Il viaggio di Paperon de' Paperoni

di Carioca
(/viewuser.php?uid=483293)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** La lettera ***
Capitolo 2: *** Colle Fosco ***
Capitolo 3: *** Città Natale ***
Capitolo 4: *** P.d.P. Scotland ***
Capitolo 5: *** Divenire ***
Capitolo 6: *** Cornamusa ***



Capitolo 1
*** La lettera ***


Al Deposito era appena iniziata una giornata come tante altre: era mattina presto e, come al solito, Paperon de' Paperoni era già sveglio e combattivo, seduto sulla solita poltrona davanti alla solita scrivania, impegnato nei soliti affari. Questo, almeno, fu quello che pensò Battista, venuto a portargli la colazione: solito the, solite gallette, tutto sempre uguale.
"La colazione, signore" disse Battista. Paperone rispose con un mugungo che tutto poteva sembrare tranne un grazie; Pochi secondi dopo, però, fu lo stesso Paperone a parlare: "Che impegni ho oggi?" Impassibile, Battista iniziò ad elencare: "Stamattina dovete recarvi al club dei miliardari per un'asta di benef.."
"Bah. Beneficienza? E per chi?" "Per le vittime del recente terremoto in Turchia" "E gli servono i miei soldi? Da quando ho trovato lì il rubino striato loro non vogliono vedere me, nè io loro. Che altro c'è?" Battista proseguì :"All'asta seguirà un pranzo, anch'esso di beneficienza, al club, gentilmente offerto dal signor John D. Rockerduck" "Spendaccione. Se ci fosse ancora suo padre lo rimanderebbe a comprare un frustino" Battista iniziava a spazientirsi. Cero, ormai era abituato al comportamento del principale, ma giornate come quella ormai stavano capitando sempre più spesso: si immergeva ancora di più negli affari, era se possibile ancora più intrattabile e rivangava continuamente episodi del suo passato. Rancore? Solitudine? O forse era solo la vecchiaia che ormai andava sempre più avanti? Battista non sapeva la risposta, nè andava a cercarla (d'altronde, non è questo il compito di un buon maggiordomo) E poi Paperone dimostrava da anni un fisico e una resistenza incredibili, che neanche il suo medico di fiducia ancora comprendeva. Se davvero stava invecchiando, di certo non lo dava a vedere.
Ripresosi da questi, pensieri, Battista si schiarì la voce e continuò "Infine, questo pomeriggio, avete un appuntamento con i rappresentanti del sindacato dei metalmeccanici, in sciopero da una settimana per il mancato aumento di stipendi ed il piano di licenziamenti da lei previsto. ha già rinviato due volte e non sarebbe il caso..." "Dannazione!" Lo interruppe Paperone "Cosa vogliono questi? Credono che ai miei tempi io avessi un sindacato, quando andavo in giro a lucidare scarpe e vendere torba? Puah, miserabili. e Johnson poi? Sapere che siede sulla poltrona di Roosvelt mi ripugna! Poi la gente si lamenta quando dice che voto i repubblicani. Che vadano al diavolo. Battista, c'è altro?" "Si, principale, le ho portato la posta. Ha ricevuto una lettera" "Davvero? Qualcuno mi ha scritto? Spero non chieda soldi, altrimenti... Comunque grazie Battista, sei congedato" Battista, di nuovo immerso nei pensieri sul suo Principale, si avviò.
Si fermò, dopo pochi secondi, colpito da un rumore proveniente da dietro di lui. Era un singhiozzo. Di istinto si girò; era inconcepibile pensare a LUI che piangeva.
Il volto era coperto dalla lettera che, evidentemente, aveva appena letto. Era ingiallita e strappata ai lati, di certo non era una lettera scritta di recente. Chi poteva averla scritta?
Il silenzio nella stanza durò altri 30 secondi. Fu rotto solo dalla voce di Paperone:"Battista" "Si principale?"Annulla tutti i miei impegni. Per la storia degli operai manda un direttore qualsiasi, digli che gli concedo gli aumenti e sospendo i licenziamenti. Prepara il mio aereo. Dobbiamo partire" "Come vuole, Signore. Qual è  la destinazione? "Andiamo a Glasgow. Prepara anche una macchina per quando arriveremo lì grave. Dobbiamo arrivare a Colle Fosco."

Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** Colle Fosco ***


Grazie per le recensioni! In questo secondo capitolo ho cercato di spostare il punto di vista il più possibile DENTRO Paperone, così che il viaggio che compierà sarà anche un viaggio interiore. Qui è presente anche uno degli snodi cruciali della storia. Se lo trovate mal spiegato non vi preoccupate, più avanti lo renderò più chiaro. Grazie ancora a tutti!
il viaggio in aereo durò qualche ora, che Paperone passò del tutto immerso nelle sue riflessioni: Cosa stava facendo? Perchè lo stava facendo? Non trovava un risposta. Assieme a lui, come sempre, c'era il fido Battista. Nessuna traccia, invece, del nipote o altri: doveva fare da solo. L'aeroporto di Glasgow era cambiato molto dall'ultima volta che lo aveva visto, poco dopo la fine della guerra. La riconversione all'aviazione civile era ormai completa e un aereo privato come il suo non avrebbe fatto notizia, se non fosse stato per lo stemma P.d.P. sulla fiancata, e proprio lo stemma della fiancata radunò vicino alla pista un nugolo di giornalisti. Non gli erano mai piaciuti i giornalisti. Avrebbe voluto prenderli a male parole, per poi andarsene, ma avrebbe fatto notizia. Doveva stare attento anche a quello che diceva. E cosa ancora più importante, tutto ciò lo aveva distratto dal pensare che stava per rimettere piede
in Scozia dopo quasi vent'anni.
"Signor de'Paperoni come mai è tornato in Scozia"
"Una domanda per noi mister"
"Signor de'Paperoni è vero che sta preparando la successione al suo impero finanziario?"
"Mister de'Paperoni quali sono i suoi rapporti con il presidente Johnson dopo la rivolta operaia?"
E giù così. Cercava di non sentire fino  a quando non avrebbe sentito la frase giusta
"Signore, la sua auto è pronta" Finalmente. Sgattaiolò dentro l'auto, chiuse i finestrini e se ne andò.
Glasgow era cambiata: non era più la città industriale di una volta, zeppa di minatori e di povertà, ricordo di un'infanzia che non rimpiangeva. La città sembrava contagiata da quello spirito che veniva da sud, da Liverpool e Londra, spirito che non capiva ma non disprezzava. Ma non aveva tempo per questo: Rannoch Moor non era vicina e la strada non era agevole, perciò l'auto si allontanò velocemente dalla capitale scozzese e sparì verso le Highlands. La brughiera non era cambiata molto, sempre tutta uguale, piena di erba e torba, ma non ci fece molto caso. Con la testa ormai era già a Colle Fosco.
Quando l'auto rallentò, nei pressi di MacDuich, fu preso da un colpo al cuore. La cittadina era in qualche modo cambiata, c'erano edifici nuovi e più moderni, ma era insieme uguale, con le stesse vie. le
stesse persone, la stessa atmosfera. C'era una delicatezza nel tutto, nel paese fondato dal suo clan, che lo faceva commuovere. Era tentato di scendere ed abbracciare idealmente la sua terra, ma si trattenne. Neanche questa era la destinazione. Pochi minuti dopo il suo ingresso, l'automobile targata PdP incominciò un'ulteriore salita, l'ultima, che termminava all'inizio della monumentale brughiera intorno al Castello de'Paperoni. Siccome era impossibile proseguire con le quattro ruote, Paperone congedò l'autista e gli disse di tornare a MacDuich. Non gli dispiaceva attraversar quella terra. Poteva ancora sentire le grida dei Wiskervilles quando scapparono per colpa del fantasma del duca Quaquarone, e ancora gli si gonfiava di orgoglio il petto. Chissà dov'erano finiti. Immerso nei suoi pensieri, arrivò al portone e bussò. Passarono secondi che sembrarono ore, poi si aprì. Paperone riuscì appena a mormorare:"Matilda..." Matilda non disse una parola, ma gli fece cenno di entrare. Il castello era finalmente in ordine, riportato i fasti di un tempo passato, ed era anche merito dei suoi soldi, dato che era di suo padre. Dopo la morte di Piva, però era stata sua sorella a prendersene cura, e doveva ringraziarla. Non gli uscivano parole dalla gola, e solo un gallo cedrone dall'esterno rompeva un silenzio altrimenti assordante. 
Matilde si mise a preparare del tè, poi finalmente parlò:"Cosa ci fai qui?" "Lo sai benissimo" "Certo che lo so, ma se riesci a dirlo potresti iniziare a liberarti di quella cappa di orgoglio che ti soffoca"
Matilda, evidentemente, non aveva ancora dimenticato il modo in cui era stata trattata. La parziale riappacificazione durante il funerale di Ortensia evidentemente non bastava. E, cosa ancora più dolorosa, aveva ragione. "La lettera" provava a parlare, ma non ci riusciva. Dannazione! Sembrava un adolescente al rrimo amore! Perchè si stava facendo umiliare così? "La lettera, devo averla..." "Quale lettera?" Girò il coltello nella piaga Matilde "BASTA MATILDE! TI PREGO!" Abbassò al voce fin quasi a sussurrare "Hai capito benissimo cosa intendo. Ho ricevuto la tua lettera, e questa lettera parlava di un'altra lettera, e..."
Matilde pose fine a quello stillicidio "Sì, ti ho scritto di aver ritrovato un appunto di nostro padre, che volle scrivere una specie di lettera-testamento da indirizzare a te, e la diede ad Ortensia, la
quale te l'avrebbe dovuta consegnare al momento più opportuno. Non credevo che ancora avessi un cuore, ma evidentemente c'è ancora qualcuno a cui tieni, seppur morto. Vuoi quindi ritrovare le ultimi parole scritte da nostro padre?" Paperone farfugliò qualcosa. Matilde lo prese come un sì:"A quanto ne so, Ortensia diede il documento al marito, Quackmore, che gestendo i tuoi affari poteva contattarti più facilmente. Ma anche lui è morto da molti anni. Quindi per ritrovarla dovrai seguire le sue tracce. Se hai davvero intenzione di intraprendere questa ricerca, ti auguro buona fortuna."
Senza più aprire bocca, Paperone si alzò e corse fuori.
Aveva un viaggio da compiere.

