Abusivi - Adottivi

di Harriet
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** I - Devi vedertela con la città ***
Capitolo 2: *** II - Mappa crittografata di Almiressa ***
Capitolo 3: *** III - Generatore di discordie ***
Capitolo 4: *** IV - Il privilegio dei figli ***



Capitolo 1
*** I - Devi vedertela con la città ***


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Abusivi – Adottivi

 

 

 

 

Se tu penserai, se giudicherai da buon borghese
Li condannerai a cinquemila anni più le spese
Ma se capirai, se li cercherai fino in fondo
Se non sono gigli son pur sempre figli, vittime di questo mondo.

(Fabrizio De Andrè, La città vecchia)


 

There's a place where you become

What you have always been

(Thea Gilmore, Lightning)

 

 

- D'una città non godi le sette o le settantasette meraviglie, ma la risposta che dà a una tua domanda.

- O la domanda che ti pone obbligandoti a rispondere.

(Italo Calvino, Le città invisibili)

 

 

I

Devi vedertela con la città

 

7 febbraio. Un giorno dopo l'evento

 

Mi chiamo Adi e sono di Almiressa. Mi sento in diritto di dire due parole sulla guerra finita ieri.

Va bene, passo indietro.

Non mi chiamo Adi. Il mio vero nome l'ho lasciato da qualche parte, dove non mi interessa tornare a cercarlo. Adi è una parola inventata. C'è stato un tempo in cui ero chiusa nella mia testa e non avevo parole per nessuno, così ho dovuto immaginare una lingua per farmi capire da me stessa. Adi era una delle mie parole preferite. Forse un giorno dirò a qualcuno cosa significa.

D'accordo, non sono esattamente di Almiressa. Da due anni e mezzo abito su una nave che per la maggior parte del tempo è ormeggiata qui al porto di Almiressa.

Forse troverò un punto fermo che sia vero, dal quale cominciare.

Non è che io sia una grande amante dei punti fermi. Ho lasciato casa mia un millennio fa, proprio perché avevo voglia di non avere punti fermi. Non è finita molto bene. Poi mi sono trovata un'altra casa, ed è una nave. Molto da me.

Riproviamo. Potete chiamarmi Adi. Conosco la città quanto basta per sopravviverci. Conosco i retroscena della guerra. Può andare?

 

Dove sei, tu che stai ascoltando questa storia? Da quale angolo della città mi guardi? Sei un abitante, un turista, uno che si è perso?

Cominciamo a piazzare qualche riferimento. Questo agglomerato di tre milioni di persone, un paio di millenni di storia e un'urbanistica criminale, questa è Almiressa. Se ne sta sulla costa mediterranea, è un frammento rubato all'Egitto, ma è una città-stato indipendente. Gran parte dei suoi abitanti sono egiziani, arabi, africani di tutto il continente – soprattutto etiopi, naturalmente: i figli dell'Impero che domina mezzo mondo sono ovunque, di questi tempi, e i sovrani d'Etiopia hanno provato più volte nei secoli a conquistare Almiressa. L'unica impronta davvero forte che hanno lasciato è la lingua. Qui si parla una strana cosa che somiglia all'amarico, infarcito di pezzi di arabo, egiziano, un po' di turco, greco, spagnolo e italiano.

Almiressa è un'accozzaglia prodigiosa. Attraversi una strada di palazzoni e finisci in un anfiteatro romano. Passi sotto un filo da cui pendono pezzi di vetro colorato, che la magia fa accendere, di notte, e poi nella strada accanto ti perdi in un mercatino di oggetti a carica, a molla, batteria: un campionario delle tecnologie di tre continenti. Dietro la sede del Consorzio della Scienza c'è il Vicolo degli Indovini. C'è un pezzo di tutto, qui, e niente funziona esattamente come dovrebbe.

L'accozzaglia umana della città supera di gran lunga quella degli stili, delle religioni e delle culture, portate qui da chi c'è arrivato, piantate senza pensarci troppo, stratificate a caso e senza progetto. C'è chi viene con una casa da costruire o con una canzone da regalare. C'è chi ci finisce senza niente, pronto a prendersi qualcosa, qualsiasi cosa: un briciolo per non morire di fame, un posto da chiamare casa, una credenza, una leggenda... E Almiressa si lascia saccheggiare con amore e si offre a tutti, perché è di tutti. È la sua vocazione.

È un bel posto? Non lo so. Non sono un'esperta di città. Sono nata in un piccolo accampamento in riva all'Illinois e ci ho passato ventitré anni di vita, prima di partire. Poi ho vissuto su un paio di isole e infine su una nave. Insomma, Almiressa è la prima città con la quale abbia avuto un rapporto significativo, e mai mi sarei aspettata di imparare ad amarla tanto, con tutte le sue contraddizioni.

Del resto, non si tratta solo di me. Guardate quelli con cui vivo. Nessuno di loro è di qui, ma tutti e tre si comportano da padroni della città. È che Almiressa fa questo effetto.

Ecco, parliamo di questi tre. Il primo è magro e lungo, bianco, con un ammasso di riccioli rossi e una distesa infinita di lentiggini ovunque. Lo vedrete poco in giro, perché ha devoluto la sua esistenza alle scienze e alla sperimentazione. Si chiama Mirick. Se gli avete detto buongiorno, è probabile che non vi abbia sentiti.

Il secondo l'avete visto di sicuro. Parlo di quell'arabo molto alto e robusto, con i capelli lunghi, che risponde al nome di Dara. È sempre in giro. Non riesce a non passare giornate intere tra le braccia della città, immergendosi in tutto quel che Almiressa ha da offrire: storie, caldo, chiacchiere, musica, chiese, alcol, bordelli, guai. E disperati. I disperati gli piacciono più di tutto. Raccontategli la vostra tragica storia e lo avrete dalla vostra parte.

L'ultimo dei tre è lì che disegna, osservando cose che vede solo lui. Un bambino con i capelli scuri e l'aria sempre concentrata su qualche particolare. Si chiama Aurel. Non vi risponderà, se lo chiamate. Non subito. Poi, forse, si fiderà di voi, e allora addio: vi sommergerà con le sue domande. Vi sembreranno strane. Non lo sono: sono esattamente le domande che tutti noi vorremmo fare, solo che non troviamo il coraggio.

Io sono quella donna alta e strana, che sorride ma non parla.

Sì, avete sentito dire svariate cose su di me. Che non parlo (vero.) Che non posso parlare (vero.) Che sono muta dalla nascita (non vero.) Qualcuno azzarda anche la fantasiosa ipotesi che talvolta io riesca a far sentire la mia voce nella testa delle persone. Andiamo, vi sembra una cosa logica e sensata?

No, non lo è. Però è vera. È che sono amica di uno scienziato. Ve l'ho detto che Mirick sperimenta con qualsiasi cosa gli capiti tra le mani, no? Viti, molle, alchimia, ingranaggi, chimica, magia. Un giorno mi ha regalato un cerchietto per i capelli. (Niente di particolarmente carino. Non un gran senso estetico, quello di Mirick.) È una via per la mia voce, per farvela arrivare direttamente in testa. Bello, eh? Non che mi renda più normale. Ma non è male. A volte hai bisogno di farti sentire, per quanto poco tu possa considerare i tuoi ascoltatori.

Ora che avete più o meno presente la città, i miei curiosi familiari e me, mi sento in dovere di dirvi un'ultima cosa. Vi servirà per decidere se disprezzarmi o assolvermi.

(Per la cronaca: qualunque sarà la vostra decisione, non me ne fregherà niente.)

L'ultimo punto da considerare è che io non ho mai odiato Leda Makris. Non ho energie da sprecare nell'odio. E se la signora Makris ha una lista dei danni che include furto, incendio, diffamazione e ostracismo dalla città, beh, questo dipende da molte cose, ma non dal mio odio.

Certe persone non sanno proprio vedersela con Almiressa.

 

C'è sempre qualcuno che cerca di comprarsi un pezzo della città. L'ho notato in questi due anni di adozione, ma mi hanno detto che è così da sempre. Arrivano da tutto il Mediterraneo, a volte anche da più lontano, e si insediano. Hanno la pretesa e la speranza di fare soldi e costruirsi una reputazione, che sia in campo legale, illegale, o entrambi. In genere appartengono a due categorie: mercanti e briganti. Io preferisco la seconda.

Non ho mai pensato che Leda Makris fosse da biasimare per il suo tentativo di inserirsi a forza nel tessuto cittadino. Voglio dire, lo fanno in tanti. Nel nostro piccolo, anche noi quattro ci siamo autoproclamati cittadini di Almiressa, degni di ammorbarne l'aria con le nostre presenze mai troppo silenziose. Qui c'è posto per tutti, che siano quattro profughi dell'esistenza raccolti per il mondo, oppure una mercante di cose superflue come Leda.

Ho assistito all'ascesa di Leda, durante lo scorso anno. Da proprietaria di una rivendita di inutilità spacciate per nuove tecnologie europee a piccola autorità del quartiere del Porto. Aveva quest'aura di persona potente, disposta a risolvere guai in cambio del pagamento giusto. Ce ne sono tanti, così: creano una rete di amicizie e clientele, scambiano favori e consolidano la propria posizione.

Da un giorno all'altro commercianti, guardie e nullafacenti entravano a far parte della cerchia di Leda, e non c'era verso di sapere cosa avessero ottenuto o cosa avessero pagato, per esserci. Ma la sua rete cresceva. Sembrava destinata a restare. Sembrava che cominciasse a conoscere Almiressa.

E se davvero era così, allora io penso che Leda lo sapesse, che non era una buona idea mettersi nei guai con l'Ordine delle Macchine da Cucire. Lo so che molti pensano che l'Ordine sia una specie di storiella divertente. Ma se davvero cominci a sviluppare un buon rapporto con la città, o perlomeno con i quartieri sul mare, il Porto e Alessandria, dove avvengono tutte le cose più interessanti, allora dovresti saperlo, che l'Ordine è da prendere sul serio.

 

Avevo sentito parlare di Leda Makris: sia le brave persone affaccendate che il sottomondo ambiguo dell'illegalità cittadina avevano molte cose da dire su di lei. Qualche volta la vedevo passare tra i banchi di un mercato, o sotto il portico di un tempio: una bella donna sulla quarantina, che aveva rinunciato alle vesti greche per sposare il gusto impazzito della città, e si ricopriva di cinture, scialli con ciondoli sonanti, gonne e sottogonne, pizzo a profusione, cappelli carichi di ornamenti. Non spiccava: ad Almiressa chiunque si veste così. Una delle cose che amo di questa città è quanto sia difficile distinguere a colpo d'occhio i ricchi dai poveracci.

La signora Makris mi era piuttosto indifferente, e così anche a quasi tutta la mia famiglia. Insomma, per Mirick sono tutti piuttosto indifferenti, a meno che non parlino lo scienziatese, e per quanto riguarda Aurel, lui ha una percezione molto particolare del mondo. Dara invece era sospettoso – come sempre, quando si tratta di potenti. Non gli piace la gente che ha la facoltà di imporre il proprio volere, con l'autorità o con i soldi.

- Io non la tollero.- Mi disse, un giorno che la vedemmo passare lungo il molo. Eravamo io, lui e Aurel, carichi di spesa e piacevolmente spensierati.

Ignorala, se non la tolleri, gli dissi, mandando la voce tra i suoi pensieri. La gente mi guarda male, quando parlo con qualcuno. Cioè, guarda male quel qualcuno, perché sembra che parli da solo.

- Non è giusto che pensi di poter venire qui a fare quello che vuole!

Che è esattamente quel che abbiamo fatto noi.

- Noi eravamo semplicemente senza casa. Non ci siamo stabiliti qui per fare fortuna.

No, fortuna non la faremo mai, visto che siamo sempre senza un soldo...

Mi interruppi quando Leda cambiò bruscamente direzione e ci venne incontro.

- Salve. Mi permetto di presentarmi. Mi chiamo Leda Makris, e sono in città da poco tempo. Mi hanno detto che voi siete... Persone notevoli di Almiressa. Pare che conosciate un po' tutti, almeno nel quartiere del Porto.

Non siamo notevoli, le comunicai. La vidi stupita per un istante nel sentire la mia voce in maniera non convenzionale. Un istante solo, però. Dovevano averla informata della mia particolarità. Non credo che abbiamo niente di speciale. Costruiamo cose, ripariamo cose e beviamo parecchio.

- Vedremo. Magari mi dimostrerete di essere notevoli, invece. Mi auguro di rivedervi presto. E, chissà, magari di collaborare con voi.

Se ne andò senza aspettare risposta – e non ne avrebbe avuta comunque, a parte un paio di sorrisi non troppo convinti.

- Io non ho capito niente di quello che ha detto.- Commentò Aurel.

- Niente di interessante.- Rispose Dara, incupito. - Dimenticala. Non diventeremo amici.

- Menomale.

Aurel è una persona molto chiara, nell'esprimere i propri sentimenti sulle cose.

- Lo vedi?- Mi disse Dara. - Va in giro, chiede informazioni sulla città, si presenta e pretende di aver già capito come funziona tutto quanto, qui. E spera di guadagnarci.

È vero. Ma se per te è giusto che gente come noi possa venire ad Almiressa e sentirsi a casa, allora devi concederlo anche a quelli come la signora Makris.

- Io voglio un posto dove stare, non una città da piegare alla mia volontà.

Sei prevenuto. Magari Leda Makris ci stupirà con la sua munificenza e magnanimità.

 

Ebbi l'occasione di parlare di nuovo con Leda solo sei mesi fa. Ero andata con Dara a bere qualcosa alla locanda di Rebecca Cross, quell'irlandese grossa e ridanciana che mi rende allegra al solo sentirla nominare. C'era poca gente, e nessuno di quelli che solitamente passano di lì solo per rovinare la serata a qualcun altro. Non c'erano neanche quei personaggi squallidi che sputano commenti volgari quando passo, convinti che muta sia un sinonimo di sorda oppure di idiota. (Come se la volgarità mi toccasse. Potrei dare lezioni di volgarità a tutti loro. Di tutte le cose disgustose che mi hanno borbottato dietro, ho sentito di peggio. Ho visto di peggio. Mi è stato fatto di peggio. Sono equipaggiata contro il peggio.)

Insomma, niente porci né attaccabrighe, e Rebecca era incline a concedersi a noi in quell'arte rara della barzelletta sporca, che va raccontata con la giusta gestualità e il tempismo corretto, altrimenti diventa solo un esercizio triviale. Se lo fai bene, è arte. E Rebecca è un'artista. E poi c'era Noah, il suo cuoco, quell'anima in pena che dimostra mille anni più della trentina che dovrebbe avere, ed era così stranamente in pace col mondo da offrire un paio di bicchieri gratis a tutti.

Eravamo io, Dara, Elie l'orologiaio, Mariam, la dolciaia ambulante, e Micol, la libraia, un'affarino di ragazza che non ti aspetteresti di vedere lì, eppure intratteneva spesso noialtri gentaglia con la sua sorprendente cultura. Gente di casa, insomma.

All'improvviso entra lei, accompagnata da due tipi cupi che si capisce subito che sono guardie del corpo. Situazione strana, sì. È che eravamo tutti noi fedelissimi della locanda, e all'improvviso c'era anche Leda Makris. Come la consideri? Una di noi? No, troppo presto. Una straniera? Ma esiste davvero qualcuno che sia straniero, ad Almiressa? Non lo so. Forse questa è una città al contrario: arrivi cittadino, diventi straniero se non riesci a integrarti.

L'atmosfera era cambiata, però Leda fu abile nell'inserirsi nella casualità della conversazione.

- Il fatto che una città la si impari vivendola può sembrare scontato, ma per me è una novità.- Ci informò, facendo cenno a Noah di versare una bevuta a tutti. - Ero abituata ad affrontare ogni luogo studiandolo bene prima di andarci. Ma la vostra città è diversa. Non puoi studiarla.

