Paris La Belle... en l'an de Dieu Mil Quatrecent Quatrevinght Deux di Blue Drake (/viewuser.php?uid=84670)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Sotto le Stelle di Parigi ***
Capitolo 2: *** Strani incontri notturni ***
Capitolo 3: *** Scorci di mondi differenti ***
Capitolo 4: *** Senza Parole ***
Capitolo 5: *** Spiegazioni e chiarimenti ***
Capitolo 6: *** Segreti, rivelazioni ed inappropriate perdite di coscienza ***
Capitolo 7: *** Sospiri d'inchiostro ***
Capitolo 8: *** Sconsiderate soluzioni a tormentosi problemi esistenziali ***
Capitolo 1 *** Sotto le Stelle di Parigi ***
PARIS
LA BELLE
en
l'an de Dieu Mil Quatrecent Quatrevinght Deux
“Sotto
le Stelle di Parigi”
“Les
portes de Paris
Déjà
se ferment sur la nuit
La
nuit de tous les cris
De
tous les rires
Et
de tous les désirs”
Passeggiava
mollemente lungo le vie secondarie della città, quelle poco
affollate, quelle dove le rare luci delle bettole ancora aperte
giungevano a fatica e filtrate dall'aria umida e pesante delle lunghe
sere d'inverno. Passeggiava con il mento sollevato, il naso puntato
all'insù, verso un cielo stranamente poco nuvoloso, senza
badare a
dove poggiava i piedi, evitando più d'una volta di cadere
solo ed
esclusivamente per pura divina volontà.
«Djali,
Djali, guarda anche tu, guarda un po' lassù»,
incitava il giovane a mezza voce, svagato ed un po' sognante. «Ma
dico io, non ti sei forse divertita abbastanza a sgambettarmi fra i
piedi, per oggi?», borbottava poi, evitando d'un soffio
l'ennesimo
ruzzolone. «Oh, mia dolce Djali, le vedi, non è
vero? Le vedi anche
tu? Come possono essere tanto luminose? Come il fuoco, sì,
ma fuoco
bianco, quasi che il ghiaccio bruciasse... Hey! Mi farai rompere una
gamba, accidenti a te! Cammina un poco più avanti, o appena
più
indietro. Magari al mio fianco, che dici? Diamine, ma perché
proprio
nel punto in cui cammino io, ma dico!».
E
così continuava imperterrito, lungo la propria strada,
nonostante le
innumerevoli avversità, ingenuamente incurante dei tranelli
diabolicamente orditi dalla silenziosa compagna di viaggio.
A
volte si chiedeva se fosse stata una saggia decisione l'idea di
rimanere a Parigi, visti gli ultimi sviluppi. Ma dove altro avrebbe
potuto andare, oramai? Certo, il suo vecchio maestro era pur morto
–
in circostanze piuttosto misteriose, per di più. Ed avevano
da poco
impiccato sua moglie – solo di nome, invero: sfiorata
un'unica
volta e non ne rammentava un'ottima esperienza. Così non
possedeva
più nemmeno una vaga parvenza di famiglia a cui fare
ritorno. Ma in
fondo si sa, gli artisti son creature bizzarre, non son certo animali
da branco. A tal proposito ricordava, non senza un pizzico di latente
malinconia, che quello che per una manciata di mesi aveva funto per
lui da branco era stato duramente decimato, tanto che coloro i quali
erano fortuitamente sopravvissuti dovevano aver pensato bene di
cambiare aria. Quindi, perché non aveva anch'egli seguito le
loro
orme, il loro buon esempio?
Orbene,
in verità non si riteneva in immediato pericolo di vita. Le
guardie
del Re non sembravano interessate alla sua persona – per lo
meno,
non al momento. Non era ricercato e non aveva debiti – e
seppure li
avesse avuti non avrebbe avuto di che ripagarli. Vantava, anzi, un
certo
credito
nei confronti della Capitale, ché non aveva certamente
scordato il
compenso per aver scritto e messo in scena quel famoso
mistero, invero così poco apprezzato dal volgo e tuttavia
fatto
davvero con un certo gusto dell'arte e tutti i crismi. Oh no, il
Prevosto o chi per esso gli doveva qualcosa, che diamine! Malgrado
ciò, e a dover dirla proprio nuda e cruda, non si sentiva
propriamente incline nel presentarsi di fronte a qualche signore al
fine di rivendicare le spettanze dovute poiché non era del
tutto
persuaso che avessero dimenticato le sue estemporanee comparse in
luoghi ove non avrebbe mai desiderato rimetter piede, primo fra tutti
la Bastille Saint-Antoine, magari ai piedi sciupati di Sua
Maestà
Luigi XI il Re di Francia, ecco.
E
poi c'era Djali, perbacco! Come avrebbe mai potuto dimenticarla? Non
poteva averne la certezza, d'accordo, ma c'era pur sempre la
probabilità che la sua fedele compagna fosse tutt'ora
ricercata, e
questo sì rappresentava un enorme problema, un problema che
non era
ancora riuscito a risolvere, per quanto si lambiccasse giorno e notte
– più di notte, invero. Questo grattacapo, questa
incognita, lo
obbligava a farla uscire di casa solo ed unicamente dopo l'imbrunire,
ed a frequentare vecchie stradicciole con poca vita, a bassa
concentrazione di popolo. Oh, si sentiva così triste ed in
colpa per
questo! Avrebbe voluto poterle concedere grandi prati, intere colline
di scintillante erbetta fresca, piuttosto che grigi ciottoli umidicci
e viuzze buie. Ma quella sera c'erano le stelle e si sentiva
ispirato, quasi eccitato, tant'è che non riusciva a
distogliere gli
occhi da quel bel cielo, nemmeno se il rischio era di rompersi l'osso
del collo.
