Sottili fili d'oro

di theIrydioner
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** i. Richard 1464 ***
Capitolo 2: *** ii. Anne 1470 ***
Capitolo 3: *** iii. Francis 1471 ***
Capitolo 4: *** iv. Anne 1479 ***



Capitolo 1
*** i. Richard 1464 ***





Middleham, 1464

La sala grande a Middleham era affollata, piena di vita, di colori e di chiacchiere – la cena già servita da un pezzo nei vassoi decorati che ornavano le tavolate – quando Richard fece il suo ingresso con l’onnipresente, sempre fedele Francis al suo fianco, entrambi senza fiato dopo la loro corsa nei corridoi. I loro esercizi di combattimento e di equitazione quel pomeriggio li avevano lasciati completamente affamati; e tuttavia lo sguardo severo di Richard Neville, appuntatosi su di loro non appena ebbero messo piede nella sala, avrebbe prosciugato l’appetito di chiunque.
Seduto alla destra di Warwick come ospite di più alto rango al suo tavolo, George rivolse ai due sfortunati ragazzi più giovani uno dei suoi tipici sorrisetti beffardi, gli occhi castani scintillanti d’ironia repressa. Richard poteva giusto immaginare cosa morisse dalla voglia di esclamare in quel momento, in quel suo odioso tono provocatore: Tu guarda, il mio fratellino tanto serio è nei guai. Voglio proprio vedere come te la caverai questa volta, Dickon!
Francis deglutì nervosamente nel ritrovarsi tutta l’attenzione della tavola grande su di loro, e gettò un’occhiata di sbieco al suo giovane signore ed amico. “E' tutto sotto controllo,” sussurrò, tentando un sorriso tirato. “Il conte non potrà punire te troppo duramente, visto che tu lo sorpassi di grado…giusto?” aggiunse poi, dubbioso lui stesso.
“Beh, questo è davvero molto rassicurante, Francis” ribatté Richard sarcastico. Non era vero per niente, e lui lo sapeva bene; per quanto fosse un duca in miniatura, Richard Neville, il “Creatore di Re”, era pur sempre il suo tutore. Il suo rango, al contrario, comportava spesso che lui fosse il primo ad essere ritenuto responsabile se succedeva qualche guaio tra i numerosi protetti del conte di Warwick: questo per insegnargli che, quando fosse giunta per lui l’ora di condurre uomini in battaglia, sarebbe stato lui il solo responsabile delle loro azioni – che doveva essere preparato ad accettare i fardelli del comando così come i privilegi che esso comportava.
Ad essere sinceri, non avrebbe voluto essere trattato altrimenti.
Tentando di controllare il proprio nervosismo, fece un respiro profondo e si avvicinò alla tavola grande, trascinando Francis con sé; e entrambi i ragazzi offrirono il loro migliore inchino di scuse a Warwick e alla contessa Anne.
Le labbra del suo imponente cugino si arricciarono ironiche.
“Ah, eccovi qui. I miei pupilli dispersi. Gentile da parte vostra concederci la grazia della vostra compagnia.”
Richard combatté contro il rossore imbarazzato che minacciava di spandersi sul suo volto. “Siamo desolati, caro cugino; ma la colpa non è di Francis, è mia.” Vide con la coda dell’occhio che il suo amico faceva per protestare, e lo zittì con un’occhiata determinata. “Sono stato io ad insistere perché indugiassimo coi cavalli nella brughiera, e ci ho fatti attardare.”
Sostenne lo sguardo scrutatore di Warwick, cercando di ignorare quello per nulla convinto di suo fratello. “Saremmo venuti qua subito, ma non volevamo offendervi presentandoci nello stato in cui eravamo, né voi né soprattutto le signore.”
Mentre le nominava, fece un cenno deferente col capo prima alla sempre statuaria contessa, che neanche in quest’occasione tradiva alcuna emozione; poi a Isabel, seduta accanto alla madre e, notò, particolarmente radiosa quella sera, avvolta nel suo vestito più alla moda su cui ricadevano lunghe trecce di capelli scuri – era soltanto un caso che fosse agghindata al meglio proprio quando c’era suo fratello in giro?
Tuttavia, mentre il suo sguardo passava oltre e le sue labbra si curvavano anticipatamente in un leggero sorriso rassicurante per la sua cuginetta più devota, rimase stupito nel rendersi conto in quel momento che ella non era seduta vicino a sua sorella come avrebbe dovuto, né era in vista da nessuna parte nella stanza.
Dov’era finita Anne?
“Mia figlia è nelle sue stanze ammalata.”
Ovviamente il suo breve attimo di sconcerto non era sfuggito all’occhio acuto di Warwick, così come la preoccupazione che seguì quella sua rivelazione, esattamente la reazione che il conte si aspettava da lui – e che anzi avrebbe auspicato. Qualunque altro ragazzino sarebbe stato infastidito di avere una bambina di otto anni a seguirlo ammirata ovunque ogni volta che poteva; ma Dickon mostrava di partecipare ai giochi di Anne e di apprezzare la sua compagnia tanto quanto quella dei suoi amici maschi – forse in modo meno evidente, poiché non era ugualmente appropriato – e il pensiero della loro vicinanza era oltremodo gradito a Richard Neville.
“Oh, ma caro cugino, non fate angosciare così il mio fratellino! Da quanto intendo non è nulla più che una leggera febbre,” s’inserì George, dal suo tono chiaramente intento più a sbeffeggiare il fratello che non a preoccuparsi della salute della piccola. “Non è così, Isabel?”
La ragazza gli indirizzò un’occhiata sorpresa, segretamente lusingata dal suo gesto cavalleresco di includerla nella conversazione – come testimoniato dal rossore lieve ma ugualmente traditore sulle sue guance. Davvero, pareva pendere dalle labbra di George, e Richard per tutto l’amor di Dio era sicuro che non sarebbe mai riuscito a capire cosa lei trovasse di tanto attraente in quel suo atteggiamento esasperante.
“Beh, sì. Una febbre che non si sarebbe presa se non si fosse messa ad arrampicarsi sugli alberi come una scimmietta…un comportamento così poco da lady!” commentò atteggiandosi a scandalizzata, con gli occhi ancora fissi su George come a volergli far notare per contrasto quanto invece lei fosse graziosa e bene educata – al che Richard roteò ancora di più gli occhi.
Almeno lei non è noiosa come te, pensò. Sembravano così lontani i tempi in cui avevano trascorso ore a giocare tutti e quattro insieme, prima che George e Isabel decidessero all’improvviso che non fosse più consono per loro essere visti impegnarsi in attività così infantili; e a volte gli mancavano.
“Ebbene, giacché mia nipote sembra aver combinato qualcosa a sua volta, forse in proporzione dovremmo essere un po’ più indulgenti con questi due signorini qui, non credi, fratello?”
John Neville, anch’egli ospite alla tavolata di suo fratello in quei giorni, ammiccò discretamente ai due ragazzi, e Dickon gli sorrise, grato sia perché stava prendendo le loro parti, sia perché stava evitando che quei due parlassero ancora male di Anne.
Al suo intervento, anche il volto di Warwick di distese in un sorriso bonario.
“Hai ragione, Johnny; non sono nella posizione di sgridare nessuno, e ad ogni modo avranno imparato la lezione, dato che ormai troveranno ben poco con cui saziarsi, oserei dire. Potete sedervi,” concluse, indicando loro i rispettivi posti.
Francis s’inchinò rispettosamente, sollevato di averla scampata, e mentre si allontanava verso il tavolo dov’era seduto il loro amico Rob Percy con gli altri protetti del conte sussurrò un impercettibile “buona fortuna!” all’orecchio di Richard. Per un attimo, il ragazzino si chiese cosa diavolo intendesse con quello; ma non appena realizzò che si sarebbe dovuto sedere accanto a George, e probabilmente sopportare le sue prese in giro per l’intera serata, pensò che forse suo cugino Warwick aveva escogitato per lui una punizione forse poco eclatante ma non per questo meno efficace.
La cena trascorse interminabile; ma la sua preoccupazione per Anne si rivelò quasi un vantaggio, poiché George si stufò presto di provocare un fratello che lo ascoltava solo distrattamente. Quando finalmente decise di lasciarlo in pace, e di chiedere invece ad Isabel di accompagnarlo a passeggiare nei giardini illuminati dalla luna – evocando un'eruzione di rossore molto più evidente sulle sue guance – Richard sfruttò l’occasione per augurare la buonanotte ai presenti ed assentarsi lui stesso, esasperando la stanchezza accumulata quel giorno. La sua mente, tuttavia, era concentrata su una destinazione molto differente dalla sua stanza; e, mentre usciva dal salone mormorando ulteriori scuse affrettate per il proprio ritardo precedente, non si accorse dell’occhiata d’intesa che passò tra Warwick e la sua contessa.
A quanto pareva, per entrambe le loro figlie non avrebbero dovuto sbracciarsi più di tanto a cercare pretendenti.
 

