Life

di Inu_Ran
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** 1°: Truth. ***
Capitolo 2: *** 2°:Return. ***
Capitolo 3: *** 3°: Tears. ***
Capitolo 4: *** 4°: Break. ***
Capitolo 5: *** Cap. 5: Life ***



Capitolo 1
*** 1°: Truth. ***


                                                                 Life

1°: Truth.

“Ran sono io, da quanto tempo?”
“Un mese.” Rispose fredda.

I libri,i romanzi, le penne e tutto quello che era sopra la scrivania cadde rovinosamente a terra producendo un enorme tonfo. Ma Ran non si fermò, ormai piena di rabbia, prese il portafoto che ritraeva due giovani sorridenti, lei e Shinichi, e la scaraventò a terra frantumando il vetro. I cocci del vetro volarono per tutta la stanza mentre la foto non aveva subito nessun danno. La osservò e voleva che quel sorriso che mostravano entrambi scomparisse, soprattutto quello di lui. Voleva sapere che per una volta lei non era l’unica a soffrire.

“Ran, sto tornando da te. Manca solo un po’ ma poi ci vedremo tutti i giorni.”
“Non mentire.”


Ma per quanto lei volesse urlare, buttare a terra tutto ciò che trovava o tentare di dimenticare, la realtà non cambiava. Il suo dolore non sarebbe scomparso, forse neanche il tempo l’avrebbe guarita anzi era suo nemico. Ed aveva anche compreso come il dolore arrivasse senza preavviso nella vita, irrompendo, cambiando tutto ciò che ti eri costruita con fatica.

“Te lo prometto.”
“Non fare promesse che non puoi mantenere. Ti prego non illudermi.”
“Ma Ran…”
“Dove sei stato nell’ultimo mese? Quando il mondo mi è crollato addosso? Non mi hai chiamato per un maledettissimo mese.“


La telefonata che aspettava da tempo era arrivata ma diversamente da ciò che aveva previsto le parole erano uscite da sole. Non voleva urlargli contro, non voleva dargli del bugiardo ma era semplicemente scoppiata e per un po’ si era sentita bene. Per una volta non era lei la vittima di quel destino crudele ma lui che davanti l’evidenza aveva chiesto scusa ed aveva chiuso la chiamata. Per una volta era lei quella che teneva le redini del gioco. Conan entrò nella stanza di Ran attirato dai forti rumori e quello che vide gli fece gelare il sangue. La stanza era completamente in disordine, strano considerando che lei era una persona pulita, ma ciò che lo colpì fu vedere la foto che li ritraeva a Tropical Land a terra. Si avvicinò ad essa e la prese. Ran accortasi dell’entrata del suo fratellino si rilassò. Lo prese in braccio e lo fece accomodare sul letto.
“Mi dispiace averti spaventato. Ora sistemo tutto.” Raccolse le cose da terra e le sistemo sopra la scrivania.
“Questa non la vuoi?” chiese Conan mostrando la foto. Ran si sentì male al solo pensiero di averlo incolpato. Lui che l’unica colpa che aveva era quella di ignorare la sua situazione ed era stata lei a volere che fosse così. Di cosa si lamentava?
“Certo, non la vorrei perdere per nulla al mondo.” Il detective sorrise a quell’affermazione ma quest’ultimo si spense allorché la ragazza si mise alla sua stessa altezza, lo abbracciò e successivamente copiose lacrime scesero dai suoi occhi.
“Non posso. Non riesco a vivere così. E come se annegassi, ogni volta che arrivo in superficie ricado immediatamente giù e non riesco a prendere abbastanza aria. Vorrei solo che tutto questo finisse subito.” Urlò la Karateka infischiandosene di chi la potesse sentire. Conan si ritrovò in una situazione difficile da gestire poiché qualunque cosa dicesse a Ran rispondeva con: “bugiardo” e “non capisci”. Forse era vero? Lui non la capiva più come un tempo? Nell’ultimo mese era stato distante con lei sia nei panni di Conan che  in quelli di Shinichi. Aveva trovato la base dell’organizzazione, era riuscito, con l’aiuto del F.B.I., a fermarli ma della formula della apotoxina4869 non vi era neanche l’ombra. Lui era stato troppo ottimista a sperare che la si potesse trovare così facilmente, sicuramente l’avevano nascosta in uno dei laboratori. E così era iniziata la ricerca per riappropriarsi della propria vita, ma il desiderio di dire a Ran che presto sarebbe tornato da lei era stato più forte e le aveva chiamato. Non si aspettava dopo un mese un accoglienza da re ma almeno un po’ di dolcezza nella sua voce.

“Lasciala stare. Presentati quando sarai nella tua vera forma.” Gli consigliò la scienziata.
“Ma sono stanco di fingere.” Sbuffò stanco di quella situazione.
“Non dirle niente, non raccontarle il motivo della tua distanza, le faresti altro male che non merita. Devi portare un po’ di pazienza.” Non voleva che nessuno dei due si facesse del male, infondo voleva bene ad entrambi.
“Forse hai ragione. La chiamerò per dirle che tra poco tornerò.”
“Kudo così vi farete solo male entrambi. Ti accorgerai con i tuoi stessi occhi di come tutto sia diverso da ciò che hai immaginato. I sogni arrivano lentamente ma si infrangono in fretta quando incontrano la realtà.”

Doveva fare come aveva detto Haibara sin dall’inizio. Come poteva dare delle certezze a Ran quando neanche lui ne aveva? Uno stupido, idiota, egoista. Il peggio era che la ragazza non smetteva di piangere. Conan trovò una soluzione solo quando sentì la voce inconfondibile di Heiji e con lui anche quella di Kazuha. Si liberò dalla stretta di Ran e corse verso la porta d’ingresso.
“Come va occhan?” chiese Heiji.
“Come sempre: male.” Rispose un Kogoro con due enormi occhiaie sul volto. Il detective dell’est raggiunse rapidamente la porta d’ingresso, salutò i due ragazzi e prese per mano Kazuha.
“Kazuha mi devi aiutare. Ero in camera con Ran ed ha incominciato a piangere, non riesco a farla smettere magari tu che sei sua amica puoi farcela.” La ragazza non se lo fece ripetere due volte e corse verso la stanza della Karateka. Nel frattempo Kogoro era uscito con la scusa di vedere se il suo cavallo avesse vinto.
“Ehi Kudo è meglio se usciamo a fare una passeggiata, vedrai che ora starà meglio.” Le sue parole non l’avevano rassicurato del tutto ma forse uscire di lì gli avrebbe fatto bene.
“Forse hai ragione tu. Ti devo dire una cosa importante.”
 
I due ragazzi si diressero al parco di Beika e solo quando trovarono una panchina libera decisero di fermarsi.
“Allora Kudo si tratta di Ran, vero?” Shinichi si stupì del suo amico, non si conoscevano da tanto eppure sembrava il contrario.
“Ottima deduzione. Ho intenzione di dirle la verità.” Passò un minuto di silenzio interrotto dalle urla di Heiji.
“Sei pazzo? Non lo fare, le faresti del male e non lo fare soprattutto ora.”
“Hattori vuoi farlo sapere al mondo intero?”
“Scusami. Ma ti rendi conto di quello che vuoi fare? Vuoi che ti odi per sempre?” Shinichi sospirò.
“Cosa importa se mi odia? Non lo fa già?” Domandò, conoscendo già la risposta.
“Ma se tu tornassi da lei potrebbe dimenticare gli ultimi mesi. Potresti renderla felice, e lei ne ha proprio bisogno in questo momento.” Cercò di farlo ragionare ma il suo amico era irremovibile.
“Così potrà odiarmi per un valido motivo invece di logorarsi in cerca di risposte. Guardami Hattori.” Si tolse gli occhiali e poi lo fisso dritto negli occhi.”Prima quando mi levavo gli occhiali mi sembrava di tornare ad essere me stesso, ma col tempo ogni volta che li perdevo o qualcuno me li prendeva mi sentivo perso come se essi facessero parte di me. Gli occhiali sono di Conan, l’età di un bambino è di Conan, il ruolo di fratello è di Conan. Io voglio indietro la mia vita, quella di Shinichi. Ho paura…” si bloccò un attimo, non era solito lamentarsi con qualcuno. Preferiva tenersi tutto dentro, pensare ad una soluzione e solo allora eliminarlo del tutto. Ma era stanco ed aveva bisogno di un amico, qualcuno che lo capisse e per una volta non l’incolpasse. “… Ho paura che prima o poi Conan prenda la vita di Shinichi. Non voglio sopravvivere, come ho fatto negli ultimi mesi, io voglio vivere. Quindi forse mi odierà, non mi parlerà ma sarà un’azione che farò da Shinichi Kudo, perché non riesco ancora a credere che tra poco sarò di nuovo me stesso. Ne ho bisogno per non morire.” Heiji lo fissò per qualche secondo senza pronunciare parola. Il discorso del detective l’avevano colpito, non aveva mai pensato cosa significasse essere un bambino. Di solito, Shinichi si lamentava di quanto fosse noioso andare di nuovo all’elementari o giocare con dei bambini di sette anni ma non aveva mai accennato alla paura di scomparire.
“Sono felice.”Kudo sgranò gli occhi dallo stupore e si rimise gli occhiali.
“Perché non ti sei mai aperto così con me. Mi fa piacere sapere come ti senti: non siamo forse amici?” Rise.
“Hattori io sono serio e tu ridi. Io non ti capisco.” Anche lui era felice di sapere che il suo amico l’avesse capito. Si sentiva meglio, più leggero.
“So che non cambierai idea ma non potresti aspettare un po’?”
“No.” Rispose secco.
“Allora si delicato e cerca di capire la situazione. Per lei non è facile.” Disse il detective di Osaka prima di alzarsi ed incamminarsi verso casa di Ran dove sapeva che si sarebbe consumata una tragedia.
 
Quando i due ragazzi si trovarono di fronte la porta di casa Mori entrambi si sforzarono di sorridere per poi suonare il campanello. Un bella donna dai capelli raccolti e dal viso stanco aprì la porta.
“Salve Kisaki-san.” La salutarono all’unisono i ragazzi.
“Ciao, come va Heiji? Sapete dov’è andato Kogoro?”
“E’ andato a vedere se ha vinto la scommessa.” Rispose il detective dell’est. Entrambi si aspettavano le urla della moglie sapendo dove stava il marito ma non fece una piega. Da un mese Eri era tornata a casa e stranamente da quello che aveva immaginato Conan non c’erano state urla, litigi tutto sembrava andare per il verso giusto. Erano diventati la famiglia perfetta. Il perché era un mistero.
“Meglio così gli serve un po’ di distrazione.” Disse sconsolata “Io vado a fare la spesa. Heiji se ti vuoi fermare da noi a cenare sarà un piacere.”
“La ringrazio, accettiamo con piacere.” La donna uscì lasciandoli soli. Il detective dell’est era eccitato finalmente avrebbe rivisto la sua Ran con gli occhi di Shinichi e non le avrebbe più nascosto la verità. Ma prima doveva liberarsi di Kazuha ed a quello ci pensò Hattori che entrò con la scusa di dirle che erano stati invitati a cena. Conan era deciso ad entrare insieme a lui ma gli chiuse la porta in faccia senza permettergli di entrare.
“Devo dire una cosa a Ran. Tu aspetta fuori.” Decise di ascoltare le parole dell’amico e di aspettarlo. Quando i due ragazzi uscirono Heiji gli disse “buona fortuna” e lo spinse all’interno.
La stanza di Ran profuma di vaniglia. La ragazza era seduta sul letto mentre le sue sottili gambe dondolavano a destra e sinistra. Shinichi prese il coraggio necessario per affrontare questa situazione perché era consapevole che la sua vita sarebbe cambiata. Se c’era una cosa che sapeva di lei era che odiava le bugie e lui era diventato il re di quest’ultime.
“Ti devo dire una cosa importante.” Disse Shinichi ad alta voce in modo che sentisse bene.
“Io ho la leucemia.”Sussurrò Ran.
 

