Salvation di Kagome_86 (/viewuser.php?uid=35757)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 2: *** Capitolo 2 ***
Capitolo 1 *** Capitolo 1 ***
Salvation
Si dice che i
Fratelli Silenti cuciano le loro labbra per
proteggere gli Shadowhunters dalle loro parole, parole con un potere
immenso.
Parole che si vocifera possano persino riportare in vita i morti, per
quanto questo
sia considerato un crimine contro natura che nessun Fratello
commetterebbe mai.
*
*
*
Tessa
Gray si avvicinò a Jem, gli occhi lucidi e
l’espressione ancora incredula, dopo che il messaggio che
Magnus Bane le aveva
mandato si era consumato tra le sue dita. Il ragazzo,
l’uomo—non sapeva bene
come definirlo, era ancora il ragazzo di un secolo prima, con la
saggezza di un
uomo che era vissuto per tutto quel tempo e aveva visto cose che forse
avrebbe
preferito dimenticare—era seduto sul divano con i gomiti
poggiati sulle
ginocchia e le mani sul viso. Era stanco, il suo Jem. Stanco di un
mondo che
non faceva altro che dichiarare guerra a se stesso e che non faceva
altro che
portargli via le persone che amava. E che quella volta non aveva fatto
eccezione.
Tessa odiava il fatto che dovesse essere lei a dargli quella
notizia. Come poteva togliergli ancora qualcosa, dopo che aveva
già perso
tutto? Aveva lei, dopo un secolo di attesa, ma era davvero sufficiente
a
colmare tutte le perdite?
Gli posò una mano sulla spalla, leggera, e lui
sollevò subito
il volto verso di lei. Seguì i suoi occhi mentre si sedeva
sul divano accanto a
lui e continuò a guardarla mentre gli sfiorava il viso con
il dorso di una
mano. Tessa si rese subito conto del momento in cui Jem aveva capito
che doveva
dargli una brutta notizia. Il suo sguardo si era spento e aveva preso
una delle
mani di lei tra le sue.
« Chi? » disse in un sussurro rassegnato.
Tessa non aveva idea di come dirglielo. Dopo tutto quello che
lui aveva fatto per tenere in vita quel ragazzo nonostante tutte le
probabilità
gli fossero contro, l’avevano perso in un modo
così stupido.
« È Jace, vero? »
Tessa non poté far altro che annuire e stringerlo in un
abbraccio, in attesa che la notizia raggiungesse gli occhi e il cuore,
dopo
essere entrata nella sua testa. Aveva molto altro da dirgli, ma non
voleva
spezzarlo completamente. E sapeva perfettamente come avrebbe reagito a
quella
notizia.
*
*
*
La
morte di Will era stata un duro colpo per entrambi. Per
Tessa, che aveva potuto trascorrere quasi settant’anni al suo
fianco, dandogli
due figli e una biblioteca piena di romanzi in cui avevano trascorso
almeno
metà di quegli anni, era stato come perdere un pezzo della
sua anima. Per Jem,
nonostante fosse stato una parte integrante della loro vita insieme,
era stato
peggio. Dopo settant’anni, amava ancora Will con la stessa
intensità di quando
era un ragazzo, e il perderlo in modo così definitivo
l’aveva distrutto.
Il giorno in cui persero Will, Jem perse la testa e Tessa
toccò quasi con mano quanto fossero vere le dicerie sui
poteri dei Fratelli
Silenti. Aveva lasciato Jem da solo con il loro Will per qualche
minuto, per
dargli la possibilità di salutarlo come desiderava, con il
cuore e con l’anima,
e di dargli la sua benedizione nel viaggio per
l’aldilà.
Non avrebbe mai pensato di rientrare nella stanza e di
trovare quella scena.
L’anima di Will, l’immagine di lui
diciottenne—perché lo
spirito di William Herondale non era mai invecchiato, nonostante gli
anni
trascorsi—era in piedi, vicino al letto,
un’immagine pallida e traslucida che
si stringeva il petto e implorava Jem di non fare qualunque cosa stesse
facendo.
La scintilla di gioia provocatale dall’aver rivisto Will si
tramutò in terrore non appena posò gli occhi su
Jem. Aveva un pugnale in mano e
la sua voce gracchiante ripeteva parole in latino.