La camera di Anne era mezza sepolta nell’oscurità; soltanto qualche candela resisteva negli angoli, lasciata accesa per la piccola lady finché non si fosse addormentata. E addormentata la bambina lo pareva certamente, almeno fin quando la pesante porta di legno scricchiolò traditrice. Richard si maledisse internamente.
“Izzy?” sussurrò una vocina assonnata.
“No…Dickon.”
“Richard!” Anne cinguettò felice, subito molto più sveglia, liberandosi in un batter d’occhi delle coperte. Richard sorrise nel sentirla chiamarlo col suo nome completo, di cui lei sembrava determinata a continuare a fare uso, visto che – come lo aveva molto seriamente informato, la sua piccola fronte adorabilmente corrugata mentre parlava – tutti già lo chiamavano Dickon, ma a lei piaceva, per le “persone più importanti”, tenere dei nomi che soltanto lei usasse.
(Appena espresso il concetto, era arrossita furiosamente – e in modo ugualmente adorabile.)
“Dovresti stare coperta,” disse Richard, accennando alle pellicce tutte ammucchiate alla sua vita nel suo tentativo di alzarsi. “Non vorrei che tuo padre si arrabbiasse di nuovo con me per averti fatto prendere ancora più freddo.”
Non avrebbe ammesso che, in realtà, il motivo vero della sua preoccupazione era che odiava quando si ammalava, detestava doverla vedere tutta rossa in viso e tremante per la febbre come lo era in quel momento.
“Ma è così noioso starsene qui senza nulla da fare!” protestò Anne, ma finì con l’ascoltare il suggerimento, e si rigettò indietro sul materasso con uno sbuffo.
La sua fronte si corrugò d’improvviso. “Perché di nuovo?”
Il ragazzino si passò una mano tra i capelli scuri, imbarazzato. “Ecco…Francis ed io abbiamo fatto tardi a cena. Tuo padre non era molto contento…e George non ha smesso di tormentarmi per questo per tutta la sera. Sai, il tipico comportamento da George.”
Anne aveva presente eccome e ridacchiò, ma le sue risatine finirono in una leggera tosse. “Però sei riuscito a scappare,” disse, in un tono da cospiratrice che fece ridere anche Richard.
“Per la verità, è stata tua sorella a salvarmi. Grazie al cielo mio fratello mi è parso molto più interessato a lei che non a me.”
La bambina fece una piccola smorfia alla menzione di Isabel. “Non so proprio perché a lei piaccia. A me non piace molto…è antipatico,” s’imbronciò. “E Izzy non vuole mai giocare con me quando c’è lui…”
Un pensiero improvviso sembrò venirle in mente, e d’un tratto un paio di enormi occhi blu erano ansiosamente fissi su di lui. “Non diventerai anche tu così, vero, Richard?”
“Mai!” Il volto di Richard era molto serio ora. “Non potrei mai dimenticarmi di te, Anne.”
“Promesso?” Un tono speranzoso fece capolino nella sua voce.
“Promesso.”
Anne sembrò sollevata, e gli sorrise grata da sotto le coperte, prima che la febbre le causasse nuovi e più violenti tremiti, nonostante le goccioline di sudore che le imperlavano la fronte; e, mentre si sporgeva per coprirla meglio, Richard rimase sorpreso nel notare solo in quel momento i motivi familiari dei sottili fili d’oro ricamati sulla vecchia coperta sotto le sue dita.
La sua coperta preferita di quando era bambino.
Aveva creduto che fosse andata perduta nel caos pieno d'angoscia di quella notte gelida in cui sua madre aveva imbarcato George e lui stesso, spaventatissimi, su una nave diretta in Borgogna, temendo per le loro vite dopo che quella in fiore di Edmund era stata troncata così, senza pietà, a soli diciassette anni. Era stato l’unico oggetto cui era stato affezionatissimo per tutta l’infanzia, come spesso fanno i bambini con qualche loro piccola possessione di cui solo loro capiscono l’importanza; ma quella era stata la notte in cui si era del tutto lasciato alle spalle gli anni spensierati della sua fanciullezza, e con essi le loro vestigia. In qualche modo, il pensiero che Anne avesse conservato con cura per lui quel piccolo, insignificante pezzo di stoffa per tutto questo tempo lo riempiva di uno strano, piacevole calore.
La coperta, tuttavia, sembrava fare ben poco in quel momento per ripagare l'attenzione con cui la piccola l'aveva tenuta: riusciva ancora a distinguere il suo corpicino seminascosto tremare come una foglia dalla testa ai piedi. In un impulso determinato, scostò la stoffa di lato con decisione e salì a sua volta sul letto, sdraiandosi stretto vicino a lei e riassestando la coperta su entrambi.
Anne proruppe in un’esclamazione sorpresa, le sue guance arrossate per una ragione molto diversa dalla febbre in quel momento.
“Richard…che cosa fai? Non voglio…che ti ammali anche tu…” protestò, le sue parole spezzate dai sussulti involontari nel suo respiro.
“Ti tengo al caldo,” rispose lui, come se fosse ovvio. “George ha fatto lo stesso per me quando siamo scappati dalla Regina Cattiva su quella nave. George detesta dover stare stretto, accoccolato a qualcuno…ma non era ancora così "antipatico" allora.”
Il ragazzino sorrise al ricordo. “Ho pensato che fosse il fratello più coraggioso che potessi avere quella notte. Bè…il secondo più coraggioso. Nessuno è più coraggioso di Edward.”
Più sfacciatamente fortunato che coraggioso, pensò Anne, ricordando le parole che aveva udito suo padre mormorare riguardo al giovane re; ma si trattenne dall’esprimerle, a fronte della ben nota, smisurata ammirazione di Richard per il suo splendente fratello maggiore.
“Mi parleresti di quella notte, Richard?” domandò invece, guardandolo speranzosa. “Per favore?”
A Richard non piaceva molto dover rievocare la paura e l’incertezza costanti di quei giorni, poiché, anche se a volte sembravano memorie dalla vita di qualcun altro, si portavano sempre appresso il dolore lancinante della perdita del padre e di Edmund, un senso di mancanza e di nostalgia che non sembrava mai del tutto in via di guarigione. Tuttavia, mentre stavano sdraiati così sotto la sua vecchia coperta – no, ad essere giusti ora avrebbe dovuto chiamarla la loro coperta; e la consapevolezza di condividere qualcosa con Anne era stranamente piacevole – e lei lo fissava in attesa, così vicina che avrebbe potuto mettersi a contare le sue ciglia se avesse voluto, Richard scoprì che non sarebbe stato in grado di rifiutare proprio nulla alla sua cuginetta.
Mentre richiamava alla mente i ricordi di quella fredda notte sul mare, tessendoli in una storia per lei, era solo vagamente consapevole della stanchezza crescente che stava avvolgendo entrambi, annegando le sue parole sempre più in un farfuglio indistinto. L’ultima cosa di cui fu conscio, prima che il sonno rendesse le sue palpebre troppo pesanti, fu che i sussulti che scuotevano Anne, accoccolata stretta contro di lui, si erano infine smorzati, il suo respiro ritornato lento e regolare contro la sua guancia.
Il suo ultimo pensiero fu che, al contrario del suo caro fratello, a lui addormentarsi così abbracciati non dispiaceva proprio per nulla.


