Tutta colpa del destino

di Emily27
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Speranza ***
Capitolo 2: *** Dear Jethro... ***
Capitolo 3: *** Presente e passato ***



Capitolo 1
*** Speranza ***


Tutta colpa del destino


Primo capitolo
Speranza





 
Tre ore, tre lunghe ore che erano passate lente come fossero giorni. Il tempo sembrava aver rallentato la sua corsa: ogni volta che Gibbs guardava l'orologio appeso alla parete grigia di fonte a lui, le lancette si erano spostate appena.
Posò le braccia sulle ginocchia e si prese il viso fra le mani, traendo un lungo sospiro. Non ricordava l'ultima volta in cui si era sentito tanto in preda all'ansia e aggrappato così fortemente alla speranza. Era solo, seduto su quella che faceva parte di una fila di sedie lungo il corridoio deserto, al termine di cui, a pochi metri di distanza, c'era quella porta. Sempre impietosamente chiusa.
Lui, così abituato alla solitudine, in quel momento desiderò avere qualcuno accanto che gli dicesse, anche mentendo, che sarebbe andato tutto bene.
Guardò di nuovo l'orologio: tre ore e dieci minuti.
Si tirò su contro lo schienale della sedia e appoggiò la testa sul muro. Chiuse gli occhi e infilò una mano nella tasca della giacca, toccando la lettera che Jenny gli aveva dato prima che i loro sguardi si scambiassero un ultimo saluto silenzioso.
Se non ci rivedremo più, leggila.



Washington, otto giorni prima

Tutti stavano ridendo ai racconti di Mike Franks, tutti tranne Gibbs. Cosa diavolo gli era venuto in mente di rivelare alla squadra le sue disavventure da “pivello”? Non lo aveva mai fatto prima e nessuno glielo aveva mai domandato. Non aveva idea da quale discorso avesse preso spunto, poichè quando li aveva raggiunti alle scrivanie ne stavano già parlando e la sua reputazione era ormai stata intaccata.
«Ehi, capo, sei davvero tu la persona di cui sta parlando Mike?» chiese DiNozzo, per il quale le rivelazioni dell'agente anziano sembravano essere divertimento puro.
«Certo che sto parlando di lui» rispose Franks al posto di Gibbs, dando una pacca sulla spalla di quest'ultimo.
Jethro sospirò, rassegnato al fatto che quelle informazioni fossero ora di dominio pubblico.
«Sto già pensando a quando sarò un vecchio agente in pensione e racconterò le gesta del nostro pivello» disse Tony girandosi verso McGee con uno sguardo perfido.
«Posso immaginare...» fece Ziva sollevando gli occhi al cielo.
Timothy incrociò le braccia sul petto e replicò: «Io non voglio immaginare.»
«Per me di pivello ne esiste soltanto uno» dichiarò Franks. «E sono orgoglioso di lui.» Una seconda pacca sulla spalla di Gibbs accompagnò le sue parole, mentre il diretto interessato si lasciava andare ad un sorriso.
«Sai sempre come farti perdonare, Mike.»
Franks salutò tutti: era giunto il momento di andare, il volo per il Messico lo stava aspettando. Una settimana prima aveva accompagnato Jenny, Ziva e Tony di ritorno da Los Angeles, dando poi un valido aiuto nella cattura di Svetlana, alla fine rimasta uccisa proprio per mano sua, e successivamente si era trattenuto a Washington per alcuni giorni.
«Passo a salutare Jenny e poi tolgo il disturbo...» Mike ebbe appena il tempo di pronunciare tali parole, che vide il direttore scendere la scala. «Come non detto.»
Jenny lo raggiunse e insieme a Gibbs lo accompagnò all'ascensore.
«Grazie di nuovo, Mike, per esserci stato. Non lo dimenticherò» disse lei.
«Quando gli amici chiamano, Mike Franks risponde. Anch'io ho le mie regole, giusto?» domandò all'ex collega.
«Giusto» rispose Jethro con un sorriso, che lasciò il posto sul suo volto ad un'espressione più seria. «Grazie, di tutto.»
«Basta coi ringraziamenti, o finirò col sentirmi troppo importante.»
Le porte dell'ascensore si aprirono e Mike passò ai saluti.
«A presto, Pivello» disse, poi si avvicinò a Jenny. «Abbi cura di te...»
A Gibbs non sfuggì il lungo sguardo che i due si scambiarono.
Una volta che Franks fu salito sull'ascensore e le porte scorrevoli si furono chiuse, il direttore Shepard si voltò verso Jethro. «Devo parlarti, ma non ora.»
«Va bene» rispose lui, senza porre domande.

