Theires

di DearDiary
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Capitolo Uno ***
Capitolo 3: *** Capitolo Due ***
Capitolo 4: *** Capitolo Tre ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


PROLOGO

 

Era l'unica tomba a non avere neanche un fiore. Le lettere che componevano il nome del defunto erano state incise con una tale maestria da non lasciare alcun dubbio sul fatto che fosse stata usata la magia. Nessun artigiano, nessuno scultore poteva essere tanto abile.
Una figura incappucciata sostava davanti a quella lapide, rispettosamente inginocchiata a terra. Era consapevole che lì non vi fosse alcun corpo custodito, poiché laggiù, in quel luogo che era anche la sua terra natìa, i morti venivano bruciati, non dati in pasto ai vermi come facevano quei volgari esseri umani che vivevano dall'altra parte del mare. 
Non riusciva a smettere di rileggere quel nome. Aveva conosciuto bene quella persona... aveva anche avuto tantissime buone speranze per lei. Ma il destino l'aveva poi condotta su un pira in fiamme. Nessuno era andato a quel funerale, nessun famigliare, nessuna persona cara.  Era stata una morte forse troppo prematura, eppure, in un certo senso, costretta. Non c'erano state altre possibilità di salvezza per lei.
Allungò una mano, fino a sfiorare delicatamente quell'incisione. Percorse con estrema lentezza ogni singola lettera che componeva quel nome a lei così caro e allo stesso tempo così odiato: Rael.
Pregò gli Dei che avessero pietà per l'anima di quella persona, ma la preghiera non giunse mai a termine. Forse fu anche quello un volere divino. Non tutte le anime potevano essere salvate, in fondo. Un voce maschile alle sue spalle interruppe la sua supplica:
«L'Imperatrice non riceve nessuno, dovreste saperlo.»
La figura incappucciata si alzò in piedi, tenendo lo sguardo basso. Poi voltò le spalle a quella tomba dimenticata e fissò per qualche istante l'uomo che aveva di fronte. Dallo stemma che compariva sulla sua preziosa ed immacolata armatura - una rosa sormontata da una sfera di luce- e dal medaglione che indossava, si intuiva che fosse il capo della Guardia Imperiale. Sopra di lui, c'era solo l'Imperatrice.
Era un uomo alto e dalla corporatura robusta. I suoi occhi autoritari erano color dell'oro, esattamente come quelli dello straniero e di tutti gli abitanti dell'Impero, e spiccavano notevolmente sulla sua carnagione olivastra. Aveva una lunga cicatrice a sfigurargli il viso. Gli tagliava la faccia a metà, partiva dal sopracciglio destro per arrivare all'angolo sinistro delle sue labbra. I suoi capelli erano lunghi fino alle spalle, di un castano tendente al biondo. Per essere un soldato, aveva un aspetto fin troppo curato. Se non fosse stato per quella cicatrice, sarebbe potuto passare tranquillamente per un aristocratico. Evidentemente, vivere alla corte Imperiale imponeva una certa presenza. 
Il solo fatto che avessero mandato lui, incoraggiò parecchio la misteriosa figura senza nome. Significava che la sovrana era incuriosita e voleva saperne di più sullo straniero incappucciato appena sbarcato nella grande città di Callisto. Egli seppe fin dal primo istante che avrebbe avuto ciò che voleva, ossia un incontro privato con l'Imperatrice.
Davanti al silenzio dello straniero, l'uomo riprese la parola: «Provenite dai territori del Regno di Theires. Solo per questo dovremmo arrestarvi e giustiziarvi per alto tradimento. Eppure voi avete addirittura l'ardire di chiedere udienza all'Imperatrice in persona!» Le sue labbra si piegarono in una smorfia di disgusto. «Dovete aver appreso dagli umani tutta questa insolenza!»
Lo straniero non si scompose ma anzi, sorrise quasi divertito dalla prevedibilità degli eventi. 
Anche la persona della tomba senza fiori avrebbe riso. L'uomo che aveva di fronte, nell'udire quella risata, si spogliò di colpo di tutta la propria sfrontatezza.  Non fu solo il suo sguardo smarrito a tradirlo. Lo straniero percepì distintamente la sua confusione mista ad un velo di malcelato turbamento. Cercò di non darlo a vedere, di rivestirsi della sua maschera di irreprensibile ed imperturbabile capo della Guardia Imperiale, ma ogni suo tentativo fu vano.
Fra la gente del grande Impero di Keladia, l'inganno era pressochè impossibile. Tutti erano investiti fin dalla nascita dello scomodo quanto utile dono dell'empatia. Il volto di una persona può nascondere la verità, ma le sue sensazioni non possono farlo. 
Bastava così poco per prendere alla sprovvista un uomo addestrato e armato fino al collo... Era sufficiente fargli capire che aveva di fronte una donna a tenergli testa.
«Parlerò solo in presenza dell'Imperatrice.» dichiarò la straniera, impassibile.
Lo sgomento non abbandonò un solo istante il volto dell'uomo, che ora fissava la figura davanti a sé con occhi carichi d'ira e sdegno. «Ogni udienza di Sua Maestà avviene anche in mia presenza.»
«Ditele che sono in possesso di alcune informazioni molto importanti.» continuò la donna, serafica. «Informazioni che oserei definire vitali.»
La pazienza dell'uomo parve incrinarsi in quell'esatto istante. La sua mano corse all'elsa della spada che portava alla cinta. «Cosa vi fa credere di avere il diritto di dare ordini a me?»
«Fatelo!» insistette lei, con un cipiglio più severo. «Perchè vi posso assicurare che se non lo farete e l'Imperatrice venisse a sapere di questa conversazione, sarete voi ad essere giustiziato per alto tradimento.»
«Basta così!»
A parlare era stata un'altra voce femminile. La Guardia si voltò all'istante e subito s'inginocchiò a terra in segno di sottomissione. La straniera invece, non si mosse. Rimase in piedi e non ebbe timore di fissare dritta negli occhi l'esile figura dell'Imperatrice che si avvicinava. 
Quella era la prima volta che la vedeva. Se l'era sempre immaginata anziana e grassa. Generalmente, tutti i nobili erano grassi ed intontiti dal troppo lusso, ma lei non era niente di tutto ciò. Era una donna ancora giovane, o forse, portava bene i suoi anni. Aveva un fisico piuttosto infantile, ad essere sinceri. Esile e dalle forme acerbe. I suoi capelli erano di un nero lucente, lunghi fino alla schiena. Aveva il pallore tipico delle persone che passano la vita chiuse nei loro scintillanti palazzi. Tuttavia, l'autorità di cui era investita traspariva dai suoi occhi dorati. Persino la straniera ebbe l'istinto di inginocchiarsi e prostrarsi davanti a lei quando la vide. Emanava un'aura di potenza talmente elevata, da annullare completamente ogni sua convinzione e sicurezza. Tuttavia, non s'inchinò. Si limitò soltanto ad abbassare il capo.
L'imperatrice fece un cenno alla sua Guardia, «Lasciaci sole.»
«Mia Signora,» provò immediatamente a protestare lui, osservando l'ambiente circostante disseminato di umili effigi popolane «... in un posto del genere?»
«Non c'è posto migliore.» rispose lei , con una compostezza davvero encomiabile. «I morti non possono origliare, né rivelare segreti.»
L'uomo, ormai sconfitto, si alzò in piedi e dopo aver accennato un altro rispettoso inchino, lanciò una fugace occhiata d'ammonimento alla straniera. Poi si voltò e si allontanò. 
Ci fu qualche lungo istante di assoluto silenzio. L'Imperatrice osservò la donna di fronte a sé con sguardo critico, soffermandosi a lungo sul mantello grigio che  copriva il suo corpo. Dello stesso colore era anche il cappuccio calato sul viso e che lasciava intravedere solo le labbra, «Qual è il vostro nome, dama in grigio?»
«Dama in Grigio va più che bene, Vostra Maestà.»
«Non volete dirmi il vostro nome?» La compostezza lasciò il posto ad una lieve nota di fastidio.
«Con tutto il rispetto, ho questioni più importanti di cui discutere con Voi. Il mio nome non è fra queste.»
L'Imperatrice non parve troppo entusiasta di quella risposta, ma decise, forse spinta unicamente dalla curiosità, di concederle la parola. «Ebbene? Parlate pure, vi ascolto.»
Solo a quel punto, la Dama in grigio trovò il coraggio di alzare gli occhi da terra per incontrare quelli della sua sovrana. Quella rivelazione che aveva custodito dentro di sé per tutta una vita, avrebbe sconvolto il precario equilibrio non solo dell'Impero di Keladia, ma anche del Regno di Theires, la patria degli Umani. 
«So dove si trova l'ultima Custode.»
L'Imperatrice non lasciò trasparire alcuna emozione. Fece un passò verso di lei e la sua voce si velò di una sottile nota di minaccia. «Vi prendete gioco di me.»
«Non ho affrontato un viaggio tanto lungo e pericoloso per prendermi gioco di voi, Vostra Maestà.»
«L'ultima Custode è morta molti anni fa. Ed essendo morta senza aver adempiuto al suo compito, non ne nasceranno altre. Non serve che io ve lo ricordi! O forse sì, dal momento che avete vissuto a Theires per tutto questo tempo?»
Avrebbe dovuto avere paura. Aveva appena fatto infuriare l'Imperatrice in persona. Eppure non era spaventata, al contrario. Era euforica.
«Posso provarlo.»
«Sì, è esattamente quello che farete!» affermò lei, senza liberarsi di quell'aria minatoria che ora più che mai la contraddistingueva. «Vi concedo due possibilità, Dama Grigia.» La straniera sorrise di quel nuovo appellativo che le era stato dato, e decise anche che le piaceva.
«Tornate a Theires, non osate mettere più piede nel mio regno e io vi farò la grazia di dimenticarmi di voi e di questo spiacevole incontro. Oppure, se davvero ciò che dite è reale, c'è solo una prova che potete fornirmi: portatemi la Custode. Se sarà davvero lei, verrete ben ricompensata. Avrete tutto ciò che desirate, qualunque cosa. Ma se invece si rivelerà essere una ciarlatana, come me ne hanno portate tante in questi anni, non sarà solo lei a morire. Voi la seguirete!»
La Dama Grigia sorrise, e questa volta l'inchino lo fece con piacere. «Non rimarrete delusa, Vostra Maestà.»
Il suo pensiero corse istintivamente alla Rael della tomba senza fiori. Non c'erano dubbi. Ovunque lei fosse, in quel momento, stava bruciando di nuovo. E la sua anima si stava macchiando sempre di più, allontanandosi ulteriormente da quella salvezza a cui ormai sembrava anche inutile anelare.

 

***


Nel Regno di Theires, a nord della città di Valcalia, capitale della Contea di Sheiran, un bambino fissava immobile ed impotente la propria casa bruciare.
Ciò che lo teneva inchiodato a terra, incapace di muoversi, era la consapevolezza di essere rimasto completamente solo. Era quel silenzio spettrale, rotto solamente dallo scoppiettio delle fiamme, a suggerirglielo. Non si udiva alcun grido di aiuto. Era lui l'unico ancora in vita. La sua famiglia stava bruciando assieme alla casa in cui lui aveva sempre vissuto. Non tentò di domare le fiamme, non chiamò i suoi genitori, non corse a cercare suo fratello minore. Nemmeno pianse…
Semplicemente, assistette alla fine di quell'esistenza sicura e pacifica che aveva sempre conosciuto.
"Mi hanno trovato," quello fu l'unico pensiero che la sua mente riuscì a formulare.
Era stato preparato ad una simile eventualità. I suoi genitori gli avevano spiegato come agire nel caso in cui il suo nascondiglio fosse stato scovato. Gli era anche stato detto di non arrendersi e di non lasciarsi prendere dallo sconforto. Solo adesso riusciva a dare davvero un senso a quegli avvertimenti che un tempo gli erano sembrati tanto inutili.
La tentazione di smetterla di nascondersi, di rinunciare a salvarsi, era davvero tanta. Con gli occhi liquidi di paura e disperazione, il bambino si sforzò di reagire come gli era stato insegnato.
Le persone che amava erano state uccise per proteggerlo. Non avrebbe mai potuto vanificare il loro sacrificio. Deglutì a vuoto, ricacciando indietro l'urlo di dolore che minacciava di distruggerlo in ogni maniera possibile.
Lui non era mai stato davvero un bambino. Aveva sempre vissuto una realtà troppo crudele, troppo dura per qualsiasi uomo adulto, resa però il più possibile accettabile da quelle persone i cui corpi si stavano carbonizzando sotto le macerie di quella casa.
No, lui non era mai stato davvero un bambino. Perlomeno, non si era mai sentito tale fino a quel momento. Adesso, sentiva i suoi dieci anni gravargli addosso e rivelarsi in tutta la loro impotenza ed incapacità. Giocare a fare l'adulto era ben diverso dall'esserlo sul serio. E ora lui, doveva diventarlo per davvero. Le persone che l'avevano lasciato solo non erano i suoi veri genitori, ma questo non rendeva certo quella disgrazia meno dolorosa. Loro erano stata l'unica famiglia che lui aveva mai avuto.
Combattè strenuamente contro le lacrime che prepotenti premevano dietro i suoi occhi. Non gli era più concesso piangere. Non gli era più concesso essere un bambino. Adesso c'era solo lui contro il mondo intero.
Fu il rombo di un tuono a destarlo. Alzò gli occhi dorati al cielo e si lasciò accarezzare il viso dalle gocce di pioggia che un istante dopo iniziarono a scendere.
Con il cuore a pezzi e l'improvviso bisogno di sentirsi stretto nel confortevole abbraccio della donna che aveva sempre chiamato madre , un vago quanto terribile sospetto si fece largo fra i suoi pensieri.
Erano stati i soldati del Re a compiere quella carneficina. Lo sapeva, perchè era da loro che si era nascosto per tutta la vita. Eppure, venne naturale chiedersi dove loro fossero andati.
Cercavano lui. Era andato nel bosco a cacciare e non l'avevano trovato assieme ai suoi famigliari. Perchè allora non erano rimasti lì ad attendere il suo ritorno? La risposta era già crudelmente troppo chiara nella sua testa, ma una parte di lui la rifiutava.
Chiamò a raccolta tutto il proprio coraggio, fece un profondo respiro ed obbligò le proprie gambe a rianimarsi. Trattenendo il fiato, si avvicinò alle macerie della sua casa. La pioggia stava gentilmente scacciando le fiamme, ma ad ogni passo, l'odore acre di carne bruciata era sempre più intenso.
Il bambino si portò una mano alla bocca, soffocando a stento un conato e lottando contro l'istinto di scappare via. Non poteva farlo, doveva sapere se i suoi sospetti erano fondati o no.
Il fato ebbe pietà di lui e gli risparmiò la vista dei corpi martoriati dei suoi genitori adottivi. Tuttavia, lo condusse dritto dinanzi il cadavere del bambino con cui era cresciuto insieme e che aveva imparato a chiamare fratello.
Una forza sconosciuta gli impedì di urlare. Sconvolto e tremante, cadde all'indietro e, con lo stomaco e il cuore in subbuglio, scappò. Inciampò di nuovo, cadendo sulle ginocchia. Sfogò la sua rabbia e il suo dolore sul terreno, conficcandovi le dita. Sentì lo strato di sale marino che affliggeva la terra della Contea di Sheiran, scricchiolare fra le sue mani.
L'immagine di quel corpicino bruciato e decapitato, rischiò di farlo impazzire. Per evitare che ciò accadesse, il bambino con gli occhi dorati, smise di lottare e scoppiò in un pianto rabbioso e disperato. Nulla poteva essergli di conforto, nemmeno il fatto che gli uomini del Re avevano scambiato il suo fratellino per lui, e in quel momento stavano portando al loro sovrano la testa sbagliata.
Il Re si sarebbe accorto quasi sicuramente dello scambio di persona, me nel frattempo lui avrebbe potuto scappare e trovare un altro nascondiglio. Suo fratello, morendo, gli aveva regalato una possibilità di salvezza. Ciò nonostante, la disperazione non si placò. Al contrario, s'intensificò fino a stringergli il petto in una morsa dolorosa.
Con lo scroscìo della pioggia e il fragore dei tuoni che occultavano i suoi singulti, il piccolo Kalintz chiese perdono a qualunque divinità disposta ad ascoltarlo. Pregò per la salvezza delle anime della sua famiglia adottiva e continuò a chiedere scusa per essere venuto al mondo.

