Lusus randomicus

di JunJun
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Heaven can wait ***
Capitolo 2: *** Dog Days ***
Capitolo 3: *** Limbo ***
Capitolo 4: *** I'm your bitch ***
Capitolo 5: *** Bunker Trip #1 ***
Capitolo 6: *** Il peggior compleanno di sempre ***
Capitolo 7: *** La seconda volta che Dean disse “Ti amo” ***
Capitolo 8: *** Bunker Trip #2 ***



Capitolo 1
*** Heaven can wait ***


Questa è una specie di AU che avevo iniziato a caso per sfogarmi (?) quando non riuscivo a descrivere bene le scene drammatiche/violente/depressive della mia fanfic diciamo "principale" (cioé tutte).
So già che finirò per scriverne parecchie di questo tipo (ugh!), per cui ho pensato di inserirle in una raccolta a parte.
Suppongo che il livello di non-sense crescerà col mio esaurimento. °-°

Titolo: Heaven can wait
Ispirata a: Episodio 9x06
Personaggi: Dean,  Castiel, Kevin.
Parole: 500


* * *


Dean non poteva credere di dover davvero aiutare Kevin a tradurre la dannata Tavoletta degli Angeli.
Perché doveva farlo?
Era lui il Profeta, insomma!
Quando Kevin gli aveva chiesto aiuto il cacciatore aveva cercato, ovviamente, di defilarsi. Ma Sam, con noncuranza, aveva afferrato per primo le chiavi dell’Impala ed era uscito, incastrandolo nel bunker.
Dean si costrinse a sedersi al tavolo della Sala. Annoiato a morte ancor prima di iniziare, fissò Kevin che, a poca distanza da lui, stava spiegando a Castiel come era riuscito a tradurre gli scarabocchi di Metatron in un antico linguaggio cuneiforme blah blah.
A differenza di Dean, l’ex-angelo sembrava molto interessato all’argomento. Dean approfittò della sua distrazione per osservarlo: da quando aveva iniziato a vivere con loro, Castiel aveva abbandonato il trench e i completi, passando ad uno stile molto più semplice, da cacciatore.  
In quel momento era in piedi accanto a Kevin e indossava dei jeans e una camicia a quadri azzurri e blu sopra una maglietta bianca. Al polso aveva un braccialetto di metallo, comprato chissà dove, da cui pendeva un ciondolo a forma di due ali nere.

I suoi capelli erano spettinati e il bel viso era teso in un’espressione concentrata. 

Dean notò il modo in cui si mordicchiava il labbro inferiore mentre cercava di afferrare i ragionamenti del Profeta, e deglutì. 

“Cas,” lo chiamò, interrompendo Kevin e facendo voltare entrambi nella sua direzione. “Mi passi la tavoletta, per favore?”
Castiel e Kevin si guardarono un attimo, confusi. Poi, senza pensarci troppo, Castiel fece come Dean gli aveva chiesto. 
Non appena il cacciatore ebbe la tavoletta fra le mani, storse le labbra in un’espressione indecifrabile.
“Dean..?” chiese Castiel, preoccupato. “Che succede?”
“E’ che… è strano vedere che mi consegni la tavoletta degli Angeli senza batter ciglio,” spiegò lui, serio. “O, sai, tentare di uccidermi...”

Castiel lo guardò, accigliato, cercando di capire se stava scherzando o meno. 

Alla fine scosse la testa, sospirando. “Devi rinfacciarmi questa storia ancora per molto, Dean...?”
 Si riprese la tavoletta e la riportò a Kevin.
“Da quando sei diventato così sfacciato, tu?” ribatté il cacciatore, un lampo sadico negli occhi.

“Ragazzi…” provò Kevin.

Castiel fulminò Dean con lo sguardo. “Da quando ho notato che ogni volta che è il mio turno tu casualmente sfrutti i miei sensi di colpa per convincermi a—“

RAGAZZI!” gridò Kevin, interrompendoli. “I-Io…io non voglio sapere!” disse, nell’imbarazzo più totale. “Possiamo…possiamo tradurre la tavoletta, per favore?”

Dean sospirò in direzione di Castiel. “Mi hai scoperto,” disse, fintamente dispiaciuto. 
Castiel lo ignorò e, raccolto un pesante volume dalla libreria, glielo lanciò davanti.
“Cos’è questa roba?” chiese Dean.

“Il primo volume dell’Enciclopedia Zimmerman delle Lingue Estinte.”

“E quanti sono in tutto?”

“Ventiquattro,” spiegò Castiel. “Non preoccuparti… li abbiamo tutti.”

La voce dell’ex-angelo era bassa e roca come al solito ma, mentre parlava, i suoi occhi brillarono di una luce così divertita che Dean passò la successiva mezz’ora a sfogliare a caso quella pallosissima enciclopedia, immaginando tutti i modi in cui gliel’avrebbe fatta pagare quella notte. 

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Capitolo 2
*** Dog Days ***


L'università è una brutta bestia. Maledetti esami. 
Se pubblico qualcos'altro in questa settimana picchiatemi, perché vuol dire che non sto studiando come dovrei *si sotterra nei libri*


Titolo: Dog Days #1 e #2
Note: Nonsense crescente
Personaggi: 
Dean, Sam, Ariel(*), Kevin, Castiel