Angolo dell’autrice:
Salve a tutti=) sono tornata, anche se pensavo che non avrei mai scritto di nuovo in questo fandom, con una long. L’idea di una Ran malata di leucemia mi è venuta leggendo “la custode di mia sorella”, un bel libro che vi consiglio. Non sarà particolarmente lunga, credo che durerà 3-4 capitoli. Quanti di voi hanno pensato che Ran soffrisse per Shinichi? E quanti hanno pensato che Ran soffrisse di qualche male? Ho cercato di far credere che la colpa fosse del detective, spero di esserci riuscita. Secondo voi devo mettere OOC? Ve lo dico fin da subito che non sono un medico però mi sono informata un po’ su internet quindi se più avanti dovessi sbagliare mi scuso prima. Inoltre con questa storia non intendo offendere coloro che hanno questa malattia, mi sembra giusto e corretto dirlo nei vostri confronti. Sarò felice di leggere i vostri commenti di qualsiasi natura. Vi ringrazio e alla prossima. Buona serata a tutti <3

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Capitolo 2
*** 2°:Return. ***


2°: Return.
“Io ho la leucemia.”Sussurrò Ran.          
Il mondo sembrò crollargli sotto i piedi, l’aria iniziò a mancargli, il sangue gli si gelò … era come morire.
“Sai cos’è?” chiese Ran ottenendo una risposta positiva. Sapeva perfettamente il significato di quella parola. Sapeva che era un tumore del sangue. Sapeva che molta gente moriva per quest’ultima. E sapeva che c’era la possibilità che anche Ran perdesse la vita per questa malattia.  Era assurda quella situazione. Lei era ancora una ragazza nel fiore degli anni, aveva ancora tanti desideri da realizzare, sogni, speranze e poi con la sua scomparsa avrebbe portato via una parte di Shinichi che non sarebbe più tornata. Si avvicinò a Ran , che era rimasta seduta sul letto, e, con molta difficoltà data la sua statura, l’abbraccio. Le sue braccia erano corte e non riuscì a stringerla come voleva.
“Ma da quanto lo sai?” domandò senza staccarsi da lei.
“Da un mese.” Una profonda rabbia invase il detective. Era stato talmente stupido da non accorgersi di niente per tutto quel tempo.
“Kudo così vi farete solo male entrambi. Ti accorgerai con i tuoi stessi occhi di come tutto sia diverso da ciò che hai immaginato. I sogni arrivano lentamente ma si infrangono in fretta quando incontrano la realtà.”
“Sei pazzo? Non lo fare, le faresti del male e non lo fare soprattutto ora”
“Allora si delicato e cerca di capire la situazione. Per lei non è facile.”
“Meglio così gli serve un po’ di distrazione.”
Tutto gli fu più chiaro: lo strano interessamento di Haibara verso Ran, lo strano comportamento di Heiji e il non volere che lui le svelasse tutta la verità, l’improvviso ritorno di Eri a casa Mori e l’assenza dei litigi tra i due coniugi. Il motivo di questo repentino cambiamento aveva un solo nome: Ran o meglio la sua malattia. Perché tutti loro da giorni conoscevano la sua condizione ma nessuno aveva pensato di riferirgli qualcosa e lui come un idiota non aveva compreso niente. E lui si considerava un grande detective?
“Ran, scusami ma devo andare dal dottore Agasa. Vedrai che tutto si risolverà.” Disse il ‘bambino’ per sparire oltre la porta. Se voleva aiutare Ran, se voleva darle forza, doveva farlo in unico modo,tornando quello di un tempo:  stava ritornando Shinichi Kudo.
 
Haibara stava leggendo una rivista quando fu interrotta dal fastidioso suono del campanello. Si alzò svogliatamente ed andò ad aprire. Di fronte i suoi occhi c’era Conan con il busto leggermente piegato mentre le mani erano appoggiate alle ginocchia nel tentativo di riprendersi dalla lunga corsa. La ‘bambina’ lo scrutò attentamente cercando di capire il motivo della sua visita che, data la sua posizione e il fiato corto, era davvero urgente.
“Allora mi fai entrare?” disse con un tono che non ammetteva risposte negative. La scienziata, fece cenno di assenso col capo, e rientrò nell’abitazione con lui al seguito.
“Allora a cosa devo la tua visita?” Domandò con tono distaccato.
“Perché non mi avete detto nulla? Perché devo scoprire solo ora che Ran sta morendo? “ le ultime parole, troppo dolorose, le sussurrò ma Ai riuscì a sentirle ugualmente.
“Perché lo voleva lei: Conan non doveva sapere niente perché è un bambino mentre Shinichi non doveva saperlo perché  non voleva rovinargli la carriera di detective che piano piano si sta costruendo. Non è assurdo pensare che Conan non è un bambino mentre Shinichi non sta intraprendendo una carriera lavorativa e …”
“E’ assurdo il fatto che tutti voi mi avete nascosto la verità.” Urlò Shinichi. “Comunque sono venuto perché voglio l’antidoto, lo stesso che mi hai dato a Londra. Avrò bisogno di molte pillole.”
“Vuoi forse morire? Ti rendi conto che potresti non tornare come prima o peggio potresti morire? E poi sai benissimo che 100 non coprirebbero una settimana.” Cercò di farlo ragionare, la sua era un’idea troppo rischiosa e non voleva essere la sua assassina.
“Me ne fotto Haibara.” Urlo un iroso Shinichi ”Se 100 pillole non dovessero bastare me ne prenderò 200, se non dovessero bastare me ne prenderò 300. Ho già sprecato troppo tempo, vuoi darmi queste pillole o devo cercarle io?” Haibara sbuffò di fronte la testardaggine del detective e scese, seguita da lui, verso il piano inferiore.
“Considerando che vuoi tutta la verità, devi sapere che Ran ha deciso di lasciarsi morire.”Disse la scienziata continuando a camminare ma non si rese conto che Shinichi non la seguiva più.
“Cosa?”Domandò  incredulo e per la seconda volta si sentì morire.


Erano diversi giorni che aveva una macchia sulla schiena ed aveva deciso di andare dal medico a farsi controllare. Nonostante quest’ultimo avesse in mano i suoi risultati non voleva darglieli e le aveva chiesto di chiamare i suoi genitori. Kogoro ed Eri si erano preoccupati della telefonata  della figlia ed erano giunti velocemente all’ospedale.
“Signori Mori quello che vi sto per dire è molto importate.” Disse il medico e i due coniugi diedero segno di proseguire.
“Vostra figlia ha la leucemia. Non è ad uno stato avanzato e forse con la chemioterapia potremmo debellarla del tutto. Se ciò non dovesse funzionare tenteremo di fare un trapianto di  midollo, dovete però considerare che bisognerà trovare un donatore compatibile, il che richiederà del tempo. Per questo se voi me lo consentite la metterei in lista già da ora.” I due coniugi ascoltarono attentamente ogni singola parola mentre Ran si era bloccata alla parola leucemia. La consapevolezza che stava per morire, che la sua vita sarebbe terminata la sconvolse a tal punto che si era estraniata dalla realtà.
“Cosa ne pensi, Ran?” Chiese sua madre.
“Ran ascolta dovremmo iniziare subito, sei d’accordo vero?” Cercò di convincerla il medico.
“Io… non, non…so avrei… ho bisogno d’aria.” Le veniva pure difficile parlare in quel momento. Corse fuori dall’ospedale senza curarsi dei richiami dei suoi genitori. All’esterno il tempo era bellissimo, il Sole splendeva alto nel cielo illuminando tutto, gli uccellini cinguettavano. Ran aveva scoperto  che una malattia la stava uccidendo eppure la vita al di fuori dell’ospedale continuava, non l’aspettava, andava avanti, abbandonandola la suo destino. E’ tutto era così ingiusto e si domandò cosa avesse fatto di male per meritarsi tutto questo. Si godette per un po’ il Sole ed entrò di nuovo con una risposta  a tutto: lei non sarebbe mai più tornata in ospedale perché lei voleva vivere non sopravvivere.
 