- La nostra?- Chiese Dara (che fu incerto per tre secondi se accettare o no la bevuta, visto che veniva da qualcuno che non gli piace. Poi il richiamo dell'alcool vinse sulla coerenza.) - Non è anche tua, adesso?

Lei bevve un sorso e inarcò un sopracciglio scuro, incerta su come prendere quell'osservazione.

- Una persona che abita ad Almiressa da sei mesi e non si sente ancora di casa...- Spiegò Rebecca. - Lo troviamo strano.

- Sono lenta a imparare, è vero.- Rispose Leda. - Ma sto conoscendo la città, pian piano.

- E cos'hai imparato?- Mariam smise di baloccarsi con un archetto da violino decrepito recuperato chissà dove (ha una spiccata passione per l'antiquariato) e parve interessarsi alla conversazione.

- Per esempio, ho imparato le peculiarità dei commercianti. E ho imparato che i locandieri spesso non sono di qui e hanno qualcosa da nascondere.

E io incrociai lo sguardo di Noah, gli occhi azzurri enormi e terrorizzati dietro gli occhiali incrinati, le mani piccole strette convulsamente attorno a uno straccio per pulire i tavoli. Lo vidi guizzare via dalla stanza, a rifugiarsi nelle cucine, e gli andai dietro.

- Sa di noi!- Esclamò, non appena mi vide. - Quella donna sa di noi! È chiaro! Quell'allusione... Oh, Adi, tu lo sai che... Non ti abbiamo mai detto che...

Avete un passato da tenere segreto. Si capisce. E non me ne frega nulla di conoscerlo. Ma perché credi che Leda sappia qualcosa su di voi?

- L'hai sentita. Quella battuta sui locandieri...

Era solo una battuta idiota. Chi andrebbe a parlare male dei locandieri in una locanda?

Lui scosse la testa e non trovò la forza di dirmi altro.

Qualche settimana dopo seppi che Rebecca aveva accettato un'affiliazione con Leda Makris.

 

Avrei dovuto arrivarci subito. Tutte quelle parole strane, quei momenti di disagio germogliati tra gente che si conosceva da una vita, quei graffi di malizia che all'improvviso intravedevi nelle parole, negli sguardi di coloro che ritenevi dalla tua parte. Amicizie storiche incrinate, rimescolamenti di alleanze sia tra gli onesti che tra i criminali. C'era qualcosa di diverso nell'aria.

Mi ricordo quella volta in cui ero nel negozio di stoffe di Alia. Leda aveva provato ad acquisirlo, ma Alia aveva rifiutato. Quella mattina Alia parlava di cose leggere a me e a Ruth, una delle guardie portuali. A un certo punto Alia disse a Ruth il prezzo di un pizzo stupendo, una cosa che non poteva in alcun modo costare poco. Gli occhi di Ruth si fissarono sul viso di Alia solo per un secondo, ma bastò a farla indietreggiare di un passo. Se uno ti aggredisce, lo senti subito.

- Non ho voglia di farmi fregare da una che lavorava per Ellissa!- Sibilò Ruth, prima di uscire, premurandosi di sbattere la porta.

Mi ricordo il viso di Alia che si frammentava in una maschera di pianto. Provai a confortarla, anche se con pochi risultati. Volevo farle capire che per me non c'era niente da perdonare. Aveva lavorato nel bordello di Ellissa. E allora? È un mestiere difficile, e chi lo pratica ha di sicuro delle strabilianti doti di pazienza e capacità di gestire gli esseri umani.

Io non sapevo che Alia avesse lavorato lì, prima di sposare suo marito, sei o sette anni prima. Alia era sempre dimessa, mai truccata, una di quelle persone che fanno di tutto per non essere notate dall'universo. Nessuno, prima, l'aveva ricollegata a una delle ragazze di Ellissa, e se qualcuno l'aveva riconosciuta, se l'era tenuto per sé, perché mai prima d'ora qualcuno le aveva gettato in faccia il suo passato. Com'era venuto fuori il segreto, e perché ora?

Uscii dal negozio turbata e arrabbiata. Mi fermai al banco dei dolci di Mariam, che esaminava un mappamondo malridotto e pareva non accorgersi che il mondo vero continuava a girare.

- Freddino, eh?- Mi disse, incartando un dolce diverso da quello che le avevo indicato.

In realtà ci sono diciotto gradi.

- Parlavo del clima umano del Porto.

Oh. Sì. C'è qualcosa di strano. Non mi piace per niente.

- Già. Non piace neanche a me. Ma finché questo qualcosa di strano non viene a bussare alla mia porta, lo lascerò perdere.

Mi allontanai mangiando distrattamente, pensando ad Alia, e alla capacità di questa città di fagocitare il tuo passato e farlo sparire. Chi si stava divertendo a scavare?

 

I pezzi andarono a posto quattro giorni fa, quando Bushra, quell'anima santa che manda avanti la Mensa dei Poveri da quindici anni, venne a cercarmi alla nave. Era agitata, con i capelli che le scappavano fuori dal velo e le occhiaie di chi non dorme bene da un po'.

- Io so che non sei stata tu, a dirlo in giro. Ma chi è stato, allora? Sono così pochi a saperlo...

Sapere cosa, Bushra?

- La mia storia.

La sua storia. Un figlio morto piccolino, un marito che non si era mai ripreso dalla tragedia e si era ammazzato di alcool. Storia di circa diciotto anni prima, quando Bushra era molto giovane. Storia che lei aveva deciso di tenere solo per sé e per pochi altri, perché non sai mai come certa gente ti giudicherà, se guardandoti vedrà il tuo dolore e l'oscurità del tuo passato.

Chi è venuto a saperlo?, chiesi, sentendomi fiera di essere esclusa dalla lista dei sospettati.

- Leda Makris. È venuta da me e mi ha detto che devo ritirare la mia offerta per quel magazzino vicino alla Mensa, oppure lei farà sapere in giro i fatti miei. Volevo comprarlo per allestire un centro di distribuzione di abiti e altre cose per i poveri. Io non voglio che la gente sappia di me. Tu mi dici sempre che è una storia di cui non devo vergognarmi, ma è comunque mia. Decido io chi deve saperla e chi no. E quella donna...

Quella donna è brava a scoprire cose sulla gente. E con quello che sa, ricatta e ottiene quel che vuole. Che hai fatto, con il magazzino?

- Ho ritirato l'offera. Che altro potevo fare?

Che altro poteva fare?

 

L'indomani stavo mangiando un dolce di miele e pistacchi appena comprato dal banco di Mariam. Lei era tutta presa dalla lettura di una copia malridotta di Tutti i tè dell'India, di Jackie Blackpool, e non era disturbata da niente, neanche dai rumori provenienti dalla vicina bottega di Noemi ed Eliezer, i fornai peggiori di Almiressa. Dara era dentro, intento a riparare un crollo del soffitto. Si era offerto di sistemare il danno a un prezzo stracciato, dopo che la gente del Porto si era lamentata dei calcinacci nelle focacce. Già erano pessime senza tracce di calcestruzzo. Aurel cercava di affrontare una bici senza una ruota poco distante dal banco di Mariam (doveva essere un altro dei suoi ritrovamenti archeologici.) Io ero tranquilla e leggera, e stavo pensando a cose riposanti.

In quel momento arrivò Leda Makris. Salutò tutti con grazia e fece per passare oltre.

Le facce di Alia, Bushra e Noah attraversarono la mia mente.

Inseguii Leda e afferrai un lembo del suo scialle, poi la presi sottobraccio e la feci allontanare da lì.

- A cosa devo questa improvvisata?- Mi chiese.

Ho capito il tuo gioco e voglio giocare anch'io, le comunicai telepaticamente.

- Non capisco di cosa tu stia parlando.

Tu commerci in informazioni, che poi usi per manipolare la gente di Almiressa.

Fui felice di vederla stupita.

- Sì.- Mi disse, riacquistando subito tutta la sua sicurezza. - E tu, che conosci tutti e sei così discreta, mi saresti di grande aiuto.

Sono qui per questo. Te l'ho detto, voglio giocare. Ti passerò informazioni, ma in cambio ti chiederò alcune cose. Piccoli favori. Roba senza importanza.

- Perché no? Potremmo fare una prova. Dammi qualcosa di valore, e io cercherò di fare qualcosa per te. Ma attenta, Adi: non cercare di fregarmi, o potrei cercare segreti su te e i tuoi amici.

D'accordo, le risposi. Eccoti una cosa che non sa nessuno. Nessuno di onesto, almeno. Amal, il sarto che ha la bottega sopra il teatro in Via Rossa: è lui che ha cucito le tuniche grigie di quella banda di rapinatori che ha assaltato tre negozi nel quartiere della Giustizia, negli ultimi due mesi.

Di nuovo ebbi la soddisfazione di vederla incredula, quasi ammirata.

- Tu come diavolo l'hai scoperto?

Ho avuto occasione di vedere una di quelle tuniche da vicino. Sono una sarta anch'io. Ho riconosciuto lo stile. Amal è un autodidatta: geniale e fantasioso, ma con dei difetti evidenti, se hai occhio. Ora, se un sarto qualunque lavora con dei rapinatori piuttosto bravi... Forse non è un sarto qualunque. O forse può metterti in contatto con loro. Potrebbero lavorare per te.

- Lascia che ci pensi da sola, a pesare i meriti della tua informazione. Tu limitati a prepararmi qualcos'altro, tra un po' di tempo.

Lei si allontanò, evidentemente soddisfatta. Io cominciai a contare.

 

Cinque.

Torniamo a due giorni fa, il cinque febbraio. Io non ho visto nulla: sono rimasta sulla nave per tutto il tempo. Parlo per sentito dire. Racconto le storie raccontate dalla gente. Sono bizzarre, sì, ma questa è Almiressa.

L'inizio della guerra è stato un appendiabiti lanciato da una finestra mentre passava il carro di Leda. Un avvertimento, pare, ma il risultato è stato comunque un bello schianto.

 

Quattro.

- La signora Abenet dice che hanno incendiato il negozio di cose tecnologiche di Leda Makris.

Sono venuta a saperlo così, da Aurel, che era uscito a fare un giro insieme a Dara. Mi si è seduto sulle ginocchia, sparpagliandomi il lavoro a maglia, e mi ha mostrato i biscotti che aveva comprato.

- Non sono quelli di Mariam.- Mi ha detto. - Oggi il suo banco non c'è. Non capisco perché.

Io sì.

L'ho lasciato sbriciolare sulle mie gonne, immaginando il negozio in fiamme, e tutti i segreti rubati alla città che bruciavano insieme alla merce.

 

Tre.

Una vecchietta dall'identità ignota ha assalito Cinzia, la miglior pellettiera del Porto, stendendola con un colpo di mappamondo. Cinzia era stata una delle prime ad affiliarsi alla signora Makris.

Una ragazzina con un cappuccio in testa ha fatto piombare un grammofono da un buco nel muro dell'edificio in ristrutturazione delle Gilde Riunite dei Mercanti. Ha centrato un poliziotto che, si dice, aveva una tresca con Leda. Pare gli abbia rotto diverse ossa.

Un gruppo di personaggi con indosso delle tuniche tutte uguali hanno assediato il magazzino che Leda aveva soffiato a Bushra. Poi sono andati alla Mensa dei Poveri e hanno portato a Bushra la chiave di quel posto.

 

Due.

Alle sette di sera del cinque febbraio ormai era guerra aperta. È stato Dara a portarmi notizie.

- Hai sentito cos'è successo? Pare che Leda Makris sia nei guai con l'Ordine delle Macchine da Cucire!

E dov'è il problema?

- Saranno anche una banda di disgraziati affascinante, ma sono pur sempre una lega criminale. Per quanto li trovi migliori di tanta altra gente, ho paura che questa guerra finisca male.

Non uccideranno Leda o i suoi collaboratori, se è questo che temi. Uccidono solo quando non possono distruggerti in altro modo. Sono discreti.

- Discreti non è proprio la parola giusta, visto che razza di armi utilizzano.

Riciclare oggetti di antiquariato come arma ha qualcosa di artistico.

- Dal vago brillare nei tuoi occhi deduco che sai molte più cose di me, su questa storia.

Nessuno dovrebbe mettersi contro la città.

- Sai che non ho mai sopportato Leda. Ma l'Ordine...

L'Ordine non va in giro a ricattare le persone indifese, usando i loro segreti contro di loro. L'Ordine se la prende con chi è forte quanto loro. La guerra con Leda è ad armi pari. Più o meno.

- Adi, ho quasi paura a chiederti cosa sai, esattamente.

Sono qui sulla nave da due giorni. So soltanto le cose che mi raccontate voi.

 

Uno.

E così l'impero è crollato. In un trionfo di assalti bizzarri e rappresaglie incomprensibili ai più, la banda di mercenari più leggendaria di Almiressa ha cacciato Leda Makris.

Ieri, sei febbraio, Leda e il grosso dei suoi collaboratori hanno lasciato la città. Per chiudere le attività e sbaraccare le postazioni ci vorranno ancora settimane, probabilmente. La cosa importante è che non tornerà. Ha perso moltissimo: soldi, merce, il suo nome. Noi abbiamo perso un po' di fiducia e stabilità, ma confido che presto le ritroveremo, in qualche modo.

 

Sono rimasta sulla Noor tutto il giorno, insieme a Dara e Aurel. Mirick invece è fuori da stamattina, e mi sto chiedendo quando tornerà, visto è che davvero tardi. Gli altri due dormono già. Io comincio a essere stanca. Organizzare la caduta di Leda è stato faticoso.

Sento i passi di Mirick, poi me lo vedo comparire sulla soglia della cucina. Ha un fagottino in mano e sembra preoccupato.

- Adi, ascoltami. Tu c'entri qualcosa, in questa faccenda della signora Makris?

Perché dici così?, gli chiedo, mentre metto sul tavolo tazze e bevande alcoliche e non.

- Oggi mi hanno fermato almeno dieci persone, dicendomi di ringraziarti per aver cacciato Leda. Mariam, la dolciaia, mi ha persino regalato questi.- Lui finalmente si siede e posa sul tavolo l'involtino di juta dal quale proviene un odore speziato.

Io cerco di ignorare il brivido che mi percorre la schiena.

- Adi, per favore: spiegami cos'hai fatto.

Strano che mi affronti direttamente. Mirick non è un uomo troppo coraggioso, nei rapporti umani. Preferisce che le cose gli siano dette con delicatezza. Preferisce saltellare intorno ai problemi, piuttosto che la verità senza tanti ornamenti. Purtroppo io e Dara siamo i suoi legami più stretti, e nessuno dei due vince il premio per la delicatezza. Dara è onesto, io sono brutale. Non mi stupisco del fatto che spesso Mirick mi faccia sapere cosa vuole e cosa pensa tramite Dara.

Stavolta non ha avuto paura, quindi gli devo la verità.

Tu hai capito come mai negli ultimi mesi c'era un clima così teso, al Porto? Vecchi partner divisi, amicizie in pezzi, delazioni, truffe...

- In realtà non me n'ero accorto.

Scusa, dimenticavo che esci dalla tua cabina solo se ti tiriamo fuori noi.

- Se potessi evitare queste frecciate... D'accordo? Vai avanti.

Gli racconto di Leda. Provo a dargli un'idea della vita segreta della città, di quei posti e quei legami che l'avvento della signora Makris ha turbato. Lui capisce: è un recluso della scienza, ma è pur sempre un cittadino di Almiressa. Gli dico di Noah e di Bushra, che hanno dovuto cedere a Leda per proteggere il loro passato, e di Alia, che ha rifiutato e ha perso il suo segreto.

- Una persona spregevole. Ma a te non aveva fatto niente.

No. Ma non mi piace la gente che viene qui e incasina la mia città.

- Sembri Dara, adesso. Sempre a infamare i potenti.

Per nulla. Dara tuona contro i cattivi, ma poi impiega il suo tempo e le sue energie per aiutare i disgraziati. Io non sono come lui. Io ho trovato un modo per danneggiare Leda.

- Ovvero?

Le ho dato un'informazione. Una piccola cosa che sapevo solo io: Amal, il sarto, è in combutta con i rapinatori del quartiere della Giustizia.

