La prima volta di Alexy...

di D per Dolcetta
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Can't take my eyes off you - Primo Concerto ***
Capitolo 2: *** Spolvera, spolvera, mio caro! ***
Capitolo 3: *** La prima volta di Alexy... Innamorato ***
Capitolo 4: *** Le stagioni di Alexy ***



Capitolo 1
*** Can't take my eyes off you - Primo Concerto ***


Cos’è D per Dolcetta?
Siamo sei dolcette, tutte attive nel fandom di Dolce flirt e abbiamo deciso un po’ per gioco, un po’ per sfida, di scegliere un tema comune e da lì sviluppare sei fanfic tutte diverse.
Con “La prima volta di Alexy...” inauguriamo così questo nostro progetto! Buona lettura!  





La prima volta di Alexy... ad un concerto!

Autrice: Euphoria__
Titolo: Can't take my eyes off you

 




Can't take my eyes off you

 
 
È una tortura vederlo lì su quel palco. Così sicuro di sé, mentre la sua voce riempie ogni angolo del locale e ogni parte di te.
Perché hai accettato?
È così difficile dire di no?
È così difficile dirgli di no?
Lysandre è il tuo tallone d’Achille. Lo è sempre stato.
Dal primo momento in cui hai varcato le soglie di quella nuova scuola.
Ti ritrovi a sorridere pensando che non è neanche il tuo tipo. Hai sempre avuto un debole per gli uomini dalla carnagione ambrata, con occhi e capelli scuri. Allora che cos’è che vedi di speciale in lui?
C’è così tanto che ti piace di quel ragazzo che a volte pensi sia impossibile apprezzare a tal punto una persona. Amare ogni suoi piccolo difetto, ogni sua piccola cicatrice.
Ricordi la prima volta in cui ti ha sorriso. Tu stavi facendo il giullare, come al solito, volevi vederlo ridere, un privilegio che concedeva a pochi.
Lui ti ha guardato imbarazzato, ha scosso la testa rassegnato e poi era comparso: quel sorriso tanto agognato si era materializzato sul suo viso, illuminando ogni altra cosa.
Come sei sentimentale questa sera e pensare che è il luogo meno adatto per certi pensieri. Gli assoli di Castiel ti fracassano le orecchie e la ragazzina bionda accanto a te non ha fatto altro che urlare il nome di Lysandre privandoti di ogni possibilità di goderti quel concerto. La gente ti spinge di qua e di là e tutto ciò che vorresti fare è sederti da qualche parte ad aspettare che il tuo cuore smetta di battere così forte.
È davvero una tortura.
Finalmente ti decidi. Ti fai largo tra la folla con spintoni più o meno gentili e raggiungi il retro del locale, conosci il proprietario e non ha ti ha mai fatto storie. Ti congratulerai con la band più tardi.
La luce al neon del retrobottega ti fa male agli occhi, gli strizzi più volte prima di arrenderti a quella fastidiosa sensazione. Ti sdrai senza delicatezza su un divanetto buttando a terra scatoloni vuoti. Senti le pareti tremare al martellare delle casse, la tua testa comincia a pulsare allo stesso ritmo. Ti senti intontito. Il tuo primo concerto non sta andando per niente bene, forse non fanno per te.
Menti a te stesso, ben consapevole della vera ragione per cui ti sei rifugiato in quell’asettica stanza bianca.
Il ronzio delle lampade si mischia alla voce di Lysandre che arriva alla tue orecchie sempre più debole. Perché deve essere così bravo? Ti fa stare male, ti tortura, ma è una tortura a cui ti sottoporresti ogni singolo giorno pur di sentire qualcosa, qualsiasi cosa. 
Non riesci a smettere di fissare quelle due strisce di luce e, quando chiudi gli occhi, migliaia di colori esplodono davanti a te nelle forme più disparate.
“Andrà tutto bene, Alexy” sussurri a te stesso prima che ogni suono scompaia e con lui ogni tua preoccupazione.
“Alexy? Alexy che ci fai qui?”
Senti una delicata pressione sulla spalla, apri gli occhi spalancando la bocca in un grande sbadiglio.
Subito la figura di Lysandre prende forma davanti al tuo naso, scatti in piedi e Castiel, di cui hai ora notato la presenza, ridacchia divertito.
“Siamo così noiosi?” ti chiede il rosso frugando nella tasca alla ricerca di un accendino, la sigaretta già tra le labbra. Indossa una maglietta completamente fradicia di sudore, così come i suoi capelli che sono stati legati in una cosa disordinata.
“Stavo riposando gli occhi” menti sorridendo sarcastico.
Castiel alza un sopracciglio poco convinto della tua piccola bugia e si dirige verso la porta.
“Amico, russavi alla grande” imita il saluto militare ed esce a placare la sua sete di nicotina.
“Io non russo!” Castiel è sordo alla tue proteste e tutto ciò che ricevi è la porta sbattuta in faccia “Io non russo, vero?”
Ti volti verso Lysandre. Pessima, pessima mossa. Il ragazzo si sta asciugando il sudore dal viso con un asciugamano. Un gesto del tutto innocente. Non per te.
Infondo perché non dovrebbe essere il tuo tipo? In quel preciso momento non riesci a trovargli un singolo difetto. Ogni sua goccia di sudore ti sembra perfetta. Ne osservi una in particolare, nata sulla tempia sinistra. Scivola sin fino alle labbra, prima di interrompere la sua corsa in quel morbido panno bianco.
Senti il cuore cominciare la sua corsa, accelera sempre, sempre di più.
“Non preoccuparti Alexy. Castiel scherza, come al solito”
Ti sorride e quel sorriso su quel volto esausto ti sembra la cosa più bella del mondo.
Lo vedi che è stravolto e subito ti senti in colpa per la dormita fatta prima. Decidi di lasciarlo solo, probabilmente è quello che vuole.
“Ci becchiamo a scuola, Lys. Grazie per l’invito”
Hai già la mano sulla maniglia quando il ragazzo ti ferma.
“Alexy, stai bene?” rimani immobile, il volto ancora rivolto verso la porta. Fai un bel respiro prima di sorridere plasticamente e voltarti mostrando la tua espressione più serena, nonché quella più fabbricata.
“Alla grande, perché?”
Lysandre è serissimo, preoccupato quasi e il tuo falso sorriso per un momento vacilla sotto quello sguardo.
“Ti ho visto andartene durante il concerto, non era di tuo gradimento?”
Non sai bene come rispondere. Sia perché hai dubbi sul significato del termine gradimento, che sei sicuro non avere mai sentito usare, e perché non ti aspettavi una tale domanda. Tra quella folla urlante, tra le decine di ragazze che gridavano il suo nome, lui ha notato te?
“Scherzi? Siete bravissimi” ti affretti a rispondere “E tu sei spettacolare”.
Non realizzi subito quello che hai detto. Ci metti qualche secondo. Lysandre ti guardò sorpreso, apre la bocca per rispondere, ma la chiude subito dopo. Serri le labbra e ti dai mentalmente del cretino. Appena arrivi a casa ti riprometti di sigillarti la bocca con la super colla.
“Tu e Castiel siete spettacolari” ripari alla gaffe cercando di suonare il più credibile possibile.
“Grazie, lo apprezzo molto” Lysandre è gentile, come al solito. Le sue risposte non sono mai sbilanciate. È il contrario di te e forse è per questo che ti piace tanto. Lui non parla a vanvera e non agisce di impulso. Le sue parole sono sempre così ben calibrate.
Cade un silenzio imbarazzante. Hai come l’impressione lui voglia dirti qualcos’altro, o forse è semplicemente quello che speri.
Ti schiarisci la voce e il tuo disagio non fa altro che aumentare. Ti gratti la testa alla ricerca delle parole giuste e indietreggi verso la porta.
Una voce femminile rompe il silenzio facendovi sobbalzare entrambi.
“Lysandre! Dove sei, tesoro mio?”
Il cantante spalanca gli occhi sorpreso, non sembra molto felice.
“Nina…” sussurra quel nome con una tale esasperazione nella voce che anche tu ti rendi conto questa Nina non sia a lui visita gradita.
“Non ne posso più” sussurra a se stesso prima di cominciare a camminare avanti e indietro per la stanza.
La voce della ragazza si fa sempre più vicina. Senti una porta in corridoio aprirsi e subito richiudersi. Si sta avvicinando e per un attimo ti senti protagonista di un film dell’orrore.
Ti chiedi che aspetto possa avere questa fantomatica Nina: l’immagine di una ragazza di novanta chili alta due metri, stranamente somigliante a Boris, si fa largo prepotente nella tua testa. Rabbrividisci al pensiero.
Sei praticamente incollato alla porta e una parte di te non vorrebbe far altro che abbassare quella maniglia e scappare.
Raccogli il coraggio per congedarti. Tanto lui non sembra prestarti più attenzione. Fai per aprire bocca quando il nome del ragazzo aleggia per un’ultima volta nella stanza e ti ritrovi spiaccicato al pavimento.
“Lysandre! Finalmente ti ho trovato” una ragazzina bionda, la stessa che si trovava accanto a te durante il concerto, ti ha praticamente buttato a terra spalancando con una tale forza la porta che ti sorprendi come quella sia ancora attaccata ai cardini. Una forza non umanamente attribuibile ad una ragazza delle sue dimensione.
Alzi lo sguardo spaventato verso di lei. Strano come una ragazzina con codini e calze a righe possa fare così paura. Rimpiangi quasi la cugina di Boris alta due metri.
Ti alzi veloce e ti ritrovi al fianco di Lysandre. Non dovresti essere intimorito da una bambina che ti arriva a malapena alle spalle, ma c’è un non so che di diabolico nel suo sguardo.
“Eccoti qui, tesoro mio” quella piccola creatura malefica corre verso Lysandre e subito gli cinge la vita.
Senti una rabbia sconosciuta montarti dentro e uno spillo trafiggerti il petto.
“Nina, lasciami. Te ne prego” Lysandre alza le mani in aria, in segno di resa, ma la ragazza non lascia la presa.
“Amore, non sei contento di vedermi?”
È in quel momento che Lysandre ti lancia una richiesta di aiuto. Ti guarda con lo sguardo più bastonato che tu gli abbia mai visto addosso. Ti sta supplicando di aiutarlo e tu non puoi tirarti indietro.
Ti viene in mente un solo modo per allontanarla definitivamente da lui. A pensarci, non è poi una così grande idea, ma non te ne vengono altre e non puoi lasciarlo in balia di quel piccolo demonio.
Gli fai l’occhiolino in cerca del suo consenso e al suo impercettibile cenno di assenso dai inizio alle danze.
“Non penso noi due ci conosciamo” esclami spingendo delicatamente la ragazza lontano dal suo amato e sorridendole falso.
“Non mi interessa” la sua risposta ti fa andare su tutte le furie e per un attimo hai la tentazione di buttarla fuori dalla stanza a calci.
Scuoti la testa per eliminare tale immagine e ti concentri sul piano che la tua testolina ha elaborato.
“Io penso invece ti interessi” la guardi con sguardo di sfida e con un braccio cingi la vita di Lysandre che stranamente non si ritrae. Il tuo cuore ritorna a battere e tu puoi trarre un respiro di sollievo. Ogni cellula del tuo corpo sta ballando la samba in questo momento. Non eri mai stato così vicino a lui e non c’è altro posto in cui vorresti essere.
“Io sono Alexy, il ragazzo di Lysandre, molto piacere” tendi la mano verso la ragazza che ora ti guarda sconvolta.
“Non è vero!” urla oltraggiata puntando i piedi a terra e incrociando le braccia testarda.
“E invece sì!” le rispondi a tono, consapevole di quanto infantile sia diventata quella conversazione, ma per niente intenzionato a dargliela vinta.
“E invece no!”
“Sì!”
“No!”
“Sì!”
“No!”
Stai per sputarle addosso l’ennesimo “sì” quando Lysandre ti volta e ogni parola ti muore dentro.
Le labbra del ragazzo premono forti contro le tue, rimani immobile per una frazione di secondo, prima di dischiuderle automaticamente. Gli occhi prima spalancati per la sorpresa che si chiudono per assaporare il sapore di quella pelle che per così tanto tempo hai desiderato.
È una piccola, innocente messa in scena. Nulla di più. O forse no…
La lingua di Lysandre cerca timida la tua, ma una volta trovata non la lascia più andare.
Senti la presa sulla tua vita farsi più salda e gli porti inavvertitamente le mani tra i capelli bagnati, li stringi, li tiri, li arruffi tra le tue dita. Non state fingendo, un bacio così bello non può che essere reale.
Il suo profumo ti invade i sensi e senti le ginocchia tremare. La felicità che hai in petto è però trattenuta da quella scomoda verità che continui a ripetermi: è tutta finzione. Nina vi sta guardando e quel bacio è indirizzato solo a lei.
Il tuo cuore sta già soffrendo. Le tue labbra sono ancora incatenate alle sue e il tuo cuore già sanguina. Appoggi una mano sul suo petto e con grande sforzo lo allontani lento da te.
“Penso possa bastare” sussurri con voce roca cercando di ignorare l’imbarazzante formicolio che senti al basso ventre.
Ti volti alla ricerca di Nina, ma lei non è più lì. Se ne è andata e tu eri troppo preso dal bacio per rendertene conto.
“Nina ora non ti darà più fastidio” cerchi di suonare il più vivace possibile, anche se dentro ti senti morire.
Lysandre si passa una mano tra i capelli, apre la bocca per chiuderla subito dopo. È in difficoltà e ti fa male vederlo così. Ti senti così in imbarazzo, che diavolo ti è saltato in mente?
“Lys scusa, io non avrei dovuto…”
“Alexy, io non l’ho fatto per Nina”
Che cosa ha detto? Sei sicuro di aver capito male. Lysandre non riesce neanche a chiederti di prestargli una penna in modo così diretto.
Sai non aggiungerà altro, non è un tipo loquace. Cerchi di analizzare quella frase in tutte le sue sfumature, ma non sei lucido abbastanza per farlo e nella tua testa quelle poche parole hanno assunto un significato ben preciso.
Sei sempre stato deciso ed è il momento giusto per sfruttare questa tua qualità. Siete andati troppo oltre per tornare indietro e fare finta di niente.
“O la va, o la spacca” ti avvicini a lui, quasi ti butti tra le sue braccia, gli prendi il viso tra le mani e senza lasciargli altro tempo lo baci.
Quel nuovo bacio era proprio quello che il tuo corpo attendeva e forse anche il corpo di Lysandre. Senti i muscoli del suo corpo distendersi, le sue mani farsi più coraggiose e il suo respiro affannarsi ignorando la disperata richiesta d’ossigeno, incapace di abbandonarti e rompere quel contatto.
Ti allontani lento, morsicandogli dolce il labbro inferiore. La sua bocca già ti manca.
“È il mio primo concerto” sussurri a mo’ di scusa a pochi centimetri dal suo viso.
“Spero sia il primo di una lunga serie” ti sorride sereno come non lo avevi mai visto e in cuor tuo ti prometti di conservare questo ricordo per sempre.
Forse ti sei sbagliato. Forse, dopotutto, i concerti fanno per te.