Quella sera, mentre levigava il legno della barca, Jethro lasciò che i suoi pensieri fluissero liberamente. Da sempre, lo scantinato era il luogo migliore dove poterlo fare.
Solo una settimana prima, Jenny lo aveva chiamato da Los Angeles per metterlo al corrente dei fatti avvenuti laggiù e di come lei e Mike Franks avessero affrontato da soli gli uomini arrivati nel diner. A fatti avvenuti, appunto. Era una questione che riguardava anche lui e lui avrebbe dovuto essere là a proteggerla, invece era stata Jenny a voler proteggerlo, tenendolo fuori e appellandosi a Mike. Ne avevano discusso, in uno scontro che non aveva portato a niente, e tutto quello che gli era rimasto era stato il pensiero di aver corso il rischio di perderla. Un rischio scampato, ma che la realtà che si profilava all'orizzonte trasformava brutalmente in una certezza.
Non fu per lui una sorpresa vedere comparire Jenny in cima alla scala.
«Un tacito appuntamento, il nostro» considerò mentre scendeva lentamente i gradini.
«A volte non servono tante parole» sostenne lui alzando un attimo gli occhi a guardarla, per poi riabbassarli sul lavoro che stava facendo.
Jenny gli fu accanto e lo osservò con le mani infilate nelle tasche dello spolverino.
«No, se conosci bene la persona che ti sta di fronte.»
«Dovevi parlarmi?» domandò Gibbs senza smettere di levigare.
«Sì...» rispose Jenny quasi in un sussurro. Lasciò trascorrere alcuni secondi, prima di continuare. «Sono malata, Jethro.»
Lui arrestò il movimento della mano e gettò la lima sul tavolo.
«Finalmente. Cosa aspettavi a dirmelo, di non essere più in grado di svolgere il tuo lavoro?» Il suo tono risultò più brusco di quanto avrebbe voluto.
Lei restò impietrita.
«Tu... lo sapevi?»
«Perchè non me l'hai detto prima?»
«Lo sapevi.» Jenny scosse la testa. «Ducky. Avrei dovuto immaginarlo.»
«Perchè, Jen?» domandò ancora Gibbs più dolcemente, con gli occhi che cercavano i suoi. Quando Jenny alzò lo sguardo li vide, lucidi e fieri.
«Non volevo essere considerata e trattata come una malata, che provassi pena per me, che ti preoccupassi per me. Volevo restare la solita Jenny, e dirtelo avrebbe reso tutto più reale. Ho rimandato, ma era giusto che tu lo sapessi.»
Gibbs era al corrente della sua malattia da un po' di tempo, ma ascoltarla mentre ne parlava gli fece male.
«Mi addolora, Jenny, sono preoccupato. E lascia che io lo sia.»
«Ecco, lo vedi...» Il debole sorriso del direttore Shepard non arrivò a illuminarle il volto.
«Lo sa anche Mike, vero?»
«Non ti sfugge niente, Jethro. Sì, ha trovato le mie medicine.»
«È lui che ti ha convinta a dirmelo?»
«In parte» ammise lei. «Ma c'è anche un'altra cosa.» Jenny fece una pausa, poi proseguì. «L'altro ieri sono stata dal dottor Brooks, il medico che mi ha in cura, e ho ricevuto una buona notizia, se così la vogliamo chiamare. Esiste la possibilità di un intervento.»
Una luce attraversò il cuore di Gibbs e istantaneamente si tramutò in parole forse troppo cariche di illusione.
«Potresti guarire?»
«Non si sa. È un metodo di cura ancora in fase sperimentale, finora vi si è sottoposto un limitato numero di pazienti e solo in meno del quaranta per cento dei casi l'intervento è riuscito, ma è una speranza, ed io ho deciso di coglierla» spiegò Jenny.
«Questa è una buona notizia» disse lui. Anche se non c'era nessuna certezza, voleva crederci.
Lei annuì.
«Già. E sai una cosa... Se Mike fosse rientrato in quel diner un secondo più tardi io adesso non sarei qui. Anche se spesso siamo noi a decidere il nostro destino, forse in questo caso è stato lui a dettare gli eventi, per donarmi questa possibilità.»
«Forse... Ma se esiste un destino, voglio credere che ci sia anche scritto che tu starai bene.»
Jenny emise un sospiro. Chiuse gli occhi per alcuni istanti e poi li riaprì in quelli di Jethro.
«Ho bisogno di crederlo anch'io.»
Gibbs lo vide, il timore che cercava di dominare. Era quello di chi teme di vedere le proprie speranze disilluse e di dover fronteggiare ciò che ne consegue.
«È già stata fissata una data per l'intervento?»
«Sì, sarà la prossima settimana, è già tutto stabilito, meglio non aspettare troppo» rispose Jenny, poi, in un tono più basso e fermo, aggiunse: «Questo lo sai solo tu. E lo saprai solo tu.»
Gibbs restò in silenzio, era uno di quei momenti in cui le parole risultavano superflue.
L'indipendente e coraggiosa Jenny Shepard voleva affrontare tutto da sola, senza dire nulla alle persone che le volevano bene, senza consentire loro di starle vicino. Forse non intendeva permetterlo neanche a lui.
«In quale ospedale sarai ricoverata?»
«Non sarò operata a Washington e nemmeno qui negli Stati Uniti. Ad eseguire l'intervento sarà il dottor Legrand, alla clinica Mont Louis di Parigi.»



