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di ki_ra
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** - I couldn’t have done it without you ***
Capitolo 2: *** – The book ***
Capitolo 3: *** – Destiny ***
Capitolo 4: *** - Have you a merry little Christmas … ***
Capitolo 5: *** – The gift ***
Capitolo 6: *** – It’s good to see you again … ***
Capitolo 7: *** – Memories and dreams ***
Capitolo 8: *** – I wish you an happy new year … ***
Capitolo 9: *** – Home sweet home ***
Capitolo 10: *** – A new day in a new town. ***
Capitolo 11: *** – New York, New York … ***
Capitolo 12: *** – Show me your secrets. ***
Capitolo 13: *** - Mother and daughter … uncle and nephew. ***
Capitolo 14: *** – Family, friends and love … ***
Capitolo 15: *** – Love remains the same … ***
Capitolo 16: *** - Sunrise, crumbs and kisses ***
Capitolo 17: *** – The book and the award ***
Capitolo 18: *** – Back to Stars Hollow ***
Capitolo 19: *** – Good seed makes a good crop ***
Capitolo 20: *** - Forever and always ***



Capitolo 1
*** - I couldn’t have done it without you ***


 

BACK TO THE START

 

 

Due ragazzi, un milione di sogni e di interessi in comune,

 un amore incosciente delle difficoltà e noncurante dei conflitti,

una fuga per trovare la propria strada, altrove da lei,

e gli occhi sempre puntati gli uni nell’anima dell’altro.

Anni di distacco, di lavoro, per arrivare ciascuno ai propri desideri,

 e di dolore per i sogni spezzati.

 E poi un uomo ed una donna,

 gli stessi occhi e le stesse anime …

 

 

1- I couldn’t have done it without you

 

“ A chi in me non ha creduto, pur senza conoscermi , costringendomi a non tradire me stesso;

a chi in me ha creduto, pur sapendo chi ero, insegnandomi a comprendere le diversità e

a Rory Gilmore, che in me ha creduto sempre, proprio perché ero io.

A Rory , dedico queste pagine e tutto il resto di me stesso. “

 

 

 

Così si concludeva il suo ultimo libro, ma lei non lo aveva letto. O se l’aveva fatto, non lo aveva chiamato per dirgli cosa ne pensasse, o per complimentarsene.

A Jess però, non importava, perché quelle parole non le aveva scritte per suscitare una qualunque reazione, un riavvicinamento e neanche per il sorriso che non avrebbe mai potuto vedere. Le aveva scritte solo perché erano vere: a lei doveva, più che a se stesso, i suoi risultati, i suoi piccoli successi, la fiducia nelle proprie capacità.

A lei soltanto doveva ciò che sapeva di poter essere.

 

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Capitolo 2
*** – The book ***


My corner : Salve a tutti !

Sono di nuovo qui con un ‘altra storia su Jess e Rory.

Che posso farci, ma sono “innamorata” di questa coppia!

Spero che il primo capitolo vi abbia incuriosito quanto basta per continuare a leggere e, perché no, a recensire. Spero che vi entusiasmi quanto ha entusiasmato me nello scriverla, ma che soprattutto vi possiate trovare la giusta conclusione di un amore che secondo me era destinato!

Fatemi sapere cosa ne pensate …

A presto!

 

2 – The book

 

Erano  le sette di sera, Rory, alla scrivania del giornale, finiva il suo ultimo articolo. Era stanca di una settimana frenetica, di un mese trascorso nelle sale d’ aspetto degli aeroporti, a rincorrere notizie.

L’indomani avrebbe lasciato New York per Stars Hollow, avrebbe affondato il viso tra le braccia di sua madre e sarebbe tornata la bambina che era stata negli anni in cui vi aveva vissuto. Quanto le mancava quella strana cittadina e i suoi eccentrici abitanti, la sua dimensione raccolta, le strade tranquille, la sua casa.

Scritte le ultime righe di quella che le era sembrata la più lunga, estenuante, inutile scocciatura che il suo amato lavoro le avesse procurato da quando aveva cominciato a farlo, inviò l’articolo al capo redattore. Aveva finito, finalmente, era eccitata e pure la stanchezza degli occhi sembrava alleviata.

- Rory, per fortuna sei ancora qui! – urlò, trafelato, Jason, piombando nell‘ufficio.

- Sara è in travaglio … - continuò il collega, con la voce rotta.

- Accidenti, Jason, non è un po’ in anticipo? – chiese, preoccupata.

- Molto in anticipo, direi … - precisò lui, stravolto. - Ho bisogno che tu recensisca questo per me, per favore … - la implorò.

- Jason! – gli rispose seccata. - Se ne parli a Bob, capirà. – ribatté, nel tentativo di esimersi da quella ennesima seccatura che avrebbe allungato il tempo che la separava dalle sue agognate vacanze.

- Non capirà: l’articolo doveva essere pronto lunedì scorso. Ti prego, Rory! – supplicò, con ancora più enfasi.

- Ok, ok, uomo crudele! Fila in ospedale, prima che cambi idea … - lo rassicurò.

Non ne aveva voglia, la sua mente era già libera, nel locale di Luke con una fumante tazza di caffè in una mano ed un muffin nell’altra. Ma glielo doveva: Jason e Sara l’avevano fatta sentire, in una città sconosciuta, a casa fin subito, ed ora era il momento di ricambiare l’affetto e la disponibilità.

Jason, sollevato, le mandò un bacio con la mano.

- Corro! – urlò, già quasi all’ascensore e Rory prese il libro, lo mise in borsa, tra le mille cianfrusaglie, felice che almeno fosse piccolo.

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Capitolo 3
*** – Destiny ***


3 – Destiny

 

Erano le nove ormai, quando aprì la porta di casa. Non accese le luci: gli occhi le dolevano. Camminando verso la cucina, sfilò le scarpe, sbottonò la gonna e, senza alcuna cura, la lasciò cadere sul pavimento. Continuando a piedi nudi, raggiunse la cucina.

- Gelato, ci vuole un po’ di gelato. – mormorò, curiosando tra i ripiani del frigo. - Se solo avessi anche un cono … il cono è il massimo. Invece il gelato mangiato col cucchiaino … - sorrise e continuò, recitando una specie di copione: – La gente è stupida! –  

Si lasciò cadere sul divano, accese l’abat-jour, ma solo perché le avrebbe permesso di leggere, e recuperò il libro dalla borsa.

Era piccolo, tascabile, il suo tipo preferito. Sulla copertina, in bianco e nero, la foto di un parco in inverno di una città qualunque.

Il titolo, “Nove vite”, campeggiava sulla copertina, con lettere in rilievo.

Nove vite”, di Jess Mariano.

Rory saltò a sedere sul divano, il respirò si fece leggero come un soffio e le labbra si aprirono ad un sottile sorriso.

Quanto è strano il destino, impasta, sapiente, gli ingredienti delle nostre vite per una ricetta che nessun altro avrebbe pensato: Jason e Sara, le doglie ed il parto, la recensione ed il libro, Rory e Jess.

Le pagine scorsero veloci, così veloci da pensare che una folata di vento le avesse sfogliate per arrivare subito alla fine. Così veloci, che Rory fu quasi dispiaciuta di essere arrivata all’ultima parola.

Ciascuna era stata letta ascoltando la voce di lui, inquieta, vibrante e tenera e ciascuna pagina era stata toccata dalle proprie mani come lui  aveva toccato lei, non sul corpo, ma nell’anima e quelle storie raccontate, Rory le aveva guardate con gli occhi nocciola che vedevano in lei ciò che nessuno aveva saputo guardare.

 

 

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Capitolo 4
*** - Have you a merry little Christmas … ***


4 - Have you a merry little Christmas …

 

Quella notte, Rory non aveva dormito molto. La stanchezza della sera, dopo una giornata pressante ed intensa, si era nascosta dentro le pagine di Jess, sbiadita dall’emozione di leggere quelle parole, che avevano il sapore di una dichiarazione, non d’amore certo, ma di gratitudine, di resa incondizionata all’importanza che lei aveva avuto nella vita di quel ragazzo triste, che però sapeva sorriderle.

L’aveva lasciata a diciassette anni, senza una parola, le aveva fatto pensare di essere stata un interludio tra due pezzi di vita troppo complicati per la sua età e lei lo aveva odiato per le lacrime e l’ impotenza che quel gesto le aveva portato. Ma il tempo,  guaritore esperto, l’aveva curata e la dichiarazione d’ amore, un anno dopo la fuga in California, e quel “ Vieni con me”, in una Yale desolata e silenziosa, le avevano rivelato le risposte ai mesi di pensieri aggrovigliati intorno al ricordo di lui ed alla sua sparizione. Per non parlare della visita ad Hartford, quando con poche parole e occhi intensi e rivelatori, le aveva messo davanti la sua vita, attimo per attimo, progetto dopo progetto, sogno dopo sogno. Quella vita, quei progetti che gli aveva confidato, in quella sera in cui avrebbero dovuto “solo studiare”, ed invece si erano persi l’ uno nell’ altra, in attesa che il destino, al posto loro, mettesse fine a quello smarrimento.

Il pullman per Stars Hollow sarebbe partito dopo poche ore e Rory non aveva ancora fatto i bagagli. La valigia, aperta sul letto, richiedeva la sua attenzione e gli abiti sparsi un po’ ovunque, imploravano ordine e riparo. Ma la sua mente si torceva, come le mani, dibattuta sul chiamarlo o rimanere nell’ordine precostituito, fatto di una vita piena, quasi satura, di tutte le cose riposte al posto giusto.

Quasi senza accorgersene, prese il telefono e compose il numero di Philadelphia.

Il telefono squillò diverse volte e Rory ebbe il tempo di benedire il fatto che, dall’altro capo, nessuno rispondesse. Ma quando, quasi sollevata, stava per riagganciare, una voce mise a tacere i suoi pensieri.

- Pronto! - rispose qualcuno, distratto e intento in qualche altra faccenda.

- Hey … - disse lei, avendolo riconosciuto, nonostante il frastuono nella testa, che interferiva con la sua capacità di concentrazione.

Anche Jess l’aveva riconosciuta: una Gilmore si riconosce all’ istante!

- Rory … – chiese con tono  a metà  tra l’incerto ed il sorpreso.

- Ciao, Jess … - rispose, mentre la parte razionale della sua mente, cercava, invano, di suggerirle parole chiare e sensate.

- Che sorpresa! – intervenne il ragazzo, sospendendo, involontariamente, quel groviglio di pensieri che la mandavano in confusione. - Come stai? – continuò, mentre l’incertezza cedeva il posto all’agitazione che gli procurava la sua voce.

- Bene, bene. E … tu? – ribatté lei, mordendosi la lingua per la piega banale che la conversazione stava prendendo.

- A meraviglia! – le rispose, sorridendo, come i bambini davanti alla cioccolata.

- Ti ho chiamato … Ecco io volevo … - ma le parole si erano nascoste, proprio quando aveva più bisogno della sua inarrestabile capacità di parlare a macchinetta. - Ho letto il tuo libro! – continuò tutto di un fiato, quando ebbe dato un senso logico alla successione di parole che erano schizzate da un capo all’altro della sua testa.

- Sono lusingato, ho conquistato almeno un lettore … E cosa ne pensi? – chiese, tentando di mascherare il tono un po’ incerto.

- Come giornalista o come Rory Gilmore? – replicò, mentre la tensione cominciava a diminuire.

- Voglio il parere di entrambe … -

- Beh, come giornalista, trovi una mia recensione sul Times di stamattina … -

- Non ci sono tue recensioni, ne ho una copia proprio davanti! – la bloccò bruscamente.

- Non è educato leggere il giornale mentre parli con qualcuno! – lo bacchettò.

- La maleducazione fa parte del mio fascino, lo sai … - rispose sarcastico.

- Sì, mi pare di ricordare … - replicò vaga  - … ma non compiacertene troppo! La mia recensione è firmata Jason Fisher … - tentò di spiegare.

- Il mio libro è così brutto che devi usare uno pseudonimo anche solo per recensirlo?

– la interruppe, provocandola.

- Stupido! – sorrise – L’ho scritta per conto di un collega, gli dovevo un favore.

- Ah, sono confortato … e come Rory Gilmore, invece? – continuò, sfogliando velocemente il quotidiano in cerca della pagina giusta.

- Come Rory Gilmore … beh, ecco io … - si fermò in cerca delle parole adatte.

- E’ bellissimo, Jess! – gli rivelò. - E’ intenso, appassionato, un po’ triste forse, ma a volte è una finestra sulla luce … E poi la dedica … - continuò senza riuscire a nascondere l’emozione.

Jess smise di respirare e capì: non l’aveva scritta quella dedica solo perché era la verità, come aveva ripetuto, soprattutto a stesso, mille volte.

Quella era una richiesta implicita, un richiamo, come quello che usano le balene per trovarsi attraverso le distanze oceaniche.

- Grazie … - aggiunse Rory, tormentandosi il labbro inferiore con le dita affusolate.

“Ecolocalizzazione”, pensò Jess e sorrise, distendendosi sullo schienale della sedia.

- Devo lasciarti, adesso! – gli comunicò, un po’ sconcertata dal silenzio del ragazzo.

- Il pullman per Stars Hollow parte tra un po’ ed il mio armadio sembra esploso … -scherzò.

- Passi il Natale a casa? – chiese, con voce morbida.

- Già … - rispose, sedendo sul letto ancora sfatto.

- Già … - le fece eco Jess, con un sospiro. – Buon Natale, Rory! – le augurò ed uno strano senso di pace improvvisamente si diffuse nella mente.

- Buon Natale, anche a te! – replicò, mentre un sorriso tenero le allargava le labbra sottili ed il cuore riprendeva il posto nel petto, che sembrava aver abbandonato per un tempo infinito.

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Capitolo 5
*** – The gift ***


Salve a tutti!

Eccoci giunti al  V capitolo. Prima di lasciarvi alla lettura, volevo ringraziare coloro che hanno inserito questa storia tra le seguite, ricordate, preferite e coloro che l’hanno semplicemente letta.

Un grazie speciale a coloro che l’ hanno anche recensita, le vostre parole sono la spinta a continuare. Grazie infinite e a presto!

 

 

5 – The ghift

 

 

Le ore erano passate lente, la telefonata di Rory lo aveva spiazzato, la recensione aveva messo tutto il resto in secondo piano, rendendolo insignificante.

Non poteva negare a se stesso che a Rory aveva pensato in quei due anni, dopo l’ultimo incontro, né poteva fingere di non averla ritratta nelle protagoniste del suo libro: era la persona più importante della sua esistenza, gli aveva regalato, in un certo senso, una vita nuova, non avrebbe mai potuto dimenticarla, né metterla da parte.

Ma la sua mente forte, allenata a fare a meno, da sempre, di ciò che non poteva avere, non gli avrebbe più permesso di andare a fondo in quel sentimento, ormai sterile. Come un tuffatore esperto, che si immerge senza maschera o bombole, Jess sapeva la profondità a cui poteva scendere con i pensieri, e l’istinto di sopravvivenza di quell’animale, che gli aveva permesso di superare il vento contrario e che ancora gli faceva addentare la vita con forza ed indipendenza, avrebbe fatto il resto.

Eppure la recensione, le parole che Rory aveva scelto, erano una specie di solletico per la sua mente: erano le stesse che avrebbe scelto lui per raccontare il proprio libro. Valevano, valevano più del consenso del pubblico, più del commento entusiasta del più accreditato critico.

Valevano perché valeva lei …

- L‘ hai letta, amico? – Matthew, uno dei suoi soci, irruppe nella stanza, sventolando una copia del Times. - La recensione … - incalzò e, vedendo Jess completamente assorto nei propri pensieri, prese a leggerla, con enfasi, come se stesse declamando una poesia :

 

Nove Vite”  è l’ultima fatica di Jess Mariano.

Il romanzo è una raccolta di vite diverse, di uomini e donne diversi, che vivono in mondi diversi, accomunati però da un elemento forte e determinante per ciascuno: l’amore.

Ognuno dei protagonisti affronterà questo sentimento come la propria indole, la propria educazione e la propria anima riescono a fare.

Qualcuno fuggirà, sperando di non esserne travolto, qualche altro lo nasconderà, come un segreto, perché il mondo cinico non possa sciuparlo, e qualche altro ancora, lo affronterà con coraggio, come un soldato solitario, pronto a tutto, pure a farsi male.

Ma tutti, alla fine della propria storia, lo accetteranno e si completeranno attraverso esso.

L’amore, come filo conduttore del romanzo, è per Jess Mariano, fatica, lotta costante con se stessi e con il mondo, è sublimazione dell’anima, è catarsi e ricostruzione della propria esistenza, senza tregua, né limiti.

“Nove Vite”, è un romanzo vibrante, che tende le corde più intime,sfiorandole solamente.

E’ una promessa per chi legge, è la rassicurazione che la vera conoscenza di noi stessi avviene solo attraverso i sentimenti più puri, solo attraverso l’amore.”

 

- Secondo me, dovresti mandare un cesto di frutta a questo … Jason Fisher. – suggerì, leggendo il nome del giornalista.

- … O un regalo di Natale! – lo corresse Jess, che aveva ripreso lucidità.

Il ragazzo saltò dalla sedia, raccogliendo alla rinfusa chiavi dell’ auto e cellulare e strappando la pagina del quotidiano, che aveva tormentato con  le mani e gli occhi dalla telefonata di Rory.

- Cosa? - chiese il socio interdetto. - Ma Jess, dove corri? – cercò di fermarlo.

- Ci vediamo, Matthew … - fu la sola risposta che ottenne, mentre si chiudeva alle spalle la porta a vetri della libreria.

Stars Hollow era come l’ aveva lasciata.   

Sembrava una cartolina di un altro mondo: la neve accecante, raccolta ai bordi       delle strade lucide, il silenzio composto, rotto solo dai gridolini dei bimbi, che si lanciavano palle di neve intorno allo storico gazebo, i canti natalizi del solito menestrello.

In casa di Lorelai, la sensazione era la stessa: confortante, immota, il rifugio sicuro quando i caos della vita fa girare anche la testa e non solo il resto del mondo.

- E adesso, apriamo i regali! – annunciò Lorelai, facendo concorrenza ai figli di Sookie, che saltarono come grilli dal divano, per poi trasformarsi in cavallette e avventarsi sui pacchetti.

- Ehi, ehi, uno alla volta … - tentò di trattenerli Luke, ma ormai la situazione gli era sfuggita di mano.

- E questo, cos’ è? – chiese Dave, il primogenito, brandendo un pacco espresso.

- E’ per Rory, è arrivato oggi! – rispose Lorelai, consegnandolo alla figlia. - Sarà dei nonni … - ipotizzò, curiosa come la più curiosa delle donne. - Avranno trovato qualcosa di speciale per te a Parigi! – terminò, cercando, con la coda dell’ occhio, di sbirciare.

Rory scartò il pacco, all’interno una scatola di velluto bianco faceva bella mostra di sé. Solo un nastro di seta scarlatto la chiudeva con un ricco fiocco, rendendola preziosa e semplice insieme. L’aspetto era attraente e misterioso. Rory l’aprì: custodiva un manoscritto, le cui pagine erano consumate, sgualcite, usate mille e mille volte. In  ogni angolo libero, c’erano scritte, a penna, piccole note, correzioni, ripensamenti, titoli di canzoni e qualche maledizione all’ispirazione che, talvolta, si faceva attendere.

Era il libro di Jess, la sua ultima stesura, prima che andasse in stampa.

Sembrava ancora più bello e ricco, più intimo. Aveva il profumo di Jess, delle sue mani, che avevano tormentato quelle pagine alla ricerca delle parole giuste, l’ odore delle sigarette fumate, cercando la concentrazione, persino il colore delle birre che aveva bevuto mentre le faceva nascere.

Leggendo il libro, il giorno prima, lo aveva immaginato, seduto ad una scrivania, di notte, mentre il resto del mondo dormiva. Ma osservando quelle pagine primitive, confuse, le pareva di vedere molto di più: il tormento, la frustrazione, qualche lacrima di rabbia e dentro, più dentro, la sua anima confusa, ribelle, sola e poi forse, un po’ di se stessa, persa tra pensieri puliti e desideri naufragati e perduti.

Non era un oggetto quel libro, era la parte più pura di quel ragazzo, erano tutte le risposte e mille altre domande che attendevano.

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Capitolo 6
*** – It’s good to see you again … ***


Ben trovati!

Come sempre ringrazio coloro che dedicano il proprio tempo alla lettura della mia storia, il vostro interesse mi lusinga.

Un grazie speciale a chi recensisce. Continuate , è un vero piacere sapere cosa pensate!

Buona lettura e a presto!

 

 

6  – It’s good to see you again …

 

La giornata era trascorsa lenta, rallegrata dalle urla festose dei bambini con i loro giocattoli nuovi e scintillanti: trenini velocissimi e bambole vestite da principesse. I dolci ed il ponch di Soockie, il caffè di Luke scorso a litri, li avevano riempiti di quella serenità che solo la famiglia può dare e Rory si era sentita di nuovo bambina.

Ma dentro di lei c’era dell’altro, uno strano tormento, una voglia inspiegabile di fuggire, di respirare, un fuoco che non la bruciava da tempo.

Ed era tutta colpa di Jess, un’ altra volta colpa di Jess.

Si sentiva cadere, ed era stanca di controllare il desiderio, di aggrapparsi per rimanere lucida. La sola volta che si era permessa di perdersi era stata felice e, nonostante tutto fosse durato il tempo esatto di raggiungere il suolo, ne era valsa la pena. E valeva ancora la pena.

“Vale sempre la pena”, si incoraggiò e a nulla valsero le prediche di quella parte di sé, saggia e contenuta, che, per una vita intera, l’ aveva spinta verso la decisione più razionale, verso ciò che, dopo una attenta lista di pro e di contro, sembrava la cosa più giusta da fare.

- Mamma, devo tornare a New York … - le confidò, senza remore o tentennamenti.

- No, Rory … hai ancora un paio di giorni di ferie. – la supplicò Lorelai, che non voleva lasciarla andare.

- Lo so, ma devo sostituire un collega! – mentì.

- Ma il Capodanno, tesoro … - cercò di dissuaderla.

- Cosa vuoi farci, mamma, le notizie non vanno mai in vacanza … - si giustificò, mentre riempiva la valigia con ancora meno cura di quanto avesse fatto prima di partire per Stars Hollow. - Chiederò al mio capo di recuperare i giorni persi e staremo insieme ... – le promise, sorridendole.

Lorelai sospirò, stringendo la figlia in un abbraccio: quella era la vita che aveva scelto e Rory non era più la sua bambina, anche se la lontananza la feriva e ogni volta che dovevano separarsi, sentiva strapparsi il cuore in due.

- Mi chiamerai, tesoro? – quasi la implorò, trattenendo le lacrime.

- Certo che lo farò, mamma … lo farò, stanne certa. – la rassicurò con dolcezza.

Non avrebbe voluto mentire, lo detestava, ma quella sensazione strana era solo sua e la doveva affrontare, da sola e con Jess.

Lasciò Stars Hollow, mentre una leggera neve, con fiocchi radi e puri, ricopriva silenziosa anime e cose.

 

§§§§§§§§

 

Giunse alla libreria trafelata, come se avesse corso lungo tutto il tragitto, come se l’ avesse percorso a piedi invece che in taxi. Il ritmo irregolare del respiro e le frenetiche pulsazione del cuore, la facevano sentire strana, impreparata ad affrontare Jess, nonostante il desiderio e la necessità senza briglie, l’ avessero quasi costretta ad andare da lui.

Non lo vedeva da quell’ ultima dolorosa, volta, in quella stessa libreria ed in tutto quel tempo che era passato, mille volte si era fermata a chiedersi come si sarebbe sentita nel trovarselo davanti, come l’ avrebbero guardata i suoi occhi, che ricordava tristi, delusi e persi.

Sapeva di averlo ferito con quel bacio, che pure aveva voluto e assaporato come zucchero filato al luna park, dopo che per mesi, a causa di Logan, le proprie labbra avevano baciato solo il sale delle lacrime. Si era sentita così intimamente coinvolta dalla voce, dalle parole, dallo sguardo complice, da riscoprirsi completata nell’ anima, nonostante il fiume di incomprensioni che si era messo di mezzo; così vicina, che come anni prima al matrimonio di Sookie, istintivamente l’ aveva baciato, mentre il suo cuore era ancora ufficialmente di un altro. Si era sentita , come sempre con lui, al sicuro, mentre tutto il resto, il mondo, gli altri perdevano peso e consistenza.

E quel tocco veloce di lui sul ginocchio, le braccia strette al petto, come unico freno a stringerla, ed al tempo stesso il viso proteso ed il respiro a lambirle le labbra, le avevano rivelato che anche Jess era lì, anima e corpo, esattamente come lei.

