Paris La Belle... en l'an de Dieu Mil Quatrecent Quatrevinght Deux

di Blue Drake
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Sotto le Stelle di Parigi ***
Capitolo 2: *** Strani incontri notturni ***
Capitolo 3: *** Scorci di mondi differenti ***
Capitolo 4: *** Senza Parole ***
Capitolo 5: *** Spiegazioni e chiarimenti ***
Capitolo 6: *** Segreti, rivelazioni ed inappropriate perdite di coscienza ***
Capitolo 7: *** Sospiri d'inchiostro ***
Capitolo 8: *** Sconsiderate soluzioni a tormentosi problemi esistenziali ***



Capitolo 1
*** Sotto le Stelle di Parigi ***





PARIS LA BELLE

en l'an de Dieu Mil Quatrecent Quatrevinght Deux









Sotto le Stelle di Parigi”




Les portes de Paris

Déjà se ferment sur la nuit

La nuit de tous les cris

De tous les rires

Et de tous les désirs”




Passeggiava mollemente lungo le vie secondarie della città, quelle poco affollate, quelle dove le rare luci delle bettole ancora aperte giungevano a fatica e filtrate dall'aria umida e pesante delle lunghe sere d'inverno. Passeggiava con il mento sollevato, il naso puntato all'insù, verso un cielo stranamente poco nuvoloso, senza badare a dove poggiava i piedi, evitando più d'una volta di cadere solo ed esclusivamente per pura divina volontà.

«Djali, Djali, guarda anche tu, guarda un po' lassù», incitava il giovane a mezza voce, svagato ed un po' sognante. «Ma dico io, non ti sei forse divertita abbastanza a sgambettarmi fra i piedi, per oggi?», borbottava poi, evitando d'un soffio l'ennesimo ruzzolone. «Oh, mia dolce Djali, le vedi, non è vero? Le vedi anche tu? Come possono essere tanto luminose? Come il fuoco, sì, ma fuoco bianco, quasi che il ghiaccio bruciasse... Hey! Mi farai rompere una gamba, accidenti a te! Cammina un poco più avanti, o appena più indietro. Magari al mio fianco, che dici? Diamine, ma perché proprio nel punto in cui cammino io, ma dico!».

E così continuava imperterrito, lungo la propria strada, nonostante le innumerevoli avversità, ingenuamente incurante dei tranelli diabolicamente orditi dalla silenziosa compagna di viaggio.


A volte si chiedeva se fosse stata una saggia decisione l'idea di rimanere a Parigi, visti gli ultimi sviluppi. Ma dove altro avrebbe potuto andare, oramai? Certo, il suo vecchio maestro era pur morto – in circostanze piuttosto misteriose, per di più. Ed avevano da poco impiccato sua moglie – solo di nome, invero: sfiorata un'unica volta e non ne rammentava un'ottima esperienza. Così non possedeva più nemmeno una vaga parvenza di famiglia a cui fare ritorno. Ma in fondo si sa, gli artisti son creature bizzarre, non son certo animali da branco. A tal proposito ricordava, non senza un pizzico di latente malinconia, che quello che per una manciata di mesi aveva funto per lui da branco era stato duramente decimato, tanto che coloro i quali erano fortuitamente sopravvissuti dovevano aver pensato bene di cambiare aria. Quindi, perché non aveva anch'egli seguito le loro orme, il loro buon esempio?

Orbene, in verità non si riteneva in immediato pericolo di vita. Le guardie del Re non sembravano interessate alla sua persona – per lo meno, non al momento. Non era ricercato e non aveva debiti – e seppure li avesse avuti non avrebbe avuto di che ripagarli. Vantava, anzi, un certo credito nei confronti della Capitale, ché non aveva certamente scordato il compenso per aver scritto e messo in scena quel famoso mistero, invero così poco apprezzato dal volgo e tuttavia fatto davvero con un certo gusto dell'arte e tutti i crismi. Oh no, il Prevosto o chi per esso gli doveva qualcosa, che diamine! Malgrado ciò, e a dover dirla proprio nuda e cruda, non si sentiva propriamente incline nel presentarsi di fronte a qualche signore al fine di rivendicare le spettanze dovute poiché non era del tutto persuaso che avessero dimenticato le sue estemporanee comparse in luoghi ove non avrebbe mai desiderato rimetter piede, primo fra tutti la Bastille Saint-Antoine, magari ai piedi sciupati di Sua Maestà Luigi XI il Re di Francia, ecco.

E poi c'era Djali, perbacco! Come avrebbe mai potuto dimenticarla? Non poteva averne la certezza, d'accordo, ma c'era pur sempre la probabilità che la sua fedele compagna fosse tutt'ora ricercata, e questo sì rappresentava un enorme problema, un problema che non era ancora riuscito a risolvere, per quanto si lambiccasse giorno e notte – più di notte, invero. Questo grattacapo, questa incognita, lo obbligava a farla uscire di casa solo ed unicamente dopo l'imbrunire, ed a frequentare vecchie stradicciole con poca vita, a bassa concentrazione di popolo. Oh, si sentiva così triste ed in colpa per questo! Avrebbe voluto poterle concedere grandi prati, intere colline di scintillante erbetta fresca, piuttosto che grigi ciottoli umidicci e viuzze buie. Ma quella sera c'erano le stelle e si sentiva ispirato, quasi eccitato, tant'è che non riusciva a distogliere gli occhi da quel bel cielo, nemmeno se il rischio era di rompersi l'osso del collo.




