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Eccomi qua, sono tornata! Sono
veramente molto emozionata in questo momento. Postare una nuova ff non
è mai facile, ti vengono in mente ventimila complessi:
piacerà? Non piacerà? Mi diranno quello che ne
pensano? Sarò all’altezza di raccontare per bene
ogni cosa senza offendere nessuno? Mi manderanno a quel paese? Io spero vivamente che
non lo facciate, che mi terrete compagnia durante questo viaggio e che
soprattutto mi scriviate le vostre impressioni. Passo e chiudo. Vi
lascio alla lettura del primo capitolo. Ultima cosa prima di
andare: a un certo punto troverete una canzone, ASCOLTATELA! Mi ha
ispirato a scrivere l’intera storia tanto che le ho dato il
suo nome. Ci vediamo
giù!
“…Passa
il tempo e non parlare. Passa il tempo e non dire.
Tanto tu sai quello che voleva, quello che ci è successo,
Quello che sento ancora qua.
…E tu se vuoi tornare indietro,
basta che chiudi gli occhi e poi vedrai che mi troverai!”
Mercoledì,
12
Ottobre 2011
-Henry
ho detto di no. Non puoi chiedermi di discutere il prezzo di
quel vino, lo so che è un prezzo esorbitante ma.. ei? Stiamo
parlando del Sassicaia. Un vino che arriva direttamente dalle pianure
Toscane, è uno dei vini più pregiati del mondo.
Pensa a tutti i ricconi che spenderanno mille e duecento dollari solo
per acquistarne una bottiglia!- negli occhi di Henry vedo il simbolo
del dollaro lampeggiare ad intermittenza e dentro di me esulto
spudoratamente per averla spuntata ancora una volta. Non
è da tanto che faccio questo lavoro ma una cosa è
certa, sono diventata fottutamente brava a capire quello che vuole la
gente, e la gente di New York amerà questo vino. Gestire dei
ristoranti non è per nulla semplice, soprattutto se la crisi
che ha colpito l’intero globo si fa sentire pure da queste
parti anche se in forma ridotta. Ci troviamo pur sempre a Manhattan, il
via vai di gente, di turisti e di ricconi pronti a spendere cifre
esorbitanti solo per un pranzo non è mai diminuito. Questo
è il cuore pulsante di New York, i soldi da queste parti
sembrano cascate verdi nei portafogli della gente o cascate color
platino se parliamo di carte di credito. Henry mi guarda e vedo qualche
segno di cedimento sul suo viso, il vino che gli ho proposto di
comprare farebbe veramente una bella figura nella sua cantina e so che
la gente ne andrà matta. Io l’ho adorato,
nonostante sia stato il mio ex marito a farmelo assaggiare durante una delle sue stratorferiche cene. E' un cuoco bravissimo. Scuoto la
testa cercando di dirigere la mente altrove e mi metto a fissare il
ghiaccio che ho nel bicchiere. Dopo pochi secondi sento Henry sospirare.
-e va bene! Hai vinto, mi fido di te. Diamine Bella saresti in grado di
mettere fuori gioco chiunque- lo guardo sorridente- sei proprio
cresciuta bambina, i Cullen hanno fatto davvero bene ad assumerti
cinque anni fa- reprimo la fitta che sento all’altezza dello
stomaco e indifferente continuo a guardare il suo viso contornato dai
capelli bianchi e i suoi bellissimi occhi azzurri –dimentichi
che adesso le cose sono un po’ diverse Henry?- -come
faccio a dimenticarlo..- sussurra dispiaciuto facendo aumentare
la morsa che sento allo stomaco. Henry e io ci conosciamo davvero da
molti anni e il rapporto che c’è tra di noi non lo
considero per niente un rapporto professionale, noi due siamo amici
prima che gestore e responsabile dell’Agape, il
ristorante dove mi trovo adesso. Henry è il responsabile qui
dentro, si occupa della cucina, io invece mi occupo della gestione
anche se tutto questo, compresa la sedia dove sono seduta e il ghiaccio
che sto facendo titillare nel bicchiere ormai vuoto è
proprietà della famiglia Cullen –bambina stai
bene?- mi chiede apprensivo come sempre, ed io come sempre gli rispondo
con un sorriso- ma certo Henry non ti preoccupare- mi alzo dalla sedia
pronta ad andare via, la mia giornata di lavoro non è ancora
finita nonostante siano quasi le sei. -dove
vai? Fermati a mangiare un boccone- Scuoto
la testa lentamente – lo sai che non posso, devo
correre da Steve- a quelle parole sul suo viso compare subito un
espressione di sufficienza e inevitabilmente scoppio a ridergli in
faccia – ma certo, come sta il nostro caro e vecchio Steve?
Che vada al diavolo..- sussurra pensando che non l’abbia
sentito e questo mi fa ridere ancora di più. -Steve
sta bene grazie, gli porterò i tuoi saluti- dico
divertita allontanandomi verso la porta d’uscita.
Entro in macchina e molto velocemente mi immetto nel traffico di New
York che a quest’ora è diventato spaventoso.
Lascio il quartiere di TriBeCA e mi dirigo verso Midtown dove si trova
il Gourmet,
il ristorante di Steve, altro locale che dirigevo per conto della
famiglia Cullen e che adesso dirigo come socio al 50%. In
verità tutti e tre i locali che gestisco sono
proprietà della famiglia Cullen, ma se prima ero sotto le
loro dipendenze, adesso faccio tutto da sola. Mi spiego
meglio… a “causa” di una piccola
clausola di matrimonio (clausola voluta fortemente dal mio ex marito
che inizialmente avevo considerato superflua e per nulla necessaria) in
seguito al divorzio mi sono ritrovata in possesso del 50% dei
ristoranti della famiglia Cullen. In definitiva loro sono si i
proprietari dei locali che gestisco, ma alla fine i proventi vanno ad
entrambi. Io ho assunto la gestione, in pratica mando avanti la
baracca insieme ai miei collaboratori di sala e di cucina,
loro alla fine come proprietari ricavano un bel po’ di soldi,
ma quei soldi sono anche destinati alla paga dei dipendenti, io invece
proprio grazie alla clausola, non devo dividere niente con nessuno. Un
bel vantaggio no? Grazie a tutti i soldi che guadagno posso
permettermi la vita agiata che non mi sarei mai sognata di vivere e di
questo dovrei ringraziare esclusivamente una persona, ma visti i
precedenti sono più tentata di dire che devo ringraziare
solo me stessa per avercela messa tutta e per aver raggiunto i
risultati impensabili che ho raggiunto grazie a questo lavoro.
Raggiungo il Gourmet in mezz’ora pronta a sorbirmi tutte le
lamentele di Steve. Scendo dall’auto stringendo i lembi del
cappotto contro il collo, siamo ad ottobre inoltrato e la temperatura
ha già cominciato ad abbassarsi, e mi dirigo verso
l’entrata. L’aria all’interno del locale
è meno pungente rispetto ai 12 gradi esterni e mi lascio
sfuggire un gemito di piacere quando entro in contatto con
l’aria calda del riscaldamento. Angela, al bancone intenta a
servire cocktail, mi saluta con un gesto della mano e noto in quel
momento che il locale è quasi pieno. Steve
sarà
intrattabile questa sera penso
dirigendomi verso le
cucine. Già a metà strada sento un odorino
sublime darmi il benvenuto. Lui è un bravissimo cuoco,
è eccezionale nel suo lavoro, e sarebbe di certo un ottimo
responsabile se non fosse per il fatto che è sempre
insoddisfatto. Il contrario di Henry in pratica, ecco perché
non lo sopporta. Spingo
le porte della cucina e a passo spedito mi avvio verso i fuochi
dove trovo Steve immerso completamente nel proprio lavoro. -buona
sera a tutti ragazzi, Steve..- -oh
alla buonora, quel vecchiaccio aveva bisogno che gli attaccassi il
catetere?- come non detto! Lascio correre l’allusione non
troppo velata che ha fatto su Henry e alzando gli occhi al cielo mi
metto seduta al tavolino del break servendomi una tazza di
caffè. -oh
anche per me è un piacere vederti Steve. Siamo
più scontrosi del solito stasera, come mai? Il formaggio da
800 dollari che ti ho fatto arrivare dalla Francia non ti è
piaciuto? O forse sarà stato il caviale pregiato del mar
Caspio? Oh, aspetta ci sono! Lo zafferano DOP della Sardegna era
rinsecchito, dovrò chiamare Antonio e dirgliene quattro-
dico prendendomi beffe di lui. Si
gira a guardarmi, sul suo viso ha stampata una smorfia scocciata- se
non fosse che ti perdono tutto e che senza di te non riuscirei a fare
niente qui dentro, ti odierei per quella boccaccia che ti ritrovi- rido
sapendo di essere la sola ed unica persona a riuscire a spuntarla ogni
volta con lui e affondo la mia “boccaccia” nella
tazza colma di caffè. Lui ride di rimando mostrandomi una
sfilza di denti bianchissimi. Steve ha 35 anni o giù di li
ed è.. molto bello. E’ alto e nerboruto, ha i
capelli scuri e gli occhi verdi, sulla sua faccia un pizzetto squadrato
gli incornicia le labbra carnose. Devo ammettere che se non fosse la
persona più odiosa di questo mondo un pensierino ce lo
farei.. ma, come dico sempre, mai mischiare il lavoro con
l’amore, si rischia solo di creare un casino di proporzioni
megalitiche. Dopo
quasi due ore passate a sorbirmi ogni tipo di impropero da parte
di Steve lascio le cucine e corro di filata da Angela. Ho bisogno di
qualcosa di forte da bere. -ciao
Bella, cosa ti offro?- mi chiede lei cordiale come sempre. -un
Martini, subito!- -ti
ha fatto sudare eh?- dice divertita sapendo cosa mi aspetta ogni
volta che vengo qui. -non
più del Long Island della settimana del
Tartufo- dico divertita facendola ridere. Due
minuti dopo sorseggio il mio Martini guardandomi intorno annoiata
in attesa di imboccare di nuovo l’uscita e andare da mio
padre. Noto a pochi metri da me una signora mangiare quello che ha nel
piatto con un espressione beata dipinta sul viso, sembra che tocchi il
cielo con un dito ad ogni boccone. Sono fiera di me stessa quando vedo
le persone soddisfatte gustare quello che i miei collaboratori cucinano
per loro, vuol dire che ogni cosa è al proprio posto e che
sto facendo bene il mio lavoro. È questa la cosa
che conta di più per me, oltre mia figlia Sophie
naturalmente.
Sposto ancora lo sguardo e per poco non mi affogo con quello che sto
bevendo quando mi accorgo chi è seduto due tavoli
più in la. Non posso evitare di agitarmi ogni volta che lo
vedo, se poi lo scopro in compagnia di altre donne è anche
peggio. Con lui faccio sempre finta che non mi importi con chi si
frequenta e che può fare quello che vuole della propria
vita, ma non posso negare di sentire una fitta dilaniante alla base del
cuore quando ci comportiamo come due estranei. Ma ormai è
questo che siamo diventati, due estranei che si fanno
costantemente la guerra per non rischiare di far riaffiorare dei
sentimenti che ci farebbero solo soffrire. Lo so io, lo sa lui e lo
sanno le persone che ci stanno intorno, almeno quelle a cui teniamo di
più. Questo
pensiero mi fa balzare giù dallo sgabello e mi
ricorda che ho un appuntamento con mio padre. Saluto Angela e trafelata
esco dal locale cercando di fare in modo di non essere vista. Non
sopporterei di reggere lo sguardo di Edward questa sera. Anche se non
posso fare a meno di scontrarmi con in suoi smeraldi quando lo vedo
fissarmi attraverso la parete di vetro del locale un secondo prima di
infilarmi nella macchina. Sbuffo pensando a quanto sia stressante ogni
volta dover sopportare tutto questo: le gambe di gelatina, il cuore che
batte, le guance arrossate. Eppure non posso semplicemente godere di
queste sensazioni, no.. non posso, non dopo quello che mi ha fatto. Spingo
affondo l’acceleratore per arrivare nel Queens il
prima possibile, non vedo l’ora di raggiungere mio
padre, se sto troppo tempo da sola non posso fare a meno di pensare
alla situazione in cui ci troviamo: divorziati e con una bambina da
crescere. E pensare che il nostro era una amore così bello,
così forte e siamo stati in grado di rovinare tutto.
Spinta
da una forza incontrollata comando la mia mano a cercare nella
playlist della mia macchina LA canzone, la nostra canzone. Quella che
ci ha fatto incontrare. L’ascolto sempre quando ho nostalgia
della nostra vita insieme e contemporaneamente mi do della stupida
perché ogni volta scoppio a piangere come una bambina. È
stato il suo suono a condurmi da lui quando un giorno di
tanti anni fa mi sono trovata a lavorare a casa sua. Io non ho mai
vissuto nel lusso e per potermi mantenere sono stata costretta ad
abbandonare l’università e a cercarmi un
lavoro.
Ricordo che da Catering & Banqueting
cercavano personale per una mega festa che si sarebbe svolta nella
villa di un magnate dell’industria petrolchimica, e
così mi sono presentata per il posto di cameriera. Mai avrei
creduto che da quella sera tutta la mia vita sarebbe cambiata per due
occhi verdi e dei capelli color del rame. Mai avrei creduto che fosse
possibile innamorarsi perdutamente di una persona solo dopo poche ore,
eppure a me era successo. Ero solo una ragazzina che ha lasciato che
l’amore la travolgesse con la stessa forza di un uragano e
oggi, guardando indietro lascerei che ciò accadesse ancora..
e ancora.. e ancora. Ricordo di essermi appartata per riposarmi un
po’ a fine serata, ma ovviamente il mio scarsissimo senso
dell’orientamento mi condusse praticamente nella
zona opposta a dove erano andati tutti gli altri camerieri; dovevo
raggiungere Janet una ragazza che avevo conosciuto quella sera stessa e
che come me cercava di tirare avanti tra un lavoro e un altro. Ero
pronta per tornarmene da dove ero venuta ma una musica mi fece
bloccare. Come un cane da tartufo annusai quelle note dolci scivolare
in quei corridoi bellissimi, finché non raggiunsi la stanza
da dove proveniva quel suono in grado di toccarmi le corde del cuore;
per quanto ne sapevo io poteva essere anche il suono di un CD ma la mia
curiosità voleva essere accontentata. Mille brividi
percorsero la mia schiena quando scostai di poco la porta per sentire
meglio e in quel momento mi diedi della stupida perché
sapevo che la cosa più giusta da fare sarebbe stata
andarmene, raggiungere gli altri e concludere il mio lavoro. Ma no, non
lo feci e naturalmente non potei sfuggire al suo sguardo(ancora oggi mi
chiedo se non ci sia una qualche calamita che gli fa alzare gli occhi e
cercarmi ogni volta che siamo vicini). Quando Edward si girò
e i suoi occhi si posarono per la prima volta sul mio viso pensai di
poter prendere fuoco. Non si interruppe, come invece pensavo che
facesse visto che l’avevo disturbato, ma continuò
a suonare rimanendo fisso a guardarmi. Solo dopo mi disse che non aveva
smesso perché era incantato nel guardare tutto
ciò che quella musica riusciva a trasmettermi attraverso le
espressioni del viso.
Scuoto la testa per ritornare con la mente al presente e mi accorgo che
manca veramente poco per raggiungere la casa di mio padre. Come succede
sempre anche questa volta non riesco a reprimere un moto di tristezza e
di malinconia quando penso a lui. Mio padre fa il poliziotto, o
meglio.. lo faceva. Da quando una terribile e disgraziata notte di sei
anni fa ha commesso l’errore di togliere la vita ad un uomo
innocente che si trovava a passare di lì durante uno scontro
a fuoco con alcuni malviventi.
Da quella sera non è più lo stesso.
Strigo forte le mani attorno al volante per sopprimere la rabbia e mi
correggo mentalmente appurando che sono ormai dieci anni che non
è più lo stesso. Tutto è cominciato
quel giorno di settembre…quel giorno che ancora oggi tutti
ci portiamo nel cuore. Mio padre ha smesso di vivere da quel giorno.
Dal giorno in cui mia madre è morta negli attentati
dell’11 settembre. La sorte degli occupanti della Torre Nord
che si trovavano sopra i piani colpiti dall’aereo fu segnata
fin dal primo momento. L'impatto centrale del Boeing contro il nucleo
dell'edificio aveva precluso ogni possibile via di fuga, tagliando
tutte le scale di evacuazione e lasciando senza speranze i
sopravvissuti, tra questi c’era anche mia madre. Mai nessuno
sarà in grado di immaginare l'inferno che hanno vissuto nei
loro ultimi momenti, consapevoli della loro atroce fine. E lui era li,
come poliziotto ha cercato di fare al meglio il suo lavoro e ha visto
la torre cadere e sbriciolarsi davanti ai suoi occhi. Ha visto la fine
di mia madre e la morte di alcuni dei suoi compagni. Mi porto una mano
ad asciugare gli occhi e mi rendo conto che abbiamo commemorato tutte
le vittime di quel giorno soltanto un mese fa. Nonostante il dolore ha
continuato a lavorare lo stesso, si è rimesso in piedi anche
se con la morte nel cuore e ha lavorato sodo per riuscire a darmi il
meglio. Ma quella notte di sei anni fa è stata il colpo di
grazia per lui, da allora non si è più ripreso
sprofondando in una sempre più dilaniante sofferenza. Non
esce più, non ride più.. è diventato
lo spettro di quello che era il mio amorevole e dolce papà.
Solo mia figlia Sophie riesce a farlo sentire un po’ meglio.
Lei con la sua allegria e spensieratezza spazza via brevemente le nubi
dal suo cuore e dal suo animo, ma poi tutto torna come prima quando
è ora di tornarcene a casa.
Metto la freccia per svoltare a sinistra e parcheggio l’auto
nel vialetto di casa. Le luci sono soffuse e come sempre il volume del
televisore troppo alto; sento David Letterman ridere sguaiato sin da
qui. Prendo il sacchetto che ho fatto preparare da Steve dal sedile
accanto al mio e scendo dall’auto. Quando apro la porta di
casa la scena che mi trovo davanti è sempre la stessa:
Charlie seduto sulla poltrona intento a guardare la punta delle sue
scarpe e lo show televisivo che scorre senza degnarsi di dargli nemmeno
un occhiata. Subito afferro il telecomando e abbasso il volume,
stupendomi come mai Sue non l’abbia fatto prima. Sue
è la vicina di casa di papà, ogni tanto lo affido
a lei quando gli impegni mi impediscono di venire a fargli visita. -ciao
papà, come stai oggi?- gli dico mentre mi abbasso per
depositagli un bacio sulla fronte e corro in cucina sapendo che non
riceverò nessuna risposta. Prendo le posate e i piatti, li
porto in salotto e li appoggio sul tavolino proprio davanti a lui. Apro
il sacchetto con il cibo e deposito nel suo piatto un abbondante
porzione di riso ai funghi( per fortuna l’appetito non gli
manca) e il resto lo metto nel mio. Gli porgo la forchetta e riempio il
suo bicchiere con dell’acqua – avanti
papà, mangia su- lo incito mentre lo vedo rivolgermi la
prima occhiata da quando sono entrata. Si sforza di farmi un sorriso
tirato e comincia a mangiare. Passiamo il resto del tempo a sfamarci
senza dire niente, lui è di poche parole ed io sono troppo
stanca per intavolare una conversazione che alla fine
porterò avanti da sola. Dopo
aver finito tutto quello che ha nel piatto mi chiede di Sophie
– dov’è la mia dolce nipotina? Sta
bene?- dice con quel tono che mi ricorda tanto i tempi
passati. -oh
benissimo grazie. È a casa di sua zia, voleva passare un
po’ di tempo con lei. Vado a prenderla prima di tornare a
casa- -bene-
mi dice e soltanto in quel momento mi rendo conto che forse non
gli faccio passare abbastanza tempo con lei se arriva a chiedermi come
sta. Capisco che la conversazione è finita quando si gira a
guardare la tv, perciò mi alzo e vado in cucina per
riordinare. Quando finisco corro subito nella sua camera da letto e do
una sistemata anche li, poi mi dedico al bagno. Faccio tutto in fretta
in modo d’impedirmi di pensare a questa tremenda situazione.
Sono le 21.30 quando torno giù nel salotto e lo trovo nella
stessa posizione in cui l’ho lasciato. A questo punto non
riesco più a trattenermi e una fitta allo stomaco mi procura
una crisi di pianto. Per non farmi vedere mi chiudo in cucina e aspetto
che finisca, che lo sconquasso che sento dentro si affievolisca e che
torni a respirare normalmente. Succede ogni volta che penso a mia madre
e mi rendo conto di quanto mi manca, di quanto mi è mancata
nelle tappe più importanti della mia vita e quanto mi
mancherà in futuro. Penso a come si è ridotto
papà e a come le sue condizioni mi hanno costretto ad
abbandonare gli studi per cercare un lavoro. Vorrei essere arrabbiata
con lui per non avermi dato la possibilità di studiare come
tutti gli altri, ma poi le immagini di me e di Edward durante il nostro
primo incontro mi passano davanti agli occhi e dimentico tutto. Passa
almeno un'altra mezzora prima che mi riprenda completamente e mi rendo
conto che devo rimettermi in piedi e dimostrarmi forte. Lo devo a mio
padre, ma soprattutto lo devo all’angelo che mi aspetta per
tornare a casa dai suoi giochi e dal suo lettino. -papà
è tardi, sono le dieci passate. Vai a
letto- gli dico inginocchiandomi per terra davanti a lui. Si volta a
guardami e mi stupisce alzando una mano ad accarezzarmi la guancia
sinistra. -
sei così bella..- dice in un sussurro procurandomi un
po’ di batticuore. Sono rare le occasioni in cui si lascia
andare a dimostrazioni d’affetto nei miei confronti e ogni
volta che succede penso di riuscire a toccare il cielo con un dito. -grazie
papà, ma ora vai a letto è tardi. Devo
andare a prendere Sophie- annuisce alla mia richiesta e quasi a
rallentatore si alza dalla poltrona per incamminarsi verso le scale che
portano al piano superiore. Per fortuna è autosufficiente,
non penso che sarei riuscita a sopportare l’idea di lui che
ha bisogno di qualcuno per andare in bagno o anche solo spogliarsi.
Prima che me ne dimentichi lascio sulla mensola del camino la solita
somma di denaro che gli lascio quasi tutte le sere e dopo aver spento
la tv esco di casa e salgo in macchina.
Il tragitto dal Queens all’ Upper East Side non è
tanto lungo e contro ogni mia previsione non ci metto troppo tempo ad
arrivare sotto casa di mia cognata, emmh scusate, volevo dire ex
cognata. Lascio la macchina proprio davanti al portone del suo palazzo
ed entro dentro correndo. Saluto Fred (il custode) e salgo su. Quando
suono alla porta dell’appartamento che in verità
ha tanto l’aria di una reggia, sono ormai le dieci e trenta
passate. Dopo una serie di urletti e rumori concitati un tornado dai
capelli ramati mi salta addosso cogliendomi impreparata e per poco non
cadiamo a terra. -mamma
sei arrivata!- mi urla nell’orecchio stordendomi un
po’. -scusa
ho fatto tardi. Pensavo che stessi già dormendo- dico
guardando di sbieco mia cognata, oh pardon ex cognata. -non
arrabbiarti Bella stavamo guardando la Sirenetta e non ci siamo
accorte del tempo che passava- mi dice Alice dall’alto del
suo metro e sessanta. La ignoro e mi volto subito verso Sophie-
davvero? Ancora?- avrà guardato quel cartone almeno 200
volte da quando gliel’ho fatto vedere per la prima volta. -si
mamma. Non arrabbiarti con la zia- per
carità
penso tra me e me
e chi
la ferma poi. -ok,
va bene. Ma adesso corri a prendere le tue cose, andiamo a casa-
la metto giù ed insieme entriamo dentro per recuperare la
sua borsa. -ha
fatto la brava?- chiedo ad Alice quando ci troviamo nel salotto da
sole. -si,
lo sai che è un angioletto. Sta proprio venendo su
bene. Ah prima che me ne dimentichi, la sua maestra mi ha dato questo
per te- dice passandomi un foglio gli orari disponibili ad incontrarla-
Vuole che passi a trovarla il prima possibile, anche domani se non hai
impegni. E..- -e..?- -ha
detto di far venire anche Edward- sento una morsa allo stomaco solo
a sentirlo nominare e tra noi si crea subito dell’imbarazzo.
Odio questa situazione, prima del divorzio io ed Alice eravamo
diventate quasi sorelle. -non
preoccuparti. Lo chiamo appena arrivo a casa- fantastico
adesso mi tocca
fargli anche da segretaria penso.
Per
fortuna Sophie è veloce e mi toglie
dall’impaccio. La
prendo in braccio e prima di uscire di casa ringrazio Alice e le
chiedo di salutare Jasper da parte mia. Sul suo viso vedo la solita
tristezza e me ne rammarico, ma è meglio così.
Edward è suo fratello e se voglio riuscire ad andare avanti,
freddare i rapporti con tutta la mia vecchia famiglia è
l’unica soluzione per non rimanere ancorata al passato.
Arriviamo a casa in un battibaleno, visto che abitiamo quasi vicine,
nel frattempo mia figlia non ha smesso un attimo di parlare. Come
faccia ad essere così sveglia e attiva anche alle undici di
sera è un mistero per me, forse i cromosomi di Edward erano
in gran forma la sera che l’abbiamo concepita e hanno vinto
la battaglia contro i miei facendola assomigliare sempre di
più a quello scricciolo di mia cognata, emmh volevo dire ex
cognata. La
porto di filata nella sua stanzetta e le metto subito il pigiama
ringraziando mentalmente Alice per averle già fatto il
bagnetto. Non passano più di cinque minuti da quando ho
cominciato a raccontarle la favola della buona notte, che la sento
sospirare pesantemente e mi accorgo che è già
crollata nel modo dei sogni. Mi giro ad osservarla e ogni volta mi
perdo a contemplare la sua bellezza. Il visino tondo, i capelli pieni
di boccoli ramati, la sua pelle chiara e liscia come la seta, il suo
profumo inconfondibile rimasto immutato dal giorno della sua nascita;
sospiro pensando che sono già passati quasi quattro anni, il
più bel regalo di Natale che abbia mai ricevuto.
Si perché è arrivata infiocchettata a festa dopo
nove ore di travaglio il 25 Dicembre 2007. Ricordo ancora la
felicità di quel giorno e l’amore incondizionato
sul viso di Edward.
Le lascio un bacio delicato sulla fronte ed esco dalla sua stanzetta.
Corro in bagno a farmi un doccia veloce e appena finisco indosso subito
il pigiama. Asciugo un po’ i capelli e poi mi avvio in
cucina. Facendomi coraggio prendo il cellulare e compongo il numero di
Edward. Non mi faccio problemi che sia quasi un orario indicibile per
fare telefonate o che possa interrompere qualcosa proprio sul
più bello… solo a pensarci un fiotto di bile mi
sale nella bocca raschiandomi la gola. Risponde
al terzo squillo segno che non stava affatto dormendo. -Bella?
È successo qualcosa a Sophie?- mi chiede subito
allarmato. -no,
non è successo nulla sta tranquillo- lo sento sospirare
dall’altra parte della cornetta – ti ho chiamato
per dirti una cosa riguardo
tua figlia-
dico calcando l’accento sulla
parola tua,
odia quando lo tratto con così tanta indifferenza e infatti
non mi stupisco di sentire uno sbuffo dall’altra parte,
inconsapevolmente mi spunta un sorriso sulla faccia. -Bella
non fare così- -così
come?- -come
se non me ne importasse niente- Non
ti è
importato niente tre anni fa, perché dovrebbe interessarti
proprio adesso vorrei
rispondergli e invece mi limito a
dirgli -beh è quello che penso Edward perciò non
puoi farci nulla- -lo
sai che non è vero- -certo,
certo- rispondo con sufficienza e anche questo so che gli da
fastidio da morire. -Sophie
è la persona più importante della mia
vita e questo lo sai- -peccato
che quando avresti potuto fare qualcosa non l’hai
fatto, hai preferito tradirmi e perdere la tua famiglia- dico risoluta
soltanto per il gusto di ferirlo e fargli provare un minimo del dolore
che ha fatto provare a me. Esco dalla cucina e mi rifugio nella nostra
ormai ex camera da letto. -non
è stata tutta colpa mia, e lo sai- si lo so, ma non
sono stata di certo io a correre tra le braccia di un’altra.
Avrebbe potuto fare la differenza e invece… -
non ero io quella a spingere il tuo attrezzo in mezzo alle
gambe di quella stronza Barbie siliconata! Perciò
per favore risparmiami i sensi di colpa, tanto non ti credo- lo sento
sbuffare dall’altro lato –senti basta, ogni volta
è sempre la stessa storia. Tu che mi rinfacci i miei errori
ed io che faccio altrettanto con te. La differenza tra me e te
però è che io stavo lottando per cercare di non
perdere me stessa mentre tu non ti sei fermato un attimo a pensare a
quello che stavi facendo, alle conseguenze delle tue azioni- stanca
morta mi sdraio sul letto e cerco di regolarizzare il respiro. -lo
so, maledizione! Lo so!- dice esasperato. Passano diversi minuti
prima che uno dei due torni a parlare. -cosa
volevi dirmi?- mi chiede questa volta più pacato. -la
maestra dell’asilo di Sophie vuole vederci- -come
mai?- -non
lo so, ha parlato con Alice oggi pomeriggio. Mi ha lasciato la
lista degli orari per un incontro. Ti va bene domani mattina? Voglio
sapere subito cosa ha da dirmi...dirci- mi correggo subito. Ogni volta
litigare con lui è sfiancante ma mi rendo conto che per il
bene di Sophie devo cercare di comportarmi giustamente. -si
ok, non c’è problema. A che ora ci vediamo?- -la
porto all’asilo verso le otto e trenta. Ce la fai a
raggiungermi per quell’ora?- -si,
certo. Ci vediamo lì- -bene- -bene-
finisce lui e visto che non aggiunge altro faccio il gesto poco
signorile di chiudergli il telefono in faccia.
Non sono rare le volte che mi concedo di pensare a quello che
è successo tra di noi tre anni fa, anzi se devo essere
sincera è un pensiero così fisso che sta
diventando una specie di tortura, come la “goccia
Cinese” è sempre lì che a ritmo
cadenzato mi fa ripiombare nel passato. La mia mente vorrebbe diventare
insensibile ma il mio cuore torna sempre a quel dolore, forse
perché fondamentalmente non l’ha mai abbandonato. “È
ancora
troppo presto” mi dico
delle volte, “non
te lo leverai mai
dalla testa” mi ripeto
delle altre. So solo che
devo fare il meglio per Sophie e il meglio per la mia bambina
è che i propri genitori non si facciano la guerra a vicenda
e che soprattutto non le facciano mancare mai la loro presenza e il
loro amore.
Sospiro posizionandomi per bene sotto le coperte e lascio che la
stanchezza della giornata mi conduca tra le braccia di Morfeo, non
prima di rendermi conto che domani dovrò rivedere
l’amore della mia vita che allo stesso tempo è
diventato il mio incubo peggiore. E come si dice… se il
buongiorno si vede dal mattino allora domani sarà
sicuramente un'altra sfiancate e stressante giornata di
merda.
Emmh emmh… ok,
che ve ne pare?
Avete letto di una Bella forte, lavoratrice, figlia, moglie e madre
soprattutto. La sua storia non è delle più felici
ma in qualche modo si sta riscattando. Questo del divorzio è
un argomento molto particolare, non ho mai vissuto in prima persona
quello che si prova e ne tanto meno aspiro a viverlo. Spero di essere
all’altezza di saperne raccontare per bene ogni aspetto. Non
sarà facile, però vi giuro che ce la
metterò tutta.
Chi è curiosa di sapere cos’ è successo
al rapporto con Edward? Come mai si sono lasciati? Non vi
resta altro che restare sintonizzati e lo scoprirete! Ringrazio
già da adesso chiunque deciderà di lasciarmi un
commento, anche solo per dirmi “fa schifo”, almeno
saprò comportarmi di conseguenza. E grazie immensamente a te
ciùciù che mi supporti sempre. Per chi se lo
stesse chiedendo sto parlando della magnifica AnImoR_7 (se non avete
letto le sue storie correte subito nella sua pagina!) mi ha fatto una
capoccia per convincermi a postare almeno il primo capitolo di questa
storia.
Alla prossima, spero! Su facebook mi trovate qui Ste 87 Efp
Buongiorno
a tutte! Sono
tornata con il nuovo aggiornamento. Prima di tutto volevo ringraziarvi
per come
avete accolto il primo capitolo e per le parole splendide che mi avete
scritto
nelle recensioni. Volevo chiarire, visto che qualcuno me lo ha chiesto,
che il
titolo della storia è proprio ispirato alla musica di
Einaudi che fa da cornice
al primo incontro dei nostri protagonisti. Non fate nessuna congettura,
non
cela nessun altro significato particolare, almeno… non per
adesso! Chissà che vuol
dire? Lo scoprirete più avanti, tranquille.
Un
ringraziamento
particolare va alla mia sorellona che mi ha aiutato in ambito tecnico,
visto
che è laureata in Scienze della formazione Primaria,
perciò tutte le
informazioni e gli esempi che troverete ad un certo punto del capitolo
me le ha
fornite lei. Diciamo tutte un bel grazie a Francesca? GRAZIE FRANCESCA!
E
grazie alla mia
amorosa AnImoR_
7 che mi ha aiutato a correggere l’obbrobrio che vi
apprestate
a leggere…
Buona lettura, ci
vediamo sotto!
Giovedì,
13 ottobre
2011
C’è
un suono nell’aria, una melodia dolce che mi
sembra di ricordare. Una nube fitta si staglia davanti ai miei occhi
impedendomi di vedere bene; sento che sto per soffocare. Ma ecco che la
musica
cresce d’intensità e la nube si leva da terra
dandomi un po’ di sollievo. Ad
ogni accordo percepisco sempre di più la
famigliarità di quel suono e quando mi
rendo conto che è la canzone che mi lega a Edward comincio a
correre per individuarne
la provenienza. Ad ogni passo percorso corrisponde un battito in
più del mio
cuore, sono impaziente, troppo impaziente di trovarmi di fronte a lui.
Si, so
che è lui a suonare, chi altri potrebbe essere? Solo lui
riesce a farmi
fibrillare il cuore schiacciando il nero e l’avorio dei tasti
di un pianoforte.
Quando mi sembra di aver corso per chilometri sussurrando il suo nome
ecco che
all’improvviso vado a sbattere contro una porta. La nube in
quel punto è profumata
di… cosa? Zucchero a velo? E la musica è senza
dubbio più forte. Non mi fermo
neanche un secondo prima di abbassare la maniglia e vedere cosa
c’è dietro.
Quando apro la porta la scena che mi si presenta davanti è
la medesima del primo
incontro che ho avuto con Edward, perciò non mi stupisco di
trovarlo seduto sul
suo sgabello, concentrato a riprodurre quella stessa melodia. Non si
accorge di
me così decido di andargli incontro.
-Edward?- lo
chiamo ma da lui non ricevo nessuna
risposta. Comincio a giragli intorno troppo agitata e frastornata per
quello
che sta succedendo. Non capisco… perché non si
gira? Perché non mi parla?
–Edward- sussurro questa volta proprio
all’indirizzo del suo orecchio, ma
niente. Com’è possibile? Mi sembra di rivivere il
momento peggiore della mia
vita, quando speravo che l’unica cosa in grado di aggiustare
il nostro rapporto
fosse semplicemente parlare. Ma in quel periodo non c’era
posto per le parole.
-cosa ci
è successo?- sussurro quasi
involontariamente sentendo un dolore sordo al petto al solo ricordare.
-abbiamo
dimenticato cos’eravamo l’uno per
l’altra-
mi risponde lui sorprendendomi continuando tranquillamente a suonare.
Sto per
ribattere ma la musica finisce e tutto intorno a me scompare come
risucchiato
da un vortice ed Edward con lui. Adesso c’è solo
il buio, lo sento come una
seconda pelle cercare di stritolarmi e improvvisamente sento
un’orribile
sensazione di terrore. Non voglio rimanere sola, non voglio.
–Edward!- grido
questa volta affinché mi senta e venga ad aiutarmi, ma
niente non mi sente
nessuno. Una mano invisibile mi copre la bocca impedendomi di respirare
e a
nulla valgono le mie urla. Davvero non posso contare più su
nessuno? Chi
sarebbe venuto ad aiutarmi se avessi lanciato il mio S.O.S di soccorso?
Mio
padre? Edward? L’unica persona alla quale avevo affidato
tutto il mio amore e
la mia vita e che non aveva fatto altro che sbriciolare il mio cuore in
mille
microscopici pezzettini? No, ero davvero sola. Una lacrima sfugge al
mio
controllo e per quanto amara sia la verità mi dico che non
posso permettermi di
soccombere. Una risata argentina mi fa drizzare subito le orecchie e in
quel
momento capisco che in realtà c’è una
persona sulla qualche potrò contare per
sempre, la mia unica ragione di vita, il mio angelo… Sophie.
Racimolo tutto il
fiato che ho in corpo e facendomi coraggio comincio ad urlare a
più non posso
fino a che il buio scompare e la sensazione di vuoto non lascia il
posto ai
colori.
E poi mi
sveglio.
Sobbalzo nel
momento in
qui apro gli occhi e mi accorgo di avere le guance umide e il respiro
affannato. Non ho nemmeno il tempo di fare mente locale e capire quello
che è
successo che la sveglia suona puntuale. Sto per girarmi ma subito una
manina si
posa sul bottone e la ferma al posto mio. Sophie è distesa
accanto a me nel
lettone e mi guarda come se avessi tre teste.
-buongiorno
amore- le
dico prima di stringerla forte tra le braccia.
-mami stai
bene?- mi
chiede subito dopo tornando a guardarmi nello stesso modo di prima.
-certo,
perché?- le
chiedo soffocando in un sospiro la paura che ho provato durante
quell’incubo.
-urlavi poco fa-
mi
dice con aria dispiaciuta e anche un po’ spaventata.
-non
è niente tesoro-
le dico rassicurandola, ci mancava solo
che assistesse alla scena penso tra me e me. Tante volte
durante la notte
corre ad infilarsi nel mio lettone ed io la lascio fare, ma mi dispiace
che poi
debba assistere a situazioni di questo genere.
-hai anche detto
il
nome di papà, tante volte- non posso combattere la
sensazione di sconcerto che
provo in questo momento e neanche i brividi che mi percorrono la
schiena al
solo sentire quelle parole. Dannazione, e adesso?
-emmh…
non è successo
niente. Davvero Sophie sto bene. Vado a preparare la colazione, vieni
con me?-
le dico balzando giù dal letto e indossando una maschera di
pura allegria.
Sophie mi guarda scettica per un momento ma poi accetta la mia mano e
insieme
ci dirigiamo in cucina.
Per fortuna
scorda
presto quello che è successo incollandosi con il muso
davanti al televisore.
Guarda un po’ i cartoni spensierata ridendo di fronte alle
disavventure di
“Manny tuttofare” prima che la prenda, tra risate e
lamentele generali, e la
porti a prepararsi per l’asilo.
Quando usciamo
di casa
la città è già intasata dal traffico,
i negozi sono affollati e le strade piene
di gente, ma di cosa mi stupisco? Questa è New York ed
è logico che le persone
corrano frenetiche da una parte all’altra e che sembra che
non dormi mai
nessuno. Alla svelta ci infiliamo in macchina e con una manovra
azzardata mi
immetto nel traffico newyorkese.
-allaccia la
cintura
Sophie, non voglio ripetertelo due volte- le dico mentre guardo le sue
mosse
dallo specchietto retrovisore. Da brava si siede composta e allaccia la
cintura
proprio come le ho detto di fare. Nel contemplarla mi rendo conto
sempre di più
di quanto sia incredibile la somiglianza con il padre; non posso
ritrovare che
lui nelle sue mosse, nella sua bellezza quasi eterea, nei suoi boccoli
ramati,
nei suoi occhi verdi come i prati si montagna. Dio quegli occhi, sono
la mia
perdizione. Anche nel sogno di stamattina non ho fatto altro che
cercarli. Era
tutto così vero, così reale, e poi le parole di
Edward che sento ancora chiare
nella mente … “abbiamo
dimenticato
cos’eravamo l’uno per l’altra”.
Sospiro pensando che tra poco meno di 10
minuti lo rivedrò per l’incontro con
l’insegnate di Sophie.
Il suono di un
clacson
mi fa rinsavire e capisco di star bloccando il traffico. La macchina
dietro la
mia aspetta impaziente che mi smuovi dal semaforo che intanto si
è fatto verde.
Arriviamo a
destinazione in perfetto orario nonostante il via vai delle automobili
e subito
parcheggio nel primo posto libero. Aiuto Sophie a scendere dalla
macchina e
insieme ci dirigiamo verso l’entrata dell’edificio
scolastico.
-Buongiorno
Sophie,
buongiorno Signora Swan- mi saluta cordiale la maestra di mia figlia
una volta
entrata in aula. Dopo il divorzio ho deciso di ritornare al mio cognome
da
nubile, non aveva senso rimanere ancorate al passato.
-buongiorno
signorina
Blanchard- le risponde subito la mia piccina con tono affettuoso per
poi
correre a giocare con le sue amichette. La signorina Blanchard
è una ragazza
molto solare, avrà si e no 30 anni, è alta
all’incirca quanto me, ha i capelli
scuri e due occhi azzurri da togliere il fiato. È
sicuramente molto bella.
-signorina
Blanchard, è
un piacere rivederla. Se non sbaglio ha riferito a mia cogn…
mi scusi alla
signorina Cullen che voleva parlarmi- dico in fretta riprendendomi
subito dalla
gaffe.
-si, non
sbaglia. Ma speravo
che ci fosse anche il signor Cullen all’incontro- mi dice
rammaricata.
-dovrebbe
arrivare a
momenti- le dico seguendola fuori dall’aula per dirigerci nel
suo ufficio.
-aspettate! Ci
sono
anch’io!- urla una voce alle nostre spalle e sarei
completamente rincoglionita
se non la riconoscessi all’istante.
Mi giro e lo
vedo
avanzare verso di noi con la sua solita camminata fluida e si, lo
ammetto,
anche molto sexy e appena mi si para davanti per un secondo smetto di
respirare.
-volevate
cominciare
senza di me?- il suo tono vorrebbe essere ironico ma in
realtà ha tanto l’aria
di essere seccato. Non mi stupisco infatti che dopo aver stretto la
mano della
signorina Blanchard mi rivolga uno sguardo accusatorio.
-prego
accomodatevi-
dice la maestra indicando le due sedie davanti alla scrivania.
-vi ho invitato
a
venire qui perché dobbiamo parlare di Sophie –
questo lo sapevo.
-e…?-
la incito a
continuare troppo agitata della situazione che si sta creando.
La signorina non
dice
nulla, si limita a tirare fuori dei fogli dal suo portadocumenti posto
sul
tavolo cominciando a fissarli.
-Sophie non vive
bene
la vostra separazione- butta lì facendomi ammutolire,
rivolgo un occhiata a
Edward e lo scopro a fissarmi, come me non accenna a dire niente. In
verità è
una cosa che sapevo benissimo, o almeno lo sospettavo. Quale figlio
vive bene
la separazione dei propri genitori? Adesso però la domanda
è come ha fatto lei
a capirlo.
-cosa intende
per “non
vive bene la vostra separazione”? Ha fatto o detto qualcosa
che ci riguarda?-
dico preoccupata.
-non
direttamente, mi spiego meglio:apparentemente
Sophie è una bambina come tutte le altre, non dimostra un
disagio marcato, anzi
è molto solare e… ed è per questo che
vi ho invitati a venire qui oggi. Non
vorrei che le cose peggiorassero. Ecco guardate- dice porgendoci dei
disegni
fatti chiaramente da un bambino.
-questi
disegni li ha fatti vostra
figlia. Sapete, la separazione attualmente viene considerata come un
evento
possibile nella relazione di coppia unita o no dal vincolo matrimoniale
ma
costituisce, sempre, una forte esperienza che può influire
sui bambini in vari
modi che dipendono da diversi fattori-
dice interrompendosi-
Nei disegni di bambini con genitori separati è possibile
rilevare una scarsa
valorizzazione di sé, espressa dall’assenza di
particolari verso gli altri
personaggi- dice indicando nel foglio che tengo in mano la figura mia e
di
Edward ai lati di una bambina dai capelli ramati -come
ad esempio il colore di occhi e capelli con un utilizzo di colori
più sfumati e
freddi, o addirittura assenza di colore - infatti noto con rammarico le
nostre
figure messe meno in evidenza rispetto alla sua. I miei capelli
risultano
sbiaditi e gli occhi di Edward verdi come i suoi sono in
realtà sul
grigio.
-anche
quando disegnano personaggi
sospesi per aria è indice di instabilità e
insicurezza- dice indicando il
foglio che invece ha in mano Edward. In questo caso è
proprio Edward ad essere
sospeso per aria attaccato ad un palloncino. Vedo il diretto
interessato
irrigidirsi e subito una fitta di insicurezza mi coglie impreparata.
-questo
disegno potrebbe non voler
dire quello che intende lei. Insomma… sono sospeso attaccato
ad un palloncino,
non ci vedo nulla di male- sento in Edward la stessa insicurezza che
sento
dentro di me mista alla volontà di non credere a quello che
la signorina
Blanchard ci sta dicendo.
Lo
vedo deglutire a fatica mentre
serra i denti in una morsa d’acciaio; la sua mascella
è completamente
contratta.
-capisco
la sua reticenza signor
Cullen, ma lasci che le spieghi-
Subito
prende come esempio altri
fogli dalla sua scrivania. I fogli in questione raffigurano
esclusivamente due
figure, la mia e quella di Sophie -il
bambino instaura un legame unico e totalizzante con il genitore
affidatario,
omettendo l’altro genitore, dal momento che i rapporti con
questodiventano
più scarsi o addirittura
nulli, probabilmente meno significativi per il bambino-
-ma
io passo molto tempo con mia
figlia, non è vero Bella? Diglielo anche tu- il tono di
Edward è molto
allarmato per non dire terrorizzato e le sue parole giungono alle mie
orecchie
come una richiesta d’aiuto. Mi guarda come per dirmi
“avanti passami quella
cima, non lasciarmi affogare” ed io mi sento intimorita da
quello sguardo.
Perché lo conosco molto bene, e non si può
resistere a quello sguardo è sicuro.
Solo che a differenza mia lui non l’ha mai capito, avevo
quello sguardo nel
periodo in cui ci siamo lasciati e non è servito a niente,
io invece l’ho
sempre tirata quella cima, sempre. Comincio a sentirmi soffocare,
vorrei
chiedere alla maestra di aprire la finestra che
c’è alle sue spalle. –Bella?-
mi chiama ancora Edward vedendomi annaspare e questa volta la sua voce
è una
specie di balsamo per i miei nervi tesi. Lo guardo e come capita
sempre, mi
perdo dentro quei pozzi tanto profondi quanto pericolosi. Scuoto la
testa per
tornare con la mente al presente e al vero motivo per il quale siamo
qui, e
comincio a riflettere. Il tempo che Sophie trascorre con Edward non
è
moltissimo ma non è neanche poco se proprio vogliamo esseresinceri. Dopo la
separazione la bambina è
stata affidata a me e come è normale che sia vede Edward
solo su incontri
stabiliti. Trascorre con lui quasi tutti i fine settimana, anche se lui
è molto
impegnato a lavoro e alcune volte si trova costretto a disdire e a
passare con
lei solo la domenica. Di una cosa sono sicura però,
nonostante non sia molto il
tempo che hanno da dedicare l’uno all’altra, il
loro legame è molto forte. Lei
stravede per lui e lui beh, per quanto la nostra vita insieme sia
andata a
rotoli, devo dire che invece gestisce molto bene il rapporto con
Sophie. Ma il
problema qui non è il rapporto che c’è
tra i due, bensì quello che c’è tra me
è
Edward. A quanto ho capito la signorina Blanchard sta prendendo in
esame la
nostra separazione.
-il
punto non è questo Edward- mi
ritrovo a dirgli guardandolo scossa- lo sappiamo entrambi quanto tu
voglia bene
a nostra figlia ed anche lei lo sa, fidati-
-
e allora qual è il punto?-
riprende lui agitato portandosi una mano nella massa di capelli che si
ritrova
in testa.
-il
punto è che per Sophie sta
diventando importante vederci insieme. Lei vorrebbe che fossimo una
famiglia,
dico bene signorina?- dico rivolgendomi direttamente
all’unica persona che può
dirmi se il mio ragionamento è giusto o sbagliato.
-non
sbaglia, no-
-si,
ma cosa possiamo fare a questo
punto? Noi siamo separati e Sophie non ha mai dimostrato la sua
necessità di
volerci vedere insieme, dice che è capitato qualcosa che ha
fatto nascere in
lei questo bisogno?- dice Edward dando voce anche ai miei pensieri.
-beh,
la risposta è semplicissima.
E’ una bambina e come tale sta cominciando a sentire dei
bisogni, sta
crescendo. I bambini sono influenzati continuamente da tutto quello che
li
circonda, lei avrà visto qualche cartone in tv di una
famigliola felice in cui
mamma e papà abitano sotto lo stesso tetto, o molto
probabilmente avrà visto
qualche suo compagno insieme ai suoi genitori e si sarà
chiesta perché anche
voi non potete essere così, perché anche i suoi
non la vengono a prendere
insieme a fine giornata. Non so quale sia il fattore scatenante, so
solo che
sta dimostrando questo disagio attraverso i suoi disegni e mi
è sembrato giusto
farvi venire qui per parlarne-
-cosa
ci consiglia di fare? Beh
siamo separati e questa è la realtà, ma sono
sicura che entrambi siamo disposti
a fare qualsiasi cosa per darle sicurezza e farle capire che noi ci
saremo
sempre per lei- dico guardando prima la maestra e poi Edward che mi
fissa come
per dire “si sono con te, mi butterei anche tra le fiamme per
lei” e questa è
una cosa che mi riempie d’orgoglio.
-beh
per prima cosa non fatela mai
sentire come se fosse un peso per voi, e neanche come se fosse una
vostra
proprietà esclusiva, cioè che deve stare
esclusivamente con la mamma o con il
papà. Fatela divertire quando state insieme e se
è possibile fate in modo che
ogni tanto senta uscire dalle vostre labbra le parole
“possiamo chiedere a
mamma cosa ne pensa” oppure “che ne dici di
invitare papà ad unirsi a noi?”, è
questo quello che le serve. Sapere che nonostante non abitiate sotto lo
sesso
tetto per lei ci sarete sempre, per lei sarete disposti a fare una
passeggiata
tutti e tre insieme anche se alla fine le vostre strade si separeranno.
Però il
ricordo di aver passato del tempo piacevole con voi sarà
più forte della
mancanza che invece sente adesso. Io non so come sono i vostri rapporti
e
nemmeno voglio immischiarmi- dice abbassando per un attimo lo sguardo
imbarazzata – ma fate in modo che non vi veda litigare o che
diciate cose
brutte l’una dell’altro in sua presenza-
Mi
trovo ad annuire quasi
inconsapevolmente mentre dentro di me cerco di immagazzinare ogni
informazione
che la signorina Blanchard ci sta dando. Non abbiamo mai inveito
l’uno contro
l’altro quando c’è Sophie nelle
vicinanze e certamente non intendiamo farlo
adesso.
-dunque
suppongo che sia una cosa
che dobbiamo risolvere tra noi, la ringrazio moltissimo signorina
Blanchard.
Adesso se non le dispiace vorrei vedere Sophie, posso salutarla?-
chiede Edward
cordiale quanto impaziente di vedere la bambina.
La
signorina annuisce e dopo aver
abbandonato il suo ufficio ci dirigiamo insieme da nostra figlia.
Quando Sophie
ci vede insieme sull’uscio della porta ci raggiunge per
buttarci le braccia al
collo cogliendoci un po’ impreparati; per poco non casco non
il sedere per
terra. Il suo volto è raggiante quando si stacca da noi.
-allora
piccolina che stavi
facendo?- le chiede Edward accompagnandola verso le altre bambine con
le quali
stava giocando poco prima che entrassimo.
-questo
è il mio papà- dichiara
orgogliosa lei mentre sul viso di Edward vedo spuntare un sorriso di
pura
estasi. È inevitabile a quel punto chiedermi come sia stato
possibile non
accorgermi mai di niente, come non abbia mai avvertito questo tipo di
disagio
in lei. Solo ora che la vedo ridere e giocare con il padre mi rendo
conto di
quanto le faccia bene stare con lui o comunque vederci insieme nella
stessa
stanza. Sento i brividi corrermi lungo la schiena e gli occhi
inumidirsi al sol
pensiero che basta veramente così poco per renderla felice.
Interrotti
dalla maestra siamo
costretti ad andarcene per consentirle di continuare il normale
svolgimento
della lezione. Salutiamo Sophie con un altro abbraccio e poi andiamo
via.
-grazie
infinite per quello che ha
fatto oggi signorina Blanchard…- comincia a dire Edward che
viene subito
interrotto dalla diretta interessata.
-oh
ma la prego mi chiami Mary
Margaret- un momento! A me non l’ha mai chiesto! La guardo
assottigliando gli
occhi quando mi rendo conto che è diventata più
rossa di un peperone. Edward le
rivolge un sorriso e penso che potrei vederla implodere da un momento
all’altro. Questo pensiero mi fa alzare gli occhi al cielo
troppo abituata a
vedere ogni esemplare del genere femminile andare in iperventilazione
quando
c’è Edward nei paraggi, ed è
più che evidente che il mio ex marito ha fatto
colpo anche in questo caso.
-si,
la ringrazio davvero tanto.
Ora dobbiamo andare, grazie mille per la sua disponibilità-
mi intrometto io
per nulla contenta di fare da spettatrice a due pavoni intenti a fare
la danza
dell’amore. Spingo Edward ad andarcene, si può
dire che quasi lo trascini verso
la porta d’uscita e quando siamo fuori all’aria
aperta mi guarda quasi male.
-che
c’è?- gli chiedo stupita.
-niente-
mi risponde lui con
tranquillità scrollando le spalle.
-ah
mi sembrava. Ti pare il caso? È
la maestra di tua figlia!- questa volta il mio tono è un
filino tagliente.
-Bella
ma non stavo facendo niente,
davvero-
-okay,
se lo dici tu-
-ma
la signorina Blanchard non
aveva detto che dovevamo evitare di litigare?-
-si,
evitare di farlo davanti a
Sophie e guarda un po’, adesso Sophie non
c’è-
Restiamo
fermi a sbuffare e
soffiare aria dal naso come due tori incazzati per un po’
prima che uno dei due
si decida a parlare, e lo fa lui.
-senti,
ti andrebbe di andare a
prendere qualcosa in quel café che ti piace tanto?
Così possiamo parlare
tranquillamente della situazione- mi dice tornando improvvisamente
serio.
Guardo l’orologio, sono a malapena le 9.45 del mattino. Okay
decido che si può
fare, ho ancora tempo prima di andare al lavoro, ciò che mi
stupisce è che ce
l’abbia lui il tempo.
-ma
non devi andare al lavoro tu?-
gli chiedo incrociando le braccia al petto.
-dovrei,
ma ho detto a Mike che mi
serviva la mattinata libera per questioni di famiglia. Lo raggiungo in
ufficio
dopo pranzo-
-okay-
acconsento a quel punto – ma
io vengo con la mia macchina-
Alza
le braccia al cielo in un
gesto di resa e ridendo si allontana verso la sua auto. Io salgo nella
mia e
diligentemente quando si immette nel traffico mi accodo dietro al suo
posteriore. Improvvisamente scoppio a ridere come una cretina
chiedendomi se le
cose cambieranno mai tra noi due. Sono sempre stata io quella a
inseguirlo,
sempre e per una volta, una volta soltanto mi concedo di fare il
contrario
(anche se si tratta di una stupidaggine). Lo sorpasso proprio quando
giungiamo in
una strada abbastanza larga da permettermi di farlo e mi lascio andare
a un –
vediamo CHI insegue CHI adesso- mentre vedo nello specchietto
retrovisore un
sorriso illuminargli il volto.
***********
Il tragitto
dalla scuola di Sophie al café non è
tanto lungo perciò non ci mettiamo niente ad arrivare.
Parcheggio proprio di
fronte al Café Boulud sulla 76th Street/ Madison e scendo
aspettando che Edward
mi raggiunga prima di entrare dentro. Adoro questo café
è incantevole e non
sembrerebbe a giudicare dalla facciata esterna di semplici mattoni
bianchi e
dalle tende verdi con il nome del locale stampato sopra. In
realtà è dentro che
il Cafè Boulund ti stupisce. È dotato di una
comoda sala interna in stile un
po’ retro con le sedute in legno bianco e grandi tavoli dalla
forma rotonda.
Anche il bancone è una delle caratteristiche che mi
piacciono di più. Sempre in
stile retrò ha quel qualcosa di carismatico e di vissuto che
sembra uscito
direttamente da un film di Fellini. Ma al suo interno cela anche
qualcos’altro,
qualcosa di molto prezioso. Attraversando una porta finestra ci si
ritrova
all’aria aperta in un terrazzo con al centro una fontana
bellissima e un
giardino con mille fiori colorati. Un pergola scende dal soffitto
completamente
rivestita da una bouganville rossa e tu ti senti subito catapultata in
un
terrazzo della costiera amalfitana. Oh, quanto vorrei visitare quei
luoghi e
l’Italia in generale. Forse un giorno…
-eccomi,
possiamo entrare- la voce di Edward mi
arriva così vicino all’orecchio che sobbalzo dallo
spavento presa com’ero dal
mio viaggio pindarico.
-oh, si andiamo-
mi guarda perplesso per un attimo
per poi distendere le sopracciglia inarcate.
-Bella? Non ci
credo! Come stai? È da un po’ che non
ti vedo- esclama subito il padrone di casa quando varco
l’ingresso del café.
Lascia dei clienti agli altri camerieri e viene nella nostra direzione.
-ciao James- lo
saluto calorosamente lasciando che
mi abbracci forte. James è una persona veramente adorabile,
lo conosco da tanto
tempo. Ci siamo conosciuti grazie ad amici in comune e da allora non ci
siamo
più persi di vista. Gestisce questo locale da parecchi anni
ormai, l’ho aiutato
io ad inserirsi in questo mondo quando da semplice cameriera mi sono
ritrovata
con un libretto degli assegni in mano. Svolge il suo lavoro
egregiamente
nonostante i grattacapi siano tantissimi, ma in quanto a pazienza lui
è super
fornito, ne ha da vendere. Non lo vedrai mai con il broncio o incazzato
nero,
come qualcuno di mia conoscenza. Rido tra me e me pensando che potrei
proporre
a Steve di venire a prendere lezioni di autocontrollo da lui.
-è
bello ritrovarti, non far passare così tanto
tempo prima che veda di nuovo te e il tuo culo rinsecchito nel mio
locale,
chiaro?- rido della sua battuta mentre sento qualcuno schiarirsi
debolmente la
voce.
-sei sempre il
solito, non cambierai mai- dico
divertita.
-e chi ha
intenzione di farlo!- esclama
scandalizzato facendomi ridere ancora più forte.
-bene
perché potrei rinnegarti come amico se solo lo
facessi- gli punto l’indice alla faccia in segno di minaccia.
Questa volta è il
suo turno di ridere e di abbracciarmi nuovamente. Continuerei a
scherzare
all’infinito con James ma il gracchiare di Edward mi fa giare
completamente
nella sua direzione. È rimasto fermo e impalato, con le mani
in tasca a
fissarci con uno sguardo torvo per tutto il tempo.
Improvvisamente
mi sento avvampare.
“finiscila
cretina!” mi ammonisco
mentalmente.
-emmh,
James… ti ricordi di Edward, il mio… il mio
ex marito?- dico mentre lo tiro da un braccio per fargli vedere che non
siamo
soli.
-oh, si che mi
ricordo. Ciao Edward è un piacere
rivederti- esclama il mio amico porgendo una mano ad Edward che gliela
stringe
forte. Per un attimo penso che potrebbe rompergliela.
-il piacere
è mio. Anche io mi ricordo di te, “il
mio amico impiccione e cazzone” non è
così che lo chiamavi Bella?- per poco non
mi affogo con la mia stessa saliva quando sento quelle parole. Lo
guardo di
sbieco e mi dico che ci penserò dopo a strigliarlo per bene,
sempre che non lo
uccida prima. Sto per replicare soprattutto per non creare malintesi
con James
che è proprio lui ad intromettersi.
-muhaha si, sono
io. Bella può chiamarmi come vuole,
non è vero scheggia?-
Anche questa
volta il mio sguardo non è dei più
pacifici e ammonisco con gli occhi James per come mi ha chiamata.
È un botta e
risposta che mi sta mettendo in agitazione, sembrano due galli che
combattono
nell’aia. Così decido di prendere in mano la
situazione, non voglio vedere
spargimenti di sangue.
-si, va bene.
James vorremmo un tavolo fuori in
veranda ci accompagni?-
-naturalmente,
seguitemi-
Come se stessimo
giocando a fila indiana ci
dirigiamo uno dietro l’altro verso il terrazzo sul retro e
per poco non vado a sbattere
con la faccia sulle spalle del mio amico quando si ferma di botto.
-come sta
Charlie? È da un po’ che non lo vedo, si
sta riprendendo?- mi chiede affiancandomi e insieme riprendiamo a
camminare.
Dietro di me sento Edward sospirare.
-sta un
po’ meglio-mento – gli porterò
senz’altro i tuoi saluti-
Quando arriviamo
nel terrazzino ci fa accomodare al
mio tavolo preferito e non posso che apprezzare il gesto. È
nell’angolo
illuminato dal sole e neanche troppo vicino alla fontana, è
perfetto.
-cosa vi porto?
A te il solito Bella? Caffè
macchiato con panna e una spolverata di cannella? – lo guardo
stupita, è
incredibile che se lo ricordi! Ormai è parecchio tempo che
non vengo qui e
adesso che ci penso non so nemmeno perché.
-si per me va
benissimo quello- dico entusiasta.
-fanne due-
aggiunge subito dopo Edward e
immediatamente lo guardo aggrottando le sopracciglia.
-okay, arrivano
subito- dice James allontanandosi
con le ordinazioni.
Il mio
sopracciglio non accenna a distendersi e
Edward lo nota subito.
-che
c’è?- mi chiede indispettito.
-tu odi la
cannella- gli dico come se stessi
parlando con Sophie. Lui mi guarda sbuffando e in questo momento le
somiglia
tantissimo, anche lei fa così quando dico qualcosa che non
le piace.
-beh, adesso mi
piace-
-ma…
ma falla finita Edward. Non ti credo, cos’è una
specie di sfida?-
-ma quale sfida?
Di cosa stai parlando?- mi chiede
agitandosi sulla sedia.
-parlo del tuo
comportamento di poco fa, era solo un
modo per far incazzare me o volevi provocare James?-
-beh si certo
perché lui non ha fatto niente, ma hai
sentito quello che ti ha detto? Il modo poco signorile con il quale ti
ha
invitata a tornare? E poi che vuol dire scheggia? Scheggia di cosa? E
perché io
non ne so niente?- mi urla tutte quelle domande una dietro
l’altra e in maniera
così veloce che quasi mi sembra di non capirle. La vena del
collo gli pulsa
vistosamente e il suo respiro e affannato, ma questo non giustifica il
suo
comportamento, questo… questo attacco. Che diavolo importa a
lui cosa mi dice
James o come mi comporto io!
-e a te che
diavolo importa?- replico io altrettanto
agitata, sento il cuore in gola.
Fa per
rispondermi ma alla fine si tira indietro.
Muove la bocca in cerca delle parole giuste da dire ma in
realtà sembra più un
pesce fuor d’acqua. Veniamo interrotti dal cameriere che ci
porta le nostre
ordinazioni e una volta che se ne va il gelo scende su di noi.
Prendo la mia
tazzina in mano pronta a gustarmi il
contenuto in religioso silenzio ma quando vedo la faccia disgustata di
Edward
avvicinare il cucchiaino alla bocca, assaggiare la cannella e fare una
smorfia
ancora peggiore di quella precedente non riesco a trattenermi e scoppio
a
ridergli in faccia.
-nof
è diverfenfe- mi dice mentre cerca di mandare
giù quello che ha in bocca senza troppi risultati. Alla fine
mi trovo costretta
ad allungargli un fazzolettino affinché metta fine a
quest’agonia.
-smettila di
ridere, è una cosa disgustosa- mi dice
mortificato trasferendo con il cucchiaino la panna con la cannella
nella mia
tazzina. “E allora
perché l’hai presa?”
vorrei dirgli ma qualcosa mi trattiene dal farlo.
-muhahah dovevi
vedere la tua faccia!- esclamo
invece non riuscendo a trattenermi dal ridere tanto che alla fine si
unisce
pure lui alle mie risate. Da quanto tempo non trascorrevamo dei momenti
così
spensierati? Dal giorno del divorzio? No, da prima mi correggo
mentalmente,
molto prima.Una
fitta al petto di pura
malinconia mi fa sentire come se potessi rompermi da un momento
all’altro. Se
solo allungasse una mano o anche solo soffiasse nella mia direzione mi
ridurrei
in cenere davanti ai suoi occhi. E allora addio, Bella!
Mi ricompongo
immediatamente e mentre lo faccio vedo
scomparire il sorriso dal suo viso. Ci guardiamo negli occhi cercando
di
regolarizzare il respiro mentre nell’aria sento una specie di
elettricità che
va da me a lui. Dio, non mi sentivo così da troppo tempo, il
cuore che batte
forsennato nel mio petto non accenna a calmarsi. Vorrei dire qualcosa
per
stemperare la tensione ma è come se la sua risata avesse
schiacciato il tasto
reset del mio cervello, la sento ancora chiara nella testa.
-dovremmo
parlare di Sophie- dice all’improvviso
facendomi sussultare.
-si, lo credo
anch’io- prendo un’ abbondate
cucchiaiata di panna e me la infilo in bocca giusto per non stare con
le mani
in mano, la tensione che si è creata tra di noi è
così palpabile che potremmo
tagliarla con un coltello.
-se per te va
bene, vorrei passare più tempo con
Sophie. Lo so che abbiamo stabilito gli incontri e gli orari con i
nostri
avvocati, ma preferirei non metterli in mezzo questa volta. Che ne dici
di
organizzare noi stessi altri orari per stare con nostra figlia?-lo guardo sbigottita e un
po’ sorpresa dalla
sue parole. Sarebbe un bellissimo gesto quello di non voler mettere gli
avvocati di mezzo ma quello che mi chiede è praticamente
impossibile.
-Edward, lo sai
che non si può fare- dico
continuando a ingozzarmi di panna.
-ma
perché? Andiamo Bella, non ti ho mai chiesto
niente da quando ci siamo separati-
-si…
no, cioè non è per questo. Per me andrebbe
anche bene risolvere la faccenda tra di noi, ma è alquanto
impossibile che tu
riesca a ritagliarti del tempo dal lavoro per stare con lei, e non
voglio che
mi chiami all’ultimo minuto per disdire un incontro e farla
stare male- quello
che mi chiede è veramente molto bello, assicurare la sua
presenza ogni qual
volta Sophie ne ha bisogno è un altro paio di maniche. Un
bambino ha delle esigenze
che sicuramente un uomoin
carriera non
può soddisfare. Lui non può lasciare una riunione
e scappare a prenderla perché
ha il mal di pancia. Io invece posso farlo, posso correre da una parte
all’altra della città senza dovermi scusare con
nessuno.
-no Bella, posso
farcela, posso delegare anche io
qualcuno, posso disdire anche io un appuntamento come fai tu se fosse
necessario- dice assennato neanche avesse letto i miei pensieri!
- Ti prego,
dammi la possibilità di…-
-di cosa?-
capisco subito che le sue parole non mi
piaceranno per niente.
-di dimostrarti
che di me ti puoi fidare- dice con
reticenza. “che
cazz…” comincio a
pensare scuotendo la testa. Ma parla sul serio o cosa? “Di me
ti puoi fidare”
ha fatto la stessa fine di “io non ti tradirò
mai” e adesso dovrei credere alle
sue parole?
-lo so che con
te non sono stato un buon marito e
che le mie parole possono sembrarti poco convincenti…-
-poco dici? Io
dico per nulla convincenti!-
-ma lo sai che
con Sophie è diverso. Non puoi
tradire un figlio, quello che hai con lui è un legame
indissolubile ed io ti
prometto che non le farò mai del male- mi dice guardandomi
intensamente negli
occhi e sembra che abbia appena giurato sulla Bibbia tanto le sue
parole
risuonano forti, ma soprattutto convincenti; percepisco ad ogni sillaba
la sua
voglia di farmi cedere. Gesù, fare la madre è un
lavoro veramente frustrante,
devi decidere qual è il bene di tua figlia e non puoi mai
tirati indietro, mai.
Anche se delle volte vuoi solo
comprarti una fottuta isola e scomparire!
Okay, parliamoci
chiaro, non è che devo decidere se affidare mia figlia
all’orco cattivo. Stiamo
parlando di suo padre, del sangue del suo sangue. Dovrei affidargliela
ad occhi
chiusi sapendo che nessuno potrà mai amarla quanto la ama
lui, però perché è
così dannatamente difficile?La
verità è che ho paura. Paura che anche lei possa
soffrire quanto ho sofferto
io. Paura che lo possa vedere con un'altra donna e cominciare a farmi
domande
alle quali non saprei come rispondere. Gli occhi di Edward mi stanno
ancora
fissando ed io non vorrei farmi intimorire, davvero. Ma è
inevitabile.
“smettila
di guardarmi così” vorrei
urlargli. Ma invece mi limito ad
annuire. Quando capisce che gli ho dato la mia benedizione diventa
così
raggiante che penso di avergli appena fatto il regalo più
bello della sua vita.
-ma.. ho delle
condizioni!- dico subito puntandogli
il dito contro.
-tutto quello
che vuoi- risponde all’istante.
-Sophie
continuerà a stare da me ovviamente, perciò
dovrai chiamarmi ogni volta che hai intenzione di vederla. Dovrai
avvisarmi e
dirmi dove andate e soprattutto se mai volessi portarla a casa con te,
dovrai
farle trovare tutto quello che le piace. Ti farò fare anche
una replica esatta
della sua stanza se necessario, ma non voglio che si senta a disagio. I
fine
settimana come stabilito sono i tuoi, ma visto che ti sto concedendo di
portarla a casa anche quando non ti spetta, vorrà dire che
qualche weekend lo
passerà con me. Per cominciare mi sembrano delle concessioni
abbastanza
ragionevoli, non trovi? E poi potremo fare come ci ha suggerito la
maestra,
uscire ogni tanto noi tre insieme -
-okay,
farò come vuoi tu. Ma non togliermi tutti i
weekend…-
-ah queste sono
le mie condizioni. Prendere o
lasciare- mi guarda per un momento e senza esitare mi risponde
– si, va bene,
ci sto-
-e un'altra
cosa. Sophie non dovrà mai e in alcun
modo venire a conoscenza o entrare in contatto con qualsivoglia...
donna – per
non dire sgualdrina – avrai intenzione di portarti a casa,
sono stata chiara?-
se fossi Superman uscirebbero lambi infuocati dai miei occhi in questo
momento;
odio parlare delle questioni amorose del mio ex marito se non
l’aveste capito.
-non
c’è nessuna…- comincia a dire ma si
interrompe
bruscamente come se stesse per dire troppo. Nei suoi occhi vedo un
lampo che
non mi piace per niente. Cos’era? Delusione?
-non
c’è nessuna… cosa?- lo incalzo io
peggio del
migliore degli avvocati.
-niente…
no, niente. Okay, hai la mia parola- dice
deglutendo a fatica. Perché tutta questa tensione adesso?
Allunga una mano
verso di me per sigillare il patto che abbiamo appena stipulato e
istantaneamente sento una scia di brividi percorrermi tutta la schiena.
“avanti Bella che ti prende? Neanche
ti
avesse offerto di fare un patto di sangue” no ma
non è questo, è la paura
di toccare di nuovo la sua pelle ad intimorirmi. Che diavolo mi prende?
Dovrei
odiarlo, dovrei provare solo disgusto nei suoi confronti dopo quello
che mi ha
fatto e invece ho paura di stringergli la mano per il terrore di quello
che
potrò provare. Sono proprio senza speranza.
Allungo anche io
la mia mano e piano la appoggio
sulla sua. Succede tutto talmente in fretta che non ho neanche il tempo
di
abituarmi alla sensazione di avere la sua mano calda nella mia che una
scia di
brividi parte dal collo per arrivare giù, sino alla punta
dei piedi; il calore
che sento alla mano mi fa tirare indietro di colpo e il cuore comincia
a
battermi forsennato. Deglutisco; lo sapevo che sarebbe successo questo,
lo
sapevo. A fatica faccio oscillare le nostre mani e subito dopo mi
stacco da lui
quasi scottata.