Parole: 371 + 236

* * *


Era una notte buia e tempestosa. (?)
Fuori, la pioggia gelata sbatteva con violenza contro gli alberi e allagava il terreno, mentre i tuoni ruggivano minacciosi. Dentro il bunker, invece, l’atmosfera era calda, silenziosa e concentrata.
Dean, Kevin e Castiel erano seduti intorno al grosso tavolo nella sala principale, completamente ricoperto da libri, appunti e residui di cibo da fast-food.
“No, Castiel, questo cartiglio non appartiene a nessuna civiltà pre-colombiana del Messico,” concluse Kevin dopo molte ore, chiudendo il libricino che aveva davanti e lanciandolo in fondo al tavolo.
“Ero sicuro di aver visto qualcosa di simile su una piramide laggiù, qualche secolo fa,” mormorò lui, sfogliando probabilmente per la decima volta uno dei 24 volumi dello Zimmerman. “O forse era ad Atlantide? Non ricordo…”
Dean roteò gli occhi, accasciandosi su una pila di appunti scribacchiati. Forse, se si fosse rotto la tavoletta di Metatron in testa, tutto questo sarebbe finito.
Una goccia d’acqua cadde sul libro del cacciatore. Lui sollevò la testa e vide Sam, affacciato alla balaustra sopra di loro. Era appena rientrato nel bunker, ed era completamente fradicio.
“Sammy! Bentornato!” cinguettò, con il tono di voce con cui si direbbe la frase: “Ti prego, dimmi che c’è un caso, l’apocalisse, un’invasione aliena, qualunque cosa...”
Sam parve intuire. “Fuori c’è il diluvio,” sogghignò. “Uscire è impossibile. Ho sentito Ed e Ralph, pare che non ci siano casi su cui indagare. Stasera serata in casa!”
Dean ricadde sulla sedia, maledicendolo. Poi qualcosa catturò la sua attenzione. “Sam,” disse preoccupato. “Cos’è quella cosa alle tue spalle?”
“Oh, questa?” sorrise Sam, accarezzando la testa della creatura spaventata che, fino a quel momento, si era nascosta dietro di lui. (Non era molto difficile, visto che gli arrivava a metà del petto.)
La spinse avanti, per farla vedere agli altri. “L’ho trovata qui fuori in mezzo alla strada. Tremava, così l’ho portata a casa,” spiegò. “Si chiama Ariel.”
La ragazza dai capelli corvini fissò terrorizzata il gruppetto di cacciatori. “Non è carina?” disse lui, continuando ad accarezzarle la testa bagnata e spettinata.
Kevin, Castiel e Dean fissarono Ariel.
Lei guardò Sam, poi Dean, e poi Sam. E poi di nuovo Dean. Il suo sguardo si illuminò.
Dean sbatté gli occhi. “No,” disse scocciato. “Buttala fuori.”

* * *


Un tuono particolarmente potente fece tremare i vetri delle bocche di lupo blindate del bunker.
Sam raggiunse il fratello a grandi passi,.
“Dean, come puoi essere così crudele?” gli disse il giovane, incredulo. “Non vedi come piove?”
Dean si alzò in piedi per fronteggiarlo. “Sam, maledizione, non puoi portare in casa il primo angelo che trovi abbandonato in mezzo alla strada!”
“Io ti ho lasciato tenere Castiel senza dire nulla, Dean!”
“CASTIEL È TUTTA UN’ALTRA STORIA!” gridò lui di rimando, protettivo. “E poi guardala, ha lo sguardo inquietante!” disse, indicando Ariel, alle spalle di Sam. “Guardala! GUARDALA!”
Ariel, fino a quel momento, aveva squadrato Dean da capo a piedi sogghignando perversamente.
Quando però Sam si voltò verso di lei, lei era a terra in lacrime, con il viso nascosto fra le mani.
Si sentì un altro tuono.
“Dean, per l’amor del cielo!”
Il maggiore tornò a sedersi al tavolo. “Dannazione…” sospirò, visibilmente incazzato. “D’accordo, per stanotte passi… ma da domani quella lì dorme fuori!”
Sam sorrise sollevato. Raccolse Ariel da terra e la portò via.
Kevin guardò di sottecchi Castiel che, seduto accanto a lui, aveva continuato per tutto il tempo a scribacchiare degli appunti riguardo la tavoletta.
“Sei consapevole del fatto che stanno parlando di te come se fossi un cucciolo abbandonato, vero?”
L’ex-angelo smise di scrivere e lanciò a Dean uno sguardo di disapprovazione. Poi scosse la testa e tornò a lavorare sulla traduzione.

 

* * *

* * *

(*)

Lei è Ariel. E' un personaggio della mia quasi omonima  fanfiction. La sta disegnando una mia amica su costrizione mia richiesta.
E’ un angelo nel corpo di una 24 enne di Henderson.

Ha qualche problemino con la sua personalità.
Le piacciono i libri di Supernatural e Sam e Dean. Insieme.

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Capitolo 3
*** Limbo ***


Scritta perché dovevo esercitarmi con dei personaggi che non toccavo da settimane >_<

