Theires di DearDiary (/viewuser.php?uid=142593)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Capitolo Uno ***
Capitolo 3: *** Capitolo Due ***
Capitolo 4: *** Capitolo Tre ***
Capitolo 1 *** Prologo ***
PROLOGO
Era
l'unica tomba a non avere neanche un fiore. Le lettere che componevano
il nome
del defunto erano state incise con una tale maestria da non lasciare
alcun
dubbio sul fatto che fosse stata usata la magia. Nessun artigiano,
nessuno
scultore poteva essere tanto abile.
Una
figura incappucciata sostava davanti a quella lapide, rispettosamente
inginocchiata a terra. Era consapevole che lì non vi fosse
alcun corpo
custodito, poiché laggiù, in quel luogo che era anche la sua terra
natìa, i
morti venivano bruciati, non dati in pasto ai vermi come facevano quei
volgari
esseri umani che vivevano dall'altra parte del mare.
Non
riusciva a smettere di rileggere quel nome. Aveva conosciuto bene
quella
persona... aveva anche avuto tantissime buone speranze per lei. Ma il
destino
l'aveva poi condotta su un pira in fiamme. Nessuno era andato a quel
funerale,
nessun famigliare, nessuna persona cara. Era stata una morte
forse troppo
prematura, eppure, in un certo senso, costretta. Non c'erano state
altre possibilità
di salvezza per lei.
Allungò
una mano, fino a sfiorare delicatamente quell'incisione. Percorse con
estrema
lentezza ogni singola lettera che componeva quel nome a lei così caro e
allo
stesso tempo così odiato: Rael.
Pregò gli Dei che avessero pietà per l'anima di quella persona, ma la
preghiera
non giunse mai a termine. Forse fu anche quello un volere divino. Non
tutte le
anime potevano essere salvate, in fondo. Un voce maschile alle sue
spalle
interruppe la sua supplica:
«L'Imperatrice
non riceve nessuno, dovreste saperlo.»
La
figura incappucciata si alzò in piedi, tenendo lo sguardo basso. Poi
voltò le
spalle a quella tomba dimenticata e fissò per qualche istante l'uomo
che aveva
di fronte. Dallo stemma che compariva sulla sua preziosa ed immacolata
armatura
- una rosa sormontata da una sfera di luce- e dal medaglione che
indossava, si
intuiva che fosse il capo della Guardia Imperiale. Sopra di lui, c'era
solo
l'Imperatrice.
Era
un uomo alto e dalla corporatura robusta. I suoi occhi autoritari erano
color
dell'oro, esattamente come quelli dello straniero e di tutti gli
abitanti
dell'Impero, e spiccavano notevolmente sulla sua carnagione olivastra.
Aveva
una lunga cicatrice a sfigurargli il viso. Gli tagliava la faccia a
metà,
partiva dal sopracciglio destro per arrivare all'angolo sinistro delle
sue
labbra. I suoi capelli erano lunghi fino alle spalle, di un castano
tendente al
biondo. Per essere un soldato, aveva un aspetto fin troppo curato. Se
non fosse
stato per quella cicatrice, sarebbe potuto passare tranquillamente per
un
aristocratico. Evidentemente, vivere alla corte Imperiale imponeva una
certa
presenza.
Il solo fatto che avessero mandato lui, incoraggiò parecchio la
misteriosa
figura senza nome. Significava che la sovrana era incuriosita e voleva
saperne
di più sullo straniero incappucciato appena sbarcato nella grande città
di
Callisto. Egli seppe fin dal primo istante che avrebbe avuto ciò che
voleva,
ossia un incontro privato con l'Imperatrice.
Davanti
al silenzio dello straniero, l'uomo riprese la parola: «Provenite dai
territori
del Regno di Theires. Solo per questo dovremmo arrestarvi e
giustiziarvi per
alto tradimento. Eppure voi avete addirittura l'ardire di chiedere
udienza
all'Imperatrice in persona!» Le sue labbra si piegarono in una smorfia
di
disgusto. «Dovete aver appreso dagli umani tutta questa insolenza!»
Lo
straniero non si scompose ma anzi, sorrise quasi divertito dalla
prevedibilità
degli eventi.
Anche la persona della tomba senza fiori avrebbe riso. L'uomo che aveva
di
fronte, nell'udire quella risata, si spogliò di colpo di tutta la
propria
sfrontatezza. Non fu solo il suo sguardo smarrito a tradirlo.
Lo
straniero percepì distintamente la sua confusione mista ad un velo di
malcelato
turbamento. Cercò di non darlo a vedere, di rivestirsi della sua
maschera di
irreprensibile ed imperturbabile capo della Guardia Imperiale, ma ogni
suo
tentativo fu vano.
Fra
la gente del grande Impero di Keladia, l'inganno era pressochè
impossibile.
Tutti erano investiti fin dalla nascita dello scomodo quanto utile dono
dell'empatia. Il volto di una persona può nascondere la verità, ma le
sue
sensazioni non possono farlo.
Bastava
così poco per prendere alla sprovvista un uomo addestrato e armato fino
al
collo... Era sufficiente fargli capire che aveva di fronte una donna a
tenergli
testa.
«Parlerò
solo in presenza dell'Imperatrice.» dichiarò la straniera, impassibile.
Lo
sgomento non abbandonò un solo istante il volto dell'uomo, che ora
fissava la
figura davanti a sé con occhi carichi d'ira e sdegno. «Ogni udienza di
Sua
Maestà avviene anche in mia presenza.»
«Ditele che sono in possesso di alcune informazioni molto importanti.»
continuò
la donna, serafica. «Informazioni che oserei definire vitali.»
La
pazienza dell'uomo parve incrinarsi in quell'esatto istante. La sua
mano corse
all'elsa della spada che portava alla cinta. «Cosa vi fa credere di
avere il
diritto di dare ordini a me?»
«Fatelo!» insistette lei, con un cipiglio più severo. «Perchè vi posso
assicurare che se non lo farete e l'Imperatrice venisse a sapere di
questa
conversazione, sarete voi ad essere giustiziato per alto tradimento.»
«Basta così!»
A
parlare era stata un'altra voce femminile. La Guardia si voltò
all'istante e
subito s'inginocchiò a terra in segno di sottomissione. La straniera
invece,
non si mosse. Rimase in piedi e non ebbe timore di fissare dritta negli
occhi
l'esile figura dell'Imperatrice che si avvicinava.
Quella era la prima volta che la vedeva. Se l'era sempre immaginata
anziana e
grassa. Generalmente, tutti i nobili erano grassi ed intontiti dal
troppo
lusso, ma lei non era niente di tutto ciò. Era una donna ancora
giovane, o
forse, portava bene i suoi anni. Aveva un fisico piuttosto infantile,
ad essere
sinceri. Esile e dalle forme acerbe. I suoi capelli erano di un nero
lucente,
lunghi fino alla schiena. Aveva il pallore tipico delle persone che
passano la
vita chiuse nei loro scintillanti palazzi. Tuttavia, l'autorità di cui
era
investita traspariva dai suoi occhi dorati. Persino la straniera ebbe
l'istinto
di inginocchiarsi e prostrarsi davanti a lei quando la vide. Emanava
un'aura di
potenza talmente elevata, da annullare completamente ogni sua
convinzione e
sicurezza. Tuttavia,
non s'inchinò. Si limitò soltanto ad abbassare il capo.
L'imperatrice
fece un cenno alla sua Guardia, «Lasciaci sole.»
«Mia
Signora,» provò immediatamente a protestare lui, osservando l'ambiente
circostante disseminato di umili effigi popolane «... in un posto del
genere?»
«Non
c'è posto migliore.» rispose lei , con una compostezza davvero
encomiabile. «I
morti non possono origliare, né rivelare segreti.»
L'uomo,
ormai sconfitto, si alzò in piedi e dopo aver accennato un altro
rispettoso
inchino, lanciò una fugace occhiata d'ammonimento alla straniera. Poi
si voltò
e si allontanò.
Ci fu
qualche lungo istante di assoluto silenzio. L'Imperatrice osservò la
donna di
fronte a sé con sguardo critico, soffermandosi a lungo sul mantello
grigio
che copriva il suo corpo. Dello stesso colore era anche il
cappuccio
calato sul viso e che lasciava intravedere solo le labbra, «Qual è il
vostro
nome, dama in grigio?»
«Dama
in Grigio va più che bene, Vostra Maestà.»
«Non
volete dirmi il vostro nome?» La compostezza lasciò il posto ad una
lieve nota
di fastidio.
«Con tutto il rispetto, ho questioni più importanti di cui discutere
con Voi.
Il mio nome non è fra queste.»
L'Imperatrice non parve troppo entusiasta di quella risposta, ma
decise, forse
spinta unicamente dalla curiosità, di concederle la parola. «Ebbene?
Parlate
pure, vi ascolto.»
Solo
a quel punto, la Dama in grigio trovò il coraggio di alzare gli occhi
da terra
per incontrare quelli della sua sovrana. Quella rivelazione che aveva
custodito
dentro di sé per tutta una vita, avrebbe sconvolto il precario
equilibrio non
solo dell'Impero di Keladia, ma anche del Regno di Theires, la patria
degli
Umani.
«So
dove si trova l'ultima Custode.»
L'Imperatrice
non lasciò trasparire alcuna emozione. Fece un passò verso di lei e la
sua voce
si velò di una sottile nota di minaccia. «Vi prendete gioco di me.»
«Non
ho affrontato un viaggio tanto lungo e pericoloso per prendermi gioco
di voi,
Vostra Maestà.»
«L'ultima Custode è morta molti anni fa. Ed essendo morta senza aver
adempiuto
al suo compito, non ne nasceranno altre. Non serve che io ve lo
ricordi! O forse
sì, dal momento che avete vissuto a Theires per tutto questo tempo?»
Avrebbe
dovuto avere paura. Aveva appena fatto infuriare l'Imperatrice in
persona.
Eppure non era spaventata, al contrario. Era euforica.
«Posso
provarlo.»
«Sì,
è esattamente quello che farete!» affermò lei, senza liberarsi di
quell'aria
minatoria che ora più che mai la contraddistingueva. «Vi concedo due
possibilità, Dama Grigia.» La straniera sorrise di quel nuovo
appellativo che
le era stato dato, e decise anche che le piaceva.
«Tornate a Theires, non osate
mettere più piede nel mio regno e io vi farò la grazia di dimenticarmi
di voi e
di questo spiacevole incontro. Oppure, se davvero ciò che dite è reale,
c'è
solo una prova che potete fornirmi: portatemi la Custode. Se sarà
davvero lei,
verrete ben ricompensata. Avrete tutto ciò che desirate, qualunque
cosa. Ma se
invece si rivelerà essere una ciarlatana, come me ne hanno
portate tante
in questi anni, non sarà solo lei a morire. Voi la seguirete!»
La
Dama Grigia sorrise, e questa volta l'inchino lo fece con piacere. «Non
rimarrete delusa, Vostra Maestà.»
Il suo pensiero corse istintivamente alla Rael della tomba senza fiori.
Non
c'erano dubbi. Ovunque lei fosse, in quel momento, stava bruciando di
nuovo. E
la sua anima si stava macchiando sempre di più, allontanandosi
ulteriormente da
quella salvezza a cui ormai sembrava anche inutile anelare.
***
Nel
Regno di Theires, a nord della città di Valcalia, capitale della Contea
di
Sheiran, un bambino fissava immobile ed impotente la propria casa
bruciare.
Ciò
che lo teneva inchiodato a terra, incapace di muoversi, era la
consapevolezza
di essere rimasto completamente solo. Era quel silenzio spettrale,
rotto
solamente dallo scoppiettio delle fiamme, a suggerirglielo. Non si
udiva alcun
grido di aiuto. Era lui l'unico ancora in vita. La sua famiglia stava
bruciando
assieme alla casa in cui lui aveva sempre vissuto. Non tentò di domare
le
fiamme, non chiamò i suoi genitori, non corse a cercare suo fratello
minore.
Nemmeno pianse…
Semplicemente,
assistette alla fine di quell'esistenza sicura e pacifica che aveva
sempre
conosciuto.
"Mi hanno trovato," quello fu l'unico
pensiero che la sua
mente riuscì a formulare.
Era stato preparato ad una simile eventualità. I suoi genitori gli
avevano
spiegato come agire nel caso in cui il suo nascondiglio fosse stato
scovato.
Gli era anche stato detto di non arrendersi e di non lasciarsi prendere
dallo
sconforto. Solo adesso riusciva a dare davvero un senso a quegli
avvertimenti
che un tempo gli erano sembrati tanto inutili.
La
tentazione di smetterla di nascondersi, di rinunciare a salvarsi, era
davvero
tanta. Con gli occhi liquidi di paura e disperazione, il bambino si
sforzò di
reagire come gli era stato insegnato.
Le persone che amava erano state uccise per proteggerlo. Non avrebbe
mai potuto
vanificare il loro sacrificio. Deglutì a vuoto, ricacciando indietro
l'urlo di
dolore che minacciava di distruggerlo in ogni maniera possibile.
Lui
non era mai stato davvero un bambino. Aveva sempre vissuto una
realtà troppo
crudele, troppo dura per qualsiasi uomo adulto, resa però il più
possibile
accettabile da quelle persone i cui corpi si stavano carbonizzando
sotto le
macerie di quella casa.
No,
lui non era mai stato davvero un bambino. Perlomeno, non si era mai
sentito
tale fino a quel momento. Adesso, sentiva i suoi dieci anni gravargli
addosso e
rivelarsi in tutta la loro impotenza ed incapacità. Giocare a fare
l'adulto era
ben diverso dall'esserlo sul serio. E ora lui, doveva diventarlo per
davvero. Le
persone che l'avevano lasciato solo non erano i suoi veri genitori, ma
questo
non rendeva certo quella disgrazia meno dolorosa. Loro erano stata
l'unica
famiglia che lui aveva mai avuto.
Combattè strenuamente contro le lacrime che prepotenti premevano dietro
i suoi
occhi. Non gli era più concesso piangere. Non gli era più concesso
essere un
bambino. Adesso c'era solo lui contro il mondo intero.
Fu il
rombo di un tuono a destarlo. Alzò gli occhi dorati al cielo e si
lasciò
accarezzare il viso dalle gocce di pioggia che un istante dopo
iniziarono a
scendere.
Con
il cuore a pezzi e l'improvviso bisogno di sentirsi stretto nel
confortevole
abbraccio della donna che aveva sempre chiamato madre , un vago
quanto
terribile sospetto si fece largo fra i suoi pensieri.
Erano stati i soldati del Re a compiere quella carneficina. Lo sapeva,
perchè
era da loro che si era nascosto per tutta la vita. Eppure, venne
naturale
chiedersi dove loro fossero andati.
Cercavano lui. Era andato nel bosco a cacciare e non l'avevano trovato
assieme
ai suoi famigliari. Perchè allora non erano rimasti lì ad attendere il
suo
ritorno? La risposta era già crudelmente troppo chiara nella sua testa,
ma una
parte di lui la rifiutava.
Chiamò
a raccolta tutto il proprio coraggio, fece un profondo respiro ed
obbligò le
proprie gambe a rianimarsi. Trattenendo il fiato, si avvicinò alle
macerie
della sua casa. La pioggia stava gentilmente scacciando le fiamme, ma
ad ogni
passo, l'odore acre di carne bruciata era sempre più intenso.
Il bambino si portò una mano alla bocca, soffocando a stento un conato
e
lottando contro l'istinto di scappare via. Non poteva farlo, doveva
sapere se i
suoi sospetti erano fondati o no.
Il fato ebbe pietà di lui e gli risparmiò la vista dei corpi martoriati
dei
suoi genitori adottivi. Tuttavia, lo condusse dritto dinanzi il
cadavere del
bambino con cui era cresciuto insieme e che aveva imparato a
chiamare fratello.
Una
forza sconosciuta gli impedì di urlare. Sconvolto e tremante, cadde
all'indietro e, con lo stomaco e il cuore in subbuglio, scappò.