L’enormità di quello che Jem
stava facendo non la colpì fino a quando non capì
che la voce che sentiva non
era nella sua testa e che le labbra di Jem si stavano muovendo dopo
quasi settant’anni
di immobilità.
L’espressione inorridita di Will fece il resto.
Si gettò su Jem e lo strinse in un abbraccio. «
Non voglio
perdere anche te, » gli disse, stringendo più
forte che poteva, perché Jem si
accorgesse che lei era lì. Quando finalmente le braccia di
lui si strinsero
intorno al suo corpo, Tessa si accorse che nella stanza era tornato il
silenzio.
Alzò lo sguardo verso l’angolo in cui aveva visto
l’anima di
Will quando era entrata nella stanza e lo vide sorridere. In pace,
finalmente.
« Digli che lo aspetterò, » le
mormorò, prima di scomparire.
*
*
*
«
Non temere, Tess. Non mi perderai. Non sono più un Fratello
Silente, ricordi? »
La voce di Jem che le mormorava quelle parole mentre la stringeva
forte al suo petto la commosse e le fece perdere quel poco di
dignità che le
era rimasta. Sembrava che avesse ancora la capacità di
leggerle la mente,
capacità che avrebbe dovuto perdere con lo stato di Fratello
Silente, ma poi si
rese conto che Jem era sempre stato così: un interprete
dell’animo umano, che
lo ispirava a comporre e a suonare la musica più bella e
struggente che si
fosse mai sentita.
« Mi sembra di aver mancato in qualcosa, di aver disonorato
la memoria di Will. Era l’ultimo Herondale, Tess.
Perché non ero lì con lui? A
combattere al suo fianco? »
« Will non vorrebbe che ti rimproverassi così. Hai
fatto
tutto quello che era in tuo potere per salvarlo da un destino peggiore
della
morte. E Jace è morto da eroe, Jem, e per salvare una
Carstairs. Non pensi che
Will sarebbe stato orgoglioso di lui? »
Jem annuì, e sospirò. « Mi ricordava
James. Era testardo come
lui, una testardaggine che solo uno Herondale poteva avere, aveva i
suoi stessi
occhi e lo spirito di Will.»
« Lo so. E gli piaceva leggere, Jem. Adorava leggere.
»
Jem sciolse l’abbraccio e si alzò in piedi.
Andò alla
finestra, rivolse gli occhi alla splendida giornata invernale che si
stava
svolgendo all’esterno, ignara della tragedia che loro stavano
vivendo.
Trasmetteva un messaggio eterno: la vita andava avanti, incurante delle
tragedie degli esseri umani.
Quando si voltò verso di lei, l’espressione di Jem
era
determinata. Sapeva che stava per farle altre domande, a cui non voleva
dare
risposta. Come se ci fosse stato qualcuno in ascolto delle sue
preghiere—aveva
imparato da tempo che nessuno si curava di lei—nello stesso
istante in cui Jem
stava per parlare suonò il campanello
dell’appartamento londinese che avevano
preso in affitto.
Tessa si alzò per aprire la porta, chiedendosi se la piccola
Emma fosse già lì o se fosse soltanto qualcuno
venuto a portare la triste
notizia.
Rimase sorpresa di vedere proprio lui, aprendo la porta. «
Magnus non mi aveva avvertito del tuo arrivo, » gli disse,
facendosi da parte
per lasciarlo entrare in casa. Di tutti gli Shadowhunters di quella
generazione, lui era quello che le faceva più male vedere.
Era quello che
fisicamente le ricordava di più William. E in quel momento,
con quegli occhi
spiritati e la mano stretta sul cuore, dove si era trovata la sua runa
da
Parabatai, la fece tornare indietro di centotrent’anni e
forse più. Alla notte
in cui Will le aveva confessato i suoi sentimenti e a quella in cui
avevano
fatto l’amore per la prima volta, per non sentire il dolore
della perdita che
entrambi pensavano di aver subito.
Alec la guardò, ma non la vide. La ascoltò, ma
non le
rispose. Cadde sulle ginocchia, lì, sulla sua porta, e
scoppiò in lacrime. «
Magnus… ha detto che voi avete la risposta. »
Jem si affacciò nell’ingresso attirato dalle voci,
o dal
fatto che lei non stesse tornando, e quando vide Alec cadde in
ginocchio di
fronte a lui e lo strinse in un abbraccio. Alec lo strinse a sua volta
e
nascose la faccia nel suo collo.
