Dangan Ronpate di Varia Natura, Forma e Dimensione di Subutai Khan (/viewuser.php?uid=51)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Makoto... Naegi? ***
Capitolo 2: *** Un solo errore, pagato salato come un pretzel gigante ***
Capitolo 3: *** E l'errore continua a bruciare ***
Capitolo 4: *** In 'sto laboratorio fa un freddo fottuto ***
Capitolo 5: *** Di morte, amore e pinzillacchere ***
Capitolo 1 *** Makoto... Naegi? ***
Titolo: Makoto...
Naegi?.
Personaggi: "Makoto
Naegi" e un po' di altri.
Generi: commedia,
comico.
Traccia: Dangan
Ronpa, Tutti, A Fine Giornata. Scritta per il Limitaprompt della
Piscina di Prompt, con la limitazione una storia che
racconti di
come i personaggi – che, smesso il loro ruolo, sono solo
attori dietro le quinte del fandom – commentino questa o
quella scena saliente in cui hanno recitato.
“E
stooooooooooop! Ottimo lavoro, ragazzi. Per oggi basta
così”.
E anche questa
è fatta. Giornata particolarmente stancante, oggi. Ridacchio
ripensando a quando ero un po’ più piccolo e
ingenuamente credevo che fare l’attore sarebbe stato un
mestiere di tutto riposo. Cosa pretendete? Un ragazzino vede gente figa
alla cerimonia degli Oscar e pensa che quello è il lavoro
più bello, sbrilluccicoso e meglio retribuito del mondo. Poi
ti accorgi che esistono le comparse e quelli che recitano solo nelle
pubblicità.
Non sono messo proprio
così male, visto che qui interpreto il protagonista, ma il
livello non è poi troppo più alto.
“Makoto!
Makoto! Aspettami” sento una voce familiare alle mie spalle.
E non posso trattenermi dal sorridere.
Neanche faccio in
tempo a voltarmi che qualcosa, o meglio qualcuno, mi afferra per il
braccio.
Oh, ciao Kyouko.
Sì, per una
strana casualità ognuno di noi ha il nome del personaggio
che interpreta. Se questa fosse una storia, si potrebbe tranquillamente
accusare il suo autore di essere pigro e di non avere la sbatta di
inventarsi dei nomi.
“Mamma mia,
oggi è stato un parto” dice allegra mentre si
struscia un po’ addosso a me. Non essere troppo espansiva, te
l’ho detto che il tuo costume di scena lo trovo sin troppo
sexy e potrei perdere i freni inibitori. Specialmente la cravatta.
Stiamo assieme da poco
dopo l’inizio delle riprese. Potete invidiarmi, lo capisco. E
soprattutto credo che sarebbero felici di saperlo le orde di shipper
assatanate che sicuramente cominceranno a costruirsi i castelli in
testa quando vedranno i nostri due personaggi interagire. Il regista
è un gran furbone e ha seminato qua e là hint non
indifferenti, vecchio marpione che non è altro.
“Beh, oltre
alla scena della mia esecuzione abbiamo dovuto girare quella della
tua...”.
“Pure la
stessa, tsk. Kodaka, sei proprio un tipo senza verve”.
“Senza verve
lo scrittore del gioco da cui è tratto questo film? Ma ne
sei sicura? Sicura sicura? No, perché sarò tardo
io ma un’esecuzione come quella di Mondo me la sogno la
notte...”.
E ride, ammettendo che
in effetti non è proprio cosa comune. Trasformare un essere
umano in una vaschetta di burro è sintomo di malattia
mentale, secondo la mia modesta opinione.
“Basta
parlare di morte e budella” mi interrompe sul nascere mentre
sto per fare altri esempi “Piuttosto, perché io e
te non ce ne andiamo da qualche parte? Ho un discreto
languorino”.
“Volentieri.
Ma senti, ti scoccia se non siamo soli? Avevo promesso a Sakura e a
Taeko che si sarebbero potute aggregare...”.
Ed eccola, sento
arrivare l’ennesima frigna made in Kyouko: “Ma
uffaaaaaaa! Volevo una cosuccia intima e romantica!”.
“Con una
pizza da Pizza-La? Hai pretese un po’ troppo alte, ragazza
mia”.
Mette quel suo
adorabile broncio, ben sapendo che sta cercando di farmi desistere. Ma
non sarebbe giusto scaricarle così, non mi va.
“Dai, ti
prometto che la prossima volta saremo soli soletti. E
chissà, potremmo anche allungare un po’ la pausa e
dedicarci a qualcosa di più piacevole...” alludo,
sfoderando lo sguardo infido che lei soffre terribilmente. China il
capo sconfitta, concedendo la disfatta solo a patto che la prossima
volta non si debba sgarrare.
“Te lo
giuro, nessun ficcanaso potrà frapporsi nella nostra cenetta
a lume di tovagliolo”.
“Sei un
cretino, Makoto!” sghignazza, con tanto di buffetto sulla
spalla.
“Grazie del
complimento. Aspettami qui, le recupero e poi ci avviamo”.
“Ma come,
andiamo così?”.
“Non siamo
attori di porno, non dobbiamo per forza toglierci gli abiti che usiamo
sul set”.
Cercando cercando, mi
capita di incrociare Aoi mentre entra nel suo camerino. Quella ragazza
è l’esatto opposto del personaggio che interpreta:
come una è solare e allegra, così
l’altra è adombrata, cupa e di poche parole.
Chi ha fatto il
casting, Doraemon?
Decido di buttar via
un po’ di fiato provando ad invitarla. Tanto uno in
più uno in meno non cambia, no?
“Ehi Aoi,
ciao! Io, Kyouko, Taeko e Sakura stiamo...”.
“No”.
...
Va bene.
La supero senza
sprecare ulteriore tempo, sarebbe davvero insensato insistere.
Per fortuna ci metto
poco e in breve siamo tutti e quattro lanciati
all’avventura.
“E
così hai di nuovo perso tutto al pachinko?”.