Inciampò di
nuovo, cadendo sulle ginocchia. Sfogò la sua rabbia e il suo dolore sul
terreno, conficcandovi le dita. Sentì lo strato di sale marino che
affliggeva
la terra della Contea di Sheiran, scricchiolare fra le sue mani.
L'immagine
di quel corpicino bruciato e decapitato, rischiò di farlo impazzire.
Per
evitare che ciò accadesse, il bambino con gli occhi dorati, smise di
lottare e
scoppiò in un pianto rabbioso e disperato. Nulla poteva essergli di
conforto, nemmeno il fatto che gli uomini del Re
avevano scambiato il suo fratellino per lui, e in quel momento stavano
portando
al loro sovrano la testa sbagliata.
Il Re
si sarebbe accorto quasi sicuramente dello scambio di persona, me nel
frattempo
lui avrebbe potuto scappare e trovare un altro nascondiglio. Suo
fratello,
morendo, gli aveva regalato una possibilità di salvezza. Ciò
nonostante, la
disperazione non si placò. Al contrario, s'intensificò fino a
stringergli il
petto in una morsa dolorosa.
Con
lo scroscìo della pioggia e il fragore dei tuoni che occultavano i suoi
singulti, il piccolo Kalintz chiese perdono a qualunque divinità
disposta ad
ascoltarlo. Pregò per la salvezza delle anime della sua famiglia
adottiva e
continuò a chiedere scusa per essere venuto al mondo.
***
In
quello stesso momento, sotto la pioggia che imperversava anche nella
Contea di
Sien, in un bosco troppo ostile per ospitare un qualsiasi insediamento
umano,
una bambina dai capelli rossi ed incapace di parlare, accettava
titubante
l'aiuto di uno sconosciuto per la prima volta.
****
E' solo il prologo, non mi
aspetto che colpisca più di tanto. Però sì,ecco... spero almeno
incuriosisca un po'.
Dico fin da subito che gli aggiornamenti potrebbero risultare parecchio
altalenanti ^^
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Capitolo 2 *** Capitolo Uno ***
CAPITOLO UNO
“La
fine della Grande Guerra, portò Re Roland e il popolo di
Theires alla vittoria. I maghi furono esiliati sull'Isola di Keladia e
di loro,
si sperava, sarebbe rimasto solamente il ricordo. Ma l'anima di quelle
creature
si rivelò più crudele e vendicativa di quanto tutti noi ci potessimo
aspettare.
Prima di abbandonare il nostro Regno, uno di loro lanciò una potente
maledizione sulla nostra amata terra. Theires si spaccò in cinque
parti. Ognuna
di esse venne afflitta da una piaga diversa che avrebbe impedito alla
gente di
vivere felice. La sabbia, la pioggia, l'inverno, la nebbia e il sale.
Ciascuna
Contea divenne invivibile. Così, la pace tanto desiderata dal nostro
Re,
divenne nuovamente una meta lontana e irraggiungibile.“
Frammento
proveniente dalla Biblioteca
privata di Re Roland.
Zephiro, Contea di Ayril.
Laar,
Consigliere del Re
Ainohl si svegliò nel cuore della notte con una strana ed inspiegabile
sensazione d'inquietudine addosso. Incapace di scacciarla,
istintivamente si
voltò verso il letto di suo fratello Eiron, per poi sospirare sollevato
quando
lo vide dormire tranquillo.
Aveva
boccheggiato fino a poco prima. Il suo petto non aveva fatto altro che
alzarsi
ed abbassarsi convulsamente, come se i suoi polmoni fossero stati
schiacciati
sotto il peso di una roccia. Come sempre, Ainohl non era stato in grado
di fare
nulla per liberarlo da quel tormento. Non c'erano rimedi, cure o
sollievi... si
trattava solo di aspettare. Attendere che quegli spasmi finissero e
pregare che
il respiro gli tornasse regolare. Il solito terrore cieco gli aveva
preso lo
stomaco, impedendogli di prendere sonno. Del tutto impotente, Ainohl
era
rimasto nel proprio letto ad osservare il fratello minore lottare
contro quel
male che fin dalla nascita non gli aveva mai dato tregua.
Poi, dopo
quelle che erano parse come ore infinite, il respiro del ragazzo si era
regolarizzato e i suoi ansiti erano scemati. Ainohl aveva così potuto
finalmente fare un profondo sospiro di sollievo e abbandonarsi
all'incoscienza.
Suo fratello era riuscito ancora una volta a contrastare quella
misteriosa
malattia senza cura. Ainohl si era trovato inconsapevolmente
a sorridere
quasi con orgoglio prima di chiudere gli occhi e addormentarsi con una
cauta
serenità. Ma evidentemente, quella calma non era destinata a perdurare.
Il
suo sguardo cadde casualmente sul letto di sua sorella e, trovandolo
vuoto,
quella fastidiosa sensazione d'inquietudine tornò a farsi sentire,
stavolta più
intensamente.
Ormai
rassegnato al fatto che quella notte non avrebbe più chiuso occhio,
Ainohl si
alzò e uscì dalla propria stanza per cercare la sua sorella più piccola.
Trovò
la porta di casa spalancata e, improvvisamente preoccupato, corse
fuori. Ad
accoglierlo all'esterno, fu lo spesso e famigliare muro di nebbia che
affliggeva tutta la Contea di Keiran. Essendo nato in quel luogo, lui
non aveva
alcun problema ad orientarsi. La vista degli abitanti di Keiran era
molto più
sviluppata rispetto a quella della gente delle altre Contee.
Ainohl fece un profondo sospiro rincuorato quando l'esile figura di una
bambina
apparve fra la coltre di nebbia che inghiottiva l'intero cortile della
sua
casa.
«Ari,
che stai facendo qui fuori?» le domandò raggiungendola, cercando di
assumere un
tono severo che venne però offuscato da uno sbadiglio.
La
bambina lo guardò con i suoi vispi occhi nocciola e si posò subito un
dito
sulle labbra, intimandogli di tacere. «Lo senti?» chiese sottovoce.
Ainohl
si corrucciò di confusione e, paziente come sempre, decise di
assecondarla.
Rimase in silenzio e si accorse subito cosa fosse stato ad incuriosire
tanto
Ari.
Urla.
Erano lontane, probabilmente arrivavano dal villaggio di Amdir poco
distante da
lì, ma nella quiete assoluta della notte, si sentivano perfettamente.
Qualcuno
stava urlando. Una voce di donna sovrastava tutte le altre, sembrava
quella più
disperata. Le altre parevano spaventate e furiose.
Per un momento, Ainohl fu tentato di chiamare suo padre. Temeva stesse
accadendo qualcosa di grave al villaggio, ma alla fine prese in mano la
situazione e scelse di non svegliarlo. C'era anche la possibilità che
non fosse
nulla di grave, in fondo. In ogni caso, doveva accertarsene.
«Torna a letto!» esclamò, spingendo delicatamente sua sorella verso
l'uscio di
casa. «Io vado a vedere cosa sta succedendo.»
Com'era
prevedibile, Ari protestò. «Voglio venire anch'io!»
«No.
Tu torni in casa e ti rimetti a dormire. O sveglio nostra madre e le
dico che
sei uscita in piena notte.»
Fu una mossa decisamente sleale, Ainohl lo sapeva bene, ciò nonostante
non si
lasciò intenerire. Ari perse all'istante tutta la sua determinazione e
abbassò
il capo rassegnata.
«Va
bene...» mormorò remissiva. Puntò lo sguardo a terra e i suoi occhi si
velarono
di lacrime. Ainohl sbuffò, sentendosi all'improvviso in colpa. Spesso
dimenticava che Ari aveva solo sette anni … era normale che fosse tanto
curiosa, così come il fatto che volesse sempre seguirlo ovunque andasse.
«Convincerò mamma e papà a portarti con loro domani, va bene?» promise
subito,
in un disperato tentativo di farsi perdonare.
Subito,
gli occhi di Ari si riaccesero di entusiasmo ed euforia. «Davvero? Li
convincerai a portarmi fino a Valcalia?»
«Certo,
te lo prometto. Ma per affrontare un viaggio così lungo, hai bisogno di
riposare. Quindi torna a letto.»
Stavolta,
Ari non protestò. Ubbidì senza recriminare e corse in casa con fin
troppa
energia per convincere Ainohl che avrebbe davvero dormito. La cosa
importante
comunque era che fosse al sicuro.
Rimasto solo, seguì la luce delle torce perennemente accese che
delimitavano il
sentiero fino al villaggio. Erano l'unica fonte di luce nelle ore
notturne.
Restavano accese anche di giorno, ma erano utili solamente per gli
stranieri
delle altre contee. La gente di Keiran aveva imparato ad orientarsi
senza
problemi in quella terra soffocata dalla nebbia. Per quanto lo
riguardava,
avrebbe potuto raggiungere Amdir anche ad occhi chiusi.
Le
voci concitate che erano giunte fino alla radura in cui viveva con la
sua
famiglia, si fecero sempre più forti. L'urlo della donna si era
trasformato in
un pianto straziante. Ainohl raggiunse il villaggio in pochi minuti e
si rese
presto conto che tutti gli abitanti erano raggruppati nella piazza
principale.
Tutti gli adulti, perlomeno. Riuscì ad intravedere il volto curioso di
qualche
bambino che sbirciava dalle finestre delle case. Qualunque cosa stesse
accadendo, era grave e ringraziò il cielo di essere riuscito a
convincere Ari a
non seguirlo.
Le
persone erano tutte attorno al pozzo che stava al centro della piazza.
Ainohl
iniziò in quel momento a prendere lentamente coscienza di ciò che stava
accadendo.
Quel
pozzo non veniva usato per l'acqua, era stato costruito per un altro
scopo. Per
rispettare una legge crudele e disumana che lui non aveva mai
accettato. Non
raggiunse gli abitanti di Amdir. Rimase in disparte e nel momento in
cui vide
la donna che stava urlando, si rese conto che i suoi sospetti erano più
che
fondati.
Il
rito di purificazione …
Conosceva
quella donna. Vendeva stoffe e abiti al mercato del villaggio. Era da
lei che
Ainohl aveva comprato il vestito che aveva regalato ad Ari per il suo
compleanno. Era una donna gentile e di buon cuore, sempre sorridente.
Era
strano vederla incatenata nella braccia del marito, con il volto
esausto rigato
dalle lacrime, e quella smorfia disperata a sfigurarle il viso. Si
ricordò solo
in quel momento che aspettava un bambino. Era il suo primo figlio...
non aveva
fatto altro che parlare e fantasticare su di lui per tutto il periodo
della
gravidanza, facendosi persino fastidiosa e ripetitiva molto spesso.
Ainohl
provò un moto di rabbia quando vide il Capo- Villaggio stringere fra le
braccia
un fagotto. L'uomo passò accanto alla donna senza nemmeno rivolgerle
uno
sguardo di pietà. La sua freddezza era davvero impressionante.
Dovette
combattere con tutte le proprie forze per non intervenire. Assistette
furioso,
nauseato ed impotente al rito. Era il secondo che vedeva in tutta la
sua vita.
Era
notte, la luna non si poteva vedere in quella Contea soffocata dalla
nebbia, ma
Ainohl sapeva comunque che doveva esserci il plenilunio, perchè quando
nasceva
una di quelle creature, c'era sempre la luna piena. Tornò a guardare il
fagotto
di coperte in braccio al Capo-villaggio e quando udì dei vagiti
provenire da
esso, si sentì un criminale almeno quanto tutta la gente di Amdir.
La donna li stava implorando di non farlo, ma loro non la degnavano di
uno
sguardo. Nessuno si schierò dalla sua parte, nemmeno il marito.
Il
Capo – Villaggio sollevò il neonato, in modo che tutti lo vedessero.
Dal punto
in cui era, Ainohl riuscì ad intravedere un bagliore provenire da una
delle
mani del bambino.
Il
piccolo, stringeva convulsamente qualcosa. L'oggetto per cui ora
sarebbe morto.
Una lacrima di Luna...
Fu
solo un'ulteriore conferma a ciò che aveva già intuito. Quel bambino
non era
umano. Era un mago, nato per errore nel regno sbagliato. I suoi occhi
erano
chiusi mentre strillava, disturbato da tutta quella confusione, ma
Ainohl
sapeva bene che dovevano avere la tinta dell'oro.
La donna cadde in ginocchio, senza più forze e continuò ad implorare
pietà per
quella creatura che aveva appena messo al mondo.
«A
questi abomini non è concesso vivere.» Furono le uniche parole che il
Capo-Villaggio le rivolse.
Un attimo dopo, l'uomo si avvicinò al pozzo. Tenne il bambino sollevato
sopra
di esso, mormorò una preghiera nell'antica lingua degli Antenati, e poi
… lo
lasciò cadere nel vuoto.
Ainohl
si voltò, incapace di guardare. Lo schianto sul fondo venne coperto
dalle urla
della donna che si fecero talmente strazianti e laceranti, da farlo
vacillare
per un momento. Chiuse gli occhi e strinse i pugni così forte da
sentire le
unghie conficcarsi nella carne. Sentì lo stomaco rivoltarsi per la
rabbia, per
la vergogna e per il disgusto che provava verso i suoi stessi simili, e
anche
verso sé stesso per non riuscire a trovare il coraggio di intervenire e
ribellarsi a quell'assurdità.
Chiamavano i maghi «abomini», eppure strappavano i
figli appena nati
alle loro madri per poi gettarli in un pozzo. Ai suoi occhi, i veri
mostri
erano sempre stati loro.
Decise
di tornare a casa e cercare di dimenticare ciò che aveva visto, ma
quando nel
riaprire gli occhi vide il volto terrorizzato di Ari che fissava
impietrita il
pozzo, si sentì morire.
«Ari!» Fu da lei in un attimo e la fece subito voltare per impedirle di
guardare, pur sapendo che ormai era troppo tardi. «Ti avevo detto di
restare a
casa, maledizione!»
Si
accorse di aver alzato troppo la voce e sebbene fosse arrabbiato, cercò
di non
agitarla più di quanto già non fosse.
«L'hanno
buttato nel pozzo...» la sentì mormorare, con voce tremante e
spaventata.
«Perchè hanno buttato quel bambino nel pozzo?»
Non
sapeva cosa dirle. Non sapeva come farglielo capire, dal momento che
nemmeno
lui capiva i motivi che spingevano le persone a compiere quel crimine
tanto
orrendo.
Non
appena vide i suoi occhi riempirsi di lacrime, la sollevò fra le
braccia,
caricandosela sulle spalle e s'incamminò verso casa. Ora più che mai
voleva
allontanarsi da quel villaggio. Ari piangeva e tremava, continuando a
fare la
stessa domanda. Lui ancora non rispondeva, chiedendosi quali sarebbero
state le
parole giuste da rivolgerle. Scelse di usare le stesse che suo padre
aveva rivolto
a lui quando aveva assistito al suo primo rito di purificazione.
«Lo
hanno gettato in quel pozzo perchè avevano paura di lui.» Ari
subito
interruppe il flusso di domande. Nel suo silenzio c'era un chiaro
invito a
continuare a parlare. «Tu lo sai che il Re non sopporta i maghi, vero?»
La
bambina annuì senza dire nulla. «E visto che li odia tanto, ha ordinato
che
tutti loro vengano uccisi. Così ogni volta che nasce un bambino mago,
per legge
lo dobbiamo eliminare.»
Ainohl rimase in attesa di una sua reazione. Si accorse che aveva
smesso di
piangere e la cosa lo rincuorò.
«Ma... se non gli piacciono, perchè non li manda a vivere nel Regno di
Keladia?» domandò lei, con la voce rotta dal pianto che ancora la
minacciava.
«Invece di ucciderli, non sarebbe meglio mandarli laggiù? Così
troverebbero
qualcuno che si prende cura di loro. Qualcuno che non li odia.»
Ainohl non potè fare a meno di sorridere a quelle parole. Una bambina
di sette
anni riusciva ad essere più saggia e razionale dell'uomo adulto che
sedeva sul
trono di Theires.