« Lo so, lo so, Alexander. So che per te è
difficile persino
pensarlo, adesso, ma un giorno andrà meglio. »
« Come… come si fa a sopravvivere? »
*
*
*
Quando
finalmente Alec ebbe consumato tutte le sue lacrime si
addormentò sul divano, con la testa poggiata in grembo a
Tess, che gli
accarezzava i capelli con fare materno.
Jem, che aveva ascoltato tutta la storia da una voce che non
era la sua, fissava il vuoto fuori dalla finestra. Quella giornata, che
ormai
volgeva verso la fine, li salutava con i colori del sangue e sembrava
quasi
prenderli in giro. Come poteva il mondo continuare a girare, quando si
consumavano ogni giorno tragedie come quella?
« Dobbiamo andare a Los Angeles, Tess. »
Jem la sorprese con quella voce sussurrata. Calda e morbida
come la seta, piena di tristezza ma anche di una nuova speranza.
« Se lo facciamo non ne uscirai mai. È davvero
quello che
vuoi? » gli chiese, conscia di tutte le parole che si erano
scambiati quel
giorno sul ponte, conscia che andare a Los Angeles avrebbe impedito ad
entrambi
di cambiare vita.
« Will non avrebbe voluto - »
« Ci sono troppe cose che Will non avrebbe voluto, Jem. Non
avrebbe mai voluto perderti, ma si è rassegnato
all’idea che se voleva averti
vicino per molti anni avrebbe dovuto farlo, »
ribatté lei, forse un po’ troppo
duramente, infastidita da quella venerazione che Jem ancora provava per
il suo
Parabatai dopo tutti quegli anni. « So quello che penserebbe
Will in questo
momento. L’ho amato e lo amo tuttora, ma… voglio
sapere cosa vuoi tu. Pensi che
tornare indietro potrebbe farti felice? »
« Penso che non sarei felice se lasciassi indietro quella
bambina, Tess. Ha dodici anni ed ha visto i suoi genitori morire di
fronte ai
suoi occhi. Ha visto un ragazzo di diciassette anni sacrificarsi per
salvarle
la vita. Ed è rimasta sola. Potrebbe non avere la stessa
fortuna… » si
interruppe con un sospiro. In fondo, Tess sapeva che era quello il
motivo per
cui Jem si stava offrendo volontario per prendere con sé la
ragazzina.
« Potrebbe non avere la stessa fortuna che hai avuto tu
quando Charlotte ti ha accolto all’Istituto di Londra,
» completò al suo posto.
Jem annuì. Lui e Tess si guardarono a lungo negli occhi,
prima di parlare ancora. Incerti riguardo a cosa dire. Incerti riguardo
a cosa
fare.
« I Blackthorne vorrebbero prendere con loro Emma. La
conoscono fin da quando era molto piccola, e uno dei loro figli,
Julian, sarà
il suo Parabatai, » disse Alec, uscendo dal sonno in cui era
caduto, senza
aprire gli occhi e senza dare segno di essere infastidito
dall’atteggiamento
affettuoso e materno di Tessa.
« I Blackthorne, » ripeté Jem, guardando
Tessa negli occhi e
ricordando un tempo in cui avevano temuto quel cognome, per
considerarlo uno di
famiglia dopo appena qualche anno.
« Va bene, Jem. »
« Che cosa? »
« Verrò con te a Los Angeles. »
« Non avrei mai pensato di muovermi senza di te. »
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Capitolo 2 *** Capitolo 2 ***
Capitolo
2
Il
passato ritorna a trovarci in modi che ci stupiscono sempre: un suono,
un odore, un oggetto possono scatenare ricordi che pensavamo sepolti.
Ricordi divertenti, ricordi dolorosi, ma sempre ricordi.