“Les
portes de Paris
Déjà
se ferment sur la nuit
La
nuit de tous les crimes
De
tous les rires
Et
de tous les désirs”
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Capitolo 2 *** Strani incontri notturni ***
“Strani
incontri notturni”
“Sur
le Pont-au-Change
Ce
soir j'ai rencontré un ange
Qui
m'a souri
Et
qui loin de ma vue a disparu”
Se
si fosse trovato al caldo nel proprio letto, o meglio, se si fosse
trovato in un qualsiasi letto morbido e tiepido, quello,
sicuramente, sarebbe stato uno dei suoi bislacchi sogni. D'altronde
non stava sonnecchiando in quel momento, stava invece procedendo
tranquillamente lungo la Rive Gauche della Seine, in muta – o
quasi
- contemplazione di un cielo che sembrava volergli parlare, a tal
punto appariva espressivo. E tuttavia qualcos'altro era riuscito
nell'ardua impresa di distogliere la sua attenzione dalle
beltà
della notte parigina o, per essere più precisi, qualcun
altro: una
figura umana, a prima vista, all'apparenza intenta a scrutare
l'invisibile orizzonte dall'alto della spalla posta
all'estremità
opposta del ponte in legno che s'apprestava proprio in quel momento
ad attraversare.
Un'interminabile
notte di quasi undici mesi prima, la notte dell'Epifania, fra
l'inestricabile intrico delle rues
ormai deserte, aveva seriamente creduto d'aver incontrato un angelo,
sotto l'inattesa forma di una giovane donna gitana. In quel momento,
la sensazione era la medesima, ciò nonostante non si
trattava
affatto di una ragazza, appariva piuttosto come un vero e proprio
angelo.
Con
un confuso alternarsi e rimescolarsi di curiosità e timore,
il
nostro prode filosofo e poeta si fece dunque coraggio, avanzando di
qualche cauto passo, così da potersi avvicinare il
più possibile
alla creatura,
che pareva non si fosse minimamente ravveduta della sua presenza.
Infine si fermò, a portata di voce ma ben oltre la portata
di mano,
si prese del tempo per riflettere un momento sulle parole da usare e
tentò: «Una
buona serata a Voi, creatura della luna». Si aspettava,
forse, una
replica, una qualunque, gentile od ostile che fosse. Ottenne
tutt'altro; la figura si volse adagio, concedendo a Pierre Gringoire
tutta la sua attenzione. Ed il suddetto non poté
assolutamente fare
a meno di rimanere letteralmente a bocca aperta per la sorpresa e lo
stupore.
Non
aveva affatto l'aspetto di una donna, né tanto meno di un
uomo.
Aveva, bensì, le sembianze d'un Álfar, un Elfo
del Nord, e di altro
ancora, ma forse troppo complesso e lontano da poter essere
assimilato.
«Chi
siete?». Piuttosto scortese, da parte sua, una domanda tanto
diretta
e sfacciata. E tuttavia non aveva assolutamente trovato il tempo di
costruire un approccio più delicato. A dispetto di
ciò, un tale
inadeguato comportamento non parve comunque servire allo scopo
poiché
l'interlocutore – se in tal modo lo si vuol definire, tenendo
a
mente che non aveva fin'ora lasciato uscire alcun suono dalla sua
bocca – lo pietrificò sul posto con un sorriso del
tutto inatteso,
gravando maggiormente sul suo già infermo equilibrio
mentale. Non
aveva idea se ad impedirgli di distogliere lo sguardo fosse stato
proprio quel sorriso – curiosamente delicato, su quelle
labbra
tanto sottili da risultare pressoché inesistenti -, i suoi
occhi
enormi e senza pupilla, ma la cui iride rifletteva infinite sfumature
di viola e di perla, o ancora i lunghi e sottili capelli che
rilucevano d'argento esattamente come le stelle in cielo.
Ha
la pelle più livida della mia,
si ritrovò improvvisamente a riflettere. In
verità, il colore
dell'epidermide di quella creatura
non era blu ma, piuttosto, azzurro virante al lillà. Indaco,
probabilmente, sarebbe stato la definizione più appropriata,
se solo
si fosse applicato maggiormente nell'arte della pittura. Non era
magro come Pierre. Era, piuttosto, longilineo, affusolato,
notevolmente aerodinamico, nonostante gli inusuali abiti svolazzanti
che indossava senza il minimo pudore in quel momento, abiti per nulla
consoni al rigido tardo autunno di quell'anno, tanto da parere
semplici veli impalpabili. Eppure non sembrava risentirne affatto; il
suo corpo non dava cenno di rabbrividire ed il colore inconsueto
della sua pelle non doveva per nulla dipendere dal freddo dell'aria
notturna.
‛Buona
sera a Voi, Signore’.
Finalmente una risposta, seppur con ampio ritardo. Risposta che,
tuttavia, ebbe l'effetto di far spalancare ancor di più la
bocca del
giovane filosofo. Le labbra della creatura,
mentre lo salutava con estrema cortesia ed invidiabile calma, non si
erano mosse di un solo millimetro, neppure un lieve spostamento
d'aria, non una soffice nuvola di condensa ne era uscita. La sua
voce, volendola definir tale, non aveva per nulla turbato il profondo
silenzio della notte parigina. Era, invece, giunta a Pierre
direttamente nella sua testa.
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Capitolo 3 *** Scorci di mondi differenti ***
“Scorci
di mondi differenti”
“Lune
Veille
sur ce monde étrange
Qui
mêle
Sa
voix au choeur des anges”
Doveva
perentoriamente ricordarsi di respirare, o sarebbe inevitabilmente
stramazzato al suolo privo di sensi, condizione non poi così
remota
allo stato attuale delle cose. Sbatté convulsamente le
palpebre, più
e più volte, in un vano tentativo di schiarirsi la mente
–
traditrice ammasso di informe materia, al momento del tutto incapace
di elaborare concetti più complessi del semplice inspira/espira.