“Non
dirmelo, guarda. Mi chiedo a chi è venuta la brillante idea
di farmi interpretare la Super Gambler, negata come sono con i giochi
d’azzardo”.
“Tralasciando
il fatto che a volte ho i tuoi stessi dubbi... evidentemente hanno
sufficiente fiducia nelle tue doti d’attrice e nella
capacità di rendere il personaggio realistico. E, lasciatelo
dire, in quello fai un lavoro più che buono”.
“Beh, grazie
Makoto”.
“Scusa se mi
permetto, ma se sai di essere scarsa perché continui a
buttarci i tuoi soldi?”.
“...Kyouko,
sempre con la dolcezza di un bulldozer tu”.
“Oh senti,
è una curiosità legittima. Trovo poco furbo
pisciare il proprio stipendio in qualcosa che non ti darà in
cambio nulla”.
“Perdonate
se mi intrometto, ma questa volta devo proprio dare ragione a Kyouko.
Mi sembra francamente stupido spendere in questa maniera dissennata i
soldi guadagnati con tanta fatica e dedizione sul luogo di lavoro. Non
sarebbe più saggio metterli da parte, o cercare di farli
fruttare in qualche modo?”.
E con queste parole
ogni possibile domanda sul procedimento di selezione del cast va a
farsi friggere, perché Sakura Oogami è qui
davanti a noi in questo momento. È assolutamente identica,
austera e seria come colei a cui dà vita sulla pellicola.
E in realtà
anche Taeko è meno fuori luogo di quanto possa apparire ad
una prima occhiata, perché lo sguardo assassino che le sta
rivolgendo di sbieco ogni tanto emerge prepotente anche in Celestia
Ludenberg.
“Su su,
signore. Non serve litigare per così poco” tento
di fare da paciere. Non le ho chiamate per vederle prendersi a male
parole, o peggio. E anzi, ho rinunciato alla mia intimità
per voi. Sarebbe carino da parte vostra non mandare tutto a carte e
quarant’otto.
“Non ci
posso fare nulla se ho il vizio del gioco. È praticamente
una malattia, lo sapevate questo?”.
“Dalle
malattie si può guarire, specie quando non sono
mortali”.
“Ebbasta
morte, su! Lavoriamo a stretto contatto con quella parola tutto il
giorno, almeno nel tempo libero vorrei non doverci pensare”.
“Sono con la
mia ragazza” sentenzio, cercando di suonare definitivo. E, al
contrario del mio personaggio, riesco a metterci la giusta dose di
forza. Ogni possibile motivo di maretta viene scongiurato e possiamo
proseguire pacifici il nostro pasto.
Gnam gnam. Niente male
questa pizza.
“Lorsignori
permettono?”.
Alzo la testa dal
piatto, avendo vagamente riconosciuto la voce ma...
Uh. Sono Mondo e
Chihiro.
“Per me non
c’è problema” rispondo, onesto
“Ragazze?”.
Nessuna ha da ridire,
quindi i due si aggiungono al nostro gruppetto.
“Avete
già pranzato?”.
“A dire la
verità no, ma è per colpa mia. Oggi ho... ecco,
non è facile per me parlarne...”.
Ci accontentiamo del
silenzio, sappiamo che la timida Chihiro non ha particolare piacere a
parlare dei suoi problemi prettamente femminili. Eh già. Il
maschio Chihiro Fujisaki, che inizialmente si spaccia per una donna,
è impersonato da una donna.
“No, non
è niente del genere. La colpa è mia, mi sono
attardato nel cambiarmi finite le riprese” la protegge Mondo.
Molto cavalleresco il suo comportamento, lo devo ammettere. Forse
dovrei imparare da lui su come si trattano le fidanzate.
Ogni tanto faccio
ancora fatica ad associare al rozzo, burbero e collerico Mondo Oowada
il gentiluomo che in questo momento sembra fare le fusa nella direzione
della sua dolce metà. Anche se un po’ la
pettinatura a banana aiuta, perché nonostante le differenze
pare che se la porti dietro fin dai tempi del liceo e ne sia
visceralmente affezionato.
DRIIIIIN. DRIIIIIN.
Ueh, chi è
che stressa adesso?
Sul display appare...
Touko.
Non mi dire che...
“Pronto?”.
“Aiuto!
Aiuto! Qualcuno mi salvi!”.
“Touko?
Tutto... tutto bene?”.
“No che non
va bene! Quel pazzo infoiato di Byakuya sta cercando di strapparmi i
vestiti di dosso!”.
Santi kami, devo
decidere se è peggio il film che stiamo girando o la vita
che sto vivendo.
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Capitolo 2 *** Un solo errore, pagato salato come un pretzel gigante ***
Titolo: Un Solo
Errore, Pagato Salato come un Pretzel Gigante.
Personaggi: Makoto
Naegi, Kyouko Kirigiri.
Generi: angst.
Traccia: Dangan
Ronpa, Makoto Naegi/Kyouko Kirigiri, Fino alla Fine. Scritta per il
Limitaprompt della Piscina di Prompt, con la limitazione una storia divisa in tre parti
più o meno della stessa lunghezza che seguano uno sviluppo
temporale al contrario: futuro, presente, passato.
“Papà,
papà! Dove sei finito?”. Sento le urla di Toshiro
invadere i corridoi della Kibougamine, anche se non ho troppa voglia di
dargli retta.
Sono nel bel mezzo del
mio rituale e mi piacerebbe non venire interrotto, neanche dal sangue
del mio sangue.
Come succede una volta
al mese, mi sono piantato di fronte alla porta che su mia esplicita
richiesta porta ancora la targhetta “Kirigiri”. Per
fortuna Monokuma è stato abbastanza misericordioso da
lasciarci la possibilità di calcolare e tenere traccia del
tempo che passava, altrimenti concetti come minuto, ora e simili
avrebbero perso completamente di significato. Non è facile
raccapezzarsi quando vivi segregato in una ex-accademia con le finestre
e le porte murate.
Appoggio la testa al
legno, badando bene che la mia fronte tocchi proprio sulla ridicola
immaginina che serviva da etichetta.
