Someone like you

di monalisasmile
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** - ***
Capitolo 2: *** - ***
Capitolo 3: *** - ***



Capitolo 1
*** - ***


 

Capitolo 1

 

Un ragazzo percorreva i corridoi del liceo Mckinley con l’andatura spavalda e il sorriso sicuro di chi sa di non avere ostacoli sul suo percorso.

Finn Hudson svettava tra la folla di adolescenti grazie all’altezza di 1 metro e 90. Aveva spalle larghe, capelli scuri e il sorriso sghembo più dolce del Mckinley. Era il quarterback della squadra di football ed era fidanzato con la ragazza più bella della scuola, nonché capitano delle cheerleader, Quinn Fabray. Lei era alta, bionda, con due occhi come zaffiri incastonati in un volto di porcellana. Era perfetta. E insieme erano una coppia perfetta.

Certo, quell’anno avrebbe dovuto applicarsi maggiormente nel football per far vincere alla sua squadra il Campionato, ma era di natura ottimista e aveva buoni presentimenti su quell’anno accademico.

Fu dunque con quella fiducia che entrò nell’aula di Arte.

 

Prendendo posto in ultima fila maledisse il suo amico Puck, l’unico motivo per cui ora si trovava lì.

Il suo migliore amico e compagno di squadra Noah Puckerman qualche giorno prima si era recato a scuola con una busta d’erba nello zaino, prontamente scoperta e finita nell’ufficio del preside Figgins, seguita a ruota dal ragazzo.

Puck era l’esatto opposto di Finn: cresta da moicano, espressione da duro, atteggiamento ribelle e tono sfrontato, aveva l’innata capacità di cacciarsi sempre nei guai. Sapeva essere terribilmente prepotente con gli studenti che prendeva di mira, insensibile nei confronti delle ragazze e irrispettoso in presenza degli adulti. Eppure era il suo migliore amico e Finn non aveva esitato ad addossarsi la colpa anche di quell’ultima bravata.

Gli insegnanti erano stati scettici di fronte alla confessione di quel bravo ragazzo, ma costretti a punirlo gli avevano proposto di seguire un corso supplementare per guadagnare qualche “credito extra” e dimostrare di prendere seriamente l’istituzione scolastica.

Finn sbuffò. Dovendo scegliere tra un corso di Matematica Avanzata, uno di Chimica e uno di Informatica aveva optato per quello di tipo umanistico, sperando di cavarsela con poco. Finn Hudson era il tipico giocatore di football: bravo nello sport, decisamente meno negli studi.

“Cosa non si fa per gli amici!” pensò tra sé, guardando annoiato i compagni di classe.

L’unico ragazzo che individuò era un tipo effeminato che Puck e il resto della squadra di football buttavano ogni mattina in un bidone dell’immondizia.

Le altre quattro studentesse presenti in aula non credeva di averle mai viste prima, sebbene le occhiate che loro gli lanciavano lasciavano intendere che loro invece sapevano benissimo chi fosse. Erano evidentemente tanto emozionate quanto sorprese di vedere il ragazzo più apprezzato nel liceo seduto in quei banchi. Probabilmente si sarebbero a lungo arrovellate sul perché di quell’apparizione. Come del resto stava facendo lui stesso, sconfortato.

Quello doveva essere il corso meno popolare e frequentato della scuola.

“Sicuramente il meno virile!”

Stava per considerare l’idea di chiedere al preside Figgins di spostarlo nel corso di Informatica prima che lo costringessero a decorare tazzine, quando dalla porta entrò il professore.

 

-          Buongiorno a tutti, ragazzi – esordì l’uomo – Mi chiamo Will Schuester e sono il nuovo professore di questo corso d’Arte. O per meglio dire, di arti. E qui vi pongo la prima domanda del corso. –

Si appoggiò alla cattedra, scrutando gli studenti.

-          Perché secondo voi parlo di arti, al plurale? –

Una manina scattò verso l’alto in prima fila e il professore le dette la parola con un cenno del capo.

-          Perché le arti visuali tradizionalmente sono sette – rispose una voce sicura – pittura, scultura e architettura, musica, poesia, danza e teatro. –

-          Molto bene, signorina… -

-          Rachel Berry – cinguettò la stessa persona.

-          Come ha detto Rachel le arti intese nel loro senso più ampio e completo sono sette. Tuttavia lo scopo principale di questo corso è istruirvi su quelle visive, cioè… -

Di nuovo quella manina saettò verso l’alto, bloccando sul nascere le parole del professore.

-          Sì, Rachel –

-          Le arti visive comprendono pittura, fotografia, disegno, incisione, grafica a computer, arte tessile e videoarte. –

-          Esatto. –

Finn non riusciva a scorgere il viso della petulante che evidentemente sarebbe stata la secchiona del corso per tutta la sua durata, ma poteva scommettere che in quel momento stava sorridendo trionfante.

-          Un’opera d’arte è un qualsiasi prodotto nato dalla creatività dell’artista, in grado di trasmettere emozioni e di esprimere il suo pensiero. Tuttavia ogni artista è unico, perciò il suo modo di esprimersi sarà diverso da quello di chiunque altro. Così come le persone che vedranno la sua opera saranno molto diverse tra di loro e daranno interpretazioni differenti. –

Sorrise agli studenti.

-          Voi siete diversi gli uni dagli altri, ognuno di voi è unico e avrà un determinato modo di esprimersi. Questo corso ha lo scopo di farvi scoprire il vostro linguaggio creativo e di aiutarvi ad utilizzarlo per produrre qualcosa di speciale, che vi rappresenti. Faremo emergere l’artista che è in ognuno di voi. E per farlo esploreremo tutte le arti visive. Insieme. –

Finn avvertì un brivido d’inquietudine lungo la schiena.

 

Quando la campanella decretò la fine di quella prima lezione Finn Hudson non ne poteva più né di arte né di Rachel Berry. Soprattutto di Rachel Berry.

Sebbene avesse tentato in tutti i modi di distrarsi giocando con il cellulare e chattando con gli amici, non era riuscito ad ignorare l’insopportabile tono saccente di quella ragazza. Il professor Schuester non sembrava poi tanto male e sembrava riuscire a tenere vivo l’interesse dei suoi pochi studenti, se non altro di quelli interessati alla lezione. Ma lei era più fastidiosa di una zanzara.

-          Finn Hudson! –

“Appunto” pensò spazientito riconoscendo la voce cinguettante e fermandosi sulla soglia.

La ragazza che si trovò di fronte per un attimo lo lasciò perplesso: si aspettava di trovarsi faccia a faccia con un viso insipido, un paio di occhiali dalle lenti spesse un dito e un maglione della nonna.

“In effetti al maglione della nonna ci si avvicina” pensò ghignando tra sé.

Per il resto la fanciulla che aveva di fronte non aveva nulla a che fare con l’immagine che si era fatto di lei durante quella lezione. Certo non era bella quanto Quinn e il suo naso era piuttosto importante, ma aveva dei meravigliosi capelli scuri e lucenti e appena ombreggiati dalla frangia spiccavano due intensi occhi color cioccolato. Era minuta ma proporzionata, la schiena dritta di chi è fiero di sé, la carnagione leggermente ambrata e la bocca carnosa. Probabilmente se fosse stata piegata in un sorriso sarebbe anche stata apprezzabile.