 ***

 In quello stesso momento, sotto la pioggia che imperversava anche nella Contea di Sien, in un bosco troppo ostile per ospitare un qualsiasi insediamento umano, una bambina dai capelli rossi ed incapace di parlare, accettava titubante l'aiuto di uno sconosciuto per la prima volta.

****

E' solo il prologo, non mi aspetto che colpisca più di tanto. Però sì,ecco... spero almeno incuriosisca un po'.
Dico fin da subito che gli aggiornamenti potrebbero risultare parecchio altalenanti ^^

DearDiary

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Capitolo 2
*** Capitolo Uno ***


CAPITOLO UNO

 

La fine della Grande Guerra, portò Re Roland e il popolo di Theires alla vittoria. I maghi furono esiliati sull'Isola di Keladia e di loro, si sperava, sarebbe rimasto solamente il ricordo. Ma l'anima di quelle creature si rivelò più crudele e vendicativa di quanto tutti noi ci potessimo aspettare. Prima di abbandonare il nostro Regno, uno di loro lanciò una potente maledizione sulla nostra amata terra. Theires si spaccò in cinque parti. Ognuna di esse venne afflitta da una piaga diversa che avrebbe impedito alla gente di vivere felice. La sabbia, la pioggia, l'inverno, la nebbia e il sale. Ciascuna Contea divenne invivibile. Così, la pace tanto desiderata dal nostro Re, divenne nuovamente una meta lontana e irraggiungibile.“

Frammento proveniente dalla Biblioteca privata di Re Roland. 
Zephiro, Contea di Ayril.