Ritorna all'indice


Capitolo 3
*** Città Natale ***


Questo lo considero il primo vero capitolo della storia, perchè la storia prosegue sui tre binari paralleli che mi sono prefissato all'inizio: quello della trama, quello dei pensieri di Paperone e quello delle persone intorno a lui. Spero di essere all'altezza ;)

Buona lettura!

P.S. Nella storia è presente una frase copia-incollata dalla $aga. Chi riesce a trovarla, dire da quale capitolo viene e chi l'ha pronunciata?

 

 

 

 

Durante il viaggio il dialogo di Matilda non cessava di rimbombargli nella testa, insieme alla storia della lettera. Non riusciva, non poteva ragionare, così inizio a scribacchiare nervosamente.

 

"Ricapitoliamo" pensò "Devo trovare una lettera scritta da mio padre che avrei dovuto leggere quando sarebbe stato il momento. Questa lettera ce l'aveva Quackmore, ma lui è morto anni fa. Solo ora Matilda ha trovato un vecchio carteggio di Ortensia, e me lo ha inviato. E io sono venuto subito qui, dal Calisota alle Highalnds, solo per saperne di più. Perchè l'ho fatto? Forse sto già seguendo un piano ideato da Fergus? Dove potrebbe essere la lettera? Matilde mi ha davvero detto tutto? Oh, quanti dubbi mi percorrono la mente!"

 

Fissò per qualche secondo la sua calligrafia: era bella. Aveva impiegato 10 anni a perfezionare una firma a prova di falsario e ciò si era riflettuto sulla sua scrittura: pulita ed elegante, ma anche dannatamente complicata, quasi tormentata. Che riflettesse la sua personalità?

 

A forza di macerarsi in quelle riflessioni era ormai arrivato a destinazione: Glasgow, la città dove era nato. Provava quella particolare sensazione che si ha quando si percepisce qualcosa di appartenente alla sua infanzia, per quanto fosse durata poco... Rumori, odori, colori, in una parola emozioni.

 

Ormai era sera, e doveva trovare un posto per dormire. Non volendosi perdere rimase nella sua zona, vicino alla casa dove era nato e dove si sarebbe recato il giorno successivo. Poi si sarebbe spostato ad Edinburgo, dove c'era la sede centrale della P.d.P. Scozia, dove aveva mandato a lavorare per parecchi anni Quackmore.

 

Ricordava a memoria quelle strade, dove camminava mano nella mano con il padre, passeggiava con la sorella, andava in chiesa e lustrava scarpe. Tante scarpe. Continuando a passeggiare tra quelle vie conosciute si imbattè in un alloggio che prometteva di essere economico.

 

Johnny lavorava da sempre lì dentro, sin da quando il proprietario e ra suo padre. Moltissime persone erano passate di lì, migliaia forse, e nessuno di speciale (tranne, forse, qualche esattore delle tasse!) Ormai era sera tardi, e nessuno si sarebbe presentato sulla porta (al massimo, qualche ubriacone), quindi si stava tranquillamente facendo un drink.

"Avete una camera doppia con bagno?"

Johnny sputò sul bancone tutto il bicchiere. Quella voce era nota in tutto il mondo, appariva su ogni telegiornale, così come ogni giorno erano ovunque le pubblicità delle sue aziende. Era la voce di Paperon de' Paperoni, il miliardario di Colle Fosco, il più ricco del mondo. Ed era lì, davanti a lui, che lo fissava, con tanto di bastone, ghette, paladrana e cilindro. I suoi occhi lo fissavano, brillavano di una luce particolare, a intuire il mondo che c'era lì dietro. Gli pareva che il carisma del personaggio davanti a lui lo sovrastasse.

 

"S-sì, per lei c'è sicuramente" Non si trattenne: "Me lo farebbe un autografo?"