*
* *
Cinque
anni dopo…
*
* *
«
Fliché. Cavazione. Parata. Affondo. Parata. Finta. Affondo! Perfetto, Emma! Stai
andando sempre meglio. »
«
Ma non riesco ancora a reggerla con una sola mano. Devo fare di meglio,
zio Jem! »
«
Puoi migliorare, è vero, ma sei comunque bravissima per la
tua età. E con quella spada te la cavi sicuramente meglio di
quanto non me la cavassi io. E sono sicuro che Julian è
d’accordo con me. Non è vero? »
Il
suddetto Julian, seduto sui gradini della palestra
dell’Istituto di Los Angeles con un album da disegno sulle
ginocchia, alzò lo sguardo e annuì. Non aveva
seguito la conversazione nei dettagli, ma di solito quando Emma parlava
con suo zio era sempre dei suoi progressi e di quanto fosse brava. Non
era difficile capire che ancora una volta James Carstairs, lo zio di
cui nessuno aveva conosciuto l’esistenza prima che saltasse
fuori per prendersi cura di Emma quando aveva perso i genitori, lo
aveva tirato in ballo per farsi aiutare a convincerla della sua bravura.
Tornò
con gli occhi al suo disegno, un bozzetto che aveva tutta
l’intenzione di far diventare un ritratto da regalare ad Emma
il giorno in cui le avrebbe finalmente confessato quanto la amava, e
cercò di renderlo il più possibile vicino alla
sua Emma. Era perfetta. Non importava quante volte le avesse tirato le
trecce quando erano bambini, o quante volte l’avesse vista
con gli occhi gonfi di lacrime e il naso arrossato. O forse
sì, importava, e gliela rendeva ancora più cara.
Riprese
in mano il carboncino e continuò a disegnare.
«
Puoi chiedergli qualunque cosa, tanto non gli interessa! Passa tutto il
suo tempo in compagnia dell’album da disegno, o di tela e
pennelli, o con la tavola da surf. »
Julian
si sentì chiamato in causa per l’ennesima volta
dalle solite lamentele di Emma. Sorrise, cercando di nascondere la
soddisfazione che provava nel capire quanto le desse fastidio il suo
disinteresse. Che poi, prima o poi avrebbe dovuto spiegarle quanto quel
suo disinteresse fosse in parte fittizio, per innervosirla, e in parte
reale, perché se avesse potuto abbandonare la vita da
Shadowhunter senza abbandonare la sua famiglia, e lei,
l’avrebbe fatto.
«
Sei gelosa, Emma? » le chiese, in un tentativo poco segreto
di innervosirla ancora di più e di mettere da parte i suoi
neri pensieri. A cui Emma abboccò immediatamente.
«
Nei tuoi sogni, Blackthorn. È che vorrei un Parabatai
più interessato ad allenarsi per combattere al mio fianco
che a farmi da zavorra ogni volta che usciamo ad uccidere demoni.
»
Mentre
parlava Emma si era avvicinata a Julian, che prontamente aveva chiuso
l’album da disegno per nasconderle quello a cui stava
lavorando, e si era fermata con la faccia a pochi centimetri dalla sua.
E lui era un ragazzo, e quella vicinanza gli faceva fare strani
pensieri. E sotto i venti centimetri ci scappa il bacio, sempre, anche
se si è Parabatai. E…
«
Emma, dagli un po’ di tregua. »
Emma
si voltò verso suo zio e Julian respirò di nuovo.
Si sentiva le guance accaldate e sperava di non essere arrossito.
«
Facciamo una pausa. Voglio raccontarti una storia. »
«
Che storia? » chiese Emma, sinceramente curiosa. Julian
ricordava ancora quando si nascondevano nella palestra e guardavano
John Carstairs, il padre di Emma, tirare di scherma ed allenarsi con
gli shuriken. Li portava sempre a fare merenda e in spiaggia a surfare,
facendo finta di non essersi accorto che erano stati lì
tutto il tempo. E raccontava loro sempre qualcosa. Una fiaba, una
storia vera, qualcosa.
La
preferita di Emma era…
«
La storia della spada che hai in mano. »
Emma
sussultò, ma riuscì ancora una volta a farlo
passare per fastidio. Lui, che la conosceva bene, vedeva oltre quella
faccia scocciata e quello sbuffo spazientito. Era colpita dal fatto che
lo zio James conoscesse la sua storia preferita.
«
La conosco già. Papà me la raccontava sempre. E
subito dopo mi suonava un pezzo meraviglioso al violino. Mi manca un
sacco la musica che mi suonava, ma non ho ereditato neanche un briciolo
del suo talento. »
Emma
si era incupita, come ogni volta in cui tirava fuori i suoi genitori.
La loro perdita le pesava ancora molto, nonostante cercasse di pensarci
il meno possibile.