Non ti ho dimenticata,
Kyouko. Non posso farlo.
Ti porterò
per sempre sulla coscienza.
“Eccoti qui,
finalmente. Si può sapere... oh”. Togami, lo sai
che voglio stare da solo in questi momenti. Dovresti averlo capito,
oramai.
Alzo un braccio verso
la mia sinistra, la direzione da cui veniva la sua voce, intimandogli
il silenzio. Recepisce e si quieta, anche se riesco a intravederlo
mentre si sposta e mette le mani dietro la schiena.
Lascio che una singola
lacrima cada per terra, andando a fare compagnia alle sue sorelle.
Se me lo avessero
raccontato prima dell’inizio di questa follia... avrei riso
come un cretino.
Makoto Naegi che
è direttamente responsabile della morte di qualcuno.
Impossibile. Grottesco. Fuori da ogni logica.
E invece mi
è successo pure questo. Non fidandomi del mio istinto, che
mi implorava di tapparmi la bocca e far finta di nulla, ho lasciato la
parte più cretina di me libera di sbugiardarla e di farle da
paggetto mentre la accompagnava verso quell’orribile
compattatore.
Idiota. Idiota. Idiota.
Lei era davvero la
nostra sola speranza di mettere il becco fuori da questa prigione. Lo
dimostra ampiamente il fatto che, in tutti questi anni, non abbiamo mai
cavato un ragno dal buco dai pur numerosi tentativi di scoprire
l’identità del mastermind. Nulla, niente di
niente. Potrebbe essere il preside, un barbone che si è
intrufolato e ha trovato divertente vederci squittire come topi in
gabbia, uno psicopatico qualunque.
Non lo sappiamo. Non
lo sapremo mai.
Ci servi, Kyouko. Ci
servi. Eppure sappiamo sin troppo bene che non tornerai, e di questo
posso solo ringraziare il mio lampo di genio.
Ci credi se ti dico
che ho bruciato la giacchetta che indossavo? E la felpa? E
più in generale tutto quello che portavo nel peggior giorno
della mia vita? Mi sentivo sporco, colpevole, indegno di rimanere al
posto tuo. E la sensazione, seppur non forte come allora, ogni tanto si
fa ancora viva e mi ricorda ghignando che sono scivolato al livello di
Kuwata, di Oowada, di Celes. Non era mia intenzione, come non lo era
per quasi tutti loro, ma la realtà resta quella.
Agli altri non
l’ho mai detto, ma io conosco la verità e mi
merito di soffrire da solo per tutto quanto mi resta da vivere.
Perché se è vero che è stato Monokuma
l’autore materiale, io mi considero a tutti gli effetti il
mandante.
Faccio trascorrere un
po’, immerso nel silenzio più assordante che possa
esistere. Assordante perché non è riempito dalla
tua voce.
Poi, finalmente,
rialzo la testa e subito mi giro verso Byakuya. Sì dai,
è stupido chiamarsi per cognome dopo aver condiviso
così a lungo un simile destino di cavie da laboratorio.
“Ehi”
dice, e ancora mi stranisco nel vederlo sorridere leggermente.
Nell’occasione della famosa foto “di
famiglia”, ci è venuto un mezzo coccolone quando
ha espresso un’emozione che non fosse la sua tipica arroganza.
“Ehi”.
“Scusa, non
sapevo che stavi facendo... quello. Non ti avrei disturbato altrimenti.
È solo che Toshiro reclama il suo papà e non ti
si trovava più...”.
“Sì,
perdonatemi. È che sapete quanto tengo a questa cosa. Certo
che...”.
“Che?”.
“A che punto
siamo arrivati, Byakuya? Viviamo da non so esattamente quanto tempo in
queste quattro mura, a turno ci siamo accoppiati tutti con la povera
Aoi che ormai è più un’incubatrice che
una persona... mi chiedo se...”.
“A parte che
sei disgustoso a definire la madre di tuo figlio in questi termini...
parla per te e per quell’altro rasta di Hagakure,
grazie tante. Sai benissimo chi è la madre di Ryo e sei
pregato di non mancarle di rispetto”.
“Va bene, va
bene. Scusa. Un’altra cosa di cui non vado orgoglioso,
l’aver dovuto... sopprimerla per evitare che Genocider
diventasse pericolosa. Ci sono momenti in cui ho delle ricadute e mi
pento della nostra decisione di lasciar perdere e rassegnarci.
È così... deprimente”.
“Scuse
accettate. Non fa nulla” concede prendendomi per le spalle
“ci siamo passati tutti e probabilmente, a rotazione, lo
rifaremo in futuro. Dai, ora andiamo da tuo figlio che sennò
gli viene una crisi isterica e poi sai quanto diventa
ingestibile”.
Ha ragione. Quel
piccoletto ha energia da vendere e un modo di piangere capace di far
esasperare anche un Buddha.
Getto
un’ultima occhiata verso la porta.
Kyouko, so che non
vale niente... ma scusami.
Che faccio che faccio
che faccio?
Quinto processo, per
la morte di Mukuro Ikusaba.
Dopo Sayaka Maizono,
Junko Enoshima, Leon Kuwata, Chihiro Fujisaki, Mondo Oowada, Kiyotaka
Ishimaru, Hifumi Yamada, Celestia Ludenberg e Sakura Oogami... ennesimo
cadavere.
Solo i kami sanno
quanta nausea ho di questo andazzo.
E sono persino
più impanicato del solito. Il perché è
presto detto: so che Kyouko Kirigiri sta mentendo.
Dov’è
il problema, direte voi. Starà cercando di coprire il
proprio misfatto, visto che ci sono un po’ di elementi che
danno adito a sospetti nei suoi confronti.
No, non è
così.
Kirigiri-san non
è un’assassina.
Lo so. Lo so per certo.
O forse non proprio
per certo. Le prove a suo carico, per quanto indiziarie, sono
piuttosto solide. In effetti non ha un alibi valido, essendo sparita
come un fantasma nelle ore precedenti al processo al punto di far
pensare a quel furbone di Hagakure-san che il corpo le appartenesse, e
in camera sua abbiamo rinvenuto la chiave dell’armadietto che
conteneva quella identificata come arma del delitto.