Uno, due, tre minuti erano passati da quando Kogoro faceva avanti e indietro nel corridoio nella vana speranza di trovare un po’ di pace. Lui e sua moglie, svegliati alle 3 di notte da Ran che tossiva sangue, si erano precipitati in ospedale e stavano aspettando che un medico uscisse per avere notizie sulle condizioni della figlia. Kogoro sapeva che lei era una ragazza forte ma questo andava oltre l’immaginabile sopportazione. Lei era una ragazza solare, disponibile, bella, buona era come un fiore ma la malattia l’aveva trasformata. Davanti a tutti sorrideva, cercava di non far pesare a nessuno questa situazione per non farli soffrire ma non era forse più straziante sentirla piangere la notte? Sentire le sue urla? Eppure una parte di lui amava quando lei fingeva perché anche lui poteva fare lo stesso e credere che tutto fosse un sogno o meglio un incubo. Perché ormai Ran era diventata come una foglia in autunno, non sai quando cadrà ma sai che lo farà.
“Kogoro, andrà tutto bene?”Chiese una stanca Eri.
“Sì.” Rispose, ma non era sicuro che fosse la risposta giusta, era solamente la risposta che in quel momento le orecchie di entrambi volevano sentire.
“Ha chiamato Yukiko ed ha detto che lei e suo marito saranno qui domani mattina.” La donna cercò di iniziare un discorso perché parlare la distraeva da quella situazione.
“Verrà anche Shinichi?”Chiese speranzoso il marito.
“No. Sai benissimo che lui non sa niente e non deve sapere niente.” Kogoro sbuffò. Per una volta nella vita avrebbe voluto Shinichi accanto a sua figlia per aiutarla in questo lungo cammino. La vita non era un film, comprendeva benissimo che l’arrivo del detective non avrebbe cancellato la malattia ma sua figlia sarebbe stata felice. Avrebbe visto nel suo volto un sorriso, uno di quelli che ti scalda il cuore, che ti fa dimenticare tutto, che ti convince che tua figlia sia unica. Un sorriso sincero. Lui era la sua speranza. Che enorme paradosso: lui che l’odiava perché gironzolava sempre attorno a Ran adesso lo aspettava con impazienza. Sbuffò per la seconda volta rassegnandosi all’idea che non l’avrebbe scoperto mai. All’improvviso un uomo con un camice bianco si avvicinò a loro e li rassicurò dicendo che la loro figlia stava bene e stava riposando in camera. I due non aspettarono neanche che lui finisse di parlare che corsero verso la camera di Ran. La ragazza, sentita la porta aprirsi, si girò verso i suoi genitori per regalargli un altro abituale sorriso falso.
“Ora sto bene non preoccupatevi. Potete tornare a casa, il medico a detto però che io devo passare la notte qui.” Li rassicurò.
“Ma non dirlo nemmeno per scherzo. E poi non lo sai che le poltrone sono comodissime? Per non parlare di tuo padre che, a causa delle sue continue bevute, le sedie sono diventate il suo secondo letto.” Eri cercò di smorzare la situazione per alleviare anche se di poco il dolore di Ran.
“Stai insinuando che bevo troppo?”
“Sì, l’ho sempre pensato e detto.” Ran a quella scena rise di gusto e questo non poté che rendere felice i suoi genitori.
“Mi sono mancate queste situazioni.” Ammise mentre sulla sua faccia si dipinse un sorriso malinconico.
“E a me sei mancata tu.” La famiglia Mori si voltò verso la fonte di quella voce. Un bel ragazzo con occhi azzurri sostava sul ciglio della porta ammirando Ran che nonostante la malattia era sempre bellissima.
“Shinichi, cosa ci fai qui?”chiese una dubbiosa Ran, nel mentre i due coniugi avevano deciso di lasciare i ragazzi soli non appena Kogoro aveva raccomandato al detective di non toccare sua figlia.
“Allora vuoi rispondermi, che ci fai qui?” Shinichi si avvicinò e si sedette sul letto.
“E tu perché mi hai nascosto la verità?”
“Non vale rispondere con una domanda.”
“Non vale mentire al tuo amico d’infanzia.” La ragazza si fece improvvisamente seria. Possibile che ora che poteva stare con Shinichi non poteva passarlo fuori da un posto come quello, magari a mangiare gelato?
“Perché non volevo coinvolgerti, non volevo che lasciassi tutto per venire da me e sentirti così in obbligo nei miei confronti. Non volevo che mi guardassi come un caso disperato, che mi compatissi.”
“Non dire idiozie tu sei Ran e non una perdita di tempo . Se solo l’avessi saputo prima non ti avrei fatto aspettare così tanto. Non appena mi hanno detto tutto, ma non chiedermi chi, sono corso a casa tua ma non c’eri e quindi mi sono fatta dire da mia madre, che si era sentita precedentemente con la tua, dov’eri ricoverata. Ma Ran sono venuto a conoscenza che tu hai deciso di non curarti. Non puoi arrenderti ora.” Ran a quelle parole girò il capo stizzita. Perché nessuno voleva ascoltarla? Lei aveva preso delle decisioni.
“No, non voglio passare giorni interi qui dentro mentre la chemioterapia mi distrugge. Potrei non sopravvivere lo stesso e così avrei sprecato gli ultimi giorni.”
“Ma c’è quella possibilità di sopravvivenza. Mi spieghi che vita è se hai deciso di smettere di lottare proprio ora che dovevi farlo?Sei una persona forte ed io sarò con te durante questo tragitto, non andrò via.”
“E’ questo il punto: la possibilità è minima. Potrei guarire dalla leucemia e poi morire per un raffreddore a causa della chemioterapia.”
“Non è solo questo,vero?” Ran si stupiva sempre, quel ragazzo la sconosceva bene, era come un libro aperto per lui. Sospirò abbattuta, tenere nascosta la verità a lui era difficile.
“ Iniziare la chemio vorrà dire che dovrò ammettere che ho la leucemia. In questo mese, alcune volte l’ho dimenticato, ho finto che tutto andasse bene ma se inizio non potrò più farlo. Se inizio sarò rilegata in questo ospedale, mi mancheranno le forze e sarà pure difficile camminare, costringerò i miei genitori a stare 24 ore su 24 qui e molte persone che conosco potrebbero abbandonarmi. Non voglio essere Ran la malata… Non voglio.” Ran si coprì il viso con le mani per non fare vedere le sue lacrime al detective.”Ho paura.”Sussurrò tra un singhiozzo e l’altro.
“Nessuno ti abbandona, neanche io. Per dimostrarti che è vero, se vuoi mi sdraio insieme a te.” La Karateka annuì e lui si coricò accanto a lei. L’avvolse con un braccio e Ran sprofondò il viso nel petto del detective.
“Spero solo che non entri tuo padre perché non vorrei diventare mangiare per cani.” La ragazza rise e questo non poté che rendere più sereno Shinichi perché, la cosa che odiava di più al mondo era vedere Ran piangere.
“Ci riuscirò? La sconfiggerò?” chiese titubante con la testa ancora vicina al suo petto.
“Certo e quando starai meglio usciremo. Ti porterò in un locale, il più bello di Tokyo, poi andremo a Tropical Land e…” Shinichi interrupe il discorso allorché vide Ran dormire e decise anche lui di abbandonarsi tra le braccia di Morfeo.
Il Sole illuminava la sua stanza, i raggi battevano insistentemente sulla sua bella faccia e la ragazza fu costretta a svegliarsi. Toccò con le mani la parte sinistra del letto nella speranza di trovarci qualcuno ma quando al tatto avvertì solo le fredde coperte aprì gli occhi. Nella sua stanza l’unica cosa che vide era: la finestra, a destra, con le tende tirate, un piccolo comodino ed accanto ad esso un piccolo armadio, poco più avanti vi erano due poltroncine verdi che si abbinavano con le pareti del medesimo colore ma un po’ più chiaro. Tutto era come lo ricordava, l’unico a mancare era lui. Che fosse stato tutto un sogno? La sua risposta fu data dall’aprirsi della porta che rivelò la figura del ragazzo.
“Shinichi dove sei stato?” In risposta Shinichi le diede il cornetto che aveva preso precedentemente.
“Grazie, ma che ore sono? E come mai sei tutto sudato?” chiese tra un boccone e l’altro Ran.
“Sono le 10 e sono sudato perché sento molto caldo.” Mentì il detective liceale. Pochi minuti prima che si svegliasse Ran era ritornato il marmocchio di un tempo ed aveva assunto la pillola. Siccome lei dormiva ancora era andato a prenderle un cornetto.
“Ran, ho parlato con tuo padre e tua madre a proposito della chemio. Tua madre è dovuta tornare a lavoro mentre Kogoro sta riposando in una stanza perché non ha dormito tutta la notte. Io sarà con te durante la terapia ma se tu volessi uno dei tuoi genitori basta dirmelo che te li chiamo. Il dottore sa tutto e dobbiamo andare nel reparto di oncologia.” La ragazza annuì e poi finì il cornetto. Non le andava proprio di farla ma aveva ragione Kudo il tempo del rimpianto era terminato, ora bisognava tornare a combattere. Sbatté fuori dalla stanza Shinichi, poiché doveva cambiarsi, e prese dei vestiti che le aveva portato sua madre. La ragazza uscì dopo pochi minuti con addosso un paio di pantaloni e una felpa. Non era il massimo della bellezza, i capelli erano tutti in disordine ma non riusciva a trovare la spazzola. Se ne fregò di come stava esteticamente non era mica diretta ad una grande cerimonia. Oltrepassò il ragazzo e s’incamminò, voleva che tutto finisse subito. L’infermiera l’accolse con un’enorme sorriso per poi condurla alla fine della stanza davanti una poltrona.
“Allora…Ran, giusto? Adesso tu ti sdrai ed io ti metto un ago sul braccio. Il tuo amico può prendersi una sedia e stare insieme a te. Se vuoi più privacy attaccata al muro c’è una tenda, basterà tirarla e sarà come isolarsi dagli altri.” Ran sbuffò alle spiegazioni così elementari per una ragazza come lei. Perché adesso dovevano trattarla diversamente da prima?Aveva la leucemia non era stupida. Fece come le aveva detto la donna e quando il liquido dal tubo arrivò dritto nel suo braccio l’infermiera andò via. Shinichi che era rimasto in silenzio per tutto quel tempo decise di parlare di Sherlock Holmes, di casi, del più e del meno di qualunque cosa la potesse distrarre ma quando la ragazza afferrò la bacinella accanto a sé e vomitò il silenzio calò di nuovo. Perché è facile dire di aver compreso quando sei estraneo alla situazione, è facile dare consigli quando non sei tu che hai problemi ed è altrettanto facile per Shinichi dire a Ran che la chemioterapia avrebbe cambiato tutto, che sarebbe passato tutto velocemente quando non era lui che aveva la leucemia. E si accorse in quel momento com’era difficile vederla in quelle condizioni e non poter fare niente. Era impotente e cosciente che lo sarebbe sempre stato per quella situazione. Ran vomitò di nuovo ed il detective ebbe un’altra morsa al cuore. Parlargli gli sembrava inappropriato, rassicurarla gli sembrava l’ennesima bugia, quindi fece l’unica cosa a lui possibile:le strinse la mano per farle capire che lui non sarebbe scappato. Ma la ragazza non fece caso a quel particolare troppo concentrata a vomitare di nuovo. Si sentiva morire, il corpo le sembrava andare a fuoco, i capelli si erano attaccati alla sua faccia a causa del sudore. Posò la bacinella sopra il tavolino accanto la poltrona e si girò verso il detective, che non lasciava la sua mano.
“Perché sono qui?”chiese con un filo di voce.
“Perché vuoi guarire.”
“Non è vero, perché?”chiese di nuovo.
“Perché vuoi vivere.” Gli rispose sicuro il ragazzo mantenendo il contatto visivo.
“No, ti dico io perché sono qui. Sono in questo posto perché lo volevi tu, sono qui perché tu mi hai convinto. Ma tu che ne sai di quello che si prova veramente a stare qui? Sei bravo a parlare ma non lo saresti se avessimo i ruoli invertiti. Come mai non scappi come fai sempre? Sei diventato bravo.” Shinichi si stranì delle parole dell’amica d’infanzia ma doveva capire che quell’odio era dettato dalla malattia.
“Puoi dirmi quello che vuoi, continua ad insultarmi se ti fa stare bene. Hai ragione nell’ultimo periodo sono scappato tantissime volte ma ho dei validi motivi che non sto a spiegarti. Ma se c’è una cosa certa e che non scapperò né permetterò che tu rinunci a vivere.” Il detective strinse ancora di più la mano della karateka e lei se ne accorse . Prese un profondo respiro e si ordinò di calmarsi. Non era colpa sua.
“Scusami e che mi sento veramente male. Non volevo insultarti e che a casa non posso dire niente perché non sopporto le lacrime di mia madre e i lamenti silenziosi di mio padre. Quando sto con Sonoko e Kazuha non posso utilizzare vocaboli come ‘leucemia’, ‘ospedale’ e ‘morte’ che scoppiano a piangere. Con Conan che considerò un fratello non posso perché è troppo piccolo. Avevo solo bisogno di sentirmi libera e non condizionata dagli altri. Scusami ancora.”
“Se vuoi continua ad insultarmi ma ti sfidò a trovarmi un difetto: sono perfetto.” Ran sorrise a quell’affermazione e questo non poté che strappare un sorriso anche al compagno accanto. Quando finalmente la chemioterapia terminò, l’infermiera portò loro una sedia a rotelle. Ran provò ad alzarsi ma un giramento di testa la costrinse a sedersi di nuovo.
“E questo che non volevo fare: utilizzare una sedia a rotelle. E pensare che per i mesi a venire sarà l’unica compagna che mi aiuterà a spostarmi da un luogo all’altro. Mi aiuti per favore? Non ci riesco da sola.” La ragazza sbuffò, l’idea non le piaceva ma prima si abituava meglio era. Shinichi, allora, spinse la sedia lontano e la prese in braccio.
“Chi ha detto che devi usarla? Posso portarti io fino in camera.”
“Ma Shinichi, non ce n’è bisogno.” Disse una Ran imbarazzata ma il detective non l’ascoltò e s’incamminò verso la stanza. Ran, allora, poggiò la testa sul suo petto, chiuse gli occhi ed assaporò il suo profumo. Stare tra le sue braccia la rendeva felice, calma, serena e quando sentì che il suo corpo era stato poggiato sul freddo letto quel senso di quiete l’abbandonò.
“Ran, io devo tornare a casa per farmi una doccia e per dormire un po’. Entro le 4 del pomeriggio sarò di ritorno, ho avvisato i tuoi genitori e saranno qui tra poco.”
“Va bene, ma prima avvicinati.” La ragazza allungò le braccia, afferrò i bordi della sua giacca, lo tirò verso di sé ed avvicinò le sue labbra. Shinichi sentiva il suo respiro solleticargli le labbra finché non sentì quest’ultime poggiate sulle sue. Non durò molto, fu un semplice casto bacio ma a causa di questo entrambi diventarono rossi.
“Grazie per tutto, a dopo.” Kudo la salutò impacciato ed uscì. Ran si mise a ridere al solo pensiero della faccia del ragazzo che da rosa era passata a rosso pomodoro. Però c’era una cosa che aveva capito da quest’esperienza; che di tempo ne aveva poco e non voleva finire i suoi giorni tra i rimpianti. Lei voleva baciarlo e l’aveva fatto, era bello sentirsi libera.
 
 Sempre dritto, al primo incrocio a destra, il secondo corridoio a sinistra, superare il bagno e poi sempre dritto fino la stanza 203. Nonostante ci fosse andato una sola volta e che quella volta fosse stato accompagnato da un’infermiera si ricordava tutto perfettamente. Ricordava la strada, i visi delle infermiere, dei pazienti che stavano lì. Aveva un’ottima memoria ma forse questa era migliorata con gli anni grazie al suo lavoro. Sperò di non ricordare pure quante mattonelle erano presenti perché ciò significava aver passato tanto tempo lì e che Ran non era ancora guarita. Shinichi scacciò questi pensieri dalla mente. Pensò di bussare ma poi ritrasse la mano con l’idea di farle una sorpresa. Sorrise e poi aprì.
“Ran sono tornato guarda cosa ti ho…… Tu?!?” urlò stupito del ragazzo di fronte ai suoi occhi.
“Tu cosa ci fai qui?” chiese un ragazzo dalla scura carnagione e un accento di Osaka.
“Per il tuo stesso motivo... Hattori.” Rispose freddo Shinichi e l’altro detective non prevedeva niente di buono.
“Sai penso di aver capito perché hai iniziato a curarti e per il sorriso che non riesce ad abbandonare il tuo viso.” Sussurrò Kazuha in modo che nessuno potesse sentire tranne la Karateka.
“Ciao Kazuha.” La salutò cordialmente per poi dare un contenitore con dei muffin a Ran. “Questi l’ho presi prima di venire qui ma non sapevo avessimo visite, ne avrei sicuramente presi di più. Mi dispiace ragazze dovrete farveli bastare.” Le due ragazze risposerò con un allegro grazie mentre Heiji sbuffò.
“E a me non lo dici scusa?”
“Perché dovrei? Non li ho portati a te.” Hattori era un bravo detective tanto quanto Kudo ed aveva capito subito che il suo migliore amico era arrabbiato con lui per tutta la faccenda di Ran.
“Non mi dire che adesso ce l’hai con me?” Chiese.
“No figurati. La prossima volta che so qualcosa che ti interessa e di importante mi ricorderò di non dirtelo.” Sussurrò avvicinandosi a lui in modo che le altre due non sentissero.
“Sentì Ran, non potresti dare un bacio a Kudo così magari diventa di buono umore?” A quella domanda i due arrossirono mentre nelle loro menti ritornò il momento di qualche ora prima.
“Scusate.” Disse Kudo uscendo di corsa.
“Non si sarà offeso per quello che ha detto Heiji?” chiese Kazuha alla sua amica.
“Non credo, non è quel tipo di persona. Heiji tu sai per… Heiji?” Ran si guardò intorno ma di lui nemmeno l’ombra. Il ragazzo infatti non convinto del comportamento del detective dell’est l’aveva inseguito fino in bagno finché non l’aveva trovato inginocchiato con la testa che sporgeva verso il gabinetto intento a vomitare.
“Kudo tutto apposto?” Il ragazzo rispose affermativamente e sciacquatosi la faccia si giustificò con l’amico dicendo che molto probabilmente era un indigestione. Hattori non era molto convinto ma lasciò perdere.
“Come hai fatto a tornare normale?” chiese mentre s’incamminavano per tornare dalle ragazze.
“Con un antidoto di Haibara.”
“Sicuro che tutto vada bene?” chiese seriamente preoccupato per la brutta cera dell’amico. Si vedeva che non aveva dormito, era pallido in faccia e se poi ripensava alla scena di prima qualcosa non andava di sicuro bene.
“Mai stato meglio.” Spalancò la porta e una donna dai lunghi capelli castani con le punte arrotondate corse verso Shinichi per poi stringerlo forte.
“Shin-chan da quanto tempo? Mi sei mancato.” Urlò la donna dalla felicità.
“Smettila mamma mi stai soffocando.” Il ragazzo cercò di staccarsi da lei ma fu solo grazie all’aiuto del padre se Yukiko lasciò la presa. Era pur sempre una madre e rivedere suo figlio, nelle suo corpo, la riempiva di gioia.
“Yukiko, lo sai che non sono più bambini.” S’intromise Eri che era vicino la finestra con il marito.
“Sì ma sarebbe bello se tornassero piccoli. Ti ricordi quant’erano carini Ran e Shinichi da piccoli, erano inseparabili.”
“A Kudo scommetto che gli piacerebbe tanto ritornare piccolo.” Lo sfotté Heiji che si era accomodato vicino a Kazuha.
“Spiritoso.” Rispose il diretto interessato.
“A proposito di bambini, ma Conan è da solo a casa?”Chiese Ran allarmata per il ‘piccolo’.”Shinichi avevi detto che era con i tuoi genitori ma loro non ne sapevano niente.”
“Vedrai che è con il dottore Agasa.”
“Qualcuno mi ha chiamato?” chiese il dottore entrando e salutando tutti, al suo seguito vi era Ai che teneva in mano un mazzo di rose rosse.
“Se il dottore Agasa è qui, i tuoi genitori pure si può sapere con chi è quel povero bambino?”Domandò abbastanza irritato dalle scuse del detective.
“Edogawa-kun era a casa nostra fino a stamattina ma poi sua madre è venuta a prenderselo. Mi sa che per un bel po’ non lo vedremo.”Shinichi tirò un sospiro di sollievo fortunatamente la situazione era stata risolta da Haibara e notò Ran rilassarsi alla notizia. La scienziata porse i fiori alla ragazza e poi chiese a Shinichi se poteva seguirla fuori. Heiji si insospettì e seguendoli si nascose in modo da non essere visto purtroppo arrivò a discussione iniziata e non capì bene.
“Sì, e non è la prima volta.” Rispose irritato Shinichi. “E tu smettila di spiarci.” Il detective di Osaka, ormai scoperto dal suo rivale, si avvicinò ad entrambi.
“Ma non lo vedi che è un chiaro segno?” domandò esasperata dalla testardaggine del ragazzo.” Così morirai.”
“Mi spiegate cosa sta succedendo?” Domandò sempre più confuso Heiji. Ma Shinichi non rispose girò il capo come se quella discussione non lo riguardasse.
“Te lo dico io, se quest’idiota continua a prendere l’antidoto  dell’aptx4869 rischia di morire.” Rispose per lui Ai.
“Cosa?”chiese Heiji con la speranza di aver capito male.”Dimmi che scherza Kudo.”Lui alzò la testa, prima rivolta verso un punto imprecisato del corridoio, per puntare gli occhi su quelli del detective.
“Mi dispiace ma è la verità.”
 