Les portes de Paris

Déjà se ferment sur la nuit

La nuit de tous les crimes

De tous les rires

Et de tous les désirs”

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Capitolo 2
*** Strani incontri notturni ***





Strani incontri notturni”




Sur le Pont-au-Change

Ce soir j'ai rencontré un ange

Qui m'a souri

Et qui loin de ma vue a disparu”




Se si fosse trovato al caldo nel proprio letto, o meglio, se si fosse trovato in un qualsiasi letto morbido e tiepido, quello, sicuramente, sarebbe stato uno dei suoi bislacchi sogni. D'altronde non stava sonnecchiando in quel momento, stava invece procedendo tranquillamente lungo la Rive Gauche della Seine, in muta – o quasi - contemplazione di un cielo che sembrava volergli parlare, a tal punto appariva espressivo. E tuttavia qualcos'altro era riuscito nell'ardua impresa di distogliere la sua attenzione dalle beltà della notte parigina o, per essere più precisi, qualcun altro: una figura umana, a prima vista, all'apparenza intenta a scrutare l'invisibile orizzonte dall'alto della spalla posta all'estremità opposta del ponte in legno che s'apprestava proprio in quel momento ad attraversare.

Un'interminabile notte di quasi undici mesi prima, la notte dell'Epifania, fra l'inestricabile intrico delle rues ormai deserte, aveva seriamente creduto d'aver incontrato un angelo, sotto l'inattesa forma di una giovane donna gitana. In quel momento, la sensazione era la medesima, ciò nonostante non si trattava affatto di una ragazza, appariva piuttosto come un vero e proprio angelo.

Con un confuso alternarsi e rimescolarsi di curiosità e timore, il nostro prode filosofo e poeta si fece dunque coraggio, avanzando di qualche cauto passo, così da potersi avvicinare il più possibile alla creatura, che pareva non si fosse minimamente ravveduta della sua presenza. Infine si fermò, a portata di voce ma ben oltre la portata di mano, si prese del tempo per riflettere un momento sulle parole da usare e tentò: «Una buona serata a Voi, creatura della luna». Si aspettava, forse, una replica, una qualunque, gentile od ostile che fosse. Ottenne tutt'altro; la figura si volse adagio, concedendo a Pierre Gringoire tutta la sua attenzione. Ed il suddetto non poté assolutamente fare a meno di rimanere letteralmente a bocca aperta per la sorpresa e lo stupore.

Non aveva affatto l'aspetto di una donna, né tanto meno di un uomo. Aveva, bensì, le sembianze d'un Álfar, un Elfo del Nord, e di altro ancora, ma forse troppo complesso e lontano da poter essere assimilato.

«Chi siete?». Piuttosto scortese, da parte sua, una domanda tanto diretta e sfacciata. E tuttavia non aveva assolutamente trovato il tempo di costruire un approccio più delicato. A dispetto di ciò, un tale inadeguato comportamento non parve comunque servire allo scopo poiché l'interlocutore – se in tal modo lo si vuol definire, tenendo a mente che non aveva fin'ora lasciato uscire alcun suono dalla sua bocca – lo pietrificò sul posto con un sorriso del tutto inatteso, gravando maggiormente sul suo già infermo equilibrio mentale. Non aveva idea se ad impedirgli di distogliere lo sguardo fosse stato proprio quel sorriso – curiosamente delicato, su quelle labbra tanto sottili da risultare pressoché inesistenti -, i suoi occhi enormi e senza pupilla, ma la cui iride rifletteva infinite sfumature di viola e di perla, o ancora i lunghi e sottili capelli che rilucevano d'argento esattamente come le stelle in cielo.

Ha la pelle più livida della mia, si ritrovò improvvisamente a riflettere. In verità, il colore dell'epidermide di quella creatura non era blu ma, piuttosto, azzurro virante al lillà. Indaco, probabilmente, sarebbe stato la definizione più appropriata, se solo si fosse applicato maggiormente nell'arte della pittura. Non era magro come Pierre. Era, piuttosto, longilineo, affusolato, notevolmente aerodinamico, nonostante gli inusuali abiti svolazzanti che indossava senza il minimo pudore in quel momento, abiti per nulla consoni al rigido tardo autunno di quell'anno, tanto da parere semplici veli impalpabili. Eppure non sembrava risentirne affatto; il suo corpo non dava cenno di rabbrividire ed il colore inconsueto della sua pelle non doveva per nulla dipendere dal freddo dell'aria notturna.

Buona sera a Voi, Signore. Finalmente una risposta, seppur con ampio ritardo. Risposta che, tuttavia, ebbe l'effetto di far spalancare ancor di più la bocca del giovane filosofo. Le labbra della creatura, mentre lo salutava con estrema cortesia ed invidiabile calma, non si erano mosse di un solo millimetro, neppure un lieve spostamento d'aria, non una soffice nuvola di condensa ne era uscita. La sua voce, volendola definir tale, non aveva per nulla turbato il profondo silenzio della notte parigina. Era, invece, giunta a Pierre direttamente nella sua testa.






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Capitolo 3
*** Scorci di mondi differenti ***


Scorci di mondi differenti”




Lune

Veille sur ce monde étrange

Qui mêle

Sa voix au choeur des anges”





Doveva perentoriamente ricordarsi di respirare, o sarebbe inevitabilmente stramazzato al suolo privo di sensi, condizione non poi così remota allo stato attuale delle cose. Sbatté convulsamente le palpebre, più e più volte, in un vano tentativo di schiarirsi la mente – traditrice ammasso di informe materia, al momento del tutto incapace di elaborare concetti più complessi del semplice inspira/espira.

