Mondfinsternis di Yellow (/viewuser.php?uid=29054)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Capitolo1 ***
Capitolo 1 *** Prologo ***
Primadi leggere: I Tokio Hotel non mi
appartengono, no a scopro di lucro, e non voglio offendere nessuno...ho
dimenticato qualcosa? SicuramenteXD.
Si ringrazia la paziente 2Lei per
avermi betato il capitolo, credetemi se vi dico che praticamente
è la seconda autrice di sta storia perchè betare
me significa quasi riscrivere tuttoXD. Sono una sgrammaticata e non so
scrivere, ma questa storia lo volevo assolutamente realizzare. Quindi
buona lettura. Commenti e insulti sono ben accetti!
Prologo
Vi
è mai capitato di
avere tutto dalla vita e di non essere affatto soddisfatti?
Ad un
viziato
certamente! Quando sei il rampollo di una delle famiglie più
importanti della
Germania non puoi che esserlo!
Vi
è mai capitato di
essere felici e di
pensare perennemente
alla morte?
Ad un pazzo
o ad un
adolescente alle prese coi problemi
e i melodrammi
della vita.
Pensatela
come vi
pare.
Vi
è mai capitato di
avere il futuro lucido davanti a voi e di voler evadere dalla
realtà per
rintanarvi in un’illusione?
Ad un
sognatore o ad un
bambino che si permettono ancora di volare con un paio di ali bucate.
Vi
è mai capitato di
essere circondati da amici, veri o falsi che siano, e di pensare di
essere soli?.
Ad un
egoista che sa solamente
pretendere e si concede la libertà di sentirsi solo.
Mi sento
solo, sempre.
Mi sento
solo perché
so che mi manca qualcuno, qualcuno di importante per me.
Qualcuno di
essenziale
per completare il puzzle
Un dannato
pezzo di
puzzle che hai cercato per tutta la tua esistenza, credendo a volte di
averlo
trovato per poi scoprire di esser stato illuso.
Un maledetto
pezzo di
puzzle che hai cercato ovunque, anche nei posti più
impensabili e scoprire infine
che era proprio nelle tue mani.
Un infernale
pezzo di
puzzle col quale, una volta trovato, credi di poter completare
finalmente il
tuo mondo ed invece non ha fatto altro che frantumare il resto
dell’opera che
hai faticosamente incastonato e costringerti a ricominciare da zero.
E se
nonostante ciò vi
sentiste finalmente realizzati?
Finalmente
completi?
Finalmente
vivi?
Realmente
felici?
Voi cosa
avreste fatto
al mio posto?
Ma non
ditemelo,
non mi
interessa.
Perché la mia scelta...
io l’ho fatta:
giusta o sbagliata che sia
non sta a nessuno
giudicarla.
Perché
questa è la mia
storia...
La nostra
storia.
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Capitolo 2 *** Capitolo1 ***
Al solito, ringrazio la mia beta preferita 2lei.
Capitolo 1
Scagliò con forza il mattone contro una delle finestre. Il
vetro si frantumò in mille pezzi sotto gli sguardi di
molteplici occhi soddisfatti. Delle risate si diffusero
nell’aria, coprendo in parte il fracasso dei vetri che si
schiantavano sul pavimento.
-Gut! Qua la mano!- esclamò un ragazzo tipicamente tedesco:
capelli biondi e corti con la fronte coperta da una fascia nera, occhi
azzurri, dando il cinque ad un altro ragazzo dai cappelli lunghi e
lisci che gli ricadevano sulle spalle.
-Bravissimo Gero!- cinguettò una ragazza dalla pelle
abbronzata ed un corpo da sballo. Si avvicinò con passi
felpati a quello che aveva chiamato Gero e gli si strusciò
lentamente contro. Gero sensualmente le cinse la vita e si
chinò su di lei baciandola appassionatamente.
-Danke!-formulò appena le loro labbra si staccarono, poi si
girò verso gli altri ragazzi che li stavano guardando:
alcuni con l’espressione visibilmente schifata, altri
divertita.- E’ così sexy la mia gattina preferita!