«Come...
a-avete». Nulla, la sua lingua sembrava proprio impastoiata,
esattamente come doveva esserlo il suo cervello. Molto male, sperava
non ci sarebbero stati danni permanenti, sarebbe stata una tragica
perdita per tutta quanta l'umanità – oh beh, per
lo meno per una
buona fetta della suddetta.
‛Con
la trasmissione del pensiero’,
percepì, più che sentire, all'interno della
propria testa.
Sussultò, proprio non riuscì ad impedirselo,
così come non era in
grado di richiudere la bocca e smettere di sgranare gli occhi fino
all'inverosimile, recuperando una minima parvenza di compostezza ed
autocontrollo.
«Voi...
I-io...», ritentò, con ammirevole
caparbietà, «Come ci riuscite?
Che cosa... C-chi siete?», tornò a chiedere, senza
più darsi
pensiero per la propria scarsa ragionevolezza, ma volendo a tutti i
costi arrivare al nocciolo della questione.
Ed
eccolo di nuovo: un sorriso, un altro, stranamente tranquillizzante
in quel frangente.
‛Se
desiderate conoscere il mio nome, non vedo quale possa essere il
problema. Io sono Yphael’,
gli giunse forte e chiaro.
Lo
fissò a lungo, attonito, per poi volersi accertare
definitivamente
di una certa questione che gli premeva in modo particolare.
«Siete
un angelo?». Quasi gli parve di poter sentire, nella propria
mente,
la risata cristallina di quella sconosciuta creatura che, angelo o
meno che fosse, era davvero incantevole.
‛No,
signore. Non sono un angelo, né ho mai potuto disporre di un
Paradiso nel quale vivere’.
Per
qualche ignota ragione, ciò rattristò enormemente
Pierre, il quale
tuttavia cercò di non darlo a vedere ed invece
proseguì, «Se non
siete un angelo – ed al momento non ho motivo di dubitare
delle
vostre parole – da dove venite, dunque? Non da Parigi,
certamente.
Se così fosse, vi avrei sicuramente notato molto
prima!». Arrossì
leggermente alle proprie sfacciate considerazioni, ciò
nonostante
non retrocesse di un passo, troppo ansioso e curioso, quasi avido di
sapere.
‛Non
sono di Parigi, e non vengo dalla Francia. Invero, non appartengo
neppure al vostro mondo, per quanto lo frequenti spesso e, ammetto,
volentieri’.
Tentò
in tutti i modi di non fissarlo stralunato, ma fallì
miseramente.
«Non siete di questa Terra? Volete forse dire
che...», non riuscì
mai a capire come, ma giurò di aver visto, per un brevissimo
istante, i grandi occhi di Yphael incupirsi di grigia tempesta, poco
prima di tornare dolci e tranquilli come un tiepido mattino di
primavera.
‛Il
mio mondo, il luogo dal quale provengo, ora non esiste più.
E
tuttavia un tempo splendeva caldo in cielo, proprio come la vostra
Terra, e possedeva un nome in fondo non troppo dissimile dal vostro
pianeta azzurro: Thera’.
Guardò
in alto, Pierre, quasi si aspettasse di veder brillare, nel cielo
notturno, lo sconosciuto mondo scomparso dal quale proveniva quella
strana creatura. Infine scosse la testa, più confuso di
quanto fosse
realmente disposto ad ammettere e, mentre spostava lo sguardo sulle
consunte assi che componevano la passerella del ponte, si rese conto
della mancanza di qualcosa che, fino a quell'istante, non aveva
affatto notato.
«Djali».
La sua voce tremò nel pronunciare quel nome. Si
affrettò a
guardarsi intorno, frenetico. Tuttavia, nonostante il suo alacre
impegno, della candida capretta non v'era traccia in nessun angolo od
anfratto. «Oh no... Djali, dove sei?!».
Avvertì per un attimo il
respiro mancargli e si morse con decisione un labbro, nel vano
tentativo di mascherare lo sconvolgimento che sentiva salirgli al
petto, veloce come un incendio fra le sterpaglie secche.
«Dove
sei?», ripeté, soffiando con appena un alito di
voce. E fu allora
che sollevò, per un breve istante, gli occhi turbati e li
sentì
sprofondare in quelli iridescenti dell'angelo,
o meglio, di Yphael. Fremette, un lungo brivido ne
attraversò le
membra e trattenne a stento un sordo singhiozzo. «La mia
piccola
Djali... se n'è andata. È...
scomparsa». La sola idea era
sufficiente ad atterrirlo ben più della minaccia della
forca.
Strinse gli occhi, sentendoli pizzicare fastidiosamente, ma non ebbe
né il tempo né la possibilità di
serrarli che si ritrovò
nuovamente a corto di fiato; un momento prima Yphael si trovava
seduto proprio ove lo aveva veduto all'inizio di tutta
quell'avventura, il momento dopo, esattamente in quello stesso punto,
non v'era più nulla se non la semplice aria umida e fredda
della
notte parigina. Era scomparso anche l'angelo,
era svanito letteralmente nel nulla, come non fosse mai esistito. Ma
era poi realmente esistito,
si chiese in un attimo di puro sconforto. Una piccola stilla salata
vibrò, abbandonando i suoi occhi, scivolando lungo il suo
volto
emaciato e perdendosi infine oltre il colletto della giacca
sgualcita.
“Lune
Qui
là-haute s'allume
Pour
Éclairer
ma plume
Vois
Comme
un homme
Peut
souffrir d'amour”
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Capitolo 4 *** Senza Parole ***
“Senza
Parole”
“Fatalité
Maitresse
de nos destins
Quand
tu croises nos chemins
Q'on
soit prince ou moins que rien
Q'on
soit reine ou bien putain
Tu
tiens nos vies dans ta main
Fatalité”
Lo
sconforto stava lentamente per prendere il sopravvento nel cuore
provato di Pierre ma, prima che il giovane avesse il tempo di
sprofondarvi completamente, qualche cosa cambiò nuovamente
ed in
modo tanto repentino da lasciar storditi, turbando impercettibilmente
la quiete dell'aria attorno. Una manciata di attimi più
tardi, dove
prima non v'era alcunché, ricomparve dal nulla la slanciata
figura
dello strano angelo dai capelli d'argento e, incredibile anche
semplicemente da immaginare, fra le sue braccia reggeva un morbido
fagotto dal lungo pelo bianco.