 

Contrariamente rispetto a ciò che si aspettava da se stesso, il miliardario non si arrabbiò. Tirò fuori un foglio e una penna, firmò al volo e glielo diede. Johnny balbettò qualcosa per ringraziarlo, lo condusse nella sua camera e aiutò Battista a portare i bagagli. Intanto Paperone, stressato da quel viaggio, andò a letto e scivolò rapidamente in un sonno profondo.  

Ritorna all'indice


Capitolo 4
*** P.d.P. Scotland ***


Scusate il ritardo, ma avevo il capitolo sulla pennetta e indovina un po'? L'ho persa. L'ho ritrovata dopo un mese quando ormai avevo riscritto mezzo capitolo, e integrando i due ho avuto un sacco di problemi di formattazione perchè una parte era in un file .txt, l'altra in .odt (non so perchè, ma l'editor non mandava mai a capo le righe), quindi scusate eventuali ORRORI di formattazione. Tornando al
capitolo: secondo voi Paperone ha paura della morte? Seguendo la cronologia "ufficiale" nel
momento in cui sto scrivendo lui ha 100 anni, ma il modo in cui si muove nelle storie che 
vediamo pubblicate ogni settimana non fa pensare ad un uomo così vecchio o la cui fine è vicina.
Forse per rendereil tutto più realistico dovremmo ipotizzare che i paperi umanoidi del mondo Disney vivano in media
 30 anni in più di noi, a parità di salute fisica e mentale. Ad ogni modo, buona lettura!
P.S. La citazione della $aga nello scorso capitolo è "Tranne, forse, qualche esattore delle tasse!",
detta dal tizio del posto dove va a dormire Paperone. Originariamente la pronuncia il duca
Quaquarone ne "L'ultimo del clan de'Paperoni"


La notte passò in un attimo. Probabilmente lo stress fisico e mentale accumulato in quelgi ultimi
giorni lo aveva spossato. Nonostante ciò, al suono della sveglia si impose di alzarsi con la consueta
rapidità. Ma fece davvero fatica: si sentiva pesante, stanco, debole. Ma bastò uno scatto d'orgoglio
per alzarsi, prepararsi ed uscire, lasciando Battista ad occuparsi di sistemare le cose nell'alloggio.
Scese, consumò una veloce colazione e uscì a passo svelto. Fuori nevicava.
Era rimasto talmente tanto concentrato su sè stesso, da quando era arrivato in Scozia, da non accorgersi del tempo
 atmosferico. Glasgow, sotto quella coltre bianca, pareva come
rallentata, non sembrava la grande città che era, aveva sembianza di gigante addormentato, quel
gigante buono che ti stringe tra le sue braccia quando ti senti solo. Paperone vedeva davanti
a sè qualcuno più grande di lui.

 

Faticava molto a camminare nella neve. I piedi gli parevano di piombo, non riusciva ad alzarli da terra, e il leggero
 vento gli appariva una resistenza quasi insuperabile. Rifletteva, intanto, sul ruolo della Scozia, che per quanto
 importante era solo una realtà periferica del suo impero finanziario. Sembravano passati ormai anni e anni da quando
 intendeva porgli come capitale MacDuich, a Rannoch Moor. Una scelta che sarebbe stata controproducente col tempo:
 molto meglio stabilirsi sulla costa del Pacifico, con una cittadina da far crescere a sua immagine e somiglianza negli
 Stati Uniti, e lasciare un uomo di sua fiducia a gestire gli affari in Scozia. Duckburg, il suo capolavoro, aveva ormai
 superato il milione di abitanti, quasi tutti dipendenti diretti o di indotto di sue aziende, e il suo dominio era tanto grande
 da giungere alle istituzioni, garantendogli le migliori leggi possibili per favorire lo sviluppo delle sue aziende e della
 sua città. Era addirittura stato sindaco della città, prima di iniziare il suo lunghissimo giro del mondo alla conquista del
 primato di più ricco de mondo, e aveva dato alla legislazione la forma necessaria a garantire il futuro roseo che poi
 ebbe il suo impero. Avrebbe potuto fare lo stesso in uno sperduto villaggio della brughiera scozzese? No, di certo non
 avrebbe potuto. Per il bene dei suoi affari, era sempre dovuto andare in America. La Scozia sarebbe stato un peso. Un
 peso, però, che non poteva lasciare. Anche quando era più immerso nei suoi affari, nell'ufficio del Deposito o al Club
 dei Miliardari, sentiva ogni tanto una fitta di nostalgia di quella tera natia che non aveva mai potuto apprezzare
 appieno. Ed era per questo che, non appena insediatosi in Calisota, si era premurato di portare una parte dei suoi affari
 nella terra natia. E ora che dopo 26 anni era tornato, sentiva che, in fondo, quella terra era parte di lui, nel bene e nel
 male.
Ho freddo.
Appena smise di riflettere tra sé e sé si accorse di avere molto freddo: erano mesi che non usciva con un tempo del
 genere dal Deposito, e non riusciva ad abituarsi: il suo corpo, invece di sostenerlo nella sua battaglia, fino a quel
 momento sempre vinta, contro gli elementi, implorava pietà, ma lui strinse i denti e con la solita grinta si fece largo in
 mezzo alla neve.