-bene allora-
dico buttando giù il contenuto nella
mia tazzina in una volta sola; se fosse stato più caldo mi
sarei ustionata le
tonsille.
Mi alzo pronta
ad andare via e a lasciarmi alle
spalle il nostro incontro che lui mi ferma per un braccio.
-aspetta Bella,
ti prego-
-no Edward devo
andare- gli rispondo io ancora
girata.
-okay, come vuoi
tu. Buona giornata- mi dice
lasciandomi il braccio ma nella sua voce sento una nota di dispiacere.
-buona giornata
anche a te- mi limito a dirgli per
poi imboccare l’uscita.
Mentre
percorro i metri che mi allontanano da lui mi
rendo conto solo adesso perché non sono più
venuta in questo posto. Mi ricorda
troppo quello che siamo stati l’uno per l’altra e
che, proprio come Edward
stesso mi ha ricordato nel sogno, abbiamo ormai dimenticato.
Bene, eccoci
quà. Che ne pensate? Oddiooo non mi piace per niente! u_u"
Non
voglio chiedervi nulla di specifico, voglio solo
leggere le vostre impressioni. Sempre che decidiate di lasciarmi una
recensione.
Volevo
dirvi ancora grazie per aver letto il primo
capitolo e per essere arrivate fin qui. Siete state fantastiche nelle
recensioni, davvero. Tra poco risponderò a tutte.
Bene non mi resta che augurarvi
buona domenica e
darvi appuntamento alla prossima settimana! BACI!!!!
Ecco il nuovo capitolo. È il capitolo della rivelazione,
capirete infatti quello che è successo tre anni prima e come mai Edward e Bella
si sono lasciati. Ci saranno i punti di vista di entrambi, evidenziati con il
colore della scrittura, rosa per lei e blu per lui. Non stupitevi di trovare
molto più blu, il capitolo è raccontato quasi interamente da Edward. Il mio
primo pov. Edward in assoluto, non avevo mai scritto qualcosa dalla sua parte,
perciò spero che apprezzerete.
Un ultima cosa prima di andare… volevo sapere se vi
piace la copertina che ho fatto per la storia, è molto semplice ma efficace,
non trovate?
Bene adesso vi lascio, buona lettura! Ci
vediamo giù.
“Alcune cose non posso essere
evitate ed altre invece vengono provocate da noi stessi.
Non è la fatalità a scegliere chi colpire, ne tanto meno una vita di
castità ad allontanare il male.
Tutte le soluzioni sono nel mondo e nei propri modi di fare.
Il destino sono le scelte messe in
relazione al tempo,
quelle decisioni che danno certezza al passato,
forma al presente, e rendono
indefinito il futuro”.
Scappo
via dal locale di James neanche avessi un cecchino alle calcagna. Com’è
possibile che non riesca a stare per più di mezzora nello stesso posto insieme
ad Edward?È così complicato quello che
c’è tra noi. Sento una forza che ci spinge l’uno verso l’altra in modo quasi
magnetico e l’unico modo per fermarla è correre via a gambe levate. Perché ne
sono sicura... mi sarei fermata quando me l’ha chiesto. E poi? Cosa ne sarebbe
stato di me poi? Non posso più permettergli di farmi del male, non posso. Solo
io so quello che ho provato quella maledetta sera di quel maledetto giorno. Io
so di avere le mie colpe, lo so. Ma lui non avrebbe dovuto fare quello che ha
fatto. Avrebbe potuto parlarmi e starmi vicino, anche se in quel periodo ero
intrattabile e invece…
Tante
volte mi sento l’unica responsabile per quello che è successo sapete? Il mio
non è un tentativo di discolpare mio marito, non avrebbe dovuto tradirmi,
punto. Ma posso dire tranquillamente che non ero una persona facilmente
tollerabile, anche se non capirò mai perché ha fatto quello che ha fatto.
Quando
entro in ufficio dopo aver salutato Mike, l’unica cosa che vorrei è
riuscirea togliermi dalla testa
l’incontro che ho appena avuto con Bella.
Mi siedo
sulla poltrona girevole che ho accanto alla scrivania e mi perdo a contemplare
il fiume Hudson attraverso le vetrate, cominciando a mangiucchiare l’unghia del
pollice destro. È inspiegabile il modo in cui mi devasta non riuscire a
togliermela dalla testa. Lei è presente nei miei pensieri molto più di quanto
vorrei. Ogni giorno mi sveglio e penso a lei, penso a cosa sta facendo, penso
che sarei potuto essere con lei e Sophie, a casa, a preparare la colazione
insieme. Penso che sarei potuto rimanere una giornata a letto con lei a
sentirla respirare al mio fianco, a sentirla godere e gemere dei miei tocchi.
Avrei potuto stringerla tra le braccia e dirle “ti amo” un milione di volte
nell’orecchio e dopo essermi reso conto che non bastavano a quantificare il mio
amore, riprendere da dove mi ero interrotto e continuare all’infinito. Quante
volte ho pensato che un ti amo non è niente paragonato alla possibilità di
stare insieme ad una persona. A dimostrarglielo quanto tieni a lei. Bene, se
potessi tornare indietro le direi ti amo dalla mattina alla sera. Glielo avrei
fatto trovare con un bigliettino sul cruscotto della macchina; glielo avrei
spedito con un messaggio durante le ore di lavoro e lei mi avrebbe rimproverato
perché la disturbavo. Glielo avrei scritto con il cibo nel piatto della cena e
glielo avrei ripetuto fino allo sfinimento mentre facevamo l’amore. Questo è
tutto quello che avrei fatto se solo mi fossi accorto prima della direzione che
stava prendendo la nostra storia. E questo è quello che farei adesso,
nonostante siano passati tre anni dal divorzio.
È
inutile, ho provato a cancellarla dalla mente ma non ci riesco. Ho provato
davvero ad avere relazioni con altre donne, ho provato davvero ad odiarla più
di quanto odio me stesso, ma è stato impossibile. Non può esistere nessuno
sulla faccia della terra che io possa odiare più di me stesso, figuriamoci se
questa persona è l’amore della mia vita.
La verità
è questa… mi odio dal profondo del cuore da quella dannata sera in cui non
stato capace di fermarmi, mi odio come si odia qualcuno che ha ucciso la
persona più importante per te e sai che non puoi fare niente per andare avanti
se non cercare di vendicarti. Ho provato tante volte a punire me stesso per
essere stato tanto stupido da non capire che avrei buttato all’aria l’unica
cosa in grado di dare un senso alla mia vita. Ho provato a pensare che il mondo
senza di me sarebbe stato un posto migliore, almeno migliore per Bella, ma poi
due occhi verdi come i miei mi si presentavano davanti ogni dannatissima volta
in cui ubriaco non volevo fare altro che bere fino a collassare. Sono un uomo
debole è questa la verità. Sono stato debole quando invece di restare sarei
dovuto scappare dalle lusinghe di Tania, e nonostante fossi ubriaco anche
quella sera, non dovevo lasciarmi andare. No… non avrei dovuto.
Tre anni prima
Sophie
non aveva fatto altro che piangere tutta la notte, la sentivo lo stesso
nonostante non dormissimo nella stessa stanza. Toccai la parte del letto in cui
avrei dovuto trovare mia moglie ma lo scoprii vuoto e soprattutto freddo. Bella
come al solito si era trasferita nella sua stanzetta e mi aveva lasciato solo
durante la notte. Era una situazione che non potevo più tollerare, ormai non
dormivamo più insieme dal giorno della nascita della bambina, e se solo provavo
a farglielo notare lei andava su tutte le furie. Le avevo proposto di far
venire una bambinaia, qualcuno che l’aiutasse con Sophie almeno fino a che non
fosse scresciuta abbastanza da dormire tutta la notte, ma lei non ne voleva
sapere. Ricordo che quando glielo dissi per poco non finii all’ospedale. Sulla
mia cartella clinica avrebbero scritto: preso a padellate dalla moglie mentre
cucinava delle uova strapazzate; per fortuna sono riuscito a spostarmi. Bella è
fatta così, pensa che sia in grado di fare tutto da sola, che sia
indistruttibile ma quella volta almeno si sbagliava. Sophie è un amore di
bambina, ma penso che qualche specie di demone si sia impossessato di lei. Non
fa che piangere e cercare le braccia della madre, se solo mi azzardo a
prenderla in braccio comincia a strillare a più non posso e Bella me la porta
via. Ormai non abbiamo più un dialogo, io impegnato come sono nel nuovo
progetto aziendale con Mike torno a casa molto tardi e lei quando rincaso dorme
profondamente buttata chissà dove negli angoli più disparati della casa. È
orribile ammetterlo lo so, ma è diventato più piacevole stare fuori che tornare
da lei. Non mi guarda più come una volta, non mi cerca più come una volta, non
mi ama più come una volta. Quando ci penso mi dico che non è vero che non mi
ama, è solo che adesso non se lo ricorda più. È troppo presa da Sophie e da suo
padre… e dalla casa e dal lavoro… ed io non esisto. Vorrei fare qualcosa in più
per lei ma mi rifiuta sempre. Intanto che posso fare? Non posso mancare dal
lavoro, è tutto ancora sottosopra e non posso lasciare Mike da solo. Mike è il
mio migliore amico dal liceo, abbiamo frequentato anche la stessa università
insieme e quando mi ha chiesto di aiutarlo nel progetto che stava per
realizzare non ho potuto dirgli di no. Così ho venduto le azioni della Cullen’s
Enterprises, ho detto ciao ciao al mio caro paparino (che da quando ha scoperto
quello che ho intenzione di fare con tutti i soldi ricavati dalla vendita mi ha
quasi rinnegato) e ho fondato insieme a Mike la M&E Corporation. Ci
occupiamo di energia rinnovabile, nello specifico di Energia Solare. Abbiamo
cominciato ad ingranare da poco e non posso assentarmi dal lavoro, e poi è
diventato una specie di rifugio da quando la situazione in casa si è fatta
irrespirabile. Non faccio l’amore con mia moglie da… boh, e chi se lo ricorda
più? Una cosa è certa, è passato troppo tempo. Ormai mi è quasi difficile
ricordare il suo odore, la delicatezza dei suoi baci, il sapore della sua
pelle. Io provo a cercarla ma lei mi allontana sempre in malo modo, mi caccia
via e il fatto che dorma tutte le notti da solo è un altro segnale del suo allontanamento.
Non ce la faccio più, il bisogno fisico di stare con una donna mi sta facendo
impazzire e le mattonelle della doccia gridano pietà da diversi mesi ormai.
Sbuffo
alzandomi dal letto e mi dirigo in cucina per bere una tazza di caffè e
inaspettatamente trovo anche Bella. Quando si accorge di me vedo la sua
espressione del viso cambiare in un lampo e, come se fosse un gesto
normalissimo, inserire nella manica del maglione un tovagliolino bianco tutto
stropicciato. Capisco che ha appena pianto e che sta facendo di tutto per
nascondermelo.
Una fitta
allo stomaco mi fa capire quanto mi faccia male vederla in questo stato.
-buongiorno-
questo è quello che le dico ogni mattina e lei in genere non mi risponde mai,
invece oggi dalla sua bocca esce un – buongiorno- striminzito e quasi
inudibile. Questo mi stupisce molto di più del fatto che guardando bene verso
la sua direzione trovi delle valige accanto al divano della cucina; ieri si è
messa in testa che deve ripulire lo sgabuzzino e sono 24 ore che quelle valige
stanno in giro per casa.
-hai
deciso di partire?- le chiedo scherzosamente ma il –si- che esce dalla sua
bocca non ha niente di divertente.
Penso di
aver sentito male o di non aver capito affatto quello che mi ha detto perciò
esordisco all’improvviso con un –cosa?- che ha tanto l’aria di un “mi stai
prendendo in giro per caso?”
-vado a stare da mio padre per un po’- butta
li con nonchalance.
-Bella
non è divertente- dico andandole vicino; sto cominciando ad agitarmi.
-Edward…
non riesco a stare in questa casa. Sento che sto per soffocare-è il discorso più lungo che le sento fare da
tantissimo tempo e lei cosa mi dice? Che vuole andarsene? Che si sente
soffocare? Ma se non l’ho più stressata con le mie parole da quando ho capito
che non vuole che mi intrometta!
-tu non
vai da nessuna parte. Sei mia moglie e la madre di mia figlia. Chi baderà a..-
-lei
viene con me-dice interrompendomi.
Cosa?
-Sophie
non va da nessuna parte e nemmeno tu. Che diavolo ti è preso si può sapere?-
urlo quasi e mi sembra di stare per esplodere tanto il mio cuore batte
all’impazzata. Non dice niente però, non mi risponde nemmeno. Forse le ho fatto
cambiare idea. Ma perché ha preso questa decisone, perché? Perché non parla con
me, perché non mi dice quello che prova? Non sono forse (o probabilmente dovrei
dire ero) una delle persone più importanti della sua vita? So però che non mi
interessano le sue motivazioni al momento. Potrei stare qui per ore a farle
domande su domande, fino a che non si deciderà a dirmi quello che le passa per
la testa e come mai sia arrivata alla conclusione di doverseneandare. Ma non lo faccio, e lo sapete perché?
Perché sono un codardo ecco perché. Perché ho paura che mi dica qualcosa che
non voglio sentire uscire dalla sua bocca e allora mi difendo con l’unica arma
a mia disposizione. La prepotenza.
-discorso
chiuso. Quando torno stasera voglio trovati a casa- poggio la tazza del caffè
nel lavandino con più forza del previsto e il rumore un po’ troppo forte la fa
quasi sobbalzare. Forse ho esagerato
penso preoccupato, vorrei fermarmi e tranquillizzarla ma l’unica cosa che
riesco a fare è rifugiarmi in camera da letto e cambiarmi per andare al lavoro.
Penso a tutto quello che sta succedendo e prego veramente Dio affinché non
trovi un brutta sorpresa al mio ritorno. Prima di uscire passo a salutare
Sophie che dorme finalmente tranquilla nella sua culla. Percorro il corridoio
che dalla sua stanzetta mi collega alle altre camere con passo svelto, quando arrivo
davanti alla cucina tiro dritto senza neanche girarmi. In un batter d’occhio
sono fuori e mi sbatto forte la porta di casa alle spalle. Stai sbagliando tutto mi ripeto incessantemente come un mantra. Torna dentro e vai da lei, abbracciala e
dille che è tutto a posto, che tutto si risolverà presto. La voglia di
cedere è tanta ma non ci riesco. Non riesco proprio a farlo. Così scappo il più
lontano possibile. D'altronde ho capito di saper fare solo questo, scappare.
Duh, sono diventato davvero un codardo.
Quando
arrivo in ufficio non ho per niente una bella cera, sento come se stessi per
esalare il mio ultimo respiro. È troppa la rabbia che trattengo dentro di me e
come una litania mi ripeto mentalmente che non è giusto, non è giusto che lei
mi tratti così. Non ho fatto niente! Mi inalbero così tanto contro me stesso
che per poco non do un pugno alla scrivania. Mi alzo a riempire il bicchiere di
whiskey che trovo nel carrello dei liquori e subito lo butto giù in un solo
sorso. Sento la gola bruciarmi così tanto che per poco non scoppio a tossire
come un poppante. Così, giusto per dimostrare a me stesso il contrario, riempio
un altro bicchiere e lo mando giù come il primo. Adesso quello che provo è solo
sollievo e automaticamente sembra che anche la rabbia che sento dentro si stia
per diradare.
È andato via
da nemmeno mezz’ora ed io sono ancora qui seduta nello stesso posto in cui mi
ha lasciata. Non so dove ho trovato la forza di dirgli che ho intenzione di
andarmene. Non lo so davvero. Forse è stata la consapevolezza che così non
possiamo più andare avanti. Io lo cerco continuamente, cerco ogni secondo il
suo aiuto, ma lui non mi capisce più. È frustrante ammetterlo ma ormai si
comporta come se non esistessi. Alcune volte quando prova a parlarmi mi dice
totalmente il contrario di quello che vorrei sentirmi dire e a quel punto
scoppio. Scoppio perché non capisco come mai non viaggiamo più sulla stessa
lunghezza d’onda. Una volta bastava guardarci negli occhi e capire quello che
provava l’altro, adesso sembra che tutto il resto sia diventato più importante
di noi. Ed è questo quello che mi fa più male. Non basta che mi dica “tu non
vai da nessuna parte” ormai ho preso la mia decisione e non torno indietro.
Nonostante
i bicchierini di liquore però non ho fatto altro che pensare a quello che è successo
per tutta la giornata e quando non riuscivo a scacciare via dalla mia testa le
parole di Bella ci hanno pensato altri bicchieri ricolmi di whiskey (8 o 9
adesso non ricordo) a farmi dimenticare. Tania, la mia segretaria, sembra
averci preso gusto a colmare di liquido ambrato le mie pene. Entra sempre di
soppiatto mettendo in bella mostra davanti ai miei occhi le sue bellissime
misure, che da questa mattina sembra scoprire sempre di più ad ogni visita; se
continua di questo passo rimarrà solo in mutande a fine giornata. Ho già detto
a Mike che voglio licenziarla, nonostante sia bellissima è la classica ragazza
tutte curve e niente cervello e io ho bisogno di qualcuno che lavori seriamente
e che soprattutto non cerchi di irretire il capo ad ogni occasione, soprattutto
se sa che sono sposato.
Intorno
alle 18.30, quando manca quasi mezzora prima di lasciare l’ufficio, decido di
chiamare a casa. Non ce la faccio più a violentare il mio cervello con la
solita domanda che da questa mattina non fa altro che ripetersi ad oltranza
nella mia testa. Devo sapere se Bella è rimasta o se invece ha deciso di
andarsene. Avrei potuto chiamare anche prima lo so, ma ho preferito lasciarle
del tempo per riflettere e visti i precedenti scatti di ira di fronte alle mie
premure, mi è sembrata la scelta più logica. Spero.
Al quinto
squillo sento la segreteria telefonica rispondermi al posto di Bella e comincio
ad andare nel panico. Decido di riprovare.
E di nuovo,
al quinto squillo sento la segreteria telefonica rispondermi al posto di Bella
e giuro che potrei mettermi ad urlare. Decido di riprovare.
E ancora,
al quinto squillo sento la segreteria telefonica rispondermi al posto di Bella
e quasi come se fosse telecomandato a distanza, il mio braccio afferra il
bicchiere di vetro che oggi mi ha tenuto tanta compagnia e lo lancio contro la
parete vicino alla porta. La forza con la quale l’ho scagliato contro il muro
duro è così brutale che le schegge di vetro schizzano da tutte le parti e
alcune atterrano addirittura sulla mia scrivania. Sento subito qualcuno bussare
alla porta ma decido di riprovare.
Anche stavolta
al quinto squillo sento la segreteria telefonica rispondermi al posto di Bella
e allora lascio cadere il telefono, in un gesto disperato mi porto le mani nei
capelli inclinandomi con la schiena in avanti tanto da portare i gomiti a
contatto con le ginocchia. La testa comincia a girarmi. Qualcuno mi si avvicina
e prende ad accarezzarmi le spalle.
Alzo lo
sguardo non capendo assolutamente nulla, è come se nel mio cervello si fosse
diffusa una nebbia così fitta da ottenebrarmi i sensi. Sento solo che ad
intermittenza la frase “mi ha lasciato” scava un solco sempre più profondo
nella mia anima e dentro al mio cuore; penso che potrei mettermi a piangere da
un momento all’altro. Ci metto un attimo in più a capire chi mi trovo davanti,
ma quando metto a fuoco mi scontro con gli occhi azzurri e i capelli biondi
della mia segretaria.
-Edward,
che succede? Mmh?- il suo tono di voce è così languido e stucchevole che mi fa
quasi vomitare. Vorrei avere lo stesso bicchiere che ho lanciato contro la
parate del mio ufficio qui e pieno, invece che sfracellato per terra. Anche
nella rabbia sono stato tanto stupido da non prevedere che ne avrei avuto
bisogno. Come se capisse i miei pensieri Tania si alza e corre a riempirne un
altro. Adesso si che cominciamo a ragionare.
-Tania…
che vuoi?- le chiedo brusco non capendo perché non si decide ad andare via.
-sono qui
per aiutarti. Stai male Edward ed il compito di ogni buona segretaria e
prendersi cura del proprio capo- eccolo lì, lo stesso tono stucchevole di
prima.
-Tania…-
mi interrompo un attimo per bere e trovare un po’ di consolazione – se avessi
davvero a cuore la sorte del tuo capo mi lasceresti solo invece di rimpinzarmi
di alcol. Che poi è quello che hai fatto per tutto il giorno- e come se fosse
diventato acqua butto giù quello che ho nel bicchiere in un solo sorso.
-questo è
perché io so quello di cui hai bisogno- replica lei con la stessa vocetta
fastidiosa di prima mentre si sposta a riempirne un altro, forse dovrei
chiederle di smettere. Ad una analisi più attenta mi rendo conto di quello che
ha addosso o meglio… di quello che le è rimasto addosso. Ha una semplice gonna
nera che le arriva sopra al ginocchio e delle scarpe dello stesso colore con il
tacco. Dove dovrebbe esserci una qualche camicetta vedo solo una sottoveste
nera con dei ricami in pizzo scomparire all’interno della sua gonna. Mi trovo a
deglutire senza capirne il motivo.
Intanto
nella mia mente, dopo l’ultimo bicchierino, sembra essersi stanziato il nulla.
Non capisco più niente e cosa ancora ben più grave non riesco a ragionare. Con
quel poco di lucidità che mi rimane decido che forse è meglio chiamare un taxi
e farmi accompagnare a casa, ma il nuovo bicchiere di whiskey che Tania mette
davanti alla mia faccia mi fa desistere dal farlo. È solo l’ultimo, mi ripeto
mentalmente, poi giuro che chiamo un taxi. Nel frattempo lei mi torna vicino e
inspiegabilmente si inginocchia di fronte a me. E adesso che vuole?
-andiamo
Edward, ti voglio da impazzire dalla prima volta che ti ho visto, sai quello
che voglio- dice improvvisamente e solo in quel momento capisco di aver parlato
ad alta voce – e a giudicare da quello che vedo lo vuoi anche tu-
La guardo
stupito non capendo un accidente di nulla di quello che mi sta dicendo e
infatti le rivolgo uno sguardo interrogativo. Tania non mi risponde, si limita
a guardare in mezzo alle mie gambe ed è a quel punto che capisco. Abbasso anche
io la testa e vedo con quanta abbondanza i miei pantaloni riempiono la stoffa
dal cavallo fino alla vita. Cazz*
impreco mentalmente è possibile che mi riduca così solo perché non vedo una
donna nuda da parecchi mesi ormai? Che poi nuda! È solo un po’ svestita, tutto
qui. Ahhh ma che diavolo sto blaterando, io non dovrei trovami qui, non dovrei
nemmeno starla a sentire, dovrei mandarla direttamente a cagare.
Ma quello
che fa neanche due secondi dopo aver formulato quel pensiero mi manda
completamente in pappa il cervello, sommandosi alla già devastante opera di
autodistruzione portata avanti dall’alcol. Come se fosse un pasticcino
invitante da addentare con i denti, le mani di Tania volano proprio li, in
mezzo alle mie gambe e cominciano ad accarezzarmi. Stento a trattenermi dal
mandare gli occhi in gloria. Non so perché la lascio fare, forse è la
sensazione di essere desiderato veramente da qualcuno a mandare tutto il resto
a puttane. Ed infatti è quello che succede. Ho mandato tutto a puttane a causa
sua, la mia vita, il mio matrimonio, tutto.
Ma la
cosa che non riesco a spiegarmi però è come diavolo sia stato in grado di
fermarmi ad un certo punto. Ero li li per raggiungere la pace dei sensi dopo 15
minuti di strusciamenti, palpatine e sesso selvaggio, che tutto mi è apparso
chiaro nella mente. Che cazzo sto facendo? Urlo bruscamente nella mia testa.
La
allontano duramente facendola rovinare dall’altre parte del divano sul quale ci
eravamo stesi sentendo subito la sensazione di vuoto attorno al mio membro
ancora duro. Mi alzo in piedi per rivestirmi ma me la trovo di nuovo di fronte
e per qualche secondo riesce anche a darmi piacere con la sua bocca, ma
evidentemente non ha capito proprio un cazzo.
-basta
Tania smettila!- le urlo per farla allontanare, non vorrei trattarla male è pur
sempre una donna, ma una donna che non merita alcun rispetto da parte mia dopo
quello che ha fatto. Velocemente mi rimetto le mutande e indosso di nuovo i
pantaloni.
-Edward
ma che fai?- mi guarda come se fossi un alieno.
-me ne
vado Tania. Sarei dovuto andarmene già prima. Io sono sposato. Io amo da
impazzire mia moglie. Tu, tu non sei la mia donna, non hai il suo sapore, non è
la stessa cosa concedermi a te. Io.. io non ho capito un cazzo. Non ho capito
niente, niente! Lei non ha fatto altro che chiedermi aiuto, non ha fatto altro
che aspettare che la salvassi e invece l’ho lasciata affogare e dopo quello che
è successo stasera... l’ho persa per sempre lo so- adesso l’ho capito. Nel
momento stesso in cui dico quelle parole a Tania, che mi guarda ancora
sconvolta sicuramente non capendo un tubo di quello che ha appena sentito,
percepisco quanto ogni singola parola sia vera, sia giusta. Io dentro di me lo
sapevo, sapevo quanto Bella avesse bisogno di me. Ma da egoista del cazzo quale
sono non sono stato in grado di starle vicino. Adesso sento addosso una strana
sensazione di disgusto verso me stesso e verso quello che ho fatto pari forse
allo sbaglio che ho appena commesso.
-Edward
non puoi lasciarmi così, non puoi!- mi urla dietro mentre infilo la giacca e
lego i lacci delle scarpe.
-certo
che posso e lo faccio, rivestiti- le butto addosso i vestiti che lei non prova
nemmeno ad afferrare, lascia che ricadano a terra.
-sei uno
stronzo!-
-si
Tania, lo sono si- mi inalbero a quel punto- Lo sono perché non ho capito prima
lo sbaglio che stavo commettendo. Lo sono perché ho lasciato che mi facessi
ubriacare senza neanche cercare di fermarti. Lo sono perché ti dico che sei
licenziata e che non voglio più rivederti!- è tanta la frustrazione che sento
addosso che urlo quelle parole senza nemmeno fermarmi per un secondo a
riprendere fiato. Corro via dal mio ufficio ancora un po’ intontito per via
dell’alcol e salgo nella mia macchina parcheggiata proprio davanti all’entrata
dell’edifico. So che non dovrei guidare nelle mie condizioni ma devo tornarea casa, devo tornare da Bella. Nel frattempo
penserò a quale dei miliardi di improperi esistenti sulla faccia della terra
sia il più adatto a descrivere quello che provo nei confronti di me stesso da
qui per…altri 10 minuti buoni, si.
****
Non so
perché mi stia dirigendo verso casa nostra. Ho avuto la prova neanche mezz’ora
fa che non ci fosse nessuno ad aspettarmi al mio ritorno, ma sento che è li che
devo andare, anche per cercare un biglietto, un qualcosa che mi ha lasciato
prima di andare via. Parcheggio nel solito posto riservato e una volta dentro
al palazzo mi dirigo subito verso gli ascensori. La salita fino al decimo piano
non è mai stata tanto lunga come adesso. Nel frattempo continuo a ripetermi
quanto mi faccia schifo da solo per quello che è successo. Dio, se solo potessi
tornare indietro! Ma non solo a mezz’ora fa... vorrei poter tornare indietro e
sistemare tutto con Bella, cercare di aiutarla e starle vicino.
Quando la
porta dell’ascensore si apre sento come se il mio cuore potesse smettere di
battere da un momento all’altro, è troppa l’ansia che mi divora, per cui sono
sorpreso di trovare la porta di casa aperta e degli scatoloni ad ostruirne il
passaggio.
Che
diavolo sta succedendo?
Varco
l’ingresso con qualche difficoltà e una volta dentro trovo Bella ad aspettarmi
seduta sul divano. Subito lascio andare un sospiro di sollievo quando mi rendo
conto che non è andata via. Ma allora perché nessuno ha risposto al telefono?
-Bella?-
la chiamo sottovoce e mi stupisco io stesso del tono glaciale che ho usato. Sussulta
un attimo prima di girarsi nella mia direzione e per la prima volta da mesi
vedo spuntare sul suo viso un ombra di sorriso. È in quel preciso momento che
il mio cuore ricomincia la sua folle corsa arrivandomi quasi in gola.
-Edward,
sei arrivato- mi raggiunge con passo lento come se mi temesse. No amore mio, no. Non dovrai più temermi.
Dopo quello che ho fatto non mi vorrai più vedere.
-ho
provato a… a chiamare prima, ma non mi ha risposto nessuno. Cosa ci fanno
questi scatoloni davanti alla porta?- la mia voce è così gracchiante che quasi
non la riconosco più. È come se aspettassi da un momento all’altro l’attimo in
cui mi urlerà addosso tutto il suo disprezzo.
-vieni,
devo parlarti- mi fa cenno di seguirla sul divano ed io obbedisco.
-dov’è
Sophie?-
-è nella
sua stanzetta, sta dormendo beata- bene,
almeno c’è qualcuno che è tranquillo in questa casa penso tra me e me.
-devo
dirti una cosa Edward-
-anche
io… anche io devo dirti una cosa- e lo devo fare davvero. Se c’è una cosa che
devo fare stasera è raccontare ogni cosa a mia moglie. Devo dirle quanto sono
stato debole e quanto non meriti di avere il suo amore. Lei è così fragile,
così indifesa in questo momento della sua vita, come ho potuto farle questo,
come?
-allora
comincia tu- mi incita a continuare ma so che se parlassi adesso finirebbe
tutto davvero troppo in fretta e invece io voglio bearmi ancora di questi
ultimi momenti insieme.
-no,
comincia tu. Io posso aspettare-
Prende un
bel respiro la mia Bella prima di cominciare a parlare, come se le servisse
tanto coraggio. Ma non sa che di coraggio ne ha da vendere? Che servirebbe a me
un po’ di quel coraggio per guardarla negli occhi e ferirla in modo
irreparabile?
-me ne
ero andata di casa Edward, per questo non rispondeva nessuno al telefono –
strabuzzo gli occhi nel momento stesso in cui finisce di parlare. Allora era
andata via davvero – ma non ce l’ho fatta ad andare fino in fondo. Eravamo
quasi arrivati a casa di mio padre che ho chiesto all’autista di riportarmi
indietro. Io… non so cosa ho sentito, ma ho capito che non potevo lasciarti.
Stiamo attraversando un periodo difficile è vero, ma non voglio rinunciare a
noi, alla nostra famiglia. Io ti amo da morire e non posso pensare di
lasciarti, non posso- sento gli occhi inumidirsi e le lacrime scorrere copiose
lungo le mie guance. Non posso credere di star piangendo ma è tutto quello che
riesco a fare dopo aver sentito le sue parole.
- ti prometto
che sarò forte d’ora in avanti- dice prendendomi le mani nelle sue- Ho capito
che non posso più continuare a piangermi addosso o sentirmi come mi sento
ultimamente. Nel momento stesso in cui ho detto BASTA, l’ho urlato con tutte le
mie forze dentro alla mia testa credimi, ho capito che stavo sbagliando tutto,
che non potevo rifugiarmi da mio padre. E allora sono tornata indietro- finisce
con un sorriso mentre io vorrei avere a disposizione un cilicio da conficcarmi
nelle gambe. Mi rendo conto che mentre lei lottava con tutte le sue forze per
non lasciarmi io stavo facendo sesso con la mia segretaria sul divano del mio
ufficio, e poco importa se mi sono fermato, c’è una bella differenza tra quello
che stavo facendo io e quello che stava facendo lei. Lei ha preferito tornare
indietro, io invece cos’ho fatto? Niente. Assolutamente niente. Sarei potuto
andare via dall’ufficio nel momento stesso in cui avevo capito che era andata
via e andarle dietro fino al Queens e riportarla a casa. Invece mi stavo
trastullando con un'altra donna.È così
difficile in questo momento pensare o cercare anche solo di trovare qualcosa di
positivo in me. Sono solo uno stupido, uno stronzo e… lascerò che continui lei
ad insultarmi dopo che le avrò confessato ogni cosa.
-Edward,
smettila di piangere, sono tornata a casa adesso- o almeno dopo che avrò smesso
di frignare.
-Bella
io… io non so cosa dire…-
- dì solo
che sei felice- mi poggia una mano sulla guancia per scacciare via le lacrime –
ti ho visto ultimamente Edward, so quanto anche tu avresti voluto che
tornassimo a essere quelli di prima. Eccomi qui, sono qui. Voglio tornare ad
essere la Bella di prima, perciò dimmi solo quanto sei felice Edward, il resto
non conta-
O si che
conta. Non sai quanto conta.
La vedo
avvicinarsi e compiere un gesto che non le vedevo fare da mesi ormai: a
rallentatore, quasi volesse darmi il tempo di scappare via, poggia le sue
labbra sulle mie ed è come se tornassi a respirare liberamente l’aria pulita.Sentire di nuovo il suo profumo così vicino
al naso e saggiare con bramante lentezza quei petali di rosa che ha al posto
delle labbra mi sembra troppo bello per essere vero. Ma non è giusto quello che
sto facendo, no, non lo è per niente. Allora la allontano cautamente e subito la
vedo fissarmi quasi impaurita. Pensi che
non ti voglia più Bella?Lo so che è
questo quello che stai pensando e non sai quanto ti stai sbagliando amore mio.
-Bella…
no- le poggio le mani all’altezza delle spalle e mi rendo conto di quanto
stiano tremando.
-che hai
Edward? Che ti succede?- il suo tono di voce è così preoccupato che subito vedo
i suoi occhi diventare lucidi. Ecco, sono finito. Vederla piangere mi ha sempre
mandato KO.
-non… non
posso Bella- mi obbligo a dire quando in realtà è tutto il contrario di quello
che vorrei fare. Sento il sudore imperlarmi la fronte.
-come…
cosa? Perché?- si agita sul posto e il fatto di avere ancora le mani poggiate
sopra le sue spalle mi aiuta a farla stare ferma.
-io devo
dirti una cosa Bella. E credimi, è la cosa più difficile che ho fatto in vita
mia- strabuzza gli occhi probabilmente impaurita da quello che le ho appena
detto ed io con lei. Una gocciolina di sudore gelido scende lungo la mia
schiena facendomi rabbrividire.
-parla-
mi dice risoluta come se capisse che sto per ferirla irrimediabilmente.
Comincio
a balbettare -io… io ti ho… io ti ho- deglutisco con forza prima di continuare
mentre sento il mio cuore battere così forte che penso che potrebbe uscirmi dal
petto- sono stato con un'altra donna- dico di getto, non so nemmeno dove ho
trovato la forza per parlare.
Sul suo
viso vedo una miriade di sensazioni sovrapporsi una sull’altra: stupore,
incredulità, rabbia, spavento, panico, confusione, collera per poi lasciare
definitivamente il posto al dolore. Il suo ovale perfetto diventa
improvvisamente bianco ed è come se avvertissi anche io le scintille di
sofferenza trafiggere ogni singolo poro della sua pelle. Si accascia quasi
sotto al peso delle mie braccia e credo di dover allungare una mano per sorreggerla
quando con forza mi allontana cogliendomi impreparato. Mi guarda con occhi
carichi d’odio e talmente addolorati che bastano già quelli a punirmi. Senza
che me ne renda conto comincia a colpirmi al petto come per allontanarmi. Uno,
due, tre, quattro, cinque colpi bastano a farla scoppiare in un pianto
disperato e ad alzarsi dal divano per trovare rifugio in camera da letto.
La seguo
come un automa preda del disgusto che sento dentro.
La trovo
a guardare fuori dalla finestra con le braccia a cingerle la vita, come se si
stesse trattenendo dal cadere a pezzi -Bella ascoltami ti prego- dico
richiudendomi la porta della camera alle spalle.
-no! Non
voglio sentirti, vattene!- mi urla contro mentre si accascia a terra. Dentro di
me sento la strana sensazione di aver appena commesso un delitto. È questo
quello che si prova ad uccidere una persona? Perché io l’ho appena provato.
Sono.. devastato, ecco come mi sento. Le lacrime tornano a pungermi gli occhi
ma non mi impediscono di raggiungerla sul pavimento della stanza.
-perché…-
sussurra debole- perché?!- urla questa volta ancora scossa dai singhiozzi – non
ti bastava avermi fatto del male lasciandomi sola nel periodo in cui avevo più
bisogno di te? Ma tu non te ne sei nemmeno accorto, eh Edward? Di la verità!-
-no! No,
certo che me ne sono accorto-
-e allora
perché? Dimmi solo… perché?- mi chiede disperata e nei suoi occhi leggo tutto
il bisogno di sapere la verità.
-io, non
lo so- anche il mio tono di voce è disperato quasi quanto il suo – sono… sono
stato debole. Avevo bevuto e non ho capito niente di quello che stavo facendo.
Credevo di averti perso, ho chiamato qui a casa tante volte… ma tu non hai mai
risposto. Allora ho capito che mi avevi lasciato e… e poi è successo- le
lacrime che prima rigavano il suo volto adesso sembra che si siano congelate.
Mi guarda seria, troppo seria.
-è
successo questo pomeriggio?- mi chiede incredula ed io non posso fare altro che
annuire.
- e così
eh? Mentre io mi struggevo d’amore per te tu… tu mi stavi tradendo?- urla sconvolta
– tu te la spassavi con un'altra?- e così 3-2-1- bam! In pieno viso, uno
schiaffo così forte da risuonare in tutta la stanza. Provo immediatamente
dolore ma non fisico, è dentro che sto urlando.
- mi fai
schifo!- mi sputa addosso tutto il suo disprezzo con quella parola diventata
ormai così famigliare per me.
Si
pulisce le labbra come per scacciare via un sapore decisamente sgradevole ma in
verità capisco che si sta pulendo dal piccolo contatto che abbiamo avuto poco
fa.
-mi fai
schifo! Ed io ti ho pure baciato, ho toccato le tue mani. Mani con cui hai
accarezzato un’altra donna. Un’altra donna Edward! Come hai potuto farmi
questo? Come?- urla così tanto da rimanere senza fiato.
-io, mi
dispiace. Mi dispiace così tanto- cerco di difendermi da altri colpi che adesso
ha cominciato a sferzare con più violenza ma l’unica cosa che posso fare è
arrendermi davanti alla sua collera sapendo di meritarla tutta.
-ti
dispiace? No, non farlo. Non dirmi che ti dispiace perché non ti credo! Sapevi
quanto stessi male, lo sapevi. E invece di venirmi dietro e lottare per
riportarmi a casa hai preferito tradirmi! È questo l’amore immenso che provi
per me? Hai preferito uno squallido rapporto sessuale a me? Eri così frustrato
dal fatto che non ti toccassi più che alla prima occasione ti sei dimenticato
che esistessi? È dunque questo il mio valore? Io valgo meno di una scopata! Beh
complimenti, hai rovinato tutto per il costo di una sveltina- non ho mai
provato tanta vergogna in vita mia come in questo momento. Rimango inebetito a
fissarla senza la forza di dire niente quando d’un tratto si alza da terra e
corre ad aprire la porta.
-vattene-
sputa dura guardandomi disgustata.
Mi alzo
da terra per andarle incontro ma non certo per andarmene come mi ha appena
chiesto di fare.
-Bella,
no. Non vado da nessuna parte. Io… tu non sai quanto ti amo, è stato solo un
momento di debolezza. Non ha contato nulla per me. Nulla. Sei tu quella che
voglio, ti prego perdonami!- che ironia, le chiedo di perdonarmi quando io
stesso non riuscirei mai a farlo.
-non
essere ridicolo Edward, non posso perdonarti questo, non posso- dura e fredda è
così che è diventata adesso –perciò ti chiedo di andartene. Vai!- mi urla in
faccia facendomi trasalire.
Mi
prostrerei ai suoi piedi se solo sapessi di avere qualche possibilità di farmi
ascoltare o farle cambiare idea, ma so che non è così. L’ho ferita in modo
irreparabile e non posso fare altro che prendere atto della sua volontà. Perciò
incasso la testa nelle spalle e come se avessi il peso di centinaia di uomini a
gravare su di me mi giro e me ne vado.
Oggi
Fisso
ancora il fiume scorrere lento davanti ai miei occhi mentre mi rendo conto che
il ricordo di quella sera è così vivo nella mia testa che alcune volte vorrei
potermela staccare a morsi, ma poi capisco che rivivere tutto, il dolore che ha
provato Bella e quello che ho provato io, non sono altro che la penitenza che
ho da scontare ancora oggi dopo tanti anni dal fattaccio. Ed è in momenti come
questo che mi ritrovo a pensare a quanto le nostre vite siano inevitabilmente
condizionate dalle scelte che facciamo. Quella sera avrei potuto scegliere di
andarmene e invece non l’ho fatto, ed ecco quello che ho ottenuto: un bel
niente. Una vita arida di sentimenti, da vivere solo e con la possibilità di
vedere tua figlia solo tre giorni a settimana. Invece se quella sera mi fossi
fermato al mio ritorno a casa avrei trovato Bella ad aspettarmi sul divano,
pronta a dirmi quanto mi amava e soprattutto pronta a ricominciare da capo. E
forse a quest’ora, non forse ma sicuramente, staremmo a contare le ore che ci
separano prima di rivederci. Avrei la mia famiglia, starei con le persone che
amo invece di rimpiangere i miei errori. Un minuto di tempo che ha condizionato
per sempre la mia vita, eppure in un minuto è impossibile fare alcune delle
cose più elementari, come fare un caffè per esempio o lavarsi i denti. Eppure a
me sono bastati 60 secondi per decidere di fare sesso con Tania e gettare tutto
alle ortiche. Ho commesso un errore tre anni fa, un errore di cui sento ancora
forte e chiaro gli strascichi e che ancora oggi mi tiene attaccato a quel
maledetto giorno. Ho provato ad andare avanti davvero, a voltare pagina ma non
ci riesco. Bella crede che io mi veda con qualcuna o che comunque abbia avuto
altre storie dopo la nostra separazione, ma non è così. Certo, non nego di
essere uscito con altre donne ma il mio è più un diversivo per non passare
troppe serate da solo che sincera voglia di stare con loro. Quando poi è il
momento di riaccompagnarle a casa e mi invitano a salire dico sempre di no, a
questo punto sono loro che non vogliono più avere niente a che fare con me.
È
successo con tutte, tranne che con una.
Rosalie
Hale è la donna più testarda, più simpatica e amorevole che abbia mai
conosciuto, dopo Bella naturalmente. Dopo aver declinato il suo invito a salire
non mi ha chiuso lo sportello della macchina in faccia come invece avevano
fatto altre al posto suo, ma si è seduta di nuovo e guardandomi negli occhi mi
ha detto “menomale perché l’ho fatto solo per gentilezza, in realtà non mi
piaci per niente”, abbiamo passato quasi l’intera nottata a girovagare per la
città e a parlare delle nostre patetiche vite. Con lei sin da subito si è
istaurato un rapporto magnifico, e dopo aver messo in chiaro che non ci sarebbe
mai potuto essere nessun coinvolgimento sentimentale tra noi due, siamo
diventati ottimi amici. Una volta mi ha chiesto come mai io non riesca ad
andare a letto con nessun’altra donna dopo il divorzio, la mia risposta è stata
molto semplice: perché nessuna donna è la mia Bella. Mi è venuta di getto e in
modo così spontaneo che si è anche commossa. Si gente, avete capito bene, io
non riesco più ad andare a letto con nessuna donna. E non perché l’attrezzo che
ho in mezzo alle gambe non funzioni più, anzi quello funziona fin troppo bene
proprio perché non lo lascio sfogare come si deve, non so se mi spiego. Ma è
come se fossi bloccato. Ho provato così tanto disprezzo e disgusto verso me
stesso quella maledetta sera che non posso pensare di sentire di nuovo quello
stesso tsunami di emozioni. E poi, la risposta più ovvia oltre a quella che vi
ho appena dato è che amo ancora mia moglie, e non posso pensare di stare tra le
braccia di un'altra se la amo così disperatamente.
I primi
tempi dopo che mi ha cacciato di casa ho cercato di riconquistarla. Ho cercato
di fare in modo che lei mi perdonasse ma non è servito a niente, e quando un
giorno in mezzo alla posta ho trovato la lettera di convocazione per il
divorzio allora mi sono arreso. Anche in questo caso Bella ha fatto la sua
scelta e io non ho potuto fare altro se non rispettare la sua decisione.
Un
leggero bussare alla porta mi fa voltare e perdermi nel mare cristallino degli
occhi della mia amica. Come si dice, quando parli del diavolo…
-ehi?- la
saluto e sul suo viso compare subito un sorriso radioso.
-come
stai? Com’è andato l’incontro di questa mattina?- mi chiede entrando e
richiudendosi la porta alle spalle. Mi sono dimenticato di dirvi che adesso
lavora qui da noi e che Mike stravede per lei e che anche lei stravede per lui.
Stanno insieme da quasi un anno ormai.
La invito
a sedersi accanto a me – mmmh diciamo che è andata-
-perché?
Cos’è successo Edward?- la straordinaria propensione di Rosalie a preoccuparsi
per me non ha limiti. Perciò le racconto per sommi capi quello che è successo
con Bella, quello che ci siamo detti durante l’incontro con la maestra di
Sophie e del mio successivo invito ad andare nel locale di James.
-e..? dai
Edward non dovrò tirati le parole con le pinze vero? Dimmi cos’è successo-
Sospiro
prima di cominciare a parlare –niente, ci siamo seduti e abbiamo ordinato, poi
lei si è messa a ridere perché non potevo sopportare il sapore della cannella e
avresti dovuto vederla… era così serena e bellissima. Poi però all’improvviso
tutto è cambiato. Si è irrigidita e ha cominciato a raccogliere la sua roba per
andarsene, come se stesse scappando capisci? E così l’ho fermata-
-tu.hai.fatto.cosa?
E lei che ha detto?- mi scappa una risata che non riesco a trattenere,
sembriamo due ragazze intente a mangiare popcorn e a ingurgitare gelato
direttamente dalla confezione quando ci comportiamo così. Ma parlare con
Rosalie è davvero naturale per me. Lei mi da sempre (o quasi) consigli giusti e
non si risparmia dal giudicarmi. Ricordo che quando le ho raccontato del
tradimento invece di starmi vicino me ne ha dette di tutti i colori, ma
l’importante è che sia ancora qui no?
Mi
rivolge un occhiataccia troppo impaziente di sapere quello che è successo
invece di starsene seduta a vedermi ridere.
-niente,
mi ha detto che doveva andare via ed io l’ho lasciata andare-
-ah! E
qui che hai sbagliato caro mio. Avresti dovuto insistere. Secondo me sarebbe
rimasta se glielo avessi chiesto con più sicurezza- lei ha la strana e assurda
convinzione che Bella sia ancora innamorata di me e che quindi debba fare di
tutto per riprendermela.
-nahh
Rosalie avrei solo forzato la mano e non voglio mostrarmi troppo invadente-
-ma, sei
uno zuccone! Come faccio a fartelo entrare in testa? Quella donna ti ama
ancora, credimi. Ha tirato in ballo quello che è successo ieri sera per caso?-
-ti
riferisci al fatto che ci ha visti insieme nel ristorante dei miei genitori,
dove lei lavora, dopo che mi hai obbligato a portartici solo per farci vedere?-
le dico sarcasticamente giusto per farle capire ancora una volta che non è
stata un ottima idea andare al Gourmet
ieri sera.
-no
tonto. Ma certo che mi riferisco a quello! Ha detto qualcosa?-
-no, di
quello no. Però… ha accennato al fatto che non vuole che Sophie mi veda con
altre donne o che comunque incontri la donna con cui mi frequento-
-ah!-
-la
smetti di dire “ah!” È irritante-
-ah!
Quindi lei suppone che io e te stiamo insieme, giusto? E quindi non vuole che
vostra figlia venga a contatto con me, giusto? Ma perché viene a dirtelo solo
ora? Durante i weekend che hai a disposizione per stare con Sophie sarei potuta
esserci anche io, solo che prima non te l’ha mai fatto notare. Adesso invece
si, come mai?-
-e già,
come mai? Scommetto che stai per dirmelo-
-perché è
gelosa! Ecco perché-
Sbuffo
spazientito da quel ragionamento. Bella non mi ha mai fatto capire che prova
ancora qualcosa per me e ne tantomeno vado a pensare che la sua richiesta di
non farmi vedere da Sophie con altre donne sia una richiesta dettata dalla
gelosia. È più che normale che voglia tutelare la nostra bambina.
-senti
Rose, io non credo che tu abbia ragione-
-e invece
ho ragione caro mio-
-credimi,
non sai quanto vorrei che fosse vero- dico portandomi una mano tra i capelli. È
un gesto che faccio sempre quando sono frustrato.
-senti
non abbatterti, hai detto che dovrete passare più tempo insieme da adesso in
poi per via della bambina no?- certo che l’ho detto ma questo cosa cambia? Mi
odia per quello che le ho fatto non cambierà mai idea su di noi.
-si ,
allora?-
-bene,
sarà solo un modo per avvicinarvi di nuovo. Tu vai li con il tuo fascino
irresistibile, fai quelle quattro smorfie che piacciono tanto alle donne e
soprattutto a Bella e il gioco è fatto-
Scoppio a
riderle in faccia neanche avesse raccontato una barzelletta –Rose, io non
faccio smorfie e soprattutto non è così che funziona, almeno non con Bella.
Quando ci siamo visti per la prima volta neanche abbiamo parlato, è stato un
processo così naturale innamorarsi l’una dell’altro che non ho dovuto usare
nessun trucchetto. Con lei è sempre stato così. Ci capivamo senza nemmeno aprire
bocca ed è stato forse questo a farmi capitolare all’istante. Lei è diversa
dalle altre. È così spontanea e limpida-
-caspita
amico, mi fai salire il diabete così. Sei proprio perso eh? Okay, se è così che
vuoi far andare le cose allora facciamo a modo tuo. Non è detto che se è
capitolata una volta non possa succedere anche una seconda no?-
-okay
Rose, va bene come vuoi tu- dico di si ma in realtà non accetto il suo
consiglio, voglio solo che la smetta di parlare di quest’argomento. Forse mi fa
più male avere la certezza che non potrò mai più averla che il pensiero di
agire per riconquistarla, tanto non servirebbe a niente.
Scappa
via correndo quando le faccio notare l’orario e infatti si mette a urlare
perché in ritardo ad una riunione. Vorrei farmi scivolare addosso la
conversazione che abbiamo appena avuto ma è inevitabile ripensarci, così come
ripenso a quello che mi ha detto Bella stamattina e al fatto che adesso potrò
passare più tempo con Sophie. Forse le cose stanno girando per il verso giusto
questa volta, già il fatto di poter trascorrere più ore con mia figlia è un
traguardo che non credevo possibile raggiungere. Mi impegnerò almeno a
dimostrarle che posso essere un buon padre per Sophie che è il mio gioiello più
grande.
Ho
sbagliato un volta con la donna più importante delle mia vita. Non commetterò
lo stesso errore una seconda volta.
Questa è
una promessa.
Emmh emmh, se siete
arrivate sin qui vuol dire che non vi siete addormentate, è un capitolo un po’
lunghetto non trovate? Ma pieno zeppo di emozioni. Io per poco non mi sono
commossa mentre lo scrivevo, e sto dicendo la verità credetemi. Comunque lascio
il compito di giudicare a voi. A tal proposito non so come ringraziarvi per le
bellissime recensioni che mi avete lasciato nello scorso capitolo, GRAZIE
davvero, siete fantastiche. A breve risponderò a tutte non preoccupatevi! Ringrazio
chi ha inserito la storia tra i vari gruppi e chi recensisce.
Ringrazio ancora una
volta la mia Rò per essermi accanto. Se non sapete di chi sto parlando andate
nella sua paginetta AnImoR_7 e leggete le sue storie meravigliose *__*
Vi chiedo scusa, scusa,
scusa, scusa per l’immenso ritardo. Ma ho avuto un po’ di problemi. Non so se
con me stessa(è più probabile) o con la stesura del capitolo, sta di fatto che
non riuscivo proprio a concluderlo. Poi sono troppo pignola sapete? Leggo e
rileggo quello che scrivo cosi tante volte che alla fine mi faccio venire un
gran mal di testa. Anyway … alla fine ce l’ho fatta e spero che apprezzerete i
miei sforzi. Il capitolo è un po’ lunghetto (non me ne vogliate), ma rallegratevi
perché sarebbe dovuto essere più lungo, infatti l’ho interrotto e alla fine ci
ho messo un bel “Continua…”
Baciii e buon lettura!
Non capirà mai nessuno quanto amore ci mettevo
anche
solo per guardarti in faccia.
-Erri De Luca.
Venerdì 21 ottobre 2011
-bene così. Respirate
profondamente, lasciate che la musica e la respirazione vi liberino la mente da
ogni preoccupazione…- sento la voce di Jacob arrivare calda e profonda alle mie
spalle mentre si sposta nella sala a controllare che ognuno faccia l’esercizio
in modo corretto. Come vorrei che fosse facile “liberare la mente da ogni
preoccupazione” e invece no, la mia testa torna sempre li, sempre alla
settimana scorsa. È da quel giorno che mi chiedo se non abbia fatto male ad
andarmene e scappare ancora una volta da Edward. Che mi ritrovo a pensare “stupida, potevi almeno aspettare e vedere
cosa voleva dirti”, e invece no, ho preferito darmela a gambe e fuggire.
D’altronde è questo quello che sto facendo da tre anni a questa parte: fuggire
da lui e da quello che provo.
-rilassatevi, sento i
vostri respiri affannati. Dovete lasciarvi andare altrimenti non raggiungerete
mai la pace interiore-
“pace interiore un corno!” urlo nella mia testa. Neanche le lezioni di yoga
possono aiutarmi. E pensare che mi era parsa un’ottima idea iscrivermi.
-Bella?- sussulto
spaventata presa alla sprovvista, le mani di Jacob si poggiano delicate sopra
le mie spalle – c’è qualche problema? Ti vedo troppo tesa e rigida, non fai che
muoverti-
Sussurro un debole –
no, sto bene- e lascio andare un respiro profondo sperando che basti a
rassicurarlo e invece ottengo l’effetto contrario.
-a me non sembra. Lo
sai che il metodo migliore per lasciarsi andare è essere prima di tutto sinceri
con se stessi?- auch! Colpita e affondata.
“se solo riuscissi ad esserlo una volta per tutte
sarebbe fantastico” mi verrebbe da
dirgli e invece opto per una parziale verità, mooolto parziale ad essere
sinceri- solo stress da lavoro, tutto qui- in realtà il lavoro va a gonfie
vele.
-bene. Cerca di
rilassarti. Fai dei bei respiri profondi e prova a sgomberare la mente. Ci
riesci?- le sue mani cominciano a massaggiarmi il collo e a me sembra di
raggiungere il paradiso. Jacob è un istruttore di yoga molto valido, è dedito
alla propria spiritualità e solerte in ogni momento con noi, ma soprattutto è
un bravissimo ragazzo, ed è anche molto, molto bello. È… come potrei dire?
Affascinante si, e anche abbagliante. Caspita ha un sorriso che ti abbaglia; la
prima volta che l’ho visto sono rimasta incantata, difficilmente passa inosservato.
La cosa che mi piace di lui è che sembra avere un aura tutt’intorno così
limpida e calda che mi vien voglia di abbracciarlo. Alcune ragazze che seguono
il corso di yoga insieme a me sono soprattutto attratte dal suo aspetto fisico.
Ha dei pettorali che… Dio mi perdoni ma ho fatto dei pensieri impuri quando ho
visto quei pettorali. Non che vada in giro senza maglietta durante le lezioni
sia chiaro, ma un giorno Betty, la ragazza più sfrontata che abbia mai
conosciuto, ha lasciato che la sua bibita si rovesciasse “accidentalmente”
sulla maglietta di Jacob, che a quel punto è stato costretto a sfilarsela.
Delle goccioline di succo dietetico hanno preso a scivolare su quelle forme
scolpite e mi sono ritrovata a pensare che effetto mi avrebbe fatto passarci la
lingua sopra. Probabilmente fui colpita da un fulmine perché mi ritrovai a
sputacchiare da tutte le parti l’acqua che avevo appena ingerito. Da quel
giorno ho stampato nella mente l’immagine del suo busto nudo, e ogni volta che
entra in sala per fare lezione è come se improvvisamente la sua maglietta
sparisse insieme ad un altro briciolo della mia integrità.
Deglutisco a vuoto
sorpresa che quel pensiero mi solletichi così tanto la mente e provo davvero a
rilassarmi. Jacob continua la sua opera di distensione, massaggiando le mie
spalle tese e ad ogni pressione mi sfugge un sospiro di piacere, così mi lascio
andare alle sue premure accompagnata dalla musica meditativa. Arrivo ad un
punto in cui perdo quasi il contatto con la realtà, mi addormento quasi, e
sento davvero di poter liberare la mente da ogni pensiero, ma chiudere Edward
in un cassetto non è mai stato facile per me, in tre anni ho provato così tante
volte che alla fine ho gettato la spugna.
Lui farà sempre parte della mia vita e non
potrò mai imprigionarlo in un dannato tiretto.
Come ha detto Jacob
devo imparare ad essere sincera con me stessa e mi rendo conto che in tre anni
sono sempre rimasta attaccata al passato. Avrei potuto voltare pagina, rifarmi
una vita e invece sono rimasta ancorata al ricordo dell’amore che provavo per
Edward, al ricordo della nostra felicità.
Come se fosse un
burattinaio che trattiene il suo giocattolo e gli fa fare quello che vuole, lui
ha sempre tessuto i fili della mia vita e ha continuato a farlo anche dopo che
ci siamo lasciati. Arriverà mai il momento in cui reciderò quei fili? In cui mi
lascerò alle spalle ogni gesto, frase, sensazione che mi ha regalato quando
stavamo insieme? Lui è andato avanti, ogni volta lo vedo sempre con una donna
diversa.
Perché non posso fare
lo stesso anche io?
Già, perché? La
risposta è tanto semplice quanto sbagliata. Perché lo amo ancora come fosse il
primo giorno, perché non riesco a dimenticare la sensazione di perdermi in lui,
perché se solo fossi stata più coraggiosa tutto quello che è successo avrei
potuto tranquillamente evitarlo. Quante volte mi do la colpa di tutto? Quante
volte chiusa nella mia stanza di notte rivedo la scena di me e lui litigare e
alla fine io che lo caccio di casa…
Quante volte, vinta dal
dolore della lontananza, avrei voluto tornare indietro e provare a ricostruire
quello che si era rotto tra di noi, a lottare per ricucire il nostro rapporto
nonostante lui avesse fatto sesso con un'altra donna...
A questo punto mi
ritrovo sempre in lacrime perché penso ai brividi che mi hanno colpita solo ad
immaginare le sue labbra posarsi sulla pelle di un’altra. La mia immaginazione
mi trasmette tutto come se fosse un film e lo rivedo… rivedo il suo volto
bellissimo trasformato dalla passione, mentre si spinge dentro ad una donna che
non sono io, lasciandosi andare ai propri istinti. Ecco, tutto questo basta a
farmi dire: hai fatto la scelta giusta Bella.
“cazzo però,
dopo tutto quello che ti ha fatto dovresti odiarlo invece che continuare ad
amarlo come se non vi foste mai lasciati” già...Perché anche io ho il
diritto di sentirmi amata, desiderata e Dio solo sa quanto di notte sento il
bisogno di avere le mani di un uomo sul mio corpo, che mi facciano sentire
quello che non provo da così tanto tempo, che mi facciano sentire viva e donna
soprattutto.
Un vociare fastidioso,
simile al ronzio delle api, mi arriva alle orecchie facendomi riprendere il
contatto con la realtà. Non so quanto tempo sia durato il mio stato
d’incoscienza ma è bastato a farmi ritrovare con il viso inondato di lacrime al
mio “risveglio”.
Mi guardo intorno a
disagio asciugandomi le guance e mi domando quanto possa essere sembrata
stupida agli occhi degli altri. Per fortuna nessuno si è avvicinato preferendo
alle domande una bella doccia rinfrescante.
Mi alzo in fretta da
terra e raccolgo il mio tappetino viola infilandolo nella custodia. Solo io
posso mettermi a piangere durante una lezione di yoga! Mi consola un po’ il
fatto che sia stato Jacob, con i suoi massaggi, a farmi dimenticare di tutto il
resto e lasciare che i ricordi e i miei bisogni riaffiorassero in superfice con
così tanta facilità, e non perché ad un tratto sia diventata tanto pazza da
scoppiare in lacrime in un luogo pubblico ripensando al tradimento di mio
marito e al fatto che mi sento terribilmente sola.
Il responsabile del
misfatto compare alle mie spalle facendomi sobbalzare per la seconda volta nel
giro di un ora.
-Jacob- lo saluto e mi
volto per guardarlo in faccia, quasi mi spavento a trovarlo così vicino al mio
viso. Deglutisco rumorosamente e cerco di svignarmela ma lui è più veloce e mi
afferra per un braccio.
– come stai? – la sua
voce è roca. Mi guarda intensamente negli occhi come se volesse leggermi
dentro, allunga una mano per cancellare un ultimo residuo umido sul mio viso, e
non so nemmeno perché io diventi rossa e non riesca a collegare il cervello
alla lingua. I suoi occhi mi scrutano così a fondo che non riesco a pensare ad
altro. Il mio respiro si fa più corto e sbatto un attimo le palpebre prima di
riuscire a parlare.
-sto bene, grazie. Anzi
scusa per quello che è successo-
-non vedi chiedermi
scusa Bella - mentre parla continua a tenere il mio braccio intrappolato nella
sua mano. Forse dovrei dirgli di lasciarmi andare.
-emmh okay, è che non
so proprio cosa mi è preso- scuoto la testa mentre provo a tirami indietro e
per fortuna il mio braccio torna subito libero. Tiro inconsciamente un sospiro
di sollievo e aggrotto la fronte chiedendomene il perché. Jacob non mi farebbe
mai del male penso sicura, eppure il fatto di trovarmi sola con lui mi mette
agitazione. Forse è perché sento che il suo interesse nei miei confronti è
cambiato. Vedo come mi guarda e percepisco che ci sta provando. E
spudoratamente anche. I suoi occhi adesso indugiano sulla mia bocca e involontariamente
le racchiudo tanto da formare una linea retta. Raccolgo la mia roba da terra e
sto per salutarlo quando all’improvviso, come se nulla fosse mi dice:
-usciresti con me se te
lo chiedessi?-
Le mie sopracciglia si
inarcano automaticamente verso l’alto per poi congiungersi facendomi aggrottare
la fronte; lo guardo stranita.
-cosa?- è la prima
parola che mi viene in mente di dire mentre sento il mio cuore battere
impazzito.
Tossisce brevemente,
come per stemperare la tensione, per poi rivolgermi nuovamente lo stesso
sguardo serio di prima.
-ti sto chiedendo se
vuoi uscire con me Bella. A cena, soli, io e te. Ti va?-
Mi va?
Certo mi sarei
aspettata di tutto dopo la mia performance, ma non un invito a cena questo è
sicuro.
“forse vuole solo capire fino a che punto sono
pazza” penso “o forse vuole solo capire perché sono
scoppiata in lacrime; è preoccupato per me” o “molto più probabilmente vuole solo portarmi a letto, da un paio di
lezioni non fa altro che guardarmi”
No, non posso uscire
con lui.
“Ma perché dovrei dirgli di no? Lui è bello, affascinante,
libero e anche io lo sono, libera intendo. Uscire per una cena non ha mai fatto
male a nessuno”
No, non posso mi
incaponisco, non sarebbe giusto.
“non sarebbe giusto per chi? Prima o poi li devo
recidere quei fili. Non posso stare ad aspettarlo in eterno ”
Giustamente, mancava
solo che tirassi in ballo Edward. Però è vero, non posso stare a piangermi
addosso quando la prima a non voler cambiare le cose sono io. Caspita, uscire
con qualcuno è un passo importante però.
“andiamo, non devo mica sposarmelo domani!” sbotto spazientita.
Durante i miei tormenti
mentali Jacob non ha fatto altro che guardarmi intensamente con i suoi occhi
scuri come le profondità più recondite del mare, chissà cosa starà pensando mi chiedo agitata per poi arrivare
alla conclusione che devo sembrargli una stupida, ma la verità è che non ricevo
un invito a cena da così tanto tempo che non so più come ci si comporta in
questi casi.
-Bella se per te è così
difficile rispondermi adesso non preoccuparti, posso aspettare…- la sua mano
sale di nuovo ad accarezzarmi una guancia e quasi faccio un salto di due metri.
Sento come se
ustionasse a contatto con la mia pelle.
Abbasso lo sguardo per
posarlo sulle sue dita e la cosa che noto subito è il contrasto che la sua
pelle dal colore olivastro produce contro la mia invece bianchissima. Sospiro
ripensando a delle dita bianche e affusolate accarezzarmi in tutta la loro
lunghezza il viso, e non solo quello.
Sto per rispondergli e
dirgli… beh in realtà non so nemmeno io cosa, che il mio telefonino si mette a
squillare e dentro di me ringrazio chi ha interrotto questo momento tanto
imbarazzante per poi ricredermi subito dopo aver visto chi è a chiamare.
“Edward”
Come si dice: parli del
diavolo e spuntano le corna.
Incapace di dire anche
solo una mezza parola di scuse nei riguardi di Jacob che aspetta paziente una
mia risposta, accetto la chiamata pensando che peggio di così con può andare:
stare al telefono con il mio ex marito mentre mi trovo di fronte all’uomo che
mi ha appena chiesto di uscire a cena. Fantastico!
“pronto, Edward?”
“Bella, ciao” strizzo
gli occhi solo a sentire la sua voce “cosa c’è, è successo qualcosa?”
“no, no… o meglio si”
“allora dimmi” guardo
Jacob e gli faccio un gesto di scuse con la mano mentre mi allontano per avere
un po’ di privacy.
“è che… ho bisogno del
tuo aiuto”
“che ti è successo?”
gli chiedo subito preoccupata, da che ne ho memoria nonmi ha mai chiamata al telefono per chiedermi
aiuto.
“io sto bene
tranquilla” sono pronta a giurare che sul suo viso è appena comparso un
sorriso, anche il suo tono di voce è cambiato.
“signor Cullen? Signore la prego la stanno
aspettando da mezzora” sento in
lontananza la voce di qualcuno, forse la sua segretaria che lo esorta ad andare
e non so perché tiro un sospiro di sollievo nel ricordare il volto della
signora Cope, una donna sulla cinquantina che ha preso il posto di… di… di… mi
viene la pelle d’oca solo a ricordare il suo nome, vabbè avete capito comunque
a chi mi sto riferendo no?
Con la coda dell’occhio
vedo Jacob dirigersi verso la porta d’uscita, forse ha gettato la spugna. Beh
non posso fargliene una colpa, anche io l’avrei fatto al posto suo.
Con l’orecchio destro
ancora attaccato al telefono sento Edward rispondere in modo cordiale alla sua
segretaria dicendole che tra cinque minuti sarà libero per poi tornare a
parlare con me “scusa, mi attendono ad una riunione”
“allora sarà meglio che
ti sbrighi. Cosa ti serve Edward?”
“senti… ne riparliamo
stasera mmh? Ci vediamo a casa dei miei. E… Bella? Cerca di non fare tardi ho
davvero bisogno di parlarti prima di metterci a tavola. Per favore! ”
Sentendo il suo tono
quasi disperato non posso fare altro che accontentarlo “okay, okay, sarò lì
mezzora prima degli altri ”
“grazie, davvero. A
stasera”
“a stasera” rispondo ma
mi accorgo che ha già messo giù. Guardo il telefono con una smorfia pensando quanto
sia stato cafone. Sono davvero tentata di richiamarlo e inventare una scusa per
mandare in aria il suo piano, ma poi decido che i trenta minuti di tempo che
gli ho concesso diventeranno automaticamente quindici così saremo pari.
-Bella…- Jacob mi
raggiunge mentre sto per uscire dall’aula. Quando si avvicina mi porge unsemplice foglietto bianco ripiegato. Lo
prendo sospettosa.
-guarda che non è una
bomba Bella- dice scoppiando a ridere e i suoi denti bianchissimi fanno
capolino tra le sue labbra, abbagliandomi.
Tossico imbarazzata –
no… no certo che no! Ma cosa vai a pensare? È solo che mi stavo domandando cosa
fosse, tutto qui-
-è il mio numero di
telefono- dice tempestivo – voglio che lo tieni e che lo usi quando ti sentirai
pronta per uscire con me. Forse prima ho esagerato, non avrei dovuto piombarti
addosso e chiederti se volevi uscire così… a bruciapelo. Perciò prenditi tutto
il tempo che ti serve e quando vorrai, se vorrai, basta che tu mi faccia una
telefonata. Okay?-
Penso di guardarlo con
la bocca spalancata e uno sguardo da pesce lesso perché ricomincia a ridere di
nuovo, sbatto le palpebre e mi do ancora una volta della stupida. Allora non
era andato via, vuole seriamente uscire con me. Così seriamente che è
addirittura disposto ad aspettare i miei tempi. Dovrei mandare al diavolo tutti
una buona volta e fare quello che mi sento davvero. Dovrei agire d’impulso
invece di soppesare, pensare e ragione su ogni minima cosa che mi si presenta
davanti. Dovrei dire a Jacob che non ha sbagliato affatto prima, che ha fatto
benissimo e che si, uscirò volentieri con lui, perché in fondo una cena non ha
davvero mai fatto male a nessuno e poi… e poi quel che sarà, sarà. E invece
quell’attimo di lucidità arriva sempre. Quell’attimo in cui mi rendo conto che
non posso dire semplicemente si e basta. Che non posso mettere da parte tutto e
dimenticare quello che provo. Anche se consapevolmente so che sto sbagliando,
ancora una volta.
Lo guardo grata per la
“comprensione” che ha dimostrato nei miei riguardi e mi dico che forse non sarebbe
per niente una brutta idea uscirci insieme.
-adesso devo scappare-
dico mentre mi infilo il foglietto nella tasca del giubbotto che
improvvisamente sembra pesare dieci chili.
-si, va bene. Ci vediamo presto-
Gli sorrido mentre
imbarazzata più che mai gli volto le spalle e me ne vado.
**********
Guardo nello
specchietto retrovisore Sophie incantata, ammirare il suo vestitino di velluto
blu. Ne liscia la superfice sorridendo di tanto in tanto, troppo felice per
quel regalo inaspettato da parte del papà. Lo abbiamo trovato davanti alla
porta di casa questo pomeriggio: un enorme scatola bianca incartata con un
bellissimo fiocco rosa.Appena l’ha
visto Sophie ha pensato che fosse stato Babbo Natale a lasciarcelo; ci ho messo
mezzora per spiegarle che per Natale mancano ancora due mesi. Nel biglietto che
abbiamo trovato attaccato all’enorme fiocco c’era scritto:
“Per la mia
Principessa.. Papà spera tanto di vedertelo addosso questa sera”
Mi si è stretto il
cuore a leggere quelle parole e poi sono scoppiata a ridere per quello che
c’era scritto più in basso:
“ps: questo è un
messaggio per tua madre! Non sono tanto stupido da aver dimenticato quanto tu
possa essere vendicativa. Perciò non farmi aspettare troppo questa sera ti
prego. È davvero importante quello che ho da dirti. Edward ”
Così eccoci qui, a
pochi isolati dal 740 di Park Avenue con trenta minuti d’anticipo, come gli
avevo promesso.
Da quando ci siamo
separati io e Edward siamo stati costretti a sottostare alle rigide regole
della famiglia Cullen, regole che includono la nostra presenza, mia e di mia
figlia, alle cene di famiglia, due venerdì al mese ogni mese.
È stata Esme a
insistere perché appoggiassi questa sua richiesta e credetemi, davvero, non ho
potuto dirle di no. Già il fatto di lavorare per loro mi ha influenzato
abbastanza, considerando poi che per i molti impegni lavorativi e sociali che
una famiglia della loro importanza tratta abitudinariamente non sono mai
reperibili, mia figlia non avrebbe mai conosciuto i suoi nonni. E non voglio
assolutamente che Sophie stia lontana dagli affetti famigliari come invece è
successo a me. Mio padre è nato e cresciuto a Forks, piccolo paesino della
penisola Olimpica, poco distante da Seattle. Conobbe mia madre durante un corso
di formazione a Port Angeles. Lei si trovava li in vacanza con le sue amiche e
quando si videro scattò il tipico colpo di fulmine. Da allora non si sono più
lasciati e lui è stato più che disponibile a trasferirsi a New York per
allontanarsi da quel buco di paese. Lì ha lasciato i suoi genitori, ed io ho
visto così di rado i miei nonni che quando sono morti entrambi non sapevo
esattamente cosa provare. So per certo però, che mi è dispiaciuto immensamente
non averli avuti al mio fianco.