Mi fa venire una voglia- pronunciò Gero indicandola fiera,
scatenando risate generali e qualche “porco” e
“sei il solito”.
-Ehi! Fatte le porcate a casa vostra! - Ribatté il giovane
dalla corporatura massiccia che poco prima gli aveva dato il cinque,
doveva avere al massimo vent’anni.
-Oh! Aaron sii ragionevole, è troppo eccitante la mia
piccola Francis- terminò la frase rivolgendole uno sguardo
malizioso e le diede un altro bacio, la ragazza ricambiò ed
emise una risatina.
-Fate quello che volete, ma levatevi dalle palle.- Si
rassegnò, scolandosi una dose massiccia di birra. Prese un
altro mattone da terra- Chi vuole essere il prossimo?-
Sghignazzò.
Erano una decina di ragazzi, tra i sedici e i vent’anni,
alcuni parevano già ubriachi, altri bevevano
tranquillamente, chi la vodka, chi la birra. Aaron era il
più anziano della “famiglia”, anche se
solitamente i componenti di una “famiglia” non
erano soggetti ad un ordine gerarchico, tutti rispettavano Aaron e lo
ritenevano il loro capo anche se non ufficialmente. Si
guardò un po’ intorno incrociando vari
sguardi vogliosi ed eccitati. I suoi occhi si posarono su una figura
seduta in disparte, lontana dal gruppo, col capo chino. I lunghi rasta
raccolti in una coda alta che gli cadevano abbandonati lungo le guance.
-Simon! Ti vedo un po’ floscio oggi!
- Cazzo Aaron! Ti piace tanto il mio cognome? Te lo regalo se vuoi!- il
ragazzo alzò lo sguardo, il volto semi-nascosto dalla
visiera del cappellino della NY, inclinato leggermente verso destra,
sotto di essa una fascia che nascondeva le orecchie.
-Sei peggio di una donna incita! Trascina il tuo culo qui! -
Ordinò amichevolmente Aaron, suscitando una risata generale.
Gli piacevano tutti della “famiglia”, ma Tom Simon
era speciale per lui, lo considerava come suo fratello minore e a Tom
non sembrava dispiacere affatto.
Il Rasta si alzò, si stirò per bene i vestiti
extralarge e si avvicinò sghignazzando, incurvando la bocca
leggermente verso sinistra mettendo in bella mostra un piercing al
labbro inferiore.
-Non è colpa mia se le tue feste diventano sempre di
più da pappamolle, stai invecchiando papi!
-Cinque che non riesci a centrare quella finestra al secondo piano!
Eroe!- Gli lanciò il mattone, Tom lo prese al volo con
spontaneità.
-Dieci e ti becco quella al terzo piano a destra!
-Vada per dieci!
-Inizia a tirarli fuori, bello!- Si caricò, sotto i fischi e
le urla d’incoraggiamento degli altri ragazzi.
Scagliò con forza il mattone che andò a segno,
spaccando senza tanti complimenti il vetro. Esultò per
l’esito.
- Sgancia la grana, papi!
-Culo!- Appoggiò i dieci euro nella mano di Tom.
Improvvisamente un suono tremendo, spaccatimpani si diffuse
nell’aria.
- Cazzo! L’allarme! Tom, coglione! Che cosa hai beccato?!-
Urlò Gero per nulla nel panico, anzi divertito. Doveva
essersi fatto nuovamente.
-Ma che cazzo ne so io?!
-Volete rimanere ancora qui a discutere o vogliamo darcela a gambe,
prima che arrivino gli sbirri?!
I ragazzi buttarono in malo modo tutte le bottiglie per terra,
lasciando li’ tutti i rifiuti che avevano prodotto nel corso
della nottata e corsero il più velocemente possibile,
attraversando il grande parco e scavalcando con agilità il
muro, Tom, come al solito, rimase un po’ in dietro rispetto
agli altri, cercando di fare il meglio che i vestiti extralarge gli
permettevano.