-          Sono Rachel Berry e vorrei sapere che intenzioni hai. –

Il nome di quello scricciolo non era un mistero per lui. Cosa passasse sotto a quei capelli invece sì.

“Probabilmente aria.”

-          Non capisco a cosa ti riferisci. –

-          Suvvia, Hudson, sono carina ma non per questo scema. –

“Questa poi!” pensò il ragazzo accigliato “Oltre a esser petulante è pure egocentrica.”

-          Mi spiego – proseguì lei avvicinandosi a lui e facendolo retrocedere sulla difensiva – Tu non sei esattamente il tipico “artista” – fece il gesto delle virgolette con le dita – Probabilmente non hai nemmeno idea di cosa sia la Gioconda. E non credo t’interessi. Perciò vorrei sapere come mai sei qua. –

Touché.

-          Non sono affari tuoi – rispose brevemente lui, messo alle strette.

-          Oh sì invece. – gli sorrise lei in tono di scherno – Io studio le arti da quando sono piccola e in futuro diventerò una vera artista. Ma per farlo ho bisogno che sul mio curriculum scolastico compaia la frequentazione a pieni voti di questo corso. Ovviamente non ho bisogno delle lezioni del professor Schuester, sono stata seguita dai migliori insegnanti privati, ma vedere che un’artista come me ha mostrato la propria creatività e il proprio talento a studenti meno fortunati cosicché possano prendermi a esempio sicuramente impressionerà le giurie. Quindi – si avvicinò ulteriormente al ragazzo ormai spalle al muro, i grandi occhi cioccolato ridotti a due fessure – sei pregato di non mettermi il bastone tra le ruote o sarà peggio per te. –

Fece un passo indietro, sorridendo come se niente fosse.

-          È stato un piacere parlare con te. Arrivederci Finn Hudson. –

E girò i tacchi, uscendo con la testa alta e i libri stretti al petto.

Finn era ancora fermo contro il muro, il volto accigliato e un solo pensiero in mente: Rachel Berry era senza dubbio la persona più insopportabile che avesse mai conosciuto.

 

Rachel Berry aveva sempre saputo che sarebbe diventata un’artista.

Data in adozione in tenera età a una coppia gay, era stata cresciuta da due papà singolari e amorevoli che l’avevano spronata fin da piccola a realizzare quel sogno. Entrambi appassionati di tutto ciò che era considerato arte avevano deciso di darle una preparazione a tutto tondo attraverso lezioni private con i migliori insegnanti degli Stati Uniti orientali, allo scopo di formarla non solo professionalmente ma anche culturalmente.

All’età di 17 anni Rachel conosceva le maggiori opere d’arte americane ed europee, aveva preso lezioni di disegno, di pittura e di scultura.

Finito il liceo si sarebbe trasferita a New York per frequentare l’Accademia d’Arte, dove avrebbe completato la sua formazione artistica per poi esporre le sue opere nelle più grandi città del mondo: New York, Shanghai, Buenos Aires, Londra, Berlino, Madrid, Praga, Firenze e Parigi… Ovviamente si sarebbe trasferita in Europa, sebbene fosse ancora indecisa se in Francia o in Italia.

-          Ehi, artista! –

Una granita le schiaffeggiò il volto.

“Un giorno faranno la fila per vedere una mia opera!”

Se lo ripeteva ogni volta che era vittima delle prepotenze degli altri studenti. Quindi piuttosto spesso.

 

Una cheerleader piegò la bella bocca rosea in una smorfia di disgusto, per poi superare la brunetta che era appena stata centrata dalla granita.

“Chissà quanto le ci vorrà per lavare quel ridicolo maglioncino giallo.”

Certo non era un problema che Quinn Fabray avrebbe mai dovuto affrontare. Bellissima, sofisticata, popolare, bionda e con un fisico perfetto, non avrebbe mai dovuto preoccuparsi di come togliere la gelida e appiccicosa granita dalla sua divisa delle Cheerios. Quello era un problema che riguardava gli studenti sfigati, non la reginetta della scuola, capitano delle cheerleader e presidentessa del club della castità. Anzi.

Per un attimo la sua bocca si piegò in un ghigno sadico, ripensando alle ragazze che lei stessa aveva inondato di granita. Non che Quinn Fabray si abbassasse a fare del bullismo nella sua scuola. Ma come ogni regnante aveva il dovere di mettere in riga chi cercava di pestarle i piedi.

Era stato il caso di una ragazza che l’anno prima aveva cercato di mettersi troppo in buona luce agli occhi della coach Sue Sylvester, forse illudendosi di poterle strappare il ruolo di capitano delle cheerleader. O di un’altra che a San Valentino aveva scritto una commovente dichiarazione d’amore al suo ragazzo.

“Povera sfigatella.”

In effetti ci era andata giù pesante con quella ragazzina, considerato che la poesia faceva parte di un compito assegnato dall’insegnante d’inglese e che probabilmente il suo amore nei confronti di Finn era quello platonico di una fan. Lui stesso l’aveva rimproverata, definendo la sua reazione esagerata.

Sollevò le spalle.

“Beh, è stata una punizione esemplare.”

Svoltò l’angolo, con il solito sorriso gradevole sul volto delizioso. Quello sarebbe stato il suo ultimo anno al liceo Mckinley e sicuramente anche il migliore. Finn e lei sarebbero stati nuovamente incoronati re e reginetta al ballo di fine anno e si sarebbero diplomati insieme. Lei avrebbe fatto domanda per entrare in un prestigioso college, magari Yale, come suo padre e sua sorella. Finn ovviamente si sarebbe trasferito in Connecticut con lei e avrebbe cominciato a lavorare in una delle filiali dell’azienda di suo padre. Lei si sarebbe laureata e lui avrebbe ottenuto una posizione dirigenziale, si sarebbero sposati e probabilmente lei non avrebbe proseguito gli studi specialistici per dedicarsi alla famiglia, come aveva fatto sua madre.

Aprì la porta della mensa, entrando a testa alta, conscia degli sguardi ammirati e invidiosi di tutti. Lei era perfetta, la sua vita era perfetta. Il suo futuro non poteva che esserlo.

 

-          Ehi –

-          Ehi –

Puck si sedette accanto a Finn a mensa.

-          Sei già diventato un pittore? – ghignò il ragazzo con la cresta.

-          Non sai che tortura è quel corso. –

-          Immagino. Volevo dirti che l’ho apprezzato molto. – gli batté una pacca sulla spalla.

-          È a questo che servono gli amici, no? – gli sorrise lui, ricambiando il gesto.

Una cheerleader bionda si sedette accanto al quarterback.

-          Mi auguro che questa pagliacciata finisca presto, amore. –

Quinn era senza dubbio nata con lo scettro del potere stretto in mano. Bella e aggraziata, riusciva ad articolare frasi pungenti in tono affabile.