 

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Capitolo 2
*** Spolvera, spolvera, mio caro! ***


La Prima Volta in cui Alexy si sentì una donna.



La prima volta di Alexy... come donna!


Autrice: Gozaru





~ L'avevano comprata perché, sì, serviva. Ma tra lucette, pulsantini e manovelle ambigue, Alexy si chiese se quell'affare non fosse pane per i denti del suo gemello. Aveva letto con attenzione le millanta righe delle istruzioni ma le cose gli sembravano più complicate di prima.
Dov'era finita sua madre che, con due click, faceva partire il tutto?
Guardò stranito ancora una volta la lavatrice carica delle sue magliette preferite, sporche ormai da più di una settimana, e pregò che il tutto cominciasse a funzionare come per magia.
Alle sue spalle, il mucchio dei panni sporchi avrebbe preso presto vita, altrimenti.


~ Arreso ormai alla tecnologia, ma confidando in un futuro di pacchia grazie alla domotica per cui avrebbe tranquillamente speso tutto il suo denaro, Alexy immerse un braccio nel lavello per togliere il tappo e far quindi scendere l'acqua. Aveva ormai lavato tutti i piatti e, sistemato anche gli ultimi dettagli, la cucina ora splendeva.
Aveva passato almeno due orette della sua vita a grattare superfici incrostate dal cibo e pentole altrettanto unte. Si levò il grembiule e lo lasciò sopra lo schienale di una sedia, finalmente autorizzato a riposarsi.
Si era appena buttato sopra al divano quando, non del tutto in possesso delle sue piene facoltà mentali, Armin arrivò in cucina con un piatto sporco di maionese e altre amenità. Non contento, cominciò a ravanare aprendo antine su antine in cerca di qualche altra porcheria da sbanfarsi con le dita inzuppate di salsine appiccicose.


~ La sua sfida più grande si era rivelata essere la camera di Armin. Da piccoli l'avevano sempre condivisa, ma con la maturità e il nuovo appartamento avevano deciso di separarsi per avere ognuno i propri spazi e ad Alexy era stato severamente vietato entrare in camera del fratello per ficcanasare tra la sua roba. Ma il dover di casalinga disperata era ormai troppo forte per rispettare le volontà di un gemello assente, troppo preso al Centro Commerciale in una -fasulla- svendita di videogame.
Aperta la porta, Alexy riuscì solo a chinarsi per raccogliere le varie cartacce di merendine e bottigliette accartocciate. Spolverò i libri, le custodie dei videogiochi e il mobile contenente televisione e le amate console; ma non appena arrivò al letto e provò a smuovere le coperte gli prese una strana sensazione alla bocca dello stomaco: un conato di vomito insistente lo costrinse a scappare dal fortino nemico.
Al ritorno, Armin si ritrovò un bigliettino sulla porta che lo intimava di dare una sistemata alla camera; rischio un incendio doloso che non avrebbe risparmiato nulla.


~ Nemmeno lui sapeva come, ma la lavatrice era partita e ormai aveva fatto tre carichi, riempiendo gli stendini, le sedie e i caloriferi di casa con vestiti umidicci che controllava ogni minuto per assicurarsi che non fossero già asciutti, così da poterli scambiare e impilare per la stiratura.
Ma la vera sfida arrivò nello stendere le lenzuola: per esse aveva appositamente montato dei fili sul balcone così che potessero essere stese completamente e, quindi asciugarsi prima. Si incastrò più volte nei metri di stoffa di cui non distingueva un inizio e una fine, ma riuscì comunque a posizionarli come aveva deciso in partenza. Rientrò quindi per prendere un paio di mollette per affrancare i lenzuoli bianchi, ma tornato sul balcone fece appena in tempo a vedere l'ultimo lenzuolo trascinato dal vento sul balcone della vicina del piano di sotto, quella a cui storceva sempre il naso per la terra costantemente sparsa e la lettiera del gatto perennemente sporca in bella vista.
Prima e ultima volta.


~ Ora che tutto sembrava a posto e pulito, avvicinò all'asse da stiro l'immensa pila di vestiti già divisi tra i suoi e quelli del gemello. Aveva visto sua madre farlo un casino di volte e non gli era mai sembrato difficile. Con una bandana -sopravvissuta al grande sporco della prima settimana- a tenergli i capelli sbarazzini lontano dagli occhi, Alexy prese il ferro tra le sue lunghe dita e, per provare le sue funzioni, schiacciò il tastino del vapore che uscì con un fischio riempiendo l'intera sala di vapore acqueo. Una nuvola bianca avvolse il ragazzo, tentando di ustionarlo. Questi lasciò subito la presa, allontanandosi da esso e subito corse ad aprire le finestre. Scappò poi in cucina per bersi un bicchiere d'acqua e calmare il batticuore causato da quella brutta esperienza.
Cuore che si ruppe pochi minuti dopo quando, seguendo la puzza di bruciato, trovò la sua maglietta preferita con un'irrimediabile bruciatura al centro.


~ All'inizio pensava che il balcone fosse un posto superfluo, ma con i vasi e le piante giuste ottenute gratuitamente dopo aver fatto gli occhi dolci al ragazzo responsabile della serra al liceo, Alexy si era creato il suo personale orto botanico e ne andava anche parecchio fiero.
Non si era mai preso cura di nulla, prima di allora, e vedere le sue pianticelle crescere lo rendeva fiero.
Fino a che il dannato gatto della vicina non andò a pisciarci sopra, uccidendo tutte le piccole nuove gemme; si salvarono solo le piante più robuste che, loro malgrado, non sopravvissero alla furia cieca del ragazzo che prese casualmente il suddetto felino con un sottovaso, facendo precipitare quella che probabilmente era già una carcassa, dal quarto piano.


~ L'allarme anti-incendio rischiò di suonare un'altra volta. Alexy si era messo ai fornelli armato di nuovo grembiule, nuove pattine abbinate e nuovo cappello da chef professionista -o almeno, quello che di solito portavano i cuochi importanti in ogni film americano degno di nota- per preparare la cena.
Da bravo bimbo viziato, provò con una semplice pasta. L'acqua bolliva e tutto sembrò andar bene. Ma le bistecche non furono dello stesso parere. Si attaccarono implacabilmente alla pentola senza ch'egli potesse fare niente. Corse subito a cercare il telefono, trovandolo imboscato chissà dove, ma non fece in tempo nemmeno a chiamare la madre che una nuvoletta nera invase la cucina. Prese la pentola con le mani, senza pensarci, e la buttò sotto l'acqua corrente, diminuendo la visibilità nella stanza e accorgendosi poco dopo che le sue dita -che non riusciva a vedere- pulsavano di un dolore acuto.
Si maledisse tra le lacrime di stupidità e accecamento da fumo, e si accasciò a terra mentre la pasta cominciava a scuocersi.


~ Si era premurato di indossare dei guanti in lattice per quell'operazione alquanto schifosa. Aveva sempre ignorato i peletti lasciati dal fratello in bagno perché tanto era sempre la madre a rimettere a posto le cose, lucidando il marmo e le superfici del bagno. Francamente Alexy odiava la barbara pratica del fratello di farsi la barba, visto che aveva sì e no un cespuglietto sul mento, il che rendeva comunque le sue pulizie molto più semplici. Ma si sbagliava di grosso pensando che quello fosse il peggio.
Sì, si era sbagliato di grosso, e con la testa sul water e le braccia calcate dentro, non riusciva a pensare ad altro.


~ Passare la scopa gli sembrava così semplice in confronto al resto. Era così rilassante, anche se la polvere non andava mai dove voleva lui. Non si potevano permettere anche un'aspirapolvere e lui, amorevolmente, si era accontentato di una scopa dal manico rosso e dall'attaccatura blu; insomma, il suo stile l'aveva tenuto! Finita la sala pensò di sbattere anche il tappeto nel mezzo di essa; un vecchio ricordo della loro infanzia. Spostò il tavolino che era stato posizionato su di esso e, cercando di prenderne due angoli, lo alzò. Fu investito da un'ondata, un turbinio o qualcosa di assolutamente distruttivo provenire da sotto. Polvere, era decisamente povere che s'infiltrò nelle sue vie aeree. Si ricordò solo qualche minuto dopo, quando riprese a respirare normalmente, che aveva chiesto a suo fratello di fare le pulizie prima ch'egli si rifiutasse. Il lavoro gli era sembrato piuttosto buono, ma aveva rivolto i suoi complimenti alla persona, anzi, alla cosa, sbagliata.


~ Si erano da poco trasferiti, quindi Alexy non si aspettava affatto che il suono del campanello invadesse così presto l'appartamento. Al citofono rispose una voce maschile che lo informava di un pacco per lui, così gli diede le indicazioni andando ad aprire la porta quando sentì suonare ancora.
La voce roca l'aveva tratto in inganno: quello che lui aveva immaginato come un trentenne disadattato era un ragazzo dal fisico snello e una coda bionda. E gli occhi... Quei bellissimi occhi verdi erano sicuramente la cosa più bella che avesse mai visto.
«Lei è Alexander» venne interrotto dal padrone di casa che corresse subito il tiro da un nome da cui ormai aveva preso le distanze. Alexy, sì, era lui.
«Ho un pacco per lei». Il ragazzo s'immerse in infiniti trip mentali non accorgendosi nemmeno di ciò che gli disse.
«Magari...»


~ «Mamma? Hai altro da mandare?» chiese poco dopo, la cornetta del telefono tra la spalla e la guancia. Appoggiato alla finestra, vide la minuta figura del ragazzo di poco prima scomparire in una macchinina decisamente piccola e dal colore azzurro acceso.
«Sì, caro, te li portiamo settimana prossima» risposte gentilmente la madre. Il ragazzo replicò un po' prima di convincere la donna a mandargli tutto per posta, prima di rivelarsi completamente e cedere su quello che voleva mantenere come un segreto.
«Sì, c'è di mezzo un ragazzo» sbottò ridacchiando, stremato dalla tenacia della madre.
«E come si chiama?» chiese eccitata l'altra, risentendosi giovane attraverso i racconti del figlio.
«Beh...» esitò, ripensando al suo pessimo approccio. Il sorriso canzonatorio e quel fare strafottente che l'avevano conquistato. Le labbra di lui si erano mosse formando una parola che non si aspettava ma che, da quel giorno, sarebbe stata la sua preferita. «Il postino


~ Si buttò a letto, esausto.
Aveva vissuto la sua prima giornata di vacanza dagli studi come una casalinga.
La madre lo aveva sempre servito e riverito senza mai lasciargli intendere che fosse così difficile. Per questo, Alexy non aveva creduto che tutto ciò potesse essere successo per davvero. Le lenzuola distrutte, le dita ustionate e suo fratello che sembrava ostacolarlo in ogni sua mossa o passata di panno. Almeno camera sua sembra -anzi, era- in ordine.
La faccia schiacciata contro il cuscino e i capelli attaccati alla fronte madida di sudore. Non aveva né la forza né la voglia di farsi una doccia. Era così stressante essere una casalinga? si chiese reprimendo le lacrime amare per quell'arduo compito che lo attendeva. No, non voleva crederci.
E, cosa ancor più tragica, a fine giornata lo attendeva solo un fratello menefreghista, in barba ad un bel maschione con cui dividere il letto.
La prossima volta, pensò, lascio bruciare qualcosa. Non si sa mai che il pompiere sia figo!
O magari il postino...



~ Il giorno dopo, convinto di aver ormai finito con quelle faccende stressanti, e quindi convinto di poter godersi una giornata all'insegna del relax, Alexy si svegliò con il sorriso sulle labbra. Fece un'abbondante colazione, sperando in un altro pacco dai genitori, ma non appena si vestì, diretto al centro commerciale per un po' di spese, notò che sulla porta d'ingresso era attaccato un bigliettino. Veniva dall'amministratore del condominio in cui si erano trasferiti.
Cari nuovi inquilini, recitava,
passata la settimana di sistemazione, vi allego le vostre mansioni per il condominio. Ogni fine settimana vi è richiesto di pulire la scala che porta dal vostro piano a quello superiore. Inoltre, vi è stato affidato anche una parte di giardino in collaborazione con gli inquilini del 3B.
Confidiamo nella vostra buona volontà.

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Capitolo 3
*** La prima volta di Alexy... Innamorato ***





La prima volta di Alexy… innamorato




 
Autrice: Mya_chan
 



 
Angolo dell'autrice Mya_chan:
Abbiate pietà. Si tratta della mia prima vera e propria one shot, nonchè la prima storia incentrata su una coppia omosessuale.
L'ho ricominciata quattro volte e la riscriverei da capo di nuovo, ma ormai dovevo pubblicarla. XD
Spero che il risultato vi soddisfi almeno un pochino... fatemi sapere. ;)


 
 
   Violette era adorabile! Non mi veniva in mente altro modo per definirla.
Proprio per questo motivo, anche se non avrebbe mai trovato la forza di insistere, quando mi chiedeva qualcosa con gli occhi bassi e le guance imporporate non riuscivo a rifiutarle nulla.
   Oggi, dopo parecchi tentennamenti e balbettii, aveva racimolato il coraggio di farmi una domanda molto personale.
   - Sei mai stato innamorato?
   Mi fermai di botto.
Violette aspettava una risposta, tormentando un bordo della sua cartellina.
   - Perché me lo chiedi?
   - Perché… Perché sono curiosa. Vorrei sapere che tipo di persona ti fa battere il cuore.
    Strinsi le labbra, mentre pensavo se fosse il caso di raccontarle tutto. Si trattava di una storia che non amavo rivangare.
I suoi occhi lucidi e speranzosi incrociarono i miei per una frazione di secondo, riabbassandosi immediatamente.
Come al solito, cedetti.
   - Vieni, sediamoci su quella panchina.
   Aspettai che, titubante, si accomodasse davanti a me.
   - Oggi ti racconterò della prima volta che ho capito di essere innamorato.
   Gli occhi della ragazza si fecero grandi e la sentii trattenere un respiro. - Era un uomo?
   - Naturalmente.
   - Oh. Capisco.
   - Dobbiamo partire dal principio, dall’incontro col mio primo ragazzo.
   - Come si chiamava?
   - Josh.
   - Josh? È un bel nome - pigolò, tentando di non mostrarsi imbarazzata. - E… com’era Josh?
   - Beh, era un figlio di puttana.
 