Laar, Consigliere del Re



Ainohl si svegliò nel cuore della notte con una strana ed inspiegabile sensazione d'inquietudine addosso. Incapace di scacciarla, istintivamente si voltò verso il letto di suo fratello Eiron, per poi sospirare sollevato quando lo vide dormire tranquillo.
Aveva boccheggiato fino a poco prima. Il suo petto non aveva fatto altro che alzarsi ed abbassarsi convulsamente, come se i suoi polmoni fossero stati schiacciati sotto il peso di una roccia. Come sempre, Ainohl non era stato in grado di fare nulla per liberarlo da quel tormento. Non c'erano rimedi, cure o sollievi... si trattava solo di aspettare. Attendere che quegli spasmi finissero e pregare che il respiro gli tornasse regolare. Il solito terrore cieco gli aveva preso lo stomaco, impedendogli di prendere sonno. Del tutto impotente, Ainohl era rimasto nel proprio letto ad osservare il fratello minore lottare contro quel male che fin dalla nascita non gli aveva mai dato tregua.  Poi, dopo quelle che erano parse come ore infinite, il respiro del ragazzo si era regolarizzato e i suoi ansiti erano scemati. Ainohl aveva così potuto finalmente fare un profondo sospiro di sollievo e abbandonarsi all'incoscienza. Suo fratello era riuscito ancora una volta a contrastare quella misteriosa malattia senza cura.  Ainohl si era trovato inconsapevolmente a sorridere quasi con orgoglio prima di chiudere gli occhi e addormentarsi con una cauta serenità. Ma evidentemente, quella calma non era destinata a perdurare.
Il suo sguardo cadde casualmente sul letto di sua sorella e, trovandolo vuoto, quella fastidiosa sensazione d'inquietudine tornò a farsi sentire, stavolta più intensamente.
Ormai rassegnato al fatto che quella notte non avrebbe più chiuso occhio, Ainohl si alzò e uscì dalla propria stanza per cercare la sua sorella più piccola.
Trovò la porta di casa spalancata e, improvvisamente preoccupato, corse fuori. Ad accoglierlo all'esterno, fu lo spesso e famigliare muro di nebbia che affliggeva tutta la Contea di Keiran. Essendo nato in quel luogo, lui non aveva alcun problema ad orientarsi. La vista degli abitanti di Keiran era molto più sviluppata rispetto a quella della gente delle altre Contee.
Ainohl fece un profondo sospiro rincuorato quando l'esile figura di una bambina apparve fra la coltre di nebbia che inghiottiva l'intero cortile della sua casa.
«Ari, che stai facendo qui fuori?» le domandò raggiungendola, cercando di assumere un tono severo che venne però offuscato da uno sbadiglio.
La bambina lo guardò con i suoi vispi occhi nocciola e si posò subito un dito sulle labbra, intimandogli di tacere. «Lo senti?» chiese sottovoce.
Ainohl si corrucciò di confusione e, paziente come sempre, decise di assecondarla. Rimase in silenzio e si accorse subito cosa fosse stato ad incuriosire tanto Ari.
Urla. Erano lontane, probabilmente arrivavano dal villaggio di Amdir poco distante da lì, ma nella quiete assoluta della notte, si sentivano perfettamente. Qualcuno stava urlando. Una voce di donna sovrastava tutte le altre, sembrava quella più disperata. Le altre parevano spaventate e furiose.
Per un momento, Ainohl fu tentato di chiamare suo padre. Temeva stesse accadendo qualcosa di grave al villaggio, ma alla fine prese in mano la situazione e scelse di non svegliarlo. C'era anche la possibilità che non fosse nulla di grave, in fondo. In ogni caso, doveva accertarsene.
«Torna a letto!» esclamò, spingendo delicatamente sua sorella verso l'uscio di casa. «Io vado a vedere cosa sta succedendo.»
Com'era prevedibile, Ari protestò. «Voglio venire anch'io!»
«No. Tu torni in casa e ti rimetti a dormire. O sveglio nostra madre e le dico che sei uscita in piena notte.»
Fu una mossa decisamente sleale, Ainohl lo sapeva bene, ciò nonostante non si lasciò intenerire. Ari perse all'istante tutta la sua determinazione e abbassò il capo rassegnata.
«Va bene...» mormorò remissiva. Puntò lo sguardo a terra e i suoi occhi si velarono di lacrime. Ainohl sbuffò, sentendosi all'improvviso in colpa. Spesso dimenticava che Ari aveva solo sette anni … era normale che fosse tanto curiosa, così come il fatto che volesse sempre seguirlo ovunque andasse.
«Convincerò mamma e papà a portarti con loro domani, va bene?» promise subito, in un disperato tentativo di farsi perdonare.
Subito, gli occhi di Ari si riaccesero di entusiasmo ed euforia. «Davvero? Li convincerai a portarmi fino a Valcalia?»
«Certo, te lo prometto. Ma per affrontare un viaggio così lungo, hai bisogno di riposare. Quindi torna a letto.»
Stavolta, Ari non protestò. Ubbidì senza recriminare e corse in casa con fin troppa energia per convincere Ainohl che avrebbe davvero dormito. La cosa importante comunque era che fosse al sicuro.
Rimasto solo, seguì la luce delle torce perennemente accese che delimitavano il sentiero fino al villaggio. Erano l'unica fonte di luce nelle ore notturne. Restavano accese anche di giorno, ma erano utili solamente per gli stranieri delle altre contee. La gente di Keiran aveva imparato ad orientarsi senza problemi in quella terra soffocata dalla nebbia. Per quanto lo riguardava, avrebbe potuto raggiungere Amdir anche ad occhi chiusi.
Le voci concitate che erano giunte fino alla radura in cui viveva con la sua famiglia, si fecero sempre più forti. L'urlo della donna si era trasformato in un pianto straziante. Ainohl raggiunse il villaggio in pochi minuti e si rese presto conto che tutti gli abitanti erano raggruppati nella piazza principale. Tutti gli adulti, perlomeno. Riuscì ad intravedere il volto curioso di qualche bambino che sbirciava dalle finestre delle case. Qualunque cosa stesse accadendo, era grave e ringraziò il cielo di essere riuscito a convincere Ari a non seguirlo.
Le persone erano tutte attorno al pozzo che stava al centro della piazza. Ainohl iniziò in quel momento a prendere lentamente coscienza di ciò che stava accadendo.
Quel pozzo non veniva usato per l'acqua, era stato costruito per un altro scopo. Per rispettare una legge crudele e disumana che lui non aveva mai accettato. Non raggiunse gli abitanti di Amdir. Rimase in disparte e nel momento in cui vide la donna che stava urlando, si rese conto che i suoi sospetti erano più che fondati.
Il rito di purificazione …
Conosceva quella donna. Vendeva stoffe e abiti al mercato del villaggio. Era da lei che Ainohl aveva comprato il vestito che aveva regalato ad Ari per il suo compleanno. Era una donna gentile e di buon cuore, sempre sorridente. Era strano vederla incatenata nella braccia del marito, con il volto esausto rigato dalle lacrime, e quella smorfia disperata a sfigurarle il viso. Si ricordò solo in quel momento che aspettava un bambino. Era il suo primo figlio... non aveva fatto altro che parlare e fantasticare su di lui per tutto il periodo della gravidanza, facendosi persino fastidiosa e ripetitiva molto spesso.
Ainohl provò un moto di rabbia quando vide il Capo- Villaggio stringere fra le braccia un fagotto. L'uomo passò accanto alla donna senza nemmeno rivolgerle uno sguardo di pietà. La sua freddezza era davvero impressionante.
Dovette combattere con tutte le proprie forze per non intervenire. Assistette furioso, nauseato ed impotente al rito. Era il secondo che vedeva in tutta la sua vita.
Era notte, la luna non si poteva vedere in quella Contea soffocata dalla nebbia, ma Ainohl sapeva comunque che doveva esserci il plenilunio, perchè quando nasceva una di quelle creature, c'era sempre la luna piena. Tornò a guardare il fagotto di coperte in braccio al Capo-villaggio e quando udì dei vagiti provenire da esso, si sentì un criminale almeno quanto tutta la gente di Amdir.
La donna li stava implorando di non farlo, ma loro non la degnavano di uno sguardo. Nessuno si schierò dalla sua parte, nemmeno il marito.
Il Capo – Villaggio sollevò il neonato, in modo che tutti lo vedessero. Dal punto in cui era, Ainohl riuscì ad intravedere un bagliore provenire da una delle mani del bambino.
Il piccolo, stringeva convulsamente qualcosa. L'oggetto per cui ora sarebbe morto.
Una lacrima di Luna...
Fu solo un'ulteriore conferma a ciò che aveva già intuito. Quel bambino non era umano. Era un mago, nato per errore nel regno sbagliato. I suoi occhi erano chiusi mentre strillava, disturbato da tutta quella confusione, ma Ainohl sapeva bene che dovevano avere la tinta dell'oro.
La donna cadde in ginocchio, senza più forze e continuò ad implorare pietà per quella creatura che aveva appena messo al mondo.
«A questi abomini non è concesso vivere.» Furono le uniche parole che il Capo-Villaggio le rivolse.
Un attimo dopo, l'uomo si avvicinò al pozzo. Tenne il bambino sollevato sopra di esso, mormorò una preghiera nell'antica lingua degli Antenati, e poi … lo lasciò cadere nel vuoto.
Ainohl si voltò, incapace di guardare. Lo schianto sul fondo venne coperto dalle urla della donna che si fecero talmente strazianti e laceranti, da farlo vacillare per un momento. Chiuse gli occhi e strinse i pugni così forte da sentire le unghie conficcarsi nella carne. Sentì lo stomaco rivoltarsi per la rabbia, per la vergogna e per il disgusto che provava verso i suoi stessi simili, e anche verso sé stesso per non riuscire a trovare il coraggio di intervenire e ribellarsi a quell'assurdità.
Chiamavano i maghi «abomini», eppure strappavano i figli appena nati alle loro madri per poi gettarli in un pozzo. Ai suoi occhi, i veri mostri erano sempre stati loro.
Decise di tornare a casa e cercare di dimenticare ciò che aveva visto, ma quando nel riaprire gli occhi vide il volto terrorizzato di Ari che fissava impietrita il pozzo, si sentì morire.
«Ari!» Fu da lei in un attimo e la fece subito voltare per impedirle di guardare, pur sapendo che ormai era troppo tardi. «Ti avevo detto di restare a casa, maledizione!»
Si accorse di aver alzato troppo la voce e sebbene fosse arrabbiato, cercò di non agitarla più di quanto già non fosse.
«L'hanno buttato nel pozzo...» la sentì mormorare, con voce tremante e spaventata. «Perchè hanno buttato quel bambino nel pozzo?»
Non sapeva cosa dirle. Non sapeva come farglielo capire, dal momento che nemmeno lui capiva i motivi che spingevano le persone a compiere quel crimine tanto orrendo.
Non appena vide i suoi occhi riempirsi di lacrime, la sollevò fra le braccia, caricandosela sulle spalle e s'incamminò verso casa. Ora più che mai voleva allontanarsi da quel villaggio. Ari piangeva e tremava, continuando a fare la stessa domanda. Lui ancora non rispondeva, chiedendosi quali sarebbero state le parole giuste da rivolgerle. Scelse di usare le stesse che suo padre aveva rivolto a lui quando aveva assistito al suo primo rito di purificazione.
«Lo hanno gettato in quel pozzo perchè avevano paura di lui.» Ari subito interruppe il flusso di domande. Nel suo silenzio c'era un chiaro invito a continuare a parlare. «Tu lo sai che il Re non sopporta i maghi, vero?» La bambina annuì senza dire nulla. «E visto che li odia tanto, ha ordinato che tutti loro vengano uccisi. Così ogni volta che nasce un bambino mago, per legge lo dobbiamo eliminare.»
Ainohl rimase in attesa di una sua reazione. Si accorse che aveva smesso di piangere e la cosa lo rincuorò.
«Ma... se non gli piacciono, perchè non li manda a vivere nel Regno di Keladia?» domandò lei, con la voce rotta dal pianto che ancora la minacciava. «Invece di ucciderli, non sarebbe meglio mandarli laggiù? Così troverebbero qualcuno che si prende cura di loro. Qualcuno che non li odia.»
Ainohl non potè fare a meno di sorridere a quelle parole. Una bambina di sette anni riusciva ad essere più saggia e razionale dell'uomo adulto che sedeva sul trono di Theires.
«Sarebbe bello se tutti la pensassero come te, Ari. Ma purtroppo non è così.»
Aveva sperato di poterla tenere lontana da quella realtà piena di odio e pregiudizi ancora per un po'. Si era sempre impegnato a non farle sapere cosa succedesse davvero fuori dai confini di Amdir, anche i suoi genitori e Eiron avevano fatto lo stesso. C'era bisogno di innocenza e ingenuità in quel mondo dominato dal caos. E Ari, per lui e la sua famiglia, ne era la rappresentazione. Ora però, tutto ciò si era incrinato. In fondo lo sapeva che non avrebbe potuto proteggerla per sempre da quegli orrori.
Ainohl aveva nove anni quando aveva assistito al suo primo rito di purificazione. E per lui era stato mille volte peggio.
Certo, assistere all'uccisione di un neonato innocente era stato terribile, ma in quel momento i suoi pensieri non si erano concentrati unicamente sulla piccola vittima. Si era sentito un po' egoista, perché lui aveva pensato ad un'altra persona. La stessa a cui stava pensando anche adesso, a più di dieci anni di distanza da quel giorno.
C'era un motivo se lui era l'unico essere umano, forse di tutta Theires, a provare pietà per i maghi. Un segreto che custodiva fin da quando era bambino e che l'avrebbe fatto finire condannato a morte se solo fosse stato rivelato.
L'inquietudine che l'aveva fatto svegliare si fece d'un tratto molto più intensa, ma stavolta Ainohl sapeva perfettamente da cosa fosse provocata. Aveva un gran bisogno di sapere che il suo segreto fosse al sicuro. Non avrebbe riconquistato la serenità se prima non se ne fosse accertato.
Ari però, non poteva andare con lui. Sperava che un giorno avrebbe potuto condividere quel segreto con lei, ma adesso era ancora troppo presto.
Guidato unicamente da quel senso di ansia che non aveva fatto altro che crescere fin da quando si era svegliato, Ainohl raggiunse in fretta casa sua. Ari era ancora comoda sulla sua schiena, con le braccia allacciate attorno al suo collo e le guance rigate di lacrime, gli occhi annacquati di paura e un broncio triste a spegnerle il viso. Faceva male vederla in quello stato. L'aveva vista in condizioni simili solo una notte di un anno prima, quando Eiron aveva rischiato davvero di non arrivare vivo al mattino.
Entrò in casa e la rimise a terra, Ari però si appese subito alla sua mano. Ainohl abbassò lo sguardo verso di lei, sorprendendola a fissare il pavimento. Non disse nulla, non pianse, ma lui conosceva bene quella muta richiesta.
«Non ti farò dormire nel mio letto, Ari.» Gli si strinse il cuore nel dirlo. Si sentì maledettamente in colpa, ma non poteva restare a casa quella notte.
«Per favore.» cominciò ad implorarlo lei, rafforzando la presa sulla sua mano.
«Sei grande abbastanza per dormire nel tuo letto da sola.» Giocarsi la carta del comportarsi da grande, era la sola cosa che potesse fare per non ferirla ancora di più. «Di cosa hai paura? Qui a casa non può succederti niente, lo sai.»
«Il capo- villaggio è anziano. Potrebbe sbagliarsi e scambiarmi per una maga.» La voce le si spezzò dietro un singhiozzo. «Non voglio finire nel pozzo!»
Ainohl vacillò. Come poteva lasciarla sola proprio in quel momento? Sebbene la sua fosse una paura sciocca, vedeva il suo corpo scosso da tremiti. Era davvero spaventata e si odiò a morte per aver deciso di andare fino ad Amdir. Se non l'avesse fatto, Ari non l'avrebbe ma seguito e non avrebbe mai assistito a quello strazio.
Ainohl s'inginocchiò a terra, in modo da poterla guardare negli occhi. «Questo è impossibile e lo sai.» le spiegò con tono paziente e rassicurante «Tu sei nata quando il sole era alto nel cielo, non hai gli occhi color dell'oro e non indossi una Lacrima di Luna. Tu sei umana, Ari. E il capo-villaggio lo sa perfettamente. Lui presenzia alla nascita di ogni abitante di Amdir e c'era anche per la tua.»
Ari rimase in silenzio, pensierosa. «... e non posso fare le magie.» aggiunse, con un velo di timidezza assai raro per lei.
Ainohl trattenne a stento una risata. Le scompigliò i capelli corvini e si rialzò in piedi «Esatto. Un vero peccato! Sarebbe divertente poter usare la magia, non credi?» Riuscì a strapparle un debole sorriso svagato e assieme a lei, si tranquillizzò anche lui stesso.
La bambina guardò poi il fratello con occhi afflitti e carichi di vergogna. «Chiederai lo stesso a nostra madre e nostro padre di portarmi con loro a Valcalia, domani?» Ainohl si era quasi dimenticato di quella promessa fatta forse troppo in fretta. «Glielo chiederai anche se ti ho disubbidito?»
Non se la sentiva proprio di dirle di no. Si sarebbe trattato del suo primo viaggio fuori dai confini di Amdir... e al momento, quella promessa rappresentava anche l'unica cosa in grado di allontanare da lei i ricordi di ciò che aveva visto al pozzo.
«Te l'ho promesso, no?» Il sorriso appena accennato di Ari, si fece radioso. I suoi occhi brillarono di entusiasmo, non più di paura. «Ma solo se dormirai nel tuo letto senza lamentarti.»
Ari annuì e corse fino alla loro stanza. Ainohl non la seguì. Rimase immobile davanti alla porta d'ingresso, per niente intenzionato a provare ad imitare la sorella.
Attese qualche minuto, immerso nel buio della cucina, poi raggiunse la propria camera da letto. Non entrò, vi si affacciò soltanto per assicurarsi che i suoi fratelli stessero dormendo.
Dovette impegnarsi davvero per non ridere. Ari gli aveva disubbidito ancora, infilandosi a tradimento nel letto di Eiron. Nel vederli entrambi dormire serenamente, Ainohl si sentì notevolmente più tranquillo.
Eiron sembrava stare bene, il suo respiro era regolare e non era scosso dai soliti brividi di febbre. L'espressione di Ari, rincantucciata contro di lui, era distesa e beata. Ainohl sperò che la vicinanza del fratello le evitasse un sonno agitato e preda di incubi.
Lui ne aveva avuti molti dopo aver assistito al suo primo rito di purificazione...
Le immagini del neonato che veniva buttato nel pozzo come immondizia, tornarono a riempire la sua mente. In quel momento si sentì di fare solo una cosa.
Si cambiò in fretta gli abiti, optando per alcuni più pesanti, si sistemò un mantello sulle spalle e uscì di casa, chiudendo piano l'uscio d'ingresso per non svegliare nessuno.
Il villaggio di Amdir era situato al confine della Contea di Sien, una terra caratterizzata da una pioggia perenne. Fu lì che Ainohl si diresse a passo spedito. Andatura che si trasformò ben presto in corsa.
Voleva raggiungere Sien il più in fretta possibile, per poter così fare ritorno a casa prima dell'alba, in modo che nessuno si accorgesse della sua assenza. Era sotto la pioggia eterna di Sien che era custodito il suo segreto.
Nonostante il buio e le poche lanterne che fendevano l'oscurità, Ainohl trovò il confine piuttosto in fretta. Non c'era nulla a delimitarlo, se non un muro di nebbia molto più spesso che nel resto di Keiran. Una volta che si tentava di superarlo, la visibilità diventava pressoché nulla e si era costretti a proseguire alla cieca. La nebbia in quel punto diventava talmente fitta da riuscire sentirne quasi il peso sulle spalle. Ainohl la sentiva sfiorargli il viso, inumidirgli gli abiti, infilarsi su per le sue narici e riempirgli i polmoni.
Ricordava di aver avuto paura la prima volta che si era ritrovato lì sul confine, nel soffocante abbraccio di tutto quel bianco. L'unico punto di riferimento era stato il suono della pioggia proveniente da oltre il muro di nebbia. Era bastato seguirlo per raggiungere Sien.
Si era ritrovato lì per caso, da bambino. Giocava nei boschi con i suoi amici, ma si era allontanato troppo dagli altri, ritrovandosi così in un luogo del tutto estraneo e di cui aveva solo sentito parlare nei racconti di suo padre.
Anche adesso, sarebbe stato molto facile farsi prendere dal panico e perdersi proprio lì, in quel mare di nebbia. Invece Ainohl mantenne il controllo di se stesso e chiuse gli occhi. Continuò a camminare imperterrito, con il passo deciso e sicuro di chi ha percorso quella strada già un migliaio di volte. E all'improvviso, la pioggia lo travolse. Bastò un passo per oltrepassare una volta per tutte il confine. Dal bianco soffocante della sua nebbia, il ragazzo si trovò sotto una pioggia fitta e battente. Non poté fare a meno di stringere gli occhi. Quel posto era sempre troppo luminoso e ampio per i suoi canoni, pur essendo notte.
Lui era abituato al grigiore della nebbia e a non vedere nitidamente il paesaggio intorno a sé. Ma Sien era diversa. Lì la visibilità era perfetta. Non solo riusciva a vedere cosa lo circondasse, ma anche dove i suoi passi lo avrebbero condotto. Gli dava sempre una fastidiosa sensazione di disorientamento, ma era fantastico poter vedere il bosco tutt'intorno così perfettamente.
La pioggia tuttavia, era molto peggio della nebbia. Trasformava la terra in fango, l'erba in muschio scivoloso, faceva morire le piante che agognavano la luce del sole, spingeva la fauna a fuggire. E ti faceva rabbrividire dal freddo. Ainohl non aveva mai smesso di chiedersi come facessero gli abitanti di Sien a vivere in quel postaccio.
Dietro di sé non c'era più traccia della barriera di nebbia che aveva attraversato. Era stata sostituita da un muro d'acqua di cui non si riusciva a scorgere l'inizio se si alzava lo sguardo al cielo.
Senza indugiare ulteriormente, Ainohl si strinse nel suo mantello e si mise in marcia, cercando di non pensare troppo alla pioggia che lo stava infradiciando. S'inoltrò nel bosco, tenendo lo sguardo puntato a terra per evitare di scivolare. Era difficile muoversi laggiù. La prima volta era caduto tantissime volte, ritrovandosi con la faccia immersa nella fanghiglia.
Ora però, dopo tanti anni che attraversava quel tratto di strada, Sien non gli era più così ostile. Adesso sapeva muoversi quasi come uno dei suoi abitanti.
Era stata lei ad insegnarglielo...
Accelerò il passo, abbandonò il sentiero tracciato che conduceva al vicino villaggio di Aranel, e s'immerse nella boscaglia. Pochi minuti di cammino lo avrebbero condotto davanti al salice che occultava il nascondiglio del suo segreto.
Si trovò nuovamente a correre, percependo ancora quella sensazione di ansia mista a paura che aveva avuto per tutta la notte, e che si era intensificata dopo aver assistito al rito.
Superata la boscaglia, vi era una radura. Al centro di essa, si ergeva solitario un salice piangente, che occultava quasi alla perfezione una piccola grotta ricavata dai resti di un'antica frana.
Fu lì che Ainohl indirizzò i proprio passi.
Superò il salice ed entrò nella grotta. Al suo interno, le fiamme di un fuoco prossimo all'estinguersi agonizzavano, rischiarando appena l'ambiente stretto ed angusto. Accanto ad esso, su un giaciglio improvvisato, una ragazza dai singolari boccoli rossi, dormiva serena.
Solo a quel punto, tutta l'inquietudine accumulata, scivolò via dal corpo di Ainohl, alleggerendo il suo animo all'istante.
Quella sciocca paura l'aveva abbandonato. L'orribile presentimento che potesse esserle accaduto qualcosa si rivelò essere del tutto immotivato. Assistere al Rito di purificazione doveva averlo scosso quasi quanto la prima volta. Anche allora, era poi corso a controllare che lei stesse bene. Perchè ciò che avevano fatto a quel bambino innocente, era niente in confronto a quello che lei rischiava ogni giorno.
La ragazza si mosse nel sonno, le sue palpebre tremarono per poi aprirsi lentamente. Ainohl si trovò a fissare un paio d'occhi color dell'oro. Il mondo intero era terrorizzato dalle iridi di quella tonalità, a lui invece, avevano sempre trasmesso una sensazione di pace e sicurezza. Davanti alla sua espressione assonnata e confusa, Ainohl le sorrise. Era chiaramente sorpresa di vederlo lì a quell'ora di notte.
«Ainohl?» mormorò con la voce ancora impastata dal sonno. Si mise a sedere e lo guardò preoccupata. «E' successo qualcosa?»
Lui scosse solo testa. «No.» la tranquillizzò subito. «Io... volevo solo assicurarmi che tu stessi bene.»
Gli occhi della ragazza si puntarono nei suoi. Ogni volta pareva capace di leggergli l'anima... e in verità, lei poteva farlo per davvero.
Lo sguardo di Ainohl cadde sulla pietra bianca e luminosa che lei portava al collo. Un oggetto per il quale tante persone avrebbero voluto ucciderla. E assieme a lei, avrebbero ucciso anche lui per averla tenuta nascosta.
Non c'era posto nel regno di Theires per quella giovane maga che aveva vissuto nascosta per tutta la vita. Non ci sarebbe mai stata comprensione per l'essere umano che l'aveva protetta. La grazia o la pietà, non sarebbero mai arrivate per loro se mai fossero stati scoperti.
Si chiamava Ayleen, ed era lei il segreto di Ainohl.

****

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Capitolo 3
*** Capitolo Due ***


CAPITOLO DUE

 
“Quando i maghi abbandonarono il Regno di Theires per fare ritorno all'Isola di Keladia, anche la magia abbandonò definitivamente la nostra terra. Secoli di continui conflitti avevano fatto comprendere a tutti che esseri umani e maghi non potevano convivere in maniera pacifica. Vinta la guerra, Re Roland li esiliò per sempre dai territori di Theires e prese possesso di Ayril, il luogo che fino a quel momento era stato volgarmente chiamato la “Contea dei Maghi“, poiché era lì che essi avevano vissuto fino all'esilio. A nessun mago sarebbe più stato concesso di vivere fra gli uomini. Fu con la nascita del sesto ed ultimo figlio di Re Roland che il sottile velo di pace che si era faticosamente instaurato, giunse al termine.  La sua venuta al mondo portò con sé una sferzata di terrore e sofferenza, non solo per la famiglia Reale, ma per l’intero Regno di Theires.”

Frammento proveniente dalla Biblioteca privata di Re Roland. 
Zephiro, Contea di Ayril.