 
Angolo dell’autrice:
Salve a tutti=) ci sono stata tanto a scrivere questo capitolo ma è abbastanza lungo. E adesso che farà Shinichi? Vorrei chiarire il comportamento di Ran: quando insulta Shinichi lo fa perché è stanca , per quanto lei possa essere forte, solare, ottimista e tutto ciò di positivo che può esistere, ricordate che prima di tutto è umana, e come umana ha paura ed ha bisogno di sfogarsi. Il mio intento non è quello di creare dei personaggi tipo: Shinichi sempre disponibile che appena arriva salva la situazione, Ran che è forte affronta tutto e sorride sempre. I miei personaggi ho cercato di caratterizzarli per esempio: Shinichi solitamente razionale fa una cavolata come prendere pillole in continuazione e più avanti farà qualcosa di male( che non vi dico), Ran lo insulta, si rifiuta di accettare la malattia e qualcosa che potrebbe ridurla in uno straccio, come la chemio, ma poi lo bacia. Io non voglio dei pupazzi senza identità ma sto cercando di creare dei personaggi il più possibile assomiglianti a quelli del manga ma cercando di capire cosa farebbero in una situazione come questa. Alla fine ho deciso di mettere un po‘di personaggi per rendere la storia meno pesante. Spero che vi sia piaciuto e qualora ci dovessero essere dei dubbi sarò felice, se ne ho la possibilità, di darvi una risposta. Vi ringrazio e buona serata ^.^.

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Capitolo 3
*** 3°: Tears. ***


3°: Tears.
La giornata era iniziata nel peggiore dei modi. Non solo aveva la testa che gli scoppiava, gli occhi che si chiudevano da soli per il sonno ma era costretto ad andare fino all’ospedale a piedi perché i suoi genitori erano usciti prima. Avrebbe anche potuto prendere un taxi ma il portafoglio con i soldi li aveva lasciati a casa Mori quando era ancora Conan e le carte di credito, una volta ritornati in Giappone, le avevano prese i suoi genitori. Se fosse rimasto all’ospedale non avrebbe avuto nessun problema. Ricordò quello che era successo il giorno prima e sbuffò risentito.

“Kudo, devi smettere di prendere quelle pillole. Ne va della tua salute.” Disse Hattori sempre più sconvolto.
“Non posso e tu lo sai bene.”
“Ascolta, potresti tornare a casa la notte in modo che il tuo corpo, anche se per poche ore, possa riposare da questa lotta tra Apotoxina e antidoto. Il giorno dopo verrai qui e sarai il solito Shinichi Kudo. Ma ti avverto che non so per quanto ancora il tuo corpo reggerà.”Shinichi non era d’accordo e stava per controbattere quando fu interrotto da Heiji.
“Se non fai come ha detto lei, giuro che ti porto a casa con la forza e ti prendo tutte le pillole
che hai.”


Heiji era stato chiaro e lui stanco di discutere aveva dato retta a loro. Ma con quale risultato? Non solo era a piedi ma c’era freddo ed anche se coperto dalla testa fino ai piedi continuava a tremare. Una goccia cadde sul suo naso e successivamente ne seguirono molte altre. Repentinamente si mise sotto la tettoia di un bar per ripararsi.
-Perfetto, ci mancava solo la pioggia.- pensò Shinichi. Se fosse stato un po’ meglio magari l’avrebbe fatta tutta di corsa fino l’ospedale ma le sue gambe quella mattina non avevano voglia di muoversi quindi chiamò i suoi genitori per farsi venire a prendere.
 
“Kudo finalmente sei arrivato. E da un po’ che ci chiedevamo dove fossi  finito.” Disse Heiji sprizzante di allegria irritando il ragazzo che era di pessimo umore.” Non è che sei andato a divertirti?”
“Stavo venendo a piedi ,perché i miei genitori non c’erano, fuori c’è un freddo da gelare il sangue, ha iniziato a piovere, ho dovuto aspettare i miei mezz’ora sotto una tettoia e come se non bastasse ho un terribile mal di testa. Quindi no Hattori, non ero andato a divertirmi.” Rispose seccato ma il suo tono si addolcì quando si rivolse a Ran per sapere come stesse.
“Shinichi, prima noi tre siamo usciti fuori per prendere un po’ d’aria e non c’era così tanto freddo anzi mi sempre esagerato tutto quello che ti sei messo. Ti sei ammalato?” Gli disse Ran.
“No, tranquilla.” La rassicurò il detective dell’est per poi togliersi; i guanti, la sciarpa, il cappello ed il giubbotto per accomodarsi in una poltrona vicino al termosifone.
“E questa poltrona?” Chiese non ricordandosela.
“Ieri sera l’ha portata un’infermiera per mia madre che ha dormito qui. Benché il merito è di tua madre che ha fatto di tutto per averla.” Gli chiarì i dubbi la ragazza dai lunghi capelli castani.
“Quando andiamo a fare la chemioterapia?”
“Ran l’ha già fatta.” Rispose Kazuha che fino a pochi minuti fa era rimasta in silenzio. Kudo sbuffò: la giornata andava sempre a peggiorare. Gli dispiaceva non esserci stato proprio lui che l’aveva promesso ma la  karateka non glielo fece pesare perché anche il semplice fatto che lui fosse ritornato la rendeva allegra. I ragazzi continuarono a parlare del più e del meno e allorché Heiji pose una domanda a Shinichi senza ottenere risposta si resero conto che stava dormendo.
“Kudo. Ohi Kudo.” Provò a chiamarlo ma non ricevette nessuna risposta. Ran osservò meglio il suo amico d’infanzia e notò come il colore della sua pelle, solitamente di una bel rosa, era pallida. Si alzò con un po’ di fatica, a causa della chemioterapia, e si diresse da lui.
“Shinichi, svegliati.” Lo chiamò dolcemente per poi poggiare la sua fronte su quella di Shinichi. Il ragazzo a quel contatto aprì gli occhi ma gli fu difficile riconoscere la figura davanti a se. Solo dopo un po’ di minuti si accorse della vicinanza di Ran e si scostò come se si fosse scottato.
“Tu hai la febbre.” Asserì sicura.” E anche alta.” Alla sentenza della sua amica si alzò velocemente per dirigersi verso la porta.
“Come mai hai così tanta fretta?” Gli chiese Heiji.
“Non posso rimanere qui e rischioso per Ran. Ora che sta facendo la chemio, un semplice raffreddore la può fare stare malissimo figurati la febbre.” Ran si commosse dalle sue continue attenzioni perché erano quei suoi piccoli gesti che le riempivano il cuore di gioia. Per lui era normale farli ed era questo uno dei tanti motivi che lo rendeva unico.
“Io sono qua fuori, se serve qualcosa chiamatemi.” Però era anche la persona più testarda del mondo. Non voleva che lui si ammalasse per lei, una malata bastava e avanzava.
“No, tu ora torni a casa e…” si girò verso l’altro detective” Heiji potresti accompagnarlo a casa? Ho paura che strada facendo si senta male e svenga.” Lui non se lo fece ripetere due volte e obbedì.
“Rimettiti e solo quando sarai guarito ritorna. Io ti aspetto come ho sempre fatto.” Furono le ultime parole che Shinichi udì e il suo viso fu l’ultima cosa che vide quando cadde in un profondo sonno. I ragazzi vedendo il loro amico svenire si preoccuparono e benché lo stessero chiamando, lo scrollavano da una spalla lui non apriva gli occhi. Ai, che era venuta a far visita a Ran, sentendo delle urla si precipitò nella stanza. Il corpo del detective era steso a terra mentre Ran piangeva spaventata.
“Si può sapere cosa succede?” chiese sperando nella risposta di uno di loro.
“Ha la febbre ed è svenuto.” L’unico a risponderle fu Heiji che era il solo che riusciva a mantenere la mente lucida. La bambina si avvicinò e poggiò una mano sulla sua fronte.
“State tranquille. L’ha detto anche Heiji,no? E’ svenuto per la febbre troppo alta. Basterà portarlo a casa e con un po’ di riposo tornerà sicuramente come nuovo.” Cercò di rassicurarli e poi si avvicinò all’orecchio del detective di Osaka.” Sarà sicuramente colpa dell’aptx4869, dobbiamo portarlo subito a casa perché potrebbe tornare Conan davanti a loro. Non credo che comunque sia qualcosa di grave solamente che il suo corpo è stanco e debilitato da questa lotta interna.” Bisbigliò in modo da non essere sentita dalle altre. Ran e Kazuha adagiarono Shinichi sulla schiena di Heiji e quest’ultimo ,seguito  da Haibara, si diresse fuori dall’ospedale.
“L’avevo detto io che sarebbe successo una cosa del genere se non smetteva ma lui doveva per forza fare l’idiota e…” Ran ascoltò la bambina parlare e poi quando girarono l’angolo la voce scomparve del tutto e con lei anche il suo Shinichi.
 