 
   Avevo quattordici anni, aprii la porta, e me lo trovai davanti.
Un ragazzo allampanato, carnagione olivastra, capelli e occhi nerissimi. Mi sorrise cordiale.
   - Tu devi essere il gemello di Armin, è incredibile quanto vi somigliate.
   - Alexy, piacere - risposi allegramente stringendogli la mano che mi stava porgendo.
   - Io sono Josh, un amico di tuo fratello.
   - Sì, mi aveva detto che oggi ti aveva invitato da noi - mi scostai dalla porta per farlo passare. - Prego, accomodati.
   Il ragazzo fece qualche passo all’interno, guardandosi intorno. - Armin?
   Scoccai un’occhiata all’orologio e sospirai. - Quell’idiota deve essersi di nuovo perso al negozio di videogiochi. Dice sempre che farà un salto lì dieci minuti per comprare un gioco e poi scompare per le successive tre ore.
   Josh rise. - Lo capisco benissimo. A te non succede mai? Per nessun negozio?
   Riflettei. - Beh, forse quando vado a comprare qualche cd mi concedo il lusso di gironzolare un pochino e Armin si lamenta sempre che ci metto troppo a comprare dei “dannati vestiti”, ma nulla al suo livello.
   Il ragazzo sollevò un sopracciglio. - Dunque musica e… vestiti?
   Scrollai le spalle. - Già - la sua espressione era indecifrabile, tuttavia mi ritrovai a sbuffare, sulla difensiva. - Mi piace essere vestito bene, è un problema?
   Le labbra di Josh si schiusero in un ennesimo sorriso mentre scuoteva la testa. - E perché dovrebbe? Non ci vedo nulla di male.
   Rimasi interdetto. Di solito Armin si lamentava sempre che era una cosa terribilmente noiosa e inutile. Tutti i suoi amici che avevo incontrato fino ad ora si erano detti d’accordo e ne avevo sorpreso più d’uno a sghignazzare con fare un po’ derisorio. Questo Josh mi piaceva.
“E poi ha un bel sorriso” pensai. Era caldo e rassicurante, proprio come lui.
   Arrossii. “Ma cosa vado a pensare?”
   - Scrivo un messaggio ad Armin per dirgli di spicciarsi. Intanto accomodati pure sul divano, ti porto qualcosa da bere.
   Josh mi riserbò l’ennesimo sorriso e io mi ritrovai a correre in cucina prima che potesse accorgersi dell’espressione idiota che avevo dipinta in faccia.
   Scrissi un sms frettoloso ad Armin, dopodiché presi due bicchieri, un paio di lattine di Coca Cola e mi diressi in soggiorno.
   Sedetti accanto a Josh, che aprì la sua bibita e si mise a sorseggiarla mentre mi osservava. Sentivo i suoi occhi scrutarmi gentili e, tuttavia, caparbi. Questa consapevolezza mi fece agitare nervosamente sulla poltrona mentre cercavo qualcosa da dire.
Di solito non rimanevo mai a corto di argomenti, ma all’improvviso il mio cervello aveva smesso di collaborare e più mi sforzavo, più la mia mente si svuotava.
Il silenzio tra noi si protrasse per qualche minuto, senza che riuscissi a spezzarlo. Josh, a differenza mia, non pareva minimamente a disagio. Sembrava quasi che si godesse il momento di pace.
   Sospirai. Dove diavolo era finita la mia solita faccia tosta? Se Armin non si sbrigava…
   - A cosa pensi? - la sua domanda a bruciapelo mi colse di sorpresa, tanto che mi ritrovai a tossicchiare la Coca Cola che avevo appena portato alle labbra.
   - A nulla… - risposi tra un colpo di tosse e l’altro. Solo quando sentii una mano calda battermi gentilmente sulla schiena mi accorsi che si era avvicinato a me. Troppo. Balzai all’indietro.
Josh mi guardò sorpreso e io tentai di rimediare alla gaffe con un sorriso nervoso. - Tu invece a che pensavi?
   La sua espressione si fece ancora una volta impenetrabile. Mi ritrovai a fissare i suoi occhi scuri come ipnotizzato. Mi accorsi che si stava nuovamente avvicinando a me, ma questa volta, un po’ perché ero già premuto al massimo contro il divano, un po’ perché non ero sicuro di volerlo veramente, non mi spostai.
   - Pensavo… - mi rivelò in un soffio. - Che non sei come tuo fratello.
   Deglutii a vuoto. - Perché?
   - Perché lui…
   Mi ci volle qualche secondo per realizzare che la distanza tra noi si era azzerata. La sensazione di un bacio, del mio primo bacio, raggiunse prepotentemente il mio cervello mandandolo in tilt.
Ero pur sempre un adolescente in perfetta salute. I miei ormoni erano tanti, e pensarono bene di risvegliarsi tutti in quell’istante, inviandomi profonde scosse di piacere lungo il corpo.
La sua mano si abbassò fino a cingermi il fianco. In qualche modo mi  riscossi.
   No. No. No! Non andava bene.
Stavo baciando un ragazzo che avevo appena conosciuto.
Un ragazzo.
Genere maschile.
Io ero un maschio.
No.
Dovevo spostarmi.
   Alzai le braccia per spingerlo via, ma proprio in quel momento la sua lingua passò voluttuosa sulle mie labbra chiuse. I miei ormoni fecero la ola.
Dovevo resistere…
Però…
   “Oh, al diavolo!”
Le mie mani, appoggiate sul suo torace per respingerlo, si aggrapparono istintivamente alla sua felpa. Schiusi le labbra e fu come se esistessero solo le nostre bocche. Mi lasciai intrappolare, succhiare, modellare dalla sua lingua, la rincorsi come se fosse la cosa più naturale del mondo, completamente dimentico di qualsiasi cosa che non comprendesse quel piccolo universo che ci eravamo creati.
   Presto, troppo presto, il contatto venne meno. Gemetti per la frustrazione, ma una mano calda mi premette sulla bocca per zittirmi. Mi decisi ad aprire gli occhi spezzando l’incantesimo.
Josh mi faceva cenno di stare in silenzio, indicando poi la porta. Solo allora sentii che qualcuno, sicuramente Armin, stava trafficando con le chiavi per aprirla.
   La consapevolezza di ciò che avevo appena fatto mi cadde addosso come un macigno.
   “Oh, mio Dio!”
   La porta si aprì e Armin irruppe in casa trafelato. - Scusatemi! Non mi ero accorto del tempo che passava. Alexy, Josh? Dove siete?
Balzai in piedi prima che mio fratello potesse raggiungerci e, senza sapere bene cosa fare, mi chiusi in camera mia.
   - Josh, allora sei qui. Dov’è Alexy?
   Non udii la risposta dell’altro, troppo occupato a chiudere la porta a chiave.
E ora?
Ora che diavolo avrei dovuto fare?
Iniziai a percorrere  la camera a grandi falcate, incapace di stare fermo mentre ciò che era appena avvenuto mi tornava alla mente in tinte sempre più vivide.
Avevo appena pomiciato allegramente con uno sconosciuto. Anzi, peggio: con un amico di Armin! Glielo avrebbe detto? Cosa avrebbe pensato? E io cosa ne pensavo?
Era un maschio, cavolo!
   Il mio sguardo fu catturato dallo specchio appeso nella mia stanza. Mi avvicinai per studiare la mia immagine.
Da quel poco che avevo visto prima di fuggire, Josh dopo il nostro rendez vous sembrava innocente e rilassato come se avesse passato il tempo chiacchierando amabilmente con me. Io, invece, ero totalmente stravolto. Capelli spettinati, occhi enormi, labbra gonfie e ancora non avevo ripreso a respirare normalmente. Senza contare che ero completamente rosso in volto.
   Provai a sistemarmi i capelli e la maglietta un po’ spiegazzata. Grazie al cielo me l’ero data a gambe: persino un tipo poco perspicace come Armin, vedendomi in quelle condizioni avrebbe capito cos’era successo.
   Proprio in quel momento qualcuno tentò di entrare in camera e, dopo aver trovato la porta chiusa a chiave, bussò.
   - Alexy?
Mi lasciai andare ad un sospiro di sollievo sentendo la voce di mio fratello. Non avrei avuto il coraggio di affrontare Josh in quel momento. Ignorai completamente la minuscola stilla di delusione che lui non fosse venuto a scusarsi o, perlomeno, a premurarsi di come stessi.
   - Alexy va tutto bene?
   - Sì - mentii accorgendomi solo allora di quanto risultasse roca la mia  voce. - Tutto ok.
   Ci fu un attimo di silenzio in cui osai quasi sperare che se ne fosse andato. - Sei sicuro?
   - Ti ho detto di sì.
   - Sei arrabbiato perché ti ho lasciato solo con Josh mentre ero al negozio? Senti, mi spiace: ho trovato questo fantastico nuovo gioco e il gestore mi ha detto che era un’esclusiva e così io…
   - Non sono arrabbiato Armin, e non me ne frega nulla del tuo videogioco - sbottai pregando solo che se ne andasse e mi lasciasse in pace. In quel momento non avevo veramente tempo, né la mente abbastanza lucida, per rassicurarlo.
   La voce di Armin giunse chiaramente risentita. - Se non sei arrabbiato spiegami perché ti sei chiuso in camera tua appena sono arrivato.
   - Sono solo stanco.
   - Pensi che sia stupido? E poi non è stato neanche molto educato nei confronti di Josh… Aspetta: non è che magari hai litigato con lui?
   “No. Non lo chiamerei litigare.”
   - Non… - sospirai e mi appoggiai all’uscio. - Ne parliamo dopo, ok? Al momento è troppo lungo da spiegare. Comunque non devi preoccuparti, sul serio.
   Mio fratello esitò ancora qualche istante prima di capitolare. - Va bene… Allora io torno da Josh, se hai bisogno di me o vuoi unirti a noi siamo in camera mia a provare il nuovo gioco.
   - Ok, grazie.
   Appena Armin si fu allontanato mi gettai sul letto, affondando la faccia sul cuscino.
Maledizione! Che diavolo mi era preso tutto all’improvviso?
E che diavolo era perso a Josh per baciarmi!
   Mi passai la lingua sulle labbra. Non potevo negare che la mia resistenza era stata veramente fiacca, giusto tre secondi, che vergogna!
Avrei voluto attribuire il mio colpo di testa all’alcool o alla stanchezza… ma stavamo bevendo Coca Cola in pieno giorno, non certo Vodka e droga dello stupro.
   Feci scorrere una mano tra i capelli, sospirando. La cosa peggiore era che non potevo neanche mentire a me stesso dicendomi che non era stato bello. Cazzo, se lo era stato!
Eppure era sbagliato, completamente e disastrosamente sbagliato.
Le persone non si baciavano così, senza conoscersi. Mi corressi: alcune lo facevano, ma non mi era mai piaciuta l’idea che dietro a un gesto così intimo non ci fosse altro che… beh, lussuria. Proprio per questo, avevo sempre rimandato, nonostante molte ragazze si dimostrassero bendisposte nei miei confronti, mi dicevo che volevo aspettare di trovarne una speciale. E ora era arrivato Josh…
Forse non avevo aspettato così tanto tempo per i miei propositi puri. Forse… Stavo evitando le ragazze?
   A pensarci bene, capitava spesso che Armin esprimesse un parere su questa o quella ragazza (spesso e volentieri erano donne virtuali o cartacee, ma almeno dimostrava dell’interesse) invece io... Quando era stata l’ultima volta che mi ero sentito attratto da una donna? Constatai con una certa apprensione che non me lo ricordavo.
   Rimasi gran parte del pomeriggio e della sera così: steso sul letto e tormentato da dubbi. Un paio di volte mi alzai e raggiunsi la porta, deciso a irrompere in camera di Armin e affrontare Josh.
Avrei voluto sondare le sue reazioni, scoprire se era stato colpito da questa cosa almeno un decimo di me. Valutare la sua reazione… Ma non posavo neppure la mano sulla maniglia prima di tornare indietro. Avevo paura. Il pensiero d’incrociare il suo sguardo, dopo quello che avevamo fatto, mi faceva tremare le gambe e avvampare come una ragazzetta. Fanculo!
   Erano le sette di sera quando sentii il mio cellulare vibrare.
 
Ciao, sono Josh.
Ho fregato il tuo numero dal cellulare di Armin, spero che non ti dispiaccia.
Vorrei parlarti… domani alle cinque hai da fare?
 
Rilessi il messaggio almeno una decina di volte e mi ci vollero almeno il doppio dei tentativi per formulare una frase di senso compiuto.
 
Baci sempre i ragazzi che hai appena conosciuto?
 
Mi morsi un labbro. Forse non era la frase più adatta con cui rispondere.
 
Solo quelli carini. :)
 
Per poco non lanciai il cellulare dalla finestra.
 
Vai a farti fottere.
 
Quindi ero stato solo un passatempo? Un ragazzo “carino” da sbaciucchiare finché Armin non tornava dalle sue spese?
Fui tentato di non leggere il messaggio successivo.
 
Dai, stavo scherzando!
È la prima volta che mi succede, dico sul serio.
Proprio per questo vorrei parlarti…
Per favore.
 
Sospirai. Probabilmente stavo facendo la più grande idiozia della mia vita. Anzi, la più grande idiozia si era perpetrata qualche ora prima sul divano del salone, ora mi stavo limitando a portarla spudoratamente avanti.
 
Domani alle cinque.
Ti aspetto al parco davanti a casa mia.
 