Titolo: Limbo
Note: Wincest (?). E' randomissima. 
Personaggi: 
Dean, Sam, Ariel

Parole: 453

* * *


Quella mattina, quando Dean entrò nella Sala del bunker, trovò Sam seduto a gambe aperte sul divano.
Aveva i gomiti poggiati sulle ginocchia e si strofinava forte la testa con le mani.
“Sam, che hai?” gli chiese preoccupato, sedendoglisi accanto. “Sembri sfinito.”
“Stanotte ho dormito malissimo,” spiegò l’altro in tono stanco. “Ho fatto un sogno strano… tu e Castiel eravate in un posto chiamato Limbo ed io dovevo fare cose terribili per salvarvi.”
Dean scosse le spalle. “Era solo un sogno, Sammy. E poi, il Limbo? Ma che stronzata!”
Gli diede una pacca sulla schiena e si alzò dal divano, ma Sam gli afferrò l’avambraccio, trattenendolo e costringendolo a voltarsi verso di lui.
“Avevo paura di non riuscire ad arrivare in tempo,” ammise, specchiandosi negli occhi verdi del fratello.  “Avevo paura di perderti…”
“Oh, Sammy…” mormorò Dean con voce commossa, mostrando uno dei rari sorrisi inteneriti che riservava solo al suo amato fratellino, mentre un leggero rossore colorava le guance di entrambi.
Poi Dean, attratto da uno strano gemito alla sua sinistra, si girò da quella parte e fece una smorfia. “Ma che dia—”.
Sam seguì lo sguardo del fratello e scorse Ariel: era in piedi accanto a loro, aveva le dita intrecciate al petto e un’espressione estatica sul volto.
“E tu che ci fai qui?” le chiese, ma quella era già volata via.
“TI AVEVO DETTO CHE DOVEVA STARE FUORI!” ruggì intanto Dean.
Ritrovarono Ariel seduta dalla parte opposta del divano. Aveva in mano Le Triple Vocaboulaire Infernal [*] e si stava aggiustando un paio di occhiali sul naso.  Puntò gli occhi su Sam.
“Mi stavo chiedendo se l’isterilimento che tuo fratello ha operato sulla sua immensa interiorità umana, causato dalla contemplazione angosciosa della sua impotenza di fronte alla drammaticità della vita, non possa essere anestetizzato dall’accoglimento passionale e proibito della carnalità di te che, sangue del suo sangue, hai preferito la responsabilità umana all’indolente accettazione dell’estremo sacrificio, e…”
“Impotenz… Mi sta offendendo, Sam?” chiese Dean, picchiettando ripetutamente il braccio del fratello. “Mi ha offeso? Mi ha offeso, vero?”
“No, credo voglia dire che le piace guardarti mentre ti preoccupi per me.”
“Cos- Ti piace spiarci?”
L’angelo guardò Dean con un’espressione contrariata. “In verità analizzavo l’evoluzione del vostro rapporto con l’aiuto della componente visiva-concettual-”
Volò di colpo dall’altra parte della stanza. “N-Non è che voglia spiarvi… è che stavo passando da qui per caso, ecco,” balbettò toccandosi gli indici, con aria imbarazzata.
Sam sospirò. La raggiunse, la afferrò per il colletto e la sollevò da terra così come si solleva un gatto.
Si avviò verso l’ingresso del bunker per buttarla fuori. “Metterò delle protezioni anti-angelo più forti,” promise al fratello.
“Sarà meglio,” annuì lui, guardando l’angelo in cagnesco.






[*] Libro raro e mai tradotto in italiano sulla demonolatria.
Sono abbastanza sicura che sia nella biblioteca dei Letterati.
Se fossi un Letterato, nella mia ci sarebbe. XD

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Capitolo 4
*** I'm your bitch ***


Vi prego di perdonare la mia lunga assenza. ;_; La mia vita in questo periodo è molto simile a quella di Kevin. Dovrei darmi una regolata…

Titolo: I’m your bitch
Note: Dopo aver letto una frase detta da Misha, ho avvertito il bisogno fisico di scrivere questa cosa inutile. o_o
Personaggi: Kevin, Castiel
Parole: 365

 *


Sbadigliando, Kevin si trascinò nella sala del bunker, gli occhi gonfi di sonno.
Aveva bisogno di un caffè. Adesso.
Quella notte, aveva dormito per ben quattro ore: non si concedeva un lusso del genere da settimane.
Tradurre l’ultima tavoletta si era rivelato un compito molto più complesso del previsto ma, visto lo stato di emergenza in cui si trovavano, con gli angeli che scorrazzavano per il mondo e tutto il resto, il giovane profeta aveva deciso di dedicare ad esso anima e corpo.
E’ il minimo che posso fare, pensò, varcando la porta della cucina. Sam e Dean rischiano la vita ogni giorno, e Castiel ha sofferto così tanto che-
Kevin sbarrò gli occhi e si precipitò fuori dalla stanza come se stesse fuggendo dall’esplosione di una bomba.
“CASTIEL!” strillò isterico. “Che diavolo  stai facendo?!”
Il diretto interessato, sentendosi chiamare, uscì dalla cucina, pulendosi le mani con un panno. “Il caffè,” rispose innocente, stupito dalla reazione del ragazzo.
Kevin, sconvolto e imbarazzato, lo squadrò da capo a piedi più e più volte, incapace di replicare; alla fine, sospirò frustrato. “E’ stata un’idea di Dean, vero?” chiese infine, strofinandosi gli occhi. “Sì, è stato Dean. E’ il tipo di cose che farebbe Dean,” si autorispose poi.
“E’ un regalo,” rispose Castiel, senza capire cosa ci fosse di così strano in lui. “Mi ha detto…”
“Scusami se ti interrompo ma tu… non devi fare tutto ciò che ti dice Dean!”
L’ex-angelo si accigliò, inclinando leggermente la testa di lato. “Io mi fido di lui.”
“Anche io mi sono sempre fidato di lui,” annuì Kevin.
La labbra di Castiel si curvarono in un lieve sorriso.
“…e sono sempre rimasto fregato. [1]”
Il sorriso del moro si dissolse. “Sì,” ammise dopo molti secondi, distogliendo lo sguardo dal Profeta. “Anche io.”
Fra i due scese un silenzio carico di muta comprensione reciproca.
Alla fine, Kevin sospirò di nuovo, prendendo coraggio. “D’accordo, allora ascoltami  bene, Castiel: se proprio vuoi tenerti addosso questa roba perché te l’ha data Dean,” spiegò arrossendo brutalmente, indicando il grembiule merlettato che indossava l’ex-angelo, su cui campeggiava la scritta ‘I’m your bitch’ [2], “sappi che… che devi metterla sopra i vestiti. Non... senza i vestiti.”

 

 

*

 

[1] Citazione dall’episodio 9x09.
[2] “If Cas moved into the bunker with Sam and Dean, he’d probably have to do the housework. He would be dressed up in a little apron and makeup with a name tag that says ‘I’m your bitch’.” — Misha Collins, Burcon 2013

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Capitolo 5
*** Bunker Trip #1 ***


Scusate per questo sclero. E' solo uno sclero, ma avvertivo il bisogno fisico di scrivere qualcosa di cretino. o_o 

Titolo: Bunker Trip #1
Note: Esiste la categoria Mistery/Nonsense??
Personaggi: Crowley, etc.
Parole: 440


 *


    Un bel giorno, Crowley riuscì a liberarsi del suo guinzaglio.