«Come... a-avete». Nulla, la sua lingua sembrava proprio impastoiata, esattamente come doveva esserlo il suo cervello. Molto male, sperava non ci sarebbero stati danni permanenti, sarebbe stata una tragica perdita per tutta quanta l'umanità – oh beh, per lo meno per una buona fetta della suddetta.

Con la trasmissione del pensiero, percepì, più che sentire, all'interno della propria testa. Sussultò, proprio non riuscì ad impedirselo, così come non era in grado di richiudere la bocca e smettere di sgranare gli occhi fino all'inverosimile, recuperando una minima parvenza di compostezza ed autocontrollo.

«Voi... I-io...», ritentò, con ammirevole caparbietà, «Come ci riuscite? Che cosa... C-chi siete?», tornò a chiedere, senza più darsi pensiero per la propria scarsa ragionevolezza, ma volendo a tutti i costi arrivare al nocciolo della questione.

Ed eccolo di nuovo: un sorriso, un altro, stranamente tranquillizzante in quel frangente.

Se desiderate conoscere il mio nome, non vedo quale possa essere il problema. Io sono Yphael, gli giunse forte e chiaro.

Lo fissò a lungo, attonito, per poi volersi accertare definitivamente di una certa questione che gli premeva in modo particolare. «Siete un angelo?». Quasi gli parve di poter sentire, nella propria mente, la risata cristallina di quella sconosciuta creatura che, angelo o meno che fosse, era davvero incantevole.

No, signore. Non sono un angelo, né ho mai potuto disporre di un Paradiso nel quale vivere.

Per qualche ignota ragione, ciò rattristò enormemente Pierre, il quale tuttavia cercò di non darlo a vedere ed invece proseguì, «Se non siete un angelo – ed al momento non ho motivo di dubitare delle vostre parole – da dove venite, dunque? Non da Parigi, certamente. Se così fosse, vi avrei sicuramente notato molto prima!». Arrossì leggermente alle proprie sfacciate considerazioni, ciò nonostante non retrocesse di un passo, troppo ansioso e curioso, quasi avido di sapere.

Non sono di Parigi, e non vengo dalla Francia. Invero, non appartengo neppure al vostro mondo, per quanto lo frequenti spesso e, ammetto, volentieri.

Tentò in tutti i modi di non fissarlo stralunato, ma fallì miseramente. «Non siete di questa Terra? Volete forse dire che...», non riuscì mai a capire come, ma giurò di aver visto, per un brevissimo istante, i grandi occhi di Yphael incupirsi di grigia tempesta, poco prima di tornare dolci e tranquilli come un tiepido mattino di primavera.

Il mio mondo, il luogo dal quale provengo, ora non esiste più. E tuttavia un tempo splendeva caldo in cielo, proprio come la vostra Terra, e possedeva un nome in fondo non troppo dissimile dal vostro pianeta azzurro: Thera’.

Guardò in alto, Pierre, quasi si aspettasse di veder brillare, nel cielo notturno, lo sconosciuto mondo scomparso dal quale proveniva quella strana creatura. Infine scosse la testa, più confuso di quanto fosse realmente disposto ad ammettere e, mentre spostava lo sguardo sulle consunte assi che componevano la passerella del ponte, si rese conto della mancanza di qualcosa che, fino a quell'istante, non aveva affatto notato.

«Djali». La sua voce tremò nel pronunciare quel nome. Si affrettò a guardarsi intorno, frenetico. Tuttavia, nonostante il suo alacre impegno, della candida capretta non v'era traccia in nessun angolo od anfratto. «Oh no... Djali, dove sei?!». Avvertì per un attimo il respiro mancargli e si morse con decisione un labbro, nel vano tentativo di mascherare lo sconvolgimento che sentiva salirgli al petto, veloce come un incendio fra le sterpaglie secche. «Dove sei?», ripeté, soffiando con appena un alito di voce. E fu allora che sollevò, per un breve istante, gli occhi turbati e li sentì sprofondare in quelli iridescenti dell'angelo, o meglio, di Yphael. Fremette, un lungo brivido ne attraversò le membra e trattenne a stento un sordo singhiozzo. «La mia piccola Djali... se n'è andata. È... scomparsa». La sola idea era sufficiente ad atterrirlo ben più della minaccia della forca. Strinse gli occhi, sentendoli pizzicare fastidiosamente, ma non ebbe né il tempo né la possibilità di serrarli che si ritrovò nuovamente a corto di fiato; un momento prima Yphael si trovava seduto proprio ove lo aveva veduto all'inizio di tutta quell'avventura, il momento dopo, esattamente in quello stesso punto, non v'era più nulla se non la semplice aria umida e fredda della notte parigina. Era scomparso anche l'angelo, era svanito letteralmente nel nulla, come non fosse mai esistito. Ma era poi realmente esistito, si chiese in un attimo di puro sconforto. Una piccola stilla salata vibrò, abbandonando i suoi occhi, scivolando lungo il suo volto emaciato e perdendosi infine oltre il colletto della giacca sgualcita.




Lune

Qui là-haute s'allume

Pour

Éclairer ma plume

Vois

Comme un homme

Peut souffrir d'amour





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Capitolo 4
*** Senza Parole ***





Senza Parole”




Fatalité

Maitresse de nos destins

Quand tu croises nos chemins

Q'on soit prince ou moins que rien

Q'on soit reine ou bien putain

Tu tiens nos vies dans ta main

Fatalité




Lo sconforto stava lentamente per prendere il sopravvento nel cuore provato di Pierre ma, prima che il giovane avesse il tempo di sprofondarvi completamente, qualche cosa cambiò nuovamente ed in modo tanto repentino da lasciar storditi, turbando impercettibilmente la quiete dell'aria attorno. Una manciata di attimi più tardi, dove prima non v'era alcunché, ricomparve dal nulla la slanciata figura dello strano angelo dai capelli d'argento e, incredibile anche semplicemente da immaginare, fra le sue braccia reggeva un morbido fagotto dal lungo pelo bianco.