La sua posizione non
è delle più comode, lo ammetto. E non aiuta il
fatto che non voglia spiegarci le ore di buco, rifiutandosi
ostinatamente di rispondere.
Togami-san la sta
pressando, cercando di farla confessare. E lei si limita a ribadire che
quell’oggetto dev’essere stato messo a bella posta
in camera sua per incastrarla, dato che lei non ci può
più entrare.
Questo è
vero, è stato lo stesso Togami a sequestrarle le chiavi. O
meglio, lo era fino a quando siamo saliti sul montacarichi,
perché poco prima di farlo mi ha rivelato che cercando in
giro ha recuperato un passepartout che dovrebbe aprire tutte le porte
della scuola.
Inclusa quella di
camera sua, quindi. Mandando la sua giustificazione a farsi un giro.
In cuor mio so che
è innocente, ci metterei tutte e due le braccia e tutte e
due le gambe sul fuoco. Io mi fido di Kirigiri.
Il problema
è che una contraddizione così palese non
è nel suo stile. Cos’è, una metodica e
analitica come lei che si dimentica di avermi parlato di quella chiave?
Potrei sbagliarmi, ma
mi sembra di starla vedendo... sudare.
Credo abbia paura.
Paura di essere stata
scoperta come omicida... o paura di qualcos’altro?
Se una come lei perde
la freddezza... allora il motivo dev’essere grave. Realmente
grave.
E io immagino di
essere l’unico a sapere di quel particolare, cioè
sono l’unico che può smentirla.
Ecco il
perché della domanda di cui sopra: che devo fare?
Comportarmi come ho sempre fatto finora e urlarle uno dei miei ormai
proverbiali “Obiezione!” con tanto di dito
accusatorio... o fidarmi di lei e decidere di coprirla?
Lo ripeto, io le
credo. Ma il dubbio, e mi scoccia da matti ammetterlo, è
forte.
“Mi tocca
dirvelo un’altra volta: fate come volete, ma se io muoio qui
non avrete la minima possibilità di risolvere i
misteri della Kibougamine e di scoprire chi è il mastermind.
Non una. Siete spacciati”. E mentre ripete la nenia per
l’ennesima volta, noto in maniera indistinta che la mano
sinistra le trema. Leggermente per carità, ma trema.
Non mi piace essere
volgare, ma è evidente che se la sta facendo addosso. Se
Kyouko Kirigiri trema... vuol dire che è terrorizzata.
Santo dio, mi fonde il
cervello. Non so come devo muovermi. Non sono mai stato così
teso prima d’ora.
Però
aspetta, aspetta un secondo Makoto. Ti è già
uscito dalla testa quel che è successo non più di
dieci minuti fa? Di come la signorina Kirigiri stesse cercando di
scaricare il peso su di te?
E chi si comporta
così di solito? Chi ha qualcosa da nascondere. Nella
fattispecie la propria colpevolezza.
La bilancia ha appena
preso a pendere pesantemente da una parte.
Qualcosa dentro di me
si è fatto straordinariamente indigesto.
“Avanti
Kirigiri, confessa. Hai le spalle al muro, ti abbiamo inchiodata. Abbi
la grazia di perdere con stile”.
“Io non ho
ucciso Ikusaba, Togami. Non l’ho fatto. E sai bene il
perché. Questa è una trappola”.
Chiudo gli occhi.
Inspiro. Prego.
Svuoto la mente e
lascio che la mia bocca si muova da sola. O da sola resti ferma.
“Kirigiri-san...
stai mentendo”.
L’ho detto.
Alla fine l’ho detto.
“Uh? Cosa
blateri, Naegi?”.
“Non
è vero che non puoi entrare nella tua stanza. Tu stessa mi
hai mostrato la chiave di Monokuma. Quella chiave... apre tutte le
porte dell’accademia”.
Silenzio.
-
Corro a perdifiato
verso il compattatore.
Ho il petto in fiamme,
la testa mi duole e il mio battito cardiaco sembra completamente
impazzito.
No. Questo
è un incubo. E io sono uno sciocco.
Non ho tenuto conto
di una cosa fondamentale. Fondamentale.
Kirigiri-san, questa
notte, mi ha salvato la vita.
E io l’ho
ripagata mandandola al macello.
Stronzo irriconoscente.
Odio odio odio odio.
Sento ondate di odio travolgermi. Odio per me stesso.
Emetto un ululato
bestiale, sopraffatto dall’agonia. E dalla consapevolezza di
come abbia appena condannato me e gli altri superstiti a
un’esistenza da reclusi in questo posto.
Tocco la superficie
dello strumento di morte, macchiandomi in più punti di
sangue. Sangue innocente. Sangue di una persona che sarebbe stata la
mia miglior alleata e ora è solo l’ennesima
vittima di questo massacro.
Togami e gli altri mi
osservano da lontano, ma faccio persino fatica a distinguerli con gli
occhi pieni di lacrime che mi ritrovo.
Come posso essere
stato tanto deficiente? Come?
Kirigiri-san, per
quanto può valere adesso... scusami.
TOC TOC.
Vai via chiunque tu
sia, non voglio vedere nessuno.
TOC TOC.
Via, ho detto. Via.
Voglio rimanere a
riflettere in pace, chiedo troppo? Ho un tradimento da metabolizzare.
TOC TOC.
Uff. E va bene
scassaballe, hai vinto.
Mi alzo e apro.
Davanti a me
Kirigiri-san.
“Posso
entrare?”.
Mi scosto per farla
passare. Tanto ormai hai disturbato.
“Come stai,
Naegi?” chiede distrattamente mentre si guarda attorno,
osservando con aria... direi quasi professionale i segni rimasti dalla
colluttazione di Kuwata e Maizono.
“...”.
Ti è chiaro che non voglio compagnia, in questo momento?
No beh, ora sei
ingiusto con lei Makoto. È la persona che, praticamente, ti
ha salvato la vita laggiù in quel tribunale improvvisato.