Il
disgraziato poeta, non per la prima volta in quella lunga ed
estenuante nottata, sgranò gli occhi in una muta e sconvolta
sorpresa. Poi, incapace di trattenersi oltre, cacciò un gran
urlo
esaltato che squarciò definitivamente l'ovattato silenzio di
quell'ora tarda.
Sia
la capra che la creatura che la sorreggeva si voltarono a quel suono
improvviso e disarticolato; Yphael si concesse un piccolo sorriso
dolce ed appagato e si premurò di riportare la capretta a
terra, di
nuovo salda sulle proprie zampe.
Il
semplice gesto sembrò rompere qualsiasi ulteriore indugio e
fu così
che il giovane e non più affranto uomo si
precipitò di volata sulla
bestiola, uggiolandone penosamente il nome e quasi stritolandola fra
le esili braccia.
«Djali!
Oh, mia dolce, piccola Djali. Non sei persa. Oh, sei viva, stai bene.
Che gran spavento: ho davvero pensato il peggio! Ma sei qui, ora. Oh,
non andar più via, te ne prego, non far più
prendere un tal
batticuore al tuo povero e devoto Gringoire». E mentre
così diceva,
ricopriva il folto e candido manto di mille baci e carezze,
assicurandosi con meticolosa ansia che effettivamente la sua piccola
amica stesse bene.
Solo
quando fu, almeno in parte, placato, trovò il tempo di
sollevare un
timido e titubante sguardo sul parapetto del ponte, laddove aveva
lasciato la silenziosa ed eterea figura di Yphael solo pochi minuti
prima. Lo ritrovò esattamente lì ed ancora con un
delicato sorriso
ad accarezzarne il volto levigato e diafano. Deglutì a
vuoto, ché
per quanto incantevole, la sua figura lo metteva inevitabilmente un
poco in ansia.
Infine
si diede coraggio così da esporre ciò che
più sentiva pesare sul
proprio cuore. «Io... Vi ringrazio, signore. Voi... Non so
davvero
in che modo abbiate potuto farlo, ma... avete ritrovato la mia Djali,
e me l'avete riportata senza neppure un graffio, e... E non so
assolutamente come potrò mai ripagarvi per ciò
che avete fatto per
noi. S-solo, vi prego di accettare tutta la mia riconoscenza e
gratitudine. Io... d-davvero non so cosa dire per...
p-per...».
Il
sorriso di Yphael si allargò, distendendo il volto in
un'espressione
tranquilla e serena. ‛Credetemi,
non serve affatto che vi prodighiate in infiniti ringraziamenti: Ho
veduto la vostra profonda tristezza nell'aver perduto la vostra
preziosa, piccola amica ed ho semplicemente provato il bisogno di
aiutarvi. Tutto qui. E sono felice di averlo fatto, signore’.
«P-Pierre.
Il mio nome. Sarei onoratissimo se solo voleste così
chiamarmi».
Un
brillio misterioso e fugace baluginò per un momento negli
occhi di
Yphael, prima che questi annuisse soddisfatto. ‛Accetto
volentieri, Pierre’.
Una
sensazione bizzarra e mai provata risalì al petto dell'uomo,
il
quale si ritrovò a tremare d'un fremito che poco aveva a che
spartire con le rigide temperature invernali. Rispose d'istinto al
gentile sorriso rivoltogli e si ritrovò, suo malgrado, con
mille
idee per la testa, una più impossibile e balzana dell'altra.
L'unica
che tenne buona fu la ferma ed irremovibile convinzione che quella
creatura, con la quale aveva avuto la fortuna di incrociare la
propria strada, fosse, in fin dei conti, veramente un angelo: il suo
personalissimo e miracoloso angelo dalle infinite sorprese. E di
questa allettante e piacevole idea si beò, conservandola
gelosamente
in fondo al proprio cuore.
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Capitolo 5 *** Spiegazioni e chiarimenti ***
“Spiegazioni
e chiarimenti”
Un
fluido movimento di quelle stravaganti vesti di dubbio gusto
avvertì
il poeta che la creatura
era appena scesa dal suo trespolo
momentaneo. Rapidamente si volse ad osservarlo e sospirò
sorpreso:
in piedi, nel mezzo della lignea passerella, appariva in tutta la sua
considerevole statura e, così a prima vista, lo superava in
altezza
di una spanna abbondante, lui, che già si considerava fin
troppo
alto rispetto alla media. In quel momento di fugace riflessione si
ravvide di un altro curioso particolare che non aveva avuto modo di
notare fino ad allora: non portava alcun genere di calzatura, i suoi
piedi poggiavano, nudi, sulle consunte assi del ponte. Dei
piedi leggiadri e delicati,
si ritrovò a pensare a tradimento, dandosi poco dopo
dell'idiota per
essersi intrattenuto, per quanto brevemente, con una tale,
sconveniente idea.
Tal
pensiero lo aveva tuttavia distratto il tempo necessario
perché
Yphael decidesse, apparentemente, che fosse finalmente giunto il
momento di togliere il disturbo. Ciò nonostante Pierre non
sembrava
minimamente propenso nel concordare e, intuite quindi le intenzioni
dell'altro, si affrettò ad opporvisi.
«No»,
soffiò, preso da un principio di panico,
«Aspettate, ve ne prego».
Così dicendo andava appressandosi all'alta figura, che gli
dava
ormai le spalle.