Arriviamo a
destinazione in perfetto orario e dopo aver posteggiato l’auto nel parcheggio
dell’edificio, saliamo all’ultimo piano utilizzando l’ascensore interno.
L’appartamento, vanta
otto camere da letto, dieci bagni, due librerie, due sale da pranzo e
complessivamente sei terrazze con vista mozzafiato su Central Park! Roba da non
crederci. Per
quanto lussuosa però, questa casa non ha niente a che vedere con l’atmosfera
che si respira nell’immensa villa di Riverbank sull’Hudson river, sempre
di proprietà della famiglia Cullen, la villa dove ho conosciuto Edward.
Le porte si spalancano
direttamente nell’atrio dell’immensa casa e ad accoglierci c’è come sempre Mrs.
Truman che con il suo caldo sorriso rallegra sempre queste serate.
-oh, mia cara Bella,
benvenuta- dice mentre prende i nostri soprabiti e rimane incantata ad
osservare Sophie stupenda questa sera nel suo abito blu. Si guarda curiosa
attorno pronta a scorgere qualche altro viso famigliare e non aspetta nemmeno
un attimo prima di correre a gettarsi tra le braccia del padre, comparso
improvvisamente dal corridoio laterale.
Bellissimo nel suo
completo grigio scuro afferra Sophie facendola girare in aria per poi
appoggiarsela saldamente contro il petto. Cominciano una lotta a suon di baci,
il tutto accompagnato dai festosi gridolini e dalle risate sguaiate di lei.
-Amore di papà! Ti sono
mancato, eh? Ti sono mancato?- la maschera di compostezza di Edward crolla
sempre davanti alla figlia lasciandosi andare ad esternazioni plateali del suo
affetto. Le sue facce buffe poi sono magnifiche.
-si! Tantissimo papino-
esclama Sophie per poi avvolgergli di nuovo le braccia intorno al collo.
-sei bellissima con
questo vestitino. Ti piace?- lascia che scenda dalle sue braccia per poterla
ammirare meglio.
-mmh-mmh, mamma dice
che semblo una plincipessa-
-è vero. La mamma ha
ragione. Sei perfetta, la principessa più bella che c’è- si siede sui talloni
per trovarsi alla sua altezza.
-anche più bella di
Aliel papà?- alzo istintivamente gli occhi al cielo per l’ennesima allusione a
La Sirenetta. È fissata con quel cartone, fissata!
Edward mi vede e fa un
sorrisino conscio anche lui della sua passione smodata.
-stai scherzando?- la
prende in giro facendola ridere per la sua faccia schifata – tu sei molto più
bella di Ariel, e di tutte le altre principesse, te l’ho già detto-
-che ne dici di andare
dalla nonna adesso?- mi intrometto io per mettere fine alla conversazione.
-si, andiamo!-
Lascio cadere la borsa
di Sophie con i vestiti per il weekend accanto al tavolo dell’ingresso e faccio
segno a Edward di non dimenticarla quando andrà via con la bambina questa sera.
Mi fa un cenno affermativo con la testa e poi lascia che Sophie corra libera
nei corridoi senza fine della casa.
Edward si alza da terra
e mi fissa così profondamente che mi sento avvampare. Comincia dai piedi, che
questa sera ho fasciato in un paio di decolté beige per passare poi al tubino
color vinaccia, i capelli li ho lasciati sciolti e il trucco è pressoché
invisibile. Si ferma quando incrocia il mio sguardo.
-sei bellissima- dice,
portandosi le mani in tasca.
Non so mai cosa
rispondergli quando mi lusinga con questi complimenti. Perché seppur graditi
sono senza dubbio inopportuni per due persone nella nostra posizione.
-emmh… si- tossisco
brevemente.
Sto per dirigermi verso
il centro della casa per riacciuffare Sophie prima che commetta qualche
disastro che mi sento tirare per un braccio e trascinata con la forza dentro la
cabina armadio dell’ingresso. La porta si chiude alle mie spalle con me
completamente spalmata sopra. Edward mi tiene stretta ed io comincio ad andare
in iperventilazione.
Che diavolo sta succedendo? Mi ritrovo a pensare.
Me lo trovo a meno di
cinque centimetri dalla faccia e l’unica cosa che riesco a considerare è quanto
mi manchi sentire il sapore di quelle labbra perfette. Senza rendermene conto
comincio ad avanzare nella sua direzione come se una calamita mi attirasse con
tutte le sue forze dalla parte opposta.
-Bella, devo parlarti.
Ho bisogno del tuo aiuto-
Improvvisamente ricordo
il motivo per il quale mi ha fatto venire con tanto anticipo e l’aria
cospiratoria che aveva al telefono. Quindi il fatto che mi abbia rinchiuso
nell’armadio è solo per poter parlare liberamente, senza orecchie indiscrete ad
ascoltarci.
“che stupida! E io che pensavo…”
-Bella, mi ascolti?-
Scuoto la testa per
prestargli attenzione ignorando la fitta che sento allo stomaco.
-si, si…dicevi?-
-stavo dicendo che
Alice mi ha incastrato-
La cabina armadio a
casa Cullen non è grandissima ma non è nemmeno tanto piccolina, anche se adesso
ha tolto le sue mani dalle mie spalle è costretto lo stesso a stare a
pochissima distanza da me. Distanza che io cerco di accentuare mettendomi a
sedere su un pouf dietro la porta.
-e quindi?-
-stasera verrà a cena
con Jasper e mi ha chiesto di aiutarla perché… beh perché hanno deciso di
sposarsi-
-oh Santa pace!- dico
portandomi le mani a coprire la bocca.
Jasper e Carlisle non
si possono tollerare. Almeno non da quando Carlisle ha scoperto che il fidanzato
di sua figlia, che all’inizio si è presentato sotto falso nome per poter
sottrarre delle importanti informazioni riguardo a un progetto molto ambito che
Carlisle stava portando a termine, non è nient’altropopodimenoche il figlio del
suo acerrimo nemico in affari Marcus Whitlock.
Quando venne scoperto
il sotterfugio Alice cadde quasi in depressione. Si lasciarono davvero in malo
modo, nonostante Jasper cercasse in tutti i modi di farle capire che si era
innamorato seriamente di lei e che non voleva perderla. Si giustificò dicendole
che la situazione gli era sfuggita di mano, che avrebbe dovuto fare finta di
stare con lei per poter entrare nelle grazie di suo padre ma che alla fine era
rimasto coinvolto sentimentalmente. Le ha chiesto mille volte scusa per non
aver avuto il coraggio di dirle tutta la verità ma a questo ci ha pensato
Carlisle, che quanto a teatralità non ha nulla di che invidiare agli
sceneggiatori di Broadway!
Quella sera eravamo
stati invitati tutti a cena per festeggiare la riuscita di questo “famoso”
affare che la Cullen’s Enteprises aveva concluso con grande successo. Eravamo
tutti sereni sicché il capo famiglia pensò bene di spiattellare tutta la storia
come se niente fosse tra il primo e la seconda portata.
Si scatenò il putiferio.
Carlisle che urlava da
una parte contro Jasper e Alice disperata strillava dall’altra senza riuscire a
capacitarsene. Sta di fatto che la cena si concluse con qualche osso ammaccato,
le ossa naturalmente erano quelle di Jasper.
Si lasciarono e per Alice
fu veramente difficile superare la cosa, ma ci riuscì e andò avanti. Se non
che, un po’ di tempo dopo, se lo ritrovò “per caso” nelle stradine affollate di
turisti dell’isola Caraibica di Nassau. Non fu facile per Jasper riconquistare
la sua fiducia, ma l’amava davvero e allora glielo dimostrò. Alice non durò più
di due settimane al corteggiamento serrato di Jasper, e alla fine vinse lui. A
testimonianza che l’amore, quello vero, vince su tutto. Adesso stanno insieme
da due anni e Carlisle ha accettato “relativamente” da poco il fatto che la
figlia sia tornata a frequentare il “traditore” come lo chiama lui.
Ma a quanto ho capito
hanno intenzioni serie. Alice tiene molto alla sua famiglia e stando a quello
che mi ha detto Edward, vuole coinvolgere tutti nella sua decisione di
sposarsi.
-oh Santa pace si! Che
facciamo?- la voce di Edward mi giunge alle orecchie come un campanello
d’allarme.
“neo-neo allarme rosso! Allarme rosso! Pericolo di
strage in arrivo!”
-come “che facciamo?”-
-tu dovrai aiutarmi!-
-cosa?- sbotto alzando
la voce.
-si, ti prego Bella non
puoi dirmi di no. Oggi mi ha chiamato Alice in ufficio raccontandomi di quanto
fosse felice perché Jasper le aveva appena chiesto di sposarla e che aveva
intenzione di dire tutto alla famiglia questa sera a cena. Mi ha chiesto aiuto,
mi ha chiesto di sostenerla in questa faccenda, di far capire al grande capo
che non si deve immischiare eccetera eccetera eccetera… lo sai quanto parla mia
sorella quando ci si mette, no?-
-si lo so- o almeno “lo
sapevo”. Alice non mi odia ma mi ha fatto capire chiaramente quanto non abbia
approvato la mia decisione di divorziare dal fratello. Non che giustifichi
Edward sia chiaro, però ha capito quanto tutti e due abbiamo sbagliato e vedere
il fratello soffrire come un cane dopo la separazione, ha contribuito a
inimicarmela. Mi ha fatto capire in mille modi che avrei dovuto perdonarlo e
che anche io avevo le mie colpe, ma non è servito a niente. Il mio orgoglio era
più forte di tutto il resto, all’epoca.
-quindi… cosa facciamo?
Tra un po’ arriveranno e già trovarselo davanti non sarà facile per papà-
-oh andiamo. È successo
tanto tempo fa, non è ora che Carlisle volti pagina?-
-non dirlo a me, lo sai
quante volte ho provato a farlo ragionare, ma non ascolta. Gli affari vengono
subito dopo la sua famiglia per lui e un colpo così basso non se l’aspettava,
si era affezionato davvero molto a Todd… cioè a Jasper. E poi ci è andata di
mezzo anche mia sorella-
-ma Alice l’ha
perdonato così come abbiamo fatto noi. Dovrebbe fare lo stesso anche lui-
Lo spazio angustio nel
quale ci troviamo è saturo dei profumi reciproci, posso sentire l’odore di
Edward infilarsi nelle mie narici, solleticare i neuroni olfattivi e provocarne
un ode di giubilo. Dio quanto mi è mancato il suo profumo.
-perché?- sbotta
portandosi le mani sui fianchi.
-“perché” cosa? Perché
Carlisle deve perdonarlo?-
-no, non mi riferisco a
quello, è ovvio che mio padre debba perdonarlo. Mi chiedevo perché sei così
contenta che Alice abbia perdonato Jasper dopo quello che le ha fatto e invece
io sono finito in croce, perché?-
Deglutisco
rumorosamente mentre sento la gola bruciarmi per l’arsura.
-oh Edward, ti prego…
non ricominciare- sbuffo alzandomi dal pouf con l’intenzione di andarmene. Ma
lui è più veloce di me è richiude la porta facendomi cozzare di nuovo con la
schiena contro il legno freddo. Le sue mani mi trattengono forte per le
braccia.
-non ricominciare un
corno! Dimmi perché Bella? Perché Jasper dopo aver ingannato tutti e aver preso
in giro mia sorella che si fidava di lui è il martire della situazione. Mentre
io sono il demonio e per questo non ho meritato nemmeno che tu mi stessi ad
ascoltare! - mi dibatto così forte che riesco quasi a liberarmi dalla sua presa
ma lui usa ancora più forza e con un movimento mi riporta a sbattere di nuovo
contro la porta – dimmi perché!- mi urla in viso.
-perché ti amavo più di
ogni altra cosa al mondo! Perché mi hai fatto del male! Perché hai gettato il
nostro passato alle ortiche! Perché non te ne fregava più niente di me e di
noi! Ecco perché!- esplodo guardandolo dritto negli occhi e quello che vedo non
mi piace per niente. Ma è stato lui a provocarmi perciò che non venga a
lamentarsi. Il mio cuore batte impazzito e non riesco a farlo calmare, non con
lui che mi guarda come se volesse mangiarmi… di baci.
-Dio Bella… non capisci
quanto ti amavo?- le sua mano destra scende ad accarezzare il mio fianco
sinistro facendomi sentire mille brividi, mentre con l’altra mi trattiene forte
per il braccio- quanto avevo bisogno di te e tu invece mi hai voltato le
spalle? Non prendertela solo con me, non sono stato solo io a rovinare tutto-
le sue parole sono come il sale su una ferita aperta e mi fanno male, tanto
male. Possibile che dipenda ancora così tanto da quest’uomo? Da lui che è la
mia felicità e al tempo stesso la mia rovina? Sento gli occhi inumidirsi e un
piacere insostenibile sconvolgermi l’anima. Se mi prendesse in questo momento
giuro che non opporrei resistenza, davvero. Ma non lo fa… anzi mi libera il
braccio dalla morsa della sua mano e si raddrizza guardandomi più pallido di un
cencio.
-Edward..- provo a dire
ma le parole mi muoiono in bocca.
Sobbalziamo entrambi
quando sentiamo il “tlin” dell’ascensore e rumori all’ingresso. Forse Alice e
Jasper sono arrivati. Proviamo a nasconderci ma comprendiamo all’istante che
verremo scoperti, il posto è troppo piccolo per poter passare inosservati e
Mrs. Truman deve aprire per forza la porta per posare i soprabiti. Ci
stringiamo lo stesso contro una fessura dell’armadio e dentro di me prego Dio
che nessuno ci veda, come giustificheremo altrimenti la nostra presenza qui?
Edward mi spinge dentro in modo che rimanga lui fuori provando a camuffare la sua
presenza con il vestito scuro che indossa posizionandosi di schiena. Ma la
zazzera di capelli rossicci gli si vede eccome, perciò con uno strattone alla
cravatta lo costringo ad abbassare la testa verso l’interno e automaticamente
anche verso di me. Il mio cuore batte come un tamburo schiacciata come una
sardina contro il muro da una parte e contro Edward dall’altra.
Se prima ho sentito
vagamente il suo profumo impregnare l’aria adesso c’è l’ho proprio addosso ed è
impossibile per me non provare ad avvicinare il naso verso il suo collo e verso
quell’aroma indescrivibile. Per nascondere la mani bianchicce e costretto ad
appoggiarle contro il muro ai lati della mia testa; in pratica sono in gabbia.
I nostri respiri si fanno affannati ed io sento di nuovo quella strana
sensazione che ho sentito poco prima, alla base del ventre.
Mrs. Truman apre la
porta e per fortuna non accende l’interruttore, che noi avevamo
provvidenzialmente spento, e già di per se è una gran bella botta di culo.
Appende i soprabiti con lentezza tant’è che mi domando se staremo qui tutta la
notte e poi, così come se niente fosse, si richiude la porta del guardaroba
alle spalle e se ne va.
Rilasciamo all’istante
un sospiro di sollievo e lascio che Edward si raddrizzi e si aggiusti la cravatta.
Mi guarda esitante come per chiedermi
“sei sicura di voler andare via?” si, sono sicura. Anche perché non è ne il
momento ne il luogo per portare avanti la conversazione di prima, perciò come
una tacita risposta annuisco tra me e me e vado via.
**********
-mi passi l’insalata
Jasper?- chiedo al mio amico che se ne è stato immobile per tutto il tempo.
La cena prosegue senza
intoppi ormai, nonostante la rigidità che si è venuta a creare all’inizio con
l’arrivo dei futuri sposi.
Carlisle siede a capo tavola
impeccabile nel suo vestito blu, contrapposto a Esme seduta proprio di fronte a
lui, bellissima in verde e con i capelli color caramello tirati indietro. Io mi
trovo alla sua destra e difronte a me è seduto Edward, che non fa altro che
guardarmi in modo strano da quando ci siamo seduti. Non posso fingere che non
sia successo niente nel guardaroba, perché qualcosa è successo eccome. Già di
per se quello che ho provato non è stato affatto un bene. Dio, vorrei avvolgere
il nastro del tempo e tornare indietro.
Accanto a me è seduta
Sophie, che da brava bambina cerca di mangiare tutto quello che ha nel piatto.
Naturalmente la sua cena consiste in un semplice piatto di pasta al sugo, non
la costringerei mai a mangiare quello che mangiamo noi. Ogni tanto ha bisogno
d’aiuto e si rivolge sia a me che a sua zia Alice seduta proprio accanto a lei.
Jasper le sta di fronte.
La conversazione non è
mai andata oltre ai semplici complimenti verso l’ottima cucina di Mrs. Truman,
con Carlisle che ogni tanto tossisce facendoci sobbalzare tutti.
-okay, adesso basta!-
dichiara Alice spazientita alzandosi in piedi dopo l’ennesimo attacco di tosse
del padre.
-Alice tesoro non c’è
bisogno che tu faccia una scenata- ribatte lui portandosi per l’ennesima volta
il bicchiere del vino alle labbra. Penso che sia un po’ alticcio.
-non c’è bi… non c’è
bisog… c’è bisogno eccome, papà! La vuoi smettere di comportarti così?- urla
sbattendo una mano sul tavolo tanto che Sophie sobbalza spaventata. Mrs. Truman
impaurita dalle urla compare sulla soglia della camera da pranzo e prima che
torni indietro le faccio segno di portare la bambina con se in cucina. Sophie
la segue senza protestare.
-Alice per favore non
c’è bisogno di alzare la voce- ribatte Edward una volta che siamo soli.
-si amore calmati- gli
fa eco Jasper guardandola apprensivo.
-tsè “amore”!- è quello
che dice Carlisle che incassa subito un occhiataccia da parte di Esme.
-okay sentite- mi
spazientisco anche io- non c’è bisogno di urlare o di fare scenate. Siamo
persone adulte e possiamo parlare in modo civile- Edward mi guarda e annuisce –
perciò… fatela finita! Alice e Jasper sono venuti qui questa sera perché ci
devono mettere al corrente di una cosa importante, quindi Alice- dico
rivolgendomi alla diretta interessata – perché non arriviamo subito al punto?-
Carlisle si irrigidisce
sulla sedia così come fa la moglie, entrambi pronti a sentire quello che la
loro figlia ha da dire.
-oddio sei incinta!-
sbotta allarmata Esme portandosi una mano a coprire la bocca.
-tu! Sei un uomo
morto!- urla Carlisle alzandosi dalla sedia rivolgendosi a Jasper che lo guarda
scioccato.
-basta! Smettetela!- si
intromette a questo punto Alice – non sono incinta!-
All’istante vedo i
volti di Carlisle e Esme riprendere colore.
-e allora cosa ci devi
dire?- ribadisce quest’ultima agitata.
Dopo aver preso un
profondo respiro Alice guarda entrambi i genitori e finalmente dice:
-mamma, papà… io e
Jasper abbiamo deciso di sposarci- e alza la mano per far vedere l’anello di
fidanzamento che Jazz le ha messo al dito soltanto poche ore fa.
A questo punto
succedono due cose separate e per nostra sfortuna alquanto prevedibili.
Esme si alza felice per
andare ad abbracciare la figlia.
Carlisle invece si alza
e afferra Jasper dalla giacca guardandolo furioso.
-tu non la sposi mia
figlia, sono stato chiaro?- con i capelli biondi che gli ricadono sulla fronte
e gli occhi arrossati per il troppo vino sembra un felino pronto ad azzannare.
Alice e Esme spaventate
dalle scena emettono entrambe un singhiozzo allarmatomentre Edward si alza per staccare il padre
dal collo e dalla faccia di Jasper.
-Carlisle!- urla Esme
terrorizzata dal gesto del marito.
-papà non fare così.
Non c’è bisogno che si arrivi a questo- dice Edward trascinando il padre dall’altra
parte del tavolo – tua figlia ha fatto la sua scelta, ha deciso che vuole
passare il resto della sua vita accanto a quest’uomo. E tu non puoi fare niente
per impedirglielo. Vuoi che se ne vada e che non torni mai più? È questo quello
che vuoi? Vuoi distruggere la nostra famiglia? Perché lo sai che si sposeranno
ugualmente –
-è vero. Signore la
prego mi ascolti- Jasper tossisce imbarazzato provando ad aggiustarsi la
cravatta che in seguito all’agguato di Carlisle si è tutta sgualcita.
–io amo sua figlia. La
amo dal più profondo del cuore e so che non basteranno le mie parole per farle
dimenticare tutto quello che è successo in passato. Tutto quello che io ho
fatto in passato. Ma non ha importanza perché Alice mi ha perdonato e so che se
solo volesse potrebbe farlo anche lei. Quello che dice Edward è vero. Io e
Alice ci sposeremo ugualmente, con o senza il suo appoggio. Perché ci amiamo e
vogliamo vivere insieme per il resto della nostra vita. Non so se capisce
quanto sia difficile per me, stare qui, di fronte a lei a dirle queste cose. Ma
questi sono i fatti. Ora, lei può decidere se vuole remare contro la nostra
unione oppure se vuole essere accanto a sua figlia nel giorno più importante
della sua vita. Cosa vuole fare?-
Giuro che da quando lo
conosco non ho mai sentito Jasper parlare così tanto, e mi stupisce non poco il
suo discorso. Con la coda dell’occhio mi accorgo che Edward sta guardando nella
mia direzione “si Edward, anche noi ci
amavamo così tanto” mi ritrovo a pensare.
Alice lascia il braccio
della madre e va da Jasper che impaziente aspetta una mossa da parte di
Carlisle.
-papà ti prego, fallo
per la tua famiglia- sussurra Edward ancora attaccato al suo braccio.
Quest’ultimo lo guarda
intensamente negli occhi prima di decidersi a parlare.
-proprio tu dici
questo? Tu che non hai esitato un attimo a voltarmi le spalle, ad abbandonare
il posto di amministratore delegato nella nostra azienda!- gli urla contro
spintonandolo verso il muro- tutti questi anni ho lavorato duramente per
potervi dare il meglio e per arrivare dove sono ora, eadesso… adesso devo vedere qualcuno che non è
mio figlio ricoprire un posto che ti spetta di diritto! Ho sudato, ho faticato,
ho baciato il culo a centinaia di persone per ottenere tutto questo- alza una
mano per indicare la casa lussuosa che ci circonda- per farti studiare nelle
migliori scuole del paese, per darti un nome. Senza di me non saresti nessuno
Edward e questo lo sai benissimo. Ma non te ne è fregato niente, no. Dov’era il
tuo senso di famiglia quando hai deciso di abbandonarmi? Non hai pensato ai
mille sacrifici che abbiamo fatto io e tua madre per te, per voi. Per
insegnarvi tutto quello che dovevate sapere della vita. Stiamo insieme da
trenta anni ormai e ci amiamo ancora come se fosse il primo giorno, ma questo
non ti è stato d’esempio, non ti ha aiutato nemmeno a tenere in piedi il tuo
matrimonio- una fitta di dolore passa negli occhi di Edward che lo guarda
ammutolito - che cosa ti ho insegnato Edward mmh? Dimmelo perché non vedo
niente di quello che ti ho insegnato nell’uomo che sei diventato!-
-Carlisle adesso
basta!- la voce di Esme è forte e risoluta quando si avvicina al marito per
scrollarlo dal volto del figlio e farlo ragionare- è tuo figlio e nonostante ti
abbia deluso non permetterò che continui ad umiliarlo in questo modo, perché è
anche mio figlio e non voglio che tu gli parli così, non davanti a tutti
quanti… soprattutto non davanti a Bella-
Il mio viso è una
maschera di stupore e smarrimento; sento come se tutto il mio sangue fosse defluito
via dal mio corpo. Non ho mai sentito Carlisle dire queste cose nei confronti
del figlio, mai. Vorrei avere la forza di alzarmi e dire qualcosa in sua
difesa, ma è come se il mio sedere fosse attaccato alla sedia e le mie labbra
cucite ermeticamente . Edward mi rivolge uno sguardo addolorato che mi
atterrisce del tutto.
Guardo gli altri
presenti in sala e mi accorgo quanto anche loro siano rimasti spiazzati.
-Esme…- sussurra
Carlisle appoggiandosi malamente sulle spalle della moglie – accompagnami in
camera, non mi sento tanto bene- le sue mani corrono subito a slacciare il nodo
della cravatta e ad aprire i primi bottoni della camicia.
-Edward chiama un
dottore- dico destandolo dal suo stato di catatonia e risvegliandomi a mia
volta.
-papà cos’hai?- la voce
di Alice è allarmata eco della mia.
Jasper corre subito a
soccorrere Esme che non riesce a mantenersi dritta sotto il peso del marito.
Quest’ultima è più bianca di un lenzuolo -Oddio Carlisle, cosa ti succede?-
Alice le si avvicina e
la prende per le mani mentre con l’aiuto del maggiordomo, Jasper riesce a
portarlo di sopra, al piano rialzato dove si trovano le stanze da letto. Un
breve sussurro di Carlisle rivolto a Jasper in cui gli intima di non toccarlo
mi tranquillizza un po’; almeno non ha perso conoscenza e la voglia di
litigare.
-il Dottor Randall sta
arrivando- annuncia Edward entrando in sala ancora più scosso di prima dopo
aver parlato con il medico di famiglia.
-mamma… mamma sta
tranquilla. Vedrai che non è niente, forse si è solo agitato troppo- la
rassicura il figlio. Il tono della sua voce è disperato, in netto contrasto con
le parole che ha appena pronunciato.
-Edward… cosa faccio
semmai dovesse succedergli qualcosa…- sussurra più a se stessa che a qualcuno
in particolare.
Mi avvicino per farla
sedere e le metto in mano un bicchiere d’acqua sperando che l’aiuti a calmarsi.
Edward e Alice si avvicinano subito per consolarla. I suoi occhi sono vitrei,
troppo spaventati per riuscire a vedere bene quello che vedo io, e cioè due figli
in preda all’angoscia e alla paura di aver appena causato un principio
d’infarto al proprio padre, due figli che in questo momento stanno bruciando
sul rogo della vergogna, consapevoli di aver deluso una delle persone più
importanti della loro vita.
Continua…
Ed eccoci qui, cosa ne
pensate? Povero Edward… ce l’hanno tutti con lui L
Spero davvero con tutto
il cuore di riuscire a scrivere il nuovo capitolo entro la settimana prossima e
non farvi aspettare così a lungo, ve lo meritate! Soprattutto per le bellissime
recensioni che mi lasciate ogni volta. NON SO COME RINGRAZIARVI! Però adesso
voglio sapere cosa ne pensate di Jacob e dell’invito a cena, dell’incontro nel
guardaroba, della lite di Edward con Carlisle e del malore di quest’ultimo. Su
su che sono supercuriosa!
Ps: entro stasera
risponderò alle recensioni dello scorso capitolo! Baciiiiiii
Hello everybody! Sono
in ritardo lo so, ma la frenesia di queste settimane mi ha praticamente
impedito di scrivere.
Vi lascio al capitolo…
Buona lettura! ^_^
Capitolo 5
Il vero amore può nascondersi.. confondersi.. ma non può
perdersi mai..
Sempre e per sempre dalla stessa parte mi troverai...
Francesco De Gregori - Sempre E Per Sempre
-mammina… ma è velo che nonno Cal ha la bua?- la
voce di mia figlia arriva ovattata da sotto la stoffa della maglia del
pigiamino che le sto infilando. Quando emerge dal foro della testa con il suo
manto di capelli rossi mi guarda in attesa che le risponda mentre si sposta
alcune ciocche dalla faccia.
-chi te lo ha detto?- la guardo cominciando ad
innervosirmi. Dire a una bambina una cosa del genere; ma siamo matti?
-la nonna Esme che lo ha detto alla sinnola Tluman-
ah beh in questo caso forse posso chiudere un occhio. Dubito che Esme scossa
per il malessere di Carlisle si sia accorta che c’era anche Sophie in cucina
immersa a giocare con le stoviglie dietro l’isola, che poi è la posizione in
cui l’ho trovata io e che la signora Truman mi ha confermato di aver mantenuto
per tutta la serata, dal momento in cui l’ho allontanata dalle urla della sala
da pranzo: “è stata tutto il tempo buona
buona a giocare a fare la cuoca, non si è accorta di niente” così mi ha
detto.
-si- a questo punto non posso fare altro che dirle
la verità - è vero, il nonno ha la bua ma non è niente di grave, guarirà
presto-
-è pel questo che devo dolmile qui?- di comune
accordo con Edward abbiamo deciso che è meglio farla rimanere qui stanotte. Le
condizioni di Carlisle non sono tanto gravi, anche se il dottor Randall ha
insistito tanto affinché si trasferisse in ospedale ma lui ha dissentito
categoricamente. Ha detto che si è trattato di un principio di infarto, come
avevo pensato anche io, ma che i sintomi sono completamente scomparsi. Anche se
non è da escludere una possibile ricaduta, perfino nel giro di poche ore,
Carlisle non ha voluto sentire ragioni. Per il momento è nella sua camera da
letto vegliato da Esme che non lo lascia mai, nemmeno per un attimo. Prima di
chiuderci la porta della sua camera alle spalle però, siamo riusciti a
strappargli almeno la promessa di una visita più approfondita; in ospedale
questa volta.
-si tesoro, papà è molto agitato e vuole stare
accanto al nonno ed io non voglio che per questo non possiate stare insieme,
perciò si, rimarrai qui stanotte. Dormirai insieme a papà nel lettone grande
della stanza blu. Ti piace quella stanza non è vero?- questa mi è sembrata la
soluzione più “pratica” per tutti.
-mmh- mhh ma mami… pelchè non limani pule tu? Tu non
sei agitata pel il nonno come papà?- e certo! Perché se è vero che due più due
fa quattro allora non devo stupirmi di niente se la mente di mia figlia è
arrivata alla conclusione più logica. Se suo padre è tanto preoccupato da voler
rimanere qui allora perché non dovrei rimanerci anche io? Posso forse
dissentire dal fatto che sono altrettanto preoccupata per Carlisle come lo è il
figlio? La mente diabolica della mia piccina è arrivata prima di me a questa
conclusione ed io ci sono caduta dentro con tutte le scarpe.
-emmh, si certo che sono agitata per il nonno, ma
penso che sia meglio che tu e papà stiate soli-
-ma io voglio che limani pule tu- il suo tono di
voce rasenta la disperazione, il che mi fa capire che se non le dirò quello che
vuole sentirsi dire scoppierà in un pianto disperato nel giro di due secondi.
Anche il suo labbro inferiore sta cominciando a tremolare.
-sono offeso sai? Non vuoi rimanere sola con il tuo
papà?- la voce di Edward che mi giunge alle spalle è la mia salvezza; il
sorriso sghembo che mi rivolge mi fa capire che ha sentito tutta la nostra
conversazione. Lo guardo avvicinarsi con la cravatta allentata e i primi
bottoni della camicia aperti. Tiene le mani in tasca e quando mi è
completamente vicino sento chiaramente l’odore di whisky mischiarsi con il suo
profumo inconfondibile. Non mi stupisce che si sia fatto un cicchetto dopo
l’estenuante serata. Sophie in piedi davanti a noi ci guarda triste e con il
labbro inferiore arricciato, benché adesso non tremi più. Sento una fitta al cuore
nel vederla in questo stato: addolorata, perché vorrebbe entrambi i suoi
genitori a tenerle compagnia durante la notte e combattuta, perché non può
scegliere tra uno dei due. Mi guarda smarrita non sapendo esattamente cosa fare
anche se capisco chiaramente quali sono i suoi dubbi al momento: vorrebbe stare
con il padre ma allo stesso tempo non riesce a rinunciare alla mia presenza. È
in momenti come questo che mi chiedo se sia possibile sistemare ogni cosa con
Edward per il bene di nostra figlia. È inconcepibile dopotutto che una bambina
di tre anni debba trovarsi ad affrontare tali dilemmi. Il prezzo da pagare
sarebbe il mio orgoglio e la mia dignità di donna, ferita e tradita. Ma in
cambio cosa guadagnerei? Molto di più,
rispondo in automatico.
Avrei finalmente indietro quella felicità che mi
manca più dell’aria che respiro, avrei indietro l’uomo che amo, ridarei una
famiglia a Sophie che è quello che desidera di più e finalmente non mi sentirei
più sola. Perciò la domanda che devo pormi in questo momento è: posso farlo?
Non posso.
“Voglio” farlo? mi correggo
mentalmente.
-senti facciamo così…- comincia a dire Edward ma
interrompo bruscamente qualsiasi scusa che sta per uscire fuori dalla sua bocca
prendendo finalmente la mia decisione.
Si, voglio
farlo. Per me ma soprattutto per Sophie.
-va bene- dico semplicemente sovrastando la sua voce
– rimango pure io, sei contenta?- sul viso di mia figlia compare subito un
sorriso radioso che è lo stesso che aleggia sul mio. Rilascio un profondo
respiro quando mi getta le braccia al collo e mi accorgo solo in quell’istante
che ho trattenuto il fiato per tutto il tempo, Edward non perde occasione di
rivolgermi uno sguardo stralunato.
“davvero?” mi mima con le labbra ed io mi limito solo ad
annuire con il viso nascosto nei morbidi capelli di Sophie.
-papà andiamo- lo esorta lei dopo esserci liberate
prendendogli una mano nella sua.
-emmh si, cominciate ad andare. Io arrivo subito-
-non fale taldi pelò- e come per rafforzare quello
che ha appena detto un sonoro sbadiglio le fa spalancare la bocca e lacrimare
gli occhi, a conferma che crollerà di lì a breve non appena poggerà la testa
sul cuscino. Per il momento si limita a trascinarmi con decisone per i corridoi
della casa.
Quando entriamo nella stanza blu, ribattezzata così
per il colore indaco del muro e per la trapunta del letto in coordinato, che
“tra parentesi” piace tanto a mia figlia perché le ricorda il mare de La
Sirenetta, si getta subito in mezzo alla morbidezza dei cuscini come se fossero
dune di sabbia.
-a letto Sophie su, è tardissimo- la rimbecco
scostando le coperte per infilarcela sotto.
-ma io voglio aspettale papà!- sbuffa stizzita
mettendomi il broncio. E ogni volta è la stessa storia perché non resisto a
quella visione e mi butto addosso a lei per riempirla di baci e farle il
solletico. Ride a squarciagola anche stavolta e non credo le dispiaccia più di
tanto che io reagisca in questo modo, anzi, sono sicura che lo faccia apposta
ormai, che mi provochi quasi.
-batta! Ti plego! Batta mami!- allontano le mani dai
suoi fianchi ma continuo a tenerla stretta a me inalando il suo profumo: lei è
il mio tesoro più grande. Morirei senza di lei, senza il suo sorriso radioso,
senza i suoi occhi verdissimi, senza la sua chioma leonina, senza la sua
esuberanza, senza la sua dolcezza, senza la sua testardaggine o la sua voglia
di vivere. È per lei che non posso più fare finta di quello che provo: il breve
incontro che abbiamo avuto nel guardaroba ha risvegliato in me qualcosa che
credevo sopita da tempo, e Dio se mi sono accorta di quanto mi manca! Nel
momento stesso in cui ho preso la mia decisione, ho capito che non posso più
nascondere il mio amore per Edward. È per questo che mi trovo qui, in attesa
che lui arrivi, in attesa di comportarci come due veri genitori per Sophie.
Forse sono più impaziente io di lei; il battito accelerato del mio cuore
rispecchia la mia frenesia.
Bacio un ultima volta la sua guancia paffutella e
poi lascio che si infili sotto le coperte.
-dov’è Peter?- mi chiede allarmata mentre spengo la
luce per accendere l’abatjour sul comodino accanto al letto. Peter è un
coniglietto ed è il suo pupazzo preferito, non se ne separa mai. È la prima
cosa che le ha regalato Edward e tiene a lui più che a qualsiasi altra cosa, forse
anche più de La Sirenetta, il che è tutto dire.
Dopo aver esplorato per un attimo la stanza lo trovo
ai piedi del letto -eccolo, è qui tieni-glielo porgo dopo averlo spolverato e lei tutta contenta me lo strappa
letteralmente dalle mani; certe volte credo che voglia più bene a lui che a me.
Mi tolgo le scarpe e mi stendo al suo fianco. Lei si
rannicchia tra le mie braccia ed io prendo ad accarezzarle i capelli. Come
avevo preventivato non passano nemmeno dieci minuti da quando ci siamo messe a
letto, che già dorme beata. Ha pronunciato una paio di volte il nome del padre
e poi è scivolata in un sonno profondo. Gli vuole un bene dell’anima e non
posso stupirmi di amarlo di più anche per questo. Edward è il padre migliore
che potessi desiderare per mia figlia. A questo proposito non posso fare a meno
di chiedermi cosa gli dirò quando entrerà in stanza.
In attesa del suo arrivo mi faccio prendere da una
specie di crisi di panico.
E se non volesse stare qui con me?
Se non si sentisse pronto a ciò che voglio io?
Forse sono stata troppo frettolosa, insomma... fino
alla settimana scorsa l’ho visto in compagnia di una donna al Gourmet. Il fatto che lui abbia voltato
pagina vuol dire che l’ha voltata davvero; in tutti i sensi. Eppure prima,
quando eravamo rinchiusi nello spazio piccolissimo del guardaroba, ho sentito
qualcosa anche da parte sua. Un trasporto totalmente nuovo in confronto a
quello che ci ha legato negli ultimi tre anni. Ho avuto l’impressione che
volesse baciarmi, che volesse stringermi forte al suo petto quando ha lasciato
che la sua mano scivolasse lungo il profilo del mio fianco sinistro o che
volesse strapparmi il vestito di dosso quasi. Sento improvvisamente una scia
infuocata lungo tutto il tragitto che ha percorso la sua mano in precedenza,
come se bastasse il ricordo di quello che è successo a far riaffiorare in
superfice le sensazioni che ho provato.
Non so quanto tempo è passato da quando mi sono
messa a letto e non capisco come mai Edward ci metta così tanto tempo ad
arrivare, sta di fatto che il respiro delicato e ritmato di Sophie mi concilia
il sonno e appesantita da tutta la stanchezza della giornata e dall’agitazione
della serata, mi lascio cadere tra le braccia di Morfeo senza neanche
rendermene conto.
Non passa troppo tempo però prima che mi accorga di
essere crollata pure io e riaffiorare in superfice dal mondo dei sogni. Una
scarica di brividi mi pervade tutto il corpo quando mi accorgo del paio di
occhi verdi che mi scrutano dall’altra parte della stanza.
Edward è seduto sulla poltrona vicino l’abatjour e
la luce della lampada disegna sul suo viso delle ombre tali da renderlo
minaccioso. Mi guarda senza riuscire a distogliere lo sguardo dal mio e nemmeno
io riesco ad allontanare il mio dal suo. Leggo tante di quelle emozioni in
quegli occhi che mi viene voglia di alzarmi e correre ad abbracciarlo, a dirgli
che va tutto bene e alleviare un po’ le sue pene.
Ma non lo faccio però.
Tutto cambia quando con uno scatto improvviso si
alza dalla poltrona e si dirige verso il balcone, lo spalanca e poi esce fuori.
Lascia la porta aperta come un invito a seguirlo e memore della decisione che
ho preso poco prima, mi alzo dal letto anche io. Rimbocco per bene le coperte
intorno al corpo di Sophie e poi lo raggiungo, non prima di aver afferrato un
plaid dal cassetto del comò. L’aria fredda di New York mi fa rabbrividire non
appena metto piede sulle mattonelle del terrazzo e mi fa rimpiangere il calore
delle coperte, ma almeno mi aiuta a svegliarmi completamente.
Richiudo la porta scorrevole alle mie spalle e vago
con gli occhi nell’immenso terrazzo alla ricerca di Edward. Lo trovo seduto su
una panchina intento a fissare le luci della città. È una vista mozzafiato, e
non mi riferisco di certo alle luci anche se sono uno spettacolo incredibile
pure quelle.
-come stai?- gracchio con la voce ancora impastata
dal sonno quando gli sono vicino. In mano tiene una fiaschetta porta whisky.
-come dovrei stare secondo te? Uno schifo ecco come
sto…- si raddrizza per bene sulla schiena e mi rivolge uno sguardo abbastanza
eloquente.
-Alice dov’è? Cosa ti ha detto?- preferisco spostare
la conversazione su un campo neutrale e poi muoio dalla voglia di sapere cosa
si sono detti.
-è nell’altra stanza insieme a Jasper, l’ho salutata
poco fa. Anche lei vuole rimanere qua per questa notte-
-e come sta?-
-uno schifo anche lei, si sente in colpa per quello
che è successo- si blocca un attimo per prendere un grosso respiro e attingere
una sorsata dalla fiaschetta- ha deciso di rimandare il matrimonio, visto come
ha reagito papà non vuole che gli prenda di nuovo un altro attacco di cuore. Le
ho detto di ripensarci, che non è colpa sua ma non vuole sentire ragioni-
-lo pensi davvero?-
-cosa?-
-che non sia colpa sua, o è solo che sei tu a
volertene addossare tutta la colpa?-
Mi rivolge uno sguardo dolce facendomi battere forte
il cuore e un sorriso compiaciuto che mi lascia intendere di aver fatto centro.
Mi porge la fiaschetta che io prendo volentieri, almeno mi aiuterà a non sentire
tanto freddo.
-Edward ti prego non farlo. Lo sai che non devi
sentirti in colpa. Carlisle aveva bevuto e si è lasciato andare un po’ troppo.
Ma non pensa assolutamente niente di quello che ha detto e soprattutto ne tu ne
Alice dovete addossarvene le conseguenze- so che è esattamente così che si
sente in questo momento, lo conosco troppo bene.
-come faccio a non addossarmene la colpa eh Bella me
lo spieghi?- mi chiede retorico confermando quello che ho appena detto- lui si
è agitato e ha cominciato a urlarmi in faccia tutta la sua delusione, forse se
non mi fossi comportato come ho fatto le cose sarebbero diverse. Tutto sarebbe
diverso. Avrei un lavoro stabile accanto a mio padre e avrei ancora la mia
famiglia…avrei ancora te- aggiunge alla fine lasciandomi basita e con il cuore
che sembra abbia preso il volo.
-che vuoi dire?- gli chiedo stringendomi di più nel
mio bozzolo. Dio, fa un freddo cane quassù, il vento mi sbatte i capelli in
faccia e mi fa lacrimare gli occhi. Mi domando come faccia a stare seduto qui
fuori senza congelare. Forse ha sufficiente whisky in corpo da non sentire
niente.
-voglio dire che se non avessi deciso di cambiare
lavoro e abbandonare mio padre forse staremo ancora insieme. Ero troppo
stressato in quel periodo e il più delle volte assente. Forse se non fossi
stato subissato dalla mole di lavoro avrei capito prima che c’era qualcosa che
non andava in te e in noi. Ti sarei rimasto accanto e avremmo superato insieme
ogni cosa e invece… invece ho rovinato tutto. Ho pensato solo al lavoro e…- le
parole gli muoiono in bocca senza riuscire ad andare avanti. È la prima volta
che mi parla così, con il cuore in mano. Ma davvero vuole farmi credere che sia
stata colpa del lavoro se ci troviamo in questa situazione? Il fatto che sia
andato a letto con un'altra donna dove lo mettiamo?
-non penso che sia stato per colpa del lavoro.
Insomma… se tu avevi altre esigenze in quel periodo non devi pen…-
-cosa? Altre esigenze?- mi interrompe bruscamente.
-certo. Dopotutto hai fatto sesso con un’altra
donna. Sarebbe successo comunque se, beh si… se non mi volevi più- che fatica immane dire quelle semplici
paroline!
Lo sguardo che mi rivolge è talmente allibito che è
come se all’improvviso mi fosse spuntata un'altra testa -credi che io sia
andato a letto con un'altra donna perché non ti volevo più?-
-beh perché lo avresti fatto sennò, sentiamo- mi
ritrovo a replicare stupendomi io stessa di averglielo domandato.
-non posso credere che tu me lo stia chiedendo- emmh no, infatti, nemmeno io!
-cosa? Il motivo per il quale ci troviamo a questo
punto? Non servirà a redimerti però almeno potrei cercare di capire-
Dio, lo sapevo
che sarebbe stato difficile. È come fare una traversata in mare, a nuoto, senza
bombola d’ossigeno e senza nessuno a sorreggermi.
Mi guarda aggrottando le sopracciglia chiedendosi sicuramente
se sto facendo sul serio -non è stato… cioè il fatto che io e Tania… oddio hai
capito no?-
-si, ho capito- ringhio tra i denti.
-non l’ho fatto perché non ti volevo più, è successo
perché in quel periodo ti desideravo da morire ma tu non c’eri-
-cosa? Sta a vedere che adesso la colpa è mia!-
sbotto irritata. Colpito dal mio tono, o forse dal fatto che sto battendo i
denti, lo vedo avvicinarsi a me, come se volesse prendermi tra le sue braccia.
-no, non è colpa tua… è che non sapevo come farti capire
che avevo bisogno di te senza sembrarti un egoista del cazzo. Un uomo ha le sue
esigenze dopotutto. Ecco l’ho detto! Ed io ti desideravo così tanto. Ma non
volevo forzarti e quindi me ne sono rimasto zitto e buono fino a che quel
giorno tu non mi dicesti di volertene andare di casa- oddio, adesso si che
comincio a capire.
-ho pensato: Cristo
non ho fatto niente per forzarla, non l’ho pressata in nessun modo, l’ho
lasciata in pace e alla fine viene a dirmi che mi vuole lasciare? – parla a
ruota libera senza nemmeno fermarsi a riprendere fiato, a quanto pare il whisky
sta facendo effetto - solo in seguito ho capito che quel “non ho fatto niente”
pesava come un macigno sopra la mia testa. Perché io non ho fatto
effettivamente niente per cercare di capirti e venire incontro alle tue
esigenze. Anche se devi riconoscere che non eri la persona più avvicinabile del
mondo in quel periodo. Comunque… non avrei dovuto lo stesso fare quello che ho
fatto, a costo di chiudermi i bagno e farmi venire un crampo alla mano a furia
di seghe! Non passa giorno che io non me ne penta. Ero ubriaco e non ho capito
un cazzo e beh… mi sono lasciato andare e ho rovinato tutto-
Wow wow wow,
aspettate un attimo! Fermate il mondo, voglio scendere! È il mio primo pensiero. Il secondo è che a sentire
quelle parole è come se improvvisamente il mio petto si fosse liberato di un
nodo pesantissimo. Il mio cuore comincia a battere frenetico non appena mi
rendo conto di quello che ha appena detto. Dopo anni passati a crogiolarmi
nella convinzione che lui non mi desiderasse più, che il nostro rapporto fosse
irrimediabilmente compromesso proprio perché a monte c’era questo problema
insormontabile, adesso vengo a sapere che è tutto sbagliato, che è tutto il
contrario di quello che ho sempre pensato? Mi sento magicamente libera da
quella torre che mi sono costruita attorno, che mi ha fatto sempre scappare a
gambe levate da ogni relazione, perché inconsciamente pensavo che se Edward non
mi voleva allora nessun’altro mi avrebbe voluto. E perché rischiare di
imbarcarmi in una nuova relazione e mettere di mezzo anche i sentimenti di
Sophie? L’espressione che ho sul viso deve essere abbastanza eloquente ma non
voglio dargli la soddisfazione di trovarmi impreparata, perciò fingo che quello
che mi ha detto mi sia scivolato addosso come l’acqua. Dopo un respiro profondo
e un altro sorso alla fiaschetta per darmi coraggio riprendo a parlare.
-però sei venuto subito da me a confessare ogni
cosa- adesso che è in vena di sincerità voglio scoprire il più possibile su
questa faccenda.
-credi che sarei riuscito a rimanere al tuo fianco
sapendo quello che ti avevo fatto? No Bella, non è da me e questo dovresti
saperlo. Non ti avrei mai fatto una cosa del genere, non te lo meritavi. Io
penso che un uomo diventi degno di essere chiamato tale quando prende coscienza
dei propri errori e invece di scappare dalle conseguenze è pronto ad
affrontarle. E credimi, dirti che ti avevo tradito è stata la cosa più
difficile che ho mai fatto in vita mia- ed è la verità. Ho letto così tanta
disperazione nei suoi occhi quel giorno che non penso dimenticherò mai quei
momenti. Un altro uomo avrebbe potuto mentirmi, nascondere il tradimento e
continuare a starmi accanto come se niente fosse. Invece lui non l’ha fatto, e
questo nonostante l’errore è un merito che devo riconoscergli.
-se ti sentisse Carlisle penso che si rimangerebbe
tutto quello che ti ha detto poche ore fa. È questo il ragazzo che ha cresciuto
e sarebbe orgoglioso dell’uomo che sei diventato- gli dico dal profondo del cuore
mentre lascio che un’altra sorsata di whisky mi riscaldi il corpo.
-dici sul serio?-
-assolutamente-
-bene- sul suo viso adesso è stampato un sorriso
caldo, dolce e… felice.
-bene- replico anche io.
Non sfugge a nessuno dei due il momento imbarazzante
che si è appena creato. La sua coscia è completamente spiaccicata contro la mia
e il suo braccio è poggiato al ferro della panchina proprio dietro la mia
schiena. Se non fosse per la postura rigida sembrerebbe che mi stia
abbracciando. Fisso per un attimo il riverbero che le luci di Manhattan
producono sul suo viso, e mi sembra di non averlo mai visto più bello di
così.Diritto, con i capelli
scarmigliati a causa del vento, i primi bottoni della camicia aperti che lasciano
intravedere la sua pelle d’alabastro, la linea della mascella tesa, come se
stesse contraendo i denti, le sue labbra piene e invitanti che mi richiamano
peggio del canto di una sirena, il suo naso affusolato, perfetto… e poi i suoi
occhi tanto profondi quanto espressivi nei quali leggo un velo di
preoccupazione.
Rimaniamo zitti per un po’ prima di deciderci a
parlare di nuovo, e lo faccio io, colta da un pensiero improvviso:
-senti ma… sbaglio ho poco fa hai detto “avrei un
lavoro stabile accanto a mio padre” al lavoro è tutto ok? O c’è qualcosa che
non va?- non so perché ma questa frase mi è rimasta impressa nella mente prima.
-be si… mmh non so. Non ti sfugge niente eh?-
Lo guardo sorridendo tanto vicino al suo viso da
riuscire a sentire il suo alito caldo e profumato – dovresti saperlo ormai…-
-già, comunque hai ragione. Non è un caso se mi sono
lasciato sfuggire quelle parole prima. È che…sento come se si stia per
avvicinare una burrasca. Forse sono solo paranoico ma sento che c’è qualcosa
che non va. Forse è Mike, lo vedo un po’ troppo nervoso ultimamente-
-ah tu e il tuo innaturale sesto senso- dico in tono
canzonatorio -da quando ti conosco non hai mai sbagliato una volta. Secondo me
hai dei strani poteri soprannaturali. Riesci sempre a capire prima degli altri
quando succederà qualcosa. Per non parlare poi della capacita di leggere nella
testa delle persone. Sai esattamente quello che ti diranno così tu li precedi
di un passo- le sue risa sovrastato la mia voce e sono costretta ad avvicinarmi
di più per farmi sentire sopra l’ululato del vento. Vederlo ridere mi provoca
una fitta al cuore; quanto mi è mancato questo suono!
-oddio mi fai sembrare un fenomeno da baraccone!-
-forse perché lo sei?- lo guardo in tralice con un
sopracciglio alzato.
-no, non penso proprio. Forse è solo un dono non lo
so. Mi basta guardare una persona negli occhi e capire quello che gli frulla
nella testa-
-anche con me è così?- Dio mi sento così felice che
penso potrei scoppiare dalla gioia. Trovarmi qui con lui e lasciarmi andare in
questo modo, è una cosa che non credevo possibile. E invece eccoci qui. Gli
prendo la fiaschetta dalle mani e la bevo fino all’ultima goccia; un modo per
brindare, credo.
- “soprattutto” con te è così. Tu sei un libro
aperto, le tue espressioni facciali non possono nascondere nulla a chi ti sta
difronte. Ma con te è diverso, abbiamo legato sin da subito io e te eh?-
-già- mi ritrovo a dire con una nota di malinconia
nella voce.
-no, davvero non sei mai stata un segreto per me-
-e sentiamo “signor sesto senso” cosa sto pensando
in questo momento?- non so nemmeno perché gliel’ho chiesto. Forse il whisky ha sbriciolato
i miei freni inibitori.
-non posso- nella sua voce sento una nota di allarme
che mi fa rizzare a sedere.
-e perché no?-
-perché ho paura-
-paura di cosa?- replico sorpresa e un po’
annebbiata dai fumi dell’alcool. Forse non avrei dovuto bere così tanto, cosa
diavolo mi è saltato in testa?
-ho paura che quello che vedo non sia la stessa cosa
di quello che vuoi realmente- il suo viso è così vicino al mio che riesco a vedere
il piccolo neo ovale che ha vicino alla bocca che mi è sempre piaciuto tanto.
La sua voce è talmente bassa che penso di essermele immaginate quelle parole.
-beh non lo sapremo mai se tu non me lo dici-
ribadisco usando il suo stesso tono. Sento le farfalle nello stomaco quando
capisco quello che sta per succedere.
-forse è meglio se te lo dimostro- sussurra
facendomi accapponare la pelle. Il mio cuore rimbomba così forte nella cassa
toracica che non mi stupirei se potesse sentirlo anche lui.
Oddio ci siamo penso.
Non faccio nemmeno in tempo a spostarmi di un
millimetro che me lo ritrovo addosso. Le sue labbra sono esattamente come
ricordavo. Anzi, no. Sono tremendamente meglio. Sono petali di rosa così
delicati e rotondi e pieni. Le mie di labbra tremano senza che riesca a
controllarle e qui il freddo non c’entra niente, sono così emozionata che non
trovo le parole per descrivere quello che sta succedendo, il tumulto interiore
che mi si è sprigionato dentro.
Sono trascorsi più di mille giorni da quando ho
posato le mie labbra sulle sue l’ultima volta e quello che ho immaginato nei
momenti più duri, di sconforto e di solitudine, in cui non volevo altro se non
averlo al mio fianco, non è minimamente paragonabile alla realtà.
Stare con Edward mi ha sempre condotto in un mondo
tutto nostro fatto di gioia e spensieratezza, ma un barlume di lucidità mi
riporta con i piedi per terra e mi ricorda che la realtà è diversa da quella
che sto vivendo adesso. Nella realtà io sono una donna e una madre soprattutto
che ha sofferto tanto. Lasciarmi andare completamente con lui equivarrebbe ad
aprire di nuovo il mio cuore, a mettere a rischio la tanto agognata stabilità
che ho raggiunto non senza difficoltà e mettere in gioco anche quella di
Sophie. Non posso più nascondere quello che provo è vero, baciare di nuovo
Edward è come tornare a respirare aria pura per me e adesso che ho ritrovato la
mia boccata d’aria fresca non voglio più lasciarlo andare. Ma posso davvero
cancellare tutto quello che è successo?
La verità è che ho paura.
Paura che sia talmente semplice cancellare tutto da
aver timore che possa accadere di nuovo.
Ma se non posso
più fare a meno di lui prima o poi arriverà il momento in cui mi lascerò andare
completamente, ragiono e mi
stupisco come in un momento del genere riesca a formulare pensieri sensati.
Si, succederà e
io voglio che succeda.
Ma non nell’immediato comunque.
-Edward…- sussurro contro le sue labbra staccandomi
un poco.
-oddio Bella, sono più o meno tre ore che morivo
dalla voglia di baciarti- replica con voce rauca attaccandosi con la fronte
alla mia. Fa per avvicinarsi di nuovo e Dio solo sa quanto mi costa fare quello
che sto per fare ma non posso agire altrimenti. Lo blocco mettendogli una mano
sul petto.
-no Edward no, non possiamo. Quello che stiamo
facendo è sbagliato-
-ricordami perché è sbagliato?- dice imprigionandomi
il viso nelle sue grandi mani.
-perché noi due siamo divorziati-
-questo è vero…-
-e perché tu mi hai tradito- dico flebile sentendo
un tuffo al cuore.
-anche questo è vero…-
-no, Edward, io devo andare- faccio per scostarmi ma
lui mi blocca di nuovo. Questa volta mi guarda così intensamente negli occhi
che mi viene quasi difficile sostenere il suo sguardo.
-è davvero questo quello che vuoi? Perché Bella se
mi dici di si io ti lascerò andare… ma non posso fare finta che non sia
successo niente-
- ed io non te lo sto chiedendo, nemmeno io posso
fare finta di niente-
- e allora perché?-
-perché deve essere così e basta. È ancora troppo
presto. È successo talmente all’improvviso che non so nemmeno se sia stato un
desiderio comune o se sia stato l’alcool a fuorviarci- pur consapevole che
l’alcool non c’entra niente devo trovare una scusa per allontanarmi, e alla
svelta anche. Se continua a guardarmi così non resisterò ancora per molto. Il
bacio ha riacceso un desiderio così forte che non credevo possibile.
- non è stato il whisky, io sapevo quello che stavo
facendo e anche tu lo sapevi bene- taccio, non posso aggiungere altro, se gli
dicessi di si farei crollare ogni protezione e a quel punto ricadrei come un
pero tra le sue braccia.
-lo sai che non puoi fingere, il tuo viso è come un
libro aperto per me. So esattamente quello che stai pensando adesso e potrei…
beh potrei ma non posso. Voglio rispettare i tuoi spazi-
-davvero?- replico con il cuore in gola, resisti devi resistere.
-si davvero, anche se è tremendamente difficile
credimi-
-deve essere così-
-ho capito- sussurra abbassando la testa ed io sento
qualcosa incrinarsi dentro al petto.
Mi scosto da lui sentendo immediatamente freddo e mi
alzo voltandogli le spalle, consapevole del fatto che vorrei tornare indietro e
rituffarmi tra le sue braccia.
Torno dentro e do un occhiata veloce a Sophie che
dorme beata circondata dal calore delle coperte. Spero che domattina si
inventino una scusa bella convincete per giustificare la mia assenza ma davvero
non posso restare in questa casa un minuto di più. Afferro le scarpe le metto
sotto braccio e mi dirigo a piedi scalzi verso la porta. Tra poco Edward
rientrerà e prenderà il mio posto sotto le coperte; almeno sarà felice di aver
passato la notte in compagnia di sua figlia.
Abbassare la maniglia e andare via però mi richiede
uno sforzo talmente grande che sono tentata di mandare al diavolo tutto e
riprendermi quello che è mio e che desidero con tutto il cuore. Porto
sbadatamente una mano a toccare le labbra e umettandole con la lingua sento
subito il sapore di Edward su di esse. Il suo sapore meraviglioso.
Reprimo una lacrima e senza indugiare oltre eccomi
già in mezzo al corridoio a correre verso l’ingresso.
Hai fatto la
scelta giusta ragazza, devi fare le cose con calma. E farle bene questa volta. Solo questa convinzione mi fa tirare un sospiro di
sollievo e sentire meno pesante il peso che ho sul cuore.
Emh emh, eccoci qui!
Chi si aspettava il bacio? Nessuno penso, anche se
nello scorso capitolo la tensione sessuale tra i due era davvero molto palpabile.
Dite che è colpa dell’alcool? Naaa questi si amano alla follia e non riescono a
stare lontani. A tal proposito spero che apprezziate il gesto di Bella di
aspettare e fare le cose con calma, dopotutto è lei quella ad essere stata
tradita e ad aver sofferto per colpa di Edward, e non dimentichiamoci che ci
sta in mezzo pure una bambina. In questi lunghi anni ha cercato di reprimere
questo sentimento ma adesso non ci riesce più, sarà per quello che è successo
nel locale di James o per la vicinanza nel guardaroba, adesso non può più
mentire a se stessa e deve guardare in faccia la realtà. E cioè che l’amore che
prova per Edward è più forte di qualsiasi cosa, anche dell’orgoglio e del
dolore che l’hanno spinta a chiedere il divorzio.
So, GRAZIE MILLE per le recensioni allo scorso
capitolo (risponderò a breve, giuro!).
Non mi resta che farvi i migliori auguri
di Buon anno, ci risentiamo nel 2013!
Buonasera
a tutti! No,
non sono una miraggio. Sono veramente io che mi accingo a postare il
nuovo
capitolo, che mi è uscito lunghissimo tra l'altro, ma questi
sono dettagli. Scrivervi righe su righe di scuse non mi farebbero di
certo apparire
meglio ai vostri occhi, perché diciamocelo sparire per
più di un mese è veramente
oltraggioso. Quindi non vi faccio aspettare oltre e vi lascio al cap.
Dove eravamo rimasti?
Il seguito al malore di Carlisle, Bella decide di
rimanere a dormire a casa dei suoi ex suoceri. Un riavvicinamento nei confronti
di Edward la porta a consolarlo per quello che è successo al padre e qui,
seduti sulla panchina del terrazzo dei Cullen, si lasciano andare e scatta la
scintilla che gli fa concludere la serata con un bacio. Ma Bella decide di
andare via e Edward seppur con riluttanza accetta questa sua decisione…
Capitolo 6
Non ti ho
scelto. Ti ho appena guardato, e lì,
non
potevo più tornare indietro…
EDWARD POV.
-Okay, dimmelo di
nuovo. Ma con calma e precisione. Sii minuzioso nei particolari e soprattutto
non omettere nulla-
Sbuffo esasperato. Sono
esattamente quarantacinque minuti che mi tartassa di domande e che mi fa
ripetere la storia sin dall’inizio. Non so cosa stia cercando di scoprire, ne
se sia convinta che si celi chissà quale inspiegabile arcano dietro un semplice
bacio. Ci siamo baciati, punto. Ma questo lei non vuol capirlo, o almeno non si
accontenta di sapere solo questo. Immagino il criceto che ha nel cervello
issare bandiera bianca, troppo stanco di fare gli straordinari e rido
divertito.
-Rose, non ce la faccio
più. Ti ho già raccontato tutto almeno tre volte-
-si lo so. Ma fallo di
nuovo, ti prego-
Appena è entrata nel
mio ufficio ha capito subito che c’era qualcosa che non andava, così mi ha
messo sotto torchio e alla fine non ho potuto fare altro che sputare il rospo.
-e va bene!- sbotto
dopo qualche minuto sprofondando di nuovo nella poltrona con un sonoro poff.
Rose fa altrettanto, sedendosi comoda sul divano dopo essersi versata una tazza
di Tè. I documenti da visualizzare ormai dimenticati, sono abbandonati sul
tavolino davanti a noi; doveva essere un rapito incontro di lavoro invece si è
trasformato in una riunione frizzi e lazzi a cui non sapevo nemmeno di essere
stato invitato.
-dunque, tutto è
cominciato nel guardaroba a casa dei miei-
-dove le sei quasi
saltato addosso, giusto?-
La guardo stranito –
non le sono “quasi saltato addosso”-
-a no?-
-no- mi impunto.
-e come la chiami
quell’intensa tensione sessuale che mi hai detto di aver sentito, chiara e
indistintamente?- lancia uno sguardo alla patta dei miei pantaloni e penso che
se non fosse una delle mie più care amiche (per non dire l’unica) la sbatterei
immediatamente fuori dall’ufficio a calci nel sedere.
-la mia erezione non è
un affare che ti riguarda-
Scoppia a ridere – ma
dai Edward, se mi hai detto che stavi per impazzire-
Si, è vero l’ho detto,
stavo per impazzire sul serio in quelle quattro mura pregne dell’odore di
Bella.
-si- mi arrendo alla
fine – hai detto bene, stavo per impazzire-
-e…- mi incita a
continuare.
-e niente, hai ragione è
stata davvero dura trattenersi dal saltarle addosso, ma dovevi vederla, era
splendida e averla così vicino mi ha mandato in pappa il cervello-
-tu non fai sesso da
troppo tempo amico, lasciatelo dire- con calcolata lentezza si porta la tazza
fumante alla bocca. Vorrei alzarmi e spaccargliela in testa.
-Rose!-
-che c’è? È la verità
Edward, non nasconderlo- la fulmino con gli occhi ma la verità è che non ne ho
alcun diritto, ha tremendamente ragione.
-e tutto perché ti sei
convinto che non riusciresti a farlo…-
-e perché amo ancora
mia moglie- la correggo.
-si, si ho capito. Ma
sei cosciente di quello che hai fatto in tutti questi anni? Sei rimasto fermo
ad aspettarla per tre anni Edward, tre anni. Devi avere la forza di volontà di
un monaco tibetano per riuscire ad astenerti così tanto tempo dal sesso. E per
cosa alla fine? Per una donna che ti ha sempre trattato a pesci in faccia e che
avrebbe potuto rifarsi una vita con qualcuno proprio sotto al tuo naso-
-non essere così dura
Rose-
-lo sono, devo esserlo,
idiota che non sei altro! Sono tua amica e ti voglio bene, più di quanto
credevo possibile volertene. Ti prego, dimmi almeno che se avesse iniziato una
storia con qualcuno te ne saresti fatto una ragione e saresti andato avanti
anche tu-
Come faccio a dirle che
in quel caso mi sarei volentieri legato una zavorra intorno al collo, avrei
affittato una barca e poi mi sarei buttato nel punto più profondo dell’Hudson
River? Vedere Bella in compagnia di un altro uomo è sempre stato il mio terrore
più grande. Grazie al cielo non ho mai dovuto affrontare una simile eventualità
visto che anche lei, come me, non ha mai avuto altre relazioni all’infuori del
nostro matrimonio.
-si, però non l’ha
fatto- mi ritrovo a dire sollevato – non ha mai avuto altre storie-
-ma se le avesse
avute?-
-Rose, non mi va di
pensare ad una tale eventualità. Non so cosa avrei fatto in quel caso, va bene?
Ti basta come risposta?-
Mi guarda
assottigliando gli occhi– me la farò bastare- dice, quasi fosse una minaccia.
-dunque, vogliamo proseguire?
O ci fossilizziamo su questo argomento?-
-no, andiamo avanti-
Prendo un grosso
respiro e proseguo – non ho fatto altro che guardarla per tutta la sera, mi
sedeva di fronte e più volte ho dovuto frenare l’impulso di allungare una mano
e toccarla. Volevo sapere cosa pensava, come aveva vissuto quel breve incontro
e se fosse possibile ripeterlo di nuovo- la mia voce mi giunge trasognata alle
orecchie, come se stessi davvero rivivendo quei momenti e sentissi di nuovo le
stesse emozioni. Riviverle mi da la certezza che non è stato solo frutto della
mia immaginazione. Infatti è questo quello che ho pensato appena sveglio
stamattina, avevo paura che fosse stato tutto un sogno. Un sogno bellissimo
tuttavia dal qualche non avrei mai voluto svegliarmi. Ci hanno pensato Sophie e
la stanza blu a darmi la certezza che il bacio era stato reale. Che non me
l’ero immaginato. Appena ha aperto gli occhi e si è resa conto dell’assenza di
Bella ha cominciato a reclamare la sua presenza e ho dovuto inventarmi una scusa
per farla calmare. Le ho detto che l’avevano chiamata per un emergenza sul
lavoro e che non l’aveva avvisata perché non voleva svegliarla. Così mi è
tornata in mente la sua fuga.
-ma mi sono trattenuto-
dico riprendendo a parlare –non ho fatto niente di tutto ciò. E poi è successo
quello che è successo-
-il malore di tuo padre
vuoi dire?-
-si. Giuro Rose, non ho
mai provato tanta vergogna in vita mia – ‘a parte l’episodio del tradimento’ -
tutto quello che mi ha detto…-
-sciocchezze! Sono
tutte sciocchezze e lo sai anche tu. Non avrebbe dovuto parlarti a quel modo,
non avrebbe dovuto dire quelle cose. Davanti al resto della famiglia poi!
Davanti a Bella! Incolparti perché ti sei costruito una carriera tutta tua,
allontanandoti dalla sua ala protettiva e soffocante. Incolparti di non essere
l’uomo che aveva sempre desiderato che fossi senza conoscerti minimamente,
senza conoscere l’Edward che sei adesso. Cos’è? Forse pretendeva che diventassi
la sua fotocopia? Che diventassi come lui? Un uomo che non è nemmeno capace di
mettere da parte il suo orgoglio per la felicità dei propri figli. Immagino
come debba essersi sentita Alice quando le ha detto che non appoggiava il suo
matrimonio. Proprio il comportamento di un uomo integerrimo, complimenti!-
-Rose, calmati-
-no che non mi calmo
accidenti!- sbuffa spazientita mentre le sue guance si colorano di un
tenerissimo rosa acceso. Eccola li, mi ritrovo a pensare. Eccola li, la forte,
focosa e solidale Rose. La ragazza a cui ho imparato a volere bene e che
sarebbe disposta a buttarsi nel fuoco per la nostra amicizia. Non so chi
ringraziare per averla condotta sul mio cammino.
-Rose, ti ringrazio.
Davvero, grazie per quello che hai detto ma io so che, anche se in minima
parte, tutto quello che ha detto mio padre è vero. È vero, e non posso farci
niente. Gli ho voltato le spalle e sono stato in grado di rovinare l’unica cosa
bella della mia vita, l’unica cosa che mi rendeva davvero felice. Ma senza lei…
-
-basta!
Finiscila!-sbotta all’improvviso interrompendomi e facendomi sobbalzare –
quando capirai che vali molto di più di quello che pensi? Quando Edward? Devi
ritenerti orgoglioso per l’uomo che sei diventato anche e soprattutto per avere
avuto la forza di guardare negli occhi la donna che ami più di qualsiasi altra cosa
al modo e dirle che l’avevi tradita. Devi ritenerti orgoglioso per come hai
gestito il rapporto con tua figlia, con quella meravigliosa bambina che ti ama
alla follia. Per quello che hai adesso, per quello che hai saputo costruire da
solo, con le tue sole risorse e non grazie ai contatti del tuo dolce paparino.
Per aver saputo conservare con tanta dedizione l’amore che ti lega a Bella, per
averlo mantenuto puro e averlo custodito così a lungo. Altri se ne sarebbero
fatti una ragione ma tu no invece. Perché sei buono e credi che prima o poi
tornerete insieme. Questo è un merito che devi riconoscerti Edward. E se è
questo quello a cui credi allora credici fino in fondo. Credi che tutto si
sistemerà-
Le parole di Rose mi
infondono un non so che di positività, facendo aumentare di una tacca la stima
che sento nei confronti di me stesso, e mi domando quando, precisamente, la
nostra chiacchierata si è trasformata in una seduta terapeutica. Forse è il
fatto che sia una donna a dirmi queste cose; inconsciamente penso che se lei ha
una buona opinione di me allora anche gli altri ce l’hanno. Credo di aver
appena assegnato a Rose il titolo di mia terapeuta personale.
-andiamo avanti
adesso?- mi domanda dopo aver preso un grosso respiro.
-si, andiamo avanti- le
rispondo con un sorriso.
-bene, dove eravamo
rimasti? Ah si, a quando mio padre si è sentito male-
-adesso come sta?-
-stamattina stava
meglio, ha fatto colazione e poi a chiamato la sua assistente ed ha avvisato
che non sarebbe andato. Mia madre lo ha accompagnato in ospedale per sottoporsi
ad una visita più approfondita-
-speriamo che vada
tutto bene- dice soprappensiero.
-pensavo che mio padre
non fosse presente sulla lista delle tue persone preferite, Rose- la punzecchio
conscio che mi risponderà per le rime. Ed infatti non mi delude.
-certo che non è una
delle mie persone preferite. Ma non desidero certo la sua morte. Poi chi ti
sopporterebbe!-
Già, chi mi
sopporterebbe? Per fortuna non è successo nulla di irreparabile, eppure non è
la prima volta in quasi 24 ore che mi domando come mi sarei sentito se mio
padre fosse morto. Se a causa del nostro litigio fosse spirato. Un eventualità
che mi fa accapponare la pelle e che mi toglie il respiro.
Proseguo il mio
racconto con molta calma, proprio come lei mi ha chiesto di fare. Le dico della
decisione di Bella di rimanere con noi per la notte e del tumulto di emozioni
che ho provato in quel momento. Le racconto della chiacchierata con Alice e del
conseguente bisogno di attaccarmi alla fiaschetta del whisky. Parlo
liberamente, senza inibizioni, ed è così che arrivo a confessarle di aver avuto
la scarica di eccitazione più forte della mia vita, quando ho visto Bella
distesa in quel letto ieri sera. Sapevo che c’era Sophie accanto a lei ma
questo non mi ha impedito di pensare a tutti i modi possibili in cui avrei
voluto prenderla. In cui avrei voluto stringerla a me e farle capire
l’importanza del mio amore.