Appena al di là del muretto, che delimitava la
proprietà privata, i ragazzi si divisero in piccoli gruppi e
andarono in direzioni diverse ridendo e scherzando, lasciando alle
spalle la “Kaulitz International School of Deutschland. Come
indicava una targa di ottima fattura in bella vista accanto al cancello.
Mentre scappavano via, sentirono la sirena della polizia interrompersi
davanti alla scuola.
Corsero per due isolati e si fermarono ansimando mentre si stavano
soffocando dalle risate.
Aaron, Gero, Francis e Tom avevano imboccato la stessa via.
-Simon, quei vestiti prima o poi ti rovineranno! Cazzo ci nuoti dentro,
mettiti qualcosa della tua misura!
-Schesse! Non farmi la paternale Aaron!- si infastidì
leggermente Tom. Sin da piccolo non aveva mai avuto nessuno che gli
dicesse cosa era meglio e cosa peggio, non amava ricevere ordini da
nessuno, tanto meno dal suo migliore amico e fratello Aaron.
-Serio Tom, così prima o poi ti farai beccare- insistette.
Sapeva che Tom non amava il fatto che qualcuno si preoccupasse per lui,
ma non voleva vederlo un giorno in mano alla polizia perché
era inciampato nei suoi pantaloni stramaledettamente larghi. Sarebbe
stato ridicolo
-Oh! Piantatela voi due!- intervenne Gero separando bruscamente i due
che si stavano guardando in cagnesco- Tu fatti venire meno lo spirito
paterno, specialmente per delle cazzate! E tu, cazzi tuoi se un giorno
ti beccano perché magari i tuoi vestiti si sono impigliati
da qualche parte.
-Ben detto!!- annuì soddisfatto Tom.
Era sempre così, tra Tom ed Aaron avvenivano spesso
moltissime discussioni poiché erano le lingue di
un’unica fiamma, e toccava sempre a Gero calmarli con parole
schiette e vere. A Tom piaceva moltissimo Gero, appunto per il suo
menefreghismo.
-Ti amo ‘more- Francis lo tirò a sé
afferrandolo per il colletto della maglietta per scambiarsi delle
effusioni non poco implicite.
-Schesse, che schifo!- Gridarono all’unisono Aaron e Tom. Si
allontanarono, dirigendosi verso casa, lasciando i due a fare quello
che amavano fare.
Le periferie di nessuna città erano sicure e quella di
Berlino non faceva di certo eccezione. I borghi di Berlino erano
stramaledettamente pericolosi e bui. La legge era poco presente.
Avvenivano molti omicidi e gli assassini non si preoccupavano nemmeno
di disfarsi del corpo. Semplicemente li gettavano nella spazzatura a
cielo aperto finché non marcivano ed iniziavano a produrre
un odore irritante, solo a quel punto qualcuno denunciava la presenza
del cadavere e la polizia interveniva.
Tom non aveva mai conosciuto i suoi veri genitori, ma nello stesso
tempo aveva avuto tantissimi padri e madri. Era stato cresciuto da una
coppia di anziani, i Simon appunto, che desideravano disperatamente un
figlio, ma non ne potevano avere; gli avevano sempre raccontato che lo
avevano raccolto per strada, in una carrozzina abbandonata. Quando
compì dieci anni la copia morì, lasciandolo solo,
d’altronde lo era sempre stato. Non si era mai sentito
veramente completo, era una strana sensazione, come se metà
della sua anima mancasse. Passò di casa in casa. Infine fu
adottato dalla famiglia di Aaron con cui aveva relazionato bene ed era
relativamente felice, anche se si sentiva sempre un estraneo. La
famiglia Mueller era formata solo da due componenti prima che arrivasse
lui: madre e figlio. Da quel che Aaron gli aveva detto non avevano
vissuto sempre in quella topaia. Erano una normale famiglia benestanti,
non eccessivamente ricca, ma neanche povera. Suo padre era dipendente
della “Kulitz & Co.” , era addetto al
controllo dei computer e guadagnava discretamente, almeno da permettere
un appartamento nel centro di Berlino a sua moglie e a suo figlio di 5
anni. Poi un giorno accadde il disastro. Herr Mueller fu licenziato,
accusato di passare informazioni private alle ditte concorrenti. Aaron
credeva fermamente che suo padre fosse innocente, come poteva un uomo
dolce e pacato fare la spia? Non aveva abbastanza fegato.