    Elegante,  altero e tremendamente incazzato, riemerse dalla segreta in cui aveva marcito per mesi.

    Percorse il corridoio con lentezza, passo dopo passo, schioccando la lingua e curvando le labbra in una smorfia perversa. Le sue mani tremavano d’eccitazione mentre fantasticava su come avrebbe sorpreso i Winchester; sul modo in cui gli avrebbe cavato le interiora, per poi trascinarli giù all’Inferno, dove avrebbe usato la loro pelle per rifoderarsi il trono.

    Raggiunto l’ingresso della sala principale del bunker, Crowley diede una spolverata al suo vestito, si riaggiustò la cravatta e si schiarì la gola; poi spalancò la porta con uno schiocco di dita.

    “Hello boys,” esordì con voce sensualmente sadica, ma lo spettacolo che gli si parò davanti lo lasciò di stucco.

    Castiel era seduto sul divano, la schiena curva e le mani strette ai lati del viso. “La mia Grazia…” singhiozzava piano, gli occhi lucidi e arrossati, scuotendo appena la testa. “La mia Grazia, non posso restare senza la mia Grazia, io… ho perso tutto… tutto, e il trench… il mio trench…”

    “Questa storia fa schifo!” gridò un uomo di mezz’età dall’altra parte della stanza, attirando l’attenzione di Crowley. Lui non lo aveva mai visto, ma il suo nome era Metatron, ed era impegnato a scaraventare a terra ogni libro che gli capitava sottomano. “Anche questa! Anche questa!”

    “Perché non la smettete di litigare?!” urlava intanto l’arcangelo Gabriele. “Perché dovete tutti sempre litigare?!”

    “Sono IO la regina dell’Inferno!” Oh, c’era anche Abbaddon. “Perché non mi date retta?! Vi ucciderò tutti! TUTTI!”

    “Io ero in un advanced placement…! Io… io non volevo essere un Profeta!” frignava intanto Kevin; si rotolava sul tappeto, stringendo al petto la Tavoletta degli Angeli. 
“Mamma! Mamma!”

    “Cas!” gemeva Dean, a poca distanza da lui: tendeva la mano verso Castiel, ma non riusciva a raggiungerlo. “Cas, ti prego, non andare via! Fai parte della famiglia! Ho bisogno di te!”

    Crowley deglutì. Fece scorrere lo sguardo da una parte all’altra della stanza: per farla breve, il bunker era pieno di strani individui, ed ognuno di loro era impegnato a lagnarsi disperato per un qualche assurdo motivo.

    “Clarence, sei il mio unicorno! Perché non vuoi essere il mio unicorno?!”

    “La versione 3D! Hanno fatto persino la versione in 3D del Titanic! Non ne posso piu’ del Titanic!”

    “Perché tutte le ragazze con cui sto muoiono? Perché c’è SEMPRE qualcosa di sbagliato in me?!”

    Lentamente, il Re dei Demoni fece un passo indietro. Richiuse la porta, tornò nella segreta e si rimise il guinzaglio. “Io non ho visto niente,” si disse, armeggiando con il lucchetto. “Io non ho visto niente.”


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Capitolo 6
*** Il peggior compleanno di sempre ***


Ieri pomeriggio mi sono liberata del mio esame.
(YEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEE  \*O*/ )
Il prossimo è a fine febbraio, per cui spero di poter approfittare di questi giorni per terminare il capitolo della mia altra fanfic su Supernatural >_ Visto che non ho scritto nulla per settimane, 
per cercare di rimettermi in carreggiata stasera ho riletto e corretto questa cosa che avevo buttato giu' qualche tempo fa.


Titolo: Il peggior compleanno di sempre
Note: Prima o poi, nel nonsense generale, spiegherò come mai Lui è ancora vivo, perché c'è un perché.
Personaggi: Dean, Catstiel, etc.
Parole: TROPPE