 

A.N.: Rieccomi qui! Ora che c'è finalmente una sezione apposita per questo telefilm - yipee! - bisogna sfruttarla, non vi pare? :)
Questa fic è pensata come una raccolta di capitoli che potrebbero esistere anche a sé stanti, ma che hanno un comune denominatore che, ancora una volta, (credo che nessuno ne potrà più di sentirmi parlare di questo libro...^^) mi deriva da una scena del Sunne in Splendour, che però non è strettamente necessario conoscere per ambientarsi. In questa scena, la duchessa Cecily ha appena spedito in Borgogna i piccoli George e Richard, e nel rientrare nel palazzo a Baynard trova una piccola Annie di cinque anni nella camera dei ragazzi, spaurita e confusa su dove siano finiti i suoi cugini. Cecily fa del suo meglio per consolarla, e la piccola finisce per addormentarsi nella copertina gialla di Richard, di cui Cecily le dice che Richard l'ha lasciata lì per lei, e che potrà restituirgliela al suo ritorno... Come si può notare, secondo i miei canon mentali Annie la famosa coperta se l'è tenuta un poco più a lungo :3 in ogni caso, questa è una delle tante scene adorabili del libro, e ci ho dovuto scrivere qualcosa *w*
Saprete in che anno siamo dal titolo e all'inizio di ogni capitolo. Ci saranno cambi di POV in ogni capitolo rispetto a quello prima - se riesco a strutturare la cosa come vorrei. Il prossimo sarà di Anne :)
Spero che non sia un'idea troppo strana e che sia una lettura piacevole! L'ho scritta prima in inglese, quindi non so mai quanto sia scorrevole in italiano...e in più, tradurre il "you" correttamente in epoche storiche è un incubo. "Tu" o "voi"? Con Anne e Richard, visto che si conoscono da quando sono piccolissimi - così come con Francis - ho optato per il "tu", ma non ne sono per niente certa...
I commenti sono apprezzatissimi come sempre!
-Vale

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Capitolo 2
*** ii. Anne 1470 ***




Angers, 1470
 
L’eccitato, seppur sussurrato, chiacchiericcio delle dame riecheggia nell’ampia stanza da letto, rimbalzando contro le tappezzerie e le tende e le coperte del grande letto a baldacchino, tutte di un vibrante colore rosso scuro – come a voler ricordare a chiunque entri, con la più immediata evidenza, che questo è il cuore dell’esiliata corte Lancaster.
Alcune delle fanciulle stanno ancora applicando gli ultimi punti di filo dorato al bordo del nuovo, splendido abito del color del sole che la sposa indosserà il mattino seguente; altre due svuotano gli ultimi due secchi di acqua calda nella vasca di legno che hanno trasportato in precedenza al centro della stanza; e, infine, un’ultima ragazza si avvicina con cautela a colei che più di tutte loro dovrebbe sprizzare gioia e agitazione in questo giorno, e che invece è seduta sul letto scarlatto con sguardo perso nel vuoto da ore.
Princesse Anne,” la chiama nel suo francese dall’accento perfetto. Quando non ottiene alcuna reazione, lancia un’occhiata incredula alle sue compagne dietro di sé, le sue sopracciglia inarcate in un’espressione perplessa, prima di afferrarla sfacciatamente per un polso richiamando la sua attenzione con tono più sonoro.“Princesse Anne!”
Anne infine sussulta, strappata alle sue riflessioni, e fissa il suo sguardo su di lei; ma i suoi occhi azzurri e spalancati sono ancora vuoti, e la fanno sembrare ancora di più una bambina spaventata.
Votre bain est prêt.*”
Anne si lascia guidare docilmente alla vasca da bagno dalla ragazza francese, ancora muta mentre le dame la svestono e le grattano la pelle con la spugna. È come una bambola nelle loro mani e, in tutta onestà, si sente una bambola: un oggetto grazioso da agghindare per gioco, da offrire a un qualche reale viziato per il suo personale divertimento. Non aiuta per niente il fatto che queste ragazze, giudicandola dalla sua espressione assente, probabilmente la considerino particolarmente stupida, o perlomeno totalmente ignorante in francese; credono che non riesca a capire il significato delle loro impudenti risatine alle sue spalle, come stiano bisbigliando tra loro quanto lei non sia davvero nulla di speciale in fondo, quanto insignificante e ordinaria appaia per essere una quasi-principessa. Per un attimo, si ritrova con la mente nella cattedrale che domani assisterà al suo matrimonio, sotto allo sguardo tagliente come un rasoio della regina Lancaster che l’analizza senza pietà, controllandole persino i denti, quasi dovesse comprare una nuova giumenta per le sue stalle reali. Il ricordo minaccia di farle salire un brivido lungo la schiena, nonostante il piacevole tepore dell’acqua della vasca che l’avvolge; ma Anne lo ricaccia indietro testardamente, aggrappandosi con disperata tenacia alla maschera di apatia che si è faticosamente costruita.
Che cos’è che direbbe Izzy? Sarei regina con dignità e nessuna emozione.
In realtà, ciò per cui stanno ridacchiando le sue pettegole dame francesi non è certo una novità per lei. È Isabel ad essere sempre stata la sorella bella e graziosa; Isabel che doveva essere regina; Isabel colei su cui il loro padre aveva deciso di scommettere tutte le sue fortune. E tuttavia, come quasi tutto nella sua vita di recente, pare che anche questa certezza sia stata ribaltata completamente; ed ora spetta a lei – alla piccola Annie sempre in ombra – consolidare il futuro della propria famiglia, a lei tocca camminare giù per la navata di quella chiesa e consegnarsi al prossimo pretendente che suo padre intende innalzare al trono d’Inghilterra, provando ancora una volta al mondo di essere il Creatore di Re.
Sposerà Edouard di Lancaster domani, nella stessa, grandiosa cattedrale di Angers che, mentre aveva osservato la Regina Cattiva – la regina Marguerite, si corregge – tenervi suo padre in ginocchio per ore, l’aveva messa così in soggezione nella sua ampiezza, che le era sembrata così vuota e fredda – così simile al suo cuore in questo momento…
Non è forse deliziosamente appropriato, dopotutto, che al Principe di Ghiaccio – oh, come sembrano lontani i giorni in cui lei e Izzy lo chiamavano così! – vada una sposa dal cuore congelato? Sì, lei potrebbe essere una perfetta aggiunta ora, pensa Anne con amarezza, alle storie della buonanotte che Isabel si divertiva tanto a narrarle, con le sue marionette che proiettavano grandi, inquietanti ombre sui muri illuminati a candela della loro camera a Middleham.
Si lascia guidare, ancora prigioniera delle sue riflessioni, mentre la fanno alzare dall’acqua della vasca, ed è come se il gelo la assediasse da ogni direzione all’improvviso, la pelle d’oca che esplode violenta al contatto dell’aria dicembrina sulla sua pelle bagnata; eppure è una sensazione che lei accoglie volentieri, poiché le fasentire qualcosa, in modo così differente dal gelo che le si insinua dentro molto più subdolamente…che le fa temere di non riuscire a ridere mai più in quest’ostile corte in esilio.
Non voglio essere la sua regina. Voglio tornare a casa.
Se fosse ancora la stessa ragazzina ingenua di qualche anno prima, forse sarebbe ancora riuscita a credere che suo padre stia facendo tutto questo per lei, per innalzarla alla grandezza perché desidera soltanto il meglio per la sua adorata figliola – come sua madre tiene molto a ripeterle in questi giorni, chiamandola figlia ingrata in quel suo tono sempre così amorevole. Ci crederebbe, come aveva fatto quando era stata Isabel la prescelta cui il loro padre aveva cercato di donare una corona. Ma ora, oh, come comprende bene la riluttanza di sua sorella, e quanto avesse ragione a dire che tutto accade “per loro”, per il solo vantaggio dei loro uomini che le usano come meri gradini sulla scala della loro smodata ambizione.
Ha sempre amato e ammirato suo padre con tutto il suo cuore di bambina, si è sempre sentita sicura tra le sue braccia forti ogni volta che era solito sollevarla da piccola, si è sempre fidata di lui, sempre sentita riscaldata dai rari sorrisi che gli addolcivano il volto severo quando la guardava; e ora tutto ciò cui riesce a pensare è che, non fosse per i suoi costanti complotti, adesso potrebbe essere ancora a casa con la sorella che le manca così tanto, con la sua nipotina a gorgogliare sulle sue ginocchia invece che affondare senza vita nel mare impietoso…e, se dovesse comunque sposarsi domani, potrebbe esserci un altro ad attenderla all’altare, come doveva essere da sempre, ad osservarla nervosamente da sotto la folta massa di ricci scuri che lei ha sempre adorato.
Richard. Pensare a lui e soffrire è un tutt’uno, ma la sua mente è affollata da immagini di lui in questi giorni, casuali guizzi di memoria di quando ancora erano innocenti e dolcemente ignoranti di ciò che sarebbe accaduto loro, piccoli dettagli che le scaldano il cuore come nulla qui riesce a fare: il suo cipiglio determinato quando lo spiava allenarsi, la sua risata schietta al volare di una battuta, le sue rughe di concentrazione quando giocavano a scacchi. Le sue mani, leggere come una piuma sui suoi fianchi mentre l’aveva fatta danzare alla festa per l’incoronazione della regina Elizabeth, accorgendosi che si era sentita esclusa nel vedere Izzy contesa e corteggiata da questo e quell’ammiratore (ma comunque impegnata in uno scambio di sguardi con George per tutto il tempo). Meglio di ogni altra cosa ricorda i suoi occhi, il loro grigio da sempre somigliante per lei a quello di nuvole in movimento, dalla forme e sfumature mutevoli nel vento e che qualche volta si aprivano, lasciando intravedere un raggio di sole, ogni volta che lui sorrideva o che il suo sguardo scintillava ironico.
Anche Edouard ha gli occhi grigi; ma tutto ciò che le ricordano è il rigido, freddo, tagliente metallo di una spada affilata.
Trema ancora al ricordo dello sguardo di puro disprezzo che le ha rivolto la prima volta che l’ha vista; e adesso che le dame hanno finalmente finito di prepararla per la notte e l’hanno lasciata ai suoi pensieri – così concentrata su di essi doveva essere che se n’è accorta soltanto ora – ritrovarsi sola, circondata dal rosso onnipresente in ogni dettaglio della stanza, non fa altro che ricordarle che alla stessa ora domani sarà ormai moglie di un tale essere, che dovrà sentire lo stesso sguardo sprezzante su di sé per il resto della sua vita…
…e ha paura. È una Neville, quindi non lo darebbe mai a vedere se può evitarlo, come vorrebbe suo padre; ma Anne è sicura che se continuerà a vedere soltanto rosso intorno a sé ancora per molto ne uscirà matta. In un movimento improvviso, scoperchia il proprio baule, e dopo qualche momento di ricerca affannosa il sollievo la riempie quando la familiare stoffa dorata si fa finalmente vedere, vissuta al tatto fra le sue dita, e lei la tiene stretta come se ne dipendesse la propria vita.
I suoi ricami dorati hanno visto passare degli anni e non sono neanche lontanamente sgargianti come quelli sul suo vestito nuovo; ma, per Dio, Anne è soltanto grata della differenza. La coperta, la loro coperta – “Sarà molto più utile a te qui nel Nord che a me alla corte di mio fratello. Dovresti tenerla tu,” le aveva sorriso Richard, le dita di lui a sfiorare delicatamente le sue quando aveva tentato di restituirgliela prima che lasciasse Middleham – odora di casa, e di innocenza persa, e di tutto ciò che questo posto non è.
Anne si drappeggia la stoffa familiare sulle spalle, e per un momento si concede di immaginare le braccia del suo Richard intorno a lei, a proteggerla da tutto e tutti come un eroe dei romanzi cavallereschi che erano soliti leggere insieme da bambini. La sua metà razionale vorrebbe deridere la futilità di queste fantasie; non sa nemmeno se si ricordi di lei del tutto, se abbia il tempo di pensare ad altro che non sia la guerra in cui suo padre ha trascinato la famiglia reale di York. Tuttavia, a un’altra parte di lei piace pensare che sì, anche lui pensi a lei come lei sta facendo adesso, chiedendosi cosa lei provi dall’altra parte degli schieramenti, se lo consideri un nemico adesso.
Anne spera che lui sappia che non potrebbe mai farlo.
Quando le stesse giovani dame sconosciute ritornano la mattina dopo e la trovano a guardare fuori dalla finestra, ancora avvolta nella sua strana copertura, i loro volti sono una perfetta eco dell’incredulità della sera prima; ma Anne si limita a rispondere ai loro sguardi, forzando un sorriso sulle labbra.
“Je crois que j’aurais besoin d’assistance avec ma nouvelle robe?**” domanda innocentemente, nel miglior francese che riesce a produrre dopo aver smesso di far pratica da così tanto tempo con l’insegnante suo e di Isabel a Middleham.
Il pallore improvviso e evidente sul volto delle ragazze, e il loro vociare visibilmente assente mentre la vestono, sono la sua piccola rivalsa per la loro precedente insolenza; ma Anne ne ricava ben poca soddisfazione, mentre ripiega la coperta di Richard e la seppellisce nuovamente sotto ai suoi abiti, e il suo cuore con essa.
 