«Sarebbe
bello se tutti la pensassero come te, Ari. Ma purtroppo non è così.»
Aveva
sperato di poterla tenere lontana da quella realtà piena di odio e
pregiudizi
ancora per un po'. Si era sempre impegnato a non farle sapere cosa
succedesse
davvero fuori dai confini di Amdir, anche i suoi genitori e Eiron
avevano fatto
lo stesso. C'era bisogno di innocenza e ingenuità in quel mondo
dominato dal
caos. E Ari, per lui e la sua famiglia, ne era la rappresentazione. Ora
però,
tutto ciò si era incrinato. In fondo lo sapeva che non avrebbe potuto
proteggerla per sempre da quegli orrori.
Ainohl aveva nove anni quando aveva assistito al suo primo rito di
purificazione. E per lui era stato mille volte peggio.
Certo,
assistere all'uccisione di un neonato innocente era stato terribile, ma
in quel
momento i suoi pensieri non si erano concentrati unicamente sulla
piccola
vittima. Si era sentito un po' egoista, perché lui aveva pensato ad
un'altra
persona. La stessa a cui stava pensando anche adesso, a più di dieci
anni di
distanza da quel giorno.
C'era
un motivo se lui era l'unico essere umano, forse di tutta Theires, a
provare
pietà per i maghi. Un segreto che custodiva fin da quando era bambino e
che
l'avrebbe fatto finire condannato a morte se solo fosse stato rivelato.
L'inquietudine
che l'aveva fatto svegliare si fece d'un tratto molto più intensa, ma
stavolta
Ainohl sapeva perfettamente da cosa fosse provocata. Aveva un gran
bisogno di
sapere che il suo segreto fosse al sicuro. Non avrebbe riconquistato la
serenità se prima non se ne fosse accertato.
Ari
però, non poteva andare con lui. Sperava che un giorno avrebbe potuto
condividere quel segreto con lei, ma adesso era ancora troppo presto.
Guidato
unicamente da quel senso di ansia che non aveva fatto altro che
crescere fin da
quando si era svegliato, Ainohl raggiunse in fretta casa sua. Ari era
ancora
comoda sulla sua schiena, con le braccia allacciate attorno al suo
collo e le
guance rigate di lacrime, gli occhi annacquati di paura e un broncio
triste a
spegnerle il viso. Faceva male vederla in quello stato. L'aveva vista
in
condizioni simili solo una notte di un anno prima, quando Eiron aveva
rischiato
davvero di non arrivare vivo al mattino.
Entrò in casa e la rimise a terra, Ari però si appese subito alla sua
mano. Ainohl abbassò lo sguardo verso di lei, sorprendendola a
fissare il
pavimento. Non disse nulla, non pianse, ma lui conosceva bene quella
muta
richiesta.
«Non
ti farò dormire nel mio letto, Ari.» Gli si strinse il cuore nel dirlo.
Si
sentì maledettamente in colpa, ma non poteva restare a casa quella
notte.
«Per
favore.» cominciò ad implorarlo lei, rafforzando la presa sulla sua
mano.
«Sei
grande abbastanza per dormire nel tuo letto da sola.» Giocarsi la carta
del comportarsi
da grande, era la sola cosa che potesse fare per non ferirla
ancora di più.
«Di cosa hai paura? Qui a casa non può succederti niente, lo sai.»
«Il
capo- villaggio è anziano. Potrebbe sbagliarsi e scambiarmi per una
maga.» La
voce le si spezzò dietro un singhiozzo. «Non voglio finire nel pozzo!»
Ainohl
vacillò. Come poteva lasciarla sola proprio in quel momento? Sebbene la
sua
fosse una paura sciocca, vedeva il suo corpo scosso da tremiti. Era
davvero
spaventata e si odiò a morte per aver deciso di andare fino ad Amdir.
Se non
l'avesse fatto, Ari non l'avrebbe ma seguito e non avrebbe mai
assistito a
quello strazio.
Ainohl
s'inginocchiò a terra, in modo da poterla guardare negli occhi. «Questo
è
impossibile e lo sai.» le spiegò con tono paziente e rassicurante «Tu
sei nata
quando il sole era alto nel cielo, non hai gli occhi color dell'oro e
non
indossi una Lacrima di Luna. Tu sei umana, Ari. E il capo-villaggio lo
sa
perfettamente. Lui presenzia alla nascita di ogni abitante di Amdir e
c'era
anche per la tua.»
Ari rimase in silenzio, pensierosa. «... e non posso fare le magie.»
aggiunse,
con un velo di timidezza assai raro per lei.
Ainohl
trattenne a stento una risata. Le scompigliò i capelli corvini e si
rialzò in
piedi «Esatto. Un vero peccato! Sarebbe divertente poter usare la
magia, non
credi?» Riuscì a strapparle un debole sorriso svagato e assieme a lei,
si
tranquillizzò anche lui stesso.
La
bambina guardò poi il fratello con occhi afflitti e carichi di
vergogna.
«Chiederai lo stesso a nostra madre e nostro padre di portarmi con loro
a
Valcalia, domani?» Ainohl si era quasi dimenticato di quella promessa
fatta
forse troppo in fretta. «Glielo chiederai anche se ti ho disubbidito?»
Non se la sentiva proprio di dirle di no. Si sarebbe trattato del suo
primo
viaggio fuori dai confini di Amdir... e al momento, quella promessa
rappresentava anche l'unica cosa in grado di allontanare da lei i
ricordi di
ciò che aveva visto al pozzo.
«Te
l'ho promesso, no?» Il sorriso appena accennato di Ari, si fece
radioso. I suoi
occhi brillarono di entusiasmo, non più di paura. «Ma solo se dormirai
nel tuo
letto senza lamentarti.»
Ari
annuì e corse fino alla loro stanza. Ainohl non la seguì. Rimase
immobile
davanti alla porta d'ingresso, per niente intenzionato a provare ad
imitare la
sorella.
Attese
qualche minuto, immerso nel buio della cucina, poi raggiunse la propria
camera
da letto. Non entrò, vi si affacciò soltanto per assicurarsi che i suoi
fratelli stessero dormendo.
Dovette
impegnarsi davvero per non ridere. Ari gli aveva disubbidito ancora,
infilandosi a tradimento nel letto di Eiron. Nel vederli entrambi
dormire
serenamente, Ainohl si sentì notevolmente più tranquillo.
Eiron
sembrava stare bene, il suo respiro era regolare e non era scosso dai
soliti
brividi di febbre. L'espressione di Ari, rincantucciata contro di lui,
era
distesa e beata. Ainohl sperò che la vicinanza del fratello le evitasse
un
sonno agitato e preda di incubi.
Lui
ne aveva avuti molti dopo aver assistito al suo primo rito di
purificazione...
Le
immagini del neonato che veniva buttato nel pozzo come immondizia,
tornarono a
riempire la sua mente. In quel momento si sentì di fare solo una cosa.
Si
cambiò in fretta gli abiti, optando per alcuni più pesanti, si sistemò
un
mantello sulle spalle e uscì di casa, chiudendo piano l'uscio
d'ingresso per
non svegliare nessuno.
Il
villaggio di Amdir era situato al confine della Contea di Sien, una
terra
caratterizzata da una pioggia perenne. Fu lì che Ainohl si diresse a
passo
spedito. Andatura che si trasformò ben presto in corsa.
Voleva raggiungere Sien il più in fretta possibile, per poter così fare
ritorno
a casa prima dell'alba, in modo che nessuno si accorgesse della sua
assenza.
Era sotto la pioggia eterna di Sien che era custodito il suo segreto.
Nonostante
il buio e le poche lanterne che fendevano l'oscurità, Ainohl trovò il
confine
piuttosto in fretta. Non c'era nulla a delimitarlo, se non un muro di
nebbia
molto più spesso che nel resto di Keiran. Una volta che si tentava di
superarlo, la visibilità diventava pressoché nulla e si era costretti a
proseguire alla cieca. La nebbia in quel punto diventava talmente fitta
da
riuscire sentirne quasi il peso sulle spalle. Ainohl la sentiva
sfiorargli il
viso, inumidirgli gli abiti, infilarsi su per le sue narici e
riempirgli i
polmoni.
Ricordava
di aver avuto paura la prima volta che si era ritrovato lì sul confine,
nel
soffocante abbraccio di tutto quel bianco. L'unico punto di riferimento
era
stato il suono della pioggia proveniente da oltre il muro di nebbia.
Era bastato
seguirlo per raggiungere Sien.
Si era ritrovato lì per caso, da bambino. Giocava nei boschi con i suoi
amici,
ma si era allontanato troppo dagli altri, ritrovandosi così in un luogo
del
tutto estraneo e di cui aveva solo sentito parlare nei racconti di suo
padre.
Anche
adesso, sarebbe stato molto facile farsi prendere dal panico e perdersi
proprio
lì, in quel mare di nebbia. Invece Ainohl mantenne il controllo di se
stesso e
chiuse gli occhi. Continuò a camminare imperterrito, con il passo
deciso e
sicuro di chi ha percorso quella strada già un migliaio di volte. E
all'improvviso, la pioggia lo travolse. Bastò un passo per oltrepassare
una
volta per tutte il confine. Dal bianco soffocante della sua nebbia, il
ragazzo
si trovò sotto una pioggia fitta e battente. Non poté fare a meno di
stringere
gli occhi. Quel posto era sempre troppo luminoso e ampio per i suoi
canoni, pur
essendo notte.
Lui
era abituato al grigiore della nebbia e a non vedere nitidamente il
paesaggio
intorno a sé. Ma Sien era diversa. Lì la visibilità era perfetta. Non
solo
riusciva a vedere cosa lo circondasse, ma anche dove i suoi passi lo
avrebbero
condotto. Gli dava sempre una fastidiosa sensazione di disorientamento,
ma era
fantastico poter vedere il bosco tutt'intorno così perfettamente.
La pioggia tuttavia, era molto peggio della nebbia. Trasformava la
terra in
fango, l'erba in muschio scivoloso, faceva morire le piante che
agognavano la
luce del sole, spingeva la fauna a fuggire. E ti faceva rabbrividire
dal
freddo. Ainohl non aveva mai smesso di chiedersi come facessero gli
abitanti di
Sien a vivere in quel postaccio.
Dietro
di sé non c'era più traccia della barriera di nebbia che aveva
attraversato.
Era stata sostituita da un muro d'acqua di cui non si riusciva a
scorgere
l'inizio se si alzava lo sguardo al cielo.
Senza indugiare ulteriormente, Ainohl si strinse nel suo mantello e si
mise in
marcia, cercando di non pensare troppo alla pioggia che lo stava
infradiciando.
S'inoltrò nel bosco, tenendo lo sguardo puntato a terra per evitare di
scivolare. Era difficile muoversi laggiù. La prima volta era caduto
tantissime
volte, ritrovandosi con la faccia immersa nella fanghiglia.
Ora
però, dopo tanti anni che attraversava quel tratto di strada, Sien non
gli era
più così ostile. Adesso sapeva muoversi quasi come uno dei suoi
abitanti.
Era
stata lei ad insegnarglielo...
Accelerò
il passo, abbandonò il sentiero tracciato che conduceva al vicino
villaggio di
Aranel, e s'immerse nella boscaglia. Pochi minuti di cammino lo
avrebbero
condotto davanti al salice che occultava il nascondiglio del suo
segreto.
Si
trovò nuovamente a correre, percependo ancora quella sensazione di
ansia mista
a paura che aveva avuto per tutta la notte, e che si era intensificata
dopo
aver assistito al rito.
Superata
la boscaglia, vi era una radura. Al centro di essa, si ergeva solitario
un
salice piangente, che occultava quasi alla perfezione una piccola
grotta
ricavata dai resti di un'antica frana.
Fu lì
che Ainohl indirizzò i proprio passi.
Superò
il salice ed entrò nella grotta. Al suo interno, le fiamme di un fuoco
prossimo
all'estinguersi agonizzavano, rischiarando appena l'ambiente stretto ed
angusto. Accanto ad esso, su un giaciglio improvvisato, una ragazza dai
singolari boccoli rossi, dormiva serena.
Solo
a quel punto, tutta l'inquietudine accumulata, scivolò via dal corpo di
Ainohl,
alleggerendo il suo animo all'istante.
Quella
sciocca paura l'aveva abbandonato. L'orribile presentimento che potesse
esserle
accaduto qualcosa si rivelò essere del tutto immotivato. Assistere al
Rito di
purificazione doveva averlo scosso quasi quanto la prima volta. Anche
allora,
era poi corso a controllare che lei stesse bene. Perchè ciò che avevano
fatto a
quel bambino innocente, era niente in confronto a quello che lei
rischiava ogni
giorno.
La
ragazza si mosse nel sonno, le sue palpebre tremarono per poi aprirsi
lentamente. Ainohl si trovò a fissare un paio d'occhi color dell'oro.
Il mondo
intero era terrorizzato dalle iridi di quella tonalità, a lui invece,
avevano
sempre trasmesso una sensazione di pace e sicurezza. Davanti
alla sua espressione assonnata e confusa, Ainohl le sorrise. Era
chiaramente
sorpresa di vederlo lì a quell'ora di notte.
«Ainohl?»
mormorò con la voce ancora impastata dal sonno. Si mise a sedere e lo
guardò
preoccupata. «E' successo qualcosa?»
Lui
scosse solo testa. «No.» la tranquillizzò subito. «Io... volevo solo
assicurarmi che tu stessi bene.»
Gli occhi della ragazza si puntarono nei suoi. Ogni volta pareva capace
di
leggergli l'anima... e in verità, lei poteva farlo per davvero.
Lo
sguardo di Ainohl cadde sulla pietra bianca e luminosa che lei portava
al
collo. Un oggetto per il quale tante persone avrebbero voluto
ucciderla. E
assieme a lei, avrebbero ucciso anche lui per averla tenuta nascosta.
Non
c'era posto nel regno di Theires per quella giovane maga che aveva
vissuto
nascosta per tutta la vita. Non ci sarebbe mai stata comprensione per
l'essere
umano che l'aveva protetta. La grazia o la pietà, non sarebbero mai
arrivate
per loro se mai fossero stati scoperti.
Si
chiamava Ayleen, ed era lei il segreto di Ainohl.
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Capitolo 3 *** Capitolo Due ***
CAPITOLO DUE
“Quando
i maghi abbandonarono il Regno di Theires per fare ritorno all'Isola di
Keladia, anche la magia abbandonò definitivamente la nostra terra.
Secoli di
continui conflitti avevano fatto comprendere a tutti che esseri umani e
maghi
non potevano convivere in maniera pacifica. Vinta la guerra, Re Roland
li
esiliò per sempre dai territori di Theires e prese possesso di Ayril,
il luogo
che fino a quel momento era stato volgarmente chiamato la “Contea dei
Maghi“,
poiché era lì che essi avevano vissuto fino all'esilio. A nessun mago
sarebbe
più stato concesso di vivere fra gli uomini. Fu con la nascita del
sesto ed
ultimo figlio di Re Roland che il sottile velo di pace che si era
faticosamente
instaurato, giunse al termine. La sua venuta al mondo portò
con sé una
sferzata di terrore e sofferenza, non solo per la famiglia Reale, ma
per
l’intero Regno di Theires.”
Frammento
proveniente dalla Biblioteca privata di Re Roland.
Zephiro, Contea di Ayril.
Laar, Consigliere del Re
Cinque uomini vestiti di nero
varcarono le porte del
palazzo reale di Zephiro, nella Contea di Ayril. Erano nobili, a
giudicare
dalla fascia di seta dorata che contornava loro le spalle.
Procedettero l'uno affianco all'altro, attraversando
l'enorme salone delle udienze del palazzo. Non si lasciarono distrarre
dalla
sontuosità della sala, né dai giochi di luce che i raggi solari
creavano
attraversando le gigantesche vetrate poste lungo le pareti. Procedevano
con la
sicurezza e l'aria annoiata di chi ha già visto lo stesso luogo per
troppe
volte. Non c'era nessuno a scortarli, e nessuno di loro teneva lo
sguardo basso
come il protocollo imponeva. I soldati posti all'ingresso della sala,
restarono
immobili e permisero loro di passare senza provare in alcun modo a
fermarli.