    Ovviamente, Armin pretese delle spiegazioni per il mio comportamento bizzarro. Svicolai come meglio potevo. Mi dispiaceva nascondergli qualcosa. Di solito gli dicevo tutto, anche le cose più imbarazzanti, ma al momento non ero certo neppure io di cosa pensare e, tra me e me, continuavo a rimandare la questione. Ero certo, non si sa sulla base di quale logica, che tutte le risposte mi sarebbero giunte l’indomani, rivedendo Josh.
Già, lo avrei rivisto. E non sarebbe successo niente. Non avrei provato nulla, a parte forse un leggero imbarazzo. Avrei capito che quello del giorno prima non era stato altro che un brutto scherzo giocato dai miei ormoni un po’ troppo vivaci.
Avrei accettato la cosa e sarei tornato alla mia vita di normale adolescente etero.
In fondo, fior di psicologi ritenevano che non ci fosse nulla di strano nell’indulgere in innocue sperimentazioni omosessuali, alla mia età. Chi ero io per fare eccezione? Semplicemente, non me l’ero aspettato e la cosa mi aveva un po’ colto alla sprovvista.
   Rivedere Josh mandò a monte tutti i miei bei piani e le mie rassicurazioni.
Arrivai con più di mezz’ora di anticipo. Non che fossi impaziente, certo che no. Solo, continuavo a girare per la casa come un ossesso da ore e Armin, a un certo punto, aveva spento la Play Station e mi aveva chiesto che cavolo mi prendeva. Ero stato costretto a fuggire da lui e le sue domande prima di lasciarmi sfuggire qualcosa.
   Josh era già lì.
M’irrigidii perché non ero ancora preparato psicologicamente ad incontrarlo, certo di avere ancora qualche decina di minuti.
Anche lui sembrò sorpreso di vedermi, ma si riscosse ben presto, sciogliendosi in uno dei suoi grandi sorrisi.
   - Non ti aspettavo così presto.
   - Neanch’io.
   Mi osservò incuriosito e io feci del mio meglio per non indietreggiare mentre si avvicinava. - Come mai già qui?
   - Uhm… Mi annoiavo a casa - bofonchiai. - Tu?
   Forse per la prima volta, mi sembrò imbarazzato. - Ad essere onesti continuavo a camminare avanti e indietro per casa. Ero un po’ impaziente, alla fine non ho resistito e sono uscito prima anche se non mi aspettavo che saresti arrivato - esitò, poi aggiunse. - Ma sono felice che tu sia qui.
   Rimasi incredulo a guardarlo e mi sentii arrossire fino alle punte dei capelli udendo quell’ultima frase, proferita in tono gioioso.
Non doveva andare così.
Il mio cuore non avrebbe dovuto battere a quel ritmo e non avrei dovuto ammirare in quel modo il nero scurissimo dei suoi capelli, la curva del collo così elegante, nonostante fosse un ragazzo, i muscoli accennati che si intravedevano appena sotto i vestiti e le labbra che…
   Deglutii.
   - Vorrei, ehm, chiederti qualcosa - iniziai, fallendo miseramente nel mostrarmi disinvolto. Per fortuna mi ero preparato quel discorso a casa, altrimenti lo avrei fissato tutto il pomeriggio senza trovare assolutamente nulla da dire.  
   Josh mi fece cenno di continuare.
   Inspirai. Non c’era un modo più delicato di chiederlo, e se esisteva, io non l’avevo trovato. - Perchéierimihaibaciato?
   Lui sussultò. - Non ami tergiversare.
   Annuii, incapace di parlare.
   Attesi qualche istante, mentre Josh cercava di trovare le parole giuste. - Beh, sinceramente… non lo so - ammise. Lo fissai sconvolto, ma non mi lasciò il tempo di protestare. - Penso che siano state un’insieme di cose. Non lo avevo programmato, credimi. Però non nego che Armin mi avesse parlato molto di te. Ogni volta che aggiungeva un dettaglio, scoprivo che mi piacevi sempre di più. Era da un po’ che fantasticavo di conoscerti. Poi ieri è successo, e Armin era in ritardo: sembrava l’occasione giusta per scambiare quattro chiacchiere e scoprire se… potessi essere interessato - sospirò. - Volevo solo parlare, dannazione. Ma all’improvviso eravamo sul divano, così vicini… e tu eri così maledettamente carino!
   Beh, e io che pensavo che arrossire fino alle punte dei capelli fosse il picco massimo. Probabilmente avevo appena raggiunto un nuovo stadio di rossore.
   Aprii e chiusi la bocca un paio di volte, prima di uscirmene con l’affermazione più stupida e indelicata mai concepita da mente umana. - Quindi sei gay.
   Josh sgranò gli occhi, spiazzato, poi scoppiò a ridere nervosamente. - Già, da cosa l’hai capito?
   Mi morsi il labbro. - Scusa.
   - Io… sinceramente credevo che anche tu lo fossi.
   - Cosa? No! Cioè, io, no, insomma… perché?
   - Ascoltando i racconti di Armin, avevo immaginato che potessi esserlo. Ovviamente non lo davo per scontato, però ieri hai risposto al mio bacio, non hai neanche esitato. Quindi ho pensato di aver avuto ragione.
   - Non è vero che non ho esitato - protestai, aggrappandomi al ricordo di quei tre secondi di resistenza poco convinta.
   Josh inarcò un sopracciglio. - Va bene, ma hai comunque risposto e, senza offesa, sembravi abbastanza dispiaciuto quando è arrivato tuo fratello.
   Incrociai le braccia, evitando ostinatamente di guardarlo in faccia. - Beh, anche se sei un uomo baci bene e io sono pur sempre un adolescente, ho gli ormoni che girano e tutto il resto…
   - Quindi hai baciato un sacco di ragazze prima? Perché Armin mi ha detto il contrario.
   Perché diavolo Armin non si faceva gli affaracci suoi? Come se invece lui fosse questo gran tombeur de femmes!
   - Questi non sono affari tuoi e comunque non c’entra nulla.
   Josh scosse la testa convinto. - Sì che c’entra. È proprio questo il punto. Non ti è mai venuto in mente di baciare una ragazza, ma sei caduto tra le braccia del primo ragazzo sconosciuto che te ne ha offerto la possibilità.
   - Cosa vorresti insinuare? Che sono uno “facile”?
   - Dico solo che evidentemente preferisci gli uomini alle donne. Altrimenti ieri mi avresti spinto via e tirato un pugno, non avresti certo risposto al bacio, non ti sarebbe dispiaciuto che finisse e, soprattutto, non saresti venuto qui oggi.
   Rimasi a bocca  aperta.
   Josh si avvicinò a me di qualche altro passo. Ormai la distanza che ci divideva era minima. Si abbassò lievemente, in modo che i  nostri sguardi fossero alla stessa altezza. - Mi spiace, non volevo saltarti addosso in quella maniera… ma davvero ti è dispiaciuto così tanto? Se non l’hai sopportato, se non vuoi avere niente a che fare con me, rispetterò la tua decisione. Me ne andrò e ti assicuro che non mi vedrai più. Ma se invece ti fosse piaciuto… mi chiedevo se ti andasse di uscire con me.
   Non sapevo cosa rispondere. Scrutai Josh negli occhi e vi trovai una vaga ombra di speranza mista ad altre emozioni, forse… apprensione?
Sentii lo stomaco contrarsi dolorosamente.
   - Mi, ecco, non posso dire che non mi sia piaciuto - ammisi.
   Sorrise. Quel gesto bastò per farmi trattenere il respiro. Cavolo, stavo diventando peggio di una ragazzina.
Dovevo darmi un contegno.
Dovevo tornare in me.
Lo afferrai per la giacca e lo trascinai via.
   - Dove stiamo andando?
   - Volevi un appuntamento giusto? - mi voltai brevemente per sorridergli davvero, probabilmente era la prima volta. - Allora ne approfitto per andare a fare shopping.
   Lo sentii ridere. Affrettò il passo, mi raggiunse e mi cinse affettuosamente le spalle. Dio, era sempre stato così alto e caldo? Mi poggiò un bacio leggero sulla testa. - C’è un negozio qua vicino che vende delle t-shirt bellissime.
   I miei bei piani erano sfumati, così come la mia presunta eterosessualità. Forse non sarebbe stato così male, dopotutto.
 
   Lo dissi ad Armin, naturalmente. Eravamo seduti sul tappeto, in camera sua. Mio fratello interruppe la partita: un evento del tutto eccezionale. Mi fece qualche domanda idiota, probabilmente per essere certo di non aver frainteso. Infine, superato lo shock nel giro di qualche secondo, mi diede una pacca sulla spalla.
   - Ok, va bene. Ma almeno ogni tanto fallo venire qui a giocare con la Play.
   Sbuffai, fingendomi risentito. - T’interessa solo quella.
   - In buona parte sì. Però… - mi scoccò uno sguardo obliquo. - Se qualcuno fa lo stronzo, o se Josh ti tratta male, vienimelo a dire.
   - Armin, senza offesa, ma prima di chiedere aiuto a te penso che mi rivolgerei al mio orsetto Teddy: lui è più terrificante.
   Mio fratello scosse la testa, fingendosi incredibilmente oltraggiato. - Ecco cosa si ottiene ad essere premurosi. Che gemello scellerato.
   Lo abbracciai. - E dai scherzavo.
   - Via, sciò, sparisci! Vai a spupazzarti Josh - si liberò goffamente dalla mia presa, ma io lo riagguantai con maggiore impeto.
   - Voglio spupazzare anche te, ho bisogno di affetto.
   - Allora ricorri a Teddy, l’orsetto terrificante.
   Gli tirai una ciocca di capelli. - Ahi!
   - Armin…
   - Mi hai fatto malissimo, accidenti.
   - Armin…
   - Non so come faccia Josh a sopportarti, pover’uomo.
   - Armin!
   - Che c’è?
   Evitai di guardarlo, ma strinsi un po’ di più la presa su di lui. - Tu, ecco, non sei deluso da me in qualche modo, vero?
   - Deluso?
   - Sì, perché esco con Josh. È un ragazzo e magari la cosa ti crea…
   - Zitto- Armin si voltò verso di me, mi afferrò il mento, inducendomi bruscamente a mettermi di profilo. Vidi che chiudeva un occhio e accostava l’altro nei pressi del mio padiglione auricolare, come se stesse cercando di guardare attraverso qualcosa.
   - Che stai facendo?
   - Contemplo il vuoto siderale. Quello nella tua testa.
   Gli scostai la mano. - Smettila.
   - No, sul serio. Non è uno spettacolo che capita tutti i giorni.
   - Armin stammi a sentire.
   - No, tu sta a sentire me! - mi afferrò per le spalle scuotendomi. - Credi che sia quel tipo di persona? Credi che mi arrabbierei con te perché preferisci Mario a Peach? Non lo farei nemmeno se fossimo amici. E tu sei mio fratello! Il mio gemello! Non potresti mai deludermi. Per cosa poi? Che ti piaccia Zelda o che ti piaccia Link l’importante è che sia amore, per come la vedo io.
   Lo guardai negli occhi per qualche istante. - Mi rifiuto di crederlo.
   - Eh?
   - Alla tua età usi metafore con Mario e Peach - scoppiai a ridere. - E non dimentichiamo Zelda e Link. Oddio! Non ce la posso fare.
   Armin arrossì, incrociando le braccia con fare offeso. - Era per fare un esempio.
   Scossi la testa, ridacchiando ancora.
   - Alexy?
   - Uh?
   - Pensi di dirlo anche a mamma e papà?
   - Sì, ma non ancora.
   - Va bene.
 
   Mi misi assieme a Josh una settimana dopo. Restammo insieme per quasi sei mesi.
Era strano. Non mi ero mai immaginato con un ragazzo. Eppure ogni gesto, ogni parola ed ogni tocco sembravano perfetti.
Quando mi baciava, non avvertivo il bisogno di percepire labbra più carnose, di toccare curve più morbide o di essere trattato più dolcemente. Quando camminavamo lungo la strada tenendoci per mano, ero così felice e in pace da non provare alcuna vergogna.
   L’aggettivo che più si addiceva a Josh era caldo. Tutto in lui lo era. Il suo sorriso, sempre grande e sincero, i suoi modi affettuosi, che tuttavia tradivano una certa passionalità, le sue mani grandi, i suoi occhi. Quando stavo con lui mi sentivo circondato da un piacevole tepore e tutto il resto del mondo sembrava così freddo, quando se ne andava.
   Mi accorsi che iniziavo a parlare e pensare a lui in qualunque contesto, sentivo una canzone e mi chiedevo se gli sarebbe piaciuta, vedevo un bel vestito e mi domandavo se gli sarebbe stato bene. Un giorno mi sorpresi a contemplare una presina, riflettendo sul fatto che Josh ne aveva una molto simile a casa e che in qualche modo questo ci univa. Oddio… Ero proprio cotto.
   Non che tutto andasse sempre alla perfezione. In certi momenti Josh sembrava distante, vagamente insoddisfatto. Mi guardava in una maniera che non avrei saputo interpretare e sembrava sempre sul punto di dirmi qualcosa, poi il momento passava e lui mi stringeva la mano, rimanendo in silenzio.
Pensai di chiedergli cosa non andava, ma volevo che si aprisse con me di sua spontanea volontà.
   Nonostante avessimo una relazione, Josh non si era dimenticato di Armin. Il più delle volte, prima di uscire con me, veniva a casa nostra e passava un paio d’ore con mio fratello.
Qualche volta provai a unirmi a loro, ma sembrava che solo Armin avesse ereditato il gene del giocatore. Ero un totale disastro. Anche se entrambi cercavano di non mostrarsi infastiditi, sapevo di non far parte di quel mondo.
Un po’ mi seccava. Armin aveva accesso ad un lato di Josh che io potevo guardare da lontano, ma che non mi apparteneva.
 
   Il compleanno di Josh si avvicinava.
Tirai fuori l’argomento a casa sua, mentre eravamo accoccolati sul divano. Gli chiesi di farmi una lista degli invitati, visto che progettavo di organizzare una festa degna di tale nome.
Josh mi stupì, rifiutando l’offerta.
   - Pensavo che io, te e Armin potremmo andare in un locale.
   - Solo noi tre? E gli altri tuoi amici?
   Mi accarezzò una guancia. - Non ho molti amici intimi, preferirei festeggiare con le poche persone a cui tengo veramente.
   - Ma così ti annoierai! Lo sai che Armin, si piazzerà in un angolo con la Psp dopo i primi dieci minuti. Sarà come avere un grosso soprammobile con le mie sembianze. Indiscutibilmente affascinante, lo ammetto, ma di scarsa utilità.
   - Fidati, non mi annoierò. E poi ci sarai tu a tenermi compagnia. Non potrei chiedere di meglio.
   Mi raggomitolai contro di lui. - Se lo dici tu.
   - Ti dispiace? Lo so che avresti preferito una festa in grande stile.
   - Figurati! Sei tu il festeggiato, è giusto che decida tu. Ma, tanto per essere chiari: la mia festa di compleanno sarà immensa.
   - Definisci “immensa”.
   - Uhm, beh, pensavo d’indire una festa nazionale, qualche migliaio di invitati, due o tre elicotteri...
   Rise. - Elicotteri?
   - Sì. Devo fare un’entrata in scena memorabile.
   - Mi sembra giusto.
   - E poi serviranno per trasportare tutti i ballerini.
   - Ci saranno dei ballerini?
   - Quelli non possono mancare. Pensavo che dovrebbero essere almeno due dozzine, rigorosamente di bella presenza. Li voglio abbronzati, a petto nudo, con i muscoli ben oliati…
   Josh mi afferrò il viso, voltandomi verso di lui. - Potrei essere geloso - mi soffiò sulle labbra.
   Una serie di brividi piacevoli si propagarono da dove il suo fiato mi aveva lambito,  scendendo sino al mio stomaco.
   - Non ti preoccupare. Tu rimarrai il mio ballerino preferito.
   - A dire il vero non mi piace molto ballare…
   Inarcai un sopracciglio. - Tesoro, non puoi essere gay e non ballare, sarebbe come essere un pesce e non nuotare… O, che ne so, essere un Armin e non nerdare.
   Josh scoppiò a ridere e io ne approfittai per avvicinarmi ulteriormente e baciarlo.
Ero felice.
 
