Nuvole Bianche

di ste87
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Cap. 1 ***
Capitolo 2: *** Cap. 2 ***
Capitolo 3: *** Cap. 3 ***
Capitolo 4: *** Cap. 4 ***
Capitolo 5: *** Cap. 5 ***
Capitolo 6: *** Cap. 6 ***
Capitolo 7: *** Cap. 7 ***
Capitolo 8: *** Cap. 8 ***
Capitolo 9: *** Cap. 9 ***
Capitolo 10: *** Cap. 10 ***
Capitolo 11: *** Cap. 11 ***
Capitolo 12: *** Cap. 12 ***
Capitolo 13: *** Cap. 13 ***
Capitolo 14: *** Cap. 14 ***



Capitolo 1
*** Cap. 1 ***


Eccomi qua, sono tornata! Sono veramente molto emozionata in questo momento. Postare una nuova ff non è mai facile, ti vengono in mente ventimila complessi: piacerà? Non piacerà? Mi diranno quello che ne pensano? Sarò all’altezza di raccontare per bene ogni cosa senza offendere nessuno? Mi manderanno a quel paese?
Io spero vivamente che non lo facciate, che mi terrete compagnia durante questo viaggio e che soprattutto mi scriviate le vostre impressioni.
Passo e chiudo. Vi lascio alla lettura del primo capitolo.
Ultima cosa prima di andare: a un certo punto troverete una canzone, ASCOLTATELA! Mi ha ispirato a scrivere l’intera storia tanto che le ho dato il suo nome.
Ci vediamo giù!



“…Passa il tempo e non parlare. Passa il tempo e non dire.
Tanto tu sai quello che voleva, quello che ci è successo,
Quello che sento ancora qua.
…E tu se vuoi tornare indietro,
basta che chiudi gli occhi e poi vedrai che mi troverai!”


Mercoledì, 12 Ottobre 2011

-Henry ho detto di no. Non puoi chiedermi di discutere il prezzo di quel vino, lo so che è un prezzo esorbitante ma.. ei? Stiamo parlando del Sassicaia. Un vino che arriva direttamente dalle pianure Toscane, è uno dei vini più pregiati del mondo. Pensa a tutti i ricconi che spenderanno mille e duecento dollari solo per acquistarne una bottiglia!- negli occhi di Henry vedo il simbolo del dollaro lampeggiare ad intermittenza e dentro di me esulto spudoratamente per averla spuntata ancora una volta.  Non è da tanto che faccio questo lavoro ma una cosa è certa, sono diventata fottutamente brava a capire quello che vuole la gente, e la gente di New York amerà questo vino. Gestire dei ristoranti non è per nulla semplice, soprattutto se la crisi che ha colpito l’intero globo si fa sentire pure da queste parti anche se in forma ridotta. Ci troviamo pur sempre a Manhattan, il via vai di gente, di turisti e di ricconi pronti a spendere cifre esorbitanti solo per un pranzo non è mai diminuito. Questo è il cuore pulsante di New York, i soldi da queste parti sembrano cascate verdi nei portafogli della gente o cascate color platino se parliamo di carte di credito. Henry mi guarda e vedo qualche segno di cedimento sul suo viso, il vino che gli ho proposto di comprare farebbe veramente una bella figura nella sua cantina e so che la gente ne andrà matta. Io l’ho adorato, nonostante sia stato il mio ex marito a farmelo assaggiare durante una delle sue stratorferiche cene. E' un cuoco bravissimo. Scuoto la testa cercando di dirigere la mente altrove e mi metto a fissare il ghiaccio che ho nel bicchiere. Dopo pochi secondi sento Henry sospirare.

-e va bene! Hai vinto, mi fido di te. Diamine Bella saresti in grado di mettere fuori gioco chiunque- lo guardo sorridente- sei proprio cresciuta bambina, i Cullen hanno fatto davvero bene ad assumerti cinque anni fa- reprimo la fitta che sento all’altezza dello stomaco e indifferente continuo a guardare il suo viso contornato dai capelli bianchi e i suoi bellissimi occhi azzurri –dimentichi che adesso le cose sono un po’ diverse Henry?-
-come faccio a dimenticarlo..- sussurra dispiaciuto facendo aumentare la morsa che sento allo stomaco. Henry e io ci conosciamo davvero da molti anni e il rapporto che c’è tra di noi non lo considero per niente un rapporto professionale, noi due siamo amici prima che gestore e responsabile dell’Agape, il ristorante dove mi trovo adesso. Henry è il responsabile qui dentro, si occupa della cucina, io invece mi occupo della gestione anche se tutto questo, compresa la sedia dove sono seduta e il ghiaccio che sto facendo titillare nel bicchiere ormai vuoto è proprietà della famiglia Cullen –bambina stai bene?- mi chiede apprensivo come sempre, ed io come sempre gli rispondo con un sorriso- ma certo Henry non ti preoccupare- mi alzo dalla sedia pronta ad andare via, la mia giornata di lavoro non è ancora finita nonostante siano quasi le sei.
-dove vai? Fermati a mangiare un boccone-
Scuoto la testa lentamente – lo sai che non posso, devo correre da Steve- a quelle parole sul suo viso compare subito un espressione di sufficienza e inevitabilmente scoppio a ridergli in faccia – ma certo, come sta il nostro caro e vecchio Steve? Che vada al diavolo..- sussurra pensando che non l’abbia sentito e questo mi fa ridere ancora di più.
-Steve sta bene grazie, gli porterò i tuoi saluti- dico divertita allontanandomi verso la porta d’uscita.

Entro in macchina e molto velocemente mi immetto nel traffico di New York che a quest’ora è diventato spaventoso. Lascio il quartiere di TriBeCA e mi dirigo verso Midtown dove si trova il
Gourmet, il ristorante di Steve, altro locale che dirigevo per conto della famiglia Cullen e che adesso dirigo come socio al 50%. In verità tutti e tre i locali che gestisco sono proprietà della famiglia Cullen, ma se prima ero sotto le loro dipendenze, adesso faccio tutto da sola. Mi spiego meglio… a “causa” di una piccola clausola di matrimonio (clausola voluta fortemente dal mio ex marito che inizialmente avevo considerato superflua e per nulla necessaria) in seguito al divorzio mi sono ritrovata in possesso del 50% dei ristoranti della famiglia Cullen. In definitiva loro sono si i proprietari dei locali che gestisco, ma alla fine i proventi vanno ad entrambi. Io ho assunto la gestione, in pratica mando avanti la baracca  insieme ai miei collaboratori di sala e di cucina, loro alla fine come proprietari ricavano un bel po’ di soldi, ma quei soldi sono anche destinati alla paga dei dipendenti, io invece proprio grazie alla clausola, non devo dividere niente con nessuno. Un bel vantaggio no?  Grazie a tutti i soldi che guadagno posso permettermi la vita agiata che non mi sarei mai sognata di vivere e di questo dovrei ringraziare esclusivamente una persona, ma visti i precedenti sono più tentata di dire che devo ringraziare solo me stessa per avercela messa tutta e per aver raggiunto i risultati impensabili che ho raggiunto grazie a questo lavoro.  

Raggiungo il Gourmet in mezz’ora pronta a sorbirmi tutte le lamentele di Steve. Scendo dall’auto stringendo i lembi del cappotto contro il collo, siamo ad ottobre inoltrato e la temperatura ha già cominciato ad abbassarsi, e mi dirigo verso l’entrata. L’aria all’interno del locale è meno pungente rispetto ai 12 gradi esterni e mi lascio sfuggire un gemito di piacere quando entro in contatto con l’aria calda del riscaldamento. Angela, al bancone intenta a servire cocktail, mi saluta con un gesto della mano e noto in quel momento che il locale è quasi pieno.
Steve sarà intrattabile questa sera penso dirigendomi verso le cucine. Già a metà strada sento un odorino sublime darmi il benvenuto. Lui è un bravissimo cuoco, è eccezionale nel suo lavoro, e sarebbe di certo un ottimo responsabile se non fosse per il fatto che è sempre insoddisfatto. Il contrario di Henry in pratica, ecco perché non lo sopporta.
Spingo le porte della cucina e a passo spedito mi avvio verso i fuochi dove trovo Steve immerso completamente nel proprio lavoro.
-buona sera a tutti ragazzi, Steve..-
-oh alla buonora, quel vecchiaccio aveva bisogno che gli attaccassi il catetere?- come non detto! Lascio correre l’allusione non troppo velata che ha fatto su Henry e alzando gli occhi al cielo mi metto seduta al tavolino del break servendomi una tazza di caffè.    
-oh anche per me è un piacere vederti Steve. Siamo più scontrosi del solito stasera, come mai? Il formaggio da 800 dollari che ti ho fatto arrivare dalla Francia non ti è piaciuto? O forse sarà stato il caviale pregiato del mar Caspio? Oh, aspetta ci sono! Lo zafferano DOP della Sardegna era rinsecchito, dovrò chiamare Antonio e dirgliene quattro- dico prendendomi beffe di lui.
Si gira a guardarmi, sul suo viso ha stampata una smorfia scocciata- se non fosse che ti perdono tutto e che senza di te non riuscirei a fare niente qui dentro, ti odierei per quella boccaccia che ti ritrovi- rido sapendo di essere la sola ed unica persona a riuscire a spuntarla ogni volta con lui e affondo la mia “boccaccia” nella tazza colma di caffè. Lui ride di rimando mostrandomi una sfilza di denti bianchissimi. Steve ha 35 anni o giù di li ed è.. molto bello. E’ alto e nerboruto, ha i capelli scuri e gli occhi verdi, sulla sua faccia un pizzetto squadrato gli incornicia le labbra carnose. Devo ammettere che se non fosse la persona più odiosa di questo mondo un pensierino ce lo farei.. ma, come dico sempre, mai mischiare il lavoro con l’amore, si rischia solo di creare un casino di proporzioni megalitiche.
Dopo quasi due ore passate a sorbirmi ogni tipo di impropero da parte di Steve lascio le cucine e corro di filata da Angela. Ho bisogno di qualcosa di forte da bere.
-ciao Bella, cosa ti offro?- mi chiede lei cordiale come sempre.
-un Martini, subito!-
-ti ha fatto sudare eh?- dice divertita sapendo cosa mi aspetta ogni volta che vengo qui.
-non più del Long Island della settimana del Tartufo-  dico divertita facendola ridere.
Due minuti dopo sorseggio il mio Martini guardandomi intorno annoiata in attesa di imboccare di nuovo l’uscita e andare da mio padre. Noto a pochi metri da me una signora mangiare quello che ha nel piatto con un espressione beata dipinta sul viso, sembra che tocchi il cielo con un dito ad ogni boccone. Sono fiera di me stessa quando vedo le persone soddisfatte gustare quello che i miei collaboratori cucinano per loro, vuol dire che ogni cosa è al proprio posto e che sto facendo bene il mio lavoro.  È questa la cosa che conta di più per me, oltre mia figlia Sophie naturalmente.

Sposto ancora lo sguardo e per poco non mi affogo con quello che sto bevendo quando mi accorgo chi è seduto due tavoli più in la. Non posso evitare di agitarmi ogni volta che lo vedo, se poi lo scopro in compagnia di altre donne è anche peggio. Con lui faccio sempre finta che non mi importi con chi si frequenta e che può fare quello che vuole della propria vita, ma non posso negare di sentire una fitta dilaniante alla base del cuore quando ci comportiamo come due estranei. Ma ormai è questo che siamo diventati,  due estranei che si fanno costantemente la guerra per non rischiare di far riaffiorare dei sentimenti che ci farebbero solo soffrire. Lo so io, lo sa lui e lo sanno le persone che ci stanno intorno, almeno quelle a cui teniamo di più.

Questo pensiero mi fa balzare giù dallo sgabello e mi ricorda che ho un appuntamento con mio padre. Saluto Angela e trafelata esco dal locale cercando di fare in modo di non essere vista. Non sopporterei di reggere lo sguardo di Edward questa sera. Anche se non posso fare a meno di scontrarmi con in suoi smeraldi quando lo vedo fissarmi attraverso la parete di vetro del locale un secondo prima di infilarmi nella macchina. Sbuffo pensando a quanto sia stressante ogni volta dover sopportare tutto questo: le gambe di gelatina, il cuore che batte, le guance arrossate. Eppure non posso semplicemente godere di queste sensazioni, no.. non posso, non dopo quello che mi ha fatto.
Spingo affondo l’acceleratore per arrivare nel Queens il prima possibile,  non vedo l’ora di raggiungere mio padre, se sto troppo tempo da sola non posso fare a meno di pensare alla situazione in cui ci troviamo: divorziati e con una bambina da crescere. E pensare che il nostro era una amore così bello, così forte e siamo stati in grado di rovinare tutto.
 


Spinta da una forza incontrollata comando la mia mano a cercare nella playlist della mia macchina LA canzone, la nostra canzone. Quella che ci ha fatto incontrare. L’ascolto sempre quando ho nostalgia della nostra vita insieme e contemporaneamente mi do della stupida perché ogni volta scoppio a piangere come una bambina.
È stato il suo suono a condurmi da lui quando un giorno di tanti anni fa mi sono trovata a lavorare a casa sua. Io non ho mai vissuto nel lusso e per potermi mantenere sono stata costretta ad abbandonare l’università e a cercarmi un lavoro. 
Ricordo che da Catering & Banqueting cercavano personale per una mega festa che si sarebbe svolta nella villa di un magnate dell’industria petrolchimica, e così mi sono presentata per il posto di cameriera. Mai avrei creduto che da quella sera tutta la mia vita sarebbe cambiata per due occhi verdi e dei capelli color del rame. Mai avrei creduto che fosse possibile innamorarsi perdutamente di una persona solo dopo poche ore, eppure a me era successo. Ero solo una ragazzina che ha lasciato che l’amore la travolgesse con la stessa forza di un uragano e oggi, guardando indietro lascerei che ciò accadesse ancora.. e ancora.. e ancora. Ricordo di essermi appartata per riposarmi un po’ a fine serata, ma ovviamente il mio scarsissimo senso dell’orientamento mi  condusse praticamente nella zona opposta a dove erano andati tutti gli altri camerieri; dovevo raggiungere Janet una ragazza che avevo conosciuto quella sera stessa e che come me cercava di tirare avanti tra un lavoro e un altro. Ero pronta per tornarmene da dove ero venuta ma una musica mi fece bloccare. Come un cane da tartufo annusai quelle note dolci scivolare in quei corridoi bellissimi, finché non raggiunsi la stanza da dove proveniva quel suono in grado di toccarmi le corde del cuore; per quanto ne sapevo io poteva essere anche il suono di un CD ma la mia curiosità voleva essere accontentata. Mille brividi percorsero la mia schiena quando scostai di poco la porta per sentire meglio e in quel momento mi diedi della stupida perché sapevo che la cosa più giusta da fare sarebbe stata andarmene, raggiungere gli altri e concludere il mio lavoro. Ma no, non lo feci e naturalmente non potei sfuggire al suo sguardo(ancora oggi mi chiedo se non ci sia una qualche calamita che gli fa alzare gli occhi e cercarmi ogni volta che siamo vicini). Quando Edward si girò e i suoi occhi si posarono per la prima volta sul mio viso pensai di poter prendere fuoco. Non si interruppe, come invece pensavo che facesse visto che l’avevo disturbato, ma continuò a suonare rimanendo fisso a guardarmi. Solo dopo mi disse che non aveva smesso perché era incantato nel guardare tutto ciò che quella musica riusciva a trasmettermi attraverso le espressioni del viso.


Scuoto la testa per ritornare con la mente al presente e mi accorgo che manca veramente poco per raggiungere la casa di mio padre. Come succede sempre anche questa volta non riesco a reprimere un moto di tristezza e di malinconia quando penso a lui. Mio padre fa il poliziotto, o meglio.. lo faceva. Da quando una terribile e disgraziata notte di sei anni fa ha commesso l’errore di togliere la vita ad un uomo innocente che si trovava a passare di lì durante uno scontro a fuoco con alcuni malviventi.


Da quella sera non è più lo stesso.


Strigo forte le mani attorno al volante per sopprimere la rabbia e mi correggo mentalmente appurando che sono ormai dieci anni che non è più lo stesso. Tutto è cominciato quel giorno di settembre…quel giorno che ancora oggi tutti ci portiamo nel cuore. Mio padre ha smesso di vivere da quel giorno. Dal giorno in cui mia madre è morta negli attentati dell’11 settembre. La sorte degli occupanti della Torre Nord che si trovavano sopra i piani colpiti dall’aereo fu segnata fin dal primo momento. L'impatto centrale del Boeing contro il nucleo dell'edificio aveva precluso ogni possibile via di fuga, tagliando tutte le scale di evacuazione e lasciando senza speranze i sopravvissuti, tra questi c’era anche mia madre. Mai nessuno sarà in grado di immaginare l'inferno che hanno vissuto nei loro ultimi momenti, consapevoli della loro atroce fine. E lui era li, come poliziotto ha cercato di fare al meglio il suo lavoro e ha visto la torre cadere e sbriciolarsi davanti ai suoi occhi. Ha visto la fine di mia madre e la morte di alcuni dei suoi compagni. Mi porto una mano ad asciugare gli occhi e mi rendo conto che abbiamo commemorato tutte le vittime di quel giorno soltanto un mese fa. Nonostante il dolore ha continuato a lavorare lo stesso, si è rimesso in piedi anche se con la morte nel cuore e ha lavorato sodo per riuscire a darmi il meglio. Ma quella notte di sei anni fa è stata il colpo di grazia per lui, da allora non si è più ripreso sprofondando in una sempre più dilaniante sofferenza. Non esce più, non ride più.. è diventato lo spettro di quello che era il mio amorevole e dolce papà. Solo mia figlia Sophie riesce a farlo sentire un po’ meglio. Lei con la sua allegria e spensieratezza spazza via brevemente le nubi dal suo cuore e dal suo animo, ma poi tutto torna come prima quando è ora di tornarcene a casa.


Metto la freccia per svoltare a sinistra e parcheggio l’auto nel vialetto di casa. Le luci sono soffuse e come sempre il volume del televisore troppo alto; sento David Letterman ridere sguaiato sin da qui. Prendo il sacchetto che ho fatto preparare da Steve dal sedile accanto al mio e scendo dall’auto. Quando apro la porta di casa la scena che mi trovo davanti è sempre la stessa: Charlie seduto sulla poltrona intento a guardare la punta delle sue scarpe e lo show televisivo che scorre senza degnarsi di dargli nemmeno un occhiata. Subito afferro il telecomando e abbasso il volume, stupendomi come mai Sue non l’abbia fatto prima. Sue è la vicina di casa di papà, ogni tanto lo affido a lei quando gli impegni mi impediscono di venire a fargli visita.

-ciao papà, come stai oggi?- gli dico mentre mi abbasso per depositagli un bacio sulla fronte e corro in cucina sapendo che non riceverò nessuna risposta. Prendo le posate e i piatti, li porto in salotto e li appoggio sul tavolino proprio davanti a lui. Apro il sacchetto con il cibo e deposito nel suo piatto un abbondante porzione di riso ai funghi( per fortuna l’appetito non gli manca) e il resto lo metto nel mio. Gli porgo la forchetta e riempio il suo bicchiere con dell’acqua – avanti papà, mangia su- lo incito mentre lo vedo rivolgermi la prima occhiata da quando sono entrata. Si sforza di farmi un sorriso tirato e comincia a mangiare. Passiamo il resto del tempo a sfamarci senza dire niente, lui è di poche parole ed io sono troppo stanca per intavolare una conversazione che alla fine porterò avanti da sola.
Dopo aver finito tutto quello che ha nel piatto mi chiede di Sophie – dov’è la mia dolce nipotina? Sta bene?-  dice con quel tono che mi ricorda tanto i tempi passati.
-oh benissimo grazie. È a casa di sua zia, voleva passare un po’ di tempo con lei. Vado a prenderla prima di tornare a casa-
-bene- mi dice e soltanto in quel momento mi rendo conto che forse non gli faccio passare abbastanza tempo con lei se arriva a chiedermi come sta. Capisco che la conversazione è finita quando si gira a guardare la tv, perciò mi alzo e vado in cucina per riordinare. Quando finisco corro subito nella sua camera da letto e do una sistemata anche li, poi mi dedico al bagno. Faccio tutto in fretta in modo d’impedirmi di pensare a questa tremenda situazione. Sono le 21.30 quando torno giù nel salotto e lo trovo nella stessa posizione in cui l’ho lasciato. A questo punto non riesco più a trattenermi e una fitta allo stomaco mi procura una crisi di pianto. Per non farmi vedere mi chiudo in cucina e aspetto che finisca, che lo sconquasso che sento dentro si affievolisca e che torni a respirare normalmente. Succede ogni volta che penso a mia madre e mi rendo conto di quanto mi manca, di quanto mi è mancata nelle tappe più importanti della mia vita e quanto mi mancherà in futuro. Penso a come si è ridotto papà e a come le sue condizioni mi hanno costretto ad abbandonare gli studi per cercare un lavoro. Vorrei essere arrabbiata con lui per non avermi dato la possibilità di studiare come tutti gli altri, ma poi le immagini di me e di Edward durante il nostro primo incontro mi passano davanti agli occhi e dimentico tutto. Passa almeno un'altra mezzora prima che mi riprenda completamente e mi rendo conto che devo rimettermi in piedi e dimostrarmi forte. Lo devo a mio padre, ma soprattutto lo devo all’angelo che mi aspetta per tornare a casa dai suoi giochi e dal suo lettino.  
-papà è tardi, sono le dieci passate. Vai a letto- gli dico inginocchiandomi per terra davanti a lui. Si volta a guardami e mi stupisce alzando una mano ad accarezzarmi la guancia sinistra.
- sei così bella..- dice in un sussurro procurandomi un po’ di batticuore. Sono rare le occasioni in cui si lascia andare a dimostrazioni d’affetto nei miei confronti e ogni volta che succede penso di riuscire a toccare il cielo con un dito.
-grazie papà, ma ora vai a letto è tardi. Devo andare a prendere Sophie- annuisce alla mia richiesta e quasi a rallentatore si alza dalla poltrona per incamminarsi verso le scale che portano al piano superiore. Per fortuna è autosufficiente, non penso che sarei riuscita a sopportare l’idea di lui che ha bisogno di qualcuno per andare in bagno o anche solo spogliarsi. Prima che me ne dimentichi lascio sulla mensola del camino la solita somma di denaro che gli lascio quasi tutte le sere e dopo aver spento la tv esco di casa e salgo in macchina.

Il tragitto dal Queens all’ Upper East Side non è tanto lungo e contro ogni mia previsione non ci metto troppo tempo ad arrivare sotto casa di mia cognata, emmh scusate, volevo dire ex cognata. Lascio la macchina proprio davanti al portone del suo palazzo ed entro dentro correndo. Saluto Fred (il custode) e salgo su. Quando suono alla porta dell’appartamento che in verità ha tanto l’aria di una reggia, sono ormai le dieci e trenta passate. Dopo una serie di urletti e rumori concitati un tornado dai capelli ramati mi salta addosso cogliendomi impreparata e per poco non cadiamo a terra.

-mamma sei arrivata!- mi urla nell’orecchio stordendomi un po’.
-scusa ho fatto tardi. Pensavo che stessi già dormendo- dico guardando di sbieco mia cognata, oh pardon ex cognata.
-non arrabbiarti Bella stavamo guardando la Sirenetta e non ci siamo accorte del tempo che passava- mi dice Alice dall’alto del suo metro e sessanta. La ignoro e mi volto subito verso Sophie- davvero? Ancora?- avrà guardato quel cartone almeno 200 volte da quando gliel’ho fatto vedere per la prima volta.
-si mamma. Non arrabbiarti con la zia- per carità penso tra me e me e chi la ferma poi.
-ok, va bene. Ma adesso corri a prendere le tue cose, andiamo a casa- la metto giù ed insieme entriamo dentro per recuperare la sua borsa.
-ha fatto la brava?- chiedo ad Alice quando ci troviamo nel salotto da sole.
-si, lo sai che è un angioletto. Sta proprio venendo su bene. Ah prima che me ne dimentichi, la sua maestra mi ha dato questo per te- dice passandomi un foglio gli orari disponibili ad incontrarla- Vuole che passi a trovarla il prima possibile, anche domani se non hai impegni. E..-
-e..?-
-ha detto di far venire anche Edward- sento una morsa allo stomaco solo a sentirlo nominare e tra noi si crea subito dell’imbarazzo. Odio questa situazione, prima del divorzio io ed Alice eravamo diventate quasi sorelle.
-non preoccuparti. Lo chiamo appena arrivo a casa- fantastico adesso mi tocca fargli anche da segretaria penso.   
Per fortuna Sophie è veloce e mi toglie dall’impaccio.
La prendo in braccio e prima di uscire di casa ringrazio Alice e le chiedo di salutare Jasper da parte mia. Sul suo viso vedo la solita tristezza e me ne rammarico, ma è meglio così. Edward è suo fratello e se voglio riuscire ad andare avanti, freddare i rapporti con tutta la mia vecchia famiglia è l’unica soluzione per non rimanere ancorata al passato.

Arriviamo a casa in un battibaleno, visto che abitiamo quasi vicine, nel frattempo mia figlia non ha smesso un attimo di parlare. Come faccia ad essere così sveglia e attiva anche alle undici di sera è un mistero per me, forse i cromosomi di Edward erano in gran forma la sera che l’abbiamo concepita e hanno vinto la battaglia contro i miei facendola assomigliare sempre di più a quello scricciolo di mia cognata, emmh volevo dire ex cognata.

La porto di filata nella sua stanzetta e le metto subito il pigiama ringraziando mentalmente Alice per averle già fatto il bagnetto. Non passano più di cinque minuti da quando ho cominciato a raccontarle la favola della buona notte, che la sento sospirare pesantemente e mi accorgo che è già crollata nel modo dei sogni. Mi giro ad osservarla e ogni volta mi perdo a contemplare la sua bellezza. Il visino tondo, i capelli pieni di boccoli ramati, la sua pelle chiara e liscia come la seta, il suo profumo inconfondibile rimasto immutato dal giorno della sua nascita; sospiro pensando che sono già passati quasi quattro anni, il più bel regalo di Natale che abbia mai ricevuto.  Si perché è arrivata infiocchettata a festa dopo nove ore di travaglio il 25 Dicembre 2007. Ricordo ancora la felicità di quel giorno e l’amore incondizionato sul viso di Edward.

Le lascio un bacio delicato sulla fronte ed esco dalla sua stanzetta. Corro in bagno a farmi un doccia veloce e appena finisco indosso subito il pigiama. Asciugo un po’ i capelli e poi mi avvio in cucina. Facendomi coraggio prendo il cellulare e compongo il numero di Edward. Non mi faccio problemi che sia quasi un orario indicibile per fare telefonate o che possa interrompere qualcosa proprio sul più bello… solo a pensarci un fiotto di bile mi sale nella bocca raschiandomi la gola.

Risponde al terzo squillo segno che non stava affatto dormendo.
-Bella? È successo qualcosa a Sophie?- mi chiede subito allarmato.
-no, non è successo nulla sta tranquillo- lo sento sospirare dall’altra parte della cornetta – ti ho chiamato per dirti una cosa riguardo tua figlia- dico calcando l’accento sulla parola tua, odia quando lo tratto con così tanta indifferenza e infatti non mi stupisco di sentire uno sbuffo dall’altra parte, inconsapevolmente mi spunta un sorriso sulla faccia.
-Bella non fare così-
-così come?-
-come se non me ne importasse niente-
Non ti è importato niente tre anni fa, perché dovrebbe interessarti proprio adesso vorrei rispondergli e invece mi limito a dirgli -beh è quello che penso Edward perciò non puoi farci nulla-
-lo sai che non è vero-
-certo, certo- rispondo con sufficienza e anche questo so che gli da fastidio da morire.
-Sophie è la persona più importante della mia vita e questo lo sai-  
-peccato che quando avresti potuto fare qualcosa non l’hai fatto, hai preferito tradirmi e perdere la tua famiglia- dico risoluta soltanto per il gusto di ferirlo e fargli provare un minimo del dolore che ha fatto provare a me. Esco dalla cucina e mi rifugio nella nostra ormai ex camera da letto.
-non è stata tutta colpa mia, e lo sai- si lo so, ma non sono stata di certo io a correre tra le braccia di un’altra. Avrebbe potuto fare la differenza e invece…
- non ero io quella a spingere il tuo attrezzo in mezzo alle gambe  di quella stronza Barbie siliconata! Perciò per favore risparmiami i sensi di colpa, tanto non ti credo- lo sento sbuffare dall’altro lato –senti basta, ogni volta è sempre la stessa storia. Tu che mi rinfacci i miei errori ed io che faccio altrettanto con te. La differenza tra me e te però è che io stavo lottando per cercare di non perdere me stessa mentre tu non ti sei fermato un attimo a pensare a quello che stavi facendo, alle conseguenze delle tue azioni- stanca morta mi sdraio sul letto e cerco di regolarizzare il respiro.
-lo so, maledizione! Lo so!- dice esasperato. Passano diversi minuti prima che uno dei due torni a parlare.
-cosa volevi dirmi?- mi chiede questa volta più pacato.
-la maestra dell’asilo di Sophie vuole vederci-
-come mai?-
-non lo so, ha parlato con Alice oggi pomeriggio. Mi ha lasciato la lista degli orari per un incontro. Ti va bene domani mattina? Voglio sapere subito cosa ha da dirmi...dirci- mi correggo subito. Ogni volta litigare con lui è sfiancante ma mi rendo conto che per il bene di Sophie devo cercare di comportarmi giustamente.
-si ok, non c’è problema. A che ora ci vediamo?-
-la porto all’asilo verso le otto e trenta. Ce la fai a raggiungermi per quell’ora?-
-si, certo. Ci vediamo lì-
-bene-
-bene- finisce lui e visto che non aggiunge altro faccio il gesto poco signorile di chiudergli il telefono in faccia.

Non sono rare le volte che mi concedo di pensare a quello che è successo tra di noi tre anni fa, anzi se devo essere sincera è un pensiero così fisso che sta diventando una specie di tortura, come la “goccia Cinese” è sempre lì che a ritmo cadenzato mi fa ripiombare nel passato. La mia mente vorrebbe diventare insensibile ma il mio cuore torna sempre a quel dolore, forse perché fondamentalmente non l’ha mai abbandonato.
“È ancora troppo presto” mi dico delle volte, “non te lo leverai mai dalla testa” mi ripeto delle altre. So solo che devo fare il meglio per Sophie e il meglio per la mia bambina è che i propri genitori non si facciano la guerra a vicenda e che soprattutto non le facciano mancare mai la loro presenza e il loro amore.

Sospiro posizionandomi per bene sotto le coperte e lascio che la stanchezza della giornata mi conduca tra le braccia di Morfeo, non prima di rendermi conto che domani dovrò rivedere l’amore della mia vita che allo stesso tempo è diventato il mio incubo peggiore. E come si dice… se il buongiorno si vede dal mattino allora domani sarà sicuramente un'altra sfiancate e stressante giornata di  merda.  

 

Emmh emmh… ok, che ve ne pare?
Avete letto di una Bella forte, lavoratrice, figlia, moglie e madre soprattutto. La sua storia non è delle più felici ma in qualche modo si sta riscattando. Questo del divorzio è un argomento molto particolare, non ho mai vissuto in prima persona quello che si prova e ne tanto meno aspiro a viverlo. Spero di essere all’altezza di saperne raccontare per bene ogni aspetto. Non sarà facile, però vi giuro che ce la metterò tutta.  
Chi è curiosa di sapere cos’ è successo al rapporto con Edward? Come mai si sono lasciati?  Non vi resta altro che restare sintonizzati e lo scoprirete! Ringrazio già da adesso chiunque deciderà di lasciarmi un commento, anche solo per dirmi “fa schifo”, almeno saprò comportarmi di conseguenza. E grazie immensamente a te ciùciù che mi supporti sempre. Per chi se lo stesse chiedendo sto parlando della magnifica 
AnImoR_7 (se non avete letto le sue storie correte subito nella sua pagina!) mi ha fatto una capoccia per convincermi a postare almeno il primo capitolo di questa storia.  
Alla prossima, spero! Su facebook mi trovate qui
Ste 87 Efp

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Capitolo 2
*** Cap. 2 ***


Buongiorno a tutte! Sono tornata con il nuovo aggiornamento. Prima di tutto volevo ringraziarvi per come avete accolto il primo capitolo e per le parole splendide che mi avete scritto nelle recensioni. Volevo chiarire, visto che qualcuno me lo ha chiesto, che il titolo della storia è proprio ispirato alla musica di Einaudi che fa da cornice al primo incontro dei nostri protagonisti. Non fate nessuna congettura, non cela nessun altro significato particolare, almeno… non per adesso! Chissà che vuol dire? Lo scoprirete più avanti, tranquille.

Un ringraziamento particolare va alla mia sorellona che mi ha aiutato in ambito tecnico, visto che è laureata in Scienze della formazione Primaria, perciò tutte le informazioni e gli esempi che troverete ad un certo punto del capitolo me le ha fornite lei. Diciamo tutte un bel grazie a Francesca? GRAZIE FRANCESCA!

E grazie alla mia amorosa AnImoR_ 7 che mi ha aiutato a correggere l’obbrobrio che vi apprestate a leggere…

Buona lettura, ci vediamo sotto!

  

 

Giovedì, 13 ottobre 2011

C’è un suono nell’aria, una melodia dolce che mi sembra di ricordare. Una nube fitta si staglia davanti ai miei occhi impedendomi di vedere bene; sento che sto per soffocare. Ma ecco che la musica cresce d’intensità e la nube si leva da terra dandomi un po’ di sollievo. Ad ogni accordo percepisco sempre di più la famigliarità di quel suono e quando mi rendo conto che è la canzone che mi lega a Edward comincio a correre per individuarne la provenienza. Ad ogni passo percorso corrisponde un battito in più del mio cuore, sono impaziente, troppo impaziente di trovarmi di fronte a lui. Si, so che è lui a suonare, chi altri potrebbe essere? Solo lui riesce a farmi fibrillare il cuore schiacciando il nero e l’avorio dei tasti di un pianoforte. Quando mi sembra di aver corso per chilometri sussurrando il suo nome ecco che all’improvviso vado a sbattere contro una porta. La nube in quel punto è profumata di… cosa? Zucchero a velo? E la musica è senza dubbio più forte. Non mi fermo neanche un secondo prima di abbassare la maniglia e vedere cosa c’è dietro. Quando apro la porta la scena che mi si presenta davanti è la medesima del primo incontro che ho avuto con Edward, perciò non mi stupisco di trovarlo seduto sul suo sgabello, concentrato a riprodurre quella stessa melodia. Non si accorge di me così decido di andargli incontro.

-Edward?- lo chiamo ma da lui non ricevo nessuna risposta. Comincio a giragli intorno troppo agitata e frastornata per quello che sta succedendo. Non capisco… perché non si gira? Perché non mi parla? –Edward- sussurro questa volta proprio all’indirizzo del suo orecchio, ma niente. Com’è possibile? Mi sembra di rivivere il momento peggiore della mia vita, quando speravo che l’unica cosa in grado di aggiustare il nostro rapporto fosse semplicemente parlare. Ma in quel periodo non c’era posto per le parole.

-cosa ci è successo?- sussurro quasi involontariamente sentendo un dolore sordo al petto al solo ricordare.

-abbiamo dimenticato cos’eravamo l’uno per l’altra- mi risponde lui sorprendendomi continuando tranquillamente a suonare. Sto per ribattere ma la musica finisce e tutto intorno a me scompare come risucchiato da un vortice ed Edward con lui. Adesso c’è solo il buio, lo sento come una seconda pelle cercare di stritolarmi e improvvisamente sento un’orribile sensazione di terrore. Non voglio rimanere sola, non voglio. –Edward!- grido questa volta affinché mi senta e venga ad aiutarmi, ma niente non mi sente nessuno. Una mano invisibile mi copre la bocca impedendomi di respirare e a nulla valgono le mie urla. Davvero non posso contare più su nessuno? Chi sarebbe venuto ad aiutarmi se avessi lanciato il mio S.O.S di soccorso? Mio padre? Edward? L’unica persona alla quale avevo affidato tutto il mio amore e la mia vita e che non aveva fatto altro che sbriciolare il mio cuore in mille microscopici pezzettini? No, ero davvero sola. Una lacrima sfugge al mio controllo e per quanto amara sia la verità mi dico che non posso permettermi di soccombere. Una risata argentina mi fa drizzare subito le orecchie e in quel momento capisco che in realtà c’è una persona sulla qualche potrò contare per sempre, la mia unica ragione di vita, il mio angelo… Sophie. Racimolo tutto il fiato che ho in corpo e facendomi coraggio comincio ad urlare a più non posso fino a che il buio scompare e la sensazione di vuoto non lascia il posto ai colori.

E poi mi sveglio.

Sobbalzo nel momento in qui apro gli occhi e mi accorgo di avere le guance umide e il respiro affannato. Non ho nemmeno il tempo di fare mente locale e capire quello che è successo che la sveglia suona puntuale. Sto per girarmi ma subito una manina si posa sul bottone e la ferma al posto mio. Sophie è distesa accanto a me nel lettone e mi guarda come se avessi tre teste.

-buongiorno amore- le dico prima di stringerla forte tra le braccia.

-mami stai bene?- mi chiede subito dopo tornando a guardarmi nello stesso modo di prima.

-certo, perché?- le chiedo soffocando in un sospiro la paura che ho provato durante quell’incubo.

-urlavi poco fa- mi dice con aria dispiaciuta e anche un po’ spaventata.

-non è niente tesoro- le dico rassicurandola, ci mancava solo che assistesse alla scena penso tra me e me. Tante volte durante la notte corre ad infilarsi nel mio lettone ed io la lascio fare, ma mi dispiace che poi debba assistere a situazioni di questo genere.

-hai anche detto il nome di papà, tante volte- non posso combattere la sensazione di sconcerto che provo in questo momento e neanche i brividi che mi percorrono la schiena al solo sentire quelle parole. Dannazione, e adesso?

-emmh… non è successo niente. Davvero Sophie sto bene. Vado a preparare la colazione, vieni con me?- le dico balzando giù dal letto e indossando una maschera di pura allegria. Sophie mi guarda scettica per un momento ma poi accetta la mia mano e insieme ci dirigiamo in cucina.

Per fortuna scorda presto quello che è successo incollandosi con il muso davanti al televisore. Guarda un po’ i cartoni spensierata ridendo di fronte alle disavventure di “Manny tuttofare” prima che la prenda, tra risate e lamentele generali, e la porti a prepararsi per l’asilo.

Quando usciamo di casa la città è già intasata dal traffico, i negozi sono affollati e le strade piene di gente, ma di cosa mi stupisco? Questa è New York ed è logico che le persone corrano frenetiche da una parte all’altra e che sembra che non dormi mai nessuno. Alla svelta ci infiliamo in macchina e con una manovra azzardata mi immetto nel traffico newyorkese.

-allaccia la cintura Sophie, non voglio ripetertelo due volte- le dico mentre guardo le sue mosse dallo specchietto retrovisore. Da brava si siede composta e allaccia la cintura proprio come le ho detto di fare. Nel contemplarla mi rendo conto sempre di più di quanto sia incredibile la somiglianza con il padre; non posso ritrovare che lui nelle sue mosse, nella sua bellezza quasi eterea, nei suoi boccoli ramati, nei suoi occhi verdi come i prati si montagna. Dio quegli occhi, sono la mia perdizione. Anche nel sogno di stamattina non ho fatto altro che cercarli. Era tutto così vero, così reale, e poi le parole di Edward che sento ancora chiare nella mente … “abbiamo dimenticato cos’eravamo l’uno per l’altra”. Sospiro pensando che tra poco meno di 10 minuti lo rivedrò per l’incontro con l’insegnate di Sophie.  

Il suono di un clacson mi fa rinsavire e capisco di star bloccando il traffico. La macchina dietro la mia aspetta impaziente che mi smuovi dal semaforo che intanto si è fatto verde.

Arriviamo a destinazione in perfetto orario nonostante il via vai delle automobili e subito parcheggio nel primo posto libero. Aiuto Sophie a scendere dalla macchina e insieme ci dirigiamo verso l’entrata dell’edificio scolastico.

-Buongiorno Sophie, buongiorno Signora Swan- mi saluta cordiale la maestra di mia figlia una volta entrata in aula. Dopo il divorzio ho deciso di ritornare al mio cognome da nubile, non aveva senso rimanere ancorate al passato.  

-buongiorno signorina Blanchard- le risponde subito la mia piccina con tono affettuoso per poi correre a giocare con le sue amichette. La signorina Blanchard è una ragazza molto solare, avrà si e no 30 anni, è alta all’incirca quanto me, ha i capelli scuri e due occhi azzurri da togliere il fiato. È sicuramente molto bella.

-signorina Blanchard, è un piacere rivederla. Se non sbaglio ha riferito a mia cogn… mi scusi alla signorina Cullen che voleva parlarmi- dico in fretta riprendendomi subito dalla gaffe.

-si, non sbaglia. Ma speravo che ci fosse anche il signor Cullen all’incontro- mi dice rammaricata.

-dovrebbe arrivare a momenti- le dico seguendola fuori dall’aula per dirigerci nel suo ufficio.

-aspettate! Ci sono anch’io!- urla una voce alle nostre spalle e sarei completamente rincoglionita se non la riconoscessi all’istante. 

Mi giro e lo vedo avanzare verso di noi con la sua solita camminata fluida e si, lo ammetto, anche molto sexy e appena mi si para davanti per un secondo smetto di respirare.

-volevate cominciare senza di me?- il suo tono vorrebbe essere ironico ma in realtà ha tanto l’aria di essere seccato. Non mi stupisco infatti che dopo aver stretto la mano della signorina Blanchard mi rivolga uno sguardo accusatorio.

-prego accomodatevi- dice la maestra indicando le due sedie davanti alla scrivania.

-vi ho invitato a venire qui perché dobbiamo parlare di Sophie – questo lo sapevo.

-e…?- la incito a continuare troppo agitata della situazione che si sta creando.

La signorina non dice nulla, si limita a tirare fuori dei fogli dal suo portadocumenti posto sul tavolo cominciando a fissarli.

-Sophie non vive bene la vostra separazione- butta lì facendomi ammutolire, rivolgo un occhiata a Edward e lo scopro a fissarmi, come me non accenna a dire niente. In verità è una cosa che sapevo benissimo, o almeno lo sospettavo. Quale figlio vive bene la separazione dei propri genitori? Adesso però la domanda è come ha fatto lei a capirlo.

-cosa intende per “non vive bene la vostra separazione”? Ha fatto o detto qualcosa che ci riguarda?- dico preoccupata.

- non direttamente, mi spiego meglio: apparentemente Sophie è una bambina come tutte le altre, non dimostra un disagio marcato, anzi è molto solare e… ed è per questo che vi ho invitati a venire qui oggi. Non vorrei che le cose peggiorassero. Ecco guardate- dice porgendoci dei disegni fatti chiaramente da un bambino.

-questi disegni li ha fatti vostra figlia. Sapete, la separazione attualmente viene considerata come un evento possibile nella relazione di coppia unita o no dal vincolo matrimoniale ma costituisce, sempre, una forte esperienza che può influire sui bambini in vari modi che dipendono da diversi fattori - dice interrompendosi- Nei disegni di bambini con genitori separati è possibile rilevare una scarsa valorizzazione di sé, espressa dall’assenza di particolari verso gli altri personaggi- dice indicando nel foglio che tengo in mano la figura mia e di Edward ai lati di una bambina dai capelli ramati - come ad esempio il colore di occhi e capelli con un utilizzo di colori più sfumati e freddi, o addirittura assenza di colore - infatti noto con rammarico le nostre figure messe meno in evidenza rispetto alla sua. I miei capelli risultano sbiaditi e gli occhi di Edward verdi come i suoi sono in realtà sul grigio. 

-anche quando disegnano personaggi sospesi per aria è indice di instabilità e insicurezza- dice indicando il foglio che invece ha in mano Edward. In questo caso è proprio Edward ad essere sospeso per aria attaccato ad un palloncino. Vedo il diretto interessato irrigidirsi e subito una fitta di insicurezza mi coglie impreparata.

-questo disegno potrebbe non voler dire quello che intende lei. Insomma… sono sospeso attaccato ad un palloncino, non ci vedo nulla di male- sento in Edward la stessa insicurezza che sento dentro di me mista alla volontà di non credere a quello che la signorina Blanchard ci sta dicendo.

Lo vedo deglutire a fatica mentre serra i denti in una morsa d’acciaio; la sua mascella è completamente contratta.

-capisco la sua reticenza signor Cullen, ma lasci che le spieghi-

Subito prende come esempio altri fogli dalla sua scrivania. I fogli in questione raffigurano esclusivamente due figure, la mia e quella di Sophie -   il bambino instaura un legame unico e totalizzante con il genitore affidatario, omettendo l’altro genitore, dal momento che i rapporti con questo diventano più scarsi o addirittura nulli, probabilmente meno significativi per il bambino-

-ma io passo molto tempo con mia figlia, non è vero Bella? Diglielo anche tu- il tono di Edward è molto allarmato per non dire terrorizzato e le sue parole giungono alle mie orecchie come una richiesta d’aiuto. Mi guarda come per dirmi “avanti passami quella cima, non lasciarmi affogare” ed io mi sento intimorita da quello sguardo. Perché lo conosco molto bene, e non si può resistere a quello sguardo è sicuro. Solo che a differenza mia lui non l’ha mai capito, avevo quello sguardo nel periodo in cui ci siamo lasciati e non è servito a niente, io invece l’ho sempre tirata quella cima, sempre. Comincio a sentirmi soffocare, vorrei chiedere alla maestra di aprire la finestra che c’è alle sue spalle. –Bella?- mi chiama ancora Edward vedendomi annaspare e questa volta la sua voce è una specie di balsamo per i miei nervi tesi. Lo guardo e come capita sempre, mi perdo dentro quei pozzi tanto profondi quanto pericolosi. Scuoto la testa per tornare con la mente al presente e al vero motivo per il quale siamo qui, e comincio a riflettere. Il tempo che Sophie trascorre con Edward non è moltissimo ma non è neanche poco se proprio vogliamo essere  sinceri. Dopo la separazione la bambina è stata affidata a me e come è normale che sia vede Edward solo su incontri stabiliti. Trascorre con lui quasi tutti i fine settimana, anche se lui è molto impegnato a lavoro e alcune volte si trova costretto a disdire e a passare con lei solo la domenica. Di una cosa sono sicura però, nonostante non sia molto il tempo che hanno da dedicare l’uno all’altra, il loro legame è molto forte. Lei stravede per lui e lui beh, per quanto la nostra vita insieme sia andata a rotoli, devo dire che invece gestisce molto bene il rapporto con Sophie. Ma il problema qui non è il rapporto che c’è tra i due, bensì quello che c’è tra me è Edward. A quanto ho capito la signorina Blanchard sta prendendo in esame la nostra separazione.

-il punto non è questo Edward- mi ritrovo a dirgli guardandolo scossa- lo sappiamo entrambi quanto tu voglia bene a nostra figlia ed anche lei lo sa, fidati-

- e allora qual è il punto?- riprende lui agitato portandosi una mano nella massa di capelli che si ritrova in testa.

-il punto è che per Sophie sta diventando importante vederci insieme. Lei vorrebbe che fossimo una famiglia, dico bene signorina?- dico rivolgendomi direttamente all’unica persona che può dirmi se il mio ragionamento è giusto o sbagliato.  

-non sbaglia, no-

-si, ma cosa possiamo fare a questo punto? Noi siamo separati e Sophie non ha mai dimostrato la sua necessità di volerci vedere insieme, dice che è capitato qualcosa che ha fatto nascere in lei questo bisogno?- dice Edward dando voce anche ai miei pensieri.

-beh, la risposta è semplicissima. E’ una bambina e come tale sta cominciando a sentire dei bisogni, sta crescendo. I bambini sono influenzati continuamente da tutto quello che li circonda, lei avrà visto qualche cartone in tv di una famigliola felice in cui mamma e papà abitano sotto lo stesso tetto, o molto probabilmente avrà visto qualche suo compagno insieme ai suoi genitori e si sarà chiesta perché anche voi non potete essere così, perché anche i suoi non la vengono a prendere insieme a fine giornata. Non so quale sia il fattore scatenante, so solo che sta dimostrando questo disagio attraverso i suoi disegni e mi è sembrato giusto farvi venire qui per parlarne-

-cosa ci consiglia di fare? Beh siamo separati e questa è la realtà, ma sono sicura che entrambi siamo disposti a fare qualsiasi cosa per darle sicurezza e farle capire che noi ci saremo sempre per lei- dico guardando prima la maestra e poi Edward che mi fissa come per dire “si sono con te, mi butterei anche tra le fiamme per lei” e questa è una cosa che mi riempie d’orgoglio.

-beh per prima cosa non fatela mai sentire come se fosse un peso per voi, e neanche come se fosse una vostra proprietà esclusiva, cioè che deve stare esclusivamente con la mamma o con il papà. Fatela divertire quando state insieme e se è possibile fate in modo che ogni tanto senta uscire dalle vostre labbra le parole “possiamo chiedere a mamma cosa ne pensa” oppure “che ne dici di invitare papà ad unirsi a noi?”, è questo quello che le serve. Sapere che nonostante non abitiate sotto lo sesso tetto per lei ci sarete sempre, per lei sarete disposti a fare una passeggiata tutti e tre insieme anche se alla fine le vostre strade si separeranno. Però il ricordo di aver passato del tempo piacevole con voi sarà più forte della mancanza che invece sente adesso. Io non so come sono i vostri rapporti e nemmeno voglio immischiarmi- dice abbassando per un attimo lo sguardo imbarazzata – ma fate in modo che non vi veda litigare o che diciate cose brutte l’una dell’altro in sua presenza-

Mi trovo ad annuire quasi inconsapevolmente mentre dentro di me cerco di immagazzinare ogni informazione che la signorina Blanchard ci sta dando. Non abbiamo mai inveito l’uno contro l’altro quando c’è Sophie nelle vicinanze e certamente non intendiamo farlo adesso.

-dunque suppongo che sia una cosa che dobbiamo risolvere tra noi, la ringrazio moltissimo signorina Blanchard. Adesso se non le dispiace vorrei vedere Sophie, posso salutarla?- chiede Edward cordiale quanto impaziente di vedere la bambina.

La signorina annuisce e dopo aver abbandonato il suo ufficio ci dirigiamo insieme da nostra figlia. Quando Sophie ci vede insieme sull’uscio della porta ci raggiunge per buttarci le braccia al collo cogliendoci un po’ impreparati; per poco non casco non il sedere per terra. Il suo volto è raggiante quando si stacca da noi.

-allora piccolina che stavi facendo?- le chiede Edward accompagnandola verso le altre bambine con le quali stava giocando poco prima che entrassimo.

-questo è il mio papà- dichiara orgogliosa lei mentre sul viso di Edward vedo spuntare un sorriso di pura estasi. È inevitabile a quel punto chiedermi come sia stato possibile non accorgermi mai di niente, come non abbia mai avvertito questo tipo di disagio in lei. Solo ora che la vedo ridere e giocare con il padre mi rendo conto di quanto le faccia bene stare con lui o comunque vederci insieme nella stessa stanza. Sento i brividi corrermi lungo la schiena e gli occhi inumidirsi al sol pensiero che basta veramente così poco per renderla felice.

Interrotti dalla maestra siamo costretti ad andarcene per consentirle di continuare il normale svolgimento della lezione. Salutiamo Sophie con un altro abbraccio e poi andiamo via.

-grazie infinite per quello che ha fatto oggi signorina Blanchard…- comincia a dire Edward che viene subito interrotto dalla diretta interessata. 

-oh ma la prego mi chiami Mary Margaret- un momento! A me non l’ha mai chiesto! La guardo assottigliando gli occhi quando mi rendo conto che è diventata più rossa di un peperone. Edward le rivolge un sorriso e penso che potrei vederla implodere da un momento all’altro. Questo pensiero mi fa alzare gli occhi al cielo troppo abituata a vedere ogni esemplare del genere femminile andare in iperventilazione quando c’è Edward nei paraggi, ed è più che evidente che il mio ex marito ha fatto colpo anche in questo caso.

-si, la ringrazio davvero tanto. Ora dobbiamo andare, grazie mille per la sua disponibilità- mi intrometto io per nulla contenta di fare da spettatrice a due pavoni intenti a fare la danza dell’amore. Spingo Edward ad andarcene, si può dire che quasi lo trascini verso la porta d’uscita e quando siamo fuori all’aria aperta mi guarda quasi male.

-che c’è?- gli chiedo stupita.

-niente- mi risponde lui con tranquillità scrollando le spalle.

-ah mi sembrava. Ti pare il caso? È la maestra di tua figlia!- questa volta il mio tono è un filino tagliente.

-Bella ma non stavo facendo niente, davvero-

-okay, se lo dici tu-

-ma la signorina Blanchard non aveva detto che dovevamo evitare di litigare?-

-si, evitare di farlo davanti a Sophie e guarda un po’, adesso Sophie non c’è-

Restiamo fermi a sbuffare e soffiare aria dal naso come due tori incazzati per un po’ prima che uno dei due si decida a parlare, e lo fa lui.

-senti, ti andrebbe di andare a prendere qualcosa in quel café che ti piace tanto? Così possiamo parlare tranquillamente della situazione- mi dice tornando improvvisamente serio. Guardo l’orologio, sono a malapena le 9.45 del mattino. Okay decido che si può fare, ho ancora tempo prima di andare al lavoro, ciò che mi stupisce è che ce l’abbia lui il tempo.

-ma non devi andare al lavoro tu?- gli chiedo incrociando le braccia al petto.

-dovrei, ma ho detto a Mike che mi serviva la mattinata libera per questioni di famiglia. Lo raggiungo in ufficio dopo pranzo- 

-okay- acconsento a quel punto – ma io vengo con la mia macchina-

Alza le braccia al cielo in un gesto di resa e ridendo si allontana verso la sua auto. Io salgo nella mia e diligentemente quando si immette nel traffico mi accodo dietro al suo posteriore. Improvvisamente scoppio a ridere come una cretina chiedendomi se le cose cambieranno mai tra noi due. Sono sempre stata io quella a inseguirlo, sempre e per una volta, una volta soltanto mi concedo di fare il contrario (anche se si tratta di una stupidaggine). Lo sorpasso proprio quando giungiamo in una strada abbastanza larga da permettermi di farlo e mi lascio andare a un – vediamo CHI insegue CHI adesso- mentre vedo nello specchietto retrovisore un sorriso illuminargli il volto.

 

***********

Il tragitto dalla scuola di Sophie al café non è tanto lungo perciò non ci mettiamo niente ad arrivare. Parcheggio proprio di fronte al Café Boulud sulla 76th Street/ Madison e scendo aspettando che Edward mi raggiunga prima di entrare dentro. Adoro questo café è incantevole e non sembrerebbe a giudicare dalla facciata esterna di semplici mattoni bianchi e dalle tende verdi con il nome del locale stampato sopra. In realtà è dentro che il Cafè Boulund ti stupisce. È dotato di una comoda sala interna in stile un po’ retro con le sedute in legno bianco e grandi tavoli dalla forma rotonda. Anche il bancone è una delle caratteristiche che mi piacciono di più. Sempre in stile retrò ha quel qualcosa di carismatico e di vissuto che sembra uscito direttamente da un film di Fellini. Ma al suo interno cela anche qualcos’altro, qualcosa di molto prezioso. Attraversando una porta finestra ci si ritrova all’aria aperta in un terrazzo con al centro una fontana bellissima e un giardino con mille fiori colorati. Un pergola scende dal soffitto completamente rivestita da una bouganville rossa e tu ti senti subito catapultata in un terrazzo della costiera amalfitana. Oh, quanto vorrei visitare quei luoghi e l’Italia in generale. Forse un giorno…

-eccomi, possiamo entrare- la voce di Edward mi arriva così vicino all’orecchio che sobbalzo dallo spavento presa com’ero dal mio viaggio pindarico.

-oh, si andiamo- mi guarda perplesso per un attimo per poi distendere le sopracciglia inarcate.

-Bella? Non ci credo! Come stai? È da un po’ che non ti vedo- esclama subito il padrone di casa quando varco l’ingresso del café. Lascia dei clienti agli altri camerieri e viene nella nostra direzione.

-ciao James- lo saluto calorosamente lasciando che mi abbracci forte. James è una persona veramente adorabile, lo conosco da tanto tempo. Ci siamo conosciuti grazie ad amici in comune e da allora non ci siamo più persi di vista. Gestisce questo locale da parecchi anni ormai, l’ho aiutato io ad inserirsi in questo mondo quando da semplice cameriera mi sono ritrovata con un libretto degli assegni in mano. Svolge il suo lavoro egregiamente nonostante i grattacapi siano tantissimi, ma in quanto a pazienza lui è super fornito, ne ha da vendere. Non lo vedrai mai con il broncio o incazzato nero, come qualcuno di mia conoscenza. Rido tra me e me pensando che potrei proporre a Steve di venire a prendere lezioni di autocontrollo da lui.

-è bello ritrovarti, non far passare così tanto tempo prima che veda di nuovo te e il tuo culo rinsecchito nel mio locale, chiaro?- rido della sua battuta mentre sento qualcuno schiarirsi debolmente la voce.

-sei sempre il solito, non cambierai mai- dico divertita.

-e chi ha intenzione di farlo!- esclama scandalizzato facendomi ridere ancora più forte.

-bene perché potrei rinnegarti come amico se solo lo facessi- gli punto l’indice alla faccia in segno di minaccia. Questa volta è il suo turno di ridere e di abbracciarmi nuovamente. Continuerei a scherzare all’infinito con James ma il gracchiare di Edward mi fa giare completamente nella sua direzione. È rimasto fermo e impalato, con le mani in tasca a fissarci con uno sguardo torvo per tutto il tempo.

Improvvisamente mi sento avvampare.

“finiscila cretina!” mi ammonisco mentalmente.

-emmh, James… ti ricordi di Edward, il mio… il mio ex marito?- dico mentre lo tiro da un braccio per fargli vedere che non siamo soli.

-oh, si che mi ricordo. Ciao Edward è un piacere rivederti- esclama il mio amico porgendo una mano ad Edward che gliela stringe forte. Per un attimo penso che potrebbe rompergliela.

-il piacere è mio. Anche io mi ricordo di te, “il mio amico impiccione e cazzone” non è così che lo chiamavi Bella?- per poco non mi affogo con la mia stessa saliva quando sento quelle parole. Lo guardo di sbieco e mi dico che ci penserò dopo a strigliarlo per bene, sempre che non lo uccida prima. Sto per replicare soprattutto per non creare malintesi con James che è proprio lui ad intromettersi.

-muhaha si, sono io. Bella può chiamarmi come vuole, non è vero scheggia?-

Anche questa volta il mio sguardo non è dei più pacifici e ammonisco con gli occhi James per come mi ha chiamata. È un botta e risposta che mi sta mettendo in agitazione, sembrano due galli che combattono nell’aia. Così decido di prendere in mano la situazione, non voglio vedere spargimenti di sangue.

-si, va bene. James vorremmo un tavolo fuori in veranda ci accompagni?-

-naturalmente, seguitemi-

Come se stessimo giocando a fila indiana ci dirigiamo uno dietro l’altro verso il terrazzo sul retro e per poco non vado a sbattere con la faccia sulle spalle del mio amico quando si ferma di botto.

-come sta Charlie? È da un po’ che non lo vedo, si sta riprendendo?- mi chiede affiancandomi e insieme riprendiamo a camminare. Dietro di me sento Edward sospirare.

-sta un po’ meglio-  mento – gli porterò senz’altro i tuoi saluti-

Quando arriviamo nel terrazzino ci fa accomodare al mio tavolo preferito e non posso che apprezzare il gesto. È nell’angolo illuminato dal sole e neanche troppo vicino alla fontana, è perfetto.

-cosa vi porto? A te il solito Bella? Caffè macchiato con panna e una spolverata di cannella? – lo guardo stupita, è incredibile che se lo ricordi! Ormai è parecchio tempo che non vengo qui e adesso che ci penso non so nemmeno perché.

-si per me va benissimo quello- dico entusiasta.

-fanne due- aggiunge subito dopo Edward e immediatamente lo guardo aggrottando le sopracciglia.

-okay, arrivano subito- dice James allontanandosi con le ordinazioni.

Il mio sopracciglio non accenna a distendersi e Edward lo nota subito.

-che c’è?- mi chiede indispettito.  

-tu odi la cannella- gli dico come se stessi parlando con Sophie. Lui mi guarda sbuffando e in questo momento le somiglia tantissimo, anche lei fa così quando dico qualcosa che non le piace.

-beh, adesso mi piace-

-ma… ma falla finita Edward. Non ti credo, cos’è una specie di sfida?-

-ma quale sfida? Di cosa stai parlando?- mi chiede agitandosi sulla sedia.

-parlo del tuo comportamento di poco fa, era solo un modo per far incazzare me o volevi provocare James?-

-beh si certo perché lui non ha fatto niente, ma hai sentito quello che ti ha detto? Il modo poco signorile con il quale ti ha invitata a tornare? E poi che vuol dire scheggia? Scheggia di cosa? E perché io non ne so niente?- mi urla tutte quelle domande una dietro l’altra e in maniera così veloce che quasi mi sembra di non capirle. La vena del collo gli pulsa vistosamente e il suo respiro e affannato, ma questo non giustifica il suo comportamento, questo… questo attacco. Che diavolo importa a lui cosa mi dice James o come mi comporto io!

-e a te che diavolo importa?- replico io altrettanto agitata, sento il cuore in gola.

Fa per rispondermi ma alla fine si tira indietro. Muove la bocca in cerca delle parole giuste da dire ma in realtà sembra più un pesce fuor d’acqua. Veniamo interrotti dal cameriere che ci porta le nostre ordinazioni e una volta che se ne va il gelo scende su di noi.

Prendo la mia tazzina in mano pronta a gustarmi il contenuto in religioso silenzio ma quando vedo la faccia disgustata di Edward avvicinare il cucchiaino alla bocca, assaggiare la cannella e fare una smorfia ancora peggiore di quella precedente non riesco a trattenermi e scoppio a ridergli in faccia.

-nof è diverfenfe- mi dice mentre cerca di mandare giù quello che ha in bocca senza troppi risultati. Alla fine mi trovo costretta ad allungargli un fazzolettino affinché metta fine a quest’agonia.

-smettila di ridere, è una cosa disgustosa- mi dice mortificato trasferendo con il cucchiaino la panna con la cannella nella mia tazzina. “E allora perché l’hai presa?” vorrei dirgli ma qualcosa mi trattiene dal farlo.

-muhahah dovevi vedere la tua faccia!- esclamo invece non riuscendo a trattenermi dal ridere tanto che alla fine si unisce pure lui alle mie risate. Da quanto tempo non trascorrevamo dei momenti così spensierati? Dal giorno del divorzio? No, da prima mi correggo mentalmente, molto prima.  Una fitta al petto di pura malinconia mi fa sentire come se potessi rompermi da un momento all’altro. Se solo allungasse una mano o anche solo soffiasse nella mia direzione mi ridurrei in cenere davanti ai suoi occhi. E allora addio, Bella!

Mi ricompongo immediatamente e mentre lo faccio vedo scomparire il sorriso dal suo viso. Ci guardiamo negli occhi cercando di regolarizzare il respiro mentre nell’aria sento una specie di elettricità che va da me a lui. Dio, non mi sentivo così da troppo tempo, il cuore che batte forsennato nel mio petto non accenna a calmarsi. Vorrei dire qualcosa per stemperare la tensione ma è come se la sua risata avesse schiacciato il tasto reset del mio cervello, la sento ancora chiara nella testa.

-dovremmo parlare di Sophie- dice all’improvviso facendomi sussultare.

-si, lo credo anch’io- prendo un’ abbondate cucchiaiata di panna e me la infilo in bocca giusto per non stare con le mani in mano, la tensione che si è creata tra di noi è così palpabile che potremmo tagliarla con un coltello. 

-se per te va bene, vorrei passare più tempo con Sophie. Lo so che abbiamo stabilito gli incontri e gli orari con i nostri avvocati, ma preferirei non metterli in mezzo questa volta. Che ne dici di organizzare noi stessi altri orari per stare con nostra figlia?-  lo guardo sbigottita e un po’ sorpresa dalla sue parole. Sarebbe un bellissimo gesto quello di non voler mettere gli avvocati di mezzo ma quello che mi chiede è praticamente impossibile.

-Edward, lo sai che non si può fare- dico continuando a ingozzarmi di panna.

-ma perché? Andiamo Bella, non ti ho mai chiesto niente da quando ci siamo separati-

-si… no, cioè non è per questo. Per me andrebbe anche bene risolvere la faccenda tra di noi, ma è alquanto impossibile che tu riesca a ritagliarti del tempo dal lavoro per stare con lei, e non voglio che mi chiami all’ultimo minuto per disdire un incontro e farla stare male- quello che mi chiede è veramente molto bello, assicurare la sua presenza ogni qual volta Sophie ne ha bisogno è un altro paio di maniche. Un bambino ha delle esigenze che sicuramente un uomo  in carriera non può soddisfare. Lui non può lasciare una riunione e scappare a prenderla perché ha il mal di pancia. Io invece posso farlo, posso correre da una parte all’altra della città senza dovermi scusare con nessuno.

-no Bella, posso farcela, posso delegare anche io qualcuno, posso disdire anche io un appuntamento come fai tu se fosse necessario- dice assennato neanche avesse letto i miei pensieri!

- Ti prego, dammi la possibilità di…-

-di cosa?- capisco subito che le sue parole non mi piaceranno per niente.

-di dimostrarti che di me ti puoi fidare- dice con reticenza. “che cazz…” comincio a pensare scuotendo la testa. Ma parla sul serio o cosa? “Di me ti puoi fidare” ha fatto la stessa fine di “io non ti tradirò mai” e adesso dovrei credere alle sue parole?

-lo so che con te non sono stato un buon marito e che le mie parole possono sembrarti poco convincenti…-

-poco dici? Io dico per nulla convincenti!-

-ma lo sai che con Sophie è diverso. Non puoi tradire un figlio, quello che hai con lui è un legame indissolubile ed io ti prometto che non le farò mai del male- mi dice guardandomi intensamente negli occhi e sembra che abbia appena giurato sulla Bibbia tanto le sue parole risuonano forti, ma soprattutto convincenti; percepisco ad ogni sillaba la sua voglia di farmi cedere. Gesù, fare la madre è un lavoro veramente frustrante, devi decidere qual è il bene di tua figlia e non puoi mai tirati indietro, mai. Anche se delle volte vuoi solo comprarti una fottuta isola e scomparire!

Okay, parliamoci chiaro, non è che devo decidere se affidare mia figlia all’orco cattivo. Stiamo parlando di suo padre, del sangue del suo sangue. Dovrei affidargliela ad occhi chiusi sapendo che nessuno potrà mai amarla quanto la ama lui, però perché è così dannatamente difficile? La verità è che ho paura. Paura che anche lei possa soffrire quanto ho sofferto io. Paura che lo possa vedere con un'altra donna e cominciare a farmi domande alle quali non saprei come rispondere. Gli occhi di Edward mi stanno ancora fissando ed io non vorrei farmi intimorire, davvero. Ma è inevitabile.

“smettila di guardarmi così” vorrei urlargli. Ma invece mi limito ad annuire. Quando capisce che gli ho dato la mia benedizione diventa così raggiante che penso di avergli appena fatto il regalo più bello della sua vita.

-ma.. ho delle condizioni!- dico subito puntandogli il dito contro.

-tutto quello che vuoi- risponde all’istante. 

-Sophie continuerà a stare da me ovviamente, perciò dovrai chiamarmi ogni volta che hai intenzione di vederla. Dovrai avvisarmi e dirmi dove andate e soprattutto se mai volessi portarla a casa con te, dovrai farle trovare tutto quello che le piace. Ti farò fare anche una replica esatta della sua stanza se necessario, ma non voglio che si senta a disagio. I fine settimana come stabilito sono i tuoi, ma visto che ti sto concedendo di portarla a casa anche quando non ti spetta, vorrà dire che qualche weekend lo passerà con me. Per cominciare mi sembrano delle concessioni abbastanza ragionevoli, non trovi? E poi potremo fare come ci ha suggerito la maestra, uscire ogni tanto noi tre insieme -

-okay, farò come vuoi tu. Ma non togliermi tutti i weekend…-

-ah queste sono le mie condizioni. Prendere o lasciare- mi guarda per un momento e senza esitare mi risponde – si, va bene, ci sto-

-e un'altra cosa. Sophie non dovrà mai e in alcun modo venire a conoscenza o entrare in contatto con qualsivoglia... donna – per non dire sgualdrina – avrai intenzione di portarti a casa, sono stata chiara?- se fossi Superman uscirebbero lambi infuocati dai miei occhi in questo momento; odio parlare delle questioni amorose del mio ex marito se non l’aveste capito.

-non c’è nessuna…- comincia a dire ma si interrompe bruscamente come se stesse per dire troppo. Nei suoi occhi vedo un lampo che non mi piace per niente. Cos’era? Delusione?

-non c’è nessuna… cosa?- lo incalzo io peggio del migliore degli avvocati.

-niente… no, niente. Okay, hai la mia parola- dice deglutendo a fatica. Perché tutta questa tensione adesso? Allunga una mano verso di me per sigillare il patto che abbiamo appena stipulato e istantaneamente sento una scia di brividi percorrermi tutta la schiena. “avanti Bella che ti prende? Neanche ti avesse offerto di fare un patto di sangue” no ma non è questo, è la paura di toccare di nuovo la sua pelle ad intimorirmi. Che diavolo mi prende? Dovrei odiarlo, dovrei provare solo disgusto nei suoi confronti dopo quello che mi ha fatto e invece ho paura di stringergli la mano per il terrore di quello che potrò provare. Sono proprio senza speranza.

Allungo anche io la mia mano e piano la appoggio sulla sua. Succede tutto talmente in fretta che non ho neanche il tempo di abituarmi alla sensazione di avere la sua mano calda nella mia che una scia di brividi parte dal collo per arrivare giù, sino alla punta dei piedi; il calore che sento alla mano mi fa tirare indietro di colpo e il cuore comincia a battermi forsennato. Deglutisco; lo sapevo che sarebbe successo questo, lo sapevo. A fatica faccio oscillare le nostre mani e subito dopo mi stacco da lui quasi scottata.

-bene allora- dico buttando giù il contenuto nella mia tazzina in una volta sola; se fosse stato più caldo mi sarei ustionata le tonsille.

Mi alzo pronta ad andare via e a lasciarmi alle spalle il nostro incontro che lui mi ferma per un braccio.

-aspetta Bella, ti prego-

-no Edward devo andare- gli rispondo io ancora girata.

-okay, come vuoi tu. Buona giornata- mi dice lasciandomi il braccio ma nella sua voce sento una nota di dispiacere.

-buona giornata anche a te- mi limito a dirgli per poi imboccare l’uscita.