Tuttavia
le sue dita non fecero neppure in tempo a sfiorare la sottile stoffa
delle vesti atte a ricoprirlo che questi, inspiegabilmente, si volse
di scatto, allontanandosi poi bruscamente dalla mano ancora levata e
tesa di un sempre più confuso e costernato Pierre.
«Io...
Mi dispiace, non era mia intenzione darvi noia. Cercavo solo di...
trattenervi».
A
quest'ultima affermazione le sue gote presero istintivamente colore.
Un solo sguardo fugace lo avvertì, però, che
quell'ultima idea non
fosse certamente stata fra le sue migliori. L'angelo,
o quello che era, lo stava ora fissando con quello che aveva tutta
l'apparenza di essere sgomento. Che fosse adirato con lui? Aveva, con
tutta probabilità, osato troppo e, ora, il suo disprezzo era
il
prezzo da pagare per un gesto tanto avventato quanto ingiustificato.
Il
giovane uomo abbassò mestamente lo sguardo, sospirando.
«Vi prego,
se potete, perdonatemi per il mio sconsiderato comportamento. Vi
giuro, non intendevo in alcun modo mancarvi di rispetto,
non...».
‛Non
sono arrabbiato con voi,
Pierre. Capisco bene che, data la mia reazione, potrebbe sembrare il
contrario, ma davvero non è come pensate. Temevo... di
potervi fare
del male senza volerlo’.
Le
ultime parole di Yphael, che ancora riecheggiano nella testa di
Pierre, contribuirono se possibile a confonderlo più di
quanto
credesse possibile. «Che cosa intendete dire? Io, me ne
dispiace,
credo di non capire».
Per
la prima volta da che lo aveva intravisto in fondo a quel ponte,
palpebre scure e sottili gli impedirono la contemplazione dei grandi
occhi di Yphael, il quale rimase per lunghi momenti immobile e
silenzioso, forse occupato o perso nei propri pensieri. Questo, per
lo meno, fino a quando le sue esili labbra si stirarono in una
smorfia che di lieto aveva ben poco.
‛Non
mi è possibile entrare in contatto diretto con gli esseri
umani, per
lo meno non in questa forma. Ciò che sono, la mia essenza,
finirebbe
col procurare danni, più o meno gravi, al vostro organismo:
al
vostro corpo così come alla vostra mente’.
Mentre
Yphael si prendeva un istante di pausa, intervenne prontamente
Pierre, tentando di meglio comprendere. «Danni? Di che
genere,
volete forse intendere ferite?».
‛Sarebbe
più esatto parlare di bruciature, ustione, a livello
prettamente
superficiale. Si può trattare anche e più
frequentemente di
intossicazioni: il sistema immunitario della vostra specie reagirebbe
come in presenza di veleni. Inoltre...’.
«Inoltre?»,
incalzò Pierre, la cui innata curiosità era ormai
partita a briglia
sciolta di fronte a cotali, affascinanti rivelazioni.
Tale
fervente desiderio di conoscenza fece tristemente sorridere Yphael,
il quale riprese presto con le dovute spiegazioni. ‛Inoltre
temo che il mio essere emani una sorta di campo chimico-elettrico
che, a contatto con un complicato organismo come lo è il
vostro,
finirebbe col danneggiare alcune... uhm... sinapsi celebrali’.
L'occhiata
palesemente allucinata del suo interlocutore rischiò
seriamente di
far capitolare Yphael, il quale si trattenne a stento dallo
sghignazzare direttamente in faccia al povero poeta.
«Misericordia»,
proferì Pierre, «Ho proprio paura di essermi
irrimediabilmente
smarrito nel mezzo della vostra spiegazione, proprio come Dante nella
selva oscura». Ciò nonostante si sentì
enormemente sollevato
poiché, in qualche modo, quella breve ed altamente
incomprensibile
chiacchierata sembrava aver avuto l'effetto di riportare la calma nei
lineamenti prima contratti di Yphael, e Pierre giudicava che questo
fosse un traguardo assolutamente ragguardevole.
Nella
sua testa, continuamente in fermento, c'erano però altre
mille e più
domande, prima fra tutte: «Avete, poco fa, forse parlato di
“questa
forma”? Ciò vorrebbe forse intendere che potete
disporre di
altre?».
La
sua voce era un fremito unico, per di più captava
distintamente il
proprio cuore battere all'impazzata, totalmente intrigato alla sola
prospettiva. Uno o due battiti, tuttavia, saltarono nel momento in
cui si ritrovò ad osservare un ghigno mefistofelico farsi
strana
sulle labbra di Yphael.
Gringoire
était de ces esprits élevés et fermes,
modérés
et calmes, qui savent toujours se tenir au milieu
de
tout (stare in dimidio rerum), et qui sont pleins de
raison
et de libérale philosophie [...]
|
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Capitolo 6 *** Segreti, rivelazioni ed inappropriate perdite di coscienza ***
“Segreti,
rivelazioni ed inappropriate perdite di coscienza”
‛Pierre’,
riprese, con sardonica tranquillità, la voce che sentiva
rimbombare
nella propria testa, ‛Voi
avete un dono. Sapete alleggerire, con così poco, l'animo
delle
persone che vi sono accanto. Vedete, non ho proprio idea di come ci
riusciate, eppure... più vi osservo e vi ascolto e
più mi sento in
pace con me stesso. È... curioso’,
ammise infine, con semplice candore.
Pierre,
nel mentre, era rimasto a fissarlo in tralice, indeciso se dar
credito a quelle parole – per quanto lusinghiere apparissero
–
oppure ritenersi oltraggiato ed ignobilmente sbeffeggiato. Orbene, fu
sufficiente un'occhiata maliziosa da parte di Yphael e l'accostarsi
repentino del suo viso sottile – pari, forse, solo a quello
d'un
elfo – per dimenticare l'una e l'altra
possibilità. Si limitò
bensì a deglutire rumorosamente ed a borbottare un dubbioso
ringraziamento.