 *


24 gennaio 2014, ore 05:13 del mattino.
Dopo essersi rigirato un paio di volte sul suo delizioso materasso in memory foam, Dean schiuse pigramente gli occhi e si rese conto che Castiel non era lì con lui.
Non era la prima volta che succedeva: quel figlio di puttana, anche se era umano, dormiva pochissime ore, e non era raro che sgusciasse via nel cuore della notte per andare a risistemare il bunker, ad allenarsi o fare chissà cosa.
Irritato, Dean si rigirò un’ultima volta sotto le coperte, per poi rialzarsi sbuffando.
 “Cas?” chiamò, sbirciando fuori dalla porta della sua stanza. “Sammy? Kevin?”
Ma il corridoio, così come il resto del bunker, era immerso nel buio e nel silenzio più totale, per cui Dean suppose che Sam e Kevin stessero ancora dormendo e che Castiel fosse sceso nella Biblioteca a studiare uno dei grossi e pallosi tomi dei Letterati.
Incapace di riaddormentarsi, si gettò sotto la doccia e, quando ne uscì, tornò in camera per vestirsi. Dopo essersi infilato un jeans e una camicia rossa a quadri, Dean si sedette sul letto per allacciarsi le scarpe. Fu in quel momento che notò la cosa nera che giaceva sul lato in cui dormiva in genere Castiel: era una specie di pelliccia arrotolata, grossa quanto un pallone da rugby.
Dean allungò la mano per afferrarla ma, non appena la strinse, questa prese vita e balzò giù dal letto. Il cacciatore lanciò un’imprecazione sorpresa e capitombolò all’indietro.
La pelliccia si precipitò in direzione della porta, che però Dean aveva chiuso subito dopo essere uscito dal bagno; sbatté la testa contro di essa e poi, in evidente panico, si rifugiò in un angolo.
Fu in quel momento che Dean si accorse che si trattava di un maledettissimo gatto.
Ignorando il terrore dell’essere, il cacciatore fece qualche passo verso di lui e si chinò sulle ginocchia per osservarlo meglio: sì, si trattava proprio di un gatto nero, un gatto nero con gli occhi blu. Aveva un  pelo foltissimo, ma la cosa strana erano le due protuberanze ossee che sporgevano dalla sua schiena, molto simili ad ali.
Dean sbatté le palpebre. “E tu che cosa diamine sei?” pensò ad alta voce.
La creatura, nel vederlo lì vicino, parve rilassarsi un poco. Richiuse le ali e miagolò tristemente, ricambiando lo sguardo incerto del cacciatore con un’occhiata intensa e sovrannaturale.
Una terribile consapevolezza si fece largo nella mente di Dean; schiuse le labbra, incredulo: “C…Cas?” mormorò.
Al suono di quella parola, il gatto sollevò la testolina e si mosse verso di lui, cercando le sue mani per farsi accarezzare.
“Ma che… come diavolo…” Dean si passò una mano sulla bocca. Afferrò il gatto e lo sollevò da terra, portandoselo davanti alla faccia per guardarlo da vicino: era morbido come una nuvola, pulito, tranquillo e somigliava terribilmente a Castiel.
Con molta calma, Dean lo rimise sul letto, finì di allacciarsi le scarpe e poi giunse le mani in preghiera. “Cara Ariel, che dovresti essere fuori dal bunker... se mi stai sentendo…” disse, “…RAZZA DI PUTTANA!” gridò "Sei stata tu, vero?! Certo che sei stata tu! Ora vieni qui immediatamente e rimetti le cose a posto o te lo giuro, ovunque tu sia finita, vengo a cercarti e ti spenno!”
….
….
Nessuna risposta.
Dean afferrò il suo cuscino e lo scaraventò dall’altra parte della stanza.
Era stata Ariel, ne era sicuro. Non era la prima volta che quella puttanella faceva una cosa del genere.
Ariel detestava Castiel, anche se nessuno a parte lui sembrava essersene accorto. Piu’ di una volta, Dean era sicuro di averla vista fissarlo così male e così profondamente che sembrava stesse cercando di fargli esplodere il cervello con la forza del pensiero. (Ma si era presto reso conto che, per distogliere la sua attenzione da Castiel, gli bastava abbracciare teneramente Sam in sua presenza o roba del genere.)
Inoltre, solo qualche giorno prima, Dean aveva avuto il sospetto che quella sottospecie di angelo mal riuscito avesse cercato di avvelenare Castiel: infatti, nell’offrirgli una tazza del suo tè alla menta, aveva sorriso maleficamente. Terrorizzato, Dean aveva rovesciato apposta a terra le pallottole vuote che stava riempiendo di sale, e l'ex-angelo aveva abbandonato il tè sul tavolino per andare ad aiutarlo a rimettere a posto.
Ma nonostante questo, secondo Sam, era Dean che si immaginava le cose, perché era geloso delle sue amicizie.