-quando si è svegliata
poi e mi ha visto nella stanza ho pensato che non ce l’avrei fatta a resistere
e allora mi sono alzato e sono uscito nel terrazzo. Ho lasciato la
portafinestra aperta con la speranza che mi seguisse e così è stato. Quando
l’ho vista al mio fianco avvolta in quella coperta avrei voluto abbracciarla
forte e riscaldarla, per quanto mi fosse possibile. Abbiamo cominciato a
parlare, lei mi ha detto più o meno quello che mi hai detto tu poco fa, cioè
che non dovevo sentirmi in colpa del malore di mio padre, ma io non potevo
evitare di sentirmene responsabile-
Le racconto tutto, ogni
cosa. Le dico che ci siamo messi a parlare come non succedeva da più di tre
anni e che sentire di nuovo quello stesso coinvolgimento mi ha scaldato il
cuore.
-sentirla ridere di
nuovo mentre mi prendeva in giro, sentirla così vicina, tanto che credo di
essermi ubriacato del suo stesso profumo e del profumo dei suoi capelli,
percepire il suo alito delicato sfiorarmi la guancia mi ha fatto avvicinare
sempre di più, fino a quando sono arrivato al limite. Non ho resistito e allora
ho poggiato le mie labbra sulle sue- concludo incantato, mentre mi perdo di
nuovo, forse per la centesima volta, nel ricordo di quel bacio.
È stato un bacio
delicato. Si, delicato è la parola giusta. Deviava completamente dai film
mentali che mi ero fatto poco prima, vedendola distesa nel letto. È stato come
se a contatto con le sue labbra non avessi avuto più bisogno di sentire quel
senso di deliberata carnalità, ma solo il bisogno di sentire di nuovo il senso
d’appartenenza. Sapere che lei c’era, che era li con me e che stava succedendo
davvero.
-le mie labbra hanno
riconosciuto subito le sue e si sono adattate di nuovo perfettamente a quelle
rotondità e non c’ho capito più niente. Sennonché lei mi ha fermato tirandosi
indietro-
-lei come ti è
sembrata? Durante il bacio voglio dire-
-tremava…- dico
stupendomi di non essermene accorto prima – si, tremava- ripeto con
convinzione- le sue labbra tremavano, ma ha ricambiato il bacio, che Dio mi
fulmini se non è così. Anche lei ha sentito quello che ho provato io, ne sono
sicuro-
-tuttavia si è tirata indietro-
-già- dico sconsolato
alzandomi dalla poltrona. Prendo a fare su è giù per la stanza sperando che
questo mi aiuti a calmare un po’ la tensione.
-e cosa ti ha detto
esattamente quando si è allontanata? Che giustificazione ti ha dato?-
-mi ha detto che
stavamo sbagliando. Che il bacio era uno sbaglio. Perché…- comincio consapevole
che Rose me lo chiederà sicuramente - … beh, ha detto che eravamo divorziati,
ma io ho insistito e mi sono riavvicinato. E poi ha tirato fuori il tradimento
e a quel punto l’ho lasciata andare, non prima di averle detto che non potevo
fare finta di nulla, che avevo sentito quanto anche lei fosse stata partecipe.
Ha detto che era troppo presto, che era successo tutto così velocemente che non
capiva se il whisky che avevamo bevuto centrasse qualcosa. Le ho risposto che
non ero ubriaco e che sapevo quello che stavo facendo quando mi sono abbassato
a baciarla, ma non ho voluto forzare la mano e quindi abbiamo chiuso il
discorso li, con lei che si è girata di spalle e se ne è andata. In realtà è
letteralmente fuggita- mi porto le mani ai capelli e tiro forte.
-adesso dimmi cosa
pensi esattamente. Perché pensi se ne sia andata? Perché vi siete baciati?
Dimmelo-
La seguo con lo sguardo
alzarsi e andare a riempire la tazza con dell’altro Tè.
- beh all’inizio ho
pensato che se è andata via evidentemente non voleva la stessa cosa che volevo
io-
-e cioè Edward?-
-beh, mi sembra ovvio.
Io volevo ricominciare a stare con lei, volevo che succedesse qualcosa tra di
noi, non so se mi spiego-
-si ho capito
benissimo. Ma tuttavia è andata via lo stesso. Allora te lo chiedo di nuovo:
perché vi siete baciati?-
Ancora una volta mi
stupisco dell’ovvietà della risposta. Cosa porta due persone a baciarsi? A
sentire quell’infrenabile desiderio di attaccare le tue labbra a quelle di
un'altra? Perché d’un tratto diventa di vitale importanza sentirla così vicino?
“i sentimenti”
mi ripete una vocina nella mia testa, e so che da parte mia almeno è così. Ma
per Bella? Capisco che inconsciamente è da ieri sera che mi rigiro queste
parole nella testa, una sorta di domanda silenziosa alla quale non ho mai
trovato il coraggio di rispondere.
-Rose, non girarci
intorno. Dimmi dove vuoi arrivare-
-ma non capisci? Bella
ti ama ancora zuccone. Altrimenti perché ti avrebbe baciato?-
-e perché è scappata
allora?-
-perché come ti ha
detto lei stessa, è troppo presto-
La guardo stranito –
tre anni Rose,tre anni mi sembrano un
lasso di tempo mooolto lungo, l’hai detto anche tu poco fa!-
-è vero, ma chiediti
una cosa Edward, in questi tre anni come vi siete comportati? Non avete mai
avuto nessun avvicinamento, i vostri rapporti sonosempre stati limitati-
-certo, per colpa sua.
Era lei che mi allontanava ogni volta che cercavo di avvicinarmi. Se fosse
stato per me lo sai che avremmo risolto le cose molto prima- agito le mani in
aria peggio di un prestigiatore, Dio
dovrei darmi seriamente una calmata.
Mi guarda come se si
trovasse davanti a un bambino delle elementari prima di parlare – è normale che
si sia comportata così, è lei quella ad essere stata tradita. Dentro di lei ha
covato il risentimento per quello che le hai fatto e non posso certo biasimarla
per questo, anche io avrei agito allo stesso modo. Ma il fatto che tu non
l’abbia mai vista con un altro uomo, il fatto che anche se controvoglia (e ne
dubito) ha dovuto mantenere lo stesso i contatti con te, il fatto che nelle
ultime settimane vi siate avvicinati di nuovo, vuoi quella volta al caffè, vuoi
ieri sera dai tuoi, l’hanno spinta a lasciarsi andare e a baciarti in quel
momento, perché come ti ho già detto: lei ti ama ancora. Però a conti fatti
Edward voi due siete davvero divorziati, tra di voi i rapporti in questi anni
sono stati nulli. Puoi pretendere che si lasciasse andare alla luce di questo?
Tu l’hai sempre amata, ma lei dalla sua ha sempre avuto il dolore del
tradimento da digerire. E se tu ti sei fatto avanti ieri sera non trovandoci
niente di male in questo, per lei non è stato altrettanto semplice lasciarsi
andare. Perché c’è qualcosa che la frena-
-e scommetto che stai
per dirmi cos’è-
-certo. La mancanza di
fiducia, ecco cos’è- mi blocco sul posto sentendo un rivoletto di sudore
scivolare lungo il collo e andare a spiaccicarsi sul bordo della camicia- è
questo quello che manca al vostro rapporto. Ho visto tante coppie e vissuto
tante esperienze da sapere che si può amare un’altra persona anche se non hai
piena fiducia in lei. La mancanza di fiducia nei tuoi confronti dopotutto non
ha impedito a Bella di amarti lo stesso, nel profondo-
La guardo ammutolito
senza riuscire a dire mezza parola.
-hai capito adesso?
Ieri sera ti ha baciato perché lo desiderava davvero, ma non è riuscita a darti
quello che volevi perché in realtà non ha mai riacquistato quella fiducia nei
tuoi confronti che tu tradendola, hai intaccato inesorabilmente-
Perché? Perché queste
parole le ho dovute sentire uscire dalla bocca di Rose per capire che non
esiste verità più assoluta? In realtà mi domando come abbia fatto Rose ad
arrivarci prima di me. Una cosa di donne, immagino. O forse sono stato io, che
consapevolmente, ho deliberatamente trattenuto questa realtà lontana anni luce
dalla mia mente.
Bella non ha più fiducia
in me, ma non in me come persona. Mi affida sua figlia e penso che non lo
farebbe mai se pensasse che sono inaffidabile, nemmeno la sentenza di un
Giudice la tratterrebbe da questo proposito, nonostante sia suo padre. Non ha
più fiducia in me come amante e non che ci volesse un genio per capirlo, dopo
quello che le ho fatto passare in seguito al tradimento. Ma forse,
ingenuamente, pensavo che se è tornata ad amarmi allora fosse un processo
automatico che io e lei tornassimo a vivere insieme come una famiglia. E invece
no.
Non mi sono mai
sbagliato tanto in vita mia.
-so cosa stai per
chiedermi- e in questo momento si, ho la certezza che è una questione di donne.
In quanto a perspicacia non le batte nessuno o forse sono io ad aver stampato
in faccia quello che sto pensando.
-beh si…- tossisco per
scaricare un po’ la tensione – in base a quello che mi hai detto, Bella non si
fida più di me. Almeno quel tanto che basta a farle cambiare idea sul mio conto
e a convincerla a lasciarsi andare… sentimentalmente- mi guarda con occhi furbi
conoscendo già il tumulto interiore che sto vivendo in questo momento, e sa che
cadrò ai suoi piedi e implorerò pietà per non averle mai creduto quando mi
diceva che Bella era ancora innamorata di me.
-oddio Rose, non ci sto
capendo più niente. Ho la testa che mi scoppia e sono nel pallone. Cosa devo
fare?- mi ritrovo a piagnucolare come un bambino e me ne vergogno anche un po’
a dirla tutta.
Sei diventato un uomo senza spina dorsale Cullen, mi ammonisco da solo. Ma il fatto è che sono
diventato così insicuro, almeno nei fatti che coinvolgono Bella e i sentimenti
che provo per lei. Comportati da uomo sento
queste parole nella mia testa e sembra che non sia stato io a dirle ma la voce
di mio padre. Un brivido mi percuote da capo a piedi.
-senti, non posso dirti
quello che devi fare- i suoi occhi adesso si sono addolciti – sei tu ad essere
stato sposato con lei. Sei tu a conoscerla, non io-
Pondero bene le sue
parole prima di parlare.
-un uscita. Le chiederò
di uscire con me-
Un espressione
soddisfatta le incornicia il viso e sento un sorriso crescere spontaneamente
sul mio. Al diavolo l’insicurezza, dopotutto ieri sera sono stato molto chiaro:
non posso fare finta che non sia successo niente. Non l’avrei fatto neanche
fosse stata Bella stessa a chiedermelo. Però se Rose ha ragione, (ma che dico!
Certo che ha ragione!) non so se accetterà di uscire noi due da soli. Forse…
-la chiamerò per
stabilire un uscita, noi due e…Sophie. Penso che la prima volta sia necessario
camminare su un terreno neutrale-
-giusto, non vorrei
venire a raccogliere i tuoi resti solo perché sei saltato su una mina- dice
sghignazzando.
-non sei divertente
sai? Non mi aiuti per niente così. Anzi mi fai solo agitare di più- con un
sospiro sprofondo al suo fianco sul divano.
-Edward, rilassati.
Andrà tutto bene, ne sono sicura…-
Non finisce nemmeno di
parlare che veniamo interrotti dal tocco leggero di qualcuno che bussa alla
porta.
-avanti-
-signor Cullen mi
scusi, ma la bambina è irrequieta-
Cavolo, Sophie! Oggi
non avrei dovuto lavorare ma Rose mi ha chiamato con urgenza e non ho potuto
dirle di no. Primo perché me l’avrebbe fatta pagare esecondo perché il mio appartamento da scapolo
è praticamente attaccato al mio ufficio; abito a nemmeno cinquanta passi dallo
stabilimento. Così ho dovuto portare Sophie con me. L’ho lasciata alle cure
amorevoli della signora Cope, ma a quanto dice la mia segretaria, che sta
ancora aspettando una risposta, deve essersi stancata di stare qui dentro. Come la capisco, penso. Delle volte
anche io sono stanco di stare qui dentro. Con l’aria che si respira ultimamente
poi…
-la faccia entrare
Maggie-
-no!- mi interrompe
Rose mettendomi una mano sul braccio – Edward deve fare una telefonata
importante- mi guarda come se in realtà volesse dirmi un’altra cosa.
-telefonata?
Importante? Ohhh- dico dopo qualche secondo- si, devo fare una telefonata
importante- questa volta mi rivolgo direttamente alla mia segretaria.
-adesso?- sussurro in
direzione di Rose.
-si, adesso- mi risponde
con un filo di voce ma con convinzione – mi occupo io della piccola, non ti
preoccupare- e senza aspettare nemmeno una secondo, raggiunge la porta e se la
richiude alle spalle.
Sbuffo sonoramente
guardandomi intorno consapevole di essere solo e mi porto un cuscino sul viso
come a soffocare un urlo disperato, ma poi mi faccio coraggio e afferro il
cellulare dal tavolino davanti a me. Ora
o mai più.
-coraggio amico-
sussurro mentre avvio la chiamata. Al
massimo ti dirà di andare a fanculandia, è che sarà mai? Alzo gli occhi al
cielo per la battuta infelice e mi concentro sugli squilli dall’altra parte del
telefono. Pessima idea: il mio cuore aumenta la sua corsa ogni secondo di più
fino ad arrivare quasi a scoppiare quando sento la voce di Bella rispondermi.
Mi alzo di scatto, neanche mi avessero infilato un tizzone arroventato su per
il culo, mentre sento una miriade di goccioline di sudore colarmi nell’anfratto
del collo sotto la camicia.
-pronto?- Bella… penso trasognato e ci metto
qualche attimo in più a capire che stare fermo come un pesce lesso a
contemplare il suo nome non mi porterà da nessuna parte.
- Edward
ci sei? È successo qualcosa alla bambina?- evidentemente allarmata dal mio
silenzio è arrivata subito alla conclusione sbagliata– prendo la macchina e
arrivo in un attimo, dimmi dove sei- parla così velocemente che non mi da
nemmeno il tempo di rispondere, sembro un pesce alla disperata ricerca di una
boccata d’aria; dalla mia bocca escono solo dei brontolii incomprensibili.
Diamine, sono offeso però. Ma davvero crede che non sia in grado di badare a
Sophie? – dannazione Edward, lo sapevo che non era un bene portarla a contatto
con tutti quei tubi di ferro e quei fili di rame. Il magazzino sotto al tuo
appartamento è una trappola mortale!- oh basta, questo è troppo!
- Mi fai parlare!- urlo
sconcertato bloccando un altro assalto di parole e frasi poco meritevoli nei
miei confronti – Sophie sta bene. Non è successo niente. Anzi, grazie per aver
messo in dubbio ancora una volta la mia capacità di fare il padre- non era
certamente così che avrei voluto cominciare questa conversazione. Non dopo ieri
sera.
-fiuff, menomale. E non
potevi dirlo prima?- dice sollevata mentre alterato comincio a fare su e giù
per tutta la stanza. A gradi falcate raggiungo la parete a vetro che si
affaccia sul fiume per poi tornare indietro, verso la porta.
-lo avrei fatto se tu
me ne avessi dato il tempo, invece di inveire contro di me. Sembravi il
generale Custer in carica contro i Sioux di Toro Seduto. Ancora un po’ e avresti
preteso il mio scalpo!- concludo con il fiatone.
Dopo qualche secondo di
silenzio sento la sua voce chiamarmi flebile -Edward?-
-che c’è?- sbotto
ancora un po’ abbrutito.
-quella battuta. Non
dirla mai più, lo sai che mi fa morire dalle risate ogni volta- e come per
confermare quello che ha appena detto scoppia a ridere divertita facendomi
sentire le farfalle nello stomaco.
-beh… e tu impara ad
avere più fiducia in me allora- che elegante scelta di parole che ho usato eh?
Ammutolisce
improvvisamente, forse colta nel vivo e dopo un tempo che mi sembra
infinitamente lungo, sussurra -ci sto provando- e all'istante sento rizzarmisi
tutti i peli che ho nel corpo. Lo ha detto davvero? Si, babbeo, lo ha detto davvero.
-mmh… bene- riprendo
stupito di sentire ancora i piedi ben piantati al suolo e non ad almeno due
metri dal pavimento – volevo chiederti se… beh, ti… ti andava di uscire con me
domani? Con me e con Sophie… domani?- mi correggo immediatamente sbattendomi
una mano sulla fronte.
Sembri un ragazzino alle prese con la prima cotta
Cullen.
Non ricevendo risposta
riprendo a parlare – lo ha detto anche la maestra di Sophie che dobbiamo
passare più tempo insieme, noi tre…-
-la maestra di Sophie?-
-si, la signorina Blanchard-
-beh se lo ha detto lei
allora…-
-allora?- domando
speranzoso.
-allora va bene-
Mi trattengo
dall’esultare di gioia solo perché sono un uomo e queste cose gli uomini non le
fanno, penso mostrando un po’ di pudore, ma nessuno mi impedisce di portare una
mano al cielo in segno di vittoria, anche se silenziosamente.
Con la coda dell’occhio
vedo un pezzettino di carta rettangolare tutto colorato poggiato alla rinfusa
sulla sommità di alcune buste arrivate tramite posta. Non gli avevo nemmeno
prestato tanta attenzione prima. Forse perché Rose è arrivata come un fulmine e
mi ha letteralmente strappato via dalla scrivania, preferendo il più comodo e
senza dubbio poco utilizzato divano in pelle bianca del mio ufficio alle sedie
asettiche.
Lo prendo in mano e con
stupore mi accorgo che è il volantino dello zoo di Central Park che invoglia i
turisti a partecipare in massa alla prima apparizione pubblica del cucciolo
appena nato di tigre bianca. Mi dico che sarebbe un ottimo posto dove andare
come prima uscita, tutti e tre insieme. Così quando sento la voce di Bella
chiedermi il luogo e l’ora dell’appuntamento al nostro incontro, non esito
nemmeno un attimo e le dico:
-Zoo di Central Park,
alle 15.00, ti va bene?-
-va benissimo- risponde
con entusiasmo stupendomi (e non poco).
-allora a domani-
-a domani Edward-
sussurra prima di mettere giù.
Rimango inebetito a
fissare lo schermo del cellulare ancora per qualche secondo, prima di decidermi
a buttare fuori un bel sospirone d’aria e improvvisamente mi sento più leggero.
Una nuova sensazione comincia a impadronirsi di me quando mi rendo conto,
finalmente (neanche fossi stato intrappolato su una nuvola di cannabis per
tutto il tempo), che domani passeremo la giornata insieme. Tutti e tre, come
una vera famiglia.
Ora so cos’è che sento
dentro. Cos’è questa nuova sensazione che mi fa tremare solo al pensiero. È
qualcosa che mi fa credere che tutto può cambiare, che mi convince che forse il
tempo della sofferenza è davvero finito.
È speranza.
Forse posso tornare ad essere
felice.
BELLA POV.
Mi guardo intorno,
divertita dalle risate dei bambini intenti a correre da un capo all’altro del
cancello di Central Park. Alcuni spingono letteralmente i genitori ad entrare
il più in fretta possibile, mentre altri saltellano contenti dall’altro lato,
quello dell’uscita. Mi accorgo che il parco è stranamente più affollato del
solito oggi, non che lo zoo di Central Park non sia sempre affollato, ma giuro
di aver visto una troupe televisiva svoltare l’angolo poco fa. La risposta a
tutte le mie domande arriva quando i miei occhi si posano su un enorme
cartellone posto vicino l’entrata. “Sammy”, così l’hanno chiamato: un cucciolo
di tigre bianca nato nemmeno un mese fa, farà la sua prima apparizione pubblica
oggi. Ecco cos’è, mi dico, quest’aria di euforia generale che si respira
nell’aria. Mi domando se Edward sappia qualcosa in merito all’evento…
Edward, penso il suo nome e mi ritrovo a sospirare. È da quando abbiamo chiuso
la telefonata ieri che non faccio altro che pensare a lui e a questa uscita,
che non faccio altro che pensare al bacio che ci siamo scambiati due giorni fa
e che mi ha tenuto sveglia per tutta la notte quel venerdì.
Ho pensato e ripensato,
mi sono scervellata e rigirata nel letto un milione di volte prima di giungere
ad una conclusione. E alla fine ci sono arrivata eccome alla conclusione!
L’esito definitivo ha rivelato (come se non lo sapessi già) che mi sto
innamorando di nuovo di lui. Non che non lo amassi più, in questi tre anni non
è passato un solo, singolo giorno senza che non lo pensassi. Mi sto innamorando
di nuovo di quell’amore “malato”. Quello che mi ha fatto capitolare dopo
neppure una settimana la prima volta che ci siamo incontrati, quello che non mi
fa dormire la notte e mi tiene sveglia a fantasticare, su un possibile
incontro, su una notte passata insieme nello stesso letto, sulla possibilità di
fare di nuovo l’amore con lui.
Ecco, è bastato questo
a tenermi sveglia, unita alla necessità di avere realmente un uomo al mio
fianco. Certe volte penso che potrei davvero impazzire, per fortuna i rimedi
sono tanti…
Sento una zompata di
calore impossessarsi delle mie guance al sol pensiero e un brivido percorrermi
il basso ventre. Sospiro, scuoto la testa e ringrazio il clima freddo di fine
ottobre che mi da subito un po’ di sollievo.
Impazzirò veramente un giorno di questi mi ritrovo a pensare. Per fortuna che mi ha
chiamata lui ieri, altrimenti lo avrei fatto io. Oggi, domani, non lo so. Ma
certo è che non avrei lasciato correre troppo tempo.
Sconsolata mi siedo su
una panchina ad aspettare. Sono le 15.10, ma ancora non sono arrivati. Mi
chiamerebbero se avessero cambiato i loro piani, o no? Se non arrivano entro
cinque minuti li chiamo. Si, li chiamo.
Per fortuna non ne
passano nemmeno due che vedo una chioma rossa corrermi incontro tutta
affannata. Deve avermi vista da lontano e appena mi arriva vicina mi abbraccia
eccitata.
-mamma, mamma!-
-tesoro mio, siete
arrivati, pensavo che non veniste più- affondo il naso nei suoi capelli
stringendola forte.
-non è colpa mia Bella,
è che c’è troppo traffico. Ci ho messo venti minuti per riuscire a trovare un
parcheggio- la risposta mi arriva dall’alto e non può che essere Edward a
pronunciarla, naturalmente. Mi alzo impacciata con il peso di Sophie ancora
abbarbicata al mio fianco in un abbraccio stile Coala, ma riesco lo stesso a
guardarlo negli occhi.
E brillano. I suoi
occhi verdi brillano e mi fanno venire la pelle d’oca. Tutto il suo viso brilla
a dire la verità, incorniciato in un ovale perfetto dalla mascella porno e con
i capelli castano rossicci sparati da tutte le parti. Ancora una volta mi
ritrovo a pensare che non ci sono molte persone al mondo belle quanto lui.Il paesaggio autunnale con le foglie degli alberi ingiallite non fa che
renderlo ancora più mozzafiato. Tutto di lui mi fa pensare all’autunno. Ed io
amo l’autunno, è la stagione dell’anno che preferisco. Edward sa di legna e di
calore, sa di cioccolata calda e cannella, quella che bevo per scaldarmi quando
ho freddo. I suoi capelli hanno il colore caldo delle foglie autunnali e i suoi
occhi quello dei pini di montagna.
-ciao Bella- mi saluta
caldamente facendomi sospirare e inaspettatamente si abbassa a poggiare le sue
labbra sulla mia guancia. Mi irrigidisco immediatamente, ma non perché non
gradisca il gesto, tutt’altro, è che vorrei poterlo fare anche io. Magari
quando giungerà l’ora di salutarci lo batterò sul tempo, mi dico. Balbetto un
debole ciao di risposta e mi prendo il tempo di ammirarlo in tutta la sua
bellezza quando Sophie comincia a tempestarlo con milioni di domande. Il suo
corpo fasciato in un cappotto di lana marrone non contribuisce per nulla alla
causa “evitiamo di far impazzire Bella”.
Dio, è così bello che mi toglie il fiato.
Senza indugiare oltre
ci mettiamo in fila per entrare al parco.
Sin da subito si
instaura un clima di serenità e affinità reciproca, cosa che non credevo
possibile visti i trascorsi, ma non dovrei stupirmene più di tanto. Io e Edward
siamo sempre state due anime affini, anche se il fantasma del problema che ci
ha condotto alla separazione tre anni fa è sempre presente, che mi ricorda
quanto possa essere facile perdere quell’affinità e distruggere tutto nel giro
di pochi secondi. Mi irrigidisco a quel pensiero ma stringo forte la mano di
Sophie e la accompagno mentre oltrepassiamo l’arco dell'orologio Delacort.
-mami, andiamo a vedele
le caple?- mi esorta la mia bambina entusiasta oltre ogni dire; lo zoo di New
York è uno dei suoi posti preferiti insieme alla statua di Alice nel paese
delle meraviglie, sempre qui a Central Park.
-ti porteremo a vedere
tutto quello che vuoi tesoro mio- è Edward a rispondere battendomi sul tempo.
-si! Allola, vollio
andale dalle caple, dai pinguini, dal… dal… com’è che si chiama mami, il
pelsonaggio di Gloria di Madaccar?-
-ippopotamo, il
personaggio di Gloria è l’ippopotamo-
-oh, e c’è mami?-
-sicuro che c’è-
risponde Edward ancora una volta ridendosela sotto i baffi- e ci sono anche le
zebre, i leoni, le giraffe, le foche, le tigri…-
-le tigri bianche, già-
mi intrometto - a proposito, tu non ne sapevi niente del cucciolo che
presentano oggi, al pubblico?-
-certo che lo sapevo.
Perché ti ho invitata a venire qui sennò?-
-ma certo, che stupida-
mi porto una mano alla fronte con fare melodrammatico- quale altro motivo
avresti avuto per invitarmi a venire altrimenti? D’altronde morivi dalla voglia
di vedere il cuccioletto, non è così?- concludo prendendolo in giro.
-ma certo che ti ho solo invitata per questo. Non ho
secondi fini io, proprio per niente. Zzt per chi mi hai preso?-
Guardo Sophie stufa di
sentire i nostri discorsi avvicinarsi ad un gruppo di bambini attirati dalla
presenza degli
impavidi scoiattoli che vivono qui intorno. Sono così abituati alla presenza
dell’uomo che si lasciano avvicinare senza alcun timore e i bambini
impazziscono alla vista di questi simpatici animaletti dalla coda gonfia che
sgranocchiano ghiande e che gli corrono tra le gambe.
-ed io che pensavo che
volessi passare del tempo insieme a me…- concludo trasognata pentendomene un
secondo dopo averlo detto.
Mi porto le mani a
coprire la bocca sentendo il sangue colorarmi le guance.
-no, cioè…- lo guardo
mortificata e scoppia a ridermi in faccia neanche avessi raccontato una
barzelletta.
-tranquilla Bella, puoi
dirlo. Tanto lo sai che è la verità-
-è la verità?- gli chiedo speranzosa.
-ma certo che è la verità- si blocca sul posto per rimettermi una ciocca
di capelli dietro l’orecchio e subito sento una scarica di adrenalina vibrarmi
in tutto il corpo e il cuore cominciare a battere impazzito. Non che avessi
bisogno della conferma, è da quando ha chiamato che so con certezza che è
questo il motivo che l’ha spinto ad invitarmi, ma sentirselo dire rende tutto
molto più reale.
Imbarazzata dal suo tocco abbasso gli occhi al suolo e alle nostre
scarpe sprofondate sotto un tappeto di foglie gialle e arancioni.
-te l’ho detto Bella, non posso fare finta che non sia successo niente
l’altra sera. È stato bellissimo e lo desideravo tanto, da tanto- prova a
scrutarmi in volto e a legare il mio sguardo al suo ma veniamo interrotti dalle
urla di Sophie dall’altra parte del prato. Terrorizzata che possa essere
successo qualcosa di grave mi pietrifico sul posto ed è Edward a scrollarmi e a
trascinarmi verso nostra figlia.
-tesoro stai bene? Cosa è successo?- chiede spaventato una volta
raggiunta la calca di bambini.
Vederla in piedi e tutta intera mi fa tirare subito un sospiro di
sollievo, almeno non ha urlato perché si è fatta male. Ma allora cosa…?
Sposto lo sguardo poco più lontano di un paio di metri e capisco qual è
la ragione che l’ha fatta urlare spaventata. Il corpicino smilzo e peloso di
uno scoiattolo praticamente in stato di decomposizione, sotto il pesante strato
di foglie autunnali, la guarda con i suoi occhietti languidi e privi di vita.
Sicuramente uno degli effetti collaterali della loro disponibilità con i
bambini è che li portano a mangiare anche quello che non dovrebbero, cose che
poi a lungo andare ne causano la morte.
-tesoro vieni via, non guardare- la trascino fuori dal prato e la faccio
sedere su una panchina distante dal luogo del “misfatto”. La consolo mentre
abbondanti lacrime le rigano il viso nonostante capisca all’istante,
conoscendola, che la sua è una reazione abbastanza esagerata a quanto è appena
successo. Avevamo una pesciolino rosso a casa che è morto da un giorno
all’altro e lei non ha versato nemmeno una lacrima quella volta, e pensare che
l’aveva desiderato così tanto! Ma non si è persa d’animo e il giorno dopo ha
preteso che andassimo a comprare un altro.
Nonostante la voce spezzata ci racconta tutto quello che è successo e
arriviamo a capire che il vero motivo che l’ha spaventata questa volta è che
pensa di essere stata lei ad ucciderlo. Dice di aver preso un pezzetto di
buccia di noccioline che stava a terra e di averlo dato allo scoiattolo che
tutto contento se lo è rigirato un paio di volte vicino al muso e che poi è
scappato via, senza darle nemmeno la soddisfazione di vederglielo mangiare. Al
che Sophie l’ha seguito dietro l’albero ma lui era già scomparso. Quando ha
visto l’altro scoiattolo, quello morto stecchito vicino al tronco ha pensato
che fosse lo stesso e di conseguenza che fosse stata lei a ucciderlo, memore
dei miei rimproveri e delle mie avvertenze a non dare nulla da mangiare ai
piccoli abitanti pelosi di Central Park.
-tesoro tu non c’entri niente, non sei stata tu a fargli del male
capito? Quello scoiattolino poverino era morto già da un po’ di tempo, prima
che tu lo trovassi-
Tira su con il naso e mi guarda con i suoi occhioni verdi tanto limpidi
adesso dopo il pianto- allola non sono stata io, mami?-
-no, piccola mia, no. Non sei stata tu- sul suo viso compare subito un
sorriso di sollievo e anche sul mio e su quello di Edward ritorna la serenità.
Archiviata la faccenda della scoiattolo, dopo aver segnalato ad uno
degli sportelli informazioni la nostra scoperta, riprendiamo a girovagare per
le vie del parco.
Il breve momento di intimità con Edward momentaneamente accantonato
visto chel’emergenza, barra crisi
isterica di nostra figlia ci ha completamente assorbiti. Ma penso di sentire
ancora le farfalle nello stomaco e una scia incandescente sulla guancia, nel
punto dove poco più di mezzora prima aveva appoggiato la sua mano.
Trascorriamo le successive ore a visitare tutte le gabbie dello zoo.
Sophie impazzisce per le capre, sono alcuni dei pochi animali che i
responsabili permettono ai bambini di toccare. Ogni volta sono urla di giubilo
quelle che sento uscire dalla sua bocca quando una di quelle bestiole le si
avvicina per prendere un ciuffo d’erba direttamente dalla sua mano. Anche
questa volta si è dimostrata felice oltre ogni dire, solo che non so quanto
centrassero le capre: è stato Edward a tenerla in braccio per tutto il tempo e
ad aiutarla ad avvicinare la mano. Vedere i loro sorrisi complici ed entusiasti
per qualcosa di veramente così semplice mi ha fatto sentire una fitta al cuore
e ho capito che è questo quello di cui hanno bisogno tutti e due. Hanno
semplicemente bisogno di stare insieme.
La gabbia di “Sammy” come preventivato è strapiena di gente. Bisogna
mettersi in fila per riuscire a vederlo e quando finalmente arriva il nostro
turno sono ormai passati più di quindici minuti.
-mami! Quanto è bello mami- esulta Sophie in braccio a Edward.
-si, hai visto? È davvero bellissimo- e lo è davvero. A questo punto
della sua vita è praticamente una palla di pelo bianca con delle striature nere
che cerca di tenersi in piedi, ma sono di più le volte che cade perdendo
l’equilibrio che quelle in cui riesce a fare pochi passi. Guaisce quando
finisce a gambe all’aria e i suoi occhioni blu si guardano smarriti a destra e
a sinistra, probabilmente in cerca della mamma.
-Sammy eh?- mi chiede Edward poco più avanti.
-già. È così che l’hanno chiamato-
-spero che sappiano che quando sarà grande e peserà il triplo di loro li
sbranerà in un sol boccone per questo affronto-
Scoppio a ridere divertita scuotendo la testa e lo ascolto mentre cerca
di convincere Sophie della sua teoria secondo la quale avrebbero dovuto
mettergli un nome un po’ più virile.
-avanti Edward, ci sono nomi peggiori di Sammy-
-certo, non dico di no. Ma avrebbero potuto sforzarsi un po’ di più-
-e che nome gli avresti messo, sentiamo?- lo provoco mentre usciamo
dalla fila e ci dirigiamo fuori.
-mmh non so ma di certo non l’avrei chiamato come un pesciolino. Quello
il pesce neanche lo vede. Dico bene tesoro?-
-mmh-mmh papi-
-visto? Una che la pensa come me-
-perché non sai che nome ha dato al suo, di pesce. Tesoro di a papà come
l’hai chiamato-
-Beal!-
-come Beal? Bear vuoi dire?-
-è chello che ho detto-
-Bella nostra figlia ha chiamato un pesciolino con il nome di un Orso?-
Rido nuovamente davanti alla sua faccia scioccata- si, proprio così-
-Bear!- sbotta divertito e adesso è il suo turno di scoppiare a ridere.
-Avanti, vediamo chi arriva prima alla gabbia delle scimmie!- urla
mettendo Sophie giù e correndo a perdifiato.
-si però poi ci fermiamo, non ce la faccio più!- gli grido dietro
sbuffando. Spero tanto che mi abbiano
sentita penso. Per quest’uscita mi sono munita di comode scarpe da tennis,
ma nemmeno le morbide suole in gomma fanno desistere i miei piedi dall’urlare
di dolore. Sono quasi tre ore che non facciamo altro che camminare!
Mi siedo su una panchina e gemo quando avverto il ferro solido
scontrarsi contro la mia schiena dolorante. Lascio che il leggero vento mi
accarezzi il viso e i capelli e chiudo gli occhi cullata dal dolce rumore delle
foglie secche sui rami. Dopo un po’ torno a guardarli e li vedo da lontano rincorrersi
e giocare a nascondino o lanciarsi le foglie una addosso all’altro. Alla fine
Edward mi raggiunge e lascia Sophie a scorrazzare sul prato. Sono felice di
aver accettato l’offerta di questa uscita, il sorriso della mia bambina e la
contentezza di Edward hanno fatto aumentare ancora di più le speranze che nutro
inquesto riavvicinamento.
Riavvicinamento che adesso stando seduti su una panchina a praticamente
due centimetri di distanza non sembra poi così tanto improbabile. Siamo fermi a
guardare Sophie giocare insieme ad un'altra bimba con il sole sempre più basso
a ricordarci che questa giornata sta quasi per finire. Ogni tanto sento il suo
respiro lieve sfiorarmi il collo e il suo corpo spostarsi irrequieto.
-sono felice- dice ti punto in bianco – speravo tanto che mi dicessi di
si ieri, quando ti ho chiamato-
-e io speravo tanto che me lo chiedessi- replico in un sussurro non
riuscendo a trovare la forza di esprimere quel desiderio ad alta voce, ma lui
lo sente lo stesso e immediatamente mette una sua mano a coprire la mia.
-Bella… voglio che tu sappia che ci credo davvero in questa cosa- dice
guardandomi negli occhi e facendomi rabbrividire tanta è forte l’intensità del
suo sguardo- non so dirti a parole quanto… quanto sono felice per tutto quello
che sta succedendo-
Faccio per parlare ma mi interrompe.
-spero tanto che vorrai replicare l’uscita al più presto, soltanto io e
te questa volta, che ne dici? Non che non voglia Sophie con noi, Dio la amo con
tutto me stesso, ma ha un tempismo davvero terribile. Ogni volta ci interrompe
sempre sul più bello. E penso che non è di questo che abbiamo bisogno. Di
essere interrotti intendo…-
-no, hai ragione- combattuta tra il ridere e ilpiangere non posso fare altro che essere
d’accordo con lui quando dice che nostra figlia ha un pessimo tempismo. Non mi
sono sfuggiti i vari tentativi di avvicinamento puntualmente interrotti da
Sophie che troppo eccitata per questo e per quello non ha fatto altro che
tenerci lontani. Eppure l’ho sentito il suo bisogno, lo stesso che provo io di
stare il più vicino possibile a lui e toccarci a vicenda. Ma non per una mera
questione di desiderio, no. Anche se Dio solo sa quanto sia forte. Voglio
solo…sentire il tocco della sua mano sulla mia pelle, solo questo.
-allora? Quando potrò rivederti?- sembra quasi che stiamo organizzando
un uscita segreta.
-emmh, non so…- mi ritrovo a balbettare peggio di una bambina.
L’emozione che provo è davvero incontrollabile.
-facciamo che mi chiami tu, la prossima volta?- leggo nei suoi occhi la
necessità di sentirmi dire di si, a dimostrazione che anche io come lui credo
in quello che sta succedendo. Perciò non posso fare altro che annuire e
sogghignare quando un sorriso gli incornicia il volto.
Il sole è quasi tramontato perciò decidiamo di avviarci alle nostre
auto. La sua è molto più distante della mia ma Edward esprime il desiderio di
accompagnarci visto che è anche il momento di salutare la bambina, che verrà
via con me. Lungo il viale sterrato del parco Sophie capta il profumo inconfondibile
dello zucchero filato e insiste affinché gliene compri uno.
-voi andate avanti, io vi raggiungo subito. Ho visto una cosa e… non ci
metterò molto, promesso- sul viso di Edward è stampato un sorrisetto furbo e
ammaliatore. Non aspetta nemmeno una risposta che corre via eccitato verso la
direzione opposta alla nostra.
-chissà che avrà in mente- borbotto soprappensiero mentre ci mettiamo in
fila in attesa dietro diversi bambini. Sophie accanto a me emette un sonoro
sbadiglio.
-sei stanca eh, piccolina?-
-mmh-mmh-
-porta ancora un altro po’ di pazienza. Il tempo di salutare papà è
andiamo a casa, va bene?- solo a sentire pronunciare queste parole il suo viso
si abbrutisce – dai non fare quel faccino. Per farmi perdonare stasera
ordiniamo la pizza, ti va?- sono mezzucci subdoli questi, lo so. Ma non
sopporto di vederla triste e un piatto strapieno della sua pizza preferita mi
sembra un ottimo modo per farle tornare il sorriso.
La signora davanti a noi di due posti sta comprando dolciumi e caramelle
per un reggimento e mi ritrovo a sbuffare ogni volta che alza la mano per
indicare qualcos’altro. Di questo passo
non ci sbrigheremo mai penso sconfitta quando sento un leggero tocco
accarezzarmi la spalla.
-oh Edward ma dove sei sta…- le parole mi muoiono in bocca e il sangue
mi si gela nelle vene quando mi accorgo che non è stato Edward a toccarmi bensì
una persona che non credevo mai possibile rivedere.
Credevo che si fosse estinta, evaporata, eclissata, rapita dagli alieni,
inglobata da una qualche specie di universo parallelo dopo tutte le maledizioni
che le ho gettato addosso in questi tre anni, ma Tania Denali è bella come una
rosa e soprattutto è a meno di venti centimetri dalla mia faccia.
Quante volte ho desiderato trovarmela davanti e dirle tutto quello che
mi sono sempre tenuta dentro. E invece mi ritrovo a balbettare ea rabbrividire. Questa è la donna con cui
Edward mi ha tradito, è la donna che ha baciato e che ha toccato, e con cui ha
fatto l’amore.
Smarrimento e confusione cedono inevitabilmente il posto a rabbia e
frustrazione.
-tu!- sbotto all’improvviso.
-oh, ma che piacere rivederti, Bella- la sua vocina stridula e il suo
sorriso bianchissimo mi fanno venire il voltastomaco.
-che vuoi? Sparisci!- cerco di controllare il tono della mia voce, siamo
sempre in un luogo pubblico e poi c’è anche mia figlia accanto a noi che sembra
non essersi accorta di niente per fortuna, ma è inevitabile che dalla mia bocca
escano parole al vetriolo. La guardo dalla testa ai piedi desiderando che si trasformi
in un insetto disgustoso. Torno a girarmi in avanti ma sento la sua presenza
incombere su di me.
-non volevo intromettermi ma non ho resistito alla tentazione di venirti
a salutare- bisbiglia con fare civettuolo al mio orecchio- sai? Vi ho visti
passeggiare poco fa, tu, Edward e la vostra bambina. Eravate un quadretto
davvero così dolce e sarebbe stato perfetto se non fosse per il fatto che mi
avete fatto venire la nausea- sussurra facendomi rabbrividire.
-Tania, che vuoi?- pronuncio tra i denti quelle parole ma in realtà
vorrei solo potermi girare e afferrarla per i capelli.
-da te non voglio nulla, ci pensa già tuo marito a darmi tutto quello
che voglio. Ops, scusa, volevo dire ex
marito- una risata stridula degna della più stupide delle oche mi fa sussultare
-è un amante così focoso e passionale che non posso desiderare di più. È in
pena con se stesso poveretto, non riesce a darsi pace per quello che ti ha
fatto ma non deve stare poi così tanto male se in questi tre anni ha continuato
a cercarmi, che dici? È così bello stare tra le sue braccia sai?-
Cosa?Il mio cuore già lacerato si incrina ancora di
più al suono di quelle parole. In questi
tre anni? Ha davvero detto così?
-oh, non stupirti mia cara Bella- si affretta a dire con tono fintamente
dispiaciuto -immagino quante belle paroline ti abbia detto Edward per tenerti
buona buona, ma non credere ad una sola parola- il suo fiato sul collo è come
acido sulla mia pelle – lui è mio, lo è sempre stato e sempre lo sarà. È mio
quando viene a scaldarsi nel mio letto ed è mio quando va via dopo una notte
passata a fare l’amore- mi irrigidisco e stringo un po’ troppo forte la mano di
Sophie. C’è ancora una persona davanti a noi e io mi ritrovo a pensare con
rammarico che se non ci fossimo fermate non starei qui a parlare con Tania.
Stupida! Ma che vado a pensare?
Se non ci fossimo mai incontrate sarei sempre rimasta all’oscuro di tutto. Oh,
Edward ma cosa stai facendo? È questo il modo in cui non avresti più voluto
farmi soffrire? Reprimo una lacrima stringendo a pungo la mano libera, e la
stringo così forte da sentire le unghie conficcarsi dentro al palmo chiuso.
-tu menti!- dico gelida.
-o no Bella, che motivo avrei di farlo? Edward e io continueremmo a
vederci lo stesso anche se tornaste a vivere insieme. In questi anni ha avuto
altre donne, ma ogni volta torna sempre da me, perché sono io quella che vuole.
Questa volta è diverso però, non posso stare zitta- la sua voce continua ad
essere un debole sussurro ma da oca giuliva adesso è passata ad essere ferma e
tagliente come la lama di un rasoio -accetto che vada a letto con chiunque, ma
non posso accettare che venga a letto con te-
Faccio per rispondere ma non perde tempo a rincarare la dose, come se
stesse sparando adesso tutte le cartucce che silenziosamente si è conservata in
questi anni. Ed io non posso fare altro che incassare i colpi, sono in una
posizione di svantaggio con Sophie accanto.
- oh, no mia cara, con te proprio non lo sopporterei. Con te, che sei un
piccolo essere insignificante. E se questo non basta a farti capire che ti sto
dicendo la verità, pensa a cosa sto rischiando per venire a parlare con te.
Perciò fai un favore al mondo e levati dalle scatole senza dare in
escandescenza. Lui non ti ama, non è te che vuole. Altrimenti perché ti avrebbe
tradita con me tre anni fa? Quella volta è stato così bello! Lo abbiamo fatto
sul divano del suo ufficio mentre tu eri chissà dove a fare Dio solo sa cosa-
questa volta non combatto contro la lacrima che preme a forza per uscire.
Lascio che scivoli lungo la mia guancia arida e ormai troppo fredda. Il mio
cuore ridotto in poltiglia.
-signora? È il suo turno, in cosa posso esserle utile?- il signore
allampanato dall’altra parte del chioschetto mi guarda come se fossi un imbecille
e stranamente mi rendo conto che non deve essere la prima volta che mi rivolge
quella domanda. Scuoto la testa riprendendomi dal mio stato di shock e paralisi
mentale, mi abbasso ad afferrare Sophie da sotto le ascelle per issarmela sul
fianco e prima di andare via mi giro verso Tania e le mollo uno schiaffo. Bam!
In pieno viso.
-sei una lurida puttana- pronuncio quelle parole con un odio e un
risentimento tali che mi fanno sentire la donna più potente sulla faccia della
terra. Potrei schiacciarla in un solo istante se solo si azzardasse a parlare,
ma non lo fa. Volto le spalle al piccolo comitato di persone che mi guardano
inorridite e scappo via, verso la mia macchina. Sophie in braccio, reclama il
suo zucchero filato ma non ho tempo di pensare ai suoi capricci. Ho solo la
testa di dirigermi come un fulmine verso l’unico oggetto che è in grado di
mettere distanza tra me e quella dannata vipera.
Che tu sia dannata
Tania Denali, che tu sia dannata! Penso mentre a gradi falcate raggiungo la mia
macchina. Per un solo, piccolissimo e infinitesimale instante mi concedo il
lusso di pensare anche a quel farabutto di Edward, ma il dolore è così grande
che scaccio via quel pensiero alla stessa velocità con cui è arrivato. Fa
troppo male.
-mamma, ma non abbiamo salutato papà! Io vollio salutale papà!- protesta
la mia bambina mentre le allaccio la cintura di sicurezza e lei invece cerca di
impedirmelo.
-basta!- la sgrido al limite della sopportazione. Si blocca e mi guarda
impaurita – tuo padre è andato via. Adesso fai la brava e fatti allacciare la
cintura!- non protesta più per fortuna ma vedo il suo labbro inferiore
tremolare.
-Bella!- sento chiaramente il mio nome ma non mi giro, non ne ho
materialmente la forza. Chiudo lo sportello di Sophie, prendo un bel paio di
respiri e facendomi coraggio mi dirigo verso di lui.
-Bella! Bella!- quando arriva al mio fianco ha il fiatone e regge un
enorme palloncino a forma di Flounder in mano.
-dove diavolo sei stato?-
-ho preso questo per Sophie, l’ho visto mentre lasciavamo lo zoo e ho
pensato che l’avrebbe adorato, perciò sono tornato indietro a comprarlo. Ma…-
si interrompe forse vedendo la rabbia sul mio viso- … a quanto pare stavi
andando via senza neanche dirmi ciao. Che sta succedendo Bella?- la sua voce
subisce una radicale trasformazione, da calda e spensierata è diventata
guardinga e affilata.
-me ne vado Edward- dico incrociando le braccia sotto al seno.
-questo l’ho visto. Ma non capisco il perché. Andava tutto bene…-
-tze! Si, andava tutto bene per te, eh? Non è vero? Ed io come una
stupida ci stavo cascando di nuovo con tutte le scarpe!-
-ma cosa…-
-no! Non lo fare, non guardarmi con quell’aria innocente. Sei solo un
bugiardo. Un lurido e squallido bugiardo!–
-Bella ma… cazzo vuoi dirmi quello che sta succedendo?- mi afferra per
le braccia e mi guarda disorientato. Nei suoi occhi leggo tanta paura.
-succede che non voglio vederti mai più!- lo spintono indietro
incitandolo a lasciarmi- non voglio più avere niente a che fare con te. Mi
disgusti! Il solo fatto di avere le tue mani addosso mi fa venire la pelle
d’oca. Lasciami!- urlo riuscendo finalmente a liberarmi. Mi guarda senza
vedermi davvero, sicuramente atterrito dalle mie parole.
Fallo, Edward, fallo!
Prova anche tu un briciolo del dolore che mi porto dentro da tre anni e che
adesso mi stai infliggendo di nuovo!
Gli volto le spalle e mi dirigo verso la macchina. Mi segue ma è troppo
tardi perché sono già chiusa all’interno e ho avviato il motore. Picchietta con
i palmi sul vetro incitandomi ad abbassare il finestrino e a non andare via.
-papà!- urla Sophie vedendolo ma non le do nemmeno il tempo di
avvicinarsi che sfreccio via con una manovra azzardata.
-Sophie stai giù- la rimprovero mentre guardo l’immagine di Edward nello
specchietto retrovisore immobile in mezzo alla strada. Il palloncino che teneva
in mano ora libero, a volare per aria. Un rumore sordo al petto mi fa capire
che sono scoppiata in lacrime senza neanche rendermene conto.
Falso.
Perché? Perché mi ha fatto questo? Non bastava che mi avesse già fatto
del male tre anni prima? La cosa che mi fa più rabbia è che se fossi cascata di
nuovo nella sua trappola non ci sarei andata di mezzo solo io ma anche la
nostra bambina. Quale uomo è così meschino da compiere un gesto simile nei
confronti della figlia?
Durante il viaggio in macchina ignoro le sue chiamate sul telefonino e
lo stesso faccio quando siamo ormai a casa. Sophie da bambina intelligente ha
evitato di farmi domande ma sono consapevole che vedermi in questo stato non
può farle certo del bene. Dopo mangiato la lascio un po’ davanti ai cartoni e
io mi sposto in camera mia a prendere quel fogliettino di carta che tante volte
ho pensato bene di buttare. Ma mai come questa sera sono contenta di aver
tenuto.
Afferro il cellulare dalla tasca e stanca mi lascio cadere sul letto.
Compongo il numero e aspetto che lui risponda
dall’altra parte concentrandomi sul motivo reale che mi ha spinta a chiamarlo.
Io non ho più una vita.
Tutto quello che avevo, che ho, è sempre girato intorno a Edward e alla
sciocca speranza che saremmo tornati insieme prima o poi. Ma adesso che lui non
esiste più (e devo convincermi al più presto di questo), vedo fare un po’ di
pulizia nelle mia vita. E la pulizia la farò solo voltando pagina. Sono
arrabbiata, sono delusa, sono confusa, sono ferita. Ma di una cosa sono certa: invidio le persone che si innamorano
ogni due giorni. Io mi sono innamorata solo una volta e ho il sospetto che
dovrò farci i conti per tutta la vita*.Ma nessuno può impedirmi di fare
quello che sto per fare.
-pronto-
dico quando una voce calda risponde sorpresa dall’altra parte- Jacob? Sono io,
si sono Bella. È ancora valido quell’invito ad uscire?-
*Invidio
le persone che si innamorano ogni due giorni. Io mi sono innamorata solo una
volta e ho il sospetto che dovrò farci i conti per tutta la vita. È una frase
di Susanna Casciani.
Dunque,
chi propone l’uccisione immediata per decapitazione della nostra cara e
dolcissima Tania che ancora una volta si è messa in mezzo, inventandosi bugie
su bugie solo per farla pagare al nostro Edduccio poverino, che come al solito
ci finisce sempre di mezzo?
Vedo
un sacco di mani alzate, brave brave. Vi tocca mettervi in fila però, perché la
prima della lista sono io. -_-
Duh, non sapete quanto è stato difficile
scrivere quella parte! Che ne pensate a proposito? La nostra Bella si è vista
crollare di nuovo il mondo addosso, sperava che questa fosse la volta buona ma
la scarsa fiducia che ripone nei confronti di Edward le ha fatto credere all’istante
a tutto quello che le ha detto Tania. È comprensibile non trovate? Per il resto
penso che il capitolo si commenti da solo. Il finale… beh…. mmhh non posso e
non voglio anticiparvi niente, perciò terrò la bocca cucita, però sono aperte
le scommesse… ;)
Grazie
come sempre per le recensioni che lasciate ogni volta, a breve risponderò a
quelle dell’ultimo capitolo, promesso. Spero che vorrete lasciare un piccolo
pensiero anche questa volta, ne sarei molto felice. A parte il fatto che vivo
di queste è bello sapere se quello che scrivo piace alla gente.
Bene
vi lascio, un bacione e alla prossima!
Ps:
GRAZIE Ciù che mi sopporti sempre! ♥
QUI ci
sono io / QUI la pagina Robsten che gestisco con le mie socie
Buonsalve! Eccomi qui, con il nuovo capitolo. Non ci ho messo tanto questa
volta dai. Niente, spero tanto che vi piaccia. ^_^
Buona lettura!
Capitolo 7
Va'dove ti porta il cuore
Susanna
Tamaro
Venerdì 28 Ottobre 2011
-andava bene il caviale Beluga?-
- si. Bells?-
-e il manzo Wagyu?-
-era ottimo, anzi eccellente! Ma Bells, mi ascolti?-
-che c’è?- alzo la testa dai miei fogli e vedo Jenny fissarmi come solo
lei è in grado di fare. Dall’alto del suo metro e cinquantacinque, con i
capelli neri e ricci e gli occhi blu allungati, quasi a mandorla, Janet Lindsay
è la donna più tenace, testarda, caparbia e persuasiva che esiste sulla faccia
della terra.
-come che c’è? Non hai sentito una sola parola di quello che ti ho
detto?-
-si Jenny ti ho sentito, ma non…-
-“non” cosa? Non farai niente? Non andrai a trovarlo? Non la smetterai con questo giochetto
stupido?-
-non è un giochetto stupido. È la mia vita e decido da sola cosa posso o
non posso fare- mi alzo e aggiro il bancone del bar per versarmi un’altra bella
tazza di caffè, l’ennesima. Sono le 10:15 e il ristorante è ancora chiuso,
anche se sento i ragazzi in cucina manovrare con pentole e padelle, accendere i
fuochi e sistemare la sala. Sono al Seasons
il ristorante di Jenny, in ordine il terzo ristorante che gestisco.
Le volto le spalle ma la sento sbuffare sonoramente e non posso fare altro
che alzare gli occhi al cielo.
-e sentiamo…uscire con un uomo del quale non ti interessa un cazzo solo
per farla pagare a Edward non lo chiami “giochetto stupido”? Per me è così, è
solo un giochetto stupido Bella-
Dio, è da quando le ho raccontato che ho telefonato a Jacob per
organizzare un uscita che me ne dice di tutti i colori. Speravo che essendo mia
amica da tanti anni ormai appoggiasse ogni mia scelta, soprattutto in questo
caso speravo che mi stesse vicina o che la pensassimo alla stesso modo. Jenny e
io ci siamo conosciute lo stesso giorno che ho incontrato Edward. Anche lei
come me lavorava nel servizio di catering che quella sera fu ingaggiato per
servire alla villa dei Cullen. Lei lavorava strenuamente in cucina mentre io mi
rompevo la schiena per servire ai tavoli. Da quel giorno non ci siamo più perse
di vista e siamo diventate grandi amiche nel corso degli anni. Ed è per questo
che invece di inveirmi contro speravo che appoggiasse le mie decisioni. Lei ha
visto nascere la mia storia con Edward praticamente da subito e mi è stata
sempre accanto. Dal giorno del matrimonio fino al momento del parto. Dal giorno
in cui le ho raccontato del tradimento fino al momento del divorzio. Sa quello
che ho provato e sa quanto ho sofferto, perciò non credevo che la prendesse
male quando l’ho chiamata e le ho raccontato che sarei uscita con Jacob venerdì
sera, questo venerdì sera, praticamente tra dieci ore.
-senti, accettare un invito a cena non ha mai ucciso nessuno e non penso
che Jacob sia un serial killer travestito da istruttore di Yoga-
-che ne sai? Magari ha un accetta nascosta sotto quei dieci strati di
muscoli-
La mia occhiataccia deve essere abbastanza eloquente perché smette di
parlare all’istante. Ma, come dicevo, Jenny è la donna più testarda che conosca
e due occhi iniettati di sangue non la fermerebbero nemmeno se si trovasse
davanti ad un boia.
-non è l’uscita che ti contesto, Bella. È il motivo che ti ha spinta a
farlo-
-oh, vuoi dire il piccolo e insignificante dettaglio che il mio ex marito,
nonché padre di mia figlia, si è dimostrato essere un puttaniere degno dei
peggiori playboy d’America? Dovrei chiedere a Oprah se è interessata a fargli
un intervista. “Ex marito irretisce la ex moglie, facendole credere che è
interessato ad un riavvicinamento mentre invece va a letto da tre anni con
un'altra donna”-
-e non solo…-
-già stavo quasi per dimenticarlo. ‘E non solo’ - sbuffo sentendo una
fitta nel petto quando le parole di Tania tornano vivide nella mia mente “lui è mio, lo è sempre stato e
sempre lo sarà. È mio quando viene a scaldarsi nel mio letto ed è mio quando va
via dopo una notte passata a fare l’amore.In questi anni
ha avuto altre donne, ma ogni volta torna sempre da me, perché sono io quella
che vuole.Lui
non ti ama…”
‘Lui non ti ama’già, non mi
ama.
-si, ho capito quanto ti ha fatto male. Ma perché, invece di uscire con
un altro uomo, non hai reagito come qualunque altra donna avrebbe fatto al
posto tuo? A quest’ora dovresti essere a casa, sotto le coperte a ingurgitare
chili di gelato e a piangere davanti a film strappalacrime. Vederti così dura
e… determinata ma allo stesso tempo… rabbiosa-
-rabbiosa? Che razza di termine è?-
-dico solo che non capisco perché tu debba reagire in questo modo. Non
l’hai mai fatto in questi tre anni, nonostante sapessi, e più volte l’hai visto
con i tuoi stessi occhi, che Edward usciva con altre donne. Perché adesso si?-
-come ‘perché adesso si?’ perché mi ha preso per il culo ecco perché!
Perché mi ha fatto credere che volesse qualcosa da me, che provasse dei
sentimenti nei miei confronti. Ed invece era tutto falso. Tutto quanto! Il
bacio a casa dei suoi e l’uscita al parco con Sophie. Che cosa voleva da me,
cosa?- sbotto esasperata portandomi le mani nei capelli – voleva una donna che
lo aspettasse a casa con la tavola pronta, che gli pulisse sotto al culo, che
gli ritirasse i vestiti in tintoria? Che fosse disponibile a fare l’amore e a
scaldargli il letto, quando poi aveva un amante pronta ad aprire le gambe ad
ogni ora del giorno nascosta chissà dove in uno dei grattaceli di New York?-
-questa è meglio se la prendo io- dice Jenny rubandomi la tazza del
caffè da sotto il naso – sei già abbastanza agitata, non peggioriamo le cose
eh?-
-come ti pare- faccio un gesto con la mano come a liquidare l’argomento
e torno a sedermi sullo sgabello di fronte al suo.
-non fraintendermi Bella…- la sua voce è più che un sussurro quando
torna a parlare – io non giudico il fatto che tu abbia piantato in asso Edward
dopo quello che hai scoperto. Ma non penso che buttarsi subito in una nuova
relazione ti possa rendere felice-
-non ingigantiamo le cose adesso, okay? Non esco con Jacob con
l’intenzione di sposarmelo domani. Esco con lui perché mi sono proibita così
tante cose in questi anni, in nome dell’amore che mi legava a Edward, che
adesso voglio ricominciare a vivere, tutto qui. Magari l’uscita con Jacob sarà
un disastro, magari gli chiederò di riportarmi a casa a metà serata, ma non
voglio starmene rinchiusa in casa a piangere per un amore che ormai ho perso
definitivamente-
-mmh… okay-
Conosco quell’okay. È l’okay che dice quando vuole chiudere un discorso
che in realtà vorrebbe continuare all’infinito. Ma lei conosce me e quindi si
limita a dichiarare chiuso l’argomento, perché sa che nessuno mi smuoverà dalla
decisione che ho preso. E nessuno lo farà infatti. Stasera uscirò con Jacob che
a Jenny piaccia o no. Su una cosa ha ragione però: non sono mai stata
determinata come questa volta. E non so perché abbia reagito in questo modo in
effetti. La mia mente fa a cazzotti con il mio cuore. Ho una guerra dentro che a stento riesco a gestire.
Chi la spunterà?
Il mio cuore sanguina
ancora per l’ennesima batosta che Edward gli ha inflitto.È diventato un muscolo privo di vita che a
stento arranca alla ricerca disperata di quell’emozione, di quella felicità che
lo faccia tornare a battere come prima. La mia mente invece è un vulcano in
eruzione. Ragiona con spietata freddezza e giudica in base ai miei sentimenti
feriti. È lei che mi ha spinto ad
alzare il telefono e chiamare Jacob.
Jacob,
quando ha risposto per poco ha pensato che fosse uno scherzo -Bella? Ma sei
davvero tu?- e poi è stato zitto ad ascoltare quello che avevo da dirgli. Ha
accettato subito la proposta di uscire, tant’è che non vedeva l’ora di
organizzare una serata – per me va bene anche domani- mi ha detto e a quelle
parole sono scoppiata a ridere. Poi ho pensato che sarebbe stato più “pratico”
se fossimo usciti una sera in cui Sophie non fosse stata a casa, perciò ci
siamo accordati per questo venerdì.
Sophie andrà dalla zia
Alice. Edward non può prendersi cura di lei al momento…
-senti, arriveremo
verso le 20:30, ti va bene si?- accantono per un attimo il pensiero precedente
e mi concentro sul fatto che ceneremo qui da Jenny stasera. La mia mente
viaggia da sola è vero, ma non sono del tutto rincoglionita d’uscire con una
persona che non conosco senza avere un bel salvagente attaccato sotto al
sedere. Qui da Jen mi sento a casa, conosco lo staff e lo chef è anche la mia
migliore amica, perciò quale altro posto avrei dovuto scegliere? Per un attimo
mi sfiora l’idea di rispondere “da Steve” ma solo l’immagine di mangiare da lui
mi mette i brividi.
-va benissimo.
L’appuntamento è il tuo, fai come vuoi- dal tono tagliente che ha usato capisco
che è ancora offesa con me, ma non ho la forza per ribattere e ricominciare a
litigare.
Riprendiamo in mano il
nostro lavoro ma Jen continua a borbottare come una pentola di fagioli. Ad un
tratto sbuffa così sonoramente da far cadere a terra alcuni dei miei fogli.
-che c’è?- scoppio
capendo che non riesce più a starsene zitta.
- è che non capisco
come fai ad essere così calma!-
-riguardo a cosa?-
-riguardo al fatto che
appena sei arrivata eri accerchiata da una dozzina di giornalisti. Pensavo che
saresti andata fuori di testa e invece eccoti qui, bella, calma e tranquilla a
compilare quei fogli senza neanche il minimo cedimento-
-okay, ho capito.
Questi è meglio se li metto via va bene? Tanto non vuoi parlare di lavoro,
giusto?- ripiego ogni cosa al suo posto nella cartellina dei documenti che
ripongo subito nella mia borsa -ho parlato con i legali dei Cullen e mi hanno
detto che non devo preoccuparmi di niente. I giornalisti possono farmi tutte le
domande che vogliono, io sono fuori da questa storia-
-e che mi dici di
Edward? Non hai intenzione di andare da lui?-
-per dirgli cosa
esattamente? Non saprei nemmeno da che parte cominciare. E poi in questo
momento non so quanto la mia presenza possa essergli di conforto-
Che ci pensi Tania a consolarlo penso inviperita.
Il pandemonio è
scoppiato la notte di martedì. Mercoledì mattina la notizia viaggiava già come
un razzo tra una testata ed un'altra dei TG, tant’è che anche mio padre mi ha
chiamata tutto preoccupato. Il caffè mi è andato di traverso quando, seduta al
tavolo in cucina, il telegiornale del mattino annunciava con una notizia in
primo piano che il Socio di maggioranza della M&E Corporation, tale Mike
Newton, era scappato con tutti i soldi dell’azienda mandando in rovina i suoi
dipendenti, il suo Socio in affari Edward Cullen e tutti gli azionisti. Mi sono
subito attaccata al telefono per parlare con gli avvocati, non volendo
interpellare Edward in prima persona; erano esattamente più di quarantotto ore
che rifiutavo le sue chiamate. Gli avvocati comunque non hanno saputo dirmi
nulla di più rispetto a quello che aveva annunciato il telegiornale, solo che
Edward si dichiarava estraneo a quanto successo e che al momento si trovava a
casa dei suoi. Ricordo che pensai a quanto tutto questo casino non avrebbe
giovato per niente alla salute di Carlisle già compromessa di suo.
-e quindi? Come stanno
le cose adesso? Si è saputo niente della fine che ha fatto quel farabutto?- la
voce di Jenny è talmente bassa che faccio fatica a comprenderla. Si guarda
circospetta attorno forse preoccupata che possa spuntare un giornalista da
sotto una tovaglia bianca da un momento all’altro.
-l’FBI sta ancora
indagando- dico imitando il suo tono- ma sembra che abbiano scovato una pista
che li porta dritti dritti in Costa Rica. Forse Mike è fuggito laggiù-
-Perché ha fatto un
gesto del genere? Ha distrutto la vita di centinaia di persone- Sospiro
ricordando parola per parola quello che il signor Brown, l’avvocato di Edward e
anche mio avvocato di fiducia, mi ha comunicato proprio ieri sera.
-pare che Mike, troppo
preoccupato per l’aria che si respirava ultimamente a Wall Street, per via
delle azioni in continuo ribasso a favore di un nuovo colosso nel campo
dell’energia rinnovabile Canadese, abbia preferito abbandonare la barca prima
di vederla affondare con lui dentro-
- si, ma tutti quei
soldi? Come diamine ha fatto a farli sparire così in fretta?-
-non lo sanno ancora.
Il signor Brown ha detto che mi terrà informata. Se dovesse esserci qualche
novità mi avviserà sicuramente. A tal proposito, so che non c’è nemmeno bisogno
di chiedertelo, ma vorrei che tenessi per te quello che ti ho appena detto-
-certo, certo. Hai la
mia parola- dice portandosi una mano sul cuore.
-bene. Posso riavere la
mia tazza di caffè adesso?- mi guarda indecisa se restituirmela o meno, ma poi
sbuffa e me l’avvicina al petto.
-ma Edward? Che
conseguenze avrà su di lui tutto questo? È indagato?-
-logicamente l’FBI gli
sta con il fiato sul collo- dico mandando giù una sorsata-hanno paura che possa
lasciare il paese e raggiungere Mike chissà dove-
-pfff, ma è ridicolo!
Edward non farebbe mai una cosa del genere-
-certo. Ma questo lo so
io, lo sai tu. Lo sanno i suoi avvocati e il resto della sua famiglia. Ma loro
non possono permettersi di abbassare la guardia. Lo scherzetto di Mike ha
mandato in rovina un sacco di persone. Per non parlare poi di chi ha investito
soldi sull’azienda e adesso che è fallita ha perso ogni singolo centesimo-
-che pezzo di…-
-già, proprio un bel
pezzo di merda. Fare questo a Edward…proprio non me lo sarei mai aspettata.
Erano amici da così tanto tempo!-
-dovrà essere distrutto
poverino- nei suoi occhi compare un velo di lacrime. Jenny vuole molto bene a
Edward.
-ma perché non metti da
parte l’orgoglio e non vai da lui?- mi supplica.
-oh Jen non
ricominciare!- sbuffo esasperata.
-sei la donna più
testarda che esiste sulla faccia della terra! Ma perché fai così?-
-perché devo fare così. Riavvicinarmi adesso mi
distruggerà lo so. Se vado da lui per stargli accanto… io, io non ce la farei
Jen, non ce la farei proprio. Già piango tutte le notti per quello che è
successo e…- tiro su con il naso una lacrima che tenta di sfuggire alla mia
maschera di durezza- anche solo rivederlo sarebbe un ennesimo colpo al cuore.
Riesci a capirlo? Riesci a capirmi?-
-si- butta fuori l’aria
come se l’avesse trattenuta per un eternità- si, ti capisco-
- è anche per questo
che non ho disdetto la cena con Jacob. Non voglio e non posso cedere alla
tentazione di andare da lui-
È una tentazione così
forte che non mi fa dormire la notte, anche se penso seriamente che mi stia
comportando da stupida. L’uomo che amo sta affrontando l’inferno per aver perso
lavoro, soldi e dignità tutti in colpo solo, ed io non sono con lui. Ripeto,
sono una donna stupida ed egoista, ma sono anche una donna ferita. Se andassi
da lui, adesso, non so quanto tempo ci metterei ad accantonare tutto e a
dimenticare quello che mi ha fatto per stargli accanto, come la maggior parte
delle persone che lo conosce sta facendo in questo momento. Uscire con Jacob è
un diversivo a questo senso di oppressione che ogni volta che sono in macchina
mi porta a svoltare verso la direzione opposta a casa mia per andare da Edward.
Ieri non so come diamine sia potuto succedere, mi sono ritrovata a pochi
isolati da casa sua. Ho combattuto con me stessa per dieci minuti buoni prima
di invertire la marcia e tornarmene da dove ero venuta.
-perciò stasera uscirò
con Jacob- riprendo nuovamente convinta- farò qualcosa per me stessa, per una
buona volta nella vita. E se… beh se mi troverò a pensare a Edward più del
lecito, o comunque più dell’uomo che avrò di fronte stasera, ti prometto, anzi
no… giuro che mi alzerò dal tavolo e dichiarerò conclusa la serata-
********
Di fatti la serata
comincia nei migliori dei modi…
Il campanello di casa
suona esattamente alle 19:45 e mi concedo solo una veloce occhiata allo
specchio della camera da letto prima di correre in salotto, prendere il
cappotto, afferrare le chiavi di casa e richiudermi la porta alle spalle. Il
vestito che indosso stasera è in pizzo nero, foderato dal collo fino alle
ginocchia(diciamo pure un tantino più su) ma con le maniche trasparenti. Quando
mi vede Jacob per poco non si ritrova con la mascella per terra. Esagerato penso, anche se la lusinga di
apparire bella agli occhi di un uomo mi fa sentire qualcosa dentro, all’altezza
dello stomaco, che non provavo davvero da tanto tempo. Jacob è altissimo e con
i miei tacchi (neri anche quelli) gli arrivo a malapena alla spalla.
-sei splendida stasera
Bella- con uno di quei gesti che credevo appartenessero solo agli uomini del
passato, mi prende la mano e con un leggero inchino vi poggia le labbra sopra.
Una volta alzato mi aiuta ad infilare il cappotto beige con un sorriso a
trentadue denti dipinto sul viso.
Saluto Frank il
custode, un uomo sulla sessantina con il sorriso più bello e caloroso del
mondo, che mi ricambia con un sorrisino divertito, appunto. Anche lui suppongo
sia rimasto stupito dalla mia mise un tantino provocante, o forse di più dal
fatto che un uomo sia venuto a prendermi sotto casa, quando per ben più di tre
anni il deserto del Gobi è stato più popolato del mio pianerottolo.
Una volta fuori mi apre
la portiera della sua auto, un Porsche Cayenne nero di ultima generazione
tirato a lucido, che mi lascia a bocca aperta. Tant’è che mi chiedo come faccia
un istruttore di yoga a mantenere una macchina come questa. Forse Jenny ha
ragione, forse Jacob non è chi credo che sia.
Mi do uno schiaffo
mentale per aver concesso alla mia amica di corrompere così tanto il mio
cervello e la conseguente opinione che mi ero fatta su di lui.
Jacob è un bravo ragazzo e soprattutto è un onesto
lavoratore. Questa macchina può averla comprata con i soldi che mette da parte
da tutta una vita. Magari ha anche un altro lavoro! Oppure è diventato
ricchissimo in seguito all’eredità che gli ha lasciato una sua vecchia zia. O meglio
ancora, se l’è fatta prestare da un amico.Non partiamo con il piede sbagliato! Mi dico mentalmente mentre lui
aggira l’auto per entrare dal lato guida.
Ci immettiamo nel
traffico e gli do subito le indicazioni per arrivare al ristorante di Janny. Il
ristorante non è tanto distante da casa mia, si trova esattamente al Columbus
Circle, ma non possiamo fare a meno di parlare del più e del meno nel
frattempo, frasi sciocche per lo più, buttate qui e li giusto per non cadere
nell’imbarazzo che un viaggio silenzioso susciterebbe in entrambi.