‛Desiderate,
dunque, che vi dia dimostrazione pratica di quanto mi avete poc'anzi
richiesto?’.
Le
parole della creatura, a quel punto oramai inattese, ridestarono in
un sol colpo l'animo curioso e vivace del poeta, i cui occhi
scintillarono d'eccitazione ed aspettativa.
«Potete
farlo, quindi?», si ritrovò a domandare,
trepidante.
‛Se
è ciò che vi preme’,
acconsentì Yphael con falsa noncuranza ma, al contrario, ben
consapevole di ciò che stava accadendo e, soprattutto, di
ciò che
sarebbe accaduto di lì a poco.
Lentamente
si mosse, indietreggiando di qualche passo, quasi a sfiorare la
balaustra del ponte con la schiena. Ivi si fermò,
scoccò un fugace
sguardo pensieroso al cielo terso e scuro, infine chiuse gli occhi,
respirando piano.
Pierre
Gringoire percepì, piuttosto che sentire, l'aria attorno
farsi più
rarefatta, come trovandosi in alta montagna, e saturarsi di
elettricità tale da far rizzare i fini capelli biondi alla
base
della nuca. Dischiuse, titubante, le labbra, tentando invano di
proferir verbo, e tuttavia non gli riuscì di mettere insieme
nulla
di coerente. Solo allorché sentì le ossute
ginocchia tremare e
farsi gelatina s'arrischiò a concentrare la propria
attenzione sulla
creatura, la quale tuttavia tale non era più. Al suo posto
non più
pelle livida, ma rosea, d'aspetto umano ed assolutamente sano. Non
più insondabili polle perlescenti, ma occhi terreni e
tuttavia d'un
verde che sapeva di foreste lussureggianti ed infinite praterie. Ora
i suoi capelli erano corti al collo e parevano il perfetto negativo
della precedente chioma argentea: scuri come la notte senza luna
né
stelle, neri come un pozzo profondo, eppur lucidi e serici.
Sorrise,
Yphael – ma poteva ancora essere considerato Yphael, la
stessa
creatura?
-, e le sue labbra, ora piene e rosa, si incurvarono dolcemente,
provocando un fastidioso rimescolamento allo stomaco di Pierre e
facendolo boccheggiare confuso e sconcertato.
«Voi...»,
annaspò, ancora senza fiato. «Buon Dio,
com'è possibile?»,
rantolò, in preda all'ansia.
Il
gentile sorriso della figura, ora umana, di Yphael si
incrinò
progressivamente, fino a scomparire totalmente nel momento in cui si
rese conto che il suo giovane e fortuito incontro stava decisamente
iperventilando, molto probabilmente a causa delle numerose –
forse
eccessive – stimolazioni emotive di quella notte inaspettata.
Rapido, fu presto al suo fianco e s'avvide in fretta di quanto
–
forse – la propria idea si fosse in effetti rivelata
piuttosto
avventata e fosse stata presa con ben poco giudizio.
«Pierre»,
mormorò cauto, facendo per la prima volta vibrare l'aria
attorno con
la propria voce.
Nel
tentativo di intercettare lo sguardo allucinato del giovane uomo,
poggiò delicatamente una mano sulla sua guancia scavata,
ottenendo
in cambio un sussulto atterrito.
«Dovete
provare a calmarvi, Pierre. In questo modo vi farete del
male», si
premurò di avvertirlo, provando senza molto successo a
riportarlo
alla ragione.
«Ma
voi...», affannò Gringoire, per nulla
tranquillizzato. «Come...
Che cosa accidenti siete?!», sbottò infine,
sentendosi vacillare.
Ebbe
come l'impressione di galleggiare, per un lunghissimo attimo, quasi
fosse senza peso. Fino a che la sua visuale divenne, d'un tratto,
sfocata. Allora si ritrovò a barcollare, pericolosamente
conscio
della scomoda durezza del terreno che, sapeva bene, lo attendeva
smanioso.
Il
suddetto rimase tuttavia con la bocca asciutta, almeno per quella
notte, poiché il giovane poeta non lo raggiunse mai,
imprevedibilmente bloccato e sostenuto dal tempestivo intervento di
Yphael, il quale lo aveva afferrato al volo poco prima che crollasse
al suolo esanime.
[…]
Si cet jeune homme était un
être humain, ou une fée, ou un
ange,
c'est ce que Gringoire, tout philosophe sceptique,
tout
poète ironique qu'il était, ne put
décider dans le
premier
moment, tant il fut fasciné par cette éblouissante
vision.
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Capitolo 7 *** Sospiri d'inchiostro ***
“Sospiri
d'inchiostro”
Non era riuscito a
calmarlo a sufficienza perché riprendesse un respiro
più regolare. Ciò nonostante era per lo meno
stato in grado di
evitargli qualche brutto livido, conseguente ad una disastrosa caduta
per perdita dei sensi. Era, in un certo senso, già un
risultato, per
quanto in verità Yphael non avesse la certezza che si
potesse
trattare davvero di un buon risultato.
Sospirò,
scuotendo il capo mentre osservava la piccola capretta intenta a
strusciare, con inattesa dolcezza, il muso peloso sul pallido collo
di Pierre, quasi a volersi accertare che stesse realmente bene, che
presto si sarebbe ripreso. Yphael sorrise e le carezzò il
dorso,
mormorando appena «Tornerà
come nuovo, vedrai» a guisa di placida
rassicurazione, per
poi prender posto al fianco dell'incosciente ed attenderne il
risveglio, seduto a gambe incrociate ma in atteggiamento più
che
composto.
Pochi
minuti dopo, allorché le sue lunghe dita parevano assorte
nel
districare i sottili capelli biondi, il proprietario dei suddetti
mugolò scombussolato e si apprestò a riprendere i
sensi, sbattendo
più volte le ciglia nel tentativo di schiarirsi vista ed
idee.