Parigi, oggi

Se non ci rivedremo più, leggila.
Non voleva pensarci, non voleva perderla, né fra un'ora e né fra mesi.
Quell'attesa lo stava logorando. Più passava il tempo, più vedeva spegnersi la speranza, nonostante s'imponesse di non pensare al peggio. Il medico aveva detto che l'intervento sarebbe durato circa tre ore, ma ne erano già trascorse più di quattro e la porta della sala operatoria continuava a restare chiusa. Non era un buon segno.
Jethro si alzò in piedi e mosse alcuni passi, incapace di contenere l'ansia crescente che lo divorava, poi appoggiò la schiena ad una parete e si passò una mano sul viso.
Cosa stava succedendo là dentro? Quali erano le condizioni della sua Jenny?
La sua Jenny.
Gli era venuto naturale definirla così, perchè, dopo che aveva perso Shannon, era stata l'unica donna che avesse amato davvero. E che amava ancora.
Malgrado fingessero il contrario, negassero l'evidenza, malgrado lei avesse un tempo deciso che le loro strade dovessero dividersi, i loro sguardi non mentivano: quello che c'era stato non era mai finito. Incominciò a credere che il destino avesse sul serio fatto la sua parte, ma soltanto per prendersi gioco di loro, conducendoli nel luogo dove tutto aveva avuto inizio e proprio lì mettervi fine.
Trascorsero altri dieci minuti, che divennero quindici. Jethro fu attraversato da un brivido quando vide aprirsi la porta della sala operatoria. Si staccò dal muro, mentre compariva il dottor Legrand con la mascherina calata sul collo, la fronte imperlata di sudore e l'espressione indecifrabile.
Gibbs non osò domandare, combattuto tra la speranza, che fulminea era ritornata a bussare alla porta del suo cuore, e la paura delle terribili parole che avrebbe potuto udire.




Anche questa volta sarò breve, tre capitoletti e mi tolgo di torno ;)
Giusto per tenervi un po' sulle spine... o almeno spero :P
Il prossimo tra una settimana.
Ciao!

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Capitolo 2
*** Dear Jethro... ***


Secondo capitolo

Dear Jethro...





Washington, sette giorni prima

Gibbs non aveva chiuso occhio per buona parte della notte, tenuto sveglio dal pensiero di Jenny e di ciò che gli aveva confidato. La mattina si era recato al lavoro con l'intenzione di parlarle, ma durante il tragitto era stato raggiunto da una chiamata per un omicidio. Arrivato alla sede dell'NCIS, aveva radunato la squadra ed erano partiti alla volta di Norfolk, sotto ad un cielo carico di pioggia.
Nel tardo pomeriggio il caso era già stato risolto: l'amante del marine ucciso, in preda al rimorso, aveva confessato. Uscendo dalla sala interrogatori, Jethro si era subito diretto all'ufficio di Jenny.
Aprì la porta ed entrò, trovandola in piedi davanti alla finestra a guardare oltre i vetri rigati dalla pioggia battente. Il direttore Shepard si voltò solo per un momento, poi, silenziosamente, tornò a rivolgere lo sguardo al di fuori.
Jethro le si avvicinò e, osservando il profilo del suo viso, libero dai capelli che erano raccolti in una coda, disse: «Vengo con te a Parigi.»
«Non è necessario» sostenne Jenny senza posare gli occhi su di lui.
Si era aspettato una risposta di quel genere, ma niente gli avrebbe fatto cambiare idea.
«Non ti lascerò sola.»
«Non ho bisogno...»
Jethro non la lasciò proseguire, avrebbe soltanto mentito a se stessa e a lui.
«Sì invece, ne hai bisogno. Guardami, Jen.» La prese per le spalle e la costrinse a voltarsi e guardarlo. «Io ci sarò. Comunque vada l'intervento, quando ti sveglierai e aprirai gli occhi io sarò lì.»
«C'è una cosa che non ti ho detto. L'operazione è rischiosa, potrei non svegliarmi più.»
Per lui fu come una pugnalata. Il pensiero di quell'eventualità lo fece tremare. Dalle spalle, fece scivolare le mani sulle sue braccia, mentre Jenny continuava.
«Alcuni pazienti non l'hanno superata, è uno dei motivi per cui questo tipo di cura non si è ancora diffuso, ma la possibilità di guarire esiste ed io voglio rischiare. Anche se non lo facessi, non mi resterebbe comunque molto tempo.»
Aveva parlato in maniera tranquilla: ciò che la spaventava non era morire, ma, come aveva capito la sera prima, sperare. Avrebbe voluto prenderla tra le braccia, però si sentiva bloccato. Da cosa, non lo sapeva nemmeno lui.
Jenny lo scrutava e sembrava quasi volesse consolarlo, quando invece doveva essere il contrario. Già una volta non gli aveva consentito di proteggerla, ora avrebbe dovuto permettergli di starle vicino.
Rompendo ogni indugio, lo fece, la prese tra le braccia.
«Qualunque cosa accadrà, io sarò con te.»
Jenny lo lasciò fare, appoggiando la testa sulla sua spalla e abbandonandosi a quell'abbraccio. Jethro la strinse più forte a sé e le accarezzò dolcemente i capelli, ritrovando il calore del suo corpo e le sensazioni di un tempo non così lontano, mentre un nodo gli serrava la gola.