   Il compleanno di Josh cadde una settimana dopo.
Avevo dilapidato i miei risparmi, ma alla fine ero riuscito ad accaparrarmi due biglietti per il concerto del suo gruppo preferito. Era un regalo un po’ imbarazzante, non tanto in sé, ma per il secondo fine che pensavo mi si sarebbe letto in faccia. Il concerto era lontano da casa, ci saremmo dovuti fermare a dormire fuori e avevo trovato un alberghetto conveniente, ma molto molto romantico…
Arrossii.
   Non volevo darglieli davanti ad Armin. Anche se gli raccontavo tutto di me e Josh, nutrivo il ragionevole dubbio che preferisse rimanere all’oscuro di questo particolare aspetto della nostra relazione.
   Arrivammo al locale. Mentre lo contemplavo con un sorrisino, udii mio fratello farsi scappare un lamento. Non era esattamente il tipo di locale adatto a lui. Musica ad alto volume, tante persone che ballavano, alcool…
   Gli diedi una pacca sulla spalla. - Dai, sono sicuro che ti divertirai anche tu.
   - Sì, come no. Mi ricordi perché siamo qui?
   - Perché è la festa del mio ragazzo, nonché di un tuo caro amico.
   - Uhm, non sono sicuro di volere un amico che mi trascina in posti del genere.
   Sbuffai. - Non lamentarti. Tanto ti sei portato dietro la Psp.
   - Cosa? L’hai vista?
   - No.
   - Allora come lo sai?
   - Ti conosco, purtroppo.
   Armin scrollò le spalle. - Almeno in questo modo potrò fingere di non vedere te e Josh che limonate accanto a me.
   Aprii la bocca per controbattere, che io e Josh non l’avremmo mai fatto in sua presenza. Beh, forse un bacetto, forse anche due, forse ci saremmo presi qualche minuto… in effetti, era meglio che Armin si tenesse occupato. Rivalutai la presenza della Playstation.
In quel momento, Josh ci raggiunse. Abbracciò mio fratello e riserbò a me un tenero bacio.
   - C’è davvero un sacco di gente stasera, per fortuna ho prenotato un tavolo. Seguitemi.
   Lo seguimmo dentro al locale. Era carino, pensai. Non mi capitava spesso di andare in posti del genere. Ero contento, una volta tanto, di potermi scatenare.
   Appena sedemmo Josh ordinò un giro di drink.
   - Stasera offro io, è la mia festa.
   Armin soppesò il suo per qualche istante, fino a che, ridendo, Josh non afferrò il bicchiere e lo costrinse a bere.
   Dopo altri due drink iniziai a sentire la testa leggera. Mio fratello rideva tra sé e sé, senza un motivo specifico. Anche Josh, sebbene sembrasse reggere l’alcool, aveva gli occhi un pochino più lucidi del solito.
   - Voglio ballare - annunciai. - Prima che la mia coordinazione vada a farsi benedire col prossimo bicchierino.
   Armin rise, lo sguardo vacuo. - Penso che dovremmo trovare un nome alla mia Psp.
   - Eh?
   Scosse la testa, come per schiarirsi le idee. - Volevo dire: ballate, pure. Io intanto gioco.
   Mi voltai verso Josh. - Visto? - dissi sconsolato. - Lo sapevo che l’avremmo perso.
   - Ha resistito più di quanto pensassimo - si alzò, porgendomi la mano. - Mi concedi l’onore di questo ballo?
   - Pensavo che non ti piacesse ballare.
   Inarcò un sopracciglio. - Tesoro, non puoi essere gay e non ballare.
   Ci gettammo sulla pista.
Il dj era bravo. La musica era coinvolgente. Josh… Dio! Josh era così bello.
Ballammo talmente vicini che potevo percepire ogni terminazione nervosa, ogni muscolo flettersi contro i miei. Decisi che i suoi movimenti non erano affatto impacciati, nonostante affermasse di non amare la danza. Ad ogni modo, eravamo così avvinghiati che ogni mia movenza diventava anche la sua e viceversa.
Le sue mani vagavano sulla mia schiena, a tratti accarezzandomi dolcemente, a tratti afferrandomi con possessività. La sua bocca sapeva di alcool, scoprii che non mi dava fastidio.
   Persi la cognizione del tempo.
Quando decidemmo di tornare al tavolo, notai con un certo divertimento che Armin stava parlando a una ragazza piuttosto carina.
   Indicai la scena a Josh. - Lo sapevo che quel vestito l’avrebbe fatto rimorchiare.
   - Già. Devo dire, però, che non mi sembra molto lucido. Forse dovremmo andare via.
   - Stai scherzando? Non possiamo negare quest’opportunità più unica che rara ad Armin. Se ne sta sempre chiuso in casa… io voglio un nipotino!
   Josh storse la bocca, ma non aggiunse altro perché ormai eravamo troppo vicini alla coppietta. Visto che si era accomodata al nostro tavolo, salutai la ragazza. Si chiama Laeti. Aveva uno sguardo vitreo mentre Armin si sperticava in discorsi sui cosplay, ma le andava riconosciuto, se non altro, che riusciva a fingersi molto interessata. Un punto in più per lei.
   Ordinammo un altro giro di bevute.
Osservai come i colori nella stanza si facessero man mano più brillanti e i chiacchiericci sempre più confusi.
Mi sentivo stordito e ci volle un po’ perché mi accorgessi che Josh se ne stava in silenzio da diversi minuti. Notai di nuovo quello sguardo vagamente insoddisfatto.
   - Va tutto bene? - biascicai tentando di sovrastare la musica.
   Non mi rispose. Mi afferrò con irruenza unendo le nostre bocche. Fu un gesto brusco, tanto che i nostri denti cozzarono ed emisi un debole lamento di protesta.
Non mi sentì, o forse l’alcool era troppo.
Schiusi ubbidiente le labbra. Josh era sempre stato caldo, spesso passionale, mai violento.
Eppure, il modo famelico con cui ora mi divorava, la spietatezza con cui mi mordeva il labbro inferiore, per poi tirarlo, liberarlo e leccarlo, non erano da lui. Mi torturava, tanto da farmi male.
Provai ad allontanarlo gentilmente, ma la sua stretta era ferrea, le braccia mi circondavano inamovibili, impedendomi quasi di respirare.
Aprii gli occhi, confuso.
Scoprii che anche Josh li aveva aperti, chissà quanto tempo prima, chissà se mai li aveva chiusi.
Non mi stava prestando attenzione. Guardava oltre le mie spalle.
   Voltai la testa di lato, avvertendo il sapore del sangue mentre mi tiravo via con la forza dalla stretta dei suoi denti.
   - Basta!
Josh, davanti a me, si era finalmente arrestato. Mi guardava incredulo.
   - Alexy, scusa! - mormorò sfiorandomi le labbra con un polpastrello. - Non intendevo, io… Ti ho fatto tanto male?
   Scossi la testa.
   - Non so cosa mi sia preso. Devo aver bevuto troppo. Aspetta, ti prendo un bicchiere d’acqua, ho un fazzoletto e…
   - Voglio andare a casa - deglutii. - Per favore.
   - Va bene. Certo - mi accarezzò una guancia. Lo vidi scoccare un’occhiata dietro di me. - Ora ce ne andiamo subito. Mi spiace.
   Detto questo, si alzò, precipitandosi da Armin. Mi accorsi solo in quel momento che Laeti era praticamente finita in braccio a mio fratello. Accidenti, mi dispiaceva rovinargli  la serata. Sperai che Armin fosse stato abbastanza lucido da chiederle il numero di telefono.
Quando Armin quasi ruzzolò a terra nel tentativo di alzarsi capii che no, non era abbastanza lucido.
Josh se lo caricò praticamente in spalla.
   - Mi viene da vomitare… - si lamentò fiaccamente mio fratello.
A quell’affermazione, Laeti si dileguò in un battito di ciglia.
Josh se lo sistemò meglio addosso. - Lo porto fuori a prendere un po’ di aria e… a liberarsi. Tu magari vai in bagno, penso che dovresti sciacquarti la faccia - aggiunse contemplandomi costernato la bocca, poi se ne andò.
   Mio Dio, era davvero conciata così male?
Arrancai sino al bagno, confuso, stordito e ora anche dolorante.
Imprecai davanti allo specchio. Avevo le labbra tanto gonfie che sembravo appena uscito da una rissa. Senza contare i tagli sia sopra che sotto che dentro. Non erano profondissimi, ma quando li sciacquai per lavare via il sangue, mi accorsi che facevano un male cane.
   Rimasi a fissarmi a lungo. Era ancora quello sguardo, vero? Non era solo l’alcool che l’aveva fatto agire così, c’era altro dietro. L’avevo visto chiaramente, prima che mi baciasse.
   Una volta che mi fui dato una sistemata, tornai al tavolo. Josh e Armin non erano ancora rientrati. Mi accorsi che Josh aveva abbandonato la giacca sul divanetto in pelle. Che sconsiderato! E se qualcuno gliel’avesse rubata?
   Decisi che, già che c’ero, tanto valeva pagare il conto. Così ce ne saremmo andati in fretta.
Afferrai la giacca, rovistando alla ricerca del portafoglio. Josh aveva insistito per pagare di tasca propria e, sinceramente, al momento ero abbastanza scocciato da non farmi scrupoli.
Ripescai il portafoglio dalla tasca interna e inizia a frugarvi mentre mi avviavo alla cassa.
Mi bloccai di colpo.
 
   Li trovai dietro al locale.
Armin era poggiato al muro, lo sguardo sfocato; Josh a meno di un passo da lui, una mano appoggiata sulla sua spalla.
   Continuavo a ripetermi che ci doveva essere una spiegazione, che magari ero semplicemente troppo ubriaco per ragionare. Tuttavia, quell’immagine fugò ogni mio dubbio. Bastava guardare Josh, bastava prestare attenzione a tutti i piccoli dettagli che forse, ripensandoci, avevo solo deciso d’ignorare.
   Accelerai il passo e li separai con violenza.
Josh rischiò di cadere, tale era stato il mio impeto.
   - Alexy! - protestò.
   - Taci! Anzi, no - gli misi sotto il naso la fotografia. - Spiegami che ci faceva questa nel tuo portafoglio.
   Sgranò gli occhi e impallidì. - Non è niente.
   Risi, sarcastico, ma avvertii la mia voce incrinarsi. - Non prendermi per il culo, stronzo.
   Armin, che aveva seguito tutta la scena in silenzio, troppo sbalordito per parlare, si scostò un po’ dal muro e mi afferrò una mano. - Alexy, cos’è quello?
   - Zitto! Non sono affari tuoi.
   Mi divincolai dalla sua stretta e incrociai le braccia. Lui non sapeva, non doveva sapere. Quell’idiota si sarebbe sentito in colpa. - Tornatene a casa, Armin. Posso cavarmela da solo.
   - Che ha fatto Josh? Voglio saperlo.
   - Ho detto vattene!
   Josh, esitante, mosse un passo nella mia direzione. - Alexy, ascolta, posso spiegare…
   - Non ora, prima Armin si deve togliere dai piedi.
   - Alexy, ti prego, se ci pensi non è così grave. Non è mai successo nulla…
   - Non certo per scelta tua!
Armin mosse qualche passo. Pensai che finalmente si stesse allontanando, invece scattò nella direzione di Josh, sottraendogli la fotografia.
   “No!”
   - Voglio sapere che hai fatto a mio fratello - dichiarò abbassando lo sguardo sulla piccola immagine. Spalancò gli occhi. - Questa… è una mia foto.
   Deglutii.
   - Che significa?
Mi rifiutai di rispondere.
   Fu Josh a rivelargli tutto. - Era nel mio portafoglio, Alexy l’ha trovata. Tu mi piaci, Armin.
   Una cosa era capirlo, un’altra sentirselo dire chiaro e tondo in  faccia. Sentii la nausea assalirmi.
   - Cosa? Non è possibile, stai scherzando.
   - Sono serio, mi sei piaciuto dalla prima volta che ti ho visto, ma ho sempre saputo che ti piacciono le donne.
   - Quindi, siccome sono etero… ti sei messo con Alexy?
   - Io, ecco, io… Come stavo tentando di spiegare anche ad Alexy, non è così terribile come sembra. Voglio dire… voi siete uguali! Che vuoi che cambi?
   - Siamo uguali - sussurrò Armin, il suo tono trasudava incredulità. - Tu ti sei messo con mio fratello perché è uguale a me, perché così poteva fare da surrogato, tanto dal’uno all’altro non cambia?
   Lo vidi fiondarsi contro Josh, il pugno alzato per colpirlo.
Mi frapposi. - Fermati, Armin!
Mio fratello si arrestò, lo sguardo stralunato e incredulo. - Togliti! Questo stronzo deve pagare.
   Non gli detti ascolto, rivolgendo la mia attenzione a Josh. Il mio ragazzo. Il mio primo bacio. Anche allora, quella frase: “Pensavo… che non sei come tuo fratello. Perché lui…” lui era eterosessuale, io no. Quegli sguardi assenti, insoddisfatti: perché io era solo la copia di Armin. Non ero l’originale. E poco prima, quel bacio violento. Mio Dio, ecco cosa stava osservando con tanta intensità alle mie spalle. Stava guardando Armin. Stava baciando Armin, con la mia bocca… Ed era geloso di Laeti.
Ed io in sei mesi non me n’ero mai accorto.
Idiota.
   - Alexy, sapevo che mi avresti ascoltato.
   - Già - non l’avevo mai fatto prima. Chiusi la mano a pugno e colpii con tutta la forza, la delusione e la rabbia che avevo.
Josh cadde a terra, colpendo malamente l’asfalto.
   - Ti ho ascoltato. Ora non parlarmi mai più. Non avvicinarti mai più. Se ti rivedo giuro che non mi limiterò a un pugno. Ti caverò gli occhi con le dita e te li farò ingoiare. Userò le tue palle per giocare a golf e il tuo cadavere per concimare il giardino. Se credi che non ne sia capace, prova. Prova ancora a venirmi vicino e vedrai.
   Gli diedi le spalle e me ne andai.
Fu l’ultima volta che vidi Josh.
 
   Tornammo a casa a piedi. Il silenzio era tombale.
Armin camminava dietro di me, sapevo che mi seguiva solamente grazie al rumore dei suoi passi.
   Ad un certo punto mi sorpassò, sbarrandomi la strada e facendomi fermare.
Estrasse la Psp dalla tasca, la sollevò… e la gettò a terra con forza. Alzò una gamba e iniziò a pestarla ancora e ancora, sempre più selvaggiamente, fino a che, sotto i miei occhi increduli, non si tramutò in un mucchietto di plastica, vetro e circuiti.
   - Perché? - domandai esitante.
   - Perché mi dispiace. E non sapevo come altro fare - sussurrò. - Mi rendo conto che non è abbastanza. Che non si avvicina neanche lontanamente a quello che stai provando. Ma ti prego, non odiarmi - era da quando avevamo cinque anni che non vedevo Armin piangere. - Non odiarmi. Non lo sapevo, se lo avessi saputo non te l’avrei mai presentato. Mi dispiace. Come avrei potuto immaginarlo? Io voglio solo… potresti, credi che, riusciresti a perdonarmi?
   - Quella consolle era la tua vita.
   Scrollò le spalle, a disagio. - Ci sono cose più importanti - mi guardava ancora con quell’espressione addolorata.
   - Ecco perché non volevo che vedessi la foto, sapevo che avresti dato di matto - colmai la distanza tra di noi e lo abbracciai. - Non è colpa tua, idiota.
   Mi strinse a sua volta. Una mano esitante mi accarezzò i capelli. “Come quando eravamo bambini.”
   - Ti puoi sfogare, se vuoi.
   Bastò quella frase a far crollare tutto il mio autocontrollo. Iniziai a piangere. Piansi per me, piansi per Josh, piansi per l’ingiustizia della situazione e piansi per Armin: perché sapevo che, in una minuscola parte della sua coscienza, quel ricordo avrebbe continuato a torturarlo e lui non sarebbe mai riuscito a perdonarsi.
Realizzai che quello che provavo per Josh non era amore, perché la sofferenza per averlo perso non si avvicinava neppure a quella che provavo per aver involontariamente ferito Armin. Realizzai che ero innamorato e ricambiato. Lo ero sempre stato.
Non si trattava di un amore romantico, ma dell’amore fraterno.
 