Il disgraziato poeta, non per la prima volta in quella lunga ed estenuante nottata, sgranò gli occhi in una muta e sconvolta sorpresa. Poi, incapace di trattenersi oltre, cacciò un gran urlo esaltato che squarciò definitivamente l'ovattato silenzio di quell'ora tarda.

Sia la capra che la creatura che la sorreggeva si voltarono a quel suono improvviso e disarticolato; Yphael si concesse un piccolo sorriso dolce ed appagato e si premurò di riportare la capretta a terra, di nuovo salda sulle proprie zampe.

Il semplice gesto sembrò rompere qualsiasi ulteriore indugio e fu così che il giovane e non più affranto uomo si precipitò di volata sulla bestiola, uggiolandone penosamente il nome e quasi stritolandola fra le esili braccia.

«Djali! Oh, mia dolce, piccola Djali. Non sei persa. Oh, sei viva, stai bene. Che gran spavento: ho davvero pensato il peggio! Ma sei qui, ora. Oh, non andar più via, te ne prego, non far più prendere un tal batticuore al tuo povero e devoto Gringoire». E mentre così diceva, ricopriva il folto e candido manto di mille baci e carezze, assicurandosi con meticolosa ansia che effettivamente la sua piccola amica stesse bene.


Solo quando fu, almeno in parte, placato, trovò il tempo di sollevare un timido e titubante sguardo sul parapetto del ponte, laddove aveva lasciato la silenziosa ed eterea figura di Yphael solo pochi minuti prima. Lo ritrovò esattamente lì ed ancora con un delicato sorriso ad accarezzarne il volto levigato e diafano. Deglutì a vuoto, ché per quanto incantevole, la sua figura lo metteva inevitabilmente un poco in ansia.

Infine si diede coraggio così da esporre ciò che più sentiva pesare sul proprio cuore. «Io... Vi ringrazio, signore. Voi... Non so davvero in che modo abbiate potuto farlo, ma... avete ritrovato la mia Djali, e me l'avete riportata senza neppure un graffio, e... E non so assolutamente come potrò mai ripagarvi per ciò che avete fatto per noi. S-solo, vi prego di accettare tutta la mia riconoscenza e gratitudine. Io... d-davvero non so cosa dire per... p-per...».

Il sorriso di Yphael si allargò, distendendo il volto in un'espressione tranquilla e serena. Credetemi, non serve affatto che vi prodighiate in infiniti ringraziamenti: Ho veduto la vostra profonda tristezza nell'aver perduto la vostra preziosa, piccola amica ed ho semplicemente provato il bisogno di aiutarvi. Tutto qui. E sono felice di averlo fatto, signore.

«P-Pierre. Il mio nome. Sarei onoratissimo se solo voleste così chiamarmi».

Un brillio misterioso e fugace baluginò per un momento negli occhi di Yphael, prima che questi annuisse soddisfatto. Accetto volentieri, Pierre.

Una sensazione bizzarra e mai provata risalì al petto dell'uomo, il quale si ritrovò a tremare d'un fremito che poco aveva a che spartire con le rigide temperature invernali. Rispose d'istinto al gentile sorriso rivoltogli e si ritrovò, suo malgrado, con mille idee per la testa, una più impossibile e balzana dell'altra. L'unica che tenne buona fu la ferma ed irremovibile convinzione che quella creatura, con la quale aveva avuto la fortuna di incrociare la propria strada, fosse, in fin dei conti, veramente un angelo: il suo personalissimo e miracoloso angelo dalle infinite sorprese. E di questa allettante e piacevole idea si beò, conservandola gelosamente in fondo al proprio cuore.





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Capitolo 5
*** Spiegazioni e chiarimenti ***






Spiegazioni e chiarimenti”




Un fluido movimento di quelle stravaganti vesti di dubbio gusto avvertì il poeta che la creatura era appena scesa dal suo trespolo momentaneo. Rapidamente si volse ad osservarlo e sospirò sorpreso: in piedi, nel mezzo della lignea passerella, appariva in tutta la sua considerevole statura e, così a prima vista, lo superava in altezza di una spanna abbondante, lui, che già si considerava fin troppo alto rispetto alla media. In quel momento di fugace riflessione si ravvide di un altro curioso particolare che non aveva avuto modo di notare fino ad allora: non portava alcun genere di calzatura, i suoi piedi poggiavano, nudi, sulle consunte assi del ponte. Dei piedi leggiadri e delicati, si ritrovò a pensare a tradimento, dandosi poco dopo dell'idiota per essersi intrattenuto, per quanto brevemente, con una tale, sconveniente idea.

Tal pensiero lo aveva tuttavia distratto il tempo necessario perché Yphael decidesse, apparentemente, che fosse finalmente giunto il momento di togliere il disturbo. Ciò nonostante Pierre non sembrava minimamente propenso nel concordare e, intuite quindi le intenzioni dell'altro, si affrettò ad opporvisi.

«No», soffiò, preso da un principio di panico, «Aspettate, ve ne prego». Così dicendo andava appressandosi all'alta figura, che gli dava ormai le spalle.