Quattro giorni dopo, Gibbs, alla presenza di Jenny, riunì la squadra attorno alla sua scrivania, Abby e Ducky compresi. Davanti a cinque sguardi attenti e altrettante espressioni interrogative, parlò loro.
«Io e il direttore domani lasceremo Washington, non sappiamo per quanto staremo via. Fino al nostro ritorno sarai tu, DiNozzo, a prendere il comando della squadra. In caso di estrema necessità, e solo in quel caso, contattate me.»
A quel punto arrivarono le domande.
«Va bene, capo, ma cosa sta succedendo?» chiese Tony rivolgendosi anche a Jenny.
«Si tratta di una missione segreta?» fu l'ipotesi di Abby.
Anche Ziva si fece avanti. «Sicuri che non vi serva aiuto?»
«No, questa volta no» rispose il direttore Shepard.
Non per quello che andavano a fare a Parigi, pensò Gibbs, o quanto meno non l'aiuto che l'agente David intendeva. Voleva rispettare la decisione di Jenny di tenerli all'oscuro, e si augurava con tutto se stesso che presto lei avrebbe potuto raccontare loro il motivo e il buon esito di quel viaggio.
«È qualcosa che ha a che fare con il caso di Svetlana?» chiese McGee.
«No, quella faccenda è definitivamente chiusa» rispose ancora Jenny, dopodichè annunciò: «Durante la mia assenza mi sostituirà il vice direttore Vance.»
Tutti facevano correre lo sguardo ora su di lei, ora su Jethro, e fu DiNozzo a dare voce all'evidente apprensione generale.
«Va tutto bene?»
Gibbs si rese conto che lui e Jenny non dovevano avere un'aria molto rassicurante.
«È tutto a posto. Se volete esserci d'aiuto, continuate a fare il vostro lavoro come sempre. A partire da ora» ordinò con decisione.
Senza proferire parola, ogni componente della squadra tornò alla propria postazione. Abby prese la via del suo laboratorio, non senza aver lasciato a Gibbs un'ultima occhiata impensierita. Ducky, che fino a quel momento era rimasto in silenzio, prima di andarsene disse: «Per quanto possa servire e risultare adatto, vi auguro buona fortuna.»
Jethro e Jenny si guardarono: le sue parole e la gravità con cui le aveva pronunciate, avevano fatto intendere loro che probabilmente il dottor Mallard doveva aver intuito qualcosa, che la ragione della loro partenza fosse in qualche modo legata alla malattia del direttore, dato che lui ne era a conoscenza.
Gibbs osservò Jenny mentre si allontanava per tornare nel suo ufficio, pensando a quanto avesse bisogno dell'augurio di Ducky.



Parigi, oggi

Nicolas Legrand, alto e dalla corporatura asciutta, aveva due profondi occhi scuri e capelli tagliati corti tendenti al grigio, ora spettinati. Era un uomo gioviale e un medico sensibile e dai modi rassicuranti, brillante e di estrema competenza, lo avevano compreso fin da subito, quando li aveva ricevuti nel suo studio all'interno della clinica.
Legrand aveva esposto a Jenny i rischi a cui inevitabilmente sarebbe andata incontro e i miracolosi benefici che avrebbe potuto offrirle l'intervento. Lei aveva riposto nel dottore la sua fiducia.
Sul viso provato del medico, dapprima Gibbs non riuscì a scorgere nessun segnale circa l'esito dell'intervento, ma poi le sue labbra si curvarono in un sorriso.
Allora il cuore di Jethro si allargò e sembrò scoppiargli nel petto.
«L'intervento è perfettamente riuscito, signor Gibbs» fece il medico in tono pacato. «Ad un certo punto sono sorte delle complicazioni, ma Jenny è stata forte e le ha superate. Ora le servirà un bel periodo di convalescenza, ma guarirà del tutto.»
Quasi incredulo, Jethro gli espresse la propria riconoscenza: «Le ha salvato la vita.»
«È a questo che dedico le mie giornate» rispose Legrand sorridendo nuovamente.
«Quando potrò vedere Jenny?»
«Per circa un'ora sarà ancora sotto l'effetto dell'anestesia, ma può restare con lei e aspettare che si svegli. Tra poco verrà portata nella sua stanza.»
«L'aspetterò là.»
«Ora mi scusi, ma vado a sistemarmi» si congedò con gentilezza il dottor Legrand, prima di rientrare da dove era uscito.
Gibbs trasse un respiro profondo e si sedette sulla sedia, lasciando che la tensione accumulata abbandonasse il suo corpo. Un unico pensiero occupava la sua mente: Jenny sarebbe guarita. Era andato tutto bene, poteva lasciarsi alle spalle ogni paura che lo aveva dominato in quei giorni e nelle ultime ore.
Non gli sembrava vero.