   Violette mi fissava. Gli occhioni spalancati e colmi di lacrime.
   - Oh, Alexy - sospirò. - È una storia così triste!
   - È passato tanto tempo, ormai non m’importa più molto.
   - Quindi il tuo primo amore… è Armin?
   - Già - mi finsi sconsolato. - Che sfiga, eh? Con tutti i bei maschioni che ci sono in giro… Devo scoprire che il più grande sentimento d’affetto della mia vita va a quel nerd del mio gemello.
   - Lo trovo molto dolce. Pensi che lui provi la stessa cosa?
   - Beh, ha praticamente ucciso la donna della sua vita davanti ai miei occhi.
   - Cosa? Quando?
   - La Psp, ricordi?
   - Oh!
Scoppiammo a ridere.
   - Alexy!
   - Ecco, parli del Diavolo…
   Armin ci raggiunse. - Alexy - chiamò con la sua miglior voce piagnucolosa. - Dai, andiamo a casa. C’è troppo sole oggi, mi fa male agli occhi.
   Sospirai.
Violette, tuttavia, si affrettò ad alzarsi in piedi e rassettarsi i vestiti. - In effetti abbiamo fatto tardi. Ti ringrazio della storia, Alexy - guardò di sottecchi Armin e arrossì. - Vi lascio soli.
   “Avrà capito che parlavo di amore platonico, vero?”
   - Alexy, su, muoviti.
   - Arrivo, arrivo…
 
 
 
 
FINE


 

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Capitolo 4
*** Le stagioni di Alexy ***


La prima volta di Alexy… attratto da una donna
 
-Le stagioni di Alexy-
 
Autrice: Kiritsubo83
 
 
 
Era una limpida giornata autunnale, una di quelle in cui il cielo è terso e la temperatura  risulta piuttosto gradevole.
Un timido sole dorato filtrava tra le fronde degli alberi, penetrandone le chiome come lance di luce impalpabili che finivano conficcate nel terreno sottostante. Le foglie variopinte, dalle calde sfumature che andavano dal rosso all’arancio e dal giallo al marrone, ricoprivano il suolo come un sontuoso tappeto proveniente da una lontana terra orientale.
La brezza leggera del mattino portava con se gli odori del sottobosco, facendo vibrare i rami, i tralci e il fogliame, regalando un delizioso concerto eseguito magistralmente dalla natura.
Quel paesaggio sembrava quasi appartenere ad un mondo fiabesco, era una immensa tela dai colori caldi e sgargianti, nella quale l’artista aveva impresso la sua stessa anima.
 
Alexy era seduto al suo banco, accanto alla finestra che gli permettevano di ammirare quello spettacolo. Anche se i suoi occhi erano rapiti dal paesaggio all’esterno, la sua mente era ben attenta alla favola de “La bella addormentata nel bosco” che la signorina Amélie stava leggendo alla classe, riempiendo l’ambiente con la sua voce amabile e gioiosa.
Il bambino dai capelli turchini aveva sei anni ed era in prima elementare, quando per la prima volta, alla fine del racconto disse candidamente alla maestra che anche lui avrebbe voluto essere baciato da un principe.
-Ma Alexy che sciocchino che sei…- gli rispose la donna, sorridendogli divertita per la buffa affermazione, -… Forse, vuoi dire che un giorno anche tu vorresti baciare una principessa-
-No maestra, a me piacciono i principi non le principesse!-
 
Nel frattempo Armin, seduto nel banco proprio dietro al fratello, era preso da ben altre questioni e non era interessato né al paesaggio autunnale, né alla favola che era stata appena letta in classe. La sua attenzione era completamente rapita dall’aggeggio che teneva tra le mani, e nemmeno dopo l’affermazione del gemello staccò gli occhi dal suo Tamagotchi .
Stava ingozzando il suo animaletto virtuale per farlo crescere nel minor tempo possibile, tentando così di battere il suo record personale: niente avrebbe potuto distoglierlo da quel compito, ma qualcosa andò storto.
Probabilmente, aveva esagerato e il troppo cibo aveva ucciso  “Pongo”, un dinosauro fatto di pixel, a cui spuntarono delle alucce e un’aureola composti dai medesimi quadratini. Solo allora stizzito per l’accaduto, alzò lo sguardo proprio verso la finestra.
Come la natura prima di morire, faceva sfoggio con tanta passione di tutta il suo maestoso splendore, anche il suo cucciolo aveva raggiunto l’apice per poi spegnersi…
 

 
***
 
 
Era una tranquilla notte estiva, una miriade di piccole stelle era ricamata, come perline di cristallo, sul nero tessuto del firmamento. La pallida luna, unica fonte di luce nell’oscurità del bosco, illuminava la superficie del lago facendolo scintillare, come se fosse attraversato da una passerella di luce che portava in un mondo incantato.
Durante il giorno, il sole rovente e l’umidità erano stati quasi intollerabili, l’afa l’aveva fatta da padrona, facendo boccheggiare il gruppo di scout che campeggiava nella pineta.
Nemmeno col calar della notte la situazione era migliorata: continuava a fare terribilmente caldo, e in quelle condizioni era davvero difficile prendere sonno.
 
Alexy aveva undici anni, quando durante il campeggio estivo, rimase sveglio a parlare col suo compagno di tenda. Mentre l’amico gli raccontava di misteriose sparizioni di ragazzi avvenute proprio in quei boschi, il turchino continuava a fissargli le labbra.
Il viso di Berry era illuminato dalla torcia che teneva in mano per creare giochi d'ombra inquietanti, ma Alexy non era mai stato un fifone, non aveva paura, si sentiva solo un po’ strano.
Il suo cuore aveva iniziato a battere più velocemente e, i begli occhi azzurri del suo interlocutore, gli sembravano risplendere di una luce diversa.
Quel campeggio probabilmente sarebbe stata la sua ultima occasione: in fondo era stato proprio per seguire Berry che aveva deciso di entrare negli scout. Mesi prima aveva fatto un altro tentativo, iscrivendosi nella stessa palestra di kendo dell’amico, voleva passare più tempo con lui, ma quella, non si rivelò una buona idea.
Alexy era davvero negato per quello sport, inoltre non gli piaceva ricevere bastonate in testa, non voleva aggiungere ai danni fisici anche quelli cerebrali!
-Ma dai, la massa dello shinai non è sufficiente ad infliggere energia adeguata a provocarti danni, e comunque il bogu è una protezione efficace- gli rispose Berry, mentre ridacchiava per le lamentele del turchino.
Alexy non capiva nulla di tutte quelle parole tecniche che uscivano dalla bocca del suo amico, sapeva solo che non amava sudare dentro quella specie di armatura, e nemmeno andare a casa con i muscoli doloranti. Le lezioni di prova bastarono a fargli cambiare idea, quindi dovette escogitare un altro modo per passare più tempo insieme a Berry.
L’anno seguente i due ragazzi avrebbero iniziato le scuole medie, probabilmente, Alexy non sarebbe stato tanto fortunato da finire nuovamente nella stessa classe del ragazzo che gli piaceva… Quel campeggi estivo arrivò come una manna dal cielo. 
Fu proprio in quella tenda, spinto dall’unico desiderio di avvicinarsi a quella bocca che gli stava narrando avvenimenti surreali, che il corpo di Alexy si mosse. Congiunse le sue labbra a quelle di Berry imprimendo su di esse un morbido e casto bacio… Il suo primo bacio.
Il ragazzino si portò istintivamente la mano sulle labbra, sentendosi spiazzato da quel gesto improvviso.
-M… Ma quello… Cos’era!?-
-Il bacio della buona notte- rispose Alexy in tutta tranquillità.
-Ah ok…Volevo finire di raccontarti la storia, ma se hai già sonno la continuo domani-
E va bene,  su alcuni argomenti Berry non era di certo il bambino più sveglio che Alexy conoscesse, ma di sicuro era uno dei più carini!
 
Nella tenda accanto, Armin malediceva il luogo in cui si trovava, aveva sempre odiato i posti all’aperto. Ovviamente, in quell’accampamento non aveva i comfort della sua stanza: non c’era un condizionatore che gli impediva di sciogliersi come un gelato all’equatore, o un frigorifero con bevande ghiacciate.
Non sapeva ancora, come avesse fatto a farsi convincere da suo fratello ad imbarcarsi in quell’assurda avventura del campeggio con gli scout.
-Ti prego, fallo per me! Per favore, ti prego, è davvero importante! Uff, sei o non sei mio fratello…- aveva cantilenato per ore Alexy, fino a stremare il povero Armin.
Il moro odiava la natura: se aveva accettato, era stato solo perché il gemello aveva insistito fino allo sfinimento, e inoltre, aveva speso i suoi risparmi per comprargli un alimentatore portatile per la sua consolle.
-Se andiamo in un dannato bosco, quante volte pensi che posso caricare la mia psp con questo? -
-Ma ha molte ore di autonomia! Guarda è scritto qui!- Alexy gli indicò con un dito una frase sulla scatola, facendola passare alla velocità della luce davanti agli occhi di Armin che non riuscì nemmeno a leggerla.
-E poi se mi fai questo favore, ti rifarò il letto per una settimana, anzi no, per un mese! Andrò a buttare la spazzatura al tuo posto, mangerò tutta la verdura verde che la mamma ti mette a forza nel piatto e poi… Ti sistemerò l’armadio!-
-E va bene, ti faccio questo piacere, ma sta lontano dal mio armadio!-
Sapeva che non avrebbe dovuto cedere, sarebbe stato sicuramente meglio se non avesse accettato.
Si era ritrovato a dover dividere la tenda con un ragazzino che russava come una motosega impazzita, a cui puzzavano i piedi da far schifo e inoltre, veniva sfottuto costantemente da quest’ultimo che gli aveva affibbiato il soprannome di “nerd sfigatello”.
“Complimenti per la fantasia!”, aveva pensato il moro la prima volta che aveva sentito quel nomignolo, ma poiché il suo compagno era il doppio di lui, non se la sentiva di esternare ad alta voce il suo pensiero.
Come se non bastasse, ogni giorno doveva sgobbare e fare lavoretti da brava “giovane marmotta”, sorbirsi pallosissime spiegazioni sulla natura sotto il sole cocente e soprattutto, soffriva di stitichezza da quattro giorni, poiché si rifiutava di farla dietro un cespuglio. Se una vipera fosse uscita fuori in quel frangente non avrebbe saputo che fare, oltretutto, voleva un dannato vaso di ceramica bianca, senza quella singola condizione per lui era impossibile evacuare!
Ciliegina sulla torta: dopo aver centellinato accuratamente ogni minimo barlume di energia della consolle, era arrivato inevitabilmente il momento di usare l’alimentatore che Alexy gli aveva comprato.
Imprecò non appena lo tirò fuori dallo zaino. Quell’inutile ferrovecchio che sicuramente il gemello aveva acquistato in qualche bazar cinese per risparmiare, si era fuso.
Lo aveva lasciato al sole?
Possibile! D’altronde il sole era ovunque, Armin si sentiva perseguitato da quella sfera infuocata, non riusciva a trovare riparo nemmeno sotto l’ombra degli alberi. Si chiedeva comunque, come quel dannato affare di plastica potesse essersi sciolto. Non era mica un cioccolatino!
Quella era stata l’estate più crudele che avesse mai vissuto, ogni proposito di passarla in tranquillità, a giocare con la sua psp, si era dissolto. Dissolto come la sua pazienza, la sua speranza, dissolto grazie a quel caldo infernale che lo faceva grondare di sudore, incollandogli il pigiama alla pelle. Dissolto che faceva rima con sciolto, proprio come quel dannato alimentatore!

 
***
 
 
Un sole splendente dai caldi raggi troneggiava in un cielo azzurrissimo: la natura si era finalmente svegliata e, deliziose gemme verdi guarnivano i rami delle piante ritardatarie, quelle che ancora non erano esplose, facendo sfoggio del loro vigoroso fogliame. Fiori colorati adornavano prati e piante: il loro profumo si mischiava nell’aria, regalando quel dolce aroma che solo la primavera sapeva diffondere.
Gli uccellini cinguettavano allegramente osannando col loro canto, quella natura destatasi da un lungo letargo che come una dea generosa regalava abbondanza ai suoi fedeli.
Colori, luce, profumi, bellezza… Vita. Era questo che donava la stagione dell’amore, riaccendeva i sensi, liberando dal torpore dei mesi freddi.
 