- E tu come lo sai?

Lo so e basta. Così Leda è andata da lui, sperando di ricattarlo. Però c'è qualcosa che non le ho detto. Ovvero che Amal è l'amante del capo dell'Ordine delle Macchine da Cucire.

- Il fantomatico ordine di sicari e mercenari che usa come armi solo oggetti di riciclo e ha per capo un'ex-suora? Stai scherzando? Io pensavo che fosse una leggenda metropolitana!

È per questo che prosperano da anni e nessuno li ha mai smascherati. Tutti credono che sia uno scherzo. Ma loro esistono, e il loro capo si è infuriato per il ricatto ad Amal. A quel punto è scattato il gioco delle alleanze: il capo ha chiamato in causa tutti quelli che collaborano con lei, e hanno organizzato l'uscita di scena di Leda.

- Adi, chi accidenti è il capo dell'Ordine?

Ti ha regalato dei dolci.

- Mariam? Mariam, quella donnina svanita che non è capace di parcheggiare il suo carretto due volte nello stesso posto...

È una tattica. Si sposta dove serve. E quasi tutti gli ambulanti del Porto sono al suo servizio.

- Come hai scoperto l'identità di Mariam?

Oh, lo so da un po'. Ho rimesso insieme gli indizi. Mi incuriosivano i suoi spostamenti, così ho detto ad Aurel di tenerla d'occhio. Gli ho detto che era una specie di gioco. Sai com'è metodico e fissato con tabelle e misure, no? L'ha seguita per un mese, segnandosi ogni minimo particolare dei suoi movimenti, e mi ha portato i risultati. Ho capito che c'era uno schema.

- Hai mandato un bambino di dieci anni a indagare sul capo di un'organizzazione criminale?

Nove anni. È stato l'anno scorso.

- Adi, sei un'incosciente. E poi, che altro? Un carretto spostato ti è bastato per identificarla?

No, certo. Ci sono voluti altri dettagli. Ma una volta che sai che qualcuno ha qualcosa di speciale, non lo guardi più con lo stesso occhio. Diciamo che Dara mi ha aiutata a raccogliere i pezzi.

- Hai coinvolto anche Dara?

Senza spiegargli troppe cose. Gli ho fatto cercare informazioni nei posti che frequenta di più.

- Chiese e bordelli.

Esatto. Per esempio, è stato lui a scoprire che Mariam e Amal sono amanti. Oh, e poi c'era la questione del libro.

- Che libro?

Tutti i tè dell'India”, di Jackie Blackpool. La lettura preferita di Mariam. Solo che non è un libro normale: è una raccolta di cifrari. Ed è scritto in codice, naturalmente. Pensi di leggere un trattato sui tè e invece stai imparando a nascondere i tuoi messaggi.

- E questo dove l'hai imparato?

Me l'ha raccontato Micol, la libraia. Membro dell'Ordine.

- Perché ti avrebbe svelato un segreto del genere?

Perché mi ha proposto di entrare nell'Ordine.

- Ti ha proposto...

Storia lunga. Lascia perdere. Insomma, lo sai che se uno ascolta nei posti giusti, impara un sacco di cose sulla città, no? Sono arrivata a saperne abbastanza sull'Ordine. Sono cauti, e non uccidono mai, se possono evitarlo. Non per motivi di buon cuore, ovviamente: è per avere meno grane possibile. Ma sono potenti e hanno alleati in tutta la città.

- E così tu sei andata da Leda e le hai rivelato un segreto che avrebbe danneggiato direttamente Mariam, ovvero le attività criminali del suo amante?

Esatto. E devi ammettere che ha funzionato. Però mi chiedo come si sia sparsa in giro la voce che è partito tutto da me. Beh, in ogni caso, credo che dovremmo buttare quei dolci: se Mariam ha scoperto che l'ho trascinata io in questa storia, come minimo li avrà avvelenati.

- Ne ho già mangiati due e sono vivo. Per ora. Ma li ho ingeriti ore fa, e non ho avvertito sapori strani. Né sintomi.

Apro il pacchettino, un po' turbata (anche se so che Mirick ha una certa conoscenza dei veleni, e che probabilmente ha ragione: non c'è da preoccuparsi.) Ma se Mariam non vuole uccidermi per la mia sfacciataggine, allora cosa...

Dentro l'involto c'è un biglietto, nascosto tra i dolci, appiccicoso di miele e cosparso di briciole di biscotto e pistacchi. Lo tiro fuori e lo distendo sul tavolo, permettendo a Mirick di leggere.

 

Cara Adi,

come saprai, in questi ultimi due giorni ho avuto qualche problema con una fastidiosa mercante greca. Mi ci è voluto poco a buttarla fuori dalla nostra città. Ma prima di lasciarla andare, l'ho interrogata per capire dove avesse preso l'informazione su un certo sarto. Mi ha rivelato che sei stata tu, a dirglielo. Sei andata da lei e ti sei offerta di venderle notizie preziose sulla gente di Almiressa.

Inizialmente sono rimasta delusa: non ti facevo tipo da cose tanto spregevoli. Poi ho cominciato a fare domande in giro. Ho scoperto che alcune persone ti avevano rivelato di essere state ricattate da Leda. Ho indagato su di te e ho saputo che sai molte cose su di noi. Ho iniziato a capire cos'hai fatto: non hai venduto la tua gente, no. Hai dato a Leda un'informazione che l'avrebbe messa nei guai. Attaccando Amal, avrebbe attaccato me. Leda non lo sapeva, ma tu sì. Tu speravi che io me la prendessi con lei.

Adi, sappi una cosa: se io non trovassi ammirevole la tua faccia tosta, saresti morta. Ma mi hai usata bene, e hai liberato la città da una parassita maldicente. Invece di ucciderti, premierò la tua impertinenza. Da oggi in poi tu e i tuoi familiari avrete sempre un bello sconto sui dolci.

Mi sono permessa di far sapere in giro a chi dobbiamo la partenza di Leda. La gente ha bisogno di esprimere la propria riconoscenza. E poi, è meglio che si sappia che tipo sei.

Provati di nuovo a usarmi in qualche piano e te ne pentirai.

Con ammirato stupore,

M

 

Scoppio a ridere, un po' sollevata e un po' spaventata: sono una che rischia, sì, ma mi rendo conto che stavolta ho rischiato grosso. Ho gettato Leda Makris tra le fauci di una criminale. Ho fatto scoppiare una guerra tra potenze. Ho rischiato vite altrui, e anche la mia, probabilmente.

Ma io lo sapevo, lo sapevo di aver calcolato bene. Sapevo che non sarebbe morto nessuno, che nessuno si sarebbe fatto troppo male (e dal male comunque si guarisce.) Sapevo che potevo permettermi di osare.

È che io la conosco bene, la città, e conosco i suoi figli più cattivi, perché anch'io sono una di loro.

- Avremo conseguenze a causa delle tue azioni?- Mi chiede Mirick.

Sì. Lo sconto sui dolci.

- Sai, Adi, qualche volta... Qualche volta mi fai paura.

L'avresti fatto anche tu, Mirick. Prima o poi lo farai. Giocare sporco per tenere pulita la città.

 

Perché questo è quello che facciamo noi: ci prendiamo cura di Almiressa, ognuno a suo modo. Vediamo le ferite della città e agiamo di conseguenza. Mirick nota i problemi, e con precisione chirurgica elabora una soluzione. Aurel parla, parla, parla fino a farti dimenticare che ti sei fatto male. Dara cerca di mettersi tra te e i colpi in arrivo, con la sua allegria incosciente.

Io sono quella con il coltello in mano, nell'angolo. Non posso evitare che tu ti faccia male. Ma stai tranquillo: dopo che sarò intervenuta io, nessuno proverà a ferirti un'altra volta.

Anche loro hanno delle storie divertenti su tutte quelle volte in cui hanno aiutato la città. Fatevele raccontare, se vi capiterà l'occasione.

Questa era la storia di come l'Ordine delle Macchine da cucire scatenò un guerra contro una pretenziosa mercante che sperava di dominare la città. Il mio ruolo in tutto questo si limita a qualche frase, ma è stato fondamentale, e quindi mi godo immodestamente il risultato.

Ci ho anche guadagnato uno sconto perenne sui migliori dolci al miele di Almiressa.

 

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Capitolo 2
*** II - Mappa crittografata di Almiressa ***


II

Mappa crittografata di Almiressa


29 marzo


La città ha sette quartieri, cinquantanove piazze, quarantadue torri e un numero di templi compreso tra duecentotré e duecentosette – deve ancora ricontarli e decidere quali sono realmente templi e quali no. Sui libri c'è scritto che ci vivono più di tre milioni di persone. A percorrerla tutta a piedi ci vogliono due giorni. Questo non è scritto da nessuna parte: lo sa perché una volta ha camminato per una giornata intera e ha attraversato tre quartieri e mezzo.

La città non è difficile da conoscere. Quello che perdi a volte te lo restituisce.


Il Limite e le Mura, i due quartieri esterni, non gli piacciono granché: ci sono troppi rumori, per via delle fabbriche, e il cielo è sempre pieno di fumo. Gli edifici sono larghissimi e tutti uguali. Per il Quartiere della Fiera non ha simpatia. Ci abitano le persone sempre pulite, a cui non piace se le guardi dritte negli occhi. Non ha opinioni sul Quartiere del Grano e sulla Giustizia, se non che hanno dei nomi buffi e che gli edifici sono un po' troppo pigiati. Però gli piacciono i loro colori molto scuri. La gente dice che i colori scuri sono tristi, invece per lui sono i i più belli, perché si vedono bene.

I suoi quartieri preferiti sono Alessandria e il Porto. Sono sempre affollati, e questo è un problema, però sono sempre uguali a se stessi. Una volta che li impari, puoi girarci quanto vuoi: è tutto come deve essere. Se impari le strade, se impari la gente, non ti puoi perdere. Lui ha solo dieci anni, ma non ci si perderebbe mai, perché è tutto molto chiaro: se impari le strade sai dove devi andare, e se impari la gente, sai dove non devi andare.


Oggi passerà tutta la giornata con il suo amico Elie. Adi lo ha svegliato molto presto, lo ha fatto vestire velocemente e gli ha detto che si fida di lui e sa che sarà molto bravo.

Mi raccomando, Aurel: devi aiutare Elie a stare allegro, oggi. Fallo parlare. Fagli molte domande. D'accordo?

Questo è quello che gli ha detto Adi. Lui ha risposto di sì. Aurel fa sempre molte domande a Elie, perché dice quasi sempre la verità, e gli spiega tutte le cose con molta calma. Elie è l'unica persona con cui la sua famiglia lo lascia andare in giro anche se non c'è nessuno di loro.

Adi lo ha portato al Mercato dei Fiori. Ci vendono anche i fiori, ma vendono soprattutto roba da mangiare. Lo fanno in una piazza circondata da case di pietra. Ci sono tavolini, tende e carretti pieni di roba colorata e profumata, e Adi passa dal banco della verdura alla tenda del tè. Poi compra dei fiori, che non servono a nulla, ma rendono le persone felici.

Quando va in giro con Adi, le persone a volte li guardano in maniera un po' strana, perché vedono che parla solo lui. Loro non sanno che Adi non parla come tutti, ma ti fa sentire la sua voce dentro la testa. Gli ha spiegato che non può più parlare, ma che l'importante per lei è farsi capire. All'inizio la voce di Adi gli faceva un po' paura, ma ora gli piace molto, perché è soffice e calda.

Adi è la sua persona preferita. Se il mondo dovesse finire domani, lui vorrebbe salvare tutta la sua famiglia, ma soprattutto Adi.

Elie li sta aspettando vicino alla casa con la porta azzurra, la preferita di Aurel. Ha gli occhiali un po' storti, e più capelli grigi dell'ultima volta in cui si sono visti, tre settimane fa. Adi guarda Elie e Aurel sa che gli sta dicendo qualcosa dentro la sua testa. Gli dispiace non poter sentire.

- Grazie.- Risponde Elie. Stringe le labbra, come se stesse per mettersi a piangere. Adi gli posa una mano sul braccio e forse gli dice qualcos'altro. Poi guarda Aurel e sorride.

Piccolo, ti affido a Elie. Mi raccomando. Devi farlo stare allegro.

- Va bene.

Adi se ne va e lui dà la mano a Elie. Ha già in mente una domanda da fargli

- Posso chiamare Adi, Dara e Mirick la mia famiglia, anche se non mi hanno concepito e fatto nascere?

- Aurel, che ne sai tu di concepimento e nascita?

- Io so tutto. Dara me l'ha spiegato. Mi ha detto come nascono i bambini. Mi ha anche detto che alle persone di solito non piace sentirne parlare. A te piace sentirne parlare?

- No. Sì. Lasciamo perdere.

- No, sì o lasciamo perdere?

- Lasciamo perdere. Vedi, Aurel: tu vivi insieme a Dara, Adi e Mirick. Loro si prendono cura di te e ti vogliono bene. Quindi puoi chiamarli famiglia, anche se non sei nato da loro.

- Qualche volta le persone pensano che Adi e Dara siano i miei genitori. Ma non è vero. E non sono neanche innamorati. Sono amici.

- Dara ti ha spiegato anche cosa vuol dire essere innamorati?

- Certo. Come te e Arjun.

Elie diventa molto rosso in faccia e guarda da un'altra parte. Certe volte le persone sono molto complicate da capire, e le loro espressioni ancora di più.

- Tu che ne sai di me e Arjun?

- Ti ho visto che gli davi un bacio sulle labbra alla festa dell'Estate, al Porto.

- Non ti sfugge niente, eh?

- Non è possibile sapere se una cosa mi è sfuggita, perché se mi è sfuggita non l'ho vista, e quindi non lo so.

Questo di solito è il momento in cui Elie si mette a ridere e cambia discorso. Lo fa anche questa volta. Però comincia a parlare della città di Almiressa, e allora va bene, perché è uno degli argomenti preferiti di Aurel.

Le cose più interessanti di cui parla Elie sono le città, le mappe e le lingue antiche. Aurel starebbe ore a sentirlo, e vorrebbe imparare tutte le cose che sa lui. Una volta Elie gli ha regalato un libro, Crittografia delle mappe, scritto dal signor David Lyndon (Elie dice che è un suo amico di Londra, e che si sono conosciuti in un gruppo di supporto per studenti di materie neglette, qualunque cosa sia.) In questo libro c'è scritto come si fa a tracciare la mappa di un posto in un modo che tu ci capisca benissimo, ma qualcun altro no. Può servire se devi fare una missione segreta per l'esercito o per la Marina Mediterranea, per esempio.

Aurel ha imparato alcuni sistemi spiegati nel libro. Una volta ha fatto la mappa della nave dove vive con la sua famiglia, e l'ha fatta vedere a Mirick. Gli ci sono voluti sei minuti e mezzo per capire cosa fosse. Allora ha fatto un sorriso enorme e gli ha detto che è molto bravo. Aurel lo sa da solo, che è molto bravo, ma è contento quando qualcuno glielo dice. Soprattutto Mirick. Perché Mirick sorride sempre e parla con gentilezza, ma è distratto. Parla poco con lui e Adi. Parla un po' di più con Dara, ma di solito dice solo provetta, reazione alchemica, saturazione del cristallo salino e altre cose del genere. (Aurel ha deciso che un giorno imparerà cosa sono. Ora è troppo occupato con la crittografia delle mappe.)


Elie si ferma in un'erboristeria. Erboristeria è una delle parole che Aurel sa dire nelle tre lingue che parla bene (l'amarico, il rumeno e il romaní) e in quella che parla così così (l'arabo.) Ogni volta che trova una parola difficile decide di impararla in tutte le lingue, così è sicuro di non dimenticarsela.