Questo per lo meno fino a quando non scorse, con la coda dell'occhio,
da un lato l'amorevole testolina di Djali e dall'altro la figura
nuova di zecca di Yphael. Fu proprio quest'ultima, inaspettatamente,
a rompere il silenzio stordito.
«Vi
sentite meglio, Pierre?».
«Io...»,
ci pensò sopra un istante, prima di pronunciarsi, «Immagino
si possa arrivare ad affermate tanto. Quindi sì, mi sento
sicuramente meglio di qualche momento prima».
A sua volta sospirò, sentendo alzarsi inspiegabilmente la
temperatura del proprio viso. «Vi
prego di perdonarmi. Non so davvero cosa possa essere capitato. Non
è
indubbiamente mia abitudine lasciarmi trascinare a fondo dal panico.
Credo...»,
rimase
tuttavia in silenzio poiché, ad onor del vero, non aveva la
più
pallida idea di cosa esattamente credesse. Si sentiva tuttavia
sollevato ed certamente rincuorato nel constatare quanto il suo
interlocutore non desse affatto mostra di irritazione ma, anzi,
cercasse di tranquillizzarlo con la sua solita – curioso
fatto,
dato che non aveva per nulla il medesimo aspetto –
espressione
calma ed amichevole.
«Non
credo dobbiate preoccuparvi. In fondo è stata una serata
piuttosto
difficile per voi, sbaglio?».
Pierre,
a quelle parole, non trattenne un sorriso in parte divertito, per poi
riprendere a boccheggiare senza un apparente motivo. Motivo che, al
contrario, c'era eccome, e che si premurò velocemente di
portare
all'attenzione generale. «Voi...
Parlate! Voglio dire: con una voce vera»,
puntualizzò, non senza una nota titubante. Misericordia,
aveva la
netta impressione di aver appena fatto una ben magra figura, facendo
presente con cotanta foga ciò che in realtà era
già più che
palese.
«Ebbene,
sì», concordò Yphael in tono
comprensivo, «È ciò che comporta
l'assumere una forma umana», spiegò paziente.
«Scusate»,
mormorò Pierre, non riuscendo ad impedirsi di arrossire
nuovamente
per l'imbarazzo. «Temo di aver qualche problema di
collegamento tra
cervello e bocca».
Questa
volta non poté farlo; Yphael non ebbe proprio la forza di
trattenersi dal ridere divertito. «Oh, sicuro. Capita a
tutti, una
volta o l'altra. Anche ai migliori!», esclamò, con
il cuore e la
mente piacevolmente leggeri.
«Ora,
Pierre, credete di riuscire, forse, a rimettervi in piedi?»,
si
assicurò infine, con un tranquillo sorriso sornione stampato
in
volto.
Il
giovane al suo fianco, che forse, in tutta quell'avventura, qualche
importante ingranaggio lo doveva aver sul serio danneggiato, si
riscosse dal proprio stupore rendendosi effettivamente conto di
essere tutt'ora sdraiato sullo scomodo selciato – pessima,
pessima
tendenza, questa -, con il naso puntato diritto verso le stelle.
Così, rapido come un gatto affamato, recuperò la
posizione eretta,
pregando inconsciamente di recuperare con essa un pizzico della
propria già scarseggiante dignità.
Nel
mentre il suo interlocutore si era piegato per raccogliere qualcosa
da terra, soffermandosi poi un momento ad osservarlo con
curiosità
ed infine porgendolo a Pierre. «Questo deve esservi scivolato
durante la caduta. Tenete, non vorrete certo rischiare di
perderlo»,
e detto questo poggiò un piccolo quaderno, rilegato in
pelle, fra le
mani costernate del giovane.
«Accidenti!»,
esclamò questi, «No di certo. Questo è
il lavoro degli ultimi tre
mesi», rivelò suo malgrado, stringendo con forza
le dita magre
sulla scura pelle screpolata che proteggeva tutto ciò che al
momento
rappresentava la sua unica fonte di reddito e, quindi, di
sostentamento.
«Voi
scrivete?», si interessò Yphael, suo malgrado
incuriosito.
«Oh!
Ehm... Sì, più o meno, credo si possa dir
così», borbottò,
imbarazzato, il povero poeta, non aspettandosi tuttavia la reazione
che, di lì a poco, ricevette.
«Davvero?!»,
esclamò Yphael, apparentemente entusiasta della nuova
scoperta. «E,
se posso chiedere, di cosa trattano i vostri scritti?».
Gli
occhi stanchi di Pierre lo scrutarono dubbiosi, in cerca di una
qualsiasi gabola, non trovandone tuttavia traccia. Trovò
invece, e
con suo sommo stupore, del sincero interesse da parte dell'altro. Per
questo, ma non senza una certa dose di titubanza, s'apprestò
a
parlar d'arte con quel suo nuovo amico – se poi tale poteva
esser
considerato, rifletté mestamente Pierre -.
Gringoire,
tout étourdi de sa chute, était resté
sur le pavé [...].
Peu
à peu, il reprit ses sens; il fut d'abord quelques minutes
flottant
dans
une espèce de rêverie à demi somnolente
qui n'était
pas
sans douceur [...]
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Capitolo 8 *** Sconsiderate soluzioni a tormentosi problemi esistenziali ***
“Sconsiderate
soluzioni a tormentosi problemi esistenziali”
“Je
m'appelle Pierre Gringoire, je suis le poète dont on a
représenté
[...] une moralité dans la grand'salle du Palais.”
«Come
fate di cognome, Pierre?»,
chiese d'un tratto ed inaspettatamente Yphael, dopo che ebbero
trascorso lunghi ed interessanti minuti a discorrere di rime e
filosofia – ed anche di alcune delle ultime disavventure
occorse al
giovane poeta.
«Gringoire,
Messere, per servirla!», enunciò pomposamente
Pierre, per poi
sgonfiarsi d'un sol colpo e borbottare tristemente –
più a sé
stesso che ad altri, «Per quanto, immagino bene che i miei
servigi
siano davvero scarsamente richiesti ed ancor meno apprezzati».