Gli altri mi davano
l’impressione di essere come un’orda inferocita
alla ricerca del mostro da linciare. Invece lei ha portato in quella
piccola assemblea calma, lucidità e capacità
analitiche da far invidia a un qualche membro del CSI americano. Non
che io guardi quei telefilm orripilanti.
“Che cosa
sei venuta a fare, Kirigiri-san?”.
“Volevo
farti una domanda su Maizono”.
Una domanda su
Maizono? Ohibò.
Ok, fai pure. Prima
fai questa domanda e prima potrai andartene.
“Prego”.
“Per quale
motivo credi che abbia lasciato il nome di Leon Kuwata sul
muro?”.
Che domanda del cavolo
è? Mi sembra più che evidente.
“Oh, non so.
Per vendicarsi del suo assassino, ad esempio?”.
“Probabile,
non lo nego. Ma io vedo una possibile altra interpretazione”.
“Eh?
Prego?”.
“Secondo me
Sayaka Maizono ha voluto discolparsi nei tuoi confronti. Oltre che per
aiutare noi con le indagini, perché senza quel particolare
avremmo avuto molte più difficoltà a beccarlo...
ecco, io penso abbia cercato il tuo perdono per il suo tentativo di
incastrarti. Credo se ne fosse pentita”.
“Su che basi
lo dici?”.
“Nessuna. Ma
è più bello pensarla così,
no?”.
“Tu sei
davvero Kirigiri-san?”.
“A volte
capita persino a me di avere una botta di vita”.
“Cerca di
fare in modo che non accada in tribunale, allora. Abbiamo bisogno della
tua invidiabile sagacia”.
“Percepisco
del sarcasmo, Naegi”.
“Nessuno
è perfetto”.
Scoppio a riderle in
faccia. Pardon.
Incredibile. Quaranta
secondi fa ero di pessimo umore e adesso mi sento tranquillo, sereno.
Probabilmente, quando
se ne andrà, il magone tornerà di gran carriera
ad appesantirmi le spalle e a stringermi il cerchio alla testa. Ma per
ora ne approfitto e rido a crepapelle, di fronte al suo sguardo
vagamente toccato dalla cosa.
“Sicuro di
non aver bisogno di qualcosa per frenarti?”.
Non le rispondo. Non
per maleducazione, è che non riesco a smettere.
Ci impiego un minuto
abbondante per recuperare un minimo di senno. Poi per fortuna riesco
nella titanica impresa e smetto di piangere dal troppo riso.
“Tieni”
mormora. Alzando la testa, che fino a mezzo secondo fa era ancora
piegata verso terra, la scorgo mentre mi allunga un fazzoletto.
Lo prendo
ringraziandola, lo apro in tutta la sua larghezza e per prima cosa mi
ci soffio rumorosamente il naso. Non ci posso far niente se perdo roba
verdastra dalle narici quando mi vengono simili attacchi di Ridancianite.
“Mi sembra
di capire che qualcosa, in quel che ho detto, lo hai trovato
particolarmente ilare” commenta e, se non pensassi
altrimenti, giurerei di averci colto una microscopica punta di
scocciatura.
“Ti prego di
scusarmi, non so cosa mi sia preso. Ammetto che lo scambio di battute
era moderatamente divertente, ma da qui a perdere ogni freno inibitore
in quel modo...”.
“Ti
dirò, non sono così dispiaciuta della cosa. Anzi.
Una risata non fa mai altro che bene, specialmente in una situazione
psicologica al momento delicata come la tua”.
“Beh
sì, devo ammettere che ora mi sento molto più
leggero”.
“La cosa non
può che farmi piacere. Ora che ho detto quel che avevo da
dire, posso anche levare il disturbo”.
Si avvia verso la
porta. La fermo d’impulso.
“Cosa
c’è?” chiede voltandosi.
“Io... penso
tu abbia ragione, su Maizono”.
“Su che basi
lo credi?”.
“Nessuna. Ma
non sei l’unica a cui è concesso. E poi
sennò è troppo triste e deprimente, e se
c’è una cosa in cui sono bravo è nel
non deprimermi”.
“Spero che
tu possa dimostrare questa tua dote. Ho idea...”.
“...che il
casino sia appena all’inizio”.
“Uh?
Io...”.
“Te
l’ho letto nel pensiero. Sono un esper”.
“...”.
“No,
scherzavo. Ho solo un buon intuito”.
Increspa appena appena
le labbra. Credo che nella sua lingua di emozioni inespresse equivalga
a un sorriso.
“Mi fa
piacere che tu abbia scelto di ricordarti così di
lei”.
“Preferisco
l’ottimismo al pessimismo. Ah, Kirigiri-san...”.
“Sì?”.
“Grazie”.
“Prego”.
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Capitolo 3 *** E l'errore continua a bruciare ***
Titolo: E l'Errore
Continua a Bruciare.
Personaggi: Makoto
Naegi.
Generi: angst.
Traccia: This path
that I've chosen's a rocky one/long, hard and frozen it has become/each
turn that I've taken on the way/has only led me back to Hell/I am dying
down, growing weaker now/it could seem that I'm doing fine/but I'm
broken to little pieces deep inside (Broken - Sentenced), orfana.
Scritta per il Limitaprompt della Piscina di Prompt, con la limitazione
una storia che sia il
seguito di un’altra storia postata per questa iniziativa,
rispettandone trama e stile.
Toshiro
corre come un indemoniato e faccio una gran fatica a stargli dietro.
“Makoto,
vedi di acchiappare quella peste di tuo figlio!” sento alle
mie spalle, in lontananza.
Aoi,
le gravidanze ti hanno inacidita.
“Ahahahahahahah!
Papà è lento e non riesce a
prendermi!”. Mi faccio anche sfottere, da ‘sto
rospetto.
Va
bene, mi sarò appesantito ma non credere che...
Passo
davanti alla camera di Kyouko.
E
il sorriso, rimasto tutto il tempo dell’inseguimento sulla
mia faccia, svanisce.