Infine accadde l’inevitabile: Herr Mueller si
suicidò poco dopo il licenziamento ed Aaron e sua madre
furono costretti a trasferirsi nei borghi di Berlino.
Aaron ammirava suo padre, dal profondo del suo cuore, amava la sua
onestà, la sua devozione per la sua famiglia, ma alla fine
li aveva abbandonati. Era stato un meschino che non aveva avuto il
coraggio di affrontare i problemi ed aveva semplicemente preferito
scappare dalla vita, voltare le spalle alla propria famiglia,
abbandonare moglie e figlio.
Tutto il mondo gli crollò addosso, iniziò ad
odiare quella figura paterna che aveva sempre considerato un eroe ed
iniziò a cambiare, non voleva essere come suo padre e fare
la sua stessa fine.
A cosa serviva essere onesti, buoni e gentili se la fine che portava
era questa?
Aaron affermava sempre di odiare suo padre, ma Tom sapeva bene che lo
adorava ancora e che la sua mania di distruggere le
proprietà dei Kaulitz era una sorta di vendetta personale.
Almeno lui aveva il ricordo di un padre, qualcuno da odiare. Tom invece
neanche conosceva il volto di suo padre e se non era certo che un
bambino nascesse necessariamente da un rapporto fra uomo e donna, si
sarebbe sicuramente ritrovato a pensare di non avere neanche dei
genitori.
Ridendo e spingendosi a vicenda, percorsero un vicolo che conduceva
ad una casa in uno stato poco rassicurante. Aaron fece segno
di fare silenzio ed aprì lentamente la porta, immediatamente
qualcosa lo colpì in pieno viso: il cazzotto di sua madre.
-Dove sei stato?Sono le 5 di mattina!- era furiosa.
-Cazzi miei!
-Non ti permettere, bamboccione che non sei altro! Hai
vent’anni ed ora che ti trovi un lavoro fisso!
-So badare a me stesso!
-Sai badare a te stesso! Allora perché mi stai ancora
appiccicato al culo come un moscerino e non te ne vai a farti una vita?!
-Una vita mia ce l’ho!
-Ok, certo! Non parliamo di te allora, ma di Tom! Lui deve andare a
scuola! Non lo farò diventare un secondo te! Piantala di
dargli brutti esempi!
Tom, che era stato zitto ed immobile fino a quel momento, si
sentì improvvisamente in colpa e sentì il bisogno
d’intervenire.
-Ma Frau Mueller, non è colpa…
- Tom zitto! Andiamocene di sopra.- Aaron lo trascinò via,
lasciando la donna sola.
Rimasero in silenzio per tutto il tragitto che li portava alla loro
camera. Aaron e Tom condividevano la stanza , non che fosse grande, ma
era più per necessità che per altro. Certo
dividere la camera con un’altra persona portava i suoi
vantaggi ma anche molti svantaggi come ad esempio la mancanza di
qualunque tipo di privacy. Per il più delle volte era
divertente avere un compagno nella stessa stanza, parlare fino a notte
fonda delle cazzate, specialmente se quel compagno si chiamava
“Aaron”, capace di tirar fuori le stupidate
più varie.
Aaron si tolse malamente la fascetta e la gettò in un angolo
della stanza sicuro che il giorno dopo non l’avrebbe trovata,
ma poco gli importava in quel momento, era l’ultimo dei suoi
problemi. Sospirò fortemente quasi sbuffando, il tutto mente
Tom lo osservava silenzioso e pensoso.
-Perché?-si decise a parlare finalmente il rasta, dopo aver
esitato aprendo e chiudendo la bocca più e più
volte.