Entrambi, accennarono persino un inchino.
I cinque uomini fissavano l'uomo anziano seduto sul trono
in fondo al salone. Una volta che gli furono di fronte,
s'inginocchiarono a
terra. Vi rimasero per qualche secondo, per poi rialzarsi e tornare a
guardarlo. Davanti
a loro trovarono un
vecchio, consumato dalla stanchezza e dall'età. Per quanto sembrasse
non
possedere nemmeno più la forza per muoversi, c'era qualcosa che lo
faceva
ancora apparire regale come sempre. Non era la corona che brillava
orgogliosa
sulla sua testa, e nemmeno i suoi abiti sfarzosi e troppo lussuosi per
chiunque. C'era qualcosa nel suo sguardo glaciale a costringere tutti
ad
abbassare il capo in sua presenza.
Del resto, Roland era stato il sovrano di Theires per
sessanta lunghi anni. Era salito al trono appena quindicenne, dopo la
prematura
morte del padre e nonostante ora apparisse come un fragile vecchio
prossimo
alla morte, vi era
sempre un'aura di
solennità a circondarlo. Bastava un suo sguardo per mettere in
soggezione il
più arrogante degli uomini.
Il Re osservò i suoi cinque ospiti uno per uno, con aria
piuttosto svogliata. Il primo di loro, quello che apriva la fila a
sinistra,
fece un passo avanti. Sembrava il più anziano del gruppo e si fece
portavoce
degli altri : «Ci avete fatti chiamare, padre?»
Le labbra di Roland si mossero, ma non per rispondere alla
domanda del maggiore dei suoi figli. I suoi occhi saettarono per
l'immensa sala
alla ricerca di qualcosa. O forse, qualcuno... In effetti, sembrava
stesse
tentando di chiamare una persona.
«Sono qui, Vostra Maestà.»
Una voce femminile precedette l'arrivo di una figura
incappucciata. Apparve alle spalle del Re, e lo fece in maniera così
improvvisa
e silenziosa da mettere in allarme tutti e cinque i Principi.
Vestiva di grigio, e metà del suo volto era occultato da un
pesante cappuccio. Le sue labbra si piegarono in un sorriso sincero,
capace di
mettere a tacere qualunque dubbio sul suo conto.
«Voi chi siete?» domandò il maggiore dei Principi, le dita
già strette attorno all'elsa della propria spada. Il padre lo ammonì
con un
gesto della mano.
«Devo la vita a questa donna.» dichiarò Re Roland, con voce
stanca ma ferrea. «Mi ha curato da un male che nessun guaritore di
Theires era
riuscito a debellare. Per loro avevo i giorni contati.»
I cinque uomini parvero presi in contropiede e si
scambiarono sguardi confusi. Stavolta fu il terzo a prendere la parola.
«Non
sapevamo aveste problemi di salute.»
«E perchè mai avrei dovuto scomodarmi per mettervene al
corrente?» Il Re sorrise amaramente. «Come se a voi importasse qualcosa
della
mia vita, come se non sapessi che non aspettate altro se non la mia
morte per
potervi contendere il mio trono e il mio regno»
Nessuno di loro osò controbattere, sarebbe stato inutile
provare a convincerlo del contrario. La verità era che nessuno di loro
lo
considerava come un padre. Roland rappresentava unicamente un ostacolo
al loro
vero obiettivo. Erano cinque fratelli... Solo uno di loro avrebbe
potuto
succedere al padre. Avrebbero dovuto affrontarsi per decidere chi
sarebbe stato
il nuovo re. Così funzionava a Theires. C'era stato un tempo in cui
spettava al
primogenito maschio il compito di seguire le orme del padre e governare
il
regno, ma la legge era stata cambiata secoli prima. A seguito di una
maledizione lanciata da un mago, un antenato di Roland ebbe solo figlie
femmine. Egli non considerava nessuna di loro degna di salire al trono,
ma
giunto alla fine dei suoi giorni si vide costretto a prendere una
decisione.
Fece cambiare la legge di successione e decretò che a salire al trono
sarebbe
stata la figlia che fosse sopravvissuta a tutte le altre. Così che
potesse
dimostrare di possedere la forza, la freddezza e la risolutezza degne
di un
sovrano. Fu la sorella minore a diventare regina, e una volta al
potere, non
modificò quella legge. Pensando che avrebbe così evitato inutili
dispute per il
potere, la lasciò invariata. Una guerra ci sarebbe stata comunque per
la
successione, ma non sarebbe rimasto coinvolto il regno. Si sarebbe
consumata
fra le mura del palazzo.
«Questa donna si è guadagnata il mio rispetto e la mia
fiducia, molto più di quanto io ne riponga in voi.» Continuò Roland,
ignorando
gli sguardi truci e sdegnati dei suoi figli. «Ha qualcosa di molto
importante
da dirvi, quindi la lascerete parlare e l'ascolterete. Ubbidirete a lei
come se
le sue parole fossero state pronunciate da me, è chiaro?»
Nessuno di loro osò contraddirlo. I loro occhi saettarono
sulla donna che vestiva di grigio e non si sprecarono a trattarla come
un'ospite.
«E' un vero onore incontrare tutti e cinque i Principi
Guardiani.» Esordì la donna, con un sorriso che a tutti loro apparve
tremendamente falso. «Vostro padre il Re, mi ha chiesto di condividere
con voi
alcune informazioni che, sono certa, troverete parecchio interessanti.»
Notando
che nessuno dei cinque faceva domande, continuò. «Chi di voi è Eiden, il Principe
Guardiano della Contea di
Sheiran?»
Ognuno dei figli del Re governava una delle cinque contee
che formavano Theires. Venivano chiamati «principi guardiani», perchè
non erano
dei veri e propri sovrani. Roland aveva in ogni caso il potere assoluto
su
ognuna delle Contee. Lui lo definiva «addestramento», ma la verità era
che i
suoi figli erano nulla più che delle temporanee balie per quei
territori. La
definizione di «Guardiani» suonava semplicemente meglio. Li lasciava ad
occuparsi di tutte quelle cose noiose come far rispettare le leggi,
occuparsi
delle tasse e delle condanne, mentre lui si godeva gli agi della vita
di corte.
Il figlio maggiore fece un passo avanti. «Io, mia signora.»
dichiarò, sforzandosi di mantenere un tono reverenziale.
«So che all'incirca dieci anni fa, avete capeggiato un
gruppo di vostri soldati, per andare ad uccidere una persona. Un
bambino, per
l'esattezza.»
«Le vostre informazioni sono esatte. Fu mio padre ad
affidarmi quella missione e fui onorato di portarla a termine.»
La donna sorrise. Non era un sorriso gentile, tutt'altro.
Aveva un velo di minaccia e derisione . «E ditemi, siete a conoscenza
dell'identità di quel bambino che avete ucciso?»
Il Principe trasalì. Quella era una storia di cui era
proibito parlare. Cercò lo sguardo del padre che lo invitò a proseguire
con un
cenno del capo. «... Era il minore dei miei fratelli.»
«Ne siete certo?»
L'uomo le scoccò un'occhiata irritata. «Cosa state cercando
d'insinuare esattamente?»
«Che abbiate ucciso la persona sbagliata.»
***
Le
strade di Valcalia erano deserte, appena illuminate dai raggi lunari
che
faticavano ad oltrepassare la perenne coltre di nubi che affliggeva
quella
contea.
Lo
strato di sale che ricopriva i ciottoli delle stradine brillava
gentilmente,
riflettendo le deboli luci notturne e quelle delle fiaccole che
danzavano lungo
i muri delle case. Le onde del mare cullavano l'intero
villaggio,
accompagnando i sogni dei suoi abitanti, così come i cigolii delle
barche
ancorate al porto.
A
questi suoni, se ne aggiunse un altro. Quello di passi. Passi di
qualcuno
ancora sveglio, qualcuno tanto folle da non avere rispettato il
coprifuoco.
Un
uomo incappucciato scendeva lungo la via che conduceva al porto. La sua
andatura era sicura, per nulla intimorita all'idea di rischiare di
venire
sorpreso fuori casa dalle guardie.
Non
si guardava mai alle spalle, non controllava se ci fosse o no qualcuno
quando
svoltava in strade secondarie. Proseguiva senza indugio, come
se si
trovasse alla luce del giorno, come se le macchie di sangue dell'ultimo
malcapitato che aveva osato infrangere il coprifuoco, e che ancora
macchiavano
la piazza del mercato, non lo toccassero minimamente.
L'uomo
raggiunse la parte più povera di Valcalia, sebbene in quella città non
esistesse una parte ricca. Più poveri, meno poveri; quella era l'unica
distinzione che si poteva fare.
L'unico ricco era Eiden, il Principe Guardiano. Era il figlio maggiore
di Re
Roland, ed era lui ad amministrare la Contea di Sheiran. Era il
territorio più
grande e più povero di tutto il regno di Theires. Come le altre contee,
anche
Sheiran era afflitta da un'antica maledizione. La sua gente non
camminava sulla
terra, o sulle pietre, o sulla sabbia... camminava su uno spesso strato
di sale
marino. Era
distribuito uniformemente su
tutto il territorio, e rendeva i campi incoltivabili, paralizzava del
tutto
ogni tentativo di allevamento, persino l'acqua dei fiumi era
imbevibile. La
gente di Sheiran sopravviveva con le razioni di cibo e acqua che il
Principe
distribuiva. Ma per ottenerle bisognava rispettare ogni sua legge,
anche la più
crudele. Alla minima trasgressione, si rischiava di venire esclusi
dalla
distribuzione delle razioni e di morire di fame.
Eiden
non era amato dal popolo, esattamente come suo padre. La sua crudeltà,
la sua
prepotenza e la sua nefandezza lo rendevano un vero e proprio tiranno
agli
occhi di tutti. Era malvagio, e quella stessa malvagità l'aveva
trasmessa ai
suoi soldati, le guardie che giorno e notte si aggiravano ovunque. Loro
avevano
qualsiasi potere. Non gli serviva una legge particolare per far
torturare
o giustiziare una
persona, il Principe aveva
dato loro la libertà più assoluta.
Il
Principe Eiden si faceva beffe della disperazione della sua gente e
cercava di
convincerli che l'alto numero di condanne a morte che lui e i suoi
uomini
elargivano erano solo una benedizione, che i condannati sarebbero state
persone
in meno da sfamare, che la loro fine avrebbe significato più cibo per chi restava
in vita.
Nessuno
gli credeva, ma nessuno osava neppure ribellarsi. Il terrore di una
morte
dolorosa paralizza anche gli uomini più coraggiosi…
I
passi dell'uomo incappucciato si arrestarono di colpo. La sua
attenzione parve
soffermarsi sulla porta di una casa apparentemente abbandonata.
C'era
un’insegna appesa al muro, cigolava timidamente cullata dalla brezza
marina. Il
disegno sopra di essa era ormai quasi del tutto cancellato ma l'uomo
riconobbe
quella che un tempo era stata una taverna. Una delle tante di
Valcalia... e una
di quelle che assieme a tutte le altre era stata costretta a chiudere
per la
totale assenza di clienti. Ce n'era solo una che ancora operava, ma non
era
frequentata dagli abitanti della città. Era l'unico punto di ristoro
per i
commercianti stranieri.
A differenza dell'insegna, sulla porta c'era un segno rosso ben
visibile. Non
aveva una forma precisa, era sospettosamente casuale, sembrava una
specie di
"S" storta e allungata . Forse nessuno ci avrebbe mai fatto
caso, ma lui notò subito che quel segno fosse stato fatto da poco.
Per chiunque l'avesse visto quel simbolo non aveva alcun senso, per lui
invece
assumeva enorme importanza.. Sorrise e fu a quel punto che per la prima
volta
si guardò attorno con circospezione.
Sicuro
che non ci fosse nessuno tranne lui, bussò cinque volte alla porta,
assicurandosi con precisione di far passare un paio di
secondi fra un
colpo e l'altro.
Pochi
istanti e la porta si socchiuse appena. L'uomo l'aprì poco di più per
riuscire
a sgattaiolare all’interno e poi la richiuse.
Dentro
alla vecchia taverna in disuso vi era un'oscurità soffocante. L'uomo
infilò una
mano dentro i suoi abiti per tirarne fuori un oggetto luminoso che
scacciò via
parte di quel buio. Una pietra che emanava una luce rossastra e
rischiarò parte
della stanza.
«Korin
?» chiamò, cercando d'illuminare ogni angolo dell’ambiente circostante.
«So che
ci sei, per quale motivo ti nascondi?»
Un colpo.
Poi un altro più deciso, seguito da altri rumori di oggetti che
cadevano a
terra, subito dopo un ragazzino entrò nel raggio luminoso dello strano
oggetto
che l'uomo teneva fra le dita.
Era ruzzolato a terra, incespicando sui resti di un tavolo. Non aveva
più di
tredici anni, era esile, dall'aspetto malaticcio ed affamato, come
tutti gli
abitanti di Valcalia. I suoi occhi scuri erano segnati da profonde
occhiaie, i
suoi capelli erano neri e scompigliati.
Il
ragazzino guardò la fonte di luce con timore, arretrando
istintivamente.
«Potete
metterla via quella?» domandò visibilmente impaurito.
Gli
umani erano soliti essere sia attratti che spaventati a morte dalle
Lacrime di
Luna. C’era il desiderio di possederne una, per quella strana leggenda
sulla longevità
che potevano donare. E poi c’era la paura, dovuta al fatto che fossero
in fin
dei conti delle vere e proprie armi, la fonte di tutto il potere di un
mago.
«Solo
quando vedrò dove metto i piedi.»
Il
ragazzino parve indugiare, ma alla fine si alzò da terra e si mosse
verso un
vecchio camino. La legna al suo interno era fresca, doveva averla
preparata lui
stesso.
Si
inginocchiò a terra e prese a strofinare energicamente due pezzi di
legno. Non
ottenne altro che poche, deboli scintille. Fece parecchi tentativi, ma
nessuno
andò a buon fine.
L'uomo
sospirò con estrema pazienza, quasi intenerito dai disperati tentativi
di
quelle fragili mani, indebolite dalla miseria, di rendersi utili. Senza
fermarlo e sicuro che lui non potesse vederlo, mosse appena le dita
della sua
mano facendo percorrere loro un arco invisibile. L'istante
immediatamente
successivo, delle fiamme presero vita dai due pezzi di legno che il
ragazzino
stava strofinando. Lui si spaventò e perse l'equilibrio, cadendo
impacciatamente all'indietro.
«Fai attenzione.» Gli suggerì l'uomo, nascondendo a fatica il senso di
serenità nel
vedere il volto del ragazzino finalmente sorridente e soddisfatto.
Fu a
quel punto, quando la stanza venne invasa dalla debole e traballante
luce del
fuoco, che si tolse il cappuccio.
Non
fu affatto un uomo a mostrarsi, bensì un ragazzo che dimostrava poco
più di
vent’anni. Eppure il suo sguardo pareva quello di un uomo già anziano
stanco
degli orrori del mondo.Ma non erano unicamente la severità e la
stanchezza della sua espressione a
colpire. Le sue iridi avevano quel particolare colore che lo avrebbe
fatto
condannare subito a morte.
Gli occhi dorati erano il male. Chiunque li possedesse andava
eliminato, poiché
pericoloso e propenso ad uccidere. Eppure, non c’era odio negli occhi
dorati di quel ragazzo. Persino Korin, nell’umiltà
dei suoi tredici anni, vedeva in essi solo tanta tristezza.
«Vi
ha visto qualcuno?» domandò, riluttante.
Il
ragazzo infilò nuovamente la sua Lacrima di Luna nei propri abiti e
studiò
attentamente la stanza. Nient’altro che detriti di legno marcio, resti
di
mobili bruciati e stoviglie in pezzi. L’aria era pesante e odorava di
muffa.