-          Non ho avuto scelta, tesoro, lo sai… - si strinse nelle spalle Finn.

-          Oh sì, invece, una scelta ce l’avevi – disse lanciando un sorriso acre all’indirizzo di Puck.

-          Ne abbiamo già parlato. Ho fatto per Puck quello che avrei fatto per qualunque persona importante per me che si trovasse nei guai. Se dovesse un giorno servire a te, Quinn, io sarei… -

-          Finn – lo interruppe lei con un gesto della mano – Io non mi troverò mai in situazioni tanto sconvenienti. –

Detto ciò la ragazza si alzò, raggiungendo il resto delle cheerleader a un altro tavolo.

Finn lasciò andare il respiro.

Discutere con Quinn era inutile, aveva la meglio lei. Sempre.

 

-          E così tu sei una che non si caccia mai in situazioni sconvenienti, eh, Fabray. –

Il capitano delle cheerleader incrociò lo sguardo del ragazzo attraverso lo specchio.

-          Questo è il bagno delle donne, Puckerman. Credevo che almeno le figure sui cartelli riuscissi a interpretarle. –

Puck ghignò, incrociando al petto le braccia muscolose.

-          E ora cos’hai da sghignazzare? – fece la bionda in tono di sufficienza, mettendosi il rossetto perlato di fronte allo specchio.

-          Nulla – disse lui, avvicinandosi alla ragazza di spalle – Pensavo a quel detto famoso – accostò le labbra al suo orecchio – Non sputare nel piatto in cui hai mangiato, reginetta della castità. –

 

Finn Hudson avrebbe preferito fare 1000 piegamenti piuttosto che seguire quel maledetto corso di Arte ogni giovedì. Era un mese ormai che il professor Schuester teneva lezioni di storia dell’arte, proiettando diapositive dei più grandi capolavori del mondo, tentando di risvegliare l’interesse degli studenti. L’unica sempre attenta era Rachel Berry, la cui mano alzata e voce petulante si era ormai insinuata nei suoi incubi peggiori. Il resto della classe era evidentemente distratto da occupazioni migliori, nel suo caso il cellulare, oppure dal quarterback in ultima fila. Le ragazze del corso continuavano a lanciargli occhiate di soppiatto e sghignazzare tra loro; era convinto di aver colto sguardi languidi persino dal ragazzo effeminato.

“Se non altro è il corso impegna così poco che il coach non ha avuto da ridire.”

Era un grigio mercoledì pomeriggio di ottobre.

Finn stava percorrendo i corridoi immersi nella penombra diretto al campo di football. Tutti gli studenti erano tornati a casa o erano impegnati nei loro club. Il suono delle voci dietro le porte chiuse delle aule era ovattato e l’unico suono distinto era il suono dei suoi passi sul pavimento. E una musica leggera.

Incuriosito, voltò il capo nella direzione di quel suono e scoprì una luce filtrare attraverso il vetro della porta dell’aula d’Arte.

“Ma la lezione è domani.”

Si avvicinò perplesso: che il professor Schuester avesse deciso di anticipare la lezione? Ovviamente il suo allenamento aveva la precedenza indiscussa, ma in tal caso si sarebbe quanto meno giustificato con l’insegnante, così che magari avrebbe chiuso un occhio sulla sua assenza. Il preside Figgins era infatti stato chiaro a tal proposito: seguire quel corso avrebbe comportato la sua presenza al 75% delle lezioni, altrimenti sarebbe scattata la sospensione.

La porta era socchiusa e Finn l’aprì piano, sbirciando all’interno.

Rachel Berry era seduta su uno sgabello, di fronte a un treppiede che sosteneva una tela immacolata. Uno stereo spandeva nell’aula le note soavi che avevano attirato la sua attenzione. Nessun altro.

“Scampato pericolo.”

Stava per uscire dall’aula quando Rachel alzò un braccio e cominciò a tratteggiare delle figure sulla tela. Finn non s’era accorto che la ragazza teneva un carboncino in mano e si fermò ad osservarla incuriosito. L’attenzione della fanciulla pareva catalizzata da un cesto di frutta e non s’accorse della sua presenza.

Quella stessa mano che scattava verso il soffitto bruscamente per richiedere la parola ora si muoveva con grazia sulla superficie bianca, lasciando un tratto nero deciso o appena accennato. La sua espressione era seria ma serena, le sue labbra si piegavano in un sorriso o socchiudevano appena, mentre le dita si macchiavano di antracite nello sfumare i segni sulla tela.

Finn fece scorrere lo sguardo sulla sua figura, come se la vedesse per la prima volta. Rachel non indossava uno dei suoi tremendi golf con qualche animale ricamato sopra, bensì una camicia turchese con le maniche risvoltate. Le gambe erano fasciate da un semplice jeans scuro: una era puntellata sulle gambe dello sgabello, l’altra distesa in una posizione di abbandono. La schiena sempre dritta era leggermente piegata verso il treppiede. Con un gesto disinvolto scostò una ciocca di capelli con il dorso della mano, rivelando il collo sottile. S’accigliò, guardando meditabonda il suo disegno. Poi il cesto di frutta, poi di nuovo il disegno. Indietreggiò un po’ con la schiena, grattandosi una guancia, troppo concentrata per ricordarsi dell’indice sporco di carbone. Inclinò il capo e la sua bocca si piegò in un sorriso soddisfatto, per poi riprendere a tratteggiare il soggetto sulla tela.

Finn uscì dal Mckinley, sorridendo tra sé e sé. Il cielo plumbeo d’ottobre gli parve meno grigio di prima, forse perché aveva appena visto qualcosa di veramente bello.

 

Anche il professor Schuester sorrise, allontanandosi dall’aula d’Arte.

 

Continua…

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Capitolo 2
*** - ***


Capitolo 2

 

-          Bene ragazzi – esordì il professor Schuester – oggi voglio assegnarvi un compito da svolgere. Valuterò gli elaborati finali, perciò consiglio a tutti di impegnarsi al massimo delle proprie possibilità. – squadrò gli studenti accigliati o eccitati dell’aula – Il tema dell’opera sarà l’autunno. A voi la scelta della tecnica con cui esprimervi. –

Rachel Berry sorrise entusiasta. Ecco la sua prima occasione: avrebbe mostrato al professore il proprio talento e lui, sopraffatto dall’ammirazione, si sarebbe sentito in obbligo a mostrarlo a tutta la scuola e di presentarla a qualche critico d’arte che sarebbe rimasto colpito dal suo lavoro e magari le avrebbe anche dedicato un articolo.

“Addio granite in faccia!”

-          Dimenticavo – sorrise furbescamente il professore – dovrete eseguire gli elaborati in coppie da me scelte. –

Il sorriso scomparve dal volto di Rachel.

 

Finn Hudson sospirò sconsolato. Il professor Schuester aveva assegnato a tutta la classe uno stupido compito da consegnare entro una settimana. Un compito che lui avrebbe dovuto eseguire in coppia con Rachel Berry, che sarebbe diventata senz’altro isterica appena si fosse accorta che lui disegnava come un bambino di sette anni.