Jenny si sarebbe svegliata di lì a poco, avrebbe aperto gli occhi e la prima cosa che avrebbe visto sarebbe stato il suo volto, come le aveva promesso. Gibbs, seduto su una poltroncina accanto al letto, guardava il suo viso pallido, i capelli sparsi sul cuscino e la coperta leggera che si alzava e si abbassava al ritmo lento e regolare del suo respiro.
Era viva.
I raggi del sole pomeridiano, filtrando attraverso la tapparella abbassata, parevano voler salutare quel giorno colmo di fortuna.
Un braccio di Jenny, lasciato scoperto dalla camicia da notte della clinica, giaceva sulle coltri, con infilato l'ago di una flebo. Jethro posò una mano sulla sua e la strinse delicatamente, con la sensazione che quella esperienza vissuta insieme forse avrebbe cambiato le cose fra di loro.
Come destata da quel pensiero, Jenny lentamente aprì gli occhi. Sbattè le palpebre e dopo un po' prese contatto con la realtà, voltando la testa verso di lui.
«Ehi...» le disse con dolcezza.
«Jethro...» mormorò lei, mentre il suo sguardo rifletteva una muta domanda.
«È andato tutto per il meglio, starai bene» la rassicurò Gibbs accarezzandole il dorso della mano con il pollice.
Dopo qualche istante, il verde degli occhi di Jenny si velò di lacrime, che scesero piano a rigarle le guance. Jethro non l'aveva mai vista piangere. Asciugò in una carezza quelle lacrime silenziose che gli avevano toccato il cuore, e disse ancora: «Adesso andrà tutto bene.»
Lei annuì leggermente, e tirò fuori la mano che aveva sotto la coperta per trattenere un momento quella di Jethro sulla sua guancia. «Grazie di essere qui.»
«Niente mi avrebbe fermato» sostenne lui, facendo comparire un lieve sorriso sul volto di Jenny.
«Lo so.»
Appariva stanca e Gibbs pensò fosse meglio lasciarla riposare, come si era anche raccomandata in precedenza l'infermiera. Avrebbero avuto tutto il tempo per parlare.
«Ora vado, tornerò più tardi, non devi affaticarti» così dicendo si alzò dalla poltroncina e le sfiorò ancora il viso con il dorso della mano.
Tirò fuori dalla tasca della giacca la lettera che lei gli aveva dato e la mise sul comodino: fortunatamente, non c'era motivo di leggerla.
«No... Leggila ugualmente, Jethro» lo pregò lei.
Gibbs restò per qualche attimo a fissare la lettera, poi la riprese e, dopo che si furono scambiati un ultimo sguardo, uscì dalla stanza.


Nel parco tranquillo e ben curato che circondava la clinica, alcuni pazienti passeggiavano seguendo i vialetti o sedevano sulle panchine, godendosi quel pomeriggio ancora tiepido di fine settembre. Qualcuno era accompagnato da un'infermiera, altri stavano da soli o in compagnia di visitatori. Jethro si diresse verso una panchina in una zona del parco non frequentata in quel momento, all'ombra di un gruppo di pini. Si sedette e tirò fuori dalla tasca interna della giacca la lettera di Jenny. Aprì il foglio ripiegato in quattro, che recava la sua grafia svolazzante, e lesse.

Caro Jethro,
forse questa è l'ultima possibilità che mi resta per dirti quello che sento. Lo faccio con queste parole scritte, migliori di tante che ti ho detto a voce.
Durante la mia vita e il mio lavoro ho commesso degli sbagli, e il più grande è stato quello di allontanarmi da te, dando la priorità a cose che credevo più importanti, senza rendermi conto di quanto importante fossi tu.
Prendi una decisione sbagliata e in seguito vorresti poter tornare indietro, solo che non è possibile, allora non ti resta che provare a cambiare il destino che tu stesso hai scritto. Poi un giorno scopri di non avere più tempo. Io vorrei averne ancora, per poter sperare in un domani con te, ma forse non è più possibile. Non resta che affidarsi al destino.
Ti ho amato, Jethro, e ho continuato ad amarti, rivederti non ha fatto altro che ricordarmelo, ma so di averti deluso non restando con te e di averti ferito più di una volta da quando ci siamo ritrovati. Di questo, perdonami.
E tienimi nel cuore.