 

* “Il vostro bagno è pronto.”
** “Credo di aver bisogno d’aiuto con il mio abito nuovo?


A.N.: in onore del fatto che Game of Thrones, altra serie di libri/episodi che adoro, è ispirata parzialmente alla Guerra delle Due Rose per stessa ammissione dell’autore Martin, in questo capitolo c’è un reference a GoT abbastanza evidente - e in realtà quando ho finito di scrivere mi sono accorta che l’intera scena del bagno potrebbe essere un riferimento allo stesso personaggio…
Faccio riferimento a una “nipotina”, quando Anne parla del neonato partorito da Isabel durante la tempesta, perché storicamente il bambino partorito in nave era una femmina, chiamata anch’essa Anne – w le omonimie! – e non un maschio come secondo la Gregory, che suppongo l’abbia modificato per rendere ancora più drammatica la sua perdita per i personaggi (George avrebbe avuto l’erede che voleva se fosse sopravvissuto, etc).
Questo capitolo è un po’ anomalo perché Richard c’è solo nei pensieri di Anne – ma ci sarà nel prossimo, promesso! E il prossimo dovrebbe anche avere il POV di un personaggio che amo particolarmente – probabilmente Ormhaxan sa già di chi sto parlando…^^
Grazie come sempre a chiunque legga e abbia voglia di recensire :3
-Vale

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Capitolo 3
*** iii. Francis 1471 ***