Poi quella stilla pericolosa di razionalità, che le aveva inondato la mente, aveva preso le redini, l’ aveva richiamata alla logica e lei obbediente e matura, l’ aveva seguita, ferendolo, divincolandosi, raccontandogli l’ amore per un altro.

Eppure era lì, di nuovo, quel libro l’ aveva trascinata lì, l’ aveva fatta dondolare ancora tra buon senso e puro istinto, senza sapere cosa aspettarsi né da sé stessa, né da lui.

Si annunciò ad un ragazzetto tutto infervorato nel districarsi tra decine di copie di romanzi eccellenti, che sistemava sugli scaffali, soppesandoli, ammirandoli con piccoli sorrisi soddisfatti. Si rivide ragazzina, nella libreria di Andrew, con la stessa curiosità infantile e la stessa fame di parole e di pagine tinte di inchiostro, mentre impegnava l’ attesa curiosando nella sezione dedicata alle nuove pubblicazioni.

- Questo è perfetto … - le suggerì una voce alle sue spalle, mentre abili dita sfilavano dalla mensola un volume piccolo dalla copertina bianca.

Lo riconobbe subito e con un sorriso, si voltò verso il suo interlocutore.

- L’ho già letto, tutto di un fiato, me lo ha regalato lo stesso autore per Natale! – dichiarò, trovandosi davanti gli occhi nocciola più profondi che avesse mai visto.

- Magari con tante note a margine scritte apposta per te? – le chiese Jess, compiaciuto e sorpreso di vederla.

- Come mai sei qui? – continuò, anche se la risposta non importava. - Un articolo da scrivere, un politico da intervistare? – insistette, anche se ciò che voleva era soltanto guardare la sua bocca muoversi e la sua voce prendersi gioco delle sue facoltà mentali.

- Volevo solo incontrare il mio scrittore preferito, dopo Hemingway, naturalmente. – scherzò cercando di tenere a bada cuore e respiro. 

- Wow, io ed Ernest, tra i tuoi scrittori preferiti! Questo sì che è un complimento. Sai che lo venero … - l’assecondò, ripensando a pomeriggi e serate passate a convincerla della grandezza del suo mito letterario.

- Certi difetti non muoiono mai … - gli rispose di rimando.

- Non è un difetto il mio, è piuttosto un amore. Sai, anche certi amori non muoiono mai … - la corresse e si maledì per il velato riferimento ai propri sentimenti.

Si guardarono per pochi istanti o per una frazione di eternità.

Ne era passato di tempo da quando si guardavano così. Quel tempo si era portato via tante cose: paure ed incomprensioni, lacrime ed illusioni, sorrisi e rabbia, speranze e delusioni, ma non quella voglia, la voglia di guardarsi così.

- Allora signorina, che ne dice di un buon caffè, per cominciare? – propose, interrompendo, per un secondo, un flusso di emozioni contrastanti. - Una Gilmore non dice mai di no ad un caffè … - continuò, pensando alle quantità industriali che lei e la madre consumavano ed alle tazze grandi, piene e fumanti che aveva riempito per loro quando lavorava da Luke.

- Oh sì, ti prego! – lo supplicò con quegli occhioni da bambola. - Vengo direttamente dall’ aeroporto e non ne bevo da quando mi sono imbarcata. Sono stata tentata di fermarmi in ogni caffetteria che incontravo per strada, ma ho rinunciato o non sarei più arrivata. – rispose con tono supplichevole.

- Quindi vengo prima del caffè e dopo Hemingway … Sono un uomo fortunato! – la provocò.

- E no, mio caro. – ribatté lei, assecondandolo. – Nessuno viene prima del caffè, neanche mia madre, se l’astinenza è troppo prolungata … - dichiarò decisa.

- Per questa rivelazione sei nelle mie mani! – la minacciò e immaginò la reazione di Lorelai ad una simile affermazione della sua “bambina”.

- Ho bisogno solo di qualche minuto per sistemare un paio di cose e … -

- … e poi il caffè! – lo interruppe sorridendo.

Jess si allontanò alla ricerca di Matthew, con le mani nelle tasche, per nascondere la tensione che le faceva muovere nervosamente.

- Devo andare! – comunicò risoluto all’amico.

- Jess … non esiste! – gli rispose il ragazzo – Sai che non so trattare con certe persone. Mi avevi assicurato … -

- Devo andare! – lo interruppe ancora più deciso, come se neanche avesse ascoltato le lamentele di Matthew. - C’è Rory … - gli spiegò, come se la presenza di lei bastasse a giustificare qualunque defezione.

Matthew rimase perplesso per una manciata di secondi, poi ricordò: era a quella ragazza che aveva dedicato il libro, a lei doveva la rivincita di una vita. Alzò le mani in segno di resa e Jess lo ringraziò con un cenno del capo, anche per la discrezione. Aveva sempre apprezzato il tacito accordo di non valicare ciascuno i confini della vita privata dell’ altro: Jess detestava certe invasioni e detestava ancora di più, chi con la maschera dell’amicizia, li oltrepassava.

 

P.S.  Angie, anche se ultimamente sei latitante, il titolo di questo capitolo è tutto per te! Vediamo se te ne ricordi …

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Capitolo 7
*** – Memories and dreams ***


7 – Memories and dreams

 

 

Il posto in cui Jess l’aveva portata era carino, intimo. Sembrava uno di quei bistrot francesi degli anni venti, con sedie e tavoli in ghisa e grandi vetrate molate dalle quali si intravedeva una città in fermento.

Le ore passarono come i minuti, a raccontarsi di tutto il tempo in cui le loro vite non si erano toccate.

Jess le parlò della California, del disperato bisogno di fare dell’ uomo che l’ aveva generato un padre; del profumo pungente dell’oceano di notte, del colore del cielo sulle spiagge di Venice. Le raccontò del ritorno a New York, del tentativo di ricucire il rapporto con sua madre, “guarita” dopo il matrimonio con T.J. ; della partenza per Philadelphia con una sacca verde, piena di fogli e di speranze, e dell’incontro con i ragazzi della casa editrice.

Rory gli confidò gli anni difficili a Yale, i suoi colpi di testa, la pace con Lorelai, la laurea e la campagna per Obama. Ed ancora le difficoltà di tenere testa ad un mondo che le metteva continuamente lo sgambetto, ma al quale non avrebbe mai rinunciato. E poi, parlarono di Stars Hollow, di Taylor e miss Patty e di tutte quelle cose che a Jess davano ancora l’orticaria.

- Mi è piaciuta … La tua recensione al mio libro. – le confessò, mentre riavvolgeva il nastro dei ricordi, sparpagliati nella testa.

- Non è la “mia“ recensione, è di Jason … - ammiccò.

- Allora dovresti presentarmelo, il “tuo collega”. Ha usato le stesse parole che avrei scelto io … - continuò, con un leggero sorriso, che gli distendeva i tratti del viso e rendeva gli occhi ancora più scuri e caldi.

- Avrete qualcosa in comune … - ipotizzò la ragazza.

-“Affinità Elettive” … – precisò Jess, appoggiando entrambi i gomiti sul tavolino per avvicinarsi più che poteva.

- Credi? – tentennò.

- Ne sono certo! – affermò con convinzione contagiosa.

La prima volta che l’aveva vista, quella sera a casa di Lorelai, lontano da tutto il mondo che conosceva e che quindi sapeva gestire, dentro quella stanza colma di libri, aveva intuito che qualcosa li legava, come fosse stato un odore che un animale selvatico distingue netto rispetto agli altri. Avvinto da quell’ istinto, le aveva rubato il libro, sicuro di aver trovato “l’altro” con cui condividere il suo amore per le parole di inchiostro.

Era cresciuto in un mondo in cui essere “fighi”, rispettati e temuti faceva la differenza per sopravvivere; un mondo in cui marinare la scuola, fumare, bere o rubare, per passatempo o per necessità, faceva di un ragazzo un duro e Jess l’ aveva imparato presto e a sue spese.

Poi qualche sera dopo, il successivo incontro per strada gli aveva rivelato che c’ era dell’altro dentro di lui per quella ragazzina di provincia. Un semplice gioco di prestigio per far scomparire insieme ad una monetina, anche una strana inquietudine; un piccolo esame da parte di lei, in cerca, forse, delle stesse conferme e la magia si era compiuta.

- Oliver Twist. – le aveva risposto ed al sorriso soddisfatto di Rory, Jess aveva desiderato di nuovo di rifugiarsi su di una panchina, non più per guardarsi le scarpe, ma per guardare lei.

- Quando riparti? – le chiese, guardandola così da vicino da poter scrutare la trama fine della pelle, le ciglia sottili e chiare che si aprivano e chiudevano sugli occhi al ritmo del suo respiro.

 - Domani, ho il volo alle 17:45. - si affrettò a rispondere, mentre addentava la seconda tortina alla crema.

- Perfetto, c’è un party di fine anno organizzato da alcune case editrici della città ed il mio socio mi ha precettato : “ Tutte cose che fanno bene al libro”, dice lui.

Ma la mia accompagnatrice mi ha dato buca all’ ultimo momento. Ti andrebbe di venire con me? – propose.

- Complimenti! – rispose la ragazza, fingendosi offesa. - Tu sì che sai come lusingare una donna. – continuò, mettendo un finto broncio.

- Ma io non volevo lusingarti! – rivelò, senza preoccuparsi di nascondere un sorriso compiaciuto.

Gli era sempre piaciuto punzecchiarla e poi godersi quell’ espressione da bimba.

- Non intendevo … che volessi lusingare proprio me … Volevo dire … Cioè non è questo il modo per chiedere un appuntamento … - cercò, maldestramente, di correggere il tiro.

- Quindi hai pensato che fosse un appuntamento? – incalzò, senza darle tregua.

- Non credevo fosse un … appuntamento … Intendevo solo … - continuò, cominciando a farneticare e finendo di compromettersi.

- Allora? – la interruppe, finalmente serio, puntando gli occhi dritti nei suoi.

- Accetto! – rispose, fingendo nonchalance. – Non si nega aiuto ad un uomo disperato … - continuò, cercando di affievolire l’ imbarazzo che lo sguardo di lui le procurava. - Dovrò tornare in albergo per cambiarmi, però. – disse, guardando i jeans e la camicetta blu che indossava.

- Beh certo, se venissi vestita così non mi faresti un gran favore! – insistette, guadagnandosi una linguaccia. - Ti accompagno e vado a cambiarmi anch’io. – rispose, alzandosi.

- Metterai lo smoking? – cercò di prendersi la sua rivincita Rory, conoscendo l’avversione di Jess per quel tipo di abbigliamento.

- Non sono James Bond, ma … - stette al gioco. – Ti bastano un paio d’ore per renderti presentabile? – la sfidò ancora, inarcando un sopracciglio.

Quel gioco gli piaceva da morire.

- E a te? – sbuffò lei di rimando.

 

§§§§§§§§

 

“Ti bastano un paio d’ore?”, le aveva chiesto sarcastico.

Due ore, due ore soltanto? E come possono bastare due ore ad una donna che non esce la sera , se non per lavoro da chissà quanto tempo?

Accidenti!”, pensò, mentre si affrettava a fare la doccia.

I capelli sarebbero stati il solito disastro, così decise di legarli sulla nuca con uno chignon. Si truccò leggermente: solo un velo di cipria e di lucidalabbra. In fondo bastava essere presentabile: - Tanto non è un appuntamento … -  mormorò tra sé.

Tirò fuori dalla valigia il suo bell’ abito da cocktail e benedì sua madre,  che le aveva insegnato, che, quando si parte, si porta sempre qualcosa di elegante, perché nella vita non si sa mai.

Era stretto e scendeva lungo i fianchi fino alle ginocchia, disegnando la sua figura esile. Il decolleté era piuttosto castigato, ma in compenso la scollatura sulla schiena era profonda e scopriva la pelle di porcellana.

Infilò le scarpe, dello stesso colore, e poi il cappotto lungo fino alle caviglie.

Mentre si dava un’ occhiata allo specchio, trovando almeno una dozzina di particolari che non la convincevano, il telefono squillò. Il receptionist l’avvertiva che il suo accompagnatore l’aspettava nell’atrio.

- Accidenti! - si ripeté afferrando al volo la pochette, Jess si stava proprio divertendo: non era mai stato puntuale ed aveva deciso di cambiare proprio quella sera!

Maledicendo l’ idea folle che l’ aveva portata a Philadelphia e, ancora di più, quella di aver accettato l’ invito, uscì dalla camera.

Quando le porte dell’ ascensore si aprirono, lo vide, seduto su di una poltroncina di pelle verde, intento a leggere.

Non l’aveva mai visto vestito così, completo scuro, camicia bianca e cravatta. I capelli erano più corti del solito, scompigliati come sempre, ma gli occhi rimanevano profondi e attenti osservatori. Il tempo lo aveva reso un uomo attraente e maturo permettendogli, però di conservare ancora quel fascino del cattivo ragazzo in guerra col mondo.

Jess si voltò e la vide mentre gli andava incontro: il cappotto non ancora chiuso, si apriva ad ogni passo, lasciando intravedere le gambe affusolate ed il colore cremisi del vestito. Il viso scoperto, delicato, era un trionfo di linee regolari che si intersecavano in una danza magica. Il colore della pelle, quasi diafana, prendeva vita sulle guancie rosa da bambina e nelle labbra di corallo e gli occhi di colomba trapassavano l’aria.

Quando furono l’ uno di fronte all’ altra, quel tanto che bastava a sentire il profumo della loro pelle, si sorrisero e Rory dimenticò le mille ragioni per cui non avrebbe dovuto essere lì.

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Capitolo 8
*** – I wish you an happy new year … ***


8 – I wish you an happy new year …

 

 

Il party era noioso, più noioso delle peggiori aspettative di Jess.

La sala era piena di tutti i tipi di persone che detestava: ricche signore annoiate, che si tenevano impegnate improvvisandosi mecenati di giovani artisti in cerca di gloria; uomini d’affari all’erta, per trovare il modo di fare ancora più soldi; belle signorine e altre categorie di cui Jess non conosceva la collocazione sociale.

Rory, al contrario, era a suo agio in quell’ambiente. Erano forse i geni di Emily, che si facevano valere o il tempo passato con quel figlio di papà, che doveva averla trascinata a chissà quanti eventi simili.

Provò una fitta penetrargli la schiena al pensiero di lei sottobraccio  a quell’idiota ed alla possibilità che avesse ancora un ruolo nella sua vita. Ebbe voglia di scappare per respirare un poco: il fastidio gli spezzava il fiato.

Matthew continuava a guardarlo, cercando di tenerlo fermo ancora un po’, in quell’ambiente a lui totalmente estraneo, e infliggendogli continue gomitate nei fianchi alla vista di questo o quel pezzo grosso dell’editoria.

Jess guardava Rory, a pochi metri da lui, parlare con Kat, la ragazza del socio, ed un giornalista del Philadelphia Daily News. Senza neanche accorgersene, le si avvicinò, mollando un tizio qualunque, che continuava a parlare, e l’amico che lo malediceva con gli occhi.

- Ve la rubo solo un attimo! – disse, con un tono che non aveva alcunché di educato.

- Andiamo via da qui? – chiese dolcemente, avvicinandosi all’orecchio di lei, per cercare il contatto che gli era disperatamente mancato negli ultimi minuti.

- Perché? – chiese Rory interdetta, in fondo quella serata era per lui.

- Manca poco alla mezzanotte. – le rispose, mantenendo il contatto. - Vuoi davvero che un nuovo anno cominci in questo posto, con questi odiosissimi sconosciuti? Andiamo via! – ripeté, infine e non era più una domanda.

Misero i cappotti e, senza salutare, uscirono dalla sala, salirono su di un taxi e Jess comunicò un indirizzo al conducente, poi si voltò verso la ragazza e cercò di trattenere, malamente, un sorriso, tormentandosi le labbra.

- Mi dici dove andiamo? – si decise a chiedergli incuriosita.

- No! – le rispose secco, volgendo lo sguardo fuori dal finestrino.

Qualche minuto dopo, il taxi si fermò in una strada della vecchia Philadelphia.

Jess, con un cenno del capo, le fece segno di scendere, pagò la corsa e la raggiunse dall’altro lato dell’auto. Rory continuava a fissarlo, con uno sguardo interrogativo, ma non chiese. Lo conosceva: quando Jess non voleva parlare diventava una sfinge.

La ragazza si guardò intorno: erano ai bordi di una piazza circolare, con al centro un grandioso albero, ornato di luci psichedeliche color del ghiaccio, sulla punta svettava una altrettanto grande sfera scintillante di mille lucine rosse.

Intorno, decine e decine di persone, col passare dei minuti, aumentavano e si muovevano ciascuno nella propria direzione, formando flussi morbidi, che sembravano banchi di pesci nelle correnti d’acqua.

Jess, vista la confusione, passò il braccio sinistro sulle spalle di Rory, attirandola a se per poterla guidare tra la folla, verso un punto indefinito, che invece di avvicinarsi, sembrava sempre più distante.

Quando furono più vicini alla base dell’albero, Jess allentò la stretta, facendo scivolare la mano lungo la schiena di lei, per farla poi passare intorno alla vita, stringendola ancora più di prima. Nonostante la schiena fosse coperta dal pesante cappotto, Rory sentì le dita di lui camminarle sul corpo e fermarsi all’improvviso sul suo ventre.

Era emozionata, stranamente travolta. Le voci, le risate divertite della gente intorno sembravano arrivare da lontano, come se loro due fossero i soli sotto quelle migliaia di luci. Mancavano pochi secondi alla mezzanotte e quando un coro festoso cominciò il conto alla rovescia, Jess portò il suo viso vicino a quello di Rory, la bocca vicina al suo orecchio e cominciò a contare.

- … Nove … otto … sette … - la sua voce era morbida e sussurrata, arrivava dritta all’anima e Rory sperò che non mollasse la presa, perché ad ogni numero che pronunciava, sentiva le gambe cedere.

- … Sei … cinque … quattro … - continuò, mentre voci confuse gridavano tutt’intorno e anche l’altro braccio la cingeva in una stretta così prepotente da spezzarle il fiato.

- … Tre … due … - contò e, lentamente, prima che l’ultimo secondo scoccasse, la baciò: un bacio sottile, sulla guancia sinistra, all’ angolo della bocca.

Fu delicato ed invadente allo stesso tempo, sottile, delicato ed invadente esattamente come la sua anima.

- Buon Anno, Rory! – le augurò e lei sentì che era davvero l’inizio di qualcosa: un tempo nuovo o semplicemente un trascurato pezzo di vita che, per anni, aveva premuto e spinto per rinascere.

- Buon Anno a te! – replicò senza muoversi, per non spezzare quella stretta e facendo passare le proprie mani su quelle di lui.

La folla era impazzita, tutti si stringevano e si auguravano le cose più belle del mondo. Qualcuno porse loro due bicchieri e qualcun’altro vi versò maldestramente dello spumante, rovesciandolo in parte sul poco asfalto rimasto vuoto dalla folla.

Si sorrisero e brindarono, guardandosi soltanto.

- E’ il mio miglior capodanno! - confessò la ragazza, mentre si facevano strada tra la folla. - Avevi ragione … – continuò felice.

- Io ho sempre ragione … - si pavoneggiò, mentre una voglia prepotente di baciarla, lo spingeva verso di lei. Si trattenne, meravigliato della sua stessa capacità di autocontrollo. - Casa mia è ad un paio di isolati, vieni ti offro il ”caffè della staffa”. – le propose e, senza neanche aspettare la risposta, continuò a camminare tenendola per mano.

Faceva freddo, qualche fiocco di neve veniva giù rado e quasi impercettibile, la strada cominciava a bagnarsi ed i rumori ad allontanarsi ad ogni metro.

Mentre il cielo notturno si apriva negli squarci luminosi dei fuochi pirotecnici di mille colori, i loro visi si accendevano e si spegnevano di una luce che veniva da dentro.

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Capitolo 9
*** – Home sweet home ***


Ben trovati!

Come sempre devo ringraziare tutti coloro che si fermano a leggere la mia storia.

Grazie a chi l’ ha inserita nelle seguite, ed un grazie speciale a chi recensisce!

Buona lettura e alla prossima …

 

 

9 – Home sweet home

 

- Ti piace? – domandò, vedendola scrutare attentamente la facciata del palazzo.

- Beh, da qui non è male … - confessò, mentre lo seguiva per la prima rampa di scale.

- E’ dell’inizio del secolo scorso, una vecchia fabbrica di sapone, credo. Fu dismessa dopo la seconda guerra mondiale, ristrutturata e divisa in appartamenti. Vivo qui da un paio d’anni, ormai. – spiegò, aprendole la porta.

La stanza in cui entrarono era grande, con enormi vetrate sul fondo. L’arredamento era essenziale: si appropriava della maggior parte dello spazio, un grande divano nero, un po’ austero, disposto davanti alla bocca di un camino di mattoni bianchi. Due tavolini servivano i lati del divano, uno più grande era sistemato davanti e due lampade illuminavano la zona con una luce quieta, che induceva alla riflessione.

E poi ovunque cd, ordinati per genere, e libri, disposti secondo un ordine caotico, sulle mensole, nelle librerie o adagiati sul pavimento, come torri sorrette da un equilibrio instabile.

Nel lato opposto al camino, un grande tavolo faceva da scrivania: sulla superficie erano sparsi fogli di appunti confusi, sui quali erano scritte frasi, pensieri catturati nei momenti di concentrazione e ancora libri e libri, come compagni fedeli.

Se qualcuno le avesse chiesto a chi potesse appartenere quella casa, Rory avrebbe detto Jess, senza incertezze.

C’era la sua impronta in ogni angolo, nelle pareti nude, come pagine bianche in attesa, nei cuscini colorati, come spruzzi dell’anima e nella luce suffusa, amica del silenzio.

Jess tolse la giacca ed il cappotto, abbandonandoli senza cura su di una sedia accanto alla porta. Poi preso dalle mani di Rory il suo, con lo stesso preciso, svogliato gesto, lo lasciò cadere accanto al proprio.

Con un cenno della mano, la invitò ad accomodarsi e, allentando il nodo della cravatta, che l’aveva torturato per l’intera serata, sparì nella piccola cucina in fondo alla stanza.

La ragazza si sedette nell’angolo del divano, immergendosi nei cuscini e continuando, curiosa, ad indagare in quel mondo ancora sconosciuto, eppure così familiare.

Jess arrivò dopo poco, con due grandi e fumanti tazze di caffè, straripanti di panna candida. Gliene porse una, poi si accomodò nell’angolo opposto, con le mani occupate dalla tazza e gli occhi occupati da lei.

Erano l’uno di fronte all’altra, nella perfetta prospettiva per scrutarsi a vicenda. Rory si scoprì conquistata, per l’ennesima volta da quel pomeriggio, dall’uomo che si trovava davanti: era così diverso dal ragazzo di diciassette anni arrivato a Stars Hollow, eppure le stesse passioni lo animavano, gli stessi occhi scuri aprivano spazi profondi ed incontaminati, la stessa rudezza mascherava la sua anima e poi una maturità ed una completezza di carattere, proprie di un uomo, la conquistavano.

Jess dal canto suo, si ritrovava davanti gli occhi blu che gli avevano fatto scoprire le profondità di cui non credeva capace l’animo umano; l’ingenuità che solo i bambini posseggono nei confronti del mondo, eppure la fermezza con cui, solo chi crede in sé stesso, affronta la vita. Di quegli occhi si era innamorato sette anni prima, ed ora, inerme, essi e tutto il resto intorno, lo incatenavano ancora, inesorabilmente.

Se fosse stato furbo, sarebbe scappato a gambe levate, avrebbe chiuso quella giornata in due perfette parentesi, magari se ne sarebbe ricordato in una pagina del suo libro successivo. Ma il tempo non l’aveva cambiato: Jess rimaneva lo stupido, miope, testardo che non si arrendeva, ancor più se l’impresa era un annunciato fallimento.

Rory tirò le ginocchia sul divano, sfilandosi, con la mano libera, entrambe le scarpe e massaggiandosi le caviglie.

- Sono stanca … - si lamentò. – Odio i tacchi! – confessò, arricciando il naso.

- Anch’io, quando li porti, mi sento uno degli gnomi di Babette! – sorrise, mentre la bocca spariva dietro la tazza e gli occhi rimanevano vigili su di lei. – Ti stanno bene, però! – continuò, serio ed intenso.

- Allora … - chiese all’improvviso, soffiando il vapore che saliva dal caffè. – Non mi hai detto se ti piace il mio appartamento. – si informò, per mettere a tacere la voglia che aveva di sentire la sua voce.