Ritornare davanti alla sua casa fu un'emozione particolare, nonostante non ci fosse quasi più nulla che potesse ricordare
 la sua infanzia: i sui genitori l'avevano venduta quando si erano definitivamente stabiliti nel castello, e lui l'aveva
 ricomprata solo dopo, prima di partire per Duckburg. Intanto, però, il precedente proprietario si era curato di
 sgomberare i vecchi mobili e ristrutturare completamente l'edifico. Almeno, però, la mappa era la stessa. Una volta
 visto ciò che era rimasto, curiosamente, gli prese immediatamente la voglia di andarsene. Perchè rimanere lì, in fondo?
 Aveva qualcosa di più importante da fare. O meglio, aveva freddo e voleva entrare in un posto più caldo.


La sede centrale della P.d.P. Scotland, a Glasgow, non meritava nemmeno la pena di essere descritta. Semplicemente,
 era un edificio anonimo. Ciò che c'era di importante era dentro. Aveva già fissato l'appuntamento, quindi entrò senza
 indugio e chiese subito degli effetti personali di Quackmore: “No signore, qui non c'è niente. E non troverà niente 
neanche ad Edimburgo” gli disse la segretaria che lo aveva accolto “Il direttore trascorse molti anni qui. Dopo la sua
 tragica scomparsa tutto ciò che era di sua proprietà fu trasferito in America e consegnato al figlio Donald. “Capisco.
 Avete, che so, una lista di che fu portato via? Una contabilità?” “Si. Tutto ciò che entra e esce dai suoi edifici è segnato
 negli archivi. Certo, essendo passati molti anni, dovrà cercare un bel po'. La sala archivi si trova al piano inferiore”


La sala archivi era come tutti possiamo immaginarcela: polverosa e stracolma di scaffali pieni di libri. Ma Paperone era
 abituato a farsi spazio in luoghi del genere, e non si scompose troppo.

La ricerca, tuttavia, si rivelò molto più faticosa del previsto. Un archivio del genere era presente anche al Deposito
, frutto di anni intorno al mondo che gli avevano permesso di raccogliere carte di ogni tipo che più volte gli erano state
 utili nella ricerca di tesori perduti. Ma lì era molto più difficile: il suo fisico non rispondeva,  un'altra volta, e
 improvvisamente si sentì vecchio. Ormai, pensò con orrore, era un centenario. Come faceva a reggersi ancora in piedi?
 Sarebbe potuto morire da un momento all'altro, colto da infarto.

No, questo è un registro contabile.

Eppure era in ottima forma. Camminava ancora egregiamente, seppure con l'ausilio del bastone, e percorreva
 abitualmente più chilometri al giorno. Non aveva la gobba.  Non era rincoglionito.

Credo di dover cambiare scaffale.

Nessun medico gli dava pochi mesi di vita. Era solo, come gli disse una volta Matilda, un povero vecchio. No, non lo
 era! Era il più ricco del mondo da oltre trent'anni, era molto più attivo di molti giovani, cosa aveva da rimproverarsi?
 Aveva vissuto. Stava ancora vivendo. Ad eccezione di quegli stupidi cinque anni, non si era mai seduto ad aspettare la
 morte. E ora aveva un altro obiettivo ancora, un altro motivo per continuare a vivere, proprio quando stava iniziando a
 fermarsi, a pensare all'inutilità del suo accumulare, del suo lavoro nelle fredde stanze del Deposito.

Ci siamo. Questa è l'annata giusta.

Aveva molto caldo, lo stanzone era caldo e umido, la muffa sulle pareti ringraziava, ma ecco! Il registro giusto, anno
 1931. Sfogliò nervosamente. Più o meno a metà del libro mastro trovò un foglio svolazzante. Era il documento con cui
 si certificava che Quackmore non lavorava più lì, e che i suoi effetti personali erano in procinto di essere trasferiti in
 America. Non c'era una lista di quegli oggetti. Prima di maledirsi per la ricerca inutile, Paperone girò il foglio, e vide
 che la fortuna lo aveva assistito.

Ma non c'era alcuna lettera. Nessun libro, niente di scritto. L'elenco era solo un'infinita sequela di oggetti di cancelleria, 
più una foto incorniciata della sua famiglia. Nient'altro.

Maledizione!

Preso dalla rabbia, si diresse rapidamente verso le scale e le iniziò a percorrere di corsa, senza guardare. Un'imprudenza.

A metà della rampa mise un piede in fallo, e scivolò.