                                                           Jenny




Dopo che ebbe finito di leggere, Jethro tenne gli occhi sulla lettera. Jenny gliel'aveva data poco prima di essere condotta in sala operatoria, quando si erano salutati con un lungo sguardo che avrebbe potuto essere un addio. Con essa gli aveva aperto il suo cuore, e non potè fare a meno di pensare che, se lei non ce l'avesse fatta, quelle parole avrebbero lasciato una malinconica scia di rimpianti, per qualcosa che non avrebbe più potuto realizzarsi. Invece ora quel qualcosa aspettava solo loro, bastava volerlo. E lui lo voleva.
Abbassò il foglio sulle ginocchia e guardò verso l'alto, dove il sole giocava tra le fronde degli alberi. Dopo tanto dolore, dopo tre storie effimere e illusorie, era pronto a rischiare di essere nuovamente felice.
Piegò la lettera e la ripose in tasca, poi si alzò e si incamminò lungo il vialetto da cui era arrivato.
C'era un domani ancora da scrivere.





Jenny ce l'ha fatta.
Nel telefilm sono stati così crudeli con lei, dovevo fare qualcosa!
E poi amo gli happy ending :)
Il prossimo ed ultimo capitolo di nuovo tra una settimana.
Ciao!

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Capitolo 3
*** Presente e passato ***


Terzo capitolo

Presente e passato





Jenny stava bene. Era ancora debole, un po' intorpidita dai medicinali, ma dentro si sentiva viva e piena di energia: adesso capiva cosa significava riavere la vita.
Aveva chiesto ad Anne, l'infermiera, di tirare su tutta la tapparella, perchè la luce del mattino potesse entrare attraverso le tende leggere a rischiarare la stanza. Voleva vedere il sole.
Poco prima era passato il dottor Legrand a visitarla, constatando che il decorso post operatorio si stava svolgendo nel migliore dei modi. Avrebbe dovuto restare in clinica ancora per più di una settimana, per completare le cure e rimettersi, ma le aveva assicurato che entro qualche mese, sue testuali parole, sarebbe ritornata come nuova.
L'operazione era andata bene, stava guarendo e l'ombra della malattia era diventata ormai solo un ricordo, ma aveva avuto paura. Da quando aveva scoperto di essere malata, aveva sempre provato una maledetta paura di ciò che l'aspettava e, nel momento in cui era stata informata della possibilità dell'intervento, che quest'ultimo potesse non riuscire, facendo crollare tutte le sue speranze. Piuttosto avrebbe preferito morire sotto i ferri.
Ogni giorno aveva cercato di soffocarla quella paura, per non mostrarsi debole con se stessa, e non aveva confidato a nessuno il suo stato, perchè non voleva la compassione degli altri. Solo Jethro aveva visto il suo timore, solo a Jethro aveva permesso di starle accanto. Un permesso che le aveva strappato, ma in fondo ne era stata felice, perché, doveva ammetterlo, aveva bisogno di lui.
Niente mi avrebbe fermato...
Era vero, quando Gibbs si metteva in testa una cosa, non c'era verso di fargli cambiare idea.
Jenny sorrise e si sistemò meglio sul letto, che era stato rialzato in modo da consentirle di stare comodamente in posizione seduta. Sul comodino c'era il telecomando del televisore fissato sulla parete di fronte a lei, ma adesso non le andava di accenderlo, preferiva restare nel silenzio ad immaginare come sarebbero stati i giorni a venire.
Chissà se Jethro aveva già letto la lettera.
Forse avrebbe avuto risposta al suo interrogativo perchè, proprio in quel momento, la porta si aprì e comparve lui.
«Buongiorno» la salutò entrando.
«Ciao» disse lei, contenta di vederlo.
Jethro si avvicinò al letto e le domandò: «Come stai?»
«Un po' debole, ma mi sento bene. Ho fatto una colazione da re, con una tazza di tè e quattro biscotti, e il dottor Legrand mi ha promesso che oggi potrò alzarmi dal letto.»
Gibbs sorrise e si rallegrò. «Bene.»
«Guarirò, quasi non ci credo.»
«Talvolta succedono anche le cose belle» affermò lui sedendosi sul bordo del letto. «Ieri sera sono tornato, ma stavi dormendo e non ho voluto svegliarti.»
«Anne me l'ha detto.» L'infermiera le aveva anche riferito, con un sorriso dolce, che Jethro era rimasto con lei a lungo, benchè fosse addormentata. «Sono felice che tu ci sia.»
«Poteva essere altrimenti?»
I suoi occhi la trafissero, una volta di più.
«Ti ho sempre tenuta nel cuore.»
… so di averti deluso non restando con te e di averti ferito più di una volta da quando ci siamo ritrovati. Di questo, perdonami. E tienimi nel cuore.
Aveva letto la lettera. Oltre a quello, le sue parole dimostravano anche ciò che lei aveva continuamente sperato, e in fondo sempre saputo.
«Nonostante tutto?»
«Nonostante tutto» rispose lui con convinzione. «È vero, mi hai deluso e ferito, non lo voglio nascondere, ma non hai mai smesso di sorprendermi, di piacermi, di essere come ti ricordavo.»
Jenny sentì la mano calda di Gibbs chiudersi intorno alla sua, mentre restava incatenata al suo sguardo, intenso e sincero. Non ebbe bisogno di pensarci, nel pronunciare una richiesta che era l'equivalente di mille parole.
«Baciami.»
Chiuse gli occhi quando le labbra di Jethro, senza esitazione, catturarono le sue. Le erano mancate, le aveva desiderate ogni volta che se lo era trovato vicino. Il loro sapore era quello che non aveva mai dimenticato, che le fece battere più forte il cuore mentre le loro bocche, dapprima gentili, diventavano sempre più avide l'una dell'altra. Con le mani di Jethro fra i suoi capelli e a sfiorarle il collo, gli passò le braccia sulle spalle attirandolo maggiormente a sé, spinta dal desiderio, lo stesso che sentiva nei suoi gesti.
Poi si fermarono, guardandosi, mentre sulle loro labbra nasceva un sorriso: si trovavano pur sempre in una stanza d'ospedale.