“hai visto che freddo
in questi giorni? Dici che nevicherà?” “è probabile, si”
“mi è piaciuta l’ultima
lezione” “come mai non sei venuta questa settimana?” “ohh.. ho avuto un sacco
di cose da fare-”
“così
è arrivato anche
Halloween eh?” “già” “tua figlia
sarà molto impaziente” “mmh, non vede l’ora di
sfoggiare il suo vestito da zucca stregata”
Cose così insomma, ma
che mi danno il tempo di perdermi nei ricordi. È inevitabile per me fare un
confronto (se non altro perché non ho altri metri di paragone) con quella che
considero una delle serate più belle della mia vita, la sera in cui Edward ed
io siamo usciti per la prima volta. Già in quell’occasione capii che sarebbe
stato l’uomo della mia vita e non mi ero sbagliata più di tanto dopotutto.
Arriviamo al ristorante
con qualche minuto d’anticipo e una volta dentro faccio subito le presentazioni
del caso. Gli presento Phil, maître di sala validissimo, Jessica, cameriera
instancabile e Ben responsabile dei vini; i miei amici più fidati qua dentro.
Jacob saluta tutti con un sorriso caloroso che automaticamente fa spuntare
anche a me. Dopo numerose strette di mano ci accomodiamo al tavolo mentre mi
guardo attorno pronta a vedere Jenny uscire dalle cucine e venire a salutarci,
dopotutto me lo aveva promesso, ma il ristorante è del tutto pieno e il lavoro
di là deve essere smisurato.
-Jess, ehi Jess- la
chiamo affinché si avvicini- sai che fine ha fatto Jen?-
-si, è attaccata al
telefono da più di cinque minuti. Ma le ho detto che siete arrivati
tranquilla-strizzo per un attimo gli occhi stupita e curiosa.
-vi posso portare il
menù?-
-si, grazie- ma come? Il ristorante è pieno zeppo e lei
sta attaccata al telefono?
Jacob mi mette sin da
subito a mio agio e per un attimo davvero riesco a dimenticare dove mi trovo,
cosa provo e tutto quello che mi è successo in quest’ultima settimana. Ma il
pensiero di Jen e l’ansia di vederla comparire da un momento all’altro mi fa girare
ogni secondo verso le cucine. Jacob coglie immediatamente il mio sguardo
furtivo e “giustamente” mi chiede di raccontargli di Jenny e della nostra
amicizia.
-Jenny e io ci siamo
conosciuti ad una festa, lavoravamo entrambe nel servizio di catering che
quella sera si occupava di servire le vivande. Io facevo la cameriera mentre
lei lavorava in cucina. Da quel giorno siamo rimaste sempre in contatto e
adesso eccoci qui- ometto di spontanea volontà il fatto che la festa fosse
stata organizzata dalla famiglia del mio ex marito e che è proprio li che noi
due ci siamo conosciuti.
-così, da semplice
cameriera ti sei ritrovata a dirigere tutto questo. Com’è successo?- mi chiede
mentre affonda la forchetta nel suo antipasto.
-emmh, la famiglia del
mio ex marito possiede questo ristorante, al momento del divorzio sono
diventata comproprietaria-
-e Jenny? Come ha fatto
a finire qui dentro?- mi chiede sollevando entrambe le sopracciglia con un
sorrisino malizioso.
-si, è vero mi hai
scoperta- dico alzando le mani in segno di resa- sono stata io ad inserirla.
Avevo la possibilità di farlo e l’ho fatto. Ma lei credimi ne ha tutte le
capacità-
-mhh, lo credo bene.
Questo salmone è fantastico!-
Continuiamo a cenare
tranquillamente tra un bicchiere e un altro di vino e tra una risata e un’altra
di complicità. Lui è veramente un ragazzo speciale. Mi racconta praticamente
tutta la sua vita ed io non posso che rimanerne lusingata. Mi sento un po’ in
colpa però… uscire con lui pur sapendo che non potrà mai esserci nulla di più
tra di noi. Almeno non nell’immediato. È da quando è venuto a prendermi sotto
casa che lo penso e più passa il tempo e più davvero capisco che Jacob è una
persona che potrebbe davvero interessarmi se il mio cuore non fosse già
occupato.
Cuore che sussulta per
la prima volta nella serata, quando vedo una figura vestita in nero varcare la
soglia del ristorante. Ha un cappotto pesante con il collo alzato a proteggere
il viso, ma potrei aver bevuto anche un intera bottiglia di vino, quei capelli
e quella camminata li riconoscerei tra mille.
Cosa diavolo ci fa Edward qui?
Solo a pensare che si
trova a meno di dieci metri di distanza da me, mi fa schizzare letteralmente il
cuore in gola.
Cristo, lo sapevo. Lo
sapevo che mi sarei sentita così. Come una sottiletta fusa tra due fette di
pancarrè: completamente inconsistente. Le mie gambe cominciano a tremaree sul mio viso il sorriso che c’era fino a
poco prima si congela all’istante. Lo vedo dirigersi verso le cucine e la mia
fronte si contrae stupita. Per fortuna Jacob non sembra essersi accorto di
niente perciò non dice nulla quando mi congedo dal tavolo con la scusa di dover
riferire una cosa importante a Phil che si è proprio diretto in quella
direzione.
In realtà mi metto a
seguire Edward, a debita distanza naturalmente, per capire cosa ci fa qui e
come mai stia andando proprio da Jen. Entra guardandosi furtivamente intorno ed
io sono costretta ad abbassarmi dietro un tavolo per non farmi vedere, tant’è
che riesco a spaventare i signori seduti a mangiare.
-signorina! Si sente
male?- mi chiede un signore di mezza età con i capelli bianchi già pronto ad
alzarsi per venire in mio soccorso.
-oddio, no. Sto
benissimo. Mi è semplicemente caduta una lente a contatto, non si preoccupi è
tutto sotto controllo- mi rimetto subito in piedi fingendo una tranquillità che
non ho e con passo spedito raggiungo la porta dietro la quale pochi secondi
prima è sparito Edward.
La scosto un pochino e
lo vedo tra le braccia di Jen che commossa lo stringe forte a se.
-mi dispiace davvero
tanto per tutto quello che ti è successo Edward. Come stai?-
-diciamo che ho vissuto
momenti migliori- e il suo viso sciupato coperto da una leggera peluria scura
ne è una conferma. Non l’ho mai visto con gli occhi così infossati e con il
viso così trascurato. Mi chiedo se una parte di questo suo malessere sia dovuta
anche alla nostra litigata oltre al fatto che si sia ritrovato senza più un
lavoro e indagato per truffa nel giro di ventiquattro ore. Il mio cuore fa una
capriola nel petto quando lo vedo portarsi una mano nei capelli.
-per fortuna che ti sei
lasciato convincere a venire, vorrei poter fare di più oltre che fornirti una
cena calda da asporto però- gli dice lei, depositando un pacchetto sulla sua
mano. Allora era con lui che stava parlando al telefono prima…
-beh una cosa c’è. Puoi
dirmi… come… come sta? L’hai vista oggi?- nel mio petto si incrina qualcosa
quando sento queste parole. Ma come? Sta vivendo uno dei momenti più difficili
della sua vita e lui si preoccupa per me?
Jen si prende un attimo
in più prima di rispondere, forse si sta mordendo la lingua dal bisogno di
dirgli che sono esattamente nella sala ristorante a mangiare tranquillamente in
compagnia di un altro uomo.
Dio, Jen, ti prego non lo fare. Mi ritrovo ad implorare mentalmente.
Ma è tutto inutile
quando Ben vedendomi accovacciata sulla porta semi aperta ha la brillante idea
di chiamare il mio nome ad alta voce.
-Bella! Ma cosa fai?-
lo maledico in tutte le lingue del mondo prima di guardare i visi di Edward e
Jen squadrarmi stupiti. Mi volto pronta a scappare e mentre mi allontano sento
la voce di Edward dire - lei era qui e non mi hai detto niente?- ma ormai sono
troppo lontana per sentire la risposta della mia amica che a questo punto sono
sicura gli confesserà ogni cosa. Vorrei imboccare l’uscita ma non posso
lasciare Jacob come uno stupido ad aspettarmi al tavolo senza avere nemmeno la
decenza di dirgli “ciao”. Perciò torno a sedermi e quando lo faccio lo vedo
tirare un sospiro di sollievo.
-Dio, Bella! Stavo per preoccuparmi.
È successo qualcosa? Stai bene?-
-si- rispondo atona
senza nemmeno guardarlo in faccia.
-a me non pare. Sembra
che tu abbia visto un fantasma-
E il fantasma lo vedo
eccome! Puntare dritto verso il nostro tavolo!
-scusami Jacob ma non
mi sento tanto bene. Ho bisogno della toilette- mi alzo prima che abbia il
tempo di dire qualcosa e praticamente fuggo nel bagno delle signore come se
avessi un mastino alle calcagna. Per fortuna non c’è nessuno così mi rinchiudo
in una delle cabine sperando che Edward non abbia l’ardire di entrare qui
dentro.
-Bella!- sobbalzo
quando sento la sua voce chiamarmi dopo aver dato una mandata alla porta. Ci ha
chiusi dentro.
Sono in trappola, cazzo!
-Bella esci
immediatamente da quel bagno- adesso è tranquillo come se mi invogliasse a
comprare un gelato.
-non fare la bambina.
Esci per favore- non ricevendo una risposta da parte mia però, riprende a
parlare – okay, fallo pure, ignorami! Tanto è quello che stai facendo da cinque
giorni perché dovrei sperare in qualcosa di diverso?-
Sento il rumore di una
busta scontrarsi contro il marmo del lavabo- solo che… sai una cosa? Adesso non
hai la possibilità di staccare il telefono, adesso ascolterai tutto quello che
ho da dirti-
Ecco, ora mi dirà le
stesse parole che mi ha detto Tania, magari rivisitate a suo piacimento, e il
mio cuore si spezzerà ancora una volta.
-non voglio sentirti!-
urlo sbattendo un pugno contro le mattonelle fredde consapevole di non avere la
forza per sopportare altro dolore.
-e invece mi ascolterai!
Esci fuori-
Lo faccio. Apro la
porta del bagno e mi ritrovo davanti al suo viso a meno di trenta centimetri di
distanza. È poggiato con il braccio destro allo stipite della porta e
praticamente ha creato una gabbia tutt’intorno a me. Il suo viso sciupato e
segnato da troppe notti insonni, mi provoca una fitta di dolore. Vorrei
cancellare via con un gesto della mano le ombre viola che ha sotto gli occhi.
Il contatto ravvicinato con questi ultimi però mi fa indietreggiare, colpita
dall’intensità del suo sguardo, e mi ritrovo a incrociare le braccia al petto
persuasa di tenergli testa.
-cosa ci fai qui? È
stata la nanerottola malefica a dirti di venire?-
-cosa ci faccio io?
Cosa ci fai tu qui! Con quel babbeo poi!- dice puntandomi un dito contro.
-io… io ho un
appuntamento con quel babbeo, come l’hai chiamato tu- mi guarda aggrottando la
fronte tanto che le sue sopracciglia vanno a formare una linea retta.
-sono venuto perché me
l’ha chiesto Jen, si. Sai, è preoccupata per me. E a quanto pare è preoccupata anche
per te, visto che ha insistito così tanto affinché venissi solo perché vedessi
quello che stai combinando. Cosa stai cercando di fare esattamente, Bella? Stai
cercando di punirmi?-
-ti do una notizia se
ancora non l’avessi capito: la mia vita non ruota intorno a te, sai?-
Bugiarda! Che bugiarda che sei! Mi ammonisco da sola.
-e comunque, perché lo
pensi? Sentiamo…-
-non lo so, vedo solo
che è così. Mi hai lasciato in mezzo a una strada senza darmi nessuna
spiegazione. Hai evitato deliberatamente di rispondere alle mie chiamate. Mi
hai detto che ti faccio schifo dopo che per un intero pomeriggio mi hai fatto
credere il contrario. E adesso, come se il mio cuore non fosse già ridotto in
poltiglia, mi punisci ulteriormente uscendo con un altro uomo?- la sua voce è
andata via via ad aumentare; le ultime parole le ha quasi urlate.
Si allontana dalla
porta e in fretta raggiunge la cabina opposta alla quale sferra un calcio che
mi fa trasalire dal terrore -perché?- sbotta portandosi entrambe le mani nei
capelli- perché mi fai questo? Non capisci quanto tu sia importante per me?-
-zzt!- scoppio
incredula – adesso sono importante
per te?-
-si, diamine! Lo sei!
Una persona che reputavo un amico, quasi un fratello, tre giorni fa è sparito
con tutti i soldi dell’azienda in cui lavoravo, in cui avevo messo tutto me
stesso. Non so cosa succederà, come riuscirò ad andare avanti, so solo che ho
un buco enorme nel petto. La mia vita è un disastro, ma lo sai che ti dico? Non
me ne importa- prende un profondo respiro – non me ne importa perché è come se
la mia stessa vita, non fosse reale, capisci? Se non sei con me. Se non ci sei,
se non la divido con te. Non so cosa temevo e non so cosa aspettavo… ma adesso
non temo più nulla e non voglio più aspettare. Sono qui, Bella. Sono qui - con
voce rotta dall’emozione si indica il petto con le mani.
Le sue parole sono come
un balsamo lenitivo sulle mie ferite ma non posso cedere alla tentazione di
dirgli che anche io sono qui, che ci sono sempre stata e che ci sarò per sempre
per lui. Perciò mi costringo a mettere da parte i sentimenti per parlare con
razionalità.
-Edward non posso- dico e il suo viso si
trasforma in pura incredulità -come puoi dirmi una cosa del genere – riprendo-
quando entrambi sappiamo che non è me che vuoi realmente?-
Dei colpi alla porta
chiusa ci fanno sussultare entrambi ed Edward urla un poco garbato - è
occupato!- prima di tornare a guardarmi stupito.
-cosa stai cercando di
dirmi Bella? Ti ho appena confessato che non posso vivere senza di te e tu
sostieni che… beh non l’ ho ben capito con esattezza cosa sostieni-
-o andiamo Edward non
prendermi in giro! I segnali erano più che evidenti ed io come una stupida ci
sono cascata ancora una volta-
-ma quali segnali? Di
cosa stai parlando?- dice afferrandomi improvvisamente per le braccia.
-sto parlando di te che
vai a letto con un’altra donna tra tre anni!-
Si allontana di scatto
quasi come se il contatto con la mia pelle l’avesse ustionato- cosa?- sbotta alla fine incredulo.
-oh, non fingere con me
Edward. Lo so benissimo qual era il tuo piano. Volevi che tornassimo insieme e
tenere in piedi anche la relazione che hai con Tania da ben tre anni!-
-Tania? Io non ho
nessuna relazione con Tania! Non la vedo da anni. Anzi no, questo non è vero,
l’ho vista per cinque minuti pochi mesi fa, ma l’ho mandata al diavolo quando
ha cercato di infilarmi la lingua in bocca-
-ah! Allora lo
ammetti!- sento un rossore colorarmi il collo e salire fino alle guance.
-non sto ammettendo
niente perché in verità non c’è nulla da ammettere. Io non ho fatto niente-
-non è quello che mi ha
detto lei-
Impallidisce
all’improvviso e la sento, la scarica di brividi che lo coglie dappertutto, la
sento anche io.
-quando?-
-a Central Park. Io e
Sophie eravamo in fila per prendere lo zucchero filato quando me la sono
trovata alle spalle. E mi ha detto tutto, perciò non serve che tu menta ancora-
abbassa la testa portandosi le mani a coppa sul naso e questo è un segnale che
mi fa capire quando abbia ragione.
- io me ne vado- dico
furiosa.
Prendo la direzione
della porta ma una sua mano mi blocca il braccio impedendomi qualsiasi
movimento. Mi spinge forte contro il lavabo e nei suoi occhi adesso vedo un
fuoco che non avevo mai visto prima. Una luce che lo fa apparire minaccioso.
-quella schifosa…
puttana- dice tra i denti stringendomi forte le braccia tanto da farmi sentire
i solchi roventi dei suoi polpastrelli -ti ha raccontato una bugia. Io non “vado a letto con lei da tre anni”.
Non abbiamo una relazione!-
-oh, e perché mai
avrebbe dovuto mentire? Quando è chiaro che qui l’unica che ha rischiato
qualcosa è lei- rispondo per nulla intimidita dalla sua mole possente che
incombe su di me.
-lo ha fatto per
vendicarsi di me! Ecco perché! Per vendicarsi di averla respinta qualche mese
fa. Ero ad un incontro di lavoro e me la sono ritrovato davanti. Lei... lei ha
cercato di sedurmi ma io l’ho mandata a quel paese. Non devi credere a una sola
parola di quello che ti ha detto. A nessuna!-
-è troppo tardi Edward-
lo strattono con tutta la forza che ho in corpo per riuscire a liberarmi tanto
che ingaggiamo quasi una lotta.
-le credo!- dico
esasperata mentre lui cerca di portami un braccio dietro la schiena per
immobilizzarmi – sei solo un lurido bugiardo!- gli tiro un orecchio per farlo
allontanare ma ottengo solo l’effetto contrario. Mi ritrovo il suo viso e il
suo profumo meraviglioso proprio a portata del mio naso, tanto che per un
istante vorrei arrendermi sul serio alla sua volontà che al momento è pari alla
sua forza.
-no! Devi credermi, per
me esisti solo tu. Per me sei sempre esistita solo tu-
-lasciami!- urlo dopo
che un suo ginocchio piantato in mezzo alle gambe mi immobilizza i movimenti.
Sono sempre più schiacciata tra il marmo freddo del lavandino e il suo corpo al
contrario caldissimo.
-Bella, ascoltami,
credimi. Ti sto dicendo la verità – lotto ancora strenuamente affinché mi
liberi le braccia; non le sento più tanta è la forza con cui le sta stringendo.
Tento di tiragli una ginocchiata alle parti basse ma fallisco miseramente.
- oh maledizione!
Accidenti a te, vuoi ascoltarmi?- urla guardandomi fisso negli occhi- io… io ti
amo!-
Smetto di lottare ma
non perché non ne abbia più voglia, semplicemente perché le sue parole mi fanno
perdere ogni forza. Sento qualcosa rimbombare dentro la cassa toracica così
forte da rendermi sorda ad ogni altro rumore. Il mio cuore batte più veloce
delle ali di un colibrì. Avverto delle mani toccarmi il viso, le spalle, le
braccia, ma è come se stessi per evaporare. Odo il mio nome come un eco lontano
e sul mio campo visivo compaiono tante stelline. Improvvisamente il calore che
mi opprimeva il petto scompare ed io capisco che i colpi che sentivo rimbombare
in realtà provengono da dietro la porta chiusa. Qualcuno sta bussando così
forte che tra breve butterà giù la porta.
-Bella? Bella stai
bene? Cos’hai? Vuoi un bicchiere d’acqua?- si,
per gettarmela in faccia penso cinica riacquistando pian piano il contatto
con la realtà. Riconosco senza dubbio la voce di Edward chiamarmi allarmato ma
è quella all’esterno a preoccuparmi di più.
-aprite! Aprite
immediatamente! Bella? Brutto stronzo cosa le stai facendo? Se non apri entro
dieci secondi chiamo la polizia, mi hai sentito?- Jacob è furioso.
Probabilmente preoccupato del mio ritardo è venuto a cercarmi ma sentendo le
nostre urla è sicuramente giunto alla conclusione sbagliata.
-Bella, digli di andare
via. Digli che stai bene, noi due non abbiamo ancora finito-
-no, invece- la mia
voce è così gelida che stento a riconoscerla- noi due abbiamo proprio finito-
sul suo viso vedo una fitta di dolore.
-fermati ti prego-
Incredula e con
equilibrio precario mi dirigo verso la porta ignorando la sua ultima supplica.
Jacob non aspetta nemmeno un secondo prima di abbassare la maniglia e gettarsi
furioso su Edward. I volti attoniti di Jen e degli altri camerieri assistono
alla scena e solo in seguito al mio urlo allarmato si fanno avanti per
dividerli.
-lascialo stare! Edward
è l’ex marito di Bella- si intromette Jen per provare a calmare Jacob che in
questo momento si tiene la mano alla bocca dove Edward gli ha sferrato un pugno
così forte da fargli uscire il sangue.
-non m’importa chi
diavolo è. Marito o no, non la può trattare in questo modo- mi guarda
preoccupato e con una carezza al braccio mi incita ad uscire dal bagno.
-vieni ti riporto a
casa- lo seguo attonita. Non sapendo bene cosa fare opto per la scelta più
facile: andare a casa e rifugiarmi nella mia fortezza. Mi lascio alle spalle il
viso allucinato di Jen e gli occhi allarmati di Ben e Phil. Mi lascio alle
spalle il viso ferito dalle botte di Edward e il dolore con cui mi guarda
andare via circondata dalle braccia di un altro uomo.
Cosa diavolo è
successo? Mi ha detto che mi ama?
Quel “ti amo” mi è
piombato addosso come un fulmine a ciel sereno ed io sono andata nel panico.
All’improvviso ho visto tutto bianco e non sono stata più padrona delle mie
emozioni. Jecob mi aiuta a camminare, anzi mi trascina; barcollo come se fossi
ubriaca. E in effetti mi sento così: le mie ossa sono diventate morbide e
malleabili, e ogni cosa intorno a me sembra essere sfuocata, tranne alcuni
particolari che attirano la mia attenzione: gli occhi di una signora che mi
guardano altezzosi quando ci fermiamo a recuperare i cappotti, le dita
incrociate di due innamorati, Jess trasportare un enorme Astice su un vassoio,
le porte scorrevoli del ristorante compiere il solito e lento movimento, apri e
chiudi, apri e chiudi.
Le varchiamo anche noi
quelle porte e una volta fuori sento come se il bisogno di bagnarmi la faccia
con dell’acqua fredda sia diventato insostenibile. L’ombra del Columbus Circle
porta con se l’odore opprimente degli scarichi delle auto e l’aria gelida
quello della neve. Dio, quanto vorrei immergere le mani in una montagnola di
neve gelata e portarmele al viso, per sentire un po’ di sollievo. Sento ancora
la voce di Edward nelle orecchie ma cerco di scacciarla via. Quando siamo
davanti alla macchina, Jacob mi abbraccia e poggia una guancia sui miei
capelli, caldi ed elastici e poi li fiora con la bocca. Non posso fare a meno
di irrigidirmi.
-mi dispiace-
-e di cosa esattamente?-
gli chiedo staccandomi. Non vedo nessun motivo perché lui debba scusarsi.
-mi dispiace di averlo
preso a botte. È pur sempre il tuo ex marito- ah. Beh, avrei preferito di gran
lunga che non lo facesse, ma non lo biasimo per essersi preoccupato in seguito
alle nostre urla e per avermi “difeso”, anche se Edward non mi stava facendo
niente. Non l’avrebbe mai fatto, non è nella sua indole alzare le mani contro
una donna.
-io…non so cosa dire,
davvero. Per esserti preoccupato così tanto, intendo. “Grazie” è la sola parola
che mi viene in mente in questo momento-
-lo avrei fatto con
chiunque. Non devi ringraziarmi-
Aspetta qualche secondo
prima di riprendere a parlare e quando lo fa lo sento sospirare, come se avesse
bisogno di prendere un grosso respiro per farsi coraggio -ascoltami- dichiara
sommessamente – quello che ho visto di la è un uomo ferito. Ma non ferito dalle
mie botte, quelle guariranno nel giro di qualche giorno. Io, ho visto il dolore
puro nei suoi occhi ed è lo stesso che vedo adesso nei tuoi. No, lasciami
finire…- dice zittendomi- ma ho visto anche tanto amore ed anche se a
malincuore, mi trovo costretto a dire che vedo la stessa cosa adesso, qui
davanti a me- mi rivolge un sorriso obliquo quasi di rassegnazione. Questo
sorriso non ha niente a che fare con quello a cui sono abituata, probabilmenteil labro spaccato ne impedisce i movimenti penso. Ma no, è proprio rassegnazione quella
che vedo nei suoi occhi e le sue parole me ne danno la conferma- forse, non so,
ho sbagliato a chiederti di uscire. Forse sei tu, ad aver sbagliato ad
accettare. Ma non mi pento di averlo fatto: in questo modo ho capito che non ho
alcuna speranza di conquistare il tuo cuore. Sei una donna meravigliosa Bella,
davvero, e mi dispiacerà dover smettere di fantasticare su noi due, su un
possibile futuro, su una possibile notte passata insieme. Dio se ci ho
pensato!- dice con un risolino facendo ridere anche me.
-ma non posso competere
con lui, vero?- mi domanda stringendo gli occhi, quasi come se speri fino alla
fine di ricevere una risposta diversa da quella che sa già. Ed io mi ritrovo a
scuotere la testa confermando che no, non può competere con Edward. Nessuno può
farlo.
-bene- annuisce- adesso
che abbiamo chiarito le cose, sono molto più tranquillo sai?- tira un sospiro
di sollievo talmente goffo che non posso fare a meno di sorridere.
- mi sembra che
possiamo andare a casa-
Mi guida con la mano
verso lo sportello ma poi si blocca prima di aprirlo.
-vuoi andare a casa,
oh…?- dice indicando con il mento l’ingresso del ristorante. Mi sta chiedendo
se voglio andare via o se voglio tornare da Edward. Ed ecco che ci risiamo, la
lotta infinita continua. Il mio cuore mi dice di correre da lui, il “ti amo” di
prima che ancora vibra nei miei ventricoli è un richiamo davvero difficile da
mettere a tacere. Mentre la mia mente mi dice di andarmene a casa, farmi una
bella doccia, infilarmi sotto le coperte e aspettare che la notte mi porti
consiglio.
-voglio andare a casa
Jacob - dico dopo aver preso la mia decisione e da codarda quale sono, non ho
difficoltà ad ammettere di aver preso quella più facile.
Se solo avessi saputo
che da li a qualche ora me ne sarei pentita amaramente…
Mi arrampico sul sedile
del passeggero e aspetto che lui salga dall’altra parte. L’atmosfera tra noi
adesso è meno tesa rispetto all’andata.
Si, penso mentre le luci di New York illuminano a giorno le strade
trafficate della città, domani. Domani farò
tutto quello che devo fare. Domani penserò
razionalmente a quello che è successo e saprò prendere una decisione. Farò i conti con il suo ti amo e con
la sua versione dei fatti. Con i suoi “è bugiarda” e “non vedi crederle”. Gli
concederò il beneficio del dubbio perché è questo che si fa con la persona
amata.
Si.
Domani.
Ma “domani” non arriverà mai. Esattamente alle 00.50, ricevo una
telefonata che mi fa piombare nel panico più totale.
Quando sento gli
squilli del telefono il nome di mia figlia lampeggia nella mia testa come un
insegna al neon. È successo qualcosa a
Sophie! Penso rabbrividendo di paura
mentre allungo un braccio per prendere il cordless dal comodino. Trattengo il
fiato quando schiaccio il pulsante della risposta.
-pronto?-
-salve, parlo con la
signora Isabella Cullen?- la voce dall’altra parte è così squillante che sono
costretta ad allontanare per un attimo il telefono dall’orecchio. Sono la signora Cullen? Mi chiedo
stupita. Cosa devo rispondere? È un indovinello? Non lo sono più da tre anni
ormai. Nell’incertezza decido che tra Swan e Cullen non c’è tanta differenza,
voglio solo sapere perché mai questa donna mi ha chiamata nel bel mezzo della notte.
-si sono io. Chi
parla?-
-signora sono un
infermiera del Roosevelt Hospital, abbiamo trovato il suo numero di telefono
nel portafogli… -
-nel portafogli di chi?
Mi scusi- la interrompo sentendo il sangue gelarmi nelle vene. Sto cominciando
ad andare nel panico.
-nel portafogli di suo marito-
-Edward? Cos’è successo
a Edward?- sento una zompata di dolore attraversarmi il cuore.
-mi dispiace signora,
ma suo marito è rimasto coinvolto in un incidente, è in ospedale al 1000 Tenth
Avenue, quinto piano, reparto di neurologia. Faccia presto!-
Alluuraaa, che ve ne pare? Non fatemi del male vi prego.
Piuttosto,
fatemi sentire le vostre opinioni. Che sarà mai successo al nostro povero
Edward?
Spero di riuscire a scrivere il nuovo capitolo nel più breve
tempo possibile, so… Alla prossimaaaaa! Baci!
E grazie mille come sempre per le vostre recensioni! Vi
adoro!
Eccomi qua! Come
promesso ho fatto il prima possibile. Spero che il capitolo sia di vostro
gradimento. Si apre con un pov Edward che racconta il suo incidente.
Buona lettura!
Capitolo 8
Ne vale la pena?
Che la nostra felicità sia così tanto collegata
alla vita di un altro
essere umano?
-Bones.
Pov. Edward
Sbatto la porta di casa
più forte di quanto non sia in realtà necessario. La trovo buia, vuota e
triste; esattamente come mi sento io in questo momento.Poggio il sacchetto che mi ha dato Jen sul
tavolino del salotto, non ho nemmeno la forza per aprirlo figuriamoci per
mangiare qualcosa. Mi accascio con la schiena sul divano e prendo a guardare il
soffitto mentre sento un dolore acuto crescere sempre di più dentro al petto.
Sfilo dalla giacca la fiaschetta di whisky e comincio a bere.
Le ho detto che l’amo.
Le ho detto che l’amo ed è andata via con un altro uomo.
Ormai ho perso ogni
speranza.
Razionalmente so di non
potermi aggrappare alle parole che mi ha detto Jen. Non posso, eppure lo
faccio. Lo sto facendo da quando è venuta a soccorrermi dopo che quell’energumeno
mi ha riempito la faccia di pugni “qualunque cosa lei ti abbia detto, non
crederle, non mollare. Lei ti ama, solo che è troppo orgogliosa per ammetterlo.
Jacob non rappresenta niente, tu invece sei tutto il suo universo, perciò non
mollare. Ti prego Edward non mollare”
Le credo sì, mi
aggrappo a queste sue parole, sì. Ma nonostante questo vorrei davvero con tutto
il cuore mollare la presa. Vorrei avere la forza per voltare le spalle ad ogni
cosa, a lei ma soprattutto ai miei sentimenti, per guardare avanti e smetterla
di soffrire. Ormai lo sto facendo da tre anni e non penso di riuscire a
sopportare altro dolore. Vederla in compagnia di un altro uomo stasera mi ha
letteralmente devastato, e sentire le ragioni che l’hanno spinta ad uscire con lui
mi hanno solo fatto infuriare di più. Perché Bella? Perché non mi credi? Perché
non sono io la prima persona a cui pensi invece di credere con così tanta
facilità alle parola di una lurida puttana? Il bacio a casa dei miei non ti ha
dimostrato nulla? Mi credi così viscido e meschino? Tanto da essere in grado di
fare una cosa del genere?
Mi porto una mano sul
viso stanco e spossato; il risultato di quella che è diventata la mia vita
negli ultimi cinque giorni. Soffro come un cane, ormai non dormo più di quattro
ore a notte…
Alle volte penso che
stia vivendo un incubo, o che si tratti del brutto tiro di una persona maligna
e che domani mi sveglierò e scoprirò che è tutto falso. Mike tornerà in azienda
con i soldi e Bella lascerà che mi riavvicini. Ma questo non è uno scherzo ed
io non sto sognando. È tutto vero ed è proprio questo a farmi infuriare ancora
di più.
Questa non è vita. Non posso più andare avanti così.
Per quanto io la ami, per quanto tutto quello che ho provato in questi anni non
mi ha mai fatto desistere dai miei propositi di riconquistarla, adesso è
diverso. Quando una storia finisce,
anche i battiti rallentano. Manca quella persona, ti manca e sai che nessuno
potrà mai sostituirla.. ma io non riesco più ad andare avanti così. Jen mi
chiede di non mollare, io vorrei solo che qualcuno smettesse di tirare. Vorrei che
qualcuno mi sollevasse, che mi prendesse per mano e mi dicesse “eccomi, ti amo”.
È solo questo quello di cui ho bisogno.
Invece mi ritrovo a
rodermi il fegato, immaginando lei e lui stretti in un abbraccio sotto le
lenzuola mentre fanno l’amore. Mi sembra di vederla… lei timida e riservata,
come sempre in queste occasioni (non lasciava mai che l’adulassi più del
dovuto) mentre lui la stringe forte con quelle manone che si ritrova
provocandole fastidio, visto che a lei non piace essere presa con la forza.
Sbatto un pugno sul
tavolino di fronte a me così forte che penso di averlo quasi incrinato. Dio! Ma
come mi viene in mente di pensare una cosa del genere! Devo essere impazzito
del tutto.
-gli stacco le unghie a
morsi se solo ha osato toccarla- ringhio tra i denti pervaso da un senso di
gelosia acuta mentre mando giù altro whisky.
-fanculo la dannata
corda. Fanculo i miei piagnistei. Fanculo Mike e fanculo questa situazione di
merda. Mi dici di non mollare la presa Jen? Ma come faccio a non mollare me lo
spieghi?È andata via con quel babbeo!
Fanculo pure a lui-
Mi rendo conto di
parlare ad alta voce e da solo per giunta così scoppio in una risata sguaiata.
Rido, rido così forte che mi sembra di scoppiare. Rido per sentire meno dolore.
Rido e nelle risa le mie pene si trasformano in singhiozzi e in lacrime che
adesso scendono copiose sul mio viso. Piango, piango come un bambino. Piango
come se mi avessero portato via anche l’aria, piango perché sono solo e non
voglio più esserlo. Cado a terra e colpisco con forza il tavolino davanti a me
facendolo stridere sul pavimento. Mi porto una mano tra i capelli e tiro forte
mentre i singhiozzi mi scuotono la schiena.
Basta. Vorrei urlarlo e
vorrei che qualcuno lassù mi sentisse. Vorrei riuscire a smettere di pensare,
di ragionare e di provare dolore. Vorrei spegnere ogni sentimento ed emozione.
Ma non ci riesco.
L’unica cosa che si
spegne è la luce e non sono nemmeno io farlo.
Mi ritrovo al buio e
con la soffocante sensazione di essere appena stato ingoiato dalle tenebre.
Afferro il cellulare
dalla tasca del cappotto e cerco di fare un po’ di luce. Mi dirigo verso
l’interruttore, ma scatta a vuoto quando tento di riaccenderlo.
È il generatore principale penso, mentre sbotto contro il destino che non mi
lascia nemmeno soffrire in pace. Con le guance ancora bagnate apro la porta di
casa e scendo giù in magazzino. Il generatore si trova in un angolo a destra
del deposito. Mi oriento grazie alla flebile luce del cellulare ma so che
riuscirei ad individuarlo anche al buio quando un boato squarcia il silenzio ed
io mi ritrovo scaraventato con inaudita potenza contro al muro alle mie spalle.
Perdo i sensi per un
po’, lo capisco dal fatto che quando mi risveglio intorno a me si è scatenato
il caos, con alte fiamme che si stagliano fin sul soffitto. Faccio un rapito
inventario delle mie condizioni e capisco che mi fanno male la schiena e la
gamba. Forse ho anche sbattuto la testa. In un istante di lucidità mi domando
cosa diamine sia successo, ma mi interrompo quando vengo investito dal fumo.
Tanto fumo.
E ho paura.
Vorrei avere la forza
per spostarmi ma non riesco a muovere un muscolo. La mia gamba è imprigionata
sotto una montagna di ferro e la testa mi gira così tanto che non riesco a
mantenere gli occhi aperti. Sento un rivolo di sangue colarmi dalle tempie sul
viso, mentre comincio a sentire sempre più caldo.
Precipito nel panico.
L’aria all’interno del magazzino è satura di fumo e inizio a tossire e tossire,
tanto che mi sembra di scoppiare. Se avessi mangiato qualcosa nelle ultime ore
a quest’ora mi ritroverei sommerso nel mio stesso vomito. Ripenso alle
preghiere di poco fa, alla mia assurda richiesta di smettere di soffrire.
-non voglio morire! Mi
hai sentito? Non voglio morire- mi rivolgo a Dio ma spero che qualcuno sia più
vicino da riuscire a sentirmi.
Mi metto ad urlare ma
le mie urla vengono soffocate da un altro scoppio e dal conseguente rinculo che
mi appiattisce ancora di più al pavimento. Ho il tempo di scuotere la testa ed
alzarmi un pochino, ma qualcosa di terribilmente pesante mi piomba addosso e
poi perdo conoscenza.
Pov. Bella
Sabato 29 ottobre 2011
Ore: 02.15 del mattino
-il dottor Abernathy si
sta preparando ad operarlo- la voce di Esme si spezza in più punti quando torna
a sedersi sulla seggiola accanto a me. Strizzo gli occhi per il dolore che
sento al petto e rabbrividisco consapevole che la vita di Edward dipende
dall’esito di questo intervento.
Emorragia intracranica hanno detto. Conseguenza del trauma celebrarle
provocato (in questo caso) da una forte botta in testa. Mi sono sentita
conficcare la schiena da un miliardo di spilloni arroventati quando il Dottore
è uscito per comunicarci l’esito della TAC. Aveva cominciato ad esprimersi con
una sfilza di paroloni fino a che non ce l’ho fatta e sono esplosa chiedendogli
di essere il più chiaro possibile.
-l'emorragia
intracranica è una grave emorragia che causa l'accumulo di sangue all'interno
del cranio e può portare ad un aumento della pressione intracranica appunto. Che
a sua volta provoca lo schiacciamento del delicato tessuto cerebrale e ne limita
l'apporto di sangue. Dobbiamo intervenire subito perché un grave aumento della
pressione intracranica può causare un'erniazione cerebrale
potenzialmente mortale-
Potenzialmente mortale. È da quando ha detto queste parole che non faccio
altro che stringermi le mani intorno al busto per paura di rompermi in mille
pezzi al minimo tocco, e cadere a terra in frantumi. In effetti è quello che
sto facendo da quando l’infermiera incaricata di avvisare i parenti non mi ha
chiuso il telefono in faccia congedandosi semplicemente con -non posso dirle di
più, mi dispiace-
Sono rimasta a fissare
la cornetta imbambolata per qualche secondo mentre dentro ribollivo di rabbia. Non posso dirle di più mi ha detto. Non posso dirle di più!E certo! Intanto sono io quella che muore di
paura. Alla luce dei recenti fatti e delle recenti rivelazioni, posso dire
con certezza che avrei preferito rimanere nell’ignoranza.
Ti prego-ti prego-ti prego fa che non muoia, mi metto a pregare mentre afferro con mani tremanti
la lana del maglione che indosso, stringendo le dita così forte da sbiancarmi
le nocche.
-Edward! Non azzardarti
a fare una cosa simile- ringhio tra i denti disperata con le lacrime che mi
scorrono sul viso e mi impediscono anche di vedere bene. Non può morire.
Semplicemente, non può. Esme al mio fianco si sposta per afferrare saldamente
un mio ginocchio.
-non ci abbandonerà
Bella. Abbi fede- mi volto a guardarla stupita che sia riuscita a sentirmi.
Vedo così tanto terrore nei suoi occhi che da solo potrebbe annientare il mio,
quello di Alice e quello di Carlisle messi insieme. È una madre che sta
bruciando sul rogo della paura. Provo a mettermi per un istante nei suoi panni,
ad immaginare di trovarmi al posto suo, con Sophie in una sala operatoria che
lotta tra la vita e la morte e mi sento male. Di getto le butto le braccia
intorno al collo e la stringo forte. La abbraccio come non ho mai fatto prima
d’ora.
-oh Esme ho così tanta
paura- ormai singhiozzo peggio di una bambina e il guaio è che non riesco a
fermarmi.
-lo so, ma ehi? Edward
è forte. Ha una volontà di ferro il mio ragazzo. Non ci abbandonerà- mi prende
il viso rigato di lacrime nelle mani e con i pollici ne scaccia via qualcuna.
Ha la determinazione di chi non accetta che le stia succedendo qualcosa di
terribile. La capisco; se si lasciasse andare, se ci mostrasse realmente quanto
dolore si porta dentro, sarebbe la fine. Perciò stringo con forza le sue mani
introno alle mie guance e annuisco.
-si Edward, è forte.
Lui… lui ce la farà me lo sento – e
lo sento davvero, ma in questo momento vorrei solo piangere fino a sentirmi
male per il dolore cupo che ho nel petto. Esme continua a stringermi forte. Mi
trasmette tanto affetto e mi fa capire quanto mi è vicina. È strano… ma penso
che quello che proviamo adesso ci abbia fatto dimenticare gli ultimi tre anni
della nostra vita, ed è come se ci ritrovassimo a vivere questo momento
difficile senza che nulla sia mai cambiato. Non solo con lei, ma anche con
Carlisle e Alice. Siamo tornati ad essere una famiglia. Condividiamo insieme il
dolore e la paura di perdere Edward. Io sono tornata ad essere sua moglie oltre
che nel mio cuore anche agli occhi degli altri. E se la reazione disperata che
ho avuto quando sono arrivata in ospedale non è stata sufficiente, scommetto
che la scenata di gelosia che hanno visto tutti nemmeno mezz’ora fa, abbia
contribuito a fugare loro ogni dubbio.
Ore 01:50 del mattino.
Esco dal bagno ancora
intontita. Penso di aver vomitato anche l’anima dentro a quel wc. Mi sono
bagnata il viso, i polsi e ho spruzzato anche un po’ d’acqua dietro al collo,
ma la sensazione di avere un macigno all’altezza dello stomaco non mi ha ancora
abbandonata. Il mio viso ha assunto una tonalità verde giallognola e sotto gli
occhi ho delle profonde occhiaie. Le linee d’espressione sono perennemente
contratte, come se sentissi una fitta di dolore continua.
Prendo un bel respiro e
mi faccio coraggio prima di tornare in sala d’aspetto.
Esme, Carlisle e Alice
sono seduti nella stessa posizione in cui li ho lasciati prima. Sono immobili
come statue; completamente atterriti dalla preoccupazione. Ho gli occhi fissi
su di loro ma quando una chioma bionda entra nel mio campo visivo, mi paralizzo
sul posto all’istante. È seduta sulla sedia di fronte, ha le mani giunte in
grembo, il viso nascosto da una cascata di capelli. Si porta una mano alla
guancia per scacciare via una lacrima e solo in quel momento riesco a vederla
in volto. Mi accorgo che stanno parlando tra di loro solo dal movimento delle
labbra, il loro tono è troppo basso per riuscire a sentire quello che si stanno
dicendo. La guardo incuriosita e il primo pensiero che ho è che è molto bella,
anzi bellissima. Una bellezza che ricordo di aver visto da qualche parte, solo
che non rammento dove.
Chi sei? Penso
aggrottando le sopracciglia. Ci metto qualche istante prima di capire che le
immagini sfuocate che conservo di questa donna appartengono a qualche settimana
fa. Si, adesso ricordo benissimo!
Penso, era in compagnia di Edward nel
ristorante di Steve la sera prima dell’incontro con la maestra di Sophie.
-che cazzo…- sbotto
incredula, mentre sento divampare in me un senso di gelosia mai provato prima.
Accecata da quest’ultima e dal precario equilibrio psichico del quale sono
vittima già da un paio d’ore (forse l’ultimo briciolo di lucidità è finito nel
cesso insieme al salmone di Jen), mi fiondo su di lei come una furia senza
pensarci due volte.
-chi sei? E cosa diavolo ci fai qui!- la mia
voce le arriva alle spalle, ma quando si gira e mi vede sulla soglia, sembra
che il suo viso prenda inspiegabilmente vita.
-oh, tu devi essere
Bella, la…-
-si, la moglie di Edward. Mi domando con quale
faccia hai il coraggio di presentarti qui-
-ehi calma i toni!- dice
alzandosi.
-Bella, non è come
credi…- Alice prova a parlare ma la interrompo bruscamente.
-no Alice. Deve
andarsene-
-io non vado da nessuna
parte!- sbotta la diretta interessata.
- bene! Fai come vuoi!
Ma sappi che non ti lascerò mai avvicinare a Edward. Mai, hai capito? Lui è mio. Mio
e di nessun altro- le parole mi escono di bocca senza nessun controllo ed è
troppo tardi quando mi accorgo di quello che ho detto. Il cuore mi batte come
un tamburo nel petto e le mie gambe cominciano a vacillare, ma credo di non
esserne mai stata più felice. Guardo i visi di Esme e di Alice stupite più di
me rivolgermi un sorriso complice, Carlisle si limita a darmi una pacca sulla
spalla. Ma il viso che mi stupisce di più è quello della ragazza che ho di
fronte. Mi sorride… si, ha un sorriso di compiacimento sul volto. Mi domando
perché diamine stia reagendo in questo modo.
-ma… cosa?-
-io gliel’ avevo detto
a quello zuccone, ma non mi ha mai creduto. Quanto sono felice di sapere che
non mi sbagliavo-
Scuoto la testa -io,
non capisco…-
A questo punto la
modella che ho davanti allunga una mano verso di me per presentarsi -piacere di
conoscerti Bella, io sono Rosalie. Amica, confidente e collega di Edward.
Purtroppo ex collega, alla luce di quanto è successo- scorgo un lampo di dolore
nei suoi occhi quando finisce di parlare. Rimango inebetita a fissarla senza
parole, probabilmente più colpita dal fatto di essermi comportata come un
emerita idiota, che di sapere che non è legata a Edward da nessuna relazione.
Anche se inconsciamente mi ritrovo a liberare un sospiro di sollievo.
Torna a sedersi di
fronte a Esme regalandomi un leggero sorriso, e insieme a noi, rimane in
attesa.
Ore 03:30 del mattino
-ma perché non ci
dicono niente? È più di un ora che è là dentro- Alice è incontenibile, non
riesce a stare un attimo ferma: va su è giù per la stanza, si sposta nei
corridoi, spalanca le finestre, prende una boccata d’aria e poi torna a
sedersi, ogni venti minuti corre in bagno e prima di tornare fa una capatina al
distributore per imbottirsi di caffè.
-Alice calmati- il
padre esasperato, le afferra la gamba che continua a far sbattere ripetutamente
contro la sedia- sono sicuro che sta andando tutto bene. Se così non fosse
sarebbero già venuti ad avvisarci. Anzi penso sia un bene se ci mettono tanto-
-grazie tante papà!
Adesso mi hai fatto agitare ancora di più- si alza sbuffando probabilmente per
andare a trangugiare altra caffeina.
-ma che ho detto?-
Carlisle mi guarda con l’aria di chi è stato accusato ingiustamente di un
crimine che non ha commesso.
-scommetto che vorrebbe
avere Jasper qui al suo fianco per sostenerla- ma non c’è, è a casa con Sophie.
-mmphm- sbuffa anche
lui imitando il tono contrariato della figlia e torna ad appoggiarsi contro lo
schienale della sedia. Si porta le mani nei capelli ad imitazione del figlio. Edward
compie sempre questo gesto quando è agitato o nervoso; solo a pensarci le
lacrime spingo di nuovo per uscire.
Per quanto anche io sia
nelle stesse condizioni di Alice, il suo atteggiamento ha un che di sospetto
però. Mi ritrovo ad aggrottare la fronte quando un pensiero si fa strada in me,
come se per tutto questo tempo avessi avuto davanti agli occhi la risposta e me
ne rendessi conto solo adesso. Se non sapessi che è in pena per il fratello
penserei che sia…Oddio! Raddrizzo di colpo la schiena e mi alzo per andarle
dietro.
Per tutti i Santi del
paradiso, è incinta?
La trovo nella tromba
delle scale che conducono al piano di sopra. Si asciuga le lacrime quando le
siedo accanto e le metto un braccio intorno alle spalle per consolarla. Non
stavamo così vicine davvero da molto tempo, da quando la separazione da Edward
è diventata effettiva, cioè tre anni fa. Lei mi ha sempre portato rancore per
averlo lasciato.
-mi ha appena
telefonato Jasper, dice che Sophie dorme tranquilla nel suo lettino. Lui invece
è alla quarta tazza di caffè- sbuffa tra le lacrime – io penso che tra poco
darò i numeri, invece- si stringe le gambe con le braccia e poggia la testa
sulle ginocchia prendendo un respiro profondo; probabilmente per respingere un
conato di vomito.
-di quanto sei?- le
chiedo in un sussurro accarezzandole i capelli. Si volta a guardarmi con gli
occhi sbarrati e capisco di aver ragione. Le lacrime tornano ad inondarle gli
occhi e prima che abbia il tempo di dire altro mi ritrovo stretta tra le sue
braccia.
-oh Bella. Come l’hai
capito?- le tremano le mani quando dopo un po’ torna a parlarmi.
-shh calmati, non
agitarti. Non ti fa bene-
-si, ma… come l’hai
capito?-
-sono stata incinta
anche io, ricordi? Sei emotivamente instabile, ogni venti minuti corri in
bagno, di tanto in tanto hai bisogno di prendere una boccata d’aria fresca per
respingere la nausea e le tue tette sono più grosse-
Sorride alle mie parole
e si porta subito le mani al seno. Sono felice di averla seguita, parlare la
distrarrà un po’e aiuterà me a non impazzire nell’attesa di sapere
qualcosa.
-sono di dodici
settimane- dice tirando su con il naso – non lo sa ancora nessuno, a parte
Jasper naturalmente-
-quindi, quando l’altra
sera a casa dei tuoi…-
-si, lo sapevo, ma non
ho detto niente. Non è questo il motivo per cui vogliamo sposarci però- si
indica la pancia con un gesto della mano – noi vogliamo sposarci perché ci
amiamo. In effetti avremmo voluto che ci sposassimo prima di… beh hai capito
no? Ma è successo e non possiamo tiraci indietro- dalla sua voce e dai suoi
occhi capisco che questa gravidanza non deve essere del tutto gradita.
La novità del bambino,
che di per se è una gioia e non certamente una disgrazia, l’ha messa ancora di
più in crisi per il rapporto che Jasper ha con il padre. La sfuriata di
quest’ultimo alla cena di una settimana fa le ha fatto capire quanto non sarà
felice di venirlo a sapere, anche se i bambini fanno miracoli in questi casi. E
adesso c’è l’incidente di Edward, che l’ha annientata del tutto.
Dio, deve essere distrutta penso.
-la prima cosa che devi
fareè smetterla di bere caffè. Non ti
fa bene e lo sai. Seconda cosa… beh, stavo per dirti di non agitarti ma vista
la situazione non posso pretendere che tu lo faccia-
-no, non posso. Dire
che sono terrorizzata è un eufemismo. Sono molto più che terrorizzata, sono a
un passo dal perdere la testa. Ancora non ci credo che Edward stia lottando tra
la vita e la morte. Prego ogni secondo per vederlo uscire vivo da quella sala
operatoria. Il bambino può aspettare, io posso aspettare, mio padre e le sue
assurde convinzioni possono aspettare. Adesso voglio solo che mio fratello
torni da me, chiedo solo questo… solo questo- torna a piangere sulla mia spalla
con me ad imitarla. Ci aggrappiamo l’una all’altra, come se io fossi la sua
roccia e lei la mia. Abbiamo bisogno di attaccarci a qualsiasi cosa, fisica o
spirituale, per andare avanti, per non impazzire dall’ansia e dalla paura.
-okay, torniamo di la-
tiro su con il naso mentre mi pulisco gli occhi con la manca del maglione- non
ti fa bene stare seduta su queste mattonelle fredde.
-ti prego Bella non
dire niente a nessuno- mi stringe forte la mano come ad imprimere maggiore
urgenza alle sue parole- promettimelo-
-si, te lo prometto
Alice, non dirò niente. Ma tu dovrai dirlo ai tuoi genitori prima o poi. Almeno
prima che la “questione” diventi evidente- fragile
e magra per com’è non dovrà aspettare molto penso.
-lo so. Me ne occuperò
presto, ma non adesso. Non con Edward in queste condizioni. Adesso è lui ad
avere la priorità assoluta. Solo lui, lui e nessun altro-
Ore 04.00
Poggio la fronte contro
il metallo freddo della macchinetta mentre aspetto che il caffè venga fuori.
Sono distrutta, ho il cuore in frantumi e non so come farò a ricucirne i pezzi.
Forse solo Edward sarà in grado di farlo ed espiare così le mie colpe.
Sbuffo strizzando gli
occhi. Ma chi voglio prendere in giro?
Mi domando. Sono io la sola e unica responsabile delle mie scelte e dei miei
errori. Ho sempre avuto la cattiva abitudine di attribuire tali colpe a Edward
quando in realtà lui non è mai stato responsabile di nulla.
È successo nel periodo
di crisi che ci ha portato al divorzio, quando io lo accusavo ingiustamente di
avermi abbandonato, mentre ero io che l’allontanavo senza un reale motivo,
forse anche solo per capriccio. L’ho fatto l’altro giorno, quando Tania mi ha
raccontato quel mucchio di balle e non ho lasciato che Edward mi spiegasse la
sua versione dei fatti. L’ho fatto ieri sera, quando me ne sono andata via con
Jacob invece di seguirlo e adesso si trova in un letto d’ospedale per colpa
mia, a lottare tra la vita e la morte solo perché io non ho ascoltato il mio
cuore.
Da quando il Detective
Cameron è venuto poco fa a comunicarci le novità sul suo incidente mi sento
come se mi fosse crollato il mondo addosso.
Una completa e totale
nullità.
E tutto per colpa del
mio stupido orgoglio.
Finirà mai quest’ondata di disprezzo che sento nei
confronti di me stessa? mi chiedo.
-Edward, ti prego
perdonami. Ti prego…è tutta colpa mia- sussurro mentre una lacrima solitaria
scende sulla mia guancia lasciando dietro di se una scia incandescente.
-non essere così dura
con te stessa- la voce di Rosalie che mi arriva alle spalle mi fa letteralmente
saltare in aria dalla paura.
-scusa, non volevo
spaventarti-
-no, tranquilla. Non…
non mi hai spaventata- ho il fiatone e automaticamente porto una mano sul cuore
per mettere a tacere la sua folle corsa.
Sorride del mio gesto,
in netto contrasto con le mie parole. Mi fermo a fissarla imbambolata colpita
dalla sua bellezza.
-lo prendi quel caffè?-
-mmh?-
-il caffè, lo prendi?-
-oh, si certo- ricordo
all’improvviso il motivo per il quale mi trovo in mezzo al corridoio e mi giro
a recuperare il mio bicchiere.
Rosalie viene a sedersi
accanto a me quando mi accomodo sulla panca più vicina.
-ti ho sentita prima
sai?-
-quando?- pur essendo
due perfette sconosciute mi sento a mio agio a parlare con lei. Forse mi
condiziona il fatto di sapere che Edward si fida di lei a tal punto daconsiderarla sua confidente.
-chiedevi perdono a
Edward. Non devi prenderti colpe che non hai Bella-
-è tutta colpa mia
invece. Se solo mi fossi decisa a tornare da lui…-
-tutto quello che è
successo sarebbe accaduto ugualmente, e magari invece di preoccuparci per una
sola persona a quest’ora staremo a piangere anche per te-
“una bomba, signora. È stata questa la causa dell’esplosione
che ha generato l’incendio in cui è rimasto coinvolto il signor Cullen. È stato
un atto doloso. Hanno cercato di ucciderlo”
le parole del Detective Cameron mi risuonano ancora nelle orecchie.
-il Detective ha detto
che era una bomba a detonazione controllata, questo vuol dire che chi l’ha
fatta esplodere ha aspettato che Edward tornasse a casa prima di azionare il
comando a distanza. Se io fossi stata con lui forse chi gli voleva del male si
sarebbe fermato-
-non possiamo saperlo e
poi dubito che chi piazza una bomba per compiere un tale gesto si fermi per
compassione nei confronti di una donna-
-si, ma forse sarei
stata in grado di salvarlo- dico alzando un po’ la voce- non avrei lasciato che
le fiamme gli ustionassero la gamba destra prima dell’arrivo dei soccorsi.
Magari avrei potuto anche fermare la trave che gli è caduta addosso
provocandogli l’emorragia- mi scaccio con rabbia le lacrime che hanno preso a
scendere silenziose sul mio viso - Io… io non lo so. So solo che mi sento così
in colpa per averlo lasciato solo! Lui non doveva essere solo, sarei dovuta
esserci anche io, capisci? Sarei dovuta andare via con lui o avrei potuto
portarlo a casa mia! Avrei potuto fare un sacco di altre cose e invece me ne
sono andata. Io…come faccio a dire a Sophie che ha perso il suo papà se Edward
non dovesse farcela? Dovrei esserci io al posto suo adesso…lui non può morire.
Non può lasciarmi!- le lacrime scendono incontrollate mentre dei forti
singhiozzi mi scuotono le spalle. Il pensiero di Sophie che fino a quel momento
è rimasto relegato in un angolino del mio cuore, irrompe prepotentemente
togliendomi il fiato. Sento come se il mio petto fosse diventato di ghiaccio;
un enorme blocco gelato che mi impedisce anche di respirare. Il dolore arriva a
ondate che mi fanno piegare letteralmente in due, nell’innaturale gesto di
accoglierlo e abbracciarlo.
-shh, Bella… shh. Non
fare così- le braccia di Rosalie mi circondano le spalle ma sento la sua voce
incrinata dal pianto. Anche lei sta sfogando tutta la tensione che si porta
dentro da ore ormai.
Ci ritroviamo a
frignare attaccate l’una al braccio dell’altra, con lei che mi sussurra parole
di conforto all’orecchio neanche fossi una bambina. Rosalie è un Ancora di salvezza confortante al quale aggrapparsi nei
momenti di bisogno penso, poiché le sue parole hanno un non so che di
calmante. Forse sarà per lo sfogo di prima o per la rassicurazione di avere
accanto un corpo caldo a cingermi le spalle, mi ritrovo a scivolare tra le
braccia di Morfeo senza neanche rendermene conto.
Mi sveglio di
soprassalto poco dopo da un sonno agitato e profondo, con ancora la testa
poggiata sulla sua spalla.
-oddio, mi dispiace,
non volevo crollarti addosso- dico allontanandomi di scatto. La mia voce è
impastata dal sonno; forse non ho poi dormito così poco come pensavo.
-che ore sono?-
-sono le 04.30. Hai a
malapena chiuso gli occhi per mezzora, forse anche meno-
Mi porto una mano al
viso come per cancellare ogni residuo di stanchezza.
-a me sembra di aver
dormito per ore invece- il flash del volto di Edward mi provoca dei brividi
lungo la schiena e le braccia - ci sono novità?-
-no, nessuna- mi
risponde prendendo a massaggiarsi il collo e la spalla dove prima c’era
poggiata la mia testa.
-mi dispiace, ti ho
fatto male? Non avrei dovuto…-
-oh no, non
preoccuparti. Sei crollata così in fretta che mi hai fatto prendere un colpo,
ma eri così distrutta dal pianto che è stato il tuo corpo a chiederti di
dormire, per trovare un po’ di pace…-
Mi schiarisco la voce,
imbambolata e colpita dalla sua sincerità- sì, probabilmente hai ragione-
Mi rivolge un sorriso
complice che in realtà ha tanto l’aria dilo sai che ho ragione, dillo che stai male.
Spinta da questa sua
schiettezza nei miei confronti decido che è il momento adatto per farmi avanti
e parlare di quello che è successo poche ore fa, d'altronde mi sento come se mi
avessero messa in castigo per aver parlato a sproposito. Ed io odiavo essere
messa in castigo da bambina, quando mio padre mi sgridava solo per aver detto
quello che pensavo.
- mi dispiace-
-ti ho già detto che è
tutto okay, non preoccuparti-
-no, mi riferisco a
“prima”. Quando ti ho accusato ingiustamente di... io… io non volevo, scusami-
dico imbarazzata.
-oh, certo che volevi-
mi rivolge uno sguardo acuto, ma nel suo volto non c’è traccia di risentimento.
Anzi, appare divertita semmai.
-si, è vero. Ti ho
vista qui e non c’ho capito più niente- mi ritrovo ad ammettere spinta dal suo
sguardo insistente -mi dispiace di averti attaccata però, se ti avessi lasciata
spiegare avrei evitato di fare quella figuraccia-
-io invece sono felice-
-di cosa? Della mia
figuraccia?-
-io non la chiamerei
figuraccia. Mi sei sembrata piuttosto una leonessa, pronta ad attaccare per
difendere il suo territorio. Hai dimostrato quanto tieni a Edward e questo non
può che rendermi felice-
-ohh…- le mie labbra si
aprono a formare una O perfetta senza riuscire ad aggiungere altro.
Rosalie appare
divertita dalla mia espressione e per amore di decenza si mette una mano sul
viso per nascondere la sua ilarità.
-Bella, ammettilo. Sei
gelosa marcia! Mi avresti azzannato alla giugulare se Alice non si fosse messa
di mezzo. Ma davvero pensavi che sarei venuta qui in ospedale, pur sapendo che
avrei trovato tutta la famiglia di Edward, se fossi stata la sua compagna?- la
sua spontaneità mi coglie ancora una volta impreparata.
-io, beh… è che vi ho
visti insieme quella sera… e poi ti ho visto di nuovo qui, e…- mi ritrovo a
balbettare peggio di un balbuziente tanto è forte l’imbarazzo che sento.
-ti ho già detto che
Edward e io siamo solo amici, non devi temere nulla-
- lo so-
-sì, beh… e già che ci
siamo posso dirti tranquillamente che non devi temere nessun’altra-
-sei sicura? Non voglio
ritrovarmi ad affrontare nuovamente questo discorso-
-si, ne sono sicura.
Perché in realtà non c’è nessun’altra, non c’è mai stata nessun’altra nella
vita di Edward-
-cosa?-
Ed è così che vengo a
sapere la verità. Rosalie mi racconta tutto. Della sera in cui sono usciti e
del fatto che Edward non ha accettato la sua proposta di andare a casa sua. Di
lei che sollevata, ha capito subito che sarebbero diventati ottimi amici. La
storia di Edward e del fatto che non è mai andato a letto con nessun’altra
donna dopo avermi tradito.
-ma io l’ho visto
uscire spesso con altre donne. Come…?-
-non ci è mai andato a
letto però. In realtà non le ha mai sfiorate con un dito. Ci usciva solo per
darsi un tono, per apparire uomo agli occhi degli altri e anche per sentirsi
meno solo. Ma credimi, non è mai andato oltre-
Sono allibita. No, io…
io sono sconcertata. Sono senza parole.
-ma perché? Perché?-
-ah no! Io mi fermo
qui. Non aggiungerò altro, sarà lui a raccontarti ogni cosa quando si
sveglierà. Anche se…-
-anche se?-
-beh non ci vuole un
genio per capire il reale motivo per cui l’ha fatto-
Mi perdo nei miei
pensieri mentre provo a scacciare indietro l’unica, inevitabile e possibile
realtà che mi si presenta davanti agli occhi, che si ripete nelle mie orecchie
da quando Rosalie ha cominciato a parlare.
Per me. Lo ha fatto per me. il mio cuore ricomincia la sua folle corsa
balzandomi letteralmente in gola mentre per la prima volta da tre ore ormai sul
mio viso compare un sorriso sincero.
-su adesso, andiamo di
là. Qui si congela- la voce di Rosalie mi arriva alle orecchie come un suono
lontano: è come se mi trovassi su una nuvoletta a galleggiare beatamente sulla
sua soffice sommità, confortata dalle sue parole.
Edward resisti ti prego. Oh, amore mio ho bisogno di
parlarti, di sapere quello che c‘è tra di noi. Quello che c’è sempre stato e
che nonostante le avversità continua ancora a legarci. Penso queste parole in religioso silenzio mentre in
realtà vorrei urlarle a squarciagola.
Rosalie mi tende la
mano ed io l’afferro molto volentieri, forse è ancora presto per dirlo ma…
penso che diventeremo ottime amiche.
Percorriamo il
corridoio vicinissime stringendoci entrambe le braccia intorno al busto.
-penso proprio che
nevicherà, la temperatura è calata di brutto- dice appoggiandomi una mano sulla
spalla.
-si, credo tu abbia
ragione. Sophie ne sarà felicissima-
Sorrido al pensiero
della mia bambina ma il sorriso mi si congela sulle labbra quando entrando in
sala d’attesa devo il Dottor Abernathy parlare con il resto della famiglia
Cullen.
Improvvisamente sembra
che il calore del mio corpo sia scivolato via e mi faccio prendere dal panico.
Indietreggio invece di andare avanti, e la verità è che non voglio avvicinarmi,
non voglio saper quello che ha da dirmi. Non voglio che mi dica che Edward non
c’è l’ha fatta. Non voglio sentirlo.
Mi porto le mani a
coprire le orecchie mentre sento le forze venirmi meno. Tutt’intorno a me
sembra essersi formata una bolla che mi rende sorda ad ogni altro rumore.
Vedo Alice scoppiare a
piangere e Esme affondare la faccia nel petto del marito mentre lui la stringe
forte; due cose che mi fanno perdere quel briciolo di speranza che mi era
rimasto.
La paura mi atterrisce
mentre rimbomba attraverso il mio petto bloccandomi il respiro e, quasi, il
cuore. Il dolore forma una fascia gelida intorno al mio torace, e cado sulle
ginocchia vacillando, impotente.
Avverto la mano di
Rosalie cercare di sostenermi ma è il buio ad avere la meglio.
Ho solo il tempo di
accorgermi che le parole di Alice –Edward sta bene, è vivo- non combaciano con
l’idea che mi sono fatta entrando in sala, che la mia vista si oscura e cado
inerme, sbattendo la faccia sul pavimento gelido.
Mmhphh immagino la vostra faccia in questo momento…
E’ qualcosa tipo questa O_o?
A voi i commenti! Grazie mille come sempre per l’affetto che
mi dimostrate nelle splendide recensioni che mi lasciate.
Eccomi qui, gente! Scusate il ritardo di queste settimane ma è
stato un periodaccio ed emotivamente mi sentivo troppo giù per
scrivere. Anyway, il capitolo è pronto e vi lascio alla lettura. Baci!
Capitolo 9
La condizione più straziante per l'animo umano non è il dolore, è il dubbio.
-Paul Mehis.
Spalanco gli
occhi all’improvviso. La mia bocca produce un suono strozzato,
come quello che fai quando torni in superficie dopo essere rimasta per
troppo tempo sott’acqua. Mi guardo intorno ma non vedo nessuno,
c’è solo la luce del neon ad accecarmi gli occhi. Li
richiudo di scatto sentendoli lacrimare e torno a respirare
normalmente. Mi gira un po’ la testa e sembra che la stanza ruoti
tutt’intorno al mio lettino. Lettino! Si, sono sdraiata. Per una
frazione di secondo mi domando come diavolo ci sia arrivata
quassù, poi mi ricordo tutto quanto. Un rumore alla porta mi fa sussultare; qualcuno entra ma io rimango immobile. -Finalmente ti sei svegliata o mia Bella Addormentata- Jen? -Avanti, alzati! Vecchia poltrona che non sei altro- si, è Jen. -Senti chi
parla- gracchio a mezza voce- quella che “non rompetemi le
scatole quando ho la giornata libera, voglio rimanermene a casa a
dormire”- le faccio il verso alzandomi sui gomiti; mi gira la
testa ma cerco di non pensarci –cosa ci fai qui?- -Che vuol dire cosa ci faccio qui? Sono venuta per Edward naturalmente. E anche per te- -Come l’hai scoperto? Ti ha avvisato qualcuno?- -I telegiornali non fanno altro che parlare di questo- dice sedendosi sulla sedia di fronte al letto. I telegiornali?
Di già? Pensavo fosse notte fonda ma vengo subito smentita dalla
luce che vedo entrare dalla finestra alle sue spalle. -Oddio, Jen che ore sono?- -Le 8:30, perché?- Cazzo sussurro
tra i denti alzandomi dal lettino mentre la mia mente viaggia alla
velocità della luce – ho dormito per quattro ore. Quattro
ore!- dico facendo un rapido calcolo. -Si, e allora?- -Come è allora? Devo andare immediatamente da Edward, non capisci?- Faccio per scendere ma una sua mano mi blocca prima che riesca a mettere il piede per terra. -Rilassati
Bella. Edward è in terapia intensiva. Gli hanno indotto il coma
farmacologico e non si sveglierà ancora per un bel po’- a
queste parole è automatico che io senta una punta di tristezza.
Ancora per un bel po’… quanto esattamente? Quanto
dovrò aspettare prima che possa rivederlo? Prima che possa
rivedere i suoi bellissimi occhi verdi posarsi di nuovo su di me? Mi porto le mani a coprire il viso e lascio andare i pensieri in un respiro profondo. -Ehi, va tutto
bene. I medici dicono che l’intervento è perfettamente
riuscito. Per fortuna l’emorragia si è arrestata. E cosa
più importante dicono che non ha lesionato il tessuto celebrale
o come si chiama…- grazie a Dio. -Già- ho il volto ancora coperto dalle mani ma quando Jen fa forza per abbassarmele scoppio in un pianto liberatorio. -Ehi, Bella sta
bene, va tutto bene. Perché piangi ora?- si siede accanto a me
stringendomi un braccio intorno alle spalle. -Piango perché… sono sollevata. Sono felice e sollevata- -Mi dispiace
non esserci stata ma ho visto la notizia solo un ora fa. Certo che
potevi anche chiamarmi però. Dev’essere stato difficile
stanotte- -Difficile?
È stato terrificante. È stato tremendo, orribile. Ho
pianto tutte le lacrime che avevo in corpo. Penso di aver passato le
tre ore più brutte della mia vita. Forse solo le ore trascorse
in pena per mia madre dopo l’attentato alle Torri le superano per
intensità e dolore. E poi quando il Dottore è
venuto a comunicarci che finalmente l’intervento era
finito… cosa faccio io? Cado a terra priva di sensi e dormo per
quattro ore di fila senza neanche rendermene conto. Sono pessima,
sono…- -Sei umana- la
sua voce mi interrompe bruscamente- eri stanca e il tuo corpo non ha
retto. Ognuno reagisce in maniera diversa; tu sei collassata a terra,
tanto che ti hanno trasportato d’urgenza in questa stanza e ti
hanno sottoposto ai controlli del caso- -Non serviva,
io sto bene- dico inflessibile asciugandomi con rabbia le lacrime dal
viso. Mi sento una stupida; come se mi fossi persa quattro ore della
mia vita. O meglio… quattro ore della vita di Edward. Il
fastidio maggiore è dato dal pensiero di non essere stata
presente quando i medici hanno comunicato al resto della famiglia le
sue condizioni di salute. È come se mi fossi persa un altro
momento importante della sua vita. -Non ho fatto
domande e non ho intenzione di farlo nemmeno adesso ma…-comincia
sospirando- se non ti chiedo cos’è successo quando sei
andata via con quel damerino ieri sera, penso di impazzire!- La guardo
stralunata considerando l’assurdità della sua domanda, ma
poi capisco che in verità Jen non sa nulla di quello che
è successo ieri sera, ne della decisione che ho preso. -Tu… tu cosa credi che sia successo?- -Ho mille
teorie in testa a dire la verità. Una di queste comprende te che
te ne vai dal mio ristorante quasi in lacrime, Jacob che ti porta a
casa e ti consola come si deve sotto le coperte- Il mio sguardo
deve risultarle scioccato, in effetti ho male agli occhi tanto sono
fuori dalle orbite, perché fa spallucce e aggiunge- che
c’è? Non guardarmi così. Sono nella posizione di
pensarlo e come me penso l’abbia fatto anche Edward, anzi ne sono
più che sicura- La fisso senza
dire nulla, incapace di dare un senso alle sue parole. Le metto insieme
a formare una frase, che leggo su una tavola nella mia mente. E alla
fine capisco. Edward crede
che sia andata a letto con Jacob. Edward è andato a casa con la
consapevolezza che io abbia scelto un altro ed è convinto che
non lo voglia più. Sento una scarica di brividi e una fitta al
petto tanto è il senso di colpa che mi attanaglia lo stomaco. -Bella? Non hai da dirmi niente a parte guardarmi come un pesce lesso tutto il tempo?- -Jen… Edward pensa che io sia andata a letto con Jacob?- con un salto balzo giù dal letto. -Sì,
suppongo di sì- torna a fare spallucce – l’ho
pensato io, perché non dovrebbe averlo pensato anche Edward?