Questa erboristeria è una stanza molto stretta e alta. C'è una scala di legno dipinta di bianco e azzurro, al centro, che sale su, avvolgendosi su se stessa (si chiama scala a chiocciola, ma è un nome strano e non vuol dire niente) e raggiunge una terrazza di legno, dove ci sono altri scaffali pieni di scatole e vasi. Un anno fa c'era una scala vecchia e brutta, e un giorno la signora Abenet, la venditrice, è caduta perché un gradino si è rotto. Allora Dara ha costruito la scala nuova, che sembra leggera e delicata, ma non è vero: regge il peso della signora Abenet. Regge anche Aurel, che ha fatto una prova di resistenza correndoci su e giù per un'ora.

Il negozio è pieno di gente. Aurel si pianta in un angolo, aggredito dagli odori (troppi tutti insieme) e conta le persone. Poi arriva Elie: ha comprato delle medicine, ma non vuole dirgli a cosa servono. Lo prende per mano di nuovo e lo porta via da lì.


Per pranzo siedono a un tavolino fuori da una locanda che dà su una piazza molto pulita e bella. Elie è un po' strano, però. Ogni tanto si gira da un'altra parte, e quando pensa che Aurel non lo stia guardando smette di sorridere. Aurel tira fuori fogli e matite dallo zaino che porta sempre con sé. L'ha fatto Adi. La stoffa è quella di un suo vecchio lenzuolo colorato. È largo, resistente e perfetto. Dentro allo zaino c'è anche Crittografia delle mappe: Aurel ha deciso che farà una mappa segreta della città, cominciando dal quartiere di Alessandria, quello dove lui ed Elie stanno passeggiando. Comincia a disegnare e a fare domande a Elie. Finalmente lui smette di guardare il niente e comincia a rispondergli.

Alla fine del pranzo, Elie paga per tutti e due. Un giorno Aurel guadagnerà dei soldi e allora ripagherà tutto il cibo che Elie gli ha offerto fino ad allora.


La Via dei Lumi è un posto strano, pieno di negozi. Dara gli ha detto che è il posto dove si comprano libri e oggetti magici, e che bisogna essere bravi per capire se ti stanno vendendo qualcosa che funziona, oppure se ti stanno prendendo in giro.

- Se ti fidi delle persone sbagliate, ti metti nei guai.- Gli ha spiegato Dara. - Qualcuno potrebbe venderti un oggetto inutile. Oppure potrebbe volere da te un sacco di soldi, che tu non hai.

- Ti è capitato che qualcuno ti prendesse in giro, e così ti sei messo nei guai?- Ha domandato lui.

- Sì, ma non ad Almiressa.

- E cosa hai fatto?

- Ho avuto bisogno dell'aiuto di Mirick.

Ad Aurel questa cosa non è mai tornata. Di solito è Mirick che ha bisogno dell'aiuto di Dara.

Si fermano a comprare del tè alla menta da una ragazza che lo vende proprio fuori da uno dei negozi più colorati. Mentre beve, Aurel fissa gli occhi su una persona appena uscita da un negozio: sottobraccio ha un grosso libro del quale Aurel vede metà titolo: illecite. Non sa cosa vuol dire. Lo chiederà a Elie. Il tè è molto buono.


Attraversano due mercati, una piazza piena di musicisti (troppi tutti insieme) e un parco, dove Aurel chiede di fermarsi su una panchina di pietra, per portare avanti la sua mappa.

- Elie, cosa vuol dire illecite?

- Sono cose che non si possono fare. Dove hai sentito questa parola?

- L'ho letta. Tu hai mai fatto cose illecite?

- Sì.

- La mia famiglia ha mai fatto cose che non si possono fare?

- Vedi, Aurel, a volte si fanno delle cose illecite, ma con uno scopo buono.

- Sì o no?

- Sì.


Più tardi Elie lo porta in una libreria. È una stanza larga, con il soffitto basso, tutta piena di scaffali di legno stracolmi di libri. Se Aurel potesse, li riordinerebbe in una maniera più logica, ma la signorina Micol non glielo lascia fare. Micol è bassa, carina e ha il naso a punta, e dice che un giorno diventerà la bibliotecaria della Biblioteca di Almiressa.

Elie si mette a sfogliare un libro in una lingua sconosciuta ad Aurel. Sulla copertina c'è un orologio.

- Che libro è, questo?

- Spiega come funzionano gli orologi.

- Ma tu lo sai già. Hai un negozio dove ripari gli orologi.

- Volevo vedere se l'autore di questo libro dice delle cose giuste oppure no.

Aurel glielo prende dalle mani e prova a leggere, ma non capisce.

- In che lingua è?

- Francese.

- Perché tu sei francese. Sei nato a Marsiglia. Vero?- Aurel ripete le cose che Elie gli ha detto tempo fa, e l'uomo annuisce. - Ma sei andato via da Marsiglia perché il tuo innamorato Arjun non ci poteva rimanere. Anche se Arjun è indiano e non francese. Vero?

- Verissimo.

- Perché non ci poteva rimanere?

- Dai, scegli un libro. Te lo regalo io.

Elie sta di nuovo guardando da un'altra parte. Aurel si accontenta di quello che sa, e comincia a frugare tra i libri per sceglierne uno.

Certe volte le persone non vogliono proprio darti risposte.


È quasi buio quando tornano al porto. Il quartiere di Alessandria è al sicuro nei disegni di Aurel. Davanti all'attracco della nave dove Aurel vive con la sua famiglia ci sono Dara e Adi, insieme ad Arjun, l'innamorato di Elie. Da sotto una manica gli spunta una fasciatura intorno al braccio sinistro. Ha anche altre bende sulle braccia e intorno alle dita. Aurel guarda la faccia di Elie, e vede che sta sorridendo nello stesso modo in cui sorride Adi quando pensa che Dara o Mirick si siano fatti male mentre lavorano, e poi invece scopre di no.

- Ciao, Elie. Ciao, piccolo.- Li saluta Dara. - Tutto bene?

- Ho fatto tante domande a Elie, come mi ha detto Adi.- Risponde Aurel.

- Molto bene.

Arjun sembra stanchissimo, però quando Elie gli si avvicina, fa un sorriso molto grande.

- Ehi. Non ti mettere a piangere, ti prego. Sto bene. Sono stati bravi. Sono riusciti a rimettermi a posto.- Dice. Poi guarda Aurel e sorride. - Grazie di aver tenuto compagnia a Elie. Era preoccupato.

- Perché?

- Perché ieri notte mi sono fatto male, e avevo bisogno di qualcuno che mi curasse. Così la tua famiglia ha aiutato me, mentre tu aiutavi Elie a non stare in pensiero per me.

- Perché non sei andato all'ospedale?- Domanda Aurel, e Arjun si mette a ridere. Non è una risposta molto sensata.

- Grazie, Dara.- Dice Elie. - Senza di voi, non so come...

- Siete amici. Quello che possiamo fare, lo facciamo volentieri. Non siamo dottori, lo sapete, ma non dovrebbero esserci problemi.

- Mirick ha studiato la medicina sui libri ma non fa il medico di mestiere.- Precisa Aurel, ripetendo un'informazione che ha sentito dire spesso.

- Per quanto Aurel abbia ragione, siamo riusciti a curare Arjun.- Dice Dara. - E abbiamo fatto anche un'altra cosa. Così la prossima volta che si farà così male da dover andare in un ospedale di quelli seri, dove ti chiedono i documenti, non avrà problemi e non dovrà venire a farsi riparare da un biologo, un ingegnere e una sarta.

A quel punto Arjun si fruga in tasca e tira fuori un foglio di quelli dove ci sono scritti tutti i tuoi dati, come ti chiami, quando sei nato e così via. Elie lo legge e gli viene da piangere.

- Dove lo avete rimediato?- Chiede.

- Io non lo so.- Risponde Arjun. - Ho passato la giornata su un letto, mentre Mirick giocava con le ossa del mio braccio.

- Non importa come lo abbiamo rimediato. Abbiamo amici, in città.- Spiega Dara. - Non è una vera e propria identità completa, ma un documento come questo può passare diversi controlli.

- Finalmente dopo cinque anni di clandestinità, ho un cognome che posso sbandierare senza pericolo!- Dice Arjun.

- Arjun, perché non puoi tornare a Marsiglia? Elie non me lo vuole dire.

Arjun si mette a ridere di nuovo. Elie diventa molto rosso.

Aurel, ne abbiamo già parlato, gli dice la voce di Adi nella testa. Se qualcuno non ti vuole dire una cosa, significa che è un segreto.

Invece non è un segreto, perché Arjun decide di rispondergli.

- Ho disobbedito a una persona. Al mio capo. Non avrei dovuto farlo.

- E perché invece l'hai fatto?

- Perché era una persona cattiva. Ma ho sbagliato comunque.

- Questo è opinabile.- Dice Dara.

- Cosa vuol dire opinabile?

- Facciamo così.- Dice Dara. - Quando Arjun starà meglio, li inviteremo a cena a casa...

- Nave.

- Nave. Li inviteremo a cena sulla nave e ci faremo raccontare tutta la storia.

Elie e Arjun fanno tutti e due quella faccia strana che fanno le persone di fronte a certe domande di Aurel. Non capita spesso che guardino in quel modo Dara, però.

- Dara, sei proprio sicuro che sia il caso?- Chiede Elie.

- Troverete il modo di raccontare una versione dell'ammutinamento adatta ai bambini.

- Cos'è un ammutinamento? Lo sai dire in altre lingue? Perché adatta ai bambini?

- Forza, è ora che tutti tornino a casa.- Dara saluta Elie e Arjun, abbracciandoli tutti e due. Adi forse dice loro qualcosa, Aurel non lo sa.

Elie si china davanti ad Aurel e apre le braccia. Non abbraccia mai per primo, aspetta che sia Aurel a farlo. Aurel non ama molto abbracciare le persone, ma per alcuni fa un'eccezione.

Aurel prende la mano di Dara e quella di Adi, e li guida verso la nave. Gli piace notare come sono fatte le mani delle persone a cui vuole bene. Quelle di Adi sono piccole e un po' scolorite, piene di anelli e con le unghie dipinte. Le mani di Dara sono grandi e lunghe, con un sacco di piccole cicatrici di tagli che si è fatto lavorando, cioè costruendo cose. Ha anche dei cerchi disegnati sulle mani, ma non gli vuole spiegare cosa sono. Dara è così grande che gli basterebbe poco per fare male alle persone, ma non lo fa mai. Dara è sicuramente la seconda persona preferita di Aurel.

Anche Mirick sarebbe una delle sue persone preferite, se ogni tanto si fermasse a rispondere a qualche domanda, o se guardasse i disegni di Aurel un po' più spesso.

La loro nave si chiama Noor, che vuol dire luce in arabo. Il nome gliel'ha scelto Mirick, perché ha un sistema magico speciale per illuminarla tutta. Aurel adora quando l'accendono completamente. Mirick è mezzo slovacco e mezzo francese, ma ha dato alla nave un nome arabo perché è la lingua di Dara, che è siriano, e Dara è il suo migliore amico, e ha progettato il sistema delle luci.

Per salire sulla scala che li porta dentro la nave, si fa prendere in braccio da Dara.

- È l'ultima volta che lo faccio! Sei grande, Aurel!

Non ascoltarlo, dice Adi. Finché non sarai diventato più grande e grosso di lui, puoi chiedergli di prenderti in braccio.

Non c'è pericolo, allora. Aurel non pensa che potrà mai diventare più grande e grosso di Dara.


Dara dice sempre che nessuno conosce la città come Aurel. Non è vero: lui sa quello che vede, ma ad Almiressa ci sono sempre dei segreti, e quelli lui non li sa. Per esempio, cosa fa la sua famiglia quando lui non c'è. Perché Arjun era così felice di avere un documento. Perché se disobbedisci a una persona cattiva non puoi stare a Marsiglia, ma ad Almiressa sì. Perché ci sono dei casi in cui fai una cosa illecita, ma è comunque una cosa buona. Un giorno forse capirà.

Dara ha preparato qualcosa da mangiare. Si siedono tutti e tre intorno al tavolo, pieno di quaderni, scatole, bottiglie e altre cose fuori posto, tipo due o tre paia di occhiali strani di Mirick. Aurel preferirebbe che ci fosse più ordine, ma sia Dara che Adi sembrano stanchi: stanno mezzi distesi sulle sedie, non hanno voglia di rimettere a posto le cose. Mangiano senza dire nulla. Ogni tanto lo guardano e sorridono. Aurel si chiede se tutte le famiglie sono così, o se la sua è così confusionaria perché inventano e costruiscono le cose, e quindi sono disordinati.

Finalmente arriva anche Mirick: lo saluta, si siede con loro e mangia. Sembra che stia dormendo a occhi aperti. Però Aurel è felice che sia venuto. Dopo mangiato Aurel tira fuori la mappa crittografata che ha disegnato e la porge a Dara. Lui la guarda per più di un minuto, poi sorride.

- Stai disegnando la città?

- Sì.

- Sei una delle persone più sorprendenti che io abbia mai conosciuto, Aurel.

- Vuol dire che faccio delle cose che non ti aspetti? A me non piace, quando succedono cose che non mi aspetto.

Dara, seduto accanto a lui, gli dà un bacio veloce sulla guancia.

- A me sì.

Ad Aurel non piace molto essere baciato, ma Adi gli ha spiegato che Dara se ne dimentica, e che se fa così, significa che gli vuole bene e lo considera prezioso. Quindi lo lascia fare.

Sarebbe bello se le cose fossero tutte come sembrano, ma purtroppo non è così. Però Adi, Dara e Mirick sono esattamente quello che sembrano – almeno per quello che riguarda Aurel. Questo gli basta.


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Capitolo 3
*** III - Generatore di discordie ***


III
Generatore di discordie


I
15 maggio, ore 19,51

- Io un'idiozia del genere non l'avevo mai vista.
Così sentenziò Zakaria, e io e Rebecca ci limitammo ad annuire, senza staccare lo sguardo dal palazzo che aveva appena ingoiato un nostro conoscente, probabilmente per non risputarlo mai più.
- Che guardi, vecchietto?
Per poco non mi prese un colpo. Nel silenzio sbalordito, all'improvviso qualcuno ci aveva raggiunti. Mi voltai di scatto, trovandomi accanto la rotonda e pacifica signora Abenet, l'erborista.
- Vecchietto? E la tua galanteria dov'è finita?
- Tu sei vecchio, Kheti. Non quanto me, ma giù di lì. Allora, che succede?
- Niente di buono.
- Quello lo capivo anche da me. È il covo di Dalmar, quella che state fissando. La gente che ci entra tende a tornare fuori con qualche pezzo in meno. O spezzettata. Come il tuo dio Osiride.
- Sfotti i tuoi dei e lascia stare i miei. Comunque, non c'è molto da ridere, sai?
- Chi si è messo nei guai?
- Mirick Drevna. Lo scienziato. L'hai presente, no? Lungo, magro, bianco, capelli rossi...
- Cosa?- La baldanza di Abenet svanì. - Com'è successo? Che ha combinato?
- È entrato di sua spontanea volontà lì dentro.- Rispose Zakaria, scuotendo la testa.
- L'ha fatto per evitare che gli uomini di Dalmar se la prendessero con me.- Mormorò Rebecca. Poi la sua faccia addolorata mutò espressione, a partire dall'insolente sopracciglio sinistro che fece una mossa chiara di forte incazzatura. - Che coglione! Se si fa ammazzare e mi costringe a sentirmi in colpa per il resto della mia vita, giuro che vado a ripescarlo nell'aldilà e lo prendo a calci!
E questa era Rebecca, in breve.
- Volete spiegarmi esattamente come stanno le cose?- Domandò Abenet.
Io assunsi la mia navigata aria da narratore ed esperto della città.
- Adesso ti racconto tutto. Dall'inizio. Dal cortile.