Non era il massimo come nascondiglio, ma sapeva quanto Korin dovesse
essersi
impegnato per trovarlo. Senza considerare i rischi che aveva corso. A
Valcalia
nessuna guardia s’impietosiva davanti a un bambino.
Davanti
alla domanda di Korin, il ragazzo piegò le labbra in un mezzo sorriso.
«Nessuno
può avermi visto.»
Korin
si corrucciò dalla curiosità, per poi lasciare spazio all’entusiasmo.
«Avete
fatto qualche incantesimo?»
«Diciamo
solo che mi sono assicurato che ogni uomo, donna o bambino di Valcalia
dorma
profondamente fino al sorgere del sole. Tutti, persino i ratti nelle
fogne,
stanno dormendo.»
Korin
parve davvero elettrizzato a quelle parole, facendo inevitabilmente
sorridere
il ragazzo. Era talmente raro trovare qualcuno che apprezzasse la sua
natura di
mago…
«Tutti
tranne me e gli altri?» chiese poi, con ancora quell’espressione piena
di
ammirazione a renderlo più simile al bambino che era, anziché
all’adulto che
era dovuto diventare in fretta e furia.
«Tutti
tranne te e gli altri. Il simbolo che ti ho fatto tracciare sulla porta
ha
protetto questa casa dall'incantesimo.» Gli spiegò l’altro. «E a tal
proposito,
forse è il momento che io li incontri questi altri, non credi?»
Korin
annuì, visibilmente ansioso di assistere a quell’incontro.
«Loro
non sanno chi siete in realtà.» Si premunì di avvisare. «Come dovrò
chiamarvi?»
«Prima
di tutto non servono tutte queste formalità, rivolgiti a me come ti
rivolgessi
ad una persona qualunque. Per quanto riguarda il nome, non è necessario
dirlo,
se nessuno lo chiederà.»
Korin
parve poco convinto. «Lo chiederanno.»
«Allora
diremo loro la verità. Sicuramente mi accuseranno di essere un pazzo e
un
ciarlatano, ma come ben sai, ho con me le prove per mettere a tacere
ogni loro
più che giustificato dubbio.»
Korin
parve molto rassicurato, i suoi occhi si erano riempiti di una fiducia
totale.
Lo guardava come un figlio fa con il padre.
Senza
aggiungere una parola, andò dietro i resti di quello che un tempo
doveva essere
stato il bancone dove venivano servite le vivande. Si accucciò a terra,
tastò
il pavimento polveroso per qualche istante, fino a che non si udì un
suono
simile allo scatto di una serratura. A quel punto Korin, alzò alcune
assi del
pavimento.
Una
botola segreta. Nulla di più semplice e niente di più efficace.
Il
ragazzo dietro di lui sorrise soddisfatto. Non poteva trovare aiutante
migliore
di lui.
Dall’interno della stanza nascosta, proveniva una luce molto più
intensa che al
piano superiore, accompagnata da un flebile vociare di persone. Korin
saltò
dentro con un balzo.
Non c’erano scale o corde per scendere, così anche l’altro ragazzo fu
costretto
a fare lo stesso.
Il vociare cessò nell’esatto istante in cui toccò terra. Si rimise in
piedi ed
osservò senza la minima ritrosia il gruppo di gente davanti a lui.
Erano
più numerosi di quanto avesse mai potuto immaginare. Uomini di ogni età
e
persino donne. C’erano anche bambini più piccoli di Korin. Saranno
stati forse
una cinquantina di persone.
Ci fu qualche momento di scrupoloso silenzio, fatto di scambi di
sguardi, di
valutazione… Lui era pur sempre un mago. I suoi occhi erano dorati e
dalla
stoffa dei suoi abiti s’intravedeva una luce rossastra, tutti elementi
che non
aiutavano a fidarsi di lui.
Alcuni
fissarono quel punto del suo petto, immaginando che aspetto dovesse
avere la
Lacrima di Luna lì nascosta, se fosse davvero come si diceva in giro.
Nessuno
sembrò abbastanza coraggioso per verificarlo, e nemmeno per rompere
quel
silenzio.
Solo
dopo qualche infinito minuto, qualcuno si decise a prendere la parola
per
primo. Un uomo basso e tarchiato, dall’aspetto rozzo ed inflessibile,
non era
giovanissimo, ma nemmeno era fra i più vecchi lì presenti. Avanzò di un
passo,
scrutò il nuovo arrivato dalla testa ai piedi e sul suo volto si posò
un velo
di delusione.
«Sei
solo un ragazzo.» Disse senza preoccuparsi di nascondere il disappunto.
«E’
un problema?» rimbeccò l’altro, senza scomporsi.
«Sì
diamine, lo è! Ci è stato promesso un sicario, non un ragazzino troppo
giovane
per aver combattuto in una qualsiasi guerra!»
Alla
sua, si aggiunsero anche le voci di altre persone dello stesso avviso.
Ma
ancora una volta, nulla scompose il ragazzo dagli occhi dorati.
«Serve
aver combattuto una guerra per essere in grado di uccidere qualcuno?»
li
sovrastò tutti quanti con la propria voce piena di
sicurezza. «Avete
portato a questo incontro donne e bambini, e vi preoccupa il fatto che
io sia
un ragazzo? Voi vi aspettavate un sicario, io d’altro canto mi
aspettavo
esclusivamente uomini forti e vigorosi! Siete così esperti nel
combattere ed
uccidere, così fieri di saperlo fare dal volerlo insegnare anche alle
vostre
mogli e ai vostri figli?»
Tutti
tacquero, anche l’uomo burbero di fronte a lui. I vecchi, le donne e i
bambini,
abbassarono lo sguardo a terra, sentendosi improvvisamente a disagio.
«In
questo Regno, si combattono guerre sin da prima che io nascessi.»
Continuò il
mago, con una fermezza quasi destabilizzante per chi lo ascoltava. «E
badate
bene, sto parlando di guerre prive di eserciti. Miseria, fame,
ingiustizia,
sono nemici ben più potenti di un gruppo di soldati armati che ti
marcia
contro. Quelli non li puoi trafiggere con una spada… Io ho conosciuto a
fondo
ognuno di loro, e sono sicuro che l’abbiate fatto anche voi o non
sareste qui a
costringervi a riporre la vostra fiducia in un mago, ossia una creatura
che vi
hanno sempre insegnato ad odiare e temere. Ditemi,
ho forse sbagliato
qualcosa?»
Korin
lo fissava ammirato e divertito dal modo in cui aveva zittito tutti.
Lui
conosceva quasi tutte le persone lì dentro, e aveva previsto la loro
ritrosia.
Vederli ammutoliti, incapaci di tenere testa al mago, lo elettrizzava
più del dovuto.
Lui era uno dei pochi che non temeva i maghi e non credeva nella loro
malvagità.
Anche
i suoi genitori erano stati dello stesso avviso ed erano stati
torturati ed
uccisi per questo. Korin era rimasto orfano all’età di undici anni,
senza
nessuno che si prendesse cura di lui.
A
Valcalia, tanti erano a conoscenza della sua situazione, ma nessuno si
era mai
preoccupato di aiutarlo in qualche modo. La gente pensava unicamente a
sé
stessa a alle proprie famiglia. Nessuno poteva concedersi il lusso di
aiutare
il prossimo.
L’unico
a farlo, era stato quello straniero dagli occhi dorati apparso sulla
spiaggia
una mattina d’inverno. Un mago. Lo stesso che ora cercava di convincere
quel
branco di ottusi umani che non aveva cattive intenzioni.
Korin
gli avrebbe affidato la sua stessa vita. Si fidava più di lui che di
qualsiasi
altro umano.
Il ragazzo dagli occhi dorati tacque qualche istante. Non in attesa di
risposte, ma perché impegnato a sondare le emozioni dei presenti.
Percepì molta
paura provenire da loro.
Avevano
paura di lui, non osavano parlare perché spaventati da una sua
reazione.
Sospirò e cercò di far assumere un tono più rassicurante alla propria
voce.
«Non
è importante chi o cosa siamo. E nemmeno se siamo giovani o no!
Vogliamo tutti
la stessa cosa, e se la desideriamo con lo stesso ardore, i dettagli
riguardanti la nostra età o la nostra natura non contano nulla.»
Un
leggero mormorio si alzò dalla piccola folla di gente. Il mago iniziò a
percepire i primi consensi.
«Chi
ci dice che non sia tutta una trappola?» a parlare era stato lo stesso
uomo di
prima, sembrava essere diventato a tutti gli effetti il portavoce del
gruppo.
«Sei un mago… Potresti ucciderci tutti in un sol colpo con quella tua
strana
pietra magica.» I suoi occhi caddero istintivamente sulla luce
rossastra che
trapelava dagli abiti del mago.
Korin
parve indispettito da quel commento. Fece un passo in avanti, provando
a
prendere le difese dell’amico, ma quest’ultimo, molto pacatamente, lo
fermò con
un gesto della mano.
«Non
lo nego, potrei uccidervi tutti senza che nemmeno ve ne accorgiate.»
Ammise con
una sincerità spiazzante. «Ma che vantaggio ne trarrei a parte altro
odio verso
di me e la mia
gente?»
Nessuno
seppe rispondere, così il ragazzo continuò.
«Lo
so cosa dicono di noi. Che ci divertiamo ad uccidere voi umani, che
delle
vostre teste ne facciamo trofei, che non siamo capaci di provare
emozioni
tranne il desiderio di potere. Eppure ditemi, è un mago che ha ridotto
il
vostro mondo in queste condizioni pietose? C’è un mago a governarvi in
questo
momento?»
A
regnare incontrastato nella stanza, fu nuovamente un pesante ed
imbarazzato
silenzio. Alcuni abbassarono gli occhi a terra a disagio, consci del
fatto che
quel ragazzo di fronte a loro, aveva ragione.
«E’
un mago la persona per la quale avete richiesto un sicario?»
Nessuno
rispose e il ragazzo sorrise compiaciuto. Quelle persone lo
intenerivano e
innervosivano al tempo stesso. Erano mossi dalle migliori intenzioni,
la
disperazione li aveva condotti su quella strada senza ritorno, ma erano
ancora
troppo spaventati da tutto per riuscire ad arrivare fino in fondo.
Nonostante le cattiverie degli umani verso i maghi, lui non se la
sentiva di
condannarli del tutto.
Erano stati praticamente costretti a reagire così. Theires era
governata dal
terrore e dalla paura, la gente non osava mai pensare o parlare in
maniera
diversa dai propri sovrani. I bambini crescevano con determinate idee
ed era
molto difficile riuscire poi a cancellarle.
Lui voleva solo dimostrare di non essere affatto diverso da tutti loro.
Che il
colore dorato dei suoi occhi e una pietra magica portata al collo non
lo
rendevano affatto pericoloso.
Voleva
credere che ci fossero umani come Korin da qualche parte, capaci di
andare
oltre le apparenze e le dicerie. Voleva credere che quella solitudine
in cui
era stato costretto a vivere per tutta la vita, potesse giungere
finalmente a
termine.
Il
mago incrociò le braccia sul petto, sospirando. Chiuse gli occhi un
istante,
facendosi pensieroso.
Si domandò se rivelare la propria identità potesse servire. La maggior
parte di
loro non gli avrebbe creduto, altri gli avrebbero riso in faccia, ma
lui aveva
le prove per dimostrare che non era un bugiardo. A quel punto, tanto
valeva
rischiare…
«Il mio nome è Kalintz.»
Dichiarò, cercando di schermare le
emozioni di tutti. Non gli andava ancora di sapere cosa stessero
provando. Non
ancora. «E la persona che volete che io uccida, è mio fratello
maggiore.»
****
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Capitolo 4 *** Capitolo Tre ***
CAPITOLO
TRE
Ainohl
non tornò a casa quella notte, rimase con Ayleen fino al sorgere del
sole. In
senso figurato naturalmente, visto che i suoi raggi nulla potevano
contro le
nuvole perenni della Contea di Sien.
Inutile dire che non era riuscito a chiudere occhio, perseguitato dal
ricordo
del rito di purificazione a cui aveva assistito poche ore prima. Così,
mentre
la giovane maga accanto a lui aveva riposato placidamente, Ainohl non
aveva
fatto altro che tormentarsi con innumerevoli dubbi. Non era più certo
che
quella piccola ed angusta grotta fosse un buon nascondiglio per Ayleen.
Era una paura sciocca, lei aveva sempre vissuto lì. Ciò nonostante,
nulla
riuscì a debellare quell'ondata di apprensione che continuava ad
infrangersi
contro il suo cuore.
Aranel era il villaggio più vicino. Non era poi così distante, si
trovava appena
oltre il bosco. Il rischio che Ayleen venisse catturata era concreto …
Era
anche già accaduto che qualcuno avesse provato a prenderla. E adesso,
Ainohl
non riusciva a trovare né la forza né il coraggio di tornare a casa
propria e
lasciare lì la sua amica. Sola, senza alcuna protezione e in balia di
persone
guidate da dei pregiudizi sciocchi e pericolosi.
Tutto
ciò che desiderava era prenderla e portarla a casa sua, farla vivere in
un
ambiente decente, permetterle di dormire in un letto vero, di mangiare
del cibo
degno di quel nome, di strapparla almeno per un po' a
quell'insopportabile
pioggia. Ma non poteva farlo... Nulla di tutto ciò era possibile.
Nella sua famiglia, Ainohl era l'unico che non odiava i maghi. Era
l'unico di
tutta Amdir, ad essere sinceri... se non di tutto il regno di Theires.
La
presenza di Ayleen avrebbe creato molto scompiglio con i suoi genitori,
soprattutto con sua madre. Lei era forse la più cocciuta. Non avrebbe
mai e poi
mai cambiato idea a tal proposito. Inoltre, non poteva permettere che
la sua
famiglia rischiasse la pena capitale per aver dato ospitalità ad una
maga.
Per
di più, Ayleen era morbosamente ed insensatamente legata alla Contea di
Sien.
Ainohl non aveva mai capito il perchè.
Quella
terra le era stata sempre ostile, fin da quando era nata, eppure lei
l'amava
con tutta se stessa. Amava in particolare quella pioggia che invece
tutti
detestavano. Spesso lui la sorprendeva intenta a fissare il cielo.
Restava lì
anche per ore intere, senza muovere un solo muscolo. Chiudeva gli occhi
e
lasciava che la pioggia perenne di quella terra l'accarezzasse. Ogni
volta,
sorrideva. Era uno di quei rari momenti in cui anche lei sembrava
felice di
essere al mondo.
Ayleen
non aveva avuto molte gioie nella sua vita. Era orfana di entrambi i
genitori,
non aveva alcun ricordo di loro. Sua madre era morta dandola alla luce
e suo
padre era stato successivamente catturato, torturato e ucciso proprio
dagli
abitanti di Aranel. Ayleen aveva vissuto i suoi primi anni di vita
assieme alla
sorella maggiore, nascosta nel bosco come un animale. Col tempo e con
qualche
passo falso di troppo, si era guadagnata il nomignolo di «Fantasma
Rosso» al
villaggio di Aranel. Erano stati i bambini a darglielo, perchè
solamente loro
erano riusciti ad avvicinarla. Avevano provato a catturarla, le avevano
lanciato contro i sassi, manciate di fango, l'avevano legata ed avevano
infierito del tutto incuranti del fatto che, come loro, anche lei
provava
dolore. Erano riusciti a vedere l'oro delle sue iridi e spaventati
l'avevano
lasciata scappare, ma da quel momento anche gli adulti avevano
cominciato a
darle la caccia.
La
legge parlava chiaro. I maghi andavano consegnati a Re Roland o ad uno
dei
Principi Guardiani... Eppure nessuno sembrava essersi davvero impegnato
per catturarla.
Più che della magia, la gente di Aranel temeva il loro sovrano e i suoi
figli.