Mentre percorro i metri che mi allontanano da lui mi rendo conto solo adesso perché non sono più venuta in questo posto. Mi ricorda troppo quello che siamo stati l’uno per l’altra e che, proprio come Edward stesso mi ha ricordato nel sogno, abbiamo ormai dimenticato.

 

 

 Bene, eccoci quà. Che ne pensate? Oddiooo non mi piace per niente! u_u"

Non voglio chiedervi nulla di specifico, voglio solo leggere le vostre impressioni. Sempre che decidiate di lasciarmi una recensione.

Volevo dirvi ancora grazie per aver letto il primo capitolo e per essere arrivate fin qui. Siete state fantastiche nelle recensioni, davvero. Tra poco risponderò a tutte.

Bene non mi resta che augurarvi buona domenica e darvi appuntamento alla prossima settimana! BACI!!!!

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Capitolo 3
*** Cap. 3 ***


CAPITOLO 3

Buongiorno, e buon lunedì!

Ecco il nuovo capitolo. È il capitolo della rivelazione, capirete infatti quello che è successo tre anni prima e come mai Edward e Bella si sono lasciati. Ci saranno i punti di vista di entrambi, evidenziati con il colore della scrittura, rosa per lei e blu per lui. Non stupitevi di trovare molto più blu, il capitolo è raccontato quasi interamente da Edward. Il mio primo pov. Edward in assoluto, non avevo mai scritto qualcosa dalla sua parte, perciò spero che apprezzerete.

Un ultima cosa prima di andare… volevo sapere se vi piace la copertina che ho fatto per la storia, è molto semplice ma efficace, non trovate?

Bene adesso vi lascio, buona lettura! Ci vediamo giù.

 

 

 “Alcune cose non posso essere evitate ed altre invece vengono provocate da noi stessi.

Non è la fatalità a scegliere chi colpire, ne tanto meno una vita di castità ad allontanare il male.

Tutte le soluzioni sono nel mondo e nei propri modi di fare.

 Il destino sono le scelte messe in relazione al tempo,

quelle decisioni che danno certezza al passato,

 forma al presente, e rendono

indefinito il futuro”.

 

 

Scappo via dal locale di James neanche avessi un cecchino alle calcagna. Com’è possibile che non riesca a stare per più di mezzora nello stesso posto insieme ad Edward?  È così complicato quello che c’è tra noi. Sento una forza che ci spinge l’uno verso l’altra in modo quasi magnetico e l’unico modo per fermarla è correre via a gambe levate. Perché ne sono sicura... mi sarei fermata quando me l’ha chiesto. E poi? Cosa ne sarebbe stato di me poi? Non posso più permettergli di farmi del male, non posso. Solo io so quello che ho provato quella maledetta sera di quel maledetto giorno. Io so di avere le mie colpe, lo so. Ma lui non avrebbe dovuto fare quello che ha fatto. Avrebbe potuto parlarmi e starmi vicino, anche se in quel periodo ero intrattabile e invece…

Tante volte mi sento l’unica responsabile per quello che è successo sapete? Il mio non è un tentativo di discolpare mio marito, non avrebbe dovuto tradirmi, punto. Ma posso dire tranquillamente che non ero una persona facilmente tollerabile, anche se non capirò mai perché ha fatto quello che ha fatto.

 

Quando entro in ufficio dopo aver salutato Mike, l’unica cosa che vorrei è riuscire  a togliermi dalla testa l’incontro che ho appena avuto con Bella.

Mi siedo sulla poltrona girevole che ho accanto alla scrivania e mi perdo a contemplare il fiume Hudson attraverso le vetrate, cominciando a mangiucchiare l’unghia del pollice destro. È inspiegabile il modo in cui mi devasta non riuscire a togliermela dalla testa. Lei è presente nei miei pensieri molto più di quanto vorrei. Ogni giorno mi sveglio e penso a lei, penso a cosa sta facendo, penso che sarei potuto essere con lei e Sophie, a casa, a preparare la colazione insieme. Penso che sarei potuto rimanere una giornata a letto con lei a sentirla respirare al mio fianco, a sentirla godere e gemere dei miei tocchi. Avrei potuto stringerla tra le braccia e dirle “ti amo” un milione di volte nell’orecchio e dopo essermi reso conto che non bastavano a quantificare il mio amore, riprendere da dove mi ero interrotto e continuare all’infinito. Quante volte ho pensato che un ti amo non è niente paragonato alla possibilità di stare insieme ad una persona. A dimostrarglielo quanto tieni a lei. Bene, se potessi tornare indietro le direi ti amo dalla mattina alla sera. Glielo avrei fatto trovare con un bigliettino sul cruscotto della macchina; glielo avrei spedito con un messaggio durante le ore di lavoro e lei mi avrebbe rimproverato perché la disturbavo. Glielo avrei scritto con il cibo nel piatto della cena e glielo avrei ripetuto fino allo sfinimento mentre facevamo l’amore. Questo è tutto quello che avrei fatto se solo mi fossi accorto prima della direzione che stava prendendo la nostra storia. E questo è quello che farei adesso, nonostante siano passati tre anni dal divorzio.

È inutile, ho provato a cancellarla dalla mente ma non ci riesco. Ho provato davvero ad avere relazioni con altre donne, ho provato davvero ad odiarla più di quanto odio me stesso, ma è stato impossibile. Non può esistere nessuno sulla faccia della terra che io possa odiare più di me stesso, figuriamoci se questa persona è l’amore della mia vita.

La verità è questa… mi odio dal profondo del cuore da quella dannata sera in cui non stato capace di fermarmi, mi odio come si odia qualcuno che ha ucciso la persona più importante per te e sai che non puoi fare niente per andare avanti se non cercare di vendicarti. Ho provato tante volte a punire me stesso per essere stato tanto stupido da non capire che avrei buttato all’aria l’unica cosa in grado di dare un senso alla mia vita. Ho provato a pensare che il mondo senza di me sarebbe stato un posto migliore, almeno migliore per Bella, ma poi due occhi verdi come i miei mi si presentavano davanti ogni dannatissima volta in cui ubriaco non volevo fare altro che bere fino a collassare. Sono un uomo debole è questa la verità. Sono stato debole quando invece di restare sarei dovuto scappare dalle lusinghe di Tania, e nonostante fossi ubriaco anche quella sera, non dovevo lasciarmi andare. No… non avrei dovuto.

 

Tre anni prima

Sophie non aveva fatto altro che piangere tutta la notte, la sentivo lo stesso nonostante non dormissimo nella stessa stanza. Toccai la parte del letto in cui avrei dovuto trovare mia moglie ma lo scoprii vuoto e soprattutto freddo. Bella come al solito si era trasferita nella sua stanzetta e mi aveva lasciato solo durante la notte. Era una situazione che non potevo più tollerare, ormai non dormivamo più insieme dal giorno della nascita della bambina, e se solo provavo a farglielo notare lei andava su tutte le furie. Le avevo proposto di far venire una bambinaia, qualcuno che l’aiutasse con Sophie almeno fino a che non fosse scresciuta abbastanza da dormire tutta la notte, ma lei non ne voleva sapere. Ricordo che quando glielo dissi per poco non finii all’ospedale. Sulla mia cartella clinica avrebbero scritto: preso a padellate dalla moglie mentre cucinava delle uova strapazzate; per fortuna sono riuscito a spostarmi. Bella è fatta così, pensa che sia in grado di fare tutto da sola, che sia indistruttibile ma quella volta almeno si sbagliava. Sophie è un amore di bambina, ma penso che qualche specie di demone si sia impossessato di lei. Non fa che piangere e cercare le braccia della madre, se solo mi azzardo a prenderla in braccio comincia a strillare a più non posso e Bella me la porta via. Ormai non abbiamo più un dialogo, io impegnato come sono nel nuovo progetto aziendale con Mike torno a casa molto tardi e lei quando rincaso dorme profondamente buttata chissà dove negli angoli più disparati della casa. È orribile ammetterlo lo so, ma è diventato più piacevole stare fuori che tornare da lei. Non mi guarda più come una volta, non mi cerca più come una volta, non mi ama più come una volta. Quando ci penso mi dico che non è vero che non mi ama, è solo che adesso non se lo ricorda più. È troppo presa da Sophie e da suo padre… e dalla casa e dal lavoro… ed io non esisto. Vorrei fare qualcosa in più per lei ma mi rifiuta sempre. Intanto che posso fare? Non posso mancare dal lavoro, è tutto ancora sottosopra e non posso lasciare Mike da solo. Mike è il mio migliore amico dal liceo, abbiamo frequentato anche la stessa università insieme e quando mi ha chiesto di aiutarlo nel progetto che stava per realizzare non ho potuto dirgli di no. Così ho venduto le azioni della Cullen’s Enterprises, ho detto ciao ciao al mio caro paparino (che da quando ha scoperto quello che ho intenzione di fare con tutti i soldi ricavati dalla vendita mi ha quasi rinnegato) e ho fondato insieme a Mike la M&E Corporation. Ci occupiamo di energia rinnovabile, nello specifico di Energia Solare. Abbiamo cominciato ad ingranare da poco e non posso assentarmi dal lavoro, e poi è diventato una specie di rifugio da quando la situazione in casa si è fatta irrespirabile. Non faccio l’amore con mia moglie da… boh, e chi se lo ricorda più? Una cosa è certa, è passato troppo tempo. Ormai mi è quasi difficile ricordare il suo odore, la delicatezza dei suoi baci, il sapore della sua pelle. Io provo a cercarla ma lei mi allontana sempre in malo modo, mi caccia via e il fatto che dorma tutte le notti da solo è un altro segnale del suo allontanamento. Non ce la faccio più, il bisogno fisico di stare con una donna mi sta facendo impazzire e le mattonelle della doccia gridano pietà da diversi mesi ormai.

Sbuffo alzandomi dal letto e mi dirigo in cucina per bere una tazza di caffè e inaspettatamente trovo anche Bella. Quando si accorge di me vedo la sua espressione del viso cambiare in un lampo e, come se fosse un gesto normalissimo, inserire nella manica del maglione un tovagliolino bianco tutto stropicciato. Capisco che ha appena pianto e che sta facendo di tutto per nascondermelo.

Una fitta allo stomaco mi fa capire quanto mi faccia male vederla in questo stato.

-buongiorno- questo è quello che le dico ogni mattina e lei in genere non mi risponde mai, invece oggi dalla sua bocca esce un – buongiorno- striminzito e quasi inudibile. Questo mi stupisce molto di più del fatto che guardando bene verso la sua direzione trovi delle valige accanto al divano della cucina; ieri si è messa in testa che deve ripulire lo sgabuzzino e sono 24 ore che quelle valige stanno in giro per casa.

-hai deciso di partire?- le chiedo scherzosamente ma il –si- che esce dalla sua bocca non ha niente di divertente.

Penso di aver sentito male o di non aver capito affatto quello che mi ha detto perciò esordisco all’improvviso con un –cosa?- che ha tanto l’aria di un “mi stai prendendo in giro per caso?”

 -vado a stare da mio padre per un po’- butta li con nonchalance.

-Bella non è divertente- dico andandole vicino; sto cominciando ad agitarmi.

-Edward… non riesco a stare in questa casa. Sento che sto per soffocare-  è il discorso più lungo che le sento fare da tantissimo tempo e lei cosa mi dice? Che vuole andarsene? Che si sente soffocare? Ma se non l’ho più stressata con le mie parole da quando ho capito che non vuole che mi intrometta!

-tu non vai da nessuna parte. Sei mia moglie e la madre di mia figlia. Chi baderà a..-

-lei viene con me-dice interrompendomi.

Cosa?

-Sophie non va da nessuna parte e nemmeno tu. Che diavolo ti è preso si può sapere?- urlo quasi e mi sembra di stare per esplodere tanto il mio cuore batte all’impazzata. Non dice niente però, non mi risponde nemmeno. Forse le ho fatto cambiare idea. Ma perché ha preso questa decisone, perché? Perché non parla con me, perché non mi dice quello che prova? Non sono forse (o probabilmente dovrei dire ero) una delle persone più importanti della sua vita? So però che non mi interessano le sue motivazioni al momento. Potrei stare qui per ore a farle domande su domande, fino a che non si deciderà a dirmi quello che le passa per la testa e come mai sia arrivata alla conclusione di doversene  andare. Ma non lo faccio, e lo sapete perché? Perché sono un codardo ecco perché. Perché ho paura che mi dica qualcosa che non voglio sentire uscire dalla sua bocca e allora mi difendo con l’unica arma a mia disposizione. La prepotenza.

-discorso chiuso. Quando torno stasera voglio trovati a casa- poggio la tazza del caffè nel lavandino con più forza del previsto e il rumore un po’ troppo forte la fa quasi sobbalzare. Forse ho esagerato penso preoccupato, vorrei fermarmi e tranquillizzarla ma l’unica cosa che riesco a fare è rifugiarmi in camera da letto e cambiarmi per andare al lavoro. Penso a tutto quello che sta succedendo e prego veramente Dio affinché non trovi un brutta sorpresa al mio ritorno. Prima di uscire passo a salutare Sophie che dorme finalmente tranquilla nella sua culla. Percorro il corridoio che dalla sua stanzetta mi collega alle altre camere con passo svelto, quando arrivo davanti alla cucina tiro dritto senza neanche girarmi. In un batter d’occhio sono fuori e mi sbatto forte la porta di casa alle spalle. Stai sbagliando tutto mi ripeto incessantemente come un mantra. Torna dentro e vai da lei, abbracciala e dille che è tutto a posto, che tutto si risolverà presto. La voglia di cedere è tanta ma non ci riesco. Non riesco proprio a farlo. Così scappo il più lontano possibile. D'altronde ho capito di saper fare solo questo, scappare. Duh, sono diventato davvero un codardo.

Quando arrivo in ufficio non ho per niente una bella cera, sento come se stessi per esalare il mio ultimo respiro. È troppa la rabbia che trattengo dentro di me e come una litania mi ripeto mentalmente che non è giusto, non è giusto che lei mi tratti così. Non ho fatto niente! Mi inalbero così tanto contro me stesso che per poco non do un pugno alla scrivania. Mi alzo a riempire il bicchiere di whiskey che trovo nel carrello dei liquori e subito lo butto giù in un solo sorso. Sento la gola bruciarmi così tanto che per poco non scoppio a tossire come un poppante. Così, giusto per dimostrare a me stesso il contrario, riempio un altro bicchiere e lo mando giù come il primo. Adesso quello che provo è solo sollievo e automaticamente sembra che anche la rabbia che sento dentro si stia per diradare.   

 

È andato via da nemmeno mezz’ora ed io sono ancora qui seduta nello stesso posto in cui mi ha lasciata. Non so dove ho trovato la forza di dirgli che ho intenzione di andarmene. Non lo so davvero. Forse è stata la consapevolezza che così non possiamo più andare avanti. Io lo cerco continuamente, cerco ogni secondo il suo aiuto, ma lui non mi capisce più. È frustrante ammetterlo ma ormai si comporta come se non esistessi. Alcune volte quando prova a parlarmi mi dice totalmente il contrario di quello che vorrei sentirmi dire e a quel punto scoppio. Scoppio perché non capisco come mai non viaggiamo più sulla stessa lunghezza d’onda. Una volta bastava guardarci negli occhi e capire quello che provava l’altro, adesso sembra che tutto il resto sia diventato più importante di noi. Ed è questo quello che mi fa più male. Non basta che mi dica “tu non vai da nessuna parte” ormai ho preso la mia decisione e non torno indietro.

 

Nonostante i bicchierini di liquore però non ho fatto altro che pensare a quello che è successo per tutta la giornata e quando non riuscivo a scacciare via dalla mia testa le parole di Bella ci hanno pensato altri bicchieri ricolmi di whiskey (8 o 9 adesso non ricordo) a farmi dimenticare. Tania, la mia segretaria, sembra averci preso gusto a colmare di liquido ambrato le mie pene. Entra sempre di soppiatto mettendo in bella mostra davanti ai miei occhi le sue bellissime misure, che da questa mattina sembra scoprire sempre di più ad ogni visita; se continua di questo passo rimarrà solo in mutande a fine giornata. Ho già detto a Mike che voglio licenziarla, nonostante sia bellissima è la classica ragazza tutte curve e niente cervello e io ho bisogno di qualcuno che lavori seriamente e che soprattutto non cerchi di irretire il capo ad ogni occasione, soprattutto se sa che sono sposato.

Intorno alle 18.30, quando manca quasi mezzora prima di lasciare l’ufficio, decido di chiamare a casa. Non ce la faccio più a violentare il mio cervello con la solita domanda che da questa mattina non fa altro che ripetersi ad oltranza nella mia testa. Devo sapere se Bella è rimasta o se invece ha deciso di andarsene. Avrei potuto chiamare anche prima lo so, ma ho preferito lasciarle del tempo per riflettere e visti i precedenti scatti di ira di fronte alle mie premure, mi è sembrata la scelta più logica. Spero.

Al quinto squillo sento la segreteria telefonica rispondermi al posto di Bella e comincio ad andare nel panico. Decido di riprovare.

E di nuovo, al quinto squillo sento la segreteria telefonica rispondermi al posto di Bella e giuro che potrei mettermi ad urlare. Decido di riprovare.

E ancora, al quinto squillo sento la segreteria telefonica rispondermi al posto di Bella e quasi come se fosse telecomandato a distanza, il mio braccio afferra il bicchiere di vetro che oggi mi ha tenuto tanta compagnia e lo lancio contro la parete vicino alla porta. La forza con la quale l’ho scagliato contro il muro duro è così brutale che le schegge di vetro schizzano da tutte le parti e alcune atterrano addirittura sulla mia scrivania. Sento subito qualcuno bussare alla porta ma decido di riprovare.

Anche stavolta al quinto squillo sento la segreteria telefonica rispondermi al posto di Bella e allora lascio cadere il telefono, in un gesto disperato mi porto le mani nei capelli inclinandomi con la schiena in avanti tanto da portare i gomiti a contatto con le ginocchia. La testa comincia a girarmi. Qualcuno mi si avvicina e prende ad accarezzarmi le spalle. 

Alzo lo sguardo non capendo assolutamente nulla, è come se nel mio cervello si fosse diffusa una nebbia così fitta da ottenebrarmi i sensi. Sento solo che ad intermittenza la frase “mi ha lasciato” scava un solco sempre più profondo nella mia anima e dentro al mio cuore; penso che potrei mettermi a piangere da un momento all’altro. Ci metto un attimo in più a capire chi mi trovo davanti, ma quando metto a fuoco mi scontro con gli occhi azzurri e i capelli biondi della mia segretaria.

-Edward, che succede? Mmh?- il suo tono di voce è così languido e stucchevole che mi fa quasi vomitare. Vorrei avere lo stesso bicchiere che ho lanciato contro la parate del mio ufficio qui e pieno, invece che sfracellato per terra. Anche nella rabbia sono stato tanto stupido da non prevedere che ne avrei avuto bisogno. Come se capisse i miei pensieri Tania si alza e corre a riempirne un altro. Adesso si che cominciamo a ragionare.

-Tania… che vuoi?- le chiedo brusco non capendo perché non si decide ad andare via.

-sono qui per aiutarti. Stai male Edward ed il compito di ogni buona segretaria e prendersi cura del proprio capo- eccolo lì, lo stesso tono stucchevole di prima.

-Tania…- mi interrompo un attimo per bere e trovare un po’ di consolazione – se avessi davvero a cuore la sorte del tuo capo mi lasceresti solo invece di rimpinzarmi di alcol. Che poi è quello che hai fatto per tutto il giorno- e come se fosse diventato acqua butto giù quello che ho nel bicchiere in un solo sorso.

-questo è perché io so quello di cui hai bisogno- replica lei con la stessa vocetta fastidiosa di prima mentre si sposta a riempirne un altro, forse dovrei chiederle di smettere. Ad una analisi più attenta mi rendo conto di quello che ha addosso o meglio… di quello che le è rimasto addosso. Ha una semplice gonna nera che le arriva sopra al ginocchio e delle scarpe dello stesso colore con il tacco. Dove dovrebbe esserci una qualche camicetta vedo solo una sottoveste nera con dei ricami in pizzo scomparire all’interno della sua gonna. Mi trovo a deglutire senza capirne il motivo.

Intanto nella mia mente, dopo l’ultimo bicchierino, sembra essersi stanziato il nulla. Non capisco più niente e cosa ancora ben più grave non riesco a ragionare. Con quel poco di lucidità che mi rimane decido che forse è meglio chiamare un taxi e farmi accompagnare a casa, ma il nuovo bicchiere di whiskey che Tania mette davanti alla mia faccia mi fa desistere dal farlo. È solo l’ultimo, mi ripeto mentalmente, poi giuro che chiamo un taxi. Nel frattempo lei mi torna vicino e inspiegabilmente si inginocchia di fronte a me. E adesso che vuole?

-andiamo Edward, ti voglio da impazzire dalla prima volta che ti ho visto, sai quello che voglio- dice improvvisamente e solo in quel momento capisco di aver parlato ad alta voce – e a giudicare da quello che vedo lo vuoi anche tu-

La guardo stupito non capendo un accidente di nulla di quello che mi sta dicendo e infatti le rivolgo uno sguardo interrogativo. Tania non mi risponde, si limita a guardare in mezzo alle mie gambe ed è a quel punto che capisco. Abbasso anche io la testa e vedo con quanta abbondanza i miei pantaloni riempiono la stoffa dal cavallo fino alla vita. Cazz* impreco mentalmente è possibile che mi riduca così solo perché non vedo una donna nuda da parecchi mesi ormai? Che poi nuda! È solo un po’ svestita, tutto qui. Ahhh ma che diavolo sto blaterando, io non dovrei trovami qui, non dovrei nemmeno starla a sentire, dovrei mandarla direttamente a cagare.

Ma quello che fa neanche due secondi dopo aver formulato quel pensiero mi manda completamente in pappa il cervello, sommandosi alla già devastante opera di autodistruzione portata avanti dall’alcol. Come se fosse un pasticcino invitante da addentare con i denti, le mani di Tania volano proprio li, in mezzo alle mie gambe e cominciano ad accarezzarmi. Stento a trattenermi dal mandare gli occhi in gloria. Non so perché la lascio fare, forse è la sensazione di essere desiderato veramente da qualcuno a mandare tutto il resto a puttane. Ed infatti è quello che succede. Ho mandato tutto a puttane a causa sua, la mia vita, il mio matrimonio, tutto.

Ma la cosa che non riesco a spiegarmi però è come diavolo sia stato in grado di fermarmi ad un certo punto. Ero li li per raggiungere la pace dei sensi dopo 15 minuti di strusciamenti, palpatine e sesso selvaggio, che tutto mi è apparso chiaro nella mente. Che cazzo sto facendo? Urlo bruscamente nella mia testa.

La allontano duramente facendola rovinare dall’altre parte del divano sul quale ci eravamo stesi sentendo subito la sensazione di vuoto attorno al mio membro ancora duro. Mi alzo in piedi per rivestirmi ma me la trovo di nuovo di fronte e per qualche secondo riesce anche a darmi piacere con la sua bocca, ma evidentemente non ha capito proprio un cazzo.

-basta Tania smettila!- le urlo per farla allontanare, non vorrei trattarla male è pur sempre una donna, ma una donna che non merita alcun rispetto da parte mia dopo quello che ha fatto. Velocemente mi rimetto le mutande e indosso di nuovo i pantaloni.

-Edward ma che fai?- mi guarda come se fossi un alieno.

-me ne vado Tania. Sarei dovuto andarmene già prima. Io sono sposato. Io amo da impazzire mia moglie. Tu, tu non sei la mia donna, non hai il suo sapore, non è la stessa cosa concedermi a te. Io.. io non ho capito un cazzo. Non ho capito niente, niente! Lei non ha fatto altro che chiedermi aiuto, non ha fatto altro che aspettare che la salvassi e invece l’ho lasciata affogare e dopo quello che è successo stasera... l’ho persa per sempre lo so- adesso l’ho capito. Nel momento stesso in cui dico quelle parole a Tania, che mi guarda ancora sconvolta sicuramente non capendo un tubo di quello che ha appena sentito, percepisco quanto ogni singola parola sia vera, sia giusta. Io dentro di me lo sapevo, sapevo quanto Bella avesse bisogno di me. Ma da egoista del cazzo quale sono non sono stato in grado di starle vicino. Adesso sento addosso una strana sensazione di disgusto verso me stesso e verso quello che ho fatto pari forse allo sbaglio che ho appena commesso.

-Edward non puoi lasciarmi così, non puoi!- mi urla dietro mentre infilo la giacca e lego i lacci delle scarpe.

-certo che posso e lo faccio, rivestiti- le butto addosso i vestiti che lei non prova nemmeno ad afferrare, lascia che ricadano a terra.

-sei uno stronzo!-

-si Tania, lo sono si- mi inalbero a quel punto- Lo sono perché non ho capito prima lo sbaglio che stavo commettendo. Lo sono perché ho lasciato che mi facessi ubriacare senza neanche cercare di fermarti. Lo sono perché ti dico che sei licenziata e che non voglio più rivederti!- è tanta la frustrazione che sento addosso che urlo quelle parole senza nemmeno fermarmi per un secondo a riprendere fiato. Corro via dal mio ufficio ancora un po’ intontito per via dell’alcol e salgo nella mia macchina parcheggiata proprio davanti all’entrata dell’edifico. So che non dovrei guidare nelle mie condizioni ma devo tornare  a casa, devo tornare da Bella. Nel frattempo penserò a quale dei miliardi di improperi esistenti sulla faccia della terra sia il più adatto a descrivere quello che provo nei confronti di me stesso da qui per…  altri 10 minuti buoni, si.

****

Non so perché mi stia dirigendo verso casa nostra. Ho avuto la prova neanche mezz’ora fa che non ci fosse nessuno ad aspettarmi al mio ritorno, ma sento che è li che devo andare, anche per cercare un biglietto, un qualcosa che mi ha lasciato prima di andare via. Parcheggio nel solito posto riservato e una volta dentro al palazzo mi dirigo subito verso gli ascensori. La salita fino al decimo piano non è mai stata tanto lunga come adesso. Nel frattempo continuo a ripetermi quanto mi faccia schifo da solo per quello che è successo. Dio, se solo potessi tornare indietro! Ma non solo a mezz’ora fa... vorrei poter tornare indietro e sistemare tutto con Bella, cercare di aiutarla e starle vicino.

Quando la porta dell’ascensore si apre sento come se il mio cuore potesse smettere di battere da un momento all’altro, è troppa l’ansia che mi divora, per cui sono sorpreso di trovare la porta di casa aperta e degli scatoloni ad ostruirne il passaggio.

Che diavolo sta succedendo?

Varco l’ingresso con qualche difficoltà e una volta dentro trovo Bella ad aspettarmi seduta sul divano. Subito lascio andare un sospiro di sollievo quando mi rendo conto che non è andata via. Ma allora perché nessuno ha risposto al telefono?

-Bella?- la chiamo sottovoce e mi stupisco io stesso del tono glaciale che ho usato. Sussulta un attimo prima di girarsi nella mia direzione e per la prima volta da mesi vedo spuntare sul suo viso un ombra di sorriso. È in quel preciso momento che il mio cuore ricomincia la sua folle corsa arrivandomi quasi in gola.

-Edward, sei arrivato- mi raggiunge con passo lento come se mi temesse. No amore mio, no. Non dovrai più temermi. Dopo quello che ho fatto non mi vorrai più vedere.

-ho provato a… a chiamare prima, ma non mi ha risposto nessuno. Cosa ci fanno questi scatoloni davanti alla porta?- la mia voce è così gracchiante che quasi non la riconosco più. È come se aspettassi da un momento all’altro l’attimo in cui mi urlerà addosso tutto il suo disprezzo.

-vieni, devo parlarti- mi fa cenno di seguirla sul divano ed io obbedisco.

-dov’è Sophie?-

-è nella sua stanzetta, sta dormendo beata- bene, almeno c’è qualcuno che è tranquillo in questa casa penso tra me e me.

-devo dirti una cosa Edward-

-anche io… anche io devo dirti una cosa- e lo devo fare davvero. Se c’è una cosa che devo fare stasera è raccontare ogni cosa a mia moglie. Devo dirle quanto sono stato debole e quanto non meriti di avere il suo amore. Lei è così fragile, così indifesa in questo momento della sua vita, come ho potuto farle questo, come?

-allora comincia tu- mi incita a continuare ma so che se parlassi adesso finirebbe tutto davvero troppo in fretta e invece io voglio bearmi ancora di questi ultimi momenti insieme.

-no, comincia tu. Io posso aspettare-

Prende un bel respiro la mia Bella prima di cominciare a parlare, come se le servisse tanto coraggio. Ma non sa che di coraggio ne ha da vendere? Che servirebbe a me un po’ di quel coraggio per guardarla negli occhi e ferirla in modo irreparabile?

-me ne ero andata di casa Edward, per questo non rispondeva nessuno al telefono – strabuzzo gli occhi nel momento stesso in cui finisce di parlare. Allora era andata via davvero – ma non ce l’ho fatta ad andare fino in fondo. Eravamo quasi arrivati a casa di mio padre che ho chiesto all’autista di riportarmi indietro. Io… non so cosa ho sentito, ma ho capito che non potevo lasciarti. Stiamo attraversando un periodo difficile è vero, ma non voglio rinunciare a noi, alla nostra famiglia. Io ti amo da morire e non posso pensare di lasciarti, non posso- sento gli occhi inumidirsi e le lacrime scorrere copiose lungo le mie guance. Non posso credere di star piangendo ma è tutto quello che riesco a fare dopo aver sentito le sue parole. 

- ti prometto che sarò forte d’ora in avanti- dice prendendomi le mani nelle sue- Ho capito che non posso più continuare a piangermi addosso o sentirmi come mi sento ultimamente. Nel momento stesso in cui ho detto BASTA, l’ho urlato con tutte le mie forze dentro alla mia testa credimi, ho capito che stavo sbagliando tutto, che non potevo rifugiarmi da mio padre. E allora sono tornata indietro- finisce con un sorriso mentre io vorrei avere a disposizione un cilicio da conficcarmi nelle gambe. Mi rendo conto che mentre lei lottava con tutte le sue forze per non lasciarmi io stavo facendo sesso con la mia segretaria sul divano del mio ufficio, e poco importa se mi sono fermato, c’è una bella differenza tra quello che stavo facendo io e quello che stava facendo lei. Lei ha preferito tornare indietro, io invece cos’ho fatto? Niente. Assolutamente niente. Sarei potuto andare via dall’ufficio nel momento stesso in cui avevo capito che era andata via e andarle dietro fino al Queens e riportarla a casa. Invece mi stavo trastullando con un'altra donna.  È così difficile in questo momento pensare o cercare anche solo di trovare qualcosa di positivo in me. Sono solo uno stupido, uno stronzo e… lascerò che continui lei ad insultarmi dopo che le avrò confessato ogni cosa.

-Edward, smettila di piangere, sono tornata a casa adesso- o almeno dopo che avrò smesso di frignare.

-Bella io… io non so cosa dire…-

- dì solo che sei felice- mi poggia una mano sulla guancia per scacciare via le lacrime – ti ho visto ultimamente Edward, so quanto anche tu avresti voluto che tornassimo a essere quelli di prima. Eccomi qui, sono qui. Voglio tornare ad essere la Bella di prima, perciò dimmi solo quanto sei felice Edward, il resto non conta-

O si che conta. Non sai quanto conta.

La vedo avvicinarsi e compiere un gesto che non le vedevo fare da mesi ormai: a rallentatore, quasi volesse darmi il tempo di scappare via, poggia le sue labbra sulle mie ed è come se tornassi a respirare liberamente l’aria pulita.  Sentire di nuovo il suo profumo così vicino al naso e saggiare con bramante lentezza quei petali di rosa che ha al posto delle labbra mi sembra troppo bello per essere vero. Ma non è giusto quello che sto facendo, no, non lo è per niente. Allora la allontano cautamente e subito la vedo fissarmi quasi impaurita. Pensi che non ti voglia più Bella? Lo so che è questo quello che stai pensando e non sai quanto ti stai sbagliando amore mio.

-Bella… no- le poggio le mani all’altezza delle spalle e mi rendo conto di quanto stiano tremando.

-che hai Edward? Che ti succede?- il suo tono di voce è così preoccupato che subito vedo i suoi occhi diventare lucidi. Ecco, sono finito. Vederla piangere mi ha sempre mandato KO.

-non… non posso Bella- mi obbligo a dire quando in realtà è tutto il contrario di quello che vorrei fare. Sento il sudore imperlarmi la fronte.

-come… cosa? Perché?- si agita sul posto e il fatto di avere ancora le mani poggiate sopra le sue spalle mi aiuta a farla stare ferma.

-io devo dirti una cosa Bella. E credimi, è la cosa più difficile che ho fatto in vita mia- strabuzza gli occhi probabilmente impaurita da quello che le ho appena detto ed io con lei. Una gocciolina di sudore gelido scende lungo la mia schiena facendomi rabbrividire.

-parla- mi dice risoluta come se capisse che sto per ferirla irrimediabilmente.

Comincio a balbettare -io… io ti ho… io ti ho- deglutisco con forza prima di continuare mentre sento il mio cuore battere così forte che penso che potrebbe uscirmi dal petto- sono stato con un'altra donna- dico di getto, non so nemmeno dove ho trovato la forza per parlare.

Sul suo viso vedo una miriade di sensazioni sovrapporsi una sull’altra: stupore, incredulità, rabbia, spavento, panico, confusione, collera per poi lasciare definitivamente il posto al dolore. Il suo ovale perfetto diventa improvvisamente bianco ed è come se avvertissi anche io le scintille di sofferenza trafiggere ogni singolo poro della sua pelle. Si accascia quasi sotto al peso delle mie braccia e credo di dover allungare una mano per sorreggerla quando con forza mi allontana cogliendomi impreparato. Mi guarda con occhi carichi d’odio e talmente addolorati che bastano già quelli a punirmi. Senza che me ne renda conto comincia a colpirmi al petto come per allontanarmi. Uno, due, tre, quattro, cinque colpi bastano a farla scoppiare in un pianto disperato e ad alzarsi dal divano per trovare rifugio in camera da letto.

La seguo come un automa preda del disgusto che sento dentro.

La trovo a guardare fuori dalla finestra con le braccia a cingerle la vita, come se si stesse trattenendo dal cadere a pezzi -Bella ascoltami ti prego- dico richiudendomi la porta della camera alle spalle.

-no! Non voglio sentirti, vattene!- mi urla contro mentre si accascia a terra. Dentro di me sento la strana sensazione di aver appena commesso un delitto. È questo quello che si prova ad uccidere una persona? Perché io l’ho appena provato. Sono.. devastato, ecco come mi sento. Le lacrime tornano a pungermi gli occhi ma non mi impediscono di raggiungerla sul pavimento della stanza.

-perché…- sussurra debole- perché?!- urla questa volta ancora scossa dai singhiozzi – non ti bastava avermi fatto del male lasciandomi sola nel periodo in cui avevo più bisogno di te? Ma tu non te ne sei nemmeno accorto, eh Edward? Di la verità!-

-no! No, certo che me ne sono accorto-

-e allora perché? Dimmi solo… perché?- mi chiede disperata e nei suoi occhi leggo tutto il bisogno di sapere la verità.

-io, non lo so- anche il mio tono di voce è disperato quasi quanto il suo – sono… sono stato debole. Avevo bevuto e non ho capito niente di quello che stavo facendo. Credevo di averti perso, ho chiamato qui a casa tante volte… ma tu non hai mai risposto. Allora ho capito che mi avevi lasciato e… e poi è successo- le lacrime che prima rigavano il suo volto adesso sembra che si siano congelate. Mi guarda seria, troppo seria.

-è successo questo pomeriggio?- mi chiede incredula ed io non posso fare altro che annuire.

- e così eh? Mentre io mi struggevo d’amore per te tu… tu mi stavi tradendo?- urla sconvolta – tu te la spassavi con un'altra?- e così 3-2-1- bam! In pieno viso, uno schiaffo così forte da risuonare in tutta la stanza. Provo immediatamente dolore ma non fisico, è dentro che sto urlando.

- mi fai schifo!- mi sputa addosso tutto il suo disprezzo con quella parola diventata ormai così famigliare per me.

Si pulisce le labbra come per scacciare via un sapore decisamente sgradevole ma in verità capisco che si sta pulendo dal piccolo contatto che abbiamo avuto poco fa.

-mi fai schifo! Ed io ti ho pure baciato, ho toccato le tue mani. Mani con cui hai accarezzato un’altra donna. Un’altra donna Edward! Come hai potuto farmi questo? Come?- urla così tanto da rimanere senza fiato.

-io, mi dispiace. Mi dispiace così tanto- cerco di difendermi da altri colpi che adesso ha cominciato a sferzare con più violenza ma l’unica cosa che posso fare è arrendermi davanti alla sua collera sapendo di meritarla tutta.

-ti dispiace? No, non farlo. Non dirmi che ti dispiace perché non ti credo! Sapevi quanto stessi male, lo sapevi. E invece di venirmi dietro e lottare per riportarmi a casa hai preferito tradirmi! È questo l’amore immenso che provi per me? Hai preferito uno squallido rapporto sessuale a me? Eri così frustrato dal fatto che non ti toccassi più che alla prima occasione ti sei dimenticato che esistessi? È dunque questo il mio valore? Io valgo meno di una scopata! Beh complimenti, hai rovinato tutto per il costo di una sveltina- non ho mai provato tanta vergogna in vita mia come in questo momento. Rimango inebetito a fissarla senza la forza di dire niente quando d’un tratto si alza da terra e corre ad aprire la porta.

-vattene- sputa dura guardandomi disgustata.

Mi alzo da terra per andarle incontro ma non certo per andarmene come mi ha appena chiesto di fare.

-Bella, no. Non vado da nessuna parte. Io… tu non sai quanto ti amo, è stato solo un momento di debolezza. Non ha contato nulla per me. Nulla. Sei tu quella che voglio, ti prego perdonami!- che ironia, le chiedo di perdonarmi quando io stesso non riuscirei mai a farlo.

-non essere ridicolo Edward, non posso perdonarti questo, non posso- dura e fredda è così che è diventata adesso –perciò ti chiedo di andartene. Vai!- mi urla in faccia facendomi trasalire.

Mi prostrerei ai suoi piedi se solo sapessi di avere qualche possibilità di farmi ascoltare o farle cambiare idea, ma so che non è così. L’ho ferita in modo irreparabile e non posso fare altro che prendere atto della sua volontà. Perciò incasso la testa nelle spalle e come se avessi il peso di centinaia di uomini a gravare su di me mi giro e me ne vado.  

 

Oggi

Fisso ancora il fiume scorrere lento davanti ai miei occhi mentre mi rendo conto che il ricordo di quella sera è così vivo nella mia testa che alcune volte vorrei potermela staccare a morsi, ma poi capisco che rivivere tutto, il dolore che ha provato Bella e quello che ho provato io, non sono altro che la penitenza che ho da scontare ancora oggi dopo tanti anni dal fattaccio. Ed è in momenti come questo che mi ritrovo a pensare a quanto le nostre vite siano inevitabilmente condizionate dalle scelte che facciamo. Quella sera avrei potuto scegliere di andarmene e invece non l’ho fatto, ed ecco quello che ho ottenuto: un bel niente. Una vita arida di sentimenti, da vivere solo e con la possibilità di vedere tua figlia solo tre giorni a settimana. Invece se quella sera mi fossi fermato al mio ritorno a casa avrei trovato Bella ad aspettarmi sul divano, pronta a dirmi quanto mi amava e soprattutto pronta a ricominciare da capo. E forse a quest’ora, non forse ma sicuramente, staremmo a contare le ore che ci separano prima di rivederci. Avrei la mia famiglia, starei con le persone che amo invece di rimpiangere i miei errori. Un minuto di tempo che ha condizionato per sempre la mia vita, eppure in un minuto è impossibile fare alcune delle cose più elementari, come fare un caffè per esempio o lavarsi i denti. Eppure a me sono bastati 60 secondi per decidere di fare sesso con Tania e gettare tutto alle ortiche. Ho commesso un errore tre anni fa, un errore di cui sento ancora forte e chiaro gli strascichi e che ancora oggi mi tiene attaccato a quel maledetto giorno. Ho provato ad andare avanti davvero, a voltare pagina ma non ci riesco. Bella crede che io mi veda con qualcuna o che comunque abbia avuto altre storie dopo la nostra separazione, ma non è così. Certo, non nego di essere uscito con altre donne ma il mio è più un diversivo per non passare troppe serate da solo che sincera voglia di stare con loro. Quando poi è il momento di riaccompagnarle a casa e mi invitano a salire dico sempre di no, a questo punto sono loro che non vogliono più avere niente a che fare con me.

È successo con tutte, tranne che con una.

Rosalie Hale è la donna più testarda, più simpatica e amorevole che abbia mai conosciuto, dopo Bella naturalmente. Dopo aver declinato il suo invito a salire non mi ha chiuso lo sportello della macchina in faccia come invece avevano fatto altre al posto suo, ma si è seduta di nuovo e guardandomi negli occhi mi ha detto “menomale perché l’ho fatto solo per gentilezza, in realtà non mi piaci per niente”, abbiamo passato quasi l’intera nottata a girovagare per la città e a parlare delle nostre patetiche vite. Con lei sin da subito si è istaurato un rapporto magnifico, e dopo aver messo in chiaro che non ci sarebbe mai potuto essere nessun coinvolgimento sentimentale tra noi due, siamo diventati ottimi amici. Una volta mi ha chiesto come mai io non riesca ad andare a letto con nessun’altra donna dopo il divorzio, la mia risposta è stata molto semplice: perché nessuna donna è la mia Bella. Mi è venuta di getto e in modo così spontaneo che si è anche commossa. Si gente, avete capito bene, io non riesco più ad andare a letto con nessuna donna. E non perché l’attrezzo che ho in mezzo alle gambe non funzioni più, anzi quello funziona fin troppo bene proprio perché non lo lascio sfogare come si deve, non so se mi spiego. Ma è come se fossi bloccato. Ho provato così tanto disprezzo e disgusto verso me stesso quella maledetta sera che non posso pensare di sentire di nuovo quello stesso tsunami di emozioni. E poi, la risposta più ovvia oltre a quella che vi ho appena dato è che amo ancora mia moglie, e non posso pensare di stare tra le braccia di un'altra se la amo così disperatamente.

I primi tempi dopo che mi ha cacciato di casa ho cercato di riconquistarla. Ho cercato di fare in modo che lei mi perdonasse ma non è servito a niente, e quando un giorno in mezzo alla posta ho trovato la lettera di convocazione per il divorzio allora mi sono arreso. Anche in questo caso Bella ha fatto la sua scelta e io non ho potuto fare altro se non rispettare la sua decisione.

Un leggero bussare alla porta mi fa voltare e perdermi nel mare cristallino degli occhi della mia amica. Come si dice, quando parli del diavolo…

-ehi?- la saluto e sul suo viso compare subito un sorriso radioso.

-come stai? Com’è andato l’incontro di questa mattina?- mi chiede entrando e richiudendosi la porta alle spalle. Mi sono dimenticato di dirvi che adesso lavora qui da noi e che Mike stravede per lei e che anche lei stravede per lui. Stanno insieme da quasi un anno ormai.

La invito a sedersi accanto a me – mmmh diciamo che è andata-

-perché? Cos’è successo Edward?- la straordinaria propensione di Rosalie a preoccuparsi per me non ha limiti. Perciò le racconto per sommi capi quello che è successo con Bella, quello che ci siamo detti durante l’incontro con la maestra di Sophie e del mio successivo invito ad andare nel locale di James.

-e..? dai Edward non dovrò tirati le parole con le pinze vero? Dimmi cos’è successo-

Sospiro prima di cominciare a parlare –niente, ci siamo seduti e abbiamo ordinato, poi lei si è messa a ridere perché non potevo sopportare il sapore della cannella e avresti dovuto vederla… era così serena e bellissima. Poi però all’improvviso tutto è cambiato. Si è irrigidita e ha cominciato a raccogliere la sua roba per andarsene, come se stesse scappando capisci? E così l’ho fermata-

-tu.hai.fatto.cosa? E lei che ha detto?- mi scappa una risata che non riesco a trattenere, sembriamo due ragazze intente a mangiare popcorn e a ingurgitare gelato direttamente dalla confezione quando ci comportiamo così. Ma parlare con Rosalie è davvero naturale per me. Lei mi da sempre (o quasi) consigli giusti e non si risparmia dal giudicarmi. Ricordo che quando le ho raccontato del tradimento invece di starmi vicino me ne ha dette di tutti i colori, ma l’importante è che sia ancora qui no?

Mi rivolge un occhiataccia troppo impaziente di sapere quello che è successo invece di starsene seduta a vedermi ridere.

-niente, mi ha detto che doveva andare via ed io l’ho lasciata andare-

-ah! E qui che hai sbagliato caro mio. Avresti dovuto insistere. Secondo me sarebbe rimasta se glielo avessi chiesto con più sicurezza- lei ha la strana e assurda convinzione che Bella sia ancora innamorata di me e che quindi debba fare di tutto per riprendermela.

-nahh Rosalie avrei solo forzato la mano e non voglio mostrarmi troppo invadente-

-ma, sei uno zuccone! Come faccio a fartelo entrare in testa? Quella donna ti ama ancora, credimi. Ha tirato in ballo quello che è successo ieri sera per caso?-

-ti riferisci al fatto che ci ha visti insieme nel ristorante dei miei genitori, dove lei lavora, dopo che mi hai obbligato a portartici solo per farci vedere?- le dico sarcasticamente giusto per farle capire ancora una volta che non è stata un ottima idea andare al Gourmet ieri sera.

-no tonto. Ma certo che mi riferisco a quello! Ha detto qualcosa?-

-no, di quello no. Però… ha accennato al fatto che non vuole che Sophie mi veda con altre donne o che comunque incontri la donna con cui mi frequento-

-ah!-

-la smetti di dire “ah!” È irritante-

-ah! Quindi lei suppone che io e te stiamo insieme, giusto? E quindi non vuole che vostra figlia venga a contatto con me, giusto? Ma perché viene a dirtelo solo ora? Durante i weekend che hai a disposizione per stare con Sophie sarei potuta esserci anche io, solo che prima non te l’ha mai fatto notare. Adesso invece si, come mai?-

-e già, come mai? Scommetto che stai per dirmelo-

-perché è gelosa! Ecco perché-

Sbuffo spazientito da quel ragionamento. Bella non mi ha mai fatto capire che prova ancora qualcosa per me e ne tantomeno vado a pensare che la sua richiesta di non farmi vedere da Sophie con altre donne sia una richiesta dettata dalla gelosia. È più che normale che voglia tutelare la nostra bambina.

-senti Rose, io non credo che tu abbia ragione-

-e invece ho ragione caro mio-

-credimi, non sai quanto vorrei che fosse vero- dico portandomi una mano tra i capelli. È un gesto che faccio sempre quando sono frustrato.

-senti non abbatterti, hai detto che dovrete passare più tempo insieme da adesso in poi per via della bambina no?- certo che l’ho detto ma questo cosa cambia? Mi odia per quello che le ho fatto non cambierà mai idea su di noi.

-si , allora?-

-bene, sarà solo un modo per avvicinarvi di nuovo. Tu vai li con il tuo fascino irresistibile, fai quelle quattro smorfie che piacciono tanto alle donne e soprattutto a Bella e il gioco è fatto-

Scoppio a riderle in faccia neanche avesse raccontato una barzelletta –Rose, io non faccio smorfie e soprattutto non è così che funziona, almeno non con Bella. Quando ci siamo visti per la prima volta neanche abbiamo parlato, è stato un processo così naturale innamorarsi l’una dell’altro che non ho dovuto usare nessun trucchetto. Con lei è sempre stato così. Ci capivamo senza nemmeno aprire bocca ed è stato forse questo a farmi capitolare all’istante. Lei è diversa dalle altre. È così spontanea e limpida-

-caspita amico, mi fai salire il diabete così. Sei proprio perso eh? Okay, se è così che vuoi far andare le cose allora facciamo a modo tuo. Non è detto che se è capitolata una volta non possa succedere anche una seconda no?-

-okay Rose, va bene come vuoi tu- dico di si ma in realtà non accetto il suo consiglio, voglio solo che la smetta di parlare di quest’argomento. Forse mi fa più male avere la certezza che non potrò mai più averla che il pensiero di agire per riconquistarla, tanto non servirebbe a niente.

Scappa via correndo quando le faccio notare l’orario e infatti si mette a urlare perché in ritardo ad una riunione. Vorrei farmi scivolare addosso la conversazione che abbiamo appena avuto ma è inevitabile ripensarci, così come ripenso a quello che mi ha detto Bella stamattina e al fatto che adesso potrò passare più tempo con Sophie. Forse le cose stanno girando per il verso giusto questa volta, già il fatto di poter trascorrere più ore con mia figlia è un traguardo che non credevo possibile raggiungere. Mi impegnerò almeno a dimostrarle che posso essere un buon padre per Sophie che è il mio gioiello più grande.

Ho sbagliato un volta con la donna più importante delle mia vita. Non commetterò lo stesso errore una seconda volta.

Questa è una promessa.

 

Emmh emmh, se siete arrivate sin qui vuol dire che non vi siete addormentate, è un capitolo un po’ lunghetto non trovate? Ma pieno zeppo di emozioni. Io per poco non mi sono commossa mentre lo scrivevo, e sto dicendo la verità credetemi. Comunque lascio il compito di giudicare a voi. A tal proposito non so come ringraziarvi per le bellissime recensioni che mi avete lasciato nello scorso capitolo, GRAZIE davvero, siete fantastiche. A breve risponderò a tutte non preoccupatevi! Ringrazio chi ha inserito la storia tra i vari gruppi e chi recensisce.

Ringrazio ancora una volta la mia Rò per essermi accanto. Se non sapete di chi sto parlando andate nella sua paginetta AnImoR_7 e leggete le sue storie meravigliose *__*

Alla prossima settimana! Baciiii

 

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Capitolo 4
*** Cap. 4 ***


capitolo 4

Emmhh… entra schivando il lancio di pomodori.

Vi chiedo scusa, scusa, scusa, scusa per l’immenso ritardo. Ma ho avuto un po’ di problemi. Non so se con me stessa(è più probabile) o con la stesura del capitolo, sta di fatto che non riuscivo proprio a concluderlo. Poi sono troppo pignola sapete? Leggo e rileggo quello che scrivo cosi tante volte che alla fine mi faccio venire un gran mal di testa. Anyway … alla fine ce l’ho fatta e spero che apprezzerete i miei sforzi. Il capitolo è un po’ lunghetto (non me ne vogliate), ma rallegratevi perché sarebbe dovuto essere più lungo, infatti l’ho interrotto e alla fine ci ho messo un bel “Continua…”

Baciii e buon lettura!

 

 

Non capirà mai nessuno quanto amore ci mettevo

 anche solo per guardarti in faccia.

-Erri De Luca.

 

 

Venerdì 21 ottobre 2011

-bene così. Respirate profondamente, lasciate che la musica e la respirazione vi liberino la mente da ogni preoccupazione…- sento la voce di Jacob arrivare calda e profonda alle mie spalle mentre si sposta nella sala a controllare che ognuno faccia l’esercizio in modo corretto. Come vorrei che fosse facile “liberare la mente da ogni preoccupazione” e invece no, la mia testa torna sempre li, sempre alla settimana scorsa. È da quel giorno che mi chiedo se non abbia fatto male ad andarmene e scappare ancora una volta da Edward. Che mi ritrovo a pensare “stupida, potevi almeno aspettare e vedere cosa voleva dirti”, e invece no, ho preferito darmela a gambe e fuggire. D’altronde è questo quello che sto facendo da tre anni a questa parte: fuggire da lui e da quello che provo.

-rilassatevi, sento i vostri respiri affannati. Dovete lasciarvi andare altrimenti non raggiungerete mai la pace interiore-

“pace interiore un corno!” urlo nella mia testa. Neanche le lezioni di yoga possono aiutarmi. E pensare che mi era parsa un’ottima idea iscrivermi.

-Bella?- sussulto spaventata presa alla sprovvista, le mani di Jacob si poggiano delicate sopra le mie spalle – c’è qualche problema? Ti vedo troppo tesa e rigida, non fai che muoverti-

Sussurro un debole – no, sto bene- e lascio andare un respiro profondo sperando che basti a rassicurarlo e invece ottengo l’effetto contrario.

-a me non sembra. Lo sai che il metodo migliore per lasciarsi andare è essere prima di tutto sinceri con se stessi?- auch! Colpita e affondata.

“se solo riuscissi ad esserlo una volta per tutte sarebbe fantastico” mi verrebbe da dirgli e invece opto per una parziale verità, mooolto parziale ad essere sinceri- solo stress da lavoro, tutto qui- in realtà il lavoro va a gonfie vele.

-bene. Cerca di rilassarti. Fai dei bei respiri profondi e prova a sgomberare la mente. Ci riesci?- le sue mani cominciano a massaggiarmi il collo e a me sembra di raggiungere il paradiso. Jacob è un istruttore di yoga molto valido, è dedito alla propria spiritualità e solerte in ogni momento con noi, ma soprattutto è un bravissimo ragazzo, ed è anche molto, molto bello. È… come potrei dire? Affascinante si, e anche abbagliante. Caspita ha un sorriso che ti abbaglia; la prima volta che l’ho visto sono rimasta incantata, difficilmente passa inosservato. La cosa che mi piace di lui è che sembra avere un aura tutt’intorno così limpida e calda che mi vien voglia di abbracciarlo. Alcune ragazze che seguono il corso di yoga insieme a me sono soprattutto attratte dal suo aspetto fisico. Ha dei pettorali che… Dio mi perdoni ma ho fatto dei pensieri impuri quando ho visto quei pettorali. Non che vada in giro senza maglietta durante le lezioni sia chiaro, ma un giorno Betty, la ragazza più sfrontata che abbia mai conosciuto, ha lasciato che la sua bibita si rovesciasse “accidentalmente” sulla maglietta di Jacob, che a quel punto è stato costretto a sfilarsela. Delle goccioline di succo dietetico hanno preso a scivolare su quelle forme scolpite e mi sono ritrovata a pensare che effetto mi avrebbe fatto passarci la lingua sopra. Probabilmente fui colpita da un fulmine perché mi ritrovai a sputacchiare da tutte le parti l’acqua che avevo appena ingerito. Da quel giorno ho stampato nella mente l’immagine del suo busto nudo, e ogni volta che entra in sala per fare lezione è come se improvvisamente la sua maglietta sparisse insieme ad un altro briciolo della mia integrità.

Deglutisco a vuoto sorpresa che quel pensiero mi solletichi così tanto la mente e provo davvero a rilassarmi. Jacob continua la sua opera di distensione, massaggiando le mie spalle tese e ad ogni pressione mi sfugge un sospiro di piacere, così mi lascio andare alle sue premure accompagnata dalla musica meditativa. Arrivo ad un punto in cui perdo quasi il contatto con la realtà, mi addormento quasi, e sento davvero di poter liberare la mente da ogni pensiero, ma chiudere Edward in un cassetto non è mai stato facile per me, in tre anni ho provato così tante volte che alla fine ho gettato la spugna.

 Lui farà sempre parte della mia vita e non potrò mai imprigionarlo in un dannato tiretto.

Come ha detto Jacob devo imparare ad essere sincera con me stessa e mi rendo conto che in tre anni sono sempre rimasta attaccata al passato. Avrei potuto voltare pagina, rifarmi una vita e invece sono rimasta ancorata al ricordo dell’amore che provavo per Edward, al ricordo della nostra felicità.

Come se fosse un burattinaio che trattiene il suo giocattolo e gli fa fare quello che vuole, lui ha sempre tessuto i fili della mia vita e ha continuato a farlo anche dopo che ci siamo lasciati. Arriverà mai il momento in cui reciderò quei fili? In cui mi lascerò alle spalle ogni gesto, frase, sensazione che mi ha regalato quando stavamo insieme? Lui è andato avanti, ogni volta lo vedo sempre con una donna diversa.

Perché non posso fare lo stesso anche io?

 

Già, perché? La risposta è tanto semplice quanto sbagliata. Perché lo amo ancora come fosse il primo giorno, perché non riesco a dimenticare la sensazione di perdermi in lui, perché se solo fossi stata più coraggiosa tutto quello che è successo avrei potuto tranquillamente evitarlo. Quante volte mi do la colpa di tutto? Quante volte chiusa nella mia stanza di notte rivedo la scena di me e lui litigare e alla fine io che lo caccio di casa…

Quante volte, vinta dal dolore della lontananza, avrei voluto tornare indietro e provare a ricostruire quello che si era rotto tra di noi, a lottare per ricucire il nostro rapporto nonostante lui avesse fatto sesso con un'altra donna...

A questo punto mi ritrovo sempre in lacrime perché penso ai brividi che mi hanno colpita solo ad immaginare le sue labbra posarsi sulla pelle di un’altra. La mia immaginazione mi trasmette tutto come se fosse un film e lo rivedo… rivedo il suo volto bellissimo trasformato dalla passione, mentre si spinge dentro ad una donna che non sono io, lasciandosi andare ai propri istinti. Ecco, tutto questo basta a farmi dire: hai fatto la scelta giusta Bella.

 cazzo però, dopo tutto quello che ti ha fatto dovresti odiarlo invece che continuare ad amarlo come se non vi foste mai lasciati” già...  Perché anche io ho il diritto di sentirmi amata, desiderata e Dio solo sa quanto di notte sento il bisogno di avere le mani di un uomo sul mio corpo, che mi facciano sentire quello che non provo da così tanto tempo, che mi facciano sentire viva e donna soprattutto.

Un vociare fastidioso, simile al ronzio delle api, mi arriva alle orecchie facendomi riprendere il contatto con la realtà. Non so quanto tempo sia durato il mio stato d’incoscienza ma è bastato a farmi ritrovare con il viso inondato di lacrime al mio “risveglio”.

Mi guardo intorno a disagio asciugandomi le guance e mi domando quanto possa essere sembrata stupida agli occhi degli altri. Per fortuna nessuno si è avvicinato preferendo alle domande una bella doccia rinfrescante.

Mi alzo in fretta da terra e raccolgo il mio tappetino viola infilandolo nella custodia. Solo io posso mettermi a piangere durante una lezione di yoga! Mi consola un po’ il fatto che sia stato Jacob, con i suoi massaggi, a farmi dimenticare di tutto il resto e lasciare che i ricordi e i miei bisogni riaffiorassero in superfice con così tanta facilità, e non perché ad un tratto sia diventata tanto pazza da scoppiare in lacrime in un luogo pubblico ripensando al tradimento di mio marito e al fatto che mi sento terribilmente sola.

Il responsabile del misfatto compare alle mie spalle facendomi sobbalzare per la seconda volta nel giro di un ora.

-Jacob- lo saluto e mi volto per guardarlo in faccia, quasi mi spavento a trovarlo così vicino al mio viso. Deglutisco rumorosamente e cerco di svignarmela ma lui è più veloce e mi afferra per un braccio.

– come stai? – la sua voce è roca. Mi guarda intensamente negli occhi come se volesse leggermi dentro, allunga una mano per cancellare un ultimo residuo umido sul mio viso, e non so nemmeno perché io diventi rossa e non riesca a collegare il cervello alla lingua. I suoi occhi mi scrutano così a fondo che non riesco a pensare ad altro. Il mio respiro si fa più corto e sbatto un attimo le palpebre prima di riuscire a parlare.

-sto bene, grazie. Anzi scusa per quello che è successo-

-non vedi chiedermi scusa Bella - mentre parla continua a tenere il mio braccio intrappolato nella sua mano. Forse dovrei dirgli di lasciarmi andare.

-emmh okay, è che non so proprio cosa mi è preso- scuoto la testa mentre provo a tirami indietro e per fortuna il mio braccio torna subito libero. Tiro inconsciamente un sospiro di sollievo e aggrotto la fronte chiedendomene il perché. Jacob non mi farebbe mai del male penso sicura, eppure il fatto di trovarmi sola con lui mi mette agitazione. Forse è perché sento che il suo interesse nei miei confronti è cambiato. Vedo come mi guarda e percepisco che ci sta provando. E spudoratamente anche. I suoi occhi adesso indugiano sulla mia bocca e involontariamente le racchiudo tanto da formare una linea retta. Raccolgo la mia roba da terra e sto per salutarlo quando all’improvviso, come se nulla fosse mi dice:

-usciresti con me se te lo chiedessi?-

Le mie sopracciglia si inarcano automaticamente verso l’alto per poi congiungersi facendomi aggrottare la fronte; lo guardo stranita.

-cosa?- è la prima parola che mi viene in mente di dire mentre sento il mio cuore battere impazzito.

Tossisce brevemente, come per stemperare la tensione, per poi rivolgermi nuovamente lo stesso sguardo serio di prima.

-ti sto chiedendo se vuoi uscire con me Bella. A cena, soli, io e te. Ti va?-

Mi va?

Certo mi sarei aspettata di tutto dopo la mia performance, ma non un invito a cena questo è sicuro.

“forse vuole solo capire fino a che punto sono pazza” penso “o forse vuole solo capire perché sono scoppiata in lacrime; è preoccupato per me” o “molto più probabilmente vuole solo portarmi a letto, da un paio di lezioni non fa altro che guardarmi”

No, non posso uscire con lui.

“Ma perché dovrei dirgli di no? Lui è bello, affascinante, libero e anche io lo sono, libera intendo. Uscire per una cena non ha mai fatto male a nessuno”

No, non posso mi incaponisco, non sarebbe giusto.

“non sarebbe giusto per chi? Prima o poi li devo recidere quei fili. Non posso stare ad aspettarlo in eterno ”

Giustamente, mancava solo che tirassi in ballo Edward. Però è vero, non posso stare a piangermi addosso quando la prima a non voler cambiare le cose sono io. Caspita, uscire con qualcuno è un passo importante però.

“andiamo, non devo mica sposarmelo domani!” sbotto spazientita.

Durante i miei tormenti mentali Jacob non ha fatto altro che guardarmi intensamente con i suoi occhi scuri come le profondità più recondite del mare, chissà cosa starà pensando mi chiedo agitata per poi arrivare alla conclusione che devo sembrargli una stupida, ma la verità è che non ricevo un invito a cena da così tanto tempo che non so più come ci si comporta in questi casi.

-Bella se per te è così difficile rispondermi adesso non preoccuparti, posso aspettare…- la sua mano sale di nuovo ad accarezzarmi una guancia e quasi faccio un salto di due metri.

Sento come se ustionasse a contatto con la mia pelle.

Abbasso lo sguardo per posarlo sulle sue dita e la cosa che noto subito è il contrasto che la sua pelle dal colore olivastro produce contro la mia invece bianchissima. Sospiro ripensando a delle dita bianche e affusolate accarezzarmi in tutta la loro lunghezza il viso, e non solo quello.

Sto per rispondergli e dirgli… beh in realtà non so nemmeno io cosa, che il mio telefonino si mette a squillare e dentro di me ringrazio chi ha interrotto questo momento tanto imbarazzante per poi ricredermi subito dopo aver visto chi è a chiamare.

“Edward”

Come si dice: parli del diavolo e spuntano le corna.

Incapace di dire anche solo una mezza parola di scuse nei riguardi di Jacob che aspetta paziente una mia risposta, accetto la chiamata pensando che peggio di così con può andare: stare al telefono con il mio ex marito mentre mi trovo di fronte all’uomo che mi ha appena chiesto di uscire a cena. Fantastico!

“pronto, Edward?”

“Bella, ciao” strizzo gli occhi solo a sentire la sua voce “cosa c’è, è successo qualcosa?”

“no, no… o meglio si”

“allora dimmi” guardo Jacob e gli faccio un gesto di scuse con la mano mentre mi allontano per avere un po’ di privacy.

“è che… ho bisogno del tuo aiuto”

“che ti è successo?” gli chiedo subito preoccupata, da che ne ho memoria non  mi ha mai chiamata al telefono per chiedermi aiuto.

“io sto bene tranquilla” sono pronta a giurare che sul suo viso è appena comparso un sorriso, anche il suo tono di voce è cambiato.

“signor Cullen? Signore la prego la stanno aspettando da mezzora” sento in lontananza la voce di qualcuno, forse la sua segretaria che lo esorta ad andare e non so perché tiro un sospiro di sollievo nel ricordare il volto della signora Cope, una donna sulla cinquantina che ha preso il posto di… di… di… mi viene la pelle d’oca solo a ricordare il suo nome, vabbè avete capito comunque a chi mi sto riferendo no?

Con la coda dell’occhio vedo Jacob dirigersi verso la porta d’uscita, forse ha gettato la spugna. Beh non posso fargliene una colpa, anche io l’avrei fatto al posto suo.  

Con l’orecchio destro ancora attaccato al telefono sento Edward rispondere in modo cordiale alla sua segretaria dicendole che tra cinque minuti sarà libero per poi tornare a parlare con me “scusa, mi attendono ad una riunione”

“allora sarà meglio che ti sbrighi. Cosa ti serve Edward?”

“senti… ne riparliamo stasera mmh? Ci vediamo a casa dei miei. E… Bella? Cerca di non fare tardi ho davvero bisogno di parlarti prima di metterci a tavola. Per favore! ”

Sentendo il suo tono quasi disperato non posso fare altro che accontentarlo “okay, okay, sarò lì mezzora prima degli altri ”

“grazie, davvero. A stasera”

“a stasera” rispondo ma mi accorgo che ha già messo giù. Guardo il telefono con una smorfia pensando quanto sia stato cafone. Sono davvero tentata di richiamarlo e inventare una scusa per mandare in aria il suo piano, ma poi decido che i trenta minuti di tempo che gli ho concesso diventeranno automaticamente quindici così saremo pari.

-Bella…- Jacob mi raggiunge mentre sto per uscire dall’aula. Quando si avvicina mi porge un  semplice foglietto bianco ripiegato. Lo prendo sospettosa.

-guarda che non è una bomba Bella- dice scoppiando a ridere e i suoi denti bianchissimi fanno capolino tra le sue labbra, abbagliandomi.

Tossico imbarazzata – no… no certo che no! Ma cosa vai a pensare? È solo che mi stavo domandando cosa fosse, tutto qui-

-è il mio numero di telefono- dice tempestivo – voglio che lo tieni e che lo usi quando ti sentirai pronta per uscire con me. Forse prima ho esagerato, non avrei dovuto piombarti addosso e chiederti se volevi uscire così… a bruciapelo. Perciò prenditi tutto il tempo che ti serve e quando vorrai, se vorrai, basta che tu mi faccia una telefonata. Okay?-

Penso di guardarlo con la bocca spalancata e uno sguardo da pesce lesso perché ricomincia a ridere di nuovo, sbatto le palpebre e mi do ancora una volta della stupida. Allora non era andato via, vuole seriamente uscire con me. Così seriamente che è addirittura disposto ad aspettare i miei tempi. Dovrei mandare al diavolo tutti una buona volta e fare quello che mi sento davvero. Dovrei agire d’impulso invece di soppesare, pensare e ragione su ogni minima cosa che mi si presenta davanti. Dovrei dire a Jacob che non ha sbagliato affatto prima, che ha fatto benissimo e che si, uscirò volentieri con lui, perché in fondo una cena non ha davvero mai fatto male a nessuno e poi… e poi quel che sarà, sarà. E invece quell’attimo di lucidità arriva sempre. Quell’attimo in cui mi rendo conto che non posso dire semplicemente si e basta. Che non posso mettere da parte tutto e dimenticare quello che provo. Anche se consapevolmente so che sto sbagliando, ancora una volta.

Lo guardo grata per la “comprensione” che ha dimostrato nei miei riguardi e mi dico che forse non sarebbe per niente una brutta idea uscirci insieme.

-adesso devo scappare- dico mentre mi infilo il foglietto nella tasca del giubbotto che improvvisamente sembra pesare dieci chili.

 -si, va bene. Ci vediamo presto-

Gli sorrido mentre imbarazzata più che mai gli volto le spalle e me ne vado.

 

**********

Guardo nello specchietto retrovisore Sophie incantata, ammirare il suo vestitino di velluto blu. Ne liscia la superfice sorridendo di tanto in tanto, troppo felice per quel regalo inaspettato da parte del papà. Lo abbiamo trovato davanti alla porta di casa questo pomeriggio: un enorme scatola bianca incartata con un bellissimo fiocco rosa.  Appena l’ha visto Sophie ha pensato che fosse stato Babbo Natale a lasciarcelo; ci ho messo mezzora per spiegarle che per Natale mancano ancora due mesi. Nel biglietto che abbiamo trovato attaccato all’enorme fiocco c’era scritto:

 “Per la mia Principessa.. Papà spera tanto di vedertelo addosso questa sera”

Mi si è stretto il cuore a leggere quelle parole e poi sono scoppiata a ridere per quello che c’era scritto più in basso:

“ps: questo è un messaggio per tua madre! Non sono tanto stupido da aver dimenticato quanto tu possa essere vendicativa. Perciò non farmi aspettare troppo questa sera ti prego. È davvero importante quello che ho da dirti. Edward ”

Così eccoci qui, a pochi isolati dal 740 di Park Avenue con trenta minuti d’anticipo, come gli avevo promesso.

Da quando ci siamo separati io e Edward siamo stati costretti a sottostare alle rigide regole della famiglia Cullen, regole che includono la nostra presenza, mia e di mia figlia, alle cene di famiglia, due venerdì al mese ogni mese.

È stata Esme a insistere perché appoggiassi questa sua richiesta e credetemi, davvero, non ho potuto dirle di no. Già il fatto di lavorare per loro mi ha influenzato abbastanza, considerando poi che per i molti impegni lavorativi e sociali che una famiglia della loro importanza tratta abitudinariamente non sono mai reperibili, mia figlia non avrebbe mai conosciuto i suoi nonni. E non voglio assolutamente che Sophie stia lontana dagli affetti famigliari come invece è successo a me. Mio padre è nato e cresciuto a Forks, piccolo paesino della penisola Olimpica, poco distante da Seattle. Conobbe mia madre durante un corso di formazione a Port Angeles. Lei si trovava li in vacanza con le sue amiche e quando si videro scattò il tipico colpo di fulmine. Da allora non si sono più lasciati e lui è stato più che disponibile a trasferirsi a New York per allontanarsi da quel buco di paese. Lì ha lasciato i suoi genitori, ed io ho visto così di rado i miei nonni che quando sono morti entrambi non sapevo esattamente cosa provare. So per certo però, che mi è dispiaciuto immensamente non averli avuti al mio fianco.

Arriviamo a destinazione in perfetto orario e dopo aver posteggiato l’auto nel parcheggio dell’edificio, saliamo all’ultimo piano utilizzando l’ascensore interno.

L’appartamento, vanta otto camere da letto, dieci bagni, due librerie, due sale da pranzo e complessivamente sei terrazze con vista mozzafiato su Central Park! Roba da non crederci. Per quanto lussuosa però, questa casa non ha niente a che vedere con l’atmosfera che si respira nell’immensa villa di Riverbank sull’Hudson river, sempre di proprietà della famiglia Cullen, la villa dove ho conosciuto Edward.