- E’ carino e ti assomiglia. – gli rivelò, – Anche se non vedo cumuli di abiti negli angoli della stanza o scatoloni traboccanti di cianfrusaglie … - sorrise, ripensando alle prime settimane di convivenza con lo zio.

- Ma io sono un tipo ordinato … - precisò. – Quello era solo un modo per ripagare Luke del materassino gonfiabile che spacciava per letto! – continuò serio.

- Povero Luke, ma se ti ha ceduto il suo di letto, per farti stare più comodo … ed il materassino è scoppiato mentre ci dormiva sopra! – lo riprese Rory, ridendo.

- Glielo avevo detto io che era troppo grosso per quel coso … - si giustificò, scrollando le spalle.

- Uomo crudele, scommetto che glielo hai detto perché sapevi che avrebbe fatto il contrario solo per contraddirti … - insinuò, ricordando i continui battibecchi e le battutine sarcastiche che si riservavano.

Jess sorrise: quelli erano stati i due anni più importanti della sua vita. Luke gliela aveva stravolta, rivoluzionandone le priorità, insegnandogli il rispetto, la gratitudine e l’amore e Jess, dal canto suo, gli aveva dato la possibilità di uscire dal suo guscio, dalla sua solitudine forzata. Ciascuno aveva dato all’altro quello che la vita, fino a quel momento, gli aveva negato, anche se nessuno dei due aveva voluto darlo a vedere.

- … E “quel ragazzo”? – chiese di punto in bianco, dirottando il discorso sull’argomento che gli stava a cuore da quando l’aveva rivista.

- Logan? – precisò Rory, completamente spiazzata dalla schiettezza con cui le aveva posto la domanda.

- Sì, lo ”lo stupido biondo di Yale, ossessionato dalla lunghezza”. – lo apostrofò come quella sera al pub.

- Vedo che ha fatto colpo! – ironizzò.

- Decisamente il mio tipo … - rispose sarcastico, sentendosi attorcigliare le budella al ricordo di quello scontro.

- Mi ha chiesto di sposarlo … - confessò, abbassando gli occhi.

Jess ebbe un sussulto, l’ultima volta che era stata a Philadelphia, gli aveva confessato di amarlo e mai si era sentito così smarrito e deluso. Ma l’idea che lui le avesse proposto di sposarlo, lo faceva sentire ancora più perso e senza alcuna possibilità di riaccendere quei sentimenti che, nonostante il tempo e la distanza, non si erano perduti.

- Ma ho rifiutato, volevo realizzare i miei progetti prima … - quasi si scusò, come se l’idea del suo matrimonio con Logan potesse ferirlo ancora o, peggio, potesse allontanarlo di nuovo.

- E pensare che immaginavo di trovare, prima o poi, un articolo, nella cronaca mondana, in cui tua nonna annunciava il matrimonio del secolo! – disse, sentendo il sangue riprendere fluido il suo circolo verso gli organi vitali.

- Uh, quindi tu leggi la cronaca mondana? – lo prese in giro.

- Di tanto in tanto … sì. Non si sa mai da dove può venire l’ispirazione! – cercò di cavarsi d’impaccio.

- L’ispirazione, eh? – lo incalzò, prendendosi la rivincita per tutte le volte che era riuscito a metterla in imbarazzo. – Non sarà che l’hai letta per essere sicuro che non stessi per sposarmi? – continuò, tenendolo sulla graticola.

- Hai provato il caffè aromatizzato al ginseng? E’ buono … - le rispose, sentendosi seriamente messo alle strette e volgendo lo sguardo in un punto qualunque della stanza in penombra.

- Sei in imbarazzo … - lo canzonò divertita.

Non le era capitato spesso di vederlo così sulle spine, Jess aveva sempre la destrezza di mascherare debolezze e sentimenti, riuscendo a non farsi stringere alle corde, cambiando completamente argomento.

- No! – si affrettò a rispondere. - … E sì, controllavo che nessuno ti mettesse la fede al dito! – continuò,  tornando, spavaldo, dentro gli occhi di Rory e riprendendo le redini, che per un attimo, gli erano sfuggite di mano.

- Forse dovrei chiamare un taxi, si è fatto tardi … - rispose Rory, interdetta.

- Rimani qui! – la sfidò, senza neanche pensare all’azzardo della proposta.

- Qui? – ripeté la ragazza, che ormai aveva perso completamente il controllo della situazione.

- Qui! – le fece il verso. – Ti cedo il mio letto e mi sistemo sul divano. -  continuò con naturalezza. - Ho dormito in posti peggiori … - le sorrise.

- Ma … io … Perché? – gli chiese, sperando che la motivazione di Jess fosse sufficientemente folle da dissuaderla.

- Perché no! – replicò secco, senza smettere di guardarla.

Era un giro sulle montagne russe. Come quando era bambina, con Lorelai, si faceva conquistare dall’inquietudine, prontamente mascherata della salita; dal finto pericolo della caduta e dal sollievo fisico della risalita; così in quell’istante sentì lo stomaco, dilatato, espanso, vuotarsi alla proposta di Jess.

Come qualche anno prima, la trepidazione davanti a quegli occhi, l’incognita delle sue frasi velate di finto distacco presero in ostaggio i suoi sentimenti e la sua razionalità.

Affacciarsi al precipizio era una follia, ma di fronte a lei c’era ancora Jess, l’unico che fosse riuscito a spingerla fino a quel punto. Non poteva che accettare, non poteva che lasciarsi andare, sicura che stavolta lui non l’avrebbe fatta cadere.

 

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Capitolo 10
*** – A new day in a new town. ***


10 – A new day, in a new town.

 

 

Jess si era svegliato relativamente presto quella mattina, considerata l’ora in cui era riuscito a prendere sonno.

Al contrario di ciò che aveva detto a Rory, il divano non era un posto comodo per dormire, per passarci qualche ora a leggere o ad ascoltare musica sì, ma non per dormire.

E poi sentiva uno strano formicolio per tutto il corpo, come se una corrente elettrica stesse attraversando le vene al posto del sangue, per tenere sempre acceso il cervello.

Si diresse in cucina, stropicciandosi gli occhi e passando davanti alla porta della stanza da letto, che Rory aveva lasciata aperta. Dormiva ancora, distesa di traverso, in  un letto, che anche in quella posizione, sembrava troppo grande per la sua figura esile. I capelli erano sparsi sul cuscino, alcune ciocche le incorniciavano il collo e la pelle immacolata si confondeva con le lenzuola bianche.

Jess, combattendo col desiderio di fermarsi in una muta contemplazione, la guardò solo per un istante: certi spettacoli non giovavano al suo autocontrollo …

Aveva bisogno di caffè, sperava servisse a svegliarlo da quel torpore del corpo, in contrasto con i pensieri, che, come migliaia di aghi, pungevano il cervello.

Mentre aspettava che fosse pronto, si appoggiò al davanzale della finestra che aveva aperto, prese il pacchetto di sigarette e ne accese una. Non fumava più come quando era ragazzo, ma ogni tanto, più il gesto che il fumo in sé, gli serviva: era una specie di tentazione a cui cedere, un modo per allentare la tensione, quello che per altri sarebbe stato un esercizio yoga o un bagno caldo.

La città era in pieno fermento, eppure il rumore del traffico veniva su ovattato, o forse, era lui troppo distratto per percepirlo. Il cielo era terso e la luce accecante, più per il riverbero dei tetti imbiancati, che per il sole tenue e sbiadito di gennaio.

Non riusciva a distogliere il pensiero dalla notte appena trascorsa, dalla festa in strada, dalla presenza di Rory in casa. Continuava a chiedersi perché fosse venuta. I propri sentimenti erano ancora gli stessi, nonostante il tempo che li aveva divisi, nonostante le incomprensioni ed il dolore che si erano procurati a vicenda. Ma Rory, perché era lì?

Lo stupido bamboccio, con in tasca i soldi di papà e sotto il sedere la Porshe, che ostentava come un conquista, era sparito. Ma questo non poteva bastare, non poteva giustificare Rory per aver lasciato sua madre, la vigilia di capodanno, né bastavano un po’ di nostalgia per un ragazzo, anche se era stato importante, e per i sentimenti che aveva raccontato ancora nelle pagine di un libro.

Rory non poteva essere lì solo per il gusto di vederlo, non dopo avergli fatto così male l’ultima volta. E allora perché?

La ragazza entrò in cucina ancora con gli occhi assonnati, la maglia di Jess che le faceva da vestito, e vide lui, appoggiato al davanzale, ed il suo respiro gelato, che si confondeva col fumo della sigaretta.

Le era sempre piaciuto il modo in cui la teneva: la stringeva alla base delle dita e, quando la portava alla bocca, il palmo della mano copriva quasi l’intera faccia, lasciando fuori solo gli occhi lucidi e leggermente socchiusi per il fumo.

Non che avesse fumato spesso davanti a lei: “il fumo e l’alcool, insieme ad altre cose che Nancy Regan avrebbe disapprovato”, gli erano state vietate da Luke in sua presenza e Jess, più che per far contento lo zio, l’aveva accettato, per lei.

Lo guardò ancora un po’, la maglietta che indossava era azzurra ed esaltava il colorito ambrato della pelle, le maniche erano corte e lasciavano scoperte le braccia conserte, gli occhi, assorti e brillanti, guardavano un punto qualunque di quel panorama che non aveva alcunché di attraente.

- Sei sveglia? - le chiese serio, tornando in sé.

- Non del tutto, direi … - farfugliò, stropicciandosi gli occhi come una bimba tirata giù dal letto.

- E’ stato il profumo del caffè a portarti qui? – continuò.

- Caffè? – si entusiasmò Rory. – Oh sì, dimmi che è pronto? – lo pregò.

- E’ pronto … Ne avevo bisogno anch’io, stamattina: per la prima volta ho capito cosa prova una Gilmore in crisi di astinenza! – scherzò. – Cosa ne dici di passare il resto della giornata in giro per Philadelphia? Ti porto in un paio di posti che non troveresti sulle guide turistiche … - le propose, mentre lei si scaldava le mani, cingendo la tazza che Jess le aveva riempito.

- Detto da te, sembra una minaccia! – lo provocò.

- Una gita turistica in una città sconosciuta? – chiese retorico, – Ti ricordo che una proposta del genere l’hai accettata qualche anno fa e, se non sbaglio, ti è anche piaciuta … - precisò.

- Già, ma allora ero giovane ed ingenua e, soprattutto, non credevo ancora che tu fossi un “cattivo ragazzo” … - continuò, ripensando al chiosco di hot- dog, al suo primo viaggio in metropolitana ed al negozio di dischi.

- E lo sono ancora! Ma tu sei una giornalista del Times adesso, e vuoi diventare una corrispondente di guerra, senza contare il tuo sguardo raggelante, un ex bullo di New York, non dovrebbe farti paura … - la sfidò.

- Non me ne hai mai fatta … - rispose, guardandolo con tenerezza.

- Non so se compiacermene o rimanerne deluso … - concluse, con un sorriso sornione. – Allora? Giuro che tornerai a casa senza ossa rotte! – le promise, mettendosi una mano sul petto per enfatizzare il giuramento.

- Mia madre te ne sarà grata! – disse, bevendo un altro sorso. – Accetto! Mariano, stupiscimi anche questa volta … – lo sfidò a sua volta, con tono allegro, immaginando ciò che l’aspettava.

Di tutte le città che aveva visitato, nessuna le era sembrata così attraente e sincera come la New York che aveva visto con Jess. Conoscendolo, le avrebbe fatto accarezzare una Philadelphia sconosciuta, che avrebbe portato nel cuore per anni.

 

§§§§§§§§

 

- E’ il tuo … - disse Jess, sentendo l’annuncio all’ altoparlante.

- Già … E’ stato bello, dovremmo rifarlo … - rispose la ragazza, senza alcun desiderio di andare.

Jess strinse la mascella nel tentativo di trattenere le mille domande che spingevano per uscire.

- Perché? – chiese, dopo un sospiro, quando capì che il suo tentativo era fallito.

- Perché è stato bello … - ripeté Rory, sperando che la risposta bastasse ad entrambi.

Jess abbassò gli occhi, cadendo nel ricordo di una domanda simile fatta, anni prima, alla stazione degli autobus. Quella volta, la risposta lo aveva riportato a casa, quella volta, gli occhi blu in cui si era perso, gli avevano rivelato ciò che sperava, senza che fossero necessarie le parole.

Ma questa volta, quegli stessi occhi non bastavano …

Puntò lo sguardo sulla mano sinistra di lei, che era scivolata libera lungo il fianco e, con un tocco leggero delle dita, cominciò a sfiorarne la pelle, dal dorso alle estremità affusolate.

Poi risalì contro corrente, a cercare l’incavo per entrare nel suo palmo e, con le dita prepotenti, si insinuò tra le sue, intrecciandole in un incastro già sperimentato.

- Perché? – insistette testardo, come era sempre stata testarda la sua volontà di arrivare alla foce.

Rory si sentì disarmata, senza via di scampo. Ma non era stata la domanda di Jess a metterla all’angolo, piuttosto i suoi stessi desideri.

- Perché non voglio più che tu esca dalla mia vita … – confessò più a sé stessa che al ragazzo, mentre anche i propri occhi cercavano il confine, ormai confuso, tra le proprie dita e quelle di lui.

Jess annuì: quella risposta sembrò una promessa, un appuntamento.

La voce metallica dall’altoparlante ripeté la chiamata del volo, il ragazzo allentò la stretta e Rory si sentì cadere, come se avesse perso  l’appiglio per rimanere in piedi.

- Devi andare … - sospirò Jess, mordendosi le labbra.

- Devo … - ripeté lei. - Mi chiamerai? – continuò in un sussurro, tirando su gli occhi per incontrare quelli di lui.

- Ti chiamerò! – la rassicurò, senza alcuna esitazione nella voce.

L’avrebbe fatto davvero, niente questa volta avrebbe potuto impedirglielo.

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Capitolo 11
*** – New York, New York … ***


~~Bentrovati!
Vi chiedo scusa per l’enorme ritardo con cui aggiorno questa storia. Purtroppo ho dei problemi con il pc, che mi hanno impedito di farlo prima.
Spero che la lunga attesa non vi abbia fatto perdere la voglia di continuare a leggere …
Questo capitolo è molto importante per la storia, è una specie di punto di svolta, un chiarimento necessario per entrambi e che servirà a superare alcuni degli ostacoli che Jess e Rory hanno sulla loro strada.
Gustatevelo tutto!
Come sempre ringrazio coloro che seguono e coloro che commentano, nonché quelli che passano di qui per dare solo una sbirciatina!
Vi lascio alla lettura e, spero di ricevere presto le vostre recensioni.

 


11 – New York, New York …
 

- Visto che sei qui, facciamo qualcosa … - propose Rory, mentre Jess con un cenno della mano fermava un taxi.
- Tipo? – si informò curioso.
- Non lo so, qualcosa di speciale ovviamente, qualcosa tipica di New York: un aperitivo o un concerto al Village … Non lo so … qualcosa. – spiegò entusiasta, sorridendo all’espressione divertita e curiosa del ragazzo che, sorridendo a sua volta, continuava a guardarla.
- Da quanto vivi qui, un anno buono? Possibile che tu sia rimasta la stessa provinciale con la gonna a pieghe della Chilton … - la canzonò.
- Hey … non sono più quella ragazzina: frequento Manhattan, uso la metropolitana e non do informazioni sbagliate ai passanti … - protestò, mentre tratteneva un sorriso.
Jess scosse la testa al pensiero di quella giornata lontanissima e si entusiasmò nel constatare che, nonostante tutti gli anni passati, fossero di nuovo lì, insieme.
- Ok, “Mister New York”, come ci si diverte in questa città? – si arrese: Jess vi aveva vissuto gran parte della sua vita, la conosceva come le sue tasche, era stata la sua casa, forse, attraverso quella città, le avrebbe mostrato la parte di sé che aveva sempre taciuto.
- L’hai voluto tu … - la minacciò, inarcando il sopracciglio e salendo in taxi.
Era piombato a New York all’improvviso, annunciandole il suo arrivo solo prima di imbarcarsi. Non aveva fatto altro che pensare a lei e così, senza neanche riflettere, si era fatto prendere dalla frenesia di vederla, dal desiderio di sapere che per lei fosse lo stesso. Le telefonate di quei giorni, dopo Capodanno, non bastavano più, starle vicino sembrava l’unica soluzione …

§§§§§§§§

- Oh andiamo, Rory, lo sai anche tu che “Il Giovane Holden”, è un'opera sopravvalutata! – le spiegò, tenendo tra le mani il cibo indiano che detestava.
- Sopravvalutata? – si sorprese, frugando nella borsa, alla ricerca delle chiavi di casa. – Ma se è stato il romanzo più letto degli anni sessanta, influenzando la letteratura di un intera generazione … - replicò.
- Un “romanzo di formazione”, appunto … E’ “Nove Racconti” il capolavoro di Salinger! – decretò. - Sono storie brevi, intelligenti, sofisticate, scritte con un linguaggio originale, eppure vicino a quello parlato, sono un modello di scrittura. – si infervorò.
- Se la metti così, Salinger supera di gran lunga Hemingway, come autore di storie brevi … - lo provocò, esultando per aver recuperato, finalmente, ciò che cercava.
Jess la guardò in cagnesco: – Nessuno scrive meglio di Ernest … - la freddò.
– Possibile che neanche al college te lo abbiano insegnato? – continuò retorico.
- Nessuno potrà convincermene, né il professor Brown del corso di letteratura americana a Yale, né Jess Mariano, scrittore in erba, nonché “Presidente dell’ Ernest Hemingway Fan Club”! – fu la sua risposta definitiva.
- Sono deluso … - piagnucolò, arricciando le labbra, mentre la ragazza lo invitava ad entrare.
La casa di Rory era esattamente come lei: piccola, calda, accogliente e piena.
Le pareti erano tinte di un delicato verde anilina, quieto ed energizzante insieme, e coperte da diversi acquerelli delle città europee che aveva visitato. Sulla parete adiacente alla porta d’ingresso, ne campeggiava uno enorme che rappresentava una spettacolare veduta della Tour Eiffel, raffigurata dal basso, come se l’autore l’avesse dipinto disteso e, sotto di esso, un piccolo divano di tela verde scuro.
La parete opposta, invece, era occupata da un piccolo camino in ghisa, abbracciato da due morbide librerie bianche. Sui ripiani, tutti i libri della vita di Rory, da quelli di fiabe, che Lorelai le leggeva da bambina, a quelli usati alla Chilton e per gli studi a Yale, passando per quelli che aveva comprato negli anni, nelle grandi librerie di città o nei mercatini di beneficenza a Stars Hollow. Alcuni erano vecchi e scoloriti, altri con le copertine di pelle ed i titoli in ricche lettere in oro, doni del nonno, ed altri ancora piccoli e tascabili, americani e stranieri, in lingua originale, comprati durante i viaggi, o sapientemente tradotti.
Nei pochi spazi liberi, ninnoli di ogni genere: paperette e maialini di terracotta dipinta: “l’unico contatto che la sua bimba avrebbe avuto con una fattoria”, come diceva Lorelai; fatine dalle ali impalpabili e luccicanti ed un paio di immancabili unicorni di porcellana per celebrare i dodici negozi di Stars Hollow che li vendevano.
Cuscini coloratissimi occupavano il divano, davanti al quale era disposto un tavolino da caffè, su cui giacevano, disordinatamente, copie del Times, qualche volantino dei take-away  più vicini, due ranocchiette di vetro che si baciavano ed una foto custodita in una cornice di gesso, liscia e delicata. Ritraeva le due ragazze Gilmore, sorridenti e bellissime, il giorno della laurea di Rory.
- Poggia pure tutto lì … - gli disse, indicandoglielo. – Vado a cambiarmi. – aggiunse, sparendo dietro la porta di quella che doveva essere la stanza da letto.
Tornò dopo qualche minuto, con un’ improbabile maglietta che raffigurava un topolino, mentre beveva da un’ enorme tazza di caffè, i piedi nudi ed i capelli sommariamente legati in una coda.
- Carina! – esclamò Jess, mentre cercava un po’ di spazio in quel caos per appoggiarvi i contenitori del take–away.
- Sì, è carina! – ripeté Rory, annuendo e guardandosi intorno, orgogliosa della propria casa.
- Parlavo di te … - la corresse Jess, con un ghigno divertito.
- Ah, ah … - sorrise di rimando, mettendosi a sedere accanto a lui e afferrando, affamata, tutto quello che aveva sottomano.
- Quindi è questo che si fa a New York, per divertirsi? – chiese retorica.
- Questo è quello che faccio io, per divertirmi … - le rispose vago.
- Niente locali fumosi, whiskey o risse nelle vecchie e solitarie strade dei sobborghi?– incalzò, giocherellando con il cibo rimasto nel cartone.
- Al contrario di quello che pensate tutti, non sono uno a cui piace fare a botte … - precisò, strappandole il telecomando dello stereo.
- Chuck Presby e Dean non sarebbero d’accordo. – puntualizzò.
- Chuck Presby era un idiota e anche Dean … - affermò e, sottomettendosi alla necessità di conoscere quella parte della vita di Rory che gli aveva bruciato il cervello, nel tentativo di comprenderla, le chiese: - Perché l’hai fatto, perché sei tornata con lui? –
- Io … - iniziò, provando a mettere in ordine i pensieri: quella storia, la relazione con un uomo sposato, l’aveva messa in ginocchio, le era costata la stima di una città intera, liti furibonde con Lorelai e tante lacrime ed imbarazzo per aver rovinato un matrimonio.
- Perché non rispondi? – incalzò Jess, con un tono distaccato e quasi cinico.
- Perché è complicato … - tergiversò, mantenendo gli occhi bassi per non incrociare quelli di lui.
- Farò uno sforzo … - la schernì, serrando la mascella in preda ad una rabbia crescente, mista a delusione.
- Io … Ecco tu … sei venuto lì quella sera … ed io non … -
- Allora? – la interruppe, senza darle tregua, - La verità è soltanto una, non c’è  bisogno di cercarla! –
- Se proprio vuoi saperlo, è stato per te che l’ho fatto … - confessò esasperata, trattenendo una voglia di piangere che non le dava scampo.
- E’ colpa mia, quindi … - le rispose con una smorfia.
- Non ho detto questo! – replicò, tormentandosi le dita.
- Ti prego … - continuò, come se quello che lei aveva appena detto non avesse importanza.  – Vengo a Yale e ti trovo con lui; ti dico che voglio passare il resto della vita con te, che voglio costruirmi una vita con te e tu mi rifili una sfilza di no lunga quanto la Dichiarazione d’Indipendenza … E dopo quanto? Una settimana, un giorno? Ti infili in un letto sempre con lui, il tuo ex ragazzo perfetto! – puntualizzò, con un’incrinatura nella voce che a Rory sembrò macchiata di sofferenza.
- Andiamo Rory, dillo una buona volta, di' che lasciarlo per uno come me, è stato un errore, solo un madornale errore … Di' che l’hai fatto per liberarti dall’immagine di brava figliola, che ti avevano cucita addosso: il tuo momento di ribellione e di indipendenza … - le urlò contro, mentre l’amaro che gli aveva riempito la bocca, dopo averlo saputo, risaliva per la gola come un conato di vomito.  – Forse i tuoi sentimenti per me non erano così sinceri come credevo … - concluse, sconfitto da quella considerazione dolorosa.
- Invece tu con me sei stato sincero, vero? – lo attaccò con un moto di stizza che aveva contenuto per anni. – Mi hai lasciato senza una parola, neanche i tuoi sentimenti dovevano essere quelli che credevo, se non ti hanno impedito di andartene. Perché, quella sera a Yale, avrei dovuto credere il contrario? – chiese e lasciò, finalmente, che le lacrime scendessero libere.
- Perché ti avevo detto che ti amavo, io ti amavo … - confessò, espirando con gli occhi chiusi, per scrollarsi di dosso il ricordo di quel momento ed il dolore che ancora procurava.
Quella dichiarazione d’amore, quella sera, l’aveva travolta, sorpresa, confusa e schiacciata, come se tutte le domande che si era posta sui suoi sentimenti fossero  piccole pietre appuntite pronte a rotolare giù in una valanga incontenibile.
Sentirlo ripetere le stesse parole, la scoprì ancora impreparata, indifesa, debole e con la sola inutile arma della rabbia e dello sconforto.
- Quindi avrei dovuto mollare tutto: la mia casa, mia madre, il college perché tu avevi detto di amarmi, dopo essere sparito per un anno, ed esattamente un minuto prima di sparire ancora? – lo aggredì, esasperata.
Jess scrollò la testa, con un sorriso amaro: - Frequentarsi di nuovo è stato un errore, ma venire qui stasera … è stata la cosa più stupida che sia riuscito a fare nella vita! – continuò, alzandosi dal divano. – E’ meglio che me ne vada … - concluse, afferrando la giacca e aprendo la porta per fuggire.
- Jess … - lo chiamò Rory, con la voce flebile e segnata dalle lacrime. Gli errori commessi erano troppi da parte di entrambi, le incomprensioni, l’orgoglio infantile, la paura di raccontarsi profondamente ciò che avevano dentro l’uno per l’altra, allora ed adesso, li dividevano ancora. Ma guardare Jess uscire di nuovo dalla sua vita, senza muovere un dito per impedirlo, le fece inchiodare il respiro.
- Non te ne andare … - gli chiese senza muoversi dal posto che occupava. - Non andartene … - ripeté, quasi in una supplica, rivolgendo il viso verso la sua schiena.
Jess inspirò e strinse la mascella, lasciando la mano ferma sulla maniglia.
- Perché? – chiese perentorio. – Dimmi perché dovrei restare … - la incalzò.
- Per lo stesso motivo per cui, nonostante tutto questo risentimento, sei venuto ad Hartford per convincermi a tornare al College … - gli rispose decisa, nonostante cominciasse a perdere le forze per combattere. – Perché lo hai fatto? – insistette, con la stessa determinazione di lui.
- Non potevo starmene con le mani in mano mentre gettavi al vento il tuo futuro e tutta la fatica fatta per realizzare i tuoi sogni. Sei fatta per questa vita, Rory, e questo era più importante del mio risentimento … - le rispose, lasciando che la tensione scivolasse lungo tutti i suoi nervi tesi, per spegnersi man mano che si allontanava dal cuore.
- E anche tu lo eri … - continuò, dandole ancora le spalle: era cresciuto, ma confessare così apertamente i propri sentimenti, costava comunque un enorme fatica.
- Anche tu per me … eri importante … - confessò, a sua volta, Rory, - Anche quando sono venuta a Philadelphia, per l’inaugurazione, e ti ho detto di Logan … eri importante, per questo ti ho baciato … - terminò, aprendosi ad una confessione necessaria più a sé stessa che a lui.
- Quel bacio … - la interruppe, rassegnato e senza più voglia di opporsi. - Ho creduto, mi sono illuso che … - continuò scrollando le spalle, sconfitto. - Ma tu amavi lui … – terminò con la stessa delusione dolorosa nella voce di quella sera.
- Era vero, in quel momento. Io … io ci credevo davvero, nonostante quello che mi aveva fatto. Ma non era l’uomo con cui volevo passare il resto della vita,  l’ho capito solo quando mi ha chiesto di sposarlo. – precisò, rinvigorita dalla verità, che finalmente, aveva concessa anche sé stessa.
- Perché non era lui? – insistette Jess, ora con più calma nella voce.
- Perché chi ti ama non ti chiede di rinunciare ai tuoi sogni, piuttosto ti sprona ad inseguirli a tutti i costi, ti sostiene, anche se questi ti porteranno lontano … - spiegò. – Ed ora, non te ne andare … - terminò, passandosi il dorso della mano sul viso stanco per asciugare l’ultima lacrima caduta.
Jess inspirò ancora, libero e sollevato, come se il peso, che gli aveva schiacciato il respiro, di tutti i dubbi accatastati nella mente, si fosse sbriciolato sotto quella confessione. - Solo se prometti che non mi farai più mangiare quella roba … - disse voltandosi, finalmente, ed indicando i contenitori vuoti del take-away indiano.
Richiuse la porta, gettò, senza troppa cura, la giacca sullo schienale di una sedia, e riprese posto accanto a lei; sorrise e, senza guardarla, afferrò il telecomando dello stereo, ormai muto. Stava firmando la sua condanna a morte, ne era consapevole, ma uscire dalla vita di Rory Gilmore, non era più contemplato!