La prima volta che fece l’amore, Alexy aveva quindici anni, e stava prendendo ripetizioni di matematica da Charlie: un ragazzo che aveva due anni più di lui.
Il turchino ne era rimasto affascinato sin dalla prima volta che lo aveva visto, era proprio il suo tipo: alto, moro, con due occhi scuri e penetranti che gli facevano balzare il cuore in gola non appena li incrociava con i suoi.
Andavano nella stessa scuola, e il moro era piuttosto popolare: bravo negli sport, con buoni voti e, inoltre, le ragazze facevano la fila per avere un appuntamento con lui.
Alexy non era mai stato timido, ma uno così non era certo facile da avvicinare, oltretutto non conosceva le sue preferenze sessuali, da quello che ne sapeva lui, Charlie aveva intorno troppe ragazze per essere gay. Anche dopo averlo conosciuto gli fu difficile stabilire di che sponda fosse.
Il fato aveva voluto che la madre dei gemelli conoscesse quella di Charlie, e dopo che il turchino ebbe collezionato una parade di quattro in matematica, si decise a chiedere aiuto all’amica col figlio prodigio. Di rivolgersi ad Armin non se ne parlava, riusciva ad arrivare a malapena alla sufficienza, e si faceva distrarre troppo facilmente dai videogiochi. Alexy non avrebbe combinato niente in sua compagnia.
Charlie stava spiegando al suo allievo come risolvere un’equazione, e i due erano così vicini che Alexy poteva sentire il respiro del ragazzo sulla sua pelle. Ne avvertiva la lieve fragranza che gli ricordava l’odore delle camelie e, sentiva il calore del suo corpo dovuto al contatto tra le loro spalle.
Concentrarsi in quelle condizioni non era per nulla facile.
-Hai una ragazza?- domandò improvvisamente.
-Dovresti concentrarti su questa equazione Alexy, giovedì hai un compito-
-Facciamo cinque minuti di pausa, sono stanco.-
-Abbiamo iniziato solo da dieci minuti e sei già stanco?- ridacchiò Charlie rassegnato, ormai conosceva bene il suo pollo.
-La matematica è così noiosa…-
-Sei irrecuperabile! Cosa mi devo inventare per farti studiare? Questa volta non finiremo al centro commerciale come nella pausa di settimana scorsa, sappilo!- disse, cercando di essere serio, ma gli veniva da ridere solo per il fatto che Alexy, riusciva a convincerlo ogni volta ad abbandonale il suo ruolo da insegnante, e farlo diventare suo complice.
-Vuoi dirmi che non ti sei divertito?-
-Lo sai che mi trovo bene con te, ma non è questo il punto…-
-Quindi hai una ragazza?-
-Facciamo così: io ti rispondo se tu risolvi questa equazione, prendila come una ricompensa per l’impegno- disse il moro sfidandolo.
-Bene, allora ogni volta che risolvo una di queste robe, ho diritto a un premio?-
-Se questo è l’unico modo per farti studiare… Ma la risposta deve essere corretta, se sbagli niente premio!-
Alexy non se lo fece ripetere due volte, e in pochi minuti portò a termine il suo compito.
-Allora?-
-Bravo, sei anche riuscito ad azzeccare il risultato, se ti impegni allora non sei così asino-
Charlie lo schernì affettuosamente scompigliandogli la chioma azzurra.
-Spiritoso! Voglio il mio premio, ora!-
-Non ho una ragazza, non mi vedo con nessuna in particolare, ma perché ti interessa tanto? Hai bisogno di qualche dritta sull’argomento?- sorrise malizioso.
Alexy reagì a quel sorriso mordendosi il labbro inferiore, e giocherellando nervosamente con la penna a scatto che teneva in mano.
-Perché? Fai anche lezioni di anatomia Charlie?-
-Ti rispondo dopo che hai risolto questa…-
La situazione stava prendendo una strana piega; ad Alexy sembravano piacere parecchio le circostanze che si erano create.
-Fatto!- appoggiò la sua mano sul ginocchio dell’insegnante fissandolo con sguardo lascivo.
-Ora voglio il mio premio…-
Charlie si avvicinò all’orecchio del turchino: gli appoggiò la mano sulla spalla scendendo con una lieve carezza fino al braccio.
-Sì… Sono molto bravo, vuoi una dimostrazione per caso?- sussurrò, facendo rimanere per un attimo in apnea il suo interlocutore.
Alexy ingoiò un groppo di saliva che gli si era fermato in gola, gli sembrava quasi di sognare, eppure, prima di quel giorno, il suo insegnante non aveva mai dimostrato simili attenzioni nei suoi confronti. Charlie era sempre molto gentile con lui, avevano preso a frequentarsi anche quando non dovevano studiare insieme, ma il loro rapporto non si era mai spinto più in là della semplice amicizia.
Il cuore di Alexy aveva preso a pulsare ad un ritmo infernale, sentiva la pelle bruciare, in quel momento bramava quelle lezioni di anatomia più di qualsiasi altra cosa. Nonostante  quel suo desiderio, era spaventato e non sapeva bene come comportarsi, non essendosi mai spinto tanto in là con un ragazzo, ma il moro gli piaceva davvero tanto e l’istinto, come al solito, lo fece agire d’impulso.  Appoggiò una mano sul petto di Charlie, arrivando alla lampo della felpa per farla scorrere verso il basso.
-Eh no…-, il moro gli bloccò la mano prima che riuscisse ad aprirla del tutto, -prima l’equazione Alexy… Rendiamo le cose più divertenti. Che ne dici di questa? Se la risolvi avrai una lezione di anatomia pratica tutta per te-
Il turchino era completamente stordito, il moro lo stava facendo andare fuori di testa, e tutte quelle fantasie che aveva sempre e solo vissuto nella sua mente, all’improvviso erano così vicine, così a portata di mano. Il desiderio si mescolava alla paura, provocandogli un formicolio al basso ventre.  Alexy trasalì quando Charlie iniziò ad accarezzargli l’interno coscia, attuando così il suo gioco di seduzione.
Come poteva risolvere un equazione così complicata, senza pensare a quella mano calda che lo faceva fremere e sussultare? E se era tanto spaventato per quella che sarebbe potuta diventare la sua prima volta, perché lo voleva così tanto?
“Come posso stare calmo se lui mi accarezza così?”
Le dita che lo sfioravano delicatamente all’improvviso diventavano avide, cercando contatti sempre più profondi, rivelatori di un desiderio che aumentava esponenzialmente.
Allora, anche il moro lo desiderava tanto quanto lo voleva lui? O stava solo giocando?
Sapeva che non aveva senso farsi tutte quelle domande, non aveva senso neppure temere una cosa a cui si ambiva tanto. D’altronde, il suo carattere lo portava a buttarsi nelle situazioni senza pensare troppo a quello che faceva. Ma l’amore, la sua prima volta… Doveva essere fatta con una persona  speciale. Non voleva buttare via un momento tanto importante.
-Sei spietato Charlie! Non ti facevo così perverso…- disse con un mezzo sorriso, mentre col volto rosso fissava quell’accozzaglia di numeri e lettere stampati sul libro.
-Credimi, lo faccio per il tuo bene…-, si leccò il labbro superiore, per poi andare a tormentare con l’indice la zona limitrofa all’erezione crescente del turchino.
Alexy era completamente in tilt, troppe volte aveva desiderato di ricevere simili attenzioni tra una spiegazione barbosa e l’altra. Ora che il suo sogno stava diventando realtà, era frastornato e confuso, sia dal desiderio che provava nei confronti dell’altro che dalla paura che quello, potesse essere solo uno scherzo di cattivo gusto. Ma diavolo, era cotto di Charlie!
-L’hai fatto apposta a scegliere un argomento in cui sai che ho problemi, vero?-
-Mi fido delle tue capacità dolcezza, vedi di impegnarti a risolverla, perché non mi va di tornare a casa in queste condizioni- indicò con lo sguardo la protuberanza che si ergeva dai suoi jeans.
“Al diavolo la paura!”
I timori del turchino a quel punto si dissolsero, ma le distrazioni erano diventate davvero troppe: risolvere quel miscuglio di numeri e lettere, sarebbe stata un’ardua impresa. Impugnò la penna e tentò di arrivare alla soluzione più in fretta che poteva.
Ad Alexy quei pochi minuti sembrarono una tortura interminabile, la mano di Charlie continuava a toccarlo imperterrito, mentre il respiro caldo e irregolare si infrangeva sul suo collo facendolo sospirare. Infine, quel dannato odore di camelia lo stordiva come un potente afrodisiaco, impedendogli di concentrarsi come avrebbe dovuto.
Scrisse il risultato senza esserne troppo convinto, ma il suo cervello era andato in fumo ormai.
Alexy guardò Charlie supplicandolo con gli occhi liquidi e le labbra dischiuse.
“Dimmi che è giusta! Dimmi che posso avere la mia ricompensa!”
Per tutta risposta il moro lo afferrò per il mento, -bravo…- disse prima di unire le sue labbra a quelle dell’altro, gustandole lentamente come se fossero bocconi della sua pietanza preferita. Diede un primo assaggio: pregustò il labbro superiore accarezzandolo con la punta della lingua, e mordicchiò quello inferiore senza però riuscire ancora a saziarsi.
A Charlie era sempre piaciuto Alexy, inoltre sapeva bene di piacergli a sua volta.
Non disdegnava le donne, ma trovava irresistibilmente sexy quel ragazzo.
Perché doversi accontentare solo del genere femminile, quando c’erano tanti begli esemplari anche in quello maschile?
Aveva aspettato prima di prenderselo…
Alexy non si vergognava di essere gay e nemmeno lo nascondeva, Charlie adorava quel suo modo di essere, gli piaceva che in molte situazioni fosse sfacciato, e amava quel suo sorriso gioioso sempre stampato sulle labbra.
Ma aveva comunque aspettato…
Il moro era un’amate dei giochi. Avere qualcuno che gli ronzava intorno come il turchino, ed essere l’oggetto dei suoi desideri, era un piacere al quale non aveva saputo resistere, inoltre, era divertente non far trapelare quello che provava, tenendo quel ragazzo costantemente sulle spine.
Ma ormai, se avesse dovuto usare una qualche espressione presa dal gemello nerd di Alexy, la partita era giunta al game over: Charlie non voleva e non poteva più attendere.
Vicini, dopo quel primo contatto si ritrovarono così vicini, da riuscire a sentire battere i cuori l’uno dell’altro e scambiarli per il proprio battito. Alexy si sporse leggermente in avanti per unire le sue  labbra a quelle di Charlie, ma lui si scostò lievemente all’indietro per non farsi raggiungere, sfoggiando un sorriso malizioso e continuando a stringere l’altro tra le sue braccia. Gli fissò le labbra smanioso, poi tornò a guardarlo dritto negli occhi.
-C’è qualcosa che non va?- sussurrò Alexy impaziente e confuso.
Il moro infilò una mano fra i capelli del turchino alla base della nuca, portandoselo più vicino e andando a succhiargli le labbra.
-Mmm… Sei un delizioso somaro…-
Poi ancora un bacio. Due. Tre.
-Che vuoi dire?- chiese Alexy col fiato corto, per poi abbandonarsi nuovamente alla lingua dell’altro che gli aveva a malapena fatto finire la frase.
L’insegnante si staccò mal volentieri da quelle labbra, per scendere a baciare il collo di un’Alexy, che tentava di mantenere un minimo di lucidità senza però avere troppo successo.
-Quell’equazione è completamente sbagliata- disse, mentre sbottonava i pantaloni del suo allievo.
-Ma allora… P… Perché…- tremò, emettendo un gemito di piacere provocato dalle mani del suo partner che aveva iniziato a sfregare lentamente la sua erezione.
Si azzittì, prese un lungo respiro, poi tentò di assumere un tono di voce accettabile che non lo facesse sembrare una gatta in calore.
-Se ho sbagliato… Ah… Perché mi stai premiando?-
Charlie si bloccò: gli occhi fissi in quelli di Alexy.
-E chi ti ha detto che questo è il tuo premio? Stai per essere castigato ferocemente dolcezza…-
Le labbra del turchino si schiusero in un sorriso che venne subito emulato dall’altro, l’intesa fu tale che in un attimo, i loro corpi si unirono in un groviglio dal quale nessuno dei due aveva intenzione di liberarsi…
 
 
Intanto Armin era in salotto, impegnatissimo a portare a termine una quest col suo gruppo di amici e guerrieri virtuali. Stava capitanando in maniera egregia il gruppo, quando quel dannato mago, aveva deciso di lanciare un incantesimo differente da quello che lui gli aveva suggerito, facendo così morire la guaritrice del team.
-Dannazione! Ora si che siamo nella merda!- imprecò, mentre andava a difesa di un suo compagno, parando un potente attacco col suo spadone incantato. Ma i guai non erano finiti, infatti, un drago nero al livello cinquanta si stava scagliando in picchiata contro il suo pg: Gintoki. Quel giorno Armin sembrava avere la fortuna dalla sua parte, una barriera si frappose fra lui e le fiamme che gli erano state lanciate contro.
“Un incantesimo di livello superiore?”
Il mago del suo gruppo non poteva lanciare incantesimi di protezione così alti, il suo livello non glielo permetteva. Fu solo dopo qualche istante che Armin notò un nuovo personaggio sulla scena, sulla sua testa appariva un nome: Myaku.
 
Myaku: I draghi neri non mi sono mai stati molto simpatici ;P
Gintoki: La penso esattamente come te, grazie per l’aiuto *w*
Myaku: Figurati, Gintoki per me è intoccabile, guai a chi tenta di farlo fuori è__é
Gintoki: Appassionato di Gintama? *^*
Myaku: AppassionatissimA *^*
Gintoki: Sorry, ho dato per scontato che fossi un maschio perché lo è anche il tuo pg ^^’
Myaku: Nessun problema ^^
 
E così, come la primavera faceva sbocciare la vita, anche una nuova amicizia era nata in quella splendente giornata.
 

 
***
 
 
 
Il freddo pungente faceva battere i denti, nemmeno i bambini erano usciti fuori casa per giocare, anche se durante la notte un’abbondante nevicata aveva ricoperto di un manto bianco ogni cosa. Tutto sembrava essere stato avvolto nel silenzio: gli alberi spogli e immobili con i rami rivolti al cielo sembravano pietrificati, nell’attesa di qualcosa che non sarebbe mai arrivato. Nessun passerotto si sarebbe posato su di essi.
Il cielo cupo appariva come una cappa grigia e pesante, foriera di nuove perturbazioni.
 
Alexy non aveva mai sentito tanto freddo come nell’inverno dei suoi 16 anni.
L’unica certezza che aveva sempre avuto, era sparita nell’attimo in cui l’aveva vista… Lei, una ragazza, anzi, la ragazza di suo fratello Armin.
Si chiedeva come fosse possibile un simile cambiamento, in tutta la sua vita, non c’era stato un solo giorno in cui si era sentito attratto da una ragazza. Eppure, quando Armin gliel’aveva presentata ne era rimasto inspiegabilmente affascinato.
Non sapeva neppure il suo vero nome, suo fratello la chiamava semplicemente Myaku, ma quello era solo il nick del personaggio che usava nell’rpg tramite il quale si erano conosciuti.
La ragazza gli aveva confessato di odiare il suo nome di battesimo, e non aveva mai voluto rivelarglielo. Probabilmente, solo Armin ne era a conoscenza, ma ormai anche a lui veniva spontaneo chiamarla con quello pseudonimo.
Myaku era una ragazzina esile, piatta come una tavola da stiro, indossava spesso jeans e felpe che riportavano le stampe di famosi anime o videogiochi. Abiti che pur non essendo per nulla femminili, le cadevano a pennello rendendola ugualmente graziosa.
Due grandi occhi nocciola erano incorniciati da morbidi capelli biondi che portava in un taglio corto e scarmigliato. Usava pochissimo trucco, e anche se il suo aspetto generale risultava piuttosto androgino, non si poteva dire che non fosse decisamente carina.
Alexy pensò che quell’attrazione fosse proprio dovuta al fatto che Myaku fosse poco femminile, era allarmante per lui, a cui erano sempre piaciuti i ragazzi, provare interesse per una donna. Non solo, come se non bastasse, la cosa era resa ancora più devastante dal fatto che fosse la ragazza di suo fratello. In fin dei conti non si sapeva nemmeno spiegare come potesse piacere al gemello.
“Insomma, la ragazza dei sogni di Armin è Lara Croft, Myaku è l’esatto opposto!”
Fu durante una serata che finalmente capì.
Armin e Myaku si vedevano nel fine settimana, ci voleva quasi un ora di treno per raggiungere l’uno la rispettiva casa dell’altra e, per via della scuola e i vari impegni, facevano a turno andandosi a trovare a settimane alterne.
Alexy preferiva lasciarli per conto loro, un po’ perché non voleva fare il reggi moccolo e un po’ perché si sentiva disorientato dai suoi stessi sentimenti. Non era innamorato di Myaku, quello lo capiva benissimo, ma il fatto che si sentisse fisicamente attratto da lei, gli aveva provocato una sorta di trauma.
Quel sabato sera prima di uscire, mentre suo fratello e la sua futura cognatina, erano intenti a giocare a “Gears of war 5”, si fermò per qualche istante ad osservarli. Nemmeno tra mille anni avrebbe mai pensato di poter vedere qualcuno che avesse tanto feeling col suo gemello, o per lo meno, non una ragazza.
Li osservava mentre giocavano in perfetta sintonia, mentre parlavano di argomenti che gli erano del tutto sconosciuti, ma la cosa che lo sconvolse più di tutte,  fu quando Armin mise in pausa il gioco e andò a posare un bacio sulle labbra della ragazza.
Il gemello faticava a staccarsi da un video game perfino per andare in bagno. Non lo avrebbe fatto nemmeno se si fosse trovato sotto assedio zombie, o in presenza di alieni venuti a conquistare la terra, figuriamoci per baciare una ragazza!
Quel gesto intenerì il turchino, ma allo stesso tempo lo fece sentire per la prima volta sbagliato, triste, fuori posto.
Si sforzò di ritrovare la sua solita espressione allegra: fece un po’ di rumore per farsi notare, e scese gli ultimi gradini della scala che portava al salotto.
-Caspita, se volete dico a Kim che ci raggiungete dopo, vi conviene approfittarne visto che avete la casa libera, giusto Armin?-
Alexy schiacciò un occhiolino al gemello sorridendo malizioso. Il viso di Armin avvampò, mentre Myaku ridacchiò imbarazzata e divertita.
-Tu non sai proprio cosa sia la discrezione, vero?- sbottò il moro falsamente indignato, tentando di apparire stizzito.
-Cos’è? Il titolo di un nuovo video game?-
-Spiritoso!-
 