Ypael
si ritrovò a sghignazzare di quella bizzarra abitudine che
sembrava
indissolubilmente parte del giovane biondo in sua compagnia. Una
volta ritrovata un minimo di compostezza, tuttavia, esclamò,
inusualmente allegro per le sue abitudini, «Oh, per favore,
Pierre,
smettetela di cadere continuamente nel pessimismo in questo modo
assurdo! Sapete», riprese con maggior pacatezza,
«Le vostre parole
ed i vostri discorsi mi avevano rammentato qualche cosa. Ciò
nonostante, solo ora, dopo aver ascoltato il vostro nome, so il
perché».
Pierre
era sorpreso e lo si poteva distintamente notare dal suo linguaggio
corporeo. E nel brillio interessato dei suoi occhi si sarebbe potuta
forse scorgere tutta la sua curiosità. Perché
Pierre era un uomo
curioso, sì, e questo forse, un giorno o l'altro, avrebbe
finito con
l'essere la sua stessa rovina. Ciò nonostante dovette
chiedere; il
prurito che avvertiva, quasi fastidioso, alle proprie membra,
necessitava d'essere alleviato con maggiori informazioni.
«Dite,
dunque: che cosa avete rammentato durante il nostro seppur breve
incontro?».
Yphael
ghignò, non provando neppure a trattenersi, e lo
scrutò in modo
preoccupantemente calcolatore, tanto da far sudare freddo, per un
interminabile momento, il nostro indomito
poeta.
«Siete
mai stato a teatro, Monsieur Gringoire?».
Un'altra
– l'ennesima, e probabilmente non ultima – domanda.
Tanto
repentina, quanto inattesa.
«Io...»,
tentennò Pierre, «Beh, più o meno. In
verità nulla di realmente
serio. Ma... perché me lo chiedete?»,
domandò a sua volta, sempre
più avido di sapere.
«Pensavo,
Pierre... Forse avreste piacere di accompagnarmi. Vorrei potervi
mostrare qualcosa di interessante che, credo, potrebbe davvero
piacervi», buttò là Yphael in tono
volutamente vago e noncurante,
e si godette i numerosi cambi di espressione del suo interlocutore:
perplessità, dubbio, curiosità, irritazione. Lo
osservò, con
interesse, incamerare aria e gonfiare le guance, poi mordicchiarsi le
labbra, palesemente incerto. Decise perciò di dare
un'innocente
spintarella ai complicati ingranaggi nella testa di Pierre.
«Qualche
questione urgente o di vitale importanza vi trattiene dunque
dall'accettare, Pierre?», insinuò placidamente, in
attesa della
resa definitiva. Si aspettava una reazione accalorata ed infarcita di
proteste; quello che ottenne fu invece un subitaneo silenzio tombale
e, nell'osservare con maggior attenzione l'uomo che aveva di fronte,
notò, con un po' di preoccupazione, le sue guance
già pallide
perdere ulteriore colore con una rapidità sconcertante.
«Pierre?
Cosa...».
«Parigi...»,
soffiò appena Pierre, in un sussurro che si poteva a stento
percepire, «Non ha mai davvero desiderato la mia presenza.
Mai.
Io...», tremò appena e si affannò
cercando di riprendere fiato e
ritrovare un pizzico di lucidità, «Sono un peso,
qualche cosa di
inutile che ci si trascina appresso senza un reale motivo, solo
perché si deve, solo perché è
ciò che ci si aspetta da un buon
cristiano, ma...».
Le
sconsolate elucubrazioni di un povero poeta affranto furono,
tuttavia, prematuramente tacitate da inattesi quanto inspiegabili
sviluppi. Così, in luogo di ulteriori lamentazioni, tutto
ciò che
rimase sulle labbra di Pierre fu l'effimera ombra di un breve istante
di morbido tepore ed un lieve debito di ossigeno, mentre già
la
scura figura di Yphael si ritraeva lentamente, indietreggiando di
pochi passi.
Le
dita lunghe e sottili del giovane uomo si sollevarono, titubanti,
andando a sfiorarsi la bocca socchiusa. «Ma...
Voi...?», biascicò,
duramente combattuto fra una forte dose di incredulità ed
una densa
nebbia di pura confusione.
Di
nuovo, però, fu interrotto, questa volta da un sospiro di
Yphael, il
quale sembrava – se possibile – anche
più crucciato di quanto
non fosse lui.
«Oh,
Pierre... Ve ne prego, se potete, perdonate la mia sconsiderata
impulsività. A volte agisco senza riflettere, ma vi giuro
che non
intendevo in alcun modo offendervi».
«Mi
avete baciato», fece sarcasticamente notare Pierre, il quale
era
comunque ancora troppo costernato per poter dare il meglio di
sé.
«Vero»,
ammise Yphael - senza invero troppe remore, «Ma voi stavate
avvelenando la bellezza di questa limpida notte con una sorprendente
quantità di eresie!», tenne quindi a sottolineare,
«E,
perdonatemi, probabilmente sarebbe stato infinitamente più
saggio,
da parte mia, zittire il vostro sproloquio in modi certamente
più
ortodossi, ne convengo ed in questo sono dalla vostra parte. Pur
tuttavia...», e qui in angolo della sua bocca
puntò repentinamente
verso l'alto, «Direi che, nella sua apparente
irrazionalità, ha
comunque sortito l'effetto desiderato. E... volendo puntualizzare, la
vostra virtù è rimasta assolutamente
integra».
Le
lunghe ciglia di Yphael sfarfallarono ironicamente, mentre il
proprietario delle suddette si godeva lo sguardo spiazzato e
l'accecante carminio che, improvviso, aveva imporporato le gote di
Pierre.
“Gringoire
eût voulu répondre.
La
stupéfaction, la colère, l'indignation
lui
ôtèrent la parole.”
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