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Capitolo 12
*** – Show me your secrets. ***


12 – Show me your secrets.
 

La serata con Jason e Sara ed il loro bambino, le aveva messo voglia di casa. Spesso, nonostante vivesse da sola da anni, sentiva prepotente il desiderio di sua madre vicina, delle sue braccia, del suo odore e perfino delle sue stranezze.
Non la vedeva da Natale e quella sera, la voleva accanto disperatamente.
Ma, lo sapeva, non era per il profumo di famiglia che aveva respirato con i suoi amici, era per il segreto che le nascondeva, per la “storia“ con Jess. Averle mentito la intristiva e, soprattutto, confondeva anche le poche certezze che cercava di raccogliere in quella nuova o rinnovata relazione. La voglia di lui le faceva paura, il bisogno della sua voce, i pensieri che venivano a cercarla dolcemente la sera, quando posava la testa sul cuscino, la spaventavano.
Ma ancora di più, aveva il terrore che Jess potesse essere travolto dagli stessi suoi tormenti, che le loro vite si stessero irrimediabilmente, inestricabilmente aggrovigliando l’una intorno all’altra.
Sentiva ogni volta che si parlavano o quando si erano visti, quell’attrazione, quel desiderio di smarrimento totale e ingestibile che li aveva presi già da ragazzi. Non era sesso, o meglio, non era solo quello. Non era neanche amicizia, però: lei e Jess non erano mai stati amici. Piuttosto “amichevoli o amichetti”, come aveva definito il loro rapporto una volta con Lorelai, che insisteva per sapere cosa ci fosse tra loro. Era qualcosa di così singolare e profondo che, neanche Rory, che usava le parole per mestiere, riusciva a definire.
Come poteva parlare con sua madre di quel groviglio di pensieri, di quella confusione cosmica, sapendo che Lorelai per anni aveva odiato Jess e aveva fatto di tutto per tenerlo lontano dalla sua bambina.
Ma sua madre era anche la sua migliore amica. Aveva sempre saputo gestire entrambi i ruoli con consumata esperienza, alternandoli alla bisogna, e Rory sentiva di non poter fare a meno di nessuno dei due.
- Mamma! – gridò, trionfante, appena Lorelai rispose al telefono.
- Tesoro, ti sei ricordata della mamma per ben due volte oggi! – rispose Lorelai, con tono decisamente sarcastico.
- Io mi ricordo di te molte, ma molte volte, al giorno, mamma! – puntualizzò, risentita.
- Oh, certo … - la canzonò, pensando ad intere giornate in cui sua figlia, presa dal lavoro e dagli impegni di una donna in carriera, non la chiamava.
- Come è andata la giornata? Risolto quel problema al Dragon Fly? – le chiese, temporeggiando, nella speranza di trovare presto, il modo indolore per introdurre l’argomento.
- Tutto a posto, tesoro: Sookie ha risolto cambiando menù all’ultimo momento. E tu … La cena con Jason e Sara? – chiese a sua volta.
- Oh bellissima, mamma: quel bimbo è adorabile … - continuò, ancora incerta su come procedere.
- Allora, cosa c’ è? – la interrogò Lorelai, che aveva fiutato qualcosa.
- Cosa? – rispose la ragazza, stupita da tanta intuizione.
- C’è qualcosa che devi dirmi? - la incalzò.
- No! – si affrettò a rispondere Rory, insospettendo ancora di più la madre.
- Andiamo, Rory, dì tutto a mamma … - insistette, addolcendo il tono.
- Come hai fatto? – le chiese, mentre si arrendeva alla sua perspicacia.
- Come ho fatto sempre, tesoro! – le rispose e continuò, pavoneggiandosi: - Sono un inarrestabile, tenace segugio. E poi anni con Patty e Babette danno i loro frutti! –
- Avresti dovuto dirmelo prima, ti avrei fatto risparmiare un ingente somma di denaro per la mia retta a Yale ed io avrei frequentato un corso di “Scova la notizia”, direttamente nella palestra di Miss Patty! – le disse, con tono rammaricato.
- C’è sempre il corso di specializzazione ... – la rincuorò. – Ed ora che la mamma ti ha dato il tempo per capire da dove iniziare, dimmi tutto! – le disse con l’ironia che la caratterizzava anche nei momenti più difficili.
Rory si chiese se quella mirabile capacità di intuire le sue inquietudini fosse solo dovuta ad una grande perspicacia ed anni di addestramento o, semplicemente, al profondo ed innato legame che le legava.
- Ricordi il pacco espresso a Natale? – cominciò, titubante.
- Sì … - rispose, con tono incoraggiante, Lorelai che, in quei giorni, non aveva fatto altro che chiedersi chi lo avesse mandato.
- Non era dei nonni … -
- Ah no? – la canzonò la madre che lo aveva capito dall’inizio, ma aveva voluto darle il tempo di scegliere il momento per parlarne.
- No … - continuò la ragazza, incerta. - Era di Jess! – terminò espirando.
- Jess, quel Jess? – chiese Lorelai, visibilmente sorpresa.
- Sì, proprio quello! – precisò. – Era il suo ultimo libro … cioè l’originale … L’ultima stesura prima della stampa. – le spiegò.
- Sapevo che aveva pubblicato un altro romanzo, me lo ha detto Luke qualche giorno fa, Jess gliene ha spedito anche una copia. Ma non l’abbiamo ancora letto: il mio fidanzato lo tiene come una reliquia! – le rivelò, in tono sarcastico.
- Io, invece l’ho letto. – disse con voce persa.
- E … - la esortò Lorelai.
- E … - continuò, Rory, - E’ bellissimo ed è dedicato a me! – confessò d’un fiato.
- Cioè, nel leggerlo, tu hai intuito che lo ha dedicato a te? – indagò la madre.
- No, c’è il mio nome nella prima pagina … - disse a metà tra l’imbarazzato ed il lusingato.
- Per tuo nome, intendi quello che ti ho dato io? - chiese ironica, - O un vezzeggiativo tipo: “orsacchiotto, pesciolino”, che, sotto l’effetto di potenti droghe, Jess ha pronunciato una volta rivolgendosi a te? – insistette, curiosa.
- Intendo proprio quello che mi ha messo tu! – puntualizzò, un po’ seccata dall’umorismo incalzante della madre.
- Oh … - esclamò Lorelai, meravigliata.
- L’ho chiamato per ringraziarlo e poi a Capodanno … -
- Sei andata da lui! – la interruppe, con lo stomaco attorcigliato per l’agitazione.
- Mi dispiace, mamma … – si scusò.
- Tranquilla, tesoro, non è la prima volta che fuggi per andare da lui e menti alla mamma. – le ricordò, ripensando al giorno del diploma ed alla fuga a New York.
- Mi dispiace … - ripeté due volte mortificata.
- Non importa. – la rassicurò la madre, mentre pensava all’ascendente che quel “galeotto”, come lo aveva apostrofato una volta Emily, aveva ancora su sua figlia.
- E cosa è successo a Philadelphia? – la esortò.
- Abbiamo festeggiato il capodanno in strada e … - si interruppe, intimorita dal seguito.
Lorelai smise di respirare. Pensò a quando la sua bambina le aveva confessato di essere pronta per “quello”, proprio con Jess, ed il sangue si fermò nelle vene. Certo Rory non aveva più diciassette anni; era una donna, con alle spalle due relazioni importanti, che avevano incluso anche il sesso. Ma l’idea di lei con Jess, il primo che avesse aperto le porte alla possibilità di un coinvolgimento, anche fisico, e l’unico con il quale non fosse accaduto, la fece tremare.
- ... Ho dormito a casa sua! – terminò Rory che, dal canto suo, considerava l’aver trascorso la notte a casa di Jess, sufficientemente coinvolgente da riaprire un varco nel proprio cuore.
- Dormito solo dormito? – cercò di tranquillizzarsi, regolarizzando il respiro.
- Dormito solo dormito! – le fece eco Rory. – E poi abbiamo passato la giornata successiva in giro per Philadelphia, fino alla partenza del mio volo. – finì, sentendosi liberata dalle bugie e dalle omissioni di quei giorni.
- Degna conclusione della tua gita! – commentò ironica. – Ora, passiamo ad esaminare motivazioni, implicazioni e conseguenze di questa esperienza fuori programma. – la esortò.
- In realtà, non so cosa pensare … - le confessò. - Speravo che tu riuscissi a dipanare la matassa … - quasi la supplicò, affidandosi completamente al suo giudizio.
- E’ chiaro che Jess gioca ancora un ruolo significativo nella tua vita. E quello che ha fatto per te: aprirti gli occhi per indurti a tornare al College, venire ad Hartford, nonostante vi foste lasciati in quella maniera a Yale … non sono cose che ci si aspetterebbero da uno come lui, così … così testardo e orgoglioso …  E poi la dedica. Tutto fa pensare che tiene a te ancora molto. So che è cresciuto, è più responsabile, ha un buon lavoro, si sta realizzando. Insomma è un uomo che combatte per i propri sogni e Luke è così fiero di lui. –
- Credevo che lo odiassi … - intervenne la ragazza, sorpresa nell’udire proprio sua madre tessere le lodi di Jess.
- L’ho odiato quando ti visto piangere per lui, non volevo che soffrissi: sono tua madre, Rory, se potessi ti preserverei da ogni male! – le confessò. – Ma quando è uscito dalla tua vita, ho cominciato a vederlo come un ragazzo solo e triste, a cui erano state negate le cose a cui ogni uomo anela. Sono riuscita a capire il perché della sua ostilità verso il mondo, quel non lasciarsi mai coinvolgere dalle persone, tranne che da te e da Luke … - le rivelò in tutta onestà.
- Ma … - insistette Rory.
- Ma Jess è Jess! – replicò la madre. – e’ travolgente, ti toglie il fiato con quegli occhi, è intelligente e ruvido quanto basta, e mi fa paura, mi fa paura quello che riesce a farti provare … - terminò, accarezzando Paul Anka, che le si era accucciato a fianco sul divano.
- E cosa riesce a farmi provare? – domandò, sicura che il bandolo fosse stato scovato.
- Io potrei dirti solo quello che riesce a far provare a me! -  la punzecchiò, senza premura di mascherare una punta di rabbia e di impotenza. – Per il resto, la risposta può essere solo tua, tesoro. – le disse, sperando che quella conversazione avesse fatto un poco di chiarezza.
- Già solo mia … - ripeté, mentre l’unica cosa a cui riusciva a pensare era la voce di lui e la voglia di sentirla.

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Capitolo 13
*** - Mother and daughter … uncle and nephew. ***


~~Eccoci giunti al tredicesimo capitolo!
Come sempre ringrazio  tutti quelli che passano da qui, Spero che anche questa volta abbiate voglia di farmi sapere cosa pensate della storia.
Colgo l’occasione per augurare a tutti un Buon Natale!
Alla prossima!


 


13 - Mother and daughter … uncle and nephew.

 

- Ehi, Pisolo! – gridò Lorelai, lasciando cadere la copia del libro di Jess, giusto sulla faccia del suo fidanzato, che alle due del mattino se la dormiva beato.
Dopo la telefonata con la figlia, aveva deciso di scoprire cosa avesse di così coinvolgente quel romanzo, da travolgere furiosamente, ancora una volta, mente e sensi della sua bambina. E dopo averlo letto con l’avidità con la quale addentava tortine e ciambelle, si era ritrovata, all’ ultima pagina, a desiderare che il pompiere di “Fahrenheit 451”, esistesse davvero per bruciare quel libro e soprattutto l’autore.
Come aveva detto a Rory, negli ultimi anni, aveva imparato a guardarlo con occhi più obbiettivi, complice il fatto che Luke parlasse del nipote come di un ragazzo che ormai era diventato un uomo sano, forte e con la strada finalmente spianata davanti.
Ed in tutta onestà, doveva ammettere, anche con sé stessa, che Jess era un vero miracolo, tenendo conto dell’esistenza dolorosa, solitaria e senza scopo che aveva vissuto prima di arrivare a Stars Hollow e, probabilmente, anche dopo essere fuggito in California, alla ricerca di un padre. Era stato forte, ce l’aveva fatta da solo e dietro quell’aria strafottente e maleducata, Lorelai sapeva, adesso, che c’era sempre stata una persona determinata, volitiva, fiera che non si lasciava calpestare dalla volontà o dal giudizio altrui.
Vedeva in Jess un po’ sé stessa, un po’ di quella ragazza che a sedici anni, con una bambina tra le braccia, aveva lasciato la casa dei suoi ricchi genitori che le avrebbero permesso sì di allevarla nell’agio, ma che le avrebbero anche impedito di scegliere per la sua vita.
Ma Jess era Jess, continuava a ripeterselo: troppo travolgente e passionale per una ragazza di diciassette anni, come per la donna di ventiquattro che era diventata sua figlia.
- Ma … che diavolo succede? – farfugliò Luke, mettendosi a sedere nel mezzo del letto, con la voce impastata e gli occhi ancora semichiusi.
- L’hai letto? – gli chiese Lorelai, senza dargli tregua. – Di'?, l’hai letto? – ripeté.
- Lorelai … ma sono le due del mattino! – le rispose, guardando la sveglia di Hello Kitty sul comodino.
- Allora? – chiese ancora più indispettita, come se la casa stesse andando a fuoco e Luke non muovesse un muscolo per spegnere le fiamme.
- Cosa? – rispose spazientito. – Il libro di Jess? Certo che l’ ho letto, credevi che lo tenessi come soprammobile? – le chiese ironico.
- E perché non me lo hai detto? – incalzò.
- Cosa? Cosa dovevo dirti, che l’ho letto? – le rispose, mentre gli occhi si aprivano completamente ed il cervello diceva addio alla sua notte di sonno.
- Non fare dello spirito con me, Luke Danes! – lo riprese, - Quella che fa battute in famiglia sono io, ricordi? – insistette. – Dovevi parlarmi di quello che c’è scritto qui dentro … - disse, sventolando il volume, - … e della dedica! – terminò.
- Oh … - esclamò Luke, mettendo a fuoco il motivo di tutta quell’agitazione.
– Capisco. – continuò. – Quando Jess e Rory sono nella stessa frase, tu vai in paranoia! -
- Non è paranoia la mia, è istinto di protezione. – precisò.
- Lorelai … - cercò di spiegarle, - Rory è una donna, ormai. E poi, da cosa dovresti proteggerla? Da Jess? – le rispose quasi indispettito.
- Da Jess, esatto … -
- Di' un po’ …  Sei sicura di averlo letto? - le chiese.
- Certo, altrimenti non sarei qui alle due di notte con il cuore in gola per l’agitazione. – Beh, permettimi di dirti che non l’hai fatto con la dovuta attenzione e col dovuto rispetto, Lorelai! – la riprese e, togliendole dalle mani il libro, cercò una pagina in particolare e gliela lesse :

  “ Che mi importava della gente, di quello che avrebbe detto quella stupida gente di quella assurda città, ultimo paradiso dei benpensanti.
Del resto non mi è mai importato di cosa pensano gli altri, perché avrebbe dovuto contare proprio in quel momento!
Io l’amavo e stavo andando a dirglielo. Gli altri avrebbero potuto andare ad uno ad uno al diavolo, bruciare all’inferno per quanto mi importava.
E anche io sarei potuto andare all’inferno, sentire le fiamme salire dalla terra sotto i miei piedi.
L’avrei considerato solo calore, perché io ero già dannato.
Io sono nato dannato e non c’è redenzione per chi già brucia.
Neanche dirle che l’avevo sempre amata mi avrebbe salvato … Perché non c’è redenzione per chi già brucia.”

- Jess l’ama! – continuò deciso. – L’ha sempre amata, anche a diciassette anni … Certo come può amare un ragazzo solo, senza prospettive, che si è barricato dietro una corazza per non farsi male. Ma l’ha amata allora e ancora  l’ama, adesso come un uomo, un uomo che non commetterà più gli stessi errori! Ma come puoi non capire? – le chiese intenerito da quel sentimento.
- E tu, come puoi dimenticare quanto ha sofferto Rory per lui? – replicò esasperata.
- Soffrire fa parte della vita, perdere e rialzarsi sono le fondamenta per crescere. Anche Jess ha sofferto lasciandola … Questo dolore, questo fa di loro due persone adulte che sanno decidere per sé stesse. Perché ti ostini a vedere Jess con gli occhi di  quella prima sera a casa tua? Perché non smetti di considerarlo un uomo degno di rispetto a patto che stia fuori dalla vita di Rory? – le chiese, infervorandosi.
- Perché è mia figlia! – gridò Lorelai. – Perché non voglio che soffra più per lui … - continuò, mentre la voce si incrinava.
- E allora lasciala scegliere per cosa o chi valga la pena soffrire … - le disse attirandola a sé in un confortante  abbraccio. - Lasciala scegliere! – ripeté sicuro che Jess e Rory fossero fatti per stare insieme, esattamente come lo erano loro due.
- Forse dovresti parlargli … - gli suggerì, mentre si lasciava stringere.
- A Jess? – replicò incredulo. – Come no … Poteri fargli un bel discorsetto sulle regole di comportamento, come quando avevano diciassette anni! – disse canzonandola.
- Luke … - lo supplicò, mentre gli poggiava a mano sulla guancia.
- D’accordo … - sbuffò, - Domattina, se riuscirò a svegliarmi, lo chiamerò. – la rassicurò, lasciandosi cadere esausto sul letto e trascinando Lorelai con sé.
In fondo l’amava anche per quello: Lorelai era, ai suoi occhi, come Wonder Woman, forte, indipendente, coraggiosa, con una sola debolezza, Rory.
Quello aveva amato da subito a discapito dell’umorismo fastidioso ed incalzante e della sua iperattività.
Chiuse gli occhi domandandosi cosa avrebbe potuto dire a Jess, senza metterlo sulla difensiva e farlo chiudere a riccio come solo lui sapeva fare quando non voleva intrusioni.
 

§§§§§§§§
 

Gli anni che aveva vissuto con suo nipote erano stati la sfida più grande che la vita gli avesse messo davanti.
Non sapeva niente, Luke, di come si alleva un adolescente, lui che ragazzino non era mai stato, costretto a crescere in fretta dopo la morte della madre, la malattia del padre e l’irrequietezza di Liz. Quando la sua incosciente sorella gli aveva spedito un figlio diciassettenne, che non aveva mai conosciuto, Luke era convinto che una dispensa colma di cereali e merendine ed un tetto accogliente sulla testa, sarebbero bastati a far rigare dritto un ragazzo indisciplinato. Poi, da subito, si era dovuto rendere conto che Jess era molto più di un qualunque ragazzo che giocava a fare il ribelle: Jess era un ribelle, forte, deciso, coerente con sé stesso, sempre, anche a costo di essere discriminato, rifiutato o incompreso.
Il tempo trascorso a stretto contatto, la convivenza forzata li aveva costretti a guardare sé stessi e l’altro, scoprendosi entrambi soli, entrambi indifesi, entrambi necessari l’uno all’altro.
Come un padre ed un figlio adolescente si erano azzuffati: l’uno autoritario, l’altro strafottente; l’uno saggio, l’altro incosciente e giovane; l’uno pronto a sacrificarsi per farlo sentire a casa e  l’altro … pure.
Si erano dati all’altro senza volerlo, senza accorgersene ed ora Jess era l’uomo che suo zio aveva educato, sostenuto, amato e Luke il padre che il nipote aveva sempre cercato.
- Ehy, zietto … - rispose la voce del ragazzo, quando Luke si decise a chiamarlo.
- Hai dimenticato il mio numero per caso? – gli chiese, vestendo la sua  maschera da burbero.
- Sì in verità, ma non preoccuparti devo averlo scritto da qualche parte! – lo prese in giro.
- Allora cercalo e chiamami ogni tanto! – lo rimproverò.
- Hai ragione, scusa. Ma tu lo sai che sei sempre nel mio cuore vero, zio Luke? – continuò a punzecchiarlo.
- Ma quanto sei spiritoso. – lo canzonò.
- Sì? Puoi aggiungerlo alla lista infinita delle mie qualità, allora. – continuò col suo teatrino.
- Subito sotto la voce “modesto”, suppongo! – lo assecondò nello scherzo.
- La classifica la lascio stilare a te … -
- Sto per commuovermi … -
- No, ti prego! … - rise divertito. - Dimmi come stai, piuttosto? Lorelai? – chiese, sinceramente interessato.
- Tutto bene … Tu? - gli rispose Luke, che cominciava a non aver più argomenti di conversazione.
- Bene, un po’ impegnato per la promozione del libro … ma bene. –
- Ah sì, me ne avevi parlato. Ne hai ancora per molto? - chiese per prendere tempo.
- Altri tre o quattro incontri e poi dovrei rientrare alla base. Cosa c’è, zio Luke? – domandò il ragazzo, che ormai lo conosceva troppo bene, per non avvertire nell’indecisione dell’altro un intento velato.
- Cosa? – tergiversò, giocherellando con il filo del telefono appeso al muro del locale ormai vuoto.
- Vuoi dirmi qualcosa? – chiese insospettito.
- Rory … - si decise a confessare per andare al nocciolo.
- Rory cosa? – finse Jess, come se non avesse la più vaga idea di cosa stessero parlando.
- Che intenzioni hai? – chiese, ormai deciso a farla finita.
- Non ci posso credere … - sorrise il ragazzo, scuotendo la testa.
- Jess! – lo riprese, con tono autoritario.
- Cosa? Jess cosa? – ribatté irritato. – Ci siamo visti un paio di volte da Capodanno e ci sentiamo spesso. Non ho intenzione di romperle l’altro braccio, né di spezzarle il cuore un’altra volta, se è questo che vuoi sapere! – confessò seccato.
- Jess … - incalzò lo zio, stavolta addolcendo un po’ il tono. – Volevo solo sapere … -
- Lo sai! – lo interruppe. – Lo sai tu, lo sa Lorelai e lo sa anche Rory! – continuò anche lui con un tono più pacato. – Dì alla tua fidanzata di stare tranquilla! – lo rassicurò, anche se Luke parve leggere nell’intonazione una punta di sarcasmo.
- Tornerai con lei? – insistette, ma con un po’ di reticenza: conosceva il prurito che gli procuravano certe incursioni nella sua vita privata e, ancora di più, nei sentimenti. Ma quella domanda era lecita e non perché fosse Lorelai la mandante, tantomeno perché non si fidasse di lui, ma perché sentirgli dire che teneva ancora a Rory lo rendeva fiero e gli faceva sentire quel ragazzo ancora più simile a sé stesso: entrambi avevano aspettato una vita per avere l’occasione di amare veramente, avevano commesso degli errori, ma avevano anche saputo rimediare. E se lui aveva avuto una seconda possibilità con Lorelai, Jess aveva diritto alla sua con Rory.
- Dipende … - rispose il nipote sibillino, dopo un sospiro necessario a riprendere la calma.
- Da cosa? – indagò, esasperato di dovergli cavare le parole di bocca.
- Da Rory, dipende soltanto da Rory … - confessò, quasi adenti stretti.
- Bene! – terminò Luke, lasciando che un sorrisetto soddisfatto gli si dipingesse in volto.
- Bene! – gli fece eco Jess. - Finito l’interrogatorio? O c’è qualcos’altro che vuoi chiedermi? – chiese, stranamente accondiscendente: nonostante l’irritante intromissione, in fondo era felice di sapere quanto lo zio tenesse a lui.
- No, credo che per oggi possa bastare … Per i particolari, posso aspettare la prossima volta che verrai a trovarmi! – sembrò minacciarlo.
- Oh, stai pure certo che lo farò presto, zio Luke! – promise,  con un tono tutt’altro che serio.