“Prevedo tempi duri.”

La ragazza gli aveva dato appuntamento nell’aula d’Arte quel venerdì per discutere dell’elaborato da preparare. Nei suoi occhi cioccolato ardeva una fiamma che ben conosceva: ambizione.

-          Ben arrivato. – lo salutò lei appena lui ebbe messo piede nell’aula – Accomodati. –

Finn si sedette.

-          Sarò breve. Sappiamo entrambi che tu non hai la minima voglia né le capacità per realizzare una qualsiasi opera che risulti non dico artistica, ma anche solo guardabile. Mentre io intendo ottenere il massimo dei voti in questo corso e ho le doti per riuscirci. Perciò credo che la cosa migliore sia che mi occupi io di realizzare questo elaborato. –

Sorrideva, mentre lui la guardava sbigottito. Aveva ragione sulla sua ritrosia nei confronti di quel compito e probabilmente anche sulla sua mancanza di talento artistico. Ma come si permetteva quella piccola petulante di sparare simili sentenze senza nemmeno conoscerlo?

-          Allora, siamo d’accordo? – gli allungò la mano sorridendo soddisfatta.

Avrebbe voluto mandare a quel paese quella piccola saccente egocentrica. Invece le strinse la mano.

-          Affare fatto. –

Se non altro non avrebbe dovuto passare tanto tempo in compagnia della persona più insopportabile del Mckinley.

 

A distanza di una settimana Finn contrasse la mascella di fronte all’opera che portava i nomi di Rachel Berry e Finn Hudson. Non che lui fosse un esperto d’arte, ma era un quadro meraviglioso. Rappresentava un viale costeggiato da alberi dalle foglie gialle, rosse e arancioni, che contrastavano con il selciato bagnato e il cielo plumbeo.

-          Allora – gli bisbigliò lei – che ne pensi del nostro quadro? –

-          È l’opera più bella di tutte. – rispose lui a bassa voce.

Era sincero.

E Rachel lo premiò con un sorriso altrettanto sincero, il primo che gli avesse mai rivolto.

-          Grazie. –

Era evidentemente orgogliosa di sé. E radiosa.

Finn non poté fare a meno di rilassare la mandibola e sorriderle a sua volta: quando non era impegnata a sproloquiare sul suo talento artistico non era poi tanto male.

 

Fu il professor Schuester a metter fine a quella serenità.

Avevano preso una F.

 

Finn si voltò a guardare Rachel. Era sconvolta. E da quel poco che aveva capito di lei temeva una reazione esagerata a momenti.

-          Professor Schuester! – squillò infatti, fiondandosi dall’insegnante.

-          Dimmi, Rachel. –

-          Con tutto il più dovuto rispetto, professore… È forse diventato cieco?! –

Finn si mise una mano nei capelli.

-          Al contrario – rispose con calma l’insegnante – proprio perché non lo sono vi ho dato una F. O per meglio dire, ti ho dato una F. –

-          M-ma… - balbettò lei.

-          Questo quadro è stato dipinto da un’unica mano. La tua, Rachel. È meraviglioso, tuttavia non avete rispettato la consegna, perciò è insufficiente. –

Il professore fece segno al quarterback di avvicinarsi.

-          Il compito che vi avevo assegnato era da svolgere insieme. Capisco che lavorare in coppia non è semplice, però fare dell’arte significa esplorare nuovi linguaggi e forme d’espressione. In questo caso lo scopo della consegna è mettere a confronto i vostri modi di vedere ciò che ci circonda e di trovare un linguaggio comune per esprimerlo. Prendete Kurt e Sandy – disse, indicando i ragazzi vestiti di impermeabile, stivali e cappello da pioggia coordinati e dalla stampa personalizzata – hanno espresso la loro visione dell’autunno tramite la creazione di quegli outfit, probabilmente perché parlando tra di loro hanno scoperto che la moda era il linguaggio a loro comune. E il risultato sarà stravagante, però è originale. –

Finn sollevò un sopracciglio, guardando il ragazzino effeminato che anche quella mattina era stato buttato nel bidone fare una giravolta aggraziata su se stesso. Senza dubbio originale. Ma lui non si sarebbe mai conciato in quella maniera.

Rachel però non lanciò nemmeno un’occhiata alla coppia in tenuta da pioggia, pareva esser ancora shockata.

Finn si dispiacque per lei. Certo era petulante e insopportabile, ma il suo quadro era davvero bello e a giudicare dalla gioia con cui aveva accolto il suo complimento di poco prima doveva averci messo molto impegno.

Si sentì in colpa. Per quanto fosse stata lei a proporsi di assolvere da sola a quel compito, lui non aveva esitato ad accettare perché, come aveva detto lei stessa, non aveva alcuna voglia di svolgerlo. L’arte non era roba per lui.

“Che direbbe Puck se mi vedesse seduto su uno sgabello con un pennello in mano?”

Qualche idea ce l’aveva, pensò lanciando uno sguardo al ragazzo che continuava a sfoggiare i suoi stivali da pioggia colorati.

 

Finn stava frugando nel suo armadietto in cerca del libro per l’ora successiva, quando un sonoro “sciaff” lo fece voltare.

Rachel era a pochi metri da lui, grondante di granita blu. Due cheerleader poco più in là sghignazzavano tra di loro compiaciute, il bicchiere vuoto ancora in mano.

Il ragazzo sospirò, avvicinandosi alla moretta.

-          Che scherzi idioti. – commentò, imbarazzato poiché non sapeva bene cosa dire.

Rachel non rispose e lo superò a capo chino, entrando nel bagno delle ragazze. La campanella segnò l’inizio di una nuova ora di lezione e gli studenti s’affrettarono a entrare nelle rispettive aule. Così come avrebbe dovuto fare lui.

“Dannazione!” imprecò Finn tra sé, aprendo la porta del bagno delle ragazze e sperando con tutto se stesso di non provocare urla isteriche.

 

Rachel sollevò il volto rigato di lacrime e appiccicoso di sciroppo. E incontrò lo sguardo imbarazzato di Finn Hudson.

“Ecco, ora vorrei scavarmi una fossa e buttarmici dentro.”

Perché tutti sembravano decisi a deriderla? Più del solito, s’intende.

Il giorno prima il professor Schuester aveva giudicato insufficiente la sua opera d’arte. Poco fa era stata presa nuovamente a granite in faccia dalle cheerleader. E ora quel boscaiolo di Finn Hudson la rincorreva nei bagni per infierire ulteriormente su di lei.

 

-          Avanti, Hudson, spara. –

-          C-come? – fece lui indeciso, preso in contropiede.

-          Non hai alcuna granita in mano. Deduco quindi che per prenderti gioco di me tu intenda usare altri metodi. Avanti. –

-          Ti sbagli, non ho intenzione di farti nulla di male. –

-          Davvero? – tirò su col naso lei, gli occhi lucidi.

Finn sentì una stretta al cuore. Non sopportava vedere le ragazze piangere.