Si sentì per un'attimo sospeso per aria, con il vuoto sotto di lui, senza niente che gli potesse impedire di cadere
 violentemente per terra. Si sarebbe fatto di certo molto male. Si sarebbe rotto qualcosa? Sarebbe morto? Proprio ora
 che iniziava a pensarci, e che aveva appena steso il testamento. Ma non aveva paura.

.
.
.
.
.
Una frazione di secondo dopo aver perso l'equilibrio, dopo aver fatto tutti quei cattivi pensieri, Paperone individuò con
 la coda dell'occhio il corrimano, lo afferrò con decisione e fermò la sua caduta. Non era successo niente.

Cosa ero andato a pensare?

La segretaria non aveva altro da dirgli:”Posso assicurarle che tutto ciò che era qui è stato portato via dopo, dopo... che
 se ne è andato” Paperone tentò di insistere: “Possibile che non ci sia altro? “No, sono certa che non ci sia altro. A meno
 che quello che cerca non lo portasse con sé, non posso avere idea di dove sia.

Ma certo.

MA CERTO!

Lo aveva detto anche Matilda, no? La lettera ce l'aveva sempre lui, e la portava sempre con sé! Quindi doveva essere
 necessariamente con lui anche quando morì! Non era in Scozia, non più. Doveva solo sapere quale fosse stata la sua
 ultima tappa prima del cimitero, e l'avrebbe trovata!

Ringraziò la segretaria, e uscì immediatamente alla ricerca di un telefono. Ma subito dopo pensò: chi avrebbe potuto
 chiamare? Elvira era morta, insieme a tutti i suoi tre figli, e Donald probabilmente neanche ricordava quel giorno di
 tanti anni fa, e magari la lettera se l'era anche persa... In un attimo tutte le forze gli sembrarono venir meno, sentendosi
 bloccato. Doveva sedersi. Era mai entrato in un pub a bere qualcosa? Forse quello era il momento giusto per la prima
 volta. Ne vide uno proprio lì di fronte, e decise che sarebbe entrato a bere qualcosa, mentre rifletteva sul da farsi. Ma ci
 mise più del previsto: la neve stava cadendo molto più di prima, e il vento era aumentato di intensità, rendendo la
 visibilità praticamente nulla: attraversando quella strada, Paperone credette di essere tornato nello Yukon alla ricerca
 dell'oro, e annaspando contro quella che gli pareva una vera e propria tempesta, dopo dieci minuti si ritrovò sulla porta 
del pub.

In un pub si possono vedere persone di tutti i tipi: il giovane venuto a bere con gli amici o con la ragazza, gli operai a
 fine turno, i vecchi ubriaconi, e chi ne ha più ne metta. Di certo non è comune veder entrare un vecchio papero solo,
 sconosciuto ai più, a chiedere non pinte di birra ma qualcosa di analcolico. E sconosciuto era Paperone per gli
 avventori del posto, perchè nessuno pareva conoscere il suo volto, lì. Una liberazione! Finalmente un po' di calma. Non
 era abituato certo ad assaporare il tempo sprecato a far niente, ma in quel momento non gli pareva ci potesse essere
 niente di più produttivo da fare.

“Ehi nonno, ti prendi qualcosa o ti fai un pisolino?” gli chiese l'uomo del bancone. Paperone non aveva voglia di
 rispondergli, e non raccolse la provocazione:”Un tè, per favore. Senza zucchero” Un paio di minuti dopo arrivò la
 tazza, di colore giallo intenso, sicuramente molto più saporita del tè riciclato che beveva in America a lavoro, più o
 meno tutti i giorni.
Berlo gli fece bene, il calore della bevanda gli giunse fino allo stomaco per poi diramarsi verso tutte le membra del
 corpo, dandogli l'impressione di tornare nel mondo dei vivi: ora iniziava a sentire più distintamente il chiacchiericcio
 intorno a lui e il calore umano che il posto emanava. Ora più di prima, si sentiva vivo. Perchè aveva fatto tutti quei
 discorsi lugubri, nell'archivio? La morte gli pareva cosa lontanissima, e per smettere di pensarci si mise ad ascoltare la
 radio in sottofondo: “Ultime notizie: si è spento stanotte all'età di 88 anni il finanziere americano John D. Rockerduck,
 famoso per la rivalità con Paperon de' Paperoni e secondo papero più ricco del mondo. Oggi pomeriggio la camera
 ardente, i funerali si svolgeranno domani in forma privata.”

Ritorna all'indice


Capitolo 5
*** Divenire ***


Capitolo 4: divenire

Cosa c'è oltre l'infinito presente Disney?

 

 

Avete presente quel momento in cui ciò che hai dentro sovrasta del tutto l'esterno, prende possesso di tutti i sensi e ti fa percepire in modo vivido ciò che davvero provi? Avete presente quel momento in cui provate un'emozione talmente forte da influire su ciò che vedete e sentite? Avete presente quel momento in cui vi sentite sopraffatti da voi stessi?