Le porte si spalancano direttamente nell’atrio dell’immensa casa e ad accoglierci c’è come sempre Mrs. Truman che con il suo caldo sorriso rallegra sempre queste serate.

-oh, mia cara Bella, benvenuta- dice mentre prende i nostri soprabiti e rimane incantata ad osservare Sophie stupenda questa sera nel suo abito blu. Si guarda curiosa attorno pronta a scorgere qualche altro viso famigliare e non aspetta nemmeno un attimo prima di correre a gettarsi tra le braccia del padre, comparso improvvisamente dal corridoio laterale.

Bellissimo nel suo completo grigio scuro afferra Sophie facendola girare in aria per poi appoggiarsela saldamente contro il petto. Cominciano una lotta a suon di baci, il tutto accompagnato dai festosi gridolini e dalle risate sguaiate di lei.

-Amore di papà! Ti sono mancato, eh? Ti sono mancato?- la maschera di compostezza di Edward crolla sempre davanti alla figlia lasciandosi andare ad esternazioni plateali del suo affetto. Le sue facce buffe poi sono magnifiche.

-si! Tantissimo papino- esclama Sophie per poi avvolgergli di nuovo le braccia intorno al collo.

-sei bellissima con questo vestitino. Ti piace?- lascia che scenda dalle sue braccia per poterla ammirare meglio.

-mmh-mmh, mamma dice che semblo una plincipessa-

-è vero. La mamma ha ragione. Sei perfetta, la principessa più bella che c’è- si siede sui talloni per trovarsi alla sua altezza.

-anche più bella di Aliel papà?- alzo istintivamente gli occhi al cielo per l’ennesima allusione a La Sirenetta. È fissata con quel cartone, fissata!

Edward mi vede e fa un sorrisino conscio anche lui della sua passione smodata.

-stai scherzando?- la prende in giro facendola ridere per la sua faccia schifata – tu sei molto più bella di Ariel, e di tutte le altre principesse, te l’ho già detto- 

-che ne dici di andare dalla nonna adesso?- mi intrometto io per mettere fine alla conversazione.

-si, andiamo!-

Lascio cadere la borsa di Sophie con i vestiti per il weekend accanto al tavolo dell’ingresso e faccio segno a Edward di non dimenticarla quando andrà via con la bambina questa sera. Mi fa un cenno affermativo con la testa e poi lascia che Sophie corra libera nei corridoi senza fine della casa.

Edward si alza da terra e mi fissa così profondamente che mi sento avvampare. Comincia dai piedi, che questa sera ho fasciato in un paio di decolté beige per passare poi al tubino color vinaccia, i capelli li ho lasciati sciolti e il trucco è pressoché invisibile. Si ferma quando incrocia il mio sguardo.

-sei bellissima- dice, portandosi le mani in tasca.

Non so mai cosa rispondergli quando mi lusinga con questi complimenti. Perché seppur graditi sono senza dubbio inopportuni per due persone nella nostra posizione.

-emmh… si- tossisco brevemente.

Sto per dirigermi verso il centro della casa per riacciuffare Sophie prima che commetta qualche disastro che mi sento tirare per un braccio e trascinata con la forza dentro la cabina armadio dell’ingresso. La porta si chiude alle mie spalle con me completamente spalmata sopra. Edward mi tiene stretta ed io comincio ad andare in iperventilazione.

Che diavolo sta succedendo? Mi ritrovo a pensare.

Me lo trovo a meno di cinque centimetri dalla faccia e l’unica cosa che riesco a considerare è quanto mi manchi sentire il sapore di quelle labbra perfette. Senza rendermene conto comincio ad avanzare nella sua direzione come se una calamita mi attirasse con tutte le sue forze dalla parte opposta.

-Bella, devo parlarti. Ho bisogno del tuo aiuto-

Improvvisamente ricordo il motivo per il quale mi ha fatto venire con tanto anticipo e l’aria cospiratoria che aveva al telefono. Quindi il fatto che mi abbia rinchiuso nell’armadio è solo per poter parlare liberamente, senza orecchie indiscrete ad ascoltarci.

“che stupida! E io che pensavo…”

-Bella, mi ascolti?-

Scuoto la testa per prestargli attenzione ignorando la fitta che sento allo stomaco.

-si, si…dicevi?-

-stavo dicendo che Alice mi ha incastrato-

La cabina armadio a casa Cullen non è grandissima ma non è nemmeno tanto piccolina, anche se adesso ha tolto le sue mani dalle mie spalle è costretto lo stesso a stare a pochissima distanza da me. Distanza che io cerco di accentuare mettendomi a sedere su un pouf dietro la porta.

-e quindi?-

-stasera verrà a cena con Jasper e mi ha chiesto di aiutarla perché… beh perché hanno deciso di sposarsi-

-oh Santa pace!- dico portandomi le mani a coprire la bocca.

Jasper e Carlisle non si possono tollerare. Almeno non da quando Carlisle ha scoperto che il fidanzato di sua figlia, che all’inizio si è presentato sotto falso nome per poter sottrarre delle importanti informazioni riguardo a un progetto molto ambito che Carlisle stava portando a termine, non è nient’altropopodimenoche il figlio del suo acerrimo nemico in affari Marcus Whitlock.

Quando venne scoperto il sotterfugio Alice cadde quasi in depressione. Si lasciarono davvero in malo modo, nonostante Jasper cercasse in tutti i modi di farle capire che si era innamorato seriamente di lei e che non voleva perderla. Si giustificò dicendole che la situazione gli era sfuggita di mano, che avrebbe dovuto fare finta di stare con lei per poter entrare nelle grazie di suo padre ma che alla fine era rimasto coinvolto sentimentalmente. Le ha chiesto mille volte scusa per non aver avuto il coraggio di dirle tutta la verità ma a questo ci ha pensato Carlisle, che quanto a teatralità non ha nulla di che invidiare agli sceneggiatori di Broadway!

Quella sera eravamo stati invitati tutti a cena per festeggiare la riuscita di questo “famoso” affare che la Cullen’s Enteprises aveva concluso con grande successo. Eravamo tutti sereni sicché il capo famiglia pensò bene di spiattellare tutta la storia come se niente fosse tra il primo e la seconda portata.

Si scatenò il putiferio.

Carlisle che urlava da una parte contro Jasper e Alice disperata strillava dall’altra senza riuscire a capacitarsene. Sta di fatto che la cena si concluse con qualche osso ammaccato, le ossa naturalmente erano quelle di Jasper.

Si lasciarono e per Alice fu veramente difficile superare la cosa, ma ci riuscì e andò avanti. Se non che, un po’ di tempo dopo, se lo ritrovò “per caso” nelle stradine affollate di turisti dell’isola Caraibica di Nassau. Non fu facile per Jasper riconquistare la sua fiducia, ma l’amava davvero e allora glielo dimostrò. Alice non durò più di due settimane al corteggiamento serrato di Jasper, e alla fine vinse lui. A testimonianza che l’amore, quello vero, vince su tutto. Adesso stanno insieme da due anni e Carlisle ha accettato “relativamente” da poco il fatto che la figlia sia tornata a frequentare il “traditore” come lo chiama lui.

Ma a quanto ho capito hanno intenzioni serie. Alice tiene molto alla sua famiglia e stando a quello che mi ha detto Edward, vuole coinvolgere tutti nella sua decisione di sposarsi.

-oh Santa pace si! Che facciamo?- la voce di Edward mi giunge alle orecchie come un campanello d’allarme.

“neo-neo allarme rosso! Allarme rosso! Pericolo di strage in arrivo!”

-come “che facciamo?”-

-tu dovrai aiutarmi!-

-cosa?- sbotto alzando la voce.

-si, ti prego Bella non puoi dirmi di no. Oggi mi ha chiamato Alice in ufficio raccontandomi di quanto fosse felice perché Jasper le aveva appena chiesto di sposarla e che aveva intenzione di dire tutto alla famiglia questa sera a cena. Mi ha chiesto aiuto, mi ha chiesto di sostenerla in questa faccenda, di far capire al grande capo che non si deve immischiare eccetera eccetera eccetera… lo sai quanto parla mia sorella quando ci si mette, no?-

-si lo so- o almeno “lo sapevo”. Alice non mi odia ma mi ha fatto capire chiaramente quanto non abbia approvato la mia decisione di divorziare dal fratello. Non che giustifichi Edward sia chiaro, però ha capito quanto tutti e due abbiamo sbagliato e vedere il fratello soffrire come un cane dopo la separazione, ha contribuito a inimicarmela. Mi ha fatto capire in mille modi che avrei dovuto perdonarlo e che anche io avevo le mie colpe, ma non è servito a niente. Il mio orgoglio era più forte di tutto il resto, all’epoca.

-quindi… cosa facciamo? Tra un po’ arriveranno e già trovarselo davanti non sarà facile per papà-

-oh andiamo. È successo tanto tempo fa, non è ora che Carlisle volti pagina?-

-non dirlo a me, lo sai quante volte ho provato a farlo ragionare, ma non ascolta. Gli affari vengono subito dopo la sua famiglia per lui e un colpo così basso non se l’aspettava, si era affezionato davvero molto a Todd… cioè a Jasper. E poi ci è andata di mezzo anche mia sorella-

-ma Alice l’ha perdonato così come abbiamo fatto noi. Dovrebbe fare lo stesso anche lui-

Lo spazio angustio nel quale ci troviamo è saturo dei profumi reciproci, posso sentire l’odore di Edward infilarsi nelle mie narici, solleticare i neuroni olfattivi e provocarne un ode di giubilo. Dio quanto mi è mancato il suo profumo.

-perché?- sbotta portandosi le mani sui fianchi.

-“perché” cosa? Perché Carlisle deve perdonarlo?-

-no, non mi riferisco a quello, è ovvio che mio padre debba perdonarlo. Mi chiedevo perché sei così contenta che Alice abbia perdonato Jasper dopo quello che le ha fatto e invece io sono finito in croce, perché?-

Deglutisco rumorosamente mentre sento la gola bruciarmi per l’arsura.

-oh Edward, ti prego… non ricominciare- sbuffo alzandomi dal pouf con l’intenzione di andarmene. Ma lui è più veloce di me è richiude la porta facendomi cozzare di nuovo con la schiena contro il legno freddo. Le sue mani mi trattengono forte per le braccia.

-non ricominciare un corno! Dimmi perché Bella? Perché Jasper dopo aver ingannato tutti e aver preso in giro mia sorella che si fidava di lui è il martire della situazione. Mentre io sono il demonio e per questo non ho meritato nemmeno che tu mi stessi ad ascoltare! - mi dibatto così forte che riesco quasi a liberarmi dalla sua presa ma lui usa ancora più forza e con un movimento mi riporta a sbattere di nuovo contro la porta – dimmi perché!- mi urla in viso.

-perché ti amavo più di ogni altra cosa al mondo! Perché mi hai fatto del male! Perché hai gettato il nostro passato alle ortiche! Perché non te ne fregava più niente di me e di noi! Ecco perché!- esplodo guardandolo dritto negli occhi e quello che vedo non mi piace per niente. Ma è stato lui a provocarmi perciò che non venga a lamentarsi. Il mio cuore batte impazzito e non riesco a farlo calmare, non con lui che mi guarda come se volesse mangiarmi… di baci.

-Dio Bella… non capisci quanto ti amavo?- le sua mano destra scende ad accarezzare il mio fianco sinistro facendomi sentire mille brividi, mentre con l’altra mi trattiene forte per il braccio- quanto avevo bisogno di te e tu invece mi hai voltato le spalle? Non prendertela solo con me, non sono stato solo io a rovinare tutto- le sue parole sono come il sale su una ferita aperta e mi fanno male, tanto male. Possibile che dipenda ancora così tanto da quest’uomo? Da lui che è la mia felicità e al tempo stesso la mia rovina? Sento gli occhi inumidirsi e un piacere insostenibile sconvolgermi l’anima. Se mi prendesse in questo momento giuro che non opporrei resistenza, davvero. Ma non lo fa… anzi mi libera il braccio dalla morsa della sua mano e si raddrizza guardandomi più pallido di un cencio. 

-Edward..- provo a dire ma le parole mi muoiono in bocca.

Sobbalziamo entrambi quando sentiamo il “tlin” dell’ascensore e rumori all’ingresso. Forse Alice e Jasper sono arrivati. Proviamo a nasconderci ma comprendiamo all’istante che verremo scoperti, il posto è troppo piccolo per poter passare inosservati e Mrs. Truman deve aprire per forza la porta per posare i soprabiti. Ci stringiamo lo stesso contro una fessura dell’armadio e dentro di me prego Dio che nessuno ci veda, come giustificheremo altrimenti la nostra presenza qui? Edward mi spinge dentro in modo che rimanga lui fuori provando a camuffare la sua presenza con il vestito scuro che indossa posizionandosi di schiena. Ma la zazzera di capelli rossicci gli si vede eccome, perciò con uno strattone alla cravatta lo costringo ad abbassare la testa verso l’interno e automaticamente anche verso di me. Il mio cuore batte come un tamburo schiacciata come una sardina contro il muro da una parte e contro Edward dall’altra.

Se prima ho sentito vagamente il suo profumo impregnare l’aria adesso c’è l’ho proprio addosso ed è impossibile per me non provare ad avvicinare il naso verso il suo collo e verso quell’aroma indescrivibile. Per nascondere la mani bianchicce e costretto ad appoggiarle contro il muro ai lati della mia testa; in pratica sono in gabbia. I nostri respiri si fanno affannati ed io sento di nuovo quella strana sensazione che ho sentito poco prima, alla base del ventre.

Mrs. Truman apre la porta e per fortuna non accende l’interruttore, che noi avevamo provvidenzialmente spento, e già di per se è una gran bella botta di culo. Appende i soprabiti con lentezza tant’è che mi domando se staremo qui tutta la notte e poi, così come se niente fosse, si richiude la porta del guardaroba alle spalle e se ne va.

Rilasciamo all’istante un sospiro di sollievo e lascio che Edward si raddrizzi e si aggiusti la cravatta. Mi guarda esitante come per chiedermi “sei sicura di voler andare via?” si, sono sicura. Anche perché non è ne il momento ne il luogo per portare avanti la conversazione di prima, perciò come una tacita risposta annuisco tra me e me e vado via.

 

**********

-mi passi l’insalata Jasper?- chiedo al mio amico che se ne è stato immobile per tutto il tempo.

La cena prosegue senza intoppi ormai, nonostante la rigidità che si è venuta a creare all’inizio con l’arrivo dei futuri sposi.

Carlisle siede a capo tavola impeccabile nel suo vestito blu, contrapposto a Esme seduta proprio di fronte a lui, bellissima in verde e con i capelli color caramello tirati indietro. Io mi trovo alla sua destra e difronte a me è seduto Edward, che non fa altro che guardarmi in modo strano da quando ci siamo seduti. Non posso fingere che non sia successo niente nel guardaroba, perché qualcosa è successo eccome. Già di per se quello che ho provato non è stato affatto un bene. Dio, vorrei avvolgere il nastro del tempo e tornare indietro.

Accanto a me è seduta Sophie, che da brava bambina cerca di mangiare tutto quello che ha nel piatto. Naturalmente la sua cena consiste in un semplice piatto di pasta al sugo, non la costringerei mai a mangiare quello che mangiamo noi. Ogni tanto ha bisogno d’aiuto e si rivolge sia a me che a sua zia Alice seduta proprio accanto a lei. Jasper le sta di fronte.

La conversazione non è mai andata oltre ai semplici complimenti verso l’ottima cucina di Mrs. Truman, con Carlisle che ogni tanto tossisce facendoci sobbalzare tutti.

-okay, adesso basta!- dichiara Alice spazientita alzandosi in piedi dopo l’ennesimo attacco di tosse del padre.

-Alice tesoro non c’è bisogno che tu faccia una scenata- ribatte lui portandosi per l’ennesima volta il bicchiere del vino alle labbra. Penso che sia un po’ alticcio.

-non c’è bi… non c’è bisog… c’è bisogno eccome, papà! La vuoi smettere di comportarti così?- urla sbattendo una mano sul tavolo tanto che Sophie sobbalza spaventata. Mrs. Truman impaurita dalle urla compare sulla soglia della camera da pranzo e prima che torni indietro le faccio segno di portare la bambina con se in cucina. Sophie la segue senza protestare.

-Alice per favore non c’è bisogno di alzare la voce- ribatte Edward una volta che siamo soli.

-si amore calmati- gli fa eco Jasper guardandola apprensivo.

-tsè “amore”!- è quello che dice Carlisle che incassa subito un occhiataccia da parte di Esme.

-okay sentite- mi spazientisco anche io- non c’è bisogno di urlare o di fare scenate. Siamo persone adulte e possiamo parlare in modo civile- Edward mi guarda e annuisce – perciò… fatela finita! Alice e Jasper sono venuti qui questa sera perché ci devono mettere al corrente di una cosa importante, quindi Alice- dico rivolgendomi alla diretta interessata – perché non arriviamo subito al punto?-

Carlisle si irrigidisce sulla sedia così come fa la moglie, entrambi pronti a sentire quello che la loro figlia ha da dire.

-oddio sei incinta!- sbotta allarmata Esme portandosi una mano a coprire la bocca.

-tu! Sei un uomo morto!- urla Carlisle alzandosi dalla sedia rivolgendosi a Jasper che lo guarda scioccato.

-basta! Smettetela!- si intromette a questo punto Alice – non sono incinta!-

All’istante vedo i volti di Carlisle e Esme riprendere colore.

-e allora cosa ci devi dire?- ribadisce quest’ultima agitata.

Dopo aver preso un profondo respiro Alice guarda entrambi i genitori e finalmente dice:

-mamma, papà… io e Jasper abbiamo deciso di sposarci- e alza la mano per far vedere l’anello di fidanzamento che Jazz le ha messo al dito soltanto poche ore fa.

A questo punto succedono due cose separate e per nostra sfortuna alquanto prevedibili.

Esme si alza felice per andare ad abbracciare la figlia.

Carlisle invece si alza e afferra Jasper dalla giacca guardandolo furioso.

-tu non la sposi mia figlia, sono stato chiaro?- con i capelli biondi che gli ricadono sulla fronte e gli occhi arrossati per il troppo vino sembra un felino pronto ad azzannare.

Alice e Esme spaventate dalle scena emettono entrambe un singhiozzo allarmato  mentre Edward si alza per staccare il padre dal collo e dalla faccia di Jasper.

-Carlisle!- urla Esme terrorizzata dal gesto del marito.

-papà non fare così. Non c’è bisogno che si arrivi a questo- dice Edward trascinando il padre dall’altra parte del tavolo – tua figlia ha fatto la sua scelta, ha deciso che vuole passare il resto della sua vita accanto a quest’uomo. E tu non puoi fare niente per impedirglielo. Vuoi che se ne vada e che non torni mai più? È questo quello che vuoi? Vuoi distruggere la nostra famiglia? Perché lo sai che si sposeranno ugualmente –

-è vero. Signore la prego mi ascolti- Jasper tossisce imbarazzato provando ad aggiustarsi la cravatta che in seguito all’agguato di Carlisle si è tutta sgualcita.

–io amo sua figlia. La amo dal più profondo del cuore e so che non basteranno le mie parole per farle dimenticare tutto quello che è successo in passato. Tutto quello che io ho fatto in passato. Ma non ha importanza perché Alice mi ha perdonato e so che se solo volesse potrebbe farlo anche lei. Quello che dice Edward è vero. Io e Alice ci sposeremo ugualmente, con o senza il suo appoggio. Perché ci amiamo e vogliamo vivere insieme per il resto della nostra vita. Non so se capisce quanto sia difficile per me, stare qui, di fronte a lei a dirle queste cose. Ma questi sono i fatti. Ora, lei può decidere se vuole remare contro la nostra unione oppure se vuole essere accanto a sua figlia nel giorno più importante della sua vita. Cosa vuole fare?-

Giuro che da quando lo conosco non ho mai sentito Jasper parlare così tanto, e mi stupisce non poco il suo discorso. Con la coda dell’occhio mi accorgo che Edward sta guardando nella mia direzione “si Edward, anche noi ci amavamo così tanto” mi ritrovo a pensare.

Alice lascia il braccio della madre e va da Jasper che impaziente aspetta una mossa da parte di Carlisle.

-papà ti prego, fallo per la tua famiglia- sussurra Edward ancora attaccato al suo braccio.

Quest’ultimo lo guarda intensamente negli occhi prima di decidersi a parlare.

-proprio tu dici questo? Tu che non hai esitato un attimo a voltarmi le spalle, ad abbandonare il posto di amministratore delegato nella nostra azienda!- gli urla contro spintonandolo verso il muro- tutti questi anni ho lavorato duramente per potervi dare il meglio e per arrivare dove sono ora, e  adesso… adesso devo vedere qualcuno che non è mio figlio ricoprire un posto che ti spetta di diritto! Ho sudato, ho faticato, ho baciato il culo a centinaia di persone per ottenere tutto questo- alza una mano per indicare la casa lussuosa che ci circonda- per farti studiare nelle migliori scuole del paese, per darti un nome. Senza di me non saresti nessuno Edward e questo lo sai benissimo. Ma non te ne è fregato niente, no. Dov’era il tuo senso di famiglia quando hai deciso di abbandonarmi? Non hai pensato ai mille sacrifici che abbiamo fatto io e tua madre per te, per voi. Per insegnarvi tutto quello che dovevate sapere della vita. Stiamo insieme da trenta anni ormai e ci amiamo ancora come se fosse il primo giorno, ma questo non ti è stato d’esempio, non ti ha aiutato nemmeno a tenere in piedi il tuo matrimonio- una fitta di dolore passa negli occhi di Edward che lo guarda ammutolito - che cosa ti ho insegnato Edward mmh? Dimmelo perché non vedo niente di quello che ti ho insegnato nell’uomo che sei diventato!-

-Carlisle adesso basta!- la voce di Esme è forte e risoluta quando si avvicina al marito per scrollarlo dal volto del figlio e farlo ragionare- è tuo figlio e nonostante ti abbia deluso non permetterò che continui ad umiliarlo in questo modo, perché è anche mio figlio e non voglio che tu gli parli così, non davanti a tutti quanti… soprattutto non davanti a Bella-

Il mio viso è una maschera di stupore e smarrimento; sento come se tutto il mio sangue fosse defluito via dal mio corpo. Non ho mai sentito Carlisle dire queste cose nei confronti del figlio, mai. Vorrei avere la forza di alzarmi e dire qualcosa in sua difesa, ma è come se il mio sedere fosse attaccato alla sedia e le mie labbra cucite ermeticamente . Edward mi rivolge uno sguardo addolorato che mi atterrisce del tutto.

Guardo gli altri presenti in sala e mi accorgo quanto anche loro siano rimasti spiazzati. 

-Esme…- sussurra Carlisle appoggiandosi malamente sulle spalle della moglie – accompagnami in camera, non mi sento tanto bene- le sue mani corrono subito a slacciare il nodo della cravatta e ad aprire i primi bottoni della camicia.

-Edward chiama un dottore- dico destandolo dal suo stato di catatonia e risvegliandomi a mia volta.

-papà cos’hai?- la voce di Alice è allarmata eco della mia.

Jasper corre subito a soccorrere Esme che non riesce a mantenersi dritta sotto il peso del marito. Quest’ultima è più bianca di un lenzuolo -Oddio Carlisle, cosa ti succede?-

Alice le si avvicina e la prende per le mani mentre con l’aiuto del maggiordomo, Jasper riesce a portarlo di sopra, al piano rialzato dove si trovano le stanze da letto. Un breve sussurro di Carlisle rivolto a Jasper in cui gli intima di non toccarlo mi tranquillizza un po’; almeno non ha perso conoscenza e la voglia di litigare. 

-il Dottor Randall sta arrivando- annuncia Edward entrando in sala ancora più scosso di prima dopo aver parlato con il medico di famiglia.

-mamma… mamma sta tranquilla. Vedrai che non è niente, forse si è solo agitato troppo- la rassicura il figlio. Il tono della sua voce è disperato, in netto contrasto con le parole che ha appena pronunciato. 

-Edward… cosa faccio semmai dovesse succedergli qualcosa…- sussurra più a se stessa che a qualcuno in particolare.

Mi avvicino per farla sedere e le metto in mano un bicchiere d’acqua sperando che l’aiuti a calmarsi. Edward e Alice si avvicinano subito per consolarla. I suoi occhi sono vitrei, troppo spaventati per riuscire a vedere bene quello che vedo io, e cioè due figli in preda all’angoscia e alla paura di aver appena causato un principio d’infarto al proprio padre, due figli che in questo momento stanno bruciando sul rogo della vergogna, consapevoli di aver deluso una delle persone più importanti della loro vita.

 

Continua…

 

Ed eccoci qui, cosa ne pensate? Povero Edward… ce l’hanno tutti con lui L

Spero davvero con tutto il cuore di riuscire a scrivere il nuovo capitolo entro la settimana prossima e non farvi aspettare così a lungo, ve lo meritate! Soprattutto per le bellissime recensioni che mi lasciate ogni volta. NON SO COME RINGRAZIARVI! Però adesso voglio sapere cosa ne pensate di Jacob e dell’invito a cena, dell’incontro nel guardaroba, della lite di Edward con Carlisle e del malore di quest’ultimo. Su su che sono supercuriosa!

Ps: entro stasera risponderò alle recensioni dello scorso capitolo! Baciiiiiii

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Capitolo 5
*** Cap. 5 ***


CAP 5

Hello everybody! Sono in ritardo lo so, ma la frenesia di queste settimane mi ha praticamente impedito di scrivere.

Vi lascio al capitolo…

Buona lettura! ^_^

 

     Capitolo 5

Il vero amore può nascondersi.. confondersi.. ma non può perdersi mai..

Sempre e per sempre dalla stessa parte mi troverai...

Francesco De Gregori - Sempre E Per Sempre

 

-mammina… ma è velo che nonno Cal ha la bua?- la voce di mia figlia arriva ovattata da sotto la stoffa della maglia del pigiamino che le sto infilando. Quando emerge dal foro della testa con il suo manto di capelli rossi mi guarda in attesa che le risponda mentre si sposta alcune ciocche dalla faccia.

-chi te lo ha detto?- la guardo cominciando ad innervosirmi. Dire a una bambina una cosa del genere; ma siamo matti?

-la nonna Esme che lo ha detto alla sinnola Tluman- ah beh in questo caso forse posso chiudere un occhio. Dubito che Esme scossa per il malessere di Carlisle si sia accorta che c’era anche Sophie in cucina immersa a giocare con le stoviglie dietro l’isola, che poi è la posizione in cui l’ho trovata io e che la signora Truman mi ha confermato di aver mantenuto per tutta la serata, dal momento in cui l’ho allontanata dalle urla della sala da pranzo: “è stata tutto il tempo buona buona a giocare a fare la cuoca, non si è accorta di niente” così mi ha detto.

-si- a questo punto non posso fare altro che dirle la verità - è vero, il nonno ha la bua ma non è niente di grave, guarirà presto-

-è pel questo che devo dolmile qui?- di comune accordo con Edward abbiamo deciso che è meglio farla rimanere qui stanotte. Le condizioni di Carlisle non sono tanto gravi, anche se il dottor Randall ha insistito tanto affinché si trasferisse in ospedale ma lui ha dissentito categoricamente. Ha detto che si è trattato di un principio di infarto, come avevo pensato anche io, ma che i sintomi sono completamente scomparsi. Anche se non è da escludere una possibile ricaduta, perfino nel giro di poche ore, Carlisle non ha voluto sentire ragioni. Per il momento è nella sua camera da letto vegliato da Esme che non lo lascia mai, nemmeno per un attimo. Prima di chiuderci la porta della sua camera alle spalle però, siamo riusciti a strappargli almeno la promessa di una visita più approfondita; in ospedale questa volta.

-si tesoro, papà è molto agitato e vuole stare accanto al nonno ed io non voglio che per questo non possiate stare insieme, perciò si, rimarrai qui stanotte. Dormirai insieme a papà nel lettone grande della stanza blu. Ti piace quella stanza non è vero?- questa mi è sembrata la soluzione più “pratica” per tutti.

-mmh- mhh ma mami… pelchè non limani pule tu? Tu non sei agitata pel il nonno come papà?- e certo! Perché se è vero che due più due fa quattro allora non devo stupirmi di niente se la mente di mia figlia è arrivata alla conclusione più logica. Se suo padre è tanto preoccupato da voler rimanere qui allora perché non dovrei rimanerci anche io? Posso forse dissentire dal fatto che sono altrettanto preoccupata per Carlisle come lo è il figlio? La mente diabolica della mia piccina è arrivata prima di me a questa conclusione ed io ci sono caduta dentro con tutte le scarpe.

-emmh, si certo che sono agitata per il nonno, ma penso che sia meglio che tu e papà stiate soli-

-ma io voglio che limani pule tu- il suo tono di voce rasenta la disperazione, il che mi fa capire che se non le dirò quello che vuole sentirsi dire scoppierà in un pianto disperato nel giro di due secondi. Anche il suo labbro inferiore sta cominciando a tremolare.

-sono offeso sai? Non vuoi rimanere sola con il tuo papà?- la voce di Edward che mi giunge alle spalle è la mia salvezza; il sorriso sghembo che mi rivolge mi fa capire che ha sentito tutta la nostra conversazione. Lo guardo avvicinarsi con la cravatta allentata e i primi bottoni della camicia aperti. Tiene le mani in tasca e quando mi è completamente vicino sento chiaramente l’odore di whisky mischiarsi con il suo profumo inconfondibile. Non mi stupisce che si sia fatto un cicchetto dopo l’estenuante serata. Sophie in piedi davanti a noi ci guarda triste e con il labbro inferiore arricciato, benché adesso non tremi più. Sento una fitta al cuore nel vederla in questo stato: addolorata, perché vorrebbe entrambi i suoi genitori a tenerle compagnia durante la notte e combattuta, perché non può scegliere tra uno dei due. Mi guarda smarrita non sapendo esattamente cosa fare anche se capisco chiaramente quali sono i suoi dubbi al momento: vorrebbe stare con il padre ma allo stesso tempo non riesce a rinunciare alla mia presenza. È in momenti come questo che mi chiedo se sia possibile sistemare ogni cosa con Edward per il bene di nostra figlia. È inconcepibile dopotutto che una bambina di tre anni debba trovarsi ad affrontare tali dilemmi. Il prezzo da pagare sarebbe il mio orgoglio e la mia dignità di donna, ferita e tradita. Ma in cambio cosa guadagnerei? Molto di più, rispondo in automatico.

Avrei finalmente indietro quella felicità che mi manca più dell’aria che respiro, avrei indietro l’uomo che amo, ridarei una famiglia a Sophie che è quello che desidera di più e finalmente non mi sentirei più sola. Perciò la domanda che devo pormi in questo momento è: posso farlo?

Non posso. “Voglio” farlo? mi correggo mentalmente.

-senti facciamo così…- comincia a dire Edward ma interrompo bruscamente qualsiasi scusa che sta per uscire fuori dalla sua bocca prendendo finalmente la mia decisione.

Si, voglio farlo. Per me ma soprattutto per Sophie.

-va bene- dico semplicemente sovrastando la sua voce – rimango pure io, sei contenta?- sul viso di mia figlia compare subito un sorriso radioso che è lo stesso che aleggia sul mio. Rilascio un profondo respiro quando mi getta le braccia al collo e mi accorgo solo in quell’istante che ho trattenuto il fiato per tutto il tempo, Edward non perde occasione di rivolgermi uno sguardo stralunato.

“davvero?” mi mima con le labbra ed io mi limito solo ad annuire con il viso nascosto nei morbidi capelli di Sophie.

-papà andiamo- lo esorta lei dopo esserci liberate prendendogli una mano nella sua.

-emmh si, cominciate ad andare. Io arrivo subito-

-non fale taldi pelò- e come per rafforzare quello che ha appena detto un sonoro sbadiglio le fa spalancare la bocca e lacrimare gli occhi, a conferma che crollerà di lì a breve non appena poggerà la testa sul cuscino. Per il momento si limita a trascinarmi con decisone per i corridoi della casa.

 

Quando entriamo nella stanza blu, ribattezzata così per il colore indaco del muro e per la trapunta del letto in coordinato, che “tra parentesi” piace tanto a mia figlia perché le ricorda il mare de La Sirenetta, si getta subito in mezzo alla morbidezza dei cuscini come se fossero dune di sabbia.

-a letto Sophie su, è tardissimo- la rimbecco scostando le coperte per infilarcela sotto.

-ma io voglio aspettale papà!- sbuffa stizzita mettendomi il broncio. E ogni volta è la stessa storia perché non resisto a quella visione e mi butto addosso a lei per riempirla di baci e farle il solletico. Ride a squarciagola anche stavolta e non credo le dispiaccia più di tanto che io reagisca in questo modo, anzi, sono sicura che lo faccia apposta ormai, che mi provochi quasi.

-batta! Ti plego! Batta mami!- allontano le mani dai suoi fianchi ma continuo a tenerla stretta a me inalando il suo profumo: lei è il mio tesoro più grande. Morirei senza di lei, senza il suo sorriso radioso, senza i suoi occhi verdissimi, senza la sua chioma leonina, senza la sua esuberanza, senza la sua dolcezza, senza la sua testardaggine o la sua voglia di vivere. È per lei che non posso più fare finta di quello che provo: il breve incontro che abbiamo avuto nel guardaroba ha risvegliato in me qualcosa che credevo sopita da tempo, e Dio se mi sono accorta di quanto mi manca! Nel momento stesso in cui ho preso la mia decisione, ho capito che non posso più nascondere il mio amore per Edward. È per questo che mi trovo qui, in attesa che lui arrivi, in attesa di comportarci come due veri genitori per Sophie. Forse sono più impaziente io di lei; il battito accelerato del mio cuore rispecchia la mia frenesia.

Bacio un ultima volta la sua guancia paffutella e poi lascio che si infili sotto le coperte.

-dov’è Peter?- mi chiede allarmata mentre spengo la luce per accendere l’abatjour sul comodino accanto al letto. Peter è un coniglietto ed è il suo pupazzo preferito, non se ne separa mai. È la prima cosa che le ha regalato Edward e tiene a lui più che a qualsiasi altra cosa, forse anche più de La Sirenetta, il che è tutto dire.

Dopo aver esplorato per un attimo la stanza lo trovo ai piedi del letto -eccolo, è qui tieni-  glielo porgo dopo averlo spolverato e lei tutta contenta me lo strappa letteralmente dalle mani; certe volte credo che voglia più bene a lui che a me.

Mi tolgo le scarpe e mi stendo al suo fianco. Lei si rannicchia tra le mie braccia ed io prendo ad accarezzarle i capelli. Come avevo preventivato non passano nemmeno dieci minuti da quando ci siamo messe a letto, che già dorme beata. Ha pronunciato una paio di volte il nome del padre e poi è scivolata in un sonno profondo. Gli vuole un bene dell’anima e non posso stupirmi di amarlo di più anche per questo. Edward è il padre migliore che potessi desiderare per mia figlia. A questo proposito non posso fare a meno di chiedermi cosa gli dirò quando entrerà in stanza.

In attesa del suo arrivo mi faccio prendere da una specie di crisi di panico.

E se non volesse stare qui con me?

Se non si sentisse pronto a ciò che voglio io?

Forse sono stata troppo frettolosa, insomma... fino alla settimana scorsa l’ho visto in compagnia di una donna al Gourmet. Il fatto che lui abbia voltato pagina vuol dire che l’ha voltata davvero; in tutti i sensi. Eppure prima, quando eravamo rinchiusi nello spazio piccolissimo del guardaroba, ho sentito qualcosa anche da parte sua. Un trasporto totalmente nuovo in confronto a quello che ci ha legato negli ultimi tre anni. Ho avuto l’impressione che volesse baciarmi, che volesse stringermi forte al suo petto quando ha lasciato che la sua mano scivolasse lungo il profilo del mio fianco sinistro o che volesse strapparmi il vestito di dosso quasi. Sento improvvisamente una scia infuocata lungo tutto il tragitto che ha percorso la sua mano in precedenza, come se bastasse il ricordo di quello che è successo a far riaffiorare in superfice le sensazioni che ho provato. 

Non so quanto tempo è passato da quando mi sono messa a letto e non capisco come mai Edward ci metta così tanto tempo ad arrivare, sta di fatto che il respiro delicato e ritmato di Sophie mi concilia il sonno e appesantita da tutta la stanchezza della giornata e dall’agitazione della serata, mi lascio cadere tra le braccia di Morfeo senza neanche rendermene conto.

 

Non passa troppo tempo però prima che mi accorga di essere crollata pure io e riaffiorare in superfice dal mondo dei sogni. Una scarica di brividi mi pervade tutto il corpo quando mi accorgo del paio di occhi verdi che mi scrutano dall’altra parte della stanza.

Edward è seduto sulla poltrona vicino l’abatjour e la luce della lampada disegna sul suo viso delle ombre tali da renderlo minaccioso. Mi guarda senza riuscire a distogliere lo sguardo dal mio e nemmeno io riesco ad allontanare il mio dal suo. Leggo tante di quelle emozioni in quegli occhi che mi viene voglia di alzarmi e correre ad abbracciarlo, a dirgli che va tutto bene e alleviare un po’ le sue pene.

Ma non lo faccio però.

Tutto cambia quando con uno scatto improvviso si alza dalla poltrona e si dirige verso il balcone, lo spalanca e poi esce fuori. Lascia la porta aperta come un invito a seguirlo e memore della decisione che ho preso poco prima, mi alzo dal letto anche io. Rimbocco per bene le coperte intorno al corpo di Sophie e poi lo raggiungo, non prima di aver afferrato un plaid dal cassetto del comò. L’aria fredda di New York mi fa rabbrividire non appena metto piede sulle mattonelle del terrazzo e mi fa rimpiangere il calore delle coperte, ma almeno mi aiuta a svegliarmi completamente.

Richiudo la porta scorrevole alle mie spalle e vago con gli occhi nell’immenso terrazzo alla ricerca di Edward. Lo trovo seduto su una panchina intento a fissare le luci della città. È una vista mozzafiato, e non mi riferisco di certo alle luci anche se sono uno spettacolo incredibile pure quelle.

-come stai?- gracchio con la voce ancora impastata dal sonno quando gli sono vicino. In mano tiene una fiaschetta porta whisky.

-come dovrei stare secondo te? Uno schifo ecco come sto…- si raddrizza per bene sulla schiena e mi rivolge uno sguardo abbastanza eloquente.

-Alice dov’è? Cosa ti ha detto?- preferisco spostare la conversazione su un campo neutrale e poi muoio dalla voglia di sapere cosa si sono detti.

-è nell’altra stanza insieme a Jasper, l’ho salutata poco fa. Anche lei vuole rimanere qua per questa notte-

-e come sta?-

-uno schifo anche lei, si sente in colpa per quello che è successo- si blocca un attimo per prendere un grosso respiro e attingere una sorsata dalla fiaschetta- ha deciso di rimandare il matrimonio, visto come ha reagito papà non vuole che gli prenda di nuovo un altro attacco di cuore. Le ho detto di ripensarci, che non è colpa sua ma non vuole sentire ragioni-

-lo pensi davvero?-

-cosa?-

-che non sia colpa sua, o è solo che sei tu a volertene addossare tutta la colpa?-

Mi rivolge uno sguardo dolce facendomi battere forte il cuore e un sorriso compiaciuto che mi lascia intendere di aver fatto centro. Mi porge la fiaschetta che io prendo volentieri, almeno mi aiuterà a non sentire tanto freddo.

-Edward ti prego non farlo. Lo sai che non devi sentirti in colpa. Carlisle aveva bevuto e si è lasciato andare un po’ troppo. Ma non pensa assolutamente niente di quello che ha detto e soprattutto ne tu ne Alice dovete addossarvene le conseguenze- so che è esattamente così che si sente in questo momento, lo conosco troppo bene. 

-come faccio a non addossarmene la colpa eh Bella me lo spieghi?- mi chiede retorico confermando quello che ho appena detto- lui si è agitato e ha cominciato a urlarmi in faccia tutta la sua delusione, forse se non mi fossi comportato come ho fatto le cose sarebbero diverse. Tutto sarebbe diverso. Avrei un lavoro stabile accanto a mio padre e avrei ancora la mia famiglia…avrei ancora te- aggiunge alla fine lasciandomi basita e con il cuore che sembra abbia preso il volo.

-che vuoi dire?- gli chiedo stringendomi di più nel mio bozzolo. Dio, fa un freddo cane quassù, il vento mi sbatte i capelli in faccia e mi fa lacrimare gli occhi. Mi domando come faccia a stare seduto qui fuori senza congelare. Forse ha sufficiente whisky in corpo da non sentire niente.

-voglio dire che se non avessi deciso di cambiare lavoro e abbandonare mio padre forse staremo ancora insieme. Ero troppo stressato in quel periodo e il più delle volte assente. Forse se non fossi stato subissato dalla mole di lavoro avrei capito prima che c’era qualcosa che non andava in te e in noi. Ti sarei rimasto accanto e avremmo superato insieme ogni cosa e invece… invece ho rovinato tutto. Ho pensato solo al lavoro e…- le parole gli muoiono in bocca senza riuscire ad andare avanti. È la prima volta che mi parla così, con il cuore in mano. Ma davvero vuole farmi credere che sia stata colpa del lavoro se ci troviamo in questa situazione? Il fatto che sia andato a letto con un'altra donna dove lo mettiamo?

-non penso che sia stato per colpa del lavoro. Insomma… se tu avevi altre esigenze in quel periodo non devi pen…-

-cosa? Altre esigenze?- mi interrompe bruscamente.

-certo. Dopotutto hai fatto sesso con un’altra donna. Sarebbe successo comunque se, beh si… se non mi volevi più- che fatica immane dire quelle semplici paroline!

Lo sguardo che mi rivolge è talmente allibito che è come se all’improvviso mi fosse spuntata un'altra testa -credi che io sia andato a letto con un'altra donna perché non ti volevo più?-

-beh perché lo avresti fatto sennò, sentiamo- mi ritrovo a replicare stupendomi io stessa di averglielo domandato.

-non posso credere che tu me lo stia chiedendo- emmh no, infatti, nemmeno io!

-cosa? Il motivo per il quale ci troviamo a questo punto? Non servirà a redimerti però almeno potrei cercare di capire-

Dio, lo sapevo che sarebbe stato difficile. È come fare una traversata in mare, a nuoto, senza bombola d’ossigeno e senza nessuno a sorreggermi.

Mi guarda aggrottando le sopracciglia chiedendosi sicuramente se sto facendo sul serio -non è stato… cioè il fatto che io e Tania… oddio hai capito no?-

-si, ho capito- ringhio tra i denti.

-non l’ho fatto perché non ti volevo più, è successo perché in quel periodo ti desideravo da morire ma tu non c’eri-

-cosa? Sta a vedere che adesso la colpa è mia!- sbotto irritata. Colpito dal mio tono, o forse dal fatto che sto battendo i denti, lo vedo avvicinarsi a me, come se volesse prendermi tra le sue braccia.

-no, non è colpa tua… è che non sapevo come farti capire che avevo bisogno di te senza sembrarti un egoista del cazzo. Un uomo ha le sue esigenze dopotutto. Ecco l’ho detto! Ed io ti desideravo così tanto. Ma non volevo forzarti e quindi me ne sono rimasto zitto e buono fino a che quel giorno tu non mi dicesti di volertene andare di casa- oddio, adesso si che comincio a capire.

-ho pensato: Cristo non ho fatto niente per forzarla, non l’ho pressata in nessun modo, l’ho lasciata in pace e alla fine viene a dirmi che mi vuole lasciare? – parla a ruota libera senza nemmeno fermarsi a riprendere fiato, a quanto pare il whisky sta facendo effetto - solo in seguito ho capito che quel “non ho fatto niente” pesava come un macigno sopra la mia testa. Perché io non ho fatto effettivamente niente per cercare di capirti e venire incontro alle tue esigenze. Anche se devi riconoscere che non eri la persona più avvicinabile del mondo in quel periodo. Comunque… non avrei dovuto lo stesso fare quello che ho fatto, a costo di chiudermi i bagno e farmi venire un crampo alla mano a furia di seghe! Non passa giorno che io non me ne penta. Ero ubriaco e non ho capito un cazzo e beh… mi sono lasciato andare e ho rovinato tutto-

Wow wow wow, aspettate un attimo! Fermate il mondo, voglio scendere! È il mio primo pensiero. Il secondo è che a sentire quelle parole è come se improvvisamente il mio petto si fosse liberato di un nodo pesantissimo. Il mio cuore comincia a battere frenetico non appena mi rendo conto di quello che ha appena detto. Dopo anni passati a crogiolarmi nella convinzione che lui non mi desiderasse più, che il nostro rapporto fosse irrimediabilmente compromesso proprio perché a monte c’era questo problema insormontabile, adesso vengo a sapere che è tutto sbagliato, che è tutto il contrario di quello che ho sempre pensato? Mi sento magicamente libera da quella torre che mi sono costruita attorno, che mi ha fatto sempre scappare a gambe levate da ogni relazione, perché inconsciamente pensavo che se Edward non mi voleva allora nessun’altro mi avrebbe voluto. E perché rischiare di imbarcarmi in una nuova relazione e mettere di mezzo anche i sentimenti di Sophie? L’espressione che ho sul viso deve essere abbastanza eloquente ma non voglio dargli la soddisfazione di trovarmi impreparata, perciò fingo che quello che mi ha detto mi sia scivolato addosso come l’acqua. Dopo un respiro profondo e un altro sorso alla fiaschetta per darmi coraggio riprendo a parlare.

-però sei venuto subito da me a confessare ogni cosa- adesso che è in vena di sincerità voglio scoprire il più possibile su questa faccenda.

-credi che sarei riuscito a rimanere al tuo fianco sapendo quello che ti avevo fatto? No Bella, non è da me e questo dovresti saperlo. Non ti avrei mai fatto una cosa del genere, non te lo meritavi. Io penso che un uomo diventi degno di essere chiamato tale quando prende coscienza dei propri errori e invece di scappare dalle conseguenze è pronto ad affrontarle. E credimi, dirti che ti avevo tradito è stata la cosa più difficile che ho mai fatto in vita mia- ed è la verità. Ho letto così tanta disperazione nei suoi occhi quel giorno che non penso dimenticherò mai quei momenti. Un altro uomo avrebbe potuto mentirmi, nascondere il tradimento e continuare a starmi accanto come se niente fosse. Invece lui non l’ha fatto, e questo nonostante l’errore è un merito che devo riconoscergli.

-se ti sentisse Carlisle penso che si rimangerebbe tutto quello che ti ha detto poche ore fa. È questo il ragazzo che ha cresciuto e sarebbe orgoglioso dell’uomo che sei diventato- gli dico dal profondo del cuore mentre lascio che un’altra sorsata di whisky mi riscaldi il corpo.

-dici sul serio?-

-assolutamente-

-bene- sul suo viso adesso è stampato un sorriso caldo, dolce e… felice.

-bene- replico anche io.

Non sfugge a nessuno dei due il momento imbarazzante che si è appena creato. La sua coscia è completamente spiaccicata contro la mia e il suo braccio è poggiato al ferro della panchina proprio dietro la mia schiena. Se non fosse per la postura rigida sembrerebbe che mi stia abbracciando. Fisso per un attimo il riverbero che le luci di Manhattan producono sul suo viso, e mi sembra di non averlo mai visto più bello di così.  Diritto, con i capelli scarmigliati a causa del vento, i primi bottoni della camicia aperti che lasciano intravedere la sua pelle d’alabastro, la linea della mascella tesa, come se stesse contraendo i denti, le sue labbra piene e invitanti che mi richiamano peggio del canto di una sirena, il suo naso affusolato, perfetto… e poi i suoi occhi tanto profondi quanto espressivi nei quali leggo un velo di preoccupazione.

Rimaniamo zitti per un po’ prima di deciderci a parlare di nuovo, e lo faccio io, colta da un pensiero improvviso:

-senti ma… sbaglio ho poco fa hai detto “avrei un lavoro stabile accanto a mio padre” al lavoro è tutto ok? O c’è qualcosa che non va?- non so perché ma questa frase mi è rimasta impressa nella mente prima.

-be si… mmh non so. Non ti sfugge niente eh?-

Lo guardo sorridendo tanto vicino al suo viso da riuscire a sentire il suo alito caldo e profumato – dovresti saperlo ormai…-

-già, comunque hai ragione. Non è un caso se mi sono lasciato sfuggire quelle parole prima. È che…sento come se si stia per avvicinare una burrasca. Forse sono solo paranoico ma sento che c’è qualcosa che non va. Forse è Mike, lo vedo un po’ troppo nervoso ultimamente-

-ah tu e il tuo innaturale sesto senso- dico in tono canzonatorio -da quando ti conosco non hai mai sbagliato una volta. Secondo me hai dei strani poteri soprannaturali. Riesci sempre a capire prima degli altri quando succederà qualcosa. Per non parlare poi della capacita di leggere nella testa delle persone. Sai esattamente quello che ti diranno così tu li precedi di un passo- le sue risa sovrastato la mia voce e sono costretta ad avvicinarmi di più per farmi sentire sopra l’ululato del vento. Vederlo ridere mi provoca una fitta al cuore; quanto mi è mancato questo suono!

-oddio mi fai sembrare un fenomeno da baraccone!-

-forse perché lo sei?- lo guardo in tralice con un sopracciglio alzato.

-no, non penso proprio. Forse è solo un dono non lo so. Mi basta guardare una persona negli occhi e capire quello che gli frulla nella testa-

-anche con me è così?- Dio mi sento così felice che penso potrei scoppiare dalla gioia. Trovarmi qui con lui e lasciarmi andare in questo modo, è una cosa che non credevo possibile. E invece eccoci qui. Gli prendo la fiaschetta dalle mani e la bevo fino all’ultima goccia; un modo per brindare, credo.

- “soprattutto” con te è così. Tu sei un libro aperto, le tue espressioni facciali non possono nascondere nulla a chi ti sta difronte. Ma con te è diverso, abbiamo legato sin da subito io e te eh?-

-già- mi ritrovo a dire con una nota di malinconia nella voce.

-no, davvero non sei mai stata un segreto per me-

-e sentiamo “signor sesto senso” cosa sto pensando in questo momento?- non so nemmeno perché gliel’ho chiesto. Forse il whisky ha sbriciolato i miei freni inibitori.

-non posso- nella sua voce sento una nota di allarme che mi fa rizzare a sedere.

-e perché no?-

-perché ho paura-

-paura di cosa?- replico sorpresa e un po’ annebbiata dai fumi dell’alcool. Forse non avrei dovuto bere così tanto, cosa diavolo mi è saltato in testa?

-ho paura che quello che vedo non sia la stessa cosa di quello che vuoi realmente- il suo viso è così vicino al mio che riesco a vedere il piccolo neo ovale che ha vicino alla bocca che mi è sempre piaciuto tanto. La sua voce è talmente bassa che penso di essermele immaginate quelle parole.

-beh non lo sapremo mai se tu non me lo dici- ribadisco usando il suo stesso tono. Sento le farfalle nello stomaco quando capisco quello che sta per succedere.

-forse è meglio se te lo dimostro- sussurra facendomi accapponare la pelle. Il mio cuore rimbomba così forte nella cassa toracica che non mi stupirei se potesse sentirlo anche lui.

Oddio ci siamo penso.

Non faccio nemmeno in tempo a spostarmi di un millimetro che me lo ritrovo addosso. Le sue labbra sono esattamente come ricordavo. Anzi, no. Sono tremendamente meglio. Sono petali di rosa così delicati e rotondi e pieni. Le mie di labbra tremano senza che riesca a controllarle e qui il freddo non c’entra niente, sono così emozionata che non trovo le parole per descrivere quello che sta succedendo, il tumulto interiore che mi si è sprigionato dentro.

Sono trascorsi più di mille giorni da quando ho posato le mie labbra sulle sue l’ultima volta e quello che ho immaginato nei momenti più duri, di sconforto e di solitudine, in cui non volevo altro se non averlo al mio fianco, non è minimamente paragonabile alla realtà. 

Stare con Edward mi ha sempre condotto in un mondo tutto nostro fatto di gioia e spensieratezza, ma un barlume di lucidità mi riporta con i piedi per terra e mi ricorda che la realtà è diversa da quella che sto vivendo adesso. Nella realtà io sono una donna e una madre soprattutto che ha sofferto tanto. Lasciarmi andare completamente con lui equivarrebbe ad aprire di nuovo il mio cuore, a mettere a rischio la tanto agognata stabilità che ho raggiunto non senza difficoltà e mettere in gioco anche quella di Sophie. Non posso più nascondere quello che provo è vero, baciare di nuovo Edward è come tornare a respirare aria pura per me e adesso che ho ritrovato la mia boccata d’aria fresca non voglio più lasciarlo andare. Ma posso davvero cancellare tutto quello che è successo?

La verità è che ho paura.

Paura che sia talmente semplice cancellare tutto da aver timore che possa accadere di nuovo.

Ma se non posso più fare a meno di lui prima o poi arriverà il momento in cui mi lascerò andare completamente, ragiono e mi stupisco come in un momento del genere riesca a formulare pensieri sensati.

Si, succederà e io voglio che succeda.

Ma non nell’immediato comunque.

-Edward…- sussurro contro le sue labbra staccandomi un poco.

-oddio Bella, sono più o meno tre ore che morivo dalla voglia di baciarti- replica con voce rauca attaccandosi con la fronte alla mia. Fa per avvicinarsi di nuovo e Dio solo sa quanto mi costa fare quello che sto per fare ma non posso agire altrimenti. Lo blocco mettendogli una mano sul petto.

-no Edward no, non possiamo. Quello che stiamo facendo è sbagliato-

-ricordami perché è sbagliato?- dice imprigionandomi il viso nelle sue grandi mani.

-perché noi due siamo divorziati-

-questo è vero…-

-e perché tu mi hai tradito- dico flebile sentendo un tuffo al cuore.

-anche questo è vero…-

-no, Edward, io devo andare- faccio per scostarmi ma lui mi blocca di nuovo. Questa volta mi guarda così intensamente negli occhi che mi viene quasi difficile sostenere il suo sguardo.

-è davvero questo quello che vuoi? Perché Bella se mi dici di si io ti lascerò andare… ma non posso fare finta che non sia successo niente-

- ed io non te lo sto chiedendo, nemmeno io posso fare finta di niente-

- e allora perché?-

-perché deve essere così e basta. È ancora troppo presto. È successo talmente all’improvviso che non so nemmeno se sia stato un desiderio comune o se sia stato l’alcool a fuorviarci- pur consapevole che l’alcool non c’entra niente devo trovare una scusa per allontanarmi, e alla svelta anche. Se continua a guardarmi così non resisterò ancora per molto. Il bacio ha riacceso un desiderio così forte che non credevo possibile.

- non è stato il whisky, io sapevo quello che stavo facendo e anche tu lo sapevi bene- taccio, non posso aggiungere altro, se gli dicessi di si farei crollare ogni protezione e a quel punto ricadrei come un pero tra le sue braccia.

-lo sai che non puoi fingere, il tuo viso è come un libro aperto per me. So esattamente quello che stai pensando adesso e potrei… beh potrei ma non posso. Voglio rispettare i tuoi spazi-

-davvero?- replico con il cuore in gola, resisti devi resistere.

-si davvero, anche se è tremendamente difficile credimi-

-deve essere così-

-ho capito- sussurra abbassando la testa ed io sento qualcosa incrinarsi dentro al petto.

Mi scosto da lui sentendo immediatamente freddo e mi alzo voltandogli le spalle, consapevole del fatto che vorrei tornare indietro e rituffarmi tra le sue braccia.

Torno dentro e do un occhiata veloce a Sophie che dorme beata circondata dal calore delle coperte. Spero che domattina si inventino una scusa bella convincete per giustificare la mia assenza ma davvero non posso restare in questa casa un minuto di più. Afferro le scarpe le metto sotto braccio e mi dirigo a piedi scalzi verso la porta. Tra poco Edward rientrerà e prenderà il mio posto sotto le coperte; almeno sarà felice di aver passato la notte in compagnia di sua figlia.

Abbassare la maniglia e andare via però mi richiede uno sforzo talmente grande che sono tentata di mandare al diavolo tutto e riprendermi quello che è mio e che desidero con tutto il cuore. Porto sbadatamente una mano a toccare le labbra e umettandole con la lingua sento subito il sapore di Edward su di esse. Il suo sapore meraviglioso.

Reprimo una lacrima e senza indugiare oltre eccomi già in mezzo al corridoio a correre verso l’ingresso.

Hai fatto la scelta giusta ragazza, devi fare le cose con calma. E farle bene questa volta. Solo questa convinzione mi fa tirare un sospiro di sollievo e sentire meno pesante il peso che ho sul cuore.

 

Emh emh, eccoci qui!

Chi si aspettava il bacio? Nessuno penso, anche se nello scorso capitolo la tensione sessuale tra i due era davvero molto palpabile. Dite che è colpa dell’alcool? Naaa questi si amano alla follia e non riescono a stare lontani. A tal proposito spero che apprezziate il gesto di Bella di aspettare e fare le cose con calma, dopotutto è lei quella ad essere stata tradita e ad aver sofferto per colpa di Edward, e non dimentichiamoci che ci sta in mezzo pure una bambina. In questi lunghi anni ha cercato di reprimere questo sentimento ma adesso non ci riesce più, sarà per quello che è successo nel locale di James o per la vicinanza nel guardaroba, adesso non può più mentire a se stessa e deve guardare in faccia la realtà. E cioè che l’amore che prova per Edward è più forte di qualsiasi cosa, anche dell’orgoglio e del dolore che l’hanno spinta a chiedere il divorzio.  

So, GRAZIE MILLE per le recensioni allo scorso capitolo (risponderò a breve, giuro!). 

Non mi resta che farvi i migliori auguri di Buon anno, ci risentiamo nel 2013!

BACIIII ♥

 

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Capitolo 6
*** Cap. 6 ***


CAP 6

                                                 

Buonasera a tutti! No, non sono una miraggio. Sono veramente io che mi accingo a postare il nuovo capitolo, che mi è uscito lunghissimo tra l'altro, ma questi sono dettagli. Scrivervi righe su righe di scuse non mi farebbero di certo apparire meglio ai vostri occhi, perché diciamocelo sparire per più di un mese è veramente oltraggioso. Quindi non vi faccio aspettare oltre e vi lascio al cap.  

Dove eravamo rimasti?

Il seguito al malore di Carlisle, Bella decide di rimanere a dormire a casa dei suoi ex suoceri. Un riavvicinamento nei confronti di Edward la porta a consolarlo per quello che è successo al padre e qui, seduti sulla panchina del terrazzo dei Cullen, si lasciano andare e scatta la scintilla che gli fa concludere la serata con un bacio. Ma Bella decide di andare via e Edward seppur con riluttanza accetta questa sua decisione…

Capitolo 6

Non ti ho scelto. Ti ho appena guardato, e lì,

non potevo più tornare indietro…

 

 

EDWARD POV.

-Okay, dimmelo di nuovo. Ma con calma e precisione. Sii minuzioso nei particolari e soprattutto non omettere nulla-

Sbuffo esasperato. Sono esattamente quarantacinque minuti che mi tartassa di domande e che mi fa ripetere la storia sin dall’inizio. Non so cosa stia cercando di scoprire, ne se sia convinta che si celi chissà quale inspiegabile arcano dietro un semplice bacio. Ci siamo baciati, punto. Ma questo lei non vuol capirlo, o almeno non si accontenta di sapere solo questo. Immagino il criceto che ha nel cervello issare bandiera bianca, troppo stanco di fare gli straordinari e rido divertito.

-Rose, non ce la faccio più. Ti ho già raccontato tutto almeno tre volte-

-si lo so. Ma fallo di nuovo, ti prego-

Appena è entrata nel mio ufficio ha capito subito che c’era qualcosa che non andava, così mi ha messo sotto torchio e alla fine non ho potuto fare altro che sputare il rospo.

-e va bene!- sbotto dopo qualche minuto sprofondando di nuovo nella poltrona con un sonoro poff. Rose fa altrettanto, sedendosi comoda sul divano dopo essersi versata una tazza di Tè. I documenti da visualizzare ormai dimenticati, sono abbandonati sul tavolino davanti a noi; doveva essere un rapito incontro di lavoro invece si è trasformato in una riunione frizzi e lazzi a cui non sapevo nemmeno di essere stato invitato.

-dunque, tutto è cominciato nel guardaroba a casa dei miei-

-dove le sei quasi saltato addosso, giusto?-

La guardo stranito – non le sono “quasi saltato addosso”-

-a no?-

-no- mi impunto.

-e come la chiami quell’intensa tensione sessuale che mi hai detto di aver sentito, chiara e indistintamente?- lancia uno sguardo alla patta dei miei pantaloni e penso che se non fosse una delle mie più care amiche (per non dire l’unica) la sbatterei immediatamente fuori dall’ufficio a calci nel sedere.

-la mia erezione non è un affare che ti riguarda-

Scoppia a ridere – ma dai Edward, se mi hai detto che stavi per impazzire-

Si, è vero l’ho detto, stavo per impazzire sul serio in quelle quattro mura pregne dell’odore di Bella.

-si- mi arrendo alla fine – hai detto bene, stavo per impazzire-

-e…- mi incita a continuare.

-e niente, hai ragione è stata davvero dura trattenersi dal saltarle addosso, ma dovevi vederla, era splendida e averla così vicino mi ha mandato in pappa il cervello-

-tu non fai sesso da troppo tempo amico, lasciatelo dire- con calcolata lentezza si porta la tazza fumante alla bocca. Vorrei alzarmi e spaccargliela in testa.

-Rose!-

-che c’è? È la verità Edward, non nasconderlo- la fulmino con gli occhi ma la verità è che non ne ho alcun diritto, ha tremendamente ragione.

-e tutto perché ti sei convinto che non riusciresti a farlo…-

-e perché amo ancora mia moglie- la correggo.

-si, si ho capito. Ma sei cosciente di quello che hai fatto in tutti questi anni? Sei rimasto fermo ad aspettarla per tre anni Edward, tre anni. Devi avere la forza di volontà di un monaco tibetano per riuscire ad astenerti così tanto tempo dal sesso. E per cosa alla fine? Per una donna che ti ha sempre trattato a pesci in faccia e che avrebbe potuto rifarsi una vita con qualcuno proprio sotto al tuo naso-

-non essere così dura Rose-

-lo sono, devo esserlo, idiota che non sei altro! Sono tua amica e ti voglio bene, più di quanto credevo possibile volertene. Ti prego, dimmi almeno che se avesse iniziato una storia con qualcuno te ne saresti fatto una ragione e saresti andato avanti anche tu-

Come faccio a dirle che in quel caso mi sarei volentieri legato una zavorra intorno al collo, avrei affittato una barca e poi mi sarei buttato nel punto più profondo dell’Hudson River? Vedere Bella in compagnia di un altro uomo è sempre stato il mio terrore più grande. Grazie al cielo non ho mai dovuto affrontare una simile eventualità visto che anche lei, come me, non ha mai avuto altre relazioni all’infuori del nostro matrimonio.

-si, però non l’ha fatto- mi ritrovo a dire sollevato – non ha mai avuto altre storie-

-ma se le avesse avute?-

-Rose, non mi va di pensare ad una tale eventualità. Non so cosa avrei fatto in quel caso, va bene? Ti basta come risposta?-

Mi guarda assottigliando gli occhi– me la farò bastare- dice, quasi fosse una minaccia.

-dunque, vogliamo proseguire? O ci fossilizziamo su questo argomento?-

-no, andiamo avanti-

Prendo un grosso respiro e proseguo – non ho fatto altro che guardarla per tutta la sera, mi sedeva di fronte e più volte ho dovuto frenare l’impulso di allungare una mano e toccarla. Volevo sapere cosa pensava, come aveva vissuto quel breve incontro e se fosse possibile ripeterlo di nuovo- la mia voce mi giunge trasognata alle orecchie, come se stessi davvero rivivendo quei momenti e sentissi di nuovo le stesse emozioni. Riviverle mi da la certezza che non è stato solo frutto della mia immaginazione. Infatti è questo quello che ho pensato appena sveglio stamattina, avevo paura che fosse stato tutto un sogno. Un sogno bellissimo tuttavia dal qualche non avrei mai voluto svegliarmi. Ci hanno pensato Sophie e la stanza blu a darmi la certezza che il bacio era stato reale. Che non me l’ero immaginato. Appena ha aperto gli occhi e si è resa conto dell’assenza di Bella ha cominciato a reclamare la sua presenza e ho dovuto inventarmi una scusa per farla calmare. Le ho detto che l’avevano chiamata per un emergenza sul lavoro e che non l’aveva avvisata perché non voleva svegliarla. Così mi è tornata in mente la sua fuga.

-ma mi sono trattenuto- dico riprendendo a parlare –non ho fatto niente di tutto ciò. E poi è successo quello che è successo-

-il malore di tuo padre vuoi dire?-

-si. Giuro Rose, non ho mai provato tanta vergogna in vita mia – ‘a parte l’episodio del tradimento’ - tutto quello che mi ha detto…-

-sciocchezze! Sono tutte sciocchezze e lo sai anche tu. Non avrebbe dovuto parlarti a quel modo, non avrebbe dovuto dire quelle cose. Davanti al resto della famiglia poi! Davanti a Bella! Incolparti perché ti sei costruito una carriera tutta tua, allontanandoti dalla sua ala protettiva e soffocante. Incolparti di non essere l’uomo che aveva sempre desiderato che fossi senza conoscerti minimamente, senza conoscere l’Edward che sei adesso. Cos’è? Forse pretendeva che diventassi la sua fotocopia? Che diventassi come lui? Un uomo che non è nemmeno capace di mettere da parte il suo orgoglio per la felicità dei propri figli. Immagino come debba essersi sentita Alice quando le ha detto che non appoggiava il suo matrimonio. Proprio il comportamento di un uomo integerrimo, complimenti!-

-Rose, calmati-

-no che non mi calmo accidenti!- sbuffa spazientita mentre le sue guance si colorano di un tenerissimo rosa acceso. Eccola li, mi ritrovo a pensare. Eccola li, la forte, focosa e solidale Rose. La ragazza a cui ho imparato a volere bene e che sarebbe disposta a buttarsi nel fuoco per la nostra amicizia. Non so chi ringraziare per averla condotta sul mio cammino.

-Rose, ti ringrazio. Davvero, grazie per quello che hai detto ma io so che, anche se in minima parte, tutto quello che ha detto mio padre è vero. È vero, e non posso farci niente. Gli ho voltato le spalle e sono stato in grado di rovinare l’unica cosa bella della mia vita, l’unica cosa che mi rendeva davvero felice. Ma senza lei… -

-basta! Finiscila!-sbotta all’improvviso interrompendomi e facendomi sobbalzare – quando capirai che vali molto di più di quello che pensi? Quando Edward? Devi ritenerti orgoglioso per l’uomo che sei diventato anche e soprattutto per avere avuto la forza di guardare negli occhi la donna che ami più di qualsiasi altra cosa al modo e dirle che l’avevi tradita. Devi ritenerti orgoglioso per come hai gestito il rapporto con tua figlia, con quella meravigliosa bambina che ti ama alla follia. Per quello che hai adesso, per quello che hai saputo costruire da solo, con le tue sole risorse e non grazie ai contatti del tuo dolce paparino. Per aver saputo conservare con tanta dedizione l’amore che ti lega a Bella, per averlo mantenuto puro e averlo custodito così a lungo. Altri se ne sarebbero fatti una ragione ma tu no invece. Perché sei buono e credi che prima o poi tornerete insieme. Questo è un merito che devi riconoscerti Edward. E se è questo quello a cui credi allora credici fino in fondo. Credi che tutto si sistemerà-

Le parole di Rose mi infondono un non so che di positività, facendo aumentare di una tacca la stima che sento nei confronti di me stesso, e mi domando quando, precisamente, la nostra chiacchierata si è trasformata in una seduta terapeutica. Forse è il fatto che sia una donna a dirmi queste cose; inconsciamente penso che se lei ha una buona opinione di me allora anche gli altri ce l’hanno. Credo di aver appena assegnato a Rose il titolo di mia terapeuta personale.

-andiamo avanti adesso?- mi domanda dopo aver preso un grosso respiro.

-si, andiamo avanti- le rispondo con un sorriso.

-bene, dove eravamo rimasti? Ah si, a quando mio padre si è sentito male-

-adesso come sta?-

-stamattina stava meglio, ha fatto colazione e poi a chiamato la sua assistente ed ha avvisato che non sarebbe andato. Mia madre lo ha accompagnato in ospedale per sottoporsi ad una visita più approfondita-

-speriamo che vada tutto bene- dice soprappensiero.

-pensavo che mio padre non fosse presente sulla lista delle tue persone preferite, Rose- la punzecchio conscio che mi risponderà per le rime. Ed infatti non mi delude.

-certo che non è una delle mie persone preferite. Ma non desidero certo la sua morte. Poi chi ti sopporterebbe!-

Già, chi mi sopporterebbe? Per fortuna non è successo nulla di irreparabile, eppure non è la prima volta in quasi 24 ore che mi domando come mi sarei sentito se mio padre fosse morto. Se a causa del nostro litigio fosse spirato. Un eventualità che mi fa accapponare la pelle e che mi toglie il respiro.

Proseguo il mio racconto con molta calma, proprio come lei mi ha chiesto di fare. Le dico della decisione di Bella di rimanere con noi per la notte e del tumulto di emozioni che ho provato in quel momento. Le racconto della chiacchierata con Alice e del conseguente bisogno di attaccarmi alla fiaschetta del whisky. Parlo liberamente, senza inibizioni, ed è così che arrivo a confessarle di aver avuto la scarica di eccitazione più forte della mia vita, quando ho visto Bella distesa in quel letto ieri sera. Sapevo che c’era Sophie accanto a lei ma questo non mi ha impedito di pensare a tutti i modi possibili in cui avrei voluto prenderla. In cui avrei voluto stringerla a me e farle capire l’importanza del mio amore.

-quando si è svegliata poi e mi ha visto nella stanza ho pensato che non ce l’avrei fatta a resistere e allora mi sono alzato e sono uscito nel terrazzo. Ho lasciato la portafinestra aperta con la speranza che mi seguisse e così è stato. Quando l’ho vista al mio fianco avvolta in quella coperta avrei voluto abbracciarla forte e riscaldarla, per quanto mi fosse possibile. Abbiamo cominciato a parlare, lei mi ha detto più o meno quello che mi hai detto tu poco fa, cioè che non dovevo sentirmi in colpa del malore di mio padre, ma io non potevo evitare di sentirmene responsabile-

Le racconto tutto, ogni cosa. Le dico che ci siamo messi a parlare come non succedeva da più di tre anni e che sentire di nuovo quello stesso coinvolgimento mi ha scaldato il cuore.