Rallento.
Poi mi fermo, lasciandogli ulteriori metri di vantaggio.
Sento
un CRACK da qualche parte, dentro.
In
certi momenti questo ridicolo teatrino della famigliola da
pubblicità crolla come se fosse fatto di cartapesta. Questo
è uno di quei momenti.
Per
quanto possa sforzarmi di ignorare, per quanto possa sforzarmi di far
finta di nulla...
Io
in realtà sto uno schifo.
Perché
mi manchi, Kyouko. E perché sei morta per colpa mia.
Non
dovrei nemmeno essere qui, ora. Dovrei essere a fare compagnia a te, a
Mondo, a Chihiro e a tutti gli altri.
Me
lo meriterei.
Poi
qualcosa si avvinghia al mio ginocchio.
“Papà,
tutto bene?”.
E
il sorriso ritorna.
Non
posso franare, non ancora. Devo reggere anche per lui.
Fingere.
Per lui.
Tenere
assieme i frammenti. Per lui. |
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Capitolo 4 *** In 'sto laboratorio fa un freddo fottuto ***
Titolo: In 'sto
Laboratorio fa un Freddo Fottuto.
Personaggi: Junko
Enoshima, Mukuro Ikusaba.
Generi: angst.
Traccia: Ma mentre
parlo/tu non mi ascolti/i casi sono due/o non mi ami più o
sei morta/propenderei per la seconda ipotesi/perché emani un
fetore nauseabondo (Urna - Elio e le Storie Tese), orfana. Scritta per
il Limitaprompt della Piscina di Prompt, con la limitazione una storia narrata dal punto di
vista di un oggetto inanimato.
Yawn. Mi sta venendo
sonno.
Credo che ormai si
stia facendo tardi. Consulterei un orologio se potessi, ma la mia
mancanza di mani non aiuta.
Già. Sono
un panno da laboratorio.
Oh su, non guardatemi
con quelle facce. Voi essere umani siete convinti che solo voi siate i
fortunelli a possedere una coscienza. Non funziona così.
È un
po’ come in Toy Story, solo che vale per qualsiasi oggetto.
Anche per quelli che evidentemente non possono muoversi liberamente
quando sono lasciati nelle condizioni adatte.
Un paio di volte ho
sostenuto delle conversazioni interessantissime con una delle celle
frigorifere, la numero tre per la precisione. È quella a cui
piace la filosofia. Per quelli di noi sprovvisti di bocca si
chiacchiera telepaticamente.
Però ora
dormono tutti. Non ho controllato bene, ma penso di essere
l’unico sveglio.
E allora tanto vale
che mi faccia ‘sto riposo, che me lo merito.
GNEK.
Come non detto.
È arrivato qualcuno.
Non faccio neanche la
fatica di chiedermi chi è. Da parecchi giorni a questa parte
una sola persona entra qui.
Di solito trasporta un
cadavere.
Stavolta
però non è così.
Anzi, aspetta che non
vedo bene... e vieni più avanti, stronza...
No, per ora non se ne
parla. La sento ansimare, appoggiata alla porta chiusa. Il suono arriva
attutito.
Purtroppo, dalla mia
posizione svantaggiata, non riesco a capirne bene il perché.
La ragazza chiamata
Junko Enoshima pare non avere intenzione di muoversi da lì,
anche se forse è solo perché è intenta
a riprendere fiato.
Pare aver sostenuto
una lunga ed estenuante corsa.
“Cazzo, ci
è mancato tanto così. Quella troietta di
Kirigiri...”.
Non che mi interessi
davvero, ma... cos’ha combinato adesso? È la prima
volta che la sento esprimersi in maniera tanto sboccata. Di solito,
quando mi omaggiava con la sua compagnia, era sempre molto metodica e
fredda in quel che faceva. Ci vuole metodo e freddezza nel riporre i
corpi nelle celle, oh.
Mi incuriosisce sapere
perché ogni tot porta qui uno dei suoi compagni di classe,
defunto. La classe 78 è andata progressivamente... si
può dire sparendo,
dato l’altissimo tasso di mortalità.
Non me ne intendo, ma
mi dà tanto la sensazione di essere un’omicida
seriale che ha preso di mira quelli sfigati abbastanza da esserle
vicino.
Ecco, ora la vedo un
po’ meglio.
No, stavolta
è sola. E ha una maschera sul volto.
Non capisco.
Perché la maschera? Non si è mai fatta problemi a
fare avanti e indietro in totale libertà, quasi fosse casa
sua. E il fatto che non veda da un po’ altra gente a parte
lei mi dà da pensare. Gente che respira, intendo.
Scomodo non avere le
gambe per alzarsi e controllare di persona.
Si avvicina a una
delle unità di conservazione, maneggia un po’ con
il meccanismo di apertura e VRAM, spalancata.
Riconosco
l’occupante di quel loculo: è sua sorella Mukuro.
Nonostante le apparenze sono fisiognomico e di ottima memoria. E anzi,
ora che mi sovviene lei è stata l’ultima altra
persona che ho visto in giro da parecchi giorni, se non settimane. O
forse mi confondo con quando l’ha portata qui, ora non
ricordo bene.
La mia vita
è dura, ok? Non pretendete troppo da me.
“Ciao
sorellina. Come ti va? Tutto bene nella tua celletta frigorifera? Se
vuoi posso portarti la tua pistola preferita per farti
compagnia”.
...
Come immaginerete non
sono proprio un espertone in merito, ma dubito che sia sano parlare a
una salma con il tono di chi si aspetta una risposta. Ma magari mi
sbaglio io.
“Ehi,
cos’è questo trattamento del silenzio? Ti ho fatto
qualcosa di male, per caso? Sembri uno di quei pagliacci tristi che ha
perso il sorriso e la voglia di far ridere i bambini”.
...
A quanto ricordo
Mukuro Ikusaba, l’ultima volta che l’ho vista, era
crivellata di ferite su tutto il corpo. Non credo sia nelle condizioni
di poter ribattere, sai?