-          Non piangere, Rachel, quelle ragazze sono… -

-          Lo so, sono delle ottuse ignoranti che non mi conoscono. –

-          Già – le sorrise lui, pensando quasi divertito che fosse tornata la ragazza egocentrica e presuntuosa di sempre – Perciò non piangere per i loro stupidi scherzi. –

Lei sollevò lo sguardo, puntandolo dritto nei suoi occhi.

-          Tu sei il quarterback della scuola. Non hai idea di cosa significhi essere vittima ogni giorno di quegli stupidi scherzi. Quelle granite fanno più male di quanto tu possa pensare. –

Finn fece scorrere lo sguardo sui suoi bei capelli scuri appiccicati al viso e al collo. Al maglioncino rosa completamente inzuppato di sciroppo blu. I primi due bottoni della camicia erano sbottonati, perciò un po’ di granita doveva essere scivolata sotto i vestiti, lasciando una spiacevole sensazione.

Lui stesso aveva fatto scherzi di quel tipo a qualche studente del primo anno, come da prassi per tutti i ragazzi della squadra di football.

Sebbene Rachel non fosse una sua vittima, due sentimenti si fecero largo nel suo cuore: senso di colpa e un’inquietudine cui non sapeva dare un nome.

-          Comunque non è per quello che piangevo. Alle granite sono abituata ormai. Ma a fallire no. –

-          Ti riferisci al tuo quadro? –

Rachel contrasse la mascella, per poi voltarsi e sciacquarsi energicamente il viso sul lavandino.

-          Rachel, il tuo quadro era meraviglioso! – le si accostò lui – Il giudizio del professore è stato basso solo perché si è accorto che siamo venuti meno alle sue istruzioni, ma il tuo dipinto era bellissimo. –

-          L’ha valutato insufficiente… -

-          È solo un voto, Rachel, la prossima volta… -

-          Non è solo un voto! – alzò il capo, lo sguardo fiammeggiante e le guance arrossate dall’acqua fredda – So che per te questo corso non conta nulla, ma per me invece è importante. L’arte per me è importante! –

Finn la osservò colpito.

Rimasero ad osservarsi per qualche istante, poi lui le sorrise.

 

Rachel quasi indietreggiò di fronte a quel gesto: un sorriso sghembo, gentile e rassicurante. Il suo cuore perse un battito e la sua mente s’annebbiò.

-          Ok, lascia fare a me. –

E con queste parole il ragazzo uscì rapidamente dal bagno.

 

Quinn Fabray vide il proprio fidanzato uscire di corsa dal bagno delle ragazze. E si accigliò, socchiudendo appena la porta per sbirciare all’interno.

Ciò che vide fu una moretta che si guardava sconsolata allo specchio, passandosi distrattamente le mani tra i capelli inzuppati di sciroppo. La riconobbe come una delle sfigate che erano spesso vittime della sua squadra di cheerleader, ma a cui lei non aveva mai prestato particolare attenzione, se non per storcere il naso di fronte ai suoi orrendi maglioni ricamati.

“Finn era nel bagno con lei?”

No, si disse immediatamente. Il suo fidanzato era il ragazzo più popolare della scuola, non poteva avere nulla in comune con…

Sgranò gli occhi. La moretta si era portata una mano al cuore, piegando le labbra in un sorriso agrodolce.

 

Finn Hudson bussò alla porta a vetri del professor Schuester. L’uomo gli fece segno d’entrare.

-          Come mai non sei a lezione, Finn? –

-          Professore, ho bisogno di parlarle. –

-          È così importante che non potevi attendere la fine dell’ora di lezione? –

-          Sì. –

L’insegnante sorrise e lo invitò a sedersi.

-          Di cosa si tratta? –

-          Di Rachel… -

-          Rachel è la tua importante motivazione per saltare una lezione?

Il ragazzo era decisamente imbarazzato.

-          Ci è rimasta davvero male ieri, professore… -

Il professor Schuester s’accomodò contro lo schienale della poltrona.

-          Me ne rendo conto e mi dispiace. Ma sono un insegnante e il mio compito non è solo darvi un istruzione, ma anche guidarvi negli anni della vostra maturazione personale. Sarei un pessimo insegnante se chiudessi un occhio quando vi prendete gioco non tanto di questa istituzione quanto di voi e del vostro avvenire. –

Finn annuì. Il professore era un tipo in gamba e dava l’impressione d’interessarsi realmente ai propri studenti.

-          Non volevamo offenderla. Tanto meno Rachel. Lei ci tiene davvero a questo corso… e all’arte. –

-          E tu, Finn? –

-          I-io? –

-          So che hai scelto di seguire il mio corso per evitare la sospensione e non per un tuo interesse verso le discipline artistiche. Non c’è nulla di male in questo, io stesso ai tempi del liceo ho ricevuto diverse punizioni. Ho persino fatto le pulizie insieme ai bidelli per un intero mese e ti assicuro che se adesso la mia casa è sempre in ordine è solo grazie a quell’esperienza! – gli fece l’occhiolino.

Finn sorrise.

-          Non mi aspetto che tu diventi il prossimo Monet – proseguì l’insegnante – ma credo che in ognuno di noi ci sia almeno un briciolo di creatività e sarei felice di riuscire a farti esprimere la tua. E chissà, potresti scoprire un nuovo lato di te stesso e un talento che non pensavi di avere! Se a fine corso deciderai di mettere l’arte in un cassetto ti sarai comunque fatto un bagaglio culturale che un giorno potrebbe rivelarsi utile. –

-          Va bene, ci proverò… -

-          Bravo, così si fa! –

-          Per quanto riguarda il compito che ci aveva assegnato… -

-          Ho apprezzato che tu sia venuto a parlarmene. E mi auguro che tu e Rachel possiate imparare la lezione. – disse il professore, lo sguardo serio puntato sullo studente di fronte a lui – Voglio darvi un’altra possibilità. Avete tempo fino a lunedì per consegnarmi nuovamente il compito. Insieme. –

-          Grazie! Grazie mille professore! Ce la metteremo tutta! – si alzò il ragazzo, sollevato.

-          Ah, Finn. –

-          Sì? – si fermò lui sulla soglia.

-          Ti ho chiamato io per un colloquio nel mio ufficio, perciò giustificherò la tua assenza all’ultima lezione. –

Finn annuì e si chiuse la porta alle spalle: il corso forse non era un granché, ma per il professore valeva la pena di seguirlo.

 

Will Schuester sorrise soddisfatto appena il ragazzo fu uscito.

 

Continua…

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Capitolo 3
*** - ***


Capitolo 3

 

Rachel Berry si guardò allo specchio senza vedersi realmente. Pensava. Pensava a quella strana situazione cercando d’interpretarla.

Finn Hudson, il ragazzo più popolare del suo liceo, a minuti avrebbe suonato alla sua porta. Certo non era un appuntamento galante: il suo compagno di corso le era venuto incontro, poco dopo che avevano parlato nel bagno delle ragazze, per dirle che il professor Schuester aveva deciso di dar loro una seconda possibilità, a patto che consegnassero il nuovo lavoro lunedì. Avevano concordato di trovarsi a casa Berry poiché lei era in possesso di tutto il materiale necessario.