-sentirla ridere di nuovo mentre mi prendeva in giro, sentirla così vicina, tanto che credo di essermi ubriacato del suo stesso profumo e del profumo dei suoi capelli, percepire il suo alito delicato sfiorarmi la guancia mi ha fatto avvicinare sempre di più, fino a quando sono arrivato al limite. Non ho resistito e allora ho poggiato le mie labbra sulle sue- concludo incantato, mentre mi perdo di nuovo, forse per la centesima volta, nel ricordo di quel bacio.

È stato un bacio delicato. Si, delicato è la parola giusta. Deviava completamente dai film mentali che mi ero fatto poco prima, vedendola distesa nel letto. È stato come se a contatto con le sue labbra non avessi avuto più bisogno di sentire quel senso di deliberata carnalità, ma solo il bisogno di sentire di nuovo il senso d’appartenenza. Sapere che lei c’era, che era li con me e che stava succedendo davvero.

-le mie labbra hanno riconosciuto subito le sue e si sono adattate di nuovo perfettamente a quelle rotondità e non c’ho capito più niente. Sennonché lei mi ha fermato tirandosi indietro-

-lei come ti è sembrata? Durante il bacio voglio dire-

-tremava…- dico stupendomi di non essermene accorto prima – si, tremava- ripeto con convinzione- le sue labbra tremavano, ma ha ricambiato il bacio, che Dio mi fulmini se non è così. Anche lei ha sentito quello che ho provato io, ne sono sicuro-

-tuttavia si è tirata indietro-

-già- dico sconsolato alzandomi dalla poltrona. Prendo a fare su è giù per la stanza sperando che questo mi aiuti a calmare un po’ la tensione.

-e cosa ti ha detto esattamente quando si è allontanata? Che giustificazione ti ha dato?-

-mi ha detto che stavamo sbagliando. Che il bacio era uno sbaglio. Perché…- comincio consapevole che Rose me lo chiederà sicuramente - … beh, ha detto che eravamo divorziati, ma io ho insistito e mi sono riavvicinato. E poi ha tirato fuori il tradimento e a quel punto l’ho lasciata andare, non prima di averle detto che non potevo fare finta di nulla, che avevo sentito quanto anche lei fosse stata partecipe. Ha detto che era troppo presto, che era successo tutto così velocemente che non capiva se il whisky che avevamo bevuto centrasse qualcosa. Le ho risposto che non ero ubriaco e che sapevo quello che stavo facendo quando mi sono abbassato a baciarla, ma non ho voluto forzare la mano e quindi abbiamo chiuso il discorso li, con lei che si è girata di spalle e se ne è andata. In realtà è letteralmente fuggita- mi porto le mani ai capelli e tiro forte.

-adesso dimmi cosa pensi esattamente. Perché pensi se ne sia andata? Perché vi siete baciati? Dimmelo-

La seguo con lo sguardo alzarsi e andare a riempire la tazza con dell’altro Tè.

- beh all’inizio ho pensato che se è andata via evidentemente non voleva la stessa cosa che volevo io-

-e cioè Edward?-

-beh, mi sembra ovvio. Io volevo ricominciare a stare con lei, volevo che succedesse qualcosa tra di noi, non so se mi spiego-

-si ho capito benissimo. Ma tuttavia è andata via lo stesso. Allora te lo chiedo di nuovo: perché vi siete baciati?-

Ancora una volta mi stupisco dell’ovvietà della risposta. Cosa porta due persone a baciarsi? A sentire quell’infrenabile desiderio di attaccare le tue labbra a quelle di un'altra? Perché d’un tratto diventa di vitale importanza sentirla così vicino?

“i sentimenti” mi ripete una vocina nella mia testa, e so che da parte mia almeno è così. Ma per Bella? Capisco che inconsciamente è da ieri sera che mi rigiro queste parole nella testa, una sorta di domanda silenziosa alla quale non ho mai trovato il coraggio di rispondere.

-Rose, non girarci intorno. Dimmi dove vuoi arrivare-

-ma non capisci? Bella ti ama ancora zuccone. Altrimenti perché ti avrebbe baciato?-

-e perché è scappata allora?-

-perché come ti ha detto lei stessa, è troppo presto-

La guardo stranito – tre anni Rose,  tre anni mi sembrano un lasso di tempo mooolto lungo, l’hai detto anche tu poco fa!-

-è vero, ma chiediti una cosa Edward, in questi tre anni come vi siete comportati? Non avete mai avuto nessun avvicinamento, i vostri rapporti sono  sempre stati limitati-

-certo, per colpa sua. Era lei che mi allontanava ogni volta che cercavo di avvicinarmi. Se fosse stato per me lo sai che avremmo risolto le cose molto prima- agito le mani in aria peggio di un prestigiatore, Dio dovrei darmi seriamente una calmata.

Mi guarda come se si trovasse davanti a un bambino delle elementari prima di parlare – è normale che si sia comportata così, è lei quella ad essere stata tradita. Dentro di lei ha covato il risentimento per quello che le hai fatto e non posso certo biasimarla per questo, anche io avrei agito allo stesso modo. Ma il fatto che tu non l’abbia mai vista con un altro uomo, il fatto che anche se controvoglia (e ne dubito) ha dovuto mantenere lo stesso i contatti con te, il fatto che nelle ultime settimane vi siate avvicinati di nuovo, vuoi quella volta al caffè, vuoi ieri sera dai tuoi, l’hanno spinta a lasciarsi andare e a baciarti in quel momento, perché come ti ho già detto: lei ti ama ancora. Però a conti fatti Edward voi due siete davvero divorziati, tra di voi i rapporti in questi anni sono stati nulli. Puoi pretendere che si lasciasse andare alla luce di questo? Tu l’hai sempre amata, ma lei dalla sua ha sempre avuto il dolore del tradimento da digerire. E se tu ti sei fatto avanti ieri sera non trovandoci niente di male in questo, per lei non è stato altrettanto semplice lasciarsi andare. Perché c’è qualcosa che la frena-

-e scommetto che stai per dirmi cos’è-

-certo. La mancanza di fiducia, ecco cos’è- mi blocco sul posto sentendo un rivoletto di sudore scivolare lungo il collo e andare a spiaccicarsi sul bordo della camicia- è questo quello che manca al vostro rapporto. Ho visto tante coppie e vissuto tante esperienze da sapere che si può amare un’altra persona anche se non hai piena fiducia in lei. La mancanza di fiducia nei tuoi confronti dopotutto non ha impedito a Bella di amarti lo stesso, nel profondo-

La guardo ammutolito senza riuscire a dire mezza parola.

-hai capito adesso? Ieri sera ti ha baciato perché lo desiderava davvero, ma non è riuscita a darti quello che volevi perché in realtà non ha mai riacquistato quella fiducia nei tuoi confronti che tu tradendola, hai intaccato inesorabilmente-

Perché? Perché queste parole le ho dovute sentire uscire dalla bocca di Rose per capire che non esiste verità più assoluta? In realtà mi domando come abbia fatto Rose ad arrivarci prima di me. Una cosa di donne, immagino. O forse sono stato io, che consapevolmente, ho deliberatamente trattenuto questa realtà lontana anni luce dalla mia mente. 

Bella non ha più fiducia in me, ma non in me come persona. Mi affida sua figlia e penso che non lo farebbe mai se pensasse che sono inaffidabile, nemmeno la sentenza di un Giudice la tratterrebbe da questo proposito, nonostante sia suo padre. Non ha più fiducia in me come amante e non che ci volesse un genio per capirlo, dopo quello che le ho fatto passare in seguito al tradimento. Ma forse, ingenuamente, pensavo che se è tornata ad amarmi allora fosse un processo automatico che io e lei tornassimo a vivere insieme come una famiglia. E invece no.

Non mi sono mai sbagliato tanto in vita mia.

-so cosa stai per chiedermi- e in questo momento si, ho la certezza che è una questione di donne. In quanto a perspicacia non le batte nessuno o forse sono io ad aver stampato in faccia quello che sto pensando.

-beh si…- tossisco per scaricare un po’ la tensione – in base a quello che mi hai detto, Bella non si fida più di me. Almeno quel tanto che basta a farle cambiare idea sul mio conto e a convincerla a lasciarsi andare… sentimentalmente- mi guarda con occhi furbi conoscendo già il tumulto interiore che sto vivendo in questo momento, e sa che cadrò ai suoi piedi e implorerò pietà per non averle mai creduto quando mi diceva che Bella era ancora innamorata di me.

-oddio Rose, non ci sto capendo più niente. Ho la testa che mi scoppia e sono nel pallone. Cosa devo fare?- mi ritrovo a piagnucolare come un bambino e me ne vergogno anche un po’ a dirla tutta.

Sei diventato un uomo senza spina dorsale Cullen, mi ammonisco da solo. Ma il fatto è che sono diventato così insicuro, almeno nei fatti che coinvolgono Bella e i sentimenti che provo per lei. Comportati da uomo sento queste parole nella mia testa e sembra che non sia stato io a dirle ma la voce di mio padre. Un brivido mi percuote da capo a piedi.

-senti, non posso dirti quello che devi fare- i suoi occhi adesso si sono addolciti – sei tu ad essere stato sposato con lei. Sei tu a conoscerla, non io-

Pondero bene le sue parole prima di parlare.

-un uscita. Le chiederò di uscire con me-

Un espressione soddisfatta le incornicia il viso e sento un sorriso crescere spontaneamente sul mio. Al diavolo l’insicurezza, dopotutto ieri sera sono stato molto chiaro: non posso fare finta che non sia successo niente. Non l’avrei fatto neanche fosse stata Bella stessa a chiedermelo. Però se Rose ha ragione, (ma che dico! Certo che ha ragione!) non so se accetterà di uscire noi due da soli. Forse…

-la chiamerò per stabilire un uscita, noi due e…Sophie. Penso che la prima volta sia necessario camminare su un terreno neutrale-

-giusto, non vorrei venire a raccogliere i tuoi resti solo perché sei saltato su una mina- dice sghignazzando.

-non sei divertente sai? Non mi aiuti per niente così. Anzi mi fai solo agitare di più- con un sospiro sprofondo al suo fianco sul divano.

-Edward, rilassati. Andrà tutto bene, ne sono sicura…-

Non finisce nemmeno di parlare che veniamo interrotti dal tocco leggero di qualcuno che bussa alla porta.

-avanti-

-signor Cullen mi scusi, ma la bambina è irrequieta-

Cavolo, Sophie! Oggi non avrei dovuto lavorare ma Rose mi ha chiamato con urgenza e non ho potuto dirle di no. Primo perché me l’avrebbe fatta pagare e  secondo perché il mio appartamento da scapolo è praticamente attaccato al mio ufficio; abito a nemmeno cinquanta passi dallo stabilimento. Così ho dovuto portare Sophie con me. L’ho lasciata alle cure amorevoli della signora Cope, ma a quanto dice la mia segretaria, che sta ancora aspettando una risposta, deve essersi stancata di stare qui dentro. Come la capisco, penso. Delle volte anche io sono stanco di stare qui dentro. Con l’aria che si respira ultimamente poi…

-la faccia entrare Maggie-

-no!- mi interrompe Rose mettendomi una mano sul braccio – Edward deve fare una telefonata importante- mi guarda come se in realtà volesse dirmi un’altra cosa.

-telefonata? Importante? Ohhh- dico dopo qualche secondo- si, devo fare una telefonata importante- questa volta mi rivolgo direttamente alla mia segretaria.

-adesso?- sussurro in direzione di Rose.

-si, adesso- mi risponde con un filo di voce ma con convinzione – mi occupo io della piccola, non ti preoccupare- e senza aspettare nemmeno una secondo, raggiunge la porta e se la richiude alle spalle.

Sbuffo sonoramente guardandomi intorno consapevole di essere solo e mi porto un cuscino sul viso come a soffocare un urlo disperato, ma poi mi faccio coraggio e afferro il cellulare dal tavolino davanti a me. Ora o mai più.

-coraggio amico- sussurro mentre avvio la chiamata. Al massimo ti dirà di andare a fanculandia, è che sarà mai? Alzo gli occhi al cielo per la battuta infelice e mi concentro sugli squilli dall’altra parte del telefono. Pessima idea: il mio cuore aumenta la sua corsa ogni secondo di più fino ad arrivare quasi a scoppiare quando sento la voce di Bella rispondermi. Mi alzo di scatto, neanche mi avessero infilato un tizzone arroventato su per il culo, mentre sento una miriade di goccioline di sudore colarmi nell’anfratto del collo sotto la camicia.

-pronto?- Bella… penso trasognato e ci metto qualche attimo in più a capire che stare fermo come un pesce lesso a contemplare il suo nome non mi porterà da nessuna parte.

- Edward ci sei? È successo qualcosa alla bambina?- evidentemente allarmata dal mio silenzio è arrivata subito alla conclusione sbagliata– prendo la macchina e arrivo in un attimo, dimmi dove sei- parla così velocemente che non mi da nemmeno il tempo di rispondere, sembro un pesce alla disperata ricerca di una boccata d’aria; dalla mia bocca escono solo dei brontolii incomprensibili. Diamine, sono offeso però. Ma davvero crede che non sia in grado di badare a Sophie? – dannazione Edward, lo sapevo che non era un bene portarla a contatto con tutti quei tubi di ferro e quei fili di rame. Il magazzino sotto al tuo appartamento è una trappola mortale!- oh basta, questo è troppo!

- Mi fai parlare!- urlo sconcertato bloccando un altro assalto di parole e frasi poco meritevoli nei miei confronti – Sophie sta bene. Non è successo niente. Anzi, grazie per aver messo in dubbio ancora una volta la mia capacità di fare il padre- non era certamente così che avrei voluto cominciare questa conversazione. Non dopo ieri sera.

-fiuff, menomale. E non potevi dirlo prima?- dice sollevata mentre alterato comincio a fare su e giù per tutta la stanza. A gradi falcate raggiungo la parete a vetro che si affaccia sul fiume per poi tornare indietro, verso la porta.

-lo avrei fatto se tu me ne avessi dato il tempo, invece di inveire contro di me. Sembravi il generale Custer in carica contro i Sioux di Toro Seduto. Ancora un po’ e avresti preteso il mio scalpo!- concludo con il fiatone.

Dopo qualche secondo di silenzio sento la sua voce chiamarmi flebile -Edward?-

-che c’è?- sbotto ancora un po’ abbrutito.

-quella battuta. Non dirla mai più, lo sai che mi fa morire dalle risate ogni volta- e come per confermare quello che ha appena detto scoppia a ridere divertita facendomi sentire le farfalle nello stomaco.

-beh… e tu impara ad avere più fiducia in me allora- che elegante scelta di parole che ho usato eh?

Ammutolisce improvvisamente, forse colta nel vivo e dopo un tempo che mi sembra infinitamente lungo, sussurra -ci sto provando- e all'istante sento rizzarmisi tutti i peli che ho nel corpo. Lo ha detto davvero? Si, babbeo, lo ha detto davvero.

-mmh… bene- riprendo stupito di sentire ancora i piedi ben piantati al suolo e non ad almeno due metri dal pavimento – volevo chiederti se… beh, ti… ti andava di uscire con me domani? Con me e con Sophie… domani?- mi correggo immediatamente sbattendomi una mano sulla fronte.

Sembri un ragazzino alle prese con la prima cotta Cullen.

Non ricevendo risposta riprendo a parlare – lo ha detto anche la maestra di Sophie che dobbiamo passare più tempo insieme, noi tre…-

-la maestra di Sophie?-

-si, la signorina Blanchard-

-beh se lo ha detto lei allora…-

-allora?- domando speranzoso.

-allora va bene-

Mi trattengo dall’esultare di gioia solo perché sono un uomo e queste cose gli uomini non le fanno, penso mostrando un po’ di pudore, ma nessuno mi impedisce di portare una mano al cielo in segno di vittoria, anche se silenziosamente.

Con la coda dell’occhio vedo un pezzettino di carta rettangolare tutto colorato poggiato alla rinfusa sulla sommità di alcune buste arrivate tramite posta. Non gli avevo nemmeno prestato tanta attenzione prima. Forse perché Rose è arrivata come un fulmine e mi ha letteralmente strappato via dalla scrivania, preferendo il più comodo e senza dubbio poco utilizzato divano in pelle bianca del mio ufficio alle sedie asettiche.

Lo prendo in mano e con stupore mi accorgo che è il volantino dello zoo di Central Park che invoglia i turisti a partecipare in massa alla prima apparizione pubblica del cucciolo appena nato di tigre bianca. Mi dico che sarebbe un ottimo posto dove andare come prima uscita, tutti e tre insieme. Così quando sento la voce di Bella chiedermi il luogo e l’ora dell’appuntamento al nostro incontro, non esito nemmeno un attimo e le dico:

-Zoo di Central Park, alle 15.00, ti va bene?-

-va benissimo- risponde con entusiasmo stupendomi (e non poco).

-allora a domani-

-a domani Edward- sussurra prima di mettere giù.

Rimango inebetito a fissare lo schermo del cellulare ancora per qualche secondo, prima di decidermi a buttare fuori un bel sospirone d’aria e improvvisamente mi sento più leggero. Una nuova sensazione comincia a impadronirsi di me quando mi rendo conto, finalmente (neanche fossi stato intrappolato su una nuvola di cannabis per tutto il tempo), che domani passeremo la giornata insieme. Tutti e tre, come una vera famiglia.

Ora so cos’è che sento dentro. Cos’è questa nuova sensazione che mi fa tremare solo al pensiero. È qualcosa che mi fa credere che tutto può cambiare, che mi convince che forse il tempo della sofferenza è davvero finito.

È speranza.

Forse posso tornare ad essere felice.

 

BELLA POV.

Mi guardo intorno, divertita dalle risate dei bambini intenti a correre da un capo all’altro del cancello di Central Park. Alcuni spingono letteralmente i genitori ad entrare il più in fretta possibile, mentre altri saltellano contenti dall’altro lato, quello dell’uscita. Mi accorgo che il parco è stranamente più affollato del solito oggi, non che lo zoo di Central Park non sia sempre affollato, ma giuro di aver visto una troupe televisiva svoltare l’angolo poco fa. La risposta a tutte le mie domande arriva quando i miei occhi si posano su un enorme cartellone posto vicino l’entrata. “Sammy”, così l’hanno chiamato: un cucciolo di tigre bianca nato nemmeno un mese fa, farà la sua prima apparizione pubblica oggi. Ecco cos’è, mi dico, quest’aria di euforia generale che si respira nell’aria. Mi domando se Edward sappia qualcosa in merito all’evento…

Edward, penso il suo nome e mi ritrovo a sospirare. È da quando abbiamo chiuso la telefonata ieri che non faccio altro che pensare a lui e a questa uscita, che non faccio altro che pensare al bacio che ci siamo scambiati due giorni fa e che mi ha tenuto sveglia per tutta la notte quel venerdì.

Ho pensato e ripensato, mi sono scervellata e rigirata nel letto un milione di volte prima di giungere ad una conclusione. E alla fine ci sono arrivata eccome alla conclusione! L’esito definitivo ha rivelato (come se non lo sapessi già) che mi sto innamorando di nuovo di lui. Non che non lo amassi più, in questi tre anni non è passato un solo, singolo giorno senza che non lo pensassi. Mi sto innamorando di nuovo di quell’amore “malato”. Quello che mi ha fatto capitolare dopo neppure una settimana la prima volta che ci siamo incontrati, quello che non mi fa dormire la notte e mi tiene sveglia a fantasticare, su un possibile incontro, su una notte passata insieme nello stesso letto, sulla possibilità di fare di nuovo l’amore con lui.

Ecco, è bastato questo a tenermi sveglia, unita alla necessità di avere realmente un uomo al mio fianco. Certe volte penso che potrei davvero impazzire, per fortuna i rimedi sono tanti…

Sento una zompata di calore impossessarsi delle mie guance al sol pensiero e un brivido percorrermi il basso ventre. Sospiro, scuoto la testa e ringrazio il clima freddo di fine ottobre che mi da subito un po’ di sollievo.

Impazzirò veramente un giorno di questi mi ritrovo a pensare. Per fortuna che mi ha chiamata lui ieri, altrimenti lo avrei fatto io. Oggi, domani, non lo so. Ma certo è che non avrei lasciato correre troppo tempo.

Sconsolata mi siedo su una panchina ad aspettare. Sono le 15.10, ma ancora non sono arrivati. Mi chiamerebbero se avessero cambiato i loro piani, o no? Se non arrivano entro cinque minuti li chiamo. Si, li chiamo.

Per fortuna non ne passano nemmeno due che vedo una chioma rossa corrermi incontro tutta affannata. Deve avermi vista da lontano e appena mi arriva vicina mi abbraccia eccitata.

-mamma, mamma!-

-tesoro mio, siete arrivati, pensavo che non veniste più- affondo il naso nei suoi capelli stringendola forte.

-non è colpa mia Bella, è che c’è troppo traffico. Ci ho messo venti minuti per riuscire a trovare un parcheggio- la risposta mi arriva dall’alto e non può che essere Edward a pronunciarla, naturalmente. Mi alzo impacciata con il peso di Sophie ancora abbarbicata al mio fianco in un abbraccio stile Coala, ma riesco lo stesso a guardarlo negli occhi.

E brillano. I suoi occhi verdi brillano e mi fanno venire la pelle d’oca. Tutto il suo viso brilla a dire la verità, incorniciato in un ovale perfetto dalla mascella porno e con i capelli castano rossicci sparati da tutte le parti. Ancora una volta mi ritrovo a pensare che non ci sono molte persone al mondo belle quanto lui. Il paesaggio autunnale con le foglie degli alberi ingiallite non fa che renderlo ancora più mozzafiato. Tutto di lui mi fa pensare all’autunno. Ed io amo l’autunno, è la stagione dell’anno che preferisco. Edward sa di legna e di calore, sa di cioccolata calda e cannella, quella che bevo per scaldarmi quando ho freddo. I suoi capelli hanno il colore caldo delle foglie autunnali e i suoi occhi quello dei pini di montagna.

-ciao Bella- mi saluta caldamente facendomi sospirare e inaspettatamente si abbassa a poggiare le sue labbra sulla mia guancia. Mi irrigidisco immediatamente, ma non perché non gradisca il gesto, tutt’altro, è che vorrei poterlo fare anche io. Magari quando giungerà l’ora di salutarci lo batterò sul tempo, mi dico. Balbetto un debole ciao di risposta e mi prendo il tempo di ammirarlo in tutta la sua bellezza quando Sophie comincia a tempestarlo con milioni di domande. Il suo corpo fasciato in un cappotto di lana marrone non contribuisce per nulla alla causa “evitiamo di far impazzire Bella”. Dio, è così bello che mi toglie il fiato.

Senza indugiare oltre ci mettiamo in fila per entrare al parco.

Sin da subito si instaura un clima di serenità e affinità reciproca, cosa che non credevo possibile visti i trascorsi, ma non dovrei stupirmene più di tanto. Io e Edward siamo sempre state due anime affini, anche se il fantasma del problema che ci ha condotto alla separazione tre anni fa è sempre presente, che mi ricorda quanto possa essere facile perdere quell’affinità e distruggere tutto nel giro di pochi secondi. Mi irrigidisco a quel pensiero ma stringo forte la mano di Sophie e la accompagno mentre oltrepassiamo l’arco dell'orologio Delacort.

-mami, andiamo a vedele le caple?- mi esorta la mia bambina entusiasta oltre ogni dire; lo zoo di New York è uno dei suoi posti preferiti insieme alla statua di Alice nel paese delle meraviglie, sempre qui a Central Park.

-ti porteremo a vedere tutto quello che vuoi tesoro mio- è Edward a rispondere battendomi sul tempo.

-si! Allola, vollio andale dalle caple, dai pinguini, dal… dal… com’è che si chiama mami, il pelsonaggio di Gloria di Madaccar?-

-ippopotamo, il personaggio di Gloria è l’ippopotamo-

-oh, e c’è mami?-

-sicuro che c’è- risponde Edward ancora una volta ridendosela sotto i baffi- e ci sono anche le zebre, i leoni, le giraffe, le foche, le tigri…-

-le tigri bianche, già- mi intrometto - a proposito, tu non ne sapevi niente del cucciolo che presentano oggi, al pubblico?-

-certo che lo sapevo. Perché ti ho invitata a venire qui sennò?-

-ma certo, che stupida- mi porto una mano alla fronte con fare melodrammatico- quale altro motivo avresti avuto per invitarmi a venire altrimenti? D’altronde morivi dalla voglia di vedere il cuccioletto, non è così?- concludo prendendolo in giro.

-ma certo che ti ho solo invitata per questo. Non ho secondi fini io, proprio per niente. Zzt per chi mi hai preso?-

Guardo Sophie stufa di sentire i nostri discorsi avvicinarsi ad un gruppo di bambini attirati dalla presenza degli impavidi scoiattoli che vivono qui intorno. Sono così abituati alla presenza dell’uomo che si lasciano avvicinare senza alcun timore e i bambini impazziscono alla vista di questi simpatici animaletti dalla coda gonfia che sgranocchiano ghiande e che gli corrono tra le gambe.

-ed io che pensavo che volessi passare del tempo insieme a me…- concludo trasognata pentendomene un secondo dopo averlo detto.

Mi porto le mani a coprire la bocca sentendo il sangue colorarmi le guance.

-no, cioè…- lo guardo mortificata e scoppia a ridermi in faccia neanche avessi raccontato una barzelletta.

-tranquilla Bella, puoi dirlo. Tanto lo sai che è la verità-

 

-è la verità?- gli chiedo speranzosa.

-ma certo che è la verità- si blocca sul posto per rimettermi una ciocca di capelli dietro l’orecchio e subito sento una scarica di adrenalina vibrarmi in tutto il corpo e il cuore cominciare a battere impazzito. Non che avessi bisogno della conferma, è da quando ha chiamato che so con certezza che è questo il motivo che l’ha spinto ad invitarmi, ma sentirselo dire rende tutto molto più reale.

Imbarazzata dal suo tocco abbasso gli occhi al suolo e alle nostre scarpe sprofondate sotto un tappeto di foglie gialle e arancioni.

-te l’ho detto Bella, non posso fare finta che non sia successo niente l’altra sera. È stato bellissimo e lo desideravo tanto, da tanto- prova a scrutarmi in volto e a legare il mio sguardo al suo ma veniamo interrotti dalle urla di Sophie dall’altra parte del prato. Terrorizzata che possa essere successo qualcosa di grave mi pietrifico sul posto ed è Edward a scrollarmi e a trascinarmi verso nostra figlia.

-tesoro stai bene? Cosa è successo?- chiede spaventato una volta raggiunta la calca di bambini.

Vederla in piedi e tutta intera mi fa tirare subito un sospiro di sollievo, almeno non ha urlato perché si è fatta male. Ma allora cosa…?

Sposto lo sguardo poco più lontano di un paio di metri e capisco qual è la ragione che l’ha fatta urlare spaventata. Il corpicino smilzo e peloso di uno scoiattolo praticamente in stato di decomposizione, sotto il pesante strato di foglie autunnali, la guarda con i suoi occhietti languidi e privi di vita. Sicuramente uno degli effetti collaterali della loro disponibilità con i bambini è che li portano a mangiare anche quello che non dovrebbero, cose che poi a lungo andare ne causano la morte.

-tesoro vieni via, non guardare- la trascino fuori dal prato e la faccio sedere su una panchina distante dal luogo del “misfatto”. La consolo mentre abbondanti lacrime le rigano il viso nonostante capisca all’istante, conoscendola, che la sua è una reazione abbastanza esagerata a quanto è appena successo. Avevamo una pesciolino rosso a casa che è morto da un giorno all’altro e lei non ha versato nemmeno una lacrima quella volta, e pensare che l’aveva desiderato così tanto! Ma non si è persa d’animo e il giorno dopo ha preteso che andassimo a comprare un altro.

Nonostante la voce spezzata ci racconta tutto quello che è successo e arriviamo a capire che il vero motivo che l’ha spaventata questa volta è che pensa di essere stata lei ad ucciderlo. Dice di aver preso un pezzetto di buccia di noccioline che stava a terra e di averlo dato allo scoiattolo che tutto contento se lo è rigirato un paio di volte vicino al muso e che poi è scappato via, senza darle nemmeno la soddisfazione di vederglielo mangiare. Al che Sophie l’ha seguito dietro l’albero ma lui era già scomparso. Quando ha visto l’altro scoiattolo, quello morto stecchito vicino al tronco ha pensato che fosse lo stesso e di conseguenza che fosse stata lei a ucciderlo, memore dei miei rimproveri e delle mie avvertenze a non dare nulla da mangiare ai piccoli abitanti pelosi di Central Park.

-tesoro tu non c’entri niente, non sei stata tu a fargli del male capito? Quello scoiattolino poverino era morto già da un po’ di tempo, prima che tu lo trovassi-

Tira su con il naso e mi guarda con i suoi occhioni verdi tanto limpidi adesso dopo il pianto- allola non sono stata io, mami?-

-no, piccola mia, no. Non sei stata tu- sul suo viso compare subito un sorriso di sollievo e anche sul mio e su quello di Edward ritorna la serenità.

Archiviata la faccenda della scoiattolo, dopo aver segnalato ad uno degli sportelli informazioni la nostra scoperta, riprendiamo a girovagare per le vie del parco.

Il breve momento di intimità con Edward momentaneamente accantonato visto che  l’emergenza, barra crisi isterica di nostra figlia ci ha completamente assorbiti. Ma penso di sentire ancora le farfalle nello stomaco e una scia incandescente sulla guancia, nel punto dove poco più di mezzora prima aveva appoggiato la sua mano.

Trascorriamo le successive ore a visitare tutte le gabbie dello zoo. Sophie impazzisce per le capre, sono alcuni dei pochi animali che i responsabili permettono ai bambini di toccare. Ogni volta sono urla di giubilo quelle che sento uscire dalla sua bocca quando una di quelle bestiole le si avvicina per prendere un ciuffo d’erba direttamente dalla sua mano. Anche questa volta si è dimostrata felice oltre ogni dire, solo che non so quanto centrassero le capre: è stato Edward a tenerla in braccio per tutto il tempo e ad aiutarla ad avvicinare la mano. Vedere i loro sorrisi complici ed entusiasti per qualcosa di veramente così semplice mi ha fatto sentire una fitta al cuore e ho capito che è questo quello di cui hanno bisogno tutti e due. Hanno semplicemente bisogno di stare insieme.

La gabbia di “Sammy” come preventivato è strapiena di gente. Bisogna mettersi in fila per riuscire a vederlo e quando finalmente arriva il nostro turno sono ormai passati più di quindici minuti.

-mami! Quanto è bello mami- esulta Sophie in braccio a Edward.

-si, hai visto? È davvero bellissimo- e lo è davvero. A questo punto della sua vita è praticamente una palla di pelo bianca con delle striature nere che cerca di tenersi in piedi, ma sono di più le volte che cade perdendo l’equilibrio che quelle in cui riesce a fare pochi passi. Guaisce quando finisce a gambe all’aria e i suoi occhioni blu si guardano smarriti a destra e a sinistra, probabilmente in cerca della mamma.

-Sammy eh?- mi chiede Edward poco più avanti.

-già. È così che l’hanno chiamato-

-spero che sappiano che quando sarà grande e peserà il triplo di loro li sbranerà in un sol boccone per questo affronto-

Scoppio a ridere divertita scuotendo la testa e lo ascolto mentre cerca di convincere Sophie della sua teoria secondo la quale avrebbero dovuto mettergli un nome un po’ più virile.

-avanti Edward, ci sono nomi peggiori di Sammy-

-certo, non dico di no. Ma avrebbero potuto sforzarsi un po’ di più-

-e che nome gli avresti messo, sentiamo?- lo provoco mentre usciamo dalla fila e ci dirigiamo fuori.

-mmh non so ma di certo non l’avrei chiamato come un pesciolino. Quello il pesce neanche lo vede. Dico bene tesoro?-

-mmh-mmh papi-

-visto? Una che la pensa come me-

-perché non sai che nome ha dato al suo, di pesce. Tesoro di a papà come l’hai chiamato-

-Beal!-

-come Beal? Bear vuoi dire?-

-è chello che ho detto-

-Bella nostra figlia ha chiamato un pesciolino con il nome di un Orso?-

Rido nuovamente davanti alla sua faccia scioccata- si, proprio così-

-Bear!- sbotta divertito e adesso è il suo turno di scoppiare a ridere.

-Avanti, vediamo chi arriva prima alla gabbia delle scimmie!- urla mettendo Sophie giù e correndo a perdifiato.

-si però poi ci fermiamo, non ce la faccio più!- gli grido dietro sbuffando. Spero tanto che mi abbiano sentita penso. Per quest’uscita mi sono munita di comode scarpe da tennis, ma nemmeno le morbide suole in gomma fanno desistere i miei piedi dall’urlare di dolore. Sono quasi tre ore che non facciamo altro che camminare!

Mi siedo su una panchina e gemo quando avverto il ferro solido scontrarsi contro la mia schiena dolorante. Lascio che il leggero vento mi accarezzi il viso e i capelli e chiudo gli occhi cullata dal dolce rumore delle foglie secche sui rami. Dopo un po’ torno a guardarli e li vedo da lontano rincorrersi e giocare a nascondino o lanciarsi le foglie una addosso all’altro. Alla fine Edward mi raggiunge e lascia Sophie a scorrazzare sul prato. Sono felice di aver accettato l’offerta di questa uscita, il sorriso della mia bambina e la contentezza di Edward hanno fatto aumentare ancora di più le speranze che nutro in  questo riavvicinamento.

Riavvicinamento che adesso stando seduti su una panchina a praticamente due centimetri di distanza non sembra poi così tanto improbabile. Siamo fermi a guardare Sophie giocare insieme ad un'altra bimba con il sole sempre più basso a ricordarci che questa giornata sta quasi per finire. Ogni tanto sento il suo respiro lieve sfiorarmi il collo e il suo corpo spostarsi irrequieto.

-sono felice- dice ti punto in bianco – speravo tanto che mi dicessi di si ieri, quando ti ho chiamato-

-e io speravo tanto che me lo chiedessi- replico in un sussurro non riuscendo a trovare la forza di esprimere quel desiderio ad alta voce, ma lui lo sente lo stesso e immediatamente mette una sua mano a coprire la mia.

-Bella… voglio che tu sappia che ci credo davvero in questa cosa- dice guardandomi negli occhi e facendomi rabbrividire tanta è forte l’intensità del suo sguardo- non so dirti a parole quanto… quanto sono felice per tutto quello che sta succedendo-

Faccio per parlare ma mi interrompe.

-spero tanto che vorrai replicare l’uscita al più presto, soltanto io e te questa volta, che ne dici? Non che non voglia Sophie con noi, Dio la amo con tutto me stesso, ma ha un tempismo davvero terribile. Ogni volta ci interrompe sempre sul più bello. E penso che non è di questo che abbiamo bisogno. Di essere interrotti intendo…-

-no, hai ragione- combattuta tra il ridere e il  piangere non posso fare altro che essere d’accordo con lui quando dice che nostra figlia ha un pessimo tempismo. Non mi sono sfuggiti i vari tentativi di avvicinamento puntualmente interrotti da Sophie che troppo eccitata per questo e per quello non ha fatto altro che tenerci lontani. Eppure l’ho sentito il suo bisogno, lo stesso che provo io di stare il più vicino possibile a lui e toccarci a vicenda. Ma non per una mera questione di desiderio, no. Anche se Dio solo sa quanto sia forte. Voglio solo…sentire il tocco della sua mano sulla mia pelle, solo questo.

-allora? Quando potrò rivederti?- sembra quasi che stiamo organizzando un uscita segreta.

-emmh, non so…- mi ritrovo a balbettare peggio di una bambina. L’emozione che provo è davvero incontrollabile.

-facciamo che mi chiami tu, la prossima volta?- leggo nei suoi occhi la necessità di sentirmi dire di si, a dimostrazione che anche io come lui credo in quello che sta succedendo. Perciò non posso fare altro che annuire e sogghignare quando un sorriso gli incornicia il volto.

Il sole è quasi tramontato perciò decidiamo di avviarci alle nostre auto. La sua è molto più distante della mia ma Edward esprime il desiderio di accompagnarci visto che è anche il momento di salutare la bambina, che verrà via con me. Lungo il viale sterrato del parco Sophie capta il profumo inconfondibile dello zucchero filato e insiste affinché gliene compri uno.

-voi andate avanti, io vi raggiungo subito. Ho visto una cosa e… non ci metterò molto, promesso- sul viso di Edward è stampato un sorrisetto furbo e ammaliatore. Non aspetta nemmeno una risposta che corre via eccitato verso la direzione opposta alla nostra.

-chissà che avrà in mente- borbotto soprappensiero mentre ci mettiamo in fila in attesa dietro diversi bambini. Sophie accanto a me emette un sonoro sbadiglio.

-sei stanca eh, piccolina?-

-mmh-mmh-

-porta ancora un altro po’ di pazienza. Il tempo di salutare papà è andiamo a casa, va bene?- solo a sentire pronunciare queste parole il suo viso si abbrutisce – dai non fare quel faccino. Per farmi perdonare stasera ordiniamo la pizza, ti va?- sono mezzucci subdoli questi, lo so. Ma non sopporto di vederla triste e un piatto strapieno della sua pizza preferita mi sembra un ottimo modo per farle tornare il sorriso.

La signora davanti a noi di due posti sta comprando dolciumi e caramelle per un reggimento e mi ritrovo a sbuffare ogni volta che alza la mano per indicare qualcos’altro. Di questo passo non ci sbrigheremo mai penso sconfitta quando sento un leggero tocco accarezzarmi la spalla.

-oh Edward ma dove sei sta…- le parole mi muoiono in bocca e il sangue mi si gela nelle vene quando mi accorgo che non è stato Edward a toccarmi bensì una persona che non credevo mai possibile rivedere.

Credevo che si fosse estinta, evaporata, eclissata, rapita dagli alieni, inglobata da una qualche specie di universo parallelo dopo tutte le maledizioni che le ho gettato addosso in questi tre anni, ma Tania Denali è bella come una rosa e soprattutto è a meno di venti centimetri dalla mia faccia.

Quante volte ho desiderato trovarmela davanti e dirle tutto quello che mi sono sempre tenuta dentro. E invece mi ritrovo a balbettare e  a rabbrividire. Questa è la donna con cui Edward mi ha tradito, è la donna che ha baciato e che ha toccato, e con cui ha fatto l’amore.

Smarrimento e confusione cedono inevitabilmente il posto a rabbia e frustrazione.

-tu!- sbotto all’improvviso.

-oh, ma che piacere rivederti, Bella- la sua vocina stridula e il suo sorriso bianchissimo mi fanno venire il voltastomaco.

-che vuoi? Sparisci!- cerco di controllare il tono della mia voce, siamo sempre in un luogo pubblico e poi c’è anche mia figlia accanto a noi che sembra non essersi accorta di niente per fortuna, ma è inevitabile che dalla mia bocca escano parole al vetriolo. La guardo dalla testa ai piedi desiderando che si trasformi in un insetto disgustoso. Torno a girarmi in avanti ma sento la sua presenza incombere su di me.

-non volevo intromettermi ma non ho resistito alla tentazione di venirti a salutare- bisbiglia con fare civettuolo al mio orecchio- sai? Vi ho visti passeggiare poco fa, tu, Edward e la vostra bambina. Eravate un quadretto davvero così dolce e sarebbe stato perfetto se non fosse per il fatto che mi avete fatto venire la nausea- sussurra facendomi rabbrividire.

-Tania, che vuoi?- pronuncio tra i denti quelle parole ma in realtà vorrei solo potermi girare e afferrarla per i capelli.

-da te non voglio nulla, ci pensa già tuo marito a darmi tutto quello che voglio. Ops, scusa, volevo dire ex marito- una risata stridula degna della più stupide delle oche mi fa sussultare -è un amante così focoso e passionale che non posso desiderare di più. È in pena con se stesso poveretto, non riesce a darsi pace per quello che ti ha fatto ma non deve stare poi così tanto male se in questi tre anni ha continuato a cercarmi, che dici? È così bello stare tra le sue braccia sai?-

Cosa?  Il mio cuore già lacerato si incrina ancora di più al suono di quelle parole. In questi tre anni? Ha davvero detto così?  

-oh, non stupirti mia cara Bella- si affretta a dire con tono fintamente dispiaciuto -immagino quante belle paroline ti abbia detto Edward per tenerti buona buona, ma non credere ad una sola parola- il suo fiato sul collo è come acido sulla mia pelle – lui è mio, lo è sempre stato e sempre lo sarà. È mio quando viene a scaldarsi nel mio letto ed è mio quando va via dopo una notte passata a fare l’amore- mi irrigidisco e stringo un po’ troppo forte la mano di Sophie. C’è ancora una persona davanti a noi e io mi ritrovo a pensare con rammarico che se non ci fossimo fermate non starei qui a parlare con Tania.

Stupida! Ma che vado a pensare? Se non ci fossimo mai incontrate sarei sempre rimasta all’oscuro di tutto. Oh, Edward ma cosa stai facendo? È questo il modo in cui non avresti più voluto farmi soffrire? Reprimo una lacrima stringendo a pungo la mano libera, e la stringo così forte da sentire le unghie conficcarsi dentro al palmo chiuso.

-tu menti!- dico gelida.

-o no Bella, che motivo avrei di farlo? Edward e io continueremmo a vederci lo stesso anche se tornaste a vivere insieme. In questi anni ha avuto altre donne, ma ogni volta torna sempre da me, perché sono io quella che vuole. Questa volta è diverso però, non posso stare zitta- la sua voce continua ad essere un debole sussurro ma da oca giuliva adesso è passata ad essere ferma e tagliente come la lama di un rasoio -accetto che vada a letto con chiunque, ma non posso accettare che venga a letto con te-

Faccio per rispondere ma non perde tempo a rincarare la dose, come se stesse sparando adesso tutte le cartucce che silenziosamente si è conservata in questi anni. Ed io non posso fare altro che incassare i colpi, sono in una posizione di svantaggio con Sophie accanto.  

- oh, no mia cara, con te proprio non lo sopporterei. Con te, che sei un piccolo essere insignificante. E se questo non basta a farti capire che ti sto dicendo la verità, pensa a cosa sto rischiando per venire a parlare con te. Perciò fai un favore al mondo e levati dalle scatole senza dare in escandescenza. Lui non ti ama, non è te che vuole. Altrimenti perché ti avrebbe tradita con me tre anni fa? Quella volta è stato così bello! Lo abbiamo fatto sul divano del suo ufficio mentre tu eri chissà dove a fare Dio solo sa cosa- questa volta non combatto contro la lacrima che preme a forza per uscire. Lascio che scivoli lungo la mia guancia arida e ormai troppo fredda. Il mio cuore ridotto in poltiglia.

-signora? È il suo turno, in cosa posso esserle utile?- il signore allampanato dall’altra parte del chioschetto mi guarda come se fossi un imbecille e stranamente mi rendo conto che non deve essere la prima volta che mi rivolge quella domanda. Scuoto la testa riprendendomi dal mio stato di shock e paralisi mentale, mi abbasso ad afferrare Sophie da sotto le ascelle per issarmela sul fianco e prima di andare via mi giro verso Tania e le mollo uno schiaffo. Bam! In pieno viso.

-sei una lurida puttana- pronuncio quelle parole con un odio e un risentimento tali che mi fanno sentire la donna più potente sulla faccia della terra. Potrei schiacciarla in un solo istante se solo si azzardasse a parlare, ma non lo fa. Volto le spalle al piccolo comitato di persone che mi guardano inorridite e scappo via, verso la mia macchina. Sophie in braccio, reclama il suo zucchero filato ma non ho tempo di pensare ai suoi capricci. Ho solo la testa di dirigermi come un fulmine verso l’unico oggetto che è in grado di mettere distanza tra me e quella dannata vipera.

Che tu sia dannata Tania Denali, che tu sia dannata! Penso mentre a gradi falcate raggiungo la mia macchina. Per un solo, piccolissimo e infinitesimale instante mi concedo il lusso di pensare anche a quel farabutto di Edward, ma il dolore è così grande che scaccio via quel pensiero alla stessa velocità con cui è arrivato. Fa troppo male.

-mamma, ma non abbiamo salutato papà! Io vollio salutale papà!- protesta la mia bambina mentre le allaccio la cintura di sicurezza e lei invece cerca di impedirmelo.

-basta!- la sgrido al limite della sopportazione. Si blocca e mi guarda impaurita – tuo padre è andato via. Adesso fai la brava e fatti allacciare la cintura!- non protesta più per fortuna ma vedo il suo labbro inferiore tremolare.

-Bella!- sento chiaramente il mio nome ma non mi giro, non ne ho materialmente la forza. Chiudo lo sportello di Sophie, prendo un bel paio di respiri e facendomi coraggio mi dirigo verso di lui.

-Bella! Bella!- quando arriva al mio fianco ha il fiatone e regge un enorme palloncino a forma di Flounder in mano.

-dove diavolo sei stato?-

-ho preso questo per Sophie, l’ho visto mentre lasciavamo lo zoo e ho pensato che l’avrebbe adorato, perciò sono tornato indietro a comprarlo. Ma…- si interrompe forse vedendo la rabbia sul mio viso- … a quanto pare stavi andando via senza neanche dirmi ciao. Che sta succedendo Bella?- la sua voce subisce una radicale trasformazione, da calda e spensierata è diventata guardinga e affilata.

-me ne vado Edward- dico incrociando le braccia sotto al seno.

-questo l’ho visto. Ma non capisco il perché. Andava tutto bene…-

-tze! Si, andava tutto bene per te, eh? Non è vero? Ed io come una stupida ci stavo cascando di nuovo con tutte le scarpe!-

-ma cosa…-

-no! Non lo fare, non guardarmi con quell’aria innocente. Sei solo un bugiardo. Un lurido e squallido bugiardo!–

-Bella ma… cazzo vuoi dirmi quello che sta succedendo?- mi afferra per le braccia e mi guarda disorientato. Nei suoi occhi leggo tanta paura.

-succede che non voglio vederti mai più!- lo spintono indietro incitandolo a lasciarmi- non voglio più avere niente a che fare con te. Mi disgusti! Il solo fatto di avere le tue mani addosso mi fa venire la pelle d’oca. Lasciami!- urlo riuscendo finalmente a liberarmi. Mi guarda senza vedermi davvero, sicuramente atterrito dalle mie parole.

Fallo, Edward, fallo! Prova anche tu un briciolo del dolore che mi porto dentro da tre anni e che adesso mi stai infliggendo di nuovo! 

Gli volto le spalle e mi dirigo verso la macchina. Mi segue ma è troppo tardi perché sono già chiusa all’interno e ho avviato il motore. Picchietta con i palmi sul vetro incitandomi ad abbassare il finestrino e a non andare via.

-papà!- urla Sophie vedendolo ma non le do nemmeno il tempo di avvicinarsi che sfreccio via con una manovra azzardata.

-Sophie stai giù- la rimprovero mentre guardo l’immagine di Edward nello specchietto retrovisore immobile in mezzo alla strada. Il palloncino che teneva in mano ora libero, a volare per aria. Un rumore sordo al petto mi fa capire che sono scoppiata in lacrime senza neanche rendermene conto.

Falso.

Perché? Perché mi ha fatto questo? Non bastava che mi avesse già fatto del male tre anni prima? La cosa che mi fa più rabbia è che se fossi cascata di nuovo nella sua trappola non ci sarei andata di mezzo solo io ma anche la nostra bambina. Quale uomo è così meschino da compiere un gesto simile nei confronti della figlia?

Durante il viaggio in macchina ignoro le sue chiamate sul telefonino e lo stesso faccio quando siamo ormai a casa. Sophie da bambina intelligente ha evitato di farmi domande ma sono consapevole che vedermi in questo stato non può farle certo del bene. Dopo mangiato la lascio un po’ davanti ai cartoni e io mi sposto in camera mia a prendere quel fogliettino di carta che tante volte ho pensato bene di buttare. Ma mai come questa sera sono contenta di aver tenuto.

Afferro il cellulare dalla tasca e stanca mi lascio cadere sul letto. Compongo il numero e aspetto che lui risponda dall’altra parte concentrandomi sul motivo reale che mi ha spinta a chiamarlo.

Io non ho più una vita.

Tutto quello che avevo, che ho, è sempre girato intorno a Edward e alla sciocca speranza che saremmo tornati insieme prima o poi. Ma adesso che lui non esiste più (e devo convincermi al più presto di questo), vedo fare un po’ di pulizia nelle mia vita. E la pulizia la farò solo voltando pagina. Sono arrabbiata, sono delusa, sono confusa, sono ferita. Ma di una cosa sono certa: invidio le persone che si innamorano ogni due giorni. Io mi sono innamorata solo una volta e ho il sospetto che dovrò farci i conti per tutta la vita*. Ma nessuno può impedirmi di fare quello che sto per fare.

-pronto- dico quando una voce calda risponde sorpresa dall’altra parte- Jacob? Sono io, si sono Bella. È ancora valido quell’invito ad uscire?-

 

 

 

 

*Invidio le persone che si innamorano ogni due giorni. Io mi sono innamorata solo una volta e ho il sospetto che dovrò farci i conti per tutta la vita. È una frase di Susanna Casciani.

Dunque, chi propone l’uccisione immediata per decapitazione della nostra cara e dolcissima Tania che ancora una volta si è messa in mezzo, inventandosi bugie su bugie solo per farla pagare al nostro Edduccio poverino, che come al solito ci finisce sempre di mezzo?

Vedo un sacco di mani alzate, brave brave. Vi tocca mettervi in fila però, perché la prima della lista sono io. -_- 

Duh, non sapete quanto è stato difficile scrivere quella parte! Che ne pensate a proposito? La nostra Bella si è vista crollare di nuovo il mondo addosso, sperava che questa fosse la volta buona ma la scarsa fiducia che ripone nei confronti di Edward le ha fatto credere all’istante a tutto quello che le ha detto Tania. È comprensibile non trovate? Per il resto penso che il capitolo si commenti da solo. Il finale… beh…. mmhh non posso e non voglio anticiparvi niente, perciò terrò la bocca cucita, però sono aperte le scommesse… ;)

Grazie come sempre per le recensioni che lasciate ogni volta, a breve risponderò a quelle dell’ultimo capitolo, promesso. Spero che vorrete lasciare un piccolo pensiero anche questa volta, ne sarei molto felice. A parte il fatto che vivo di queste è bello sapere se quello che scrivo piace alla gente.

Bene vi lascio, un bacione e alla prossima!

Ps: GRAZIE Ciù che mi sopporti sempre! ♥

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Capitolo 7
*** Cap. 7 ***


CAP 7

                                     

Buonsalve! Eccomi qui, con il nuovo capitolo. Non ci ho messo tanto questa volta dai. Niente, spero tanto che vi piaccia. ^_^

Buona lettura!

 

Capitolo 7

Va' dove ti porta il cuore 

 Susanna Tamaro

Venerdì 28 Ottobre 2011

-andava bene il caviale Beluga?-

- si. Bells?-

-e il manzo Wagyu?-

-era ottimo, anzi eccellente! Ma Bells, mi ascolti?-

-che c’è?- alzo la testa dai miei fogli e vedo Jenny fissarmi come solo lei è in grado di fare. Dall’alto del suo metro e cinquantacinque, con i capelli neri e ricci e gli occhi blu allungati, quasi a mandorla, Janet Lindsay è la donna più tenace, testarda, caparbia e persuasiva che esiste sulla faccia della terra. 

-come che c’è? Non hai sentito una sola parola di quello che ti ho detto?-

-si Jenny ti ho sentito, ma non…-

-“non” cosa? Non farai niente? Non andrai a trovarlo? Non la smetterai con questo giochetto stupido?-

-non è un giochetto stupido. È la mia vita e decido da sola cosa posso o non posso fare- mi alzo e aggiro il bancone del bar per versarmi un’altra bella tazza di caffè, l’ennesima. Sono le 10:15 e il ristorante è ancora chiuso, anche se sento i ragazzi in cucina manovrare con pentole e padelle, accendere i fuochi e sistemare la sala. Sono al Seasons il ristorante di Jenny, in ordine il terzo ristorante che gestisco.

Le volto le spalle ma la sento sbuffare sonoramente e non posso fare altro che alzare gli occhi al cielo.

-e sentiamo…uscire con un uomo del quale non ti interessa un cazzo solo per farla pagare a Edward non lo chiami “giochetto stupido”? Per me è così, è solo un giochetto stupido Bella-

Dio, è da quando le ho raccontato che ho telefonato a Jacob per organizzare un uscita che me ne dice di tutti i colori. Speravo che essendo mia amica da tanti anni ormai appoggiasse ogni mia scelta, soprattutto in questo caso speravo che mi stesse vicina o che la pensassimo alla stesso modo. Jenny e io ci siamo conosciute lo stesso giorno che ho incontrato Edward. Anche lei come me lavorava nel servizio di catering che quella sera fu ingaggiato per servire alla villa dei Cullen. Lei lavorava strenuamente in cucina mentre io mi rompevo la schiena per servire ai tavoli. Da quel giorno non ci siamo più perse di vista e siamo diventate grandi amiche nel corso degli anni. Ed è per questo che invece di inveirmi contro speravo che appoggiasse le mie decisioni. Lei ha visto nascere la mia storia con Edward praticamente da subito e mi è stata sempre accanto. Dal giorno del matrimonio fino al momento del parto. Dal giorno in cui le ho raccontato del tradimento fino al momento del divorzio. Sa quello che ho provato e sa quanto ho sofferto, perciò non credevo che la prendesse male quando l’ho chiamata e le ho raccontato che sarei uscita con Jacob venerdì sera, questo venerdì sera, praticamente tra dieci ore.

-senti, accettare un invito a cena non ha mai ucciso nessuno e non penso che Jacob sia un serial killer travestito da istruttore di Yoga-

-che ne sai? Magari ha un accetta nascosta sotto quei dieci strati di muscoli-

La mia occhiataccia deve essere abbastanza eloquente perché smette di parlare all’istante. Ma, come dicevo, Jenny è la donna più testarda che conosca e due occhi iniettati di sangue non la fermerebbero nemmeno se si trovasse davanti ad un boia.

-non è l’uscita che ti contesto, Bella. È il motivo che ti ha spinta a farlo-

-oh, vuoi dire il piccolo e insignificante dettaglio che il mio ex marito, nonché padre di mia figlia, si è dimostrato essere un puttaniere degno dei peggiori playboy d’America? Dovrei chiedere a Oprah se è interessata a fargli un intervista. “Ex marito irretisce la ex moglie, facendole credere che è interessato ad un riavvicinamento mentre invece va a letto da tre anni con un'altra donna”-

-e non solo…-

-già stavo quasi per dimenticarlo. ‘E non solo’ - sbuffo sentendo una fitta nel petto quando le parole di Tania tornano vivide nella mia mente “lui è mio, lo è sempre stato e sempre lo sarà. È mio quando viene a scaldarsi nel mio letto ed è mio quando va via dopo una notte passata a fare l’amore. In questi anni ha avuto altre donne, ma ogni volta torna sempre da me, perché sono io quella che vuole. Lui non ti ama…”

‘Lui non ti ama’ già, non mi ama.

-si, ho capito quanto ti ha fatto male. Ma perché, invece di uscire con un altro uomo, non hai reagito come qualunque altra donna avrebbe fatto al posto tuo? A quest’ora dovresti essere a casa, sotto le coperte a ingurgitare chili di gelato e a piangere davanti a film strappalacrime. Vederti così dura e… determinata ma allo stesso tempo… rabbiosa-

-rabbiosa? Che razza di termine è?-

-dico solo che non capisco perché tu debba reagire in questo modo. Non l’hai mai fatto in questi tre anni, nonostante sapessi, e più volte l’hai visto con i tuoi stessi occhi, che Edward usciva con altre donne. Perché adesso si?-

-come ‘perché adesso si?’ perché mi ha preso per il culo ecco perché! Perché mi ha fatto credere che volesse qualcosa da me, che provasse dei sentimenti nei miei confronti. Ed invece era tutto falso. Tutto quanto! Il bacio a casa dei suoi e l’uscita al parco con Sophie. Che cosa voleva da me, cosa?- sbotto esasperata portandomi le mani nei capelli – voleva una donna che lo aspettasse a casa con la tavola pronta, che gli pulisse sotto al culo, che gli ritirasse i vestiti in tintoria? Che fosse disponibile a fare l’amore e a scaldargli il letto, quando poi aveva un amante pronta ad aprire le gambe ad ogni ora del giorno nascosta chissà dove in uno dei grattaceli di New York?-

-questa è meglio se la prendo io- dice Jenny rubandomi la tazza del caffè da sotto il naso – sei già abbastanza agitata, non peggioriamo le cose eh?-

-come ti pare- faccio un gesto con la mano come a liquidare l’argomento e torno a sedermi sullo sgabello di fronte al suo.

-non fraintendermi Bella…- la sua voce è più che un sussurro quando torna a parlare – io non giudico il fatto che tu abbia piantato in asso Edward dopo quello che hai scoperto. Ma non penso che buttarsi subito in una nuova relazione ti possa rendere felice-

-non ingigantiamo le cose adesso, okay? Non esco con Jacob con l’intenzione di sposarmelo domani. Esco con lui perché mi sono proibita così tante cose in questi anni, in nome dell’amore che mi legava a Edward, che adesso voglio ricominciare a vivere, tutto qui. Magari l’uscita con Jacob sarà un disastro, magari gli chiederò di riportarmi a casa a metà serata, ma non voglio starmene rinchiusa in casa a piangere per un amore che ormai ho perso definitivamente-

-mmh… okay-

Conosco quell’okay. È l’okay che dice quando vuole chiudere un discorso che in realtà vorrebbe continuare all’infinito. Ma lei conosce me e quindi si limita a dichiarare chiuso l’argomento, perché sa che nessuno mi smuoverà dalla decisione che ho preso. E nessuno lo farà infatti. Stasera uscirò con Jacob che a Jenny piaccia o no. Su una cosa ha ragione però: non sono mai stata determinata come questa volta. E non so perché abbia reagito in questo modo in effetti. La mia mente fa a cazzotti con il mio cuore. Ho una guerra dentro che a stento riesco a gestire.

Chi la spunterà?

Il mio cuore sanguina ancora per l’ennesima batosta che Edward gli ha inflitto.  È diventato un muscolo privo di vita che a stento arranca alla ricerca disperata di quell’emozione, di quella felicità che lo faccia tornare a battere come prima. La mia mente invece è un vulcano in eruzione. Ragiona con spietata freddezza e giudica in base ai miei sentimenti feriti. È lei che mi ha spinto ad alzare il telefono e chiamare Jacob.

Jacob, quando ha risposto per poco ha pensato che fosse uno scherzo -Bella? Ma sei davvero tu?- e poi è stato zitto ad ascoltare quello che avevo da dirgli. Ha accettato subito la proposta di uscire, tant’è che non vedeva l’ora di organizzare una serata – per me va bene anche domani- mi ha detto e a quelle parole sono scoppiata a ridere. Poi ho pensato che sarebbe stato più “pratico” se fossimo usciti una sera in cui Sophie non fosse stata a casa, perciò ci siamo accordati per questo venerdì.

Sophie andrà dalla zia Alice. Edward non può prendersi cura di lei al momento…

-senti, arriveremo verso le 20:30, ti va bene si?- accantono per un attimo il pensiero precedente e mi concentro sul fatto che ceneremo qui da Jenny stasera. La mia mente viaggia da sola è vero, ma non sono del tutto rincoglionita d’uscire con una persona che non conosco senza avere un bel salvagente attaccato sotto al sedere. Qui da Jen mi sento a casa, conosco lo staff e lo chef è anche la mia migliore amica, perciò quale altro posto avrei dovuto scegliere? Per un attimo mi sfiora l’idea di rispondere “da Steve” ma solo l’immagine di mangiare da lui mi mette i brividi.

-va benissimo. L’appuntamento è il tuo, fai come vuoi- dal tono tagliente che ha usato capisco che è ancora offesa con me, ma non ho la forza per ribattere e ricominciare a litigare.

Riprendiamo in mano il nostro lavoro ma Jen continua a borbottare come una pentola di fagioli. Ad un tratto sbuffa così sonoramente da far cadere a terra alcuni dei miei fogli.

-che c’è?- scoppio capendo che non riesce più a starsene zitta.

- è che non capisco come fai ad essere così calma!-

-riguardo a cosa?-

-riguardo al fatto che appena sei arrivata eri accerchiata da una dozzina di giornalisti. Pensavo che saresti andata fuori di testa e invece eccoti qui, bella, calma e tranquilla a compilare quei fogli senza neanche il minimo cedimento-

-okay, ho capito. Questi è meglio se li metto via va bene? Tanto non vuoi parlare di lavoro, giusto?- ripiego ogni cosa al suo posto nella cartellina dei documenti che ripongo subito nella mia borsa -ho parlato con i legali dei Cullen e mi hanno detto che non devo preoccuparmi di niente. I giornalisti possono farmi tutte le domande che vogliono, io sono fuori da questa storia-

-e che mi dici di Edward? Non hai intenzione di andare da lui?-

-per dirgli cosa esattamente? Non saprei nemmeno da che parte cominciare. E poi in questo momento non so quanto la mia presenza possa essergli di conforto-

Che ci pensi Tania a consolarlo penso inviperita.

Il pandemonio è scoppiato la notte di martedì. Mercoledì mattina la notizia viaggiava già come un razzo tra una testata ed un'altra dei TG, tant’è che anche mio padre mi ha chiamata tutto preoccupato. Il caffè mi è andato di traverso quando, seduta al tavolo in cucina, il telegiornale del mattino annunciava con una notizia in primo piano che il Socio di maggioranza della M&E Corporation, tale Mike Newton, era scappato con tutti i soldi dell’azienda mandando in rovina i suoi dipendenti, il suo Socio in affari Edward Cullen e tutti gli azionisti. Mi sono subito attaccata al telefono per parlare con gli avvocati, non volendo interpellare Edward in prima persona; erano esattamente più di quarantotto ore che rifiutavo le sue chiamate. Gli avvocati comunque non hanno saputo dirmi nulla di più rispetto a quello che aveva annunciato il telegiornale, solo che Edward si dichiarava estraneo a quanto successo e che al momento si trovava a casa dei suoi. Ricordo che pensai a quanto tutto questo casino non avrebbe giovato per niente alla salute di Carlisle già compromessa di suo.

-e quindi? Come stanno le cose adesso? Si è saputo niente della fine che ha fatto quel farabutto?- la voce di Jenny è talmente bassa che faccio fatica a comprenderla. Si guarda circospetta attorno forse preoccupata che possa spuntare un giornalista da sotto una tovaglia bianca da un momento all’altro.

-l’FBI sta ancora indagando- dico imitando il suo tono- ma sembra che abbiano scovato una pista che li porta dritti dritti in Costa Rica. Forse Mike è fuggito laggiù-

-Perché ha fatto un gesto del genere? Ha distrutto la vita di centinaia di persone- Sospiro ricordando parola per parola quello che il signor Brown, l’avvocato di Edward e anche mio avvocato di fiducia, mi ha comunicato proprio ieri sera.

-pare che Mike, troppo preoccupato per l’aria che si respirava ultimamente a Wall Street, per via delle azioni in continuo ribasso a favore di un nuovo colosso nel campo dell’energia rinnovabile Canadese, abbia preferito abbandonare la barca prima di vederla affondare con lui dentro-

- si, ma tutti quei soldi? Come diamine ha fatto a farli sparire così in fretta?-

-non lo sanno ancora. Il signor Brown ha detto che mi terrà informata. Se dovesse esserci qualche novità mi avviserà sicuramente. A tal proposito, so che non c’è nemmeno bisogno di chiedertelo, ma vorrei che tenessi per te quello che ti ho appena detto-

-certo, certo. Hai la mia parola- dice portandosi una mano sul cuore.

-bene. Posso riavere la mia tazza di caffè adesso?- mi guarda indecisa se restituirmela o meno, ma poi sbuffa e me l’avvicina al petto. 

-ma Edward? Che conseguenze avrà su di lui tutto questo? È indagato?-

-logicamente l’FBI gli sta con il fiato sul collo- dico mandando giù una sorsata-hanno paura che possa lasciare il paese e raggiungere Mike chissà dove-

-pfff, ma è ridicolo! Edward non farebbe mai una cosa del genere-

-certo. Ma questo lo so io, lo sai tu. Lo sanno i suoi avvocati e il resto della sua famiglia. Ma loro non possono permettersi di abbassare la guardia. Lo scherzetto di Mike ha mandato in rovina un sacco di persone. Per non parlare poi di chi ha investito soldi sull’azienda e adesso che è fallita ha perso ogni singolo centesimo-

-che pezzo di…-

-già, proprio un bel pezzo di merda. Fare questo a Edward…proprio non me lo sarei mai aspettata. Erano amici da così tanto tempo!-

-dovrà essere distrutto poverino- nei suoi occhi compare un velo di lacrime. Jenny vuole molto bene a Edward.

-ma perché non metti da parte l’orgoglio e non vai da lui?- mi supplica.

-oh Jen non ricominciare!- sbuffo esasperata.

-sei la donna più testarda che esiste sulla faccia della terra! Ma perché fai così?-

-perché devo fare così. Riavvicinarmi adesso mi distruggerà lo so. Se vado da lui per stargli accanto… io, io non ce la farei Jen, non ce la farei proprio. Già piango tutte le notti per quello che è successo e…- tiro su con il naso una lacrima che tenta di sfuggire alla mia maschera di durezza- anche solo rivederlo sarebbe un ennesimo colpo al cuore. Riesci a capirlo? Riesci a capirmi?-

-si- butta fuori l’aria come se l’avesse trattenuta per un eternità- si, ti capisco-

- è anche per questo che non ho disdetto la cena con Jacob. Non voglio e non posso cedere alla tentazione di andare da lui-

È una tentazione così forte che non mi fa dormire la notte, anche se penso seriamente che mi stia comportando da stupida. L’uomo che amo sta affrontando l’inferno per aver perso lavoro, soldi e dignità tutti in colpo solo, ed io non sono con lui. Ripeto, sono una donna stupida ed egoista, ma sono anche una donna ferita. Se andassi da lui, adesso, non so quanto tempo ci metterei ad accantonare tutto e a dimenticare quello che mi ha fatto per stargli accanto, come la maggior parte delle persone che lo conosce sta facendo in questo momento. Uscire con Jacob è un diversivo a questo senso di oppressione che ogni volta che sono in macchina mi porta a svoltare verso la direzione opposta a casa mia per andare da Edward. Ieri non so come diamine sia potuto succedere, mi sono ritrovata a pochi isolati da casa sua. Ho combattuto con me stessa per dieci minuti buoni prima di invertire la marcia e tornarmene da dove ero venuta.

-perciò stasera uscirò con Jacob- riprendo nuovamente convinta- farò qualcosa per me stessa, per una buona volta nella vita. E se… beh se mi troverò a pensare a Edward più del lecito, o comunque più dell’uomo che avrò di fronte stasera, ti prometto, anzi no… giuro che mi alzerò dal tavolo e dichiarerò conclusa la serata-

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Di fatti la serata comincia nei migliori dei modi…

Il campanello di casa suona esattamente alle 19:45 e mi concedo solo una veloce occhiata allo specchio della camera da letto prima di correre in salotto, prendere il cappotto, afferrare le chiavi di casa e richiudermi la porta alle spalle. Il vestito che indosso stasera è in pizzo nero, foderato dal collo fino alle ginocchia(diciamo pure un tantino più su) ma con le maniche trasparenti. Quando mi vede Jacob per poco non si ritrova con la mascella per terra. Esagerato penso, anche se la lusinga di apparire bella agli occhi di un uomo mi fa sentire qualcosa dentro, all’altezza dello stomaco, che non provavo davvero da tanto tempo. Jacob è altissimo e con i miei tacchi (neri anche quelli) gli arrivo a malapena alla spalla.

-sei splendida stasera Bella- con uno di quei gesti che credevo appartenessero solo agli uomini del passato, mi prende la mano e con un leggero inchino vi poggia le labbra sopra. Una volta alzato mi aiuta ad infilare il cappotto beige con un sorriso a trentadue denti dipinto sul viso.

Saluto Frank il custode, un uomo sulla sessantina con il sorriso più bello e caloroso del mondo, che mi ricambia con un sorrisino divertito, appunto. Anche lui suppongo sia rimasto stupito dalla mia mise un tantino provocante, o forse di più dal fatto che un uomo sia venuto a prendermi sotto casa, quando per ben più di tre anni il deserto del Gobi è stato più popolato del mio pianerottolo.

Una volta fuori mi apre la portiera della sua auto, un Porsche Cayenne nero di ultima generazione tirato a lucido, che mi lascia a bocca aperta. Tant’è che mi chiedo come faccia un istruttore di yoga a mantenere una macchina come questa. Forse Jenny ha ragione, forse Jacob non è chi credo che sia.

Mi do uno schiaffo mentale per aver concesso alla mia amica di corrompere così tanto il mio cervello e la conseguente opinione che mi ero fatta su di lui.

Jacob è un bravo ragazzo e soprattutto è un onesto lavoratore. Questa macchina può averla comprata con i soldi che mette da parte da tutta una vita. Magari ha anche un altro lavoro! Oppure è diventato ricchissimo in seguito all’eredità che gli ha lasciato una sua vecchia zia. O meglio ancora, se l’è fatta prestare da un amico. Non partiamo con il piede sbagliato! Mi dico mentalmente mentre lui aggira l’auto per entrare dal lato guida.

Ci immettiamo nel traffico e gli do subito le indicazioni per arrivare al ristorante di Janny. Il ristorante non è tanto distante da casa mia, si trova esattamente al Columbus Circle, ma non possiamo fare a meno di parlare del più e del meno nel frattempo, frasi sciocche per lo più, buttate qui e li giusto per non cadere nell’imbarazzo che un viaggio silenzioso susciterebbe in entrambi.

“hai visto che freddo in questi giorni? Dici che nevicherà?” “è probabile, si”

“mi è piaciuta l’ultima lezione” “come mai non sei venuta questa settimana?” “ohh.. ho avuto un sacco di cose da fare-”

“così è arrivato anche Halloween eh?” “già” “tua figlia sarà molto impaziente” “mmh, non vede l’ora di sfoggiare il suo vestito da zucca stregata”

Cose così insomma, ma che mi danno il tempo di perdermi nei ricordi. È inevitabile per me fare un confronto (se non altro perché non ho altri metri di paragone) con quella che considero una delle serate più belle della mia vita, la sera in cui Edward ed io siamo usciti per la prima volta. Già in quell’occasione capii che sarebbe stato l’uomo della mia vita e non mi ero sbagliata più di tanto dopotutto.

Arriviamo al ristorante con qualche minuto d’anticipo e una volta dentro faccio subito le presentazioni del caso. Gli presento Phil, maître di sala validissimo, Jessica, cameriera instancabile e Ben responsabile dei vini; i miei amici più fidati qua dentro. Jacob saluta tutti con un sorriso caloroso che automaticamente fa spuntare anche a me. Dopo numerose strette di mano ci accomodiamo al tavolo mentre mi guardo attorno pronta a vedere Jenny uscire dalle cucine e venire a salutarci, dopotutto me lo aveva promesso, ma il ristorante è del tutto pieno e il lavoro di là deve essere smisurato.