-Cosa?-gli lanciò un occhiata quasi infastidito,
sedendosi sul bordo del letto disfatto dalla mattina. Tom
esitò di nuovo, non per paura o per timore, ma per disagio.
Non sapeva che dire o che fare in quei momenti, sapeva che la cosa
migliore da fare era starsene zitto e lasciare che Aaron si calmasse da
solo. Aveva sempre fatto così quando tra l’amico e
la madre avvenivano queste discussioni, ma questa volta avevano tirato
in ballo pure lui e non gli piaceva essere la causa del litigio.
Viveva con loro ormai da molti anni ormai e in teoria si dovrebbe
sentire parte della famiglia, ma non era così, non era mai
stato così. Si sentiva un perfetto estraneo, un perfetto
parassita capace di infastidire con la sua sola presenza. Tom aveva il
capo chino con la visiera a coprirgli parte del viso visibilmente a
disagio.
-Perché non mi hai fatto finire la frase? Lo sai che tu non
c’entri niente, non sei tu che mi costringi a marinare la
scuola, a rubare, a combinare cazzate. Perché lasci che tua
madre pensi male di te?
Aaron lo guardò prima infastidito, poi stupito ed infine
scoppiò in una fragorosa risata, distendendosi sul letto e
portandosi teatralmente una mano sulla pancia. Toccò a Tom
irritarsi, era già stato tanto imbarazzante dire quelle
parole ed Aaron cosa faceva? Gli rideva in faccia con la
grazia che solo un mammut riusciva a superare.
Aaron si alzò dal letto sghignazzando, si
avvicinò a Tom che era rimasto tutto quel tempo accanto alla
porta.
-Tom Simon che ha i sensi di colpa! Non è cosa che si vede
tutti i giorni!- lo canzonò
-Io...-boccheggiò Tom non sapendo che dire, ma prima che
potesse trovare una battuta stupida o qualsiasi frase da ribattere,
Aaron lo precedette.
-Ti vuole bene e ti stima, pensa che tu sia un ragazzo per bene. Non
vedo perché dovrei disilluderla così. Tanto per
lei sono già un delinquente, non mi cambia la vita qualche
accusa in più. Ti considera più suo figlio di
me!- Aaron gli prese le guance fra le mani schiacciandole leggermente,
deformando buffamente il viso sorpreso di Tom.
-Dalle tutte le soddisfazioni che io non riesco a darle Tom!-Gli
abbassò ulteriormente la visiera del cappellino per poi
scappare fuori dalla porta urlando qualcosa tipo:”Sii il suo
gattino preferito!” ridendo a crepapelle. Era chiaro che lo
stava nuovamente prendendo per il culo e lui per un millesimo di
secondo pensava di aver intravvisto l’altra parte di Aaron,
quella sentimentale, invece era l’ennesima presa per i
fondelli: eppure a Tom era apparso che Aaron fosse stato
sincero e un po’ triste mentre pronunciava quelle parole.
Figlio. Davvero Frau Mueller lo considerava come suo figlio? Che
domanda scema, certo che sì, lo sapeva, bastava vedere come
lei cercava sempre di metterlo a suo agio, i modi affettuosi che gli
rivolgeva, le piccole attenzioni che gli dedicava. Si sentì
in colpa, lui non la considerava sua madre, mai lo aveva pensato. La
chiamava semplicemente Frau Mueller con distacco. Era un ingrato e un
bastardo, a volte si chiedeva se anche lui come tutti gli esseri umani
sulla terra fosse dotato di sentimenti profondi o Dio semplicemente era
in pausa pranzo quando era nato e si era scordato di donargli la
capacità di amare e di legarsi a qualcuno.
Scrollò le spalle e si buttò a peso morto sul suo
letto attaccato orizzontalmente al muro, accanto alla porta della
stanza.
“Quanto mi manca.”
Nello stesso momento in cui formulò quel pensiero si
sorprese di se stesso.
Gli mancava…
Ma chi?
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