“Si può sapere per quale motivo Ran non vuole vedermi? Le ho fatto qualcosa di male?” chiese seriamente preoccupato il detective liceale.
“Shinichi non posso farti entrare, mi dispiace.” Disse Kazuha sbattendogli la porta in faccia. Intenzionato a rimanere ,perché non se ne sarebbe andato non prima di aver visto il bel viso, gli occhi blu tendenti al lilla, il perfetto corpo e la dolce voce della ragazza,lasciò che il suo corpo scivolasse lungo il muro e poggiò la testa schiacciando i suoi capelli corvini. Era stato malissimo gli ultimi 4 giorni tanto che la sua temperatura corporea era salita a 39°. Tutta colpa delle pillole che prendeva ma troppo essenziali per rinunciarvi. Ran si era preoccupata in quei giorni e lui, quando la temperatura era scesa e il mal di testa non era troppo forte, la chiamava per rassicurarla utilizzando il farfallino cambia voce poiché in quei giorni era ritornato ad essere Conan.
“Io ti aspetto, rimettiti.” Le aveva detto dolcemente ma adesso  sembrava che il suo ritorno non fosse ben apprezzato da lei e questo lo faceva sentire male.
“Sono un cervello,Watson. Il resto di me è una mera appendice.”
Diceva Holmes, il suo idolo. Ma per quanto si sforzasse di assomigliargli gli risultava difficile perché alcune delle sue azioni erano dettate da qualcosa che ,secondo Sherlock Holmes, erano deboli: i sentimenti e in particolare l’amore. Ran era il suo punto debole ma contemporaneamente quello forte. Si sentiva in grado di superare mille ostacoli se lei era vicino a lui ma il suo cervello smetteva di ragionare, per alcuni minuti, se sapeva che lei era in pericolo o in qualche guaio.
“Kudo che ci fai a terra? Come mai non entri?” Lo distolse dai suoi pensieri Heiji.
“Sapendolo.” Sbuffò.” Kazuha non mi fa entrare dice che Ran non mi vuole parlare.”
“Ci pensa il tuo migliore amico a risolvere la situazione.” Disse spavaldamente bussando alla porta però l’unica cosa che ottenne fu quest’ultima aperta e poi sbattuta in faccia, come era capitato al suo amico tempo addietro.
“Dicevi? Ci pensa il tuo migliore amico a risolvere la situazione. ComplimentiLo schernì Shinichi.
“ehm… cose che capitano. Comunque pensa: cos’hai fatto ultimamente che può averla urtata?” Kudo ci pensò per un po’ e poi scrollò le spalle ignaro della situazione. Heiji si sedette accanto a lui ed aspettarono per un’ora. Il detective dell’est ormai stanco di attendere se n’infischiò ed entrò nella stanza.
“Senti Ran se hai qualcosa contro di me dimmelo in faccia. Sono stanco di aspettare qua fuori, ti ho forse ferita in qualche modo? E poi perché…” Ma le parole gli morirono in gola non appena vide i suoi occhi arrossati e pieni di lacrime. Kazuha a quel punto decise di andar via per lasciarli soli. Kudo si precipitò al suo capezzale visibilmente angustiato da quella visione.
“Cosa c’è?”Chiese affettuosamente.
“Non fingere. Lo sai cosa c’è che non va, lo vedi con i tuoi occhi.” Shinichi negò ammettendo che la prima cosa che aveva notato erano i suoi occhi ma quando la fissò si accorse che nella parte destra della testa vi era una chiazza lasciata dall’assenza dei capelli.
“Li sto perdendo...” Disse portando la mano sul capo.”… i capelli.” E gli mostrò come, passando una mano, un ciocca si era staccata.
“Ascolta, non è una cosa terribile risolveremo tutto.” Cercò di rassicurarla ma con scarsi risultati.
“Tu non capisci nulla.” Lo rimbeccò lei alzandosi dal letto. “Ma guardami.” Gli ordinò, posizionandosi di fronte a lui. Notò che era dimagrita, sciupata in viso e pallida eppure meravigliosa lo stesso.
“Sono un mostro ed adesso mi cadono pure i capelli. Non piacerò mai a nessuno così.”
“Perché c’è qualcuno a cui devi piacere?Lo conosco?” Chiese fingendosi geloso.
“Sì, è un detective stacanovista, stupido e fissato con i gialli. Lo conosci?” Chiese con il suo stesso tono ironico. Lui si avvicinò a lei e le cinse la schiena.
“Ma a lui piaci così come sei e gli piacerai anche quando avrai le rughe e sarai vecchia.” Non le diede il tempo di parlare, perché in quel momento erano superflue le parole, perché per farle tornare il sorriso c’era un unico modo, e quindi la baciò. Lei non si allontanò ma approfondì quel contatto. Avvicinò il corpo facendolo aderire con quello del ragazzo. Il bacio da casto divenne sempre più passionale, le loro lingue si cercavano, si volevano, si rincorrevano. Si staccarono per riprendere fiato ma il desiderio era così grande che ricercarono di nuovo il contatto. Shinichi, per sentire ancora di più il corpo di Ran incollato al suo, la prese in braccio e lei legò le sue gambe dietro la sua schiena. Il suo profumo era così forte da inebriarlo, da mandargli in tilt il cervello. Entrambi avevano compreso in questi giorni, soprattutto la ragazza, che il tempo era crudele, si prendeva beffa dei due. Non potevano aspettare per sempre perché forse un loro ‘per sempre’ non sarebbe mai arrivato. I ragazzi si distesero sul letto. Lui, sopra di lei, iniziò una lunga discesa di baci lungo il collo. La sua pelle aveva un buon sapore: vaniglia. Si accostò al suo orecchio e le sussurrò: “Ti a…” ,ma non riuscì a continuare che una forte fitta al cuore lo costrinse a ritirarsi. Si allontanò da lei per fuggire da quella stanza ma ogni singola fibra del suo corpo non rispondeva e cadde rovinosamente a terra. Portò una mano in direzione del cuore come se quel gesto alleviasse tutto. Il dolore aveva epicentro nel cuore e si espandeva ovunque. Gli girava la testa e sentiva un tremendo caldo. La ragazza si chinò, in modo tale da essere alla sua altezza, e lo chiamò preoccupata. Lui voleva rassicurarla, voleva dirle che tutto sarebbe passato e sarebbero stati meglio: ma come poteva farlo se ogni volta che provava a parlare una nuova fitta lo colpiva costringendolo al silenzio?
“Shinichi che succede?” Domandò allarmata. E lui sapeva a cosa doveva quel dolore. Stava tornando. Conan Edogawa. E non voleva che lo scoprisse, non in questo modo. Ma come poteva scappare? E se ci fosse riuscito cosa le avrebbe detto? Bugie, bugie e nient’altro che bugie. Voleva smettere ma con Ran malata una notizia del genere l’avrebbe distrutta. Lei che era più preziosa della sua  stessa vita. Lei che illuminava le sue giornate con il suo sorriso. Lei che l’avrebbe odiato. Cercò di strisciare ma il tentativo fu vano. Un’altra fitta gli attraversò il cuore, più forte delle altre, che gli tolse il respiro ma gli permise solo di urlare. Il suo corpo iniziò a rimpicciolirsi mentre il dolore alle ossa gli corrodeva l’anima. Quando tutto ebbe fine si ritrovo nascosto dai suoi stessi abiti troppo grandi. Ran ,da prima allarmata e preoccupata, rimase senza parole alla vista di Conan. Lo stesso piccolo Conan che lei considerava come un fratello. Chiuse gli occhi, fece un profondo respiro e li riaprì nella speranza che fosse un sogno. E pensò a tutte le volte che le aveva mentito, a tutte le volte che lui inventava scuse per giustificare la sua assenza, a tutte quelle maledette volte che lei era rimasta a piangere credendo che fosse finito in qualche guaio, che non sarebbe mai più tornato. E lui era sempre stato lì.
“Tu non sei mai scomparso. Tu sei sempre rimasto vicino a me.” Ruppe il silenzio fissandolo negli occhi blu.
“Sì, c’è un motivo a tutto questo. Io…” ma non riuscì a completare che lei continuò a parlare.
“Tu eri qui. E sapevi tutto di me perché mi confidavo con te, sapevi che piangevo per te ogni volta, senza dimenticare che hai persino fatto il bagno con me. Quante volte ti ho dato la possibilità di rivelarmi tutto? Quante volte, invece, tu hai cercato di portami lontano dalla verità? Io avevo bisogno di te e tu…”
“Ma io c’ero. Ero accanto a te, non ti ho mai abbandonata.” Provò a giustificarsi.
“Non è vero. Io avevo bisogno di un amico quando ho scoperto della malattia.”
“Ma io sono qui per te, se l’avessi saputo prima sarei corso subito da te, Ran.”
“Io avevo bisogno del mio amico d’infanzia, quello che non mi mentiva mai. Shinichi, io non ti ho cercato perché pensavo che fossi all’estero, a lavorare ovunque ma non a casa mia. E tu mi hai ripetutamente mentito. Io avevo fiducia in te. Non posso crederci , i-o, io… ” Le lacrime incominciarono a scendere dai suoi splendidi occhi. Portò le mani sulla testa per poi graffiarsi il viso. Cercava di tranquillizzarsi ma non ci riusciva. Era così fragile che lui avrebbe voluto stringerla forte. Alle sue lacrime si unirono anche i lamenti e le grida. Eri ,che stava parlando con un dottore, al suono della voce della figlia si precipitò nella sua stanza. Si accovacciò e l’abbracciò.
“Perché mamma? Perché mi sta succedendo tutto questo? Perché non posso essere felice?” urlò disperata. Lei cercò di calmarla, accarezzandola ma appena passò una mano tra i capelli di Ran vide alcune ciocche staccarsi. La malattia la stava distruggendo sia fisicamente che mentalmente.
“Ran…” sussurrò Shinichi incantato da quella scena.
“Vattene. Vattene dalla mia vita per sempre.” Gridò fuori di se la ragazza continuando a piangere.
“Ma cosa succede qui?”Chiese Heiji che era appena arrivato insieme all’amica Kazuha. Quest’ultima alla vista della sua migliore amica in lacrime corse al suo capezzale mentre il detective si concentrò su Shinichi.
“Vattene.” Urlò di nuovo ma lui non riusciva a fare un passo.
“Heiji, non so cos’è successo ma porta via Conan.” Disse Eri trovando una soluzione al dolore di Ran, più avanti avrebbe capito il motivo e sicuramente sua figlia sarebbe tornata quella di prima, quella che voleva bene a Conan.
“Kudo.” Gli sussurrò all’orecchio.”Dobbiamo andare.” Ma le sue parole furono inutili. Shinichi si era estraniato, il suo mondo girava attorno a lei e il dolore che gli procurava vederla in quelle condizioni.
“Vattene e smetti di rovinarmi la vita.”Urlò tra i singhiozzi.
“Heiji, portalo via. Ora.” Lo spronò la ragazza di Osaka. Lui ,vedendo che il suo amico non ascoltava né aveva l’intenzione di andarsene, malvolentieri, lo prese in braccio ed indietreggiò verso l’uscita. 
Shinichi non si oppose, non parlò, non reagì. In testa lo tormentava un’unica frase, una sola certezza: aveva perso Ran e forse per sempre.
 
 
Ciao belle e belli =) Come va? Al nostro Shinichi non molto bene e neanche a me. Ho mal di testa e mi sta scoppiando la testa, io ho controllato il capitolo e non dovrebbero esserci errori però, data la stanchezza e il mal di testa, potrei aver sbagliato e per questo mi scuso in anticipo. Vorrei soffermarmi su Ran e la sua reazione. Ho dovuto pensare ad un comportamento in questa situazione e credo che se fosse stata una situazione normale; gli avrebbe urlato contro e magari gli avrebbe dato pure uno schiaffo ma dovete considerarla in un contesto differente e tener conto di molti fattori. Scopre di avere la leucemia, inizia a stare male a causa di quest’ultima, perde i capelli-componente importante per una donna, o nella maggior parte di queste- e scopre che Conan e Shinichi sono la stessa persona quindi ho pensato che piangere e intimargli di uscire fosse il minimo. In fin dei conti nel giro di 1 mese e mezzo ha visto la sua vita crollare. Ma fatemi sapere se, secondo voi, ho esagerato. Shinichi ha esagerato e si è fatto scoprire da Ran, questo perché non ascolta mai Haibara. Mentre scrivevo è sorto un altro problema: gli occhi di Ran. Per me sono viola e qualche volta si vedono delle sfumature blu però se secondo voi sono daltonica fatemelo sapere XD. Vi ringrazio tutti perché siete veramente gentili, vi abbraccio e un bacione enorme. Buona serata ^.^               

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Capitolo 4
*** 4°: Break. ***


Cap. 4: Break.

La sua vita era un enorme paradosso: la verità il suo scopo, la menzogna il suo mezzo. Da quando aveva incontrato Gin e Vodka non aveva fatto altro che tessere un enorme ragnatela di bugie. Aveva mentito, aveva progettato piani per non farsi scoprire e poi per un suo stupido errore aveva visto la sua creazione crollare. Eppure avrebbe detto altre mille bugie se queste avrebbero protetto i suoi cari. Ma si sentiva in colpa per aver fatto soffrire Ran. E lei nel momento della verità, aveva alzato un muro di intolleranza e astio nei suoi confronti. Non aveva provato a capirlo, lo aveva etichettato come bugiardo. E si era arrabbiato per questo. Quando però vedeva Ran uscire dalla sua stanza provava un profondo bisogno di proteggerla e stringerla e la rabbia andava via. Aveva provato qualche volta a parlarle ma non era stato facile. I suoi genitori, soprattutto Kogoro, scoperta la sua identità, non volevano che si avvicinasse a lei. Ma Ran non si era mai ribellata, aveva accettato questa decisione , forse anche lei come i suoi pensava che Shinichi fosse meglio evitarlo. I  giorni erano passati e ancora a distanza di un mese non era riuscito a sentire la sua dolce voce. Ogni mattina si recava in ospedale, si sedeva nello stesso corridoio di Ran e attendeva una sua visita. Ma lei non l’aveva mai cercato e lui non si era ancora arreso. Heiji e Kazuha erano andati via già da due settimane poiché non potevano assentarsi per così tanto tempo dalla scuola, i suoi genitori erano a lavoro e venivano qualche volta il pomeriggio per far visita a Ran. Provava invidia per i Yukiko e Yusaku che avevano l’opportunità di vederla e sentire la sua voce, ed anche per i detective boys che potevano passare un intero pomeriggio in compagnia di Ran mentre lui si doveva nascondere per non dover dare spiegazioni ai bambini. In quelle occasioni Ai stava insieme a Shinichi. Parlavano del più e del meno ma Haibara evitava qualunque discorso che comprendesse Ran. Shinichi sapeva che quello era un modo di Ai, anche se un po’ particolare, di esprimere il suo dispiacere e di aiutarlo. Lei non lo confortava come gli altri, non gli dava false speranze semplicemente gli faceva dimenticare per qualche ora la realtà. Shinichi si destò dai suoi pensieri e s’incamminò verso il distributore lì vicino. Aveva bisogno di un caffè. Digitò sul pulsante per la bevanda ma non riuscì ad inserire le monete a causa della sua altezza. Provò a mettersi in punta di piedi ma fu tutto inutile. Stava per perdere le speranze quando una mano piccola e femminile prese i suoi soldi e l’inserì nel distributore. Shinichi si girò e il suo cuore prese a battere velocemente. Pensava fosse lei, ne era sicuro, però si dovette ricredere quando vide Eri. Osservò il caffè scendere lentamente e si rese conto di quanto fosse stato stupido  a credere che fosse stata lei. Prese la bevanda e ringraziò Eri dell’aiuto.
“Kogoro non c’è ed io devo andare a lavoro. Ran rimarrà sola tutta la mattinata.” Disse Eri fingendo di parlare a sé stessa. Shinichi comprese l’intenzioni della donna e la ringraziò mentalmente per avergli donato un’opportunità per stare con sua figlia. 