“Io la ammazzo, giuro che stavolta la ammazzo,” ripeté il cacciatore biondo, irrompendo nel corridoio. “SAM! Sam, maledizione! Abbiamo un problema!”
La camera di Sam era vuota.
Mentre Dean malediva suo fratello e la sua mania di fare jogging a orari improponibili, Castiel trotterellò accanto a lui e si strusciò sulle sue gambe.
Lui lo ignorò e scese nella biblioteca. Dopo qualche minuto, trovati dei tomi che sembravano fare al caso suo, li tolse dagli scaffali, li gettò su una scrivania e iniziò a sfogliarli.
Mentre era chino sulle Esperienze di Metamorfosi  Animale di Gregor Samsa, Castiel gli si arrampicò addosso: quando Dean se ne rese conto, lui aveva già raggiunto la sua spalla destra.
Il gatto alato sbirciò il libro sulla scrivania, allungando una zampa per cercare di afferrare un angolo della pagina ingiallita.
“Stà buono, Cas,” esclamò Dean, togliendoselo di dosso.
Lo rimise a terra, ma pochi secondi dopo se lo ritrovò sul libro, mentre infilava la testa sotto la sua mano, cercando di rubargli una carezza.
“Cas, maledizione,” disse lui esasperato, “sto cercando un fottutissimo modo per farti ritornare normale!”
Castiel rimase immobile  a fissarlo con i suoi occhi blu e tristi, per cui alla fine Dean lo mise sulle sue gambe e, mentre con una mano continuava a sfogliare le pagine, con l’altra gli grattava goffamente la testa.
Un’ora dopo, Dean si accorse di essere crollato sul Resoconto dell’Uccisione della Strega della Metamorfosi Pànfile, scritta da un cacciatore dell’antica Grecia di nome Lucio Apuleio.
Era comunque un libro inutile, per cui lo richiuse con una manata.
Castiel gli si era addormentato in grembo. Dean immerse le mani nella sua pelliccia folta e lo sollevò di nuovo all’altezza del suo viso. Svegliatosi, dopo un momento di confusione, il gatto iniziò a fargli le fusa.
“Cas, per la miseria, dovresti essere incazzato!”
Ma Castiel non lo era. In effetti, da quando era un gatto, sin dal primo momento in cui aveva visto Dean, non aveva fatto altro che cercare lui, la sua vicinanza, le sue carezze e il suono della sua voce.
Era come se a Castiel non importasse essere un angelo, un umano o un gatto: Dean si rese conto che gli bastava stare con lui.
Lo posò delicatamente sulla scrivania e circondò il suo musetto con le mani.
“Ascolta,” gli disse, “ascoltami bene, perché te lo dirò una volta sola. Anche a me non mi importa se sei un gatto, se non puoi parlare o se...sei un gatto. Non so neanche se puoi capirmi ora, ma io… io non sono bravo con queste cose sentimentali, ma voglio che tu sappia che io... non ho mai provato quello che provo per te per nessun altro… essere umano, angelo o quello che è.” Deglutì. “Non mi importa che cosa sei. Tu sei… tu sei speciale, e io… io… io ti…io…” sollevò il gatto dalla scrivania e prese un grosso respiro,  “ti..ti amo,” ammise.
“Quindi è così che stanno le cose,” disse una voce profonda alle sue spalle. “Tu ami lui.”
Dean si voltò di scatto e scorse, all’ingresso della biblioteca, uno sconvolto Sam e, accanto a lui,  Castiel.
“C-Cas?!”
Dean si voltò a guardare il gatto, e poi si girò nuovamente a guardare Castiel.
“Cas, tu non sei un gatto,” constatò.
“No,” replicò lui calmo, “ma non pensavo che questo fosse un fattore limitante per la nostra relazione.”
Dean lasciò andare il gatto, che cadde a terra con un tonfo. “No, no, aspetta Cas, io…”
Castiel estrasse dalla tasca un pacchetto dorato e lo appoggiò su uno scaffale lì vicino. “Ti auguro un buon compleanno, Dean. Ma credo che ora sia meglio che io vada via da questo posto.”
“No, Cas, lascia che ti spieghi… è che questo gatto di merda è uguale a te, per cui io-”
Castiel inclinò la testa di lato e aggrottò la fronte, poi sospirò e lasciò la stanza.
“Cas aspetta, non è come pensi! E’ un malinteso! Sammy! Diglielo che è un malinteso!”
Ma Sam, che probabilmente aveva capito tutto, si era accasciato contro uno scaffale e si teneva la pancia dal ridere.
“Sam sei un idiota. Cas! CAS!”
Dean corse fuori dalla biblioteca.
Il gattino zampettò dietro di lui, seguendolo, ma non appena varcò l’uscita, due mani lo afferrarono al volo. “Oh, la mia piccola Cassy, ecco dov’eri finita,” cinguettò Balthazar. Strofinò il naso contro quello della creaturina: “Che ti hanno fatto questi scimmioni sgraziati? Che ti hanno fatto? Ora papà bello ti riporta a casa, su,” disse, e scomparvero entrambi con un frullio d’ali.