Non potevano avere la certezza che la promessa di gloria e ricchezza
eterna a
coloro che avessero consegnato vivi dei maghi, sarebbe stata davvero
mantenuta
dal Re. Non era certo un uomo famoso per il suo onore.
Ciò
nonostante non avevano mai rinunciato a cercare Ayleen. E se
inizialmente il
loro obiettivo era ingraziarsi il Re, adesso tutto ciò a cui anelavano
era la
Lacrima di Luna della giovane maga.
Ainohl spostò lo sguardo sul volto ancora dormiente di Ayleen. Il
bagliore
della sua Lacrima era ben visibile sul suo petto, anche sotto la stoffa
bianca
della sua veste. Tanta gente sarebbe arrivata ad uccidere per
impadronirsi di
quell'oggetto magico e misterioso.
Aveva
l'aspetto di una gemma di scarso valore, sembrava quasi un minerale. In
essa
però, vi era custodito tutto il potere di un mago. Ayleen non la
mostrava mai,
la teneva sempre nascosta dentro i propri vestiti. La custodiva e
proteggeva
più della sua stessa vita.
Una
volta, non sapendo nulla di quell'oggetto misterioso, Ainohl aveva
provato a
toccarlo, ma Ayleen si era ritratta terrorizzata ed era scappata via.
Il
ragazzo aveva impiegato ore per trovarla e convincerla che non voleva
rubarle
quella strana pietra.
Si
era poi documentato sui libri di suo padre. Ogni mago nasceva
stringendo fra le
mani una Lacrima di Luna. Il nome era dovuto al fatto che tutti i maghi
nascessero di notte , durante il plenilunio. La vita del mago era
indissolubilmente legata alla sua pietra. Non potevano vivere separati,
motivo
per cui Ayleen teneva la propria al collo. La luce che irradiava era
intensa
quando lei era in piena salute, si affievoliva se stava male o era
ferita.
Ainohl aveva visto solo quella di Ayleen, che era di un bianco
abbagliante, ma
sapeva che ve ne erano altre di tonalità differenti. Non aveva idea del
perchè
quella della sua amica fosse di quel colore, non osava mai fare domande
a tal
proposito. Ayleen appariva sempre molto a disagio quando lui si
mostrava
incuriosito da quella pietra.
Erano oggetti molto rari e preziosi, quello era stato suo padre a
dirglielo.
Quelle pietre non solo avevano un valore immenso, ma si diceva
potessero
allungare la vita di chi ne entrava in possesso.
Essendo così legate al loro mago, era proibito per chiunque altro
toccarle. Era
qualcosa che Ainohl non aveva mai davvero capito a fondo, ma da quel
poco che
anche Ayleen gli aveva spiegato, toccare una lacrima di luna era una
vera e
propria violenza fisica e mentale per il mago.
«E' come se qualcuno ti squarciasse il petto per cercare di
strapparti via
l'anima, come se provasse ad entrare nella tua mente e controllarla.»
Gli aveva raccontato Ayleen. «Fa
male. E' doloroso. Come se
ti pugnalassero al cuore senza che però la morte sopraggiunga per darti
sollievo. Non riesci più a muoverti, a respirare, a pensare... desideri
solo
che tutto abbia fine.»
Ovviamente nulla di tutto ciò fermava gli uomini assetati di potere e
ricchezza. Ayleen non ne aveva mai parlato, ma era capitato che più di
una
volta Ainohl l'avesse trovata svenuta nella foresta, immersa nel fango,
con la
sua Lacrima di Luna stretta fra le dita. Non era complicato immaginare
cosa
accadesse. I bambini di Aranel passavano molto tempo nel bosco e
sapevano
essere spietati. Avevano imparato ad odiare e prendere di mira il
Fantasma
Rosso... ed erano affascinati da quella pietra luminosa che lei
indossava. Non
perdevano occasione di toccarla o giocarci o provare a rubarla.
Sapevano bene
cosa fosse e sapevano anche che gli adulti volevano impadronirsene.
Ayleen era
sempre riuscita ad evitare che gliela portassero via, in qualche modo.
Dopo
ogni battaglia però, aveva sempre impiegato giorni per riprendersi del
tutto.
Ad Ainohl piaceva paragonare le Lacrime di Luna ad un organo vitale.
Erano come
un secondo cuore. Senza di quello un mago non poteva vivere.
E la
gente di Aranel bramava proprio ad impadronirsi del secondo cuore di
Ayleen.
Ainohl cercò di sfuggire a
quei pensieri e
provò a distrarsi osservando la grotta in cui la ragazza aveva sempre
vissuto.
Dopo tanti anni, Ainohl ancora si chiedeva come facesse a vivere lì. A
malapena
si riusciva a stare in piedi, l'unica fonte di luce era un fuoco debole
e
prossimo all'estinguersi. Tutto intorno solo due giacigli improvvisati
di paglia
rubata al villaggio e alcuni teli di stoffa a coprirli. Sulle pareti
rocciose e
umide, vi erano ovunque incisioni e disegni vari. Era stata Ayleen a
farli. Per
fare i colori, aveva usato la terra, il fango, le pietre frantumate e i
petali
sminuzzati dei rarissimi fiori che crescevano in quella Contea. Aveva
smesso da
anni di decorare la sua grotta, non perchè si sentisse troppo cresciuta
per
farlo, ma semplicemente perchè non c'era più spazio. Anche Ainohl
l'aveva
aiutata quando erano più piccoli, era stato uno dei loro giochi
preferiti.
Tanti di quei disegni incomprensibili che in qualche modo rendevano
quel posto
più accogliente, portavano anche la sua firma.
«Mi
stai facendo venire il mal di testa.»
Ainohl
sussultò appena e si voltò verso la ragazza, ancora sdraiata sul suo
giaciglio.
I suoi occhi dorati erano liquidi di stanchezza, le sue labbra piegate
in
sorriso tanto dolce e spontaneo da far sorridere anche lui.
«Che
ho fatto?» domandò Ainohl, sinceramente incuriosito dalle parole di
Ayleen.
Lei si
mise a sedere, stiracchiò le braccia e puntò lo sguardo fuori dalla
grotta. Il
sorriso le si allargò. Inspirò l'aria mattutina a pieni polmoni e
chiuse per
qualche istante gli occhi. Era il buongiorno alla sua amata pioggia.
«Pensi
troppo.» spiegò, continuando a guardare verso l'esterno.
«Hai
imparato a leggermi nel pensiero, adesso?»
«Non
serve. Le tue emozioni sono piuttosto chiare.»
Quella
era forse la particolarità più curiosa e fastidiosa di Ayleen. Lei,
così come
tutti i maghi, possedeva il sottile e misterioso dono dell'empatia.
Percepiva
gli stati d'animo delle persone come fossero i suoi. Non era qualcosa
che
riusciva a controllare e spesso Ainohl si sentiva un po' troppo
vulnerabile al
suo fianco, dal momento che con lei era impossibile avere dei segreti.
«Oggi sono dodici anni esatti...»
La
voce di Ayleen lo riscosse da quei pensieri. La guardò notando il suo
viso
farsi di colpo malinconico e i suoi meravigliosi occhi dorati velarsi
di
tristezza. Ainohl non comprese subito le sue parole, ci volle qualche
istante
prima che ricordasse cosa fosse accaduto quello stesso giorno di dodici
anni
prima.
«...
Tua sorella?» azzardò.
Lei
annuì soltanto, abbassando il capo. I suoi boccoli vermigli ricaddero
morbidi
sulle sue spalle facendole da sipario dal resto del mondo. Ainohl non
era mai
certo di come comportarsi ogni qualvolta si toccasse quell'argomento.
Rael
era la sorella maggiore di Ayleen, colei che l'aveva cresciuta dopo la
morte
dei loro genitori. Erano esattamente dodici anni che Ayleen non la
vedeva. Rael
l'aveva abbandonata lì per andare a Keladia, il continente dove i maghi
vivevano in pace lontani dagli umani.
Le
aveva detto che era troppo piccola per affrontare un simile viaggio, e
poi le
aveva promesso che sarebbe tornata a prenderla, ma non era mai accaduto.
Ayleen
ancora la stava aspettando, ancora ci sperava che Rael avrebbe fatto
ritorno.
Ainohl aveva smesso di crederci già da un po', ma non osava esprimere
quel
pensiero a voce alta e distruggere così le speranze della giovane
maga...
Era una
cosa inutile a ben pensarci, visto che lei era in grado di percepire le
emozioni altrui come fossero le sue, e quindi capiva quando qualcuno
mentiva.
Eppure Ainohl non si era comunque mai permesso di infrangere le sue
speranze.
Non gli sembrava giusto. Ayleen sopravviveva grazie alle speranze,
solide o
fragili che fossero.
Due
erano le possibilità: o Rael era morta nell'impresa di raggiungere il
Regno di
Keladia, oppure aveva volontariamente abbandonato la sorella. Ainohl si
augurava con tutto il cuore che la prima ipotesi fosse quella vera. Per
quanto
triste, era quella meno crudele e più accettabile.
«Tornerà.» le disse, pur consapevole che le sue emozioni l'avrebbero
tradito.
Lei infatti lo guardò con un'ombra di rassegnazione sul volto candido,
ma non
gli negò un sorriso colmo di gratitudine.
«Sarà dura convincerla che tu non odi i maghi, quando farà ritorno.»
Aggiunse
poi, scacciando in parte la tristezza dai suoi occhi.
«Ci
riuscirò, non temere! Ho convinto te, posso convincere qualunque mago!»
«Lei vi vorrebbe tutti morti.» confessò Ayleen, tornando a fissare per
terra,
quasi vergognandosi di quell'ammissione.
«Non la biasimo di certo...»
Ancora
non aveva raccontato cosa fosse successo ad Amdir. A dir la verità, non
se la
sentiva nemmeno di farlo. Temeva di spaventarla troppo. Uno dei suoi
difetti,
se così lo si poteva definire, era che possedeva una sensibilità a dir
poco
spiazzante.
L'espressione
malinconica della ragazza andò via a via con l'estinguersi, lasciando
il posto
ad un sorriso allegro, più tranquillo, ma sempre velato dalla sua
consueta
timidezza. «Non ti preoccupare. Ti proteggerò io da lei! » esclamò
svagata.
Ayleen
non era solita guardare negli occhi nessuno quando sorrideva, come se
provasse
imbarazzo a mostrare quei suoi rari momenti di gioia e divertimento.
Ogni volta
che sulle sue labbra si delineava un sorriso, lei abbassava lo sguardo
a terra
e lasciava che i suoi boccoli rossi le ricadessero sul volto e la
nascondessero
al mondo.
Ainohl
riconosceva in lei un'innegabile bellezza. Non era quel tipo di fascino
che
seduceva o faceva fremere di desiderio un uomo. Era più quello che
inteneriva,
che ti spingeva a cercare di conquistare la sua attenzione, un suo
cenno, un suo sguardo.
Che ti faceva desiderare di conoscerla, di poterle parlare, di poterle
essere
di conforto, senza altri scopi di natura più lasciva.
Osservare
Ayleen trasmetteva un'insolita serenità. Non c'era volgarità in lei,
non
c'erano ostentazione o vanità. Solo una dolcezza e un'innocenza che
solo una
bambina avrebbe potuto avere.
Ayleen non era più una bambina, ma aveva comunque mantenuto quella
purezza che
tanto mancava in quel mondo così corrotto e dominato dall'odio. Molto
spesso,
quando Ainohl guardava lei, gli balzava alla mente l'immagine di sua
sorella
Ari.
«Ascolta...»
ancora una volta fu la voce della maga a interrompere il fluire dei
pensieri di
Ainohl. «Qualunque cosa sia, adesso è passata.»
Ainohl
cercò il suo sguardo, ancora insistentemente fisso a terra. Non fece
domande,
non ce n'era alcun bisogno. Fece un profondo sospiro senza sapere cosa
dire.
«Lo sento che sei turbato da qualcosa. Lo sei da quando sei arrivato
qui.»
continuò lei.
«Scusami.»
«Non devi scusarti.» Finalmente, Ayleen si decise a rialzare gli occhi
da
terra. Ainohl scrutò il proprio riflesso in quelle incredibili iridi
color
dell'oro. «Le cose brutte non durano per sempre. Quindi, qualunque cosa
tu
abbia visto o sentito o fatto, la smetterà di torturarti prima o poi.»
Ainohl
le sorrise grato, sebbene quelle parole non fossero riuscite a
rincuorarlo più
di tanto. Lui non possedeva la stessa forza di Ayleen. Lei era sempre
riuscita
a vedere il buono in ogni cosa, persino negli umani che le davano la
caccia e
che avevano sterminato la sua famiglia. Lui non vedeva il mondo allo
stesso
modo. Avrebbe tanto voluto riuscirci, ma ormai era una battaglia persa.
Ayleen aveva ragione. Un giorno, l'immagine di quel neonato innocente,
gettato
crudelmente verso la morte in quel pozzo, avrebbe abbandonato la sua
mente.
Però, era anche consapevole che quel mondo corrotto nel quale viveva,
gli
avrebbe riempito la testa di altre immagini terribili ed difficili da
dimenticare. E la paura che qualcuno potesse fare del male ad Ayleen,
riservarle una condanna ben peggiore di quella del neonato ad Amdir,
non
l'avrebbe abbandonato mai.
«Sarà
meglio che io torni a casa. I miei genitori partono per Valcalia questa
mattina, devo occuparmi di Eiron.»
«Aspetta!»
esclamò Ayleen, dirigendosi verso il fondo di quella grotta fredda e
buia che
lei chiamava casa. Ainohl la sentì trafficare con qualcosa, ma prima
ancora di
riuscire ad appurare cosa stesse facendo, lei era già di ritorno. Gli
si
avvicinò e gli mise qualcosa fra le mani. Era un piccolo sacchetto di
stoffa
bianca, chiuso alla bell'e meglio con uno spago.
«E'
per Eiron.» dichiarò lei, con un sorriso.
Ainohl
osservò attentamente l'oggetto, per poi lanciare un'occhiata
interrogativa ad
Ayleen.
«Per la sua febbre.» s'affrettò subito a spiegare lei, «E' un'erba
speciale.
Fanne un infuso e faglielo bere. La febbre scenderà.»
Ainohl
non rimase sorpreso da quel gesto. Non era la prima volta che Ayleen
gli donava
erbe medicinali per il fratello. L'essere cresciuta in una foresta
aveva i suoi
vantaggi, in un certo senso. Ayleen conosceva ogni pianta, sapeva
esattamente
quali fossero pericolose e quali utili. Il provare a dare sollievo ad
Eiron era
l'unica cosa che la faceva sentire utile...
«Ti
ringrazio.» fece Ainohl, posandole una mano sul capo in un gesto quasi
paterno.
«Anche da parte di Eiron.»
Ovviamente,
lei si affrettò a sfuggire di nuovo al suo sguardo. Il suo viso si
vestì di
un'espressione improvvisamente mesta «Mi dispiace solo di non poter
fare di
più...»
«Non
torniamo sull'argomento.» la interruppe subito Ainohl. «Va bene così.
Le tue
erbe funzionano. Non serve altro.»
«Lo
so, però non dovrei ricorrere a questi rimedi per curare una persona!»
«Ayleen,
smettila!» Il tono di Ainohl si fece più severo. «Non è colpa tua. Non
serve
parlarne ogni volta.»
I maghi non usavano le erbe per curarsi o per curare gli altri. Era
assurdo
pensare che ricorressero a simili rimedi da umani, quando potevano
contare
sulla magia. Ma Ayleen era diversa.
Qualcosa non funzionava in lei. Se non fosse stato per i suoi occhi
dorati e
per la sua Lacrima di Luna, sarebbe potuta passare per una semplice
ragazza
umana. Erano dieci anni che Ainohl la conosceva. Dieci anni che si
prendeva
cura di lei e andava a farle visita di nascosto... e in tutto quel
tempo, mai
una volta Ayleen aveva utilizzato la magia.