Ran prese la bandana , che aveva appoggiato  il giorno precedente sopra la scrivania, e si coprì la testa. Si guardò allo specchio e sospirò. I capelli erano completamente caduti, il suo viso era più asciutto e pallido, era dimagrita tantissimo e i vestiti che un tempo le stavano bene adesso erano troppo grandi per un esile corpo  come il suo. Erano accadute tantissime cose nell’arco di un mese: aveva litigato con Shinichi e non aveva avuto voglia di guardarlo in faccia, parlargli o udire la sua voce perché era stanca delle bugie. E si odiava perché nonostante tutto non riusciva ad odiarlo, perché una parte di sé lo rivoleva al suo fianco. Uscì dalla camera e si girò quando sentì un bambino borbottare parole incomprensibili e dare una manata al distributore. Senza accorgersene i suoi piedi si erano mossi verso quel buffo “bambino” per aiutarlo. Si ricordò di tutte quelle volte che lo aiutava perché la sua altezza non gli  permetteva di svolgere alcune azioni e sorrise. Conan per lei era stato come un fratello, la consolava e sostituiva il vuoto che lasciava Shinichi. Era strano pensare che lo stesso che colmava quel vuoto era colui che l’aveva creato. Le mancava il suo fratellino come le mancava Shinichi ma lui le aveva mentito e lei non sapeva cosa fare. Si può odiare e amare una persona contemporaneamente? Ran ci riusciva alla perfezione. Stava impazzendo. Vide sua madre aiutarlo e si sentì un po’ sollevata sapendo che non era solo. Lo guardò per un’ultima volta e s’incamminò verso la stanza per fare la solita chemioterapia.
 
La testa le girava e le doleva terribilmente. Avevano aumentato la dose e percepiva il cambiamento. Anche camminare le risultava difficile e stancante. Sentiva chiaramente le forze venir meno e ad un certo punto le sue gambe non ressero il peso del suo corpo. Chiuse gli occhi ed aspetto l’impatto con il suolo che stranamente non arrivò. Sentì due forti braccia possenti stringerla. Il suo profumo le entrò prepotente nelle narici e comprese subito a chi appartenesse quella fragranza. Ran non aprì gli occhi ma preferì farsi cullare e bearsi tra le braccia dell’uomo che ,nonostante le bugie, continuava ad amare. Forse non l’avrebbe mai ammesso. Non ora. Una cosa era certa non poteva scappare per sempre dai suoi sentimenti.
“Ran, ti senti bene?” Le chiese Shinichi preoccupato per la ragazza. Aveva preso la pillola ed era andato da Ran per poterle parlare dopo un mese di silenzio ma al suo arrivo la ragazza stava cadendo e lui, come un angelo custode, era intervenuto e l’aveva salvato da una brutta botta. Ran annuì perché di parlare non ne aveva voglia.
“Ti devo parlare.” Era così difficile stare zitti? Ran se lo chiedeva da quando lui aveva interrotto il silenzio. Amava la sua voce, la sua espressione felice quando parlava di casi o di Sherlock Holmes ma per molto, troppo tempo aveva sentito i suoi racconti per poi scoprire che la metà di essi non erano altro che bugie.
“Non ora Shinichi. Sono stanca e non ho la forza di farlo.“
“Mi prometti che dopo , quando ti sarai riposata, parleremo?” Ma la risposta non arrivò mai e Shinichi, arrivato nella sua stanza, l’adagiò dolcemente sul letto. Ran aprì gli occhi e fu sorpresa di ritrovarsi lì. Tutto era durato poco. Troppo poco.
Qualche metro più lontano dalla stanza di Ran, sua madre Eri osservava i due ragazzi insieme. Erano fatti per stare insieme. Era questo che aveva sempre pensato. Voleva molto bene a Shinichi e per lei era come un figlio. L’aveva visto crescere, giocare con sua figlia, crearsi piano piano una carriera di detective. Ran le aveva raccontato la verità su Conan e lei, all’inizio, era rimasta un po‘ sorpresa ma credeva, o almeno sperava, che dietro tutto questo ci fosse una logica spiegazione. Si decise ad entrare nella stanza per mandare via Shinichi. Se suo marito l’avesse scoperto si sarebbe arrabbiato ed entrambi sarebbero finiti col litigare.
“Ciao Ran, tutto bene?”Poi si girò e salutò il ragazzo.
“Io me ne vado.” Disse Shinichi rassegnato alla poca volontà della ragazza di parlare con lui. ”Ciao Ran, arrivederci Kisaki-san.” La karateka lo fissò finché non scomparve dietro la porta.
 
Il solito pomeriggio, la solita situazione. Shinichi sbuffò infastidito ma non staccò mai gli occhi dal panorama. Un mese fa aveva scoperto che nel giardino dell’ospedale vi era un piccolo laghetto che ospitava dei pesci. Non erano più di 10 ed erano di colore rosso. Quando ne era venuto a conoscenza si era ripromesso di portarla in quel luogo. Ma dopo tutto ciò che era successo, lui ci andava per rimanere solo a pensare o per scappare dai detective boys. Sbuffò di nuovo.
“Come mai così infastidito oggi? Non hai forse tenuto in braccio la tua bella? Inoltre grazie all’antidoto sarai Shinichi Kudo fino l’indomani mattina.” Gli domandò Ai seduta sull’erba accanto a lui.
“Avrei preferito che mi ascoltasse.” I due rimasero per un po‘ in silenzio e la scienziata fissò Kudo intento a tirare dei sassi per formare dei cerchi nell’acqua. Ormai era diventata un abitudine per lui farlo. Lo distraeva. Sperò che tutta questa storia terminasse e che la karateka comprendesse le azioni di Shinichi. Ran però non ne aveva voglia anzi qualche volta l’aveva sentita chiedere a sua madre se non l’avesse idealizzato, aspettando un uomo che non esisteva. Per Ai, Ran aveva visto tutti i suoi pregi credendo che Shinichi non avrebbe mai commesso un errore, che sarebbe sempre stato impeccabile. Ran non l’aveva idealizzato non aveva capito che non era perfetto. Ma chi a questo mondo lo era? Shinichi aveva imparato dai suoi errori, aveva lottato per i suoi valori, per tutte le persone che teneva e si era rialzato quando la vita gli era crollata addosso. Aveva errato, non era perfetto ma non si era mai arreso. Lui era un vincitore. Ma questo ancora molti non l’avevano capito e Ran ,tenuta all’oscuro della verità, non l’aveva ancora compreso.
“Non ti ha cacciato via. Questo è un buon risultato.”
“Io vorrei fare molto di più, aiutarla. Ma come faccio se dopo un mese l’unica cosa che mi ha detto era: -Non ora Shinichi. Sono stanca e non ho la forza di farlo.-? Continuando così forse tra un anno mi parlerà di nuovo.” Le rispose Shinichi cercando nell’erba altri sassi da poter lanciare.
“Ti stai sbagliando. Non dovrai aspettare così tanto.” Disse sicura di sé la scienziata.
“E da cosa l’avresti capito?” Domandò curioso.
 
“Ciao Ai. Ascolta ti dovrei chiedere un favore.”
“Dimmi.” La karateka si accovacciò arrivando alla stessa altezza della “bambina” per non farsi sentire dai detective boys e dal dottore Agasa.
“Ho notato che sei molto amica di Conan. E’ una settimana che dorme qui...” Ai pensò di aver capito le intenzioni di Ran. Forse voleva che lei convincesse Shinichi ad abbandonare l’ospedale perché la sua presenza la irritava.”… le sedie sono scomode e fredde. Potresti dirgli che è meglio tornare a casa. Se poi vuole venire può farlo la mattina.”
“Perché?” Chiese sempre più curiosa.
“Perché non voglio che soffra… per me. Non dirlo a lui mi raccomando”

Quell’ultima frase l’aveva colpita molto quel giorno di tre settimane fa. Non aveva detto nulla a Kudo poiché era una promessa fatta a Ran. Nonostante lei avesse provato in mille modi possibili a convincerlo che la notte doveva tornare a casa, lui era rimasto lì per un’altra settimana finché la stanchezza e la scomodità delle sedie l’avevano convinto a tornare a casa.
“Allora, mi vuoi rispondere?” Gli chiese di nuovo Kudo.
“Intuito femminile.” Shinichi sbuffò ,per l’ennesima volta, scocciato dalla risposta poco esauriente. “Ran ti vuole bene ma ha bisogno di assimilare tutto ciò che le è accaduto nel giro di 2 mesi. Siete fatti per stare insieme non vi separerete per così poco.” Disse convinta fissandolo negli occhi.
“Haibara sei sicura di stare bene?” La ragazza rimase sorpresa dalla domanda ma rispose positivamente chiedendo il motivo di quest’ultima.
“Perché sei così dolce. Non è da te.” Gli rispose sorridendo.
“Fottiti Kudo.” Ai si alzò e si diresse verso l’ospedale.
“Grazie.” Gli sussurrò Shinichi e lei non poté fare a meno di sorridere.
 
Il sole stava piano piano scomparendo lasciando il posto alla notte. Aveva deciso di fare una passeggiata per rilassarsi. Ai era andata via con il dottore Agasa e i bambini. Ripensò alle parole dette poco tempo fa dalla scienziata e si chiese se avesse ragione. Loro due erano amici d’infanzia, erano cresciuti insieme, avevano affrontato mille difficoltà e sicuramente avrebbero affrontato anche quest’ultima. Perché loro erano Ran e Shinichi. Perché neanche il tempo aveva rotto il loro legame. All’improvviso il suo telefono suonò e nel leggere nel display –Ran- i suoi occhi s’illuminarono. Rispose subito senza perdere neanche un secondo. 
 “Shinichi potresti venire all’ospedale? E’ urgente.” Ran non gli diede neanche il tempo di salutarla che già aveva riattaccato. Spaventato da quella improvvisa telefona, si diresse velocemente da lei. Mille pensieri gli tartassavano la testa e non poteva far a meno di pensare che le fosse successo qualcosa di grave. Accelerò il passo e non smise di correre neanche nei corridoi dell’ospedale. Non bussò alla sua porta ma l’aprì ritrovando nella stanza i coniugi Mori e Kudo, il medico ed ovviamente Ran.
“Perché mi avete chiamato?” Il ragazzo prese un po’ di fiato e poi continuò.”E successo qualcosa?” Shinichi si avvicinò ai suoi genitori, non prima di aver chiuso la porta, e aspettò che qualcuno prendesse la parola.
“Bene, considerando che ci siamo tutti posso iniziare.” Disse con tono alto il medico spostando successivamente lo sguardo ai Mori.” Vostra figlia risponde bene alla chemio ma ora ha bisogno di un intervento: il trapianto del midollo osseo. Trovare un donatore non è facile. Solitamente si prendono in considerazione i parenti del paziente perché vi è la maggiore possibilità che i due siano compatibili. Mi dispiace informarvi che voi, signor e signora Mori, non siete compatibili.” I due interessati non fiatarono ma si poteva notare nei loro occhi una tristezza immensa per l’impotenza di fronte la malattia.
“Ma può accadere che anche un non consanguineo sia idoneo. Ed un po’ di tempo fa una persona ha fatto un prelievo in questo ospedale per sapere se era idoneo per donare il midollo alla paziente Ran Mori. Questa persona è compatibile. Questa persona potrà salvare la vita di vostra figlia. E questa persona è lei: Shinichi Kudo.” Il dottore lo indicò mentre Shinichi strabuzzava gli occhi dalla sorpresa. Non ricordava neanche più quel giorno. Aveva fatto delle analisi per essere certo che non avrebbe potuto fare nient’altro che starle vicino.
“Benissimo. Possiamo farla anche domani l’operazione?” Domandò entusiasta Kogoro.
“Bé, dipende dal donatore. Se lui è d’accordo.” Gli rispose il medico.
“Ma lui è d’accordo, vero Shinichi?” Fu di nuovo il detective dormiente a riprendere la parola. Tutti si girarono verso Shinichi aspettando una risposta.
“Ran…” Lui si girò verso la ragazza e lei notò una velo di malinconia nei suoi occhi.
“Shinichi non...” Riuscì solamente a dire e tremò perché dentro di sé, da un semplice suo sguardo, aveva compreso la sua risposta.
“Mi dispiace, mi dispiace davvero tanto ma io… io non posso farlo.”
 
 
Angolo autrice:
Salve a tutti=) e da un bel po’ che non pubblico ma per scrivere questo capitolo ci sono stata un bel po’. Ho voluto concentrarmi suoi sentimenti di entrambi i due protagonisti e far entrare in scena Haibara. Iniziamo con Ran… ho voluto fare una cosa un po’ contorta lo so ma per quanto una persona ti possa mentire, tranne che sia una bugia troppo grande da poter essere perdonata, non si smette subito, dopo anni, di amare una persona. Ma è anche vero che essere ingannati, nonostante le buone ragioni che hanno spinto Shinichi, può far si che non lo perdoni subito. Inoltre io vorrei che la riappacificazione non fosse dovuta alla scoperta della verità ma dalla fiducia che lei ripone in lui e alla sicurezza che quella persona l’ha fatto in buona fede. Quindi ci troviamo di fronte una Ran in bilico tra odio e amore, perdono e condanna. Shinichi invece cerca di dimostrare il suo amore restandole accanto per quanto gli è possibile. Eri, secondo me, perdonerebbe Shinichi mentre Kogoro sarebbe più restio ma di sicuro non l’odierebbe anche se dopo quello che ha fatto a fine capitolo ho i miei dubbi. Haibara è un bel personaggio, ben fatto e ho voluto introdurla dandogli un ruolo più importante di distributrice di pillole XD. Lei è una persona che non esterna molto i suoi sentimenti e soprattutto è razionale. Non credo illuderebbe Kudo con frasi del genere: Lei tornerà da te, passerà tutto.- Quando poi lo dice e perché ne ha la consapevolezza. Apro una piccola parentesi: per dimostrare i sentimenti di Ran ho voluto introdurre quel piccolo flash-back( ovviamente lei non sa nulla della vera identità di Ai). Alla fine Shinichi non vuole donare e questo si che è un grosso problema. Mi scuso per la spiegazione medica che non sarà soddisfacente ma ricordatevi che non sono un dottore. So che la donazione solitamente deve essere fatta da un consanguineo ma può capitare di essere compatibile con qualcun altro, è una cosa però abbastanza rara. Vi ringrazio tutti e ci sentiamo al prossimo ed ultimo capitolo. Un bacio <3.