- Non vedo l’ora … - lo imitò. – Tanto più che Il tuo letto non aspetta altri che te … - lo canzonò, strappandogli il suo medesimo sorriso.

- Ok … - chiuse la conversazione Jess. – Speriamo solo che il tostapane non se ne abbia a male! -

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Capitolo 14
*** – Family, friends and love … ***


~~Salve a tutti!
Spero che abbiate iniziato il nuovo anno sotto i migliori auspici!
Come sempre ringrazio chi dedica il suo tempo alla lettura ed alle recensioni di questa storia. La vostra attenzione mi riempie il cuore.
Un ringraziamento speciale a coloro i quali hanno inserito “Back to the start” nelle seguite negli ultimi giorni. Spero in un vostro commento!
Un saluto e a presto!


 

 14 – Family, friends and love …

 

- Jess! – gridò Matthew, irrompendo nel suo ufficio.
Il ragazzo se ne stava praticamente sdraiato per tre quarti sulla scrivania, con i gomiti puntati sul piano, mentre decine di fogli malcapitati spuntavano da sotto il petto, che li maltrattava. La mano sinistra sorreggeva il capo, le dita abili massaggiavano la fronte, mentre la destra reggeva i fogli, rilegati da una spirale, di una bozza che stava correggendo. La finestra era aperta sul caos cittadino dell’ora di punta e la musica ad alto volume penetrava i timpani, come il martello pneumatico dei lavori in corso.
Matthew si era sempre chiesto come facesse Jess a trovare la concentrazione in quella confusione e a riuscire nel suo lavoro così maledettamente bene. Ma Jess aveva una capacità straordinaria, nel senso letterale del termine, di ripartire il cervello in zone, ognuna delle quali assolveva perfettamente al suo compito, mentre la parte più profonda di lui si rintanava in quell’oasi quieta che solo la lettura riusciva a riservagli.
Il socio l’aveva sempre invidiato per questo, ma, a volte, quel suo estraniarsi lo faceva andare su tutte le furie, forse perché quelli erano i momenti in cui trovarlo era impossibile per chiunque.
- Jess? – lo chiamò ancora.
Il ragazzo tirò su gli occhi, infastidito da quella intromissione e, senza perdere la concentrazione, lo guardò di traverso, sperando che dicesse in fretta quello che doveva e si togliesse dai piedi.
- Sei ancora qui? – continuò Matthew, spazientito. – Hai dimenticato la cena con Pharrell? –
- No! – rispose, secco.
- Non vorrai venire vestito così, vero? – chiese il socio, che sembrava appena uscito dalla lavanderia.
Jess si guardò distrattamente: era vestito come qualunque altro giorno, i jeans scoloriti e la maglietta di un vecchio concerto dei Distillers, i capelli completamente fuori controllo, come se non avesse impiegato, anche quella mattina, almeno venti minuti davanti allo specchio del bagno nel tentativo misero di dargli un verso.
- E tu, non crederai che mi metta in tiro per uno stupido bamboccio che gioca  a monopoli con i soldi di papà? – replicò, tornando con gli occhi sulla bozza.
- Andiamo, Jess! – lo supplicò. – Devo ricordarti quanto siano importanti i suoi soldi per la nostra casa editrice? –
- No, non devi! – gli rispose, stanco. – Ma non andrò certo a cambiarmi per lui … Non è neanche il mio tipo! – disse con una battuta, perché Matthew si togliesse quell’insopportabile aria contrita.
- Mi arrendo, tanto con te non la spunto! – sbuffò, rassegnato.
Jess mascherò un sorriso soddisfatto: con Matthew era troppo facile.
Guardò l’ora, lasciò cadere la bozza sulla scrivania e si alzò: aveva tempo per una doccia veloce e per cambiarsi.
 

§§§§§§§§
 

Ogni parola che era uscita dalla bocca di quel Pharrell gli aveva fatto aggrovigliare lo stomaco, gli aveva più volte fatto desiderare di andarsene, senza neanche cercare una scusa plausibile per la sua fuga. Era più forte di lui, ma detestava il tipo di persona che, solo grazie  ai soldi di papà e alla laurea in una prestigiosa università, rivestiva un ruolo di spicco nell’omonima azienda di famiglia e credeva di poter gestire tutti come suoi dipendenti.
Ma Matthew, con occhiatacce velenose, lo aveva dissuaso dal piantare baracca e burattini e, alla fine della serata, Jess fu felice che fosse l’amico a trattare i termini dell’accordo con quell’idiota. Matthew era, dei due, quello diplomatico ed incline agli affari. Per sé,  Jess non voleva altro che fare il lavoro che gli piaceva e … chiamare Rory.
Ci aveva provato durante la pausa pranzo, cedendo ad un’irrefrenabile voglia di sentire la sua voce. Ma la segreteria al suo cellulare gli aveva crudelmente rivelato che era impegnata e Jess, deluso, non aveva potuto fare altro che ritornare al suo lavoro.
Avrebbe aspettato il momento per poterla richiamare, come l’aria quando sei in apnea.
Rory, dal canto suo, aveva convissuto l’intera giornata con lo stesso formicolio.
Aveva trovato la chiamata di Jess, ma dopo una riunione fiume, aveva dovuto sedersi alla scrivania, cercando di dare un “taglio più incisivo” all’articolo che il suo caporedattore le aveva affidato. Aveva provato a chiamarlo appena a casa, ma, in quel momento, l’appartamento di Jess era abitato solo da una stupida segreteria ed il cellulare era spento, così si era dedicata alla lista della spesa, visto che il frigo e la dispensa erano, come al solito, inesorabilmente vuoti.
Jess, ancora con i capelli umidi dopo la doccia, si avvicinò al letto, intenzionato a sprofondarvi, quando si accorse che la spia luminosa della segreteria telefonica segnalava un messaggio. Si lasciò andare ad un sorriso, sentendo la voce di Rory, intenerito dalla scoperta che entrambi avessero avuto lo stesso bisogno.
- Hei! – disse, sentendo la voce squillante della ragazza dall’altro capo del telefono, quando la richiamò.
- Hei a te, parlarti è diventato più difficile che intervistare un membro del Congresso! – lo ammonì.
- Potrei dire lo stesso di te … - continuò Jess, mentre si stendeva sul letto, noncurante dei capelli bagnati. – Giornata impegnativa? – le chiese poi.
- Direi. Dopo una riunione con la redazione, ho passato l’intero pomeriggio alle prese con un articolo. – gli confidò stancamente. – E tu, che mi dici? –
- Giornata pessima, conclusasi pessimamente! – sbuffò, mentre lo stomaco gli si attorcigliava ancora, ripensando a Pharrell. – Matthew mi ha trascinato a cena con un tizio che vuole investire nella casa editrice. – le spiegò.
- Non mi pare così catastrofico! – ammise candidamente.
- Perché hai fatto il callo a quelli come Pharrell, frequentando “Le Figlie della Rivoluzione”… – replicò. – Io non riuscirò mai a farmeli piacere! Avresti dovuto vederlo, col suo bel vestitino costoso, sciorinare tutte le sue capacità imprenditoriali e suggerirci i cambiamenti a cui sottostare perché la nostra baracca funzioni. Che idiota figlio di papà! – terminò, esasperato.
- Spero che tu non sia stato così esplicito anche con lui … - sorrise, immaginando Jess contorcersi al tavolo di un ristorante lussuoso, costretto ad assecondare l’insopportabile boria di quello che lui avrebbe definito, senza sconti, un “inutile bamboccio”.
- Avrei voluto, tra la prima e la seconda portata, avrei voluto … picchiarlo! – disse, quasi rammaricato per non aver ceduto.
- Beh, se non altro hai resistito: qualche anno fa, non saresti arrivato all’antipasto! – ironizzò. – E poi, tu non eri quello a cui: “contrariamente a quanto pensano tutti, non piace fare a botte”? – chiese retorica, citandolo.
- Sono un bugiardo! – replicò con naturalezza, facendosene un vanto.
- Davvero? Non l’avrei mai detto … - lo assecondò, fingendosi sorpresa.
- Sono anche bravo … a mentire! – si pavoneggiò, cambiando posizione e rigirandosi su un fianco.
- … E presuntuoso … - continuò la lista Rory, divertita da quella conversazione quasi surreale.
- Da morire … - terminò lui, con una voce bassa e roca, vellutata e sensuale, che la avvolse, aprendole una voragine nello stomaco, come sempre le accadeva, fin da ragazzina. Quella voce, il gioco con cui la modulava, come un musicista esperto, aveva sempre esercitato su di lei un effetto travolgente e le aveva fatto scoprire, allora, che tra loro non c’era semplice amicizia, ma qualcosa di mai provato per altri, profondo, vibrante e talvolta, come in quel preciso momento, dirompente come una carica di esplosivo.
Rory si mise a sedere, portando le ginocchia al petto, la schiena contro la testata del letto e, in attesa che arrivasse di nuovo quella voce ad occupare il vuoto che essa stessa aveva generato, sorrise e continuò: - Per fortuna, il tuo amico è più saggio di te! –
- Per fortuna di Pharrell, vorrai dire! E per mia fortuna, invece, sarà Matthew ad occuparsi di tutto … - esultò. – E’ una parte del mio lavoro che mi dà ai nervi! –
- Oh certo … - ironizzò, - A te basta un buon libro, la musica ad alto volume … -
- Ed il resto del mondo fuori dalla porta! – la interruppe, deciso. – Sai cosa penso riguardo a questo argomento: non mi importa dei soldi e detesto visceralmente chi ne ha troppi, soprattutto chi se li guadagna grazie al nome che porta … Per me, voglio solo il denaro necessario a vivere, il lavoro per cui ho scoperto di essere nato, un libro, la musica ed una birra ghiacciata all’occorrenza.
Il superfluo lo lascio volentieri a chi non ha l’indispensabile! – disse, liberando l’astio accumulato per l’intera serata.
- Nella lista, Mariano, hai dimenticato la famiglia, gli amici e … l’amore. – disse, inciampando sull’ultima parola.
- Affatto. – rispose risoluto, - Ma sai, la famiglia è un corredo che la vita non riserva a chiunque, anche se io sono stato fortunato perché ho trovato Luke. Anche gli amici sono un lusso: quanti sono così fortunati da averne incontrato almeno uno nella vita?
In quanto all’amore, beh … come ha già detto qualcuno: “L’amore è per la gente vera.”* – citò, sicuro di non trovarla impreparata.
- Oh, e tu …“la odi la gente vera”, giusto Charles? – gli rispose, pronta, raccogliendo la sfida.
Jess sorrise, passandosi lentamente la mano sul viso stanco e massaggiandosi gli occhi.
- Giusto! Citazioni a parte … l’amore è una scommessa pericolosa: devi essere abbastanza incosciente da giocarti tutto te stesso e sufficientemente folle da non aver paura di perdere … - le rivelò.
- Accidenti, quanto sei diventato saggio … - constatò, quasi con sorpresa.
- Saggio, io? – chiese, fintamente risentito. – Incosciente e folle, forse, ma saggio … - sorrise a quell’aggettivo che gli sarebbe scivolato di dosso come un abito troppo largo.
- … E giocatore d’azzardo? – domandò Rory, che ormai percorreva un sentiero pericoloso.
- Di poker, sì, ma non gioco da quando ero ragazzino … - replicò, alludendo alla loro storia.
- Perché? Perso troppo? – insistette, mordendosi le labbra, insicura della risposta, ma al tempo stesso, incapace di dominare la curiosità ed il desiderio di sapere.
- Ho vinto, invece. Una volta ho vinto … - rispose, più serio che mai, ancora con quella voce che non le permetteva di opporsi all’invasione languida di quella velata confessione.
- E … che ne hai fatto della vincita? – continuò lanciata, come un treno in corsa.
Jess sorrise ancora: quella conversazione scivolava inesorabile lungo un terreno infido; lo portava, senza scampo, a scoprire le proprie carte, proprio come in una mano di poker. Non era da lui raccontarsi così apertamente; non era per lui aprire le porte che conducevano dentro sé stesso: troppo rischioso, talvolta persino stupido. Ma parlare con lei era sempre stato facile, sorprendentemente facile, come guardarla negli occhi e trovarci quella parte di sé che nascondeva al mondo. Parlarle era come riconquistare la capacità, a lungo repressa, di sorridere; l’opportunità di essere sé stesso, comunque e sempre. Ma più sorprendente era che fosse così da sempre, fin dai primi incontri, dalle prime conversazioni o dai tentativi di Rory di fargli mostrare la parte migliore, nascosta dietro al muro spesso, che egli aveva sempre eretto contro il mondo.
Quel muro, quell’ostacolo denso di sofferenza, sfiducia e solitudine, un giorno dopo l’altro, tra loro, si era assottigliato, levigato con fatica e dolore e, col tempo, esso era divenuto un velo, sempre più trasparente e permeabile. In quel momento, quel velo li separava ancora, ma impercettibilmente; permetteva loro di guardarsi, ma non come il vetro di una finestra, che continua a segnare il confine fisico tra due spazi; piuttosto come lo scroscio d’acqua di una cascata, penetrabile all’occorrenza, valicabile a piacimento, per dare a ciascuno l’occasione di occupare lo spazio dell’altro.
Così rispose, naturalmente, come è naturale respirare.
- Non lo so … - sospirò, incerto e, raccogliendo un po’ di quella spavalda consapevolezza di sé, che lo andava a trovare sempre quando ne aveva più bisogno, continuò: - Ma sono pronto a giocarmi tutto, un’altra volta; tutto pur di vincere ancora … - confessò deciso.
Rory chiuse gli occhi, si distese avvolgendosi nel piumone caldo, cullata da quella affermazione; lasciò che l’aria le passasse fluida attraverso i polmoni, purificandosi dalla tensione che l’attesa per quella risposta aveva alimentato.
L’idea che Jess l’avesse amata allora e che fosse disposto a rischiare, a farsi male per amarla ancora, la consolava, l’addolciva e disperdeva ogni più piccolo riverbero di sofferenza, come un alito di vento il fumo grigio della paura.
Quella consapevolezza, quasi svelata, la riempiva della stessa forza incosciente e folle di lui e la costringeva dolcemente alla stessa scommessa, lei che d’azzardo non aveva mai giocato.
- Mi è mancato parlare con te … - gli confessò, con un filo di voce quasi languido.
- Sì? – le chiese, lasciandosi accarezzare dal suono flautato di ogni sillaba. - Anche a me … - sussurrò, attardandosi lento e seducente su ogni singola nota della voce.
 – Da morire … -

 
*la frase è di Charles Bukowski.

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Capitolo 15
*** – Love remains the same … ***


Bentrovati.
Siamo giunti al nuovo capitolo, importante e fondamentale per questa storia. E’ piuttostop lungo, ma non ho voluto dividerlo: temevo di rompere l’incanto.
Quindi mettetevi comodi e assaporatelo tutto, lentamente come un pezzetto di cioccolato … e, quando avete finito, mi raccomando, fatemi sapere cosa ne pensate.
Ci tengo davvero molto!
Buona lettura e a presto!

 


15 – Love remains the same …


Erano passati ormai un paio di mesi dall’ultima volta che si erano visti. Gli impegni di ciascuno avevano impedito che si incontrassero: Jess era in giro a promuovere il libro e Rory era presa da un’inchiesta per il suo giornale. Si erano, però, parlati al telefono sempre da allora.
Sentirsi tutti i giorni era diventata, per entrambi una piacevole routine: la telefonata del mattino, mentre Rory, perennemente di corsa, abbottonava il cappotto, con una mano, e con l’altra reggeva il cellulare, ridendo per la sua goffaggine; o quella della pausa pranzo, quando Jess le raccontava dell’ultimo talento capitato alla casa editrice e lei trangugiava, veloce, il suo cheeseburger, per correre in redazione; ma soprattutto quella immancabile, necessaria della sera, in cui si raccontavano, a turno, il resto della giornata, lentamente, rilassati, assaporando le proprie voci, come una dolce, cadenzata ninna nanna, che li traghettava l’uno verso l’altra, alla ricerca della buona notte.
Mancare ad uno di quegli appuntamenti era come privarsi della favola breve che, in quei pochi minuti, si raccontavano; era rimanere soli, sperduti, alla ricerca di una quiete che solo la presenza di ciascuno dava alla quotidianità dell’altro.
Erano quattro giorni che non riuscivano a parlarsi: il fuso orario la faceva da padrone e Jess cominciava ad essere insofferente: già la distanza era un barbaro tiranno, ma la mancanza anche della sua voce era diventata una tortura.
- Ho bisogno di una pausa … - annunciò a Matthew alla fine di un’altra giornata senza di lei. Il socio fece per spiegargli l’importanza di quel tour ed il bene che faceva al suo libro incontrare i lettori, ma lo sguardo di Jess gli impedì di dire anche una sola parola. Ormai lo conosceva, anche se non si era mai confidato: erano amici, in fondo, di quegli amici che non hanno troppo bisogno di parole per capirsi.
- E’ per lei? – chiese. – Ok! – continuò, senza aspettare la risposta. – Rimando l’impegno di domani, ma, Jess, il giorno dopo ti voglio ad Atlanta … E’ importante! – concluse risoluto.
Il ragazzo annuì, lanciandogli uno sguardo d’intesa, e si allontanò con un mezzo sorriso stampato sulla faccia.
 

§§§§§§§§

 

Rory era in ciabatte e pigiama, le gambe le dolevano a causa di quegli odiosissimi tacchi della donna in carriera che era durante il giorno. Quella sera, libera dalla veste professionale, dal trucco e dalla serietà di un tailleur griffato, avrebbe sgranocchiato qualcosa davanti alla tv e sarebbe crollata esausta sul divano, troppo stanca anche per  scomodarsi a raggiungere il letto.
Fu il suono del campanello a scuotere la sua tranquilla serata casalinga.
Svogliatamente, si diresse alla porta e, apertala, si ritrovò davanti Jess: bello, con i capelli scarmigliati, trattenuti a stento da un velo di gel. La luce pacata del pianerottolo lo colpiva di striscio, come se fosse sua complice, rendendolo misterioso e aperto insieme, sorprendente, eppure imprevedibilmente rassicurante, come ciò che si conosce a memoria.
- Ma … come … Cosa ci fai qui? – farfugliò sorpresa.
- Ti ho portato la cena! – rispose, come se per farlo avesse dovuto attraversare solo la strada.
La ragazza lo guardò confusa: le sembrava incredibile, che fosse proprio lì, davanti a lei, con quel maledetto sorriso compiaciuto di chi sa di aver fatto centro.
Con una mano, agitava un sacchetto di carta, lasciando che il profumo di patatine fritte, dall’interno, galleggiasse nell’aria, come un richiamo celestiale per i sensi, e nell’altra reggeva la tracolla di quella sua logora, scolorita sacca verde, compagna fedele e muta di tutti i suoi viaggi, traslochi e fughe.
- Vedo che la usi ancora … - sorrise, indicandola e cercando, con scarsi risultati, di riprendere il controllo del cuore che le era balzato in petto per la sorpresa.
- Trovo che mi dia quell’aria dannata e solitaria di chi è sempre alla ricerca di sé stesso … - rispose, mascherando un sorriso di scherno per quello che considerava il cliché dell’uomo solo e macerato, che la maggior parte delle persone attribuisce allo scrittore.
- Povero … poeta … vagabondo … - finse di compatirlo, con aria triste. – Tutto questo viaggiare … non ti avrà fatto dimenticare quanto io mangi, spero. - lo rimproverò, indicando il piccolo sacchetto, e cercando di distogliere lo sguardo dalle labbra di lui, attraenti e morbide in quella smorfia sbilenca, che le rendeva imperfette e uniche.
- Neanche la strada … fa dimenticare certe cose! – replicò e rivolse lo sguardo ad uno scatolone, che aveva appoggiato sulla soglia. Dentro c’era qualunque cosa commestibile avesse trovato, tutto in porzioni giganti per giganti affamati.
- Rory? – la chiamò, - Adesso mi fai entrare? – le chiese, inclinando la testa di lato per guardarla in viso.
- Ma tu … non avevi un impegno a … - chiese, sempre più confusa, travolta dalla sua presenza e dal desiderio, appena scoperto, che in quei giorni aveva avuto di lui.
- Rimandato! – la rassicurò, mentre, raccolto lo scatolone e rimessa in spalla la sacca, entrava in casa come fosse stata sua.
Un sorriso spontaneo la travolse, una sensazione di placida consapevolezza dei propri sentimenti la circondò, inebriante come il suo profumo, così lo accolse con un gesto della mano, indietreggiando verso il tavolino davanti al divano e continuando a guardarlo muoversi sicuro.
- Allora, mangiamo? – le chiese, accomodandosi, - Le patatine fritte fredde fanno schifo! – continuò, perfettamente a proprio agio.
- Vero … - concordò, arricciando le labbra, in una smorfia di disgusto.
- Avevi già scelto il film? – proseguì lui e, senza aspettare la risposta, lanciò un dvd, che Rory afferrò al volo.
- Non sarà “Almoust Famous” ? – chiese, spalancando gli occhi allarmata.
- Tranquilla … - la rassicurò, mentre, continuando a sorridere, disponeva sul tavolo il contenuto dello scatolone.
- “A love song for Bobby Long”*? – lesse il titolo, rigirandosi tra le mani la custodia.
- Fidati! – rispose, richiamandola con un cenno del capo, perché gli si sedesse accanto.
 