Era
raro che ne parlasse. Si vergognava molto per quella situazione. Lei
non era in
grado di sfruttare il dono di cui era stata investita. Era come se la
magia non
scorresse in lei. Ci aveva provato in un paio d'occasioni, finendo
sempre col
sentirsi male o perdere addirittura i sensi. Cercava di non darlo
vedere, ma
era chiaro quanto quella menomazione la disturbasse.
Quando
Ainohl l'aveva incontrata la prima volta e aveva capito che fosse una
maga, il
suo pensiero era subito volato ad Eiron. Nessuna medicina umana era mai
riuscita a guarirlo... forse solo un incantesimo di guarigione avrebbe
potuto
salvarlo. Ainohl aveva visto in Ayleen la salvezza di suo fratello. Ma
le cose
erano andate molto diversamente da come si era immaginato.
Sarebbe
stato un bugiardo a dire che non gli importava che Ayleen non riuscisse
ad
utilizzare la magia. Preferiva sempre sviare il discorso per non ferire
ulteriormente i sentimenti della ragazza. Le voleva troppo bene per
riuscire a
confessarle quanto fosse in realtà deluso da quella sua condizione.
In fondo, così come nascevano umani ciechi o sordi o con malformazioni
fisiche,
forse allo stesso modo potevano nascere maghi incapaci di usare la
magia.
Il
fatto che quella sorte fosse toccata all'unica maga che Ainohl avesse
mai
conosciuto, lo irritava non poco. Si sforzava sempre però, di soffocare
quelle
emozioni. Ayleen non doveva assolutamente percepirle. Conoscendola
avrebbe
provato ad usare la magia fino ad uccidersi di fatica. E questo non
doveva
assolutamente succedere. Ainohl non se lo sarebbe mai perdonato!
Sarebbe stato complicato farle capire che non ce l'aveva con lei, ma
con il
destino che in qualche modo continuava ad ostacolarlo e impediva ad
Eiron di
guarire.
«Sei
l'unica persona che riesce a far stare meglio Eiron. Nessun guaritore
ci
riesce. Solamente tu!»
Ayleen sorrise timidamente, sistemandosi una ciocca vermiglia dietro
l'orecchio
e tenendo lo sguardo fisso a terra.
«Ho
trovato cosa fare nella mia vita, allora.»
Entrambi
ridacchiarono appena, pur consapevoli che una simile eventualità non
era
proprio possibile. Chi mai si sarebbe fatto curare da una guaritrice
con gli
occhi dorati? La gente avrebbe preferito morire piuttosto che farsi
toccare da
lei.
«Tornerò
il prima possibile.» Annunciò infine Ainohl, calandosi il cappuccio sul
capo e
uscendo dalla grotta. Ayleen lo seguì, naturalmente senza preoccuparsi
di
coprirsi e proteggersi un minimo dalla pioggia battente che li investì.
«Non
andare troppo in giro, va bene?» si raccomandò poi.
«Ho cibo a sufficienza per rimanere qui un altro po'. Non ti
preoccupare, non
andrò nel bosco.»
Ainohl annuì più sereno. Ancora una volta, in maniera del tutto
istintiva, le
posò una mano sul capo. «Cerca di non prenderti un malanno qui fuori!»
Ayleen
sorrise divertita. «Attento a non prendertelo tu!»
Il
ragazzo trattenne a stento una risata. Nonostante lei apparisse esile e
fragile
come una bambina, il freddo e la pioggia di quella contea non la
scalfivano.
Era decisamente più facile che si ammalasse lui, non essendo abituato a
quel
clima.
«Verrei
a farmi curare dalla mia guaritrice di fiducia, se dovesse succedere.»
riuscì a
farla ridere, e subito percepì la preoccupazione che l'aveva spinto
fino lì,
abbandonare il suo corpo. Col cuore più leggero, la salutò con un cenno
del
capo e corse via sotto la pioggia, ansioso di trovare riparo nella
propria
Contea.
Ogni
volta che lasciava Ayleen indietro, un lieve senso di colpa gli
prendeva lo
stomaco. Gli sembrava sempre troppo ingiusto che lei dovesse rimanere
lì sola e
completamente indifesa.
Scacciò in fretta quelle sensazioni e raggiunse in fretta il confine.
Prese un
respiro prima di attraversare l'immensa cascata d'acqua che delimitava
la fine
di Sien e l'inizio di Keiran.
Fu un
vero sollievo per lui sfuggire a quella pioggia insopportabile. Accolse
con
gioia lo spesso muro di nebbia che anticipò il suo ingresso a Keiran.
Procedette sicuro, senza lasciare che la visibilità pressoché nulla
intaccasse
il suo orientamento. Pochi passi e la nebbia si fece meno opprimente. I
suoi
occhi iniziarono a delineare il profilo degli alberi e il tracciato del
sentiero sotto i suoi piedi. Le lanterne perennemente accese che
delimitavano
tutte le strade di Keiran lo condussero fuori dalla linea di confine,
dove la
visibilità era certamente migliore.
Finalmente
lontano dalla pioggia di Sien, Ainohl si tolse il cappuccio e si passò
una mano
fra i capelli scuri ormai fradici. Ancora una volta si trovò a
chiedersi come
facesse Ayleen ad amare così tanto quella Contea.
Era
quasi arrivato a casa quando fu costretto ad un brusco arresto. Un
sibilo, uno
spostamento d'aria ad un soffio dal suo viso e una freccia che si
conficcò
dritta nel tronco di un albero che stava per superare.
Ainohl fece un profondo respiro. Strinse i pugni irritato e alzò poi
gli occhi
al cielo con rassegnazione. Si voltò verso il punto da cui la freccia
era stata
scagliata. Non vide nessuno, complici la nebbia e la vegetazione, ma
sapeva
benissimo chi fosse stato l'artefice di quel tiro da manuale.
«Buongiorno anche a te, Dana!» disse apparentemente al nulla.
Non fu difficile,
nell'assoluto silenzio che contraddistingueva la Contea di Keiran,
udire lo
scalpiccio di passi e la malcelata risata che seguirono.
A
fare la sua comparsa fu una ragazza vestita di abiti maschili, i
capelli biondi
lunghi fino alle spalle e gli occhi azzurri decisamente seri e ostili.
«Ah, sei
solo tu!» si lamentò subito, andando senza indugi a recuperare la sua
freccia
dal tronco dell'albero. «Così
conciato ti ho scambiato per un cinghiale.»
Dana si concesse qualche istante
per osservarlo da capo a piedi «Sono abiti invernali quelli?»
Ainohl
non le rispose, non sapendo che scusa inventarsi per giustificare il
proprio
abbigliamento. Dana sorrise del suo silenzio. Era difficile avere a che
fare
con lei. Non tutti ci riuscivano. Aveva la fama di essere piuttosto
intrattabile
con tutti. Era facilissimo farla arrabbiare, complicatissimo avere una
conversazione pacifica con lei. Ainohl la conosceva da sempre. Ogni
qualvolta
si ritrovasse a ripensare alla propria infanzia, nei suoi ricordi Dana
era
sempre presente.
Le persone
in genere la evitavano, proprio a causa del suo brutto carattere, ma
lui era
diverso. Non solo aveva imparato a sopportare i suoi modi di fare, era
persino
arrivato ad apprezzarli. Li trovava più divertenti che fastidiosi. Dana
non era
sempre stata così. Lo era diventata dopo la tragica ed improvvisa morte
dei
suoi genitori. Il carattere freddo e scontroso era l'unica arma di
difesa che
era riuscita a costruirsi per non crollare in pezzi. Ainohl l'aveva
sempre
saputo e non l'aveva mai giudicata per questo. Per certi versi
l'ammirava.
Sembrava che nulla potesse abbatterla. Al suo fianco, lui si sentiva
infinitamente più debole. Ciò nonostante le voleva bene. L'affetto che
li
legava non era mai stato espresso né con le parole né con i gesti da
nessuno dei
due, ma c'era. Entrambi lo sentivano, entrambi ne avevano bisogno.
Probabilmente molto più Ainohl che Dana...
Non aveva mai mentito a sé stesso su quali sentimenti in realtà lo
legassero a
quella ragazza così strana. Non era semplice amicizia. Era molto di
più. Ma
Dana non era il tipo di donna a cui dichiarare il proprio amore.
Probabilmente ne avrebbe riso, si sarebbe arrabbiata, o, peggio, non
avrebbe
reagito in alcun modo. Ainohl preferiva lasciare le cose immutate. Non
voleva
rischiare di rovinare il legame che li teneva uniti.
«Ebbene?»
la voce di Dana lo riscosse da propri pensieri. «Cosa ti ha spinto fino
alla
Contea di Sien?»
Ainohl riprese subito il cammino, cercando di sfuggire in fretta da
quel
discorso. «Non sono andato a Sien.»
Dana
lo raggiunse e gli lanciò un'occhiata eloquente. «Sei fradicio.» gli
fece
notare. «Quindi o sei caduto accidentalmente nel fiume, oppure hai
oltrepassato
il confine. Peccato però che gli abiti invernali che indossi ti
tradiscano.»
Messo
alle strette, Ainohl si sforzò di trovare una scusa decente, senza però
trovarla. Era sempre così con Dana. Era sempre stata una buona
osservatrice,
anche se in quel caso non serviva esserlo per intuire la verità.
Non
poteva rivelarle la verità. Dana purtroppo non la pensava come lui sui
maghi.
La sua mente era ricolma di odio e pregiudizi, causati in gran parte
dal fatto
che era stato proprio un mago a porre fine alle vite dei suoi genitori.
Dana
non avrebbe mai cambiato idea, non avrebbe mai compreso che non tutti i
maghi
erano malvagi. Se avesse saputo di Ayleen avrebbe immediatamente
avvertito i
suoi nonni, i capi – villaggio di Amdir. Loro avrebbero catturato
Ayleen,
l'avrebbero torturata fino all'arrivo delle guardie reali che
l'avrebbero poi
giustiziata.
Ad
Ainohl non piaceva mentire a Dana, ma non poteva fare altrimenti.
«Sono
andato a prendere un'erba medicinale per Eiron.» fu abbastanza
soddisfatto di
quella bugia improvvisata. Nemmeno Dana avrebbe potuto mettere in
dubbio quelle
parole. «E' una delle poche cose che funzionano davvero. Il problema è
che
cresce solamente in quel postaccio!» continuò imperterrito, per evitare
che lei
facesse troppe domande.
Dana
sembrò convinta. «Bene. La prossima volta vengo con te!»
Ad
Ainohl si mozzò il respiro in gola. «Non serve, faccio da solo. E poi
quel
posto è davvero orribile. Non ti piacerebbe per niente! Fa freddo e la
pioggia
è insopportabile.»
«E'
probabilmente l'unica possibilità che ho per visitare una Contea
diversa da
questa. Vuoi forse negarmela?»
A quelle parole, Ainohl si rabbuiò. Dana era la nipote del Capo
Villaggio... il
suo destino era di diventare la guida di Amdir a sua volta, un giorno.
Raggiunta l'età giusta, suo padre l'aveva chiusa in casa e aveva dato
l'inizio
al suo addestramento da futuro Capo Villaggio. Questo fino al giorno in
cui era
tragicamente morto insieme alla moglie. Da quel momento erano stati i
suoi
nonni a prendersi cura di lei ed occuparsi della sua severa educazione.
Dana
non avrebbe mai voluto diventare il prossimo Capo Villaggio... Lei
odiava
sottostare alle regole, sentirsi in catene, obbligata ad un destino che
non
aveva scelto. Il suo sogno era lo stesso di Ainohl : lasciare Amdir ed
esplorare l'intero Regno di Theires. Ma entrambi erano imprigionati lì.
Dana
aveva un ruolo da ricoprire, Ainohl un fratello malato e un'amica maga
di cui
occuparsi.
«Ci
faremo compagnia,» aveva detto una volta
lei. «Marciremo
insieme in questa dannata nebbia.»
Ainohl non l'avrebbe mai ammesso, ma quelle parole l'avevano riempito
di gioia.
Sarebbe rimasto volentieri bloccato per sempre ad Amdir se il prezzo da
pagare
era quello di trascorrere la vita al fianco di Dana.
«Ti
assicuro che rimarresti molto delusa. Sien non è altro che un immenso
acquitrino! Persino camminare è difficile.»
Quando
arrivarono nei pressi dell'abitazone di Ainohl, gli occhi di Dana si
accesero
di entusiasmo nel vedere i genitori del ragazzo intenti a caricare di
bagagli
un carro. «Sono in partenza per Valcalia?» chiese.
Ainohl
si limitò ad annuire in silenzio. Quando erano bambini, le diceva in
continuazione che l'avrebbe portata a vedere Valcalia un giorno, ma
quando poi
era giunta la consapevolezza che ciò non sarebbe mai accaduto, non
aveva più
osato toccare quell'argomento. Dana sembrò colta dallo stesso identico
pensiero
e il suo viso s'incupì per il volgere di un istante.
La
prima a vederli arrivare fu la piccola Ari, già seduta sul carro,
circondata da
casse grosse il doppio di lei. Li chiamò a squarciagola,
sbracciandosi per
salutarli, poi saltò giù dal carro e corse loro incontro. Si aggrappò
alla vita
di Ainohl senza riuscire a contenersi.
«Hanno
detto che mi portano con loro a Valcalia! Non volevano ma ho detto che
sei
stato tu a promettermelo!»
Ainohl fu davvero felice di vedere la bambina così allegra. Gli
avvenimenti di
quella notte sembravano aver lasciato la sua mente almeno per un po'.
Gli
sorrise provando ad apparire entusiasta tanto quanto lei «Io mantengo
sempre le
promesse, lo sai.»
Ari
si sciolse in una risata gioiosa prima di tornare di corsa ad
accomodarsi sul
carro, ansiosa di iniziare quel viaggio.
«Si
può sapere dove sei stato?» Fu la voce di sua madre a farlo trasalire
l'istante
successivo, autoritaria come sempre. «Fai promesse a tua sorella senza
disturbarti di renderci partecipi, te ne vai in giro in piena notte...
torni
completamente fradicio!» aggiunse, notando solo all'ultimo momento il
suo
aspetto. «Cosa ti è successo?»
«Sono
caduto nel fiume.» rispose immediatamente Ainohl, senza nemmeno starci
a
pensare. Pur non vedendola, percepì l'occhiataccia di Dana trapassarlo
da parte
a parte, ma provò ad ignorarla.
Sorprendentemente però, la ragazza gli resse il gioco. «Incidente di
caccia!»
La
donna sbuffò con stizza «Sembrate due bambini!» continuando a
borbottare e
lamentarsi, andò poi ad aiutare il marito a sistemare le ultime casse
sul
carro. Ari, curiosa, le controllava una ad una, ponendo in
continuazione
domande al padre che, paziente come sempre, le spiegava tutto ciò che
voleva
sapere.
Nella
famiglia di Ainohl i ruoli erano tutti rovesciati. Erano i fratelli
minori a
trasmettere forza al maggiore, era il primogenito ad incoraggiare i
genitori,
era l'unica donna di casa a detenere il potere fra le mura domestiche.
Il padre
di Ainohl aveva un'indole troppo buona e gentile per poter anche solo
sperare
di apparire severo agli occhi di chiunque.
Sanae
e Morsten, questi erano i loro nomi. Sanae era una straniera. La sua
pelle
olivastra e i suoi occhi scuri lasciavano intuire che provenisse dalla
lontana
ed inospitale Contea di Sahat. Aveva abbandonato la sua terra all'età
di sedici
anni, unicamente per amore dell'uomo che poi aveva sposato.
Morsten al contrario era originario della Contea di Keiran, luogo dove
aveva
poi scelto di far crescere i suoi tre figli. La sua non fu una scelta
dettata
dall'affetto verso la propria terra natìa, ma piuttosto dalle
condizioni
favorevoli in cui quel luogo versava. Era l'unica Contea di tutta
Theires dove
nessuno soffriva la fame e dove le condizioni climatiche non erano
troppo
difficili da affrontare. Ad affliggere i suoi abitanti vi era solamente
una
spessa e perenne nebbia. Si soffriva un po' la mancanza del sole, ma si
sopravviveva senza troppi problemi.