-Jess, ehi Jess- la chiamo affinché si avvicini- sai che fine ha fatto Jen?-

-si, è attaccata al telefono da più di cinque minuti. Ma le ho detto che siete arrivati tranquilla-strizzo per un attimo gli occhi stupita e curiosa.

-vi posso portare il menù?-

-si, grazie- ma come? Il ristorante è pieno zeppo e lei sta attaccata al telefono?

Jacob mi mette sin da subito a mio agio e per un attimo davvero riesco a dimenticare dove mi trovo, cosa provo e tutto quello che mi è successo in quest’ultima settimana. Ma il pensiero di Jen e l’ansia di vederla comparire da un momento all’altro mi fa girare ogni secondo verso le cucine. Jacob coglie immediatamente il mio sguardo furtivo e “giustamente” mi chiede di raccontargli di Jenny e della nostra amicizia.

-Jenny e io ci siamo conosciuti ad una festa, lavoravamo entrambe nel servizio di catering che quella sera si occupava di servire le vivande. Io facevo la cameriera mentre lei lavorava in cucina. Da quel giorno siamo rimaste sempre in contatto e adesso eccoci qui- ometto di spontanea volontà il fatto che la festa fosse stata organizzata dalla famiglia del mio ex marito e che è proprio li che noi due ci siamo conosciuti.

-così, da semplice cameriera ti sei ritrovata a dirigere tutto questo. Com’è successo?- mi chiede mentre affonda la forchetta nel suo antipasto.

-emmh, la famiglia del mio ex marito possiede questo ristorante, al momento del divorzio sono diventata comproprietaria-

-e Jenny? Come ha fatto a finire qui dentro?- mi chiede sollevando entrambe le sopracciglia con un sorrisino malizioso.

-si, è vero mi hai scoperta- dico alzando le mani in segno di resa- sono stata io ad inserirla. Avevo la possibilità di farlo e l’ho fatto. Ma lei credimi ne ha tutte le capacità-

-mhh, lo credo bene. Questo salmone è fantastico!-

Continuiamo a cenare tranquillamente tra un bicchiere e un altro di vino e tra una risata e un’altra di complicità. Lui è veramente un ragazzo speciale. Mi racconta praticamente tutta la sua vita ed io non posso che rimanerne lusingata. Mi sento un po’ in colpa però… uscire con lui pur sapendo che non potrà mai esserci nulla di più tra di noi. Almeno non nell’immediato. È da quando è venuto a prendermi sotto casa che lo penso e più passa il tempo e più davvero capisco che Jacob è una persona che potrebbe davvero interessarmi se il mio cuore non fosse già occupato.

Cuore che sussulta per la prima volta nella serata, quando vedo una figura vestita in nero varcare la soglia del ristorante. Ha un cappotto pesante con il collo alzato a proteggere il viso, ma potrei aver bevuto anche un intera bottiglia di vino, quei capelli e quella camminata li riconoscerei tra mille.

Cosa diavolo ci fa Edward qui?

Solo a pensare che si trova a meno di dieci metri di distanza da me, mi fa schizzare letteralmente il cuore in gola.

Cristo, lo sapevo. Lo sapevo che mi sarei sentita così. Come una sottiletta fusa tra due fette di pancarrè: completamente inconsistente. Le mie gambe cominciano a tremare  e sul mio viso il sorriso che c’era fino a poco prima si congela all’istante. Lo vedo dirigersi verso le cucine e la mia fronte si contrae stupita. Per fortuna Jacob non sembra essersi accorto di niente perciò non dice nulla quando mi congedo dal tavolo con la scusa di dover riferire una cosa importante a Phil che si è proprio diretto in quella direzione. 

In realtà mi metto a seguire Edward, a debita distanza naturalmente, per capire cosa ci fa qui e come mai stia andando proprio da Jen. Entra guardandosi furtivamente intorno ed io sono costretta ad abbassarmi dietro un tavolo per non farmi vedere, tant’è che riesco a spaventare i signori seduti a mangiare.

-signorina! Si sente male?- mi chiede un signore di mezza età con i capelli bianchi già pronto ad alzarsi per venire in mio soccorso.

-oddio, no. Sto benissimo. Mi è semplicemente caduta una lente a contatto, non si preoccupi è tutto sotto controllo- mi rimetto subito in piedi fingendo una tranquillità che non ho e con passo spedito raggiungo la porta dietro la quale pochi secondi prima è sparito Edward.

La scosto un pochino e lo vedo tra le braccia di Jen che commossa lo stringe forte a se.

-mi dispiace davvero tanto per tutto quello che ti è successo Edward. Come stai?-

-diciamo che ho vissuto momenti migliori- e il suo viso sciupato coperto da una leggera peluria scura ne è una conferma. Non l’ho mai visto con gli occhi così infossati e con il viso così trascurato. Mi chiedo se una parte di questo suo malessere sia dovuta anche alla nostra litigata oltre al fatto che si sia ritrovato senza più un lavoro e indagato per truffa nel giro di ventiquattro ore. Il mio cuore fa una capriola nel petto quando lo vedo portarsi una mano nei capelli.

-per fortuna che ti sei lasciato convincere a venire, vorrei poter fare di più oltre che fornirti una cena calda da asporto però- gli dice lei, depositando un pacchetto sulla sua mano. Allora era con lui che stava parlando al telefono prima…

-beh una cosa c’è. Puoi dirmi… come… come sta? L’hai vista oggi?- nel mio petto si incrina qualcosa quando sento queste parole. Ma come? Sta vivendo uno dei momenti più difficili della sua vita e lui si preoccupa per me?

Jen si prende un attimo in più prima di rispondere, forse si sta mordendo la lingua dal bisogno di dirgli che sono esattamente nella sala ristorante a mangiare tranquillamente in compagnia di un altro uomo.

Dio, Jen, ti prego non lo fare. Mi ritrovo ad implorare mentalmente.

Ma è tutto inutile quando Ben vedendomi accovacciata sulla porta semi aperta ha la brillante idea di chiamare il mio nome ad alta voce.

-Bella! Ma cosa fai?- lo maledico in tutte le lingue del mondo prima di guardare i visi di Edward e Jen squadrarmi stupiti. Mi volto pronta a scappare e mentre mi allontano sento la voce di Edward dire - lei era qui e non mi hai detto niente?- ma ormai sono troppo lontana per sentire la risposta della mia amica che a questo punto sono sicura gli confesserà ogni cosa. Vorrei imboccare l’uscita ma non posso lasciare Jacob come uno stupido ad aspettarmi al tavolo senza avere nemmeno la decenza di dirgli “ciao”. Perciò torno a sedermi e quando lo faccio lo vedo tirare un sospiro di sollievo. 

-Dio, Bella! Stavo per preoccuparmi. È successo qualcosa? Stai bene?-

-si- rispondo atona senza nemmeno guardarlo in faccia.

-a me non pare. Sembra che tu abbia visto un fantasma-

E il fantasma lo vedo eccome! Puntare dritto verso il nostro tavolo!

-scusami Jacob ma non mi sento tanto bene. Ho bisogno della toilette- mi alzo prima che abbia il tempo di dire qualcosa e praticamente fuggo nel bagno delle signore come se avessi un mastino alle calcagna. Per fortuna non c’è nessuno così mi rinchiudo in una delle cabine sperando che Edward non abbia l’ardire di entrare qui dentro.

-Bella!- sobbalzo quando sento la sua voce chiamarmi dopo aver dato una mandata alla porta. Ci ha chiusi dentro.

Sono in trappola, cazzo!

-Bella esci immediatamente da quel bagno- adesso è tranquillo come se mi invogliasse a comprare un gelato.

-non fare la bambina. Esci per favore- non ricevendo una risposta da parte mia però, riprende a parlare – okay, fallo pure, ignorami! Tanto è quello che stai facendo da cinque giorni perché dovrei sperare in qualcosa di diverso?-

Sento il rumore di una busta scontrarsi contro il marmo del lavabo- solo che… sai una cosa? Adesso non hai la possibilità di staccare il telefono, adesso ascolterai tutto quello che ho da dirti-

Ecco, ora mi dirà le stesse parole che mi ha detto Tania, magari rivisitate a suo piacimento, e il mio cuore si spezzerà ancora una volta.

-non voglio sentirti!- urlo sbattendo un pugno contro le mattonelle fredde consapevole di non avere la forza per sopportare altro dolore.

-e invece mi ascolterai! Esci fuori-

Lo faccio. Apro la porta del bagno e mi ritrovo davanti al suo viso a meno di trenta centimetri di distanza. È poggiato con il braccio destro allo stipite della porta e praticamente ha creato una gabbia tutt’intorno a me. Il suo viso sciupato e segnato da troppe notti insonni, mi provoca una fitta di dolore. Vorrei cancellare via con un gesto della mano le ombre viola che ha sotto gli occhi. Il contatto ravvicinato con questi ultimi però mi fa indietreggiare, colpita dall’intensità del suo sguardo, e mi ritrovo a incrociare le braccia al petto persuasa di tenergli testa.

-cosa ci fai qui? È stata la nanerottola malefica a dirti di venire?-

-cosa ci faccio io? Cosa ci fai tu qui! Con quel babbeo poi!- dice puntandomi un dito contro.

-io… io ho un appuntamento con quel babbeo, come l’hai chiamato tu- mi guarda aggrottando la fronte tanto che le sue sopracciglia vanno a formare una linea retta.

-sono venuto perché me l’ha chiesto Jen, si. Sai, è preoccupata per me. E a quanto pare è preoccupata anche per te, visto che ha insistito così tanto affinché venissi solo perché vedessi quello che stai combinando. Cosa stai cercando di fare esattamente, Bella? Stai cercando di punirmi?-

-ti do una notizia se ancora non l’avessi capito: la mia vita non ruota intorno a te, sai?-

Bugiarda! Che bugiarda che sei! Mi ammonisco da sola.

-e comunque, perché lo pensi? Sentiamo…-

-non lo so, vedo solo che è così. Mi hai lasciato in mezzo a una strada senza darmi nessuna spiegazione. Hai evitato deliberatamente di rispondere alle mie chiamate. Mi hai detto che ti faccio schifo dopo che per un intero pomeriggio mi hai fatto credere il contrario. E adesso, come se il mio cuore non fosse già ridotto in poltiglia, mi punisci ulteriormente uscendo con un altro uomo?- la sua voce è andata via via ad aumentare; le ultime parole le ha quasi urlate.

Si allontana dalla porta e in fretta raggiunge la cabina opposta alla quale sferra un calcio che mi fa trasalire dal terrore -perché?- sbotta portandosi entrambe le mani nei capelli- perché mi fai questo? Non capisci quanto tu sia importante per me?-

-zzt!- scoppio incredula – adesso sono importante per te?-

-si, diamine! Lo sei! Una persona che reputavo un amico, quasi un fratello, tre giorni fa è sparito con tutti i soldi dell’azienda in cui lavoravo, in cui avevo messo tutto me stesso. Non so cosa succederà, come riuscirò ad andare avanti, so solo che ho un buco enorme nel petto. La mia vita è un disastro, ma lo sai che ti dico? Non me ne importa- prende un profondo respiro – non me ne importa perché è come se la mia stessa vita, non fosse reale, capisci? Se non sei con me. Se non ci sei, se non la divido con te. Non so cosa temevo e non so cosa aspettavo… ma adesso non temo più nulla e non voglio più aspettare. Sono qui, Bella. Sono qui - con voce rotta dall’emozione si indica il petto con le mani.

Le sue parole sono come un balsamo lenitivo sulle mie ferite ma non posso cedere alla tentazione di dirgli che anche io sono qui, che ci sono sempre stata e che ci sarò per sempre per lui. Perciò mi costringo a mettere da parte i sentimenti per parlare con razionalità.

 -Edward non posso- dico e il suo viso si trasforma in pura incredulità -come puoi dirmi una cosa del genere – riprendo- quando entrambi sappiamo che non è me che vuoi realmente?-

Dei colpi alla porta chiusa ci fanno sussultare entrambi ed Edward urla un poco garbato - è occupato!- prima di tornare a guardarmi stupito.

-cosa stai cercando di dirmi Bella? Ti ho appena confessato che non posso vivere senza di te e tu sostieni che… beh non l’ ho ben capito con esattezza cosa sostieni-

-o andiamo Edward non prendermi in giro! I segnali erano più che evidenti ed io come una stupida ci sono cascata ancora una volta-

-ma quali segnali? Di cosa stai parlando?- dice afferrandomi improvvisamente per le braccia.

-sto parlando di te che vai a letto con un’altra donna tra tre anni!-

Si allontana di scatto quasi come se il contatto con la mia pelle l’avesse ustionato       - cosa?- sbotta alla fine incredulo.

-oh, non fingere con me Edward. Lo so benissimo qual era il tuo piano. Volevi che tornassimo insieme e tenere in piedi anche la relazione che hai con Tania da ben tre anni!-

-Tania? Io non ho nessuna relazione con Tania! Non la vedo da anni. Anzi no, questo non è vero, l’ho vista per cinque minuti pochi mesi fa, ma l’ho mandata al diavolo quando ha cercato di infilarmi la lingua in bocca-

-ah! Allora lo ammetti!- sento un rossore colorarmi il collo e salire fino alle guance.

-non sto ammettendo niente perché in verità non c’è nulla da ammettere. Io non ho fatto niente-

-non è quello che mi ha detto lei-

Impallidisce all’improvviso e la sento, la scarica di brividi che lo coglie dappertutto, la sento anche io.

-quando?-

-a Central Park. Io e Sophie eravamo in fila per prendere lo zucchero filato quando me la sono trovata alle spalle. E mi ha detto tutto, perciò non serve che tu menta ancora- abbassa la testa portandosi le mani a coppa sul naso e questo è un segnale che mi fa capire quando abbia ragione.

- io me ne vado- dico furiosa.

Prendo la direzione della porta ma una sua mano mi blocca il braccio impedendomi qualsiasi movimento. Mi spinge forte contro il lavabo e nei suoi occhi adesso vedo un fuoco che non avevo mai visto prima. Una luce che lo fa apparire minaccioso.

-quella schifosa… puttana- dice tra i denti stringendomi forte le braccia tanto da farmi sentire i solchi roventi dei suoi polpastrelli -  ti ha raccontato una bugia. Io non “vado a letto con lei da tre anni”. Non abbiamo una relazione!-

-oh, e perché mai avrebbe dovuto mentire? Quando è chiaro che qui l’unica che ha rischiato qualcosa è lei- rispondo per nulla intimidita dalla sua mole possente che incombe su di me.

-lo ha fatto per vendicarsi di me! Ecco perché! Per vendicarsi di averla respinta qualche mese fa. Ero ad un incontro di lavoro e me la sono ritrovato davanti. Lei... lei ha cercato di sedurmi ma io l’ho mandata a quel paese. Non devi credere a una sola parola di quello che ti ha detto. A nessuna!-

-è troppo tardi Edward- lo strattono con tutta la forza che ho in corpo per riuscire a liberarmi tanto che ingaggiamo quasi una lotta.

-le credo!- dico esasperata mentre lui cerca di portami un braccio dietro la schiena per immobilizzarmi – sei solo un lurido bugiardo!- gli tiro un orecchio per farlo allontanare ma ottengo solo l’effetto contrario. Mi ritrovo il suo viso e il suo profumo meraviglioso proprio a portata del mio naso, tanto che per un istante vorrei arrendermi sul serio alla sua volontà che al momento è pari alla sua forza.

-no! Devi credermi, per me esisti solo tu. Per me sei sempre esistita solo tu-

-lasciami!- urlo dopo che un suo ginocchio piantato in mezzo alle gambe mi immobilizza i movimenti. Sono sempre più schiacciata tra il marmo freddo del lavandino e il suo corpo al contrario caldissimo.

-Bella, ascoltami, credimi. Ti sto dicendo la verità – lotto ancora strenuamente affinché mi liberi le braccia; non le sento più tanta è la forza con cui le sta stringendo. Tento di tiragli una ginocchiata alle parti basse ma fallisco miseramente.

- oh maledizione! Accidenti a te, vuoi ascoltarmi?- urla guardandomi fisso negli occhi- io… io ti amo!-

Smetto di lottare ma non perché non ne abbia più voglia, semplicemente perché le sue parole mi fanno perdere ogni forza. Sento qualcosa rimbombare dentro la cassa toracica così forte da rendermi sorda ad ogni altro rumore. Il mio cuore batte più veloce delle ali di un colibrì. Avverto delle mani toccarmi il viso, le spalle, le braccia, ma è come se stessi per evaporare. Odo il mio nome come un eco lontano e sul mio campo visivo compaiono tante stelline. Improvvisamente il calore che mi opprimeva il petto scompare ed io capisco che i colpi che sentivo rimbombare in realtà provengono da dietro la porta chiusa. Qualcuno sta bussando così forte che tra breve butterà giù la porta.

-Bella? Bella stai bene? Cos’hai? Vuoi un bicchiere d’acqua?- si, per gettarmela in faccia penso cinica riacquistando pian piano il contatto con la realtà. Riconosco senza dubbio la voce di Edward chiamarmi allarmato ma è quella all’esterno a preoccuparmi di più.

-aprite! Aprite immediatamente! Bella? Brutto stronzo cosa le stai facendo? Se non apri entro dieci secondi chiamo la polizia, mi hai sentito?- Jacob è furioso. Probabilmente preoccupato del mio ritardo è venuto a cercarmi ma sentendo le nostre urla è sicuramente giunto alla conclusione sbagliata.

-Bella, digli di andare via. Digli che stai bene, noi due non abbiamo ancora finito-

-no, invece- la mia voce è così gelida che stento a riconoscerla- noi due abbiamo proprio finito- sul suo viso vedo una fitta di dolore.

-fermati ti prego-

Incredula e con equilibrio precario mi dirigo verso la porta ignorando la sua ultima supplica. Jacob non aspetta nemmeno un secondo prima di abbassare la maniglia e gettarsi furioso su Edward. I volti attoniti di Jen e degli altri camerieri assistono alla scena e solo in seguito al mio urlo allarmato si fanno avanti per dividerli.

-lascialo stare! Edward è l’ex marito di Bella- si intromette Jen per provare a calmare Jacob che in questo momento si tiene la mano alla bocca dove Edward gli ha sferrato un pugno così forte da fargli uscire il sangue.

-non m’importa chi diavolo è. Marito o no, non la può trattare in questo modo- mi guarda preoccupato e con una carezza al braccio mi incita ad uscire dal bagno.

-vieni ti riporto a casa- lo seguo attonita. Non sapendo bene cosa fare opto per la scelta più facile: andare a casa e rifugiarmi nella mia fortezza. Mi lascio alle spalle il viso allucinato di Jen e gli occhi allarmati di Ben e Phil. Mi lascio alle spalle il viso ferito dalle botte di Edward e il dolore con cui mi guarda andare via circondata dalle braccia di un altro uomo.

Cosa diavolo è successo? Mi ha detto che mi ama?

Quel “ti amo” mi è piombato addosso come un fulmine a ciel sereno ed io sono andata nel panico. All’improvviso ho visto tutto bianco e non sono stata più padrona delle mie emozioni. Jecob mi aiuta a camminare, anzi mi trascina; barcollo come se fossi ubriaca. E in effetti mi sento così: le mie ossa sono diventate morbide e malleabili, e ogni cosa intorno a me sembra essere sfuocata, tranne alcuni particolari che attirano la mia attenzione: gli occhi di una signora che mi guardano altezzosi quando ci fermiamo a recuperare i cappotti, le dita incrociate di due innamorati, Jess trasportare un enorme Astice su un vassoio, le porte scorrevoli del ristorante compiere il solito e lento movimento, apri e chiudi, apri e chiudi.

Le varchiamo anche noi quelle porte e una volta fuori sento come se il bisogno di bagnarmi la faccia con dell’acqua fredda sia diventato insostenibile. L’ombra del Columbus Circle porta con se l’odore opprimente degli scarichi delle auto e l’aria gelida quello della neve. Dio, quanto vorrei immergere le mani in una montagnola di neve gelata e portarmele al viso, per sentire un po’ di sollievo. Sento ancora la voce di Edward nelle orecchie ma cerco di scacciarla via. Quando siamo davanti alla macchina, Jacob mi abbraccia e poggia una guancia sui miei capelli, caldi ed elastici e poi li fiora con la bocca. Non posso fare a meno di irrigidirmi.

-mi dispiace-

-e di cosa esattamente?- gli chiedo staccandomi. Non vedo nessun motivo perché lui debba scusarsi.

-mi dispiace di averlo preso a botte. È pur sempre il tuo ex marito- ah. Beh, avrei preferito di gran lunga che non lo facesse, ma non lo biasimo per essersi preoccupato in seguito alle nostre urla e per avermi “difeso”, anche se Edward non mi stava facendo niente. Non l’avrebbe mai fatto, non è nella sua indole alzare le mani contro una donna.

-io…non so cosa dire, davvero. Per esserti preoccupato così tanto, intendo. “Grazie” è la sola parola che mi viene in mente in questo momento-

-lo avrei fatto con chiunque. Non devi ringraziarmi-

Aspetta qualche secondo prima di riprendere a parlare e quando lo fa lo sento sospirare, come se avesse bisogno di prendere un grosso respiro per farsi coraggio -ascoltami- dichiara sommessamente – quello che ho visto di la è un uomo ferito. Ma non ferito dalle mie botte, quelle guariranno nel giro di qualche giorno. Io, ho visto il dolore puro nei suoi occhi ed è lo stesso che vedo adesso nei tuoi. No, lasciami finire…- dice zittendomi- ma ho visto anche tanto amore ed anche se a malincuore, mi trovo costretto a dire che vedo la stessa cosa adesso, qui davanti a me- mi rivolge un sorriso obliquo quasi di rassegnazione. Questo sorriso non ha niente a che fare con quello a cui sono abituata, probabilmente il labro spaccato ne impedisce i movimenti penso. Ma no, è proprio rassegnazione quella che vedo nei suoi occhi e le sue parole me ne danno la conferma- forse, non so, ho sbagliato a chiederti di uscire. Forse sei tu, ad aver sbagliato ad accettare. Ma non mi pento di averlo fatto: in questo modo ho capito che non ho alcuna speranza di conquistare il tuo cuore. Sei una donna meravigliosa Bella, davvero, e mi dispiacerà dover smettere di fantasticare su noi due, su un possibile futuro, su una possibile notte passata insieme. Dio se ci ho pensato!- dice con un risolino facendo ridere anche me.

-ma non posso competere con lui, vero?- mi domanda stringendo gli occhi, quasi come se speri fino alla fine di ricevere una risposta diversa da quella che sa già. Ed io mi ritrovo a scuotere la testa confermando che no, non può competere con Edward. Nessuno può farlo.

-bene- annuisce- adesso che abbiamo chiarito le cose, sono molto più tranquillo sai?- tira un sospiro di sollievo talmente goffo che non posso fare a meno di sorridere.

- mi sembra che possiamo andare a casa-

Mi guida con la mano verso lo sportello ma poi si blocca prima di aprirlo.

-vuoi andare a casa, oh…?- dice indicando con il mento l’ingresso del ristorante. Mi sta chiedendo se voglio andare via o se voglio tornare da Edward. Ed ecco che ci risiamo, la lotta infinita continua. Il mio cuore mi dice di correre da lui, il “ti amo” di prima che ancora vibra nei miei ventricoli è un richiamo davvero difficile da mettere a tacere. Mentre la mia mente mi dice di andarmene a casa, farmi una bella doccia, infilarmi sotto le coperte e aspettare che la notte mi porti consiglio.

-voglio andare a casa Jacob - dico dopo aver preso la mia decisione e da codarda quale sono, non ho difficoltà ad ammettere di aver preso quella più facile.

Se solo avessi saputo che da li a qualche ora me ne sarei pentita amaramente…

Mi arrampico sul sedile del passeggero e aspetto che lui salga dall’altra parte. L’atmosfera tra noi adesso è meno tesa rispetto all’andata. Si, penso mentre le luci di New York illuminano a giorno le strade trafficate della città, domani. Domani farò tutto quello che devo fare. Domani penserò razionalmente a quello che è successo e saprò prendere una decisione. Farò i conti con il suo ti amo e con la sua versione dei fatti. Con i suoi “è bugiarda” e “non vedi crederle”. Gli concederò il beneficio del dubbio perché è questo che si fa con la persona amata.

Si.

Domani.

Ma “domani” non arriverà mai. Esattamente alle 00.50, ricevo una telefonata che mi fa piombare nel panico più totale.

Quando sento gli squilli del telefono il nome di mia figlia lampeggia nella mia testa come un insegna al neon. È successo qualcosa a Sophie!  Penso rabbrividendo di paura mentre allungo un braccio per prendere il cordless dal comodino. Trattengo il fiato quando schiaccio il pulsante della risposta.

-pronto?-

-salve, parlo con la signora Isabella Cullen?- la voce dall’altra parte è così squillante che sono costretta ad allontanare per un attimo il telefono dall’orecchio. Sono la signora Cullen? Mi chiedo stupita. Cosa devo rispondere? È un indovinello? Non lo sono più da tre anni ormai. Nell’incertezza decido che tra Swan e Cullen non c’è tanta differenza, voglio solo sapere perché mai questa donna mi ha chiamata nel bel mezzo della notte.

-si sono io. Chi parla?-

-signora sono un infermiera del Roosevelt Hospital, abbiamo trovato il suo numero di telefono nel portafogli… -

-nel portafogli di chi? Mi scusi- la interrompo sentendo il sangue gelarmi nelle vene. Sto cominciando ad andare nel panico.

-nel portafogli di suo marito-

-Edward? Cos’è successo a Edward?- sento una zompata di dolore attraversarmi il cuore.

-mi dispiace signora, ma suo marito è rimasto coinvolto in un incidente, è in ospedale al 1000 Tenth Avenue, quinto piano, reparto di neurologia. Faccia presto!-

 

Alluuraaa, che ve ne pare? Non fatemi del male vi prego. 

Piuttosto, fatemi sentire le vostre opinioni. Che sarà mai successo al nostro povero Edward?

Spero di riuscire a scrivere il nuovo capitolo nel più breve tempo possibile, so… Alla prossimaaaaa! Baci!

E grazie mille come sempre per le vostre recensioni! Vi adoro!  

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Capitolo 8
*** Cap. 8 ***


CAP 8

                                           

Eccomi qua! Come promesso ho fatto il prima possibile. Spero che il capitolo sia di vostro gradimento. Si apre con un pov Edward che racconta il suo incidente.

Buona lettura!

Capitolo 8

Ne vale la pena?

Che la nostra felicità sia così tanto collegata

 alla vita di un altro essere umano?

-Bones
.

Pov. Edward

Sbatto la porta di casa più forte di quanto non sia in realtà necessario. La trovo buia, vuota e triste; esattamente come mi sento io in questo momento.  Poggio il sacchetto che mi ha dato Jen sul tavolino del salotto, non ho nemmeno la forza per aprirlo figuriamoci per mangiare qualcosa. Mi accascio con la schiena sul divano e prendo a guardare il soffitto mentre sento un dolore acuto crescere sempre di più dentro al petto. Sfilo dalla giacca la fiaschetta di whisky e comincio a bere.

Le ho detto che l’amo. Le ho detto che l’amo ed è andata via con un altro uomo.

Ormai ho perso ogni speranza.

Razionalmente so di non potermi aggrappare alle parole che mi ha detto Jen. Non posso, eppure lo faccio. Lo sto facendo da quando è venuta a soccorrermi dopo che quell’energumeno mi ha riempito la faccia di pugni “qualunque cosa lei ti abbia detto, non crederle, non mollare. Lei ti ama, solo che è troppo orgogliosa per ammetterlo. Jacob non rappresenta niente, tu invece sei tutto il suo universo, perciò non mollare. Ti prego Edward non mollare”

Le credo sì, mi aggrappo a queste sue parole, sì. Ma nonostante questo vorrei davvero con tutto il cuore mollare la presa. Vorrei avere la forza per voltare le spalle ad ogni cosa, a lei ma soprattutto ai miei sentimenti, per guardare avanti e smetterla di soffrire. Ormai lo sto facendo da tre anni e non penso di riuscire a sopportare altro dolore. Vederla in compagnia di un altro uomo stasera mi ha letteralmente devastato, e sentire le ragioni che l’hanno spinta ad uscire con lui mi hanno solo fatto infuriare di più. Perché Bella? Perché non mi credi? Perché non sono io la prima persona a cui pensi invece di credere con così tanta facilità alle parola di una lurida puttana? Il bacio a casa dei miei non ti ha dimostrato nulla? Mi credi così viscido e meschino? Tanto da essere in grado di fare una cosa del genere?

Mi porto una mano sul viso stanco e spossato; il risultato di quella che è diventata la mia vita negli ultimi cinque giorni. Soffro come un cane, ormai non dormo più di quattro ore a notte…

Alle volte penso che stia vivendo un incubo, o che si tratti del brutto tiro di una persona maligna e che domani mi sveglierò e scoprirò che è tutto falso. Mike tornerà in azienda con i soldi e Bella lascerà che mi riavvicini. Ma questo non è uno scherzo ed io non sto sognando. È tutto vero ed è proprio questo a farmi infuriare ancora di più.

Questa non è vita. Non posso più andare avanti così. Per quanto io la ami, per quanto tutto quello che ho provato in questi anni non mi ha mai fatto desistere dai miei propositi di riconquistarla, adesso è diverso. Quando una storia finisce, anche i battiti rallentano. Manca quella persona, ti manca e sai che nessuno potrà mai sostituirla.. ma io non riesco più ad andare avanti così. Jen mi chiede di non mollare, io vorrei solo che qualcuno smettesse di tirare. Vorrei che qualcuno mi sollevasse, che mi prendesse per mano e mi dicesse “eccomi, ti amo”. È solo questo quello di cui ho bisogno.

Invece mi ritrovo a rodermi il fegato, immaginando lei e lui stretti in un abbraccio sotto le lenzuola mentre fanno l’amore. Mi sembra di vederla… lei timida e riservata, come sempre in queste occasioni (non lasciava mai che l’adulassi più del dovuto) mentre lui la stringe forte con quelle manone che si ritrova provocandole fastidio, visto che a lei non piace essere presa con la forza.

Sbatto un pugno sul tavolino di fronte a me così forte che penso di averlo quasi incrinato. Dio! Ma come mi viene in mente di pensare una cosa del genere! Devo essere impazzito del tutto.

-gli stacco le unghie a morsi se solo ha osato toccarla- ringhio tra i denti pervaso da un senso di gelosia acuta mentre mando giù altro whisky. 

-fanculo la dannata corda. Fanculo i miei piagnistei. Fanculo Mike e fanculo questa situazione di merda. Mi dici di non mollare la presa Jen? Ma come faccio a non mollare me lo spieghi?  È andata via con quel babbeo! Fanculo pure a lui-

Mi rendo conto di parlare ad alta voce e da solo per giunta così scoppio in una risata sguaiata. Rido, rido così forte che mi sembra di scoppiare. Rido per sentire meno dolore. Rido e nelle risa le mie pene si trasformano in singhiozzi e in lacrime che adesso scendono copiose sul mio viso. Piango, piango come un bambino. Piango come se mi avessero portato via anche l’aria, piango perché sono solo e non voglio più esserlo. Cado a terra e colpisco con forza il tavolino davanti a me facendolo stridere sul pavimento. Mi porto una mano tra i capelli e tiro forte mentre i singhiozzi mi scuotono la schiena.

Basta. Vorrei urlarlo e vorrei che qualcuno lassù mi sentisse. Vorrei riuscire a smettere di pensare, di ragionare e di provare dolore. Vorrei spegnere ogni sentimento ed emozione. Ma non ci riesco.

L’unica cosa che si spegne è la luce e non sono nemmeno io farlo.

Mi ritrovo al buio e con la soffocante sensazione di essere appena stato ingoiato dalle tenebre.

Afferro il cellulare dalla tasca del cappotto e cerco di fare un po’ di luce. Mi dirigo verso l’interruttore, ma scatta a vuoto quando tento di riaccenderlo.

È il generatore principale penso, mentre sbotto contro il destino che non mi lascia nemmeno soffrire in pace. Con le guance ancora bagnate apro la porta di casa e scendo giù in magazzino. Il generatore si trova in un angolo a destra del deposito. Mi oriento grazie alla flebile luce del cellulare ma so che riuscirei ad individuarlo anche al buio quando un boato squarcia il silenzio ed io mi ritrovo scaraventato con inaudita potenza contro al muro alle mie spalle.

Perdo i sensi per un po’, lo capisco dal fatto che quando mi risveglio intorno a me si è scatenato il caos, con alte fiamme che si stagliano fin sul soffitto. Faccio un rapito inventario delle mie condizioni e capisco che mi fanno male la schiena e la gamba. Forse ho anche sbattuto la testa. In un istante di lucidità mi domando cosa diamine sia successo, ma mi interrompo quando vengo investito dal fumo. Tanto fumo.

E ho paura.

Vorrei avere la forza per spostarmi ma non riesco a muovere un muscolo. La mia gamba è imprigionata sotto una montagna di ferro e la testa mi gira così tanto che non riesco a mantenere gli occhi aperti. Sento un rivolo di sangue colarmi dalle tempie sul viso, mentre comincio a sentire sempre più caldo.

Precipito nel panico. L’aria all’interno del magazzino è satura di fumo e inizio a tossire e tossire, tanto che mi sembra di scoppiare. Se avessi mangiato qualcosa nelle ultime ore a quest’ora mi ritroverei sommerso nel mio stesso vomito. Ripenso alle preghiere di poco fa, alla mia assurda richiesta di smettere di soffrire.

-non voglio morire! Mi hai sentito? Non voglio morire- mi rivolgo a Dio ma spero che qualcuno sia più vicino da riuscire a sentirmi.

Mi metto ad urlare ma le mie urla vengono soffocate da un altro scoppio e dal conseguente rinculo che mi appiattisce ancora di più al pavimento. Ho il tempo di scuotere la testa ed alzarmi un pochino, ma qualcosa di terribilmente pesante mi piomba addosso e poi perdo conoscenza.

 

Pov. Bella

Sabato 29 ottobre 2011

Ore: 02.15 del mattino

-il dottor Abernathy si sta preparando ad operarlo- la voce di Esme si spezza in più punti quando torna a sedersi sulla seggiola accanto a me. Strizzo gli occhi per il dolore che sento al petto e rabbrividisco consapevole che la vita di Edward dipende dall’esito di questo intervento.

Emorragia intracranica hanno detto. Conseguenza del trauma celebrarle provocato (in questo caso) da una forte botta in testa. Mi sono sentita conficcare la schiena da un miliardo di spilloni arroventati quando il Dottore è uscito per comunicarci l’esito della TAC. Aveva cominciato ad esprimersi con una sfilza di paroloni fino a che non ce l’ho fatta e sono esplosa chiedendogli di essere il più chiaro possibile.

-l'emorragia intracranica è una grave emorragia che causa l'accumulo di sangue all'interno del cranio e può portare ad un aumento della pressione intracranica appunto. Che a sua volta provoca lo schiacciamento del delicato tessuto cerebrale e ne limita l'apporto di sangue. Dobbiamo intervenire subito perché un grave aumento della pressione intracranica può causare un'erniazione cerebrale potenzialmente mortale-

Potenzialmente mortale. È da quando ha detto queste parole che non faccio altro che stringermi le mani intorno al busto per paura di rompermi in mille pezzi al minimo tocco, e cadere a terra in frantumi. In effetti è quello che sto facendo da quando l’infermiera incaricata di avvisare i parenti non mi ha chiuso il telefono in faccia congedandosi semplicemente con -non posso dirle di più, mi dispiace- 

Sono rimasta a fissare la cornetta imbambolata per qualche secondo mentre dentro ribollivo di rabbia. Non posso dirle di più mi ha detto. Non posso dirle di più! E certo! Intanto sono io quella che muore di paura. Alla luce dei recenti fatti e delle recenti rivelazioni, posso dire con certezza che avrei preferito rimanere nell’ignoranza.

Ti prego-ti prego-ti prego fa che non muoia, mi metto a pregare mentre afferro con mani tremanti la lana del maglione che indosso, stringendo le dita così forte da sbiancarmi le nocche.

-Edward! Non azzardarti a fare una cosa simile- ringhio tra i denti disperata con le lacrime che mi scorrono sul viso e mi impediscono anche di vedere bene. Non può morire. Semplicemente, non può. Esme al mio fianco si sposta per afferrare saldamente un mio ginocchio.

-non ci abbandonerà Bella. Abbi fede- mi volto a guardarla stupita che sia riuscita a sentirmi. Vedo così tanto terrore nei suoi occhi che da solo potrebbe annientare il mio, quello di Alice e quello di Carlisle messi insieme. È una madre che sta bruciando sul rogo della paura. Provo a mettermi per un istante nei suoi panni, ad immaginare di trovarmi al posto suo, con Sophie in una sala operatoria che lotta tra la vita e la morte e mi sento male. Di getto le butto le braccia intorno al collo e la stringo forte. La abbraccio come non ho mai fatto prima d’ora.

-oh Esme ho così tanta paura- ormai singhiozzo peggio di una bambina e il guaio è che non riesco a fermarmi.

-lo so, ma ehi? Edward è forte. Ha una volontà di ferro il mio ragazzo. Non ci abbandonerà- mi prende il viso rigato di lacrime nelle mani e con i pollici ne scaccia via qualcuna. Ha la determinazione di chi non accetta che le stia succedendo qualcosa di terribile. La capisco; se si lasciasse andare, se ci mostrasse realmente quanto dolore si porta dentro, sarebbe la fine. Perciò stringo con forza le sue mani introno alle mie guance e annuisco.

-si Edward, è forte. Lui… lui ce la farà me lo sento – e lo sento davvero, ma in questo momento vorrei solo piangere fino a sentirmi male per il dolore cupo che ho nel petto. Esme continua a stringermi forte. Mi trasmette tanto affetto e mi fa capire quanto mi è vicina. È strano… ma penso che quello che proviamo adesso ci abbia fatto dimenticare gli ultimi tre anni della nostra vita, ed è come se ci ritrovassimo a vivere questo momento difficile senza che nulla sia mai cambiato. Non solo con lei, ma anche con Carlisle e Alice. Siamo tornati ad essere una famiglia. Condividiamo insieme il dolore e la paura di perdere Edward. Io sono tornata ad essere sua moglie oltre che nel mio cuore anche agli occhi degli altri. E se la reazione disperata che ho avuto quando sono arrivata in ospedale non è stata sufficiente, scommetto che la scenata di gelosia che hanno visto tutti nemmeno mezz’ora fa, abbia contribuito a fugare loro ogni dubbio.

Ore 01:50 del mattino.

Esco dal bagno ancora intontita. Penso di aver vomitato anche l’anima dentro a quel wc. Mi sono bagnata il viso, i polsi e ho spruzzato anche un po’ d’acqua dietro al collo, ma la sensazione di avere un macigno all’altezza dello stomaco non mi ha ancora abbandonata. Il mio viso ha assunto una tonalità verde giallognola e sotto gli occhi ho delle profonde occhiaie. Le linee d’espressione sono perennemente contratte, come se sentissi una fitta di dolore continua.

Prendo un bel respiro e mi faccio coraggio prima di tornare in sala d’aspetto.

Esme, Carlisle e Alice sono seduti nella stessa posizione in cui li ho lasciati prima. Sono immobili come statue; completamente atterriti dalla preoccupazione. Ho gli occhi fissi su di loro ma quando una chioma bionda entra nel mio campo visivo, mi paralizzo sul posto all’istante. È seduta sulla sedia di fronte, ha le mani giunte in grembo, il viso nascosto da una cascata di capelli. Si porta una mano alla guancia per scacciare via una lacrima e solo in quel momento riesco a vederla in volto. Mi accorgo che stanno parlando tra di loro solo dal movimento delle labbra, il loro tono è troppo basso per riuscire a sentire quello che si stanno dicendo. La guardo incuriosita e il primo pensiero che ho è che è molto bella, anzi bellissima. Una bellezza che ricordo di aver visto da qualche parte, solo che non rammento dove.

Chi sei? Penso aggrottando le sopracciglia. Ci metto qualche istante prima di capire che le immagini sfuocate che conservo di questa donna appartengono a qualche settimana fa. Si, adesso ricordo benissimo! Penso, era in compagnia di Edward nel ristorante di Steve la sera prima dell’incontro con la maestra di Sophie.

-che cazzo…- sbotto incredula, mentre sento divampare in me un senso di gelosia mai provato prima. Accecata da quest’ultima e dal precario equilibrio psichico del quale sono vittima già da un paio d’ore (forse l’ultimo briciolo di lucidità è finito nel cesso insieme al salmone di Jen), mi fiondo su di lei come una furia senza pensarci due volte.

 -chi sei? E cosa diavolo ci fai qui!- la mia voce le arriva alle spalle, ma quando si gira e mi vede sulla soglia, sembra che il suo viso prenda inspiegabilmente vita.

-oh, tu devi essere Bella, la…-

-si, la moglie di Edward. Mi domando con quale faccia hai il coraggio di presentarti qui-

-ehi calma i toni!- dice alzandosi.

-Bella, non è come credi…- Alice prova a parlare ma la interrompo bruscamente.

-no Alice. Deve andarsene-

-io non vado da nessuna parte!- sbotta la diretta interessata.

- bene! Fai come vuoi! Ma sappi che non ti lascerò mai avvicinare a Edward. Mai, hai capito? Lui è mio. Mio e di nessun altro- le parole mi escono di bocca senza nessun controllo ed è troppo tardi quando mi accorgo di quello che ho detto. Il cuore mi batte come un tamburo nel petto e le mie gambe cominciano a vacillare, ma credo di non esserne mai stata più felice. Guardo i visi di Esme e di Alice stupite più di me rivolgermi un sorriso complice, Carlisle si limita a darmi una pacca sulla spalla. Ma il viso che mi stupisce di più è quello della ragazza che ho di fronte. Mi sorride… si, ha un sorriso di compiacimento sul volto. Mi domando perché diamine stia reagendo in questo modo.

-ma… cosa?-

-io gliel’ avevo detto a quello zuccone, ma non mi ha mai creduto. Quanto sono felice di sapere che non mi sbagliavo-

Scuoto la testa -io, non capisco…-

A questo punto la modella che ho davanti allunga una mano verso di me per presentarsi -piacere di conoscerti Bella, io sono Rosalie. Amica, confidente e collega di Edward. Purtroppo ex collega, alla luce di quanto è successo- scorgo un lampo di dolore nei suoi occhi quando finisce di parlare. Rimango inebetita a fissarla senza parole, probabilmente più colpita dal fatto di essermi comportata come un emerita idiota, che di sapere che non è legata a Edward da nessuna relazione. Anche se inconsciamente mi ritrovo a liberare un sospiro di sollievo.

Torna a sedersi di fronte a Esme regalandomi un leggero sorriso, e insieme a noi, rimane in attesa.

Ore 03:30 del mattino

-ma perché non ci dicono niente? È più di un ora che è là dentro- Alice è incontenibile, non riesce a stare un attimo ferma: va su è giù per la stanza, si sposta nei corridoi, spalanca le finestre, prende una boccata d’aria e poi torna a sedersi, ogni venti minuti corre in bagno e prima di tornare fa una capatina al distributore per imbottirsi di caffè.

-Alice calmati- il padre esasperato, le afferra la gamba che continua a far sbattere ripetutamente contro la sedia- sono sicuro che sta andando tutto bene. Se così non fosse sarebbero già venuti ad avvisarci. Anzi penso sia un bene se ci mettono tanto-

-grazie tante papà! Adesso mi hai fatto agitare ancora di più- si alza sbuffando probabilmente per andare a trangugiare altra caffeina.

-ma che ho detto?- Carlisle mi guarda con l’aria di chi è stato accusato ingiustamente di un crimine che non ha commesso.

-scommetto che vorrebbe avere Jasper qui al suo fianco per sostenerla- ma non c’è, è a casa con Sophie.

-mmphm- sbuffa anche lui imitando il tono contrariato della figlia e torna ad appoggiarsi contro lo schienale della sedia. Si porta le mani nei capelli ad imitazione del figlio. Edward compie sempre questo gesto quando è agitato o nervoso; solo a pensarci le lacrime spingo di nuovo per uscire.

Per quanto anche io sia nelle stesse condizioni di Alice, il suo atteggiamento ha un che di sospetto però. Mi ritrovo ad aggrottare la fronte quando un pensiero si fa strada in me, come se per tutto questo tempo avessi avuto davanti agli occhi la risposta e me ne rendessi conto solo adesso. Se non sapessi che è in pena per il fratello penserei che sia…Oddio! Raddrizzo di colpo la schiena e mi alzo per andarle dietro.

Per tutti i Santi del paradiso, è incinta?

La trovo nella tromba delle scale che conducono al piano di sopra. Si asciuga le lacrime quando le siedo accanto e le metto un braccio intorno alle spalle per consolarla. Non stavamo così vicine davvero da molto tempo, da quando la separazione da Edward è diventata effettiva, cioè tre anni fa. Lei mi ha sempre portato rancore per averlo lasciato.

-mi ha appena telefonato Jasper, dice che Sophie dorme tranquilla nel suo lettino. Lui invece è alla quarta tazza di caffè- sbuffa tra le lacrime – io penso che tra poco darò i numeri, invece- si stringe le gambe con le braccia e poggia la testa sulle ginocchia prendendo un respiro profondo; probabilmente per respingere un conato di vomito.

-di quanto sei?- le chiedo in un sussurro accarezzandole i capelli. Si volta a guardarmi con gli occhi sbarrati e capisco di aver ragione. Le lacrime tornano ad inondarle gli occhi e prima che abbia il tempo di dire altro mi ritrovo stretta tra le sue braccia.

-oh Bella. Come l’hai capito?- le tremano le mani quando dopo un po’ torna a parlarmi.

-shh calmati, non agitarti. Non ti fa bene-

-si, ma… come l’hai capito?-

-sono stata incinta anche io, ricordi? Sei emotivamente instabile, ogni venti minuti corri in bagno, di tanto in tanto hai bisogno di prendere una boccata d’aria fresca per respingere la nausea e le tue tette sono più grosse-

Sorride alle mie parole e si porta subito le mani al seno. Sono felice di averla seguita, parlare la distrarrà un po’e aiuterà me a non impazzire nell’attesa di sapere qualcosa. 

-sono di dodici settimane- dice tirando su con il naso – non lo sa ancora nessuno, a parte Jasper naturalmente-

-quindi, quando l’altra sera a casa dei tuoi…-

-si, lo sapevo, ma non ho detto niente. Non è questo il motivo per cui vogliamo sposarci però- si indica la pancia con un gesto della mano – noi vogliamo sposarci perché ci amiamo. In effetti avremmo voluto che ci sposassimo prima di… beh hai capito no? Ma è successo e non possiamo tiraci indietro- dalla sua voce e dai suoi occhi capisco che questa gravidanza non deve essere del tutto gradita.

La novità del bambino, che di per se è una gioia e non certamente una disgrazia, l’ha messa ancora di più in crisi per il rapporto che Jasper ha con il padre. La sfuriata di quest’ultimo alla cena di una settimana fa le ha fatto capire quanto non sarà felice di venirlo a sapere, anche se i bambini fanno miracoli in questi casi. E adesso c’è l’incidente di Edward, che l’ha annientata del tutto.

Dio, deve essere distrutta penso.

-la prima cosa che devi fare  è smetterla di bere caffè. Non ti fa bene e lo sai. Seconda cosa… beh, stavo per dirti di non agitarti ma vista la situazione non posso pretendere che tu lo faccia-

-no, non posso. Dire che sono terrorizzata è un eufemismo. Sono molto più che terrorizzata, sono a un passo dal perdere la testa. Ancora non ci credo che Edward stia lottando tra la vita e la morte. Prego ogni secondo per vederlo uscire vivo da quella sala operatoria. Il bambino può aspettare, io posso aspettare, mio padre e le sue assurde convinzioni possono aspettare. Adesso voglio solo che mio fratello torni da me, chiedo solo questo… solo questo- torna a piangere sulla mia spalla con me ad imitarla. Ci aggrappiamo l’una all’altra, come se io fossi la sua roccia e lei la mia. Abbiamo bisogno di attaccarci a qualsiasi cosa, fisica o spirituale, per andare avanti, per non impazzire dall’ansia e dalla paura.

-okay, torniamo di la- tiro su con il naso mentre mi pulisco gli occhi con la manca del maglione- non ti fa bene stare seduta su queste mattonelle fredde.

-ti prego Bella non dire niente a nessuno- mi stringe forte la mano come ad imprimere maggiore urgenza alle sue parole- promettimelo-

-si, te lo prometto Alice, non dirò niente. Ma tu dovrai dirlo ai tuoi genitori prima o poi. Almeno prima che la “questione” diventi evidente- fragile e magra per com’è non dovrà aspettare molto penso.

-lo so. Me ne occuperò presto, ma non adesso. Non con Edward in queste condizioni. Adesso è lui ad avere la priorità assoluta. Solo lui, lui e nessun altro-

Ore 04.00

Poggio la fronte contro il metallo freddo della macchinetta mentre aspetto che il caffè venga fuori. Sono distrutta, ho il cuore in frantumi e non so come farò a ricucirne i pezzi. Forse solo Edward sarà in grado di farlo ed espiare così le mie colpe.

Sbuffo strizzando gli occhi. Ma chi voglio prendere in giro? Mi domando. Sono io la sola e unica responsabile delle mie scelte e dei miei errori. Ho sempre avuto la cattiva abitudine di attribuire tali colpe a Edward quando in realtà lui non è mai stato responsabile di nulla.

È successo nel periodo di crisi che ci ha portato al divorzio, quando io lo accusavo ingiustamente di avermi abbandonato, mentre ero io che l’allontanavo senza un reale motivo, forse anche solo per capriccio. L’ho fatto l’altro giorno, quando Tania mi ha raccontato quel mucchio di balle e non ho lasciato che Edward mi spiegasse la sua versione dei fatti. L’ho fatto ieri sera, quando me ne sono andata via con Jacob invece di seguirlo e adesso si trova in un letto d’ospedale per colpa mia, a lottare tra la vita e la morte solo perché io non ho ascoltato il mio cuore. 

Da quando il Detective Cameron è venuto poco fa a comunicarci le novità sul suo incidente mi sento come se mi fosse crollato il mondo addosso.

Una completa e totale nullità.

E tutto per colpa del mio stupido orgoglio.

Finirà mai quest’ondata di disprezzo che sento nei confronti di me stessa? mi chiedo.

-Edward, ti prego perdonami. Ti prego…è tutta colpa mia- sussurro mentre una lacrima solitaria scende sulla mia guancia lasciando dietro di se una scia incandescente.

-non essere così dura con te stessa- la voce di Rosalie che mi arriva alle spalle mi fa letteralmente saltare in aria dalla paura.

-scusa, non volevo spaventarti-

-no, tranquilla. Non… non mi hai spaventata- ho il fiatone e automaticamente porto una mano sul cuore per mettere a tacere la sua folle corsa.

Sorride del mio gesto, in netto contrasto con le mie parole. Mi fermo a fissarla imbambolata colpita dalla sua bellezza.

-lo prendi quel caffè?-

-mmh?-

-il caffè, lo prendi?-

-oh, si certo- ricordo all’improvviso il motivo per il quale mi trovo in mezzo al corridoio e mi giro a recuperare il mio bicchiere.

Rosalie viene a sedersi accanto a me quando mi accomodo sulla panca più vicina.

-ti ho sentita prima sai?-

-quando?- pur essendo due perfette sconosciute mi sento a mio agio a parlare con lei. Forse mi condiziona il fatto di sapere che Edward si fida di lei a tal punto da  considerarla sua confidente.

-chiedevi perdono a Edward. Non devi prenderti colpe che non hai Bella-

-è tutta colpa mia invece. Se solo mi fossi decisa a tornare da lui…-

-tutto quello che è successo sarebbe accaduto ugualmente, e magari invece di preoccuparci per una sola persona a quest’ora staremo a piangere anche per te-

“una bomba, signora. È stata questa la causa dell’esplosione che ha generato l’incendio in cui è rimasto coinvolto il signor Cullen. È stato un atto doloso. Hanno cercato di ucciderlo” le parole del Detective Cameron mi risuonano ancora nelle orecchie.

-il Detective ha detto che era una bomba a detonazione controllata, questo vuol dire che chi l’ha fatta esplodere ha aspettato che Edward tornasse a casa prima di azionare il comando a distanza. Se io fossi stata con lui forse chi gli voleva del male si sarebbe fermato-

-non possiamo saperlo e poi dubito che chi piazza una bomba per compiere un tale gesto si fermi per compassione nei confronti di una donna-

-si, ma forse sarei stata in grado di salvarlo- dico alzando un po’ la voce- non avrei lasciato che le fiamme gli ustionassero la gamba destra prima dell’arrivo dei soccorsi. Magari avrei potuto anche fermare la trave che gli è caduta addosso provocandogli l’emorragia- mi scaccio con rabbia le lacrime che hanno preso a scendere silenziose sul mio viso - Io… io non lo so. So solo che mi sento così in colpa per averlo lasciato solo! Lui non doveva essere solo, sarei dovuta esserci anche io, capisci? Sarei dovuta andare via con lui o avrei potuto portarlo a casa mia! Avrei potuto fare un sacco di altre cose e invece me ne sono andata. Io…come faccio a dire a Sophie che ha perso il suo papà se Edward non dovesse farcela? Dovrei esserci io al posto suo adesso…lui non può morire. Non può lasciarmi!- le lacrime scendono incontrollate mentre dei forti singhiozzi mi scuotono le spalle. Il pensiero di Sophie che fino a quel momento è rimasto relegato in un angolino del mio cuore, irrompe prepotentemente togliendomi il fiato. Sento come se il mio petto fosse diventato di ghiaccio; un enorme blocco gelato che mi impedisce anche di respirare. Il dolore arriva a ondate che mi fanno piegare letteralmente in due, nell’innaturale gesto di accoglierlo e abbracciarlo.

-shh, Bella… shh. Non fare così- le braccia di Rosalie mi circondano le spalle ma sento la sua voce incrinata dal pianto. Anche lei sta sfogando tutta la tensione che si porta dentro da ore ormai.

Ci ritroviamo a frignare attaccate l’una al braccio dell’altra, con lei che mi sussurra parole di conforto all’orecchio neanche fossi una bambina. Rosalie è un Ancora di salvezza confortante al quale aggrapparsi nei momenti di bisogno penso, poiché le sue parole hanno un non so che di calmante. Forse sarà per lo sfogo di prima o per la rassicurazione di avere accanto un corpo caldo a cingermi le spalle, mi ritrovo a scivolare tra le braccia di Morfeo senza neanche rendermene conto.

Mi sveglio di soprassalto poco dopo da un sonno agitato e profondo, con ancora la testa poggiata sulla sua spalla.

-oddio, mi dispiace, non volevo crollarti addosso- dico allontanandomi di scatto. La mia voce è impastata dal sonno; forse non ho poi dormito così poco come pensavo.

-che ore sono?-

-sono le 04.30. Hai a malapena chiuso gli occhi per mezzora, forse anche meno-

Mi porto una mano al viso come per cancellare ogni residuo di stanchezza.

-a me sembra di aver dormito per ore invece- il flash del volto di Edward mi provoca dei brividi lungo la schiena e le braccia - ci sono novità?-

-no, nessuna- mi risponde prendendo a massaggiarsi il collo e la spalla dove prima c’era poggiata la mia testa.

-mi dispiace, ti ho fatto male? Non avrei dovuto…-

-oh no, non preoccuparti. Sei crollata così in fretta che mi hai fatto prendere un colpo, ma eri così distrutta dal pianto che è stato il tuo corpo a chiederti di dormire, per trovare un po’ di pace…-

Mi schiarisco la voce, imbambolata e colpita dalla sua sincerità- sì, probabilmente hai ragione-

Mi rivolge un sorriso complice che in realtà ha tanto l’aria di  lo sai che ho ragione, dillo che stai male.

Spinta da questa sua schiettezza nei miei confronti decido che è il momento adatto per farmi avanti e parlare di quello che è successo poche ore fa, d'altronde mi sento come se mi avessero messa in castigo per aver parlato a sproposito. Ed io odiavo essere messa in castigo da bambina, quando mio padre mi sgridava solo per aver detto quello che pensavo. 

- mi dispiace-

-ti ho già detto che è tutto okay, non preoccuparti-

-no, mi riferisco a “prima”. Quando ti ho accusato ingiustamente di... io… io non volevo, scusami- dico imbarazzata.

-oh, certo che volevi- mi rivolge uno sguardo acuto, ma nel suo volto non c’è traccia di risentimento. Anzi, appare divertita semmai.

-si, è vero. Ti ho vista qui e non c’ho capito più niente- mi ritrovo ad ammettere spinta dal suo sguardo insistente -mi dispiace di averti attaccata però, se ti avessi lasciata spiegare avrei evitato di fare quella figuraccia-

-io invece sono felice-

-di cosa? Della mia figuraccia?-

-io non la chiamerei figuraccia. Mi sei sembrata piuttosto una leonessa, pronta ad attaccare per difendere il suo territorio. Hai dimostrato quanto tieni a Edward e questo non può che rendermi felice-

-ohh…- le mie labbra si aprono a formare una O perfetta senza riuscire ad aggiungere altro.

Rosalie appare divertita dalla mia espressione e per amore di decenza si mette una mano sul viso per nascondere la sua ilarità.

-Bella, ammettilo. Sei gelosa marcia! Mi avresti azzannato alla giugulare se Alice non si fosse messa di mezzo. Ma davvero pensavi che sarei venuta qui in ospedale, pur sapendo che avrei trovato tutta la famiglia di Edward, se fossi stata la sua compagna?- la sua spontaneità mi coglie ancora una volta impreparata.

-io, beh… è che vi ho visti insieme quella sera… e poi ti ho visto di nuovo qui, e…- mi ritrovo a balbettare peggio di un balbuziente tanto è forte l’imbarazzo che sento.

-ti ho già detto che Edward e io siamo solo amici, non devi temere nulla-

- lo so-

-sì, beh… e già che ci siamo posso dirti tranquillamente che non devi temere nessun’altra-

-sei sicura? Non voglio ritrovarmi ad affrontare nuovamente questo discorso-

-si, ne sono sicura. Perché in realtà non c’è nessun’altra, non c’è mai stata nessun’altra nella vita di Edward-

-cosa?-

Ed è così che vengo a sapere la verità. Rosalie mi racconta tutto. Della sera in cui sono usciti e del fatto che Edward non ha accettato la sua proposta di andare a casa sua. Di lei che sollevata, ha capito subito che sarebbero diventati ottimi amici. La storia di Edward e del fatto che non è mai andato a letto con nessun’altra donna dopo avermi tradito.

-ma io l’ho visto uscire spesso con altre donne. Come…?-

-non ci è mai andato a letto però. In realtà non le ha mai sfiorate con un dito. Ci usciva solo per darsi un tono, per apparire uomo agli occhi degli altri e anche per sentirsi meno solo. Ma credimi, non è mai andato oltre-

Sono allibita. No, io… io sono sconcertata. Sono senza parole. 

-ma perché? Perché?-

-ah no! Io mi fermo qui. Non aggiungerò altro, sarà lui a raccontarti ogni cosa quando si sveglierà. Anche se…-

-anche se?-

-beh non ci vuole un genio per capire il reale motivo per cui l’ha fatto-

Mi perdo nei miei pensieri mentre provo a scacciare indietro l’unica, inevitabile e possibile realtà che mi si presenta davanti agli occhi, che si ripete nelle mie orecchie da quando Rosalie ha cominciato a parlare.

Per me. Lo ha fatto per me. il mio cuore ricomincia la sua folle corsa balzandomi letteralmente in gola mentre per la prima volta da tre ore ormai sul mio viso compare un sorriso sincero.

-su adesso, andiamo di là. Qui si congela- la voce di Rosalie mi arriva alle orecchie come un suono lontano: è come se mi trovassi su una nuvoletta a galleggiare beatamente sulla sua soffice sommità, confortata dalle sue parole.

Edward resisti ti prego. Oh, amore mio ho bisogno di parlarti, di sapere quello che c‘è tra di noi. Quello che c’è sempre stato e che nonostante le avversità continua ancora a legarci. Penso queste parole in religioso silenzio mentre in realtà vorrei urlarle a squarciagola.

Rosalie mi tende la mano ed io l’afferro molto volentieri, forse è ancora presto per dirlo ma… penso che diventeremo ottime amiche.

Percorriamo il corridoio vicinissime stringendoci entrambe le braccia intorno al busto.

-penso proprio che nevicherà, la temperatura è calata di brutto- dice appoggiandomi una mano sulla spalla.

-si, credo tu abbia ragione. Sophie ne sarà felicissima-

Sorrido al pensiero della mia bambina ma il sorriso mi si congela sulle labbra quando entrando in sala d’attesa devo il Dottor Abernathy parlare con il resto della famiglia Cullen.

Improvvisamente sembra che il calore del mio corpo sia scivolato via e mi faccio prendere dal panico. Indietreggio invece di andare avanti, e la verità è che non voglio avvicinarmi, non voglio saper quello che ha da dirmi. Non voglio che mi dica che Edward non c’è l’ha fatta. Non voglio sentirlo.

Mi porto le mani a coprire le orecchie mentre sento le forze venirmi meno. Tutt’intorno a me sembra essersi formata una bolla che mi rende sorda ad ogni altro rumore.

Vedo Alice scoppiare a piangere e Esme affondare la faccia nel petto del marito mentre lui la stringe forte; due cose che mi fanno perdere quel briciolo di speranza che mi era rimasto.         

La paura mi atterrisce mentre rimbomba attraverso il mio petto bloccandomi il respiro e, quasi, il cuore. Il dolore forma una fascia gelida intorno al mio torace, e cado sulle ginocchia vacillando, impotente.

Avverto la mano di Rosalie cercare di sostenermi ma è il buio ad avere la meglio.

Ho solo il tempo di accorgermi che le parole di Alice –Edward sta bene, è vivo- non combaciano con l’idea che mi sono fatta entrando in sala, che la mia vista si oscura e cado inerme, sbattendo la faccia sul pavimento gelido.  

 

 

Mmhphh immagino la vostra faccia in questo momento…

E’ qualcosa tipo questa O_o?

A voi i commenti! Grazie mille come sempre per l’affetto che mi dimostrate nelle splendide recensioni che mi lasciate.

Alla prossimaaaa,

baciiii!  

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Capitolo 9
*** Cap. 9 ***


CAP 9
                                 

Eccomi qui, gente! Scusate il ritardo di queste settimane ma è stato un periodaccio ed emotivamente mi sentivo troppo giù per scrivere. Anyway, il capitolo è pronto e vi lascio alla lettura.

Baci!


Capitolo 9
La condizione più straziante per l'animo umano non è il dolore, è il dubbio.

-Paul Mehis.