“Dai,
togliti quella smorfia dalla faccia. Ora io e te andiamo a fare un
gioco divertentissimo. Eddai, non fare così. Ti prometto
che, finito tutto, ti darò qualche poveretto da sbudellare
per farti passare l’arrabbiatura. No, meglio: te li getto
addosso già morti. Così assaporerai un
po’ di disperazione di alta qualità. Non
è splendido?”.
...
“No no no no
no no, e su. Non mi devi trattare così, poi ci rimango male.
Non sei per niente kawaii”.
...
Qualcuno chiami gli
infermieri della casa di igiene mentale al posto mio, grazie.
“E comunque
puzzi. Datti una lavata alle ascelle ogni tanto, sei
orribile”.
...
Allora.
Tenendo conto che la
signorina Enoshima è l’unica persona viva che
vedo, che è lei stessa a portare i corpi per immagazzinarli
qui e che ogni tanto è soggetta a sbalzi di umore e di
personalità... c’è la
possibilità che sia stata lei ad ucciderla.
Io mi sentirei preso
in giro, fossi nella sorella.
Aspetta, appuriamolo.
“Mukuro,
mi senti?”.
No, ma sul serio? Non
credete nemmeno a questo? Voialtri siete proprio una razza strana e
mentalmente chiusa come le gambe di una suora degna di questo nome.
“Sì
oggetto, ti sento. Chi sei?”.
“Mr.
Panno. Ho una domanda da farti, scoccio?”.
“Un
po’, a dire il vero. Non vedi che ho ospiti? E non ospiti
qualunque”.
“Ti
chiedo solo dieci secondi”.
“E
sia. Spara”.
“No,
nulla. Volevo solo chiederti... ecco... se è stata lei a
farti finire qui”.
“...non sei gentile a farti gli affari miei”.
“Lo
so, scusa. È che sono curioso”.
“...ebbene sì, sono qui a causa sua. Gran brutto shock, devo
dire”.
“E
allora perché non la insulti e non le rinfacci il suo
crimine?”.
“Forse
perché non posso? Credo tu ti stia dimenticando che i morti
non parlano ad alta voce”.
“Hai
ragione, scusa. Tendo a scordarmi di questi dettagli”.
Interrompo la
conversazione, avendo ottenuto ciò che cercavo.
“Il mio
piano in due fasi ha trovato degli intoppi imprevisti nella prima
metà, nella fattispecie quella ficcanaso di Kirigiri che mi
ha impedito di disegnare un secondo sorriso sulla gola di Naegi.
Nonostante i ritardi e i disguidi, però, la seconda
metà è stata studiata e provata fin nei minimi
dettagli. È a prova di bomba, è proprio il caso
di dirlo”. E dicendo ciò si sfila la maschera e la
mette sulla faccia di quella sventurata di sua sorella.
“Dimostrami
il tuo amore per me”.
“Sempre
e comunque, Junko”.
Brrrr. Se potessi
rabbrividirei di fronte a questa ragazza. E di fronte al fanatismo di
Mukuro.
“Guarda
che ti sento, eh”.
“Mi
spiace, non lo ritiro. Anche se per altri motivi, sei pazza tanto
quanto lei”.
“Forse.
Non è più cosa che mi riguarda, dato il mio stato
di diversamente viva”.
La solleva, poi pare
avere un flash di quelli che ti vengono quando ti ricordi di esserti
dimenticato qualcosa. La riappoggia e velocemente mi prende da terra.
“Mi
servirai. Per fortuna ho già preparato il sangue di gallina
e il camice e l’esplosivo, manca solo il coltello che tengo
nella gonna”. Poi mi avvolge attorno al corpo.
Usciamo, andando
chissà dove.
Per gentile concessione di Mana Sputachu |
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Capitolo 5 *** Di morte, amore e pinzillacchere ***
Titolo: Di Morte, Amore e
Pinzillacchere.
Personaggi: Aoi Asahina, Makoto Naegi,
Junko Enoshima, Mukuro Ikusaba.
Generi: introspettivo.
Traccia: C’è
sempre un grano di pazzia nell’amore, cosi come
c’è sempre un grano di logica nella follia (F.W.
Nietzsche, Così parlò Zarathustra), orfana.
Scritta per il Limitaprompt della Piscina di Prompt, con la limitazione una
storia centrata sul/sui protagonista/i (del prompt), ma scritta dal
punto di vista di un personaggio secondario, anche se non
necessariamente in prima persona.
Osservo Hagakure
mentre si accinge a recuperare il congegno d’apertura.
È la fine
di un incubo. Un incubo da cui, purtroppo, siamo usciti in pochi.
Troppo pochi. E non è uscita la persona a cui tenevo, e
tengo, più di tutte.
Cerco di scostare una
lacrima mentre ripenso a Sakura-chan. Non vorrebbe che piangessi, non
quando abbiamo finalmente trovato la luce in fondo al tunnel.
È il
momento di sorridere. Dobbiamo farlo anche per loro, per quelli che non
ci sono più.
Eppure...
Eppure la mia mente si
ostina a sbattermi in faccia Ikusaba.
Ammetto che
è strano, dovrebbe essere l’ultima persona di cui
preoccuparsi. Anzi, in quanto parziale colpevole di questo crudele
gioco delle uccisioni, penso avrei un sacco di buoni motivi per
odiarla. Odiarla, relegarla in un angolo del mio cervello sotto la
colonna Esseri la cui Esistenza mi Disgusta e dedicarmi a qualcuno di
più meritevole.
Ma la storia sua e di
Enoshima, così come è stata dedotta da Naegi e
Kirigiri, mi lascia... perplessa? Rattristata? Dubbiosa di qualcosa che
non so spiegare?
Bizzarro, me ne rendo
ben conto.
Voglio dire,
perché fare quello che ha fatto? Perché prestarsi
a un simile teatro se, stando a quanto ci ha detto sua sorella, non ne
era del tutto convinta?
L’unica
spiegazione sensata che mi viene in mente è che le volesse
talmente tanto bene da assecondarla in tutto e per tutto. E, sebbene la
cosa mi faccia un pochino vergognare, mi posso identificare in un
simile sentimento nei confronti di qualcun altro. Spero in maniera non
così malata.