Tewkesbury, 1471
 
L’intera giornata odierna rimarrà per sempre un turbinio confuso nella sua mente, sospetta Francis.
Tutto era parso accadere con un’impossibile, frastornante rapidità, con quella rapidità di un demonio di cui i Lancastriani parlavano sempre ogni volta che Edward di York era coinvolto; e tale era, effettivamente, l’unico modo concepibile di descrivere quella che era stata la loro marcia forzata, senza sosta, verso Tewkesbury.
Soltanto pochi giorni prima, tutt’intorno a lui volavano maledizioni a Marguerite d’Anjou, che instancabile sempre più sfuggiva alla loro portata, più pericolosa con ogni miglio che l’avvicinava al Galles; poco più di qualche ora prima, erano giunti così vicini a perdere tutto, sotto i colpi dell’attacco a sorpresa di Somerset all’avanguardia di Richard…ed ora tutto ciò che resta di quelle letali minacce sono i corpi martoriati che costellano il campo di battaglia, abbandonati scompostamente a terra ad impregnarla con i loro fluidi.
Sembra quasi surreale che sia tutto finito così, una volta per tutte, in un repentino rivolgimento delle sorti.
Francis è sopravvissuto incolume allo scontro più cruento che riesca a ricordare, e si chiede brevemente come sia possibile che la famigerata Towton* sia stata ancora più sanguinosa di così. L'odore crudo della vittoria inebria ancora i soldati di York come il più forte, fragrante liquore, li spinge a sparpagliarsi in ogni direzione, pieni di una ferale smania di rivalsa che non risparmia niente e nessuno sul loro cammino. È quest’incontrollata sete di vendetta che ora lui e Richard stanno tentando di arginare dall’alto dei loro destrieri, poiché è un conto – discutibile, crudele e a lui avverso quanto si voglia, ma può sforzarsi di vederne la necessità – negare il diritto d’asilo e far giustiziare dei traditori; ma prendere d’assalto un’abbazia in massa e vessare suore inermi, come la truppa sembra intenta a fare, è tutto un altro paio di maniche.
“Dannati idioti,” Francis ode il suo amico e signore sibilare tra i denti. Se aveva potuto pensare di aver finito con le sorprese e i rivolgimenti della giornata, tuttavia, si è sbagliato di grosso; poiché, appena accorsi al galoppo nel cortile interno dell’abbazia all’inseguimento dei soldati disobbedienti, l’eco di un grido stranamente familiare, acuto e terrorizzato in mezzo a quel caos, li congela entrambi sulla sella.
No! Non mi toccate! Non osate toccarmi!
Arriva diritta da davanti a loro, quella voce che sembra uscita da un sogno remoto, proprio dal punto in cui un’intricata calca di uomini in armatura sta trascinando giù senza pietà una figura minuta dalla propria cavalcatura. Tutto ciò che Francis fa in tempo a distinguere, prima che essa venga sopraffatta e schiacciata a terra in mezzo a loro, è lo sfavillio di una lunga treccia color biondo rame – una donna! – e un’istintiva angoscia s’impossessa di lui, ancora prima di udire le nuove grida disperate, impotentemente irose di lei.
Io sono Anne Neville! Sono la figlia del Creatore di Re! No!
È come se potesse letteralmente percepire il sangue ghiacciare nelle sue vene, pompare gelo nel suo corpo anziché calore, mentre in un lampo la comprensione si fa strada dentro di lui. Per un lungo, sconvolto momento, è paralizzato dall’orrore; accanto a sé, riesce a vedere ogni traccia di colore disertare immediatamente il viso di Richard, i suoi occhi d’improvviso spalancati e sconcertati tanto quanto i suoi, se non di più. Pur sapendo quanto il suo amico abbia pregato – ma non si sia mai concesso di sperare davvero – che questa guerra gli riportasse Anne per qualche scherzo di quel destino beffardo, sa anche che questo non sarebbe potuto essere più distante dal modo in cui lui avrebbe voluto che accadesse. Tuttavia, Richard è sempre riuscito a controllarsi molto meglio di lui, è sempre stato di una rapidità disarmante e determinante nel prendere decisioni ed agire; in un battito di ciglia si è ricomposto, e ora smonta da cavallo in un unico movimento fluido, un leggero tremolio nella sua voce profonda l’unico segno traditore del tumulto di sentimenti che lo attanaglia.
“Francis, prendi i tuoi uomini, circonda questo posto e fa' cessare questa follia,” ringhia, con voce mortalmente bassa.
“Aspetta, Richard…”
Ma lui si sta già avventando a grandi passi furiosi sul gruppo di soldati senza controllo, emanando rabbia ad ondate come calore bruciante che si spanda da un fuoco pericoloso; e Francis sa che è meglio neanche tentare di discutere. Prima che possa voltare il cavallo per fare come gli è stato ordinato, con la coda dell’occhio intravede una figura in armatura lanciata in aria con tale brutale violenza da fargli quasi sperimentare una punta di pietà per quelle anime sfortunate che si sono attirate l’ira inflessibile del suo signore.
 

Quando torna sui suoi passi per riferire l’esito dei suoi sforzi, la prima cosa che nota è lo sguardo glaciale di Richard, pieno d’odio come mai ha potuto osservare prima, mentre rinfodera lentamente la spada sguainata; ma, non appena realizza a chi è diretto, davvero non dovrebbe poi essere tanto sorpreso. Quasi non riesce a credere che questa piccola donna ammantata di rosso, dal portamento ostinatamente fiero ma dal volto totalmente distrutto, sia stata l’incubo peggiore del Casato di York, sia stata l’orgogliosa regina che suo padre era solito lodare e su cui gli raccontava mille storie, così tanto tempo fa, in una vita che ora sembra appartenere a qualcun altro**. Che sia questa quella lupa di Francia che fece impalare sui cancelli di York e schernì così crudelmente le teste mozzate del padre e del fratello di Richard.
Ora Marguerite d’Anjou ha perso tutto, e la sua sconfitta completa e senza appello è riflessa nei suoi occhi scuri come il carbone mentre lascia che la trascinino via, lontano dalla figura ancora più minuta che trattiene a stento il pianto accanto a Richard. L’aspetto di Anne è terribile, i bei capelli arruffati, il suo abito verde stropicciato, strappato e sporco di fango ai lembi, rughe d’angoscia e di stanchezza scavate a fondo sul volto smunto e occhi blu cielo che lottano ferocemente per ricacciare indietro le lacrime di spavento; ma sembra stare bene, e Francis ringrazia mentalmente tutti i santi del Paradiso per non avere permesso che arrivassero troppo tardi, che una nuova cicatrice si aggiungesse per lei a quelle dell’anno trascorso, fin troppo marcate sul suo viso. Esse non sono però l’unica cosa che ha lasciato il segno; e, mentre la osserva combattere una dura battaglia con se stessa per recuperare un’illusione di compostezza, il suo petto che si gonfia e sgonfia affannosamente mentre inghiotte diversi respiri strozzati, è quasi con un certo interesse affascinato che nota una nuova, sconosciuta fierezza in lei, molto diversa dalla testardaggine infantile che ricorda bene nella piccola lady che conosceva. La ragazzina spensierata dei suoi ricordi è qualcosa di completamente diverso da questa guardinga giovane donna, che ora leva uno sguardo determinato alla volta di Richard.
“Vostra Grazia.”
Francis vede gli occhi del suo amico allargarsi in un momento di sconcerto nel sentirsi chiamare così da lei, da Anne tra tutti, che conosce – a cui tiene – praticamente da sempre. È come se i rivolgimenti assurdi di quell’anno trascorso avessero cancellato ogni traccia della naturalezza che tra di loro era facile come respirare, lasciandoli dei completi estranei, ancora increduli di essere stati sospinti di nuovo fianco a fianco dalla marea cambiata, incerti su cosa aspettarsi l’uno dall’altra; e se lui stesso sta trovando arduo riconciliare l’immagine che aveva di lei con questa nuova Anne, può solo lontanamente immaginare quale insicurezza dolorosa stia infettando la mente di Richard.
“C’è qualcosa…che vorrei recuperare dall’abbazia, prima di venire con voi,” dice infine lei, con tono interrogativo, cercando di mantenere ferma la sua voce. C’è un sottile sottotono di urgenza in quella richiesta, e Francis si interroga ancora di più sull’enigma che lei sembra essere divenuta.
“Ma certo, lady Anne.” Per quanto formale e confuso esso sia, il consenso sale alle labbra di Richard senza nemmeno pensarci – flebile eco dei tempi andati, in cui tutti sapevano che non avrebbe rifiutato nulla alla sua cuginetta adorante. Anne gli indirizza un tremulo sorriso di gratitudine ora, un “Grazie” sussurrato appena sulle labbra; per un momento, possono tutti illudersi di essere tornati a giorni più facili, ma subito lei si raccoglie la gonna rovinata tra le mani e sparisce dentro le mura dell’abbazia, e l’attimo è spezzato troppo in fretta. Francis riesce a sentire la tensione e la preoccupazione irradiarsi da Richard a grandi, turbolente onde, ma non ha la minima idea di come rassicurarlo, può solo restare come lui a fissare con apprensione la forma sottile di lei che si allontana.
La vedono riemergere qualche momento dopo, con una strana massa di stoffa ripiegata frettolosamente tra le braccia – e una nuova dose di sconcerto li attende nel vederla inseguire con decisione i due soldati della Rosa Bianca che stanno portando via Marguerite d’Anjou.
“Regina Marguerite.”
Francis trattiene il respiro, a disagio. Un titolo vuoto è tutto ciò che resta a quella donna disgraziata, l’unica cosa che abbia qualche possibilità di ottenere una scintilla d’attenzione da parte sua; ma ora, dopo quest’ultima vittoria, è innegabilmente tradimento attribuire quello stesso titolo ad altri che non siano la loro Regina Bianca, Elizabeth. Le due guardie si fermano di colpo come animali in trappola e permettono alla regina sconfitta di voltarsi, non osando negare nulla ad Anne dopo quella precedente, terrificante dimostrazione di affetto protettivo del loro signore nei confronti di questa stessa lady; ma Francis si accorge che condividono il suo stesso imbarazzo, che continuamente lanciano brevi occhiate ansiose in direzione del loro duca.
Ma Richard resta immobile, sempre più confuso mentre osserva Anne continuare a passi lenti e misurati fino ad essere di nuovo faccia a faccia con l’incubo della loro infanzia – Cristo, che ora è sua suocera – e allungare muta un braccio verso di lei, offrendole il tessuto che teneva stretto al petto. Esso si dispiega nell’aria ancora satura di sangue, e Francis può finalmente vederlo per quello che è: un bel mantello da cerimonia di un rosso brillante, interrotto dalla macchia chiara di un ricamo non terminato. Dev’essere con questo che le donne si sono tenute occupate durante le ore di attesa incerta all’abbazia, così che hanno cercato di scacciare pensieri crudeli…
Guardando con più attenzione, infine lo riconosce. La parte inferiore del suo corpo piumato è ancora del tutto mancante, ma il collo elegantemente incurvato che si allunga sulla superficie del mantello è inequivocabilmente quello di un cigno, lo stemma personale dell’ormai defunto Edouard di Lancaster. Francis arrischia un’occhiata a Richard, e il suo signore ha tutta l’aria di uno che sta per sentirsi male, mille e più domande che Francis può immaginare fin troppo bene a inseguirsi nella sua testa tutto d’un tratto. È questo il modo di Anne di offrire simpatia per le condizioni della Regina Cattiva? Può essere che abbia imparato a…provare qualcosa per suo marito? Piange forse Lancaster? L’ha ormai perduta per sempre?
Per un fugace attimo di guardia abbassata, una sferzata del dolore più profondo attraversa gli occhi scavati di Marguerite d’Anjou, mentre fissa con sguardo distrutto l’emblema del suo adorato figlio, quell’insignificante pezzo di stoffa tutto ciò che le è rimasto di lui. Non dura più di un secondo, tuttavia, e il vuoto torna presto a riempire i suoi occhi mentre scruta in volto Anne. Lei sorregge coraggiosamente il suo esame, immobile come una statua, e Francis scorge qualcosa passare tra le due donne, un trepidante accenno di comprensione reciproca, alla fine di tutto. Osserva la regina caduta accettare infine l’offerta, ammucchiarsi il mantello tra le braccia e tenerlo stretto a sé come avrebbe fatto con suo figlio quando non era che un neonato innocente – non ancora lo spietato, crudele ragazzo che l’aveva cresciuto a diventare.
“Dio sia con te, Anne Neville,” dice solamente. È l’unica volta che Francis la udrà mai parlare, e lo fa con una voce spezzata così differente dal tono imperioso ed arrogante che le ha sempre associato che anche lui, Yorkista con tutto il cuore, riesce a sentire uno stralcio di compassione farsi strada nella sua coscienza.
Non è pietà, tuttavia, quella riflessa nello sguardo di Anne, mentre i soldati strattonano la Dama d’Anjou via da lei per l’ultima volta; le sue spalle che crollano improvvisamente libere da un po’ della loro tensione, gli occhi che si chiudono mentre prende un respiro profondo parlano di sollievo, di un ultimo dovere infine compiuto prima di potersi finalmente lasciare alle spalle quel titolo così pericoloso di principessa del Galles, ormai evanescente come il vento che agita il mantello scarlatto avvolto intorno alla figura sempre più lontana di Marguerite.
Solo ora Francis nota un ulteriore particolare. Nascosta prima sotto alla stoffa rossa, c’è ancora qualcosa tra le sue mani, qualcosa che ora Anne stringe con forza eguale alla presa disperata della Regina Cattiva – sembra una coperta, e anche una piuttosto vecchia. Francis lo reputa poco importante – pensa che deve averla raccolta dall’abbazia per il viaggio fino a Londra, che è più che normale nel suo stato essere intirizzita dal freddo; rimane invece sbigottito quando sceglie quell’esatto momento per voltarsi di nuovo verso Richard, e vede i suoi occhi riempirsi d’incredulità nel riconoscerla. Lo osserva finalmente liberarsi di quell’immobilità attonita che sembrava essersi impadronita di lui finora, avvicinarsi a lei a lenti, cauti passi.
Anne lo sente arrivare vicino e si volta a guardarlo, i grandi occhi azzurri spalancati mentre lui solleva una mano inguantata di metallo, delicatamente afferra un lembo della stoffa dorata scolorita tra le dita.
“Voi ancora…ancora conservate questa.”
La sua voce è densa di emozione, e Francis quasi riesce a sentire la vera domanda, incerta, che quella frase sottende.
Dunque pensate ancora a me?
Lo sguardo di Anne si addolcisce, si fa quasi lucido. Il sorriso esitante che rivolge a Richard è come un raggio luminoso di sole in quella giornata di lutto; l’emozione tra loro così densa tutto a un tratto da far sentire Francis testimone intruso del più privato dei momenti.
“Sempre,” sussurra soltanto lei in risposta, quasi troppo timidamente per essere udita; e Francis è certo che anche lei non stia più parlando affatto della coperta.