Da quando si era allontanata però, Rachel non aveva fatto altro che arrovellarsi.

Come mai il professor Schuester aveva cambiato idea? Il giorno prima era parso più che convinto della sua decisione. Che fosse stato Finn a convincerlo? Ma come e soprattutto perché?

Viziata e coccolata fin da piccola da ben due padri che la trattavano come una principessa, Rachel era cresciuta convinta di essere una ragazza carina. Sebbene questa sua idea al liceo si fosse affievolita, non aveva perso la fiducia in se stessa.

“Non è per via del mio aspetto che vengo maltrattata, ma per l’ignoranza di quel gregge di pecoroni che sono i suoi compagni di scuola.”

Tuttavia Finn non solo era popolare mentre lei alle fondamenta della piramide sociale, ma era anche fidanzato con la ragazza da tutti ritenuta la più bella della scuola.

“Quinn Fabray è la più bella della scuola.”

E su questo nemmeno il suo egocentrismo poteva metter becco.

“Letteralmente…” pensò voltando il capo di profilo: il suo naso doveva essere almeno quattro volte quello di Quinn Fabray. Non che avesse mai avuto troppi problemi con se stessa a riguardo, dato che non puntava a diventare una superficiale reginetta di bellezza ma un’affermata artista.

Stava di fatto che se Finn Hudson aveva ottenuto una seconda chance dal professor Schuester difficilmente l’aveva fatto per se stesso, visto il suo disinteresse totale per l’argomento del corso. Dunque doveva averlo fatto per lei. Ma le risultava difficile credere di poter attrarre un ragazzo come lui, per di più fidanzato con una ragazza perfetta. E non poteva illudersi troppo nemmeno riguardo al fatto di stargli particolarmente simpatica. Perché Rachel Berry non si era mai fatta un amico da quando frequentava il liceo.

“Da piccola era più semplice. Ora tutti sono troppo impegnati a giudicare le persone e mettere i bastoni tra le ruote a quelle più in gamba. Per invidia.”

Una vocina nella sua testa le ricordò che lei stessa aveva giudicato Finn Hudson: non fosse stato per il suo pregiudizio ora non si troverebbero in quella situazione.

Il campanello suonò.

Rachel scese ad aprire la porta con un proposito ben piantato in testa: scoprire cosa si nascondeva dietro al gesto generoso di Finn Hudson.

 

Finn Hudson si guardò attorno meravigliato: al posto di una mansarda i Barry avevano un vero e proprio atelier.

Finn non era un artista e sicuramente non un architetto, ma quel posto lo metteva a proprio agio. Le pareti erano chiare, così come i tronchi a vista delle falde del tetto, intervallati da ampi lucernari. Il suo sguardo cadde sul parquet e un vago sorriso gli increspò le labbra: nonostante qualcuno tenesse quella stanza linda come uno specchio, tra le assi del pavimento erano rimaste incrostazioni colorate.

Rachel lo osservava leggermente corrucciata, forse perché condividere il suo “tempio” con un estraneo la metteva a disagio.

-          È bello questo posto. – tentò lui per rompere il ghiaccio.

-          Grazie. –

-          Ci inviti spesso i tuoi amici? –

Rachel non rispose e Finn si maledisse per la sua imbranataggine. Si guardò rapidamente attorno per cercare una via di fuga da quella situazione. Individuò un gruppo di quadretti appoggiati alla parete, di cui uno più piccolo un po’ nascosto.

-          Anche questo l’hai fatto tu? – disse indicandolo e chinandosi per vederlo meglio.

Lo estrasse con cautela, attento a non rovinarlo. Sorrise istintivamente.

Rachel doveva averlo dipinto da piccola: il soggetto doveva essere la sua famiglia, poiché la bambina stringeva le mani a due signori, sorridendo felice in un prato di fiori sotto un sole altrettanto sorridente.

-          Loro sono i miei amici. – disse Rachel, accovacciandosi accanto a lui.

-          Ah, scusa, credevo fossero i tuoi papà. –

-          Infatti… I miei papà sono anche i miei migliori amici. –

Qualcosa nel suo tono gli fece intuire che probabilmente quel “migliori” stava per “unici”. E si dispiacque per lei. Rachel era sicuramente petulante e piena di sé, ma probabilmente nascondeva un lato piacevole e gentile.

Ricordava ancora come gli era parsa tutta un’altra persona quando l’aveva vista assorta nel disegno nell’aula d’Arte del Mckinley: serena, rilassata e genuina in ogni gesto, era…

“Diversa…”

-          Mi è venuta un’idea. –

-          E-eh? – quasi sobbalzò Finn, assorto nei suoi pensieri.

-          Per il compito. Non sei qua per questo? – fece lei, in un tono che non ammetteva repliche, un sopracciglio alzato.

-          Sì, sì certo! –

-          Bene. – disse alzandosi e sistemandosi brevemente la gonna con le mani – Quando da piccola seguivo i corsi di pittura per bambini, questa è stata la prima tecnica che mi hanno insegnato. Me l’hai fatta venire in mente tu. –

-          Grazie. – sorrise lui un poco soddisfatto – È per via di quel quadretto che ho scovato là dietro che… -

-          Oh no. – si voltò inchiodandolo al suo posto con uno sguardo – Tu me l’hai ricordata, non il mio vecchio dipinto. –

Sorrideva spavalda. Ma Finn avrebbe voluto prenderla a sberle.

“Insomma mi considera un bambino!”

Non era difficile capire perché quell’antipatica arrogante non avesse amici.

-          Non sentirti sminuito da questo, Hudson. – riprese lei, impegnata a frugare in una cassa piena di colori – Dipingere è molto più difficile di quanto si pensi. Anche solo tenere correttamente il pennello in mano è più complesso di quanto sembri. Ma l’arte è meravigliosa anche per questo: non servono tecniche sopraffini per realizzare un’opera indimenticabile, basta metterci l’anima. –

“Dice poco…”

-          Ricordi la lezione del professor Schuester sugli Impressionisti? –

Finn si fece piccolo piccolo: probabilmente stava facendo qualcos’altro.

-          Probabilmente dormivi. –

“Touchè.”

-          Beh, loro usavano dipingere all’aperto, amavano i paesaggi e rappresentare lo scorrere del tempo, le stagioni. E nonostante le tecniche e le scelte di colore anticonvenzionali hanno realizzato opere che ancora oggi tutti ricordano e ammirano. La vera rivoluzione di questi artisti è stata porsi un obiettivo differente: non volevano fissare sulla tela ciò che tutti vedevano quanto ciò che loro vedevano e sentivano. – disse portandosi una mano al petto – E questo, caro Hudson, se può farlo una bambina di sei anni direi che hai buone possibilità di riuscirci anche tu! – concluse caricandolo con una tela, un cavalletto e una borsa piena zeppa di colori.

