosamente, per poi far aderire la schiena contro la parete «io voglio giocare a basket.»
Non che Daiki avesse concepito solo in quel momento il suo desiderio, ma quell'incidente aveva fatto scaturire qualcosa in lui, e da quel qualcosa erano venute le sue parole.
Sentiva di voler assecondare la sua passione il più possibile, forse perché aveva compreso quanto potesse essere imprevedibile la vita e aveva cominciato ad avere paura della morte, o forse aveva semplicemente deciso di prendere il coraggio a due mani e confessarsi al cospetto di quel clima di sincera e viscerale amicizia, perché sentiva, in cuor suo, che tutti loro erano legati da un destino comune, da un qualcosa che andava oltre il basket, una sorta di amore famigliare che nel corso degli anni avrebbe a poco a poco levigato anche le personalità più spigolose e li avrebbe uniti completamente, fusi in un'unica entità.
«Anche io.» Kise lo guardò e gli sorrise.
«Beh, anche io.» e anche Kagami lo guardò, ma al contrario di Kise sogghignò «altrimenti chi batterà il signor: “L'unico che può battermi sono io”?»
«O-ohi!» Daiki ringhiò, e la voce flebile di Tetsuya, che risuonò subito dopo, sedò i bollenti spiriti.
«Anche io voglio giocare a basket, con tutti voi. Magari qualcuno di noi prenderà una strada diversa, ma penso che nessuno avrà il coraggio di avanzare senza mai voltarsi indietro.»
Midorima, che desiderava diventare un dottore, fu il primo che, pur senza rendersene conto, annuì alle parole di Kuroko, e questo perché, in cuor suo, sapeva che non sarebbe mai riuscito ad abbandonare definitivamente il basket, era conscio del fatto che gli sarebbe rimasto sempre un briciolo di passione, di desiderio e che, molto probabilmente, si sarebbe lasciato trascinare al campetto da Takao ogni volta che si sarebbe presentata l'occasione.
Continuarono a parlare di basket finché un'infermiera non venne ad avvisarli che l'orario delle visite era terminato, quindi tutti salutarono Kuroko, promettendogli che sarebbero tornati a fargli compagnia l'indomani.
Kagami, però, su richiesta del futuro marito, si trattenne ancora un paio di minuti, e insieme decisero che si sarebbero sposati in luglio.


«Akashi, perché sorridi in quel modo?»
«Mi aspetto grandi cose da Ryouta e Daiki.»
«Cos'hai in mente?»
«Io? Niente in particolare. Lascio tutto nelle loro mani.»


Subito dopo aver inviato un sms a Kagami per augurargli la buona notte, Kuroko spense la luce, chiuse gli occhi e restò in ascolto dei rumori sommessi al di là della porta chiusa, almeno finché le voci degli altri non cominciarono a ronzargli in testa e a prendere, a poco a poco, l'aspetto di una melodia docile e raffinata.
Inspirò appena e increspò un sorriso non appena si rese conto che il bordo delle lenzuola era ancora impregnato del profumo di Kagami, e a poco a poco, con quella sinfonia di dodici voci nella testa, scivolò in un languido dormiveglia che lo fece piombare quasi immediatamente in un sonno profondo.


Loro dodici erano il basket, loro dodici, nonostante tutto, sapevano che dovunque la vita gli avrebbe portati, non si sarebbero separati mai per davvero.
Loro dodici erano i componenti di un universo nel quale ogni squarcio era stato ricucito ed ogni crepa riempita, erano i membri di un'unica, grande famiglia meglio conosciuta come Hall of Fame.

A volte, nel buio, si accende una luce.




And the world's gonna know your name,
cause you burn with the brightest flame,
And the world's gonna know your name,
and you'll be on the walls of the Hall of Fame.





終わり






Licenza Creative Commons
Quest'opera è distribuita con Licenza Creative Commons Attribuzione - Non commerciale - Non opere derivate 2.5 Italia.




L'angolino invisibile dell'autrice:

Ed eccoci qui: a distanza di un anno e due mesi, siamo giunti alla fine di questa fanfiction - l'unica long seria che io sia mai riuscita a completare -.
Comunque... ma davvero credevate che dopo tutti questi capitoli facessi fuori colui da cui è nato tutto?! Mi piacciono le storie che finiscono male, è vero, ma non vanificherei mai così tanti capitoli uccidendo uno dei personaggi più importanti proprio alla fine!
Era già stato tutto deciso molti mesi fa, ma la scena in cui viene dichiarata l'ora del decesso, nello scorso capitolo, è nata all'improvviso; inizialmente l'idea era quella di realizzare un capitolo piuttosto ambiguo e che si focalizzasse sulla scena finale, quando Midorima va a parlare con Kagami, ma poi ho deciso di uccidere temporaneamente Kuroko per far perdere ogni speranza ai lettori.
Midorima (se vi ricordate la parte che recitava in Rigor Mortis, non è un caso che qui sia il salvatore di Kuroko), comunque, ha fatto un massaggio cardiaco direttamente sull'organo interessato e Kuroko è tornato in vita (il motivo per cui il dottore lo ha dichiarato subito morto e non ha tentato neppure di rianimarlo è la copiosa perdita di sangue dovuta all'emorragia).
Ovviamente alla fine dello scorso capitolo, Midorima è andato a informare Kagami della riuscita dell'intervento, quindi quest'ultimo si è accasciato ai suoi piedi un po' per la gioia, un po' per gratitudine.
Qui Momoi chiede a Riko se ha pianto, il che potrebbe sembrare strano visto che sono quasi sempre insieme, per cui ricordo che Aida è rimasta in attesa con Kagami e Himuro, quindi Momoi non ha avuto occasione di vedere se ha pianto o meno.
Per il resto posso solamente dire che la fine non doveva essere così frammentata, ma poi mi sono ricordata che dovevo inserire il brevissimo dialogo fra Nijimura e Akashi... comunque credo di potermi ritenere abbastanza soddisfatta.
Ah, e la frase di chiusura, quella in corsivo, ha un doppio significato: quello più esplicito di Kuroko che ha ormai assunto il ruolo di faro di speranza all'interno del gruppo, e quindi è divenuto lui stesso una luce, e quello implicito dello screensaver del cellulare che, dopo aver ricevuto un sms, illumina il buio della stanza (l'sms in questione è la risposta di Kagami al suo messaggio di buona notte, il che suggerisce che la vita, per loro, continua).
Ora, prima di passare ad un discorso serio (?), vi ricordo che presto scriverò gli ultimi post dedicati ad HoF, quindi continuate a seguirmi sulla mia pagina Facebook: Neu Preussen - FACEBOOK PAGE
Non parlerò di HoF, perché ritengo di averlo fatto già abbastanza e rischierei soltanto di annegare nella malinconia, ma parlerò del mio stato d'animo (anche se probabilmente nessuno leggerà le note autrice--)
Ebbene, negli ultimi giorni devo ammettere di essere stata molto male, e non tanto per la fine della fanfiction (ormai ho superato la fase dell'elaborazione e sono in quella di accettazione), ma perché ho cominciato a pormi un sacco di domande esistenziali come: “Ma perché HoF piace così tanto? Solamente per le coppie? O anche per il mio modo di scrivere? Verrò considerata una volta che sarà finita?” e così via (e vi assicuro che sono domande motivate, perché so di persone che hanno seguito HoF solamente perché c'era una determinata coppia, cosa che, in quanto autrice che si impegna pur di inserire una certa coerenza nelle proprie storie e pur di rispettare il più possibile l'IC dei personaggi, mi ha fatto stare piuttosto male). In sintesi: spero che un giorno alcuni lettori vadano oltre la loro coppia preferita, che mi leggano perché il mio modo di scrivere merita la loro attenzione a prescindere dai personaggi e dai temi trattati.
Per tutti i lettori che invece mi hanno sostenuto fino alla fine e hanno sinceramente apprezzato i miei sforzi (perché una long di così tanti capitoli che è sempre stata aggiornata entro le due settimane richiede parecchi sforzi, ve lo assicuro), anche se alla fine mi hanno scaricato addosso tutto il loro odio: grazie. È un grazie differente da tutti quelli che vi ho rivolto fino ad ora, è molto più sentito, perché so che questa sera non sarò l'unica a soffrire per la fine di HoF, so che molti di voi, come me, si sono lasciati rubare un minuscolo pezzo di cuore, per cui il fatto che mi abbiate accompagnata in questo viaggio dall'inizio alla fine rende l'addio molto meno doloroso.
Nella mia immaginazione, HoF è un po' come un figlio che ho amato profondamente e che ho visto crescere davanti ai miei occhi ogni giorno della mia vita, e che ora è pronto ad imbarcarsi senza di me e ad intraprendere un viaggio dal quale non tornerà mai più indietro.
Soffro sempre molto quando termino una fanfiction, ma non ho voluto gonfiare la trama – e quindi rischiare di rovinarla – solamente per ritardarne la fine. HoF è nata come punto interrogativo e nel giro di qualche settimana si è delineata una trama precisa a cui mi sono attenuta fino alla fine, questo perché nel mio piccolo – anche se ultimamente non godo di molta autostima – credo di aver fatto un buon lavoro, credo di aver dato il massimo, per cui sono orgogliosa di questa fanfiction e nutro verso di lei il massimo rispetto.
Me la porterò nel cuore per tanto, tanto tempo (anche perché, ripeto, lei si è presa un pezzetto del mio) e anche se non credo riuscirò a scrivere altre long così “gettonate” spero che continuerete a seguirmi (attualmente ho intenzione di portare avanti Unreachable e Wake Up and Kill the Machine). Ho ancora molto da dare a questo fandom e amo le “future”, per cui è certo che ne seguiranno altre (ma HoF è sempre HoF).
Prima di passare ai saluti veri e propri vorrei chiedervi di fare uno sforzo e lasciare una recensione, soprattutto se non lo avete mai fatto (e sì, anche se dite di non saperle fare), perché penso che dopo tutti questi capitoli sia anche arrivata l'ora di dirmi cosa ne pensate, no? Bene, spero che la mia richiesta venga accolta da almeno... boh, quattro, cinque utenti (non chiedo molto, in fondo! x'' )
Questa volta niente: “Addio!”, questa volta vi lascio con un monito: non abbiate paura dei vostri sogni, se siete sicuri della meta, per quanto la strada possa sembrare impervia, non cambiatela. Stringete i denti, andate avanti, e prima o poi arriverete a destinazione!

Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=2477592