II
Il cortile da cui era cominciato tutto se ne stava tra quattro edifici diversissimi tra di sé, e ti veniva un po' da chiederti come avesse fatto a comporsi così, quel pezzo di città. Zakaria invocava spesso la necessità di controlli più rigorosi da parte del governo sull'urbanistica, ma era un'utopia – e comunque, lui aveva costruito un casottino nel retro della sua bisca, dove teneva a dormire i clienti troppo ubriachi per lasciare il locale, e quel posto non era certo a norma di legge, quindi avrebbe dovuto solo starsene zitto.
Insomma, ad Almiressa la gente aveva sempre fatto un po' quel che voleva, e per questo si era arrivati ad avere un cortile incastrato tra la locanda di Rebecca, la serra-frutteto di Angelica, il palazzone di Dalmar e un miserevole edificio che ospitava appartamenti cadenti da due soldi, strapiena di disperati di tutte le risme. Dicono che questo quartiere, Alessandria, sia quello in cui succedono le cose più interessanti, e io non so se sia vero, ma la guerra del cortile era senza dubbio pittoresca.
L'edificio a nord di questo agglomeratoera la locanda, un parallelepipedo basso e scuro di rara bruttezza, ricoperto di luci e decorazioni da quando la gestione era passata a Rebecca, tre o quattro anni prima di questa faccenda.
A sud si trovava il frutteto-serra di Angelica. La serra era lunga e stretta, di un bel vetro azzurrino, particolarmente curata ed elegante, per essere una piccola proprietà di una piccola commerciante. Ma si sa, come costruiscono le cose gli etiopi, nessun altro. Dentro la serra c'erano le piante che hanno bisogno di freddo e pioggia per venir su bene, e noi, passando accanto alla struttura trasparente, vedevamo le gocce d'acqua e a volte anche la neve, prodotte con uno di quei sistemi che mischiano le scienze etiopi con le nostre piccole magie egizie. Roba che vedi spesso, ad Almiressa, ma che è sempre bello vedere, perché ognuno queste tecniche le mescola e le trasforma in qualcos'altro, e a me piace, la genialità degli esseri umani.
Un po' meno mi piace l'imperterrita stronzaggine degli esseri umani, e con questa introduzione vi porto a ovest, davanti al palazzone di Dalmar, il posto dove eravamo riuniti quella sera, a chiederci quanto ci avrebbe messo quell'intollerabile verme a far fuori Mirick. Dalmar era un pezzo grosso del crimine, all'epoca, e lo sapevano tutti. Era scappato dalla Somalia dopo aver fatto infuriare la governatrice, che era andata a portare le sue rimostranze agli imperatori d'Etiopia. C'erano taglie su Dalmar in tutto l'Impero, ma lui era stato così sfacciato da venire a fare i cavoli suoi ad Almiressa, che è indipendente, sì, ma non così tanto lontana dalle terre imperiali, che praticamente occupano tre quarti dell'Africa del nord e del centro.
L'ultimo pezzo della nostra scena è il palazzo a est, una cosa bucherellata, i resti di un'edilizia disgraziata di sicuro importata dall'Europa. Era di proprietà di una vecchia usuraia, Sela, che affittava appartamenti indegni di essere abitati persino da un animale ai più disperati del quartiere, e viveva in quello in cima al palazzo, che era l'unico decente e persino tenuto bene.
Il problema del cortile condiviso era che su di esso si affacciavano quattro sistemi di rifornimento energetico che avevano la tendenza ad andare in tilt a catena.
C'era una specie di totem sul retro della locanda, un palo ricoperto di piante, fiori, iscrizioni e cianfrusaglie. A detta di Rebecca, era impregnato di non so quale magia (roba europea complicata e inaffidabile) che raffrescava le stanze al piano di sopra, grazie a non so quale incantesimo che convogliava gli elementi dell'aria e li ricombinava in qualcosa di più freddo (non la saprei spiegare meglio di così. Sono un calzolaio, e gli unici incantesimi che so usare servono per far durare di più le mie candele e per la manutenzione dei miei attrezzi. Una volta ne ho provato uno per farmi passare prima la sbornia, ma il risultato fu fallimentare. È stato tanto tempo fa.)
La serra, ve l'ho già detto, aveva questo sistema mirabile per produrre pioggia e neve, e il suo motore era contenuto in scatola di vetro, posta sul famigerato cortile. Non era grosso, ma era sempre attivo, un affare pieno di rotelle, molle e ingranaggi senza posa.
Dalmar aveva un ascensore a motore, che sparava una cabina di legno dal fondo alla cima del palazzone in un paio di minuti. Una cosa che mi faceva venire la nausea solo a vederla da lontano. La cabina e l'immenso ammasso di cosi e pistoni e sbuffi di vapore che azionava il meccanismo se ne stavano in un capanno sul cortile.
Per ultimo c'era il palazzo derelitto, che non aveva niente di rimarchevole, ma quella stronza della proprietaria teneva nel cortile un enorme motore, coperto alla buona con delle assi di legno. Era il motore di una nave (ma non uno di quei motori alchemici che vanno adesso: era un prototipo, una roba risalente a decenni fa, quando i motori una volta su tre ti incendiavano la nave.) Nessuno sapeva a cosa le servisse, ma lei pretendeva che rimanesse lì, sudicio e puzzolente di tutti i principi alchemici che una volta l'avevano fatto funzionare.
Ogni tanto qualcuna di quelle macchine spaventose andava in confusione. La magia del totem di Rebecca dava ordini sbagliati alla serra di Angelica, e uno strato di neve sommergeva tutte le piante. Un balzo improvviso dell'ascensore veniva scambiato dalla serra per qualche impulso magico, provocando un'alluvione che poi esondava nel cortile, trasportando ruggini e veleni del motore e disturbando la magia irrequieta del totem. E così via.
Io ci ho sempre capito il giusto, di tutto questo, ma gente più brava di me ha cercato di spiegarmi per sommi capi come funzionava la faccenda, e credo che il succo sia questo: erano quattro sistemi troppo delicati, e allo stesso tempo troppo rappezzati e artigianali, per coesistere in quel piccolo spazio della discordia.
E la discordia non mancava mai. Ho visto risse, ho sentito liti furiose da una finestra all'altra, ho assistito a scene leggendarie, come due scagnozzi di Dalmar armati di coltelli che venivano disarmati da Angelica con un rastrello, o Sela e Rebecca che lottavano lanciandosi avanzi di cibo avariato, e simili meraviglie, che fino ad allora non erano mai sfociate in tragedia.
Fino a quella sera, e al susseguirsi di eventi che ci aveva condotti tutti lì, davanti alla casa di Dalmar, a pregare per la sua clemenza. O per l'anima di Mirick Drevna, un bizzarro scienziato che in tutto questo non c'entrava niente, ma che faceva parte di una famiglia arrangiata, con la tendenza a non capire mai quando era il caso di chiudere la bocca, voltarsi e andare per la propria strada.


III
- Quindi la faccenda del cortile sta così.- Disse Abenet, fissando le finestre buie e la sagoma dell'ascensore, fermo a metà facciata. - Ma perché Mirick è stato portato dentro?
- Per aiutare me.- Rispose Rebecca. - Poco fa l'ascensore di Dalmar è partito all'improvviso. Due dei suoi sono arrivati alla mia locanda con i coltelli sguainati, e io sono uscita ad accoglierli con una mannaia, e sarebbe finita molto male, lo so.
- Mi chiedo per chi...- Borbottò Zakaria, e si beccò un'occhiataccia da Rebecca, più affilata della sua mannaia.
- E che è successo, poi?- Incalzò Abenet.
- È arrivato Mirick e ha chiesto di essere portato dal loro capo, per spiegargli cos'ha che non va il nostro cortile.
- Cosa?
- Già.- Borbottò Zakaria. - Anche ammesso che ci capisca veramente qualcosa, chi è tanto idiota da infilarsi spontaneamente tra le zanne di Dalmar? Anche se è andato con l'intenzione di aiutare, è comunque una pazzia. Circolano strane storie sulla gente che entra lì dentro offrendo il suo aiuto a Dalmar. Come quella dell'idraulico che finì di sotto dal decimo piano. O il farmacista avvelenato. Dalmar non prende molto bene l'aiuto altrui, se non risolve le cose esattamente come vuole lui.
- Sì, ma Mirick non è un mezzo genio? Insomma, ho sentito dire che ha pubblicato dei libri, e una volta lo hanno chiamato all'Università di Almiressa a fare una lezione.
- E campa su una nave con tre disgraziati?- Zakaria scosse la testa. - Secondo me è un ciarlatano e basta.
- Sono un po' strani, ma non sono disgraziati.- Li difesi io, che a quei quattro dovevo molto. - Si sono trovati nei guai, si sono aiutati a vicenda e adesso vivono decentemente e onestamente. Credo. Insomma, sanno fare di tutto, e se sei un poveraccio ti fanno pagare anche poco. Mi hanno riparato una finestra, la bicicletta e la macchina da cucire.
- A me hanno costruito una scala per il negozio.- Disse Abenet. - Me l'ha costruita l'amico di Mirick, quell'arabo alto e grosso, Dara. E il bambino che stanno tirando su... Aurel. Ecco, lui è più buono e istruito di un sacco di figli di gente perbene, che mi vengono in bottega e me la buttano giù!
- Adi è mia cliente fissa.- Disse Rebecca.
- La sarta muta?- Chiese Zakaria. - Mi fa paura. Non perché non parla. Ma è come ti guarda. Ti dà l'idea di una che, se ti vuole male, povero te!
- Oh, sì.- Rebecca fece un sorriso. - Lo penso anch'io. Se Adi ti vuole male, povero te. Ma fortunatamente mi sembra più interessata a godersi la vita che a volere male al prossimo. Comunque, sono brava gente, e sono tutti molto talentuosi, nel loro campo.
- Gente a cui non augureresti mai del male.- Dissi io, che cominciavo a preoccuparmi seriamente.
- Anche perché sono bravissimi a tirarselo addosso da soli.- Ribatté Zakaria.
In quel momento uno degli argomenti della nostra conversazione arrivò di corsa e si piazzò in mezzo al nostro gruppo, nel suo metro e novanta di altezza.
- Cos'è successo?- Ci apostrofò Dara, agitato. - Sono venuti a dirmi che Mirick è in casa di Dalmar! - Ciao, Dara.- Lo salutò Zakaria. - Rilassati e respira. E non pensare nemmeno per un momento di buttarti anche tu là dentro, per tirare fuori il tuo amico, perché non te lo permetteremo. Basta la sua idiozia, per stasera. Non mettertici anche tu.
Dara si incupì e lanciò un'occhiata storta a Zakaria, e io avrei voluto infamarli entrambi: Zakaria per la sua notoria mancanza di delicatezza, Dara per la sua evidente intenzione di entrare nel palazzo e fare casino. Feci due passi e mi piazzai davanti a lui. Gli altri tre mi si misero attorno, nella vana speranza di bloccare eventuali tentativi stupidi da parte di quell'omone che rivaleggiava con Zakaria in quanto a stazza (Zakaria era molto più largo, ma Dara lo superava di dieci centimetri buoni.)
Io lo guardai dal basso del mio metro e sessantacinque scarso e artritico, e cercai di assumere un'aria da persona sapiente e affidabile – che non sono mai stato. Ma Dara è un bravo ragazzo e tende a prenderti in considerazione, se gli parli seriamente.
- Aspettiamo un po', eh?. Non c'è ragione di preoccuparsi.
- Ci sono tutte le ragioni per preoccuparsi, Kheti. Ora, per favore, spostatevi di lì. Vi ringrazio per la vostra premura, ma ho intenzione di entrare e di capire cosa...
Tacque bruscamente e spalancò gli occhi per la sorpresa, fissando un punto alle nostre spalle. Ci voltammo tutti, e assumemmo immediatamente la sua stessa espressione meravigliata e un po' idiota, e anche parecchio sollevata. Dal palazzone stava uscendo Mirick, sano e sorridente, scortato da due scagnozzi di Dalmar, insolitamente concilianti.
- Ringraziate ancora il vostro capo per la sua disponibilità!- Li salutò Mirick. Poi ci venne incontro, con una lieve aria di perplessità. - Voi che ci fate, qui?
- Ci chiedevamo come ti avrebbero ammazzato.- Rispose Zakaria. - Ma sembri molto intero.
- Perché avrebbero dovuto ammazzarmi, scusate?
- Perché quello è Dalmar.- Rebecca fece un vago cenno verso il palazzo. - E lui è... Lui fa...
- Ho offerto il mio aiuto e ho risolto il problema che vi affligge da qualche tempo.
Silenzio. Quel silenzio dei cervelli che lavorano tutti insieme e non riescono a produrre un singolo suono che esprima quanto poco stiano capendo.
- Hai risolto il problema del cortile?- Mormorò Rebecca, che guardava Mirick come si guarderebbe una manifestazione di un dio.
- Sì.
Ero davvero sicuro che gli sarebbe cascata in ginocchio davanti.
- E come...
- Oh, non era niente di che. Mi dispiace di non averci pensato prima. Beh, credo che sia l'ora che io torni a casa. Fai la strada con me, Dara? Buonanotte a tutti!
Se ne andarono così. E noi rimanemmo a guardarli, come degli ebeti, chiedendoci cosa fosse davvero successo in quell'oretta scarsa in cui il buio e il mistero di Dalmar avevano ingoiato Mirick Drevna.
Non lo avremmo mai saputo. Ma da quel giorno il cortile non fu più maledetto. Non solo: Sela, l'usuraia, cambiò drasticamente regime, abbassando i prezzi e occupandosi delle condizioni di vita dei suoi affittuari. Dara fu ammesso nel palazzo cadente e fece una serie di riparazioni e aggiunte. Se Mirick era un signor scienziato, lui era un signor costruttore. Lo rese persino gradevole, quel rudere.
Insomma, nessuno capì mai cosa esattamente fosse accaduto, ma di qualunque cosa si fosse trattato, il risultato fu più che positivo, e quindi alla fine nessuno se ne preoccupò più di tanto. Siamo gente curiosa, sì, ma il quieto vivere a volte quieta anche la nostra curiosità.
Più di tutto, io fui contento che Mirick se la fosse cavata.