-          Su, andiamo, che il sole è già alto. –

Finn la seguì borbottando e maledicendo il giorno in cui si era recato nello studio del professor Schuester.

 

-          E ora? –

Rachel l’aveva condotto nel giardino sul retro della casa. Che avesse deciso di ucciderlo con una pennellata e occultare il cadavere dove nessuno sarebbe mai venuto a cercarlo?

-          Guardati attorno, Hudson, e scegli l’angolo autunnale che più ti emoziona. –

Lui la guardò in tralice, indeciso se lo stesse di nuovo prendendo in giro o fosse semplicemente matta.

“Magari compra erba da Puck.”

Non ottenendo alcuna reazione, lei gli tirò una piccola gomitata.

-          Coraggio, Finn! Guardati attorno e dimmi cosa di tutto ciò vorresti immortalare, cosa per te è l’autunno. –

 

Per un attimo un’espressione di sorpresa attraversò il volto del quarterback, poi Rachel lo vide distogliere lo sguardo per farlo scorrere attorno a sé. Prima svogliato, poi più assorto.

 

Finn fece qualche passo avanti, dimentico dell’armamentario che teneva tra le braccia e la brunetta scorse qualcosa di nuovo nel suo sguardo: una sorta di consapevolezza, che gli faceva abbracciare con gli occhi il paesaggio circostante come se fosse la prima volta che lo vedeva.

Il suo sguardo vagò per alcuni secondi sul paesaggio al di là della staccionata, verso i boschi che ammantavano le dolci colline costellate dai tetti a spiovente delle case. Poi parve ripensarci e tornare indietro, sulla staccionata la cui vernice bianca sgretolata lasciava intravedere il legno scuro e poi sulla siepe verde scura che cresceva sulla destra, costeggiando il prato coperto di foglie che s’infittivano alle radici di un albero. Alzò lo sguardo verso quella chioma ancora rigogliosa proprio quando un soffio di vento ne scosse i rami: decine di foglie fiammeggianti si staccarono, fluttuando nell’aria come le gonne vaporose delle danzatrici di flamenco.

 

-          Cosa vedi, Finn? – gli sussurrò lei.

-          Ballerine di flamenco… -

Subito lui arrossì, conscio di aver detto una stupidaggine. Ma lei non rise, bensì gli lanciò uno strano sguardo, come se lo stesse valutando.

-          Se vuoi prendermi in giro fallo in fretta, così cominciamo questo stramaledetto compito. – borbottò lui, a disagio.

-          Non ho intenzione di prenderti in giro, anzi. Hai un modo di vedere le cose molto… intimo. –

Non credeva fosse possibile, ma qualcosa nel tono in cui Rachel disse quella parola lo fece avvampare d’imbarazzo.

Lei sorrise.

-          Bene, dipingiamo queste gonne! –

-          E come? –

-          Con le mani, che altro? –

 

Non stava scherzando.

Finn la osservò immergere una mano nella pittura azzurra e tracciare onde e spirali sulla tela immacolata. Una parte della sua mente pensò che c’era qualcosa di terribilmente sensuale in quei gesti, ma cacciò quell’idea immediatamente.

Rachel sorrideva contenta e concentrata e il quarterback fu certo che lei avesse avuto ragione nel dire che lui non capisse nulla d’arte.

“Che diavolo…?!”

Lei si voltò a guardarlo.

-          Beh, non mi dai una mano? –

-          Scusa, Rachel, ma non capisco cosa… -

-          Le tue ballerine dalla gonna di foglie ballano il flamenco nell’aria, giusto? Fluttuano nel vento, dico bene? – indicò le scie azzurre che aveva tracciato con la mano – Questa è l’aria, il cielo, il vento. Usa un po’ di quell’immaginazione che poco fa ti ha fatto vedere in qualche foglia secca delle danzatrici vestite di seta! –

Finn non sapeva che fare. Quella sorta d’ispirazione che l’aveva colto poco prima pareva averlo abbandonato.

 

Rachel sbuffò.

-          Coraggio, Monet, ti aiuto io a sporcarti le mani. –

-          Monet? –

-          Dovresti seguire le lezioni del professor Schuester ogni tanto! – disse, ma senza il solito tono acido.

Gli prese una mano e la immerse nella tempera bianca. La brunetta venne colta da un brivido, ma si disse che doveva esser stato per via della tempera fredda. Condusse quella mano sulla tela senza che lui opponesse resistenza, lasciando che da essa nascessero grandi scie bianche.

Sorrise, vedendo quanto la mano di lui fosse grande in confronto alla sua. E un piacevole tepore le scaldò il petto.

“Probabilmente ” pensò “dall’esterno questa scena potrebbe sembrare quella della modellazione del vaso in Ghost.”

-          Ehm, Rachel? -

-          Sì? – disse con un filo di voce.

-          Oltre al cielo dipingiamo qualcos’altro? –

Imbarazzata, lasciò andare la mano di Finn.  

-          M-ma certo! Ora che hai provato e ti sarai lasciato un po’ andare possiamo proseguire! –

 

Finn seguì per lo più le istruzioni di Rachel, come un paziente manovale coordinato da un capo cantiere molto esigente. Tuttavia a tratti la moretta si comportava in maniera strana: se non fosse stato per le offese che di tanto in tanto gli lanciava, sempre ovviamente accompagnati da lodi per se stessa, avrebbe potuto giurare che Rachel Berry si fosse presa una cotta per lui.

“Se così fosse sarebbe un bel casino!”

Non tanto perché non avrebbe potuto corrisponderla, quanto per il fatto che la ragazza che già occupava il suo cuore fosse Quinn Fabray.

Ben inteso, Quinn aveva tantissimi pregi e lui li conosceva meglio di chiunque altro. Ma allo stesso modo aveva ben presente i suoi difetti e la gelosia era senza dubbio il più pericoloso. Se n’era accorto l’anno prima quando una ragazza gli aveva dedicato una poesia il giorno di San Valentino.

“Beh, per sicurezza basterà tenere Rachel alla larga...”

In questo modo avrebbe evitato sia d’illuderla inutilmente, sia di scatenare la gelosia di Quinn.

 

A metà giornata lo stomaco di Finn brontolò sonoramente e Rachel gli lanciò un’occhiata perplessa, prima di guardare l’orologio e sobbalzare.

-          Santo Cielo! Scusami, Finn, quando dipingo perdo totalmente la cognizione del tempo. Andiamo a lavarci le mani e pranziamo, proseguiremo dopo. –

Finn sorrise sollevato: ancora un po’ e sarebbe svenuto in mezzo al prato. Tuttavia qualcosa in quella moretta alta la metà di lui e concentratissima nel lavoro l’aveva fatto desistere dal farle notare il suo impellente bisogno di metter qualcosa sotto i denti.

Quando ebbe pulito le mani meglio che poteva, aiutandosi con dell’acqua ragia, un profumo delizioso lo condusse fino alla cucina. I Berry avevano una casa meravigliosa e, a giudicare dall’odore che riempiva i corridoi, anche un’ottima domestica.