 

*la battaglia di Towton è del 29 marzo 1461; fu una decisiva vittoria Yorkista, e sconvolgente anche per l'epoca di guerre continue per quanto fu sanguinosa.
**Lord Lovell, il padre di Francis, era Lancastriano; quando morì, la custodia del figlio fu affidata a Richard Neville, conte di Warwick.

A.N.: rieccoci qui, la famigerata coperta ha trovato posto anche su un campo di battaglia x)
Penso che questa scena sarà riconoscibilissima dal telefilm, ma ho voluto espanderla un po' e reinserirvi anche il mio amato Francis (che non so perché ho sempre immaginato con una fisionomia alla Eddie Redmayne ^^), la cui totale assenza da The Kingmaker's Daughter - e quindi, anche da TWQ - è una delle cose che più mi dà fastidio. Sarò di parte, ma...non si può eliminare così il migliore amico di Richard! D: ho lasciato un po' di spazio anche per Marguerite, perché in fondo è una figura che per certi suoi tratti rispetto. Una donna forte, volitiva e che ha combattuto per il proprio trono e la propria famiglia - non molto diversamente, in fondo, da altre donne che ci vengono presentate in luce più positiva.
Lo scambio finale tra Richard e Anne funzionava molto meglio in inglese che in italiano come l'ho ritradotto ora ma...non so come altro renderlo, quindi resta così ^^''
E sono ritornata al "voi" in questa sezione perché non si vedono da più di un anno, e entrambi non sanno bene come comportarsi l'uno con l'altra - un po' di impaccio e minore confidenza mi sembrava d'obbligo!
Come sempre, un grazie di cuore a chi legge! :)
-Vale

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Capitolo 4
*** iv. Anne 1479 ***




Middleham, 1479
 
“Signorino Edward! Signorino Edward!”
Le grida della tata riecheggiavano per tutto il corridoio, sempre più insistenti ogni minuto che passava, e coprivano decisamente ora le delicate note di liuto provenienti dalla saletta dove Anne era seduta in circolo con le sue dame. Nei periodi di assenza di Richard – più frequenti di quelli di tranquillità di questi tempi, vuoi per sedare agitazioni crescenti sul confine scozzese, per recarsi ad amministrare la giustizia qui e lì nei suoi domini, o perché convocato da suo fratello il re – era lì che la sua duchessa preferiva trascorrere le serate, facendo leggere ad alta voce le sue ballate preferite, o semplicemente standosene quietamente seduta a ricamare con il sottofondo della dolce musica che la bravura di Mary, la sua dama più giovane, sapeva creare dalle corde del suo strumento; tutto ciò cercando di fingere che suo marito non le mancasse più o meno allo stesso modo in cui un vagabondo poteva anelare a una fonte d’acqua nel mezzo di un deserto.
“Volete che vada a controllare cosa sta succedendo, Vostra Grazia?” le domandò ora Mary, interrompendo il suo suonare e appoggiando il liuto sulle ginocchia, mentre i suoi occhi volavano interrogativi alla porta chiusa.
Anne sentì una fitta di preoccupazione ferirla, come sempre quando qualcosa riguardava il suo Ned, sempre così minuto, così fragile. Si sforzava sempre, il Signore sapeva quanto, di non soffocarlo facendo la madre iperprottetiva, desiderando che sperimentasse tutto ciò che ci si sarebbe aspettato che un piccolo lord come lui facesse; ma non poteva evitare il timore che l’attanagliava ogni volta che pareva ci fosse qualcosa che non andava con lui, il suo prezioso, unico bambino. Forse era caduto? E se si fosse di nuovo ammalato? Lo sapeva, dannazione, non avrebbe dovuto lasciarlo cavalcare così tanto nell’aria fredda del mattino…
“Grazie, Mary, ma credo che andrò a vedere di persona,” rispose, con tono di voce il più calmo possibile, e riuscì a tirar fuori un sorriso per la ragazza seduta sul tappeto color rosso scuro del salotto. In un turbinio di stoffa blu, era nel corridoio, e solo per pura fortuna evitò la collisione con la donna rotondetta e parecchio nervosa che lo stava riempiendo con i suoi richiami, e il cui imbarazzo s’infiammò ulteriormente nel ritrovarsi Anne di fronte.
“Mia signora! Mia signora, sono mortificata…”
“Calmatevi adesso,” la sostenne con dolcezza Anne. “E vi prego di dirmi cosa succede.”
“È…è il piccolo lord, signora. So che l’ora di metterlo a letto è passata da un pezzo, ma non riusciamo a trovarlo da nessuna parte…”
La donna rimase sconcertata quando vide la duchessa scoppiare a ridere sollevata, il che era l’ultima reazione che si sarebbe aspettata. “Mia signora?”
“È solo questo il problema?”
“Sì, mia signora. Non so proprio dove altro cercare…”
“Lasciate fare a me da qui,” la interruppe Anne con un sorriso rassicurante, grata oltre ogni misura che nessuna delle sue aspettative peggiori si fosse rivelata corretta…anche se, se Ned era imboscato dove pensava, un raffreddore era probabilmente la minima conseguenza di cui aspettarsi.
Il mio monello. Il pensiero la fece sorridere ancora di più nonostante tutto.
“Credo di avere una buona idea di dove possa essersi andato a cacciare.”
 