Tuttavia le sue dita non fecero neppure in tempo a sfiorare la sottile stoffa delle vesti atte a ricoprirlo che questi, inspiegabilmente, si volse di scatto, allontanandosi poi bruscamente dalla mano ancora levata e tesa di un sempre più confuso e costernato Pierre.

«Io... Mi dispiace, non era mia intenzione darvi noia. Cercavo solo di... trattenervi».

A quest'ultima affermazione le sue gote presero istintivamente colore. Un solo sguardo fugace lo avvertì, però, che quell'ultima idea non fosse certamente stata fra le sue migliori. L'angelo, o quello che era, lo stava ora fissando con quello che aveva tutta l'apparenza di essere sgomento. Che fosse adirato con lui? Aveva, con tutta probabilità, osato troppo e, ora, il suo disprezzo era il prezzo da pagare per un gesto tanto avventato quanto ingiustificato.

Il giovane uomo abbassò mestamente lo sguardo, sospirando. «Vi prego, se potete, perdonatemi per il mio sconsiderato comportamento. Vi giuro, non intendevo in alcun modo mancarvi di rispetto, non...».

Non sono arrabbiato con voi, Pierre. Capisco bene che, data la mia reazione, potrebbe sembrare il contrario, ma davvero non è come pensate. Temevo... di potervi fare del male senza volerlo.

Le ultime parole di Yphael, che ancora riecheggiano nella testa di Pierre, contribuirono se possibile a confonderlo più di quanto credesse possibile. «Che cosa intendete dire? Io, me ne dispiace, credo di non capire».

Per la prima volta da che lo aveva intravisto in fondo a quel ponte, palpebre scure e sottili gli impedirono la contemplazione dei grandi occhi di Yphael, il quale rimase per lunghi momenti immobile e silenzioso, forse occupato o perso nei propri pensieri. Questo, per lo meno, fino a quando le sue esili labbra si stirarono in una smorfia che di lieto aveva ben poco.

Non mi è possibile entrare in contatto diretto con gli esseri umani, per lo meno non in questa forma. Ciò che sono, la mia essenza, finirebbe col procurare danni, più o meno gravi, al vostro organismo: al vostro corpo così come alla vostra mente.

Mentre Yphael si prendeva un istante di pausa, intervenne prontamente Pierre, tentando di meglio comprendere. «Danni? Di che genere, volete forse intendere ferite?».

Sarebbe più esatto parlare di bruciature, ustione, a livello prettamente superficiale. Si può trattare anche e più frequentemente di intossicazioni: il sistema immunitario della vostra specie reagirebbe come in presenza di veleni. Inoltre....

«Inoltre?», incalzò Pierre, la cui innata curiosità era ormai partita a briglia sciolta di fronte a cotali, affascinanti rivelazioni.

Tale fervente desiderio di conoscenza fece tristemente sorridere Yphael, il quale riprese presto con le dovute spiegazioni. Inoltre temo che il mio essere emani una sorta di campo chimico-elettrico che, a contatto con un complicato organismo come lo è il vostro, finirebbe col danneggiare alcune... uhm... sinapsi celebrali.

L'occhiata palesemente allucinata del suo interlocutore rischiò seriamente di far capitolare Yphael, il quale si trattenne a stento dallo sghignazzare direttamente in faccia al povero poeta. «Misericordia», proferì Pierre, «Ho proprio paura di essermi irrimediabilmente smarrito nel mezzo della vostra spiegazione, proprio come Dante nella selva oscura». Ciò nonostante si sentì enormemente sollevato poiché, in qualche modo, quella breve ed altamente incomprensibile chiacchierata sembrava aver avuto l'effetto di riportare la calma nei lineamenti prima contratti di Yphael, e Pierre giudicava che questo fosse un traguardo assolutamente ragguardevole.

Nella sua testa, continuamente in fermento, c'erano però altre mille e più domande, prima fra tutte: «Avete, poco fa, forse parlato di “questa forma”? Ciò vorrebbe forse intendere che potete disporre di altre?».

La sua voce era un fremito unico, per di più captava distintamente il proprio cuore battere all'impazzata, totalmente intrigato alla sola prospettiva. Uno o due battiti, tuttavia, saltarono nel momento in cui si ritrovò ad osservare un ghigno mefistofelico farsi strana sulle labbra di Yphael.




Gringoire était de ces esprits élevés et fermes,

modérés et calmes, qui savent toujours se tenir au milieu

de tout (stare in dimidio rerum), et qui sont pleins de

raison et de libérale philosophie [...]





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Capitolo 6
*** Segreti, rivelazioni ed inappropriate perdite di coscienza ***





Segreti, rivelazioni ed inappropriate perdite di coscienza”




Pierre, riprese, con sardonica tranquillità, la voce che sentiva rimbombare nella propria testa, Voi avete un dono. Sapete alleggerire, con così poco, l'animo delle persone che vi sono accanto. Vedete, non ho proprio idea di come ci riusciate, eppure... più vi osservo e vi ascolto e più mi sento in pace con me stesso. È... curioso, ammise infine, con semplice candore.

Pierre, nel mentre, era rimasto a fissarlo in tralice, indeciso se dar credito a quelle parole – per quanto lusinghiere apparissero – oppure ritenersi oltraggiato ed ignobilmente sbeffeggiato. Orbene, fu sufficiente un'occhiata maliziosa da parte di Yphael e l'accostarsi repentino del suo viso sottile – pari, forse, solo a quello d'un elfo – per dimenticare l'una e l'altra possibilità. Si limitò bensì a deglutire rumorosamente ed a borbottare un dubbioso ringraziamento.