 *


PS:
Aw, i gatti alati sono bellissimi... *piange*
Quello che faceva Cassy con Dean è ciò che sono costretta a subire io ogni volta che cerco di studiare. *fissa male la sua gattina*

Winged Cat


 

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Capitolo 7
*** La seconda volta che Dean disse “Ti amo” ***


Cose sempre piu' a caso.


>> SPOILER episodio 2x13 di Torchwood <<

Personaggi: Dean,  Castiel, Sam, Kevin, Charlie.
Parole: 943

Genere: Drammatico (per Dean) (come al solito) (seriamente, povero cristo)

 

 

Dean avvertì una goccia d’acqua colpirgli il naso.
Il capannone in cui si trovava era buio e umido. Le tubazioni dell’acqua erano rovinate e vi erano dappertutto marciume, topi e cavi scoperti.
Lui, Sam e Castiel erano sulle tracce di alcuni demoni al servizio di Abbaddon; le loro ricerche li avevano condotti sul molo di un vecchio porto abbandonato e, mentre Sam e Castiel esploravano la banchina, Dean aveva deciso di fare qualche ricerca all’interno.
Il suo cellulare vibrò, lui lo estrasse e lesse l’sms che Sam gli aveva appena inviato. Recitava: “Trappola dei demoni – ci stanno massacrando.”
Gettò a terra la torcia, estrasse il coltello e si precipitò fuori dal capannone. Raggiunse la banchina, correndo fra i cassoni arrugginiti di merce. Vide segni di lotta dappertutto.
Sam era accasciato a terra. Dean verificò il suo battito e il suo respiro e realizzò che era solo svenuto.
Si guardò intorno, ma la zona era deserta e silenziosa. “Cas!” gridò, “Cas, dove sei?”
Pregando che non gli fosse successo nulla, continuò a chiamare il compagno finché qualcuno alle sue spalle non gli afferrò il polso.
“Dean,” disse lo sconosciuto. Era un omino ben oltre la mezz’età, probabilmente un pescatore. Era basso e pienotto, con i capelli grigi e unti semicoperti da un brutto cappello, i vestiti sporchi e la pelle raggrinzita.
Il cacciatore si liberò dalla sua presa con uno strattone. “Chi diavolo sei tu? Come conosci il mio nome?” domandò.
Il pescatore gli puntò addosso i suoi occhi piccoli e neri e inclinò la testa di lato. “Dean, sono io. Il mio tramite è stato danneggiato in modo irreparabile, per cui sono stato costretto a cercarne uno nuovo. Da oggi, questo sarà il mio nuovo tramite.”
Dean si sentì mancare la terra sotto i piedi. “C-Cosa?” indietreggiò di un passo e squadrò meglio colui che si era appena presentato come il nuovo Castiel. La bocca gli si asciugò e rimase spalancata in un’espressione a metà fra il nodaimistaiprendendoperilculo e il porcaputtanaedorachecazzofaccio.
“Questa situazione ti turba in qualche modo?” chiese Castiel, preoccupato.
“Io… io…no, no,” mentì lui, agitando il coltello.
“Forse… forse il mio tramite non è di tuo gradimento?” gli occhi di Castiel divennero lucidi e Dean si sentì malissimo, perché poteva anche essere nel corpo di un vecchio basso e sciatto e puzzolente, ma era sempre il suo Cas, e lui detestava veder soffrire il suo Cas. “Mi dispiace. Non è una cosa che ho voluto, ma… se non riesci a sopportare la mia vista, io…”
Dean gli poggiò le mani sulle spalle, interrompendolo. “Cas, ti ricordi di quel gatto pulcioso? A me non mi importa l’aspetto che hai. Io...” si morse le labbra, cercando la forza di pronunciare di nuovo quelle parole, “…io ti amo.”
Il suono di quelle poche sillabe bastò a rassicurare l’angelo, che gli rivolse un sorriso sdentato. Dean sorrise a sua volta, anche se un po’ nervosamente. Ma ciò che lo distrusse psicologicamente fu il fatto che, subito dopo, Castiel cercò di baciarlo.
E’ Cas, si ripeté il cacciatore. E’ Cas E’ Cas E’ Cas ma no, per quanto fosse una cosa orribile da parte sua, in quel momento voleva solo correre via da quell’uomo e dal suo alito nauseante. Amava Castiel, lo amava davvero e per questo motivo gli veniva da piangere per la sua debolezza, ma di colpo sentì uno sparo: si svegliò e scattò a sedere sul divano del bunker.
“Buongiorno, principessina,” disse Sam, divertito. Dean si rese conto di essersi addormentato sulla sua spalla.
“Ma hanno sparato a Tosh! Perché hanno sparato a Tosh?!” esclamò Kevin, dall’altra parte del divano.
Ah. Giusto. Charlie e il suo tentativo di convertirli a Torchwood, quel telefilm assurdo che iniziava un po’ come una loro giornata tipo ma si concludeva con la scoperta che lo stronzo del giorno era un alieno.
Dean si massaggiò la spalla. Ora che ci pensava, perché aveva sognato che Cas era un angelo? Lui non era piu’ un angelo….giusto?
Si guardò attorno preoccupato, cercandolo con lo sguardo.
“Bah, perché noi asiatici dobbiamo sempre morire a caso in questi telefilm?” protestava intanto Kevin.
Charlie gli diede una pacca sulla spalla.
Castiel comparve nella stanza un istante dopo con una ciotola di pop-corn in mano. “E’ solo finzione, Kevin. Sono abbastanza sicuro che quella donna non sia morta davvero,” spiegò, prendendo posto fra lui e Dean. Quest’ultimo fece un sospiro che definire di sollievo era limitativo.
Sam si sporse sulle gambe del fratello maggiore e rubò la ciotola a Castiel. Lui ci rimase male, ma alla fine decise che non gli importava; allungò il braccio sul tavolino di fronte per prendere una birra, dando l’opportunità a Dean di scorgere il complesso sigillo enochiano impresso sulla pelle che si intravedeva dal collo sbottonato della sua camicia (e, sì, quel suo nuovo tatuaggio era parecchio eccitante).
“Cas…” mormorò il cacciatore, catturando l’attenzione del compagno. Ottenne in risposta un sorriso sereno e uno sguardo fatto di occhioni blu magnetici. Castiel si era rasato da poco ed aveva i capelli scompigliati come se fosse appena rotolato giù dal letto. 
Dean gli saltò praticamente addosso, gli circondò le spalle con le braccia e lo strinse a sé; immerse il viso nell’incavo del suo collo e respirò il suo odore, misto al suo profumo caldo di mirra e cannella.
“D-Dean...?”
 “Cas, sei ancora sexy,” sospirò lui, facendo sputare il pop-corn a Sam. “Sei ancora sexy, grazie al cielo.”

 

Epilogo:
Castiel non aveva mai capito come funzionavano gli abbracci e nessuno si era mai premurato di spiegarglielo per cui, nei secondi successivi, rimase lì fermo, confuso e irrigidito. Quando alla fine Dean sciolse l’abbraccio e, tutto felice, si accoccolò sulle gambe del suo ex-angelo, Kevin si roteò un dito intorno alla tempia; Sam rispose scrollando le spalle, mentre Charlie scoppiò a ridere sonoramente.

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Capitolo 8
*** Bunker Trip #2 ***


In questi giorni sto scrivendo le ultime pagine dell'altra mia fanfic. La parte di Bartolomeo mi perplime assai e mi ha fatto sentire la mancanza di Shahat, povero cucciolo.
Se non sapete chi è Shahat non preoccupatevi: non lo sa neanche Crowley.
Questo capitolo rientra nella categoria 'ignoratemi, sono deficiente'.



Titolo: Bunker Trip #2
Ispirata a: Questa fanfic
Personaggi: Crowley, Sam, Dean, Shahat, Ariel
Parole: 962