IV – Epilogo dietro le quinte
Quella notte

- Mirick, mi vuoi spiegare esattamente cosa...
- Stai calmo, Dara. Sono vivo, no?
- Sì, ma...
Mirick sollevò una mano e un sopracciglio, e fortunatamente questo bastò a quietare le ansie di Dara. L'altro gli fece cenno di andare avanti a parlare e rallentò il passo furioso.
- Tu lo sai che c'erano dei problemi, in quel cortile, no?- Riprese Mirick.
- Certo che lo so. Ci si scannano a giorni alterni.
- Ecco. Diciamo che avevo un sospetto sulla causa, e mi sarebbe piaciuto andare a vedere di persona di cosa si trattasse. Ero uscito a comprare un paio di cose e stavo tornando a casa, quando ho assistito a uno scontro verbale tra Rebecca armata di mannaia e due tizi con dei coltelli. Ho capito che c'erano di nuovo problemi nel cortile, e ho pensato dovevo di aiutare Rebecca. Beh, ho pensato anche che finalmente avevo l'occasione di controllare questa faccenda. Così ho offerto la mia consulenza.
- E ti sei fatto portare nei quartieri generali di uno dei peggiorni stronzi di Almiressa. Una mossa di una prudenza impressionante.
- Non accetto ramanzine da te, sull'argomento della prudenza. Se non erro, mentre uscivo da quel posto, tu stavi pensando di venire a cercarmi. Io sono entrato sapendo esatamente cosa fare. Tra l'altro, Dalmar è stato davvero contento del mio aiuto. Mi ha persino offerto un omicidio gratis.
- Cosa?
- Sì, mi ha detto che, se voglio, manderà uno dei suoi sicari ad ammazzare una persona a mia scelta. Declinare è stato quasi imbarazzante, da quanto l'offerta è stata genuina. Sai, Dalmar è una persona piuttosto deprecabile, e una di quelle che lo mostrano senza problemi. È un piccolo uomo ricoperto di ornamenti e armi, e seguito da una decina di persone per farlo sembrare più temibile. Mi sono stati addosso per tutto il tempo in cui ho lavorato in cortile.
- E cos'hai fatto, in cortile?
- Ho disattivato il generatore di Sela. Sì, la signora meschina che sfrutta la disperazione dei suoi affittuari e li relega in quel postaccio al limite dell'umano. Il problema nasceva da lì. A dire il vero, l'avevo già intuito, ma devo ammettere che dà una piacevole sensazione di fiducia nelle proprie capacità, l'avere conferma delle proprie teorie.
Dara gli rifilò uno sguardo che Mirick ormai conosceva, e che significava: taglia corto e soddisfa la mia curiosità.
- Insomma, entra nel dettaglio.
- Quel marchingegno che Sela spacciava come motore da nave in disuso in realtà è un generatore di energia collegato all'appartamento all'ultimo piano del palazzo, quello dove abita la proprietaria. E questo generatore rubava alimentazione a tutte e tre le altre fonti lì presenti. Con una serie di cavi interrati, risucchiava energia magica dal totem di Rebecca, un tipo diverso di magia dalla serra e addirittura l'energia generata dalla spinta del motore dell'ascensore. Capisci abbastanza di tutto questo da indovinare da solo il problema, vero?
- Credo di sì. La magia applicata alla tecnologia è una cosa molto complessa, ed entra facilmente in contrasto con magie differenti. Immagino che questo generatore abusivo facesse collidere in qualche modo i sistemi degli altri tre meccanismi, provocando i guasti.
- Esatto. Sela usava l'energia altrui per portare beneficio al suo appartamento, ed avere luce, calore per la cucina, un po' di fresco per conservare i cibi. O almeno, immagino che lo usasse per queste ragioni. Può darsi che utilizzasse il freddo per conservare cadaveri. Non saprei. Non mi piace molto, quella donna. Beh, direi che dovremmo denunciarla alla polizia.
Dara si fermò all'improvviso, posandogli una mano sul braccio.
- No. Non le faranno nulla: non esiste una vera e propria legislazione sull'uso improprio della magia, in questa città. E la metà dei suoi affittuari sono clandestini o gente in fuga. Se la polizia indagasse su quel posto...
- Potrebbe scoprire che lì si nasconde qualche altro criminale.
- Oppure potrebbero finire nei guai persone scappate da qualche situazione orribile, che hanno bisogno di mantenere l'anonimato.
- Vuoi lasciare Sela impunita? Va bene che le ho disattivato il generatore, ma...
- Potremmo dirle che la denunceremo, se non abbasserà i prezzi degli affitti e se non ci permetterà di fare qualche riparazione nell'edificio.
- D'accordo. E io le chiederò di cedermi il suo generatore: potrei trasformarlo in qualcosa di meno potente ma più legale. E se intendesse rifiutare, la minaccerò di rivelare tutto a Dalmar.
- Stiamo risolvendo i problemi della città con il ricatto. Non so se esserne fiero o sentirmi una persona spregevole.
- Stiamo risolvendo i problemi della città in maniera efficace. Non è questo il punto?
L'altro annuì in silenzio, mentre proseguivano il cammino verso il porto e la loro nave-casa.
- Sei sprecato a passare la tua vita su una nave con noi.- Esordì Dara all'improvviso. Mirick studiò il viso dell'altro, per capire la percentuale di scherzo e quella di serietà presenti nelle parole del suo amico. Per lui era una delle cose più complesse del mondo: disattivare generatori tecno-magici era uno scherzo, in confronto.
- Perché parli così?- Chiese, fallendo la prova di decifrazione.
- Perché hai capito il problema del generatore basandoti solo su qualche racconto impreciso.
- Ma se so qualcosa di magia lo devo solo a te! Tre anni fa non sapevo usare nemmeno un accendino a magia, e ora...
- Ora io continuo ad avere l'infarinatura magica che avevo tre anni fa, e tu sei un esperto di occulto. È così con tutto quel che decidi di studiare. Trovi il modo di padroneggiarlo in poco tempo. A volte penso che ti stia precludendo un altro futuro, rimanendo con noi a fare lo scienziato ambulante.
- E che dovrei fare? Ricominciare seriamente una carriera accademica? Ormai ho perso l'abitudine a fare lo scienziato rispettabile, lo sai.
- Hai trent'anni, non trecento. Puoi riabituarti, se vuoi.
- Ma non voglio. Ascoltami, Dara. Se mi dedicassi di nuovo completamente allo studio, tornerei a dimenticarmi che esiste il resto del mondo, e sarei una persona molto sola. Per favore, smetti di tirare fuori questo argomento.
- Scusa se a volte mi viene spontaneo farlo. È solo un modo per dimostrarti ammirazione.
- L'ammirazione della miglior persona con cui abbia mai collaborato è un onore più che sufficiente, per me.
- Sai cosa? Qualche tuo collega meno bravo di te avrà riconoscimenti ufficiali, ma a te hanno offerto un omicidio su commissione gratis. Quanti professori possono vantarlo?
- Ora che ci penso, hai ragione: è una forma di onorificenza insolita, ma interessante.
Ormai il porto doveva essere vicino. Forse. Gli sembrava di sì, ma non era proprio sicuro. Non era un grande esperto della città, anche se ormai si sentiva abbastanza cittadino. Dara invece aveva fatto amicizia con Almiressa da subito, e così anche Adi e Aurel, le altre persone che avevano invaso di prepotenza la vita di Mirick da qualche tempo. Rendendola meno confortevole ma più dinamica.
- Sai la cosa a cui stai lavorando?- Dara ruppe di nuovo il silenzio. - Fa rumore. È normale?
- Oh. Non proprio. Immagino che abbia bisogno di altro lavoro. È un catalizzatore per incantesimi di volontà, da applicare su oggetti semoventi. Per adesso è una specie di motore a batterie, ma forse devo progettarlo meglio. Pensavo che potrebbe esserci utile se prima o poi volessimo dedicarci alla costruzione di automi di qualche genere.
- Perché dovremmo costruirli?
- Non lo so. Perché no?
Dara rise, poi gli posò un braccio sulle spalle e lo guidò in un'altra direzione, in un intrico di stradine che Mirick non avrebbe mai saputo sbrogliare, e alla fine il porto e il mare si aprirono di fronte a loro, e nel buio, le luci della loro nave, adottata da Almiressa.
Uno strano posto a cui appartenere, forse, ma per uno che tendeva a lasciare dietro di sé i suoni dello scorrere del mondo, abitare lì era una buona soluzione. Almiressa fa troppo rumore, per permetterti di dimenticare di essere vivo.

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Capitolo 4
*** IV - Il privilegio dei figli ***


IV

Il privilegio dei figli


I

13 agosto - La fine di questa storia (quasi)


- Sei accusato di rapimento.- Il capitano Haset Yia abbandonò la scrivania e si avvicinò all'uomo seduto al centro della stanza. - E di aver provocato una sommossa al Mercato dei Fiori.

L'uomo, un arabo sui trent'anni alto e robusto, sollevò appena la testa per guardarla. Silenzio. L'unico suono che riempiva la stanza in penombra era il ronzare asmatico di una specie di ventilatore, che in teoria avrebbe dovuto muovere un po' l'aria rovente, in pratica si limitava a esasperare il capitano e i suoi sottoposti con un rumore lagnoso. La magia egizia era molto bella, se la sapevi usare. Haset era sicura che in Egitto le pale di fine metallo girassero rapide e silenziose. Ma ad Almiressa il mondo era un'altra cosa, e tutto ciò che aveva a che fare con la magia tendeva a consumarsi in fretta. Soprattutto nelle strutture designate alla gestione dell'ordine pubblico.

- Ci sono dei testimoni a mio favore, signora, se non sbaglio.- Finalmente si degnava di parlare.

- Sì.- Ammise lei. Tornò alla scrivania e scartabellò nel caos di documenti, traendone fuori un foglio e sollevandolo fino quasi a toccarlo col naso, finché una delle sue guardie, quella nuova carina della quale scordava sempre il nome, le passò i suoi occhiali. - Ecco. Tredici testimoni affermano che il qui presente Dara Najjar si trovava altrove quando venivano compiuti i crimini elencati.

- Questo dovrebbe bastare a scagionarmi, no?

- Temo di no. Di questi tredici, quattro lavorano in un bordello, sei sono mendicanti del Mercato dei Fiori, due sono bambini che parlano solo arabo e poi c'è quel calzolaio egizio che ha una certa età. Il mio superiore a capo dell'indagine non li considera molto attendibili.

- Potresti spiegarmi perché le persone che mi accusano sono attendibili, invece?

Haset rimase in silenzio, irritata dall'esasperante cordialità dell'uomo (e un po' anche dal fatto che, sapendo come stavano le cose, aveva un vago dubbio che quel tipo potesse avere ragione.)

- Basterebbe che almeno tu spiegassi il coinvolgimento di...- Tornò a cercare aiuto nelle sue carte. – Un “tizio lungo e lentigginoso con gli occhiali”, una “donna dall'aria assassina” e un “bambino con un... Pelapatate a vapore in mano”? Che razza di testimonianza è questa? Insomma, l'uomo che ti accusa, il signor Gilles Minet, un commerciante francese venuto ad Almiressa per affari, sostiene che hai rapito un uomo del suo seguito, aiutato da questi tre. Non vorresti parlarmene?

Si fermò a osservarlo. Se era spaventato, lo nascondeva bene. La guardava con inespressiva cortesia e un'aria di generale noncuranza. Sembrava non fosse consapevole di avere i capelli spettinati, la camicia logora (per non parlare del fatto che sembrava cucita con stoffa da tovaglie a quadretti rossi), una gonna che a malapena salvaguardava la sua dignità, e un taglio sullo zigomo sinistro.

- Vorrei parlargliene, signora, ma il fatto è che queste tre persone non erano presenti sul luogo del rapimento. Che non è mai avvenuto, in ogni caso.

- Senti, io non ce l'ho con te. Dico davvero. Ma se non ti spieghi, io non posso aiutarti.

- Non ti sto chiedendo di aiutarmi.

- Sembri molto tranquillo. Come pensi di uscire da questa situazione?

Prima che potesse risponderle, una delle sue guardie, quello simpatico con i capelli tinti di blu del quale scordava sempre il nome, fece il suo ingresso nella stanza e la chiamò da parte.

- Dobbiamo liberarlo.

- Dobbiamo? C'è un'indagine in corso!- Ribatté lei. - Per quale motivo lo liberiamo?

Lui fece un mezzo sorriso rassegnato.

- Astrid.

Il capitano Haset Yia sputò la peggior imprecazione dei suoi trentasei anni di vita.

- Quella donna pensa di avere in mano tutta la città!

- Temo che ce l'abbia per davvero, capitano. L'imputazione di rapimento cade, e per quanto riguarda la sommossa al Mercato dei Fiori, è attribuita a ignoti, e non penso che ci perderemo troppo tempo.

- Non è possibile! Tu hai un'idea del casino che c'è stato ieri mattina al Mercato dei Fiori?



II

12 agosto - Il giorno della sommossa


Neshi – diciannove anni, soldato della Guardia Cittadina di Almiressa, primo giorno di servizio – guardava lo spiazzo del Mercato dei Fiori impazzito di fronte ai suoi occhi e si ripeteva mentalmente come, come, come diavolo è potuto accadere?

- Togliti da lì, o ti portano via!- Gli urlò Ayana, il suo capo. Una mano robusta gli atterrò sulla schiena e si artigliò alla stoffa della sua casacca verde, strattonandolo forte. Appena in tempo per spostarlo dalla traiettoria di lancio di un...

- Un pollo? Vivo?- Gridò, guardando la sua superiore che roteava la spada infilata nel fodero, cercando di evitare di fare troppo male a quelli che non erano criminali, ma semplici acquirenti del Mercato dei Fiori. Solo che all'improvviso si erano trasformati in una mandria impazzita di schizzati, che urlavano e lanciavano polli.

Una ragazzina che zampettava qua e là tra la folla stringendo un cestino al petto gli si parò davanti, i grandi occhi scuri colmi di spavento. Neshi le fece cenno di avvicinarsi, per proteggerla da disastro. Quella infilò una mano nel cestino e ne tirò fuori una manciata di polvere rossa che gli lanciò negli occhi, prima di sparire nel nulla. Lo stupore durò meno di un secondo, subito sostituito dal bruciore insopportabile provocato da quello che molto probabilmente era peperoncino.

- Ma perché ce l'hanno con noi?- Gemette, strusciandosi le mani polverose sugli occhi, e ottenendo solo di peggiorare la situazione. - Li stiamo proteggendo!

- Sì, ma da cosa?- Ayana gli posò una mano sul braccio. - Ci hanno chiamati dicendo che c'era una rissa al Mercato dei Fiori. Ma quando siamo arrivati qui, siamo diventati il bersaglio... Abbassati!

Lui obbedì, e sentì qualcosa che gli passava a un soffio dalla testa. Ringraziò tutti gli dei in rapida successione e preferì non chiedere ad Ayana cosa avesse rischiato di cozzare contro il suo cranio.

- Neshi, dobbiamo andarcene da qui! Dobbiamo tornare alla nostra postazione in via dei Nastri! Questa è chiaramente una manovra creata apposta per distrarci, mentre il rapitore che stavamo cercando scappa! Oh, merda, attento!

Questa volta non fu abbastanza rapido. La cosa che gli arrivò in piena faccia era appiccicosa e pesante. Crollò a terra con un lamento, mentre Ayana un po' imprecava, un po' rideva.

Quando si riprese, intontito e ancora mezzo impiastricciato di resti di frutta secca grondante miele (l'avevano atterrato con una torta, a quanto pareva. Una cosa da non raccontare in giro.), la situazione si era calmata. C'erano guardie ovunque, e si poteva andare in giro senza rischiare assalti di generi alimentari animati o meno. Un europeo vestito di rosso e carico di gioielli sbraitava contro il capitano Haset Yia, affermando che era stato quell'uomo a combinare tutto il casino. Una donna e un giovane, anche loro agghindati in maniera improbabile, annuivano e gesticolavano. Il capitano tentava di calmarli, mentre alcune guardie raccoglievano testimonianze. Per la maggior parte a favore di quell'uomo – chiunque egli fosse.


Al tramonto Neshi era ancora in caserma, a ripetere la sua versione della storia, mentre Ayana gli forniva costantemente rimedi per gli occhi che continuavano a bruciargli in maniera tremenda. C'era un'agitazione incredibile – e quello era davvero strano: le forze dell'ordine di Almiressa avevano una certa fama di rilassamento e tempi prolungati.

- Si può sapere perché questo tizio è così importante?- Chiese ad Ayana, quando finalmente ebbe finito di deporre per la millesima volta.

- Perché quello che lo accusa è un riccone francese.- Borbottò lei, slacciandosi un paio di cinture dalla complicata imbracatura di cuoio che proteggeva il petto dei poliziotti di Almiressa.

- E da quando in qua ci piacciono così tanto gli europei?

- Da quando pagano. Ah, comunque è appena arrivata la notizia che l'hanno preso al Molo Ovest.

- E hanno ritrovato il tizio rapito?

- No, hanno arrestato solo lui. Si chiama Dara Najjar. È quel siriano che abita su una nave, insieme a uno scienziato europeo. Li chiamano ogni tanto per riparare i guasti al sistema di illuminazione della caserma. Forse li hai visti anche tu.

- Credo di aver capito chi sono. Mi erano sembrati così gentili. Insomma, allora è confermato che il casino al Mercato dei Fiori è stato messo su per farlo scappare da via dei Nastri?

- Sembrano tutti piuttosto sicuri di sì, ma lui non ha ancora confessato niente. Pare fosse nascosto alla Mensa dei Poveri. Vorrei sapere come ha fatto a entrare.



III

12 agosto - La mattina della Mensa dei Poveri


Bushra era abituata a trovarsi Dara fuori dalla porta: veniva per riparare utensili o pezzi della struttura precaria che ospitava il rifugio dei più poveri di Almiressa. In genere veniva di buon'ora, accompagnato da una delle tre persone con cui viveva a bordo di una nave: Mirick, lo scienziato con i capelli rossi, Adi, la donna muta ed efficiente, e Aurel, un bambino buffo.