Desiderate, dunque, che vi dia dimostrazione pratica di quanto mi avete poc'anzi richiesto?’.

Le parole della creatura, a quel punto oramai inattese, ridestarono in un sol colpo l'animo curioso e vivace del poeta, i cui occhi scintillarono d'eccitazione ed aspettativa.

«Potete farlo, quindi?», si ritrovò a domandare, trepidante.

Se è ciò che vi preme, acconsentì Yphael con falsa noncuranza ma, al contrario, ben consapevole di ciò che stava accadendo e, soprattutto, di ciò che sarebbe accaduto di lì a poco.

Lentamente si mosse, indietreggiando di qualche passo, quasi a sfiorare la balaustra del ponte con la schiena. Ivi si fermò, scoccò un fugace sguardo pensieroso al cielo terso e scuro, infine chiuse gli occhi, respirando piano.


Pierre Gringoire percepì, piuttosto che sentire, l'aria attorno farsi più rarefatta, come trovandosi in alta montagna, e saturarsi di elettricità tale da far rizzare i fini capelli biondi alla base della nuca. Dischiuse, titubante, le labbra, tentando invano di proferir verbo, e tuttavia non gli riuscì di mettere insieme nulla di coerente. Solo allorché sentì le ossute ginocchia tremare e farsi gelatina s'arrischiò a concentrare la propria attenzione sulla creatura, la quale tuttavia tale non era più. Al suo posto non più pelle livida, ma rosea, d'aspetto umano ed assolutamente sano. Non più insondabili polle perlescenti, ma occhi terreni e tuttavia d'un verde che sapeva di foreste lussureggianti ed infinite praterie. Ora i suoi capelli erano corti al collo e parevano il perfetto negativo della precedente chioma argentea: scuri come la notte senza luna né stelle, neri come un pozzo profondo, eppur lucidi e serici.


Sorrise, Yphael – ma poteva ancora essere considerato Yphael, la stessa creatura? -, e le sue labbra, ora piene e rosa, si incurvarono dolcemente, provocando un fastidioso rimescolamento allo stomaco di Pierre e facendolo boccheggiare confuso e sconcertato.

«Voi...», annaspò, ancora senza fiato. «Buon Dio, com'è possibile?», rantolò, in preda all'ansia.

Il gentile sorriso della figura, ora umana, di Yphael si incrinò progressivamente, fino a scomparire totalmente nel momento in cui si rese conto che il suo giovane e fortuito incontro stava decisamente iperventilando, molto probabilmente a causa delle numerose – forse eccessive – stimolazioni emotive di quella notte inaspettata. Rapido, fu presto al suo fianco e s'avvide in fretta di quanto – forse – la propria idea si fosse in effetti rivelata piuttosto avventata e fosse stata presa con ben poco giudizio.

«Pierre», mormorò cauto, facendo per la prima volta vibrare l'aria attorno con la propria voce.

Nel tentativo di intercettare lo sguardo allucinato del giovane uomo, poggiò delicatamente una mano sulla sua guancia scavata, ottenendo in cambio un sussulto atterrito.

«Dovete provare a calmarvi, Pierre. In questo modo vi farete del male», si premurò di avvertirlo, provando senza molto successo a riportarlo alla ragione.

«Ma voi...», affannò Gringoire, per nulla tranquillizzato. «Come... Che cosa accidenti siete?!», sbottò infine, sentendosi vacillare.

Ebbe come l'impressione di galleggiare, per un lunghissimo attimo, quasi fosse senza peso. Fino a che la sua visuale divenne, d'un tratto, sfocata. Allora si ritrovò a barcollare, pericolosamente conscio della scomoda durezza del terreno che, sapeva bene, lo attendeva smanioso.

Il suddetto rimase tuttavia con la bocca asciutta, almeno per quella notte, poiché il giovane poeta non lo raggiunse mai, imprevedibilmente bloccato e sostenuto dal tempestivo intervento di Yphael, il quale lo aveva afferrato al volo poco prima che crollasse al suolo esanime.




[…] Si cet jeune homme était un être humain, ou une fée, ou un

ange, c'est ce que Gringoire, tout philosophe sceptique,

tout poète ironique qu'il était, ne put décider dans le

premier moment, tant il fut fasciné par cette éblouissante

vision.

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Capitolo 7
*** Sospiri d'inchiostro ***





Sospiri d'inchiostro”




Non era riuscito a calmarlo a sufficienza perché riprendesse un respiro più regolare. Ciò nonostante era per lo meno stato in grado di evitargli qualche brutto livido, conseguente ad una disastrosa caduta per perdita dei sensi. Era, in un certo senso, già un risultato, per quanto in verità Yphael non avesse la certezza che si potesse trattare davvero di un buon risultato.

Sospirò, scuotendo il capo mentre osservava la piccola capretta intenta a strusciare, con inattesa dolcezza, il muso peloso sul pallido collo di Pierre, quasi a volersi accertare che stesse realmente bene, che presto si sarebbe ripreso. Yphael sorrise e le carezzò il dorso, mormorando appena «Tornerà come nuovo, vedrai» a guisa di placida rassicurazione, per poi prender posto al fianco dell'incosciente ed attenderne il risveglio, seduto a gambe incrociate ma in atteggiamento più che composto.


Pochi minuti dopo, allorché le sue lunghe dita parevano assorte nel districare i sottili capelli biondi, il proprietario dei suddetti mugolò scombussolato e si apprestò a riprendere i sensi, sbattendo più volte le ciglia nel tentativo di schiarirsi vista ed idee. Questo per lo meno fino a quando non scorse, con la coda dell'occhio, da un lato l'amorevole testolina di Djali e dall'altro la figura nuova di zecca di Yphael. Fu proprio quest'ultima, inaspettatamente, a rompere il silenzio stordito.