* * *


Crowley, pur di non essere coinvolto nella follia del giorno di Cip e Ciop Winchester, si era risigillato nella segreta del bunker e si era persino rimesso il guinzaglio.
Ciò nonostante, non riusciva a stare tranquillo.
Trascorsero le ore, e gli strilli e i piagnistei provenienti dal piano superiore diventarono sempre più numerosi ed insistenti. Alla fine, la cosa iniziò a dargli sui nervi.
Seduto alla scrivania gentilmente offerta dai Men of Letters, il Re dei Demoni stava picchiettando nervosamente sul piano di legno scuro quando la porta della segreta si spalancò di colpo.
“Oh, per favore, no,” sussurrò frustrato quando scorse all'ingresso il profilo di Sam, preludio della realizzazione dei suoi peggiori incubi.
“IO SONO VELENO!” sentì gridare da Dean. “La gente che mi sta vicino muore! O peggio!”
Il cacciatore era a terra, attaccato alla gamba di Sam che se lo trascinava appresso faticosamente.
“Crowley,” esalò il giovane, guardandolo con gli stessi occhi supplichevoli con cui Bambi guarderebbe il cacciatore che sta per sparargli in fronte, “abbiamo un problema.”
“A me sembra che sia tutto perfettamente normale, darling,” rispose lui, mentre Dean continuava a piagnucolare e a tenerlo stretto e Sam agitava il piede nel tentativo inutile di staccarselo di dosso.
“Sam!” gemette Dean, aggrappandosi alla sua camicia. “Sammy…”
“Sì, Dean, sì, ho capito, lo so, tu–”
“… Sammy, mi annoi.”
Il giovane sgranò gli occhi e abbassò la testa appena in tempo per vedere suo fratello rivolgergli un ghigno sadico.
Poi Dean schioccò le dita e il corpo di Sam si ridusse in mille pezzi.
Crowley sollevò le sopracciglia. “Hai fatto esplodere l’alce,” constatò dopo qualche secondo, sinceramente sorpreso.
“Ho pensato che fosse un modo carino per spezzare la monotonia,” ammise candidamente lui, rialzandosi da terra e riaggiustandosi la cravatta nera che indossava.
“Perché non l’hai fatto nove stagioni fa?” gli domandò il demone mentre osservava l'elegantissimo completo scuro che stava sfoggiando. “…perché ho detto ‘stagioni’?”
“Non sono Dean,” ammise lui a quel punto.
“Lo so. E’ diventato evidente quando hai coniugato in maniera corretta il congiuntivo.”
L’essere con le fattezze di Dean sorrise malizioso e sbatté le ciglia, mostrando due iridi rosso sangue.
“Puoi chiamarmi Shahat, o, se preferisci, Re del Limbo,” disse. Raccolse una sedia e si accomodò di fronte a Crowley. Appoggiò i gomiti sulla scrivania e intrecciò le dita sotto il mento, scrutando in silenzio per dei lunghi secondi il Re dei Demoni come se fosse un’opera d’arte.
“Oh. Un collega,” replicò lui, intercettando quello sguardo con una certa ansia.“Posso fare qualcosa per te?”
Shahat sorrise languido. “Tu mi attrai, Crowley.”
“Ti ringrazio. Mi porterai a guardare il tramonto sulla spiaggia adesso?”
“Sono serio,” dichiarò l'altro, avvicinandosi a lui. Prese una mano di Crowley fra le sue e iniziò ad accarezzargli con delicatezza le dita e il palmo, guadagnandosi un’occhiata incredula del demone.
“Credo ci sia un equivoco,” iniziò lui con educazione.
“No, Re dell’Inferno. Conosco la tua storia. Tu eri una larva inutile, ma, con pazienza e crudele raziocinio, sei riuscito a strisciare fino alla cima del regno infernale. Tutti pensano che tu sia un bastardo insensibile e perverso," disse Shahat.
Crowley si rabbuiò.
"Ti sei reso infame agli occhi di qualunque essere vivente e non, e sei detestato e temuto da tutto l’Oltretomba. E io credo che tutto questo sia…”
“Io non volevo questo.”
“Che cosa?”
La mano di Crowley tremò leggermente fra quelle di Shahat. “ Io… io non volevo essere odiato da tutti,” sussurrò il demone, mentre le vecchie ferite si riaprivano. “Io volevo…no, io voglio… io voglio solo essere... amato,” spiegò, in un bisbiglio appena percepibile.
“Non credo di aver sentito l’ultima parola.”
Crowley serrò la mascella. “Io voglio essere amato!” scandì, paonazzo, picchiando i pugni sulla scrivania. “Io MERITO di essere amato, maledizione! MALEDIZIONE!”
Il demone si portò le mani fra i capelli e lanciò un grido esasperato. Si lasciò cadere dalla sedia e corse a rannicchiarsi sotto la scrivania, da cui iniziarono a provenire dei singhiozzi sommessi.
Shahat, interdetto, ritrasse le mani e rimase perfettamente immobile.
“Il suo p-potere è d-davvero i-immens-so, m-m-m-mio Signore,” balbettò una figura femminile alle sue spalle.
Lui incrociò le braccia al petto e si voltò appena per lanciarle un’occhiataccia. “Cosa stai cercando di blaterare, Ariel? Mi stai dicendo che vuoi che ti strappi di nuovo quelle piume puzzolenti una per una?” disse, scocciato.
Lei lanciò un gridolino di terrore e scosse la testa. “I-Il suo potere, n-no?” mormorò. “R-Riesce a gettare t-tutti nella d-disperazione.”
Lui rimase in silenzio per molti secondi. “Non sono io,” ammise alla fine con amarezza.
“E-eh?”
“Io non sto facendo niente. Questa gente è così di suo,” spiegò il Re. “E il mio tramite… Dean, lui è il più complessato di tutti. Sam qui, Cas lì. 'Sono tossico, sono inutile, Dio mio ora sono anche gay'. Mi sta facendo impazzire. E' troppo anche per me.” Si grattò la testa e poi passò un fazzolettino a Crowley, ancora sotto la scrivania. Lui si soffiò il naso in modo particolarmente rumoroso e riprese a piangere più forte di prima.
“Ho provato ad essere cortese con queste persone,” proseguì Shahat, “ma dopo un po’ hanno iniziato tutte a fare così. Allora ho riportato in vita altra gente interessante, ma anche con loro è andata male. Io,” sospirò, “…io cercavo solo un amico. Sai, quel tipo di amico che sa esattamente quale tipo di coltello passarti quando vuoi torturare qualcuno. Quel tipo di amico che ti sprona ad andare avanti quando non riesci subito a sbriciolare le difese di un’anima pura. Che senso ha distruggere questo mondo se poi tornerò ad essere di nuovo solo?” domandò.
Fissò a lungo Ariel, ma lei sembrava essere troppo terrorizzata per rispondere.
Sospirò di nuovo. “Basta così,” dichiarò, depresso,“io me ne torno a casa.”


*


PS random: vagando a caso per Tumblr, qualche giorno fa ho beccato su questo blog un fan edit che secondo me è la rappresentazione perfetta di Dean!Re del Limbo (dopo il panico iniziale ho lanciato un gridolino di gioia e ho inviato cuoricini all'autore, che suppongo mi abbia preso per scema):

D/S


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