Però non era mai arrivato all'alba, affannato, accompagnato da uno sconosciuto. E in mutande.

- Oh, per l'amore di quel che è buono e giusto, perché sei in queste condizioni e che succede?

- Bushra, ti prego: possiamo rimanere un po' qui? Ci inseguono.

- Chi vi insegue?

- Cacciatori di taglie pagati da uno stronzo.- Rispose lui, accasciandosi su una panca del grande refettorio. - Cazzo, sono due ore che corriamo, e non riusciamo a perderli! Sono gente di qui: conoscono la città quanto me, e tutto quel che faccio per staccarmeli lo prevedono!

- Per favore, abbassa la voce. Ci sono dieci persone che dormono, nella stanza accanto. Non so se hai notato che è molto presto.- Si accorse che l'altro, un giovane nord-europeo biondo e magrolino, con addosso una stratificazione di vestiti ben poco adatti al clima locale, era rimasto in piedi. - Puoi sederti dove vuoi, sai. Ci sono ventiquattro panche. E anche delle sedie. Va bene anche il pavimento, se ti piace di più.

Lui obbedì, piazzandosi in un angolino in punta di panca, accanto a Dara. Bushra studiò i due uomini, cercando di sbrogliare la situazione, e fallendo.

- Perché vi inseguono?- Domandò infine a Dara. - La taglia è su di lui o su di te?

- Su tutti e due, a questo punto. E poi ci sono le guardie. Sostengono che l'ho rapito. Un paio di poliziotti ci hanno visti imboccare via dei Nastri. Si saranno appostati qui intorno di sicuro.

- Dara, io mi sono sempre fidata di te, ma devo proprio chiedertelo: mi giuri che non stai facendo niente di male?- Gli disse lei, sedendoglisi di fronte. Aveva imparato a far leva sulla morale (un po' peculiare, in verità) di quell'uomo e sapeva che su certe cose non mentiva.

- Te lo giuro.

- Potrei avere un'idea per farvi scappare. Lo sai che qui alla Mensa diamo da dormire ai mendicanti. Potrei chiedere a qualcuno dei nostri ospiti di creare un po' di confusione al Mercato dei Fiori, qui vicino, in modo da attirare lì la polizia. Così avreste via libera.

- Sarebbe perfetto. Ma chiunque tu avvisi, dì loro di non fare guai troppo grossi, e soprattutto di non fare male a nessuno. D'accordo?

- Fidati di me.

Lui annuì e si sforzò di sorridere. Bushra sparì nei magazzini, dove recuperò una caraffa di succo di melograno, una manciata di datteri e una gonna arancione.

- Vediamo di darti una parvenza di decoro. Che fine hanno fatto i tuoi pantaloni?

- Stanotte sono saltato giù da una finestra. Sai che non sono molto aggraziato, quando cerco di fare queste cose. Sono rotolato su un mucchio di ferraglia e li ho distrutti. Mi impicciavano a correre, così me li sono tolti. Il pudore ora è l'ultimo dei miei problemi.

- Il pudore è sempre l'ultimo dei tuoi problemi. Purtroppo non ho abiti maschili della tua taglia. Prendiamo quel che la gente ci regala, lo sai. È un po' che mancano calzoni o tuniche abbondanti.- Gli lanciò la gonna arancione, che lui guardò con ammirevole tranquillità. - È il meglio che ho da darti. Mi dispiace. So che non è un indumento esattamente appropriato, ma...

- Nessun problema.- Si mise la gonna senza battere ciglio. - Senti, dobbiamo aspettare tanto? Perché non sono molto tranquillo, non vorrei portare guai a questo posto, e...

- Che la misericordia di Allah mi dia la forza di arrivare in fondo alla giornata.- Sospirò lei. - E di sopportare la visione di te in gonna. Non ti agitare e abbi un po' di pazienza: ti ho detto che la mia idea può funzionare. Mentre aspettiamo, raccontatemi cos'è successo. Da che finestra siete saltati?

- Bushra, io te lo dico, ma tu promettimi di non farmi una ramanzina delle tue, eh?

Lei tamburellò le dita sul tavolo e cercò di comunicargli la sua disapprovazione tramite un'occhiata.

- Era per caso la finestra di un bordello?



IV

11 agosto - La notte dell'assedio alla Casa delle Perle


- Tu sei uno scriteriato senza un minimo di controllo sul tuo cervello!- Raramente Ellissa era stata così infuriata con un amico. - Come ti è venuto in mente di entrare qui? Non lo sai che è un posto delicato? Devo proteggere i miei ragazzi e le mie ragazze, oltre che la privacy dei miei clienti!

Lui annuì. Seduto sul divanetto fucsia, con la testa tra le mani, era decisamente molto diverso dall'uomo rilassato che frequentava abitualmente la Casa delle Perle, il cliente preferito di tutte e tutti, cortese e premuroso. Ellissa conosceva Dara da almeno tre anni, ormai, e sapeva che era una persona apprezzabile anche al di là delle sue buone doti come cliente. Le dispiaceva vederlo in preda all'agitazione, e non avrebbe voluto urlargli contro in quel modo.

Certo, magari lui avrebbe potuto pensarci due volte, prima di portare nel suo bordello un tizio inseguito dalla polizia e dalla feccia di Almiressa...

- Se ci rimettono i miei impiegati o i miei clienti, giuro che me la paghi!- Esplose di nuovo, continuando a girare in tondo per la stanza, agitando le lunghe maniche di velo della sua veste rossa.

- Non credo che lo cercheranno qui.

- Invece sì. Questo è un posto dove ti si vede spesso.- Ribatté lei, fredda.

- Pensi che alla gente di Almiressa interessi cosa faccio nel tempo libero?

- Penso che tu sia più conosciuto di quel che credi. Tu e i tuoi amici vivete vendendo invenzioni ai ricchi e a riparando gratis le case dei poveri. Attirate l'attenzione. E ad Almiressa trovi sempre chi è disposto a pugnalarti alle spalle, se può guadagnarci. Se c'è una taglia su di voi, tra un minuto la feccia della città sarà qui alla mia porta.

Dara non rispose, limitandosi a lanciare un'occhiata ansiosa all'altro, che se ne stava muto e rigido su una poltrona, premendosi debolmente un panno imbevuto di infuso medicinale su un brutto taglio al labbro. Doveva avere una ventina d'anni. Aveva la pelle bianchissima, arrossata dal sole di Almiressa. I capelli erano biondi, gli occhi verdi. Indossava camicia, calzoni neri, gilet scuro e stivali: abbigliamento pessimo per l'estate della costa nordafricana.

- Aryan, giusto?- Gli chiese Ellissa, addolcendo il tono. - Di dove sei?

- Norvegia. Ma abito in Francia da due anni.

- Vedi di tirarti su, eh? Te la caverai.

- Mi riprenderanno, invece. Lo so. Forse dovrei tornare indietro, chiedere scusa...

Qualcuno bussò alla porta. Ellissa uscì a sentire cosa succedeva e si trovò davanti Silvano nel panico.

- C'è un branco di gentaglia qui fuori. Sono almeno in otto, armati. Dicono che stiamo dando rifugio a due tizi su cui c'è una bella taglia. Abbiamo serrato le porte, ma temo che non basti...

- Oh, merda! Dobbiamo trovare un modo per far scappare quei due!

- Ehi, aspetta. Stiamo davvero dando rifugio a due fuggitivi? E perché?

- Perché uno dei due è Dara, e ha delle buone giustificazioni per questo casino.

- Senti, Ellissa: Dara mi sta simpatico, ma questi qui vogliono entrare. Le camere di sopra sono piene di clienti. Io comincio ad avere paura. Questa è gente che ci ammazza in un secondo.

- Se solo avessimo un modo per chiamare le forze dell'ordine! Obbligherebbero questi pazzi ad andarsene, e nel trambusto potremmo far scappare Dara.

Sul viso dell'uomo esplose un sorriso trionfante.

- Oh, ma noi abbiamo un modo per chiamare le forze dell'ordine. Abbiamo ben tre membri delle forze dell'ordine al piano di sopra. Possiamo invocare un loro intervento.

- Ma certo!- Ellissa posò le mani sulle spalle rivestite di seta azzurra del più affidabile dei suoi impiegati. - Chiederemo loro di fingere di essere qui per perquisire il bordello alla ricerca dei fuggitivi. Così non solo manderanno via i cacciatori di taglie, ma diranno che qui non hanno trovato nessuno, e questi stronzi ci lasceranno in pace!

- Come li convinciamo a collaborare, però? Sono tre ufficiali di alto grado.

- Offrirò loro quattro o cinque serate a spese della casa. Se rifiuteranno, minaccerò di rivelare che sono clienti abituali. Forza, andiamo a chiamarli!

Mezz'ora dopo tre guardie avevano disperso il gruppetto davanti alla porta della Casa delle Perle. Nel frattempo Dara e Aryan erano fuggiti dalla finestra.

- Si può sapere perché Dara e quel tizio hanno alle costole mezza città?- Domandò Silvano, riempiendo di rum per la terza volta il bicchiere di Ellissa.

- Perché quando Dara incontra qualche caso disperato, smette di ragionare.



V

11 agosto - La sera della fuga


Aryan era abbastanza abituato all'umiliazione, ma quando accadeva in mezzo a una folla di sconosciuti, e senza averla meritata, era un po' più difficile da sopportare.

Non aveva neanche capito come fosse avvenuto il fatto che aveva fatto esplodere l'ira di Gilles Minet. Camminava pigiato tra Minet e sua moglie, mentre alle sue spalle Pierre, il loro segretario, blaterava cose di poco conto. All'improvviso c'era stato un movimento di gente e lui si era ritrovato da solo, in mezzo al caos colorato e rumoroso di una piazza sconosciuta, in quella città enorme e sconclusionata.

Non era durata molto, quella sensazione esaltante di essere solo e libero. Dalla folla era emersa l'inconfondibile manica rossa adornata d'oro di Gilles Minet. La mano rude dell'uomo gli si era chiusa attorno al polso. L'odioso segretario l'aveva bloccato con una stretta ferrea sulle spalle. Addirittura la signora Minet aveva tirato fuori la ridicola pistola che suo marito le aveva regalato, e ora gliela puntava contro.

- Dove pensavi di fuggire?- Aveva ringhiato Minet, stringendo forte fino a fare male.

- Sei un bimbo piccolo che si perde nella folla?- Ci si era messa anche la signora, agitando l'arma in maniera che sarebbe stata quasi comica, in un altro momento (e provocando un certo batticuore ad Aryan, che ne conosceva le scarse capacità con qualsiasi cosa più complessa di un cucchiaino.)

- Non volevo fuggire, è solo che...- Aveva risposto, e forse avrebbe aggiunto qualcos'altro, se la mano di Gilles, al solito carica di gioielli pesanti, non fosse scattata a colpirlo sulla bocca.

- La tua incompetenza si sta rivelando deleteria, in questo viaggio! Già devo occuparmi di un affare complicato. Se almeno avessi un servo con un cervello funzionante... Ma no, doveva toccarmi questo idiota che non sa fare i calcoli, sviene per il sole e si perde!

Aryan aveva serrato gli occhi per non vedere le facce degli sconosciuti attorno a lui.

Quello che accadde dopo fu l'ultima cosa che si sarebbe mai aspettato.

- Modera i toni e chiedi scusa al tuo servo.

Aryan riaprì gli occhi: l'uomo che aveva parlato era un arabo sulla trentina, alto e robusto. Minet si voltò come una furia, pronto a tuonare contro lo sconosciuto che si era permesso di rivolgerglisi così – in un francese perfetto, tra l'altro.

- Tu chi sei e cosa vuoi?

- Voglio farti presente la tua immensa maleducazione, e informarti che andrò da quel poliziotto laggiù, denunciandoti per aver aggredito una persona.

- Se mi parli di nuovo con quel tono, chiunque tu sia, giuro che ti sparo!- Urlò Minet.

- Libero di provare a spararmi, in una piazza piena di gente.

- Spostati da lì oppure... Ah.- Minet fece una specie di sogghigno soddisfatto, quel genere di verso che Aryan gli aveva sentito emettere ogni volta che prendeva coscienza di una debolezza dei suoi partner commerciali. - Capisco. Le tue mani.- Avanzò verso lo sconosciuto e gli afferrò una mano tra le sue. Aryan temette che l'uomo si infuriasse e decidesse di spezzare in due il signor Minet, vista la stazza. Ma quello rimase immobile.

- Questi non li puoi nascondere.- Disse Minet, indicando i tatuaggi sulla mano dell'uomo. Aryan all'improvviso capì. D'istinto lo sguardo gli scese sulle proprie mani: c'erano gli stessi simboli, dei cerchi concentrici sul dorso. Un segno che la legge francese imponeva a coloro che erano condannati ai lavori forzati.

- Ho sempre pensato che fosse una buona idea.- Disse la signora Minet. - La legge vi segna come persone pericolose. In questo modo la gente perbene sa con chi ha a che fare.

- Fatemi indovinare.- Disse l'uomo. - Quel ragazzo si è indebitato con voi, e un giudice l'ha condannato a lavorare per voi fino a che non avrà ripagato quel che vi deve.

- La conosci bene la procedura, eh?- Disse Pierre.

- La conosco bene, sì.- L'uomo spostò lo sguardo su Aryan. - In ogni caso, ad Almiressa non puoi picchiare un uomo senza subirne le conseguenze, anche se è condannato a servirti.

- Gilles, posso sparare a questa persona noiosa?- Domandò la signora Minet. - Ci sta facendo la morale. La trovo una cosa seccante, soprattutto da parte di uno che probabilmente è un criminale che è qui solo perché è scappato dai suoi padroni!

- Non sono scappato.- Rispose l'uomo, tranquillo. - Ho estinto il mio debito. Però...

Lo sconosciuto guardò Aryan e poi lanciò un'occhiata alla sua sinistra, come per invitarlo a guardare. Aryan si accorse che accanto all'uomo c'era un tizio con i capelli rossi e gli occhiali, che impugnava una cosa piena di ingranaggi e lucine, puntata contro Minet. Dietro di lui c'era una donna alta, che si rigirava un pugnale tra le dita, con aria apparentemente distratta. Non sembrava malintenzionata, ma faceva paura lo stesso. Insieme a lei c'era un bambino che stringeva tra le mani un altro affare misterioso e minaccioso.

- Sapete una cosa?- Disse lo sconosciuto. - Se avessi avuto l'occasione giusta, sarei scappato.

Aryan riconosceva i suggerimenti dal Cielo, quando ne sentiva uno. Ebbe circa un millesimo di secondo per decidere. Si girò di scatto, sferrò una gomitata a Pierre e cominciò a correre.

Si voltò indietro solo un istante, giusto il tempo di vedere i quattro stranieri che si frapponevano tra lui e Minet, per proteggere la sua fuga. Continuò a correre e correre, zigzagando tra la gente, euforico e terrorizzato, maledicendosi per il suo coraggio, maledicendosi per la sua paura.

Poi all'improvviso si accorse che qualcuno correva con lui.

- Forza!- Gli intimò l'arabo. - Dobbiamo trovare un rifugio! Qualcuno ci aiuterà.

- Ma chi vuoi che ci aiuti?



VI

13 agosto - La fine di questa storia (per davvero)


Seduto sulla panca scomoda della cella, ascoltava i passi concitati fuori dalla sua porta, chiedendosi chi avrebbe visto, una volta aperta. Di sicuro non si aspettava lei in persona.

- Ti regalerò un libro interessante. La legge per evaderla. L'ha scritto una mia amica, una ladra londinese. È fondamentale, se vuoi sopravvivere ad Almiressa facendo l'eroe ed evitando l'arresto.

- Ciao, Astrid.

La donna gli si piazzò davanti, alta, formosa, profumata, involta in un eccentrico abito viola e ricoperta di nastri e gale. Si appoggiava a un bastone di legno bianco con fregi d'argento con la mano sinistra, mentre con la destra reggeva un parasole di pizzo candido. Chi la vedeva per la prima volta stentava a credere che fosse una delle persone più ricche del mondo. Una mercante che controllava una quantità spaventosa di traffici, legali e meno legali. L'ennesima persona per cui Dara aveva lavorato e che poteva annoverare tra le sue conoscenze significative.