I fatti le diedero ragione non appena finì di salire gli ultimi gradini che conducevano in cima alla torre sud: ed eccolo lì, suo figlio, seminascosto tra i merli – la sua massa di capelli scuri arruffata al vento – a fronteggiare coraggiosamente il freddo mentre scrutava attento l’orizzonte. Era piccolo e sottile, il suo Ned, quasi troppo, e tranne che per l’assenza di riccioli nei suoi capelli era un’immagine così perfetta di suo padre alla stessa età che Anne sentì un moto di nostalgia solleticarle forte il petto, e si ritrovò quasi riluttante a spezzare l’attimo.
“Ehi, ometto, cosa ci fai qui fuori a quest’ora?” A sei anni, Ned era già un piccolo conte*, e come tale aveva sviluppato una sua particolare forma di orgoglio infantile; soltanto Richard riusciva ancora a chiamarlo il mio bambino senza attirarsi il broncio per tutto il giorno.
Il bambino sobbalzò, sorpreso, e si voltò a guardare sua madre, sul suo volto il timido sorriso colpevole di qualcuno scoperto a ripetere una ben nota marachella un’altra volta.
Anne sospirò, scuotendo piano la testa. “Ned, lo sai come va a finire quando prendi troppo freddo,” lo rimproverò gentilmente. “Hai appena avuto la febbre la settimana scorsa…”
“Ma non ho freddo, madre!” protestò il piccolo. “E sto aspettando che arrivi il mio papà.”
Proprio come sospettava, Anne ridacchiò tra sé. Ricevere quella missiva di Richard quella mattina, che avvertiva del suo ritorno imminente, li aveva gettati entrambi in agitazione, e ormai credeva di aver perso il conto di quante volte avesse sentito Ned affermare di avere questo e quell’altro da far vedere a suo padre quando fosse arrivato. La sua adorazione per il padre brillava chiara e forte come il Sole Splendente di York e, per quanto Richard preferisse essere discreto con le sue dimostrazioni di affetto pubbliche – e per quanto Anne sapesse quanto fosse orgoglioso e amasse i suoi due figli illegittimi, Johnny e Kathy – era chiaramente sotto gli occhi di tutti quanto lui adorasse il suo piccolo Edward di rimando.
La sola immagine mentale di loro due insieme, gli uomini della sua vita, minacciava di farle scoppiare il cuore di gaiezza.
“Spero bene che tuo padre abbia il buonsenso di non viaggiare con questo buio,” commentò, chinandosi sui talloni all’altezza del figlio, con la gonna del vestito che si ammucchiava intorno a lei, mentre gettava uno sguardo al paesaggio serale lei stessa. Per la verità, Richard aveva la fama di far correre i suoi uomini quando voleva, un’arte che aveva imparato alla perfezione da suo fratello; né era nuovo, se era onesta, a scherzi di quel tipo. Avvertì un leggero rossore risalirle traditore le guance al solo ricordo del bacio mozzafiato con cui il suo duca e marito aveva efficacemente ucciso sul nascere ogni sua protesta, l’ultima volta che era piombato al castello all’improvviso ad ore tarde…e di ciò che l’aveva seguito.
“Ma ha promesso che sarebbe stato a casa in un battileno!” insisté Ned, imbronciandosi e inciampando su quell’ultima parola un po’ difficile per lui. “Non posso andare a letto ora, madre. E se arriva mentre sto dormendo?”
“E se invece arrivasse ma tu non potessi neanche andare a salutarlo perché hai di nuovo quell’orribile febbre?” ribatté lei in tono ragionevole, dandogli un colpetto affettuoso sul braccino. “Forza, andiamo.”
Suo figlio la guardò incerto per un momento; quindi sembrò essere colpito da un pensiero improvviso, e assunse l’espressione di ribellione più solenne che si potesse ricreare a sei anni. “Non potete obbligarmi. Mio zio re Edward mi ha fatto conte adesso, e…”
“…e tua madre è una duchessa reale, quindi tecnicamente può darti ordini ancora per un po’, signorino conte,” rise Anne, solo fintamente oltraggiata. “E credo anche che abbia dei metodi persuasivi piuttosto efficaci a sua disposizione…”
Senza preavviso, afferrò di colpo la vita sottile del bambino e iniziò a fargli il solletico senza quartiere, finché non si ritrovarono entrambi ad essere due forme scomposte e ridenti sul pavimento di pietra.
“No!...Madre!...Così non vale!” strillò Ned tra le risate.
“Voi uomini potete combattere con le spade; ma noi donne dobbiamo trovarci le nostre armi,” disse Anne misteriosa, lasciandolo infine andare. Il suo vestito era ormai tutto stropicciato, e anche la sua treccia doveva essere un disastro, ma valevano bene il sorriso spensierato che illuminava il visino di suo figlio. Questa è felicità, quella vera, pensò tra sé.
“Quindi vuol dire che imbrogliate?” chiese il bambino con fare candido.
“No, solo che siamo molto intelligenti, piccolo impertinente!” ridacchiò di nuovo lei, pizzicandogli la punta del naso. “Andiamo, ora a letto e senza più discutere, ometto.”
Ned infine si arrese; si lasciò trascinare via dal suo posto di osservazione con un ultimo, leggero sbuffo, e Anne sorrise tra sé nel vederlo trasformarsi in fretta in un malcelato sbadiglio. Nonostante tutti i suoi buoni propositi, il bambino cadde addormentato quasi nello stesso momento in cui la sua testolina scura si accasciò sul cuscino, e lei si ritrovò assorta in contemplazione, mentre gli accarezzava dolcemente i capelli folti, cullandolo verso un sonno più profondo. Sembrava così tranquillo mentre dormiva, pensò, anche in questo così simile a suo padre. Il sorriso sulle sue labbra si allargò nel ricordare infinite notti trascorse a combattere il sonno tra le braccia di Richard solo per riuscire a osservarlo dormire, scuri ciuffi ricciuti sparsi disordinatamente sulla sua fronte e le sue rughe di preoccupazione, sempre più scavate sul suo viso ogni anno che passava, distese in un’espressione di quieto appagamento, un'espressione che solo recentemente aveva ricominciato a comparire sul suo volto anche da sveglio – dopo essere scomparsa del tutto per mesi l’anno precedente, quando era stato costretto a vedere uno dei suoi fratelli distruggere l’altro.
Ripensare alla caduta in disgrazia di George era sempre pericoloso per entrambi, poiché riapriva vecchie cicatrici e alcune ferite non ancora guarite – ad Anne ricordava sempre la sua perdita personale, il grande vuoto che sua sorella aveva lasciato nella sua vita. Quanto avrebbe voluto che Isabel facesse parte della sua felicità presente, come era stata un'insostituibile parte di lei per la maggior parte delle loro vite.
Continuò a guardare il suo piccolo Ned, e desiderò disperatamente di potergli dare un fratello o una sorella con cui potesse condividere il medesimo affetto che l’aveva legata alla propria. Dopo il suo ultimo, dolorosissimo aborto spontaneo, Richard l’aveva tenuta stretta, e le aveva detto che più di ogni altra cosa avrebbe voluto sempre vederla in salute, che erano ancora così giovani, e che non si sarebbe dovuta affliggere così tanto come faceva. Tuttavia, di quando in quando si chiedeva se non ci fosse qualcosa di sbagliato, di rotto in lei, e pregava ardentemente il Signore di non farle questo, quasi immediatamente rimproverandosi per il pensiero – poiché Egli le aveva già accordato così tanto di quanto avesse mai desiderato. A volte Anne ancora si meravigliava di come fosse possibile che, dopo tutto quanto era successo, lei fosse davvero la donna che era ora, la duchessa di Richard e Signora del Nord.
Di una cosa era certa: se mai avesse dovuto avere un altro maschio, l’ultimo nome che avrebbe voluto dargli era quello del suo sventurato cognato. Avere un Edward e un George come fratelli, di questi tempi, suonava come un pessimo presagio.
“Vedo che resti sempre più brava a mettere a letto nostro figlio di tutte le sue tate messe insieme, amore mio.”
Era così immersa nei proprio pensieri che la voce familiare alle sue spalle quasi la fece sobbalzare sul letto di Ned; e i suoi sensi parvero riattivarsi tutti insieme in quel momento, poiché solo allora si accorse all’improvviso del rumorìo di cavalli e di uomini che smontavano dalle selle giù nel cortile, riempiendo di nuova vitalità il castello ormai notturno.
Si voltò di scatto, incredula, e Richard era appoggiato sorridente allo stipite della porta – in quieta osservazione forse anche da un po’ di tempo.
“Richard!” esclamò in felice sorpresa, trattenendosi più che poté per non rendere vani tutti i suoi sforzi di cullare Ned. Sollevò l’orlo della gonna da terra e corse da lui, e in un attimo era tra le sue braccia, ancora avvolte da un pesante mantello contro il freddo.
“Quando sei arrivato? Come–”
Prima che se ne rendesse conto, l’aveva messa a tacere con un bacio appassionato, rubandole tutta l’aria dai polmoni, le sue dita fredde sulla pelle a riprova del loro confronto con il gelo serale.
“La smettereste…di zittirmi con i vostri baci, milord? Vi stavo parlando!” protestò quando infine la lasciò andare, fingendosi indignata.
“Non mi pare che vi dispiaccia mai molto quando lo faccio, milady” rise Richard, con la mano ancora sul suo viso e gli occhi che brillavano e non parevano riuscire a saziarsi di lei. “Sono arrivato proprio adesso.”
“Ancora a viaggiare col buio, Richard? I tuoi uomini ti odieranno ormai,” Anne lo rimproverò bonariamente, inarcando un sopracciglio alla volta del marito.
“Posso sempre andarmene e tornare domani, se preferisci…” la stuzzicò lui, ma lei fu veloce ad afferrargli il colletto del farsetto con fermezza tra le mani.
“Non osare.”
Si alzò in punta di piedi e lo baciò di nuovo, le dita che si perdevano nei suoi capelli, ancora inebriata ogni volta dalla sua vicinanza dopo settimane di separazione, nonostante tutti gli anni che aveva avuto per abituarvisi.
“Dio, Anne, mi sei mancata” sussurrò lui, senza fiato, contro le sue labbra. “Non potevo né volevo per nulla al mondo trascorrere un solo giorno di più lontano dalla mia famiglia.”
Famiglia. La parola riecheggiò leggera come una farfalla nella mente di Anne – suonando così giusta in quel momento, mentre lo osservava avvicinarsi cauto alla forma raggomitolata di Ned, chinarsi piano su di lui per stampargli un bacio leggero sulla fronte.
“Credevo che potessimo permetterci trapunte ben più decorose di questo vecchio pezzo di stoffa?” lo udì ironizzare sottovoce, e quindi notò le sue dita che sfioravano l’ordito sbiadito e un po’ sfilacciato della coperta di Ned, la stessa vecchia coperta che racchiudeva così tanti loro piccoli ricordi e che da bambina mai, nemmeno nei suoi sogni più fantasiosi, avrebbe immaginato di poter un giorno avvolgere intorno al corpicino addormentato del loro bambino.
“Da quando ha scoperto che era tua, non vuole più dormire senza,” mormorò, con voce quasi tremante per l’ondata di tenerezza improvvisa che minacciava di soffocarla. “E io lo lascio fare. Così, è come se…”
Esitò per un istante, temendo che lui trovasse quel pensiero molto stupido. “È come se una parte di te fosse con lui anche quando sei lontano.”
Richard si voltò a guardarla nuovamente, e tutte le sue preoccupazioni evaporarono come pozzanghere al sole quando vide l’emozione sul suo viso. Sollevò una mano sulla sua guancia in una dolce carezza, e Anne voltò appena il capo per baciargli amorevolmente il palmo.
Non servivano altre parole tra loro. Poco più tardi, le loro mani intrecciate come quelle di due adolescenti alla prima cotta, in un turbinio ebbro di felicità erano nelle loro stanze; e, appena richiusasi la porta dietro di loro, quelle stesse mani si persero le une sulla pelle dell’altro, ogni movimento pieno di bruciante desiderio, i baci di Richard sempre più intensi, a sbriciolare qualunque timida intenzione che Anne potesse avere di farsi raccontare per prima cosa com’erano trascorsi quei giorni che avevano passato divisi.
“Oh, Francis potrà raccontarti tutto,” fu la sua unica risposta quando lei riuscì effettivamente – non aveva la minima idea di come – a interrogarlo tra un bacio e l’altro. “È sempre stato un narratore molto migliore di me. E ha detto che ti verrà a salutare più tardi domani…non voleva…ah…disturbarci.”
Anne era sicura di stare arrossendo, ma lui non aveva alcun modo di accorgersene, molto più rapito com’era dalla morbida pelle del suo collo, mentre lasciava una scia di baci lungo la sua gola che le facevano esplodere mille piccoli tremiti di piacere lungo la schiena.
Riuscire a rispondergli fu l’impresa più difficile che avesse mai tentato. “E perché mai…dovrebbe pensare di…disturbarci?”
“Hmm, non saprei proprio.” Richard sollevò il capo dal suo collo e sorrise provocante. “Ma stavo pensando che potremmo occupare tutto questo tempo in più a cercare di dare a Ned un po’ di compagnia con cui dividere quella brutta coperta…”
Non aveva modo di nascondergli il rossore ancora più marcato sulle sue guance, questa volta; eppure, mentre lui reclamava nuovamente la sua bocca, Anne seppe che non aveva più alcuna importanza, che ogni pensiero razionale era perso per lei – così come sapeva con la più assoluta certezza che loro, al contrario, non avrebbero avuto affatto bisogno di qualsivoglia coperte per quella notte.
 