Dieci giorni dopo, nel pomeriggio, Jenny venne dimessa. L'aspettava un periodo di convalescenza, durante il quale sarebbe stata seguita dal dottor Brooks, il suo medico di Washington. Nicolas Legrand le aveva prescritto riposo, cibo sano, una risata al giorno e ogni altra cosa che la rendesse felice. Sull'ultimo punto dell'elenco aveva lanciato a Gibbs un'occhiata significativa, ma oltre ad essere una persona perspicace e di spirito, il medico era anche colui grazie al quale Jenny aveva ancora una vita davanti, e di questo gli sarebbe per sempre stata grata.
Quando uscì con Jethro dalla clinica, un taxi li stava aspettando. Sarebbero partiti per fare ritorno a Washington la sera del giorno successivo, nel frattempo avrebbero soggiornato in albergo. Il tassista caricò nel bagagliaio la borsa da viaggio di Jenny, contenente ciò che le era servito durante la permanenza alla clinica. Gibbs gli consegnò un foglietto, l'uomo gli diede un'occhiata e annuì, e quando i suoi passeggeri furono saliti sul taxi si mise alla guida e partì.
Lasciarono la clinica attraverso un viale alberato, che li condusse su una delle strade poco trafficate di quella zona verdeggiante lontana dal caotico centro di Parigi.
Oltrepassando l'albergo in cui si era sistemato Gibbs mentre lei si trovava in clinica, Jenny si chiese dove fossero diretti. Esternò la domanda a Jethro, ma lui glissò facendo il misterioso.
Il taxi lasciò quella zona tranquilla per addentrarsi nella città. Mentre, nel traffico lento, percorrevano le vie di Parigi, Jenny fu travolta da un'ondata di ricordi: gli Champs Elysées, la Tour Eiffel e il lungo Senna, ogni luogo le riportava alla mente attimi vissuti con l'uomo che le sedeva accanto. Jethro le circondò le spalle con un braccio, attirandosela vicino, e lei si sentì felice, come allora.
Salirono verso il quartiere di Montmartre con il sole che stava calando. Quando imboccarono Rue de la Chapelle, Jenny iniziò a capire, con un misto di stupore ed ebbrezza. Si voltò verso Gibbs, il quale assunse un'espressione che bastò a confermare il suo pensiero. Il taxi percorse quasi tutta la via, tra palazzi antichi, pittori all'opera sulle tele e caratteristici bistrot, fino a che si fermò davanti ad un albergo di modeste dimensioni, con i muri dipinti di azzurro e vasi di edera appesi ai balconi dei suoi quattro piani. Il portone di legno chiaro era sormontato da un'insegna che recava la scritta Hotel des Arts.
Scesero dall'auto, mentre l'autista andava a prendere la borsa da viaggio dal baule e la consegnava a Jethro. Quest'ultimo pagò la corsa, dopodiché il taxi ripartì e loro restarono fermi sul marciapiede a contemplare l'albergo.
Jenny si lasciò nuovamente trasportare dai ricordi. I muri erano stati ritinteggiati e l'insegna era nuova, ma si trattava dello stesso hotel in cui avevano alloggiato durante la loro missione a Parigi, in un tempo lontano ma mai così vicino come in quel momento.
«Mi sono permesso di prenotare qui, direttore Shepard.»
Jethro l'aveva detto in maniera talmente seria che le venne da sorridere. «Ottima scelta agente Gibbs.»
Entrarono, ritrovandosi nella piccola hall che era stata ristrutturata mantenendo però la graziosità di un tempo. Jenny si registrò alla reception, lui lo aveva già fatto nella mattina quando era passato a prenotare la stanza, dopodiché l'affabile ragazza dietro al bancone consegnò loro la chiave, augurando una buona permanenza.
L'ascensore li portò al quarto e ultimo piano, poi Jethro fece strada verso la seconda porta del corridoio: la medesima camera che lei aveva occupato allora e che li aveva visti amanti. Per Jenny fu disarmante.
«Jethro...» disse prendendogli una mano fra le sue.
«Il destino ha fatto la sua parte, al resto ho pensato io» affermò lui sfiorandole le labbra con un bacio. Aprì poi la porta e lei avanzò nella stanza, mentre Gibbs posava la borsa sopra un tavolino accanto alle sue cose, che aveva portato la mattina.
Anche lì le pareti erano state dipinte d'azzurro, ma i mobili erano rimasti gli stessi: il letto con la testiera in ferro battuto, due poltrone dalla stoffa blu e l'armadio e lo scrittoio in arte povera. Nell'aria c'era un profumo di lavanda.
Jenny si avvicinò alla finestra e scostò le tende. La vista era come se la ricordava: tetti e palazzi da cui sorgeva svettando la Tour Eiffel, in una Parigi che si stava colorando della luce del tramonto. Dall'ultima volta che aveva ammirato quel panorama erano successe tante cose, ma adesso che si trovava nuovamente in quella stanza con Jethro le sembrava che tutto quel tempo non fosse trascorso.
Come se le avesse letto nel pensiero, Gibbs dietro di lei la circondò in un abbraccio e disse: «Siamo di nuovo qui, Jenny.»
«Mi sembra un buon modo per iniziare, non credi?»
«Lo è» rispose lui baciandola sui capelli.
Jethro era solito mostrarsi severo, ombroso e razionale, e a pochi era consesso penetrare la sua corazza, ma Jenny sapeva quanto potesse essere dolce, divertente e anche romantico. Pensò che lì, fra le sue braccia, fosse il posto più bello in cui stare.
Senza staccarsi da lui, si girò e gli mise le mani sulle spalle. «Sei davvero tu l'irreprensibile e austero capo di una squadra dell'NCIS?»
Gibbs sorrise in quel modo che le piaceva da impazzire. «Sì, sono io» confermò, per poi avvicinare le labbra al suo orecchio e sussurrarle: «Ma non raccontarlo a DiNozzo.»
Jenny rise, poi il suo sguardo spaziò dagli occhi alla bocca di Jethro, a cui non seppe resistere oltre. Gli prese il volto fra le mani e il bacio che gli diede si accese subito di passione. Lo desiderava, lo voleva.
Si volevano.
La giacca di Gibbs finì a terra e la sua fece la stessa fine. Presto si liberarono anche dei restanti indumenti, mentre il letto li accoglieva e i loro corpi si ritrovavano.
Jenny si perse in un brivido dopo l'altro e la sua pelle s'incendiò sotto alle mani e alle labbra di Jethro, baci e carezze sempre più intimi a cui si abbandonò completamente e che ricambiò col medesimo trasporto.
Avvolti dal piacere, si possederono come se non avessero atteso altro, con tenerezza, ardore e l'intesa di un tempo, mentre presente e passato si fondevano nei movimenti, nei sospiri e nei loro nomi sussurrati.