- Dara Najjar, tuttofare di Almiressa e vecchio amico.- Gli disse lei, chiudendo l'ombrellino con un gesto elegante e appendendolo allo stringivita bianco. - Era qualche tempo che non facevo affari con te e il resto del tuo equipaggio. Avrei preferito incontrarti sulla tua nave, e non in una prigione.

Nonostante il sorriso, gli occhi azzurri restavano indecifrabili dietro la veletta bianca appesa a un cappellino in equilibrio apparentemente precario sui boccoli biondi.

- Spero di non averti causato troppi guai, Astrid.

La bella bocca di lei prese una piega acida. Gli cacciò le dita sotto la camicia e ne trasse fuori la catenina con la croce che portava sempre. Gli prese una mano e lo obbligò a stringere la croce.

- Ora ringrazia Dio in tutte le lingue che sai, Dara. Mi pare che siano almeno sei. Comincia.

Ogni traccia di amichevolezza era sparita dal viso altero di Astrid. Gli occhi azzurri erano più taglienti delle sue parole. Dara serrò la croce tra le dita e tacque.

- Hai fatto? Bene. Adesso ringrazia me. Scegli la lingua che preferisci: una basterà.

- Grazie.

- Ottimo. Hai idea del casino che ho dovuto fare, per insabbiare tutto? Sono potente, ricca e tengo in pugno gran parte della polizia, ma non mi va di spendere tempo e risorse solo perché tu perdi la lucidità di fronte al primo derelitto che ti trovi davanti!

- Mi dispiace.

- Lo spero bene.

- Non ti avremmo disturbata se non fossimo stati davvero nella merda. Ci sappiamo muovere in città, ma stavolta la situazione era diversa. Il tizio che abbiamo aiutato è norvegese: scusami se te lo dico, ma a parte te, non si vedono molti norvegesi, qui in giro. Attirava l'attenzione. Era lento, imbranato e terrorizzato. E non dimenticare che il suo padrone aveva messo una taglia su di lui. Nel giro di due ore la peggior gente di Almiressa ci inseguiva.

- Sai com'è Almiressa. C'è sempre qualcuno che spera di guadagnare sulla sofferenza degli altri.

- Tutto il mondo è così.

- Esistono le forze dell'ordine. In teoria, dovrebbero tenere ordinato il mondo. O la città.

- Andiamo, Astrid: quando mai le forze dell'ordine servono a qualcosa? Quelle di Almiressa vincono il premio come guardie più corrotte del Mediterraneo!

- No, non esagerare. Non hai mai provato a corrompere quelle di Smirne.

- Hai capito cosa voglio dire.

Lei sospirò e prese ad avvolgere un boccolo attorno a un dito rivestito di pizzo bianco.

- Ho capito, sì. Il mondo è malato e pieno di gente cattiva. Feccia da porto in cerca di soldi facili, o padroni crudeli che abusano dei loro servi. E allora, amico mio, cosa dovremmo fare?

- Sperare che le brave persone si alzino in piedi e facciano qualcosa.

- Oh, Dara, altro che alzarsi in piedi e fare qualcosa! Tu hai buttato all'aria mezza città per aiutare uno sconosciuto. Sei delizioso!- Fece una risatina, che comunque non bastò a dissipare del tutto l'aria gelida che la donna aveva portato nella stanza. - Ma che bella gonna...

- I miei pantaloni si sono distrutti durante la fuga.

- E questo?- Astrid gli toccò con poca delicatezza il taglio sullo zigomo sinistro rigonfio.

- Uno dei cacciatori di taglie mi ha bloccato a due passi dalla Casa delle Perle. Sai quanto faccio schifo a lottare. Per fortuna Aryan è stato rapido e gli ha tirato addosso un arcolaio.

- Un... No, non indagherò su come siate finiti a difendervi con un arcolaio. Ricapitolando: fuga in Piazza delle Candele, rifugio nel bordello di Ellissa, corsa fino alla Mensa dei Poveri, dove immagino che quella povera donna di Bushra vi avrà nascosto, e poi...

- Volevamo tornare alla nostra nave. Ma Mirick, Adi e Aurel ci hanno fermati a due passi dal Molo Ovest. Ci hanno detto che erano tutti lì ad aspettarci, tagliagole e poliziotti. Non è difficile reperire informazioni su di noi, lo sai. Rischiavamo grosso anche solo ad avvicinarci alla nave.

- E quindi avete deciso di disturbare me.

- Sì. Ma prima dovevamo calmare la situazione. Così mi sono fatto arrestare, in modo da tranquillizzare per un po' il padrone di Aryan. Le guardie hanno avvertito Gilles Minet, che ha messo buoni i cacciatori di taglie. Era sicuro che la polizia mi avrebbe fatto confessare dove si trovasse Aryan, quindi non aveva più bisogno di loro.

- Nel frattempo i tuoi amici hanno smosso mezza città per contattarmi. E io, che sono una signora magnanima, mi sono prestata alla corruzione per farti scagionare. Hai un grosso debito con me, Dara. Non potevi lasciar perdere? Non puoi liberare tutti gli schiavi del mondo! Ah, ma non potevate essere persone banali, di quelle che non imparano nulla dalla sofferenza e rimangono gli stronzi di sempre?

- Guarda che eravamo così anche prima. Non aiutiamo la gente perché siamo rimasti traumatizzati dal nostro passato. La aiutiamo e basta.

Astrid gli scoccò uno sguardo poco convinto.

- Se decidessi che devo andare a liberare ogni donna che...

- Ma mi ascolti? Non l'ho aiutato perché mi ci riconoscevo. L'ho aiutato perché era la cosa giusta da fare. Certo, il fatto di sapere cosa stava passando mi ha dato una spinta in più...

Astrid fece un sospiro e andò a sederglisi accanto. Storse un po' il naso e si scostò di un palmo.

- Sì, Astrid. Non sono pulito. Non ho avuto molto tempo per l'igiene, in questi tre giorni. Rimedierò.

- Come ti è venuto in mente di suggerirgli di scappare?

- Ha attirato la mia attenzione perché ho notato i segni sulle sue mani. Ho capito che era condannato a servire quell'uomo orribile. Poi ho visto Minet che lo maltrattava e non sono riuscito...

- Non sei riuscito a lasciar perdere. Già. È più forte di te.

- Dobbiamo continuare a parlarne?

- Sì. Mi hai scomodata, e ora ti becchi tutta la mia solenne disapprovazione.

Lui annuì. Non aveva le forze per ribattere. Mezz'ora di conversazione con Astrid era stata più estenuante che due giorni di fuga e una notte in prigione.

- E non fare quella faccia depressa!- Sbuffò lei. - Visto che stavolta te la sei cavata, goditi i tuoi trionfi. Hai liberato quel ragazzo e hai dimostrato la tua teoria.

- La mia teoria?

- Le brave persone a volte fanno qualcosa. Tu sei una brava persona. Uno che non guadagnerebbe mai sulla sofferenza altrui. Tu e i tuoi amici siete generosi, e la gente di Almiressa lo sa.

- Infatti avevamo mezza città che ci inseguiva. La gente di Almiressa ci ha venduti senza problemi al padrone di Aryan e ha cercato di catturarci per intascare la taglia.

- Ma l'altra mezza città vi ha salvato il culo.- Si fermò per un istante a fissarlo, seria, con lo sguardo che comunicava rabbia quieta e una punta di disprezzo. - Non ti facevo così ingrato. Sempre a denunciare le ingiustizie, sempre a pensare solo agli uomini cattivi.

- Io non ho detto...

- Ascoltami bene. Quando sei potente come me, puoi comprarti tutti quelli che vuoi. Quando sei generoso come te, puoi solo sperare che di tutti quelli che hai aiutato, qualcuno se ne ricordi. Di solito se ne ricorda uno su dieci. A volte uno fa la differenza. Pensa a quanti hanno deciso di darti una mano. Ellissa, Bushra, tutti quelli che hanno agitato il Mercato dei Fiori. Persino il capitano Haset Yia era dalla tua parte. Tenetevela buona: è un raro caso di poliziotto onesto. E poi... Io.

Dara abbassò la testa, sentendosi invadere da un misto di senso di colpa e gratitudine nei confronti dell'universo. Astrid si avvicinò per dargli un bacio – proprio sotto l'occhio sinistro.

- Vieni, andiamo a casa. Partite subito, state via qualche mese. Fate dimenticare questo episodio. Date al padrone di Aryan il tempo di rassegnarsi. Poi potrete tornare. Siete stati adottati da Almiressa e avete il privilegio dei suoi figli. Troverete sempre accoglienza, qui.


Quando finalmente salì a bordo, gravato da una marea di pensieri confusi e dalla stanchezza che alla fine si faceva sentire prepotente, fu accolto da Adi, rilassata e sorridente come se gli ultimi tre giorni non fossero mai avvenuti.

Il tuo amico norvegese è simpatico, gli comunicò telepaticamente la donna, conducendolo sottocoperta. Stavamo pensando di fare un cambio: lasciarti qui e prendere lui al tuo posto.

- Grazie, Adi. Molto carina. Ehi, perché Aurel sta portando la mia roba fuori dalla mia camera?
Il bambino stava trotterellando attraverso gli stretti spazi dell'interno della nave, carico delle poche proprietà personali di Dara. Adi sorrise di nuovo.

Abbiamo deciso che Aryan dormirà nella tua stanza. Tu starai con Mirick.

- Avete deciso?

Aurel l'ha deciso. Dice che è la cosa più logica. Sai quanto ci tiene alla logica. L'ho lasciato fare.

Dalla sala comandi emerse Mirick, seguito da Aryan, con una vaga parvenza di sorriso sulle labbra.

- Partiamo subito.- Disse Mirick. - Non preoccuparti, Aryan: tempo un'ora, e sarai completamente fuori pericolo. Avrai tutto il tempo che vorrai per riposarti e decidere cosa fare della tua vita.

- Grazie di tutto.- Mormorò Aryan, a disagio. - Grazie, Dara. Vi siete messi nei guai per me, e io...

- Avrai modo di ripagarci. Adi ti troverà sicuramente qualcosa di antipatico da fare, a bordo.

Dara, vai a lavarti. Gli intimò telepaticamente Adi. Ne hai bisogno.

- Scusa se due giorni a correre per la città non ti lasciano esattamente pulito, eh.

Ammesso che tu riesca a ritrovare la tua roba. Aurel ha un senso dell'ordine molto personale. Chissà come ha disposto le tue cose.

- Se non trovo la mia roba, prendo la tua.

Noto che alle gonne ti sei già abituato...

Era appena partito per la missione di recupero, quando la voce di Adi gli rimbalzò tra i pensieri, insolitamente dolce.

Per favore, riposati e cerca di stare bene. Hai fatto una cosa buona. Sono fiera di averti aiutato.

Si voltò a sorriderle.



VII

14 dicembre - Dopo la fine di questa storia


Adi guarda il profilo conosciuto della città che li ha presi come figli. Nella notte, Almiressa che si avvicina è una sicurezza fatta di luci e di sagome familiari.

Astrid ha mandato notizie: nessuno quasi ricorda più quei due giorni di follia a metà agosto. Le uniche che forse lo rammentano sono Ellissa e Bushra, ma tanto sarà facile farsi perdonare da entrambe. Possono tornare senza problemi.

Adi vuole bene ad Astrid, anche se a volte le fa paura tutto quel potere nelle mani di una persona sola. Astrid è affidabile e ha un certo senso etico, ma resta sempre una ricca e scaltra mercante che cammina costantemente sull'orlo tra legale e criminale. Ma a volte hanno bisogno di lei, per combinare qualcosa di buono. Per esempio, rivoltare un'intera città per aiutare un uomo disperato.

Aryan è stato quattro mesi con loro, una presenza gentile con un senso dell'umorismo sorprendentemente arguto. Sono emersi particolari della sua storia che li hanno convinti ancora di più di aver fatto bene a farlo fuggire. L'hanno visto riacquistare sicurezza e serenità, e se ne sono presi un po' il merito. Adi sostiene che sia giusto essere orgogliosi, quando si è bravi in qualcosa.

Si sono fermati a Siracusa per costruire un sistema di riscaldamento per una locanda sul mare e Aryan è rimasto lì con Caterina, una delle figlie dei locandieri. Innamoramento lampo. Per Adi è una cosa seria – e lei ha un certo occhio per queste faccende. Non le è dispiaciuto lasciarlo: lui era felice. E poi quando passeranno di nuovo da Siracusa sapranno di avere un amico, lì.

La Noor attracca. Almiressa, la madre, li saluta con le sue luci insonni e irriverenti, e Adi si sente bene, euforica e carica di memorie piacevoli di questi mesi di viaggio, e allo stesso tempo nostalgica di casa, una casa che ora è proprio lì davanti agli occhi.

La nave si muove dolcemente, rispondendo ai comandi di Mirick. Aurel sta dormendo. Dara invece è da qualche parte sul ponte della nave. Adi non lo vede ma sa che c'è: ne riconosce il rumore dei movimenti un po' pesanti, e le sembra di intuire l'aria di allegria pensosa che si porta sempre dietro.

Pensi di poter aspettare qualche mese, prima di ricominciare a combinare casini?, gli chiede, senza sapere se la sentirà. Vorrei godermi un po' la città.

La risposta è un tocco leggero sulla spalla, e una risata ancora più leggera.

- Ci proverò. Tu aiutami, però.

Certo che ti aiuterò. Tutti ti aiuteranno, Dara. È la città che ci aiuta.

- E ci incasina.

A volte. Ma è un posto a modo suo, lo sai. I suoi figli peggiori sono i suoi preferiti. Non c'è niente di cui avere paura.








 

 

 

 

 

 

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Grazie per essere arrivato fino in fondo alla storia!

 

Queste quattro storie sono state scritte tra gennaio e marzo 2014, e sono state un'esperienza allo stesso tempo entusiasmante, complicatissima, faticosa e divertente. Per questo devo ringraziare un bel po' di gente:

- Kinnara e Shu, madrine di queste storie, oltre che beta-reader. Kinnara mi ha aiutata a visualizzare sempre meglio i protagonisti, e ha canonizzato un sacco di particolari meravigliosi, che spero prima o poi di riuscire a raccontare. La legge per evaderla è una sua perla. Shu mi ha fornito la lista di nomi dai quali ho pescato quelli dei personaggi egizi.

- Lorenzo, l'altro fedele beta-reader.

- Lynn, Jackie e David, che in questo mondo sono scrittori affermati...

- Yu-Eriol, per le chiacchierate su questa ambientazione, finalizzate all'imminente gioco di ruolo che avrà luogo in questo mondo. Mi sono state utili per disegnare ancora meglio la città e le sue tecnologie.

- Tutti i bambini ai quali ho rubato qualcosa, più o meno consapevolmente, per dare vita ad Aurel.

- La mia twitlist, che in questi mesi ha risposto a sondaggi letterari di vario genere e a richieste di aiuto bizzarre (come quella volta in cui ho domandato di elencarmi oggetti di uso comune, plausibili per l'inizio del Novecento, utilizzabili come arma impropria. Sono diventate le armi improbabili dell'Ordine delle Macchine da Cucire.)

- La persona sgradevole che, con la sua costante prepotenza, indelicatezza, incompetenza e paura ingiustificata del diverso, ha inconsapevolmente reso più aggressiva e più interessante (credo) la storia di Adi.

- Le persone che sono state molto Adi nei miei confronti negli ultimi mesi.


Questa storia è dedicata a sette giocatori che per cinque anni e mezzo hanno salvato la mia Londra vittoriana, e a tutti i giocatori, vecchi e nuovi, che si apprestano a salpare, con un augurio di successo e divertimento per la campagna che partirà presto, e comincerà proprio qui, ad Almiressa. Spero che questo mondo diventi per voi accogliente come la mia cucina.

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