Morsten
era un Cacciatore di Reliquie, l'unico di tutta la Contea di Keiran.
Godeva del
rispetto di tutti e il suo lavoro aveva permesso ad Ainohl, Eiron ed
Ari di
crescere in un ambiente sereno e economicamente stabile. Era uno
storico, uno
studioso, aveva visitato tutto il Regno di Theires ed era entrato in
possesso
d'importanti manufatti che rivendeva poi a facoltose famiglie
nobiliari. Una
volta aveva anche fatto affari con Re Roland in persona, ma era un
aneddoto di
cui non aveva mai amato particolarmente parlare. Morsten non andava
famoso per
la sua lealtà nei confronti del sovrano. Non che ci fosse molta gente
che gli fosse
fedele, in genere si evitava di toccare l'argomento. Le persone
raramente
parlano di ciò che li terrorizza.
Sanae
era una donna molto severa e intransigente. Non aveva mai avuto i
comportamenti
tipici di una madre, ma Ainohl non gliene faceva una colpa. Era la più
piccola
di cinque fratelli e l'unica figlia femmina della sua famiglia. Era
cresciuta
senza una figura materna. Sua madre era morta dandola alla luce, quindi
lei era
cresciuta circondata da uomini.... e gli uomini della Contea di Sahat
erano assai
famosi per la loro rudezza e per la loro spiccata brutalità. Duri e
spietati
come il deserto che aveva inghiottito la loro terra.
Non
era certo complicato capire cosa l'avesse fatta innamorare perdutamente
di
Morsten. Lui era l'esatto opposto di tutto ciò che lei aveva sempre
visto in un
uomo. Era dolce, affettuoso, gentile, sensibile... qualità che lei non
aveva
mai conosciuto.
Eiron
tuttavia, era l'unico che aveva l'onore di vedere il lato più tenero di
lei. Ad
Ainohl non avevano mai irritato le attenzioni che Sanae rivolgeva al
suo figlio
minore. Di tante sfortune di cui si era fatto carico, almeno aveva il
vantaggio
di essere il figlio prediletto. Persino la piccola Ari l'aveva capito.
«Sei
ancora in tempo a venire con noi, se vuoi.»
La
voce di suo padre lo riscosse da ogni pensiero, mentre mezzo
intorpidito dalla
notte in bianco si avvicinava al carro dei suoi genitori.
Andavano
ogni estate a Valcalia. Laggiù arrivavano le navi direttamente dal
Regno di
Keladia e Morsten riusciva a barattare ed entrare in possesso di
reliquie rare
e preziose. Il tutto avveniva sotto l'occhio vigile delle guardie del
Re
ovviamente. Erano davvero in pochi ad avere l'onore di avvicinarsi a
quelle
navi, i cacciatori di reliquie erano fra questi.
Tante
volte Ainohl aveva voluto andarci, aveva sentito storie incredibili
sulla
Contea Sheiran.
«Oh la dovresti vedere Ainohl...» Aveva
detto una volta sua madre
parlando della capitale di quella terra, eccitata quanto una
bambina. «Valcalia
risplende di luce propria, nonostante il sole laggiù non splenda quasi
mai. E
il mare... il suo odore, il suo suono. É qualcosa d'impossibile da
descrivere.
Sembra vivo! E' così diverso da qui. All'alba e al tramonto, ogni cosa
brilla.
Il sale rende tutto scintillante e le strade sembrano ricoperte di
diamanti.»
Era
la caratteristica più famosa della Contea di Sheiran: il sale.
Gli
abitanti in pratica, ci camminavano sopra. Uno spesso strato di sale
marino
ricopriva tutta la Contea, come fosse neve. Il cielo era sempre coperto
di
nuvole, ma all'alba e al tramonto il sole decideva di fare capolino e i
suoi
raggi andavano a sfiorare proprio quei granelli di sale, che così
prendevano a
brillare.
Sua
madre ne aveva raccolto un po'. Lo aveva messo in una boccetta di vetro
che
portava al collo, sperando di portare con sé un po' di quella luce, ma
nella
Contea di Keiran, non vi era nulla a far brillare quel sale.
Gli
occhi neri di Sanae si riempivano sempre di malinconia ogni volta che
parlava
della luce, o del sole. Era qualcosa che a lei, cresciuta nel luogo più
assolato di Theires, era sempre mancato. Lì nella Contea di Keiran il
sole non
c'era... O meglio, c'era ma non lo si poteva vedere.
Le strade erano costeggiate di fiaccole perennemente accese, quelle
erano
l'unica fonte di luce di quella terra.. Si poteva apprezzare
solo se si
era nati lì. Ad Ainohl la nebbia piaceva. Lo faceva sentire al sicuro,
protetto
dagli orrori che spesso si consumavano nelle altre Contee. «La
nebbia ci
nasconde anche dalla follia di Re Roland» , diceva sempre suo
padre. Aveva
ragione. Mai si erano viste le guardie del Re solcare quel territorio.
Evidentemente non riuscendo ad orientarsi a causa della nebbia,
preferivano non
addentrarsi entro i confini di quella Contea, o rimanersene a
proteggere il
Principe Guardiano nel suo palazzo. Per gli stranieri era
straordinariamente
facile perdersi.
«No, qualcuno deve restare con Eiron.» rispose Ainohl a suo padre,
aiutandolo a
caricare un grosso baule sul carro. «Magari la prossima volta...» Lo
ripeteva
sempre, ma quella fantomatica prossima volta non era
mai arrivata.
«Non
sarebbe da solo, lo sai.» L'uomo lanciò uno sguardo a Dana che,
silenziosa, si
stava divertendo a raccontare cose spaventose e false su Valcalia ad
Ari.
Morsten si stava ovviamente riferendo alla nonna della ragazza. La
moglie del
Capo Villaggio, che era anche l'unica Guaritrice presente lì nel
piccolo e
sperduto villaggio di Amdir, sarebbe stata più che disponibile a
prendersi cura
di Eiron durante la loro assenza, ma ciò non bastò a convincere Ainohl.
Ad Eiron
non piaceva quella donna. Non aveva niente che non andava, ma
semplicemente lo
metteva in soggezione. Non aveva mai detto nulla a tal proposito, ma
Ainohl
sapeva che preferiva avere un famigliare al suo fianco, piuttosto che
una mezza
estranea.
E
poi, non poteva stare via così a lungo. Aveva Ayleen... Non poteva
lasciarla
sola. Lei non aveva nessun'altro.
«Si lo so...»
Suo
padre non insistette, si limitò a sorridergli comprensivo. «Non potrai
occuparti per sempre di lui, Ainohl. Dovrai farti una vita prima o
poi.»
aggiunse comunque.
Ainohl
sospirò senza dire nulla. A ventidue anni, tanti suoi coetanei avevano
lasciato
da un pezzo la loro casa. La maggior parte dei suoi amici d'infanzia
erano già
sposati, alcuni con figli, altri avevano lasciato Amdir... Ma non lui.
Sebbene
fin da bambino avesse sognato di esplorare tutto il Regno di Theires.
Non se la
sentiva di andare via, non ancora. «Quando Eiron sarà
guarito.» Si
ripeteva sempre...
«Vuoi
che ti porti qualcosa da Valcalia?» domandò poi Morsten, assumendo un
tono più
allegro e cordiale, mentre caricava l'ultima cassa sul carro e copriva
il tutto
con un telo. Ari scoppiò a ridere e lanciò un urletto quando
ci rimase
sotto. Dana l'aiutò a trovare l'uscita.
«Si.»
rispose pronto Ainohl, «Una medicina per Eiron. Quelle navi provengono
dal
regno dei maghi! Dovranno pur contenere qualcosa che non sia qualche
inutile
coccio o il solito vecchio libro scritto in qualche lingua sconosciuta,
no?»
Morsten
lo fissò accigliato, ma in una maniera del tutto bonaria. «Rispetta il
mio
lavoro, ragazzo! Sono quegli inutili vecchi cocci a darti da mangiare.»
«No,
è la tua spiccata persuasione a darci da mangiare. Solo uno stupido
riempirebbe
casa propria con quella robaccia.»
«I
nobili sono stupidi, per nostra fortuna. E molto annoiati. Inoltre
hanno delle
dimore con un sacco di stanze inutilizzate da poter riempire con quella
robaccia.»
Ainohl
soffocò una risata che spense subito non appena Sanae li raggiunse. Non
aveva
paura di sua madre, ma sapeva quanto a lei non piacessero quei
discorsi. Per
lei il lavoro era sempre fatica e sacrificio, andava rispettato, mai
deriso.
Tipica convinzione degli abitanti della Contea di Sahat...
«E' tutto pronto, cara.» Disse Morsten, salvando il figlio da una
probabile
ramanzina. Sanae gli rivolse un fugace sorriso, prima di avvicinarsi ad
Ainohl,
stavolta con un'espressione più dolce.
«Mi raccomando...» fece, posandogli una mano sul viso. «Prenditi cura
di tuo
fratello.»
«Lo faccio sempre.»
«Continua
a farlo, va bene? ... Almeno finchè non torniamo.»
Ainohl
annuì, sorridendo a sua madre in uno di quei rari momenti in cui lei
non
appariva minacciosa. «Goditi la luce di Valcalia.»
Gli
occhi di Sanae brillarono di entusiasmo all'istante, come ogni volta
che si
accennava al sole o a qualsiasi cosa luminosa. «Lo farò. Puoi
scommetterci!»
Sua
madre lo abbracciò un po' impacciatamente. Ainohl era troppo alto per
lei
ormai, dovette mettersi in punta di piedi e lui dovette abbassarsi un
po' per
ricambiare. «Attenta, sono bagnato fradicio!»
«Questo perchè sei un pessimo cacciatore!» lo prese in giro Dana.
Salutò
poi suo padre con un semplice cenno del capo e un sorriso denso di
parole
inespresse. Ainohl ebbe l'impressione che stesse per
dirgli «Fai il
bravo», ma lui di certo ormai era troppo cresciuto per sentirselo dire.
Ari
si sporse verso di lui e gli mostrò qualcosa che si era messa al collo.
Era una
boccetta di vetro identica a quella della madre, solamente vuota. «Ci
metterò
il sale e lo porterò sempre con me!» gli confidò tutta eccitata.
Ainohl
le sorrise «Prendine tanto, così riempiamo una boccetta anche per me.»
La
bambina annuì raggiante ed entusiasta a quel compito che le era stato
appena
assegnato. In quel momento gli ricordò tanto Ayleen... quella collana
improvvisata, che ora la bambina nascose dentro i suoi abiti come per
proteggerla, gli fece venire in mente la Lacrima di Luna della sua
amica maga.
Entrambi i suoi genitori salirono poi sul carro e partirono, pochi
istanti e
sparirono inghiottiti dalla nebbia. Solo il rumore delle ruote sul
sentiero,
degli zoccoli del cavallo e della vocina di Ari che si era messa a
cantare, ci
misero di più a dissolversi.
Ainohl
rimase a fissare il punto in cui erano come spariti per qualche
istante. Ogni
volta che partivano si trovava ad immaginarsi come sarebbe stato fare
un
viaggio tutti insieme. Lui, Ari, i suoi genitori e Eiron. Ma era meglio
non
pensarci troppo... le probabilità che rimanesse solo un sogno ad occhi
aperti
erano fin troppo alte.
La
mano di Dana si posò sulla sua spalla, in maniera tutt'altro che
delicata. «Ho
mentito per te, mio caro ragazzo. Mi devi un favore!»
Ainohl
sospirò rassegnato. I favori nei confronti di Dana assomigliavano il
più delle
volte a dei ricatti veri e propri. Si voltò in attesa della sua
richiesta,
aspettandosi qualunque cosa.
«Ho una fame tremenda.» fu tutto ciò che disse.
Ainohl
si lasciò andare ad un sospiro sollevato. «Vieni.»
Le
fece strada fino all'uscio di casa. Appena entrarono, il calore che dal
camino
si disperdeva in tutta la casa, lo avvolse in un dolce e piacevole
abbraccio.
Solo in quel momento si accorse di quanto infreddolito fosse con quegli
abiti
fradici addosso.
Dana
andò senza troppi fronzoli a sedersi al tavolo da pranzo. Ainohl
avrebbe voluto
mettere radici davanti al fuoco e non muoversi più, ma l'istinto lo
spinse di
getto verso la propria stanza da letto. Si assicurò che Eiron dormisse
ancora e
che... respirasse ancora.
Il
terrore di trovarlo senza vita gli prendeva lo stomaco ogni volta che
varcava
la porta di quella camera. Suo fratello dormiva sereno e respirava
regolarmente. Ainohl ne approffittò per levarsi quegli indumenti
bagnati e
mettersi qualcosa di asciutto.
Quando
tornò da Dana, deciso a preparare la colazione sia per lei, che per sé
e Eiron,
Dana ruppe il silenzio.
«Stanotte c'è stato un rito di purificazione.»
Ainohl
si sentì gelare il sangue nelle vene. Non voleva ripensare a
quell'avvenimento.
Era riuscito a distrarsi a sufficienza per dimenticarlo almeno per un
po'. Non
voleva affrontare quell'argomento. Soprattutto, non con lei.
«Che
spreco!» continuò Dana, come se stesse parlando di una delle prede che
cacciava, anziché di un bambino innocente. «Lasciargli indosso la
Lacrima di
Luna è un vero delitto. Cosa se ne può fare da morto? … Quelle dei
neonati non
hanno molto valore, però forse la vita te l'allungano lo stesso!»
Ainohl stava dando le spalle a Dana e nell'ascoltarla, si sentì
invadere dalla
rabbia.
«Non ne voglio parlare.» disse con un tono talmente freddo, da stupire
anche se stesso. Tuttavia Dana, non sembrò sentirlo.
«Quei piccoli mostri avvelenano anche la loro stessa madre! Quella
povera donna
ha del tutto perso il senno, dovresti sentire cosa va blaterando!»
«Penso
che il senno l'abbia perso perchè si è vista strappare via il suo
bambino dalle
proprie braccia e gettarlo in un pozzo.» gli fece notare lui, cercando
di
restare calmo. «Qualunque madre reagirebbe allo stesso modo.»
Dana
rimase in silenzio qualche istante. Ainohl ancora le dava le spalle e
non
poteva provare ad intuire cose le stesse passando per la testa.
«Quale
madre considera quegli abomini alla pari dei propri figli ?»
Solo
a quel punto, Ainohl si decise a voltarsi verso di lei. Vedere il suo
volto
privo di qualsiasi pentimento, lo fece irritare ancora di più. Era una
battaglia persa. Non sarebbe mai riuscito a farle cambiare idea...
Pensare che
la ragazza che amava potesse avere simili convinzioni, faceva male.
Poteva
accettare che i suoi stessi famigliari le avessero, così come la gente
di Amdir
e di tutto il regno. Ma era soprattutto l'idea che le avesse Dana a
farlo
soffrire.
«Non
sono abomini. Non decidono loro di nascere così!»
Dana
sbuffò sonoramente, alzando gli occhi al cielo, «Ti prego, dimmi che
non hai
intenzione di ricominciare con questa storia del difendere i maghi!»
Ainohl
si vide costretto a ricacciare indietro ciò che davvero premeva per
uscire
dalle sue labbra. Tante volte aveva provato a far ragionare a Dana, e i
risultati non erano mai arrivati. Non voleva litigare con lei. Non
voleva
sentirla accusare i maghi di essere dei mostri. Non con l'immagine del
sorriso
radioso e gentile di Ayleen in testa, mentre gli donava le erbe
curative per
Eiron che aveva raccolto rischiando di venire catturata dagli abitanti
di
Aranel. Non con il ricordo del volto terrorizzato di Ari mente
assisteva a quello
scempio. Non con Eiron nella stanza accanto, che finalmente dormiva
sereno.
«Come
ho già detto Dana, non ne voglio parlare.»
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