Accanto a me Naegi,
quello che si può a tutti gli effetti definire il nostro
salvatore, sembra perso nei suoi pensieri. Conoscendolo, credo stia
rivedendo passargli davanti agli occhi tutti i nostri amici morti.
Tutto ciò
è molto nobile da parte sua, ma penso sia più
utile aiutare qualcuno che ancora respira. E in questo momento io
rientro nella categoria.
“Naegi...”
comincio, più timida di quanto vorrei.
“Uh?
Asahina-san? C’è qualche problema?”.
“No, nessun
problema. Volevo solo... farti una domanda”.
Allarga le braccia
prima di esortarmi a porgliela.
“Ecco, stavo
ripensando a Ikusaba ed Enoshima. Considerando che noi non ci
ricordiamo nulla di quanto successo negli ultimi due anni, capisco se
avrai difficoltà a rispondermi... però, ecco...
uff, mi prenderai per scema...”.
Il suo sorriso
è rassicurante quasi quanto quello di Sakura-chan, anche se
lei lo sapeva dosare con consumata maestria per renderlo più
prezioso.
“Non vedo
perché dovrei fare una simile stupidaggine, Asahina-san.
Abbiamo appena concluso un’avventura folle in cui una nostra
compagna di classe aveva deciso che dovevamo ammazzarci a vicenda come
animali per il suo trastullo personale. Tranquilla che ormai
nient’altro potrebbe stupirmi, scandalizzarmi o farmi
dubitare della sanità mentale di qualcuno”.
Non che abbia tutti i
torti, a ben guardare.
“Quindi stai
serena, poni la tua richiesta e se posso cercherò di
aiutarti”.
Non è
facile. Mi sento stranamente contrita, per non so quale cavolo di
ragione.
Il suo sguardo
interrogativo mi chiede silenziosamente di esprimermi che non mi
mangia. No, non lo farebbe mai. Non lui.
“Scusa, non
so perché faccio fatica. In fondo è una stupida
curiosità che mi frulla in testa”.
“E allora
parla in santa pace, non ti giudicherò se è
questo che temi”.
“Va... va
bene. Io mi stavo chiedendo... perché secondo te Mukuro
Ikusaba si è comportata come si è comportata.
Quel che intendo è... Enoshima ha detto che questa tremenda
idea era tutta merito suo e che sua sorella si era solo prestata come
una brava aiutante ubbidiente. Non ho potuto fare a meno di domandarmi
a cosa fosse dovuto. Fanatismo? Un distorto senso del dovere? Troppo
affetto?”.
A giudicare dalla sua
espressione il mio dubbio era infondato: mi può prendere per
tante cose, una che si fa troppi problemi in primis, ma per scema non
credo mi ci prenderà. Perché dà la
sensazione di dedicarsi con tutta la propria concentrazione e materia
grigia alla questione, dandole quindi una certa importanza. La mano sul
mento la dice lunga.
Poi il suo sguardo
enigmatico si scioglie, si volta leggermente nella mia direzione e
comincia: “Asahina-san, ricordo che una volta ho letto da
qualche parte di un eminente filosofo europeo del 1800 che diceva
qualcosa tipo c’è sempre un po’ di
pazzia nell’amore, come c’è sempre un
po’ di logica nella follia. Ho la sensazione che questa frase
sia il riassunto ideale del loro rapporto, e anche dello stato
psicologico di Enoshima. Perché immagino che, dal suo punto
di vista, tutto questo delirio avesse un senso...”.
“Si sta
riferendo a Nietzsche e la citazione è sbagliata”
giunge dalle nostre spalle la voce di Togami, a cui entrambi
rispondiamo con uno sbuffo e una non formulata richiesta di farsi gli
affari suoi.
“Quindi stai
dicendo che pensi Ikusaba si fosse... diciamo piegata alla sorella
perché... la amava al punto di diventare un po’
pazza?”.
“Sostanzialmente
sì, anche se pazza è una parola forte che non
userei per Ikusaba-san. Pur riconoscendo la sua fetta di
responsabilità per l’incubo che abbiamo vissuto,
personalmente la considero una vittima tanto quanto noi. Anche se posso
capire chi non è d’accordo con me. Per quanto
riguarda Enoshima-san, invece... ovviamente per lei il discorso
è diverso. E nonostante questo la frase mi sembra comunque
azzeccata, perché come ti ho già detto temo che
lei trovasse tutto ciò sensato, persin giusto. Rabbrividisco
alla prospettiva di scavare e capire il funzionamento di quella mente,
sempre che sia possibile”.
“Sì,
in effetti ho passatempi più sfiziosi”.
“Però
continuo a credere che, in una maniera tutta sua, ci fosse uno scopo. O
almeno una parvenza”.
“Cosa te lo
fa pensare?”.
“Niente in
particolare. È un’impressione a pelle, senza base.
Ma sento che era così”.
“Non
c’è scopo nella schizofrenia” si
intromette ancora Togami. Da quand’è che
è diventato così chiacchierone se non
interpellato direttamente?
Lo ignoriamo.
Dev’essere uno stimolo nuovo per lui.
Discutiamo ancora un
po’, con Naegi che continua a sostenere il suo punto di vista
senza fondamento. Non sarò io a dirgli che sbaglia,
d’altronde il debito di gratitudine che tutti noi abbiamo nei
suoi confronti gli lascia margine per dire quello che gli pare. E
comunque non sono neanche così sicura che non possa aver
ragione, quindi...
Poi Hagakure, dopo
quella che è sembrata un’eternità,
torna col telecomando e lo consegna a Kirigiri, la quale si avvia verso
l’ingresso senza dire una parola.
Qui qualcuno ha una
voglia matta di mettere il naso fuori da questa prigione. Sarebbe
stupido pensare che sia l’unica.
Ma sì,
basta parlare di quella squilibrata di Enoshima. Siamo liberi.
Pian piano cominciamo
a seguirla, in silenzio. |
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