Fu dunque con grande sorpresa che vide Rachel con un grembiule a fiori intenta a cucinare.

-          Ehm… posso darti una mano? – chiese indeciso.

Sua madre non l’aveva mai fatto avvicinare a un fornello, se non per prepararsi delle uova col bacon, ma gli aveva insegnato che per educazione quella domanda andava fatta.

“Sperando che al massimo ti facciano apparecchiare la tavola!” l’aveva preso in giro la donna.

Fortunatamente i Fabray avevano sufficienti domestici da non avergli fatto mai nemmeno pensare di poter “dare una mano”, o meglio combinare qualche danno. Tutto si poteva dire di Finn tranne che fosse disimpacciato e agile in un ambiente domestico.

-          Se hai voglia di apparecchiare, sul tavolo ci sono piatti, bicchieri e quant’altro. –

Finn tirò un sospiro di sollievo: tovagliette, piatti, bicchieri, posate e tovaglioli erano il suo pezzo forte. Quando ebbe messo anche la brocca d’acqua sulla tavola si sedette, mentre Rachel continuava a rigirare il contenuto di una pentola e di tanto in tanto apriva il forno per controllare il punto di cottura.

 

Quel pomeriggio Finn scoprì che guardare Rachel cucinare era piacevole quanto vederla dipingere. Meno appassionante e più rilassante. Ma ugualmente piacevole.

Distese la schiena sullo schienale della sedia, inspirando a pieni polmoni l’odore del cibo che cuoceva mischiato a quello lievemente profumato del detersivo che usavano per pulire la cucina.

Gli unici rumori erano l’occasionale clangore dei tegami e il leggero ronzio del forno acceso.

-          Tutto bene? –

-          Sì – rispose lui, ancora parzialmente assorto – pensavo che a giudicare dal profumo ciò che stai preparando deve essere ottimo. –

-          Lo spero! – sorrise lei, leggermente rossa, per poi tornare a mescolare.

-          Cucini spesso per te e i tuoi papà? –

-          I miei papà sono spesso via per lavoro… -

-          Ti capisco, anche mia madre lavora tanto. Perciò spesso ordiniamo qualcosa per cena, oppure riscaldiamo quello che è avanzato dalla sera prima. Non è un granché, ma lei torna spesso tardi stanchissima e io non sono esattamente uno chef. –

-          Se dosi gli ingredienti come fai coi colori non oso immaginarlo, Hudson! – sentenziò lei agitando il mestolo e macchiandosi il viso e il grembiule con qualche goccia di sugo.

Entrambi scoppiarono a ridere.

-          Sì, hai ragione, non sono un Monet né col pennello né col mestolo! –

Lei sorrise, tornando a occuparsi dei fornelli.

-          A me non dispiace cucinare, ma penso che la parte che mi piace di più è sedermi coi miei papà a tavola e passare una piacevole serata tutti insieme. Ogni tanto invitano qualche loro amico, sono tutte persone di fuori città e hanno sempre un sacco di argomentazioni interessanti su qualsiasi… -

-          E tu, Rachel? Non inviti mai i tuoi amici ad assaggiare i tuoi manicaretti? –

-          I-io non ho molti amici, qui… Ma intrattengo relazioni epistolari con qualche nostro coetaneo di… -

-          Non hai nemmeno un amico nel nostro liceo? O a Lima? –

Rachel valutò per un attimo se considerare il pel di carota con gli occhiali che la stalkerizzava come una sorta di amico, ma pensò che sarebbe stato anche peggio. Perciò tacque. D’altronde meglio soli che mal accompagnati, no?

 

Finn era sicuro che stava per cacciarsi in una montagna di guai. D’altro canto il visino corrucciato di Rachel era a pochi metri da lui e, sebbene sapesse che quella piccola pittrice aveva in sé abbastanza orgoglio da non darlo a vedere palesemente, era sicuro che quella solitudine fosse per lei motivo di sofferenza.

Poteva infatti essere petulante e egocentrica per la maggior parte del tempo, ma cominciava a scorgere in lei un lato dolce e fragile che, chissà perché, lo metteva a proprio agio e gli faceva desiderare di poterla aiutare.

 

-          Beh, un amico forse ce l’hai. –

-          Se ti riferisci a quel ficcanaso del giornale della scuola… - gli lanciò un’occhiataccia col mestolo a mezz’aria.

-          Ehm, parlavo di me… - si strinse lui nelle spalle.

-          Oh… -

-          Insomma, se la smetti di minacciarmi con mestoli e pennelli, direi che potremmo considerarci amici, no? –

Rachel nascose il mestolo dietro alla schiena come una bambina colta con le mani nel barattolo dei biscotti.

-          Sì, penso di sì… -

-          Solo una cosa. –

-          Cosa? –

-          Gli amici tendenzialmente si chiamano per nome. –

-          Va bene… Finn. –

-          Bene! Allora, Rachel – si legò il tovagliolo al collo – è pronto il pranzo? –

-          Solo in minuto! –

Voltatasi verso i fornelli la moretta sorrise fra sé, raggiante di felicità.

 

Quella sera subito dopo cena Rachel si chiuse nell’atelier. Avrebbe dovuto studiare per il compito di storia di lunedì, ma nella sua mente c’era posto solo per il quadro che aveva realizzato con Finn. Lo fissò a lungo. Non era perfetto, eppure le parve splendido. Forse perché dipingerlo era stato sorprendentemente divertente ed emozionante.

Ripensò a quel pomeriggio: Finn non parlava molto e i suoi argomenti non erano forse interessanti quanto i suoi, ma avevano chiacchierato un po’ e lei aveva intravisto un lato gentile e paziente che la inteneriva. Come il suo sguardo a tratti sfuggente e il suo sorriso sghembo.

“Deve essere un ragazzo timido” aveva pensato.

Quando Finn le aveva chiesto di diventare amici, Rachel aveva sentito un tuffo al cuore e aveva sorriso tanto durante tutto il pranzo che credeva le si sarebbe bloccata la mascella.

Certo non si faceva illusioni, dato che lui era fidanzato con la ragazza più popolare del Mckinley, ma aveva avvertito qualcosa di più dell’amicizia nei suoi modi.

Una cosa era certa: se Rachel Berry si poneva un obiettivo faceva di tutto per raggiungerlo e Finn Hudson era appena diventato una delle mete da raggiungere.

Certamente non era tanto meschina da “rubarlo” a Fabray, tanto più che non sarebbe stato facile sedurlo, viste le qualità della sua rivale. Si sarebbe dunque messa in luce agli occhi di Finn grazie al suo fascino d’artista talentuosa e facendogli comprendere quanto lei gli fosse vicina e lo capisse. Innanzitutto come amica, poi come ragazza.

“Una cosa, senz’altro, l’ho capita” pensò facendo scorrere lo sguardo sulle foglie che fluttuavano tra le spirali del vento.

Afferrò un carboncino e, dopo essersi assicurata che la tempera fosse sufficientemente asciutta, scrisse nell’angolo in basso:

Flamenco autunnale. R.Berry, F.Hudson

 

 

Continua…

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