Laar, Consigliere del Re

 

Cinque uomini vestiti di nero varcarono le porte del palazzo reale di Zephiro, nella Contea di Ayril. Erano nobili, a giudicare dalla fascia di seta dorata che contornava loro le spalle.
Procedettero l'uno affianco all'altro, attraversando l'enorme salone delle udienze del palazzo. Non si lasciarono distrarre dalla sontuosità della sala, né dai giochi di luce che i raggi solari creavano attraversando le gigantesche vetrate poste lungo le pareti. Procedevano con la sicurezza e l'aria annoiata di chi ha già visto lo stesso luogo per troppe volte. Non c'era nessuno a scortarli, e nessuno di loro teneva lo sguardo basso come il protocollo imponeva. I soldati posti all'ingresso della sala, restarono immobili e permisero loro di passare senza provare in alcun modo a fermarli. Entrambi, accennarono persino un inchino.
I cinque uomini fissavano l'uomo anziano seduto sul trono in fondo al salone. Una volta che gli furono di fronte, s'inginocchiarono a terra. Vi rimasero per qualche secondo, per poi rialzarsi e tornare a guardarlo.  Davanti a loro trovarono un vecchio, consumato dalla stanchezza e dall'età. Per quanto sembrasse non possedere nemmeno più la forza per muoversi, c'era qualcosa che lo faceva ancora apparire regale come sempre. Non era la corona che brillava orgogliosa sulla sua testa, e nemmeno i suoi abiti sfarzosi e troppo lussuosi per chiunque. C'era qualcosa nel suo sguardo glaciale a costringere tutti ad abbassare il capo in sua presenza.
Del resto, Roland era stato il sovrano di Theires per sessanta lunghi anni. Era salito al trono appena quindicenne, dopo la prematura morte del padre e nonostante ora apparisse come un fragile vecchio prossimo alla morte,  vi era sempre un'aura di solennità a circondarlo. Bastava un suo sguardo per mettere in soggezione il più arrogante degli uomini.
Il Re osservò i suoi cinque ospiti uno per uno, con aria piuttosto svogliata. Il primo di loro, quello che apriva la fila a sinistra, fece un passo avanti. Sembrava il più anziano del gruppo e si fece portavoce degli altri : «Ci avete fatti chiamare, padre?»
Le labbra di Roland si mossero, ma non per rispondere alla domanda del maggiore dei suoi figli. I suoi occhi saettarono per l'immensa sala alla ricerca di qualcosa. O forse, qualcuno... In effetti, sembrava stesse tentando di chiamare una persona.
«Sono qui, Vostra Maestà.»
Una voce femminile precedette l'arrivo di una figura incappucciata. Apparve alle spalle del Re, e lo fece in maniera così improvvisa e silenziosa da mettere in allarme tutti e cinque i Principi.
Vestiva di grigio, e metà del suo volto era occultato da un pesante cappuccio. Le sue labbra si piegarono in un sorriso sincero, capace di mettere a tacere qualunque dubbio sul suo conto.
«Voi chi siete?» domandò il maggiore dei Principi, le dita già strette attorno all'elsa della propria spada. Il padre lo ammonì con un gesto della mano.
«Devo la vita a questa donna.» dichiarò Re Roland, con voce stanca ma ferrea. «Mi ha curato da un male che nessun guaritore di Theires era riuscito a debellare. Per loro avevo i giorni contati.»
I cinque uomini parvero presi in contropiede e si scambiarono sguardi confusi. Stavolta fu il terzo a prendere la parola. «Non sapevamo aveste problemi di salute.»
«E perchè mai avrei dovuto scomodarmi per mettervene al corrente?» Il Re sorrise amaramente. «Come se a voi importasse qualcosa della mia vita, come se non sapessi che non aspettate altro se non la mia morte per potervi contendere il mio trono e il mio regno»
Nessuno di loro osò controbattere, sarebbe stato inutile provare a convincerlo del contrario. La verità era che nessuno di loro lo considerava come un padre. Roland rappresentava unicamente un ostacolo al loro vero obiettivo. Erano cinque fratelli... Solo uno di loro avrebbe potuto succedere al padre. Avrebbero dovuto affrontarsi per decidere chi sarebbe stato il nuovo re. Così funzionava a Theires. C'era stato un tempo in cui spettava al primogenito maschio il compito di seguire le orme del padre e governare il regno, ma la legge era stata cambiata secoli prima. A seguito di una maledizione lanciata da un mago, un antenato di Roland ebbe solo figlie femmine. Egli non considerava nessuna di loro degna di salire al trono, ma giunto alla fine dei suoi giorni si vide costretto a prendere una decisione. Fece cambiare la legge di successione e decretò che a salire al trono sarebbe stata la figlia che fosse sopravvissuta a tutte le altre. Così che potesse dimostrare di possedere la forza, la freddezza e la risolutezza degne di un sovrano. Fu la sorella minore a diventare regina, e una volta al potere, non modificò quella legge. Pensando che avrebbe così evitato inutili dispute per il potere, la lasciò invariata. Una guerra ci sarebbe stata comunque per la successione, ma non sarebbe rimasto coinvolto il regno. Si sarebbe consumata fra le mura del palazzo.
«Questa donna si è guadagnata il mio rispetto e la mia fiducia, molto più di quanto io ne riponga in voi.» Continuò Roland, ignorando gli sguardi truci e sdegnati dei suoi figli. «Ha qualcosa di molto importante da dirvi, quindi la lascerete parlare e l'ascolterete. Ubbidirete a lei come se le sue parole fossero state pronunciate da me, è chiaro?»
Nessuno di loro osò contraddirlo. I loro occhi saettarono sulla donna che vestiva di grigio e non si sprecarono a trattarla come un'ospite.
«E' un vero onore incontrare tutti e cinque i Principi Guardiani.» Esordì la donna, con un sorriso che a tutti loro apparve tremendamente falso. «Vostro padre il Re, mi ha chiesto di condividere con voi alcune informazioni che, sono certa, troverete parecchio interessanti.» Notando che nessuno dei cinque faceva domande, continuò. «Chi di voi è  Eiden, il Principe Guardiano della Contea di Sheiran?»
Ognuno dei figli del Re governava una delle cinque contee che formavano Theires. Venivano chiamati «principi guardiani», perchè non erano dei veri e propri sovrani. Roland aveva in ogni caso il potere assoluto su ognuna delle Contee. Lui lo definiva «addestramento», ma la verità era che i suoi figli erano nulla più che delle temporanee balie per quei territori. La definizione di «Guardiani» suonava semplicemente meglio. Li lasciava ad occuparsi di tutte quelle cose noiose come far rispettare le leggi, occuparsi delle tasse e delle condanne, mentre lui si godeva gli agi della vita di corte.
Il figlio maggiore fece un passo avanti. «Io, mia signora.» dichiarò, sforzandosi di mantenere un tono reverenziale.
«So che all'incirca dieci anni fa, avete capeggiato un gruppo di vostri soldati, per andare ad uccidere una persona. Un bambino, per l'esattezza.»
«Le vostre informazioni sono esatte. Fu mio padre ad affidarmi quella missione e fui onorato di portarla a termine.»
La donna sorrise. Non era un sorriso gentile, tutt'altro. Aveva un velo di minaccia e derisione . «E ditemi, siete a conoscenza dell'identità di quel bambino che avete ucciso?»
Il Principe trasalì. Quella era una storia di cui era proibito parlare. Cercò lo sguardo del padre che lo invitò a proseguire con un cenno del capo. «... Era il minore dei miei fratelli.»
«Ne siete certo?»
L'uomo le scoccò un'occhiata irritata. «Cosa state cercando d'insinuare esattamente?»
«Che abbiate ucciso la persona sbagliata.»