Spalanco gli occhi all’improvviso. La mia bocca produce un suono strozzato, come quello che fai quando torni in superficie dopo essere rimasta per troppo tempo sott’acqua. Mi guardo intorno ma non vedo nessuno, c’è solo la luce del neon ad accecarmi gli occhi. Li richiudo di scatto sentendoli lacrimare e torno a respirare normalmente. Mi gira un po’ la testa e sembra che la stanza ruoti tutt’intorno al mio lettino. Lettino! Si, sono sdraiata. Per una frazione di secondo mi domando come diavolo ci sia arrivata quassù, poi mi ricordo tutto quanto.
Un rumore alla porta mi fa sussultare; qualcuno entra ma io rimango immobile.
-Finalmente ti sei svegliata o mia Bella Addormentata- Jen?
-Avanti, alzati! Vecchia poltrona che non sei altro- si, è Jen.
-Senti chi parla- gracchio a mezza voce- quella che “non rompetemi le scatole quando ho la giornata libera, voglio rimanermene a casa a dormire”- le faccio il verso alzandomi sui gomiti; mi gira la testa ma cerco di non pensarci –cosa ci fai qui?-
-Che vuol dire cosa ci faccio qui? Sono venuta per Edward naturalmente. E anche per te-
-Come l’hai scoperto? Ti ha avvisato qualcuno?-
-I telegiornali non fanno altro che parlare di questo- dice sedendosi sulla sedia di fronte al letto.
I telegiornali? Di già? Pensavo fosse notte fonda ma vengo subito smentita dalla luce che vedo entrare dalla finestra alle sue spalle.  
-Oddio, Jen che ore sono?-
-Le 8:30, perché?-
Cazzo sussurro tra i denti alzandomi dal lettino mentre la mia mente viaggia alla velocità della luce – ho dormito per quattro ore. Quattro ore!- dico facendo un rapido calcolo.
-Si, e allora?-
-Come è allora? Devo andare immediatamente da Edward, non capisci?-
Faccio per scendere ma una sua mano mi blocca prima che riesca a mettere il piede per terra.
-Rilassati Bella. Edward è in terapia intensiva. Gli hanno indotto il coma farmacologico e non si sveglierà ancora per un bel po’- a queste parole è automatico che io senta una punta di tristezza. Ancora per un bel po’… quanto esattamente? Quanto dovrò aspettare prima che possa rivederlo? Prima che possa rivedere i suoi bellissimi occhi verdi posarsi di nuovo su di me?
Mi porto le mani a coprire il viso e lascio andare i pensieri in un respiro profondo.
-Ehi, va tutto bene. I medici dicono che l’intervento è perfettamente riuscito. Per fortuna l’emorragia si è arrestata. E cosa più importante dicono che non ha lesionato il tessuto celebrale o come si chiama…- grazie a Dio.
-Già- ho il volto ancora coperto dalle mani ma quando Jen fa forza per abbassarmele scoppio in un pianto liberatorio.
-Ehi, Bella sta bene, va tutto bene. Perché piangi ora?- si siede accanto a me stringendomi un braccio intorno alle spalle.
-Piango perché… sono sollevata. Sono felice e sollevata-
-Mi dispiace non esserci stata ma ho visto la notizia solo un ora fa. Certo che potevi anche chiamarmi però. Dev’essere stato difficile stanotte-
-Difficile? È stato terrificante. È stato tremendo, orribile. Ho pianto tutte le lacrime che avevo in corpo. Penso di aver passato le tre ore più brutte della mia vita. Forse solo le ore trascorse in pena per mia madre dopo l’attentato alle Torri le superano per intensità e dolore. E poi quando il Dottore  è venuto a comunicarci che finalmente l’intervento era finito… cosa faccio io? Cado a terra priva di sensi e dormo per quattro ore di fila senza neanche rendermene conto. Sono pessima, sono…-
-Sei umana- la sua voce mi interrompe bruscamente- eri stanca e il tuo corpo non ha retto. Ognuno reagisce in maniera diversa; tu sei collassata a terra, tanto che ti hanno trasportato d’urgenza in questa stanza e ti hanno sottoposto ai controlli del caso-
-Non serviva, io sto bene- dico inflessibile asciugandomi con rabbia le lacrime dal viso. Mi sento una stupida; come se mi fossi persa quattro ore della mia vita. O meglio… quattro ore della vita di Edward. Il fastidio maggiore è dato dal pensiero di non essere stata presente quando i medici hanno comunicato al resto della famiglia le sue condizioni di salute. È come se mi fossi persa un altro momento importante della sua vita.
-Non ho fatto domande e non ho intenzione di farlo nemmeno adesso ma…-comincia sospirando- se non ti chiedo cos’è successo quando sei andata via con quel damerino ieri sera, penso di impazzire!-
La guardo stralunata considerando l’assurdità della sua domanda, ma poi capisco che in verità Jen non sa nulla di quello che è successo ieri sera, ne della decisione che ho preso.
-Tu… tu cosa credi che sia successo?-
-Ho mille teorie in testa a dire la verità. Una di queste comprende te che te ne vai dal mio ristorante quasi in lacrime, Jacob che ti porta a casa e ti consola come si deve sotto le coperte-
Il mio sguardo deve risultarle scioccato, in effetti ho male agli occhi tanto sono fuori dalle orbite, perché fa spallucce e aggiunge- che c’è? Non guardarmi così. Sono nella posizione di pensarlo e come me penso l’abbia fatto anche Edward, anzi ne sono più che sicura-   
La fisso senza dire nulla, incapace di dare un senso alle sue parole. Le metto insieme a formare una frase, che leggo su una tavola nella mia mente. E alla fine capisco.
Edward crede che sia andata a letto con Jacob. Edward è andato a casa con la consapevolezza che io abbia scelto un altro ed è convinto che non lo voglia più. Sento una scarica di brividi e una fitta al petto tanto è il senso di colpa che mi attanaglia lo stomaco.
-Bella? Non hai da dirmi niente a parte guardarmi come un pesce lesso tutto il tempo?-
-Jen… Edward pensa che io sia andata a letto con Jacob?- con un salto balzo giù dal letto.
-Sì, suppongo di sì- torna a fare spallucce – l’ho pensato io, perché non dovrebbe averlo pensato anche Edward? Dopotutto hai rifiutato ancora una volta il suo perdono-
-Io non ho rifiutato il suo perdono!- dico sprezzante portandomi le mani tra i capelli, anche se capisco che ad un occhio esterno possa essere sembrato così.
-E allora cos’è che hai fatto esattamente?- incrocia le mani al petto e mi guarda saccente. Assottiglia gli occhi e mi sfida a rispondere.
-Io… io sono stata costretta ad andare via. Ho provato troppa paura…-
-Paura di cosa?- m'incalza, dando sfoggio del suo carattere fermo e deciso. Ho la sensazione di essere sotto interrogatorio. Per un secondo ho il tempo di logorarmi della mia debolezza e di inveire contro me stessa per non essere come lei.
-Jen, tu non capisci. Lui mi ha detto che mi ama ed io sono stata ad un passo dal cadergli addosso. Non ho capito più niente, ho avuto una specie di crisi di panico- le confido mestamente, confermando il mio pensiero precedente- l’unica cosa che volevo era andarmene da li. Ero insicura su un sacco di cose, su quello che mi aveva detto riguardo a Tania, sul suo ti amo, sulla reazione giusta da avere. Credimi, avrei voluto buttargli le braccia al collo e ricambiare le sue parole ma non ce l’ho fatta. Ancora una volta ho deciso di comportarmi razionalmente. Tu lo sai che sono fatta così. Sono una stupida bambola a cui serve del tempo per riflettere- m’interrompo un attimo per riprendere fiato mentre guardo Jen, adesso provata quanto me nel sentire queste parole- e ho riflettuto. L’ho fatto nel tragitto dal tuo ristorante a casa mia. L’ho fatto quando ho salutato Jacob e sono salita in fretta nel mio appartamento. L’ho fatto sotto la doccia e quando mi sono messa a letto-
-Aspetta! Quindi non hai fatto sesso con Jacob?- mi guarda speranzosa e vorrei davvero sferrarle un ceffone solo per il fatto che abbia creduto possibile un’eventualità del genere.
-No! non sono andata a letto con lui. Smettila di ripeterlo. Come avrei potuto se le uniche cose a cui pensavo erano il volto di Edward e le sue parole? Io… io volevo incontrarlo oggi per chiarire ogni cosa, per parlare dei miei e dei suoi sentimenti… ma sono stata svegliata all’una di notte da una donna che mi diceva di correre in ospedale perché mio marito era rimasto coinvolto in un grave incidente- la mia voce trema al ricordo delle lacrime che ho versato.
-Bella, non dirmi che…che finalmente ti sei decisa-
-Sì - abbasso lo sguardo sulle mie mani che sto torturando da cinque minuti buoni- in realtà non c’è mai stato nulla da decidere, l’ho sempre  saputo. Semplicemente non ho mai trovato il coraggio di dirlo ad alta voce. Io lo amo- dico solennemente- l’ho sempre amato e sempre l’amerò. Anche in questi anni in cui non volevo fare altro che staccargli la testa dal collo, io ho continuato ad amarlo- mi tremano un po’ le gambe a confessare così apertamente i miei sentimenti, ma è necessario che lo faccia.
Le braccia di Jen mi circondano all’improvviso e in men che non si dica mi ritrovo stretta al suo petto e con le lacrime agli occhi.
-Diamine lo sapevo! Lo sapevo che prima o poi ti saresti decisa ad ammetterlo. Oh Bella, come sono felice…-
Tiro su con il naso regalandole un sorriso – lo so che tu sapevi, hai sempre cercato di farmelo capire ma io non ti ho mai ascoltata. Il mio orgoglio di donna ferita è sempre stato più forte di tutto il resto-
- Adesso però hai capito che lui è più importante dell’orgoglio e dei dolori del passato - dice accarezzandomi una guancia- Ci vuole del coraggio per dimenticare un tradimento, ma ce ne vuole molto di più per decidere di dimenticare la persona che ami più della tua stessa vita-
- Io non l’ho mai dimenticato, non ci sono mai riuscita. Lo pensavo giorno e notte, continuamente. L’unica soluzione possibile è sempre stata una sola. Allora mi sono detta… perché dobbiamo stare divisi se ci amiamo così tanto? Se nemmeno la ferita di un tradimento ha diminuito l’amore che provo nei suoi confronti, perché devo permettere all’orgoglio di tenermi lontana da lui?-
- E adesso hai messo l’orgoglio da parte finalmente?-
-Sì. Quando ti importa davvero di qualcuno, i suoi errori non cambieranno mai i tuoi sentimenti perché è la mente che si arrabbia, ma al cuore continua ad importargliene-
-Perciò hai obbligato la tua mente a smettere di pensare- mi rivolge un sorriso obliquo e furbo mentre vedo un guizzo di malizia saltarle agli occhi- in effetti mi domandavo quale fosse il motivo che ti aveva spinta ad uscire con Jacob, adesso mi è tutto chiaro- dice scoppiando a ridere alleggerendo l’atmosfera. Torno a sedermi sul letto sbuffando della sua battuta ma non posso negare che la scelta di uscire con lui sia stata una decisone del tutto illogica, soprattutto se teniamo conto di quello che le ho appena confessato.
-Sei veramente molto spiritosa, non c’è che dire-
-Lo sai che prenderti in giro è il mio passatempo preferito- mi si piazza davanti con sguardo minaccioso, tanto che i suoi occhi da gatta si assottigliano ancora di più- ma è vero che mi sono chiesta quale fosse il motivo che ti aveva spinta ad agire in questo modo. Insomma ero certa dei tuoi sentimenti ancora prima che te ne accorgessi tu stessa. Vederti uscire con un altro uomo me ne ha fatto dubitare-
Sospiro grattandomi il naso - ho commesso un errore ad uscire con Jacob ieri sera, lo so. Ma quando qualcuno ci ferisce, anche noi vogliamo ferirlo. Volevo ferire Edward per quello che credevo avesse fatto, sai… la storia di Tania e tutto il resto. Ma non volevo che venisse a saperlo. Volevo dimostrare qualcosa a me stessa e questo nella mia testa bastava come punizione. Dimostrare per una sera che anche io potevo avere una nuova vita se solo mi fossi decisa a mettere da parte quello che provo nei suoi confronti. Ma per quanto buone fossero le mie intenzioni è arrivato lui ed ha scombussolato tutto- adesso è il mio turno di guardarla minacciosamente – se solo ti fossi fatta un bel pacco di affaracci tuoi tutto quello che è successo ieri sera non sarebbe mai accaduto, “Jenny dalla bocca larga”- l’apostrofo con quel nomignolo che le ho affibbiato sin dal primo giorno che ci siamo conosciute, e che in questi anni non ha mai fatto nulla per scrollarsi di dosso o dimostrarmi il contrario.   
Aguzza gli occhi inarcando le sopracciglia- adesso vuoi dare la colpa a me del giochino stupido che ti sei inventata? Se non l’avessi chiamato per chiedergli di venire, tu non ti saresti mai decisa ad andare da lui. O devo ricordarti quello che mi hai detto ieri mattina? Non volevi nemmeno chiamarlo per chiedergli informazioni riguardo lo scandalo che ha coinvolto la sua azienda. Vi sareste mai parlati se non fosse stato per me? Te lo dico io, no! Non l’avreste mai fatto perché tu saresti finita a fare sesso chissà dove, pendendotene subito dopo, e lui sarebbe rimasto a casa a piangere, per poi finire mezzo arrostito e con la testa quasi fracassata in ospedale-
Mi vengono i brividi alle parole “mezzo arrostito” e “testa quasi fracassata”, tanto che porto le mani a stringermi il busto per trovare un po’ di calore. Non posso negare che abbia ragione però. Tranne per il fatto di immaginarmi a fare sesso chissà dove, tutto quello che ha detto è vero. Se  non ci fossimo incontrati la sera prima, ci saremmo ritrovati in ospedale senza sapere nemmeno come comportarci. E a quel punto cos’avremmo fatto?
Dondolo la testa, ponderando per bene se sia saggio darle ragione, facendole montare ancora di più la capoccia che si ritrova. Ma adesso, più che in ogni altra occasione, se lo merita davvero.
-Okay, hai vinto tu- dico alzando le mani in segno di resa- hai ragione. Ma devo dissentire sulla questione del sesso. Non ho mai avuto alcuna intenzione di andare oltre con Jacob-
-Su- sbuffa gongolando dichiarando chiuso il discorso- adesso prendi un po’ di caffè e vieni di la con me. Gli altri ci aspettano- afferra un bicchiere dal comodino accanto al letto (della cui presenza non mi ero minimamente accorta), e me lo porge con una faccia mortificata.
-Che c’è?-
-E’ freddo-
-Non ti preoccupare, ne prederò un altro-
Butta il bicchiere nella spazzatura e mi segue fuori dalla camera. Noto subito che il corridoio è un po’ più affollato questa mattina, non che mi faccia piacere certo. Siamo nel reparto di terapia intensiva e non augurerei a nessuno di stare in questo posto.
Il suono del cellulare di Jen che inizia a strillare impazzito mi fa girare nella sua direzione. Primo, perché dovrebbe tenere la suoneria bassa, siamo in un ospedale e in questo reparto il minimo rumore è severamente vietato. Secondo, perché la sento sbuffare e imprecare tra i denti.
-Chi è?-
-Mmh, tuo padre. Mi sono dimenticata di dirti che ha già telefonato due volte quando eri incosciente, scusa- dice colpevole.
-Davvero?- la guardo a bocca aperta. Non dovrei stupirmi della sua chiamata, dopotutto è un gesto normale per un padre chiamare la propria figlia, soprattutto se è venuto a conoscenza di quello che è successo, no? Ma lui e la normalità non vanno a braccetto da un po’ di tempo ormai.
-Si, davvero- sbuffa della mia faccia stupita e mi passa il cellulare.
-Pronto papà?-
-Bella. Dio, Bella stai bene?- è molto agitato.
-Papà io sto bene, calmati-
-Ho provato a chiamare sul tuo cellulare ma non rispondevi, perciò ho chiamato Jen. Mi ha detto che hai avuto un malore e che stavi dormendo. Ho saputo quello che è successo bambina mia. Mi sono preoccupato da morire- ho le lacrime agli occhi e il cuore in gola; è il discorso più lungo che gli sento fare da anni -e Edward? Come sta?- riprende senza fermarsi un attimo.
-Edward se la caverà per fortuna- Charlie vuole molto bene a Edward. Era l’unico che riusciva a strappargli un sorriso quando eravamo ancora sposati e andavamo a trovarlo nel Queens prima che arrivasse Sophie, perciò capisco la sua preoccupazione. Ma ciò non toglie che il suo atteggiamento mi scombussoli un pochino. Da quanto tempo è che non lo sento? Dal giorno in cui ha telefonato per avere informazioni sulla faccenda dei soldi rubati da Mike. Non così tanto dopotutto, un tempo così breve che mi fa cogliere la differenza tra questa telefonata e quella. Adesso lo sento quasi normale, i monosillabi con i quali si esprimeva a momenti sembrano un brutto ricordo. Che sia successo qualcosa?
-Papà, tu stai bene?-  gli chiedo a questo punto preoccupata per lui.
-Sì, tesoro. Sto bene- ed è la verità, lo sento diverso e questa realtà mi risolleva il cuore riempiendolo di gioia- volevo chiederti se avevi bisogno di qualcosa. Vuoi che Sophie stia con me mentre tu sei in ospedale? Non c’è problema, lo sai che può venire qui quando vuole-
Spinta dalla forza dell’abitudine mi ritrovo a valutare per un attimo i pro e i contro della sua offerta, e mi do uno schiaffo mentale quando mi accorgo di quello che sto facendo.
-Mi sembra un ottima idea papà. Solo che adesso è a casa con Jasper no so come…-
-Oh non preoccuparti, ho il suo numero. Lo chiamo e ci mettiamo d’accordo. Tu non pensare a nient’altro, va bene?- il suo entusiasmo mi lascia senza parole ma non posso fare altro che salutarlo e dirgli che ci sentiremo in giornata. Restituisco il cellulare a Jen come se fosse una reliquia preziosa. Continuo a fissarlo fino a che lei non lo infila di nuovo in tasca e riprendiamo a camminare.

Ci fermiamo quando raggiungiamo la sala d’attesa. Esme sta sfogliando una rivista, il corpo appoggiato alla spalla del marito. Quest’ultimo tiene il giornale in mano; sicuramente il New York Times, legge solo quello. Alice sta  digitando qualcosa al cellulare e Rosalie sta per addormentarsi con la testa poggiata alla parete. Appena mi vede però spalanca gli occhi.   
-Bella- esclama facendo girare tutti nella mia direzione e in un batter d’occhio vengo sommersa da una raffica di domande.
-Oh, cara eravamo così preoccupati. Stai bene adesso?- Esme.
-Sì, sto bene adesso. Grazie-
-Figliola non vedevo qualcuno prendere un colpo così forte da quando Jadeveon Clowney, mandò al tappeto Vincent Smith. Sei sicura di non esserti fatta male?- il pragmatismo di Carlisle mi fa spuntare il sorriso sulle labbra.
-Penso che se avessi preso la botta che ha preso Smith a quest’ora starei in obitorio-
-Mmhh, sono contento che tu sia ancora in mezzo a noi allora- dice facendomi ridere.
Alice mi abbraccia forte e mi invita a sedermi sulla sedia accanto a lei – ci hai fatto prendere uno spavento, davvero-
-Mi dispiace di avervi fatto preoccupare. Io… io non so cosa mi sia preso. Svenire il quel modo poi-  
-Su adesso non pensarci. È meglio se metti qualcosa nello stomaco piuttosto-  si intromette Rosalie e solo in questo momento mi accorgo di avere una fame da lupi. Non mangio da ieri a pranzo, se consideriamo il fatto che ho rigettato la cena di ieri sera nel water dell’ospedale. Il mio stomaco comincia a brontolare pregustando il momento in cui metterò qualcosa sotto i denti.
-Ci penso io Bella- Jen si alza e afferra il giubbotto – vado alla caffetteria qui di fronte e ti porto la colazione- chiede anche agli altri se desiderano qualcosa ma declinano cortesemente la sua offerta.
-Edward? Come sta?- sono troppo impaziente di saperne di più. Mi rivolgono un sorriso caldo e sincero che mi fa smettere di tremare all’istante per l’ansia e la preoccupazione.
-Sta bene. Il dottor Abernathy dice che è riuscito ad arrestare l’emorragia senza nessun danno al tessuto celebrale. Ovviamente fugheremo ogni dubbio quando si sarà svegliato. Ha la gamba destra ingessata, dal ginocchio in giù, e la sinistra un po’ scottata, per fortuna non è nulla di grave; mancava solo che si ustionasse. Dovrà rimanere sotto osservazione per un po’, dopotutto non è uno scherzo quello che gli è capitato-
-No, certo che no- rispondo – ma… quando si sveglierà? Lo hanno detto?- non posso evitare di fare questa domanda. Sono impaziente come un drogato in crisi d’astinenza. Ho bisogno di vederlo. Mi manca l’aria tanta è la voglia di trovarmi nella stessa stanza con lui.
-Non lo sappiamo ancora. Il dottore ha detto che verrà ad avvisarci quando smetteranno di sedarlo-
Sospiro chiudendo gli occhi e lascio andare uno striminzito –okay-

Faccio colazione con quello che mi porta Jen e nel frattempo cerco di convincere gli altri ad andare a casa. Con le quattro ore di sonno che mi sono fatta in seguito allo svenimento mi sento un leone, penso di riuscire ad affrontare l’intera giornata con tranquillità. Ma non vogliono sentire ragioni: rimarranno finché Edward non si sarà svegliato. Passiamo circa mezz’ora a parlare dell’argomento ma capisco che non l’avrò mai vinta contro la loro testardaggine. All’improvviso ci ritroviamo a sobbalzare dallo spavento quando sentiamo un vocione urlare nella stanza.
-Diamine! Non ditemi che sono arrivato troppo tardi. Quel bastardo se ne è andato senza salutarmi?- non ho dubbi che si tratti di Emmett, il linguaggio colorito è un suo tratto distintivo purtroppo e anche il suo vocione, lo riconoscerei tra mille. Infatti compare subito dietro la vetrata d’ingresso.
Viene verso di noi, impeccabile nel suo vestito grigio elegante, con tanto di cravatta e cappotto pesante sotto braccio. Il suo abbigliamento sembra urlare “manager d’azienda” da tutti gli strati costosissimi di lino d’Irlanda che compongono il suo vestito di alta sartoria.
-Carlisle, Esme, Bella- ci saluta telegraficamente prima di sedersi su una delle sedie- e… ci conosciamo?- dice con un sorriso sornione da “acchiappo” rivolto a Rosalie che lo guarda sbigottita ed io mi ritrovo ad alzare gli occhi al cielo. Emmett è… Emmett: coglione, burlone, Don Giovanni, amico dal cuore d’oro e... sì devo ammetterlo…figo da paura, già. Con il suo metro e novantasei d’altezza e i suoi occhi azzurri come il cielo più limpido riesce a stendere chiunque. Anche Rosalie non sembra per niente immune al suo fascino e al suo fisico “selvaggio” da lottatore di Wrestling . Quest’ultima si riprende dopo qualche secondo dal suo stato di adorazione e inarca le sopracciglia prima di rispondergli – non ho avuto questa sfortuna- dice calcando la lingua sulla esse.
-Ah-ah simpatica la ragazza- il sorriso di lui arriva fino alle orecchie –allora, ditemi cosa diavolo è successo- riprende serio rivolgendosi a noi.
Gli raccontiamo ogni cosa e naturalmente reagisce molto male; d'altronde era del tutto prevedibile.
-Gesù Santo, come accidenti  hanno fatto a mettere una bomba nel suo appartamento? Come?- è furioso così come lo siamo noi. È da stanotte, nonostante il dolore e l’ansia per le sorti di Edward, che continuo a chiedermi chi diavolo sia stato a piazzare quella dannata bomba.
-Emmett non lo sappiamo, confidiamo nella polizia- gli risponde Esme preoccupata.
Faccio per intervenire anche io nella discussione ma vengo interrotta da Carlisle che approfitta della situazione per urlare contro quello che hanno scritto alcuni giornali.
-Infangano la reputazione di mio figlio come se stessero parlando di un accattone. Sanno chi sono io, e che diamine! Lo accusano di aver mandato in fallimento l’azienda per aver fatto degli investimenti sbagliati, e di aver dilapidato gran parte del suo Fondo Fiduciario!- sbraita tendendo al massimo la mascella.
-Carlisle calmati, non vorrai farti venire di nuovo un infarto- lo rimprovera Emmett poggiandosi alla spalliera della sedia, assumendo una postura rigida.
-Ah al diavolo, non mi interessa il mio stupido cuore. Io voglio tutelare la dignità di mio figlio. Non posso permettere che… a si aspetta, guarda qua- si interrompe giusto il tempo di passare un giornale al suo interlocutore - sostengono che abbia un conto alle isole Cayman o qualcosa del genere, comunque in uno di quei paradisi fiscali… roba da non crederci. Emmett, voglio che tu faccia tutto il possibile per mettere a tacere queste voci. Chiama i nostri avvocati, chiama chi vuoi ma fa qualcosa. Sappiamo tutti che non è vero-
-Che mi venga un colpo!- sbotto risentita- Edward proprietario di una mega villa alle isole Cayman? Basta guardare il suo appartamento o quel che ne rimane per capire che quella non è la sua vita. Edward è la persona più attenta, responsabile e oculata che conosca-
-Non preoccuparti- si intromette Emmett- non permetterò che qualche giornalista del cazzo insudici così il lavoro di tutta una vita-
-Edward non c’entra niente con quello che è successo in azienda- la voce di Rosalie fredda e spietata ci fa congelare tutti all’istante- lui non si era accorto di niente, è tutta colpa mia-
-Rosalie… ma che stai dicendo? No…- scuoto la testa.
-Sì, invece. Mike continuava a farmi domande su domande, sapete… riguardo i vari conti dell’azienda eccetera. Edward lo vedeva molto strano ultimamente, ma sono io quella che doveva insospettirsi di più, no? In fondo abitavamo insieme. Ma non ho detto niente. Non mi sono ribellata quando Mike mi pressava affinché gli rispondessi, ne ho detto qualcosa di fronte al suo rientrare tardi la sera o al suo atteggiamento distaccato. Sono stata un stupida-
-No, Rose…- cerco di consolarla come meglio posso poggiandole una mano sulla spalla, proprio come ha fatto lei stanotte con me. Ma non posso impedire a qualche lacrima di bagnarle il volto.
-Non prenderti colpe che non hai dolcezza. Quel farabutto del tuo fidanzato ha fatto tutto da solo. Non sei stata di certo tu a trasferire tutti quei soldi su conti non tracciabili all’estero. Voleva fuggire e l’avrebbe fatto lo stesso, con o senza il tuo aiuto- le parole di Emmett sembrano scaldarle un po’ il cuore, infatti Rose gli regala un sorriso sincero di gratitudine.
      
**********

-Jen, ne sei sicura?-
-Sì, tranquilla. Non casca il mondo se per un giorno non vado a lavoro-
Sto parlando con Jen del ristorante; nemmeno lei vuole andare via, dice di poter affidare la gestione a Seth, il suo aiuto cuoco.
-Solo per oggi, però- le intimo con l’indice puntato contro.
-Sì, va bene. Solo per oggi- risponde mandando gli occhi in gloria.
Mi stiracchio sulla sedia che cigola inesorabilmente sotto al mio peso e sobbalzo quando Rosalie mi conficca il gomito nelle costole per attirare la mia attenzione, facendomi urlare internamente di dolore. Con un cenno del capo mi indica di guardare nella direzione di Alice. Quest’ultima tiene lo sguardo basso come impaurita. Ne capisco subito il motivo. Infatti mi giro a guardare dalla parte opposta e vedo Carlisle trafiggerla da parte a parte solo con la forza dello sguardo. Guarda lei, guarda Jasper che ci ha raggiunti meno di mezz’ora fa, poi fissa le loro mani incrociate e sbuffa come un toro imbestialito.
Vorrei girarmi e urlargli di stare calmo, che non è ne il luogo ne il momento adatto per pensare alla loro faida, che si sta comportando come un bambino e che deve mettersi il cuore in pace. Che dopo che si è affrontata una situazione disperata, le cose banali non hanno più importanza. La nostra prospettiva si allarga e impariamo a vivere ad un livello più profondo. Ma non lo faccio. Mi limito a spostare l’attenzione su altro per impedire a Alice e a Jasper di implodere per l’imbarazzo.
- Sophie ha fatto la brava?- chiedo al mio amico che finalmente alza gli occhi per guardarmi.
-Oh sì. Le ho proibito di accendere la tv e ho raccomandato a tuo padre di fare altrettanto. Gli ho anche consegnato tutti i vestiti che avevamo a casa. Sai… non sapevo quando tempo avessi intenzione di trattenerti in ospedale-
-Hai fatto bene- rispondo. Anche se la mia bambina mi manca terribilmente e lo stesso deve essere per lei, so che il mio posto è qui per il momento. Accanto all’uomo che amo. Non mi schioderò da quest’ospedale fino a che non vedrò Edward riaprire gli occhi.
Emmett riprende a parlare con Esme e Carlisle e li invita al distributore per prendere un caffè; forse anche lui si è accorto della tensione che si è venuta a creare da quando Jasper ha messo piede in questa stanza. Non ho il tempo di preoccuparmene più del dovuto che Rosalie mi si piazza all’altezza dell’orecchio destro e comincia a bisbigliare.
-Chi è quello?- mi chiede con un filo di voce rivolgendosi alla montagna umana poco distante da noi. Alla buon ora penso, stavo per diventare vecchia nell’attesa che me lo chiedesse. Beh meglio tardi che mai…
-E’ Emmett McCarty, l’amministratore delegato della Cullen Enterprises. Ha preso il posto di Edward quando è andato via- sibilo anche io –perché?-
-No, niente. Così. Volevo sapere chi era. Non l’ho mai conosciuto e a quanto ho capito è molto amico di Edward-
-Sono praticamente fratelli. Esme e la signora McCarty sono amiche d’infanzia; ha conosciuto suo marito al matrimonio dei genitori di Edward. Quando sono nati i bambini i rapporti sono diventati ancora più stretti tanto che Edward ed Emmett sono cresciuti praticamente insieme-
-Anche Carlisle sembra fidarsi molto di Emmett. Non gli avrebbe dato l’incarico che era del figlio altrimenti-
-Giusta osservazione- mi complimento- sì, Carlisle si fida molto di lui. Quando si sono laureati entrambi hanno fatto pratica nell’azienda dei Cullen e quando Edward se ne è andato c’era solo un altro uomo con la stessa competenza in grado di prendere il suo posto: Emmett- faccio un cenno nella sua direzione e Rosalie sembra quasi in imbarazzo.
-Che c’è?- bisbiglio- non dirmi che ti piace Emmett?- la punzecchio facendola arrossire.
-Beh non sarebbe così impossibile non trovi?- afferma Jen con noncuranza facendo spallucce – è un figo pazzesco- Rosalie diventa ancora più rossa nell’apprendere che qualcun altro sta assistendo alla nostra conversazione.
-Ma no, che dici? Non lo conosco nemmeno. Non essere ridicola- risponde decisa dandosi un tono diverso dalla ragazza imbarazzata di poco prima- e poi il mio fidanzato mi ha mollato nemmeno cinque giorni fa. Non mi interessa nessuno al momento -
-Comunque non ci sarebbe nulla di male – la guardo negli occhi per imprimere maggiore enfasi alle mie parole. Ricominciare è l’unico modo che ha per dimenticare quello che Mike le ha fatto. La vedo dirigere gli occhi verso Emmett e poi alzarli al cielo quando si accorge che la sto fissando. Ci mettiamo a ridere entrambe.
-Quindi il detective Cameron non si è ancora fatto vivo dopo stanotte?- chiede Jasper a Alice ma a rispondergli è Esme che proprio in questo momento torna a sedersi insieme agli altri.
-Ha detto che ci avrebbe tenuti aggiornanti. Speriamo che chiami presto-
-Al momento l’unica priorità è che Edward si svegli e, se le sue condizioni di salute lo permettono, di venire interrogato e raccontare nei particolari quello che è successo- Alice parla quasi per inerzia: è stanchissima. Stare tutta la notte in piedi nelle sue condizioni deve essere stato durissimo. Vorrei dirle di andarsene a casa ma so già che non mi ascolterebbe. Il suo stato balza agli occhi di tutti però, visto che sono gli altri a parlare al posto mio. E il primo a farlo è proprio Carlisle.
-Alice, vattene a casa. Sei stanchissima- quest’ultima sussulta quando lo sente parlare e sbianca di colpo. Forse non crede alle sue orecchie così come io non credo alle mie.
-Mmmh..- tossisce- no, papà preferisco stare qua- e dopo qualche secondo aggiunge-grazie-
-Io lo dico per te. Si vede che non stai bene. Forse stai covando l’influenza. Non è vero Esme? Diglielo anche tu-
-E’ vero tesoro. Sei troppo pallida. Jasper portala a casa per favore- Carlisle non avrebbe di certo voluto tirare in ballo Jasper e infatti lancia un occhiataccia alla moglie che però glissa con un gesto magistrale della testa (frutto di anni e anni di esperienza) il rimprovero del marito.
-Non voglio andare a casa-si infervora Alice.
-Ma Alice…- comincia la madre per poi venire interrotta nuovamente dalla diretta interessata.
-Niente ma, mamma. Voglio aspettare fino a che Edward non si sarà svegliato e non mi diranno che sta bene. Solo questo conta, io posso aspettare- ripete le stesse parole che mi ha detto questa notte e capisco che non c’è nulla da fare, anche se decido ugualmente di fare un ultimo tentativo.
-Tutti voi dovreste andare a riposare, non solo Alice. Ci sono io e c’è Jen qui con me. I medici sicuramente si prenderanno l’intera giornata prima di svegliarlo. Andate a riposare e tornate nel pomeriggio. Semmai dovessero esserci novità vi chiamo subito-  
-Ha ragione Bella- si intromette Rosalie che più di tutte questa mattina si era opposta alla mia proposta. Sicuramente Alice non è la sola ad accusare la stanchezza dell’intera notte passata in bianco- torneremo nel pomeriggio. Così daremo la possibilità a Bella di andare a riposare, e qualcun altro rimarrà qui con Edward- il suo intervento blocca qualsiasi protesta sul nascere. Anche se vorrei reclamare dicendo che no, non ho intenzione di andarmene nemmeno dopo che Edward si sarà svegliato, ma capisco che non è il momento adatto. Non adesso che la corazza di irremovibile testardaggine che ha ottenebrato le menti dei presenti fino ad ora, sembra essersi incrinata e sta quasi per rompersi in mille pezzi. Jasper guarda Alice e la implora con lo sguardo di andare via. Quest’ultima abbassa gli occhi verso il suo ventre e con un gesto del tutto impercettibile (impercettibile per chi non conosce la verità, per me invece è chiarissimo) si accarezza per un attimo la pancia, alza gli occhi ad incontrare quelli di Jasper e annuisce decisa.

Vanno via tutti che è quasi mezzogiorno e all’ora di pranzo io e Jen ci mettiamo d’accordo per mangiare qualcosa al volo alla mensa dell’ospedale: un Sandwich al tacchino e una coca in lattina. Siamo circondate da medici vestiti con il loro camice bianco e tra la folla cerco il dottore di Edward, ma non riesco a trovarlo da nessuna parte. Mando giù il mio panino come se fosse un sasso e infatti lo sento piazzarsi nello stomaco come se pesasse dieci chili. È la sensazione di terrore, ansia e paura lo so. La stessa che mi accompagna da stanotte e che non riesco a scrollarmi di dosso. Bevo avidamente dalla mia lattina solo per il gusto di sentire qualcosa di fresco scendermi nell’esofago; l’attesa mi ha completamente asciugato la salivazione infiammandomi la gola.
-Non preoccuparti Bella, verrà ad avvisarci molto presto. Me lo sento- anche Jen come me  non fa altro che girarsi e rigirarsi il panino in mano e aguzzare la vista nella speranza di scorgere il dottor Abernathy. Alla fine potrebbe essere andato anche a casa, penso sprofondando ancora di più nell’angoscia. Dopotutto aveva il turno di notte e forse a quest’ora starà riposando. Non metterci troppo dottore, ti prego.
Ed è quello che fa in effetti, visto che sono passate da appena cinque minuti le quattro e lo vedo entrare in sala d’attesa con passo spedito. Alzo la testa dall’appoggio confortevole della spalla di Jen e gli vado incontro seguita a ruota dalla mia amica.
-Dottore, ci sono novità?- sento le spine rodermi sotto i piedi; ho paura che sia venuto a darmi una notizia terribile. D’altronde non hanno mai detto che Edward fosse fuori pericolo.
-Stia tranquilla signora Cullen, suo marito sta bene- automaticamente lascio andare un sospiro di sollievo e sento quasi le gambe cedermi - lei piuttosto, si è ripresa dallo svenimento di questa mattina?-
Mi rivolge un sorriso cordiale e sincero che non posso fare a meno di ricambiare. Il Dottor Abernathy è un bellissimo uomo di colore, che avrà si e no una quarantina d’anni.
-Si, sto benissimo adesso, grazie-
-Bene, sono felice di saperlo. Sono venuto ad informarla che abbiamo sospeso i sedativi da circa un ora e che aspettiamo da un momento all’altro una reazione da parte del paziente-
-Già da un ora? Allora potrebbe svegliarsi anche adesso?- chiedo; la mia ignoranza in termini di medicina è aberrante.
-Beh, ancora è troppo presto per dirlo. È sempre bene per un pazienze rimanere incosciente dopo un intervento così delicato. Aspettiamo che l’organismo di suo marito sia pronto per risalire dall’incoscienza autonomamente, con questo intendo dire che potrebbero volerci anche delle ore-
-Beh, in ogni caso, io sono qua. Se dovesse avere bisogno di me… io…-
-Sì, non si preoccupi, verremo subito a chiamarla-
Si congeda dandomi una vigorosa pacca sulla spalla ed io torno ad accasciarmi sulla sedia. Mi porto le mani a coprire il viso e lo strizzo un pochino; sento le guance intorpidite.
-Bella sta tranquilla. Hai sentito il Dottore? Edward sta bene ed è questo l’importante-
-Sì… sì. Spero solo che si svegli presto-

“Avete freddo, perché siete sola: nessun contatto accende il fuoco che è in voi. Siete malata, perché il migliore di tutti i sentimenti, il più nobile, il più dolce che sia concesso agli uomini, vi rimane lontano. Siete sciocca, perché, per quanto ne soffriate, non gli fate cenno di avvicinarsi, né muovete un passo per andargli incontro.”
Alzo gli occhi dalla mia copia tascabile e sgangherata di Jane Eyre che porto sempre dietro e che anche in quest’occasione mi tiene compagnia. Ma non mi rapisce l’anima e la mente come avrei desiderato. Sono cinque minuti buoni che rileggo sempre lo stesso punto senza riuscire ad andare avanti; la mia mente vola via. Vola verso una di quelle stanze che vedo dal lungo corridoio, in cui si trova l’amore della mia vita. Vola per ricongiungersi alla sua anima.

Sospiro e butto la testa indietro fino a toccare il muro freddo della parete. Chiudo gli occhi e provo a sincronizzare il mio respiro con quello di Jen che sonnecchia placidamente da mezz’ora. Ma non riesco a starle dietro, la mia mente fugge via un’altra volta.
Ho ancora gli occhi chiusi quando una mano delicata mi accarezza un braccio e per poco con caccio un urlo disumano per lo spavento. Jen sobbalza spaventata al mio fianco. Un’infermiera dai capelli scuri come la notte ci guarda dispiaciuta.
-Signora Cullen, mi scusi ma il Dottore mi ha chiesto di venire ad avvisarla. Suo marito si sta per svegliare- mi alzo di scatto, come una molla e subito ho le mani di Jen strette nelle mie. Mi guarda con occhi sbarrati che poco a poco si fanno lucidi e mi sorride.
-Vai Bella. Ci siamo- ho il cuore che sembra scoppiarmi nel petto. La lascio andare con un abbraccio e un fugace bacio e seguo rapida l’infermiera che si è già avviata nel reparto. Mi conduce in una stanza e mi fa infilare il camice, le protezioni ai piedi, i guanti alle mani, la cuffietta in testa e la mascherina. Quando sono pronta mi fa cenno di seguirla.
Arriviamo in un corridoio molto silenzioso che mi fa venire i brividi. L’odore nauseante di disinfettante qui è ancora più insopportabile. L’infermiera si ferma proprio davanti ad una finestra che da su una stanza completamente sterile e mi incita con una mano ad avvicinarmi.  Appena guardo dentro, quello che vedo mi fa fermare il cuore. Istantaneamente sento le lacrime addensarsi agli angoli degli occhi e mi porto entrambe le mani davanti la bocca per soffocare un gemito di dolore. Edward è steso nel letto, completamente ricoperto di fili che collegano le sue funzioni vitali ad alcune macchine che con il loro incessante bip mi martellano il cervello. Rimango a fissarlo per non so quanto tempo fino a che il dottor Abernathy non si accosta al mio fianco e con una mano sulla spalla mi fa cenno di entrare prima di lui.
La stanza è azzurra, un azzurro vivace che infonde un po’ di serenità a chi come me, entra in queste stanze con il cuore a pezzi. Ci sono delle apparecchiature enormi e il letto in cui Edward dorme placidamente mi sembra quasi minuscolo a confronto. Mi avvicino subito e gli prendo una mano tra le mie. Contemporaneamente lascio andare un respiro di sollievo che si porta via anche dieci anni della mia vita.
Quasi inconsapevolmente mi ritrovo a fare un rapido inventario delle sue condizioni.
La sua pelle è morbida e delicata, come lo è sempre stata del resto. Soprattutto quella delle mani… con dita così lunghe ed eleganti, una caratteristica che possiede chi come lui suona il piano sin da quando era bambino. Adesso sono graffiate e arrossate.  
Alzo gli occhi e li posiziono sul suo viso quasi interamente coperto dalla mascherina per l’ossigeno.
Ha alcuni lividi sullo zigomo sinistro, regali della scazzottata che ha avuto con Jacob ieri sera immagino, e un graffio sul sopracciglio destro. I lividi sono viola, con una leggera sfumatura verdastra, ma non sono niente in confronto a quelli della gamba scoperta. È  ingessata dal ginocchio in giù, ma sulla coscia ha dei lividi terrificanti. La sua testa è completamente ricoperta da una bendatura bianca che lascia libera qualche ciocca ramata solo sulla fronte. Immagino che gli abbiano rasato solo la parte interessata dall’emorragia. Ripenso ai suoi capelli bellissimi e alla tentazione che ieri sera mi spingeva ad infilarci le mani dentro e tirare con forza il suo viso verso il mio. Ho un sussulto al ricordo ma mi impongo di non pensarci.
Il Dottore dall’altra parte del lettino, continua a monitorare le sue condizioni di salute. Scrive qualcosa su una cartellina che poggia ai piedi del letto e poi si avvicina di scatto al monitor che riporta le pulsazioni del cuore. Lo vedo spalancare gli occhi quando il battito comincia ad accelerare.
-Ci siamo quasi, sta per riprendere conoscenza-
Il mio di cuore batte frenetico. Se fossi collegata anche io ad un monitor rischierei di farlo esplodere.
-Provi a parlargli- mi chiede cortesemente – gli faccia sentire che è qui-
Mi abbasso all’altezza del suo viso e piano mi avvicino all’orecchio.
-Edward? Sono io, mi senti?- ma non succede nulla.
-Provi ancora-
-Edward, amore mio sono Bella, sono qui. Sono accanto a te. Apri gli occhi…-
Dal monitor si sente il bip accelerare sempre di più.
-Si, così. Ci siamo. Sta per svegliarsi-
Respiro a fatica, penso di poter svenire di nuovo da un momento all’altro. Mi tremano le gambe e la felicità che sento è contrapposta all’ansia insostenibile che mi fa tremare dal… terrore? Dall’attesa? Dal desiderio? Dall’angoscia? Non lo so. So solo che mi sento come una foglia secca in balia del vento autunnale. Tremo e aspetto il momento in cui cascherò giù.
E il momento arriva quando Edward spalanca gli occhi e poi li richiude di scatto. Li strizza per poi provare nuovamente e a rallentatore, come se quel gesto gli costasse tanta fatica, ad aprirli di nuovo.
I miei occhi sono inondati dalle lacrime mentre guardo i suoi bellissimi e spaesati mettere a fuoco quello che lo circonda.
-Signor Cullen? Mi sente?- il Dottore gli proietta subito negli occhi una lucina per controllare la reazione delle pupille.
-Se riesce a sentirmi, sbatta una volta sola le palpebre-
Lentamente e a fatica, ma lo fa. Abbassa le palpebre dalle ciglia lunghissime e poi li riapre.
-Bene. Adesso proverò a togliergli la mascherina dell’ossigeno. È pronto?-
Di nuovo, Edward ripete il gesto di prima.
Quando il Dottore gli allontana la mascherina dalla bocca entra in stanza un infermiera che mi scosta dal letto, e mi separa dalla mano di Edward che tenevo stretta tra le mie come fosse un salvagente. Mi posiziono sul fondo della stanza per non intralciare il loro lavoro e aspetto che facciano tutti i controlli del caso. Cerco di regolarizzare il respiro mentre dentro la mia testa le parole Edward sta bene, ce la farà si ripetono incessantemente alla velocità della luce.
Dopo qualche minuto il Dottore mi fa cenno di avvicinarmi. Raggiungo il lettino con passi incerti e quando gli sono davanti lo vedo aprire e chiudere gli occhi ad intermittenza. È ancora troppo stanco per riuscire a svegliarsi completamente, o l’effetto dei sedativi non è svanito del tutto. Mi guarda per un solo secondo e questo basta ai miei occhi per riempirsi di nuovo di lacrime...di gioia.
-Oddio, sei vivo- sussurro senza riuscire a trattenermi.
-Edward? C’è sua moglie qui. Riesce a salutarla?- si intromette il Dottore.
-Edward?- lo chiamo di nuovo e finalmente, se pur con fatica, i suoi occhi rimangono fissi nei miei.
-Sono io. Bella- ho il cuore in gola e le parole mi escono quasi in un sussurro. Lo vedo aggrottare la fronte e concentrarsi sul mio viso ma non vedo nessuna risposta da parte sua. La reazione che aspetto però arriva sotto forma di doccia fredda quando in un sussurro, pronuncia le parole che non avrei mai voluto sentirgli dire, neanche nei miei incubi peggiori.
-Chi… sei? Non… ti conosco-


o.O  giù le armi ragazze! Non fatemi del male. C’è una ragione se Bianca mi chiama Psico! xD
Piuttosto ditemi cosa ve ne pare! I capitoli di passaggio sono quelli che “odio” di più, in termini di scrittura, perché non succede niente ma io l’ho arricchito con un sacco di informazioni.
Il riferimento a Jane Eyre è una piccola dedica che ho voluto fare alla mia cara, carissima ciù, che adora questo libro (infondo avrei potuto sceglierne anche un altro, perciò non ti lamentare! xD).
Bene, aspetto con ansia di leggere le vostre impressioni.
Baciii e alla prossima!   

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Capitolo 10
*** Cap. 10 ***


CAP 10                                
Bene, eccoci qui.

Vi chiedo scusa immensamente per il ritardo, ma ho avuto dei problemi con la stesura di questo capitolo. Infatti non è che mi soddisfi più di tanto…
Dove eravamo rimasti?
Bella si trova in ospedale in attesa che Edward si svegli. Quando il nostro Edduccio apre gli occhi però, non la riconosce.
Come mai?
Quale sarà la reazione di Bella?

BUONA LETTURA!  

Capitolo 10
Non ti ho amato per noia, o per solitudine, o per capriccio.
Ti ho amato perché il desiderio di te era più forte
di qualsiasi felicità.

(A. Baricco)


Martedì 1 Novembre 2011

Guardo la neve cadere soffice dalla finestra della cucina.
Nella sua discesa ricopre lenta ogni prato, macchina, albero o tetto già imbiancato; ha cominciato a nevicare il giorno in cui Edward si è svegliato, esattamente tre giorni fa.
Il fischio del bollitore mi distrae, ma mi concedo un attimo ancora per continuare a guardare fuori: adesso il manto nevoso arriva a sfiorare i trenta centimetri. Rabbrividisco involontariamente e mi stringo di più nel maglione pesante che indosso mentre mi perdo ancora una volta nei miei pensieri che, per quanto provi a sforzarmi, tornano inesorabili a quel giorno, al giorno in cui Edward si è svegliato e ho sentito le gambe cedermi per il terrore. L’ urlo di dolore che dal cuore si è irradiato in tutto il resto del corpo, squarciandomi il petto con la stessa forza di un cazzotto in pieno viso quando ho capito che aveva perso la memoria, non si è ancora sopito. Lo sento urlare nelle cavità del cuore, rimbombare nella cassa toracica e sopraffare la poca forza che mi è rimasta.
Se il dottor Abernathy non fosse venuto a sostenermi sarei caduta quasi certamente a terra. È stato uno choc, sia per me che per lui. Non si aspettava minimamente una tale possibilità e men che meno ce lo aspettavamo noi famigliari. Quando sono uscita dalla stanza sommersa letteralmente dalle lacrime, ho trovato gli altri ad attendermi: Jen aveva avvisato tutti dopo che l’infermiera dai capelli corvini era venuta a chiamarmi. La loro reazione mi ha fatto sprofondare ancora di più nel dolore, con Esme in preda ad una crisi di pianto isterico ed Alice ad imitarla.
Abbiamo aspettato pazientemente e con il cuore in gola che il Dottore venisse fuori per comunicarci l’esito della visita a cui aveva sottoposto Edward subito dopo avermi soccorsa e quando finalmente è uscito, per una frazione di secondo ho pensato seriamente che si trattasse di una punizione. La mia punizione

“-Il signor Cullen è affetto da Amnesia Retrograda. La forte botta in testa che ha preso e l’emorragia hanno danneggiato l’area ippocampale colpendo la sua memoria episodica. Questa in parte è una buona notizia, perché con la guarigione la memoria tende a migliorare, quando il trauma si riassorbe-
-Quindi ci sta dicendo che potrebbe riacquistare la memoria? Che non è una perdita temporanea?-
-È molto probabile che prima o poi ricordi tutto, sì. Ma per il momento il signor Cullen ha cancellato dai suoi ricordi gli ultimi sei anni della sua vita. Mi dispiace-”

Perché? Perché? Ho continuato a ripetermi, seduta in un angolino. Perché proprio adesso? Adesso che la nostra vita insieme stava per ricominciare?
Edward ricorda il suo nome, la sua vita, la sua famiglia. Ricorda addirittura i suoi studi, ma non ricorda me e cosa ben più grave non ricorda sua figlia.
Rosalie è scoppiata in un pianto silenzioso appena ha appreso la notizia; anche lei come me ha conosciuto Edward negli ultimi anni della sua vita.

-Bella… tesoro mi senti?- le mani di mio padre si poggiano salde sulle mie spalle, e una leggera pressione mi fa girare nella sua direzione –il tè è pronto- con una mano mi indica due belle tazze fumanti che ci aspettano sul tavolo della cucina.
-Scusa, non mi sono accorta che l’acqua bollisse-
-Lo so, l’ho capito quando ti ho chiamata due volte dal salotto ma non mi hai risposto. Me ne sono occupato io, tranquilla- con una mano mi accarezza la lunga treccia che ho poggiata sul lato sinistro del collo - vieni a sederti dai-
Mi trascina fino al tavolo e mi piazza davanti la mia tazza di tè.
-Tua madre diceva sempre che non c’è rimedio migliore del tè caldo-
-Già, lei e le sue origini inglesi- replico atona, ma con un velo di malinconia per aver pensato a mia madre anche solo per un secondo.
-Tua madre non era più inglese di quanto lo sono io, e sai che sono nato a Forks, nello stato di Washinton- aggiunge con una risatina- ma aveva ragione. Una bella tazza di tè e la compagnia giusta ti fanno vedere i problemi sotto un’altra prospettiva-
-Oh papà…qui l’unica prospettiva che vedo è una sola. Ed è la prospettiva più disastrosa che potessi mai immaginare- scaccio via dal viso una lacrima e mi impongo con tutte le forze di non cominciare a piangere… di nuovo.
-Bambina, non abbatterti ti prego. Non l’hai mai fatto e non voglio che tu lo faccia adesso. C’è sempre un modo per uscirne fuori, sempre-
-Come hai fatto tu papà?- ancora non riesco a credere che la persona che ho davanti a me sia realmente mio padre. Da tre giorni non fa altro che stupirmi ogni minuto di più. Non mi ha ancora detto quello che gli è successo ma non sono mai stata più felice per lui come adesso, nonostante quello che sto vivendo.
-Sì, bambina. Come ho fatto io -
-Ma… come? Come ci sei riuscito?- gli chiedo con il cuore in gola trovando quel coraggio che per 72 ore mi è mancato.
Rimane fisso a guardare nel vuoto per qualche secondo. Quando finalmente si decide a rispondere penso che non avrei potuto prepararmi in nessun modo ad affrontare le sue parole – ho capito che non provavo più nulla. Nessuna emozione, nessuna sensazione. Ero diventato un relitto, il relitto di me stesso. Come una barca che affronta la più dura delle tempeste ma continua a rimanere a galla, nonostante le ammaccature e le infiltrazioni. Mi vedevo navigare in questo mare tutto solo, completamente abbandonato alla corrente. Una carcassa vuota, destinata ad affondare- si interrompe per prendere fiato mentre sento la schiena madida di sudore freddo –poi, all’improvviso è successo qualcosa…-
-Cosa? Papà… cosa?- ho la gola secca tanta è la tensione con cui lo sto ascoltando, vorrei bere un sorso di tè, ma non ho nemmeno la forza di alzare la tazza e portarla alle labbra. Sento le risate allegre di Sophie in salotto martellarmi nelle orecchie, neanche fossero il sonar di un sottomarino ed io la balena in fuga. Vorrei dirle di smettere.
Lui sbatte gli occhi e dopo un tempo infinito, posa il suo sguardo su di me- è venuta Sue ad avvisarmi. Era così agitata che a stento sono riuscito a capire due parole. Quando si è calmata, mi ha detto finalmente quello che era successo. Ho acceso subito la tv e ho visto… non lo so, forse saranno state le immagini della sua casa in fiamme, ma in quel momento ho capito che dovevo fare qualcosa, perché eri tu a soffrire, eri tu ad aver bisogno di me. Sei stata tu Bella, è stato merito tuo se sono tornato alla realtà. È stato come se… beh forse non ci crederai ma mi sono reso conto di aver spento le mie emozioni, come se avessi impostato il pulsante dei sentimenti su Off e in quel momento, come per magia, il mio cuore si fosse riacceso- si interrompe per rivolgermi un sorriso bellissimo e in quest’istante è il mio cuore a riaccendersi.
- Ho sentito la presenza di tua madre come non era mai successo prima- dice quasi in un sussurro procurandomi un brivido lungo tutta la schiena- ho sentito le sue mani carezzarmi il viso ed è stato… incredibile – i suoi occhi diventano di colpo lucidi, come sempre quando si tratta di mamma- e ho capito di aver fatto la scelta più giusta-
Un rumore forte dal salotto, come di un giocattolo che si schianta al pavimento, mi fa sobbalzare impedendomi anche di rispondergli; in questi giorni sono tesa come una corda di violino, scatto per un nonnulla e a farne le spese è sempre la mia povera bambina. Rilascio subito un respiro profondo prima di decidermi ad alzarmi e andare a controllare, ma la mano di mio padre mi blocca.
-Lascia, ci penso io- il suo volto, triste e preoccupato, cambia radicalmente espressione quando varca la soglia dell’altra stanza. So che non è successo nulla di grave, le urla e i pianti di Sophie me lo confermerebbero, perciò mi prendo un po’ di tempo per stare da sola.

Tempo prezioso, vista la frequenza assidua con la quale tutti, e sottolineo tutti, in questi giorni non fanno altro che approfittare di ogni momento per chiedermi come sto.
Sto uno schifo! Ecco come sto. Sto come una che si è vista mancare la terra da sotto i piedi all’improvviso. Edward è sempre stato la mia ancora di salvezza nonostante gli ultimi tre anni di separazione. Saperlo da qualche parte, come una presenza fissa di questo mondo, inspiegabilmente, mi ha sempre trasmesso tanta forza. Ma ora è diverso. Tre giorni fa ho sentito come se la forza che mi tratteneva a lui, si fosse allentata di colpo e mi avesse mandato a fare un giro nel cosmo in balìa dell’assenza di gravità.
Non sopporto più nulla; sono diventata apatica. Anche le lancette dell’orologio con il loro incessante e spiacevolissimo tic tac, mi danno fastidio. Vorrei alzarmi e strappare l’orologio dalla parete, tirare via le batterie e gettarle nella spazzatura. Ho sempre avuto un pessimo rapporto con il tempo io, sin da quando una notte di dieci anni fa rientrai tardi da una festa e il mattino dopo ero così stanca che non riuscii ad alzarmi per andare a scuola. Di conseguenza quella mattina non vidi mia madre, come invece accadeva ogni santo giorno. Ho dato per scontato che tornasse a casa e che per l’ora di cena saremmo state insieme, ma da quel giorno non la vidi più. La sua vita si è spezzata insieme a quella di altre persone a causa della scelleratezza umana ed io mi maledico ancora oggi per aver gettato la sveglia dall’altra parte della stanza, e non averla stretta tra le braccia un’ultima volta.
Il tempo… ecco, la sua corsa mi ricorda quello che ho perduto. Il tempo che ho impiegato a decidermi per confessare a Edward i miei sentimenti e il tempo, passato, che non ho più, quello dei ricordi e della nostra vita insieme.
Cosa dovrei fare? Dovrei concedergli del tempo per dargli modo di costruirsene di nuovi? E se io non ne facessi parte? E quelli passati? Non si possono semplicemente buttare nel dimenticatoio solo perché la sua memoria fa cilecca. Non posso accettarlo.
Sento un urlo di frustrazione e rabbia raschiarmi la gola. Vorrebbe esplodere in tutta la sua potenza ma lo reprimo quando vedo mio padre tornare in cucina. Sul viso ha impressa l’espressione della spensieratezza: Sophie è un vero tacca sana per lui. Affondo le labbra nel tè per cercare di calmarmi un pochino ma alla fine scoppio ugualmente.
-Papà non ce la faccio- affermo una volta che ha occupato di nuovo il posto davanti a me- io… io non riesco a sopportare tutto questo… dolore. Come posso accettare che Edward non ricordi chi siamo? Che non ricordi quanto un tempo ci ha amato? Sophie è la persona più importante della sua vita. Come faccio a dire a mia figlia che il padre non si ricorda più di lei?-
-Non dovrai dirglielo Bella… no, basta che ti inventi una scusa- cerca di calmarmi afferrandomi saldamente per le mani, tremo come una foglia – dille che è partito per un viaggio di lavoro che lo tratterrà fuori per molto tempo e vedrai che nemmeno se ne accorgerà-
-Ma vorrà sentirlo! Vorrà parlare lo stesso con lui. Non è mai successo che Edward non si facesse sentire per più di un giorno, e poi… i problemi che abbiamo rivelato all’asilo, non voglio che peggiorino a causa di questo- non ho dimenticato i problemi che affliggono Sophie, ma sembra che affronti i miei con maggiore preoccupazione rispetto ai suoi. Mi faccio schifo per questo ma era importante che risolvessi con Edward anche e soprattutto per riuscire a comprendere meglio mia figlia e cercare di aiutarla. Adesso si ritrova praticamente senza un padre ed io non so cosa fare.
-Io penso che stare qui le farà bene. È di una figura maschile che lei ha bisogno dopotutto, no? Lo so, non sono il padre, ma le voglio bene quanto lui. Sophie starà bene ed io ti prometto che l’aiuterò. Concedimi di fare per lei quello che non ho fatto per te-
La sua voce è intrisa d’amarezza, ed io so perché: si sente in colpa per avermi “abbandonata” in questi anni, non sa che in soli due giorni ha già fatto per me più di quanto potessi desiderare.
Mi sono trasferita di nuovo a casa sua per necessità nei confronti di Sophie, ma non nego che mi sto godendo anche io la sua compagnia e le sue attenzioni.
Averlo accanto giorno e notte mi da la sensazione di essere protetta, di avere qualcuno vicino in grado di sostenermi sempre e prendersi cura di me. Inconsciamente so che è questo il motivo che mi ha spinto a creare una famiglia tutta mia nonostante la mia giovane età. Per riparare alla mancanza d’affetto e alla sicurezza che mio padre non è più stato in grado di darmi dopo la dipartita di mia madre e che sentivo di desiderare con tutto il cuore. Con Edward è stato tutto molto semplice: affidarmi a lui è stata la scelta migliore che potessi prendere. Ma se penso a mio padre, se penso a quello che ha vissuto, io non me la sento di giudicarlo. Non l’ho mai fatto ne mai lo farò.
-Non devi sentirti in colpa papà. Io capisco, so, che non è stato facile sopportare il dolore che ti portavi e che ti porti ancora dentro- mi alzo dalla sedia, e vado a sedermi sulle sue ginocchia, un gesto che non compivo da un milione di anni – ci sei sempre stato per me anche se non eri del tutto presente- concludo mentre vedo i suoi occhi farsi lucidi.
-Mi dispiace così tanto bambina mia. Io… mi dispiace non avrei dovuto lasciarmi andare, ma il dolore era troppo. Quando tua madre è morta, io sono morto con lei. Ma ho sbagliato ugualmente perché c’eri tu. Tu avevi bisogno di me ed io non ti sono stato accanto come avrei dovuto, perdonami-
Gli butto le braccia intorno al collo e a questo punto trattenere le lacrime è davvero un’impresa. Ma ce la faccio, perché questo, nonostante le circostanze, è un momento che aspettavo da anni e voglio godermelo appieno.
Rimango appollaiata sulle sue gambe per un tempo lunghissimo, tanto che sprofondo in uno stato di dormiveglia, con mio padre che continua ad accarezzarmi la schiena. Mi rilasso così tanto che penso lo scambierò per Morfeo e sprofonderò tra le sue braccia in men che non si dica. Quando passi la notte a guardare il soffitto il giorno dopo anche un comodino assume un’aria confortevole. La verità è che qualsiasi superfice piana prende le sembianze di un cuscino e tu non vuoi fare altro che poggiarvi la testa sopra e smettere di pensare, a tutto, soprattutto a quello che ti ha tenuto sveglio per l’intera notte. Nel mio caso non è difficile immaginare quale sia stata la causa. Ho un dilemma interiore da fare invidia ad Amleto. “Essere o non essere”, diceva lui, “andare o non andare” questo è il mio problema. Non metto piede in ospedale da sabato pomeriggio e mi vergogno come una ladra. So quello che voglio, so che dovrei piantare una tenda fuori dalla camera di Edward e stare in sua compagnia il più possibile per aiutarlo a ricordare. Ma ho la vaga sensazione che mettere in partica questi propositi mi squarcerà il cuore da parte a parte, ed ho tanta paura. Edward non sa chi sono. Edward non mi conosce. Per lui sono solo un’estranea. Molto probabilmente si stancherà della mia presenza e mi dirà di andare via dopo soli due giorni. Se malauguratamente questo dovesse succedere… non so come reagirei. Il dottore dice di non accelerare i tempi, di andare cauta e rispettare i suoi spazi, ma so che non riuscirei a pensare razionalmente se mi trovassi in una stanza insieme a lui. Ho paura di sbagliare, di dire la cosa sbagliata. Come potrebbe reagire davanti all’ipotesi di avere una figlia? Con la mente è rimasto ai tempi in cui usciva a divertirsi con gli amici e ogni notte portava a casa una donna diversa. Andrà sicuramente fuori di testa quando gli dirò che siamo stati sposati e che è padre di una bambina di quasi quattro anni.
Non so proprio cosa fare.
Il suono del campanello mi ridesta dai miei pensieri e Charlie mi batte due colpi d’incoraggiamento sulla schiena invitandomi ad alzarmi. Si lamenta per qualche secondo, rimproverandosi di non avere più l’età per fare certe cose e mi ricorda che adesso non peso più quanto una bambina. Riesce a strapparmi anche un sorriso e di questo gli sono grata.
Torno a sedermi sulla mia sedia e porto alle labbra la tazza di tè, ormai freddo. Contemplo per un attimo l’idea di scaldarlo in microonde ma prima che possa alzarmi vengo investita letteralmente da un tornado di nome Janet Lindsay. In meno di dieci secondi scavalca mio padre all’ingresso, saluta Sophie con un cenno della mano e un sorriso sdolcinato, e poi si fionda in cucina con il viso distrutto di chi non dorme bene da giorni ed una furia negli occhi che, se mi trovassi davanti ad uno sconosciuto, mi farebbe urlare di paura.
-Tu. Di sopra. Adesso!-
Evidentemente rifiutare le sue chiamate non è stata una mossa azzeccata.


*********


-Sono la donna più intelligente che conosco, ma ammetto che fatico a comprenderti in questo momento- Jen mi guarda esasperata. Le sopracciglia le arrivano fino all’attaccatura dei capelli e gli occhi blu, di solito a mandorla, adesso hanno assunto vagamente la forma di una palla. Mi ha portata nella mia vecchia stanza. Stanza che ho ripreso ad usare regolarmente da due giorni a questa parte. E’ seduta sulla poltroncina girevole e aspetta che mi decida a darle una risposta.
Le ho detto tutto. Le ho confessato i miei timori e le mie paure. Le ho detto che solo il pensiero di andare in ospedale mi mette l’ansia e che non ho intenzione di muovermi da questa casa nemmeno per andare a lavorare (ho chiesto ai Cullen un po’ di tempo per riprendermi dallo choc. Hanno capito).
Tornado-Lindsay mi ha guardato male per tutto il tempo; stranamente non mi ha interrotto nemmeno una volta. Anche se ho finito la mia arringa da cinque minuti buoni e lei da cinque minuti buoni mi guarda come se volesse prendermi a sprangate in testa. In effetti ho il timore di vederla afferrare uno dei tanti trofei scolastici poggiati sulla mensola al suo fianco e tirarmelo addosso.
-Jenny, questo è quanto. Ti ho già detto tutto-
-Quindi fammi capire. Non hai intenzione di smuovere il culo da questa casa? Non hai intenzione di fare niente?-
-No, te l’ho detto-
-Aaggrr, in nome del cielo, ragiona! Quello che mi hai detto non ha nessun senso-
-Oh, certo che ce l’ha! Ce l’ha eccome!- mi infervoro.
In men che non si dica si alza dalla poltrona e mi si piazza davanti. Inizia a gesticolare, come suo solito, anche se sa che mi infastidisce da morire -no, non ce l’ha Bella. Tu non puoi sapere come andranno le cose. Smettila di infilare la testa sotto la sabbia come un dannato struzzo! Tu… tu lo ami. Ami quell’uomo più della tua stessa vita, non puoi dire sul serio. È la disperazione a parlare, questa non sei tu. Dov’è finita la donna che nemmeno due giorni fa ha confessato davanti a tutti il desiderio di riprendersi suo marito? Che ha stretto i denti e si è fatta forza in nome di questo amore? Non puoi lasciare che Edward guarisca senza averti accanto. Deve vederti, deve stare con te se vuoi che ricordi ogni cosa-
Rimango distesa sul letto a guardare il soffitto senza degnarmi di darle una risposta. Capisco perfettamente quello che sta dicendo e le do anche ragione, ma ho la sensazione di essere seduta su degli spilli con la mera forza di un palloncino a sostenermi. Un minimo passo falso ed io finisco con il culo ridotto a brandelli.
-Rispondi maledizione!- mi butta in faccia un cuscino e per un attimo mi si ferma il cuore al pensiero che potesse essere qualcosa di più pesante.
-Jen- rispondo da sotto lo strato di piuma d’oca – ho tanta paura-
La sento sospirare ed emettere un verso di frustrazione, ma dopo qualche secondo mi raggiuge sul letto e mi toglie il cuscino dalla faccia.
-Lo so- dice semplicemente stringendoselo al petto – ma… razionalmente, metti da parte la paura per un secondo, sai che vorresti essere da lui in questo momento-
-Lo desidero con tutta me stessa-
-E allora perché sei ancora qui?-
-Io ho…-
-No, non voglio più sentire uscire quella parola dalla tua bocca. “Paura” non deve più far parte del tuo vocabolario, cancellala-
-Jen la fai troppo facile. Non sei tu quella che deve affrontare una conversazione con un uomo che ti reputa una perfetta sconosciuta, quando a legarvi c’è un sentimento così profondo come l’amore. E se…- mi blocco troppo imbarazza per quello che sto per dirle, ma la ragazzina di quindici anni che è in me freme per uscire.
-E se?-
- … e se non dovessi piacergli?-
Sono tre i secondi che passano prima che sul suo viso compaia un odioso sorriso accompagnato da un altrettanto odiosa risata sguaiata.
-Smettila immediatamente- la rimprovero e aspetto pazientemente che finisca di prendersi gioco di me.
-Dio Bella, scusa ma… non ho resistito-
-Lo so. Sei seria adesso?-
-Sì-
-Bene, perché vorrei sentire quello che hai da dirmi. E non cominciare col dire che la mia è una paura infondata. Lo so, sembro un’insulsa ragazzina in preda a stupidi timori adolescenziali. Ma è un’eventualità che dobbiamo considerare-
-Bella- dice prendendomi saldamente le mani nelle sue – stiamo parlando di Edward. Quell’uomo è cascato ai tuoi piedi quando andavi in giro con le sopracciglia più grosse della Collins e sembravi urlare “non mi importa un fico secco di quello che pensate, tanto sono meglio di voi” da ogni puntino nero che avevi sulla faccia-
-Non avevo le sopracciglia così grosse- mi difendo inutilmente visto che non mi fa nemmeno finire di parlare.
-Ti ha amata dal primo momento che ti ha vista, con quella ridicola divisa da cameriera, stanca e scarmigliata dopo un’intera serata passata a servire cocktail, stuzzichini e Champagne. Ti ha amata quando si è presentato fuori da casa tua e tu sei scesa ad aprirgli con il pigiamone di pile e le pantofole a forma di mucca-
-Ed è stato così dolce e gentile che ha aspettato che mi cambiassi e mi ha portata a bere una cioccolata calda sulla pista di pattinaggio del Rockerfeller Center…- concludo trasognata pensando a quella sera, gli occhi di colpo lucidi. Se li chiudo per un istante riesco a vedere di nuovo il suo bellissimo viso illuminato dalle luci natalizie e la sua indomabile chioma ricoperta da soffici fiocchi di neve; quella sera è e resterà sempre una delle più romantiche della mia vita. Con una stretta al cuore mi domando se prima o poi questi ricordi saranno di nuovo suoi o rimarranno solo miei. Se questi momenti così importanti della nostra vita torneranno ad emozionarlo come una volta o se sarò solo io a custodirli. Voglio con tutto il cuore che Edward ricordi, voglio poter parlare con lui e litigare se uno dei due non ricorda una data precisa o i particolari di un avvenimento passato insieme. Voglio che rammenti gli attimi che ci hanno portato dove siamo ora, nonostante gli alti e i bassi, ma che ci hanno reso quello che siamo oggi: due matti che sia amano alla follia. Chissà se lo sente ancora… l’amore nei miei confronti intendo. Quello non puoi cancellarlo, vero? Il batticuore e la stretta al petto non si cancella solo perché d’improvviso non sai più chi ti trovi davanti. Perché se è così, allora l’amore è razionale. È la mente che ti dice di amare una persona, non il cuore.
No, non voglio credere che sia così. Non può essere così.
L’amore è irrazionale, l’amore ti fa fare delle cose che altrimenti la mente non farebbe. L’amore ti spinge a gesti estremi che razionalmente non compiresti mai. Il cuore regola ogni cosa, non la mente. Quando inizia a battere forte forte per una persona sei spacciato, e il cuore di Edward non può aver dimenticato cosa si prova, mi rifiuto di crederlo.
E allora capisco.
Capisco che devo fare di tutto per riportarlo da me. Glielo devo. Lui non vorrebbe che mi arrendessi, non me lo perdonerebbe mai e nemmeno io. Perché non avrebbe mai voluto dimenticare Sophie e non posso fare questo a mia figlia. Adesso non ha la minima idea di chi io sia, ma dentro, nel profondo, so che vuole tornare da me, da noi. Perché ciò che è in fondo al cuore non muore mai, ed io devo fare un piccolo tentativo. Non posso lasciare che finisca tutto così.
-Forza Bella. Forza! Devi andare da lui. Devi riprenderti la tua vita. Non puoi lasciare che finisca tutto così-
-La puoi smettere?-
-Di fare cosa?- mi guarda stranita.
-Di leggermi nel pensiero-
-Quindi ti sei convinta finalmente?-
Non le rispondo, mi limito a farle un sorriso che va da orecchio a orecchio, a mo’ di Stregatto, e annuisco.
-Dai allora, su. Cosa aspetti?- anche sul suo viso compare un sorriso raggiante.
-Jen, cosa farò se non dovesse più ricordarsi di noi?- non so perché l’ho detto, ma di colpo quest’eventualità mi fa tornare con i piedi per terra.
-Non può dimenticarti. Si ricorderà di tutti noi, infondo siamo una famiglia- sento le lacrime spingere per uscire ma le ricaccio dentro.
-Sì. Sì, hai ragione-  
-Cambiati, mettiti qualcosa di carino…- balza giù dal letto come un grillo e si dirige verso le valigie ancora da disfare sul pavimento - anzi no! – si blocca e torna indietro - stai benissimo così. Sei bellissima qualsiasi cosa indossi. Dopotutto è sempre lo stesso uomo che ha perso la testa per una cameriera, o sbaglio?-
Vorrei poterle rispondere di sì, ma francamente non so chi mi troverò di fronte.


**********


Raggiungo il reparto di Neurologia con il cuore in gola. Una mano a reggere la borsa, l’altra a torturarmi il labbro inferiore.
“Sei ancora in tempo per tirati indietro” penso da cacasotto patentata quale sono, ma le mie gambe vanno avanti per volontà propria. Vado spedita come un fulmine anche se me la sto facendo sotto dalla paura.
Quando la stanza di Edward entra nel mio campo visivo, il batticuore aumenta la sua corsa ma adesso sono convinta più che mai di dover andare avanti; al momento non riuscirei a fermarmi nemmeno se sopraggiungesse un terremoto.
Abbasso la maniglia della porta e sbircio all’interno sperando di non trovarvi nessuno. Sarebbe troppo imbarazzante farmi avanti se qualcuno dei Cullen fosse presente. Per fortuna le mie preghiere vengono esaudite, vedo solo la figura di un corpo martoriato, pieno di lividi e graffi, avvolto nella penombra della stanza. Sono appena le quattro e mezzo del pomeriggio ma le tapparelle sono quasi completamente abbassate.
Edward dorme placido con il viso rivolto verso l’unica finestra della stanza. Ha la testa fasciata, dei graffi leggeri sullo zigomo sinistro e qualche punto sul sopracciglio destro. Il viso completamente rilassato, il leggero russare che lo contraddistingue da sempre e la piccola smorfia che fa con le labbra mi fanno tremare le ginocchia.
È l’uomo che amo  penso. Questo è l’uomo che amo, dunque com’è possibile che nonostante io sappia tutto di lui, che nonostante conosca ogni piccolo particolare del suo volto, del suo corpo, della sua anima, sia diventata una completa estranea?  
Accosto la sedia accanto al suo letto e prendo a fissarlo, cercando di contenere l’impulso di toccarlo, impulso che diventa sempre più impellente ogni secondo di più.
Da quando Jen è andata via da casa di mio padre ho una teoria che mi vortica in testa, non ricordo dove l’ho letta, ma senza dubbio mi infonde un po’ di positività.
Tutti noi abbiamo dei momenti speciali che custodiamo nel cuore, nel mio caso il primo incontro con Edward, il primo appuntamento, il nostro matrimonio e la nascita di nostra figlia. Bene, se potessi tornare indietro e riviere le emozioni che hanno reso speciali questi momenti, lo farei immediatamente. Perché quelle emozioni non potrò riprovarle mai più, come quando ho letto il mio libro preferito per la prima volta. Potrò rileggerlo altre cento volte, ma quello che ho vissuto in quel particolare momento, quando tutto era ancora sconosciuto, quando i protagonisti si facevano strada nella mia mente occupando un posto speciale nel mio cuore… quel momento non tornerà mai più. Così come non tornerà mai più il momento in cui l’ho incontrato per la prima volta. Da un certo punto di vista è orribile, ma noi oggi avremo una seconda possibilità. Quello che sto cercando di dire è che sto pensando a quanto sarà bello riprovare le stesse cose, perché oggi noi saremo due persone che si incontrano di nuovo per la prima volta. Un po’ contorto come ragionamento, lo so.

Un moto improvviso della sua mano mi fa sussultare e capisco che ci siamo.

“Maledizione, i miei pensieri fanno troppo rumore” penso ironica.
“ Calma. Devo stare calma”.