 

Grossomodo, era questo ciò che Paperone stava pensando, subito dopo aver saputo che l'avversario di una vita lo aveva abbandonato, dopo aver percorso un tratto di strada con lui. Perchè, nel bene e nel male, quando hai qualcuno al tuo fianco finisci per abituarti alla sua presenza, diventa un particolare fisso della tua normalità, è come se ci facessi conto. Adesso, non più. Era un altro pezzo del suo mondo che crollava come i pezzi di intonaco di una casa ormai fatiscente: prima i genitori, poi gli zii, Quackmore, Elvira, la sorella... Il tempo scorreva.

 

Il viaggio di ritorno a Paperopoli era intriso di silenzio e di consuetudine. I soliti giornalisti all'aeroporto, il solito Battista, tutto uguale. Non valeva nemmeno la pena farci caso. Dopo aver passato una vita in divenire, ora era diventato lui stesso monotono. Lentamente chiuse gli occhi e il viaggio intercontinentale passò in un attimo.

 

A Paperopoli lo attendeva qualcosa di difficile: sarebbe dovuto tornare, per la prima volta dopo tanti anni, alla fattoria di Elvira. Decise però di volerci andare da solo, senza nessuno, guidando per conto proprio.

La strada la conosceva a memoria, non valeva nemmeno la pena accendere il cervello, cosa che non faceva da quando era a Glasgow. Quasi non ricordava cosa era successo dopo. Solo quando fu arrivato iniziò a riconoscere le familiari forme della fattoria: l'albero di platani, il frutteto ancora carico di mele, e... Il cimitero.

Il cimitero.

IL CIMITERO

 

Era passato qualche anno dal funerale, nulla era cambiato. C'ea una sorta di epòs in qul giorno, nell'adagiare la tomba di Elvira nella terra a cui tanto aveva dato, mentre il Sole batteva fortissimo come a voler rendere grazie ad una donna che tanto aveva dato al Creato. In quel giorno, per la prima volta dopo anni, aveva pensato a Dio.

Credeva? Col passare degli anni, sapendo che ci si avvicina alla morte, si fa sempre un pensiero a cosa c'è "dopo"

 

Che pena la fattoria. Ormai i tempi d'oro erano finiti, e senza le mani (altrettanto d'oro) di Elvira tutto stava andando in rovina. Il meleto era ormai insediato dalle erbacce, e lo stato generale era di abbandono.

Mentre pensava vide da lontano una figura familiare: era Donald, che lo stava aspettando.

"Ciao zio" gli disse con tono inespressivo. Non voleva neanche aprire la bocca.

"Potresti almeno rispondermi" "Si, certo"

"A Donald evidentemente girava male qualcosa, perchè perse subito la pazienza: "SVEGLIA! Ci sei? Ho mollato tutto quello che avevo da far per venire qui, da te, dopo che sono anni che non ci vediamo quasi, solo perchè mi ahi chiamato mentre eri ad un Oceano di distanza senza nemmeno darmi una ragione, e poi non dici niente? Sono cinque anni che ci vediamo solo durante le feste, senza quasi rivolgerci la parola, sei sempre in mezzo ai tuoi affari!" Donald aveva perso il controllo. Da anni aveva covato verso lo zio risentimento e rabbia, che sempre più avevano cancellato la pietà verso quello che prima considerava solo un vecchio solo." "Davvero il tuo denaro vlae più della tua famiglia, degli altri, di tutto? GUARDATI! Sei felice?"

Donald si sfogò ancora, Paperone neanche lo ascoltava. Alla fine, con poche stringate parole, gli disse della sorella, della lettera e di tutto il resto. Donald, ancora nervoso, si limitò ad un "Non ne so niente" sbrigativo.

 

Paperone si sentiva totalmente apatico. A stento percepiva ormai ciò che era esterno a lui: il viaggio in aereo, la macchina, il paesaggio; appena abozzava un pensiero, subito si spegneva, come un pittore che disegnasse i quadri per poi buttarli via, come uno scrittore che si ferma al canovaccio perchè non ha voglia di particolareggiare le descrizioni. Non aiutava poi il contesto. La leggendaria fattoria era un cumulo di erbacce, c'era poco da dire, non era certo il luogo idilliaco che tante volte tornava in mente a chi lo aveva potuto vivere. In parole povere:"Sai che ti dico? Non ho più voglia di cercare. Sono stanco. Mi arrendo."

Ritorna all'indice


Capitolo 6
*** Cornamusa ***


Non ci si aspetta certo di vedere qualcuno che ha passato la vita a lottare dire di colpo:"mi arrendo". Probabilmente si è trattato della classica goccia che scava la pietra, a corrodere sempre di più l'ambizione e la voglia di fare, fino alla rottura definitiva.