§§§§§§§§

 

- I tuoi gusti, almeno in fatto di film, sono migliorati … - disse sollevata, mentre scorrevano i titoli di coda.
- Così pare … - le rispose, guardandola addentare l’ennesimo muffin al cioccolato.
- La promozione del libro? – si informò, leccandosi le dita, come una bambina golosa.
- Mi sta uccidendo! – piagnucolò, scivolando sulla seduta del divano e portandosi le mani dietro la nuca, rilassandosi. - Ma dove sono finiti i tempi in cui, per scegliere un libro, si andava in libreria, ci si lasciava incantare dalla copertina o dal titolo, dalla prefazione, dai commenti autorevoli o ci si affidava al consiglio di un amico? – sbuffò, con tono stanco.
- Benvenuto nel XXI secolo … - lo riprese, agitando l’indice come una maestrina.
- Oh, ti prego …   - esclamò esausto, passandosi la mano sul viso. – Non parlare come Matthew: sono costretto a passare ore di convenevoli con sconosciuti più interessati alla mia vita privata o al mio aspetto, che al libro. Sai che una, ieri, mi ha passato il numero del suo cellulare, insieme alla copia da autografare? – le confidò, dandosi delle arie.
- Non è vero … - rispose, sgranando gli occhi, incredula.
- Eppure è andata proprio così. Ed era anche una rossa … rimarchevole, direi! – commentò, come se l’avesse davanti.
- “Rimarchevole”? – ripeté lei, con una punta di veleno.
- Sono uno scrittore, scelgo sempre con cura gli aggettivi! – replicò, facendo la ruota come un pavone.
Rory finse di non dar troppo peso al tono con cui aveva pronunciato quella frase e cambiò argomento, per togliersi dagli occhi la visione di una Jessica Rabbit in carne ed ossa, con tanto di scollatura vertiginosa, lustrini e paillettes.
- E … il prossimo incontro? – chiese allora, fingendosi distratta e ripulendo le briciole di muffin che le erano cadute in grembo.
- Domani, ad Atlanta. – rispose, cercando una posizione ancora più comoda su quel divano su cui stava stretta anche una sola persona.
- Sorridi! – esultò, con il veleno che le era avanzato da prima. – Incontrerai la tua Rossella! –
- E’ escluso. – le resse il gioco. – Ha scelto Reth … - sospirò, come se ne fosse davvero deluso.
- Strano. – continuò Rory, – Eppure la reputazione da mascalzone l’avete entrambi! – terminò acida.
- Saranno stati baffi, allora … - replicò serio, assecondandola.
- … Beh, tu hai sempre la tua rossa! – lo punzecchiò ancora, senza riuscire a nascondere la gelosia.
- Sei gelosa? – le chiese, voltandosi a guardarla.
- No! – si affrettò a rispondere, punta sul vivo. – E’ solo che … sì, insomma … non credevo … che ti piacessero le rosse … ecco tutto. - farfugliò, sentendosi smascherata.
- Sei gelosa! – ripeté, visibilmente compiaciuto.
Sì lo era, era gelosa, ma non voleva ammetterlo, soprattutto con sé stessa. Era gelosa, come l’estate di ritorno da Washington, quando non faceva che imbattersi in Jess e quella Shane. Le ritornarono in mente le mani di lui nelle tasche dei jeans, per toccarle il sedere, i loro baci, quasi indecenti, e la voglia, che, per la prima volta, aveva sentito di essere toccata e baciata allo stesso modo, da lui.
Un fuoco le percorse il corpo, dalla punta dei piedi alla radice dei capelli.
Si sentì male al pensiero che i suoi sentimenti fossero così evidenti e si complimentò con sé stessa per aver scelto una luce tanto soffusa, da mascherare almeno il rossore delle guancie.
Jess guardava dritto davanti a sé, tormentandosi il labbro inferiore, nel tentativo di trattenersi: la gelosia che Rory tentava malamente di velare, lo rassicurava, ma, al tempo stesso, lo bruciava, gli faceva desiderare di toccarla, di avvicinarsi alle sue labbra, di cui conservava ancora un ricordo preciso. Eppure non si mosse: l’impulsività, da cui si era fatto dominare in passato, gli aveva causato troppi danni nella vita, soprattutto con Rory. Era cresciuto, ormai, si conosceva perfettamente, così come conosceva lei: avevano bisogno entrambi di girarsi intorno un altro poco, di cercarsi ancora, per sciogliere qualunque dubbio rimasto, come avevano fatto per mesi quando lei stava con Dean.
Nonostante, allora, sapessero perfettamente quali fossero i propri sentimenti e quelli dell’altro, avevano giocato, come i bambini giocano a nascondino; si erano chiamati, per essere sicuri che l’uno trovasse il rifugio dell’altra; si erano rincorsi per poi fermarsi  l’uno ad un centimetro dall’altra, tanto vicini da far incontrare soltanto i respiri; si erano allontanati con l’unico intento di incontrarsi ancora, per poi ricominciare a negarsi ai propri desideri ed a quelli dell’altro, esattamente come bambini timidi ed inesperti.
Quel gioco continuava anche quella sera, nonostante non fossero più i ragazzini, che, per la prima volta, scoprono desiderio ed amore mischiati insieme, pace e tormento fusi in una necessità fisica, che si assopisce solo nel contatto con l’altro.
- Jess? – lo chiamò, dopo qualche istante di silenzio, interrotto solo dai loro respiri confusi.
Il ragazzo non rispose e quel silenzio quasi dispettoso, la sbilanciò, come se, d’un tratto, quell’equilibrio instabile, fatto di parole solo pensate; di desideri messi a tacere; di stupide, inutili ritrosie e paure fosse crollato, come il castello di sabbia sferzato dall’onda.
Rory, sciogliendosi dalla posizione fetale nella quale si era rintanata tutto il tempo, fece scivolare le gambe giù dal divano, accostandosi a lui; tirò su il viso per cercare quello di Jess, per trovare nel suo respiro, nello sbattere delle ciglia, nel tormento delle labbra, l’appiglio, il desiderio condiviso di “cadersi“ addosso.
Ma trovò soltanto gli occhi di lui nei propri: quegli occhi irriverenti e neri come inchiostro, indomabili, come animali selvatici; quegli occhi che la rendevano inquieta, scavando la breccia nelle proprie difese e, da egoisti, le rubavano ogni segreto, lasciandole solo terra nera nella quale affondare.
La testa cominciò a svuotarsi da ogni pensiero logico. La presenza di lui nella propria casa, come se fosse quello il suo posto; i loro corpi così vicini, da consumarle il fiato; ed il profumo intenso della sua pelle, confuso nel proprio, la disorientarono completamente.
Si sentì disarmata, indifesa e senza volontà di ostacolare i desideri che le affollavano il petto.
Così, lasciò che la bocca attraversasse il guado, approdasse all’ultimo lembo di terra fertile e lo baciò.
Fu come era stato sempre, da quel bacio al matrimonio di Sookie, e fu diverso: lui era diverso, lei era diversa, eppure tutto fu come era sempre stato.
Il tempo li aveva fatti crescere, maturare come nespole sul fieno, ma li aveva anche lasciati gli stessi, con gli stessi tormenti, con la stessa curiosità dell’altro, forse con lo stesso amore …
Jess rispose a quel bacio, teneramente, con la dolcezza infinita che poche volte riesce a domare la passione.
La baciò, facendo passare, dalle proprie labbra alle sue, ogni profondità il suo animo avesse toccato accanto a lei, ma non mosse un muscolo. Non la toccò, non la strinse, seppure ogni parte di sé ne avvertisse una bruciante necessità. Tenne le braccia ferme, legate lungo il corpo, temendo che l’impeto gliela facesse sgusciare via dalle dita, come due anni prima a Philadelphia. Non la sfiorò, se non con le labbra, perché la sua stretta non la intimorisse, perché potesse continuare a baciarla fino a farsi mancare il fiato.
Perché la voleva; Jess la voleva, per il tempo infinito di quel bacio e per il tempo che sarebbe venuto dopo. La voleva, in quell’istante, così come quella sera in cui le aveva restituito il libro per raccontarle, con note a margine, tutto sé stesso. Jess la voleva fino alla fine della sua volontà, perché solo nei suoi occhi aveva trovato il senso, nascosto a chiunque altro, della propria esistenza.
Rory si allontanò quel poco che le era necessario a riprendersi il proprio respiro, affannata, lenta, travolta dalla rivelazione che anche Jess fosse lì, inerme, sorpreso quanto lei dalla stessa consapevolezza. Senza fuggire, come quella sera alla libreria; senza ribellarsi a quel sentimento, che nel tempo si era alimentato di sé stesso; si rese conto che le loro vite distanti, tutte le loro esperienze e persino le lacrime, che entrambi avevano pianto, non erano state altro che un vento che il destino aveva messo loro contro, per insegnare ad aspettare ciò che non può fare a meno di venire.
Si alzò dal divano, mentre Jess faceva risalire gli occhi lungo il profilo del corpo, fino a trovare il suo viso accaldato.
Gli porse la mano, chiaro invito a seguirla, e lui gliela sfiorò carezzandone la pelle, in un riverente, docile corteggiamento, infilando le dita tra quelle di lei, stringendole con decisione, nonostante fosse ancora frastornato da quel bacio, tanto desiderato quanto inaspettato.
Rory, lasciò scivolare lo sguardo su quell’intreccio di dita e di anime e sorrise, con un velo di imbarazzo subito disperso dal calore del contatto, e si sentì pronta, sicura.
Cominciò a camminare, sentendo il corpo di Jess seguirla e accorciare le distanze ad ogni passo. Lo condusse in camera, ai piedi del letto; la stanza, in penombra, era rischiarata solo in un angolo dalla luce che, dalla strada, trapassava le tende leggere.
Erano l’uno di fronte all’altro, ancora in attesa: Rory gli poggiò la mano sul viso, carezzandone, delicatamente, la pelle ruvida e calda e Jess, avvinto da quel gesto, ne baciò il palmo, per poi farlo aderire completamente alla guancia, chiudendo gli occhi e assaporando ogni movimento, ogni battito del cuore perfettamente in sincrono con il proprio. Le si avvicinò, lento, alle labbra e la baciò, lasciando che i propri corpi si sfiorassero, in una ricerca sensuale e dolcissima, fino a stringerla, per eliminare gli ultimi centimetri che ostacolavano il completo contatto.
Si baciarono ancora e continuarono a baciarsi fino a quando la tenerezza che, all’inizio aveva condotto il gioco, non cedette il posto al desiderio l’uno dell’altra, alla voglia di chiudere il cerchio, all’indomabile necessità di cedere.
Rory lo strinse, facendo risalire le mani aperte lungo la schiena fino alle scapole; mentre Jess le lasciava scivolare le dita intorno alla vita, sotto la maglietta, stanco del filtro, seppure leggero, che la stoffa gli aveva imposto, fino a quel momento.
Era così sottile la sua vita, che le mani riuscivano a toccarsi stringendola. Delicatamente, fece passare i pollici sul ventre, indugiando in carezze circolari intorno all’ombelico, continuando a baciarla e sorridere sulla sua bocca di ogni piccolo centimetro di pelle conquistata.
Nonostante il desiderio divenisse sempre più trascinante, non sarebbe andato oltre.  Nonostante si sentisse come in apnea, vicinissimo al pelo dell’acqua, per ritornare respirare, Jess voleva che fosse Rory, a lasciarsi andare nelle sue mani. Avrebbe aspettato con pazienza straziante, tutto il tempo che le sarebbe occorso, senza fare a pezzi i suoi sentimenti ed i propri, come quella sera a casa di Kyle.
Né un gesto, né mille baci, né il desiderio, quasi doloroso, che pure lo trascinava come la piena di un fiume, avrebbero travolto quell’amore che mai aveva smesso di scorrere.
Le liberò labbra, di cui si era già preso l’essenza, e compì qualche passo indietro, mantenendo gli occhi fermi e decisi sul suo viso accaldato. Gli occhi di Jess erano i migliori oratori che Rory avesse mai incontrato, avevano sostituito le parole tante volte ed ancora lo facevano, insistenti, in una disarmante richiesta di resa.
Non fu difficile per lei comprendere quella richiesta, così si allontanò, solo i pochi centimetri necessari ad incrociare le braccia, per afferrare i lembi opposti della propria maglia. La sfilò, facendo passare il capo attraverso lo scollo, mentre ciocche di capelli, al profumo di miele, ricadevano scomposte, sulle spalle e sul viso.
La stanza si dilatò alla luce della sua pelle di luna e Jess, sempre guardandola negli occhi, le passò le dita sulle labbra, facendole aprire in un sorriso ingenuo e malizioso insieme, che fu, per lui, invito dolce e sospirato richiamo: la porta del corpo era finalmente aperta, mente e anima completamente dischiuse.
Quello spazio, che li separava, fatto solamente di aria e di desiderio, permise a Jess di afferrare, con la mano sinistra, il lembo opposto della propria maglia, facendo passare prima il braccio destro attraverso la manica, poi il capo attraverso lo scollo, per lasciarla ricadere infine lungo l’altro braccio, fino a terra.
Neanche per un istante i propri occhi lasciarono i suoi, come fossero incatenati ed inseparabili, parti vitali del suo stesso corpo.
Ora che la loro pelle era senza velo, tornarono a stringersi, confondendosi l’una nell’altro, latte e petrolio, in una mistura che rideva delle leggi della chimica.
Nessuno avrebbe scommesso mai su di loro: gli interessi comuni, le medesime passioni erano fondamenta troppo instabili sulle quali costruire. Eppure, nonostante fossero così diversi, figli di mondi così distanti, essi si erano comunque incontrati, scoperti simili, complementari, essenziali l’uno per l’altra.
Ripresero a baciarsi, accarezzandosi, premendo delicatamente il proprio corpo su quello dell’altro, per poi ricadere sul letto, prendendo aria come prima di un tuffo. Rory toccò con la schiena nuda la superficie del piumone morbido, Jess le lambì la pelle del ventre scoperto, delle clavicole delicate, con la sua, così ruvida e calda, da infiammarle i seni ancora nascosti. Puntò le braccia tese ai lati del volto di lei, per poterla guardare, pur rimanendo legato al suo respiro con un laccio invisibile.
- Ti amo … - sussurrò, pianissimo, ma senza alcuna incertezza, senza timore, senza necessità di riprendere fiato, come la prima volta al falò.
Rory si sentì trapassare da quelle parole, il cuore ne fu inondato, come da un fluido vitale, necessario, nuovo eppure parte di lei da sempre.
- E tu … mi ami? – continuò, con la voce stranamente incerta e tremante ed al tempo stesso decisa, avvolgente e conquistatrice.
- Sì … - soffiò lei, così dolcemente arrendevole, che chiunque altro avrebbe potuto scambiarlo per un sospiro.
Quella sillaba, appena accennata, sortì in lui lo stesso effetto rassicurante di un rifugio caldo nella tempesta, si prese l’ultimo alito di insicurezza che ancora minava i suoi gesti, rendendolo libero di chiederle tutto.
- Allora dillo! – insistette, con il velo di prepotenza con cui si reclama ciò che ci appartiene. – Dimmi che mi ami … - chiese ancora, con un sussurro caldo, addolcendo la richiesta.
- Ti amo … - gli rispose, esaudendo il desiderio di lui ed il proprio.
Ed, in quell’istante, frammento di una esistenza alla ricerca, tutto fu chiaro per entrambi. L’aveva amato sempre, dalla sera in cui gli aveva chiesto di fidarsi, la prima volta che si erano visti; l’aveva amato senza averne coscienza e senza sapere nulla di lui, della sua vita, dei sogni infranti e di quelli in attesa.
Così come lui l’aveva amata, aprendole il petto indurito; lanciandosi dentro la sua essenza, ancora e ancora; rompendo in mille pezzi la sua scorza, come il mallo di una noce.
Si erano amati sempre, come si ama la prima volta nella vita ed ancora si amavano, come si ama una sola volta nella vita.


* A love song for Bobby Long è un film del 2004 con John travolta.
L' ho scelto perchè i due protagonisti maschili sono malati di letteratura, amano i libri  e ne fanno un riferimento per le proprie vite. In particolare il protagonista più giovane è uno scrittore, che solo quando capisce il vero senso della propria esistenza, attraverso l'amore ed i legami familiari, riesce a concludere il suo primo romanzo .

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Capitolo 16
*** - Sunrise, crumbs and kisses ***


16 - Sunrise, crumbs and kisses

 

La luce del mattino li sorprese vicini, sotto le stesse lenzuola, per la prima volta.
Dormivano distesi sul fianco destro, l’una dentro l’altro, come l’ostrica nella valva. Jess poggiava mollemente la fronte sulla schiena di Rory, alla base della nuca; il braccio sinistro le cingeva il fianco e le dita della mano, adagiata sul ventre, stringevano quelle di lei, insieme al groviglio di lenzuola stropicciate. L’altro braccio le passava sotto il collo, piegandosi sullo sterno nudo e la mano le si ancorava alla spalla, assicurandosi, nonostante il sonno, di non allentare minimamente la stretta.
La luce si consolidava lungo le pareti della stanza, divenendo sempre più insistente, e Jess aprì e richiuse le palpebre un paio di volte, preparando gli occhi al chiarore diffuso. Spinse in avanti il naso, fino a toccarle la pelle, profumata e liscia come la più pura delle sete.
Il contatto ed il profumo, gli solleticarono i sensi, punsero i muscoli, come fossero senza pelle, ed una scarica di eccitazione e tranquillizzante possesso lo percorse lungo tutto il corpo teso.
Strinse di più la stretta, sfregando la guancia sulla schiena di Rory, lasciandosi avvolgere da quell’effetto che il suo corpo gli provocava, e sorrise, baciandola.
Scoprirsi così coinvolto, fu una sorpresa annunciata: non era un ragazzino alla prima esperienza, di donne ne aveva avute, anche prima di Stars Hollow, nonostante fosse giovane.
La notte trascorsa con Rory, però, era stata un’esperienza completamente nuova: gli aveva permesso di guardarsi sotto un’altra luce, lo stesso panorama da una finestra diversa. Fare l’amore, guardare sé stessi con gli occhi di chi ti ama, essere coscienti delle proprie pulsioni, dei desideri che diventano parte, non più solo del corpo, ma di un cuore da sempre bistrattato, erano stati la rivelazione cosmica della propria vera natura, rivelazione che solo lei era riuscita a mostrargli.
Ciò che aveva provato con Rory era stato così intenso ed infinito, così passionale ed intimo da insegnargli cosa significhi amare con ogni parte di sé.
Di quella sensazione aveva avuto un assaggio già quando stavano insieme da ragazzi ed, ogni volta che si baciavano, diventava sempre più difficile privarsi della sua bocca. Lo aveva sospettato allora, ma adesso ne era sicuro: se quella sera a casa di Kyle avessero fatto l’amore, Jess non avrebbe mai visto la California.
Il corpo di Rory si risvegliò alla stessa maniera del suo, aprì lentamente gli occhi e sorrise accoccolandosi nell’abbraccio caldo di Jess.
- Buongiorno … - gli augurò, mentre lui le baciava la schiena.
- Buongiorno a te … - le fece eco, tra un bacio e l’altro.
- Dormito bene? – gli chiese, voltandosi e trovandosi il suo viso a pochi centimetri.
- Poco e male … Ma ne è valsa la pena! – le sorrise, annullando abilmente i centimetri che si erano interposti tra loro nel cambio di posizione ed eliminando i lembi del lenzuolo che dividevano la loro pelle nuda.
Jess sprimacciò il cuscino, sistemandoselo sotto la testa, in modo da poterle guardare il viso vicinissimo, mentre, con la mano libera, portava il tempo dei loro respiri, picchiettando dolcemente sul fianco di lei.
- E questa? – gli chiese, passando l’indice su di una cicatrice che aveva sul petto, all’attaccatura del braccio destro.
- La cicatrice? Potrei dirtelo, ma poi dovrei ucciderti … - rispose, misterioso.
- Correrò il rischio … - lo assecondò curiosa.
- Un regolamento di conti tra bande rivali! – le rivelò con sufficienza, quasi, per lui, fosse cosa di tutti i giorni.
- Scherzi? – inorridì: per quello che sapeva di Jess, prima di Stars Hollow, poteva anche essere vero.
- Sì! – ridacchiò, godendosi l’espressione sollevata di quella che era di nuovo la sua ragazza.
- Sono caduto, come un perfetto idiota, uscendo dalla doccia e, finendo su non ricordo più cosa, mi sono ferito! – confessò senza imbarazzo.
- Eri ubriaco? – incalzò, prendendolo in giro.
- No, no, ero sobrio. E’ per questo che ho sottolineato: “come un perfetto idiota”. – sorrise ancora, lasciandole un bacio sulla punta del naso.
- Strano. Per tutto il tempo che siamo stati insieme, non l’avevo mai notata. – considerò la ragazza, continuando a seguire col dito quella pelle attorcigliata, dura e retratta.
- Beh, non siamo mai stati insieme  … così … - precisò, improvvisamente serio, con la voce dolce, sfiorandole la pelle del seno che rimaneva scoperta dalle lenzuola.
- No … - sospirò lei, - Non ridere, ma … io … avrei voluto … - confessò, imbarazzata, mentre una scarica elettrica le percorreva la schiena. – Io … avrei voluto! Lo confidai anche alla mamma … - continuò, con le guancie in fiamme come una ragazzina.
- Ed io che credevo che i motivi per cui Lorelai mi detesta fossero solo merito mio! – ironizzò, cercando di stemperare l’imbarazzo di lei ed il vuoto nello stomaco che gli si era aperto a quella rivelazione.
Sapeva, allora, che in ogni bacio, in ogni carezza esplicita, Rory percepiva il desiderio che aveva di lei, e, a sua volta, sentiva quel suo lento lasciarsi andare tra le sue mani, ad ogni tocco più sicura, più pronta a lasciarsi annegare in quel fiume caldo e avvolgente, nuovo per entrambi.
- Presuntuoso … - lo apostrofò, con un piccolo sorriso, mentre si lasciava baciare la fronte e le guancie.
- Lo ero: ero un ragazzino presuntuoso, convinto che il mondo girasse per il proprio verso solo per fargli dispetto. Ero presuntuoso, arrabbiato e totalmente inaffidabile. Come … come potevi credere in me, fidarti al punto di … - le chiese, percorrendo, con la punta delle dita, la schiena scoperta.
- Ero … innamorata … - sussurrò, quasi fosse la cosa più ovvia al mondo. – E mi fidavo, anche se, a volte era così difficile capirti … Come alla festa. Avrei dovuto intuire che qualcosa ti tormentava, eri così triste, arrabbiato … -
- Ehi … - la fermò, posandole un dito sulle labbra. – Fu mia la colpa, soltanto mia … Ero stupido e troppo giovane per riuscire a gestire i miei sentimenti per te, troppo grandi e sconosciuti. Sapevo che ti avrei delusa per la bocciatura … per il ballo a cui non ti avrei portata. Avrei deluso la prima persona che si era fidata di me … la prima… - mormorò, senza guardarla, come se il peso di quell’errore gli opprimesse ancora il respiro.
- Ed io volevo cambiarti, Jess. Mi fidavo, mi ero innamorata di te per come eri, eppure volevo cambiarti! Anche io ero una ragazzina presuntuosa … -
Jess scosse il capo, continuando a guardarle le labbra piccole, tenere ed invitanti, esattamente come era lei.
- Una coppia perfetta, direi … - sorrise.
- Decisamente … - acconsentì. – Forse avevo solo paura che ti stufassi di me … della ragazzina con la gonna a pieghe della Chilton. – azzardò dopo un sospiro.
Rory era sempre stata uno strano miscuglio: forte e determinata, pronta al sacrificio pur di realizzare i sogni che l’avevano spinta fin da bambina ed al tempo stesso piccola, insicura, tremante, come un animaletto spaventato, davanti ai propri sentimenti.
Jess sorrise, intenerito nel trovarsi tra le braccia la stessa ragazzina dolce ed entusiasta che si era presa il suo cuore a diciassette anni.
- Mi piaceva, invece, mi piaceva da morire la tua gonna a pieghe … - le rivelò, avvicinandosi al suo orecchio, come fosse un segreto solo loro. – Avrei dovuto parlarti … Avrei dovuto spiegarti ciò che mi torturava … - continuò, facendosi di nuovo serio. - Ma dovevo andare via, Rory, dovevo crescere … - terminò con un sospiro profondo, lasciando che il peso di tutto quel tempo, impiegato a diventare grande, uscisse dai suoi polmoni, liberandolo.
- E … sei cresciuto? – indagò, sorridendo.
- Tu che dici? – chiese lui, sorridendo a sua volta e riportandole gli occhi sulla bocca.
- Te lo dico dopo … - rispose con una malizia nuova, mentre Jess le si avvicinava al collo, sfiorandola con le labbra, in una maniera così coinvolgente da toglierle ogni capacità razionale.
 