«
Ok, vai a prendere il violino di tuo padre. Ti suonerò
qualcosa. »
*
* *
Vedere
quella custodia e precipitarsi a strapparla dalle mani di Emma era
stata quasi un’unica azione, per Jem. Julian ed Emma si erano
scambiati uno sguardo stupito, Jem non si era mai comportato
così, era sempre stato molto calmo e paziente.
Tirò
fuori lo strumento dalla custodia con cura, e lo salutò
accarezzandolo come si accarezza un’amante. Non che Julian
sapesse come si accarezza un’amante, ovviamente, ma era il
tipo di devozione che lui avrebbe avuto per Emma, se lei glielo avesse
lasciato fare.
Passò
del grasso sul crine di cavallo dell’archetto e
pizzicò le corde per controllare l’accordatura
dello strumento, che Emma faceva aggiustare ogni sei mesi con
attenzione quasi maniacale. Il fatto che non fosse in uso, diceva, non
era una buona ragione per lasciarlo in balia della polvere e della
rovina. Quello che non diceva era che curare lo strumento di suo padre
le dava l’idea di averlo ancora vicino.
Quando
Jem poggiò il violino sulla spalla, un attimo prima che lo
incastrasse sotto il mento e sollevasse l’archetto sulle
corde, Emma trattenne il fiato e abbandonò la testa sulla
spalla di Julian, che le cinse la vita con un braccio. Quando le prime
note si liberarono nell’aria, fu lui a trattenere il respiro
per la bellezza di quella musica, che gli raccontava un grande amore e
una grande amicizia, le risate di un bambino, il mistero della vita e
il silenzio della morte. Si rese conto che quella musica era molto
simile a quella che John suonava di solito a lui ed Emma, quando lo
rincorrevano per l’Istituto, impazienti di imparare a
maneggiare la spada che lui aveva sempre al suo fianco. La spada che
ora Emma aveva al suo fianco.
Le
ultime note vibrarono nell’aria insieme alla consapevolezza
che Emma gli era stata vicina per tutto quel tempo, insieme alla
consapevolezza che Emma gli aveva pianto addosso tutto quel tempo.
Jem
sorrideva, mentre metteva via lo strumento, accarezzandolo per
un’ultima volta prima di chiudere il coperchio della custodia
di legno che doveva avere almeno cent’anni e dove erano
incise le iniziali di uno dei proprietari del violino. J.C. Avevano
sempre pensato che si trattasse delle iniziali del padre di Emma, ma se
invece fossero state quelle del primo proprietario del violino? E se
quel primo proprietario fosse stato proprio lo zio James, venuto fuori
dal nulla quando Emma aveva avuto bisogno di lui?
«
Era… una musica bellissima, zio Jem, » disse Emma,
tirando su con il naso in modo poco signorile. Ma in fondo, cosa
pretendeva da una guerriera? E poi lei era perfetta così.
Jem
si sedette vicino a lui, e lo fissò per qualche
istante—li fissò per qualche
istante—prima di sospirare e parlare.
«
Anche io mi nascondevo in palestra quando mio padre si allenava con la
spada. Mi piaceva guardare quei movimenti eleganti e sognare che un
giorno mi avrebbe insegnato a maneggiare Cortana con la stessa eleganza
con cui la maneggiava lui. Poi uscivamo in giardino e lui si sdraiava a
terra mentre io mi esercitavo con il violino. Quando lui e mia madre
sono morti ho pensato che fosse colpa della mia scarsa
abilità con la spada. E poi ho conosciuto Will. »
«
Will? » chiese Julian, consapevole di non aver mai sentito
quel nome se non nelle Cronache.
«
William Owen Herondale. Il mio Parabatai. Il padre della tua antenata
Lucie. »
«
È ridicolo, dovresti avere—»
«
Centocinquant’anni, Emma. »
Emma
scoppiò a ridere, come se quel pensiero fosse semplicemente
ridicolo. Beh, lo era. Per avere centocinquant’anni sarebbe
dovuto essere decrepito.
«
Dovresti essere morto da un pezzo, a meno che tu non fossi…
» Emma si interruppe bruscamente, in preda a una strana
epifania. « Fratello Zaccaria. »
Jem
sorrise quasi imbarazzato. « Jace ha salvato anche me.
»
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