Non voglio che si spaventi, perciò mi tiro un po’ indietro e lascio che si svegli pian pianino.
Rispetto i suoi tempi, non dico una parola, neppure respiro! Ma non posso impedire al mio cuore di battere più veloce di una Lamborghini lanciata a tutta velocità su un’autostrada deserta.
Apre gli occhi e li strizza leggermente quando colpiscono la flebile luce che entra nella stanza. Volta di scatto la testa dall’altra parte, ma il movimento brusco gli procura dolore alla testa. Non riesce a controllare il piccolo e sofferente “ahi” che gli increspa la fronte mentre sorprendentemente sul mio viso affiora un sorrisino.
La sua voce… quanto mi è mancata.
Sbuffa, impossibilitato a muoversi e finalmente poggia i suoi occhi su di me.
E sono di nuovo battiti accelerati, mani sudate e farfalle nello stomaco.
Non credevo che sarebbe stato di nuovo possibile emozionarmi così tanto.
Aggrotta le sopracciglia, rilascia un sospiro e mi guarda intensamente prima di decidersi a parlare.
“Meno male, questa volta non sono l’unica a fissare l’altro come un’imbambolata” penso arrossendo fino alla radice dei capelli.
-Acqua, ho bisogno d’acqua- la sua voce è così roca che sembra provenire da una caverna - saresti così gentile d’aiutarmi?- con una mano indica il bicchiere sul comodino accanto al letto ed io ci metto qualche secondo in più prima di decidermi ad alzarmi. Quando finalmente mi avvicino al bicchiere con la coda dell’occhio lo vedo fissarmi; percorre il mio corpo dalla testa ai piedi. Un gesto che mi mette sorprendentemente in imbarazzo.
Avanti Bella, ti ha vista nuda un milione di volte, non essere ridicola, perché dovrebbe imbarazzarti?  In effetti è vero, solo che questo lui non lo sa.
Provo a spegnere l’incendio interiore che si è avviluppato nella zona del bassoventre  solo al pensiero di associare le parole Edward e sesso nella stessa frase e facendomi coraggio mi avvicino di nuovo al letto.
Beve assetato, neanche fosse appena rientrato da una passeggiata nel deserto, mentre i suoi occhi continuano a fissarmi.
-Qualunque cosa ti abbia fatto, ti chiedo scusa- pronuncia mettendo giù il bicchiere.
-Come?- nella mia classifica personale, questa era senza dubbio una delle ultime frasi che avrei pensato di sentirgli dire.
-Non ho la più pallida idea di chi tua sia- bam! Colpita e affondata. Un pugno in pieno petto mi avrebbe fatto meno male.
-Lo so- gli dico amareggiata ma stranamente tranquilla.
-Allora? Chi sei? – ammutolisce qualche secondo davanti alla mia faccia scioccata per poi riprendere a parlare -scusa, non volevo essere così brusco ma il mio Dottore dice che ho cancellato dai miei ricordi gli ultimi 6 anni della mia vita. E sono sicuro di non averti mai incontrata prima, altrimenti me ne ricorderei-
Davanti al suo viso mortificato non posso fare altro che provare tanta tenerezza. Si sente addirittura in colpa perché non sa chi sono! Come posso non amarlo?
Ma ora è arrivato il momento della verità. Non so come reagirà, ne quello che dirà, spero solo che non mi prenda per pazza.
-Emmhh… i tuoi genitori non ti hanno detto niente? Riguardo gli ultimi sei anni della tua vita, intendo-
Sbuffa - no, hanno detto che non vogliono affaticarmi-
-Hanno ragione-
-Non la penseresti così se al mio posto ci fossi tu, fidati-
-Questa volta hai ragione tu-
-Bene, allora? Sto aspettando…-
-Sei sicuro che adesso sia il momento giusto?-
-Sono tre giorni, due se consideri che l’unica cosa che ho fatto quando mi sono svegliato è stato ripiombare di nuovo nel sonno, che non aspetto altro. Voglio sapere, ne ho tutto il diritto-
-Stai cercando di incastrarmi- tipico di Edward - perché dovrei essere io a raccontarti ogni cosa, non vorrai che se la prendano con me?-
Un sorrisino gli increspa le labbra –senza offesa ma, preferisco che se la prendano con te piuttosto che continuare a vivere all’oscuro di tutto. Scusa la brutalità-
Questa volta sorrido anche io –non scusarti. A dirla tutta, sono io a non essere stata del tutto sincera con te-
-Che vuoi dire?- a fatica si porta una mano a massaggiarsi la tempia destra, starà soffrendo terribilmente, povero amore mio.
-Devi riposare, possiamo parlarne un’altra volta- mi costa tanta fatica ammetterlo ma non voglio che si senta ancora più male per colpa mia.
-No, ti prego. Io non… non so nemmeno come ti chiami- dice con un sorriso – ma ti prego, qualunque cosa, qualsiasi cosa, sarà meglio che vivere con questo senso di vuoto-
Sento qualcosa incrinarsi nel petto, qualcosa che fa male, tanto male. Vorrei avvicinarmi e abbracciarlo, stringerlo forte e dirgli che presto si sistemerà tutto. Perché gli sono vicina, perché non vado da nessuna parte, perché è la mia vita e non posso vivere senza di lui. Ma ovviamente non lo faccio, non voglio traumatizzarlo del tutto.  
-Sono stata io ad insistere perché non ti dicessero nulla. Volevo parlartene personalmente-
-Ohh… okay. Bene, sono tutto orecchi-  
-Io, beh… non posso raccontarti nulla se non ti dico prima chi sono-
-E quello che sto cercando di capire da quando mi sono svegliato. Chi sei?-
-Io… io sono…- mi trema così tanto la voce che sono costretta a fermarmi. Mi guardo terrorizza le mani, le sto letteralmente stritolando dalla tensione.
-Tu sei?- mi incalza lui dimostrandomi che nonostante l’amnesia in quanto ad impazienza non è cambiato di una virgola.
-Io sono… io sono tua moglie- deglutisco a fatica mentre nel petto sento sprigionarsi un’improvvisa zompata di calore.
Il rumore del bicchiere che si schianta sul pavimento mi sembra molto eloquente come risposta.  


*Angolo dell’autrice*

Le riflessioni di Bella riguardo le emozioni che si provano quando incontri una persona per la prima volta, tutta la storia del libro preferito ecc, è preso dal film “La memoria del cuore”. Questa teoria è presente anche nel libro “Le parole del nostro destino” di Beatriz Williams.

Resto in attesa di leggere i vostri pareri. GRAZIE mille, per le recensioni che avete lasciato allo scorso capitolo. GRAZIE mille, perché siete ancora qui a leggere la mia storia.
 Baciiii


 

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Capitolo 11
*** Cap. 11 ***


CAP. 11

                         


Ecco il nuovo Cap.
Ho fatto il prima possibile.

Spero che vi piaccia, ci vediamo giù!


Capitolo 11
Ci sono le coppie storiche, belle da morire.
Ci sono i ragazzini annoiati che si 'amano' dopo una settimana.
Amori che sbocciano all'improvviso.
Ci sono i fidanzatini possessivi che si incatenano l’un l’altro fino ad odiarsi.
 Ci sono i coniugi insofferenti.
 Gli amanti teneri e sognatori.
E poi ci siamo noi.
 Dove, di preciso, non si sa.

-The Haunted.


-Mia… moglie?-
Edward mi guarda con la bocca spalancata, sembra che il pallore che aveva quando sono entrata si sia improvvisamente  accentuato. L’acqua del bicchiere è schizzata dappertutto e non potrei chinarmi ad asciugare nemmeno se volessi. Sono letteralmente pietrificata.
-Moglie, sì. Ex moglie a dire la verità- non so se confessargli che ultimamente ci stavamo riappacificando, forse è meglio parlarne in un altro momento.
-Grazie, questo mi fa sentire meglio- dice sarcastico.
-Hai ragione, forse avrei dovuto cominciare dall’inizio-
-Ed io che credevo di essere stato brutale quando ti ho detto che non avevo la più pallida idea di chi tu fossi. Mi hai completamento spiazzato- si porta entrambe le mani a massaggiare le tempie e allora capisco di aver esagerato. Ho trascurato  totalmente le raccomandazioni del medico. Gli ho quasi procurato uno choc!
Anzi, è sicuramente così.
-Senti, forse è meglio se ne parliamo davvero un’altra volta. Non voglio che ti affatichi. Il tuo Dottore non me lo perdonerebbe mai e nemmeno io, se dovesse succederti qualcosa-
-Sto bene, non preoccuparti. Adesso che hai sganciato la bomba non puoi tirarti indietro, devi raccontarmi tutto-
-Ma tu… non puoi… cioè, voglio dire… - mi metto a balbettare imbarazzata, vorrei cercare di sviare il discorso. Ci sono così tante cose che dovrei raccontargli, primo fra tutti l’argomento “Sophie”, solo che un altro choc a meno di dieci minuti dall’altro gli procurerebbe sicuramente un infarto.  
Però d’altra parte…
Insomma, l’uomo che amo e allo stesso tempo affetto da amnesia, mi chiede di raccontargli dal principio tutta la nostra vita insieme, vita che in seguito all’incidente ha completamente dimenticato. Praticamente mi serve su un vassoio d’argento la possibilità di raccontargli ogni cosa ed io rifiuto? No, non posso tirarmi indietro. Segretamente è quello che ho sperato accadesse sin da quando mi sono messa in macchina per raggiungere l’ospedale.
Mi fissa irrequieto sistemarmi meglio sulla sedia (tolgo sciarpa e cappotto e li appendo alla spalliera) mentre con misurata arrendevolezza mi osserva cedere alla sua richiesta.
-Bene, da dove vuoi che cominci?-
-Mmh, non so, dal principio?- chiede retorico ed io non posso evitare di alzare gli occhi al cielo. Ancora non riesco a credere di trovarmi qui. Poter parlare di nuovo con lui,  sentirmi di nuovo tanto attratta da questa persona così diversa ma in realtà così uguale al mio Edward, mi sembra un miracolo. Nell’uomo che ho di fronte riconosco il mio Edward solo in parte. Riconosco la sua spensieratezza e la facilità che ha di rapportarsi con gli altri, tratto che ha contribuito a farmi perdere la testa per lui tanti anni prima, ma non vedo quella luce che emanava l’Edward che è venuto nel bagno del ristorante di Jenny, rude e passionale, a dimostrarmi il suo amore.
Voglio con tutto il cuore che quell’Edward ritorni perciò non posso fare altro che stare al suo gioco.
-C’erano una volta un ragazzo e una ragazza…- lo prendo in giro solo per il gusto di vedere la sua reazione.
-Okay, non così dal principio- rido per qualche istante della sua faccia esasperata e poi torno seria.
-Scusa, non ho resistito-
-È strano sai?- dice improvvisamente aggrottando le sopracciglia.
-Cosa?-
-La tua risata. È stano ma, mi sento come se…non so spiegartelo, è come se dentro di me sapessi di averla già sentita- il mio cuore perde un battito.
-Davvero?-
-Sì-
-Dovremmo dirlo al tuo medico, forse…-
-Non c’è fretta- mi blocca prima che finisca di parlare – lo farai dopo, adesso ho una storia da ascoltare- e poi mi sorride. Non è un segreto che io non riesca a resistere al sorriso di Edward, tutti lo sanno.
Ha sorriso in un modo tutto nostro, come se sapesse quali sono i punti giusti da toccare per vedermi capitolare, tant’è che per un secondo mi domando se sia realmente affetto da amnesia o se stia semplicemente facendo finta. Sì, come no! Come se una persona possa divertirsi a fingere di aver perso la memoria, mi do della cretina solo per averlo pensato e mi concentro di nuovo sulla storia.  
-Okay, dal principio… beh innanzitutto non ci siamo nemmeno presentati- allungo una mano verso la sua e aspetto che la stringa nella mia.
-Piacere Isabella Swan, ma tutti mi chiamano Bella-
-In questo “tutti” sono compreso anche io?-
-Naturalmente-
-Bella eh?-
-Il nome ti dice qualcosa?-

Ti prego dì di sì, ti prego dì di sì.

Lo vedo assottigliare gli occhi come per concentrarsi su qualcosa di estremamente difficile.
-No, mi dispiace- la mia delusione è lampante. Forse dovrei evitare di mostrarmi entusiasta per ogni piccolo dettaglio, lo metto sotto pressione e questo non gli fa bene.
-Non preoccuparti, è tutto okay. Dunque dov’eravamo rimasti?-
-Veramente non hai neppure cominciato-
-Giusto. Allora partiamo dalla sera in cui ci siamo conosciuti, ti va?-
-Sono tutto orecchi-
-È successo cinque anni fa, a casa dei tuoi genitori. Tuo padre aveva dato una mega festa alla villa di Riverbank-
-Ah… eri un’invitata?-
-No, niente affatto. Ero una cameriera, lavoravo per il servizio di catering che tuo padre aveva assunto per quella sera- la faccia di Edward è tutto un programma. Magari si aspettava che gli dicessi di essere la figlia di un miliardario di New York.
-Sei sorpreso- la mia non è una domanda. Lui aspetta un po’ prima di rispondermi.
-Sarò sincero. Sì, sono molto sorpreso- poi vedendo la mia faccia mortificata si affretta ad aggiungere – non che io ritenga impossibile impegnarsi in una relazione con una cameriera…-
-Lo dici come se fosse una cosa sbagliata-
-Non sbagliata, no-
-E allora cosa vuoi dire?-
-È che ricordo… beh all’epoca frequentavo una ragazza, per questo mi sembra strano che io e te… si insomma, hai capito no?-
-Sì, ho capito- non riesco a reprimere un moto di rabbia. Si ricorda della sciacquetta che aveva prima di conoscermi, ma non si ricorda di me. La vita certe volte fa veramente schifo – comunque, non vi frequentavate più da qualche mese quando ci siamo conosciuti. Me lo hai detto tu quella sera stessa-
-Ti ho detto anche come mai ci siamo lasciati?-
-Mi pare dicesti, testuale, “Kate, quella stronza, mi ha tradito per mesi”-
-E per caso ti ho detto anche con chi?-
-Con un certo Garrett se non ricordo male-
Si prende qualche secondo per metabolizzare la notizia e mi guarda sbalordito.
 
Come se avessi appena parlato in Sanscrito!
 
Sono sorpresa di vedere la sua faccia contratta in una smorfia di dolore, mi aveva detto che con questa Kate le cose non erano affatto serie.
-Che c’è?- mi ritrovo a chiedergli sgarbata – scusa, ma quando ci siamo conosciuti non avevi alcun interesse per questa fantomatica ragazza. Perché ora reagisci così?-
-Non sono sicuro di voler condividere la mia vita con un’estranea, anche se sembra conoscermi meglio di chiunque altro!- sbotta stizzito.

Mi avrebbe fatto meno male un intervento a cuore aperto.
Se solo servisse a fargli vedere in quanti pezzettini ha ridotto il mio povero muscolo cardiaco con quest’ultima affermazione mi sottoporrei all’istante.
Vorrei urlare tutti gli improperi più volgari che conosco ma sono costretta a mordermi la lingua e ad accettare, anche se controvoglia, che questa è la verità: io sono un’estranea per lui. Non posso pretendere che si apra con me, che si fidi dopo nemmeno un’ora di chiacchiere. Non posso recitare il ruolo della mogliettina gelosa, non posso dimostrarmi arrabbiata o svilita se mi da una risposta diversa da quella che vorrei.
Probabilmente colpito dalla mia espressione abbassa gli occhi mortificato.
-Non era mia intenzione farti arrabbiare, scusami- è giusto che sia io a farmi avanti, non voglio caricarlo di nessuna colpa.
-No, scusami tu. Anche se non mi ricordo di te non ho nessun diritto di essere scortese. Tu stai solo cercando di mettere a posto i tasselli mancanti del puzzle-
-Già, spero di non combinare danni-
-Nessun danno. Stranamente mi fido di te anche se ti conosco appena, e credo a quello che mi stai dicendo. Che ne dici di andare avanti?-
Annuisco rilassandomi meglio sullo schienale della sedia.
-Garrett è, era a questo punto, uno dei miei più cari amici- mi coglie alla sprovvista; pensavo che avessimo dichiarato chiuso il discorso.
-Avevo capito che Kate mi tradiva, ma non essendo una storia seria non ho mai dato il giusto peso alla faccenda. Garrett mi diceva sempre che non avevo nulla di cui preoccuparmi, che Kate pendeva dalle mie labbra e che non mi tradiva con nessuno. Per questo ci sono rimasto male quando mi hai detto il suo nome. Evidentemente alla fine ho scoperto il loro gioco, almeno così mi pare di aver capito o sbaglio?-
-No, non sbagli, è quello che mi hai detto quando ci siamo conosciuti-
-Bene voltiamo pagina. Non ne voglio più parlare-
-Ne sei sicuro?
-Assolutamente. Allora? Cosa ti ho detto quella sera per farti capitolare? Siamo arrivati alla parte più succosa e rimpiango di non avere con me una busta di popcorn!-
Rido di gusto davanti al suo tentativo di sdrammatizzare.
-La prossima volta potrei corrompere una delle infermiere?-
-Sarebbe fantastico-
-Dunque, dov’ero rimasta? A sì, la festa su a Riverbank. È stato così imbarazzante!-mi porto le mani al viso per coprire il mio rossore. Non dovrei mostrarmi così interessata, d’altra parte gli ho appena detto che siamo separati, ma è più forte di me.
-Perché?-
Prendo un respiro profondo; improvvisamente mi sento una bambina euforica ed eccitata.
-Beh perché in un primo momento mi sentivo fuori posto, non avevo mai visto tanto lusso in vita mia. Il salone immenso era pieno di gente ed io dovevo districarmi come un anguilla in mezzo ai tavoli e a tutti quei ricconi. Avevo una paura tremenda di inciampare in qualche velo di taffetà e stramazzare al suolo. Stavo appunto dribblando un’attempata signora stabile quanto un funambolo ubriaco, quando ti ho intravisto nella folla- arrossisco maggiormente solo al ricordo.
-Ti ho folgorata con il mio fascino forse?-
Non rispondo alla sua provocazione e il rossore sul mio viso si accentua di più.
-Non ci credo. È così?- annuisco debolmente- quindi è stato un colpo di fulmine il tuo?- lo dice come se fosse una cosa brutta e tanto ridicola.
-Più o meno. Ti ho visto da lontano ma è bastato qualche secondo per…- fermati, fermati! Urlo internamente, prima di dire qualche stronzata. Ancora non è pronto.
Mi schiarisco la gola prima di continuare –… la serata è stata magnifica. Il cibo era ottimo e nessuno si è lamentato del mio servizio- concludo telegrafica.
-E io? dove sono io in tutto questo?-
-Ci sto arrivando! Dunque… avevo appena finito di portare l’ultimo vassoio di bicchieri sporchi in cucina e volevo raggiungere il resto dello staff in giardino. Ero così stanca che non mi reggevo in piedi. Ancora oggi non so spiegarmi come abbia fatto a sbagliare direzione, ma invece di andare in giardino ho percorso il corridoio inverso che portava alle stanze da letto-
-Oddio, non dirmi che noi…- indica con un dito prima me e poi lui.
-Ma no, cosa ti salta in mente?- urlo scandalizzata - sei sempre stato un gentiluomo Signor Cullen. Non avresti mai approfittato di una donna stanca e con un tremendo mal di piedi-
-E allora cos’è successo?-
-È successo che una musica mi ha guidata da te-
-Wow, neanche nei film si sentono cose così zuccherose-
Rido divertita e anche lui si unisce a me, ma è costretto a fermarsi subito per il dolore che gli procura alla testa – già, ma posso giurarti che è la verità. Stavi suonando quella che ancora oggi considero, consideriamo, come la nostra canzone- gli lancio appositamente dei segnali  - il suo suono mi ha condotto da te, e nel momento in cui ho aperto la porta e ho incrociato i tuoi occhi, ho capito che niente sarebbe stato più come prima-
Resta zitto per qualche secondo a fissarmi; forse ho davvero esagerato questa volta. Il mio cuore batte come un forsennato, ho la sensazione che possa schizzarmi fuori dal petto.
-Ti ho proprio folgorato eh?- dice con un sorrisetto compiaciuto.
-Diciamo che è stata reciproca la cosa- è stupito, ma non lo lascia a vedere.
-Mmhh e poi? Cos’è successo dopo?-
-Mi hai sorriso e…-
-E…?-
-Beh, mi hai invitato ad entrare e hai chiesto il mio nome. Dopodiché hai fatto una battuta sdolcinata su quanto secondo te mi rispecchiasse appieno e mi hai invitato a ballare-
-No, non ci credo!-
-Credici perché è così-
Mi piace vederlo così stupito per qualcosa che lui stesso ha compiuto tempo fa e della quale non si ricorda.
-Aspetta, se ero io a suonare il pianoforte chi ha suonato per noi?-
-Non ci crederai signor Cullen, ma ti sei messo a cantare-
Si porta le mani a coprire la faccia e lo vedo arrossire di colpo – tu stai mentendo! E spudoratamente anche-
-Hai fatto tutto tu, davvero. In effetti nemmeno io mi aspettavo tanto miele ma è stato un gesto terribilmente romantico- non riesco a reprimere una risata- io mi sono solo limitata ad obbedire. Pendevo dalle tue labbra e mi sono lasciata fuorviare dal tuo linguaggio poetico e rassicurante-
-Sarà, ma non mi sembri così ingenua da lasciarti abbindolare così facilmente da un uomo-
Dipende di quale uomo parliamo vorrei ribattere ma mi mordo la lingua.
-Ero solo una ragazzina, non ho potuto farci niente. I miei ormoni hanno preso il sopravvento- ride di gusto ma una smorfia di dolore lo trattiene dall’esagerare.
-Ora capisco perché mi sono innamorato di te sei anni fa. Sei uno spasso Bella-
Oddio, non posso credere a quello che ha appena detto. Non ne sono sicura ma credo di aver perso qualche tonalità di rosso dalla faccia.
-Perciò scommetto che ti ho chiesto d’uscire-
-Sì, ma io ho rifiutato-
-Perché?- di nuovo quello sguardo stupito.
-Beh perché io non ero una miliardaria, non avevo nulla da offriti e mi sentito terribilmente fuori luogo a stare con te. Voglio dire: chiunque avrebbe pensato che lo stessi facendo per interesse. Abbiamo passato una bellissima notte, abbiamo parlato davvero tanto, però non sono riuscita a dirti di sì quando mi hai chiesto un appuntamento-
-Però alla fine hai accettato-
-Non ho potuto fare altrimenti, visto che ti sei presentato sotto casa mia l’antivigilia di Natale con l’assurda convinzione di portarmi a pattinare-
-Credimi, ogni secondo che passa rimango sempre più allibito-
-Mi hai portato alla pista di pattinaggio del Rockefeller Centre e mi hai offerto una cioccolata calda. Beh, è stata una bella serata-

Passiamo il resto del tempo a parlare dei vari appuntamenti che abbiamo avuto fino a che con la stessa naturalezza con la quale mi direbbe che ho del dentifricio sulla maglietta mi chiede:  
- E perché ci siamo lasciati?- saltando tutta la parte del matrimonio e della convivenza e arrivando subito al punto.
-Facciamo che te lo racconto un’altra volta?- dico agitata mentre guardo distrattamente l’orologio e mi accorgo che l’orario visite è quasi finito. Non voglio che tutto finisca così in fretta. Mi incatenerei a questa sedia se solo potessi. Ma gli argomenti stanno diventato spigolosi.
-Non se ne parla nemmeno. Voglio sapere come è andata, e lo voglio sapere adesso-
Mi stupisco del suo fervore. Improvvisamente mi guarda come uno che in punto di morte ti chiede di esaudire il suo ultimo desiderio. Capisco quanto possa essere importante per lui colmare il vuoto che sente dentro.
-Tornerò a trovarti e ti racconterò ogni cosa, promesso- cerco di tenerlo calmo ma sbuffa contrariato e per un secondo mi sfiora l’idea che possa mettersi a piangere. Perciò è istintivo per me allungare una mano per fargli una carezza, come faccio con Sophie quanto cade e piange fino a che con un bacio non guarisco la sua “bua”.
Afferro saldamente la sua mano nella mia e con il pollice comincio a massaggiare il monte di venere. Lui si irrigidisce immediatamente e capisco di essermi spinta troppo oltre i limiti che mi ero prefissata di rispettare.

“Non toccarlo. Non dirgli quello che provi. Non essere invadente”  


Diciamo che in un colpo solo li ho buttati giù tutti e tre, come massi da un dirupo.
La sudorazione della mia mano comincia a diventare imbarazzante e la ritiro di scatto. Lui mi guarda stupito e impacciato.
-Vedi? È per questo che voglio che tu continui a parlarmi del mio passato. Io non mi ricordo di te, ma sento che quello che fai, la tua risata e il tuo tocco- si interrompe per riprendermi la mano e il cuore mi schizza in gola- sono una quotidianità che ho perso. Ma io non sono così. Almeno il me rimasto a sei anni fa non era affatto così. Io non mi sarei mai sposato-
Le sue parole mi fanno male, avrei dovuto dimostrarmi più distaccata e invece sono qui a bearmi del contatto con il suo palmo. Sento la sua pelle morbida ed elastica, le sue dita lunghe e affusolate, la sua grande mano che stringe ancora una volta la mia e non capisco più niente.
Dopo un po’ trovo solo la forza di dire – cosa intendi?-
-Che non mi sono mai comportato così con una donna. Non ho mai suonato o cantato per lei, neanche per fare colpo. Non ho mai sentito il bisogno di tenere una mano stretta nella mia, ma l’Edward nuovo, quello che conosci tu lo farebbe eccome vero?-
-Sì- mi perdo nei suoi occhi e nella carezza dolce della sua voce. Penso di guardarlo con la faccia da pesce lesso ma non mi importa.
-Capisci ora perché voglio sapere ogni cosa? Per capire che persona sono adesso. Sei anni di vita sono davvero tanti. Un bambino impara a camminare, parlare fluentemente e andare a scuola in sei anni!-
Ed eccola lì, la parolina magica, quella che ho temuto di pronunciare sin da quando ho messo piede in questa stanza e che mi fa tornare con i piedi per terra: “Bambino”.
Io e te abbiamo una figlia Edward, come faccio a dirtelo?
Ora capisco più che mai che non è pronto per affrontare una tale realtà. Anche se nell’immensità di cose che ho da dirgli questa è senza dubbio la prima.
Qualcuno bussa alla porta proprio mentre sto per cedere alla pressione del suo sguardo implorante.
È l’infermiera che mi ricorda che l’orario delle visite è terminato e che devo andare via.
-Sì, un attimo- le rispondo prima di voltarmi a guardare Edward. Lo trovo con gli occhi chiusi e con la faccia girata dall’altro lato, come se stesse dormendo. Ma lui non sta dormendo. La sua freddezza mi ferisce ma non posso biasimarlo.
Cosa faccio? Mi domando. Non vuole che lo saluti, in effetti non saprei cosa dirgli oltre a “ci vediamo domani”. Sa che sono, ero, sua moglie, ma questo non cambia nulla. Al momento sono solo una sconosciuta che gli ha raccontato la storia di due persone totalmente diverse dalle persone che siamo ora. Ha sorriso, ha riso più volte, ma è una storia che non lo tocca in nessun modo se lui per primo non è coinvolto sentimentalmente.
Perciò rispetto la sua volontà. Infilo il cappotto, prendo la borsa e con un’ultima occhiata mi volto e vado via, con un po’ più di leggerezza nel cuore rispetto a quando sono arrivata e felice di aver trascorso un’ora in compagnia dell’uomo che amo, fiduciosa che presto si sistemerà tutto.
In che modo resta un mistero.

Nemmeno due minuti dopo sono difronte l’ascensore e cerco il cellulare nella borsa per controllare le chiamate quando mi cade a terra il portafogli e il volto di mia figlia mi guarda sorridente abbracciata ad un uomo che non c’è più.
Un uomo che le somiglia moltissimo e alla quale è legata da un affetto e un amore incommensurabili.
Il “tlin” dell’ascensore scatta ma io sono già lontana.
Apro la porta della camera di Edward con così tanta forza da farlo sobbalzare dallo spavento e non aspetto che lui apra bocca, non aspetto che lui sia pronto per ascoltare l’ennesima storia che lo lascerà indifferente. Nel Queens c’è una bambina che ha bisogno di suo padre.
Piazzo la foto sul lenzuolo immacolato e aspetto che Edward la prenda e mi dica qualcosa.
Mi guarda spaesato ma capisce subito di chi si tratta. Nessuno potrebbe sbagliarsi.
-Già- dico, la mia voce è intrisa di risolutezza – questa bambina è tua figlia. Ha quattro anni ed è la persona più importante della tua vita- deglutisco a fatica visto il macigno che mi ritrovo piantato in gola – puoi anche non ricordarti di me, puoi anche non sapere chi sei in questo momento, puoi farti e farmi tutte le domande che vuoi. Ma se c’è una certezza reale e concreta in questo mondo, che nessuna amnesia può mettere in dubbio, è che tu hai una figlia e lei ha bisogno di te-


O.o come reagirà Edward a questo punto?
Lo so, mi odiate perché finisco i capitoli sempre sul più bello.
Grazie perché seguite ancora la mia storia e trovate anche il tempo di recensire.
Alla prossima!

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Capitolo 12
*** Cap. 12 ***


Cap 12

No, non state sognando. E’ davvero il nuovo capitolo. Mi dispiace molto per il ritardo, capirei se non voleste più leggere.
Dove eravamo rimasti?

Bella va a trovare Edward in Ospedale, e dopo un pomeriggio passato a parlare della loro storia d'amore, gli confessa di essere padre:
"– questa bambina è tua figlia. Ha quattro anni ed è la persona più importante della tua vita- deglutisco a fatica visto il macigno che mi ritrovo piantato in gola – puoi anche non ricordarti di me, puoi anche non sapere chi sei in questo momento, puoi farti e farmi tutte le domande che vuoi. Ma se c’è una certezza reale e concreta in questo mondo, che nessuna amnesia può mettere in dubbio, è che tu hai una figlia e lei ha bisogno di te-"

Capitolo 12

Ci sono legami che sfidano il tempo e la logica,

ci sono legami che sono semplicemente

destinati ad essere.

-Grey's Anatomy.

23 Novembre 2011

L’aria è molto fredda fuori, il termometro segna appena 3 gradi.
La radio trasmette una canzone così malinconica e triste che mi fa sprofondare ancora di più nell’angoscia, perciò la spengo del tutto. Ovunque mi giri vedo tutto bianco: quest’anno la neve è caduta così abbondante che è quasi difficile transitare con le auto. I mezzi spazza neve e spargi sale sono attivi 24 ore su 24.
Ma nonostante l’impedimento dell’asfalto ghiacciato non posso fare a meno di schiacciare il pedale dell’acceleratore.
-Mami, quando arriviamo?-
-Presto amore, presto-
Sophie è seduta nel sedile posteriore e come me guarda dal finestrino il manto bianco che ricopre ogni cosa. Per placare la sua impazienza, e pure la mia, inserisco nello stereo un CD di canzoni Natalizie con la nostra playlist personale. Ormai siamo agli sgoccioli, domani è il giorno del Ringraziamento e a seguire il Black Friday. Non faremo nemmeno in tempo ad andare a comprare un albero di Natale che tutte le festività saranno passate. Abbellire la casa con le decorazioni Natalizie è uno dei nostri passatempi preferiti, anche se negli ultimi anni il Natale è stato un po’ una spina del fianco per me, con la separazione da Edward, mio padre nelle sue “non bene definite condizioni” e il compleanno di Sophie, le mie ghiandole lacrimali ad un certo punto del mese hanno chiesto pietà.
Speravo che quest’anno fosse tutto diverso, che il desiderio che avevo espresso l’anno scorso di riavere indietro la mia famiglia serena e riunita, si realizzasse.
Ma, a quanto pare, mi sbagliavo.
Sono passati ventitré giorni da quando ho confessato a Edward di nostra figlia. Da quando in quel letto d’Ospedale, mi ha guardata negli occhi e d’improvviso mi sono ritrovata a fare un giro sulle montagne russe.
-Non è possibile, non ci credo- ha detto in un primo momento, facendomi toccare il fondo. Mi sarei messa a piangere se non fosse stato per quel : -è incredibile, mi somiglia così tanto- arrivato subito dopo, che mi ha fatto toccare il cielo con un dito.
Mi ha fatto sospirare di sollievo, ma dovevo immaginare che non sarebbe durato.
Inizialmente, ha preso positivamente la notizia di Sophie; ha studiato la sua foto a lungo, tanto che, ad un certo punto, sono sicura di averlo visto commuoversi.
Poi è successo qualcosa. Tutto è cambiato.
Mi ha restituito la foto con rabbia, dicendomi che era meglio se non gli avessi detto niente, che non aveva nessuna intenzione di conoscerla e che avrei fatto bene ad andare via e a non ritornare mai più.
Le mie lacrime, che fino a quel momento erano di gioia, si sono trasformate in una specie di acido corrosivo. Ho sentito la mia pelle bruciare e non certo per il sale, ma per la collera che mi era montata dentro dopo quelle parole.
Gli ho mollato una schiaffo, uno schiaffo tremendamente forte. Con una voce tanto gelida, da non sembrare nemmeno la mia, gli ho vomitato addosso tutto quello che provavo e con un chiaro e deciso: - tu non la meriti- gli ho voltato le spalle e sono andata via.
Fino a che non ne ho parlato con qualcuno credevo, anzi ero fermamente convinta, di essere nel giusto, ma sbagliavo.
Sia Jen, sia mio padre, mi hanno fatto capire che non avrei dovuto aspettarmi di più, che anzi, la reazione di Edward era più che comprensibile.
-Edward, ha subito uno choc, cara- mi ha detto mio padre quella sera stessa- dobbiamo comprendere che quest’uomo deve convivere con il pensiero di aver perso sei anni della sua vita, i più importanti a quanto gli hai fatto credere. La notizia di Sophie, per quanto bella, lo ha lasciato con un altro vuoto nel cuore. Preferisce sparire dalla sua vita piuttosto che farne parte senza ricordare quello che lei rappresenta per lui. Cerca di comprenderlo e, soprattutto, non giudicarlo-
Ed è così, con le parole di mio padre in testa, che il giorno dopo mi sono presentata davanti alla sua porta.
Non l’ho giudicato, sono stata zitta e ho ascoltato:
-Non so cosa fare. Bella… ho così tanta paura. Ho paura di non riuscire a ritrovare il passato che ho perduto. Di non ricordarmi più di te, né della bambina. Lo so, potremmo ricominciare tutto daccapo, ma non sarebbe la stessa cosa. Sento che Sophie, entrambe, meritate molto di più ed io non voglio illudermi che presto riacquisterò la memoria. Perciò è meglio se mi faccio da parte, per il bene di tutte e due-
Ad un mio accenno di dissenso si è portato le mani al viso.
Il suo corpo tremava, scosso dai singhiozzi, neanche avesse appena ricevuto un pugno in pieno stomaco, dopodiché è scoppiato.
-Ma non capisci il male che mi fate, Bella? Voi volete qualcosa da me che io non posso darvi. Perché è successo a me? Perché?-
E poi non ce l’ho fatta: mi sono buttata sul letto vicino a lui e l’ho abbracciato forte, fino a che le sue lacrime non hanno oltrepassato il tessuto della mia camicetta e hanno accarezzato la mia pelle. Siamo rimasti così fino a che i singhiozzi che lo scuotevano non sono scomparsi e poi, entrambi imbarazzati; io, con il profumo della sua pelle ancora nelle narici e lui, con uno sguardo stranamente dolce negli occhi, ci siamo tirati indietro.


È da quel giorno che va avanti questa situazione di imbarazzo, di sguardi fuggevoli e parole non dette.
In molte occasioni, anzi, in quasi tutte, siamo stati interrotti dall’arrivo di qualcuno.
E con Esme e Carlisle vicino non abbiamo mai affrontato l’argomento, non abbiamo mai parlato direttamente, ci siamo limitati a rispondere alle domande che ci venivano poste. Prima di lasciare la sua stanza, però, non ha mai mancato di chiedermi come stesse Sophie.
Durante il suo periodo di convalescenza, come dicevo, la compagnia non ci è mancata. Se non si trattava di Carlisle o Esme, era Alice a venirlo a trovare.
Con lei è stato più facile essere me stessa. Con lei non dovevo vergognarmi se mi scopriva a fissarlo imbambolata e ad arrossire imbarazzata.
Viceversa, lei si è sentita libera di mostrarsi per quello che è, cioè: una donna felice in dolce attesa.
Quello che non ci aspettavamo, però, era che anche Edward si accorgesse delle stesse cose.
Un giorno l’ha guardata fissa negli occhi e le ha chiesto:
-Chi è lo stronzo che devo malmenare per averti messa incinta?-
Ovviamente, lui non sapeva dell’esistenza di Jasper. Non gliel’avevamo detto di proposito. Su richiesta di Esme e Carlisle, tutto quello che è successo in questi ultimi sei anni è diventato un argomento tabù. Scelta che io giudico sbagliata ma loro insistono col dire che Edward è troppo fragile ora, e che fino alla sua completa guarigione dobbiamo trattarlo come un oggetto prezioso, neanche fosse fatto di vetro soffiato!
Di questi argomenti tabù, ovviamente, fa parte il motivo della nostra separazione. Anche la fuga di Mike e il relativo incidente con la rispettiva perdita mnemonica per un po’ sono stati innominabili.
Parlo al passato perché, com’era giusto che fosse, Edward ne è venuto a conoscenza. Non abbiamo potuto evitare che il Detective Cameron si interessasse alle sue condizioni e che venisse a trovarlo in Ospedale.
Edward, gli ha fatto il terzo grado, ha voluto sapere ogni cosa.
Sotto lo sguardo preoccupato di Esme, la faccia inespressiva di Carlisle e la mia (non lo nego) preoccupazione, è venuto a conoscenza di tutto.
Del suo allontanamento dalla società paterna fino alla fondazione della M&E Corporation. Dagli anni di duro lavoro fino alla fuga di Mike. Dal suo sospettato coinvolgimento fino al suo incidente.
L’ho guardato attentamente per tutto il tempo; si è sorpreso, ha provato molto dolore ed ha incassato il colpo rivelando a tutti la sua delusione. Ha affrontato tutto con lo stoicismo che l’ha sempre caratterizzato chiedendo al Detective novità sulle indagini.
-Quale delle due?- ha chiesto con tatto il poliziotto.
-Entrambe. Quello che mi è successo è collegato alla frode aziendale?-
-Vuole sapere se qualcuno ha attentato alla sua vita per vendicarsi di quanto successo in azienda? Beh molte persone, oserei dire centinaia, potrebbero avercela con lei. Il tracollo della sua società ha mandato in rovina molta gente. Persone che avevano investito in titoli, che erano diventati soci, d’improvviso si sono ritrovate con un pugno di mosche in mano. Le indagini stanno proseguendo, ma non credo di sbagliare se le confermo che sì, il suo incidente è collegato al fallimento della M&E Corporation. Forse qualcuno ha attentato alla sua vita per vendicarsi dello sgarro subito-
-E Mike? L’avete trovato?-
-No, purtroppo no. Le indagini proseguono e non appena sapremo qualcosa glielo comunicheremo-
Da quel giorno ho visto qualcosa cambiare sul suo volto. Come se quella notizia l’avesse fatto invecchiare di colpo. Per giorni ho sentito il suo senso di colpa prevalere su tutto; quasi palpabile avrei potuto stringerlo in una mano. Ho cercato in tutti i modi di distrarlo e alla fine è arrivata sua sorella con la novità del bambino.
A quel punto, non potevamo più tacere nonostante le raccomandazioni dei suoi genitori.
Alice, gli ha raccontato tutta la storia etra lacrime, risate e occhiate di disapprovazione anche Edward è stato messo al corrente della faccenda. Ha appoggiato la sorella, ovviamente, come aveva fatto in precedenza e le ha promesso che avrebbe messo una buona parola con il padre.

Sapevo già che stava tramando qualcosa: per giorni e giorni, ogni volta che Carlisle veniva a trovarlo, lo punzecchiava sulla relazione della sorella, facendolo andare via indignato.
Il giorno in cui ha attuato il suo piano diabolico, io arrivai in ritardo, c’erano già i suoi genitori nella stanza. Quando ho aperto la porta l’ho trovato moribondo, con una flebo al braccio e i monitor, dei quali non aveva più bisogno da tempo, accesi e un colorito pallido da far paura. Mi sono subito avvicinata al suo letto, troppo spaventata dalle sue condizioni. Pensavo che stesse davvero per morire, quando ad un tratto mi ha fatto l’occhiolino.
L’occhiolino!
Avrei voluto prenderlo a pugni solo per lo spavento, ma da quello che stava dicendo a Carlisle ho capito subito che dovevo starmene zitta.
-Papà… io non so se sopravvivrò, non questa volta-
-Figliolo, non devi nemmeno pensarla una cosa del genere-
-Papà… se non dovessi farcela, voglio che mi prometta che ti prenderai cura della mamma e di Bella, di Sophie e di Alice…-
-Certo certo, ma non devi preoccuparti, vedrai che tutto si sistemerà-
-… e anche di Jasper- solo a sentire il nome, Carlisle cambiò espressione –promettimelo papà. Promettimi che non ostacolerai più la loro unione…-
-Edward…-
-Ti prego, papà, prometti!-
Un colpo di tosse che gli fece uscire gli occhi dalle orbite, degno dei più melodrammatici attori di Hollywood, convinse Carlisle a dargli la risposta.
-Te lo prometto, figliolo, te lo prometto. Ma adesso sta calmo, non agitarti-
La tosse continuava a scuoterlo tanto da non capire se stesse facendo finta o se invece stesse soffocando per davvero. Nel dubbio, implorai Carlisle di andare a chiamare il Dottore e Esme di andare a recuperare dell’acqua.
Entrambi terrorizzati uscirono dalla stanza correndo e Edward poté finalmente respirare normalmente.
-Meriteresti il premio Oscar, lo sai? Oppure di finire in prigione. Ma sei impazzito?-
-Non avrebbe mai ceduto altrimenti-
-Sei…sei… chi ti ha aiutato a fare tutto questo?-
-Un po’ tutti. Ho spiegato che si trattava di una buona causa e hanno accettato-
-Ah-ah, non ti credo. Tu li hai pagati. Per caso il reparto di Neurochirurgia avrà presto una sala intitolata a tuo nome?-
-Te l’ho detto, era per una buona causa…-
Il Dottore e le infermiere, chiaramente influenzate dalla presenza fisica di Edward (anche fasciato e con la testa quasi fracassata il mio ex marito miete vittime come uno stallone nella stagione dell’accoppiamento), hanno fatto credere a tutti che si trattava di un’infezione che aveva colpito i polmoni e che con le adeguate cure, Edward, sarebbe presto guarito.
-Diabolico… sei un essere diabolico- gli ho detto quella sera prima di andare via.
-Lo so, diabolico è il mio secondo nome-
Sta di fatto che, dopo quel giorno, il rapporto che Carlisle aveva con Jasper è radicalmente cambiato. Certo non fa i salti di gioia quando si trovano nella stessa stanza, ma almeno il loro approccio è diventato civile ed educato come quello di due persone che si conoscono per la prima volta. Alice, come c’era d’aspettarselo, è al settimo cielo.

In questo periodo ho avuto modo di appurare che per Edward la novità del nipotino, e solo per lui perché per il momento nessun’altro ne è al corrente, ha avuto l’effetto di una pomata lenitiva.
Ha cominciato ad interessarsi ai bambini, alla loro crescita dentro e fuori la pancia, questo gli ha permesso di recuperare un po’ il sorriso che aveva perso in seguito alle rivelazioni del Detective Cameron. Il più delle volte si rivolgeva alla sottoscritta quando voleva avere delle risposte, soprattutto mi chiedeva com’era stata la mia di gravidanza.
Emozionata, ho risposto a tutte le sue domande, raccontandogli aneddoti divertenti che lo riguardano personalmente, come il cazzotto che si è preso in piena faccia durante il corso pre-parto.
In più di un’occasione, l’ho visto camuffare un singhiozzo in una risata e gli occhi lucidi in uno sbadiglio.
Non nego che tutto questo ha contribuito ad avvicinarci. Ora non mi guarda più in maniera ostile come faceva i primi giorni e vengo pure a trovarlo più spesso.
Ogni volta mi regala sorrisi sempre più spontanei.
Ho capito che si è affezionato molto anche a Sophie, non manca giorno in cui non mi chieda come sta, ma mai che mi preghi di portarla da lui per fargliela conoscere.
Quando vado via, spero che sia la volta buona. Che prima di scomparire dietro la porta lui mi chiami e mi dica – voglio vederla- e invece non lo fa mai.
Edward in questo momento è come un bambino, un bambino che scopre una cosa nuova e deve ancora decidere se gli piace o meno.
Sono stata buona e remissiva, non gli ho mai imposto nulla anche se per il bene di Sophie avrei dovuto farlo da molto tempo e ho aspettato ogni sera con il cuore in gola una richiesta che non è mai arrivata.
Però ora basta.
Oggi ho capito che non posso aspettare i suoi tempi. Sophie sta soffrendo molto, vuole il suo papà, ha bisogno del suo papà, e ne ha bisogno adesso.
Per questo motivo la sto portando in Ospedale.
Non mi importa quello che dice Edward, se secondo lui non è ancora pronto, se secondo lui non ha nulla da offrirle. Lei ha bisogno che lui ci sia e, in un modo o nell’altro, sono sicura che riusciremo a mascherare il suo handicap momentaneo.

Da un po’ di giorni avevo notato un piccolo cambiamento in Sophie, ma lo attribuivo alla leggera influenza che aveva avuto la settimana scorsa.
Oggi ho capito che sbagliavo.
Ero in riunione quando mi hanno telefonata dall’asilo e non ho esitato un’istante a mollare tutto e scappare da lei.
L’ho trovata in lacrime, con il viso arrossato, seduta sulle gambe della maestra. Ho subito pensato che avesse fatto a botte con qualche bambino, la “mamma orso” che è in me era già pronta a colpire per vendicare il suo onore, ma mi sono bastati due secondi per capire quello che era successo.

“Alla scoperta dei papà e dei loro mestieri” così recitava il cartellone giallo attaccato alla lavagna sopra le nostre teste. A quel punto i miei occhi, che fino a quel momento erano stati impegnati a controllare le braccia e le gambe di Sophie per scongiurare qualche ferita o sbucciatura, si sono incollati sulla schiera di uomini, più o meno una quindicina, addossati alla parete in attesa di cominciare la lezione, e subito dopo, furenti di rabbia, sulla signorina Blanchard.


-Mi dispiace signora, ma non sono riuscita ad avvisarla in tempo- la maestra, mortificata, a stento è riuscita a trattenere il tremore alla voce dopo la mia sfuriata.
-Sì, ma doveva aspettarselo! Tutti i papà dei suoi compagni erano presenti tranne il suo. Non voglio umiliarla, le sue iniziative sono tanto lodevoli, ma Sophie in questo momento è molto fragile, soprattutto se parliamo di suo padre. Eppure lei sa cosa gli è successo!-
-Lo so, lo so. In questi giorni ho evitato di toccare qualsiasi argomento potesse ferirla, ma è lei ad insistere. È lei a chiedermi di suo padre, se per caso telefona la scuola per avere sue notizie. Come da accordi le ho mentito, anche se controvoglia. Solo che oggi non sono proprio riuscita ad avvisarla, mi creda. Prepariamo questa giornata da settimane, non può sapere quant’è stato stressante riuscire a trovare un giorno che andasse bene a tutti i papà-
-Proprio perché vi preparavate da settimane avreste dovuto avvisarmi. Se avessi saputo oggi non l’avrei portata a scuola-
-Sì, lei ha ragione… è che…-
-Va bene, va bene le credo- l’ho interrotta prima che potesse continuare con altre scuse. In seguito mi ha raccontato che Sophie è scoppiata in lacrime quando ha visto la sua amichetta Claire giocare con il padre e che ha continuato a piangere fino al mio arrivo.

“Basta, ora basta” ha continuato a ripetere una voce nel mio orecchio durante tutto il colloquio. Una voce talmente insistente da farmi dubitare della mia sanità mentale. Ho stretto i pugni talmente forte da conficcarmi le unghie nei palmi per non sentirla più, per scacciarla via e, dopo un bel respiro, tutto mi è apparso più chiaro.
Che stupida che sono stata! Avrei voluto urlarlo a squarcia gola, solo che non avrei saputo come giustificarmi con Miss Blanchard, che, imbambolata, ha continuato a fissarmi per tutto il tempo, forse in attesa di un mio morso in grado di staccarle la testa. Dopo essere uscita dal suo ufficio sono andata dritta da Sophie, l’ho guardata negli occhi, gli stessi occhi verdi del padre, le ho messo una ciocca di capelli dietro l’orecchio, le ho fatto soffiare il naso, e infine le ho detto: - vieni amore, ti porto da papà-.
Nei suoi occhi si è subito accesa una luce che non vedevo da tempo e, in quel momento, ho capito di aver fatto la scelta giusta.

Quando varchiamo la soglia dell’Ospedale ho il cuore letteralmente in gola. Sophie si stringe forte intorno al mio collo; l’ho presa in braccio per farla scendere dall’auto e non mi ha più mollato.
In macchina le ho spiegato che Edward ha avuto un’incidente e che non deve preoccuparsi se lo vedrà un po’ “cambiato”. Come una bimba grande mi ha guardata seria e mi ha detto – va bene mamma, non preoccuparti-.
Solo che non riesce a mascherare la sua impazienza, mi sta praticamente stritolando una spalla!

Avrei dovuto farlo prima penso, affondando il naso nei sui capelli. La mia piccola, dolce bambina non meritava di soffrire tanto. Ora che sento ogni suo muscolo teso, ora che avverto con quanta impazienza ha aspettato questo momento, vorrei maledire Edward e soprattutto me stessa per aver aspettato tutto questo tempo.

Sono quasi le 12.00 e l’orario delle visite è già terminato, infatti l’infermiera che ci troviamo davanti al reparto mi sbarra la strada come un bodyguard, avendone tutta la stazza oltretutto.
-La prego, dobbiamo passare, è urgente-
-Mi dispiace signora, i pazienti stanno pranzando, non posso lasciarla passare-
-Mi tratterrò davvero poco, mi creda-
-Non posso, è il regolamento dell’Ospedale-
-Il regolamento dell’Ospedale!- sbotto irritata – me ne infischio del regolamento! Quest’Ospedale recentemente ha ricevuto una grossa donazione da parte di mio suocero, il signor Carlisle Cullen, lo conosce?- a mali estremi, estremi rimedi – non vorrà che lo telefoni e gli riferisca del trattamento che mi avete riservato? – non è mia consuetudine ricattare la gente, ho sempre avuto rispetto per il lavoro degli altri e non ho mai approfittato della posizione dei Cullen per avere favoritismi, ma in questo caso non posso fare altrimenti.
L’infermiera mi guarda impietrita, indecisa se assecondarmi o meno. Alla fine fa semplicemente un passo indietro e torna a compilare le sue cartelle.
-Grazie- le dico sorpassandola – è molto importante-.
Non aspetto che mi risponda, percorro velocemente il corridoio e quando sono di fronte la stanza di Edward sento quasi le gambe cedermi.
Busso per cortesia non per altro, se solo fossimo in un film di fantascienza avrei già buttato la porta con la forza del pensiero.
Mi risponde immediatamente invitandomi ad entrare.
Sophie, alza la testa di scatto e mi guarda sorridente; ha appena riconosciuto la voce del suo papà.
Un respiro profondo e abbasso la maniglia.
Appena mi vede Edward ha due reazioni.
Mi sorride e mette giù la forchetta con cui sta mangiando dell’insalata, ma contemporaneamente le sue sopracciglia arrivano a toccare il soffitto. Lo vedo sbiancare di colpo quando passa da me alla bambina; i suoi occhi si spostano da me a lei ad una velocità pazzesca. All’interno vi leggo tanta paura.
-Papi, papi!- urla Sophie che scalcia per scendere dalle mie braccia e gettarsi in quelle del padre.
Il suo corpo è diventato una statua di cera.
Durante il tragitto in macchina ho pensato, immaginato e ipotizzato diverse potenziali reazioni. Tutte positive naturalmente, altrimenti non avrei mai rischiato. Ma ora che lo vedo immobile guardarmi terrorizzato, ho davvero paura che possa aver fatto una sciocchezza.
La lascio andare pregando con lo sguardo Edward di non deluderla. Nel tempo che intercorre tra la discesa di Sophie e la sua risposta, pochi secondi in realtà, sento il mio cuore galoppare a più non posso. Ma Edward non mi delude: la bambina corre verso il tavolino dove è seduto ma prima che alzi le braccia è lui ad andarle incontro e a stringerla forte al petto.
Una scena straziante che mi costringe a portare le mani davanti alla bocca per non lasciarmi sfuggire qualche singhiozzo.

-Bene, alla fine ce l’hai fatta- sento la nanerottola di mia cognata gongolare felice. Imbambolata, guardo Edward e Sophie giocare insieme sul letto. Sono così presi l’uno dall’altra che non fanno più caso a me. A noi.
Dopo un’iniziale imbarazzo, Edward si è sciolto completamente davanti al visino emozionato di Sophie e non ha saputo più resisterle. Ho continuato a piangere fino a che entrambi non sono venuti a stringermi forte in una sorta di abbraccio collettivo. Eravamo così presi che a stento abbiamo sentito la porta della stanza chiudersi dietro di noi.
Un urlo isterico ci ha fatto sobbalzare e quando ci siamo girati abbiamo trovato Alice in lacrime.
-Scusate, sono gli ormoni- si è giustificata subito prima di buttarci le braccia intorno al collo.
-Ora stai bene?- le chiedo preoccupata dopo che un leggero capogiro le ha fatto vedere i sorci verdi.
-Sì, sì non preoccuparti. Tu, piuttosto, come ci sei riuscita? Come hai convinto “Puffo Brontolone” ad incontrarla?-
-Oh, non ho dovuto chiedere il permesso a nessuno se è questo che intendi. Sophie aveva bisogno di lui e anche se tuo fratello non lo ammetterà mai, anche lui aveva bisogno di lei- e a vederli giocare nessuno direbbe il contrario.
-Tu, piuttosto, perché sei qui?- mi rivolgo a Alice ma è Edward a rispondermi.
-Te lo dico io-
Lascia Sophie sul letto e viene verso di noi. Ha fatto molti progressi nella riabilitazione e ora con le stampelle riesce a camminare, più o meno, in posizione verticale.
-Mi dimettono Bella-
-Cosa?- non ho nemmeno il tempo di elaborare la notizia che la mia bocca agisce per volontà propria –perché vengo a saperlo solo ora?-
-Beh perché il Dottore ce lo ha comunicato meno di mezzora fa. Stavo facendo la visita di routine quando Alice è arrivata. È venuta a trovarmi come tutti i giorni ed era presente quando il Dottore mi ha comunicato che potevo tornarmene a casa-
-Stavo telefonando ai miei quando sei arrivata tu- aggiunge lei.
-Ma che notizia meravigliosa!- mi sporgo ad abbracciarlo e lui mi lascia fare. Poggia la guancia sui miei capelli e a me sembra di poter prendere fuoco –sono felice per te. In tempo per le feste eh?- dico staccandomi imbarazzata.
-Sì, in effetti il Dottor Abernathy non ha saputo respingere le mie suppliche. Festeggiare il Ringraziamento con del prosciutto spacciandolo per tacchino non è proprio il massimo!-
-Conoscendoti a furia di mangiare brodini saresti capace di pappartene uno intero!- lo incalza Alice.
Stiamo ancora ridendo quando Esme e Carlisle fanno il loro ingresso in stanza.
-Bella! Sophie!- ci saluta Esme seguita a ruota da suo marito, rimasto pietrificato dalla scena.

Se solo gli sguardi potessero uccidere è proprio il caso di dirlo.
-Mamma, papà, non agitatevi è tutto a posto- si affretta a dire Edward e piano piano li vedo riacquistare il controllo. Dopo essersi accertati che è davvero tutto a posto, ci lasciano per raggiungere la loro nipotina che li osserva sorridente dall’altro lato della stanza.
Edward, si perde a guardarli per un poco e ho l’impressione di vedere un lampo di orgoglio nei suoi occhi. Quando Sophie comincia a ridere per via del solletico anche lui si unisce alla mischia seguito a sua volta da Alice.
Mi soffermo a guardarli mentre nel mio stomaco le farfalle impazzite che, fino a poco fa, svolazzano euforiche, diventano irrequiete. Un’ombra si abbatte sulla mia felicità quando mi rendo conto che oggi Edward verrà dimesso, verrà dimesso e andrà a vivere di nuovo dai suoi genitori.

Bella, ma cosa ti aspettavi? Niente, non mi aspettavo niente.
Mento. Mento a me stessa per non ammettere quanto in realtà mi faccia male questa decisione. Gli ultimi avvenimenti hanno sconvolto così tanto la sua vita!
E non mi riferisco solo all’amnesia, ma alle azioni legali che dovrà intraprendere a causa della sparizione di Mike. Senza contare il fatto che avrà bisogno di assoluto e tranquillo riposo.
Non può, non è pronto ad affrontare tutto questo insieme a me mi dico da sola.
Non mi conosce, non abbiamo ancora stabilito nemmeno un rapporto. Come dovremmo definire quello che c’è tra di noi? Se solo penso alla tragicità della situazione mi viene da ridere, non posso fare altro.
Lui ed io non siamo niente. Lui ed io non abbiamo niente.
Carlisle, Esme, Edward e Alice hanno la loro famiglia. Ora Edward ha anche Sophie. Alice ha il suo bambino. Esme e Carlisle hanno recuperato il rapporto con i figli. Sophie ha ritrovato suo padre.
Ed io? Quando avrò qualcosa anche io?
Speravo almeno di avere più tempo.
Lo ammetto: avrei voluto convincere Edward a trasferirsi a casa nostra.
Evidentemente non sarà oggi, ed evidentemente nemmeno domani.

Ingoio il rospo…

Scaccio una lacrima solitaria dalla guancia, prendo un bel respiro e mi avvicino al suo letto.

...e, silenziosa, aspetto il mio turno.

Bene… quante di voi, al posto di Bella, avrebbero reagito allo stesso modo? Mi è venuto automatico pensare che lei lo rivolesse a casa.

Grazie! Grazie delle recensioni allo scorso capitolo e scusate se non vi ho risposto, sarei da prendere a bastonate, ma farlo ora non sarebbe giusto nei vostri confronti. Grazie, perché continuate a seguirmi. Se avete letto il capitolo significa che la storia vi interessa ancora. Nonostante i lunghi tempi di pubblicazione ho tutta l’intenzione di concluderla, perciò non disperate.

Grazie Ciùùù! Grazie Jesss!

Buona serata e alla prossima!

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Capitolo 13
*** Cap. 13 ***


CAP. 13                    

Sono pessima lo so!

Vi ho già fatto aspettare abbastanza quindi vi lascio a capitolo.
Il mio regalo di San Velentino per voi ♥


"Per quanto tempo è per sempre?"
"A volte, solo un secondo."
- L. Carroll.
Alice in Wonderland


Capitolo 13

-Mamma! -
Sospiro e chiudo gli occhi all’ennesimo richiamo di mia figlia.
Mi rendo conto di quanto sia stupida quando lancio un’occhiata al letto alle mie spalle dove giace metà del mio guardaroba: sono ormai tre quarti d’ora che sono chiusa nella mia stanza a guardare l’armadio nell’attesa di trovare il vestito giusto da indossare. Stupidamente spero che salti fuori e urli: “eccomi, sono quello giusto”.
Quando ne trovo uno lo tiro fuori, lo infilo, mi guardo allo specchio, mi ripeto nella testa quanto sono sexy un paio di volte, ma poi frustrata lo sfilo con rabbia e mi dico che non ho nessuno per cui apparire sexy.
Stupida.
Stupida e patetica.
Edward mi considera solo un’amica al momento, o peggio ancora, una conoscente, niente di più. Questa consapevolezza mi ha portata un paio di volte sulla soglia del pianto. Vorrei dare la colpa agli ormoni ma la verità è che non posso prendermela con il mio ciclo se amo follemente un uomo che non si ricorda di me. Se lo desidero con tutta me stessa senza nemmeno poterglielo dire. Se in questo momento è a casa con i suoi genitori e ci sta aspettando per festeggiare insieme il Ringraziamento.
-Mamma! Sono stufa di aspettare! Voglio andare da papà-
Ho costretto Sophie ad essere pronta per le 10:30 e poverina mi sta aspettando da quasi un’ora sul divano. Ho inserito nel lettore dvd “La Sirenetta”; sento Sebastian cantare sin da qui “In fondo al mar” ma nemmeno questo è riuscita a calmarla.
 La sua impazienza e la mia viaggiano su due binari opposti oggi.
Lei non vede l’ora di starsene stretta tra le braccia del padre io invece rimanderei il nostro incontro a data da destinarsi.
Questo, perché ho avuto così poco tempo per abituarmi all’idea che lui, in realtà, non ha affatto bisogno di me.
Avevo proposto a Esme di fare due pranzi separati: la famiglia Cullen avrebbe festeggiato con Sophie ed io sarei andata da mio padre per non lasciarlo solo.
Edward, che ha assistito alla nostra conversazione, si è mostrato indifferente ed Esme a quel punto ha urlato indignata.
“Non se ne parla! Tu passerai il Ringraziamento con noi e verrà anche tuo padre. Ho il suo numero, lo chiamo subito”. Stranamente, rispetto agli anni passati, mio padre ha accettato più che volentieri e così, mi ritrovo a dover partecipare alla Festa del Ringraziamento con tutta la famiglia riunita. Il che non ha senso, se consideriamo che io e Edward siamo divorziati e che mio padre non dovrebbe più essere affare loro.
Mi domando che fine abbiano fatto le raccomandazioni che, sia Esme che Carlisle, ci hanno imposto in Ospedale. Non dovevamo evitare a Edward qualsiasi tipo di stress? Non dovevamo trattarlo con i guanti gialli fino alla sua totale guarigione?
Comunque, all’ennesimo richiamo di mia figlia, decido di farla finita.
Diamine, non sono un’adolescente in preda alla prima cotta!
Così, dopo averne provati una decina, acchiappo dal mucchio sul mio letto il primo vestito che avevo scelto: verde petrolio, con scollatura rotonda e maniche lunghe, aderente fino al ginocchio con cintura beige in vita e scarpe dello stesso colore.
Do una spazzolata ai capelli e metto giusto un filo di trucco per mascherare un po’ i segni della notte passata a rigirarmi nel letto.
Raggiungo Sophie e per poco non scoppio a ridere nel trovarla appesa alla spalliera del divano; sembra una scimmietta.
-Sophie! - la sgrido bonariamente – hai sgualcito tutto il vestito. E guarda i capelli! Che fine ha fatto il ferrettino? - una cascata di capelli rossi le copre gli occhi e la sua faccia è così buffa che non riesco davvero a trattenere le risate.
-Mami, tu non arrivavi più-
-Lo so amore, scusami. Tua madre è davvero una stupida. Su, aiutami a trovare il fermaglio e andiamo via. Papà ci sta aspettando-

 **********
Arriviamo a casa dei Cullen intorno alle 12:00. Nel parcheggio riservato c’è già la macchina di mio padre.
-Hai visto? Nonno Charlie è già arrivato- dico a Sophie, ma mi ritrovo a parlare da sola visto che ha già raggiunto l’ascensore e aspetta me per salire su.
-Tutta suo padre…- commento tra i denti.
Era un vizio di Edward lasciarmi a borbottare da sola quando litigavamo. Passavano minuti prima che mi accorgessi della sua assenza e il più delle volte, quando mi giravo a cercarlo, lo trovavo a fissarmi a braccia conserte e con il sorriso sulle labbra.
“Ti odio quando fai così” gli dicevo sempre e lui per tutta risposta mi prendeva in giro dicendomi “stai peggiorando Swan, ci hai messo più delle altre volte”.
Farei di tutto per riavere indietro anche le nostre litigate.
In ascensore Sophie non riesce a stare calma: sembra un grillo in preda ad una crisi isterica.
-Smettila, ti farai male se continui a saltare così- la rimprovero ma lei nemmeno mi sta a sentire -bene, valgo così poco come madre? - lei mi risponde con un sorriso e mi tira il braccio per farmi abbassare e lasciarmi un bacio sulla guancia.
“Dio, quanto ti amo” penso mentre le porte si aprono con un dlin.
-Ben arrivata cara- mi saluta con un sorriso Mrs. Truman – Felice Ringraziamento-
Sophie nemmeno si preoccupa di salutarla troppo impegnata a correre incontro a Edward fermo sotto l’arco, sulla soglia del corridoio, a sorreggerlo una stampella d’acciaio.
-Papà! -
-Ciao Principessa- dice mentre sua figlia cerca di arrampicarglisi su per la gamba buona. Le accarezza i capelli mentre mi rivolge un saluto.
-I cappotti Bella- la voce di Mrs. Truman mi riporta alla realtà. Le consegno i soprabiti che lei appende con cura nella cabina accanto all’ingresso e non posso fare a meno di pensare all’incontro segreto che ho avuto con il mio Edward nello stesso guardaroba, nemmeno un mese fa.
-Ciao Bella- mi saluta quest’ultimo facendomi tremare le ginocchia.
“Dio, amo follemente anche te”
-Sophie non provarci nemmeno, tuo padre non sta ancora bene- la acchiappo prima che possa fargli male e la riporto a terra – andiamo a salutare i nonni e la zia, su-
Mentre lei si avvia Edward mi blocca per augurami un Felice Ringraziamento
-Grazie, Felice Ringraziamento anche a te. Avrai molto per cui ringraziare, dico bene? -
-Beh sì, giusto un paio di cose- ci incamminiamo insieme verso il salotto ma con Edward per metà zoppo ci mettiamo più tempo del previsto. Vorrei chiedergli se ha bisogno di una mano ma tra di noi cala una sorta di silenzio imbarazzante interrotto solo dallo stridio della gomma della stampella sul parquet, eppure non posso fare a meno di notare con la coda dell’occhio Edward lanciarmi sguardi furtivi.
-Qualcosa non va? - mi chiede all’improvviso arrestandosi in corridoio.
-No, perché? - la sua domanda mi spiazza un po’.
-Ti sento più distante. Ho fatto qualcosa di sbagliato? -
Alla faccia della sincerità, penso – ma no, tranquillo. Non ho dormito molto bene stanotte- non posso mica dirgli che mi sono rigirata nel letto perché sono rimasta delusa dalla sua decisione di tornare a vivere a casa dei suoi.
Mica posso dirgli che la sua indifferenza mi ha ferita come non mi sarei mai aspettata.
Mica posso dirgli che ho una voglia matta di mettermi a piangere e che nemmeno io so il perché.
-Come mai? –
-Mmmh beh… non che siano affari tuoi- gli dico con un sorriso sulle labbra. E ora cosa mi invento? – ma un po’ di mal di pancia mi ha tenuta sveglia tutta la notte-
Mi guarda ancora come se non parlassimo la stessa lingua.
-Ho il ciclo, ecco tutto! – sbotto alzando gli occhi al cielo.  
-Pensa un po’. Per un momento mi è passato per la testa che non volessi essere qui, oggi- mi rivolge uno sguardo di sufficienza.
-Come, scusa? -
-Nulla, avrò sicuramene frainteso- non aspetta che gli risponda, riprende a camminare mentre fisso imbambolata la sua schiena allontanarsi sempre di più.
Come diavolo avrà fatto a capire?
Sì, è vero, ho qualcosa che non va, ma non pensavo lo notasse, né tanto meno che gli importasse qualcosa.
Sembra… “offeso”
Sospiro frustrata, non è questo lo spirito che volevo avere per questa giornata, anche io, dopotutto, ho molto per cui ringraziare.
Ammetto con me stessa che mi sto comportando come una ragazzina e raggiungo gli altri in salotto; sul mio viso, un sorriso che ha poco di autentico, ma che spero cambi nel corso della giornata.
Esme mi offre subito da bere mentre gli altri si avvicinano per augurarmi un buon Ringraziamento.
Mi siedo sul divano accanto a mio padre mentre osservo Edward e Sophie intrattenere una conversazione sul perché oggi sia un giorno da festeggiare.
Edward, spalleggiato da Alice, comincia a raccontarle la storia dei Padri Pellegrini e dei nativi americani eccetera eccetera, mentre lei gli racconta dei bei lavoretti che ha fatto a scuola.
-Sembra divertirsi, non trovi? - mi sussurra mio padre all’orecchio.
-Sai quanto sia ciarliera tua nipote- rispondo con un sorrisino divertito sulle labbra.
-Non parlo di Sophie, mi riferisco a Edward. Lo vedo tranquillo. Se non sapessi quello che ha passato giurerei di trovarmi di fronte l’Edward di sempre- già è vero. Se qualcuno non sapesse del suo incidente non potrebbe mai dire di trovarsi davanti a un Edward diverso.
-Beh, lo conosci, lui ha sempre avuto la capacità innata di trovarsi bene con chiunque. E viceversa, riesce a mettere a proprio agio qualunque persona si trovi a parlare con lui. Cosa ti ha detto quando sei arrivato? -
- Sapeva che ci sarei stato anche io quindi avrà avuto tutto il tempo di abituarsi all’idea, ma per lui sono un estraneo, pur rimanendo sempre tuo padre e il nonno di Sophie. Comunque l’ho trovato molto tranquillo, pensa che mi ha addirittura chiesto scusa perché non si ricorda di me- le ultime parole gli sfuggono dalla bocca con un sorriso.
-Ha chiesto scusa anche me. È stata la prima cosa che mi ha detto quando ci siamo visti in ospedale dopo il suo risveglio-
-Sai quanto me però che dentro sta soffrendo molto-
Stringo la mano sinistra libera dal bicchiere sul ginocchio e sospiro dispiaciuta.
-Sì, lo so- o almeno lo immagino.
Sorseggiamo il nostro aperitivo mentre la signora Truman dispone sulla tavola ben imbandita a festa i manicaretti che ha cucinato con tanta cura. Sophie getta un urletto quando vede entrare nella stanza Larry, il cameriere, con un enorme vassoio in mano e un grosso tacchino al centro: il piatto principale che non può mancare in nessun pranzo nel Giorno del Ringraziamento.
Sulla tavola ci sono già le pannocchie arrostite e le patate dolci, più tante ciotole sparse qua e là contenenti la Gravy e la salsa di mirtilli rossi.
Carlisle si alza per primo e ci invita a sederci a tavola.
Io prendo posto accanto a mio padre e a Sophie che, naturalmente, si è seduta accanto a Edward. I calici di cristallo vengono immediatamente riempiti con del vino rosso dal solerte Larry mentre Carlisle si schiarisce la voce per attirare l’attenzione.
-Grazie per essere venuti- comincia alzando il bicchiere di vino appena riempito – è una gioia vedervi tutti riuniti intorno a questo tavolo. Soprattutto perché, viste le ultime vicende, abbiamo molto per cui ringraziare-  Edward abbassa gli occhi per sorridere a Sophie e lancia uno sguardo anche alla sottoscritta. Io non posso fare altro che ricambiare.
-Edward- dice Carlisle rivolgendosi al figlio – a te la parola-
-Papà…- Edward si schiarisce la voce un po’ emozionata e poi, molto spontaneamente, comincia a parlare.
-Bene, da dove cominciare se non col dirvi grazie per essere qui? Un uomo nelle mie condizioni deve rivolgere il suo grazie più sentito a Dio ovviamente, ma io, il mio grazie più sentito voglio rivolgerlo a voi- ci guarda tutti, uno per uno- per esserci ora, ma soprattutto per esserci stati nel momento in cui ho avuto più bisogno.
Mamma, papà, senza di voi non ce l’avrei mai fatta- Carlisle allunga un fazzoletto di stoffa alla moglie per pulirsi le lacrime mentre io cerco di trattenere le mie- quando mi sono svegliato e ho capito quello che era successo… credo che sarei impazzito se non vi avessi avuto al mio fianco. Lo stesso vale per te – punta l’indice verso la sorella – Alice, grazie. Mi hai fatto trovare la forza di rialzarmi proprio quando la notizia di Mike mi aveva messo ko- Alice abbassa la testa come imbarazzata ma io so che si sta guardando la pancia. Il ringraziamento di Edward infatti è un chiaro riferimento alla gravidanza, ma questo lo capiamo solo io e lei- grazie a Jasper e a Charlie per essere qui, mi dispiace immensamente non ricordarmi di voi. Ma soprattutto devo dire grazie a te, Bella- si volta verso di me ed io sento i brividi corrermi lungo la schiena- grazie per aver avuto il coraggio di fare quello che avrei dovuto fare io- con una mano accarezza i capelli ramati di Sophie ed io penso che tra qualche secondo mi metterò a singhiozzare come una bambina. La diga che ho costruito da quando ho aperto gli occhi stamattina rischia pericolosamente di rompere gli argini.
-Grazie per essermi stata accanto tutti i giorni e per avermi aiutato, tassello dopo tassello, a ricostruire la mia vita-

 *****
La torta di zucca della signora Truman è il paradiso dei dolci, accompagnata da una pallina di gelato alla vaniglia poi, diventa divina!
Dopo i tradizionali ringraziamenti abbiamo passato i successivi sessanta minuti ad ingozzarci come maiali, tanto che sto valutando se correre in bagno ad allentare il buco alla cintura.
-Penso che tra poco scoppierò – sbuffo mandando giù l’ultimo boccone di torta, Edward al mio fianco mi guarda divertito mentre si concede un’altra fetta. Sophie ha alzato bandiera bianca dopo dieci minuti per correre in cucina a pasticciare come suo solito lasciando quindi il posto in mezzo a noi vuoto. Non ci sono voluti più di dieci secondi prima che venisse occupato da lui.
È stato difficile non soffocare ogni volta che il suo braccio sfiorava il mio e viceversa.
-Tu invece sei alla terza fetta di torta? - lo guardo stupita e sbalordita.
-Sarà che in ospedale non ho fatto altro che mangiare cose salutari e con pochi grassi, ma io ho una fame da lupi-
-E si vede! Non hai paura di sentirti male? - per tutta risposta accosta alla torta un’enorme palla di gelato.
Mi metto a ridere sentendo la torta che ho appena ingollato gorgogliare nello stomaco.
-A proposito, grazie-
-E per cosa? - lo guardo distratta mentre mi accorgo che siamo rimasti soli a parlare, gli altri si sono diretti verso l’angolo bar del salone.
-Per quello che hai detto prima-
Non so dove abbia trovato la forza per parlare dopo il discorso di mio padre, che mi ha fatto versare più di qualche lacrima, eppure ce l’ho fatta. Ho preso il mio bicchiere di vino in mano e dopo un bel respiro e aver ricacciato dentro il magone ho detto semplicemente...
-Io sono… felice. Davvero non posso che riassumere in questo modo il mio stato d’animo in questo giorno speciale. Ci tengo a ringraziare ognuno di voi perché rendete più bella la mia vita.
Papà, mi hai fatto piangere e sono sincera, forse il mio grazie più sentito va a te. Perché sei di nuovo il padre a cui ho voluto tanto bene e non so esprimerti a parole quello che sei per me. Voi siete la mia famiglia, anche se non più legalmente, ma io vi considero ancora tale. Prima eravamo solo io e Sophie, ora siamo di nuovo tutti insieme e di questo dobbiamo ringraziare Edward, per l’affetto che ci tiene legati a lui. Ringrazio Dio per avergli dato la possibilità di essere qui con noi oggi, non mi stancherò mai di ripeterlo, non so come avremmo fatto ad andare avanti senza di lui-

-Non devi- gli dico tornando con la mente al presente – è la verità. Tu sei l’ingrediente speciale che ci tiene uniti-
-Mm, ingrediente speciale eh? Nessuno mi aveva mai definito così, almeno per quello che ricordo, la mia memoria fa cilecca ultimamente- ridiamo insieme alla sua battuta anche se so quanto sia difficile per lui accettare le sue condizioni- comunque, cosa sarei sentiamo? -
-Cosa? -  gli chiedo non capendo l’allusione.
-Mi hai definito “ingrediente speciale” cosa sarei in questo caso: del bacon? Della panna acida? Un carciofo? – deve alzare la voce per farsi sentire sopra la mia risata. Amo vederlo così spensierato e non riesco a nasconderlo, così sto al gioco.
-Tu sei… sei un uovo! -
-Un uovo? -
-Sì, un uovo- penso a quello che sto per dirgli e a quanto potrei sembrargli una stupida, ma è la prima volta da quando si è svegliato che parliamo come se l’incidente non ci fosse mai stato, come se gli ultimi sei anni non fossero mai scomparsi dalla sua mente. Per la prima volta sento di poter essere me stessa senza la paura di dire qualcosa di sbagliato.
-Vediamo… l’uovo è il legante per eccellenza e non può essere sostituito facilmente a differenza di altri ingredienti. Se una ricetta prevede l’utilizzo dell’uovo è impossibile avvalersi di un altro ingrediente che lo rimpiazzi. L’uovo è ricco di proteine e di altre sostanze che fanno bene all’organismo così come tu arricchisci di buono le nostre vite. L’uovo ha un involucro liscio e perfetto ma è anche molto fragile, e anche tu lo sei. Fragile intendo per quanto non posso negare che sei l’uovo più bello che ho mai visto- distolgo lo sguardo per nascondere il rossore alle guance. Cosa mi sta succedendo, dovrei darmi una calmata. Sentirmi finalmente a mio agio con lui mi dà il diritto di provarci? - Però sei anche forte – mi riprendo dall’imbarazzo ma lui mi interrompe avvicinandosi pericolosamente alla mia faccia.
-Tu invece sei come la cioccolata- arrossisco dall’attaccatura dei capelli fino alla punta dei piedi, guardo la torta che c’è nel suo piatto e il gelato quasi completamente sciolto ad affogarla, penso di stare anche io lì lì per affogare; spero che non se ne accorga.
-I tuoi occhi e i tuoi capelli sono come la cioccolata- prende una ciocca e se la rigira tra le dita prima di lasciarla andare- sai essere dolce come una cioccolata calda e amara come la polvere di cacao- pendo dalle sue labbra, non riesco a staccarmi o a pensare ad altro. Siamo in una bolla isolata, il resto del mondo l’ho quasi dimenticato – mi metti di buon umore e vorrei dirti, senza sembrarti uno squilibrato, che muoio dalla voglia di assaggiarti. Come se ne dipendesse della mia vita-
Un attimo! Non sono sicura di avere sentito bene ma il mio cuore rischia di esplodermi nel petto e le mani cominciano a formicolare dall’emozione. La fitta allo stomaco si trasforma in un fuocherello e ho paura possa esplodere da un momento all’altro se non mi allontano. Penso a quanto questa situazione sia irreale ma poi mi rendo conto che la prima volta ci sono bastati solo quattordici giorni per perdere la testa l’una per l’altro e decidere che sarebbe diventato l’uomo della mia vita, ora dopo soli ventiquattro giorni siamo di nuovo punto e a capo.
Stamattina mi sono svegliata con la convinzione che per lui sono solo una conoscente e ora mi confessa che prova qualcosa per me?
Allora perché si è dimostrato freddo quando sua madre mi ha invitato a passare il Ringraziamento a casa loro? Perché ora reagisce così? Continuo a ripetermi che non è possibile mentre né io né lui muoviamo un solo millimetro nella direzione dell’altro. C’è attrazione tra di noi, la sento chiara e indistinta; potrei tagliarla con un coltello. Eppure rimaniamo immobili a studiarci e a mangiarci con gli occhi.
La nostra bolla si infrange quando Sophie corre dalla cucina urlando perché, neanche a farlo a posta, si è macchiata tutto il vestitino di cioccolata.
Entrambi ci allontaniamo con il fiato corto, come se avessimo scalato una montagna nel frattempo. A Edward spunta un sorrisino malizioso sulle labbra quando vede la macchia scura sul vestitino candido di Sophie. Per non rischiare di prendere fuoco, mi alzo di scatto e vado verso la mia bambina, come un automa la prendo e la porto in bagno per cercare di salvare il salvabile.  