 


* Il piccolo Edward fu creato conte di Salisbury nel 1478 in seguito alla morte di suo zio George di Clarence, cui essendo stato fatto giustiziare come traditore vennero revocati tutti i titoli nobiliari, tra cui quello di conte di Warwick e di Salisbury. Il primo venne lasciato, ma solo nominalmente e senza più territori annessi, al figlio di lui e Isabel, Teddy; mentre il secondo andò appunto al suo omonimo cugino di Middleham.
 
A.N.: beene, questo capitolo spero che farà contento chi leggerà, perché è in pratica un concentrato di fluff senza ritegno ^^
Ci sono troppi pochi momenti familiari nella serie, e siccome l’unico praticamente che c’è per la nostra bella Gloucester family è tra Ned e Richard (piccola scena adorabile ma con quella premonizione futura tristissima…“I won’t die for a very long time…” ç_ç), volevo scriverne uno per Ned e Anne :) poi diciamocelo, meglio fare provvista di Gloucester fluff finché è possibile, perché sappiamo tutti come va a finire…e infatti se non aggiornerò per un po’ sarà perché il prossimo capitolo non vorrò saperne di scriverlo ;__; siete avvisati!
Come sempre, un grazie di cuore a chi legge e vorrà recensire; e in particolare alle mie due lettrici assidue – you know who you are <3
-Vale

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