***

 
Le strade di Valcalia erano deserte, appena illuminate dai raggi lunari che faticavano ad oltrepassare la perenne coltre di nubi che affliggeva quella contea.
Lo strato di sale che ricopriva i ciottoli delle stradine brillava gentilmente, riflettendo le deboli luci notturne e quelle delle fiaccole che danzavano lungo i muri delle case. Le onde del mare cullavano l'intero villaggio, accompagnando i sogni dei suoi abitanti, così come i cigolii delle barche ancorate al porto.
A questi suoni, se ne aggiunse un altro. Quello di passi. Passi di qualcuno ancora sveglio, qualcuno tanto folle da non avere rispettato il coprifuoco.
Un uomo incappucciato scendeva lungo la via che conduceva al porto. La sua andatura era sicura, per nulla intimorita all'idea di rischiare di venire sorpreso fuori casa dalle guardie.  
Non si guardava mai alle spalle, non controllava se ci fosse o no qualcuno quando svoltava in strade secondarie. Proseguiva senza indugio,  come se si trovasse alla luce del giorno, come se le macchie di sangue dell'ultimo malcapitato che aveva osato infrangere il coprifuoco, e che ancora macchiavano la piazza del mercato, non lo toccassero minimamente.
L'uomo raggiunse la parte più povera di Valcalia, sebbene in quella città non esistesse una parte ricca. Più poveri, meno poveri; quella era l'unica distinzione che si poteva fare.
L'unico ricco era Eiden, il Principe Guardiano. Era il figlio maggiore di Re Roland, ed era lui ad amministrare la Contea di Sheiran. Era il territorio più grande e più povero di tutto il regno di Theires. Come le altre contee, anche Sheiran era afflitta da un'antica maledizione. La sua gente non camminava sulla terra, o sulle pietre, o sulla sabbia... camminava su uno spesso strato di sale marino.  Era distribuito uniformemente su tutto il territorio, e rendeva i campi incoltivabili, paralizzava del tutto ogni tentativo di allevamento, persino l'acqua dei fiumi era imbevibile. La gente di Sheiran sopravviveva con le razioni di cibo e acqua che il Principe distribuiva. Ma per ottenerle bisognava rispettare ogni sua legge, anche la più crudele. Alla minima trasgressione, si rischiava di venire esclusi dalla distribuzione delle razioni e di morire di fame.
Eiden non era amato dal popolo, esattamente come suo padre. La sua crudeltà, la sua prepotenza e la sua nefandezza lo rendevano un vero e proprio tiranno agli occhi di tutti. Era malvagio, e quella stessa malvagità l'aveva trasmessa ai suoi soldati, le guardie che giorno e notte si aggiravano ovunque. Loro avevano qualsiasi potere. Non gli serviva una legge particolare per far torturare o  giustiziare una persona, il Principe aveva dato loro la libertà più assoluta.
Il Principe Eiden si faceva beffe della disperazione della sua gente e cercava di convincerli che l'alto numero di condanne a morte che lui e i suoi uomini elargivano erano solo una benedizione, che i condannati sarebbero state persone in meno da sfamare, che la loro fine avrebbe significato  più cibo per chi restava in vita.
Nessuno gli credeva, ma nessuno osava neppure ribellarsi. Il terrore di una morte dolorosa paralizza anche gli uomini più coraggiosi…
I passi dell'uomo incappucciato si arrestarono di colpo. La sua attenzione parve soffermarsi sulla porta di una casa apparentemente abbandonata.
C'era un’insegna appesa al muro, cigolava timidamente cullata dalla brezza marina. Il disegno sopra di essa era ormai quasi del tutto cancellato ma l'uomo riconobbe quella che un tempo era stata una taverna. Una delle tante di Valcalia... e una di quelle che assieme a tutte le altre era stata costretta a chiudere per la totale assenza di clienti. Ce n'era solo una che ancora operava, ma non era frequentata dagli abitanti della città. Era l'unico punto di ristoro per i commercianti stranieri.
A differenza dell'insegna, sulla porta c'era un segno rosso ben visibile. Non aveva una forma precisa, era sospettosamente casuale, sembrava una specie di "S" storta e allungata . Forse nessuno ci avrebbe mai fatto caso, ma lui notò subito che quel segno fosse stato fatto da poco.
Per chiunque l'avesse visto quel simbolo non aveva alcun senso, per lui invece assumeva enorme importanza.. Sorrise e fu a quel punto che per la prima volta si guardò attorno con circospezione.
Sicuro che non ci fosse nessuno tranne lui, bussò cinque volte alla porta, assicurandosi con precisione di far passare un paio di secondi  fra un colpo e l'altro.
Pochi istanti e la porta si socchiuse appena. L'uomo l'aprì poco di più per riuscire a sgattaiolare all’interno e poi la richiuse.
Dentro alla vecchia taverna in disuso vi era un'oscurità soffocante. L'uomo infilò una mano dentro i suoi abiti per tirarne fuori un oggetto luminoso che scacciò via parte di quel buio. Una pietra che emanava una luce rossastra e rischiarò parte della stanza.
«Korin ?» chiamò, cercando d'illuminare ogni angolo dell’ambiente circostante. «So che ci sei, per quale motivo ti nascondi?»
Un colpo. Poi un altro più deciso, seguito da altri rumori di oggetti che cadevano a terra, subito dopo un ragazzino entrò nel raggio luminoso dello strano oggetto che l'uomo teneva fra le dita.  
Era ruzzolato a terra, incespicando sui resti di un tavolo. Non aveva più di tredici anni, era esile, dall'aspetto malaticcio ed affamato, come tutti gli abitanti di Valcalia. I suoi occhi scuri erano segnati da profonde occhiaie, i suoi capelli erano neri e scompigliati.
Il ragazzino guardò la fonte di luce con timore, arretrando istintivamente. 
«Potete metterla via quella?» domandò visibilmente impaurito.
Gli umani erano soliti essere sia attratti che spaventati a morte dalle Lacrime di Luna. C’era il desiderio di possederne una, per quella strana leggenda sulla longevità che potevano donare. E poi c’era la paura, dovuta al fatto che fossero in fin dei conti delle vere e proprie armi, la fonte di tutto il potere di un mago.
«Solo quando vedrò dove metto i piedi.»
Il ragazzino parve indugiare, ma alla fine si alzò da terra e si mosse verso un vecchio camino. La legna al suo interno era fresca, doveva averla preparata lui stesso.
Si inginocchiò a terra e prese a strofinare energicamente due pezzi di legno. Non ottenne altro che poche, deboli scintille. Fece parecchi tentativi, ma nessuno andò a buon fine.
L'uomo sospirò con estrema pazienza, quasi intenerito dai disperati tentativi di quelle fragili mani, indebolite dalla miseria, di rendersi utili. Senza fermarlo e sicuro che lui non potesse vederlo, mosse appena le dita della sua mano facendo percorrere loro un arco invisibile. L'istante immediatamente successivo, delle fiamme presero vita dai due pezzi di legno che il ragazzino stava strofinando. Lui si spaventò e perse l'equilibrio, cadendo impacciatamente all'indietro.
«Fai attenzione.» Gli suggerì l'uomo, nascondendo a fatica il senso di serenità nel vedere il volto del ragazzino finalmente sorridente e soddisfatto.  
Fu a quel punto, quando la stanza venne invasa dalla debole e traballante luce del fuoco, che si tolse il cappuccio.
Non fu affatto un uomo a mostrarsi, bensì un ragazzo che dimostrava poco più di vent’anni. Eppure il suo sguardo pareva quello di un uomo già anziano stanco degli orrori del mondo.Ma non erano unicamente la severità e la stanchezza della sua espressione a colpire. Le sue iridi avevano quel particolare colore che lo avrebbe fatto condannare subito a morte.
Gli occhi dorati erano il male. Chiunque li possedesse andava eliminato, poiché pericoloso e propenso ad uccidere. Eppure, non c’era odio negli occhi dorati di quel ragazzo. Persino Korin, nell’umiltà dei suoi tredici anni, vedeva in essi solo tanta tristezza.
«Vi ha visto qualcuno?» domandò, riluttante.
Il ragazzo infilò nuovamente la sua Lacrima di Luna nei propri abiti e studiò attentamente la stanza. Nient’altro che detriti di legno marcio, resti di mobili bruciati e stoviglie in pezzi. L’aria era pesante e odorava di muffa. Non era il massimo come nascondiglio, ma sapeva quanto Korin dovesse essersi impegnato per trovarlo. Senza considerare i rischi che aveva corso. A Valcalia nessuna guardia s’impietosiva davanti a un bambino.
Davanti alla domanda di Korin, il ragazzo piegò le labbra in un mezzo sorriso. «Nessuno può avermi visto.»
Korin si corrucciò dalla curiosità, per poi lasciare spazio all’entusiasmo. «Avete fatto qualche incantesimo?»
«Diciamo solo che mi sono assicurato che ogni uomo, donna o bambino di Valcalia dorma profondamente fino al sorgere del sole. Tutti, persino i ratti nelle fogne, stanno dormendo.»
Korin parve davvero elettrizzato a quelle parole, facendo inevitabilmente sorridere il ragazzo. Era talmente raro trovare qualcuno che apprezzasse la sua natura di mago…  
«Tutti tranne me e gli altri?» chiese poi, con ancora quell’espressione piena di ammirazione a renderlo più simile al bambino che era, anziché all’adulto che era dovuto diventare in fretta e furia.
«Tutti tranne te e gli altri. Il simbolo che ti ho fatto tracciare sulla porta ha protetto questa casa dall'incantesimo.» Gli spiegò l’altro. «E a tal proposito, forse è il momento che io li incontri questi altri, non credi?»
Korin annuì, visibilmente ansioso di assistere a quell’incontro.
«Loro non sanno chi siete in realtà.» Si premunì di avvisare. «Come dovrò chiamarvi?»
«Prima di tutto non servono tutte queste formalità, rivolgiti a me come ti rivolgessi ad una persona qualunque. Per quanto riguarda il nome, non è necessario dirlo, se nessuno lo chiederà.»
Korin parve poco convinto. «Lo chiederanno.»
«Allora diremo loro la verità. Sicuramente mi accuseranno di essere un pazzo e un ciarlatano, ma come ben sai, ho con me le prove per mettere a tacere ogni loro più che giustificato dubbio.»
Korin parve molto rassicurato, i suoi occhi si erano riempiti di una fiducia totale. Lo guardava come un figlio fa con il padre.
Senza aggiungere una parola, andò dietro i resti di quello che un tempo doveva essere stato il bancone dove venivano servite le vivande. Si accucciò a terra, tastò il pavimento polveroso per qualche istante, fino a che non si udì un suono simile allo scatto di una serratura. A quel punto Korin, alzò alcune assi del pavimento.
Una botola segreta. Nulla di più semplice e niente di più efficace.
Il ragazzo dietro di lui sorrise soddisfatto. Non poteva trovare aiutante migliore di lui.
Dall’interno della stanza nascosta, proveniva una luce molto più intensa che al piano superiore, accompagnata da un flebile vociare di persone. Korin saltò dentro con un balzo. 
Non c’erano scale o corde per scendere, così anche l’altro ragazzo fu costretto a fare lo stesso.
Il vociare cessò nell’esatto istante in cui toccò terra. Si rimise in piedi ed osservò senza la minima ritrosia il gruppo di gente davanti a lui.
Erano più numerosi di quanto avesse mai potuto immaginare. Uomini di ogni età e persino donne. C’erano anche bambini più piccoli di Korin. Saranno stati forse una cinquantina di persone.
Ci fu qualche momento di scrupoloso silenzio, fatto di scambi di sguardi, di valutazione… Lui era pur sempre un mago. I suoi occhi erano dorati e dalla stoffa dei suoi abiti s’intravedeva una luce rossastra, tutti elementi che non aiutavano a fidarsi di lui.
Alcuni fissarono quel punto del suo petto, immaginando che aspetto dovesse avere la Lacrima di Luna lì nascosta, se fosse davvero come si diceva in giro. Nessuno sembrò abbastanza coraggioso per verificarlo, e nemmeno per rompere quel silenzio.
Solo dopo qualche infinito minuto, qualcuno si decise a prendere la parola per primo. Un uomo basso e tarchiato, dall’aspetto rozzo ed inflessibile, non era giovanissimo, ma nemmeno era fra i più vecchi lì presenti. Avanzò di un passo, scrutò il nuovo arrivato dalla testa ai piedi e sul suo volto si posò un velo di delusione.
«Sei solo un ragazzo.» Disse senza preoccuparsi di nascondere il disappunto.
«E’ un problema?» rimbeccò l’altro, senza scomporsi.
«Sì diamine, lo è! Ci è stato promesso un sicario, non un ragazzino troppo giovane per aver combattuto in una qualsiasi guerra!»
Alla sua, si aggiunsero anche le voci di altre persone dello stesso avviso. Ma ancora una volta, nulla scompose il ragazzo dagli occhi dorati.
«Serve aver combattuto una guerra per essere in grado di uccidere qualcuno?» li sovrastò tutti quanti con la propria voce piena di sicurezza.  «Avete portato a questo incontro donne e bambini, e vi preoccupa il fatto che io sia un ragazzo? Voi vi aspettavate un sicario, io d’altro canto mi aspettavo esclusivamente uomini forti e vigorosi! Siete così esperti nel combattere ed uccidere, così fieri di saperlo fare dal volerlo insegnare anche alle vostre mogli e ai vostri figli?»
Tutti tacquero, anche l’uomo burbero di fronte a lui. I vecchi, le donne e i bambini, abbassarono lo sguardo a terra, sentendosi improvvisamente a disagio.
«In questo Regno, si combattono guerre sin da prima che io nascessi.» Continuò il mago, con una fermezza quasi destabilizzante per chi lo ascoltava. «E badate bene, sto parlando di guerre prive di eserciti. Miseria, fame, ingiustizia, sono nemici ben più potenti di un gruppo di soldati armati che ti marcia contro. Quelli non li puoi trafiggere con una spada… Io ho conosciuto a fondo ognuno di loro, e sono sicuro che l’abbiate fatto anche voi o non sareste qui a costringervi a riporre la vostra fiducia in un mago, ossia una creatura che vi hanno sempre insegnato ad odiare  e temere. Ditemi, ho forse sbagliato qualcosa?»
Korin lo fissava ammirato e divertito dal modo in cui aveva zittito tutti.
Lui conosceva quasi tutte le persone lì dentro, e aveva previsto la loro ritrosia. Vederli ammutoliti, incapaci di tenere testa al mago, lo elettrizzava più del dovuto. Lui era uno dei pochi che non temeva i maghi e non credeva nella loro malvagità.
Anche i suoi genitori erano stati dello stesso avviso ed erano stati torturati ed uccisi per questo. Korin era rimasto orfano all’età di undici anni, senza nessuno che si prendesse cura di lui.
A Valcalia, tanti erano a conoscenza della sua situazione, ma nessuno si era mai preoccupato di aiutarlo in qualche modo. La gente pensava unicamente a sé stessa a alle proprie famiglia. Nessuno poteva concedersi il lusso di aiutare il prossimo.
L’unico a farlo, era stato quello straniero dagli occhi dorati apparso sulla spiaggia una mattina d’inverno. Un mago. Lo stesso che ora cercava di convincere quel branco di ottusi umani che non aveva cattive intenzioni.
Korin gli avrebbe affidato la sua stessa vita. Si fidava più di lui che di qualsiasi altro umano.
Il ragazzo dagli occhi dorati tacque qualche istante. Non in attesa di risposte, ma perché impegnato a sondare le emozioni dei presenti. Percepì molta paura provenire da loro.
Avevano paura di lui, non osavano parlare perché spaventati da una sua reazione. Sospirò e cercò di far assumere un tono più rassicurante alla propria voce.
«Non è importante chi o cosa siamo. E nemmeno se siamo giovani o no! Vogliamo tutti la stessa cosa, e se la desideriamo con lo stesso ardore, i dettagli riguardanti la nostra età o la nostra natura non contano nulla.»
Un leggero mormorio si alzò dalla piccola folla di gente. Il mago iniziò a percepire i primi consensi. 
«Chi ci dice che non sia tutta una trappola?» a parlare era stato lo stesso uomo di prima, sembrava essere diventato a tutti gli effetti il portavoce del gruppo. «Sei un mago… Potresti ucciderci tutti in un sol colpo con quella tua strana pietra magica.» I suoi occhi caddero istintivamente sulla luce rossastra che trapelava dagli abiti del mago.
Korin parve indispettito da quel commento. Fece un passo in avanti, provando a prendere le difese dell’amico, ma quest’ultimo, molto pacatamente, lo fermò con un gesto della mano.
«Non lo nego, potrei uccidervi tutti senza che nemmeno ve ne accorgiate.» Ammise con una sincerità spiazzante. «Ma che vantaggio ne trarrei a parte altro odio verso di me e  la mia gente?»
Nessuno seppe rispondere, così il ragazzo continuò.
«Lo so cosa dicono di noi. Che ci divertiamo ad uccidere voi umani, che delle vostre teste ne facciamo trofei, che non siamo capaci di provare emozioni tranne il desiderio di potere. Eppure ditemi, è un mago che ha ridotto il vostro mondo in queste condizioni pietose? C’è un mago a governarvi in questo momento?»
A regnare incontrastato nella stanza, fu nuovamente un pesante ed imbarazzato silenzio. Alcuni abbassarono gli occhi a terra a disagio, consci del fatto che quel ragazzo di fronte a loro, aveva ragione.
«E’ un mago la persona per la quale avete richiesto un sicario?»
Nessuno rispose e il ragazzo sorrise compiaciuto. Quelle persone lo intenerivano e innervosivano al tempo stesso. Erano mossi dalle migliori intenzioni, la disperazione li aveva condotti su quella strada senza ritorno, ma erano ancora troppo spaventati da tutto per riuscire ad arrivare fino in fondo.
Nonostante le cattiverie degli umani verso i maghi, lui non se la sentiva di condannarli del tutto.
Erano stati praticamente costretti a reagire così. Theires era governata dal terrore e dalla paura, la gente non osava mai pensare o parlare in maniera diversa dai propri sovrani. I bambini crescevano con determinate idee ed era molto difficile riuscire poi a cancellarle.
Lui voleva solo dimostrare di non essere affatto diverso da tutti loro. Che il colore dorato dei suoi occhi e una pietra magica portata al collo non lo rendevano affatto pericoloso.
Voleva credere che ci fossero umani come Korin da qualche parte, capaci di andare oltre le apparenze e le dicerie. Voleva credere che quella solitudine in cui era stato costretto a vivere per tutta la vita, potesse giungere finalmente a termine.
Il mago incrociò le braccia sul petto, sospirando. Chiuse gli occhi un istante, facendosi pensieroso.
Si domandò se rivelare la propria identità potesse servire. La maggior parte di loro non gli avrebbe creduto, altri gli avrebbero riso in faccia, ma lui aveva le prove per dimostrare che non era un bugiardo. A quel punto, tanto valeva rischiare…
«Il mio nome è Kalintz.» Dichiarò, cercando di schermare le emozioni di tutti. Non gli andava ancora di sapere cosa stessero provando. Non ancora. «E la persona che volete che io uccida, è mio fratello maggiore.»

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Capitolo 4
*** Capitolo Tre ***


CAPITOLO TRE

 