-Mami quando andiamo a vedere la parata? -
La tradizionale parata del Giorno del Ringraziamento organizzata dai grandi magazzini Macy's è diventata parte della nostra tradizione di famiglia. Sophie impazzisce per i giganteschi pupazzi e palloni gonfiabili che volteggiano nell'aria con le sembianze dei personaggi dei cartoons e dei fumetti. Sfilano per le strade insieme a clowns, bande musicali e personaggi famosi che si esibiscono per l’occasione. La parata viene anche trasmessa in diretta nazionale dalla NBC, ma Sophie mi ucciderebbe se non la portassi personalmente a vederla. Così con circa 3,5 milioni di persone lungo le strade di Manhattan a scoraggiarmi ogni volta non posso fare altro che accontentarla. In genere la portavo io e Edward ci raggiungeva per poter stare anche solo qualche minuto in sua compagnia, oggi dovrò accontentarmi di andarci da sola.
Alla luce di questo approfitto del fatto che è mezza nuda sul divanetto in bagno per imbottirla con abiti pesanti.
-Se mi prometti che non combini altri guai, ti porto subito, altrimenti ce ne torniamo a casa signorina-
-Ma mamma! -
-Niente “ma mamma” Sophie. Quante volte devo ricordarti che giocare in cucina può essere pericoloso? Ora ti è caduta addosso la cioccolata e se avessi afferrato una pentola di acqua calda? O di olio bollente? -
Sul suo visino mortificato spunta subito il labbro tremolante e gli occhietti le si abbassano per evitare di guardarmi. Odio sgridarla, ma quando è necessario non ci sono alternative e non posso nemmeno prendermela con Mrs Truman, indaffarata com’è a mandare avanti la cucina.
-Sophie, non fare così. Io lo dico perché ti voglio bene e perché mi preoccupo per te. Non voglio che ti faccia male, mi prometti che starai più attenta? -
-Sì- risponde dopo un po’ dispiaciuta.
-Okay, allora finisco di vestirti e andiamo alla Parata- si rianima all'istante e mi abbraccia forte in segno di gratitudine.
-Lo diciamo anche a papà vero mami? – mi blocco senza sapere esattamente cosa dirle. Mi tornano in mente le immagini di poco fa e non posso evitare di sentire un formicolio nello stomaco.
-Non lo so Sophie, non riesce a camminare bene hai visto, non vorrei che si affaticasse e poi si ammalasse-
-Dio, non dirmi che mi hai scambiato per un vecchio? – non faccio nemmeno in tempo a finire di parlare che Edward compare sulla soglia del bagno.
-No… non volevo dire questo, è che tu…-
-Sì, lo so cosa volevi dire- quando si avvicina sento il formicolio allo stomaco farsi più insistente – ma non avrei problemi a venire, certo se avete piacere che io venga-
-Sììì papi! Vieni anche tu, vieni anche tu, vieni anche tu! Vero mami che può venire anche papà? –
-Certo- dico riprendendo a vestire Sophie – naturale che può venire anche lui, se se la sente…-
-Me la sento- risponde la sua voce dall’alto.
-È deciso allora-

*********

Arriviamo in Herald Square che la parata è quasi terminata; facciamo in tempo a vedere l’arrivo di Babbo Natale.
Sophie getta un urletto eccitato alla vista del panciuto Signore vestito di rosso. Devo sporgermi più che posso per farle vedere più cose possibili ma il mio metro e sessantacinque è un po’ limitato.  Edward al nostro fianco insiste perché sia lui a prenderla in braccio per farla stare più in alto.
-Ma no, non ce la fai con una gamba sola, ti affaticherai- ribatto mentre nostra figlia allunga le braccia per essere presa.
-Ce la faccio Bella, non preoccuparti. Solo sorreggimi sul fianco- Sophie si accoccola immediatamente tra le sue braccia infischiandosene di tutte le mie proteste. Alla fine ci rinuncio e mi metto sul lato destro di Edward per sostenerlo il più possibile. Non voglio che sforzi troppo la gamba, ragion per cui gli dico di mettere Sophie sul braccio vicino al mio in modo da poterla sorreggere entrambi.
Mi accorgo troppo tardi che in questa posizione è come se ci stessimo abbracciando. Il calore che emana la sua mano avvinghiata sulla mia spalla mi fa sentire subito il cuore in gola e allo stesso tempo mi fa sentire bene. Ripenso a quello che è successo a casa dei suoi e nella mia testa si forma il caos.
Rifletto sulla conversazione avuta ieri, a quanto la sua indifferenza mi abbia ferita mentre le immagini di noi due quasi pronti a saltarci addosso durante il pranzo del Ringraziamento si accavallano sulle prime. Mi viene da chiedermi a che gioco sta giocando.
No, non sta giocando mi rispondo subito, è soltanto confuso.
Tutto quello che sta vivendo non è affatto facile.
Per questo sembra che abbia l’umore impazzito di una donna incinta?  
Guardo il suo profilo mentre parla con Sophie e mi fa male il cuore per quanto è bello. Sembra la tipica frase da romanzo rosa lo so, ma mi sento ribollire il sangue nelle vene quando lo guardo, quando penso a quello che provo per lui.
Edward abbassa gli occhi per un istante, un istante solo, e mi trova a fissarlo.
Un instante che sembra durare una vita.
Un istante in cui i nostri occhi si incollano e tutto il resto scompare.
Mi sento avvampare ma non mi importa nulla, mi importa solo di noi.
Se non ha capito ora quello che provo per lui allora non so come farglielo capire.
Sophie starnutisce sonoramente e mi fa ripiombare con i piedi per terra in maniera così violenta che ho quasi difficoltà a respirare regolarmente.
Prendo subito un fazzoletto dalla borsa e le pulisco il nasino. Mi rendo conto che si gela e forse il maglioncino di lana che le ho messo non è abbastanza caldo visto che ci sono sì e no 4 gradi. Mi faccio prendere dalla paranoia ma non vorrei che le tornasse la febbre visto che le è passata da poco. Edward sembra intuire i miei pensieri, come se fare il padre fosse naturale quanto respirare per uno che ha perso la memoria e non si ricorda assolutamente nulla di come si faccia il padre, in realtà.
-Forse è meglio se andiamo a casa che ne dici? -
-Sì, hai ragione, fa troppo freddo- ho i piedi gelati nelle decolté e non è esattamente il massimo del confort.
Sophie protesta ma Edward lascia che la prenda tra le braccia e insieme ci dirigiamo verso l’auto. Visto che ho dovuto parcheggiare a un isolato di distanza dico a Edward di aspettarmi su una panchina per non farlo affaticare troppo; certe volte dimentica che è uscito solo ieri dall’ospedale!
Sophie insiste per stare con lui così corro a recuperare la macchina.
Ci metto più tempo del previsto ad arrivare con tutte le guardie a dirigere il traffico e che ti mandano da una strada all’altra per via delle interruzioni.
Accosto al marciapiede, beccandomi l’insulto della macchina dietro la mia, e faccio salire entrambi.
Il riscaldamento dona subito un colorito rosato alla loro pelle gelata.
-Scusate se ci ho messo così tanto, ma il traffico è in tilt-
-Non preoccuparti- dice Edward mettendo le mani a coppa sul viso e soffiandoci del calore.
-A proposito… mi sa che la Lexington è bloccata, dobbiamo andare avanti sulla 1st Avenue e tornare indietro per riportarti a casa. Allungheremo un po’ ma non fa niente-
-E se invece venissi da voi? -
Sophie sul sedile posteriore getta un urlo spaccatimpani – sì papà, vieni a casa con noi! -
Edward mi rivolge un sorriso bellissimo.
-Okay, andiamo-

-Giuro che non c’ho mai messo tanto ad arrivare a casa- sbuffo quando spengo il motore della macchina nel garage coperto, sotto il palazzo in cui abito –un’ora! –
-Dai è normale, la città è in subbuglio-
-Non lo è sempre? - non a caso la chiamano la Città che non dorme mai.
Ci voltiamo entrambi nello stesso momento a guardare Sophie. Si è addormentata da circa mezz’ora e ora è rannicchiata sul sedile coperta dal mio cappotto.
-È esausta- sussurra Edward vicinissimo al mio orecchio.
-Mi dispiace che si sia addormentata, ti abbiamo fatto venire fin qui per nulla-
-Non dire sciocchezze, sono felice di essere venuto. Dai andiamo…- si blocca mentre scende dall’auto.
Sono quasi sicura che stesse per dire “a casa”. Dai andiamo a casa…
Il mio cuore fa una capriola nel petto.
Scendo anche io e apro lo sportello posteriore per prendere Sophie in braccio. La afferro delicatamente sotto le ascelle e la adagio sulla mia spalla; non vorrei svegliarla, dorme così serena.
Con l’ascensore del garage saliamo fino al piano terra e poi usciamo per prendere il secondo che ci porterà all’appartamento.
Per tutto il tragitto non ho fatto che avere un martello pneumatico al posto del cuore. Sono così agitata all’idea di avere Edward finalmente a casa.
Una volta sul pianerottolo apro la porta con una manovra degna di un prestigiatore e in men che non si dica siamo dentro.
Suggerisco a Edward di mettersi comodo e corro subito a stendere Sophie sul suo lettino. La adagio sul materasso mentre mi accorgo di quanto sia calda.
In un nanosecondo afferro il termometro dalla cesta rosa sul comò e le misuro la temperatura.
-“37.8” non ci voleva. Povera cucciola- le accarezzo i capelli e la lascio dormire un altro po’. Aspetterò che salga fino a 38 per darle le gocce di antipiretico.
Torno in soggiorno e trovo Edward concentrato a fissare una foto di noi tre insieme. Erano rare le volte in cui ci facevamo scattare delle foto insieme io e lui ma questa con Sophie è davvero meravigliosa.
Siamo nel giardino della Villa di Riverbank, dietro di noi l’Hudson risplende sotto i raggi del sole. Ridiamo tutti e tre in maniera così spontanea che sembriamo davvero una famiglia felice.
Mi si stringe un nodo in gola al pensiero di quello che avevamo prima. Nonostante non andassimo d’accordo era preferibile rispetto alla consapevolezza di non fare più parte dei ricordi di Edward.
Mi fa quasi male respirare, ma mi avvicino al divano e mi siedo accanto a lui.
-Eravamo felici qui, non è vero? - mi chiede cupo.
-Sì, molto, o almeno in quel momento-
-Quando è stata scattata questa foto? -
-Quasi un anno fa-
-Siamo alla villa di Riverbank? Riconosco quella fila di alberi laggiù- indica con un dito un filare di pioppi.
-Si, era durante il compleanno di tua madre-
Accarezza ancora qualche secondo la foto e poi la poggia sul tavolino davanti a noi.
-Riesci a ricordare qualcosa? - gli chiedo nervosa.
-No, nulla- risponde mortificato.
Rimaniamo in silenzio per un po’; il tempo scandito dal ticchettio delle lancette.
-Preparo un Tè, mi tieni compagnia? -
-Molto volentieri-
Lo porto in cucina e lo faccio sedere al tavolo. Riempio il bollitore e accendo il fuoco. Faccio tutto molto silenziosamente mentre sento due occhi perforarmi la schiena.
Poi mi ricordo della febbre di Sophie.
-Oh, Sophie ha un po’ di febbre-
-Lo immaginavo, le ho visto gli occhietti rossi e lucidi quando eravamo alla Parata-
-È incredibile sai? -
-Cosa? -
-Che tu sia così bravo a fare il padre quando in realtà non ricordi nulla di come si faccia-
-Penso che sia una cosa innata, come per le donne-
-Mm forse hai ragione…-
Preparo due tazze con due filtri di Tè e le porto al tavolo.
-Tu invece sei bravissima - dice fissandosi le mani che giocherellano con il filo del filtro.  
-Non è vero, sono solo una mamma come le altre-
-Io non credo sai? Sei perfetta con Sophie. Ho visto come la educhi e come cerchi di insegnarle le cose importanti anche se è ancora così piccola. Nostra figlia è una bambina meravigliosa e questo è merito tuo- mi si riempie il petto di orgoglio a sentirlo parlare in questo modo, specialmente alla parola “nostra”, ma il merito non è tutto mio.
-Non è solo merito mio, tutto quello che vedi in lei lo abbiamo costruito insieme. Eri… sei- mi correggo - un padre magnifico. Stai facendo un ottimo lavoro con Sophie. Non deve essere facile, hai avuto pochissimi giorni per abituarti all’idea–
-È vero, ma lei spazza via tutte le mie incertezze. È come se nel profondo, qui dentro- si porta una mano al petto- sento che farei qualsiasi cosa per lei-
Il fischio del bollitore ci interrompe ma ho tutto il tempo di pensare a quello che ha appena detto e mi domando: perché se sente tutto questo trasporto nei suoi confronti non mi ha chiesto di venire a stare da noi? Anche per pochi giorni, solo per vedere come si sarebbe trovato.
La mia bocca, che non ha mai imparato a starsene zitta, ignora completamente le mie volontà e agisce per conto proprio.
-Allora non ti allontanare. Se devo essere sincera…- mi interrompo e con la gradazione di rosso più accesa che si sia mai vista sulle mie guance, mi avvicino al tavolo e verso l’acqua calda in entrambe le tazze.
-Bella?-
-Non so se parlartene- ci vado cauta questa volta.
-Devi, per favore Bella, voglio che tu sia sincera con me. Non sopporto di essere trattato come un bambino-
Ha ragione, l’Edward che conoscevo non avrebbe mai accettato un comportamento simile.
-Mi aspettavo che venissi a stare da noi- dico tutto d’un fiato - dopo che hai conosciuto Sophie intendo-
-Ah…-
-Non voglio farti pressioni ma vorrei sapere se almeno c’hai pensato-
-Certo che l’ho fatto- rivela con impeto - da quando mi sono risvegliato ho potuto contare sempre su di te, nonostante non ti conoscessi ho sentito sin da subito una legame tra noi due. Poi mi hai rivelato di Sophie e credimi, per quanto mi sembrasse strano, ho veramente pensato a come poteva essere la mia vita con voi due. Perciò sì, c’ho pensato-
-Eppure…-
-No, non dirlo. So che stai per dire “eppure sei andato a casa con i tuoi” come se fosse una colpa. Non potevo semplicemente venire a vivere qua. Non con tutto il caos che avevo in testa-
Non mi sfugge il tempo al passato.
Mescolo il mio Tè e lo porto alla bocca cercando di prendere qualche minuto prima di rispondergli.
-La tua indifferenza mi manda fuori di testa! –
-Come, scusa? – per poco non soffoco mentre deglutisco.
-Non so cosa pensare. Un momento mi fai capire una cosa e quello dopo me ne fai capire un’altra-
Per quanto vorrei mettermi a urlare indignata mi impongo di stare calma e di ascoltare quello che ha da dirmi.
-Io non sono indifferente- se solo sapessi quanto ti amo non lo penseresti affatto.
-E allora perché non mi parli e non dici quello che pensi? –
-Vuoi la verità? – dico agitandomi un po’.
-Sì, ti sto chiedendo di essere sincera con me-
-Avrei voluto che venissi a vivere qui con noi. Avrei voluto che chiedessi a me di aiutarti a riprendere in mano la tua vita, a ricostruire un passato che non ti ricordi e ad andare avanti- mi interrompo per deglutire e per calmare un po’ i battiti cardiaci – con me e con nostra figlia-
- Anche io voglio tutto questo, Bella. Lo voglio in maniera così forte che nemmeno io so spiegarmi il perché- mi afferra la mano e nel momento in cui la mia pelle viene a contatto con la sua una scarica di elettricità si propaga per tutto il mio corpo; dal collo, per tutta la spina dorsale e giù fino ai piedi.  

Vado a controllare Sophie per vedere se la febbre è salita o meno ma in realtà ho solo bisogno di allontanarmi un attimo dalla cucina.
Edward mi ha guardata in maniera così intensa che sarebbero bastati pochissimi secondi e entrambi avremmo preso fuoco.
Ed io so che non è ancora pronto, nessuno di noi due lo è.
La temperatura di Sophie è salita ancora; aspetterò dopo cena per darle le gocce.
Quando mi sembra che sia passato un tempo ragionevolmente lungo, mi faccio coraggio e torno da Edward.
Le tazze che erano sul tavolo sono sparite, mi guardo in giro e le trovo capovolte sul lavello: le ha lavate. Sul fuoco c’è una padella con dentro qualcosa che sfrigola e un odore inebriante si diffonde per tutta la stanza.
È incredibile, si è messo a cucinare!
Mi lascia a bocca aperta, non perché non conosca le doti culinarie di Edward ma perché non pensavo di trovarlo ai fornelli.
-Cosa stai facendo? - domando per quanto la risposta sia palese ai miei occhi.
-Sto cucinando la cena-
-Ti fermi a mangiare con noi? –
-La risposta corretta è: mi trasferisco qui da voi-
A questa risposta credo che se la mia mascella non fosse attaccata al resto della faccia probabilmente si troverebbe a rotolare sul pavimento.
Di tutte le domande che mi frullano in testa però, l’unica di cui ho veramente bisogno di sentire la risposta è questa:
-Ne sei sicuro? –
-Più di qualsiasi altra cosa al mondo-
 

Vi ringrazio immensamente, solo questo.
Se siete arrivate fin qui vuol dire che apprezzate ancora la storia e questo non può che rendermi felice. Vi devo delle scuse supermegagalatiche  per tutto il tempo che vi ho fatto aspettare (4 mesi), capirò se non vorrete più seguirmi. A tal proposito vi annuncio che i capitoli (salvo variazioni dell’ultimo minuto in fase di stesura) dovrebbero essere 4 più un epilogo.
Baciii e alla prossima!



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Capitolo 14
*** Cap. 14 ***


cap 14
               

Ed eccoci qui. Molto più veloce rispetto all’ultima volta.

Spero che il capitolo vi piaccia, vi aspetto giù.



Capitolo 14
 Amori mediocri sopravvivono.
Amori grandi vengono distrutti dalla loro stessa intensità.

[Oscar Wilde]

-Jen, smettila-
-Ma come faccio Bella? Come? Sono così contenta! –
Jen non la smette di urlarmi nell’orecchio; rischia di perforami un timpano.    
Siamo al telefono da meno di cinque minuti e da quando le ho detto che Edward si è trasferito a vivere a casa mia non ha più smesso di urlare. Io faccio la sostenuta ma non posso negare quanto la sua reazione renda felice anche me.
-E Sophie come l’ha presa?- dice dopo un bel respiro.
-Oh, lei è felicissima, gliel’abbiamo detto dopo mangiato. Ora sta dormendo, ha un po’ di febbre-
-Mi dispiace, povera piccola-
-Pensa che appena le abbiamo dato la notizia si è rianimata a tal punto che si è messa a correre per casa urlando “evviva, evviva”. Sembrava che la febbre, di colpo, fosse sparita-
-E Edward?-
-Lui si è messo a ridere. Una risata che mi ha scaldato il cuore. Era così bello e sereno, avresti dovuto vederlo-
-Dio sei innamorata persa!-
Rido sommessamente tra i cuscini del mio letto per non svegliare gli altri abitanti della casa.
-Jen, sono felice. Finalmente lo sono per davvero e non mi sembra vero- aspetto la sua risposta con un sorriso stucchevole e con il cuore pronto a scoppiare.
-Te lo meriti Bella. Lo meritate tutti e tre. Siete delle persone straordinarie, le più importanti per me e quello che desidero di più al mondo è vedervi felici, ma soprattutto di nuovo uniti-
So quanto le sue parole sono sincere e dovevo immaginare che mi avrebbe fatta piangere come una stupida. Lei c’è sempre stata, sin dall’inizio. Ha gioito con me quando io e Edward ci siamo sposati, era al mio fianco quando è nata Sophie, mi ha guardata distruggermi dopo la nascita della mia bambina e ha sofferto con me quando ho scoperto del tradimento di mio marito. Mi è stata accanto per tutti questi anni, quando facevo la dura solo per non cadere a pezzi, solo per non mostrare la mia fragilità, quando diventavo una massa informe di dolore e sentimenti dopo ogni incontro con Edward.
Riemergo dalle lacrime con un sospiro – Jen, cara, anche tu sei importante per noi. Non ce l’avrei mai fatta senza di te-
-Sì, okay, però smettila altrimenti fai piangere anche me-
-Okay. Buonanotte-
-Buonanotte, ti voglio bene-  
Poso il cellulare sul comodino e chiudo gli occhi. Finalmente, con un po’ di pace nel cuore, mi metto ad ascoltare i rumori della casa, come faccio di solito, e mi spunta subito un sorriso sulle labbra quando sento un leggero russare dalla stanza accanto alla mia.  
Mi è mancato anche questo rumore, nonostante sia un controsenso.
Come può mancarti un rumore così fastidioso? Eppure è così.
Con il passare degli anni e con l’assenza di Edward nella mia vita, mi sono resa conto di quanto in realtà amassi anche i suoi difetti.
Il suo leggero russare fa da sottofondo a questa notte magica ed io mi perdo ad ascoltarlo, certa, di nuovo, della sua presenza nella mia vita. Mi giro e mi rigiro nel letto senza riuscire a prendere una posizione; il mio cuore galoppa a causa dall’agitazione. Non ero così felice da tantissimo tempo, forse dal giorno in cui Sophie mi ha chiamata mamma per la prima volta.
Non riesco a credere che Edward sia qui e che posso vederlo gironzolare di nuovo per casa.
Quando gli ho chiesto se fosse sicuro della sua scelta era sincero nel darmi la sua risposta.
-Ne sei sicuro? –
-Più di qualsiasi altra cosa al mondo-
Allora mi ha abbracciata e ha sotterrato il suo naso nei miei capelli. Siamo rimasti stretti l’uno nelle braccia dell’altra per un tempo lunghissimo.
Entrambi sopraffatti dal momento, non ci siamo accorti che il cibo sul fuoco stava cominciando a bruciare; per poco non mandavamo a fuoco l’intera cucina. Dopo aver messo la pentola sotto il getto dell’acqua ci siamo guardati negli occhi e abbiamo cominciato a ridere come due bambini.
-Sei pericolosa, mi fai perdere il controllo- mi ha detto soffocando un’altra risata.
E sempre per il discorso che la mia bocca e il mio cervello sono scollegati, gli ho risposto:
-Beh forse è quello che voglio- mentre un urlo nella mia testa mi gridava: “Spudorata!”
La sua faccia ha preso fuoco, così come la mia, e mi ha guardata assottigliando gli occhi. In quello sguardo ci ho letto tanta malizia ed era come se mi stesse dicendo “dammi tempo”.
Gli avrei dato tutto il tempo del mondo, senza nemmeno il bisogno di chiederlo.
Ma ora, stesa al buio nel mio letto, mi rendo conto dell’urgenza che si è impossessata di me. Della frenesia che mi attanaglia il cuore, lo stomaco e il ventre.
Saperlo al mio fianco ha risvegliato una parte di me che credevo sopita. Quella parte pronta a tutto per amore, pronta a rischiare e alla quale non davo voce da tanto tempo.
Ora mi rendo conto di essere pronta ad amare ancora, ad amare Edward nel modo giusto, a ricominciare una storia interrotta dai nostri errori e che merita assolutamente una seconda chance. Se per farlo devo rassegnarmi una volta per tutte al fatto che Edward non ricorderà mai più gli ultimi sei anni della sua vita, allora lo farò.
Mi rassegnerò, ma andrò avanti con nuovo slancio.
Perché se è vero che la nostra vita è già scritta nel nostro destino allora, la mia vita e quella di Edward sono inesorabilmente legate, e niente e nessuno potrà mai separaci.

**********
Il giorno successivo al trasferimento di Edward lo passiamo a mettere a posto le sue cose nella stanza degli ospiti. I suoi genitori hanno preso molto positivamente la notizia tanto che, alla richiesta di Edward di spedirgli il prima possibile le valigie, non hanno battuto ciglio e la mattina successiva, l’autista di casa Cullen, si è presentato di buon’ora tutto infagottato e con due valigie tra le mani, una per parte.
Durante il pomeriggio, Sophie, approfittando della febbre per farsi viziare ancora di più, ci ha fatto mettere sul divano insieme a lei a sorbirci ore e ore di cartoni animati.
È stata tra le mie braccia per la prima mezz’ora, poi stanca della posizione ha costretto il padre a sdraiarsi e a prenderla a cavalcioni sullo stomaco. Dopo un po’ ha cambiato nuovamente posizione dicendo che voleva starsene con la testa sul bracciolo del divano, costringendomi a spostarmi. Le ho lanciato un’occhiataccia alla quale ha risposto con una linguaccia. Mi ha fatto mettere in mezzo, che era quello che voleva sin dall’inizio e poi si è spaparanzata completamente, stendendo i piedi al massimo e spingendomi sempre di più verso Edward, tanto che alla fine ci siamo ritrovati appiccicati l’una all’altro.
Sophie ci ha guardato per un po’ con un sorrisino sulle labbra e poi si è addormentata.
-Tua figlia è diabolica- mi ha sussurrato Edward nell’orecchio.
-Chissà da chi avrà preso- l’ho punzecchiato io ricevendo in cambio un occhiolino e un sorriso bellissimo che mi ha fatto tremare le ginocchia.
Siamo rimasti in silenzio a guardare la tv e a mangiare popcorn dalla stessa ciotola per un bel po’ fino a quando Edward non si è lamentato del dolore alla gamba, intorpidita dal tenere sempre una posizione, e non si è alzato per andare in bagno.
L’ho guardato allontanarsi, orgogliosa del fatto che avrebbe potuto lamentarsi molto prima e invece ha preferito stringere i denti per amore di Sophie, solo per accontentarla.

Libera da ogni impegno, viste le ferie che ho richiesto per non lasciare Edward da solo in modo da aiutarlo ad ambientarsi, affronto le giornate come farebbe una qualsiasi moglie e madre.
Disponibile e impaziente di prendermi cura della mia famiglia mi sveglio sempre con il sorriso sulle labbra. Passo dallo stendere e stirare i panni a lavare i pavimenti e togliere la polvere.
Una cosa della quale non devo preoccuparmi tuttavia c’è, ed è la cucina, visto che ho un ottimo aiutante.
Edward è bravissimo ai fornelli, lo è sempre stato, ma ora penso che con l’amnesia sia migliorato davvero molto. Sembra che utilizzi la passione per la cucina per trovare se stesso nei piatti che prepara. Si è immerso così tanto nel suo nuovo hobby che penso di aver messo su qualche grammo.
Quando gliel’ho fatto notare mi ha guardata inarcando le sopracciglia e mi ha detto:
-Meglio così, sei troppo magra per i miei gusti-
-E quali sarebbero i tuoi gusti? - gli ho chiesto indifferente mentre addentavo una costa di sedano. Lui si è trattenuto dal ridermi in faccia e con un sorrisino sulle labbra ha continuato a far rosolare lo spezzatino.
Ogni tanto me lo trovo di soppiatto alle spalle con un mestolo pieno di qualcosa o con un pezzo di dolce da farmi assaggiare.
Sta cominciando ad avere sempre meno bisogno della stampella e di questo sono felicissima. Nei piccoli tratti si lancia spedito mentre ha ancora un po’ di paura a lasciarsi andare nei lunghi percorsi.
Ogni tanto si lamenta con il mal di testa ed io mi trasformo in una crocerossina.
La routine è sempre la stessa, quella che ci hanno raccomandato in ospedale: gli faccio prendere un analgesico, lo aiuto a stendersi a letto, chiudo le tapparelle per farlo stare al buio e ad intervalli regolari lo controllo per vedere se ha bisogno di qualcosa.
In cambio Edward non sa come sdebitarsi. Naturalmente avendo limitazioni fisiche lascia parlare la bocca: mi ringrazia almeno mille volte al giorno (non le ho contante ma sono sicura che si aggirino intorno a questa cifra), mi elogia per ogni piccola cosa, ogni tanto si lascia andare a qualche complimento; li butta qui e li con noncuranza facendomi arrossire tutte le volte, anche se sono inginocchiata sul pavimento del bagno a lavare il water.
Quel giorno gli ho chiesto perché lo fa, che non è necessario e lui mi ha risposto:
-Perché te lo meriti e perché per il momento è l’unico modo che ho di sdebitarmi per tutto quello che stai facendo-
-Ma non serve che mi ringrazi, lo faccio volentieri altrimenti non ti avrei mai chiesto di trasferiti qui-
-Ti faccio una promessa allora-
-Quale?-
-Quando sarò in grado di camminare in maniera eretta senza il bisogno di appoggiarmi ad una stampella e il mio nome sarà riabilitato, ti porterò a cena fuori in uno dei ristoranti più belli della città-
Per quanto la sua promessa mi abbia fatto sentire un mare impazzito di farfalle nello stomaco, la frase che più di tutte mi ha colpita è stata: e il mio nome sarà riabilitato.
In quel momento ho capito quanto Edward fosse preoccupato della faccenda dei soldi rubati e non lo desse mai a vedere.
È stato al telefono per giorni con il suo avvocato ed ha ricevuto parecchie volte la visita della polizia, ma mai ho visto sul suo viso l’espressione di vergogna e fallimento che invece ho visto in quel momento. Come se si scusasse con me per non potermi regalare un serata da soli, per paura di venire additati come la coppia dello scandalo finanziario degli ultimi mesi.
Come se la sua vita non fosse già un regalo meraviglioso per me.
Ogni volta che lo guardo mi rendo conto di quanto sono stata a un passo dal perderlo per sempre e saperlo qui, accanto a me, mi ripaga di ogni fatica e di ogni sacrificio che ho fatto nelle ultime settimane.  
Allora mi sono alzata da terra privandomi dei guanti umidi e mi sono avvicinata a lui, gli ho preso le mani nelle mie e gli ho detto:
- Sarebbe un onore per me uscire con lei Signor Cullen. Non vedo l’ora. Dobbiamo pur festeggiare la sua guarigione-
-Sa cosa le dico Milady?- mi ha risposto con un sorrisino sulle labbra.
-No, cosa?-
-Che sono un uomo fortunato e che ha ragione-
-Riguardo a cosa?-
-Riguardo al fatto di festeggiare. Che ne dici se organizziamo una cena qui a casa e invitiamo un po’ di persone? Potremmo dirlo a Emmett e alle tue amiche, Rosalie e Jenny, che ne dici?-
-Dico che è un’idea grandiosa-
-Bingo! Devo pensare a cosa cucinare per i nostri ospiti allora-
-Tutto solo? Non vuoi un mano?- gli ho chiesto facendo un finto broncio.
-Non attacca Swan. Tu continua pure a fare quello che stavi facendo, mi occuperò di tutto io-
Al Swan le mie gambe sono diventate di gelatina e lui deve averlo capito perché si è allontanato ridendo, lasciandomi in balia delle lacrime.

**********

-Posso entrare ora?- busso alla porta della cucina per l’ennesima volta, ma Edward non mi lascia entrare.
-Non ancora-
-Ma sono ore che sei rinchiuso lì dentro-
-Porta un altro po’ di pazienza-
-Ma non puoi fare tutto da solo!-
-Certo che posso. Lo sto facendo-
-Molto spiritoso, davvero- sbuffo, mentre insceno una finta risata.
L’idea di avere Emmett, Rosalie e Jenny a cena, soprattutto Jenny, lo ha fatto calare  ancora di più nel ruolo di cuoco che riveste ormai da una settimana.
È cominciato tutto con una lista lunghissima di cose da comprare. Tanto che ieri l’ho guardato negli occhi allibita e gli ho detto:
-Mi hai preso per un mulo da soma? Non riuscirò mai a portare tutte queste cose!-
-Per questo ho chiesto a mia madre di darti una mano. Ha accettato-
Così, prima che potessi dire una sola parola di protesta, mi sono ritrovata nella macchina di Esme.
Per quanto sbuffassi all’idea di ritrovarmi a girovagare piena di buste della spesa devo riconoscere che alla fine è stato un pomeriggio davvero piacevole.
Siamo molto legate Esme e io e mi sono accorta quanto mi mancasse passare del tempo insieme. Lei non ha mancato di chiedermi come se la passa Edward, nonostante si sentano quasi tutti i giorni al telefono.
-Come sta? E non voglio sentire la sua versione, voglio sapere come sta veramente-
-È difficile da spiegare. È un Edward diverso ma allo stesso tempo è l’Edward di sempre. Ci ha messo un po’ ad ambientarsi ma ora sembra che non se ne sia mai andato, che abbia vissuto sempre come me e Sophie. È molto forte, ma questo lo sai, è tuo figlio-
-Sono felice di saperlo con te. Hai un’ottima influenza su di lui, lo rendi una persona migliore-
-Non è vero, è lui che rende migliore me e lo amo anche per questo-
-Non avete ancora avuto modo di parlare della vostra ‘situazione’?- mi ha chiesto tra un mazzo di sedano e un fascio di cipolle.
-No. Non voglio che quell’argomento rovini le cose tra noi. L’intenzione di parlarne è nell’aria, è ovvio che sia così, scommetto che si sta facendo mille domande, ma ho come l’impressione che abbia capito che parlarne rovinerebbe la nostra armonia. E fino a quando non si sentirà pronto io non voglio forzarlo. Alla fine è una cosa che appartiene al passato-
-Hai ragione, l’unica cosa che conta è che siete insieme oggi, tutto il resto non conta-
Al mio rientro a casa l’ho trovato a giocare sul divano insieme a Sophie.
-Hai passato una bella giornata?- mi ha chiesto mentre tentava di togliersi i capelli di Sophie dalla bocca.
-Una delle migliori di sempre, grazie- mi sono avvicinata e gli ho deposto una bacio sulla guancia, prima di andare in camera da letto a farmi una doccia.

Ancora attaccata allo stipite della porta, lo sento trafficare in cucina e capisco che non ha la minima intenzione di aprire e fare entrare anche me.
Aspetto paziente un altro po’ ma proprio quando sto per allontanarmi indignata lo sento girare la chiave e aprire uno spiraglio.
-Finalmente! Ce ne hai messo di tempo-
-Ancora non ho finito. Apri la bocca-  lo guardo stupita per qualche secondo ma alla fine acconsento alla sua richiesta.
Mi mette in bocca un cucchiaino con dentro una salsa verde. All’apparenza sgradevole ma con un sapore e un profumo unici.
-Dio! Che roba è?-
-Quello è il sugo della nostra pasta- continua a dirmi tenendo aperta la porta per metà.
-Edward è incredibile. Ma cos’è? Ci hai messo i pistacchi che mi hai fatto comprare ieri?-
-Esatto-
-Ma ora fammi entrare-
-No, ci sono ancora altri cucchiai da assaggiare-
Incrocio le braccia al petto proprio come farebbe una bambina.
-Sembri Sophie quando fai così, lo sai?-
-Ma smettila. Dai passa gli altri cucchiai-
Sul prossimo c’è una crema bianchiccia con qualcosa di verde sopra.
-È meravigliosa anche questa. Cos’è?- le mie papille gustative ballano la samba.
-Paté di formaggio e fichi caramellati, andrà sulle tartine come antipasto. Devi assaggiare anche gli altri aspetta-
In un tripudio di colori e sapori mi fa assaggiare il paté di cipolla rossa e il paté di olive nere, entrambi squisiti.
-Abbiamo finito?- gli chiedo leccando volgarmente il cucchiaio.
-Ti stai divertendo?-
-Sì, molto-
-Okay, ti faccio assaggiare il secondo Primo-
-Ma quanto hai cucinato? Addirittura due primi?-
- Melius abundare quam deficere-
-Adesso ti metti a parlare anche Latino? Signor Cullen lei ha delle doti nascoste-
Si mette a ridere – è una locuzione latina che letteralmente tradotta significa: meglio abbondare che scarseggiare-
-Ma così i nostri ospiti non usciranno dalla porta!-
Continuiamo il nostro siparietto comico ancora per qualche minuto fino a che non mi accorgo dell’ora e lo costringo ad aprire per lasciarmi entrare e prendere il suo posto, per dargli modo di andarsi a preparare.
Quando entro in cucina sembra che sia scoppiata una bomba ma tutto il disordine passa in secondo piano, di fronte alla cena luculliana che mi trovo di fronte.
-Sembra… sembra di stare in Italia- dico stupendomi io stessa di aver afferrato il collegamento al primo colpo.
-Esatto, stasera ho cucinato italiano-
I profumi, i colori e i sapori mi avvolgono come un guanto e tutti i miei sensi raggiungono la vetta più alta mai registrata prima.
-Sei bravissimo, io… io non ho parole- gli dico quasi commossa.
-Risparmia il fiato, ti servirà per mangiare-

**********

Quando ho detto a Jen e a Rosalie della cena la loro felicità è schizzata alle stelle. Questo perché fino ad ora Edward ha sempre e solo sentito parlare di loro, non le ha mai viste. Il giorno in cui è stato chiaro a tutti che l’amnesia aveva cancellato gli ultimi sei anni della sua vita, abbiamo pensato che sarebbe stato meglio non caricarlo di troppe emozioni, soprattutto con la visita di due complete estranee, perciò gli ho sempre parlato di Rose e Jen come di due mie amiche.
Quando arrivano per la cena quindi, sono più emozionate che mai.
-Rose stai bene? Non è che hai bisogno di sederti un attimo?- il suo viso è cinereo e sembra che stia per mettersi a vomitare, Jen invece è elettrizzata.
Rose mi guarda imbambolata ma una gomitata di Jen la riporta alla realtà – sta bene, non è nulla. Vero zuccherino? È solo un po’ sconvolta dalla mia guida; per poco non andavamo a sbattere contro un Bus- dice quest’ultima entrando per prima in casa –dov’è il nostro smemorato preferito?- continua mentre io afferro il braccio di Rosalie per farla entrare.
-La vuoi finire? Parla piano altrimenti ti sentirà!- le sussurro tra i denti mentre una voce da baritono esce urlando dall’ascensore.
-Ehilà gente!- è Emmett, chi altri sennò?
Rosalie sembra rianimarsi di colpo e si gira per guardarlo. Nel farlo si sistema una ciocca di capelli e lo guarda dall’alto verso il basso, come al solito, però mi accorgo che c’è qualcosa di strano questa volta.  
-Emmett accomodati- chiudo la porta di casa con un bel respiro “spero che vada tutto bene” penso per rincuorarmi un po’.
Edward esce dalla cucina seguito da Sophie che si getta subito tra le braccia di Jen.
-Zia Jen, zia Jen! Vuoi vedere la mia nuova bambola? È un regalo di papà-
Papà si avvicina sorridente e allunga la mano verso le due ragazze che quasi esultano del vederlo entrare.
-Piacere, Edward, come mi ha fatto notare Sophie tu sei Jen e tu invece devi essere Rosalie-
-Ciao- dicono entrambe imbarazzate nello stesso momento. Mi sfugge un singhiozzo nel vano tentativo di trattenere una risata. Edward le guarda un po’ scettico e poi si mette a parlare con Emmett, mentre ed io mi avvicino alle ragazze.
-Davvero? Sarà così la serata? No, ditemelo, perché rischio di affogare nelle mie risate -
Entrambe mi rivolgono un’occhiataccia e per tutta riposta le stringo forte in un abbraccio.
La serata, cominciata in modo imbarazzante, non ci ha messo molto ad ingranare verso la giusta direzione. Tutto questo grazie alla cena squisita di Edward, al buon vino e alla compagnia giusta.
Abbiamo messo da parte ogni tipo di imbarazzo e ci siamo buttati in mille conversazioni, ridendo e scherzando.
-Mm Edward, se gli spaghetti al pistacchio di Bronte erano favolosi questo risotto radicchio, salsiccia, taleggio e noci è da leccarsi i baffi, complimenti- Jen che è un’ottima cuoca, raramente si lascia andare a complimenti così calorosi, e se lo fa vuol dire che è sincera.
Edward si imbarazza un po’, lo vedo chiaramente; ha cercato di fare tutto in maniera perfetta anche per paura del giudizio di Jen.
-Grazie, sei molto gentile-
-Davvero amico, non ricordavo fossi così bravo a cucinare, e sì che abbiamo diviso la stessa stanza al College-
-Forse anche tu hai perso la memoria, amico. Perché mi ricordo che mi alzavo per preparati dei sandwich strepitosi alle due di notte, mentre te ne stavi tutto ingobbito chino sulla scrivania a studiare-
-Hai ragione, l’avevo proprio dimenticato. Mi sa che sei contagioso!- entrambi scoppiano a ridere.
Jen e Rosalie sono radiose, e anche io lo sono. Mi convinco sempre di più che invitarli a cena sia stata un’ottima idea.
Mentre i ragazzi continuano a parlare dei tempi del College, noi donne cominciamo a sparecchiare per fare spazio al resto della cena.
Rosalie mi raggiunge in cucina e mi coglie di sorpresa abbracciandomi così forte da farmi mancare il respiro.
-Sono così felice Bella- dice con gli occhi lucidi.
-Lo so Rose, ed io sono felice per te. Per entrambe- aggiungo quando Jen mette piede nella stanza –so quanto è stato difficile per voi stragli lontano, siete delle ottime amiche-
-Sei tu ad avere la nostra ammirazione Bella, non è vero Jen?-
-Certo, zuccherino- la apostrofa quest’ultima con il grazioso nomignolo che le ha affibbiato proprio per sottolineare il fatto che non lo è per niente, uno zuccherino. Anche se ora potrei ricredermi. Rose è una persona splendida, davvero. Durante il periodo in cui Edward era ricoverato all’ospedale mi ha telefonata tutti i giorni per avere informazioni, questa cosa ha fatto crescere il nostro rapporto fino a farlo diventare una vera e propria amicizia, e da quando si è trasferito qui le cose non sono cambiate. Ha questo carattere un po’ forte, da dominatrice, ma ha anche dei momenti così dolci che ti portano ad amarla. Proprio come sto facendo io in questo momento.
-Grazie ragazze, sono così felice di avervi qui stasera-
-Oh anche Emmett è felice di averci qui, questa sera-
-Cosa?-
-Cosa?-
Io e Rose sembriamo due pappagalli –che vuoi dire?- aggiungo subito.
-Beh Emmett non ha tolto gli occhi di dosso a Rose nemmeno per un secondo da quando ci siamo messi a tavola-
-Ma smettila, non è vero. Bella non starla a sentire-
-È così invece. Bella non dirmi che non te ne sei accorta- Jen mi obbliga con lo sguardo a dirle di sì.
-Sì è vero, me ne sono accorta anche io- confusa, le rivolgo una domanda con gli occhi che più o meno recita così: Cosa diavolo stai combinando si può sapere?
Lei afferra e mi risponde a sua volta: Stai al gioco tontolona e non fare la guastafeste come al solito.
Alzo un sopracciglio per dirle Okay.
-Vedi? Non sto mentendo è la verità-
-Qualcuno può dirmi cosa sta succedendo?- chiedo bloccando sul nascere la risposta di Rose.
È Jen a rispondermi- Rose e Emmett sono usciti insieme-
-Davvero? Perché vengo a saperlo solo ora?-
-Perché è successo poche sere fa. Grazie tante Jen per non avermi dato il tempo di dirglielo personalmente-
-La tempistica non è il tuo forte zuccherino, ormai l’ho capito-
-Smettila di chiamarmi così- urla spazientita- e poi non dire in questo modo, la confondi solamente- aggiunge dopo aver visto il mio sguardo interrogativo.
-Dovevo chiamarlo, per organizzare un’altra uscita. Ma non ne ho avuto il coraggio- chiarisce per la sottoscritta.
-Perché Rose? Non ti piace? Ha fatto qualcosa di sbagliato?-
-No. No, è stato carinissimo ed è per questo che non l’ho chiamato- dice torcendosi le dita delle mani.
-Non capisco, perché non l’hai fatto?- le chiedo aggiungendo un’altra tacca alla linea immaginaria dove sto segnando il mio grado di confusione.
-Perché mi piace sul serio e non vorrei rovinare tutto-
-L’hai sentita? Io non ho parole- Jen è indignata.
-Jen smettila. Rose perché questi problemi? Sei una ragazza bellissima e intelligente, perché non ti fai avanti? Per quanto Emmett sia… beh sappiamo com’è Emmett, penso che stareste davvero bene insieme-
-Disse la donna che ci ha messo quattro anni a capire di amare lo stesso uomo che cercava di dimenticare a tutti i costi- mi apostrofa Jen.
-Sul serio come fai a sopportarla?- chiede Rose con un sorriso sulle labbra – io l’avrei uccisa da tempo-
-È che le voglio bene, e voglio bene anche a te. Fatti avanti Rose-
 -Ah, avete ragione- sospira appoggiandosi al bancone della cucina- è che mi faccio prendere dai complessi per la storia con Mike. Jen?-
-Sì Rose?-
-Non aspettarmi quando usciamo da qui, io torno a casa con un altro passaggio- oh, adesso si che la riconosco. Riconosco il carattere forte e deciso che la contraddistingue sempre.
Torniamo in salotto con il vassoio del Filetto di manzo al Cannonau di Sardegna, con fonduta di parmigiano e chips di Zucca.
-Di cosa parlate ragazzi?- chiede Jenn mentre ci accomodiamo di nuovo a tavola.
-Di donne, di cosa sennò?- le risponde Emmett e subito i miei occhi cercano quelli di Rose.
-E di chi in particolare?- mi intrometto io.
-Delle ragazze che frequentavamo al College- mi risponde Edward- Emmett si è infilato nel letto di tutte le ragazze della facoltà di Economia-
-Chissà perché non avevo dubbi- a parlare è Rose, che inarca le sopracciglia e Emmett le fa l’occhiolino.
-Bella, non starlo ad ascoltare, era lui quello che tutte volevano. Ha fatto una vera e propria strage di cuori-
-Davvero?- chiedo stando al gioco; conosco già questa storia.
-Era un vero e proprio Don Giovanni il nostro Eddie-
-Poi chissà come mai ha messo la testa a posto- aggiunge Rose.
-Eh già- gli fa eco Emmett – sei arrivata tu Bella e di colpo tutte le altre donne sulla faccia della terra hanno cessato di esistere- tutte tranne una penso all’istante mortificata, maledicendomi il secondo dopo. Di colpo comincio ad agitarmi e a muovermi in maniera convulsa sulla sedia.
Edward sembra cogliere il mio disagio e mi chiede – cosa c’è?-
-Nulla. Nulla è tutto okay-
-Mm buona la fonduta al parmigiano!- esclama Jen di punto in bianco per cercare di portare l’attenzione su altro.
-Bella, scusami- Emmett è mortificato.
-Non è successo niente, davvero. Tranquillo-
-Ma cosa sta succedendo?- Edward è sempre più confuso.
-E le chips di Zucca! Che invenzione!- i tentativi di Jen di cambiare argomento sono adorabili e mi fanno sorridere allo stesso tempo. Questo sembra tranquillizzare un po’ Edward che ora mi guarda meno accigliato.
-Beh? Mangiamo? Non vorrei si freddasse del tutto-  do man forte a Jen e mi tuffo sul mio piatto cercando di ignorare gli sguardi interrogativi di Edward.
Non pensarci. Non pensarci. Non pensarci. Non pensarci. Non pensarci.
Mi ripeto come un mantra nella testa mentre mi impongo di masticare il più naturalmente possibile.   
Edward mi guarda per qualche altro secondo, ma poi sembra capire che non ho voglia di parlarne e che comunque, non sarebbe il momento adatto.


Concludiamo la serata con un ottimo Tiramisù. Le cose sembrano tornate alla normalità: i ragazzi si mettono a giocare con Sophie, mentre noi donne ci dedichiamo alla cucina.
Nessuno ha il coraggio di tirare in ballo l’argomento, forse per non turbarmi, forse perché non saprebbero cosa dire. Nemmeno io saprei cosa dire.
La cucina è tornata a brillare e proprio mentre stiamo per dirigerci in salotto ad unirci agli altri, vedo Emmett con in braccio Sophie.
-Si è addormentata- sussurra piano per non svegliarla, anche se nel momento in cui finisce di parlare, la mia bambina si sveglia di colpo e allunga le braccia verso di me.
-Mami-
-Amore vieni, ti porto a letto-
-No..- balbetta ancora mezza addormentata- voglio dormire con te-
-Sophie, lo sai come la penso- per tutta risposta si attacca ancora di più al collo e mi stringe forte.
-Va bene, ma solo per stasera-
-Bella, allora noi andiamo. Grazie di tutto- Rose si avvicina e sfiora i capelli di Sophie, Jen invece le lascia un bacetto sulla fronte ed Emmett mi saluta mettendomi una mano sulla spalla.
-Non preoccuparti, li accompagno io- mi rassicura Edward incitandomi ad andare in camera e mettere a letto nostra figlia.
Una volta sola, mi chiudo la porta alle spalle. Sono sicura che aspetterà che io esca e torni di nuovo da lui, ma una voce dentro di me mi implora di lasciare la porta chiusa e di rimanere dove sono.
L’idea di affrontare gli sguardi e le domande di Edward mi mette troppa paura.
Metto Sophie a letto, per fortuna non devo preoccuparmi di andare a prendere il suo pigiamino visto che lo ha indossato subito dopo mangiato, e la copro con il piumone.
Dieci minuti dopo sono al suo fianco che la stringo forte al mio petto.
Cerco di mettere a tacere i pensieri che mi vorticano nella testa, non voglio passare una notte in bianco. Nella semioscurità della stanza contemplo il visino dolce e tondo di Sophie mentre con una mano le accarezzo i morbidi capelli.
Sembra impossibile ma tutto d’un tratto sento addosso la pressione della giornata, il respiro delicato e ritmato di Sophie mi concilia il sonno, e mi lascio cadere tra le braccia di Morfeo senza neanche rendermene conto.
Mi ridesto dopo un po’, con una scia di brividi lungo il braccio e la certezza di non essere più sole nella stanza. Dalla porta entra uno spiraglio di luce e una mano mi accarezza il braccio; i brividi mi solleticano di nuovo la pelle.
-Bella?- mi sussurra Edward all’orecchio facendomi svegliare del tutto.
-Stai male? – gli chiedo subito preoccupata.
-No, sto bene. Esci per favore?- non è una domanda, sembra quasi un ordine.
Mi alzo dal letto, mi accerto che Sophie dorma tranquilla e lo seguo nel salotto.
Ha indosso i pantaloni azzurri del pigiama e una maglia grigia a maniche corte, in un barlume di lucidità mi accorgo di trovarlo sexy da morire e mi impongo di guardare altrove, di pensare ad altro. I miei occhi si posano subito sull’orologio della parete che segna le 02:10.
-Siediti, vuoi startene li impalata per tutto il tempo?- si è seduto sul divano e ora mi invita a raggiungerlo.
-Cosa c’è?- gli chiedo andandogli vicino. Il suo viso è tirato e penso subito al peggio ma sento un tonfo sordo al cuore quando inizia a parlare.
-Voglio saperlo-
Sarebbe inutile replicare e chiedergli di cosa sta parlando, so benissimo di cosa sta parlando. Tuttavia non avrei mai voluto sentirglielo dire. Potrei suggerirgli di rimandare tutto a domani, che ora è tardi e che a mente lucida sarebbe tutto più facile, ma continua a guardarmi implorante e allora cedo.
-No, credimi, non lo vuoi davvero-
-Ne ho tutto il diritto, Bella. Tu devi dirmelo- si porta le mani nei capelli- non riuscivo a chiudere occhio, mi rigiravo nel letto pensando alla reazione che hai avuto prima. So che è tutto collegato, non mentirmi-
È vero, lui ha tutto il diritto di sapere la verità ed io sono l’unica a dovergliela dire. Se mi sta chiedendo di essere sincera significa che ha valutato tutti i pro e i contro, che ora si sente pronto a saperlo, ma perché mi sento come se mi stessero chiedendo di strapparmi il cuore e vivere senza?
Non riuscirei a guardarlo, non riuscirei a sopportare il suo sguardo una volta saputa la verità. Perciò abbasso gli occhi, perché non so cos’altro fare.
-Cosa vuoi sapere?- la mia voce è un filo sottilissimo che si spezza in più punti.
-La verità, perché ci siamo lasciati? È stata colpa mia?-
Deglutisco a fatica visto il masso che mi si è piantato in mezzo alla gola – sarebbe facile dirti il motivo principale, ma non sarebbe corretto. Devi sapere l’intera storia-
-Sono tutto orecchi- mi prende le mani nelle sue, le stringe forte, tanto forte. Un gesto che mi invita a continuare.
-Dopo qualche giorno dalla nascita di Sophie il mio umore non è stato più lo stesso- mi fermo un secondo per respirare e andare avanti con più calma.
- Mi sentivo spossata, priva di stimoli, volevo passare le giornate a poltrire nel letto piuttosto che dedicarmi a lei. Quella sensazione di felicità allo stato puro che avevo provato all’inizio improvvisamente sembrava essere scomparsa, lasciando spazio ai pensieri più cupi. Mi sentivo come sospesa in un limbo che mi impediva di vivere la maternità come speravo. Ero caduta in depressione Edward. La classica depressione Post Partum. Per fortuna con l’aiuto di una terapista e con i farmaci giusti sono riuscita ad uscirne- mi asciugo un lacrima solitaria che scende sulla mia guancia gelata. Lui ha continuato a fissarmi per tutto il tempo e sembra che il dolore che ho provato io lo stia provando lui ora.
-Mi dispiace così tanto- torna a prendermi le mani.
-Non preoccuparti, è acqua passata ormai. Ora guardo Sophie e penso che è stato un brutto incubo, che non è mai accaduto, perché la amo con tutta me stessa ed è questa l’unica spiegazione che sono in grado di darmi-
Annuisce e resta in attesa che io continui.
Vorrei mordermi la lingua a sangue piuttosto che continua a parlare, soprattutto visto che ora entriamo nel vivo della storia.
-Prima che io superassi tutto però, è successo qualcosa che ha rovinato inesorabilmente il nostro rapporto. Io non ero più una madre, ma non ero nemmeno più una moglie. Il nostro matrimonio stava andando a rotoli e nessuno dei due sembrava essere in grado di fare niente. Aspettavamo entrambi che le cose si risolvessero da sole e intanto soffrivamo. Tu hai provato più volte ad avvicinarti, ma ero io a non volerti al mio fianco. Mi sentivo un decimo della persona che ero, della persona di cui ti eri innamorato e purtroppo ad andarci di mezzo è stata la nostra armonia. Mi sono allontanata, in tutti i sensi. Non dormivamo più insieme, non facevamo l’amore da un sacco di mesi, non facevamo più niente insieme. E tu questo non lo sopportavi. Eri stressato, scontroso, anche per il nuovo lavoro. Ti eri appena buttato in questa impresa lavorativa con Mike che assorbiva tutto il tuo tempo, ed io mi sentivo trascurata. Così, un giorno, ti ho detto che non ce la facevo più e che volevo andarmene di casa. Sarei andata a stare con mio padre e avrei cercato di rimettermi in sesto. Quella mattina non ti ho dato altra scelta, se non quella di accettare le mie condizioni, ma sei andato via con la speranza di riuscire a farmi cambiare idea-
-E ci sono riuscito? A quanto pare no, visto che ci siamo lasciati lo stesso-
-È più complicato di così…-
-Più complicato di così? Dimmi cos’è successo allora?-
Prendo un bel respiro e vorrei cavarmi le corde vocali con una forchetta piuttosto che diglielo. Vorrei che il batticuore che sento nel petto non fosse così insistente.
-Tu… tu, mi hai tradita. Hai fatto sesso con un’altra donna-  la scarica di adrenalina che mi pervade il corpo mi lascia quasi senza fiato. Sul suo viso vedo una miriade di emozioni sovrapporsi l’una sull’altra, le rughe della fronte si distendono all’istante e i suoi occhi diventano vacui. Mi guarda quasi scioccato.
-Io… davvero… davvero?- libera le mie mani di colpo come se si fosse appena scottato, questo gesto mi fa male e non me l’aspettavo.
Eppure, non aspetto che si riprenda, non aspetto che si allontani da me. Torno a stringergliele con forza e lo costringo a guardarmi.
-Ei, è successo tanto tempo fa e pensarci non mi fa più male come prima. Devi sapere che quello che hai fatto è successo in parte per colpa mia-
-Cosa? No! Non sono tanto stupido, dici così solo per non farmi stare male. Non hai già sofferto abbastanza? In che modo, mi avresti spinto a fare sesso con un’altra donna? Sono un uomo e se non avessi voluto non sarei riuscito ad arrivare fino in fondo, avrei potuto fermarmi!-
-Tu… tu eri ubriaco, me lo hai detto tu stesso. Credevi che ti avessi lasciato e pensavi che la tua vita fosse distrutta. Pensai che avessi fatto i bagagli e fossi andata a vivere da mio padre e sei venuto a casa a cercarmi. Io non ero andata via, o meglio, in qualche modo ero rinsavita e avevo deciso di tornare. Volevo combattere per noi e quando sei venuto qui e mi hai trovato ad aspettarti, mi hai confessato tutto. Non riuscivi a tenertelo dentro un minuto di più-
-Chi era lei? La amavo?-
-No, non la amavi- stranamente, dirlo, mi da sollievo- era la tua segretaria, è successo nel tuo ufficio. Lei è… lei è una maledetta stronza. Ci ha provato con te quel giorno, sapeva che eri vulnerabile, che avevi bevuto e allora ne ha approfittato-
-Mi stai giustificando?- sembra incredibile ma lo sto facendo davvero. Cosa mi sta succedendo?
-No, non posso giustificarti – ripeto più a me stessa che a lui - mi hai tradita e io mi sono sentita davvero lacerata dal dolore. Ero devastata. Ti sto solo raccontando come sono andate le cose-
-Dunque…- riprende dopo qualche minuto - è per questo che ci siamo lasciati?-
-Sì- un’unica sillaba che racchiude in se tutta la mia disperazione.
Ho paura della sua reazione. Fino ad ora abbiamo avuto uno splendido rapporto, ora ho paura che la verità su quanto successo quattro anni fa possa rovinare tutto il percorso che abbiamo costruito insieme, mattone dopo mattone, e non lo sopporterei.
-Non voglio che le cose cambino tra noi- mi ritrovo a dirgli sincera e in preda al terrore– non voglio che questo cambi il modo che hai di comportarti con me. Ti stai riprendendo così bene, per favore non lasciarti condizionare da qualcosa che è successa tanto tempo fa-
-Cosa?- allunga le braccia verso di me e mi stringe forte, deve essersi accorto che ho cominciato a tremare come una foglia.
-No. Bella, no. Non ho nessuna intenzione di cambiare- mi culla la testa sulla spalla mentre con l’altra mano mi accarezza i capelli.
-Meno male- stringo forte la sua maglietta, quasi ad impedirgli di fuggire via – sono così felice di sentirtelo dire-
-Bella? Ei… è tutto a posto- sembra strano che ora sia lui a dover consolare me. Contrariamente a quello che ha detto, ho paura di perderlo, di vederlo andare via, di nuovo.
Mi tiro su, ma commetto il grave errore di guardare le sue labbra, che sono a meno di cinque centimetri dalle mie.
In un assalto di schizofrenia acuta, mi butto famelica sulla sua bocca, su quei petali di rosa che non assaggio da mesi.
La mia reazione è uguale a quella di un assetato nel deserto che ritrova dopo tanto tempo la sua fonte di sostentamento, e ne voglio sempre di più. Inizialmente me ne infischio bellamente della risposta di Edward, ma poi mi accorgo che in realtà non sta muovendo nemmeno un muscolo: è fermo, immobile come una statua e mi guarda stupito.
-Scusa- mi tiro indietro mentre nel petto sento una fitta di reprensione.
Cosa ho fatto?
Sto per alzarmi e scappare nella mia camera da letto per sotterrarmi sotto le coperte, con l’intenzione di rimanerci un diecina d’anni più o meno, che mi prende per il braccio e mi avvicina di nuovo al suo viso.
Quello che succede dopo è un misto tra fantasia e realtà. La fantasia è la mia ovviamente. Ho sognato che mi baciasse in questo modo sin da quando ha aperto gli occhi all’ospedale un mese fa e ora sta succedendo davvero. Ma la realtà è anche meglio.
Mi preme la mano alla base del collo e mi spinge sempre di più contro la sua bocca. Il suo sapore mi investe come un cazzotto in pieno volto.
Quanto mi è mancato.
Il mio cuore batte impazzito, ho l’impressione che lui possa sentirlo.
Gli accarezzo i capelli e li stringo forse tra le dita mentre mi metto a cavalcioni sulle sue ginocchia.
Ci baciamo come se fosse la prima volta, come se non l’avessimo mai fatto prima…
Un momento! Ma noi non l’abbiamo mai fatto prima!
Per l’Edward post - incidente, questo è davvero il nostro primo bacio. Stranamente questo mi fa emozionare ancora di più.
Mi stacco lentamente per poter respirare, rischio di morire per asfissia se continuiamo così.
-Edward…-
Torna a baciarmi di nuovo con urgenza, proprio come successe la prima volta che ci baciammo sei anni fa. All’epoca, facemmo le cose con relativa calma. Lui mi diede tutto il tempo necessario per capire cosa volevo, ora sembra chiaro quello che vogliamo entrambi, ma se dopo cambiasse idea? Se si rendesse conto che abbiamo fatto un errore e se ne andasse davvero? Non voglio che sia Sophie a pagare le conseguenze della mia lascivia.
Uno dei due deve ritrovare il lume della ragione!
Metto le mani sul suo petto e lo allontano un poco, quel tanto che basta per guardarlo negli occhi.
-Aspetta. È successo tutto così in fretta-
-Te ne sei pentita?- mi chiede accarezzandomi i capelli. Si avvicina e deposita un bacio nell’incavo del collo.
Mi fa venire i brividi e la voglia di lasciarmi andare è tanta.
-No, certo che no. Ma non abbiamo fretta, non trovi? Sei qui, non vai da nessuna parte e nemmeno io-
Gli prendo le mani e le incrocio alle mie, me le porto alle labbra e le bacio.
Mi perdo a esaminare il suo viso bellissimo. Gli occhi verdi come i prati d’Irlanda mi scrutano attentamente.
-Hai ragione- dice sospirando – mi sono lasciato prendere dalla situazione-
Guardo sconsolata l’orologio e vedo che è passata quasi un’ora da quando è venuto a chiamarmi. Non vorrei lasciarlo andare, non vorrei separarmi da lui, non vorrei mettere a tacere la voglia che ho di lui, è davvero difficile, ma devo farlo.
-Ti chiederei troppo se ti invitassi nel mio letto stanotte?-
Sicuramente sarà per via della mia faccia, è sempre stato bravissimo a leggermi dentro, tuttavia non immaginavo che arrivasse a comprendere la mia battaglia interiore.
-Solo per dormire- specifica, dato che sono rimasta impalata a guardarlo come un pesce lesso.
-Credo che questo possa farlo- gli rispondo con sincerità, è il massimo che posso concedermi stanotte.
Si alza dal divano tenendomi ancora per mano. Ci dirigiamo verso la mia stanza per controllare Sophie. Lei dorme beata ignara del tumulto interiore che sta scuotendo la sua mamma.
Poi, mano nella mano all’amore della mia vita, mi lascio trascinare verso la porta accanto alla mia…
 


Allora, prima di tutto volevo dirvi GRAZIE per le bellissime recensioni all'ultimo capitolo, non me lo aspettavo proprio. ^_^
La scorsa volta vi ho scritto che mancavano quattro capitoli più l’epilogo, ma forse ce ne sarà uno in meno.
Spero che le scene finali di questo capitolo vi siamo piaciute e che soprattutto siano state chiare.
La storia va spedita è vero, ma non volevo accelerare i tempi. Per questo spero che si capisca perché Bella lo ha fermato. Avrebbero potuto fare sesso ora, e magari lui non si sarebbe nemmeno pentito dopo, però in fin dei conti loro si conoscono da un mese. E questo è stato il loro primo bacio, mi sembrava troppo avventato farli finire a letto insieme, se lei non è sicura di quello che lui prova per lei e viceversa.
Alla prossima ;)

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