Kim aveva organizzato per il suo compleanno, una grande festa a cui aveva invitato i suoi compagni di scuola e molti dei suoi amici, ma quel party finì per tramutarsi in un disastro.
Castiel, oltre a suonare insieme a Lysandre, si era offerto di occuparsi  delle bevande, ma solo perché non voleva ritrovarsi a bere cola e gazzosa. Non si capiva come fosse riuscito a portare più alcolici lui a quella festa di un rivenditore autorizzato. Ma ad Alexy poco importava, quella sera si sarebbe sbronzato alla grande, voleva divertirsi, non voleva pensare al fatto che avesse passato la sua intera vita convinto di essere gay, mentre in realtà avrebbe potuto benissimo essere bisessuale!
-Castiel a te piacciono le ragazze, vero?- biascicò il turchino, che ormai aveva iniziato a perdere i contatti con la realtà.
-Senza offesa Alexy, ma non sei proprio il mio tipo!- rispose il rosso, dopo aver butta giù un altro sorso di qualche strana bevanda ad alta gradazione alcolica.
-Ma no, è che pensavo che forse… Insomma, se mi fossi sbagliato per tutto questo tempo?-
Nel bel mezzo di quella profonda conversazione, Charlie e la sua nuova ragazza fecero la loro comparsa, raggiungendo la coppia di amici che stava trincando allegramente. D’altronde, anche loro volevano bere, e il rosso si era imboscato in quell’angolo appartato della cucina diverse bottiglie di vodka.
-Sera ragazzi, perché siete qui in disparte ad ubriacarvi, invece di venire nella mischia a divertirvi?- esclamò Charlie, ammiccando verso Alexy che non lo degnò di uno sguardo, ma salutò Jessie con un gran sorriso.
Era vero che dopo essersi frequentati per un po’, Alexy aveva capito che lui e il moro non avrebbero mai potuto stare insieme, viste le continue avventure di quest’ultimo. Per questo aveva deciso di troncare la relazione, prima di finire irrimediabilmente innamorato, cornuto e depresso.
I due ex amanti erano comunque rimasti in buoni rapporti, anche se la tensione sessuale era  talmente alta, da farli finire a letto insieme di frequente, nonostante gli sforzi di Alexy per mantenere un rapporto platonico. Così il turchino, quando veniva provocato da Charlie che aveva in corso relazioni più o meno importanti, finiva per trattarlo freddamente, e si dimostrarsi socievole solo verso la fidanzata o il fidanzato di turno.
Jessie era la ragazza di quel ninfomane da un mese, frequentava anche lei il Dolce Amoris, e ad Alexy non dispiaceva come persona.
-Alexy ci stava provando con me!- sbottò a ridere Castiel, -ma io non sono un frocio…- aggiunse delicatamente il chitarrista, -Senza offesa, eh! Non ho nulla contro i finocchi, purché stiano lontani dal mio culo!- disse prima di buttare giù l’ennesimo sorso.
Castiel non era un ragazzo cattivo, solo che il più delle volte non si rendeva conto di quello che diceva, il turchino lo sapeva bene, e ormai, non faceva più caso alle idiozie che uscivano dalla bocca del rosso.
-Nah, non ci proverei con te, nemmeno se fossi l’ultimo uomo rimasto sulla terra!- sbuffò Alexy
guardandolo storto, -stavo semplicemente meditando sul fatto che forse, potrei pensare seriamente di provarci con una ragazza! Forse… Pensavo che… Potrebbe piacermi…-
Charlie alzò un sopracciglio e incurvò le labbra divertito, Jessie incoraggiò Alexy a seguire quello che gli diceva il cuore, mentre Castiel scoppiò a ridere come un pazzo, sputacchiando i salatini che si era appena infilato in bocca.
-Questa non voglio perdermela! Se è vero, ti sfido a scegliere una ragazza della festa e baciarla! Infondo non c’è modo migliore per scoprirlo!-
“Quell’idiota di Cas non ha tutti i torti!”
Alexy si scolò tutto il liquido, del bicchiere che teneva tra le mani, in un solo sorso, si diede una rapida occhiata in torno, si alzò in piedi, afferrò il volto di Jessie e la baciò. Si staccò dalle sue labbra per poi rimanere a fissarla pensieroso, mentre la povera ragazza era rimasta basita senza sapere che dire, col volto in fiamme e gli occhi sgranati.
Castiel finì per sputare il cocktail dalla bocca e dal naso, mentre se la rideva piacevolmente sorpreso, Charlie non aveva detto mezza parola, ma non sembrava fregargliene molto del fatto che il suo ex, avesse appena baciato la sua attuale ragazza.
-A… Alexy ma che cavolo…- cercò di dire Jessie nell’imbarazzo più totale, spaesata da un simile comportamento, visto che anche se non era a conoscenza della relazione che il suo ragazzo aveva avuto col turchino, sapeva bene che Alexy era gay.
-E dai Jess, mica eri tu quella che diceva che se il qui presente don Giovanni fosse stato etero, non se lo sarebbe fatta scappare? O volevi solo farmi ingelosire? Infondo ti sei sacrificata per una buona causa!- disse il moro prendendosi gioco di lei.
-Vaffanculo Charlie! Sei uno stronzo!- rispose adirata, per poi girare i tacchi e andare a sbollire l’ira lontano dai tre ragazzi.
-Allora? Ti è piaciuto?- chiese Castiel curioso, -ti convertirai alla topa?-
Alexy si sfiorò le labbra, -non lo so, forse sono troppo ubriaco per prendere una decisione ora…-
-Non pensare di venire a baciare me per far un confronto, perché giuro che ti arriva un pugno!- grugnì il chitarrista.
“Certo che Castiel è proprio fissato sul fatto che ci voglia provare con lui!”
Quella sera il rosso gli pareva piuttosto patetico, forse perché Lysandre gli aveva soffiato una tipa da sotto il naso. Era per quello che il gruppo aveva smesso di suonare con la scusa di prendersi una pausa, e il chitarrista si era ritrovato a bere con Alexy, mentre il cantante si era andato ad infrattare chissà dove con la sua conquista.
-E’ un peccato che tu non sia arrivato a capo di nulla…-
Alexy sentì una mano andargli a palpare il sedere, mentre il suo bacino veniva attirato verso quello di Charlie.
-Ma se vuoi ti aiuto io a chiarirti le idee!- il moro fece aderire il corpo del suo ex contro il suo, gli accarezzò una guancia e gli infilò una mano tra i capelli stringendoli tra le dita con forza, evitando però di fargli male.
-Ah, se mi sono mancate queste labbra…- sussurrò, prima di baciarlo con una passione tale, da far passare la voglia di replicare ad Alexy che si abbandonò totalmente tra le braccia di Charlie.
Il turchino si accorse subito di quanto fosse diverso quel bacio dal precedente, non c’era paragone, di sicuro gli piacevano ancora i ragazzi!
-Fanculo, qui rimorchiano tutti tranne il sottoscritto!- sbottò Castiel, per poi alzare il culo dallo sgabello ed andare a cercare quel traditore di Lysandre.
 
Quella serata era stata davvero terribile, non solo Alexy non aveva risolto la questione: “attrazione verso Myaku”, ma aveva anche litigato con Jessie che lo aveva beccato a limonare con Charlie. Nessuna scusa o spiegazione era servita ad indorarle la pillola, inoltre, Charlie se ne era fregato altamente, annunciando candidamente alla ragazza che non gliene fregava niente se lo lasciava, ma anzi, gli faceva un gran favore, così avrebbe finalmente potuto provarci indisturbato con Alexy.
Il turchino esasperato, decise di tirarsene fuori e lasciarli litigare tra di loro, cioè, di lasciare Charlie a subirsi gli insulti e le urla di Jessie, mentre se la filava da quell’inferno.
Come se non bastasse, Myaku e Armin lo avevano mollato alla festa andandosene a casa.
 
La serata si era conclusa davvero presto, erano passate da poco le ventitré e trenta quando Alexy rincasò, era la prima volta che tornava da una festa così presto. 
Non trovando in casa nessuno, e non avendo ricevuto alcuna risposta urlando il nome di suo fratello, pensò di essersi sbagliato: forse il gemello e Myaku erano rimasti al party di Kim. Probabilmente ,per la fretta di fuggire non aveva cercato abbastanza bene.
Salii le scale che portavano al piano di sopra, per andare in camera e buttarsi sul letto ad ascoltare un po’ di musica, ma quando spalancò la porta della stanza che condivideva col fratello, la scena che si trovò di fronte lo destabilizzò.

 
 
Armin aveva una mano tra le gambe di Myaku, probabilmente, Alexy aveva appena interrotto qualcosa, ma la cosa strana era che il moro sembrava non aver neppure notato la presenza del fratello. Al turchino sembrò quasi di aver messo il ferma immagine alla scena di un film: il gemello sembrava una statua di sale, aveva la faccia pallida e sconvolta.
Alexy non riusciva a capire.
Lo vide staccarsi da Myaku, sorpassarlo uscendo dalla porta come fosse un fantasma, anzi, come se Alexy fosse invisibile.
-Armin, ti prego…- sussurrò Myaku con gli occhi lucidi e un’espressione affranta. Ma il moro sparì senza proferire risposta.
-Mya che è successo? E’ colpa mia per caso? Non volevo irrompere così nella camera, pensavo che non ci fosse nessuno…-
La relazione di Armin gli sembrava del tutto spropositata, ma siccome per quella sera aveva combinato già troppi casini, cercò di scusarsi come meglio poteva.
-Tranquilla, ora ci vado a parlare io e sistemo tutto, non può essersi arrabbiato per una simile scemenza e soprattutto, non mi sembra normale che se la sia presa anche con te!-
Alexy si voltò per andare a rincorrere il suo gemello idiota, ma la voce di Myaku lo fermò.
-Ti invidio…-
-Eh? Che vuoi dire?-
-Tu sei coraggioso, non ti sei mai nascosto dietro una maschera, non ti è mai importato di quello che gli altri dicevano o pensavano di te…-
-Mya che stai cercando di dirmi?- chiese, non capendo dove volesse andare a parare.
-Mi chiamo Andrea…- il turchino pensò che fosse proprio nel suo stile, avere un nome che potesse essere usato sia per una donna che per un uomo, e dovette trattenere una risata che vista la situazione, rischiava di farlo apparire insensibile.
“Chissà perché mi ha confessato proprio ora il suo nome…”
-Beh, immaginavo che non ti chiamassi davvero Myaku- finì per ridacchiare lo stesso.
-No, non hai capito!- afferrò il bordo inferiore della felpa, tirandosela su fino al naso.

 
-Ora ti è chiaro perché Armin ha reagito in quel modo?-
Alexy annuì lentamente, ancora schioccato per quel che avevo visto. Ora ne era sicuro, non c’era nulla che non andasse in lui, anzi, il suo intuito aveva capito tutto prima del suo cervello: Myaku era un maschio!
Se Armin non se ne era accorto, voleva dire che era la prima volta che stavano per farlo, d’accordo, avevano iniziato la loro relazione non virtuale solo da un paio di mesi, ma come era possibile che quel tardone di suo fratello non l’avesse ancora toccata?
“A meno che non sia stata proprio Myak… Cioè…  Andrea, a tirarsi indietro per nascondere il suo segreto!”
Alexy non sapeva più per cosa essere sconvolto, se per il fatto che il suo corpo fosse arrivato dove la sua ragione non era stata in grado di arrivare, o per il fatto che lei fosse un lui, o ancora, su come Armin fosse così dannatamente idiota e non avesse fatto ancora nulla con la sua ragazza.
-Ma… Perché?-
-Perché non mi piace essere un maschio! Non mi sono mai sentita tale e poi… Ad Armin non piacciono i ragazzi e io… Volevo stare con lui!- disse, abbassando lo sguardo desolato.
-Che casino!-
Alexy si avvicinò a Myaku cingendolo in un abbraccio, ora si spiegava anche perché non volesse usare il suo vero nome, senza dubbio il nick “Myaku”, risultava più femminile di un nome come Andrea, anche se quest’ultimo era pur sempre un nome unisex.
-Gli faccio schifo!- disse il ragazzo scoppiando in lacrime.
-Ma no, che dici!? Armin non è quel tipo di persona, ma capirai anche che pensava che tu fossi una donna e… Insomma, gli piacevi davvero tanto. Quindi ora è normale che si senta preso in giro e sia rimasto scioccato-
“E che cavolo è come se Charlie mi avesse sedotto e poi sul più bello mi avesse rivelato di essere una donna!”.
Alexy rabbrividì a quel pensiero
“Ma perché cavolo penso a quell’idiota ora!?”
-Vedrai che si sistemerà tutto…- sussurrò convinto all’orecchio di Myaku.
 
Alexy non sapeva come avrebbe risolto quella situazione, non sapeva cosa sarebbe successo da lì a dieci minuti, non sapeva quale sarebbero state le parole che avrebbe usato per consolare il suo gemello. Ma di una cosa era finalmente sicurissimo: era pienamente, felicemente e indiscutibilmente gay! Lo era fino al midollo, dalla punta dei capelli a quella dei piedi.
“Come diamine ho potuto baciare una ragazza?”
Col senno di poi, capì che non gli era piaciuto per niente!
 
 
Intanto, Armin era uscito di casa, in quel momento non se la sentiva di affrontare quello che gli era successo e di rimanere solo, non voleva abbandonarsi allo sconforto e deprimersi, per questo era tornato alla festa di Kim. Aveva trovato Castiel ubriaco marcio che insultava un’abat jour pensando che fosse il suo amico Lysandre. Quella scena, anche se solo di poco, riuscì a risollevargli il morale. Ok, lui non si era accorto che la sua ragazza fosse un ragazzo, ma arrivare a scambiare una lampada per una persona lo trovava ancora più patetico. Andò a sedersi su una sedia libera, estrasse la psp affogando il suo dispiacere nel gioco.
L’inverno era entrato dentro di lui, e il suo cuore si era tramutato in un blocco di ghiaccio che schiantandosi al suolo, aveva finito per frantumarsi in mille pezzi. Per fortuna, nella sua vita era rimasta almeno una donna che, nonostante tutto, riusciva a fargli ribollire il sangue, ed ora era proprio lì con lui, stretta nelle sue mani. Anche se una lacrima scivolò sulla sua guancia, un lieve sorriso gli affiorò sulle labbra prima di premere lo start sul display.
 
FINE





Angolo autrice: questa fic è stata un parto, vi prego di perdonarmi... E' terribile ;_;

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