Ainohl non tornò a casa quella notte, rimase con Ayleen fino al sorgere del sole. In senso figurato naturalmente, visto che i suoi raggi nulla potevano contro le nuvole perenni della Contea di Sien.
Inutile dire che non era riuscito a chiudere occhio, perseguitato dal ricordo del rito di purificazione a cui aveva assistito poche ore prima. Così, mentre la giovane maga accanto a lui aveva riposato placidamente, Ainohl non aveva fatto altro che tormentarsi con innumerevoli dubbi. Non era più certo che quella piccola ed angusta grotta fosse un buon nascondiglio per Ayleen.
Era una paura sciocca, lei aveva sempre vissuto lì. Ciò nonostante, nulla riuscì a debellare quell'ondata di apprensione che continuava ad infrangersi contro il suo cuore.
Aranel era il villaggio più vicino. Non era poi così distante, si trovava appena oltre il bosco. Il rischio che Ayleen venisse catturata era concreto … Era anche già accaduto che qualcuno avesse provato a prenderla. E adesso, Ainohl non riusciva a trovare né la forza né il coraggio di tornare a casa propria e lasciare lì la sua amica. Sola, senza alcuna protezione e in balia di persone guidate da dei pregiudizi sciocchi e pericolosi.
Tutto ciò che desiderava era prenderla e portarla a casa sua, farla vivere in un ambiente decente, permetterle di dormire in un letto vero, di mangiare del cibo degno di quel nome, di strapparla almeno per un po' a quell'insopportabile pioggia. Ma non poteva farlo... Nulla di tutto ciò era possibile.
Nella sua famiglia, Ainohl era l'unico che non odiava i maghi. Era l'unico di tutta Amdir, ad essere sinceri... se non di tutto il regno di Theires. La presenza di Ayleen avrebbe creato molto scompiglio con i suoi genitori, soprattutto con sua madre. Lei era forse la più cocciuta. Non avrebbe mai e poi mai cambiato idea a tal proposito. Inoltre, non poteva permettere che la sua famiglia rischiasse la pena capitale per aver dato ospitalità ad una maga.
Per di più, Ayleen era morbosamente ed insensatamente legata alla Contea di Sien. Ainohl non aveva mai capito il perchè.
Quella terra le era stata sempre ostile, fin da quando era nata, eppure lei l'amava con tutta se stessa. Amava in particolare quella pioggia che invece tutti detestavano. Spesso lui la sorprendeva intenta a fissare il cielo. Restava lì anche per ore intere, senza muovere un solo muscolo. Chiudeva gli occhi e lasciava che la pioggia perenne di quella terra l'accarezzasse. Ogni volta, sorrideva. Era uno di quei rari momenti in cui anche lei sembrava felice di essere al mondo.
Ayleen non aveva avuto molte gioie nella sua vita. Era orfana di entrambi i genitori, non aveva alcun ricordo di loro. Sua madre era morta dandola alla luce e suo padre era stato successivamente catturato, torturato e ucciso proprio dagli abitanti di Aranel. Ayleen aveva vissuto i suoi primi anni di vita assieme alla sorella maggiore, nascosta nel bosco come un animale. Col tempo e con qualche passo falso di troppo, si era guadagnata il nomignolo di «Fantasma Rosso» al villaggio di Aranel. Erano stati i bambini a darglielo, perchè solamente loro erano riusciti ad avvicinarla. Avevano provato a catturarla, le avevano lanciato contro i sassi, manciate di fango, l'avevano legata ed avevano infierito del tutto incuranti del fatto che, come loro, anche lei provava dolore. Erano riusciti a vedere l'oro delle sue iridi e spaventati l'avevano lasciata scappare, ma da quel momento anche gli adulti avevano cominciato a darle la caccia.
La legge parlava chiaro. I maghi andavano consegnati a Re Roland o ad uno dei Principi Guardiani... Eppure nessuno sembrava essersi davvero impegnato per catturarla. Più che della magia, la gente di Aranel temeva il loro sovrano e i suoi figli. Non potevano avere la certezza che la promessa di gloria e ricchezza eterna a coloro che avessero consegnato vivi dei maghi, sarebbe stata davvero mantenuta dal Re. Non era certo un uomo famoso per il suo onore.
Ciò nonostante non avevano mai rinunciato a cercare Ayleen. E se inizialmente il loro obiettivo era ingraziarsi il Re, adesso tutto ciò a cui anelavano era la Lacrima di Luna della giovane maga.
Ainohl spostò lo sguardo sul volto ancora dormiente di Ayleen. Il bagliore della sua Lacrima era ben visibile sul suo petto, anche sotto la stoffa bianca della sua veste. Tanta gente sarebbe arrivata ad uccidere per impadronirsi di quell'oggetto magico e misterioso.
Aveva l'aspetto di una gemma di scarso valore, sembrava quasi un minerale. In essa però, vi era custodito tutto il potere di un mago. Ayleen non la mostrava mai, la teneva sempre nascosta dentro i propri vestiti. La custodiva e proteggeva più della sua stessa vita.
Una volta, non sapendo nulla di quell'oggetto misterioso, Ainohl aveva provato a toccarlo, ma Ayleen si era ritratta terrorizzata ed era scappata via. Il ragazzo aveva impiegato ore per trovarla e convincerla che non voleva rubarle quella strana pietra.
Si era poi documentato sui libri di suo padre. Ogni mago nasceva stringendo fra le mani una Lacrima di Luna. Il nome era dovuto al fatto che tutti i maghi nascessero di notte , durante il plenilunio. La vita del mago era indissolubilmente legata alla sua pietra. Non potevano vivere separati, motivo per cui Ayleen teneva la propria al collo. La luce che irradiava era intensa quando lei era in piena salute, si affievoliva se stava male o era ferita. Ainohl aveva visto solo quella di Ayleen, che era di un bianco abbagliante, ma sapeva che ve ne erano altre di tonalità differenti. Non aveva idea del perchè quella della sua amica fosse di quel colore, non osava mai fare domande a tal proposito. Ayleen appariva sempre molto a disagio quando lui si mostrava incuriosito da quella pietra.
Erano oggetti molto rari e preziosi, quello era stato suo padre a dirglielo. Quelle pietre non solo avevano un valore immenso, ma si diceva potessero allungare la vita di chi ne entrava in possesso.
Essendo così legate al loro mago, era proibito per chiunque altro toccarle. Era qualcosa che Ainohl non aveva mai davvero capito a fondo, ma da quel poco che anche Ayleen gli aveva spiegato, toccare una lacrima di luna era una vera e propria violenza fisica e mentale per il mago.
«E' come se qualcuno ti squarciasse il petto per cercare di strapparti via l'anima, come se provasse ad entrare nella tua mente e controllarla.»  Gli aveva raccontato Ayleen. «Fa male. E' doloroso. Come se ti pugnalassero al cuore senza che però la morte sopraggiunga per darti sollievo. Non riesci più a muoverti, a respirare, a pensare... desideri solo che tutto abbia fine.»
Ovviamente nulla di tutto ciò fermava gli uomini assetati di potere e ricchezza. Ayleen non ne aveva mai parlato, ma era capitato che più di una volta Ainohl l'avesse trovata svenuta nella foresta, immersa nel fango, con la sua Lacrima di Luna stretta fra le dita. Non era complicato immaginare cosa accadesse. I bambini di Aranel passavano molto tempo nel bosco e sapevano essere spietati. Avevano imparato ad odiare e prendere di mira il Fantasma Rosso... ed erano affascinati da quella pietra luminosa che lei indossava. Non perdevano occasione di toccarla o giocarci o provare a rubarla. Sapevano bene cosa fosse e sapevano anche che gli adulti volevano impadronirsene. Ayleen era sempre riuscita ad evitare che gliela portassero via, in qualche modo.
Dopo ogni battaglia però, aveva sempre impiegato giorni per riprendersi del tutto. Ad Ainohl piaceva paragonare le Lacrime di Luna ad un organo vitale. Erano come un secondo cuore. Senza di quello un mago non poteva vivere.
E la gente di Aranel bramava proprio ad impadronirsi del secondo cuore di Ayleen.
Ainohl cercò di sfuggire a quei pensieri e provò a distrarsi osservando la grotta in cui la ragazza aveva sempre vissuto. Dopo tanti anni, Ainohl ancora si chiedeva come facesse a vivere lì. A malapena si riusciva a stare in piedi, l'unica fonte di luce era un fuoco debole e prossimo all'estinguersi. Tutto intorno solo due giacigli improvvisati di paglia rubata al villaggio e alcuni teli di stoffa a coprirli. Sulle pareti rocciose e umide, vi erano ovunque incisioni e disegni vari. Era stata Ayleen a farli. Per fare i colori, aveva usato la terra, il fango, le pietre frantumate e i petali sminuzzati dei rarissimi fiori che crescevano in quella Contea. Aveva smesso da anni di decorare la sua grotta, non perchè si sentisse troppo cresciuta per farlo, ma semplicemente perchè non c'era più spazio. Anche Ainohl l'aveva aiutata quando erano più piccoli, era stato uno dei loro giochi preferiti. Tanti di quei disegni incomprensibili che in qualche modo rendevano quel posto più accogliente, portavano anche la sua firma.
«Mi stai facendo venire il mal di testa.»
Ainohl sussultò appena e si voltò verso la ragazza, ancora sdraiata sul suo giaciglio. I suoi occhi dorati erano liquidi di stanchezza, le sue labbra piegate in sorriso tanto dolce e spontaneo da far sorridere anche lui.
«Che ho fatto?» domandò Ainohl, sinceramente incuriosito dalle parole di Ayleen.
Lei si mise a sedere, stiracchiò le braccia e puntò lo sguardo fuori dalla grotta. Il sorriso le si allargò. Inspirò l'aria mattutina a pieni polmoni e chiuse per qualche istante gli occhi. Era il buongiorno alla sua amata pioggia.
«Pensi troppo.» spiegò, continuando a guardare verso l'esterno.
«Hai imparato a leggermi nel pensiero, adesso?»
«Non serve. Le tue emozioni sono piuttosto chiare.»
Quella era forse la particolarità più curiosa e fastidiosa di Ayleen. Lei, così come tutti i maghi, possedeva il sottile e misterioso dono dell'empatia. Percepiva gli stati d'animo delle persone come fossero i suoi. Non era qualcosa che riusciva a controllare e spesso Ainohl si sentiva un po' troppo vulnerabile al suo fianco, dal momento che con lei era impossibile avere dei segreti.
«Oggi sono dodici anni esatti...»
La voce di Ayleen lo riscosse da quei pensieri. La guardò notando il suo viso farsi di colpo malinconico e i suoi meravigliosi occhi dorati velarsi di tristezza. Ainohl non comprese subito le sue parole, ci volle qualche istante prima che ricordasse cosa fosse accaduto quello stesso giorno di dodici anni prima.
«... Tua sorella?» azzardò.
Lei annuì soltanto, abbassando il capo. I suoi boccoli vermigli ricaddero morbidi sulle sue spalle facendole da sipario dal resto del mondo. Ainohl non era mai certo di come comportarsi ogni qualvolta si toccasse quell'argomento.
Rael era la sorella maggiore di Ayleen, colei che l'aveva cresciuta dopo la morte dei loro genitori. Erano esattamente dodici anni che Ayleen non la vedeva. Rael l'aveva abbandonata lì per andare a Keladia, il continente dove i maghi vivevano in pace lontani dagli umani.
Le aveva detto che era troppo piccola per affrontare un simile viaggio, e poi le aveva promesso che sarebbe tornata a prenderla, ma non era mai accaduto.
Ayleen ancora la stava aspettando, ancora ci sperava che Rael avrebbe fatto ritorno. Ainohl aveva smesso di crederci già da un po', ma non osava esprimere quel pensiero a voce alta e distruggere così le speranze della giovane maga...
Era una cosa inutile a ben pensarci, visto che lei era in grado di percepire le emozioni altrui come fossero le sue, e quindi capiva quando qualcuno mentiva. Eppure Ainohl non si era comunque mai permesso di infrangere le sue speranze. Non gli sembrava giusto. Ayleen sopravviveva grazie alle speranze, solide o fragili che fossero.
Due erano le possibilità: o Rael era morta nell'impresa di raggiungere il Regno di Keladia, oppure aveva volontariamente abbandonato la sorella. Ainohl si augurava con tutto il cuore che la prima ipotesi fosse quella vera. Per quanto triste, era quella meno crudele e più accettabile.
«Tornerà.» le disse, pur consapevole che le sue emozioni l'avrebbero tradito. Lei infatti lo guardò con un'ombra di rassegnazione sul volto candido, ma non gli negò un sorriso colmo di gratitudine.
«Sarà dura convincerla che tu non odi i maghi, quando farà ritorno.» Aggiunse poi, scacciando in parte la tristezza dai suoi occhi.
«Ci riuscirò, non temere! Ho convinto te, posso convincere qualunque mago!»
«Lei vi vorrebbe tutti morti.» confessò Ayleen, tornando a fissare per terra, quasi vergognandosi di quell'ammissione.
«Non la biasimo di certo...»
Ancora non aveva raccontato cosa fosse successo ad Amdir. A dir la verità, non se la sentiva nemmeno di farlo. Temeva di spaventarla troppo. Uno dei suoi difetti, se così lo si poteva definire, era che possedeva una sensibilità a dir poco spiazzante.
L'espressione malinconica della ragazza andò via a via con l'estinguersi, lasciando il posto ad un sorriso allegro, più tranquillo, ma sempre velato dalla sua consueta timidezza. «Non ti preoccupare. Ti proteggerò io da lei! » esclamò svagata.
Ayleen non era solita guardare negli occhi nessuno quando sorrideva, come se provasse imbarazzo a mostrare quei suoi rari momenti di gioia e divertimento. Ogni volta che sulle sue labbra si delineava un sorriso, lei abbassava lo sguardo a terra e lasciava che i suoi boccoli rossi le ricadessero sul volto e la nascondessero al mondo.
Ainohl riconosceva in lei un'innegabile bellezza. Non era quel tipo di fascino che seduceva o faceva fremere di desiderio un uomo. Era più quello che inteneriva, che ti spingeva a cercare di conquistare la sua attenzione, un suo cenno, un suo sguardo. Che ti faceva desiderare di conoscerla, di poterle parlare, di poterle essere di conforto, senza altri scopi di natura più lasciva.
Osservare Ayleen trasmetteva un'insolita serenità. Non c'era volgarità in lei, non c'erano ostentazione o vanità. Solo una dolcezza e un'innocenza che solo una bambina avrebbe potuto avere.
Ayleen non era più una bambina, ma aveva comunque mantenuto quella purezza che tanto mancava in quel mondo così corrotto e dominato dall'odio. Molto spesso, quando Ainohl guardava lei, gli balzava alla mente l'immagine di sua sorella Ari.
«Ascolta...» ancora una volta fu la voce della maga a interrompere il fluire dei pensieri di Ainohl. «Qualunque cosa sia, adesso è passata.»
Ainohl cercò il suo sguardo, ancora insistentemente fisso a terra. Non fece domande, non ce n'era alcun bisogno. Fece un profondo sospiro senza sapere cosa dire.
«Lo sento che sei turbato da qualcosa. Lo sei da quando sei arrivato qui.» continuò lei.
«Scusami.»
«Non devi scusarti.» Finalmente, Ayleen si decise a rialzare gli occhi da terra. Ainohl scrutò il proprio riflesso in quelle incredibili iridi color dell'oro. «Le cose brutte non durano per sempre. Quindi, qualunque cosa tu abbia visto o sentito o fatto, la smetterà di torturarti prima o poi.»
Ainohl le sorrise grato, sebbene quelle parole non fossero riuscite a rincuorarlo più di tanto. Lui non possedeva la stessa forza di Ayleen. Lei era sempre riuscita a vedere il buono in ogni cosa, persino negli umani che le davano la caccia e che avevano sterminato la sua famiglia. Lui non vedeva il mondo allo stesso modo. Avrebbe tanto voluto riuscirci, ma ormai era una battaglia persa.
Ayleen aveva ragione. Un giorno, l'immagine di quel neonato innocente, gettato crudelmente verso la morte in quel pozzo, avrebbe abbandonato la sua mente. Però, era anche consapevole che quel mondo corrotto nel quale viveva, gli avrebbe riempito la testa di altre immagini terribili ed difficili da dimenticare. E la paura che qualcuno potesse fare del male ad Ayleen, riservarle una condanna ben peggiore di quella del neonato ad Amdir, non l'avrebbe abbandonato mai.