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Capitolo 5
*** Cap. 5: Life ***


Cap. 5: Life.
“Ran…” Lui si girò verso la ragazza e lei notò una velo di malinconia nei suoi occhi.
“Shinichi non...” Riuscì solamente a dire e tremò perché dentro di sé, da un semplice suo sguardo, aveva compreso la sua risposta.
“Mi dispiace, mi dispiace davvero tanto ma io… io non posso farlo.”
 Il silenzio calò per alcuni minuti nella stanza. Nessuno osava fiatare. I coniugi Mori cercavano di assimilare meglio le parole dette dal detective. Forse avevano capito male? Analizzarono la frase, più e più volte, per trovare un diverso significato a quelle parole ma la conclusione era sempre la stessa: l’unica possibilità di salvezza per la loro figlia era stato spezzata da una semplice frase. Eri rimase immobile, non si scompose, attese che qualcosa cambiasse. Chiuse ed aprì gli occhi ma lo scenario era sempre lo stesso. Si girò in direzione di Yukiko. Aspettava che lei la rassicurasse, che le dicesse che era tutto un scherzo ma non un suono uscì dalle sue labbra. Kogoro non aveva lo stesso autocontrollo della moglie. Era impulsivo, non ragionava quando si trattava della sua splendida figlia, la stessa figlia che rischiava di morire perché un moccioso, come lo chiamava lui, troppo viziato ed egocentrico non voleva aiutarla. Lo prese per il colletto e lo portò vicino la sua faccia.
“Cosa vuol dire questo? Mi stai prendendo in giro.” Shinichi non riuscì a sopportare lo sguardo iroso di Kogoro e abbassò lo sguardo.
“Non vi sto prendendo in giro. Non ho intenzione di donare il midollo, il corpo è mio e decido io.” Kogoro strinse di più la presa e lo costrinse ad alzare gli occhi.
“Stai forse scherzando? Per quanto sia dura d’ammettere, tu sei l’unico che può salvarla, restituirle la sua normale vita. E invece ti diverti a farla soffrire e non mi riferisco solo alla donazione. Giochi con i suoi sentimenti e le fai male. Ti atteggi a grande detective che ha compreso tutto dalla vita ma non sei nessuno. Sarebbe stato meglio per mia figlia se…”
“Papà. Adesso basta.” Lo richiamò Ran  prima che potesse dire cose di cui si sarebbe pentito e che avrebbero potuto ferire Shinichi. Il detective dormiente lasciò il ragazzo e comprese di aver esagerato. Prese due profondi respiri per calmarsi: era troppo agitato.
“Kudo non avvicinarti mai più a mia figlia. Non ti voglio vedere.” Il giovane detective non disse niente ed insieme alla sua famiglia uscì dalla stanza, ma prima di chiudere definitivamente la porta, Shinichi guardò per un’ultima volta Ran.
 
Una goccia s’infranse contro il vetro iniziando la discesa verso il basso e poi si unì ad altre sue simili. Ran continuava ad ammirare la pioggia scendere e non poté fare a meno di domandarsi se anche lei, quando sarebbe morta, sarebbe rimasta unica e indimenticabile ,come quella goccia, nella mente di qualcuno, oppure sarebbe stata solo un’altra vittima del cancro. Ma ciò che le premeva sapere era se sarebbe rimasta unica per lui. Lui si sarebbe rifatto una nuova vita? L’avrebbe dimenticata? Non voleva di certo che soffrisse ricordandola ma le sarebbe piaciuto pensare che una parte di sé l’avrebbe ricordata come la solare, allegra e dolce Ran e non come la malata. Shinichi non aveva voluto donare il midollo e lei stanca di urlare, arrabbiarsi ed anche di lottare non aveva insisto, né cercato di convincerlo. Quando Shinichi si era voltato, per guardarla un’ultima volta, vide nei suoi occhi una profonda malinconia. Non vi era quella sicurezza che con le parole aveva mostrato. La sua bocca diceva una cosa, i suoi occhi un’altra. Le diede l’impressione che dentro di lui si stesse combattendo una battaglia tra la ragione e i sentimenti. Pensò anche che lui avesse intenzione di far l’intervento ma che qualcuno glielo avesse impedito. Appoggiò la fronte sul  vetro freddo della finestra. Rise. Stava proprio diventando pazza. Come poteva solo pensare di capire tutto da un semplice sguardo?
“Sei ancora qui? Quante volte ti dovrò dire di non venire?” Ran si girò in direzione della porta attirata dalle urla fuori dalla stanza.
“Non voglio che una persona inutile come te giri intorno a mia figlia.” La ragazza sbuffò. Suo padre già da diversi giorni, da quando il medico aveva parlato del trapianto, ogni volta che incontrava Shinichi non faceva altro che insultarlo anche davanti ad altri pazienti e medici. Lui non rispondeva, stava zitto ed ascoltava tutto. Shinichi non odiava Kogoro per le sue scenate, sapeva che era un modo per sfogare tutta quella rabbia e quell’impotenza che aveva in corpo. Perché lui avrebbe voluto fare di più per sua figlia. Non si capacitava che anche se consanguinei non poteva donare il midollo alla sua stessa figlia. Ran decise di uscire per salvare il suo amico d’infanzia dalle grinfie di suo padre. Camminò piano e appoggiando sempre una mano sul muro per avere un po’ di stabilità. Quando spalancò la porta suo padre tacque mentre Shinichi alzò lo sguardo.
“Adesso basta papà. Non è colpa sua e neanche tua. Urlare, arrabbiarsi, prendersela con lui non cambierà la situazione. Perché non torni a casa e ti rilassi? Non dormi da giorni. Vedrai che troveremo una soluzione. E soprattutto scusati con lui.” Kogoro si fece convinto ,non se la sentì di dirle di no, e se ne andò non prima di aver detto un’ultima cosa al “bambino”.
“Scusa moccioso, ho esagerato.” Ran sorrise, era riuscita nel suo intento. Shinichi stava per andarsene quando lei bloccò il suo piccolo braccio.
“Ehi Shinichi, perché non vieni nella mia stanza per parlare un po’?” Il detective era rimasto senza parole. Non si aspettava una richiesta del genere, soprattutto da lei. Accettò volentieri e la seguì nella stanza. Ran però dovette sedersi subito perché si era affaticata mentre Shinichi preferì rimanere in piedi.
“Sai…” interrupe il silenzio il mini detective.”…in questi giorni ho pensato a mille discorsi per raccontarti quello che mi è successo in questi mesi eppure solo ora mi accorgo di una cosa. Una cosa importante che dovevo dirti fin dall’inizio. Non importa se non vorrai ascoltare la mia storia, se non vorrai parlarmi ma devi sapere che mi dispiace. Scusa per le bugie, per averti fatto soffrire, al di là del motivo, è giusto che mi scusi con te.” Ran rimase spiazzata da quel discorso non si aspettava delle scuse.
“Shinichi, ti va di raccontarmi la storia di Conan Edogawa?”Il ragazzo sorrise e incominciò a narrare. Shinichi le raccontò tutto: dai gadget creati dal professore per combattere i criminali, della vera identità si Ai, fino alle missioni più importanti che avevano implicato il coinvolgimento dell’organizzazione. La Karateka non l’aveva interrotto neanche una volta, rapita dalla storia ed adesso ogni azione, frase di Conan Edogawa le apparivano più chiare. E tutto ciò che aveva fatto, per sconfiggere l’organizzazione, era incredibile e duro per un ragazzo di soli 17 anni
“… ed è così che l’organizzazione degli uomini in nero è stata sconfitta. Domande?”
“Non deve essere facile vivere nel corpo di un bambino?” Continuò Ran sempre più vogliosa di sapere.
‘’E’ terribile.E’ stressante quando per prendere qualcosa troppo alta mi tocca trovare una sedia o un appoggiò altrimenti devo aspettare che qualcuno mi aiuti. Per non parlare di tutte le volte che cercavo di scoprire chi era il colpevole e la polizia appena mi vedeva vicino la scena del crimine mi buttava sempre fuori. Non hai idea di quanti pugni da parte di tuo padre io abbia preso.”
“Ma non mi sembra che questo ti abbia mai fermato.”
“Mi conosci, sai che non mi arrendo facilmente.”
“E perché proprio adesso hai deciso di farlo?” Domandò malinconicamente.
 
“E’ la mia vita. Mettiti in testa che non puoi decidere per me. Voglio quelle pillole, ne ho di bisogno.” Urlò fuori di sé Shinichi.
“Sei un idiota Kudo se speri che ti aiuterò in questa missione suicida. Ho già sbagliato quando ieri mi sono fatta convincere dalle tue belle parole e ti ho dato l’antidoto. Non commetterò lo stesso errore. Non sarò la tua carnefice.” A quel punto il piccolo detective se ne andò via più infuriato di prima. Preferiva allontanarsi per paura di parlare troppo e dire qualcosa che avrebbe potuto ferire la scienziata. Lei non c’entrava niente, sapeva che la colpa non era sua e che aveva perfettamente ragione. Ran, poco distante dai due bambini, ascoltò la fine della discussione ma quello che la colpì furono le parole di Haibara. Aspettò che Conan fosse lontano per poter scambiare quattro chiacchiere con quella bambina che aveva sempre trovato misteriosa. Al contrario quest’ultima non si era neanche accorta della presenza della ragazza.
“Ai. Ai.” Urlò per attirare la sua attenzione ed evitare che se ne andasse.
“Ran.” Disse un po’ incredula. “ Che ci fai qui? Hai bisogno di qualc…”
“Chi sei tu?” La domanda di Ran lasciò senza parole la ‘piccola’.
“Ai Haibara.” Rispose con il suo solito tono freddo e distaccato.
“Prima non l’hai chiamato Conan ma Kudo. Tu sai chi è. Quindi te lo chiederò un’altra volta: chi sei tu, veramente?” La ragazza era decisa a scoprirne di più perché di menzogne ne era stanca.
“Mi chiamo Shiho Miyano. Sono una scienziata e per quanto le apparenze possono ingannare sono più grande di te. Ma non è questo che ti interessa. Se hai ascoltato la conversazione vorrai sapere qualcosa riguardante quest’ultima.”
“ Cosa sono queste pillole e perché Shinichi era così arrabiato?” Ran si maledì. Aveva detto basta a tutto ciò che riguardava il detective liceale eppure non riusciva a smettere di preoccuparsi. Perché ,nonostante le bugie, lei l’amava ed non aveva più voglia di stargli lontano. Ma quando era pronta a fare un passo verso di lui nella mente apparivano tutte le sue bugie. Era una continua lotta tra la Ran innamorata, che pian piano prendeva il sopravvento, e la Ran razionale.
“Le pillole sono degli antidoti provvisori che riportano il suo corpo alla normalità ed era arrabbiato perché non ho intenzione di dargliene altre.” Shiho rispose in maniera sintetica poiché se c’era qualcuno che doveva raccontargli tutta la storia quello era solo Kudo.
“ Tu sai dirmi perché non vuole donarmi il midollo osseo? Perché solo qualche giorno prima del nostro litigio mi aveva giurato che l’avrebbe donato se ne avesse avuto l’opportunità.”
“Chiedilo a lui.” Rispose secca.
“Non mi vuole rispondere. Gliel’hanno chiesto tutti ma lui non ha detto una parola.”
“ Se lui non vuole perché dovrei io?” Ran rimase senza parole. Quella ragazza aveva sempre la risposta pronta, difficilmente si riusciva ad incastrarla.
“ Hai ragione scusa il disturbo.” Haibara poté scorgere la tristezza nei suoi occhi.
“Per colpa mia.” Disse Shiho.
 
“ Cosa?” Chiese credendo di aver sentito male.
“Perché hai deciso di arrenderti?”
“E tu perché hai deciso di arrenderti?”Domandò di rimando il ragazzo. Entrambi si guardarono negli occhi e fu lui il primo a prendere la parola.
“Io non mi sono mai arreso. Non so perché pensi una cosa del genere.”
“Smettila di mentire. Hai deciso di morire.” Disse seria Ran.
 