§§§§§§§§
 

Trascorrere l’intera mattina a letto era stata una novità sorprendentemente piacevole per entrambi.
Nessuno dei due indugiava sotto le coperte: Rory era solita alzarsi presto per fare colazione con calma, sfogliando il suo quotidiano preferito; Jess, pur essendo più pigro, considerava, da sempre, il letto necessario solo per dormire. Per il resto, ascoltare musica o leggere o dedicarsi ad altre “pratiche”, andavano bene anche il divano, la sedia della sua cucina e persino il pavimento.
Eppure quel giorno nuovo, si erano lasciati avvolgere da quella pigrizia molle del far niente; dal desiderio di rotolarsi addosso, di respirarsi; di aggrovigliarsi dolcemente l’una nell’altro e tra le coperte riscaldate dai loro corpi ancora nudi.
Quando poi la fame ed il bisogno della prima dose quotidiana di caffeina di Rory si fecero sentire, ordinarono la colazione alla caffetteria all’angolo, dove lei si fermava tutte le mattine.
Rimasero ancora l’uno sull’altra, con la musica a regolare i respiri, fino a che il garzone bussò alla porta. Jess sbuffò sonoramente e si tirò su, scocciato di dover rompere quel contatto, che continuava a pizzicargli i sensi. Rovistò per la stanza alla ricerca dei suoi jeans e della maglia stropicciata, mostrando, senza alcun imbarazzo, il suo corpo completamente nudo, deciso, sicuro, forte e caldo nel quale Rory si era rifugiata fino a pochi istanti prima.
- Ehi! – lo richiamò. – Ma sei senza vergogna … - finse di rimproverarlo, senza riuscire staccargli gli occhi di dosso. Jess sorrise seducente e, senza dire una parola, con un gesto secco, le strappò il lenzuolo che la copriva, facendola arrossire, come una ragazzina che si mostra per la prima volta.
Fecero colazione tra le lenzuola stropicciate, piene di briciole di muffins; si baciarono, assaporando il gusto delle loro bocche, mescolato a quello della cioccolata; si punzecchiarono, ridendo, come piaceva a loro e poi si baciarono ancora, senza fretta, ora che sapevano di avere tutta la vita davanti.
- Jess? – lo chiamò, mentre, strappatole di mano l’ultimo morso di ciambella, le riempiva di piccoli baci le guancie piene.
- Cosa? – farfugliò, incontrando con la punta del naso quello di lei e lasciandole scivolare le mani lungo la schiena.
- Cosa succede adesso? – chiese, socchiudendo le palpebre e accelerando il respiro.
- Ci sono almeno un paio di idee che mi frullano per la testa … - disse, mentre la bocca non dava scampo alla pelle del collo di Rory. – Se vuoi … te le mostro … una alla volta. – continuò, sfacciatamente, tra un bacio e l’altro.
- Jess … - provò a dissuaderlo, - Sii serio. – lo pregò.
- Mai stato più serio. – rispose senza interrompere l’opera che aveva iniziato.
- Ti prego, non … non riesco a parlare così … -
- Parlare? – finse di riflettere. – Tranquilla, non servirà. – concluse, sempre più invadente.
- Jess! – lo chiamò ancora, cercando di mantenere il controllo di sé. - Cosa succede adesso? – insistette.
- Di cosa hai paura, Rory? – sospirò, allontanando il viso da quello di lei per poterla guardare negli occhi e rendendo il tocco delle mani più tenero. - Della distanza? – azzardò.
L’idea di uscire da quel letto gli faceva sentire una strana fitta allo stomaco, un brivido nelle ossa, come sgusciare fuori da un rifugio caldo e avvolgente nel freddo della notte. – Siamo fatti per stare insieme, te l’ho già detto una volta … - le ricordò, mentre le immagini di quella sera a Yale passavano nella memoria di entrambi. – Io l’ho sempre saputo e anche tu lo sai. – ripeté, con una dolcezza da uomo, senza alcuna prepotenza, come allora. – Ho commesso degli errori in passato, lo so ... – sospirò, accarezzandola. - Ho passato una vita intera a convincermi che la felicità fosse per gli altri, per tutti gli altri tranne che per me. Anzi, ad un certo punto ho persino creduto che cercarla fosse da idioti … Adesso, da adesso, non lo credo più! E non mi importa se sarà difficile, se sarà doloroso … stavolta mi prenderò la felicità che mi spetta … insieme a te, mi prenderò tutto quello che mi spetta. – concluse lentamente, per poi sfiorarle le labbra come per suggellare la promessa.
Non era uno stupido, tantomeno un ingenuo: sapeva che sarebbe stato difficile, che la distanza li avrebbe feriti; già sentiva che la mancanza di lei, fisicamente, lo avrebbe morso ogni momento del giorno e la notte avrebbe sentito la carne sanguinare.
Ma sapeva anche che l’amava, come  non credeva si potesse amare; l’amava come aveva letto nei libri e, quella notte, aveva imparato cosa volessero dire quelle che erano state per troppo tempo solo parole.
Stavolta, ne era certo, niente si sarebbe messo di mezzo: né gli errori commessi da entrambi, né le paure che li avevano allontanati, o un passato doloroso, tantomeno la distanza.

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Capitolo 17
*** – The book and the award ***


17 – The book and the award

 

Erano passati ormai poco più di due mesi.
Due mesi fatti di settimane interminabili e week-end sospirati e travolgenti, durante i quali, ogni venerdì, Jess lasciava Philadelphia per New York.
Terminata la promozione del libro, era tornato a quelli che lui stesso definiva, orari da impiegato, dalle nove alle cinque.
Senza contare che il suo lavoro poteva farlo ovunque: la concentrazione l’accompagnava sempre, in qualunque condizione. Decine di volte aveva letto per strada, non curante dei passanti, contro i quali finiva; o, da ragazzo, nel locale di Luke, mentre serviva ai tavoli con in una mano il libro e nell’altra il bricco del caffè. Per non parlare della sua capacità di concentrarsi ancora meglio con la musica ad alto volume, come  nei fine settimana nel garage di Lorelai, mentre ascoltava con Rory le prove della band di Lane.
I primi giorni di aprile davano alla città un dolce aspetto primaverile, nonostante la temperatura non fosse propriamente clemente.
Eppure entrambi si lasciavano sedurre, ogni sabato mattina, dal fascino del loro posto a New York: Washington Square Park.
Quella mattina, sedevano su di una panchina, ognuno perso nelle proprie letture.
Jess sedeva nell’angolo, con il gomito destro appoggiato al bracciolo, tenendo con la mano una bozza da esaminare; il piede destro appoggiato al suolo e l’altro sulla seduta della panchina. Tra le sue gambe divaricate, sedeva Rory, con la schiena adagiata sul petto di lui, reggendo con entrambe le mani l’immancabile copia del Times, mentre il braccio sinistro di Jess le fasciava le spalle, per assicurarla in quella posizione che negava ogni stabilità.
- Ma tu non hai fame? – domandò all’improvviso Rory, tagliando in due la concentrazione del suo  ragazzo.
- E tu non sei quella che meno di due ore fa ha divorato due muffins ai mirtilli, una ciambella alla crema ed un numero imprecisato di cioccolatini al caffè? – le rispose, distogliendo gli occhi dalla lettura e rivolgendo le labbra verso il collo, che Rory gli aveva delicatamente offerto, reclinando la testa sulla sua spalla.
- Infatti l’ho chiesto a te! – replicò.
- No.  – rispose secco Jess, scuotendo la testa in segno di disapprovazione. – Dovresti smetterla, finché sei in tempo, di mangiare così! – la rimproverò.
- Parli come Luke! Finirai per sostituire le patatine ed i cheeseburger con carote e verdurine al vapore … - sospirò spaventata.
- E tu sei come tua madre … - incalzò. –  “Magra come un chiodo. Nessuno direbbe che voi Gilmore mangiate come squali. Dovrebbero studiarvi!” – recitò un brandello di conversazione di quella disastrosa cena a casa di Emily.
- Fosti odioso … - gli ricordò, con un finto broncio.
- Ma davvero? E chissà perché poi … Ero in ritardo ad una cena che avrei evitato volentieri, la mia ospite mi detestava cordialmente e la mia ragazza … era convinta che avessi fatto a botte con “Mr. Perfezione”, come se poi quell’idiota potesse essere capace di fami un occhio nero … - sorrise spavaldo.
- Avresti dovuto dirmi subito che era stato un incidente … - insistette.
- Sì, un incidente con uno stupido, stupido cigno … - confessò, puntando lo sguardo lievemente imbarazzato, verso un punto indefinito di fronte a loro.
Rory si voltò a guardarlo incredula, per poi perdersi in una risatina sommessa.
- Un cigno? Fu un cigno? – ripeté, cercando di trattenersi. – Sei un bugiardo! – lo bacchettò, puntandogli il dito contro il naso.
- E tu un’ingenua … Avresti dovuto capirlo quella sera stessa che mentivo … - precisò, guardandola con la coda dell’occhio.
- Effettivamente … l’immagine di te che giochi a pallone … con degli amici … Avrei dovuto insospettirmi subito! – rifletté.
- Diciamo che subivi il mio fascino … - si dette delle arie, strofinando la punta del proprio naso contro quello di lei, proprio come allora.
- Non provarci … non crederai di cavartela così? – lo minacciò, cercando, con scarsi risultati, di sembrare determinata.
- E’ il mio! – esultò Jess, sentendo lo squillo del cellulare e sorridendo, come i bimbi scampati alla punizione. Lasciò cadere, con un gesto secco, i fogli nella tracolla, sistemata a terra di fianco alla panchina, recuperò il telefono e, continuando a guardarla, rispose.
- Matthew, lo sai che giorno è oggi? – chiese retorico all’amico che si era intromesso nel suo week-end.
- Lo so, è sabato … - gli rispose il socio, - Ma proprio non potevo aspettare! – si giustificò. – Sei con Rory? – farfugliò agitato.
- No, aveva da fare così l’ho sostituita con la vicina di pianerottolo. Ho promesso di non baciarla, però! – ironizzò, per il gusto di confondere Matthew, sempre così impettito e serio.
- Ah, ah …  Metti il vivavoce! – replicò, - Sai farlo? – si prese la rivincita, conoscendo l’avversione di Jess per i cellulari.
- Cos’è uno sketch da cabaret? – si difese, mentre esultava mentalmente per aver premuto il tasto giusto. – Fatto, sei in audio conferenza … - annunciò.
- Tenetevi forte: abbiamo vinto il premio come miglior casa editrice indipendente di Philadelphia! – annunciò tutto di un fiato. – E non è tutto … - continuò, senza dar loro la possibilità di replicare. – Uno dei nostri ha vinto come miglior scrittore emergente! Indovina chi è? – chiese sempre più esaltato.
- Collins, senza dubbi! – rispose risoluto Jess.
- Ritenta, sarai più fortunato … - gongolò  il socio dall’altro capo del telefono.
- Allora è Waiss: è meno geniale di Collins … ma sa scrivere! – azzardò, mentre sorrideva a Rory per la notizia.
- Neanche. Sei tu, Jess! – gli rivelò, dopo una breve pausa.
Rory sgranò gli occhi e trattenne il respiro, lasciò cadere il quotidiano, che aveva stretto nervosamente tra le mani, e le portò sul viso di lui, accarezzandolo.
- Ci sei ancora, amico? – lo richiamò, Matthew.
- Credo di sì … - rispose spiazzato dalla notizia.
- Allora i particolari a lunedì! Rory, ci vediamo per la premiazione tra due settimane.- li salutò entusiasta.
- Dobbiamo festeggiare. – urlò la ragazza, saltellando e battendo le mani come una bimba.
- Tutto quello che vuoi … - le sorrise suadente, travolto dall’entusiasmo contagioso della ragazza.
Se qualcuno, solo pochi mesi prima, gli avesse detto del premio non gli avrebbe creduto. Ma se gli avesse detto che la sua vita sarebbe ricominciata tra le braccia di Rory, gli avrebbe dato del pazzo.
Aveva fatto di tutto perché il ricordo di quella ragazza e i propri sentimenti per lei, lo lasciassero: aveva imprecato, pianto, gridato, bevuto, battuto i pugni e sputato sangue pur di riuscirci. E per un momento aveva anche creduto di avercela fatta.
Ma mai era stato più lontano dalla verità.
Rory si era avvinta dolcemente alla sua anima, come edera rampicante; i suoi occhi avevano riverberato nei momenti in cui aveva temuto di perdersi, come una fiamma  lontana ad indicargli la via; la bocca aveva continuato a chiamare il suo nome, sussurrandoglielo all’orecchio, come in uno di quei sogni, che acquietano le notti, lasciando, al mattino, una strana serenità e la spinta a non arrendersi.
Ed ora, non più solo la sua essenza, ma il corpo, il suono della voce, la dolcezza delle mani, gli danzavano davanti agli occhi e lo rendevano felice.
- Potremmo andare in quel ristorantino a  … - fece per proporre.
- … A Stars Hollow! – lo interruppe Rory, finendo per lui la frase.
- Cosa? – si allarmò: quel posto non gli sarebbe mai piaciuto.
- A Stars Hollow! – ripeté, scandendo sillaba per sillaba, - Inviteremo Luke e la mamma alla premiazione. – continuò, come se fosse la cosa più ovvia.
- Solo se dovessi scontare una pena detentiva! – la freddò.
- Non vuoi che la mamma e Luke assistano alla premiazione? – gli domandò stupita.
- Non voglio andare a Stars Hollow. – rispose seccato.
- Perché no? – insistette, ingenuamente.
- Perché la mia idea di festeggiare non coincide con quel buco di città! – sospirò.
-Ti prego … - lo implorò, sedendogli sulle ginocchia e prendendogli il viso corrucciato tra le mani.
- … Oh, ma perché … - piagnucolò, già sconfitto.
- Perché sono dolce … - mormorò, sbattendo le ciglia da bambola e sfiorandogli le labbra.
- … Manipolatrice! – la corresse, ricambiando il bacio con slancio.
- … Sensuale … - aggiunse, baciandolo ancora, ostentando un’aria da ammaliatrice.
- … Letale come Mata Hari … - insistette, baciandole la punta del naso, le guance, una dopo l’altra, e poi ancora le labbra.
- … Ma tu mi ami da morire! – concluse soddisfatta.
Jess sorrise, scuotendo la testa.
L’amava, era vero. L’amava più di ogni altra cosa al mondo e la conosceva, più di quanto conoscesse sé stesso. Per questo sapeva che opporsi sarebbe stato inutile. Aveva temporeggiato solo per ammirarla: il maldestro tentativo di ammaliarlo con le sue moine lo divertiva, lo conquistava ad ogni smorfia infantile, ad ogni battito di ciglia, ad ogni bacio tenero e conquistatore, ad ogni sussurro.
Le portò sui fianchi le mani, che aveva costrette lontano da lei, per non cedere già al primo bacio; li strinse in una delicata morsa, facendo aderire, più che poteva, i loro corpi e le sfiorò il collo profumato.
- A patto che dopo si festeggi … a modo mio! – fu la condizione per la resa sussurrata al suo orecchio.
- Tutto quello che vuoi … - lo imitò, lasciandosi stringere felice.

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Capitolo 18
*** – Back to Stars Hollow ***


18 – Back to Stars Hollow

 

Il viaggio da New York a Stars Hollow gli sembrò interminabile, più insopportabile della prima volta.
Allora, a diciassette anni, sapeva solo cosa stava lasciando: una madre distratta, una città feroce, che però non l’aveva domato, e decine di ragazzi come lui, ai margini, abituati solo a combattere.
Adesso, invece, sapeva esattamente a cosa andava incontro: un luogo surreale, abitato da ficcanaso autorizzati che l’avevano giudicato e respinto fin dal suo arrivo.
Eppure Taylor o Babette non erano il vero motivo della sua insofferenza per quel luogo: era sempre riuscito a tenerli a bada, si era anche divertito nel prendersi gioco del loro ottuso perbenismo.
Quella che lo preoccupava era Lorelai.
Era stato con lei, fin da quella prima sera, maleducato, sfacciato, ”borioso, una nullità”, come lei stessa l’aveva apostrofato, in una delle loro accese discussioni.
L’aveva sfidata con arroganza, poiché solo così sapeva difendersi e sebbene sapesse, allora come adesso, che la maggior parte delle accuse che gli aveva rivolto fossero infondate ed i suoi sentimenti nei confronti di Rory fossero sinceri, aveva commesso il più grande errore: davanti ad una leonessa che difende il suo piccolo, ogni passo falso è letale.
- Ehi, ragazzo triste … - lo richiamò Rory, distogliendolo dai suoi pensieri.
Jess voltò il viso che aveva tenuto fisso sul panorama che scorreva fuori dal finestrino, e le rivolse uno sorriso preoccupato.
- Non sarà così terribile, vedrai! – lo rassicurò.
Il ragazzo le passò l’indice sul dorso della mano salda sul volante.
- Di certo non per te … - le rispose con una smorfia.
- Oh, che tenerezza! Non mi dirai che hai paura della mia dolce mammina … - lo prese in giro.
- Non è per Lorelai … - mentì spudoratamente.
- Ah no? – chiese, fingendosi stupita. – E per cosa, allora? –
- Pensavo che dopo essere stato costretto ad affrontare la “strana coppia” … - disse riferendosi a Luke e a Lorelai, - … finiremo anche col dormire tu nella tua vecchia stanza ed io nel polveroso appartamento sul locale! – continuò con una battuta per alleggerire la preoccupazione che gli stringeva lo stomaco.
- Scherzi? – si allarmò, – Dormiremo insieme, invece, e nella migliore stanza del Dragon Fly! – rivelò, quasi fosse sconvolta dalla possibilità che fossero separati.
- Mamma mia! – esclamò Jess, – Vuoi offrire a tua madre l’ennesimo pretesto per uccidermi? – si finse terrorizzato.
- Non lo farebbe mai … - stette al gioco, - Piuttosto lo ordinerebbe ad una delle cameriere: il servizio alla locanda è impeccabile! –
Risero, come solo insieme riuscivano a fare, e Jess le riservò un tenero sguardo d’intesa, mentre Rory parcheggiava proprio fuori dal locale di Luke.
 

§§§§§§§§
 

- Io e Jess dobbiamo fare un annuncio! – proclamò solenne, bevuto il secondo caffè.
- Oh, Signore! – esclamò Lorelai, portando una mano al petto, inscenando magistralmente una crisi di iperventilazione.
- Jess ha vinto il premio come miglior scrittore emergente di Philadelphia! – annunciò fiera, alzandosi in piedi, ignorando la pantomima che sua madre stava mettendo in scena.
- Oh, Signore! – ripeté la donna, portando al petto anche l’altra mano. – Temevo voleste sposarvi! – terminò, espirando rumorosamente.
- E togliere al mio amato zietto l’onore di portare all’altare una Gilmore per primo? – ironizzò, imbarazzato, giocherellando col tubetto del ketchup al centro del tavolo.
- E’ magnifico! – esultò Luke, alzandosi di scatto per abbracciare il nipote. – Dobbiamo festeggiare … - continuò, dandogli goffamente una pacca sulla spalla. – Cesar … - chiamò, avviandosi verso il magazzino.
- Ce l’hai una bottiglia di champagne? – chiese ironica Lorelai, che manteneva lo sguardo fisso su Jess.
- Ma certo! – le rispose, facendole il verso, Luke, come se ne avesse non una, ma un’intera cassa conservata proprio per un’occasione come quella.
- Altrimenti Jess poteva andare a prenderla da Doosie’s … - continuò rivolgendosi a lui, senza neanche considerare la risposta del compagno.
- Come no! – intervenne, finalmente il ragazzo, mentre Rory intrecciava sorridendo le proprie dita alle sue, sotto il naso della madre. – Sono certo che Taylor me l’avrebbe regalata per la gioia di rivedermi … - l’assecondò.
Rory sorrise ripensando a Taylor, alla sagoma di gesso davanti al suo negozio; all’esilarante, surreale assemblea cittadina, nella quale Luke aveva difeso il nipote a spada tratta e alla prima discussione che lei stessa aveva avuto con Jess.
Il suo telefono squillò, riportandola al presente, e la ragazza, per non incorrere nelle invettive di Luke, lo afferrò e corse fuori, annunciando che era Lane. La felicità di parlare con la sua amica le fece trascurare il fatto che stesse lasciando Jess solo nella fossa dei leoni.
- Sei cresciuto … - esclamò Lorelai, appena furono soli.
- Se lo dici tu … - le rispose già sulla difensiva.
- E’ una bella cosa, sai? - continuò, - E Luke è così fiero di te … Credo che si sia commosso, anche se non lo ammetterebbe mai! – spiegò, mentre sfogliava nervosamente il menù che conosceva a memoria.
- Beh, neanche io lo ammetterei mai, ma … è anche merito suo, di quello che mi ha insegnato … - rispose sincero, tirando su gli occhi per guardarla.
- Uh, allora sei proprio cambiato … - esultò, con una punta di acida ironia, affilando le unghie.
- Questo no! – ribatté, - Sono cresciuto forse, ma sono sempre io … - la contraddisse, scivolando sulla scomoda seduta della sedia.
- Devo ricominciare a preoccuparmi, allora? –
- Se ti riferisci a Rory, non è necessario. Non lo era neanche sette anni fa …  - concluse con lo stesso sguardo spavaldo di sfida che una sera aveva fatto desiderare a Lorelai una torta di panna da spiaccicargli sulla faccia.
- Questo lo dici perché tu sei andato via ed io sono rimasta a vederla soffrire! – rispose velenosa.
- So di aver sbagliato … Non sai quante volte mi sono maledetto per quella scelta. – le confidò, espirando l’aria che gli si era incastrata nei polmoni. - Ma le persone crescono, Lorelai … si guardano dentro, scoprono parti di sé stesse che non avrebbero mai neanche immaginato. Comprendono la forza dei propri sentimenti ed imparano che davanti ad essi non serve a nulla fuggire. - cercò di spiegarle. – Questo io l’ho imparato, che tu ci creda o no, ed a mia spese, giocandomi tutto! Se allora non fossi andato via, non sarei mai diventato ciò che sono! – concluse, lasciando uscire, insieme alle parole, anche la tensione per quell’incontro.
- Oh, certo … - lo irrise, - Sei un uomo adesso! –
- Certo che no. – la corresse deciso, - Ce ne vuole ancora di tempo per quello. Sono solo cresciuto, come hai detto tu e … non ho più paura! – affermò, tanto determinato da far vacillare per un istante l’intento di Lorelai.
- Tu l’ami? – chiese di getto, come se le parole non dipendessero dalla sua volontà.
Jess scosse il capo, sorridendo nervosamente e puntò gli occhi sul bordo della tazza di caffè, che Rory aveva lasciato incustodita.
- Cosa c’è, Lorelai, stai cercando di sapere se puoi cominciare a chiamarmi figliolo? – la sfidò con un sorrisetto provocatore.
- Non credere di cavartela così, ragazzo! Non siamo mai stati amici, è vero, ma almeno ci siamo sempre parlati con franchezza. – insistette.
- Oh, sì, ricordo la franchezza con cui mi hai parlato l’ultima volta al distributore di Gipsy! – precisò, risentito al ricordo di un altro suo ritorno a Stars Hollow di qualche anno prima.
- Devo ammettere che sono stata … cattiva … - si lasciò sfuggire, tra i denti.
- Hai detto solo la verità … - quasi la scusò, cogliendo la sfumatura più dolce con cui Lorelai aveva stranamente colorato l’affermazione.
- Ci sono tanti modi per dire la verità, però … - precisò.
- Io ne conosco solo uno! – sospirò il ragazzo, avvertendo la tensione affievolirsi.
- Allora, rispondi! – lo incalzò, poggiando i palmi delle mani sul tavolo e sporgendosi in avanti più vicino al viso di lui.
Sapeva che da quella donna doveva aspettarsi di tutto, conosceva l’istinto di protezione con cui difendeva sua figlia, il desiderio che avesse il meglio, per questo aveva paventato quell’incontro a lungo. Sapeva pure che, prima o poi, si sarebbe trovato di fronte alle sue domande. Ma la maniera così diretta con cui  gliela aveva posta, non gli lasciava alcuna via di fuga, nessuna battuta sarcastica, nessuna arma con cui ribattere se non la pura, sacrosanta verità.
Lorelai era forte, forte e determinata, la felicità di sua figlia era sempre stata sopra ogni cosa, non si sarebbe arresa finché non avesse ottenuto la risposta che voleva.
- Più di me stesso … - si decise a confessare.
Jess si grattò la nuca visibilmente in imbarazzo: si sentiva, in quel momento, lo sdolcinato protagonista di una commedia romantica di terz’ordine. Ma le parole erano uscite da sole, come se la parte più intima di sé si fosse resa indipendente, chiamata in causa, desiderosa di non nascondersi più.
- Bene! – replicò Lorelai, un po’ stupita per la facilità con cui aveva ottenuto la risposta che voleva.
- Bene! – le fece eco Jess, che sperava, con quella confessione, di porre fine alle ostilità.
- Del resto, se mia figlia ti ha scelto per la seconda volta … ci sarà un motivo! – concluse, rimettendosi composta a sedere.
- Wow, Lorelai, molli la presa? – la punzecchiò, rinvigorito da quella specie di tregua.
- Non ci sperare … - ghignò minacciosa. – Ti starò addosso, e se la farai soffrire ancora … picchierò così duro che non potrai più rialzarti! – gli promise, con un bagliore sadico negli occhi.
- Ti credo … - sorrise Jess, alzando le mani in segno di resa, - … E ti ammiro  per la forza con cui proteggi tua figlia … - si lasciò sfuggire, serio.
- Non sarà che cominciamo a piacerci? – domandò di rimando la donna, distendendo i tratti induriti del volto.
- Questa sì che sarebbe la fine del mondo! – fu  la risposta del ragazzo, mentre le sue labbra si aprivano in un sorriso contagioso.
Anche Lorelai sorrise rassegnata.
Sapeva di aver sprecato tempo ed energie nel tentativo di non farli mettere insieme da ragazzi.
Allora non ci era riuscita, come avrebbe potuto adesso che sua figlia era una donna e Jess, finalmente, un uomo?
 