Era questo ciò che pensava in quel momento Donald guardando il vecchio zio. Non lo capiva. In effetti non lo aveva mai capito. E ora stava in silenzio, ad aspettare quello che aveva da dire. In fondo, non sapeva cosa fare nè voleva essere lì.

"Andiamo al Deposito" borbottò, "Guido io"

Senza fare storie Donald si mise accanto a lui

Durante il viaggio Donald potè notare la guida sicura, pulita, tranquilla, dello zio: il cambio usato con precisione, il freno sempre progressivo e mai eccessivo, la sterzata puntuale. Che scena al rinnovo della patente, quando nessuno si aspettava che avrebbe ripassato le visite! Bisognava davvero ringraziare Archimede e la sua Formula. Era un cortocircuito pensare a lui che si arrendeva.

 

Anche il Deposito iniziava a sentire i segni del tempo: a forza di risparmiare Paperone non aveva più curato il prato della collina, che di conseguenza era ormai un cumulo di erbacce. E la ruggine iniziava ad intaccare quel maestoso edificio contenente tre acri cubici di denaro, che ormai appariva come quei vecchi e maestosi alberu secchi che tanto appaiono solidi prima che la tempesta li sradichi. Paperone avanzava con sicurezza, evitando tutte le trappole, i trucchi, i cartelli che per anni aveva disseminato per proteggerlo da... chiunque.

Tutti volevano fargli male. Tutti. Da anni era perseguitato dai ladri, idioti, nullafacenti, che volevano solo prendere ciò che non era loro. Non si sarebbe mai arreso contro di loro. Piuttosto, la morte.

 

L'ufficio è sempre lo stesso, con i sacchi di denaro intorno, non per pacchianeria, più per sentire un ingombro materiale che possa, in qualche modo, essere compagnia. Curioso come per tutti l'oro era neitn'altro che un metallo, freddo. Non per Paperone. Come conduttroe termico il calore gli arriva velocemente, e se solo lui lo portava, tanto ne bastava. Nel mentre, Donald lo guardava. Per un attimo vide un'espressione di pietà. Altre volte si sarebbe imbestialito, anche quella, ma non voleva alzare la voce. "Voglio farti vedere una cosa" sono le uniche parole che gli uscirono dalla bocca. "Ti mostrerò come sono custodite le cose più importanti."

 

Dalla tasca spuntò improvvisamente una vecchia chiave. Scrooge, tenedola in mano, andò ad aprire una porta. Dov'era mai stata? Nessuno, forse, ancora ne conosceva l'esistenza tranne lui.

 

Il buio regnava sovrano, ma era tutto pulitissimo."E Dio disse sia la luce e luce fu" disse Paperone con un sorriso ironico mentre accendeva la luce. Lì erano contenuti solo due oggetti: un vecchio baule ed una cornamusa.

 

Qualche anno prima, quando di frequente si trovavano nel Deposito con i nipotini, quel baule era stato aperto un mucchio di volte. Un piccone, un ciuffo di capelli di Doretta, un orsacchiotto, un cristallo, la pepita uovo d'anatra. Ma quella cornamusa non l'aveva mai vista. Donald aveva dentro la curiosità di un bambino:"Zio, ma tu la sai suonare?" "Si, un po', mi ci sono anche allenato." La prese in mano "Sai, 37 anni fa conobbi un musicista francese che aveva appena trascritto un suo brano per balletto su piano. Siccome gli fui subito simpatico, riuscii ad averne una versione per cornamusa. Nelgi anni l'ho imparato discretamente" Detto ciò, Paperono iniziò a suonare il Bolero di Ravel.

*

Trance. Era un suono divino. Donald non pensava che una cornamusa o un qualsiasi strumento a fiato potesse suonare così dolcemente. Era perfetto, ogni nota conservava la morbidezza del fiato senza però alcun cedimento o modifica. Forse era così che suonavano gli angeli. Credeva di essere ipnotizzato da quell'esecuzione. Sparirono le discussioni, il viaggio, il baule, il Deposito, ogni altra cosa eccetto che la musica. Peccato solo che non potesse andare avanti all'infinito. E...

 

Paperone si arrestò. Non usciva più alcun suono. Come se qualcosa la bloccasse, ostuisse una canna. Guardò dentro, ma si vedeva solo buio. Allora prese una torcia e guardò.

 

Era una lettera.




















































*Nota dell'autore: Mi dispiace, ma lascio perdere questa storia. Ammetto di aver esagerato, era qualcosa di troppo grande per me, al momento: troppi piani, descrizioni, trama da comporre. Non sono ancora così bravo. Per un po' mi dedicherò a storie piccole, poi chissà, potrei continuare questa...

Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=1979589