«Che ne è della tua regola, Leroy Jethro Gibbs?» domandò Jenny con voce languida, infilando le mani sotto al cuscino.
«Quale regola?» domandò lui corrugando la fronte.
Nella luce soffusa proveniente da una lampada a muro, erano a letto distesi su un fianco, vicini e rivolti l'uno verso l'altra. Avevano cenato in camera e dopo avevano fatto ancora l'amore.
«Allora non avrai nulla in contrario se prolungheremo di qualche giorno la nostra permanenza a Parigi...»
«Il dottore ha detto che hai bisogno di riposo, ricordi?» le rammentò Gibbs.
«Oh, ma la nostra breve vacanza includerà anche quello.» Jenny gli diede un bacio fugace. «E ogni altra cosa che mi renda felice» aggiunse maliziosamente citando le parole del medico.
«Ti stai approfittando della tua condizione, Jennifer Shepard» sostenne lui. «Ma se la metti così, vorrà dire che mi sacrificherò a prendermi cura di te.» Così dicendo tirò su le coltri a coprire entrambi e l'attirò a sé, tenendola stretta. «In tutti i modi.»
Jenny appoggiò la testa sul suo petto, appagata e felice: le cose belle succedevano davvero.
«Ti amo, Jen.»
Cullata dal respiro di Jethro e dall'eco delle sue parole, chiuse gli occhi e, come non le accadeva da un tempo infinito, si addormentò con il sorriso sulle labbra.



 
FINE




Siamo arrivati alla conclusione,
e un po' spiace anche a me :)
Ringrazio chi ha recensito
e chi ha semplicemente letto.
E... W le Jibbs! ;)


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