Dopotutto hai rifiutato ancora una volta il suo perdono- -Io non ho
rifiutato il suo perdono!- dico sprezzante portandomi le mani tra i
capelli, anche se capisco che ad un occhio esterno possa essere
sembrato così. -E allora
cos’è che hai fatto esattamente?- incrocia le mani al
petto e mi guarda saccente. Assottiglia gli occhi e mi sfida a
rispondere. -Io… io sono stata costretta ad andare via. Ho provato troppa paura…- -Paura di
cosa?- m'incalza, dando sfoggio del suo carattere fermo e deciso. Ho la
sensazione di essere sotto interrogatorio. Per un secondo ho il tempo
di logorarmi della mia debolezza e di inveire contro me stessa per non
essere come lei. -Jen, tu non
capisci. Lui mi ha detto che mi ama ed io sono stata ad un passo dal
cadergli addosso. Non ho capito più niente, ho avuto una specie
di crisi di panico- le confido mestamente, confermando il mio pensiero
precedente- l’unica cosa che volevo era andarmene da li. Ero
insicura su un sacco di cose, su quello che mi aveva detto riguardo a
Tania, sul suo ti amo, sulla reazione giusta da avere. Credimi, avrei
voluto buttargli le braccia al collo e ricambiare le sue parole ma non
ce l’ho fatta. Ancora una volta ho deciso di comportarmi
razionalmente. Tu lo sai che sono fatta così. Sono una stupida
bambola a cui serve del tempo per riflettere- m’interrompo un
attimo per riprendere fiato mentre guardo Jen, adesso provata quanto me
nel sentire queste parole- e ho riflettuto. L’ho fatto nel
tragitto dal tuo ristorante a casa mia. L’ho fatto quando ho
salutato Jacob e sono salita in fretta nel mio appartamento. L’ho
fatto sotto la doccia e quando mi sono messa a letto- -Aspetta!
Quindi non hai fatto sesso con Jacob?- mi guarda speranzosa e vorrei
davvero sferrarle un ceffone solo per il fatto che abbia creduto
possibile un’eventualità del genere. -No! non sono
andata a letto con lui. Smettila di ripeterlo. Come avrei potuto se le
uniche cose a cui pensavo erano il volto di Edward e le sue parole?
Io… io volevo incontrarlo oggi per chiarire ogni cosa, per
parlare dei miei e dei suoi sentimenti… ma sono stata svegliata
all’una di notte da una donna che mi diceva di correre in
ospedale perché mio marito era rimasto coinvolto in un grave
incidente- la mia voce trema al ricordo delle lacrime che ho versato. -Bella, non dirmi che…che finalmente ti sei decisa- -Sì -
abbasso lo sguardo sulle mie mani che sto torturando da cinque minuti
buoni- in realtà non c’è mai stato nulla da
decidere, l’ho sempre saputo. Semplicemente non ho mai
trovato il coraggio di dirlo ad alta voce. Io lo amo- dico
solennemente- l’ho sempre amato e sempre l’amerò.
Anche in questi anni in cui non volevo fare altro che staccargli la
testa dal collo, io ho continuato ad amarlo- mi tremano un po’ le
gambe a confessare così apertamente i miei sentimenti, ma
è necessario che lo faccia. Le braccia di
Jen mi circondano all’improvviso e in men che non si dica mi
ritrovo stretta al suo petto e con le lacrime agli occhi. -Diamine lo sapevo! Lo sapevo che prima o poi ti saresti decisa ad ammetterlo. Oh Bella, come sono felice…- Tiro su con il
naso regalandole un sorriso – lo so che tu sapevi, hai sempre
cercato di farmelo capire ma io non ti ho mai ascoltata. Il mio
orgoglio di donna ferita è sempre stato più forte di
tutto il resto- - Adesso
però hai capito che lui è più importante
dell’orgoglio e dei dolori del passato - dice accarezzandomi una
guancia- Ci vuole del coraggio per dimenticare un tradimento, ma ce ne
vuole molto di più per decidere di dimenticare la persona che
ami più della tua stessa vita- - Io non
l’ho mai dimenticato, non ci sono mai riuscita. Lo pensavo giorno
e notte, continuamente. L’unica soluzione possibile è
sempre stata una sola. Allora mi sono detta… perché
dobbiamo stare divisi se ci amiamo così tanto? Se nemmeno la
ferita di un tradimento ha diminuito l’amore che provo nei suoi
confronti, perché devo permettere all’orgoglio di tenermi
lontana da lui?- - E adesso hai messo l’orgoglio da parte finalmente?- -Sì.
Quando ti importa davvero di qualcuno, i suoi errori non cambieranno
mai i tuoi sentimenti perché è la mente che si arrabbia,
ma al cuore continua ad importargliene- -Perciò
hai obbligato la tua mente a smettere di pensare- mi rivolge un sorriso
obliquo e furbo mentre vedo un guizzo di malizia saltarle agli occhi-
in effetti mi domandavo quale fosse il motivo che ti aveva spinta ad
uscire con Jacob, adesso mi è tutto chiaro- dice scoppiando a
ridere alleggerendo l’atmosfera. Torno a sedermi sul letto
sbuffando della sua battuta ma non posso negare che la scelta di uscire
con lui sia stata una decisone del tutto illogica, soprattutto se
teniamo conto di quello che le ho appena confessato. -Sei veramente molto spiritosa, non c’è che dire- -Lo sai che
prenderti in giro è il mio passatempo preferito- mi si piazza
davanti con sguardo minaccioso, tanto che i suoi occhi da gatta si
assottigliano ancora di più- ma è vero che mi sono
chiesta quale fosse il motivo che ti aveva spinta ad agire in questo
modo. Insomma ero certa dei tuoi sentimenti ancora prima che te ne
accorgessi tu stessa. Vederti uscire con un altro uomo me ne ha fatto
dubitare- Sospiro
grattandomi il naso - ho commesso un errore ad uscire con Jacob ieri
sera, lo so. Ma quando qualcuno ci ferisce, anche noi vogliamo ferirlo.
Volevo ferire Edward per quello che credevo avesse fatto, sai…
la storia di Tania e tutto il resto. Ma non volevo che venisse a
saperlo. Volevo dimostrare qualcosa a me stessa e questo nella mia
testa bastava come punizione. Dimostrare per una sera che anche io
potevo avere una nuova vita se solo mi fossi decisa a mettere da parte
quello che provo nei suoi confronti. Ma per quanto buone fossero le mie
intenzioni è arrivato lui ed ha scombussolato tutto- adesso
è il mio turno di guardarla minacciosamente – se solo ti
fossi fatta un bel pacco di affaracci tuoi tutto quello che è
successo ieri sera non sarebbe mai accaduto, “Jenny dalla bocca
larga”- l’apostrofo con quel nomignolo che le ho affibbiato
sin dal primo giorno che ci siamo conosciute, e che in questi anni non
ha mai fatto nulla per scrollarsi di dosso o dimostrarmi il
contrario. Aguzza gli
occhi inarcando le sopracciglia- adesso vuoi dare la colpa a me del
giochino stupido che ti sei inventata? Se non l’avessi chiamato
per chiedergli di venire, tu non ti saresti mai decisa ad andare da
lui. O devo ricordarti quello che mi hai detto ieri mattina? Non volevi
nemmeno chiamarlo per chiedergli informazioni riguardo lo scandalo che
ha coinvolto la sua azienda. Vi sareste mai parlati se non fosse stato
per me? Te lo dico io, no! Non l’avreste mai fatto perché
tu saresti finita a fare sesso chissà dove, pendendotene subito
dopo, e lui sarebbe rimasto a casa a piangere, per poi finire mezzo
arrostito e con la testa quasi fracassata in ospedale- Mi vengono i
brividi alle parole “mezzo arrostito” e “testa quasi
fracassata”, tanto che porto le mani a stringermi il busto per
trovare un po’ di calore. Non posso negare che abbia ragione
però. Tranne per il fatto di immaginarmi a fare sesso
chissà dove, tutto quello che ha detto è vero. Se
non ci fossimo incontrati la sera prima, ci saremmo ritrovati in
ospedale senza sapere nemmeno come comportarci. E a quel punto
cos’avremmo fatto? Dondolo la
testa, ponderando per bene se sia saggio darle ragione, facendole
montare ancora di più la capoccia che si ritrova. Ma adesso,
più che in ogni altra occasione, se lo merita davvero. -Okay, hai
vinto tu- dico alzando le mani in segno di resa- hai ragione. Ma devo
dissentire sulla questione del sesso. Non ho mai avuto alcuna
intenzione di andare oltre con Jacob- -Su- sbuffa
gongolando dichiarando chiuso il discorso- adesso prendi un po’
di caffè e vieni di la con me. Gli altri ci aspettano- afferra
un bicchiere dal comodino accanto al letto (della cui presenza non mi
ero minimamente accorta), e me lo porge con una faccia mortificata. -Che c’è?- -E’ freddo- -Non ti preoccupare, ne prederò un altro- Butta il
bicchiere nella spazzatura e mi segue fuori dalla camera. Noto subito
che il corridoio è un po’ più affollato questa
mattina, non che mi faccia piacere certo. Siamo nel reparto di terapia
intensiva e non augurerei a nessuno di stare in questo posto. Il suono del
cellulare di Jen che inizia a strillare impazzito mi fa girare nella
sua direzione. Primo, perché dovrebbe tenere la suoneria bassa,
siamo in un ospedale e in questo reparto il minimo rumore è
severamente vietato. Secondo, perché la sento sbuffare e
imprecare tra i denti. -Chi è?- -Mmh, tuo
padre. Mi sono dimenticata di dirti che ha già telefonato due
volte quando eri incosciente, scusa- dice colpevole. -Davvero?- la
guardo a bocca aperta. Non dovrei stupirmi della sua chiamata,
dopotutto è un gesto normale per un padre chiamare la propria
figlia, soprattutto se è venuto a conoscenza di quello che
è successo, no? Ma lui e la normalità non vanno a
braccetto da un po’ di tempo ormai. -Si, davvero- sbuffa della mia faccia stupita e mi passa il cellulare. -Pronto papà?- -Bella. Dio, Bella stai bene?- è molto agitato. -Papà io sto bene, calmati- -Ho provato a
chiamare sul tuo cellulare ma non rispondevi, perciò ho chiamato
Jen. Mi ha detto che hai avuto un malore e che stavi dormendo. Ho
saputo quello che è successo bambina mia. Mi sono preoccupato da
morire- ho le lacrime agli occhi e il cuore in gola; è il
discorso più lungo che gli sento fare da anni -e Edward? Come
sta?- riprende senza fermarsi un attimo. -Edward se la
caverà per fortuna- Charlie vuole molto bene a Edward. Era
l’unico che riusciva a strappargli un sorriso quando eravamo
ancora sposati e andavamo a trovarlo nel Queens prima che arrivasse
Sophie, perciò capisco la sua preoccupazione. Ma ciò non
toglie che il suo atteggiamento mi scombussoli un pochino. Da quanto
tempo è che non lo sento? Dal giorno in cui ha telefonato per
avere informazioni sulla faccenda dei soldi rubati da Mike. Non
così tanto dopotutto, un tempo così breve che mi fa
cogliere la differenza tra questa telefonata e quella. Adesso lo sento
quasi normale, i monosillabi con i quali si esprimeva a momenti
sembrano un brutto ricordo. Che sia successo qualcosa? -Papà, tu stai bene?- gli chiedo a questo punto preoccupata per lui. -Sì,
tesoro. Sto bene- ed è la verità, lo sento diverso e
questa realtà mi risolleva il cuore riempiendolo di gioia-
volevo chiederti se avevi bisogno di qualcosa. Vuoi che Sophie stia con
me mentre tu sei in ospedale? Non c’è problema, lo sai che
può venire qui quando vuole- Spinta dalla
forza dell’abitudine mi ritrovo a valutare per un attimo i pro e
i contro della sua offerta, e mi do uno schiaffo mentale quando mi
accorgo di quello che sto facendo. -Mi sembra un ottima idea papà. Solo che adesso è a casa con Jasper no so come…- -Oh non
preoccuparti, ho il suo numero. Lo chiamo e ci mettiamo
d’accordo. Tu non pensare a nient’altro, va bene?- il suo
entusiasmo mi lascia senza parole ma non posso fare altro che salutarlo
e dirgli che ci sentiremo in giornata. Restituisco il cellulare a Jen
come se fosse una reliquia preziosa. Continuo a fissarlo fino a che lei
non lo infila di nuovo in tasca e riprendiamo a camminare.
Ci fermiamo
quando raggiungiamo la sala d’attesa. Esme sta sfogliando una
rivista, il corpo appoggiato alla spalla del marito. Quest’ultimo
tiene il giornale in mano; sicuramente il New York Times, legge solo
quello. Alice sta digitando qualcosa al cellulare e Rosalie sta
per addormentarsi con la testa poggiata alla parete. Appena mi vede
però spalanca gli occhi. -Bella- esclama
facendo girare tutti nella mia direzione e in un batter d’occhio
vengo sommersa da una raffica di domande. -Oh, cara eravamo così preoccupati. Stai bene adesso?- Esme. -Sì, sto bene adesso. Grazie- -Figliola non
vedevo qualcuno prendere un colpo così forte da quando Jadeveon
Clowney, mandò al tappeto Vincent Smith. Sei sicura di non
esserti fatta male?- il pragmatismo di Carlisle mi fa spuntare il
sorriso sulle labbra. -Penso che se avessi preso la botta che ha preso Smith a quest’ora starei in obitorio- -Mmhh, sono contento che tu sia ancora in mezzo a noi allora- dice facendomi ridere. Alice mi abbraccia forte e mi invita a sedermi sulla sedia accanto a lei – ci hai fatto prendere uno spavento, davvero- -Mi dispiace di avervi fatto preoccupare. Io… io non so cosa mi sia preso. Svenire il quel modo poi- -Su adesso non
pensarci. È meglio se metti qualcosa nello stomaco
piuttosto- si intromette Rosalie e solo in questo momento mi
accorgo di avere una fame da lupi. Non mangio da ieri a pranzo, se
consideriamo il fatto che ho rigettato la cena di ieri sera nel water
dell’ospedale. Il mio stomaco comincia a brontolare pregustando
il momento in cui metterò qualcosa sotto i denti. -Ci penso io
Bella- Jen si alza e afferra il giubbotto – vado alla caffetteria
qui di fronte e ti porto la colazione- chiede anche agli altri se
desiderano qualcosa ma declinano cortesemente la sua offerta. -Edward? Come
sta?- sono troppo impaziente di saperne di più. Mi rivolgono un
sorriso caldo e sincero che mi fa smettere di tremare all’istante
per l’ansia e la preoccupazione. -Sta bene. Il
dottor Abernathy dice che è riuscito ad arrestare
l’emorragia senza nessun danno al tessuto celebrale. Ovviamente
fugheremo ogni dubbio quando si sarà svegliato. Ha la gamba
destra ingessata, dal ginocchio in giù, e la sinistra un
po’ scottata, per fortuna non è nulla di grave; mancava
solo che si ustionasse. Dovrà rimanere sotto osservazione per un
po’, dopotutto non è uno scherzo quello che gli è
capitato- -No, certo che
no- rispondo – ma… quando si sveglierà? Lo hanno
detto?- non posso evitare di fare questa domanda. Sono impaziente come
un drogato in crisi d’astinenza. Ho bisogno di vederlo. Mi manca
l’aria tanta è la voglia di trovarmi nella stessa stanza
con lui. -Non lo sappiamo ancora. Il dottore ha detto che verrà ad avvisarci quando smetteranno di sedarlo- Sospiro chiudendo gli occhi e lascio andare uno striminzito –okay-
Faccio
colazione con quello che mi porta Jen e nel frattempo cerco di
convincere gli altri ad andare a casa. Con le quattro ore di sonno che
mi sono fatta in seguito allo svenimento mi sento un leone, penso di
riuscire ad affrontare l’intera giornata con tranquillità.
Ma non vogliono sentire ragioni: rimarranno finché Edward non si
sarà svegliato. Passiamo circa mezz’ora a parlare
dell’argomento ma capisco che non l’avrò mai vinta
contro la loro testardaggine. All’improvviso ci ritroviamo a
sobbalzare dallo spavento quando sentiamo un vocione urlare nella
stanza. -Diamine! Non
ditemi che sono arrivato troppo tardi. Quel bastardo se ne è
andato senza salutarmi?- non ho dubbi che si tratti di Emmett, il
linguaggio colorito è un suo tratto distintivo purtroppo e anche
il suo vocione, lo riconoscerei tra mille. Infatti compare subito
dietro la vetrata d’ingresso. Viene verso di
noi, impeccabile nel suo vestito grigio elegante, con tanto di cravatta
e cappotto pesante sotto braccio. Il suo abbigliamento sembra urlare
“manager d’azienda” da tutti gli strati costosissimi
di lino d’Irlanda che compongono il suo vestito di alta sartoria.
-Carlisle,
Esme, Bella- ci saluta telegraficamente prima di sedersi su una delle
sedie- e… ci conosciamo?- dice con un sorriso sornione da
“acchiappo” rivolto a Rosalie che lo guarda sbigottita ed
io mi ritrovo ad alzare gli occhi al cielo. Emmett è…
Emmett: coglione, burlone, Don Giovanni, amico dal cuore d’oro
e... sì devo ammetterlo…figo da paura, già. Con il
suo metro e novantasei d’altezza e i suoi occhi azzurri come il
cielo più limpido riesce a stendere chiunque. Anche Rosalie non
sembra per niente immune al suo fascino e al suo fisico
“selvaggio” da lottatore di Wrestling . Quest’ultima
si riprende dopo qualche secondo dal suo stato di adorazione e inarca
le sopracciglia prima di rispondergli – non ho avuto questa
sfortuna- dice calcando la lingua sulla esse. -Ah-ah
simpatica la ragazza- il sorriso di lui arriva fino alle orecchie
–allora, ditemi cosa diavolo è successo- riprende serio
rivolgendosi a noi. Gli raccontiamo ogni cosa e naturalmente reagisce molto male; d'altronde era del tutto prevedibile. -Gesù
Santo, come accidenti hanno fatto a mettere una bomba nel suo
appartamento? Come?- è furioso così come lo siamo noi.
È da stanotte, nonostante il dolore e l’ansia per le sorti
di Edward, che continuo a chiedermi chi diavolo sia stato a piazzare
quella dannata bomba. -Emmett non lo sappiamo, confidiamo nella polizia- gli risponde Esme preoccupata. Faccio per
intervenire anche io nella discussione ma vengo interrotta da Carlisle
che approfitta della situazione per urlare contro quello che hanno
scritto alcuni giornali. -Infangano la
reputazione di mio figlio come se stessero parlando di un accattone.
Sanno chi sono io, e che diamine! Lo accusano di aver mandato in
fallimento l’azienda per aver fatto degli investimenti sbagliati,
e di aver dilapidato gran parte del suo Fondo Fiduciario!- sbraita
tendendo al massimo la mascella. -Carlisle
calmati, non vorrai farti venire di nuovo un infarto- lo rimprovera
Emmett poggiandosi alla spalliera della sedia, assumendo una postura
rigida. -Ah al diavolo,
non mi interessa il mio stupido cuore. Io voglio tutelare la
dignità di mio figlio. Non posso permettere che… a si
aspetta, guarda qua- si interrompe giusto il tempo di passare un
giornale al suo interlocutore - sostengono che abbia un conto alle
isole Cayman o qualcosa del genere, comunque in uno di quei paradisi
fiscali… roba da non crederci. Emmett, voglio che tu faccia
tutto il possibile per mettere a tacere queste voci. Chiama i nostri
avvocati, chiama chi vuoi ma fa qualcosa. Sappiamo tutti che non
è vero- -Che mi venga
un colpo!- sbotto risentita- Edward proprietario di una mega villa alle
isole Cayman? Basta guardare il suo appartamento o quel che ne rimane
per capire che quella non è la sua vita. Edward è la
persona più attenta, responsabile e oculata che conosca- -Non
preoccuparti- si intromette Emmett- non permetterò che qualche
giornalista del cazzo insudici così il lavoro di tutta una vita- -Edward non
c’entra niente con quello che è successo in azienda- la
voce di Rosalie fredda e spietata ci fa congelare tutti
all’istante- lui non si era accorto di niente, è tutta
colpa mia- -Rosalie… ma che stai dicendo? No…- scuoto la testa. -Sì,
invece. Mike continuava a farmi domande su domande, sapete…
riguardo i vari conti dell’azienda eccetera. Edward lo vedeva
molto strano ultimamente, ma sono io quella che doveva insospettirsi di
più, no? In fondo abitavamo insieme. Ma non ho detto niente. Non
mi sono ribellata quando Mike mi pressava affinché gli
rispondessi, ne ho detto qualcosa di fronte al suo rientrare tardi la
sera o al suo atteggiamento distaccato. Sono stata un stupida- -No,
Rose…- cerco di consolarla come meglio posso poggiandole una
mano sulla spalla, proprio come ha fatto lei stanotte con me. Ma non
posso impedire a qualche lacrima di bagnarle il volto. -Non prenderti
colpe che non hai dolcezza. Quel farabutto del tuo fidanzato ha fatto
tutto da solo. Non sei stata di certo tu a trasferire tutti quei soldi
su conti non tracciabili all’estero. Voleva fuggire e
l’avrebbe fatto lo stesso, con o senza il tuo aiuto- le parole di
Emmett sembrano scaldarle un po’ il cuore, infatti Rose gli
regala un sorriso sincero di gratitudine. **********
-Jen, ne sei sicura?- -Sì, tranquilla. Non casca il mondo se per un giorno non vado a lavoro- Sto parlando
con Jen del ristorante; nemmeno lei vuole andare via, dice di poter
affidare la gestione a Seth, il suo aiuto cuoco. -Solo per oggi, però- le intimo con l’indice puntato contro. -Sì, va bene. Solo per oggi- risponde mandando gli occhi in gloria. Mi stiracchio
sulla sedia che cigola inesorabilmente sotto al mio peso e sobbalzo
quando Rosalie mi conficca il gomito nelle costole per attirare la mia
attenzione, facendomi urlare internamente di dolore. Con un cenno del
capo mi indica di guardare nella direzione di Alice. Quest’ultima
tiene lo sguardo basso come impaurita. Ne capisco subito il motivo.
Infatti mi giro a guardare dalla parte opposta e vedo Carlisle
trafiggerla da parte a parte solo con la forza dello sguardo. Guarda
lei, guarda Jasper che ci ha raggiunti meno di mezz’ora fa, poi
fissa le loro mani incrociate e sbuffa come un toro imbestialito. Vorrei girarmi
e urlargli di stare calmo, che non è ne il luogo ne il momento
adatto per pensare alla loro faida, che si sta comportando come un
bambino e che deve mettersi il cuore in pace. Che dopo che si è
affrontata una situazione disperata, le cose banali non hanno
più importanza. La nostra prospettiva si allarga e impariamo a
vivere ad un livello più profondo. Ma non lo faccio. Mi limito a
spostare l’attenzione su altro per impedire a Alice e a Jasper di
implodere per l’imbarazzo. - Sophie ha fatto la brava?- chiedo al mio amico che finalmente alza gli occhi per guardarmi. -Oh sì.
Le ho proibito di accendere la tv e ho raccomandato a tuo padre di fare
altrettanto. Gli ho anche consegnato tutti i vestiti che avevamo a
casa. Sai… non sapevo quando tempo avessi intenzione di
trattenerti in ospedale- -Hai fatto
bene- rispondo. Anche se la mia bambina mi manca terribilmente e lo
stesso deve essere per lei, so che il mio posto è qui per il
momento. Accanto all’uomo che amo. Non mi schioderò da
quest’ospedale fino a che non vedrò Edward riaprire gli
occhi. Emmett riprende
a parlare con Esme e Carlisle e li invita al distributore per prendere
un caffè; forse anche lui si è accorto della tensione che
si è venuta a creare da quando Jasper ha messo piede in questa
stanza. Non ho il tempo di preoccuparmene più del dovuto che
Rosalie mi si piazza all’altezza dell’orecchio destro e
comincia a bisbigliare. -Chi è
quello?- mi chiede con un filo di voce rivolgendosi alla montagna umana
poco distante da noi. Alla buon ora penso, stavo per diventare vecchia
nell’attesa che me lo chiedesse. Beh meglio tardi che mai… -E’
Emmett McCarty, l’amministratore delegato della Cullen
Enterprises. Ha preso il posto di Edward quando è andato via-
sibilo anche io –perché?- -No, niente.
Così. Volevo sapere chi era. Non l’ho mai conosciuto e a
quanto ho capito è molto amico di Edward- -Sono
praticamente fratelli. Esme e la signora McCarty sono amiche
d’infanzia; ha conosciuto suo marito al matrimonio dei genitori
di Edward. Quando sono nati i bambini i rapporti sono diventati ancora
più stretti tanto che Edward ed Emmett sono cresciuti
praticamente insieme- -Anche Carlisle sembra fidarsi molto di Emmett. Non gli avrebbe dato l’incarico che era del figlio altrimenti- -Giusta
osservazione- mi complimento- sì, Carlisle si fida molto di lui.
Quando si sono laureati entrambi hanno fatto pratica nell’azienda
dei Cullen e quando Edward se ne è andato c’era solo un
altro uomo con la stessa competenza in grado di prendere il suo posto:
Emmett- faccio un cenno nella sua direzione e Rosalie sembra quasi in
imbarazzo. -Che c’è?- bisbiglio- non dirmi che ti piace Emmett?- la punzecchio facendola arrossire. -Beh non
sarebbe così impossibile non trovi?- afferma Jen con noncuranza
facendo spallucce – è un figo pazzesco- Rosalie diventa
ancora più rossa nell’apprendere che qualcun altro sta
assistendo alla nostra conversazione. -Ma no, che
dici? Non lo conosco nemmeno. Non essere ridicola- risponde decisa
dandosi un tono diverso dalla ragazza imbarazzata di poco prima- e poi
il mio fidanzato mi ha mollato nemmeno cinque giorni fa. Non mi
interessa nessuno al momento - -Comunque non
ci sarebbe nulla di male – la guardo negli occhi per imprimere
maggiore enfasi alle mie parole. Ricominciare è l’unico
modo che ha per dimenticare quello che Mike le ha fatto. La vedo
dirigere gli occhi verso Emmett e poi alzarli al cielo quando si
accorge che la sto fissando. Ci mettiamo a ridere entrambe. -Quindi il
detective Cameron non si è ancora fatto vivo dopo stanotte?-
chiede Jasper a Alice ma a rispondergli è Esme che proprio in
questo momento torna a sedersi insieme agli altri. -Ha detto che ci avrebbe tenuti aggiornanti. Speriamo che chiami presto- -Al momento
l’unica priorità è che Edward si svegli e, se le
sue condizioni di salute lo permettono, di venire interrogato e
raccontare nei particolari quello che è successo- Alice parla
quasi per inerzia: è stanchissima. Stare tutta la notte in piedi
nelle sue condizioni deve essere stato durissimo. Vorrei dirle di
andarsene a casa ma so già che non mi ascolterebbe. Il suo stato
balza agli occhi di tutti però, visto che sono gli altri a
parlare al posto mio. E il primo a farlo è proprio Carlisle. -Alice, vattene
a casa. Sei stanchissima- quest’ultima sussulta quando lo sente
parlare e sbianca di colpo. Forse non crede alle sue orecchie
così come io non credo alle mie. -Mmmh..- tossisce- no, papà preferisco stare qua- e dopo qualche secondo aggiunge-grazie- -Io lo dico per te. Si vede che non stai bene. Forse stai covando l’influenza. Non è vero Esme? Diglielo anche tu- -E’ vero
tesoro. Sei troppo pallida. Jasper portala a casa per favore- Carlisle
non avrebbe di certo voluto tirare in ballo Jasper e infatti lancia un
occhiataccia alla moglie che però glissa con un gesto magistrale
della testa (frutto di anni e anni di esperienza) il rimprovero del
marito. -Non voglio andare a casa-si infervora Alice. -Ma Alice…- comincia la madre per poi venire interrotta nuovamente dalla diretta interessata. -Niente ma,
mamma. Voglio aspettare fino a che Edward non si sarà svegliato
e non mi diranno che sta bene. Solo questo conta, io posso aspettare-
ripete le stesse parole che mi ha detto questa notte e capisco che non
c’è nulla da fare, anche se decido ugualmente di fare un
ultimo tentativo. -Tutti voi
dovreste andare a riposare, non solo Alice. Ci sono io e
c’è Jen qui con me. I medici sicuramente si prenderanno
l’intera giornata prima di svegliarlo. Andate a riposare e
tornate nel pomeriggio. Semmai dovessero esserci novità vi
chiamo subito- -Ha ragione
Bella- si intromette Rosalie che più di tutte questa mattina si
era opposta alla mia proposta. Sicuramente Alice non è la sola
ad accusare la stanchezza dell’intera notte passata in bianco-
torneremo nel pomeriggio. Così daremo la possibilità a
Bella di andare a riposare, e qualcun altro rimarrà qui con
Edward- il suo intervento blocca qualsiasi protesta sul nascere. Anche
se vorrei reclamare dicendo che no, non ho intenzione di andarmene
nemmeno dopo che Edward si sarà svegliato, ma capisco che non
è il momento adatto. Non adesso che la corazza di irremovibile
testardaggine che ha ottenebrato le menti dei presenti fino ad ora,
sembra essersi incrinata e sta quasi per rompersi in mille pezzi.
Jasper guarda Alice e la implora con lo sguardo di andare via.
Quest’ultima abbassa gli occhi verso il suo ventre e con un gesto
del tutto impercettibile (impercettibile per chi non conosce la
verità, per me invece è chiarissimo) si accarezza per un
attimo la pancia, alza gli occhi ad incontrare quelli di Jasper e
annuisce decisa.
Vanno via tutti
che è quasi mezzogiorno e all’ora di pranzo io e Jen ci
mettiamo d’accordo per mangiare qualcosa al volo alla mensa
dell’ospedale: un Sandwich al tacchino e una coca in lattina.
Siamo circondate da medici vestiti con il loro camice bianco e tra la
folla cerco il dottore di Edward, ma non riesco a trovarlo da nessuna
parte. Mando giù il mio panino come se fosse un sasso e infatti
lo sento piazzarsi nello stomaco come se pesasse dieci chili. È
la sensazione di terrore, ansia e paura lo so. La stessa che mi
accompagna da stanotte e che non riesco a scrollarmi di dosso. Bevo
avidamente dalla mia lattina solo per il gusto di sentire qualcosa di
fresco scendermi nell’esofago; l’attesa mi ha completamente
asciugato la salivazione infiammandomi la gola. -Non
preoccuparti Bella, verrà ad avvisarci molto presto. Me lo
sento- anche Jen come me non fa altro che girarsi e rigirarsi il
panino in mano e aguzzare la vista nella speranza di scorgere il dottor
Abernathy. Alla fine potrebbe essere andato anche a casa, penso
sprofondando ancora di più nell’angoscia. Dopotutto aveva
il turno di notte e forse a quest’ora starà riposando. Non
metterci troppo dottore, ti prego. Ed è
quello che fa in effetti, visto che sono passate da appena cinque
minuti le quattro e lo vedo entrare in sala d’attesa con passo
spedito. Alzo la testa dall’appoggio confortevole della spalla di
Jen e gli vado incontro seguita a ruota dalla mia amica. -Dottore, ci
sono novità?- sento le spine rodermi sotto i piedi; ho paura che
sia venuto a darmi una notizia terribile. D’altronde non hanno
mai detto che Edward fosse fuori pericolo. -Stia
tranquilla signora Cullen, suo marito sta bene- automaticamente lascio
andare un sospiro di sollievo e sento quasi le gambe cedermi - lei
piuttosto, si è ripresa dallo svenimento di questa mattina?- Mi rivolge un
sorriso cordiale e sincero che non posso fare a meno di ricambiare. Il
Dottor Abernathy è un bellissimo uomo di colore, che avrà
si e no una quarantina d’anni. -Si, sto benissimo adesso, grazie- -Bene, sono
felice di saperlo. Sono venuto ad informarla che abbiamo sospeso i
sedativi da circa un ora e che aspettiamo da un momento all’altro
una reazione da parte del paziente- -Già da
un ora? Allora potrebbe svegliarsi anche adesso?- chiedo; la mia
ignoranza in termini di medicina è aberrante. -Beh, ancora
è troppo presto per dirlo. È sempre bene per un pazienze
rimanere incosciente dopo un intervento così delicato.
Aspettiamo che l’organismo di suo marito sia pronto per risalire
dall’incoscienza autonomamente, con questo intendo dire che
potrebbero volerci anche delle ore- -Beh, in ogni caso, io sono qua. Se dovesse avere bisogno di me… io…- -Sì, non si preoccupi, verremo subito a chiamarla- Si congeda
dandomi una vigorosa pacca sulla spalla ed io torno ad accasciarmi
sulla sedia. Mi porto le mani a coprire il viso e lo strizzo un
pochino; sento le guance intorpidite. -Bella sta tranquilla. Hai sentito il Dottore? Edward sta bene ed è questo l’importante- -Sì… sì. Spero solo che si svegli presto-
“Avete
freddo, perché siete sola: nessun contatto accende il fuoco che
è in voi. Siete malata, perché il migliore di tutti i
sentimenti, il più nobile, il più dolce che sia concesso
agli uomini, vi rimane lontano. Siete sciocca, perché, per
quanto ne soffriate, non gli fate cenno di avvicinarsi, né
muovete un passo per andargli incontro.” Alzo gli occhi dalla mia
copia tascabile e sgangherata di Jane Eyre che porto sempre dietro e
che anche in quest’occasione mi tiene compagnia. Ma non mi
rapisce l’anima e la mente come avrei desiderato. Sono cinque
minuti buoni che rileggo sempre lo stesso punto senza riuscire ad
andare avanti; la mia mente vola via. Vola verso una di quelle stanze
che vedo dal lungo corridoio, in cui si trova l’amore della mia
vita. Vola per ricongiungersi alla sua anima. Sospiro e butto
la testa indietro fino a toccare il muro freddo della parete. Chiudo
gli occhi e provo a sincronizzare il mio respiro con quello di Jen che
sonnecchia placidamente da mezz’ora. Ma non riesco a starle
dietro, la mia mente fugge via un’altra volta. Ho ancora gli
occhi chiusi quando una mano delicata mi accarezza un braccio e per
poco con caccio un urlo disumano per lo spavento. Jen sobbalza
spaventata al mio fianco. Un’infermiera dai capelli scuri come la
notte ci guarda dispiaciuta. -Signora
Cullen, mi scusi ma il Dottore mi ha chiesto di venire ad avvisarla.
Suo marito si sta per svegliare- mi alzo di scatto, come una molla e
subito ho le mani di Jen strette nelle mie. Mi guarda con occhi
sbarrati che poco a poco si fanno lucidi e mi sorride. -Vai Bella. Ci
siamo- ho il cuore che sembra scoppiarmi nel petto. La lascio andare
con un abbraccio e un fugace bacio e seguo rapida l’infermiera
che si è già avviata nel reparto. Mi conduce in una
stanza e mi fa infilare il camice, le protezioni ai piedi, i guanti
alle mani, la cuffietta in testa e la mascherina. Quando sono pronta mi
fa cenno di seguirla. Arriviamo in un
corridoio molto silenzioso che mi fa venire i brividi. L’odore
nauseante di disinfettante qui è ancora più
insopportabile. L’infermiera si ferma proprio davanti ad una
finestra che da su una stanza completamente sterile e mi incita con una
mano ad avvicinarmi. Appena guardo dentro, quello che vedo mi fa
fermare il cuore. Istantaneamente sento le lacrime addensarsi agli
angoli degli occhi e mi porto entrambe le mani davanti la bocca per
soffocare un gemito di dolore. Edward è steso nel letto,
completamente ricoperto di fili che collegano le sue funzioni vitali ad
alcune macchine che con il loro incessante bip mi martellano il
cervello. Rimango a fissarlo per non so quanto tempo fino a che il
dottor Abernathy non si accosta al mio fianco e con una mano sulla
spalla mi fa cenno di entrare prima di lui. La stanza
è azzurra, un azzurro vivace che infonde un po’ di
serenità a chi come me, entra in queste stanze con il cuore a
pezzi. Ci sono delle apparecchiature enormi e il letto in cui Edward
dorme placidamente mi sembra quasi minuscolo a confronto. Mi avvicino
subito e gli prendo una mano tra le mie. Contemporaneamente lascio
andare un respiro di sollievo che si porta via anche dieci anni della
mia vita. Quasi inconsapevolmente mi ritrovo a fare un rapido inventario delle sue condizioni. La sua pelle
è morbida e delicata, come lo è sempre stata del resto.
Soprattutto quella delle mani… con dita così lunghe ed
eleganti, una caratteristica che possiede chi come lui suona il piano
sin da quando era bambino. Adesso sono graffiate e arrossate. Alzo gli occhi e li posiziono sul suo viso quasi interamente coperto dalla mascherina per l’ossigeno. Ha alcuni
lividi sullo zigomo sinistro, regali della scazzottata che ha avuto con
Jacob ieri sera immagino, e un graffio sul sopracciglio destro. I
lividi sono viola, con una leggera sfumatura verdastra, ma non sono
niente in confronto a quelli della gamba scoperta. È
ingessata dal ginocchio in giù, ma sulla coscia ha dei lividi
terrificanti. La sua testa è completamente ricoperta da una
bendatura bianca che lascia libera qualche ciocca ramata solo sulla
fronte. Immagino che gli abbiano rasato solo la parte interessata
dall’emorragia. Ripenso ai suoi capelli bellissimi e alla
tentazione che ieri sera mi spingeva ad infilarci le mani dentro e
tirare con forza il suo viso verso il mio. Ho un sussulto al ricordo ma
mi impongo di non pensarci. Il Dottore
dall’altra parte del lettino, continua a monitorare le sue
condizioni di salute. Scrive qualcosa su una cartellina che poggia ai
piedi del letto e poi si avvicina di scatto al monitor che riporta le
pulsazioni del cuore. Lo vedo spalancare gli occhi quando il battito
comincia ad accelerare. -Ci siamo quasi, sta per riprendere conoscenza- Il mio di cuore batte frenetico. Se fossi collegata anche io ad un monitor rischierei di farlo esplodere. -Provi a parlargli- mi chiede cortesemente – gli faccia sentire che è qui- Mi abbasso all’altezza del suo viso e piano mi avvicino all’orecchio. -Edward? Sono io, mi senti?- ma non succede nulla. -Provi ancora- -Edward, amore mio sono Bella, sono qui. Sono accanto a te. Apri gli occhi…- Dal monitor si sente il bip accelerare sempre di più. -Si, così. Ci siamo. Sta per svegliarsi- Respiro a
fatica, penso di poter svenire di nuovo da un momento all’altro.
Mi tremano le gambe e la felicità che sento è
contrapposta all’ansia insostenibile che mi fa tremare
dal… terrore? Dall’attesa? Dal desiderio?
Dall’angoscia? Non lo so. So solo che mi sento come una foglia
secca in balia del vento autunnale. Tremo e aspetto il momento in cui
cascherò giù. E il momento
arriva quando Edward spalanca gli occhi e poi li richiude di scatto. Li
strizza per poi provare nuovamente e a rallentatore, come se quel gesto
gli costasse tanta fatica, ad aprirli di nuovo. I miei occhi sono inondati dalle lacrime mentre guardo i suoi bellissimi e spaesati mettere a fuoco quello che lo circonda. -Signor Cullen? Mi sente?- il Dottore gli proietta subito negli occhi una lucina per controllare la reazione delle pupille. -Se riesce a sentirmi, sbatta una volta sola le palpebre- Lentamente e a fatica, ma lo fa. Abbassa le palpebre dalle ciglia lunghissime e poi li riapre. -Bene. Adesso proverò a togliergli la mascherina dell’ossigeno. È pronto?- Di nuovo, Edward ripete il gesto di prima. Quando il
Dottore gli allontana la mascherina dalla bocca entra in stanza un
infermiera che mi scosta dal letto, e mi separa dalla mano di Edward
che tenevo stretta tra le mie come fosse un salvagente. Mi posiziono
sul fondo della stanza per non intralciare il loro lavoro e aspetto che
facciano tutti i controlli del caso. Cerco di regolarizzare il respiro
mentre dentro la mia testa le parole Edward sta bene, ce la farà
si ripetono incessantemente alla velocità della luce. Dopo qualche
minuto il Dottore mi fa cenno di avvicinarmi. Raggiungo il lettino con
passi incerti e quando gli sono davanti lo vedo aprire e chiudere gli
occhi ad intermittenza. È ancora troppo stanco per riuscire a
svegliarsi completamente, o l’effetto dei sedativi non è
svanito del tutto. Mi guarda per un solo secondo e questo basta ai miei
occhi per riempirsi di nuovo di lacrime...di gioia. -Oddio, sei vivo- sussurro senza riuscire a trattenermi. -Edward? C’è sua moglie qui. Riesce a salutarla?- si intromette il Dottore. -Edward?- lo chiamo di nuovo e finalmente, se pur con fatica, i suoi occhi rimangono fissi nei miei. -Sono io.
Bella- ho il cuore in gola e le parole mi escono quasi in un sussurro.
Lo vedo aggrottare la fronte e concentrarsi sul mio viso ma non vedo
nessuna risposta da parte sua. La reazione che aspetto però
arriva sotto forma di doccia fredda quando in un sussurro, pronuncia le
parole che non avrei mai voluto sentirgli dire, neanche nei miei incubi
peggiori. -Chi… sei? Non… ti conosco-
o.O giù le armi ragazze! Non fatemi del male. C’è una ragione se Bianca mi chiama Psico! xD Piuttosto
ditemi cosa ve ne pare! I capitoli di passaggio sono quelli che
“odio” di più, in termini di scrittura,
perché non succede niente ma io l’ho arricchito con un
sacco di informazioni. Il
riferimento a Jane Eyre è una piccola dedica che ho voluto fare
alla mia cara, carissima ciù, che adora questo libro (infondo
avrei potuto sceglierne anche un altro, perciò non ti lamentare!
xD). Bene, aspetto con ansia di leggere le vostre impressioni. Baciii e alla prossima!
CAP 10
Bene, eccoci qui. Vi
chiedo scusa immensamente per il ritardo, ma ho avuto dei problemi con
la stesura di questo capitolo. Infatti non è che mi soddisfi
più di tanto… Dove eravamo rimasti? Bella
si trova in ospedale in attesa che Edward si svegli. Quando il nostro
Edduccio apre gli occhi però, non la riconosce. Come mai? Quale sarà la reazione di Bella?
BUONA LETTURA!
Capitolo 10
Non ti ho amato per noia, o per solitudine, o per capriccio. Ti ho amato perché il desiderio di te era più forte di qualsiasi felicità.
(A. Baricco)
Martedì 1 Novembre 2011
Guardo la neve cadere soffice dalla finestra della cucina. Nella sua
discesa ricopre lenta ogni prato, macchina, albero o tetto già
imbiancato; ha cominciato a nevicare il giorno in cui Edward si
è svegliato, esattamente tre giorni fa. Il fischio del
bollitore mi distrae, ma mi concedo un attimo ancora per continuare a
guardare fuori: adesso il manto nevoso arriva a sfiorare i trenta
centimetri. Rabbrividisco involontariamente e mi stringo di più
nel maglione pesante che indosso mentre mi perdo ancora una volta nei
miei pensieri che, per quanto provi a sforzarmi, tornano inesorabili a
quel giorno, al giorno in cui Edward si è svegliato e ho sentito
le gambe cedermi per il terrore. L’ urlo di dolore che dal cuore
si è irradiato in tutto il resto del corpo, squarciandomi il
petto con la stessa forza di un cazzotto in pieno viso quando ho capito
che aveva perso la memoria, non si è ancora sopito. Lo sento
urlare nelle cavità del cuore, rimbombare nella cassa toracica e
sopraffare la poca forza che mi è rimasta. Se il dottor
Abernathy non fosse venuto a sostenermi sarei caduta quasi certamente a
terra. È stato uno choc, sia per me che per lui. Non si
aspettava minimamente una tale possibilità e men che meno ce lo
aspettavamo noi famigliari. Quando sono uscita dalla stanza sommersa
letteralmente dalle lacrime, ho trovato gli altri ad attendermi: Jen
aveva avvisato tutti dopo che l’infermiera dai capelli corvini
era venuta a chiamarmi. La loro reazione mi ha fatto sprofondare ancora
di più nel dolore, con Esme in preda ad una crisi di pianto
isterico ed Alice ad imitarla. Abbiamo
aspettato pazientemente e con il cuore in gola che il Dottore venisse
fuori per comunicarci l’esito della visita a cui aveva sottoposto
Edward subito dopo avermi soccorsa e quando finalmente è uscito,
per una frazione di secondo ho pensato seriamente che si trattasse di
una punizione. La mia punizione
“-Il signor Cullen è affetto da Amnesia Retrograda. La forte botta in testa che ha preso e l’emorragia hanno danneggiato l’area ippocampale colpendo la sua memoria episodica.
Questa in parte è una buona notizia, perché con la
guarigione la memoria tende a migliorare, quando il trauma si riassorbe- -Quindi ci sta dicendo che potrebbe riacquistare la memoria? Che non è una perdita temporanea?- -È
molto probabile che prima o poi ricordi tutto, sì. Ma per il
momento il signor Cullen ha cancellato dai suoi ricordi gli ultimi sei
anni della sua vita. Mi dispiace-”
Perché? Perché? Ho continuato a ripetermi, seduta in un angolino. Perché proprio adesso? Adesso che la nostra vita insieme stava per ricominciare? Edward ricorda
il suo nome, la sua vita, la sua famiglia. Ricorda addirittura i suoi
studi, ma non ricorda me e cosa ben più grave non ricorda sua
figlia. Rosalie
è scoppiata in un pianto silenzioso appena ha appreso la
notizia; anche lei come me ha conosciuto Edward negli ultimi anni della
sua vita.
-Bella…
tesoro mi senti?- le mani di mio padre si poggiano salde sulle mie
spalle, e una leggera pressione mi fa girare nella sua direzione
–il tè è pronto- con una mano mi indica due belle
tazze fumanti che ci aspettano sul tavolo della cucina. -Scusa, non mi sono accorta che l’acqua bollisse- -Lo so,
l’ho capito quando ti ho chiamata due volte dal salotto ma non mi
hai risposto. Me ne sono occupato io, tranquilla- con una mano mi
accarezza la lunga treccia che ho poggiata sul lato sinistro del collo
- vieni a sederti dai- Mi trascina fino al tavolo e mi piazza davanti la mia tazza di tè. -Tua madre diceva sempre che non c’è rimedio migliore del tè caldo- -Già,
lei e le sue origini inglesi- replico atona, ma con un velo di
malinconia per aver pensato a mia madre anche solo per un secondo. -Tua madre non
era più inglese di quanto lo sono io, e sai che sono nato a
Forks, nello stato di Washinton- aggiunge con una risatina- ma aveva
ragione. Una bella tazza di tè e la compagnia giusta ti fanno
vedere i problemi sotto un’altra prospettiva- -Oh
papà…qui l’unica prospettiva che vedo è una
sola. Ed è la prospettiva più disastrosa che potessi mai
immaginare- scaccio via dal viso una lacrima e mi impongo con tutte le
forze di non cominciare a piangere… di nuovo. -Bambina, non
abbatterti ti prego. Non l’hai mai fatto e non voglio che tu lo
faccia adesso. C’è sempre un modo per uscirne fuori,
sempre- -Come hai fatto
tu papà?- ancora non riesco a credere che la persona che ho
davanti a me sia realmente mio padre. Da tre giorni non fa altro che
stupirmi ogni minuto di più. Non mi ha ancora detto quello che
gli è successo ma non sono mai stata più felice per lui
come adesso, nonostante quello che sto vivendo. -Sì, bambina. Come ho fatto io - -Ma…
come? Come ci sei riuscito?- gli chiedo con il cuore in gola trovando
quel coraggio che per 72 ore mi è mancato. Rimane fisso a
guardare nel vuoto per qualche secondo. Quando finalmente si decide a
rispondere penso che non avrei potuto prepararmi in nessun modo ad
affrontare le sue parole – ho capito che non provavo più
nulla. Nessuna emozione, nessuna sensazione. Ero diventato un relitto,
il relitto di me stesso. Come una barca che affronta la più dura
delle tempeste ma continua a rimanere a galla, nonostante le
ammaccature e le infiltrazioni. Mi vedevo navigare in questo mare tutto
solo, completamente abbandonato alla corrente. Una carcassa vuota,
destinata ad affondare- si interrompe per prendere fiato mentre sento
la schiena madida di sudore freddo –poi, all’improvviso
è successo qualcosa…- -Cosa?
Papà… cosa?- ho la gola secca tanta è la tensione
con cui lo sto ascoltando, vorrei bere un sorso di tè, ma non ho
nemmeno la forza di alzare la tazza e portarla alle labbra. Sento le
risate allegre di Sophie in salotto martellarmi nelle orecchie, neanche
fossero il sonar di un sottomarino ed io la balena in fuga. Vorrei
dirle di smettere. Lui sbatte gli
occhi e dopo un tempo infinito, posa il suo sguardo su di me- è
venuta Sue ad avvisarmi. Era così agitata che a stento sono
riuscito a capire due parole. Quando si è calmata, mi ha detto
finalmente quello che era successo. Ho acceso subito la tv e ho
visto… non lo so, forse saranno state le immagini della sua
casa in fiamme, ma in quel momento ho capito che dovevo fare qualcosa,
perché eri tu a soffrire, eri tu ad aver bisogno di me. Sei
stata tu Bella, è stato merito tuo se sono tornato alla realtà.
È stato come se… beh forse non ci crederai ma mi sono
reso conto di aver spento le mie emozioni, come se avessi impostato il
pulsante dei sentimenti su Off e in quel momento, come per magia, il
mio cuore si fosse riacceso- si interrompe per rivolgermi un sorriso
bellissimo e in quest’istante è il mio cuore a
riaccendersi. - Ho sentito la
presenza di tua madre come non era mai successo prima- dice quasi in un
sussurro procurandomi un brivido lungo tutta la schiena- ho sentito le
sue mani carezzarmi il viso ed è stato… incredibile
– i suoi occhi diventano di colpo lucidi, come sempre quando si
tratta di mamma- e ho capito di aver fatto la scelta più giusta- Un rumore forte
dal salotto, come di un giocattolo che si schianta al pavimento, mi fa
sobbalzare impedendomi anche di rispondergli; in questi giorni sono
tesa come una corda di violino, scatto per un nonnulla e a farne le
spese è sempre la mia povera bambina. Rilascio subito un respiro
profondo prima di decidermi ad alzarmi e andare a controllare, ma la
mano di mio padre mi blocca. -Lascia, ci
penso io- il suo volto, triste e preoccupato, cambia radicalmente
espressione quando varca la soglia dell’altra stanza. So che non
è successo nulla di grave, le urla e i pianti di Sophie me lo
confermerebbero, perciò mi prendo un po’ di tempo per
stare da sola.
Tempo
prezioso, vista la frequenza assidua con la quale tutti, e sottolineo
tutti, in questi giorni non fanno altro che approfittare di ogni
momento per chiedermi come sto. Sto uno schifo!
Ecco come sto. Sto come una che si è vista mancare la terra da
sotto i piedi all’improvviso. Edward è sempre stato la mia
ancora di salvezza nonostante gli ultimi tre anni di separazione.
Saperlo da qualche parte, come una presenza fissa di questo mondo,
inspiegabilmente, mi ha sempre trasmesso tanta forza. Ma ora è
diverso. Tre giorni fa ho sentito come se la forza che mi tratteneva a
lui, si fosse allentata di colpo e mi avesse mandato a fare un giro nel
cosmo in balìa dell’assenza di gravità. Non sopporto
più nulla; sono diventata apatica. Anche le lancette
dell’orologio con il loro incessante e spiacevolissimo tic tac,
mi danno fastidio. Vorrei alzarmi e strappare l’orologio dalla
parete, tirare via le batterie e gettarle nella spazzatura. Ho sempre
avuto un pessimo rapporto con il tempo io, sin da quando una notte di
dieci anni fa rientrai tardi da una festa e il mattino dopo ero
così stanca che non riuscii ad alzarmi per andare a scuola. Di
conseguenza quella mattina non vidi mia madre, come invece accadeva
ogni santo giorno. Ho dato per scontato che tornasse a casa e che per
l’ora di cena saremmo state insieme, ma da quel giorno non la
vidi più. La sua vita si è spezzata insieme a quella di
altre persone a causa della scelleratezza umana ed io mi maledico
ancora oggi per aver gettato la sveglia dall’altra parte della
stanza, e non averla stretta tra le braccia un’ultima volta. Il
tempo… ecco, la sua corsa mi ricorda quello che ho perduto. Il
tempo che ho impiegato a decidermi per confessare a Edward i miei
sentimenti e il tempo, passato, che non ho più, quello dei
ricordi e della nostra vita insieme. Cosa dovrei fare? Dovrei concedergli del tempo
per dargli modo di costruirsene di nuovi? E se io non ne facessi parte?
E quelli passati? Non si possono semplicemente buttare nel
dimenticatoio solo perché la sua memoria fa cilecca. Non posso
accettarlo. Sento un urlo
di frustrazione e rabbia raschiarmi la gola. Vorrebbe esplodere in
tutta la sua potenza ma lo reprimo quando vedo mio padre tornare in
cucina. Sul viso ha impressa l’espressione della spensieratezza:
Sophie è un vero tacca sana per lui. Affondo le labbra nel
tè per cercare di calmarmi un pochino ma alla fine scoppio
ugualmente. -Papà
non ce la faccio- affermo una volta che ha occupato di nuovo il posto
davanti a me- io… io non riesco a sopportare tutto
questo… dolore. Come posso accettare che Edward non ricordi chi
siamo? Che non ricordi quanto un tempo ci ha amato? Sophie è la
persona più importante della sua vita. Come faccio a dire a mia
figlia che il padre non si ricorda più di lei?- -Non dovrai
dirglielo Bella… no, basta che ti inventi una scusa- cerca di
calmarmi afferrandomi saldamente per le mani, tremo come una foglia
– dille che è partito per un viaggio di lavoro che lo
tratterrà fuori per molto tempo e vedrai che nemmeno se ne
accorgerà- -Ma
vorrà sentirlo! Vorrà parlare lo stesso con lui. Non
è mai successo che Edward non si facesse sentire per più
di un giorno, e poi… i problemi che abbiamo rivelato
all’asilo, non voglio che peggiorino a causa di questo- non ho
dimenticato i problemi che affliggono Sophie, ma sembra che affronti i
miei con maggiore preoccupazione rispetto ai suoi. Mi faccio schifo per
questo ma era importante che risolvessi con Edward anche e soprattutto
per riuscire a comprendere meglio mia figlia e cercare di aiutarla.
Adesso si ritrova praticamente senza un padre ed io non so cosa fare. -Io penso che
stare qui le farà bene. È di una figura maschile che lei
ha bisogno dopotutto, no? Lo so, non sono il padre, ma le voglio bene
quanto lui. Sophie starà bene ed io ti prometto che
l’aiuterò. Concedimi di fare per lei quello che non ho
fatto per te- La sua voce
è intrisa d’amarezza, ed io so perché: si sente in
colpa per avermi “abbandonata” in questi anni, non sa che
in soli due giorni ha già fatto per me più di quanto
potessi desiderare. Mi sono
trasferita di nuovo a casa sua per necessità nei confronti di
Sophie, ma non nego che mi sto godendo anche io la sua compagnia e le
sue attenzioni. Averlo accanto
giorno e notte mi da la sensazione di essere protetta, di avere
qualcuno vicino in grado di sostenermi sempre e prendersi cura di me.
Inconsciamente so che è questo il motivo che mi ha spinto a
creare una famiglia tutta mia nonostante la mia giovane età. Per
riparare alla mancanza d’affetto e alla sicurezza che mio padre
non è più stato in grado di darmi dopo la dipartita di
mia madre e che sentivo di desiderare con tutto il cuore. Con Edward
è stato tutto molto semplice: affidarmi a lui è stata la
scelta migliore che potessi prendere. Ma se penso a mio padre, se penso
a quello che ha vissuto, io non me la sento di giudicarlo. Non
l’ho mai fatto ne mai lo farò. -Non devi
sentirti in colpa papà. Io capisco, so, che non è stato
facile sopportare il dolore che ti portavi e che ti porti ancora
dentro- mi alzo dalla sedia, e vado a sedermi sulle sue ginocchia, un
gesto che non compivo da un milione di anni – ci sei sempre stato
per me anche se non eri del tutto presente- concludo mentre vedo i suoi
occhi farsi lucidi. -Mi dispiace
così tanto bambina mia. Io… mi dispiace non avrei dovuto
lasciarmi andare, ma il dolore era troppo. Quando tua madre è
morta, io sono morto con lei. Ma ho sbagliato ugualmente perché
c’eri tu. Tu avevi bisogno di me ed io non ti sono stato accanto
come avrei dovuto, perdonami- Gli butto le
braccia intorno al collo e a questo punto trattenere le lacrime
è davvero un’impresa. Ma ce la faccio, perché
questo, nonostante le circostanze, è un momento che aspettavo da
anni e voglio godermelo appieno. Rimango
appollaiata sulle sue gambe per un tempo lunghissimo, tanto che
sprofondo in uno stato di dormiveglia, con mio padre che continua ad
accarezzarmi la schiena. Mi rilasso così tanto che penso lo
scambierò per Morfeo e sprofonderò tra le sue braccia in
men che non si dica. Quando passi la notte a guardare il soffitto il
giorno dopo anche un comodino assume un’aria confortevole. La
verità è che qualsiasi superfice piana prende le
sembianze di un cuscino e tu non vuoi fare altro che poggiarvi la testa
sopra e smettere di pensare, a tutto, soprattutto a quello che ti ha
tenuto sveglio per l’intera notte. Nel mio caso non è
difficile immaginare quale sia stata la causa. Ho un dilemma interiore
da fare invidia ad Amleto. “Essere o non essere”, diceva
lui, “andare o non andare” questo è il mio problema.
Non metto piede in ospedale da sabato pomeriggio e mi vergogno come una
ladra. So quello che voglio, so che dovrei piantare una tenda fuori
dalla camera di Edward e stare in sua compagnia il più possibile
per aiutarlo a ricordare. Ma ho la vaga sensazione che mettere in
partica questi propositi mi squarcerà il cuore da parte a parte,
ed ho tanta paura. Edward non sa chi sono. Edward non mi conosce. Per
lui sono solo un’estranea. Molto probabilmente si
stancherà della mia presenza e mi dirà di andare via dopo
soli due giorni. Se malauguratamente questo dovesse succedere…
non so come reagirei. Il dottore dice di non accelerare i tempi, di
andare cauta e rispettare i suoi spazi, ma so che non riuscirei a
pensare razionalmente se mi trovassi in una stanza insieme a lui. Ho
paura di sbagliare, di dire
la cosa sbagliata. Come potrebbe reagire davanti all’ipotesi di
avere una figlia? Con la mente è rimasto ai tempi in cui usciva
a divertirsi con gli amici e ogni notte portava a casa una donna
diversa. Andrà sicuramente fuori di testa quando gli dirò
che siamo stati sposati e che è padre di una bambina di quasi
quattro anni. Non so proprio cosa fare. Il suono del
campanello mi ridesta dai miei pensieri e Charlie mi batte due colpi
d’incoraggiamento sulla schiena invitandomi ad alzarmi. Si
lamenta per qualche secondo, rimproverandosi di non avere più
l’età per fare certe cose e mi ricorda che adesso non peso
più quanto una bambina. Riesce a strapparmi anche un sorriso e
di questo gli sono grata. Torno a sedermi
sulla mia sedia e porto alle labbra la tazza di tè, ormai
freddo. Contemplo per un attimo l’idea di scaldarlo in microonde
ma prima che possa alzarmi vengo investita letteralmente da un tornado
di nome Janet Lindsay. In meno di dieci secondi scavalca mio padre
all’ingresso, saluta Sophie con un cenno della mano e un sorriso
sdolcinato, e poi si fionda in cucina con il viso distrutto di chi non
dorme bene da giorni ed una furia negli occhi che, se mi trovassi
davanti ad uno sconosciuto, mi farebbe urlare di paura. -Tu. Di sopra. Adesso!- Evidentemente rifiutare le sue chiamate non è stata una mossa azzeccata.
*********
-Sono la donna
più intelligente che conosco, ma ammetto che fatico a
comprenderti in questo momento- Jen mi guarda esasperata. Le
sopracciglia le arrivano fino all’attaccatura dei capelli e gli
occhi blu, di solito a mandorla, adesso hanno assunto vagamente la
forma di una palla. Mi ha portata nella mia vecchia stanza. Stanza che
ho ripreso ad usare regolarmente da due giorni a questa parte. E’
seduta sulla poltroncina girevole e aspetta che mi decida a darle una
risposta. Le ho detto
tutto. Le ho confessato i miei timori e le mie paure. Le ho detto che
solo il pensiero di andare in ospedale mi mette l’ansia e che non
ho intenzione di muovermi da questa casa nemmeno per andare a lavorare
(ho chiesto ai Cullen un po’ di tempo per riprendermi dallo choc.
Hanno capito). Tornado-Lindsay
mi ha guardato male per tutto il tempo; stranamente non mi ha
interrotto nemmeno una volta. Anche se ho finito la mia arringa da
cinque minuti buoni e lei da cinque minuti buoni mi guarda come se
volesse prendermi a sprangate in testa. In effetti ho il timore di
vederla afferrare uno dei tanti trofei scolastici poggiati sulla
mensola al suo fianco e tirarmelo addosso. -Jenny, questo è quanto. Ti ho già detto tutto- -Quindi fammi capire. Non hai intenzione di smuovere il culo da questa casa? Non hai intenzione di fare niente?- -No, te l’ho detto- -Aaggrr, in nome del cielo, ragiona! Quello che mi hai detto non ha nessun senso- -Oh, certo che ce l’ha! Ce l’ha eccome!- mi infervoro. In men che non
si dica si alza dalla poltrona e mi si piazza davanti. Inizia a
gesticolare, come suo solito, anche se sa che mi infastidisce da morire
-no, non ce l’ha Bella. Tu non puoi sapere come andranno le cose.
Smettila di infilare la testa sotto la sabbia come un dannato struzzo!
Tu… tu lo ami. Ami quell’uomo più della tua stessa
vita, non puoi dire sul serio. È la disperazione a parlare,
questa non sei tu. Dov’è finita la donna che nemmeno due
giorni fa ha confessato davanti a tutti il desiderio di riprendersi suo
marito? Che ha stretto i denti e si è fatta forza in nome di
questo amore? Non puoi lasciare che Edward guarisca senza averti
accanto. Deve vederti, deve stare con te se vuoi che ricordi ogni cosa- Rimango distesa
sul letto a guardare il soffitto senza degnarmi di darle una risposta.
Capisco perfettamente quello che sta dicendo e le do anche ragione, ma
ho la sensazione di essere seduta su degli spilli con la mera forza di
un palloncino a sostenermi. Un minimo passo falso ed io finisco con il
culo ridotto a brandelli. -Rispondi
maledizione!- mi butta in faccia un cuscino e per un attimo mi si ferma
il cuore al pensiero che potesse essere qualcosa di più pesante. -Jen- rispondo da sotto lo strato di piuma d’oca – ho tanta paura- La sento
sospirare ed emettere un verso di frustrazione, ma dopo qualche secondo
mi raggiuge sul letto e mi toglie il cuscino dalla faccia. -Lo so- dice
semplicemente stringendoselo al petto – ma… razionalmente,
metti da parte la paura per un secondo, sai che vorresti essere da lui
in questo momento- -Lo desidero con tutta me stessa- -E allora perché sei ancora qui?- -Io ho…- -No, non voglio
più sentire uscire quella parola dalla tua bocca.
“Paura” non deve più far parte del tuo vocabolario,
cancellala- -Jen la fai
troppo facile. Non sei tu quella che deve affrontare una conversazione
con un uomo che ti reputa una perfetta sconosciuta, quando a legarvi
c’è un sentimento così profondo come l’amore.
E se…- mi blocco troppo imbarazza per quello che sto per dirle,
ma la ragazzina di quindici anni che è in me freme per uscire. -E se?- - … e se non dovessi piacergli?- Sono tre i
secondi che passano prima che sul suo viso compaia un odioso sorriso
accompagnato da un altrettanto odiosa risata sguaiata. -Smettila immediatamente- la rimprovero e aspetto pazientemente che finisca di prendersi gioco di me. -Dio Bella, scusa ma… non ho resistito- -Lo so. Sei seria adesso?- -Sì- -Bene,
perché vorrei sentire quello che hai da dirmi. E non cominciare
col dire che la mia è una paura infondata. Lo so, sembro
un’insulsa ragazzina in preda a stupidi timori adolescenziali. Ma
è un’eventualità che dobbiamo considerare- -Bella- dice
prendendomi saldamente le mani nelle sue – stiamo parlando di
Edward. Quell’uomo è cascato ai tuoi piedi quando andavi
in giro con le sopracciglia più grosse della Collins e sembravi
urlare “non mi importa un fico secco di quello che pensate, tanto sono meglio di voi” da ogni puntino nero che avevi sulla faccia- -Non avevo le sopracciglia così grosse- mi difendo inutilmente visto che non mi fa nemmeno finire di parlare. -Ti ha amata
dal primo momento che ti ha vista, con quella ridicola divisa da
cameriera, stanca e scarmigliata dopo un’intera serata passata a
servire cocktail, stuzzichini e Champagne. Ti ha amata quando si
è presentato fuori da casa tua e tu sei scesa ad aprirgli con il
pigiamone di pile e le pantofole a forma di mucca- -Ed è
stato così dolce e gentile che ha aspettato che mi cambiassi e
mi ha portata a bere una cioccolata calda sulla pista di pattinaggio
del Rockerfeller Center…- concludo trasognata pensando a quella
sera, gli occhi di colpo lucidi. Se li chiudo per un istante riesco a
vedere di nuovo il suo bellissimo viso illuminato dalle luci natalizie
e la sua indomabile chioma ricoperta da soffici fiocchi di neve; quella
sera è e resterà sempre una delle più romantiche
della mia vita. Con una stretta al cuore mi domando se prima o poi
questi ricordi saranno di nuovo suoi o rimarranno solo miei. Se questi
momenti così importanti della nostra vita torneranno ad
emozionarlo come una volta o se sarò solo io a custodirli.
Voglio con tutto il cuore che Edward ricordi, voglio poter parlare con
lui e litigare se uno dei due non ricorda una data precisa o i
particolari di un avvenimento passato insieme. Voglio che rammenti gli
attimi che ci hanno portato dove siamo ora, nonostante gli alti e i
bassi, ma che ci hanno reso quello che siamo oggi: due matti che sia
amano alla follia. Chissà se lo sente ancora…
l’amore nei miei confronti intendo. Quello non puoi cancellarlo,
vero? Il batticuore e la stretta al petto non si cancella solo
perché d’improvviso non sai più chi ti trovi
davanti. Perché se è così, allora l’amore
è razionale. È la mente che ti dice di amare una persona,
non il cuore. No, non voglio credere che sia così. Non può essere così. L’amore
è irrazionale, l’amore ti fa fare delle cose che
altrimenti la mente non farebbe. L’amore ti spinge a gesti
estremi che razionalmente non compiresti mai. Il cuore regola ogni
cosa, non la mente. Quando inizia a battere forte forte per una persona
sei spacciato, e il cuore di Edward non può aver dimenticato
cosa si prova, mi rifiuto di crederlo. E allora capisco. Capisco che
devo fare di tutto per riportarlo da me. Glielo devo. Lui non vorrebbe
che mi arrendessi, non me lo perdonerebbe mai e nemmeno io.
Perché non avrebbe mai voluto dimenticare Sophie e non posso
fare questo a mia figlia. Adesso non ha la minima idea di chi io sia,
ma dentro, nel profondo, so che vuole tornare da me, da noi.
Perché ciò che è in fondo al cuore non muore mai,
ed io devo fare un piccolo tentativo. Non posso lasciare che finisca
tutto così. -Forza Bella. Forza! Devi andare da lui. Devi riprenderti la tua vita. Non puoi lasciare che finisca tutto così- -La puoi smettere?- -Di fare cosa?- mi guarda stranita. -Di leggermi nel pensiero- -Quindi ti sei convinta finalmente?- Non le rispondo, mi limito a farle un sorriso che va da orecchio a orecchio, a mo’ di Stregatto, e annuisco. -Dai allora, su. Cosa aspetti?- anche sul suo viso compare un sorriso raggiante. -Jen, cosa
farò se non dovesse più ricordarsi di noi?- non so
perché l’ho detto, ma di colpo
quest’eventualità mi fa tornare con i piedi per terra. -Non può
dimenticarti. Si ricorderà di tutti noi, infondo siamo una
famiglia- sento le lacrime spingere per uscire ma le ricaccio dentro. -Sì. Sì, hai ragione- -Cambiati,
mettiti qualcosa di carino…- balza giù dal letto come un
grillo e si dirige verso le valigie ancora da disfare sul pavimento -
anzi no! – si blocca e torna indietro - stai benissimo
così. Sei bellissima qualsiasi cosa indossi. Dopotutto è
sempre lo stesso uomo che ha perso la testa per una cameriera, o
sbaglio?- Vorrei poterle rispondere di sì, ma francamente non so chi mi troverò di fronte.
**********
Raggiungo il
reparto di Neurologia con il cuore in gola. Una mano a reggere la
borsa, l’altra a torturarmi il labbro inferiore. “Sei ancora in tempo per tirati indietro”
penso da cacasotto patentata quale sono, ma le mie gambe vanno avanti
per volontà propria. Vado spedita come un fulmine anche se me la
sto facendo sotto dalla paura. Quando la
stanza di Edward entra nel mio campo visivo, il batticuore aumenta la
sua corsa ma adesso sono convinta più che mai di dover andare
avanti; al momento non riuscirei a fermarmi nemmeno se sopraggiungesse
un terremoto. Abbasso la
maniglia della porta e sbircio all’interno sperando di non
trovarvi nessuno. Sarebbe troppo imbarazzante farmi avanti se qualcuno
dei Cullen fosse presente. Per fortuna le mie preghiere vengono
esaudite, vedo solo la figura di un corpo martoriato, pieno di lividi e
graffi, avvolto nella penombra della stanza. Sono appena le quattro e
mezzo del pomeriggio ma le tapparelle sono quasi completamente
abbassate. Edward dorme
placido con il viso rivolto verso l’unica finestra della stanza.
Ha la testa fasciata, dei graffi leggeri sullo zigomo sinistro e
qualche punto sul sopracciglio destro. Il viso completamente rilassato,
il leggero russare che lo contraddistingue da sempre e la piccola
smorfia che fa con le labbra mi fanno tremare le ginocchia. È l’uomo che amo penso. Questo è l’uomo che amo,
dunque com’è possibile che nonostante io sappia tutto di
lui, che nonostante conosca ogni piccolo particolare del suo volto, del
suo corpo, della sua anima, sia diventata una completa estranea? Accosto la
sedia accanto al suo letto e prendo a fissarlo, cercando di contenere
l’impulso di toccarlo, impulso che diventa sempre più
impellente ogni secondo di più. Da quando Jen
è andata via da casa di mio padre ho una teoria che mi vortica
in testa, non ricordo dove l’ho letta, ma senza dubbio mi infonde
un po’ di positività. Tutti noi
abbiamo dei momenti speciali che custodiamo nel cuore, nel mio caso il
primo incontro con Edward, il primo appuntamento, il nostro matrimonio
e la nascita di nostra figlia. Bene, se potessi tornare indietro e
riviere le emozioni che hanno reso speciali questi momenti, lo farei
immediatamente. Perché quelle emozioni non potrò
riprovarle mai più, come quando ho letto il mio libro preferito
per la prima volta. Potrò rileggerlo altre cento volte, ma
quello che ho vissuto in quel particolare momento, quando tutto era
ancora sconosciuto, quando i protagonisti si facevano strada nella mia
mente occupando un posto speciale nel mio cuore… quel momento
non tornerà mai più. Così come non tornerà
mai più il momento in cui l’ho incontrato per la prima
volta. Da un certo punto di vista è orribile, ma noi oggi avremo
una seconda possibilità. Quello che sto cercando di dire
è che sto pensando a quanto sarà bello riprovare le
stesse cose, perché oggi noi saremo due persone che si
incontrano di nuovo per la prima volta. Un po’ contorto come
ragionamento, lo so.
Un moto improvviso della sua mano mi fa sussultare e capisco che ci siamo.
“Maledizione, i miei pensieri fanno troppo rumore” penso ironica. “ Calma. Devo stare calma”.