«Vi sentite meglio, Pierre?».

«Io...», ci pensò sopra un istante, prima di pronunciarsi, «Immagino si possa arrivare ad affermate tanto. Quindi sì, mi sento sicuramente meglio di qualche momento prima». A sua volta sospirò, sentendo alzarsi inspiegabilmente la temperatura del proprio viso. «Vi prego di perdonarmi. Non so davvero cosa possa essere capitato. Non è indubbiamente mia abitudine lasciarmi trascinare a fondo dal panico. Credo...», rimase tuttavia in silenzio poiché, ad onor del vero, non aveva la più pallida idea di cosa esattamente credesse. Si sentiva tuttavia sollevato ed certamente rincuorato nel constatare quanto il suo interlocutore non desse affatto mostra di irritazione ma, anzi, cercasse di tranquillizzarlo con la sua solita – curioso fatto, dato che non aveva per nulla il medesimo aspetto – espressione calma ed amichevole.

«Non credo dobbiate preoccuparvi. In fondo è stata una serata piuttosto difficile per voi, sbaglio?».

Pierre, a quelle parole, non trattenne un sorriso in parte divertito, per poi riprendere a boccheggiare senza un apparente motivo. Motivo che, al contrario, c'era eccome, e che si premurò velocemente di portare all'attenzione generale. «Voi... Parlate! Voglio dire: con una voce vera», puntualizzò, non senza una nota titubante. Misericordia, aveva la netta impressione di aver appena fatto una ben magra figura, facendo presente con cotanta foga ciò che in realtà era già più che palese.

«Ebbene, sì», concordò Yphael in tono comprensivo, «È ciò che comporta l'assumere una forma umana», spiegò paziente.

«Scusate», mormorò Pierre, non riuscendo ad impedirsi di arrossire nuovamente per l'imbarazzo. «Temo di aver qualche problema di collegamento tra cervello e bocca».

Questa volta non poté farlo; Yphael non ebbe proprio la forza di trattenersi dal ridere divertito. «Oh, sicuro. Capita a tutti, una volta o l'altra. Anche ai migliori!», esclamò, con il cuore e la mente piacevolmente leggeri.


«Ora, Pierre, credete di riuscire, forse, a rimettervi in piedi?», si assicurò infine, con un tranquillo sorriso sornione stampato in volto.

Il giovane al suo fianco, che forse, in tutta quell'avventura, qualche importante ingranaggio lo doveva aver sul serio danneggiato, si riscosse dal proprio stupore rendendosi effettivamente conto di essere tutt'ora sdraiato sullo scomodo selciato – pessima, pessima tendenza, questa -, con il naso puntato diritto verso le stelle. Così, rapido come un gatto affamato, recuperò la posizione eretta, pregando inconsciamente di recuperare con essa un pizzico della propria già scarseggiante dignità.

Nel mentre il suo interlocutore si era piegato per raccogliere qualcosa da terra, soffermandosi poi un momento ad osservarlo con curiosità ed infine porgendolo a Pierre. «Questo deve esservi scivolato durante la caduta. Tenete, non vorrete certo rischiare di perderlo», e detto questo poggiò un piccolo quaderno, rilegato in pelle, fra le mani costernate del giovane.

«Accidenti!», esclamò questi, «No di certo. Questo è il lavoro degli ultimi tre mesi», rivelò suo malgrado, stringendo con forza le dita magre sulla scura pelle screpolata che proteggeva tutto ciò che al momento rappresentava la sua unica fonte di reddito e, quindi, di sostentamento.

«Voi scrivete?», si interessò Yphael, suo malgrado incuriosito.

«Oh! Ehm... Sì, più o meno, credo si possa dir così», borbottò, imbarazzato, il povero poeta, non aspettandosi tuttavia la reazione che, di lì a poco, ricevette.

«Davvero?!», esclamò Yphael, apparentemente entusiasta della nuova scoperta. «E, se posso chiedere, di cosa trattano i vostri scritti?».

Gli occhi stanchi di Pierre lo scrutarono dubbiosi, in cerca di una qualsiasi gabola, non trovandone tuttavia traccia. Trovò invece, e con suo sommo stupore, del sincero interesse da parte dell'altro. Per questo, ma non senza una certa dose di titubanza, s'apprestò a parlar d'arte con quel suo nuovo amico – se poi tale poteva esser considerato, rifletté mestamente Pierre -.




Gringoire, tout étourdi de sa chute, était resté sur le pavé [...].

Peu à peu, il reprit ses sens; il fut d'abord quelques minutes flottant

dans une espèce de rêverie à demi somnolente qui n'était

pas sans douceur [...]

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Capitolo 8
*** Sconsiderate soluzioni a tormentosi problemi esistenziali ***





Sconsiderate soluzioni a tormentosi problemi esistenziali”




Je m'appelle Pierre Gringoire, je suis le poète dont on a

représenté [...] une moralité dans la grand'salle du Palais.”




«Come fate di cognome, Pierre?», chiese d'un tratto ed inaspettatamente Yphael, dopo che ebbero trascorso lunghi ed interessanti minuti a discorrere di rime e filosofia – ed anche di alcune delle ultime disavventure occorse al giovane poeta.

«Gringoire, Messere, per servirla!», enunciò pomposamente Pierre, per poi sgonfiarsi d'un sol colpo e borbottare tristemente – più a sé stesso che ad altri, «Per quanto, immagino bene che i miei servigi siano davvero scarsamente richiesti ed ancor meno apprezzati».