«Sarà meglio che io torni a casa. I miei genitori partono per Valcalia questa mattina, devo occuparmi di Eiron.»
«Aspetta!» esclamò Ayleen, dirigendosi verso il fondo di quella grotta fredda e buia che lei chiamava casa. Ainohl la sentì trafficare con qualcosa, ma prima ancora di riuscire ad appurare cosa stesse facendo, lei era già di ritorno. Gli si avvicinò e gli mise qualcosa fra le mani. Era un piccolo sacchetto di stoffa bianca, chiuso alla bell'e meglio con uno spago.
«E' per Eiron.» dichiarò lei, con un sorriso.
Ainohl osservò attentamente l'oggetto, per poi lanciare un'occhiata interrogativa ad Ayleen.
«Per la sua febbre.» s'affrettò subito a spiegare lei, «E' un'erba speciale. Fanne un infuso e faglielo bere. La febbre scenderà.»
Ainohl non rimase sorpreso da quel gesto. Non era la prima volta che Ayleen gli donava erbe medicinali per il fratello. L'essere cresciuta in una foresta aveva i suoi vantaggi, in un certo senso. Ayleen conosceva ogni pianta, sapeva esattamente quali fossero pericolose e quali utili. Il provare a dare sollievo ad Eiron era l'unica cosa che la faceva sentire utile...
«Ti ringrazio.» fece Ainohl, posandole una mano sul capo in un gesto quasi paterno. «Anche da parte di Eiron.»
Ovviamente, lei si affrettò a sfuggire di nuovo al suo sguardo. Il suo viso si vestì di un'espressione improvvisamente mesta «Mi dispiace solo di non poter fare di più...»
«Non torniamo sull'argomento.» la interruppe subito Ainohl. «Va bene così. Le tue erbe funzionano. Non serve altro.»
«Lo so, però non dovrei ricorrere a questi rimedi per curare una persona!»
«Ayleen, smettila!» Il tono di Ainohl si fece più severo. «Non è colpa tua. Non serve parlarne ogni volta.»
I maghi non usavano le erbe per curarsi o per curare gli altri. Era assurdo pensare che ricorressero a simili rimedi da umani, quando potevano contare sulla magia. Ma Ayleen era diversa.
Qualcosa non funzionava in lei. Se non fosse stato per i suoi occhi dorati e per la sua Lacrima di Luna, sarebbe potuta passare per una semplice ragazza umana. Erano dieci anni che Ainohl la conosceva. Dieci anni che si prendeva cura di lei e andava a farle visita di nascosto... e in tutto quel tempo, mai una volta Ayleen aveva utilizzato la magia.
Era raro che ne parlasse. Si vergognava molto per quella situazione. Lei non era in grado di sfruttare il dono di cui era stata investita. Era come se la magia non scorresse in lei. Ci aveva provato in un paio d'occasioni, finendo sempre col sentirsi male o perdere addirittura i sensi. Cercava di non darlo vedere, ma era chiaro quanto quella menomazione la disturbasse.
Quando Ainohl l'aveva incontrata la prima volta e aveva capito che fosse una maga, il suo pensiero era subito volato ad Eiron. Nessuna medicina umana era mai riuscita a guarirlo... forse solo un incantesimo di guarigione avrebbe potuto salvarlo. Ainohl aveva visto in Ayleen la salvezza di suo fratello. Ma le cose erano andate molto diversamente da come si era immaginato.
Sarebbe stato un bugiardo a dire che non gli importava che Ayleen non riuscisse ad utilizzare la magia. Preferiva sempre sviare il discorso per non ferire ulteriormente i sentimenti della ragazza. Le voleva troppo bene per riuscire a confessarle quanto fosse in realtà deluso da quella sua condizione.
In fondo, così come nascevano umani ciechi o sordi o con malformazioni fisiche, forse allo stesso modo potevano nascere maghi incapaci di usare la magia.
Il fatto che quella sorte fosse toccata all'unica maga che Ainohl avesse mai conosciuto, lo irritava non poco. Si sforzava sempre però, di soffocare quelle emozioni. Ayleen non doveva assolutamente percepirle. Conoscendola avrebbe provato ad usare la magia fino ad uccidersi di fatica. E questo non doveva assolutamente succedere. Ainohl non se lo sarebbe mai perdonato!
Sarebbe stato complicato farle capire che non ce l'aveva con lei, ma con il destino che in qualche modo continuava ad ostacolarlo e impediva ad Eiron di guarire.
«Sei l'unica persona che riesce a far stare meglio Eiron. Nessun guaritore ci riesce. Solamente tu!»
Ayleen sorrise timidamente, sistemandosi una ciocca vermiglia dietro l'orecchio e tenendo lo sguardo fisso a terra.
«Ho trovato cosa fare nella mia vita, allora.»
Entrambi ridacchiarono appena, pur consapevoli che una simile eventualità non era proprio possibile. Chi mai si sarebbe fatto curare da una guaritrice con gli occhi dorati? La gente avrebbe preferito morire piuttosto che farsi toccare da lei.
«Tornerò il prima possibile.» Annunciò infine Ainohl, calandosi il cappuccio sul capo e uscendo dalla grotta. Ayleen lo seguì, naturalmente senza preoccuparsi di coprirsi e proteggersi un minimo dalla pioggia battente che li investì. «Non andare troppo in giro, va bene?» si raccomandò poi.
«Ho cibo a sufficienza per rimanere qui un altro po'. Non ti preoccupare, non andrò nel bosco.»
Ainohl annuì più sereno. Ancora una volta, in maniera del tutto istintiva, le posò una mano sul capo. «Cerca di non prenderti un malanno qui fuori!»
Ayleen sorrise divertita. «Attento a non prendertelo tu!»
Il ragazzo trattenne a stento una risata. Nonostante lei apparisse esile e fragile come una bambina, il freddo e la pioggia di quella contea non la scalfivano. Era decisamente più facile che si ammalasse lui, non essendo abituato a quel clima. 
«Verrei a farmi curare dalla mia guaritrice di fiducia, se dovesse succedere.» riuscì a farla ridere, e subito percepì la preoccupazione che l'aveva spinto fino lì, abbandonare il suo corpo. Col cuore più leggero, la salutò con un cenno del capo e corse via sotto la pioggia, ansioso di trovare riparo nella propria Contea.
Ogni volta che lasciava Ayleen indietro, un lieve senso di colpa gli prendeva lo stomaco. Gli sembrava sempre troppo ingiusto che lei dovesse rimanere lì sola e completamente indifesa.
Scacciò in fretta quelle sensazioni e raggiunse in fretta il confine. Prese un respiro prima di attraversare l'immensa cascata d'acqua che delimitava la fine di Sien e l'inizio di Keiran.
Fu un vero sollievo per lui sfuggire a quella pioggia insopportabile. Accolse con gioia lo spesso muro di nebbia che anticipò il suo ingresso a Keiran. Procedette sicuro, senza lasciare che la visibilità pressoché nulla intaccasse il suo orientamento. Pochi passi e la nebbia si fece meno opprimente. I suoi occhi iniziarono a delineare il profilo degli alberi e il tracciato del sentiero sotto i suoi piedi. Le lanterne perennemente accese che delimitavano tutte le strade di Keiran lo condussero fuori dalla linea di confine, dove la visibilità era certamente migliore.
Finalmente lontano dalla pioggia di Sien, Ainohl si tolse il cappuccio e si passò una mano fra i capelli scuri ormai fradici. Ancora una volta si trovò a chiedersi come facesse Ayleen ad amare così tanto quella Contea.
Era quasi arrivato a casa quando fu costretto ad un brusco arresto. Un sibilo, uno spostamento d'aria ad un soffio dal suo viso e una freccia che si conficcò dritta nel tronco di un albero che stava per superare.
Ainohl fece un profondo respiro. Strinse i pugni irritato e alzò poi gli occhi al cielo con rassegnazione. Si voltò verso il punto da cui la freccia era stata scagliata. Non vide nessuno, complici la nebbia e la vegetazione, ma sapeva benissimo chi fosse stato l'artefice di quel tiro da manuale.
«Buongiorno anche a te, Dana!» disse apparentemente al nulla. 
Non fu difficile, nell'assoluto silenzio che contraddistingueva la Contea di Keiran, udire lo scalpiccio di passi e la malcelata risata che seguirono.
A fare la sua comparsa fu una ragazza vestita di abiti maschili, i capelli biondi lunghi fino alle spalle e gli occhi azzurri decisamente seri e ostili. «Ah, sei solo tu!» si lamentò subito, andando senza indugi a recuperare la sua freccia dal tronco dell'albero. «Così conciato ti ho scambiato per un cinghiale.» 
Dana si concesse qualche istante per osservarlo da capo a piedi «Sono abiti invernali quelli?»
Ainohl non le rispose, non sapendo che scusa inventarsi per giustificare il proprio abbigliamento. Dana sorrise del suo silenzio. Era difficile avere a che fare con lei. Non tutti ci riuscivano. Aveva la fama di essere piuttosto intrattabile con tutti. Era facilissimo farla arrabbiare, complicatissimo avere una conversazione pacifica con lei. Ainohl la conosceva da sempre. Ogni qualvolta si ritrovasse a ripensare alla propria infanzia, nei suoi ricordi Dana era sempre presente.
Le persone in genere la evitavano, proprio a causa del suo brutto carattere, ma lui era diverso. Non solo aveva imparato a sopportare i suoi modi di fare, era persino arrivato ad apprezzarli. Li trovava più divertenti che fastidiosi. Dana non era sempre stata così. Lo era diventata dopo la tragica ed improvvisa morte dei suoi genitori. Il carattere freddo e scontroso era l'unica arma di difesa che era riuscita a costruirsi per non crollare in pezzi. Ainohl l'aveva sempre saputo e non l'aveva mai giudicata per questo. Per certi versi l'ammirava. Sembrava che nulla potesse abbatterla. Al suo fianco, lui si sentiva infinitamente più debole. Ciò nonostante le voleva bene. L'affetto che li legava non era mai stato espresso né con le parole né con i gesti da nessuno dei due, ma c'era. Entrambi lo sentivano, entrambi ne avevano bisogno. Probabilmente molto più Ainohl che Dana...
Non aveva mai mentito a sé stesso su quali sentimenti in realtà lo legassero a quella ragazza così strana. Non era semplice amicizia. Era molto di più. Ma Dana non era il tipo di donna a cui dichiarare il proprio amore. Probabilmente ne avrebbe riso, si sarebbe arrabbiata, o, peggio, non avrebbe reagito in alcun modo. Ainohl preferiva lasciare le cose immutate. Non voleva rischiare di rovinare il legame che li teneva uniti.
«Ebbene?» la voce di Dana lo riscosse da propri pensieri. «Cosa ti ha spinto fino alla Contea di Sien?»
Ainohl riprese subito il cammino, cercando di sfuggire in fretta da quel discorso. «Non sono andato a Sien.»
Dana lo raggiunse e gli lanciò un'occhiata eloquente. «Sei fradicio.» gli fece notare. «Quindi o sei caduto accidentalmente nel fiume, oppure hai oltrepassato il confine. Peccato però che gli abiti invernali che indossi ti tradiscano.»
Messo alle strette, Ainohl si sforzò di trovare una scusa decente, senza però trovarla. Era sempre così con Dana. Era sempre stata una buona osservatrice, anche se in quel caso non serviva esserlo per intuire la verità.
Non poteva rivelarle la verità. Dana purtroppo non la pensava come lui sui maghi. La sua mente era ricolma di odio e pregiudizi, causati in gran parte dal fatto che era stato proprio un mago a porre fine alle vite dei suoi genitori. Dana non avrebbe mai cambiato idea, non avrebbe mai compreso che non tutti i maghi erano malvagi. Se avesse saputo di Ayleen avrebbe immediatamente avvertito i suoi nonni, i capi – villaggio di Amdir. Loro avrebbero catturato Ayleen, l'avrebbero torturata fino all'arrivo delle guardie reali che l'avrebbero poi giustiziata.
Ad Ainohl non piaceva mentire a Dana, ma non poteva fare altrimenti.
«Sono andato a prendere un'erba medicinale per Eiron.» fu abbastanza soddisfatto di quella bugia improvvisata. Nemmeno Dana avrebbe potuto mettere in dubbio quelle parole. «E' una delle poche cose che funzionano davvero. Il problema è che cresce solamente in quel postaccio!» continuò imperterrito, per evitare che lei facesse troppe domande.
Dana sembrò convinta. «Bene. La prossima volta vengo con te!»
Ad Ainohl si mozzò il respiro in gola. «Non serve, faccio da solo. E poi quel posto è davvero orribile. Non ti piacerebbe per niente! Fa freddo e la pioggia è insopportabile.»
«E' probabilmente l'unica possibilità che ho per visitare una Contea diversa da questa. Vuoi forse negarmela?»
A quelle parole, Ainohl si rabbuiò. Dana era la nipote del Capo Villaggio... il suo destino era di diventare la guida di Amdir a sua volta, un giorno. Raggiunta l'età giusta, suo padre l'aveva chiusa in casa e aveva dato l'inizio al suo addestramento da futuro Capo Villaggio. Questo fino al giorno in cui era tragicamente morto insieme alla moglie. Da quel momento erano stati i suoi nonni a prendersi cura di lei ed occuparsi della sua severa educazione.
Dana non avrebbe mai voluto diventare il prossimo Capo Villaggio... Lei odiava sottostare alle regole, sentirsi in catene, obbligata ad un destino che non aveva scelto. Il suo sogno era lo stesso di Ainohl : lasciare Amdir ed esplorare l'intero Regno di Theires. Ma entrambi erano imprigionati lì. Dana aveva un ruolo da ricoprire, Ainohl un fratello malato e un'amica maga di cui occuparsi. 
«Ci faremo compagnia,» aveva detto una volta lei. «Marciremo insieme in questa dannata nebbia.»
Ainohl non l'avrebbe mai ammesso, ma quelle parole l'avevano riempito di gioia. Sarebbe rimasto volentieri bloccato per sempre ad Amdir se il prezzo da pagare era quello di trascorrere la vita al fianco di Dana.
«Ti assicuro che rimarresti molto delusa. Sien non è altro che un immenso acquitrino! Persino camminare è difficile.»
Quando arrivarono nei pressi dell'abitazone di Ainohl, gli occhi di Dana si accesero di entusiasmo nel vedere i genitori del ragazzo intenti a caricare di bagagli un carro. «Sono in partenza per Valcalia?» chiese.
Ainohl si limitò ad annuire in silenzio. Quando erano bambini, le diceva in continuazione che l'avrebbe portata a vedere Valcalia un giorno, ma quando poi era giunta la consapevolezza che ciò non sarebbe mai accaduto, non aveva più osato toccare quell'argomento. Dana sembrò colta dallo stesso identico pensiero e il suo viso s'incupì per il volgere di un istante.
La prima a vederli arrivare fu la piccola Ari, già seduta sul carro, circondata da casse grosse il doppio di lei. Li chiamò a squarciagola, sbracciandosi per salutarli, poi saltò giù dal carro e corse loro incontro. Si aggrappò alla vita di Ainohl senza riuscire a contenersi.
«Hanno detto che mi portano con loro a Valcalia! Non volevano ma ho detto che sei stato tu a promettermelo!»
Ainohl fu davvero felice di vedere la bambina così allegra. Gli avvenimenti di quella notte sembravano aver lasciato la sua mente almeno per un po'. Gli sorrise provando ad apparire entusiasta tanto quanto lei «Io mantengo sempre le promesse, lo sai.»
Ari si sciolse in una risata gioiosa prima di tornare di corsa ad accomodarsi sul carro, ansiosa di iniziare quel viaggio.
«Si può sapere dove sei stato?» Fu la voce di sua madre a farlo trasalire l'istante successivo, autoritaria come sempre. «Fai promesse a tua sorella senza disturbarti di renderci partecipi, te ne vai in giro in piena notte... torni completamente fradicio!» aggiunse, notando solo all'ultimo momento il suo aspetto. «Cosa ti è successo?»
«Sono caduto nel fiume.» rispose immediatamente Ainohl, senza nemmeno starci a pensare. Pur non vedendola, percepì l'occhiataccia di Dana trapassarlo da parte a parte, ma provò ad ignorarla.
Sorprendentemente però, la ragazza gli resse il gioco. «Incidente di caccia!»