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Capitolo 19
*** – Good seed makes a good crop ***


19 – Good seed makes a good crop

 


La sala era perfetta: tavoli tondi, vestiti di bianche tovaglie di lino, erano disposti armoniosamente e, su ognuno di essi, piccole candele verdi, spuntavano tra boccioli di fiori gialli. Le luci erano soffuse e tutto era sobrio ed elegante.
Al loro tavolo, sedevano oltre a Luke e Lorelai, Matthew con Kate e Brian, il loro terzo socio, con la sorella Kimberly.
Jess era insofferente, detestava quel genere di cose. Se poi al fastidio per i party eleganti, l’abito da sera e la cravatta si aggiungeva il fatto che tutto avrebbe ruotato intorno a lui, l’insofferenza diventava malumore.
Matthew e Brian, invece, continuavano a parlare, esaltati come due bimbi al lunapark; le ragazze sembravano uscite dalla redazione di un giornaletto di gossip e Luke, annoiato e completamente fuori posto, tratteneva a stento un’ espressione annoiata, in attesa della premiazione.
L’unica veramente a proprio agio era Lorelai: il vestito elegante, dalla generosa scollatura, i capelli raccolti sulla nuca le donavano un‘aria distaccata ed algida, come di una consumata signora dell’alta società.
Sembrava quasi elettrizzata per quella occasione, come se avesse finalmente seppellito l’ascia di guerra, anche se Jess continuava a sentirsi comunque sotto esame.
Ma la donna cominciava davvero a credere che Jess fosse cresciuto, che fosse l’unico con cui sua figlia avrebbe potuto essere felice.
L’ultima conversazione che avevano avuto al locale di Luke era stata per lei rivelatrice della sua conquistata maturità e dei suoi sentimenti per Rory.
Che Jess l’amasse era sempre stato palese, chiaro, come un giorno di sole, e Lorelai non lo aveva capito perché lui glielo aveva confessato, ma perché gli occhi con cui guardava sua figlia erano, senza ombra di dubbio, quelli di un uomo innamorato.
Certo Jess non era un ragazzo comune, come non era comune la maniera in cui palesava i propri sentimenti. Ma Lorelai era attenta ad ogni movimento, gesto, parola, perfino ai respiri concitati che tentava di nascondere quando sua figlia gli stava accanto. Alle proprie osservazioni, si aggiungevano le parole esaltanti con cui Rory descriveva i loro momenti insieme, gli interessi comuni, le attenzioni misurate eppure coinvolgenti che le riservava e la voce dolce di miele che le veniva quando pronunciava il nome di lui.
Jess non era come Dean, anche questo era lampante: non diceva facilmente “ti amo” o sprecava le proprie parole con frasi sdolcinate da manuale d’amore. Pensava che le persone usassero troppo spesso quelle parole rendendole comuni, impoverendole, privandole di quel significato dolce e passionale di cui, invece, lui le riempiva.
Rory le confidava degli innumerevoli foglietti di carta che spargeva per la casa, come briciole della sua presenza: sul cuscino, quando riusciva a svegliarsi per primo, ed usciva per portarle caffè caldo e brioches fragranti; nei cassetti dell’armadio, confusi tra gli indumenti che conservavano il suo odore, nelle custodie dei cd, che ascoltavano nei pomeriggi insieme; nella scatola di biscotti al cioccolato, in cui Rory cercava conforto nelle serate solitarie. Le scriveva qualunque cosa gli passasse nella mente: un impegno di cui ricordarsi, una battuta per ridere insieme; un frase che le facesse sentire che per lei c’era, sempre, anche se il mattino dopo si sarebbero svegliati in letti diversi, in città distanti.
Tantomeno assomigliava a Logan! Niente voli in elicottero privato; né salti nel vuoto e party sfavillanti; nessun regalo costoso e meno che mai una “Birkin”.
Ma soprattutto nessun tradimento. Jess si donava a lei ogni giorno, continuamente, attraverso gli occhi sinceri e decisi, che la guardavano come se non esistesse altro al mondo per cui valesse la pena essere aperti; con i sorrisi, segreti impenetrabili per il resto del mondo e pagine aperte di un libro che solo a lei era concesso leggere. Jess le apparteneva in ogni bacio che le faceva tremare i polsi, in ogni carezza, custode del desiderio infinito e carnale per lei.
Questa consapevolezza rasserenava Lorelai, dissipava ogni dubbio; la convinceva della totale, inesauribile forza con cui sua figlia era amata e la rendeva certa che il futuro di Rory potesse essere solo con Jess.
Il sindaco di Philadelphia, dopo un interminabile discorso sul fermento intellettuale dei giovani della città, aveva annunciato la Truncheon Books come la vincitrice del premio e Matthew e Brian erano schizzati in piedi, come se le loro sedie avessero preso fuoco. Luke si era riscosso dal torpore, che quel discorso gli aveva messo, grazie ad una ben assestata gomitata che la fidanzata gli aveva riservato.
Jess, aveva sfregato nervosamente i palmi aperti delle mani sulle cosce tese, poi aveva rivolto alla sua ragazza uno dei suoi disarmanti sorrisi, per poi alzarsi e seguire i soci, con una calma distaccata, quasi da divo consumato, mentre Rory aveva inspirato profondamente, emozionata come se quel premio fosse per lei.
- Vi ringraziamo tutti per questo premio. – esordì Matthew, da affabulatore esperto. – Dobbiamo questo successo alla nostra amicizia, innanzitutto, ed alla voglia di dare spazio ed opportunità a giovani come noi. – continuò. – Ma più di tutto lo dobbiamo al migliore dei nostri talenti: Jess Mariano. – disse indicando il socio che se ne era stato in disparte aspettando il proprio turno.
Il giovane guardò ancora Rory: il mondo girava ad un’altra velocità quando c’erano i suoi occhi, tutto si muoveva più lento, diveniva assaporabile e quieto, come un vecchio film in bianco e nero. Solo il cuore aumentava la velocità dei suoi battiti, il sangue gli riempiva le vene e le mani di lei, sottili e delicate, anche da lontano, diventavano le ancore che lo legavano al suolo.
Rory ricambiò lo sguardo, con la stessa necessità di lui di ridurre la tempesta che le affannava il petto, portando proprio quelle mani a stringere il ventre contratto.
Jess inspirò forte, strinse la mascella, appoggiando le mani al microfono e, maledicendosi per non aver nulla di scritto a cui aggrapparsi, decise di fare come gli attori consumati che, per concentrarsi meglio sull’interpretazione, fingono di essere soli davanti ad un unico spettatore.
- Non sono mai stato bravo con le parole, non come Matthew, almeno. – sorrise. – Forse  è per questo che ho scelto di scrivere, perché fossero i protagonisti dei miei libri a parlare per me …
O forse … scrivo perché una sera qualcuno mi disse che avrei potuto farlo, che avrei potuto fare o essere tutto ciò che volevo … Quella sera, non detti molto peso a quelle parole, ma, si sa, la fiducia in sé stessi è un seme tenace. Una volta piantato, basta solo aspettare perché germogli. – continuò inspirando, per prendere forza. – E’ per quel seme che sono qui stasera … per quel seme e per gli occhi che lo hanno piantato … - terminò, senza distogliere lo sguardo da lei, dall’azzurro profondo che lo aveva reso uomo, in una assoluta e unica dichiarazione d’amore, che solo un’anima profonda e pura come la sua poteva partorire.
 

 

§§§§§§§§
 


 - Finalmente una boccata d’aria! – ironizzò Rory, mentre Jess portava alla bocca la sigaretta che aveva appena acceso.
Il ragazzo sorrise inspirando ed allentò il nodo insopportabile della cravatta, che, come un cappio,  gli aveva serrato il collo. Due o tre boccate appena bastarono a far svanire, insieme col fumo espulso, anche i resti appiccicosi di tensione accumulata sul palco. Rory gli sorrise, docilmente, mentre lui, senza smettere di guardarla, spegneva la sigaretta e, con il suo solito sorriso incantatore, le si avvicinava.
- In verità sono venuto fuori per questo … - le rivelò, estraendo dalla tasca dei pantaloni, un astuccio di velluto bianco. – E’ … fastidioso tenerlo in tasca! – continuò, appoggiandolo sulla balaustra della terrazza sulla quale si trovavano.
Rory lo osservò interdetta, poi rivolse il viso all’oggetto misterioso e ancora a Jess, che continuava a guardarla silenzioso ed impenetrabile.
La ragazza inspirò insicura e si decise a chiedere, esasperata: - E’ … per me? –
- Dipende … - rispose vago, inchiodandola al proprio sguardo.
- Da cosa? – sospirò, senza più fiato.
- Da te. – ammiccò, - Tu … lo vuoi? – insistette senza la minima incertezza nella voce.
- Io? – mormorò, - Io, sì! – terminò, guardando l’astuccio, mentre le mani giocavano nervosamente lungo i fianchi con l’impalpabile stoffa del vestito.
Jess, senza muoversi, lo spinse verso di lei con l’indice destro, scendendo con gli occhi sulle mani, che, tremanti, riducevano lo spazio tra loro e l’oggetto del desiderio.
Rory lo prese e lo portò al petto, con entrambe le mani, come se il peso fosse inspiegabilmente insostenibile.
- Dovresti aprirlo … - la riscosse, dopo qualche attimo di silenzio. – E’ quello che c’è dentro che conta! – incalzò, con uno strano formicolio che si prendeva i palmi delle mani, frementi per l’attesa.
La ragazza si decise ad aprirlo; lo fece schiudere come una conchiglia preziosa e si fermò, fiato, voce e anima a contemplarne il contenuto.
- Mi stai chiedendo di sposarti? – riuscì a dire, col fiato corto, ostentando una sicurezza che non non le apparteneva.
- Dipende … - ripeté, come prima, annullando aria e distanza tra loro. - Tu … lo vuoi?–  sussurrò, mentre il dito che prima  aveva spinto l’astuccio, percorreva la pelle vellutata del braccio di Rory, dalla spalla alla mano affusolata.
- Io, sì! – rispose convinta, anche se le labbra e le mani tremavano ed il cuore perdeva un battito ad ogni respiro di lui.
- Si? – insistette, lasciando che l’altro braccio le passasse dietro la schiena, sfiorandone la pelle scoperta dall’abito e fermando le dita sulla nuca, per avvicinarla a sé.
- Sì! – sorrise lei ad un palmo dalla bocca di Jess, distratta dalle labbra imperfette ed invitanti.
- Allora dovresti metterlo … - le suggerì seducente, spostando il viso vicino al suo orecchio.
- No, tu dovresti mettermelo … - precisò la ragazza, sgusciando dalle sue braccia, per porgergli l’anulare.
Jess rise, allungò la mano, afferrò quella destra di lei con decisione e dolcezza insieme, e con l’altra estrasse l’anello dall’astuccio. Lo infilò al dito della sua fidanzata, percorrendone la pelle in una carezza infiammante.
La strinse di nuovo, come se non potesse più farne a meno, e sorridendo felice sulle sue labbra, le sussurrò:  - A Lorelai, però lo dici tu! -
 

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Capitolo 20
*** - Forever and always ***


Eccoci giunti all’ultimo capitolo.
Questo è stato soltanto un piccolo racconto, solo il percorso di un amore.
Spero che vi abbia lasciato un sapore dolce nella bocca, proprio come un pezzetto di cioccolato fondente; spero che abbiate potuto considerarla la giusta, necessaria conclusione di una storia che meritava di finire esattamente così!
Come le altre volte, più delle altre volte, ringrazio coloro che hanno seguito, preferito o soltanto letto ogni capitolo di questa storia.
Lascio un bacio grande a coloro che hanno recensito, dandomi lo sprone per continuare; a coloro che hanno usato parte del proprio tempo per “leggermi”; a coloro che sono riusciti a sognare con le mie parole e a tutti gli altri che ho perso per strada, ed infine a Baby77: grazie per la tua presenza costante.
Vi lascio alla lettura e spero di incontrarvi ancora.
Ki_ra

Image and video hosting by TinyPic *Le immagini sono tratte dalla rete .
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20 - Forever and always

 

Il vialetto di mattoni bianchi serpeggiava fluido, dividendo in due perfette rive il parco del Dragon Fly.
Sull’erba, che ondeggiava mossa da impercettibili maree, erano sistemate due ali di panche di legno bianco, dal vago sapore coloniale.
Il cielo era terso, di un perfetto azzurro, fino al punto in cui si fondeva nei toni aranciati e rosa del tramonto imminente.
Sotto il piccolo gazebo, ornato da ghirlande di fiori bianchi, se ne stava Luke, con un sorriso stampato sulla faccia ed il bel completo scuro che Lorelai aveva scelto con cura maniacale. Accanto a lui, Jess era in piedi, immobile, con gli occhi fissi sulle scarpe e le mani nascoste dietro la schiena.
Richard ed Emily sedevano, emozionati, sulla panca in prima fila  e Lorelai, accanto a loro, giocherellava nervosamente con le perline del suo abito di shantung blu, gli occhi fissi e frementi ora su Luke, ora su Jess, la schiena dritta  e il petto affannato, unico segno che tradiva l’ansia dell’attesa.
- Non parli più, adesso! – sogghignò Luke, beffardo. – Quando è toccato a me, non hai fatto altro che punzecchiarmi … - continuò, con un risolino divertito.
- Sta’ zitto! – gli intimò Jess, serrando la mascella nervosamente, senza guardarlo.
- Scherzi? – sorrise lo zio, dondolandosi da un piede all’altro e portando le braccia conserte al petto. – Ora che finalmente posso prendermi la mia rivincita? – insistette, pregustando l’opportunità che aveva di mettere in imbarazzo il nipote.
- Sta’ zitto, ho detto! – ripeté stizzito, tra i denti.
Luke sorrise ancora sommessamente: da quando Jess era arrivato a stravolgere, come un uragano, la sua vita, aveva sempre dimostrato di saper gestire sentimenti ed emozioni con distacco e compassato autocontrollo. Vederlo sulle spine, emozionato, ardente e coinvolto, lo inteneriva al pari di un padre premuroso davanti al proprio bambino, ed al tempo stesso lo divertiva, mettendogli addosso un prurito, un desiderio di restituirgli tutto l’imbarazzo che lui era riuscito a fargli provare con battute sarcastiche e sorrisini pungenti.
Jess, dal canto suo, si mordeva nervosamente il labbro inferiore e, cercando disperatamente di arginare quella sensazione di terrore che gli attanagliava lo stomaco e gli metteva addosso una scalpitante voglia di fuggire, sfogava ansia e attesa tormentandosi le mani.
I minuti, che precedevano la cerimonia, sembravano non scorrere, come le lancette  ferme e crudeli di un orologio inesorabilmente rotto.
- Comunque sei ancora in tempo … - lo punzecchiò ancora, in quel gioco perverso che aveva appena scoperto. – O forse no! – si corresse, assestandogli una gomitata nel fianco, quando le note di un violino si diffusero delicate, come portate dal vento.
L’attenzione degli invitati fu catturata dalla musica e tutti all’unisono si voltarono verso il fondo del giardino. Solo Lorelai puntò gli occhi su Jess.
Fu allora che il ragazzo si decise ad alzare i suoi, quasi uno strano richiamo lo avesse riscosso; guardò la donna, i suoi occhi blu intensi e seri che lo scrutavano in un’ultima muta domanda e le rispose con i propri, senza parole, con un sospiro appena accennato che fu, per entrambi, una promessa solenne.
Poi, con un altro sospiro, percorse a ritroso e con lo sguardo impaziente, il vialetto di mattoni bianchi, fino al punto in cui cinque gradini congiungevano il portico al giardino.
L’aria profumava di menta e dell’odore dolciastro delle peonie, raccolte in piccoli fasci e disposte elegantemente in corrispondenza di ciascuna panca.
Lane avanzava con un bel sorriso dolce, i capelli corvini sciolti sulle spalle, ed il bouquet  stretto al petto; la piccola Gigì, il vestito vaporoso di tulle bianco, i lunghi boccoli biondi e gli occhi da bambola, la seguiva con passo incerto.
Dietro di loro, Rory era immobile, piccola e dolcissima, come una visione eterea e candida di un vecchio dipinto.
Si aggrappava al braccio di Cristopher, che amorevolmente le stringeva, con la destra, la mano sottile e tremante.
Rory avanzò lenta trascinando dietro di sé, come acqua corrente, il lungo e prezioso velo. Un vestito avorio le fasciava il corpo minuto, regalandole un’armoniosa e sensuale figura di donna, in contrasto con il viso candido e gli occhi sperduti da bambina. Nella mano sinistra reggeva un piccolo bouquet di edera ricadente, tra le foglie della quale, facevano capolino boccioli di tulipani azzurri.
Erano diventati i suoi fiori preferiti da quando Jess, raggomitolati sul divano, in un piovoso pomeriggio d’autunno, le aveva raccontato di una favola orientale che li voleva nati dalle lacrime di un innamorato.
Nell’istante in cui furono l’uno di fronte all’altra, gli occhi di Jess annegarono nel mare placido e rassicurante di quelli di Rory e di nuovo la vide, corpo e anima, nella loro interezza, come la prima volta. Davanti a lui, improvvisamente, non c’era più la donna vestita da sposa, ma la ragazzina di provincia, seduta alla scrivania della sua piccola camera piena di libri. Davanti a lui c’era la ragazzina che una sera di nove anni prima, gli aveva chiesto di fidarsi.
Neanche la conosceva, aveva smesso da tempo di fidarsi degli altri, eppure, alla sua richiesta aveva ceduto. Inconsapevolmente, senza coscienza, né remore o paure, si era fidato: aveva messo la propria esistenza, fatta di briciole e pezzi confusi, nelle sue mani. Aveva lasciato che lei l’accudisse, un pezzo alla volta, trovando per ognuno la giusta collocazione, come le tessere disordinate e sbiadite di un vecchio mosaico. Di lei, di quella sua dolcezza profonda, della cura e dell’attenzione che usava nei confronti degli altri, si era innamorato, senza sapere neanche cosa fosse l’amore, come un bambino alla scoperta del mondo, del potere dei sentimenti ed alla ricerca di sé stesso.
Poi quella stessa vita, che sembrava ricomporsi e sanarsi ad ogni bacio, ad ogni aspro confronto, ad ogni consapevolezza della necessità di lei, era esplosa, una supernova in un universo sconosciuto, mandando in frantumi ogni certezza conquistata. Immaturità, paura, inadeguatezza, ribellione alle regole e rabbia l’avevano messo in fuga, con l’anima di nuovo piena di cocci aguzzi.
Tutto il tempo venuto dopo, Jess aveva vissuto in una sorta di animazione sospesa, in attesa del risveglio e di quelle stesse mani che ancora una volta sembravano essere l’unica cura.
Rory, immobile, dall’altra parte dello specchio, si sentiva alla stessa maniera: riscoperta, rinata dentro la pienezza di quegli occhi puri e ribelli; la stessa ragazzina che vedeva lui, quella che aveva imparato l’amore nel respiro di uno sconosciuto, dissacrante e ironico, profondissimo e sincero dietro la scorza, dolce, pungente ed innamorato.
Sorrise impercettibilmente a quello sguardo conosciuto, eppure ancora da scoprire che gli riempiva le vene di promesse nuove e la sua mente corse indietro nel tempo all’ultimo giorno nel suo alloggio a Yale. Ricordò le parole di sua madre, allora vaghe come quelle di un oracolo, mentre, con le braccia impegnate dagli scatoloni, si interrogava sulla scelta dell’uomo giusto.
 “Un giorno incontrerai qualcuno …” le aveva promesso, “ … e saprai che è quello giusto. Non avrai esitazioni.”
Ma Rory “quello giusto” l’aveva già incontrato e perso; incontrato ancora e perso di nuovo, soffocandone ogni volta la piena coscienza, per la stessa immaturità di lui, la sua stessa rabbia mista a delusione; la stessa paura che inevitabilmente i grandi sentimenti portano.
La vita li aveva fatti avvicinare quando erano solo due ragazzini e li aveva separati quando l’affanno dell’adolescenza si era placato. Avevano ruotato l’uno intorno all’altra, come un satellite intorno al proprio pianeta, vittime di un orbita crudele. Ma adesso, che la  consapevolezza li aveva resi adulti, la rivoluzione dei loro universi aveva ceduto ad una gravità più potente ed implacabile e le distanze si erano annullate.
Il pastore aveva cominciato ad officiare, ma né Rory né Jess riuscivano a prestare la dovuta attenzione alle parole di rito.
Le loro promesse se le erano già scambiate, inconsapevolmente, mille e mille volte: gridandosi in faccia, disperatamente, l’amore che non sapevano imbrigliare, ma che li scuoteva, anima e corpo, senza requie; baciandosi per strada tra i cumuli di neve intorno al gazebo; nascondendosi nell’orgoglio ferito dell’abbandono. Esse si erano rifugiate nei loro pensieri, dormienti ed in attesa, come animali in letargo, per esplodere improvvise nei baci rubati in riva ad un laghetto silenzioso o in una stanza vuota, odorosa di libri e del successo conquistato di entrambi. Erano rimaste accoccolate negli occhi che si cercavano, nel sostegno reciproco, ferme negli anni, attaccate all’anima di entrambi.
Le loro promesse erano custodite nelle loro diversità complementari, nella necessità di donarsi l’uno all’altra, senza privarsi ciascuno della propria essenza.
- Puoi baciare la sposa! – lo esortò il pastore, catturando l’attenzione vagabonda di entrambi.
Jess lo aveva desiderato, disperatamente, dall’istante in cui l’aveva vista avanzare.
Così appena ne ebbe l’autorizzazione, compì solo un piccolo passo verso sua moglie.
Le prese le mani, lasciando che le dita si intrecciassero lente, sfiorandosi con assoluta devozione, in un gesto che da sempre distingueva il loro contatto. Rafforzò la stretta quando i palmi combaciarono, per poi allentarla di nuovo, quasi impercettibilmente, affinché potesse sfiorare, con la punta del pollice, la fede nuova e scintillante all’anulare di Rory.
Sorrisero insieme a quel gesto nuovo che consolidava la promessa assoluta che si erano scambiati, e all’unisono compirono ancora un altro passo per doppiare la fatidica distanza dei trenta centimetri.
Tutt’intorno l’aria si riempiva di silenzio, animato soltanto da lontano da una musica placida e serena; il profumo dei fiori si mescolava a quello fragrante delle candele alla cannella.
Erano così vicini che i respiri si confondevano, come le mani ancora strette le une alle altre.
- Allora? – mormorò, con un sorriso furbo e intimidito insieme, come in procinto del primo bacio.
- Allora? - ripeté lei, con le labbra tremanti e gli occhi fissi su quelle di lui.
- Eccoci qua … - continuò, come quella quasi prima volta al distributore di Gipsy.
- Sì, eccoci qua … - gli fece eco, esattamente come allora, recitando il copione scritto quella sera.
Era passato tanto tempo, attimi di vita consumati l’uno lontano dall’altra, dolorosi e solitari, eppure così necessari a diventare ciò che erano.
Forse proprio quel tempo, come in un cerchio perfetto, li aveva portati lì di nuovo, al punto di partenza, consapevoli, maturi, un uomo ed una donna.
Jess le prese il viso tra le mani, lasciò che i palmi aderissero completamente alle guance accaldate, avvicinò il proprio, fino a che il respiro lambì le labbra di lei.
- Vieni qui … - la invitò con un sussurro caldo, baciandola ancora ed ancora.
Tutto ricominciava, esattamente da quel punto, il punto di partenza.
In fondo solo questo è la vita: ricominciare ogni volta, dal punto di partenza.
E se dolore, distanza e fatica saranno soltanto la scoperta di ciò che siamo riusciti a diventare, figli di come eravamo, allora la gioia di trovarsi ancora potremo chiamarla amore “e non sarà stato vano aspettarsi tanto.”*

 


* La frase è una citazione dell’ultimo verso della poesia di Neruda: Se saprai starmi vicino.

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