Non voglio che si spaventi, perciò mi tiro un po’ indietro e lascio che si svegli pian pianino. Rispetto i suoi
tempi, non dico una parola, neppure respiro! Ma non posso impedire al
mio cuore di battere più veloce di una Lamborghini lanciata a
tutta velocità su un’autostrada deserta. Apre gli occhi
e li strizza leggermente quando colpiscono la flebile luce che entra
nella stanza. Volta di scatto la testa dall’altra parte, ma il
movimento brusco gli procura dolore alla testa. Non riesce a
controllare il piccolo e sofferente “ahi” che gli increspa
la fronte mentre sorprendentemente sul mio viso affiora un sorrisino. La sua voce… quanto mi è mancata. Sbuffa, impossibilitato a muoversi e finalmente poggia i suoi occhi su di me. E sono di nuovo battiti accelerati, mani sudate e farfalle nello stomaco. Non credevo che sarebbe stato di nuovo possibile emozionarmi così tanto. Aggrotta le sopracciglia, rilascia un sospiro e mi guarda intensamente prima di decidersi a parlare. “Meno male, questa volta non sono l’unica a fissare l’altro come un’imbambolata” penso arrossendo fino alla radice dei capelli. -Acqua, ho
bisogno d’acqua- la sua voce è così roca che sembra
provenire da una caverna - saresti così gentile
d’aiutarmi?- con una mano indica il bicchiere sul comodino
accanto al letto ed io ci metto qualche secondo in più prima di
decidermi ad alzarmi. Quando finalmente mi avvicino al bicchiere con la
coda dell’occhio lo vedo fissarmi; percorre il mio corpo dalla
testa ai piedi. Un gesto che mi mette sorprendentemente in imbarazzo. Avanti Bella, ti ha vista nuda un milione di volte, non essere ridicola, perché dovrebbe imbarazzarti? In effetti è vero, solo che questo lui non lo sa. Provo a
spegnere l’incendio interiore che si è avviluppato nella
zona del bassoventre solo al pensiero di associare le parole
Edward e sesso nella stessa frase e facendomi coraggio mi avvicino di
nuovo al letto. Beve assetato, neanche fosse appena rientrato da una passeggiata nel deserto, mentre i suoi occhi continuano a fissarmi. -Qualunque cosa ti abbia fatto, ti chiedo scusa- pronuncia mettendo giù il bicchiere. -Come?- nella mia classifica personale, questa era senza dubbio una delle ultime frasi che avrei pensato di sentirgli dire. -Non ho la più pallida idea di chi tua sia- bam! Colpita e affondata. Un pugno in pieno petto mi avrebbe fatto meno male. -Lo so- gli dico amareggiata ma stranamente tranquilla. -Allora? Chi
sei? – ammutolisce qualche secondo davanti alla mia faccia
scioccata per poi riprendere a parlare -scusa, non volevo essere
così brusco ma il mio Dottore dice che ho cancellato dai miei
ricordi gli ultimi 6 anni della mia vita. E sono sicuro di non averti
mai incontrata prima, altrimenti me ne ricorderei- Davanti al suo
viso mortificato non posso fare altro che provare tanta tenerezza. Si
sente addirittura in colpa perché non sa chi sono! Come posso
non amarlo? Ma ora è
arrivato il momento della verità. Non so come reagirà, ne
quello che dirà, spero solo che non mi prenda per pazza. -Emmhh… i tuoi genitori non ti hanno detto niente? Riguardo gli ultimi sei anni della tua vita, intendo- Sbuffa - no, hanno detto che non vogliono affaticarmi- -Hanno ragione- -Non la penseresti così se al mio posto ci fossi tu, fidati- -Questa volta hai ragione tu- -Bene, allora? Sto aspettando…- -Sei sicuro che adesso sia il momento giusto?- -Sono tre
giorni, due se consideri che l’unica cosa che ho fatto quando mi
sono svegliato è stato ripiombare di nuovo nel sonno, che non
aspetto altro. Voglio sapere, ne ho tutto il diritto- -Stai cercando
di incastrarmi- tipico di Edward - perché dovrei essere io a
raccontarti ogni cosa, non vorrai che se la prendano con me?- Un sorrisino
gli increspa le labbra –senza offesa ma, preferisco che se la
prendano con te piuttosto che continuare a vivere all’oscuro di
tutto. Scusa la brutalità- Questa volta sorrido anche io –non scusarti. A dirla tutta, sono io a non essere stata del tutto sincera con te- -Che vuoi
dire?- a fatica si porta una mano a massaggiarsi la tempia destra,
starà soffrendo terribilmente, povero amore mio. -Devi riposare,
possiamo parlarne un’altra volta- mi costa tanta fatica
ammetterlo ma non voglio che si senta ancora più male per colpa
mia. -No, ti prego.
Io non… non so nemmeno come ti chiami- dice con un sorriso
– ma ti prego, qualunque cosa, qualsiasi cosa, sarà meglio
che vivere con questo senso di vuoto- Sento qualcosa
incrinarsi nel petto, qualcosa che fa male, tanto male. Vorrei
avvicinarmi e abbracciarlo, stringerlo forte e dirgli che presto si
sistemerà tutto. Perché gli sono vicina, perché
non vado da nessuna parte, perché è la mia vita e non
posso vivere senza di lui. Ma ovviamente non lo faccio, non voglio
traumatizzarlo del tutto. -Sono stata io ad insistere perché non ti dicessero nulla. Volevo parlartene personalmente- -Ohh… okay. Bene, sono tutto orecchi- -Io, beh… non posso raccontarti nulla se non ti dico prima chi sono- -E quello che sto cercando di capire da quando mi sono svegliato. Chi sei?- -Io… io
sono…- mi trema così tanto la voce che sono costretta a
fermarmi. Mi guardo terrorizza le mani, le sto letteralmente
stritolando dalla tensione. -Tu sei?- mi
incalza lui dimostrandomi che nonostante l’amnesia in quanto ad
impazienza non è cambiato di una virgola. -Io
sono… io sono tua moglie- deglutisco a fatica mentre nel petto
sento sprigionarsi un’improvvisa zompata di calore. Il rumore del bicchiere che si schianta sul pavimento mi sembra molto eloquente come risposta.
*Angolo dell’autrice* Le
riflessioni di Bella riguardo le emozioni che si provano quando
incontri una persona per la prima volta, tutta la storia del libro
preferito ecc, è preso dal film “La memoria del
cuore”. Questa teoria è presente anche nel libro “Le
parole del nostro destino” di Beatriz Williams.
Resto
in attesa di leggere i vostri pareri. GRAZIE mille, per le recensioni
che avete lasciato allo scorso capitolo. GRAZIE mille, perché
siete ancora qui a leggere la mia storia. Baciiii
Ecco il nuovo Cap.
Ho fatto il prima possibile. Spero che vi piaccia, ci vediamo giù!
Capitolo 11
Ci sono le coppie storiche, belle da morire. Ci sono i ragazzini annoiati che si 'amano' dopo una settimana. Amori che sbocciano all'improvviso. Ci sono i fidanzatini possessivi che si incatenano l’un l’altro fino ad odiarsi. Ci sono i coniugi insofferenti. Gli amanti teneri e sognatori. E poi ci siamo noi. Dove, di preciso, non si sa.
-The Haunted.
-Mia… moglie?- Edward mi
guarda con la bocca spalancata, sembra che il pallore che aveva quando
sono entrata si sia improvvisamente accentuato. L’acqua del
bicchiere è schizzata dappertutto e non potrei chinarmi ad
asciugare nemmeno se volessi. Sono letteralmente pietrificata. -Moglie,
sì. Ex moglie a dire la verità- non so se confessargli
che ultimamente ci stavamo riappacificando, forse è meglio
parlarne in un altro momento. -Grazie, questo mi fa sentire meglio- dice sarcastico. -Hai ragione, forse avrei dovuto cominciare dall’inizio- -Ed io che
credevo di essere stato brutale quando ti ho detto che non avevo la
più pallida idea di chi tu fossi. Mi hai completamento
spiazzato- si porta entrambe le mani a massaggiare le tempie e allora
capisco di aver esagerato. Ho trascurato totalmente le
raccomandazioni del medico. Gli ho quasi procurato uno choc! Anzi, è sicuramente così. -Senti, forse
è meglio se ne parliamo davvero un’altra volta. Non voglio
che ti affatichi. Il tuo Dottore non me lo perdonerebbe mai e nemmeno
io, se dovesse succederti qualcosa- -Sto bene, non preoccuparti. Adesso che hai sganciato la bomba non puoi tirarti indietro, devi raccontarmi tutto- -Ma tu…
non puoi… cioè, voglio dire… - mi metto a
balbettare imbarazzata, vorrei cercare di sviare il discorso. Ci sono
così tante cose che dovrei raccontargli, primo fra tutti
l’argomento “Sophie”, solo che un altro choc a meno
di dieci minuti dall’altro gli procurerebbe sicuramente un
infarto. Però d’altra parte… Insomma,
l’uomo che amo e allo stesso tempo affetto da amnesia, mi chiede
di raccontargli dal principio tutta la nostra vita insieme, vita che in
seguito all’incidente ha completamente dimenticato. Praticamente
mi serve su un vassoio d’argento la possibilità di
raccontargli ogni cosa ed io rifiuto? No, non posso tirarmi indietro.
Segretamente è quello che ho sperato accadesse sin da quando mi
sono messa in macchina per raggiungere l’ospedale. Mi fissa
irrequieto sistemarmi meglio sulla sedia (tolgo sciarpa e cappotto e li
appendo alla spalliera) mentre con misurata arrendevolezza mi osserva
cedere alla sua richiesta. -Bene, da dove vuoi che cominci?- -Mmh, non so,
dal principio?- chiede retorico ed io non posso evitare di alzare gli
occhi al cielo. Ancora non riesco a credere di trovarmi qui. Poter
parlare di nuovo con lui, sentirmi di nuovo tanto attratta da
questa persona così diversa ma in realtà così
uguale al mio Edward, mi sembra un miracolo. Nell’uomo che ho di
fronte riconosco il mio Edward solo in parte. Riconosco la sua
spensieratezza e la facilità che ha di rapportarsi con gli
altri, tratto che ha contribuito a farmi perdere la testa per lui tanti
anni prima, ma non vedo quella luce che emanava l’Edward che
è venuto nel bagno del ristorante di Jenny, rude e passionale, a
dimostrarmi il suo amore. Voglio con tutto il cuore che quell’Edward ritorni perciò non posso fare altro che stare al suo gioco. -C’erano una volta un ragazzo e una ragazza…- lo prendo in giro solo per il gusto di vedere la sua reazione. -Okay, non così dal principio- rido per qualche istante della sua faccia esasperata e poi torno seria. -Scusa, non ho resistito- -È strano sai?- dice improvvisamente aggrottando le sopracciglia. -Cosa?- -La tua risata.
È stano ma, mi sento come se…non so spiegartelo, è
come se dentro di me sapessi di averla già sentita- il mio cuore
perde un battito. -Davvero?- -Sì- -Dovremmo dirlo al tuo medico, forse…- -Non
c’è fretta- mi blocca prima che finisca di parlare –
lo farai dopo, adesso ho una storia da ascoltare- e poi mi sorride. Non
è un segreto che io non riesca a resistere al sorriso di Edward,
tutti lo sanno. Ha sorriso in
un modo tutto nostro, come se sapesse quali sono i punti giusti da
toccare per vedermi capitolare, tant’è che per un secondo
mi domando se sia realmente affetto da amnesia o se stia semplicemente
facendo finta. Sì, come no! Come se una persona possa divertirsi
a fingere di aver perso la memoria, mi do della cretina solo per averlo
pensato e mi concentro di nuovo sulla storia. -Okay, dal
principio… beh innanzitutto non ci siamo nemmeno presentati-
allungo una mano verso la sua e aspetto che la stringa nella mia. -Piacere Isabella Swan, ma tutti mi chiamano Bella- -In questo “tutti” sono compreso anche io?- -Naturalmente- -Bella eh?- -Il nome ti dice qualcosa?-
Ti prego dì di sì, ti prego dì di sì.
Lo vedo assottigliare gli occhi come per concentrarsi su qualcosa di estremamente difficile. -No, mi
dispiace- la mia delusione è lampante. Forse dovrei evitare di
mostrarmi entusiasta per ogni piccolo dettaglio, lo metto sotto
pressione e questo non gli fa bene. -Non preoccuparti, è tutto okay. Dunque dov’eravamo rimasti?- -Veramente non hai neppure cominciato- -Giusto. Allora partiamo dalla sera in cui ci siamo conosciuti, ti va?- -Sono tutto orecchi- -È successo cinque anni fa, a casa dei tuoi genitori. Tuo padre aveva dato una mega festa alla villa di Riverbank- -Ah… eri un’invitata?- -No, niente
affatto. Ero una cameriera, lavoravo per il servizio di catering che
tuo padre aveva assunto per quella sera- la faccia di Edward è
tutto un programma. Magari si aspettava che gli dicessi di essere la
figlia di un miliardario di New York. -Sei sorpreso- la mia non è una domanda. Lui aspetta un po’ prima di rispondermi. -Sarò
sincero. Sì, sono molto sorpreso- poi vedendo la mia faccia
mortificata si affretta ad aggiungere – non che io ritenga
impossibile impegnarsi in una relazione con una cameriera…- -Lo dici come se fosse una cosa sbagliata- -Non sbagliata, no- -E allora cosa vuoi dire?- -È che
ricordo… beh all’epoca frequentavo una ragazza, per questo
mi sembra strano che io e te… si insomma, hai capito no?- -Sì, ho
capito- non riesco a reprimere un moto di rabbia. Si ricorda della
sciacquetta che aveva prima di conoscermi, ma non si ricorda di me. La
vita certe volte fa veramente schifo – comunque, non vi
frequentavate più da qualche mese quando ci siamo conosciuti. Me
lo hai detto tu quella sera stessa- -Ti ho detto anche come mai ci siamo lasciati?- -Mi pare dicesti, testuale, “Kate, quella stronza, mi ha tradito per mesi”- -E per caso ti ho detto anche con chi?- -Con un certo Garrett se non ricordo male- Si prende qualche secondo per metabolizzare la notizia e mi guarda sbalordito. Come se avessi appena parlato in Sanscrito! Sono sorpresa
di vedere la sua faccia contratta in una smorfia di dolore, mi aveva
detto che con questa Kate le cose non erano affatto serie. -Che
c’è?- mi ritrovo a chiedergli sgarbata – scusa, ma
quando ci siamo conosciuti non avevi alcun interesse per questa
fantomatica ragazza. Perché ora reagisci così?- -Non sono
sicuro di voler condividere la mia vita con un’estranea, anche se
sembra conoscermi meglio di chiunque altro!- sbotta stizzito.
Mi avrebbe fatto meno male un intervento a cuore aperto. Se solo
servisse a fargli vedere in quanti pezzettini ha ridotto il mio povero
muscolo cardiaco con quest’ultima affermazione mi sottoporrei
all’istante. Vorrei urlare
tutti gli improperi più volgari che conosco ma sono costretta a
mordermi la lingua e ad accettare, anche se controvoglia, che questa
è la verità: io sono un’estranea per lui. Non posso
pretendere che si apra con me, che si fidi dopo nemmeno un’ora di
chiacchiere. Non posso recitare il ruolo della mogliettina gelosa, non
posso dimostrarmi arrabbiata o svilita se mi da una risposta diversa da
quella che vorrei. Probabilmente colpito dalla mia espressione abbassa gli occhi mortificato. -Non era mia
intenzione farti arrabbiare, scusami- è giusto che sia io a
farmi avanti, non voglio caricarlo di nessuna colpa. -No, scusami
tu. Anche se non mi ricordo di te non ho nessun diritto di essere
scortese. Tu stai solo cercando di mettere a posto i tasselli mancanti
del puzzle- -Già, spero di non combinare danni- -Nessun danno.
Stranamente mi fido di te anche se ti conosco appena, e credo a quello
che mi stai dicendo. Che ne dici di andare avanti?- Annuisco rilassandomi meglio sullo schienale della sedia. -Garrett è, era
a questo punto, uno dei miei più cari amici- mi coglie alla
sprovvista; pensavo che avessimo dichiarato chiuso il discorso. -Avevo capito
che Kate mi tradiva, ma non essendo una storia seria non ho mai dato il
giusto peso alla faccenda. Garrett mi diceva sempre che non avevo nulla
di cui preoccuparmi, che Kate pendeva dalle mie labbra e che non mi
tradiva con nessuno. Per questo ci sono rimasto male quando mi hai
detto il suo nome. Evidentemente alla fine ho scoperto il loro gioco,
almeno così mi pare di aver capito o sbaglio?- -No, non sbagli, è quello che mi hai detto quando ci siamo conosciuti- -Bene voltiamo pagina. Non ne voglio più parlare- -Ne sei sicuro? -Assolutamente.
Allora? Cosa ti ho detto quella sera per farti capitolare? Siamo
arrivati alla parte più succosa e rimpiango di non avere con me
una busta di popcorn!- Rido di gusto davanti al suo tentativo di sdrammatizzare. -La prossima volta potrei corrompere una delle infermiere?- -Sarebbe fantastico- -Dunque,
dov’ero rimasta? A sì, la festa su a Riverbank. È
stato così imbarazzante!-mi porto le mani al viso per coprire il
mio rossore. Non dovrei mostrarmi così interessata,
d’altra parte gli ho appena detto che siamo separati, ma è
più forte di me. -Perché?- Prendo un respiro profondo; improvvisamente mi sento una bambina euforica ed eccitata. -Beh
perché in un primo momento mi sentivo fuori posto, non avevo mai
visto tanto lusso in vita mia. Il salone immenso era pieno di gente ed
io dovevo districarmi come un anguilla in mezzo ai tavoli e a tutti
quei ricconi. Avevo una paura tremenda di inciampare in qualche velo di
taffetà e stramazzare al suolo. Stavo appunto dribblando
un’attempata signora stabile quanto un funambolo ubriaco, quando
ti ho intravisto nella folla- arrossisco maggiormente solo al ricordo. -Ti ho folgorata con il mio fascino forse?- Non rispondo alla sua provocazione e il rossore sul mio viso si accentua di più. -Non ci credo.
È così?- annuisco debolmente- quindi è stato un
colpo di fulmine il tuo?- lo dice come se fosse una cosa brutta e tanto
ridicola. -Più o meno. Ti ho visto da lontano ma è bastato qualche secondo per…- fermati, fermati! Urlo internamente, prima di dire qualche stronzata. Ancora non è pronto. Mi schiarisco
la gola prima di continuare –… la serata è stata
magnifica. Il cibo era ottimo e nessuno si è lamentato del mio
servizio- concludo telegrafica. -E io? dove sono io in tutto questo?- -Ci sto
arrivando! Dunque… avevo appena finito di portare l’ultimo
vassoio di bicchieri sporchi in cucina e volevo raggiungere il resto
dello staff in giardino. Ero così stanca che non mi reggevo in
piedi. Ancora oggi non so spiegarmi come abbia fatto a sbagliare
direzione, ma invece di andare in giardino ho percorso il corridoio
inverso che portava alle stanze da letto- -Oddio, non dirmi che noi…- indica con un dito prima me e poi lui. -Ma no, cosa ti
salta in mente?- urlo scandalizzata - sei sempre stato un gentiluomo
Signor Cullen. Non avresti mai approfittato di una donna stanca e con
un tremendo mal di piedi- -E allora cos’è successo?- -È successo che una musica mi ha guidata da te- -Wow, neanche nei film si sentono cose così zuccherose- Rido divertita
e anche lui si unisce a me, ma è costretto a fermarsi subito per
il dolore che gli procura alla testa – già, ma posso
giurarti che è la verità. Stavi suonando quella che
ancora oggi considero, consideriamo, come la nostra
canzone- gli lancio appositamente dei segnali - il suo suono mi
ha condotto da te, e nel momento in cui ho aperto la porta e ho
incrociato i tuoi occhi, ho capito che niente sarebbe stato più
come prima- Resta zitto per
qualche secondo a fissarmi; forse ho davvero esagerato questa volta. Il
mio cuore batte come un forsennato, ho la sensazione che possa
schizzarmi fuori dal petto. -Ti ho proprio folgorato eh?- dice con un sorrisetto compiaciuto. -Diciamo che è stata reciproca la cosa- è stupito, ma non lo lascia a vedere. -Mmhh e poi? Cos’è successo dopo?- -Mi hai sorriso e…- -E…?- -Beh, mi hai
invitato ad entrare e hai chiesto il mio nome. Dopodiché hai
fatto una battuta sdolcinata su quanto secondo te mi rispecchiasse
appieno e mi hai invitato a ballare- -No, non ci credo!- -Credici perché è così- Mi piace vederlo così stupito per qualcosa che lui stesso ha compiuto tempo fa e della quale non si ricorda. -Aspetta, se ero io a suonare il pianoforte chi ha suonato per noi?- -Non ci crederai signor Cullen, ma ti sei messo a cantare- Si porta le mani a coprire la faccia e lo vedo arrossire di colpo – tu stai mentendo! E spudoratamente anche- -Hai fatto
tutto tu, davvero. In effetti nemmeno io mi aspettavo tanto miele ma
è stato un gesto terribilmente romantico- non riesco a reprimere
una risata- io mi sono solo limitata ad obbedire. Pendevo dalle tue
labbra e mi sono lasciata fuorviare dal tuo linguaggio poetico e
rassicurante- -Sarà, ma non mi sembri così ingenua da lasciarti abbindolare così facilmente da un uomo- Dipende di quale uomo parliamo vorrei ribattere ma mi mordo la lingua. -Ero solo una
ragazzina, non ho potuto farci niente. I miei ormoni hanno preso il
sopravvento- ride di gusto ma una smorfia di dolore lo trattiene
dall’esagerare. -Ora capisco perché mi sono innamorato di te sei anni fa. Sei uno spasso Bella- Oddio, non
posso credere a quello che ha appena detto. Non ne sono sicura ma credo
di aver perso qualche tonalità di rosso dalla faccia. -Perciò scommetto che ti ho chiesto d’uscire- -Sì, ma io ho rifiutato- -Perché?- di nuovo quello sguardo stupito. -Beh
perché io non ero una miliardaria, non avevo nulla da offriti e
mi sentito terribilmente fuori luogo a stare con te. Voglio dire:
chiunque avrebbe pensato che lo stessi facendo per interesse. Abbiamo
passato una bellissima notte, abbiamo parlato davvero tanto,
però non sono riuscita a dirti di sì quando mi hai
chiesto un appuntamento- -Però alla fine hai accettato- -Non ho potuto
fare altrimenti, visto che ti sei presentato sotto casa mia
l’antivigilia di Natale con l’assurda convinzione di
portarmi a pattinare- -Credimi, ogni secondo che passa rimango sempre più allibito- -Mi hai portato
alla pista di pattinaggio del Rockefeller Centre e mi hai offerto una
cioccolata calda. Beh, è stata una bella serata-
Passiamo il
resto del tempo a parlare dei vari appuntamenti che abbiamo avuto fino
a che con la stessa naturalezza con la quale mi direbbe che ho del
dentifricio sulla maglietta mi chiede: - E perché ci siamo lasciati?- saltando tutta la parte del matrimonio e della convivenza e arrivando subito al punto. -Facciamo che
te lo racconto un’altra volta?- dico agitata mentre guardo
distrattamente l’orologio e mi accorgo che l’orario visite
è quasi finito. Non voglio che tutto finisca così in
fretta. Mi incatenerei a questa sedia se solo potessi. Ma gli argomenti
stanno diventato spigolosi. -Non se ne parla nemmeno. Voglio sapere come è andata, e lo voglio sapere adesso- Mi stupisco del
suo fervore. Improvvisamente mi guarda come uno che in punto di morte
ti chiede di esaudire il suo ultimo desiderio. Capisco quanto possa
essere importante per lui colmare il vuoto che sente dentro. -Tornerò
a trovarti e ti racconterò ogni cosa, promesso- cerco di tenerlo
calmo ma sbuffa contrariato e per un secondo mi sfiora l’idea che
possa mettersi a piangere. Perciò è istintivo per me
allungare una mano per fargli una carezza, come faccio con Sophie
quanto cade e piange fino a che con un bacio non guarisco la sua
“bua”. Afferro
saldamente la sua mano nella mia e con il pollice comincio a
massaggiare il monte di venere. Lui si irrigidisce immediatamente e
capisco di essermi spinta troppo oltre i limiti che mi ero prefissata
di rispettare.
“Non toccarlo. Non dirgli quello che provi. Non essere invadente”
Diciamo che in un colpo solo li ho buttati giù tutti e tre, come massi da un dirupo. La sudorazione della mia mano comincia a diventare imbarazzante e la ritiro di scatto. Lui mi guarda stupito e impacciato. -Vedi? È
per questo che voglio che tu continui a parlarmi del mio passato. Io
non mi ricordo di te, ma sento che quello che fai, la tua risata e il
tuo tocco- si interrompe per riprendermi la mano e il cuore mi schizza
in gola- sono una quotidianità che ho perso. Ma io non sono
così. Almeno il me rimasto a sei anni fa non era affatto così. Io non mi sarei mai sposato- Le sue parole
mi fanno male, avrei dovuto dimostrarmi più distaccata e invece
sono qui a bearmi del contatto con il suo palmo. Sento la sua pelle
morbida ed elastica, le sue dita lunghe e affusolate, la sua grande
mano che stringe ancora una volta la mia e non capisco più
niente. Dopo un po’ trovo solo la forza di dire – cosa intendi?- -Che non mi
sono mai comportato così con una donna. Non ho mai suonato o
cantato per lei, neanche per fare colpo. Non ho mai sentito il bisogno
di tenere una mano stretta nella mia, ma l’Edward nuovo, quello
che conosci tu lo farebbe eccome vero?- -Sì- mi
perdo nei suoi occhi e nella carezza dolce della sua voce. Penso di
guardarlo con la faccia da pesce lesso ma non mi importa. -Capisci ora
perché voglio sapere ogni cosa? Per capire che persona sono
adesso. Sei anni di vita sono davvero tanti. Un bambino impara a
camminare, parlare fluentemente e andare a scuola in sei anni!- Ed eccola
lì, la parolina magica, quella che ho temuto di pronunciare sin
da quando ho messo piede in questa stanza e che mi fa tornare con i
piedi per terra: “Bambino”. Io e te abbiamo una figlia Edward, come faccio a dirtelo? Ora capisco
più che mai che non è pronto per affrontare una tale
realtà. Anche se nell’immensità di cose che ho da
dirgli questa è senza dubbio la prima. Qualcuno bussa alla porta proprio mentre sto per cedere alla pressione del suo sguardo implorante. È l’infermiera che mi ricorda che l’orario delle visite è terminato e che devo andare via. -Sì, un
attimo- le rispondo prima di voltarmi a guardare Edward. Lo trovo con
gli occhi chiusi e con la faccia girata dall’altro lato, come se
stesse dormendo. Ma lui non sta dormendo. La sua freddezza mi ferisce
ma non posso biasimarlo. Cosa faccio? Mi domando. Non vuole che lo saluti, in effetti non saprei cosa dirgli oltre a “ci vediamo domani”. Sa che sono, ero,
sua moglie, ma questo non cambia nulla. Al momento sono solo una
sconosciuta che gli ha raccontato la storia di due persone totalmente
diverse dalle persone che siamo ora. Ha sorriso, ha riso più
volte, ma è una storia che non lo tocca in nessun modo se lui
per primo non è coinvolto sentimentalmente. Perciò
rispetto la sua volontà. Infilo il cappotto, prendo la borsa e
con un’ultima occhiata mi volto e vado via, con un po’
più di leggerezza nel cuore rispetto a quando sono arrivata e
felice di aver trascorso un’ora in compagnia dell’uomo che
amo, fiduciosa che presto si sistemerà tutto. In che modo resta un mistero.
Nemmeno due
minuti dopo sono difronte l’ascensore e cerco il cellulare nella
borsa per controllare le chiamate quando mi cade a terra il portafogli
e il volto di mia figlia mi guarda sorridente abbracciata ad un uomo
che non c’è più. Un uomo che le somiglia moltissimo e alla quale è legata da un affetto e un amore incommensurabili. Il “tlin” dell’ascensore scatta ma io sono già lontana. Apro la porta
della camera di Edward con così tanta forza da farlo sobbalzare
dallo spavento e non aspetto che lui apra bocca, non aspetto che lui
sia pronto per ascoltare l’ennesima storia che lo lascerà
indifferente. Nel Queens c’è una bambina che ha bisogno di
suo padre. Piazzo la foto sul lenzuolo immacolato e aspetto che Edward la prenda e mi dica qualcosa. Mi guarda spaesato ma capisce subito di chi si tratta. Nessuno potrebbe sbagliarsi. -Già-
dico, la mia voce è intrisa di risolutezza – questa
bambina è tua figlia. Ha quattro anni ed è la persona
più importante della tua vita- deglutisco a fatica visto il
macigno che mi ritrovo piantato in gola – puoi anche non
ricordarti di me, puoi anche non sapere chi sei in questo momento, puoi
farti e farmi tutte le domande che vuoi. Ma se c’è una
certezza reale e concreta in questo mondo, che nessuna amnesia
può mettere in dubbio, è che tu hai una figlia e lei ha
bisogno di te-
O.o come reagirà Edward a questo punto? Lo so, mi odiate perché finisco i capitoli sempre sul più bello. Grazie perché seguite ancora la mia storia e trovate anche il tempo di recensire. Alla prossima!
No, non state sognando.
E’ davvero il nuovo capitolo. Mi dispiace molto per il ritardo,
capirei se non voleste
più leggere. Dove
eravamo rimasti?
Bella va a trovare Edward in
Ospedale, e dopo un pomeriggio passato a parlare della loro storia
d'amore, gli
confessa di essere padre: "–
questa bambina
è tua figlia. Ha quattro anni ed è la persona
più importante della tua vita-
deglutisco a fatica visto il macigno che mi ritrovo piantato in gola
– puoi
anche non ricordarti di me, puoi anche non sapere chi sei in questo
momento,
puoi farti e farmi tutte le domande che vuoi. Ma se
c’è una certezza reale e
concreta in questo mondo, che nessuna amnesia può mettere in
dubbio, è che tu
hai una figlia e lei ha bisogno di te-"
Capitolo 12
Ci
sono legami che sfidano il tempo e la logica,
ci
sono legami che sono semplicemente
destinati
ad essere.
-Grey's
Anatomy.
23
Novembre
2011
L’aria è molto
fredda fuori, il termometro segna
appena 3 gradi.
La radio trasmette una canzone così malinconica e
triste che mi fa sprofondare ancora di più
nell’angoscia, perciò la spengo del
tutto. Ovunque mi giri vedo tutto bianco: quest’anno la neve
è caduta così
abbondante che è quasi difficile transitare con le auto. I
mezzi spazza neve e
spargi sale sono attivi 24 ore su 24.
Ma nonostante l’impedimento dell’asfalto ghiacciato
non
posso fare a meno di schiacciare il pedale dell’acceleratore.
-Mami, quando arriviamo?-
-Presto amore, presto-
Sophie è seduta nel sedile posteriore e come me
guarda dal finestrino il manto bianco che ricopre ogni cosa. Per
placare la sua
impazienza, e pure la mia, inserisco nello stereo un CD di canzoni
Natalizie
con la nostra playlist personale. Ormai siamo agli sgoccioli, domani
è il
giorno del Ringraziamento e a seguire il Black Friday. Non faremo
nemmeno in
tempo ad andare a comprare un albero di Natale che tutte le
festività saranno
passate. Abbellire la casa con le decorazioni Natalizie è
uno dei nostri
passatempi preferiti, anche se negli ultimi anni il Natale è
stato un po’ una
spina del fianco per me, con la separazione da Edward, mio padre nelle
sue “non
bene definite condizioni” e il compleanno di Sophie, le mie
ghiandole lacrimali
ad un certo punto del mese hanno chiesto pietà.
Speravo che quest’anno fosse tutto diverso, che il
desiderio che avevo espresso l’anno scorso di riavere
indietro la mia famiglia
serena e riunita, si realizzasse.
Ma, a quanto pare, mi sbagliavo.
Sono passati ventitré giorni da quando ho confessato
a Edward di nostra figlia. Da quando in quel letto
d’Ospedale, mi ha guardata
negli occhi e d’improvviso mi sono ritrovata a fare un giro
sulle montagne
russe.
-Non è possibile, non ci credo- ha detto in un primo
momento, facendomi toccare il fondo. Mi sarei messa a piangere se non
fosse
stato per quel : -è incredibile, mi somiglia così
tanto- arrivato subito dopo,
che mi ha fatto toccare il cielo con un dito.
Mi ha fatto sospirare di sollievo, ma dovevo
immaginare che non sarebbe durato.
Inizialmente, ha preso positivamente la notizia di
Sophie; ha studiato la sua foto a lungo, tanto che, ad un certo punto,
sono
sicura di averlo visto commuoversi.
Poi è successo qualcosa. Tutto è cambiato.
Mi ha restituito la foto con rabbia, dicendomi che
era meglio se non gli avessi detto niente, che non aveva nessuna
intenzione di
conoscerla e che avrei fatto bene ad andare via e a non ritornare mai
più.
Le mie lacrime, che fino a quel momento erano di
gioia, si sono trasformate in una specie di acido corrosivo. Ho sentito
la mia pelle bruciare e non certo per il sale, ma per la
collera che mi era montata dentro dopo quelle parole.
Gli ho mollato una schiaffo, uno schiaffo
tremendamente forte. Con una voce tanto gelida, da non sembrare nemmeno
la mia,
gli ho vomitato addosso tutto quello che provavo e con un chiaro e
deciso: - tu
non la meriti- gli ho voltato le spalle e sono andata via.
Fino a che non ne ho parlato con qualcuno credevo,
anzi ero fermamente convinta, di essere nel giusto, ma sbagliavo.
Sia Jen, sia mio padre, mi hanno fatto capire che
non avrei dovuto aspettarmi di più, che anzi, la reazione di
Edward era più che
comprensibile.
-Edward, ha subito uno choc, cara- mi ha detto mio
padre quella sera stessa- dobbiamo comprendere che quest’uomo
deve convivere
con il pensiero di aver perso sei anni della sua vita, i più
importanti a
quanto gli hai fatto credere. La notizia di Sophie, per quanto bella,
lo ha
lasciato con un altro vuoto nel cuore. Preferisce sparire dalla sua
vita
piuttosto che farne parte senza ricordare quello che lei rappresenta
per lui.
Cerca di comprenderlo e, soprattutto, non giudicarlo-
Ed è così, con le parole di mio padre in testa,
che
il giorno dopo mi sono presentata davanti alla sua porta.
Non l’ho giudicato, sono stata zitta e ho ascoltato:
-Non so cosa fare. Bella… ho così tanta paura. Ho
paura di non riuscire a ritrovare il passato che ho perduto. Di non
ricordarmi
più di te, né della bambina. Lo so, potremmo
ricominciare tutto daccapo, ma non
sarebbe la stessa cosa. Sento che Sophie, entrambe,
meritate molto di più ed io non voglio illudermi che presto
riacquisterò la
memoria. Perciò è meglio se mi faccio da parte,
per il bene di tutte e due-
Ad un mio accenno di dissenso si è portato le mani
al viso.
Il suo corpo tremava, scosso dai singhiozzi, neanche
avesse appena ricevuto un pugno in pieno stomaco, dopodiché
è scoppiato.
-Ma non capisci il male che mi fate, Bella? Voi
volete qualcosa da me che io non posso darvi. Perché
è successo a me? Perché?-
E poi non ce l’ho fatta: mi sono buttata sul letto
vicino a lui e l’ho abbracciato forte, fino a che le sue
lacrime non hanno
oltrepassato il tessuto della mia camicetta e hanno accarezzato la mia
pelle.
Siamo rimasti così fino a che i singhiozzi che lo scuotevano
non sono scomparsi
e poi, entrambi imbarazzati; io, con il profumo della sua pelle ancora
nelle
narici e lui, con uno sguardo stranamente dolce negli occhi, ci siamo
tirati
indietro.
È da quel giorno che va avanti questa situazione di
imbarazzo, di sguardi fuggevoli e parole non dette.
In molte occasioni, anzi, in quasi tutte, siamo
stati interrotti dall’arrivo di qualcuno.
E con Esme e Carlisle vicino non abbiamo mai
affrontato l’argomento, non abbiamo mai parlato direttamente,
ci siamo limitati a rispondere alle domande che ci venivano
poste. Prima di lasciare la sua stanza, però, non ha mai
mancato di chiedermi
come stesse Sophie.
Durante il suo periodo di convalescenza, come
dicevo, la compagnia non ci è mancata. Se non si trattava di
Carlisle o Esme,
era Alice a venirlo a trovare.
Con lei è stato più facile essere me stessa. Con
lei
non dovevo vergognarmi se mi scopriva a fissarlo imbambolata e ad
arrossire
imbarazzata.
Viceversa, lei si è sentita libera di mostrarsi per
quello che è, cioè: una donna felice in dolce
attesa.
Quello che non ci aspettavamo, però, era che anche
Edward si accorgesse delle stesse cose.
Un giorno l’ha guardata fissa negli occhi e le ha
chiesto:
-Chi è lo stronzo che devo malmenare per averti
messa incinta?-
Ovviamente, lui non sapeva dell’esistenza di Jasper.
Non gliel’avevamo detto di proposito. Su richiesta di Esme e
Carlisle, tutto
quello che è successo in questi ultimi sei anni è
diventato un argomento tabù.
Scelta che io giudico sbagliata ma loro insistono
col dire che Edward è troppo fragile ora, e che
fino alla sua completa guarigione dobbiamo trattarlo come un oggetto
prezioso,
neanche fosse fatto di vetro soffiato!
Di questi argomenti tabù, ovviamente, fa parte il motivo
della nostra separazione. Anche la fuga di Mike e il relativo incidente
con la
rispettiva perdita mnemonica per un po’ sono stati
innominabili.
Parlo al passato perché, com’era giusto che fosse,
Edward ne è venuto a conoscenza. Non abbiamo potuto evitare
che il Detective
Cameron si interessasse alle sue condizioni e che venisse a trovarlo in
Ospedale.
Edward, gli ha fatto il terzo grado, ha voluto
sapere ogni cosa.
Sotto lo sguardo preoccupato di Esme, la faccia
inespressiva di Carlisle e la mia (non lo nego) preoccupazione,
è venuto a
conoscenza di tutto.
Del suo allontanamento dalla società paterna fino
alla fondazione della M&E Corporation. Dagli anni di duro
lavoro fino alla
fuga di Mike. Dal suo sospettato coinvolgimento fino al suo incidente.
L’ho guardato attentamente per tutto il tempo; si
è
sorpreso, ha provato molto dolore ed ha incassato il colpo rivelando a
tutti la
sua delusione. Ha affrontato tutto con lo stoicismo che l’ha
sempre
caratterizzato chiedendo al Detective novità sulle indagini.
-Quale delle due?- ha chiesto con tatto il
poliziotto.
-Entrambe. Quello che mi è successo è collegato
alla
frode aziendale?-
-Vuole sapere se qualcuno ha attentato alla sua vita
per vendicarsi di quanto successo in azienda? Beh molte persone, oserei
dire
centinaia, potrebbero avercela con lei. Il tracollo della sua
società ha
mandato in rovina molta gente. Persone che avevano investito in titoli,
che
erano diventati soci, d’improvviso si sono ritrovate con un
pugno di mosche in
mano. Le indagini stanno proseguendo, ma non credo di sbagliare se le
confermo
che sì, il suo incidente è collegato al
fallimento della M&E Corporation.
Forse qualcuno ha attentato alla sua vita per vendicarsi dello sgarro
subito-
-E Mike? L’avete trovato?-
-No, purtroppo no. Le indagini proseguono e non
appena sapremo qualcosa glielo comunicheremo-
Da quel giorno ho visto qualcosa cambiare sul suo
volto. Come se quella notizia l’avesse fatto invecchiare di
colpo. Per giorni
ho sentito il suo senso di colpa prevalere su tutto; quasi palpabile
avrei
potuto stringerlo in una mano. Ho cercato in tutti i modi di distrarlo
e alla
fine è arrivata sua sorella con la novità del
bambino.
A quel punto, non potevamo più tacere nonostante le
raccomandazioni dei suoi genitori.
Alice, gli ha raccontato tutta la storia etra
lacrime, risate e occhiate di disapprovazione anche Edward è
stato messo al
corrente della faccenda. Ha appoggiato la sorella, ovviamente, come
aveva fatto
in precedenza e le ha promesso che avrebbe messo una buona parola con
il padre.
Sapevo già che stava
tramando qualcosa: per giorni e
giorni, ogni volta che Carlisle veniva a trovarlo, lo punzecchiava
sulla
relazione della sorella, facendolo andare via indignato.
Il giorno in cui ha attuato il suo piano diabolico,
io arrivai in ritardo,
c’erano già i suoi genitori nella stanza. Quando
ho aperto la porta l’ho
trovato moribondo, con una flebo al braccio e i monitor, dei quali non
aveva
più bisogno da tempo, accesi e un colorito pallido da far
paura. Mi sono subito
avvicinata al suo letto, troppo spaventata dalle sue condizioni.
Pensavo che stesse
davvero per morire, quando ad un tratto mi ha fatto
l’occhiolino.
L’occhiolino!
Avrei voluto prenderlo a pugni solo per lo spavento,
ma da quello che stava dicendo a Carlisle ho capito subito che dovevo
starmene
zitta.
-Papà… io non so se sopravvivrò, non
questa volta-
-Figliolo, non devi nemmeno pensarla una cosa del
genere-
-Papà… se non dovessi farcela, voglio che mi
prometta che ti prenderai cura della mamma e di Bella, di Sophie e di
Alice…-
-Certo certo, ma non devi preoccuparti, vedrai che tutto
si sistemerà-
-… e anche di Jasper- solo a sentire il nome,
Carlisle cambiò espressione –promettimelo
papà. Promettimi che non ostacolerai
più la loro unione…-
-Edward…-
-Ti prego, papà, prometti!-
Un colpo di tosse che gli fece uscire gli occhi dalle
orbite, degno dei più melodrammatici attori di Hollywood,
convinse Carlisle a
dargli la risposta.
-Te lo prometto, figliolo, te lo prometto. Ma adesso
sta calmo, non agitarti-
La tosse continuava a scuoterlo tanto da non capire
se stesse facendo finta o se invece stesse soffocando per davvero. Nel
dubbio,
implorai Carlisle di andare a chiamare il Dottore e Esme di andare a
recuperare
dell’acqua.
Entrambi terrorizzati uscirono dalla stanza correndo
e Edward poté finalmente respirare normalmente.
-Meriteresti il premio Oscar, lo sai? Oppure di
finire in prigione. Ma sei impazzito?-
-Non avrebbe mai ceduto altrimenti-
-Sei…sei… chi ti ha aiutato a fare tutto questo?-
-Un po’ tutti. Ho spiegato che si trattava di una
buona causa e hanno accettato-
-Ah-ah, non ti credo. Tu li hai pagati. Per caso il
reparto di Neurochirurgia avrà presto una sala intitolata a
tuo nome?-
-Te l’ho detto, era per una buona causa…-
Il Dottore e le infermiere, chiaramente influenzate
dalla presenza fisica di Edward (anche fasciato e con la testa quasi
fracassata
il mio ex marito miete vittime come
uno stallone nella stagione dell’accoppiamento), hanno fatto
credere a tutti
che si trattava di un’infezione che aveva colpito i polmoni e
che con le
adeguate cure, Edward, sarebbe presto guarito.
-Diabolico… sei un essere diabolico- gli ho detto quella
sera prima di andare via.
-Lo so, diabolico
è il mio secondo nome-
Sta di fatto che, dopo quel giorno, il rapporto che
Carlisle aveva con Jasper è radicalmente cambiato. Certo non
fa i salti di
gioia quando si trovano nella stessa stanza, ma almeno il loro
approccio è
diventato civile ed educato come quello di due persone che si conoscono
per la
prima volta. Alice, come c’era d’aspettarselo,
è al settimo cielo.
In questo periodo ho avuto modo di
appurare che per
Edward la novità del nipotino, e solo per lui
perché per il momento
nessun’altro ne è al corrente, ha avuto
l’effetto di una pomata lenitiva.
Ha cominciato ad interessarsi ai bambini, alla loro
crescita dentro e fuori la pancia, questo gli ha permesso di recuperare
un po’
il sorriso che aveva perso in seguito alle rivelazioni del Detective
Cameron.
Il più delle volte si rivolgeva alla sottoscritta quando
voleva avere delle
risposte, soprattutto mi chiedeva com’era stata la mia di
gravidanza.
Emozionata, ho risposto a tutte le sue domande,
raccontandogli aneddoti divertenti che lo riguardano personalmente,
come il
cazzotto che si è preso in piena faccia durante il corso
pre-parto.
In più di un’occasione, l’ho visto
camuffare un
singhiozzo in una risata e gli occhi lucidi in uno sbadiglio.
Non nego che tutto questo ha contribuito ad
avvicinarci. Ora non mi guarda più in maniera ostile come
faceva i primi giorni
e vengo pure a trovarlo più spesso.
Ogni volta mi regala sorrisi sempre più spontanei.
Ho capito che si è affezionato molto anche a Sophie,
non manca giorno in cui non mi chieda come sta, ma mai che mi preghi di
portarla da lui per fargliela conoscere.
Quando vado via, spero che sia la volta buona. Che
prima di scomparire dietro la porta lui mi chiami e mi dica –
voglio vederla- e
invece non lo fa mai.
Edward in questo momento è come un bambino, un
bambino che scopre una cosa nuova e deve ancora decidere se gli piace o
meno.
Sono stata buona e remissiva, non gli ho mai imposto
nulla anche se per il bene di Sophie avrei dovuto farlo da molto tempo
e ho
aspettato ogni sera con il cuore in gola una richiesta che non
è mai arrivata.
Però ora basta.
Oggi ho capito che non posso aspettare i suoi tempi.
Sophie sta soffrendo molto, vuole il suo papà, ha bisogno
del suo papà, e ne ha
bisogno adesso.
Per questo motivo la sto portando in Ospedale.
Non mi importa quello che dice Edward, se secondo
lui non è ancora pronto, se secondo lui non ha nulla da
offrirle. Lei ha
bisogno che lui ci sia e, in un modo o nell’altro, sono
sicura che riusciremo a
mascherare il suo handicap momentaneo.
Da un po’ di giorni avevo
notato un piccolo
cambiamento in Sophie, ma lo attribuivo alla leggera influenza che
aveva avuto
la settimana scorsa.
Oggi ho capito che sbagliavo.
Ero in riunione quando mi hanno telefonata
dall’asilo e non ho esitato un’istante a mollare
tutto e scappare da lei.
L’ho trovata in lacrime, con il viso arrossato,
seduta sulle gambe della maestra. Ho subito pensato che avesse fatto a
botte
con qualche bambino, la “mamma orso” che
è in me era già pronta a colpire per
vendicare il suo onore, ma mi sono bastati due secondi per capire
quello che
era successo. “Alla
scoperta
dei papà e dei loro mestieri” così recitava
il cartellone giallo attaccato alla lavagna sopra le nostre teste. A
quel punto
i miei occhi, che fino a quel momento erano stati impegnati a
controllare le
braccia e le gambe di Sophie per scongiurare qualche ferita o
sbucciatura, si
sono incollati sulla schiera di uomini, più o meno una
quindicina, addossati
alla parete in attesa di cominciare la lezione, e subito dopo, furenti
di
rabbia, sulla signorina Blanchard.
-Mi dispiace signora, ma non sono riuscita ad
avvisarla in tempo- la maestra, mortificata, a
stento è riuscita a trattenere il tremore alla voce dopo la
mia sfuriata.
-Sì, ma doveva aspettarselo! Tutti i papà dei
suoi
compagni erano presenti tranne il suo. Non voglio umiliarla, le sue
iniziative
sono tanto lodevoli, ma Sophie in questo momento è molto
fragile, soprattutto
se parliamo di suo padre. Eppure lei sa cosa gli è successo!-
-Lo so, lo so. In questi giorni ho evitato di
toccare qualsiasi argomento potesse ferirla, ma è lei ad
insistere. È lei a
chiedermi di suo padre, se per caso telefona la scuola per avere sue
notizie.
Come da accordi le ho mentito, anche se controvoglia. Solo che oggi non
sono
proprio riuscita ad avvisarla, mi creda. Prepariamo questa giornata da
settimane, non può sapere quant’è stato
stressante riuscire a trovare un giorno
che andasse bene a tutti i papà-
-Proprio perché vi preparavate da settimane avreste
dovuto avvisarmi. Se avessi saputo oggi non l’avrei portata a
scuola-
-Sì, lei ha ragione… è
che…-
-Va bene, va bene le credo- l’ho interrotta prima
che potesse continuare con altre scuse. In seguito mi ha raccontato che
Sophie
è scoppiata in lacrime quando ha visto la sua amichetta
Claire giocare con il
padre e che ha continuato a piangere fino al mio arrivo. “Basta,
ora
basta”
ha continuato a ripetere una voce nel
mio orecchio durante tutto il colloquio. Una voce talmente insistente
da farmi
dubitare della mia sanità mentale. Ho stretto i pugni
talmente forte da
conficcarmi le unghie nei palmi per non sentirla più, per
scacciarla via e, dopo un bel respiro, tutto mi è apparso
più chiaro. Che
stupida
che sono stata!
Avrei voluto urlarlo a squarcia
gola, solo che non avrei saputo come giustificarmi con Miss Blanchard,
che, imbambolata, ha continuato a fissarmi per tutto
il tempo, forse in attesa di un mio morso in grado di staccarle la
testa. Dopo
essere uscita dal suo ufficio sono andata dritta da Sophie,
l’ho guardata negli
occhi, gli stessi occhi verdi del padre, le ho messo una ciocca di
capelli
dietro l’orecchio, le ho fatto soffiare il naso, e infine le
ho detto: - vieni
amore, ti porto da papà-.
Nei suoi occhi si è subito accesa una luce che non
vedevo da tempo e, in quel momento, ho capito di
aver fatto la scelta giusta.
Quando varchiamo la soglia
dell’Ospedale ho il cuore
letteralmente in gola. Sophie si stringe forte intorno al mio collo;
l’ho presa
in braccio per farla scendere dall’auto e non mi ha
più mollato.
In macchina le ho spiegato che Edward ha avuto
un’incidente e che non deve preoccuparsi se lo
vedrà un po’ “cambiato”. Come
una bimba grande mi ha guardata seria e mi ha detto – va bene
mamma, non
preoccuparti-.
Solo che non riesce a mascherare la sua impazienza,
mi sta praticamente stritolando una spalla! Avrei
dovuto
farlo prima penso,
affondando
il naso nei sui capelli. La mia piccola, dolce bambina non meritava di
soffrire
tanto. Ora che sento ogni suo muscolo teso, ora che avverto con quanta
impazienza ha aspettato questo momento, vorrei maledire Edward e
soprattutto me
stessa per aver aspettato tutto questo tempo.
Sono quasi le 12.00 e
l’orario delle visite è già
terminato, infatti l’infermiera che ci troviamo davanti al
reparto mi sbarra la
strada come un bodyguard, avendone tutta la stazza oltretutto.
-La prego, dobbiamo passare, è urgente-
-Mi dispiace signora, i pazienti stanno pranzando,
non posso lasciarla passare-
-Mi tratterrò davvero poco, mi creda-
-Non posso, è il regolamento dell’Ospedale-
-Il regolamento dell’Ospedale!- sbotto irritata –
me
ne infischio del regolamento! Quest’Ospedale recentemente ha
ricevuto una
grossadonazione da parte di
mio
suocero, il signor Carlisle Cullen, lo conosce?- a mali estremi,
estremi rimedi
– non vorrà che lo telefoni e gli riferisca del
trattamento che mi avete
riservato? – non è mia consuetudine ricattare la
gente, ho sempre avuto
rispetto per il lavoro degli altri e non ho mai approfittato della
posizione
dei Cullen per avere favoritismi, ma in questo caso non posso fare
altrimenti.
L’infermiera mi guarda impietrita, indecisa se
assecondarmi o meno. Alla fine fa semplicemente un passo indietro e
torna a
compilare le sue cartelle.
-Grazie- le dico sorpassandola – è molto
importante-.
Non aspetto che mi risponda, percorro velocemente il
corridoio e quando sono di fronte la stanza di Edward sento quasi le
gambe
cedermi.
Busso per cortesia non per altro, se solo fossimo in
un film di fantascienza avrei già buttato la porta con la
forza del pensiero.
Mi risponde immediatamente invitandomi ad entrare.
Sophie, alza la testa
di scatto e mi guarda sorridente; ha appena riconosciuto la voce del
suo papà.
Un respiro profondo e abbasso la maniglia.
Appena mi vede Edward ha due reazioni.
Mi sorride e mette giù la forchetta con cui sta
mangiando dell’insalata, ma contemporaneamente le sue
sopracciglia arrivano a
toccare il soffitto. Lo vedo sbiancare di colpo quando passa da me alla
bambina; i suoi occhi si spostano da me a lei ad una
velocità pazzesca.
All’interno vi leggo tanta paura.
-Papi, papi!- urla Sophie che scalcia per scendere
dalle mie braccia e gettarsi in quelle del padre.
Il suo corpo è diventato una statua di cera.
Durante il tragitto in macchina ho pensato,
immaginato e ipotizzato diverse potenziali reazioni. Tutte positive
naturalmente, altrimenti non avrei mai rischiato. Ma ora che lo vedo
immobile
guardarmi terrorizzato, ho davvero paura che possa aver fatto una
sciocchezza.
La lascio andare pregando con lo sguardo Edward di
non deluderla. Nel tempo che intercorre tra la discesa di Sophie e la
sua
risposta, pochi secondi in realtà, sento il mio cuore
galoppare a più non posso.
Ma Edward non mi delude: la bambina corre verso il tavolino dove
è seduto ma
prima che alzi le braccia è lui ad andarle incontro e a
stringerla forte al
petto.
Una scena straziante che mi costringe a portare le
mani davanti alla bocca per non lasciarmi sfuggire qualche singhiozzo.
-Bene, alla fine ce l’hai
fatta- sento la
nanerottola di mia cognata gongolare felice. Imbambolata, guardo Edward
e Sophie
giocare insieme sul letto. Sono così presi l’uno
dall’altra che non fanno più
caso a me. A noi.
Dopo un’iniziale imbarazzo, Edward si è sciolto
completamente davanti al visino emozionato di Sophie e non ha saputo
più
resisterle. Ho continuato a piangere fino a che entrambi non sono
venuti a
stringermi forte in una sorta di abbraccio collettivo. Eravamo
così presi che a
stento abbiamo sentito la porta della stanza chiudersi dietro di noi.
Un urlo isterico ci ha fatto sobbalzare e quando ci
siamo girati abbiamo trovato Alice in lacrime.
-Scusate, sono gli ormoni- si è giustificata subito
prima di buttarci le braccia intorno al collo.
-Ora stai bene?- le chiedo preoccupata dopo che un
leggero capogiro le ha fatto vedere i sorci verdi.
-Sì, sì non preoccuparti. Tu, piuttosto, come ci
sei
riuscita? Come hai convinto “Puffo Brontolone” ad
incontrarla?-
-Oh, non ho dovuto chiedere il permesso a nessuno se
è questo che intendi. Sophie aveva bisogno di lui e anche se
tuo fratello non
lo ammetterà mai, anche lui aveva bisogno di lei- e a
vederli giocare nessuno
direbbe il contrario.
-Tu, piuttosto, perché sei qui?- mi rivolgo a Alice
ma è Edward a rispondermi.
-Te lo dico io-
Lascia Sophie sul letto e viene verso di noi. Ha
fatto molti progressi nella riabilitazione e ora con le stampelle
riesce a
camminare, più o meno, in posizione verticale.
-Mi dimettono Bella-
-Cosa?- non ho nemmeno il tempo di elaborare la
notizia che la mia bocca agisce per volontà propria
–perché vengo a saperlo
solo ora?-
-Beh perché il Dottore ce lo ha comunicato meno di
mezzora fa. Stavo facendo la visita di routine quando Alice
è arrivata. È
venuta a trovarmi come tutti i giorni ed era presente quando il Dottore
mi ha
comunicato che potevo tornarmene a casa-
-Stavo telefonando ai miei quando sei arrivata tu-
aggiunge lei.
-Ma che notizia meravigliosa!- mi sporgo ad
abbracciarlo e lui mi lascia fare. Poggia la guancia sui miei capelli e
a me
sembra di poter prendere fuoco –sono felice per te. In tempo
per le feste eh?-
dico staccandomi imbarazzata.
-Sì, in effetti il Dottor Abernathy non ha saputo
respingere le mie suppliche. Festeggiare il Ringraziamento con del
prosciutto
spacciandolo per tacchino non è proprio il massimo!-
-Conoscendoti a furia di mangiare brodini saresti
capace di pappartene uno intero!- lo incalza Alice.
Stiamo ancora ridendo quando Esme e Carlisle fanno
il loro ingresso in stanza.
-Bella! Sophie!- ci saluta Esme seguita a ruota da suo
marito, rimasto pietrificato dalla scena. Se
solo gli
sguardi potessero uccidere è proprio il caso di
dirlo.
-Mamma, papà, non agitatevi è tutto a posto- si
affretta a dire Edward e piano piano li vedo riacquistare il controllo.
Dopo
essersi accertati che è davvero tutto a posto, ci lasciano
per raggiungere la loro
nipotina che li osserva sorridente dall’altro lato della
stanza.
Edward, si perde a guardarli per un poco e ho
l’impressione di vedere un lampo di orgoglio nei suoi occhi.
Quando Sophie
comincia a ridere per via del solletico anche lui si unisce alla
mischia
seguito a sua volta da Alice.
Mi soffermo a guardarli mentre nel mio stomaco le
farfalle impazzite che, fino a poco fa, svolazzano euforiche, diventano
irrequiete. Un’ombra
si abbatte sulla mia felicità quando mi rendo conto che oggi
Edward verrà
dimesso, verrà dimesso e andrà a vivere di nuovo
dai suoi genitori. Bella,
ma cosa
ti aspettavi?
Niente, non mi aspettavo niente.
Mento. Mento a me stessa per non ammettere quanto in
realtà mi faccia male questa decisione. Gli ultimi
avvenimenti hanno sconvolto
così tanto la sua vita!
E non mi riferisco solo all’amnesia, ma alle azioni
legali che dovrà intraprendere a causa della sparizione di
Mike. Senza contare
il fatto che avrà bisogno di assoluto e tranquillo riposo. Non
può, non è pronto ad affrontare tutto
questo insieme a me mi dico da sola.
Non mi conosce, non abbiamo ancora stabilito nemmeno
un rapporto. Come dovremmo definire quello che c’è
tra di noi? Se solo penso alla
tragicità della situazione mi viene da ridere, non posso
fare altro.
Lui ed io non siamo
niente. Lui ed io non abbiamo
niente.
Carlisle, Esme, Edward e Alice hanno la loro
famiglia. Ora Edward ha anche Sophie. Alice ha il suo bambino. Esme e
Carlisle
hanno recuperato il rapporto con i figli. Sophie ha ritrovato suo padre.
Ed io? Quando avrò
qualcosa anche io?
Speravo almeno di avere più tempo.
Lo ammetto: avrei voluto convincere Edward a trasferirsi
a casa nostra.
Evidentemente non sarà oggi, ed evidentemente
nemmeno domani.
Ingoio
il
rospo…
Scaccio una lacrima solitaria dalla
guancia, prendo
un bel respiro e mi avvicino al suo letto.
...e,
silenziosa,
aspetto il mio turno.
Bene… quante di voi,
al posto di Bella, avrebbero reagito
allo stesso modo? Mi è venuto automatico pensare che lei lo
rivolesse a casa.
Grazie! Grazie delle recensioni
allo scorso capitolo e
scusate se non vi ho risposto, sarei da prendere a bastonate, ma farlo
ora non
sarebbe giusto nei vostri confronti. Grazie, perché
continuate a seguirmi. Se
avete letto il capitolo significa che la storia vi interessa ancora.
Nonostante
i lunghi tempi di pubblicazione ho tutta l’intenzione di
concluderla, perciò
non disperate.
Sono pessima lo so! Vi ho già fatto aspettare abbastanza quindi vi lascio a capitolo.
Il mio regalo di San Velentino per voi ♥
"Per quanto tempo è per sempre?"
"A volte, solo un secondo."
- L. Carroll.
Alice in Wonderland
Capitolo 13
-Mamma! -
Sospiro e chiudo gli occhi all’ennesimo richiamo di mia figlia.
Mi rendo conto di quanto sia stupida quando lancio un’occhiata al
letto alle mie spalle dove giace metà del mio guardaroba: sono
ormai tre quarti d’ora che sono chiusa nella mia stanza a
guardare l’armadio nell’attesa di trovare il vestito giusto
da indossare. Stupidamente spero che salti fuori e urli: “eccomi, sono quello giusto”.
Quando ne trovo uno lo tiro fuori, lo infilo, mi guardo allo specchio,
mi ripeto nella testa quanto sono sexy un paio di volte, ma poi
frustrata lo sfilo con rabbia e mi dico che non ho nessuno per cui
apparire sexy. Stupida. Stupida e patetica.
Edward mi considera solo un’amica al momento, o peggio ancora,
una conoscente, niente di più. Questa consapevolezza mi ha
portata un paio di volte sulla soglia del pianto. Vorrei dare la colpa
agli ormoni ma la verità è che non posso prendermela con
il mio ciclo se amo follemente un uomo che non si ricorda di me. Se lo
desidero con tutta me stessa senza nemmeno poterglielo dire. Se in
questo momento è a casa con i suoi genitori e ci sta aspettando
per festeggiare insieme il Ringraziamento.
-Mamma! Sono stufa di aspettare! Voglio andare da papà-
Ho costretto Sophie ad essere pronta per le 10:30 e poverina mi sta
aspettando da quasi un’ora sul divano. Ho inserito nel lettore
dvd “La Sirenetta”; sento Sebastian cantare sin da qui
“In fondo al mar” ma nemmeno questo è riuscita a
calmarla.
La sua impazienza e la mia viaggiano su due binari opposti oggi.
Lei non vede l’ora di starsene stretta tra le braccia del padre
io invece rimanderei il nostro incontro a data da destinarsi.
Questo, perché ho avuto così poco tempo per abituarmi
all’idea che lui, in realtà, non ha affatto bisogno di me.
Avevo proposto a Esme di fare due pranzi separati: la famiglia Cullen
avrebbe festeggiato con Sophie ed io sarei andata da mio padre per non
lasciarlo solo.
Edward, che ha assistito alla nostra conversazione, si è mostrato indifferente ed Esme a quel punto ha urlato indignata. “Non se ne parla! Tu passerai
il Ringraziamento con noi e verrà anche tuo padre. Ho il suo
numero, lo chiamo subito”. Stranamente, rispetto agli anni
passati, mio padre ha accettato più che volentieri e
così, mi ritrovo a dover partecipare alla Festa del
Ringraziamento con tutta la famiglia riunita. Il che non ha senso, se
consideriamo che io e Edward siamo divorziati e che mio padre non
dovrebbe più essere affare loro.
Mi domando che fine abbiano fatto le raccomandazioni che, sia Esme che
Carlisle, ci hanno imposto in Ospedale. Non dovevamo evitare a Edward
qualsiasi tipo di stress? Non dovevamo trattarlo con i guanti gialli
fino alla sua totale guarigione?
Comunque, all’ennesimo richiamo di mia figlia, decido di farla finita.
Diamine, non sono un’adolescente in preda alla prima cotta!
Così, dopo averne provati una decina, acchiappo dal mucchio sul
mio letto il primo vestito che avevo scelto: verde petrolio, con
scollatura rotonda e maniche lunghe, aderente fino al ginocchio con
cintura beige in vita e scarpe dello stesso colore.
Do una spazzolata ai capelli e metto giusto un filo di trucco per
mascherare un po’ i segni della notte passata a rigirarmi nel
letto.
Raggiungo Sophie e per poco non scoppio a ridere nel trovarla appesa alla spalliera del divano; sembra una scimmietta.
-Sophie! - la sgrido bonariamente – hai sgualcito tutto il
vestito. E guarda i capelli! Che fine ha fatto il ferrettino? - una
cascata di capelli rossi le copre gli occhi e la sua faccia è
così buffa che non riesco davvero a trattenere le risate.
-Mami, tu non arrivavi più-
-Lo so amore, scusami. Tua madre è davvero una stupida. Su,
aiutami a trovare il fermaglio e andiamo via. Papà ci sta
aspettando-
**********
Arriviamo a casa dei Cullen intorno alle 12:00. Nel parcheggio riservato c’è già la macchina di mio padre.
-Hai visto? Nonno Charlie è già arrivato- dico a Sophie,
ma mi ritrovo a parlare da sola visto che ha già raggiunto
l’ascensore e aspetta me per salire su.
-Tutta suo padre…- commento tra i denti.
Era un vizio di Edward lasciarmi a borbottare da sola quando
litigavamo. Passavano minuti prima che mi accorgessi della sua assenza
e il più delle volte, quando mi giravo a cercarlo, lo trovavo a
fissarmi a braccia conserte e con il sorriso sulle labbra.
“Ti odio quando fai così” gli dicevo sempre e lui
per tutta risposta mi prendeva in giro dicendomi “stai
peggiorando Swan, ci hai messo più delle altre volte”.
Farei di tutto per riavere indietro anche le nostre litigate.
In ascensore Sophie non riesce a stare calma: sembra un grillo in preda ad una crisi isterica.
-Smettila, ti farai male se continui a saltare così- la
rimprovero ma lei nemmeno mi sta a sentire -bene, valgo così
poco come madre? - lei mi risponde con un sorriso e mi tira il braccio
per farmi abbassare e lasciarmi un bacio sulla guancia. “Dio, quanto ti amo” penso mentre le porte si aprono con un dlin.
-Ben arrivata cara- mi saluta con un sorriso Mrs. Truman – Felice Ringraziamento-
Sophie nemmeno si preoccupa di salutarla troppo impegnata a correre
incontro a Edward fermo sotto l’arco, sulla soglia del corridoio,
a sorreggerlo una stampella d’acciaio.
-Papà! -
-Ciao Principessa- dice mentre sua figlia cerca di arrampicarglisi su
per la gamba buona. Le accarezza i capelli mentre mi rivolge un saluto.
-I cappotti Bella- la voce di Mrs. Truman mi riporta alla
realtà. Le consegno i soprabiti che lei appende con cura nella
cabina accanto all’ingresso e non posso fare a meno di pensare
all’incontro segreto che ho avuto con il mio Edward nello stesso
guardaroba, nemmeno un mese fa.
-Ciao Bella- mi saluta quest’ultimo facendomi tremare le ginocchia. “Dio, amo follemente anche te”
-Sophie non provarci nemmeno, tuo padre non sta ancora bene- la
acchiappo prima che possa fargli male e la riporto a terra –
andiamo a salutare i nonni e la zia, su-
Mentre lei si avvia Edward mi blocca per augurami un Felice Ringraziamento
-Grazie, Felice Ringraziamento anche a te. Avrai molto per cui ringraziare, dico bene? -
-Beh sì, giusto un paio di cose- ci incamminiamo insieme verso
il salotto ma con Edward per metà zoppo ci mettiamo più
tempo del previsto. Vorrei chiedergli se ha bisogno di una mano ma tra
di noi cala una sorta di silenzio imbarazzante interrotto solo dallo
stridio della gomma della stampella sul parquet, eppure non posso fare
a meno di notare con la coda dell’occhio Edward lanciarmi sguardi
furtivi.
-Qualcosa non va? - mi chiede all’improvviso arrestandosi in corridoio.
-No, perché? - la sua domanda mi spiazza un po’.
-Ti sento più distante. Ho fatto qualcosa di sbagliato? - Alla faccia della sincerità,
penso – ma no, tranquillo. Non ho dormito molto bene stanotte-
non posso mica dirgli che mi sono rigirata nel letto perché sono
rimasta delusa dalla sua decisione di tornare a vivere a casa dei suoi.
Mica posso dirgli che la sua indifferenza mi ha ferita come non mi sarei mai aspettata.
Mica posso dirgli che ho una voglia matta di mettermi a piangere e che nemmeno io so il perché.
-Come mai? –
-Mmmh beh… non che siano affari tuoi- gli dico con un sorriso sulle labbra. E ora cosa mi invento? – ma un po’ di mal di pancia mi ha tenuta sveglia tutta la notte-
Mi guarda ancora come se non parlassimo la stessa lingua.
-Ho il ciclo, ecco tutto! – sbotto alzando gli occhi al cielo.
-Pensa un po’. Per un momento mi è passato per la testa
che non volessi essere qui, oggi- mi rivolge uno sguardo di sufficienza.
-Come, scusa? -
-Nulla, avrò sicuramene frainteso- non aspetta che gli risponda,
riprende a camminare mentre fisso imbambolata la sua schiena
allontanarsi sempre di più. Come diavolo avrà fatto a capire?
Sì, è vero, ho qualcosa che non va, ma non pensavo lo notasse, né tanto meno che gli importasse qualcosa. Sembra… “offeso”
Sospiro frustrata, non è questo lo spirito che volevo avere per
questa giornata, anche io, dopotutto, ho molto per cui ringraziare.
Ammetto con me stessa che mi sto comportando come una ragazzina e
raggiungo gli altri in salotto; sul mio viso, un sorriso che ha poco di
autentico, ma che spero cambi nel corso della giornata.
Esme mi offre subito da bere mentre gli altri si avvicinano per augurarmi un buon Ringraziamento.
Mi siedo sul divano accanto a mio padre mentre osservo Edward e Sophie
intrattenere una conversazione sul perché oggi sia un giorno da
festeggiare.
Edward, spalleggiato da Alice, comincia a raccontarle la storia dei
Padri Pellegrini e dei nativi americani eccetera eccetera, mentre lei
gli racconta dei bei lavoretti che ha fatto a scuola.
-Sembra divertirsi, non trovi? - mi sussurra mio padre all’orecchio.
-Sai quanto sia ciarliera tua nipote- rispondo con un sorrisino divertito sulle labbra.
-Non parlo di Sophie, mi riferisco a Edward. Lo vedo tranquillo. Se non
sapessi quello che ha passato giurerei di trovarmi di fronte
l’Edward di sempre- già è vero. Se qualcuno non
sapesse del suo incidente non potrebbe mai dire di trovarsi davanti a
un Edward diverso.
-Beh, lo conosci, lui ha sempre avuto la capacità innata di
trovarsi bene con chiunque. E viceversa, riesce a mettere a proprio
agio qualunque persona si trovi a parlare con lui. Cosa ti ha detto
quando sei arrivato? -
- Sapeva che ci sarei stato anche io quindi avrà avuto tutto il
tempo di abituarsi all’idea, ma per lui sono un estraneo, pur
rimanendo sempre tuo padre e il nonno di Sophie. Comunque l’ho
trovato molto tranquillo, pensa che mi ha addirittura chiesto scusa
perché non si ricorda di me- le ultime parole gli sfuggono dalla
bocca con un sorriso.
-Ha chiesto scusa anche me. È stata la prima cosa che mi ha
detto quando ci siamo visti in ospedale dopo il suo risveglio-
-Sai quanto me però che dentro sta soffrendo molto-
Stringo la mano sinistra libera dal bicchiere sul ginocchio e sospiro dispiaciuta.
-Sì, lo so- o almeno lo immagino.
Sorseggiamo il nostro aperitivo mentre la signora Truman dispone sulla
tavola ben imbandita a festa i manicaretti che ha cucinato con tanta
cura. Sophie getta un urletto quando vede entrare nella stanza Larry,
il cameriere, con un enorme vassoio in mano e un grosso tacchino al
centro: il piatto principale che non può mancare in nessun
pranzo nel Giorno del Ringraziamento.
Sulla tavola ci sono già le pannocchie arrostite e le patate
dolci, più tante ciotole sparse qua e là contenenti la
Gravy e la salsa di mirtilli rossi.
Carlisle si alza per primo e ci invita a sederci a tavola.
Io prendo posto accanto a mio padre e a Sophie che, naturalmente, si
è seduta accanto a Edward. I calici di cristallo vengono
immediatamente riempiti con del vino rosso dal solerte Larry mentre
Carlisle si schiarisce la voce per attirare l’attenzione.
-Grazie per essere venuti- comincia alzando il bicchiere di vino appena
riempito – è una gioia vedervi tutti riuniti intorno a
questo tavolo. Soprattutto perché, viste le ultime vicende,
abbiamo molto per cui ringraziare- Edward abbassa gli occhi per
sorridere a Sophie e lancia uno sguardo anche alla sottoscritta. Io non
posso fare altro che ricambiare.
-Edward- dice Carlisle rivolgendosi al figlio – a te la parola-
-Papà…- Edward si schiarisce la voce un po’ emozionata e poi, molto spontaneamente, comincia a parlare.
-Bene, da dove cominciare se non col dirvi grazie per essere qui? Un
uomo nelle mie condizioni deve rivolgere il suo grazie più
sentito a Dio ovviamente, ma io, il mio grazie più sentito
voglio rivolgerlo a voi- ci guarda tutti, uno per uno- per esserci ora,
ma soprattutto per esserci stati nel momento in cui ho avuto più
bisogno.