“ Che vuol dire che è colpa tua?” Ran non poteva credere alle sue parole.
“Deve tornare il liceale Kudo per poter affrontare l’intervento ed ha bisogno delle pillole ed io non ho intenzione di dargliele. Non lo faccio per una sorta di risentimento o odio nei tuoi confronti. L’ho visto fare tante idiozie in questi mesi. Ne ha prese troppe e sapeva a cosa andava incontro. La febbre, il rimpicciolimento prima del previsto di fronte a te, tutti sintomi che l’avvertivano del pericolo. Ma lui è testardo ed ha continuato ad ignorare i sintomi. So di essere colpevole. Gliel’ho date e non so spiegarne il motivo ma alle volte sa essere molto persuasivo.” Fece una piccola pausa e poi continuò. “ Ma quando l’ho visto vomitare sangue, ho compreso che dovevo dare un taglio alla faccenda inoltre potrebbe tornare piccolo durante l’intervento. So che per colpa mia non avrai un trapianto, so che era una buona occasione per eliminare la tua malattia ma io non ho intenzione di essere la sua carnefice.”
“ Hai preso la migliore decisione.” La rassicurò Ran.
 “ Perché invece di prendere quelle pillole non pensi ad altri modi per aiutarmi, se è questo quello che vuoi?”
“Come ? Dimmi come. Cosa credi che io sia contento di distruggere il mio corpo con quella sostanza? Ma non posso fare niente come Conan Edogawa.” La discussione si stava scaldando e nessuno dei due aveva intenzione di staccare gli occhi dall’’altro.
“ E se dovessi morire? Pensi che la tua morte mi aiuterebbe a vivere una vita felice. Una vita con il senso di colpa per averti portato alla morte. Hai smesso di lottare. Lo Shinichi che conoscevo un tempo avrebbe vagliato diverse possibilità e poi avrebbe scelto quella giusta. Tu ti sei arreso.”
“ Non è così facile. E poi anche tu hai smesso di lottare. Quando ti ho detto che non avrei fatto l’intervento non hai chiesto il perché, non hai cercato di chiedere al medico se c’ erano altri donatori, non hai fatto niente. Sei rimasta impassibile, come se tutto non ti riguardasse. Ti sei lasciata andare. “
“Hai ragione.” Disse Ran.” Ma io non voglio che tu muoia.” Una piccola lacrima le solco il viso e si posò su un dito del mini detective.
“Neanche io voglio che tu muoia.”
“Allora lottiamo insieme. Torniamo i ragazzi di un tempo. Quelli che andavano controvento, contro il mondo pur di dimostrare ciò che siamo.” Shinichi sorrise.
“Va bene. Ma prima voglio sapere una cosa: hai deciso di parlarmi solo per quello che ti ha detto Haibara?”
“No, avevo voglia di parlarti già una settimana dopo aver scoperto la tua identità ma non riuscivo a dimenticare le bugie. ”
 
 “Sei il solito stupido.”
“Stai zitta.”
I due ragazzi furono attirati da un battibecco tra un uomo e una donna che corrispondevano ai coniugi Mori. Ran venne presa dal panico. Se suo padre avesse visto Shinichi si sarebbe sicuramente arrabbiato e  lei non aveva la forza di litigare, urlare e convincere quel testardo di suo padre. Prese in braccio Shinichi e lo buttò sotto il letto. Il “bambino” sbatté la testa e si massaggio la parte dolorante. Stava per dire qualcosa quando la voce di Eri lo trattene da fare qualsiasi movimento.
“Ciao Ran. Tutto bene? Hai bisogno di qualcosa?” Chiese premurosamente sua madre.
“Sì, avrei voglia di muffin ma non questi dell’ospedale. La pasticceria vicino casa di mamma li fa buonissimi.” Mentì nella speranza che se ne andarono. I suoi genitori non ebbero la forza di dirle di no, anche se non volevano lasciarla sola di nuovo, e salutata Ran si avviarono verso la pasticceria ignari che il tutto sarebbe stato tempo e forze sprecate.
“Ora puoi uscire Shinichi.”
“La prossima volta invece di buttarmi sotto il letto: dimmelo.” Si lamentò il piccolo continuando a massaggiarsi la testa.
“E’ meglio che tu ora vada via.” Disse Ran donando un piccolo bacio sulla guancia a Shinichi che diventò rosso. Lui la saluto imbarazzato e se ne andò con un sorriso enorme, uno di quelli che non compariva sulla sua faccia da giorni.
 
Ran saltellò per tutta la stanza, canticchiando. Era un giorno stupendo. Il suo rapporto con Shinichi stava riprendendo e ,qualche giorno dopo la loro riappacificazione, aveva detto ai suoi genitori ciò che le era successo. Kogoro era svenuto alla notizia ma pian piano accettava di vedere quel moccioso gironzolare intorno a sua figlia. Inoltre il medico le aveva detto che avevano trovato un donatore. Era rimasto anonimo. Aveva insisto per conoscere il suo nome per ringraziarlo ma tutto era stato inutile. 
“Ciao Ran.” Disse Shinichi entrando.
“Ciao, lo sai che giorno è oggi?” Gli domandò.
“Sì, il giorno del tuo intervento. Lo sa praticamente tutto l’ospedale.” Lei non smise di sorridere ,lo sollevò da terra e l’abbracciò.
“Ran lasciami.” Disse imbarazzato.
“Eppure questo a Conan è sempre piaciuto.”
“Non è vero. E adesso lasciami.” Disse imbarazzatissimo mentre lei ridacchiò.
“Quanto sei esagerato.” Lo fece accomodare nel letto e poi lo baciò. Improvvisamente divenne seria.
“Questo potrebbe essere il nostro ultimo bacio, potrebbe essere il nostro ultimo giorno perché potrei non risvegliarmi, potrei morire. Sappi che ti am…”
“Non lo dire.” Il ragazzo le poggiò un dito sulle labbra per fermare quell’assurdo discorso.” Non lo dire. Tu ti risveglierai e mi dirai quelle due parole ed io farò lo stesso. Ma non lo fare ora. E’ una promessa.” Ran sorrise e tornò a baciarlo. Quello poteva farlo, non doveva aspettare altro.
 
I medici entrarono non appena il paziente si cambiò.
“I suoi genitori sono d’accordo?” Domandò il medico controllando alcuni risultati delle analisi del paziente.
“Sì, hanno firmato il consenso.” Il paziente gli passò il modulo. Quando i suoi l’avrebbero scoperto si sarebbero arrabbiati tantissimo.
 
“I moduli che vi abbiamo portato li avete firmati?” Eri passò immediatamente i fogli al medico mentre un allegro Kogoro teneva la mano della figlia. Ran si sentiva agitata, era pur sempre un intervento.
“Tra un po’ ti porteremo in sala operatoria.” Tutti i membri della famiglia ringraziarono l’infermiera.
 
“ Prima di entrare in sala, vuole aspettare che qualcuno venga a salutarla?” Domandò dolcemente l’infermiera.
“No, nessuno verrà.”
 
“Piccola mia stai tranquilla vedrai che andrà tutto bene.” Disse Kogoro.
“Noi ti aspetteremo qui.” Eri le baciò la fronte.
“Ma dov’è quel moccioso?” Chiese il detective, sorpreso da quella mancanza.
“Ha detto che non poteva venire ma ci siamo salutati prima.”
 
“Bene, signor Shinichi Kudo noi siamo pronti per l’intervento.” Lo informò il medico.
“Iniziamo.”
 
L’intervento era riuscito con successo e Ran iniziava a riprendersi. Il medico le aveva raccomandato di continuare a fare dei controlli e di rimanere ancora altri giorni in ospedale per essere sicuri che niente andasse storto e che il male fosse scomparso definitivamente. La ragazza al suo risveglio era stata accolta da parenti e amici in un clima di allegria mentre Shinichi era stato sgridato da sua madre in lacrime e da un Haibara fuori di sé dalla rabbia. Ma alla fine tutto si era risolto per il meglio e solo quando il medico gli diede il permesso il ragazzo corse da lei. Eppure, per quanto potesse sembrare strano, i due ragazzi quando si incontrarono non dissero una parola, né si abbracciarono ma si guardarono negli occhi. Dopo qualche secondo la stanza si riempi delle loro risate e alcune lacrime, di gioia, uscirono dagli splendenti occhi viola di Ran.
“Shinichi, ma non sei piccolo?” Chiese incredula Ran.
“Qualche ora dopo l’intervento sono tornato Conan, non sai com’è stato difficile con i medici nascondere la mia doppia identità. Ma ieri Haibara, grazie alla formula trovata dall’F.B.I., ha creato l’antidoto ed oggi l’ho preso. Non sarò mai più Conan Edogawa.” Nella sua faccia si allargò un enorme sorriso. Essere di nuovo sé stesso era stata una notizia stupenda insieme alla guarigione di Ran, in quel momento si sentiva l’uomo più felice del mondo.
“Comunque Shinichi sei stato un irresponsabile e un idiota ma grazie di tutto.” Disse Ran donandogli un bacio e successivamente abbracciandolo.
“Adesso te lo posso dire: Ti amavo, ti amo e ti amerò Shinichi.”
“Anche io ti amo.”Rimasero abbracciati per molti minuti finché all’improvviso la presa decisa di Shinichi si fece sempre più debole e il suo corpo scivolo tra le braccia della ragazza. Ran si spaventò tantissimo notando il volto pallido e le mani fredde del ragazzo. Non aspettò neanche un minuto e chiamò aiuto. Le infermiere e il dottore entrarono per controllare il ragazzo e notarono che il cuore stava lentamente smettendo di battere. Ran non poté fare a meno di guardare e piangere mentre tentavano di salvarlo con il defibrillatore. E non poteva credere che potesse morire. Perché loro avevano superato tutto. Loro avevano combattuto i loro mali. Loro avevano mantenuto la promessa: si erano detti ti amo. Loro erano Ran e Shinichi.
“Shinichi, ti prego.” Sussurrò. Chiuse gli occhi mentre il suono di un cuore che smetteva di battere inondava la stanza.
 
 
Si sistemo invano i capelli poiché il vento si divertiva a scombinarli. Le erano cresciuti tanto in 6 anni e non aveva più voluto tagliarli perché le ricordavano che aveva sconfitto la malattia. Erano il suo promemoria. Quando aveva un po’ di tempo libero le piaceva andare in ospedale e rendere felice tutti quei bambini che soffrivano di cancro. Perché anche un minuto in compagnia può dare la speranza e la felicità.  Era cresciuta, maturata e non poteva e non voleva dimenticare quell’esperienza perché , bella o brutta, l’aveva aiutata a crescere ed andare avanti. Avrebbe, invece, voluto cancellare con piacere il dolore e il ricordo di Shinichi disteso a terra mentre il suo cuore cessava di battere.
“Mamma, ciao.” Una bambina di 3 anni la salutò muovendo da destra a sinistra la sua manina per poi tornare a giocare con gli altri bambini del parco. Sua figlia riuscì a portar via tutti quei ricordi e la inondò di gioia. Era la cosa più bella che avesse mai avuto ed essere madre l’aveva resa felicissima. La bambina iniziò a correre ma inciampò e cadde a terra. Ran si alzò immediatamente  per aiutarla ma fu superata sul tempo da un ragazzo che la prese in braccio.
“Ti sei fatta tanto male?”Chiese l’uomo.
“No, lo sai che sono forte come la mamma e come te, papà.” Rispose la bambina.
“Stai più attenta la prossima volta.” Disse Ran che nel frattempo era arrivata. Il ragazzo lasciò andare la bambina che tornò a giocare.
“Somiglia tutta a te è: testarda, orgogliosa e stupenda.” Ran arrossì a quei complimenti.
“Però da te ha preso la voglia di lottare e di non arrendersi mai.” Il ragazzo sorrise e comprese a cosa si riferiva.
“Ti amo Shinichi.” Le loro bocche si unirono in un lungo bacio. Quel giorno di sei anni fa il cuore di Shinichi aveva ripreso a battere sorprendendo i medici. Il suo corpo non aveva retto bene l’antidoto ed era un po’ debilitato a causa delle compresse prese precedentemente e dall’intervento. Aveva avuto una ripresa lenta caratterizzata da febbre altissima. Eppure era vivo come lo era anche lei.
“Ti amo anche io Ran.” La vita era un enorme paradosso e loro ne erano la prova. Avevano sconfitto tutto ed adesso avevano una vita felice con una bella bambina.
Loro erano vincitori.
Loro erano unici.
Loro erano Ran e Shinichi.
 
Angolo dell’autrice:
Buongiorno a tutti =), non sono morta ma mi sono presa delle vacanze ed inoltre non sapevo come farla finire, e diciamo che non mi convince molto. Ci sono alcune cose di cui vorrei parlarvi: ho deciso di far credere che Shinichi fosse quello morto e che stesse male perché mi sono un po’ ispirata al libro( la custode di mia sorella). – Se volete leggerlo non leggete questo- Perché nel libro alla fine muore la sorella che non aveva la leucemia-quindi la scelta di far credere che stesse per morire Shinichi era per fare un colpo di scena e per dimostrare che la vita è imprevedibile. Per questo motivo non bisogna perdere le speranze e continuare a lottare poiché prima o poi qualcosa andrà per il verso giusto. Inoltre ho voluto descrivere come hanno vissuto i due ragazzi l’intervento.  Ma chiusa questa parentesi direi che siamo alla fine. Mi mancherà questa storia perché mi ero impegnata tanto ed avevo messo tutta me stessa per la realizzazione. Io vi ringrazio dal più profondo del cuore per avermi seguito, recensito e letto perché se esiste questa storia ed anche per merito vostro. Inizio con il ringraziare:
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Ricordate:
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Shinichi3Ran_love 
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SkyDream
Coloro che hanno recensito:
SkyDream
shinichi e ran amore
Ayumi Edogawa
Dudi_Mouri
elie takami
Shinichi3Ran_love
nniga
Grazie a tutti, vi voglio bene. Un bacione enorme Inu_Ran <3

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