Ypael si ritrovò a sghignazzare di quella bizzarra abitudine che sembrava indissolubilmente parte del giovane biondo in sua compagnia. Una volta ritrovata un minimo di compostezza, tuttavia, esclamò, inusualmente allegro per le sue abitudini, «Oh, per favore, Pierre, smettetela di cadere continuamente nel pessimismo in questo modo assurdo! Sapete», riprese con maggior pacatezza, «Le vostre parole ed i vostri discorsi mi avevano rammentato qualche cosa. Ciò nonostante, solo ora, dopo aver ascoltato il vostro nome, so il perché».

Pierre era sorpreso e lo si poteva distintamente notare dal suo linguaggio corporeo. E nel brillio interessato dei suoi occhi si sarebbe potuta forse scorgere tutta la sua curiosità. Perché Pierre era un uomo curioso, sì, e questo forse, un giorno o l'altro, avrebbe finito con l'essere la sua stessa rovina. Ciò nonostante dovette chiedere; il prurito che avvertiva, quasi fastidioso, alle proprie membra, necessitava d'essere alleviato con maggiori informazioni.

«Dite, dunque: che cosa avete rammentato durante il nostro seppur breve incontro?».

Yphael ghignò, non provando neppure a trattenersi, e lo scrutò in modo preoccupantemente calcolatore, tanto da far sudare freddo, per un interminabile momento, il nostro indomito poeta.

«Siete mai stato a teatro, Monsieur Gringoire?».

Un'altra – l'ennesima, e probabilmente non ultima – domanda. Tanto repentina, quanto inattesa.

«Io...», tentennò Pierre, «Beh, più o meno. In verità nulla di realmente serio. Ma... perché me lo chiedete?», domandò a sua volta, sempre più avido di sapere.

«Pensavo, Pierre... Forse avreste piacere di accompagnarmi. Vorrei potervi mostrare qualcosa di interessante che, credo, potrebbe davvero piacervi», buttò là Yphael in tono volutamente vago e noncurante, e si godette i numerosi cambi di espressione del suo interlocutore: perplessità, dubbio, curiosità, irritazione. Lo osservò, con interesse, incamerare aria e gonfiare le guance, poi mordicchiarsi le labbra, palesemente incerto. Decise perciò di dare un'innocente spintarella ai complicati ingranaggi nella testa di Pierre. «Qualche questione urgente o di vitale importanza vi trattiene dunque dall'accettare, Pierre?», insinuò placidamente, in attesa della resa definitiva. Si aspettava una reazione accalorata ed infarcita di proteste; quello che ottenne fu invece un subitaneo silenzio tombale e, nell'osservare con maggior attenzione l'uomo che aveva di fronte, notò, con un po' di preoccupazione, le sue guance già pallide perdere ulteriore colore con una rapidità sconcertante. «Pierre? Cosa...».

«Parigi...», soffiò appena Pierre, in un sussurro che si poteva a stento percepire, «Non ha mai davvero desiderato la mia presenza. Mai. Io...», tremò appena e si affannò cercando di riprendere fiato e ritrovare un pizzico di lucidità, «Sono un peso, qualche cosa di inutile che ci si trascina appresso senza un reale motivo, solo perché si deve, solo perché è ciò che ci si aspetta da un buon cristiano, ma...».

Le sconsolate elucubrazioni di un povero poeta affranto furono, tuttavia, prematuramente tacitate da inattesi quanto inspiegabili sviluppi. Così, in luogo di ulteriori lamentazioni, tutto ciò che rimase sulle labbra di Pierre fu l'effimera ombra di un breve istante di morbido tepore ed un lieve debito di ossigeno, mentre già la scura figura di Yphael si ritraeva lentamente, indietreggiando di pochi passi.

Le dita lunghe e sottili del giovane uomo si sollevarono, titubanti, andando a sfiorarsi la bocca socchiusa. «Ma... Voi...?», biascicò, duramente combattuto fra una forte dose di incredulità ed una densa nebbia di pura confusione.

Di nuovo, però, fu interrotto, questa volta da un sospiro di Yphael, il quale sembrava – se possibile – anche più crucciato di quanto non fosse lui.

«Oh, Pierre... Ve ne prego, se potete, perdonate la mia sconsiderata impulsività. A volte agisco senza riflettere, ma vi giuro che non intendevo in alcun modo offendervi».

«Mi avete baciato», fece sarcasticamente notare Pierre, il quale era comunque ancora troppo costernato per poter dare il meglio di sé.

«Vero», ammise Yphael - senza invero troppe remore, «Ma voi stavate avvelenando la bellezza di questa limpida notte con una sorprendente quantità di eresie!», tenne quindi a sottolineare, «E, perdonatemi, probabilmente sarebbe stato infinitamente più saggio, da parte mia, zittire il vostro sproloquio in modi certamente più ortodossi, ne convengo ed in questo sono dalla vostra parte. Pur tuttavia...», e qui in angolo della sua bocca puntò repentinamente verso l'alto, «Direi che, nella sua apparente irrazionalità, ha comunque sortito l'effetto desiderato. E... volendo puntualizzare, la vostra virtù è rimasta assolutamente integra».

Le lunghe ciglia di Yphael sfarfallarono ironicamente, mentre il proprietario delle suddette si godeva lo sguardo spiazzato e l'accecante carminio che, improvviso, aveva imporporato le gote di Pierre.




Gringoire eût voulu répondre.

La stupéfaction, la colère, l'indignation

lui ôtèrent la parole.”

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