Mamma, papà, senza di voi non ce l’avrei mai fatta-
Carlisle allunga un fazzoletto di stoffa alla moglie per pulirsi le
lacrime mentre io cerco di trattenere le mie- quando mi sono svegliato
e ho capito quello che era successo… credo che sarei impazzito
se non vi avessi avuto al mio fianco. Lo stesso vale per te –
punta l’indice verso la sorella – Alice, grazie. Mi hai
fatto trovare la forza di rialzarmi proprio quando la notizia di Mike
mi aveva messo ko- Alice abbassa la testa come imbarazzata ma io so che
si sta guardando la pancia. Il ringraziamento di Edward infatti
è un chiaro riferimento alla gravidanza, ma questo lo capiamo
solo io e lei- grazie a Jasper e a Charlie per essere qui, mi dispiace
immensamente non ricordarmi di voi. Ma soprattutto devo dire grazie a
te, Bella- si volta verso di me ed io sento i brividi corrermi lungo la
schiena- grazie per aver avuto il coraggio di fare quello che avrei
dovuto fare io- con una mano accarezza i capelli ramati di Sophie ed io
penso che tra qualche secondo mi metterò a singhiozzare come una
bambina. La diga che ho costruito da quando ho aperto gli occhi
stamattina rischia pericolosamente di rompere gli argini.
-Grazie per essermi stata accanto tutti i giorni e per avermi aiutato, tassello dopo tassello, a ricostruire la mia vita-
*****
La torta di zucca della signora Truman è il paradiso dei dolci,
accompagnata da una pallina di gelato alla vaniglia poi, diventa divina!
Dopo i tradizionali ringraziamenti abbiamo passato i successivi
sessanta minuti ad ingozzarci come maiali, tanto che sto valutando se
correre in bagno ad allentare il buco alla cintura.
-Penso che tra poco scoppierò – sbuffo mandando giù
l’ultimo boccone di torta, Edward al mio fianco mi guarda
divertito mentre si concede un’altra fetta. Sophie ha alzato
bandiera bianca dopo dieci minuti per correre in cucina a pasticciare
come suo solito lasciando quindi il posto in mezzo a noi vuoto. Non ci
sono voluti più di dieci secondi prima che venisse occupato da
lui.
È stato difficile non soffocare ogni volta che il suo braccio sfiorava il mio e viceversa.
-Tu invece sei alla terza fetta di torta? - lo guardo stupita e sbalordita.
-Sarà che in ospedale non ho fatto altro che mangiare cose salutari e con pochi grassi, ma io ho una fame da lupi-
-E si vede! Non hai paura di sentirti male? - per tutta risposta accosta alla torta un’enorme palla di gelato.
Mi metto a ridere sentendo la torta che ho appena ingollato gorgogliare nello stomaco.
-A proposito, grazie-
-E per cosa? - lo guardo distratta mentre mi accorgo che siamo rimasti
soli a parlare, gli altri si sono diretti verso l’angolo bar del
salone.
-Per quello che hai detto prima-
Non so dove abbia trovato la forza per parlare dopo il discorso di mio
padre, che mi ha fatto versare più di qualche lacrima, eppure ce
l’ho fatta. Ho preso il mio bicchiere di vino in mano e dopo un
bel respiro e aver ricacciato dentro il magone ho detto semplicemente... -Io sono… felice. Davvero non
posso che riassumere in questo modo il mio stato d’animo in
questo giorno speciale. Ci tengo a ringraziare ognuno di voi
perché rendete più bella la mia vita. Papà, mi hai fatto piangere e
sono sincera, forse il mio grazie più sentito va a te.
Perché sei di nuovo il padre a cui ho voluto tanto bene e non so
esprimerti a parole quello che sei per me. Voi siete la mia famiglia,
anche se non più legalmente, ma io vi considero ancora tale.
Prima eravamo solo io e Sophie, ora siamo di nuovo tutti insieme e di
questo dobbiamo ringraziare Edward, per l’affetto che ci tiene
legati a lui. Ringrazio Dio per avergli dato la possibilità di
essere qui con noi oggi, non mi stancherò mai di ripeterlo, non
so come avremmo fatto ad andare avanti senza di lui-
-Non devi- gli dico tornando con la mente al presente – è
la verità. Tu sei l’ingrediente speciale che ci tiene
uniti-
-Mm, ingrediente speciale eh? Nessuno mi aveva mai definito
così, almeno per quello che ricordo, la mia memoria fa cilecca
ultimamente- ridiamo insieme alla sua battuta anche se so quanto sia
difficile per lui accettare le sue condizioni- comunque, cosa sarei
sentiamo? -
-Cosa? - gli chiedo non capendo l’allusione.
-Mi hai definito “ingrediente speciale” cosa sarei in
questo caso: del bacon? Della panna acida? Un carciofo? – deve
alzare la voce per farsi sentire sopra la mia risata. Amo vederlo
così spensierato e non riesco a nasconderlo, così sto al
gioco.
-Tu sei… sei un uovo! -
-Un uovo? -
-Sì, un uovo- penso a quello che sto per dirgli e a quanto
potrei sembrargli una stupida, ma è la prima volta da quando si
è svegliato che parliamo come se l’incidente non ci fosse
mai stato, come se gli ultimi sei anni non fossero mai scomparsi dalla
sua mente. Per la prima volta sento di poter essere me stessa senza la
paura di dire qualcosa di sbagliato.
-Vediamo… l’uovo è il legante per eccellenza e non
può essere sostituito facilmente a differenza di altri
ingredienti. Se una ricetta prevede l’utilizzo dell’uovo
è impossibile avvalersi di un altro ingrediente che lo
rimpiazzi. L’uovo è ricco di proteine e di altre sostanze
che fanno bene all’organismo così come tu arricchisci di
buono le nostre vite. L’uovo ha un involucro liscio e perfetto ma
è anche molto fragile, e anche tu lo sei. Fragile intendo per
quanto non posso negare che sei l’uovo più bello che ho
mai visto- distolgo lo sguardo per nascondere il rossore alle guance.
Cosa mi sta succedendo, dovrei darmi una calmata. Sentirmi finalmente a
mio agio con lui mi dà il diritto di provarci? - Però sei
anche forte – mi riprendo dall’imbarazzo ma lui mi
interrompe avvicinandosi pericolosamente alla mia faccia.
-Tu invece sei come la cioccolata- arrossisco dall’attaccatura
dei capelli fino alla punta dei piedi, guardo la torta che
c’è nel suo piatto e il gelato quasi completamente sciolto
ad affogarla, penso di stare anche io lì lì per affogare;
spero che non se ne accorga.
-I tuoi occhi e i tuoi capelli sono come la cioccolata- prende una
ciocca e se la rigira tra le dita prima di lasciarla andare- sai essere
dolce come una cioccolata calda e amara come la polvere di cacao- pendo
dalle sue labbra, non riesco a staccarmi o a pensare ad altro. Siamo in
una bolla isolata, il resto del mondo l’ho quasi dimenticato
– mi metti di buon umore e vorrei dirti, senza sembrarti uno
squilibrato, che muoio dalla voglia di assaggiarti. Come se ne
dipendesse della mia vita-
Un attimo! Non sono sicura di avere sentito bene ma il mio cuore
rischia di esplodermi nel petto e le mani cominciano a formicolare
dall’emozione. La fitta allo stomaco si trasforma in un
fuocherello e ho paura possa esplodere da un momento all’altro se
non mi allontano. Penso a quanto questa situazione sia irreale ma poi
mi rendo conto che la prima volta ci sono bastati solo quattordici
giorni per perdere la testa l’una per l’altro e decidere
che sarebbe diventato l’uomo della mia vita, ora dopo soli
ventiquattro giorni siamo di nuovo punto e a capo.
Stamattina mi sono svegliata con la convinzione che per lui sono solo
una conoscente e ora mi confessa che prova qualcosa per me?
Allora perché si è dimostrato freddo quando sua madre mi
ha invitato a passare il Ringraziamento a casa loro? Perché ora
reagisce così? Continuo a ripetermi che non è possibile
mentre né io né lui muoviamo un solo millimetro nella
direzione dell’altro. C’è attrazione tra di noi, la
sento chiara e indistinta; potrei tagliarla con un coltello. Eppure
rimaniamo immobili a studiarci e a mangiarci con gli occhi.
La nostra bolla si infrange quando Sophie corre dalla cucina urlando
perché, neanche a farlo a posta, si è macchiata tutto il
vestitino di cioccolata.
Entrambi ci allontaniamo con il fiato corto, come se avessimo scalato
una montagna nel frattempo. A Edward spunta un sorrisino malizioso
sulle labbra quando vede la macchia scura sul vestitino candido di
Sophie. Per non rischiare di prendere fuoco, mi alzo di scatto e vado
verso la mia bambina, come un automa la prendo e la porto in bagno per
cercare di salvare il salvabile.
-Mami quando andiamo a vedere la parata? -
La tradizionale parata del Giorno del Ringraziamento organizzata dai
grandi magazzini Macy's è diventata parte della nostra
tradizione di famiglia. Sophie impazzisce per i giganteschi pupazzi e
palloni gonfiabili che volteggiano nell'aria con le sembianze dei
personaggi dei cartoons e dei fumetti. Sfilano per le strade insieme a
clowns, bande musicali e personaggi famosi che si esibiscono per
l’occasione. La parata viene anche trasmessa in diretta nazionale
dalla NBC, ma Sophie mi ucciderebbe se non la portassi personalmente a
vederla. Così con circa 3,5 milioni di persone lungo le strade
di Manhattan a scoraggiarmi ogni volta non posso fare altro che
accontentarla. In genere la portavo io e Edward ci raggiungeva per
poter stare anche solo qualche minuto in sua compagnia, oggi
dovrò accontentarmi di andarci da sola.
Alla luce di questo approfitto del fatto che è mezza nuda sul divanetto in bagno per imbottirla con abiti pesanti.
-Se mi prometti che non combini altri guai, ti porto subito, altrimenti ce ne torniamo a casa signorina-
-Ma mamma! -
-Niente “ma mamma” Sophie. Quante volte devo ricordarti che
giocare in cucina può essere pericoloso? Ora ti è caduta
addosso la cioccolata e se avessi afferrato una pentola di acqua calda?
O di olio bollente? -
Sul suo visino mortificato spunta subito il labbro tremolante e gli
occhietti le si abbassano per evitare di guardarmi. Odio sgridarla, ma
quando è necessario non ci sono alternative e non posso nemmeno
prendermela con Mrs Truman, indaffarata com’è a mandare
avanti la cucina.
-Sophie, non fare così. Io lo dico perché ti voglio bene
e perché mi preoccupo per te. Non voglio che ti faccia male, mi
prometti che starai più attenta? -
-Sì- risponde dopo un po’ dispiaciuta.
-Okay, allora finisco di vestirti e andiamo alla Parata- si rianima all'istante e mi abbraccia forte in segno di gratitudine.
-Lo diciamo anche a papà vero mami? – mi blocco senza
sapere esattamente cosa dirle. Mi tornano in mente le immagini di poco
fa e non posso evitare di sentire un formicolio nello stomaco.
-Non lo so Sophie, non riesce a camminare bene hai visto, non vorrei che si affaticasse e poi si ammalasse-
-Dio, non dirmi che mi hai scambiato per un vecchio? – non faccio
nemmeno in tempo a finire di parlare che Edward compare sulla soglia
del bagno.
-No… non volevo dire questo, è che tu…-
-Sì, lo so cosa volevi dire- quando si avvicina sento il
formicolio allo stomaco farsi più insistente – ma non
avrei problemi a venire, certo se avete piacere che io venga-
-Sììì papi! Vieni anche tu, vieni anche tu, vieni
anche tu! Vero mami che può venire anche papà? –
-Certo- dico riprendendo a vestire Sophie – naturale che può venire anche lui, se se la sente…-
-Me la sento- risponde la sua voce dall’alto.
-È deciso allora-
*********
Arriviamo in Herald Square che la parata è quasi terminata; facciamo in tempo a vedere l’arrivo di Babbo Natale.
Sophie getta un urletto eccitato alla vista del panciuto Signore
vestito di rosso. Devo sporgermi più che posso per farle vedere
più cose possibili ma il mio metro e sessantacinque è un
po’ limitato. Edward al nostro fianco insiste perché
sia lui a prenderla in braccio per farla stare più in alto.
-Ma no, non ce la fai con una gamba sola, ti affaticherai- ribatto mentre nostra figlia allunga le braccia per essere presa.
-Ce la faccio Bella, non preoccuparti. Solo sorreggimi sul fianco-
Sophie si accoccola immediatamente tra le sue braccia infischiandosene
di tutte le mie proteste. Alla fine ci rinuncio e mi metto sul lato
destro di Edward per sostenerlo il più possibile. Non voglio che
sforzi troppo la gamba, ragion per cui gli dico di mettere Sophie sul
braccio vicino al mio in modo da poterla sorreggere entrambi.
Mi accorgo troppo tardi che in questa posizione è come se ci
stessimo abbracciando. Il calore che emana la sua mano avvinghiata
sulla mia spalla mi fa sentire subito il cuore in gola e allo stesso
tempo mi fa sentire bene. Ripenso a quello che è successo a casa
dei suoi e nella mia testa si forma il caos.
Rifletto sulla conversazione avuta ieri, a quanto la sua indifferenza
mi abbia ferita mentre le immagini di noi due quasi pronti a saltarci
addosso durante il pranzo del Ringraziamento si accavallano sulle
prime. Mi viene da chiedermi a che gioco sta giocando. No, non sta giocando mi rispondo subito, è soltanto confuso.
Tutto quello che sta vivendo non è affatto facile. Per questo sembra che abbia l’umore impazzito di una donna incinta?
Guardo il suo profilo mentre parla con Sophie e mi fa male il cuore per
quanto è bello. Sembra la tipica frase da romanzo rosa lo so, ma
mi sento ribollire il sangue nelle vene quando lo guardo, quando penso
a quello che provo per lui.
Edward abbassa gli occhi per un istante, un istante solo, e mi trova a fissarlo.
Un instante che sembra durare una vita.
Un istante in cui i nostri occhi si incollano e tutto il resto scompare.
Mi sento avvampare ma non mi importa nulla, mi importa solo di noi.
Se non ha capito ora quello che provo per lui allora non so come farglielo capire.
Sophie starnutisce sonoramente e mi fa ripiombare con i piedi per terra
in maniera così violenta che ho quasi difficoltà a
respirare regolarmente.
Prendo subito un fazzoletto dalla borsa e le pulisco il nasino. Mi
rendo conto che si gela e forse il maglioncino di lana che le ho messo
non è abbastanza caldo visto che ci sono sì e no 4 gradi.
Mi faccio prendere dalla paranoia ma non vorrei che le tornasse la
febbre visto che le è passata da poco. Edward sembra intuire i
miei pensieri, come se fare il padre fosse naturale quanto respirare
per uno che ha perso la memoria e non si ricorda assolutamente nulla di
come si faccia il padre, in realtà.
-Forse è meglio se andiamo a casa che ne dici? -
-Sì, hai ragione, fa troppo freddo- ho i piedi gelati nelle
decolté e non è esattamente il massimo del confort.
Sophie protesta ma Edward lascia che la prenda tra le braccia e insieme
ci dirigiamo verso l’auto. Visto che ho dovuto parcheggiare a un
isolato di distanza dico a Edward di aspettarmi su una panchina per non
farlo affaticare troppo; certe volte dimentica che è uscito solo
ieri dall’ospedale!
Sophie insiste per stare con lui così corro a recuperare la macchina.
Ci metto più tempo del previsto ad arrivare con tutte le guardie
a dirigere il traffico e che ti mandano da una strada all’altra
per via delle interruzioni.
Accosto al marciapiede, beccandomi l’insulto della macchina dietro la mia, e faccio salire entrambi.
Il riscaldamento dona subito un colorito rosato alla loro pelle gelata.
-Scusate se ci ho messo così tanto, ma il traffico è in tilt-
-Non preoccuparti- dice Edward mettendo le mani a coppa sul viso e soffiandoci del calore.
-A proposito… mi sa che la Lexington è bloccata, dobbiamo
andare avanti sulla 1st Avenue e tornare indietro per riportarti a
casa. Allungheremo un po’ ma non fa niente-
-E se invece venissi da voi? -
Sophie sul sedile posteriore getta un urlo spaccatimpani – sì papà, vieni a casa con noi! -
Edward mi rivolge un sorriso bellissimo.
-Okay, andiamo-
-Giuro che non c’ho mai messo tanto ad arrivare a casa- sbuffo
quando spengo il motore della macchina nel garage coperto, sotto il
palazzo in cui abito –un’ora! –
-Dai è normale, la città è in subbuglio-
-Non lo è sempre? - non a caso la chiamano la Città che non dorme mai.
Ci voltiamo entrambi nello stesso momento a guardare Sophie. Si
è addormentata da circa mezz’ora e ora è
rannicchiata sul sedile coperta dal mio cappotto.
-È esausta- sussurra Edward vicinissimo al mio orecchio.
-Mi dispiace che si sia addormentata, ti abbiamo fatto venire fin qui per nulla-
-Non dire sciocchezze, sono felice di essere venuto. Dai andiamo…- si blocca mentre scende dall’auto.
Sono quasi sicura che stesse per dire “a casa”. Dai andiamo a casa…
Il mio cuore fa una capriola nel petto.
Scendo anche io e apro lo sportello posteriore per prendere Sophie in
braccio. La afferro delicatamente sotto le ascelle e la adagio sulla
mia spalla; non vorrei svegliarla, dorme così serena.
Con l’ascensore del garage saliamo fino al piano terra e poi
usciamo per prendere il secondo che ci porterà
all’appartamento.
Per tutto il tragitto non ho fatto che avere un martello pneumatico al
posto del cuore. Sono così agitata all’idea di avere
Edward finalmente a casa.
Una volta sul pianerottolo apro la porta con una manovra degna di un prestigiatore e in men che non si dica siamo dentro.
Suggerisco a Edward di mettersi comodo e corro subito a stendere Sophie
sul suo lettino. La adagio sul materasso mentre mi accorgo di quanto
sia calda.
In un nanosecondo afferro il termometro dalla cesta rosa sul comò e le misuro la temperatura.
-“37.8” non ci voleva. Povera cucciola- le accarezzo i
capelli e la lascio dormire un altro po’. Aspetterò che
salga fino a 38 per darle le gocce di antipiretico.
Torno in soggiorno e trovo Edward concentrato a fissare una foto di noi
tre insieme. Erano rare le volte in cui ci facevamo scattare delle foto
insieme io e lui ma questa con Sophie è davvero meravigliosa.
Siamo nel giardino della Villa di Riverbank, dietro di noi
l’Hudson risplende sotto i raggi del sole. Ridiamo tutti e tre in
maniera così spontanea che sembriamo davvero una famiglia felice.
Mi si stringe un nodo in gola al pensiero di quello che avevamo prima.
Nonostante non andassimo d’accordo era preferibile rispetto alla
consapevolezza di non fare più parte dei ricordi di Edward.
Mi fa quasi male respirare, ma mi avvicino al divano e mi siedo accanto a lui.
-Eravamo felici qui, non è vero? - mi chiede cupo.
-Sì, molto, o almeno in quel momento-
-Quando è stata scattata questa foto? -
-Quasi un anno fa-
-Siamo alla villa di Riverbank? Riconosco quella fila di alberi laggiù- indica con un dito un filare di pioppi.
-Si, era durante il compleanno di tua madre-
Accarezza ancora qualche secondo la foto e poi la poggia sul tavolino davanti a noi.
-Riesci a ricordare qualcosa? - gli chiedo nervosa.
-No, nulla- risponde mortificato.
Rimaniamo in silenzio per un po’; il tempo scandito dal ticchettio delle lancette.
-Preparo un Tè, mi tieni compagnia? -
-Molto volentieri-
Lo porto in cucina e lo faccio sedere al tavolo. Riempio il bollitore e
accendo il fuoco. Faccio tutto molto silenziosamente mentre sento due
occhi perforarmi la schiena.
Poi mi ricordo della febbre di Sophie.
-Oh, Sophie ha un po’ di febbre-
-Lo immaginavo, le ho visto gli occhietti rossi e lucidi quando eravamo alla Parata-
-È incredibile sai? -
-Cosa? -
-Che tu sia così bravo a fare il padre quando in realtà non ricordi nulla di come si faccia-
-Penso che sia una cosa innata, come per le donne-
-Mm forse hai ragione…-
Preparo due tazze con due filtri di Tè e le porto al tavolo.
-Tu invece sei bravissima - dice fissandosi le mani che giocherellano con il filo del filtro.
-Non è vero, sono solo una mamma come le altre-
-Io non credo sai? Sei perfetta con Sophie. Ho visto come la educhi e
come cerchi di insegnarle le cose importanti anche se è ancora
così piccola. Nostra figlia è una bambina meravigliosa e
questo è merito tuo- mi si riempie il petto di orgoglio a
sentirlo parlare in questo modo, specialmente alla parola “nostra”, ma il merito non è tutto mio.
-Non è solo merito mio, tutto quello che vedi in lei lo abbiamo costruito insieme. Eri… sei-
mi correggo - un padre magnifico. Stai facendo un ottimo lavoro con
Sophie. Non deve essere facile, hai avuto pochissimi giorni per
abituarti all’idea–
-È vero, ma lei spazza via tutte le mie incertezze. È
come se nel profondo, qui dentro- si porta una mano al petto- sento che
farei qualsiasi cosa per lei-
Il fischio del bollitore ci interrompe ma ho tutto il tempo di pensare
a quello che ha appena detto e mi domando: perché se sente tutto
questo trasporto nei suoi confronti non mi ha chiesto di venire a stare
da noi? Anche per pochi giorni, solo per vedere come si sarebbe trovato.
La mia bocca, che non ha mai imparato a starsene zitta, ignora completamente le mie volontà e agisce per conto proprio.
-Allora non ti allontanare. Se devo essere sincera…- mi
interrompo e con la gradazione di rosso più accesa che si sia
mai vista sulle mie guance, mi avvicino al tavolo e verso l’acqua
calda in entrambe le tazze.
-Bella?-
-Non so se parlartene- ci vado cauta questa volta.
-Devi, per favore Bella, voglio che tu sia sincera con me. Non sopporto di essere trattato come un bambino-
Ha ragione, l’Edward che conoscevo non avrebbe mai accettato un comportamento simile.
-Mi aspettavo che venissi a stare da noi- dico tutto d’un fiato - dopo che hai conosciuto Sophie intendo-
-Ah…-
-Non voglio farti pressioni ma vorrei sapere se almeno c’hai pensato-
-Certo che l’ho fatto- rivela con impeto - da quando mi sono
risvegliato ho potuto contare sempre su di te, nonostante non ti
conoscessi ho sentito sin da subito una legame tra noi due. Poi mi hai
rivelato di Sophie e credimi, per quanto mi sembrasse strano, ho
veramente pensato a come poteva essere la mia vita con voi due.
Perciò sì, c’ho pensato-
-Eppure…-
-No, non dirlo. So che stai per dire “eppure sei andato a casa con i tuoi” come se fosse una colpa. Non potevo semplicemente venire a vivere qua. Non con tutto il caos che avevo in testa-
Non mi sfugge il tempo al passato.
Mescolo il mio Tè e lo porto alla bocca cercando di prendere qualche minuto prima di rispondergli.
-La tua indifferenza mi manda fuori di testa! –
-Come, scusa? – per poco non soffoco mentre deglutisco.
-Non so cosa pensare. Un momento mi fai capire una cosa e quello dopo me ne fai capire un’altra-
Per quanto vorrei mettermi a urlare indignata mi impongo di stare calma e di ascoltare quello che ha da dirmi.
-Io non sono indifferente- se solo sapessi quanto ti amo non lo penseresti affatto.
-E allora perché non mi parli e non dici quello che pensi? –
-Vuoi la verità? – dico agitandomi un po’.
-Sì, ti sto chiedendo di essere sincera con me-
-Avrei voluto che venissi a vivere qui con noi. Avrei voluto che
chiedessi a me di aiutarti a riprendere in mano la tua vita, a
ricostruire un passato che non ti ricordi e ad andare avanti- mi
interrompo per deglutire e per calmare un po’ i battiti cardiaci
– con me e con nostra figlia-
- Anche io voglio tutto questo, Bella. Lo voglio in maniera così
forte che nemmeno io so spiegarmi il perché- mi afferra la mano
e nel momento in cui la mia pelle viene a contatto con la sua una
scarica di elettricità si propaga per tutto il mio corpo; dal
collo, per tutta la spina dorsale e giù fino ai piedi.
Vado a controllare Sophie per vedere se la febbre è salita o
meno ma in realtà ho solo bisogno di allontanarmi un attimo
dalla cucina.
Edward mi ha guardata in maniera così intensa che sarebbero bastati pochissimi secondi e entrambi avremmo preso fuoco.
Ed io so che non è ancora pronto, nessuno di noi due lo è.
La temperatura di Sophie è salita ancora; aspetterò dopo cena per darle le gocce.
Quando mi sembra che sia passato un tempo ragionevolmente lungo, mi faccio coraggio e torno da Edward.
Le tazze che erano sul tavolo sono sparite, mi guardo in giro e le
trovo capovolte sul lavello: le ha lavate. Sul fuoco c’è
una padella con dentro qualcosa che sfrigola e un odore inebriante si
diffonde per tutta la stanza.
È incredibile, si è messo a cucinare!
Mi lascia a bocca aperta, non perché non conosca le doti
culinarie di Edward ma perché non pensavo di trovarlo ai
fornelli.
-Cosa stai facendo? - domando per quanto la risposta sia palese ai miei occhi.
-Sto cucinando la cena-
-Ti fermi a mangiare con noi? –
-La risposta corretta è: mi trasferisco qui da voi-
A questa risposta credo che se la mia mascella non fosse attaccata al
resto della faccia probabilmente si troverebbe a rotolare sul pavimento.
Di tutte le domande che mi frullano in testa però, l’unica
di cui ho veramente bisogno di sentire la risposta è questa:
-Ne sei sicuro? –
-Più di qualsiasi altra cosa al mondo-
Vi ringrazio immensamente, solo questo. Se siete arrivate fin qui vuol dire
che apprezzate ancora la storia e questo non può che rendermi
felice. Vi devo delle scuse supermegagalatiche per tutto il tempo
che vi ho fatto aspettare (4 mesi), capirò se non vorrete
più seguirmi. A tal proposito vi annuncio che i capitoli (salvo
variazioni dell’ultimo minuto in fase di stesura) dovrebbero
essere 4 più un epilogo. Baciii e alla prossima!
Ed eccoci qui. Molto più veloce rispetto all’ultima volta. Spero che il capitolo vi piaccia, vi aspetto giù.
Capitolo 14
Amori mediocri sopravvivono. Amori grandi vengono distrutti dalla loro stessa intensità.
[Oscar Wilde]
-Jen, smettila- -Ma come faccio Bella? Come? Sono così contenta! – Jen non la smette di urlarmi nell’orecchio; rischia di perforami un timpano. Siamo al
telefono da meno di cinque minuti e da quando le ho detto che Edward si
è trasferito a vivere a casa mia non ha più smesso di
urlare. Io faccio la sostenuta ma non posso negare quanto la sua
reazione renda felice anche me. -E Sophie come l’ha presa?- dice dopo un bel respiro. -Oh, lei è felicissima, gliel’abbiamo detto dopo mangiato. Ora sta dormendo, ha un po’ di febbre- -Mi dispiace, povera piccola- -Pensa che
appena le abbiamo dato la notizia si è rianimata a tal punto che
si è messa a correre per casa urlando “evviva,
evviva”. Sembrava che la febbre, di colpo, fosse sparita- -E Edward?- -Lui si è messo a ridere. Una risata che mi ha scaldato il cuore. Era così bello e sereno, avresti dovuto vederlo- -Dio sei innamorata persa!- Rido sommessamente tra i cuscini del mio letto per non svegliare gli altri abitanti della casa. -Jen, sono
felice. Finalmente lo sono per davvero e non mi sembra vero- aspetto la
sua risposta con un sorriso stucchevole e con il cuore pronto a
scoppiare. -Te lo meriti
Bella. Lo meritate tutti e tre. Siete delle persone straordinarie, le
più importanti per me e quello che desidero di più al
mondo è vedervi felici, ma soprattutto di nuovo uniti- So quanto le
sue parole sono sincere e dovevo immaginare che mi avrebbe fatta
piangere come una stupida. Lei c’è sempre stata, sin
dall’inizio. Ha gioito con me quando io e Edward ci siamo
sposati, era al mio fianco quando è nata Sophie, mi ha guardata
distruggermi dopo la nascita della mia bambina e ha sofferto con me
quando ho scoperto del tradimento di mio marito. Mi è stata
accanto per tutti questi anni, quando facevo la dura solo per non
cadere a pezzi, solo per non mostrare la mia fragilità, quando
diventavo una massa informe di dolore e sentimenti dopo ogni incontro
con Edward. Riemergo dalle
lacrime con un sospiro – Jen, cara, anche tu sei importante per
noi. Non ce l’avrei mai fatta senza di te- -Sì, okay, però smettila altrimenti fai piangere anche me- -Okay. Buonanotte- -Buonanotte, ti voglio bene- Poso il
cellulare sul comodino e chiudo gli occhi. Finalmente, con un po’
di pace nel cuore, mi metto ad ascoltare i rumori della casa, come
faccio di solito, e mi spunta subito un sorriso sulle labbra quando
sento un leggero russare dalla stanza accanto alla mia. Mi è mancato anche questo rumore, nonostante sia un controsenso. Come può mancarti un rumore così fastidioso? Eppure è così. Con il passare
degli anni e con l’assenza di Edward nella mia vita, mi sono resa
conto di quanto in realtà amassi anche i suoi difetti. Il suo leggero
russare fa da sottofondo a questa notte magica ed io mi perdo ad
ascoltarlo, certa, di nuovo, della sua presenza nella mia vita. Mi giro
e mi rigiro nel letto senza riuscire a prendere una posizione; il mio
cuore galoppa a causa dall’agitazione. Non ero così felice
da tantissimo tempo, forse dal giorno in cui Sophie mi ha chiamata mamma per la prima volta. Non riesco a credere che Edward sia qui e che posso vederlo gironzolare di nuovo per casa. Quando gli ho chiesto se fosse sicuro della sua scelta era sincero nel darmi la sua risposta. -Ne sei sicuro? – -Più di qualsiasi altra cosa al mondo- Allora mi ha
abbracciata e ha sotterrato il suo naso nei miei capelli. Siamo rimasti
stretti l’uno nelle braccia dell’altra per un tempo
lunghissimo. Entrambi
sopraffatti dal momento, non ci siamo accorti che il cibo sul fuoco
stava cominciando a bruciare; per poco non mandavamo a fuoco
l’intera cucina. Dopo aver messo la pentola sotto il getto
dell’acqua ci siamo guardati negli occhi e abbiamo cominciato a
ridere come due bambini. -Sei pericolosa, mi fai perdere il controllo- mi ha detto soffocando un’altra risata. E sempre per il discorso che la mia bocca e il mio cervello sono scollegati, gli ho risposto: -Beh forse è quello che voglio- mentre un urlo nella mia testa mi gridava: “Spudorata!” La sua faccia
ha preso fuoco, così come la mia, e mi ha guardata
assottigliando gli occhi. In quello sguardo ci ho letto tanta malizia
ed era come se mi stesse dicendo “dammi tempo”. Gli avrei dato tutto il tempo del mondo, senza nemmeno il bisogno di chiederlo. Ma ora, stesa
al buio nel mio letto, mi rendo conto dell’urgenza che si
è impossessata di me. Della frenesia che mi attanaglia il cuore,
lo stomaco e il ventre. Saperlo al mio
fianco ha risvegliato una parte di me che credevo sopita. Quella parte
pronta a tutto per amore, pronta a rischiare e alla quale non davo voce
da tanto tempo. Ora mi rendo
conto di essere pronta ad amare ancora, ad amare Edward nel modo
giusto, a ricominciare una storia interrotta dai nostri errori e che
merita assolutamente una seconda chance. Se per farlo devo rassegnarmi
una volta per tutte al fatto che Edward non ricorderà mai
più gli ultimi sei anni della sua vita, allora lo farò. Mi rassegnerò, ma andrò avanti con nuovo slancio. Perché
se è vero che la nostra vita è già scritta nel
nostro destino allora, la mia vita e quella di Edward sono
inesorabilmente legate, e niente e nessuno potrà mai separaci.
********** Il giorno
successivo al trasferimento di Edward lo passiamo a mettere a posto le
sue cose nella stanza degli ospiti. I suoi genitori hanno preso molto
positivamente la notizia tanto che, alla richiesta di Edward di
spedirgli il prima possibile le valigie, non hanno battuto ciglio e la
mattina successiva, l’autista di casa Cullen, si è
presentato di buon’ora tutto infagottato e con due valigie tra le
mani, una per parte. Durante il
pomeriggio, Sophie, approfittando della febbre per farsi viziare ancora
di più, ci ha fatto mettere sul divano insieme a lei a sorbirci
ore e ore di cartoni animati. È stata
tra le mie braccia per la prima mezz’ora, poi stanca della
posizione ha costretto il padre a sdraiarsi e a prenderla a cavalcioni
sullo stomaco. Dopo un po’ ha cambiato nuovamente posizione
dicendo che voleva starsene con la testa sul bracciolo del divano,
costringendomi a spostarmi. Le ho lanciato un’occhiataccia alla
quale ha risposto con una linguaccia. Mi ha fatto mettere in mezzo, che
era quello che voleva sin dall’inizio e poi si è
spaparanzata completamente, stendendo i piedi al massimo e spingendomi
sempre di più verso Edward, tanto che alla fine ci siamo
ritrovati appiccicati l’una all’altro. Sophie ci ha guardato per un po’ con un sorrisino sulle labbra e poi si è addormentata. -Tua figlia è diabolica- mi ha sussurrato Edward nell’orecchio. -Chissà
da chi avrà preso- l’ho punzecchiato io ricevendo in
cambio un occhiolino e un sorriso bellissimo che mi ha fatto tremare le
ginocchia. Siamo rimasti
in silenzio a guardare la tv e a mangiare popcorn dalla stessa ciotola
per un bel po’ fino a quando Edward non si è lamentato del
dolore alla gamba, intorpidita dal tenere sempre una posizione, e non
si è alzato per andare in bagno. L’ho
guardato allontanarsi, orgogliosa del fatto che avrebbe potuto
lamentarsi molto prima e invece ha preferito stringere i denti per
amore di Sophie, solo per accontentarla.
Libera da ogni
impegno, viste le ferie che ho richiesto per non lasciare Edward da
solo in modo da aiutarlo ad ambientarsi, affronto le giornate come
farebbe una qualsiasi moglie e madre. Disponibile e
impaziente di prendermi cura della mia famiglia mi sveglio sempre con
il sorriso sulle labbra. Passo dallo stendere e stirare i panni a
lavare i pavimenti e togliere la polvere. Una cosa della quale non devo preoccuparmi tuttavia c’è, ed è la cucina, visto che ho un ottimo aiutante. Edward è
bravissimo ai fornelli, lo è sempre stato, ma ora penso che con
l’amnesia sia migliorato davvero molto. Sembra che utilizzi la
passione per la cucina per trovare se stesso nei piatti che prepara. Si
è immerso così tanto nel suo nuovo hobby che penso di
aver messo su qualche grammo. Quando gliel’ho fatto notare mi ha guardata inarcando le sopracciglia e mi ha detto: -Meglio così, sei troppo magra per i miei gusti- -E quali
sarebbero i tuoi gusti? - gli ho chiesto indifferente mentre addentavo
una costa di sedano. Lui si è trattenuto dal ridermi in faccia e
con un sorrisino sulle labbra ha continuato a far rosolare lo
spezzatino. Ogni tanto me lo trovo di soppiatto alle spalle con un mestolo pieno di qualcosa o con un pezzo di dolce da farmi assaggiare. Sta cominciando
ad avere sempre meno bisogno della stampella e di questo sono
felicissima. Nei piccoli tratti si lancia spedito mentre ha ancora un
po’ di paura a lasciarsi andare nei lunghi percorsi. Ogni tanto si lamenta con il mal di testa ed io mi trasformo in una crocerossina. La routine
è sempre la stessa, quella che ci hanno raccomandato in
ospedale: gli faccio prendere un analgesico, lo aiuto a stendersi a
letto, chiudo le tapparelle per farlo stare al buio e ad intervalli
regolari lo controllo per vedere se ha bisogno di qualcosa. In cambio
Edward non sa come sdebitarsi. Naturalmente avendo limitazioni fisiche
lascia parlare la bocca: mi ringrazia almeno mille volte al giorno (non
le ho contante ma sono sicura che si aggirino intorno a questa cifra),
mi elogia per ogni piccola cosa, ogni tanto si lascia andare a qualche
complimento; li butta qui e li con noncuranza facendomi arrossire tutte
le volte, anche se sono inginocchiata sul pavimento del bagno a lavare
il water. Quel giorno gli ho chiesto perché lo fa, che non è necessario e lui mi ha risposto: -Perché
te lo meriti e perché per il momento è l’unico modo
che ho di sdebitarmi per tutto quello che stai facendo- -Ma non serve che mi ringrazi, lo faccio volentieri altrimenti non ti avrei mai chiesto di trasferiti qui- -Ti faccio una promessa allora- -Quale?- -Quando
sarò in grado di camminare in maniera eretta senza il bisogno di
appoggiarmi ad una stampella e il mio nome sarà riabilitato, ti
porterò a cena fuori in uno dei ristoranti più belli
della città- Per quanto la
sua promessa mi abbia fatto sentire un mare impazzito di farfalle nello
stomaco, la frase che più di tutte mi ha colpita è stata:
e il mio nome sarà riabilitato. In quel momento ho capito quanto Edward fosse preoccupato della faccenda dei soldi rubati e non lo desse mai a vedere. È stato
al telefono per giorni con il suo avvocato ed ha ricevuto parecchie
volte la visita della polizia, ma mai ho visto sul suo viso
l’espressione di vergogna e fallimento che invece ho visto in
quel momento. Come se si scusasse con me per non potermi regalare un
serata da soli, per paura di venire additati come la coppia dello
scandalo finanziario degli ultimi mesi. Come se la sua vita non fosse già un regalo meraviglioso per me. Ogni volta che
lo guardo mi rendo conto di quanto sono stata a un passo dal perderlo
per sempre e saperlo qui, accanto a me, mi ripaga di ogni fatica e di
ogni sacrificio che ho fatto nelle ultime settimane. Allora mi sono
alzata da terra privandomi dei guanti umidi e mi sono avvicinata a lui,
gli ho preso le mani nelle mie e gli ho detto: - Sarebbe un onore per me uscire con lei Signor Cullen. Non vedo l’ora. Dobbiamo pur festeggiare la sua guarigione- -Sa cosa le dico Milady?- mi ha risposto con un sorrisino sulle labbra. -No, cosa?- -Che sono un uomo fortunato e che ha ragione- -Riguardo a cosa?- -Riguardo al
fatto di festeggiare. Che ne dici se organizziamo una cena qui a casa e
invitiamo un po’ di persone? Potremmo dirlo a Emmett e alle tue
amiche, Rosalie e Jenny, che ne dici?- -Dico che è un’idea grandiosa- -Bingo! Devo pensare a cosa cucinare per i nostri ospiti allora- -Tutto solo? Non vuoi un mano?- gli ho chiesto facendo un finto broncio. -Non attacca Swan. Tu continua pure a fare quello che stavi facendo, mi occuperò di tutto io- Al Swan
le mie gambe sono diventate di gelatina e lui deve averlo capito
perché si è allontanato ridendo, lasciandomi in balia
delle lacrime.
**********
-Posso entrare ora?- busso alla porta della cucina per l’ennesima volta, ma Edward non mi lascia entrare. -Non ancora- -Ma sono ore che sei rinchiuso lì dentro- -Porta un altro po’ di pazienza- -Ma non puoi fare tutto da solo!- -Certo che posso. Lo sto facendo- -Molto spiritoso, davvero- sbuffo, mentre insceno una finta risata. L’idea di
avere Emmett, Rosalie e Jenny a cena, soprattutto Jenny, lo ha fatto
calare ancora di più nel ruolo di cuoco che riveste ormai
da una settimana. È
cominciato tutto con una lista lunghissima di cose da comprare. Tanto
che ieri l’ho guardato negli occhi allibita e gli ho detto: -Mi hai preso per un mulo da soma? Non riuscirò mai a portare tutte queste cose!- -Per questo ho chiesto a mia madre di darti una mano. Ha accettato- Così, prima che potessi dire una sola parola di protesta, mi sono ritrovata nella macchina di Esme. Per quanto
sbuffassi all’idea di ritrovarmi a girovagare piena di buste
della spesa devo riconoscere che alla fine è stato un pomeriggio
davvero piacevole. Siamo molto
legate Esme e io e mi sono accorta quanto mi mancasse passare del tempo
insieme. Lei non ha mancato di chiedermi come se la passa Edward,
nonostante si sentano quasi tutti i giorni al telefono. -Come sta? E non voglio sentire la sua versione, voglio sapere come sta veramente- -È
difficile da spiegare. È un Edward diverso ma allo stesso tempo
è l’Edward di sempre. Ci ha messo un po’ ad
ambientarsi ma ora sembra che non se ne sia mai andato, che abbia
vissuto sempre come me e Sophie. È molto forte, ma questo lo
sai, è tuo figlio- -Sono felice di saperlo con te. Hai un’ottima influenza su di lui, lo rendi una persona migliore- -Non è vero, è lui che rende migliore me e lo amo anche per questo- -Non avete ancora avuto modo di parlare della vostra ‘situazione’?- mi ha chiesto tra un mazzo di sedano e un fascio di cipolle. -No. Non voglio
che quell’argomento rovini le cose tra noi. L’intenzione di
parlarne è nell’aria, è ovvio che sia così,
scommetto che si sta facendo mille domande, ma ho come
l’impressione che abbia capito che parlarne rovinerebbe la nostra
armonia. E fino a quando non si sentirà pronto io non voglio
forzarlo. Alla fine è una cosa che appartiene al passato- -Hai ragione, l’unica cosa che conta è che siete insieme oggi, tutto il resto non conta- Al mio rientro a casa l’ho trovato a giocare sul divano insieme a Sophie. -Hai passato una bella giornata?- mi ha chiesto mentre tentava di togliersi i capelli di Sophie dalla bocca. -Una delle
migliori di sempre, grazie- mi sono avvicinata e gli ho deposto una
bacio sulla guancia, prima di andare in camera da letto a farmi una
doccia.
Ancora
attaccata allo stipite della porta, lo sento trafficare in cucina e
capisco che non ha la minima intenzione di aprire e fare entrare anche
me. Aspetto
paziente un altro po’ ma proprio quando sto per allontanarmi
indignata lo sento girare la chiave e aprire uno spiraglio. -Finalmente! Ce ne hai messo di tempo- -Ancora non ho finito. Apri la bocca- lo guardo stupita per qualche secondo ma alla fine acconsento alla sua richiesta. Mi mette in bocca un cucchiaino con dentro una salsa verde. All’apparenza sgradevole ma con un sapore e un profumo unici. -Dio! Che roba è?- -Quello è il sugo della nostra pasta- continua a dirmi tenendo aperta la porta per metà. -Edward è incredibile. Ma cos’è? Ci hai messo i pistacchi che mi hai fatto comprare ieri?- -Esatto- -Ma ora fammi entrare- -No, ci sono ancora altri cucchiai da assaggiare- Incrocio le braccia al petto proprio come farebbe una bambina. -Sembri Sophie quando fai così, lo sai?- -Ma smettila. Dai passa gli altri cucchiai- Sul prossimo c’è una crema bianchiccia con qualcosa di verde sopra. -È meravigliosa anche questa. Cos’è?- le mie papille gustative ballano la samba. -Paté di
formaggio e fichi caramellati, andrà sulle tartine come
antipasto. Devi assaggiare anche gli altri aspetta- In un tripudio
di colori e sapori mi fa assaggiare il paté di cipolla rossa e
il paté di olive nere, entrambi squisiti. -Abbiamo finito?- gli chiedo leccando volgarmente il cucchiaio. -Ti stai divertendo?- -Sì, molto- -Okay, ti faccio assaggiare il secondo Primo- -Ma quanto hai cucinato? Addirittura due primi?- - Melius abundare quam deficere- -Adesso ti metti a parlare anche Latino? Signor Cullen lei ha delle doti nascoste- Si mette a ridere – è una locuzione latina che letteralmente tradotta significa: meglio abbondare che scarseggiare- -Ma così i nostri ospiti non usciranno dalla porta!- Continuiamo il
nostro siparietto comico ancora per qualche minuto fino a che non mi
accorgo dell’ora e lo costringo ad aprire per lasciarmi entrare e
prendere il suo posto, per dargli modo di andarsi a preparare. Quando entro in
cucina sembra che sia scoppiata una bomba ma tutto il disordine passa
in secondo piano, di fronte alla cena luculliana che mi trovo di
fronte. -Sembra… sembra di stare in Italia- dico stupendomi io stessa di aver afferrato il collegamento al primo colpo. -Esatto, stasera ho cucinato italiano- I profumi, i
colori e i sapori mi avvolgono come un guanto e tutti i miei sensi
raggiungono la vetta più alta mai registrata prima. -Sei bravissimo, io… io non ho parole- gli dico quasi commossa. -Risparmia il fiato, ti servirà per mangiare-
**********
Quando ho detto
a Jen e a Rosalie della cena la loro felicità è schizzata
alle stelle. Questo perché fino ad ora Edward ha sempre e solo
sentito parlare di loro, non le ha mai viste. Il giorno in cui è
stato chiaro a tutti che l’amnesia aveva cancellato gli ultimi
sei anni della sua vita, abbiamo pensato che sarebbe stato meglio non
caricarlo di troppe emozioni, soprattutto con la visita di due complete
estranee, perciò gli ho sempre parlato di Rose e Jen come di due
mie amiche. Quando arrivano per la cena quindi, sono più emozionate che mai. -Rose stai
bene? Non è che hai bisogno di sederti un attimo?- il suo viso
è cinereo e sembra che stia per mettersi a vomitare, Jen invece
è elettrizzata. Rose mi guarda
imbambolata ma una gomitata di Jen la riporta alla realtà
– sta bene, non è nulla. Vero zuccherino? È solo un
po’ sconvolta dalla mia guida; per poco non andavamo a sbattere
contro un Bus- dice quest’ultima entrando per prima in casa
–dov’è il nostro smemorato preferito?- continua
mentre io afferro il braccio di Rosalie per farla entrare. -La vuoi
finire? Parla piano altrimenti ti sentirà!- le sussurro tra i
denti mentre una voce da baritono esce urlando dall’ascensore. -Ehilà gente!- è Emmett, chi altri sennò? Rosalie sembra
rianimarsi di colpo e si gira per guardarlo. Nel farlo si sistema una
ciocca di capelli e lo guarda dall’alto verso il basso, come al
solito, però mi accorgo che c’è qualcosa di strano questa volta. -Emmett accomodati- chiudo la porta di casa con un bel respiro “spero che vada tutto bene” penso per rincuorarmi un po’. Edward esce dalla cucina seguito da Sophie che si getta subito tra le braccia di Jen. -Zia Jen, zia Jen! Vuoi vedere la mia nuova bambola? È un regalo di papà- Papà si avvicina sorridente e allunga la mano verso le due ragazze che quasi esultano del vederlo entrare. -Piacere, Edward, come mi ha fatto notare Sophie tu sei Jen e tu invece devi essere Rosalie- -Ciao- dicono
entrambe imbarazzate nello stesso momento. Mi sfugge un singhiozzo nel
vano tentativo di trattenere una risata. Edward le guarda un po’
scettico e poi si mette a parlare con Emmett, mentre ed io mi avvicino
alle ragazze. -Davvero? Sarà così la serata? No, ditemelo, perché rischio di affogare nelle mie risate - Entrambe mi rivolgono un’occhiataccia e per tutta riposta le stringo forte in un abbraccio. La serata,
cominciata in modo imbarazzante, non ci ha messo molto ad ingranare
verso la giusta direzione. Tutto questo grazie alla cena squisita di
Edward, al buon vino e alla compagnia giusta. Abbiamo messo da parte ogni tipo di imbarazzo e ci siamo buttati in mille conversazioni, ridendo e scherzando. -Mm Edward, se
gli spaghetti al pistacchio di Bronte erano favolosi questo risotto
radicchio, salsiccia, taleggio e noci è da leccarsi i baffi,
complimenti- Jen che è un’ottima cuoca, raramente si
lascia andare a complimenti così calorosi, e se lo fa vuol dire
che è sincera. Edward si
imbarazza un po’, lo vedo chiaramente; ha cercato di fare tutto
in maniera perfetta anche per paura del giudizio di Jen. -Grazie, sei molto gentile- -Davvero amico, non ricordavo fossi così bravo a cucinare, e sì che abbiamo diviso la stessa stanza al College- -Forse anche tu hai perso la memoria, amico.
Perché mi ricordo che mi alzavo per preparati dei sandwich
strepitosi alle due di notte, mentre te ne stavi tutto ingobbito chino
sulla scrivania a studiare- -Hai ragione, l’avevo proprio dimenticato. Mi sa che sei contagioso!- entrambi scoppiano a ridere. Jen e Rosalie
sono radiose, e anche io lo sono. Mi convinco sempre di più che
invitarli a cena sia stata un’ottima idea. Mentre i
ragazzi continuano a parlare dei tempi del College, noi donne
cominciamo a sparecchiare per fare spazio al resto della cena. Rosalie mi raggiunge in cucina e mi coglie di sorpresa abbracciandomi così forte da farmi mancare il respiro. -Sono così felice Bella- dice con gli occhi lucidi. -Lo so Rose, ed
io sono felice per te. Per entrambe- aggiungo quando Jen mette piede
nella stanza –so quanto è stato difficile per voi stragli
lontano, siete delle ottime amiche- -Sei tu ad avere la nostra ammirazione Bella, non è vero Jen?- -Certo,
zuccherino- la apostrofa quest’ultima con il grazioso nomignolo
che le ha affibbiato proprio per sottolineare il fatto che non lo
è per niente, uno zuccherino. Anche se ora potrei ricredermi.
Rose è una persona splendida, davvero. Durante il periodo in cui
Edward era ricoverato all’ospedale mi ha telefonata tutti i
giorni per avere informazioni, questa cosa ha fatto crescere il nostro
rapporto fino a farlo diventare una vera e propria amicizia, e da
quando si è trasferito qui le cose non sono cambiate. Ha questo
carattere un po’ forte, da dominatrice, ma ha anche dei momenti
così dolci che ti portano ad amarla. Proprio come sto facendo io
in questo momento. -Grazie ragazze, sono così felice di avervi qui stasera- -Oh anche Emmett è felice di averci qui, questa sera- -Cosa?- -Cosa?- Io e Rose sembriamo due pappagalli –che vuoi dire?- aggiungo subito. -Beh Emmett non ha tolto gli occhi di dosso a Rose nemmeno per un secondo da quando ci siamo messi a tavola- -Ma smettila, non è vero. Bella non starla a sentire- -È così invece. Bella non dirmi che non te ne sei accorta- Jen mi obbliga con lo sguardo a dirle di sì. -Sì
è vero, me ne sono accorta anche io- confusa, le rivolgo una
domanda con gli occhi che più o meno recita così: Cosa diavolo stai combinando si può sapere? Lei afferra e mi risponde a sua volta: Stai al gioco tontolona e non fare la guastafeste come al solito. Alzo un sopracciglio per dirle Okay. -Vedi? Non sto mentendo è la verità- -Qualcuno può dirmi cosa sta succedendo?- chiedo bloccando sul nascere la risposta di Rose. È Jen a rispondermi- Rose e Emmett sono usciti insieme- -Davvero? Perché vengo a saperlo solo ora?- -Perché è successo poche sere fa. Grazie tante Jen per non avermi dato il tempo di dirglielo personalmente- -La tempistica non è il tuo forte zuccherino, ormai l’ho capito- -Smettila di
chiamarmi così- urla spazientita- e poi non dire in questo modo,
la confondi solamente- aggiunge dopo aver visto il mio sguardo
interrogativo. -Dovevo chiamarlo, per organizzare un’altra uscita. Ma non ne ho avuto il coraggio- chiarisce per la sottoscritta. -Perché Rose? Non ti piace? Ha fatto qualcosa di sbagliato?- -No. No, è stato carinissimo ed è per questo che non l’ho chiamato- dice torcendosi le dita delle mani. -Non capisco,
perché non l’hai fatto?- le chiedo aggiungendo
un’altra tacca alla linea immaginaria dove sto segnando il mio
grado di confusione. -Perché mi piace sul serio e non vorrei rovinare tutto- -L’hai sentita? Io non ho parole- Jen è indignata. -Jen smettila.
Rose perché questi problemi? Sei una ragazza bellissima e
intelligente, perché non ti fai avanti? Per quanto Emmett
sia… beh sappiamo com’è Emmett, penso che stareste
davvero bene insieme- -Disse la donna
che ci ha messo quattro anni a capire di amare lo stesso uomo che
cercava di dimenticare a tutti i costi- mi apostrofa Jen. -Sul serio come fai a sopportarla?- chiede Rose con un sorriso sulle labbra – io l’avrei uccisa da tempo- -È che le voglio bene, e voglio bene anche a te. Fatti avanti Rose- -Ah,
avete ragione- sospira appoggiandosi al bancone della cucina- è
che mi faccio prendere dai complessi per la storia con Mike. Jen?- -Sì Rose?- -Non aspettarmi
quando usciamo da qui, io torno a casa con un altro passaggio- oh,
adesso si che la riconosco. Riconosco il carattere forte e deciso che
la contraddistingue sempre. Torniamo in salotto con il vassoio del Filetto di manzo al Cannonau di Sardegna, con fonduta di parmigiano e chips di Zucca. -Di cosa parlate ragazzi?- chiede Jenn mentre ci accomodiamo di nuovo a tavola. -Di donne, di cosa sennò?- le risponde Emmett e subito i miei occhi cercano quelli di Rose. -E di chi in particolare?- mi intrometto io. -Delle ragazze
che frequentavamo al College- mi risponde Edward- Emmett si è
infilato nel letto di tutte le ragazze della facoltà di
Economia- -Chissà
perché non avevo dubbi- a parlare è Rose, che inarca le
sopracciglia e Emmett le fa l’occhiolino. -Bella, non starlo ad ascoltare, era lui quello che tutte volevano. Ha fatto una vera e propria strage di cuori- -Davvero?- chiedo stando al gioco; conosco già questa storia. -Era un vero e proprio Don Giovanni il nostro Eddie- -Poi chissà come mai ha messo la testa a posto- aggiunge Rose. -Eh già-
gli fa eco Emmett – sei arrivata tu Bella e di colpo tutte le
altre donne sulla faccia della terra hanno cessato di esistere- tutte tranne una penso
all’istante mortificata, maledicendomi il secondo dopo. Di colpo
comincio ad agitarmi e a muovermi in maniera convulsa sulla sedia. Edward sembra cogliere il mio disagio e mi chiede – cosa c’è?- -Nulla. Nulla è tutto okay- -Mm buona la fonduta al parmigiano!- esclama Jen di punto in bianco per cercare di portare l’attenzione su altro. -Bella, scusami- Emmett è mortificato. -Non è successo niente, davvero. Tranquillo- -Ma cosa sta succedendo?- Edward è sempre più confuso. -E le chips di
Zucca! Che invenzione!- i tentativi di Jen di cambiare argomento sono
adorabili e mi fanno sorridere allo stesso tempo. Questo sembra
tranquillizzare un po’ Edward che ora mi guarda meno accigliato. -Beh? Mangiamo?
Non vorrei si freddasse del tutto- do man forte a Jen e mi tuffo
sul mio piatto cercando di ignorare gli sguardi interrogativi di Edward. Non pensarci. Non pensarci. Non pensarci. Non pensarci. Non pensarci. Mi ripeto come un mantra nella testa mentre mi impongo di masticare il più naturalmente possibile. Edward mi
guarda per qualche altro secondo, ma poi sembra capire che non ho
voglia di parlarne e che comunque, non sarebbe il momento adatto.
Concludiamo la
serata con un ottimo Tiramisù. Le cose sembrano tornate alla
normalità: i ragazzi si mettono a giocare con Sophie, mentre noi
donne ci dedichiamo alla cucina. Nessuno ha il
coraggio di tirare in ballo l’argomento, forse per non turbarmi,
forse perché non saprebbero cosa dire. Nemmeno io saprei cosa
dire. La cucina
è tornata a brillare e proprio mentre stiamo per dirigerci in
salotto ad unirci agli altri, vedo Emmett con in braccio Sophie. -Si è
addormentata- sussurra piano per non svegliarla, anche se nel momento
in cui finisce di parlare, la mia bambina si sveglia di colpo e allunga
le braccia verso di me. -Mami- -Amore vieni, ti porto a letto- -No..- balbetta ancora mezza addormentata- voglio dormire con te- -Sophie, lo sai come la penso- per tutta risposta si attacca ancora di più al collo e mi stringe forte. -Va bene, ma solo per stasera- -Bella, allora
noi andiamo. Grazie di tutto- Rose si avvicina e sfiora i capelli di
Sophie, Jen invece le lascia un bacetto sulla fronte ed Emmett mi
saluta mettendomi una mano sulla spalla. -Non preoccuparti, li accompagno io- mi rassicura Edward incitandomi ad andare in camera e mettere a letto nostra figlia. Una volta sola,
mi chiudo la porta alle spalle. Sono sicura che aspetterà che io
esca e torni di nuovo da lui, ma una voce dentro di me mi implora di
lasciare la porta chiusa e di rimanere dove sono. L’idea di affrontare gli sguardi e le domande di Edward mi mette troppa paura. Metto Sophie a
letto, per fortuna non devo preoccuparmi di andare a prendere il suo
pigiamino visto che lo ha indossato subito dopo mangiato, e la copro
con il piumone. Dieci minuti dopo sono al suo fianco che la stringo forte al mio petto. Cerco di
mettere a tacere i pensieri che mi vorticano nella testa, non voglio
passare una notte in bianco. Nella semioscurità della stanza
contemplo il visino dolce e tondo di Sophie mentre con una mano le
accarezzo i morbidi capelli. Sembra
impossibile ma tutto d’un tratto sento addosso la pressione della
giornata, il respiro delicato e ritmato di Sophie mi concilia il sonno,
e mi lascio cadere tra le braccia di Morfeo senza neanche rendermene
conto. Mi ridesto dopo
un po’, con una scia di brividi lungo il braccio e la certezza di
non essere più sole nella stanza. Dalla porta entra uno
spiraglio di luce e una mano mi accarezza il braccio; i brividi mi
solleticano di nuovo la pelle. -Bella?- mi sussurra Edward all’orecchio facendomi svegliare del tutto. -Stai male? – gli chiedo subito preoccupata. -No, sto bene. Esci per favore?- non è una domanda, sembra quasi un ordine. Mi alzo dal letto, mi accerto che Sophie dorma tranquilla e lo seguo nel salotto. Ha indosso i
pantaloni azzurri del pigiama e una maglia grigia a maniche corte, in
un barlume di lucidità mi accorgo di trovarlo sexy da morire e
mi impongo di guardare altrove, di pensare ad altro. I miei occhi si
posano subito sull’orologio della parete che segna le 02:10. -Siediti, vuoi startene li impalata per tutto il tempo?- si è seduto sul divano e ora mi invita a raggiungerlo. -Cosa
c’è?- gli chiedo andandogli vicino. Il suo viso è
tirato e penso subito al peggio ma sento un tonfo sordo al cuore quando
inizia a parlare. -Voglio saperlo- Sarebbe inutile
replicare e chiedergli di cosa sta parlando, so benissimo di cosa sta
parlando. Tuttavia non avrei mai voluto sentirglielo dire. Potrei
suggerirgli di rimandare tutto a domani, che ora è tardi e che a
mente lucida sarebbe tutto più facile, ma continua a guardarmi
implorante e allora cedo. -No, credimi, non lo vuoi davvero- -Ne ho tutto il
diritto, Bella. Tu devi dirmelo- si porta le mani nei capelli- non
riuscivo a chiudere occhio, mi rigiravo nel letto pensando alla
reazione che hai avuto prima. So che è tutto collegato, non
mentirmi- È vero,
lui ha tutto il diritto di sapere la verità ed io sono
l’unica a dovergliela dire. Se mi sta chiedendo di essere sincera
significa che ha valutato tutti i pro e i contro, che ora si sente
pronto a saperlo, ma perché mi sento come se mi stessero
chiedendo di strapparmi il cuore e vivere senza? Non riuscirei a
guardarlo, non riuscirei a sopportare il suo sguardo una volta saputa
la verità. Perciò abbasso gli occhi, perché non so
cos’altro fare. -Cosa vuoi sapere?- la mia voce è un filo sottilissimo che si spezza in più punti. -La verità, perché ci siamo lasciati? È stata colpa mia?- Deglutisco a
fatica visto il masso che mi si è piantato in mezzo alla gola
– sarebbe facile dirti il motivo principale, ma non sarebbe
corretto. Devi sapere l’intera storia- -Sono tutto orecchi- mi prende le mani nelle sue, le stringe forte, tanto forte. Un gesto che mi invita a continuare. -Dopo qualche
giorno dalla nascita di Sophie il mio umore non è stato
più lo stesso- mi fermo un secondo per respirare e andare avanti
con più calma. - Mi sentivo
spossata, priva di stimoli, volevo passare le giornate a poltrire nel
letto piuttosto che dedicarmi a lei. Quella sensazione di
felicità allo stato puro che avevo provato all’inizio
improvvisamente sembrava essere scomparsa, lasciando spazio ai pensieri
più cupi. Mi sentivo come sospesa in un limbo che mi impediva di
vivere la maternità come speravo. Ero caduta in depressione
Edward. La classica depressione Post Partum. Per fortuna con
l’aiuto di una terapista e con i farmaci giusti sono riuscita ad
uscirne- mi asciugo un lacrima solitaria che scende sulla mia guancia
gelata. Lui ha continuato a fissarmi per tutto il tempo e sembra che il
dolore che ho provato io lo stia provando lui ora. -Mi dispiace così tanto- torna a prendermi le mani. -Non
preoccuparti, è acqua passata ormai. Ora guardo Sophie e penso
che è stato un brutto incubo, che non è mai accaduto,
perché la amo con tutta me stessa ed è questa
l’unica spiegazione che sono in grado di darmi- Annuisce e resta in attesa che io continui. Vorrei mordermi la lingua a sangue piuttosto che continua a parlare, soprattutto visto che ora entriamo nel vivo della storia. -Prima che io
superassi tutto però, è successo qualcosa che ha rovinato
inesorabilmente il nostro rapporto. Io non ero più una madre, ma
non ero nemmeno più una moglie. Il nostro matrimonio stava
andando a rotoli e nessuno dei due sembrava essere in grado di fare
niente. Aspettavamo entrambi che le cose si risolvessero da sole e
intanto soffrivamo. Tu hai provato più volte ad avvicinarti, ma
ero io a non volerti al mio fianco. Mi sentivo un decimo della persona
che ero, della persona di cui ti eri innamorato e purtroppo ad andarci
di mezzo è stata la nostra armonia. Mi sono allontanata, in
tutti i sensi. Non dormivamo più insieme, non facevamo
l’amore da un sacco di mesi, non facevamo più niente
insieme. E tu questo non lo sopportavi. Eri stressato, scontroso, anche
per il nuovo lavoro. Ti eri appena buttato in questa impresa lavorativa
con Mike che assorbiva tutto il tuo tempo, ed io mi sentivo trascurata.
Così, un giorno, ti ho detto che non ce la facevo più e
che volevo andarmene di casa. Sarei andata a stare con mio padre e
avrei cercato di rimettermi in sesto. Quella mattina non ti ho dato
altra scelta, se non quella di accettare le mie condizioni, ma sei
andato via con la speranza di riuscire a farmi cambiare idea- -E ci sono riuscito? A quanto pare no, visto che ci siamo lasciati lo stesso- -È più complicato di così…- -Più complicato di così? Dimmi cos’è successo allora?- Prendo un bel
respiro e vorrei cavarmi le corde vocali con una forchetta piuttosto
che diglielo. Vorrei che il batticuore che sento nel petto non fosse
così insistente. -Tu… tu,
mi hai tradita. Hai fatto sesso con un’altra donna- la
scarica di adrenalina che mi pervade il corpo mi lascia quasi senza
fiato. Sul suo viso vedo una miriade di emozioni sovrapporsi
l’una sull’altra, le rughe della fronte si distendono
all’istante e i suoi occhi diventano vacui. Mi guarda quasi
scioccato. -Io…
davvero… davvero?- libera le mie mani di colpo come se si fosse
appena scottato, questo gesto mi fa male e non me l’aspettavo. Eppure, non
aspetto che si riprenda, non aspetto che si allontani da me. Torno a
stringergliele con forza e lo costringo a guardarmi. -Ei, è
successo tanto tempo fa e pensarci non mi fa più male come
prima. Devi sapere che quello che hai fatto è successo in parte
per colpa mia- -Cosa? No! Non
sono tanto stupido, dici così solo per non farmi stare male. Non
hai già sofferto abbastanza? In che modo, mi avresti spinto a
fare sesso con un’altra donna? Sono un uomo e se non avessi
voluto non sarei riuscito ad arrivare fino in fondo, avrei potuto
fermarmi!- -Tu… tu
eri ubriaco, me lo hai detto tu stesso. Credevi che ti avessi lasciato
e pensavi che la tua vita fosse distrutta. Pensai che avessi fatto i
bagagli e fossi andata a vivere da mio padre e sei venuto a casa a
cercarmi. Io non ero andata via, o meglio, in qualche modo ero
rinsavita e avevo deciso di tornare. Volevo combattere per noi e quando
sei venuto qui e mi hai trovato ad aspettarti, mi hai confessato tutto.
Non riuscivi a tenertelo dentro un minuto di più- -Chi era lei? La amavo?- -No, non la
amavi- stranamente, dirlo, mi da sollievo- era la tua segretaria,
è successo nel tuo ufficio. Lei è… lei è
una maledetta stronza. Ci ha provato con te quel giorno, sapeva che eri
vulnerabile, che avevi bevuto e allora ne ha approfittato- -Mi stai giustificando?- sembra incredibile ma lo sto facendo davvero. Cosa mi sta succedendo? -No, non posso
giustificarti – ripeto più a me stessa che a lui - mi hai
tradita e io mi sono sentita davvero lacerata dal dolore. Ero
devastata. Ti sto solo raccontando come sono andate le cose- -Dunque…- riprende dopo qualche minuto - è per questo che ci siamo lasciati?- -Sì- un’unica sillaba che racchiude in se tutta la mia disperazione. Ho paura della
sua reazione. Fino ad ora abbiamo avuto uno splendido rapporto, ora ho
paura che la verità su quanto successo quattro anni fa possa
rovinare tutto il percorso che abbiamo costruito insieme, mattone dopo
mattone, e non lo sopporterei. -Non voglio che
le cose cambino tra noi- mi ritrovo a dirgli sincera e in preda al
terrore– non voglio che questo cambi il modo che hai di
comportarti con me. Ti stai riprendendo così bene, per favore
non lasciarti condizionare da qualcosa che è successa tanto
tempo fa- -Cosa?- allunga le braccia verso di me e mi stringe forte, deve essersi accorto che ho cominciato a tremare come una foglia. -No. Bella, no.
Non ho nessuna intenzione di cambiare- mi culla la testa sulla spalla
mentre con l’altra mano mi accarezza i capelli. -Meno male-
stringo forte la sua maglietta, quasi ad impedirgli di fuggire via
– sono così felice di sentirtelo dire- -Bella?
Ei… è tutto a posto- sembra strano che ora sia lui a
dover consolare me. Contrariamente a quello che ha detto, ho paura di
perderlo, di vederlo andare via, di nuovo. Mi tiro su, ma commetto il grave errore di guardare le sue labbra, che sono a meno di cinque centimetri dalle mie. In un assalto di schizofrenia acuta, mi butto famelica sulla sua bocca, su quei petali di rosa che non assaggio da mesi. La mia reazione
è uguale a quella di un assetato nel deserto che ritrova dopo
tanto tempo la sua fonte di sostentamento, e ne voglio sempre di
più. Inizialmente me ne infischio bellamente della risposta di
Edward, ma poi mi accorgo che in realtà non sta muovendo nemmeno
un muscolo: è fermo, immobile come una statua e mi guarda
stupito. -Scusa- mi tiro indietro mentre nel petto sento una fitta di reprensione. Cosa ho fatto? Sto per alzarmi
e scappare nella mia camera da letto per sotterrarmi sotto le coperte,
con l’intenzione di rimanerci un diecina d’anni più
o meno, che mi prende per il braccio e mi avvicina di nuovo al suo
viso. Quello che
succede dopo è un misto tra fantasia e realtà. La
fantasia è la mia ovviamente. Ho sognato che mi baciasse in
questo modo sin da quando ha aperto gli occhi all’ospedale un
mese fa e ora sta succedendo davvero. Ma la realtà è
anche meglio. Mi preme la
mano alla base del collo e mi spinge sempre di più contro la sua
bocca. Il suo sapore mi investe come un cazzotto in pieno volto. Quanto mi è mancato. Il mio cuore batte impazzito, ho l’impressione che lui possa sentirlo. Gli accarezzo i capelli e li stringo forse tra le dita mentre mi metto a cavalcioni sulle sue ginocchia. Ci baciamo come se fosse la prima volta, come se non l’avessimo mai fatto prima… Un momento! Ma noi non l’abbiamo mai fatto prima! Per
l’Edward post - incidente, questo è davvero il nostro
primo bacio. Stranamente questo mi fa emozionare ancora di più. Mi stacco lentamente per poter respirare, rischio di morire per asfissia se continuiamo così. -Edward…- Torna a
baciarmi di nuovo con urgenza, proprio come successe la prima volta che
ci baciammo sei anni fa. All’epoca, facemmo le cose con relativa
calma. Lui mi diede tutto il tempo necessario per capire cosa volevo,
ora sembra chiaro quello che vogliamo entrambi, ma se dopo
cambiasse idea? Se si rendesse conto che abbiamo fatto un errore e se
ne andasse davvero? Non voglio che sia Sophie a pagare le conseguenze
della mia lascivia. Uno dei due deve ritrovare il lume della ragione! Metto le mani sul suo petto e lo allontano un poco, quel tanto che basta per guardarlo negli occhi. -Aspetta. È successo tutto così in fretta- -Te ne sei pentita?- mi chiede accarezzandomi i capelli. Si avvicina e deposita un bacio nell’incavo del collo. Mi fa venire i brividi e la voglia di lasciarmi andare è tanta. -No, certo che no. Ma non abbiamo fretta, non trovi? Sei qui, non vai da nessuna parte e nemmeno io- Gli prendo le mani e le incrocio alle mie, me le porto alle labbra e le bacio. Mi perdo a esaminare il suo viso bellissimo. Gli occhi verdi come i prati d’Irlanda mi scrutano attentamente. -Hai ragione- dice sospirando – mi sono lasciato prendere dalla situazione- Guardo
sconsolata l’orologio e vedo che è passata quasi
un’ora da quando è venuto a chiamarmi. Non vorrei
lasciarlo andare, non vorrei separarmi da lui, non vorrei mettere a
tacere la voglia che ho di lui, è davvero difficile, ma devo
farlo. -Ti chiederei troppo se ti invitassi nel mio letto stanotte?- Sicuramente
sarà per via della mia faccia, è sempre stato bravissimo
a leggermi dentro, tuttavia non immaginavo che arrivasse a comprendere
la mia battaglia interiore. -Solo per dormire- specifica, dato che sono rimasta impalata a guardarlo come un pesce lesso. -Credo che questo possa farlo- gli rispondo con sincerità, è il massimo che posso concedermi stanotte. Si alza dal
divano tenendomi ancora per mano. Ci dirigiamo verso la mia stanza per
controllare Sophie. Lei dorme beata ignara del tumulto interiore che
sta scuotendo la sua mamma. Poi, mano nella mano all’amore della mia vita, mi lascio trascinare verso la porta accanto alla mia…
Allora, prima di tutto volevo dirvi GRAZIE per le bellissime recensioni all'ultimo capitolo, non me lo aspettavo proprio. ^_^ La scorsa volta vi ho scritto che mancavano quattro capitoli più l’epilogo, ma forse ce ne sarà uno in meno. Spero che le scene finali di questo capitolo vi siamo piaciute e che soprattutto siano state chiare. La
storia va spedita è vero, ma non volevo accelerare i tempi. Per
questo spero che si capisca perché Bella lo ha fermato.
Avrebbero potuto fare sesso ora, e magari lui non si sarebbe nemmeno
pentito dopo, però in fin dei conti loro si conoscono da un
mese. E questo è stato il loro primo bacio, mi sembrava troppo
avventato farli finire a letto insieme, se lei non è sicura di
quello che lui prova per lei e viceversa. Alla prossima ;)