La donna sbuffò con stizza «Sembrate due bambini!» continuando a borbottare e lamentarsi, andò poi ad aiutare il marito a sistemare le ultime casse sul carro. Ari, curiosa, le controllava una ad una, ponendo in continuazione domande al padre che, paziente come sempre, le spiegava tutto ciò che voleva sapere.
Nella famiglia di Ainohl i ruoli erano tutti rovesciati. Erano i fratelli minori a trasmettere forza al maggiore, era il primogenito ad incoraggiare i genitori, era l'unica donna di casa a detenere il potere fra le mura domestiche. Il padre di Ainohl aveva un'indole troppo buona e gentile per poter anche solo sperare di apparire severo agli occhi di chiunque.
Sanae e Morsten, questi erano i loro nomi. Sanae era una straniera. La sua pelle olivastra e i suoi occhi scuri lasciavano intuire che provenisse dalla lontana ed inospitale Contea di Sahat. Aveva abbandonato la sua terra all'età di sedici anni, unicamente per amore dell'uomo che poi aveva sposato.  
Morsten al contrario era originario della Contea di Keiran, luogo dove aveva poi scelto di far crescere i suoi tre figli. La sua non fu una scelta dettata dall'affetto verso la propria terra natìa, ma piuttosto dalle condizioni favorevoli in cui quel luogo versava. Era l'unica Contea di tutta Theires dove nessuno soffriva la fame e dove le condizioni climatiche non erano troppo difficili da affrontare. Ad affliggere i suoi abitanti vi era solamente una spessa e perenne nebbia. Si soffriva un po' la mancanza del sole, ma si sopravviveva senza troppi problemi.
Morsten era un Cacciatore di Reliquie, l'unico di tutta la Contea di Keiran. Godeva del rispetto di tutti e il suo lavoro aveva permesso ad Ainohl, Eiron ed Ari di crescere in un ambiente sereno e economicamente stabile. Era uno storico, uno studioso, aveva visitato tutto il Regno di Theires ed era entrato in possesso d'importanti manufatti che rivendeva poi a facoltose famiglie nobiliari. Una volta aveva anche fatto affari con Re Roland in persona, ma era un aneddoto di cui non aveva mai amato particolarmente parlare. Morsten non andava famoso per la sua lealtà nei confronti del sovrano. Non che ci fosse molta gente che gli fosse fedele, in genere si evitava di toccare l'argomento. Le persone raramente parlano di ciò che li terrorizza.
Sanae era una donna molto severa e intransigente. Non aveva mai avuto i comportamenti tipici di una madre, ma Ainohl non gliene faceva una colpa. Era la più piccola di cinque fratelli e l'unica figlia femmina della sua famiglia. Era cresciuta senza una figura materna. Sua madre era morta dandola alla luce, quindi lei era cresciuta circondata da uomini.... e gli uomini della Contea di Sahat erano assai famosi per la loro rudezza e per la loro spiccata brutalità. Duri e spietati come il deserto che aveva inghiottito la loro terra.
Non era certo complicato capire cosa l'avesse fatta innamorare perdutamente di Morsten. Lui era l'esatto opposto di tutto ciò che lei aveva sempre visto in un uomo. Era dolce, affettuoso, gentile, sensibile... qualità che lei non aveva mai conosciuto.
Eiron tuttavia, era l'unico che aveva l'onore di vedere il lato più tenero di lei. Ad Ainohl non avevano mai irritato le attenzioni che Sanae rivolgeva al suo figlio minore. Di tante sfortune di cui si era fatto carico, almeno aveva il vantaggio di essere il figlio prediletto. Persino la piccola Ari l'aveva capito.
«Sei ancora in tempo a venire con noi, se vuoi.» 
La voce di suo padre lo riscosse da ogni pensiero, mentre mezzo intorpidito dalla notte in bianco si avvicinava al carro dei suoi genitori.
Andavano ogni estate a Valcalia. Laggiù arrivavano le navi direttamente dal Regno di Keladia e Morsten riusciva a barattare ed entrare in possesso di reliquie rare e preziose. Il tutto avveniva sotto l'occhio vigile delle guardie del Re ovviamente. Erano davvero in pochi ad avere l'onore di avvicinarsi a quelle navi, i cacciatori di reliquie erano fra questi.
Tante volte Ainohl aveva voluto andarci, aveva sentito storie incredibili sulla Contea Sheiran.
«Oh la dovresti vedere Ainohl...» Aveva detto una volta sua madre parlando della capitale di quella terra, eccitata quanto una bambina. «Valcalia risplende di luce propria, nonostante il sole laggiù non splenda quasi mai. E il mare... il suo odore, il suo suono. É qualcosa d'impossibile da descrivere. Sembra vivo! E' così diverso da qui. All'alba e al tramonto, ogni cosa brilla. Il sale rende tutto scintillante e le strade sembrano ricoperte di diamanti.»
Era la caratteristica più famosa della Contea di Sheiran: il sale.
Gli abitanti in pratica, ci camminavano sopra. Uno spesso strato di sale marino ricopriva tutta la Contea, come fosse neve. Il cielo era sempre coperto di nuvole, ma all'alba e al tramonto il sole decideva di fare capolino e i suoi raggi andavano a sfiorare proprio quei granelli di sale, che così prendevano a brillare.
Sua madre ne aveva raccolto un po'. Lo aveva messo in una boccetta di vetro che portava al collo, sperando di portare con sé un po' di quella luce, ma nella Contea di Keiran, non vi era nulla a far brillare quel sale.
Gli occhi neri di Sanae si riempivano sempre di malinconia ogni volta che parlava della luce, o del sole. Era qualcosa che a lei, cresciuta nel luogo più assolato di Theires, era sempre mancato. Lì nella Contea di Keiran il sole non c'era... O meglio, c'era ma non lo si poteva vedere.
Le strade erano costeggiate di fiaccole perennemente accese, quelle erano l'unica fonte di luce di quella terra.. Si poteva apprezzare  solo se si era nati lì. Ad Ainohl la nebbia piaceva. Lo faceva sentire al sicuro, protetto dagli orrori che spesso si consumavano nelle altre Contee. «La nebbia ci nasconde anche dalla follia di Re Roland» , diceva sempre suo padre. Aveva ragione. Mai si erano viste le guardie del Re solcare quel territorio. Evidentemente non riuscendo ad orientarsi a causa della nebbia, preferivano non addentrarsi entro i confini di quella Contea, o rimanersene a proteggere il Principe Guardiano nel suo palazzo. Per gli stranieri era straordinariamente facile perdersi.
«No, qualcuno deve restare con Eiron.» rispose Ainohl a suo padre, aiutandolo a caricare un grosso baule sul carro. «Magari la prossima volta...» Lo ripeteva sempre, ma quella fantomatica prossima volta non era mai arrivata.
«Non sarebbe da solo, lo sai.» L'uomo lanciò uno sguardo a Dana che, silenziosa, si stava divertendo a raccontare cose spaventose e false su Valcalia ad Ari. Morsten si stava ovviamente riferendo alla nonna della ragazza. La moglie del Capo Villaggio, che era anche l'unica Guaritrice presente lì nel piccolo e sperduto villaggio di Amdir, sarebbe stata più che disponibile a prendersi cura di Eiron durante la loro assenza, ma ciò non bastò a convincere Ainohl. Ad Eiron non piaceva quella donna. Non aveva niente che non andava, ma semplicemente lo metteva in soggezione. Non aveva mai detto nulla a tal proposito, ma Ainohl sapeva che preferiva avere un famigliare al suo fianco, piuttosto che una mezza estranea. 
E poi, non poteva stare via così a lungo. Aveva Ayleen... Non poteva lasciarla sola. Lei non aveva nessun'altro.
«Si lo so...»
Suo padre non insistette, si limitò a sorridergli comprensivo. «Non potrai occuparti per sempre di lui, Ainohl. Dovrai farti una vita prima o poi.» aggiunse comunque.
Ainohl sospirò senza dire nulla. A ventidue anni, tanti suoi coetanei avevano lasciato da un pezzo la loro casa. La maggior parte dei suoi amici d'infanzia erano già sposati, alcuni con figli, altri avevano lasciato Amdir... Ma non lui. Sebbene fin da bambino avesse sognato di esplorare tutto il Regno di Theires. Non se la sentiva di andare via, non ancora. «Quando Eiron sarà guarito.» Si ripeteva sempre...
«Vuoi che ti porti qualcosa da Valcalia?» domandò poi Morsten, assumendo un tono più allegro e cordiale, mentre caricava l'ultima cassa sul carro e copriva il tutto con un telo.  Ari scoppiò a ridere e lanciò un urletto quando ci rimase sotto. Dana l'aiutò a trovare l'uscita.
«Si.» rispose pronto Ainohl, «Una medicina per Eiron. Quelle navi provengono dal regno dei maghi! Dovranno pur contenere qualcosa che non sia qualche inutile coccio o il solito vecchio libro scritto in qualche lingua sconosciuta, no?»
Morsten lo fissò accigliato, ma in una maniera del tutto bonaria. «Rispetta il mio lavoro, ragazzo! Sono quegli inutili vecchi cocci a darti da mangiare.»
«No, è la tua spiccata persuasione a darci da mangiare. Solo uno stupido riempirebbe casa propria con quella robaccia.»
«I nobili sono stupidi, per nostra fortuna. E molto annoiati. Inoltre hanno delle dimore con un sacco di stanze inutilizzate da poter riempire con quella robaccia.»
Ainohl soffocò una risata che spense subito non appena Sanae li raggiunse. Non aveva paura di sua madre, ma sapeva quanto a lei non piacessero quei discorsi. Per lei il lavoro era sempre fatica e sacrificio, andava rispettato, mai deriso. Tipica convinzione degli abitanti della Contea di Sahat... 
«E' tutto pronto, cara.» Disse Morsten, salvando il figlio da una probabile ramanzina. Sanae gli rivolse un fugace sorriso, prima di avvicinarsi ad Ainohl, stavolta con un'espressione più dolce.  
«Mi raccomando...» fece, posandogli una mano sul viso. «Prenditi cura di tuo fratello.»
«Lo faccio sempre.»
«Continua a farlo, va bene? ... Almeno finchè non torniamo.»
Ainohl annuì, sorridendo a sua madre in uno di quei rari momenti in cui lei non appariva minacciosa. «Goditi la luce di Valcalia.»
Gli occhi di Sanae brillarono di entusiasmo all'istante, come ogni volta che si accennava al sole o a qualsiasi cosa luminosa. «Lo farò. Puoi scommetterci!»
Sua madre lo abbracciò un po' impacciatamente. Ainohl era troppo alto per lei ormai, dovette mettersi in punta di piedi e lui dovette abbassarsi un po' per ricambiare. «Attenta, sono bagnato fradicio!»
«Questo perchè sei un pessimo cacciatore!» lo prese in giro Dana.
Salutò poi suo padre con un semplice cenno del capo e un sorriso denso di parole inespresse. Ainohl ebbe l'impressione che stesse per dirgli «Fai il bravo», ma lui di certo ormai era troppo cresciuto per sentirselo dire.
Ari si sporse verso di lui e gli mostrò qualcosa che si era messa al collo. Era una boccetta di vetro identica a quella della madre, solamente vuota. «Ci metterò il sale e lo porterò sempre con me!» gli confidò tutta eccitata.
Ainohl le sorrise «Prendine tanto, così riempiamo una boccetta anche per me.» La bambina annuì raggiante ed entusiasta a quel compito che le era stato appena assegnato. In quel momento gli ricordò tanto Ayleen... quella collana improvvisata, che ora la bambina nascose dentro i suoi abiti come per proteggerla, gli fece venire in mente la Lacrima di Luna della sua amica maga.
Entrambi i suoi genitori salirono poi sul carro e partirono, pochi istanti e sparirono inghiottiti dalla nebbia. Solo il rumore delle ruote sul sentiero, degli zoccoli del cavallo e della vocina di Ari che si era messa a cantare, ci misero di più a dissolversi.
Ainohl rimase a fissare il punto in cui erano come spariti per qualche istante. Ogni volta che partivano si trovava ad immaginarsi come sarebbe stato fare un viaggio tutti insieme. Lui, Ari, i suoi genitori e Eiron. Ma era meglio non pensarci troppo... le probabilità che rimanesse solo un sogno ad occhi aperti erano fin troppo alte.
La mano di Dana si posò sulla sua spalla, in maniera tutt'altro che delicata. «Ho mentito per te, mio caro ragazzo. Mi devi un favore!»
Ainohl sospirò rassegnato. I favori nei confronti di Dana assomigliavano il più delle volte a dei ricatti veri e propri. Si voltò in attesa della sua richiesta, aspettandosi qualunque cosa.
«Ho una fame tremenda.» fu tutto ciò che disse.
Ainohl si lasciò andare ad un sospiro sollevato. «Vieni.»
Le fece strada fino all'uscio di casa. Appena entrarono, il calore che dal camino si disperdeva in tutta la casa, lo avvolse in un dolce e piacevole abbraccio. Solo in quel momento si accorse di quanto infreddolito fosse con quegli abiti fradici addosso.
Dana andò senza troppi fronzoli a sedersi al tavolo da pranzo. Ainohl avrebbe voluto mettere radici davanti al fuoco e non muoversi più, ma l'istinto lo spinse di getto verso la propria stanza da letto. Si assicurò che Eiron dormisse ancora e che... respirasse ancora.
Il terrore di trovarlo senza vita gli prendeva lo stomaco ogni volta che varcava la porta di quella camera. Suo fratello dormiva sereno e respirava regolarmente. Ainohl ne approffittò per levarsi quegli indumenti bagnati e mettersi qualcosa di asciutto.
Quando tornò da Dana, deciso a preparare la colazione sia per lei, che per sé e Eiron, Dana ruppe il silenzio.
«Stanotte c'è stato un rito di purificazione.»
Ainohl si sentì gelare il sangue nelle vene. Non voleva ripensare a quell'avvenimento. Era riuscito a distrarsi a sufficienza per dimenticarlo almeno per un po'. Non voleva affrontare quell'argomento. Soprattutto, non con lei.
«Che spreco!» continuò Dana, come se stesse parlando di una delle prede che cacciava, anziché di un bambino innocente. «Lasciargli indosso la Lacrima di Luna è un vero delitto. Cosa se ne può fare da morto? … Quelle dei neonati non hanno molto valore, però forse la vita te l'allungano lo stesso!»
Ainohl stava dando le spalle a Dana e nell'ascoltarla, si sentì invadere dalla rabbia. 
«Non ne voglio parlare.» disse con un tono talmente freddo, da stupire anche se stesso. Tuttavia Dana, non sembrò sentirlo.
«Quei piccoli mostri avvelenano anche la loro stessa madre! Quella povera donna ha del tutto perso il senno, dovresti sentire cosa va blaterando!»
«Penso che il senno l'abbia perso perchè si è vista strappare via il suo bambino dalle proprie braccia e gettarlo in un pozzo.» gli fece notare lui, cercando di restare calmo. «Qualunque madre reagirebbe allo stesso modo.»
Dana rimase in silenzio qualche istante. Ainohl ancora le dava le spalle e non poteva provare ad intuire cose le stesse passando per la testa.
«Quale madre considera quegli abomini alla pari dei propri figli ?»
Solo a quel punto, Ainohl si decise a voltarsi verso di lei. Vedere il suo volto privo di qualsiasi pentimento, lo fece irritare ancora di più. Era una battaglia persa. Non sarebbe mai riuscito a farle cambiare idea... Pensare che la ragazza che amava potesse avere simili convinzioni, faceva male. Poteva accettare che i suoi stessi famigliari le avessero, così come la gente di Amdir e di tutto il regno. Ma era soprattutto l'idea che le avesse Dana a farlo soffrire.
«Non sono abomini. Non decidono loro di nascere così!»
Dana sbuffò sonoramente, alzando gli occhi al cielo, «Ti prego, dimmi che non hai intenzione di ricominciare con questa storia del difendere i maghi!»
Ainohl si vide costretto a ricacciare indietro ciò che davvero premeva per uscire dalle sue labbra. Tante volte aveva provato a far ragionare a Dana, e i risultati non erano mai arrivati. Non voleva litigare con lei. Non voleva sentirla accusare i maghi di essere dei mostri. Non con l'immagine del sorriso radioso e gentile di Ayleen in testa, mentre gli donava le erbe curative per Eiron che aveva raccolto rischiando di venire catturata dagli abitanti di Aranel. Non con il ricordo del volto terrorizzato di Ari mente assisteva a quello scempio. Non con Eiron nella stanza accanto, che finalmente dormiva sereno.
«Come ho già detto Dana, non ne voglio parlare.»

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